The Dark Side Of The Moon

di MackenziePhoenix94
(/viewuser.php?uid=960789)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo: Two Friends (Parte Uno) ***
Capitolo 2: *** Prologo: Two Friends (Parte Due) ***
Capitolo 3: *** Ufo Club ***
Capitolo 4: *** Art ***
Capitolo 5: *** The Wind In The Willows (Parte Uno) ***
Capitolo 6: *** The Wind In The Willows (Parte Due) ***
Capitolo 7: *** The Wind In The Willows (Parte tre) ***
Capitolo 8: *** Stairs (Parte Uno) ***
Capitolo 9: *** Stairs (Parte Due) ***
Capitolo 10: *** Alexandra Palace (Parte Uno) ***
Capitolo 11: *** You're My Light ***
Capitolo 12: *** Falling ***
Capitolo 13: *** Alexandra Palace (Parte Due) ***
Capitolo 14: *** Formentera (Parte Uno) ***
Capitolo 15: *** The Piper At The Gates Of Dawn ***
Capitolo 16: *** Formentera (Parte Due) ***
Capitolo 17: *** Formentera (Parte Tre) ***
Capitolo 18: *** Worms (Parte Uno) ***
Capitolo 19: *** Worms (Parte Due) ***
Capitolo 20: *** Desperate Times, Desperate Measures ***
Capitolo 21: *** Border (Parte Uno) ***
Capitolo 22: *** Border (Parte Due) ***
Capitolo 23: *** Spring (Parte Uno) ***
Capitolo 24: *** Spring (Parte Due) ***
Capitolo 25: *** D.J.G (Parte Uno) ***
Capitolo 26: *** D.J.G (Parte Due) ***
Capitolo 27: *** Like A Candle ***
Capitolo 28: *** Saint Tropez (Parte Uno) ***
Capitolo 29: *** Saint Tropez (Parte Due) ***
Capitolo 30: *** Saint Tropez (Parte Tre) ***
Capitolo 31: *** Official Presentation ***
Capitolo 32: *** Beautiful Madness ***
Capitolo 33: *** Wedding ***
Capitolo 34: *** Pompeii (Parte Uno) ***
Capitolo 35: *** Pompeii (Parte Due) ***
Capitolo 36: *** Oysters ***
Capitolo 37: *** Guilty Feelings ***
Capitolo 38: *** New Arrival ***
Capitolo 39: *** Virginia (Parte Uno) ***
Capitolo 40: *** Virginia (Parte Due) ***
Capitolo 41: *** Lies (Parte Uno) ***
Capitolo 42: *** Lies (Parte Due) ***
Capitolo 43: *** The Big Chance (Parte Uno) ***
Capitolo 44: *** The Big Chance (Parte Due) ***
Capitolo 45: *** The Big Chance (Parte Tre) ***
Capitolo 46: *** Lies (Parte Tre) ***
Capitolo 47: *** Border (Parte Tre) ***
Capitolo 48: *** Border (Parte Quattro) ***
Capitolo 49: *** The Big Chance (Parte Quattro) ***
Capitolo 50: *** Border (Parte Cinque) ***
Capitolo 51: *** Brighton ***
Capitolo 52: *** Border (Parte Sei) ***
Capitolo 53: *** Border (Parte Sette) ***
Capitolo 54: *** The Happiest End ***
Capitolo 55: *** Epilogo: What Shall We Do Now? ***



Capitolo 1
*** Prologo: Two Friends (Parte Uno) ***


1964, novembre.


I due ragazzi vennero colti alla sprovvista dall’acquazzone: si lanciarono in una corsa a perdifiato tra i marciapiedi, zig-zagando tra la folla, attraversando le strisce pedonali col rosso, alla ricerca di un riparo asciutto e caldo; uno di loro, il più alto, urtò inavvertitamente una elegante signora che stava uscendo da una boutique firmata.

“Maleducato! I tuoi genitori non ti hanno insegnato le buone maniere?” strillò, inviperita, la donna; il ragazzo, in tutta risposta, si fermò il tempo necessario per mostrarle il dito medio della mano destra, e poi riprese a correre per non perdere di vista l’amico.

L’elegante signora sgranò gli occhi e scosse la testa indignata.

Quella gioventù bruciata, arrogante e poco incline a seguire le regole dell’educazione, avrebbe segnato la fine della buona società.

I due ragazzi trovarono il riparo asciutto e caldo che stavano cercando in un piccolo pub semideserto; scelsero un tavolo appartato in un angolo, presero posto l’uno di fronte all’altro e si tolsero i lunghi cappotti impregnati di pioggia, nella vana speranza che si asciugassero.

Una cameriera si avvicinò per prendere l’ordinazione e tornò qualche minuto più tardi con due pinte di guinness appena spillate; appoggiò i boccali sul tavolo e ritornò dietro al bancone.

Riuscì a resistere solo pochi secondi prima di sollevare gli occhi dal bicchiere che stava pulendo e puntarli in direzione dei due giovani per studiarli con maggior attenzione, memorizzando più particolari possibili: uno era alto, magrissimo ed aveva i capelli corti e castani; l’altro, invece, era più basso ed aveva una massa di fitti ricci neri.

Quello castano non le piaceva affatto (‘orrendo’, pensò con una smorfia), ma l’amico riccioluto era tutta un’altra storia.

Una vera e propria bellezza della natura.

Non ricordava di avere mai visto un giovane così bello prima d’ora.

Il ragazzo castano si portò una sigaretta alle labbra, l’accese con un fiammifero e girò il viso in direzione di una finestra: la pioggia continuava a battere incessante contro il vetro e contro l’asfalto delle strade improvvisamente deserte.

“Perché cazzo dicano che piovono cani, gatti e forconi non lo capirò mai, ma è un’espressione che ci sta alla perfezione per descrivere giornate come questa” commentò, buttando fuori il fumo dalle labbra socchiuse; girò di nuovo il viso in direzione dell’amico che non aveva ancora parlato “ti sei accorto che ti sta mangiando con gli occhi?”

“Chi?” domandò il riccioluto.

“Come chi? La ragazza che ci ha serviti”.

Il ragazzo riccio lanciò un’occhiata in direzione del bancone ed incrociò lo sguardo della cameriera giovane e carina; la vide arrossire violentemente per la vergogna e l’imbarazzo.

“Al momento non sono interessato a gettarmi a capofitto in una nuova storia d’amore”

“Stai ancora pensando a Libby?” chiese il castano, ed interpretò come un ‘sì’ il grugnito che ricevette in tutta risposta “ohh, senti, te l’ho già detto che devi smetterla di pensare a quella! Ormai vi siete lasciati da un pezzo e, fidati, meglio così visto che non facevate altro che litigare, mollarvi e riprendervi. Adesso sei a Londra: nuova città, nuova vita”

“Infatti è per questo che sono tornato… E per la scuola d’arte”

“Pensi che la Camberwell sia quella giusta?”

“Deve esserlo per forza. Per sostenere il colloquio di ammissione ho rinunciato ad andare a vedere un concerto dei Beatles, ti rendi conto?”

“Senti… Hai già un posto in cui stare?”

“No, non ancora, ma pensavo di cercare qualcosa qui nei paraggi. Perché?”

“Beh, questo potrebbe essere il tuo giorno fortunato” commentò il ragazzo castano, sostituendo il mozzicone che aveva in mano con una nuova sigaretta “nell’appartamento in cui vivo si è da poco liberata una camera. Il proprietario è un tipo un po’ eccentrico, ma nel complesso è apposto… Se sei interessato, posso farti fare un piccolo tour panoramico quando avranno finito di venire giù i cani, i gatti ed i forconi… Che ne dici?”

“Dico che non potrei chiedere di meglio” rispose l’amico riccioluto, distendendo le labbra in un sorriso allegro “ti va di fare un secondo giro? Questo lo offro io”.




Il ragazzo riccioluto si guardò attorno, in silenzio.

Due letti, due piccole finestre, un armadio, una scrivania traballante: la stanza iniziava e finiva lì, l’unica eccezione era costituita da una porta che conduceva ad un piccolo bagno, altrettanto spartano nell’arredamento.

L’amico alto e magrissimo fumava la terza sigaretta della giornata appoggiato con la schiena al muro, vicino alla porta del bagno.

“Allora, che ne pensi?” chiese, rompendo il silenzio “mi rendo conto che non si tratta proprio di un albergo a cinque stelle, ma non è neppure un cesso. La mia vecchia abitazione lo era, te l’ho mai raccontato? Vivevo in una specie di ostello di quarto ordine, in cui la gente veniva e se ne andava quasi ogni giorno, sprovvisto di bagno. Ero costretto a lavarmi nei bagni pubblici infondo alla strada”

“E tua madre ti ha permesso di vivere in una discarica simile?”

“Non l’ha mai saputo, sarebbe andata fuori di testa altrimenti… Allora? Qual è il tuo responso?”

“Quando posso trasferirmi?”

“Ottimo, speravo di ricevere una risposta simile. Vieni, c’è una cosa che devi assolutamente vedere”

“Cioè?”

“La parte più bella di tutto l’edificio”.

Uscirono dall’appartamento, ed il ragazzo castano guidò l’amico lungo una ripida scala che portava verso il basso.

“Attento a dove metti i piedi” gli raccomandò “questi scalini sanno essere dei grandi bastardi quando meno te lo aspetti”

“Cercherò di tenermelo a mente”

“Come sta David, a proposito? Non l’ho più sentito da quando ho lasciato Cambridge per trasferirmi a Londra”

“Ohh, David è sempre molto impegnato. Sai, da quando è nei Jokers Wild ha tempo solo per la musica… A quanto pare stanno raccogliendo parecchi consenti e non faccio fatica a crederci. Dave è in assoluto il miglior chitarrista che io conosca. A Cambridge trascorrevamo quasi tutte le pause pranzo ad esercitarci”

“Quindi suoni ancora la chitarra?”

“A volte strimpello qualcosa, ma non ho quasi mai tempo” disse il riccioluto; scese l’ultimo scalino e si fermò davanti ad una porta “perché?”.

In tutta risposta, l’amico dai capelli castani aprì la porta e schiacciò l’interruttore della luce; alcune lampadine che scendevano pigramente dal soffitto illuminarono un vecchio seminterrato in cui era stata allestita una vera e propria sala prove: c’era una batteria, una tastiera, una chitarra, cavi che correvano lungo tutto il pavimento, amplificatori e fari di diverse dimensioni dalle lenti colorate.

Il riccioluto sgranò gli occhi e la bocca.

“Ti piace?” chiese l’amico, costando la frangia che gli ricadeva sugli occhi; incrociò le braccia e si appoggiò con la spalla sinistra allo stipite della porta “io ed altri due ragazzi del politecnico ci troviamo qui spesso per suonare, per divertirci un po’. Ci facciamo chiamare i Tea Set. Qualche giorno fa il nostro chitarrista ci ha dato forfait perché il suo tutor lo ha costretto a scegliere tra gli studi di architettura e la musica e… Lui ha scelto la prima opzione”

“Aspetta, non ti seguo, cosa staresti cercando di dirmi?”

“Nulla, solo che nella nostra band c’è un posto vacante che ha bisogno di essere riempito” disse il ragazzo castano, spegnendo il mozzicone di sigaretta sul muro “potresti essere tu il nostro nuovo chitarrista… Senza alcun impegno, ovviamente”.

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Prologo: Two Friends (Parte Due) ***


1967, marzo.

 
Sul viso della giovane dai lunghi capelli rossi apparve un’espressione imbronciata quando vide scendere da una macchina un ragazzo alto e dall’aspetto distinto.

“Richard William Wright!” urlò, attirando la sua attenzione e fregandosene dei passanti che si voltarono di scatto a guardarla “questa volta sei proprio nei guai!”.

Il broncio fittizio durò un’altra manciata di secondi prima di trasformarsi in un sorriso carico di gioia.

La giovane corse in direzione del ragazzo, lasciò cadere a terra la borsa e gli buttò le braccia attorno al collo; lui, di rimando, le passò le braccia attorno ai fianchi e le fece fare un paio di giravolte, attirando ancora di più l’attenzione della gente attorno a loro.

“Cavolo, forse nel complesso dovrei sparire più spesso e più a lungo se poi vengo accolto in modo così caloroso”

“Non ti azzardare nemmeno a pensare una cosa simile, altrimenti dovrai vedertela con la mia furia”

“E cosa faresti in quel caso? Reagiresti come quella famosa volta al parco, quando avevi sei anni?”

“Quel bambino aveva dato apposta un calcio al mio castello di sabbia, di conseguenza meritava quel morso… E ora, se non desideri ricevere a tua volta un morso su un braccio, potresti pensare ad un modo per farti perdonare dei lunghi mesi di assenza in cui ci siamo sentiti a malapena… Caso vuole che qui vicino ci sia una pasticceria molto carina che hanno aperto da poco e che io non ho ancora avuto occasione di provare… Dici che questa sia abbastanza buona per rimediare?”

“Io dico di sì, anche perché non sono così ansioso di avere sul mio corpo lo stampo dei tuoi denti”.

La ragazza dai capelli rossi rise allegramente, recuperò la borsa, si aggrappò al braccio destro del suo accompagnatore ed insieme si avviarono verso la pasticceria che lei era tanto ansiosa di provare.

Ginger Anderson e Richard Wright si conoscevano fin dall’infanzia, da quando avevano rispettivamente cinque e dieci anni; le loro famiglie abitavano nella stessa via dello stesso quartiere, ed i due giovani, nonostante i cinque anni di differenza, avevano stretto fin da subito un fortissimo legame che da semplice amicizia si era trasformato in qualcosa di molto più profondo: Ginger vedeva Richard come il fratello maggiore che non aveva mai avuto e come la figura maschile che le era sempre mancata, e Richard vedeva Ginger come una sorella minore da proteggere e da guidare sulla giusta via.

Eppure, nonostante il loro legame indissolubile, i due giovani non avrebbero potuto essere più diversi dal punto di vista caratteriale: tanto lui era calmo, posato e riflessivo, quanto lei era impulsiva ed irrequieta.

Se Ginger era un incendio sempre pronto a scatenarsi, Richard era l’acqua che puntualmente lo domava.

I due amici presero posto davanti ad un grazioso tavolino rosa e, dopo aver dato un’occhiata al menù (scritto su un cartoncino plastificato rigorosamente rosa), ordinarono del the caldo ai frutti di bosco ed un cabaret di pasticcini assortiti.

Qualche minuto più tardi, una cameriera tornò al tavolo con una teiera, due tazze ed una elegante alzatina a tre piani su cui erano disposti con cura i pasticcini a forma di cuore.

Ed il colore dominante era sempre e solo uno: rosa.

“Siamo sicuri che i maschi siano ben accetti in questa pasticceria?”

“Avanti, non fare lo sciocco e raccontami tutto di questi ultimi mesi” lo incalzò Ginger, incrociando le braccia ed appoggiandole sul tavolo “come stanno Juliette e Gala?”.

Tre anni prima, Richard era convolato a nozze con Juliette Gale, la sua storica fidanzata, e negli ultimi mesi il loro menage famigliare aveva subìto una piacevole scossa dall’arrivo della loro prima figlia.

Il volto di Wright s’illuminò, come sempre accadeva quando si parlava delle sue due donne.

“Stanno benissimo. Juliette è fantastica e terribilmente comprensibile, anche se a volte non le dispiacerebbe vedermi girare un po’ più spesso per casa, e Gala… Mio dio, Gala cresce a vista d’occhio ad ogni giorno che passa… Ben presto arriverà il momento in cui dirà la sua prima parola, poi quello dei suoi primi passi e poi…”

“Frena, non così in fretta!” esclamò Ginger con una risata “goditi questi momenti senza pensare troppo al futuro, altrimenti rischi di andare fuori di testa. E sul fronte lavorativo che cosa mi dici? Sbaglio o mi sembra che qualcuno stia per diventare famoso?”

“Adesso sei tu che stai andando troppo in fretta”

“Hai firmato un contratto con una casa discografica, ti sembra un particolare di poco conto?”

“Preferisco rimanere con i piedi ben ancorati per terra, per non rischiare di prendere una mazzata sui denti”

“Tu sei troppo modesto, ecco qual è il tuo più grande problema” la giovane prese un profondo respiro e guardò il suo migliore amico con immenso orgoglio “sono fiera di te, Rick, l’ho sempre saputo che un giorno ce l’avresti fatta a raggiungere un obiettivo così importante… Spero che quando diventerai a tutti gli effetti un musicista di successo planetario ti ricorderai ancora della tua vecchia, e tutt’altro che popolare, amica d’infanzia che ti ha incoraggiato a studiare musica quando a dodici anni sei rimasto bloccato a letto con una gamba ingessata”.

La passione per la musica era proprio iniziata in quel curioso modo per Rick: con lui costretto ad un periodo di assoluto riposo a causa di una gamba fratturata e con Ginger che aveva insistito, quasi fino allo sfinimento, perché studiasse chitarra.

E lui, alla fine, lo aveva fatto.

Peccato che poi aveva scoperto che il suo grande amore era la tastiera.

“Non potrei mai dimenticarmi di te, Ginger, e non ho certo dimenticato la tua parte in tutto questo… Infatti c’è una cosa di cui vorrei parlarti”.

La ragazza mandò giù un sorso di the, ed inarcò il sopracciglio destro.

“Ovvero?”

“Una band per emergere e distinguersi dalle altre non ha bisogno solo di scrivere buone canzoni e suonare buona musica, è molto importante anche tutto quello che le ruota attorno. Sai… Ha bisogno di un buon manager, di buoni contatti…” Rick fece una pausa “ed ha bisogno anche di qualcuno che si occupi della parte pubblicitaria e grafica”

“Ti stai riferendo al ruolo di fotografo personale, per caso?”

“Esattamente: abbiamo bisogno di un fotografo personale”

“Ed io cosa c’entro in tutto questo?”

“Secondo te, chi ha detto che conosceva qualcuno perfetto per ricoprire questo ruolo e quale nome ha fatto?”.

Ginger sgranò gli occhi e posò la tazza sul piattino.

“Stai scherzando?”

“No”

“Dimmi che stai scherzando”

“Non sto scherzando. Guardami, sono serissimo” ripeté Wright: la sua espressione posata era lo specchio delle sue parole; non era bugia, ma Ginger continuava a non credergli.

“Tu non puoi avere fatto il mio nome”

“Invece è proprio quello che ho fatto”

“Richard William Wright!” esclamò la giovane, sconcertata “tu sei completamente pazzo! Ma come ti è saltato in mente di fare il mio nome per un ruolo simile? Io non sono una fotografa professionista, non ho mai lavorato per nessun studio, non ho svolto alcun lavoro importante e non ho alcuna referenza”

“Ed io non sono mai andato in conservatorio, eppure nove giorni fa ho firmato un contratto discografico insieme ad altri tre ragazzi” ribatté Richard in un tono che non ammetteva repliche “Ginger, tu hai studiato fotografia, hai un talento naturale per stare dietro l’obiettivo di una macchina fotografica. I tuoi scatti sono magnifici. Perché credi che ti abbia voluta come fotografa per il mio matrimonio?”

“Perché volevi vedermi sgobbare in uno dei giorni più belli della tua vita?”

“Dai, sciocca, l’ho fatto perché sei bravissima… Sei riuscita perfino a rendere decente uno come me”

“Adesso sei tu a fare lo sciocco. Decente? Credo che tu non abbia mai visto uno specchio in vita tua”.

Secondo Ginger, Richard si sottovalutava troppo sia dal punto di vista musicale che dal punto di vista fisico; a suo parere non era solo un musicista talentuoso, ma anche un bellissimo ragazzo.

Rick era alto, magro e slanciato; i capelli castani e ondulati incorniciavano un viso pulito, su cui spiccavano due occhi verdi, incorniciati dalle lunghe ciglia, che s’illuminavano ogni volta che le sue labbra sottili si distendevano in un sorriso gentile ed affabile.

Le ragazze se lo mangiavano con gli occhi fin dai tempi della scuola, e ciò aveva a che fare solo in parte con la sua indiscussa bellezza fisica: Rick possedeva una gentilezza ormai rara da trovare negli altri giovani; era quel genere di ragazzo che scendeva di fretta dalla macchina per aprire la portiera alla sua ragazza, era quel genere di ragazzo che al ristorante faceva accomodare galantemente la sua ragazza prima di sedersi o che si toglieva di fretta la giacca per riparare lei se venivano sorpresi alla sprovvista da un acquazzone.

“Allora?”

“Allora, cosa?”

“Che cosa ne pensi della mia proposta?”

“Era una proposta?” domandò Ginger con una breve risata; ritornò subito seria e si sistemò una ciocca di capelli ramati dietro l’orecchio destro, muovendosi leggermente a disagio sulla sedia “non lo so, Rick… Mi stai chiedendo di prendere una decisione troppo impegnativa per farlo così, su due piedi. Dovrei pensarci”

“Perché non vieni a vederci suonare?” propose Wright, scrollando le spalle “hai mai sentito parlare dell’UFO club?”

“Sì, ce l’ho presente”

“Domani sera saremo là a suonare. Potresti venire a fare un giro, così conoscerai anche gli altri e poi sarai libera di decidere se questo lavoro può fare o meno al caso tuo”

“Non lo so… Vedremo…” mormorò la giovane, titubante, giocherellando nervosamente con una ciocca di capelli.

“Tu pensaci” rincarò la dose Rick, mandando giù un sorso di the ai frutti di bosco “dopotutto non costa nulla fare un piccolo giro, no?”.

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Ufo Club ***


Pamela Rose Anderson era tutto fuorché una donna comune.

Dopo una travagliata infanzia ed adolescenza vissute nella grigia campagna inglese, il giorno stesso del suo ventunesimo compleanno, Pamela aveva preparato in fretta le valigie, aveva rubato tutti i soldi trovati in casa ed era saltata sul primo treno che si era fermato in stazione: non si era soffermata a guardare neppure per un secondo qual’era la sua destinazione.

 Non appena le porte scorrevoli si erano aperte, lei era salita dentro la carrozza della classe economica.

Non aveva alcuna importanza dove quel treno fosse diretto, le bastava abbandonare la casa genitoriale nella quale era nata e cresciuta, e nella quale regnava un padre padrone che non esitava ad alzare le mani quando lo riteneva opportuno, ed una madre fredda e dura come una lastra di ghiaccio.

Suo padre picchiava sua madre, e sua madre la picchiava di rimando per la frustrazione.

Da quel momento in poi, Pamela aveva vissuto alla giornata, girando il mondo e seguendo e combinando insieme le sue due più grandi passioni: la fotografia e la botanica.

Il suo amore più grande era stata l’Africa e lì aveva vissuto fino quando un brutto incidente, che non si era trasformato in tragedia per un soffio, non l’aveva fatta riflettere sulle sue priorità e su ciò che desiderava davvero dalla vita: avere delle figlie.

Niente maschi, solo femmine.

A quel punto, non senza una piccola vena di amarezza e tristezza, la donna aveva preparato i bagagli e se ne era andata per sempre dall’Africa lasciando lì il suo spirito libero e portando con sé ricordi ed immagini che avrebbe custodito gelosamente per il resto della propria vita; era tornata in Inghilterra ed aveva lottato con le unghie e con i denti per ottenere l’affidamento di una bambina, e ce l’aveva fatta.

La piccola si chiamava Mary Jane, ma Pamela l’aveva soprannominata ‘Ginger’ dopo aver visto la sua fiammante chioma rossa; secondo lei, il nome Mary Jane era troppo insignificante per descrivere una personalità così frizzante.

 Ginger, invece, era perfetto.

Due anni più tardi era arrivata Jennifer.



 
Pamela non era la madre biologica di Ginger e Jennifer, ma le bastava una fugace occhiata per capire se e quando c’era qualcosa che turbava le due piccole donne che amava con tutta sé stessa.

Posò la forchetta, intrecciò le dita e guardò la sua primogenita negli occhi.

“Che cosa ti turba?”.

Ginger sollevò gli occhi dal piatto ed incrociò lo sguardo di Pamela.

“Nulla”

“Nulla? Ne sei proprio sicura? Credi davvero che non sappia riconoscere quando una di voi due mi racconta una bugia o la verità?”

“E va bene, hai vinto” sospirò la giovane, posando la forchetta sul bordo del piatto “in effetti c’è una cosa di cui vorrei parlarti, ma non so come fare”

“Sei incinta?”.

Ginger sgranò gli occhi scuri.

“No!” esclamò sconcertata, arrossendo vistosamente “come ti viene in mente una idea simile? Non ho neppure un ragazzo, te lo avrei detto altrimenti… No, si tratta di una faccenda completamente diversa. Ieri pomeriggio mi sono incontrata con Rick per bere un the insieme… Gli ho chiesto come sta procedendo con il contratto discografico e lui mi ha detto che sta andando tutto bene… E mi ha anche detto che lui e la band hanno bisogno di qualcuno che si occupi della loro immagine pubblica, di un fotografo personale…”

“Mh-mh”

“E… Vorrebbe che quella persona fossi io” concluse la giovane, mordendosi il labbro inferiore.

Pamela guardò la figlia in silenzio e sbatté le palpebre.

“Ed il problema quale sarebbe?”

“Come quale sarebbe?” domandò Ginger, ancora più sconcertata “te lo spiego in parole semplici: non ho mai svolto un solo lavoro professionista prima d’ora e non ho alcuna referenza… Ti sembrano particolari di poco conto?”

“Da qualche parte bisogna pur iniziare, non credi? A me sembra una grandissima opportunità che non puoi sprecare. Hai diciannove anni, Ginger, se non cogli al volo occasioni come questa, un giorno potresti pentirtene amaramente. Sono sicura che Rick non avrebbe fatto il tuo nome se non nutrisse una enorme fiducia nelle tue capacità”

“Credo che riponga fin troppa fiducia nelle mie mediocre capacità di fotografa”

“Ecco, lo stai facendo ancora. Quante volte ti ho già detto che non devi sminuirti in questo modo?”

“E chi ti aiuterà con il negozio?” insistette la ragazza.

Al suo rientro in Inghilterra, e con l’arrivo delle figlie, Pamela aveva definitivamente detto addio alla vita avventurosa della fotografa in giro per il mondo, e si era data ad un’attività più tranquilla aprendo un negozio di fiori; Ginger aveva iniziato a darle una mano nel corso dell’estate in cui aveva compiuto sedici anni, e da quando aveva finito gli studi lavorava lì stabilmente, cinque giorni a settimana.

Pamela la lasciava libera il sabato e la domenica perché riteneva giusto che vivesse appieno i suoi diciannove anni, dato che lei non aveva mai avuto la possibilità di farlo.

Pam agitò la mano destra con noncuranza.

“Il negozio… Al negozio posso pensarci benissimo da sola. Ho quarant’anni, tesoro, non sono ancora da rottamare. Le mie ossa stanno benissimo”

“Non lo so… Rick mi ha invitata ad andare a vederli suonare in un locale questa sera, visto che sono così titubante”

“E tu và, allora”

“Posso andare anche io?” intervenne Jennifer con uno sguardo speranzoso; Ginger fulminò la sorellina con un’occhiata.

“Non se ne parla nemmeno. Non è un posto per mocciose”

“Io non sono una mocciosa! Ho quattordici anni!” replicò Jennifer con un’espressione offesa, stanca di essere sempre considerata come l’eterna piccola della casa “e poi non è giusto che tu e Rick fate sempre cose divertenti senza di me. Posso andare anche io con loro, mommi?”.

Mommi era il nomignolo affettuoso con cui Ginger e Jennifer si rivolgevano a Pamela; non la chiamavano mai ‘mamma’, perché lei era infinitamente molto di più di una semplice madre.

“Jen, non puoi andare con Ginger perché non sei stata invitata. Sarebbe molto scortese se ti presentassi anche tu, capisci? E poi sei ancora piccola e domani devi svegliarti presto perché c’è scuola… Sbaglio o hai un test molto importante di algebra?”

“Io odio la scuola e odio ancora di più l’algebra. E odio ancora di più il fatto che voi due vi divertite sempre senza di me” borbottò la ragazzina; lasciò ricadere la forchetta sul piatto, si appoggiò allo schienale della sedia ed incrociò le braccia, assumendo un’espressione corrucciata che divertì immensamente Pamela.

“Ti prometto che un giorno andrai anche tu, ma non questa sera. Finisci di mangiare il polpettone ed il purè”.

Jennifer, in tutta risposta, scosse le lunghe trecce nere e Ginger non resistette alla tentazione di lanciarle una frecciatina.

“Vedi? Solo le mocciose si comportano in questo modo”

“Strega!” strillò Jen inviperita, si alzò di scatto dalla sedia e sparì in salotto; poco dopo Pamela e Ginger sentirono il rumore di passi veloci sulle scale, seguito da quello di una porta che veniva sbattuta con forza e dal silenzio più assoluto.

La rossa emise un sospiro esasperato.

“Non la sopporto quando fa così. Ormai non è più una bambina e certe cose dovrebbe capirle da sola. Non può starmi sempre in mezzo ai piedi”

“Fa così perché ti vede come un modello da imitare e seguire, Ginger. Tua sorella è entrata nella fascia della pubertà, ricordi che cosa significa? Il corpo che inizia a cambiare, gli sbalzi d’umore, le prime mestruazioni… Cerca di essere un po’ più comprensiva nei suoi confronti. Lei si comporta in questo modo e ti sta sempre appresso perché sei il suo punto di riferimento: ti vede come un modello da seguire e imitare”

“D’accordo. Cercherò di essere più comprensiva… Ma lei deve cercare di essere meno irritante”

“Tornando a noi… Che cosa hai intenzione di fare? Vuoi andare a vedere Rick e conoscere i suoi amici, oppure preferisci rimanere rinchiusa in casa?”

“Secondo te che cosa dovrei fare?”

“Vuoi un consiglio spassionato e oggettivo?” domandò Pamela, iniziando a sparecchiare la tavola.

La giovane annuì.



 
L’ UFO club era un locale underground di Londra.

Consisteva in una sala situata in uno seminterrato al numero 31 di Tottenham Court Road; a causa di un cinema posizionato proprio al piano di sopra, le esibizioni iniziavano solitamente verso le dieci e mezza di sera e continuavano fino all’alba.

Ginger arrivò poco dopo le dieci, quando il locale era già per metà pieno di gente che fremeva per l’inizio dello spettacolo.

Non esistevano sedie o poltroncine all’UFO club per gli spettatori: coloro che assistevano alle diverse esibizioni musicali si sedevano a gambe incrociate, o si sdraiavano, sul pavimento dopo aver scelto il punto più strategico da cui si aveva un’ottima visuale del palco; Ginger individuò tale punto poco lontano dal bancone in cui vendevano succhi di frutta e falafel per coloro che desideravano rifocillarsi, e si affrettò a raggiungerlo prima che qualcun altro potesse fregarglielo.

Si sedette a gambe incrociate sul parquet e lanciò un’occhiata in direzione del palco, ma non c’era alcuna traccia né di Rick né degli altri componenti della band; c’erano solo i loro strumenti, posizionati e accordati con estrema precisione: la tastiera di Richard, una batteria, una chitarra ed un’altra chitarra col manico più lungo.

La giovane si guardò attorno nella vana speranza di rintracciare e salutare il suo migliore amico prima dell’esibizione, ma non riuscì a scorgerlo in mezzo a tutti quei giovani che parlavano, ridevano, bevevano succhi di frutta o si passavano uno spinello da condividere in gruppo.

Ginger non aveva mai fumato una sigaretta né tantomeno provato a farsi una canna; non sentiva il bisogno di allontanarsi dalla realtà o di ribellarsi alle regole della società come la maggior parte dei suoi coetanei, e tantomeno non sentiva il bisogno di fare ricorso a qualcosa di molto più pesante come le pasticche di allucinogeni o le altre sostanze stupefacenti: a sedici anni aveva seguito un corso come volontaria di primo soccorso, e nei due successivi aveva assistito a scene orribili, che spesso erano tornate a farle visita negli incubi.

Molte avevano a che fare con la droga ed i ragazzi della sua età…

Le luci si spensero all’improvviso, segnando l’inizio dell’esibizione.

Dei fari colorati si accesero, puntando in parte sul palco ed in parte sugli spettatori; Ginger si coprì gli occhi con la mano destra, colta alla sprovvista dalla forte ed inaspettata illuminazione.

Quando riuscì ad abituarsi alle luci colorate scostò il palmo, guardò nuovamente verso il palco e rimase senza fiato.



 
Mary Jane Anderson sussultò quando si sentì afferrare per una spalla.

Si voltò verso il suo assalitore e lo ripagò con una spinta tutt’altro che gentile.

“Rick, sei proprio un idiota quando fai così, lo sai? Mi hai fatto prendere un colpo!”

“Scusa, non era mia intenzione spaventarti” disse a sua discolpa Wright con una risata “davvero ti ho fatto prendere paura?”

“Sì, pensavo fossi… Non lo so chi pensavo che fossi, solo non farlo mai più, per favore”

“D’accordo, ti prometto che non lo farò mai più. Questo è sufficiente per farmi perdonare? Ti ho preso un succo alla pesca, il tuo preferito”

“Solo per questa volta” rispose Ginger con una risata; prese la bottiglietta di plastica, mandò giù un lungo sorso di succo alla frutta e Richard fece lo stesso con quello che aveva preso per sé.

Dopo essersi rinfrescato la gola sostituì la bevanda analcolica dolce con una sigaretta.

L’unico difetto, se così poteva essere chiamato, di Richard Wright era proprio quello: le sigarette.

Ginger lo aveva ripreso più volte, ma Rick non era ancora riuscito a liberarsi dal vizio del fumo; le Marlboro lo aiutavano a tenere sotto controllo lo stress prima di una esibizione ed a distendere i nervi a serata conclusa.

Aspirò una boccata di fumo e la buttò fuori girandosi da tutt’altra parte, assicurandosi che non finisse in faccia alla sua migliore amica provocandole un’ondata di nausea.
“Allora, che ne pensi dell’esibizione? È stata di tuo gradimento?”

“Se è stata di mio gradimento?” ripeté la giovane incredula “che fossi un mago della tastiera lo avevo capito già da tempo, ma devi spiegarmi come è possibile tirare fuori certi suoni da dei strumenti musicali. E le luci… I colori… Non so neppure come descrivere quello che ho visto”

“Vorresti conoscere gli altri?”

“Adesso?”

“Sì, sono qui fuori dal locale che stanno caricando gli strumenti sul nostro furgoncino,  lo avevo detto che te li avrei fatti conoscere”

“Non vorrei essere di troppo tra voi ragazzi”.

Rick scoppiò a ridere.

“Sei diventata timida tutto d’un tratto? Andiamo, vieni, sono ansiosi di conoscerti” Richard invitò Ginger a seguirlo fuori dall’UFO; quando sbucarono all’esterno dell’edificio, la ragazza ispirò a pieni polmoni il vento freddo che le sferzò il viso.

A fine serata l’aria all’interno del seminterrato si era fatta pressoché irrespirabile.

Scoprì con enorme sorpresa che il cielo ricoperto di nuvole era striato di arancione.

“Che ore sono?” chiese, senza riuscire a staccare gli occhi dal sole per metà coperto che stava sorgendo.

Rick guardò l’orologio che portava al polso sinistro.

“Meno un quarto alle sei”

“Stai dicendo che sono trascorse più di cinque ore?”

“Il tempo passa in fretta quando ti diverti, vero? Andiamo, forza, se non mi sbrigo ad arrivare per aiutarli a caricare gli strumenti mi strangolano a mani nude”.

I due giovani percorsero in fretta il marciapiede deserto; arrivati in fondo, Richard svoltò l’angolo a destra, Ginger lo imitò e vide un furgoncino nero, su cui campeggiava una sgargiante scritta rosa, parcheggiato a pochi metri di distanza da loro.

Semi sdraiato sul cruscotto, con la schiena appoggiata al vetro del veicolo, c’era un ragazzo intento a fumare una sigaretta; non appena li vide, il giovane aspirò un’ultima boccata di fumo e si liberò del mozzicone.

“Finalmente, Rick!” esclamò, scendendo con un balzo dal furgoncino “ma si può sapere che fine hai fatto? Ci hai lasciati qui a sgobbare come dei muli e sei sparito senza dire una parola!”

“Guarda che avevo detto che dovevo rientrare un momento all’UFO perché c’era una persona che dovevo assolutamente farvi conoscere, non vedi che non sono da solo?” Rick indicò Ginger con un cenno del capo, ed il ragazzo la fissò incuriosito, inarcando le sopracciglia scure.

La rossa ne approfittò per osservarlo con cura: capelli neri, ondulati, occhi verdi, viso leggermente paffuto; indossava un paio di jeans a zampa d’elefante, degli stivaletti di pelle nera, una camicia rosa ed una giacca marrone con delle frange sul petto e sulle braccia.

Aveva un’aria terribilmente buffa, forse proprio a causa della curiosa giacca con le frange.

Ginger provò un istintivo moto di simpatia per lui.

“È lei la ragazza di cui ci hai parlato?” domandò il giovane, per poi emettere un lungo fischio ammirato, squadrando la rossa da capo a piedi “cavolo, adesso capisco perché l’hai tenuta nascosta così a lungo, Rick. Dovresti presentarci più spesso le tue amiche se sono tutte così carine… Ohh, ma non dire a Lindy ciò che ho appena detto, altrimenti sono nei guai”

“Lindy?” chiese la ragazza con un’espressione confusa, non capendo a chi si stesse riferendo l’amico di Rick.

“Sì, la mia ragazza… Sai com’è… Comunque io sono Nick”

“Ginger”

“Ginger? Un nome che sta proprio a pennello con i tuoi capelli” commentò Nick, stringendole la mano destra dopo essersi presentato ufficialmente; lasciò andare la presa e con l’indice indicò la macchinetta fotografica che la ragazza portava appesa al collo “ti sei portata appresso i ferri del mestiere, vedo. Rick ci ha raccontato che hai un vero talento per le foto”

“Rick esagera sempre” mormorò Ginger, lanciando un’occhiata in direzione di Richard “ad ogni modo sì, l’ho portata con me per scattare qualche foto”

“Spero che tu mi abbia ripreso dal mio profilo migliore”.

Ginger scoppiò a ridere divertita, coprendosi la bocca con la mano sinistra: non si era sbagliata, quel ragazzo era davvero simpatico; Rick si guardò attorno.

“Ma dove sono finiti gli altri?”

“È quello che mi sto chiedendo anche io. Hanno detto che andavano a comprare delle birre e che sarebbero tornati subito indietro, ma inizio a pensare che siano andati dall’altra parte di Londra per prendere quelle cazzo di birre”

“Magari hanno trovato traffico”

“Traffico? Vuoi scherzare? Ma se siamo le uniche persone ancora in giro per strada!”

“Sono sicuro che saranno qui a momenti”

“Me lo auguro. Spero che tornino il prima possibile, con o senza birre, perché avverto il bisogno fisico di sentire la consistenza del materasso del mio letto sotto il mio corpo… Adesso”

“In verità dovrei andare anche io, Rick” disse a sua volta Ginger controllando il proprio orologio a polso “vorrei essere a casa prima che mommi e Jennifer si svegliano, non ci tengo a passare dei guai seri. Mi dispiace per i vostri amici, ma non posso trattenermi un solo istante in più”

“Eddai, resta ancora qualche minuto! Ti diamo un passaggio, se vuoi. Dovrai stringerti un pochino a causa degli strumenti, ma non è così tremendo quando ci hai fatto l’abitudine”

“Vorrei davvero, Nick, ma se non torno il prima possibile a casa per me è la fine. Mommi sa essere molto comprensiva, ma è sempre meglio non tirare la corda con lei”
“Chi è mommi?”

“Te lo spiegherò un’altra volta, ora devo proprio andare, scusami”

“Puoi raccontarmelo quando ci porterai le foto che hai scattato questa sera” disse Nick ad alta voce, con le mani appoggiate ai lati della bocca, perché Ginger si era già avviata verso la strada di casa “mi raccomando: scegli quelle in cui mi hai ripreso dal mio profilo migliore!”.

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Art ***


Pamela aveva appeso la macchina fotografica al chiodo per quanto riguardava la sua carriera lavorativa, ma continuava ad usarla per divertimento, ed i suoi soggetti preferiti erano, ovviamente, le due figlie adottive: la parete a destra delle scale che portavano al piano superiore della casa, difatti, era tappezzata di ritratti artistici di Ginger e Jennifer; le fotografie raffiguravano, passo dopo passo, i loro momenti più importanti dall’infanzia all’adolescenza, e ad ogni nuova occasione speciale ne compariva puntualmente una nuova.

Un enorme ritratto del trio al femminile campeggiava in salotto, appeso alla parete dietro il divano.

Per continuare a seguire la sua più grande passione, Pamela aveva trasformato il seminterrato della propria abitazione in una vera e propria, e soprattutto professionale, camera oscura in cui sviluppare le foto che scattava.

Quando si era resa conto di aver trasmesso la sua più grande passione alla figlia primogenita, le aveva affidato il ruolo di sua assistente personale e, prima ancora che iniziasse a studiare fotografia, le aveva insegnato come funzionava una camera oscura insieme a diversi trucchi del mestiere.



 
Ginger uscì dalla camera oscura reggendo con estrema cura un plico di fogli di cellulosa, come se tra le sue mani ci fosse una reliquia sacra nella quale era racchiuso il destino dell’intero universo; salì in cucina e dispose le diverse foto sopra al tavolo, pronta per svolgere il compito più difficile.

Rick poteva arrivare da un momento all’altro e lei non aveva ancora scelto le migliori da portare con sé e da mostrare alla band.

Jennifer entrò in cucina mentre la sorella maggiore era impegnata a fissare le numerose fotografie con sguardo critico e professionale; frugò dentro la credenza alla ricerca del barattolo dei biscotti e, quando lo trovò, ne prese un paio da sgranocchiare in attesa del bus che l’avrebbe portata a scuola per un’altra noiosa giornata di lezioni.

Jennifer si avvicinò a sua volta al tavolo con uno sguardo incuriosito negli occhi verdi.

“Che cosa stai facendo?” chiese spiando al di là della spalla destra di Ginger.

“Un lavoro molto complicato che richiede pazienza, tempo e soprattutto silenzio”

“Ovvero?” chiese ancora Jen.

Ginger sbuffò e sollevò gli occhi scuri al soffitto della cucina.

“Quando sono andata a vedere Rick suonare ho portato con me la macchinetta fotografica per fare qualche scatto. Tra poco mi passerà a prendere, ed io devo scegliere quali portare con me e quali scartare”

“Quindi stai dicendo che da queste foto dipende il possibile lavoro che Rick ti ha offerto?”

“Può essere… Credo di sì… Le ho scattate perché immagino che lui e soprattutto gli altri vogliano vedere qualche mio scatto prima di decidere se sono o meno la persona che stanno cercando: ecco perché ho bisogno di silenzio e concentrazione. Questo passaggio è molto delicato”

“Ohh, capisco” commentò Jennifer, continuando a sgranocchiare i biscotti di avena con gocce al cioccolato; piegò il viso di lato, ed i capelli corvini, raccolti in un’alta e ordina coda di cavallo, si spostarono dalla spalla destra a quella sinistra “e sono tutte queste le foto che hai scattato quella sera?”

“Sì”

“Sei sicura di averle sviluppate bene? Sembrano così… Sfuocate”

“Sì, le ho sviluppate bene. Questi effetti che vedi sono dovuti ai fari luminosi che c’erano nel locale”

“Beh, dovrebbero toglierli allora. Non si capisce nulla, è tutto sfuocato! Queste figure distorte sarebbero loro? Sembrano degli alieni”

“Ti ho già detto che le luci erano molto particolari, quindi smettila di parlare a sproposito solo perché hai la bocca per farlo… E smettila anche di mangiare i biscotti qui sopra: alla prima briciola che cade sopra le fotografie, giuro che ti tiro i capelli”

“Sei proprio una strega quando fai così” sbuffò la più piccola allontanandosi dal tavolo per non ricevere una tirata di capelli; scostò la tendina che copriva la finestra posizionata sopra al lavandino e vide una macchina parcheggiare all’altezza del cancelletto di casa “è meglio se ti sbrighi a scegliere quali foto portare e quali scartare perché Rick è appena arrivato”

“Perfetto. Ci mancava solo questa” commentò sarcastica la rossa; raccolse in fretta tutte le fotografie, indossò il cappotto, prese la borsa ed uscì seguita da Jennifer “che cosa vuoi ancora? Non pensi di avermi già fatto perdere abbastanza tempo per oggi?”

“Potete darmi un passaggio fino a scuola?”

“Scordatelo” disse in un soffio Ginger; per lei la questione era conclusa lì, ma non per Jen.

La ragazzina non si arrese e provò a fare un secondo tentativo interponendosi tra la sorella e la macchina, allargando le braccia e le gambe nel tentativo di bloccarle fisicamente la strada.

“Per favore, Ginger” provò di nuovo in tono supplichevole, sgranando gli occhi verdi “non ho voglia di prendere il bus oggi. La fermata è sempre piena di gente, e ci sono degli idioti che ti spingono da parte quando il pulmino arriva”

“Ci sono passata anche io”

“Proprio perché ci sei passata anche tu dovresti ricordarti quanto è brutto”

“No”

“Va tutto bene, ragazze?” la discussione tra le due sorelle non era passata inosservata agli occhi di Richard che, dopo aver ascoltato le parole sempre più accese, aveva abbassato il finestrino anteriore destro; prima che Ginger potesse rispondere, Jennifer si affrettò a dare la propria versione dei fatti.

“Ho chiesto a questa strega dai capelli rossi se potete darmi un passaggio a scuola perché non ho voglia di prendere il bus alla fermata, e lei mi ha detto di no. Però sono sicura che tu mi dirai di sì, vero Richard? Per favore, per favore, ti prego! Vi prometto che non vi ruberò molto tempo e si tratta solo di un’eccezione!”

“Strega dai capelli rossi” ripeté Rick con una risata divertita e fece cenno a Jennifer di salire sui sedili posteriori della macchina.

La ragazzina emise uno strillo di gioia e batté le mani.

“Sapevo che saresti stato più comprensivo e ragionevole!” esclamò, poi, in tono trionfante; rivolse un sorrisetto compiaciuto alla sorella maggiore e si fiondò all’interno della vettura prima di essere afferrata davvero per i capelli.

Ginger sospirò di nuovo e rivolse uno sguardo esasperato al cielo coperto da nuvole grigie.

La giornata non era affatto iniziata nel migliore dei modi.



 
Jennifer alzò la mano destra in segno di saluto e corse in direzione dell’edificio di mattoni rossi che sorgeva dall’altra parte della strada, con i folti capelli neri che le rimbalzavano da una spalla all’altra e l’orlo della gonna della divisa scolastica che ondeggiava all’altezza delle ginocchia; la rigida educazione inglese imponeva che gli studenti indossassero delle uniformi fornite dagli stessi istituti, e quello frequentato da Jen non faceva eccezione.

Rick rispose al saluto e gettò la testa all’indietro, ridendo divertito.

Ginger, al contrario, era estremamente seria.

“Cosa c’è di così divertente?”

“Ti ha chiamata strega dai capelli rossi” rispose Wright, girando la chiave nel cruscotto.

“Ritieni anche tu che sia una strega dai capelli rossi?”

“No, non ho detto questo, però a volte dovresti essere un po’ più dolce nei suoi confronti: è la tua sorellina”

“E questo la rende terribilmente irritante. Ultimamente sembra fare di tutto per farmi uscire di testa”

“Hai avuto quattordici anni anche tu”

“Ohh, ti prego, non parlare in questo modo che mi sembri mommi. Qualche giorno fa mi ha detto le stesse, identiche, parole dopo che Jennifer mi ha esasperata per l’ennesima volta”

“Ma perché è la verità. Vuoi un consiglio da migliore amico che ti vuole bene? La prossima volta che stai per esplodere, chiudi gli occhi e fai un respiro profondo: vedrai che dopo ti sentirai subito meglio”

“Cercherò di ricordarmelo” borbottò la ragazza con una smorfia; cambiò completamente espressione quando Wright parcheggiò dinanzi ad un vecchio palazzone “che posto è questo?”

“Un complesso di appartamenti. I due ragazzi che non hai ancora conosciuto vivono al primo piano. È qui che abbiamo iniziato ad esercitarci tre anni fa”

“Qui dentro?”

“Sì, il proprietario è un appassionato di musica, oltre ad essere un grande collezionista di flauti, xilofoni e gong cinesi. Ha messo il seminterrato a nostra completa disposizione per esercitarci, e ci ha dato più volte una mano a sperimentare le luci colorate” i due giovani scesero dalla macchina ed entrarono nell’edificio; Richard indicò a Ginger la scala che dovevano scendere per raggiungere il famigerato seminterrato che era stato convertito in uno studio domestico “è meglio se ti reggi al corrimano mentre scendiamo: questi scalini possono rivelarsi dei grandi bastardi quando meno te lo aspetti. Fidati delle mie parole. Due anni fa Nick si è quasi slogato una caviglia”.

La rossa non se lo fece ripetere una seconda volta ed afferrò prontamente il corrimano in ferro battuto; non era affatto ansiosa di rotolare rovinosamente a terra a causa di uno scalino scivoloso e lo era ancora meno di slogarsi una caviglia.

“Ma adesso che avete firmato un contratto con una casa discografica non registrate in uno Studio professionista?”

“Sì, ma di tanto in tanto ci piace tornare qui quando il tempo e gl’impegni ce lo permettono. È molto meno stressante provare qualcosa di nuovo qui sotto” rispose Rick, facendo l’occhiolino “a quanto pare non siamo i primi. Lo senti? Credo che questo sia Nick”.

Wright non si era sbagliato.

Quando aprì la porta del seminterrato, Ginger vide il ragazzo che aveva conosciuto dopo l’esibizione all’UFO club, seduto su uno sgabello davanti ad una batteria: il motivetto che lei e Richard avevano udito qualche secondo prima, infatti, era provocato dalle bacchette che colpivano in modo ritmico i piatti.

Nick smise di suonare nello stesso momento in cui sentì il cigolio della porta e vide i due migliori amici; le sue labbra sottili si distesero in un sorriso allegro alla vista della ragazza dai capelli rossi che aveva conosciuto un paio di sere prima e che non aveva affatto dimenticato.

“Ginger!” esclamò, mettendo da parte le bacchette “iniziavo giusto a chiedermi quando ti avrei rivista. Credevo che Rick avesse deciso di rinchiuderti nuovamente in uno scantinato e gettare via la chiave”

“Penso che sia più fattibile il contrario” rispose Ginger, suscitando l’ilarità del batterista che adorava vestirsi in modo eccentrico: anche quel giorno, difatti, indossava la giacca marrone con le frange.

“Non è una battuta, non sta scherzando. Sarebbe davvero in grado di farlo, se dico la parola sbagliata al momento sbagliato… Gli altri dove sono? Sono spariti di nuovo? Non dirmi che anche oggi sono andati a comprare delle birre”

“Niente birra, sono andati a prendere le sigarette che io sappia”

“Allora vado a fare un tiro anche io finché li aspettiamo”

“Vengo con te” Nick si voltò a guardare Ginger “ti unisci a noi?”

“No, grazie, non fumo”

“Allora ci vediamo non appena quei due si decideranno di comparire. Non vedo l’ora di vedere le foto”.

La giovane sorrise in risposta, per poi tornare seria una volta rimasta da sola nella stanza.

Strofinò i palmi delle mani sulla stoffa dei jeans per liberarsi dal lieve strato di sudore che li aveva resi umidicci: non si sentiva affatto sicura delle foto che aveva scattato perché a lei per prima non convincevano fino infondo a causa degli effetti provocati dalle luci colorate; temeva di deludere le aspettative di Richard e dei suoi compagni di band.

Si guardò attorno per ingannare l’attesa e si avvicinò agli strumenti musicali che appartenevano ai quattro ragazzi.

Toccò un piatto della batteria di Nick, sfiorò alcuni tasti della tastiera di Rick e poi si concentrò sulle due chitarre: la prima era più piccola ed aveva sei corde; la seconda, invece, aveva il manico vistosamente più lungo ed aveva solo quattro corde.

L’attenzione della giovane venne subito catturata dal primo strumento musicale a corde a causa di un curioso particolare: sulla superficie erano stati applicati diversi specchietti rotondi che riflettevano la luce delle lampadine che ondeggiavano dal soffitto; quella bizzarra e bellissima modifica era totalmente sfuggita agli occhi di Ginger nel corso della serata all’UFO.

Allungò d’istinto la mano destra per sfiorare uno specchietto rotondo.

“Non toccare nulla”.

Ginger sussultò, proprio come aveva fatto quando Richard l’aveva colta alla sprovvista; ma questa volta non si trattava del suo migliore amico, bensì di un ragazzo che non aveva mai visto prima.

Un ragazzo magrissimo ed altissimo.

Ad occhio e croce doveva essere poco al di sotto dei due metri d’altezza.

Ginger lo identificò come uno dei due chitarristi del gruppo, dato che le chitarre erano gli unici strumenti musicali di cui non aveva ancora conosciuto i proprietari.

Allontanò prontamente la mano dallo specchietto.

“Scusami, non volevo essere troppo invadente, ma questi specchietti sono stupendi e volevo vederli più da vicino. Questa chitarra è tua?”

“No” rispose lui, senza aggiungere altro; alla giovane sembrò di avvertire una punta di ostilità in quel monosillabo, ma preferì pensare di essersi sbagliata e provò a continuare la conversazione nell’attesa che rientrassero Rick, Nick e l’ultimo membro del gruppo.

“Quindi è quest’altra la tua chitarra?”

Quello non è una chitarra. È un basso”

“C’è una grande differenza tra chitarra e basso?” non ricevendo alcuna risposta, la rossa preferì sorvolare su quell’argomento delle differenze tra i vari strumenti musicali a corde e passò direttamente alla parte delle presentazioni ufficiali “ad ogni modo, sono Ginger. La migliore amica di Rick. Lui…”

“Sì, lo so chi sei” la bloccò il ragazzo.

Ora la punta di ostilità era diventata concreta.

Ginger la ignorò ancora, ed ignorò anche il fatto che lui non si era presentato a sua volta; frugò all’interno della borsa a tracolla, prese il plico di foto che aveva portato con sé e lo porse al ragazzo.

“Ho portato con me le foto che ho scattato la sera in cui sono venuta a vedervi suonare all’UFO club. Se vuoi darci un’occhiata…” propose, per poi aggiungere “comunque siete stati bravissimi. Non mi sono neppure accorta che fuori si era fatta l’alba, ed infatti sono stata costretta a scappare a casa prima che la mia assenza venisse notata”.

Il ragazzo continuò a restare muto; prese le foto e le guardò una ad una con il volto reclinato verso destra.

Ginger si chiese come riuscisse a vedere dato che aveva la frangia che gli copriva quasi del tutto gli occhi; a supportare ciò, c’era il fatto che non era ancora riuscita a capire di che colore fossero le sue iridi.

Il suo timore più profondo assunse una forma concreta quando lui, finalmente, si decise a parlare di nuovo.

“E queste sarebbero delle foto?”

“Come?”

“Ti ho chiesto se queste sarebbero delle foto” ripeté il ragazzo in tono fermo e duro, ormai l’ostilità non era più una vaga sensazione, ma una certezza concreta; lanciò il plico di fotografie con noncuranza sopra un amplificatore, ed un paio scivolarono a terra.

Ginger le guardò senza parole, senza fiato e senza sapere che cosa pensare.

Non poteva credere a quello che aveva appena visto, ai modi strafottenti che quello sconosciuto aveva avuto nei suoi confronti; sì, lei per prima era titubante nei confronti delle fotografie che aveva scattato alla band dentro il locale, ma ciò non giustificava tutto quel disprezzo gratuito.

Quei piccoli foglietti rettangolari di cellulosa, su cui erano impresse delle immagini, rappresentavano in ogni caso tempo e fatica che aveva dedicato a quel piccolo progetto.

Se fino a poco prima si era sforzata di essere gentile nei confronti di un ragazzo che non conosceva, dopo aver visto le sue foto strapazzate e gettati via come  fossero spazzatura, i suoi buoni propositi svanirono all’istante.

“Ma come cazzo ti permetti?” domandò a denti stretti, proprio quando Nick e Richard riapparvero dalla pausa sigaretta.

Il batterista ed il tastierista avvertirono l’aria tesa e capirono subito che qualcosa era accaduto durante la loro breve assenza.

“Ehi, ehi, ehi, fortuna che siamo stati fuori appena cinque minuti!” esclamò Nick per stemperare la tensione, interponendosi fisicamente tra i due “che cosa ci siamo persi?”

“Questo idiota mi ha offesa”

“Come mi hai chiamato?”

“Che le hai detto?” intervenne di nuovo Nick guardando l’amico alto e magrissimo, che si limitò a scrollare le spalle con noncuranza.

“Nulla di offensivo. Ha chiesto un mio parere, ed io gliel’ho dato”

“Cosa ti ha detto?”.

Ginger non rispose e continuò a fissare il ragazzo che si era dimostrato fin da subito poco gentile nei suoi confronti; si sentì all’improvviso a disagio e indesiderata, e si sentì anche stupida perché per un istante si era lasciata convincere dalle parole di Rick, ed aveva creduto davvero ad un’occasione unica che le avrebbe permesso di seguire la sua grande passione.

Raccolse in fretta le fotografie ed uscì dal seminterrato ignorando apertamente Rick e Nick che la esortavano a tornare indietro per sistemare il malinteso che c’era stato, perché si era trattato solo di quello: un semplice malinteso; salì in fretta le scale, rischiando d’inciampare su uno scalino scivoloso, ed uscì dall’edificio.

Una volta in strada, girò l’angolo a sinistra e sfogò la propria frustrazione sulle povere fotografie a cui aveva dedicato tempo, sforzi e fatica: le scagliò contro il muro di un edificio e le guardò volteggiare pigramente in aria e sparpagliarsi tutt’attorno nel vicolo cieco in cui era entrata; Ginger si lasciò scivolare lungo la parete alle proprie spalle fino a ritrovarsi seduta sull’asfalto.

Incrociò le braccia e fissò le foto con uno sguardo corrucciato.

Che stupida era stata.

Stupida, stupida, stupida.

Avrebbe dovuto capirlo fin da subito: la giornata era iniziata nel peggiore dei modi, era proseguita nel peggiore dei modi e si sarebbe conclusa nel peggiore dei modi.

“Dovrebbero disegnare te sulle scatole dei cioccolatini”.

Un’ombra apparve nel campo visivo di Ginger.

La giovane la seguì con lo sguardo fino al punto in cui si fermava bruscamente, trasformandosi in una figura concreta: vide un paio di stivaletti lucidi, delle gambe lunghe e magre avvolte in pantaloni di velluto rosso, un lungo cappotto nero, un viso maschile ed una massa di ricci neri.

La più vaporosa e folta massa di ricci neri che avesse mai visto in tutta la sua vita, che fungeva da cornice al viso maschile più bello che avesse mai visto in tutta la sua vita.

Il ragazzo sconosciuto si abbassò, sedendosi a suo fianco, permettendole di osservarlo con più attenzione.

Labbra carnose, naso piccolo, occhi verdi, sopracciglia scure e folti, foltissimi, capelli ricci e neri; la mente di Ginger venne attraversata dallo stesso pensiero che aveva fatto la giovane cameriera di un pub tre anni prima: quel ragazzo era una vera e propria bellezza della natura.

“Ti prego, oggi non sono dell’umore adatto. Rischierei solo di essere scontrosa e antipatica, e ci sono già abbastanza persone che mi considerano una strega dai capelli rossi”

“Lo hai detto come se il termine ‘strega dai capelli rossi’ avesse un connotato negativo” replicò lo sconosciuto; la sua voce era calma, profonda e gentile.

“Perché? Non è forse così?”

“Credo che dipenda dal punto di vista di una persona, come qualunque altra cosa. Ad ogni modo, perché sei così di pessimo umore proprio oggi che è una giornata così bella? Dovresti essere contenta di vedere che il sole di tanto in tanto si ricorda di far visita al cielo di Londra”

“Sono di pessimo umore per colpa di un cretino” spiegò la ragazza, avvolgendo le braccia attorno alle ginocchia; non era nella sua natura confidarsi con qualcuno che conosceva da pochi minuti e di cui non sapeva neppure il nome, ma quel ragazzo… Quel ragazzo aveva qualcosa di diverso da tutti gli altri, anche se non era in grado di capire cosa fosse quel qualcosa: lo percepiva e basta, a pelle.

Gli raccontò tutto: l’incontro con Rick, l’assurda proposta che le aveva avanzato, l’invito all’UFO club, la singolare ed indescrivibile nottata trascorsa nel locale, ed il commento sgarbato ed ostile ricevuto dal ragazzo alto e magrissimo che non aveva voluto neppure presentarsi.

Il ragazzo riccioluto ascoltò in silenzio lo sfogo personale di Ginger; a storia conclusa, sulle sue labbra apparve un sorriso sorpreso ed incredulo.

“Questa si che è una buffa coincidenza” commentò, scoppiando a ridere.

La rossa spalancò gli occhi sorpresa, perché non si aspettava una reazione simile da parte di un ragazzo che fino ad un istante prima si era dimostrato tanto comprensivo nei suoi confronti, benché fossero due completi estranei.

“Cosa ci trovi di così divertente in quello che ti ho raccontato?” domandò in tono risentito, pensando che forse lo aveva giudicato in modo positivo con troppa fretta e che quella era proprio una giornata ‘no’ per lei: prima Jennifer ed i suoi capricci da mocciosa immatura e viziata, poi il cretino esperto in fotografia ed infine quell’affascinante sconosciuto che era letteralmente scoppiato a riderle in faccia.

“Non sto ridendo per quello che ti è accaduto. Sto ridendo perché fra tutte le persone che avrei potuto incontrare, tornando indietro dal tabaccaio, ho incontrato proprio la ragazza che oggi dovevo conoscere. Evidentemente era proprio scritto nel destino”.

Ginger impiegò qualche secondo, ma alla fine comprese il senso della risposta del ragazzo.

E capì di essere di fronte all’unico componente del gruppo che ancora non aveva conosciuto: il proprietario della bellissima e particolare chitarra su cui erano stati applicati gli specchietti rotondi.

“Non ci posso credere!” esclamò, scoppiando a ridere a sua volta “questa si che è una coincidenza incredibile! Quante… Quante probabilità c’erano che accadesse una cosa simile?”

“Immagino davvero poche” commentò il ragazzo riccioluto; si alzò in piedi ed iniziò a raccogliere le fotografie prima che una folata improvvisa di vento le disperdesse per sempre tra le strade della capitale inglese “dunque sono questi i famigerati foglietti incriminanti che hanno contribuito a metterti di pessimo umore?”

“Sì” rispose la rossa con una smorfia, alzandosi a sua volta “ma non le guardare, non ne vale la pena. In fin dei conti quel tizio odioso ha ragione: queste non possono essere considerate fotografie. Avrei dovuto capirlo fin da subito, visti tutti i dubbi che avevo”.

Lui disobbedì all’ordine di Ginger e sfogliò le fotografie una ad una, osservandole con cura, in religioso silenzio, come se dovesse imprimersi nella memoria ogni loro più piccolo particolare; la rossa si preparò mentalmente a ricevere un’altra recensione negativa: senza alcun dubbio sarebbe stato più gentile e comprensivo rispetto all’altro ragazzo, ma il concetto di fondo sarebbe stato lo stesso.

Le avrebbe detto qualche parola incoraggiante, l’avrebbe ringraziata e poi sarebbero spariti tutti dalla sua vita ed eccezione di Richard: loro avrebbero continuato con la musica (accompagnati da un vero fotografo professionista), mentre lei avrebbe continuato ad occuparsi del negozio di fiori insieme a mommi ed a Jennifer.

“Sì, su questo devo proprio darti ragione: queste non sono foto” disse infine il riccioluto, sollevando gli occhi verdi dai fogli di cellulosa e puntandoli su quelli scuri di Ginger “sono arte”.

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** The Wind In The Willows (Parte Uno) ***


1967, aprile.


 
Ginger aveva scoperto in pochissimo tempo che essere la fotografa personale di una band emergente, che era sulla bocca di tutti, aveva tanti aspetti positivi quanto negativi.

Nel momento stesso in cui aveva accettato l’assurda proposta di Richard, la sua routine quotidiana aveva subìto una brusca trasformazione: se prima le sue giornate ruotavano attorno alle faccende domestiche, alle occasionali commissioni che Pamela le assegnava, ai compiti scolastici di Jennifer ed al negozio di fiori, adesso erano scandite da un ritmo completamente diverso, fatto da sveglie in orari assurdi, corse disperate per prendere in tempo un traghetto che doveva salpare da un momento all’altro e lunghissimi viaggi scomodissimi all’interno di un furgoncino sgangherato in lungo ed in largo per l’Inghilterra per esibirsi in pub e locali.

Non erano rare le volte in cui il gruppo doveva suonare diverse volte nell’arco della stessa serata e capitava con terribile frequenza che i luoghi delle esibizioni fossero situati anche a tre o quattro ore di distanza l’uno dall’altro; molto spesso al termine di uno spettacolo erano costretti a sgomberare il palco in tempi record ed a fuggire letteralmente a bordo del loro personalissimo mezzo di trasporto di cui, a poco a poco, si stavano impadronendo gli strumenti.

Da quando all’appello si era aggiunto un imponente gong cinese, poi, la situazione aveva iniziato a farsi critica.

E non erano rare neppure le volte in cui nasceva qualche battibecco tra i vari componenti del gruppo o tra uno di loro e la giovane, proprio a causa di tutto il tempo che erano costretti a trascorrere insieme mischiato alla pressione, allo stress ed alla loro giovanissima età: Ginger aveva diciannove anni, Syd ne aveva ventuno, Nick ne aveva ventitré mentre Rick e Roger appena uno in più.

Erano cinque giovani poco più che adolescenti che desideravano divertirsi, godersi il momento, e guadagnarsi da vivere grazie alla loro più grande passione, ognuno con la propria personalità ed il proprio carattere ben delineati a dispetto della giovanissima età.

Ginger aveva imparato a conoscerli in fretta ed a farsi un’idea chiara in poco meno di un mese trascorso insieme a loro quasi ventiquattro ore su ventiquattro, sette giorni su sette.

Nick Mason aveva confermato la prima impressione positiva che aveva avuto su di lui, quando si erano incontrati all’esterno dell’UFO club, rivelandosi un ragazzo simpatico, gentile e terribilmente divertente, e ciò era di grande aiuto nel corso degli interminabili e noiosi viaggi per tutta l’Inghilterra; Ginger aveva conosciuto anche la ragazza con cui stava insieme dai tempi della scuola, Lindy Rutter: uno scricciolo esile, dai lunghissimi capelli castani, dotato di una personalità prorompente come un uragano.

Fin da subito l’aveva considerata simpatica e divertente come la sua dolce metà.

Un altro componente del gruppo che aveva confermato la prima impressione avuta su di lui era stato il cupo bassista che fin da subito si era dimostrato ostile nei suoi confronti ed aveva disprezzato le sue foto, commentandole con acidità e lanciandole sopra un amplificatore come se fossero spazzatura: Roger Waters.

Roger aveva dimostrato fin dai primi istanti una profonda antipatia nei confronti della giovane, ampliamente ricambiata: Mary Jane lo considerava sgradevole sia dal punto di vista caratteriale che da quello fisico.

Tutto il contrario di Syd Barrett, il ragazzo riccioluto che aveva paragonato le sue foto a delle opere d’arte.

Anche lui aveva confermato la prima impressione avuta dalla giovane, e lei aveva scoperto nel giro di poche settimane di trovare estremamente piacevole la sua compagnia, ed aveva spesso desiderato trascorrere un po’ di tempo da sola con Syd, in pace e tranquillità, per conoscere meglio il leader, il principale compositore dei testi delle canzoni, il cuore pulsante del gruppo.

Purtroppo il suo desiderio si scontrava in pieno con la routine frenetica della band emergente, ed i momenti di privacy erano pressoché inesistenti; di conseguenza, Ginger aveva dovuto accontentarsi di sguardi fugaci e scatti rubati.

E poi, aveva una paura fottuta di farsi avanti.

Aveva paura di fare la figura della scema.

Aveva paura di scoprire che Syd non avvertiva il suo stesso turbamento ogni volta che si guardavano negli occhi.

E, soprattutto, aveva paura di rompere l’equilibrio della band.



 
Pamela uscì sul terrazzo del primo piano e guardò in direzione della strada: vide un furgoncino nero parcheggiato vicino al marciapiede, ed un ragazzo in piedi davanti al cancelletto; il ragazzo, che indossava un cappello a tesa larga ed una vistosa giacca con le frange, alzò la mano destra in segno di saluto verso di lei.

“Salve, signora Anderson!” esclamò “scusi per il disturbo, ma si tratta di una emergenza. Avremo bisogno di entrare per qualche minuto perché abbiamo con noi un ferito che necessita al più presto di cure”

“Un ferito?”

“Sì, signora. Ma, le ripeto, non è niente di così grave: si tratta solo di un brutto taglio in fronte che continua a sanguinare. Le saremo eternamente grati se ci aiutasse ad evitare che il nostro furgoncino si trasformi nella possibile scena di un crimine… Anche perché credo che non sia semplice ripulire il sangue umano dagli strumenti musicali”

“Portate pure dentro il ferito che necessita di cure urgenti, e visto che ci siete fermatevi a mangiare un boccone. Scommetto che siete tutti affamati, vero?”

“In effetti siamo in viaggio da tutta la notte e non abbiamo avuto occasione di mettere qualcosa sotto i denti a parte un cartoccio di patatine fritte ed una birra divisi per cinque”

“Allora siete fortunati, perché giusto questa sera ho preparato un pasticcio di carne ed una crostata al rabarbaro”.

Gli occhi di Nick s’illuminarono quando sentì nominare il suo dolce preferito.

“Per caso è senza crosta la crostata?”.

Pamela scoppiò a ridere dinanzi all’assurda domanda che le era stata rivolta; mai nessuno prima d’ora le aveva chiesto una cosa simile.

“No, ma se ci tieni così tanto posso toglierla apposta per te. Scendo ad aprirvi la porta”

“Grazie ancora signora” Nick tornò in direzione del furgone e spalancò le portiere posteriori “scendete pure, ragazzi. La mamma di Ginger ha detto che possiamo entrare”
“Lei non è mia mamma” precisò Ginger “è la mia mommi, è diverso”

“Ahh, è vero, me lo avevi detto quella sera all’UFO. Devi ancora spiegarmi da dove nasce il nomignolo ‘mommi’

“Potete parlare di questo un’altra volta?” intervenne Roger a denti stretti; il fazzoletto che teneva premuto contro la fronte era quasi completamente impregnato di sangue e dei rivoli sottili avevano iniziato a scendergli tra le dita lunghe ed affusolate “o ci tenete così tanto a vedere questo furgone trasformarsi in un mattatoio?”.

Syd, Ginger e Nick aiutarono Roger a scendere dal furgoncino, mentre Rick scese dal posto di guida.

“Assicurati di chiuderlo bene questa volta” lo avvisò Mason “che non succeda di nuovo come quella sera…”

“Perché? Che cosa è accaduto al furgone?” domandò la rossa, ma la sua curiosità venne prontamente bloccata da Roger, che ricordò nuovamente che le loro priorità in quel momento erano altre e ruotavano attorno al brutto taglio sanguinante che gli attraversava la fronte.

Pamela aprì la porta al piccolo gruppetto di ragazzi, ed alla vista della copiosa emorragia domandò loro se si fossero ritrovati coinvolti in una rissa o in qualcosa di simile.

“No, signora, questo glielo posso assicurare, ma ci siamo andati molto vicini purtroppo. Però la colpa non è stata nostra” si affrettò subito a dire Nick, nel tentativo di minimizzare l’intera faccenda: temeva di ricevere una bella strigliata da parte di Pam “e la vita di Ginger non è mai stata in pericolo”

“Richard, che cosa è successo?” la donna si rivolse a Wright, che considerava come il figlio maschio che non aveva mai avuto dato che lo conosceva da quando aveva cinque anni e lo aveva visto crescere insieme a Ginger e Jennifer; aveva anche trascorso molte vacanze al mare insieme a lui ed alla sua famiglia.

“Al pub in cui stavamo suonando c’era un gruppo di ragazzi piuttosto alticci tra il pubblico e…” Rick lanciò un’occhiata a Waters, seduto sul divano insieme a Syd e Ginger “uno di loro ha tirato un penny di rame e ha centrato Rog in fronte, procurandogli quel taglio”.

Il tastierista omise volontariamente di raccontare che Waters, subito dopo l’incidente, aveva lanciato a terra il basso ed era sceso dal palco, spinto da una furia cieca, alla ricerca del responsabile per picchiarlo con le sue stesse mani; non era stato affatto semplice calmarlo e convincerlo a lasciar perdere quei cretini mezzi ubriachi, ma alla fine lui e gli altri ci erano riusciti.

E con l’atmosfera ormai guastata e con il loro bassista incapace di continuare a suonare a causa del sangue sugli occhi, alla band non era rimasta altra opzione se non quella di risalire in furgone e guidare per tutta la notte per tornare a casa a Londra il prima possibile.

Pamela guardò la sua primogenita e lei annuì, confermando il racconto di Richard.

“Ginger, accompagna il tuo amico in bagno. Nel mobiletto sopra al lavandino dovrebbe esserci tutto il necessario per disinfettare e pulire la ferita” ordinò la donna, dopo essersi convinta che i fatti si erano svolti proprio in quel modo e non si trattava di una bugia che i cinque ragazzi avevano studiato sulla strada del ritorno; Ginger si trattenne a fatica dal precisare che lei e Roger non erano amici e non lo sarebbero mai stati, ci riuscì solo perché il divano in pelle bianca rischiava di diventare un divano in pelle bianca a pois rossi.

“Riesci a fare le scale?” gli chiese, aiutandolo gentilmente ad alzarsi dal divano.

“Certo che riesco a fare le scale. Ho un taglio in fronte, non una gamba fratturata”

“Volete che venga anch’io?” Syd si offrì volontario per dare una mano alla ragazza, ma lei scosse la testa e rispose con un sorriso.

“No, vai pure in cucina con gli altri, Syd. Hai sentito quello che ha detto Roger? Ha un taglio in fronte, non una gamba fratturata. Sono sicura che riuscirà a salire le scale da solo, senza alcun aiuto e senza lasciare una scia di sangue alle proprie spalle”

“D’accordo. Cercate di non ammazzarvi a vicenda strada facendo” Barrett accompagnò quelle parole con un sorriso luminoso e allegro; Ginger avvertì il proprio stomaco fare un salto mortale e si voltò bruscamente in direzione delle scale per non fare vedere che era arrossita.

Accompagnò Roger al bagno al primo piano, posizionato di fronte alle due camere da letto, e gli disse di sedersi sul bordo della vasca mentre cercava tutto il necessario per curare il taglio.

“Con tutto il sangue che hai perso, e con lo stomaco vuoto, avrai la testa che gira più di un ottovolante” commentò la ragazza, sforzandosi di essere gentile “come ti senti? Dimmi se la vista ti si annebbia e se ti senti svenire, così chiamo subito gli altri”

“Sto bene, ma mi sentirei meglio se fossi riuscito a mettere le mani al collo a quel pezzo di merda. Perché mi avete bloccato?”

Perché? Sei serio? Tu forse non li hai visti perché avevi i fari delle luci puntati contro, ma io si e ti posso assicurare che erano dei veri energumeni. Sai che cosa sarebbe accaduto se fossi riuscito a trovarli? Probabilmente non saremo qui a parlare ora”.

Waters chinò il viso e borbottò qualcosa che la giovane non riuscì a decifrare, ma che suonava ben poco lusinghiero; Ginger chiuse gli occhi, prese un profondo respiro e si ripeté più volte di mantenere la pazienza o sarebbe finita con lei che tentava di affogare Roger nella vasca da bagno.

Gli attriti tra i due erano stati evidenti fin dall’inizio e nelle settimane trascorse insieme si erano fatti solo più evidenti e concreti: lui si era immediatamente dimostrato ostile nei suoi confronti e lei, dopo qualche piccolo tentativo di riappacificazione fallito e rispedito direttamente al mittente, aveva assunto un atteggiamento ostile a sua volta.

Si trattava di un’antipatia a pelle, a prima vista, dovuta a due personalità incompatibili.

Ginger considerava Roger sgradevole non solo dal punto di vista caratteriale, ma anche da quello fisico, perché era un insieme di tratti che cozzavano e stridevano violentemente tra di loro, e che potevano essere riassunti tramite uno smodato uso degli aggettivi ‘magro’ e ‘lungo’ preceduti dall’avverbio ‘troppo’: aveva un viso troppo magro e troppo lungo, labbra carnose, un naso troppo lungo e sottile, zigomi sporgenti, e braccia e gambe troppo magre e troppo lunghe che apparivano sproporzionate in confronto al busto.

La sua unica bellezza, sempre secondo la ragazza, era rappresentata dagli occhi azzurri.

Ginger ci aveva pensato a lungo, ed alla fine era giunta alla conclusione che il cupo bassista del gruppo poteva essere paragonato ad una sgradevole creatura composta dal corpo di un insetto stecco, o di una mantide, e dalla testa di un cavallo.

Tutto il contrario di Syd.

“Solleva la frangia, altrimenti non riesco a vedere il taglio” ordinò la rossa, sedendosi a sua volta sul bordo della vasca; Roger obbedì senza dire nulla, con lo sguardo corrucciato rivolto altrove.

Ginger ripulì con cura il sangue raffermo dal viso, dalla fronte e dai capelli con un bagno impregnato di acqua tiepida; quando sostituì il panno con un cotone imbevuto di disinfettante, e lo appoggiò con delicatezza sul taglio obliquo, Waters ebbe un sussulto e distorse le labbra carnose in una smorfia contrariata.

“Non riesci proprio ad essere più delicata?”

“Sto cercando di essere il più delicata possibile, ti ho appena sfiorato. E comunque non è così brutto come pensavo, è un taglio superficiale”

“Allora spero che la prossima volta colpiscano te in fronte con un penny, visto che si tratta solo di un taglio superficiale” ribatté lui piccato, spostando lo sguardo corrucciato dalla parete alla ragazza, che ricambiò con un’espressione incredula ed indignata; gettò a terra il batuffolo di cotone e si alzò di scatto dal bordo della vasca.
“Sai che ti dico?” disse poi, seccata “se questo è il ringraziamento per quello che sto facendo, allora sono sicurissima che puoi continuare da solo. Quando hai finito, puoi scendere in cucina. Tanto hai visto dove si trova”.

Ginger uscì dal bagno chiudendo la porta con un po’ più di forza del necessario.

Tornò al pianoterra e si fermò dopo aver sceso l’ultimo scalino, con la mano destra ancora stretta attorno al corrimano; proprio come aveva fatto in bagno, chiuse gli occhi e prese un profondo respiro per calmarsi, affinché gli altri ragazzi e Pamela non intuissero che era accaduto qualcosa e la tempestassero di domande.

Quando entrò in cucina, il malumore causato dallo scontro verbale con Roger passò in secondo piano dinanzi alla scena che si presentò davanti ai suoi occhi: Pamela, Rick e Syd stavano osservano Nick che, con un’espressione seria e concentrata, stava tagliando la crosta dalla crostata al rabarbaro con panna.

Il pasticcio di carne era già sparito negli stomaci dei tre giovani affamati, come testimoniava il vassoio vuoto posizionato al centro del tavolo; erano sopravvissute solo due fette alla mattanza, una destinata a Ginger e l’altra a Roger.

La scena era così buffa che strappò un sorriso alla rossa.

“Ma che cosa stai facendo?” chiese, trattenendo a stento una risata.

“Nick non sopporta la crosta delle crostate” rispose Rick, scuotendo la testa “una delle sue tante stranezze. Col tempo ci farai l’abitudine”

“Non sono io ad essere strano” si difese subito il diretto interessato, senza mai staccare gli occhi dalla lama del coltello che affondava nell’impasto con cura maniacale “è strana la gente a cui piace la crosta. Pensateci un istante: quale è la parte migliore di una crostata? Il ripieno, ovviamente. Quindi, di conseguenza, che senso ha addentare un pezzo d’impasto sprovvisto di ripieno? Nessuno, lo dico io”

“Lo sai che spiegare questa tua fissazione ti fa solo apparire ancora più strano?”

“Potrò anche essere strano, ma almeno io sono affidabile, Richard” Mason puntò il coltello sporco di panna e marmellata di rabarbaro contro il viso di Wright “io non ho mai messo a repentaglio il futuro della band per un momento di pigrizia”

“Di cosa state parlando?” domandò incuriosita Ginger; c’erano due sedie ancora libere, e lei scelse quella posizionata di fronte a Syd, nonostante per un momento fosse stata tentata di occupare quella affianco a lui.

Rick, a sua discolpa, agitò con noncuranza la mano destra.

“Si è trattata di una semplice svista”

Una semplice svista?” ripeté Nick spalancando gli occhi chiari “una semplice svista? Quella sarebbe stata una semplice svista?”

“Qualcuno può spiegarmi che cosa è successo?”

“Lo farò io, visto che il tuo migliore amico ha una visione un po’ distorta della realtà, Ginger: Rick ha sempre voluto occuparsi di sistemare tutti gli strumenti musicali nel furgone al termine delle nostre esibizioni e di controllare che il furgone fosse chiuso con cura. Una notte, siccome il signorino era particolarmente stanco e affaticato, non ha chiuso il furgone e la mattina seguente lo abbiamo trovato completamente vuoto. Se la nostra carriera di musicisti in erba non è finita quello stesso giorno, è merito solo delle duecento sterline che mia madre ci ha gentilmente prestato… E Richard non ci ha mai chiesto scusa”

“Non sarebbe accaduto nulla di simile se voi tutti foste un po’ più collaborativi. Invece, quando non dobbiamo scappare subito da un’altra parte, a esibizione conclusa vi fiondate subito a bere al bancone e lasciate che sia io a fare il lavoro sporco”

“Esiste qualche altro racconto scabroso che dovrei conoscere su tutti voi?” chiese Ginger, interrompendo così la discussione sul nascere.

Nick ci pensò per un momento e sorrise.

“Se vuoi, te ne posso raccontare un paio di veramente compromettenti su Rog”

“Perché dovete sempre parlare di me quando non ci sono?” domandò Roger, apparendo dal salotto; il flusso copioso di sangue aveva finalmente smesso di fuoriuscire dal taglio sulla fronte.

Ginger non riuscì a resistere alla tentazione di accogliere il ritorno del bassista con un commento ironico.

“Come va con la ferita di guerra, soldatino?”.

La giovane si aspettava una risposta piccata o nel peggiore dei casi un gesto poco carino da parte di Waters, invece non accadde nulla di tutto ciò; il suo sguardo diventò improvvisamente glaciale, le sue labbra si trasformarono in una linea sottile e contrariata, e sui volti di Rick e Nick apparvero delle espressioni allarmate.

Il silenzio che seguì turbò la rossa, che si chiese cosa e dove avesse sbagliato.

L’intervento di Syd evitò per un soffio che la situazione precipitasse ulteriormente: il giovane si alzò, prese un pacchetto di sigarette da una tasca dei pantaloni e si schiarì la gola.

“Chi viene fuori con me a fare un tiro?”.



 
Sulle labbra di Pamela si delineò un sorriso divertito.

“Ginger, vieni qui un momento, c’è una cosa che devi assolutamente vedere” disse la donna in un sussurro, girandosi verso la cucina; la ragazza, incuriosita, fece capolino dall’altra stanza e raggiunse la madre adottiva in salotto “guarda. Mi sembra di essere tornata ai tempi dei pigiama party che organizzavi per le tue feste di compleanno”.

I quattro ragazzi, dopo essersi rifocillati ed aver fumato una sigaretta in giardino, non avevano più retto alla stanchezza e si erano addormentati in salotto, prendendo il pieno possesso della stanza: Rick e Syd se ne stavano semi sdraiati su due poltroncine, mentre Nick era stato costretto ad accamparsi sulla moquette del pavimento dopo che Roger si era aggressivamente impadronito del divano.

Mason si era però vendicato rubando un cuscino e la coperta.

“Vuoi che li svegli?”

“No, sono esausti, lasciali dormire. Non creano alcun disturbo. E anche tu sei stanca: dovresti andare a letto e riposarti”

“Ci vado tra poco. Finisco di lavare sistemare la cucina e salgo in camera”

“Posso farlo io domani mattina, Ginger”

“No, davvero, ci metto pochissimo” insistette la giovane “buonanotte, mommi”.

Schioccò un bacio sulla guancia destra della madre adottiva e tornò nell’altra stanza per occuparsi delle ultime stoviglie sporche che campeggiavano ancora sopra al tavolo; prese i piatti di ceramica, li impilò con cura uno sopra l’altro… E per poco non li lasciò cadere quando, voltandosi, vide una figura davanti a sé.

Ginger riuscì ad evitare che il servizio buono si disintegrasse contro il pavimento della cucina, ma non riuscì a fare lo stesso col gridolino strozzato che le salì dalla gola.
“Calma! Sono io, sono io!” disse in un sussurro una voce maschile.

Apparteneva a Syd.

“Ohh, mio dio… Mio dio…”

“Scusami, non era mia intenzione spaventarti”

“No, scusami tu. Avrei dovuto accendere la luce della cucina, ma temevo di svegliarvi”.

Era una fortuna che la stanza fosse avvolta dalla penombra, pensò la ragazza, altrimenti Syd avrebbe visto che il suo viso aveva assunto la stessa sfumatura ramata dei suoi capelli; si chiese anche come facesse a non percepire il calore emanato dalle sue guance, che potevano essere paragonate a due mele mature pronte per essere raccolte.

“Che cosa stai facendo?”

“Finisco di sparecchiare la tavola. Mi mancano solo questi piatti da pulire”

“Non sei esausta?”

“Potrei fare la stessa domanda a te. Dovresti essere in salotto a dormire insieme agli altri. Come fai ad essere in piedi dopo la serata che abbiamo avuto?”

“Credo che la movimentata esperienza al pub mi abbia lasciato un po’ di adrenalina addosso. Tu come stai?”

“Sono ancora un pochino scossa, ma non ti preoccupare. Ciò che conta davvero è che non è successo nulla di grave, ad eccezione del taglio in fronte di Roger”

“Te l’ho chiesto proprio perché mi preoccupo, Ginger”.

La ragazza trattenne il fiato per la sorpresa, i piatti rischiarono di scivolare rovinosamente a terra per la seconda volta; adesso malediva la penombra che regnava attorno a loro, perché non le permetteva di vedere con chiarezza l’espressione di Syd.

Quelle parole potevano dire tutto e niente allo stesso tempo.

“Hai sonno?” gli chiese, appoggiando i piatti vicino al lavandino; avrebbe pensato a loro il giorno seguente.

“No”

“Vuoi vedere qualcosa di unico?”

“Mi piacerebbe moltissimo”

“Allora vieni, ma fa piano. Non vorrei svegliare mommi o le tre fanciulle che dormono in salotto” mormorò la rossa con un sorrisetto.

Guidò Syd al piano di sopra; mentre salivano le scale, Barrett si fermò ad osservare le numerose fotografie incorniciate che ritraevano Ginger e Jennifer.

“Lei chi è?”

“Jennifer, mia sorella”

“E dov’è?”

“A dormire a casa di un’amica. Fidati, è meglio che tu non l’abbia conosciuta: ci sarebbe stata attaccata come una cozza per tutto il tempo ed avrebbe riempito te e gli altri di domande moleste. Sa essere molto fastidiosa quando vuole”

“Vi volete molto bene, vedo”

“Certo che ci vogliamo bene. Io e Jen siamo molto legate, ma da quando ha compiuto quattordici anni faccio davvero fatica a sopportare lei ed i suoi comportamenti infantili. Mommi dice che devo portare pazienza ed essere più comprensiva, essendo io la maggiore” spiegò la giovane, scrollando le spalle “dai, vieni, dobbiamo sbrigarci prima che il sole sorga, altrimenti ci perdiamo la parte più bella dello spettacolo”.

I due giovani percorsero, al buio, un piccolo corridoio, salirono un’altra rampa di scale e sbucarono in una piccola mansarda che fungeva da ripostiglio per le decorazioni natalizie, l’albero, i vecchi giocattoli di Ginger e Jennifer, ed altre cianfrusaglie che avevano fatto il loro tempo; Ginger si arrampicò sopra una scrivania impolverata ed aprì una piccola finestrella posizionata sul basso soffitto.

S’issò attraverso la finestrella aperta ed invitò Syd a fare lo stesso; lui la imitò e sbucò su quello che era il tetto dell’abitazione.

La giovane si era seduta a gambe incrociate sulle tegole ed aveva il viso rivolto verso il cielo; Barrett seguì di nuovo il suo esempio ed entrambi osservarono incantati il cielo tempestato di stelle.

In lontananza, lungo la linea dell’orizzonte, il blu scuro della notte aveva già iniziato a tingersi delle prime sfumature arancioni dell’alba.

“Meraviglioso” mormorò Syd, con le labbra socchiuse e gli occhi spalancati per lo stupore; Ginger avrebbe voluto dirgli che era lui la vera meraviglia “da un lato mi dispiace di non avere con me una tela e dei colori a tempera per dipingere questo spettacolo meraviglioso. Ma dall’altro no, perché so già che non riuscirei mai a riprodurre in un quadro qualcosa di vagamente simile”

“Ti piace dipingere?”

“Diciamo che ci provo”

“Per quanto riguarda la fotografia è lo stesso. Non sempre è possibile catturare ed imprimere sulla cellulosa quello che i tuoi occhi vedono. Esistono cose così belle che è una follia pensare di rinchiuderle in un insignificante foglio di cellulosa” la ragazza deglutì a vuoto e si sistemò una ciocca di capelli rossi dietro l’orecchio rosso: con quel discorso, in modo indiretto, si stava riferendo proprio a lui; Syd era terribilmente fotogenico, ma nessuna foto che gli aveva scattato nell’arco di quelle settimane la soddisfaceva, perché in nessuna era riuscita a catturare la luce che brillava nei suoi occhi verdi.

Era impossibile catturare una simile essenza.

Una cosa così viva, così dinamica, non poteva essere rinchiusa in un oggetto statico.

Era come chiudere una candela in una campana di vetro e pretendere che si trasformasse in un incendio in grado di bruciare un’intera città.

Era impensabile, una follia.

Ginger non aveva mai visto occhi più belli, più brillanti e più pieni di vita di quelli di Syd; nelle giornate in cui era di pessimo umore le bastava incrociare lo sguardo del ragazzo riccioluto perché la rabbia, lo stress e le mille preoccupazioni scivolassero via, rimpiazzate da un sorriso.

“Sono pienamente d’accordo con te”

“Che cosa ho sbagliato prima?”

“Mh?”

“Sto parlando della reazione vostra e di Roger alla mia battuta sulla ‘ferita di guerra’”

“Ohh, quello” mormorò Syd, spostando gli occhi sognanti dalle stelle alle tegole del tetto “si tratta di una questione abbastanza delicata e complessa”

“Se non me ne puoi parlare, non fa niente. Non sei costretto, volevo solo capire”

“Il padre di Roger è stato ucciso in guerra. Suo fratello aveva due anni, lui neppure uno… Praticamente non lo ha mai conosciuto”

“Mi dispiace” mormorò a sua volta Ginger, sinceramente addolorata “io…”

“No, non fartene un cruccio. Non potevi saperlo” Syd tornò a guardare il cielo: le stelle, la luna ed manto blu scuro della notte stavano lentamente lasciando spazio alla sfumatura arancione dell’alba che preannunciava l’inizio di una nuova giornata “io e lui abbiamo legato molto a causa di questo, proprio perché abbiamo vissuto un’esperienza simile: lui ha perso il padre quando era piccolissimo, il mio se ne è andato per colpa di un cancro fulminante sei anni fa”

“Io non ho mai avuto un padre… E neppure una madre” spiegò la ragazza, avvolgendo le braccia attorno alle ginocchia “i miei genitori biologici mi hanno abbandonata subito dopo la mia nascita. Ho vissuto i miei primi cinque anni di vita dentro un orfanatrofio, poi è arrivata Pamela… E lo stesso vale per Jennifer: anche lei è stata abbandonata quando era ancora una neonata ed affidata alle cure di un orfanatrofio infantile… Ecco perché abbiamo inventato il nomignolo mommi per Pamela. Perché lei per noi è molto più speciale di una mamma. Non riesco neppure ad immaginare dove saremo ora se non fosse stato per lei”

“Siete una famiglia meravigliosa”

“Siamo una famiglia incasinata e tutt’altro che normale. Rischieresti di finire all’ospedale psichiatrico se rimanessi con noi tre solo per ventiquattro ore”

“Le cose incasinate sono sempre le più belle” rispose Barrett, distogliendo gli occhi dal cielo; abbassò il viso, guardò Ginger e nei suoi occhi verdi brillò la luce unica che la giovane non riusciva a descrivere “vorresti vedere uno spettacolo ancora più mozzafiato di questo?”

“Esiste?”

“Ti fidi di me?”

“Sì” il monosillabo uscì senza alcuna esitazione dalle labbra di Ginger, sottoforma di un soffio appena udibile, perché corrispondeva alla verità: anche se conosceva Syd da poche settimane, qualcosa la spingeva a fidarsi totalmente e ciecamente di lui.

Non le era mai capitato con nessun altro ragazzo.

“Allora preparati, perché domani ti porto a fare un pic-nic indimenticabile”.

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** The Wind In The Willows (Parte Due) ***


“Però non è giusto! Perché si sono fermati qui proprio ieri sera, quando io non c’ero? Mi sarebbe piaciuto conoscerli” sbuffò Jennifer; incrociò le braccia sopra al tavolo e vi appoggiò il mento.

“No, saresti stata solo una seccatura” Ginger le lanciò un’occhiata seccata “e togli i gomiti dal tavolo”

“Spero davvero che Rick ed i suoi amici diventino famosi un giorno, così a scuola potrò raccontare a tutti i miei compagni di classe che conosco delle celebrità e che uno di loro è il miglior amico di mia sorella. Così quell’oca di Mary la smetterà di prendermi in giro e si roderà il fegato dall’invidia” sospirò Jen, ignorando apertamente l’ordine ricevuto dalla sorella maggiore; Ginger si bloccò con il coltello del burro a mezz’aria.

“Chi è Mary?”

“Te l’ho detto: è un’oca”

“E ti prende in giro?”

“Sì, a volte, ma io non ci faccio caso”

“Cosa ti dice esattamente?”.

Jennifer scrollò le spalle.

“Dipende. A volte mi chiama scoiattolo perché ho le guance così paffute che le ricordano quelle di uno scoiattolo quando mette le ghiande in bocca, altre volte mi chiede che disegno verrebbe fuori se unisse tutte le lentiggini che ho in viso” spiegò la ragazzina “ma io non le do retta perché fa così con tutte quelle che non fanno parte della sua cerchia ristretta di fedelissime, e molte volte tratta male perfino le sue stesse amiche. Pensa di avere il diritto di dire e fare tutto quello che vuole solo perché è bionda, bella e magra, ed i ragazzi se la mangiano con gli occhi”

“Brava, Jennifer, non dare alcuna soddisfazione a Mary” intervenne Pamela, arrivando in cucina dal salotto “le ragazze come lei brillano di una luce effimera che è destinata a spegnersi in fretta: quando la loro bellezza svanirà, resteranno da sole perché non avranno altro da offrire”

“Sì, ma non è giusto che nel frattempo questa stronza si comporti in questo modo dei confronti di Jennifer e delle altre ragazze. E scommetto che i professori non dicono nulla perché vedono solo ciò che loro vogliono vedere” commentò la rossa, sfogando la frustrazione e la rabbia sulla fetta di pane tostato che doveva ancora imburrare; quando, con la coda dell’occhio, vide la sorella minore allungare una mano in direzione dei sandwich che aveva già preparato, le diede un piccolo schiaffo sul dorso “no, non li toccare. Non sono per te”

“E per chi sono, allora?”

“Devo fare un pic-nic”

“Con Rick?”

“No”

“E con chi, allora?” domandò Jennifer incuriosita; non ricevendo alcuna risposta, tirò su di scatto il viso paffuto, incorniciato dai lunghi e folti capelli neri, che creavano un curioso contrasto con quelli rossi di Ginger e quelli biondo cenere di Pamela “vai a fare un pic-nic con i ragazzi? Posso venire anche io, così li conosco?”

“No e… Assolutamente no. Non esco con loro” la più grande esitò, incerta se confessare o meno “esco con uno di loro”.

A quelle parole, Jen alzò le braccia e lanciò uno strillo.

Ginger ha un appuntamento, Ginger ha un appuntamento, Ginger ha un appuntamento!

“Non è vero, non si tratta di un appuntamento, ma di un semplice invito. Tra noi due non c’è assolutamente nulla, siamo solo…” la giovane esitò prima di concludere la frase “amici”.

Amici.

Che cosa erano loro due, esattamente?

Amici? Conoscenti? In che modo poteva essere definito il loro rapporto, sempre se così poteva essere chiamato?

In fin dei conti non avevano mai scambiato più di qualche parola faccia a faccia; la conversazione più lunga che avevano mai avuto era stata, per l’appunto, proprio quella sul tetto di poche ore prima.

Jennifer arricciò il naso tempestato di lentiggini.

Amici” ripeté con una smorfia “un ragazzo ti ha invitata ad un pic-nic a due per amicizia

“Sì, Jennifer, perché l’amicizia tra maschi e femmine esiste, ed io e Rick ne siamo la prova vivente… Sbaglio o anche tu e Danny siete migliori amici?”

“Sì, ma tutti i ragazzi che conosci non possono essere solo amici. Secondo me, questo amico di Rick ti ha chiesto di uscire con lui per un pic-nic perché gli piaci”.

Fu il turno di Ginger di rispondere con una smorfia, mentre si occupava di avvolgere i sandwiches in tovaglioli di carta colorata e di metterli dentro un cestino di vimini.

“Non lo so, non me lo sono chiesta”

“Perché?”

“Perché quando devi esibirti in più pub distanti chilometri e chilometri l’uno dall’altro, i tuoi pensieri sono altri”.

Non era vero, ovviamente.

Era una bugia, una cazzata bella e buona.

Ginger non se lo era chiesto non perché avesse altro di più importante a cui pensare, ma perché voleva rimanere con i piedi ben ancorati a terra nella speranza di non rimanere delusa e soffrire inutilmente; ci era già passata ai tempi della scuola e non voleva ripetere quella brutta esperienza una seconda volta.

“Se lo dici tu” Jennifer scrollò le spalle e saltò giù dallo sgabello “io vado. Danny e Liza mi stanno aspettando in biblioteca per la ricerca di scienze. Ci vediamo questa sera”

“Mi raccomando, alle sette si cena. E cerca di essere a casa prima che…”

“Prima che il sole tramonti. Sì, mommi, non ti preoccupare. Conosco benissimo le regole. Buon pic-nic col tuo amico, Ginger” disse la ragazzina, rivolgendo un sorrisetto alla sorella maggiore; afferrò la cartelletta scolastica e sparì in salotto.

Poco dopo Pamela la vide percorrere il vialetto e sparire di corsa dietro l’angolo del marciapiedi, con la lunga e folta chioma corvina che le ondeggiava sulla schiena; la donna sorrise davanti alla spensieratezza di Jennifer e dei suoi quattordici anni, e poi rivolse la propria attenzione alla primogenita: prese posto sullo sgabello occupato in precedenza da Jen, appoggiò i gomiti sul tavolo, il mento sui palmi delle mani ed il suo sorriso si fece più largo.

“Allora, di chi si tratta?”

“Di chi stai parlando?”

“Dell’amico di Rick che ti piace”

“Ti prego, non iniziare anche tu come Jennifer: io non ho mai detto che mi piace”

“È quel bel ragazzo con i capelli ricci e neri?”.

Ginger spalancò gli occhi scuri, sorpresa dalla perspicacia di Pamela.

“Come hai fatto a capire che è stato lui ad invitarmi al pic-nic?”

“Tesoro, posso anche non essere la persona che ha messo al mondo te e Jennifer, ma sono quella che vi ha cresciute fin da quando eravate solo due bambine. Potete anche ingannare gli altri, ma non me: ai miei occhi siete dei libri aperti” spiegò la donna, ridendo divertita “credi che mi siano sfuggite tutte le lunghe occhiate che gli lanciavi quando lui guardava da un’altra parte? O credi che non abbia visto l’attimo di esitazione che hai avuto quando hai visto la sedia vuota affianco a lui? Ginger, sono stata ragazza anch’io una volta. Anche io ho avuto diciannove anni e diverse esperienze con i ragazzi. Puoi gettare la maschera e dirmi tutto, adesso che Jennifer non c’è”

“D’accordo” sussurrò la rossa; chiuse gli occhi, prese un profondo respiro e raccontò alla madre adottiva il tormento contro cui stava lottando da diverse settimane “credo che Syd mi piaccia, mommi… Credo che mi piaccia davvero molto e questo mi fa paura”

“Perché ti fa paura?”

“Perché? Non è abbastanza evidente? Io sono troppo comune e banale per lui. I ragazzi come Syd stanno insieme alle ragazze come… Come… Come quell’oca di nome Mary che Jennifer ha in classe. Loro vogliono le ragazze bellissime, bionde, con gli occhi azzurri e con un fisico da modella. Io ho i capelli rossi e gli occhi scuri, ho già perso in partenza”

“Le ragazze con i capelli biondi e gli occhi azzurri si trovano ovunque. I capelli rossi sono molto più particolari ed affascinanti. E lo stesso vale anche per gli occhi scuri. Perché dovete sempre avere questa idea distorta che gli occhi per essere belli devono per forza essere azzurri o verdi?”

“Forse perché attirano subito l’attenzione… O forse, più semplicemente, perché sono davvero i più belli?”

“Devi smetterla di sottovalutarti in questo modo, Ginger. Devi avere più fiducia nelle tue capacità. Se questo ragazzo ti ha invitata ad uscire per un pic-nic, qualcosa dovrà pur significare. Di certo non gli sei indifferente”

“Preferisco non farmi illusioni. Non so neppure se è impegnato… E se avesse già una ragazza?” domandò Ginger, colta da quell’improvviso e terribile dubbio.

Conosceva ancora pochissimi particolari delle vite private di Nick, Syd e Roger: sapeva che il primo era fidanzato da diverso tempo, ma riguardo gli altri due non aveva la più pallida idea di quale fosse la loro attuale situazione in ambito sentimentale.

Forse Syd aveva davvero una ragazza.

I ragazzi belli come lui difficilmente rimanevano single a lungo.

Riguardo Roger, poco le importava.

“Mi è parso un ragazzo troppo intelligente per divertirsi a tenere un piede in due staffe”

“D’accordo, allora. Facciamo finta che sia sentimentalmente libero in questo momento: potrebbe non ricambiare quello che io sento, magari per lui si tratta solo di una amicizia o semplice conoscenza. E se mai dovesse ricambiare i miei sentimenti, sarebbe comunque un problema perché non so come potrebbe reagire il resto del gruppo” la giovane pensò in automatico al cupo bassista che, incredibilmente e sfortunatamente, era l’amico più stretto di Syd “in un caso o nell’altro l’equilibrio all’interno della band rischierebbe di spezzarsi”

“Tesoro, ma questo avresti dovuto saperlo nel momento stesso in cui hai accettato di lavorare per una band composta da soli ragazzi!” esclamò Pamela con una risata, ed a Ginger non rimase altro che darle mentalmente ragione; era stata solo una sciocca a non rendersi conto che prima o poi si sarebbe presentato un problema simile: non poteva pensare davvero di trascorrere quasi tutte le sue giornate in compagnia di quattro ragazzi poco più grandi di lei e pretendere che uno di loro non le facesse arrossire le guance o battere più forte il cuore “se sei così turbata, perché non ne parli con Richard? Sono più che sicura che in qualità di tuo migliore amico capirà. E magari saprà anche darti qualche risposta alle tue domande”.

La giovane scosse con forza la testa, facendo ondeggiare la chioma fiammeggiante da una parte all’altra, rifiutandosi, per una volta nella vita, confidarsi con il suo migliore amico.

Sicuramente Richard avrebbe capito.

Sicuramente Richard le avrebbe dato delle risposte.

Ma era proprio quello a farle paura.

Non voleva avere delle risposte, aveva troppa paura che fossero l’opposto di ciò che desiderava.



 
Seduta sul divano in pelle bianca del salotto, con in mano una rivista e lo sguardo che continuava a cadere sull’orologio a parete, Ginger aspettò con trepidazione l’arrivo di Syd.

Le ore si susseguirono con una lentezza estenuante, scandite dal piccolo cucù intagliato nel legno che avvisava lo scadere dei sessanta minuti e l’inizio di altri sessanta.

La mattina lasciò posto al primo pomeriggio.

Il primo pomeriggio divenne tardo pomeriggio.

Il tardo pomeriggio si trasformò in sera.

Quando arrivò l’ora di cena, di Barrett non c’era ancora traccia e l’umore di Ginger era inevitabilmente sprofondato al di sotto del pavimento.

E quando Jennifer, di ritorno dalla giornata trascorsa insieme ai suoi due migliori amici, ignara del dramma che si stava consumando, le chiese come era andato il pic-nic, Ginger, colta da un moto di rabbia e stizza improvviso, tirò fuori dal cestino in vimini i sandwiches, li gettò nel cestino in cucina e salì di corsa le scale per poi chiudersi nella camera da letto che condivideva con Jennifer.

Incredibilmente, nonostante i frequenti battibecchi, le due ragazze riuscivano a dormire nella stessa stanza senza scatenare un enorme putiferio ogni singola notte, e ciò era stato possibile grazie ad un’equa divisione degli spazi: il letto della maggiore era appoggiato contro la parete di sinistra, quello della più piccola era appoggiato contro quella di destra.

Entrambe le sorelle avevano il proprio armadio: un altro, piccolo, particolare che aveva contribuito a creare un clima più sereno e rilassato.

Ginger si lasciò cadere sul materasso, si coprì il volto con le mani ed emise un verso frustrato.

Perché Syd non si era presentato?

Perché l’aveva illusa in quel modo?

Perché? Perché? Perché?

Non riusciva a spiegarsi il perché di quel gesto proprio perché non aveva alcun senso, a meno che non ci si fosse messo di mezzo un problema dell’ultimo secondo.

Aveva avuto un impegno urgente?

Era bloccato a letto con la febbre?

Oppure… Oppure gli era accaduto qualcosa? Qualcosa di molto brutto?

Aveva avuto un malore?

La ragazza distolse le mani dal viso e lo girò verso destra; puntò gli occhi sul telefono posizionato sopra il comodino e si torturò il labbro inferiore con i denti.

‘Avanti. Non fare la stupida. Se fosse accaduto qualcosa di grave, te lo avrebbero già detto. Rick ti avrebbe chiamata immediatamente… A  meno che… A meno che non siano in ospedale e Rick non abbia la più pallida idea di come fare per dirmi che è successo qualcosa a Syd… Qualcosa che magari gli è successo proprio mentre stava venendo qui’.

D’impulso, Ginger afferrò la cornetta del telefono, digitò il numero di casa del suo migliore amico e pregò mentalmente che rispondesse; quando sentì la voce profonda ed inconfondibile di Richard, tirò subito un sospiro di sollievo: se lui era a casa, significava che non era accaduto nulla di grave a Syd.

Tuttavia, se da un lato poteva accantonare la tesi del grave incidente, dall’altro diventava più concreta la teoria di un due di picche volontario.

“Te l’ho mai detto che hai un tempismo piuttosto discutibile, Ginger? Ho trascorso l’ultima ora a cullare Gala per farla addormentare, e tu hai pensato di chiamarmi proprio nel momento in cui aveva finalmente chiuso gli occhi” disse Rick con un sospiro rassegnato; in sottofondo, Ginger sentì il pianto della bambina e la immaginò agitarsi tra le braccia del suo migliore amico, costretto a destreggiarsi tra lei e la cornetta del telefono “mi auguro che sia accaduto qualcosa di veramente importante ed urgente”

“Povera me! Temo che mi butterai giù la cornetta in faccia dopo aver sentito quello che ho da chiederti” la ragazza si tormentò di nuovo il labbro inferiore; Rick restò in silenzio, in attesa “hai visto Syd oggi, per caso? O, sempre per caso, lo hai sentito?”

“Syd?” domandò Wright sorpreso: tutto si aspettava, fuorché una domanda simile “no, non l’ho visto, ma circa due ore fa Nick mi ha chiamato per chiedermi se volevo uscire a bere una birra con lui, Syd e Rog. Io ci sarei anche andato volentieri, ma poi non ci sarebbe stato nessuno a casa con la mia piccola principessa, visto che Juliette è uscita per un pomeriggio di shopping insieme a Lindy e Judith”

“Judith?”

“La ragazza di Rog”.

‘Perfetto’ pensò la giovane, roteando gli occhi.

Se perfino quell’essere odioso e orribile di Waters aveva una ragazza, allora non c’era proprio alcuna possibilità che Syd fosse libero.

E se, come diceva Richard, qualche ora prima era uscito davvero a bere una birra insieme agli altri membri del gruppo, allora il due di picche non era più una sgradevole prospettiva, ma una solida realtà.

Era stata scaricata senza tanti complimenti, senza una chiamata, senza un avviso, senza neppure una bugia convincente costruita con cura.

“Perché mi hai chiesto di Syd?”

“Nulla, io… Aveva detto che doveva prestarmi un libro d’arte e fotografia, e…” balbettò la ragazza, interrompendosi per mandare giù un grumo di saliva; stava per cedere, stava per crollare, stava per scoppiare in lacrime e non voleva farlo mentre era ancora in linea col suo migliore amico “e siccome non l’ho visto, ho pensato che fosse successo qualcosa. Per fortuna mi sono preoccupata inutilmente. Adesso devo andare perché mommi mi sta chiamando. Scusami se ho svegliato Gala”.

Ginger chiuse la chiamata, si coprì la bocca con le mani e scoppiò in lacrime.

Ora l’equilibrio all’interno del gruppo si era inevitabilmente spezzato.



 
La ragazza spalancò gli occhi circondata dal buio della notte.

Qualcosa aveva colpito il vetro della finestra, svegliandola di soprassalto, col cuore che batteva con forza contro la cassa toracica.

Restò in silenzio, rannicchiata sotto le coperte, timorosa quasi di respirare più forte del necessario, in attesa che il rumore si ripetesse una seconda volta e così accadde: sentì un altro ticchettio provenire dalla finestra, ed a quel punto si tirò su a sedere, con gli occhi incollati al vetro.

Attese ancora, ed alla fine vide un piccolo oggetto colpire la finestra e rimbalzare indietro.

Capì che qualcuno stava cercando di attirare volontariamente la sua attenzione lanciando dei sassi in direzione della sua camera da letto.

Ginger sgusciò fuori dal letto e si avvicinò alla finestra con passo felpato, facendo attenzione a non fare il minimo rumore ed a non colpire qualche mobile nel buio; spalancò i vetri e guardò verso il basso, alla ricerca del responsabile.

Lo identificò in un ragazzo che se ne stava in piedi al centro del giardino, col volto rivolto verso di lei e con un sasso stretto nella mano destra.

Anche a quella distanza, la giovane vide con chiarezza la massa di fitti ricci neri che ricadeva in parte sugli occhi verdi del ragazzo.
 

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** The Wind In The Willows (Parte tre) ***


“Syd!” esclamò Ginger, colta alla sprovvista; si voltò un momento verso la camera e poi tornò a rivolgersi a lui, parlando a bassa voce “si può sapere che cosa ci fai qui a quest’ora di notte? Perché diavolo stai lanciando dei sassi contro la finestra della mia camera? Vuoi svegliare tutto il quartiere? Se ti avesse visto uno dei vicini…”

“Volevo attirare la tua attenzione senza suonare il campanello. Sei pronta?”

“Pronta? Pronta per cosa?”

“Come per cosa? Il nostro pic-nic!” rispose Barrett, indicando un cestino di vimini che aveva posato sull’erba del prato “ti sei dimenticata di quello che ci siamo detti ieri notte sopra al tetto?”.

Ginger sgranò gli occhi scuri.

“Syd, non puoi parlare sul serio! Io credevo… Credevo che il pic-nic lo avremmo fatto questa mattina! Ti ho aspettato tutto il giorno! Ad un certo punto ho perfino pensato che ti fosse accaduto qualcosa o che ti fossi completamente dimenticato del pic-nic”

“Quello che devi assolutamente vedere non può essere ammirato in pieno giorno. Non ricordi che ti ho promesso uno spettacolo ancora più bello di quello che tu mi hai fatto vedere? Dai, scendi ora!”

“Ma… Syd! È notte fonda! Non posso uscire a notte fonda! Se mommi dovesse scoprirlo… Ho rischiato grosso quella sera che sono venuta a vedervi suonare all’UFO club, non sono stata scoperta per un soffio e non ci tengo a ripetere un’esperienza simile. Temo che la seconda volta non mi andrà bene come la prima”

“Ma se trascorri notti intere in compagnia di quattro ragazzi che ti riportano sempre a casa dopo l’alba!”

“Sì, ma quando dovete esibirvi si tratta di una questione completamente diversa perché in quel caso mommi e Jennifer sanno che sono via per lavoro e che rientrerò tardissimo! Immagina se domani mattina aprono gli occhi, trovano il mio letto vuoto e nessun biglietto lasciato in giro per casa. Sarebbe proprio un bel casino, Syd”

“Ti prometto che questo non accadrà, hai la mia parola: passerai una notte magica e tornerai a casa prima che la tua assenza venga scoperta. Ti prego, Ginger, non te ne pentirai! Te lo prometto! Non accadrà nulla e non subirai alcuna conseguenza, però devi scendere ora ed in fretta perché abbiamo pochissimo tempo a nostra disposizione”

“E va bene” si arrese la rossa “scendo subito, cerco di fare il prima possibile”.

La ragazza richiuse la finestra, tirò le tende e si cambiò il più in fretta possibile al buio, per non svegliare Jennifer; controllò che la sorella minore fosse ancora profondamente addormentata e solo allora uscì dalla camera, chiudendo la porta lentamente per non farla cigolare.

Scese le scale in punta di piedi, prese le scarpe ed uscì dalla porta principale; indossò le scarpe sotto il portico e finalmente raggiunse Barrett sul prato.

“Forza, dobbiamo andare” la spronò lui, senza lasciarle il tempo di chiedere ulteriori spiegazioni “abbiamo un treno da prendere”

“Un treno? Come sarebbe a dire che dobbiamo prendere un treno?”

“Sì, ho io i biglietti, e se non facciamo in fretta rischiamo di perderlo”

“Ma…” le proteste di Ginger si spensero nella notte; Syd prese il cestino, afferrò la ragazza con la mano libera e la esortò a correre il più velocemente possibile perché non potevano rimanere lì un solo secondo in più o avrebbero perso non solo il treno, ma anche lo spettacolo meraviglioso a cui dovevano assolutamente assistere.

E lei decise di assecondarlo, anche se considerava tutto quello un’enorme follia.

Corsero per le strade deserte di Londra come se la loro stessa vita dipendesse dal treno che dovevano prendere; arrivarono alla pedana di partenza appena in tempo e salirono sulla carrozza un paio di secondi prima che le porte scorrevoli si chiudessero e che il convoglio partisse, scivolando sui binari.

Ginger si lasciò cadere su un sedile vuoto e riprese rumorosamente fiato: il cuore le batteva con forza nel petto e nella gola, il fianco destro pulsava dolorosamente, aveva le guance in fiamme e faceva fatica a respirare.

Tutto per colpa della pazza corsa che era stata costretta a fare.

Lanciò un’occhiata al ragazzo, che nel frattempo aveva presto posto sul sedile di fronte al suo, deglutì un paio di volte e finalmente riuscì a parlare; gli disse che era un pazzo e gli chiese dove fossero diretti a quell’ora di notte.

Barrett frugò in una tasca del cappotto nero, tirò fuori un foglietto e lo porse alla giovane: si trattava del biglietto del treno; in alto, a destra, a carattere cubitali e neri, era stampato il nome della loro destinazione.

Cambridge.

“Cambridge?” domandò la rossa, sempre più confusa “per quale motivo siamo diretti proprio a Cambridge?”

“Che sorpresa sarebbe se te lo dicessi ora? Lo vedrai al tuo arrivo”

“Questa storia ha tutti i presupposti per finire male” mormorò Ginger, scuotendo la testa; chiuse gli occhi e li riaprì quando sentì qualcosa di caldo posarsi sopra la sua mano destra: abbassò lo sguardo e vide la mano sinistra di Syd.

Sentì una carezza lieve sul dorso ed avvertì un brivido lungo la spina dorsale.

“Non finirà male. Fidati. In ogni caso, quello che stiamo per vedere è così bello ed unico che vale qualunque rischio” Syd lasciò andare la presa, con enorme dispiacere di Ginger, e si appoggiò allo schienale del sedile con un sorriso “adesso riposati, sei vuoi. Ci aspetta un’ora di viaggio prima di arrivare a destinazione”.



 
I due giovani si fermarono davanti ad una graziosa villetta; Ginger l’osservò incuriosita, ma prima che avesse il tempo di aprire bocca per chiedere a Syd che posto fosse quello, il ragazzo la sorprese compiendo l’ennesimo gesto avventato della nottata: scavalcò il cancelletto in legno e saltò dall’altra parte, intrufolandosi nel giardino della proprietà.

“Syd!” lo rimproverò Ginger a bassa voce, per evitare di fare troppo rumore; temeva che qualche vicino di casa (o gli stessi proprietari della villetta) notasse la loro presenza e decidesse di chiamare le autorità “ma cosa diavolo stai facendo? Torna subito qui! Non puoi entrare nella proprietà di un estraneo! Cosa ti passa per la testa?”

“Questa non è la proprietà di un estraneo! Ci abitano mia madre ed i miei fratelli. È casa mia”

“D’accordo, ma non puoi comunque entrare così, come un ladro, in piena notte”

“Devo solo prendere una cosa dalla rimessa”

“È così importante questa cosa?”

“Sì, è molto importante. Tu resta qui, non ti muovere, arrivo subito” rispose Syd; sparì dietro l’angolo destro della casa lasciando Ginger sola, sul marciapiede, a chiedersi che cosa potesse mai essere questa cosa così importante che doveva prendere a qualunque costo.

Lo scoprì una decina di secondi più tardi, quando vide Barrett ricomparire insieme ad un ingombrante oggetto che si portava appresso.

Per un istante, Ginger pensò di essere vittima di una allucinazione.

“Una bici?” chiese poi, scettica.

Syd annuì con vigore.

“Sì, una bici. Ci serve per raggiungere il posto in cui c’è lo spettacolo meraviglioso che ti ho promesso. Aiutami”.

Syd sollevò la bici, Ginger lo aiutò a sorreggerla ed insieme riuscirono a farla passare sopra il cancelletto senza che scivolasse e che si schiantasse contro il marciapiede; il ragazzo scavalcò di nuovo la bassa recinzione, salì in sella alla bici e, con un cenno della testa riccioluta, invitò l’amica a fare lo stesso.

La rossa, dopo un attimo di esitazione, prese posto alle spalle di Barrett.

“E adesso?”

“Adesso reggiti forte”

“Che vuoi fare?”

“Ti fidi di me?” le chiese di getto lui; le aveva già rivolto quella stessa domanda nel corso della notte trascorsa sopra il tetto di casa Anderson e, come in quella occasione, Ginger rispose senza esitare.

“Sono uscita di casa in piena notte di nascosto, ho preso un treno per Cambridge e ti ho appena aiutato a rubare una bici dalla casa di tua madre: pensi che avrei fatto tutte queste cose se non mi fidassi ciecamente di te, Syd Barrett?”.

Le labbra del ragazzo si dischiusero in un sorriso.

“Allora reggiti forte, perché stiamo per prendere il volo”.

C’era una piccola discesa in fondo alla via, e Syd lasciò che la bicicletta andasse al massimo.

Non provò neppure a stringere i freni per diminuire la velocità.

Ginger si ritrovò costretta ad aggrapparsi al ragazzo con tutta la forza che aveva in corpo: gli passò le braccia attorno ai fianchi magri e si strinse a lui, appoggiando la guancia sinistra contro la sua schiena; respirò a pieni polmoni il profumo della sua pelle, che aveva impregnato il lungo cappotto nero che indossava.

Le ricordò l’odore dell’erba appena tagliata.

I due ragazzi sfrecciarono tra le strade deserte di Cambridge, la bici ormai andava così veloce che Syd aveva tolto i piedi dai pedali, ed i capelli di Ginger sembravano una fiamma viva che si agitava attorno al suo viso.

La corsa folle della bicicletta s’interruppe nei pressi di un parco pubblico, poco fuori la città.

La ragazza scese col cuore in gola, le guance rosse e gli occhi lucidi a causa dell’adrenalina che aveva in corpo; la corsa era stata un’altalena di emozioni contrastanti per lei: la paura di schiantarsi e spezzarsi l’osso del collo si era trasformata in euforia, gioia ed esaltazione; ad un certo punto aveva perfino aperto gli occhi ed era rimasta senza fiato quando si era resa conto che le case, le strade, i lampioni e gli alberi si erano fusi in un paesaggio sfuocato fatto di luci, ombre e figure astratte.

Si era sentita viva.

“Tu sei la persona più pazza che io abbia mai conosciuto, Syd!” esclamò, ridendo come una bambina “lo sai quante volte abbiamo rischiato di finire contro un muretto? Io… Non ho parole. È stato meraviglioso”

“E quello che stai per vedere lo sarà mille volte di più”

“Che cosa stai facendo?” domandò Ginger, incuriosita, vedendo Syd togliersi le scarpe, i calzini e posarli vicino alla bicicletta, appoggiata al tronco di un albero “perché ti sei tolto le scarpe ed i calzini?”

“Mi godo di più il contatto con la natura. Non hai mai camminato a piedi nudi sull’erba?”

“No”

“No? Davvero? Dovresti rimediare questa notte stessa”

“E se qualcuno dovesse rubarci le scarpe?”

“Chi mai dovrebbe passare qui a quest’ora, oltre a noi due? E anche se così fosse, credi davvero che qualcuno preferirebbe rubare due paia di scarpe, tra cui una da ragazza, piuttosto che una bici?”

“Potrebbe essere un ladro piuttosto eccentrico” commentò Ginger con una risata divertita, ma alla fine decise di seguire lo strano e bizzarro consiglio di Barrett: si tolse a sua volta le scarpe ed i calzini, riponendoli affianco alla ruota anteriore della bicicletta.

Syd guidò Ginger lungo uno stretto sentiero costellato di alberi sempreverdi che si snodava all’interno del parco; quando arrivarono alla fine del sentiero, la giovane vide un bellissimo laghetto su cui si rispecchiavano la luna piena ed il cielo stellato.

Attorno a loro regnava il silenzio più assoluto, rotto solo dal verso di qualche grillo.

Barrett si avvicinò al canneto che sorgeva vicino alla sponda del lago, Mary Jane osservò incuriosita quello che stava facendo e si rese conto che stava tirando a sé una corda legata all’estremità anteriore di una piccola barca a remi; si avvicinò al giovane e gli chiese da dove sbucasse fuori quella barca e cosa voleva farci.

“È qui dacché ne ho memoria” spiegò lui, slacciando la corda e gettandola sull’erba “dobbiamo raggiungere il centro del laghetto per goderci meglio lo spettacolo”

“Sei in grado di usare una barca?”

“Sì, non è la prima volta che lo faccio. Sono venuto qui spesso insieme ai miei fratelli quando ero ragazzino. Qualche volta ci sono venuto anche con Rog per pescare. Sali, così posso spingerla in acqua”.

Ginger salì sulla piccola barca e si sedette su una trave orizzontale che fungeva da panca, Syd spinse l’imbarcazione in acqua, inzuppandosi i pantaloni quasi fino alle ginocchia, e poi salì a sua volta; s’impadronì dei remi di legno, adagiati sul fondo, ed iniziò a vogare, dimostrando che ciò che aveva raccontato era vero.

Ginger rimase piacevolmente sorpresa dalla sua bravura e si chiese quante altre doti pazzesche nascondesse quel ragazzo dai capelli ricci: era bellissimo, gentile, colto, un bravissimo chitarrista ed un altrettanto bravissimo cantante, scriveva canzoni stupende, amava l’arte… E sapeva pure usare una barca a remi.

Era davvero troppo per lei.

Syd ripose i remi sul fondo della barca quando raggiunsero il centro del laghetto e rivolse il viso verso il cielo; la rossa lo imitò e guardò meravigliata la luna piena che regnava nel cielo, circondata da una miriade di piccoli puntini luminosi.

Non una sola nuvola offuscava quello spettacolo magico ed indescrivibile.

“Bellissimo” sussurrò la ragazza estasiata “avevi proprio ragione, Syd. Questo spettacolo è così bello che vale ogni rischio”

“Hai mai letto Il Vento tra i Salici?”

“No, di che cosa parla?”

“Parla delle avventure di due amici, Topo e Talpa” sussurrò a sua volta il giovane, senza mai staccare lo sguardo dalla luna, Ginger abbassò gli occhi per osservare il profilo di Syd; le tornò in mente un vecchio quadro in cui era dipinto un giovane, di spalle, che fissava il mare agitato dall’alto di una scogliera, e pensò che l’amico (sempre se così poteva definirlo) era troppo bello per essere reale, troppo unico per appartenere al loro mondo “nel settimo capitolo, Topo e Talpa escono per fare un giro in barca durante la notte. A poco a poco che la luna s’innalza nel cielo, vedono che tutto attorno a loro cambia e si trasforma. Diventa tutto più vivo, più inebriante. Topo, addirittura, vive una allucinazione uditiva. All’improvviso sentono una melodia lontana, decidono di seguirla ed arrivano su un’isola dove incontrano il dio Pan che sta suonando il flauto… Quando giunge l’alba, Topo e Talpa si addormentano, ed al loro risveglio non ricordano più nulla dell’esperienza vissuta… Sai perché?”

“No, perché?”

Perché se mai le loro menti riuscissero a ricordare l’esperienza mistica vissuta, allora il resto delle loro vite sarebbe rovinato dalla consapevolezza di non poterla mai più rivivere. La perdita della memoria è un regalo che Pan decide di far loro”

“A volte penso che tu non appartenga a questo mondo, Syd. Non ho mai sentito nessuno parlare nel modo in cui parli tu. Sei speciale”


“Anche tu sei speciale, Ginger”.
La ragazza avvampò violentemente sotto lo sguardo di Syd che, nel frattempo, si era spostato dalle stelle al suo viso.

“Non credo affatto di essere così speciale”

“No, lo sei eccome, invece. Secondo te perché quando ci siamo incontrati la prima volta ti ho detto che dovrebbero disegnare te sulle scatole dei cioccolatini?”

“Pensavo fosse una classica frase da rimorchio”

“Tu credi nel destino?”

“Io non… Non lo so, non ci ho mai pensato”

“Beh, io sì. Credo nel destino, e credo anche che il nostro incontro era stato scritto già da tanto tempo. Quante persone avrei potuto incontrare quel giorno, mentre tornavo dal tabaccaio? Quante ragazze avrei potuto incrociare sul mio cammino? Eppure ho incontrato te. Quante probabilità avevo di lanciare quei sassi contro la finestra giusta? Eppure era proprio quella della tua camera. Quindi sì, io credo ciecamente nel destino” disse Barrett in tono fermo, con uno sguardo determinato; Ginger non riusciva a staccare gli occhi da quelli di lui, il labbro inferiore tremava violentemente “tu mi piaci, Ginger, mi piaci davvero tanto. Mi sento bene quando sto con te”.

Era rimasta pochissima distanza tra i visi dei due giovani.

Syd cancellò definitivamente quei pochi centimetri appoggiando le labbra su quelle di Ginger e muovendole piano; la ragazza, dopo un attimo di esitazione dovuto dalla sorpresa iniziale, rispose al bacio chiudendo gli occhi, e lasciò che lui si facesse strada nella sua bocca con la lingua.

Si baciarono a lungo, sotto la luce della luna, circondati dal silenzio e dal verso dei grilli.

Barrett si allontanò per primo; appoggiò la fronte contro quella della giovane e sorrise, accarezzandole il viso.

La luce nei suoi occhi non era mai stata così viva.

“Spero di non condividere lo stesso destino dei due protagonisti di quel libro” mormorò la rossa, mordendosi il labbro inferiore “perché non voglio dimenticare questo momento per nessuna ragione al mondo”.

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** Stairs (Parte Uno) ***


“Questi scalini sanno essere dei grandi bastardi quando meno te lo aspetti”.

“È meglio se ti reggi al corrimano mentre scendiamo: questi scalini possono rivelarsi dei grandi bastardi quando meno te lo aspetti. Fidati delle mie parole. Due anni fa Nick si è quasi slogato una caviglia”.

Ginger scoprì a proprie spese quanto potevano essere veramente bastardi gli scalini che portavano al seminterrato (trasformato in una sala prove) due giorni dopo la magica notte trascorsa insieme a Syd quando, sovrappensiero, scese la scalinata di fretta e senza reggersi al corrimano; non vide lo strato di muffa che ricopriva il penultimo scalino e perse l’equilibrio nel momento stesso in cui vi posò la pianta del piede destro.

Mulinò le braccia nel tentativo di trovare un appiglio sicuro, ma ormai era troppo tardi: cadde rovinosamente a terra insieme alla cartellina ed alla borsa che aveva con sé e lanciò un grido di dolore nell’istante in cui colpì il pavimento; provò ad alzarsi dopo aver ripreso fiato, ma non appena appoggiò a terra il piede destro venne colta alla sprovvista da una nuova ondata di dolore che le strappò un secondo urlo e le riempì gli occhi di lacrime.

Una figura alta e magra, richiamata dal trambusto, arrivò in suo soccorso dal piano superiore.

Roger si fermò a metà scalinata e lanciò un’occhiata interdetta alla giovane ancora semi sdraiata in modo scomposto sul pavimento.

“Cosa ci fai lì?”

“Secondo te? Non vedi che sono caduta dalle scale?”

“Come hai fatto?”

“Credo di essere scivolata su qualcosa di viscido”

“Non te l’ha detto nessuno di fare attenzione a questi scalini? A volte…”

“Sanno essere dei grandi bastardi. Sì, lo so. Me lo sono ricordata nel momento stesso in cui non ho più sentito il terreno sotto i miei piedi”

“La prossima volta cerca di ricordartelo prima di cadere” commentò Roger, ricevendo come risposta un’occhiataccia da parte di Ginger “perché non ti alzi?”

“Perché credo di avere qualcosa di rotto”

“Stai scherzando?”

“Ti sembra che stia scherzando?” ribatté la giovane a denti stretti “credi che mi diverta a stare sdraiata su questo pavimento sudicio? Potresti scendere e darmi una mano anziché stare lì, impalato a fissarmi, non credi?”.

Roger roteò gli occhi azzurri, scese le scale evitando con cura lo scalino che aveva giocato un brutto scherzo a Ginger e si avvicinò alla ragazza, inginocchiandosi a suo fianco.

Anche da accovacciato la sovrastava con la sua altezza.

“Dove ti fa male?”

“Il piede destro. Temo di essermi slogata la caviglia nella caduta” mormorò la rossa con uno sguardo preoccupato; i suoi timori trovarono conferma quando Waters le tolse la scarpa ed il calzino destri, facendo attenzione a non compiere alcun movimento brusco: la caviglia aveva iniziato a gonfiarsi, ed era già il doppio di quella sinistra.

Bastò che Roger sfiorasse il gonfiore con l’indice destro perché il volto di Ginger diventasse pallido e sudato dal dolore; la vista le si offuscò a causa di un velo di lacrime e si morse con forza il labbro inferiore per non lasciarsi scappare un altro urlo.

Non voleva farsi vedere debole ed in lacrime.

Non davanti ad un soggetto come lui, o l’avrebbe sbeffeggiata a vita, ogni volta che si sarebbe presentata l’occasione giusta.

“Sì, è proprio rotta. Perché non ti sei aggrappata al corrimano? Lo sai che è stato inventato apposta per evitare incidenti simili?”

“Vuoi andare avanti tutto il giorno ad insultarmi, oppure vuoi deciderti a fare qualcosa per aiutarmi?”

“Riesci ad alzarti?”

“Non riesco neppure ad appoggiare il piede per terra, secondo te riesco ad alzarmi e camminare? Ho una caviglia slogata e se non facciamo subito qualcosa, ben presto diventerà delle stesse dimensioni di un dirigibile!” Ginger sgranò gli occhi scuri “che cosa stai facendo?”

“Se non puoi camminare, non mi resta altro che prenderti in braccio… O preferisci rimanere ancora per un po’ sdraiata su questo pavimento, in attesa che qualcun altro venga a soccorrerti? Perché se è questo ciò che desideri, è sufficiente che tu me lo dica, altrimenti ti accompagno in ospedale: queste sono le uniche due opzioni che hai a tua disposizione. Scegli” disse il giovane, guardandola negli occhi.

La ragazza non ribatté e si lasciò prendere in braccio da Roger perché non aveva altra scelta.



 
Ginger emise un profondo sospiro, si lasciò andare contro lo schienale del sedile ed incrociò le braccia sotto il seno; attese ancora una manciata di secondi e poi abbassò il finestrino anteriore sinistro.

“Allora?” domandò in direzione del cofano sollevato e del fumo grigio che proveniva dal motore.

“Niente da fare. Credo che sia proprio andata” rispose Roger, scuotendo la testa ed abbassando il cofano.

Ginger spalancò gli occhi.

Quella notizia proprio non ci voleva.

“Andata? Che vuol dire andata?”

“Vuol dire che il motore è fuso e la macchina non può ripartire. Puoi urlare, imprecare o prendere a pugni il volante per tutto il tempo che vuoi, ma non si metterà in moto comunque”

“E cosa facciamo? Chiamiamo aiuto? Cerchiamo una cabina telefonica e chiediamo a qualcuno che ci venga a prendere e che ci accompagni in ospedale?” domandò la ragazza “hai sentito quello che ho detto, o mi stai apertamente ignorando?”

“È impossibile non sentire la tua voce acuta. Sì, ti ho sentita, ma sto pensando ad una soluzione” Waters appoggiò le mani sui fianchi magri e guardò in direzione della strada; Ginger, invece, fissò il ragazzo con uno sguardo ostile: non lo aveva ancora ripagato dell’offesa gratuita alla sua voce solo perché aveva una caviglia gonfia e dolorante che le impediva di stare in piedi e camminare “l’ospedale non è così lontano dal punto in cui ci troviamo ora. Quindici, venti minuti al massimo a piedi e lo raggiungiamo”

“Credo che tu abbia dimenticato un piccolo particolare: io non riesco a camminare”

“Lo so che non puoi camminare” sbuffò il ragazzo, irritato “aggrappati alla mia schiena”

“Che cosa?”

“Non riesco a portarti in braccio fino all’ospedale, è troppa strada. Ma se ti aggrappi alla mia schiena sarà più semplice per entrambi. Ohh, ovviamente sono aperto ad altri suggerimenti. Sentiamo, che cosa hai intenzione di fare?”

“Te l’ho detto: cerchiamo una cabina telefonica e chiamiamo qualcuno” ripeté la giovane;  Waters guardò prima l’orologio che portava al polso sinistro e poi contò le poche monete che aveva nelle tasche dei pantaloni.

“Posso fare solo una chiamata con questi spiccioli, quindi abbiamo un unico tentativo a nostra disposizione: dobbiamo chiamare qualcuno che sappiamo per certo essere a casa a quest’ora”


“Possiamo provare con Rick”

“No, non hai proprio capito quello che ho detto: non possiamo provare, dobbiamo andare a colpo sicuro. A casa tua non c’è nessuno?”

Mommi è in negozio fino a sera e Jennifer… Beh… Potrebbe essere a casa, come in biblioteca o da qualche altra parte insieme ai suoi amici. Non ci metterei la mano sul fuoco”

“Non conosci a memoria il numero di telefono del negozio?”

“Sì, però c’è sempre la possibilità che mommi sia impegnata con una cliente e non possa rispondere” disse Ginger, per poi aggiungere “ma un tentativo lo possiamo fare. Magari siamo fortunati”.

Sulle labbra di Roger apparve un sorriso ironico.

“Quindi, in poche parole, mi stai dicendo che io dovrei fare chissà quanta strada a piedi alla ricerca di una cabina telefonica per chiamare una persona che molto probabilmente non risponderà, per poi tornare indietro a mani vuote, quando abbiamo l’ospedale ad una ventina di minuti di distanza da noi?” il sorriso scomparve dalle labbra carnose del ragazzo, che tornò ad essere serio e corrucciato “non se ne parla nemmeno. Aggrappati alla mia schiena se vuoi davvero tornare a camminare, oppure resta qui insieme agli spiccioli e cercala tu una cabina. Voglio proprio vedere come riuscirai a raggiungerne una, visto che non sei in grado di appoggiare a terra il piede destro”

“Strisciando… O saltellando sul piede sinistro” disse in tono piccato la rossa, per nulla intenzionata a cedere.

Roger inarcò il sopracciglio destro e sulle sue labbra riapparve il sorriso ironico di poco prima.

“Molto bene!” esclamò “allora le nostre strade si separano qui”

“Che vuoi dire?”

“Semplice. Me ne vado”

“Tu non stai parlando sul serio” mormorò la giovane in tono di sfida; il suo sguardo cambiò completamente quando vide Roger voltarle le spalle ed incamminarsi lungo il marciapiede “non stai parlando sul serio! Dove stai andando? Waters? Waters! Roger! Roger! Non puoi lasciarmi qui!”.

Lui non l’ascoltò, proseguì per la propria strada accendendosi una sigaretta e scomparve in fondo alla via, dopo aver svoltato a sinistra; Ginger guardò a lungo il punto in cui il bassista era sparito, convinta di vederlo ricomparire e tornare indietro da un momento all’altro, ma ben presto si rese conto che ciò non sarebbe accaduto.

Roger non sarebbe tornato indietro.

L’aveva davvero abbandonata dentro una macchina in panne, con una caviglia rotta, gonfia e pulsante.

Quel grandissimo bastardo l’aveva lasciata a sé stessa.

La ragazza lanciò un urlo di rabbia e tempestò il volante di pugni, per sfogare la frustrazione, immaginandosi che fosse la faccia (o, meglio ancora, le parti basse) del cupo, antipatico e scontroso bassista che non si era fatto problemi a scaricarla senza tanti complimenti; lanciò un secondo urlo, più acuto, e sussultò quando sentì una fitta di dolore sul dorso della mano destra.

Vide una sottile striscia rossa apparire sulla pelle rosea, ed una piccola goccia di sangue scivolò verso il polso.

Vaffanculo” imprecò a denti stretti, ormai al limite dell’esasperazione, e frugò all’interno della borsa per cercare un fazzoletto; quando lo trovò, lo premette con forza sul taglio per bloccare il minuscolo flusso emorragico e guardò in direzione della strada: ora che non poteva più contare sull’aiuto di Roger, doveva fare affidamento solo sulla propria forza di volontà.

Doveva solo trovare una cabina telefonica, chiedere aiuto a mommi od a Rick e quella brutta storia si sarebbe conclusa nel giro di poche ore.

Nulla di così complicato.

Nulla di così impossibile.

Peccato solo per un piccolo particolare: la caviglia destra che continuava a pulsare.

Ginger abbassò uno sguardo per valutare le condizioni del suo povero piede, distorse la bocca quando vide che il gonfiore si era fatto ancora più evidente e poi guardò il marciapiede: c’erano un basso muretto ed una recinzione metallica che delimitavano la proprietà privata di una casetta, poteva aggrapparsi alle sbarre e procedere saltellando sul piede sinistro, e quando sarebbe arrivata alla fine della recinzione si sarebbe appoggiata al muro di un edificio e così via… E così via… Finché non sarebbe arrivata all’ingresso del pronto soccorso.

A quel punto, qualcuno di competente si sarebbe preso cura di lei e le avrebbe ingessato la sua povera caviglia martoriata.

La ragazza valutò la distanza dalla portiera della macchina al muretto dell’abitazione: si trattava di pochi metri, doveva solo trovare il modo e la forza di alzarsi dal sedile, uscire dalla vettura e raggiungere le sbarre di metallo.

Da lì in poi tutto sarebbe stato meno complicato.

Doveva fare un piccolo sforzo.

Solo un piccolo sforzo iniziale.

Spalancò la portiera, prese un profondo respiro, appoggiò il piede sinistro sul marciapiede e provò ad alzarsi lentamente, evitando qualunque movimento brusco; avvertì una terribile scossa di dolore nel momento stesso in cui provò a sollevarsi dal sedile, la testa iniziò a girare vorticosamente e perse l’equilibrio cadendo in avanti.

Ginger tentò, disperatamente, di aggrapparsi alla maniglia della portiera, ma non ci riuscì, proprio come non era riuscita ad afferrare il corrimano, e finì sul marciapiede, sbattendo il fianco destro contro l’asfalto, ritrovandosi senza fiato e con gli occhi colmi di lacrime.

La caviglia, ora, pulsava con più intensità.

La ragazza non aveva neppure il coraggio di girarsi a controllarla, per paura di quello che avrebbe potuto vedere.

Nel suo campo visivo apparve un paio di scarpe da ginnastica maschili.

Sollevò il viso e vide un ragazzo alto e magrissimo che la stava fissando con uno sguardo scettico e con le mani appoggiate sui fianchi.

“Allora” disse Roger, togliendosi la sigaretta dalle labbra “sei ancora sicura di voler raggiungere quella maledetta cabina telefonica strisciando come un verme?”.
 
 

Ritorna all'indice


Capitolo 9
*** Stairs (Parte Due) ***


Ginger passò le braccia attorno al collo di Roger, le gambe attorno ai suoi fianchi magri e stretti, e si strinse a lui con tutta la forza che aveva in corpo; quando sentì le dita lunghe, affusolate e piene di anelli di metallo del bassista sotto le cosce, s’irrigidì istintivamente e scalciò col piede sinistro, ancora provvisto di calzino e scarpa.

“Non toccarmi il culo” ringhiò a denti stretti, serrando la mano destra attorno ad una ciocca di capelli castani “o giuro che ti strappo i capelli uno ad uno”

“Non ho alcuna intenzione di toccarti il culo, credimi” ribatté stizzito il ragazzo “ma in qualche modo devo sorreggerti, altrimenti finirai per scivolare dopo appena due passi. Ora: o molli i miei capelli o io mollo te, e posso assicurarti che non sto scherzando”.

Ginger era certa che Roger non stesse affatto scherzando e che quella fosse una vera minaccia, e così si ritrovò costretta a mollare la presa sulla ciocca di capelli ed a stringere quella attorno al collo, per non rischiare di cadere per la terza volta e procurarsi qualche frattura in più: aveva già una caviglia slogata e diverse escoriazioni su tutto il corpo, non ci teneva a finire la giornata con un polso rotto, con una frattura scomposta o con un paio di costole incrinate.

Roger s’incamminò in completo silenzio in direzione dell’ospedale, con Ginger altrettanto muta incollata alla sua schiena; alcuni passanti si voltarono a guardarli incuriositi o sconcertati.

 La giovane vide una signora anziana scuotere la testa con una smorfia sdegnosa impressa sulle labbra dipinte di rosso, e si chiese come dovevano apparire agli occhi della gente attorno a loro: un ragazzo alto, magrissimo, con un viso dai tratti equini che portava sulla schiena una ragazza scompigliata, con il viso pieno di graffi, con una caviglia visibilmente gonfia e dolorante ed un piede sprovvisto di calzino e scarpa.

Probabilmente la signora anziana aveva scosso la testa perché li aveva scambiati per due tossicodipendenti strafatti, e la giovane si ritrovò a pensare che, in effetti, davano proprio l’impressione di esserlo.

Ma solo perché tutti quegli sconosciuti non conoscevano i retroscena dell’orribile giornata che aveva avuto e che stava ancora avendo.

Certo, i quattro ragazzi non erano degli stinchi di santo.

Nelle settimane trascorse in loro compagnia, Ginger aveva visto girare qualche canna, ma dopotutto chi non la fumava a volte? O chi (ad eccezione di lei) non aveva mai provato a fare almeno un tiro di spinello?

Ma tutto iniziava e finiva lì, con un po’ di erba per rilassare e distendere il sistema nervoso.

Tutte le altre schifezze non facevano parte del loro mondo.

Una volta raggiunto l’ospedale, ed aver parlato per qualche minuto con la ragazza della reception, a Ginger e Roger non rimase altro da fare che occupare due sedie della sala d’attesa e sperare che il loro turno arrivasse il prima possibile.

“Devo avvisare mommi” disse la ragazza, voltandosi a guardare Roger, seduto alla sua sinistra “o finirà per preoccuparsi. Le avevo detto che sarei rientrata nel pomeriggio, e se non dovesse trovarmi a casa quando tornerà dal negozio… Non voglio neppure pensare a come reagirà”

“Ed io ti ripeto, per l’ennesima volta, che ho pochi spiccioli con me e non voglio sprecarli per una chiamata che potrebbe andare a vuoto”

“Lo sai che sei proprio un essere impossibile? La tua unica preoccupazione sono quei maledetti spiccioli che hai con te? Possibile che tu non riesca proprio a pensare ad altro? Non mi hai chiesto come sto, non mi hai chiesto se mi fa male da qualche altra parte, non mi hai chiesto se ho bisogno di tenere la gamba sollevata per alleviare il gonfiore e non mi hai neppure chiesto se ho bisogno di bere dell’acqua fresca! Non mi hai chiesto niente di tutto ciò perché la tua unica preoccupazione sono quei fottuti spiccioli che bastano per una fottuta chiamata

“In verità, la mia più grande preoccupazione ruota attorno all’esibizione ed all’intervista che abbiamo questa sera” rispose, risentito, Waters “perché proprio oggi Syd ha deciso di andare a Cambridge a passare qualche ora con la sua famiglia e perché proprio oggi tu hai deciso di scendere quelle maledette scale senza appoggiarti al corrimano, nonostante tutti noi abbiamo ripetuto più e più volte quanto possano essere bastardi quegli scalini a causa della muffa. L’ultima volta che Syd è stato a Cambridge ha perso la cognizione del tempo insieme all’ultimo treno per Londra e, conoscendolo, ci sono tutti i presupposti perché accada ancora, mentre noi due siamo bloccati nella sala d’attesa di un maledetto ospedale e non sappiamo tra quanto arriverà il nostro turno… E gli spiccioli mi servono per mettere benzina nel serbatoio del furgoncino, altrimenti rischia di lasciarci davvero a piedi questa sera. Ecco perché sono così riluttante a spenderli per una chiamata che potrebbe andare a vuoto”

“E tu credi davvero che io abbia fatto apposta a cadere da quelle scale solo per fare un dispetto a te? O che mi diverta ad avere una caviglia rotta e gonfia? Stai insinuando questo?”

“No, sto solo dicendo che l’esibizione e l’intervista che dobbiamo fare questa sera sono importantissime perché appariremo in TV, e non possiamo permetterci disguidi dell’ultimo minuto perché occasioni come questa non capitano con tanta facilità. Io ci sto mettendo l’anima in questo progetto, non voglio vederlo sfumare per sempre per colpa di una fottuta caviglia slogata o di un fottuto treno perso. Non lo accetto. E ora…” il giovane si alzò, prese un pacchetto di sigarette dalla giacca e se ne portò una da accendere alle labbra “vado fuori a prendere una boccata d’aria. Ho bisogno di fare un paio di tiri”

“Se continui a fumare così tanto, ti ritroverai i polmoni distrutti molto prima di compiere trent’anni” disse ad alta voce Ginger, per essere sentita dal giovane che si stava allontanando; lui ignorò l’avvertimento e, quando scomparve al di là della porta d’ingresso del pronto soccorso, la ragazza scosse la testa e si lasciò andare ad un commento tutt’altro che lusinghiero nei confronti del bassista “idiota del cazzo”.

Se prima provava dell’antipatia nei confronti di Roger, ora, dopo la disavventura che loro malgrado erano costretti a condividere, quel sentimento si era trasformato in vero e proprio odio.

Non capiva perché doveva essere così freddo, così acido e così stronzo nei suoi confronti.

Sì, aveva ragione quando diceva che avrebbe dovuto fare più attenzione a scendere le scale e che era stata messa in guardia più volte nei confronti degli scalini scivolosi… Ma no, non aveva fatto apposta a cadere rovinosamente a terra e ferirsi al piede destro.

E non ci teneva a rovinare un’occasione così importante per il gruppo.

Era la prima a desiderare che Rick, Syd, Nick e perfino Roger riuscissero a farsi strada nel panorama della musica inglese, raggiungendo traguardi sempre più alti; erano bravi, erano innovativi e si spingevano laddove nessuno prima d’ora aveva mai osato arrivare.

Sperimentavano musica nuova, totalmente rivoluzionaria.

Ogni esibizione dal vivo era uno spettacolo unico, perché variava sempre dalla precedente, perché i quattro ragazzi amavano improvvisare accorciando o allungando i pezzi che facevano parte del loro repertorio personale.

Erano riusciti a firmare un contratto con la EMI, avevano in progetto il loro primo disco da pubblicare per l’estate.

Quindi sì, meritavano di arrivare al successo ed ormai era a portata di mano: potevano quasi sfiorarlo con la punta delle dita.

Non se lo sarebbe mai perdonata se quel sogno fosse stato infranto per causa sua, no.

Però, maledizione, non aveva fatto apposta a perdere l’equilibrio su quel maledetto scalino!

Roger avrebbe dovuto capire che si era trattato di un incidente, di una fatalità che si era verificata nel momento peggiore; invece, anziché mostrarsi comprensivo, dispiaciuto ed ottimista, non aveva perso un solo secondo di tempo per puntarle il dito contro e per inferire, rigirando il coltello nella piaga.

Il diretto interessato rientrò in sala d’attesa dopo aver fumato quattro Marlboro, una dietro l’altra, consumandole in poche boccate; prima di tornare da Ginger, però, si fermò al distributore di acqua e riempì due bicchieri di plastica.

“Ti ho portato questo” disse sedendosi di nuovo alla sinistra della giovane, porgendole un bicchiere “hai sete?”.

Ginger accettò l’offerta, ma rivolse a Waters una smorfia di disgusto.

“Puzzi terribilmente di fumo” commentò, spostandosi di qualche centimetro verso la sedia vuota alla sua destra “comunque… Grazie”

“Questa è la prima parola gentile che ti sento dire nell’arco della giornata”

“Io, invece, non ne ho ancora sentita una uscire dalla tua bocca”

“Dimentichi la parte in cui ti ho soccorsa, quella in cui ti ho portata sulla mia schiena fino all’ospedale e quella in cui ti ho offerto un bicchiere d’acqua? Tralasciando il fatto che sono ancora qui con te, in attesa che arrivi il tuo turno?”

“Tu hai uno strano concetto di gentilezza” la giovane mandò giù un sorso d’acqua per rinfrescarsi la gola, guardò il bassista e richiamò la sua attenzione chiamandolo per nome “Roger?”.

Roger si girò verso Ginger.

Gli occhi azzurri, nascosti in parte dalla lunga frangia, la fissavano in attesa che parlasse.

La rossa pensò ancora una volta che quelle iridi chiare erano l’unica bellezza che il bassista possedeva, e che avrebbe dovuto fare qualcosa per valorizzarle, anziché segregarle dietro una tendina di capelli castani e ondulati.

“Devi dirmi qualcosa?” chiese infine lui, iniziando a spazientirsi per il lungo silenzio.

Ginger decise di parlare prima di avere un ripensamento dell’ultimo secondo.

“Credo di doverti delle scuse”

“Credi di dovermi delle scuse per il modo orribile in cui mi hai trattato, dopo che io ti ho offerto il mio aiuto?”

“No, non sto parlando di oggi. Mi sto riferendo alla sera in cui vi siete fermati a casa mia” la ragazza si morse il labbro inferiore; non era più sicura che fosse una buona idea rivangare quell’episodio, ma ormai era troppo tardi per tirarsi indietro “ti chiedo scusa per la mia battuta fuori luogo. Syd mi ha spiegato quello che è successo a tuo padre e… Mi dispiace tantissimo. Se lo avessi saputo prima, non avrei mai detto nulla di simile, e se… E se posso darti un consiglio, a volte fa bene parlare di qualcosa che ci fa ancora male, anche a tanto tempo di distanza. È meglio sfogare il dolore, piuttosto che soffocarlo dentro di sé”.

Roger non rispose.

Abbassò il viso e gli occhi scomparvero definitivamente dietro la frangia.

Iniziò a giocherellare con uno dei tanti anelli che indossava, ostinandosi a non rivolgere la parola a Ginger e lei si chiese se, forse, non aveva osato troppo a parlare di quell’argomento ed a dare un consiglio così intimo ad una persona con cui non aveva nessun tipo di rapporto, tantomeno un’amicizia.

“Syd ti ha detto questo” mormorò dopo qualche minuto, sollevando di nuovo il viso, scostando i ciuffi di capelli dagli occhi “e quando avete parlato tu e Syd?”

“Un po’. Quella sera. Mi ha aiutata a sparecchiare la tavola mentre voi dormivate in salotto”

“E cosa ci facevi oggi nel nostro condominio?”

“Volevo mostrarvi alcune foto che ho sviluppato”

“Ma oggi non dovevamo fare nessuna prova nel seminterrato” osservò il bassista, socchiudendo gli occhi “posso vedere le foto?”.

Ginger distorse le labbra in una smorfia: le parole di Roger apparivano più simili ad un ordine malcelato che ad una richiesta; appoggiò la mano destra sulla cartellina che aveva portato con sé da casa e l’allontanò dalla portata del giovane.

“No, non ora”

“Perché? Se sono foto del gruppo, ho tutto il diritto di vederle”

“Ho detto non ora” la ragazza provò ad allontanare la cartellina ancora di più, ma fu tutto inutile: Waters riuscì ad impadronirsene allungando il braccio sinistro con uno scatto fulmineo, approfittandone della caviglia rotta che impediva la maggior parte dei movimenti a Ginger.

L’aprì ed iniziò a sfogliare rapidamente le numerose foto: tutte ritraevano solo Syd, e la maggior parte lo ritraevano in contesti ben lontani dalle esibizioni in giro per i locali inglesi o all’UFO club.

Erano scatti rubati, che la giovane aveva fatto nel corso dei lunghissimi e numerosi viaggi da un locale all’altro: in alcune foto Syd stava fumando una sigaretta, in altre era impegnato ad accordare la chitarra, in altre ancora rideva per una battuta di Nick dentro il loro furgoncino sgangherato; in una, addirittura, stava mangiando delle patatine dal famoso cartoccio che a volte compravano e dividevano in cinque.

“Ecco perché ero contrario alla proposta di Rick: una ragazza che lavora per un gruppo porta sempre scompiglio. Sapevo che prima o poi sarebbe accaduto qualcosa di simile”

“Non stiamo facendo nulla di male” provò a difendersi Ginger, ma Roger, ancora una volta, ignorò apertamente le sue parole.

“Sai perché Syd si è trasferito da Cambridge a Londra? Desiderava cambiare scuola, ma voleva anche dimenticare una storia d’amore finita da poco. Stava con una ragazza di nome Libby, la loro relazione ha avuto molti alti e bassi, e molti tradimenti. Syd ha sofferto molto per suo padre e ha sofferto molto per quella ragazza… Non voglio che accada ancora”

“Io non ho alcuna intenzione di farlo soffrire”

“Tu non immagini neppure quanto lui sia fragile”.

La giovane era pronta a ribattere a tono, ma una infermiera glielo impedì chiamando il suo nome e cognome perché era finalmente arrivato il suo turno di essere visitata.



 
Roger accompagnò Ginger a casa, l’aiutò a sedersi sul divanetto a dondolo posizionato sotto il portico, a destra della porta d’ingresso, e poi se ne andò senza dire una sola parola; nel momento in cui arrivò in fondo al marciapiede e girò l’angolo a sinistra, dalla parte opposta apparve Jennifer, di ritorno da un altro pomeriggio trascorso in biblioteca con i suoi migliori amici.

La ragazzina entrò dal cancelletto, salì i scalini del portico… E sgranò gli occhi verdi alla vista della caviglia ingessata della sorella maggiore.

“Che cosa ti è successo?” domandò incredula; Ginger prese un profondo respiro, riassunse brevemente la giornata da incubo che per fortuna si era lasciata alle spalle e Jennifer si girò in direzione della strada “è già andato via l’amico di Rick?”

“Sì, grazie al cielo”

“Cavolo!”

“Non ti sei persa assolutamente nulla” ribatté la rossa in tono scontroso “assolutamente nulla. Ti auguro di non avere mai nulla a che fare con una persona simile in tutta la tua vita”

“Però non è giusto” borbottò Jennifer con lo sguardo corrucciato ancora rivolto verso la strada “mi piacerebbe tanto conoscere gli amici di Rick. Se non riesco neppure ad incontrarli, come farò un giorno a dire che conosco degli artisti famosi?”.



 
L’ardente desiderio di Jennifer venne in parte realizzato appena qualche ora più tardi, quando Syd si presentò per una rapida visita a Ginger prima di recarsi agli studi della BBC per l’esibizione e l’intervista.

Jen rimase incantata dinanzi alla bellezza fisica di Syd e, come tante altre ragazze, avvertì il desiderio di toccare con mano i soffici ricci neri che gl’incorniciavano il viso.
A Barrett non sfuggì il modo intenso con cui la più piccola lo stava fissando, e le rivolse un sorriso gentile.

“Tu devi essere Jennifer, vero? Ginger mi ha parlato di te”

“Posso toccarti i capelli?”

“Jennifer!” esclamò Pamela, socchiudendo le labbra “ma ti sembrano domande da fare?”

“Ma, mommi!” protestò vivamente la ragazzina “non ho detto nulla di offensivo, gli ho solo rivolto un complimento! Ha dei capelli bellissimi, e mi piacerebbe…”

“Jennifer, non dire stupidaggini ed accompagna Syd al piano di sopra da Ginger, per favore”.

Jen sbuffò, lanciò un’occhiata al soffitto e poi guidò Barrett al piano superiore dell’abitazione.

“Se vuoi puoi farlo” sussurrò lui, quando si fermarono davanti alla porta della stanza che le due sorelle condividevano.

“Che cosa?”

“Beh, toccarmi i capelli”.

Lo sguardo della più piccola s’illuminò speranzoso.

“Posso davvero? Le mie parole non ti hanno offeso?”

“No, anzi. Sono state buffe e divertenti”.

Jennifer allungò la mano destra: toccò un riccio nero, lo tirò leggermente e poi lo lasciò andare, facendogli riassumere la sua forma originaria; distese le labbra in un enorme sorriso carico di allegria, perché la sua bizzarra richiesta era stata soddisfatta.

“Sono davvero morbidissimi” commentò poi, prima di socchiudere la porta ed infilare la testa nella stanza “Ginger, c’è una visita a sorpresa per te”.

Ginger distolse gli occhi dal libro che aveva in mano e rivolse un’espressione perplessa alla sorella minore.

“Chi è venuto?” chiese, pensando subito a Rick; arrossì vistosamente quando il viso di Jennifer scomparve e venne sostituito da quello sorridente di Syd, che entrò nella camera da letto.

Non si vedevano dalla notte del pic-nic in mezzo al lago e del bacio che ne era seguito.

“Vi lascio da soli, ma per qualunque cosa non esitate a chiamarmi!” esclamò Jennifer, richiudendo la porta.

Il giovane scoppiò a ridere divertito ed indicò la porta chiusa col pollice destro.

“Tua sorella è proprio simpatica” commentò, avvicinandosi al letto e sedendosi sul bordo “sai che cosa mi ha chiesto poco fa? Se poteva toccarmi i capelli”

“Te lo ha chiesto davvero?”

“Sì… Buffo, vero?”

“Terribilmente fuori luogo più che altro” disse Ginger, con le labbra ridotte ad una linea sottile e contrariata “perdonala… Purtroppo, molte volte Jennifer non si rende conto di essere troppo invadente ed inopportuna”

“Non mi ha dato fastidio. È stata una richiesta divertente”

“Che cosa ci fai qui? Sbaglio o vi aspetta una serata piuttosto impegnativa?”

“Sì, ma quando Rog mi ha chiamato per raccontarmi quello che ti era successo, ho preso al volo il primo treno per Londra e sono tornato qui”

“Te ne sei andato prima dalla tua famiglia per… Per venire da me?”

“Sì”.

Il rossore sulle guance della giovane si fece più intenso; non era abituata a sentirsi dire parole simili, neppure ai tempi della sua prima ed unica storia importante si era mai sentita così speciale per qualcuno.

Così amata.

“Non era necessario, Syd”

“Perché?”

“Perché eri con la tua famiglia e… E non c’è nulla di più importante della propria famiglia”

“Anche tu sei importante per me. Sei la persona che mi fa stare bene, Ginger. Se tu stai bene, anche io sto bene. Se tu stai male…” il giovane si bloccò per sfiorare con delicatezza il gesso che avvolgeva la caviglia destra della ragazza “anche io sto male. Per quanto tempo devi portare il gesso?”

“Tre settimane. Questo significa che dovrò appendere la macchinetta fotografica al chiodo per un po’… E tutto per colpa di quel maledetto scalino! Ahh, ma adesso ho imparato la lezione. La caviglia rotta e l’orribile giornata trascorsa insieme a Roger sono state una punizione più che sufficiente”

“Rog mi ha accennato qualcosa riguardo un motore guasto ed una lunga camminata per raggiungere l’ospedale e per tornare a casa” commentò Barrett senza riuscire a trattenere una risata divertita; questa volta, però, il suo buonumore non contagiò Ginger, che rispose con un’espressione imbronciata.

“Non so quanto rideresti se ti fossi ritrovato nei miei panni. Quel ragazzo è un essere impossibile. Io non ho mai incontrato una persona più arrogante, strafottente e maleducata di lui. Ha continuato ad infierire per tutto il tempo perché ho sceso le scale di fretta, senza aggrapparmi al corrimano, capisci? Non gl’importava nulla delle mie condizioni fisiche, la sua unica preoccupazione era l’intervista” si sfogò la giovane, stringendo le mani a pugno “ma come fai ad essere suo amico? Siete l’uno l’opposto dell’altro”

“Rog non è così sgradevole quando impari a conoscerlo bene. È solo… Particolare

Particolare è diventato un nuovo sinonimo per dire stronzo?”.

Syd ridacchiò ancora prima di prendere le difese del suo amico più caro.

“Ti posso assicurare che anche lui ha molte qualità positive”

“Allora fa di tutto per tenerle ben nascoste”

“Beh… Se fosse così stronzo, non ti avrebbe accompagnata in ospedale, non credi?”

“Dobbiamo per forza parlare di Roger? Ne ho avuto abbastanza di lui per oggi” commentò Ginger con un sorriso tirato “sei pronto per la serata che ti aspetta? Tra quanto devi andare?”

“In verità… Dovrei andarmene proprio ora, ma penso che resterò qui in tua compagnia ancora per qualche minuto”

“Syd, non voglio che arrivi in ritardo per colpa mia. Questa occasione è troppo importante per tutti voi” le proteste di Ginger vennero messe a tacere da un bacio tanto inaspettato quanto agognato: Barrett avvicinò il viso a quello della ragazza dai capelli rossi, e lei chiuse gli occhi e si lasciò andare, concentrandosi sulla morbidezza di quelle labbra piene, sempre gentili.

Si allontanò da esse a malincuore e con un sospiro, ripetendo al ragazzo che doveva andare.

“Mi guarderai?”

“Certo che ti guarderò. Guarderò tutti voi. Non me lo potrei perdere per nulla al mondo”

“Se mi vedrai guardare dritto nella telecamera, sappi che quello sguardo sarà rivolto a te soltanto” sussurrò il giovane, posando un bacio casto sulla guancia destra di Ginger.



 
Jennifer spalancò gli occhi e la bocca in un’espressione ferita, delusa e sconvolta.

“Ma… Ma…” balbettò sconcertata, facendo saettare lo sguardo da Pamela a Ginger e viceversa “credevo che avrei guardato anch’io l’esibizione e l’intervista!”

“Devi andare a scuola domani”

“Almeno cinque minuti”

“No, Jennifer”

“Per favore, mommi, per favore! Ti prometto che domani mattina mi alzerò subito, senza protestare e senza fare capricci, ma lasciami guardare almeno cinque minuti! Voglio vedere suonare il ragazzo di Ginger e gli altri amici di Rick!”

“Syd non è il mio ragazzo” precisò immediatamente Ginger, ma le sue guance rosse raccontavano un’altra storia “e adesso và a letto, Jen, altrimenti domani non ti sveglia neppure un’esplosione”.

Jennifer non era intenzionata ad arrendersi senza aver fatto almeno un ultimo tentativo: lanciò uno sguardo supplicante alla madre adottiva e ripeté per la seconda volta, sforzandosi di assumere un tono ancora più convincente, che la mattina seguente si sarebbe svegliata subito e senza fiatare; Pamela, però, non si lasciò intenerire e, dopo aver scosso la lunga chioma bionda, impartì di nuovo alla figlia minore l’ordine di andare subito in camera ad infilarsi sotto le coperte del letto.

La ragazzina mise il broncio e salì al piano di sopra controvoglia; sfogò la rabbia e la frustrazione appallottolando i vestiti e lanciandoli con forza contro una sedia, anziché piegarli ed appoggiarli lì con cura, indossò una camicia da notte bianca a pallini rosa e si sdraiò sul proprio letto, con gli occhi verdi rivolti al soffitto.

Pamela entrò in camera mezz’ora più tardi e la trovò ancora in quella posizione, con le braccia incrociate all’altezza del petto e lo sguardo corrucciato rivolto al soffitto bianco; quando la donna chiuse la porta alle proprie spalle, la ragazzina le rivolse un’occhiata in tralice.

“Non è giusto” protestò vivamente “non vi ho chiesto di rimanere alzata fino a tarda notte, ma di guardare almeno cinque minuti della trasmissione. Perché non posso?”

“Non prendertela, Jen”

“Sì che me la prendo, invece. Quando Rick ed i suoi amici diventeranno famosi e conosciuti, e tutte le ragazze sbaveranno per loro, come posso vantarmi di conoscerli e far rodere d’invidia Mary se non riesco a vederli e scambiare due parole  con loro?”

“Conosci Richard da quando eri in fasce”

“Sì, ma io voglio conoscere anche gli altri”

“Questa sera hai incontrato Syd, quindi, se ci pensi bene, ne mancano solo due all’appello”

“E come sono gli altri due ragazzi? Me li potresti descrivere?”

“Te ne parlerò domani e ti prometto che Ginger prima o poi te li farà conoscere, ma adesso chiudi gli occhi e dormi, perché al tuo risveglio ti aspetta un’altra lunga ed impegnativa giornata scolastica”

“Non immagini neppure quanto” sospirò la ragazzina.

Pamela interpretò quella risposta come una resa, ma non lo era affatto.

Perché se c’era un tratto caratteriale che Ginger e Jennifer avevano in comune, era la testardaggine.

Jen aspettò qualche minuto e poi sgusciò fuori dal letto.

Uscì dalla camera, percorse il piccolo corridoio che portava alle scale ed iniziò a scenderle facendo attenzione a non far scricchiolare gli scalini, esattamente come aveva fatto Ginger poco tempo prima, quando era uscita di nascosto in compagnia di Syd per trascorrere la notte a Cambridge; attraversò il soggiorno in punta di piedi e sbirciò dentro la cucina, restando semi nascosta dietro un muro, da cui proveniva una luce soffusa e delle voci maschili.

Pamela e Ginger erano sedute davanti al tavolo e le davano le spalle perché avevano il viso rivolto verso il piccolo schermo della TV posizionata in cima al frigorifero; Jennifer guardò a sua volta lo schermo acceso: purtroppo l’esibizione canora del gruppo si era appena conclusa, ma in compenso l’intervista era iniziata da pochi secondi ed a parlare era proprio Syd.

La ragazzina l’osservò rispondere in modo composto alla domanda dell’intervistatore che, in modo tutt’altro che indiretto e gentile, li accusava di fare rumore anziché musica; pensò che era bello, intelligente e che lui e Ginger erano davvero una bella coppia.

Guardò per un attimo il profilo della sorella maggiore e la vide sorridere in un modo che non aveva mai visto prima d’ora.

Dunque era quella l’espressione di una persona innamorata?

Gli occhi di Jen si concentrarono nuovamente sullo schermo che trasmetteva immagini in bianco e nero: la telecamera si spostò da Syd all’intervistatore, che pose un’altra domanda, e poi inquadrò il viso magro e lungo di un ragazzo poco più grande, dai capelli castani.

Jennifer socchiuse le labbra e trattenne il fiato con un piccolo singulto.

Tutto attorno a lei scomparve, ad eccezione dello schermo della TV e del viso del ragazzo sconosciuto, che stava ancora rispondendo in tono sicuro, ma saccente.
La sua mente venne attraversata dallo stesso pensiero che aveva avuto Ginger il giorno in cui aveva conosciuto Syd nel vicolo cieco.

Non aveva mai visto niente di più bello in tutta la sua vita.

Ritorna all'indice


Capitolo 10
*** Alexandra Palace (Parte Uno) ***


1967, 30 aprile.

 
‘Cara Ginger,
L’Olanda è un posto magnifico, mi dispiace solo non avere tempo per visitarla un po’.
Qui siamo sempre di fretta. Non abbiamo un solo attimo di respiro. Non abbiamo un solo istante per riposare e fermarci. Non possiamo fermarci. Il ritmo è lo stesso di Londra: le esibizioni si accavallano l’una all’altra e noi siamo costretti a spostarci da una parte all’altra del Paese dentro il nostro sgangherato furgoncino straripante di strumenti, come pupazzi dentro una scatola troppo piccola ed affollata per contenerli tutti. Abbiamo così tanti impegni che non capisco più quando una giornata finisce e ne inizia una nuova.
Mi sembra di essere sempre all’interno della stessa dilatata all’infinito, fino allo spasmo.
 
Ti scrivo questa lettera in uno dei rarissimi attimi di respiro che abbiamo a nostra disposizione, nella camera di un albergo. Roger, Rick e Nick stanno dormendo da un pezzo, ormai. Sono crollati tutti e tre non appena hanno posato la testa sul cuscino.
Io no.
Non riesco a dormire. Ecco perché sono qui a scrivere questa lettera per te.
Davanti a me c’è una finestra che dà su un bellissimo campo di tulipani rossi. Sono della stessa sfumatura dei tuoi capelli.
Mi manchi, Ginger, e mi manchi ancora di più ogni volta che sollevo gli occhi e vedo il campo di tulipani. Spero che tu e la tua caviglia stiate bene.
Spero di tornare presto per rivederti.
Mi mancate, tu, le tue foto ed il laghetto a Cambridge.
Dobbiamo tornarci una notte, ma prima dobbiamo venire qui in Olanda a fare un giro in bici tra i campi di tulipani colorati. Solo tu ed io. Te lo prometto.
 
A presto, con amore,
Tuo,
 
Rog’.

 
La breve lettera terminava con un piccolo autoritratto di Syd: il ragazzo si era disegnato chino su un piccolo tavolino, intento a scrivere la lettera, davanti alla finestra che si affacciava sul bellissimo campo di tulipani rossi.

Affianco alla propria caricatura aveva tracciato una freccia ed aveva scritto un piccolo appunto : ‘questo dovrei essere io. Sono orrendo. Non riesco mai a disegnarmi in modo decente!’.

Ginger ripiegò la lettera con cura, come se fosse una reliquia sacra, e Jennifer, seduta sul bordo del letto, emise un profondo sospiro.

“È bellissima” commentò la più piccola con aria sognante “vorrei tanto ricevere anch’io una lettera simile”

“Sì, è davvero bellissima” concordò Ginger, riponendo la lettera nella scatolina in cui conservava tutte le altre: Syd non perdeva mai occasione per scriverle delle lettere bellissime, piene di frasi dolci e disegni che riempivano gli spazi vuoti; l’espressione seria della ragazza attirò l’attenzione della sorella minore.

“Qualcosa non va? Non sei contenta di quello che hai letto?”

“Sì, sono contenta…”

“Ma…?”

“Ma, nulla. Non c’è alcun ‘ma’” tagliò corto la rossa, mettendo la scatolina dentro un cassetto del comodino “spegni la luce, ora, è tardi. Dobbiamo dormire”.

Non era vero.

In realtà, c’era molto più di un semplice ma che turbava la mente e la tranquillità della ragazza: Syd si comportava come un ragazzo innamorato, le rivolgeva sempre parole dolci, c’erano stati due baci e durante le sue assenze le scriveva sempre delle bellissime missive, maMa non era mai stato chiaro riguardo il loro legame.

Che cos’era la loro? Una frequentazione? Una relazione? Erano una coppia a tutti gli effetti, oppure dovevano vivere ogni cosa alla giornata, senza pensare al futuro, con la speranza che tutto durasse il più a lungo possibile?

Barrett non si era mai sbilanciato su quell’argomento e Ginger aveva preferito fare altrettanto per non rovinare il momento magico che stava vivendo; teneva ogni cosa dentro di sé e molto spesso si ritrovava a fare i conti con i propri dubbi e le proprie paure durante la notte: si sdraiava sotto le coperte e si girava e rigirava nella vana speranza di prendere sonno, e nel frattempo la sua mente continuava a lavorare frenetica ed a partorire i pensieri più assurdi ed estremi.

Per colpa della caviglia slogata, Ginger aveva sviluppato un vero e proprio terrore nei confronti dei lunghi viaggi che i quattro giovani dovevano affrontare quasi ogni settimana, ed il motivo era semplicissimo: Syd era un ragazzo bellissimo, e le ragazze se lo mangiavano con gli occhi.

Lei per prima aveva visto come lo guardavano mentre era sopra al palco a suonare: i suoi occhi avevano catturato sguardi inequivocabili che non si soffermavano solo sul suo viso, e le sue orecchie avevano sentito commenti irripetibili, che lasciavano ben poco spazio all’immaginazione.

Che cosa faceva esattamente adesso in Olanda? Che cosa faceva dopo le esibizioni? Come trascorreva le serate? E le giornate? In quante ragazze lo aspettavano dietro il palco? Quante, finora, ci avevano provato spudoratamente con lui?

E quante erano riuscite a persuaderlo?

Ginger si girò per l’ennesima volta emettendo uno sbuffo; scosse la testa, serrò con forza le palpebre e si ripeté mentalmente che doveva smetterla di fare quegli assurdi pensieri, perché non l’avrebbero portata da nessuna parte.

Le avrebbero solo fatto perdere il sonno e la lucidità.



 
“Ginger! Ginger!”.

Un colpo alla finestra.

“Ginger, apri!”

“Starà dormendo, dai! Chi vuoi che sia sveglio a quest’ora!”

“Ginger!”.

Un altro colpo alla finestra.

Un altro ancora, più forte.

Cazzo, ma vuoi rompere il vetro? Guarda che se ci vede qualcuno…”

“Lasciate perdere tutto, siamo in ritardo, dobbiamo partire subito!”

“No, sono sicuro che risponderà. Ginger! Ginger!”.

La giovane, dopo aver capito che le voci non appartenevano all’eco di un sogno fin troppo reale, sgusciò fuori dal letto, si avvicinò alla finestra e la spalancò prima che rimanesse vittima di un altro sasso; guardò in basso verso il giardino e vide due figure col viso rivolto verso l’alto: una apparteneva a Syd, l’altra a Nick.

Poco lontano, vicino al marciapiede, era parcheggiato il loro sgangherato furgoncino nero.

“Voi siete completamente pazzi! Ma si può sapere che ore sono? Che cosa ci fate qui? Non dovreste essere in Olanda?”

“Siamo appena tornati e… Sono le tre e mezza”

“Le tre e mezza?”

“Sì, e tra mezz’ora dobbiamo esibirci all’ Alexandra Palace

“E cosa diavolo ci fate qui? Perché non siete già lì se tra mezz’ora dovete salire sopra il palco?”

“Perché devi venire anche tu”.

Ginger rivolse un’espressione allibita a Syd.

“Non posso venire!” esclamò, facendo attenzione a non alzare troppo la voce “ti sei dimenticato che ho ancora la caviglia ingessata?”

“Non m’importa assolutamente nulla di quella caviglia: tu devi venire con noi”

“Vi farò perdere solo tempo”

“Devi esserci”

“Ragazzi, vi prego, decidete in fretta perché il tempo non è dalla nostra parte” intervenne Nick spostando nervosamente il peso del corpo da un piede all’altro; come a rimarcare il concetto espresso dal giovane, qualcuno all’interno del furgone suonò brevemente il clacson per richiamare l’attenzione di Nick e Syd.

Ginger non faticò ad immaginare chi fosse quella persona.

“Mi dispiace, ma questa volta proprio non posso. Anche se volessi, ci metterei un’eternità solo a scendere al piano di sotto ed a raggiungervi sul furgone per colpa delle stampelle”

“A questo piccolo inconveniente ci posso pensare io”

“Che intendi dire, Syd?” chiese Ginger, ed il ragazzo, in tutta risposta, iniziò ad arrampicarsi sulla facciata della casa reggendosi al tubo della grondaia; a nulla servirono le proteste della giovane, gli avvertimenti di Mason e gli schiamazzi dal furgone: Barrett continuò ad arrampicarsi aggrappato al tubo della grondaia, ed una volta raggiunta la finestra, posò i piedi sul davanzale ed entrò in camera con un piccolo salto.

La giovane lo guardò come se fosse un marziano e gli disse, ancora una volta ed a bassa voce, che era un pazzo.

“Amo arrampicarmi sugli alberi. Non è stato poi così diverso”

“Avresti potuto scivolare e farti molto, molto, molto male, Syd. Promettimi di non farlo mai più”

“Te lo prometto, ma in cambio devi venire via con noi. Cambiati e raggiungiamo gli altri in furgone, o questa volta rischiamo davvero di arrivare terribilmente in ritardo e… Potrebbe essere un problema non indifferente”

“Non posso venire”

“Sì che puoi”

“Con questa caviglia…”

“Io sono riuscito ad arrampicarmi a mani nude sulla facciata di questa casa per entrare in questa camera, quindi tu puoi venire con noi all’Alexandra Palace con una caviglia ingessata”.

Davanti all’insistenza di Syd, a Ginger non rimase altro che arrendersi, anche perché più tempo restavano in camera a discutere e più aumentavano le probabilità che Jennifer venisse svegliata dal trambusto; chiese a Barrett di uscire per qualche istante dalla stanza perché doveva cambiarsi e lo richiamò dentro quando fu presentabile.
Il giovane la prese galantemente in braccio e la portò al pianoterra facendo attenzione a non farla cadere ed a non svegliare Jennifer e Pamela.

Fuori, dentro al furgone, Rick, Nick e Roger li stavano aspettando con trepidazione sempre più crescente; non appena i due giovani salirono, Waters schiacciò il pedale dell’acceleratore perché il tempo a loro disposizione si era ridotto drasticamente.

Ginger rischiò di urtare l’imponente (ed ingombrante) gong a causa della brusca partenza, ma Syd impedì il violento impatto stringendo a sé la giovane; Nick non notò nulla, in compenso il gesto non sfuggì agli occhi di Rick e Roger.

La giovane incrociò lo sguardo del bassista attraverso lo specchietto retrovisore: le iridi chiare di Waters incontrarono per qualche secondo quelle scure di Ginger, prima di focalizzarsi di nuovo sulla strada.

A Nick era completamente sfuggito quel rapido contatto intimo perché aveva impattato contro una parete del furgone.

“Cristo, Rog!” gridò irritato, massaggiandosi la spalla destra “devi per forza guidare come un pazzo?”

“Ha parlato quello che pensa di essere in pista ogni volta che afferra un volante” commentò piccato il bassista “e poi, sono costretto a guidare in questo modo se vuoi che abbiamo qualche possibilità di arrivare in tempo per l’esibizione”

“Vuole deliberatamente farci ammazzare tutti, e poi ha pure il coraggio di dire che sono io ad avere una guida spericolata!” esclamò Nick, sconvolto, per poi rivolgersi a Ginger “lo sai che cosa ha fatto una volta? È passato sopra una rotatoria”

“Te l’ho già spiegato un miliardo di volte come è andata quella volta: i freni facevano i capricci, ed io non mi fidavo a…”

“Balle! Ti stai arrampicando sugli specchi!”

“Mi sto arrampicando sugli specchi? È questo che pensi? Allora la prossima volta che i freni avranno dei problemi ci penserai tu a guidare questo stracazzo di furgoncino, va bene? Voglio proprio vedere come farai quando saremo nei pressi di una rotatoria!”

“Ragazzi, vi prego…” li supplicò Richard con un singhiozzo, massaggiandosi le tempie “mi state facendo scoppiare la testa”

“Sono sempre così?” sussurrò Ginger a Syd, accompagnando la domanda con uno sguardo sconcertato; lui rispose con una bassa risata, per non farsi sentire.

“In Olanda sono stati anche peggio di così”

“Come è stato il viaggio?”

“Bello, ma sarebbe stato ancora più bello se ci fossi stata tu” Syd abbassò ulteriormente il tono di voce “ti sono arrivate le mie lettere?”

“Sì, tutte quante. Ma devi spiegarmi una cosa: perché nelle lettere ti firmi Rog?”

“Lettere? Syd ti ha mandato delle lettere?” chiese Mason, incuriosito, interrompendo bruscamente la discussione animata tra lui e Roger; la giovane si maledisse per non aver parlato di più a bassa voce e pensò ad una risposta convincente che allontanasse ogni possibile sospetto.

“Certo che lo ha fatto. Qualcuno doveva pur tenermi aggiornata sui vostri guai. Ma non capisco perché Syd si firma Rog e glielo stavo giusto chiedendo ora”

“Non lo sai?” chiese il batterista, sorvolando sull’argomento lettere e soffermandosi, invece, su quello firma “non ti ha mai detto che Syd non è il suo vero nome?”

“Davvero?” domandò a sua volta la giovane sorpresa, e Barrett annuì.

“Mi chiamo Roger Keith” spiegò, passandosi la mano sinistra tra i ricci neri “nel locale in cui a volte suonavo, prima di unirmi a loro, c’era già un ragazzo che si chiamava Roger Barrett e così, per distinguerci, mi hanno soprannominato Syd

“E non è l’unico” continuò Mason, indicando Waters “neppure Roger si chiama così: il suo vero nome è George

George Roger” precisò il bassista, stringendo le labbra, e Nick proseguì con la spiegazione.

“Sì, non gli piace il suo nome di battesimo e quindi si fa chiamare col suo secondo nome. Non trovi estremamente buffo e contorto il fatto che Syd in realtà si chiama Roger mentre Roger in realtà si chiama George?”

“Nick si chiama Nicholas Berkeley” intervenne Roger; Nick spalancò la bocca, offeso e incredulo.

“Ohh, mio dio, non posso credere che tu lo abbia detto sul serio!”

“Ho solo fatto il tuo stesso gioco”

“Non è assolutamente vero!”

“Ohh, andiamo, stiamo parlando di un fottuto nome”

“Per te è facile parlare. Tu non hai Berkeley come secondo nome! Berkeley! Ma che razza di nome è? Che cosa avevano in mente i miei genitori quella volta?”

“Pensa a quali erano le alternative se alla fine hanno optato per Berkeley

Vaffanculo, Rog, lo sai che sei proprio stronzo?”

“A questo punto anche io devo svelarvi un piccolo segreto” disse Ginger, bloccando sul nascere la seconda discussione animata ed evitando che la testa di Rick scoppiasse per davvero “il mio vero nome è Mary Jane”.

La giovane sorrise dinanzi alle buffe espressioni sorprese di Nick e Syd; quella di Roger non riusciva a vederla perché era concentrato a guardare la strada.

“Davvero ti chiami Mary Jane?” domandò il batterista, sollevando le sopracciglia.

“Sì, ma mommi mi ha soprannominata Ginger perché secondo lei si addice di più al mio carattere ed al colore dei miei capelli”

“Perché non ce lo hai mai detto?” Mason si voltò di scatto a guardare Wright e lo bombardò con altre domande simili, dando inizio alla terza discussione nel giro di pochi minuti.

“Il fuso orario li ha proprio fusi” sussurrò Syd divertito, costringendo la ragazza a coprirsi in fretta la bocca con la mano destra per non scoppiare a ridere davanti a tutti “comunque sono d’accordissimo con il ragionamento di Pamela: il nome Mary Jane non dice assolutamente nulla. Ginger sembra essere stato creato apposta per te”.



 
La sala dell’Alexandra Palace era gremita di gente in attesa dell’esibizione dei quattro ragazzi.

Ginger se ne stava infondo, seminascosta da una colonna, per evitare di essere involontariamente spinta da qualcuno ed aggravare le condizioni della caviglia in fase di guarigione e perché, anche se con sé aveva le stampelle, aveva bisogno di un ulteriore sostegno a cui appoggiarsi; e dal momento che tutti i posti a sedere erano già occupati, la colonna di marmo era stata la sua unica alternativa.

Aveva portato con sé anche la macchina fotografica per scattare un paio di foto ai ragazzi.

Quando li vide salire sul palco, avvicinò la macchina fotografica all’occhio destro, chiuse il sinistro e focalizzò l’obiettivo su Syd, in piedi al centro del grande palco, pronta a scattare.

Il Caso, il Fato, il Destino o una semplice coincidenza volle che l’esibizione dei quattro giovani coincidesse con l’alba e che sulle pareti ai lati e dietro di loro fossero posizionate delle enormi vetrate.

La luce fece tutto il resto.

I raggi di sole trapassarono i vetri e colpirono gli specchietti rotondi che Syd aveva applicato tempo prima sulla superficie della sua Fender Esquire, facendo risplendere lo strumento di luce propria.

Tra il pubblico si levarono numerose esclamazioni di sorpresa e meraviglia, e Ginger, ad occhi sgranati, abbassò lentamente la macchinetta fotografica, estasiata.
Era inutile provare ad immortalare un simile spettacolo, perché un simile spettacolo non poteva essere imprigionato su un banale foglio di cellulosa.

E là, appoggiata ad una colonna, con gli occhi sgranati, con un’espressione estasiata stampata sul volto e con la macchinetta ancora stretta tra le mani, Ginger finalmente trovò la risposta alla domanda che si era posta tante volte da quando la sua vita aveva incrociato quella di Syd.

Sì, un essere così straordinario non poteva provenire dalla Terra.

Ritorna all'indice


Capitolo 11
*** You're My Light ***


Doveva tornare a casa.

Doveva tornare a casa, assolutamente.

Mancavano pochi minuti allo scoccare delle sette, e la sveglia di Pamela era impostata per le sette e mezza.

Questa volta, se non faceva in fretta, la sua assenza rischiava davvero di essere notata.

Ginger doveva assolutamente tornare a casa, ed invece si ritrovò nello spartano appartamento di Syd; sotto di lei c’era il materasso vecchio e cigolante e sopra di lei c’era il corpo del giovane.

Le loro labbra erano unite in un bacio urgente ed appassionato, e l’aria era carica dei loro respiri spezzati.

Syd si allontanò per riprendere fiato; tremava a causa dell’adrenalina che l’esibizione gli aveva lasciato addosso, ed aveva gli occhi lucidi.

I capelli neri ricadevano scompigliati sul suo bellissimo viso.

Ginger sentì la sua durezza premerle contro il basso ventre, proprio in mezzo alle cosce, ed avvertì un brivido caldo, di piacere, perché sapeva ciò che stava per accadere.

Ecco perché non voleva tornare a casa ed era pronta ad andare incontro, a braccia aperte, ad una severa punizione.

“Vuoi…?” chiese lui, in un sussurro, lasciando la domanda in sospeso; lei distese le labbra in un sorriso ed annuì.

“Voglio terminare questa notte unica in un modo altrettanto unico. Solo…”

“Solo? Cosa? Cosa ti rende così titubante? La caviglia?” Syd esitò “oppure… Oppure questa è la tua prima volta?”

“No, si tratta di un’altra faccenda, legata ad un’esperienza passata”

“Qualcuno ti ha spezzato il cuore?” chiese, allora, Syd dando prova ancora una volta della sensibilità che lo differenziava dalla maggior parte dei ragazzi della sua età; secondo Ginger era perfino più maturo di Roger, che aveva tre anni in più.

“A scuola c’era un ragazzo che mi piaceva molto, ed io credevo di piacere a lui. Sono stata così stupida ed ingenua da credere a tutte le cazzate che mi raccontava, anziché ascoltare le parole di mommi. Alla fine se l’è svignata dopo aver ottenuto ciò che bramava, lasciandomi con l’amaro in bocca e… Beh, sì… Con il cuore spezzato” spiegò brevemente la ragazza, senza soffermarsi in ulteriori dettagli, perché non le piaceva rinvangare quella parte del suo passato “non voglio passare ancora una volta tutto questo. Quella notte al lago mi hai detto che ti piaccio e lo stesso vale per me: anche tu mi piaci, Syd, mi piaci veramente tanto, ma ho paura di soffrire ancora in quel modo. Non voglio ritrovarmi di nuovo con il cuore a pezzi”

“Mi dispiace per quello che ti ha fatto passare quel ragazzo. Purtroppo non ho il potere di cambiare il passato, Ginger, ma ti posso assicurare che non accadrà di nuovo. Non con me”

“Lo so” sussurrò la giovane, con la voce rotta dall’emozione, tremando vistosamente “ma dovevo comunque sentirmelo dire”.

Syd sorrise con dolcezza, chinò il viso e baciò di nuovo Ginger sulle labbra, facendosi strada nella sua bocca con la lingua; lei gli accarezzò i capelli, scese lentamente con le mani sulle guance, sul collo e poi si soffermò sul petto.

Sentì sotto i polpastrelli delle dita il cuore di Barrett battere all’impazzata.

Iniziò a sbottonargli la camicia di velluto verde, gliela sfilò e riservò lo stesso trattamento ai pantaloni che il giovane indossava; si prese qualche istante per osservare Syd: con solo i boxer neri addosso, se possibile, era ancora più bello.

Bello da mozzare il fiato.

La rossa glielo sussurrò con gli occhi lucidi, e lui, in risposta, le asciugò le lacrime che le rigavano silenziosamente le guance.

“Non voglio vederti piangere”

“Non sono lacrime di tristezza”

“Beh, non voglio vederti piangere comunque”

“Eri bellissimo su quel palco, Syd. Eri un dio. Risplendevi di luce propria”

Tu sei la mia luce”.

Ginger non riuscì più a trattenere un singhiozzo carico di emozione ed attirò Syd a sé, avvolgendogli le gambe attorno ai fianchi, facendogli intuire l’urgente bisogno di fondersi al più presto in un unico corpo; lui l’accontentò, rivelandosi un amante altrettanto gentile e premuroso: le tolse la maglietta, la gonna e le sfilò la biancheria intima rosa con delicatezza, senza farla arrossire dall’imbarazzo o dalla vergogna.

Le entrò dentro altrettanto delicatamente, facendo attenzione alla caviglia ingessata ed a non farle troppo male; la rossa serrò comunque le palpebre d’istinto e si morse il labbro inferiore: quella non era la sua prima volta, ma era trascorso parecchio tempo dall’ultima.

Fu tutta questione di un attimo, però.

Il dolore fisico scivolò via con la stessa rapidità con cui era sorto, sostituito da ondate di piacere che arrivavano in sincronia con le spinte del giovane.

Ginger chiuse gli occhi, gettò la testa all’indietro e si lasciò travolgere completamente dalle ondate di piacere che partivano dal suo basso ventre ed arrivavano a diffondersi su tutto il corpo; la preoccupazione di tornare a casa il prima possibile per non essere scoperta era svanita completamente, ora desiderava restare in quel piccolo appartamento a fare l’amore con Syd per sempre.

Voleva restare con lui sotto le coperte, abbracciati, a sorridersi a vicenda, a baciarsi, illuminati da un fioco raggio di sole per l’eternità.

Voleva cristallizzare quel momento.

Provò un vago moto di tristezza quando raggiunse l’orgasmo, perché quando gli ultimi echi di piacere fisico si spensero, si rese conto che quel momento bellissimo e magico era già finito, era già un ricordo che apparteneva al passato, ed ora doveva fare di nuovo i conti con la realtà di tutti i giorni.

Allungò la mano destra ed accarezzò i ricci di Syd, che era crollato esausto affianco a lei; delle gocce di sudore si erano formate sul suo petto lucido e glabro, che si alzava ed abbassava rapidamente mentre cercava di riprendere fiato.

Non appena sentì il tocco delicato della mano di Ginger, Barrett socchiuse gli occhi verdi e la fissò con intensità.

“Forse è troppo presto” mormorò con un sorriso “ma credo proprio di essermi innamorato di te”

“Credo anch’io di essere innamorata” sussurrò la giovane, sorridendo a sua volta.

Con quelle premesse, il futuro non poteva che essere luminoso e splendente come gli occhi di Syd.

Ritorna all'indice


Capitolo 12
*** Falling ***


1967, giugno.
 
Tanto rapida è l’ascesa, quanto più rovinosa è la caduta.

Con l’esibizione all’Alexandra Palace, Roger Keith ‘Syd’ Barrett aveva raggiunto l’apice, toccando le stelle e l’intero firmamento dell’universo con la punta delle dita.

Ora, non poteva fare altro che cadere.

Nessuno della band fece caso alle sue stravaganze in un primo momento, perché Syd era sempre stato strano e particolare fin da piccolo.

I comportamenti veramente preoccupanti arrivarono con l’inizio dell’estate, proprio quando si stavano affermando, a poca distanza dall’uscita del loro primo disco.

Syd si rifiutava di cantare.

Syd si rifiutava di suonare.

Syd si rifiutava di seguire le direttive che giungevano dalla sala registrazioni.

Syd si rifiutava di mimare le canzoni in playback quando erano ospiti di una trasmissione in TV.

Syd si rifiutava di esibirsi; e quando suonavano in un locale, lui trascorreva tutto il tempo seduto in un angolo, vicino un amplificatore, a scordare la bellissima Fender Esquire od a pizzicare in continuazione la stessa corda.

Nessuno riusciva a capire cosa stava succedendo, a partire dai suoi compagni di band.

Nessuno si sforzava minimamente di capire che dietro c’era altro di più grave, di più profondo, che andava ben al di là di una semplice bizzarria caratteriale.

L’unica cosa certa era che Syd non era più Syd.

Ed i suoi occhi verdi, splendenti di luce propria, in grado di ammaliare chiunque, si erano trasformati in due buchi neri nel cielo.
 

Ritorna all'indice


Capitolo 13
*** Alexandra Palace (Parte Due) ***


1967, 29 luglio.


 
“No, no, no. Questa situazione non mi piace per niente” Nick scosse con vigore la testa e lasciò ricadere la tendina che separava il dietro le quinte dal palco; erano le cinque di mattina, e di lì a pochi minuti i quattro ragazzi sarebbero saliti di nuovo sul palco dell’Alexandra Palace per una nuova esibizione “il pubblico mi sembra abbastanza nervoso e poco incline ad ascoltare altra musica. Qua finisce come quella volta in Scozia, quando Rog si è beccato un penny dritto in fronte ed io ho trovato una macchia di sangue vicino allo sgabello della batteria”

“Magari cambieranno idea quando inizieremo a suonare” commentò Rick, cercando di non lasciarsi andare allo sconforto ed al malumore “l’altra volta è andata bene”

“Sì, ma l’altra volta abbiamo suonato. Come pensi che andrà oggi?” ribatté Nick “come è andata l’esibizione di poche ore fa? Quanti boccali di birra siamo stati costretti a schivare mentre scappavamo dal palco?”

“Andrà tutto bene, ne sono sicura” Ginger fece eco alle parole del suo migliore amico, ma l’espressione preoccupata che aveva impressa sul volto era tutto fuorché rassicurante; Mason rispose con una smorfia, e Roger continuò a fumare una sigaretta in silenzio e con uno sguardo pensieroso fisso in un punto lontano.

Ginger cercò con gli occhi il supporto di Rick e lui rispose con un sorriso stanco.

Erano tutti stanchi e stressati, e preoccupati perché non avevano la più pallida idea di come sarebbe andata l’esibizione; da quando le stranezze del loro leader erano diventate ingestibili ed imprevedibili, ogni spettacolo equivaleva ad un orribile salto nel vuoto: a volte andava bene, a volte riportavano qualche ferita superficiale, ma la maggior parte delle volte si sfracellavano a terra spezzandosi quasi tutte le ossa.

“Ormai tocca a noi” mormorò Nick con uno sguardo ansioso negli occhi verdi; si guardò attorno preoccupato “dov’è Syd?”

“Credo sia di là. Vado a chiamarlo” disse Ginger allontanandosi dal gruppetto di ragazzi; attraversò un piccolo corridoio, bussò alla porta di una saletta che fungeva da camerino e socchiuse la porta “Syd? Syd, sei qui? È arrivato il vostro momento, dovete salire sul palco”.

Barrett stava guardando la TV, seduto su una poltroncina e con una sigaretta stretta tra le dita della mano sinistra.

Non ottenendo alcuna risposta, la giovane si avvicinò e chiamò il ragazzo per nome una seconda volta, e di nuovo non ottenne nulla: gli occhi spenti di Syd non si staccavano dallo schermo in bianco e nero della televisione, o da qualcos’altro di più lontano, che nessuno al di fuori di lui era in grado di vedere; Ginger provò a scuoterlo per una spalla, a chiamarlo ancora e poi, spaventata, uscì correndo dalla stanza per chiedere aiuto alla persona che più detestava al mondo, ma che era anche la più vicina a Syd.

“Roger!” strillò la rossa con voce soffocata; lui sollevò subito la testa, richiamato dal tono allarmato “Roger, devi venire immediatamente con me. Credo che Syd non stia affatto bene”

“Che gli è successo?” domandò Waters, spegnendo il mozzicone di sigaretta sotto la scarpa destra.

“Non lo so… Non riesco proprio a capire, è… Lui… Devi vederlo con i tuoi occhi”

“Dov’è?”

“Vieni”

“Dobbiamo venire anche noi?” chiese Nick, sempre più allarmato.

“No, sono sicuro che risolveremo tutto in pochi secondi. Voi pensate a prendere un po’ di tempo. Inventatevi una scusa convincente” Roger seguì Ginger nella saletta e finalmente vide con i propri occhi ciò che la ragazza non era riuscita a descrivergli a parole: Syd era ancora seduto sulla poltrona a fissare un punto lontano, nella stessa identica posizione di poco prima; sembrava essere caduto in uno stato di coma vegetativo ad occhi spalancati “ohh, porca puttana. Porca puttana. Porca puttana”.

Waters si precipitò affianco a Barrett, vide la sigaretta che ormai era arrivata a bruciacchiargli un piccolo lembo di pelle dell’indice e del medio e gliela strappò di mano; Ginger si avvicinò a sua volta e non riuscì più a trattenere un singhiozzo disperato, perché non aveva mai visto nulla di simile prima d’ora.

“L’ho trovato così. Ho provato a chiamarlo più volte, ma non risponde. Non sapevo cosa fare e sono venuta da te” spiegò con voce rotta dal pianto.

Roger afferrò il volto di Syd, ed iniziò a scuoterlo e schiaffeggiarlo piano, nella vana speranza di ottenere una reazione.

“Syd? Ehi, Syd? Syd Barrett? Roger Keith Barrett, mi senti?” continuò a ripetere, cercando un contatto visivo in quelle iridi spente “c’è nessuno qui? Fa un cenno se riesci a sentirmi… C’è nessuno in casa? Syd? Syd!”

“Vedi? Non risponde! Non risponde, cazzo! Che cosa dobbiamo fare?”

“Prima di tutto smettila di urlare, perché non sei di alcun aiuto”

“Come posso smetterla di urlare? Ma hai visto in che condizioni è? Non risponde neppure!”

“Ragazzi, che cosa sta succedendo?” chiese Richard, entrando nella stanza insieme a Nick “ci stanno aspettando sopra al palco per l’esibizione, dobbiamo salire ora!”

“Non sappiamo che cosa abbia Syd!” rispose Ginger, piangendo disperata ed impaurita “non risponde alle nostre domande e continua a fissare lo schermo di quella maledetta TV. Roger lo ha perfino schiaffeggiato e lui è rimasto impassibile. È come se neppure ci sentisse”.

Wright e Mason si precipitarono a loro volta vicino alla poltrona, ed anche loro, come Ginger e Waters, provarono a risvegliare Syd dallo strano torpore in cui era sceso; Nick gli passò perfino un fiammifero acceso davanti agli occhi, e le pupille non subirono alcuna variazione davanti alla fonte di luce, rimanendo due piccoli puntini neri.
Merda” sussurrò il batterista, aveva la fronte completamente imperlata di sudore “come possiamo salire sul palco con lui in queste condizioni?”

“Voi non potete assolutamente salire sul palco!” si oppose fermamente la ragazza “bisogna chiamare subito un’ambulanza. Ha bisogno di essere portato al più presto in ospedale”

“No, non se ne parla” si oppose a sua volta Roger, alzandosi “Rick, aiutami a sorreggerlo. Noi adesso saliamo su quel palco a suonare”

“Stai scherzando? Dimmi che stai scherzando!” strillò la giovane; scoprì immediatamente che il bassista non stava affatto scherzando: insieme a Wright riuscì a tirare su Barrett dalla poltrona, si passò il suo braccio destro attorno alle spalle e Rick fece altrettanto con quello sinistro; la testa di Syd ricadde a ciondoloni in avanti, costringendo i due ragazzi a reggerlo di peso “non puoi parlare sul serio! Non puoi essere così stupido ed irresponsabile! Syd non può salire sul palco così! Non sta neppure in piedi, come farà a suonare e cantare?”

“Non possiamo tirarci indietro all’ultimo secondo o sarà la fine per noi. Cosa scriveranno i giornali?” ringhiò Waters, per poi rivolgersi a Syd “forza, cerca di fare uno sforzo. Avanti, è ora di andare

“Rick!” Ginger rivolse uno sguardo supplicante al suo migliore amico, ma non trovò l’aiuto sperato.

“Non possiamo tirarci indietro all’ultimo secondo, Roger ha ragione su questo. Dobbiamo fare un tentativo. Nick, aiutaci, prendi la chitarra di Syd. Coraggio, ci stanno aspettando e siamo terribilmente in ritardo”.

La ragazza osservò, ad occhi spalancati, il quartetto uscire dalla stanza: Roger e Rick sostenevano il corpo molle, abbandonato, di Syd e Nick li seguiva con in mano la Fender Esquire che gettava fievoli bagliori sotto la luce delle lampadine che scendevano dal soffitto; non ebbe la forza fisica di uscire a sua volta per assistere ad uno spettacolo dell’orrore.

Quando rimase da sola, Ginger scivolò a terra affianco alla poltrona, si coprì il volto con entrambe le mani e scoppiò a piangere disperata.

In sottofondo, la TV stava trasmettendo un film d’amore.

Ritorna all'indice


Capitolo 14
*** Formentera (Parte Uno) ***


1967, agosto.


 
Pamela chiuse il giornale con un profondo sospiro, uscì dalla cucina e salì al piano di sopra; bussò alla porta della camera da letto delle figlie e poi entrò.

“Posso o ti disturbo?” chiese alla sua primogenita, impegnata a piegare con cura dei vestiti ed a riporli all’interno di una valigia; Ginger si voltò a guardare la madre adottiva e scosse la testa con un sorriso.

“No” disse tornando ad occuparsi dei vestiti “tu non mi disturbi affatto, in nessun momento”.

Pamela sorrise a sua volta e prese posto sul bordo del letto; lanciò un’occhiata alla valigia aperta.

“Emozionata per il viaggio?”

“Sì, non vedo l’ora di partire”

“Formentera è bellissima, vi divertirete tanto. Goditi questa vacanza, perché sarà un’esperienza unica. I ragazzi sono contenti?”

“Sì, sono molto contenti anche loro. Rick verrà con Juliette, e Nick porterà Lindy. Roger e Judith ci raggiungeranno dopo qualche giorno perché adesso sono in vacanza ad Ibiza”

“Nick è quel ragazzo fissato con le crostate senza crosta, mentre Roger è quel ragazzo alto e magrissimo che se si mette di profilo scompare?”

“Sì” rispose Ginger con un sorriso divertito “sono proprio loro. Li hai descritti alla perfezione”

“E Syd?” chiese, allora, Pam.

La giovane s’irrigidì e si bloccò con un costume da bagno in mano.

“Syd… Cosa?”

“Lui ci sarà?”

“Sì, ovvio, verrà anche lui”

“E come sta? È da un po’ di tempo che non mi parli più di lui”

“Syd è un po’… Stressato” mormorò la ragazza, riponendo anche il costume da bagno dentro la valigia “sai… Le pressioni dello Studio, le esibizioni, i continui viaggi on the road… Ed in tutto questo deve trovare l’ispirazione per scrivere nuove canzoni perché vogliono materiale per un altro album…”

“Solo questo?”

“Sì, solo questo”

Mary Jane”.

Pamela non la chiamava mai col suo vero nome, a meno che non fosse particolarmente arrabbiata o che dovessero affrontare un argomento serio e delicato; Ginger guardò di nuovo la madre adottiva e vide il giornale che aveva in mano: era aperto su un lungo articolo che descriveva nei più piccoli particolari le continue stranezze di Syd e terminava chiedendosi retoricamente se quella giovanissima band nascente, col nome di Pink Floyd, dopo aver pubblicato il loro primo album, intitolato ‘The Piper at the Gates of Dawn’, fosse già sul viale del tramonto.

“Syd non…” la rossa abbassò il viso “lui non… Non sta passando un buon momento”

“Fa uso di sostanze stupefacenti?”.

Ginger chiuse gli occhi.

Non sta passando un buon momento” ripeté, evitando di dare una risposta alla domanda della madre adottiva “io ed i ragazzi ci auguriamo che questa vacanza possa aiutarlo a… A rimettersi fisicamente e… Mentalmente. Abbiamo bisogno tutti quanti di staccare la spina per un po’ e pensare solo a svagarci”

“Ginger, ascolta, capisco le buone intenzioni tue e dei ragazzi, ma non credo che una vacanza a Formentera possa risolvere tutto. Se Syd sta male…”

“Lui non sta male, te l’ho già detto due volte, mommi. È solo stressato. È normale essere stressati quando si è sottoposti a così tante pressioni”

“Evitare di guardare in faccia il problema non lo farà sparire magicamente, Ginger”

“Che cosa vorresti insinuare?” scattò la giovane, spalancando gli occhi; Pamela stava per rispondere, ma venne interrotta dall’arrivo di Jennifer che pose fine alla discussione.

“Che succede?” domandò la ragazzina incuriosita; sgranò gli occhi verdi alla vista della valigia e dei costumi da bagno “stiamo partendo per un viaggio?”

“No, io sto per partire per un viaggio”

“Dove vai?”

“A Formentera”

“Per quanto tempo starai via?”

“Dieci giorni”

“E con chi vai?”

“Con Rick, la band e le loro ragazze”

“Ohh, lo sapevo! Lo sapevo!” gli occhi di Jennifer s’illuminarono “posso venire anch’io con voi?”

“No, assolutamente no”

“Perché non posso?”

“Perché sei piccola e non sei stata invitata”

“Ecco, lo sapevo! Quando si tratta di darmi delle spiegazioni, non fate altro che tirare fuori sempre la solita scusa: sono troppo piccola per fare qualunque cosa! Quando sarò libera di fare qualcosa di simile anch’io? Ginger è l’unica a divertirsi!”

“Arriverà anche il tuo momento, devi solo avere pazienza. Sono sicura che tua sorella ti porterà un bellissimo souvenir da Formentera. Non è vero, Ginger?” intervenne Pamela per smorzare sul nascere un litigio tra le figlie; si alzò dal letto ed invitò Jen a seguirla in cucina “vieni, Jennifer, Ginger deve finire con la valigia e tu devi fare i compiti”

“L’ho detto io che lei è l’unica a divertirsi sempre” borbottò la ragazzina, seguendo la madre adottiva fuori dalla stanza.

Ginger abbassò lo sguardo sul giornale che Pam aveva lasciato sopra al letto, lasciò da parte i preparativi per il viaggio a Formentera, si avvicinò ad una cassettiera ed aprì l’ultimo cassetto; frugò tra le magliette piegate con cura e tirò fuori un piccolo blocco di fotografie tenute insieme da un nastro rosso: erano le foto che in diverse occasioni aveva scattato di nascosto a Syd solo pochi mesi prima.

Le mise a confronto con gli scatti più recenti che aveva fatto e la differenza era abissale.

Quella ritratta non sembrava neppure essere la stessa persona.

Il ragazzo dagli occhi luminosi e dal sorriso contagioso era scomparso completamente, sostituito da una sua pallida imitazione dallo sguardo vuoto e perso sempre in lontananza; anche i capelli non erano più gli stessi: i ricci voluminosi e morbidi si erano trasformati in una massa arruffata e scompigliata.

E tutto quello era accaduto in appena due mesi.

Ginger ripose le fotografie legate dal nastro dentro il cassetto, perché guardarle era doloroso.

Si avvicinò al telefono sul comodino, sollevò la cornetta e digitò il numero di casa del suo migliore amico, spinta dal disperato bisogno di sentire la sua voce ed essere tranquillizzata dalle sue parole pacate e mature, a tratti fin troppo mature per appartenere ad un ragazzo di ventiquattro anni.

Ma lui era sempre stato così.

Era sempre stato un uomo maturo intrappolato nel corpo di un ragazzo, fin dai giorni della prima adolescenza.

E Richard riuscì a farla sentire subito meglio con poche e semplici parole, dopo i saluti reciproci.

“Allora, pensi di essere pronta per questa folle vacanza?”

Mommi mi ha garantito che Formentera è un posto bellissimo, quindi credo proprio di sì. Tu?”

“Sinceramente? Non lo so”

“Perché?”

“Dovrò stare dieci giorni lontano da Gala”

“Sono sicura che starà benissimo a casa dei tuoi genitori, Rick”

“Sì, lo so anch’io, mamma e papà stravedono per lei. Non è questo il problema. Ho sempre la sgradevole sensazione che mi sto perdendo dei momenti unici che non si ripeteranno una seconda volta. E se dovesse muovere i suoi primi passi quando io non ci sono? E se dovesse dire la sua prima parola quando io non ci sono? E se dovessi perdermi il suo compleanno? Sapevo tutto questo quando ho deciso di dedicarmi seriamente alla tastiera, ma adesso che è diventato una solida realtà è un’altra faccenda”

“Juliette che cosa dice a riguardo?”

“Dice che mi faccio troppi problemi per niente. E dice anche che questi sono piccoli sacrifici che devo affrontare, e che verrò ricompensato quando Gala sarà grande e dirà di essere orgogliosa di suo padre perché è un grande musicista conosciuto in tutto il mondo”

“Tua moglie ha perfettamente ragione, dovresti imparare ad ascoltarla più spesso” Ginger rise e sentì Rick fare altrettanto.

“A volte mi domando come faccia a sopportarmi”

“Voi due siete fatti l’uno per l’altra, Richard. Siete una coppia bellissima, avete una figlia bellissima e farete altri figli bellissimi” commentò la ragazza lasciandosi scappare un sospiro; provava una punta di invidia per la meravigliosa famiglia che il suo migliore amico si stava costruendo.

Lui stava vivendo un sogno ad occhi aperti.

Lei, un incubo.

“Ginger, va tutto bene?”

“Me lo stai chiedendo davvero? Che cosa dovrei dirti?”

“Puoi rispondere con assoluta sincerità ad una mia domanda?”

“Sì, credo di poterlo fare”

“Che cosa c’è esattamente tra te e Syd?”.

Ginger chiuse gli occhi, sulle sue labbra apparve un sorriso ironico.

“Possiamo parlarne di persona ed in un altro momento, se non ti dispiace?”

“Ti ho mai fatto pressione se c’era qualcosa di cui non volevi parlarmi subito?”

“Ecco perché sei il mio migliore amico” rispose la rossa con una breve risata “Richard, tu credi che… Credi che questa vacanza possa…?”

“Non lo so. Vorrei poterti dire che questa vacanza sarà la soluzione a tutti i nostri problemi, ma non lo so davvero. Sinceramente sono così stanco e sfinito che desidero solo rilassarmi e divertirmi in vostra compagnia per dieci giorni… Anche se sarà dura stare lontano dalla mia piccola principessa”

“Facciamo così: io ti aiuterò a scegliere un bellissimo regalo per lei, e tu mi aiuterai a fare altrettanto per mommi e Jen”

“D’accordo, affare fatto. Sii puntuale domani mattina. Io e Juliette passiamo a prenderti per le sette”

“Sarò puntualissima”

“Vedrai: passeremo una vacanza unica”

“Sì, lo credo anch’io, Richard” mormorò Ginger, posando la cornetta.

Lo sguardo le cadde prima sulla valigia riempita a metà e poi sulla foto che aveva scattato a Syd due settimane prima, che lo ritraeva con quello sguardo perso e spento che non apparteneva a lui.

La giovane prese in mano il piccolo foglio di carta di cellulosa, lo guardò e ripensò a lungo al loro primo incontro, al primo momento in cui i suoi occhi si erano posati sul volto bellissimo, sorridente ed affascinante di Syd.

Voleva assolutamente credere che sarebbe stata una bella vacanza.

Aveva bisogno di crederci.

Ma non ci riusciva.

Ritorna all'indice


Capitolo 15
*** The Piper At The Gates Of Dawn ***


Jennifer entrò in cucina, si sedette davanti a Pamela e la fissò con un’espressione terribilmente seria che stonava con il suo volto paffuto, da adolescente, e con i capelli neri raccolti in due alte code ai lati della testa; Pam, sentendosi osservata, sollevò lo sguardo dalla rivista di giardinaggio, si tolse gli occhiali da lettura e sorrise alla figlia minore.

“Devi chiedermi qualcosa, tesoro?” conosceva benissimo i suoi polli: quando Jennifer aveva quell’espressione così seria, era perché stava per chiedere qualcosa.

Un prestito, di solito.

“Sì, si tratta di una questione della massima importanza. Un debito d’onore”

Un debito d’onore? Addirittura?” chiese la donna con un’espressione divertita “ed in che cosa consiste questo debito d’onore?”

“Ieri io e Danny siamo andati a fare una passeggiata e, siccome camminare mette appetito, ci siamo fermati ad una bancarella ambulante che vendeva pesce e patatine fritte e… Credevo di avere con me dei soldi. Ero sicura di averceli. Ma quando è arrivato il momento di pagare, mi sono resa conto che non avevo neppure uno spicciolo con me! Ohh, mommi, è stato orribile! E Danny è stato così gentile da offrirmi lo spuntino pomeridiano senza battere ciglio! Sarei una persona spregevole se non ricambiassi il favore il prima possibile, non credi?”

“Sì, è vero… Ed io cosa dovrei fare?”

“Beh, ecco… Mi domandavo se potessi prestarmi qualche sterlina”

“Ma te le ho già prestate la scorsa settimana, Jennifer. Ricordi che ti avevo detto di averne cura? Non è colpa mia se le hai spese tutte in caramelle lo stesso giorno in cui te le ho date”.

La ragazzina sollevò gli occhi al soffitto e buttò fuori l’aria dalla bocca.

Mommi, tu non puoi capire! Quelle caramelle mi stavano chiamando dalla vetrina del negozio. Mi stavano pregando di essere comprate e mangiate”

“Ed infatti ci hai guadagnato un bel mal di pancia” commentò Pamela con una mezza risata, prima di tornare seria “no, Jennifer, non ti presterò altri soldi fino al prossimo mese. È ora che tu inizia a capire il valore del denaro”

“Ohh, ti prego, mommi!” esclamò Jen con un’espressione supplicante, congiungendo le mani davanti a sé “so benissimo di aver sbagliato la scorsa settimana, ma, per favore, ho davvero bisogno di un altro piccolo prestito per ripagare il debito che ho nei confronti di Danny! Ti giuro che non accadrà mai più, non sprecherò mai più i soldi che mi presterai”

“Mi hai già detto parole simili altre volte, ed è sempre finita allo stesso modo”

“Ho imparato la lezione. Te lo giuro, mommi, per favore! Non ti sto chiedendo il mondo, in fin dei conti. A scuola sono brava, a casa sono obbediente e ti aiuto sempre a preparare e sparecchiare la tavola”

“Sì, dopo molti solleciti”

“Eddai! Per favore, per favore, per favore! Non ti sei opposta al viaggio di Ginger, perché vuoi negare a me un piccolo prestito per una buona ragione? Ti rendi conto che da queste sterline potrebbe dipendere il futuro dell’amicizia mia e di Danny?”.

Pamela rise di gusto davanti alle buffe suppliche della figlia adottiva; dubitava davvero che il futuro di un rapporto d’amicizia potesse essere messo in repentaglio da una porzione di pesce fritto e patatine, ma decise ugualmente di acconsentire alla richiesta di Jennifer: prese il portafoglio e le allungò un paio di banconote da cinque sterline.

“Tieni pure il resto, ma vedi di non sprecarle questa volta, perché per i prossimi due mesi non avrai nessun’altra mancia, d’accordo?”

“Grazie, mommi! Mi hai salvato letteralmente la vita!” la ragazzina scoccò un sonoro bacio sulla guancia destra della madre adottiva, prese le banconote, la giacca dell’uniforme scolastica e corse fuori casa “tornerò puntuale per l’ora di cena, vado a ripagare il mio debito con Danny!”.

In realtà, non esisteva alcun debito d’onore.

La storia della bancarella che vendeva pesce e patatine fritte altro non era che una bugia che Jennifer aveva studiato per convincere Pamela a prestarle altre sterline, perché c’era una cosa che doveva assolutamente comprare.
Una cosa che doveva avere subito.
 
Jennifer uscì dal negozio con gli occhi lucidi e le guance rosse dall’eccitazione; in mano aveva un sacchetto marrone, quadrato, che stringeva con forza contro il petto, come se avesse paura che qualcuno potesse strapparglielo in qualunque momento.

Si precipitò a perdifiato lungo il viale, con le code che ondeggiavano sulle spalle, ma anziché tornare a casa, si fermò davanti ad una casetta a schiera di mattoni rossi; aprì il cancelletto socchiuso, raggiunse la porta, suonò il campanello e picchiò il pugno destro più volte contro il legno, per farsi aprire il prima possibile.

La porta venne aperta da un ragazzino paffuto, con i capelli castani e gli occhi scuri, coetaneo di Jen.

Daniel ‘Danny’ Jackson era originario di Montgomery, in Alabama, ma all’età di tre anni aveva abbandonato l’America insieme alla sua famiglia e si erano trasferiti in Inghilterra, a Londra, in cerca di fortuna; suo padre aveva aperto un negozio di alimentari nel quartiere in cui abitavano Richard, Ginger e Jennifer.

Daniel e Jennifer si erano conosciuti proprio nel negozio, si erano ritrovati a scuola nella stessa classe e da quel momento in poi erano diventati inseparabili.

Se Richard era il migliore amico e confidente di Ginger, Danny era l’equivalente per Jennifer.

“Jen, ma che fai? Sei matta? Vuoi buttare giù la porta?”

“Non avrei bussato così forte se mi avessi aperto subito”

“Ma non mi hai lasciato neppure il tempo di arrivare alla porta!”

“Dobbiamo stare qui tutto il giorno a discutere su chi ha ragione e chi ha torto?” sbuffò la ragazzina saltellando sul posto “fammi entrare, avanti. C’è una cosa che devo assolutamente provare e mi serve il tuo aiuto”

“Di che cosa si tratta?”

“Fammi entrare e te lo dico”

“Non è nulla di pericoloso, vero?” chiese Danny con uno sguardo preoccupato, abituato com’era alle strampalate richieste della migliore amica; più di una volta si era ritrovato nei guai dopo che Jennifer aveva pronunciato parole simili, assicurandogli che non doveva preoccuparsi di nulla e che non erano in procinto di fare nulla di pericoloso.

A otto anni, per assecondare Jennifer che voleva vedere da vicino una rondine imboccare i suoi piccolini, era caduto da un albero e si era fratturato il braccio sinistro.

Era stata un’esperienza orribile che ricordava ancora fin troppo bene.

Jen sbuffò di nuovo, sempre più spazientita.

“Non fare lo sciocco, avanti, quando mai ti ho costretto a fare qualcosa di pericoloso?”

“Potrei farti un elenco infinito di cose pericolose che mi hai costretto a fare” borbottò Daniel scostandosi dall’uscio ed invitando Jennifer ad entrare; lei si precipitò di corsa in salotto, senza togliersi le scarpe e la giacca della divisa scolastica, e si fermò davanti al giradischi che apparteneva al padre di Danny.

“Funziona, giusto?” domandò, indicando l’oggetto tenuto con cura sopra un mobiletto.

Negli occhi del ragazzino apparve uno sguardo allarmato.

“Sì, ovvio che funziona, perché me lo domandi?”

“Perché dobbiamo usarlo”

“Non credo sia possibile” rispose lentamente Danny, iniziando a sudare freddo “mio padre tiene molto al suo giradischi. Andrebbe fuori di testa se dovesse accadergli qualcosa di spiacevole, ed io finirei in punizione per il resto dei miei giorni”

“Tu lo sai usare?”

“Sì, ma…”

“E allora non accadrà nulla di brutto! Devo solo ascoltare una cosa, piacerà anche a te”

“Cosa sarebbe questa… Cosa?”.

Jen tirò fuori dalla busta l’oggetto che aveva acquistato poco prima e lo mostrò a Danny con un sorriso trionfante.

“Il primo di una lunga serie di album della band in cui suona Rick!”

“Ohh!”

“È uscito ieri ed è già andato a ruba. Questa era l’ultima copia rimasta in negozio. Pensa se fossi entrata qualche minuto più tardi… Tu non sai nulla di questo disco, Danny. Mommi non sa che l’ho comprato e non deve saperlo, quindi fa attenzione a quello che dici davanti a lei. Per farmi prestare i soldi per comprarlo le ho raccontato che ero in debito con te per una porzione di pesce e patatine fritte”

“Ti sei inventata una bugia, coinvolgendo anche me, per comprare quel disco?”

“Sì, ma stiamo parlando di una piccola ed innocente bugia detta a fin di bene. Dai! Fai partire la prima canzone, avanti! Avanti! Avanti! Piacerà anche a te, ne sono più che sicura”.

Con un sospiro rassegnato, Daniel sfilò il disco dalla custodia in cartone, lo posò sul giradischi e sistemò la puntina del piccolo braccio meccanico sul solco più esterno che corrispondeva alla prima canzone.

Jennifer si sdraiò sul divano mentre nell’aria riecheggiavano le prime note di See Emily Play.

Contemplò in silenzio la custodia dell’album: sul lato posteriore erano riportate, sottoforma di elenco, le tracce incise sui due lati del disco, su quello anteriore, invece, erano ritratti i quattro ragazzi che formavano il gruppo; Nick e Rick erano davanti, mentre Roger e Syd si trovavano in secondo piano, le figure di tutti e quattro erano moltiplicate e spezzettate, come viste attraverso la lente di un enorme caleidoscopio.

“Questa musica è strana. È completamente diversa da quella che di solito ascolta mio padre” commentò Danny, sedendosi ai piedi del divano sulla morbida moquette “chi è il cantante?”

“Lui” disse Jennifer, indicando Syd “è il ragazzo di Ginger. Lei si arrabbia sempre quando dico così, ma è la verità: stanno insieme da qualche mese e sono una coppia bellissima. Syd è un ragazzo davvero molto simpatico e gentile, sai? La prima volta che ci siamo visti mi ha lasciato toccare i suoi capelli”

“Gli hai chiesto se potevi toccargli i capelli?” chiese il ragazzino con un’espressione incredula “Jennifer, ma non si domandano queste cose”

“Perché? Mi sembrava che avesse dei ricci morbidissimi e volevo avere la prova concreta. E sai una cosa? Sono davvero morbidissimi… Ora che ci penso, quella è stata la prima ed unica volta che l’ho visto, spero che Ginger lo inviti ancora a casa nostra qualche volta”

“Comunque è bravo, ha una bella voce”

“Sono tutti bravi” lo corresse Jennifer “sai… Adesso Ginger è in vacanza con loro a Formentera, tornerà tra otto giorni… Ed io sono qui”

“Cavolo, Formentera? Davvero?” domandò Daniel, spalancando gli occhi scuri “dicono che sia un’isola bellissima. Chissà come si staranno divertendo!”

“Già” commentò la ragazzina con un sospiro; fissò di nuovo la copertina, concentrandosi su Roger: l’unico e vero motivo per cui aveva detto una bugia a Pamela al fine di avere i soldi per comprare ‘The Piper at the Gates of Dawn’ “chissà come si staranno divertendo”.

Ritorna all'indice


Capitolo 16
*** Formentera (Parte Due) ***


“Ti stai divertendo?”.

Ginger si voltò a guardare Richard e gli sorrise, mentre lui si sedeva a gambe incrociate sul pavimento in terracotta che circondava la piscina interrata; per il soggiorno a Formentera, il gruppo di ragazzi aveva preso in affitto una bellissima villetta, color carta da zucchero, posizionata a poca distanza dalla spiaggia, dotata di un angolo bar ben fornito e di una piscina con trampolino di cui tutti si erano innamorati a prima vista.

Quando non scendevano in spiaggia, trascorrevano la maggior parte del tempo lì, a fare il bagno, a giocare, a ridere, a scherzare o più semplicemente a rilassarsi sotto i raggi del sole sorseggiando un drink ghiacciato; oziavano nei pressi della piscina anche dopo pranzo, quando faceva troppo caldo per spostarsi in spiaggia.

“Di sicuro loro si stanno divertendo” disse in risposta la ragazza, indicando il resto del gruppo che si era accampato a poco distanza da loro: Juliette e Lindy erano sedute a bordo piscina, con i piedi in acqua, impegnate in una fitta discussione che ruotava attorno a smalti, ombretti e rossetti; Nick, invece, dormiva profondamente su uno sdraio.

Rick guardò a sua volta il trio con un sorriso.

“Loro sì, ma la mia domanda era rivolta a te”

“Mi divertirei di più se si divertisse anche lui” gli occhi scuri della ragazza si posarono in automatico su Syd, una figura solitaria, muta e completamente distaccata dal vivace gruppo di amici: il giovane se ne stava seduto all’ombra, su una panchina, nei pressi dell’angolo bar, con il viso rivolto verso la spiaggia in lontananza; i capelli scompigliati (e sporchi) gli coprivano in parte il viso ed impedivano a Ginger di vedergli gli occhi.

Per lei era una fortuna, perché faceva sempre più fatica a sostenere la vista di quelle iridi spente che molto spesso le provocavano brividi di terrore.

Il sorriso svanì rapidamente dal volto di Wright.

“Immaginavo che avresti dato una risposta simile”

“Forse sono io che sto sbagliando, in fin dei conti siamo qui da appena due giorni, ma pensavo di vedere già dei miglioramenti in lui e invece… Invece è esattamente come a Londra”

“Almeno non ha ancora avuto nessuno dei suoi scatti. È già qualcosa, non credi?” Rick si tolse gli occhiali da sole “lascia tempo al tempo”

“Io non voglio lasciare tempo al tempo, io voglio che Syd torni ad essere la persona di quattro mesi fa, Rick” sbottò la giovane esasperata “che cos’ha? Perché si comporta in questo modo? Sai che cosa mi ha chiesto mommi il giorno prima della partenza? Mi ha chiesto se Syd fa uso di sostanze stupefacenti, ed io le ho detto che sta passando un periodo di stress particolarmente intenso. A quel punto ha detto che non serve a nulla evitare di guardare in faccia il problema perché questo non lo farà sparire magicamente per sempre… Tu credi che faccia uso di qualcosa?”

“Non lo so”

“E gli altri? Gli altri che cosa dicono?”

“Nick cerca di buttarla sul ridere per reprimere l’impulso di strangolare Syd, ormai sai come è fatto… Secondo lui, i riflettori che usiamo gli hanno sciolto completamente il cervello”

“E Roger? Lui cosa pensa?”

“Si è accorto che c’è qualcosa che non va”

“Ahh, ma davvero?” commentò Ginger, lasciandosi andare ad una risatina sarcastica “Waters è dotato proprio di un acume sottile”

“Vediamo come procede la vacanza, ed al nostro ritorno a Londra decideremo che cosa fare, che cosa è meglio per noi e cosa, invece, è meglio per Syd” mormorò Wright, inconsapevole della sinistra previsione che si nascondeva dietro le sue stesse parole “adesso che siamo soli, faccia a faccia, vuoi rispondere alla domanda che ti ho fatto per telefono?”

“Vuoi davvero sapere che cosa c’è tra me e Syd?”

“Conosco fin troppo bene quello sguardo, Ginger. Ti ho già vista soffrire una volta per amore, ho già raccolto il tuo cuore a pezzi e non è stato semplice ricucirlo insieme. Non voglio passarci di nuovo”

“Ricordi la notte in cui, di ritorno dalla Scozia, ci siamo fermati a casa mia perché Roger aveva quell’orribile taglio in fronte?”

“Sì, me lo ricordo. C’è una macchia di sangue sulla mia tastiera che non sono mai riuscito a far sparire del tutto… In compenso le dà un aspetto minaccioso, per quanto possa apparire minacciosa una tastiera”.

La giovane sorrise brevemente.

Apprezzava gli sforzi del suo migliore amico per farle tornare il buonumore.

“E ricordi che il giorno seguente ti ho chiamato per chiederti se avevi visto Syd perché aveva promesso di prestarmi un libro che parlava d’arte e fotografia?”

“Sì, ricordo molto bene anche quell’episodio e le due ore che ho impiegato perché Gala si addormentasse di nuovo”

“Mentre voi dormivate in salotto, io e Syd abbiamo trascorso l’intera notte seduti sul tetto a guardare il cielo ed a parlare, e ci siamo dati appuntamento per il giorno seguente per fare un pic-nic. Non esisteva alcun libro in prestito: è stata una scusa che mi sono inventata per sapere se avevi visto o meno Syd quel giorno, perché non si era ancora presentato a casa mia. Credevo che si fosse completamente dimenticato del nostro pic-nic, e invece…” il sorriso spuntò nuovamente sulle labbra di Ginger mentre riviveva con gli occhi della mente uno dei ricordi più belli che aveva e che custodiva gelosamente nella propria memoria “invece si è presentato a notte fonda, e mi ha svegliata lanciando dei sassi contro la finestra della camera mia e di Jennifer. Abbiamo preso l’ultimo treno per Cambridge ed abbiamo trascorso tutta la notte lì, su una piccola barca a remi, nel mezzo di un laghetto in cui Syd andava a pescare quando era bambino insieme ai suoi fratelli. E lì ci siamo scambiato il nostro primo bacio… E ricordi la prima esibizione all’Alexandra Palace?”

“Quella a fine aprile”

“Dopo l’esibizione sono stata nell’appartamento di Syd. Volevo che una notte così perfetta avesse un finale altrettanto perfetto” Ginger non scese in ulteriori dettagli; non ce ne sarebbe stato comunque bisogno, perché Richard aveva compreso tutto “credo di essere innamorata di lui”

“Lo so, lo vedo. Ti si legge in faccia”

“Sei deluso da me?” chiese la rossa preoccupata “sei arrabbiato perché non ti ho detto nulla?”.

Il tastierista scosse la testa con un’espressione seria.

“Non sono né deluso né arrabbiato. Sono solo preoccupato perché non voglio vederti soffrire ancora. Anche se sono legato a Syd, la mia priorità resti comunque tu, Ginger. Non voglio vederti ancora in lacrime, senza appetito e con il cuore a pezzi. L’ultima volta hai impiegato mesi per riprenderti dalla storia che hai avuto con quel coglione, ed in quell’occasione non mi avevi mai confidato di essere innamorata… Questo mi preoccupa e mi spaventa più di tutto il resto” mormorò il giovane abbassando lo sguardo verso l’acqua cristallina della piscina: il fondo era interamente ricoperto da un bellissimo mosaico di tessere blu, verdi e rosse che raffiguravano una coppia di pesci; rialzò di scatto la testa quando sentì Lindy prorompere in uno strillo di gioia.

Nick, invece, si svegliò di soprassalto, con un sussulto, e rischiò di cadere dallo sdraio.

Ginger vide Lindy alzarsi di scatto dal bordo della piscina ed agitare le braccia, in segno di saluto, in direzione di un ragazzo ed una ragazza che stavano scendendo da una macchina, parcheggiata vicino al vialetto che portava all’elegante abitazione color carta da zucchero; il ragazzo alto e magro iniziò a scaricare delle valigie, mentre la ragazza corse verso la dolce metà di Mason.

Le due giovani si abbracciarono, strillando e saltellando contemporaneamente.

“Chi è quella primadonna che starnazza come un’oca?” chiese la rossa, cambiando argomento, provando un naturale moto di antipatia per la sconosciuta appena arrivata, che ora stava affettuosamente salutando Juliette.

“È Roger che si sta lamentando perché nessuno si è ancora fatto avanti a dargli una mano con le valigie” rispose Rick con un mezzo sorriso, inforcando gli occhiali da sole; non era riuscito a resistere alla tentazione di fare quella battuta dopo che la sua migliore amica gliel’aveva servita su un vassoio d’argento.

Ginger si lasciò andare alla prima risata genuina da quando la vacanza era iniziata e colpì scherzosamente Wright sulla spalla destra.

“Ritieniti fortunato che siamo lontani dal vialetto. Se ti avesse sentito, ti avrebbe già staccato la testa. E comunque, non mi stavo riferendo a quella primadonna, ma all’altra”

“È Judith Trim, la sua ragazza”

Quella è la ragazza di Waters?”

“Sì, è proprio lei” confermò Rick.

Ginger osservò, stupita, Judith.

Fisico snello, gambe lunghe, ventre piatto, labbra carnose, naso piccolo, occhi azzurri e capelli biondi: Judith Trim racchiudeva nel suo corpo tutte le caratteristiche femminili che facevano perdere la testa alla maggior parte dei ragazzi.

“Non può essere la ragazza di Waters. È troppo bella per stare insieme ad uno come lui… Com’è possibile?”

“Si conoscono fin da piccoli, sono cresciuti nello stesso quartiere e ormai stanno insieme da diversi anni. Credo che tra non molto arriveranno anche per loro i fiori d’arancio… Di sicuro Judy si aspetta che Roger prima o poi le faccia la fatidica proposta, e lo stesso vale per Lindy con Nick” Rick abbassò lo sguardo sulla fede nuziale che portava all’anulare sinistro “a quanto pare ho messo entrambi in un bel casino”

“Resto comunque scettica nei confronti della loro coppia” mormorò la ragazza, per non farsi sentire dalle tre giovani che si stavano avvicinando per fare le presentazioni ufficiali.

Formavano uno strano quadretto, dal momento che Juliette e Judith erano alte e slanciate mentre Lindy era molto più bassa.

“Ginger, lei è Judith. Judith, ti presento Ginger!” esclamò la dolce metà di Mason quando le due ragazze si ritrovarono faccia a faccia “è lei ad occuparsi dei nostri uomini quando non ci siamo”

“Sì, lo so. Rog mi ha parlato di te” rispose Judith distendendo le labbra in un sorriso che a Ginger ricordò più una smorfia; quel sorriso era più finto di una banconota da tre sterline “sei la ragazza che non ha molta dimestichezza con gli scalini, giusto?”.

Ecco.

Adesso l’antipatia a prima vista si era trasformata già in odio profondo, esattamente come era accaduto quando aveva conosciuto Roger sei mesi prima; per un istante, Ginger immaginò entrambi ridere e sfottere la sua povera caviglia.

E sempre per un istante provò l’impulso di afferrare Judith per i capelli e di trascinarla sott’acqua in piscina; ma anziché tentare di compiere un omicidio, la giovane optò per un’alternativa più diplomatica: rispose con un sorriso altrettanto finto.

“Sì, sono io. E quando non sono troppo impegnata a scivolare dalle scale mi occupo di scattare foto ai vostri uomini… E di controllarli, ovviamente, per evitare situazioni spiacevoli”

“Sei molto gentile, ma sono più che sicura che Rog non ha bisogno di essere controllato. So per certo che si comporta in modo impeccabile”.

La rossa si morse la punta della lingua per non rispondere a tono alla provocazione di Judy, al resto ci pensò il veloce pizzicotto che Rick, senza farsi vedere, le diede sul polpaccio sinistro.

Roger Waters si comportava in modo tutt’altro che impeccabile durante i lunghi viaggi che facevano in giro per l’Inghilterra: in un’occasione il bassista aveva fatto un paio di giri di troppo al bancone bar di un locale e poi, smosso da un improvviso impeto creativo, aveva suonato il gong in un modo piuttosto originale, scagliandoci contro dei bicchieri, e si era procurato diversi tagli sui palmi e sulle dita.

In un’altra occasione ancora aveva distrutto un basso Vox, sfracellandolo contro le assi del palco, ad esibizione conclusa perché le dita lunghe ed affusolate continuavano ad incastrarsi tra le corde.

E poi… Poi c’era stato il famoso episodio del penny in rame e molti altri ancora, e quella era solo la punta dell’iceberg.

Ma erano comunque sciocchezze, se messe a confronto con quello che Syd faceva.

“Posso assicurarti che quando io ci sono, il suo comportamento è impeccabile” disse infine, allargando il sorriso “tuttavia, non posso assicurarti lo stesso per quanto riguarda i momenti in cui io non sono presente”

“Che vuoi dire?” il sorriso finto sparì dalle labbra di Judith in un soffio, sostituito da un’espressione incredula e stizzita; Ginger era pronta a rispondere, ma l’arrivo di Roger le impedì di assestare un’altra stoccata di fila alla sua dolce metà.

“Vi ringrazio per essere accorsi in massa ad aiutarmi con quelle maledette valige e per avermi chiesto se avevo bisogno di qualcosa di ghiacciato per rinfrescarmi la gola. Grazie davvero”

“Sentivamo proprio la mancanza del tuo umorismo tagliente, Rog. Come è andato il viaggio?”

“Domanda di riserva, Rick?” disse in tono tagliente il bassista, armandosi di sigaretta e fiammifero; Ginger roteò gli occhi e sbuffò sonoramente.

Odiava i fumatori compulsivi come lui.

“Perché? Che è successo? Ibiza non è un bel posto?”

“Ibiza sì, ma l’albergo in cui abbiamo alloggiato no”

“Perché?” chiese ancora Richard curioso, sorridendo divertito “che aveva di così orribile?”

“Tutto” rispose Judith piegando le labbra in una smorfia contrariata “l’acqua della doccia era gelida, c’era una tapparella rotta che continuava a sbattere durante la notte ed il cibo faceva schifo. Un giorno abbiamo trovato dei mozziconi spenti dentro al cestino del pane. Un vero schifo”

“Secondo me i mozziconi di sigaretta erano di Rog, ed il personale dell’albergo si è vendicato riportandovi apposta lo stesso cestino del pane” commentò Lindy con una risata, spostando gli occhi scuri dall’amica al bassista; lui, in risposta, si sfilò la sigaretta dalle labbra, appoggiò la mano destra sulla fronte e si guardò attorno con aria confusa.

“Che strano! Sento una voce, ma non riesco a capire da dove proviene!”

“Rog, non fare lo stronzo!” Lindy assestò una spinta a Waters e solo allora lui abbassò gli occhi e finse di essere enormemente sorpreso.

“Ohh, ma allora eri tu che stavi parlando poco fa! Devi scusarmi, Lindy, ti avevo scambiata per un nano da giardino che decorava il bordo della piscina”

Vaffanculo!”

“Non è colpa mia se madre natura ti ha fatta alta come un tappo da sughero. Però in compenso sei della misura giusta per farmi da poggia braccio… Anzi, sai che ti dico? Quasi quasi sfrutto questo tuo vantaggio adesso, perché il viaggio è stato alquanto lungo e faticoso” Roger finse di appoggiarsi completamente alla ragazza e lei lanciò uno strillo, tentando di divincolarsi dalla sua presa.

“Roger smettila immediatamente, lo sai che non ti sopporto quando fai così! Ricorda che le persone piccole possono essere molto più pericolose di quelle alte e strafottenti. E quelle alte e strafottenti commettono sempre l’errore di sottovalutarle! So mordere molto forte se voglio”

“Ahh, ma davvero? Beh, non ci resta che chiedere a Nick se è vero che sei in grado di mordere molto forte”

“Rog, smettila davvero, non è divertente” intervenne Judith, che non aveva affatto gradito quell’ultima battuta a doppio senso; la ragazza bionda incrociò le braccia sotto il seno e guardò il bassista dritto negli occhi “sai di cosa stavamo parlando poco prima che ci raggiungessi?”

“No, non posso saperlo dal momento che ero impegnato a scaricare le valige completamente da solo

“Stavamo parlando delle vostre esibizioni” rispose Ginger, ignorando il secondo pizzicotto di Richard “per la precisione stavo dicendo a Judith che non ho idea di quello che fate quando io non ci sono, dopotutto non sono la vostra baby-sitter. Siete abbastanza grandi e vaccinati per sapere cosa fare e cosa non fare, giusto?”

“Giusto” concordò il bassista; lanciò a malapena un’occhiata alla ragazza e poi tornò a concentrarsi sulla povera Lindy, la sua vittima preferita “ma perché sprecare una bellissima giornata come questa in chiacchiere inutili quando a poca distanza da noi ci sono la spiaggia ed il mare che ci attendono? Perché non ci dividiamo in due squadre e non facciamo una battaglia acquatica? Lindy, tu starai sulle mie spalle, così per una volta nella vita sarai la più alta di tutte. Forza, aggrappati alla mia schiena, scendiamo in spiaggia!”

“Ti viene naturale essere così stronzo, oppure passi la notte a studiare con cura tutti questi bei complimenti?”

“Non sei curiosa di vedere il mondo da tutta un’altra prospettiva?”

“Sei un idiota!”

“D’accordo, ma ora puoi aggrapparti alla mia schiena?”.

La ragazza capitolò davanti alle insistenze del bassista: gli passò le braccia attorno al collo e le gambe attorno ai fianchi, come aveva fatto Ginger il giorno in cui si era slogata la caviglia destra, e rischiò di scivolare a terra quando Roger si alzò troppo velocemente; il tutto sotto lo sguardo vigile della fidanzata del bassista.

Le sue labbra sorridevano ancora, ma i suoi occhi azzurri erano freddi.

Lindy e Roger si allontanarono insieme agli altri giovani in direzione della spiaggia libera, lasciando Rick e Ginger da soli a poca distanza dal bordo della piscina; Syd era ancora seduto sulla panca, solo e perso nei propri pensieri.

O in un mondo tutto suo.

“Complimenti” commentò Richard, assestando un terzo pizzicotto alla sua migliore amica “questi non sono serviti a farti capire che stavi esagerando, vero? La prossima volta cercherò di pizzicarti la pelle con più forza. Era proprio necessario provocare Judith in quel modo dopo averla appena conosciuta?”

“Guarda che è stata lei la prima a provocarmi, forse ti sei perso un pezzo della conversazione. In ogni caso, la mia non era una provocazione, ma bensì una constatazione: non posso sapere che cosa fa o non fa il suo ragazzo quando io non ci sono, o se si chiude in un camerino in dolce compagnia”

Mary Jane” sospirò il tastierista, apostrofandola con il suo vero nome “siamo venuti qui per divertirci e staccare un po’ la spina. Dobbiamo affrontare già abbastanza drammi quotidiani a Londra, per favore…”

“Ho capito! Ho capito!” esclamò Ginger alzando le mani in segno di resa “non lo farò mai più, a meno che non venga provocata”

Mary Jane

“E va bene! Non lo farò più e basta… Ma quella ragazza non mi piace per niente. Forse inizio a capire come mai lei e Roger stanno insieme: hanno lo stesso orribile carattere”.

Richard si alzò con un sospiro e guardò in direzione della spiaggia; la brezza marina portò con sé le grida e le risate degli altri ragazzi che si trovavano già in acqua.

“Io vado, tu vieni?”

“Vi raggiungo subito” la ragazza lanciò una breve occhiata a Syd, e Wright annuì con il capo.

Quando anche lui sparì lungo il vialetto che conduceva direttamente alla spiaggia, Ginger si alzò dallo sdraio a bordo piscina e raggiunse Barrett vicino all’angolo bar; prese posto alla sua destra e lo guardò in silenzio, in attesa che girasse il viso verso di lei.

Vedendo che ciò non accadeva, la rossa lo prese per mano, riuscendo finalmente ad ottenere una reazione.

Syd spostò gli occhi dal punto indefinito che stava osservando da diverso tempo al suo viso, e Ginger si ritrovò a fissare i due buchi neri che tanto la spaventavano; anche il verde delle iridi non era più lo stesso, anche il pigmento chiaro sembrava essersi spento per sempre come tutto il resto.

Fa uso di sostanze stupefacenti?

Evitare di guardare in faccia il problema non lo farà sparire magicamente, Ginger.

“Dovrebbero disegnare te sulle scatole dei cioccolatini” mormorò la giovane sorridendo; l’ombra di un pallido sorriso apparve anche sulle labbra sottili di Barrett, ma non arrivava a contagiargli gli occhi “gli altri sono andati in spiaggia per fare un bagno. Pensavo di raggiungerli, a te va di andare? Roger ha proposto di sfidarci in una battaglia acquatica”

“Una battaglia acquatica. Sembra divertente” commentò il ragazzo in tono assente; anche quando parlava appariva completamente distaccato dal mondo che lo circondava.

“Sì, credo proprio che lo sia a giudicare dalle risate che arrivano dalla spiaggia. Allora, ti va di andare?”

“Arrivo tra poco. Resto qui ancora un po’”

“Va bene, ti aspetto in spiaggia” disse la rossa con un altro sorriso, accarezzando il dorso della mano destra di Syd.

Raggiunse il resto del gruppo in acqua e rimase con loro in spiaggia per tutto il pomeriggio.

Syd non arrivò mai.

Quando i ragazzi tornarono alla villetta, lui era ancora seduto sulla panchina, nella stessa identica posa in cui Ginger lo aveva lasciato, ed aveva ancora lo sguardo perso nel vuoto; e quando lei gli chiese per quale motivo non fosse sceso in spiaggia e fosse rimasto lì per ore ed ore, Syd rispose in un modo che le ghiacciò il sangue nelle vene.

“Credevo fossero trascorsi appena pochi minuti”.
 

Ritorna all'indice


Capitolo 17
*** Formentera (Parte Tre) ***


Il sole era sorto da poco al di là della linea dell’orizzonte; i suoi raggi luminosi gettavano sfumature arancioni sull’acqua cristallina del mare, sugli scogli rocciosi, sulla sabbia dorata e sulle palme che dondolavano sospinte da una leggera brezza.

Ginger immortalò quello scenario bucolico prima di risalire il vialetto che dalla spiaggia libera portava alla villetta color carta da zucchero; fotografò anche quella, insieme alla piscina ed all’angolo bar, e poi rientrò nell’abitazione cercando di non fare troppo rumore perché il resto della compagnia stava ancora dormendo nelle rispettive camere.

La villetta aveva tre camere matrimoniali, tutte situate al primo piano, ed un soppalco al secondo piano che era stato convertito nella quarta: Ginger, Syd, Rick, Juliette, Nick e Lindy si erano sistemati nelle tre stanze al primo piano, mentre Roger e Judith (in quanto ultimi arrivati) avevano optato per il soppalco.

La giovane entrò in cucina e si bloccò con un sussulto dopo aver varcato la soglia: credeva di trovarla vuota, invece c’era Roger seduto davanti al bancone a penisola, con una tazza di the bollente stretta nella mano destra ed una sigaretta accesa in quella sinistra; la rossa posò a terra la busta di carta marrone che reggeva e sfilò la macchinetta fotografica dal collo.

“Mi hai fatto prendere un colpo. Credevo di essere l’unica già sveglia a quest’ora” disse posando la macchinetta sopra al bancone.

“Non riuscivo a dormire per colpa del caldo e così sono sceso a fare colazione”

“Con un the bollente?” osservò Ginger con un sorriso ironico “strano modo per combattere il caldo”

“Sono inglese. Il the caldo ce l’ho nel sangue”

“Ne è rimasto un po’?”

“No, infatti pensavo di prepararne dell’altro” Roger svuotò la tazza, spense la sigaretta dentro un posacenere e si alzò per raggiungere l’angolo cottura della cucina; riempì d’acqua un bollitore, lo posizionò sopra un fornello acceso e, nell’attesa che l’acqua si riscaldasse, si accese una seconda Marlboro.

Ginger si chiese quante ne avesse già fumate prima del suo rientro.

“Quali bustine sono rimaste?”

“Due di the verde, una di the nero ed altre due di the al limone”

“Puoi fare quella di the nero?”

“Preferisco quello al limone. Ci vuoi lo zucchero?”

“Sì, ovvio”

“Io lo bevo sempre senza zucchero” ribatté il bassista, buttando fuori il fumo dalle labbra carnose; la ragazza incrociò le braccia e si lasciò andare ad un commento indispettito.

“Immagino… La linea…”.

Waters non rispose alla provocazione, tuttavia si voltò a guardare Ginger e le pose una domanda diretta.

“Perché ieri hai detto quelle parole in presenza di Judith?”

“Io non ho detto un bel niente. Lei mi ha fatto una domanda ed io ho semplicemente risposto”

“Ieri sera, in camera, abbiamo discusso per causa tua”

“Se avete discusso, è perché lei non si fida così ciecamente di te come vuol fare credere. E se non si fida di te…” la giovane lasciò apposta la frase in sospeso e ciò non fece altro che indispettire maggiormente Roger, che si allontanò dal fornello per fronteggiare Ginger in tutta la sua altezza, puntandole contro il petto l’indice della mano destra.

“Non intrometterti mai più nelle mie faccende personali. Non sono affari che ti riguardano”

“Mi stai forse minacciando?”

“No, ti sto avvisando. È diverso”

“Perché anziché preoccuparti tanto per la tua ragazza non lo fai per l’amico a cui dici di essere tanto legato? Perché non ti preoccupi nello stesso modo anche per Syd?” sbottò la rossa, alzandosi dallo sgabello su cui si era seduta; allungò il braccio sinistro ed indicò la busta marrone posata sul pavimento “sai perché questa mattina sono uscita presto? Sai che cosa c’è dentro quella busta? Sai che cosa c’è?”

“Come cazzo posso saperlo? Fino a prova contraria non sono in grado di vedere attraverso gli oggetti”

“E allora perché non vai a dare un’occhiata tu stesso?”.

Il giovane si avvicinò alla busta, l’aprì e tirò fuori alcuni abiti maschili; erano stati appena acquistati, come testimoniavano le etichette col prezzo incollate alla stoffa.
“Che significa?” chiese, voltandosi a guardare Ginger; lei si strinse nelle spalle a disagio.

“Sono uscita a comprare dei vestiti nuovi per Syd. Sai perché l’ho fatto? Perché è venuto a Formentera portando con sé una busta di plastica piena di magliette e pantaloni sporchi… E nient’altro. E sai cosa significa questo?” Ginger rimase in silenzio, in attesa di una risposta che non arrivò “significa che Syd sta davvero male”

“È stressato. Siamo tutti stressati. Siamo venuti a Formentera apposta per questo, no?”

Stress” un sorriso ironico comparve sulle labbra della rossa; entrambi erano così concentrati sulla discussione che avevano completamente scordato l’esistenza del bollitore sul fornello acceso “solo stress. Quindi lo spettacolo a cui abbiamo assistito all’Alexandra Palace è stato solo il frutto di un brutto esaurimento nervoso? Non pensi che ormai sia arrivato il momento di piantarla con questa assurda storia dello stress e di guardare in faccia la realtà per trovare una vera soluzione a questo fottuto problema? Sai che cosa ho notato? Ho notato che Syd ha iniziato a cambiare dopo il vostro soggiorno in America. È successo qualcosa che dovrei sapere e che avete volontariamente evitato di dirmi?”.

Ginger guardò Roger negli occhi e lui sostenne lo sguardo impassibile, senza dare cenni di cedimento.

“No” disse, poi, in un soffio.

Ginger non era affatto convinta della sincerità della risposta; i secondi di silenzio assoluto che l’avevano preceduta indicavano chiaramente che dietro il soggiorno in America, ed il ritorno anticipato a Londra, c’era altro che i tre ragazzi le stavano tenendo nascosto.

Nella propria mente maledì ancora il giorno in cui era caduta dalle scale e si era rotta la caviglia.

Se solo il gesso non le avesse impedito di partire tre mesi prima, forse…

“Bene” sbottò risentita, riappropriandosi della busta di cartone e della macchinetta fotografica “credevo di riuscire a fare un discorso serio con te almeno per una volta, dato che di mezzo c’è la salute di una persona a cui entrambi teniamo molto, ma ora mi rendo conto di essere stata solo una sciocca ad aver pensato che una cosa simile fosse possibile. È chiaro che nel tuo mondo non c’è spazio per nessun altro che non sia te stesso o il tuo smisurato ego, Roger. E adesso tolgo il disturbo e ti lascio da solo con loro e con il tuo the al limone senza zucchero”.

La ragazza uscì dalla cucina e salì in fretta al primo piano, senza lasciare al bassista il tempo di controbattere.

Lui non provò neppure a fermarla.



 
Ginger entrò in camera e chiuse la porta senza fare rumore.

Posò la busta marrone sopra un mobiletto, si avvicinò al letto in punta di piedi e si sedette a gambe incrociate sul materasso.

Syd stava ancora dormendo profondamente: era rannicchiato in posizione fetale sul fianco sinistro, stringeva il cuscino con entrambe le mani ed aveva le labbra leggermente socchiuse; la giovane gli scostò delle ciocche di capelli dal viso per poterlo osservare con maggior attenzione.

L’unico momento in cui Syd tornava ad essere il giovane che aveva conosciuto, e di cui si era innamorata, era quando dormiva; perché quando chiudeva gli occhi il suo viso si rilassava ed i demoni che lo perseguitavano durante il giorno sembravano svanire completamente.

Non erano rare le volte in cui Ginger lo osservava a lungo dormire, e non erano rare neppure quelle in cui prendeva la macchinetta fotografica per un paio di scatti rubati.
Ed ogni volta avvertiva un vago senso di colpa quando lo scuoteva con delicatezza per svegliarlo, perché insieme a lui riaprivano gli occhi anche i suoi demoni interiori.

Avvicinò il viso a quello del ragazzo per posargli un bacio dolce a fior di labbra; lo sentì agitarsi e mugugnare qualcosa, e gli accarezzò una guancia per tranquillizzarlo.

Syd aprì gli occhi di scatto, con un sussulto, ed afferrò istintivamente la mano di Ginger.

“Va tutto bene” sussurrò lei con voce dolce e premurosa “qualunque cosa fosse, adesso è passata. Era solo un incubo”

“Era tutto così terribilmente reale”

“Cosa hai sognato?”

“I vermi”

“I vermi?” domandò Ginger, non capendo.

“Sì, i vermi” confermò Barrett con un profondo sospiro, abbassando le palpebre “avevo la testa piena di vermi che continuavano a mangiarmi il cervello”.

La ragazza avvertì un brivido lungo la spina dorsale.

Quello non era un sogno normale.

Le persone normali non facevano sogni simili.

Appoggiò le mani sulle guance di Syd e lo baciò di nuovo, con più intensità; lo sentì emettere un gemito, e sentì anche le sue braccia attorno ai fianchi e la sua erezione tra le gambe.

Si allontanò di pochi centimetri dalle labbra per riprendere fiato.

“Non ci sono vermi nella tua testa, hai capito?” gli sussurrò accarezzandogli i capelli “non c’è assolutamente nulla di sbagliato nella tua testa, d’accordo? Non c’è assolutamente nulla che non vada. Non dimenticarlo mai, per favore”

“Non devi dirlo a me. Devi dirlo a loro”

“Ho una sorpresa per te” disse la giovane cambiando completamente argomento perché la storia dei vermi iniziava ad inquietarla; saltò giù dal letto, prese la busta marrone e la porse a Syd con un sorriso, sforzandosi di apparire normale e per nulla turbata dai suoi comportamenti strani e dai suoi discorsi ancora più strani “sono uscita presto apposta per questo”.

Barrett svuotò il contenuto della busta sul materasso ed osservò i vestiti con uno sguardo completamente indifferente e distaccato, sembrava perfino perplesso.

“Perché hai preso dei vestiti?”

“Perché volevo farti un regalo. Addosso ai manichini stavano bene, ma a mio parere addosso a te staranno ancora meglio. Ti piacciono i colori che ho scelto?”

“Che hanno di sbagliato i miei vestiti?”

“Non hanno nulla di sbagliato” disse Ginger, lanciando una breve occhiata in direzione della busta di plastica che conteneva i vestiti sporchi e stropicciati “desideravo solo farti un regalo. Allora, ti piacciono? Sono di tuo gradimento? Che ne pensi?”

“Penso che farò una passeggiata in riva al mare” mormorò il ragazzo, girando il viso in direzione di una finestra da cui si poteva vedere la spiaggia.



 
Syd indossò un paio di pantaloni ed una maglietta che aveva portato con sé da Londra ed uscì per una passeggiata in riva al mare.

La mattinata ed il pomeriggio trascorsero senza che il gruppo avesse sue notizie, e la sua figura solitaria apparve sul vialetto della villa solo dopo il tramonto, portando con sé un cielo fatto di nuvole in procinto di scatenare un violento acquazzone.

Nessuno gli chiese spiegazioni, nonostante la lunga assenza.

Nessuno lo fece perché già sapevano che non avrebbero ottenuto nulla, solo risposte frammentate e senza senso.

Il gruppo di ragazzi si radunò attorno al bancone a penisola per la cena; Syd si unì a loro senza mai uscire dallo stato di mutismo autoimposto, con lo sguardo rivolto verso il piatto e la forchetta stretta nella mano destra.

Non toccò mai cibo, non aprì bocca per parlare e non ascoltò neppure i discorsi dei suoi amici.

Il suo malessere interiore iniziò a manifestarsi verso la conclusione del pasto, quando le nuvole cariche di pioggia si trasformarono in un vero e proprio acquazzone; i ragazzi girarono d’istinto le teste in direzione di una porta scorrevole a vetri e videro le palme piegate dal vento e grosse gocce di pioggia che si abbattevano contro la superficie della piscina.

“Fortuna che abbiamo deciso di rimandare la cena in spiaggia” commentò Nick con un lungo fischio “guardate che roba ragazzi, non vi sembra di essere tornati a casa? Tanta strada per poi trovare lo stesso tempo che c’è a Londra. Vi ricordate il temporale che abbiamo beccato a luglio, mentre andavamo all’Alexandra Palace? Lì ho avuto paura che il furgoncino ci giocasse qualche brutto scherzo”

“Pioveva così forte anche il giorno in cui io e Syd ci siamo ritrovati” disse Roger girando il viso in direzione di Barrett, nella speranza di farlo interagire “vero?”.

Syd girò lentamente il viso verso Roger e gli rivolse uno sguardo vacuo.

Poi, senza alcun preavviso, afferrò una salsiera e rovesciò la salsa al pomodoro addosso al bassista; il liquido viscoso, rosso scuro, si riversò in gran parte sul viso, sui capelli e macchiò inevitabilmente anche la maglietta ed i pantaloni del ragazzo.

Tutti i presenti rimasero immobili con gli occhi e la bocca spalancati, colti alla sprovvista dal gesto insensato; la luce saltò a causa di un fulmine più vicino dei precedenti, Syd si alzò di scatto dallo sgabello ed iniziò a lanciare tutto ciò che gli capitava tra le mani, a prescindere che fossero posate, pietanze o stoviglie.

Lindy e Judith si ripararono, con uno strillo, sotto il bancone.

Juliette cadde a terra.

Nick evitò per un soffio un incontro ravvicinato con la salsiera di porcellana.

Rick e Roger provarono, inutilmente, a fermarlo con risultati disastrosi: il primo si piegò in avanti a causa di una gomitata allo stomaco che gli tolse il respiro, mentre il secondo venne colpito da un bicchiere sul lato destro del viso.

Cazzo” imprecò il bassista raggomitolandosi a terra, aveva il campo visivo offuscato dal dolore e dalla botta ricevuta; si portò la mano destra alla tempia ed emise un gemito quando vide le dita sporche di sangue.

Ginger provò a sua volta a placare la crisi isterica di Barrett, ma venne spinta violentemente da parte e finì sul pavimento; riuscì, però, ad alzarsi e corse dietro a Syd, che nel frattempo aveva abbandonato la cucina e si era spostato nel salotto.

“Syd!” urlò la ragazza per sovrastare il rumore dei tuoni e della pioggia; dalla cucina sentiva arrivare solo lamenti e qualche singhiozzo “basta, ti prego! Ma che cosa ti è preso? Smettila, per favore, così rischi solo di fare del male a te stesso ed agli altri”

“Non devi dirlo a me, devi dirlo a loro” urlò di rimando il ragazzo, guardando Ginger con gli occhi verdi sgranati, arrossati e circondati da profonde occhiaie scure.

“Loro? Loro chi?” domandò Ginger, confusa e spaventata allo stesso tempo; sentì Judith, in cucina, strillare qualcosa riguardo al fatto che Roger aveva bisogno di medicazioni urgenti perché continuava a sanguinare dalla testa.

Barrett si mise le mani tra i capelli e tirò con forza delle ciocche.

I vermi!” gridò ancora più forte il ragazzo “non li senti? Sono qui. Proprio qui. Sono nella mia testa e continuano a mangiare e mangiare. Non senti tutto il rumore che fanno? Non li senti masticare? Falli smettere! Falli uscire! Fammi uscire da qui!”.

Syd corse verso una parete, allungò le braccia verso l’alto ed artigliò l’intonaco con così tanta forza che si spezzò un’unghia; Ginger vide una lunga e sottile striscia rossa apparire sulla pittura bianca.

Stava letteralmente tentando di arrampicarsi sul muro, alla ricerca di una via di fuga dai vermi che diceva di avere dentro la testa.

“Basta!” urlò sconvolta la giovane, precipitandosi dal ragazzo per fermarlo prima che si ferisse in modo serio e grave; gli strinse le mani attorno ad un braccio e provò a trascinarlo di peso lontano dalla parete “basta, Syd, per favore! Smettila! Non ci sono vermi nella tua testa, non c’è assolutamente nulla!”

“Lasciatemi andare, lasciatemi andare, lasciatemi andare!” gridò a pieni polmoni lui, in preda ad un delirio incontrollabile di pura follia; non vedeva né Ginger né il resto del gruppo con le rispettive fidanzate, vedeva e sentiva solo i vermi.

Si divincolò dalla presa ed afferrò il primo oggetto che gli capitò tra le mani per difendersi dai suoi invisibili e striscianti assalitori.

Ginger non si abbassò abbastanza rapidamente e Syd la colpì in testa con la cassa in legno di una chitarra acustica.

La giovane crollò a terra sul fianco destro con un gemito.

Fuochi d’artificio colorati esplosero davanti ai suoi occhi ed all’interno della sua scatola cranica.

I rumori si fecero sempre più ovattati, fino a scomparire del tutto.

Poi, il buio più assoluto.
 

Ritorna all'indice


Capitolo 18
*** Worms (Parte Uno) ***


“Pronto?”

“Buongiorno, signora Anderson. Scusi se la disturbo, Ginger è in casa?”

“Sì, è fuori in giardino, vuoi che vada a chiamarla?”

“Gliene sarei grato, signora Anderson. Può dirle che si tratta di una emergenza?”

“Glielo riferisco subito, tesoro. Attendi in linea” Pamela posò la cornetta del telefono sul mobiletto, passò affianco a Jennifer che stava studiando, seduta sul divano, ed uscì di casa; trovò Ginger sotto il portico, semi sdraiata sul divanetto a dondolo ed intenta a leggere un libro di poesie “vai al telefono subito, c’è una persona per te”

“Chi?” domandò lei senza staccare gli occhi dal libro.

“Uno dei tuoi amici”

“Quale?”

“Non me lo ha detto, ma dalla voce credo che sia il ragazzo alto e magrissimo che se si mette di profilo scompare”.

La ragazza sollevò gli occhi scuri dalle pagine.

“Io e Roger Waters non siamo amici” precisò con freddezza “e credo proprio che mai lo saremo”

“Beh, ad ogni modo quel ragazzo è al telefono e ti sta aspettando per parlare”

“Riguardo cosa?”

“Non mi ha detto neppure questo, ma mi ha raccomandato di dirti che si tratta di un’emergenza”.

Pamela aveva lasciato la porta d’ingresso aperta e Jennifer, dal salotto, ascoltò in silenzio l’intera, breve, conversazione; e quando sentì il nome del bassista del gruppo, le sue labbra si socchiusero, il libro di scuola scivolò a terra e gli occhi si focalizzarono subito sulla cornetta posata sul mobiletto, affianco al supporto.

La ragazzina arrossì e deglutì a vuoto.

Finalmente aveva l’occasione di parlare con lui, proprio con lui: il ragazzo che aveva visto una sera di qualche mese prima in TV e che aveva catalizzato completamente la sua attenzione; l’amico di Rick che ancora non aveva conosciuto di persona, con cui non aveva scambiato una sola parola e che doveva accontentarsi di ammirare, sospirando, sulla copertina di cartone di un disco.

E ora…

Ora quello stesso ragazzo, più grande di lei di dieci anni, a cui pensava spesso, il cui nome era sparso qua e là sulle pagine dei sui quaderni e libri di scuola, era dall’altro capo della cornetta telefonica.

Era lì, proprio lì, a pochi passi di distanza da lei, anche se non fisicamente.

Doveva solo alzarsi dal divano, fare qualche passo, afferrare la cornetta, appoggiarla all’orecchio destro, schiudere le lab…

Ginger prese in mano la cornetta del telefono prima che potesse farlo Jennifer e la spinse bruscamente da parte.

“Non è per te la chiamata. Torna a fare i compiti” le disse in tono busco, con un’occhiataccia; Jen gonfiò le guance, buttò fuori l’aria in uno sbuffo e si risedette sul divano a braccia incrociate, frustrata “pronto?”

“Ginger, ti disturbo?”.

La giovane chiuse gli occhi per un breve istante.

Purtroppo Pamela non si era sbagliata: quello dall’altra parte del telefono era proprio Roger.

“Non lo so. Dimmelo tu se mi disturbi oppure no”

“Ti devo parlare”

“Riguardo cosa?”

“È abbastanza urgente, riguarda Syd”.

A quelle parole, l’atteggiamento di Ginger cambiò completamente.

“Aspetta un solo istante” disse posando di nuovo la cornetta sul mobiletto, per poi voltarsi a guardare la sorella minore “non toccarla assolutamente”.

Dopo quell’avvertimento non troppo velato, Ginger salì velocemente le scale e sparì dietro la porta della camera da letto.

Jen guardò in direzione del primo piano, e quando sentì il tonfo sordo della porta si precipitò subito ad afferrare la cornetta del telefono.



 
Ginger chiuse la porta, si sedette a gambe incrociate sul proprio letto e tirò su la cornetta del suo telefono personale.

“Eccomi” disse “adesso posso parlare in assoluta libertà, lontana da orecchie indiscrete. Di che emergenza si tratta? Che cosa è successo a Syd?”

“Prima di tutto… Come stai?”

“Mi stai davvero chiedendo come sto? Proprio tu?

“Entrambi sappiamo molto bene la gravità di quello che è successo a Formentera, ecco perché ti ho fatto questa domanda”

“Come sto io o come stai tu non ha alcuna importanza adesso, quello che conta davvero è come sta Syd. Perché hai detto a mommy che mi devi parlare con urgenza? Che cosa gli è successo? Quanto è grave la situazione?” chiese allarmata la giovane, pensando subito al peggio; già poteva vedere Syd ricoverato d’urgenza in ospedale a causa di gravi ferite auto inflitte, perché quando perdeva il controllo diventava un pericolo tanto per gli altri quanto per sé stesso.

Ginger temeva che prima o poi sarebbe arrivato a buttarsi giù da una finestra per scappare dai vermi o da chissà quali altre creature che solo lui era in grado di vedere.

“Per il momento nulla, ma per il resto non posso assicurartelo… Dipende tutto da come lui reagirà”

“Che vorresti dire?” Ginger corrucciò le sopracciglia “Roger, potresti essere più chiaro? Non ho capito nulla”

“Se tra poco passo a prenderti, vieni con me a parlare insieme a lui? Lungo il tragitto ti spiego tutto, adesso è troppo complicato farlo per telefono. Allora? Ci stai?”

“Sì, ma…”

“Ci vediamo tra dieci minuti. Puntuale. Non abbiamo molto tempo” Waters riagganciò senza salutare e senza dare ulteriori spiegazioni alla rossa, ed a lei non rimase altro che prendere una giacca, la borsa e scendere al piano inferiore in attesa dell’arrivo del bassista; ai piedi delle scale si ritrovò a fare i conti con Jennifer che le sbarrava fisicamente la strada.

“Ho sentito tutto quanto!” esclamò la ragazzina con un’espressione incredula e sconvolta “che cosa sta succedendo a Syd? Sta male? È per questo che non è più venuto qui? E che cosa è successo a Formentera?”

“Ma come ti sei permessa di origliare la mia conversazione telefonica?” gridò in risposta la più grande, avvampando dalla rabbia.

“Ragazze, che sta succedendo? Possibile che alla vostra età dobbiate ancora litigare a qualunque ora del giorno?” Pamela rientrò in casa attirata dalla discussione animata tra le due sorelle adottive, e Ginger non perse un solo istante di tempo per puntare il dito contro Jennifer.

“Ha origliato per tutto il tempo la mia chiamata, quando io le avevo espressamente detto di non farlo!”

“Ginger non vuole dire che cosa sta succedendo a Syd!” esclamò Jen, evitando per un soffio una ramanzina di Pamela “e non vuole neppure dire che cosa è successo quando era in vacanza a Formentera. L’ho sentita parlare al telefono con Roger e… E hanno parlato di Syd. E lui ha anche detto che tra poco passa a prenderla perché devono andare da lui”

“Zitta!” strillò inviperita Ginger, arrossendo ancora di più “non parlare di cose che non ti riguardano! Tu non sai assolutamente nulla di tutto questo! E Syd non sta assolutamente male!”

“Bugiarda! Bugiarda! Bugiarda!” gridò Jennifer pestando i piedi a terra “avere quattordici anni non significa essere stupide! So perfettamente quello che ho sentito al telefono, e voi due avete detto che…”

Basta!” urlò Pamela battendo le mani, zittendo all’istante le due ragazze “piantatela entrambe immediatamente o questa sera andrete a letto senza cena, sono stata abbastanza chiara? Jennifer, per nessuna ragione al mondo devi origliare le conversazioni di qualcun altro, hai capito? Non farlo mai più, altrimenti mi costringerai a punirti in modo molto severo. Chiedi scusa a tua sorella e poi vai di sopra in camera a continuare a studiare”

“Ma… Mommy…”

“Ho detto: chiedi scusa a tua sorella e poi vai di sopra in camera a continuare a studiare. Non farmelo ripetere una terza volta, Jennifer”.

Jennifer corrucciò le sopracciglia ed abbassò lo sguardo sulla moquette.

“Scusa, Ginger” borbottò prima di salire le scale imbronciata.

“Hai fatto bene ad ordinarle di andare in camera. Quella ragazzina diventa sempre più insolente e dispettosa ad ogni giorno che passa”

“Non ho finito con te”.

La rossa si bloccò con la mano destra appoggiata al pomello della porta d’ingresso e si voltò a guardare la madre adottiva fingendo un’espressione sorpresa.

“Che vuoi dire?”

“Non fare la finta tonta, Ginger. Jennifer avrà pure sbagliato, ma anche il tuo comportamento è da recriminare” disse la donna incrociando le braccia “di che cosa avete parlato tu e Roger al telefono?”

“Nulla d’importante”

“Nulla d’importante, dici? E perché lui aveva così fretta di parlare con te? Perché mi ha detto di dirti che si trattava di un’emergenza? Perché Jennifer lo ha sentito dire che tra poco passerà a prenderti? E cosa è successo a Formentera? Quando sei tornata a casa mi hai assicurato che era andato tutto bene”

“Infatti è andato tutto bene” confermò la rossa con un’espressione impassibile, nonostante avesse i palmi delle mani appiccicosi e sudaticci “sono stati dieci giorni stupendi e ci siamo tutti divertiti moltissimo”

“Se non vuoi dirmelo tu, allora lo chiederò a Roger non appena arriverà”

“Non farà altro che ripeterti le mie stesse parole”

“Ginger, ti ricordo che leggo anch’io i giornali” mormorò Pamela, facendo riferimento all’articolo che aveva mostrato alla figlia maggiore il giorno prima della sua partenza per Formentera “e se né tu né Roger volete raccontarmi come è la situazione in realtà, che cosa sta succedendo a Syd e cosa è successo a Formentera, allora chiamerò Richard e chiederò a lui di raccontarmi tutto. Come quando combinavate una marachella da ragazzini, ricordi?”.

Ginger ricordava, eccome.

Quando si cacciavano nei guai, Richard era sempre il primo a svuotare il sacco.

Non riusciva proprio a mentire, era più forte di lui, ce lo aveva impresso nel codice genetico.

Sentì il suono di un clacson, guardò in direzione di una finestra che si affacciava sulla strada e vide la macchina di Waters.

“Ora non posso dirti nulla, ma ti prometto che al mio ritorno ti racconterò tutto. Mi dispiace” mormorò la giovane, scuotendo la chioma fiammeggiante; uscì di casa e salì in macchina quasi correndo, in modo che Pamela non potesse bloccarla per avere le risposte che aspettava da troppo tempo.

Ginger si chiese se, per la prima volta nella sua vita, stesse deludendo la donna che l’amava più profondamente e teneramente di una madre, ma preferì non darsi una risposta; sistemò la borsa sui sedili posteriori ed emise un profondo respiro.

Forse anche i suoi nervi stavano iniziando a cedere.

“Ti avevo chiesto di uscire ed essere puntuale”

“Ti prego, non iniziare”

“Ti avevo…”

“Lo so cosa mi avevi chiesto. So benissimo cosa mi avevi chiesto, ma mia sorella ha avuto la brillante idea di ascoltare la nostra conversazione ed ha spifferato tutto a mommi… E adesso mommi pretende delle spiegazioni da parte mia, quindi potresti farmi il fottuto favore di spiegarmi che cosa sta accadendo adesso? Perché stiamo andando da Syd? Che cosa dobbiamo fare? Cosa gli è successo?”

“Vuoi davvero sapere che cosa è successo?”

“Sì, cazzo, credo di avere tutto il diritto di sapere che cosa sta succedendo” disse Ginger a denti stretti “voglio sapere che cosa mi state nascondendo da tempo, e non provare a dirmi ancora una volta che non è così perché ormai so per certo che c’è qualcosa che non volete assolutamente dirmi”.

Roger accostò la macchina vicino al marciapiede e si voltò a guardare la giovane negli occhi; aveva ancora un taglio in fase di guarigione sulla guancia destra.

“Vuoi che te lo dica nel modo più delicato possibile o vuoi che sia diretto?”

“Voglio che, per una buona volta, qualcuno mi dica le cose come stanno. Punto e basta”

“Syd ha il cervello completamente bruciato dall’LSD” tagliò corto il bassista senza tanti giri di parole, esponendo la realtà nuda e cruda per quello che era.

Ginger incassò il colpo deglutendo a vuoto e sbattendo più volte le palpebre.

Non era una stupida, non era un’ingenua, aveva capito da tempo che dietro i comportamenti scostanti e violenti di Syd doveva esserci per forza un abuso di sostanze stupefacenti, ma fino a quel momento tutto ciò era sempre stato solo una vaga idea alla quale non aveva mai voluto dare una forma concreta.

Sentirselo dire in faccia da un’altra persona era uno schiaffo che toglieva il respiro.

“Come…?” domandò senza terminare la frase, aveva la mente troppo offuscata per formulare una frase di senso compiuto.

Continuava a pensare che era impossibile, tutto quello era impossibile, perché strideva terribilmente con l’immagine che aveva in testa del ragazzo che aveva conosciuto un paio di mesi prima, con cui aveva trascorso una notte magica a Cambridge e con cui aveva fatto l’amore dopo tanto tempo dall’ultima volta; il giovane bellissimo, talentuoso, intelligente, dal sorriso contagioso e dagli occhi luminosi non poteva drogarsi.

Non aveva bisogno di assumere quel genere di schifezze.

“Non lo sappiamo, ma all’inizio la situazione era abbastanza gestibile. Ora non lo è più. Da quando siamo stati in America è stato un continuo sprofondare verso il basso e con la vacanza a Formentera credo che abbiamo toccato il fondo” spiegò Waters accendendosi una sigaretta; Ginger gliela strappò letteralmente dalle dita e la lanciò fuori dal finestrino.

“Puoi farmi il fottuto favore di non fumare mentre stiamo affrontando un discorso così serio e delicato? O proprio non riesci a stare senza una cicca in bocca per un lasso di tempo superiore ai venti secondi?” sbottò stizzita e incazzata; era stizzita con Waters a causa del suo vizio di fumare, ed era incazzata con lui perché le aveva taciuto una grave dipendenza per troppo tempo, e quel silenzio omertoso non aveva fatto altro che aggravarla ulteriormente “quindi avevo ragione a pensare che in America è successo qualcosa, e non siete tornati a Londra in anticipo per colpa di un esaurimento nervoso”

“Abbiamo perso Syd”

“Che vuol dire che lo avete perso?”

“Vuol dire che ha disertato una esibizione per saltare in macchina alla volta di chissà dove e lo abbiamo rintracciato dopo tre giorni, completamente andato. Un’altra volta l’ho trovato nelle stesse condizioni che era all’Alexandra Palace, con lo sguardo fisso nel vuoto e con una sigaretta consumata tra le dita”

“E mi stai dicendo tutto questo solo ora? Dopo mesi e mesi in cui Syd si comporta in questo modo? Quanta droga assume?”

“Non lo so, come posso saperlo io? Non poca e non di rado viste le condizioni in cui si trova”.

Ginger rivolse al giovane un’occhiata fredda e disgustata.

“Ti sembra il caso di fare una battuta simile?”

“La mia non era una battuta, ma la verità. Io sono amico di Syd, non il suo baby-sitter… E non guardarmi in quel modo, cazzo. Tutti fanno uso di qualcosa di tanto in tanto. Tutti si fanno almeno un paio di canne od assumono qualche pasticca, Ginger. Sei tu l’unica a vivere nel mondo delle fiabe” sbottò Roger accendendosi una seconda Marlboro ed assicurandosi di tenerla ben lontana dal raggio di azione della rossa; Ginger intuì che con quel tutti il bassista si stava riferendo in modo implicito anche al gruppo “con questo non sto giustificando la sua dipendenza. Sto solo dicendo che in un primo momento la situazione non ci è apparsa così grave, ma ora è tutta un’altra storia e dobbiamo intervenire in qualche modo”

“E come?” chiese la giovane stringendosi nelle spalle; desiderava ardentemente aiutare il ragazzo di cui si era innamorata, ma non aveva la più pallida idea di come fare e da dove iniziare “cosa possiamo fare a questo punto?”

“Mi sono messo in contatto con il fratello maggiore di Syd, Alan, gli ho spiegato come stanno le cose e l’ho fatto venire qui a Londra. Credevo di trovare un supporto in lui, invece se ne è tornato quasi subito a casa dicendo che Syd stava benissimo e che non aveva visto nulla di strano in lui. Ne ho parlato con il gruppo e con i nostri manager, ed uno di loro ha preso questo” Roger prese il portafoglio da una tasca interna della giacca e porse un bigliettino a Ginger: si trattava di un biglietto da visita su cui era riportata una data ed un orario.

La data corrispondeva proprio a quel giorno.

R.D Laing” lesse la rossa, per poi inarcare il sopracciglio destro “e chi è?”

“Uno psichiatra piuttosto bravo da quello che dicono. Ha lo Studio nella zona a nord di Londra. L’appuntamento è per Syd. Tra poco ha il consulto generale”

“E lui come l’ha presa?”

“È proprio questo il punto” disse Roger con una strana smorfia “lui non sa di avere un appuntamento con uno psichiatra… Tra un’ora e mezza”

“Non lo sa? E cosa aspetti a dirglielo?”

“Parli come se si trattasse di un compito semplice. Secondo te come potrebbe reagire?” domandò il bassista, seccato; fu il turno della giovane di piegare le labbra in una smorfia: Roger aveva ragione, con molta probabilità Syd non avrebbe reagito affatto bene “ecco perché ti ho chiamata, ecco perché ti ho chiesto se potevi venire con me. Forse insieme abbiamo più possibilità di convincerlo a venire volontariamente”

“Avremmo dovuto dirglielo prima, non adesso. Si sentirà un animale braccato in un angolo” commentò a bassa voce Ginger.

Waters aspirò un’ultima boccata di fumo e poi lanciò il mozzicone fuori dal finestrino alla sua destra.

“Ascolta” disse poi “tu non sopporti me, ed io non sopporto te: questo è un dato di fatto, lo sappiamo benissimo entrambi. Ma qui non si tratta di noi, giusto? Si tratta di Syd. E noi, al momento, siamo le persone più vicine a lui e, forse, anche le uniche due in grado di farlo ragionare un po’… Quindi, se vuoi accompagnarmi per fare un tentativo, devi dirmelo ora, in questo stesso momento. A te la scelta: o vieni con me o scendi da questa macchina, che fai?”

“Vengo” rispose Ginger senza la minima traccia di esitazione nella voce “ma non lo faccio per te… Lo faccio per Syd, ovviamente”.

Ritorna all'indice


Capitolo 19
*** Worms (Parte Due) ***


Syd e Roger non abitavano più nello stesso condominio da un paio di mesi.

Alla fine di aprile Barrett si era trasferito in un altro appartamento, al numero 101 di Cromwell Road.

I componenti della band e la stessa Ginger ci erano stati rare volte, in compenso era frequentato in modo assiduo da tanta altra gente con cui Syd trascorreva gran parte delle sue giornate e con cui si sballava.

Nessuno degli assidui frequentatori si presentava mai a mani vuote.

Roger bussò due volte contro il legno della porta, attese in silenzio e poi riprovò; Ginger si guardò attorno a disagio e spostò il peso del corpo da un piede all’altro ancora più a disagio, inconsciamente si avvicinò un po’ di più a Waters.

Quel posto non le piaceva affatto.

“Forse non è in casa” mormorò non vedendo arrivare nessuno “che facciamo se non è in casa? Restiamo qui ad aspettarlo oppure andiamo a cercarlo?”

“E dove vorresti andare a cercarlo?” domandò il bassista prima di fare un terzo tentativo “Syd! Apri la porta! So che sei lì dentro. Avanti. Vogliamo solo parlare”.

La giovane stava per ribattere, dicendo che era tutto inutile e che l’appartamento era vuoto, quando venne smentita dal rumore di una serratura che scattava; la porta si socchiuse e dall’altra parte apparve il viso di Barrett.

“Che volete?” chiese in un soffio, vagando con lo sguardo da Roger a Ginger e viceversa.

“Syd, siamo noi”

Noi?” ripeté il giovane; Ginger lo vide socchiudere gli occhi appannati, come se stesse facendo lo sforzo di mettere a fuoco lei e Waters.

“Sì, noi” ripeté a sua volta il bassista, indicando prima sé stesso e poi la ragazza dai capelli rossi “io sono Rog, lei è Ginger… Siamo i tuoi amici”

“I miei… Amici. Ho degli amici?”

“Sì, siamo noi e siamo venuti qui per parlarti. Per favore, lasciaci entrare così possiamo farlo con calma. Vogliamo solo scambiare quattro chiacchiere con te, nulla di più. Te lo prometto. Hai la mia parola” Roger si portò la mano destra all’altezza del cuore per far apparire più convincenti le sue parole; Syd vagò ancora per qualche istante con lo sguardo dall’uno all’altra e poi, con enorme sorpresa della rossa, anziché sbattere la porta con violenza l’aprì e si allontanò, facendo loro intendere che avevano il permesso di entrare.

Ginger si guardò attorno non appena varcò la soglia d’ingresso: nel piccolo appartamento regnava il caos più assoluto, e nonostante fosse dotato di una stanza che poteva fungere da camera da letto, Syd aveva sistemato un materasso sul pavimento del salotto e dormiva lì.

La ragazza vagò con lo sguardo sul lenzuolo ammassato ai piedi del materasso, sul cuscino stropicciato, sulle numerose stoviglie sporche accatastate dentro il lavandino e sui piccoli batuffoli di polvere che galleggiavano pigramente a mezz’aria.

Si chiese da quanto tempo le finestre non venissero aperte.

Syd si avvicinò ad un mobiletto, frugò all’interno di un cassetto e ne tirò fuori un pacchetto di sigarette ed uno quasi vuoto di fiammiferi; se ne accese una, se la portò alle labbra e si sedette sul davanzale di una finestra.

Entrambi i giovani notarono che era più magro, più pallido e più scompigliato del solito.

“Di che cosa volete parlarmi?” chiese allontanando la sigaretta dalle labbra ed appoggiando le mani sul davanzale in legno della finestra.

Ginger lanciò un’occhiata eloquente a Roger e lasciò che fosse lui ad introdurre l’argomento; aveva paura di perdere il controllo e di scoppiare in lacrime se solo avesse provato a parlare.

Roger, invece, riusciva sempre ad essere calmo e distaccato; molte volte appariva perfino eccessivamente freddo.

“Vogliamo parlarti perché siamo tutti preoccupati per te”

Tutti?

“Sì, tutti… Noi due… Rick, Nick, i nostri manager… la EMI… Sono tutti quanti preoccupati per te”

“Questo non è un problema che mi riguarda”

“Syd, questa situazione non è salutare” disse Roger indicando l’appartamento, riferendosi alle condizioni disastrose in cui versava “questo posto non è salutare. Le persone che frequenti qui dentro non sono salutari per te. Hai un problema e noi siamo venuti qui per aiutarti”

Questo non è un problema di Syd” ribatté testardo Barrett, parlando di sé stesso in terza persona; Waters si passò le mani tra i capelli castani e poi tirò fuori il biglietto da visita che aveva fatto vedere a Ginger.

Lo mostrò anche a Syd, ma evitò accuratamente di darglielo in mano per timore che lo strapasse o che decidesse di mangiarlo.

“Sai cos’è questo?”

“Un foglietto di carta” Syd lo guardò con più attenzione “un biglietto da visita. Mi hai preso per uno scemo?”

“È il biglietto da visita del dottor Ronald David Laing. Peter ti ha fissato un appuntamento per oggi e noi siamo venuti qui per accompagnarti, così non sarai solo”.

Barrett corrucciò le sopracciglia nere, guardò ancora per qualche istante il biglietto e poi spostò lo sguardo prima a Roger e poi a Ginger; le iridi appannate diventarono ancora più cupe.

“State dicendo che siete qui per costringermi ad andare da uno strizzacervelli?” sibilò, ritraendosi d’istinto contro il vetro della finestra “è perché ho detto di avere dei vermi nel cervello?”

“Non è uno strizzacervelli, ma uno psichiatra: una persona qualificata con cui puoi parlare di tutti i tuoi problemi e che ti aiuterà a trovare una soluzione definitiva. Ti aiuterà a capire che nella tua testa non ci sono vermi”

“Invece sì che ci sono, Roger” ribatté il ragazzo, sgranando gli occhi “ci sono sempre. Anche in questo momento. Come fai a non sentirli? Come fate a non sentirli?”
“Syd, i vermi nella tua testa non esistono!” ripeté nuovamente Waters esasperato, ma Barrett scosse con forza la chioma arruffata.

“Io non ci vengo. Non voglio parlare con uno strizzacervelli. Non ho bisogno di parlare con uno strizzacervelli. Non è un mio problema. Sto benissimo, grazie. Potete andare”

“Syd, per favore” intervenne Ginger nella speranza di fargli cambiare idea “si tratta solo di un primo consulto, di una semplice chiacchierata. Non è vero, Roger? Solo una chiacchierata tranquilla”

“Sì, Syd. Solo una chiacchierata tranquilla, come quella di due vecchi amici che non si vedono da moltissimo tempo. E non sarai solo, perché io e Ginger saremo con te. Certo, non ci sarà permesso entrare nello Studio perché il dottore vorrà parlare soltanto con te, ma resteremo per tutto il tempo in sala d’attesa ad aspettarti e poi… Poi se vorrai continuare con le sedute potrai farlo, altrimenti nessuno ti riporterà lì con la forza” Waters cercò di distendere le labbra in un sorriso che apparisse convincente “fidati di noi, Syd. Fidati dei tuoi veri amici”.

Ginger e Roger rimasero in silenzio, in trepida attesa di una risposta.

Barrett fissò per un paio di secondi un punto indefinito davanti a sé, e poi spense il mozzicone direttamente sul davanzale.

“Vado a mettermi qualcosa di decente” mormorò saltando giù dal ripiano “nessuno vorrebbe mai incontrare un vecchio amico in condizioni indecenti”.



 
Roger se ne stava seduto in sala d’attesa, intento a giocherellare con i numerosi anelli che indossava sempre, con gli occhi nascosti dietro la lunga frangia castana.

Ginger, invece, continuava a passeggiare nervosamente avanti e indietro.

Era resistita solo pochi istanti seduta accanto a Roger, poi la tensione nervosa l’aveva fatta scattare in piedi come una molla, e da quel momento aveva iniziato a vagare senza sosta tracciando una elissi invisibile sul pavimento bianco.

Bianco.

Lì dentro ogni cosa era bianca e odorava di disinfettante, come negli ospedali.

O come nei manicomi.

“Puoi smetterla di fare continuamente avanti e indietro? Mi stai facendo girare la testa” sbottò il bassista sollevando lo sguardo dagli anelli e scostando la frangia; la rossa si voltò di scatto a guardarlo e strinse le labbra in segno di disapprovazione.

“Scusami se sono così nervosa, ma hai dimenticato la gravità della situazione in cui ci troviamo?” sbottò seccata; si avvicinò alla porta, appoggiò l’orecchio al legno ed mise un lungo e profondo sospiro “questo silenzio non mi piace per niente”

“Preferiresti sentirlo urlare? Preferiresti che nel bel mezzo della visita facesse qualcuna delle sue bizzarrie, tipo urlare e provare ad arrampicarsi di nuovo sulle pareti o che iniziasse a lanciare soprammobili contro il dottore?”

“Assolutamente no, ma vorrei sapere che cosa gli sta raccontando e cosa pensa il dottor Laing del suo caso” Ginger iniziò a tormentarsi le unghie della mano destra “hai sentito i discorsi che ha fatto prima? Ha perfino parlato di sé stesso in terza persona… E quell’assurda storia dei vermi… Ricordi quella mattina a Formentera quando abbiamo parlato in cucina? Quando sono salita in camera nostra e l’ho svegliato, mi ha raccontato di avere sognato dei vermi che gli mangiavano il cervello. È convinto di essere perseguitato da loro… E tutto questo è colpa vostra!”

“Nostra?”

“Sì! È colpa vostra perché avete evitato di guardare in faccia il problema, anziché intervenire subito ed in modo tempestivo!” disse a denti stretti la giovane, stringendo le mani a pugno, faticando non poco a controllare la rabbia che le bruciava nel petto; avrebbe voluto gridare a squarciagola, ma non poteva farlo perché si trovava nella sala d’attesa di una clinica privata e perché poi sarebbero stati entrambi allontanati dall’edificio “scommetto che sei stato tu ad impedire di fare qualcosa quando ancora la sua dipendenza non era così grave! E scommetto anche che tu hai costretto Nick e soprattutto Rick a non dirmi nulla di quello che stava succedendo a Syd!”

“Ma si può sapere che cazzo stai dicendo?” sibilò Waters visibilmente alterato; si alzò dalla sedia e fronteggiò Ginger, esattamente come aveva fatto a Formentera, costringendola a sollevare il viso per guardarlo negli occhi “mi stai accusando di essermene fregato di lui?”

“Direi che quello che è successo all’Alexandra Palace parla da sé, non credi? Anziché chiamare un ambulanza, hai preferito trascinare Syd sul palco, pur sapendo che non era in sé e che non riusciva neppure a stare in piedi. Ed infatti che è accaduto? Lui è rimasto per tutto il tempo dello spettacolo con la chitarra al collo e le braccia a ciondoloni, ed è stato un fiasco”

“Non potevamo annullare all’ultimo secondo una esibizione così importante”

“Dunque per te le esibizioni sono più importanti di una persona che conosci fin da piccolo e con cui sei cresciuto insieme? Una carriera musicale ancora incerta ed indefinita conta di più della salute mentale e fisica del tuo amico d’infanzia?” chiese la giovane incredula ed amareggiata, fissando il bassista come se davanti ai propri occhi ci fosse una creatura repellente.

Waters aprì la bocca per ribattere, ma all’ultimo secondo ci ripensò e spostò lo sguardo al di là di Ginger; lei si voltò subito e vide la porta dello Studio aprirsi.



 
Pam Anderson attese con pazienza il ritorno della figlia maggiore; quando la sentì finalmente rientrare e la vide passare davanti alla porta della cucina, le chiese se avesse voglia di un the caldo.

“Sì” rispose la ragazza in tono stanco, togliendosi la giacca e posando la borsa sul divano “ho proprio bisogno di bere qualcosa di caldo che mi risollevi l’umore”.

Pamela annuì senza dire altro; preparò un the ai frutti di bosco e riempì due tazze di porcellana bianca.

Le posò sopra il tavolo e prese posto su una sedia.

Ginger la imitò.

Erano sole, Jennifer era a letto già da mezz’ora, per cui potevano parlare liberamente.

“Allora” iniziò la donna, gettando dietro le spalle una ciocca di capelli biondi “adesso puoi darmi le spiegazioni che sto aspettando da oggi pomeriggio?”.

Ginger emise un profondo respiro, abbassò lo sguardo sulla bevanda rossa, dal profumo dolce, da cui si levava una piccola nuvoletta di calore e raccontò tutto.

Raccontò tutto sugli strani comportamenti di Syd, su quello che era accaduto in America e su quello che era accaduto nel corso della seconda esibizione all’Alexandra Palace; raccontò tutto dell’orribile serata a Formentera.

Raccontò del bicchiere che Syd aveva scagliato contro Roger e della chitarra che lei stessa aveva ricevuto in testa.

Raccontò di come lui aveva tentato di arrampicarsi sulle pareti del salotto per scappare.

E raccontò perfino dei vermi da cui era perseguitato giorno e notte.

“Io e Roger lo abbiamo convinto a fatica a recarsi nello Studio di uno psichiatra per una prima visita generale, ecco perché oggi pomeriggio mi ha chiamata e perché poco dopo è passato a prendermi. Secondo lui eravamo gli unici ad avere qualche piccola speranza di riuscire a convincerlo ad andare, e così è stato. È rimasto chiuso lì dentro per quasi un’ora e mezza”

“E lo psichiatra che cosa vi ha detto quando è uscito?”

“Non si è espresso in modo definitivo, ma ha detto che secondo lui non si tratta totalmente di un disturbo mentale. Secondo lui questo malessere profondo è causato anche dalle persone che lo circondato e che lo forzano in continuazione”

“Ovvero?”

“Il gruppo… I manager… La casa discografica… Tutti quelli che si aspettano che sforni una canzone di successo dopo l’altra. Evidentemente questo è troppo per lui… Proprio come ho detto a Roger” mormorò la giovane spostando lo sguardo assorto in direzione di una finestra ed appoggiando il mento sul palmo della mano sinistra.

Le parole del dottor Laing l’avevano fatta riflettere non poco da quando aveva abbandonato la clinica insieme a Roger e Syd.

Era Syd ad essere pazzo, oppure era lui ad essere circondato da pazzi?

Erano state davvero le droghe a farlo uscire di testa o tutte le pressioni che continuavano a schiacciarlo?

E se si era rifugiato nelle droghe proprio per scappare a tutti coloro che lo spremevano e spremevano e spremevano senza dargli un solo attimo di respiro?

Erano state davvero le droghe a spegnere la luce che brillava nei suoi occhi oppure i sciacalli famelici che lo circondavano?

E chi erano quei sciacalli, quei lupi affamati, quelle piovre dai mille tentacoli?

Erano solo i manager? Solo i produttori? Solo la casa discografia?

O lo erano anche Rick, Nick e Roger?

Ginger non era più certa di nulla.

Sapeva solo di avere la testa sul punto di scoppiare.

Calde lacrime iniziarono a scenderle lungo le guance, unendosi sotto il mento; allungò la mano destra e strinse con forza quella sinistra della madre adottiva perché aveva bisogno del supporto di qualcuno, di sentire qualcuno che le infondesse coraggio e speranza.

“Che cosa devo fare, mommi?” sussurrò con un singhiozzo disperato “che cosa posso fare per lui? Io voglio aiutarlo, lo voglio con tutta me stessa, ma non so come fare e da dove iniziare. Cosa devo fare per riavere indietro il ragazzo che ho conosciuto e di cui mi sono innamorata?”.

Pamela prese la mano della figlia adottiva tra le sue e la strinse con più forza per infonderle calore.

“Mi dispiace, tesoro” mormorò con uno sguardo dispiaciuto, scuotendo la testa “vorrei tanto poterti dire cosa fare, ma non credo che esista una risposta a questa domanda”.

Ritorna all'indice


Capitolo 20
*** Desperate Times, Desperate Measures ***


1967, ottobre.


 
Richard continuava a percorrere il bordo del boccale con l’indice destro, Roger fumava con uno sguardo assorto ed il volto di Nick era nascosto dal cappello nero a tesa larga che indossava.

Nessuno dei ragazzi aveva ancora sfiorato le tre birre che avevano ordinato; il temporale che infuriava tra le strade di Londra era la manifestazione atmosferica del loro umore.

Sopra al tavolo del pub, posizionati al centro, c’erano le copie di alcuni quotidiani inglesi: come spesso accadeva negli ultimi mesi, tutto ciò che riguardava Syd ed i suoi comportamenti bizzarri era ampliamente documentato e descritto in modo dettagliato.

“Ora basta!” esclamò Mason tirando su il viso di scatto, risvegliando gli altri due dal torpore in cui erano caduti “nessuno lo vuole dire ad alta voce, ma tutti la pensiamo allo stesso identico modo: non possiamo continuare così. Fino a qualche mese fa lo dicevo per scherzo, ma ora sono davvero convinto che i riflettori abbiamo sciolto definitivamente il cervello a Syd, e le notizie in prima pagina parlano da sé. Non so se sia peggio quando siamo costretti ad annullare una esibizione o quando Syd si comporta come un totale idiota sopra al palco”

“Dopo il primo colloquio non ha più voluto andare dallo psichiatra per le successive visite” mormorò Waters buttando fuori il fumo dalle labbra, appoggiandosi allo schienale della panca “ho provato a parlargli più volte per convincerlo a cambiare idea, ma non ci sono mai riuscito. Ho registrato di nascosto una delle nostre discussioni e l’ho portata al dottor Laing, in modo che avesse altro materiale su cui lavorare… Lui l’ha ascoltata ed ha semplicemente detto che non c’è più nulla da fare”

“E allora di cosa stiamo discutendo? Direi che la soluzione al nostro problema è più che evidente”

“Syd non è più affidabile, è vero, ma non possiamo neppure scaricarlo così, da un giorno all’altro…”

“Io sono stufo dei suoi comportamenti. Lo siamo tutti quanti”

“… A meno che qualcuno non prenda il suo posto”

“Stai parlando di sostituirlo?”

“Di sicuro non possiamo lasciare un posto vacante nel gruppo. Abbiamo bisogno di qualcuno che sappia suonare la chitarra e cantare, che impari in fretta le parti di Syd e soprattutto che sia affidabile”

“L’ultimo requisito è il più semplice da soddisfare: non è affatto difficile trovare qualcuno che sia più affidabile di Syd” commentò Nick in tono ironico “ma comunque il problema di fondo resta: a chi possiamo rivolgerci? Chi può prendere il suo posto?”.

Roger ci pensò per qualche istante.

Gli venne in mente un solo nome che, forse, poteva fare al caso loro.

“Io conosco una persona” disse poi lentamente “è un vecchio amico d’infanzia che non vedo da un po’. Se voi siete d’accordo, posso chiamarlo, chiedergli se è interessato e poi vedere come va”

“Io ci sto!” esclamò subito Nick alzando le mani “peggio di così non può andare, dopotutto. Il fondo lo abbiamo già raschiato da un bel pezzo”

“Rick?” Waters si voltò verso Wright, l’unico che non aveva ancora aperto bocca da quando la discussione era iniziata; anche lui, come il bassista, si accese una sigaretta “la tua opinione a riguardo?”

“Direi che abbiamo le mani legate, no? Lo avete detto anche voi due molto chiaramente ed i giornali parlano in modo altrettanto chiaro. Ormai siamo arrivati ad un punto in cui non ci resta altro da fare se non adottare una soluzione drastica. A mali estremi, estremi rimedi” mormorò quello che era da sempre l’uomo maturo del gruppo “ma come faremo a dirglielo a Syd? Non possiamo andare da lui e dirgli semplicemente che è fuori dal gruppo e che verrà rimpiazzato da un’altra persona”

“Gli parlerò io”

“E riguardo Ginger?” domandò Richard, passando al punto della questione che gl’interessava maggiormente “che cosa facciamo con lei?”

“Che vuoi dire?”

“Beh… Mi sembra abbastanza ovvio quello che intendo dire visto il legame che c’è tra lei e Syd” disse Rick con un sospiro “pensi davvero che reagirà bene?”

“Se è una persona intelligente, capirà che stiamo facendo questo perché non abbiamo altra scelta” rispose Roger, impassibile, spegnendo il mozzicone di sigaretta dentro un posacenere “allora è deciso, e da qui non si torna indietro”.



 
Pioveva.

Pioveva esattamente come il giorno, di tre anni prima, in cui lui e Syd si erano ritrovati ed avevano trascorso l’intero pomeriggio in un pub a parlare ed a bere.

Roger sollevò il viso in direzione del cielo ricoperto di nuvole grigie e pensò che quella era proprio una buffa coincidenza, forse perfino sinistra da un certo punto di vista.

Tutto stava finendo nello stesso modo in cui era iniziato.

E lui non si sentiva affatto male.

Avrebbe dovuto sentirsi male, uno schifo, ma in realtà non sentiva assolutamente nulla perché Syd per primo non aveva lasciato loro altra scelta: li aveva messi con le spalle al muro e costretti a prendere una decisione tanto drastica quanto ferma e dura.

Occasioni come quella capitavano una sola volta nella vita.

A mali estremi, estremi rimedi: così aveva detto Richard.

E Roger concordava con lui.

E non sentiva alcun senso di colpa.

Quelli sarebbero arrivati poi, in un secondo momento, col passare degli anni: piccole ed insignificanti larve che si sarebbero trasformate in vermi e che avrebbero iniziato a mangiare dentro il suo cervello.

Il bassista s’infilò velocemente dentro una cabina telefonica e ne uscì dopo pochi minuti; si strinse nel lungo cappotto nero e camminò velocemente tra le strade affollate di Londra, con le mani dentro le tasche e lo sguardo corrucciato rivolto verso il marciapiede.

Per tutto il tragitto dalla cabina telefonica all’appartamento di Syd continuò a pensare a come affrontare quell’argomento con lui e quali parole usare per essere il più delicato possibile; ci stava ancora pensando quando bussò alla porta con le nocche della mano destra.

Il volto pallido di Syd apparve quasi subito.

“Ohh, sei tu” disse semplicemente, senza mostrarsi particolarmente sorpreso o entusiasta “che cosa vuoi?”

“Posso entrare?”

“Perché?”

“Preferirei spiegartelo dentro, e non qui fuori sul pianerottolo”

“Vuoi trascinarmi ancora da quello psichiatra? L’ultima volta che sei venuto qui e hai detto parole simili, poi mi sono ritrovato nello Studio di uno strizzacervelli

“No, niente psichiatra oggi, voglio solo fare quattro chiacchiere con te. Tutto qua”

“Hai detto anche questo l’ultima volta” mormorò Syd con un sospiro, facendosi comunque da parte per lasciare che Roger entrasse.

L’appartamento, se possibile, versava in condizioni ancora più preoccupanti dell’ultima volta in cui il bassista c’era stato in compagnia di Ginger; venne subito aggredito dall’odore di chiuso che regnava lì dentro e che gli fece piegare le labbra in una smorfia di disgusto.

“Cristo!” esclamò coprendosi la bocca ed il naso con la mano destra “si può sapere da quanto tempo non fai passare aria qui dentro?”

“Veramente non ci ho fatto caso”.

Waters non rispose, si avvicinò ad una finestra e la spalancò, nonostante la pioggia che continuava incessantemente a scendere dal cielo cupo; inspirò una profonda boccata di aria fresca e solo allora riuscì a girarsi verso Barrett.

Lo fissò a lungo, ricevendo in risposta uno sguardo vacuo ed assente.

Roger si chiese perfino se Syd si era realmente accorto della sua presenza o se faceva fatica a metterlo a fuoco con lucidità; probabilmente aveva assunto da poco qualcosa di pesante.

Motivo in più per andare fino infondo alla decisione presa al pub.

Anche quella era una buffa coincidenza: in un pub gli aveva chiesto di seguirlo nell’appartamento in cui viveva perché si era da poco liberata una stanza, e lì gli aveva proposto di unirsi alla band, e sempre in un pub aveva deciso insieme a Nick e Rick che era arrivato il momento di allontanare Syd dal gruppo di cui era diventato leader e cuore pulsante.

In un giorno di pioggia, dentro un pub: tutto stava finendo laddove tutto era iniziato appena tre anni prima.

Roger abbassò il viso e prese un profondo respiro, perfino per lui era difficile fissare troppo a lungo quegli occhi verdi che erano diventati due buchi neri e vuoti.

“Dobbiamo parlare” disse risollevando lo sguardo “e questa volta dobbiamo farlo seriamente, Syd”.
 

Ritorna all'indice


Capitolo 21
*** Border (Parte Uno) ***


 Né Pamela né Ginger notarono qualcosa di strano in Jennifer quando la videro attraversare di corsa il salotto e salire velocemente le scale che portavano al primo piano, e non si preoccuparono neppure dinanzi al lungo silenzio che seguì; cambiarono completamente idea quando udirono un urlo e dei forti singhiozzi provenire proprio dal primo piano.

Madre e figlia adottiva si precipitarono subito a vedere che cosa fosse successo e scoprirono che Jennifer si era chiusa a chiave in bagno; entrambe pensarono subito al peggio, ovvero che la ragazzina fosse scivolata dentro la vasca da bagno e si fosse fatta molto male.

“Jennifer!” gridò Pam, battendo la mano destra sulla porta “te l’ho detto mille volte che non voglio che ti chiudi a chiave in bagno! Apri subito!”

“Jen, apri subito la porta!” le fece eco Ginger.

“No! Non posso farlo!” strillò a sua volta la ragazzina dall’altra parte della porta, con un gemito “non posso assolutamente uscire”

“Sei caduta, tesoro?” le chiese, allarmata, Pamela.

“No, non sono caduta…” Jen esitò prima di continuare “ma ho combinato un disastro”

“Che cosa hai fatto?” domandò Ginger, ma non ottenne alcuna risposta “Jennifer, se non esci e non ci dici cosa hai combinato, non possiamo aiutarti. Che cosa è successo?”

“Jen, tesoro, esci dal bagno, per favore. Io e Ginger non siamo arrabbiate e ti prometto che non ci arrabbieremo, ma esci, per favore” ripeté Pam, addolcendo il tono di voce, e ciò convinse Jennifer ad uscire dopo un ultimo tentennamento.

La ragazzina aprì la porta e si presentò con gli occhi lucidi e con un asciugamano avvolto attorno alla testa; alle sue spalle, dentro il lavandino, era abbandonata una forbice insieme a delle lunghe ciocche di capelli neri.

Altre folte ciocche erano sparse qua e là sul tappeto e sul pavimento.

Alla vista di quello spettacolo inaspettato, Ginger spalancò gli occhi e la bocca ed impiegò qualche secondo prima di ritrovare la voce e la parola.

“Che cosa hai fatto?” strillò sconvolta “mio dio, Jennifer! Che cosa diavolo hai fatto ai tuoi capelli?”.

Col volto paonazzo e con le dita tremanti, la sorella minore si tolse l’asciugamano che aveva avvolto attorno alla testa, rivelando il suo nuovo taglio: la lunga e folta chioma corvina non c’era più, era un ricordo che apparteneva al passato; al suo posto c’era un caschetto cortissimo ed una frangia asimmetrica, più lunga sul lato destro e più corta su quello sinistro.

La rossa sgranò ancora di più gli occhi, e Pamela si portò istintivamente una mano alla bocca.

“Io… Io volevo… Volevo solo…” balbettò Jen senza concludere la frase; la sorella maggiore scorse un oggetto dall’aspetto famigliare appoggiato sopra uno sgabello, scostò Jennifer ed entrò in bagno.

Afferrò l’oggetto e lo guardò confusa: si trattava di una copia di ‘The Piper at The Gates of Dawn’.

Spostò più volte lo sguardo dalla copertina in cartone al disastroso taglio che Jennifer si era fatta da sola, e venne colta da un terribile sospetto che trovò conferma dopo un confronto più approfondito.

Aveva tentato d’imitare lo stesso taglio di capelli di Roger.

“Dimmi che non hai fatto quello che penso!” gridò Ginger, fuori di sé dalla rabbia “ti prego, dimmi che non hai fatto quello che penso!”

“A che cosa ti stai riferendo, Ginger?”

“A questo, mommi!” la giovane indicò prima il viso di Waters sulla copertina e poi Jennifer, che tentava in qualunque modo di trattenere le lacrime “guarda! Voleva tagliarsi i capelli nello stesso identico modo, vedi? Ma perché lo hai fatto? Si può sapere per quale motivo lo hai fatto? Che cosa ti è saltato in mente? Non dirmi che ti piace quell’individuo!”

Il suo nome è Roger!” strillò Jen con gli occhi traboccanti di lacrime e le guance rosse come due mele mature; teneva le mani strette a pugno e tremava dalla rabbia.

Ginger interpretò quella risposta come una conferma al suo terribile sospetto, e reagì con un moto di stizza, scagliando la copertina dell’album contro una parete.

“Sei proprio una stupida ragazzina, Jennifer! Sai che ti dico? Ti sta bene, te la sei cercata! Chissà che questo ti serva da lezione!”.

Le labbra della sorella minore tremarono violentemente, nascose il viso tra le mani, si rannicchiò a terra e scoppiò in un pianto disperato; versò lacrime amare per le parole dure che le erano state rivolte, per essere stata apostrofata per l’ennesima volta come una stupida ragazzina e per la bellissima chioma che giaceva per metà dentro il lavandino e per metà sulle piastrelle del pavimento.

Ginger udì il suono insistente di un clacson: i ragazzi erano arrivati e la stavano aspettando.

Uscì dal bagno senza degnare Jennifer di una sola occhiata e superando velocemente Pamela; prese la giacca al volo ed uscì sbattendo con forza la porta d’ingresso.
Jen emise un verso simile ad un ululato e Pam si sedette a suo fianco per consolarla, preferendo rimandare la ramanzina ad un secondo momento.

Non era il caso d’inferire ancora.

“Non disperare, tesoro” mormorò dolcemente la donna, accarezzando i capelli corti della figlia adottiva più piccola “vedrai che ricresceranno il prima possibile e saranno più lunghi e più folti. Nel frattempo cerchiamo un modo per sistemare il tuo nuovo taglio”.



 
Richard notò immediatamente l’espressione cupa di Ginger e serrò gli occhi per un solo istante, preparandosi psicologicamente alla tempesta che si sarebbe scatenata da lì a pochi minuti.

No, non sarebbe stato affatto facile.

Anzi. Sarebbe stato un vero inferno.

“Noto che questa sera sei particolarmente di buonumore” commentò con un sorriso, mentre il furgoncino ripartiva, cercando di strappare un sorriso alla sua migliore amica; lei, però, rispose con un’occhiata cupa quanto la sua faccia.

“Oggi non sono proprio dell’umore adatto, Rick”

“Perché? Che è successo?” domandò Nick incuriosito, voltandosi.

La ragazza emise un verso seccato e roteò gli occhi.

“Mia sorella, tanto per cambiare, ha fatto un casino: ha ben pensato di chiudersi in bagno con un paio di forbici e di tagliarsi i capelli… Ovviamente con risultati disastrosi” rispose, senza dire che Jennifer aveva tentato (senza successo) di riprodurre lo stesso taglio di Roger; espresse ancora il suo disappunto sottolineando l’immaturità della sorella ed a causa di ciò impiegò qualche minuto prima di rendersi conto che il furgoncino stava percorrendo un tragitto completamente diverso dal solito “perché stiamo facendo questa strada? Non andiamo a prendere Syd?”.

Ginger attese una risposta invano.

Nessuno disse nulla.

Rick girò la testa verso un finestrino, Roger continuò a fissare la strada davanti a sé e Nick sviluppò un improvviso interesse per le unghie delle proprie dita.

Non andiamo a prendere Syd?” ripeté Ginger alzando il tono di voce e corrucciando le sopracciglia.

A quel punto, Waters accostò il mezzo di trasporto vicino al marciapiede e si voltò a guardare la rossa negli occhi per darle una risposta.

“No, questa sera non lo andiamo a prendere” disse con fermezza.

La giovane sbatté più volte le palpebre, confusa.

“Perché?” chiese guardando tutti e tre i ragazzi “perché non passiamo a prendere Syd? Io non… Non capisco… Che cosa… Che cosa sta succedendo?”

“La scorsa settimana abbiamo bevuto qualcosa in un pub e abbiamo parlato… Abbiamo parlato molto riguardo la band e riguardo al futuro della band, e tutti insieme abbiamo concordato su un punto cruciale: così non possiamo andare avanti perché siamo arrivati ad un vicolo cieco”

“Che cosa stai dicendo?”

“Sto dicendo che Syd non è più affidabile e le esibizioni degli ultimi mesi lo hanno dimostrato appieno”

“E quindi?”

“E quindi abbiamo deciso di contattare un mio vecchio amico di Cambridge. È bravo, in un paio di giorni ha imparato tutte le parti di Syd ed abbiamo già fatto un paio di prove in Studio con lui. Abita poco lontano da qui, ecco perché ho imboccato questa strada anziché quella che porta all’appartamento di Syd”

“Aspetta… Stai dicendo che… Stai dicendo che state scaricando Syd senza neppure parlarne con lui?

“No, non è così. Sono andato io stesso a un paio di giorni fa. Gli ho detto che può continuare a scrivere le canzoni per il gruppo ed a registrarle con noi in Studio, ma senza la pressione di esibirsi in TV e di cantare dal vivo perché a quello ci penserà il nostro nuovo chitarrista. E sai che cosa mi ha risposto? Ha detto che visto che ci siamo, potremo anche assumere due donne sassofoniste” rispose Waters con uno sguardo serio “ti rendi conto che non ci sta più con la testa?”

“E voi, anziché aiutarlo, volete scaricarlo senza tanti complimenti e lasciarlo in balìa di sé stesso?”

“Abbiamo provato ad aiutarlo” intervenne Nick, prendendo le difese di Roger, e Ginger gli rivolse uno sguardo stupefatto: davvero pensavano di averlo aiutato dopo mesi e mesi trascorsi ad ignorare il problema con l’assurda speranza che si risolvesse da solo?

Davvero pensavano quello?

“Gli abbiamo parlato tante volte, abbiamo annullato diverse esibizioni per portarlo in vacanza a Formentera, io ho chiamato suo fratello e ho cercato di convincerlo in qualunque modo possibile di vedere uno specialista, ma lui ha sempre rifiutato qualunque forma di aiuto da parte mia e da parte loro… Ormai non possiamo fare altro per lui. Se vuole andare affondo, non trascinerà anche noi tre”

“Syd è malato, non si rende neppure conto di quello che dice e di quello che fa, ma non riuscite proprio a capirlo?”

Noi abbiamo fatto tutto ciò che potevamo fare” disse il bassista a denti stretti, colpendo la portiera del furgoncino col pugno destro “apri gli occhi, Ginger, e smettila di ragionare come una ragazzina perdutamente innamorata: ci sono persone che non vogliono essere aiutate ed altre che non possono essere aiutate, e Syd ha varcato da un bel pezzo il confine tra queste due categorie. È come l’uomo che si lega una roccia pesante ai piedi e si butta in acqua per farla finita: se ti tuffi in acqua per salvarlo, finirai solo per annegare a tua volta. Io ci tengo alla band, ed anche Nick e Rick la pensano come me. Nessuno di noi tre vuole finire a lavorare in uno Studio di architettura o, peggio ancora, a fare il commesso in un negozio di strumenti musicali”

“E quindi siete pronti a sacrificare Syd per la vostra ambizione?”

“Non abbiamo altra scelta. Siamo con le spalle al muro. Te l’ho detto: ho lavorato troppo per buttare tutto nel cesso in questo modo. Io non affondo con lui”

“Richard” con voce stridula, Ginger cercò disperatamente l’aiuto del suo migliore amico: lui non poteva assolutamente pensarla allo stesso modo “Richard, ti prego, dì a Roger che quello che sta dicendo è una follia e che non potete scaricare Syd in questo modo. Dì qualcosa, ti prego, non continuare a stare zitto”.

Wright sollevò le iridi chiare, guardò la rossa negli occhi e scosse lentamente la testa.

“Mi dispiace, Ginger” mormorò scuotendo ancora la testa “ma Roger non sta parlando a sproposito. Siamo stanchi, siamo esasperati, abbiamo provato ad aiutarlo in qualunque modo possibile e…”

“Fate schifo! Mi fate assolutamente schifo! Il vostro comportamento è assolutamente schifoso! E voi sareste suoi amici? I veri amici non scaricano una persona nel momento del bisogno come se fosse un sacchetto della spazzatura! Se fosse accaduto l’opposto, lui non vi avrebbe mai voltato le spalle, ma voi… Voi lo avete fatto senza scomporvi minimamente, perché il successo ed i soldi sono più importanti di qualunque altra cosa, vero? Sono molto più importanti del proprio amico d’infanzia” la giovane rivolse uno sguardo di puro odio a Roger, che rimase impassibile, e poi puntò l’indice destro contro Rick “fate schifo, mi avete delusa, e tu… Tu mi hai deluso più di tutti!”

“Ginger…”

“Andate tutti e tre a farvi fottere” gridò lei, uscendo dal furgoncino.

“Ginger!”

“Lasciala andare” tagliò corto Waters “se non vuole guardare in faccia il problema, peggio per lei. Vorrà dire che se ne renderà conto dopo aver sbattuto con forza la faccia… O affonderà insieme a lui”.

Rick lanciò un’occhiataccia al bassista ed uscì a sua volta dal furgoncino; riuscì a raggiungere Ginger, l’afferrò per un braccio e lei provò a divincolarsi.

“Lasciami andare, Richard. Lasciami andare subito o giuro che non mi farò scrupoli a colpirti”

“Ginger, Ginger, per favore, calmati! Non sei in te in questo momento”

“Lasciami andare subito, non te lo dirò un’altra volta!”

“Ginger, lascia che ti spieghi come stan…”.

Il tastierista non terminò la frase a causa di uno schiaffo che ricevette sulla guancia sinistra e che riecheggiò per la strada deserta; la ragazza lo colpì una seconda volta sul lato destro del viso, riuscì finalmente a liberarsi e guardò il suo migliore amico con gli occhi lucidi e con il petto che si alzava ed abbassava rapidamente.

“Che cosa vorresti spiegarmi? Non c’è nulla da spiegare, le parole di Roger hanno già detto tutto quanto”

“Dove vuoi andare?”

“Da lui, mi sembra ovvio. Io non sono intenzionata ad abbandonarlo come avete fatto voi”

“Ginger, fermati, non puoi farlo” Rick tentò di bloccarla di nuovo “ascoltami… Ascoltami, ti prego… So quello che stai passando in questo momento e so anche quello che vuoi fare… Ma non puoi aiutarlo, Ginger. Siamo arrivati ad un punto in cui nessuno può più aiutare Syd”

“Io posso”

“Non essere così testarda e cerca di ragionare, per favore. Te lo sto chiedendo per favore” sussurrò Wright, afferrandola saldamente per le spalle, costringendola a guardarlo negli occhi “ascoltami: ormai non puoi più fare nulla per Syd. Per quanto possa essere straziante e dolorosa da accettare, questa è la realtà. E se tu adesso vai da lui, trascinerà anche te nel baratro. Non puoi chiedermi di guardare la mia migliore amica buttare al vento la sua vita e di non fare nulla per impedirglielo. Non puoi essere così egoista da chiedermi questo”.

La ragazza si liberò di nuovo dalla presa e mosse un passo all’indietro, scuotendo con forza la chioma rossa; adesso le lacrime le solcavano silenziose le guance.
“Non sono io l’egoista. Voi siete i veri egoisti” mormorò con voce incrinata “non provare più a fermarmi e non rivolgermi mai più la parola, Rick. Ho chiuso con te e con gli altri. È finita”.

Ginger voltò le spalle al suo migliore amico e si allontanò correndo; Richard provò a richiamarla indietro, ripetendo più volte il suo nome ad alta voce, inutilmente.

Alla fine si arrese e, con un sospiro, tornò indietro e risalì sul furgoncino perché erano terribilmente in ritardo sulla tabella di marcia.



 
Pamela porse una tazza di cioccolata calda a Jennifer, raccomandandole di fare attenzione perché la ceramica era bollente.

La ragazzina tirò su col naso, borbottò qualche parola di ringraziamento e prese la tazza.

Pamela era riuscita a sistemare il disastro combinato da Jennifer, ma ora lei si ritrovava a dover fare i conti con un cortissimo caschetto da maschiaccio e con una frangetta che si fermava ad un paio di centimetri di distanza dalle sopracciglia; Jen lanciò una rapidissima occhiata al proprio riflesso sul vetro di una finestra e dalle sue labbra uscì un profondo e sofferto sospiro.

“Come farò ad andare a scuola?” si chiese con un gemito sommesso “come farò a girare per strada con i capelli in queste condizioni? Che cosa dirà quell’oca di Mary quando mi vedrà in queste condizioni? Ora si accanirà ancora di più contro di me”

“Adesso hai capito che non è mai una buona idea chiudersi in bagno con un paio di forbici affilate e tagliarsi i capelli da sola” commentò Pam, per poi spostare lo sguardo sulla copia dell’album, che giaceva sopra un tavolino dopo essere stata recuperata dal pavimento del bagno “quando l’hai preso quello?”

“Un po’ di tempo fa”

“Non ricordo di averti mai dato i soldi per comprare un disco”

“No, infatti” borbottò la ragazzina avvampando, all’improvviso, dalla vergogna “può essere che tempo fa ti abbia raccontato una piccola bugia riguardo un debito inesistente che avevo nei confronti di Danny”

“E si può sapere per quale motivo mi hai raccontato una bugia? Perché non mi hai detto subito che volevi comprare quell’album?”

“Perché la settimana prima avevo speso tutti i soldi per delle caramelle. Temevo che non mi avresti dato altre sterline se ti avessi raccontato il vero motivo per cui mi servivano e quindi… Quindi mi sono inventata la storia della bancarella che vendeva pesce fritto e patatine. Mi dispiace, mommi, ho sbagliato, non avrei mai dovuto mentirti, ma io dovevo comprare una copia di quell’album”

“Molto bene” disse la donna senza scomporsi “allora come punizione ti sequestrerò il disco per un mese”

“Prendilo pure il disco, se vuoi, perché me la merito una punizione così severa… Ma, per favore, lasciami la copertina”

“Perché?” Jennifer non rispose ed arrossì ancora più intensamente; Pam abbassò lo sguardo sulla copertina e si soffermò sul ritratto di Roger “ti sei presa una cotta per quel ragazzo alto e magro?”.

La porta d’ingresso dell’abitazione si aprì e si richiuse con eccessiva violenza; Ginger apparve per qualche istante in salotto per scomparire quasi subito al piano superiore.

Pamela intravide di sfuggita le guance rigate di lacrime e si precipitò a sua volta al primo piano, seguita a ruota da Jennifer: quando spalancò la porta della camera da letto delle figlie adottive, trovò la maggiore visibilmente alterata, che riempiva un vecchio zaino con i primi vestiti che le capitavano tra le mani.

“Ginger, che cosa è successo? Che cosa stai facendo?”

“È successo che sono dei grandissimi stronzi, Richard compreso, ed io me ne sto per andare”

“Ginger! Ma cosa stai dicendo?”

“Hanno fatto fuori Syd dalla band!” gridò la ragazza sconvolta, fuori di sé dalla rabbia, dall’incredulità e da una moltitudine di emozioni che neppure lei era in grado di descrivere “lo hanno sostituito con… Con… Non so neppure con chi lo hanno sostituito e non m’interessa saperlo. Da un giorno all’altro hanno deciso che sono stanchi di lui e di affidare a qualcun altro il suo ruolo di chitarrista. Ti rendi conto, mommi? Ti rendi conto di quello che hanno fatto? Avresti dovuto sentire la leggerezza con cui me lo hanno detto! E sono davvero convinti di avere fatto tutto il possibile per lui! Hanno ragione a dire che la fame di successo cambia completamente le persone”

“E dove vorresti andartene?”

“Da lui, mommi” rispose Ginger, continuando a riempire lo zaino di vestiti “io non lo voglio abbandonare. Io voglio aiutarlo a guarire. Loro sono convinti che non ci sia più nulla da fare, non io

“Ginger, prendi un profondo respiro e calmati. È ovvio che non sei in te in questo momento. Sei sconvolta e non riesci a ragionare con lucidità”

“No, ti sbagli. Ti sbagli assolutamente, proprio come loro. Io sono lucidissima ed infatti so benissimo quello che voglio fare: andrò da lui e lo aiuterò a guarire… In un modo o nell’altro. Io non lo abbandono, per nessuna ragione al mondo”

“Non puoi andartene di casa così, da un momento all’altro, per trasferirti a casa di un ragazzo che… Che non sta bene! Syd ha bisogno di vedere uno specialista, ha bisogno di essere ricoverato in una clinica in cui posso occuparsi davvero di lui e dei suoi problemi”

“Che problemi ha Syd?” chiese Jennifer preoccupata “sta male?”

“Syd non sta male e non ha bisogno di essere portato al manicomio. Ha solo bisogno di avere a suo fianco qualcuno che ci tenga a lui, che lo tenga per mano e che lo aiuti ad uscire dal tunnel della dipendenza. Quando riuscirò a farlo smettere, tornerà ad essere il ragazzo che ho conosciuto mesi fa”

“Non credo che questo sia possibile, Ginger” Pamela si posizionò davanti alla porta aperta della camera “e non pensare che ti lascerò andare in questo modo. Stai commettendo un errore che potrebbe costarti molto caro. Tu e Jennifer siete le cose più preziose che possiedo al mondo, ho giurato che vi avrei protette a qualunque costo quando siete entrate a far parte della mia vita”

“Lasciami passare”

“No, non chiedermi questo”

“Prima ho preso a schiaffi Richard quando ha provato a fermarmi, non costringermi a fare qualcosa di cui potrei pentirmi, per favore. Fammi passare”

“No, sono sempre stata permissiva nei vostri confronti, ma questa volta non…”.

Ginger mise in atto la minaccia fatta alla madre adottiva senza lasciarle il tempo di finire la frase: la spinse con violenza di lato, facendola cadere sul tappeto che ricopriva il pavimento del corridoio; Jennifer emise uno strillo spaventato e si coprì la bocca con entrambe le mani perché non si aspettava una reazione così violenta da parte della sorella maggiore.

La ragazza uscì dalla stanza con lo zaino appoggiato sulla spalla sinistra, appoggiò una mano sul pomello in cima al corrimano e si voltò a guardare la madre adottiva, ancora a terra, e la sorella minore che la guardava sconvolta e con gli occhi traboccanti di lacrime.

“Mi dispiace” sussurrò con la vista appannata “scusami, per quel che può valere. So che ti sto deludendo profondamente e dopo quello che sto per fare hai tutto il diritto di cancellarmi dalla tua vita per sempre, ma devo andare da lui. Mommi, io amo Syd. Mi sono perdutamente innamorata di lui e voglio aiutarlo. So che da qualche parte esiste ancora il ragazzo brillante, sensibile ed intelligente che ho conosciuto… Quel ragazzo si è semplicemente perso, ed io lo aiuterò a tornare indietro. Spero che un giorno riuscirai a capire la mia decisione e che mi perdonerai. Scusatemi ancora. Tutte e due”.

Ginger scese di fretta la scala, rischiando d’inciampare, spalancò la porta d’ingresso, fece lo stesso con il cancelletto al termine del piccolo vialetto che attraversava il giardino e corse a perdifiato tra le strade buie e deserte di Londra, illuminate qua e là dai lampioni; corse senza mai voltarsi, senza mai fermarsi per riprendere fiato e senza badare al fianco sinistro che ben presto iniziò a pulsare dolorosamente.

Salì a due a due le scale che portavano all’appartamento di Syd e gridò più e più volte il suo nome; inciampò sull’ultima rampa di scalini, ma si rialzò subito per proseguire la sua folle corsa nel cuore della notte.

La porta dell’abitazione non era chiusa a chiave, e la ragazza la spalancò chiamando ancora una volta per nome il suo ragazzo; perché loro due erano una coppia, anche se non ne avevano mai parlato.

Perché in certe situazioni le parole erano superflue.

Lui era seduto sul davanzale di una finestra, perfettamente immobile, con il viso rivolto verso i tetti degli edifici che si potevano ammirare da quell’altezza; l’intero appartamento era avvolto dal buio, tutte le luci erano spente.

Syd girò lentamente il viso in direzione di Ginger; lei chiuse la porta, lasciò cadere a terra lo zaino e corse ad abbracciarlo.

Gli buttò le braccia attorno al collo e si strinse a lui, singhiozzando.

“So tutto quanto” sussurrò piangendo lacrime silenziose “appena me lo hanno detto sono scesa dal furgoncino, sono tornata a casa ed ho riempito uno zaino con tutto quello che ho trovato nell’armadio e che ci stava dentro. Io sono qui per aiutarti e non ho alcuna intenzione di andarmene fino a quando non ci sarò riuscita”

“Sei tu? Sei proprio tu, Ginger?” domandò semplicemente Barrett, scostandole delle ciocche di capelli arruffati dal viso “sei reale, o sei uno scherzo crudele dei vermi?”

“No, i vermi non c’entrano nulla in tutto questo. Io sono qui. Sono reale. E ti amo” mormorò la ragazza con labbra tremanti; Syd non disse altro, e dopo aver vagato con lo sguardo su quelle labbra piene si fiondò su esse, baciandole con passione.

Ginger rispose con altrettanta passione al bacio, stringendosi a lui con una forza dettata dalla disperazione: non voleva lasciarlo andare, aveva paura di lasciarlo andare, di staccarsi un solo istante da lui perché temeva di perderlo.

Temeva che i vermi potessero trascinarlo lontano da lei per sempre, in una prigione mentale irraggiungibile dalla quale lui per primo non sarebbe riuscito a trovare una via di fuga.

Si lasciò sollevare ed appoggiare sul vecchio materasso matrimoniale che fungeva da letto; si lasciò spogliare ed accolse Syd dentro di sé con un gemito ed un sorriso, perché non desiderava altro che fondersi con lui in un unico corpo per convincerlo che era reale, che lo erano entrambi e soprattutto che i vermi nella sua testa non esistevano e non stavano cercando d’ingannarlo in alcun modo.

Si lasciò baciare sul viso, sul corpo, e baciò a sua volta il giovane di cui era perdutamente innamorata; sussurrò contro la sua bocca parole dolci, ripeté più volte il suo nome e lo gridò nel momento in cui raggiunse l’orgasmo e lui rilasciò il proprio seme all’interno del suo corpo, lasciandosi andare ad un sospiro appagato.

Ginger accarezzò la chioma folta, lunga e scompigliata di Barrett mentre entrambi riprendevano fiato, sdraiati nudi e sudati sul materasso.

Cercò ancora le sue labbra per un bacio urgente e disperato come i precedenti, e gli accarezzò la guancia destra, tracciando poi il contorno del suo viso con l’indice destro; anche se il suo sguardo non era più lo stesso, e negli ultimi mesi era diventato più magro e più pallido, la sua bellezza mozzafiato era rimasta immutata.

Anzi. Così appariva perfino più etereo.

“Ti amo” ripeté la giovane per la terza volta, nascondendo il viso contro la spalla sinistra di Syd e chiudendo gli occhi “e non ti lascerò mai andare, per nessuna ragione al mondo”.
 

Ritorna all'indice


Capitolo 22
*** Border (Parte Due) ***


Ginger aprì gli occhi, si stiracchiò e sbadigliò sonoramente; gli unici indumenti che indossava erano un paio di slip neri ed una maglietta blu, a maniche corte, che apparteneva a Syd e che si era infilata la notte precedente dopo aver fatto l’amore con lui una seconda volta.

Era stato perfetto.

Nonostante tutto, era stato semplicemente perfetto come la loro prima volta.

Sbatté più volte le palpebre e si guardò attorno, capì che c’era qualcosa che non andava nello stesso istante in cui mise a fuoco la stanza in cui si trovava: non era il disordinato salotto dell’appartamento, bensì una stanza molto più piccola e completamente spoglia di qualunque mobile; le pareti erano bianche e c’era un’unica finestra chiusa.

Ginger non ricordava affatto di essere entrata in quella stanza.

Perché, poi, avrebbe dovuto dormire sul pavimento di una stanza completamente spoglia? Non aveva alcun senso logico.

Si alzò dalle assi in legno, si avvicinò alla porta, girò il pomello verso destra… E scoprì che era chiusa a chiave.

Provò una seconda, una terza e perfino una quarta volta, ma la porta continuava a rimanere sprangata; provò a spingerla, a tirarla, ma non ottenne nulla.

Iniziò a battere il palmo della mano destra contro il legno ed a chiamare ad alta voce Syd.

“Syd! Syd! Questa maledetta porta è bloccata, non riesco ad uscire!”

“Non è bloccata” rispose lui dall’altra parte, in tono tranquillo “l’ho chiusa io a chiave”.

La ragazza restò in silenzio con gli occhi e la bocca spalancati.

Non poteva credere a quello che le sue orecchie avevano appena udito.

“Perché mi hai chiusa a chiave qui dentro?”

“Perché tu non sei reale. Sono stati i vermi a mandarti” disse il giovane nello stesso tono tranquillo di poco prima.

“Syd, i vermi non esistono!” gridò la rossa, afferrando il pomello della porta con entrambe le mani, perché ora iniziava ad avere davvero paura “Syd, apri questa porta, per favore! Non puoi fare sul serio, non puoi volermi davvero tenere segregata qui dentro! Syd? Syd, maledizione!”.

Non ottenendo alcuna risposta dall’altra parte, la ragazza prese a picchiare con forza i palmi delle mani sul legno; arrivò perfino a prendere a calci la porta nella vana speranza di sfondarla, ma si arrese ben presto quando rimase senza fiato, dopo essersi ferita in modo superficiale il piede sinistro.

Si voltò a guardare la finestra e si precipitò verso quella che poteva essere la sua sola salvezza per scoprire, con orrore crescente, che anche quella era ermeticamente sigillata e che non c’era alcun modo di aprirla, a meno che non sfondasse il vetro lanciandoci contro un oggetto pesante.

Peccato che lì dentro non c’era assolutamente nulla.

Ginger tornò indietro e riprese a picchiare con forza i pugni contro la porta, piangendo disperata.

“Non puoi fare sul serio! Non puoi fare sul serio!” ripeté più volte singhiozzando forte “non puoi volere questo! Non puoi volermi tenere segregata qui dentro! Syd? Syd? Syd, maledizione, rispondi! Syd!”.

Continuò a battere i pugni ed a gridare a squarciagola inutilmente, finché non si ritrovò con le nocche che sanguinavano e con la gola secca e gonfia.

Dal salotto non giunse mai alcuna risposta.



 
Ginger osservò le persone che camminavano di fretta sui marciapiedi, i mezzi pubblici che passavano velocemente e le piccole gocce di pioggia che battevano con insistenza contro il vetro; si sistemò una ciocca di capelli sudati, e sporchi, dietro l’orecchio destro, emise un profondo sospiro e si allontanò dalla finestra chiusa ermeticamente per tornare a sedersi sulle assi del pavimento, con la schiena appoggiata ad una parete.

Era rinchiusa in quella maledetta stanza da tre giorni ormai, e non aveva la più pallida idea di quanto tempo ancora ci sarebbe rimasta.

Durante quelle trentasei lunghissime e strazianti ore di agonia aveva provato più e più volte a battere i pugni contro la porta ed a supplicare Syd di liberarla, ma lui era sempre rimasto muto e l’aveva ignorata; tutto ciò che aveva fatto era stato passarle qualche biscotto, di tanto in tanto, attraverso la fessura della porta.

Ginger si era arresa dopo l’ennesimo tentativo andato a vuoto e si era lasciata andare alla disperazione più profonda ed assoluta.

Aveva preso a schiaffi Richard, gli aveva ripetuto più volte che era profondamente disgustata e delusa dal suo comportamento e che non voleva avere più nulla a che fare con lui.

Aveva spinto violentemente mommi quando lei aveva provato a fermarla ed a farla ragionare.

Se ne era andata di casa volontariamente.

Aveva trattato in modo orrendo due delle persone a cui teneva di più al mondo ed aveva troncato in modo violento ogni rapporto con loro.

E ora…

Ora nessuno sarebbe andato a cercarla.

Nessuno si sarebbe preoccupato, nessuno si sarebbe presentato all’appartamento di Syd per verificare la situazione di persona e lei sarebbe rimasta lì.

Sarebbe rimasta chiusa a chiave dentro quelle quattro mura senza acqua e con qualche biscotto come unico sostentamento, fino a quando il suo corpo non avrebbe ceduto ed avrebbe esalato l’ultimo respiro, spirando di stenti; e tutto perché aveva testardamente deciso di aiutare Syd da sola, senza dare retta alle parole degli altri.

Alle parole di Roger.

Ora, dopo tre giorni di segregazione, le parole del bassista non iniziavano più a sembrarle così dure e fredde, anche se continuava a considerarlo un gran bastardo per il modo in cui aveva voltato le spalle al suo più caro amico d’infanzia.

La ragazza tirò su col naso, si accucciò sul pavimento e spiò attraverso la fessura della porta: dall’altra parte, scorse la figura solitaria di Syd, di spalle, seduto sul materasso vecchio e malmesso; capì che stava fumando una sigaretta perché riuscì delle piccole nuvolette di fumo grigio che apparivano ad intervalli regolari.

Si tirò su col busto, appoggiò la fronte contro il legno e provò a fare un altro, disperato, tentativo.

“Syd, ti prego, per favore. Apri questa porta. Ho bisogno di parlarti. Non ce la faccio più a stare qui dentro, non so per quanto ancora riuscirò a resistere dentro questa stanza. Ho freddo, ho fame, ho sete ed ho assolutamente bisogno di farmi una doccia. Ti prego. Non sono arrabbiata, voglio solo parlare ed aiutarti, Syd” Ginger attese a lungo, ma le sue preghiere vennero ignorate come le precedenti; lacrime silenziose iniziarono a scorrerle lungo le guance, allontanò la fronte dalla superficie liscia e fredda della porta e si appoggiò ad essa con la schiena, deglutendo a fatica un grumo di saliva “so che non vuoi ascoltare le mie parole perché pensi che sia uno scherzo crudele che i vermi ti stanno giocando, ma ti posso assicurare che non è così. Se non fossi reale, se fossi solo una loro illusione, come potrei ricordare tutte le bellissime lettere che mi hai scritto mentre ero bloccata a casa con la caviglia ingessata? O come potrei ricordare la bellissima notte che abbiamo trascorso insieme a Cambridge? La ricordi? Ricordi quanto è stata magica? Mi hai svegliata lanciando dei sassi contro la finestra della mia camera e mi hai trascinata in una folle corsa per prendere in tempo l’ultimo treno della notte per Cambridge. Quando siamo arrivati lì, hai preso di nascosto una bici a casa di tua mamma e mi hai portata a fare un giro in barca in quel meraviglioso laghetto circondato da canneti, su cui si specchiavano la luna e le stelle… E… E mi hai parlato di quel libro, te lo ricordi? Mi hai parlato del capitolo in cui i due protagonisti vivono un’esperienza altrettanto magica e mistica come la nostra. Mi mancano quei tempi, Syd. Mi mancano terribilmente, ma non è ancora troppo tardi per farli tornare indietro. Possiamo andare ancora a quel laghetto a Cambridge e ricominciare da zero. Possiamo farlo anche adesso. Per favore, Syd, apri la porta e torniamo insieme a quel laghetto per un pic-nic. Per favore. Per favore”.

La ragazza nascose il viso tra le mani e scoppiò in un pianto disperato.

Sollevò il viso di scatto, incredula, quando sentì la serratura della porta scattare; si aspettava di vederla aprirsi e di vedere comparire Syd, ma ciò non accadde.

Si alzò a fatica, con le gambe che tremavano, ed uscì dalla stanza guardandosi attorno, cercando Barrett con lo sguardo.

Vide che era di nuovo seduto sul materasso a fumare: si era alzato solo per aprire la porta e poi era tornato lì.

L’osservò in silenzio, in attesa di una risposta, di una qualunque reazione da parte sua, ma lui continuava a fissare il vuoto, con la sigaretta che si consumava sempre più rapidamente tra le dita.

“Syd?” lo chiamò in un sussurro appena udibile “per favore, dì qualcosa. Qualunque cosa”

“Ricordi perché Pan regala a Talpa e Topo il dono di dimenticare l’esperienza mistica vissuta? Perché se mai le loro menti riuscissero a ricordare l’esperienza mistica vissuta, allora il resto delle loro vite sarebbe rovinato dalla consapevolezza di non poterla mai più rivivere” Barrett girò lentamente il viso verso Ginger e la fissò con i due buchi neri che aveva come occhi “che senso ha, dunque, sforzarsi di ripetere una cosa che non può più tornare?”.

Ginger trattenne il fiato; per la prima volta, da mesi, aveva capito perfettamente il senso delle parole di Syd: a modo suo, le aveva appena detto che era troppo tardi per lui, che ormai si trovava rinchiuso in una prigione mentale dalla quale era impossibile uscire e che lei doveva smetterla di rincorrere un passato che non poteva essere rievocato perché non esisteva più.

Era finita. Nel peggiore dei modi, ma era finita.

La ragazza distolse lo sguardo dagli occhi assenti e spegni del giovane, recuperò in fretta lo zaino, i suoi vestiti che giacevano sul pavimento da tre giorni e scappò dall’appartamento con addosso solo gli slip e la maglietta blu che aveva preso a Syd; corse senza mai voltarsi indietro e piangendo, senza badare alle occhiate sconvolte che i passanti le lanciavano perché era mezza nuda, in lacrime e con i capelli ridotti ad una massa sporca ed arruffata.

Pamela la trovò in quelle condizioni quando andò ad aprire la porta d’ingresso, dopo aver udito qualcuno bussare più volte con insistenza: rannicchiata sotto il portico, davanti l’uscio di casa, con le braccia avvolte attorno ai fianchi e lo sguardo rivolto verso il basso; la povera donna per poco non ebbe un collasso alla vista della figlia maggiore (che ormai credeva perduta per sempre) ridotta ad uno straccio pallido e tremante come una foglia, e gettò d’istinto un urlo prima di soccorrerla ed aiutarla ad alzarsi.

Jennifer accorse a sua volta, richiamata dal trambusto, ed i suoi occhi si spalancarono in una espressione carica di orrore quando vide a sua volta la sorella.

“Mio dio, Ginger!” esclamò Pamela dopo essersi in parte ripresa dallo sconvolgimento iniziale “che cosa ti è successo?”.

La giovane sollevò finalmente il viso; provò a rispondere, ma le labbra iniziarono a tremare violentemente, impedendole di pronunciare una sola parola.

Emise un singhiozzo e poi si fiondò tra le braccia della madre adottiva, scoppiando in un pianto straziante e disperato.



 
Diverse ore più tardi, dopo essersi calmata, aver fatto un lungo bagno caldo ed aver indossato dei vestiti puliti, Ginger giaceva semi sdraiata sul proprio letto, sotto diversi strati di lenzuola morbide e profumate; Pamela le aveva lavato con cura i capelli, glieli aveva asciugati, pettinati ed infine raccolti in una treccia fiammeggiante.

Le aveva anche preparato una minestra fumante, ma il piatto era ancora perfettamente intatto sopra al comodino, e la donna lo notò subito quando rientrò in camera con una bevanda bollente per scambiare quattro chiacchiere.

“Non hai toccato cibo” osservò, sedendosi sul bordo del letto; Ginger rivolse una rapida occhiata al piatto e sospirò.

“Non ho fame”

“Ti va di parlare?” chiese allora Pamela “ti va di raccontarmi cosa è accaduto?”

“Io…” la ragazza si bloccò subito, la vista le si appannò ancora e Pam si affrettò a calmarla per evitare un’altra crisi isterica di pianto; Jennifer non era presente in camera, per quella notte avrebbe dormito con lei sul letto matrimoniale perché la sorella maggiore aveva bisogno di pace, tranquillità e di un po’ di tempo per sé stessa.
“Non sei costretta a dirmi tutto ora se sei ancora così scossa. Devi farlo solo e quando te la senti”

“Dopo essermene andata da qui, sono corsa al suo appartamento. Lui era lì, da solo, al buio. L’ho abbracciato, abbiamo parlato e… Abbiamo fatto l’amore” le guance della ragazza si tinsero di un rosa più acceso quando parlò del rapporto intimo che aveva avuto con Syd, benché quella non fosse stata la loro prima volta “quando mi sono risvegliata, la mattina dopo, mi sono ritrovata dentro una stanza e… E quando ho provato ad aprire la porta ho… Ho scoperto che era chiusa a chiave. Era stato lui a chiudermi lì dentro, ed aveva sprangato anche l’unica finestra che c’era. Era convinto che io non fossi reale e che fossi solo un’illusione creata dai vermi che crede di avere in testa. Sono… Sono rimasta rinchiusa in quella stanza per tre giorni prima che… Prima che riuscissi a convincerlo a liberarmi… E poi sono scappata”.

Ginger nascose il viso tra le mani e pianse silenziosamente; Pamela le passò un braccio attorno alle spalle e la strinse a sé, appoggiando la guancia destra sulla morbida chioma rossa.

“Tesoro mio…” sussurrò soltanto, perché non sapeva che altro aggiungere “tesoro mio…”

“Ho fallito, mommi, ho fallito completamente. Non sono riuscita a salvare il ragazzo di cui mi sono innamorata ed ora l’ho perso per sempre. Non ho fatto nulla quando ancora ero in tempo ed adesso è troppo tardi… Troppo tardi… Ho perso Syd e non me lo perdonerò mai, mai e poi mai”

“Tesoro mio, non darti colpe che non hai. Forse Syd non poteva essere salvato fin dall’inizio. Forse la sua situazione è così grave che nessuno può fare nulla… Né uno specialista, né i suoi amici e neppure tu”

“Ma io lo amo, mommi. Io lo amo, lo amo, lo amo… E l’ho abbandonato” Ginger singhiozzò più forte e Pamela lasciò che si sfogasse in silenzio, accarezzandole i capelli ed asciugandole di tanto in tanto le lacrime salate che continuavano a rigarle le guance; sciolse l’abbraccio quando fu certa che la crisi fosse passata, le porse la tazza di the ai frutti di bosco (il suo preferito) e le disse di rilassarsi e riposare.

Si fermò sulla soglia della porta, richiama dalla voce della figlia adottiva maggiore.

“Sì?”

“Mi dispiace aver abbandonato te e Jennifer in quel modo e… Mi dispiace averti spinta a terra. Sono stata una persona orribile”

“Ginger, non scusarti di questo. Anch’io sono stata giovane ed innamorata una volta. Riposati ora, ne riparleremo quando ti sentirai meglio” Pam sorrise e poi chiuse la porta; la ragazza rispose al sorriso, ma non appena si ritrovò da sola nella stanza, divenne nuovamente seria.

Appoggiò la tazza sopra al comodino, vicino al piatto con la zuppa, aprì un cassetto e tirò fuori due blocchetti di fogli legati insieme da un nastro colorato: il primo era costituito da tutte le lettere che Syd le aveva scritto durante i viaggi in cui non aveva potuto essere presente a causa della caviglia rotta, il secondo, invece, erano tutte le fotografie che gli aveva scattato di nascosto, quelle che Roger le aveva strappato di mano nella sala d’attesa dell’ospedale e che aveva sfogliato con una smorfia contrariata.

Accese la lampada posizionata sopra il piccolo mobile e rilesse le lettere una ad una, muovendo appena le labbra, per poi passare agli scatti rubati che ritraevano Syd insieme alla band, nei giorni in cui era ancora il ragazzo sorridente ed allegro che le aveva rubato il cuore con una frase buffa e stravagante.

Dovrebbero disegnare te sulle scatole dei cioccolatini.

In una, in particolar modo, era riuscita ad immortalare la luce unica che brillava nei suoi occhi e che ora si era spenta per sempre, sostituita da un baratro che avrebbe fatto rabbrividire chiunque.

Quando il peso dei ricordi divenne insostenibile, Ginger ripose i due blocchetti dentro il comodino e si strinse nelle spalle, ripensando alle parole del cupo bassista della band.

Waters aveva ragione.

C’erano persone che non volevano essere aiutate.

Altre, che non potevano essere aiutate.

E Syd aveva varcato da un pezzo il confine tra le due categorie.
 

Ritorna all'indice


Capitolo 23
*** Spring (Parte Uno) ***


1970, marzo.


 
Il campanellino posizionato in cima alla porta d’ingresso del negozio trillò allegramente, Ginger sollevò gli occhi dalla composizione floreale di cui si stava occupando e sorrise allegramente al ragazzo affascinante, dai capelli castani, che era appena entrato ed alla bambina che teneva in braccio.

“Ehi!” esclamò posando il paio di forbici che aveva in mano sul bancone “poco fa mi stavo giusto domandando quando ti avrei rivisto passare da queste parti”

“Lo sai che lo farei molto più spesso se non fossi così assorbito dagli impegni di lavoro, fortuna che adesso posso tirare un momentaneo sospiro di sollievo e godermi per un po’ le gioie casalinghe” rispose Richard sorridendo a sua volta, strofinò il naso contro quello della figlia Gala e lei, in risposta, scoppiò in una risata sonora ed allegra; Ginger rivolse uno sguardo dolce alla bambina e pensò che assomigliava già moltissimo al suo migliore amico.

Aveva impiegato ben due settimane per mettere da parte il suo orgoglio femminile per decidersi a chiamare Rick e per chiedergli scusa; e quando finalmente aveva trovato il coraggio, lui l’aveva battuta sul tempo presentandosi a casa sua con un sacchettino di the ai frutti di bosco e con una confezione di pasticcini alla panna e marmellata di fragole: lo spuntino preferito di Ginger fin dai tempi dell’infanzia.

Un intero pomeriggio passato a discutere in cucina, bevendo the e mangiando pasticcini, aveva posto le basi per riallacciare il loro rapporto di profonda amicizia che era nato diciasette anni prima.

Il resto era venuto da sé nei mesi successivi, passo dopo passo.

“Lo immagino… Soprattutto ora che è arrivato il piccolo Jamie”

“Come stai, Ginger?”

“Io? Bene. Qui dentro non mi annoio mai perché c’è sempre tanto lavoro da fare, l’unico vero problema è che non ho mai abbastanza tempo e mi ritrovo sempre a fare i salti mortali a fine giornata”

“E non ti manca la macchinetta fotografica?”

“Ohh, non se ne resta appesa al chiodo, tranquillo. La uso molto di frequente”

“Io stavo dicendo se ti manca usarla dal punto di vista lavorativo”.

La rossa divenne improvvisamente seria, abbassò gli occhi scuri sulla composizione completata a metà e scosse la testa da destra a sinistra.

“No, non mi manca” disse in un soffio “ho già capito quello che stai per chiedermi e ti risparmio la fatica di pormi quella domanda: no. Ti ringrazio, ma no. Ho chiuso con questa storia. Non sono più arrabbiata con te e non voglio neppure portare rancore al gruppo, sono contenta per i risultati che voi tutti state ottenendo, ma io voglio restarne fuori. Quello è il tuo mondo, questo è il mio”

“D’accordo, come desideri” mormorò Wright, preferendo non insistere, e cambiò argomento; tornò a sorridere, si voltò a guardare Gala ed indicò la busta rosa che teneva stretta tra le manine paffute “speriamo che comunque tu decida di fare un’eccezione per domenica… Gala ha qualcosa per te. Dà la busta alla zia Ginger”

“Che cos’è?” chiese la giovane; prese la busta, l’aprì e tirò fuori un bigliettino di carta rosa e profumata “un invito?”

“Juliette ha organizzato una piccola festa per l’arrivo della primavera. Niente di esagerato. Ci saranno le nostre famiglie, un paio di vicini… Ci saranno anche Nick e Lindy, ti ricordi di loro?”

“Certo che mi ricordo di loro anche se non li vedo da qualche anno… Come stanno?”

“Stanno bene. Un paio di mesi fa hanno festeggiato il loro primo anniversario di matrimonio”

“E quindi, alla fine, lui è stato costretto a regalarle l’anello ed a farle la fatidica domanda?”

“Sì, quel piccolo tornado è riuscito a farlo capitolare” commentò Rick con una risata divertita; lanciò un’occhiata di sottecchi alla sua migliore amica prima di proseguire, lentamente “sai… Alla festa ci sarà anche il nostro nuovo chitarrista”.

Ginger inarcò il sopracciglio destro.

“E con questo cosa vorresti dire?”

“Assolutamente nulla. Solo che, per come ti conosco io, potresti considerarlo una persona interessante”

“Aspetta, fammi capire… Stai tentando di combinarmi un appuntamento?”

“No, assolutamente no… Però, secondo me, non ti farebbe male conoscere nuova gente… E da quello che so io, per puro caso, al momento è libero dal punto di vista sentimentale”

“Richard, no” rispose categorica la giovane “ti ringrazio di nuovo, ma anche in questo caso la mia risposta è no. In questo momento intraprendere una storia d’amore è l’ultima delle mie preoccupazioni”

“D’accordo, d’accordo, ho capito. Immaginavo che la tua risposta sarebbe stata questa, ma dovevo comunque chiedertelo. Non insisto” disse il tastierista con un mezzo sorriso che, però, non convinse affatto la rossa “allora… Verrai alla nostra festa di primavera?”.



 
“Sono tornata a casa!”.

Il bambino alzò di scatto il viso rotondo dal foglio che stava scarabocchiando con impegno, lasciò andare la matita, si sollevò sulle gambe paffute ed instabili e corse dal salotto all’ingresso di casa, buttandosi a capofitto addosso alla madre e lei, già in ginocchio sul pavimento, lo accolse a braccia aperte e lo strinse a sé.

Il mondo di Ginger era stato completamente capovolto negli ultimi tre anni.

E lo stravolgimento più bello e pauroso allo stesso tempo era arrivato nel giorno in cui era diventata madre ad appena vent’anni.

Madre di un bellissimo e dolcissimo bambino che aveva chiamato Keith, e che era subito diventato il fulcro del suo nuovo mondo e della sua famiglia incasinata.

Ginger baciò Keith sulla punta del piccolo naso, sulle guance e gli scostò i folti ricci neri che gli ricadevano sugli occhi verdi.

“Come stai, mio piccolo riccio?” domandò la giovane con un sorriso che riservava solo ed esclusivamente per lui “come ti sei comportato? Hai fatto il bravo?”

“È stato bravissimo, come sempre” rispose Jennifer, comparendo a sua volta dal salotto.

Anche lei negli ultimi tre anni era molto cambiata: il viso ed il corpo avevano perso le rotondità infantili della prima adolescenza, sostituiti da un fisico magro e slanciato e da dei tratti che non passavano più inosservati agli occhi dei ragazzi; i capelli neri erano ricresciuti più folti e più lunghi, e scendevano fino a metà schiena.

La frangia corta ed il caschetto da maschiaccio erano brutti ricordi che appartenevano al passato.

La ragazzina di quattordici anni si era trasformata in una ragazza di diciassette che stava sbocciando con la stessa delicatezza e bellezza di un fiore di loto.

Ginger sorrise ancora, strinse a sé il suo unico figlio e poi gli solleticò la pancia, facendolo ridere allegramente.

Amava la risata di Keith e non si sarebbe mai stancata di ascoltarla, anche se ogni volta risvegliava in lei ricordi dolorosi che faceva ancora fatica ad accantonare senza sentire un nodo in gola.

Perché era la stessa risata del padre.



 
“Mangia un boccone alla volta e mastica bene, mi raccomando. E finisci anche il purè e le carote, altrimenti non avrai il budino, e questa volta non mi lascerò convincere dalle tue suppliche e dai tuoi occhioni, hai capito?” disse Ginger a Keith, dopo avergli tagliato con cura una fetta di polpettone e delle carote al burro; il bambino mugugnò qualcosa e, dopo aver impugnato la sua personale forchetta di plastica azzurra, andò subito all’attacco della carne evitando accuratamente di toccare il purè e le verdure.

Pamela sorrise al suo nipotino, il piccolo principe di casa, ed allungò la mano sinistra per accarezzargli con dolcezza i capelli ed una guancia.

Quando Ginger le aveva detto di essere incinta, anziché infuriarsi e urlarle contro che la sua vita era rovinata per sempre, aveva gridato e saltellato fuori di sé dalla gioia, e Jennifer si era dimostrata altrettanto entusiasta dinanzi alla prospettiva di diventare una giovanissima zia.

Il piccolo Keith Anderson era estremamente coccolato e viziato.

“Come è andata la vostra giornata, ragazze?”

“Orrenda!” esclamò subito Jen, sistemandosi una ciocca di capelli neri dietro l’orecchio destro, emettendo un sonoro sbuffo “siamo pieni di test ed interrogazioni fin sopra la testa, dovrò passare i pomeriggi dell’intera settimana in biblioteca insieme a Danny e tutte le notti china sui libri. Ho bisogno di fare scorta di caffè, anche se lo detesto”

“Io, invece, ho ricevuto una visita a sorpresa al negozio” disse la rossa, tenendo lo sguardo fisso sul piatto “Rick è venuto con Gala e mi ha dato un invito per una festa che lui e Juliette hanno organizzato per domenica”

“Una festa?” Jennifer girò di scatto il viso verso la sorella maggiore “ci sarà anche Roger?”.

Ginger, in tutta risposta, sollevò gli occhi al soffitto con un verso esasperato.

Aveva sperato con tutta sé stessa che quella di Jen fosse solo una cotta passeggera tipica dell’adolescenza, invece si era trasformata in una vera e propria ossessione che, anziché scemare, non aveva fatto altro che crescere e consolidarsi, ed era sfociata numerose volte in litigi piuttosto accesi tra le due sorelle e le aveva portate perfino a dormire in due camere da letto separate.

Secondo Ginger, Jennifer idolatrava e sospirava per una persona che non meritava affatto il successo che stava avendo.

Secondo Jennifer, invece, Ginger non riusciva ad essere obiettiva nei confronti di Roger perché per lui aveva sempre provato una profonda antipatia personale e ciò l’aveva portata ad avere una visione completamente distorta della sua persona.

La sorella maggiore, dopo la rottura violenta con il gruppo, aveva perso i contatti con Nick e Roger, e non si era più informata riguardo ad esso; Rick le accennava qualcosa di tanto in tanto quando riuscivano ad incontrarsi di persona o al telefono, ma di solito parlavano sempre di tutt’altro.

La sorella minore, invece, era una fan sfegatata dei Pink Floyd.

Jen adorava disegnare, e così aveva riempito la parete alla destra del suo letto di ritratti di Roger che lei stessa aveva fatto, aggiungendoci qua e là fotografie ritagliate da alcuni giornali ed alcune riviste; quando Ginger aveva visto quello scempio, aveva deciso che era arrivato il momento di traslocare perché non era assolutamente intenzionata a dormire in una stanza le cui pareti erano tappezzate da disegni e foto che ritraevano quell’essere odioso dalla faccia equina che rispondeva al nome di George Roger Waters.

E così, lei e Keith si erano trasferiti sul letto matrimoniale di Pamela, e la donna aveva preso possesso del letto ad una piazza della figlia maggiore.

“No, Rick non mi ha detto nulla riguardo a lui. Ha detto che ci sarà Nick”

“Allora ci sarà per forza anche Roger” sospirò Jen, appoggiando la forchetta sul piatto e perdendo improvvisamente interesse per il polpettone ed il purè “finalmente riuscirò ad incontrarlo di persona”

“Primo: ti ho già detto che Rick non mi ha detto nulla riguardo alla sua partecipazione alla festa, quindi è probabile che non sia presente. Secondo: che ci sia o meno, non è un problema tuo perché l’invito è rivolto a me”

“Che cosa?” protestò animatamente Jennifer, spalancando gli occhi verdi “ma… Ma anche io sono amica di Rick fin da quando eravamo bambini! Perché ha invitato solo te? Perché l’invito non è esteso anche a me? Sei sicura di avere letto bene l’invito?”

“Sì, l’ho letto benissimo, e sulla busta c’è scritto solo il mio nome. Se non mi credi, te lo faccio vedere”

“Non ci posso credere! Non ci posso credere assolutamente! Questa è una ingiustizia!” esclamò la più piccola, sostituendo l’espressione sognante con una contrariata “perché non posso venire anche io? Perché non posso vedere Roger?”

“Ti ho detto che Richard non mi ha detto nulla riguardo alla partecipazione di Roger alla festa, lo vuoi capire?” ripeté per l’ennesima volta la rossa; a suo fianco, Keith aveva lasciato perdere il polpettone e, con curiosità tipica dei bambini, aveva affondato le manine nel purè “e poi, scusami Jennifer, ma cosa pensi di ottenere da lui? Stai parlando di una persona che ha quasi trent’anni, mentre tu ne hai appena diciassette, ed è sposata”

“La gente si sposa con la stessa rapidità con cui, poi, divorzia” commentò in tono asciutto la sorella minore.

Ginger e Jennifer avevano opinioni simmetricamente opposte quando l’argomento in questione era Roger Waters, tuttavia la pensavano allo stesso modo riguardo un piccolo particolare della vita privata del bassista: entrambe odiavano Judith Trim; la prima non la sopportava a causa di una profonda antipatia a pelle (proprio come era accaduto con la sua dolce metà maschile), la seconda non la sopportava semplicemente perché era passata dall’essere fidanzata di Roger all’essere sua moglie.

“Stai comunque perdendo tempo per una persona che non vedrai mai e che non ti degnerà mai di uno sguardo” commentò la rossa, per poi aggiungere a bassa voce “prima o poi butterò nella spazzatura tutti quegli orribili ritratti che hai appeso in camera. Mi fanno saltare i nervi ogni volta che li vedo, ecco perché cerco di entrare il meno possibile lì dentro”

“Te l’ho mai detto che quando vuoi sai essere proprio stronza?”

“Non queste parole davanti al bimbo!” esclamò Pamela, capendo che era arrivato il momento di interrompere la discussione; al resto ci pensò Keith, che lanciò una manciata di purè e carote addosso ai capelli della madre.

Ginger si voltò a guardare il figlio e spalancò gli occhi scuri alla vista del purè sparso ovunque: Keith ce lo aveva perfino sui vestiti e tra i capelli.

“Ohh, Keith!” esclamò la ragazza con un sospiro “mi sono distratta un minuto e guarda cosa hai combinato! Adesso mi costringi ad anticiparti il bagnetto”

“Se vuoi, ci penso io” si offrì Jennifer, alzandosi.

“Lascia stare” rispose Ginger in tono secco, prendendo in braccio Keith “hai già fatto abbastanza, non credi?”.

Jennifer le lanciò un’occhiata risentita quando la vide uscire velocemente dalla cucina.

“Non capisco proprio perché a volte debba essere così acida” commentò incrociando le braccia “mi dispiace per quello che ha passato, so che per lei è ancora difficile, ma non può prendersela con me ogni volta solo perché… Perché… Perché Roger mi piace un po’

“Sii paziente con lei, e comunque siete entrambe da biasimare. Non voglio più sentirti dire parolacce quando c’è anche Keith, ed anche la frase che hai detto riguardo il matrimonio di Roger è stata poco carina”

“Perché? Ho detto semplicemente la verità, mommi. Ma l’hai vista? Secondo te quanto potrà durare?”

“Forse per te è brutta, ma ai suoi occhi appare come la ragazza più bella del mondo”

Ma l’hai vista?

“La bellezza non è tutto nella vita. Evidentemente quella ragazza lo fa stare bene e lo fa sentire felice, se ha deciso di chiederle la mano. Jennifer, se quel ragazzo sta bene insieme a quella ragazza, non c’è nulla che tu possa fare se non accettare la realtà dei fatti. Tu dici che il loro matrimonio non durerà… Magari, invece, resteranno insieme per tutta la vita”

“Credevo saresti stata di supporto, invece sei dalla parte di Ginger!”

“Tesoro, io non sono dalla parte né di una né dell’altra, e non intendo darti il colpo di grazia” rispose Pamela alzandosi, ed iniziando a raccogliere i piatti e le posate “desidero solo farti ragionare perché non voglio vederti piangere per un ragazzo che, come ha detto tua sorella, probabilmente non incontrerai mai ed ha già l’anello al dito. E adesso, per favore, passiamo a fatti più concreti ed aiutami a sparecchiare”.



 
Ginger si sedette sul bordo della vasca ed osservò Keith giocare con una paperella di gomma gialla che galleggiava tra morbide collinette di schiuma; le sue labbra carnose si distesero in un sorriso dolce, ma nei suoi occhi scese un velo di tristezza, come spesso accadeva quando guardava il figlio e si soffermava a riflettere.

Keith era la sua luce, il suo spiraglio di sole in una giornata di pioggia; era la forza che l’aveva spinta a rimboccarsi le maniche e ricominciare tutto da capo, ma era anche il sottile filo che continuava a tenerla fortemente ancorata al passato, che non le permetteva di gettarsi completamente alle spalle ogni cosa.

Più il tempo passava e più il bambino le ricordava, ogni singolo giorno, ciò che aveva perso per sempre e che non sarebbe mai più tornato indietro, perché assomigliava moltissimo, terribilmente, a suo padre; il piccolo Keith, con i suoi capelli ricci e neri, gli occhi verdi, il naso piccolo e le labbra sottili e rosee era il ritratto vivente ed in miniatura di Syd.

Anche Richard era rimasto turbato dalla forte somiglianza tra padre e figlio; Ginger aveva letto più di una volta il disagio nei suoi occhi quando s’incontravano per far giocare insieme i loro bambini, e lo aveva collegato ai sensi di colpa che, a distanza di tre anni, avevano iniziato ad affiorare.

A volte si domandava se quei sensi di colpa avevano iniziato a serpeggiare anche nelle menti di Nick e Roger, e pensava anche di conoscere in parte la risposta.
La ragazza bagnò i capelli ribelli del piccolo e l’insaponò con dello shampoo, approfittando del momento in cui era concentrato con la paperella.

“Lo sai, Keith, che ogni riccio equivale ad un capriccio?” sussurrò poi, continuando a sorridere; si voltò di scatto sentendo un rumore simile ad un click e vide Pamela in piedi davanti alla porta spalancata del bagno, con in mano la sua macchinetta fotografica.

Da quando era nato, il suo primo nipotino era diventato, in automatico, il suo soggetto preferito da fotografare.

E Keith, era anche molto fotogenico.

“Dovevo assolutamente immortalare questo momento, eravate bellissimi” la donna chiuse la porta alle proprie spalle e posò la macchinetta fotografica sopra un mobile; si sedette su uno sgabello ed emise un sospiro carico di nostalgia “goditeli questi momenti, Ginger, perché passeranno in fretta e non torneranno più. Te lo dico per esperienza personale: il giorno prima le tue figlie sono delle adorabili bambine che giocano dentro la vasca da bagno, ed il giorno dopo sono due ragazze che litigano ogni sacrosanto giorno”

“Ti prego, non mi dire che sei venuta qui solo per farmi la predica”

“No, non voglio farti nessuna predica. Come ho detto a tua sorella poco fa, io non sono dalla parte né di una né dell’altra perché siete entrambe la biasimare. Ginger, tu sei la maggiore e sei anche madre… Potresti essere un po’ più paziente e comprensiva nei confronti di Jennifer. Non essere sempre così dura con lei perché le piace quel ragazzo”

“Non lo faccio apposta, mommi, ma è più forte di me! Jennifer ha perso la testa per una persona… Per… Non so neppure come descriverlo! Lei lo difende strenuamente perché si è fatta un’idea completamente sbagliata su di lui, ma se lo conoscesse per come è davvero sarebbe la prima a strappare tutti quei stupidi ritratti ed a gettarli nel bidone della spazzatura”

“Sei ancora arrabbiata con loro?”

“Con Rick e Nick, no. Ho lasciato perdere il rancore da molto tempo, ormai”

“Ma ne conservi ancora parecchio per il ragazzo alto e magro che se si mette di profilo scompare”

“Ha abbandonato il suo più caro amico d’infanzia senza fare davvero qualcosa per lui. Ha fatto un paio di tentativi e poi se ne è lavato le mani giocandosi la carta del ‘io ho fatto tutto ciò che poteva essere fatto’. Lo ha scaricato quando ha visto che era diventato un problema serio per il futuro della band ed ha convinto Rick e Nick a supportare la sua decisione. Questo non glielo posso perdonare e non glielo perdonerò mai” mormorò la giovane accarezzando i capelli umidi di Keith “ecco perché spero di non incontrarlo alla festa, sempre se ci andrò”

“Non vuoi andarci?”

“Non lo so, ho detto a Rick che devo pensarci. Ho paura che…” Ginger si bloccò per cercare le parole più adatte per proseguire e terminare la frase.

“… Hai paura di essere travolta dai ricordi o di sentire per caso qualcosa che non vorresti sentire?” terminò Pamela al posto suo.

La rossa annuì mordicchiandosi il labbro inferiore.

Non aveva notizie di Syd dal giorno in cui aveva abbandonato il suo appartamento.

Non lo aveva né visto né sentito da quella mattina, ed aveva pregato il suo migliore amico di non dirle mai nulla, se mai fosse venuto a conoscenza di qualcosa sul suo conto.

Non voleva aggiungere altro dolore al dolore con cui doveva già convivere.

Per lei, Syd non esisteva più.

Anche se non esisteva alcuna lapide su cui andare a piangere e su cui posare fiori, era come se avesse partecipato al suo funerale.

I due blocchetti di scatti rubati e lettere non erano stati più tirati fuori dal comodino, benché fossero ancora custoditi gelosamente e con cura.

“Richard stava quasi per chiedermi se mi manca usare la macchinetta fotografica per lavoro, ma io l’ho bloccato subito dicendogli che ho chiuso completamente con il suo mondo. Non ho alcuna intenzione di tornare indietro. E poi… Poi ha fatto uno strano discorso sul nuovo chitarrista del loro gruppo”

“Ovvero?”

“Mi ha detto che sarà ci sarà anche lui alla festa, che potrei considerarlo una persona interessante e che… Al momento è libero dal punto di vista sentimentale” Ginger scosse la testa con un mezzo sorriso “quando gli ho chiesto se stava cercando di combinarmi un appuntamento, ha spudoratamente mentito dicendo che non era assolutamente vero, ed aggiungendo che mi avrebbe fatto solo che bene uscire dal mio guscio e conoscere nuova gente”

“Sono perfettamente d’accordo con lui. Infatti, credo che dovresti andare a questa festa, anche solo per svagarti un po’” disse Pamela “ti farà bene uscire per un giorno e conoscere nuova gente… E poi, chi lo sa, da cosa potrebbe sempre nascere cosa

“Ne dubito fortemente” rispose la ragazza, alzandosi dal bordo della vasca per prendere un asciugamano, perché era arrivato il momento di porre fine al bagnetto di Keith, per poi ripetere le stesse parole che aveva detto a Richard “in questo momento una storia d’amore è l’ultima delle mie preoccupazioni”.

Ritorna all'indice


Capitolo 24
*** Spring (Parte Due) ***


Le labbra di Richard si distesero in un sorriso allegro quando vide la sua migliore amica.

“Sono davvero contento che tu abbia accettato l’invito!” esclamò dopo averla raggiunta ed abbracciata con calore; indietreggiò di un passo e si soffermò a guardare l’abito che indossava e che aveva scelto con cura per l’occasione: era un vestitino color cipria, dalla stampa floreale, con le maniche lunghe a sbuffo, che scendeva fino ai piedi, stretto in vita da una cintura bianca “sei meravigliosa, Ginger. Questo vestito ti sta d’incanto”

“Tu dici?” domandò la giovane, abbassando lo sguardo a sua volta “è stata Jennifer ad insistere perché lo indossassi, dato che il tema della festa è l’arrivo della primavera. Non credi che mi faccia apparire un po’ goffa?”

Goffa? Sei tutt’altro che goffa, Ginger. Se non fossi il tuo migliore amico, e non fossi sposato con la donna della mia vita, non avrei perso un solo istante a provarci con te”

“Smettila! Sei un idiota! Se Juliette ti sentisse… Lei dov’è?”

“È sotto il portico con Jamie. Vieni, ti porto da loro”

“Ohh, sì, ti prego. Voglio vedere quel piccolo fagottino” Ginger prese Richard sottobraccio, e lui l’accompagnò sotto il portico, laddove Juliette era seduta su un divanetto a dondolo insieme a Gala ed al nuovo arrivato.

La giovane, a differenza di Ginger, aveva scelto un abito morbido per nascondere i chili in eccesso della gravidanza che doveva ancora smaltire, nonostante Rick le avesse ripetuto più e più volte che non c’era nulla di cui doveva vergognarsi, perché non si era innamorato di lei e non l’aveva sposata solo per il suo corpo, ma per il suo essere.

Anzi.

Secondo lui, la gravidanza l’aveva resa ancora più bella.

Juliette si portò l’indice destro alle labbra.

“Fate piano” mormorò, indicando il fagottino che stringeva dolcemente tra le braccia e che continuava a cullare “si è appena addormentato”.

Ginger si sedette alla destra dell’amica, si sporse in avanti per vedere il bambino e sospirò malinconicamente alla vista del visetto paffuto e beatamente addormentato che faceva capolino tra le pieghe della copertina azzurra.

Le tornò in mente il discorso che Pamela le aveva fatto in bagno e si rese conto che, purtroppo, aveva perfettamente ragione: i momenti come quello passavano in un soffio, dovevano essere vissuti appieno e custoditi gelosamente perché non sarebbero tornati mai più.

E Syd stava perdendo tutto quello.

Si stava perdendo tutte ‘le prime volte’ del figlio che non sapeva, e che mai avrebbe saputo, di avere.

“Com’è bello” sospirò, resistendo a fatica alla tentazione di accarezzargli una guancia “mio dio, mi sembra ieri che Keith era così piccolo, e ora… Ora sta per compiere già due anni”

“È orribile quando succede” commentò Wright, sedendosi a sua volta sul divanetto a dondolo e prendendo in braccio Gala “vedere quanto loro crescono velocemente ti fa capire quanto tu stia invecchiando. Vai a letto che hai sedici anni e ti risvegli che ne hai quasi ventisette e ti chiedi dove diavolo siano finiti gli ultimi dieci anni”

“Rick, ti prego, abbiamo organizzato una festa per l’arrivo della primavera, abbiamo il giardino che si sta riempiendo di ospiti e te ne esci con questi discorsi tristi sul tempo che passa? Se a neppure trent’anni ti senti così vecchio, quale sarà il tuo pensiero quando ne compierai quaranta? O cinquanta? O, peggio ancora, a sessanta?”

“Prima di tutto ci devo arrivare alla categoria degli anta. Magari lo stress mi ucciderà prima”

“Sei proprio uno scemo quando fai così” sbuffò Juliette alzandosi dal divanetto e porgendo, con delicatezza, Jamie alla sua dolce metà scema “attento a non svegliarlo. Io vado in cucina a prendere delle tartine e della limonata fresca, altrimenti cosa penseranno i nostri ospiti se non offriamo loro nulla da bere e da mangiare?”.

Quando la giovane rientrò in casa, Ginger diede libero sfogo alla risata che aveva trattenuto fino a quel momento.

“Tua moglie ha ragione. Sei proprio uno scemo quando fai così”

“Ma io lo faccio apposta. Adoro stuzzicarla. Come mai non hai portato Keith?”

“È a letto con la tosse e la febbre… Niente di grave, ovviamente. Mommi e Jennifer sono con lui”

“Come stanno?”

“Stanno bene, soprattutto Jennifer” la rossa sospirò ripensando alla discussione che avevano avuto qualche giorno prima, mentre pranzavano “voleva venire ad ogni costo alla festa”

“Perché?” domandò Rick “aspetta, non dirlo, lasciami indovinare: ha a che fare con Roger, giusto?”.

L’occhiata esasperata della ragazza confermò la teoria del tastierista.

“Quando ho detto che ero invitata a questa festa, ha iniziato a dire che doveva venire assolutamente perché ci sarebbe stato assolutamente anche lui” Ginger si guardò attorno, soffermandosi con lo sguardo sui gruppetti di ospiti radunati qua e là in giardino “non c’è, vero?”

“Vuoi che te lo dica davvero o preferisci l’effetto sorpresa?”

“Non sei affatto spiritoso, Richard”

“No, non verrà. Lui e Judy sono all’estero a festeggiare il loro primo anniversario di matrimonio, te lo avevo detto che si sono sposati?”

“No, ma per mia enorme fortuna ci pensa Jennifer a tenermi costantemente aggiornata sulla vita privata di Waters”

“Come ha reagito quando ha saputo delle sue nozze? Si è disperata?”

“Ohh, al contrario, è stata molto pragmatica. Ha semplicemente detto che oggigiorno la gente si sposa con la stessa rapidità con cui divorzia. È fermamente convinta che il matrimonio tra loro due avrà vita breve. Ovviamente la pensa in questo modo perché non può sopportare Judith”

“Se la memoria non m’inganna, neppure tu provi una profonda simpatia nei suoi confronti”

“Sì, ma nel mio caso le motivazioni sono di tutt’altro genere” si affrettò a precisare la giovane “non la sopporto perché ha lo stesso, identico, orribile carattere di suo marito. Infatti credo che quei due siano fatti l’uno per l’altra, non mi sorprenderei affatto se il loro matrimonio durasse per tutta la vita”

“È quello che gli auguro anch’io” disse Richard con un sorriso, divertito dai commenti della migliore amica “in ogni caso, in compenso ci saranno Nick e Lindy…”

“Sì, me lo hai detto in negozio”

“… E ci sarà anche il nostro nuovo chitarrista”

“Mi hai detto anche questo in negozio, e ti ho risposto che al momento…”

“Non ti sto combinando alcun appuntamento”

“Ed allora perché ho la terribile sensazione che, invece, sia proprio così?”

“Non voglio vederti isolata dal resto del mondo”

“Io non sono isolata dal resto del mondo, semplicemente le mie priorità sono cambiate: ho un bambino da crescere ed un negozio da portare avanti, dato che un giorno passerà nelle mani mie ed in quelle di Jennifer. Forse a te sembrerà un po’ piatta e monotona come vita, abituato come sei a viaggiare ormai, ma io sono contenta così. Ed anche se a volte è massacrante arrivare a fine giornata, mi basta tornare a casa e vedere il viso di mio figlio per sentire tutta la stanchezza scivolare via. Keith mi ripaga di ogni sforzo e sacrificio compiuti negli ultimi tre anni. Non credo che possa esistere qualcosa al mondo che mi renda più felice di lui”

“Anche io amo alla follia i miei figli e niente mi rende così felice come quando trascorro del tempo in loro compagnia, neppure la musica mi rende così felice. Ma non trovo giusto il fatto che tu voglia passare da sola tutto il resto della tua vita a causa di un’esperienza dolorosa”

Sola? Come posso sentirmi da sola nella casa affollata in cui abito?”

“Per il momento è affollata” precisò Rick; posò a terra Gala e la osservò avvicinarsi incuriosita ad una farfalla che si era posata sul bracciolo di una poltroncina in vimini: in quel periodo, col risveglio della natura, il loro giardino era pieno d’insetti “ma arriverà il giorno in cui Jennifer conoscerà un uomo, si innamorerà di lui ed andranno a vivere insieme…”

“Un uomo che non sarà Waters”

“Arriverà il giorno in cui Keith crescerà ed andrà per la sua strada…”

“Non ha ancora compiuto due anni”

“Ed arriverà il giorno in cui Pamela non ci sarà più”

“Ohh, maledizione, Richard! Non voglio neppure pensare a queste cose! Non in una giornata come questa!”

“Sto cercando di dirti che prima o poi arriverà il momento in cui ti renderai conto di avere commesso un grave errore a scegliere una solitudine forzata. Meriti come chiunque altro di avere qualcuno a tuo fianco con cui rimanere insieme per tutta la vita e che ti faccia sentire felice, Ginger. Secondo me, anche se la pensi in modo diverso, è esattamente ciò di cui hai bisogno in questo momento”.

Ginger chinò il viso in avanti e dondolò i piedi che sfioravano le assi del pavimento del portico; strinse un cuscino del divanetto per trovare la forza di non cedere alle lacrime.

Non voleva scoppiare a piangere ogni volta che l’argomento in questione era Syd.

“Dopo la prima batosta ai tempi della scuola, non avevo alcuna intenzione di frequentare ancora un ragazzo, ma poi è arrivato Syd, ed è riuscito a farmi cambiare completamente idea in meno di un mese” mormorò con un vago sorriso sulle labbra, prima di alzare la testa e guardare negli occhi il suo migliore amico con un’espressione di assoluta serietà “Syd era unico, e lo erano anche le sensazioni che mi ha fatto provare. Non incontrerò mai più nessuno come lui, non potrò mai più provare un amore simile”

“Invece potrebbe essere così se ti concedessi il lusso di perdonarti e ricominciare da capo”

“E dovrei farlo con questo ragazzo che sei così ansioso di farmi conoscere?”

“Lo so che parti prevenuta nei suoi confronti perché stiamo parlando della persona che ha preso il posto di Syd nella band, ma ti posso assicurare che è un ragazzo simpatico, gentile, affidabile e talentuoso. In meno di una settimana aveva già imparato tutti i pezzi”

“Non m’importa sapere queste cose, Rick”

“Secondo me, è il tuo tipo”

“Richard, ascolta…”

Rick! Rick! Ehi, Rick!”.

Wright girò il viso in direzione del ragazzo che aveva appena attirato la sua attenzione chiamandolo più volte ad alta voce, Ginger lo imitò e riconobbe subito Nick con Lindy aggrappata al suo braccio sinistro.

Il batterista non aveva subìto alcun cambiamento radicale in quei tre anni, ad eccezione del folto paio di baffi neri a manubrio che si era lasciato crescere e dell’anello d’oro che portava all’anulare sinistro.

Richard si alzò dal divanetto per accogliere e salutare l’amico e compagno di band.

“Temevo che non arrivaste più” disse dopo aver abbracciato entrambi “come è andato il viaggio?”

“Benissimo. Abbiamo fatto un bellissimo viaggio in macchina coast to coast degli Stati Uniti”

“Ed abbiamo pernottato in un paio di motel che costavano un dollaro a notte, ci credi? E ci credi se ti dico che lì non c’era nessun mozzicone di sigaretta dentro al cestino del pane?” aggiunse Lindy, riferendosi all’orribile vacanza ad Ibiza di Roger e Judith; anche lei non era cambiata: era rimasta il piccolo scricciolo dai lunghi e lisci capelli castani che racchiudeva in sé la forza di un uragano “io sono sempre più convinta che quelli erano mozziconi di Rog e che un cameriere ha voluto vendicarsi”

“In effetti…” aggiunse Nick “so che non dovrei dirlo dato che Rog è il mio più caro amico, ma un gesto simile è proprio in linea con il suo carattere”.

Ginger si chiese com’era possibile che una persona sgradevole e fredda come Waters potesse avere così tanti amici; poi, si alzò dal divanetto a dondolo, si schiarì la gola e rese pubblica la propria presenza agli ultimi due arrivati.

“Salve, ragazzi” disse con una punta d’imbarazzo nella voce, avvicinandosi a Rick “come state?”.

Mason spalancò gli occhi e la bocca, stupefatto: non si aspettava di vedere la ragazza; in realtà, credeva che non l’avrebbe mai più rivista dopo il modo burrascoso in cui le loro strade si erano separate tre anni prima.

“Ginger, mio dio!” esclamò quasi senza parole “che piacere rivederti! Quanto tempo è passato!”

“Già” commentò lei con un sorriso mesto, ripensando all’ultima volta in cui si erano visti ed alla violenta discussione che aveva avuto luogo nel vecchio furgoncino sgangherato “davvero tanto tempo”.



 
Juliette Gale, ora Juliette Wright, amava prendersi cura del proprio giardino, e tale passione era resa evidente dai grandi vasi di fiori che decoravano il grande rettangolo verde delimitato da un basso cancelletto.

A rendere il posto ancora più magico, simile ad ritratto bucolico di una cartolina, ci pensavano i piccoli animaletti che comparivano sempre, ogni anno, con l’arrivo della mite primavera inglese.

Tra i vari abitanti in miniatura del giardino, le più eleganti, colorate ed incantevoli erano di sicuro le farfalle.

Ginger provò ad immortalarne una particolarmente bella (col corpo nero e con le ali di un delicato color pastello che variava dal blu scuro al viola) che si era posata su una rosa bianca sbocciata da poco, ma l’insetto rivelò di avere un pessimo tempismo quando decise di volare via proprio nel momento in cui lei stava per scattare la foto; emettendo uno sbuffo seccato, la giovane decise di rivolgere la propria attenzione altrove, alla ricerca di un soggetto altrettanto suggestivo da immortalare, ed i suoi occhi si soffermarono su una figura che prima non aveva notato.

Apparteneva ad un ragazzo che stava fumando una sigaretta in completa solitudine, con la schiena e la pianta del piede destro appoggiati al tronco di un albero.

Dal punto in cui si trovava, la giovane lo vedeva di profilo.

Pur essendo contraria al consumo di sigarette, l’occhio artista di Ginger riconobbe subito la bellezza racchiusa in quella scena e si armò nuovamente della macchinetta per immortalarla; ma quando scattò la fotografia, il ragazzo sconosciuto girò il viso proprio verso di lei, attirato dal click, cogliendola sul fatto.

I loro sguardi s’incrociarono per una manciata di secondi, poi la rossa gli voltò le spalle e si allontanò velocemente, girando l’angolo destro della casa.

Merda!” esclamò, prendendosela con sé stessa per la propria sfacciataggine; la sua attenzione venne nuovamente attirata da una farfalla che, dopo aver volato pigramente, si posò sul muro dell’abitazione: non era bella come la precedente (questa aveva il corpo marroncino e le ali bianche) ma meritava comunque di essere fotografata.

Ginger avvicinò la macchinetta al viso, mise a fuoco il piccolo insetto e… Vide apparire il volto di un ragazzo, incorniciato da lunghi capelli biondo scuro, davanti al proprio campo visivo.

“Buongiorno”.

D’istinto, la giovane mollò la presa emettendo un piccolo strillo di sorpresa e retrocedendo di un passo; la farfalla bianca svolazzò via spaventata e la macchinetta fotografica non si schiantò a terra solo grazie ai riflessi rapidi del ragazzo sconosciuto.

Ginger si portò la mano destra al petto; sentiva il proprio cuore battere con forza contro la cassa toracica.

“Mio dio… Mio dio… Ti prego, non farlo… Non farlo mai più”

“Perdonami, non era mia intenzione spaventarti” si scusò lui,  restituendole la macchinetta “volevo solo scoprire chi era la ragazza che mi ha scattato una foto di nascosto”

“Io non ti ho scattato nessuna foto” negò subito la rossa, afferrando l’oggetto; la credibilità delle sue parole venne messa a dura prova dal rossore che si diffuse sul suo viso.

“No? E cosa ci facevi con l’obiettivo della macchinetta fotografica puntato proprio verso di me?”

“Non era puntato verso di te, ma verso uno scoiattolo che si stava arrampicando sul tronco dell’albero” mentì spudoratamente Ginger, arrossendo ancora più violentemente; ormai sentiva il viso andare a fuoco “ed ora scusami, ma si è fatto tardi per me. Devo proprio andare”.

Congedò il ragazzo con quelle poche e secche parole, voltandogli le spalle e andandosene senza salutare Rick, Juliette, Nick e Lindy, e continuando a ripetersi che accettare l’invito per quella festa di primavera era stato un errore.

Solo un terribile errore.

Ritorna all'indice


Capitolo 25
*** D.J.G (Parte Uno) ***


1970, aprile.


 
Ginger dimenticò in fretta l’episodio imbarazzante dello scatto rubato al ragazzo sconosciuto, talmente era indaffarata a dividersi tra il lavoro ed il piccolo Keith, e probabilmente non ci avrebbe pensato mai più se lui, due settimane più tardi, non si fosse presentato in negozio proprio mentre lei era l’addetta al bancone.

Quando se lo ritrovò dinanzi a sé, Ginger reagì con un sussulto di sorpresa, ma ne approfittò per osservarlo con più attenzione, dato che a casa di Rick aveva schivato con cura il suo sguardo e lo aveva liquidato in fretta: era alto, magro e indossava un paio di scarpe da ginnastica, dei jeans scuri ed una giacca in pelle marrone, col colletto di pelo bianco; lunghi capelli biondo scuro, che scendevano fino a metà petto, incorniciavano un viso dalla forma ovale, su cui spiccavano delle labbra carnose, un naso dalla forma leggermente aquilina ed un paio di occhi azzurri.

Non erano chiari come quelli di Waters; le iridi del cupo bassista ricordavano la sfumatura azzurra e fredda del ghiaccio, quelle delle sconosciuto, invece, più rassicuranti e calde, erano color lapislazzulo.

Dopo Syd, era senza alcuna ombra di dubbio il ragazzo più bello che avesse mai visto; ed era altrettanto certa che le ragazze si buttassero a fiotti ai suoi piedi.

Benché non si fosse ancora presentato, la rossa era certa di trovarsi di fronte al nuovo chitarrista del gruppo.

Finse di non riconoscerlo per vedere come si sarebbe comportato di conseguenza.

“Buon pomeriggio, in cosa posso esserti utile?”

“Sono passato di qui per fare un giro” rispose lui, infilando le mani nelle tasche della giacca “io… Ci siamo visti poco tempo fa alla festa a casa di Rick, ricordi?”

“Ohh, sì, ora ricordo. Sei il ragazzo che ha fatto scappare la farfalla che stavo cercando di fotografare”

“E tu sei la ragazza che mi ha scattato una foto di nascosto e poi si è inventata la storia dello scoiattolo immaginario” il giovane incurvò all’insù l’angolo sinistro della bocca, in un mezzo sorriso; non c’era alcuna traccia di arroganza nella sua voce, e Ginger pensò che, evidentemente, quello era stato un tentativo di strapparle una risata.

O almeno un sorriso.

“Come facevi a sapere che lavoro proprio in questo negozio?”

“Me lo ha detto Rick”

“Ahh!” esclamò Ginger colta alla sprovvista; si appuntò mentalmente di dire a Richard che non doveva mai più fornire sue informazioni personali a degli sconosciuti, anche se erano suoi amici e compagni di band “e come mai hai chiesto a Rick dove potermi trovarmi?”

“Ci tenevo a chiederti scusa per il piccolo screzio che abbiamo avuto alla festa, perché non era assolutamente mia intenzione offenderti in alcun modo possibile”

“Non era necessario. Pensa che mi ero completamente dimenticata della faccenda della foto” la giovane spostò il peso del corpo da un piede all’altro e tamburellò le dita della mano destra sulla superficie del bancone “se sei venuto qui solo per dirmi questo, sei libero di andare. Non fraintendere le mie parole, non voglio cacciarti dal negozio, ma ho tanto lavoro di cui occuparmi ed immagino che lo stesso valga anche per te”

“A dire la verità, sono qui anche in qualità di cliente. Realizzate delle composizioni floreali?”

“Non immagini neppure quanto siano richieste per ogni occasione, soprattutto adesso che è arrivata la primavera. Quando posso, me ne occupo io personalmente. Di cosa hai bisogno? Avevi già in mente un’idea precisa?”

“Purtroppo no. Sono una totale frana per quanto riguarda queste cose, infatti speravo in un piccolo aiuto femminile da parte tua”

“Nel tuo caso qual è l’occasione?”

“Un regalo per una ragazza”.

Ginger inarcò entrambe le sopracciglia: a quanto pareva, Richard non si era informato così bene sul suo conto come credeva.

Si appuntò anche di dirgli che era arrivato il momento di farsi gli affari suoi perché non era più una bambina che aveva bisogno di qualcuno pronto a coprirle le spalle in qualunque occasione.

“Quindi si tratta di un regalo galante per una persona con cui ti stai frequentando?”

“Una persona su cui vorrei fare colpo, più che altro. Avevo pensato ad un bouquet di rose rosse, ma temo che possa essere un po’ troppo audace. Non vorrei apparire spavaldo”

“Sì, forse nel tuo caso le rose rosse non sono la scelta migliore, ma se credi che questo fiore possa fare al caso tuo, puoi regalare a questa ragazza delle rose rosa. Secondo me sono molto più belle e delicate delle rose rosse. Quelle rosse hanno un aspetto troppo aggressivo per i miei gusti. E poi, il loro significato è sempre collegato all’amore. Posso farti un piccolo bouquet e come decorazione posso metterci un fiocco rosa”

“Credo sia perfetto” commentò il giovane distendendo le labbra carnose in un sorriso che avrebbe fatto tremare le gambe a qualunque ragazza.

Ginger non sentì le gambe diventare improvvisamente gelatina, ma avvertì comunque un piccolo tuffo al cuore perché era impossibile restare impassibili davanti ad una bellezza maschile così sfolgorante; lasciò in fretta da parte quello sciocco turbamento (perché non poteva essere definito in nessun altro modo) e si concentrò sulla piccola e graziosa composizione floreale che doveva realizzare per il nuovo chitarrista del gruppo.

Ancora non gli aveva chiesto il suo nome, ma era un particolare da poco conto.

“Ecco fatto” disse dopo aver arricciato l’estremità del fiocco con la lama di una forbice “dici che alla tua ragazza potrebbe piacere?”

“È quello che mi auguro”

“Se vuoi, lì ci sono delle buste e dei bigliettini colorati” gli disse ancora Ginger, indicando un piccolo dispenser posizionato sopra al bancone, di lato.

“Dici che potrebbe farle piacere?”

“Un mazzo di fiori scelti con cura ed un bigliettino scritto con altrettanta cura sono la combinazione perfetta per conquistare qualcuno. Qualunque donna di qualunque età desidera segretamente di ricevere un dono simile un giorno”

“Allora credo proprio che seguirò il tuo consiglio” il ragazzo sorrise, pagò il bouquet e salutò Ginger “ci vediamo in giro”

“Ci vediamo” rispose lei, guardandolo uscire dal negozio e sparire dietro l’angolo sinistro.

Scosse la testa.

Era certa che le loro strade non si sarebbero mai più incrociate.



 
La ragazza accantonò la strana visita dell’amico di Rick per occuparsi dei clienti del negozio e delle composizioni floreali che dovevano essere confezionate e recapitate, ma al suo ritorno a casa si ritrovò a fare i conti con una sorpresa del tutto inaspettata: posato sopra la cassetta della posta, c’era un piccolo e grazioso bouquet di rose rosa.

E non era un bouquet di rose rosa qualunque.

Non appena lo prese in mano, Ginger riconobbe subito la composizione floreale che lei stessa aveva confezionato per l’amico di Rick, destinata ad una ragazza che sperava di conquistare.

Pamela e Jennifer erano in cucina insieme al piccolo Keith, ed a nessuna delle due sfuggì il regalo che Ginger aveva in mano e la sua espressione perplessa.

“E quello da dove arriva? Chi te lo ha fatto?” domandò subito Jennifer sgranando gli occhi “hai un ammiratore segreto?”

“Temo proprio di essere incappata in qualcosa di simile” rispose lei, fissando i fiori con uno sguardo turbato “alla festa di Rick ho scambiato qualche parola con un ragazzo, e oggi è venuto in negozio perché aveva bisogno di un bouquet di rose per una ragazza e… Sono stata io a confezionarlo. Ed ora l’ho trovato sopra la cassetta della posta”.

Jen appoggiò le mani alle guance e lanciò un piccolo strillo, guadagnandosi un’occhiata curiosa da parte di Keith.

“Ohh, mio dio, che gesto romantico e dolcissimo!” commentò, poi, con un sospiro “quanto vorrei ricevere anch’io un regalo simile”

“Non credo che Waters sia il tipo da compiere gesti simili. Al massimo potrebbe regalarti un mazzo di carrube, dato che i cavalli ne sono ghiotti” ribatté in tono acido la rossa; Jennifer, in tutta risposta, le mostrò la lingua “e comunque non è una cosa né romantica né dolcissima, ma terribilmente inquietante. Pensaci un momento: un completo sconosciuto non solo si presenta nel posto in cui lavori, ma lascia anche un mazzo di fiori davanti al cancello di casa tua. Mette i brividi”

“Se era alla festa di Rick, vuol dire che si tratta di una persona che lui conosce… Quindi, avrà chiesto a lui qualche informazione sul tuo conto”

“È quello che ho pensato anch’io, infatti dopo voglio chiamarlo per mettere in chiaro alcune cose. Non deve mai più permettersi di dare informazioni mie così personali a degli sconosciuti”

“Ma perché devi sempre e solo guardare il lato negativo delle cose, Ginger? Perché non ti concentri sul fatto che questo ragazzo ha chiesto aiuto a Rick perché è interessato a te?”

“Perché io non sono interessata a lui” rispose in tono secco la giovane; guardò ancora una volta il bouquet di rose rosa e si accorse solo in quel momento della piccola busta fermata con una molletta all’altezza del fiocco “infatti non aprirò neppure il bigliettino. Terrò con me i fiori perché sono bellissimi, ma non ho alcuna intenzione d’incoraggiare il suo corteggiamento”

“Ma chi è questo ragazzo?”

“Non lo so. Probabilmente un nuovo vicino di Richard. Te l’ho detto: non m’interessa assolutamente conoscere altri ragazzi in questo momento. Nel mio cuore c’è spazio solo per un piccolo nano” Ginger spostò lo sguardo dai fiori a Keith, e sulle sue labbra apparve un sorriso luminoso.

Jen roteò gli occhi e sbuffò, esprimendo il proprio disappunto nei confronti della sorella maggiore: secondo lei, stava commettendo un grave errore ad accantonare in modo così brusco un ragazzo palesemente interessato a conoscerla e frequentarla.

Ginger aveva accuratamente evitato di rivelare che, molto probabilmente, quel ragazzo palesemente interessato a conoscerla e frequentarla era il nuovo chitarrista dei Pink Floyd, altrimenti la sorella minore le avrebbe perforato i timpani delle orecchie con le sue urla.

Dopo cena, e dopo aver sistemato lo scomodo regalo dentro un elegante vaso di vetro, la giovane, come lei stessa aveva detto, chiamò Richard per mettere un punto definitivo all’imbarazzante situazione che si stava creando, e gli raccontò l’episodio della visita a sorpresa e del bouquet floreale.

“E non sei contenta?” chiese lui, a fine racconto, mettendo a dura prova i nervi già tesi della sua migliore amica.

Ginger si trattenne dall’esplodere solo perché non voleva che la loro conversazione arrivasse alle orecchie di Pamela, di Jennifer o di entrambe.

“Ovvio che non sono contenta!” sbottò, cercando di ridurre la propria voce ad un sussurro “credevo di essere stata abbastanza chiara alla festa, e invece non solo le mie parole ti sono entrare da un orecchio e ti sono uscite dall’altro, Richard William Wright, ma hai anche avuto la brillante idea di dire ad un completo sconosciuto dove lavoro e dove abito”

“Non si tratta di uno sconosciuto”

“Per me lo è”.

Il tastierista emise un sospiro frustrato.

Ginger, io…

“No” replicò, secca, la giovane senza lasciargli il tempo di continuare “qualunque cosa tu stia per dire non la voglio sentire perché non m’interessa. Richard, io ti ringrazio per il tuo interessamento e per il modo in cui ti preoccupi per me, ma devi capire che non sono più una bambina e sono benissimo in grado di pensare a me stessa. E per quanto apprezzi i tuoi sforzi, non ho bisogno di qualcuno che mi organizzi un appuntamento al buio”.

Rick rimase in silenzio per un po’, e la giovane pensò che fosse caduta la linea.

Hai ragione” disse alla fine, dimostrandosi improvvisamente condiscendente “hai perfettamente ragione, Ginger. Mi sono intromesso in faccende che non mi riguardano e mi dispiace per questo, ma continuo a pensare che sbagli ad isolarti in questo modo e che ti farebbe bene avere qualcuno a tuo fianco. Andrò a parlare a…

“Non è necessario. Credo che il tuo amico capirà benissimo il messaggio da solo quando non vedrà arrivare alcuna risposta al mazzo di fiori. Non è una questione personale, Rick, solo… Non è il momento. E anche se lo fosse, non sono intenzionata a frequentare ancora qualcuno che faccia parte del vostro mondo. Spero che tu capisca”

Sì, capisco” mormorò Wright, ed emise un profondo sospiro “peccato, però. Sareste stati proprio una bella coppia, a mio parere”.

Ritorna all'indice


Capitolo 26
*** D.J.G (Parte Due) ***


1970, giugno.


 
Le strade di Ginger e del nuovo chitarrista della band scorsero parallelamente durante tutto il periodo primaverile, ma s’incrociarono nuovamente con l’arrivo dell’estate quando, nel corso di un caldo pomeriggio di fine giugno, la giovane, sviluppando un rullino nella camera oscura, si ritrovò faccia a faccia con lo scatto rubato che aveva fatto al giovane.

“Ma guarda…” mormorò a sé stessa, sollevando il piccolo foglio di cellulosa “mi ero completamente dimenticata di te”.

Ginger uscì dalla stanza, salì al piano di sopra, entrò nella propria camera e si avvicinò ad una finestra per osservare con maggior attenzione la fotografia alla luce del giorno: ritraeva il ragazzo appoggiato al tronco di un albero, con una sigaretta stretta tra le labbra socchiuse; aveva scattato la foto nel momento stesso in cui si era alzata una leggera brezza, e lo testimoniavano i lunghi capelli mossi, che nascondevano in parte il profilo del viso.

Era uno scatto davvero stupendo, sia per la scena suggestiva in sé e sia per la bellezza fisica del soggetto maschile.

La rossa spostò gli occhi scuri dallo scatto al bouquet di rose che ancora conservava sopra un mobiletto, e che si erano trasformate in fiori essiccati.

Aveva constatato che la maggior parte delle persone odiavano i fiori essiccati perché perdevano colore, splendore ed il loro profumo si trasformava in uno sgradevole odore dolciastro, ma lei non la pensava allo stesso modo: un fiore fresco non perdeva la propria bellezza quando si essiccava, semplicemente essa mutava forma trasformandosi in uno spettacolo diverso, da ammirare in modo diverso e da una prospettiva diversa.

Un po’ come era accaduto a Syd.

La droga ed il disagio mentale che ne era conseguito avevano spento la luce nei suoi occhi, avevano stravolto il suo carattere, avevano modificato profondamente il suo aspetto fisico, ma non lo avevano privato della sua bellezza fisica.

Semplicemente, era mutata.

La sua storia poteva essere riassunta in quel paragone tanto banale quanto terribilmente efficace: Syd si era trasformato da fiore fresco a fiore essiccato.

Ginger sbatté più volte le palpebre per ricacciare indietro le lacrime.

Perfino degli stupidi fiori le facevano tornare in mente Syd.

Concentrò lo sguardo sul fiocco rosa che fungeva da decorazione e vide la piccola busta, fermata da una molletta, che per due mesi era rimasta attaccata lì, senza che nessuno l’aprisse; spinta da una curiosità improvvisa, la giovane staccò la busta, si sedette sul bordo del letto matrimoniale, appoggiò la foto sul materasso e lesse il biglietto scritto dall’amico di Rick: non c’erano dediche romantiche, frasi ad effetto od una vera e propria dichiarazione d’amore.

Non c’era neppure una firma.

Tutto quello che c’era scritto, con un’elegante calligrafia, era un indirizzo.

Probabilmente, come dedusse la stessa ragazza, il suo indirizzo di casa.

Ginger si morse il labbro inferiore, spostando lo sguardo dall’indirizzo alla fotografia e viceversa.

Solo ora, a due mesi di distanza, a mente lucida si rendeva conto del modo orribile in cui aveva trattato quel ragazzo: lui non c’entrava nulla con quello che le era accaduto, di sicuro non sapeva nulla di quello che le era accaduto, e non aveva neppure provato ad insistere dopo il tentativo andato a vuoto con il bouquet di rose.

Non lo aveva più visto al negozio e non aveva ricevuto nessun altro regalo da parte sua.

Niente di niente.

Forse si era arreso subito.

O, forse, Rick gli aveva parlato, benché lei gli avesse detto chiaramente che non doveva farlo perché non era necessario.

Quella seconda opzione sembrava essere la più probabile, dato che Richard aveva sviluppato la brutta abitudine di fare l’esatto opposto di quello che lei gli chiedeva.

Ad ogni modo, quale fosse l’opzione giusta (se la prima, la seconda o addirittura una terza), il punto centrale dell’intera faccenda rimaneva sempre lo stesso: Ginger sentiva di dovergli delle scuse.

Di persona.

Guardò ancora una volta l’indirizzo scritto sul bigliettino.

Conosceva quel quartiere, non era così lontano da raggiungere a piedi; quella, poi, sembrava essere la giornata ideale per una passeggiata all’aria aperta, visto che la pioggia e le nuvole grigie avevano deciso di lasciare un po’ di spazio ai raggi caldi del sole.

Jennifer era via con i suoi amici.

Pamela era andata al parco pubblico con Keith.

Sì, forse una boccata di aria fresca le avrebbe fatto bene.

E ripetendosi mentalmente quelle ultime parole, uscì di casa prima di avere qualunque genere di ripensamento.



 
I ripensamenti arrivarono a pochi metri di distanza dalla destinazione, quando una macchina, che correva ad una velocità molto superiore alla norma, passò sopra ad una pozzanghera che si era formata vicino al marciapiede; Ginger, concentrata com’era a confrontare i numeri civici degli edifici con quello scritto a penna sul foglietto che aveva con sé, non vide il mezzo, e registrò la sua presenza solo nel momento in cui venne travolta dal getto d’acqua stagnante.

La giovane, colta completamente alla sprovvista, spalancò gli occhi, la bocca e trattenne il fiato.

Idiota del cazzo!” urlò a pieni polmoni, con le guance in fiamme dalla rabbia, in direzione del colpevole, ma ormai lui era già lontano ed il danno era fatto: i capelli, i vestiti, le scarpe e perfino la borsa erano zuppi d’acqua; era riuscita a salvare il biglietto perché le era scivolato sul marciapiedi “figlio di puttana! È proprio vero che la madre dei cretini è sempre incinta”.

Sbuffando seccata, e borbottando altre parole poco carine nei confronti del guidatore poco attento alle regole della strada, la giovane recuperò il foglietto, proseguì con la ricerca e trovò finalmente l’edificio corrispondente all’indirizzo che aveva: si trattava di un condominio alto e stretto, costruito con mattoni rossi, come la maggior parte degli edifici che sorgevano a Londra; per sua fortuna, l’amico di Rick si era preoccupato di scrivere anche il numero del suo appartamento ed il piano in cui era situato.

Quando arrivò davanti alla porta di legno, la giovane sentì il suono ovattato di una chitarra provenire dall’altra parte, e ciò poteva significare solo due cose.

Primo: il ragazzo era in casa.

Secondo: era proprio il nuovo chitarrista.

Ginger guardò l’etichetta incollata sopra al campanello, e lesse il nome scritto a mano, con una penna dall’inchiostro nero.

David Jon Gilmour.

Finalmente conosceva il suo nome.

Suonò il campanello, sentì il suono di chitarra interrompersi e, quando la porta si aprì, si trovò davanti proprio al ragazzo della festa, lo stesso che due settimane dopo si era presentato in negozio.

I suoi occhi azzurri si spalancarono in un’espressione di assoluta sorpresa alla vista della ragazza dai capelli rossi, completamente zuppa da capo a piedi.

“Cavolo, si può sapere cosa ti è successo?” furono le sue prime parole stupefatte, alle quali Ginger rispose con un sorriso tirato.

“Posso raccontartelo dentro?” chiese, poi, stringendosi nelle spalle; nonostante fosse una giornata estiva, ora si ritrovava a battere i denti a causa del bagno
fuoriprogramma.

Il giovane si spostò immediatamente dall’ingresso per farla accomodare all’interno dell’appartamento e le offrì galantemente una maglietta a maniche corte ed un paio di pantaloni da ginnastica, indicandole il piccolo bagno in cui poteva comodamente cambiarsi; Ginger ringraziò con una punta d’imbarazzo nella voce, entrò nella stanza e vi uscì poco dopo con addosso i vestiti del ragazzo (che le stavano terribilmente larghi) e con i capelli bagnati raccolti in una treccia.

Aveva fatto di tutto per avere di nuovo un aspetto presentabile, ma lo specchio sopra al lavandino non era stato affatto clemente nei suoi confronti.

“Dai pure a me i tuoi vestiti” disse il giovane, allungando la mano destra, riferendosi al fagotto che la ragazza aveva in mano “li metto fuori in terrazza ad asciugare. Hai sete? Vorresti del the?”

“Il tuo the è in grado di farmi dimenticare quello che mi è appena accaduto?”

“Non penso sia dotato di proprietà magiche simili, ma puoi sempre sfogarti con me mentre lo preparo” propose lui, iniziando ad armeggiare con i fornelli della cucina ed un bollitore; Ginger si sedette davanti al piccolo tavolino posto al centro della stanza, ed appoggiò il mento sul palmo della mano destra “non badare alla confusione in salotto. Stavo provando”.

La giovane si voltò in direzione del piccolo salottino: c’erano numerosi fogli sparsi sopra un tavolino, delle matite, una penna nera, due amplificatori, dei cavi elettrici e, appoggiati al divano, c’erano una chitarra ed un basso.

Ginger aveva ormai imparato, a sue spese, che non si chiamava chitarra a quattro corde.

“Suoni entrambi?”

“Come?” il giovane si voltò e capì che la rossa si stava riferendo agli strumenti musicali “ohh, sì, so strimpellare anche qualcosa col basso, ma quello non è mio. Stavo provando con…”

“Stavi provando con Waters?” domandò Ginger, notando il pacchetto di Marlboro posato affianco allo strumento musicale.

“Sì, come lo hai capito?”

“A parte il fatto che suonate nella stessa band? Da quello” disse lei, indicando il post-it giallo incollato sopra al pacchetto “vuoi sapere perché lo fa? Perché un giorno Rick ha commesso l’errore di prendere una sigaretta dal suo pacchetto senza chiedere il permesso, e d’allora ci appiccica sempre un foglietto con scritto ‘vietato toccare assolutamente’

“È sempre stato una persona gelosa di ciò che è suo”

“Io credo che soffra di manie di controllo, più che altro”

“Ad ogni modo, se ne è andato qualche minuto prima del tuo arrivo”

“Che strano. Non l’ho incrociato”

“Ohh, dubito che tu possa averlo incontrato perché andava abbastanza di fretta. Mentre stavamo discutendo sulle prossime esibizioni che ci attendono durante il periodo estivo, ha chiamato Judith per sapere quando sarebbe tornato a casa perché, a quanto pare, questa sera devono uscire a cena con la famiglia di lei e… Roger se ne era completamente dimenticato. Se ne è andato subito, ed ha dimenticato qua sia il basso che le sigarette. Mi auguro che abbia avuto il buonsenso di non premere troppo l’acceleratore”

“È venuto qui in macchina?”

“Sì… Perché?”.

La giovane strinse con forza la mascella, colta da un sospetto.

“Perché poco prima di arrivare, un cretino in macchina è passato a tutta velocità sopra una pozzanghera, ed io non ho fatto in tempo a spostarmi: ecco perché ero completamente zuppa d’acqua”

“Lo hai visto in faccia?”

“No, però ammetterai che si tratta di una coincidenza piuttosto curiosa”

“Sì, in effetti sì” il giovane tolse il bollitore dal fornello e riempì due tazze “ma se non lo hai visto in faccia, non puoi avere la certezza assoluta che fosse lui. Infondo, potrebbe essere stato chiunque. C’è un sacco di gente che corre in macchina, fregandosene delle regole del buonsenso”.

Ginger distorse le labbra in una smorfia, perché ormai nella propria mente aveva etichettato Roger come l’idiota del cazzo che le aveva rovinato il vestito, ma preferì non indugiare ulteriormente su quella discussione; soffiò sul the caldo, mandò giù un sorso e si schiarì la gola.

“Ho letto prima sul campanello del tuo appartamento che ti chiami David Jon

“Sì, ma puoi chiamarmi semplicemente David, o Dave

“Io sono…”

“… Ginger, lo so” la precedette David con un mezzo sorriso “Rick me lo ha detto il giorno della festa”

“A quanto pare sono molte le cose che Richard ti ha detto sul mio conto”

“Posso assicurarti che mi ha raccontato solo cose belle e positive”

“Scommetto che ti stai chiedendo come mai sono qui, Dave”

“Diciamo che la tua visita mi ha colto abbastanza alla sprovvista… Ma questo non significa che non mi abbia fatto piacere”.

Fu il turno della giovane di sorridere; frugò all’interno della borsa e recuperò la fotografia che, per fortuna, era sopravvissuta all’incontro ravvicinato con l’acqua stagnante della pozzanghera.

L’appoggiò sopra al tavolo e la spinse verso David.

“Stavo sviluppando un rullino di foto ed ho trovato questa”

“La foto dello scoiattolo?”

“Ti posso assicurare che lo scoiattolo c’era” mentì Ginger, sorpresa che il ragazzo ricordasse ancora la bugia dello scoiattolo a distanza di due mesi “ma evidentemente non sono stata abbastanza rapida a scattare la foto. In compenso sei uscito tu”.

David lanciò un’occhiata a metà tra lo scettico ed il divertito alla rossa, e poi studiò in silenzio la fotografia.

“Rick mi aveva detto che eri una brava fotografa, ma ora mi rendo conto che brava non è il termine adatto” commentò alla fine, posando di nuovo la fotografia sopra al tavolo “questo è vero talento. Rick mi ha anche detto che hai smesso di fare la fotografa di professione, non ti manca?”

“Beh, ecco…” mormorò Ginger, sistemandosi una ciocca di capelli dietro l’orecchio destro “si tratta di una lunga storia da raccontare…”.

La ragazza non proseguì con le spiegazioni perché qualcuno suonò più volte il campanello; i due giovani girarono in automatico la testa verso l’ingresso e, prima che David avesse il tempo di alzarsi ed andare ad accogliere il suo nuovo ospite, la porta venne aperta dall’esterno.

“Ehi, Dave, scusa l’intrusione, ma…” Nick si bloccò nello stesso momento in cui vide David in compagnia di Ginger, e rimase paralizzato, a causa della sorpresa, con la mano destra appoggiata al pomello “ohh!”

“Ehi, Nick” la giovane sollevò una mano in segno di saluto “come stai?”

“Io… Io sto bene” rispose lentamente Mason, richiudendo la porta alle proprie spalle, in un evidente stato d’imbarazzo “Rog mi ha chiamato perché aveva bisogno di un favore urgente da parte mia… Ha detto di avere dimenticato qui le sigarette… E il basso… Spero di non aver interrotto nulla”

“Non hai interrotto nulla, tranquillo”

“No?” chiese il batterista inarcando il sopracciglio sinistro; Ginger capì che la sua espressione scettica era dovuta ai vestiti che David le aveva prestato e che ancora indossava, ed avvampò violentemente.

Poteva benissimo immaginare quello che stava pensando.

E quello che, poi, avrebbe raccontato.

“Ginger è passata per portarmi una cosa e ne abbiamo approfittato per fare quattro chiacchiere. Ti aiuto a caricare in macchina le cose di Roger?”

“Sì, mi faresti un enorme favore. Mi farebbe passare il giorno peggiore della mia vita se dovesse trovare un solo graffio sul suo basso. Non voglio immaginare come potrebbe reagire se dovesse scivolarmi per quattro rampe di scale”

“Non voglio immaginarlo neppure io” commentò Gilmour con una risata divertita.

I due ragazzi uscirono dall’appartamento portando con sé i cavi, il basso ed uno dei due amplificatori; dimenticarono accidentalmente il pacchetto di sigarette e Ginger ne approfittò per prendersi una piccola vendetta personale nei confronti del presunto guidatore spericolato: spezzò le sigarette rimaste a metà, rendendole inutilizzabili, e poi le ripose all’interno del pacchetto, chiudendolo con cura, in modo che il suo misfatto venisse scoperto solo dal legittimo proprietario.

Poi, con un sorriso gentile, consegnò il pacchetto di Marlboro a Mason.

Merda, stavo quasi per dimenticarmi le sue dannate sigarette… Grazie, Ginger, hai appena salvato i miei poveri timpani. Ci vediamo!”

“Ci vediamo, Nick” quando il batterista se ne andò dall’appartamento, la ragazza guardò il proprio orologio a polso “dovrei andarmene anch’io ora. Ormai i miei vestiti si saranno asciugati”

“Perché non resti ancora un po’?” domandò David, indicando col pollice destro il bollitore e le due tazze abbandonati in cucina “il tempo di finire il the e di scambiare qualche altra parola. Mi piace parlare con te”

“Vorrei, ma non posso proprio”

“Lascia almeno che ti accompagni a casa in macchina”

“No, non è necessario. È una giornata troppo bella per sprecarla dentro l’abitacolo di una macchina, mi auguro solo di non incappare in un altro cretino che adora centrare le pozzanghere”

“D’accordo, vado a prenderti i vestiti, allora”.

Ginger si cambiò di nuovo in bagno; i suoi vestiti erano ancora umidi, ma non aveva importanza: al suo rientro a casa li avrebbe nascosti subito dentro il cesto dei panni da lavare.

Doveva solo sperare di non essere vista da nessuno, così non sarebbe stata costretta a raccontare la spiacevole disavventura ed a confessare con chi aveva trascorso il pomeriggio in compagnia; piegò con cura la maglietta ed i pantaloni del ragazzo, e quando glieli restituì, lui le porse un biglietto.

“Che cos’è?” domandò lei, con uno sguardo perplesso.

Lui scrollò le spalle ed infilò le mani nelle tasche dei pantaloni.

“Il mio numero di telefono” rispose, incurvando all’insù l’angolo sinistro della bocca “così se hai voglia di proseguire la nostra chiacchierata, e non puoi muoverti da casa, sai come contattarmi. Ma ricorda che il nostro the è solo rimandato ad un’altra volta”.

Ritorna all'indice


Capitolo 27
*** Like A Candle ***


1970, 18 luglio.


 
“Questa sera ci sarà un concerto gratuito a Hyde Park, ti va di venire?”.

Ginger rimase completamente spiazzata dalla proposta di David, ed impiegò almeno una trentina di secondi per riprendersi e rispondere.

“Mi piacerebbe molto” mormorò infine, lanciando un’occhiata in direzione di una finestra che si affacciava sul giardino anteriore dell’abitazione, da cui provenivano le risate allegre di Jennifer e Keith: la ragazza stava inseguendo il bambino e lui cercava di sfuggirle “ma non posso proprio”.

Da quando il chitarrista le aveva allungato il biglietto col proprio numero di telefono, i due ragazzi si erano sentiti diverse volte.

Ginger aveva scoperto di gradire la compagnia virtuale di David, e trovava ancora più gradevole la sua voce calda e profonda; tuttavia, c’erano molti argomenti che non avevano ancora affrontato: Ginger non gli aveva raccontato nulla dei mesi che aveva trascorso in compagnia della band, non gli aveva raccontato perché aveva bruscamente troncato i rapporti con loro e non gli aveva raccontato nulla della travagliata storia d’amore che aveva avuto con Syd.

E, soprattutto, non gli aveva raccontato nulla di Keith.

Lei non gli aveva detto nulla di quel pezzo di passato che voleva lasciarsi alle spalle, e lui non le aveva mai fatto nessuna domanda a riguardo.

“Non puoi proprio? Sicura? Sarà un’esibizione stupenda, all’aperto, mi piacerebbe molto che ci fossi anche tu”

“Non posso proprio”

“Ho un pass apposta per te, così potrai stare dietro le quinte insieme a noi”

“Apprezzo molto il tuo gesto, ma questa sera proprio non posso, magari la prossima volta…”

“Almeno vieni al party che faremo dopo lo spettacolo, dai. Così ci vedremo prima della partenza” insistette il giovane.

“Partenza?”

“Sì, tra tre giorni partiamo per un mini tour in Francia, sulla riviera”

“Sulla riviera francese? Chissà che paesaggi da cartolina ci saranno…”

“Allora? Verrai almeno al party?” insistette una seconda volta David “dai, ti divertirai! Non sei costretta a rimanere fino alla fine. Beviamo qualcosa, chiacchieriamo un po’ e poi ti riaccompagno a casa. Ricorda che dobbiamo ancora bere quel famoso the”.

La rossa sorrise divertita e sistemò una ciocca di capelli rossi dietro l’orecchio sinistro.

“Com’è possibile che, con tutti gl’impegni che hai col gruppo, ti ricordi ancora della storia del the?”

“Tu dimenticheresti mai qualcosa che ritieni importante?” domandò il chitarrista “allora? Verrai? Ti vedrò questa sera? Dimmi di sì. Non riattaccherò il telefono fino a quando non mi dirai che verrai al party”

“Dai, Dave, non fare lo scemo. Avrai le prove…”

“In effetti rischio di arrivare in ritardo se non parto… in questo preciso istante, ma non sono intenzionato a muovermi di un solo millimetro fino a quando non mi confermerai che…”

“D’accordo!” esclamò la ragazza, arrendendosi “hai vinto tu! Verrò al party!”

“Perfetto” dal tono di voce di David, Ginger era pronta a scommettere che stesse sorridendo “a questa sera, Ginger. Non vedo l’ora di vederti”

“A questa sera” mormorò lei in risposta; posò la cornetta, si voltò e sussultò “ohh, mio… Santo cielo!”

“Scusami, tesoro, non volevo spaventarti” disse Pamela con un sorriso: Ginger non si era accorta della sua presenza nel corso della conversazione telefonica “e perdonami anche per aver ascoltato di nascosto la tua conversazione, ma è stato più forte di me. Hai un appuntamento per questa sera?”

“Non si tratta di un appuntamento, e comunque non è neppure certo che ci vada. Gli ho detto di sì perché non ho avuto altra scelta”

“Stai parlando dell’amico di Rick che ti ha mandato i fiori? Quello di cui mi hai parlato qualche giorno prima della festa di primavera? Il nuovo chitarrista, vero?” domandò la donna, per poi aggiungere a bassa voce “non esiste alcun nuovo vicino, ho indovinato?”

“Non potevo dire davanti a Jennifer che le rose erano da parte di David, altrimenti avrebbe iniziato a strillare come una matta”

“Vi frequentate?”

“Parliamo qualche volta al telefono, ma non ci siamo più visti da giugno. Non è una vera e propria frequentazione. Siamo… Amici”

“Tu e Richard siete amici da tantissimi anni, eppure non l’ho mai visto regalarti un mazzo di rose”

“Perché lui sa che preferisco i pasticcini con la marmellata di fragole e panna”

“Quando un ragazzo regala un mazzo di fiori ad una ragazza, non lo fa mai per amicizia” ribatté Pamela sedendosi sul bracciolo destro del divano “che tu gli piaccia è palese”

“Non ha mai detto nulla riguardo un possibile interesse nei miei confronti”

“Forse non lo ha fatto perché sta aspettando il momento giusto per dichiararsi”

“Non credo. Ti stai sbagliando”

“E tu stai commettendo di nuovo lo stesso errore che hai fatto tre anni fa: ancora una volta ti rifiuti di guardare in faccia la realtà!”.

Ginger socchiuse le labbra, sdegnata e incredula.

“Stai facendo un paragone tra la conoscenza superficiale che ho con David e la relazione che ho avuto con Syd? Stai davvero facendo questo?”

“Tre anni fa non hai voluto guardare in faccia la realtà fino a quando non è diventata talmente evidente da non poter essere più ignorata, ed adesso stai agendo nello stesso identico modo anche se la situazione è differente: continui a fingere di non vedere quanto quel ragazzo sia interessato a te, ma cosa farai quando lui si dichiarerà? Ginger, voglio farti una domanda diretta, e vorrei ricevere una risposta altrettanto diretta: lui, David, ti piace o è solo un amico?”

“Che razza di domanda mi stai facendo?”

“Ti piace o è solo un amico?” ripeté Pamela, e la giovane rimase muta.

Non sapeva cosa rispondere.

Parlare con David le piaceva, trovava rilassante trascorrere del tempo con lui al telefono al termine di un’estenuante giornata dedita al lavoro ed al piccolo nano pestifero che aveva come figlio, ma non si era mai posta una domanda simile.

David le piaceva?

O era solo un amico?

“Mi piace parlare con lui” disse, evitando di dare una risposta più approfondita.

“Ginger, se i sentimenti che quel ragazzo prova per te non sono corrisposti, faresti meglio a dirglielo, così non continuerà ad illudersi inutilmente”

“Ecco, lo sapevo, ho sbagliato tutto fin dall’inizio: non avrei mai dovuto accettare il suo numero, non avrei mai dovuto iniziare a telefonargli e non avrei mai dovuto acconsentire all’invito di questa sera!”

“Di che invito state parlando?” domandò Jennifer, rientrando con il piccolo Keith in braccio: entrambi erano stanchi, sudati ed accaldati dal lungo inseguimento “il nuovo vicino di Rick si è fatto di nuovo vivo?”

“Sì” rispose la sorella maggiore; lanciò una fugace occhiata a Pamela, pregandola in silenzio di reggere la bugia “in verità, io e lui ci sentiamo da un po’ per telefono e mi ha chiesto di andare a vedere il concerto a Hyde Park questa sera”

“Posso venire anche io?”

“Jennifer, ne abbiamo già parlato: non è il caso che tu vada con la brutta allergia al polline che hai” intervenne Pamela, stroncando per l’ennesima volta il sogno di Jen si vedere dal vivo il ragazzo per cui aveva perso la testa tre anni prima.

La giovane espresse il proprio disappunto assumendo un’espressione contrariata.

“Non è giusto! Non è assolutamente giusto! Questa è una vera ingiustizia! Perché ogni volta che posso vedere Roger c’è sempre qualcosa che, puntualmente, me lo impedisce? Non posso proprio andare al concerto di questa sera, mommi? È perfino gratuito! Porterò con me una scorta copiosa di fazzoletti e farò attenzione a stare ben lontana dalle piante che producono polline a grandi quantità. Per favore, per favore, per favore!”

“Non mi sembra il caso di giocare col fuoco, Jennifer. Non voglio essere costretta a chiamare un’ambulanza nel cuore della notte. Non bisogna mai scherzare con una cosa seria come un’allergia”

“Non è giusto!”

“Cresci, Jennifer, per l’amor del cielo!” esclamò Ginger stizzita “ormai non sei più una bambina! I veri problemi sono altri”

“Parla per te”.

Jen commise l’errore di parlare senza pensare, e non riuscì a frenare la lingua in tempo; si pentì delle proprie parole nell’esatto momento in cui le scapparono dalle labbra.

Ginger impallidì e lo sguardo nei suoi occhi divenne più duro e freddo; Jennifer provò a rimediare balbettando qualche parola di scusa, ma ormai il danno era fatto: aveva, involontariamente, affondato il coltello nella solita vecchia ferita, ed ora non poteva pretendere che non ricominciasse a sanguinare.

“Ohh, certo, dovrei parlare per me, giusto? Perché quello che ho passato io non è stato niente in confronto a quello che stai passando tu, giusto? Infondo ho solo perso per sempre il ragazzo di cui mi ero innamorata e devo rimboccarmi le maniche perché devo crescere un bambino che non vedrà e non conoscerà mai suo padre, e che assomiglia sempre di più a lui. E dovrò rimboccarmi ancora di più le maniche quando arriverà il momento in cui andrà a scuola e vedrà che tutti i suoi compagni di classe non hanno uno, ma bensì due genitori, perché inizierà a chiedermi spiegazioni a riguardo. Vorrà sapere perché lui non ha un papà come tutti gli altri bambini e che fine ha fatto, e sarà sempre compito mio raccontargli una bugia convincente per non sconvolgere la sua esistenza. E quando sarà abbastanza grande per conoscere tutta la verità, allora inizierà ad odiarmi e mi rinfaccerà di non avere fatto abbastanza per aiutare suo padre ad uscire dal tunnel dell’autodistruzione. Sì, Jennifer, hai perfettamente ragione: tutto questo non è assolutamente nulla se paragonato al tuo bisogno fisico di incontrare quell’essere insensibile che pensa davvero di avere fatto qualunque cosa per quello che diceva essere il suo più caro amico e…” la giovane si fermò perché Keith, spaventato dalle urla della madre, era scoppiato a piangere; bastò quello per farla tornare in sé “complimenti. Guarda cosa è accaduto per colpa tua, adesso impiegherò chissà quanto tempo a calmarlo”.

Ginger strappò il bambino dalle braccia della sorella minore e si trincerò nella propria camera da letto al piano superiore; iniziò a cullare il piccolo sussurrando parole dolci e cantando una ninnananna che Pamela era solita cantare sempre quando lei e Jennifer erano piccole.

Riuscì a tranquillizzarlo e, quando si addormentò, lo adagiò con delicatezza sul letto e gli rimboccò le coperte.

La ragazza si sedette sul bordo del letto e guardò, in silenzio, il bambino dormire beatamente, accarezzandogli di tanto in tanto i capelli ricci e folti.

Sollevò gli occhi dal suo viso paffuto quando sentì il cigolio della porta e vide apparire la madre adottiva.

“Povero piccolo, come farò quando crescerà?” mormorò con uno sguardo disperato e con gli occhi improvvisamente velati dalle lacrime “come farò quando capirà che la sua famiglia non è come le altre? Come farò quando mi chiederà dov’è suo padre e perché non è con noi? Come farò quando Keith inizierà ad odiarmi?”

“Keith non ti odierà, tesoro, sei sua madre”

“Mi odierà perché non ho fatto abbastanza per salvare suo padre. Mi odierà e non mi perdonerà perché io per prima continuo ad odiarmi ed a non perdonarmi per questo”.

Ginger nascose il viso tra le mani e scoppiò a piangere disperata, piegata su sé stessa; Pamela raggiunse la figlia adottiva, si sedette a suo fianco e l’abbracciò, stringendola a sé e lasciando che sfogasse ancora il proprio dolore per quel giovane che aveva amato troppo intensamente.

Ormai aveva perso il conto di tutte le volte in cui aveva asciugato le sue lacrime, ed ascoltato con pazienza i suoi sfoghi.

Ginger si stava spegnendo come la fiamma di una candela chiusa in una campana di vetro, e Pamela non era intenzionata a restare a guardare un solo secondo in più.

Era arrivato il momento di fare qualcosa, e lo avrebbe fatto in prima persona.

Ritorna all'indice


Capitolo 28
*** Saint Tropez (Parte Uno) ***


“Pronto?”.

Brusii di sottofondo, un rumore indistinto di voci: dall’altra parte della cornetta del telefono non giungeva altro.

“Pronto?”

“Pronto? Gin… Ginger? Ginger sei tu?”

“Sì, Rick, sono io, ma ti sento malissimo” rispose la giovane socchiudendo gli occhi e tappandosi l’orecchio sinistro: la voce di Richard era lontana e ovattata, come se giungesse da chilometri e chilometri di distanza, e le fece tornare in mente i tempi in cui, da bambini, prendevano un lungo spago, due barattoli di latta vuoti e giocavano al telefono.

“Aspe… Aspetta” disse lui per poi rimanere in silenzio per qualche secondo; in quel breve lasso di tempo Ginger udì altri suoni indescrivibili “ora mi senti?”

“Sì, ora sì. Cosa è successo poco fa, che ti sentivo così male?”

“Non ne sono sicuro, ma penso che dipenda dal fatto che mi trovo dall’altra parte dello stretto della Manica”.

La ragazza corrucciò le sopracciglia, lanciò un’occhiata al calendario appeso ad una parete e quando vide che giorno era si ricordò dell’ultima chiacchierata telefonica con David; l’orribile litigio avuto con Jennifer, e le violente emozioni che ne erano conseguite, le avevano fatto dimenticare completamente il mini tour che il gruppo doveva affrontare in Francia.

“Giusto… Il vostro tour… Come è andato il viaggio?”

“Nel complesso bene, anche se nessuno di noi è mai veramente entusiasta di prendere l’aereo. Ci sono cose alle quali non riuscirai mai ad abituarti veramente… Comunque non c’è stata turbolenza, ed i bambini sono stati bravissimi: Gala è sempre stata seduta composta e Jamie ha dormito in braccio a Juliette per tutto il tempo della traversata, e deve ancora svegliarsi… Temo che, in compenso, ce la farà pagare tenendoci svegli stanotte”

“Il tempo com’è?”

“Ohh, non c’è assolutamente nessun paragone con l’Inghilterra. Siamo scesi da pochi minuti e mi sto già sciogliendo dal caldo che fa. Lì com’è il tempo?” chiese il tastierista, ed a Ginger non sfuggì la nota d’ironia nella sua voce.

Guardò in direzione di una finestra e piegò la bocca carnosa in una smorfia alla vista delle gocce di pioggia che continuavano a picchiettare con insistenza contro il vetro: dopo una piccola parentesi fatta di sole e giornate tiepide, Londra era tornata ad essere la città grigia e cupa di sempre.

“Vuoi davvero che risponda alla tua domanda?”

“No, penso di avere già capito tutto dalle tue parole” Rick rise divertito “Ginger, non ho molto tempo a mia disposizione per parlare, quindi…”

“Stai parlando con Ginger?” Wright venne bruscamente interrotto da una voce maschile che la rossa identificò appartenere a Mason “Ginger! Ehi, Ginger, guarda che qui c’è il tuo ragazzo che si sta struggendo d’amore per te. Non riesce a darsi pace perché l’altra sera non ti ha vista. Vuole sapere perché non sei venuta al party in programma dopo l’esibizione a Hyde Park! Ti prego, diglielo prima che continui a torturarci con i suoi sospiri sofferti!”

“Nick, basta, smettila! Sto cercando di…”

“David! David! Dave, vieni qua, Rick sta parlando con la tua ragazza! Vieni a salutarla!”

“Nick, ti ho…”.

La linea cadde improvvisamente, Ginger allontanò la cornetta dall’orecchio destro e la guardò perplessa; scosse la testa e la posò sul supporto.

Poco dopo, il telefono riprese a squillare.

“Perdona quell’idiota di Nick, il volo deve avergli dato completamente alla testa”

“Immagina quando sarete costretti a fare più spesso traversate più lunghe”

“Non ci voglio neppure pensare. Quando siamo andati in America abbiamo affrontato più di nove ore di volo, ed al nostro arrivo abbiamo scoperto che, a differenza di quello che ci avevano detto, non c’erano i strumenti per l’esibizione. Avevamo con noi solo un basso ed una chitarra, e siamo stati costretti a raccattare il resto in poche ore. Con l’organo per me siamo stati abbastanza fortunati, ma batteria di Nick è stata montata con pezzi di batterie diverse” raccontò Rick con un sospiro rassegnato al ricordo dell’orribile esperienza vissuta nel corso del loro primo viaggio negli Stati Uniti.

E quella, sfortunatamente, non era stata l’unica.

A tutto il resto ci aveva pensato Syd, coi suoi comportamenti al limite della bizzarria e del bipolarismo, e con la sua fuga durata ben tre giorni.

La giovane ripensò a quella parte del viaggio, che le era stata raccontata da Roger il giorno in cui avevano accompagnato Syd alla sua prima ed unica seduta con uno psichiatra, e mandò giù un grumo di saliva per umidificare la gola che si era fatta improvvisamente secca ed arida come un deserto.

“Cosa volevi dirmi prima di essere interrotto da Nick?”

“Volevo parlare con te del party, ma desideravo anche introdurre l’argomento in modo più delicato”

“Ahh!” il tono di voce e l’atteggiamento della ragazza, nei confronti del suo migliore amico, cambiarono completamente, passando dal rilassato al difensivo “e cosa vuoi sapere con esattezza? Perché non sono venuta al party? Sappi che avevo detto fin da subito a David che non potevo venirci, sono stata costretta a dirgli di sì solo perché non voleva riagganciare il telefono e rischiava di arrivare tardi alle ultime prove generali. E poi… Poi Keith è stato male e non…”

“Rick! Ehi, Rick” di nuovo la voce di Mason “dobbiamo andare, è arrivato il nostro pullman! Dai! Vieni subito o saremo costretti ad esibirci senza tastierista!”.

Ginger sentì Richard emettere un verso seccato e, nonostante la piega poco piacevole che la telefonava aveva preso, sorrise divertita e si lasciò scappare una breve risata.

Adorava vedere il suo migliore amico perdere le staffe, proprio perché era sempre una persona posata, seria e calma.

“Ti chiamo questa sera quando sarò più tranquillo, così possiamo continuare la nostra conversazione senza essere disturbati” dal modo in cui pronunciò quelle ultime parole, la rossa immaginò che Rick doveva essersi voltato verso Nick per fulminarlo con un’occhiata tutt’altro che gentile “nel frattempo… Fai attenzione alla cassetta della posta”

“Che vuoi dire?” domandò lei, non capendo quello strano avvertimento.

“Vedrai” rispose sibillino il tastierista prima di essere costretto a riagganciare la cornetta del telefono.

Ginger scoprì quello che il suo migliore amico voleva dirle solo nel primo pomeriggio quando Jennifer, di rientro da un pranzo in centro in compagnia di Danny, portò dentro casa la posta del giorno.

“C’è una lettera per te” disse Jen, lasciandosi cadere sul divano, accanto alla sorella maggiore; corrucciò le sopracciglia quando lesse il nome del mittente “è da parte di… Rick?”

“Rick?” ripeté la rossa incredula, sbattendo più volte le palpebre “perché diavolo Rick avrebbe dovuto scrivermi una lettera?”

“Non chiederlo a me, non ne ho la più pallida idea. Aprila, così lo scopriremo!”.

Ginger aprì la busta con uno sguardo perplesso, chiedendosi cosa il suo migliore amico stava architettando alle sue spalle: si aspettava di trovare un foglio ripiegato più volte con cura, invece c’erano solo due strisce di carta rettangolari; impiegò quasi un minuto intero per capire che erano due biglietti aerei, uno d’andata ed uno di ritorno, per Saint-Tropez.

“Rick deve essere completamente impazzito, non c’è altra spiegazione!”

“Che cosa sono? Cosa ti ha mandato?”

“Due biglietti per un viaggio, ma non ha alcun senso” la giovane guardò Pamela, alla ricerca di risposte “che cosa significa?”

“Non lo so proprio, Ginger” disse la donna, mostrandosi completamente estranea alla faccenda “perché non lo chiedi a Richard quando lo sentirai?”.

Ginger aspettò pazientemente che arrivasse la sera e quando arrivò la telefonata di Wright, lo tempestò subito di domande senza salutarlo e senza lasciargli il tempo di farlo a sua volta.

“Aspetta… Aspetta un secondo. Non parlare” la fermò subito il giovane, e lei obbedì, benché ritenesse quella richiesta bizzarra “ecco. Ora puoi parlare”

“Perché mi hai detto di restare in silenzio?”

“Volevo solo essere certo che qualche idiota, tipo Nick, non stesse ascoltando la nostra conversazione telefonica. Dopo questa mattina, non mi sorprenderei affatto se lo facesse”

“Sai che cosa è successo oggi pomeriggio? Jennifer ha trovato nella cassetta della posta una busta indirizzata a me, e sai che cosa ho trovato dentro? Due biglietti aerei per la Francia. E indovina chi era il mittente? Tu! Si può sapere che diavolo significa tutto questo? Mi hai comprato davvero dei biglietti per…”

“…Per raggiungerci a Saint-Tropez? Certo che l’ho fatto. Consideralo un regalo anticipato per il tuo compleanno” rispose Rick tranquillamente; Ginger, al contrario, era sconvolta.

“Richard, io… Io non posso credere che tu lo abbia fatto davvero! È una follia, non ha alcun senso! Pe… Perché?”

“Perché? Perché due giorni fa Pamela mi ha chiamato e mi ha raccontato del crollo nervoso che hai avuto. Era terribilmente preoccupata per te e mi ha chiesto di fare qualcosa per aiutarti, ed io… Beh, io l’ho fatto”.

Alla spiegazione di Richard, la rossa rispose con un lungo silenzio: non poteva credere che Pamela gli avesse raccontato tutto dello sfogo avuto in seguito allo stupido litigio con Jennifer.

Mommi deve averti fornito una versione un po’ esagerata dei fatti”

“Invece io credo che lei mi abbia raccontato esattamente la situazione per quello che è, sei tu che ti ostini a non riconoscere di avere un problema”

“Io non ho nessun problema”

“Ohh, mio dio, Ginger, stai parlando proprio come Syd! Anche lui continuava a ripetere che non aveva alcun problema, e guarda, poi, come è finita”

“Magari sarebbe finita in modo diverso se qualcuno lo avesse aiutato fin dall’inizio, anziché voltare la testa dall’altra parte e fingere che fosse tutto apposto. C’è una cosa di cui ancora non mi capacito, Richard, dopo tre anni di distanza e credo che non riuscirò mai a capire: perché tu non mi hai detto nulla quando siete tornati dal tour in America? Posso capire Waters e Nick, ma tu… Il mio migliore amico… Hai avuto tantissime occasioni per raccontarmi cosa era accaduto e da cosa erano causati i comportamenti strani di Syd, ma hai sempre preferito tacere. Perché?” chiese Ginger con voce tremante, stringendo con più forza la cornetta del telefono; dall’altra parte, Wright rimase a lungo chiuso in un silenzio colpevole.

“Perché sono stato un idiota. Ho commesso un enorme errore a cui sto ancora cercando di rimediare. Ginger, posso accettare il fatto di avere perso Syd, ma non posso perdere anche te. Qui, a Saint-Tropez, abbiamo affittato una villa per noi, le nostre famiglie e per i nostri roadies. Quando non saremo impegnati a provare o ad esibirci, passeremo il tempo a rilassarsi in spiaggia o in centro città… Ne approfitteremo per fare una piccola vacanza e per divertirci un po’”

“Come avrebbe dovuto essere a Formentera?”

“Sì, ma questa volta niente andrà storto come a Formentera, fidati delle mie parole. Se c’è una persona che ha bisogno di fare una piccola vacanza e di rilassarsi un po’, sei proprio tu. La Francia ti piacerà tantissimo”

“Richard, non lo so…”

“È già tutto organizzato, non devi preoccuparti di nulla. I biglietti di andata e ritorno sono già pagati e non devi pensare neppure alle valigie perché sono già qui ad aspettarti”

“Cosa significa che le mie valige mi stanno già aspettando lì?”

“Chiedilo a Pamela, perché è stata lei ad occuparsi di questa parte del piano, se così possiamo chiamarlo” rispose Wright con una risata “stai tranquilla, non viaggerai da sola in aereo. Domani mattina passerà Lindy a prenderti e verrete qui insieme. Non ha potuto partire insieme a noi a causa di un piccolo imprevisto dell’ultimo secondo, ma, a quanto pare, adesso si è tutto sistemato”

“Non posso credere che tu abbia fatto tutto questo davvero!”

“Dave non sa nulla del tuo arrivo. È rimasto molto male quando non ti ha vista al party… Chissà come reagirà quando ti vedrà comparire qui. Scommetto che resterà completamente a bocca aperta”

“Aspetta solo che arrivi, e poi noi due faremo i conti” Ginger chiuse la telefonata con quella minaccia e scese in salotto per affrontare la madre adottiva “non mi sarei mai aspettata un tradimento simile da parte tua!”

“Che cosa è successo? Cosa mi sono persa?” chiese Jennifer, disorientata, sollevando gli occhi dai ricci di Keith che stava cercando di domare con un pettine; la sua espressione cambiò repentinamente dopo aver ascoltato la spiegazione della sorella maggiore, ed il pettine per poco non le scivolò dalle mani “raggiungerai Rick in Francia? Raggiungerai il gruppo in Francia per una vacanza? Ohh, mio… Ohh, mio dio, hai la vaga idea di cosa significhi questo?”

“Sì, significa che dovrò stare lontana da mio figlio per troppo tempo!”

“Keith starà benissimo insieme alla sua nonna ed alla sua zia preferite. Non credo esista al mondo un bambino più coccolato ed amato di lui” intervenne subito Pamela, per smorzare l’eccessiva preoccupazione della primogenita “e comunque, da quello che mi risulta, anche in Francia esistono i telefoni per comunicare con le persone a distanza”

“Avete ordito una vera e propria congiura alle mie spalle” mormorò la rossa, per nulla entusiasta della vacanza forzata e lontana da casa che l’attendeva.
“Lo stiamo facendo solo per il tuo bene, Ginger, un giorno ci ringrazierai per questo” replicò Pamela con un sorriso che, però, non arrivò a contagiare la figlia adottiva.

“Scatta più foto che puoi a Roger” disse Jennifer, contribuendo solo ad incupire maggiormente l’umore di Ginger.



 
“Vai, Ginger, altrimenti rischi di perdere il volo. Starai in Francia solo un paio di giorni, passeranno più in fretta di quello che pensi”

“È comunque un’eternità” la giovane si lasciò scappare un singhiozzo; salutò Pamela, Jennifer e poi strinse a sé Keith: la persona da cui era più difficile staccarsi.

Poco importava se si sarebbero rivisti da lì a pochi giorni, Ginger non si era mai separata dal suo unico figlio per più di mezza giornata.

Gli baciò le guance, la punta del piccolo naso, la fronte, gli accarezzò i folti e morbidi ricci neri e gli raccomandò più volte di fare il bravo, assicurandogli che al suo ritorno avrebbe portato con sé un bellissimo regalo per lui.

Il regalo più bello del mondo!

A malincuore, la ragazza si separò dalla sua famiglia, agitò un’ultima volta la mano destra in segno di saluto ed entrò nell’aeroporto alla ricerca di Lindy; riuscì ad individuarla, dopo qualche minuto, in una ragazza che continuava a saltellare ed agitare le braccia sopra la testa per attirare proprio la sua attenzione.

Avvicinandosi a lei, Ginger si rese conto che non era sola: seduta alla sua destra, difatti, c’era una ragazza bionda con le braccia incrociate e lo sguardo rivolto altrove.

Judith, la moglie di Roger.

Ginger non la vedeva dalla vacanza a Formentera.

“Scusami tantissimo se non sono passata a prenderti, ma c’è stato un imprevisto… Spero di non averti messa in difficoltà” disse Lindy con uno sguardo ansioso dopo aver abbracciato e salutato la rossa; lei, in risposta, scosse la testa.

“Mi ha dato un passaggio la mia famiglia” la tranquillizzò Ginger, per poi rivolgersi a Judith che non aveva ancora aperto bocca e sembrava essere assorta nei propri pensieri “ehi, Judith, quanto tempo. Come stai?”.

La salute di Judith era l’ultimo dei suoi problemi, ma dal momento che erano costrette a trascorrere di nuovo del tempo insieme, tanto valeva fare buon viso a cattivo gioco: lei aveva fatto il primo passo, ora tutto dipendeva dalla dolce metà di Waters.

La bionda si alzò di scatto, non rispose alla domanda e mormorò qualcosa riguardo al fatto che doveva andare in bagno, prima di dileguarsi tra la gente che affollava il terminal.

“Cerca di non metterci troppo e di non perderti! Tra poco dovrebbero chiamare il nostro volo!” esclamò ad alta voce Lindy per farsi sentire dall’amica; quando non la vide più, sospirò e scosse la testa con aria dispiaciuta “povera, Judy”

“Perché? Che cosa le è successo? Sta male?”

“Sì, ma non fisicamente”

“Cioè?”.

Lindy si guardò attorno, accertandosi che l’amica non fosse già di ritorno, si sedette e fece cenno a Ginger di prendere posto alla sua sinistra.

“Lei e Rog non stanno passando un bel momento” confessò la castana a bassa voce, emettendo un altro sospiro “hanno litigato perché Judy ha scoperto alcune… Cose… Sai, Ginger, non sempre possiamo essere presenti quando i nostri uomini devono spostarsi in continuazione per esibirsi. Spesso, poi, stanno lontani da casa anche per settimane”.

Dallo sguardo della dolce metà di Mason, la giovane intuì che le ‘cose’ scoperte da Judith avevano a che fare con il vincolo di fedeltà imposto dal matrimonio; non rimase, tuttavia, sconcertata ed indignata da quella scoperta: secondo lei, era più che evidente che Roger fosse un tipo incline a non sdegnare compagnia femminile al di fuori di quella della moglie.

“Ohh, cavolo, mi dispiace” mormorò, però, preferendo tenere le proprie constatazioni personali per sé.

“Pensa che non voleva neppure venire”

“È per questo motivo che hai posticipato la partenza? Ieri sera, al telefono, Rick mi ha accennato ad un piccolo imprevisto…”

“Sì, esatto. Sono rimasta a Londra per convincere Judith a venire in Francia con noi ed a risolvere questo problema con Roger. Ieri sera siamo rimaste quasi tre ore al telefono con lui e sembrava che il peggio fosse passato, ma questa mattina ha avuto l’ennesimo ripensamento e non riuscivo più a farla smettere di piangere. Ecco perché ti ho chiesto se potevamo incontrarci direttamente in aeroporto” Lindy strinse le mani a pugno e mollò un calcio alla sua povera valigia rossa “io proprio non riesco a capire perché Rog a volte deve comportarsi così da coglione, cazzo. Lui e Judy sono cresciuti insieme, si piacciono da sempre e hanno festeggiato da pochi mesi il loro primo anniversario di nozze! Che senso ha buttare tutto nel cesso per delle avventure che durano neanche una notte? Non riuscirò mai a capire che cosa hanno in testa gli uomini!”

“Secondo me, in casi come questo, hanno un enorme blackout”

“Sì, e poi quando torna la luce e si rendono conto della cazzata che hanno commesso, allora piagnucolano come bambini… Maschi… E Rog non è l’unico a comportarsi in questo modo. Due anni fa ho vissuto in prima persona una situazione completamente capovolta, in cui era Judy che cercava in qualunque modo di consolarmi mentre piangevo disperata. Anche io e Nick abbiamo avuto un breve periodo di crisi quando eravamo fidanzati, ma poi fortunatamente si è risolto ed ora è acqua passata” la ragazza castana tornò a sorridere e mostrò a Ginger la fede che portava all’anulare sinistro, e quest’ultima si chiese se sarebbe mai arrivato anche per lei il giorno di salire gli scalini di un altare per raggiunger il suo promesso sposo.

Probabilmente no, dato che ogni sua speranza era svanita tre anni prima.

“Come ci sei riuscita?” chiese guardando l’anello “come sei riuscita a perdonare Nick per averti tradita?”

“Ci sono riuscita perché lo amo, e perché mi sono resa conto che non valeva la pena di troncare la nostra storia per un incidente di percorso… Però prima di perdonarlo, l’ho fatto disperare per un po’. Meritava una punizione severa, e sono sicura che abbia capita appieno”


“Quindi… Secondo te, pur avendo sofferto molto, è davvero possibile ricominciare da zero in amore?”
“Direi che io e Nick siamo la prova vivente che questo può accadere” sulle labbra di Lindy apparve un sorrisetto furbo “e mi sembra che tu stia facendo lo stesso con David. Nick mi ha raccontato di avervi visto un giorno nel suo appartamento e che eravate molto in confidenza… Allora, cosa sta succedendo tra voi due?”.

Ginger evitò di rispondere alla scomoda domanda grazie al ritorno di Judith ed alla voce femminile all’autoparlante che annunciò l’imbarco per il loro volo.



 
Non appena vide la sua dolce metà al di là delle porte scorrevoli del terminal, Lindy Mason lasciò letteralmente cadere a terra le proprie valigie con un grido di gioia; corse incontro a Nick e lo abbracciò con trasporto, passandogli le braccia attorno alle spalle e le gambe attorno ai fianchi.

Ginger avvertì una fitta di tristezza e malinconia alla vista della giovane e ridente coppia baciata dai raggi del sole, e notò uno sguardo altrettanto cupo negli occhi azzurri di Judith: per ironia della sorte, proprio loro due che non potevano sopportarsi a vicenda, stavano vivendo un dolore simile nello stesso momento.

“Che cosa ci fai qui? Avevo capito che avremo trovato una macchina ad aspettarci, non che ti saresti presentato di persona per venirci a prendere!”

“E che sorpresa sarebbe stata se te lo avessi detto in anticipo? Com’è stato il viaggio? È andato tutto bene? Tu stai bene?”

“Sì, sto bene, Nick. Mi hai scambiata per una bambola di porcellana?”

“Lo sai che mi preoccupo per te” Mason abbassò la voce e mormorò qualcosa all’orecchio sinistro di Lindy, facendola ridere divertita; la posò a terra con delicatezza e raggiunse Ginger e Judith con un sorriso allegro “come state, ragazze?”.

La rossa notò che indossava un paio di jeans, una maglietta a maniche lunghe ed un cappello a tesa larga: un abbigliamento che strideva con il caldo e l’afa da cui erano circondati.

“Io sto bene, ma… Tu? Come mai questo look? Senti nostalgia delle giornate fredde e piovose di Londra?”

“Magari fosse solo una questione di stupida nostalgia” rispose lui con una smorfia “niente spiaggia e niente sole per me: mi sono beccato una bella insolazione ed una intossicazione alimentare”

“Ti sei beccato una insolazione ed una intossicazione alimentare dopo neppure ventiquattro ore che sei qui senza di me? Ma si può sapere come ci sei riuscito?”
domandò Lindy spalancando gli occhi scuri.

“Possiamo muoverci se non è un problema?” intervenne Judy, coprendosi la fronte con la mano destra “fa caldo, sono stanca dal viaggio e vorrei disfare le valige il prima possibile”

“Saltate sul mio bolide, allora, dolci fanciulle. Così posso condurvi alla nostra bellissima residenza in riva al mare… Beh… In realtà non si trova in riva al mare, è situata un po’ più nell’entroterra perché è il massimo che potevamo prendere in affitto col nostro budget… Però è grande, spaziosa e non dista così tanto dal mare. Non fatevi ingannare: sembra un posto tranquillo solo in apparenza. Quando siamo tutti radunati lì dentro…” il batterista prese le valige di Lindy, le caricò nel bagagliaio della macchina, fece lo stesso con quelle di Judith, aprì e chiuse le portiere alle tre ragazze e poi si mise alla guida del mezzo di trasporto “vi chiedo già scusa in anticipo, ma devo ancora prendere dimestichezza con la guida a sinistra”

“Promettimi che non ci schianteremo da nessuna parte. Non ho voglia di finire contro un albero il primo giorno di vacanza”

“Tranquilla, tesoro, finire contro un albero non rientra nei miei programmi. Anche perché ho preso questa macchina a noleggio ed immagino che sarebbe un problema se la riportassi indietro completamente sfasciata… Ohh, avanti, Lindy, non mi guardare in quel modo! La mia guida non è così spericolata! Rog è molto meno affidabile di me al volante… Non è vero, Judith?”.

La ragazza bionda, seduta sul sedile posteriore destro, puntò gli occhi sullo specchietto retrovisore ed incrociò per qualche istante lo sguardo di Mason.

“Credo che Roger sia inaffidabile e basta” commentò in tono secco e monocorde, rivolgendo di nuovo il viso in direzione del finestrino; Lindy lanciò un’occhiata a Nick e lui cambiò totalmente argomento, visto che il suo tentativo di riavvicinare la coppia era andato a vuoto, rivolgendo la propria attenzione a Ginger.

“Visto che le tue valigie ti aspettano già in camera, ti andrebbe di fare un salto con me dai ragazzi? Stiamo finendo di fare delle prove generali, così vedrai in anticipo il palco e, se vuoi, potrai scattare un paio di foto”

“Purtroppo non ho con me la macchinetta fotografica”

“Non ti preoccupare, Rick ha pensato anche a questo: è qui dentro il cruscotto”

“Rick ha pensato anche a questo?”

“Sì, ha pensato proprio a tutto… Ovviamente le tue valige e la tua macchinetta fotografica non sono state maltrattate in nessun modo, te lo posso garantire. Allora, che fai? Vieni con me sul palco? Dai, non farti pregare, vieni!”.

Dietro le continue insistenze di Mason, Ginger si ritrovò costretta a cedere e così, dopo aver scaricato Judith, Lindy e le valige nei pressi della villa, i due giovani ripartirono per il luogo in cui si sarebbe tenuta la prossima esibizione del gruppo; la giovane si spostò sul sedile anteriore destro, sollevò lo sportello del cruscotto e prese la macchinetta fotografica: senza dirle nulla, Pamela l’aveva data, insieme a due valige colme di vestiti piegati con cura, a Richard il giorno prima della sua partenza, e lui l’aveva portata con sé a Saint Tropez.

“Ha voluto portarla qui perché sapeva che questo era l’unico modo per costringermi a partire” commentò la rossa con un sorriso, agitando l’oggetto “Richard mi conosce fin troppo bene. A volte temo che mi conosca perfino meglio di me stessa. Aspetta solo che lo veda, questa volta…”

“Se vuoi, posso dirti chi è particolarmente ansioso di vederti… Ma forse lo sai benissimo da sola”

“Nick, a proposito di quello che hai visto quel giorno…” la ragazza si schiarì la gola e si sistemò una ciocca di capelli ramati dietro l’orecchio sinistro prima di proseguire “posso assicurarti che ti sei fatto un’idea completamente sbagliata, che non corrisponde assolutamente alla realtà: tra me e David non c’è nulla al di fuori di una semplice conoscenza. Ci siamo visti solo tre volte, per il resto abbiamo sempre parlato per telefono”

“Io so solo che, quando non stiamo suonando o provando o discutendo di musica, continua a parlare di te. Ed è rimasto molto male quando non ti ha vista arrivare al party. Avresti dovuto vedere la sua faccia… Continuava a cercarti con lo sguardo e ti ha aspettata fino alla fine. Secondo me non sospetta minimamente di vederti, oggi”

“E non si è insospettito quando ha visto le valigie?”

“No, perché Juliette ha finto che fossero sue” spiegò Mason con una risata “vedrai! Resterà completamente di stucco. Lo lascerai senza parole!”.



 
Ginger rimase sconcertata alla vista della moltitudine di persone che affollavano la parte posteriore del palco e lo spazio sottostante, laddove erano già state disposte le numerose sedie pieghevoli per il pubblico che avrebbe assistito all’esibizione all’aperto; nei pochi mesi in cui aveva seguito il gruppo come loro fotografa personale, gli spettacoli si svolgevano molto più in piccolo, principalmente all’interno di pub o locali (quando non si trattava dell’UFO club), ma ora era tutto diversa: con la popolarità in continuo aumento, con il pubblico che diventava sempre più consistente, anche le esigenze ed i ritmi della band erano cambiati.

Ormai il gruppo di quattro ragazzi che doveva raccattare in fretta strumenti, cavi e amplificatori per saltare su un vecchio furgoncino sgangherato e correre in fretta in un altro locale per esibirsi di nuovo nell’arco della stessa serata, si stava trasformando in un ricordo lontano e sbiadito.

Quei ragazzi per primi non c’erano più: uno si era perso per strada e gli altri tre stavano diventando giovani uomini.

Ginger sentì un’improvvisa nostalgia dei tempi in cui si fermavano sul ciglio della strada, nel cuore della notte, e, dopo aver unito i pochi spiccioli che ciascuno aveva con sé in tasca, compravano da un venditore ambulante un cartoccio di patatine fritte ed una birra ghiacciata da dividere in cinque.

Impugnò la macchinetta e ne approfittò per scattare una prima fotografia al backstage, per immortalare il fermento che regnava lì dietro: Nick le aveva detto di non muoversi e di aspettarlo, ed erano già trascorsi un paio di minuti da quando era sparito; da quel momento non lo aveva più visto, e non aveva neppure incontrato nessun altro componente della band.

Non aveva visto né Rick.

Né David.

Né tantomeno Waters.

Nel caso del bassista non era così enormemente dispiaciuta, tutt’altro: non era affatto ansiosa di rivederlo, in parte temeva perfino il loro incontro, perché provava ancora un profondo rancore nei suoi confronti, ed il motivo era sempre lo stesso.

Syd.

Finalmente Mason riapparve, in compagnia di Richard a petto nudo, coi piedi scalzi e con addosso solo un paio di jeans neri; si era lasciato crescere i capelli nel corso di quei tre anni, ed ora gli scendevano morbidi ed ondulati ai lati del viso e gli sfioravano le spalle.

Wright sorrise e si sistemò gli occhiali da sole in cima alla testa.

“Non immagini neppure quanto sia contento di vederti qui, Ginger. È andato bene il viaggio?”

“Ritieniti fortunato che siamo in un luogo pubblico ed affollato, altrimenti non immagini neppure quello che ti avrei già fatto, Richard William Wright”

“Sai, Ginger, che la frase che hai appena detto, se ascoltata da orecchie esterne, potrebbe essere completamente fraintesa?” intervenne Nick, per stemperare i toni.
Rick rise e passò il braccio destro attorno alle spalle della sua migliore amica.

“Questo è il suo modo per dirmi che mi vuole bene. Lascia i ringraziamenti ad un altro momento, ora credo che sia il caso di fare una sorpresa a qualcuno, che dici? David è sul palco che si sta riposando e… Non immagina neppure lontanamente che tu sia a pochi passi di distanza da lui. Potresti avvicinarti senza farti notare, così lo coglierai letteralmente di sorpresa in tutti i sensi”

“Ohh, sì, devi farlo assolutamente! È un’idea stupenda! Ed io riprenderò l’intera scena” esclamò il batterista, abbassando lo sguardo sulla piccola cinepresa che aveva in mano “ti piace? È un acquisto che ho fatto un paio di giorni prima della partenza, così potrò riprendere tutte le cose interessanti che accadranno nel corso della vacanza”

“Nick ha preso con estrema serietà il suo nuovo ruolo da cameraman del gruppo. Pensa che ieri era così concentrato a filmare tutti noi in spiaggia che si è beccato un bel colpo di sole ed è stato male tutta questa notte”

“Sì, mi ha accennato qualcosa lungo il tragitto dall’aeroporto alla villa” commentò la giovane, trattenendo a stento una risata per le disavventure del batterista “anche riguardo una intossicazione alimentare, se non sbaglio”

“Dobbiamo per forza discutere della sfortuna che mi perseguita? Forza, Ginger, raggiungi David sul palco prima che sia lui a venire qui ed a rovinare la sorpresa. Devo assolutamente filmare in diretta la sua reazione. Sarà la mia rivincita personale nei confronti del colpo di sole e dell’intossicazione”

“E chissà che la prossima volta, se proprio devi stare ore ed ore immobile sotto il sole, ti ricorderai ad indossare un cappello ed a non abbuffarti di pesce crudo come se non mangiassi da giorni e giorni” aggiunse Rick, inforcando di nuovo gli occhiali da sole.

Ginger lasciò i due giovani da soli a proseguire sulla discussione riguardante cappelli a tesa larga, protezione solare, pesce crudo, colpi di sole ed intossicazioni alimentari, e raggiunse il palco dal dietro le quinte: l’enorme pedana di legno, dalla forma rettangolare, era stata presa d’assalto dagli strumenti della band, insieme ai corrispettivi cavi, amplificatori e microfoni, e dall’impianto luci, posizionato ai lati e sopra grazie a dei sostegni metallici.

La batteria di Nick era posizionata in secondo piano, sul lato destro, mentre la tastiera di Rick era stata sistemata su quello sinistro; la chitarra di David ed il basso di Roger erano abbandonati sulle travi di legno, a poca distanza dai microfoni posizionati in primo piano, vicino all’alto bordo del palco.

Su tutta la superficie liscia correvano cavi simili a serpenti neri, alcuni terminavano la loro corsa attaccati a degli amplificatori di diverse dimensioni mentre altri proseguivano nel backstage, e la ragazza evitò accuratamente di calpestarli per non andare incontro a spiacevoli sorprese: non ci teneva a fare la fine del polpettone arrosto che Pamela adorava preparare per il pranzo della domenica.

David era seduto sullo sgabello posizionato davanti alla batteria e le dava le spalle; anche lui, come Wright, indossava solo un paio di pantaloni.

Ginger rimase immobile ad ascoltare il motivetto che stava suonando.

Quel ragazzo, oltre la chitarra ed il basso, sapeva suonare anche la batteria.

Quanti altri talenti nascondeva?

Si avvicinò di soppiatto e, con un gesto rapido, coprì gli occhi di David con le mani e lui, colto alla sprovvista, sussultò e lasciò cadere le bacchette.

“Devo indovinare chi sei?” chiese poi con un sorriso, aspettando una risposta che non arrivò “vediamo un po’… Sei Nick, giusto? Solo lui può fare questo genere di scherzi”

“Quindi stai dicendo che potrei avere un futuro da batterista, dato che le mie mani assomigliano molto a quelle di Nick?” domandò Ginger, divertita, togliendo le mani dagli occhi del chitarrista; David si girò di scatto con un’espressione di totale sorpresa stampata sul suo volto e con gli occhi azzurri spalancati.

Dopo qualche istante di completa immobilità, sulle labbra carnose di Gilmour apparve un sorriso luminoso.

La rossa si sforzò non poco a non cedere alla tentazione di abbassare lo sguardo sul suo petto nudo.

“Ginger!” esclamò lui, incredulo “che cosa ci fai qui? Quando sei arrivata? Nessuno mi aveva avvisato del tuo arrivo!”

“Che sorpresa sarebbe stata se qualcuno di noi te lo avesse detto in anticipo? Comunque, se la cosa può interessarti, credo che Nick ci stia filmando con la sua nuova cinepresa: prima mi ha detto che voleva assolutamente riprendere in diretta la tua reazione” la giovane si voltò con un sorriso in direzione del backstage, per indicare il batterista ed il suo migliore amico, che stavano ancora osservando la scena a distanza con un’espressione divertita, e vide che a loro si era unito Waters.

Per una frazione di secondo incontrò gli occhi chiari del bassista, poi abbassò lo sguardo, sistemò una ciocca di capelli dietro l’orecchio sinistro e si sforzò di continuare a sorridere.

Ritorna all'indice


Capitolo 29
*** Saint Tropez (Parte Due) ***


Saint Tropez era una bellissima cittadina, ma a Ginger ricordava fin troppo Formentera e la somiglianza era resa ancora più forte dal panorama che scorgeva dalla propria camera da letto: anche se la bella e spaziosa villa non si affacciava sulla spiaggia, riusciva comunque a scorgere la schiuma bianca del mare in lontananza; il sole, il caldo e la salsedine portata dalla brezza marina facevano il resto, rendendo ancora più dolorosa la pugnalata che la giovane sentiva all’altezza del petto.

Anche la graziosa camera da letto che Richard aveva scelto per lei (casualmente vicina a quella di David) le ricordava terribilmente quella che a Formentera aveva condiviso con Syd; a volte, con la coda dell’occhio, di sfuggita le sembrava quasi di vederlo raggomitolato sul letto, con gli occhi serrati, in preda ai suoi incubi deliranti fatti di vermi che gli mangiavano nel cervello.

Quei maledetti vermi erano arrivati perfino ad intaccare i suoi sogni: c’erano stati momenti in cui si era svegliata di soprassalto nel cuore della notte, sudata e senza fiato, con l’orribile sensazione di essere ricoperta da creature striscianti che volevano entrarle nelle orecchie, nella bocca e nelle narici per arrivare a banchettare col suo cervello.

Ginger scostò lo sguardo dal letto sfatto, troppo grande e spazioso per una sola persona, si allontanò dalla finestra e scese al piano inferiore per fare colazione; non sentiva i morsi della fame (il ricordo dell’incubo dei vermi le aveva chiuso completamente lo stomaco), ma doveva fare assolutamente qualcosa per tenere la mente impegnata, perché quando era completamente libera andava subito a Syd e ricominciava da capo il solito circolo vizioso fatto di ripensamenti, sensi di colpa e lacrime.

Non voleva rovinare la vacanza a nessuno.

Si bloccò sulla soglia della cucina, perché non si aspettava di trovarla già occupata da qualcuno.

Roger era seduto davanti al bancone a penisola e stava mangiando una fetta di pane tostato su cui aveva spalmato del burro e della marmellata, davanti a sé aveva una tazza di the bollente e nella mano sinistra stringeva l’immancabile Marlboro accesa; anche a lui erano cresciuti i capelli castani.

Alla giovane sembrò ancora più magro rispetto a tre anni prima.

Non aveva la minima intenzione di parlare con lui e così, ignorando apertamente la sua presenza nella stanza, si avvicinò all’angolo cottura e, dopo aver frugato all’interno di alcuni mobiletti, mise a scaldare un bollitore pieno d’acqua per prepararsi a sua volta una bella tazza di the.

E questa volta ci avrebbe messo lo zucchero.

Non appena la bevanda calda fu pronta, andò a sedersi dall’altra parte del bancone ed iniziò a sorseggiarla nel silenzio più totale, con gli occhi fissi davanti a sé.

“A che gioco stai giocando?”.

Ginger posò la tazza sul bancone, ma non si girò a guardare il bassista.

“Che vuoi dire?”

“Semplice: ti ho chiesto a che gioco stai giocando. Non mi sembra una domanda così complicata”

“Continuo a non seguire il tuo ragionamento”

“D’accordo, allora cercherò di essere ancora più chiaro: qual è esattamente il tuo scopo? Riuscire disperatamente a fare il grande passo? Trovare il pollo con il conto corrente pieno di soldi, sposarlo e vivere di rendita, sperperando il suo patrimonio per il resto della tua vita?”.

Questa volta la ragazza girò la testa in direzione di Roger, perché non poteva credere alle parole che aveva appena udito; sperava fossero solo uno scherzo stupido e di cattivo gusto, invece l’espressione di Roger era seria e sembrava quasi esprimere disgusto.

“Scusa, ma per chi mi hai presa? Per una specie di arrampicatrice sociale?” chiese, sdegnata da tali accuse infondate.

“Più o meno. Il tuo comportamento mi suggerisce questo”

“Il mio… Il mio comportamento?”

“Sì, il tuo comportamento. Ci hai provato una volta, ti è andata male, sei sparita per un po’ e poi sei ritornata alla carica” commentò Waters dando un morso alla fetta di pane tostato “dimmi, hai avuto da sempre una predilezione nei confronti dei chitarristi, oppure è una passione che è nata negli ultimi anni?”.

La mascella di Ginger scattò verso il basso.

 Mai nessuno si era permesso di offenderla in modo così spudorato prima d’ora.

“Hai della segatura al posto del cervello? Io non ti devo alcun genere di spiegazioni, ma ti posso assicurare che dietro la mia storia con Syd non c’era alcun interesse economico e lo stesso vale per la conoscenza che sto avendo con David” rispose a denti stretti, dopo essersi in parte ripresa dalle accuse infondate del bassista “come puoi dire questo? Come puoi anche solo pensarlo dopo quello che io ho fatto per Syd? Ti sei dimenticato che siamo andati insieme ad accompagnarlo dallo psichiatra? Sei stato tu ad averlo abbandonato, quando hai deciso insieme agli altri di sostituirlo con un altro chitarrista e smettere di passarlo a prendere per le esibizioni, non io. Io quella sera sono scesa dal furgoncino per andare da lui”

“Infatti credevo che, nel complesso, i tuoi sentimenti per lui non fossero una finzione, ma dopo quello che Nick mi ha raccontato…”

“Che cosa ti ha raccontato Nick?” lo incalzò a proseguire la giovane, anche se già sospettava di conoscere la risposta.

“Ti ha vista a casa di David” Waters piegò le labbra in una smorfia “con addosso i suoi vestiti”

“Sai perché avevo i suoi vestiti addosso? Perché mentre stavo andando da lui, un cretino in macchina ha centrato in pieno una pozzanghera ed io mi sono ritrovata bagnata da capo a piedi”

“E ti aspetti davvero che io creda a questa bugia?” la smorfia di Roger si trasformò in un sorriso ironico “e perché stavi andando da lui?”

“Perché… Perché… Il perché non è affar tuo!”

“Puoi dirlo, sai? Approfittane ora che siamo solo noi due, tanto ormai ho capito come stanno le cose: vuoi stare con qualcuno in vista e stai approfittando della tua amicizia con Rick per arrivare a qualcuno di noi perché è la strada più corta. Dato che Nick ed io eravamo già impegnati, la tua scelta è ricaduta su Syd, e quando non è andata bene con Syd… Hai ripiegato su David. Ecco come si sono svolti i fatti. Dillo. Confessalo”

“Stai davvero parlando seriamente? Stai davvero parlando seriamente? Ma tu hai idea di quello che ho passato negli ultimi tre anni? Hai idea di quanto sono stata male per…”

Tu non sei mai stata male per Syd. Tu non hai mai sofferto per lui. Se i tuoi sentimenti per lui fossero veri, ora non saresti qui a fare una sorpresa per David. E non saresti mai finita nel suo appartamento con i suoi vestiti addosso”

“È incredibile come tu abbia l’enorme faccia tosta di avanzare simili accuse nei miei confronti, quando sei il primo a comportarti in modo orrendo nei confronti della persona che hai deciso di portare all’altare” disse Ginger a denti stretti, godendo dell’espressione incredula che apparve sul volto del bassista: con quelle parole lo aveva preso contropiede, totalmente alla sprovvista “sì, so tutto riguardo alla crisi che tu e Judith state passando. È stata Lindy a confidarmelo mentre aspettavamo il nostro volo. E vuoi sapere una cosa? Mi domando come faccia Judith a voler stare ancora a tuo fianco, perché se io fossi stata al posto suo, ti avrei già dato il benservito da un pezzo. Quelli come te non meritano altro di essere trattati come gli animali che sono”

“Te l’ho già detto una volta: non intrometterti nei miei affari personali. Il mio matrimonio non ti riguarda!”

“E tu, allora, cerca di fare lo stesso con la mia vita”.

La giovane si alzò dallo sgabello con l’intenzione di terminare la tazza di the nella propria camera da letto, lontana dalla presenza irritante di Waters, ma lui la bloccò assestandole un’ultima stoccata, vendicandosi crudelmente per l’appellativo di ‘animale’.

“Se dovesse andare male anche con Dave, hai già pensato ad un piano di riserva? Rivolgerai l’attenzione altrove o ti abbasserai a cercare fortuna tra i tecnici delle luci e dei suoni?”.

Ginger perse anche quel poco autocontrollo che ancora le era rimasto in corpo e strinse con più forza la presa sulla tazza di porcellana; anziché uscire dalla cucina e tornare in camera, si voltò verso il bassista, che stava terminando di fare colazione, posò la tazza sul bancone, si avvicinò all’angolo cottura, prese in mano il bollitore e svuotò il the bollente in testa a Roger.



 
Lindy si sedette a gambe incrociate sulla sabbia, affianco a Ginger, e strizzò i lunghi capelli castani completamente zuppi d’acqua.

I ragazzi erano ancora impegnati con le ultime prove generali per un’esibizione e le ragazze avevano deciso di trascorrere il pomeriggio in spiaggia, perché era una giornata troppo bella per essere sprecata tra le mura della villa; con loro c’erano anche Miv Watts (la moglie di Peter, il tecnico delle luci), insieme ai piccoli Ben e Naomi, e Linda O’Rourke, la moglie di Steven: il nuovo manager del gruppo.

“Perché non ti unisci a noi in riva al mare, anziché startene qui da sola sotto l’ombrellone?”

“Non sono dell’umore adatto”

“Ha per caso qualcosa a che fare con quello che è successo tra te e Rog questa mattina?”

“Com’è che tra di voi le notizie volano così velocemente di bocca in bocca?”

“Perché ormai, visto il tempo che passiamo insieme, è come se fossimo un’enorme famiglia, ed in una famiglia tutti sanno tutto di tutti. E poi perché i maschi sono molto più pettegoli di noi femmine, anche se non lo ammetteranno mai” rispose Lindy “è vero che gli hai versato in testa del the bollente?”

“Mi ha provocata. È stato orrendo nei miei confronti, ha detto cose orrende”

“Vuoi parlarmene?”.

Ginger, anziché rispondere, nascose il viso tra le mani perché si sentiva vicina ad una nuova crisi di pianto e Lindy, per confortarla, le passò il braccio destro attorno alle spalle.

“Ehi, dai, non fare così” provò a rassicurarla la ragazza castana “non sei costretta a farlo se non vuoi. Puoi farlo in un altro momento, quando te la sentirai”

“Non capisco perché debba essere così sgradevole nei miei confronti. Io non gli ho fatto nulla questa mattina e lui ha iniziato ad insultarmi gratuitamente, tirando fuori argomenti molto delicati di cui non sa nulla, anche se è convinto del contrario. Nessuno…” la rossa scostò il viso dalle mani e tirò su col naso “nessuno mi aveva mai rivolto insulti simili”

“Che cosa ti ha detto?”

“Secondo lui, io non sarei altro che una arrampicatrice sociale, alla ricerca del pollo giusto da spennare”

“E perché avrebbe detto questa sciocchezza?”

“Perché è convinto che io sia stata insieme a Syd solo per scopo d’interesse e che ora sia tornata all’attacco con David”

“Ti ha detto davvero così?”

“Sì, il resto te lo risparmio perché non mi va di ripeterlo… Ecco perché gli ho rovesciato addosso il the bollente. So che è un caro amico tuo e di Nick, ma con me ha chiuso completamente. Non voglio saperne più nulla”

“Sarà pure nostro amico da anni, ma a volte si comporta proprio come un vero coglione. Mio dio, non riesco a capire cosa gli passi per la testa quando… Non dare retta alle sue parole, Ginger, sono sicura che deve averle dette in un momento di rabbia in cui non era lucido. Lui è fatto così: esplode, urla e poi si calma”

“Ma questo non giustifica le accuse orrende che mi ha rivolto. Non m’importa se è fatto così e se questo è il suo carattere. Non può venire da me e dirmi…” Ginger si fermò a metà frase e si morse il labbro inferiore “posso fidarmi di te?”

“Sì, certo che puoi fidarti di me”

“Non parlo praticamente mai di questo, ma ora sento il bisogno di farlo… Sento che se non lo faccio ora, rischio di esplodere ed impazzire”

“Se hai bisogno di confidarti con qualcuno, io sono qui”.

Ginger frugò all’interno della borsa da spiaggia e tirò fuori una fotografia che porse a Lindy: era uno scatto risalente all’inizio dell’estate, fatto da Pamela, che ritraeva lei e Keith sorridenti in cima allo scivolo di un parco giochi; la ragazza castana prese in mano la foto, incuriosita, e quando i suoi occhi scuri si spalancarono dalla sorpresa, Ginger intuì che aveva capito tutto.

“Lui è mio figlio, Keith. Ha compiuto da poco due anni. Richard e Juliette sono gli unici di voi a sapere della sua esistenza” spiegò la rossa, riprendendosi la foto, che rappresentava uno dei tanti ricordi che custodiva gelosamente “io ho amato tanto Syd, ed ho sofferto tantissimo per non essere riuscita a salvarlo da sé stesso e non permetto a nessuno, tantomeno ad un individuo come Waters, di giudicarmi e puntarmi il dito contro senza sapere come stanno veramente le cose. Keith è tutto quello che mi rimane di lui, e David… David è tutta un’altra faccenda”

“Non c’è nulla di sbagliato nel voler ricominciare da capo, Ginger, anzi. In casi come il tuo credo sia d’obbligo per non impazzire”

“Non lo so”

“Non vuoi lasciarti andare perché ti senti in colpa e ti sembra di sbagliare?”

“Credo che il punto della questione sia proprio questo”

“David ti piace?”

“Mi trovo bene a parlare con lui” disse la ragazza, evitando ancora di dare una risposta diretta a quella domanda “ma tra noi due non c’è stato nulla di fisico finora, te lo posso assicurare, anche se Waters è convinto del contrario. Il giorno in cui Nick mi ha vista nell’appartamento di David, non avevo addosso i suoi vestiti perché avevamo appena finito di avere un rapporto intimo, ma perché mentre mi stavo recando da lui mi sono ritrovata completamente zuppa d’acqua per colpa di un idiota. Ho provato a spiegarglielo a Roger, ma secondo lui era solo una bugia… Beh, ti posso assicurare che per quanto sembri bizzarra, è davvero la realtà e David te lo può confermare di persona”

“Se ti trovi così bene con lui, non dovresti continuare a trattenerti in questo modo, Ginger. Non stai facendo nulla di male. Non stai commettendo alcun reato. Fregatene di Rog, e se dovesse ancora parlare a sproposito, digli che pensi ai propri affari prima di mettersi in mezzo a quegli degli altri” le consigliò Lindy a bassa voce e con una risata, riuscendo a strappare un sorrisetto anche a Ginger “non sprecare questa occasione, credo che tu gli piaccia davvero”

“Non voglio bruciare le tappe”

“Come desideri, però potreste approfittarne di questa breve vacanza a Saint Tropez per conoscervi meglio… Vieni con me in acqua? Dai, così ci distraiamo un po’ da tutti questi pensieri!”

“Arrivo tra poco, se non ti dispiace. Voglio rimanere qui sotto ancora per qualche minuto”

“Ricordati che ti aspetto”.

Ginger annuì in risposta e Lindy si alzò, raggiungendo le altre ragazze in riva al mare che stavano facendo giocare i bambini: Gala stava costruendo un castello di sabbia insieme a Ben e Naomi, sotto la supervisione di Judith e Miv, mentre Juliette era seduta sulla sabbia, con il piccolo Jamie sulle proprie gambe; la giovane osservò quel quadretto allegro ed il sorriso svanì lentamente dalle sue labbra.

Le sembrava di essere una spettatrice esterna a cui era preclusa ogni possibilità di unirsi a loro; anche se era lontana appena pochi passi, ai suoi occhi le altre ragazze ed i bambini apparivano distanti chilometri e chilometri, quasi appartenessero ad un altro pianeta.

Ginger si chiese se anche Syd aveva avvertito la stessa sgradevole sensazione a Formentera, il pomeriggio in cui lei gli aveva chiesto di seguirla in spiaggia per fare un bagno e divertirsi insieme al resto del gruppo e lui non era mai arrivato.

Non riuscì a trovare la forza di darsi una risposta.



 
Roger si sedette vicino a Judith, le posò con delicatezza un asciugamano sulle spalle e le sussurrò qualcosa all’orecchio sinistro; la ragazza bionda arrossì lievemente, sorrise, si lasciò accarezzare il viso e baciare sulle labbra senza opporre alcuna resistenza.

A quel punto, Ginger scostò lo sguardo con una smorfia contrariata e tornò a fissare il falò che i ragazzi avevano acceso e che era la loro unica fonte di luce nel cuore della notte: al termine dell’esibizione, anziché ritirarsi ciascuno nella propria camera, si erano nuovamente radunati in spiaggia per festeggiare; anche i bambini erano presenti, ma loro dormivano già da diverse ore.

Lo stesso Richard si era addormentato, esausto, insieme a Gala e Jamie su un asciugamano mentre Juliette, seduta su un altro asciugamano, beveva una birra ghiacciata e chiacchierava allegramentecon Lindy che, nel frattempo, accarezzava i capelli a Nick, sdraiato con la testa appoggiata al suo grembo, ancora reduce dal colpo di sole e dall’intossicazione.

Con la coda dell’occhio, la giovane vide Roger e Judith alzarsi ed avviarsi mano nella mano verso la villa.

Evidentemente stavano andando a fare pace.

“Sete?” David prese posto alla destra di Ginger e le porse una bottiglietta di birra che aveva preso appositamente dal frigo della cucina.

“Grazie, ne avevo proprio bisogno” rispose lei, prendendo in mano la bevanda alcolica e mandando giù un lungo sorso ghiacciato.

“Sei stanca?”

“Stanca? No, per niente, sono solo…”

“…Irritata?”

“Sì, credo che irritata renda più l’idea del mio stato d’animo attuale”

“È la mia presenza ad irritarti? Perché se è così, basta che me lo dici ed io tolgo subito il disturbo”

“No, figurati. Tu non potresti mai irritarmi. Si tratta di tutta un’altra faccenda”

“Ti andrebbe di parlarmene facendo due passi in riva al mare? Ho voglia di sgranchirmi un po’ le gambe”

“Dico che è un’ottima idea” Ginger si alzò dall’asciugamano, scrollò via della sabbia dalle gambe e si allontanò dal gruppo insieme al chitarrista; quando il falò iniziò a trasformarsi in un punto sempre più lontano e le voci si trasformarono in un brusìo indistinto, rivelò qual’era il motivo della sua irritazione “credo proprio che Judith abbia perdonato Roger, e questa cosa non mi piace affatto”

“Non ti piace perché secondo te non avrebbe dovuto farlo, o perché nutri poca stima e simpatia nei confronti di Rog?” David sorrise alla ragazza “Rick mi ha accennato qualcosa anche di questo”

“Sbaglio o voi due parlate molto e di molte cose?”

“Possiamo dire che siamo entrati subito in sintonia”

“Ad ogni modo, la mia antipatia verso Waters non c’entra nulla in questo caso. Semplicemente non condivido la scelta di Judith, soprattutto dopo che io stessa l’ho vista soffrire parecchio per il male che lui le ha fatto” rispose Ginger, continuando a camminare; ormai il rumore delle onde aveva presto il posto delle voci e delle risate, e si era trasformato nel sottofondo della loro passeggiata notturna in spiaggia “non capisco. Non riesco proprio a capire come abbia fatto a perdonarlo così, da un giorno all’altro, dopo aver scoperto le sue infedeltà”

“Forse perché, infondo, è innamorata di lui e non vuole gettare alle ortiche il loro matrimonio?”

“Ma non ha comunque senso, almeno dal mio punto di vista” continuò la giovane scuotendo la testa “come puoi fidarti nuovamente di una persona che ti ha tradita con così tanta facilità? Come puoi darle una seconda possibilità sapendo che il giorno seguente potrebbe commettere ancora lo stesso errore?”

“Magari, invece, ha capito il suo errore e non lo rifarà mai più perché si è reso conto di cosa ha rischiato di perdere per sempre”

“Ne dubito fortemente. A me è bastato poco per capire come è fatto Roger: appartiene a quella categoria di ragazzi a cui piace stare con il piede in due staffe, e quando vengono scoperti, versano un paio di lacrime di coccodrillo e poi sono pronti a ricominciare da capo. Adesso, per un po’, si comporterà in modo impeccabile per rassicurare Judith e per allontanare da sé altri sospetti, ma non appena sarà tutto passato, tornerà alle vecchie abitudini”

“Parli così per esperienza personale?”

“Più o meno. La mia prima esperienza in amore l’ho avuta con uno stronzo simile”

“Mi dispiace”

“A me dispiace essermi accorta troppo tardi di come era fatto davvero, ma ormai non ha più importanza. Il passato è passato, e non si può cambiare” la ragazza si strinse nelle spalle, abbassò lo sguardo e l’espressione sul suo viso si fece improvvisamente seria: la conversazione con David aveva riportato a galla i soliti ricordi dolorosi ed il cielo stellato, sprovvisto di nuvole, era lo stesso che aveva ammirato in compagnia di Syd a Cambridge, ed era lo stesso sotto cui si erano scambiati il loro primo bacio; c’erano giorni in cui si domandava se anche lui ripensava mai a quei momenti, se li rimpiangeva o, più semplicemente, se li ricordava ancora, ma poi, come tutto ciò che riguardava Syd, preferiva sempre non darsi una risposta.

Perché sarebbe stata ancora più dura.

Ginger venne riportata alla realtà da uno spruzzo d’acqua che le bagnò in parte il vestito corto ed in parte i capelli rossi sciolti sulle spalle; si voltò sconcertata in direzione di David e gli chiese per quale motivo l’avesse bagnata.

“Non mi dire che non hai mai fatto una battaglia d’acqua”

“Sì, ma di certo non a quest’ora di notte”

“Allora approfittiamo di questo momento per rimediare, che ne dici?”

“Non stai parlando sul serio”.

Un secondo spruzzo d’acqua salata fece capire a Ginger che David non stava affatto scherzando riguardo la battaglia d’acqua notturna, ed iniziò a rispondere al fuoco nemico; rise divertita quando riuscì a colpire il chitarrista in pieno volto, provò a sfuggirgli, ma lui riuscì a bloccarla per i fianchi e caddero entrambi a terra ancora ridendo.

Ginger si ritrovò sdraiata con la schiena sulla sabbia umida e con David sopra di sé; erano così vicini che riusciva a vedere con estrema chiarezza le goccioline d’acqua correre lungo le ciocche dei lunghi capelli che le sfioravano la gola.

Sentiva il proprio cuore battere con forza, ma non era più sicura che ciò dipendesse dalla corsa e dalla battaglia d’acqua.

Lo sentì accelerare ancora di più il battito quando vide il viso del chitarrista farsi ancora più vicino; e quando sentì le sue labbra carnose posarsi sulle proprie, lo scostò bruscamente appoggiandogli la mano sinistra sul petto e si tirò su.

Gilmour corrucciò le sopracciglia in un’espressione confusa.

“Scusami… Non volevo metterti a disagio, ho fatto qualcosa di sbagliato?”

“Io… Io non… Tu…” balbettò, confusa, la ragazza, sbattendo più volte le palpebre: il bacio l’aveva colta totalmente alla sprovvista “non avresti dovuto farlo”.

Si alzò di scatto dalla sabbia e s’incamminò a passo veloce in direzione del falò, ignorando David che la supplicava di tornare indietro; riuscì a fermarla solo bloccandole fisicamente la strada.

“Ginger, ti prego, lasciami spiegare”

“Adesso non ho voglia di sentire la tua voce. Lasciami passare” Ginger lo spinse da parte con tutta la forza che aveva in corpo e riprese a camminare a passo veloce, si fermò di sua spontanea volontà quando David parlò di nuovo, ad alta voce, confessando ciò che ormai era più che evidente agli occhi di tutti.

“Tu mi piaci!” esclamò, lasciando ricadere le braccia lungo i fianchi “credevo… Credevo l’avessi capito. E pensavo che… Pensavo che lo stesso valesse anche per te”

“E quindi, di conseguenza, hai pensato che questa fosse l’occasione giusta per arrivare al dunque?” la ragazza si voltò di scatto e tornò indietro per fronteggiare il chitarrista; dai suoi occhi scuri scaturivano lampi di rabbia “pensi che non l’abbia capito che la birra, la passeggiata e quella stupida battaglia d’acqua erano solo degli stratagemmi per convincermi a scopare con te?”.

Sul volto di David apparve un’espressione confusa.

“No, no, assolutamente no. Ti posso assicurare che hai frainteso le mie intenzioni. Io non…”

“Ohh, invece io credo di averle comprese appieno, ed ora stai provando ad arrampicarti sugli specchi. Chi ti ha suggerito questa ‘tecnica di seduzione’? Scommetto che è stato Roger. Solo un idiota come lui può pensare che farse questa funzionino davvero”

“Roger non mi ha suggerito nulla”

“Allora questo significa che anche tu sei un animale, esattamente come lui!”

“Ginger, ti prego, lasciami spiegare… Ti ho chiesto di fare una passeggiata semplicemente perché volevo trascorrere del tempo in tua compagnia… Da solo… Per parlare, per ridere, per scherzare, per conoscerci un po’ meglio… Non certo per fare altro”

“E allora perché mi hai baciata?”

“Perché credevo fosse il momento giusto”

“Beh… Hai completamente sbagliato tutto”

“Quindi ho anche sbagliato a pensare di piacerti?” chiese il giovane esasperato “io… Io non ti capisco, Ginger! Sei una continua contraddizione! Non hai risposto al mazzo di rose che ti ho mandato, ma dopo settimane ti presenti davanti alla porta del mio appartamento… Non vieni al party, ma poi arrivi a sorpresa a Saint Tropez… Io non… Che cosa devo fare? Che cosa non devo fare? Non ci sto capendo più nulla!”

“Non sono venuta a Saint Tropez perché desideravo farti una sorpresa, ma perché Rick non mi ha lasciato altra scelta: è partito portando con sé due valige piene di vestiti miei e la mia macchinetta fotografica, e mi ha fatto recapitare una busta con i biglietti per l’aereo. Mi sono ritrovata con le spalle al muro. E per quanto riguarda il giorno in cui sono venuta nel tuo appartamento… L’ho fatto solo per pura cortesia, perché mi dispiaceva di non aver risposto al tuo mazzo di rose e per darti quella stupida foto. E infatti mi sono subito pentita di essere venuta da te, visto che Nick mi ha vista con addosso i tuoi vestiti ed è sceso a conclusioni affrettate che ha condiviso con gli altri”

“Ti sei pentita? Addirittura?”

“Perché non ho risposto subito al mazzo di fiori? Perché non sono venuta ad Hyde Park? Pensavi, David, non credo che tu sia così stupido da non essere in grado di arrivarci da solo. L’ho detto sia a Rick che a Lindy: io mi trovo bene a parlare con te, ma… Niente di più. Mi dispiace, non voglio apparire come una stronza insensibile, ma questa è la verità. Io non ti ho mai illuso, sei stato tu che hai viaggiato troppo con la fantasia”.

Il ragazzo ascoltò in silenzio senza ribattere; si limitò ad annuire con il capo ed infilò le mani nelle tasche dei jeans.

“Va bene. D’accordo” disse in tono piatto, serio come Ginger non l’aveva mai visto “torniamo al falò?”.

I due giovani tornarono indietro nel silenzio più assoluto e senza scambiarsi una sola parola: Ginger teneva lo sguardo fisso davanti a sé, mentre quello di David era rivolto alla sabbia; quando raggiunsero il falò, lui andò a sedersi lontano dal resto del gruppo mentre lei prese posto accanto a Rick, che nel frattempo si era svegliato.

“Ehi, tutto bene?” le chiese subito Wright, notando la faccia turbata della sua migliore amica.

“Sì” rispose lei, d’istinto, lanciando una rapida occhiata al chitarrista, che teneva il viso corrucciato rivolto verso le onde del mare.

Sapeva di avere fatto la scelta giusta.

Eppure, non si sentiva affatto bene.

Ritorna all'indice


Capitolo 30
*** Saint Tropez (Parte Tre) ***


Seduto a gambe incrociate sopra il palco di legno, in attesa d’iniziare le prove generali per l’ultima esibizione sulla riviera francese, David scaricò tutta la frustrazione repressa prendendosela con la propria chitarra; lo strumento sopportò tali maltrattamenti finché la sesta corda non palesò la propria rimostranza spezzandosi.

E quando ciò accadde, cedettero anche i nervi del giovane, solitamente calmo e posato: afferrò la chitarra con entrambe le mani e, con la mente annebbiata, la scagliò verso la parte opposta del palco; lo strumento colpì l’imponente gong, facendolo suonare, e poi travolse il basso di Roger, appoggiato lì vicino.

Gli altri tre componenti del gruppo, richiamati dal trambusto improvviso, comparvero dal backstage, laddove si erano spostati per fumare una sigaretta prima di provare.

Roger, alla vista del gong che ondeggiava e del basso caduto sulle assi di legno, allargò le braccia in un gesto esasperato.

“E che cazzo, Gilmour!” imprecò, avvicinandosi ai due strumenti per constatare eventuali danni riportati “ma che ti prende? Vuoi sabotare i miei strumenti?”

“Guarda che qui l’unico a maltrattare i tuoi strumenti sei proprio tu, Rog. A volte dovresti vederti come suoni” commentò Nick, per poi rivolgersi a David “che cosa è successo?”

“Si è rotta una corda della chitarra” rispose lui impassibile, senza staccare gli occhi dal pavimento “e così l’ho lanciata”

“L’hai lanciata?”

“Sì”

“E si può sapere perché diavolo hai lanciato la tua chitarra? Addosso ai miei strumenti, per giunta!”

“Perché si è rotta una corda, te l’ho spiegato poco fa”

“E siccome si rompe una corda, ti senti in dovere di distruggere anche i nostri strumenti? Ma cosa cazzo vuol dire? Che razza di ragionamento deviato è mai questo? Giuro che se trovo anche solo un graffio, io…” le minacce del bassista si trasformarono in un borbottio incomprensibile mentre esaminava con scrupolosità tutta la superficie del basso e del gong cinese; Rick e Nick non gli prestarono ascolto e si concentrarono su David, che ancora non si era mosso.

“Dave, sicuro che vada tutto bene?” chiese Wright.

“Sì, certo che va tutto bene. Perché qualcosa non dovrebbe andare bene?”

“Beh… Sai com’è… Hai appena detto di aver lanciato la tua chitarra perché si è rotta una corda…”

“E di solito le persone che stanno bene non fanno questo” aggiunse Mason, per poi proseguire a bassa voce “ad eccezione di Rog, ovviamente. Secondo me, lui sarebbe in grado di lanciare strumenti a prescindere da quale sia il suo stato d’animo”

“Ti ho sentito!” esclamò Waters, senza sollevare gli occhi dal manico dello strumento a corde.

“No. Davvero. Sto bene” Gilmour rimase in silenzio per una manciata di secondi, era così teso che i muscoli della mascella continuavano a contrarsi “perché mi hai detto una bugia?”.

Richard sussultò, non aspettandosi una domanda ed uno sguardo così accusatori, e puntò l’indice destro contro il proprio petto.

“Io?” domandò subito dopo, sicuro di avere frainteso le parole del chitarrista; quest’ultimo annuì energicamente con la testa.

“Sì, proprio tu: perché mi hai detto una bugia?”

“Io non… Io non credo di averti mai raccontato alcuna bugia, David. Te lo posso assicurare. Deve esserci stato un fraintendimento, non c’è altra spiegazione”

“Mi sono perso qualcosa?” intervenne Nick, confuso.

“Avevi detto che Ginger era interessata a me”

“Sì, infatti è la verità: lei è interessata a te”

“Peccato che ieri mi ha detto tutto il contrario” ribatté il chitarrista, rivolgendo uno sguardo risentito al tastierista “siamo andati a fare una passeggiata in riva al mare, e quando ho provato a baciarla… Mi ha respinto”

“Ti ha respinto?” Nick spalancò gli occhi incredulo, e si passò la mano destra tra i capelli neri e ondulati “ma… Ma ne sei proprio sicuro? Sei certo che ti abbia respinto o…”

“Me lo ha detto con estrema chiarezza: io non le piaccio, ed è venuta a Saint Tropez solo perché tu, Rick, non le hai lasciato altra possibilità”

“Stai dicendo che il tuo accesso di rabbia è partito da un due di picche?” Roger sollevò lo sguardo dal manico del basso “non ci posso credere! Volevi mandare all’aria l’esibizione, distruggendo i nostri strumenti, solo perché quella ti ha dato un due di picche?”

“Ehi, vacci piano” lo riprese subito Richard, ammonendolo con l’indice destro “ti ricordo che quella ha un nome, ed è la mia migliore amica”

“Non me ne frega un cazzo se quella è la tua migliore amica, Rick, e non me ne fregherebbe un cazzo neppure se fosse tua sorella o tua madre. Il punto è che abbiamo quasi rischiato di non esibirci per colpa sua. Pensa se l’eccesso di rabbia di David avesse seriamente danneggiato anche solo uno dei nostri strumenti! Che avremo fatto ora?”

“Roger, stai dicendo questo solo perché la chitarra di Dave ha accidentalmente colpito il gong ed il basso. Se fosse accaduto lo stesso con la batteria di Nick o con il mio organo, non avresti battuto ciglio”

“Non è assolutamente vero, e comunque non è questo il punto della questione… Vedete perché in una band maschile nessun ruolo secondario deve essere affidato ad una donna? Adesso capite perché ero contrario quando tu l’avevi proposta come nostra fotografa? Guarda cosa è successo quando c’era Ginger e guarda cosa sta succedendo adesso che è tornata a gironzolare attorno a noi”

“Ginger non c’entra nulla con Syd e la sua dipendenza da droghe”

“Però accadono solo casini ogni volta che c’è lei. Avete idea di quanti gruppi si sono divisi per colpa di una donna? Guardate poco tempo fa che fine hanno fatto i Beatles

“Io conosco un gruppo che si dividerà a causa di un componente troppo polemico ed autoritario: noi!” esclamò Nick in un tentativo di alleggerire la tensione, ma ottenne solo l’effetto opposto; lo sguardo di Waters si rabbuiò e rivolse un’occhiata risentita a Mason.

“Io non sono affatto polemico ed autoritario”

“Dai, Rog, la mia era solo una battuta… Avanti… Tra poco dobbiamo esibirci e voi due siete qui a litigare, mentre David ha l’umore a terra… Dai, Dave, pazienza se non è andata come speravi: il mondo è pieno di ragazze”

“Appunto. Il mondo è pieno di ragazze. Sono sicuro che farai presto a trovarne un’altra che ricambi il tuo interesse… Così potremo lasciarci questa storia alle spalle per sempre”

“Dave, non ascoltarli, so per certo che tu piaci a Ginger almeno quanto lei piace a te. E so anche per certo che non pensa davvero quello che ti ha detto. Lei…” Rick pensò alle parole migliori per proseguire il discorso “… Sta semplicemente passando un periodo molto delicato da cui fa fatica ad uscire”

“Scusa, ma ora non ho più voglia di parlare di questo. Preferisco concentrarmi sull’esibizione che ci aspetta” mormorò David alzandosi in piedi; superò Richard per recuperare la chitarra e, mentre si dirigeva verso la parte opposta del palco, col tacco dello stivaletto destro calpestò inavvertitamente uno dei tanti cavi che attraversavano le assi di legno.

Nessuno degli altri era girato verso di lui in quel momento, ma tutti udirono uno schiocco improvviso che riecheggiò nel silenzio.

“Lo avete sentito anche voi?” chiese Nick “sembrava un colpo di frusta”

“Hanno bruciato qualcosa?” domandò a sua volta Roger, arricciando il naso.

Rick si guardò attorno e capì subito che c’era qualcosa di strano.

“Ragazzi, dov’è David? Qualcuno di voi lo ha visto allontanarsi? Era qui fino ad un attimo fa!”.



 
“Non ti piace?”.

Ginger sbatté le palpebre e tornò alla realtà.

“Come?”

“Il the” disse Lindy, indicando la tazza “non è di tuo gradimento? Non hai ancora bevuto un solo sorso”.

Ginger era uscita con le altre ragazze, ed i bambini, per trascorrere un pomeriggio tra le vie del centro città; il piccolo gruppetto al femminile, dopo aver visitato un paio di negozi, si era fermato in una pasticceria per bere the, mangiare qualche pasticcino e chiacchierare.

Non aveva mai aperto bocca da quando erano uscite dalla villa: continuava a pensare alla discussione avuta con David, alle orribili parole che gli aveva rivolto, all’espressione di lui ed al suo viso corrucciato rivolto verso il mare; quella stessa mattina, quando si erano ritrovati insieme agli altri per fare colazione, la giovane aveva cercato più volte il suo sguardo, ma quello del chitarrista non si era mai scollato dai cereali con latte che aveva mangiato nel mutismo più assoluto.

Lo aveva ferito.

Lo aveva ferito profondamente e si sentiva una persona orribile per questo, soprattutto perché non sapeva come chiedergli scusa.

Non aveva neppure il coraggio di avvicinarsi a lui.

Judith, al contrario, aveva ritrovato il sorriso.

“Ohh, no… No… Sto solo aspettando che si raffreddi. Hanno fatto pace?” domandò la rossa, abbassando la voce in modo che solo Lindy potesse sentirla “ieri, in spiaggia, l’ho vista allontanarsi insieme a Roger”

“Da quello che mi ha detto… Sì”

“Sono contenta per loro”.

In realtà, Ginger continuava a pensarla allo stesso modo: non sarebbe passato molto tempo dalla prossima lunga serie di tradimenti; tempo qualche mese e Judith avrebbe ricominciato a soffrire terribilmente per una persona che non se lo meritava affatto.

“E tu e David?”

“Io e David… Cosa?”

“Judy e Rog non sono stati gli unici ad allontanarsi dal falò. Anche tu e Dave lo avete fatto, e siete tornati indietro dopo un bel po’ di tempo” la ragazza castana sorrise in modo complice “allora? Che cosa avete fatto?”

“Solo una semplice passeggiata in riva al mare. Niente di più, niente di meno” si affrettò a tagliare corto Ginger, portandosi alle labbra la tazza; non era una vera e propria bugia, infondo: si erano allontanati davvero dal falò per fare una passeggiata, semplicemente non si sentiva pronta a raccontare della parte del litigio.

Quello non era né il posto né il momento giusto per farlo.

Magari più tardi, non appena lei e Lindy sarebbero state da sole…

Lindy si limitò ad annuire con la testa ed a sorridere, abbassò lo sguardo sulle mani che aveva posate sul grembo ed il suo sorriso si allargò.

“Ragazze” disse all’improvviso “c’è una cosa che dovete sapere”

“Cosa?” chiese Judith incuriosita “cosa dobbiamo sapere?”

“Ecco… Io e Nick volevamo darvi la notizia insieme, ma non riesco più ad aspettare” la dolce metà di Mason prese un profondo respiro e finalmente rivelò il segreto che da un po’ di tempo portava con sé “sono incinta. Aspetto un bambino”.

Juliette fu la prima a riprendersi dalla notizia tanto lieta quanto inaspettata, ed allungò la mano sinistra per stringere quella destra dell’amica.

“Tesoro mio, sono troppo contenta per te. Tu e Nick sarete dei genitori stupendi”.

A quelle parole, l’espressione di Lindy mutò completamente: il sorriso svanì, gli occhi si velarono di lacrime e la giovane scoppiò a piangere; Judith si alzò per occupare la sedia vuota alla sinistra della ragazza castana, e le passò un braccio attorno alle spalle per tranquillizzarla e calmarla.

“Perché piangi, tesoro? Non sei contenta? È una notizia bellissima”

“Sì, lo so, ma… Nick ha ventisei anni… Io ne ho ventiquattro… Siamo ancora dei ragazzi e non abbiamo la più pallida idea di come si cresce un bambino. E poi… Poi… Ho sentito tante storie riguardo la gravidanza, tipo che gli ormoni sono sempre in subbuglio e hai continui sbalzi d’umore… E se Nick arrivasse al punto di non sopportarmi più? E come farò quando diventerò enorme come una balena ed avrò le caviglie così gonfie che non riuscirò nemmeno ad alzarmi dal letto?”

“Io ho avuto un figlio a vent’anni… Eppure eccomi qui”

“Hai un figlio?” Judith inarcò le sopracciglia sorpresa e si voltò a guardare Ginger, che annuì in risposta.

Si maledì mentalmente per essersi lasciata scappare quel particolare della propria vita privata davanti a Judy: già poteva immaginarla raccontare tutto al suo amato marito che non perdeva occasione per metterle le corna.

“Sì, ho un bellissimo bambino che ha da poco compiuto due anni e che è il centro della mia vita” dopo aver detto quello, la ragazza si concentrò di nuovo su Lindy “non ti devi preoccupare. È normale essere aggredite da mille dubbi e paure quando si scopre di aspettare un bambino, ma tutto passa il giorno in cui quella piccola creatura arriva a stravolgere la tua vita. Anch’io pensavo di non farcela, anch’io ero terrorizzata al pensiero di non essere una brava mamma per Keith, ma quando l’ho visto per la prima volta… Tutto il resto scompare e non ha più importanza. Sono sicura che Juliette concorderà con me”

“Diventare madre è l’esperienza più bella e terrorizzante al mondo. Farai un lavoro stupendo, Lindy… Nel frattempo puoi fare le prove generali con Nick, visto che dici sempre che è un bambino nel corpo di un ragazzo di ventisei anni”

“Ohh, sì, così tra un paio di mesi sarò costretta a badare non ad uno, ma bensì a due neonati” commentò la giovane asciugandosi le lacrime con un fazzoletto e soffiandosi il naso; le altre ragazze risero alla battuta, ad eccezione di Judith che era tornata ad essere improvvisamente seria.

Si era appena resa conto di essere l’unica a non avere figli od a non essere in procinto di averne, e questo la faceva sentire diversa dalle altre.



 
Sul vialetto che conduceva alla villa, il piccolo gruppo di ragazze, e bambini, venne raggiunto da Peter Watts, il tecnico delle luci del gruppo; Juliette, notando l’aria agitazione del ragazzo, gli chiese se stava bene e se era accaduto qualcosa di particolare durante la loro assenza.

“È successo un casino durante le prove” spiegò, agitato, Peter passandosi le mani tra i capelli castani “c’era un cavo con un contatto scoperto e… David lo ha calpestato accidentalmente”

“David?” domandò subito Ginger, allarmata “e cosa significa? Cosa gli è accaduto? Sta bene?”

“È letteralmente volato giù dal palco, ma…”.

La giovane, nell’udire quelle parole, mollò la presa sulla busta di cartone che aveva con sé (e che conteneva una graziosa camicetta a stampa floreale acquistata poche ore prima in un negozio) e corse dentro l’abitazione per accertarsi personalmente delle condizioni fisiche del chitarrista; prima che potesse salire le scale, venne bloccata da Richard: era così sconvolta che non aveva notato i tre ragazzi nel salotto.

“Lasciami subito andare!” protestò la ragazza, mentre anche le altre rientravano “devo andare a vedere come sta”

“Ginger, calmati ora. Calmati e vieni a sederti sul divano, così posso spiegarti quello che è successo”

“Peter ci ha già detto tutto quanto. Non voglio sentire le tue spiegazioni e non voglio neppure sedermi sul divano, non prima di avere visto David con i miei occhi ed essere certa che stia bene”

“Hai proprio una grandissima faccia tosta a dire questo, lo sai?”.

Ginger si voltò a guardare Roger.

“Che cosa hai detto?”

“Per favore, vi prego, questo non è proprio il momento d’iniziare un’altra discussione” Richard provò inutilmente a calmare gli animi, ma la sua migliore amica lo spinse da parte e si avvicinò al bassista, seduto tranquillamente sul divano a fumare una sigaretta; accanto a lui, Nick era visibilmente pallido ed agitato.

“Che cosa hai detto?” domandò di nuovo la rossa, in tono di sfida “ripetilo una seconda volta se ne hai il coraggio”

“Ho detto che hai una grandissima faccia tosta a dire questo” Roger ripeté le sue stesse parole scandendole lentamente, accogliendo a braccia aperte la provocazione “David ci ha raccontato quello che è successo in spiaggia. Era così completamente fuori di sé dalla rabbia che ha lanciato la sua chitarra, e non si è neppure accorto del contatto scoperto”

“Stai dicendo che è colpa mia?”

“Se tu non gli avessi dato quel due di picche, lui non sarebbe stato così alterato e non avrebbe calpestato quel maledetto cavo”

“Mi stai dando davvero la colpa per quello che gli è successo?” strillò Ginger, fuori di sé dalla rabbia: quello era troppo d’accettare.

Con quell’accusa infamante, Roger aveva superato qualunque limite della decenza.

I nervi della ragazza vennero messi ulteriormente alla prova quando Judith si fece avanti per prendere le difese del marito.

“Vuoi stare calma? Non c’è bisogno che lo aggredisci verbalmente solo perché ha detto la verità”

Aggredirlo verbalmente? La verità? È stato lui il primo ad aggredirlo verbalmente e… E… Come puoi essere d’accordo con lui? Voi due pensate davvero che la responsabilità di quello che è accaduto a David sia mia? Avete delle menti deviate!” urlò ancora più forte la ragazza, stringendo i pugni per resistere alla tentazione di saltare addosso a Judith, a Roger o ad entrambi “tu sei proprio un coglione a pensarla in questo modo e tu, Judith, sei soltanto una cretina a difenderlo così strenuamente solo perché è tuo marito. Sta pure dalla sua parte, ma non piangere ancora quando, tra un po’ di tempo, avrai di nuovo le corna, perché te le meriti! Solo una stupida oca come te può desiderare di stare ancora insieme ad una persona che non esita a tradirla ogni volta che si presenta l’occasione giusta!”

“Basta! Smettetela! Non siamo bambini! Neppure Gala si comporta in questo modo, ed ha solo tre anni!” gridò a sua volta Rick, per farsi sentire, in una delle rare volte in cui perdeva l’autocontrollo e la calma che Ginger gl’invidiava “quello che è successo sopra al palco è stato solo un incidente. È capitato a David come poteva capire a chiunque altro di noi. Ciò che conta davvero è che lui stia bene, perché avrebbe potuto andargli molto peggio”

“Sì, fortuna che ha fatto solo un bel volo dal palco e siamo riusciti ad esibirci ugualmente” commentò Waters, scatenando nuovamente la furia di Ginger.

“Vi siete esibiti lo stesso?”

“Ovvio che lo abbiamo fatto”

“Ma siete pazzi? Sei pazzo?

“È stato David a dire che se la sentiva di suonare e cantare lo stesso. Quindi non venire a fare la predica a me, od a puntarmi il dito contro senza un reale motivo. Se la situazione fosse stata più grave, avremmo annullato lo spettacolo, ma fortunatamente non è stato questo il caso”

“E, di grazia, potresti spiegarti che cosa intendi con ‘situazione più grave’? David è volato giù dal palco a causa di una scossa, ti rendi conto? È volato giù dal palco per colpa di una scossa. Non stiamo parlando di un colpo di sole o di una intossicazione alimentare come nel caso di Nick. Poteva rimanere fulminato. Poteva rimanerci secco. Ha rischiato seriamente la vita e tu lo hai fatto esibire lo stesso”

“Io non gli ho puntato contro nessuna pistola”

“No, certo. Tuttavia scommetto che non volevi annullare l’esibizione perché una esibizione non può essere annullata all’ultimo istante neppure se accade qualcosa di grave, secondo il tuo punto di vista, ovvio. Proprio come è successo tre anni fa all’Alexandra Palace, vero? Quando abbiamo trovato Syd in catalessi e tu non hai assolutamente voluto chiamare un’ambulanza e lo hai trascinato sopra il palco perché era arrivato il vostro turno di esibirvi, vero? Te lo ricordi, Roger? O hai completamente dimenticato tutto quanto?”

“Ginger…” mormorò Richard, prendendo la sua migliore amica per il polso destro, tentando di calmarla e di farla ragionare “adesso basta, non c’è bisogno di tirare fuori queste vecchie faccende…”

“Sì, invece!” ribatté lei, liberandosi dalla presa con un gesto secco “perché non accetto di essere indicata come la colpevole da una persona che per prima ha commesso azioni orrende. Ha costretto quello che diceva essere il suo più caro amico a salire sul palco quando non era neanche in grado di reggersi sulle proprie gambe, ed ora ha costretto David a fare lo stesso, pur avendo rischiato seriamente la vita. E questo perché per lui il successo e la fama sono più importanti di qualunque altra cosa. Non gliene frega neppure un cazzo del suo matrimonio, altrimenti non passerebbe il tempo lontano da casa a scoparsi qualunque ragazza che riesce a raggiungere il backstage”.

Ginger si fermò per riprendere fiato, col petto che si alzava ed abbassava rapidamente, rivolse uno sguardo sprezzante a Waters, che la fissava impassibile, e poi pronunciò una frase che fece raggelare il sangue nelle vene a tutti i presenti, talmente era forte, crudele e mirata a colpire nel profondo il bassista.

“È una fortuna che tuo padre non sia mai tornato dalla guerra. Se fosse ancora vivo, si vergognerebbe di avere te come figlio”.

Judith si coprì la bocca con le mani, Nick sgranò gli occhi sconvolto e Lindy socchiuse le labbra; Juliette trattenne il respiro e Rick lanciò un’occhiata preoccupata in direzione di Waters.

Roger  rimase impassibile, ed iniziò ad accusare il colpo solo dopo qualche secondo, quando la sua mente rielaborò e realizzò la stoccata di Ginger: avvampò e subito dopo impallidì, fino a diventare della stessa tonalità di bianco dei muri della villa; i muscoli del viso s’irrigidirono e strinse con forza la mascella.

Nei suoi occhi apparve uno sguardo così carico di odio che la rossa indietreggiò d’istinto d’un passo, temendo di essere aggredita da un istante all’altro; invece, il giovane si limitò ad alzarsi dal divano ed a puntarle contro l’indice destro.

“Tu con me hai chiuso” sibilò a denti stretti, faticando non poco a contenersi “d’ora in poi, faresti meglio a starmi il più lontano possibile”.

Nel silenzio più assoluto, il bassista uscì dalla villa sbattendo con eccessiva forza la porta d’ingresso.

“Complimenti” commentò Judith con gli occhi colmi di lacrime “se volevi dargli una mazzata sui denti, ci sei riuscita benissimo”.

Anche lei abbandonò il salotto e l’abitazione per inseguire il marito e cercare di placare la sua ira.

“Vado anch’io. Judy avrà bisogno di una mano” mormorò Lindy; Juliette la seguì portando con sé Jamie e Gala che, purtroppo, avevano assistito alla violenta discussione.

Anche Mason si alzò dal divano e, dopo aver borbottato delle parole incomprensibili, seguì gli altri all’esterno.

Ginger si voltò a guardare Wright, l’unico rimasto nel salotto insieme a lei.

“È meglio che vada anche io… Non è semplice calmare Roger quando perde completamente il controllo…”

“Rick, io… Io non mi pento di quello che ho detto. È stato lui il primo a provocarmi, ed a rivolgermi parole orribili. Ho solo agito di conseguenza”

“Lo so, Ginger” rispose il giovane con una smorfia “lui ha sbagliato, è vero, ma secondo me esistono argomenti così delicati che non dovrebbero mai essere usati per ferire una persona. A prescindere da qualunque contesto e qualunque offesa si riceva”.



 
Ginger bussò alla camera di David dopo cena, ed entrò portando con sé un vassoio.

“Ehi” disse salutandolo con un sorriso “ho pensato di portarti qualcosa da mangiare. Ti disturbo?”

“No, affatto, avevo proprio bisogno di un po’ di compagnia. Vieni, accomodati pure” David indicò il bordo del letto e Ginger vi prese posto a gambe incrociate dopo aver appoggiato il vassoio sopra il comodino; sistemò una ciocca di capelli rossi dietro l’orecchio destro e sorrise.

“Sono contenta di vederti in forma. Abbiamo preso tutte un bello spavento quando ci hanno detto cosa era accaduto durante la nostra assenza”

“Sì, sono stato un vero idiota. Col tacchetto dello stivale ho calpestato l’unico contatto scoperto e sono volato giù dal palco”

“È stato molto doloroso?”

“Che cosa? La scossa o il volo?”

“Entrambi”

“Non ne ho la più pallida idea e credo che sia meglio così. Non ricordo molto di quello che è successo in quell’istante: un attimo prima ero sopra il palco, ed un attimo dopo mi sono ritrovato a terra, ed ho visto le facce preoccupate di Rick, Rog e Nick… Credo che da domani inizierò ad indossare solo scarpe da ginnastica per evitare di rivivere un’esperienza simile” il chitarrista sorrise e la giovane, suo malgrado, si ritrovò a ricambiare “che cosa mi sono perso oggi pomeriggio? Mentre cercavo di riposare mi è sembrato di sentire delle urla provenire dal piano di sotto”

“Ohh… Io e Waters abbiamo avuto una discussione che è… Leggermente degenerata… Ma non a causa mia”

“Perché avete discusso?”.

La rossa si mosse a disagio sopra il materasso e spostò lo sguardo in direzione del comodino: improvvisamente trovava molto interessante il piatto di uova strapazzate e bacon che aveva preparato per Gilmour.

“Perché lui mi ha rivolto delle parole poco carine… Anzi… In realtà sono state delle vere e proprie accuse pesanti e senza senso. È stato orribile”

“Che cosa ti ha detto?”.

Ginger rimase in silenzio, esitante, e David la esortò a proseguire con le spiegazioni.

“Mi ritiene l’unica e sola responsabile dell’incidente che hai avuto. Ha detto che eri molto alterato per via… Beh… Insomma… Per via di quello che è successo ieri notte in spiaggia, e Judith gli ha dato ragione. E quando ha detto che vi siete esibiti ugualmente ho perso la testa e… E gli ho detto che è una persona orrenda e che… Beh…”

“Che…? Cosa?”

“Che è una fortuna che suo padre non sia mai tornato dalla guerra perché si vergognerebbe ad avere un figlio come lui” concluse la giovane in un sussurro, rendendosi finalmente conto che forse le sue parole erano state leggermente troppo eccessive “e lui mi ha risposto dicendomi che è meglio se d’ora in poi gli sto il più lontana possibile. Rick pensa che sia stata troppo crudele. Secondo lui ci sono argomenti che non dovrebbero mai essere usati per ferire”

“Rick, come sempre, non ha tutti i torti. Condivido il suo pensiero. Non avresti dovuto essere così crudele con lui. Hai affondato il coltello senza alcuna pietà proprio nel suo punto più debole”

“Lui per primo è stato un vero stronzo nei miei confronti, e poi non mi va giù il fatto che ti abbia costretto a suonare dopo aver quasi rischiato la vita per colpa di uno stupido contatto che non avrebbe dovuto essere scoperto”

“Ma Rog non mi ha costretto a suonare. Sono io che me la sono sentita di proseguire. Avevo solo le mani che tremavano leggermente, tutto qui”

“Allora sei stato anche tu terribilmente irresponsabile. Voi uomini avete la testa dura come una roccia! Qualcuno avrebbe dovuto chiamare subito un’ambulanza”

“Un dottore mi ha visitato a fine spettacolo. Ha detto che sto bene, devo solo riposarmi”

“Sei stato miracolato!”

“Ti stai preoccupando per me?” domandò il giovane, con l’angolo sinistro della bocca incurvato all’insù; Ginger arrossì violentemente a causa della domanda così diretta e del sorriso di David.

Si schiarì la gola ed iniziò a balbettare.

“Io… Beh… Ecco… Insomma… Mi sembra ovvio che…”

“Ginger”.

Gilmour le prese la mano destra e l’appoggiò sul proprio petto, in corrispondenza del cuore, e lei ascoltò in silenzio, e con la gola secca, il suo battito accelerato.

“È normale che il tuo cuore batta così forte dopo quello che è successo. Anche se sono già passate un paio di ore devi ancora riprenderti dallo spavento”

“Non sta battendo così forte per la scossa che ho preso, ma perché sono con te”.

Il rossore sul volto della ragazza divenne più intenso.

“Non essere sciocco” mormorò con un filo di voce, abbassando lo sguardo sulle coperte; provò a scostare la mano dal petto di David, ma lui la trattenne.

“No, infatti sono assolutamente serio. Mi dispiace per quello che è successo ieri sera. Mi dispiace essere stato così precipitoso e di aver rovinato tutto, e mi dispiace che tu sia convinta che il mio unico scopo sia di portarti a letto, perché non è affatto così. Tu mi piaci, Ginger. Mi piaci davvero tanto. Credo di essere rimasto vittima di un colpo di fulmine… E non sto parlando di oggi pomeriggio”

“Dave, io… Io non so se… Non so se… Roger è convinto che io sia una specie di arrampicatrice sociale”

“Va bene. D’accordo. Questo è il pensiero di Roger e, francamente, non me ne frega un cazzo in questo momento. Io non credo affatto che tu sia un’arrampicatrice sociale, Ginger. Rick mi ha sempre detto solo cose belle sul tuo conto, e per tutto il resto mi è bastato guardarti negli occhi” il sorriso sulle labbra del giovane si allargò “e poi… Se proprio fossi un’arrampicatrice sociale, penso che avresti risposto subito al mazzo di rose, giusto?”

“Io… Sì… Credo… Credo di sì…”

“Ginger”

“Sì?”.

David avvicinò il viso a quello di Ginger per baciarla di nuovo, e questa volta la rossa non si tirò indietro né lo allontanò da sé bruscamente, anzi: chiuse gli occhi, emise un profondo sospiro e passò le braccia attorno alle spalle del chitarrista, premendo il proprio corpo contro il suo.

Sentì le braccia del giovane attorno i fianchi e, un attimo dopo, si ritrovò con la schiena contro il materasso, avvinghiata a lui; il bacio divenne più profondo e le carezze di entrambi si fecero più urgenti, le magliette finirono sul pavimento, così come i pantaloni.

La ragazza avvertì un brivido lungo la spina dorsale quando David le accarezzò i fianchi, risalendo, poi, lungo la schiena e lasciò che le slacciasse e sfilasse il reggiseno nero senza opporre resistenza, senza che la sua mente venisse sfiorata da un ripensamento dell’ultimo minuto; poco le importava se stava bruciando le tappe e se stava per avere un rapporto intimo completo con un ragazzo che aveva liquidato la notte precedente, perché si sentiva bene come non accadeva da tanto, troppo, tempo.

Non si sentiva così bene dalle prime settimane della sua relazione con Syd.

Quando David le entrò dentro, nel modo meno rude possibile, Ginger trattenne il respiro, sorrise e si aggrappò a lui con tutta la forza che aveva in corpo; gli sussurrò all’orecchio sinistro di non fermarsi per nessuna ragione al mondo e gli baciò le guance e la fronte, soffermandosi, poi, sulle labbra per reprimere i gemiti di entrambi: l’ultima cosa che voleva, ora, era che qualcuno dal corridoio sentisse degli strani rumori e decidesse di entrare in camera senza bussare.

Non faceva fatica ad immaginare Nick nei panni dello sventurato che spalancava la porta temendo il peggio, e poi si affrettava a richiuderla il più velocemente possibile con un’espressione sconvolta ed imbarazzata.

Non voleva neppure pensare all’eventualità che fosse Roger ad aprire la porta.

La giovane tremò violentemente quando raggiunse l’orgasmo e non riuscì a trattenere un singhiozzo; Gilmour le appoggiò la mano destra sulla nuca e l’attirò a sé per un altro bacio profondo e passionale, che lasciò entrambi con il fiato ansante.

Si sdraiarono sul materasso, nudi e sudati, e si guardarono negli occhi in silenzio mentre riprendevano fiato.

“Forse abbiamo bruciato leggermente le tappe” commentò il chitarrista, parlando per primo; si guardarono ancora negli occhi e scoppiarono a ridere insieme, nello stesso momento.

“Leggermente, dici?”

“Il discorso che ti ho fatto prima vale comunque, Ginger: tu mi piaci, mi piaci molto. Voglio iniziare una frequentazione seria con te”

“David, devo essere sincera con te… Ci sono alcune cose che devi sapere e… E se dovessi cambiare idea riguardo noi due dopo averle sentite, ti capirei. Io… Ho una situazione abbastanza particolare alle mie spalle”

“Se ti stai riferendo alla tua storia con Syd, so già tutto”

“Tu… Tu conosci Syd?”

“Sì, siamo cresciuti insieme a Cambridge. Conosco lui e Roger fin da bambini, anche se abbiamo iniziato a frequentarci da ragazzi. Cinque anni fa ho passato un’intera estate con Syd a girovagare per la Francia. A scuola, prima che si ritirasse per tornare a Londra, passavamo la pausa pranzo a strimpellare qualcosa. Lui con la chitarra, io con l’armonica. Per me non è un problema, io non guardo il passato, guardo il presente ed il futuro”

“Ho provato a salvarlo, ma non ci sono riuscita… E non riesco ancora a perdonarmi per questo”

“Non devi perdonarti per colpe che non hai. Ascolta, Ginger, nessuno ha costretto Syd a bruciarsi il cervello con la droga, d’accordo? Nessuno lo ha costretto ad assumere quella merda, è stata una sua libera scelta e penso che nessuno avrebbe potuto fare qualcosa per lui… Neanche tu. Lui per primo non desiderava essere salvato e non lo desidera tutt’ora. Mi dispiace che tu abbia sofferto così tanto per lui, e ti prometto che, se me ne darai la possibilità, con me non dovrai mai soffrire in questo modo. Io voglio solo farti stare bene”

“Non si tratta solo della storia che ho avuto con Syd… Quanti anni hai, Dave?”

“Ventiquattro”

“Io ne ho ventidue… Ed ho un bambino di due anni” disse tutto d’un fiato la rossa, rivolgendo uno sguardo apprensivo al chitarrista, aspettando una sua risposta: temeva una reazione brusca da parte sua, ed invece lui la sorprese per l’ennesima volta.

“Va bene, neppure questo non è un problema. A me piacciono i bambini”

“Stai dicendo sul serio?”

“Sì… Perché?”

“Perché la maggior parte dei ragazzi della tua età hanno altro per la testa. Non pensano ad intraprendere una relazione con una madre single che deve occuparsi di un piccolo gnomo di due anni… Stiamo parlando di una bella responsabilità”

“Questo dovrebbe farti capire, una volta per tutte, quanto sia reale il mio interesse nei tuoi confronti. Non cambierei idea neppure se tu avessi cinque figli”

“Cinque figli? Non scapperesti a gambe levate neppure se ne avessi… Otto?”

“No, assolutamente no. Tutt’altro… Un giorno mi piacerebbe avere una famiglia numerosa”

“Buona fortuna, allora, perché io non sono così ansiosa di partorire altri sette figli. Per voi uomini è sempre semplice parlare di figli e gravidanze perché non siete voi a doverli portare in grembo per nove mesi… Dovreste provare, così vi rendereste conto di cosa significa veramente aspettare un bambino” Ginger sorrise, per poi tornare seria “se vuoi che ci frequentiamo, devi promettermi una cosa”

“Qualunque cosa”

“Non voglio che gli altri lo sappiano… Almeno per il momento. Penso che non sia necessario spiegarti il perché”

“Come desideri, ma come faremo a vederci senza creare sospetti?” domandò David, giocherellando con una ciocca di capelli ramati della giovane.

Lei ci pensò per qualche istante e poi sorrise.

“Penso che sia arrivato il momento di riprendere in mano la macchinetta fotografica per lavoro”.
 

Ritorna all'indice


Capitolo 31
*** Official Presentation ***


1970, settembre.


 
“Ohh, mio dio, non sto più nella pelle!” esclamò Jennifer battendo le mani e saltellando, facendo dondolare i numerosi bigodini che aveva in testa per arricciare i capelli “finalmente stiamo per conoscere il ragazzo di Ginger!”

“Cerca di non farlo scappare prima del dolce” ribatté Ginger, mentre si occupava di apparecchiare la tavola; Jennifer sbuffò, si sedette e continuò ad agitare le mani per far asciugare lo smalto il più in fretta possibile: come accadeva fin da quando era piccola, ed avevano un impegno importante, la ragazza non si era alzata dal letto fino a quando non si era resa conto di essere terribilmente in ritardo.

“Stai dicendo che io faccio scappare i tuoi fidanzati? Non è mai accaduto, anche perché posso contare le relazioni che hai avuto sulle dita di una mano”

“Allora cerca di non iniziare proprio oggi”

“Perché anziché essere così acida nei miei confronti, non mi racconti qualcosa di lui? Non mi hai detto nulla sul suo conto! L’unica cosa che so è che si tratta di un vicino di casa di Rick! Com’è fatto? Me lo puoi descrivere? È alto?”

“Sì, è alto”

“Quanto?”

“Come Rick. Al di sopra del metro e ottanta”

“A me piacciono gli uomini ancora più alti. Di che colore ha i capelli e gli occhi?”

“Ha i capelli biondo scuro e gli occhi azzurri”

“Io preferisco la combinazione capelli castani ed occhi azzurri” disse Jen con un sospiro sognante; Ginger strinse le labbra in una linea sottile e contrariata.

“Io continuo a non capire come faccia Roger a piacerti così tanto… Sai che lui e Judith hanno da poco passato un periodo di crisi perché continua a metterle le corna? Come puoi difendere ed ammirare un individuo che prima sposa la sua fidanzata di sempre e poi non esita un solo istante a tradirla ripetutamente con altre ragazze? Tu riusciresti seriamente a stare insieme con una persona come lui, insieme a lui, sapendo quello che fa quando è lontano da casa?”

“Evidentemente la tradisce perché non è davvero contento di stare insieme a lei. Io sono convinta che se si innamorasse per davvero, lui…”

“Ecco, adesso stai parlando nuovamente come una ragazzina di quattordici anni. Se davvero non è contento di stare con lei, perché l’ha sposata? Perché ci sta insieme? No, qui non c’entra nulla il fatto che sia o meno contento della loro relazione: semplicemente al mondo esistono uomini, sempre se possono essere definiti tali, che pur avendo una relazione, non riescono a stare lontani dalle altre donne, anche se rischiano di mandare all’aria la loro vita sentimentale, e Waters appartiene proprio a questa categoria. Accettalo. Anche se tra lui e Judith dovesse finire, anche se dovesse trovare il vero amore della sua vita, e stai pur certa che non sarai tu, non smetterà mai di prediligere compagnia extraconiugale… Perché? Perché lui è fatto così. Ed ora è meglio se vai in camera a prepararti”

“Ma… Ma non mi hai ancora detto nulla riguardo il tuo ragazzo!”

“Lo vedrai tra poco, ormai sarà qui a momenti e tu sei ancora in vestaglia e con i bigodini. Ci tieni proprio a farmi fare una pessima figura? Cosa vuoi che pensi? Che siamo una famiglia disagiata? Sì, lo so benissimo anch’io che questa è una famiglia tutt’altro che normale, ma per una volta vorrei cercare di esserlo il più possibile… O almeno di provarci”

Mommi!” protestò Jennifer, girando il viso in direzione di Pamela che stava tirando fuori il polpettone dal forno.

“Questa volta sono costretta a dare ragione a tua sorella, Jen. Sei in ritardo come sempre e quel ragazzo sarà qui a momenti: vai subito in camera tua a prepararti e scendi il prima possibile”

“Antipatiche!” borbottò la ragazza, alzandosi dalla sedia e scomparendo in salotto.

Ginger scosse la testa, facendo dondolare la lunga coda di cavallo fiammeggiante da una spalla all’altra, e si morse il labbro inferiore: ora che lei e Pamela erano da sole, poteva finalmente dirle ciò che le aveva tenuto in parte nascosto negli ultimi due mesi.

Si sedette, guardò la madre adottiva negli occhi ed intrecciò le dita sopra al tavolo.

“C’è una cosa che devi sapere. Avrei voluto dirtela prima, ma non sapevo come fare in presenza di Jennifer…”

“Sei di nuovo incinta?”.

La ragazza spalancò gli occhi scuri.

“Cosa? No, no! Assolutamente no! Non si tratta di questo, sei completamente fuori strada… E poi per il momento ho già una piccola peste di cui occuparmi… Non credo di essere pronta per gestirne una seconda così presto… No, si tratta del ragazzo che sto frequentando… Del mio ragazzo” Ginger prese a tormentarsi le dita “non sono stata del tutto sincera con voi. Non si tratta di un vicino di casa di Rick. Si tratta di David, il chitarrista del gruppo”

“Tesoro, ma io lo sapevo già”

“Lo sapevi già? E come?”

“Ma tesoro mio, mi sembra abbastanza ovvio, non credi? Hai ricominciato a lavorare per loro, trascorri la maggior parte del tempo insieme a loro e lui è l’unico a non avere già una relazione… E ti ha mandato quel bellissimo mazzo di rose un paio di mesi fa. Ginger, sono stata ragazza anch’io, sai? Perché non lo hai detto subito?”

“Perché gli altri ragazzi non sanno nulla della nostra frequentazione e per il momento voglio che le cose non cambino… E poi, dai, mi sembra abbastanza ovvio! Immagini la reazione di Jennifer se le avessi detto che ho una storia con David?”

“Se è per questo, lo sta per vedere a momenti. Come pensi che reagirà quando vedrà uno dei quattro ragazzi che segue in modo così assiduo da tre anni?”

“Anche Rick fa parte di quei quattro ragazzi, e non mi sembra che abbia qualcosa di diverso da loro”

“Ginger, per te non si tratta di nulla di eccezionale od esaltante perché passi tantissimo tempo in loro compagnia. Per te sono ragazzi come tutti gli altri, ma non è lo stesso per Jen. Rick è un caso a parte perché lo conosce fin da quando eravate piccoline, ma David, come Roger, le appare una figura lontana ed irraggiungibile. Forse avresti fatto meglio a dirle qualcosa in anticipo, così nel frattempo si preparava e sbolliva tutta l’eccitazione, non credi?” domandò Pamela, e la ragazza si ritrovò costretta ad ammettere a sé stessa che forse non era stata una buona idea tacere a Jennifer la vera identità del suo ragazzo; tutto ciò che poteva augurarsi, ora, era che la sorella minore non prorompesse in urla isteriche, da ragazzina con gli ormoni in subbuglio, alla vista di David “hanno suonato il campanello. Vai ad aprire?”

“Come sto?”.

Pam si voltò a guardare la figlia adottiva maggiore: indossava un paio di pantaloni a palazzo e la camicetta a stampa floreale che aveva acquistato a Saint Tropez il famoso pomeriggio in cui Gilmour era volato giù dal palco per colpa di un contatto scoperto.

“Stai benissimo, sei raggiante”.

Ginger sorrise ed uscì di casa per aprire il cancelletto al chitarrista ed accoglierlo in casa sua per la prima volta; rimase stupefatta alla vista dei due mazzi di fiori che aveva con sé e dell’enorme peluche a forma di riccio che teneva sotto il braccio sinistro.

“Ohh, mio dio… E… E questi?” domandò stupita “cosa significano?”

“Sono un piccolo pensiero per tua madre e tua sorella” rispose il giovane, riferendosi ai due mazzi di fiori identici “non potevo presentarmi a mani vuote”

“Anche quello è un piccolo pensiero?”

“Sì, per Keith. Dici sempre che è il tuo piccolo riccio e quindi ho pensato di prendere qualcosa a tema, e ti posso assicurare che non è stato per nulla semplice trovare il peluche di un riccio. Ho girato mezza Londra, ma alla fine ce l’ho fatta. Guarda, attorno al collo ha un nastro legato ad una scatola di colori… Se non sbaglio, una volta mi hai raccontato che adora disegnare, giusto?”

“Sì, adora disegnare e sono sicura che adorerà anche questo regalo. Impazzirà non appena vedrà il peluche ed i colori nuovi. Diventeranno entrambi i suoi giochi preferiti. Considera di averlo già conquistato”

“È quello che mi auguro”

“Vieni, allora, così finalmente potrai conoscerlo” Ginger fece accomodare David in casa, lo aiutò a togliersi la giacca e lo presentò a Pamela, in cucina “mommi, questo è David. David, lei è la mia mommi

“È un piacere conoscerla, signora Anderson, Ginger mi ha parlato molto di lei. Questo è un piccolo pensiero per ringraziarla dell’invito a pranzo”

“Non c’era assolutamente bisogno che ti disturbassi, David”

“Può chiamarmi Dave, se vuole. Lo preferisco”

“E tu puoi chiamarmi semplicemente Pam e darmi del ‘tu’. Ti piace il polpettone, Dave?”

“Sì, sign… Pam. Ginger mi ha anche detto che prepari un polpettone favoloso”

“Non lo dico per vantarmi, ma è un piatto che mi esce piuttosto bene. Ti piace anche la crostata di rabarbaro e panna?”

“Sì, sì, mi piace molto anche quella. A volte la prepara anche mia madre”

“E tu non hai nulla contro la crosta delle crostate, vero? Ricordo ancora che c’è un ragazzo nel vostro gruppo che detesta con tutto sé stesso la crosta, sente una vera e propria repulsione nei suoi confronti. Pensa che l’unica volta che lui, Rick, Roger e Syd sono venuti qui a mangiare, ha tagliato l’intera crosta”

“Nick non può proprio sopportare la crosta delle crostate… Però, a parte questo, è un bravo ragazzo”

Mommi, guarda che cosa ha preso per Keith! Non è stupendo?” intervenne Ginger per togliere David dall’imbarazzo “ha anche una scatola di colori legata al collo con un nastro. Vuoi conoscerlo? Vieni, è qui in salotto”.

La giovane fece cenno al chitarrista di seguirla in salotto ed appoggiò l’indice destro alle labbra perché doveva fare meno rumore possibile: Keith stava dormendo sul divano, raggomitolato sul fianco sinistro, sotto una copertina azzurra su cui Pamela aveva ricamato il suo nome; i ricci neri gli ricadevano sugli occhi chiusi, coprendogli in parte il viso, e Ginger glieli scostò con delicatezza, sfiorandogli appena la pelle per non svegliarlo.

David si chinò in avanti per osservare con più attenzione il piccolo e la rossa guardò con attenzione il suo viso, per non lasciarsi sfuggire la più piccola variazione di espressione.

Non gli aveva mai detto che Keith era figlio di Syd.

Non lo aveva mai fatto perché lo riteneva un particolare superfluo, inutile da precisare.

Sul volto del chitarrista apparve un sorriso tenero.

“È davvero un bambino bellissimo. Davvero bellissimo. Ti fa disperare?”

“Non sempre… Dipende dal suo umore. Ieri sera mi ha fatta disperare perché ha voluto a qualunque costo una seconda fetta di torta e poi non è riuscito a chiudere occhio per tutta la notte a causa degli zuccheri che aveva in corpo. Infatti, niente crostata oggi. Ed ecco anche spiegato perché sta dormendo come un ghiro” mormorò la rossa, sistemando il cuscino e rimboccando le coperte al piccolo.

“Vuoi che glielo dia più tardi il regalo?”

“Lascialo lì, ai piedi del divano, così sarà la prima cosa che vedrà non appena aprirà gli occhi”

“E tua sorella dov’è?”

“Jennifer? Ohh, lei sta finendo di prepararsi, non riesce mai ad essere puntuale” disse Ginger sollevando gli occhi al soffitto con un sospiro “devo avvertirti riguardo Jennifer. Lei…”.

La rossa venne interrotta da un rumore di passi proveniente dal piano superiore dell’abitazione; Jennifer scese in fretta le scale, ma si bloccò di colpo a metà, non appena i suoi occhi incontrarono quelli azzurri di Gilmour.

“Ehi, tu devi essere Jennifer, giusto?” domandò lui, salutandola con un sorriso radioso, che avrebbe fatto perdere la testa a qualunque ragazza “questi fiori sono per te. Ho pensato di portarti un piccolo pensiero”.

La ragazza sgranò gli occhi, avvampò violentemente, si coprì la bocca con le mani e sparì di nuovo al primo piano, rifugiandosi dentro la sua camera da letto.

“…Segue il vostro gruppo praticamente dall’inizio” concluse Ginger con un sospiro.

Era andata comunque meglio di quello che credeva.

Almeno, Jennifer non aveva urlato.

“Stai dicendo che tua sorella è nostra fan? Le piace la nostra musica?” domandò il chitarrista inarcando il sopracciglio destro.

“Sì” mormorò la rossa con una smorfia “ma per mia sfortuna le piace ancora di più quell’individuo odioso che ricopre il ruolo di bassista nel vostro gruppo”.
 

Ritorna all'indice


Capitolo 32
*** Beautiful Madness ***


1971, maggio.


 
“Chiudi gli occhi, non guardare”

“Perché? Cosa devi fare? Che cosa mi nascondi?”

“Tu fallo e basta, fidati. Ti dico io quando puoi riaprirli”.

Ginger obbedì all’assurda richiesta di David e si coprì gli occhi con le mani, riaprendoli solo quando lui glielo disse: se lo ritrovò seduto davanti a sé, a gambe incrociate, con le mani nascoste dietro la schiena e con addosso solo un paio di boxer.

Si trovavano nel suo piccolo appartamento, ed avevano appena finito di fare l’amore.

“Cos’hai lì dietro?” chiese la giovane, incuriosita; provò a sbirciare, ma non ci riuscì.

“So che il tuo compleanno è tra una settimana, ma non riesco ad aspettare così tanto tempo per darti il mio regalo” rispose il giovane con un sorriso tirato; Ginger corrucciò le sopracciglia, David era stranamente nervoso.

Capì il motivo della sua agitazione quando mostrò la piccola scatolina che stava nascondendo dietro la schiena.

Con dita che tremavano vistosamente, il giovane sollevò il coperchio della scatolina, rivelando il suo prezioso contenuto: un bellissimo anello su cui spiccava un brillante bianco, fine ed elegante.

Ginger trattenne il fiato alla vista del gioiello e si portò la mano destra alla bocca; il battito accelerato del cuore le rimbombava nel petto, nelle orecchie e nella gola.

Aveva capito perfettamente cosa stava per accadere.

“David…” mormorò con un filo di voce, deglutendo a vuoto, senza riuscire ad aggiungere altro: continuava a fissare, come ipnotizzata, l’anello.

“Lo so che forse è troppo presto per ciò che sto per chiederti perché stiamo insieme da poco meno di un anno, ma francamente me ne importa davvero poco. Ci ho pensato a lungo nelle ultime settimane e mi sono reso conto che ciò che voglio veramente è creare una famiglia insieme a te, ed a Keith… Ed in un prossimo futuro, chissà, magari anche insieme a qualche altro piccolo gnomo che corre gridando per casa, perché… Ecco… Se penso ad un’ipotetica madre per i miei figli, mi vieni in mente solo tu” David si fermò e sorrise imbarazzato “cazzo… Ti giuro che nella mia mente il discorso che mi ero preparato non sembrava così… Orrendo. È meglio che vada al dunque prima di rovinare tutto definitivamente: Mary Jane Anderson… Ginger… Mi faresti l’immenso onore di diventare mia moglie e la madre dei miei figli?”.

La giovane annuì con vigore e con gli occhi velati da lacrime di commozione.

“Sì” sussurrò “sì, sì, sì e mille volte ancora sì. Non potevi farmi un regalo migliore”.

Gilmour prese l’anello, lo infilò all’anulare sinistro di Ginger e lei gli buttò le braccia attorno al collo, baciandolo con passione sulle labbra.

“Devo essere sincero con te: temevo di ricevere una risposta negativa” commentò il giovane, subito dopo, con una risata sollevata: ora non sentiva più il terribile peso all’altezza del petto che lo aveva accompagnato fino al momento della fatidica domanda; Ginger rise a sua volta, scosse la testa ed osservò ancora l’anello.

Non ci credeva.

Non riusciva proprio a crederci.

David le aveva chiesto di sposarlo e lei aveva accettato.

Aveva accettato.

Ben presto sarebbe diventata la signora Gilmour.

“Solo una pazza rifiuterebbe una proposta di matrimonio da parte tua, Dave…”

“Qualcosa non va? Perché sei improvvisamente così seria? Non ti piace l’anello?”

“Non c’è nulla che non vada nell’anello, va benissimo, stavo solo pensando ai preparativi… A tutto quello che adesso ci aspetta… Sai, quando sei piccola, e giochi con le bambole, spesso di notte ti addormenti pensando al matrimonio da favola che vorresti avere da adulta: pensi al bellissimo vestito che vorresti indossare, alla chiesa, alla marea di invitati che assisteranno alla funzione, ai fiori, alla torta, all’uomo che incontrerai all’altare… E poi, crescendo, ti rendi conto che si trattano solo di cose superflue, che a conti fatti non hanno alcun senso… Dave, io non voglio avere una mega cerimonia, non voglio un matrimonio di lusso, anche perché non potremo permettercelo… Mi basta una piccola festa intima insieme alle persone più vicine a noi. Tutto qui. Non voglio altro. Desidero solo passare una bellissima giornata insieme a te, alle nostre famiglie ed ai nostri amici”

“L’idea di una cerimonia piccola ed intima non mi dispiace affatto… Vada per le nostre famiglie e per i nostri amici più stretti”

“Allora devo mettermi subito all’opera per confezionare i biglietti da spedire e per i pochi preparativi di cui dobbiamo occuparci: voglio celebrare le nozze il prima possibile!”

“Se dipendesse da me, ti sposerei in questo stesso momento. Sai che follia sarebbe? Scappare in America per festeggiare un matrimonio lampo in una di quelle piccole cappelle a Las Vegas? Chissà quante coppie lo fanno per i motivi più diversi…”

“Io scommetto che la maggior parte delle persone che si sposano in quei posti, lo fanno perché sono ubriache fradice, ed il giorno seguente non ricordano più nulla… No, non è una cosa che fa per me. T’immagini, poi, come reagirebbero gli altri? Non ce lo perdonerebbero mai” Ginger rifletté per un istante sulle sue stesse parole “come faremo a dirlo a loro? Non sanno neppure che stiamo insieme. Non possiamo di certo dire: ‘ragazzi, io e David abbiamo una storia da quasi un anno. Ohh, a proposito, siete invitati al nostro matrimonio. Portate con voi anche i bambini, ovviamente’

“Hai ragione, non possiamo farlo. Spediamo semplicemente l’invito per posta ed attendiamo la loro risposta: facciamo loro un’enorme sorpresa”

Un’enorme sorpresa?” la ragazza sorrise “penso che sarà di più di un’enorme sorpresa per loro… D’accordo, facciamolo”.

Era una enorme follia, Ginger se ne rendeva perfettamente conto.

Ma, d’altronde, tutta la situazione che stava vivendo era un’enorme, bellissima, follia.



 
David osservò gl’inviti che Ginger aveva personalmente creato e confezionato per le nozze: per il loro grande giorno, la scelta era ricaduta su dei piccoli rettangoli di carta color lilla, profumati alla violetta, abbinati ad una busta dello stesso colore; ogni busta era legata tramite un nastro azzurro al gambo di una rosa rosa.

Gilmour accarezzò i petali di uno dei fiori, che fungevano da singolare ornamento agli inviti, e sorrise divertito.

“Se desideravi dare un tocco di originalità ai biglietti, sappi che ci sei riuscita benissimo”

“Ho scelto una rosa rosa in onore del primo mazzo di fiori che mi hai regalato. L’ho scelta pensando a te, sciocco. Per cosa avresti optato al posto mio?”

“Credo per una ghianda”

“Una ghianda?” la giovane sollevò il sopracciglio destro in un’espressione incredula “perché?”

“In onore dello scoiattolo inesistente che volevi fotografare alla festa da Rick”

“E va bene, hai vinto tu, lo confesso: non esisteva alcun scoiattolo. Mi sono inventata quella bugia perché mi avevi vista mentre ti scattavo quella foto” ammise Ginger con un sorriso; tornò a fissare l’invito che non aveva ancora compilato, l’ultimo, e tornò seria.

Il repentino cambio d’umore della giovane non sfuggì agli occhi di David, che si posizionò alle sue spalle e guardò, corrucciato, il biglietto lilla su cui non c’era scritto ancora nulla.

“Qualcosa non va? C’è qualcosa di sbagliato in questo biglietto?”

“No… Non proprio… Però…”

“Cosa?”

“Devo rivolgere l’invito anche a Judith e Roger?” chiese lei con una smorfia.

Ginger e Roger non si erano più rivolti la parola dall’accesa discussione che avevano avuto a Saint Tropez, e tutte le volte che erano costretti a trascorrere del tempo insieme si evitavano accuratamente; si evitavano perfino con lo sguardo: l’uno non esisteva agli occhi dell’altra.

Lei non era pentita della stoccata crudele che gli aveva rivolto, e lui non pensava di doverle delle scuse per averla additata come una arrampicatrice sociale: entrambi, a causa del loro carattere testardo, non erano intenzionati a fare un solo passo indietro.

Neppure a dieci mesi di distanza dall’accaduto.

Il chitarrista si passò la mano destra tra i lunghi capelli biondo scuro.

“Rog fa parte del gruppo, non possiamo non estendere l’invito anche a lui e Judy... Ascolta, so che voi due non andate d’accordo e non vi potete sopportare, ma non pensi che sia arrivato il momento di sotterrare l’ascia di guerra?”

“Mi stai dicendo che dovrei fingere di non aver sentito le orribili offese che mi ha rivolto a Saint Tropez?”

“Avete sbagliato entrambi a Saint Tropez, ma nessuno di voi si smuoverà a fare il primo passo se non interviene una terza persona. Dai, Ginger, dimostrati superiore e manda quell’invito anche a loro due, e chissà che questa sia l’occasione giusta per ricominciare da capo”

“Dubito fortemente che io e lui potremo mai ricominciare da capo, e sai perché? Perché siamo due persone troppo diverse per andare d’accordo”

“Beh, riguardo a questo sono pronto a dissentire. In realtà, tu e lui avete più punti in comune di quello che pensate. Tanto per cominciare, entrambi avete la testa più dura di una roccia. Sono convinto che se iniziaste a prendere a testate un muro, farebbe prima a creparsi lui che la vostra scatola cranica”

“David, faresti meglio a fermarti finché sei ancora in tempo, perché posso annullare le nozze in qualunque momento” lo minacciò scherzosamente la ragazza, puntandogli contro la penna stilografica che stava usando per compilare gl’inviti; fissò ancora per qualche istante il foglietto lilla, tormentandosi il labbro inferiore, lottando contro l’indecisione, ed alla fine scrisse anche l’ultimo biglietto e lo appese al gambo dell’ultima rosa, per la gioia del suo futuro sposo.

Lei aveva compiuto il primo passo.

Ora spettava al bassista fare il resto.

Quella sera stessa, David si recò a cena a casa di Ginger: i due giovani non abitavano ancora sotto lo stesso tetto, ma anche a quello avrebbero rimediato a breve, visti i recentissimi sviluppi nel loro rapporto.

Quando il giovane varcò la porta d’ingresso, Keith corse da lui a braccia aperte per salutarlo, con un enorme sorriso e gli occhi che brillavano dalla contentezza; non avendo avuto nessuna figura maschile nei suoi quasi tre anni di vita, si era affezionato subito a David, e David si era altrettanto affezionato a lui.

Il giovane afferrò Keith, lo sollevò in aria e lo afferrò al volo, facendolo ridere a crepapelle.

Ogni volta che accadeva, sul viso di Pamela appariva sempre un’espressione ansiosa.

“Dave, per favore, è proprio necessario lanciare in aria il mio unico nipotino?”

“È in buone mani, Pam, non lo lascerei mai cadere a terra. E poi, a Keith piace quando lo saluto così”

“Ed a me piace vedere Keith con tutte le ossa intere” rispose la donna, per poi voltarsi in direzione del salotto “Jennifer! La cena è pronta! Possibile che tu debba essere sempre in ritardo? Stiamo aspettando tutti te”

“Arrivo!” gridò la ragazza dal piano superiore per poi scendere di fretta le scale; quando sbucò dal salotto, la sua attenzione si focalizzò esclusivamente sul chitarrista “che bello vederti, David… Roger come sta?”.

Jen aveva impiegato un paio di settimane ad abituarsi all’idea che la sorella maggiore stava frequentando privatamente il chitarrista del gruppo che seguiva assiduamente da ormai quattro anni, e ne aveva impiegate altrettante per abituarsi alla presenza in casa di David senza arrossire violentemente, balbettare od essere costretta a trattenere dei gridolini isterici; quando finalmente ci era riuscita, approfittava di ogni occasione in cui lo vedeva per bombardarlo di domande su Roger.

“Sta bene, grazie”

“Puoi salutarlo da parte mia, non appena lo vedi, per favore?”

“Non farlo assolutamente” lo ammonì subito Ginger, senza lasciare il tempo a Gilmour di rispondere “non ascoltare nessuna delle assurde richieste che Jennifer ti fa riguardo quell’individuo”

“Ma non mi ha chiesto nulla di male” ribatté il giovane, mentre Keith giocava con alcune ciocche dei suoi capelli, tirandogliele “vuole solo che saluti Rog da parte sua, perché non dovrei accontentarla?”

“Sì, esatto! Perché non dovrebbe? Hai visto, Ginger? Dave è dalla mia parte!”

“Perché l’ego di Waters non ha bisogno di essere alimentato ulteriormente. Non voglio neanche immaginare la sua reazione se dovesse scoprire che tu sei pazza di lui… No, non lo deve scoprire assolutamente, altrimenti sarebbe la fine per me” ribatté la rossa scuotendo con vigore la testa, senza riuscire a reprimere un brivido: no. Non voleva neppure pensare ad una eventualità simile.

“Come sei crudele, Ginger! David, diglielo anche tu che è crudele!”

“Ragazze, basta litigare! Venite a tavola che è pronto!” gridò Pamela dalla cucina, interrompendo l’ennesima discussione tra le due sorelle; Ginger si voltò in direzione di David e gli rivolse un sorriso imbarazzato.

“Mi dispiace che tu debba assistere quasi sempre a situazioni come questa… Purtroppo la nostra famiglia è sempre stata abbastanza incasinata. Ci sforziamo ad essere il più normali possibili, ma a quanto pare falliamo miseramente ogni volta”

“Non ti preoccupare. A me la tua famiglia piace esattamente così com’è… Anzi, sai che cosa ti dico? Mi piacerebbe che anche noi due avessimo una famiglia così vivace… Immagina una casa piena di bambini che corrono, giocano e ridono… Non sarebbe un quadro meraviglioso?”

“E poi ti alzi tu nel cuore della notte quando si svegliano piangendo perché stanno spuntando i primi dentini o perché hanno una colica?” domandò la ragazza con un sorriso divertito, immaginandosi David nei panni di una sostituta madre che si alzava al posto suo per cullare dei bambini (magari una coppia di gemelli) e preparare loro dei biberon di latte caldo, cantando una ninnananna con la sua voce bellissima e profonda.

La giovane coppia attese il momento del dolce per comunicare l’importante decisione che avevano preso insieme; quando Pamela posò al centro del tavolo la crostata che aveva preparato quel pomeriggio con le sue stesse mani, Ginger lanciò un’occhiata a David e lui annuì di rimando.

A quel punto, la rossa richiamò l’attenzione della madre e della sorella adottive e disse loro che c’era qualcosa di molto importante che doveva comunicare ad entrambe.
Anche al piccolo Keith, che non vedeva l’ora di affondare le manine nella sua fetta di torta.

“Cosa dovete dirci?” domandò Jennifer incuriosita; Ginger guardò un’altra volta David, lo prese per mano e sorrise.

“Il mese prossimo io e David ci sposiamo. Oggi abbiamo mandato gl’inviti per le nozze e quasi tutti i preparativi sono già ultimati… Vorremo che tu, Jennifer, fossi la mia testimone e che Keith portasse le fedi, ovviamente”.

Jen sgranò gli occhi verdi, si portò le mani alla bocca e scoppiò in un urlo euforico; si alzò in piedi dalla sedia ed iniziò a saltellare, incapace di trattenere la gioia incontenibile che le era esplosa nel petto.

“Ohh, mio dio, mio dio, mio dio, mio dio! Mia sorella si sposa! Mia sorella si sposa! Non ci posso credere! Non ci posso credere! Voi due state per sposarvi ed io sarò la testimone! Voi due state per sposarsi, ed io e David diventeremo parenti! Ohh, mio dio, sono troppo contenta per voi due!” Jennifer abbracciò e strinse con forza prima la sorella maggiore e poi il suo futuro genero, continuando a saltellare per la cucina, con Keith che la seguiva con uno sguardo confuso perché non riusciva a capire cosa stava accadendo.

Lui voleva solo avere la sua fetta di torta.

Ginger sorrise, ma fissò la madre adottiva con uno sguardo apprensivo.

Attendeva con ansia la sua reazione, perché il suo giudizio era il più importante per lei.

Dopo un istante di tentennamento, anche le labbra di Pamela si distesero in un sorriso radioso, ed i suoi occhi azzurri si riempirono di lacrime dettate dalla commozione e dalla lieta notizia.

“Tesoro mio” mormorò con voce rotta dal pianto “speravo con tutta me stessa che questo giorno arrivasse prima o poi”.

La giovane lasciò la mano di David e si alzò per correre ad abbracciare Pamela; la strinse con forza a sé ed emise un singhiozzo, lasciandosi andare a sua volta ad una profonda commozione.

Gilmour le guardò in silenzio, da lontano, perché quel momento apparteneva a loro due soltanto.

L’abbraccio tra madre e figlia venne bruscamente interrotto da un altro strillo acuto di Jennifer, che si era immobilizzata al centro della cucina con gli occhi spalancati, colta da una illuminazione improvvisa.

“Ohh, mio dio! Ohh, mio dio!” iniziò a ripetere, appoggiando le mani ai lati della testa “ma se voi due vi sposate, significa che anche Roger sarà invitato al vostro matrimonio. Ohh, mio dio, non ci posso credere! Finalmente sto per incontrare Roger!”.



 
Il primo a chiamare in cerca di spiegazioni, dopo aver ricevuto l’inaspettato invito, fu Richard.

“Rispondi ad una semplicissima domanda: ma io sono ancora il tuo migliore amico o mi sono perso qualcosa nell’ultimo periodo?”

“Che io sappia, sei ancora il mio migliore amico e credo proprio che resterai l’unico per tutta la vita… Dove lo trovo un altro come te, Rick? Perché mi fai questa domanda?”

“Perché? Ohh, non ci posso credere, mi stai chiedendo seriamente perché ti ho fatto questa domanda? Forse perché poco fa Juliette ha trovato nella nostra cassetta della posta una rosa a cui era appesa una busta, e dentro la busta c’era un invito al matrimonio tuo e di David? Sei proprio sicura che non mi sia perso qualcosa nell’ultimo periodo? Sei proprio sicura? Perché io ero rimasto fermo al punto in cui tu avevi rifilato un due di picche a David”

“Diciamo che alcune cose sono cambiate dal giorno in cui Dave ha avuto quel brutto incidente durante le prove generali” rispose la giovane, tormentandosi l’unghia dell’indice destro; Keith, seduto sul pavimento ai piedi del letto, stava giocando con il riccio di peluche che Gilmour gli aveva regalato mesi prima e che era diventato subito il suo giocattolo preferito: gli piaceva così tanto che lo portava sempre con sé, anche quando doveva farsi il bagnetto o doveva andare a letto “quella sera stessa, dopo cena, sono andata in camera sua e… Tutto il resto è venuto da sé. Abbiamo iniziato a frequentarci di nascosto per evitare… Spiacevoli situazioni. Sai a chi mi riferisco”

“Sì, però a me avresti potuto dirlo, non credi?”

“Mi dispiace, hai ragione, ma temevo potessi lasciarsi scappare qualcosa per sbaglio e noi volevamo fare le cose con calma, senza pressioni e senza nessuno che si permettesse di sputare sentenze sulla nostra frequentazione. Mi capisci?”

“Sì, però voi due avete uno strano concetto di ‘fare le cose con calma’. Fortuna che non avete deciso di bruciare le tappe, allora, altrimenti temo che avreste già un paio di bambini di cui occuparvi”

“Io non scarterei tanto in fretta questa opzione perché Dave continua a ripetermi che desidera avere una famiglia numerosa… Ti prego, Richard, dimmi che non sei arrabbiato con me. Ti prego, ti prego, ti prego”

“No, non sono arrabbiato con te, Ginger. Sono solo un po’ sconvolto e seccato, ma non sono arrabbiato. È solo che… Insomma… Non mi aspettavo un simile fulmine a ciel sereno, soprattutto da parte tua. Io e Juliette siamo contenti, dobbiamo solo riprenderci e realizzare quello che accadrà il mese prossimo, tutto qui. Tu sei felice?” domandò il tastierista.

“Sì, Rick, ora te lo posso dire senza alcuna esitazione: mi sento felice come non accadeva da troppo tempo ormai. Penso di avere trovato la persona giusta con cui voglio stare insieme per il resto della mia vita. Sto bene con David, mi fa sentire completa e Keith lo adora… Dovresti vederli quando giocano insieme, Rick, mio dio. Non ci potevo credere la prima volta che l’ho invitato a casa mia per conoscere la mia famiglia. Pensavo sarebbe scappato davanti alla prospettiva di intraprendere una relazione con una madre single, ed invece è accaduto l’esatto contrario”

“Allora se tu sei contenta, lo sono anch’io… Solo non farmi mai più una sorpresa simile d’ora in avanti, d’accordo? Promettimelo”

“D’accordo, te lo prometto”

“Gli altri hanno già chiamato?”

“No, non ancora, ma credo che lo faranno a breve”.

Ginger non si era sbagliata, perché poco tempo dopo aver salutato il suo migliore amico, il telefono squillò una seconda volta e lei si ritrovò a sollevare la cornetta col cuore in gola, temendo di sentire dall’altra parte la voce di Roger.

Invece, al posto della voce del bassista, sentì quella di Nick che per poco non le perforò il timpano destro e che la costrinse ad allontanare la cornetta; quando la posò di nuovo all’orecchio, disse al batterista di prendere un profondo respiro, di calmarsi e, soprattutto, di non urlare perché non aveva capito una sola parola.

“Calmarmi? Come posso calmarmi dopo quello che ho trovato nella cassetta della posta?” urlò quasi lui, senza prestare ascolto alle parole della rossa “ohh, mio dio, io… Io… Io non ci posso credere! Si tratta di uno scherzo, per caso? È uno scherzo che voi due avete architettato alle nostre spalle? Dimmelo subito se è così, perché in questo caso ti devo fare i miei più sentiti complimenti perché si tratta di uno scherzo da veri protagonisti”

“No, non si tratta di uno scherzo”

“Quindi… Stai dicendo che tu e David vi sposate per davvero il mese prossimo?”

“Sì, ci sposiamo per davvero”

“Ma… Ma… E come è potuto accadere? C’è…”.

Ginger rise divertita davanti allo smarrimento di Mason e poi ripeté la stessa storia che aveva raccontato a Rick, di come il rapporto tra lei e Dave era cambiato in seguito al brutto incidente a Saint Tropez e di come, poi, avevano deciso di frequentarsi privatamente, senza rendere pubblica a nessuno la loro relazione, per evitare qualunque genere di pressione.

“Quindi… In poche parole mi stai dicendo che il modo giusto per conquistare una ragazza carina è rischiare di essere fulminati vivi sopra un palco?” domandò Nick dopo aver ascoltato in silenzio le spiegazioni della giovane; Ginger rise alla sua battuta, e rise ancora più forte quando in sottofondo sentì Lindy ammonire il marito perché, per sua sfortuna, aveva sentito perfettamente ciò che aveva detto e poco le importava che fosse solo una battuta.

La giovane parlò per un paio di minuti anche con lei prima di riattaccare, sentendosi in parte più sollevata: con Rick e Nick era andata molto meglio del previsto, ora restava solo Roger.

La parte più difficile.

Nei giorni seguenti, Ginger attese con ansia crescente una chiamata da parte sua, o da parte di Judith.

Ma il telefono non squillò mai.
 

Ritorna all'indice


Capitolo 33
*** Wedding ***


1971, giugno.


 
Richard Wright bussò due volte prima di entrare nella camera da letto.

 Socchiuse le labbra in un’espressione carica di stupore quando i suoi occhi si posarono sulla figura snella e slanciata della sua migliore amica: Ginger indossava un lungo abito bianco che sfiorava il pavimento, fermato in vita da una cintura che metteva in risalto le sue curve femminili; le maniche a sbuffo terminavano in due polsini a pochi centimetri al di sotto dei gomiti, i lunghi capelli ramati erano sciolti sulle spalle e sulla schiena, ed in cima alla testa aveva un candido fermaglio da cui partiva un velo trasparente che scendeva fino all’altezza dei fianchi.

Tra le mani stringeva un bouquet di rose bianche che continuava a stringere per combattere il nervosismo.

Pamela le aveva applicato un leggero strato di trucco sul viso, il minimo necessario per un giorno così importante: ai suoi occhi di madre, Ginger era così bella da non aver bisogno di un uso eccessivo di ombretti, matite e rossetti.

“Mio dio” sussurrò Rick senza fiato “sei semplicemente meravigliosa. Quando David ti vedrà, resterà a bocca aperta”

“Dici questo solo perché sei il mio migliore amico”

“No, Ginger, dico questo perché è la verità”.

La ragazza guardò il proprio riflesso allo specchio, ed abbassò il viso con un sorriso mesto sulle labbra.

“Ho passato l’ultimo mese ad organizzare questo giorno, e solo ora che è arrivato mi rendo finalmente conto di ciò che sta per accadere: io mi sto per sposare. Mi sto legando ad un ragazzo per il resto della mia vita. Entrerò in municipio come Mary Jane Anderson e ne uscirò come Mary Jane Gilmour… Mi sento come se… Come se stessi per dire addio ad una parte di me, alla ragazza che sono stata finora… E non riesco a capire se sono felice o triste per quello a cui sto per rinunciare… In realtà, sto provando così tante emozioni differenti nello stesso istante che la testa mi sta per scoppiare” mormorò con un sospiro, rivolgendo a Richard uno sguardo carico di terrore; lui chiuse la porta, si sedette sul bordo del letto e prese per mano Ginger.

“È normale che tu sia terrorizzata, lo ero anch’io il giorno in cui ho sposato Juliette. Credo che tutti provino una morsa di terrore quando si rendono conto di quello che sta per succedere e, soprattutto, di quello che stanno per lasciare alle proprie spalle per sempre. Sì, è vero, hai perfettamente ragione: tra poche ore Mary Jane Anderson non ci sarà più, perché Mary Jane Gilmour avrà preso il suo posto, dovrai dire addio alla ragazza che sei stata finora e la tua vita sarà completamente stravolta… Ma sarà uno stravolgimento bellissimo. Guarda ciò che io e Juliette abbiamo creato, guarda i due bellissimi bambini che abbiamo avuto e pensa a quello che tu e Dave creerete insieme. Non sarà tutto rosa e fiori come nelle favole, ma ne vale la pena. Ne vale veramente la pena”

“Non provi mai nostalgia per il ragazzo che hai lasciato andare?”

“Sarei un ipocrita se ti dicessi di no. A volte sento un po’ di malinconia per lui, ma poi mi basta guardare Juliette, Gala e Jamie e mi rendo conto di avere fatto la scelta migliore di tutta la mia vita”

“Dimmi che sto facendo la cosa giusta, ti prego. Ho bisogno di sentirmelo dire”

“Stai facendo la cosa giusta, Mary Jane. Ed io sono onorato di essere la persona che ti accompagnerà dal tuo promesso sposo” Rick appoggiò con delicatezza le mani sulle guance della ragazza, per non rovinare il trucco, e le posò un bacio sulla fronte “ma ora, per favore, andiamo prima che David inizi a preoccuparsi seriamente per il tuo ritardo”.

Ginger sorrise e ritrovò il buonumore grazie alla battuta di Richard; lui l’aiutò a scendere le scale ed a salire in macchina, facendo attenzione a non calpestare o macchiare accidentalmente l’orlo della gonna del bellissimo vestito.

Quando arrivarono a destinazione, davanti al municipio, Wright scese per primo dalla macchina, le aprì la portiera e le offrì galantemente il braccio sinistro, al quale la rossa si aggrappò con forza e senza la minima esitazione: in quel giorno speciale sentiva più forte che mai il bisogno di avere al proprio fianco una persona che la guidasse verso la giusta direzione.

E quella persona, ovviamente, non poteva essere che il suo migliore amico, il fratello maggiore che non aveva mai avuto.

Non c’era nessuno fuori ad aspettarli, perché tutti gl’invitati erano già radunati nella stanza in cui, da lì a pochissimi minuti, la funzione avrebbe avuto inizio; Ginger approfittò del momento di completa intimità tra lei e Rick per dirgli ciò che avrebbe già dovuto dirgli da diversi mesi.

“Grazie” sussurrò, bloccandosi davanti alla porta principale dell’edificio, con gli occhi velati dalle lacrime “se oggi mi sto per sposare, lo devo esclusivamente a te. Se tu non avessi insistito così tanto per farmi venire a Saint Tropez… Se non avessi chiesto a mommi di aiutarti con le mie valige, io… Tu avevi già capito tutto da tempo, ed io, anziché ascoltarti, mi ostinavo a rimanere chiusa in me stessa e nel mio dolore. Dicevo a tutti di voler andare avanti, ma in realtà non era così. Mi hai salvato la vita, Richard, e sarò sempre in debito con te per questo”.

Il tastierista sorrise, e le asciugò le lacrime con il pollice destro.

“Io non ho fatto nulla di speciale. Ho solo dato una piccola spinta iniziale ad entrambi, ma il resto lo avete fatto voi… Tu e Dave siete una bellissima coppia che si ama profondamente e che resterà insieme per sempre. Era destino che arrivasse questo giorno”

“Lo spero con tutto il cuore. Se oggi sono qui, è perché ho deciso di trascorrere il resto della miavita a suo fianco”

“E così sarà, non dubitare”

“Lo so, io non dubito di lui, solo che…” mormorò la rossa mentre salivano un’imponente scalinata “a volte nutro qualche dubbio nei confronti della vita che voi fate. Passate tantissimo tempo lontano da casa, e guarda cosa è accaduto a Nick ed a Waters: entrambi hanno quasi buttato al vento le loro relazioni per delle scappatelle extraconiugali. Non so come potrei reagire se dovessi mai scoprire che David…”.

Deglutì un grumo di saliva e si strinse ancora di più al braccio di Richard.

No, non voleva neanche lontanamente immaginare a David che le metteva le corna, proprio come Roger aveva fatto con Judith o come Nick aveva fatto con Lindy.

Non ora che stava per sposarlo.

“Ginger… Ginger, calmati e ascoltami: questo a voi due non accadrà mai, e sai perché? Perché tu lo ami esattamente come lui ama te. Dai retta alle mie parole, e questa volta non fare l’esatto opposto perché hai la testa più dura di una pietra: quando entreremo in sala, guarda gli occhi di David. Quando vedrai il suo sguardo, qualunque dubbio svanirà per sempre dalla tua testa. Ascoltami per una volta nella tua vita” disse Richard, guardandola negli occhi, fermandosi davanti alla porta chiusa della sala, che per l’occasione era stata decorata con del nastro e dei fiori bianchi “sei pronta?”

“Sì”

“Allora prendi un profondo respiro ed entriamo, perché da qui non si può più tornare indietro”.

Ginger chiuse gli occhi, prese un profondo respiro ed annuì a Richard, che posò la mano sinistra sul pomello della porta per aprirla.

E, per la prima volta in vita sua, seguì alla lettera il consiglio che le era stato dato: non appena la porta si aprì, rivelando la sala che si nascondeva dietro, gli occhi scuri della giovane non indugiarono neppure un istante sugli addobbi floreali che adornavano la stanza o sugli invitati in trepidante attesa dell’arrivo della sposa, ma cercarono subito quelli azzurri del suo promesso sposo; e quando li incontrò, capì finalmente ciò che Rick aveva provato a spiegarle per tranquillizzarla e per spazzare via il terrore che si portava appresso dalla notte precedente e che non le aveva quasi fatto chiudere occhio.

Nelle iridi azzurre di David lesse un amore, una gioia ed una tenerezza così grandi che sentì subito svanire il groppo alla gola ed alla bocca dello stomaco: lui era lì e non voleva essere in nessun altro posto al mondo, e lo stesso valeva per lei.

Nessuno l’aveva mai guardata in un modo simile, ad eccezione di Syd nei primi tempi della loro breve relazione, quando le droghe e la malattia non avevano ancora intaccato la sua salute mentale, e Ginger si sentì una stupida per avere avuto dei dubbi sul suo conto, e per aver anche solo ipotizzato un possibile e futuro tradimento da parte del ragazzo che stava per sposare: David non lo avrebbe mai fatto, non ne sarebbe mai stato capace, perché il tradimento non faceva parte della sua natura e perché l’amava profondamente e teneramente.

“Sei bellissima, Ginger” le sussurrò, quando lei lo raggiunse davanti alla scrivania di mogano, rivolgendole uno dei suoi sorrisi più belli.

“Anche tu sei bellissimo” sussurrò di rimando la giovane con un sorriso timido, arrossendo visibilmente sotto il trucco: per il suo grande giorno, il chitarrista aveva scelto un completo blu scuro ed aveva legato i capelli in una coda, per avere un aspetto meno selvaggio e ribelle.

La cerimonia si svolse in modo breve e semplice: i due giovani si scambiarono le promesse e le fedi (portate da Keith sopra un morbido cuscinetto bianco), firmarono i documenti insieme a Rick e Jennifer, che fungevano da testimoni a David e Ginger, e si scambiarono un casto, ma dolce, bacio sulle labbra con gli applausi degli invitati che facevano da sottofondo.

I veri festeggiamenti iniziarono all’esterno dell’edificio, con la pioggia di riso che si abbatté sui due novelli sposi non appena varcarono la soglia dell’ingresso principale.



 
Gala sbucò dall’angolo sinistro di casa e si nascose dietro il tronco di un albero per sfuggire al proprio inseguitore; quando il suo tentativo fallì, e venne scoperta, lanciò uno strillo acuto e corse via ridendo, con la treccia ormai sciolta che ondeggiava sulla schiena, lungo il prato per poi scomparire di nuovo dietro l’angolo sinistro, con Keith che la rincorreva nel vano tentativo di prenderla.

“Bambini, basta correre adesso, venite a mangiare qualcosa ed a bere un bicchiere di limonata, forza!” esclamò Juliette per richiamare la loro attenzione, senza riuscirvi, e Jamie approfittò dell’attimo di distrazione della madre per prendere un pasticcino alla crema ed infilarlo tutto in bocca; l’intervento tempestivo di Richard, evitò che il bambino mandasse giù il dolce in un sol boccone “Jamie! Mio dio! Quante volte ti ho detto che bisogna fare bocconi piccoli quando si mangia! Con te non basterebbero mille occhi!”

“Keith è uguale: quando vede un dolce perde letteralmente la testa… Però lui preferisce giocarci piuttosto che mangiarlo. L’ultima volta che mommi ha preparato una crostata alla marmellata di mirtilli, su una parete del salotto sono apparsi dei pois viola. Credo proprio che mio figlio abbia una spiccata vena artistica” commentò Ginger con una risata al ricordo della povera parete del salotto: lei, Pamela e Jennifer avevano impiegato quasi un intero pomeriggio a cancellare le tracce dell’attacco creativo del piccolo gnomo pestifero di casa “Keith, Gala! Venite a mangiare qualcosa, avanti! Ci sono i pasticcini alla crema, al cioccolato ed alla frutta che ha preparato la mamma di David. Io, se fossi in voi, verrei subito ad assaggiarli perché sono buonissimi e stanno per finire”

“Anche Jamie ha sfogato il suo estro creativo la scorsa settimana, scarabocchiando le pareti della sua cameretta con i colori di Gala. Quando l’ho sgridato si è offeso così tanto che è scoppiato in lacrime, e quando Gala ha visto i suoi colori sparsi sul pavimento ha iniziato a piangere anche lei” commentò a sua volta Rick, scuotendo la testa, per poi rivolgersi a Lindy e Nick “godetevi i pochi momenti di pace che vi restano, perché quando quel piccolo fagottino inizierà a parlare e camminare, allora avranno inizio i guai anche per voi”.

Tre mesi prima, Lindy e Nick erano diventati genitori di una bellissima bambina: Chloe.

Roger e Judith erano gli unici del gruppo a non avere figli.

Mason rivolse uno sguardo adorante alla sua primogenita: dopo i dubbi e le paure legate al timore di non essere un buon padre che lo avevano accompagnato per i nove mesi di gravidanza di Lindy, gli era bastato uno sguardo per innamorarsi perdutamente di lei.

“Affronterò quei guai con molto piacere, perché non vedo l’ora che arrivi il momento delle sue prime parole e dei suoi primi passi”

“Adesso, davanti a voi, dice così, ma voglio proprio vedere se reagirà in modo così pacato e allegro quando Chloe scarabocchierà la batteria con i pastelli colorati”

“Se mai quel giorno dovesse arrivare, potrò vantarmi di avere una batteria personalizzata, interamente colorata a mano dalla mia bambina”

“E se dovesse bucare una delle casse o rompere delle bacchette?”

“Si può sapere per quale motivo Chloe dovrebbe prendersela solo con gli oggetti che appartengono a me e non anche con quelli che appartengono a te?” domandò il batterista, rivolgendo un finto sguardo seccato alla sua dolce metà che rideva divertita.

“A me non dispiacerebbe avere un altro piccolo nano pronto a sfogare la sua vena artistica… Anche una piccola nana andrebbe bene lo stesso” mormorò David all’orecchio sinistro di Ginger, in modo che solo lei sentisse “se fosse una bambina, vorrei che avesse i tuoi stessi capelli… Anzi… Vorrei che fosse proprio identica a te… Che ne dici? L’idea non ti stuzzica?”

“Mi stuzzica parecchio. Keith sta crescendo troppo in fretta, mi mancano i giorni in cui stringevo tra le braccia un piccolo fagottino che balbettava”

“Potremo iniziare a lavorarci questa notte stessa, che ne dici? Sarà la nostra luna di miele personale” sussurrò il chitarrista, facendo arrossire lievemente la sua novella sposa, che rispose con una spinta scherzosa; David rise, le passò le braccia attorno ai fianchi e le posò un bacio rapido sul collo, provocandole un brivido di piacere lungo la spina dorsale “ti amo, Ginger. Sappi che io ci sarò sempre al tuo fianco”

“Ti amo anch’io, David” disse in un soffio la rossa, appoggiando la fronte contro quella del giovane.

“Qualcuno sa dirmi quando arriverà Roger?” chiese Jennifer con uno sguardo speranzoso, uscendo dal silenzio in cui si era rinchiusa fino a quel momento: per il matrimonio della sorella maggiore, la ragazza aveva indossato un lungo abito verde, ed aveva trascorso più di tre ore ad arricciarsi i capelli neri ed a truccarsi in modo impeccabile davanti allo specchio del bagno.

Anche lei aveva faticato a dormire durante la notte, ma l’emozione per il grande giorno di Ginger aveva a che fare solo in minima parte con l’ansia e l’agitazione che sentiva.

Era in fibrillazione perché finalmente era arrivato il momento in cui avrebbe visto Roger di persona.

Finalmente gli avrebbe parlato.

Finalmente lui si sarebbe accorto della sua esistenza.

“Ohh, ecco… Insomma…” Nick si mosse a disagio sulla poltroncina di vimini “mi dispiace, Jennifer, ma Roger e Judith oggi non verranno”

“Che cosa?” domandò la giovane socchiudendo le labbra, incredula “come sarebbe a dire che lui non verrà?”

“Fuori dal municipio mi avevi detto che non avevano potuto partecipare alla cerimonia per colpa di un contrattempo, ma che sarebbero venuti per i festeggiamenti” rincarò la dose Ginger, sconcertata quanto la sorella minore, mettendo Nick ulteriormente a disagio; il batterista, in risposta, facendo attenzione a non svegliare la piccola Chloe, prese una busta da una tasca interna della giacca e la porse alla novella sposina.

“Non sapevo come dirtelo, mi dispiace. Rog e Judy sono partiti per una breve vacanza… Mi hanno detto di consegnarvi questo”

“Dovevano partire proprio ora per una breve vacanza? Proprio quando io e David abbiamo deciso di celebrare il nostro matrimonio? Non potevano aspettare un paio di giorni per partire?”

“Diciamo che… Diciamo che avevano bisogno di un po’ di tempo solo per loro due” Nick scambiò un’occhiata con Lindy, e dal loro silenzio Ginger capì che i due giovani stavano attraversando un nuovo periodo di crisi nel loro matrimonio.

Aprì la busta e dentro trovò un semplice biglietto su cui Judith aveva scritto due righe per congratularsi con loro.

Lei aveva firmato il biglietto.

Roger, no.

“Guarda” disse la rossa in tono contrariato; Jennifer, nel frattempo, si alzò dal divanetto a dondolo e si allontanò per una breve passeggiata, visibilmente delusa “non rispondono al nostro invito, partono per una vacanza proprio il giorno del nostro matrimonio e pensano di cavarsela con un biglietto. Un biglietto che Roger non ha neppure firmato. Non ci posso credere! Giuro di non aver mai incontrato un essere più arrogante, sprezzante e maleducato di lui! Scommetto che lo ha fatto apposta perché sperava di rovinare il giorno del mio matrimonio. Ho bisogno di fare due passi, vado a vedere dove sono finiti i bambini, è da un po’ che non li vedo passare qui davanti”.

Ginger si alzò di scatto dalle gambe di David e, tenendo sollevato l’orlo del suo abito da sposa, girò l’angolo sinistro della casa per vedere che fine avessero fatto Keith e Gala: li trovò nel giardino posteriore, intenti ad osservare un lombrico, sotto lo sguardo vigile di Pamela; quella mattina, prima di recarsi in municipio per la cerimonia, Pam aveva provato a lisciare i capelli del bambino, ma i ricci ribelli non avevano voluto saperne di avere un aspetto più ordinato e composto.

La giovane si avvicinò alla madre adottiva e rivolse un sorriso dolce ai due piccoli.

“Non crederai mai a quello che ho appena saputo: Roger e Judith non verranno perché sono partiti per una vacanza. Lindy e Nick non lo hanno detto chiaramente, ma hanno lasciato intendere che tra loro c’è nuovamente aria di crisi. Glielo avevo detto a Saint Tropez, lo sapevo che ben presto si sarebbe ritrovata con un altro paio di corna in cima alla testa, ma lei non ha voluto ascoltarmi. Ben le sta. E sono pronta a scommettere qualunque cosa che…” si bloccò all’improvviso notando gli occhi lucidi di Pam “mommi, stai piangendo?”

“No” rispose la donna, ma la sua voce spezzata dimostrava l’esatto contrario; Ginger le passò il braccio destro attorno alle spalle per confortarla.

“Perché stai piangendo?”

“Nulla… Una sciocchezza… Non è niente d’importante… Lascia perdere, adesso passerà”

“Se stai piangendo non si tratta di una sciocchezza, e non sono intenzionata a lasciar perdere fino a quando non mi avrai detto che cosa ti sta succedendo. Non voglio vederti triste il giorno delle mie nozze. Sei delusa perché io e David abbiamo deciso di sposarci così presto?” negli occhi scuri della ragazza apparve uno sguardo preoccupato “secondo te avremmo dovuto aspettare?”

“No, no, non avete sbagliato, Ginger. Sono contentissima per voi due. Mi auguro che anche Jennifer incontri un ragazzo così innamorato, con cui costruirsi una famiglia, un giorno. Si tratta di un’altra faccenda” Pamela prese un fazzoletto di stoffa dalla borsetta che aveva con sé e si soffiò il naso “ora tu e David vi trasferirete in una casa tutta vostra e, giustamente, Keith verrà a vivere con voi e… Ed io non lo vedrò più spesso come prima”.

La ragazza capì finalmente ciò che spaventava così tanto Pam e la strinse in un abbraccio, con un sorriso rassicurante.

“Non ti devi preoccupare di questo, mommi. Sì, io e Dave andremo a vivere per conto nostro e… Sì, il piccolo gnomo pestifero verrà con noi, ma non pensare che d’ora in poi lo vedrai di meno” disse poi, cercando di farle tornare il sorriso “pensa a tutto il tempo che trascorrerai con lui quando io ed i ragazzi dovremo prendere l’aereo per andare all’estero”.



 
Jennifer aveva trovato rifugio sotto l’ombra rinfrescante di una quercia.

Danny, il suo migliore amico, la raggiunse dopo una decina di minuti trascorsi nella solitudine più totale e si sedette a gambe incrociate a suo fianco; cercò il suo sguardo, ma la giovane continuava a tenerlo fisso su una margherita che aveva strappato dal prato poco prima.

Non era riuscita a trattenere le lacrime dettate dalla cocente delusione, e la matita nera attorno agli occhi si era in parte sciolta ed era colata sulle guance; Danny emise un profondo respiro e rivolse uno sguardo dispiaciuto alla sua migliore amica.

Sapeva benissimo quanto fosse forte il suo desiderio d’incontrare Roger, e vederla stare così male lo faceva stare male a sua volta.

“Dai, Jen” mormorò dandole una piccola spinta “non fare così. È una giornata troppo bella per passarla col broncio”

“Ho passato giorni a scartare abito dopo abito per trovare quello perfetto da indossare, ho trascorso la notte a rigirarmi sul materasso, senza riuscire a chiudere occhio, ed ho impiegato l’intera mattinata per truccarmi ed arricciarmi i capelli. Volevo essere perfetta perché oggi doveva essere un giorno perfetto, sia per Ginger che per me, e poi cosa scopro? Che Roger non verrà perché è andato in vacanza con… Con… Quella” Jennifer era così fuori di sé dalla rabbia che non riusciva neppure a pronunciare il nome di Judith; strinse i pugni con forza, tremando, e gli occhi si fecero di nuovo lucidi “oggi doveva essere la mia grande occasione… Invece, ancora una volta, me la sono vista sfuggire via, come fumo tra le dita… Ancora una volta, per l’ennesima volta, maledizione!”

“Forse è andata in questo modo perché non è ancora arrivato il momento della tua grande occasione: pensala così, sii ottimista”

“Mi dispiace, ma proprio non riesco ad esserlo” mormorò la ragazza; abbassò gli occhi verdi sulla margherita che aveva in mano ed iniziò a strappare i petali uno ad uno “dubito che in un prossimo futuro si possa presentare un’occasione migliore di questa”.
 

Ritorna all'indice


Capitolo 34
*** Pompeii (Parte Uno) ***


1971, 7 ottobre.



 
Allo scadere dei dieci minuti, la ragazza prese il termometro per vedere il responso: quando vide la temperatura segnata dalla sottile linea di mercurio blu, scosse la testa con un’espressione contrariata.

“Ed ecco perché è sconsigliato suonare per ore ed ore all’aria aperta a petto nudo, David Jon Gilmour” Ginger mostrò il termometro a David, mettendolo davanti alle conseguenze delle sue azioni “trentanove e mezzo di febbre. Complimenti. Come pensi di affrontare il volo di ritorno che ci aspetta domani pomeriggio?”

“Non esagerare, la situazione non è così tragica” mormorò il giovane, tossendo, raggomitolato sotto una spessa coltre di coperte: aveva le guance arrossate e gli occhi lucidi a causa della febbre alta “trascorrerò il resto della giornata a letto e domani, prima della partenza, prenderò qualcosa per riuscire a stare in piedi e per affrontare il viaggio di ritorno. E non appena saremo a Londra, mi fionderò subito in camera da letto”

“Come minimo trascorrerai il resto della giornata qui dentro, e farai lo stesso quando torneremo a casa. Ritieniti fortunato di esserti ammalato l’ultimo giorno del nostro soggiorno in Italia, a riprese concluse, perché altrimenti sarebbe stato un bel casino. Non riesci quasi a rispondere alle mie domande, figuriamoci suonare una chitarra e cantare. Inizio a chiedermi se Steve abbia fatto bene ad accettare la proposta di quel regista francese… Da quando siamo arrivati non ci sono stati altro che imprevisti: prima i camion con i vostri strumenti che spariscono, poi il problema con l’elettricità ed infine la febbre… Concorderai con me che si tratta di una curiosa serie di coincidenze, giusto?”

“Sì, però è stato divertente vedere la reazione di Roger quando ha scoperto che la strumentazione era completamente sparita nel nulla”

“Le mie povere orecchie non la pensano allo stesso modo” rispose la giovane con una smorfia: aveva ancora impresse le urla inferocite del bassista nella testa e nei timpani “scendo a bere qualcosa ed a portarmi avanti col lavoro, vuoi che ti porto qualcosa?”

“No, grazie, sono apposto così”

“Allora chiudi gli occhi e cerca di riposarti un po’. Ci vediamo più tardi. Vedrai che ti sentirai meglio quando riaprirai gli occhi”.

Ginger scoccò un bacio sulla guancia destra di Gilmour, prese la sua borsa, una cartellina, ed uscì dalla camera d’albergo.

Scese le quattro rampe di scale che la separavano dal piano terra, passò affianco alla hall ed entrò nella sala che la struttura aveva messo interamente a disposizione per il gruppo e la troupe a loro seguito: era una stanza dalla forma ovale, con una parete occupata interamente da grandi vetrate, in cui tavolini rotondi dalle diverse dimensioni si alternavano a poltroncine e divanetti in pelle bianca; sull’altra parete trionfava un bellissimo dipinto del Vesuvio, ed in prossimità di essa era stato sistemato un lungo tavolo sempre rifornito di cibi e bevande per soddisfare ogni loro esigenza, in particolar modo quelle dei musicisti.

C’era perfino un bancone bar in cui non mancava nessuno dei migliori alcolici disponibili sul mercato.

Ginger si fermò davanti al tavolo del buffet per prepararsi un cappuccino: aveva scoperto quella buonissima bevanda calda al suo arrivo in Italia e l’aveva sostituita al consueto the che beveva sempre per colazione ed al pomeriggio, e non era l’unica.

Anche Rick era rimasto stregato dal cappuccino, mentre Nick aveva scoperto una vera e propria passione per il gelato.

La ragazza scelse una poltroncina posizionata vicino una delle grandi vetrate e si sedette lì; posò il cappuccino sopra il tavolino rotondo, aprì la cartellina rigida ed iniziò a sfogliare con cura una parte delle fotografie che aveva scattato e sviluppato nel corso del loro breve soggiorno in Campania.

Erano volati in Italia per girare un film-concerto all’interno dell’Arena di Pompei, completamente vuota, sprovvista di pubblico: un’idea del regista Adrian Maben, che aveva contattato Steve, il manager del gruppo, ancora all’inizio dell’anno.

In un primo momento erano previsti sei giorni di riprese, ma in seguito al problema dell’elettricità si erano ridotti a quattro, ed i ragazzi erano stati costretti a sostenere dei ritmi piuttosto frenetici per riuscire a girare il tutto nel poco tempo che avevano a loro disposizione: scendevano all’arena alla mattina, dopo colazione, e facevano ritorno dopo il tramonto, così stanchi e stremati dal caldo, dalla pressione e dalle lunghe sessioni di registrazioni (che riascoltavano sempre con delle cuffie perché dovevano essere perfette. Roger, in particolar modo, non accettava la minima sbavatura) da non avere neanche la forza di parlare o di andare in sala a stuzzicare qualcosa dal buffet; a malapena riuscivano a trascinarsi nelle rispettive stanze usando l’ascensore.

La sera del terzo giorno, Nick e Roger si erano perfino addormentati lì dentro: Lindy li aveva trovati seduti in modo scomposto sul pavimento dell’ascensore quando aveva premuto il pulsante per scendere a bere una tisana calda e per scoprire  dove fosse sparito suo marito.

Data la presenza di Ginger, nonostante i ritmi serrati ed il tempo libero inesistente per visitare il posto in compagnia dei rispettivi mariti, Lindy, Juliette e Judith avevano insistito per partire a loro volta; i bambini, però, erano rimasti a casa, affidati alle cure dei rispettivi nonni paterni e materni.

Anche Keith era rimasto a casa, in compagnia di Pamela e Jennifer: Ginger lo riteneva ancora troppo piccolo per affrontare un viaggio così stancante, benché si trattassero solo di quattro giorni.

La giovane sollevò due fotografie per confrontarle con più attenzione sotto la luce del sole.

Era così concentrata da non accorgersi della persona che entrò nella sala, che si avvicinò al buffet e che poi andò a sedersi su un divanetto poco lontano dalla sua poltrona; si rese conto di non essere più sola solo quando sentì uno sgradevole odore di sigaretta.

Sollevò gli occhi dalle due fotografie ed incrociò quelli di colui che odiava di più al mondo.

George Roger Waters.

Il giovane stava sorseggiando una tazza di the caldo; nella mano sinistra teneva stretta l’immancabile Marlboro accesa.

La rossa, senza dire una parola, picchiettò l’indice destro contro il cartello che vietava chiaramente di fumare all’interno di quella stanza, ma il bassista, anziché spegnerla, si limitò ad allontanare la sigaretta dalle labbra carnose per buttare fuori una nuvola di fumo proprio addosso a Ginger, incurante della sua insofferenza.

La giovane, per evitare un’accesa discussione proprio nel loro ultimo giorno in Italia, preferì ignorare la presenza del bassista e ritornò a concentrarsi sulle fotografie.

“Cosa stai facendo?”.

La domanda di Roger la colse del tutto alla sprovvista.

“Sto osservando una parte degli scatti che vi ho fatto in questi quattro giorni” rispose lei in tono pacato, senza staccare gli occhi dai fogli di cellulosa “devo valutare quali tenere e quali scartare, e posso assicurarti che non è così semplice come può sembrare ad una prima occhiata”

“Perché? Non mi sembra un lavoro così impegnativo: basta vedere quali scatti sono usciti bene e quali, invece, sono usciti sfuocati”

“Ohh, sì, certo. Se dipendesse solo da questo, allora chiunque potrebbe impugnare un obiettivo e spacciarsi per fotografo. Dietro ogni singola immagine si nasconde un mondo intero. Perfino due scatti simili all’apparenza possono trasmettere dei messaggi completamente diversi agli occhi dell’osservatore esterno”

“E guarda caso stavi osservando proprio due fotografie scattate a David. Sbaglio o la maggior parte degli scatti qui sopra ritraggono solo ed esclusivamente lui?”

“Credimi, ho scattato tantissime foto a tutti voi, perfino a te. Perché io sono in grado di fare distinzione tra il lavoro e la vita privata” Ginger aveva ormai perso la giusta concentrazione per affrontare un compito così delicato, e così raccolse in fretta le foto, sistemandole all’interno della cartellina rigida, ma per colpa di un movimento brusco, spinse con il gomito destro la borsa, facendola cadere a terra: il suo contenuto rotolò sul pavimento, compresa la foto di lei con Keith che portava sempre con sé quando era costretta ad allontanarsi da Londra per periodi più o meno brevi.

Roger vide di sfuggita l’istantanea e la prese in mano prima che la ragazza potesse rimetterla al sicuro.

La guardò in silenzio, per quasi un minuto intero, con uno sguardo che Ginger non riuscì a decifrare: non capiva se era impassibile o se si sforzava di esserlo.

Si rese conto che Roger era l’unico a cui non aveva mai parlato di Keith, e si sentì improvvisamente a disagio.

“Chi è?” domandò finalmente lui “chi è questo bambino?”

“Mio figlio, Keith” rispose Ginger, stringendosi nelle spalle, sforzandosi di apparire normale per non far vedere il disagio che continuava a crescere dentro di sé “ha compiuto tre anni a giugno. È un bambino dolcissimo e molto intelligente”.

Roger continuò a fissare la fotografia e, senza dire una sola parola, la posò sul tavolo ed uscì dalla sala.

Ginger lo guardò allontanarsi e poi rimise la foto dentro la borsa, al sicuro in una tasca interna, sollevata che il bassista non avesse formulato alcun commento pungente e fuori luogo riguardo la scoperta che aveva appena fatto.

Era pronta ad accettare ed incassare qualunque insulto e cattiveria da parte sua, ma non doveva permettersi assolutamente di dire nulla sul conto di Keith.

Neppure mezza parola.



 
“Sei bellissima. In sala guarderanno tutti te”.

Ginger guardò David attraverso lo specchio e gli rivolse un sorriso mentre terminava di pettinare i lunghi capelli fiammeggianti che scendevano fino a metà schiena.

“Bellissima? Ma se indosso una maglietta ed un paio di jeans!”

“Guarda che noi uomini non perdiamo la testa solo per le ragazze che vanno in giro con addosso abitini striminziti”

“Quindi… Mi stai dicendo che tu neppure noti tutte quelle ragazze in minigonna che si sbracciano ed urlano i vostri nomi quando vi esibite? Non ti è mai caduto l’occhio, neppure per sbaglio?” la rossa si voltò a guardare il chitarrista con gli occhi socchiusi e con una finta espressione indagatrice sul volto; in realtà, nutriva una profonda fiducia nei confronti del ragazzo che aveva sposato cinque mesi prima e lo testimoniava la fede dorata che portava sempre all’anulare sinistro.

Non se la toglieva mai, neppure quando doveva farsi la doccia.

“Ammetto di avere ceduto in tentazione qualche volta, ma è successo prima di conoscerti, Ginger: da quando ci sei tu, le altre sono completamente invisibili ai miei occhi. E posso garantirti che sei molto più sexy tu con una maglietta ed un paio di jeans, che loro con pochi centimetri di stoffa addosso… Quasi, quasi sono geloso per la festa…”

“Se vuoi, posso restare in camera con te. Non ho alcuna voglia di scendere”

“No, invece devi andare. Finirai solo con l’annoiarti e l’ammalarti a tua volta se resterai chiusa tutta la sera qui con me”

“Tanto finirò con l’ammalarmi comunque, visto che condividiamo lo stesso letto” la rossa posò la spazzola, si alzò dalla poltroncina e si sedette sul bordo del letto matrimoniale “resterò giù per un’ora al massimo, non voglio fare tardi visto che domani ci aspetta il volo di ritorno. Tu riposati nel frattempo, più tardi potresti ricevere una piacevole sorpresa… Ricordi di cosa abbiamo parlato il giorno delle nozze? Dobbiamo iniziare seriamente a lavorarci se per il nuovo anno vogliamo essere in quattro”

“Allora, per sicurezza, non chiuderò occhio fino al tuo ritorno e passerò il tempo a contare i minuti”

“No, sciocco, pensa piuttosto a riposarti, così la febbre scenderà” disse Ginger con una risata, dandogli un bacio sulle labbra “ti amo”

“Ti amo anch’io, non dimenticarlo mai. Ora va, e divertiti… E assicurati che gli altri non facciano nulla di stupido proprio oggi che è l’ultima sera” rispose Gilmour ridendo a sua volta, del tutto ignaro del casino che si sarebbe scatenato da lì a poche ore.

Anche la giovane prese le sue parole come una semplice battuta, e quando richiuse la porta della camera alle sue spalle già non ci stava pensando più; scese le quattro rampe di scale ed entrò nella sala interamente riservata a loro che, per la grande occasione, era stata decorata con nastri colorati e palloncini pieni di elio che ricoprivano il soffitto: dal momento che avevano trascorso quattro giorni pieni, senza neppure un attimo di pace per rilassarsi al mare o per visitare il centro città, il gruppo, insieme al loro manager ed alla troupe, avevano deciso di organizzare una grandiosa festa d’addio la sera prima della partenza.

Era proprio l’aggettivo ‘grandiosa’ a destare più di qualche preoccupazione nella giovane, perché temeva che fosse strettamente collegato al bancone bar fornito dei migliori alcolici, e super alcolici, presenti sul mercato: come avrebbero fatto i roadies a smontare e caricare sui camion le attrezzature e gli strumenti con i postumi di una sbronza? E come avrebbero fatto gli stessi componenti del gruppo (ad eccezione di David, bloccato a letto dalla febbre alta) a fare le valige, arrivare all’aeroporto e prendere l’aereo con i postumi della sbronza?

E se ci fosse stata turbolenza?

Ginger si augurò che la compagnia aerea con cui viaggiavano fosse ben fornita di sacchetti per il vomito, perché già prevedeva un uso abbondante per il giorno seguente.

Si avvicinò al buffet per prendere un drink analcolico e poi si spostò in prossimità di una vetrata per ammirare lo splendido panorama che circondava l’albergo; Rick la raggiunse dopo una decina di minuti: in mano non aveva né un drink analcolico né uno alcolico, ma bensì un cappuccino caldo, appena fatto.

Alla vista della bevanda calda, che strideva con la festa grandiosa espressamente richiesta dal gruppo, la giovane inarcò il sopracciglio sinistro e sbatté più volte le palpebre per accertarsi che gli occhi non le stessero giocando un brutto scherzo.

“Stai seriamente festeggiando il nostro ultimo giorno in Italia bevendo un cappuccino? Quando avete detto a Steve che volevate organizzare una festa grandiosa, immaginavo vi stesse riferendo a fiumi di alcol… Non a delle bevande calde”

“I pub di Londra sono pieni di birra e super alcolici. Il cappuccino lo fanno in Italia, e dato che non so quanto tempo passerà prima che faremo ritorno qui, preferisco approfittarne finché sono ancora in tempo” rispose il giovane, soffiando sulla schiuma vaporosa per poi mandare giù un sorso della bevanda ancora bollente.

“Se solo qualcun altro la pensasse come te…” commentò la giovane sollevando gli occhi al soffitto ed indicando il bancone bar con un cenno del capo: Roger era seduto là insieme a Steve, Peter Watts ed alcuni roadies e non si era mai alzato dall’alto sgabello; da quando era entrata in sala, la fila di bicchierini vuoti davanti al bassista non aveva fatto altro che aumentare sempre di più.

Poco lontano, Nick si stava gustando una coppa di gelato alle creme.

Rick lanciò a sua volta uno sguardo a Roger.

“Dai, Ginger, stanno solo festeggiando a modo loro”

“Lo vedo”

“Sono stati quattro giorni stressanti per tutti quanti”

“Sì, lo capisco, ma dovrebbero pensare alla lunghissima giornata che ci aspetta domani. Che cosa vogliono fare? Sporcare tutto l’aereo di vomito al primo sussulto? È un comportamento irresponsabile. Capirei se fosse un ragazzino di vent’anni, ma Roger ne ha ventotto”

“E tu? Come mai non sei andata con le ragazze?”.

Lindy, Juliette e Judith non erano presenti alla festa; le tre giovani, difatti, erano uscite per una piccola festa privata tutta al femminile: prima avrebbero mangiato una pizza in un ristorante, e poi avrebbero proseguito i festeggiamenti in un locale.

“Ho detto loro che avevo mal di testa”

“Ed è vero?”

“Non proprio” ammise Ginger sorseggiando il drink analcolico alla frutta “non ci sono andata perché sarei stata costretta a trascorrere l’intera serata in compagnia di Judith. Ho già abbastanza a che fare con suo marito, non ho bisogno di trascorrere l’ultima notte in Italia con lei”

“Voi due proprio non vi sopportate”

“Non per colpa mia. Ti ricordo che è stata lei la prima a mostrarsi ostile… Proprio come la sua adorata dolce metà” la ragazza lanciò un’altra occhiata a Waters: possibile che non fosse ancora stanco di bere? “sai benissimo che non ho nulla contro Juliette e Lindy. Adoro trascorrere il tempo in loro compagnia, ma per quanto riguarda Judy è tutta un’altra faccenda… E poi, comunque, ho intenzione di andare a letto presto perché domani ci aspetta una lunga giornata”

“Sicura che sia solo una questione di stanchezza? Non è che mi nascondi altro? Magari qualcosa che ha a che fare con quel succo?” insinuò Richard con un sorriso, ma Ginger mise subito un freno a qualunque congettura.

“Frena, frena, frena, non correre così in fretta. Se pensi che sia incinta, mi dispiace deludere le tue aspettative perché non è così… Ma posso dirti che io e David ci stiamo lavorando”

“Stai dicendo che ben presto potrei diventare zio per la seconda volta?”

“L’idea sarebbe proprio quella” ammise la giovane, senza riuscire a trattenere un sorriso di gioia alla prospettiva di diventare di nuovo madre “e non mi dispiacerebbe affatto avere una bambina questa volta. David ha detto che vorrebbe una femminuccia identica a me, io, invece, vorrei che avesse i suoi capelli biondi ed i suoi occhi azzurri. Immagina che angioletto, Rick… Mi auguro solo che Keith non s’ingelosisca”

“Secondo me, anche lui vorrebbe avere al più presto un fratellino od una sorellina. A proposito della tua dolce metà… Come sta? Ho saputo che è bloccato a letto con la febbre alta”

“Ed è quello che si merita per aver suonato per ore ed ore all’aria aperta senza maglietta. Spero che domani sia in grado di stare in piedi, altrimenti non so come riuscirà a salire in aereo… Anzi, sai che ti dico? È meglio se ora torno da lui in camera per vedere come sta. Credo che i festeggiamenti, per me, finiscono qui” Ginger salutò il suo migliore amico, lasciandolo al suo adorato cappuccino caldo, ma non appena superò la soglia d’ingresso della sala, tornò indietro dirigendosi a passo deciso verso il bancone bar.

Picchiettò l’indice destro sulla spalla sinistra di Roger per attirare la sua attenzione e lui si voltò di scatto, infastidito per essere stato interrotto nel mezzo di una discussione: aveva gli occhi leggermente appannati e, ovviamente, i bicchierini vuoti si erano fatti ancora più numerosi.

“Che vuoi?” chiese seccato, aspirando una boccata di fumo dalla sigaretta che stringeva nella mano sinistra.

“Non voglio dirti cosa devi o non devi fare, ma credo proprio che tu stia esagerando con il whisky. Ti ricordo che, anche se le riprese sono finite, domani ci aspetta una giornata impegnativa ed un lungo viaggio di ritorno: pensi davvero di riuscire a reggerti in piedi continuando in questo modo?” disse in risposta la ragazza, indicando la lunga fila di bicchierini vuoti; non si aspettava di ricevere delle parole gentili da parte di Waters e, difatti, lui reagì distorcendo le labbra in una smorfia.

Ginger nascose le mani dietro la schiena per resistere alla tentazione di schiaffeggiarlo dinanzi all’intera sala.

“Infatti tu non sei nessuno per permetterti di dirmi cosa devo o non devo fare. Tantomeno ordinarmi di smetterla di bere”

“Il mio non era un ordine, ma un consiglio: più bicchieri svuoti ora e più orribile sarà la sbronza che dovrai affrontare domani mattina”

“So reggere l’alcol molto bene. Sbaglio o hai un marito di cui occuparti? Perché non vai da lui anziché continuare a rompere i coglioni a me?” ringhiò il bassista e, senza aspettare una risposta da Ginger, si voltò di nuovo verso Steve e riprese il discorso dal punto in cui era stato interrotto.

Ora, la voglia di prenderlo a sberle era diventata un bisogno quasi impellente.

“Molto bene” sentenziò la giovane, dopo aver preso un profondo respiro per non perdere il poco autocontrollo che le era rimasto in corpo “se pensi di essere in grado di reggere l’intero bar senza battere ciglio, allora buon per te, Waters. Ma sarò la prima a dirti ‘te lo avevo detto’ quando sarai bloccato dentro la toilette dell’aereo a vomitare senza alcun ritegno e non sarai neppure in grado di reggerti sulle tue gambe. Ti auguro un buon proseguimento di serata. Buonanotte”.

Gli voltò le spalle ed uscì dalla sala senza più tornare indietro e risalì le quattro rampe di scale continuando a borbottare tra sé e sé che quella serata sarebbe finita male.
Molto, molto male.

Peggio per lui, pensò la giovane percorrendo gli ultimi scalini che la separavano dalla camera da letto, la 507: Roger non era più un bambino, ma un uomo adulto che doveva prendersi la responsabilità delle proprie azioni.

Sarebbe stato male?

Avrebbe vomitato senza alcun ritegno?

Sarebbe stato pallido come un cencio?

Avrebbe continuato a lamentarsi ed a gemere per tutto il viaggio di ritorno?

Peggio per lui.

Se lo meritava.

Per il nervoso, le chiavi della stanza le scivolarono di mano e caddero con un tonfo sordo sulla moquette del corridoio; a quel punto, Ginger alzò gli occhi al soffitto e prese un altro profondo respiro per calmarsi.

Roger non era altro che un arrogante, altezzoso, incosciente idiota fermamente convinto che il mondo intero ruotasse attorno a lui, di conseguenza non valeva la pena arrabbiarsi ed innervosirsi per un cretino simile; adesso, tutto ciò che contava veramente era celato dietro la porta della stanza numero 507: voleva rifugiarsi tra le braccia di David e dimenticare la breve discussione con Waters che le aveva completamente guastato l’umore e le aveva fatto venire i nervi a fiori di pelle.

“Dave, amore, sono tor…” la rossa si bloccò a metà frase, dopo aver acceso la luce, con la mano destra ancora appoggiata al pomello: David dormiva profondamente, sdraiato sul fianco destro, con le labbra socchiuse e con i lunghi capelli che gli ricadevano in parte sulla fronte e sul viso.

Ginger chiuse la porta senza far rumore, si avvicinò in punta di piedi al letto, scostò i capelli dal viso del marito e gli posò un bacio sulla punta del naso; lui emise un borbottio e socchiuse gli occhi azzurri, lucidi ed appannati a causa della febbre.

“Ehi, sei tornata…” mormorò con voce rauca, lanciando un’occhiata alla sveglia posta sopra il comodino “ma… Sei stata giù appena mezz’ora”

“Ed è stata più che sufficiente, credimi”.

Gilmour sospirò e sistemò meglio il cuscino alle sue spalle.

“Che cosa è successo tra te e Rog?” ormai la conosceva abbastanza bene da sapere che quando aveva quell’espressione il responsabile poteva essere solo il cupo bassista del gruppo.

La giovane strinse con forza un lembo del lenzuolo e si sfogò con l’unico ragazzo sempre pronto ad ascoltarla.

Oltre Rick, ovviamente.

“Credo che si sia messo seriamente in testa di voler svuotare l’intera scorta di super alcolici del bancone bar. Ti rendi conto che per tutto il tempo che sono stata alla festa, lui ha continuato a bere ininterrottamente? Ti giuro che ad un certo punto ho perso il conto dei bicchierini disposti davanti a lui. So che non sono affari miei, ma ad un certo punto non sono più riuscita a restare zitta e sono andata a dirgli che forse avrebbe fatto meglio a smetterla di bene finché era ancora abbastanza lucido. E sai lui che cosa mi ha risposto? Sai che cosa mi ha detto?”

“No, ma non faccio fatica ad immaginarlo”

“Mi ha detto che non sono affari che mi riguardano, che sa reggere benissimo l’alcol e che devo pensare a mio marito anziché rompere i coglioni a lui. Ti giuro che mi ha detto queste esatte parole… Ma ti rendi conto? Ti rendi conto di quello che ha avuto il coraggio di dirmi?”

“Sì, me ne rendo conto”

“E…? Qual è il tuo pensiero a riguardo?”

“Ovvio che non mi fa affatto piacere quello che ti ha detto, Ginger. Nessuno deve permettersi di parlarti in questo modo, neppure se si tratta di uno dei miei compagni di band… Però è anche vero che voi due continuate a stuzzicarvi a vicenda. È ovvio che se continui ad avvicinare un fiammifero alla miccia di un esplosivo, quella prima o poi si accenderà”

“Stai dicendo che sono andata volontariamente a provocarlo?”

“No, ma…”

“Io non sono andata a provocarlo, d’accordo? Gli ho detto quelle parole perché so già come andrà a finire: berrà così tanto da vomitare anche l’anima… O potrebbe anche fare di peggio” la giovane arricciò il naso ed incrociò le braccia sotto il seno “e l’ultima cosa di cui abbiamo bisogno in questo momento è della cattiva pubblicità. Il gruppo ci è già passato una volta”.

Inevitabilmente, Ginger ripensò ai numerosissimi articoli di giornale che si sprecavano sui comportamenti eccentrici e bizzarri di Syd.

A volte trovava ancora qualcosa, ma quando accadeva chiudeva bruscamente il giornale e lo gettava nel cestino della spazzatura; una volta, in inverno, aveva dato un’intera rivista in pasto alle fiamme del caminetto del salotto.

Lei, David e Keith si erano trasferiti in una graziosa casetta a poca distanza dagli Studi di Abbey Road, per venire incontro alle esigenze lavorative di Gilmour.
Il chitarrista, notando il turbamento sul volto della sua dolce metà, le si avvicinò alle spalle e le passò le braccia attorno ai fianchi per stringerla in un abbraccio.

“Non accadrà nulla di simile” disse in un sussurro, strofinando il naso contro la pelle del collo di Ginger “d’accordo, forse stanno festeggiando in modo un po’ eccessivo, ma sono certo che non accadrà nulla di così disastroso… Al massimo qualcuno si sveglierà con un brutto mal di testa e la voglia di svuotare completamente lo stomaco, ma non è la prima volta e non sarà neppure l’ultima. Dai, basta pensare a questo, adesso. Vieni a letto, così possiamo festeggiare a modo nostro l’ultimo giorno in Italia, che ne dici?”

“Dico che sai sempre come farmi tornare il sorriso ed il buon umore, David Jon Gilmour” sussurrò lei di rimando, dandogli un bacio ed appoggiando la fronte contro quella del giovane, che era ancora bollente “aspettami. Arrivo subito”.

Ginger si alzò dal bordo del letto e si chiuse in bagno per cambiarsi.

Si sfilò i jeans, la maglietta ed il reggiseno, sostituendoli con una camicia da notte semitrasparente che le sfiorava appena le ginocchia, e raccolse i capelli in una lunga treccia fiammeggiante.

David adorava quando si raccoglieva i capelli in quel modo.

Mentre intrecciava le lunghe ciocche rosse, con lo sguardo rivolto al proprio riflesso nello specchio ovale del bagno, la ragazza si ritrovò a riflettere su quanto fossero differenti David e Roger, praticamente l’opposto l’uno dell’altro.

Anche il loro modo di cantare e suonare era completamente diverso: David era molto più rigido e posato, e la sua voce era calda, profonda ed avvolgente; Roger, invece, non riusciva a stare fermo sul palco, maltrattava i suoi strumenti allo stremo (durante le riprese Ginger aveva temuto più volte che il povero gong cinese si rompesse a causa dell’eccessivo impeto con cui il bassista lo percuoteva) ed a volte sembrava quasi essere in preda ad un attacco epilettico.

Il suo modo di cantare, poi, era pressoché indescrivibile e particolare, proprio come il suo aspetto fisico, anche se i capelli lunghi avevano in parte migliorato i tratti spigolosi del suo viso magro e lungo; Ginger aveva riflettuto più volte riguardo a come descrivere il modo di cantare del bassista, ed era riuscita a formulare un’unica definizione, che a suo parere calzava alla perfezione: lamenti sadici.

I versi che Roger emetteva assomigliavano a dei lamenti sadici.

La ragazza si guardò un’ultima volta allo specchio e finalmente uscì dal bagno con un sorriso furbetto sulle labbra, appoggiandosi allo stipite della porta con la mano sinistra.

“Eccomi, so…” si bloccò, proprio come era accaduto quando era entrata in camera, perché il chitarrista, a causa della stanchezza e della febbre, aveva perso la battaglia contro la stanchezza e si era addormentato di nuovo.

Si coprì la bocca con entrambe le mani per soffocare una risata e si coricò sotto le coperte facendo attenzione a non turbare il sonno del marito; gli posò un bacio sulla fronte, gli mormorò ad un orecchio ancora una volta quanto lo amasse e poi spense la luce.



 
Tre ore e mezza più tardi, nel cuore della notte, il telefono della camera 507 prese a squillare con insistenza.

Ginger, con la mente annebbiata dal sonno, cercò a tentoni l’interruttore dell’abat-jour e rispose prima che gli squilli svegliassero David, ancora profondamente addormentato alla sua sinistra.

“Pronto?” domandò con voce assonnata, sedendosi sul materasso, reprimendo a stento uno sbadiglio.

“Ginger, scusa per l’orario, ma… Potresti scendere un momento alla reception?”

“Rick? Rick, ma… Ma che diavolo… Sono le undici e mezza… Perché dovrei scendere alla reception a quest’ora? Che cosa è successo?”

“Scendi, così posso spiegarti tutto con calma”

“D’accordo, va bene” borbottò la ragazza, non capendo il perché di tanto mistero da parte del suo migliore amico “mi cambio ed arrivo”.

Sgusciò fuori dal letto, indossò velocemente gli abiti che aveva messo per la festa e raggiunse Richard vicino al banco della reception: non era solo, con lui c’erano anche Nick, mezzo addormentato e seduto su una poltroncina, e Steve O’Rourke, il loro manager.

“Allora?” domandò subito Ginger, rivolgendosi al suo migliore amico “che cosa è successo?”

“Si tratta di Roger”

“Roger? Che cosa ha combinato Roger? Dov’è?”

“Non è qui… Ma arriverà tra poco”

“Che vuol dire? Dove si trova?”

“È andato a bere qualcosa insieme ad un paio di ragazzi della troupe” spiegò Wright “lo stanno riportando indietro perché è… Un po’ alticcio”.

Nell’udire quelle parole, Ginger spalancò gli occhi incredula.

“Un momento” disse sbattendo più volte le palpebre “stai dicendo che è uscito a bere ancora, dopo aver praticamente svaligiato l’intero rifornimento del bancone bar? Ohh, mio dio, non ci posso credere! Dimmi che si tratta di un brutto scherzo!”

“Peter mi ha chiamato un paio di minuti fa da una cabina telefonica. A quanto pare, Roger ha un pochino esagerato e… Beh… Hanno bisogno di aiuto per portarlo in camera. E siccome Judith e le altre ragazze non sono ancora tornate dalla loro festa privata, ho chiamato te perché immagino ci sarà bisogno di qualcuno che abbia a portata di mano una bacinella nel caso… Sai… Nel caso Rog sentisse l’urgenza di vomitare”

“Ohh, mio dio!” ripeté una seconda volta la giovane interdetta “mio dio! Lo sapevo che sarebbe andata a finire in questo modo! Lo sapevo! Glielo avevo detto che avrebbe fatto meglio a fermarsi finché era ancora in tempo… Giuro che non appena lo vedo, io…”

“Rimanda le ramanzine a domani mattina, Ginger. Penso proprio che avremo il nostro bel da fare quando i ragazzi torneranno indietro” commentò Nick, dalla poltroncina, con un sonoro sbadiglio “Roger sa essere abbastanza intrattabile quando alza troppo il gomito… Molto più di quello che è di solito”

“Va bene, cercherò di trattenermi allora, ma domani mattina mi sentirà. E voglio proprio vedere se Judith avrà il coraggio di difenderlo anche questa volta. Lo sapevo che sarebbe andata a finire in questo modo, lo sapevo che avrebbe combinato un disastro… Mi auguro solo che nessuno lo abbia riconosciuto…” Ginger andò a sedersi su un divanetto, nell’attesa che i ragazzi della troupe facessero ritorno in albergo con Roger completamente ubriaco, appoggiò il gomito sinistro sul bracciolo e la guancia sinistra sul palmo della mano, continuando a borbottare tra sé e sé ingiurie nei confronti del bassista del gruppo.

Possibile che fosse così stupido? Possibile che non si fosse reso conto di quanto stava esagerando con i super alcolici? Era proprio necessario spostarsi in un locale per bere ancora? Non aveva già fatto il pieno alla festa? Desiderava così ardentemente una sbronza da guinness dei primati? Voleva davvero trascorrere l’intero viaggio di ritorno in aereo chiuso nella minuscola e claustrofobica toilette a vomitare?

Bene, allora, sarebbe stato accontentato. E lei avrebbe continuato ad infierire a parole, senza mostrare alcuna pietà davanti al suo mal di testa, ai suoi gemiti, alle sue suppliche ed ai suoi conati.

Era solo un bambino capriccioso, ed in quanto tale meritava di essere trattato in quel modo.

Ginger abbassò le palpebre, ancora pesanti a causa del sonno, e senza neppure rendersene conto si addormentò.

Un’ora più tardi, Richard la svegliò scuotendola delicatamente, dicendole che i ragazzi erano appena arrivati ed erano fuori in parcheggio che li stavano aspettando.

“Perché ci hanno messo così tanto tempo? Credevo fossero già sulla strada del ritorno quando ti hanno chiamato”

“Non lo so, forse hanno avuto qualche imprevisto. Magari hanno trovato traffico”

“O magari sono stati costretti a fermarsi più volte perché qualcuno ha sentito il bisogno di vomitare sul ciglio della strada” commentò in tono tagliente la giovane, alzandosi dal divanetto; fu la prima ad uscire dall’albergo ed a raggiungere il piccolo gruppo di persone radunate attorno ad un furgoncino nero, il mezzo di trasporto che avevano utilizzato per spostarsi e per raggiungere il locale, perché era ansiosa di vedere con i suoi occhi le condizioni pietose in cui versava il bassista.

E perché era ansiosa di dirgli in faccia, più e più volte, ‘te l’avevo detto’.

Ma quando spalancò le portiere posteriori del furgoncino, la sua espressione si trasformò da trionfante a spaventata: si aspettava di vedere Roger visibilmente alterato ed incapace di formulare una frase di senso compiuto, invece il giovane era seduto in modo scomposto tra i sedili reclinati, con il viso chino in avanti, le braccia abbandonate lungo i fianchi e non dava alcun segno di essere cosciente.

“Ohh, porca puttana…” mormorò Nick, mettendosi le mani tra i capelli.

Ginger entrò nel furgoncino, scostò alcune ciocche di capelli castani dal viso di Waters e provò a schiaffeggiarlo.

Quando non ottenne alcuna reazione, si rese finalmente conto che la situazione era molto più seria di quella che aveva immaginato.

“Roger? Roger, riesci a sentirmi? Rispondi, per favore! Roger? Che cazzo è successo? Si può sapere che cazzo è successo? Perché non si sveglia?”

“Portiamolo dentro, non possiamo lasciarlo qui in parcheggio”.

Rick si passò il braccio sinistro di Roger attorno alle spalle, Nick lo imitò con quello destro mentre Steve e Peter lo sollevarono per le gambe e, non senza fatica, lo portarono dentro la reception dell’albergo e lo adagiarono su un divanetto bianco; Wright gli tolse la giacca in pelle nera, che era solo d’impiccio, e Mason corse alla ricerca di un panno da bagnare con dell’acqua fresca.

Sotto la luce della stanza, Ginger si accorse che il volto del giovane era sudato e spaventosamente bianco; si sedette a suo fianco e provò di nuovo a chiamarlo più volte, ad alta voce, schiaffeggiandolo sulle guance: proprio come era accaduto con Syd, anche da lui non arrivò alcuna risposta.

“Qualcuno può dirmi che cosa cazzo è successo o devo iniziare ad urlare a squarciagola?” domandò una seconda volta, mentre Nick tornava indietro con il panno imbevuto di acqua fresca; Rick glielo prese dalle mani e lo passò sul viso di Roger, appoggiandoglielo poi sulla fronte.

“Noi… Ecco… Non lo sappiamo esattamente” disse Peter con gli occhi sbarrati dal terrore “siamo andati in un locale a bere e… Ad un certo punto Roger si è alzato perché doveva andare in bagno e… Quando non lo abbiamo più visto tornare indietro, sono andato a cercarlo e… L’ho trovato appoggiato ad un muro, completamente pallido… Lo abbiamo portato fuori a prendere una boccata d’aria… E… Poi ho chiamato Rick”

“E perché ci avete messo così tanto tempo a tornare indietro?”

“Ci… Ci siamo fermati per un po’ di tempo per vedere se… Se Rog si riprendeva”

“Per un po’ di tempo? Ci avete impiegato un’ora a tornare indietro! Guarda quanto tempo avete sprecato! Guarda lui in che condizioni è! Cazzo, ma non vedete che non si tratta di una semplice sbronza? Non si sveglia, porca puttana, non risponde! Qui stiamo rasentando il coma etilico! Questa situazione non mi piace per niente, dobbiamo chiamare subito un’ambulanza, Richard. Deve essere portato immediatamente in ospedale prima che la situazione si aggravi ulteriormente”.

Roger spalancò gli occhi nello stesso momento in cui la giovane terminò la frase; si tirò su di scatto, affondò le unghie nella stoffa del divano ed iniziò a rantolare; quando la giovane capì il perché di quella reazione, lanciò un urlo che riecheggiò nella hall.

“Non riesce a respirare! Non riesce a respirare! Non riesce a respirare!” strillò in preda al panico.

Rick disse a lei ed agli altri di farsi da parte, ordinò a Steve di chiamare immediatamente i soccorsi e cercò di prestare soccorso a Roger, ripetendogli più volte di fare dei respiri sempre più profondi e di non lasciarsi andare al panico; il bassista emise un altro paio di rantoli, poi ricadde all’indietro sul divano, ritornando allo stato semi incosciente di poco prima.

Richard gli controllò le pulsazioni ed il respiro.

“Sta bene! Sta bene! Credo che la crisi sia passata” esclamò, poi, con la voce che gli tremava quanto le mani; Nick si era trasformato in una statua di cera bianca con gli occhi spalancati: sembrava essere sul punto di avere un collasso da un momento all’altro.

Ginger scoppiò in lacrime e venne portata dal suo migliore amico nella sala in cui si era svolta la festa, affinché non assistesse un’altra volta ad una scena simile; attorno a loro c’erano ancora le decorazioni colorate appese alle pareti ed i palloncini pieni d’elio che ricoprivano il soffitto.

Wright si avvicinò al buffet, riempì un bicchiere d’acqua e lo portò alla ragazza; le ordinò di berlo tutto, di non muoversi di lì per nessuna ragione al mondo e che sarebbe stato lui a dirle quando poteva fare ritorno nella hall.

Ginger annuì, incapace di parlare, e mandò giù a fatica il contenuto del bicchiere; le sue dita tremavano così tanto che alcune gocce d’acqua caddero sui jeans, ma non ci fece neppure caso.

Rimase ferma, immobile, seduta vicino ad una vetrata per più di mezz’ora, con gli occhi chiusi, le mani congiunte e le labbra che si muovevano freneticamente; continuava a ripetersi che sarebbe andato tutto bene, ma non riusciva a crederci veramente.

Temeva che Roger potesse avere un’altra crisi respiratoria e che gli risultasse fatale.

Nelle orecchie sentiva ancora gli orribili rantoli che aveva emesso alla ricerca disperata di ossigeno.

Quando Richard ritornò da lei, gli rivolse subito uno sguardo carico di apprensione.

“Allora?”

“Dobbiamo aspettare ancora un po’ per avere un’ambulanza perché c’è stato un grave incidente in autostrada e tutti i mezzi di soccorso sono impegnati lì, però è arrivata un’automedica e adesso ci sono due dottori che si stanno occupando di lui. Stanno misurando tutti i vari parametri vitali. Nick è andato a cercare le ragazze per avvisarle, penso che sarà di ritorno a momenti. Qualcuno deve preparare Judith a quello che vedrà, altrimenti potrebbe avere un mancamento”

“E Roger? Come sta?”

“Non so dirti se la situazione è migliorata o peggiorata rispetto a prima. Ha avuto una seconda crisi respiratoria poco dopo l’arrivo dei dottori, però è passata… Adesso ha riaperto gli occhi, ma… Ecco… Continua ad avere degli scatti d’ira che stanno diventando sempre più ingestibili. Poco fa ha quasi afferrato Nick per la gola, per fortuna è stato rapido a tirarsi indietro”

“Mio dio” mormorò Ginger, incredula; si rese conto che Richard non stava scherzando quando tornò nella hall e vide Roger con i suoi stessi occhi: il bassista continuava ad agitarsi, scalciare, ed a digrignare i denti con forza.

Peter ed un altro ragazzo faticavano non poco a trattenerlo sdraiato sul divano.

“Lasciatemi andare! Lasciatemi andare, ho detto!” continuava ad urlare, dibattendosi: aveva gli occhi spalancati, appannati e rossi a causa dei numerosi capillari esplosi.
Quando un dottore gli bucò una vena del braccio sinistro con un ago, per iniettargli una flebo di calmante, inarcò la schiena, gettò la testa all’indietro, al di là del bordo del divanetto, e lanciò un urlo di dolore a pieni polmoni.

“Qualcuno di voi sa dirmi, con esattezza, che cosa è accaduto?” domandò l’altro dottore; era un uomo distinto, attorno alla cinquantina, dalla pelle abbronzata.

Wright, l’unico ad avere ancora i nervi ben saldi, raccontò ciò che Peter aveva detto quando erano tornati in albergo, in modo chiaro, lineare e preciso.

Il dottore lanciò un’occhiata a Roger, che dopo lo scatto d’ira aveva richiuso gli occhi, e si sistemò gli occhiali da vista.

“Che cosa ha bevuto nel corso della serata?”

“Birra… Whisky… Principalmente alcolici”

“Ha assunto qualcosa?”

“No”

“Fa uso di sostanze stupefacenti?” chiese, allora, il dottore.

Nella hall scese un lungo silenzio.

“No” disse infine Ginger “non che io sappia”.

Sapeva per certo che David non assumeva nessun genere di sostanza stupefacente pesante, e lo stesso valeva per Richard e Nicholas.

Ma riguardo Roger non era pronta a mettere la mano sul fuoco.

Dall’espressione del dottore, intuì che anche lui nutriva qualche dubbio a riguardo: scatti d’ira come quelli a cui avevano assistito non potevano essere causati solo da un abbondante consumo di bevande alcoliche e super alcoliche; di mezzo doveva esserci per forza qualcosa di ben più pesante di uno semplice spinello.

I dubbi aumentarono esponenzialmente qualche minuto più tardi, quando tutti i presenti assistettero ad un nuovo eccesso d’ira di Waters: il bassista aprì di nuovo gli occhi di scatto e, dopo essersi reso conto di avere ancora l’ago della flebo infilato nel braccio sinistro, provò prima a toglierlo di dosso e successivamente serrò i denti attorno al filo di plastica della flebo, con l’intento di strapparlo a morsi; riuscirono a fargli mollare la presa a fatica, e Richard si ritrovò costretto a tappargli il naso per farlo desistere.

L’arrivo tempestivo dell’ambulanza, a sirene accese, evitò lo scatenarsi di altri episodi simili.

“Io vado con loro” disse il tastierista, mentre i soccorritori facevano il loro ingresso con la barella.

“Vengo anch’io”

“Ginger, sei già abbastanza sconvolta, è meglio se tu…”

“Ho detto che vengo anch’io. Non riuscirei comunque a chiudere occhio”

“Allora è meglio se vai in camera di Roger e Judith a prendere un cambio per lui” Rick tirò fuori la chiave della camera del bassista da una tasca della giacca che gli aveva sfilato: era uscito dall’albergo già così alterato che si era dimenticato di lasciarla sopra il banco della reception “è molto probabile che sia costretto a trascorrere la notte in ospedale”

“Sì… Lo faccio subito” la giovane prese la chiave e salì correndo fino al quinto piano, infilò la chiave nella serratura, la girò verso destra ed entrò; andò dritta verso l’armadio, senza soffermarsi a guardare la stanza, aprì le ante e prese la prima maglietta ed il primo paio di pantaloni che le capitarono tra le mani.

Uscì in fretta e ritornò altrettanto in fretta al piano terra; il suo arrivo nella hall coincise con quello di Judith, Lindy, Juliette e Nick.

Quando Judith vide Roger esanime, sopra la barella, trattenne rumorosamente il respiro e si immobilizzò al centro della stanza; Ginger la superò velocemente ed uscì nel parcheggio insieme a Wright: quello non era il momento delle spiegazioni, ci avrebbero pensato in un secondo momento, nella sala d’attesa dell’ospedale.

Salirono entrambi su una delle macchine che avevano noleggiato per quei quattro giorni, Rick girò la chiave nel cruscotto e schiacciò con forza il piede sull’acceleratore per non perdere l’ambulanza che era già ripartita a sirene spiegate e con i lampeggianti accesi; la giovane si strinse nelle spalle e rabbrividì: per la fretta non era neppure salita in camera per indossare qualcosa di più pesante.

Rick le suggerì d’indossare la giacca di Roger e lei, seppur riluttante, la infilò: era così grande e larga che si ritrovò costretta a rimboccare le maniche fino ai gomiti.
“Stai tranquilla, sono sicura che andrà tutto bene. Se la situazione fosse stata davvero grave, lo avrebbero intubato. Andrà tutto bene”

“Andrà tutto bene?” ripeté la rossa con gli occhi sgranati “hai visto anche tu le scene a cui abbiamo assistito? Richard… Ha avuto due crisi respiratorie! Due! Ed hai visto gli scatti di rabbia? Hai visto i suoi occhi? Non si tratta solo di una sbronza. No. Ha preso qualcosa. Qualcosa di molto pesante”

“Non scendiamo a conclusioni affrettate. Adesso in ospedale gli faranno tutte le analisi necessarie e… E poi vedremo”.

I due ragazzi, dopo aver lasciato la macchina nel parcheggio dell’ospedale, entrarono nella sala d’attesa del pronto soccorso e si diressero subito al banco della reception; dopo qualche difficoltà di comunicazione dovuta alla barriera linguistica, appresero che non potevano fare altro che sedersi ed attendere pazientemente il momento in cui un medico sarebbe uscito per comunicare loro tutto ciò che dovevano sapere sulle condizioni del loro amico.

Ginger e Richard andarono a sedersi in attesa dell’arrivo di Nick e delle altre ragazze; davanti a loro, appeso ad una parete, c’era uno schermo su cui erano riportati tutti i casi presenti in quel momento al pronto soccorso: c’era un solo codice rosso, e la giovane pensò subito che si trattasse di Roger.

Girò il viso da un’altra parte e prese un profondo respiro per mantenere la calma.

Quell’ultima notte in Italia si stava trasformando in un incubo ad occhi aperti.

Anzi.

Lo era già.

Pensò che la situazione non potesse peggiorare, ma fu costretta a ricredersi quando la porta d’ingresso del pronto soccorso si spalancò ed apparve Judith: la giovane, visibilmente fuori di sé ed in uno stato di profonda agitazione, si precipitò in direzione della porta scorrevole, chiusa, che divideva la sala d’attesa del pronto soccorso con il corridoio che portava ai diversi reparti ed iniziò a tempestare il vetro di pugni.

“Aprite immediatamente questa porta! Apritela subito! Devo vedere mio marito! Lo devo vedere adesso! Roger! Roger! Rog!” urlò a squarciagola, scoppiando in un pianto disperato; occorse l’intervento di Nick, Lindy e Juliette per convincerla ad allontanarsi dalla porta scorrevole.

Nick la sostenne passandole il braccio sinistro attorno ai fianchi, Lindy la convinse a sedersi e Juliette andò a prenderle un bicchiere d’acqua da un distributore automatico; la dolce metà di Mason provò a consolarla ed a tranquillizzarla dicendole che tutto sarebbe andato per il meglio, ma Judy era in preda alla disperazione più assoluta e non riusciva a smettere di singhiozzare e versare lacrime.

La matita nera sotto gli occhi si era sciolta, e le rigava il viso fin sotto il mento.

“Che cosa è successo? Qualcuno può avere la decenza di spiegarmi che cosa diavolo è successo a mio marito?” domandò, tirando su col naso, mentre Juliette le porgeva il bicchiere d’acqua “lo lascio in albergo perfettamente in salute e poche ore più tardi lo ritrovo esanime, sdraiato su una barella! Che cosa è successo?”

“Non glielo hai spiegato strada facendo?” chiese Rick, fulminando Nick con un’occhiataccia “ti avevo detto di farlo!”

“Ci ho provato” si difese il batterista agitando le mani, visibilmente alterato “ma… Io non… Ero… Ero completamente confuso”

“Qualcuno vuole spiegarmi cosa è successo?” strillò con più forza la bionda, ormai vicina ad avere un crollo nervoso.

“Roger è uscito a bere con Peter ed altri ragazzi. Al locale si è sentito male e lo hanno riportato indietro praticamente in coma etilico” tagliò corto Ginger, con lo sguardo rivolto ad un grande acquario dalla forma rettangolare; si sforzava con tutta sé stessa di non staccare gli occhi dai pesciolini colorati che nuotavano velocemente perché, altrimenti, sarebbe tornata a fissare lo schermo con il conteggio dei diversi codici.

Temeva di vedere il numero uno affianco al codice rosso trasformarsi in uno zero.

“In come etilico? Come sarebbe a dire in coma etilico?”

“Significa che non rispondeva, va bene? Quando lo hanno riportato indietro, nel retro del furgoncino, l’ho schiaffeggiato e l’ho chiamato più volte, ma lui non rispondeva. Non si svegliava. Non apriva gli occhi”

“Cosa significa che non apriva gli occhi? Che vuol dire? Cosa diavolo vuol dire? Io non… Non capisco… Non riesco a capire… Che cosa ci facciamo qui? Voglio vedere Roger, voglio vederlo adesso, in questo momento!”

“E lo vedrai, tesoro, non ti preoccupare” mormorò Lindy, accarezzandole i capelli biondi “vedrai che tra non molto uscirà un medico e ti dirà che Roger sta bene, che puoi vederlo e che può tornare subito in albergo. Sono sicura che tutto si risolverà nel giro di poche ore… Già domani sarà tutto un brutto ricordo… Vedrai…”

“E se non sarà così? E se… E se il dottore non avrà buone notizie quando uscirà da quella porta?”

“Ho bisogno di prendere una boccata d’aria” Ginger si alzò di scatto ed abbandonò la sala d’attesa; quando uscì all’aria aperta chiuse gli occhi e prese un respiro profondo, si passò entrambe le mani tra i capelli rossi e guardò in direzione di una cabina telefonica pubblica.

Osservò in silenzio la cabina e pensò a David.

David.

David era ancora nella loro camera in albergo, che dormiva, ignaro della tragedia che si stava consumando.

Nelle tasche dei jeans aveva dei gettoni; ne aveva sempre un paio che si portava appresso, per qualunque evenienza.

Tipo quella, per esempio.

Doveva avvisarlo.

La giovane entrò nel piccolo abitacolo, inserì il gettone, appoggiò la cornetta all’orecchio destro e digitò il numero dell’albergo; quando rispose il portiere, gli chiese di inoltrare la chiamata alla stanza numero 507.

Ritorna all'indice


Capitolo 35
*** Pompeii (Parte Due) ***


Uno squillo.

Due.

Tre.

Quattro.

“Pronto?”.

La voce assonnata di David.

“Dave… Sono io”

“Ginger? Ginger, ma… Dove sei?” domandò il giovane confuso; Ginger se lo immaginò accendere l’abat-jour del comodino e guardare in direzione del posto vuoto affianco a sé “si può sapere da dove stai chiamando?”

“Da una cabina telefonica, Dave, appena fuori dall’entrata del pronto soccorso”

“Pronto soccorso? Aspetta… Che cosa vuol dire che stai chiamando da una cabina telefonica fuori da un pronto soccorso? Cosa… Cosa ti è successo?”

“Io sto bene, tranquillo”

“Allora riguarda i ragazzi? È successo qualcosa a qualcuno di loro? Hanno avuto un incidente? Chi ha avuto un incidente?”

“Nessun incidente, ma… Ecco… Si tratta di Roger”

“Roger? Che cosa è successo a Rog?”

“È quello che vorremo sapere anche noi. Dopo la festa è uscito a bere e lo hanno riportato in albergo privo di sensi. Steve ha chiamato un’ambulanza perché ha avuto una crisi respiratoria, e ne ha avuta un’altra quando sono arrivati i dottori e… E ha avuto anche degli scatti d’ira terribili, Dave. Quando gli hanno fatto una flebo di calmante, ha morso il filo e Rick è stato costretto a tappargli il naso per fargli mollare la presa. Continuava ad urlare e dimenarsi e… Aveva gli occhi completamente rossi, mio dio…”

“Cazzo”

“Alla reception ci hanno detto di attendere. Quando avranno finito di fargli tutti gli esami necessari, un dottore ci dirà gli esiti… Credo che mi aspetterà una lunga notte in sala d’attesa”

“E gli altri?”

“Sono qui con me. Stanno cercando di calmare Judith. Come puoi immaginare, in questo momento è fuori di sé dalla preoccupazione”

“Vuoi che mi vesto e che vi raggiunga?”

“No, per carità. L’ultima cosa che voglio è che ti metti alla guida con la febbre alta. Resta a letto e riposati, quando mi sarà possibile ti richiamo io” rispose la giovane con un sospiro, rassegnandosi all’idea che, con ogni probabilità, quando sarebbe uscita dall’ospedale avrebbe trovato il sole al posto della luna e delle stelle.

“D’accordo, aspetterò tue notizie. Mary Jane?”

“Sì?”

“Andrà tutto bene. Fidati delle mie parole”

“Lo spero davvero” mormorò la ragazza mordendosi il labbro inferiore; chiuse la chiamata, ma anziché uscire dalla cabina telefonica, inserì un altro gettone per effettuare una seconda chiamata.



 
Jennifer sentì per prima il telefono del salotto squillare.

Accese la luce, sgusciò fuori dal letto facendo attenzione a non svegliare Keith (quella sera il bambino aveva insistito per dormire insieme a lei, ovviamente in compagnia dell’inseparabile riccio di peluche), indossò la vestaglia e scese al piano di sotto per rispondere; a causa delle ciabatte pelose che indossava, e della vista appannata dal sonno, rischiò di cadere a metà della rampa di scale.

“Pronto?” domandò reprimendo a fatica uno sbadiglio sonoro; dall’altra parte del telefono sentì il silenzio più assoluto e pensò subito ad uno scherzo “pronto? Pronto?”

“Jennifer?”

“Ginger?” Jen corrucciò le sopracciglia “Ginger, come mai stai chiamando a quest’ora? Sono… Sono quasi le due! È successo qualcosa?”.

Una chiamata come quella, nel cuore della notte, non prometteva nulla di buono.

Nessuna chiamata nel cuore della notte portava con sé buone notizie.

“Passami mommi, per favore, ho bisogno di parlare con lei”

“È successo qualcosa di grave, vero? È successo qualcosa ad uno dei ragazzi, ho indovinato? Chi ha avuto un incidente?”

“Passami mommi”.

La ragazza iniziò a sentire uno sgradevole nodo alla bocca dello stomaco.

“È successo qualcosa a Dave?” sussurrò.

“Passami mommi, per favore, non farmelo ripetere per l’ennesima volta”.

Il nodo si fece ancora più stretto.

“È successo qualcosa a Roger?” il sussurro, ora, era diventato un filo di voce; il silenzio che seguì la domanda trasformò il sangue nelle vene di Jennifer in ghiaccio, anche il suo cervello si paralizzò “è successo qualcosa di grave a Roger?”

“Jennifer!” gridò Ginger, spazientita, dall’altro capo del telefono “ti ho chiesto di passarmi mommi! Ho poco tempo per parlare!”

Mommi! Mommi, vieni subito! Mommi!” gridò a sua volta Jennifer; Pamela apparve dopo una manciata di secondi, in camicia da notte e con i capelli biondi scompigliati.

“Jen, per l’amor del cielo, si può sapere perché stai urlando a squarciagola nel cuore della notte? Finirai per svegliare Keith e l’intero vicinato!”

Mommi, c’è Ginger al telefono che vuole parlare con te. A quanto pare, è successo qualcosa di grave a Roger, ma non vuole dirmi di che cosa si tratta” disse la ragazza in tono disperato, con gli occhi già colmi di lacrime che minacciavano di traboccare in qualunque momento; Pam prese la cornetta, ordinò a Jennifer di tornare subito in camera sua e controllò personalmente che salisse al piano di sopra prima di rispondere alla figlia adottiva maggiore.

Jen, però, anziché ritornare a dormire, si mise ad origliare la conversazione telefonica da in cima le scale.



 
“Ginger, si può sapere che…”

“Jennifer non c’è?”

“No, stai tranquilla, l’ho mandata in camera sua da Keith. Puoi parlare liberamente. Allora? Che cosa è successo? Jennifer ha detto che si tratta di Roger, ha avuto un incidente durante le riprese?”

“No, nessun incidente… In realtà non lo sappiamo ancora con certezza” mormorò la giovane, fornendo alla madre adottiva un resoconto dettagliato della serata; al termine del racconto, emise un profondo sospiro e si passò la mano sinistra sul viso, stropicciandosi gli occhi: il loro calvario era appena iniziato e già si sentiva esausta “è stato orribile, mommi… Avresti dovuto vedere gli scatti che faceva… Mi sembra ancora di sentire i suoi rantoli mentre… Mentre… Mentre cercava di respirare… Mio dio, non lo dimenticherò più per il resto della mia vita”

“Mantieni la calma, Ginger, non lasciarti andare al panico finché non avete nessuna notizia certa da parte dei medici, d’accordo? Ve lo avrebbero già comunicato se la situazione fosse davvero grave e preoccupante. Sono sicura che tra poco vi diranno che non avete nulla di cui preoccuparvi. La cosa più importante, ora, è che prendi un profondo respiro e che mantieni la calma” provò a rassicurarla Pamela “cosa pensi che gli sia accaduto?”

“Mi stai chiedendo se penso che abbia bevuto soltanto o se, invece, abbia anche assunto qualcosa di molto più pesante? Non lo so, non lo so proprio, mommi. Più ci penso e più ho dubbi al riguardo, e li avresti anche tu se avessi assistito di persone alle scene che ho visto con i miei stessi occhi. E poi… Non lo so… Non mi è piaciuto affatto il comportamento di Peter e degli altri ragazzi… Ho avuto l’impressione che nascondessero qualcosa… Non credo che ci abbiano raccontato tutta la verità”

“Pensi che qualcuno di loro gli abbia messo una pasticca in un drink, per scherzo?”

“Non lo so. Te l’ho detto: non so proprio che cosa pensare”

“Cerca di rimanere calma e quando sai qualcosa fammelo sapere, d’accordo? Ma andrà tutto bene, ne sono certa. E non preoccuparti per Keith, che sta benissimo, va bene?”

“Sì, va bene” disse in un sussurro Ginger, con un sorriso mesto; riagganciò il telefono, uscì dalla cabina e rientrò al pronto soccorso.

Venne subito raggiunta da Rick, che aveva con sé delle notizie.

“Ho parlato con un dottore poco fa. L’ho fatto io perché Judy non riesce neppure a stare in piedi e continua a piangere” disse il giovane: anche lui, come la sua migliore amica, aveva il viso pallido e gli occhi arrossati dalla stanchezza e dalla tensione nervosa; alle sue spalle, poco lontano, Lindy, Nick e Juliette stavano ancora cercando di tranquillizzare Judith, china in avanti e con il volto nascosto tra le mani.

“E cosa ti ha detto? Notizie buone o cattive?”

“Hanno fatto i primi test per quanto riguarda le sostanze stupefacenti più comuni e sono risultati tutti negativi. Adesso procederanno con degli altri più approfonditi per essere sicuri di poter escludere completamente la presenza di qualunque traccia di droga nel suo organismo. Hanno fatto anche il test del tasso alcolico nel sangue e… Quello, a quanto pare, è risultato positivo e molto superiore alla norma”

“E lui come sta?”

“Come prima, continua ad avere gli scatti d’ira ed a dire frasi senza senso. In ambulanza, mentre lo trasportavano qui, sono stati costretti a sedarlo per tre volte. Ha quasi dato un pugno in faccia ad un soccorritore”

“Mio dio!” esclamò Ginger sconvolta, lasciando ricadere le braccia lungo i fianchi: ormai non sapeva più che cosa pensare “e adesso? Il dottore ti ha detto che cosa dobbiamo fare adesso?”

“Adesso possiamo solo aspettare” mormorò Rick, sforzandosi di sorridere “e sperare che qualcun altro esca il prima possibile portando con sé finalmente delle buone notizie. Purtroppo non c’è altro che possiamo fare, Ginger”.



 
“Ero così contenta di venire in Italia, non vedevo l’ora di fare questo breve viaggio per divertirmi un po’ e per assaggiare la vera pizza, e guarda com’è finita… Nella sala d’attesa di un pronto soccorso, in attesa che un dottore esca da quella maledetta porta scorrevole e mi dia delle notizie sulla salute di Rog” Judith fissava il vuoto, con la testa appoggiata sulla spalla sinistra di Lindy; il trucco, a causa delle lacrime, si era definitivamente rovinato, ma non aveva alcuna importanza “che ore sono?”.

Nick guardò l’orologio al polso sinistro, regalo di Lindy per i suoi ventisette anni.

“Meno un quarto alle cinque” disse poi, incrociando le braccia all’altezza del petto, soffocando uno sbadiglio.

“Meno un quarto alle cinque?” ripeté Judith sollevando di scatto la testa “ma sono passate quasi tre ore e mezza da quando Rick ha parlato col dottore. Perché ci stanno mettendo così tanto tempo? Perché nessuno è ancora uscito a dirci che Rog sta bene e che può tornare in albergo?”

“Sta tranquilla, Judy, sicuramente staranno aspettando i risultati degli esami. A volte ci vuole tempo”

“Come fai ad esserne così certa, Lindy? Come fai a parlare con così tanta sicurezza? E se fosse accaduto qualcosa di grave a Rog? E se… E se non sapessero come dirci che… Che… Ohh, mio dio, non ci voglio neppure pensare! Siamo sposati solo da due anni, sono troppo giovane per diventare vedova… Perché non mi fanno vedere Roger? Perché non posso entrare neppure per due minuti?”

“Vuoi smetterla di starnazzare come un’oca? Mi stai facendo venire il mal di testa!” intervenne Ginger, indirizzando a Judy uno sguardo seccato; la bionda, di rimando, la fulminò con gli occhi azzurri.

“Ma come ti permetti?” disse a denti stretti “come ti permetti di dire questo? Vorrei vedere se al posto di Roger ci fosse David!”

“Questo non accadrà mai, perché David non è così coglione da mischiare fiumi di alcol con altro”.

Judith spalancò gli occhi e trattenne il fiato, come se fosse stata colpita da uno schiaffo in pieno volto.

“Che cosa stai dicendo?” domandò, poi, inviperita, arrossendo violentemente “si può sapere che cosa cazzo stai dicendo?”

“Ohh, andiamo, lo hai capito benissimo senza bisogno che ti faccia un disegnino illustrato. Credi davvero che Roger abbia solo esagerato con l’alcol?”

“Lui non si droga, se è questo che intendi” ribatté, con fermezza, la bionda, difendendo a spada tratta il ragazzo che due anni prima aveva deciso di sposare “Roger è mio marito. Io e lui viviamo sotto lo stesso tetto. Lo conosco da quando siamo nati. Se si drogasse, lo saprei per certo”

“Roger continua a farti le corna non appena gli volti le spalle, cosa ti fa credere che non possa nascondere altro di ben più grave? Tu non hai visto quello a cui abbiamo assistito io, Rick e Nick. Non hai visto i suoi scatti d’ira, non hai visto quando ha tentato di strangolare Nick, non hai sentito l’urlo che ha lanciato quando gli hanno impiantato l’ago della flebo nel braccio, non hai visto quando ha tentato di strappare a morsi il filo della flebo e non hai neppure assistito alle due crisi respiratorie che ha avuto”

“Crisi respiratorie?” strillò Judy impallidendo vistosamente; sia Nick che Rick le avevano taciuto quella parte della storia per non agitarla ulteriormente “nessuno mi ha detto che Rog ha avuto due crisi respiratorie! Ohh, mio dio, mio dio! Due crisi respiratorie… Due… E se ne avesse avuta un’altra che gli è stata letale e non sanno come comunicarcelo? Perché non posso entrare? Perché non posso vederlo? Voglio vedere Rog, adesso!”

“Tesoro, sono sicura che Rog non ha avuto nessun’altra crisi respiratoria, vedrai che ben presto qualcuno uscirà per darci solo buone notizie. Andiamo fuori a prendere una boccata d’aria, ne hai bisogno”

“No, no, no, no. Io non voglio muovermi di qui, Lindy. Non posso. Non posso proprio farlo”

“Dai, coraggio, facciamo solo una breve passeggiata. Ne abbiamo tutti bisogno”.

Lindy riuscì a spronare l’amica ad alzarsi dalla sedia e, con l’aiuto di Juliette e Nick, la portò fuori dal pronto soccorso per fare quattro passi lungo il marciapiede e per prendere la boccata d’aria fresca di cui tutti loro avevano disperatamente bisogno.

Il cielo si era tinto delle prime sfumature arancioni dell’alba.

Richard rivolse un’occhiata carica di disappunto a Ginger, che sedeva impassibile alla sua destra.

“Complimenti. Complimenti davvero. Era proprio necessario dirle delle crisi respiratorie?”

“Pensavo fosse già stata informata”

“E secondo te, visto com’era fuori di sé dalla preoccupazione, io e Nick ci siamo preoccupati di sottolineare che per ben due volte Roger non riusciva a respirare? Cazzo, Ginger, ho capito che tu e lei non vi potete sopportare, ma sono sicuro che Judith non si sarebbe comportata in questo modo se ci fossi stata tu al suo posto. Questa volta il tuo comportamento è davvero indifendibile” Wright si alzò dalla sedia e si passò una mano tra i capelli scompigliati, per dar loro un aspetto più presentabile “io vado a cercare il bagno. Ho bisogno di staccare la spina per qualche minuto e di bagnarmi il viso con dell’acqua fresca, altrimenti rischio di esplodere a mia volta”.

Rick si allontanò in direzione di un piccolo corridoio che conduceva ai bagni, girò l’angolo e Ginger si ritrovò completamente da sola.

Si strinse nella giacca molto più grande di lei.

Non si sentiva il mostro crudele che Richard aveva appena descritto; non era colpa sua se persone come Judith e Roger tiravano fuori il suo lato peggiore, a prescindere dalla situazione.

La rossa sollevò il viso sentendo il rumore di una porta scorrevole aprirsi; vide un uomo con addosso un lungo camice bianco guardarsi attorno alla ricerca di qualcuno e, d’istinto, si alzò dalla sedia per raggiungerlo e gli chiese se avesse notizie di Roger.

L’uomo le fece cenno di seguirlo e lei, dopo un primo tentennamento, lo affiancò lungo un piccolo corridoio su cui si affacciavano le porte chiuse di diverse stanze; Ginger sentì dei lamenti provenire da dietro una delle porte, e si sforzò di non prestarci troppa attenzione.

Non le erano mai piaciuti gli ospedali.

“Allora?” chiese con uno sguardo ansioso negli occhi scuri “mi dica, dottore, quanto è grave la situazione? Come sta?”

“Tutti gli esami riguardanti tracce di sostanze stupefacenti sono risultati negativi, signorina. L’unico ad avere dato esito positivo è quello legato al tasso alcolico” l’uomo sfogliò velocemente una serie di fogli tenuti insieme da una graffetta; Ginger lanciò di sfuggita un’occhiata, ma non riuscì a capire nulla di quello che c’era scritto perché non erano in inglese “eccolo qui”.

La rossa guardò il valore che l’uomo stava indicando.

2,68.

Spostò lo sguardo sul parametro di riferimento.

0,05.

Strinse le labbra.

“Che cosa significa?” chiese, anche se conosceva già la risposta.

“Glielo dirò in poche e semplici parole: il suo ragazzo è andato terribilmente vicino al coma etilico. Un bicchiere in più e noi due saremo qui a fare un discorso completamente diverso, mi ha capito?”

“Sì, ma lui non è il mio ragazzo. Noi due siamo solo… Lasci stare, è troppo complicato da spiegare ora. Lui dov’è? Posso vederlo? Deve rimanere ancora qui?”

“Adesso sta riposando in quella stanza” disse l’uomo; indicò una porta chiusa e porse i fogli con i risultati degli esami alla giovane “siete liberi di andare non appena si sveglia. E mi raccomando: dica al suo amico quanto è stato fortunato e che ci pensi meglio la prossima volta che deciderà di alzare il gomito”

“Penso proprio che non berrà più nulla di alcolico per il resto della sua vita, non in mia presenza almeno” commentò Ginger con una smorfia; ringraziò il dottore per tutto quello che aveva fatto a nome suo e degli altri, ed aprì la porta che le era stata indicata.

La stanza era piccola, pulita ed odorava di disinfettante; sulla parete a sinistra c’era una finestra da cui entravano i primi raggi di sole che stava sorgendo al di là della linea dell’orizzonte: la notte stava lasciando definitivamente posto all’alba di un nuovo giorno.

Roger occupava l’unico lettino presente nella stanza: dormiva profondamente, sdraiato sul fianco destro; alcune ciocche di capelli gli coprivano in parte il viso ed erano smosse dal respiro che usciva dalle labbra socchiuse.

Ginger prese una sedia, la posizionò affianco al letto e guardò in silenzio il bassista; dopo qualche minuto allungò la mano destra e lo scosse per la spalla sinistra, per svegliarlo, perché era arrivato il momento di tornare in albergo.

Roger mugugnò, si rigirò sul materasso ed aprì gli occhi: erano ancora arrossati ed appannati a causa dell’eccessiva quantità di alcol ingerita e per i capillari esplosi; si strofinò le palpebre e ricambiò lo sguardo della rossa.

“Ben svegliato” disse lei “come ti senti?”

“Mi fa male la testa” borbottò il giovane, massaggiandosi le tempie con una smorfia di dolore.

La ragazza sollevò il sopracciglio destro.

“Beh, immagino sia il minimo dopo quello che hai combinato ieri notte. Hai la minima idea di dove ci troviamo in questo momento?”

“Credo in Italia”

“Siamo in ospedale”

“Cosa?”

“Siamo in ospedale”.

Roger sollevò la testa e si guardò attorno con un’espressione confusa.

“Ospedale? Per quale motivo mi trovo in ospedale?”

“Ieri notte, dopo la festa, sei uscito a bere in un locale insieme a Peter ed altri roadies. Ti hanno riportato indietro privo di sensi e siamo stati costretti a chiamare un’ambulanza perché hai avuto due crisi respiratorie”

“Ma cosa diavolo stai dicendo?”

“Abbiamo chiamato un’ambulanza perché sei quasi finito in coma etilico”.

Roger fissò a lungo Ginger con gli occhi socchiusi.

“Ma cosa diavolo stai dicendo?” ripeté, poi, sbattendo le palpebre; la giovane sospirò, sollevando gli occhi al soffitto, e strinse con più forza le carte per reprimere l’istinto di stringere le mani attorno al collo del bassista.

“Lascia stare, adesso è inutile parlare perché hai ancora la mente annebbiata dalla sbronza. Prendi la tua giacca e andiamo. In questo momento desidero soltanto arrivare in albergo il prima possibile ed infilarmi sotto le coperte” Ginger restituì la giacca in pelle a Waters; lui la indossò e, con qualche difficoltà, s’infilò gli stivaletti neri che erano posati sul pavimento, ai piedi del letto.

I due giovani uscirono dalla stanza e percorsero il breve corridoio che li separava dalla sala d’attesa del pronto soccorso nel silenzio più totale, lei con lo sguardo fisso davanti a sé e lui con gli occhi incollati al pavimento e le mani infilate nelle tasche della giacca: nessuno dei due aveva voglia di parlare, perché entrambi erano persi nei rispettivi pensieri.

Quando la porta scorrevole si aprì, ed i loro sguardi incontrarono quelli del resto del gruppo, Judith lanciò uno strillo e corse ad abbracciare il marito, rischiando di farlo cadere all’indietro; gli buttò le braccia attorno al collo, lo baciò sulle labbra e poi scoppiò in un pianto di sollievo.

“Ho avuto così tanta paura di perderti” mormorò, mentre lui le passava le braccia attorno ai fianchi “non farmi mai più prendere una spavento simile. Mai più

“Rog, come stai?”domandò Nick, con uno sguardo ansioso, appoggiandogli una mano sul braccio destro.

“Ho sonno. Voglio tornare in albergo” fu l’unico commento lapidario che uscì dalla bocca del bassista.



 
Rick e Nick aiutarono Judith a portare Roger in camera, dal momento che faceva ancora fatica a reggersi in piedi in modo autonomo; Ginger non si preoccupò minimamente di chiedere se avessero bisogno di un ulteriore aiuto: salì direttamente le scale fino al quarto piano, entrò in camera ed incrociò subito gli occhi azzurri di David, che era rimasto sveglio per tutta la notte, alternando la lettura di qualche rivista ad un po’ di zapping in TV, in attesa di ricevere buone notizie.

“Ehi” disse subito, lanciando la rivista che aveva in mano sopra al comodino “siete appena tornati? Rog come sta? È tornato anche lui, oppure è ancora in ospedale?”

“Sì, siamo appena tornati e lo stesso vale per lui. E se fossi in te non mi preoccuperei così tanto per quel coglione, perché questo è: solo un emerito, grandissimo, coglione” la giovane si avvicinò al letto e mostrò al chitarrista i fogli che si era dimenticata di dare a Judith “guarda, guarda un po’ qui! Nessuna traccia di droga, ha semplicemente bevuto così tanto da dimenticarsi come si fa a respirare e da finire quasi in coma etilico! Ti rendi conto? Ti rendi conto di quello che ha fatto? Ohh, lui a quanto pare non si rende minimamente conto della gravità di quello che ha fatto, perché sai che cosa ha detto prima di uscire dall’ospedale? Pensi che abbia chiesto scusa? Pensi che abbia ammesso di avere commesso un’enorme cazzata che poteva finire molto, molto, molto male? No. Assolutamente no. Ha semplicemente detto che voleva tornare in albergo perché aveva sonno”

“Anche tu hai sonno, te lo leggo negli occhi. Non riesci quasi a tenerli aperti. Dai, vieni qui a riposarti insieme a me. Adesso l’unica cosa che conta per davvero è che tutto si sia risolto nel migliore dei modi, domani penseremo alle spiegazioni che Roger ci deve dare, d’accordo? Siamo ancora in tempo per finire questo viaggio in modo piacevole, anche se abbiamo a nostra disposizione solo poche ore” mormorò David con un sorriso che riuscì a rischiarire l’umore di Ginger; la ragazza ricambiò, andò a cambiarsi in bagno e poi, finalmente, s’infilò sotto le coperte, trovando rifugio, a luci spente, tra le braccia della persona di cui era profondamente innamorata.

“Solo tu riesci sempre a farmi tornare il sorriso sulle labbra” mormorò nella penombra, avvicinando le proprie labbra a quelle di David; chiuse gli occhi e si lasciò andare ad un bacio appassionato, carico del sentimento che aveva appena espresso a parole.

Richard aveva proprio sbagliato a definirla un mostro.

Se fosse stata davvero un mostro, come avrebbe fatto ad innamorarsi di lei una persona buona, gentile ed altruista come David?



 
Per l’intera mattinata e per la prima parte del pomeriggio Ginger non vide mai Roger; lo incontrò direttamente sull’aereo messo a disposizione del gruppo e dello staff a loro seguito: il bassista era rimasto chiuso in camera, immerso dal buio più totale, fino a quando Judith non lo aveva svegliato perché era arrivato il taxi che li avrebbe portati in aeroporto per prendere il volo di ritorno per Londra.

C’erano dei sedili divisi in coppie, disposti gli uni davanti agli altri e separati da un tavolino; Roger si lasciò cadere proprio sul sedile di fronte a Ginger, e lei si accorse subito del volto pallido, ceruleo, e del paio di occhiali da sole del tutto superflui all’interno di un aereo.

Attese in silenzio, con pazienza, che lui parlasse per primo, ma dopo il decollo non aveva ancora pronunciato una sola parola: se ne stava in assoluto silenzio, con il viso piegato leggermente verso destra e con la mano sinistra appoggiata alla corrispettiva tempia; affianco a lui, Judith leggeva tranquillamente una rivista di moda.

Tutta la preoccupazione e la paura erano scivolate via dal suo bel viso, nuovamente truccato alla perfezione e senza la minima traccia di sbavatura: quell’immagine strideva terribilmente con la giovane sconvolta ed in lacrime che Ginger aveva ancora ben impressa nella sua mente; se mai David le avesse fatto prendere uno spavento simile, come minimo gli avrebbe urlato addosso i peggiori insulti esistenti al mondo e gli avrebbe strappato con le sue stesse mani alcune ciocche di capelli.

Di sicuro non si sarebbe comportata come se non fosse accaduto nulla.

La ragazza guardò Gilmour, seduto a suo fianco, lanciò un’occhiata a Wright e Mason (che occupavano gli altri quattro sedili, simili ai loro, dall’altra parte dello stretto corridoio, insieme a Juliette e Lindy) e poi si schiarì la gola per attirare l’attenzione del bassista; non ottenendo alcuna risposta da parte sua, si ritrovò costretta a chiamarlo per nome.

“Roger? Roger, potresti toglierti un momento gli occhiali e guardarmi negli occhi?”.

Lentamente, Waters si tolse gli occhiali da sole e se li sistemò sopra la testa: aveva gli occhi azzurri ancora arrossati e appannati, ed erano apparse delle profonde occhiaie scure che gli conferivano un aspetto ancora più cupo e truce di quello che aveva solitamente; le labbra della rossa si distorsero in una smorfia contrariata prima di proseguire a parlare.

“Roger, credo che tu debba a tutti quanti delle spiegazioni in merito a quello che è successo ieri notte, non credi?”

“Che tipo di spiegazioni dovrei darvi?” domandò lui con un tono di voce ed uno sguardo scontrosi.

Ginger sperò di avere capito male.

Non poteva aver fatto davvero quella domanda.

Si sforzò di mantenere ancora la calma.

Probabilmente aveva fatto quella domanda assurda perché aveva ancora la mente annebbiata dall’alcol, il che era piuttosto fattibile, dato il tasso alcolico che era riuscito a raggiungere nel giro di poche ore.

“Judith non ti ha raccontato quello che è successo?”

“Sì, lo ha fatto mentre eravamo in taxi… Benché le avessi espressamente chiesto di fare silenzio perché mi fa male la testa”

“E non pensi di doverci delle spiegazioni dopo l’orribile notte che abbiamo trascorso nella sala d’attesa dell’ospedale? Per esempio, potresti iniziare col dirci perché lo hai fatto”

“Fatto cosa?”

“Perché hai bevuto fino a finire quasi in coma etilico? Che cosa volevi dimostrare? A cosa stavi pensando? Non ti sei accorto di star esagerando? Non hai pensato neppure per un istante che, forse, era arrivato il momento di fermarti?” le domande di Ginger si trasformarono in un fiume in piena; David provò a placare la sua furia accarezzandole il braccio sinistro, ma lei lo ignorò “perché lo hai fatto? Perché? Si può sapere il perché? Perché dopo la festa sei uscito a bere?”

“E perché tu devi continuare a parlare? Mio dio” gemette il bassista, portandosi entrambe le mani alle tempie “mi sembra di avere un esercito di martelli che marcia dentro la mia testa”

“E ti sta bene!” esclamò la ragazza, infierendo senza alcuna pietà “è proprio ciò che meriti per la cazzata che hai fatto! Anzi, sai che cosa ti dico? Non è ancora abbastanza! Meriti di stare ancora peggio”

“Smettila di gridare in questo modo” intervenne Judith, sollevando gli occhi dalla rivista “non lo vedi che sta male? Credo che abbia imparato appieno la lezione”

“Non ci posso credere! Lo stai difendendo ancora! Stai ancora prendendo le sue difese dopo quello che… Ohh, io sono completamente senza parole. Non me ne frega niente se sta male, perché è quello che si merita, lui adesso deve spiegarci perché lo ha fatto! Ma ti rendi almeno conto della gravità e dell’incoscienza del gesto che hai compiuto? Ti hanno riportato in albergo privo di sensi, non rispondevi, non aprivi gli occhi, hai avuto due crisi respiratorie… Ti rendi conto che hai bevuto così tanto da dimenticarti come si fa a respirare? Ti rendi conto dell’idiota che sei stato? Ne hai almeno una vaga idea?”

“Ginger, tesoro…” Gilmour provò inutilmente a calmarla “non serve che urli così forte”

“Io urlo quanto mi pare e piace, perché lui non ha ancora capito di essere stato un grandissimo idiota e questo mi fa incazzare terribilmente! Hai avuto degli scatti d’ira allucinanti! Hai quasi aggredito Nick, ed hai tentato di strappare il filo di una flebo a morsi! Rick ha dovuto tapparti il naso per farti mollare la presa, te ne rendi conto? E sai che cosa mi ha detto il dottore in ospedale? Ha detto che sarebbe bastato un solo bicchiere in più per finire all’altro mondo! Un solo bicchiere di whisky!”

“Non dire quella parola” mormorò Waters a denti stretti, serrando le palpebre con forza: gli bastava udire il nome di una bevanda alcolica per sentire un’ondata di nausea risalire dalla bocca dello stomaco; lottò con tutte le proprie forze per ricacciarla indietro e ci riuscì a fatica.

“Cosa? A cosa ti riferisci? Alla parola whisky? Ahh, adesso ti fa schifo sentirla? Però non ti faceva schifo ieri sera quando hai ingurgitato chissà quante bottiglie di whisky”

“Ginger, basta!” esclamò Rick, accorgendosi del colorito grigiastro apparso sul viso del bassista “sta male, non vedi? Non serve a nulla infierire in questo modo con lui in queste condizioni”

“Cos’altro ti sei scolato dopo il whisky? Birra? Vino? Vodka? Rum? Gin? Magari anche qualche amaro? O hai continuato per tutta la serata a bere solo ed esclusivamente whisky? Ti ricordi almeno tutti i litri di alcol che hai ingerito?”

“Non mi sento bene… Sto per vomitare” Roger si alzò di scatto dal sedile, con la mano destra appoggiata sulla bocca,  provò a raggiungere la toilette dell’aereo, ma fallì miseramente: a metà strada le gambe gli cedettero, cadde in ginocchio e vomitò l’intero contenuto dello stomaco sulla moquette.

“Ohh, cristo, adesso mi sento male anch’io” gemette Mason, voltandosi da tutt’altra parte e tappandosi le orecchie per non essere contagiato dalla nausea.

David, Judith e Rick si alzarono dai rispettivi sedili per prestare soccorso a Roger, grazie anche all’aiuto di una hostess che accorse con degli asciugamani, delle salviette ed una bottiglia di disinfettante, a differenza di Ginger, che non si mosse di un solo millimetro e sorrise soddisfatta tra sé e sé.

Ben gli stava di vomitare senza ritegno sulla moquette di un aereo.

Se l’era meritata.

Ritorna all'indice


Capitolo 36
*** Oysters ***


1971, dicembre.


 
Adrian Maben aveva contattato Steve O’Rourke una seconda volta perché il materiale girato in Campania non era sufficiente per la realizzazione del film documentario che aveva in mente e così, nonostante il Natale fosse ormai alle porte, il gruppo era stato costretto a saltare sul primo volo per Parigi per andare a registrare, in una settimana, altro materiale da aggiungere a quello di Pompei.

E, proprio come in Italia, le loro giornate si svolgevano nello stesso identico modo: Studio, albergo. Albergo, Studio.

Nessuna delle ragazze era partita, troppo impegnate a dividersi tra i preparativi per le feste ed i corrispettivi bambini, ad eccezione di Ginger.



 
Ginger impugnò la videocamera nuova di zecca, l’accese e puntò l’obiettivo verso i quattro ragazzi che stavano facendo una pausa dalle riprese: alla vigilia della partenza, David le aveva posato un pacco colorato in grembo, dicendole di aprirlo, ed al suo interno aveva trovato proprio la costosa videocamera.

Un regalo di Natale in anticipo, aveva risposto lui quando Ginger aveva chiesto spiegazioni esterrefatta.

Sapeva molto bene quanto costava un aggeggio elettronico come quello.

“Ragazzi, vi sto filmando, dite qualcosa” disse la giovane, allontanandosi di un passo per inquadrarli meglio “avanti, non siate timidi, così provo la videocamera”.

Roger alzò lo sguardo dal tavolo, puntò gli occhi azzurri verso l’obiettivo ed accontentò la richiesta di Ginger.

Ciao, mamma! Ciao, papà!” bofonchiò a causa del boccone che non aveva ancora ingurgitato.

“Che schifo, Waters, sei riuscito a rovinare il mio primo filmato. Tua madre non ti ha insegnato che non si parla con la bocca piena?” domandò la rossa con una smorfia indignata; spostò l’inquadratura dal viso del bassista ai due vassoi che occupavano l’intero tavolo “che cosa vi hanno portato? Cosa sono quelle?”

“Ostriche” rispose David, seduto tra Roger e Rick.

“Ostriche?” ripeté Ginger, stringendo l’inquadratura sui frutti di mare; la smorfia indignata si trasformò in una di disgusto “non hanno un aspetto molto invitante. Anzi…”

“Beh, non avranno un aspetto molto invitante, come dici tu, ma sono buonissime”

“E come si mangiano?”

“Così, guarda” Roger prese un’ostrica, aprì il guscio con la lama affilata di un apposito coltellino, spruzzò del succo di limone sul mollusco e lo cacciò in bocca come se stesse bevendo uno shottino di whisky; alla sua sinistra, David lo imitò, accumulando ben presto davanti a sé una pila di gusci vuoti.

Ginger assistette alla mattanza delle povere ostriche con un’espressione sconcertata; il suo sconvolgimento aumentò quando si rese conto che i molluschi all’interno del guscio si muovevano dopo essere stati spruzzati col succo di limone.

“Ohh, mio dio! Ma sono vive! State mangiando delle creature vive!”

“Certo che sono vive. Le ostriche si mangiano vive, non te lo ha mai detto nessuno? Ma in che razza di mondo vivi?” chiese il bassista, con un sorriso sarcastico sulle labbra; ingurgitò l’ennesima ostrica e, per burlarsi del disgusto della giovane, si leccò le dita della mano destra “anche al tuo adorato maritino piacciono molto. Non è vero, Dave? Non sono buonissime queste ostriche?”

“Sono davvero ottime, Ginger, dovresti provarle”

“Rick, ti unisci a noi?”

“No, grazie” rispose Wright, addentando il sandwiches che si era preparato poco prima “ci tengo troppo alla mia salute fisica per ingozzarmi di ostriche”

“Ma che diavolo stai dicendo?” domandò Waters, mentre Ginger continuava a riprendere la discussione “di cosa stai parlando? Cosa c’entra la tua salute fisica con le ostriche?”

“Non lo sai che è sufficiente un solo frutto di mare guasto per beccarti una bella epatite che non ti scorderai per il resto della tua vita? E se ti becchi l’epatite, poi il tuo fegato è fregato”

“Come sei esagerato! Stai creando dell’allarmismo inutile! Figurati se a me accadrà una cosa simile”

“Riguardo a questo Roger ha perfettamente ragione, Rick” intervenne la rossa da dietro la videocamera “se il suo fegato è sopravvissuto indenne alla sbronza colossale che ha preso in Italia, allora può resistere anche ad un esercito di ostriche crude al limone”.

Il bassista spostò lo sguardo su Ginger e, senza farsi vedere da David, le mostrò il dito medio della mano destra: aveva impiegato quattro giorni per riprendersi del tutto da quella notte brava, ed a due mesi di distanza non era ancora riuscito a bere un solo sorso di whisky.

“Spiritosa” commentò poi “perché non metti giù quella maledetta videocamera e non ti unisci a noi? Ti sfido a mangiare un’ostrica”

“Ma sei matto? Non ci penso nemmeno: io non mangio nulla che sia ancora vivo”

“Proprio come immaginavo. Non hai il coraggio di fare una scommessa con me”

“Se è per questo, non mi piacciono neppure le scommesse”

“Noi abbiamo trascorso viaggi interi a fare scommesse per combattere la noia” disse Nick “Dave ti ha mai raccontato di quella volta, in America, in cui è entrato nella hall dell’albergo in cui alloggiavamo in sella ad una moto?”

“Sei entrato in un albergo in moto?” chiese la giovane sempre più sconcertata, perché faticava ad immaginare David compiere un atto così infantile ed irresponsabile: dietro non poteva che esserci l’ombra di Roger .

“Lascia stare Dave e la moto, ormai è una storia vecchia” intervenne di nuovo Waters, riportando l’attenzione sulla scommessa che aveva rivolto a Ginger “non credo alle tue parole. Sai qual è la verità? Secondo me non è vero che odi le scommesse, semplicemente non hai il coraggio di farlo: tu non hai il coraggio di mangiare un’ostrica. Ammettilo”

“Non è vero che mi manca il coraggio!”

“Allora posa quella videocamera e vieni qui a dimostrarmi il contrario. Fammi vedere che mi sto sbagliando e che il fegato non ti manca, anche se sei una ragazza”.

La provocazione di Waters ottenne l’effetto desiderato perché la giovane, irritata e stizzita, spense l’apparecchio tecnologico, lo posò sopra un mobiletto ed andò a sedersi di fronte al bassista; abbassò gli occhi scuri sui due vassoi di ostriche e sentì lo stomaco fare una capriola, ma ormai era tardi per tornare indietro.

Ritirarsi equivaleva a darla vinta a Roger.

E Ginger non voleva assolutamente che ciò accadesse.

“Non sei costretta a farlo, se non te la senti” disse Gilmour.

“Dai retta a Dave e non ascoltare le parole di Rog. Lo fa apposta per provocarti. Pensa a quello che ho detto prima: non vale la pena rovinarsi il fegato a vita per un mollusco, tantomeno per una stupida scommessa” rincarò la dose Wright, continuando a mangiare il suo panino; Waters zittì entrambi alzando la mano sinistra.

“Basta, così non fate altro che confonderla: è abbastanza grande per decidere quello che vuole o non vuole fare senza qualcuno che la esorti… O mi sbaglio? Mi sto sbagliando, forse? Sei ormai una donna adulta o sei ancora una bambina che ha bisogno di essere presa per mano e guidata, Ginger?”

“Io non sono una bambina” rispose a denti stretti la rossa “e adesso dammi una di quelle maledette ostriche, così possiamo chiudere questa stupida faccenda in questo stesso momento”

“Come desideri” rispose il bassista con un mezzo ghigno; aprì un’ostrica, ci spruzzò sopra del succo di limone e la porse alla ragazza.

Lei la prese in mano, la guardò e vide la polpa carnosa muoversi e pulsare di vita propria.

Deglutì a fatica l’eccessiva quantità di saliva che le si era formata in bocca, il tutto sotto lo sguardo divertito di Roger, quelli preoccupati di Rick e David e quello incuriosito di Nick; il batterista, senza che nessuno lo vedesse, aveva impugnato la videocamera ed aveva ripreso a filmare.

“Ginger, non farlo. Avanti, non succede niente se ti tiri indietro” disse di nuovo David, notando il tentennamento della sua dolce metà.

“Sì, non succede nulla, tranquilla” gli fece eco Roger, continuando a ghignare “non c’è nulla di male nell’essere nati senza fegato, sai? Ci sono persone coraggiose e persone che non lo sono affatto: evidentemente tu appartieni alla seconda categoria”

“Basta adesso! Tutto questo sta diventando ridicolo! Non puoi costringerla a fare qualcosa contro la sua volontà!”

“Io non la sto costringendo, Rick! La sto forse minacciando? Vedi una pistola o un coltello tra le mie mani? No, non sto impugnando nulla di simile”

“Ma la stai sfottendo, e quindi lei si sente costretta ad accettare la tua stupida sfida! Proprio non riesci a capirlo?”

“Sfottendo? Io non la sto assolutamente sfottendo! Ho espresso un semplice dato di fatto: o ha il coraggio di farlo o non ce l’ha, e lei sta dimostrando che la mia intuizione iniziale era vera. Non ha il coraggio di mangiare quell’ostrica”.

All’ennesima provocazione di Waters, Ginger scacciò la ritrosia ed il disgusto e, senza pensarci e trattenendo il fiato, cacciò in bocca il mollusco e gettò il guscio vuoto sopra un vassoio; serrò le palpebre con forza e provò a masticare sforzandosi di non pensare all’essere vivente che aveva in bocca.

Provò ad auto convincersi che stava masticando una fetta del buonissimo polpettone di carne che Pamela preparava sempre per la domenica a pranzo, ma la consistenza molliccia e viscida dell’ostrica non le era affatto d’aiuto; dopo qualche minuto di dura lotta, la ragazza si arrese, si piegò in avanti e sputò a terra il mitilo.

David le allungò prontamente una bottiglietta di birra per sciacquarsi la bocca, e lei mandò giù avidamente un paio di sorsi della bevanda alcolica per cancellare il gusto orribile dell’ostrica.

Roger gettò la testa all’indietro e rise divertito, con la mano destra appoggiata allo stomaco.

“Ma come fate a mangiare quella… Quella… Che schifo, mio dio. È stato orribile! Non si riesce neppure a masticare”

“Infatti non dovevi masticarla. Le ostriche non si masticano, si mandano giù intere”

“E si può sapere perché non me lo hai detto subito?” domandò Ginger, rivolgendo uno sguardo carico di astio a Roger.

“Che scommessa sarebbe stata se ti avessi aiutato?” disse in tutta risposta lui, accendendosi una sigaretta.



 
Ginger iniziò ad avvertire i primi sintomi di un malessere fisico nel pomeriggio, mentre assisteva, in disparte e con la macchinetta fotografica in mano, alla sessione di registrazione di ‘Set the controls for the heart of the sun’: adorava quella canzone, era una delle sue preferite, ma non lo avrebbe mai ammesso, neppure sotto tortura, perché il testo lo aveva scritto Roger, ed era lui che la cantava, alternando il microfono al basso ed all’imponente gong cinese posizionato alle spalle di Nick.

Non aveva ancora capito il significato vero e proprio di quella canzone, sapeva solo che Waters aveva estrapolato dei versi presi da una vecchissima poesia cinese, ma le piaceva l’atmosfera rilassante che creava, e le piaceva perfino il modo in cui il bassista la cantava: niente lamenti sadici e niente urla indescrivibili, almeno per una volta; le diverse strofe gli uscivano poco più forti di un sussurro dalle labbra premute contro il microfono.

Ginger aveva notato ormai da tempo che Roger aveva il brutto vizio di cantare con il microfono praticamente incollato alla bocca; glielo aveva fatto notare diverse volte, ma lui non le aveva mai dato retta, e così dopo un po’ aveva lasciato perdere.

Riuscì a ricacciare indietro la prima ondata di nausea deglutendo un grumo di saliva e riuscì a fare altrettanto con la seconda, ma quando arrivò la terza, più violenta ed aggressiva delle precedenti, si ritrovò costretta ad appoggiare la macchinetta fotografica sopra un tavolino e ad abbandonare lo Studio il più velocemente possibile; entrò nel bagno messo a loro disposizione correndo, si chiuse in una cabina, cadde sulle proprie ginocchia e vomitò la colazione ed il pranzo dentro la tazza del water.

Uscì dalla cabina qualche minuto più tardi, dopo aver ripreso fiato, si avvicinò ad un lavandino ed aprì il getto d’acqua per rinfrescarsi il viso, il collo e per bere un sorso; guardò il proprio riflesso allo specchio: aveva un aspetto orribile.

Qualcuno bussò, la porta si aprì ed apparve la testa castana di Richard.

“Ehi, tutto apposto? Ti abbiamo vista uscire di corsa dalla sala… Dave è di là preoccupato per te”

“Ho vomitato” rispose in tono lapidario la rossa; Wright chiuse la porta alle sue spalle e si avvicinò per passare un braccio attorno alle spalle della sua migliore amica.
“Non spaventarti per quello che ho detto prima. Per prendere l’epatite o una intossicazione alimentare devi mangiare un frutto di mare guasto, e quelli non lo erano altrimenti a quest’ora sia Roger che David sarebbero piegati a terra dal dolore… E poi, tu lo hai sputato… Stai tranquilla”

“Lo so che l’ostrica non c’entra nulla. Non è la prima volta che mi succede. È da quando siamo arrivati in Francia che mi sveglio ogni mattina con la nausea, quello di poco fa è stato solo un attacco più forte dei precedenti” Ginger abbassò lo sguardo sul lavandino, ed alcune ciocche di capelli rossi le ricaddero sul viso pallido “… Ed ho un ritardo di quasi due settimane”

“Un ritardo?”

“Ho le mestruazioni in ritardo di quasi due settimane”

“Ohh!” esclamò Rick, arrossendo lievemente dall’imbarazzo: anche se lui e Ginger erano migliori amici da sempre, c’erano argomenti che per un maschio restavano comunque imbarazzanti da affrontare; si schiarì la gola e distese le labbra in un sorriso “allora, forse, Babbo Natale ha in serbo un regalo a sorpresa anche per te e David, ho capito bene?”.

Ritorna all'indice


Capitolo 37
*** Guilty Feelings ***


“Ginger, sei pronta?”

“Solo un momento e arrivo!”

“Lo hai detto anche cinque minuti fa! Sei chiusa in quel bagno da un’eternità!”

“Un momento solo! Esco subito, te lo prometto!”

“Rischiamo di arrivare in ritardo alla festa da Nick!”

“Un minuto e arrivo, Dave! Assicurati che Keith, nel frattempo, non abbia un attacco d’arte e decida di spremere i tubetti dei colori a tempera sui suoi vestiti, ricordi com’è andata a fine l’ultima volta?” gridò di rimando la ragazza, seduta sul bordo della vasca, spostando lo sguardo dalla porta chiusa a chiave al bastoncino posato sopra uno sgabello di legno; affianco al bastoncino bianco c’era un timer che continuava a ticchettare, scandendo con precisione assoluta il trascorrere dei secondi.

Mancava un minuto e mezzo.

Solo un minuto e mezzo e poi, finalmente, avrebbe saputo se la sua vita sarebbe stata sconvolta una seconda volta o se, invece, sarebbe stata la stessa degli ultimi mesi.

Strinse con forza il bordo della vasca e si morse il labbro inferiore, senza riuscire a staccare gli occhi dal bastoncino bianco.

Incredibile come un oggetto così piccolo ed apparentemente insignificante potesse tenere in pugno l’intera vita di una persona.

Quando la freccetta del timer scattò sullo zero con un trillo acuto, la giovane afferrò prontamente il bastoncino, ma non abbassò subito lo sguardo; chiuse gli occhi, prese un profondo respiro per calmarsi e solo allora trovò il coraggio di guardare il risultato del test, che consisteva in due linee verticali.

Fissò le due linee per quasi un minuto intero prima di uscire dal bagno e raggiungere David e Keith che la stavano aspettando in salotto; non appena vide arrivare la sua giovane e bella moglie, il chitarrista socchiuse le labbra per dirle che erano già terribilmente in ritardo, ma si bloccò nello stesso momento in cui vide il lungo abito rosso che indossava.

“Cavolo” mormorò inarcando le sopracciglia “noi due scompariamo del tutto a tuo fianco”

“Sei sempre il solito esagerato. Anche voi due siete molto eleganti” disse Ginger con un sorriso, guardando i suoi due uomini: David indossava un paio di jeans scuri, una camicia bianca ed un cardigan blu, che si combinava alla perfezione con il colore delle sue iridi; Keith, invece, indossava un maglioncino rosso con disegnate delle renne sullo sfondo di un paesaggio invernale ed un paio di pantaloncini neri, abbinati a degli stivaletti dello stesso colore regalategli dai genitori di David “possiamo aspettare un momento prima di partire? C’è una cosa di cui vorrei parlarvi… Ecco… Diciamo che si tratta di una specie di… Regalo dell’ultimo minuto di Natale”

“A proposito di regali di Natale… Dobbiamo ancora caricare tutti i pacchetti in macchina e ci aspettano quaranta minuti di strada prima di arrivare da Nick e Lindy, di questo passo saremo gli ultimi e…”

“Dave” la rossa gli mostrò il bastoncino che fino a quel momento aveva tenuto nascosto con cura dietro la schiena; lui guardò l’oggetto senza capire per un intero minuto, nel silenzio più totale.

Quando realizzò ciò che era e ciò che significavano le due linee nere verticali, spalancò incredulo sia gli occhi che la bocca, ed impiegò un altro minuto intero prima di riuscire a parlare.

Keith continuava ad alternare lo sguardo da Ginger e David, perché non riusciva a capire cosa stava accadendo: lui voleva solo raggiungere la casa di Nick e Lindy il prima possibile perché sapeva che ci sarebbe stata anche Gala e voleva giocare con lei.

E voleva anche mangiare il budino alla vaniglia e la salsa ai mirtilli.

“Stai dicendo che… Stai dicendo… Sei… Sei proprio sicura?”

“Sì, assolutamente, ho controllato più volte nel libretto delle istruzioni: una linea negativo, due linee positivo e… Queste sono due linee. Guarda, sono proprio due linee. È positivo! Capisci, Dave? È positivo!”

“Quindi… Questo significa… Significa che…”

“Sì” confermò Ginger annuendo con vigore, con gli occhi lucidi dalle commozione “significa proprio quello”.

Gilmour afferrò la moglie per i fianchi, la sollevò in aria e le fece fare un paio di giravolte, ridendo e piangendo allo stesso tempo dalla gioia; l’espressione di Keith era sempre più corrucciata perché continuava a non capire quello che stava succedendo.

“Che cos’è quel bastoncino?” domandò osservando il piccolo oggetto bianco che Ginger stringeva ancora nella mano destra; a quattro anni, il bambino non solo parlava già perfettamente, ma all’asilo aveva dimostrato più volte di avere un quoziente intellettivo superiore a quello dei suoi coetanei, insieme ad una spiccata vena artistica.

Tutto suo padre, pensava sempre più spesso la giovane; ed ogni volta si aggiungeva sempre un pizzico di preoccupazione in più.

Non lo aveva confidato a nessuno, neppure a Pamela, a Richard od a David, ma era terrorizzata dalla prospettiva che la somiglianza tra Keith e Syd non si fermasse solo al livello fisico.

“Tesoro, sai cosa significa questo?” disse Ginger, mostrando al bambino il test; lui scosse la testa, facendo dondolare i ricci neri “significa che tra un paio di mesi arriverà una sorellina od un fratellino, non sei contento? Ci sarà un altro bambino, proprio come te, che girerà per casa”

“Come Gala con Jamie?”

“Sì, esatto, come Gala con Jamie”

“Allora tra poco avrai una pancia enorme” osservò Keith sgranando gli occhi verdi “la mamma di Gala aveva una pancia enorme, e quando è arrivato Jamie è sparita. Giusto? I bambini arrivano in questo modo, vero?”

“Io… Ecco…” balbettò la rossa imbarazzata, cercò con lo sguardo l’aiuto di David e lui rispose con un sorriso divertito ed un’alzata di spalle: ormai i bambini non credevano più alla storia della cicogna, od a quella dell’ape e del fiore “questo è un discorso ancora troppo complicato per un bambino piccolo come te, Keith… Sei contento, allora? Ti piace l’idea di avere un fratellino od una sorellina?”

“Sì, ma voglio mangiare il budino ora” si lamentò il bambino, lanciando uno sguardo in direzione della porta, perché le sue uniche preoccupazioni in quel momento riguardavano la festa per la Vigilia di Natale, il budino alla vaniglia e la salsa ai mirtilli.

David e Ginger caricarono i numerosi pacchetti incartati in macchina, legarono Keith al seggiolone e, finalmente, partirono con mezz’ora abbondante di ritardo; lungo il tragitto, Ginger riprese l’argomento ‘nuovo arrivato’ con il suo primogenito, per scoprire il suo pensiero a riguardo.

Temeva che potesse sentirsi messo da parte o che avesse qualche crisi dettata dalla gelosia.

“Allora, tesoro, non hai ancora risposto alla domanda che ti ho fatto prima: ti piace l’idea di avere un fratellino od una sorellina?”

“Sì” rispose il piccolo da dietro l’ingombrante riccio di peluche che David gli aveva regalato l’anno precedente: lo portava sempre con sé, in qualunque posto ed in qualunque occasione; ogni mattina Ginger doveva combattere una vera e propria guerra per farlo desistere dal portare il peluche anche in asilo.

“E ti piacerebbe avere un fratellino od una sorellina?”.

Keith corrucciò le sopracciglia ed assunse un’aria pensierosa; la giovane lo guardò attraverso lo specchietto retrovisore ed avvertì una stretta al cuore: quando aveva quell’espressione, la somiglianza con il padre diventava quasi dolorosa.

“Penso una sorellina”

“Come mai proprio una sorellina?”

“Gala è una bambina e gioca con le bambole. Un bambino giocherebbe con i colori. Non voglio che un altro bambino giochi con i miei colori”

“No? Non ti piacerebbe condividere i tuoi colori con un fratellino?”.

Keith scosse con forza la folta massa di ricci neri e strinse con più forza il riccio di peluche a sé.

“No” ripeté con decisione “e neppure lui”.



 
Lindy andò ad accogliere i suoi ospiti con un sorriso smagliante sulle labbra pitturate di rosso e li fece accomodare al caldo in casa; disse loro lasciare i cappotti e le giacche sull’appendiabiti posizionato affianco all’ingresso e di sistemare i regali sotto l’albero decorato che troneggiava affianco al divano, in salotto: li avrebbero aperti tutti insieme più tardi, quando sarebbe scattata la mezzanotte.

Nick era seduto sul divano in compagnia di Rick e Juliette: i tre giovani stavano conversando e ridendo tranquillamente mentre Gala, Jamie e Chloe giocavano ai loro piedi, sulla morbida moquette; Chloe aveva compiuto da poco nove mesi, ed aveva imparato in fretta a gattonare di qua e di là per casa.

Nick e Lindy non la perdevano mai di vista per timore che la sua curiosità infantile la spingesse verso qualche oggetto pericoloso: i bambini così piccoli sembravano avere una vera e propria calamita per farsi del male.

“Ohh, finalmente siete arrivati!” esclamò Mason, allargando le braccia ed alzandosi dal divano per salutare i suoi ospiti; Chloe gli gattonò dietro, ma Gala l’afferrò per i fianchi e la riportò vicino al divano, al sicuro.

Richard sorrise alla figlia e le passò una mano tra i capelli castani ondulati.

“Abbiamo trovato un po’ di traffico per strada” mentì Ginger lanciando un’occhiata a David: lungo il tragitto avevano deciso di dare la notizia al resto del gruppo nel momento in cui avrebbero aperto i numerosi regali, dopo lo scoccare della mezzanotte.

“Allora le strade devono essere un bel po’ trafficate questa sera, perché anche Roger e Judith non sono ancora arrivati e non ho la più pallida idea di come contattarli: ho provato a chiamarli a casa, ma non rispondono, quindi significa che sono per strada, ma non capisco perché ci stanno mettendo così tanto visto che abitano qui vicino!” commentò Nick, passandosi una mano tra i capelli neri: le due coppie abitavano a pochi quartieri di distanza l’una dall’altra, e molto spesso, nel corso della settimana e del weekend, s’incontravano per cenare insieme o per trascorrere qualche ora in compagnia, a chiacchierare, fumare e bere the caldo.

“Sono sicuro che saranno qui a momenti, non c’è bisogno di andare nel panico: è la Vigilia di Natale, Nicholas, tutta Londra si starà spostando in macchina per andare a casa di amici e parenti”

“Sì, ma è strano conoscendo Roger e la sua puntualità”

“Mamma, io ho fame” commentò Keith attirando l’attenzione su di sé; Lindy lo aveva già visto in foto a Saint Tropez, ma Nick lo aveva solo che intravisto il giorno del matrimonio di Ginger e David perché il bimbo aveva trascorso l’intera giornata a correre per il giardino insieme a Gala.

Lo guardò con attenzione ed inarcò le sopracciglia davanti all’evidente somiglianza con Syd; Keith rispose a tutta quell’attenzione improvvisa affondando il viso tra la spalla destra e l’incavo del collo di David, che lo teneva in braccio, perché detestava essere fissato a lungo e troppo intensamente.

“È tuo figlio?” domandò il batterista, continuando a fissare il piccolo stretto al genitore adottivo.

“Sì, lui è Keith”

“Cavolo, è proprio identico a…” Nick venne interrotto appena in tempo da Lindy, che gli assestò una gomitata all’altezza delle costole, al resto ci pensò il campanello della porta d’ingresso che squillò tre volte; Mason si schiarì la gola “questi devono essere Roger e Judith, vado io ad aprire!”

“Scusa, lui non…” sussurrò Lindy, ma Ginger la bloccò scuotendo la testa.

“Tranquilla, nessun problema” mormorò a sua volta con un sorriso; udì una voce maschile ed una femminile fin troppo famigliari giungere alle sue orecchie, sentì dei passi provenire dall’ingresso ed un attimo dopo vide Roger e Judith arrivare insieme a Nick e conversare allegramente con lui.

Roger indossava un paio di pantaloni neri ed un cappotto scuro, mentre Judith indossava una lunga e folta pelliccia che nascondeva completamente il vestito che indossava; aveva cambiato radicalmente taglio di capelli: la lunga chioma bionda si era trasformata in un cortissimo caschetto sbarazzino con frangetta.

Ginger trovò quel cambiamento bizzarro e curioso allo stesso tempo, ma tenne per sé le proprie osservazioni personali: era la Vigilia di Natale e David, a casa, l’aveva pregata di mettere da parte le ostilità con il bassista e la moglie per non rovinare l’atmosfera delle feste, e lei aveva acconsentito… Purché non venisse apertamente provocata.

Spostò lo sguardo da Judy a Roger, ed incrociò i suoi occhi azzurri; li vide spalancarsi leggermente e per un attimo si chiese se fosse una reazione dovuta al vestito da sera che indossava, ma poi si rese conto che stava fissando qualcosa alle sue spalle.

Si voltò e capì che l’attenzione di Waters era completamente rivolta a David ed a Keith, che nel frattempo aveva sollevato di nuovo il visetto e fissava gli ultimi arrivati con uno sguardo incuriosito nelle iridi verdi.



 
La piccola Chloe dimostrava già di avere tratti fisici simili a quelli del padre, ma i riccioli che aveva in cima alla testa erano dello stesso colore dei capelli della madre.

Judith accarezzò i riccioli della bimba, seduta sulle sue ginocchia, e sollevò il viso verso Roger, seduto affianco a lei sul divano: a cena conclusa, il gruppo di amici, coi corrispettivi figli, si era spostato di nuovo in salotto a chiacchierare nell’attesa che arrivasse la mezzanotte.

“Guarda, Rog, non è bellissima?” domandò Judy con un sorriso; poco lontano da loro, Richard stava suonando una canzone natalizia al pianoforte che apparteneva a Lindy, accompagnato dalla voce sottile ed intonata di Juliette: anni prima, quando ancora erano all’inizio della loro carriera musicale, a volte aveva fatto da corista al gruppo “non trovi che sia un amore?”.

Il bassista abbassò gli occhi azzurri sulla primogenita di Mason.

“Sì, è molto bella”

“Sì, lo è davvero” mormorò la bionda con un lieve sospiro, accarezzandole una guancia paffuta; si tormentò il labbro inferiore in silenzio e poi tornò a fissare con intensità il marito “non vorresti avere anche tu un bambino così che gattona per casa? O una bambina?”

“Di che stai parlando?”

“Sai benissimo di che cosa sto parlando, non fingere di non capire” ribatté Judith con uno sguardo avvilito “siamo gli unici a non avere ancora un figlio”

“Tecnicamente anche David non è ancora padre, perché Keith non è suo figlio”

“Ma è come se lo fosse, dal momento che ha sposato Ginger, e questo ci riporta al punto di partenza: siamo gli unici a non avere ancora un figlio”

“Guarda che non stiamo parlando di un bambolotto che domani puoi andare a comprare ai grandi magazzini Harrods

“Credi che il mio sia un capriccio, Roger? Beh, non si tratta assolutamente di un capriccio. In realtà… Ci sto riflettendo da diversi mesi, ormai, e… E mi sono resa conto che stiamo insieme da così tanto tempo, ormai, che forse siamo pronti a compiere un passo così importante, non  credi? Tua madre ce lo ha fatto capire più volte che desidera diventare nonna”

“A quello ci può pensare mio fratello John”.

Il commento secco, tagliente, di Waters ferì ulteriormente Judith, che posò a terra Chloe, che aveva iniziato a manifestare la propria rimostranza lamentandosi e scalciando: voleva andare da Keith, Gala e Jamie che stavano disegnando, semi sdraiati sul pavimento.

“Perché non vuoi diventare padre?” chiese in modo diretto la giovane; il bassista reagì con un moto di stizza.

“Perché questo non è il momento adatto”

“E quando lo sarà?”

“Mai”

“Mai? Che vuol dire? Perché?”

“Andiamo, Judy, lo sai meglio di me il perché”

“No, altrimenti non sarei qui a chiederlo”

“Come posso essere padre se non ho mai conosciuto il mio?” disse in tono secco Roger, prendendo da una tasca dei jeans un pacchetto di Marlboro “ed ora scusami, ma ho bisogno di andare fuori a fumare una sigaretta”.

Si alzò dal divano, uscì dalla porta della cucina e si appoggiò con la schiena al muro; prese un pacchetto di fiammiferi dall’altra tasca anteriore dei pantaloni, ne accese uno ed avvicinò la fiamma all’estremità della sigaretta.

Aspirò una profonda boccata di fumo, la buttò fuori dalle labbra socchiuse, appoggiò la testa contro il muro e chiuse gli occhi, prendendo un profondo respiro a pieni polmoni; faceva sempre così quando Judy tirava fuori l’argomento ‘bambini’ nel loro menage matrimoniale: rispondeva in modo evasivo e tagliava corto con la scusa di dover fumare una sigaretta o di avere del materiale su cui lavorare per delle nuove canzoni.

Ed ogni volta lei ci rimaneva malissimo e finiva per chiudersi in bagno a piangere o per girarsi dall’altra parte del letto, convinta che lui non la sentisse.

Ed invece la sentiva.

Sentiva il suo dolore, lo percepiva fin troppo chiaramente, ma non era colpa sua se si ostinava a non voler capire ciò che le aveva già ripetuto più e più volte.

Come poteva essere padre se non aveva mai conosciuto il proprio?

Roger socchiuse gli occhi sentendosi osservato, abbassò il viso verso destra ed incrociò lo sguardo di Keith: il bambino lo stava fissando in silenzio, seduto sui scalini fuori dalla porta della cucina, con l’inseparabile peluche a forma di riccio stretto contro il petto.

Si studiarono in silenzio, senza mai distogliere lo sguardo da quello dell’altro.

“Ehi” disse Keith, parlando per primo, rompendo il silenzio.

“Ehi” disse a sua volta Waters “cosa ci fai qui fuori tutto solo?”

“Voleva vedere la neve scendere”

“Chi?”

Lui” rispose Keith abbassando lo sguardo; Roger abbassò gli occhi a sua volta e capì che il ‘lui’ in questione era il riccio di peluche che il bambino stringeva contro il petto: appena sotto il muso gli aveva legato la sua sciarpa a tema natalizio, perfettamente abbinata al maglioncino di lana.

“Ohh!” esclamò il bassista, tornando a fissare Keith “e lui ha un nome?”

“Sì, si chiama George”

“Ma davvero? Che buffo, il tuo riccio si chiama proprio come me”

“Sul serio? Ma se il tuo nome è George, perché tutti in casa ti chiamano Roger?”.

Il bassista rimase in silenzio, spiazzato dalla domanda e dagli occhi verdi di Keith, perché erano gli stessi di Syd.

Come lo erano i capelli neri e ricci, le labbra, il naso, il viso, l’espressione… Tutto in quel bambino era Syd.

Roger è il mio secondo nome, e lo preferisco a George

“Esistono persone che hanno più di un nome?” domandò il bambino con un’espressione sorpresa “ohh, non lo sapevo. Quindi il tuo nome è George Roger?”

“Sì”

“Io, invece, sono solo Keith. Non credo di avere un secondo nome, però non l’ho mai chiesto né a mamma né allo zio Dave. Perché sei uscito?”

“Avevo bisogno di prendere una boccata d’aria” mormorò Waters; si ricordò solo in quel momento della sigaretta che aveva ancora in mano: la lasciò cadere a terra e la calpestò con la scarpa destra, ma ormai Keith l’aveva già notata.

“Mamma dice che quelle fanno malissimo, infatti lo zio Dave ha smesso di usarle”

“Sì, è vero, non fanno affatto bene alla salute”

“E perché, allora, tu le usi?”.

La conversazione tra Roger e Keith venne interrotta dall’arrivo di Ginger: la giovane, stretta in un lungo cappotto rosso come l’abito che indossava e come i capelli che aveva arricciato per l’occasione, uscì dalla porta che conduceva alla cucina e rivolse uno sguardo di sollievo misto a preoccupazione al bambino seduto sugli scalini.
“Mio dio, Keith! Non farmi mai più prendere uno spavento simile! Quante volte io e David ti abbiamo ripetuto che non devi mai allontanarti senza dircelo? Eravamo tutti preoccupati per te! E si può sapere che cosa ci fai qui fuori senza giubbetto, sciarpa e guanti? Finirai col prendere una brutta febbre!”

“Ma… Mamma, George voleva vedere la neve!”

“Non m’importa! Non devi mai più allontanarti senza dirmelo! Guarda, hai il naso completamente rosso dal freddo! Stai pur certo che domani mattina ti sveglierai col raffreddore e la febbre alta, e sarai costretto a passare l’intero giorno di Natale bloccato a letto con il tuo riccio di peluche. Adesso vai subito dentro a scaldarti davanti al camino, altrimenti non avrai il budino alla vaniglia. Forza, tutti e due dentro!”.

Keith sbuffò in segno di disapprovazione, si alzò dagli scalini, agitò una manina verso Roger e rientrò tenendo sottobraccio il riccio di peluche.

A Ginger non sfuggì il sorrisetto sulle labbra di Waters mentre si accendeva una seconda sigaretta; si strinse di più nel cappotto rosso e si chiese come facesse a non avere freddo visto che addosso aveva un semplice maglione nero a collo alto, dei jeans e delle scarpe da ginnastica.

Nel frattempo, la neve aveva iniziato ad attaccarsi all’erba del giardino, al tetto della casa ed all’asfalto dei marciapiedi e delle strade; lentamente, l’intero quartiere si stava trasformando in un paesaggio natalizio da cartolina, e dalle case dei vicini c’era già qualche bambino che era uscito per giocare coi fiocchi candidi che turbinavano in aria.

“Perché stai ridendo?” chiese in tono scontroso la rossa, guardando Waters con gli occhi socchiusi.

“Perché poco fa mi hai ricordato mia madre. Anche lei è sempre stata molto… Ansiosa nei confronti miei ed in quelli di mio fratello quando eravamo piccoli” il bassista buttò fuori il fumo con un’espressione pensierosa “in verità, lo è ancora adesso che siamo cresciuti”

“Hai un fratello?” chiese la giovane sorpresa; conosceva Roger da ormai sei anni, ma la sua vita privata continuava a rimanere un mistero per lei: sapeva solo che era orfano di padre a causa della guerra, e che lui e Judith erano cresciuti insieme nello stesso quartiere.

“Sì, John. Ha due anni in più di me e fa il tassista. Come avrai ben capito, sono io la pecora nera della famiglia… Letteralmente” mormorò il giovane, riferendosi ai vestiti quasi esclusivamente neri che occupavano la sua parte dell’armadio di casa; Ginger appoggiò la mano sul pomello della porta con l’intenzione di rientrare al caldo da Keith, David ed il resto del gruppo che stava ancora chiacchierando e cantando allegramente canzoni di Natale davanti al pianoforte, ma poi ci ripensò e fissò di nuovo il cupo bassista, concentrato a fumare la seconda Marlboro della serata e l’ennesima della giornata.

“Spero che Keith non ti abbia disturbato e non sia stato inopportuno… A volte… Molto spesso fa delle osservazioni fin troppo dirette”

“È tipico dei bambini essere terribilmente diretti”

“Sì, è vero” la giovane si girò nuovamente verso la porta, ma questa volta venne bloccata dalle parole di Waters.

“È identico a Syd”.

Chiuse per un istante gli occhi prima di rispondere.

“Sì, lo so. Ad ogni giorno che passa gli assomiglia sempre di più”

“Non mi sto riferendo solo all’aspetto fisico, ma anche al modo in cui parla ed a quello che dice… Si vede subito che è un bambino molto intelligente e perspicace, completamente diverso dai suoi coetanei”

“Sì, so anche questo”

“Che cognome gli hai dato?”

“Il mio”

“Quindi Keith non sa di avere un padre?” il tono di voce di Roger s’inasprì “oppure è convinto che lo sia Dave?”.

Ginger allontanò la mano dal pomello della porta e si avvicinò a Waters; il rossore apparso improvvisamente sul suo viso aveva ben poco a che fare con il freddo pungente della notte della Vigilia di Natale.

“Stai criticando il mio ruolo di madre? Ti stai davvero permettendo di giudicare il modo in cui sto crescendo mio figlio, Roger Waters?”

“Ti ho solo posto due semplici domande”

“Io non ti devo alcun genere di spiegazione”

“Forse a me no, dopotutto, ma a Syd sì, non credi?”

“E secondo te cosa dovrei fare? Bussare alla porta del suo appartamento, dopo quattro anni che non lo vedo, e dirgli che è diventato padre? No, non lo farò, non se ne parla assolutamente. Non lo vedo dal giorno in cui la nostra storia è finita e non sono intenzionata a tornare indietro sui miei passi”

“Perché adesso c’è David, vero?” le labbra di Roger si distesero in un sorriso sprezzante, sostituì il mozzicone della seconda sigaretta con una terza nuova; Ginger gli rivolse uno sguardo offeso e risentito.

Perché la considerava una persona così vile e meschina? Roger non provava una semplice antipatia nei suoi confronti, ma un odio viscerale che continuava a crescere anno dopo anno, misto a risentimento e… E forse a qualcos’altro.

C’era altro nascosto dietro le iridi chiare del giovane, un sentimento che la giovane non riusciva ad identificare.

Lo guardò in silenzio, finché non si rese conto che la risposta alla sua domanda era semplicissima ed era sempre stata davanti ai suoi occhi per tutto quel tempo; gettò la testa all’indietro e scoppiò in una risata sprezzante, perché finalmente stava arrivando il momento che aveva atteso a lungo.

Waters le rivolse uno sguardo interdetto.

“Sei impazzita tutto d’un tratto?” le chiese corrucciando le sopracciglia, e Ginger scosse con vigore la testa.

“No, non sono impazzita all’improvviso, semplicemente ho capito il tuo gioco”

“Il mio… Gioco?”

“Sì, proprio così, ho capito finalmente il tuo gioco perché ti sei fregato con le tue stesse parole. Cerchi di far sentire in colpa me, perché in realtà sei tu a sentirti terribilmente in colpa. I sensi di colpa stanno iniziando piano piano a corroderti da dentro, Roger. Vuoi scaricare la responsabilità a me perché sai benissimo che la vera responsabilità di quello che è successo è solo ed esclusivamente tua. Tu non hai voluto guardare in faccia il problema fin dall’inizio, tu hai costretto Rick e Nick a tenermi nascosta ogni cosa quando, forse, eravamo ancora in tempo per salvare Syd e sempre tu lo hai costretto ad esibirsi più volte quando non era neppure in grado di reggersi in piedi e tenere in mano la chitarra” la rossa iniziò a tamburellare l’indice destro contro il petto di Waters “sai… Dopo la rottura con Syd ho passato tre anni terribili, che tu ci creda o meno. Tre anni in cui non sono riuscita ad andare avanti perché ero fermamente convinta di non avere fatto abbastanza per lui, ma poi… Poi, grazie al cielo, è arrivato David ed è stato proprio per merito suo se ho capito che mi stavo sbagliando. È stato per merito suo se ho capito che io ho fatto tutto ciò che era davvero in mio potere per aiutare Syd. Ed è stato per merito suo se sono riuscita ad andare finalmente avanti con la mia vita. E tu, questo, non lo puoi sopportare. Ti fa rodere il fegato. Ti fa rodere il fegato perché vorresti fare altrettanto, ma ora non ci riesci più perché finalmente stai iniziando a fare i conti con i sensi di colpa. E scommetto che sono orribili, vero? Scommetto che ti tengono sveglio la notte e non c’è nulla che tu riesca a fare per scacciarli via”

“Io…”

“No!” esclamò la giovane, puntandogli l’indice contro le labbra “stai zitto finché non ho finito di parlare, perché tu lo hai già fatto abbastanza in questi anni. Scommetto che per sentirti meglio ti ripeti più e più volte che avete preso la scelta migliore e che Syd per primo non vi ha lasciato altra scelta… E sono pronta a scommettere che hai pure pensato di giustificare le tue azioni con la scusa dell’età, perché eri solo un ragazzo di ventiquattro anni… Beh… Sai cosa ti dico? Cazzate. Solo cazzate. Se eri davvero legato così tanto a Syd, allora lo avresti aiutato fin da subito. Se era davvero il tuo più caro amico, il tuo migliore amico, allora avresti mandato a farsi fottere anche il gruppo per lui… Ma non lo hai fatto. No. E la risposta è semplice: non lo hai fatto perché nel tuo mondo c’è spazio solo per te e per il successo, Roger. Tu… Tu hai questo bisogno disperato di dimostrare sempre qualcosa agli altri e di essere al centro dell’attenzione”

“Tu non sai assolutamente nulla del rapporto che c’era tra me e Syd”

“No, è vero, tante cose non le conosco e non le conoscerò mai, ma so per certo che lui era legato a te, Roger. Era molto, molto, molto legato a te e… Forse anche una parte di te era legata a lui, ma è stata soffocata da quella più cinica e calcolatrice” lo sguardo di Ginger s’indurì “tu eri geloso di Syd, perché era lui il leader, ed hai assecondato la sua autodistruzione per farlo fuori dal gruppo e prendere il suo posto!”.

Il bassista socchiuse le labbra e la sigaretta finì a terra, davanti ai suoi piedi; annaspò alla ricerca di aria e divenne bianco come la neve che continuava a scendere dal cielo.

Ormai mancavano dieci minuti allo scoccare della mezzanotte.

“Io non… Non ti permetto di dire sciocchezze simili” disse a denti stretti, gettando a terra, per la rabbia, il pacchetto mezzo vuoto di Marlboro.

“Ed io non ti permetto di intrometterti ancora nella mia vita privata e di sputare sentenze” sibilò a sua volta la rossa, spingendosi a dargli uno schiaffo sulla guancia sinistra per ripagarlo di tutte le offese gratuite che le aveva rivolto dal giorno in cui le loro strade si erano incrociate: era arrivato il momento di mettere un punto a quella faccenda, perché non era più intenzionata a sopportare in silenzio o ad ignorare le stoccate al vetriolo del bassista “perché non vuoi sentirti dire che eri geloso di Syd e che, dentro di te, speravi si facesse da parte per sempre? Perché sai benissimo che è la verità, e la verità brucia ed alimenta i sensi di colpa. Io non so se Syd poteva essere salvato, ma spero che tu viva il resto della tua vita con questo dubbio in testa, perché è proprio ciò che meriti. Pensaci. Poniti questa domanda di tanto in tanto: davvero Syd non si sarebbe potuto salvare se avessi fatto qualcosa fin dall’inizio, anziché agire come un bastardo egoista, pronto a sacrificare la salute mentale e fisica del suo migliore amico solo per il successo?”.

Ginger gli voltò le spalle, strinse la mano destra sul pomello in ottone e socchiuse la porta; ma anziché entrare rivolse un’ultima stoccata a Waters, che non si era mosso di un millimetro dal muro a cui era appoggiato.

La guancia sinistra aveva iniziato a cambiare colore a causa dello schiaffo ricevuto, davanti al quale non aveva battuto ciglio.

“David è la cosa migliore che mi sia mai capitata nella vita, dopo Keith. Non voglio neppure pensare a dove sarei adesso se non lo avessi incontrato. Sto bene insieme a lui e per la prima volta da tre anni posso dire di essere di nuovo felice… Keith, ovviamente, sa che David non è suo padre, ma si è subito affezionato tanto a lui e lo ha preso come il punto di riferimento maschile che gli è sempre mancato e come un esempio da seguire, e questo mi rende estremamente orgogliosa. Sai, Roger… Forse anche tu dovresti prendere esempio da Dave”.

La giovane rientrò in casa, lasciando il bassista da solo al freddo, a riflettere sulla verità nuda e cruda che gli aveva esposto senza tanti giri di parole; andò a togliersi il cappotto e poi raggiunse il resto del gruppo vicino al pianoforte.

Non appena vide la sua dolce metà, Gilmour le passò il braccio sinistro attorno ai fianchi e la strinse a sé, sussurandole una frase ad un orecchio.

“Ehi, adesso è stato il tuo turno di farmi preoccupare… Come mai sei rimasta fuori così a lungo? Sei stata male? Hai avuto un attacco di nausea?”

“No, ho solo scambiato quattro chiacchiere con Roger”

“Senza saltarvi alla gola a vicenda?” il chitarrista sorrise, ma lo sguardo nei suoi occhi era tutt’altro che allegro “che vi siete detti? Mi devo preoccupare? Non è che hai fatto a pezzi il corpo di Rog e lo hai nascosto dentro dei sacchetti per la spazzatura?”

“Avrei dovuto avere con me dei sacchetti extra large vista la sua altezza” rispose Ginger con una risata, appoggiando la fronte contro quella del marito; proprio in quel momento, il bassista apparve dalla cucina: l’espressione sul suo viso sembrava essere impassibile e tranquilla, come se tra lui e la rossa non fosse avvenuta nessuna discussione e come se lei non gli avesse rivolto accuse orribili “eccolo lì il tuo cadavere che cammina. Ora che sai di non essere il marito di un’assassina, ti senti più tranquillo?”.

L’orologio a pendolo posizionato nel corridoio dell’ingresso segnò, finalmente, la tanto attesa mezzanotte.

“Buon Natale!” gridò per primo Nick, alzando il calice di spumante che aveva in mano e versandone una dose abbondante sulla camicia di Rick “forza, alzate anche i vostri bicchieri, dobbiamo fare un brindisi e poi possiamo procedere con l’apertura dei regali!”

“Un momento!” lo bloccò David, prendendo per mano Ginger “prima del brindisi e dei regali, vorremo fare un piccolo annuncio”

“Ovvero?” domandò Mason incuriosito “che cosa succede? Dobbiamo preoccuparci?”

“Beh… Spero proprio di no” Gilmour sorrise e guardò la sua dolce metà “vuoi dirlo tu?”

“Dire cosa?” insistette di nuovo il batterista “avanti! Non teneteci così sulle spine! Che cosa dobbiamo sapere?”

“È inutile girarvi troppo attorno con lunghi preamboli, quindi… Lo dico e basta” Ginger sorrise a sua volta con gli occhi che le brillavano dall’emozione “sono incinta. Io e David avremo un bambino… O una bambina”.

Nick spalancò gli occhi e la bocca completamente incredulo, Rick sorrise, Juliette si portò la mano destra alla bocca e Lindy lanciò uno strillo acuto e corse ad abbracciare la rossa.

“Ohh, mio dio, mio dio, non ci posso credere! Sono troppo contenta per voi! È una notizia bellissima! Da quanto tempo lo sapete?”

“Ho fatto il test poco prima di venire alla festa ed è risultato positivo”

“Ohh, che bello! Che meraviglia! Il modo migliore per finire un anno e per iniziarne uno nuovo… Maschio o femmina? Cosa desiderate avere? Volete avere una cameretta tutta rosa o tutta azzurra?”.

Ginger e David si guardarono di nuovo negli occhi sorridendo e lei, d’istinto, appoggiò la mano destra sulla pancia; era ancora troppo presto per sentire il bambino, eppure già le sembrava di percepire la minuscola vita che stava crescendo dentro il suo corpo.

“Una bambina” mormorò poi, rispondendo per entrambi “ci piacerebbe molto avere una cameretta rosa, piena di bambole e peluche”.

Judith ascoltò la conversazione stringendo con forza il bicchiere colmo di spumante tra le mani, rischiando di romperlo; cercò lo sguardo di Roger, che se ne stava in disparte dal resto del gruppo, ma non lo incontrò mai perché lui era troppo impegnato a fissare un punto indefinito nel vuoto, trincerato nei suoi pensieri irraggiungibili.

Judith aveva sempre più l’orribile sensazione che tra loro due si stesse ergendo un muro invisibile fatto di silenzi, parole taciute e di incapacità di comunicare.

Abbassò gli occhi azzurri sulle proprie scarpe per non far vedere agli altri le lacrime che stava tentando di ricacciare indietro.

Ritorna all'indice


Capitolo 38
*** New Arrival ***


1972, giugno.


 
Richard bussò due volte sul legno della porta prima di socchiuderla ed affacciarsi con la testa dentro la stanza; nella mano sinistra reggeva un voluminoso bouquet di fiori ed un grappolo di palloncini colorati, legati al peluche di un coniglietto grigio con una carota stretta tra le zampe anteriori.

“È permesso? È qui che sta riposando una strega dai capelli rossi che è appena diventata mamma?” domandò con un sorriso sfavillante; Ginger, seduta sul lettino d’ospedale, si portò subito l’indice destro sulle labbra per ammonire il suo migliore amico di non fare troppo rumore: in braccio aveva un piccolo fagotto di coperte bianche che osservava con infinita dolcezza.

“Fai piano. Sta dormendo” mormorò la giovane “posa pure lì i regali, affianco agli altri e poi vieni qui, così posso finalmente farti vedere qualcuno che è impaziente di fare la tua conoscenza”.

Rick non se lo fece ripetere una seconda volta: posò il bouquet, i palloncini ed il coniglietto affianco ai numerosi regali giunti in poche ore e raggiunse Ginger che, con un sorriso altrettanto smagliante nonostante la stanchezza che traspariva dal suo viso, gli porse il piccolo e caldo fagotto di coperte; Wright lo prese in braccio con delicatezza e s’incantò a contemplare il visetto rugoso ed addormentato che faceva capolino tra la stoffa.

“Ma è…”

“Un maschietto” completò la frase la giovane; il suo sorriso diventò più ampio e luminoso “io e David abbiamo deciso di chiamarlo Demi. Demi Richard

Richard?” domandò Wright, sollevando il viso con uno sguardo esterrefatto negli occhi “gli avete dato il mio nome?”

“Sì, gli abbiamo dato il tuo nome”

“Ma… Perché?”

“Perché?” domandò la giovane con una bassa risata, per non svegliare il piccolo Demi che dormiva placidamente tra le braccia di Rick che lo cullava con dolcezza “mi sembra che sia abbastanza ovvio il perché, non credi, Richard? Se io e David ci siamo incontrati, se io e David abbiamo iniziato a frequentarci, se io e David ci siamo sposati e se io e David abbiamo fatto quel piccolo esserino che ora hai in braccio, è solo ed esclusivamente merito tuo: se non ci fossi stato tu, adesso non ci sarebbe neppure lui. Dovresti sentirti orgoglioso di questo”

“Io non ho fatto nulla di così speciale”

“No, mi hai semplicemente fatto incontrare l’uomo della mia vita. Il minimo che potessimo fare, per ringraziarti, era dare il tuo nome al nostro bambino”.

Richard sorrise con gli occhi lucidi dalla commozione; contemplò di nuovo il bambino in silenzio, tirando su col naso, lottando contro le lacrime che volevano scendere con prepotenza lungo le guance.

Si schiarì la gola e girò il viso verso i numerosi regali accatastati contro una parete: c’erano diversi palloncini colorati con impresse delle scritte sgargianti di auguri, bouquet di fiori simili a quello che lui stesso aveva portato, ciascuno con appeso un bigliettino, ed alcuni peluche dalle forme e dalle dimensioni diverse.

“Direi che il nuovo arrivato ha già ricevuto un benvenuto alquanto caloroso” commentò, rivolgendo un sorriso alla sua migliore amica.

“Sì, sono stati tutti molto carini e gentili… Nick e Lindy hanno fatto recapitare quei palloncini, ed  un mazzo di fiori… Quell’altro mazzo di fiori ed il peluche a forma di orsacchiotto sono da parte di mommi e Jen… Danny ha portato l’altro orsacchiotto con la maglietta a righe…. David ha preso quell’enorme elefante blu… e Steve e sua moglie mi hanno fatto recapitare il mazzo di rose blu. Non mi aspettavo di ricevere così tanti regali, faccio anch’io fatica a crederci ad essere sincera” la giovane osservò a sua volta i tanti doni inaspettati e diventò improvvisamente seria “Roger e Judith non si sono ancora fatti sentire, ma la cosa non mi sorprende affatto… Che altro avrei potuto aspettarmi da due persone maleducate come loro?”

“Sono sicuro che verranno a farti visita a breve. Magari hanno avuto qualche imprevisto e…”

“Parliamo d’altro, per favore. Niente deve guastare questo giorno” Ginger bloccò Richard prima che potesse terminare la frase, e lui preferì non insistere, spostando l’attenzione su tutt’altro argomento, accarezzando con delicatezza la morbida guancia sinistra del nuovo arrivato.

“D’accordo, come desideri, Ginger… Allora, come ti senti? Come è stato?”

“Stanca, ma terribilmente felice” sospirò la giovane, appoggiandosi al cuscino alle sue spalle “è stata dura, Demi mi ha fatta disperare, ma ne è valsa la pena”

“Dave è entrato in sala?”

“Sì, ma penso che non lo farà più quando arriverà di nuovo il momento… Gli ho quasi strappato una ciocca di capelli per il dolore e… Credo anche di avergli rivolto un paio di frasi poco gentili

“Un paio di frasi poco gentili? Tu? Proprio tu? Impossibile” ribatté Rick trattenendosi a stento dallo scoppiare in una risata, immaginandosi ciò che David doveva aver passato in sala parto, tra le urla della moglie e l’emozione di essere ad un passo dal diventare padre per la prima volta “e comunque… Siete appena diventati genitori e state già pensando al prossimo figlio?”

“Beh… Ovviamente non ci daremo da fare di nuovo così presto, ma Dave mi ha ripetuto più volte che desidera avere una famiglia numerosa, quindi…”

“È contento? So che il vostro desiderio era di avere una femminuccia…”

“È fuori di sé dalla gioia. Sono sicura che non appena imparerà a camminare, Dave gli metterà in mano una chitarra… E per quanto riguarda la femminuccia, magari verremo accontentati per la prossima volta, ma per il momento va benissimo così… Mi auguro solo che Keith non sia geloso di lui. Sai che cosa mi ha risposto quando gli ho chiesto se preferiva avere una sorellina od un fratellino? Che preferiva avere una sorellina perché le bambine, come Gala, giocano con le bambole. Teme che un fratellino possa rubargli il suo riccio di peluche od i colori a tempera”

“Quindi lui deve ancora vederlo?”

“Sì, lo vedrà quando torneremo a casa”

“Pam e Jen?”

“Sono già venute entrambe, ed anche loro sono fuori di sé dalla gioia. Come ti ho detto prima, gli unici a non essersi presentati sono stati, guarda caso, Roger e Judith… Non dirmi che stanno affrontando l’ennesima crisi nel loro matrimonio, perché inizio a pensare che queste crisi si presentino con una strana puntualità. Ultimamente coincidono sempre con un’importante occasione che riguarda me e Dave”

“Può essere che stiano affrontando una crisi… Ma questa volta non ha nulla a che fare con dei tradimenti”

“E con cosa, allora?” domandò Ginger.

Wright abbassò lo sguardo su Demi.

“Riflettici un momento”

“Un figlio? Stanno affrontando una nuova crisi perché non riescono ad avere figli?”

“No, non è che non riescono ad avere figli… La situazione è leggermente diversa”

“Uno di loro non vuole averli?” chiese la rossa, andando per intuito “Roger non vuole averli?”

“Se te lo dico, devi promettermi di non usare mai questo argomento per ferire Judith o per provocare lei e Roger”

“Lo sai che puoi fidarti di me”

“No, Ginger, non sto scherzando. Sono molto serio. Si tratta di una questione delicata e so benissimo come sei fatta quando perdi completamente il controllo: la tua lingua diventa più tagliente di un coltello e più biforcuta di quella di una vipera. Devi assicurarmi che questa conversazione non uscirà da questa stanza. Giuramelo su Demi” Rick guardò Ginger in silenzio, con le sopracciglia inarcate, in attesa di una risposta da parte sua; e lei si ritrovò costretta ad assecondare la sua richiesta, per quanto la trovasse assurda, ridicola ed infantile.

“Te lo giuro su Demi” disse con un sospiro la ragazza, sollevando gli occhi al soffitto della stanza “adesso puoi dirmi che cosa sta succedendo, di nuovo, tra loro due?”

“Roger ha confessato a me, Nick e Dave che non sente affatto il desiderio di diventare padre. Judith, invece, vorrebbe tanto avere un bambino e questo crea continui… Malumori tra lei e Rog… Ora più che mai visto che sia tu, che Juliette e Lindy siete diventate madri negli ultimi anni”

“E Judith non conosceva questo pensiero di Roger ancora prima di sposarlo? Voglio dire… Loro due sono cresciuti insieme, si conoscono fin da bambini, proprio come noi due… Non dovrebbero esserci segreti tra loro due”

“Questo non te lo so dire… Forse sperava di riuscire a fargli cambiare idea” commentò il tastierista alzando le spalle; Ginger spostò gli occhi scuri in direzione di una finestra e guardò il cielo grigio che regnava su Londra.

Ciò che Rick le aveva confidato non le faceva provare meno antipatia nei confronti di Judith, tuttavia sentiva un pizzico di dispiacere per la sgradevole situazione che stava vivendo all’interno del suo matrimonio; doveva essere orribile sposare la persona con cui si voleva creare una famiglia per poi scoprire che proprio quella persona non desiderava mettere su famiglia.

Fortunatamente, lei aveva a proprio fianco David.

E David era una persona completamente diversa da Roger.

Demi si agitò tra le braccia di Richard, il visetto rosso e rugoso si contrasse in una smorfia e scoppiò in un pianto disperato agitando le minuscole manine strette a pugno; Ginger allungò le braccia e strinse di nuovo a sé il suo secondogenito con un sorriso dolce, cullandolo piano e cantando a bassa voce la stessa ninnananna che Pam recitava per far addormentare lei e Jennifer quando erano piccole.

Bastarono pochi minuti perché il piccolo smettesse di agitarsi e strillare e chiudesse di nuovo gli occhi; la giovane gli posò un bacio sulla fronte e gli sussurrò parole cariche d’amore, il tutto sotto lo sguardo orgoglioso ed ancora commosso del suo migliore amico.

“Non preoccuparti, piccolo mio… Mamma è qui e non se ne andrà mai. Te lo prometto”.



 
Due giorni più tardi, Ginger venne dimessa dall’ospedale insieme al piccolo Demi; David andò a prenderli all’ospedale accompagnato da Keith e da un altro enorme peluche (che occupava un intero sedile posteriore della macchina) per il nuovo arrivato: la gioia e l’euforia che provava erano così immense che il giorno precedente aveva offerto da bere a tutti coloro presenti negli Studi di Abbey Road e la sera stessa era uscito fuori a cena con Rick, Nick e Roger ed aveva offerto loro qualunque cosa desiderassero mangiare e bere.

Quando arrivarono a casa, portarono subito il nuovo arrivato nella sua cameretta (anche Keith ne aveva una tutta sua, posizionata proprio di fronte a quella di Demi) e Ginger lo adagiò con delicatezza dentro la culla di legno, pitturata di verde; anche le pareti della stanza erano verde smeraldo: la giovane coppia aveva deciso di optare per quel colore perché avevano preferito non conoscere in anticipo il sesso del bambino; doveva essere una sorpresa per il giorno del parto e così era stato.

La giovane rimboccò la copertina al suo secondogenito e poi rivolse uno sguardo ansioso a Keith, che continuava a fissare il fratellino in silenzio e con uno sguardo pensieroso, pressoché impossibile da decifrare.

“Allora, tesoro? Che cosa ne pensi del piccolo Demi?” chiese passandogli una mano tra i ricci ribelli.

Keith inclinò di lato il visetto.

“Penso che potrebbe essermi simpatico” commentò con un’espressione seria “purché non si avvicini ai miei colori o a George”.

Ginger e David si guardarono negli occhi e scoppiarono a ridere contemporaneamente a causa delle buffe parole pronunciate dal bambino; Gilmour passò il braccio sinistro attorno ai fianchi della moglie, la strinse a sé e le sue labbra carnose si socchiusero in un sorriso mozzafiato.

“Ti amo, Ginger, mi hai reso l’uomo più felice della Terra” mormorò, appoggiando la fronte contro la sua.

La giovane abbassò le palpebre e sorrise ad occhi chiusi.

“No, sei tu che mi hai resa la donna più felice della Terra” disse in un soffio “ti amo anch’io, David Jon Gilmour”.

Ritorna all'indice


Capitolo 39
*** Virginia (Parte Uno) ***


1973, aprile.


 
Virginia Hasenbein possedeva una bellezza sconvolgente, rara da trovare in un’altra ragazza.

Non era molto alta, ma il suo corpo magro e sottile era perfettamente proporzionato, ed attirava numerosi sguardi maschili quando passeggiava per le strade di Philadelphia in compagnia delle sue amiche o della sua adorata barboncina bianca; ma ciò che lasciava veramente senza fiato era il suo viso: incorniciato da una lunga e vaporosa chioma di capelli ondulati dalle sfumature biondo rossicce, rasentava quasi la perfezione.

Il volto dalla forma ovale faceva da cornice ad un paio di labbra carnose, simili ad un bocciolo di rosa, ad un naso piccolo, ad un paio di grandi occhi azzurri ed a delle sopracciglia sottili, ad ala di gabbiano.

La mente di chiunque la incontrasse per caso veniva attraversata dallo stesso, identico, pensiero: Virginia Hasenbein assomigliava ad una di quelle bellissime bambole di porcellana che si trovavano nei negozi di antiquariato e che ogni signora anziana desiderava avere nella propria collezione personale.

I ragazzi del quartiere se la contendevano dai tempi del liceo, gli ammiratori non le mancavano, anzi, erano aumentati da quando aveva mosso i primi passi come modella, ma, a ventitre anni, non aveva ancora nessuno a suo fianco.

Qualche storiella l’aveva avuta, come tutte le altre ragazze, ma non era mai stato nulla di serio.

Le sue amiche la prendevano in giro perché era alla ricerca del vero amore, del colpo di fulmine, della persona che le facesse sentire le farfalle dentro lo stomaco.

Secondo loro, il vero amore esisteva solo nelle favole per bambine.

Secondo Virginia, invece, esisteva anche nella realtà… Solo che aspettava il momento più opportuno per palesarsi.



 
Virginia spalancò la finestra della propria camera da letto e guardò verso il basso: in mezzo al giardino di casa sua c’era una figura femminile che continuava ad agitare le braccia sopra la testa per attirare la sua attenzione.

“Layla, ma sei matta?” la riprese la giovane in un sussurro, affinché nessun altra la sentisse “non devi tirare sassi contro la finestra della mia camera! Vuoi svegliare i miei genitori?”

“E allora scendi prima che il prossimo sasso ti arrivi in fronte”

“Senti… Non lo so… Non sono più sicura di volerla fare questa cosa, sai? È troppo… Troppo stupida e rischiosa”

“Che cosa? Stai scherzando, vero? Non puoi tirarti indietro adesso, all’ultimo secondo! Non se ne parla assolutamente! Scendi o giuro che inizio a gridare, sai che sono pronta a farlo!”.

Virginia sapeva fin troppo bene che Layla non stava scherzando.

Richiuse la finestra con uno sbuffo, prese la giacca, una borsa a tracolla, ed uscì di casa facendo attenzione a non fare rumore: se anche uno solo dei suoi genitori l’avesse sorpresa sgattaiolare fuori nel cuore della notte, avrebbe passato guai seri; chiuse la porta d’ingresso piano e raggiunse l’amica in giardino.

Layla non le lasciò il tempo di protestare: la prese per mano e la trascinò letteralmente fino alla fermata dell’autobus infondo alla via, ed arrivarono appena in tempo per salire sul mezzo di trasporto.

“C’è mancato davvero poco!” commentò l’amica facendosi aria con la mano destra, aveva il viso arrossato a causa della corsa disperata; si lasciò cadere su un sedile vuoto e Virginia la imitò: anche lei era accaldata “se lo avessimo perso, avremmo perso anche l’inizio del concerto. Siamo già terribilmente in ritardo, a quest’ora possiamo scordarci i posti migliori”

“E allora cosa ci andiamo a fare?” domandò Virginia preoccupata “forse è meglio tornare indietro finché siamo ancora in tempo: scendiamo alla prossima fermata e torniamo a casa prima che i nostri genitori scoprano la nostra assenza”

“E perdere un’occasione come questa? Mai! Non se ne parla! Anche perché non andiamo semplicemente a vedere il concerto…”

“E cosa andiamo a fare, allora?”.

Layla frugò all’interno della propria borsetta e tirò fuori due cartoncini plastificati attaccati ad una cinghia di stoffa che poteva essere messa attorno al collo, oppure agganciata ad una tasca dei pantaloni; Virginia prese un cartoncino, lo osservò in silenzio e, dalla scritta, intuì che si trattava di un pass per il backstage.

“Come sei riuscita ad ottenere questo? Quanti soldi hai dovuto spendere e, soprattutto, come te li sei procurata?”

“Ma sei impazzita? Ti posso assicurare che non ho speso un solo dollaro e non ho fatto nessuna follia. Togliti qualunque strana idea dalla testa perché sei completamente fuoristrada!” esclamò Layla agitando la mano destra e sgranando gli occhi scuri “è stata Katie a fare tutto. Lei mi ha dato i biglietti ed i pass per entrare nel backstage ed intrufolarci alla festa che faranno ad esibizione finita”

“E Katie come è riuscita a procurarsi sia i biglietti che i pass per entrambe?”

“Tramite alcune conoscenze è diventata amica di un ragazzo della troupe e lui, di nascosto, è riuscito a procurarle sia i biglietti che i pass”

Diventata amica?” le labbra carnose della giovane si piegarono in una smorfia diffidente: conosceva fin troppo bene Katie ed il suo spirito ribelle ed anticonformista per credere alla storia del rapporto d’amicizia che si era creato tra lei ed un ragazzo della troupe; sicuramente era riuscita ad ottenere sia i biglietti che i pass persuadendolo ed andando a letto con lui.

Ecco quale doveva essere la verità.

Layla agitò di nuovo la mano destra: più la loro destinazione si avvicinava e più la sua eccitazione diventava incontenibile.

“Che t’importa sapere con esattezza come si è procurata tutto questo, ciò che conta davvero è che assisteremo ad un concerto unico e che dopo avremo la fortuna di incontrarli, ma ci pensi? Ti rendi conto della enorme fortuna che abbiamo? Sai quante ragazze vorrebbero essere al nostro posto, ma non possono?”

“Cederei molto volentieri il mio posto ad una di loro, io neppure li ascolto questi…” Virginia abbassò lo sguardo sul cartoncino plastificato per leggere il nome della band che stavano andando a vedere “questi Pink Floyd. Li conosco solo perché sono giorni che continui a tormentarmi con questo concerto”

“Ma in che mondo vivi? Come puoi non conoscerli? Non hai ascoltato il loro ultimo album? È uscito appena un mese fa, è una bomba”

“No. Te l’ho detto, Layla, non li conosco e francamente non m’importa molto. In questo momento vorrei essere a casa nel mio letto, anziché in procinto di beccarmi una bella punizione a vita. Non capisco proprio come abbia potuto farmi trascinare in questa follia da te!”

“Perché sono tua amica, e perché sai che assisterai ad uno spettacolo unico” insistette l’altra ragazza con un’espressione esaltata “fidati delle mie parole: non te ne pentirai”.



 
Virginia era profondamente pentita di essersi lasciata trascinare in quella follia dalla sua amica.

Come previsto da Layla, al loro arrivo, dopo aver superato i controlli della security ed esibito i biglietti d’ingresso per lo show, avevano trovato i posti migliori già occupati da parecchio tempo, ed erano state costrette ad assistere al concerto ad una notevole distanza dal palco rialzato: erano così lontane che ai loro occhi i componenti della band non erano altro che delle figure lontane ed indistinte, difficilissime da scorgere con attenzione tra gli effetti colorati delle luci e quelli della macchina del fumo.

Non era neppure riuscita ad ascoltare le canzoni a causa della gente che saltava, gridava e la spingeva da una parte all’altra.

E Layla faceva parte di quella massa esaltata.

Ma la parte peggiore era arrivata due ore e mezza più tardi, a spettacolo concluso, quando Layla l’aveva presa per mano per trascinarla nel backstage e poi, a party iniziato, era letteralmente sparita nel nulla insieme a Katie.

Ora, Virginia si ritrovava da sola, con un bicchiere di plastica rossa in mano, circondata da completi estranei che urlavano, ridevano, chiacchieravano e, soprattutto, bevevano fiumi di alcol, e senza la più pallida idea di come fare per rintracciare la sua amica e tornare a casa prima di essere scoperta.

Non voleva lasciarsi andare al panico ed alla disperazione più assoluti, ma sentiva che quel momento si stava facendo sempre più vicino.

Strinse con più forza il bicchiere che aveva in mano e da cui non aveva bevuto neanche un sorso (neppure ricordava come era apparso tra le sue mani e cosa c’era al suo interno) e proprio in quel momento venne avvicinata da un ragazzo che, per attirare la sua attenzione, le posò una mano sulla spalla destra; la ragazza lo guardò sgranando gli occhi azzurri dalla paura e, capendo che era già notevolmente alticcio, si scrollò la mano di dosso e si allontanò velocemente per evitare di essere bloccata una seconda volta.

Con la mente annebbiata dal terrore, aprì la prima porta che trovò sulla propria strada e si chiuse all’interno della stanza, trovando in essa un rifugio momentaneo dalla baraonda che la stava facendo uscire di testa; chiuse gli occhi, si passò le mani tra i capelli, li riaprì e… Sussultò rendendosi conto di non essere sola come credeva.
La stanza in cui era precipitosamente entrata non era né un bagno né uno stanzino né un ripostiglio per sistemare le attrezzature prima che venissero ricaricate dei camion, ma bensì un camerino.

E la persona a cui apparteneva era ancora al suo interno, intenta a rilassarsi leggendo un giornale e sorseggiando una bevanda dentro un bicchiere di plastica rossa, del tutto identico a quello che lei aveva in mano.



 
David Jon Gilmour sperimentò sulla propria pelle l’effetto del vero colpo di fulmine quando una sconosciuta piombò letteralmente, come un uragano, dentro il suo camerino; sollevò gli occhi dal giornale che Rick gli aveva gentilmente prestato ed il fiato gli si mozzò in gola.

Tutto intorno a lui divenne nebuloso e sfuocato, compresa la fede d’oro che portava all’anulare sinistro, ad eccezione della bellissima sconosciuta che lo stava fissando con un’espressione sorpresa e terrorizzata.

Non aveva mai visto una ragazza più bella in tutta la sua vita.

Sembra una bambola di porcellana, pensò mentre cercava di mettere insieme una frase coerente da dire; improvvisamente aveva la sensazione di avere un campo di cotone nella gola che gl’impediva di parlare e di deglutire la saliva.

“Ohh, mio dio, scusami!” la sua voce era ipnotizzante tanto quanto i tratti del suo viso “io non… Non credevo che questa stanza fosse già occupata… Io… Scusami… Me ne vado subito… Scusami, è solo che… Che…”

“Ehi, stai tranquilla” David riuscì a ritrovare finalmente l’uso della parola, ma fu costretto a deglutire più volte per inumidire la bocca e la gola “non c’è nessun problema, davvero. Non è successo nulla, tranquilla, e non mi hai affatto disturbato. Stai bene?”

“Io… Ecco…” balbettò Virginia visibilmente agitata, senza riuscire a concludere la frase; il chitarrista si alzò e la invitò a sedersi sul divanetto in pelle posizionato contro una parete, esortandola a continuare il suo racconto.

Non la conosceva, non sapeva nulla di lei, eppure voleva sapere a qualunque costo cosa era accaduto da turbarla così profondamente.

Il telefono fisso del camerino iniziò a squillare, ma venne apertamente ignorato.

“Non dovresti rispondere?” domandò la giovane, fissando l’oggetto.

David scosse la testa, senza riuscire a staccare gli occhi dal viso di Virginia.

“Se è davvero importante, richiameranno più tardi. Mi stavi raccontando cosa ti è successo… Cosa… Cosa c’è che non va?”

“Tutto” rispose lei in un soffio, abbassando lo sguardo sul bicchiere che ancora stringeva tra le mani; alcune ciocche di capelli ondulati le coprirono il viso.

La folta e lunga chioma emanava un buonissimo profumo di pesca e vaniglia; Gilmour avvertì un brivido caldo scendergli in corrispondenza della spina dorsale e deglutì di nuovo a fatica.

Si schiarì la gola.

“Tutto?”

“Io non volevo venire qui. Non volevo venire a vedere questo maledetto concerto! È tutta colpa di Layla! Ha insistito così tanto che alla fine sono stata costretta ad accettare e… E dopo lo spettacolo mi ha trascinata qui dietro, nel backstage, perché c’era una festa e mi ha lasciata completamente da sola. Non ho idea di dove sia sparita e non so neppure come rintracciarla”

“Come siete riuscite ad entrare nel backstage?”

“Una nostra amica è riuscita a procurarsi i pass da un ragazzo della troupe… O qualcosa del genere… Non lo so, non ricordo bene la storia e non m’importa. Non m’importa neppure di ritrovare Layla visto il modo in cui mi ha abbandonata in mezzo a dei completi sconosciuti! Voglio solo tornare a casa il prima possibile, altrimenti sono davvero nei guai”

“Perché?”

“Perché? Perché per assecondare la follia della mia amica, sono uscita di nascosto di casa… E se i miei genitori dovessero trovare un letto vuoto in camera mia… Diciamo che preferisco non pensarci”

“Posso accompagnarti io” disse di getto David.

Virginia sollevò il viso di scatto e guardò il giovane negli occhi, confusa, sbattendo più volte le folte e lunghe ciglia nere che incorniciavano gli occhi azzurri da cerbiatta.

“Stai parlando sul serio o ti stai prendendo gioco di me?”

“No, no, assolutamente no. Perché mai dovrei prenderti in giro, visto che hai già passato una brutta serata da dimenticare? Hai detto che vuoi arrivare a casa prima che la tua assenza venga scoperta, giusto? Forse se partiamo ora, riusciamo ad arrivare in tempo. Abiti molto lontano da qui?”

“Un po’… Io e la mia amica abbiamo impiegato mezz’ora con l’autobus”

“Allora prendiamo una macchina e andiamo” il chitarrista si alzò dal divanetto e fece cenno a Virginia di seguirlo; e lei, dopo un attimo di esitazione dovuta al fatto che non conosceva quel ragazzo, si alzò a sua volta dal divanetto ed accettò il passaggio.



 
David prese una delle macchine messe a disposizione per la band e seguì le indicazioni stradali fornite da Virginia, seduta alla sua destra; quando parcheggiò la vettura vicino al vialetto d’ingresso, la ragazza gettò un’occhiata ansiosa alla facciata anteriore dell’abitazione e tirò un profondo respiro di sollievo: tutte le luci erano spente, e ciò significava che la sua assenza non era stata ancora notata.

In caso contrario, non solo la casa sarebbe stata illuminata come il giorno di Natale, ma avrebbe sicuramente trovato l’intero vicinato, un paio di volanti della polizia ed i suoi genitori iperprotettivi in lacrime, già votati al peggio.

Si voltò a guardare David e sulle sue labbra carnose apparve un sorriso carico di gratitudine.

“Grazie” gli disse in un sussurro “sei stato il mio salvatore”.

Gilmour rischiò di andare in iperventilazione e si ritrovò costretto a fare appello a tutto il proprio autocontrollo per non iniziare a balbettare come un qualunque adolescente imbranato.

Aveva ventisette anni, maledizione, non quattordici.

Ed era sposato.

Con figli.

Stava commettendo una cazzata.

Una cazzata che gli sarebbe costata molto cara e che avrebbe cancellato in un attimo gli ultimi tre anni della sua vita.

Ma era ancora in tempo per rimediare.

Non era ancora troppo tardi.

Doveva solo salutare quella ragazza, accendere il motore della macchina, allontanarsi senza mai lanciare un’occhiata allo specchietto retrovisore e già il giorno seguente si sarebbe lasciato l’intero episodio alle spalle, e tutto sarebbe stato come prima.

“Mi dispiace che il nostro concerto sia stata un’occasione così orribile per te. Mi piacerebbe rimediare, se me ne dessi l’occasione. Questa era la nostra ultima tappa, ma il viaggio di ritorno è fissato tra due giorni perché è tanta l’attrezzatura da smontare e perché non c’era un volo per Londra che partisse prima… Domani io e gli altri abbiamo una giornata completamente libera, quindi… Se alla sera non hai altri impegni, e se ti fa piacere, posso passarti a prendere per… Per passare un po’ di tempo insieme… Per una cena… Una passeggiata… Un gelato… Per quello che vuoi, insomma. La scelta sta a te” disse David tutto d’un fiato.

Ora era fregato.

Virginia sgranò gli occhi per la sorpresa: non si aspettava di ricevere un invito da parte sua, e non si era assolutamente resa conto di essere in compagnia proprio di un membro del gruppo.

Guardò il giovane con più attenzione e lo collegò alla figura sfuocata con una chitarra in mano (almeno le era parsa una chitarra; non ne era pienamente sicura, lei e Layla erano davvero molto lontane dal palco rialzato).

Guardò il giovane con più attenzione e, ora che la preoccupazione, l’angoscia e la rabbia erano svanite, si rese conto di quanto fosse bello; si rese conto di quanto fosse bello il suo viso, il suo sorriso gentile, la sua espressione dubbiosa, mentre era in attesa di una risposta, ed i suoi occhi azzurri.

Azzurri come l’acqua del laghetto di montagna in cui suo padre la portava a pescare quando era solo una bambina.

In quel preciso istante, Virginia Hasenbein sperimentò a sua volta il vero colpo di fulmine che le sue amiche dicevano esistere solo nelle fiabe, avvertì le cosiddette farfalle nello stomaco di cui tanto spesso aveva letto nei romanzi d’amore, che leggeva nelle noiose giornate di pioggia, ed arrossì violentemente; riuscì a mimetizzare il rossore grazie alle lunghe ciocche di capelli che le ricadevano sulle guance, ai lati del viso, ed alla poca luce che arrivava da un lampione acceso.

Il chitarrista interpretò il lungo silenzio come un rifiuto e si affrettò a correre ai ripari.

“Ovviamente non sei costretta ad accettare il mio invito, non… Non vorrei mai costringerti a fare qualcosa che non… In fin dei conti per te sono un completo sconosciuto che conosci da poco più di un’ora e che ti ha solo accompagnata a casa. Non mi offendo”

“Mi piacerebbe passare la serata in tua compagnia” rispose in un sussurro la ragazza, interrompendo il monologo senza capo né coda di David, e facendo perdere un battito al suo cuore “solo… Ecco… Ti chiedo un unico favore”

“Qualunque cosa”

“Incontriamoci infondo alla via, vicino a quella fermata dell’autobus”

“D’accordo” rispose il giovane senza chiedere spiegazioni riguardo la strana richiesta “passo a prenderti per le sette?”

“Per le sette va benissimo”

“Ci vediamo domani sera, allora”

“A domani sera. Buonanotte”

“Buonanotte” sussurrò di rimando Gilmour mentre Virginia scendeva dalla macchina.

 La guardò togliersi le scarpe per non fare rumore e rientrare in casa in punta di piedi; riaccese il motore della macchina solo quando la porta si chiuse con un tonfo appena udibile e tornò in albergo con la mente avvolta da uno stranissimo ed indescrivibile torpore: non riusciva a pensare a niente che non fosse la bellissima ragazza entrata per caso, e precipitosamente, nel suo camerino nel pieno del party dopo concerto.

Non riusciva neppure a pensare al concerto.

E quando si sdraiò sul materasso, a luci spente, con le mani dietro la testa e lo sguardo rivolto al soffitto che non riusciva a vedere, non pensò neanche alla fede che indossava, né tantomeno a Ginger che lo aspettava a casa, a Londra, con Keith ed il piccolo Demi, che stava per compiere il suo primo anno di vita.

La sua mente era attraversata da un unico pensiero che continuava a ripetersi all’infinito, e che gl’impediva di chiudere gli occhi ed addormentarsi.

Non aveva chiesto alla bellissima sconosciuta col viso da bambola quale fosse il suo nome.
 

Ritorna all'indice


Capitolo 40
*** Virginia (Parte Due) ***


“Pronto?”.

Roger allontanò la cornetta dall’orecchio destro con un’espressione perplessa; osservò l’oggetto nero in silenzio e, anziché rispondere, riagganciò.

Attraversò la hall dell’albergo e raggiunse Nick e Rick, seduti su un divano, che stavano chiacchierando e fumando nell’attesa di uscire per la cena; il bassista si lasciò cadere su una poltrona e, senza abbandonare l’espressione perplessa e corrucciata, accese a sua volta una sigaretta.

“Ehi, Rog, che succede?” chiese Nick, notando come l’umore di Roger era bruscamente cambiato da quando si era allontanato dal telefono fisso messo a disposizione degli ospiti dell’albergo “brutte notizie da casa?”

“No, non proprio, è… Appena successa una cosa… Strana” rispose Waters, ponderando con attenzione le parole, con gli occhi azzurri rivolti verso un tavolino di vetro, senza vederlo veramente.

“Cioè?”

“Ho provato a chiamare Judith, solo che… Dall’altra parte del telefono ha risposto una voce che non conosco. La voce di un uomo”.

Nick assunse a sua volta un’espressione perplessa e si scambiò un’occhiata con Rick.

“Sei sicuro che non fosse il padre di Judy, o magari tuo fratello? Non so… Forse uno di loro è andato a farle visita e per puro caso ha risposto al telefono” disse Mason, concentrando di nuovo lo sguardo su quello che, dai tempi del politecnico, era uno dei suoi più stretti e cari amici; Waters piegò le labbra in una smorfia e si appoggiò allo schienale della poltrona, senza mai distogliere gli occhi dal punto indefinito che stava continuando a fissare.

“Pensi che non sappia riconoscere la voce di mio suocero o tantomeno quella di John?”

“Beh… Siamo in America, ci troviamo quasi dall’altra parte del mondo… Può essere che ci sia qualche interferenza… O magari c’era qualche vicino a casa vostra… Rick?”

“Sei sicuro che la centralinista abbia inoltrato correttamente la chiamata?” intervenne Richard, rispondendo alla richiesta di aiuto di Nick “forse ha sbagliato a digitare una cifra del numero che le hai dettato”

“Ohh, è vero! A me è successo una volta, in Olanda: volevo chiamare Lindy, ma dall’altra parte del telefono ha risposto una signora anziana! Sono sicuro che deve essere andata così anche nel tuo caso, non c’è altra spiegazione! Sono sicuro che incidenti come questo capitano spesso, soprattutto nel caso delle telefonate oltreoceano… Non c’è altra spiegazione, deve essere andata sicuramente in questo modo!” esclamò Mason, supportando la tesi lucida, razione e fattibile di Wright.

Waters rimase in silenzio, aspirò un’ultima boccata di fumo e spense il mozzicone dentro un posacenere.

“Sicuramente la centralinista deve aver digitato un numero sbagliato” disse infine, giungendo alla stessa conclusione plausibile.

“Prova a richiamare Judy”

“No, ci riproverò domani, ormai è tardi. Dov’è Dave? È in ritardo” il bassista lanciò un’occhiata contrariata al suo orologio a polso: erano trascorsi già dieci minuti dall’orario che avevano concordato in precedenza per ritrovarsi nella hall dell’albergo, e Gilmour non era ancora sceso dalla sua camera.

“Sono sicuro che sarà qui a momenti” disse subito Rick, prendendo le difese dell’amico.

Agli occhi delle persone che li circondavano, i quattro ragazzi apparivano come un gruppo omogeneo e legato, ma la verità era leggermente diversa: all’interno della band c’erano due frazioni che diventavano subito evidenti quando nasceva qualche screzio, sia in ambito lavorativo che in quello della vita quotidiana.

Da una parte c’erano Roger e Nick, dall’altra David e Rick.

Se nasceva una discussione tra Roger e David, le due personalità dominanti del gruppo, Nick si schierava quasi in automatico dalla parte del bassista, mentre Rick faceva altrettanto con quella del chitarrista.

I litigi e le discussioni non erano all’ordine del giorno, ma intraprendere un nuovo tour equivaleva ad una nuova convivenza forzata che variava da diverse settimane ad un paio di mesi; andare in tour equivaleva vedersi e sopportarsi quasi ventiquattro ore su ventiquattro.

Andare in tour equivaleva ad arrivare ad un punto in cui i nervi saltavano per un sospiro, per un colpo di tosse o per della cenere di sigaretta che finiva accidentalmente su un paio di scarpe nuove.

C’erano molte cose che Roger sopportava a fatica, altre che odiava ed altre ancora che odiava in modo viscerale.

Odiava in modo viscerale i ritardatari.

E David era sempre, e costantemente, in ritardo.

Quando finalmente Gilmour scese nella hall, cinque minuti più tardi, Waters gli rivolse un’occhiata cupa e gl’indicò il quadrante dell’orologio che indossava al polso sinistro: il ritardo del chitarrista non aveva fatto altro che sollecitare l’irritazione provocata dallo strano incidente telefonico.

Se così poteva essere davvero definito.

“Quindici minuti” disse picchiettando l’indice destro contro il vetro del quadrante “quindici minuti di ritardo. Ti stiamo aspettando da quindici minuti, lo sai?”

“Scusa, Rog, non ho sentito la sveglia”

“Tutto qui? Questa è la tua unica spiegazione? Arrivi in ritardo di quindici minuti e tutto quello che sai dire è che non hai sentito la sveglia?”

“Sì, non ho sentito la sveglia perché ero stanco… Sai, sono diverse settimane che siamo in viaggio e che non abbiamo la possibilità di riposarci”

“Anche noi siamo stanchi, sai, ma siamo scesi tutti e tre in perfetto orario, come puoi vedere”

“Ragazzi, che ne dite di rinviare questa conversazione al termine della cena? Ho un buco terribile allo stomaco e se non ci muoviamo ad arrivare al ristorante, temo che daranno il nostro tavolo a qualcun altro” intervenne Nick, alzandosi dal divanetto e battendo le mani, prima che la discussione entrasse nel vivo e si trasformasse in un litigio molto più animato; David abbassò lo sguardo, spostò il peso del corpo da un piede all’altro e si rigirò tra le mani la chiave a cui era attaccato un portachiavi di cuoio: apparteneva ad una delle macchine messe a loro disposizione in caso volessero fare un giro in città durante i pochi momenti di pausa a loro disposizione.

“Ahh… Sì… La cena…” commentò in modo distratto, esitando prima di proseguire; se Roger aveva reagito così male per i quindici minuti di ritardo, non osava immaginare cosa gli avrebbe fatto dopo quello che stava per dire “può essere che sia sorto un piccolo imprevisto per la cena di questa sera”

“Un piccolo imprevisto?” domandò Mason allarmato; Waters non disse nulla, ma fissò Gilmour senza mai sbattere le palpebre.

“Può essere che… Che io non venga con voi”.

Di fronte a quel fulmine a ciel sereno, i tre ragazzi reagirono in modo diverso: Nick socchiuse le labbra incredulo, Rick inarcò le sopracciglia in una espressione sorpresa e Roger esplose definitivamente.

“Non verrai? Che cazzo significa che non verrai? Non puoi presentarti in ritardo di quindici minuti ed avere la faccia tosta di tirarci pacco così! Cazzo, ma non ce l’hai un minimo di decenza? Non potevi avvertirci prima, così non avremmo perso tempo inutilmente? E si può sapere perché non vuoi venire a cena con noi?”

“Non è che non voglioNon posso

“E, di grazia, perché non puoi?”

“Perché sto male e preferisco non muovermi questa sera, visto che domani ci aspetta un lunghissimo viaggio di ritorno” rispose David, senza mai distogliere gli occhi da quelli di Roger.

Il bassista sbatté le palpebre ed inarcò il sopracciglio destro in un’espressione scettica.

Non credeva assolutamente a quelle parole.

“Non mi sembra affatto che tu abbia l’aspetto di una persona che sta male” commentò, osservando il chitarrista da capo a piedi.

No, non aveva affatto l’aspetto di una persona sofferente.

“Ohh, sì, e Rog se ne intende molto bene di persone che stanno male dopo l’esperienza in prima persona che ha vissuto in Italia” disse Mason con una risata, ottenendo in risposta uno sguardo fulminante dal cupo bassista: l’ultima notte in Campania era argomento tabù all’interno del gruppo, almeno in presenza di Roger; alle sue spalle, era una storia completamente diversa “eddai, Dave, che ti costa uscire con noi? Non puoi abbandonarci! Sai che è tradizione che l’ultima sera di un tour usciamo noi quattro a festeggiare! Non vuoi proprio venire? Che cosa senti? Hai la febbre oppure si tratta solo di un malessere passeggero? Magari ti passa mangiando qualcosa!”

“In verità, credo che il mio malessere sia dovuto proprio a qualcosa di guasto che ho mangiato ieri. Sono stato tutto il giorno a letto per vedere se mi passava, ma… Credo di essermi preso una mezza intossicazione alimentare, o qualcosa del genere” spiegò piegando le labbra carnose in una smorfia di dolore che doveva risultare convincente.

O almeno così si augurava.

Roger sbatté le palpebre e continuò, imperterrito, col suo interrogatorio personale.

“Questo è assolutamente impossibile. Non puoi esserti beccato una intossicazione alimentare perché ieri hai mangiato insieme a noi qui in albergo, e nessun altro ha accusato un malessere fisico. E se non ricordo male, ho mangiato il filetto di carne, esattamente come te: secondo il tuo ragionamento, a quest’ora anch’io dovrei sentirmi uno straccio. Invece sto benissimo e mi sembra che lo stesso valga anche per te” ripeté una seconda volta con uno sguardo diffidente; David faticò a sostenere quello sguardo indagatore, ma si costrinse a non cedere “Nick ricorda ancora molto bene la brutta esperienza che ho vissuto in Italia, ma io ricordo altrettanto bene quella che lui ha passato in Francia, quando si è beccato davvero una intossicazione alimentare coi fiocchi… Tu non hai l’aspetto orribile che aveva lui in quei giorni… Anzi… Mi sembri particolarmente in forma”

“Infatti credo di essermi beccato una mezza intossicazione o qualcosa di simile. Non sono sicuro di quello che ho, so solo che sto male e la prima cosa a cui ho pensato è stata il cibo… Dopotutto ciò che non fa male a te non è detto che non faccia male anche a me. Forse il cibo americano è troppo speziato e condito per il mio stomaco. Non siamo tutti delle fogne come te, Rog”

“Su questo devo concordare con Dave” intervenne di nuovo Nick per stemperare i toni che, via via, stavano diventando sempre più accesi “mangi come una fogna e pesi meno di una foglia bagnata. Mio dio, ma come fai ad essere così magro? Qual è il tuo segreto? Dove li nascondi i chili in più?”

“Costituzione fisica e metabolismo veloce” tagliò corto Waters, senza neppure girarsi verso Mason “se stai così male, perché allora hai le scarpe ed il giubetto? Sembri uno che sta per uscire”

“Infatti sto per uscire per andare a prendere una boccata d’aria. Sono stato tutto il giorno chiuso in camera e…”

Stronzate!” esclamò Waters, alzandosi di scatto dalla poltrona “quelle che stai dicendo sono solo stronzate. Tu non stai male e non hai bisogno di prendere nessuna boccata d’aria, semplicemente hai deciso di tirare pacco all’ultimo secondo alla nostra serata perché sei una grandissima testa di cazzo, ed io mi sono rotto di perdere tempo ad ascoltare tutte le cazzate che continui a rifilarci, come se fossimo davvero così coglioni da crederci! Vaffanculo, io mi sono rotto di perdere tempo ad ascoltarti! Ho fame, ho sete e voglio arrivare al ristorante prima di scoprire che il nostro tavolo è stato dato a qualcun altro in fila! Andiamo!”.

Roger si assicurò di urtare con forza David quando gli passò affianco; lo superò in fretta, senza degnarlo di uno sguardo, ed uscì dalla porta scorrevole d’ingresso dell’albergo continuando a borbottare parole poco gentili nei suoi confronti.

Prima che la porta scorrevole si chiudesse, Gilmour riuscì ad udire chiaramente termini come ‘coglione’, ‘testa di cazzo’ e ‘senza un minimo di decenza’.

Nick si alzò dal divano sfregando i palmi delle mani sulla stoffa dei jeans, visibilmente a disagio, e diede una pacca sulla spalla destra di David.

“Tranquillo, poi gli passa. Il tempo di mettere sotto i denti qualcosa, bere una birra e tutto torna come prima. Domani sarà di nuovo di buonumore… Per quanto Roger possa essere di buonumore”.

Il giovane sorrise, grato del tentativo di Nick di tranquillizzarlo, ma non era così sicuro che Roger avrebbe dimenticato in fretta quella faccenda.

Anzi.

Conoscendolo, gli avrebbe portato rancore per un bel po’ di tempo e gli avrebbe tolto il saluto per un paio di mesi: era capitato anche a Nick tre anni prima, quando nel mezzo di una discussione tra lui, Roger, Lindy e Judith, incentrata sulle infedeltà del bassista durante le esibizioni lontane da casa, aveva preso le difese delle due ragazze, puntando a sua volta l’indice contro il bassista.

E Roger si era incazzato terribilmente perché sapeva che anche Mason, nonostante una crisi che gli era quasi costata la relazione con Lindy, non era indenne dal peccato di infedeltà coniugale.

Incrociò lo sguardo di Rick, e lo vide sorridere di rimando.

“Nick ha ragione: a Rog passerà tutto non appena avrà finito di mangiare”

“… O non me lo farà dimenticare per il resto della mia vita” continuò la frase il chitarrista, sforzandosi di ridere; Wright sorrise ancora, per poi tornare serio: anche nei suoi occhi c’era uno sguardo perplesso ed interrogativo, ma non c’era la minima traccia di accusa come nel caso di quelli di Roger.

“Sei sicuro di voler rimanere da solo in albergo? Se vuoi, posso rimanere a farti compagnia… O possiamo anche rimandare la cena al nostro ritorno a Londra, per me non fa alcuna differenza festeggiare oggi o tra qualche giorno. L’importante è farlo insieme, come un gruppo di amici”

“No, per carità, Roger è già abbastanza furioso con me. Se annullassi la cena, potrebbe davvero uccidermi nel sonno. Vai e divertiti, Rick, recupereremo tutti e quattro insieme la prossima volta. Faccio una breve passeggiata e poi torno in camera a riposarmi. Magari mi faccio portare qualcosa di caldo dalla reception. Ora è meglio se raggiungi gli altri, prima che le urla di Roger buttino giù l’intero edificio”

“Credi che sarebbe davvero in grado di farlo?”

“Diciamo che non sono così ansioso di scoprirlo proprio questa sera”.

Richard sorrise, diede una pacca sulla spalla destra di David, uscì dalla hall dell’albergo e salì nella macchina in cui Roger e Nick lo stavano aspettando da qualche minuto; anziché inserire subito la chiave nel cruscotto, rimase in silenzio a fissare il volante.

“Beh, che ti prende?” domandò poco dopo Waters, sempre più spazientito, tamburellando le dita della mano destra sul vetro del finestrino “perché non partiamo?”

“Stavo pensando”

“A cosa?”.

Wright socchiuse le labbra per poi richiuderle, in un ripensamento dell’ultimo istante; scosse la chioma ondulata e castana, ed inserì la chiave nel cruscotto, accendendo il motore della macchina.

“Nulla, Rog, solo una sciocchezza che ora non ha la minima importanza” mormorò, imboccando lo svincolo a sinistra; ma la sciocchezza in questione continuò a tormentarlo fino all’arrivo al ristorante.

Se David voleva uscire per prendere una semplice boccata d’aria, perché aveva con sé le chiavi di una macchina e si era spruzzato del profumo?



 
David Jon Gilmour avvertì i primi sensi di colpa per avere spudoratamente mentito ai suoi compagni di band (a Richard, in particolar modo) mentre si stava recando al luogo d’incontro che lui e Virginia avevano concordato la notte precedente; un’ondata di nausea lo colse completamente alla sprovvista e per poco non lo costrinse ad accostare vicino al ciglio della strada ed a spalancare la portiera per vomitare.

Riuscì a resisterle solo prendendo una serie di profondi respiri e stringendo la presa sul volante; lo stritolò a tal punto che le nocche delle mani diventarono bianche.

Pensò a Ginger, a Demi, a Keith ed alla fede che aveva volontariamente lasciato in albergo, nascosta con cura all’interno di un cassetto del comodino, e per la prima volta da quando quell’assurda storia era iniziata, neppure ventiquattro ore prima, si chiese cosa cazzo stesse facendo.

Poi, i rimorsi, la nausea e l’attacco di panico a cui stava andando incontro, svanirono nell’istante in cui parcheggiò la macchina vicino al tabellone che segnava la presenza di una fermata e vide la bellissima Virginia che lo stava aspettando, completamente da sola: la ragazza indossava un abito candido e delle ballerine bianche; i lunghi, folti ed ondulati capelli rossicci erano sciolti sulla schiena ed incorniciavano il suo volto mozzafiato, sprovvisto di trucco.

Non ne aveva bisogno.

Era così bella che ogni traccia di rossetto, mascara od ombretto sarebbe risultata superflua ed inopportuna.

Con quel vestito bianco, la sua sconvolgente bellezza acqua e sapone la faceva assomigliare ad un angelo.

Gilmour non credeva nell’esistenza degli angeli, ma se mai fossero stati veri, allora senza alcuna ombra di dubbio avrebbero avuto le fattezze di quella ragazza americana.

Virginia guardò la macchina, riconobbe il guidatore e si avvicinò con un sorriso timido sulle labbra; quando entrò nell’abitacolo, si sistemò una ciocca di capelli dietro l’orecchio sinistro, esattamente come faceva Ginger ogni volta che era nervosa od imbarazzata.

“Ehi” disse lei, continuando a sorridere in quel modo che il chitarrista aveva già etichettato come adorabile “sei venuto”

“Sì, sono venuto, ne sei così sorpresa?”

“Beh, in parte sì, lo confesso”

“Perché?”

“Perché… Perché io infondo sono una completa sconosciuta per te. E tu non hai alcun obbligo morale nei miei confronti”

“Ed invece ce l’ho, dal momento che ieri hai trascorso una orribile serata al nostro concerto. Che cosa ti va di fare? Per me è lo stesso, scegli tu. Negli ultimi giorni sono stato così impegnato tra prove e concerti che non ho neppure avuto il tempo di visitare la città, quindi non saprei neppure dove portarti. Non ti ho neanche preso un mazzo di fiori perché non so dove sia il negozio più vicino e temevo di perdermi ed arrivare in ritardo alla fermata”.

Virginia arrossì ed abbassò lo sguardo; faticava a fissare troppo a lungo i bellissimi occhi azzurri di David.

“Ti porto io in un posto molto carino ed accogliente, allora”.

La ragazza portò il chitarrista in una piccola tavola calda che distava appena una decina di minuti dal quartiere in cui abitava; mentre aspettavano l’arrivo della doppia porzione di patatine fritte e dei milkshake alla vaniglia con panna, Virginia gli raccontò di essere molto legata a quel locale tranquillo e mai affollato, perché ogni domenica, fin da quando ne aveva memoria, dopo la consueta messa della mattina, lei e la sua famiglia si recavano sempre lì per pranzo.

Gli raccontò molte cose della propria vita, anche del laghetto di montagna in cui suo padre la portava a pescare quando era un piccolo maschiaccio.

Gli raccontò perfino del suo profondo amore per gli animali, che l’aveva spinta durante l’adolescenza a diventare vegetariana.

David ascoltò ogni parola con estrema attenzione, in religioso silenzio, continuando a girare la cannuccia di plastica rossa dentro il suo milkshake, senza mai parlare e senza mai riuscire a staccare gli occhi dal viso di Virginia; a volte il suo sguardo indugiava sulle labbra della giovane, simili ad un bocciolo di rosa maturo, ma tornava subito a concentrarsi sui suoi occhi perché diventava sempre più difficile resistere alla tentazione di attirarla a sé e baciarla in pubblico, magari facendo cadere a terra i cestini che contenevano le patatine ed i due bicchieri colmi di milkshake.

Quando arrivò il momento di tornare alla fermata dell’autobus, Gilmour ebbe la sgradevole sensazione che la serata fosse passata troppo in fretta.

“Perché mi hai chiesto di venirti a prendere e di riaccompagnarti qui?” chiese dopo aver spento il motore della vettura, per pensare ad altro.

“I miei genitori sono molto protettivi nei miei confronti, continuano a vedermi come una bambina anche se quest’anno compio ventiquattro anni.Se avessi detto loro che questa sera sarei uscita con un ragazzo appena conosciuto, a quest’ora ci sarebbero le sbarre alla finestra di camera mia” rispose Virginia con un sorriso; ritornò seria e si morse il labbro inferiore “e così domani riparti?”

“Sì, torno a Londra”

“E quando tornerai in America?”

“Non lo so. Potrebbero passare un paio di mesi come più di un anno”

“Ohh” mormorò la ragazza abbassando lo sguardo; era pronta a ricevere una risposta simile, ma il colpo che avvertì risultò comunque doloroso “quindi… Questo è una sorta di addio?”

“Non lo so” rispose David, fissando il volante, pur conoscendo benissimo la risposta: sì, quello era un addio; il giorno seguente avrebbe preso un volo per Londra e tra loro due ci sarebbe stato un oceano e due vite completamente diverse a separarli “so solo che questa sera sono stato benissimo con te, e vorrei che non finisse mai”
“Anche io sono stata benissimo… Ed anch’io vorrei che questa sera non finisse mai”.

David girò il viso in direzione di Virginia, si guardarono negli occhi senza parlare e poi, lentamente, si avvicinarono finché le loro labbra non s’incontrarono in un bacio lungo e profondo; lui le passò le braccia attorno alla vita sottile, stringendola a sé, e lei gli appoggiò le mani sulle guance, accarezzandogliele.

Per diversi minuti, all’interno della macchina si udì un lungo silenzio, rotto solo dai respiri dei due amanti.

Quando si allontanarono, entrambi avevano il respiro corto ed ansante.

Ecco.

Ora era davvero fottuto.

Aveva oltrepassato il punto di non ritorno, e ormai non aveva più senso tirarsi indietro.



 
David salì nella propria camera d’albergo tenendo Virginia per mano e guardandosi attorno più volte, per timore d’incrociare uno dei suoi compagni di band; quando richiuse la porta alle proprie spalle, dopo averla chiusa a chiave per evitare spiacevoli situazioni imbarazzanti, si appropriò di nuovo delle labbra rosee e morbide della ragazza americana, di cui si sentiva già dipendente.

Quando raggiunsero il letto, i vestiti erano ormai sparpagliati attorno a loro sul pavimento; Virginia si sdraiò sul materasso, con un fremito lungo la spina dorsale, attirò a sé David per baciarlo di nuovo e lui le entrò dentro con una spinta decisa che mozzò il fiato in gola ad entrambi.

Non si sentiva un verme per quello che stava facendo.

Non si sentiva uno schifoso bastardo perché stava tradendo Ginger e perché non aveva detto a Virginia di essere marito e padre.

Non sentiva neppure i sensi di colpa che poche ore prima lo avevano quasi costretto ad inchiodare bruscamente la macchina.

Si sentiva semplicemente bene.

Si sentiva bene insieme, e dentro, quella ragazza americana che aveva conosciuto per puro caso la notte precedente: come un uragano, era entrata con prepotenza nella sua vita, devastando ogni sua certezza e distruggendo ciò che era riuscito a creare a fatica.

E non si sentiva affatto in colpa.

Tutt’altro.

Si sentiva benissimo, perché quella sconosciuta dal viso di bambola gli aveva fatto assaggiare un pezzo della vera felicità, ed ora non desiderava più tornare indietro.
Non era neanche più sicuro di voler tornare a Londra.

Strinse a sé Virginia, quando raggiunse l’orgasmo; la strinse a sé con forza e senza provare a trattenere un singhiozzo perché aveva paura di vederla svanire da un momento all’altro, temeva che si rivelasse solo un parto della sua mente in seguito ad una sbronza colossale presa al party dopo il concerto.

Continuò a tenerla stretta a sé e si lasciò accarezzare i lunghi capelli con gesti dolci e delicati; di tanto in tanto sentiva le morbide labbra della ragazza su una guancia, sulla punta del naso o sulla fronte.

Allentò la presa solo quando si rese conto che lei era troppo reale per essere il semplice parto mentale di una sbronza da party, ed appoggiò la testa contro la sua spalla destra, lasciando che fosse lei, ora, ad abbracciarlo e cullarlo.

Ben presto, il giovane sentì gli occhi farsi pesanti a causa del sonno.

“Comunque… Il mio nome è Dave” mormorò, con voce assonnata, prima di addormentarsi profondamente.



 
Virginia non poteva essere vista da qualcuno, e così si ritrovò costretta a sgattaiolare via usando una scala d’emergenza anziché uscire dall’ingresso principale dell’albergo.

“Non voglio che qualcuno ti veda, sai… Le chiacchiere…” si giustificò lui, senza accennare minimamente alla famiglia che lo aspettava in Inghilterra; Virginia prese un foglietto ed una penna dalla borsetta che aveva con sé, scrisse qualcosa velocemente e lo consegnò a Gilmour: erano un numero telefonico ed un indirizzo.

“Così puoi chiamarmi e mandarmi qualche lettera. Farò in modo di controllare sempre io la posta, così non passerò dei guai seri con i miei genitori”

“In compenso li passerai ora, se non arrivi a casa prima che si accorgano della tua assenza. Sei sicura di non volere un passaggio?”

“Sì, tranquillo, prenderò l’autobus. Ho ancora un po’ di tempo prima che la loro sveglia suoni, posso farcela se parto ora. Buon ritorno a casa, Dave, spero di sentirti presto… E spero di rivederti anche prima, se possibile” Virginia rivolse al giovane un sorriso mozzafiato, ed iniziò a scendere i scalini metallici in fretta, perché doveva raggiungere la fermata dell’autobus il prima possibile.

“Aspetta!” la bloccò lui, facendola voltare di scatto a metà rampa; coi lunghi capelli scompigliati dalla brezza dell’alba era ancora più bella “non mi hai ancora detto il tuo nome”

“Il mio nome è Virginia” rispose la giovane “ma tutti mi chiamano Ginger”.

Ritorna all'indice


Capitolo 41
*** Lies (Parte Uno) ***


Una giacca in pelle marrone col colletto in pelliccia bianca: Roger Waters fissò con uno sguardo stranito l’indumento appoggiato in bellavista sull’appendiabiti posizionato alla destra della porta d’ingresso di casa sua; continuò a fissarlo in silenzio senza accorgersi dei due grossi gatti neri, che possedeva da tre anni, che lo avevano raggiunto dalla cucina e che ora gli stavano dando il bentornato strofinandosi contro le sue lunghe gambe e facendo le fusa.

Roger adorava i gatti, aveva un debole per quelle creature a quattro zampe così affascinanti e misteriose; nel vecchio appartamento in cui abitava, prima di sposarsi e di comprare casa insieme a Judith, (quello con i scalini scivolosi che avevano quasi slogato una caviglia a Nick, ed erano riusciti nel loro intento con quella destra di Ginger) il proprietario dell’intero condominio aveva due meravigliosi gattoni persiani con cui aveva trascorso interi pomeriggi a giocare.

Secondo Nick, il bassista amava così tanto quei piccoli felini domestici perché in loro rivedeva il proprio essere arrogante ed altezzoso.

Prese in mano la giacca e la osservò più da vicino, nella speranza di riuscire a risolvere l’arcano mistero: non poteva appartenere a Judy perché era un modello palesemente maschile e ben lontano dai suoi gusti personali… Allora, forse, si trattava di una sorta di bizzarro regalo di bentornato a casa? Sua moglie aveva sistemato la giacca marrone col colletto in pelliccia bianca proprio lì, in bellavista, sull’appendiabiti in modo che la vedesse subito?

Forse.

Poteva essere.

Ma perché, allora, non l’aveva impacchettata e posizionata con cura sopra il divano, sopra il tavolo della cucina o davanti alla porta d’ingresso?

E perché la giacca era sprovvista di qualunque tipo di etichetta?

E poi, era palesemente troppo stretta per essere della sua taglia e Judith non aveva mai sbagliato a comprargli una maglietta, un maglione od un paio di pantaloni, anche se, ogni volta che uscivano insieme, si lamentava sempre perché era un’impresa quasi impossibile fare shopping per un individuo magrissimo che sfiorava i due metri d’altezza.

Roger scosse la testa e posò di nuovo la giacca sull’appendiabiti.

No, impossibile, non poteva essere un regalo. Un’opzione simile era assolutamente fuori discussione.

Ma, allora…. Che diavolo ci faceva una giacca marrone col colletto in pelliccia bianca nell’ingresso di casa sua?

Waters si spostò nel salotto alla ricerca di Judy, ma lo trovò vuoto; guardò in cucina, dentro al bagno al pianoterra, nel sottoscala, scese la scalinata a chiocciola che conduceva al seminterrato che aveva trasformato in uno Studio di registrazione personale, con i gatti che lo rincorrevano per giocare con l’orlo dei pantaloni neri, ma anche quello era vuoto.

Judith sembrava essere svanita nel nulla.

Eppure la porta d’ingresso era aperta, e la sua macchina era parcheggiata sul vialetto.

All’improvviso, alle sue orecchie arrivò un suono simile ad un tonfo sordo, ed il suo sguardo si spostò in direzione delle scale che conducevano al piano superiore dell’abitazione; iniziò a salire i scalini avvertendo una strana sensazione allo stomaco, forse dovuta al fatto che non aveva ancora mangiato nulla.

A causa della stanchezza e del fuso orario, aveva trascorso la maggior parte del viaggio di ritorno a dormire con la testa appoggiata all’oblò, le braccia incrociate e la bocca socchiusa, del tutto ignaro delle fotografie che Nick gli aveva scattato sforzandosi di non scoppiare a ridere.

Ad ogni scalino che saliva, la tenaglia allo stomaco si faceva sempre più stretta.

Arrivato al piano superiore, la tenaglia si era trasformata in nausea.

Roger percorse il piccolo corridoio senza fare rumore, facendo attenzione a non far scricchiolare le assi del pavimento, e passò affianco alla fotografia incorniciata che ritraeva lui e Judith, sorridenti e spensierati, nel giorno delle loro nozze; si fermò davanti alla porta chiusa della loro camera da letto ed appoggiò la mano destra sul pomello di ottone, stringendolo con più forza del necessario.

Dall’interno della stanza gli sembrò di udire una flebile voce.

‘Non aprire la porta. Non aprirla. Non aprirla. Torna indietro finché sei in tempo. Scendi le scale, sali in macchina, fai un giro e torna tra un paio di ore fingendo di essere appena arrivato dall’aeroporto. Fa qualunque cosa ma, per l’amor del cielo, non aprire questa fottuta porta!’.

Girò il pomello verso destra e spalancò la porta.

Vide Judith, a letto, completamente nuda, in compagnia di un uomo, un verme, chino su di lei.

Anche lui era completamente nudo.

Erano entrambi completamente nudi.

Nudi come vermi.

A letto.

Nel loro letto.

Nel suo letto.

Alla vista del marito, la giovane avvampò ed annaspò alla ricerca di aria; scostò da sé l’uomo sconosciuto (il verme), si coprì con il lenzuolo e balbettò qualcosa che Roger non riuscì a capire.

Il bassista, senza dire una sola parola, voltò le spalle ad entrambi e fece ciò che avrebbe dovuto fare qualche minuto prima, quando ancora la sua vita era apparentemente perfetta: scese le scale, uscì di casa, risalì in macchina e si allontanò il più velocemente possibile, schiacciando al massimo il pedale dell’accelerazione.



 
David Gilmour prese un profondo respiro, girò il pomello della porta d’ingresso ed entrò in casa esibendo uno dei suoi migliori sorrisi.

“Sono tornato!” esclamò ad alta voce, in modo che tutti potessero sentirlo: non ricevette alcuna risposta, in compenso sentì Ginger gridare dalla stanza accanto.

Gilmour emise un profondo sospiro, posò la valigia affianco alla porta d’ingresso e si spostò in cucina: Ginger era là, intenta a destreggiarsi tra la cena che si stava cucinando sui fornelli accesi, il piccolo Demi, seduto sul seggiolone, che non voleva mangiare l’omogeneizzato e Keith che era sdraiato a faccia in giù sulla moquette, in evidente stato di crisi; indossava una maglietta larga, un paio di pantaloni da ginnastica ed aveva i capelli raccolti in una coda di cavallo scompigliata.

Alcuni ciuffi rossi le ricadevano sulla fronte, altri erano incollati sulle guance.

David la guardò in silenzio e ripensò a Virginia che lo aspettava alla fermata dell’autobus, col suo vestito candido, le ballerine bianche, i vaporosi capelli sciolti ed il viso bellissimo che non necessitava di trucco.

Il confronto era spaventoso.

Ginger distolse gli occhi da Demi, che non voleva saperne di aprire la bocca e mangiare, e li puntò sul marito.

“Finalmente sei arrivato, David! Mio dio, ma quanto tempo ci hai messo a tornare indietro dall’aeroporto? Oggi tutti hanno deciso di farmi andare fuori di testa: Demi non vuole mangiare, il polpettone non vuole saperne di cucinarsi e Keith è in piena crisi! Vieni qui e aiutami, per favore, anziché stare lì impalato a fissarmi” disse in tono brusco, appoggiando il piattino ed il cucchiaino di plastica sopra il tavolo e spostandosi davanti ai fornelli per controllare il polpettone che non voleva saperne di cucinarsi; Gilmour obbedì in silenzio: si sedette davanti al seggiolone di Demi e provò a persuaderlo a mangiare l’omogeneizzato alla zucca.

Finse che il cucchiaino di plastica fosse un aeroplano e, dopo qualche tentativo, riuscì a convincere il bimbo ad aprire la bocca ed a mangiare la crema arancione.

Demi Richard, proprio come nel caso di Keith, non aveva ereditato i tratti della madre, bensì quelli del padre, come lo dimostravano i grandi occhi azzurri, i fini e soffici capelli biondi e la piccola bocca piena; a Ginger non dispiaceva affatto non rivedere nulla di sé stessa nei suoi due uomini in miniatura.

Andavano benissimo così, non li avrebbe cambiati per nulla al mondo.

“Almeno avresti potuto salutarmi, non ci vediamo da settimane…”

“Dave, ti prego, non è questo il momento. I saluti possono aspettare. Aiutami con Keith, piuttosto” ribatté seccata la giovane, mentre cercava di girare il polpettone, con una paletta, senza scottarsi le dita; aveva il viso arrossato a causa del calore che saliva dalla pentola rettangolare.

Il chitarrista abbassò lo sguardo sul bambino che non si era ancora mosso dalla moquette.

“Ehi, Keith, che succede?” domandò guardandolo; Keith non rispose, rotolò a pancia in su e David si accorse che aveva gli occhi lucidi “ehi, hai pianto? Perché hai pianto? È successo qualcosa in asilo? Un bambino ti ha dato una spinta? È successo qualcosa al tuo peluche George?”.

Keith scosse con forza la testa, facendo ondeggiare i ricci neri, ma non disse una sola parola.

“Vuoi sapere che è successo?” rispose al posto suo la giovane, voltandosi a guardare il marito con le mani appoggiate ai fianchi “oggi, quando sono andata a prendere Keith all’asilo, sono stata seguita da alcuni fotografi… Di nuovo

“Ed io che ci posso fare? Lo sai che tutto è cambiato dal quando è uscito l’album!” si difese il chitarrista, continuando ad imboccare il suo primogenito che aveva ritrovato improvvisamente l’appetito perduto.

The Dark Side Of The Moon era uscito solo il mese precedente e, con enorme sorpresa di tutti, non solo era stato un successo nelle vendite, ma aveva scalato vertiginosamente la classifica e non sembrava essere intenzionato a scendere dal gradino più alto del podio; con le vendite erano finalmente arrivati i primi veri cospicui guadagni e la vera fama, ma in quel modo la band aveva attirato su di sé anche l’occhio famelico della stampa e del gossip, e le rispettive mogli e figli non erano risparmiati da quel tritacarne mediatico.

La vita di Mary Jane Anderson si era trasformata in un vero e proprio incubo da quando la stampa si era accorta che Keith era identico a Syd.

“Non lo so che cosa dovresti fare, ma qualcosa devi pur fare! Così non può continuare perché non ce la faccio più! Trovo quei maledetti fotografi ovunque!”

“Ginger, è così che funziona quando diventi famoso, che cosa posso dirti? Credi che a me faccia piacere essere braccato come un animale, con le spalle al muro? Sai che quando scendiamo da un aereo, rischiamo di essere travolti da una folla di persone? Siamo stati costretti a far rialzare ulteriormente i palchi per le esibizioni dal vivo, per evitare che qualche fan troppo esuberante scavalchi le barriere e salga sul palco… E ti posso assicurare che ho visto con i miei occhi dei ragazzi che avevano portato con loro una scala a pioli per raggiungerci!”

“Me ne frego della scala a pioli o delle folle che siete costretti ad affrontare, David. Qui non si tratta né di voi né di me, ma di Keith. Io posso anche sopportare di essere seguita mentre vado a fare la spesa o mentre vado dalla parrucchiera, ma non accetto di essere pedinata quando accompagno o vado a prendere Keith all’asilo, quando esco con lui o quando lo porto al parco giochi. Non voglio vedere la faccia di mio figlio sui giornali di gossip associata a certi articoli. Lui non c’entra con tutto questo: è un bambino normale, come tutti gli altri, e deve vivere una vita normale!”

“Mi dispiace, Ginger, mi dispiace davvero per Keith. Io non voglio vederlo stare male… Però non dirmi che non immaginavi che prima o poi si sarebbe creata una situazione simile! Sapevi che prima o poi…”

“Non me ne frega niente! Loro non devono fotografarlo! Quando sono insieme a lui, devono farsi da parte, non devono neppure farsi vedere, altrimenti… David, la prossima volta che un fotografo prova a scattarmi una foto mentre sono con Keith, io gli strappo la macchinetta fotografica dalle mani e la uso per picchiarlo”

“Non faresti altro che aggravare ulteriormente la situazione, e daresti loro ciò che vogliono più di tutto: materiale per un lungo articolo di gossip. Cosa pensi che scriverebbero, se dovessi arrivare a compiere un gesto simile? Ti screditerebbero in qualunque modo possibile, e finiresti col mettere in mezzo me, Demi e soprattutto il gruppo… Perché poi tutto si ripercuoterebbe sempre e solo su di noi. La stampa userebbe il nostro nome per un guadagno sicuro”

“E cosa dovrei fare? Lasciare mio figlio in pasto alla stampa?”

“Perché continui a dire che Keith è solo tuo figlio? Non sarò suo padre biologico, ma per me ormai è mio figlio tanto quanto Demi! Parli come se a me non importasse nulla di lui”

“Perché a volte è questa l’impressione che ho!”

“Basta urlare!” gridò Keith, esasperato, tirandosi su a sedere; si coprì le orecchie con le mani e prese a singhiozzare con forza “non mi piacciono tutte quelle persone che mi fotografano in continuazione. Mi fanno sentire come se fossi diverso”

“Ecco, guarda cosa hai fatto. Pensa tu al polpettone, e cerca di non combinare un altro disastro” Ginger si allontanò dai fornelli, lasciando David interdetto a fissare il vuoto; prese in braccio Keith e lo portò al piano di sopra, in bagno, per asciugargli le lacrime e sciacquargli il viso con dell’acqua fresca.

Il bimbo tirò su col naso diverse volte, ma alla fine riuscì a calmarsi, anche se aveva ancora il labbro inferiore che tremava.

“Tesoro mio, non c’è assolutamente nulla di diverso in te. Non devi pensare mai più queste parole, va bene? Tu sei un bambino normale, proprio come tutti gli altri. Non c’è assolutamente nulla che non vada in te”

“Odio quando mi fotografano senza il mio permesso, e odio anche il modo in cui mi fissano. Non mi piace come lo fanno e quando lo fanno. Perché lo fanno, se sono un bambino come tutti gli altri?”

“Vedrai che non lo faranno più… E se dovesse succedere ancora, nascondi il viso contro una mia spalla e non sollevarlo finché non sarò io a dirtelo, d’accordo? Fammi un sorriso, ora, mio piccolo riccio, altrimenti anche la mamma sarà triste”

“Mamma, chi è mio papà?” chiese Keith di getto, lasciando Ginger senza parola: non si aspettava una domanda simile così presto “non mi hai mai parlato di lui. Dov’è? Perché non è qui con noi? Che cosa gli è successo?”

“È una storia troppo lunga e complicata da raccontare ad un bambino di quattro anni”

“Ma tra poco ne compierò cinque”

“Te la racconterò una prossima volta”

“Non puoi raccontarmela adesso?” insistette Keith con uno sguardo supplichevole negli occhi verdi; la rossa avvertì un doloroso tuffo al cuore.

Scosse la testa, facendo ondeggiare la coda di cavallo.

“No, tesoro, oggi no. Te la racconterò quando sarai più grande. Adesso vieni, torniamo da Demi e Dave che ci stanno aspettando per mangiare il polpettone” mormorò poi, sforzandosi di sorridere nel modo più persuasivo possibile.



 
Ginger sciolse la coda di cavallo, passò la spazzola tra i lunghi capelli rossi e poi raggiunse David, seduto sul bordo del letto; gli si avvicinò di soppiatto, da dietro, gli cinse le braccia attorno al collo e gli posò un bacio sulla guancia destra.

Attese una sua reazione, ma lui non reagì: i suoi occhi azzurri continuavano a fissare il vuoto.

“A cosa stai pensando?” gli sussurrò ad un orecchio, svegliandolo finalmente dal torpore in cui era caduto.

“A nulla”

“Nulla? Sicuro? Quando hai quell’espressione così corrucciata, significa che qualcosa ti turba… Allora, cosa ti turba? Ti va di parlarmene?” sussurrò la giovane con un sorriso, appoggiando il mento contro la spalla destra del chitarrista; Dave tornò a fissare il vuoto.

Sì, in effetti c’era qualcosa che lo turbava.

Qualcosa che si era portato appresso, dentro di sé, dall’America.

“Mi dispiace per Keith, per quello che sta passando. Hai perfettamente ragione, Ginger: lui è solo un bambino e non c’entra nulla con tutto questo casino mediatico che ci ruota attorno. I fotografi non dovrebbero passare tramite lui solo per arrivare a me… E lo stesso vale anche per Demi… E per te”

“Non pensiamoci adesso, per fortuna sono riuscita a tranquillizzarlo e sono sicura che per il momento non ci penserà più… Scusami per prima, sono stata orribile nei tuoi confronti, ma… Sono state delle settimane dure senza di te. Anche se mommi e Jen mi hanno sempre aiutata, quei due gnomi pestiferi hanno messo a dura prova i miei poveri nervi. Ho paura ad immaginare cosa accadrà quando entreranno nel periodo della pubertà” la ragazza posò un altro bacio sulla guancia destra del chitarrista “forza, i bambini stanno dormendo… Spegniamo le luci e andiamo sotto le coperte, così posso darti il benvenuto nel modo adeguato”

“Sì, va bene”

“Sei davvero sicuro che non ci sia altro a turbarti?” insistette la giovane con uno sguardo perplesso; David annuì e sorrise per rassicurarla.

“Assolutamente… Spegniamo le luci?” mormorò lui, continuando a sorridere.

Fecero l’amore e David lasciò che fosse Ginger a condurre i giochi perché aveva ancora la mente altrove, persa in pensieri oltreoceano: era a letto con la persona a cui aveva giurato amore eterno due anni prima, stavano facendo sesso, e non riusciva a smettere di pensare alla ragazza che aveva incontrato a Philadelphia e con cui l’aveva tradita.

Aveva detto che il suo nome era Virginia, ma che tutti la chiamavano Ginger.

Ginger.

Con tutte le ragazze che esistevano al mondo, lui aveva scelto proprio quella che aveva lo stesso nome di sua moglie.

Il destino si era divertito a giocargli proprio un bel scherzo.

A rapporto concluso, Ginger baciò David sulle labbra e si accoccolò con la testa appoggiata al suo petto.

“Ti amo, Dave” sussurrò chiudendo gli occhi.

“Ti amo anch’io” mormorò lui di rimando, fissando il soffitto; aspettò pazientemente che la giovane si addormentasse prima di sgusciare fuori dal letto, rivestirsi ed uscire in silenzio dalla camera da letto.

Scese le scale senza accendere la luce e si fermò davanti al telefono che avevano in salotto.

Sollevò la cornetta di plastica nera e l’appoggiò all’orecchio sinistro; lanciò un’occhiata in direzione delle scale, guardò il biglietto stropicciato che aveva in mano e digitò il numero telefonico scritto con una penna nera.

Aveva un disperato bisogno di risentire la voce di Virginia.



 
Judith guardò per l’ennesima volta l’orologio a cucù appeso sopra il caminetto e riprese a tormentare il fazzoletto bagnato che teneva stretto in grembo.

Undici e mezza.

Erano le undici e mezza di notte e Roger non era ancora tornato.

Aveva chiamato tutti, compresi la madre ed il fratello del bassista, ma nessuno era riuscito a dirle dove fosse perché nessuno lo aveva né visto né sentito.

Semplicemente, era sparito nel nulla da più di sei ore, e più i minuti passavano, più il panico si faceva strada nel petto della bionda e più lei iniziava a pensare al peggio.

Perché non era ancora tornato a casa? Dov’era andato? Cosa stava facendo? Aveva commesso qualcosa di stupido?

Si era chiuso dentro un pub a bere per dimenticare ciò che aveva visto, col rischio di ripetere ciò che era accaduto in Italia? O aveva commesso qualcosa di ancora più stupido, tipo assumere qualche sostanza pesante?

E se aveva avuto un incidente?

E se, fuori di sé dalla rabbia e dal dolore, si era schiantato a tutta velocità contro un muro, un albero od un’altra vettura ed ora si trovava in condizioni disperate nel pronto soccorso di un ospedale?

Judith si alzò di scatto dal divano con l’intenzione di uscire per andare alla ricerca del marito, quando sentì un rumore provenire dall’ingresso; girò il viso verso quella direzione, la porta si aprì ed apparve la figura alta e magra di Waters.

La ragazza sentì un peso togliersi dal petto, ma non era nulla a confronto dell’altro che le attanagliava in una morsa sia la gola che lo stomaco; tornò a sedersi sul divano senza mai staccare gli occhi rossi e gonfi dal bassista.

Roger si tolse lentamente la giacca, la posò sull’appendiabiti e solo allora si spostò nel salotto.

Judith impiegò diversi secondi prima di trovare il coraggio di guardarlo in faccia: contro ogni sua previsione, appariva fin troppo calmo e rilassato.

Era solo un po’ pallido.

Lo fissò ancora, con maggiore attenzione, alla ricerca di qualche segnale preoccupante.

“Non ho bevuto, se è questo che ti stai chiedendo, puoi stare tranquilla” disse il bassista, intuendo i suoi pensieri; Judy deglutì a vuoto, abbassò gli occhi chiari e trovò finalmente il coraggio di parlare.

“Dove sei stato per tutto questo tempo? Mi hai fatta preoccupare terribilmente”.

A quelle parole, il bassista gettò la testa all’indietro e scoppiò in una risata vuota e sprezzante.

“Eri preoccupata per me? Sul serio? Sul serio, Judith?”

“Rog…”

“No, zitta. Non voglio sentire le tue spiegazioni. Non voglio sentire le stronzate che ti sei inventata in queste ore” la bloccò lui, continuando a rimanere stranamente calmo e controllato “rispondi solo ad una domanda: da quanto tempo va avanti questa storia?”

“Rog, io…”

“Da quanto tempo va avanti questa storia, Judith? Rispondi alla mia domanda e non costringermi a fartela per la terza volta”.

La giovane sollevò di nuovo lo sguardo e, dopo un attimo di esitazione, svuotò il sacco.

“Sei mesi” disse in un soffio carico di vergogna.

Waters la fissò in silenzio, senza dire nulla; per un intero minuto rimase completamente paralizzato, poi si voltò verso il camino, afferrò uno dei tanti vasi modellati dalla moglie e lo scagliò dall’altra parte della stanza.

L’oggetto di terracotta si schiantò contro una parete, andando in frantumi, e Judy lanciò un urlo, terrorizzata dalla reazione violenta ed improvvisa del marito.

“Ma che stai facendo? Sei impazzito?” gli strillò contro, con gli occhi spalancati.

Un secondo vaso finì in cucina e colpì il vassoio con la frutta fresca posizionato come centrotavola.

Un terzo si disintegrò contro la porta d’ingresso.

“Roger! Roger, smettila, per l’amor del cielo, così mi fai paura! George, basta!” urlò di nuovo Judith, ormai in preda ad un terrore viscerale.

“Come hai potuto?” urlò di rimando il bassista, lasciando scivolare via la maschera di impassibilità indossata fino a quel momento, risparmiando gli ultimi tre vasi che ornavano la mensola sopra il caminetto “come hai potuto tradirmi per sei mesi con quello? Come hai potuto portare avanti una relazione alle mie spalle per così tanto tempo? Per quanto ancora avresti continuato a vederti con lui, se non vi avessi scoperto per caso? Cazzo, avessi almeno avuto la decenza di andare in qualche squallido motel di seconda classe… Per tutto questo tempo avete scopato sotto il tetto della casa che io ho pagato, e sul letto che io ho pagato e dove io e te facevamo l’amorePorca puttana, negli ultimi sei mesi ho dormito nello stesso letto in cui scopavi con un altro uomo!”

“Come ho potuto? Cristo, hai proprio un’enorme faccia tosta a chiedermelo! Proprio tu che mi metti le corna ogni volta che parti per un tour? Proprio tu che trascorri tutte le notti con una stupida troia diversa nella tua camera d’albergo o nella tua roulotte?”

“Ancora questa storia? Tu… Tu hai voluto farmela pagare per degli errori che ho commesso tre anni fa? Che tu ci creda o no, ho smesso con quelle cazzate da quel brutto litigio che abbiamo avuto poco prima della partenza per Saint Tropez… Ed in ogni caso, ho sempre avuto storie che non sono durate più di una notte. Ho solo scopato con le ragazze con cui sono stato e basta, non ricordo neppure i loro volti ed i loro nomi. Non ho mai intrapreso nessuna relazione stabile”

“E credi che questo faccia alcuna differenza? Pensi che renda più lecito il fatto che mi hai ripetutamente tradita chissà quante decine di volte? Pensi che io sia stata meno male, solo perché erano ragazze che hai visto per una notte e basta?”

“Di certo hai pensato ad un modo proprio devastante per vendicarti”

“E che cosa avrei dovuto fare, Roger? Non ti chiedi perché sono arrivata a questo punto? Che cosa mi ha fatto arrivare a questo punto?” gli occhi della giovane si riempirono nuovamente di lacrime “cazzo, non riesci proprio a capire che al mondo non esisti solo tu, ma anche altre persone?”

“Spiegamelo tu, allora” rispose il bassista, tornando stranamente calmo come poco prima, piegando il viso verso sinistra “spiegami che cosa ti ha portata a farti sbattere da un altro uomo per sei mesi a casa nostra, visto che io sono così idiota da non capirlo da solo”

“Sei cambiato completamente, Roger, non riesco più a riconoscere il ragazzo con cui sono cresciuta insieme e di cui mi sono innamorata. Sei sempre distante, assente, e quando siamo insieme non facciamo altro che litigare e discutere… E quando non discutiamo, passi tutto il tuo tempo rinchiuso nel tuo Studio!” la giovane si fermò un istante a riprendere fiato “io… Io mi… Io mi sento rifiutata da te, Roger. Tu non mi desideri più e lo dimostra il fatto che non sei intenzionato a creare una famiglia con me”
“Quindi tu mi hai tradito perché io non voglio avere dei figli? E non hai pensato di parlarmene anziché rifugiarti tra le braccia di un amante sotto il tetto di casa nostra?”

“Puoi smetterla di ripetere le stesse cose? Cazzo, te ne frega di più della nostra casa che della nostra relazione! Io ho provato a parlartene più volte, Rog, ho provato tantissime volte ad affrontare con te l’argomento ‘figli’, ma tu non…”

“Lo sai qual è il mio pensiero a riguardo. Lo hai sempre saputo”

“Sì, ma pensavo che avresti cambiato idea dopo il matrimonio… O dopo aver visto tutti gli altri crearsi una vera famiglia”

“Pensi davvero che un figlio sia la soluzione a tutti i problemi di una coppia? Un figlio porta gioia all’interno di una famiglia solo se lo desiderano entrambi i genitori, altrimenti non ha alcun senso, è solo un atto di egoismo. Il tuo è solo egoismo, Judith. Tu non desideri diventare madre perché lo senti, ma perché non vuoi essere inferiore alle tue amiche”

“Io volevo avere un figlio perché volevo creare una famiglia insieme al ragazzo che amavo” gridò esasperata la giovane, ricominciando a piangere “perché non lo vuoi capire? Perché non mi credi? In che modo devo spiegartelo?”

“Come posso credere ad una persona che mi ha tradito per sei mesi?” urlò a sua volta Waters; indietreggiò di un passo, lasciò ricadere le braccia lungo i fianchi e spostò lo sguardo verso il caminetto acceso: improvvisamente si sentiva stanco di continuare quell’inutile discussione.

Non voleva più sentire la voce di Judith, non voleva più sentire le sue accuse, la sua rabbia ed il suo pianto disperato.

Perché nulla di tutto quello aveva più senso.

Per lui ogni cosa era finita nello stesso momento in cui era rientrato in casa, nel pomeriggio, ed aveva sorpreso sua moglie a letto con un altro uomo.

Judy guardò il bassista con gli occhi spalancati e le labbra che tremavano vistosamente, quel silenzio non le piaceva affatto.

“Che cosa vuoi fare?” chiese in un sussurro, rompendo il silenzio divenuto ormai insopportabile alle sue orecchie “Roger, che cosa vuoi fare adesso? Dì qualcosa, per favore, non restare… Così…”

“Che cosa voglio fare?” ripeté lui, senza staccare gli occhi dalle fiamme scoppiettanti “che cosa voglio fare? Che cosa dovrei fare, secondo te? Tu che cosa faresti al mio posto se scoprissi che ho un’amante da sei mesi? Non una scopata di una notte, ma una relazione vera e propria che va avanti da settimane, e settimane e settimane. Che cosa faresti?”.

La bionda deglutì un grumo di saliva e si asciugò le lacrime che ancora le rigavano le guance.

“Io ti ho perdonato tre anni fa, Roger. Ti ho dato una seconda possibilità per rimediare e per non rovinare il nostro matrimonio. Forse… Forse se ci impegniamo entrambi, siamo ancora in tempo per rimediare per la seconda volta”

“Davvero? Tu credi? E magari per lasciarci questa brutta esperienza alle spalle dovremo iniziare con una bella scopata nel letto in cui mi hai tradito per mesi e mesi, senza usare precauzioni, così finalmente rimarresti incinta e non ti sentiresti più diversa dalle tue amiche? Perché tu sei assolutamente convinta che la nascita di un figlio possa risolvere qualunque problema esistente al mondo!” commentò Roger con una risata di scherno, per poi tornare subito serio “adesso ti dico io che cosa faremo, qual è l’unica cosa che possiamo fare”

“E quale sarebbe l’unica cosa che possiamo fare?”

“Io adesso prendo la macchina e vado a trascorrere la notte a casa di mia madre. Tornerò domani, a quest’ora, e mi aspetto di trovare la casa vuota. Avrai ventiquattro ore di tempo per portare via tutte le tue cose, i tuoi effetti personali, i tuoi vasi… Tutto quello che ti appartiene, ma non voglio trovarti qui al mio ritorno. Riguardo a tutto il resto avrai notizie dal mio avvocato”

“Stai dicendo che il nostro matrimonio è finito?” chiese la ragazza ad occhi spalancati.

“Mi stai chiedendo veramente di darti una risposta?” domandò a sua volta il bassista; indossò di nuovo la giacca, prese i suoi due gatti neri, uscì di casa e salì in macchina senza mai voltarsi a guardare Judith un’ultima volta.

Guidò per una decina di minuti e poi parcheggiò la macchina sul ciglio di una strada isolata e deserta; uscì dall’abitacolo, si sedette sul cofano della vettura e, lentamente, si accese una sigaretta ed iniziò a fumarla senza pensare a nulla, con la mente completamente sgombra da qualunque genere di pensiero e gli occhi fissi in un punto indefinito davanti a sé.
 

Ritorna all'indice


Capitolo 42
*** Lies (Parte Due) ***


Tre giorni più tardi, Roger pensò di essere completamente impazzito.

Nella mensa degli Studi di Abbey Road, il sistema nervoso del bassista crollò definitivamente mentre stava facendo colazione: ogni suono sparì ed il tavolo, la scodella piena di cereali e latte, l’intera stanza attorno a lui iniziarono a farsi sempre più distanti ed a rimpicciolirsi sempre di più, come se le stesse osservando dalla lente di un cannocchiale rovesciato.

Peccato che non stava usando nessun cannocchiale.

Provò ad allungare la mano destra per afferrare la scodella, ma non ci riuscì; sbatté più volte le palpebre e scosse con forza la testa, ma nulla tornò alla normalità: tutto continuava a diventare sempre più lontano ed irraggiungibile, ed il silenzio si faceva sempre più pressante ed insostenibile ad ogni secondo che passava.

Non sentiva neppure il proprio respiro affannato o il proprio cuore che batteva con forza contro la cassa toracica.

Con occhi colmi di terrore, abbassò lo sguardo sulle proprie mani.

Anche loro si stavano allontanando sempre di più, insieme alle braccia, al busto, alle gambe, ai piedi… Tutto il suo corpo si stava allontanando e ben presto (ohh, ne era certo) avrebbe sentito uno strappo deciso e lo avrebbe visto crollare a terra con un getto copioso di sangue che usciva dal collo, e la sua testa sarebbe rotolata da tutt’altra parte… O sarebbe esplosa, spargendo materia cerebrale per tutta la mensa…

Roger si alzò di scatto dalla sedia, pallido, tremante ed incapace di parlare; scappò letteralmente dalla stanza con il fiato ansante ed il petto che si alzava ed abbassava velocemente, come se avesse appena finito di partecipare ad una maratona, e si barricò dentro lo Studio tre, quello che lui ed il resto del gruppo generalmente usavano.
Un quarto d’ora più tardi, Ginger, mentre era alla ricerca di David, passò per caso davanti alla porta socchiusa dello Studio e si fermò, sentendo il suono della tastiera di Rick; credendo di trovare il suo migliore amico, la giovane entrò per chiedergli se avesse visto David, ed i suoi occhi scuri si spalancarono dalla sorpresa: davanti alla tastiera non c’era Wright, ma bensì Waters.

Il loro burrascoso (ed inesistente) rapporto non era migliorato dalla discussione avuta nel corso della Vigilia di Natale di due anni prima.

Anzi, era peggiorato nel corso della realizzazione dell’album che li aveva portati ai vertici delle classifiche: Ginger aveva furiosamente litigato con lui perché in una canzone c’erano dei versi che facevano chiaramente riferimento a Syd, e perché l’aveva intitolata Brain Damage; non voleva che fosse nell’album, non lo riteneva giusto, ma Roger, come sempre, aveva ignorato le sue parole, le aveva risposto in malo modo ed alla fine la traccia incriminante era stata registrata ed inserita come penultima all’interno di The Dark Side Of The Moon.

Da quel momento, le poche volte in cui gli rivolgeva la parola si erano drasticamente ridotte a zero.

“Ohh!” esclamò, totalmente presa alla sprovvista “pensavo di trovare Richard. Non immaginavo sapessi suonare anche la tastiera… Certo che, però, vai fuori di testa se qualcuno sfiora per sbaglio uno dei tuoi strumenti, ma non ti fai alcuna remore a suonare quelli degli altri senza chiedere il permesso”.

Ginger aspettò che il bassista rispondesse a tono alla frecciatina piccata che non aveva resistito a lanciargli, ma lui rimase stranamente in silenzio, concentrato sui tasti che continuava a premere con delicatezza; nonostante le ciocche di capelli che gli ricadevano in parte sul viso, la rossa notò il pallore ceruleo e l’espressione vitrea negli occhi azzurri.

Notò anche il tremore costante alle mani.

“Roger… Va tutto bene?” domandò la ragazza, corrucciando le sopracciglia; aspettò in silenzio una risposta e, quando non arrivò, sbuffò seccata ed alzò entrambe le mani: lei aveva fatto la sua parte, si era mostrata gentile, ma era stata completamente ignorata come sempre “d’accordo, fa un po’ come ti pare. Io la domanda te l’ho fatta, sei tu che non hai voluto risponderti. Torno a cercare David”

“Non te ne andare”.

Ginger spalancò gli occhi e si voltò di nuovo in direzione del bassista.

Non poteva credere alle sue orecchie.

Non poteva essere vero.

Doveva esserselo immaginato, non c’era altra spiegazione possibile.

“Come, scusa? Stai parlando con me?” si guardò attorno per essere sicura che Waters non si fosse riferito a qualcun altro: erano completamente da soli nello Studio.
“Sì, sto parlando con te. Ti ho detto di restare”

“Cavolo, devi essere davvero disperato allora”.

Alla battuta di Ginger, Roger si girò lentamente per guardarla negli occhi, cancellando il sorriso ironico che era apparso sulle sue labbra: la sua espressione era proprio quella di una persona disperata.

Una persona disperata, al limite, che chiedeva silenziosamente di essere aiutata prima di crollare del tutto.

Ginger chiuse la porta, posò sopra un tavolino la borsa a tracolla e si sedette affianco al giovane; per la prima volta, da quando si conoscevano, mise da parte ogni ostilità che provava nei suoi confronti.

“Roger” disse con uno sguardo serio e preoccupato “che cosa succede? Stai male? È successo qualcosa di grave ad un tuo famigliare? Parla, per favore”

“Ho lasciato Judith”.

La rossa spalancò gli occhi, incredula, dinanzi a quel fulmine a ciel sereno: aveva sempre immaginato che sarebbe stata Judith a porre fine al matrimonio tra lei e Roger, stanca dei continui tradimenti, e non il contrario; il contrario non lo riteneva fattibile, perché a Saint Tropez aveva assistito in prima persona ai numerosi tentativi che Roger aveva fatto per ottenere il perdono della sua dolce metà.

“Ohh!” esclamò di nuovo “e come… Perché…”

“Quando sono tornato a casa dall’aeroporto, l’ho trovata a letto con un altro uomo… E quando le ho chiesto da quanto andava avanti quella storia, mi ha risposto che si vedeva con lui da sei mesi”

“Roger… Io…”

“L’ultima sera in America, prima di uscire a cena con Rick e Nick, ho provato a chiamare Judith ed al posto suo ha risposto un uomo. Quell’uomo. I ragazzi hanno provato a tranquillizzarmi dicendomi che magari si trattava di un vicino di casa, o che la centralinista aveva erroneamente inoltrato la chiamata al numero sbagliato… Ma dentro di me già sapevo qual’era la realtà, semplicemente mi ostinavo a non volerla guardare in faccia. Pensavo che… Pensavo che ignorando il problema, esso se ne sarebbe andato da solo” spiegò Waters, alzando lo sguardo dai tasti bianchi e neri e fissando Ginger negli occhi “sai che cosa mi ha detto quando le ho chiesto spiegazioni? Ha detto che sono stato io a spingerla a prendere queste misure estreme perché sono completamente cambiato e perché non volevo creare una famiglia insieme a lei… Ma lo sapeva. Lo ha sempre saputo fin dall’inizio. E poi, ha voluto farmela pagare per i miei tradimenti… Ma io non ho mai avuto una relazione stabile alle sue spalle. Non ho mai avuto un’amante fissa per sei mesi. Le mie sono state delle semplici scopate di una notte. Lo so che l’ho fatta molto soffrire in passato, ma questo non giustifica quello che ha fatto alle mie spalle. Se io le ho spezzato il cuore, lei ha calpestato più volte il mio”

“Roger, non so davvero che cosa dire” mormorò la giovane confusa e, per la prima volta, sinceramente dispiaciuta per lui: non riusciva a capire né tantomeno a condividere la vendetta crudele di Judy, anche se in parte, forse, ne aveva tutti i diritti visto ciò che aveva passato in prima persona per tanto tempo.

Lei non avrebbe mai giocato un tiro così meschino a David.

Cazzo, ma come ha potuto farlo?” il bassista esplose all’improvviso, dando un pugno alla povera tastiera di Rick, facendole emettere un suono grave e prolungato; Ginger pensò che era una fortuna che il suo migliore amico non fosse presente, altrimenti avrebbe avuto un mancamento “mi ha tradito per sei mesi. Per sei mesi è andata a letto con un’altra persona sotto il tetto di casa nostra, nel nostro letto. Non ha avuto neppure la decenza di andare con lui da qualche altra parte, mio dio… Come ha potuto farmi questo, come? Io e lei siamo cresciuti insieme, ci conosciamo fin da bambini, è stata il mio primo amore… Io… Ha pure avuto il coraggio di dirmi che avrei dovuto darle una seconda possibilità, dato che lei lo ha fatto con me, ti rendi conto? Ha avuto davvero il coraggio di chiedermi questo… Peccato che quello che io ho fatto a lei sia leggermente diverso da quello che lei ha fatto a me”

“Non vi siete più visti?”

“No, quella sera stessa le ho detto che avrei trascorso la notte a casa di mia madre e che le avrei dato ventiquattro ore di tempo per portare via tutta la sua roba. D’ora in poi, finché non sarà tutto finito, avrà notizie solo dal mio avvocato. Non so dove sia in questo momento, probabilmente sarà tornata a casa dei suoi genitori, ma francamente non me ne importa”

“Non prendere subito decisioni così drastiche. Se la ami così tanto…”

Amavo” Roger corresse prontamente Ginger con un sorriso amaro sulle labbra “per me, ormai, si tratta di una porta chiusa a chiave che non può più essere riaperta. Avrei potuto capire se quella di Judith fosse stata l’avventura di una notte, ma ha intrapreso una vera e propria relazione alle mie spalle per sei mesi, sai cosa vuol dire? Vuol dire che quando io partivo per un tour, dopo avermi salutato all’aeroporto, correva a casa a chiamare il suo amante e stava in sua compagnia fino al mio ritorno. No. Non potrei mai perdonare un tradimento di mesi e mesi. Non riuscirei mai a fidarmi di nuovo di quella persona, sarebbe solo tempo sprecato. Cazzo… Perché mi ha fatto questo? Perché proprio lei?”

“Perché, forse, anche se siete cresciuti insieme, lei non è la persona giusta per me. Roger, situazioni come questa accadono anche a persone che sono sposate da venti, trent’anni… So che non è molto di consolazione in questo momento, ma puoi ancora ricostruirti una vita, hai appena ventinove anni”

“A settembre ne avrò trenta”

“D’accordo, ma sei comunque giovane. Puoi ancora incontrare l’amore della tua vita”

“Ne dubito fortemente, e comunque è la mia ultima preoccupazione in questo momento” il bassista appoggiò i gomiti sui tasti della tastiera di Rick, e nascose il viso tra le mani “credo di avere avuto un mezzo crollo nervoso in mensa, poco fa. Non sentivo più niente e la stanza ha iniziato a diventare sempre più lontana… Anche il mio corpo ha iniziato a diventare sempre più lontano… Ho avuto paura che la testa mi esplodesse”

“E scommetto anche che negli ultimi tre giorni non hai messo nulla sotto i denti” commentò la giovane, osservando la maglietta larga ed i pantaloni neri che fasciavano le gambe lunghe e magrissime del bassista: le sue, messe a confronto, sembravano enormi, e Ginger non aveva un solo filo di grasso in corpo.

I chili in eccesso dovuti alla seconda gravidanza li aveva smaltiti già da tempo, facendo movimento e seguendo una rigida dieta autoimposta.

Waters sembrava sempre sul punto d’imboccare la strada per la magrezza eccessiva e malsana.

“Non lo so, non me lo ricordo”

“Va in mensa a mangiare qualcosa prima di crollare”

“Penso che non tornerò in mensa per un bel po’ di tempo dopo quello che mi è successo lì dentro” mormorò lui, cocciuto, piegando le labbra in una smorfia “ho bisogno di andare a fumare una sigaretta”

“Non a stomaco vuoto” la giovane si alzò frugò all’interno della borsa e lasciò cadere sul palmo della mano destra del bassista alcuni cioccolatini avvolti in una carta colorata “mangia almeno questi prima di fumare la sigaretta, se proprio devi farlo. Da quando ho due bambini, non mancano mai dentro la mia borsa. Sono di grande aiuto quando sono costretta a fare la spesa da sola ed iniziano a fare i capricci per ogni schifezza o giocattolo che vedono”

“Grazie e… Grazie per avermi ascoltato. Non dirlo a nessuno, non ho ancora trovato il momento opportuno per raccontare quello che è successo tra me e Judith”

“Certo” mormorò la ragazza sempre più incredula: davvero Roger l’aveva appena ringraziata? Allora era davvero e profondamente sconvolto per il modo brusco in cui era finito il suo matrimonio “Roger?”.

Waters si fermò davanti alla porta e rivolse uno sguardo interrogativo alla rossa.

“Sì?”

“Prima… Hai detto che l’ultima sera in America sei uscito a cena con Rick e Nick, giusto?”

“Esatto”

“E Dave non era con voi?”

“No, ci ha tirato pacco all’ultimo minuto” rispose il giovane, sparendo in corridoio.

Ginger abbassò lo sguardo, improvvisamente corrucciato, e guardò la borsa che stava stringendo con più forza del necessario.

David non era andato a cena con Roger, Rick e Nick.

Peccato che a lei aveva raccontato una storia diversa quando gli aveva chiesto come era andata la permanenza negli Stati Uniti.



 
Rick stava facendo una pausa, seduto sugli scalini davanti l’ingresso degli Studi di Abbey Road, quando venne raggiunto da David.

“Ti va di fumare una sigaretta in compagnia? Te la offro io” disse il chitarrista, tirando fuori un pacchetto nuovo da una tasca della giacca; il tastierista annuì, si alzò, ed entrambi si spostarono dall’ingresso, optando per un posto più appartato.

“Allora, di cosa mi devi parlare?” domandò Wright, appoggiandosi al muro di mattoni rossi e portandosi la sigaretta accesa alle labbra; David lo imitò e buttò fuori una boccata di fumo dalle labbra carnose.

“Come fai a sapere che ho bisogno di parlarti?”

“Mi hai appena offerto una sigaretta e hai voluto che ci spostassimo in un luogo più appartato, immagino lontano da orecchie indiscrete… Penso sia abbastanza logico il fatto che tu voglia parlarmi di qualcosa di personale” Rick sorrise ed aspirò un’altra boccata di fumo “allora, di che si tratta?”.

Gilmour si guardò attorno per essere sicuro che non ci fosse nessun altro, abbassò lo sguardo e mollò un calcio ad un sasso.

Richard era l’unica persona con cui poteva parlare di quello, ma allo stesso tempo era l’ultima persona a cui avrebbe dovuto rivolgersi, a causa del profondo legame di amicizia tra lui e Ginger.

“Io… Ecco… Mi trovo in una… Mi trovo in una situazione alquanto complessa. Ti chiedo di non giudicarmi, Rick, anche se sarà molto difficile. Se ho deciso di parlarne con te, è perché nutro un’enorme fiducia nei tuoi confronti”

“E di questo sono contento, ma ora potresti dirmi che cosa sta succedendo prima che inizi a preoccuparmi seriamente?”

“Non sono stato sincero con voi”

“A cosa ti stai riferendo?”

“Alla cena di gruppo che dovevamo fare a Philadelphia. Non sono stato sincero con voi: Roger aveva ragione, non stavo male”

“Mh” Wright spostò il peso del corpo da un piede all’altro, avvertendo un’improvvisa sensazione di disagio.

Come se fosse in procinto di sentire qualcosa che avrebbe preferito continuare ad ignorare.

“Non sono venuto via con voi perché stavo male, ma perché dovevo incontrarmi con una persona” proseguì Gilmour, interrompendosi una seconda volta; non sapeva come continuare perché temeva la reazione di Rick.

Alla fine, ci pensò lo stesso Rick a tirarlo fuori dal silenzio imbarazzato dietro cui si era trincerato.

“Dimmi solo che non stiamo parlando di una ragazza” guardò David negli occhi nella speranza di sbagliarsi, ma dalla sua espressione capì subito che il suo più grande terrore stava rapidamente assumendo una forma concreta; gettò a terra il mozzicone di sigaretta con un gesto di stizza e lo calpestò con la scarpa destra, schiacciandolo con forza contro il terreno “cazzo, no, Dave. Porca puttana, perché stai dicendo questo proprio a me? E come è successo?”

“Me la sono ritrovata in camerino, va bene? Era spaventata e quasi in lacrime perché l’amica che l’aveva costretta a venire al concerto era sparita senza dirle nulla e non sapeva come ritrovarla, in più aveva paura che i suoi genitori scoprissero la sua assenza. Mi ha fatto tenerezza, e così mi sono offerto di darle un passaggio in macchina e… E siccome mi dispiaceva per la brutta serata che aveva trascorso, le ho chiesto se le andava di uscire insieme la sera seguente e lei ha accettato. Siamo andati a mangiare in una tavola calda, abbiamo chiacchierato e quando l’ho riaccompagnata indietro Io… Io…” il chitarrista si passò la mano destra sul volto; il danno ormai era fatto, non poteva più tirarsi indietro “abbiamo trascorso la notte nella mia stanza… Quando ci siamo salutati, mi ha lasciato un biglietto con il suo numero di telefono ed il suo indirizzo”

Porca puttana!” Richard si passò entrambe le mani nei capelli, scompigliandoli “ti rendi conto in che situazione mi hai appena messo raccontandomi questa cosa? Va bene, allora… Cerchiamo di ragionare con lucidità… Hai trascorso una notte insieme ad una ragazza dall’altra parte del mondo, e poi lei ti ha lasciato un biglietto con scritto come contattarla e… Tu non lo hai fatto, vero? Hai subito gettato via quel bigliettino, giusto?”

“No, non l’ho fatto”

“L’hai tenuto? Ce l’hai ancora?”

“Sì, e… Il giorno stesso in cui siamo tornati, le ho telefonato e l’ho sentita… Io… Avevo bisogno di sentire la sua voce”

“Ma che cazzo vuol dire che avevi bisogno di sentire la sua voce, Dave?”

“Abbassa la voce, per l’amor del cielo, o qualcuno potrebbe sentirti. Ginger è qui, te lo sei dimenticato?”

“Dave, tu hai una famiglia, te ne rendi conto? Sei sposato ed hai una famiglia. Hai una moglie bellissima che ti ama, e due bambini altrettanto bellissimi. Demi non ha neppure un anno e Keith stravede per te. Non hai pensato neppure per un istante a tutto questo quando hai deciso di portare quella ragazza nella tua stanza e trascorrere la notte in sua compagnia?”

“Lo so che sono sposato e lo so che ho una bellissima famiglia, ma… Io… Richard, io non ci ho capito più niente quando ho visto il viso di Virginia, io… Mi sono sentito stranissimo”

“E ti rendi conto che stai dicendo queste cose al migliore amico di tua moglie? E Ginger? Vi siete sposati due anni fa, Dave, e lei è perdutamente innamorata di te. Lo capisci? Lei è perdutamente innamorata di te! Ti ama, ama la famiglia che avete creato e non la vedevo così felice da troppo tempo!” ribatté Wright, fuori di sé dalla rabbia come raramente accadeva “cazzo, sai benissimo quanto ha sofferto per Syd e quanto tempo ha impiegato per riprendersi dalla fine della loro storia! Se dovesse scoprire quello che tu le stai facendo ora, ne sarebbe devastata!”

“Lo so, porca puttana, credi che non ci abbia pensato? Credi che non mi senta uno schifo per questo? So benissimo che sto tradendo mia moglie e so benissimo che non si merita assolutamente questo, ma allo stesso tempo non… Non riesco a smettere di pensare a Virginia! Non riesco a togliermela dalla testa, capisci? Mi ha stregato! Io non so descriverti a parole che cosa mi ha fatto, ma non riesco a pensare ad altro. Non ci riesco, non ci riesco proprio”

“E cosa vuoi fare con Ginger? Cosa vuoi fare con il vostro matrimonio? Vuoi buttare tutto via per colpa di una ragazza che hai conosciuto dall’altra parte del mondo?”.

David si grattò la fronte con la mano sinistra.

“Non lo so… Non lo so davvero… Sono terribilmente confuso… Ho bisogno di tempo per riflettere e per decidere cosa fare… Ora credo di non essere abbastanza lucido per prendere una decisione simile”

“Cerca di non far soffrire troppe persone mentre cerchi di fare chiarezza nella tua testa, David” commentò il tastierista con un’occhiata profondamente risentita; Gilmour lo afferrò per il braccio sinistro e gli rivolse uno sguardo supplicante.

“Ti prego, non dirle nulla. Non farlo, per favore”

“No, non lo farò. Anche se ora vorrei andare da lei a raccontarle tutto perché non si merita questo, non lo farò perché non spetta a me. Ma tu cerca di fare chiarezza in fretta nella tua testa: o archivi questa storia come un errore che non deve accadere una seconda volta e bruci quel maledetto biglietto, oppure vai da Ginger e le dici in faccia che non vuoi più stare con lei perché ti sei innamorato di un’altra ragazza, ma non ci provare neppure a tenere il piede in due staffe. E cerca di non essere così stupido da lasciare qualche prova alle tue spalle… Perché se dovesse scoprirlo accidentalmente, per lei sarebbe un colpo troppo duro da reggere. Io torno dentro, per oggi ho respirato fin troppa aria fresca” Richard agitò la mano sinistra con un gesto seccato e se ne andò.

David gettò a terra il suo mozzicone, lo calpestò e poi seguì l’amico dentro l’edificio di mattoni rossi.

Nessuno di loro due si era accorto che, proprio dietro l’angolo, a pochi passi di distanza, c’era Roger che stava fumando a sua volta appoggiato ad un muro, ed aveva ascoltato in silenzio l’intera conversazione senza perdersi una sola parola.



 
Ginger adagiò con delicatezza Demi nella culla, si spostò nella camera da letto di fronte per controllare Keith e poi scese al piano inferiore, raggiungendo David che la stava aspettando sul divano; si lascò cadere a suo fianco ed appoggiò la testa contro il suo petto, sorridendo, inspirando a pieni polmoni il respiro della sua pelle, che tanto le piaceva.

“I bambini stanno dormendo profondamente. Sembrano due angioletti. Abbiamo tutta la serata per noi, quasi non mi sembra vero”

“Allora cerchiamo di goderci appieno questo momento, giusto?” rispose il chitarrista, sorridendo a sua volta; si chinò per dare un bacio sulle labbra a Ginger, e quando si allontanò lei si fece improvvisamente seria “che hai?”

“Oggi, in Studio, ho parlato con Roger”

“Ohh, cavolo… Quanto mi devo preoccupare?”

“No, non abbiamo né litigato né discusso, tutt’altro. Per la prima volta da sei anni abbiamo avuto una conversazione tranquilla e pacifica”

“Allora devo preoccuparmi ancora di più perché non è da voi comportarvi in modo civile quando siete l’uno davanti all’altra. Da che cosa è dovuto questo miracolo?” chiese il chitarrista, incuriosito.

La giovane si morse il labbro inferiore, indecisa se confidarsi con lui o mantenere il segreto, dato che Roger le aveva espressamente chiesto di non parlarne con gli altri.

Ma di David poteva fidarsi ciecamente.

“Non devi dire a nessuno quello che sto per dirti. Non sto scherzando. Se lo dici ai ragazzi e Roger lo scopre, è la volta buona che mi stacca la testa… E, soprattutto, quando sarà lui stesso a decidere di parlarvene, fingiti sorpreso come gli altri, d’accordo?”

“D’accordo”

“Ha lasciato Judith”.

Gilmour sbatté le palpebre e corrucciò le sopracciglia.

“Ha lasciato Judith? Che vuol dire che ha lasciato Judith?”

“Proprio questo, hai capito benissimo: l’ha lasciata, il loro matrimonio è finito, è arrivato al capolinea”

“Ma… Per quale motivo? Insomma, voglio dire… Mi sembrava che tra loro due fosse tutto apposto, a parte qualche litigio”

“Sì, questo prima che lui la sorprendesse a letto insieme ad un altro uomo. È successo il giorno in cui siete tornati dal tour. Ha scoperto che lei aveva un amante da sei mesi e le ha detto di fare le valigie ed andarsene. Non è assolutamente intenzionato a tornare indietro nei suoi passi, e credo proprio che non accadrà”

“Ohh, beh…” commentò David, schiarendosi la gola “mi dispiace per Rog, ma se devo essere sincero non riesco ad essere completamente dalla sua parte. In fin dei conti lui ha tradito Judith un bel po’ di volte, avrebbe dovuto mettere da conto che prima o poi una cosa simile avrebbe potuto accadere. Chi la fa, l’aspetti, no?”

“Che Roger non sia uno stinco di santo lo sanno anche i muri, è vero, ma Judith si è comportata in un modo davvero orrendo, a mio parere. Lui per primo è stato un coglione a tradirla più volte, ma è anche vero che non ha mai avuto un’amante fissa, come lei”

“E tu che ne sai?”

“Me lo ha detto lui, perché avrebbe dovuto raccontarmi una bugia? Se avesse avuto un’amante a sua volta, avrebbe approfittato dell’occasione per confessarlo a Judith, e non sarebbe rimasto così devastato dalla scoperta… E poi, sarebbe saltata fuori già da un pezzo, non credi?”

“Cavolo, Ginger, sei sicura di sentirti bene? Mio dio, stai difendendo Roger” Gilmour appoggiò la mano destra sulla fronte della giovane per essere sicuro che non avesse la febbre, e lei la scostò con un gesto di stizza, perché quello non era il momento di fare battute o di ridere.

“Lo sto difendendo perché in questo caso ha ragione lui. Io so essere obbiettiva, perfino nei confronti di una persona insopportabile ed odiosa come Roger. Non è che ora non mi sta più antipatico perché sta passando un brutto periodo, ma mi dispiace comunque, perché Judith ha sbagliato. Avrebbe dovuto parlare con suo marito e dirgli cosa c’era che non andava nel loro matrimonio, e non trovarsi un amante alle sue spalle. E se non era più felice insieme a Roger, avrebbe dovuto dirglielo in faccia e poi sarebbe stata libera di crearsi una nuova vita senza distruggere la propria e quella di un’altra persona… Io proprio non riesco a capire perché lo ha fatto! Perché ha fatto questo proprio al ragazzo con cui è cresciuta insieme? Non lo capisco” la rossa scosse la testa, e David si mosse leggermente a disagio; non gli piaceva la piega che la conversazione stava prendendo, non gli piaceva affatto “che senso ha avuto? Che cosa ha ottenuto? Non riesco proprio a concepire l’idea del tradimento”

“Non essere così drastica nei suoi confronti. In fin dei conti, chi siamo noi per giudicarla? Che ne sappiamo noi del loro matrimonio, della loro vita tra le mura domestiche? Ovviamente Judith ha sbagliato, come a suo tempo ha sbagliato Roger, ma non sappiamo con esattezza cosa l’abbia spinta ad agire in questo modo… Magari era disperata, magari era al limite… Non deve essere affatto semplice vivere insieme a Roger, su questo concorderai con me”

“Sì, ma se ami davvero una persona, la ami per come è fatta, con i suoi pregi ed i suoi difetti, non credi? Dimmi pure che sono una stupida ed una sciocca, ma io la penso così”

“Immagino di sì… Però ora basta parlare di questi argomenti, o finiranno col guastare la serata che abbiamo completamente a nostra disposizione. Che ne dici se ci spostiamo in camera da letto?”

“Dave, che cosa hai fatto l’ultima sera a Philadelphia?” domandò di getto Ginger, sollevando il viso dal suo petto e fissandolo negli occhi.

Il cuore del giovane perse un battito, ma si sforzò di mantenere il sorriso e di ignorare il brivido freddo che gli percorse la spina dorsale.

“Che vuoi dire? Cosa significa questa domanda?” chiese, sforzandosi di apparire tranquillo e per nulla turbato: tutto il contrario di quello che sentiva dentro di sé.

“Hai raccontato di essere andato a cena con i ragazzi, invece Roger mi ha detto che hai tirato pacco all’ultimo secondo. È la verità?”

“Sì, è la verità”

“E cosa hai fatto?”.

David guardò gli occhi scuri di Ginger, sgranati nell’attesa di ricevere una risposta, e deglutì un grumo di saliva.

Maledì mentalmente Waters perché non era in grado di farsi i cazzi suoi.

Lo sapeva, lo sapeva, lo sapeva che prima o poi si sarebbe vendicato perché aveva dato buca alla loro cena di gruppo; glielo aveva letto nelle iridi azzurre prima che uscisse, fuori di sé dalla rabbia, dalla hall dell’albergo.

Ed, ovviamente, lo aveva fatto nel modo peggiore in assoluto: instillando il dubbio (legittimo) in Ginger.

“Sono uscito a prendere una boccata d’aria e poi sono tornato in camera, e da lì non mi sono mosso per il resto della serata per colpa di una mezza intossicazione alimentare”

“E perché mi hai raccontato una bugia?”

“Perché non volevo farti preoccupare, Ginger, dato che c’era un oceano a dividerci! Come avresti reagito se ti avessi raccontato che ero bloccato a letto perché stavo male e continuavo a vomitare? Ti avrei fatta agitare e stressare inutilmente”.

La ragazza fissò il marito negli occhi per un intero minuto in silenzio, tirò un sospiro di sollievo e gli buttò le braccia attorno al collo, abbracciandolo con trasporto.

“Mio dio, non raccontarmi più una bugia, anche se è a fin di bene, Dave!” esclamò sollevata, dandosi mentalmente della stupida perché per un istante aveva davvero creduto che David le nascondesse altro “la prossima volta dimmi se c’è qualcosa che non va, anziché raccontarmi una bugia per non farmi preoccupare. Non devono esserci segreti tra noi due, neppure quello più stupido e superfluo. Non voglio fare la fine di Roger e Judith!”

“Stai tranquilla” la rassicurò lui, accarezzandole la schiena, ma con gli occhi puntati sul libro in cui aveva nascosto con cura il bigliettino di Virginia “a noi due non accadrà mai… Mai”.

Ritorna all'indice


Capitolo 43
*** The Big Chance (Parte Uno) ***


1973, luglio.



 
La grande occasione di Jennifer si presentò, per puro caso, un lunedì pomeriggio di piena estate.

Ginger la chiamò perché aveva bisogno di un favore urgente: la sera precedente, lei, David ed i bambini avevano cenato da loro e Demi aveva accidentalmente rovesciato il succo di mela sulla tutina che indossava, costringendo la giovane a portarlo di sopra in bagno per ripulirlo, sostituendo i vestiti macchiati di succo con il cambio che portava sempre con sé per simili eventualità; per distrazione, mentre svuotava la borsa alla ricerca della tutina pulita, facendo attenzione che Demi non prendesse in mano la saponetta per sentire che sapore avesse, aveva tirato fuori una cartellina di fotografie sviluppate di recente, l’aveva posata sopra uno sgabello e l’aveva dimenticata là.

Ora, necessitava di avere al più presto quella cartellina di foto perché doveva scegliere le più belle da inserire nella campagna promozionale del prossimo concerto, che si sarebbe svolto proprio lì a Londra, il mese successivo.

“Prendi il pass che ho lasciato a te e mommi in caso di emergenza, porta la cartellina agli Studi e lasciala alla segretaria della reception. Fa in fretta, per favore. Ho poco tempo a mia disposizione e quelle fotografie mi servono il prima possibile” ripeté la rossa per l’ennesima volta al telefono, per far capire alla sorella minore che si trattava di una vera e propria emergenza.

“D’accordo. Prendo la macchina ed arrivo subito, ma non posso farlo finché continui a tenermi al telefono, Ginger”

“Cerca di arrivare il prima possibile, ma non correre per strada, Jen. E mi raccomando: lasciale alla reception”

“Sì, Ginger, ho capito… Ho capito… Tra poco sono lì” mormorò la giovane riagganciando; salì in bagno, recuperò la cartellina che giaceva ancora abbandonata sullo sgabello, prese il pass che Pamela custodiva nel secondo cassetto del suo comodino, lasciò un bigliettino sopra il tavolo della cucina (in caso Pam fosse  rientrata con i due gnomi pestiferi prima del suo ritorno) e salì alla guida della macchina che possedeva da pochi mesi.

Quando varcò l’ingresso degli Studi di Abbey Road, venne colta da un giramento improvviso alla testa e strinse con più forza il pomello della porta: aveva fatto tutto così in fretta, perché Ginger aveva continuato a ripeterle che si trattava di una emergenza, che non si era resa conto di essere più vicina a Roger di quanto non lo fosse stata mai prima d’ora, perfino più vicina del giorno del matrimonio di Ginger e David.

Si trovava nello stesso edificio in cui si trovava anche lui.

Erano a pochi metri di distanza.

Poteva vederlo.

Finalmente poteva vederlo con i suoi stessi occhi.

Finalmente Roger Waters non sarebbe più stato un semplice volto che continuava a disegnare, un’immagine che ritagliava da un giornale, una fotografia scattata da sua sorella o una voce che ascoltava in camera sua sospirando; finalmente avrebbe assunto una forma concreta, reale e tangibile.

Finalmente, finalmente, finalmente il suo più grande sogno si stava realizzando.

E, in più, lui non era più sposato da un paio di mesi.

Finalmente aveva aperto gli occhi ed aveva divorziato da quell’oca starnazzante e senza cervello di Judith.

E, secondo i giornali, al momento era completamente libero.

Libero come l’aria.

Stringendo la cartellina di fotografie contro il proprio petto per allentare la tensione, e dopo aver preso un profondo respiro per calmarsi, Jennifer si avvicinò alla segretaria che stava compilando delle carte dietro il banco della reception; le mostrò il pass che aveva con sé, ma, anziché consegnarle il materiale come Ginger le aveva raccomandato più volte, le chiese quale fosse lo Studio Tre, spiegandole che doveva portare subito alla sorella maggiore, la signora Gilmour, la cartellina rigida.

“Infondo al corridoio a destra, ultima porta sulla sinistra” rispose la donna in tono piatto, senza sollevare gli occhi dalla pila di fogli che doveva ancora terminare di compilare: erano tutte fotocopie di permessi che dovevano essere riempiti e controllati con cura in vista del concerto che si sarebbe tenuto da lì ad un mese esatto.

Jen la ringraziò con un filo di voce e seguì le sue indicazioni: imboccò il corridoio a destra, lo percorse e si fermò dinanzi all’ultima porta a sinistra, su cui campeggiava un ‘Tre’ in ottone; allungò la mano destra, che tremava visibilmente e la strinse attorno al pomello.

Chiuse gli occhi e prese un profondo respiro.

‘Coraggio, Jen, il tuo momento è finalmente arrivato. Cerca di mantenere la calma e di non perdere la testa. Respira. Inspira. Respira. Inspira. Respira. Roger è proprio dentro questa stanza, è proprio dietro questa porta. Devi solo aprirla e finalmente lo vedrai… Mio dio, finalmente lo vedrai… Lo vedrai!’.

Jennifer girò il pomello verso destra, spalancò letteralmente la porta e davanti ai suoi occhi apparve lo Studio Tre.

Completamente vuoto.

I quattro ragazzi non c’erano, né tantomeno Ginger.

Il sorriso della ragazza si spense rapidamente, trasformandosi in una espressione di cocente delusione; i suoi occhi verdi vagarono per la stanza e si rianimarono, in piccola parte, quando si rese conto di essersi sbagliata, almeno a metà: sì, i quattro ragazzi non c’erano… Ma in compenso c’erano i loro effetti personali.

Ed i loro strumenti.

Con ogni probabilità, erano usciti per fare una breve pausa ed avevano lasciato ogni cosa lì dentro.

Jennifer entrò, socchiuse la porta e si avvicinò ad un appendiabiti; guardò gli indumenti che vi erano appesi ed il suo sguardo si soffermò su un lungo cappotto nero.

Era di Roger.

Ohh, sì, quel lungo cappotto nero era suo, ne era più che sicura.

Poteva appartenere solo a lui.

Lanciò una rapida occhiata in direzione della porta, per essere sicura che fosse ancora chiusa e che non stesse arrivando nessuno, e poi frugò all’interno delle tasche del cappotto maschile, perché doveva assolutamente essere sicura che quell’indumento appartenesse al giovane di cui si era perdutamente innamorata sei anni prima; la trovò quando le sue dita toccarono un piccolo oggetto spigoloso, dalla forma rettangolare, che si rivelò essere un pacchetto di sigarette.

Un pacchetto di Marlboro.

E Roger fumava solo quelle.

Prese il cappotto in mano, con mani tremanti, e non riuscì a resistere alla tentazione di appoggiare il naso alla stoffa e di prendere un profondo respiro: odorava di fumo e di qualcos’altro difficile da descrivere, probabilmente il profumo stesso della pelle di Roger.

Quello era il suo profumo.

Il profumo che per anni si era sempre immaginata, chiedendosi se prima o poi lo avrebbe mai sentito o se sarebbe sempre rimasto una vana illusione, una fantasia, un sogno da ragazzina, un punto di domanda che non avrebbe mai trovato risposta.

Jennifer indossò il lungo e largo indumento e sorrise tra sé e sé, ma quello non era l’unico oggetto personale che il giovane aveva momentaneamente abbandonato nella stanza; la giovane trattenne il respiro quando, voltandosi, vide uno dei suoi bassi.

E non uno qualsiasi.

Ma bensì il Fender Precision nero, il preferito di Roger.

Si avvicinò allo strumento, appoggiato ad un amplificatore, e lo osservò con gli occhi spalancati e le labbra socchiuse; prese lo strumento in mano per poterlo guardare da più vicino, ed accarezzò le quattro corde con la mano destra.

Ne pizzicò una per essere certa che non si trattasse di un sogno, ma della solida realtà.

Il suono grave risuonò nel silenzio della stanza e si spense in un eco lontano.

No, non era un sogno.

Non stava sognando, era la realtà: si trovava davvero nello Studio Tre di Abbey Road, indossava davvero il cappotto di Roger, ed aveva davvero in mano il suo basso preferito, e da lì a pochi momenti lui…

“Jennifer! Che cosa diavolo ci fai qui dentro?”.

Jen, colta alla sprovvista dalla voce di Ginger, sobbalzò e mollò d’istinto la presa sul basso.


Ginger riuscì ad afferrare lo strumento musicale prima che si schiantasse a terra e riportasse seri danni irreversibili.
“Mio dio, Jennifer, ho evitato per un soffio una tragedia! Hai la più pallida idea di quanto costi questo strumento? Ma si può sapere perché sei qui dentro? Cosa ci fai qui?” domandò la rossa in tono alterato, appoggiando lo strumento, con delicatezza, nell’esatto punto in cui la sorella minore lo aveva trovato; spalancò gli occhi quando si accorse del lungo cappotto che indossava “ma che… Ma quello è il cappotto di Roger? Ti sei messa addosso il suo cappotto?”

“Io…”

“Ti avevo detto di lasciare la cartellina alla reception! Si può sapere perché non mi hai ascoltata?”

“E tu credi che mi sarei lasciata scappare un’occasione simile per vedere Roger?”

“Ohh, mio dio, non ci posso credere! Levati immediatamente quel cappotto prima che ti veda lui o qualcun altro!”.

Jennifer indietreggiò di un passo, stringendosi di più al lungo soprabito che indossava e che non era intenzionata a togliere, costringendo Ginger ad intervenire in prima persona: la rossa le strappò di dosso il cappotto, lo gettò sopra un tavolino ed afferrò la sorella minore per il braccio sinistro, trascinandola fuori in corridoio; Jennifer provò a ribellarsi e ad opporre resistenza con fermezza, si bloccò all’improvviso quando sentì delle risate provenire da un altro corridoio, seguite da due voci maschili.

Riconobbe la voce di Nick, benché lo avesse visto una sola volta in occasione del matrimonio di Ginger e David, e l’altra…

L’altra apparteneva a Roger.

“Ohh, mio dio! Quella era la voce di Roger? Quella era la sua voce, vero? Non provare a mentirmi, perché l’ho riconosciuta! Quella era la sua voce! Roger! Roger!”

“Smettila immediatamente! Sei ridicola!” Ginger trascinò con più forza Jennifer verso l’ingresso principale dell’edificio e la spinse fuori, intimandole di tornare subito a casa “vai via subito, e non credere che sia finita qui! Ne parleremo più tardi a casa! Sali in macchina e torna a casa!”.

Le chiuse la porta in faccia, senza aspettare una risposta, per enfatizzare il concetto; tornò indietro nel corridoio ed incontrò Nick e Roger, che avevano udito il litigio, ma non erano arrivati in tempo per assistervi in prima persona.

“Che cosa è successo?” domandò Mason “con chi stavi discutendo?”

“Con nessuno” si affrettò a rispondere la giovane, ma Waters rincarò subito la dose.

“Stavi discutendo con una ragazza? Ho sentito qualcuno chiamarmi ad alta voce”

“Nessuno ti ha chiamato” tagliò corto Ginger, agitando la mano destra “semplicemente le tue manie di protagonismo ti creano visioni uditive: ora ti sembra di sentire gente che urla il tuo nome da qualunque parte!”

“Se lo dici tu… Io sono sicurissimo di quello che ho sentito…” commentò il bassista, scrollando le spalle, rientrando nello Studio Tre “ehi, si può sapere che cazzo è successo qui dentro?”.

La rossa chiuse gli occhi: si era fregata da sola perché aveva scaraventato il cappotto di Roger sopra un tavolino, anziché riappenderlo sull’appendiabiti.

Ora, di sicuro, l’avrebbe sommersa di domande costringendola a raccontare la verità.

“Che succede, Rog?” chiese Nick, affacciandosi nella stanza.

“Qualcuno ha toccato il mio basso. Io non lo avevo posato lì prima di andare in mensa. Chi cazzo ha toccato il mio basso?”.



 
“Si può sapere per quale motivo lo hai fatto? Si può sapere che cosa ti è preso? Ti avevo chiesto di lasciare la cartellina con le foto alla segretaria alla reception, non di entrare nello Studio e metterti a curiosare e toccare gli strumenti! Il pass che vi ho lasciato è per le emergenze, non per fare un giro turistico come e quando vi pare! Ti rendi conto che hai rischiato di mettermi in una bruttissima posizione? Pensa se al posto mio fosse entrato qualcun altro! Rispondi alla mia domanda e dimmi perché lo hai fatto!” Ginger sfogò tutta la propria rabbia nei confronti della sorella che se ne stava seduta sul divano, con il viso nascosto tra le mani; Pamela era seduta alla sua destra, e le stava accarezzando la schiena con la mano sinistra.

“Io non volevo fare niente di male” rispose Jen, da dietro i palmi, rifiutando il contatto visivo con la sorella maggiore, che si posizionò davanti a lei ed appoggiò le mani sui fianchi, in un atteggiamento minaccioso.

Non volevi fare niente di male? Ohh, no, certo che no! Hai solo messo a repentaglio il mio lavoro!”

“Io volevo solo vedere Roger!” strillò Jennifer, sollevando finalmente il viso arrossato, rigato dalle lacrime, facendo esplodere definitivamente la rossa, stanca di quella storia assurda.

“La devi smettere, Jennifer, perché stai diventando davvero ridicola. Potevo capire questa tua ossessione quando eri solo una ragazzina di quattordici anni, ma adesso ne stai per compiere venti! Credo che sia arrivato il momento di lasciarsi alle spalle questa stupida infatuazione”

“Ma perché ti devi comportare in questo modo? Perché devi essere così crudele nei miei confronti quando si tratta di Roger solo perché tu non lo puoi sopportare? Non è giusto!”

“Io non sono crudele con te, proprio non riesci a capire che sto facendo tutto questo solo per proteggerti? In questi anni ti sei fatta un’idea di Waters che non corrisponde alla realtà, lo capisci? Finiresti solo col stare male per una persona che non se lo merita”

“Sei proprio insensibile, lo sai? Come fai ad essere così meschina nei suoi confronti, soprattutto dopo quello che ha passato negli ultimi mesi?” Jennifer rivolse a Ginger uno sguardo risentito, e la rossa rispose con uno esasperato.

Avrebbe voluto mettersi le mani nei capelli e strapparseli dall’esasperazione.


O strappare quelli di Jennifer, che si ostinava a non volere guardare in faccia la realtà.
“Mi dispiace per quello che ha passato e che sta ancora passando dopo la rottura con Judith, ma non basta questo a stravolgere completamente il mio giudizio nei suoi confronti. Lui si è sempre comportato male con me, fin dal principio, ed in diverse occasioni mi ha rivolto parole orribili che non dimenticherò mai perché non sono intenzionata a farlo”

“Io voglio solo incontrarlo, non ti sto chiedendo molto” disse la minore in tono supplichevole “il prossimo mese faranno un concerto a Londra, ed in quei giorni sarà anche il mio compleanno. Per favore, lasciami andare al concerto e fammi incontrare Roger. Anche solo per cinque minuti. Mi bastano cinque minuti in sua compagnia e ti prometto che poi non ti tormenterò mai più con lui. Per favore, ti prego! Non ti sto chiedendo nulla di così complicato! Sono sicura che puoi soddisfare la mia richiesta, se lo vuoi”

“Ma il punto della questione è che io non voglio farlo, perché non sono intenzionata a soddisfare la richiesta di una bambina capricciosa. Avrai quasi vent’anni, Jen, ma la tua testa è rimasta quella di una quattordicenne che corre appresso a sogni impossibili da realizzare” ribatté con durezza Ginger “ma cosa credi di ottenere? Si può sapere qual è il tuo scopo? Credi davvero che Roger s’innamorerà perdutamente di te non appena ti vedrà, e ti chiederà di rivederti? Pensi davvero che inizierete a frequentarvi, che vi sposerete e che avrete dei figli? Jennifer, apri le orecchie e ascolta con attenzione quello che sto per dirti: nulla di tutto questo accadrà mai, perché lui neppure guarda le ragazze come te. Tu sei invisibile ai suoi occhi e lo sarai sempre. Ecco qual è la verità!”.

Jen spalancò la bocca, incredula e sconvolta dalle dure parole della sorella maggiore, e corse al piano di sopra con gli occhi colmi di lacrime traboccanti, rifugiandosi a piangere nella propria camera da letto, col viso premuto contro il cuscino.

Pamela rivolse uno sguardo contrariato a Ginger, e lei rispose inarcando il sopracciglio destro ed allargando le braccia.

“Che cosa c’è? Perché mi stai guardando in quel modo? Io… Io non ho detto nulla di male, sai benissimo che ho ragione. Non sono intenzionata ad alimentare in nessun modo l’insana ossessione che Jen nutre nei confronti di Roger”

“Non è una insana ossessione, Ginger, si tratta semplicemente di una cotta. Tua sorella ha una cotta, come accade a migliaia e migliaia di ragazze in tutti i Paesi del mondo. Anche tu le hai avute”

“Sì, ma io non ho mai avuto una cotta per un soggetto come Waters”

“Ginger, lo so che tu e quel ragazzo non andate d’accordo, ma dovresti imparare a rispettare di più il pensiero di tua sorella… E forse è anche arrivato il momento che tu esaudisca il suo desiderio più grande, dato che il prossimo concerto coincide quasi con il suo compleanno, non credi?”.

La giovane guardò la madre adottiva come se fosse impazzita all’improvviso.

“Assolutamente no, non se ne parla nemmeno! Mommi, io non la tengo lontana da Waters per dispetto, ma perché voglio proteggerla… Non voglio vederla stare male per niente, ecco perché non voglio accontentare il suo desiderio. Sarei ben felice di farlo, ma le voglio troppo bene per vederla soffrire a causa di una persona come lui. Io non… Non credo affatto che possa essere una buona idea”

“Secondo me, invece, dovresti, Mary Jane. Lascia che Jennifer venga al concerto e lascia che incontri quel ragazzo, dato che lo desidera così ardentemente da sei anni. Falle il regalo che desidera di più al mondo per i suoi venti anni, tutto il resto dipenderà da lei. Non continuare a negarle questa possibilità. Stai sbagliando ad agire in questo modo”.

Ginger rimase sconcertata di non avere la madre adottiva dalla propria parte, ma rimase ancora più sconcertata quando, una volta tornata a casa, dopo aver raccontato l’accaduto, scoprì che anche David era di parere completamente opposto al suo.

“Credo che Pamela abbia perfettamente ragione” commentò il chitarrista, mentre Demi si divertiva a giocare con i suoi capelli lunghi, che gli solleticavano il piccolo naso “accontenta Jennifer per il suo compleanno. Dà a lei ed ai suoi due migliori amici dei pass per il concerto e poi portala a parlare con Rog”

“Sai questo cosa significa? Significa che sarei costretta ad andare da Roger a confessargli che mia sorella è innamorata di lui da ben sei anni. Non farebbe altro che tormentarmi per il resto della mia vita”

“Pensavi che questo giorno non sarebbe mai arrivato?”

“Sinceramente? Sì, mi auguravo che non arrivasse mai”

“Qual è il problema? Perché non vuoi che Jennifer incontri Roger?”

“Andiamo, Dave… Sul serio? Sai meglio di me come è fatto” Ginger si lasciò cadere sul divano affianco al marito ed allungò una mano per accarezzare i ricci di Keith, che stava disegnando, sdraiato sulla moquette; adorava giocherellare con quei ricci fitti e ribelli, adorava tirarli e vederli riprendere la loro forma ondulata “si comporterebbe ancora di più da coglione nei suoi confronti solo perché si tratta di mia sorella. Sono due le opzioni: o ci proverebbe apposta con lei solo per fare un dispetto a me, o le spezzerebbe il cuore dimostrandosi l’essere arrogante e odioso che è”

“Ed in quel caso avrai risolto il problema, no? Jennifer smetterebbe di idolatrarlo e tu non avresti più nulla di cui preoccuparti” ribatté Gilmour, passando il braccio destro attorno alle spalle della giovane.

Lei sollevò il viso e guardò il marito negli occhi con un’espressione sorpresa.

“Lo sai che hai perfettamente ragione?” mormorò poi, sbattendo le palpebre.

Come aveva fatto a non pensarci prima?



 
Ginger aspettò l’occasione adatta per parlare con Roger, ed essa si presentò una settimana più tardi quando, girando per i corridoi degli Studi di Abbey Road, lo trovò da solo all’interno dello Studio Tre: David, Rick e Nick erano appena usciti per una pausa; lui non aveva ancora abbandonato la stanza perché non riusciva a trovare il pacchetto di Marlboro che aveva preso prima di uscire di casa quella mattina stessa, insieme alle chiavi della macchina.

Bussò sulla porta aperta per attirare la sua attenzione e si schiarì la gola.

Roger si voltò e le rivolse un’espressione perplessa.

“Se stai cercando tuo marito, lo trovi in mensa” disse, concentrandosi di nuovo sulla ricerca delle sigarette perdute.

Eppure era sicuro di averle prese prima di uscire di casa.

“Non sto cercando Dave… In effetti, sono qui perché stavo cercando proprio te”.

Roger si voltò di nuovo, questa volta con un’espressione di pura sorpresa.

“Me? Stavi cercando proprio me? Ed a cosa devo questo grandissimo onore?” domandò con una punta di sarcasmo nella voce, sollevando entrambe le sopracciglia ed appoggiando la mano destra sul petto, all’altezza del cuore; Ginger ignorò la provocazione e si schiarì di nuovo la voce.

“Perché ho bisogno di parlarti con una certa urgenza… In privato. Si tratta di una questione abbastanza… Delicata e personale” la rossa frugò all’interno della borsa e tirò fuori un pacchetto nuovo, ancora avvolto nella carta trasparente, di Marlboro ed uno di fiammiferi “per vincere la tua riluttanza, come piccolo incentivo… Allora, possiamo andare a parlare in un luogo privato, per favore?”.

Waters guardò prima il viso della ragazza, poi le sigarette ed infine indossò il cappotto con un sospiro.

“Questa è la tua giornata fortunata, non riesco più a trovare il pacchetto di sigarette che ho preso da casa questa mattina… Eppure sono sicuro che…” il bassista lasciò la frase in sospeso e scosse la testa, prese il pacchetto di Marlboro e quello di fiammiferi senza ringraziare Ginger, ed uscì dall’edificio insieme a lei; una volta fuori, girarono l’angolo destro della struttura, allontanandosi da qualunque possibile paio di orecchie indiscrete.

Roger si portò una sigaretta alle labbra, l’accese, aspirò una boccata di fumo e, dopo averlo soffiato fuori, chiese a Ginger quale fosse l’argomento privato di cui voleva parlargli con così tanta fretta.

“Non mi dire che mi hai trascinato qui per confessarmi di essere innamorata di me da sempre e che, ormai, sei arrivata ad un punto in cui non riesci più a convivere con questo segreto” disse lui, con un sorriso ironico che irritò ulteriormente la rossa.

Non solo non l’aveva ringraziata per le sigarette ed i fiammiferi (soprattutto sapendo qual’era il suo personale pensiero riguardo il fumo ed i fumatori incalliti), ma ora la stava spudoratamente prendendo per il culo con le sue battutine insopportabili.

“Non preoccuparti, perché questo non accadrà mai, non potrei innamorarmi di te neppure se fossimo gli unici due esseri umani rimasti sulla faccia della Terra. Quello di cui ti devo parlare riguarda… Riguarda mia sorella”

“Hai una sorella?” domandò Roger, sorpreso “non sapevo avessi una sorella”

“Sì, si chiama Jennifer ed è più piccola di me, ma non è questo il punto… Lei, ecco… Il mese prossimo compie vent’anni e… Come regalo di compleanno vorrebbe assistere al vostro concerto… Quindi… Pensavo di procurare dei pass per lei e per i suoi migliori amici, così avranno un posto riservato in prima fila… Lei è una vostra fan da diverso tempo”

“Tua sorella ha ottimi gusti”

“Sì, ha davvero ottimi gusti… E… Non assisteranno solo al concerto in prima fila… Essendo il suo compleanno, vorrei che… Vorrei che partecipassero al party privato che faremo dopo la vostra esibizione”

“Non capisco perché stai dicendo tutto questo a me. Io cosa c’entro?”

“È proprio qui che entri in scena tu” mormorò la ragazza con una smorfia: il fatidico momento era arrivato, purtroppo, e non si sentiva affatto pronta “Jennifer… Ecco… Non so come spiegartelo… Jennifer stravede per te, e vorrebbe incontrarti”.

Ginger parlò in fretta, buttando fuori le parole velocemente e senza riprendere fiato, con la speranza che Roger non capisse la richiesta che gli aveva fatto; invece, non solo riuscì a comprendere ugualmente ogni singola parola, ma la sbeffeggiò chiedendole di ripetere un’altra volta ciò che aveva detto, scandendo con più lentezza parola dopo parola.

“Mia sorella vorrebbe incontrarti”

“E perché vorrebbe farlo?”

“Perché stravede per te”

“Perché…? Non ho capito, dillo un’altra volta ancora”

Perché stravede per te”  ripeté per la terza volta Ginger, a denti stretti; sulle labbra di Waters si delineò un sorriso soddisfatto che la rossa avrebbe cancellato volentieri con uno schiaffo, o un pugno o un calcio al basso inguine.

O con tutti e tre insieme, nell’indecisione generale.

“Ahh, ma guarda un po’… Questo sì che è un risvolto davvero interessante” commentò poi, continuando a sorridere, portandosi la sigaretta alle labbra carnose “tu mi odi profondamente, mentre tua sorella mi adora… Scommetto che questa cosa ti fa rodere il fegato, vero? Scommetto che non riesci a sopportarlo”

“Ciò che penso io al momento non ha nessuna importanza, perché qui non stiamo parlando di me, ma di mia sorella. Jennifer stravede per te, purtroppo, e vorrebbe incontrarti. Non ti chiedo di trascorrere l’intero party in sua compagnia, ma ti sarei grado se le rivolgessi la parola per pochi minuti e se ti sforzassi di essere gentile nei suoi confronti. Falle gli auguri, firmale un autografo, chiedile se il concerto le è piaciuto e dille di godersi la festa: non devi fare altro che questo per renderla la persona più felice della Terra. Ti prego” Ginger si fermò un attimo: mio dio, lo stava davvero pregando? Sì, lo stava davvero pregando, per Jen “Jennifer è una bravissima ragazza, anche se ci sono momenti in cui sembra che il suo unico scopo sia farmi uscire completamente di testa, desidera da tanto tempo vedere un vostro concerto ed incontrare te. Ti prego, ti prego, te lo sto chiedendo per favore, accontentala e non fare lo stronzo. Tengo tantissimo a lei e non potrei mai sopportare di vederla soffrire… Soprattutto per colpa di un ragazzo”.

Il bassista socchiuse gli occhi azzurri e fissò il parcheggio con uno sguardo pensieroso, aspirando le ultime boccate di fumo; lasciò cadere il mozzicone a terra e lo schiacciò con la suola della scarpa destra, irritando ulteriormente la giovane perché a poca distanza da loro c’era un cestino.

“Puoi stare tranquilla, accontenterò il desiderio di tua sorella”

“Sul serio?” Ginger non poteva credere alle sue orecchie, si aspettava tutt’altra risposta come, ad esempio, un secco ‘no’ di ripicca, solo per il gusto di farle un dispetto “sei serio o ti stai prendendo gioco di me?”

“No, sono serio” confermò lui, con un’espressione che era lo specchio delle sue parole “che tu ci creda o no, mia madre ha insegnato sia a me che a mio fratello la buona educazione… E poi, lo hai detto tu stessa che stiamo parlando di tua sorella e non di te, quindi non vedo un valido motivo per cui dovrei comportarmi da bastardo”

“Io non… Non so cosa dire”

“Puoi semplicemente ringraziarmi e dire che sei in enorme debito nei miei confronti”

“Debito? Debito? Io non ho alcun debito nei tuoi confronti, casomai è il contrario vista l’orribile notte che hai fatto trascorrere a me ed a tutti gli altri in Italia! E non me ne frega nulla se sono passati due anni da quell’episodio: dovrai andare avanti ancora per un bel po’ prima di farti perdonare del tutto per la cazzata che hai commesso… Perché quella è stata davvero una grandissima cazzata che avresti potuto risparmiarti”

“Allora con questo siamo pari, dato che ti sto facendo un enorme favore” Waters prese un’altra sigaretta dal pacchetto e l’accese con aria pensierosa “Ginger, come vanno le cose tra te e David?”.

La giovane corrucciò le sopracciglia: la domanda del bassista l’aveva colta del tutto impreparata.

“Che vuoi dire, scusa?”

“Il vostro matrimonio… Come procede?”

“Bene” rispose lei, senza esitare “a volte discutiamo, ma è normale all’interno di una coppia. Non si può essere sempre felici e sorridenti ventiquattro ore al giorno, sette giorni su sette”

“E non hai notato alcun cambiamento in lui?”

“Nell’ultimo periodo mi sembra un po’ assente, ma immagino che abbia a che fare con i vostri numerosi impegni, ma… Ma si può sapere perché mi stai facendo tutte queste domande? Perché, all’improvviso, t’interessa così tanto il mio matrimonio? Se devi dirmi qualcosa, dilla e basta, senza tanti inutili giri di parole”

“David non è così perfetto come tu credi”

“Che vuoi dire? Continuo a non capire”

“Lui ti tradisce”.

Le parole di Roger riecheggiarono nell’aria e si spensero nel silenzio più assoluto; in lontananza, sentirono entrambi una macchina passare per strada con i finestrini per metà abbassati e la radio accesa a tutto volume: la stazione in cui era sintonizzata stava trasmettendo i versi finali di Brain Damage, la canzone che, mesi prima, aveva provocato l’ennesimo litigio tra i due perché parlava spudoratamente di Syd.

Roger non aveva neppure provato a camuffare i riferimenti a lui nel testo: erano chiari e limpidi come l’acqua di un laghetto di montagna.

Entrambi sentirono la musica, ma nessuno vi prestò veramente attenzione.

“Cosa significa che lui mi tradisce?” domandò Ginger, spezzando la sinistra quiete che era scesa tra loro due.

“Significa che in America ci ha tirato pacco perché doveva incontrarsi con una ragazza che aveva conosciuto la notte precedente, dopo la nostra ultima esibizione a Philadelphia” spiegò il bassista, iniziando a fumare la seconda Marlboro e guardando la rossa negli occhi con uno sguardo serio e senza alcuna traccia di sarcasmo nella voce “ricordi il giorno in cui ti ho detto che tra me e Judith era tutto finito? Quando sono uscito a fumare, ho ascoltato per caso una conversazione tra David e Rick, e l’ho sentito svuotare il sacco su ogni singola cosa: ha conosciuto una ragazza, ci è andato a letto ed hanno intrapreso una relazione a distanza. Continua a pensare a lei e nutre parecchi dubbi riguardo al vostro matrimonio”.

La rossa rimase di nuovo in silenzio per diverso tempo.

“Mio dio…” mormorò alla fine, scuotendo la testa e coprendosi la bocca con la mano destra “mio dio, non posso davvero crederci!”

“Immagino quello che stai pensando ora, ma…”

“Non posso davvero credere a quali livelli di bassezza può arrivare la meschinità umana! Mi fai davvero schifo!”.

Roger sgranò gli occhi, e la sigaretta che aveva tra le labbra scivolò a terra sulla strada lastricata.

Aveva sentito bene?

Ginger gli aveva appena dato del meschino e dello schifoso?

“Stai dicendo questo a me? Forse ti è sfuggito qualche passaggio di ciò che ho appena detto: Ho detto che…”

“Ho capito benissimo quello che hai detto e non c’è alcun bisogno che tu lo ripeta. Pensi che non sappia quello che stai cercando di fare? Pensi che non lo abbia capito o che sia così sprovveduta?”

“Adesso sono io che non riesco a seguirti”

Tu non puoi sopportare il fatto che il tuo matrimonio sia andato a rotoli, e vuoi rovinare anche il mio!

“Ma cosa… Ma sei impazzita all’improvviso? Che cazzo stai dicendo?”

“La verità! Tu non hai mai sopportato la mia relazione con David, proprio come non hai mai sopportato quella che ho avuto con Syd, ecco perché non sei venuto al nostro matrimonio e non ti sei neanche degnato di rispondere all’invito che avevamo mandato a te e Judith. Ed ora che tra voi due è finita per sempre, riesci ancora meno a sopportare il fatto che noi due siamo felici e che siamo riusciti a costruirci una bellissima famiglia, e vuoi rovinare tutto… Solo per ripicca! Solo per una stupida ripicca personale! Tu sei profondamente invidioso di David perché lui ha quello che tu vorresti avere!

“Ohh, mio dio, ma allora sei davvero impazzita all’improvviso! Tu non hai capito assolutamente nulla! Non si tratta di una stupida questione di invidia: io non sono invidioso di lui, e tantomeno non mi sono inventato nulla di quello che ti ho raccontato! David ti ha tradita e continua a farlo tutt’ora con una ragazza che abita a Philadelphia! Posso dirti anche il suo nome: Virginia”

“Tu non riesci a superare il fatto che Judith ha avuto un amante alle tue spalle per mesi, ed adesso ti sei messo in testa che debba essere lo stesso anche per Dave! Mio dio, fortuna che conosco bene mio marito, altrimenti avrei rischiato di credere alle tue cazzate

“Ginger, non sto dicendo cazzate! Ho sentito tutto con le mie orecchie!”

“Stammi lontano, Waters, o giuro che questa volta nessuno ti salverà da un calcio alle parti basse, così almeno dopo avrai un valido motivo per dire che non vuoi diventare padre!” gridò la giovane, puntandogli contro l’indice destro per intimargli di non avvicinarci; rientrò sbattendo con forza la porta, agitata a causa della discussione con il bassista, che era rimasto all’esterno, e raggiunse gli altri tre ragazzi che stavano ancora chiacchierando e mangiando in mensa, radunati attorno allo stesso tavolino.

Ginger chiuse la porta e si appoggiò ad essa per prendere un profondo respiro e calmarsi.

Non poteva credere alla faccia tosta che aveva avuto Waters!

“Ginger, stai bene?” le chiese David, notando il turbamento che traspariva dall’espressione sul suo viso, e lei lo guardò negli occhi: gli stessi occhi azzurri, ridenti e bellissimi che tre anni prima l’avevano fatta capitolare e l’avevano spinta ad accettare una richiesta di matrimonio dopo neppure un anno di frequentazione.

No, si disse, le parole di Roger erano solo un’enorme cazzata che si era inventato perché non riusciva ad accettare il fatto che la propria vita stesse andando a rotoli.

David, il suo David, non le avrebbe mai giocato un tiro così meschino.

Lui non era quel genere di uomo.

“Sì” mormorò, rassicurandolo con un sorriso “sto bene. Ho solo avuto un cerchio alla testa perché non ho ancora messo nulla sotto i denti”.
 

Ritorna all'indice


Capitolo 44
*** The Big Chance (Parte Due) ***


1973, agosto.


 
Jennifer fissò il piatto dinanzi a sé senza sbattere le palpebre: le uova strapazzate, le due salsicce, il tortino di patate ed il pane imburrato erano diventati ormai freddi ed immangiabili; il ghiaccio dentro il bicchiere si era quasi sciolto del tutto, rendendo la bibita al suo interno annacquata.

“Guarda che il cibo non scompare magicamente dal piatto se continui a fissarlo in quel modo, sai?” la riprese la ragazza bionda seduta di fronte a lei, staccando un pezzo del suo pane imburrato e cacciandoselo in bocca; Danny, seduto affianco a Jennifer, stava terminando di masticare gli ultimi bocconi di salsiccia.

“Non ho molta fame, Liza” mormorò la giovane, punzecchiando le uova strapazzate con i denti della forchetta che aveva in mano “ho lo stomaco completamente chiuso. Credo che se provassi a mangiare un solo boccone, finirei col vomitare sopra la tavola… Ecco, ora che l’ho detto, mi sembra di sentire la nausea. E mi sembra anche di sentire la fronte bollente ed i brividi di freddo… Senti! Prova a sentirmi la fronte! Scotta, vero? Scommetto che ho la febbre altissima”.

Liza allungò la mano destra ed appoggiò il palmo sulla fronte della sua migliore amica.

“Jennifer, la tua fronte è freschissima, non hai nulla”

“Ma se ho le guance in fiamme!”

“Sai come si chiama questa? Agitazione. Tu sei fuori di te dall’agitazione perché tra un paio di ore, dopo aver assistito al primo e miglior concerto della tua vita, incontrerai personalmente Roger”

“Basta, basta, basta! Non dirlo più, altrimenti finisco davvero per andare fuori di testa, mio dio!” esclamò la giovane con un gemito; lasciò cadere la forchetta sul piatto pieno di cibo e si appoggiò allo schienale del divanetto alle sue spalle “non credo di volerlo fare. Non credo di essere pronta”

“Che cosa?” Liza spalancò gli occhi azzurri “non puoi parlare sul serio! Hai atteso per tanto tempo questo momento, per anni non hai fatto altro che parlare in continuazione a me ed a lui di Roger, ed ora che finalmente il tuo sogno si sta per realizzare, non credi di essere pronta? Jen, ma sei ubriaca? Forse stai davvero male, perché la Jennifer che conosco io non direbbe mai una cosa simile”

“No, ecco… Io… Io voglio ancora incontrarlo, mio dio, eccome se lo voglio, ma… Ecco… Ho desiderato così ardentemente questo momento, che ora mi chiedo se non sarebbe meglio che restasse solo un sogno destinato a non realizzarsi mai”

“Ma che… Ma che diavolo stai dicendo? Danny, tu ci capisci qualcosa?”

“E se non fosse come io ho sempre immaginato? E se… E se tutto andasse storto? E se Roger non mi degnasse neppure di un’occhiata? Forse, dopotutto, mia sorella ha ragione: quelli come lui non guardano le ragazze come me. Sono sempre abituati ad essere circondati da ragazze bellissime che sembrano, o sono, delle modelle. Io non ho nulla in comune con loro”

“Questo non è assolutamente vero, Jen, anche tu sei una bellissima ragazza: hai degli occhi stupendi ed un viso ancora più stupendo. Non è vero, Danny? Diglielo anche tu che si sbaglia di grosso ad avere così poca autostima”

“Sei molto bella, Jennifer, non dovresti sottovalutarti in questo modo. Non ne hai alcun motivo” rispose Daniel, guardando la giovane seduta alla sua sinistra “e Roger sarebbe davvero un cieco ed uno stupido a non notarlo. Non hai nulla da invidiare alle modelle. Sono loro che hanno tutto da invidiare a te”.

La ragazza si sforzò di sorridere ad entrambi per le premure che le dimostravano sempre, e per il supporto incondizionato che le davano in ogni occasione.

Soprattutto in quella, che era la più importante di tutte.

“Vi ringrazio davvero, non so cosa dirvi, ma il vostro giudizio non è obiettivo dal momento che siete i miei migliori amici… Ed anche se le vostre parole dovrebbero farmi sentire meglio, purtroppo non è così… Io… Non sono più sicura di volerlo fare, non sono più sicura di voler incontrare Roger e… Ohh, mio dio, mi sento una completa e totale stupida! Ma cosa penso di ottenere? Ma cosa mi sono messa in testa? Mi guarderà con aria di sufficienza, mi farà un cenno di saluto, al massimo, e poi andrà a parlare con una ragazza mille volte più bella di me… Anzi, diecimila volte più bella di me… E terminerà la serata in bellezza in sua compagnia… Ed io passerò il peggior compleanno di tutta la mia vita”

“Vorresti andare a letto con lui?” domandò Danny, sconcertato, e Liza roteò gli occhi azzurri con un’espressione seccata.

“Suvvia, Danny, non fare l’ingenuo, anche tu sei un maschio! Secondo te Jennifer quando pensa a Roger, si immagina a raccogliere margherite in un prato insieme a lui? Credo che sia abbastanza ovvio e palese che le piaccia in quel senso, e che quando pensa a lui, i suoi pensieri vanno verso quella parte”

“Ho capito che Roger le piace, ma non so se sia un bene, per lei, illudersi così tanto. Jen, forse non dovresti aspettarti nulla da questa sera, così non resterai delusa qualunque cosa accada”

“Non ci posso credere! Stai parlando sul serio? Ma vuoi tranquillizzarla o agitarla ancora di più? Ma da che parte stai?”

“Io sto dalla sua parte, Elizabeth, sono sempre dalla parte di Jennifer… Ma proprio perché sono dalla sua parte sto cercando di essere più obiettivo possibile e dirle la verità. Penso davvero che Jen sia una bellissima ragazza e che Roger sarebbe un idiota se non se ne accorgesse… Ma non credo le faccia bene sperare di… Insomma… Sperare di concludere qualcosa con lui… Anche perché Ginger spezzerebbe tutte le ossa del corpo ad entrambi”

“Ma Ginger non può controllare per sempre la vita di sua sorella! Jennifer non è più una bambina: ha vent’anni ed è in grado di decidere da sola cosa sia più giusto per lei”

“Sì, ma forse Roger non è la persona giusta per lei”

“E tu cosa ne sai?”

“Non ha neppure trent’anni ed ha già un divorzio alle spalle… E poi, lavora nel mondo dello spettacolo”

“E la sorella di Jennifer è sposata con David, ed hanno un figlio… Questo dimostra che ciò che hai appena detto non ha alcun senso logico”

“Magari loro sono semplicemente l’eccezione che conferma la regola”

“Basta!” esclamò Jennifer, con le guance in fiamme, interrompendo la discussione tra Liza e Danny.

Si sentiva sempre più vicina ad avere un attacco di panico.

“Io non ho detto nulla, è stato lui ad iniziare per primo dicendo cose senza senso!”

“Non m’importa chi ha iniziato per primo e chi ha risposto per difendersi, mi state facendo scoppiare la testa! Non ce la faccio più, voglio tornare a casa! Non voglio più andare al concerto, non voglio più incontrare Roger e non voglio più festeggiare il mio compleanno! Voglio solo tornare in albergo, prendere il mio zaino, fare ritorno a casa e dimenticare tutto. Evidentemente non è destino che la mia strada e quella di Roger s’incontrino e questo spiega alla perfezione perché finora ogni tentativo è miseramente fallito. Io… Devo togliermelo dalla testa, non c’è altra spiegazione!”

“No, tu non vuoi togliertelo dalla testa e non vuoi neppure tornartene a casa. È l’agitazione che ti fa parlare così, tutto qua… Hai bisogno di qualcosa che ti faccia rilassare i nervi, e credo proprio di avere la cosa giusta” disse Liza con un sorriso furbetto; frugò all’interno della propria borsa e ne tirò fuori una piccola bustina trasparente che mostrò a Daniel e Jennifer: i due ragazzi osservarono l’oggetto in silenzio e notarono che al suo interno c’erano un paio di pastiglie rotonde e colorate.

Danny capì per primo cosa fossero e si tirò indietro con un’espressione contrariata.

Quella storia non gli piaceva affatto.

Jen, invece, osservò ancora le pastiglie colorate.

“Cosa sono?”

“Te l’ho detto: qualcosa per farti rilassare i nervi”

“Non darle retta, Jennifer. È droga” mormorò il giovane, rivolgendo un’occhiata in tralice alla ragazza bionda.

Liza non gli piaceva, non gli era piaciuta fin dall’inizio; la sopportava perché sapeva quanto Jennifer fosse profondamente legata a lei, ma dentro di sé temeva che potesse avere una brutta influenza sulla sua migliore amica.

Liza era figlia di genitori separati, troppo impegnati a ricostruirsi una nuova vita insieme ad un nuovo partner per preoccuparsi di lei e per notare la strada preoccupante che stava imboccando, dal momento che era abbandonata a sé stessa.

“No, no, no, no. Non se ne parla” anche Jennifer si tirò indietro, scuotendo la chioma nera “mi ammazzerebbero, se sapessero che ho assunto robaccia simile. Ginger andrebbe doppiamente fuori di testa, visto quello che è successo a Syd per colpa di pasticche simili”

“Syd Barrett è andato fuori di testa perché assumeva droga ogni singolo giorno, più volte al giorno, questo lo sanno tutti. Si è bruciato il cervello per una scelta propria, ed adesso non gli sta andando meglio perché dicono che sia passato all’eroina. Sai Brian, il ragazzo che adesso frequento? Un amico di un suo amico ha raccontato di averlo visto camminare per strada, a Cambridge, a piedi nudi. Ha detto che aveva i capelli ed i vestiti sporchi, e sembrava uno scheletro che vagava a zonzo”

“Non le voglio neppure sentire queste cose” mormorò la giovane con una smorfia “Ginger non legge mai i giornali per evitare di imbattersi in articoli che raccontano episodi come questo, ed è ciò che faccio anch’io. Preferisco ricordare Syd come il ragazzo che ho conosciuto sei anni fa. Non voglio che quell’immagine venga intaccata in alcun modo dal fantasma in cui si è trasformato ora”

“Volevo solo farti capire che non accade nulla se prendi una sola pasticca. Anche io lo faccio di tanto in tanto, per divertimento o per noia, e guardami… Sono qui, davanti ai tuoi occhi, e sono perfettamente sana. Una pasticca non è pericolosa: ti aiuta a trascorrere un paio d’ore senza pensieri in testa e se sei nervosa o in ansia, ti rilassa completamente. Devi solo aspettare che faccia effetto, lei penserà a tutto il resto. Guarda” la bionda aprì la bustina, prese una pasticca viola, l’appoggiò sulla lingua e la mandò giù con un sorso della sua birra; allargò le braccia e rivolse un enorme sorriso alla sua migliore amica “hai visto? Non mi è successo niente. Non è così spaventoso come gli adulti ti raccontano, loro esagerano sempre… Forza prendine una anche tu”

“Io non so… Non so se…”

“Non farlo, Jen, dai retta a me. Non mi piace questa storia… Non mi piace affatto… Finirà molto male se non ci diamo un taglio adesso, finché siamo ancora in tempo”

“Sei un senza palle, Danny. Un senza palle che non è in grado di divertirsi”

“Non sono un senza palle”

“Allora dimostrami il contrario prendendone una anche tu” Liza allungò la bustina trasparente verso il giovane e la fece ondeggiare davanti alle sue iridi scure “avanti. Forza”

“No”

“Vedi che allora ho ragione?”

“Lo faccio io!” esclamò Jennifer, strappando la bustina dalle mani della sua migliore amica; pescò una pasticca rosa, che strinse tra il pollice e l’indice della mano destra, e la osservò in silenzio, deglutendo a vuoto.

Daniel le rivolse un’occhiata allarmata e la esortò a ripensarci, perché quella era tutto tranne che una buona idea.

Elizabeth, invece, era di parere completamente opposto.

“Coraggio, Jen, fidati delle mie parole: non hai nulla di cui preoccuparti. Non ti succederà nulla di male e ti farà passare una bella serata. Non lo saprà mai nessuno, resterà il nostro piccolo segreto a tre”

“Jen, non farlo”.

La giovane non riusciva a staccare gli occhi dalla piccola pasticca rosa.

Sembrava così inoffensiva.

Come poteva fare del male una cosina così piccola e apparentemente insignificante? Com’era possibile che una pasticca rotonda, più piccola di un polpastrello, aveva stravolto completamente la vita di Syd, riducendolo ad un vegetale ambulante che aveva perso qualunque contatto con la realtà?

Però Syd non si era limitato ad assumere una sola dose sporadica di droga, come Liza le aveva ricordato.

No.

Lui si era rovinato con le sue stesse mani perché aveva iniziato ad abusarne in modo consapevole (o meno), senza nessuno che lo costringesse, senza nessuno che lo obbligasse a farlo o che gli puntasse una pistola alla testa.

Forse… Forse se si fosse fermato ad una sola e piccola pasticca rosa, la sua vita non sarebbe cambiata così profondamente e per sempre, e non sarebbe mai sprofondato nel baratro di una prigione mentale che lui stesso aveva forgiato con le proprie mani.

Una sola pasticca non sembrava affatto essere così pericolosa.

Jennifer si voltò a guardare Daniel, che sperava di vederla fare un passo indietro prima di commettere la più grande sciocchezza di tutta la sua vita.

“Liza ha ragione, Danny: una sola pasticca non può essere così pericolosa” mormorò e, prima di avere qualunque ripensamento e prima di essere bloccata fisicamente da lui, la mandò giù insieme ad un sorso della birra della bionda, proprio come lei stessa aveva fatto.

Serrò le palpebre, strinse le labbra e rimase in attesa.

In attesa di qualcosa che non arrivò.

Riaprì gli occhi con uno sguardo confuso: si sentiva perfettamente normale, esattamente come prima di buttare giù la pasticca.

Non era cambiato nulla.

“Voi due siete pazze!” esclamò il ragazzo esterrefatto, alzando le mani dal tavolo e scuotendo la testa “completamente pazze!”

“No, invece, Liza ha ragione. Non devi avere paura. Non è affatto come ti dicono. Non è così orrendo, anzi… Io mi sento benissimo” ribatté la giovane, passando la bustina al giovane, invitandolo a seguire l’esempio suo e di Elizabeth “coraggio, è il tuo turno”

“No, non se ne parla”

“Non vorrai essere l’unico a non divertirti” lo stuzzicò Liza, con un sorriso provocatorio stampato sulle labbra, mandando giù un altro sorso di birra ormai calda “avanti, Danny, lasciati andare una buona volta. Smettila di essere così rigido e sciogliti: oggi è il compleanno di Jen, dobbiamo solo pensare a rilassarci e divertirci al massimo. Prenditi questa notte per te e domani tornerai ad essere il bravo bambino di mamma e papà”

“Mio padre mi ammazza se viene a sapere che ho assunto una merda simile”

“Ma non lo verrà mai a sapere, come non lo verrà mai a sapere neppure mommi” ribatté a sua volta Jennifer, pescando una terza pasticca e passandola al suo migliore amico “avanti, Danny, prendila anche tu. Ti prometto che non accadrà nulla. Fallo per me: oggi è il mio compleanno e dobbiamo solo pensare a festeggiare e divertici al massimo, proprio come ha detto Liza. Sarà il nostro piccolo segreto, infondo non stiamo facendo del male a nessuno. Tutti i nostri coetanei hanno almeno preso una pasticca o fumato una canna nella loro vita. Avanti, per favore”.

Dinanzi allo sguardo supplichevole della ragazza dai lunghi capelli neri, Daniel emise un sospiro rassegnato e prese anche lui la pasticca colorata, buttandola giù con un sorso di birra.

“Me ne pentirò amaramente” borbottò poi, fissando il tavolo con uno sguardo corrucciato e scuotendo la testa.

“Adesso che cosa dobbiamo fare?” domandò Jennifer, rivolgendosi alla sua migliore amica.

“Adesso dobbiamo aspettare che faccia effetto, e poi possiamo incamminarci verso il concerto” rispose lei, appoggiandosi allo schienale del divanetto e chiudendo gli occhi.

Jen la imitò, essendo alla sua prima esperienza in fatto di acidi e droghe psichedeliche: chiuse gli occhi, si appoggiò allo schienale del divanetto e provò a rilassarsi, in attesa che la piccola pasticca rosa, dall’aspetto innocuo, facesse il suo effetto.

Liza le aveva assicurato che si sarebbe sentita subito meglio e che l’avrebbe aiutata a distendere i nervi a fior di pelle per godersi appieno sia l’esibizione che, soprattutto, l’incontro con Roger al party privato, ma non avvertì alcun senso di rilassamento, bensì tutto l’opposto: dopo qualche minuto trascorso col capo reclinato all’indietro e le palpebre serrate, Jennifer avvertì il bisogno improvviso di alzarsi e di prendere una boccata d’aria fresca, perché quella nella stanza si era fatta improvvisamente calda, pesante ed irrespirabile.

Si alzò di scatto, rischiando di travolgere Danny, e corse il più velocemente possibile in bagno; aprì un rubinetto, si bagnò il viso più e più volte con dell’acqua fresca perché si sentiva le guance incandescenti e si aggrappò ai bordi in marmo del lavandino con entrambe le mani, stringendolo con forza, con la testa china in avanti e le labbra socchiuse a causa del respiro ansimante.

L’orribile sensazione di calore e pesantezza non sembrava intenzionata ad andarsene, e continuava a peggiorare sempre di più, sempre di più.

Le sembrava di essere all’interno di un forno acceso da cui non riusciva ad uscire e qualcuno, dall’esterno, si divertiva alle sue spalle continuando ad alzare sempre di più la temperatura, rendendo l’aria irrespirabile e soffocandola lentamente.

Ed il cuore… Mio dio… Sentiva il proprio cuore battere nel petto, nella gola e nelle orecchie velocemente, con la stessa intensità di un tamburo di guerra.

Stava per scoppiare.

Jennifer alzò a fatica il viso e guardò il proprio riflesso sullo specchio ovale appeso alla parete dinanzi a sé: aveva il viso pallido e sudato, gli occhi cerchiati di rosso ed uno sguardo appannato.

‘Mio dio, ho un aspetto orribile, non posso farmi vedere da Roger in queste condizioni’ riuscì a pensare in modo lucido prima di essere colta da un capogiro improvviso: la vista le si annebbiò, davanti ai suoi occhi scese un drappo nero e pesante e crollò a terra, sul pavimento del bagno del pub.



 
Le luci all’interno del camerino si spensero all’improvviso.

Prima che David avesse il tempo di rendersi conto di quello che stava succedendo, avvertì un corpo magro premuto contro il proprio ed un paio di labbra carnose e morbide si appropriarono delle sue, per nulla intenzionate a lasciarle andare; il chitarrista, colto alla sprovvista, indietreggiò fino a toccare una parete con la schiena, chiuse gli occhi, passò le braccia attorno alla sconosciuta che lo aveva assaltato alla sprovvista e respirò a pieni polmoni il buonissimo profumo emanato dai suoi capelli.

Un misto di pesca e vaniglia.

Aveva già sentito quel buon profumo prima d’ora, tre mesi prima per l’esattezza, ma non era possibile…

Non poteva essere vero, non poteva…

Le luci all’interno della piccola stanza si riaccesero e David rimase senza fiato quando si rese conto che stava stringendo Virginia.

Virginia.

Ginger.

L’altra Ginger.

Le accarezzò il viso, i lunghi e morbidi capelli rossicci, e la baciò di nuovo sulle labbra per essere sicuro che non si trattasse solo di un sogno.

“Mio dio” mormorò senza fiato, scuotendo la testa, incapace di credere ai propri occhi “questo non può essere vero. Non puoi essere qui. È troppo bello per essere vero… Troppo… Deve essere per forza un sogno, non c’è altra spiegazione”

“Invece è tutto reale, ed io sono qui” rispose la ragazza, abbassando lo sguardo sulle due valige che aveva portato con sé “ho voluto farti una sorpresa, anche se è stato terribilmente difficile mantenere il segreto e… E temevo di arrivare in ritardo o di perdermi a Londra… Non sei contento?”

“Se sono contento? Questa è la sorpresa più bella che potessi mai farmi” il sorriso di Gilmour si spense in fretta “ma non possiamo rimanere qui, è troppo rischioso, potremo essere scoperti da chiunque in qualunque momento”

“E cosa facciamo? Dove possiamo andare?” domandò Virginia, sgranando i grandi occhi blu che David aveva sognato per mesi e mesi, quasi ogni singola notte.
Lui ci pensò per un momento, in silenzio, vagando con lo sguardo per la stanza.

“Conosco il posto perfetto in cui andare” disse poi, prendendo le chiavi della propria macchina “ma dobbiamo fare in fretta, e dobbiamo fare attenzione che nessuno ci veda”.



 
Ginger sbuffò e si guardò attorno per l’ennesima volta.

Non riusciva a trovare David.

Da quando il concerto si era concluso, più di mezz’ora prima, ed aveva avuto inizio il party, suo marito era scomparso, e lo stesso valeva per Jennifer, Liza e Danny.
Non riusciva a trovare nessuno di loro quattro, nonostante avesse cercato ovunque.

“Il party non è di tuo gradimento?”.

La rossa sobbalzò nell’udire una voce maschile mormorarle quelle parole nell’orecchio destro, si allontanò di un passo e si voltò a guardare il responsabile, che la fissava dai suoi quasi due metri d’altezza, con un sorriso divertito sulle labbra, una sigaretta accesa nella mano sinistra ed una lattina di birra in quella destra.

“Di certo non lo è se qualcuno si diverte ad arrivare alle mie spalle per farmi prendere un bello spavento” ribatté, piccata, la giovane con uno sguardo corrucciato, sorseggiando il drink analcolico che poco prima aveva preso dal buffet, facendosi largo a fatica tra gl’invitati.

“Quindi non ti stai divertendo?”

“Ti stai già divertendo tu per entrambi. Mi sembra di capire che tu sia particolarmente di buonumore” osservò Ginger, notando la maglietta bianca che Roger indossava: l’aveva comprata l’anno precedente in Giappone, ed era uno dei suoi indumenti preferiti… Ed era anche uno dei pochi che si scostavano dalle tante sfumature di nero che regnavano all’interno del suo armadio “hai bevuto, per caso? O hai assunto qualche tipo di sostanza stupefacente? Mi auguro di avere torto per entrambe le opzioni, perché non ho voglia di trascorrere un’altra notte in ospedale. L’esperienza in Italia è stata più che sufficiente”

“No e… No. Non sono né ubriaco né sotto effetto di sostanze stupefacenti. Questa è la prima ed unica birra che berrò nel corso della festa. Il mio buonumore deriva semplicemente dal fatto che è stata una buona esibizione. A volte ripenso a quando ci esibivamo in vari locali nel corso della stessa serata e rischiavamo di essere beccati in pieno da un boccale di birra vuoto, se non facevamo attenzione a spostarci in tempo… E guarda sei anni dopo dove siamo arrivati. Pensa a tutto quello che ancora ci aspetta e che dobbiamo fare: non ti sembrano dei validi motivi per essere di buonumore?”

“Mi fa solo strano vederti di buonumore, Roger… E comunque, lo sarei anch’io se riuscissi a trovare mia sorella, i suoi amici e David… Hai visto Dave, per caso?”

“No, non sono il suo babysitter”

“Maledizione, è completamente sparito! È lui che deve riaccompagnare i ragazzi in albergo dopo la festa e… E non ho la più pallida idea di dove possa essere!”

“Già, chissà dove sarà andato… E con chi” mormorò Roger, mandando giù un lungo sorso di birra, guadagnandosi un’occhiata fulminante da parte della ragazza, che strinse con più forza il bicchiere.

Improvvisamente aveva una voglia matta di lanciare il succo di frutta addosso alla sua adorata maglietta comprata in Giappone.

“Smettila con questa storia, non è affatto divertente, te l’ho già detto il mese scorso. Perché vuoi rovinare la vita degli altri solo perché la tua non sta andando nel modo in cui vorresti?”

“E perché tu non riesci a capire che la mia non è una ripicca personale, ma la verità? Perché non mi credi quando ti dico che ho sentito David e Rick discutere proprio riguardo a questo? Sto cercando di evitarti ciò che è accaduto a me. Cazzo, ti sto facendo un favore se non lo avessi ancora capito!”

“Non ti credo perché Dave mi ha raccontato che quella sera a Philadelphia non è uscito con voi perché stava male. Non ti credo perché Richard mi avrebbe già raccontato tutto, se Dave gli avesse davvero confessato una cosa così grave. E non ti credo perché so come sei fatto e perché sei sempre stato orribile nei miei confronti: ecco perché non sono affatto intenzionata a credere alle tue parole”

“Se è per questo, neppure tu sei mai stata il massimo della gentilezza nei miei confronti. Fa un po’ come ti pare, Ginger, ma non venire a piangere da me disperata quando scoprirai che il tuo perfetto maritino non è poi così perfetto come vuole far credere. Allora…” il bassista aspirò una boccata di fumo e si guardò attorno “tua sorella dov’è? Tra quanto arriva?”

“Non lo so, le avevo detto di venire nel backstage una volta che il concerto sarebbe finito, ma a quanto pare anche lei sembra essere svanita nel nulla”

“Vedrai che sarà qui a momenti… Forse ha avuto un momento di panico dovuto all’emozione ed all’agitazione”

“Ohh, sì, certo… Mio dio, ma la smetti di pavoneggiarti in questo modo? Sei terribilmente irritante” Ginger si allontanò alla ricerca della sorella minore, prima di perdere completamente le staffe, e si avvicinò a Rick che stava prendendo un’altra birra dal buffet “Richard, hai visto Jen, per caso?”

“No, perché?”

“Perché non riesco a trovarla, ed ormai lei, Danny e Liza avrebbero dovuto essere qui già da un pezzo… Il concerto è finito quasi quarantacinque minuti fa”

“C’è molta gente alla festa, io non riesco neppure a trovare gli altri, vedrai che sarà qui da qualche parte. Non credo proprio che Jen sparisca ora che ha finalmente la possibilità di incontrare Roger e parlargli”

“Eppure sono sicura di avere controllato ovunque… A proposito degli altri, hai visto Dave?”

“No… No, ora che ci penso non l’ho più visto da quando siamo scesi dal palco”

“Appunto, è la stessa cosa che ho pensato io… E questo non è un comportamento da lui” mormorò la giovane, perplessa, prima di allontanarsi dal suo migliore amico per cercare la sorella, i suoi due migliori amici ed il marito.

Mezz’ora più tardi, non aveva incontrato ancora nessuno di loro quattro e, in preda ad un ansia sempre più crescente, mentre era diretta nella zona dei camerini, andò a sbattere contro Roger; non finì a terra solo perché lui l’afferrò con prontezza.

“Adesso posso dire di averti quasi vista ai miei piedi” commentò il bassista con un sorrisetto compiaciuto, che svanì nello stesso momento in cui vide l’espressione agitata di Ginger ed il pallore sul suo viso, che creava un netto e curioso contrasto con la chioma fiammeggiante “va tutto bene?”

“No… No… Non va tutto bene. Non va affatto bene, cazzo. Non riesco a trovarli, nessuno di loro, e Jennifer in questo momento è sotto la mia responsabilità: ho promesso a mommi che domani l’avrei riportata a casa sana e salva, ed ora non ho la più pallida ide di dove sia e di cosa sia successo a lei, Danny e Liza” rispose la rossa, parlando in fretta, entrando nel camerino di Gilmour per recuperare la giacca, la sciarpa e la borsa a tracolla “io torno in albergo e provo a contattare quello in cui alloggiano, e se non rispondono vado là personalmente, e se non sono neppure in albergo, allora andrò alla stazione di polizia a denunciare la loro scomparsa”

“Ti accompagno”

“Come?” la ragazza si bloccò con la mano tesa verso la borsa “cosa hai detto?”

“Ho detto che ti accompagno, lasciami il tempo di recuperare la giacca e le chiavi della macchina”.

Ginger rivolse a Waters uno sguardo diffidente.

Non era mai stato così gentile nei suoi confronti.

“E perché mai vorresti accompagnarmi?”

“Perché sei fuori di te dalla preoccupazione e finiresti per farti tirare sotto da una macchina” commentò laconico Roger, uscendo dal camerino.

I due giovani salirono nella macchina del bassista e tornarono nell’albergo in cui avrebbero alloggiato quella notte; per tutto il tragitto Ginger continuò a tormentare la povera borsa che teneva appoggiata sul grembo ed il labbro inferiore.

Si rese conto di averlo morso con troppa forza quando sentì un gusto ferroso in bocca; si passò l’indice sinistro sulle labbra e vide una piccola gocciolina di sangue sul polpastrello.

Waters le lanciò un’occhiata di sfuggita e notò a sua volta il sangue.

“Non sporcarmi la macchina, l’ho fatta completamente sanificare”

“Perché hai fatto sanificare la macchina? Aspetta, non dirlo: scommetto che sei stato costretto a farlo perché c’era cenere di sigarette ovunque”

“No, sei completamente fuoristrada. L’ho fatta sanificare perché… A volte Judith usava la mia macchina, soprattutto quando la sua aveva qualche problema ed era dal meccanico, e beh… Volevo essere certo che non ci fosse nessun residuo sparso di fluidi corporei

“Aspetta… Stai dicendo che hai portato a sanificare la tua macchina per timore che la tua ex moglie ed il suo amante ci avessero scopato dentro?”

“Sì” rispose il giovane, senza staccare gli occhi dalla strada “ed ho preso le stesse precauzioni con casa mia: ho sostituito tutti i mobili… A partire dal letto. Comunque, cerca di stare tranquilla. Sono sicuro che a tua sorella ed ai suoi amici non è accaduto nulla di brutto: magari uno di loro si è sentito male a causa di qualcosa che ha mangiato, sono rimasti in albergo e non hanno avuto modo di contattarti”

“Ho lasciato loro il numero del nostro albergo e della mia camera per qualunque problema”

“Allora, se hanno telefonato lo scopriremo al nostro arrivo”

“È proprio ciò che mi auguro” mormorò la giovane, stringendo con così tanta forza la pelle della borsa che le nocche diventarono bianche quanto il suo viso.

Quando arrivarono al parcheggio dell’albergo, la giovane scese immediatamente dalla vettura sbattendo con forza la portiera anteriore sinistra (ignorando le proteste di Waters) e si precipitò dentro la hall, al banco della reception, a chiedere alla ragazza che era in servizio se c’era qualche messaggio per lei; Roger la trovò intenta a leggere un biglietto, quando la raggiunse qualche minuto più tardi, dopo essersi accertato che la portiera anteriore sinistra non avesse riportato nessuna ammaccatura o graffio permanente.

“Ho capito che sei preoccupata per tua sorella ed i suoi amici, ma questo non ti giustifica a…” il giovane si fermò a metà frase, notando che il pallore di Ginger aveva assunto una sfumatura grigiastra preoccupante e le sue mani, che ancora stringevano il biglietto, erano scosse da un fremito incontrollabile, come le sue labbra “Ginger? Ginger, che succede?”.

La giovane sollevò gli occhi scuri dal foglio.

Aveva uno sguardo sconvolto e stralunato.

“Devo correre subito in ospedale”

“Cosa?”

“Devo correre subito in ospedale, al pronto soccorso” disse in un soffio, guardando Roger, ma senza vederlo veramente “devo andare là subito. Adesso”

“In ospedale? Perché? Che cosa è successo?”

“Devo correre subito in ospedale”

“Va bene, d’accordo, questo l’ho capito, ma ti ho chiesto co… Ginger! Ginger, aspetta, non puoi andare da sola, a piedi, in piena notte! Sei troppo sconvolta, rischieresti solo… Ginger!”.

La giovane ignorò apertamente le parole urlate da Waters: con il cervello avvolto completamente da una fitta nebbia che le impediva di ragionare con lucidità, si precipitò in strada correndo, spingendo chiunque incontrasse nel suo cammino, passando col semaforo rosso e rischiando di finire addosso al cofano di una macchina che riuscì a frenare bruscamente all’ultimo istante.

Non sentì le ingiurie del guidatore, né tantomeno la pioggia che aveva iniziato a bagnarle i capelli ed i vestiti.

Non si accorse neppure della sciarpa che le scivolò via dal collo e svolazzò a mezz’aria prima di posarsi pigramente sul marciapiede.

Non riusciva a non pensare ad altro che non fosse ciò che aveva letto sul bigliettino di carta che le aveva allungato la ragazza della reception.

Ginger varcò la porta d’ingresso del pronto soccorso con il viso pallido, gli occhi sgranati ed i capelli ed i vestiti completamente zuppi d’acqua; si guardò attorno con il fiato ansante e con un’espressione sconvolta, finché non scorse due figure pallide, sedute dall’altra parte della stanza.

Si precipitò da loro con la furia di un uragano, travolgendoli a parole.

“Che cosa è successo? Si può sapere che cazzo è successo a mia sorella? Dov’è? Dov’è adesso? Dov’è Jennifer? Devo vederla in questo stesso momento” strillò, alternando lo sguardo da Danny a Liza e viceversa; anche loro erano pallidi, sconvolti ed avevano gli occhi arrossati a causa delle lacrime versate… E non solo per quello “ditemi immediatamente quello che è successo prima che inizi a gridare”

“Non… Non lo… Non lo sappiamo… Non…” balbettò Danny; le labbra gli tremavano così tanto che faticava a parlare “non abbiamo… Non abbiamo idea…”

“Cosa significa che non avete idea di quello che è successo a Jennifer? Com’è possibile? Eravate voi insieme a lei! Eravate con lei quando è successo, cazzo, eravate con lei quando si è sentita male ed avete chiamato un’ambulanza! Dovete sapere per forza che cosa è accaduto! Dovete saperlo per forza!”

“Non sappiamo…” mormorò a sua volta Liza, tenendo lo sguardo fisso sulle piastrelle del pavimento: non aveva coraggio a guardare Ginger negli occhi; socchiuse le labbra, le richiuse subito e scosse la testa con forza.

La rossa alternò di nuovo lo sguardo tra i due ragazzi e si mise letteralmente le mani tra i capelli, stringendo con forza delle ciocche fiammeggianti.

“Volete dirmi cosa cazzo sta succedendo? Volete dirmi perché cazzo mia sorella si trova al pronto soccorso e nessuno vuole dirmi il perché? Qualcuno di voi ha la decenza di spiegarmi che cosa sta succedendo?”

“Non… Non lo sappiamo”

“Ma cosa cazzo significa che non lo sapete, Danny? Cosa cazzo vuol dire? Come potete non sapere che cosa è successo a mia sorella se eravate insieme a lei? Perché non volete dirmi che cosa è successo a Jennifer e dove si trova ora, porca puttana?” la giovane scagliò a terra, con forza, la borsa, che si schiantò contro le piastrelle e sparse il suo contenuto attorno i piedi di Daniel ed Elizabeth, ancora trincerati dietro il loro mutismo “ditemi cosa è successo a mia sorella prima che vada fuori di testa”

“Signorina, si calmi, la smetta di urlare in questo modo o sarò costretta ad allontanarla” intervenne un’infermiera avvicinandosi alla ragazza “sta agitando le altre persone in sala d’attesa”

“Non me ne frega un cazzo delle altre persone in sala d’attesa!” urlò lei, dando una spinta violenta all’infermiera che aveva provato ad appoggiare una mano sulla sua spalla sinistra “io voglio vedere mia sorella, la voglio vedere adesso, e nessuno ha la decenza di dirmi che cosa le è accaduto e perché è stata portata d’urgenza in ospedale con un’ambulanza!”

“Signorina, sono costretta a ripeterle di calmarsi o sarò costretta a farla accomodare fuori dal pronto soccorso. Mi dispiace per sua sorella, ma urlare in questo non l’aiuterà a…”

Vaffanculo!” urlò Ginger a pieni polmoni, mollando un calcio alla sedia vuota affianco a Liza ed assestandone un secondo alla propria borsa; si allontanò di fretta dal trio, completamente sorda ai richiami della donna che la invitava a tornare indietro, ed imboccò un corridoio deserto che portava ad una piccola area ristoro in cui c’erano i bagni ed un distributore automatico di acqua fresca.

Le gambe le cedettero all’improvviso, a causa della troppa pressione che sentiva sulle proprie spalle, e si ritrovò in ginocchio sulla moquette, con i palmi delle mani e la fronte appoggiati ad un muro, con il corpo scosso da violenti brividi che le facevano battere i denti.

David era sparito nel nulla dall’inizio della festa.

Jennifer era stata portata d’urgenza al pronto soccorso.

Danny e Liza non volevano dirle cosa era successo.

E lei… Lei si sentiva sull’orlo di una crisi di nervi.

Stava per impazzire, stava per impazzire completamente e non aveva nessuno a cui appoggiarsi, nessuno che le porgesse una mano e l’aiutasse a non crollare definitivamente perché Pamela era a casa, ignara della tragedia che si stava consumando, ad occuparsi di Keith e Demi, mentre suo marito era scomparso senza alcuna valida spiegazione.

Perfino Richard non c’era, perché era ancora alla festa e non sapeva come contattarlo e, in ogni caso, in quel momento stava così male da non essere neppure in grado di prendere in mano una cornetta e di comporre un numero telefonico.

Non aveva nessuno al suo fianco.

Nessuno.

Ben presto sarebbe scivolata in un abisso nero di follia, proprio come quello che aveva inghiottito Syd, e…

Ginger sentì un paio di braccia forti e maschili attorno ai fianchi; si voltò, ed incrociò lo sguardo di Roger che la stava fissando in silenzio e che era arrivato proprio nel momento in cui sentiva il disperato bisogno di avere al proprio fianco qualcuno che conoscesse: anziché allontanarlo bruscamente, come avrebbe fatto in qualunque altra circostanza, gli buttò le braccia attorno al collo e si strinse a lui scoppiando in un pianto disperato, fatto di singhiozzi e grida soffocate contro la giacca in pelle che indossava.

Roger le appoggiò la mano destra sulla nuca, le accarezzò i capelli ed aspettò pazientemente che si calmasse, lasciandola sfogare; quando fu certo che la crisi di pianto era ormai passata, le sollevò il viso e le asciugò le lacrime con i pollici.

“Ti sei calmata adesso? Ti senti meglio ora?” domandò a bassa voce, guardandola negli occhi.

Ginger prima annuì e subito dopo scosse la testa.

Sì, era calma per il momento.

No, non si sentiva affatto meglio.

Si sarebbe sentita meglio dopo, quando le avrebbero permesso di vedere Jennifer sana e salva, fuori pericolo di vita.

“Non vogliono dirmi che cosa è successo” mormorò in risposta, deglutendo un grumo di saliva e tirando su rumorosamente col naso, continuava a tremare come una foglia, in preda ad un terrore incontrollabile ed indescrivibile “Danny e Liza non vogliono dirmi che cosa è successo a Jen, ed io non so più dove sbattere la testa. Mommi l’ha affidata a me e guarda che casino è successo… Come farò a diglielo? Mio dio, come farò a dirglielo? E se Jennifer… E se…”

“No, non pensare al peggio. Non ha alcun senso fasciarsi la testa prima di rompersela. Adesso che ti sei calmata, andiamo in sala d’attesa e chiediamo agli amici di tua sorella di raccontarci con esattezza quello che è successo, e sono sicuro che loro ci daranno tutte le risposte che vogliamo e sono altrettanto sicuro che non ci sarà nulla di cui preoccuparsi. Va bene? Ginger, va bene? Hai sentito quello che ho detto? Adesso torniamo in sala d’attesa e chiediamo agli amici di tua sorella di raccontarci cosa è successo, va bene?” disse Roger, scrollando leggermente la giovane per ottenere una risposta, perché dopo il crollo nervoso era scesa in uno strano stato di apatia apparente.

La rossa annuì senza dire una parola; Waters l’aiutò ad alzarsi dalla moquette, le prese un bicchiere d’acqua dal distributore automatico e le passò il braccio sinistro attorno ai fianchi per sostenerla, in caso avesse un mancamento improvviso.

Anche lui si chiese dove diavolo fosse David, e per quale motivo non fosse al fianco di sua moglie.

Raggiunsero Danny e Liza nel bel mezzo di una discussione animata a bassa voce, ed i due ragazzi smisero immediatamente di parlare nel momento stesso in cui si accorsero di non essere più da soli; abbassarono lo sguardo sul pavimento e non lo alzarono neppure per lanciare un’occhiata di sfuggita al bassista, che incredibilmente si trovava a soli pochi centimetri di distanza da loro.

Roger aiutò Ginger a sedersi, e poi guardò le teste chine dei due ragazzi.

“Dovete dirci che cosa è successo a Jennifer” disse col suo solito tono imperativo, d’ordine, che usava sia fuori che dentro gli Studi e che nella maggior parte dei casi era il motivo scatenante dei litigi che nascevano tra lui e David “allora, chi vuole iniziare per primo?”.

Restò in silenzio in attesa delle dovute spiegazioni e, poi, rincarò la dose.

“Rinchiudervi nel mutismo non servirà a nulla, anche perché verremo comunque a sapere la verità quando uscirà un medico ad informarci delle condizioni fisiche di Jennifer: sta a voi decidere in che modo dobbiamo venire a conoscenza della verità, ma sappiate che se dovessimo sentirla per bocca di un medico, la vostra posizione si aggraverebbe ulteriormente. Siete entrambi maggiorenni e potete essere denunciati alle autorità” Waters fece una pausa ed indicò Ginger, che si era ammutolita a sua volta “provate a mettervi nei suoi panni per un solo istante. Provate ad immaginare di essere avvisati nel cuore della notte che vostra sorella, o vostro fratello, si trova ricoverato in ospedale per chissà quale motivo, e quando arrivate al pronto soccorso i suoi amici non vogliono dirvi cosa gli è accaduto. Se accadesse una cosa simile a mio fratello John, andrei sicuramente fuori di testa”

“Prima di venire al concerto siamo andati in un pub a mangiare qualcosa per ingannare l’attesa” mormorò Danny, decidendosi finalmente a parlare, ma rifiutandosi di sollevare lo sguardo sempre a causa della troppa vergogna che provava per sé stesso: se solo avesse insistito di più con Jennifer, anziché lasciarsi coinvolgere in quella cazzata… “Jen era molto tesa, aveva i nervi a fior di pelle, e così… E così Liza…”

“Io non c’entro nulla” si difese la bionda con un gemito, sollevando finalmente il viso, con uno sguardo disperato negli occhi azzurri: ora era lei a tremare come una foglia “non volevo fare nulla di male. Non pensavo che… L’ho fatto solo per aiutarla a rilassarsi… Volevo che si godesse appieno la serata”

“Che hai fatto?” domandò Roger; guardò entrambi i ragazzi negli occhi e si rese conto che il rossore attorno alle iridi non era dovuto solo al pianto: conosceva fin troppo bene quello sguardo, perché era lo stesso di Syd ogni volta che ingurgitava pasticche di acidi “che cosa avete assunto?”.

Ginger sollevò il viso di scatto, uscendo dal torpore.

“Assunto? In che senso? Si può sapere di che cosa state parlando? Jennifer non può avere assunto nessun genere di droga. No. Lei non lo farebbe mai. Mai” iniziò a ripetere scuotendo con forza la testa, rifiutandosi di credere che la sorella minore avesse qualcosa a che fare con quella merda che aveva rovinato Syd, portandoglielo via per sempre “non è possibile, non è possibile, non è possibile”.

Dovette ricredersi, quando Elizabeth tirò fuori la bustina trasparente che aveva ancora con sé dentro una tasca della giacca: al suo interno c’erano ancora tre pasticche colorate; una gialla, una rossa ed una viola.

Ginger osservò il sacchetto con orrore, ed esplose per la seconda volta, in modo molto più violento rispetto alla prima.

“Si può sapere che cosa cazzo avete al posto del cervello? Come avete potuto fare… Fare… Maledizione! Avete vent’anni, non siete più dei ragazzini! Perché diavolo avete preso quella schifezza? Perché avete convinto Jennifer a farlo?”

“Io non volevo! Le ho detto di non farlo, ma… Ma Liza ha talmente tanto insistito, dicendole che non sarebbe accaduto nulla di male, che alla fine si è convinta a prendere quella maledetta pasticca di acido”

“Ipocrita! L’hai presa anche tu, anche lui è ancora completamente strafatto! Guardategli gli occhi!” gridò inviperita la bionda, che non ci stava a passare per l’unica e sola responsabile.

“E poi che cosa è successo?” domandò Waters, l’unico ad essere ancora calmo, precedendo un nuovo eccesso collerico di Ginger “cosa è successo a Jennifer dopo aver preso la pasticca d’acido?”

“È andata… In bagno” Danny deglutì a vuoto “e quando non è più tornata indietro ci siamo preoccupati e siamo andati a cercarla e… L’abbiamo trovata a terra, svenuta. Abbiamo provato a svegliarla, schiaffeggiandola in viso e versandole addosso dell’acqua fresca, ma quando abbiamo visto che… Che non reagiva, abbiamo chiamato un’ambulanza e siamo… Siamo corsi qui… Io poi ho chiamato il vostro albergo ed ho lasciato un messaggio per…”.

Il giovane non riuscì a terminare la frase perché Ginger cadde in ginocchio sul pavimento ed esplose in un lungo urlo prolungato, carico di dolore e sofferenza; continuò ad urlare e piangere, urlare e piangere anche quando la gola le diventò completamente secca.

Non riusciva a smettere di gridare, anche se ormai sentiva i polmoni andare a fuoco per lo sforzo.



 
Roger annuì, ringraziò il dottore con cui aveva appena parlato ed entrò nella stanza richiudendo la porta dietro di sé; guardò la ragazza dai lunghi capelli rossi che giaceva su un lettino, con il viso rivolto verso la finestra e con l’ago di una flebo impiantato nel braccio sinistro.

La guardò in silenzio, con le mani infilate nelle tasche della giacca, chiedendosi se lei aveva assistito ad uno spettacolo simile quando era stato ricoverato in ospedale in Italia per la sbronza che aveva preso.

No, sicuramente aveva assistito a qualcosa di ben peggiore.

Waters prese una sedia, si avvicinò al lettino, si sedette e chiamò la ragazza per nome, perché non era sicuro che si fosse accorta della sua presenza.

“Ginger, ho appena parlato con un medico che mi ha rassicurato sulle condizioni di tua sorella: Jennifer sta bene, è fuori pericolo e adesso sta riposando. Purtroppo, deve passare la notte in osservazione per sicurezza ma, se non dovessero sorgere complicazioni improvvise, domani mattina può tornare a casa… Sta bene, Ginger, è passato tutto”

“Voglio vederla”

“Non possiamo. Il dottore mi ha detto che adesso sta riposando, ma domani potrà tornare a casa. La rivedrai molto presto, devi solo aspettare che passi la notte. So che vorresti vederla subito, ma pensa alla cosa più importante: tutto si è risolto nel migliore dei modi”.

La ragazza sospirò.

“Che cosa mi hanno fatto?” mormorò, girando la testa verso la flebo, osservando le goccioline che continuavano a cadere dalla sacca per metà riempita di un liquido trasparente “che roba è quella?”

“Un calmante… Un forte calmante” disse il bassista, guardando a sua volta la  flebo con una smorfia, ricordandosi di quella che aveva tentato di strappare a morsi… Almeno così gli aveva raccontato Rick “hai avuto un crollo nervoso. Sono stati costretti a dartelo perché sei crollata a terra e non riuscivi a smettere di urlare”

“Mi sento la testa pesante”

“È normale… Tra un paio di ore ti sentirai meglio. Non appena la flebo sarà vuota, siamo liberi di andare. Nel frattempo cerca di riposarti, io sarò qui a farti compagnia”.

Ginger emise un secondo sospiro e girò di nuovo la testa verso la finestra.

Roger attese con pazienza, in silenzio, che la flebo si svuotasse goccia dopo goccia e, dopo aver chiamato un’infermiera che si occupò di togliere l’ago dal braccio della rossa e di sostituirlo con un batuffolo di cotone e dello scotch medico, aiutò la ragazza ad alzarsi e ad uscire dalla stanza; l’aiutò, insieme a Danny e Liza, a salire in macchina ed accompagnò i due ragazzi nell’albergo in cui alloggiavano, dopo aver seguito le loro indicazioni mormorate con un filo di voce.

“Ritenetevi fortunati che tutto sia finito per il meglio. Non muovetevi da questo albergo fino a domani. Avete già fatto abbastanza per il momento” disse a Danny e Liza, lasciandoli davanti all’ingresso della struttura; ripartì senza aspettare una risposta da loro due e guidò fino al parcheggio del loro albergo.

Scese per primo dalla macchina e andò ad aprire la portiera a Ginger perché necessitava ancora di aiuto.

Per tutto il tempo del viaggio di ritorno, non si era mossa di un solo millimetro ed aveva continuato a fissare il vuoto al di là del finestrino.

Waters sganciò la cintura di sicurezza e la esortò ad uscire, dicendole che l’avrebbe sorretta e che erano finalmente tornati in albergo per riposare.

La giovane si sporse in avanti, appoggiò la mano sinistra alla portiera spalancata e vomitò il contenuto del proprio stomaco sull’asfalto, ed in parte sugli abiti che indossava; il bassista piegò le labbra in una smorfia.

Quello proprio non ci voleva.

“Merda, sei proprio ridotta ad uno straccio. Non riuscirai mai a camminare in queste condizioni, ti porto io” commentò poi, scuotendo la testa; prese in braccio la ragazza, chiuse la portiera con la scarpa destra e si avviò verso l’ingresso principale della struttura alberghiera sforzandosi di non pensare al vomito che ora aveva macchiato anche la sua giacca.

La sua giacca preferita.

Aveva lasciato giù un paio di banconote da cento sterline quando l’aveva acquistata.

Rick e Nick erano nella hall, in attesa di David, Ginger e Roger, di cui avevano perso le tracce da ore ormai: quando videro il bassista entrare con in braccio la rossa, con la testa mollemente appoggiata alla sua spalla sinistra, spalancarono entrambi gli occhi.

“Ginger!” Richard si alzò di scatto e si avvicinò alla sua migliore amica “mio dio, ma che le è successo? Non risponde! Qualcuno l’ha drogata? Dove siete stati finora? Io e Nick stavamo per rivolgerci alla polizia!”

“Non è stata drogata, le hanno dato un forte calmante in ospedale perché ha avuto un crollo nervoso”

“Ospedale? Siete stati fino adesso in ospedale? Ma cosa è successo?”

“Lascia stare, Rick, questo non è il momento”

“Rog, ma dove stai andando?”

“Ma non vedete che sta male ed ha bisogno di riposare?”

“Aspetta, ti aiuto io” Wright si fece avanti per correre in soccorso di Ginger, ma Waters lo bloccò con un’occhiata glaciale ed un tono di voce tagliente.

“Non è necessario, a lei ci penso io. Se proprio volete rendervi utili, andate piuttosto alla ricerca di David. Quel cretino è sparito da ore ed ore nel nulla. Dovrebbe essere qui affianco a sua moglie, ora che ha bisogno di lui, anziché essere chissà dove e chissà insieme a chi, Richard” il bassista rivolse una lunga occhiata eloquente al tastierista prima di voltargli le spalle e sparire lungo il corridoio che portava alle scale ed alla zona degli ascensori.

Nick si passò la mano destra tra i capelli, confuso.

“Io non ci sto capendo più niente!” esclamò, girando il viso verso Rick “che cosa intendeva dire con quella frase?”

“Non ne ho proprio idea. Forza, andiamo a vedere se riusciamo a rintracciare Dave” mormorò Wright scuotendo la testa ed uscendo dall’albergo insieme a Mason.

Aveva capito, invece.

Aveva capito eccome ciò che Roger aveva cercato di dirgli con quella frase.

Lui sapeva.

In qualche modo aveva scoperto la doppia vita che David stava conducendo da qualche mese, e sapeva anche della conversazione privata che avevano avuto a riguardo, fuori dagli Studi.



 
Facendo attenzione a non far cadere Ginger, ed a non sporcarsi ulteriormente col suo vomito, Roger aprì la porta della propria camera da letto e la chiuse a chiave; aiutò la ragazza a sedersi sul bordo del letto, si tolse la giacca ed osservò, sconsolato, la macchia gialla da cui proveniva uno sgradevole odore.

Niente da fare, non sarebbe servito a nulla sciacquarla con dell’acqua fresca: doveva portarla in lavanderia il prima possibile.

Fortuna che il vomito non aveva intaccato il colletto in pelliccia nera.

Quello sì che sarebbe stato un bel casino, altrimenti.

Roger abbassò lo sguardo e si rese conto solo in quel momento di avere anche i pantaloni sporchi; versava, comunque, in condizioni migliori rispetto alla giovane: non solo aveva sporcato i pantaloni, la camicetta ed il lungo cappotto sbottonato, ma aveva tracce di vomito anche sul mento e perfino sui capelli.

“Ho bisogno di cambiarmi subito… E tu ancora di più” disse avvicinandosi all’armadio; aprì le ante, frugò al suo interno e tirò fuori una maglietta ed un paio di pantaloni da ginnastica “anzi, penso che tu abbia anche bisogno di farti una doccia al più presto. Prendi questi vestiti e vai a farti una bella doccia calda”

“Non voglio farmi una doccia. Voglio vedere mia sorella”

“No, invece. Tu hai assolutamente bisogno di farti una doccia perché sei ricoperta di vomito, e ben presto la stanza sarà impregnata dall’odore di vomito ed io vorrei evitarlo se possibile, dato che ci devo restare fino a domani mattina” ribatté Waters in un tono che non ammetteva repliche, allungandole i vestiti puliti “avanti. Vai a farti una bella doccia calda, e vedrai che poi ti sentirai subito meglio. E non chiuderti dentro a chiave, per l’amor del cielo, non vorrei mai essere costretto a buttare giù la porta a calci perché hai avuto un malore improvviso. Prometto che non entrerò, ma tu non chiuderti dentro a chiave”.

Ginger non rispose: come un automa, si alzò dal bordo del letto, prese i vestiti ed andò in bagno, richiudendo la porta alle proprie spalle ma senza chiuderla a chiave, come le aveva raccomandato per due volte Waters.

Si spogliò, entrò in doccia e rimase per diversi minuti sotto il getto d’acqua calda, a fissare le piastrelle del pavimento e senza essere in grado di riflettere su nulla.
In testa aveva solo il vuoto più assoluto.

Quando uscì dal bagno, un quarto d’ora più tardi, indossava i vestiti lunghi e larghissimi del bassista, ed aveva i capelli raccolti in un’alta coda di cavallo; Roger, invece, che nel frattempo si era cambiato a sua volta indossando qualcosa di più comodo e pulito, era comodamente seduto su una poltroncina a fumare una sigaretta ed a leggere una copia del Times.

Non appena notò la presenza della rossa, sollevò gli occhi dall’articolo che stava leggendo con interesse.

“Meglio?” domandò, ricevendo un cenno affermativo come risposta “sdraiati adesso, e riposati. Hai bisogno di chiudere gli occhi dopo la notte piuttosto movimentata che si è appena conclusa”

“Voglio tornare in camera mia”

“Non se ne parla nemmeno, hai bisogno di qualcuno che badi a te. Sei così imbottita di tranquillante che finiresti col cascare giù dal balcone al posto di infilarti sotto le coperte, e lo dimostra il fatto che non mi hai ancora riempito di insulti”.

Con un altro respiro profondo, ancora intontita dalla flebo che le avevano fatto in ospedale, la ragazza s’infilò sotto le coperte, ma anziché chiudere gli occhi fissò l’abatjour accesa con uno sguardo vacuo nelle iridi scure.

“Voglio vedere Jennifer” ripeté per l’ennesima volta con voce intontita.

“La vedrai domandi mattina, ora non puoi perché sta riposando e tu dovresti fare lo stesso o rischi di avere un altro crollo nervoso”

“Dov’è Dave?”

“Non ne ho la più pallida idea, Rick e Nick sono andati a cercarlo”

“Perché non si trova da nessuna parte? Dov’è andato? E se fosse accaduto qualcosa di grave anche a lui? Magari ha avuto un incidente” mormorò la giovane, senza mai staccare gli occhi dall’abatjour.

Roger piegò le labbra in una smorfia diffidente: dubitava che David avesse avuto un incidente o che, comunque, gli fosse accaduto qualcosa di spiacevole.

In realtà, aveva una mezza idea di dove Gilmour poteva essere in quel momento, e con chi soprattutto…

“Sono sicuro che tuo marito sta benissimo, si sarà semplicemente spostato da qualche altra parte per proseguire i festeggiamenti… Un po’ come ho fatto io in Italia… Oppure dietro c’è un’altra spiegazione… In ogni caso sono sicuro che non hai nulla di cui preoccuparti. Non pensare a nulla, adesso. Pensa solo a chiudere gli occhi ed a riposarti”

“Come farò a dirglielo a mommi? Mio dio… Come farò? Come farò? L’ha affidata a me e guarda cosa è successo… Sono una sorella maggiore orribile. Sono la sorella maggiore più orribile che esista al mondo”

“Non è vero, sono i calmanti che ti fanno parlare in questo modo” il bassista chiuse il giornale e lo ripose sopra un tavolino “Ginger, chiudi gli occhi e dormi”

“Come posso dormire dopo quello che è successo a causa mia? Come posso dormire quando non ho la più pallida idea di dove si trovi Dave in questo momento? Mio dio… Jennifer ha preso una pasticca… Mio dio, ma per quale motivo lo ha fatto? Perché? Cosa ho sbagliato con lei? Mommi sarà distrutta non appena lo verrà a sapere”

“Allora non dirglielo” disse Waters accendendo un’altra sigaretta e portandosela alle labbra carnose “parla con tua sorella e concordate una versione in comune insieme ai suoi amici da dire a tua madre ed ai loro genitori. Se dici che per lei sarebbe troppo, allora è meglio che le risparmi un dolore simile. Mia madre non ha mai saputo quello che è successo in Italia, in compenso ci ha pensato mio fratello a darmi più volte del coglione. Ascolta: tu non hai nessuna colpa, Dave sta bene e domani Jennifer ti darà tutte le dovute spiegazioni. Continua a ripeterti queste parole per rilassarti e chiudi gli occhi”

“Ho mal di testa”

“Dormi e vedrai che passerà anche quello”.

Ginger non disse altro: si girò dall’altra parte e rimase perfettamente immobile.

Roger riprese la lettura del Times dal punto in cui era stato interrotto e quando arrivò all’ultima pagina, mezz’ora più tardi, si alzò per controllare la giovane: vide che stava dormendo profondamente, con la mano sinistra sotto il cuscino e le labbra socchiuse.

Spense l’abatjour ed uscì dalla stanza, assicurandosi che la porta finestra che conduceva al balcone fosse ben chiusa a chiave.

Per evitare qualunque spiacevole incidente.

Il bassista scese al pianoterra dell’albergo ed uscì per prendere una boccata d’aria fresca; si appoggiò con la schiena ad un muro dell’edificio, accese una sigaretta, aspirò una profonda boccata di fumo e lo rilasciò fuori dalle labbra, appoggiando la nuca ai mattoni rossi.

Qualche minuto più tardi, Rick uscì a sua volta dalla porta scorrevole e si unì silenziosamente a Roger per fumare con lui.

“Come sta?” chiese guardando le scarpe da ginnastica che indossava, trovandole improvvisamente interessanti.

“Come vuoi che stia? L’hai vista anche tu…”

“Che le è successo? Perché ha avuto un crollo nervoso in ospedale? Cosa ci facevate lì?”

“Cristo, Richard, sembri proprio mia madre quando fai così. Sei terribilmente soffocante, te ne rendi conto? Siamo andati in ospedale perché sua sorella, prima di venire al nostro concerto, ha preso una pasticca ed ha avuto un malore”

Merda, ma adesso come sta?”

“Sta bene, e domani la rimetteranno se non sorgono complicazioni improvvise… E mi auguro proprio che non accada visto lo stato in cui si trova Ginger ora… Ovvio che starebbe un po’ meglio se avesse a suo fianco suo marito. Non siete riusciti a trovarlo?”

“No”

Porca puttana. Che testa di cazzo

“Riguardo Dave…” mormorò Wright sollevando gli occhi verdi “quello che hai detto prima…”

“So già quello che stai per chiedermi: come lo so non ha alcuna importanza. Lo so e basta e… Posso dirti quello che penso? Penso che in questo momento sia insieme a lei, e penso anche che sia un enorme coglione perché Ginger non è stupida, e anche se al momento non vuole credere che suo marito abbia un’altra donna, arriverà il giorno in cui capirà che c’è qualcosa che non quadra nel comportamento di Gilmour e scoprirà tutto… E se lui continua in questo modo, vedrai che scoprirà tutto molto presto”

“Io gli ho detto che, in un modo o nell’altro, deve risolvere questa questione il prima possibile e nel modo meno doloroso possibile, ma lui mi ha detto che ha bisogno di fare un po’ di ordine in testa”

“Tra un po’ non se la ritroverà più la testa, se continua in questo modo. Sta giocando troppo col fuoco. Se sta accadendo ciò che penso io, sono proprio curioso di sapere come farà a spiegare la sua assenza domani mattina… Sempre se deciderà di presentarsi qui domani mattina” commentò il bassista con un sorriso sarcastico sulle labbra, scuotendo la testa;  Rick non disse nulla, quella storia non gli piaceva per niente, e spense il mozzicone di sigaretta perché per lui era arrivato il momento di rientrare e di ritirarsi nella propria camera da letto “Rick?”

“Sì?”.

Waters spense a sua volta il mozzicone sul muro.

“Lo sai che ti odierà terribilmente, vero?” disse poi, fissando Wright negli occhi “quando Ginger scoprirà tutto questo casino odierà David per averla tradita senza alcun pudore, ma odierà ancora di più te, perché sapevi tutto fin dal principio e non le hai detto nulla, pur essendo il suo migliore amico”.
 

Ritorna all'indice


Capitolo 45
*** The Big Chance (Parte Tre) ***


David aveva abbandonato da tempo il piccolo appartamento in cui aveva vissuto per anni dopo aver lasciato la casa genitoriale, ma continuava a pagare l’affitto ed a recarsi là quando aveva bisogno di silenzio e doveva lavorare su qualcosa di nuovo: lo aveva trasformato nel proprio Studio personale, esattamente come aveva fatto Roger col seminterrato di casa sua.

Il giovane socchiuse gli occhi ed emise uno sonoro sbadiglio: era stato svegliato da un buon profumo che proveniva dalla cucina.

Nulla di simile ai disastrosi pasti che cucinava nei suoi giorni di ragazzo di diciannove anni, single e totalmente imbranato con i fornelli.

Uscì dal letto, indossò un paio di boxer ed uscì dalla  camera, seguendo il delizioso profumo di frittelle che proveniva da qualche stanza più in là; si appoggiò allo stipite della porta della cucina ed osservò in silenzio, con un sorriso sulle labbra, Virginia intenta a cucinare la colazione per entrambi, destreggiandosi tra le frittelle da girare in padella ed il caffè che stava per bollire: indossava solo un paio di slip rosa ed aveva preso in prestito la maglietta che lui aveva indossato durante il concerto.

Anche se le stava larga, non nascondeva affatto le forme rotonde del suo bellissimo seno.

Virginia percepì la presenza di un’altra persona nella stanza e si girò a guardare David con un sorriso allegro sulle labbra.

“Buongiorno” gli disse in un tono carico di gioia, tornando ad occuparsi delle frittelle che rischiavano di bruciare “hai dormito bene? Spero di non averti svegliato io… Ho pensato di prepararti una colazione all’americana. Non so se hai avuto occasione di assaggiarla mentre eri a Philadelphia, ma posso assicurarti che non è nulla in confronto a queste frittelle: si tratta di una vecchia ricetta di mia nonna. Vedrai, sono buonissime”.

La giovane tolse l’ultima frittella dalla padella, la posò in cima ad una pila che aveva formato sopra un piatto e lo posò al centro del tavolo; si sedette e guardò di nuovo il chitarrista, che non si era mosso di un solo millimetro dallo stipite dalla porta.

“Dave… C’è qualcosa che non va?”

“No, assolutamente no, stavo solo pensando”

“A cosa?”

“Che mi piacerebbe svegliarmi così ogni mattina, con te a mio fianco… O in cucina a preparare la colazione per entrambi”

“Stai dicendo che ti diverti a vedermi sgobbare in cucina?” rispose Virginia con un sorrisetto divertito sulle labbra carnose: più David la guardava, più restava incantato dalla sua bellezza senza paragoni e più se ne innamorava perdutamente “vieni a mangiare prima che si raffreddano. Guarda, la noce di burro si è già sciolta!”.

David obbedì in silenzio e con un sorriso divertito sulle labbra: stava scoprendo sempre di più che adorava farsi comandare a bacchetta da quello scricciolo dai lunghi e vaporosi capelli rossicci.

Ora capiva come si sentiva Nick con Lindy.

Si sedette di fronte a lei e mangiò una frittella ancora calda, gustandosela appieno.

“Avevi ragione, sono davvero buonissime. Rischi di viziarmi così, lo sai?”

“Aspetta a dirlo… Ho preparato anche del caffè, ne vuoi una tazza?”

“Preferisco il the caldo, ma sono pronto a fare un’eccezione per te”.

Virginia sorrise, riempì due tazze con il caffè bollente e ne porse una al suo amante; tornò a sedersi di fronte alla tavola e lanciò uno sguardo alle sue due valigie, abbandonate in un angolo, poco lontano dalla porta d’ingresso del piccolo, ma confortevole, appartamento.

Le guardò in silenzio, tormentandosi una ciocca di capelli, finché non trovò il coraggio di confessare a Gilmour ciò che l’aveva spinta a prendere un volo di sola andata per Londra.

“David, io… L’ho fatto”

“Fatto cosa?” chiese lui, non capendo.

“I miei genitori hanno scoperto per caso l’ultima lettera che mi hai spedito, sono andati fuori di testa e così… Ho fatto le valigie e sono venuta qui. Non starò qui per pochi giorni per poi tornare a casa, io… Io ho lasciato l’America per venire qui… Per te” negli occhi azzurri della giovane apparve uno sguardo preoccupato “ti prego, non ti arrabbiare con me, ma…”

“Arrabbiarmi? Perché mai dovrei arrabbiarmi? Non potrei essere più contento” David si sporse al di sopra del tavolo per dare un bacio alla ragazza americana che gli aveva rapito il cuore e fatto perdere la testa nell’istante stesso in cui l’aveva vista per la prima volta “non sai quanto ti ho desiderata e sognata negli ultimi mesi, Virginia, ancora non riesco a credere che tu sia proprio qui, davanti ai miei occhi… E non riesco neppure a credere alla notte che abbiamo avuto”

“Penso che le molle del tuo povero letto la pensino in modo diverso” mormorò Virginia con una mezza risata, prima di tornare seria “ma… Dave, come faremo con… Insomma, come faremo con tua moglie? Io… Io ti amo, voglio stare con te, ma non voglio essere la tua amante per sempre, non voglio essere costretta a nascondermi”

“Ohh, porca puttana” sussurrò il chitarrista voltandosi a fissare l’orologio a muro della cucina, che segnava le nove e mezza.

Erano le nove e mezza, e non aveva ancora fatto ritorno in albergo.

Aveva completamente perso la cognizione del tempo, e la sua assenza doveva essere stata notata per forza.

Porca puttana.

Porca puttana!” ripeté di nuovo, precipitandosi in camera da letto per rivestirsi il più in fretta possibile: forse non tutto era perduto se si sbrigava a raggiungere l’albergo il prima possibile; forse c’era la piccola possibilità che Ginger stesse ancora dormendo, dandogli così l’occasione d’infilarsi sotto le coperte e di fingere di essere lì a dormire da ore ed ore.

“Te ne stai andando via? Devi tornare da lei prima che s’insospettisca?” domandò Virginia, seguendolo in camera da letto.

“Sì, anche se con tutte le ore che sono passate… Dov’è? Dove diavolo è finita?”

“Stai cercando questa?” chiese la giovane, sfilandosi la maglietta e rimanendo con addosso il misero paio di slip rosa; Gilmour interruppe bruscamente la ricerca dell’indumento che credeva perduto e fissò ipnotizzato il corpo quasi completamente nudo della giovane, soffermandosi sulla stoffa semitrasparente del misero indumento di biancheria intima e sul seno scoperto.

Deglutì a vuoto.

“Sì, stavo cercando proprio quella. Dammela per favore, ho bisogno di indossarla ora”

“Non puoi aspettare ancora cinque minuti?”

“No, non posso”

“Sicuro che non puoi?” domandò la ragazza avvicinandosi, passandogli le braccia attorno al collo e premendo il proprio corpo contro il suo.

“Lo vorrei tanto, Virginia, non immagini neppure quanto vorrei restare ancora con te, ma adesso non posso farlo, devo tornare in albergo. Io… Ti prometto che risolverò il prima possibile questa situazione, e finalmente noi due potremo stare insieme alla luce del giorno, senza doverci nascondere e guardare continuamente alle spalle. Ti prometto che tutto finirà presto, ma ora devo andare”

“Lo so, ti credo, David, ma visto che potrei essere costretta a passare qui dentro giorni interi prima di vederti ancora, penso di avere tutto il diritto di tenerti segregato per altri cinque minuti, non credi?” mormorò la giovane; s’inginocchiò sul pavimento ed iniziò a sbottonare i jeans a David con lo stesso sorriso furbetto di poco prima “sei terribilmente teso, lascia che ti rilassi un po’”

“Ohh, cazzo…” sussurrò lui, chiudendo gli occhi con un sospiro, mentre Virginia gli abbassava i boxer.



 
Ginger aprì gli occhi, si tirò su a sedere ed appoggiò entrambe le mani sulle tempie a causa di una dolorosa fitta alla testa che le fece stringere i denti con forza; trascorse qualche minuto, ma alla fine la fitta dolorosa sparì nello stesso modo in cui era apparsa.

Quasi contemporaneamente, Roger uscì dal bagno.

“Buongiorno” disse passandosi un asciugamano sui capelli ancora umidi che gli scendevano fino alle spalle “dormito bene?”

“Mi sono svegliata con una dolorosissima fitta alla testa, ma adesso è passata”

“Per forza, con tutta la tensione nervosa che hai accumulato ieri notte…”

“Devo andare da mia sorella” Ginger sollevò il lenzuolo ed uscì dal letto; si alzò così rapidamente che si ritrovò costretta a risedersi sul bordo del materasso a causa di un improvviso cerchio alla testa.

Waters scosse la testa con un sorriso ironico.

“Non puoi andare da nessuna parte in queste condizioni, per fortuna ho avuto la brillante idea di richiedere il servizio in camera… Faresti meglio a mettere qualcosa sotto i denti prima di uscire dalla stanza, altrimenti rischi di svenire in corridoio. Lì c’è il vassoio” il giovane le indicò il vassoio posato sopra un mobile, ancora intatto, ma Ginger si dimostrò irremovibile riguardo la propria decisione.

“Ti ringrazio, ma la colazione può aspettare. Jennifer, no”

“Come vuoi, allora andiamo”

“Grazie ancora ma, no. Hai fatto già abbastanza. A mia sorella ci penso io”

“Sei proprio sicura di non volere qualcuno che ti accompagni?”

“No, questa è una faccenda che riguarda solo me e lei”

“D’accordo” si limitò a dire il bassista “fuori in terrazza ci sono i tuoi vestiti, se desideri cambiarti. Li ho lavati e messi fuori ad asciugare. Io ho fatto il possibile, ma credo che abbiano comunque bisogno di un bel giretto in lavatrice”.

La rossa lo fissò esterrefatta.

“Hai davvero lavato i miei vestiti?”

“Sì, te l’ho detto ieri sera: non ci tenevo ad avere la camera che puzzava di vomito. È stato già abbastanza orribile dormire sulla poltrona… Mai dormire su una poltrona quando sei alto un metro e novanta, a meno che non sia fatta su misura per te… Avrò le ossa della schiena a pezzi per mesi”

“Hai davvero dormito sulla poltrona?”

“Che dovevo fare? Dormire sul pavimento?”


“Io credevo che… Credevo avessi dormito sull’altra piazza del letto”
“Assolutamente no” rispose Roger, sbattendo le palpebre “non volevo rischiare che mi vomitassi addosso nel bel mezzo della notte. Posso anche accettare di ritrovarmi la giacca ed i pantaloni macchiati di vomito, ma i miei capelli ed il mio viso sono una storia completamente diversa. Darei di stomaco a mia volta… No, non ho dormito sul letto… Te ne saresti accorta, altrimenti”.

La giovane socchiuse le labbra per poi richiuderle, scuotendo la testa; prese i vestiti in terrazza, andò in bagno a cambiarsi e poi uscì dalla stanza, abbottonandosi il cappotto.

“Sei proprio sicura di non avere bisogno di qualcuno che ti accompagni?” chiese di nuovo Waters, uscendo a sua volta nel corridoio ed appoggiandosi allo stipite della porta.

La rossa scosse la lunga coda di cavallo che le ondeggiava sulla schiena.

“No, da qui in poi ci penso io, è una faccenda personale che riguarda  solo me e lei. Credo che seguirò il tuo consiglio e concorderemo insieme una versione in comune da dare a mommi perché è meglio che non sappia nulla della cazzata che Jen ha commesso, ma prima dovrà vedersela con me”

“Penso sia la scelta migliore”

“Sì” mormorò la giovane abbassando lo sguardo, per poi sollevare gli occhi di scatto e richiamare l’attenzione del bassista prima che rientrasse in camera “Roger, aspetta un momento!”.

Lui si fermò e tornò in corridoio.

“Sì?” domandò appoggiandosi di nuovo allo stipite della porta, fissando la ragazza dai suoi quasi due metri d’altezza “devi dirmi qualcos’altro?”

“Sì, in effetti sì. Io… Ecco… Non so davvero come ringraziarti per tutto quello che hai fatto per me la scorsa notte… Insomma, voglio dire… Non avevi alcun obbligo nei miei confronti, visti soprattutto i nostri precedenti, eppure sei venuto in ospedale e sei stato a mio fianco. Non ce l’avrei mai fatta se non avessi avuto una persona vicino a me… E quella persona sei stato proprio tu: l’ultima che mi sarei mai aspettata. Quindi… Grazie. Grazie davvero per averlo fatto”

“Ginger, quello che è successo ieri notte andava al di là di ciò che pensiamo l’uno dell’altra. Tu mi hai assistito quando eravamo in Italia, ed io ho assistito te ieri notte: adesso siamo pari. Come puoi vedere, anche io so essere obiettivo”

“Grazie”

“Me lo hai già detto, non c’è bisogno che continui a ripeterlo all’infinito, anche se…” sulle labbra del giovane apparve un sorriso compiaciuto “anche se non mi dispiacerebbe affatto sentirmelo ripetere un altro paio di volte, visto che non so quando ricapiterà una seconda volta”.

La giovane ignorò la battutina e, senza alcun preavviso ed alzandosi sulle punte dei piedi, gli buttò le braccia attorno al collo per abbracciarlo.

Mai avrebbe immaginato che un giorno avrebbe abbracciato Roger di propria spontanea volontà per ringraziarlo.

E mai avrebbe potuto immaginare che proprio lui, fra tutti quanti, le sarebbe stato vicino in uno dei momenti peggiori della sua vita.

Lui… Proprio la persona che detestava di più sulla faccia della Terra.

“Grazie” mormorò la rossa ad occhi chiusi, lasciando da parte ogni ostilità passata per una volta “grazie per tutto quello che hai fatto, significa molto per me, e questo non ci rende affatto pari: ho un enorme debito nei tuoi confronti, sentiti libero di riscuoterlo in qualunque momento e per qualunque cosa”.

Lo aveva detto sul serio? Sì, lo aveva detto sul serio.

Aveva appena detto a Roger di avere un enorme debito nei suoi confronti che poteva riscuotere quando voleva e per qualunque cosa.

Lo aveva detto davvero e non poteva rimangiarsi la parola, non dopo tutto quello che lui aveva fatto nell’arco di poche ore.

Sperava solo di non pentirsene amaramente.

Waters non disse nulla: chiuse gli occhi, passò le braccia attorno ai fianchi di Ginger e la strinse a sé.



 
David rientrò in albergo a passo svelto e con lo sguardo incollato al pavimento per evitare di essere visto e riconosciuto da qualcuno; ma quando passò affianco alla zona degli ascensori, sfortunatamente udì una voce famigliare provenire dalle porte scorrevoli di una cabina che si era appena aperta.

“Dave?”.

Il chitarrista, col piede destro appoggiato al primo scalino, serrò gli occhi e soffocò a stento una imprecazione; lentamente, si voltò verso Rick che lo stava fissando con un’espressione incredula e sconcertata allo stesso tempo.

“Ehi, Rick…” disse poi, sforzandosi di sorridere nel modo più normale possibile, anche se dentro di sé sentiva di essere in parte già tremendamente fottuto “come va? Sei appena sceso per fare colazione?”

Come va? Sei appena sceso per fare colazione? Mio dio, Dave, hai proprio una bella faccia tosta a farmi queste domande! Tu sei… Sei appena rientrato?” domandò Wright spalancando gli occhi.

“Sì, ecco…”

“E si può sapere dove diavolo sei stato per tutta la notte? Ti abbiamo cercato ovunque, non so se te rendi conto! Perché dopo il concerto sei completamente sparito?”

“Ohh, ecco… Io…” balbettò il giovane, sforzandosi di pensare il più in fretta possibile ad una bugia convincente da raccontare a Rick ed, in un secondo momento, a Ginger “mio fratello ha avuto un problema… E… Si è trattata di una emergenza improvvisa”

“David” mormorò Richard con un tono ed uno sguardo seri “non crederai davvero che io mi beva questa cazzata, vero?”

“Non è una cazzata!” ribatté Gilmour; dio… Si faceva schifo da solo per mentire così spudoratamente a Rick, che aveva già capito ogni singola cosa “mio fratello ha avuto davvero un problema grave, lui… Ohh, al diavolo, non capisco perché sto perdendo tempo a raccontarti quello che è successo, visto che non ti devo alcun genere di spiegazione in merito a quello che ho fatto ed a dove sono stato ieri notte!”

“Ma le devi a tua moglie” ribatté a sua volta, in tono piccato, Wright “e se fossi in te, farei in fretta a raggiungerla visto il casino che è accaduto ieri notte”

“Casino? Quale casino?”

“Fattelo raccontare da lei. Io non ti devo alcuna spiegazione” sibilò il tastierista, scomparendo in direzione della sala per la colazione, stanco e nauseato di sentire l’amico che continuava ad arrampicarsi sugli specchi.

David iniziò a salire le numerose rampe di scale fino al piano in cui si trovava la stanza che divideva con la moglie, percorse in fretta un breve corridoio, ma si bloccò non appena girò l’angolo, alla vista di due figure appena fuori dalla porta spalancata di una camera.

Erano Ginger e Roger.

Abbracciati.


Ma quello… Quello era tutto fuorché un abbraccio normale.
David non riusciva a vedere il volto della moglie, perché era nascosto contro la spalla sinistra di Roger, ma riusciva a vedere quello del suo compagno di band: riusciva a vedere molto chiaramente l’espressione sul suo viso, come riusciva a vedere altrettanto chiaramente come stringeva a sé la ragazza ed il modo in cui le accarezzava lentamente la schiena con la mano destra.

Loro non lo avevano visto, ma lui aveva visto benissimo loro.

Gilmour tornò indietro nel corridoio, appoggiò le mani su una parete e si ritrovò costretto a prendere un profondo respiro per ricacciare indietro l’orribile sensazione che gli stava salendo dalla bocca dello stomaco.

Non aveva alcun senso, per lui, reagire in quel modo visto che aveva una relazione extraconiugale da mesi, ma vedere Ginger stretta in quel modo così intimo tra le braccia di un altro uomo era stato comunque un pugno allo stomaco.

E per giunta, non l’aveva sorpresa stretta tra le braccia di un altro uomo qualunque, ma di Roger.

Roger.

Il suo compagno di band.

La persona che diceva di odiare con tutta sé stessa.

David prese un secondo respiro profondo e ripensò ai suoi tre anni di matrimonio con Ginger, concentrandosi su tutte le volte in cui lei aveva discusso, litigato o si era sfogata per dei comportamenti del bassista che considerava inopportuni.

Ma certo.

Era stato proprio un idiota, per tre anni aveva avuto una benda sugli occhi che gli aveva impedito di guardare in faccia la realtà, ed ora ci stava facendo i conti nel modo più orribile in assoluto.

Come aveva fatto ad essere stato così cieco?

Come aveva fatto a non arrivarci prima?

Come aveva fatto a non capire che quell’odio così profondo, così viscerale, che a tratti lo lasciava perplesso, altro non era che una grandissima farsa per nascondere tutt’altro?

Era stato proprio un vero idiota.

Si era fatto fregare ad un palmo dagli occhi, proprio sotto il naso.

Adesso, finalmente, capiva appieno le parole che Roger gli aveva rivolto l’ultima sera della loro permanenza a Philadelphia…

“David?”.

Il giovane sollevò lo sguardo dalla moquette del corridoio ed incontrò quello sorpreso della moglie: la scoperta che aveva fatto lo aveva sconvolto così tanto, che non si era neppure accorto di lei.

Ginger lo squadrò da capo a piedi con gli occhi e la bocca spalancati, come se davanti a sé avesse un fantasma anziché il marito scomparso nel nulla da ore ed ore.

“Mio dio, Dave!” esclamò ritrovando l’uso della parola “ma dove sei stato per tutto questo tempo? Alla festa sei sparito senza dare una spiegazione e non sapevo come rintracciarti! Anche i ragazzi ti hanno cercato ovunque, erano tutti preoccupatissimi per te!”.

Gilmour pensò tra sé e sé che di sicuro quello più preoccupato di tutti doveva essere Waters.

Sì… Preoccupato a scoparsi sua moglie.

“Peter ha avuto un problema e mi ha chiesto di correre immediatamente da lui per aiutarlo. Era uscito al cinema con la sua ragazza e poi sono andati nei pressi di un campo di frutta per… Beh… Lo sai, no? Per trascorrere qualche ora in intimità. Quando è stato il momento di far ripartire la macchina, si è reso conto che le ruote erano affondate nel terreno, e così ha cercato una cabina telefonica e mi ha contattato. Sono subito corso da lui e sono appena tornato adesso” spiegò il chitarrista concentrando lo sguardo su qualunque punto del corridoio ad eccezione del viso della ragazza, perché adesso continuava ad essere tormentato dall’immagine di lei e di Roger insieme nello stesso letto “non ti ho avvisata prima perché non ne ho avuto il tempo, e quando ormai siamo riusciti a risolvere il problema del fango, era mattina e sono tornato qui il più in fretta possibile”

“Mio dio, non devi farmi prendere mai più un colpo simile! Non immagini neppure quanto mi sia preoccupata per te!” esclamò la rossa, con un sospiro di sollievo, senza mettere in discussione le parole del marito, a cui credeva ciecamente; lo abbracciò con trasporto, e lui impiegò una manciata di secondi prima di rispondere all’abbraccio, e non provò neppure a trattenere Ginger quando si allontanò “dobbiamo subito andare in ospedale! Jennifer si trova lì da ieri notte!”

“Perché?” chiese David, in tono distaccato “cosa le è successo?”

“Te lo spiegherò mentre siamo in macchina. Adesso dobbiamo andare!” rispose la rossa, prendendolo per mano, senza accorgersi di quanto il suo atteggiamento fosse diventato improvvisamente freddo e distante.



 
Jennifer era pronta per essere dimessa dall’ospedale, ma non voleva essere dimessa perché sapeva fin troppo bene a che cosa sarebbe andata incontro: quando il medico che si era occupato di lei era passato per una visita di controllo, le aveva raccontato tutto quello che era accaduto la notte precedente, compreso il crollo nervoso che Ginger aveva avuto nella sala d’attesa del pronto soccorso e la forte dose di calmante che erano stati costretti a somministrarle per evitarle un ricovero forzato.

Di conseguenza, non appena la ragazza vide la sorella maggiore entrare nella stanza in cui l’avevano sistemata per la notte, abbassò automaticamente il viso e lo sguardo in un atteggiamento vergognoso; gli occhi verdi le si riempirono di lacrime ed avvampò violentemente.

Ginger si tenne a distanza di sicurezza dal letto per evitare di aggredire fisicamente Jennifer, ed incrociò le braccia sotto il seno per resistere ancora di più a quell’impulso che si faceva sempre più forte, ora che il pericolo era stato scampato ed era solo un brutto ricordo da lasciarsi alle spalle per sempre; restò in silenzio a fissare la sorella minore, in attesa di ricevere delle spiegazioni approfondite.

“So già tutto riguardo a quello che è successo” mormorò Jennifer, quando decise di troncare il silenzio “e voglio dirti che mi dispiace tantissimo per tutto quanto… Non era mia intenzione…”

“Cosa?” la bloccò Ginger, non riuscendo più a rimanere in silenzio “non era tua intenzione fare cosa? Farmi preoccupare terribilmente? Farmi trascorrere la notte più orrenda della mia vita? Farmi avere un crollo nervoso nella sala d’attesa del pronto soccorso? Perché se non era tua intenzione fare neppure una di queste cose, allora non avresti assolutamente preso una pasticca di acido”

“Mi dispiace, Ginger, io… Io…”

“Ti dispiace? Non me ne frega un cazzo delle tue scuse, Jennifer, non m’importa sentire che ti dispiace, va bene? Quello che m’interessa, adesso, è sapere per quale fottuto motivo hai assunto quella dannata pasticca di acido! Perché lo hai fatto? Dimmelo!”

“Io… Io… Ecco…” la ragazza deglutì un grumo di saliva “ero terribilmente nervosa per il concerto e… E per il party… Ero… Avevo i nervi a fiori di pelle perché stavo per incontrare finalmente Roger, e così Liza ha tirato fuori la bustina con dentro quelle pasticche e mi ha detto che mi avrebbero aiutata a sentirmi più tranquilla ed a farmi godere al meglio la serata. Io non volevo prenderle, te lo giuro, ma lei ha insistito dicendomi che non dovevo preoccuparmi di nulla, che non mi avrebbero fatto nulla di male… Ne ha presa una davanti ai miei occhi, e così mi sono detta che… Infondo… Infondo che male avrebbe potuto fare una pasticca così piccola?”

“Infatti hai avuto un collasso e sei fortunata ad essere qui a raccontarmelo su un lettino, anziché essere sdraiata su una barella e coperta da un lenzuolo. Jennifer, ma non lo capisci che questa merda fa male? Sai quante vite ha rovinato? Lo sai che non ha alcuna importanza quanta ne assumi? Ogni dose può essere letale, visto che non hai la più pallida idea delle schifezze che ci mettono dentro quelli che le preparano! Lo sai che può essere sufficiente la tua prima pasticca per spedirti all’altro mondo? Proprio quello che stava per accadere a te…”

“Mi dispiace, Ginger!” Jennifer sollevò il viso rigato dalle lacrime di scatto “non volevo fare nulla di male… Non volevo… Non volevo deluderti così tanto. Ti prometto che non accadrà mai più: quella è stata la prima ed unica volta”

“Come hai potuto prendere quella pasticca, quando sai benissimo cosa la droga mi ha portato via? Come hai potuto essere così egoista?”

“Mi dispiace, mi dispiace, mi dispiace tanto. Scusami. Hai perfettamente ragione. Sono stata una stupida idiota. Sono stata una stupida ragazzina egoista che non ha pensato alle conseguenze di quello che stava facendo ed ha fatto preoccupare terribilmente le persone attorno a sé. Scusami, scusami, scusami tanto. Perdonami, ti prego!”.

Ginger scosse la lunga coda di cavallo e si avvicinò ad una finestra con la scusa di guardare il paesaggio; in realtà lo aveva fatto per asciugarsi le lacrime che avevano ricominciato a scendere al ricordo di Syd.

Tornò a fissare la sorella minore, che piangeva ancora disperata, dopo aver ritrovato il pieno controllo del proprio corpo.

“Non dirò nulla a mommi di quello che è successo, perché per il suo bene è meglio che non sappia nulla: tu, Danny e Liza siete venuti al concerto ed al party, vi siete molto divertiti e poi David vi ha riaccompagnati in macchina al vostro albergo”

“Ohh, Ginger, ti…”

“Non ho finito” continuò la rossa con uno sguardo freddo quanto una lastra di ghiaccio “io ti coprirò le spalle per evitare di dare a mommi un dolore inutile, perché non se lo merita con tutto quello che ha sempre fatto per noi due, ma da questo momento in poi devi troncare ogni rapporto con Liza perché ha una brutta influenza su di te, e non chiedermi mai più di venire ad un concerto o di vedere Roger. Ti sei giocata la tua unica possibilità con la cazzata che hai commesso. È arrivato il momento che tu metta un punto definitivo a questa storia”.

Ritorna all'indice


Capitolo 46
*** Lies (Parte Tre) ***


1973, settembre.



 
David rientrò a casa nel tardo pomeriggio, poco prima dell’ora di cena, dopo aver trascorso un’intera giornata chiuso negli Studi di Abbey Road.

Trovò Ginger ad aspettarlo, seduta sul divano, in salotto.

Gli bastò un’occhiata al suo volto pallido ed al suo sguardo freddo per capire che sapeva tutto.

“Che cos’è questo?” domandò la rossa, senza neppure salutarlo, mostrandogli un piccolo bigliettino stropicciato che stringeva nella mano destra “Keith e Demi hanno accidentalmente urtato la libreria giocando e, mentre raccoglievo i libri che erano caduti a terra, ho trovato questo biglietto che, naturalmente, non appartiene né a me né tantomeno ai bambini. E sai dopo che cosa ho fatto? Ho chiamato tuo fratello per chiedergli se era tutto apposto con la macchina, visto il disguido col fango che ha avuto il mese scorso, e sai che cosa mi ha risposto? Sai cosa mi ha risposto? Che non ti ha mai chiamato perché aveva la macchina in panne nel cuore della notte”.

Ginger tirò su col naso e guardò in silenzio il chitarrista, che non disse una sola parola, limitandosi ad appoggiare a terra la custodia con dentro la Fender Stratocaster acquistata appena qualche mese prima, in seguito ai cospicui incassi di The Dark Side Of The Moon.

“David” disse infine la giovane in tono grave, alzandosi dal divano, stringendo il biglietto con mani tremanti “tu mi tradisci? Ti vedi con un’altra donna? David, guardami negli occhi e rispondi alla mia domanda, per favore: ti vedi con un’altra donna?”.

Gilmour emise un profondo sospiro e puntò gli occhi chiari su quelli scuri della moglie.

“Sì” confessò, poi, perché era inutile continuare a nascondere ciò che era più che evidente.

Finalmente era arrivato il momento di mettere tutte le carte in tavola.

La rivelazione colpì Ginger come un pugno allo stomaco: la giovane trattenne il respiro, lasciò cadere a terra la prova tangibile dell’infedeltà del suo uomo, ed indietreggiò di un passo scuotendo la testa.

Non ci poteva credere.

Non poteva credere che David avesse davvero un’altra donna.

Doveva essere per forza un brutto incubo, non c’era altra spiegazione.

Eppure lui era così serio, ed il suo sguardo era così freddo… Quasi non sembrava appartenergli…

“No, no, non può essere… Questo non può essere assolutamente reale. Tu non… Non puoi… Da quanto tempo va avanti questa storia?”

“Aprile”

“E come… Dove…”

“A Philadelphia, mentre eravamo in tour”.

La ragazza spalancò ancora di più gli occhi; in quel momento si rese conto che Roger non le aveva raccontato delle bugie legate all’invidia perché il suo matrimonio con Judith era finito nel peggiore dei modi, ma bensì la verità che lei non aveva voluto guardare in faccia.

Era tutto vero.

Era tutto vero e lei non aveva voluto credergli.

“Come hai potuto?” la rabbia esplose all’improvviso, cieca, bruciante ed assoluta “come hai potuto farmi questo? Come hai potuto andare a letto con un’altra donna e portare avanti una relazione alle mie spalle per quasi sei mesi? Ti rendi conto che mentre io ero in ospedale in preda ad una crisi di nervi perché mia sorella stava male, tu stavi scopando con quella puttana?”

“Il suo nome è Virginia, e non è affatto una puttana” urlò il giovane a sua volta: mai prima d’ora aveva alzato la voce nei confronti della moglie nel corso dei tre anni del loro matrimonio.

Ginger avvertì una seconda, dolorosissima, fitta allo stomaco.

“Ohh, mio dio…” sussurrò scuotendo la testa, perché non ci poteva e non ci voleva credere “mio dio… Non si tratta di una cosa passeggera… Mio dio… Non è una semplice storiella… Tu sei innamorato di lei

“Sì, Ginger, è così: sono innamorato di lei e voglio stare insieme a lei”

“Mi fai schifo”

“Io ti faccio schifo? Io? Sul serio?” David esplose in una risata amara “smettila di fare l’ipocrita e cerca di essere sincera ed onesta con te stessa come ho appena fatto anch’io. Getta la maschera e confessa la verità”

“Verità? Quale verità? Ma si può sapere di che diavolo stai parlando?”

“Avanti, smettila di fingere. Ti ho vista quel giorno in albergo” disse Gilmour piegando le labbra in una smorfia “ti ho vista abbracciata a Roger. Ho visto come lo abbracciavi e come lui ti teneva stretta e ti accarezzava la schiena… Io almeno ho avuto la decenza di andare a letto con una ragazza che non conoscevi, mentre tu non ti sei fatta scrupoli a farlo con un mio compagno di band”.

La rossa spalancò gli occhi, incredula ed indignata dalle accuse che il marito le stava rivolgendo.

Boccheggiò alla ricerca di aria.

“Tu non… Tu non stai parlando sul serio… Non puoi parlare sul serio, non puoi essere davvero convinto che tra me e Roger ci sia qualcosa… Io non… Io non sono andata a letto con lui. L’ho abbracciato solo per ringraziarlo per quello che aveva fatto per me. Perché mentre tu eri in compagnia di quella troia, lui è stato a mio fianco in ospedale!”

“Ti ho già detto che non devi permetterti di chiamare Virginia in quel modo!”

“E come dovrei chiamarla una che non si fa scrupoli di alcun genere ad andare a letto con un uomo sposato e con figli?”

“Lasciala fuori da questa faccenda, non prendertela con lei”

“Come hai potuto farmi questo?” mormorò la giovane con il volto contratto in un’espressione di sofferenza “come hai potuto farmi questo quando mi avevi promesso che non mi avresti mai fatta soffrire? Te lo ricordi, David? Ricordi quando mi hai fatto questa promessa? Ricordi che mi avevi detto che non mi avresti mai spezzato il cuore? Io non so che assurde idee ti sei messo in testa riguardo me e Roger, ma se speri di sentirti apposto con la tua coscienza, ti sbagli di grosso”.

Ginger gli voltò le spalle e corse di sopra, chiamando a gran voce Keith e Demi che stavano giocando nella cameretta del più grande.

“Mamma, che c’è? Che succede?” domandò Keith sgranando gli occhi verdi.

“Venite, forza, andiamo via”

“Dove? Dove andiamo? Mamma, dove andiamo?”

“Ho detto che andiamo via”

“Ginger, dove li vuoi portare?” domandò David, entrando trafelato nella stanza, ma lei non rispose: prese in braccio Demi, afferrò Keith per mano e ridiscese velocemente le scale che portavano al piano inferiore; Gilmour la seguì, e ripeté la domanda ad alta voce, iniziando a preoccuparsi “dove li vuoi portare? Dove diavolo li stai portando?”

“Il più lontano possibile da un porco come te!” urlò di rimando la ragazza, prendendo le chiavi della propria macchina da sopra un mobile vicino all’entrata di casa.

Uscì dall’abitazione senza avere alcuna intenzione di fermarsi o di ritornare sui propri passi, sistemò Keith e Demi sui sedili posteriori della vettura, ed aprì lo sportello anteriore destro per salire al posto di guida; David la fermò prontamente, afferrandola per il polso destro, e lei provò a divincolarsi, urlando a pieni polmoni, fregandosene dei vicini che avrebbero potuto sentire ogni singola parola.

Tanto meglio se la loro discussione non fosse passata inosservata ai loro occhi ed alle loro orecchie curiosi: tutti dovevano sapere che razza di sporco e bastardo traditore era David.

“Lasciami andare!” gridò la ragazza tentando di liberarsi “lasciami andare, David, o giuro che chiamo la polizia e ti faccio arrestare. Non provocarmi, perché giuro che lo faccio davvero. Lasciami andare immediatamente”

“Tu non vai da nessuna parte in questo stato, tantomeno con i bambini”

“Lasciami subito!”

“Dove vuoi andare? Dove li vuoi portare?”.

In tutta risposta, Ginger mollò un doloroso calcio al ginocchio sinistro del giovane e lui, colto totalmente alla sprovvista dalla reazione violenta, mollò la presa, permettendole di chiudersi dentro la macchina; stringendo i denti dal dolore, Gilmour provò ad aprire la portiera, e poi iniziò a tempestare di pugni il finestrino.

“Ginger!” adesso era lui ad urlare a pieni polmoni, con uno sguardo terrorizzato “Ginger, dove vuoi portarli? Cosa vuoi fare? Ti prego, aspetta, apri questa portiera, scendi e torniamo in casa a parlarne con più calma. Non è necessario reagire in questo modo. Non è assolutamente necessario. Possiamo affrontare l’intera questione come due persone adulte, senza perdere la testa e senza fare qualcosa di cui potremo pentircene amaramente. Apri la portiera, per favore, Ginger! Ginger? Ginger, apri questa stracazzo di portiera, porca puttana!

“Io non aprirò nessuna portiera, David, e se provi a fermarmi non mi farò alcuna remore a centrarti in pieno con il cofano della macchina, perché è quello che ti meriti, brutto stronzo schifoso che non sei altro” sibilò a denti stretti la rossa; dietro, sui sedili posteriori, Keith stringeva Demi che era scoppiato in un pianto disperato, ed osservava la madre con un’espressione angosciata negli occhi verdi spalancati “e se pensi davvero che io possa essere in grado di fare del male ai miei bambini, allora significa che dopo tre anni non hai proprio capito un cazzo di me, David Jon Gilmour”.

La giovane girò la chiave, mise in moto la macchina e partì ignorando le grida del suo ormai prossimo ex marito (per lei lo era già), tenendo gli occhi fissi sulla strada davanti a sé, senza lanciare neppure un’occhiata allo specchietto retrovisore.

Non voleva vedere mai più la faccia di David.

Mai più.

“Mamma…” mormorò Keith dopo qualche minuto, titubante, mentre Demi continuava a singhiozzare stretto tra le sue piccole braccia “mamma… Mamma, cosa sta succedendo? Dove stiamo andando?”

“Non ti preoccupare, tesoro mio” rispose lei, sforzandosi di sorridergli dallo specchietto retrovisore nonostante gli occhi colmi di lacrime “andrà tutto bene. Demi, non piangere… Keith, cerca di calmare tuo fratello, per favore, digli che non c’è assolutamente nulla per cui piangere”.

Keith non insistette e cercò di tranquillizzare il fratellino, che smise di piangere e singhiozzare solo qualche minuto più tardi, continuando, però, a tirare su col naso di tanto in tanto.

Ginger parcheggiò la macchina davanti alla sua vecchia casa, prese i due bambini e bussò più volte, freneticamente, alla porta d’ingresso.

Quando Pamela andò ad aprire, le bastò guardare le facce stravolte della figlia adottiva e dei due nipotini per capire che era successo qualcosa di grave.

“Ginger, cosa…”

“Ho bisogno che ti occupi di Keith e Demi per questa notte” disse la giovane, parlando in fretta, dandole in braccio il più piccolo “non te lo avrei chiesto con così poco preavviso se non fosse una vera emergenza”

“Ginger, va bene, ma… Che cosa sta succedendo? Dove stai andando? Dov’è David?”

“No, non ora… Ora non posso e non ce la faccio… Domani ti spiegherà tutto quanto, ma non ora”

“Ginger! Ginger, per l’amor del cielo, dove stai andando? Cosa sta succedendo?” chiese Pamela con uno sguardo terrorizzato, ma la rossa, anziché rispondere e spiegare che nel giro di poche ore il suo matrimonio apparentemente perfetto era bruscamente giunto al capolinea, si allontanò velocemente dall’abitazione e risalì in macchina, schiacciando con forza il pedale dell’acceleratore.

Parcheggiò di nuovo la vettura qualche quartiere più in là, davanti ad una cabina telefonica pubblica; uscì dall’abitacolo ed entrò nella cabina per effettuare una telefonata.

Le dita le tremavano così tanto che rischiò più volte di digitare il numero sbagliato.

Rick rispose dopo il terzo squillo, e venne subito ridotto al silenzio dalle prime fredde parole della sua migliore amica.

“Sei uno schifoso doppiogiochista”

“Cosa… Ginger? Ginger, ma che… Aspetta un attimo, si può sapere che sta succedendo?”

“Perché non mi hai detto che David mi stava tradendo con un’altra donna? Sapevi tutto quanto fin dall’inizio e non mi hai mai detto nulla, perché? Perché non lo hai fatto?”.

Rick rimase in silenzio.

“Ginger, ascolta, lasciami il tempo di spiegarti”

“No, ascoltami tu” lo bloccò lei, stringendo con forza la cornetta nera, lottando contro le labbra che avevano preso a tremare forte come le mani: voleva che la sua voce fosse ferma e decisa “non ho alcuna intenzione di restare qui ad ascoltare le tue stupide scuse, perché non sarebbero altro che cazzate, ed io sono stanca perché ho già sentito abbastanza cazzate per oggi. Voglio che tu sappia che mi hai delusa profondamente e che il tuo gesto ha fatto spazzare via tutta la fiducia che ho sempre avuto nei tuoi confronti. Non sei diverso da David, anzi… Sei peggio di lui. Sai perché ti sto dicendo questo da una cabina pubblica anziché faccia a faccia? Perché mi disgusti così tanto che non voglio neppure vedere la tua faccia, proprio come quella di David. Mi fai schifo, Richard, e non provare mai più a presentarti davanti la porta di casa mia. La nostra amicizia è finita, e questa volta è per sempre. Non potrò mai perdonarti per quello che mi hai tenuto nascosto, io non lo avrei mai fatto se fossi stata al tuo posto. Io mi sarei comportata da vera migliore amica. Addio, Richard”

“No! Ginger, aspe…”.

La giovane riattaccò senza lasciargli il tempo di ribattere e di provare a farle cambiare idea.

Non voleva sentire la sua voce, non voleva sentire le sue parole, non voleva sentire nulla di nulla da lui perché l’aveva profondamente delusa.

L’aveva delusa nel modo peggiore in assoluto.

Lui, e David: i due ragazzi in cui riponeva la propria fiducia in modo smisurato, erano stati gli stessi che non si erano fatti alcuno scrupolo a pugnalarla alle spalla alla prima occasione.

La rossa uscì dalla cabina e rientrò in macchina, senza però inserire la chiave nel cruscotto e ripartire.

Si lasciò andare contro lo schienale in pelle del sedile ed osservò, con sguardo assente, le gocce di pioggia che avevano iniziato a battere sul parabrezza della vettura.



 
“Pronto?”

“Ehi… Sbaglio o domani è un giorno speciale per qualcuno?”.

Roger sollevò gli occhi azzurri al soffitto del salotto, mentre i suoi due gattoni neri gli si accoccolarono in grembo ed iniziarono a giocare con il maglione che indossava, riempiendoglielo inevitabilmente di peli; provò ad allontanarli agitando la mano sinistra, ma ottenne solo che i due felini spostarono la loro attenzione alle sue dita lunghe ed affusolate, ed ai numerosi anelli che indossava.

“Non so proprio di cosa tu stia parlando, Nick” commentò, poi, in tono laconico.

“No? Non lo sai proprio? Sicuro? D’accordo, allora ci penso io a rinfrescarti la memoria: domani un bassista cupo, scontroso e permaloso, alto quasi due metri, che ama vestirsi con qualunque sfumatura di nero, spegnerà trenta candeline”

“Io non sono cupo, scontroso e permaloso” ribatté Roger, con un tono di voce che dimostrava l’esatto contrario.

“Ohh, certo, allora io sono la regina Elisabetta!”

“Cavolo, deve scusarmi, non avevo capito di essere in linea con sua maestà in persona. Mi permetta di dirle che i baffi e la barba le stanno d’incanto e conferiscono maggiore femminilità e signorilità alla sua figura”.

I due giovani restarono in silenzio per una manciata di secondi prima di scoppiare a ridere a crepapelle contemporaneamente.

“Questa era ottima, te lo concedo, ma non credere di chiudere la questione con una battuta. Domani è il tuo compleanno e bisogna festeggiare… Allora, che vuoi fare? Dove vuoi andare? Come hai intenzione di trascorrere la serata?”

“Sinceramente? Restando a casa”

“Che cosa?” chiese sbalordito Nick, costringendo Roger ad allontanare la cornetta dall’orecchio destro per salvaguardare il suo povero apparato uditivo “ma che vuol dire che vuoi restare a casa? Sei impazzito? Hai bevuto? Ti hanno fatto il lavaggio del cervello? Non puoi restare a casa, è fuori discussione, dobbiamo festeggiare: tieniti pronto per le sette che io e Lindy passiamo a prenderti”.

Il bassista sollevò di nuovo lo sguardo al soffitto.

Se c’era un’altra cosa che odiava profondamente, erano le sorprese.

Si agitava sempre quando qualcuno gli organizzava una festa a sorpresa per il proprio compleanno, ed ogni volta finiva per innervosirsi ed avere quasi un attacco di panico; Nick lo prendeva in giro dicendogli che ciò era dovuto alle sue manie di controllo: non poteva tenere le redini di qualcosa di cui era totalmente all’oscuro, di conseguenza andava subito fuori di testa.

Ogni volta, Roger gli rispondeva che non era vero e che era solo un cretino.

Lui non soffriva di manie di controllo.

Semplicemente doveva sempre essere a conoscenza di tutto.

“Spiegami per quale motivo mi hai chiesto se avevo già qualcosa in programma per domani, quando hai già pensato a tutto tu”

“Perché sapevo già che mi avresti risposto in un modo simile”

“Nick, quello che hai appena detto non ha alcun senso logico, te ne rendi conto?”

“Io… Ti passo Lindy, ha detto che vuole parlarti”

“Perdonalo, Rog, mio marito è un completo cretino: sa reggere senza problemi la pressione di stare sul palcoscenico davanti a centinaia e centinaia di persone, ma va completamente nel panico quando c’è da organizzare una sorpresa per il compleanno di uno dei suoi amici più stretti”

“Sì, hai perfettamente ragione: tuo marito è un completo cretino. E quando penso di averle viste e sentite già tutte, riesce sempre a sorprendermi con qualcosa di nuovo”

“Allora… Sei pronto per il grande giorno?”

“Perché siete tutti così fissati con il mio compleanno? Mio dio, non cambia assolutamente nulla. Non accade niente di speciale. A conti fatti, domani è un giorno come tanti altri”

“No, invece!” ribatté Lindy con testardaggine “domani è l’occasione perfetta per staccare la spina e divertirsi un po’, e tu hai assolutamente bisogno di staccare la spina, o finirai per avere un esaurimento nervoso o per essere ricoverato in una clinica”

“L’ho già ripetuto una miriade di volte” disse Roger, tenendo ferma la cornetta con la spalla destra per accendersi una sigaretta; improvvisamente aveva una grande voglia di fumare “io non ho alcun problema di peso. Sono di costituzione magra ed ho un metabolismo particolarmente veloce che mi fa bruciare subito ciò che mangio”.

Era vero, aveva davvero un metabolismo veloce.

Ma era anche altrettanto vero che dopo il divorzio da Judith aveva ridotto drasticamente la quantità di cibo che mangiava nell’arco di una giornata; c’erano giorni in cui arrivava a sera con lo stomaco ancora vuoto, ad eccezione di qualche tazza di the.

Aveva troppi pensieri in testa, troppe cose di cui occuparsi e troppo poco tempo a propria disposizione.

Non ne aveva da perdere per fermarsi a mettere qualcosa di sostanzioso sotto i denti.

Waters sentì Lindy emettere un profondo sospiro contrariato.

“Non so se ti farà piacere sentire quello che sto per dirti, ma…” la giovane fece una pausa, ed il bassista chiuse gli occhi perché aveva già intuito quello che stava per dire “ecco… Ieri ho sentito Judith per telefono, e…”

“Scusami, Lindy, ma ora devo proprio andare. Ci vediamo domani sera alle sette” Roger riagganciò la cornetta del telefono, chiuse gli occhi ed appoggiò le mani ai lati della testa, massaggiandosi le tempie.

Era bastato sentire il nome della sua ex moglie per fargli esplodere un violento ed improvviso cerchio alla testa.

Sapeva molto bene cosa Lindy voleva fare, e non era intenzionato a darle corda, nonostante tutti i suoi buoni propositi.

Non gl’importava nulla dei rimorsi della sua ex moglie, e gl’importava ancora meno se adesso voleva tentare un approccio con lui nella speranza di ottenere una seconda possibilità per far risorgere dalle ceneri il loro matrimonio.

Per lui era tutto finito.

Waters riaprì gli occhi e girò il viso in direzione della porta d’ingresso: qualcuno aveva appena bussato, e non aspettava alcuna visita.

Si alzò, andò ad aprire la porta ed inarcò entrambe le sopracciglia alla vista della persona che si ritrovò di fronte: dall’altra parte della porta, in piedi sotto il portico, c’era Ginger con i capelli ed i vestiti completamente bagnati a causa della pioggia che continuava a battere incessantemente.

“Non sapevo dove andare… E così sono venuta qui” mormorò lei con uno sguardo disperato; il bassista non disse nulla: si scostò per lasciarla entrare e sparì al piano di sopra, facendo poi ritorno con una maglietta ed un paio di pantaloni asciutti ed indicandole una stanza in cui poteva cambiarsi.

Ginger prese i vestiti in silenzio, andò a cambiarsi e quando uscì dal bagno trovò Roger in cucina davanti ai fornelli, intento a preparare del the caldo per entrambi; si sedette davanti al tavolo, incrociò le braccia sopra la superficie in legno e fissò un punto indefinito davanti a sé.

“Avevi ragione, maledizione” esordì la rossa, continuando a fissare il vuoto “avevi ragione su tutto fin dall’inizio, ed io sono stata una stupida che non ha voluto ascoltarti. Questo pomeriggio ho trovato un biglietto con un numero di telefono ed un indirizzo, nascosto dentro un libro, e quando ho messo David alle strette, lui mi ha confessato di avere da mesi una relazione con una ragazza che ha conosciuto a Philadelphia: era tutto vero quello che mi avevi raccontato, perfino la parte di Rick che sapeva ogni cosa e me l’ha volontariamente taciuta”

“E cosa è successo tra te e lui?”

“Abbiamo discusso abbastanza violentemente e poi me ne sono andata con i bambini. Li ho portati a casa di mommi e me ne sono andata subito. Ho chiamato Rick da una cabina telefonica e poi… Poi ho vagato per un po’ finché non sono venuta qui” Ginger scosse la testa, incredula ed amareggiata, e Roger le porse una tazza di the nero con zucchero “io non capisco… Non capisco proprio come abbia fatto ad essere così cieca e non capisco come abbia potuto farmi una cosa simile… Non c’erano problemi tra noi due, non c’era nulla che non andasse nel nostro matrimonio, non eravamo affatto in crisi… Tutto andava bene e parlavamo già di allargare la famiglia, magari con una bella bambina… Semplicemente lui si è perdutamente innamorato di quella ragazza. Così. L’ha vista, si è innamorato di lei ed ha cancellato i nostri tre anni di matrimonio”

“Mi dispiace”

“E Richard… Mio dio, come ha potuto tenermi nascosta una cosa così grave per così tanto tempo? Sai che gli ho detto al telefono? Gli ho detto che mi fa schifo, esattamente come David, che mi ha delusa profondamente e che quello era un addio perché non voglio vedere mai più la sua faccia. Io al suo posto non mi sarei comportata in modo così meschino, non gli avrei mai taciuto una cosa così grave… Sarebbe stato terribilmente difficile e doloroso, ma glielo avrei detto subito perché… Per un amico si fa questo ed altro, no?”.

Waters annuì in silenzio e mandò giù un sorso di the bollente.

Lo aveva detto a Rick che stava sbagliando e che ben presto se ne sarebbe amaramente pentito.

E David era stato ancora più coglione: come poteva nascondere la prova così schiacciante di un tradimento e pretendere che sua moglie non la scoprisse presto o tardi? E poi, il castello di bugie che aveva innalzato negli ultimi mesi aveva una base troppo instabile per reggere a lungo.

“Cosa vuoi fare adesso?”

“Prima di tutto, non voglio più vedere la sua faccia per il resto della mia vita, e poi… Poi non ne ho la più pallida idea, perché in questo momento non riesco a ragionare con lucidità… Non riesco proprio a pensare, ho la mente completamente offuscata… Faccio fatica perfino a credere a quello che è successo”

“Allora è meglio se per questa notte non ti muovi di qui. Non puoi metterti alla guida in queste condizioni, perché finiresti solo per fare del male a te stessa od a qualcun altro”

“Keith e Demi sono da mommi

“Appunto, quindi sono al sicuro. Ed è meglio se resti anche tu al sicuro, o preferisci lasciare orfani di madre i tuoi figli perché hai preferito metterti alla guida con la mente completamente offuscata? Demi ha poco più di un anno, crescerebbe senza avere conosciuto sua madre in pratica e dovrebbe convivere per sempre con una grandissima mancanza… Che diventerebbe ancora più difficile da sopportare ogni volta che arriva il suo compleanno” mormorò il bassista, con una smorfia, guardando verso il calendario che aveva appeso ad una parete della cucina; Ginger si voltò a guardarlo a sua volta e si accorse che il giorno seguente era il compleanno di Roger.

“Roger, scusami, io non intendevo…”

“Lo so, sei solo sconvolta: motivo in più perché è meglio che non ti muova da qui fino a domani mattina. Non so se una notte di sonno ti aiuterà a sentirti meglio, ma almeno domani mattina sarai lucida abbastanza da metterti alla guida e da pensare a cosa fare ed a come gestire l’intera situazione. Vieni, ti faccio vedere la camera da letto, è meglio che tu vada a riposare subito. Ne hai bisogno” Roger la portò al piano di sopra, aprì la porta della sua camera da letto e le fece cenno di entrare “per qualunque cosa, mi trovi al piano di sotto sul divano. Non ho alcuna voglia di fare il bis con la poltrona”

“D’accordo”

“Non ci rimuginare troppo per il momento. Stacca la spina per un paio di ore, chiudi gli occhi e pensa solo a riposarti. Buonanotte”

“Notte” mormorò la rossa, osservandolo chiudere la porta; una volta rimasta da sola, emise un profondo sospiro, s’infilò sotto le coperte, spense la luce e chiuse gli occhi.

Con la speranza che fosse tutto un orribile incubo da cui si sarebbe risvegliata molto presto.
 



Ginger continuava a rigirarsi sul materasso senza essere in grado di addormentarsi; anche se Roger le aveva consigliato di chiudere gli occhi e svuotare completamente la mente, continuava a pensare alla orribile discussione avuta con David ed all’altrettanto orribile verità scoperta nel corso di essa.

Non riusciva a capire come fosse potuto accadere, come il suo matrimonio avesse potuto sgretolarsi in un attimo.

Quando aveva sbagliato? Dove aveva sbagliato? Che cosa aveva fatto per spingere David tra le braccia di un’altra donna? Cosa aveva fatto per spingerlo ad innamorarsi perdutamente di lei?

Cosa aveva di così sbagliato?

La giovane scostò le coperte con un calcio e si alzò dal letto; uscì dalla camera e scese le scale per andare in cucina a bere un sorso d’acqua: aveva assolutamente bisogno di rinfrescarsi la gola con qualcosa di fresco.

Quando arrivò infondo alle scale, anziché andare in cucina, si avvicinò al divano e si sedette sul bordo: Roger stava dormendo profondamente, sdraiato sul fianco destro, con alcuni ciuffi di capelli castani che gli ricadevano sul viso; quando dormiva, sul suo viso appariva un’espressione rilassata che difficilmente aveva nel corso delle giornate.

Ginger lo scosse gentilmente per la spalla sinistra, ed il giovane socchiuse gli occhi appannati dal sonno.

“Che succede?” domandò, tirandosi su e sovrastandola con la sua altezza anche da seduto “non riesci a dormire?”

“Indovinato”

“Anche a me è successo quando ho rotto con Judith: ho trascorso le prime settimane a fissare il soffitto della camera per notti intere, poi piano piano è passata… Vuoi parlare?”

“Credo di sì”

“E di cosa vuoi parlare?”

“Non lo so. Vorrei pensare ad altro, ma proprio non ci riesco. Anche se mi sforzo di non rimuginarci, la mia mente torna sempre e solo là… Io… Non ci posso credere, non posso credere che sia successo per davvero” mormorò la giovane scuotendo la testa, abbassando il viso verso il pavimento “fino a questa mattina la mia vita era normale, e adesso… Adesso è completamente stravolta e nulla sarà più come prima”

“Anche questo passerà. Ora ti sembra impossibile da credere, ma nel giro di poche settimane ti abituerai alla nuova routine”

“Tu sei fortunato dal momento che non hai avuto figli con Judith, ma io sarò costretta ad avere sempre a che fare con lui perché abbiamo Demi… E quindi oltre al danno subirò anche la beffa, perché dovrò sopportare di vederlo in compagnia di quella puttana… E poi… Poi partirà la battaglia legale per il divorzio e quella per l’affidamento… E quando arriverà il compleanno di Demi? Quando arriverà il giorno di Natale? Come faremo con le festività? Se dipendesse da me, non gli farei vedere mai più suo figlio per il resto della sua vita, ma sono sicura che lui la pensa in modo diverso… Mio dio” gemette la rossa appoggiando le mani sulle tempie, colta da un’altra fitta dolorosa alla testa “mi sento male al solo pensiero di tutto quello che mi aspetta nei prossimi mesi. E la cosa peggiore è che lui avrà una persona a suo fianco, mentre io sarò completamente sola”

“Non sarai sola, avrai tua madre e tua sorella a tuo fianco”

“Sì, ma non sarà la stessa cosa, capisci? Lui è già andato avanti con la sua vita, mentre io non so quanto tempo impiegherò per riprendermi… Non so neppure se ci riuscirò dopo questo colpo”

“Ce la farai”

“Tu credi?” Ginger sollevò di nuovo il viso e fissò Roger negli occhi “ho impiegato tre anni per riprendermi dalla fine della mia storia con Syd, e la nostra frequentazione, nel complesso, è durata appena un paio di mesi. Con David, invece, ho un matrimonio di tre anni ed un figlio che ne ha compiuto uno da pochi mesi… Un figlio che, per giunta, assomiglia già moltissimo a suo padre, e gli assomiglierà sempre di più crescendo”

“Pensa che non sei l’unica a trovarti in questa situazione”

“Sì, lo so di non essere l’unica persona al mondo in questa situazione, ma non riesco a capire come sia potuto succedere e perché proprio a me. Che cosa ho sbagliato? Che cosa ho sbagliato, Roger? Perché il mio matrimonio è andato in frantumi? Perché David, da un giorno all’altro, si è innamorato di un’altra donna? Allora… Allora quello che mi aveva detto tre anni fa era solo una lunga serie di bugie”

“Non c’è sempre una spiegazione dietro qualunque cosa, Ginger. A volte ci sono cose che succedono e basta”

“Lo so, però questo non mi fa sentire affatto meglio”

“Allora ti fa sentire meglio se dico che, secondo il mio personale parere, David è stato un emerito coglione?”

“Un pochino” mormorò la ragazza sforzandosi di sorridere, girando poi il viso in direzione dell’orologio a cucù, posizionato appena sopra la mensola del camino, che stava scandendo il termine di un’altra ora e l’inizio di una nuova “mezzanotte… Tecnicamente, da adesso è il tuo compleanno”

“Già” commentò laconico il bassista, osservando a sua volta l’orologio “tra un paio d’ore il telefono inizierà a squillare e non smetterà fino a sera. Andrà a finire che ogni anno, il giorno del mio compleanno, staccherò la spina per ventiquattro ore, così nessuno potrà disturbarmi. Prima del tuo arrivo, ho ricevuto una telefonata da parte di Lindy e Nick… A quanto pare, hanno già organizzato qualcosa per domani sera… O forse sarebbe più esatto dire per questa sera, visto che è scattata la mezzanotte”

“E cosa farete?”

“Non lo so e non lo voglio neppure sapere. Ho paura di ricevere qualche sorpresa sgradita” Roger distorse le labbra carnose in una smorfia prima di proseguire a parlare “per puro caso, Lindy mi ha detto di avere sentito Judith…”

“E tu che le hai detto?”

“Che dovevo andare, ed ho agganciato il telefono. Capisco le sue buone intenzioni e so che vorrebbe che tra noi due si sistemasse ogni cosa e che tornassimo insieme, ma io non sono intenzionato a tornare indietro sui miei passi ed a ricominciare da zero con Judith. Quando accade una cosa così, quando il tuo partner intraprende una relazione stabile alle tue spalle per tanto tempo, si spezza un equilibrio che non può essere ripristinato in alcun modo. Ciò che è rotto resta rotto. Una scappatella può essere superata, un amante stabile no. Se tra un paio di mesi David dovesse presentarsi davanti alla porta di casa tua, dicendo di essere pentito e di rivolere indietro la vostra vita, tu che cosa gli diresti?”

“Credo che reagirei nello stesso identico modo tuo” mormorò Ginger corrucciando le sopracciglia “se lo ha fatto una volta, chi mi assicura che non lo rifarà una seconda volta prima o poi?”

“Vedo che su qualcosa siamo perfettamente d’accordo”

“Però continuo a non capire” sussurrò di nuovo la rossa scuotendo la testa “continuo a non capire come sia potuto accadere proprio a me. Aveva promesso che non mi avrebbe mai fatta soffrire… Il giorno del nostro matrimonio mi ha confidato che desiderava tanto avere una bambina identica a me, dai lunghi capelli rossi”.

Tra i due giovani calò un lungo silenzio rotto solo dal ticchettio delle lancette dell’orologio che si fondeva con quello della pioggia.

La giovane si alzò dal bordo del divano con un sospiro per tornare in camera, ma si fermò davanti al primo scalino, con la mano destra appoggiata al corrimano.

“Spero che da tutto questo tu abbia finalmente capito che non c’era alcuno scopo secondario dietro la mia frequentazione con David, perché io lo amavo… Proprio come ho amato Syd. Buonanotte, Roger e… Per quel che può valere… Buon compleanno” disse prima di salire le scale con lo sguardo rivolto ai propri piedi e la mente improvvisamente svuotata da qualunque pensiero.

Già sapeva che cosa l’avrebbe aspettata ora: una lunga notte insonne, con lo sguardo rivolto al soffitto, a lottare contro il mal di testa e contro il dolore lacerante che sentiva in profondità nel petto, così forte da impedirle perfino di versare lacrime.

Quelle sarebbero arrivate in un secondo momento, quando finalmente la realtà l’avrebbe schiaffeggiata in faccia, e le avrebbero fatto trascorrere altre notti in bianco.

Ora sì che si trovava costretta a fare i conti con un abisso che, molto presto, l’avrebbe inghiottita per sempre, perché non aveva nessuno che avrebbe allungato una mano verso di lei: David aveva già voltato pagina e guardava ad un nuovo futuro,  mentre Richard aveva voltato le spalle ad anni, anni ed anni di solida amicizia ed amore fraterno.

Era la fine.

Quella era veramente la fine.

Ginger appoggiò la mano destra sul pomello della porta, la socchiuse… E si sentì afferrare da un paio di braccia che la costrinsero a voltarsi in modo brusco; e prima ancora che avesse il tempo di aprire la bocca, venne ridotta al silenzio da un paio di labbra carnose.

Anziché scostarsi, o allontanare violentemente da sé Roger, la giovane si aggrappò a lui con tutte le proprie forze, rispondendo al bacio ed approfondendolo con la lingua; gli strinse le mani attorno a delle ciocche di capelli e si lasciò prendere in braccio e portare in camera, ritrovandosi ben presto sdraiata sul materasso del letto matrimoniale, con l’imponente mole del bassista sopra di sé, senza mai che le loro labbra si fossero staccate per un solo, piccolo, istante.

Ginger si allontanò solo quando il bisogno di riprendere fiato divenne impellente, per poi appropriarsi di nuovo delle labbra di Waters; si allontanò una seconda volta per sfilarsi la lunga e larga maglietta che le aveva prestato e lui fece altrettanto, senza dire una parola.

Si guardarono negli occhi per diversi secondi, in silenzio, con il fiato spezzato.

Roger si riavvicinò per primo: appoggiò le mani sulle guance della giovane e la baciò con meno impeto e con più dolcezza, accarezzandole le guance con i pollici, dimostrando una gentilezza che Ginger ignorava possedesse; come erano sparite le magliette, sparirono anche i pantaloni e, dopo un istante di incertezza da parte di entrambi, sparì anche il paio di boxer neri di Roger e quello di slip bianchi di Ginger.

La giovane si lasciò scappare un piccolo singulto quando il bassista le entrò dentro, e gettò la testa all’indietro sotto le sue spinte decise, profonde, stringendo con una mano un lembo del lenzuolo e con l’altra la spalla sinistra di Waters, affondando le unghie in profondità nella sua pelle.

Sembrava conoscere alla perfezione ciò che le piaceva.

Riuscì a raggiungere l’orgasmo per ben due volte prima che il giovane rilasciasse il proprio seme dentro il suo corpo e si lasciasse andare contro il materasso, con il petto sudato che si alzava ed abbassava rapidamente ed i capelli scompigliati, incollati alla fronte, alle guance, al collo ed alle spalle.

Nel silenzio più assoluto, la rossa appoggiò la testa sul petto di Roger e chiuse gli occhi, addormentandosi, cullata dal rumore delle gocce di pioggia che battevano contro il vetro della finestra.




 
Un raggio di sole svegliò Ginger dal profondo, ma tutt’altro che sereno, sonno costellato dai ricordi confusi del giorno precedente; si tirò su a sedere stropicciandosi gli occhi con la mano destra e girò il viso proprio in direzione della finestra, scoprendo con sua enorme sorpresa che quella era una delle rare giornate serene a Londra.

Era proprio una buffa coincidenza: la sua vita stava andando a rotoli, e fuori splendeva il sole.

Il mondo andava avanti, indifferente ai suoi drammi personali.

Uscì dal letto ed indossò i propri vestiti, che erano stati piegati con cura e sistemati sopra una poltroncina, ora asciutti e scese al piano inferiore, seguendo i rumori che provenivano dalla cucina: esattamente come si aspettava, trovò Roger impegnato a preparare una colazione per due persone.

Sopra la tavola c’erano già due piatti, due bicchieri, una caraffa di succo d’arancia, dei barattoli di marmellata ed un piccolo vassoio su cui erano sistemate delle fette di pane tostato ed imburrato; Roger spostò lo sguardo dal bollitore del the e guardò la giovane, in piedi a pochi metri di distanza da lui.

“Buongiorno” le disse mentre un sorriso si faceva strada sulle sue labbra carnose “dormito bene?”.

Senza dire una sola parola, Ginger afferrò un bicchiere e lo scagliò contro il giovane.

Roger riuscì a scansarsi in tempo per evitare di essere colpito, ma in compenso il povero bicchiere si frantumò contro una parete e provocò la fuga in salotto dei due gatti neri dagli occhi gialli.

“Ma che… Ma che cazzo stai facendo?” domandò sbalordito, spalancando gli occhi chiari, domandandosi dove diavolo avesse sbagliato; la rossa, in tutta risposta, prese il barattolo di marmellata di fragole e provò a colpire il bassista per la seconda volta.

“Stai zitto, porco!” urlò, poi, scagliando l’altro barattolo di marmellata; Waters non riuscì ad evitare il terzo oggetto, che impattò violentemente sulla sua spalla sinistra, riversando una parte di marmellata di mirtilli sulla maglietta che aveva comprato in Giappone l’anno precedente, ad Hakone.

La sua preferita.

Uno dei pochi indumenti bianchi che possedeva.

“Smettila, cazzo, ma sei completamente impazzita? Ma che ti prende? Che ti ho fatto? Mi hai confuso per David o per Richard?”

“No, so esattamente chi sei: un grandissimo porco!”

“Ma si può sapere che diavolo avrei mai fatto per meritarmi questo? Ti ho ospitata a casa mia ed ora sto pure preparando la colazione! Dove avrei sbagliato?”

“E me lo domandi pure? Hai l’enorme faccia tosta di chiedermi per davvero che cosa avresti fatto?” strillò la giovane, alzando sempre di più la voce ad ogni parola “hai approfittato di me!”.

Roger spalancò gli occhi e la bocca, incredulo e sconvolto per l’accusa che gli era appena stata rivolta.

Pensò ad uno stupido scherzo, ma dallo sguardo furioso della rossa capì che era estremamente seria.

“Ma sei completamente impazzita? Ti sei fottuta il cervello? È ovvio che sei ancora così sconvolta da non riuscire a ragionare con lucidità. Non sai neppure quello che stai dicendo”

“Ohh, e invece lo so benissimo! Avrei dovuto capirlo subito che c’era qualcosa che non andava nel tuo comportamento, che eri troppo gentile e comprensivo nei miei confronti… Tu mi hai ospitata per la notte e sei stato così gentile con me solo perché volevi portarmi a letto! Per avere qualcosa da sbattere in faccia a David!

“Aspetta, aspetta, aspetta, aspetta… Tu credi che io abbia fatto tutto questo per… Ohh, mio dio, ma tu sei seria! Credi davvero che io abbia fatto tutto questo solo per portarti a letto? Tu hai una mente deviata!”

“Mi sei saltato addosso!”

“Io? Io ti… D’accordo, è vero, sono stato io a fare il primo passo perché credevo che… Credevo lo volessi anche tu, ed infatti non mi sembra affatto che ti sia tirata indietro… Anzi, al contrario: mi sembra che ti sei goduta appieno la notte movimentata che abbiamo avuto! Avresti potuto fermarmi in qualunque momento, invece non solo non lo hai fatto, ma mi hai anche detto di continuare!”

“Cosa… Io avrei… E quando mai avrei detto una cosa simile?”

“Lo hai detto… Più volte! Insieme al mio nome!”

“Questo non è assolutamente vero!” urlò Ginger, fuori di sé dalla rabbia, lanciando l’altro bicchiere, che andò a frantumarsi contro un solido muro della cucina “tu… Tu sei… Sei solo un grandissimo bastardo e porco, ed io sono stata una completa imbecille a venire qui… Mio dio, ma perché l’ho fatto? Guarda cosa mi hai fatto fare! Guarda cosa è successo… Mio dio! Mio dio, ma come cazzo ho potuto permettere che accadesse una cosa simile? Io… Io me ne vado, non provare neppure a seguirmi perché non voglio più vedere neppure la tua faccia!”

“Ohh, sta tranquilla, non ho alcuna intenzione di seguirti, se il ringraziamento per tutto quello che ho fatto per te consiste nell’essere colpito da un barattolo di marmellata di mirtilli!” gridò a sua volta Waters, con il volto paonazzo “tu sei pazza, Ginger! Sei completamente fuori di testa! Vaffanculo!”.

La rossa si girò il tempo necessario per mostrargli il dito medio della mano destra e poi uscì di casa e salì in macchina sbattendo con forza la portiera anteriore destra; inserì la chiave nel cruscotto, accese il motore e ripartì scuotendo la testa e continuando a sibilare, a denti stretti, parole poco gentili nei confronti del bassista e continuando a darsi della stupida, della cretina, della grandissima testa di cazzo per essere andata a casa sua e, soprattutto, per essere finita a letto con lui.

Si diede ancora di più della testa di cazzo perché le era piaciuto.

Purtroppo, per sua enorme sfortuna, Roger era bravo a scopare.

Quando varcò la porta d’ingresso della casa materna, aveva un aspetto ancora più orribile del giorno precedente, perché oltre allo sconvolgimento per la scoperta del tradimento di David si erano aggiunti i sensi di colpa per la notte movimentata con Roger che non avrebbe dovuto esserci.

Pamela e Jennifer accorsero subito non appena sentirono la porta aprirsi e chiudersi, ed entrambe, alla vista delle condizioni in cui versava Ginger, spalancarono gli occhi e la bocca.

“Ginger!” esclamò Pamela, fuori di sé dalla preoccupazione “Ginger… Ma cosa ti è successo? Dove sei stata per tutto questo tempo? Stavamo per chiamare la polizia, abbiamo pensato al peggio… Che cosa è successo?”.

Ginger provò a parlare, ma non ci riuscì.

Scoppiò in un pianto disperato ed abbracciò la madre adottiva, stringendosi a lei con forza; Pamela, sempre più sconcertata e preoccupata, ricambiò l’abbraccio ed iniziò ad accarezzare i lunghi capelli rossi della giovane.

“Tesoro mio, cosa succede? Cosa sta succedendo?”

“È tutto finito, mommi” singhiozzò la ragazza, mentre veniva abbracciata anche da Jennifer “è tutto finito. È tutto finito. È tutto completamente finito, per sempre”.

Ritorna all'indice


Capitolo 47
*** Border (Parte Tre) ***


1974, gennaio.



 
Tutto ebbe inizio con un mal di testa più forte dei precedenti e con un collasso improvviso.

Ginger e Jennifer stavano preparando dei biscotti insieme a Keith e Demi quando la giovane, dopo aver infornato la prima teglia di dolcetti alla vaniglia con gocce di cioccolato, sbiancò tutto d’un tratto e crollò sul pavimento della cucina con gli occhi rovesciati all’indietro.

Venne chiamata un’ambulanza e Ginger venne portata subito d’urgenza, con i lampeggianti e le sirene accese, in ospedale, dove rimase in osservazione per quattro giorni perché il suo caso necessitava di esami più approfonditi per arrivare a capo della questione.

Quattro giorni in cui Pamela e Jennifer andarono a trovarla ogni singola sera, rassicurandola e ripetendole che non doveva preoccuparsi: non avrebbero trovato nulla che non fosse riconducibile allo stress per il burrascoso divorzio da David e la battaglia per l’affidamento del piccolo Demi Richard.

Era normale un po’ di stress, chiunque al suo posto avrebbe finito con l’avere un crollo del sistema nervoso.

Quattro giorni in cui Ginger si sforzò di credere alle parole della madre e della sorella adottiva.

Quattro giorni in cui Ginger si sforzò di auto convincersi che sì, il mal di testa che non le dava tregua ed il collasso improvviso erano solo il prodotto di un lungo periodo di stress e di nervi sempre a fior di pelle.

Ma la mattina del quinto giorno le bastò lanciare un’occhiata al viso del medico che entrò nella sua stanza con una cartellina rigida sotto il braccio destro per capire che si sbagliava e che c’era qualcosa che non andava.

Qualcosa di profondamente sbagliato.

Ritorna all'indice


Capitolo 48
*** Border (Parte Quattro) ***


1974, febbraio.



 
Ginger distolse lo sguardo dal cielo ricoperto di nuvole grigie e fissò la porta chiusa: qualcuno aveva appena bussato due volte, chiedendole silenziosamente il permesso di entrare.

“Avanti”.

La porta si aprì lentamente ed apparve il viso di Richard Wright, incorniciato dai capelli castani che aveva recentemente accorciato sulle spalle; alla vista del giovane, che non vedeva e con cui non parlava dal settembre dell’anno precedente, sul viso pallido e provato di Ginger apparve un sorriso allegro, ed i suoi occhi spenti tornarono ad illuminarsi.

“Ehi”disse lui, indugiando sulla soglia della stanza “spero di non averti disturbata. Posso… Posso entrare?”

“Certo che puoi entrare, perché sei ancora lì? Entra, chiudi la porta e vieni qui, affianco a me” rispose la ragazza, indicandogli la sedia posizionata affianco al lettino che ormai occupava da quasi un mese: nelle ultime tre settimane, quella grigia e spartana stanza d’ospedale si era trasformata nella sua nuova casa.

Rick obbedì: entrò nella piccola camera, chiuse la porta col piede destro ed occupò la sedia posizionata affianco al lettino; gli occhi di Ginger si illuminarono ancora di più quando vide che tra le braccia reggeva dei regali destinati a lei, e che consistevano in un voluminoso mazzo di fiori, in una confezione di pasticcini alla marmellata di fragole e panna ed in un peluche bianco e rosa a forma di gattino.

“E questi?” chiese con un sorriso divertito “ti sei messo in testa di svaligiare tutti i negozi di Londra per caso?”

“Sono solo dei piccoli pensierini. Non potevo presentarmi a mani vuote”

“Non era necessario”

“Invece sì. Ho troppo da farmi perdonare”.

Ginger sorrise senza dire nulla ed abbassò lo sguardo sul proprio grembo; Richard avvicinò di più la sedia al bordo del lettino e prese le mani della ragazza nelle proprie, stringendole delicatamente ed accarezzandole con gentilezza i dorsi con i pollici.

Rimasero a lungo in silenzio, finché il tastierista non trovò la forza di proseguire con la conversazione.

“Come stai?” le chiese, sollevando il viso e cercando il suo sguardo.

“Sto bene” mormorò la rossa sollevando a sua volta gli occhi “ho solo dei momenti di debolezza. Tutto qua. Ma per il resto va tutto bene”.

Era una bugia.

Era sufficiente guardare il suo viso pallido che si era fatto sottile e smunto; era sufficiente guardare i suoi occhi spenti e la chioma che non era più lucente come mesi prima per capire che era solo una bugia e c’era qualcosa che non andava.

Richard sentì gli occhi iniziare a pizzicare e lottò con tutto sé stesso per ricacciare indietro le lacrime, perché si sentiva già sul punto di crollare in ginocchio e piangere come un bambino.

Doveva essere forte.

“Ieri sera mi ha chiamato Pamela e… Mi ha raccontato quello che sta succedendo. Mi ha raccontato tutto del malore che hai avuto, degli esami che ti hanno fatto e dei loro risultati… I medici… I medici sono… Sono proprio sicuri di quello che hanno letto? Non è possibile che abbiano sbagliato? Voglio dire… A volte possono capitare errori simili, giusto? Sono proprio sicuri che il risultato di qualche esame non sia errato? Forse… Forse a distanza di un mese è meglio rifarli da capo per fugare ogni possibile dubbio. Magari il loro risultato è cambiato e scoprono di essersi sbagliati completamente”

“No, Rick, non si sono sbagliati. I risultati degli esami parlano in modo chiaro ed inequivocabile”

“E… E quanto… Quanto…” il giovane sbatté più volte le palpebre, senza riuscire a completare la domanda.

“Non lo sanno con certezza matematica. Hanno parlato di un paio di mesi al massimo” fu il turno di Ginger di avere un attimo di cedimento, e la sua voce si trasformò in un sussurro tremolante “entro la fine dell’anno comunque. Può essere tra sei mesi, come tra tre… Come tra uno”.

Wright non riuscì più a trattenersi e scoppiò in un pianto disperato, nascondendo il viso tra le mani che tremavano visibilmente.

Doveva dimostrarsi il più forte, ed invece era crollato per primo.

“Rick… Rick… Richard, non fare così… Dai…” la giovane allungò la mano destra per accarezzargli una guancia, ma lui scosse più volte il capo senza riuscire a smettere di piangere e singhiozzare violentemente.

“È tutta colpa mia, è solo ed esclusivamente colpa mia perché sono stato io a farti conoscere David e ad insistere perché iniziaste a frequentarvi, e guarda come è andata a finire… Ho rovinato completamente la tua vita, e adesso… Adesso… Adesso è tutta una merda… Mi dispiace… Mi dispiace, mi dispiace, mi dispiace, mi dispiace terribilmente per tutto quanto. Ho sbagliato, sono stato un grandissimo coglione e non merito il tuo perdono, e quello che ti sta succedendo non è giusto… Non è giusto, non è giusto, non è giusto… Se potessi, farei cambio con te in questo stesso momento”

“No, non dirlo neanche per scherzo. Juliette ha bisogno di te, e ne hanno ancora più bisogno Gala e Jamie”

“Come Keith e Demi hanno bisogno di te. Hanno appena uno e cinque anni, sono piccolissimi”

“Lo so, ma per mia fortuna ci sono mommi e Jennifer… E nel caso di Demi c’è anche David. Posso dire qualunque cosa sul suo conto, ma non che non sia un buon padre. Riguardo a questo non sono preoccupata perché so che sono in mani sicure… E poi c’è anche lo zio Rick, giusto?”

“E David? A lui glielo hai detto?”

“No” Ginger abbassò di nuovo lo sguardo sulle mani che continuava a tormentarsi “David non sa nulla e non deve sapere nulla, e lo stesso vale per gli altri: non devi raccontare nulla, Richard, non devono sapere assolutamente nulla di questa storia”

“Ginger, non puoi tenere nascosta una cosa così importante”

“Sì che posso, ed è quello che voglio fare. L’ultima cosa che desidero in questo momento è la compassione… Per favore, ti prego, Richard”

“D’accordo… Ma non condivido il tuo pensiero”

“Grazie” sussurrò la giovane, prendendolo di nuovo per mano e sforzandosi di sorridere “so che ti sto chiedendo un grandissimo sacrificio, ma so anche che rispetterai la mia volontà. Domani mi dimetteranno finalmente dall’ospedale e tutto ciò che voglio…”.

La rossa si bloccò all’improvviso per deglutire un grumo di saliva.

Adesso era lei che stava per cedere.

“Tutto ciò che voglio è trascorrere il tempo che mi resta in compagnia dei miei bambini e dei miei affetti più vicini per godermeli al massimo. Non voglio vedere facce tristi e addolorate. Non voglio vedere pietà, lacrime e parole dispiaciute. Non voglio vedere niente di tutto questo. Ecco perché David e gli altri non devono venirlo a sapere. Puoi raccontarlo a Juliette, ovviamente, ma non devi confidarlo a nessun altro… E non dire mai più che la colpa è tua, perché non hai colpa di niente. Non voglio neanche più parlare del tradimento di David… Dimentica completamente quella conversazione telefonica che abbiamo avuto e le orribili parole che ti ho rivolto, perché non ha più importanza di fronte a quello che è successo nelle ultime settimane. Sono stanca di portare rancore nei confronti del mio migliore amico”.

Richard socchiuse le labbra per rispondere, ma venne colto da un nuovo attacco di pianto; scoppiò in un pianto disperato per la seconda volta e nascose il viso sul grembo dell’amica ritrovata (e che stava per perdere per sempre), artigliando con le mani il lenzuolo candido, bagnandolo di lacrime calde e salate, e continuando a ripetere che non era giusto, che non era assolutamente giusto quello che stava accadendo.

Ginger iniziò ad accarezzargli dolcemente i capelli, mormorandogli di calmarsi perché andava tutto bene; continuò ad accarezzargli i capelli finché il pianto non si trasformò, lentamente, in un respiro lento e regolare e Richard scivolò nel sonno.

La ragazza sorrise con dolcezza, si chinò per dargli un bacio sulla guancia destra e per asciugargli le lacrime, e poi tornò a fissare il cielo coperto di nuvole, prendendo un profondo respiro per resistere alle lacrime che adesso erano salite a pizzicare i suoi occhi.

Ritorna all'indice


Capitolo 49
*** The Big Chance (Parte Quattro) ***


1974, agosto.


 
Jennifer era seduta davanti al tavolo della cucina, intenta a disegnare; non c’era nessuno con lei: Ginger, Pamela e Keith erano usciti per fare un piccolo giro, mentre Demi era con David e Virginia.

Gli occhi verdi della ragazza di ventuno anni erano concentrati sul ritratto che stava cercando di realizzare da più di un’ora, ormai, e che lentamente stava iniziando a prendere forma, passando dall’essere una figura informe all’essere un volto maschile magro, dagli zigomi sporgenti e dalle labbra carnose, incorniciato da lunghi ed ondulati capelli scuri.

Disegnare l’aiutava a rilassarsi e distendere i nervi, soprattutto ora che stava vivendo un incubo ad occhi aperti.

Jennifer non riusciva ad accettare l’idea che ben presto sarebbe stata costretta a dire addio alla sua amata sorella maggiore, alla sua guida, alla persona che fino a quel momento l’aveva protetta ed a volte l’aveva trattata con eccessiva severità solo ed esclusivamente per il suo bene.

Disegnare l’aiutava ad evadere almeno per un po’ da quella orribile quotidianità, ma era una parentesi che durava poco, solo per una manciata di ore: il dolore e la disperazione erano sempre dietro l’angolo, pronti ad aggredirla alle spalle, quando meno se lo aspettava, riducendola ad una figura raggomitolata che piangeva e singhiozzava; tante volte, nel cuore della notte, Pamela era stata costretta a correre nella sua camera, stringerla in un abbraccio e rassicurarla, trasmettendole la forza che lei stessa faticava ad avere.

La giovane sollevò il viso dal foglio sentendo il campanello suonare e si alzò dalla sedia, lasciando momentaneamente da parte il ritratto che stava finendo (e che avrebbe appeso in camera sua insieme a tutti gli altri), la rivista da cui lo stava copiando, si avvicinò al citofono e prese in mano la cornetta nera.

“Sì? Chi è?” domandò, dal momento che non era prevista alcuna visita per quel giorno.

“Signora Anderson?”

“No, al momento non c’è, sono la figlia”

“Jennifer?”

“Sì… Sì, sono io… Scusi, ma può dirmi chi è?”

“Sono Roger… Roger Waters. Posso entrare o disturbo?”.

Jennifer chiuse gli occhi e prese un profondo respiro esasperato, perché già sapeva chi c’era in realtà dall’altra parte del citofono, perché Danny le aveva già fatto un brutto scherzo simile un paio di anni prima: una sera le aveva telefonato fingendosi Roger e lei, da sciocca qual’era, in un primo momento ci era cascata appieno ed aveva iniziato a strillare e saltellare come una pazza; Danny ci aveva poi riprovato diverse volte, ma senza alcun successo.

Ora, evidentemente, il suo migliore amico pensava di rasserenarle l’umore con quello stupido scherzo che non la divertiva più da tempo, e si sbagliava di grosso.

“Danny” disse a denti stretti “sei proprio un grandissimo coglione, lo sai? Non è divertente, non è affatto divertente, soprattutto visto quello che sta succedendo. Stai facendo una cosa di pessimo gusto, completamente fuori luogo”

“Cosa? No, no, no, io non conosco nessun Danny! Ascolta, sono davvero Roger!”

“Ohh, certo, certo, ed io sono la principessa sul pisello… Daniel, avanti, smettila con questa farsa perché adesso stai proprio esagerando e continui a fare la figura del coglione e deficiente, d’accordo? E comunque, posso darti un consiglio? Esercitati di più la prossima volta, perché la tua imitazione della voce di Roger fa proprio schifo” la giovane scostò la tendina della finestra posizionata sopra il lavandino della cucina, scuotendo la testa, sicura di vedere il suo migliore amico davanti al cancelletto d’ingresso chiuso; sgranò gli occhi e lasciò andare la cornetta quando le sue iridi chiare si posarono sulla figura alta e magra di un ragazzo dai lunghi capelli castani, che indossava una maglietta nera a maniche corte ed un paio di jeans scuri a zampa d’elefante.

E quando il ragazzo alto e magrissimo sollevò la mano destra in cenno di saluto, lasciò ricadere la tendina e si coprì la bocca con entrambe le mani per soffocare un lungo urlo.

La persona davanti al cancelletto chiuso non era Danny che aveva deciso di giocarle uno scherzo di pessimo gusto, ma bensì Roger.

Era davvero Roger.

Aveva appena parlato con lui e gli aveva dato per ben due volte del ‘coglione’ ed una volta del ‘deficiente’.

Aveva appena parlato con il ragazzo che desiderava di incontrare da otto anni, e le prime parole che gli aveva rivolto erano state degli insulti.

Aveva appena fatto la figura di merda più grande di tutta la sua vita.

Tremando come una foglia, spingendo la porta per ben due volte anziché tirarla e rischiando di inciampare sullo scalino del portico, Jennifer uscì di casa con il volto letteralmente in fiamme ed il fiato corto, ritrovandosi ad aprire il cancelletto, dopo qualche tentativo andato a vuoto perché non ricordava più come si apriva quel dannato cancelletto, con mani che tremavano vistosamente.

“Scusami, scusami tantissimo… Io… Io non volevo darti del coglione e del deficiente… Mi… Mi dispiace davvero tanto, ma… Credevo… Credevo fosse un’altra persona… Io…” prese a balbettare la giovane, nel disperato tentativo di riconnettere il cervello con la lingua, chiedendosi perché la sua voce era diventata fina e stridula come lo squittio di un topolino “scusami, scusami davvero, mi dispiace tantissimo. Non… Non immagini neppure quanto… Vieni, entra, ti faccio strada..”.

Jennifer voltò le spalle a Roger, prese un profondo respiro nel vano tentativo di calmarsi, e lo guidò dentro casa, in cucina, dicendogli che poteva tranquillamente accomodarsi.

‘Stai calma, Jen, stai calma e cerca di mantenere il controllo. Non puoi perdere la testa, non puoi fare di nuovo una figura di merda colossale come quella di poco prima. Questa è la tua grande occasione. Finalmente la tua grande occasione si è presentata e tu non puoi rovinarla comportandoti come una stupida ragazzina infantile. Non hai più quattordici anni. Non sei più la ragazzina pronta a cascare ad uno scherzo telefonico. Sei una donna di ventuno anni. Sei abbastanza grande da comportarti da persona adulta e matura, e non come una groupie esaltata’ si ripeté mentalmente, nascondendo le mani dietro la schiena ed asciugandole di nascosto sul tessuto della maglietta perché erano diventate appiccicose a causa del sudore.

Ma era più facile a dirsi che a farsi.

Come poteva mantenere la calma e comportarsi normalmente quando davanti a lei, a pochi passi di distanza, c’era la persona che per anni aveva desiderato incontrare, sognato, visto solo su fotografie e riviste, e per cui continuava a sospirare di nascosto durante la notte?

Come poteva mantenere la calma e comportarsi normalmente quando davanti ai suoi occhi, in carne ed ossa, reale quanto la stanza in cui si trovavano, c’era Roger Waters?

Jennifer lo osservò in silenzio: nell’ultimo anno, Roger si era lasciato crescere i capelli senza preoccuparsi di accorciarli; ora gli arrivavano fino a metà petto, ed erano appena qualche centimetro più corti di quelli di David.

Dio… Con i capelli così lunghi era ancora più affascinante.

“Scusami davvero tanto” ripeté per l’ennesima volta la giovane, come un disco rotto “non era… Non era assolutamente mia intenzione offenderti… Io… Mi sento… Mi sento una completa idiota”

“Jennifer, tranquilla, non è accaduto nulla. Non sono offeso” rispose lui, con un sorriso, per tranquillizzarla “è successo anche a me un paio di volte di scambiare la voce di una persona con quella di un’altra. Non è un crimine da condannare con l’ergastolo”.

Jen si ritrovò a trattenere il respiro.

Sapeva il suo nome.

Mio dio, Roger Waters si era ricordato il suo nome.

“Sì, in effetti è una cosa che può capitare facilmente, ma è stato… Terribilmente imbarazzante… Mi sento ancora terribilmente imbarazzata, io…”

“Allora facciamo finta che non sia accaduto nulla e ricominciamo da capo, d’accordo? Non c’è stato alcun malinteso al citofono, tu sei uscita subito ad aprirmi la porta e mi hai fatto entrare in cucina, d’accordo?”

“D’accordo”

“Ti senti meglio ora?”.

Jennifer annuì con vigore.

In realtà, si sentiva sempre più vicina all’avere un collasso per la troppa emozione e per la figuraccia a cui continuava a ripensare: aveva detto a Roger che era un doppio coglione, un deficiente e che la sua voce era orrenda.

Una tripla figura di merda in un colpo solo.

Poteva considerarsi una campionessa olimpionica.

“Bene… Allora… Ginger è in casa? Sono venuto qui perché avrei bisogno di parlarle”

“No, non c’è. Al momento è uscita con mommi e Keith, ma dovrebbero essere di ritorno nel giro di poco tempo… Ma puoi tranquillamente aspettarla qui e se vuoi… Se vuoi, nel frattempo, posso prepararti una tazza di the! Stavo giusto per… Stavo giusto per mettere dell’acqua a scaldare nel bollitore”

“Accetto la tua proposta molto volentieri”.

La ragazza riuscì a trattenere a stento un gesto d’esultanza: aveva la possibilità di rimediare alla tripla figuraccia che aveva fatto, e non se la sarebbe lasciata scappare tanto facilmente sbagliando ancora; doveva solo riacquistare il controllo del proprio corpo, del proprio cervello, della propria lingua e ricominciare a comportarsi normalmente… Altrimenti che idea si sarebbe fatto Roger?

‘Smettila di fare la scema, Jen, e sii ragionevole. Fingi che Roger sia un tuo amico d’infanzia e comportati normalmente, come faresti in compagnia di Danny. Preparagli il the più buono che tu abbia mai fatto in tutta la tua vita e, per l’amor del cielo, dì qualcosa di sensato’.

“Allora ti preparo una bella tazza di the al gelsomino. Mommi ne ha presa una confezione nuova proprio ieri, e su una rivista ho letto, per puro caso, che è il tuo preferito” disse sforzandosi di parlare con un tono di voce tranquillo e distaccato, voltando a fatica le spalle a Waters, e frugando all’interno di una credenza per cercare la confezione di the al gelsomino; non era vero che Pamela aveva comprato quella confezione: l’aveva presa lei nella vana speranza che un giorno Roger capitasse per volere del Fato a casa sua.

Il bassista inarcò il sopracciglio destro e piegò le labbra in una strana smorfia nel tentativo di trattenere una risata.

“Non ho mai bevuto the al gelsomino in tutta la mia vita, ma se la stampa dice che è il mio preferito allora mi fido” commentò con una nota di sarcasmo nella voce; ma quando notò il panico più totale sul viso di Jennifer, che a quella notizia inaspettata si era girata di scatto facendo quasi cadere a terra il bollitore, si affrettò a minimizzare l’intera faccenda “però lo assaggio molto volentieri… Magari dopo aver bevuto quello preparato da te potrebbe diventare davvero il mio preferito, solo che io ancora non lo so”

“Già, sì, hai… Hai ragione” balbettò Jen, ritornando ad armeggiare con i fornelli, il bollitore, l’acqua, la bustina e la zuccheriera: la quarta figuraccia nel giro di pochi minuti era andata, e adesso sentiva sempre di più il panico crescere dentro di lei “e comunque questo dimostra appieno quanto siano poco affidabili i giornali, soprattutto quando si parla di gossip: da un lato inventano fatti che non corrispondo alla realtà, e dall’altro invadono fin troppo l’intimità di una persona quando si tratta di questioni molto delicate e personali… Per esempio… Per esempio come hanno fatto, e come continuano a fare, con Syd o… O anche con il tuo divorzio… Non che io abbia letto quella robaccia, forse mi è caduto l’occhio su un articolo o due, però so che ci sono andati giù abbastanza pesante e…”.

Ma cosa diavolo stava dicendo?

Come le era saltato in mente di parlare di Syd e di nominare il divorzio da Judith proprio davanti a lui? A questo punto, già che c’era, poteva completare l’opera in bellezza dicendogli che gli dispiaceva per suo padre che non aveva mai fatto ritorno dalla guerra.

Così, poi, avrebbe raggiunto il massimo picco dell’umiliazione personale.

“… E ho messo due cucchiaini di zucchero nella tua tazza di the. Spero che almeno in questo la stampa ci abbia azzeccato”

“Più o meno. Io lo prendo sempre senza zucchero”

“Ohh”.

Perfetto.

Tutto continuava ad andare di male in peggio.

E adesso? Adesso che altro le avrebbe fatto desiderare di essere assorbita dal pavimento e di sparire per sempre dalla faccia della Terra?

“Questo cos’è?”.

Jennifer trovò la risposta alla domanda che si era appena posta mentalmente non appena si girò, con le due tazze contenenti the bollente in mano: quando aveva visto Roger dall’altra parte del cancelletto, si era precipitata fuori senza preoccuparsi di nascondere la rivista ed il disegno che stava realizzando, ed ora… Ora il bassista stava osservando un palese ritratto a matita di sé stesso, che doveva essere ancora aggiustato in diversi punti e rifinito nelle ombreggiature; la ragazza posò le due tazze di porcellana sopra il tavolo e, ignorando le guance in fiamme, scrollò le spalle e finse un’aria indifferente.

“Mi piace disegnare quando sono nervosa… Mi aiuta molto a rilassare i nervi… Ma lascialo perdere, è solo uno schizzo… Una bozza… Un soggetto maschile astratto” rispose agitando la mano destra, arrossendo ancora più intensamente.

Ma chi voleva prendere in giro? Era palese e chiaro come la luce del sole che quello era un ritratto di Roger.

E sulle labbra del bassista, infatti, si delineò un sorrisetto divertito.

Un soggetto maschile astratto” ripeté senza mai smettere di sorridere, spostando gli occhi azzurri dal foglio al viso di Jennifer, facendole perdere un battito al cuore “sembra molto affascinante questo soggetto maschile astratto, anche se… Anche se ha dei lineamenti un po’… Un po’ equini con questi zigomi sporgenti e questo viso così magro e lungo… Mi piacerebbe vederlo concluso questo ritratto”.

Ecco, ora la stava pure prendendo in giro.

Grandioso.

Roger ripose il foglio da parte, prese in mano una tazza e mandò giù un lungo sorso di the caldo; Jen si augurò che almeno il the al gelsomino l’aiutasse ad uscire dalla orribile situazione in cui si era incastrata con le sue stesse mani, ma capì subito che le sue preghiere non sarebbero state esaudite quando vide Waters piegare le labbra in una smorfia di disgusto e mandare giù a fatica la bevanda.

“C’è qualcosa che non va?” domandò preoccupata, con voce tremante, per nulla sicura di voler sentire la risposta “non ti piace il the al gelsomino?”

“No, non è quello” mormorò lui, posando la tazza sopra il piattino coordinato “il the al gelsomino sembra essere buono. Il vero problema è un altro: credo tu abbia scambiato lo zucchero con il sale”.

Jennifer spalancò gli occhi e la bocca incredula, si voltò a guardare la credenza e si rese conto che quello appoggiato vicino al fornello spento, ancora sprovvisto di tappo, non era il barattolo dello zucchero… Ma bensì quello del sale.



 
“Mamma, mamma, mamma!” esclamò Keith, tirando un lembo di stoffa della gonna di Ginger ed indicandole un paio di scaffali più avanti “mamma, posso andare laggiù a vedere le caramelle ed i cioccolatini? Per favore, mamma, per favore!”

“Va bene, tesoro, ma resta dove io e la nonna possiamo vederti e torna subito indietro quando ti chiamiamo, d’accordo?”

“D’accordo, mamma… Mamma, posso prendere qualcosa? Sono stato bravo e non mi sono mai lamentato! Per favore, posso prendere un dolcetto?”

“D’accordo, Keith, ma ad una condizione: o prendi una confezione di caramelle o una di cioccolatini, hai capito? Puoi scegliere solo una di queste due opzioni. Non voglio che mangi troppi dolci, altrimenti poi avrai i denti pieni di carie e sarò costretta a portarti dal dentista”

“Grazie mamma!” esclamò il bambino con uno sguardo ed un sorriso luminosi, affrettandosi a raggiungere la corsia dei dolciumi che aveva adocchiato nel momento stesso in un erano entrati nel grande magazzino e che aveva continuato a fissare con bramosia, finché non aveva trovato il coraggio di fare quella richiesta alla madre.
Ginger lo guardò allontanarsi con un sorriso sulle labbra.

Due mesi prima Keith aveva compiuto sei anni.

A settembre avrebbe iniziato ad andare a scuola.

A casa, piegata con cura e riposta in un cassetto dell’armadio, c’era già la sua prima uniforme scolastica.

Il sorriso sulle labbra della ragazza si spense, sostituito da una espressione malinconica: suo figlio stava per andare a scuola e forse non sarebbe stata a suo fianco; ed anche se da lì ad un mese la malattia si fosse dimostrata clemente con lei, permettendole di essere presente all’inizio del percorso scolastico del suo primogenito, in ogni caso non avrebbe assistito all’inizio di quello di Demi.

Non ci sarebbe stata ad aiutarli con i compiti, non ci sarebbe stata ad esultare con loro per i primi voti positivi ed a sgridarli per quelli negativi, e durante le recite scolastiche natalizie i suoi due bambini non l’avrebbero vista seduta in prima fila, ad agitare una mano con un sorriso a trentadue denti ed a scattare loro una valanga di foto: si sarebbe persa ogni cosa.

Il tutto per una stupida malattia che aveva deciso di presentarsi da un giorno all’altro all’inizio del suo ventiseiesimo anno di vita.

Ginger abbassò lo sguardo sul vestito che aveva in mano da ormai diversi minuti, e lo ripose al suo posto.

“Perché lo hai riappeso? Non vuoi provarlo? Credevo ti piacesse” disse Pamela, riprendendolo in mano, cercando di persuadere la figlia adottiva “perché non lo provi prima di scartarlo definitivamente? Avanti”

“Non mi va”

“Provare non costa nulla. Se non vuoi farlo per te, allora fallo per me” insistette la donna, allungando il vestito verso Ginger; lei lo prese in mano con un sospiro, entrò in un camerino libero ed uscì poco dopo con addosso il lungo abito rosa cenere, posizionandosi davanti ad uno specchio messo a disposizioni delle clienti “Ginger, questo vestito è semplicemente meraviglioso e ti sta d’incanto”.

Le labbra della ragazza si strinsero in una pallida linea sottile.

Sì, il vestito era meraviglioso, con quella gonna lunga che scendeva morbida, la cintura in vita e le spalline sottili… Ma no, non le stava affatto d’incanto.

Rendeva solo più evidente il decadimento fisico a cui stava andando incontro giorno dopo giorno.

Da quando era stata dimessa dall’ospedale, Ginger era vistosamente dimagrita: i suoi fianchi, le braccia e le gambe si erano fatti più sottili, ed il rosa acceso della pelle si era trasformato nel pallore grigiastro tipico di chi covava dentro di sé qualcosa che non andava; anche il suo viso tondo e paffuto, che un tempo era il ritratto della salute, era diventato un ovale bianco, scavato e smunto.

Sempre più spesso, la giovane era costretta a fare ricordo a quantità sempre più consistenti di trucco per nascondere l’avanzamento progressivo della malattia che la stava divorando dall’interno, ma ad ogni giorno che passava, diventava sempre più difficile nascondere i segni ai suoi occhi, a quelli della sua famiglia ed a quelli dei suoi bambini.

Demi era ancora troppo piccolo per capire appieno, ma Keith era ormai grande abbastanza per rendersi conto che c’era qualcosa che non andava; Ginger era sicura che il suo primogenito non le avesse ancora chiesto nulla sul suo lungo ricovero ospedaliero e sul suo aspetto malsano per paura della risposta che avrebbe ricevuto, e non perché non si fosse accorto di nulla.

Anche i suoi capelli non erano più gli stessi: la folta e lunga chioma fiammeggiante di un tempo si era spenta ed era diventata più fragile, talmente fragile che a volte, quando si faceva la doccia, tra le mani della ragazza restavano delle piccole matasse rosse.

Quell’aspetto della malattia aveva portato Ginger a prendere una drastica decisione, ed all’ennesima rinuncia: un giorno di marzo, con la primavera alle porte, aveva impugnato un paio di forbici ed aveva detto addio per sempre ai suoi lunghi ed amati capelli fiammeggianti, che le avevano valso il soprannome che si portava appresso da quando aveva cinque anni.

Ora, le sfioravano appena le spalle.

La giovane distolse lo sguardo dal proprio riflesso allo specchio e si girò verso la madre adottiva, seduta su una poltroncina alle sue spalle.

“Non ha alcun senso spendere soldi per questo vestito. Non avrei alcuna occasione per indossarlo e finirebbe per restare dentro l’armadio con ancora l’etichetta incollata”
“Tesoro, non dire così”

“Perché? Sto solo dicendo la verità. Per quel che sappiamo, potrei andarmene in qualunque momento”

“No, non ti permetto di dire questo” Pamela si alzò dalla poltroncina, raggiunse la figlia adottiva maggiore e le strinse le mani “Ginger, non devi assolutamente dire così, non voglio mai più sentirti pronunciare parole simili. Non possiamo lasciarci andare alla disperazione in questo modo, dobbiamo avere speranza”

“Speranza?” le labbra della rossa s’incresparono in un sorriso sarcastico “che speranza posso avere, mommi, con quello che i medici hanno detto? Sono stati molto chiari a riguardo: non posso fare altro che godermi il tempo che mi rimane e sperare che sia il più lungo possibile”

“No, non è così che dovresti ragionare. Io non… Io non voglio perdere la speranza, non voglio perderla finché non sarà troppo tardi… Ogni giorno c’è una nuova scoperta, perché… Perché non può accadere che riescano a trovare la cura alla tua malattia? È già successo in passato. A volte accadono miracoli simili, perché non dovrebbe andare così anche con te?”

Mommi…”

“Hai ventisei anni, Ginger” continuò Pam, con voce incrinata, rafforzando la presa sulle mani della giovane “hai appena ventisei anni ed una vita davanti a te da ricostruire. Non puoi… Non puoi andartene così presto, non ci puoi abbandonare ad appena ventisei anni, Ginger! È troppo presto, sarebbe troppo presto per chiunque! Come faranno Keith e Demi senza di te?”

“Di loro non mi preoccupo perché so che saranno in ottime mani: Demi ha suo padre e la sua nuova compagna, mentre Keith avrà te e Jennifer”

“Ma loro hanno bisogno della loro mamma, Ginger!”.

La ragazza socchiuse le labbra per rispondere, ma venne bloccata dall’arrivo improvviso di Keith che ritornò, tutto trafelato, dal reparto dolciumi portando con sé una confezione di cioccolatini ed una di caramelle gommose e colorate, trasgredendo all’ordine ricevuto in precedenza.

“Mamma, mamma, mamma! Lo so che avevi detto che potevo scegliere solo una cosa, ma… Ecco… Io ci ho provato, ma è stato impossibile perché hanno entrambi un aspetto troppo invitante!” cercò di giustificarsi con gli occhi verdi spalancati “posso prendere entrambi, per favore? Solo per questa volta, mamma! Ti prometto che è solo per questa volta! Per favore, per favore, per favore!”

“D’accordo, Keith” si arrese Ginger con un sorriso, passandogli la mano destra tra i ricci neri “solo per questa volta”.

Dio, quanto le sarebbe mancato accarezzare quei bellissimi e morbidissimi riccioli neri.
 

Ritorna all'indice


Capitolo 50
*** Border (Parte Cinque) ***


Ginger, Pamela e Keith, di ritorno dal pomeriggio estivo di svago, vennero raggiunti da Jennifer dopo aver varcato il cancelletto della loro abitazione.

La ragazza li raggiunse correndo, trafelata, con il volto paonazzo, balbettando parole apparentemente prive di senso.

“Ginger… Ginger, devi… Devi andare dentro. Subito. Lui… Lui ti sta aspettando… In cucina. Mio dio, mio dio, mio dio… Mio dio, che figura che ho fatto, mommi, non potrò dimenticarla per il resto della mia vita! Gli ho servito il the con il sale al posto dello zucchero, te ne rendi conto, mommi? Gli ho servito il the con il sale al posto dello zucchero!” gemette, mettendosi letteralmente le mani tra i capelli e lasciandosi scappare un verso disperato; Ginger rivolse alla sorella minore uno sguardo perplesso ed entrò per prima in casa, per vedere chi fosse la persona che la stava aspettando e che era arrivata senza alcun preavviso.

Si bloccò sulla soglia della cucina alla vista di Roger e, dopo avergli rivolto uno sguardo impassibile, entrò nella stanza e posò la busta di carta marrone, che aveva in mano, affianco al lavandino, ed iniziò lentamente a tirare fuori la spesa, dandogli le spalle, ignorando apertamente la sua presenza.

“Ehi” disse lui, per attirare la sua attenzione, ma continuò ad essere ignorato.

“Ohh, Roger!” esclamò Pamela con un sorriso, entrando a sua volta in cucina insieme a Keith; Jennifer, invece, rimase un po’ più indietro, seminascosta dietro lo stipite della porta, perché si vergognava troppo di stare davanti a Roger dopo la serie infinita di figuracce che aveva fatto, e dopo avergli servito del the col sale al posto dello zucchero “quanto tempo è passato dall’ultima volta che ci siamo visti! Come stai? Sbaglio o i tuoi capelli sono leggermente cresciuti? Ricordo che avevi la frangia ed un caschetto molto corto… Ora sono quasi più lunghi dei miei”

“L’ultimo periodo è stato piuttosto movimentato, signora Anderson. Sistemarmi i capelli non rientrava nelle mie priorità… E poi, devo dire che non mi dispiacciono affatto così lunghi, anche se mia madre non è molto d’accordo. Lei pensa che i maschi debbano portare i capelli corti, mentre le femmine i capelli lunghi e… Ultimamente ha preso l’abitudine di ricordarmi che lei ha due figli maschi, e non un maschio ed una femmina”

“Secondo me non sembri affatto una femmina” intervenne Keith “le femmine non sono così alte”

“Ohh, beh, ti ringrazio, Keith. È da un po’ di tempo che neppure noi due ci vediamo, vero? Come sta il tuo riccio George?”

“George adesso non sta molto bene. Credo che abbia preso un brutto raffreddore”

“Ohh, mi dispiace che il tuo riccio abbia preso un brutto raffreddore proprio adesso che è estate… Quindi hai preso quei cioccolatini e quelle caramelle per tirargli un po’ su il morale?”

“No, assolutamente no. George è un riccio, ed i ricci mangiano i vermi. Non mangiano la cioccolata e le caramelle gommose. Sono per me”

“Per te?” continuò il bassista sporgendosi in avanti, verso il bambino “e sei proprio sicuro di riuscire a mangiare tutti quei cioccolatini e tutte quelle caramelle completamente da solo? Non hai paura che possa venirti un brutto mal di pancia e poi George non sarebbe più l’unico a stare male? E se tu stai male, chi si prenderà cura del tuo riccio?”.

L’espressione di Keith diventò improvvisamente seria e corrucciata, perché le parole di Roger lo avevano fatto riflettere su un quesito che non si era posto: era già stato male per colpa di troppe schifezze ingurgitate in passato, ma era sempre accaduto prima dell’arrivo di George; che cosa avrebbe fatto se avesse avuto di nuovo il mal di pancia e ciò gli avesse impedito di prendersi cura del suo adorato riccio?

Il bambino spalancò gli occhi e corse fuori dalla cucina, salendo di corsa le scale e chiudendosi nella propria cameretta con le due confezioni strette tra le braccia.

Pamela rise e scosse la testa per la buffa reazione del suo nipotino più grande.

“Ora non mangerà più schifezze per il resto della sua vita. Se lo avessi saputo, ti avrei chiesto di fargli questo discorso molto tempo fa… Non è vero, Ginger? Ginger? Non dici nulla?”

“Che cosa dovrei dire?”

“Non hai sentito quello che ha detto Roger?”

“Io non vedo nessuno dentro questa stanza” disse in tono secco la ragazza, continuando a tirare fuori la spesa dalla busta marrone; Pamela spalancò gli occhi azzurri, sconcertata dalla risposta.

“Ginger, ma…”

“Signora Anderson, potrebbe lasciarci da soli per qualche minuto, se non è un problema? Avrei bisogno di parlare con Ginger” la bloccò il bassista “per favore”.

Pam guardò prima la figlia adottiva, poi il bassista ed infine annuì; uscì dalla cucina portando dietro con sé Jennifer, riluttante, perché improvvisamente le era tornato in mente che doveva andare in negozio a prendere una cosa urgente che aveva dimenticato proprio lì dentro.

Quando la porta d’ingresso si chiuse con un tonfo sordo, Waters concentrò lo sguardo sulla giovane che gli dava ancora le spalle e che si stava occupando ancora della spesa.

“Hai una sorella proprio adorabile, lo sai? Credo che prima sia andata leggermente nel panico perché mi ha servito una tazza di the con due cucchiaini di sale al posto dello zucchero” rimase in silenzio, in attesa di una risposta, ma Ginger sembrava essere troppo impegnata a sistemare i cartoni del latte nel frigorifero per fare altro “Ginger? Ginger, puoi girarti e guardarmi, per favore? Sono venuto qui per parlarti e vorrei farlo guardando i tuoi occhi e non la tua schiena”.

La giovane chiuse lo sportello del frigo con forza eccessiva e si voltò, finalmente, a guardare Waters in faccia, con le braccia incrociate sotto il seno; lui la fissò di rimando e rimase sconcertato alla vista dei cambiamenti che aveva subìto nell’arco di sei mesi: era la pallida ombra della ragazza che aveva conosciuto otto anni prima.

“Perché sei venuto qui? Che cosa vuoi da me?” domandò in tono freddo e duro, con uno sguardo altrettanto glaciale.

Non si vedevano né sentivano dalla notte movimentata che avevano condiviso quasi un anno prima.

Roger abbassò per un momento lo sguardo, serrò con forza la mascella e poi tornò a fissare negli occhi la rossa.

“Richard mi ha detto tutto” disse infine, senza aggiungere qualunque altro commento perché sarebbe stato superfluo; Ginger inarcò le sopracciglia e scosse più volte la testa, sconcertata.

“Non ci posso credere!” esclamò “non posso credere che lo abbia fatto davvero! Gli avevo espressamente detto di non…”

“Gli altri non sanno nulla, lo ha detto a me perché l’ho costretto a parlare dopo che hai dato le dimissioni con così poco preavviso. Pensavo che la tua scelta avesse a che fare con il divorzio tra te e David, ma ho capito che dietro c’era altro quando l’ho sorpreso in Studio a piangere”

“D’accordo, va bene, sai tutto e… E quindi? Sei venuto fin qui solo per dirmi questo?”

“No, io…”

“Non m’importa quello che hai da dirmi, ho già sentito abbastanza. Puoi andartene, non sono intenzionata a trattenerti un solo istante in più. Di sicuro avrai molto a cui pensare, altre cose di cui occuparti. Passa una buona giornata, Roger”

“Tutto qui? Tu… Tu sai dirmi solo questo?”

“E cos’altro dovrei dirti? Cos’altro dovrei fare?”

“Ginger, ti rendi conto che non puoi andare avanti in questo modo? Ti rendi conto che non stiamo parlando di una sciocchezza? Non puoi continuare a tenere nascosta una… Una cosa simile! Perché stai innalzando un muro tra te e gli altri?”

“Roger, qui non sono io la persona che sta innalzando un muro tra sé ed il resto del mondo. I medici a gennaio sono stati molto chiari con me: non posso fare altro che godermi il tempo che mi resta con le persone a cui tengo di più, ed è proprio ciò che sto facendo. Passo ogni giornata in compagnia dei miei figli come se fosse sempre l’ultima, e quando vado a letto spero di risvegliarmi la mattina seguente. Io non ho alcun obbligo nei vostri confronti. L’ho detto a Richard perché è il mio migliore amico, ma per quanto riguarda gli altri… Perché mai avrei dovuto farlo?” domandò la giovane, appoggiando le mani sul bordo del lavandino “Nick e Lindy hanno avuto la loro seconda figlia pochi mesi fa, perché dovrei rovinare il loro momento felice con una notizia così brutta?”

“E David, allora? Non pensi che nonostante tutto lui abbia il diritto di sapere che la madre di suo figlio sta molto male?”

“David ha Virginia”

“E questo cosa significa?”

“Si sentirebbe costretto a starmi vicino, ed io non voglio questo. L’ho detto a Rick il giorno in cui è venuto a farmi visita in ospedale: non voglio vedere facce tristi e addolorate attorno a me, non voglio la vostra compassione. Voi tutti dovete continuare con la vostra vita, ed io con la mia. Voglio stare con Keith e Demi il più possibile ora che ne ho l’opportunità, perché saranno molte le occasioni importanti che mi perderò” Ginger abbassò il viso per non far vedere a Roger che le sue labbra avevano iniziato a tremare: accadeva sempre così quando l’argomento in questione erano i suoi due bambini.

Negli ultimi sei mesi, dopo lunghe lotte e lunghi pianti, era arrivata ad accettare il destino inevitabile a cui stava andando incontro a braccia aperte; ciò che non riusciva ad accettare, e per cui ancora piangeva, era l’addio che avrebbe dovuto dare a Keith e Demi.

Waters abbassò a sua volta gli occhi e prese a tormentarsi le dita affusolate, cariche di anelli metallici.

“Non vuoi neppure farti curare in qualche modo” mormorò poi, sollevando di nuovo il viso corrucciato “perché?”

“Perché non c’è cura, te l’ho già detto”

“Ma c’è la sperimentazione. Mi sono informato a riguardo, ed ho letto che…”

“E cosa dovrei fare? Trascorrere gli ultimi mesi, o le ultime settimane, che mi restano chiusa nella stanza di un ospedale, imbottita di farmaci, a sopportare chissà quali dolori allucinanti e vivere in una illusione che verrà infranta in continuazione? No, Roger, se questa deve essere la mia fine, allora lascia che sia io a decidere come deve essere: non voglio mai più varcare la porta d’entrata di un pronto soccorso. Voglio stare qui, nella casa in cui sono cresciuta, insieme alla mia famiglia ed ai miei bambini. Voglio… Voglio andarmene serena”

“Perché non vuoi farti aiutare? Dici che i tuoi figli sono tutto per te, ma non fai nulla per cercare di rimanere insieme a loro il più a lungo possibile!”

“Proprio perché questo non è possibile!” esclamò Ginger, alzando la voce, ed i suoi occhi scuri si rianimarono per un momento “credi che sia facile per me? Credi che io non voglia rimanere con loro? Credi che sia stato semplice accettare ciò che mi aspetta? No, non lo è stato affatto, e non riesco a farmene ancora una ragione… Io ho paura, sono terrorizzata, ma ci sono solo due cose che posso fare: o rannicchiarmi in un angolo a piangere e ad aspettare la fine, oppure godermi ogni singolo momento al massimo. Ed io ho scelto la seconda opzione. E non voglio sprecare il mio tempo a discutere con una persona come te, perché non ne vale la pena… Puoi andare, adesso, e questa volta spero che seguirai il mio consiglio”

“Ginger…”

“Per favore, vattene, non costringermi ad urlare. Non ne avrei comunque la forza” disse a denti stretti la rossa, rifiutando ogni contatto visivo con il bassista “per favore. Vattene, ed esci completamente dalla mia vita”.

Roger sospirò, ed alla fine acconsentì alla richiesta di Ginger: si alzò dalla sedia e se ne andò senza dire una sola parola, limitandosi a lanciarle un’ultima occhiata ed a scuotere la testa.

Una volta rimasta da sola, la giovane scivolò a terra, ritrovandosi seduta sul pavimento, si coprì il viso con le mani e scoppiò in un pianto disperato.



 
“Roger! Roger!”.

Roger si fermò sul vialetto che portava all’abitazione e si voltò, sentendosi chiamare a gran voce.

Keith corse da lui e gli porse un pacchetto che aveva confezionato lui stesso prendendo della carta di alcuni vecchi quotidiani.

“Questo è per te, l’ho fatto io!” esclamò prima di scappare via, rientrando in casa e scomparendo dietro la porta d’ingresso; il giovane fissò il pacchetto con un’espressione perplessa ed incredula e poi proseguì verso la macchina che aveva parcheggiato vicino al marciapiede.

Appoggiò il regalo sul sedile anteriore sinistro, e lo aprì dopo essere rientrato a casa.

Si sedette sul divano, strappò l’involucro di carta di giornale e fissò il contenuto con un’espressione sorpresa.

Keith gli aveva regalato la confezione di cioccolatini e quella di caramelle gommose e colorate.
 

Ritorna all'indice


Capitolo 51
*** Brighton ***


1974, settembre.


 
Ginger era fermamente convinta che nulla avrebbe più potuto sconvolgerla dopo l’orribile notizia che un medico le aveva comunicato a gennaio, invece si ritrovò costretta a ricredersi una mattina di metà settembre, nell’esatto momento in cui Pamela si posizionò davanti a lei a braccia incrociate e le comunicò, con voce ferma e decisa, di fare le valige.

La giovane richiuse il libro di favole che stava leggendo a Keith ed al piccolo Demi e rivolse un’occhiata perplessa alla madre adottiva.

“Come?” chiese, sicura di avere capito male, mentre Jennifer si univa a loro arrivando dalla cucina.

“Hai sentito benissimo: svuota il tuo armadio e prepara la valigia. Preparate tutti quanti le valige perché partiamo”

“Partiamo? E dove andiamo? Partiamo per un viaggio?”

“No” rispose la donna, scuotendo la chioma bionda “non partiamo per un viaggio. Ci trasferiamo”.

Nell’udire quelle parole, Ginger spalancò gli occhi e la bocca.

“Ci trasferiamo?” ripeté “come sarebbe a dire che ci trasferiamo? Per quale motivo? Dove stiamo andando? Per quanto tempo?”

“Per il tempo che sarà necessario” disse semplicemente Pamela senza aggiungere altro.

“E dove andremo?” chiese Jennifer, sbalordita almeno quanto la sorella maggiore, perché la notizia era stata per tutti un fulmine a ciel sereno, esattamente come quella della malattia di Ginger “mommi, come farai con il negozio se ora ci stiamo per trasferire?”

“Andremo non molto lontano da qui, ed il negozio adesso non ha alcuna importanza. Andate nelle vostre camere e fate le valigie senza perdere tempo. In macchina risponderò a tutte le vostre domande, adesso non è il momento” rispose Pamela in tono autoritario, battendo le mani.

La rossa non obiettò, si alzò dal divano ed andò al piano di sopra con i suoi due bambini: Demi non aveva capito quello che stava succedendo, mentre Keith sembrava essere molto più elettrizzato che perplesso all’idea di cambiare casa e di andare in una cittadina completamente ignota.

A lui bastava sapere che poteva portarsi appresso George, tutto il resto non aveva importanza.

L’intero nucleo famigliare trascorse le successive tre ore e mezza a preparare valigie che andarono a riempire il bagagliaio della macchina di Pamela e quello della macchina di Jennifer; Ginger non aveva più la sua da mesi perché era troppo debole per mettersi alla guida di un veicolo.

Quando finalmente partirono, nel primo pomeriggio, la rossa si voltò a guardare la madre adottiva e le chiese spiegazioni riguardo al posto in cui si stavano trasferendo.
“Andiamo a Brighton. Non è così lontana da qui, dovremo arrivarci in un’oretta al massimo, ed è vicina al mare. Dicono che le spiagge, lì, siano bellissime”

“E perché stiamo andando proprio lì, mommi? Non ci sto capendo niente”

“Perché una mia vecchia zia, molti anni fa, mi ha lasciato in eredità la sua casa, e credo che questo sia il momento migliore per sfruttarla”

“Non mi hai mai parlato di questa casa vicino al mare” mormorò la ragazza, corrucciando le sopracciglia; Pamela si umettò le labbra con la punta della lingua e mantenne lo sguardo fisso sulla strada davanti a sé.

Di tanto in tanto lanciava un’occhiata allo specchietto retrovisore per essere sicura che la macchina di Jennifer fosse ancora dietro alla sua.

“Non te ne ho mai parlato perché non pensavo che l’avrei mai utilizzata, ma adesso le cose sono cambiate. Per una situazione straordinaria servono misure straordinarie, e tu hai bisogno di allontanarti dal centro caotico di Londra per stare in un posto più tranquillo e pacifico e… La casa di mia zia a Brighton, poco lontana dal mare, è proprio quello di cui hai bisogno. E riguardo questo non accetto proteste”

“E come farai con il negozio? Sarai costretta a fare due lunghi viaggi ogni giorno”

“Non ha alcuna importanza. C’è gente che è costretta a fare molta più strada ogni singolo giorno per andare a lavoro e tornare a casa”

Mommi, io non credo che…”

“No, Ginger, ho detto che non accetto proteste e non sono intenzionata a ritornare sui miei passi: ci trasferiremo momentaneamente nella casa a Brighton, perché è la soluzione migliore per tutti quanti… Anche ai bambini farà bene cambiare aria per un po’”

“E come faremo con Keith che ha iniziato da poco ad andare a scuola e con Demi quando dovrà andare a casa da suo padre?”

“Penserò a tutto io” tagliò corto, risoluta, Pamela con lo sguardo sempre concentrato sulla strada davanti a sé.

Ginger non protestò più né si ribellò alla folle idea della madre di fare le valigie e trasferirsi vicino al mare senza un briciolo di preavviso; ma quando parcheggiarono le due macchine davanti alla loro nuova residenza, si ritrovò a trattenere il fiato per l’incredulità: quella davanti ai suoi occhi non era una semplice casetta, come lei stessa aveva immaginato, ma una vera e propria villa a tre piani con un bellissimo balcone da cui si poteva osservare la spiaggia di ghiaia ed il mare mosso dal vento.

Keith, tenendo Demi per mano affinché non cadesse, entrò per primo nella enorme abitazione e proruppe in una esclamazione di puro stupore e meraviglia.

“È bellissima!” esclamò, guardandosi attorno estasiato, per poi prendere il fratellino in braccio “forza, Demi, andiamo di sopra a scegliere le nostre camere da letto! Voglio che la mia si affacci sul mare! Durante la notte voglio addormentarmi cullato dal rumore delle onde che s’infrangono contro gli scogli!”.

I due bambini sparirono rumorosamente al primo piano; Ginger non li riprese perché era ancora incantata ad osservare la bellissima dimora marittima di cui Pamela non le aveva mai parlato.

“Mio dio, è davvero stupenda!” commentò a sua volta Jennifer, coprendosi la bocca con entrambe le mani “Ginger, non trovi che sia davvero stupenda questa casa?”

“Sì… Sì, lo è davvero” mormorò la rossa, osservando i bellissimi mobili e le ampie vetrate che consentivano una perfetta illuminazione naturale.

Non c’era alcun dubbio che quella casa fosse semplicemente stupenda.

Tuttavia… Tuttavia c’era qualcosa nelle spiegazioni di Pamela che non la convinceva fino infondo.



 
Ginger scoprì la verità cinque giorno più tardi, dopo essersi risvegliata da un breve ed agitato sonno pomeridiano; spesso, ormai, andava a coricarsi subito dopo pranzo, perché veniva colta da una spossatezza improvvisa che la lasciava completamente priva di forze.

La giovane scese, avvolta in una lunga vestaglia da notte, al piano inferiore e si bloccò ai piedi della scala, alla vista di un indumento e di un piccolo oggetto che giacevano sopra il divano in pelle bianca: una giacca in pelle col colletto in pelliccia scura, ed un pacchetto bianco e rosso di sigarette Marlboro.

Nella sua cerchia ristretta di conoscenze, c’era una sola persona che indossava in quasi ogni occasione quella giacca e che fumava assiduamente quelle orribili sigarette che puzzavano terribilmente.

Ginger sentì delle voci provenire da sotto il portico che si affacciava sulla parte posteriore della villa a tre piani e si precipitò lì, fermandosi davanti alla porta finestra scorrevole che accedeva direttamente al piccolo portico: proprio lì, seduti su alcune poltroncine in vimini, c’erano Pamela, Jennifer e Roger intenti a chiacchierare ed a sorseggiare della limonata fresca, che Jen aveva preparato con le sue stesse mani… Questa volta senza confondere il barattolo dello zucchero con quello del sale.
Roger fu il primo ad accorgersi della presenza della ragazza: posò il bicchiere di limonata sopra un basso tavolino e le rivolse un sorriso.

“Buongiorno” disse “spero che le nostre voci non ti abbiano disturbata”.

Ginger guardò il trio senza dire una sola parola, poi scosse la testa e sparì velocemente in casa.

“Ginger!” esclamò Pamela, alzandosi dalla poltroncina in vimini per raggiungerla e parlarle, ma venne preceduta da Roger che la bloccò appoggiandole una mano sulla spalla destra.

“No, vado io a parlarle” mormorò il bassista, uscendo dal portico e rientrando in casa; seguì la giovane sulle scale e riuscì a raggiungerla solo nella sua camera da letto “Ginger… Ginger… Puoi smetterla di scappare da me? Puoi fermarti un istante ed ascoltare quello che ho da dirti, per favore?”

“Io non voglio assolutamente ascoltare nessuna parola che uscirà dalla tua bocca, Roger… Mio dio… Che cosa non hai capito di quello che ti ho detto il mese scorso? Non sono stata abbastanza chiara quando ti ho detto di sparire completamente e per sempre dalla mia vita? Si può sapere che cosa vuoi da me? Perché continui a tormentarmi?” gridò la rossa, uscendo dallo stato apatico in cui trascorreva la maggior parte delle sue giornate, ritrovando una piccola scintilla del carattere indomabile di un tempo.

“Perché voglio aiutarti” urlò di rimando il bassista “voglio aiutarti perché tu non stai facendo nulla per aiutare te stessa!”

“E si può sapere perché diavolo vuoi farlo? Tu? Proprio tu? Dopo tutto quello che mi hai fatto, dopo il modo orribile in cui ti sei sempre comportato nei miei confronti, dopo tutti gli insulti e le offese che mi hai rivolto in questi anni, hai la grandissima faccia tosta di venire da me a dirmi che vuoi aiutarmi da qualcosa che non può essere curato in nessun modo possibile? Perché lo stai facendo?” la ragazza si sforzò di abbassare la voce fino a trasformarla in un sussurro, per evitare che anche una sola parola potesse arrivare accidentalmente alle orecchie di Jennifer; l’ultima cosa che desiderava al mondo, era spezzarle il cuore nel modo più crudele possibile “è perché abbiamo scopato e quindi credi che questo significhi che c’è qualcosa tra noi due? Beh… Puoi pure dimenticare quella notte, perché è stata solo un terribile errore che ho rimosso completamente dalla mia mente. Ero confusa e non sapevo quello che stavo facendo, i sentimenti non c’entrano. Tra noi due non potrà mai esserci nulla, Waters, assolutamente nulla. Credo che al mondo non esistano due individui meno compatibili di noi”

“Anche tu non avevi alcun obbligo nei miei confronti quando eravamo in Italia o quando è finito il mio matrimonio con Judith, eppure mi hai assistito ed hai ascoltato il mio sfogo, lasciando da parte qualunque pregiudizio che avevi nei miei confronti… Ed è lo stesso che sto facendo io adesso. Perché… Perché nonostante tutto, nonostante il rapporto sempre burrascoso che c’è stato tra noi due, non è giusto quello che ti sta accadendo… Ed io…” Roger si fermò per deglutire un grumo di saliva, ogni singola parola sembrava essersi trasformata in un macigno pesante da far risalire lungo la gola “ed io sono sicuro che Syd non me lo perderebbe mai se non facessi tutto ciò che è in mio potere di fare… Io… Ho già perso il mio migliore amico senza fare nulla per impedirlo, non voglio commettere lo stesso errore una seconda volta”

“Ohh, mio dio, non ci posso credere… Tu lo stai facendo… Tu lo stai facendo perché sei divorato dai sensi di colpa per non avere aiutato Syd” le iridi scure di Ginger si accesero di una luce trionfale, mentre quelle chiare di Waters erano incollate alle assi di legno del pavimento; finalmente il momento da lei tanto atteso era arrivato “e tu credi davvero che aiutare me ti aiuterà ad espiare il senso di colpa per non avere fatto nulla per il tuo migliore amico? Roger, apri bene le orecchie: ciò che vuoi fare non ti aiuterà affatto a lavarti la coscienza. Tu dovrai fare i conti per sempre con il rimorso di avere messo i tuoi interessi personali al primo posto, anteponendoli alla salute fisica e mentale del tuo migliore amico… Continueranno a mangiarti lentamente il cervello come i vermi che Syd diceva di avere dentro il proprio. Roger, ti ripeto quello che ti ho detto un mese fa: non sono io la persona che sta innalzando un muro invisibile tra sé stessa ed il resto del mondo. E quel muro continuerà a crescere e crescere… Finché non diventerà troppo alto per essere scalato e troppo spesso per essere abbattuto. E tu resterai confinato al suo interno per sempre”.

Il giovane non rispose: voltò le spalle a Ginger, nascose il viso tra le mani, prese un profondo respiro e poi tornò a fissarla.

“Non m’importa di quello che pensi di me. Io voglio aiutarti e lo farò”

“E come vorresti aiutarmi?” domandò la giovane con un sorriso sarcastico.

“Qualcosa l’ho già fatto” rispose lui in un soffio, rivolgendole un lungo sguardo.

La rossa corrucciò le sopracciglia in un’espressione perplessa, ma tutto le risultò improvvisamente più chiaro non appena lanciò un’occhiata alla stanza in cui si trovavano.

“Tu…” mormorò sconcertata “tu hai a che fare con tutto questo, vero?”

“Sì” rispose lui, incrociando le braccia all’altezza del petto “l’ho comprata io questa casa”.

Ginger rimase in silenzio per un intero minuto: il tempo necessario perché il suo cervello rielaborasse l’informazione che aveva appena ricevuto; quando finalmente ci riuscì, scosse la testa e strinse le labbra pallide in una linea contrariata.

“Lo sapevo!” esclamò, poi “sapevo che c’era qualcosa che non quadrava in questa storia fin dall’inizio… Era tutto troppo strano… Era troppo strano che mommi avesse tenuto nascosta a me e Jennifer per così tanto tempo una casa così bella. Non posso credere che tu abbia comprato questa casa solo per farmi sentire in debito nei tuoi confronti! E non posso neppure credere che tu sia riuscito a coinvolgere mommi in questa assurda faccenda!”

“Io non ho comprato questa casa per farti sentire in debito nei tuoi confronti, e Pamela è stata subito d’accordo con me perché la pensiamo allo stesso, identico, modo: tu hai bisogno di essere aiutata e di ricevere le migliori cure possibili… E come prima cosa, avevi bisogno di allontanarti da una città caotica come Londra e di trasferirti in un luogo più tranquillo. Ed io ho scelto il meglio che il mercato immobiliare aveva da offrire. Dopo l’uscita di The Dark Side Of The Moon, i soldi non sono più un problema”

“Allora potevi lasciarmi da sola come ti avevo chiesto di fare, così avresti avuto altro materiale da trasformare in canzone per guadagnare altri milioni, visto che con Syd lo hai già fatto” sibilò, inviperita, la ragazza, continuando ad infierire sul bassista senza alcuna pietà “anziché trascinarmi via dalla casa in cui sono cresciuta ed in cui vorrei trascorrere il poco tempo che ancora mi resta da vivere”

“Ginger, vuoi mettertelo in testa una volta per tutte che il tempo a tua disposizione potrebbe essere molto di più se solo ti lasciassi aiutare? Pagherò i migliori professionisti del settore per curarti nel modo più adeguato possibile”

“Non esiste una cura alla mia malattia”

“La ricerca medica fa progressi ogni singolo giorno, e grazie alla sperimentazione…”

“Ohh, mio dio, non ci posso credere! Ma tu e mommi vi siete messi d’accordo per fare coincidere le vostre versioni? Non voglio trascorrere il poco tempo che mi resta ad ingurgitare farmaci su farmaci che non faranno altro che farmi stare male ed a sperare in false illusioni. Non è così che deve finire”

“E quindi vuoi arrenderti all’idea di dire addio a Keith e Demi, senza avere neppure provato a lottare?”

“Non azzardarti a ripetere un’altra volta queste parole!” gridò la ragazza, letteralmente fuori di sé dalla rabbia; le sue labbra vennero scosse da un brivido violento e, dopo aver indietreggiato di un passo, si lasciò cadere sul bordo del letto, con il viso chino in avanti, nascosto in parte dai corti capelli sfibrati “credi che per me sia stato semplice accettare questa realtà? O credi, forse, che l’abbia accettata fino infondo? È l’unico grande rimpianto che ho: sapere che non sarò presente in quasi tutti i momenti più importanti della loro vita. Non sarò presente ai loro compleanni, non sarò presente il giorno in cui prenderanno la patente, non sarò presente il giorno in cui diventeranno maggiorenni… Non li vedrò trasformarsi da adolescenti a giovani uomini. Non sarò con loro il giorno in cui porteranno all’altare una bellissima ragazza, e non sarò presente il giorno in cui nasceranno i miei nipotini… Ma cosa posso fare? Non posso evitare in alcun modo che questo accada”

“Invece sì che puoi, devi solo lasciarti aiutare”.

Ginger chiuse gli occhi e si lasciò andare ad un profondo respiro tremolante: lo scatto d’ira di poco prima aveva prosciugato tutte le sue energie, ed ora si sentiva terribilmente esausta e stanca.

Quella bastarda malattia la stava spegnendo ogni giorno sempre di più.

“Non voglio illudermi per niente” sussurrò con voce incrinata, perché sentiva una improvvisa voglia di piangere “non lo potrei mai sopportare”

“Ti prometto che non accadrà” Roger attraversò la stanza e andò a sedersi affianco alla rossa; dopo un istante di esitazione, per timore di scatenare una seconda reazione violenta, le appoggiò la mano destra sopra la sua sinistra “ed in cambio ti chiedo solo di fidarti di me. Per favore, Ginger: fidati di me, ti prometto che non te ne pentirai”

“Ho paura” confessò d’impeto la ragazza, con uno sguardo disperato “ho tanta paura”

“È normale, Ginger. Sfido chiunque a non avere paura se dovesse trovarsi nella tua stessa situazione, ma ti prometto che tutto andrà per il meglio. So che ti sto chiedendo un enorme sforzo, ma devi fidarti di me. Andrà tutto bene, Ginger. Pensa a Keith e Demi… Non puoi lasciarli orfani di madre… Keith, poi, ha già perso suo padre…”.

La ragazza si tormentò il labbro inferiore e strinse un lembo del lenzuolo nella mano destra.

Si trovava di fronte alla scelta più dura di tutta la sua vita.

Che cosa doveva fare? Che cosa era più giusto fare? Continuare sulla via dell’accettazione e della rassegnazione, oppure imboccare quella tutta in salita, piena di ostacoli e che molto probabilmente avrebbe portato ad un vicolo cieco, dell’ostinazione?

“D’accordo” mormorò infine lei, annuendo “d’accordo… Penso di poter fare un tentativo”.

Ritorna all'indice


Capitolo 52
*** Border (Parte Sei) ***


1974, novembre.



 
Roger ascoltò le parole del dottore con un’espressione grave, annuì, lo ringraziò per tutto quello che aveva fatto e poi rientrò da Pamela e Jennifer, che lo stavano aspettando in salotto, sedute sul divano; Keith e Demi erano più in là, intenti a giocare vicino al caminetto.

“Allora?” chiese Pamela con una nota di trepidazione nella voce “che cosa ha detto?”.

Roger si appoggiò con la schiena alla porta d’ingresso, abbassò il viso e scosse la testa.

“Ha detto che non c’è più nulla che possa fare per lei, a parte prescriverle degli antidolorifici per darle un po’ di sollievo dai dolori che non vogliono darle tregua. Non me lo ha detto in modo diretto, a parole, ma mi ha fatto capire che è arrivato il momento di arrendersi e di accettare l’inevitabile: non possiamo fare altro che starle vicino e renderle più sereno possibile il poco tempo che le rimane”

“E di quanto stiamo parlando?”

“Non molto” rispose il bassista, continuando a tenere il viso rivolto verso le assi di legno; Demi scoppiò in una risata allegra perché Keith gli stava facendo il solletico al pancino “un mese al massimo, ma… Ma potrebbe essere anche meno. Ha detto che è impossibile dare una risposta certa a domande come questa. Ogni giorno potrebbe essere l’ultimo”.

Pamela non disse nulla: si piegò in avanti, appoggiò i gomiti alle ginocchia e nascose il viso tra le mani, scoppiando silenziosamente in lacrime per non allarmare i bambini che non si erano resi conto di quello che stava accadendo; negli ultimi due mesi e mezzo aveva ricacciato più volte indietro le lacrime per dimostrarsi forte, ottimista ed una spalla di supporto per la figlia adottiva maggiore, ma ora che la flebile fiamma della speranza era stata spenta per sempre, non aveva più alcun senso continuare ad indossare la maschera e l’armatura da guerriera.

Pamela Rose Anderson era semplicemente devastata dalla prospettiva di essere in procinto di perdere per sempre la figlia adottiva maggiore; la bimba dai lunghi capelli rossi che aveva ardentemente desiderato e per cui aveva lottato con le unghie ed i denti prima di ottenerne l’adozione.

Jennifer si lasciò andare contro lo schienale del divano con gli occhi spalancati e fissi nel vuoto; era così sconvolta da non avere neppure lacrime da versare.

Perché il momento più bello della sua vita doveva coincidere con quello più orribile?

“Vado a vedere come sta… Magari ha bisogno di qualcosa” mormorò il bassista, schiarendosi la gola e staccandosi dalla porta chiusa; salì le scale che portavano al primo piano della villa e si fermò davanti alla porta della camera da letto di Ginger, quella che aveva la bellissima terrazza panoramica che si affacciava sulla spiaggia di ghiaia e sul mare, prese un profondo respiro per darsi la forza di entrare e poi bussò, socchiudendo la porta.

La stanza era immersa dalla penombra a causa delle tende azzurre e bianche tirate.

Ginger era semisdraiata sul letto; gli ultimi due mesi e mezzo erano stati particolarmente duri per lei, ed il suo fisico già fragile e provato aveva subìto altri cambiamenti profondi a causa delle diverse terapie farmacologiche a cui si era sottoposta, con l’unico risultato di uscirne ancora più debilitata e costretta ad indossare delle parrucche per nascondere i diversi punti in cui le ciocche le erano cadute a manciate e manciate.

Roger non sapeva dire se il giorno peggiore era stato quello in cui Ginger si era ritrovata a stringere intere matasse dei suoi capelli rossi tra le mani, o quello in cui erano iniziati i dolori lancinanti che non la lasciavano dormire durante la notte e la costringevano a stare piegata su una bacinella di plastica a vomitare.

Waters richiuse la porta alle proprie spalle e la ragazza girò il viso dalla sua parte, sorridendogli.

Sentì un orribile peso nel petto alla vista di quel sorriso: due mesi prima le aveva chiesto, l’aveva pregata, di riporre in lui tutta la sua fiducia… Ed ora stava per spezzare per sempre la speranza che le aveva dato.

Si sentiva una persona orribile.

“Ehi… Non restare lì, vieni qui” la giovane si tirò su a sedere ed appoggiò la mano destra sul bordo del letto, invitando Roger a sedersi, e lui, dopo un attimo di esitazione, la raggiunse senza dire nulla.

Sapeva di dover introdurre l’argomento, ma non aveva la più pallida idea di come farlo.

Non esisteva un modo giusto, delicato  e consono per introdurre un argomento come quello.

Come poteva dirle che non c’era nessuna speranza, che non c’era mai stata fin dall’inizio e che le rimaneva al massimo, nella più rosea delle ipotesi, un solo mese di vita?

“Come stai? Ti senti meglio dopo la flebo?”

“Sì, sì, mi sento un po’ meglio… Il dolore se ne è completamente andato per il momento. Forse questa sera scenderò per cena, credo di sentirmi abbastanza in forze da fare le scale… Anche perché sono stanca di stare rinchiusa qui dentro a fissare le solite quattro pareti. Ormai non le posso più sopportare” commentò Ginger continuando a sorridere, fingendo una serenità che non aveva affatto; aveva paura… Ohh, aveva una fottuta paura del momento in cui finiva l’effetto dell’antidolorifico ed i dolori tornavano a tormentarla, perché ogni volta sembravano farsi sempre più forti ed aggressivi, quasi si divertissero a testare la sua soglia di sopportazione “che cosa ha detto il dottore?”.

Roger si schiarì la gola.

Ottima domanda.

Che cosa aveva detto il dottore?

Ohh, nulla di preoccupante… Certo. Semplicemente, era arrivato il momento di gettare la spugna ed arrendersi. In realtà, quel momento era arrivato già mesi prima, ma né lui né Pamela avevano voluto guardare in faccia la realtà, costringendo Ginger ad andare incontro a quello che lei per prima aveva cercato di evitare con tutta sé stessa: settimane di agonia e di false speranze.

“Il dottore ha detto che oggi ti ha vista più in forze rispetto ai giorni precedenti. È positivo, ma preferisce non esprimersi perché è ancora tutto da vedere… Ha detto che in casi come questo è sempre meglio procedere per piccoli passi, giorno dopo giorno, ma è fiducioso… Sì… Ha detto di essere molto fiducioso” disse alla fine, sforzandosi di ignorare il peso al petto che si era fatto più opprimente a causa della bugia sfacciata che aveva raccontato alla giovane; lei sorrise di nuovo, annuì e rivolse lo sguardo pensieroso verso la finestra nascosta dalla tenda azzurra e bianca.

“Siamo alla fine, vero?” domandò dopo un lungo silenzio: aveva capito già tutto da sola, e Roger si sentì un idiota per avere anche solo pensato di riuscire ad ingannarla; come poteva sperare di ingannarla quando la realtà dei fatti era sotto gli occhi di tutti? “quanto ha detto che mi resta?”

“Non lo ha… Detto”

“Roger”

“Al massimo un mese, ha detto questo. Potrebbero essere due settimane, come qualcosa in più… Ma un mese al massimo” sussurrò Waters, chiudendo gli occhi.

La rossa annuì di nuovo, incassando il colpo in silenzio.

Un paio di settimane, un mese al massimo.

In qualunque modo fosse andata, non sarebbe vissuta abbastanza per vedere la fine dell’anno e l’inizio di quello nuovo.

Il momento da lei tanto temuto era finalmente arrivato.

“D’accordo” disse Ginger, deglutendo a vuoto “va bene… Va bene così”

“No, invece, non va affatto bene così” ribatté il giovane, riaprendo gli occhi; Ginger lesse nelle iridi chiare di Roger una disperazione che era il riflesso della sua… Se non perfino più profonda “non va affatto bene così perché sta accadendo proprio ciò che io ti avevo promesso che non sarebbe mai e poi mai accaduto. Ti ho chiesto di fidarti di me, tu lo hai fatto e cosa hai ottenuto in cambio? Due mesi sprecati in terapie inutili e dolorose e false speranze… Proprio quello che tu non volevi. Come sempre, per l’ennesima volta, sono riuscito solo a fare soffrire le persone che mi circondano. È tutta colpa mia, è solo ed esclusivamente colpa mia… E se ora vuoi rinfacciarmi tutto quanto, sei libera di farlo perché ne hai il pieno diritto”.

Roger attese in silenzio di essere sommerso di insulti da parte della ragazza, perché era quello che meritava, ma lei lo sorprese scuotendo la testa e sorridendo.

“No, non ho alcuna intenzione di insultarti… Anzi, devo ringraziarti”

“Hai ben poco di cui ringraziarmi, Ginger”

“No, invece, perché è stato grazie a te se ho capito che stavo sbagliando a lasciarmi andare senza lottare, senza prima provare ogni strada possibile”

“Sì, ma a cosa ti ha portata? Non è servito a cambiare nulla, ha solo dimostrato che tu avevi ragione fin dall’inizio”

“Sì, è vero… Ma almeno adesso me ne andrò con la consapevolezza di avere fatto davvero tutto ciò che poteva essere fatto, senza alcun rimpianto” la ragazza osservò di nuovo le tende in silenzio “hai detto un mese al massimo, giusto?”

“Sì”

“Allora c’è una cosa che vorrei fare, se fosse possibile, ed ho bisogno del tuo aiuto”

“Qualunque cosa” rispose prontamente Roger “chiedimi pure qualunque cosa”.

Era davvero pronto a fare qualunque cosa pur di sentire alleggerirsi l’orribile peso che gli stringeva il petto in una morsa; anche se Ginger gli aveva detto che non aveva nulla di cui incolparsi, non si sentiva affatto meglio.

Non riusciva a togliersi dalla testa l’idea di averle fatto sprecare due mesi dietro a cure inutili e false speranze, sottraendole tempo prezioso che avrebbe potuto trascorrere in compagnia dei suoi due bambini.

Le aveva tolto sessanta giorni da passare in compagnia di Keith e Demi.

Era un vero e proprio mostro.

“Ricordi quella splendida Vigilia di Natale che tre anni fa abbiamo trascorso a casa di Nick e Lindy?”

“Sì… Sì, me la ricordo molto bene”

“Mi piacerebbe dare una festa simile qui, con tutti loro… Anche con i bambini, ovviamente. Keith e Demi saranno molto contenti di rivedere i loro amici e di trascorrere una bella giornata in loro compagnia”

“Credo sia possibile” rispose Roger, alzandosi dal bordo del letto, lieto che Ginger gli avesse dato la concreta possibilità di fare qualcosa per lei e per alleggerire il poco tempo che ancora le restava da vivere: qualche ora di leggerezza avrebbe aiutato tutti loro a distendere i nervi per un po’… Purché l’avessero pensata allo stesso modo anche le lacrime che diventavano sempre più difficili da ricacciare indietro in ogni momento di ogni giornata “vado subito a contattarli, ma sono sicuro che saranno ben lieti di trascorrere la Vigilia di Natale in tua compagnia, Ginger, non ti vedono da tantissimo tempo”

“Ed io lo sarò altrettanto di trascorrerla insieme a loro”

“E David?” chiese il bassista, con la mano destra appoggiata al pomello della porta “dovrò dirglielo anche a lui. Non può rimanere ancora all’oscuro delle tue condizioni. Credo che ne uscirebbe devastato, se… Se quando arriverà il momento, dovesse scoprire di essere l’unico che non sapeva nulla”

“Chiamalo pure, ma digli che non ha nessun obbligo di venire alla festa… Anzi, non accennargli nulla della festa”

“Ma, Ginger, vorrà essere presente anche lui”

“Roger, non ho più alcuna intenzione di portare rancore alle persone che mi hanno ferito in qualunque modo… Ma David resta comunque l’uomo che ho sposato e che mi ha tradita per mesi e mesi. E questo continua ad essere un boccone troppo amaro da mandare giù. Credo che tu possa comprendermi appieno”

“Sì, credo di sì” mormorò lui, abbassando gli occhi sulle assi del pavimento “allora… Vado a fare un paio di telefonate”

“Roger?”

“Sì? Hai bisogno di altro?”

“Racconta loro tutto quello che sta succedendo, dall’inizio alla fine, ma cerca di essere chiaro su un punto: non voglio vedere facce tristi od occhi colmi di lacrime. Voglio passare un momento bellissimo e spensierato come quello di tre anni fa. Voglio che tutto sia perfetto e voglio che nulla possa intaccarlo in alcun modo… Pensi che sia possibile? Pensi che riusciranno a soddisfare la mia richiesta?” domandò Ginger, guardando il giovane negli occhi; Waters la fissò di rimando in silenzio e poi annuì.
“Sì, penso che sia possibile” disse infine, lottando contro un groppo alla gola, uscendo dalla stanza per lasciare la ragazza tranquilla a riposarsi ed a rielaborare ciò che le aveva comunicato; si ritrovò costretto a fermarsi un momento in cima alle scale prima di scenderle lentamente, scalino dopo scalino, con lo sguardo rivolto ai propri piedi.

Ciò che Ginger gli aveva chiesto non era impossibile, ma era terribilmente complicato.

Come avrebbero fatto a fingersi sereni e spensierati per un’intera giornata, con la consapevolezza che quella sarebbe stata l’ultima Vigilia in cui la giovane sarebbe stata presente con loro?

Ohh, certo… Prima bisognava vedere SE Ginger sarebbe arrivata al giorno della Vigilia di Natale.

Prima c’era quell’opzione che non poteva essere ignorata.

Pamela e Jennifer erano ancora sedute sul divano: avevano trascorso l’ultima mezzora nel silenzio più assoluto, ciascuna chiusa nei propri pensieri, a chiedersi come avevano fatto a ritrovarsi coinvolte in quella orribile situazione, come era potuto accadere e come avrebbero fatto ad andare avanti senza Ginger; Keith e Demi, invece, avevano abbandonato i giochi vicino al caminetto e si erano spostati in cucina per fare merenda con i sandwiches alla marmellata di fragole che il più grande aveva preparato per entrambi.

Pamela alzò per prima lo sguardo dal pavimento e, dopo essersi schiarita la gola, chiese a Roger come stesse la figlia adottiva maggiore e come avesse reagito alla notizia che le aveva dato.

“Sta abbastanza bene, la flebo di antidolorifico ha fatto effetto e questo le sta dando un po’ di tregua dai dolori… E ha detto che… Ha detto che le piacerebbe organizzare una festa per la Vigilia di Natale, come quella che Nick e Lindy hanno tenuto a casa loro tre anni fa, e vorrebbe che gli altri fossero presenti. Vorrebbe anche che fosse un giorno perfetto, senza tristezza e lacrime. Penso che…” il bassista si ritrovò costretto a fermarsi un momento prima di concludere la frase “penso che questo sia il modo in cui voglia dirci addio”.

Pam annuì in silenzio.

“Se Ginger desidera questo, allora è giusto che ci adattiamo di conseguenza” mormorò la donna.

‘Anche se non sarà affatto facile’ pensò subito dopo, tornando a fissare il pavimento.

“Vado fuori a fumare una sigaretta e poi inizio con il giro di chiamate. Voi non dovete preoccuparvi di nulla, penserò a tutto io, anche di avvisare David”

“Perché? È proprio necessario avvisare anche lui?” domandò Jennifer in tono ostile, con un’espressione corrucciata: non aveva digerito il tradimento di David ai danni della sorella maggiore, e non lo avrebbe mai digerito; l’affetto e la stima che provava per lui erano sparite, sostituite rapidamente da un profondo disgusto e da un odio viscerale.

Come aveva potuto innamorarsi di un’altra donna quando al suo fianco aveva una persona straordinaria ed unica come Ginger, che lo amava alla follia e che gli aveva dato un bellissimo e dolcissimo bambino? Come aveva potuto mandare all’aria tutto quanto per una sciacquetta di quart’ordine che si era infilata dentro il suo camerino al termine di un concerto?

Come, come, come aveva potuto?

“Non vuole che sia presente alla festa, ma ha detto che è giusto che anche lui sappia qual è la gravità della situazione, Jennifer”

“Io non gli direi assolutamente nulla, così poi sarebbe costretto a fare i conti con i sensi di colpa per il resto della sua inutile vita. È il minimo che si merita dopo tutto il dolore che ha arrecato a mia sorella”

“Jen, basta!” intervenne Pamela “adesso questo non ha importanza di fronte a ciò che sta succedendo: David merita comunque di sapere la verità, e non dovresti parlare di lui in questo modo, utilizzando espressioni e parole così forti. Ricordati che, nonostante tutto, è e sarà sempre il papà di Demi”.

La ragazza scosse la testa, dimostrando alla madre adottiva di non essere assolutamente intenzionata a perdonare all’ex cognato il suo adulterio, ed andò in cucina a controllare i bambini che stavano ancora facendo merenda; Pam sospirò e scosse la testa: aveva provato più volte a parlare a Jennifer per attenuare il risentimento che covava nei confronti di Gilmour, ma ogni volta aveva incontrato una barriera che continuava a diventare sempre più alta e sempre più spessa.

“Temo che non lo perdonerà mai per quello che ha fatto… E temo anche che il suo risentimento si accentuerà ancora di più quando… Quando questa brutta storia si sarà conclusa nel peggiore dei modi” commentò, appoggiando le mani ai lati della testa ed i gomiti alle ginocchia; Roger si avvicinò, le strinse leggermente la spalla sinistra e poi uscì dall’abitazione per fumare una sigaretta e per lasciare la donna, distrutta dal pensiero che stava per perdere una figlia, un po’ da sola.

Si appoggiò con la schiena al muro della facciata principale della villetta a tre piani e, senza mai staccare gli occhi dal mare e dalla spiaggia in lontananza, con gesti ormai divenuti automatici si accese una Marlboro e se la portò alle labbra carnose.

La fumò in silenzio, ascoltando il rumore delle onde, con la mente completamente svuotata da qualunque pensiero e spense il mozzicone all’interno di un posacenere, che Pamela aveva messo sul davanzale di una finestra apposta per lui; voltò le spalle al mare, alla spiaggia, ed appoggiò la mano destra al pomello della porta d’ingresso.

Serrò per un momento le palpebre, inspirò a pieni polmoni l’aria satura di iodio e salsedine, e si sentì finalmente pronto per il difficile ed impegnativo compito a cui doveva adempiere.
 

Ritorna all'indice


Capitolo 53
*** Border (Parte Sette) ***


1974, 23 dicembre.



 
Ginger prese in mano uno dei tanti album fotografici riposti con cura all’interno della cesta di vimini appoggiata sul pavimento, ed iniziò a sfogliarlo insieme a Pamela; sulle sue labbra pallide e screpolate apparve un sorriso quando vide una foto di lei e Richard da bambini, in spiaggia, che stavano mangiando un gelato.

“Me la ricordo ancora bene quella giornata” commentò la donna, rivivendo nella propria mente quei giorni felici con un sorriso nostalgico “abbiamo fatto una fila lunghissima davanti al carretto dei gelati e tu mi hai fatta disperare perché volevi subito un cono alla fragola e panna, per timore che il gelato finisse. E quando, finalmente, lo hai avuto in mano, sono riuscita appena in tempo a scattare questa foto perché poi ti è caduto sulla sabbia… Non sei scoppiata in lacrime solo perché Richard si è sacrificato, offrendoti il suo cono gelato”

“Richard è sempre stato terribilmente gentile ed altruista dacché ne ho memoria. Credo proprio di essermi trovata il miglior amico che possa esistere al mondo” mormorò la giovane, senza staccare gli occhi dalla fotografia in bianco e nero, risalente a ventuno anni prima; continuò a sfogliare e commentare album dopo album insieme alla madre adottiva, mentre Keith e Demi erano impegnati a sistemare le ultime decorazioni colorate sui rami più bassi dell’albero di Natale che troneggiava in salotto, finché tra le mani non le capitò uno che aveva riempito otto anni prima, nel breve periodo in cui aveva seguito la band nelle sue esibizioni in vari locali sparsi per tutta l’Inghilterra, nel breve periodo in cui Syd ne era stato il leader e cuore pulsante “mio dio… Non ci posso credere… Non ci posso credere”.

Ginger sfogliò le numerose foto che ritraevano i quattro ragazzi nel corso dei loro folli viaggi col furgoncino sgangherato; in alcune era presente anche lei perché Nick, di tanto in tanto, si divertiva a rubarle la macchinetta fotografica ed a scattarle delle foto a tradimento.

Loro quattro che posavano fuori dal furgoncino con la sgargiante scritta rosa ‘Pink Floyd’ che campeggiava sulla fiancata destra e di cui si era occupato lo stesso Syd.

Rick che tentava invano di coprirsi il viso con la mano destra perché non voleva essere fotografato.

Nick che faceva una delle sue facce terribilmente buffe.

Roger, con una bottiglia di birra in mano, che sorrideva all’obiettivo e Syd che lo fissava, sorridendo di rimando, su un traghetto che stava per partire.

Loro quattro che posavano sulla spiaggia di Wittering, con addosso dei lunghi cappotti e degli impermeabili per ripararsi dal freddo pungente.

“Mio dio” mormorò per l’ennesima volta, incredula, la giovane, spalancando gli occhi e portandosi la mano destra alla bocca “ricordo ancora quel giorno come se fosse oggi: eravamo scesi in spiaggia per girare il video di Arnold Layne e Syd aveva portato con sé questo… Questo… Questo manichino, e tutti loro avevano portato da casa pellicce, cappelli, occhialini rotondi e delle strane maschere. Qualcuno, dalla strada, deve averci visti mentre giravamo il filmato ed ha chiamato la polizia. Fortunatamente quando i poliziotti sono arrivati, avevamo già finito ed avevamo fatto sparire gli abiti, le maschere ed il manichino nel furgoncino… Quando ci hanno chiesto se avevamo visto qualcosa di strano, è stata una fortuna che abbiano creduto alle nostre bugie. Non oso immaginare come sarebbe andata a finire se ci avessero chiesto di aprire il furgoncino per darci un’occhiata”

“È una bella storia da raccontare”

“Sì, dal momento che è finita bene… Questa foto l’ho scattata io poco prima che arrivassero quei due poliziotti… Mio dio… Quanto tempo è passato” Ginger continuò a sfogliare le fotografie dei loro viaggi on the road “sembriamo terribilmente piccoli in queste foto. Ho come la terribile sensazione che siamo cresciuti troppo in fretta ed in troppo poco tempo… Però, allo stesso tempo, a conti fatti otto anni non sono così tanti, eppure guarda come è cambiata profondamente la mia vita: in otto anni ho conosciuto per due volte l’amore, mi sono sposata, ho divorziato, ho girato il mondo ed ho avuto due bellissimi bambini che sono il mio orgoglio. Ho avuto tutto ciò che potevo desiderare di avere, e per mia fortuna me ne andrò senza alcun rimpianto”

“Però non è comunque giusto” Pamela distolse lo sguardo dall’album fotografico perché era terribilmente doloroso riguardare quei momenti felici che non sarebbero mai più tornati, come era doloroso vedere la Ginger sorridente, spensierata ed in perfetta salute di otto anni prima, che non aveva nulla a che fare con la ragazza magrissima, deperita e debole, costretta ad indossare una parrucca per nascondere i capelli che aveva perso a chiazze sulla testa “hai appena ventisei anni… Hai ancora un’intera vita davanti a te… E… E quando tu e Jennifer siete entrate a far parte della mia vita, ho promesso a me stessa ed a voi che vi avrei protette da tutto e da tutti… E con te non ci sono riuscita. Ho fallito, Ginger, sono stata una pessima madre”

“Tu non sei stata affatto una pessima madre, mommi. Tutto il contrario. Sei stata la madre migliore che potessi desiderare e non potrò mai ringraziarti abbastanza per tutto quello che hai fatto per me, per l’affetto e l’amore che mi hai dato… Vorrei poterti ringraziare nel modo adeguato, ma temo sia impossibile perché non potrò mai compensare a quello che tu hai fatto per me e per Jen” mormorò la ragazza, stringendo la mano sinistra della madre adottiva “però devi promettermi una cosa”

“Cosa, Ginger?”

“Promettimi di rialzarti e di andare avanti per Keith, per Demi e per Jennifer… Keith avrà bisogno di tutto il vostro supporto quando non ci sarò più, perché a differenza di Demi non ha neppure un padre a cui appoggiarsi. Cercherà di non farvelo vedere, ma sono sicura che per lui sarà un duro colpo e… E sono altrettanto sicura che in un primo momento sarà molto spaesato e confuso, molto probabilmente anche tanto arrabbiato con me. E prenditi cura anche di Jen… Anche lei soffrirà parecchio, ed avrà bisogno di tutto il supporto possibile”

“Ginger, non pensare a queste cose ora…”

“No, mommi, invece è proprio questo il momento di parlarne. Voglio dire tutto ciò che ho da dire finché sono ancora abbastanza in forze per farlo e finché la malattia mi lascerà la facoltà mentale di farlo. Promettimelo, mommi: promettimi che lo farai”

“Certo, certo che lo farò, Ginger… Ma adesso non pensare a questo… Pensiamo piuttosto a domani, alla bellissima giornata che ci aspetta ed alla festa che stiamo organizzando da settimane” rispose Pamela, appoggiando la mano destra sopra quella della figlia adottiva maggiore, sforzandosi di sorridere e di ricacciare indietro le lacrime: la stessa Ginger aveva espressamente chiesto di non vedere facce tristi ed espressioni addolorate attorno a sé, e lei era intenzionata a mantenere quella promessa fino infondo.

Il tempo per piangere e disperarsi sarebbe arrivato poi.

Madre e figlia adottiva girarono i visi in direzione della porta d’ingresso che si era aperta all’improvviso, e guardarono Roger che era appena rientrato da una lunga mattina trascorsa chissà dove: un paio d’ore prima, senza dire una parola, il bassista si era semplicemente infilato la giacca, era salito in macchina ed era partito.

“Sono tornato” disse, indugiando davanti alla porta d’ingresso ancora aperta.

“Roger… Tutto bene?” domandò la giovane, con uno sguardo preoccupato, a causa della strana espressione del bassista.

“Sì, tutto bene”

“Dove sei stato?”

“A prendere qualcosa per te… O meglio, qualcuno” Waters si spostò dall’ingresso permettendo ad un altro giovane di entrare nell’abitazione dopo un attimo di esitazione, dovuto dall’imbarazzo.

Demi distolse lo sguardo dall’albero, si girò di scatto e lasciò cadere la pallina colorata che aveva in mano.

“Papà!” gridò, correndogli incontro e finendo tra le sua braccia; David abbracciò il suo primogenito e fece lo stesso anche con Keith, che corse da lui e gli buttò le piccole e sottili braccia attorno al collo: nonostante il divorzio, a differenza di Jennifer, il bimbo era rimasto molto legato a Gilmour.

Jen abbandonò la cucina ed i preparati per la festa per la Vigilia di Natale dopo aver sentito il grido pieno di gioia di Demi; strinse con forza il panno su cui si stava asciugando le mani quando vide il chitarrista.

“Che cosa ci fai qui?” chiese, senza preoccuparsi di apparire scortese o maleducata; lui per primo non si era fatto problemi a condurre una doppia vita per mesi, alle spalle di Ginger “che cosa sei venuto a fare qui, David?”

“Sono stato io a portarlo qui” rispose Waters, prima che potesse farlo Gilmour “lui… Ha bisogno di parlare con Ginger”

“Ma Ginger non ha alcun bisogno di parlare con lui” ribatté Jen con fermezza, per nulla preoccupata della presenza dei due bambini e di quello che avrebbero potuto sentire; d’accordo, David era il padre di Demi e niente avrebbe mai potuto cambiare quella verità, ma ciò non significava che doveva crescere con la convinzione che fosse perfetto… Perché non lo era affatto “si sono detti tutto ciò che dovevano dirsi prima di lasciare il resto nelle mani dei loro avvocati. Adesso non c’è altro da aggiungere, a meno che non riguardi Demi”

“Invece avrei bisogno di parlare con tua sorella” disse David, lasciando andare Demi e Keith, e girando il viso verso l’ex moglie, che non aveva più proferito parola dopo il suo ingresso “sempre se lei lo desidera… Ma se condividi il pensiero di Jennifer, sono pronto a farmi subito da parte”

“Appunto, fatti da parte, allora. Sono più che sicura che Ginger non abbia alcuna intenzione di parlare con te”

“Va bene, per me non c’è nessun problema”.

Jen guardò la sorella maggiore con gli occhi verdi spalancati.

Non ci poteva credere.

“Ginger… Ginger, non… Non è assolutamente necessario che tu… E non mi sembra neppure il caso…”

“No, Jen, va tutto bene. Voglio sentire quello che ha da dirmi” ripeté la ragazza, riponendo l’album dentro il cesto di vimini ed alzandosi dal divano “è una bellissima giornata di sole, avrei voglia di fare quattro passi in riva al mare… Vieni con me, David?”.



 
Ginger e David si erano scambiati il loro primo bacio a Saint Tropez, al termine di una lunga passeggiata notturna in riva al mare e di una breve battaglia d’acqua; ora, a quattro anni di distanza, dopo una relazione di quasi un anno, un matrimonio durato appena due, ed un brusco divorzio, i due giovani si ritrovarono di nuovo a camminare fianco a fianco su una spiaggia deserta, accompagnati dal rumore delle onde.

Anche per loro, come nel caso di Roger e Syd, tutto stava finendo nello stesso modo in cui era iniziato.

Dopo qualche minuto, Ginger si fermò e si strinse con più forza nel largo maglione di lana che indossava; non era una giornata particolarmente fredda, pur essendo dicembre, ma lei si sentiva gelare fino alle ossa, ed era già stanca di camminare, anche se si erano allontanati di pochi metri dalla villa: la grande ed elegante costruzione, difatti, era ancora ben visibile alle loro spalle.

La giovane fissò David negli occhi senza parlare e lui, di rimando, ricambiò lo sguardo senza sapere se doveva parlare per primo o se doveva aspettare che fosse lei a fare il primo passo.

“Roger ti ha raccontato tutto?” chiese semplicemente Ginger, spezzando il lungo silenzio rotto solo dal rumore delle onde e dal verso di qualche gabbiano posato sugli scogli.

Gilmour annuì.

“Sì, lui… Mi ha chiesto se potevamo incontrarci da qualche parte per parlare con calma e mi ha raccontato tutto quanto… Dall’inizio alla fine”

“Sei arrabbiato?” domandò la ragazza, osservando l’ex marito con uno sguardo preoccupato e titubante, ma lui scosse la testa.

“Credo… Credo di essermi arrabbiato in un primo momento… Insomma… Ma penso che adesso non abbia più alcuna importanza di fronte a quello che sta succedendo” David abbassò gli occhi azzurri e scalciò della ghiaia con il piede destro “ci sono molte cose che vorrei dirti, Ginger, ma non so da dove iniziare e non so neppure se riuscirei a finire”

“Allora ti chiedo di ascoltare ciò che io ho da dirti, David” rispose la rossa, stringendo la presa sulla stoffa del maglione “perché non so ancora quanto tempo avrò a mia disposizione e non voglio lasciare nulla di non detto o di sospeso alle mie spalle. Per favore. Per me è molto importante riuscire a dirti ciò che ho da dirti”

“D’accordo” mormorò subito il giovane, senza esitare un solo istante “ti ascolto”.



 
Quando Ginger e David erano usciti per fare una breve passeggiata sulla spiaggia, e per parlare in privato, Jennifer aveva abbandonato il salotto ed era tornata a rifugiarsi in cucina perché doveva occuparsi ancora di molti preparativi per la festa.

Ora, la ragazza stava sfogando la propria frustrazione prendendosela con l’impasto da stendere per gli omini di pan di zenzero da decorare con la glassa bianca allo zucchero.

Non era giusto.

Tutto quello che stava accadendo non era assolutamente giusto.

Non trovava giusto il fardello che era ricaduto sulle spalle della sorella maggiore, non trovava giusto il fatto di essere costretta a guardarla soffrire e spegnersi ogni giorno sempre di più senza poter fare niente per lei, e non trovava neppure giusto il fatto che David si fosse presentato all’improvviso, turbando il briciolo di serenità rimasto a Ginger.

Jennifer immaginò che il panetto d’impasto che aveva tra le mani fosse proprio la faccia dell’ex cognato fedifrago; lo sollevò con entrambe le mani fin sopra la testa e poi lo sbatté con forza contro la superficie del tavolo: l’impatto violento col legno sollevò una nuvola di farina che si posò sul grembiule, sul viso e sui capelli neri della ragazza, ma in compenso si sentì un pochino meglio.

Era sicura che si sarebbe sentita ancora meglio dopo un altro paio di minuti passati a maltrattare il povero impasto per gli altrettanto poveri omini di pan di zenzero.

“Ohh, cavolo… Deduco che il pan di zenzero non rientri tra i tuoi dolci preferiti”.

Jen si voltò a guardare Roger, appoggiato allo stipite della porta della cucina; in un’occasione diversa il cuore avrebbe iniziato ad accelerare e le guance sarebbero avvampate violentemente, ma ora era troppo triste, delusa, arrabbiata ed amareggiata per badare alla cotta che nutriva per lui.

In realtà, una piccola parte di quei sentimenti era, incredibilmente, rivolta anche nei confronti del bassista.

“Perché lo hai fatto?” chiese la ragazza, lasciando da parte l’impasto e preferendo sfogarsi con un obiettivo in carne ed ossa “come hai potuto portare qui David? Hai la vaga idea di quanto mia sorella abbia sofferto per lui e quanto ancora continui a soffrire per lui e per la fine del loro matrimonio? Ginger lo amava davvero. Dopo Syd, è stato David il suo più grande amore e… E la parte peggiore è che continua ancora ad amarlo, anche se lui ha voltato pagina e si è ricostruito una vita insieme a quella… Quella… Non so neppure come definirla”

“David doveva essere informato della situazione delicata in cui Ginger si trova”

“Invece no”

“Jennifer, loro due hanno un bambino. Il loro è un caso completamente diverso da quello mio e di Judith. Quando esci da un matrimonio con figli, sai già che non potrai mai troncare del tutto i rapporti con l’ex partner perché ci sarà sempre qualcosa che vi terrà legati a vita”

“Ma David si è comportato in modo orrendo nei suoi confronti, Roger!”

“Lo so molto bene visto che io stesso ho vissuto una esperienza simile sulla mia pelle, ma penso che per Ginger, adesso, sia ormai un questione secondaria”

“Non per me” si ostinò a ripetere la giovane, scuotendo la lunga coda di cavallo nera, con uno sguardo duro nelle iridi verdi “lui non c’era tutte le volte in cui sono stata costretta ad asciugare le sue lacrime od a tentare invano di consolarla. E non c’è neppure stato negli ultimi undici mesi… Mio dio”

“Jennifer, calmati ora, o rischi di scoppiare”

“Sono già vicina a quel punto!” esclamò lei con uno sguardo disperato, indietreggiando di un passo dal tavolo ed appoggiando le mani sul bordo del lavandino “ho paura di essere sul punto di scoppiare da un momento all’altro e non ho la più pallida idea di come farò domani a sorridere per tutto il giorno ed a fingere che tutto vada bene. Non ho la più pallida idea di come farò ad affrontare tutto questo e sono terrorizzata anche solo di pensare a come sarà la mia vita senza Ginger. Ho paura per Keith. Ho paura che la perdita della madre possa devastarlo completamente e possa condizionare il resto della sua vita. E sono stanca, Roger, sono tanto, tanto, tanto stanca di tutto quanto. Sono stanca di vedere Ginger soffrire in continuazione perché non se lo merita, non ha mai fatto nulla di male nella sua vita per meritarsi così tanta sofferenza, ed io proprio non riesco a capire perché questa merda sia dovuta accadere proprio a lei. Ci sono momenti in cui desidero che tutto finisca il prima possibile, ma subito dopo mi sento una persona orrenda per aver pensato una cosa simile”

“Tu non sei una persona orrenda” mormorò il bassista, staccandosi dallo stipite della porta ed entrando in cucina.

No, Jennifer non era affatto una persona orribile.

L’unica persona veramente orribile era lui.

“Però è esattamente così che mi sento” sussurrò la giovane, tirando su col naso, faticando sempre di più a trattenere le lacrime.

In tutta risposta, Waters allargò le braccia e Jennifer si buttò tra esse: nascose il viso nella stoffa nera del maglione a collo alto e scoppiò in lacrime, stringendosi a lui; Roger le passò le braccia attorno ai fianchi e lasciò che sfogasse il proprio dolore senza dire una sola parola, accarezzandole di tanto in tanto la schiena.

Nessuno di loro due si era accorto che Ginger era rientrata dalla spiaggia, da sola, e che li stava osservando dal salotto.

Ritorna all'indice


Capitolo 54
*** The Happiest End ***


1974, 24 dicembre.



 
Jennifer entrò nella stanza di Ginger portando con sé una trousse verde e sorrise alla sorella maggiore mentre lei controllava allo specchio che la parrucca di capelli rossi fosse sistemata con cura; entrambe, per l’occasione speciale, indossavano un classico maglione di lana con una fantasia natalizia ricamata sul davanti, ed entrambe indossavano un paio di jeans scuri, ma la magrezza malsana di Ginger svettava terribilmente su quella sana e naturale di Jennifer.

Chiunque la guardasse si rendeva subito conto di avere davanti ai propri occhi un essere umano arrivato agli ultimi sgoccioli della propria esistenza, ed era proprio così che la rossa si sentiva: così vicina alla fine da poter quasi sentire la sua presenza alle proprie spalle.

Ma ora… Ora non voleva pensarci perché era un giorno di festa. E bisognava festeggiare.

“Ho portato i trucchi… Voglio che tu sia perfetta per la festa. No, non dire niente, so già quello che vuoi dire: ti prometto che non esagero. Voglio solo metterti un po’ di fondotinta, della matita attorno agli occhi ed un velo di rossetto sulle labbra” Jen prese uno sgabello, lo posizionò affianco a quello in cui era seduta Ginger e, dopo avere disposto i trucchi che le occorrevano sopra un basso tavolino, iniziò ad occuparsi del suo viso: doveva riuscire a toglierle quell’aspetto malsano e creare l’illusione di una persona che stava bene… E non di una che, con ogni probabilità, non sarebbe arrivata a Capodanno “ricordi il giorno in cui mi hai insegnato qual’era il modo corretto di mettere la matita sotto gli occhi? Io me lo ricordo ancora molto bene, perché grazie a te ho evitato di essere scambiata per un panda”

“Ohh, sì” rispose Ginger, ridendo ad occhi chiusi “me lo ricordo anch’io molto bene… Anche perché la matita che hai quasi consumato del tutto era mia”

“Mi mancheranno i momenti come questo”

“Jen, per favore, ho detto che durante la festa…”

“La festa non è ancora iniziata, gli ospiti non sono ancora arrivati e quindi, tecnicamente, la tua richiesta non è ancora valida” Jennifer scambiò un sorriso con Ginger, tornò seria e sostituì il fondotinta con una matita nera per gli occhi “Ginger… Che cosa vi siete detti, ieri, tu e David? Quando sei rientrata dalla spiaggia non hai detto nulla… Ti ha fatta soffrire? Non hai voluto raccontare nulla a nessuno di noi perché si è comportato da grandissimo stronzo nei tuoi confronti, proprio come ha fatto un anno fa, vero? A me puoi dirlo, lo sai. Con me ti puoi confidare riguardo qualunque cosa. Non ci sono mai stati segreti tra noi due, e non voglio che ce ne siano proprio ora”

“E non c’è nessun segreto tra noi due” mormorò la rossa in risposta, ricacciando indietro il ricordo dell’unica notte che aveva condiviso con Roger; quello era l’unico segreto che avrebbe custodito dentro di sé per sempre, nel rispetto del profondo amore che provava nei confronti della sorella minore: non aveva alcun senso turbarla raccontandole un episodio isolato, che non aveva avuto alcun seguito.

Tra lei e Roger non c’era stato nulla perché non avrebbe mai potuto esserci nulla; erano due esseri troppo diversi, troppo l’opposto l’uno dell’altra, per iniziare una storia d’amore o per avere anche solo un rapporto d’amicizia.

Quella notte erano finiti a letto insieme perché, per puro caso, per una volta nelle loro vite, si erano ritrovati a vivere, a poca distanza l’uno dall’altra, la stessa orribile esperienza di tradimento da parte del proprio partner.

E così come le loro strade per un attimo si erano incrociate, così avevano poi ripreso binari diversi, viaggiando parallele.

No.

Lei non era affatto la donna che Roger aveva bisogno di avere a proprio fianco come amica, amante, moglie e compagna di vita.

“Ma…?” domandò Jennifer, intuendo che dietro la risposta di Ginger c’era altro “ma non mi dirai ciò che vi siete detti, vero?”

“No, come non dirò mai a nessuno quello che sto per dirti adesso” Ginger bloccò Jennifer stringendole gentilmente il polso destro ed allontanando la sua mano dal proprio viso “devi promettermi che quando questa storia sarà finita, e finirà molto presto, tu andrai avanti con la tua vita e non commetterai il mio stesso errore. Quando la mia relazione con Syd è finita, ho passato tre anni rinchiusa nel guscio che io stessa mi ero creata, e guarda quanto tempo ho sprecato. Guarda quante cose avrei potuto fare in quei tre anni e che non potrò mai recuperare. Promettimi che a te non accadrà questo. Promettimi che sarai pronta ad andare avanti, promettimi che ti rialzerai subito e che starai a fianco di Keith, Demi e mommi

“Io… Io non lo so, Ginger. Non credo di essere così forte”

“Sì che lo sei, invece. Tu sei molto più forte di quello che pensi, ne sono certa. Promettimelo. Ho bisogno di sentirtelo dire, per favore”

“D’accordo, Ginger, te lo prometto” mormorò Jen mandando giù un groppo in gola “ti prometto che sarò forte abbastanza da rialzarmi subito e da prendermi cura di Keith, Demi e mommi

“E promettimi anche di lasciare da parte il rancore che provi per David”.

Jennifer strinse le labbra alla richiesta della sorella maggiore.

“Questo non credo proprio di poterlo fare, Ginger. Non puoi chiedermi di dimenticare in un battito di ciglia quello che David ti ha fatto. Ti ha fatta soffrire troppo per meritare il mio perdono, non lo dimenticherò mai”

“Invece devi, perché ormai non ha più importanza. Vivere nel rancore non ti servirà a nulla, Jen, finirai solo per avvelenarti la vita e basta. Per favore” la supplicò la rossa, rafforzando di più la presa attorno al polso destro, con le poche forze che la malattia le aveva lasciato… Ancora per poco “promettimi, più di ogni altra cosa, che perdonerai David e che smetterai di portargli rancore per il modo in cui è finito il nostro matrimonio. Ti prego. Sarebbe il regalo di Natale più grande che potresti farmi”

“Va bene” si arrese la giovane, più per le parole di Ginger che per una reale intenzione a perdonare l’ex cognato “va bene… Ti prometto che farò anche questo”

“Ti ringrazio, Jen, non immagini neppure quanto significhi per me”.

Le due ragazze si abbracciarono e rimasero a lungo strette l’una tra le braccia dell’altra, per nulla intenzionate a porre fine alla manifestazione di profondo amore ed affetto reciproco; Jennifer chiuse gli occhi ed in un lampo, nella sua mente, rivisse tutti i ricordi che aveva di sé stessa e Ginger, perfino quelli segnati dai brutti e violenti litigi che spesso avevano avuto, soprattutto durante il periodo della sua adolescenza: le sarebbero mancati terribilmente anche quelli.

Si strinse ancora di più a lei e serrò con forza le palpebre per ricacciare indietro le lacrime; non voleva staccarsi da quell’abbraccio perché aveva l’orribile sensazione che non ci sarebbe stata un’altra occasione per ripeterlo.

Aveva l’orribile sensazione che Ginger le stesse dicendo addio per sempre, perché il fatidico momento era quasi giunto.

Pamela entrò nella stanza quando Jennifer aveva ormai finito di occuparsi del viso di Ginger: mancava solo di pulire una piccola sbavatura di rossetto dall’angolo sinistro della bocca; guardò le due ragazze, i suoi gioielli più preziosi insieme ai nipotini, e poi emise un profondo sospiro che non prometteva nulla di buono.

“Abbiamo un problema” disse, infatti, sollevando gli occhi azzurri e guardando Ginger “Keith si rifiuta di uscire dalla sua camera da letto. Non vuole assolutamente saperne di scendere per la festa e gli ospiti saranno qui tra poco, ormai. Non ha voluto ascoltare né me né Roger, ed ora non so più come fare per fargli cambiare idea”

“Vado io a parlargli. Voi andate giù e preparatevi ad accogliere i nostri ospiti” rispose la rossa alzandosi dallo sgabello; uscì dalla camera da letto e bussò alla porta di quella del suo primogenito, per poi socchiuderla ed infilare dentro la testa: capì subito che il problema in questione era davvero grave perché Keith era sdraiato a faccia in giù sul letto, ed il riccio George era abbandonato sul pavimento, anziché essere a suo fianco come sempre “ehi, Keith, che cosa succede, tesoro? Tu e George avete per caso litigato? Cosa è successo tra voi due? Non potete essere arrabbiati proprio il giorno della Vigilia di Natale”.

La giovane si sedette sul bordo del letto e guardò il bambino, che rimase in completo silenzio; iniziò ad accarezzargli i folti ricci neri, per persuaderlo a girarsi ed a confessare qual’era l’enorme problema che lo angosciava.

“La nonna e la zia hanno cucinato tutta ieri e tutta questa mattina per la festa, ed hanno preparato alcuni dei tuoi piatti preferiti. Ci sarà il tacchino ripieno, il purè di patate, il pasticcio di carne, gli omini di pan di zenzero… Ed ho sentito che Lindy porterà il budino alla vaniglia e la salsa calda ai mirtilli che tanto ti piacciono… E ci saranno anche tantissimi regali da scartare quando scatterà la mezzanotte… E ci saranno Gala, Jamie e Chloe… Vedrai anche la piccola Holly… Sei proprio sicuro di volerti perdere tutte queste cose?”.

Keith sollevò finalmente il viso corrucciato dal cuscino, e Ginger vide che aveva le guance rigate dalle lacrime.

“Mamma” disse il piccolo in un tono grave e serio che la ragazza non gli aveva mai sentito usare prima, un tono di voce terribilmente adulto “tu stai per abbandonarmi, vero?”

“No, tesoro, chi ti ha detto questo?”

“Vi ho sentiti parlare… Tu, la nonna, la zia Jen, Roger… E poi, si vede che stai male, mamma” gli occhi verdi di Keith vagarono  sul volto magro e scavato della madre, e sulla parrucca che indossava “hai una brutta malattia che non può essere curata, vero? Demi è piccolo e non se ne rende conto, ma io ho capito quello che sta per succedere”

“Sì, Keith, mamma non sta molto bene da un po’ di tempo”

“E non c’è proprio nessuna medicina che puoi prendere per stare meglio? Anche io sono stato tanto male quando ho avuto la febbre lo scorso inverno, mamma, ma poi è passato tutto prendendo lo sciroppo. Non c’è uno sciroppo che guarisca anche la tua malattia?”

“No, tesoro, purtroppo in questo caso non c’è alcun sciroppo che possa fare qualcosa per me. Non tutte le malattie al mondo possono essere curate”

“Però non è giusto!” protestò animatamente il piccolo, picchiando il pugno destro sul materasso “come farò senza di te, mamma?”.

Ginger osservò a lungo ed in silenzio il suo primogenito: Keith, ormai, aveva perso ogni traccia della rotondità infantile tipica dei bambini piccoli, quella che Demi ancora possedeva; era diventato più alto, più magro e già era possibile vedere la bellezza fisica che sarebbe esplosa negli anni dell’adolescenza.

Proprio come suo padre, tutte le ragazze sarebbero cadute ai suoi piedi ed avrebbero sospirato per ottenere un briciolo di attenzione da parte sua.

Appoggiò le mani sulle sue guance e sorrise.

“Non ti devi preoccupare di questo, Keith. Avrai la nonna e la zia ad occuparsi di te, e tu dovrai fare lo stesso con il tuo fratellino. Avrai una vita lunga e felice. Crescerai e diventerai un ragazzo tanto bello quanto talentuoso, e ti farai strada nel mondo, ed io sarò immensamente orgogliosa di te. Anche se non potrò dirtelo di persona e non potrò essere fisicamente vicino a te, io sarò sempre orgogliosa di te, tesoro mio, come di Demi… E adesso vieni qui, e dammi un forte abbraccio, il più forte che tu mi abbia mai dato!” la rossa allargò le braccia e Keith si rifugiò contro il petto della madre, ma non la strinse tanto forte quanto avrebbe voluto, perché temeva di farle male, e lui sapeva benissimo quanto stesse già soffrendo per colpa di quella brutta malattia che non poteva essere curata con un semplice sciroppo.

Ginger abbracciò il suo primogenito, lo strinse a sé ed affondò il viso nella matassa di ricci neri per inspirare ancora una volta il loro profumo e perdersi nella loro morbidezza.

Riuscì a convincere Keith ad uscire dalla stanza insieme al suo adorato riccio George e, quando scesero insieme le scale, videro che i primi ospiti erano appena arrivati e si stavano togliendo le giacche: Nick e Lindy stavano chiacchierando allegramente con Pamela, Roger e Jennifer.

Lindy teneva in braccio la piccola Holly, che aveva compiuto otto mesi da poche settimane, mentre Chloe, cresciuta troppo velocemente in quei tre anni, era stretta alla gamba destra del padre e guardava quelle persone a lei sconosciute con uno sguardo diffidente, ma allo stesso tempo incuriosito; le espressioni sul viso della giovane coppia cambiarono rapidamente quando videro Ginger avvicinarsi insieme a Keith, che stringeva sotto il braccio sinistro il riccio George, ed entrambi trovarono difficile resistere al forte impatto emotivo: Roger li aveva ampliamente informati sulle condizioni estremamente delicate di salute in cui versava Ginger e sul cambiamento fisico subìto in poco meno di un anno, ma era comunque difficile vedere tutto ciò con i propri occhi e continuare a mostrarsi allegri e spensierati, in linea con lo spirito natalizio.
Entrambi avevano conosciuto la giovane negli anni del suo massimo splendore, ed entrambi faticavano a riconoscerla in ciò che era diventata ora.

La parrucca, poi, rendeva tutto ancora più duro da accettare.

“Ragazzi, sono così contenta di vedervi, e come sono belle queste due signorine” la rossa accarezzò una guancia morbida e paffuta di Holly, e poi rivolse un sorriso a Chloe, ancora rifugiata dietro la gamba destra di Mason: la bimba aveva ereditato i tratti del viso ed i capelli ondulati dal padre, anche se non erano così scuri come i suoi.

Holly, invece, assomigliava già molto alla madre e Nick spesso diceva che ben presto si sarebbe ritrovato con due scriccioli che lo avrebbero tiranneggiato a casa; fortuna che dalla sua parte aveva almeno Chloe, che stravedeva per lui.

“Belle… Ed improvvisamente timide. Chloe non ha fatto altro che parlare per quasi tutto il tragitto, ma è diventata improvvisamente muta da quando siamo entrati in casa” disse Nick, sforzandosi di sorridere, passando la mano destra tra i capelli castani della primogenita, che per l’occasione indossava un vestitino rosa, con la gonna di tulle tempestata di brillantini colorati; Nick aveva quasi pianto quando aveva pagato quel vestitino, e si era chiesto come un misero pezzo di stoffa così piccolo potesse costare così tanto “coraggio, Chloe, fa sentire la tua voce. Non devi avere paura: lo zio Rog lo conosci benissimo e loro ti hanno vista quando eri piccola piccola, non sono estranei”.

La bambina scosse con vigore la testa e girò il viso da tutt’altra parte, rifiutandosi perfino di avvicinarsi a Keith o a Demi, provocando l’ilarità del batterista.

“Tempo cinque minuti, e poi non starà più zitta fino a quando non crollerà in macchina durante il viaggio di ritorno”

“Quanto è cresciuta” commentò Ginger, che ancora la ricordava in fasce nel giorno del suo matrimonio “mi sarebbe piaciuto moltissimo avere almeno una bambina”

“Ti cedo volentieri una di loro tre” disse Mason indicando le due figlie e la moglie “mi trovo in una situazione di netto svantaggio tra le mura domestiche, e temo che continuerà a peggiorare col passare del tempo: tra un paio di anni sarò letteralmente schiavizzato”

“Come sempre, hai perso un’ottima occasione per stare zitto e per non dire una delle tue solite cretinate” commentò Lindy con un sospiro, voltandosi poi a guardare Waters “Roger, ti prego, dimmi che cosa mi ha spinta, quella volta, ad accettare la sua proposta di matrimonio”

“Qualcosa di molto potente che deve aver versato nel tuo bicchiere prima di dichiararsi” commentò il bassista, provocando una risata generale; il campanello squillò di nuovo, Jennifer andò prontamente ad aprire la porta d’ingresso e si fece da parte per lasciar entrare Rick, accompagnato da Juliette, Gala e Jamie: proprio come nel caso di Keith, anche Gala, a sei anni compiuti, stava perdendo i tratti da bambina e si stava trasformando in una signorina.

Richard tremava al solo pensiero del giorno in cui Juliette gli avrebbe comunicato che Gala aveva avuto le sue prime mestruazioni: non voleva che diventasse una donna, non voleva vedersela portar via da un altro uomo; voleva che rimanesse per sempre la sua piccola bambina che lo guardava con occhi colmi di amore ed ammirazione.

Ginger salutò il suo migliore amico con un caloroso abbraccio e con un sorriso, ma quando si staccò da lui si accorse subito che, nonostante i suoi numerosi sforzi, aveva il viso pallido e gli occhi già lucidi.

“No, Richard” gli disse a bassa voce, per non farsi sentire dagli altri che stavano chiacchierando poco più in là “oggi non voglio vedere lacrime e facce tristi: è una bellissima giornata e dobbiamo solo festeggiare. Voglio che sia la festa più bella che io abbia mai fatto in tutta la mia vita. Voglio che sia la giornata più bella di tutta la mia vita”

“Sì, hai ragione, scusami” mormorò a sua volta Wright, riprendendo il controllo delle proprie emozioni; le strinse le mani e distese le labbra nel sorriso bellissimo e gentile che aveva conquistato Juliette e che aveva fatto perdere la testa a tante ragazze ai tempi della scuola “sei splendida questa sera, Ginger. Sei davvero splendida”.



 
Ginger posò la forchetta sul piattino dopo un solo boccone di budino alla vaniglia con salsa calda ai mirtilli: la malattia non si era accontentata di portarle via la salute, il futuro e le forze; si era divertita anche a strapparle l’appetito e la gioia di mangiare, riducendo i suoi pasti a qualche misero boccone che diventava sempre più difficoltoso da ingerire.

Ormai, riusciva a stare in piedi grazie alle flebo che ogni giorno erano costretti a somministrarle per via endovenosa, insieme agli antidolorifici per placare i dolori che la facevano quasi impazzire.

La giovane si guardò attorno sorridendo, nonostante tutto: i bambini più grandi erano saliti al primo piano a giocare nella camera da letto di Keith, in attesa che arrivasse il momento di scartare i numerosi pacchi colorati disposti sotto l’albero di Natale, Pamela e Juliette stavano lavando ed asciugando i piatti in cucina, mentre Lindy (con in braccio la piccola Holly addormentata), Jennifer, Nick e Rick stavano parlando ancora seduti davanti al tavolo; l’unico a starsene in disparte era Roger.

Il bassista, difatti, se ne stava in piedi davanti al caminetto acceso, con gli occhi azzurri rivolti verso le scoppiettanti fiamme rosse, arancioni e gialle.

Ginger appoggiò il piattino sopra un basso tavolino, si alzò dal divano e raggiunse Waters.

“Bella festa, vero?” domandò, sorridendo e stringendosi al maglione rosso che indossava.

“Sì” rispose lui in tono assente, senza staccare gli occhi dalle fiamme.

“Ti va di venire con me in spiaggia? Ho voglia di prendere una boccata d’aria fresca”

“Sì” Roger ripeté lo stesso monosillabo e si staccò dal marmo del caminetto; i due giovani uscirono dall’abitazione senza essere visti dal resto della compagnia e si avviarono in direzione della spiaggia completamente deserta, su cui stava calando la sera.

Quando arrivarono a destinazione, si sedettero a gambe incrociate sulla ghiaia fredda ed osservarono in silenzio il mare più agitato del solito: le onde s’infrangevano sulla riva e sugli scogli, trasformandosi in una schiuma bianca che spariva al contatto con l’aria.

Non c’era nessun altro ad eccezione di loro due.

Il silenzio che li circondava era così assoluto da dare l’impressione che fossero gli ultimi due esseri viventi rimasti sulla faccia della Terra.

Ginger chiuse gli occhi, prese un respiro a pieni polmoni e si tolse la parrucca rossa che continuava ad irritarle la pelle sensibile della testa e della nuca, rivelando la cortissima zazzera e le chiazze che spuntavano qua e là, laddove i capelli si erano staccati a matasse e non erano più ricresciuti; si voltò a guardare il giovane, seduto alla sua destra, e lui ricambiò lo sguardo senza dire nulla, senza commentare l’aspetto pietoso della ragazza, che si stava letteralmente ed inesorabilmente spegnendo ad ogni minuto che passava.

Guardandola, proprio come era accaduto a Jennifer poche ore prima, Roger capì che Ginger gli aveva chiesto di scendere in spiaggia per restare da soli, perché erano arrivati al momento dell’addio.

“Ti dà fastidio vedermi così? Ti crea qualche forma di disagio?”

“No, affatto”

“Menomale, perché avevo assolutamente bisogno di togliere per un po’ quella maledetta parrucca. Non immagini neppure quanto sia fastidiosa. Continua a pizzicarmi la testa fino a farmi venire le lacrime agli occhi” commentò la ragazza, rivolgendo gli occhi scuri al mare “questo paesaggio è proprio stupendo, vero? Personalmente, ho sempre amato il mare. Trovo che il mare rispecchi alla perfezione le diverse sfumature dello stato d’animo dell’essere umano, non credi? A volte è simile ad un mare placido, mentre altre volte è simile ad un mare in piena tempesta… Sai, è proprio così che mi sento in questo momento: ho passato gli ultimi undici mesi a lottare contro una durissima tempesta… Ora voglio solo godermi delle acque tranquille”

“Il più grande rimpianto della mia vita è quello di non aver avuto la possibilità di parlare un’ultima volta a mio padre, prima che partisse per la guerra, perché ero troppo piccolo anche solo per capire cosa stava accadendo. Ho immaginato moltissime volte quel momento… Ho immaginato moltissime cose cosa avrei voluto dirgli… Ora inizio a credere che, da un lato, sia stato meglio così perché… Perdere una persona è già orrendo di sé, ma avere la consapevolezza di essere vicini al perdere una persona è ancora più orrendo. Ginger, io…”

Hai tante cose che vorresti dirmi, ma non sai neppure da dove iniziare” lo bloccò la rossa con un sorriso sulle labbra; prese la coperta che aveva portato con sé dalla villa e se la passò attorno alle spalle, perché il freddo aveva già iniziato a penetrarle in profondità nella pelle, fin dentro le ossa… Ma non poteva ancora rientrare, perché c’erano alcune cose che doveva dire a Roger “tu e David non siete così diversi, in fin dei conti. Siete molto più simili di quello che credete. Anche lui mi ha detto queste stesse parole ieri, quando siamo venuti qui a passeggiare”

“Avete parlato molto?”

“Sì, ma non chiedermi quello che ci siamo detti”

“No, certo che no. Immagino che siano cose personali che riguardano voi due soltanto” il bassista abbassò lo sguardo ed iniziò a tracciare dei cerchi sulla sabbia con l’indice destro; perché doveva essere tutto così terribilmente difficile? Ginger aveva fin troppa ragione: erano davvero tante le cose che avrebbe voluto dirle, ma non sapeva da dove iniziare e non sapeva neppure se sarebbe riuscito ad arrivare alla fine senza crollare, dopo appena poche parole. Non si sentiva affatto forte. Non lo era. Ora più che mai “Ginger, io… Io credo di doverti delle scuse per tantissime cose”

“Non voglio le tue scuse, Roger, non sono necessarie. Ieri mi sono resa conto di non provare neanche un briciolo di astio nei confronti di David, come credevo. È strano da dire, ma in un certo senso devo ringraziare questa malattia, perché mi ha fatto aprire gli occhi e mi ha fatto capire cosa è veramente importante e cosa non lo è affatto… E mi sono resa conto di avere sprecato fin troppo tempo dietro cose che non erano affatto importanti, come i rancori personali per un matrimonio finito male” mormorò la ragazza deglutendo un paio di volte, perché oltre al freddo sempre più pungente e fastidioso, parlare diventava sempre più difficoltoso “e mi ha anche aiutata a rivalutare le persone che mi circondano. Una più di tutte”

“Immagino che tu non stia affatto parlando di me”

“Ohh, ed invece sto parlando proprio di te”

“Allora deve esserci un errore” commentò Waters con un mezzo sorriso sulle labbra e senza alcuna traccia di scherno nella voce “deve esserci per forza un errore perché la Ginger che conosco io non mi avrebbe mai detto parole simili. Penso che piuttosto si sarebbe strappata la lingua a morsi”

“Invece, posso assicurarti che a parlare è proprio quella stessa Ginger che hai conosciuto, anche se posso immaginare che sia difficile scorgerla in questo” la ragazza puntò l’indice destro contro il proprio viso e sorrise con amarezza “Roger, continuo a credere tutt’ora che al mondo non esistano due persone più diverse di noi due, e che tra noi non potrebbe mai esserci nulla, né un rapporto d’amicizia né tantomeno una storia d’amore, perché abbiamo due personalità che insieme striderebbero terribilmente e cozzerebbero tra loro… Ma ora, a distanza di otto anni, sono costretta a dare ragione a ciò che Syd mi ha detto una volta: non sei poi così sgradevole”

“No, non sono sgradevole… Sono una persona orrenda, è diverso”

“No, non sei neppure orrendo. Forse a volte sei troppo duro con te stesso e con gli altri, ma non sei orrendo”

“Invece credo che tu mi abbia descritto alla perfezione quel giorno che sono venuto a casa tua, Ginger. Perché tutto quello che hai detto in quell’occasione corrisponde al vero. È vero, è tutto perfettamente vero: ho provato ad aiutarti perché non ci sono riuscito con Syd, e perché lui non me lo avrebbe mai perdonato se non avessi provato a fare almeno un tentativo… Peccato che alla fine non ho ottenuto nulla, tranne di farti sprecare due mesi di tempo che avresti potuto passare in compagnia dei tuoi figli, ed invece eri costretta a stare a letto ed a soffrire in silenzio. Due mesi. Non stiamo parlando di giorni, o di settimane… Ma di due mesi interi

“Lascia stare ciò che ho detto quel giorno, erano solo parole dettate dalla rabbia e dalla frustrazione per la situazione che sto vivendo e che ben presto finirà, per mia fortuna. Non pensarci mai più, per favore, perché non ha alcun senso”.

Waters annuì in silenzio, ma il suo pensiero rimaneva lo stesso.

Ginger poteva anche aver detto quelle parole in un momento di pura rabbia e frustrazione dovuto alla malattia che stava affrontando da sola e che non le avrebbe dato scampo, e poteva anche considerarle prive d’importanza, ora, ma ciò non cambiava la verità nuda e cruda: corrispondevano perfettamente alla realtà.

Era una persona orribile, che sentiva sempre di più il macigno dei sensi di colpa schiacciargli le spalle, che aveva voltato le spalle al proprio miglior amico in un battito di ciglia e che nel tentativo di aiutare una persona, che non desiderava affatto il suo aiuto, aveva aggravato ulteriormente le sue condizioni simili.

E chi poteva comportarsi in modo simile se non un mostro? Perché quello era: un mostro, solo un mostro.

Un mostro, un mostro, un mostro, un mostro.

“Roger”.

Il vortice di pensieri del bassista venne interrotto dalla voce di Ginger; si rese conto che stava tremando vistosamente e così si spostò alle sue spalle, le passò le braccia attorno ai fianchi e la strinse contro il proprio petto, con la speranza di riuscirle a dare un po’ di calore.

“Sì?” domandò, poi, abbassando il viso per guardarla negli occhi; lei, di rimando, alzò il proprio per ricambiare lo sguardo.

“Devi promettermi una cosa, ma lo devi fare con la massima serietà”

“Dimmi tutto”.

La rossa sorrise, incredula di quello che stava per dire.

“Devi promettermi che quando questa storia sarà finita, starai il più possibile vicino a Jennifer. Lei farà di tutto per non crollare e prendersi cura di Keith, Demi e mommi, ma avrà bisogno a sua volta di qualcuno a cui appoggiarsi per non crollare a terra. Ha un migliore amico che le starà sicuramente vicino e che le darà tutto il supporto necessario, ma tu sei tutta un’altra storia… Non voglio importi un obbligo, ma ora credo davvero che tu sia l’unico in grado di farla uscire dall’orribile periodo che si ritroverà costretta ad affrontare. Per favore. Jennifer è la mia sorella minore. Non merita di soffrire, non voglio che passi nulla di tutto quello che ho passato io per prima. Promettimi che le starai vicino, che avrai cura di lei e che la proteggerai. Promettimelo, per favore”

“Te lo prometto, Ginger” rispose il bassista con uno sguardo serio “ti prometto che mi prenderò cura di Jennifer e ti prometto anche che nessuno la farà mai soffrire”.

Ginger chiuse gli occhi, sorrise e fece un profondo sospiro, come se si fosse tolta dalle spalle un enorme peso.

E, in un certo senso, era proprio così.

“Grazie… Grazie davvero, Roger”

“È meglio se rientriamo ora. Fa freddo, stai tremando come una foglia e gli altri si staranno chiedendo che fine abbiamo fatto”

“No, non subito. Voglio rimanere ancora un altro po’ a guardare il la luna e le stelle… Questo cielo mi ricorda tantissimo quello che anni fa ho ammirato a Cambridge insieme a Syd” sussurrò la giovane, scuotendo la testa, riportando alla mente la magica notte vissuta in compagnia di Barrett ed il primo bacio che si erano scambiati sulla barca a remi, sotto la luce della luna piena ed il cielo ricoperto di stelle; Waters annuì in silenzio, ed alzò a sua volta il viso in direzione del manto blu scuro su cui non c’era neppure una nuvola.

I due giovani rimasero in silenzio a contemplare il paesaggio notturno, ascoltando il rumore del mare che si era trasformato in una immensa distesa scura come la pece, che si confondeva con la linea dell’orizzonte.

Una improvvisa folata di brezza marina portò con sé l’eco delle voci e delle risate che provenivano dall’interno della villa.

Ginger non provò nessuna fitta al cuore nell’udire il suono di quelle voci familiari che ben presto non avrebbe più udito, e non provò neanche una punta di invidia al pensiero che lei non avrebbe mai più potuto ridere in modo così spensierato.

Tutt’altro.

Adesso che si era tolta un enorme peso dal petto, adesso che aveva dato il suo personale addio alle persone più vicine a lei, alle persone a cui teneva di più, ed a Roger (la persona che aveva odiato di più al mondo, che ora non odiava più, ma che allo stesso tempo non sapeva come definire), tutto il resto non aveva più alcuna importanza.

Non provava neppure più nostalgia per tutto ciò che stava per esserle precluso per sempre.

Si sentiva in pace con sé stessa e con il mondo intero, perché alle proprie spalle non aveva lasciato nulla di non detto, nulla di sospeso.

Il suo addio a Syd lo aveva già dato anni prima, il giorno in cui lui l’aveva liberata e lei era scappata a casa mezza nuda, senza mai voltarsi una sola volta.

Lì, seduta sulla spiaggia in compagnia di Roger, col viso rivolto verso il cielo stellato e con l’eco delle onde del mare mischiato alle voci che provenivano dalla villa, Ginger pensò che quello era il miglior epilogo in cui avesse mai potuto sperare.

Ed ora, finalmente, era pronta a smettere di lottare invano contro una malattia incurabile ed a lasciarsi andare col sorriso sulle labbra.
 

Ritorna all'indice


Capitolo 55
*** Epilogo: What Shall We Do Now? ***


1974, 28 dicembre.



 
Una principessa profondamente addormentata in attesa di essere risvegliata dal bacio del vero amore: era quella l’immagine che il corpo composto di Ginger evocava nella mente di Jennifer.

Non sembrava essersene andata per sempre, sembrava solo profondamente e serenamente addormentata; tutto il dolore e tutta la sofferenza che l’avevano accompagnata negli ultimi dodici mesi erano scomparsi dal suo viso, sostituiti da un’espressione di pace e tranquillità che non apparteneva a quel mondo e che era l’unico particolare ad infrangere l’illusione di un momentaneo sonno profondo, che prima o poi sarebbe stato spezzato.

Le avevano coperto la corta zazzera con una bellissima parrucca di lunghi, e veri, capelli rossi che ricordavano molto la sua folta chioma di un tempo, l’avevano truccata come il giorno del suo matrimonio e l’avevano vestita con il lungo abito color cipria, dalle maniche a sbuffo, che aveva indossato quattro anni prima alla festa di primavera che Rick e Juliette avevano organizzato nel giardino di casa loro.

Rick era entrato per pochi istanti nella camera ardente: gli era bastato lanciare uno sguardo al corpo della sua migliore amica per crollare definitivamente; aveva avuto un mezzo mancamento e Juliette, Nick e Lindy lo avevano portato all’esterno, sorreggendolo, cercando di placare il suo pianto e tentando inutilmente di calmarlo a parole.
Pamela era seduta vicino alla bara bianca, chiusa nel proprio personale e profondo lutto materno, e continuava a rigirarsi un fazzoletto tra le mani, tirando su col naso da dietro la tendina nera che scendeva dal cappello a testa larga che indossava, e che le nascondeva la parte alta del viso.

Roger era un pallido e silenzioso fantasma che si era rintanato a fissare il vuoto in un angolo, con le spalle contro un muro; era vestito completamente di nero, l’unico tocco di colore era dato dal viso bianco e tirato.

David era appena fuori la camera ardente insieme a Keith e Demi, che teneva in braccio, ed anche lui era pallido e silenzioso: anche se la sua storia con Ginger era finita da un pezzo, ed ora stava insieme a Virginia, lei restava comunque la ragazza di cui si era innamorato quattro anni prima, la ragazza che aveva sposato e con cui aveva avuto un bellissimo bambino dai capelli biondi e dagli occhi azzurri in cui si rivedeva in modo impressionante.

Virginia era rimasta a casa; la giovane aveva preferito non presentarsi per non creare scompiglio in una giornata così difficile e delicata.

Jennifer era stretta tra le braccia di Danny, che provava inutilmente a consolarla, mormorandole parole dolci ed accarezzandole i lunghi capelli neri che aveva raccolto in una treccia vaporosa; non riusciva a distaccare gli occhi dal corpo della sorella maggiore e non riusciva a capacitarsi di quello che stava accadendo.

La sua mente non riusciva a rielaborare il lutto, e passò l’intera funzione sentendosi sospesa all’interno di una enorme bolla di sapone: vedeva tutti gli altri, leggeva la disperazione sui loro volti, sentiva il pianto di Rick mischiarsi e confondersi a quello di Pamela, a quello di Juliette ed a quello di Lindy, vedeva la bara bianca, che era stata sigillata per sempre, ricoperta di rose rosa, ma tutto le sembrava lontano anni luce da lei, distaccato completamente dalla realtà.

Ritornò con i piedi per terra, con un doloroso pugno allo stomaco che le mozzò il fiato in gola, quando, al cimitero, poco prima di procedere con la sistemazione della bara bianca all’interno della profonda fossa, vide Keith staccarsi dalla presa di Pamela, avvicinarsi ad essa e posare tra i fiori freschi il suo adorato riccio George.

Il peluche da cui non si separava mai.

Alla vista di quella scena, Jennifer scoppiò nel pianto disperato che fino a quel momento aveva trattenuto; buttò le braccia attorno al collo di Danny e nascose il viso contro la sua spalla sinistra.

E ora?

Che cosa avrebbe fatto ora?
 

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=3892068