Fragile come un Diamante.

di Dark prince
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Fase 1: Preludio al chiaro di Luna. ***
Capitolo 2: *** Fase 2: Il trillo del Diavolo. ***
Capitolo 3: *** Fase 3: Danse Macabre. ***
Capitolo 4: *** Fase 4: Revolution. ***
Capitolo 5: *** Fase 5: Notturno. ***
Capitolo 6: *** Fase 6: Bolero. ***
Capitolo 7: *** Fase EXTRA. ***



Capitolo 1
*** Fase 1: Preludio al chiaro di Luna. ***


Piccole premesse:
Di questo fandom sono alle prime armi ma questo non mi ha impedito di scrivere codesta FF dai toni un po’ contorti.
P.S. C’è un motivo per tutte le reazioni che i personaggi hanno.
Spero che questa storia vi piaccia.
Buona lettura.


 


Non ci voleva.
L’aver vomitato tutta la colazione dentro la tazza del water non era stata una sorpresa gradevole per il giovane alzatoro, che aveva avvertito malessere dalla sera prima. Ora si ritrovava in campo, durante gli allenamenti, a guardarsi attorno con una espressione che ricordava quella di un disperso in mezzo al mare che non toccava cibo e acqua da settimane.
Quando la palla colpì il pavimento con forza tale da far diffondere il rumore dell’impatto per tutta la palestra, creò un suono distorto, mescolandosi a tutti gli altri e creando una sinfonia discordante e assordante che costrinsero Koushi a portarsi entrambi le mani vicino al viso per coprire le orecchie sofferenti, causando una propria distrazione che gli costò molto cara a causa di Hinata che colpì la palla nel modo sbagliato, al momento sbagliato: Sugawara vennee colpito sulla guancia e l’urto riuscì a farlo vacillare per via dell’intensità.
Il dolore si fece avvertire quasi subito, seguito dalla sensazione di vomito e nausea che causò la perdita di equilibrio di Suga che cadde di schiena, provocandogli un dolore tale da far sfuggire un gemito di dolore si diffuse nell’aria.
 Tutti si fermano ad osservare quella scena, tranne Daichi che era troppo preso a parlare con il capitano della squadra femminile, ma per gli altri, che avevano prestato attenzione all’ambiente che li circondava, quella scena appena successo sembrò distante e surreale.
L’unico a destarsi per primo e scattare verso il vice capitano fu il giovane Hinata, preoccupato sia per lo status fisico che per le probabili ripercussioni che avrebbe avuto in futuro: In fondo era stato lui a schiacciare quella maledetta palla e a colpirlo. In tutto ciò, Koushi, si rese e conto di essere stato steso solo quando quella zazzera arancione iniziò a chiamarlo con prepotenza e ancostringerlo a mettersi almeno seduto, cosa che gli costò una smorfia di dolore che andò ad incorniciare il suo pallido viso e dei brividi freddi che gli attraversarono tutto il corpo.
Il suo sguardo vagò per la palestra, passando su i visi dei propri compagni di squadra, riconoscendoli uno per uno, e si rese conto anche di come lo stavano fissando, con quella preoccupazione negli occhi che non doveva esserci, per quanto gli riguardasse.

Era stato colpito.

Era stato colpito ed era caduto.

Era stato colpito, era caduto e tutti si erano fermati a fissarlo.

Tutti.

Tranne…

 Provò a parlare e si rende conto che nessun suono uscì dalle sue labbra, come se la bocca fosse impastata e non rispondesse più ai suoi comandi, quindi l’unica cosa plausibile per lui e scuotere il capo con così tanta violenza da causare un ulteriore giramento di testa per far comprendere agli altri di non preoccuparsi, tanto che impose al suo corpo di reagire ed alzarsi, ignorando tutto, anche la sua debolezza fisica più che evidente. Nessuno sembrò riuscire a fermarlo per riposarsi, neanche Asahi che si era avvicinato per sorreggerlo che, però, ricevette una occhiata di Koushi, con l'effetto di pietrificare il ragazzone sul posto e fargli ben capire di restare li dove fosse; non voleva farsi vedere in quello stato, doveva scappare da quella palestra in più in fretta possibile, ignorando il corpo che gli implorava pietà, di fermarsi, e la mente che stava perdendo la sua lucidità man mano che lui contrastasse il malore. Doveva soltanto uscire dalla palestra.
Stava male perché era il suo corpo a stare male.
Punto.
Si puntellò su i talloni, per avere un equilibrio maggiore mentre metteva in moto il suo corpo per dirigersi verso l'uscita della palestra, intravedendo la porta a scorrimento di ferro vicina: riusciva già a immaginare l’aria fresca solleticare il suo viso, un posto tranquillo dove sedersi e dove nessuno l'avrebbe notato. Ma questa immagine svanì quando i suoi passi lo tradirono e le sue gambe avvisarono di un nuovo cedimento tanto che fu costretto ad allungare le braccia potersi aggrappare alla maniglia, a qualcosa, per non cadere rovinosamente a terra.
I polpastrelli sfiorarono unicamente la maniglia di freddo ferro, senza nessuno scampo si ritrovò costretto ad accettare quella caduta che, però, non avvenne.Si sente afferrare da due mani dal nulla, poi a quelle mani si aggiunsero delle calde e stabili braccia che lo stavano continuando a sorreggere.
Tutta la squadra si ritrovò a voltarsi in quel momento, compreso Daichi che sembrò essersi destato tutto in un colpo e si ritrovò ad osservare la scena confuso.Tuttavia la manifestazione di sorpresa più alta era quella impressa sul viso di Kageyama che camminò con passo saldo, facendosi spazio fra i compagni in modo da avvicinarsi al nuovo entrato. Quello che reggeva Sugawara tra le braccia senza la benché minima difficoltà.

-“Cosa ci fai qui, Oikawa?” – La sua voce risultò infastidita, sfiorando il gracchiante- “Dovrebbe essere vietato ad allievi di altre scuole di entrare nell’istituto.-”

Tooru sfoderò un sorriso. Quello che rivolgeva a tutti era il suo sorriso splendente, a sua detta, e nel frattempo stava sistemando il braccio dell’alzatore della Karasuno attorno alle sue spalle per sistemarlo come si doveva, riuscendo a reggere in modo uniforme tutto il peso.

-“Sai come sono fatto: Arrivo dove c’è bisogno.”-

Tobio non fa in tempo ad avvicinarsi al capitano della Aoba Johsai che si vide superare dal proprio, che aveva in viso una espressione severa: i muscoli del suo corpo rigidi, eppure si poteva leggere smarrimento nei suoi occhi, come se non comprendesse il perché Koushi era lì, mezzo morto, fra le braccia di un Oikawa sorridente e sghembo che sembrava una volpe che aveva preso la sua preda giornaliera.
Era successo di nuovo?
Ancora si era distratto e aveva perso di vista cose importanti?
Si era di nuovo rinchiuso della sua fottuta bolla che non serviva a niente?
Sawamura si preparò mentalmente a parlare e ad agire, avvertendo un senso di pericolo dell'aria dall'origine sconosciuta, un qualcosa di imminente che avrebbe rotto quel momento precario che si era venuto a creare da alcuni mesi nella palestra, fra il capitano e l’alzatore.

-“Non si scomodi, signor capitano Daichi: Capisco cosa significa dover badare a tutti e ad avere certi impegni sulle spalle. Porto io Sugawara in infermeria.” – Quelle parole vengono rafforzate da quello che sembra un ghigno, uno di quelli che il diavolo, sotto le spoglie di un ragazzino di 17 anni.
Quelle parole provocarono in Sawamura l'esatto contrario, tantè che si stava avvicinando ad Oikawa per togliergli dalle grinfie Koushi.
Ma venne bloccato nel suo agire, nell'interrompere la messiscena messa in atto da Tooru poiché il loro allenatore, Keishin Ukai, li stava già richiamando all’ordine: Per quanto gli riguardava stavano soltanto perdendo tempo e se c’era qualcuno che poteva portare l’ammalato in infermeria e, contemporaneamente, non far distrarre troppo gli altri dall’allenamento, perché non approfittarne?
Alcune dei presenti manifesta la propria titubanza alla prospettiva di lasciare uno dei loro compagni di squadra avversaria in quello stato, con una persona del genere. Questi dubbi vennero interrotti dalla persona che in quel momento stava male ed era fra le braccia del suo aguzzino, almeno per l'imaginario di molti: Sugawara alzò il braccio e con la mano gesticola, cercando di far capire agli altri che andava bene così, che si sarebbe fatto trascinare dall’altro in un letto comodo e caldo: Questa prospettiva lo portò, in un gesto istintivo, ad affondare il viso contro la spalla del suo “salvatore” per sostenersi e alla ricerca di un celato conforto.
Sembravano quasi intimi.
Sembravano così intimi.
Ai presenti non resta che riprendere le loro attività, ignorando o non percependo nulla da quello che avevano appena assistito, confortati dai gesti del loro amico: la cosa che li spinge a tornare ai propri posti era il fatto che il vice- Capitano aveva bisogno di riposo ed era stato d’accordo anche Daichi, quindi perché preoccuparsene?
Però la persona che non riuscì placare l’animo era proprio Sawamura. Il suo istinto protettivo stava iniziando a scalpitare, aumentando di intensità quando sentì il rumore della porta che veniva chiusa.
Lui era rimasto lì, dove il suo ruolo lo designava.
 
 

 
                                                                              
                                                                                          §§§§§§
 
 
     Tutto tremava attorno a lui: La sua mente, il suo corpo, il mondo stesso. Poteva anche avvertire la sua anima vibrare appena come se anche lei fosse titubante sul da farsi, se lasciarsi andare in quel turbinio di movimenti senza una utilità alcuna.
Le sue mani ebbero uno scatto in quella fase di dormiveglia, ma riuscì a distinguire sulle dita sottili ancora i segni dei cerotti di tela che usavae durante gli allenamenti preventivando qualsiasi tipo di infortunio, ma poi si spostarono a concetrarsi sul tessuto morbido del lenzuolo che venne stretto appena fra di esse.
Lo stordimento non fa comprendere al ragazzo che era inusuale quella qualità di stoffa per un qualsiasi letto di una qualsiasi infermeria.
Questa deduzione riescì a raggiungerla solo quando, aprendo gli occhi, si ritrovò a fissare un soffitto bianco perlato dove sapientemente erano stati appiccicate delle fosforescenti stelle, pianeti e alcuni alieni a metà busto con una espressione “simpatica”, che eseguivano un segno della vittoria con le mani.
E Sugawara sapeva anche bene che quei cosi si illuminavano al buio.

-“Suga-Chan!” – ogni sua parola, ogni suo gesto emanava uno stato di euforia- “Finalmente ti sei svegliato, Mr Rinfrescante.”

Sbatte più volte le palpebre il vice- Capitano della Karasuno, come un corvetto appena svegliato e che non comprende come sia potuto finire in camera di Tooru, di non ricordare nulla del tragitto dalla palestra fino alla casa dell’altro e l’unica risposta concreta che gli passò in mente era un probabile svenimento.
Chiuse gli occhi, rasserenato dalla soluzione a cui era giunto, fino a quando un altro pensiero fulmineo gli si piantò nel cervello.

-“… Mi hai portato qui dalla palestra.” – Oikawa annuisce, con una espressione compiaciuta quando Sugawara pronunciò quelle parole - “Mi hai portato qui, a casa tua, senza avvisare nessuno?”-

Una scintilla di panico si impadronì deldel ragazzo dai capelli argento che stava già compiendo i primi movimenti, scoordinati, per dare una sberla all’altro alzatore.

-“Ho lasciato un biglietto al tuo Daichi dicendogli che ti portavo a casa. Poi ho chiamato tua madre, usando il tuo cellullare, per dirgli che stavi da me.”

Volpe astuta.
Viscido serpente.
Koushi si ritrovò a lanciare una occhiataccia, per quando potesse sembrare minaccioso ridotto così, per il trucchetto che aveva usato il Grande Re* e dell’aggettivo usato vicino al nome del suo capitano.
Suo.
Niente era suo.
 
Un improvviso giramento lo portò a chiudere gli occhi e cercare di rilassare tutta la muscolatura, fattore abbastanza arduo se si valutava il suo status mentale.
Il moro sorriae verso di lui e si alzò dalla sedia di legno dove era stato fino a quel momento, per prendere il bicchiere d’acqua che aveva precedentemente posto sulla scrivania, per poter far bere l’altro e calmarlo.
-“Ti ho donato qualche ora di pace, non credi?
Sii grato nei miei confronti.”
La voce bambinesca che escì dalle labbra sottili di Oikawa fa compiere a Suga prima una smorfia di rabbia, ma questo si tramutò presto in un sorriso rassegnato quando nella sua mente riaffiorirono i pochi ricordi di quello che era accaduto in palestra.

-“Entrare così, in quel modo compiaciuto, in palestra: Proprio come il grande Re”

Quelle parole fanno nascere un nuovo sorriso sul viso del Capitano della Aoba Johsai che si voltò verso la sua destra, dove vi era un cartonato di Alessandro Magno, di modeste misure, che aveva l’insignificante dettaglio della testa; Non c’era quella del grande conquistatore. Ma una foto della faccia di Oikawa.
 Tooru Tornò a sedersi per stare più comodo a mentre si dilettava a parlare e guardare in viso il suo ospite: ogni volta che si ritrovata in una situazione del genere con Sugawara, si domandava sempre come e perché.
Era stato il destino a farli incontrare o solo la pallavolo?

Ricordò con esatezza il campo, evento che avevano organizzato le squadre di loro iniziativa durante la pausa estiva e dopo i vari incontri in modo di stare in compagnia, e condividere una passione comune.
Tutto perché si diventa rivali.
Ma anche amici, in un certo senso.
Però, per Tooru, l'immagine più vivida di tutta quella serata fu quando la sera, colto da un necessario bisogno di bere, si svegliò nel cuore della notte.La serata era tranquilla, scandita solo dal suono delle cicale che proveniva da fuori, però dentro la villetta che era stata affittata per l'evento e dove tutti dormivano, vi era il più tenebroso dei silenzi.
Sembrava non esserci neanche il suono dei respiri delle persone che giacevano dormienti.
Quando Oikawa si decise di andare in cucina, per placare la sua indecente sete, si ritrovò a camminare per i lunghi corridoi buio mezzo assonnato e mezzo stranito da una sensazione opprimente all’altezza dello stomaco che lo induce, sovrappensiero, a non accendere la luce quando si trovò nella stanza che gli serviva.

Era stata la luce della luna, complice, a fargli intravedere qualcosa nel buio totale in qui giaceva la stanza: i suoi occhi aveva riconosciuto l’ombra di quella che era la punta di un coltello, tenuto dal manico da una mano tremolante, e la stretta era così forte da mettere in rilievo tutte le venature del dorso.
La sua inquietudine aumentò nel preciso istante che capì dove puntava.
Era vicina la lama, troppo vicina alla gola.

Non sua.

Ma di Sugawara.

Koushi stava tenendo un coltello e se lo stava puntando alla gola. Quei ricordi, quelle sensazioni, sembravano essere impresse a fuoco nella mente di Oikawa che per quella sera si ritrovò ad essere il salvatore di un corvetto dalla espressione spaventata e distrutta. E per farlo ci voleva molto: aveva spesso paragonato Koushi ad un diamante. Un oggetto talmente resistente che per frantumarlo serviva trovare il suo punto di rottura.
Da lì sono accadute così tante cose che non gli sarebbe bastata una giornata al moro per ricordarle tutte perdersi nei suoi pensieri che vengono destati dal Respiro del corvetto che stava dormendo nel suo letto, beato. Si limita a coprirlo come meglio riusciva senza svegliarlo, spostandosi di stanza per farlo riposare e recuperare il cellulare dove nota ben 20 messaggi: Solo 10 di questi appartenevano a Iwaizumi.
Oikawa si lasciò scappare un sospiro e ripose il cellulare di nuovo sul tavolo.
Sarebbe stato saggio tenerlo spento per un po’.


 
 
 §§§§§§
 
“Ho tutto dentro e niente fra le mani.
Penso, ricordo e mi perdo dentro a questo che dovrebbe essere il mio corpo.
Non riconosco nulla, sembra un fantoccio con in viso una maschera dalle fattezze grottesche.
“Non”.
È quella singola parola che mi fa sentire estraneo.
Io “Non”.
Io “Sono”.
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Note:
*Il cartonato di Alessandro Magno ha un senso, giuro.
Si presume che Oikawa e Magno siano nati lo stesso giorno e mese in più, aggiunta carina, entrambi hanno il nominativo di “Grande Re.”
 
Grazie per essere passati a leggere questo capitolo e questa storia. Enjoy.

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Capitolo 2
*** Fase 2: Il trillo del Diavolo. ***


 

                                            
CAPITOLO 2

                                                                         

Il trillo del Diavolo.

 

La figura del ragazzo dai capelli argento era distesa su un fianco, il destro, e il suo respiro regolare si poteva intravedere da sopra le coperte che avvolgevano il corpo per riscaldarlo, che si muovevano a causa della profonda respirazione. Un occhio più attento, però, poteva scorgere un’altra chioma dalle tonalità più scure, castane, poggiata sullo stesso cuscino dove Sugawara stava riposando beatamente: Oikawa era riuscito a farlo restare lì per la notte, avvisando prontamente i genitori del ragazzo, che aveva conosciuto di persona grazie agli sviluppi recenti che si erano creati fra di loro e nella vita.

Essendo il letto del moro ad una piazza e mezza, aveva ben pensato di poter dormire con l’altro, senza preparare un giaciglio di emergenza per concedere la giusta e rigida privacy che la sua cultura gli imponeva.

No.

Nulla di tutto questo.

Tōru aveva preso tutte le etichette, le aveva accartocciate e gettate via, come aveva fatto con il volto di Alessandro Magno che non gli era sembrato gradevole quanto il suo. Come le cose che non gli piacevano.

Durante il sonno le sue braccia si erano avvolte alla vita di Sugawara in una presa solida e ben ferma, e il mento poggiato su una sua spalla, segno che durante la notte l’alzatore della Karasuno si era agitato o aveva avuto gli incubi e Oikawa aveva prontamente calmato con delle carezze o un gesto di affetto, ben sapendo che questo era un buon modo per far avere sogni tranquilli ad entrambi.

Quel contatto non è estraneo a nessuno dei due e quelle attenzioni non destano dal sonno il diretto interessato. Almeno fino a quando non avverte il tessuto della maglia scivolare verso l’alto, sulla propria pelle, e sentire il calore che solo un altro corpo umano poteva dare.

La mano del Grande Re sembrò insinuarsi sotto la maglia, come un serpente che svelto va ad infilarsi nella sua tana per essere ben protetto, e le sue fine dita andarono a sfiorare il centro del petto dell’altro procurandogli un palese brivido che lo destò, cosa  che si manifestò con un gesto lieve, ma sinuoso, della schiena che si inarcò di poco, un gesto così timido a cui neanche Oikawa fece caso, troppo impegnato ad ascoltare il respiro di Sugawara che accelerava e diminuiva di colpo, come se fosse combattuto fra il lasciarsi andare a quei tocchi peccaminosi e resistere, colpa del suo carattere ligio e del sentirsi in colpa per tutto quello.

Di essere sbagliato.

Di trovare piacere che a toccarlo in quel modo grezzo e volgare fosse un uomo e non una ragazza.

Di farlo fare a qualcuno che non fosse Daichi, il suo migliore amico.

Koushi serrò le mascelle con così tanta forza da avvertì il sapore del sangue inondare la sua bocca però non fermò l’altro, non lo bloccò, si lasciò toccare, inquinando la sua anima ancora un .

Affogò in quelle sensazioni che diventarono talmente travolgenti da spingerlo a voltarsi completamente con il corpo verso Oikawa: Sentì le mani del ragazzo scivolare sulla propria schiena, le dita che sfiorarono le scapole, che saggiarono quella pelle, e lui inerme, a fissare quel viso che goliardico ricambiò il suo sguardo per pochi secondi poiché chiuse gli occhi e avvicinò il proprio volto a quello dell’altro per ricevere di più un. Un bacio.

Le labbra si poggiarono sopra quelle di Tōru in un movimento delicato, tipicamente estraneo per un ragazzo che nella foga nel momento è impetuoso e rozzo, ma questa è solo una delle tante facce che celava il Oikawa, e Koushi era a conoscenza di questo.

Arrivò un morso deciso, che non sorprese nessuno dei due che, anzi, atteserò: I denti catturarono che le labbra inferiori del docile corvetto della Karasuno al quale sfuggì un verso di godimento dalle labbra, uno di quelli che ti possono far affondare il viso contro il cuscino per la vergogna, quella che provò lui in quel momento anche se si stava abbandonando alla lussuria-

Sugawara sentì il corpo del coetaneo infilarsi fra le proprie gambe che cederono per una carezza di troppo, inermi a quelle sensazioni di piacere e sconquassate dai brividi che iniziarono a partire dal basso ventre che si espansero per tutto il corpo come una macchia di inchiostro nero.

Le loro menti iniziarono a perdersi, i pensieri a farsi più incoerenti e distanti dalla logica, i visi scambiati con quelli delle persone distanti in quel momento, inebriando la mente di sensazioni primitive.

Ciò che riportò alla realtà, a quel letto caldo, alle mani fra i capelli e le labbra sul corpo, fu il bussare della porta sempre più insistente: Koushi spalancò gli occhi, preso dal panico che scalciò via l’eccitazione che era presente nel suo corpo, sollevando anche Oikawa dal proprio forse con troppa veemenza poiché riuscì senza nessuna difficoltà a scaraventare l’amico fino al muro laterale, che era posto vicino al letto, e fargli sbattere il capo contro di esso.

Dall’altra parte della porta chiusa a chiave da due mandate si sentì una voce femminile e adulta, appartenente alla madre di Tōru che era andata a chiamarli per svegliare entrambi e non far fare loro tardi a scuola; a sentire semplicemente quelle parole, Sugawara si alzò in piedi in me che non si dica, schizzando dentro il bagno e lasciando da solo l’altro ad affrontare il genitore che venne liquidato in poco tempo da Oikawa; dolorante va a bussare alla porta  del bagno per valutare lo stato d’animo dell’altro.

«Sai, dovremmo prendere in considerazione l’idea di un Love Hotel»

A quelle parole il ragazzo dai capelli bianchi aprì la porta di scatto, con una certa violenza, e fissò negli occhi il coetaneo. – «Certo.» - Quella singola parola portò il moro in uno stato di confusione, come se non si aspettasse una risposta positiva così in fretta. – «Se vogliamo essere subito scoperti e finire, non so, alla gogna pubblica.»

Ecco. Ora si che riconosceva Sugawara.

Scartata la geniale idea del love Hotel, ha detto di Oikawa, e quella di fare la doccia assieme, si preparano entrambi per uscire: Il moro si sarebbe diretto a scuola, l’altro era stato caldamente indirizzato ad andare a casa a riposarsi anche se entrambi sapevano che quello non sarebbe successo: il ragazzo dai capelli bianchi tendeva decisamente a riempirsi la giornata con pensieri profondi, problemi verso l’umanità, problemi con sé stesso e con gli oggetti che lo circondavano.

Tōru sorrise a quei pensieri indirizzati alla figura di Koushi e prima di separarsi da lui, prestando massima attenzione a dove fossero e se qualcuno si aggirasse nei paraggi, per non essere visto da nessuno, si chinò e lasciò un bacio all’angolo destro della bocca del corvetto che, dal canto suo, gli rivolse una occhiataccia contornata da un lieve sorriso prima di prendere un’altra direzione per tornare a casa.

 

Nessuno dei due era innamorato dell’altro.

Nessuno dei due, assolutamente, pretendeva di avere l’esclusiva o altre sciocchezze del genere.

Erano due uomini che stavano affrontando una situazione nuova, spinosa per loro quanto per la comunità.

Erano due esseri umani riavvicinati da una difficoltà identica, e si stavano spalleggiando per uscirne senza ferite mortali.

 

§§§§§§



Bla Bla Bla.

Quello che sentì quando il professore muoveva le sue labbra erano solo dei gran “BLA, BLA, BLA”, che lo inducevano ad un sonno ristoratore sul banco. Tōru non poteva distrarsi del tutto, non in classe con il l’insegnante fin troppo vigile nei suoi riguardi, per via di eventi passati, e per la presenza di Iwazumi al suo fianco: Anche oggi lo stava ignorando.

Anche oggi si stava comportando come se, il grande Re, non esistesse in quella classe ma gli venne da sorridere quando ripensò al cellulare pieno di messaggi e chiamate ricevute proprio dall’altro

Questo lo fece sorridere ma gli procurò anche una gran rabbia dentro che non sapeva come sfogare in quei frangenti, soprattutto quando di mezzo c’era il vice-capitano della sua squadra, suo amico e la persona che ha messo in dubbio la sua intera stabilità sessuale.

La sua eterosessualità, se vogliamo definirla nel totale.

E tutto incominciò 1 mese fa, In una serata fra amici a casa di uno di loro, con abbondanti quantità di alcolici poggiati sul tavolino dove a padroneggiarla c’era la birra, e un Oikawa che non era riuscito a trattenersi, a dire di no a quella bevanda, che era stata fatale per il rapporto con Hajime a causa dell’abuso che aveva fatto di essa che aveva agito sul suo già precario autocontrollo che crollò come un castello di carta e le sue inibizioni, freni, completamente svaniti nei fumi dell’alcol; Si era sporto, seguendo soltanto il suo pessimo istinto, e aveva baciato il suo compagno di squadra appena furono rimasti da soli.

Tutto sarebbe finito lì, un semplice bacio a stampo può capitare se sei ubriaco fradicio, anche solo per gioco, ma Tōru continuò le sue azioni.

Aveva messo le mani dove non doveva.

Aveva tolto, usando la forza anche, i vestiti che Iwazuimi aveva addosso quella sera.

Si fermò soltanto per via di un bugno in piena faccia che lo aveva steso a terra, e nella sua discesa contro il pavimento urtò anche una lattina di birra aperta che cosparse il suo contenuto tutto su i suoi vestiti.

Lui era rimasto sdraiato senza rendersi conto della gravità della situazione, sentendo i passi veloci dell’altro allontanarsi da lui, dalla stanza.

Da allora il vice-capitano della Aoba Jobai High non ha più rivolto ad Oikawa parole o frasi che non fossero collegate al loro compito in squadra, ed evitava accuratamente di restare da solo o in doccia comune dopo le partite.

Eppure, se il moro non si presentava agli allenamenti o mancava per tre giorni di fila a scuola, Hajime riempiva il suo cellulare di chiamate e messaggi.

Perché tutto questo?

Perché non rifiutarlo e basta, allontanandolo?

Perché doveva tenerlo sul filo del rasoio, sospeso vicino alla linea dell’oblio?

Il moro era talmente preso dai suoi pensieri che non si rese conto della lezione terminata, segnalata dalla campanella di cui eco ancora rimbombava nella sua mente ma non aveva collegato tale suono alla scuola: Gli ricordava più un allarme, un avvertimento di qualche pericolo in avvicinamento. Davanti ai suoi occhi si stagliava la figura di Iwaizumi, visibilmente nervoso dalla sua espressione e dalle mani ben nascoste dentro le tasche della divisa, segno che non voleva mostrarle.

Era in posizione difensiva e questo Tōru lo percepì in modo talmente limpido che fu il primo a prendere la parola anche se questo gli pesò come un macigno e la sua voce tremò impercettibilmente. I suoi occhi evitano accuratamente di incrociare quelli dell’altro.

Si rende conto solo in quell’istante che fossero rimasti solo loro due in classe.

“Qualcosa non va?”

Tutto.

Non andava nulla bene.

Oikawa Avvertì il suo cuore martellare contro la gabbia toracica con una forza tale da fare male.

« Ieri sei andato via nel bel mezzo degli allenamenti ed è una cosa che non avevi mai fatto.»

Oh, ecco di nuovo la sua preoccupazione contornata dal suo sguardo severo.

E non lo aveva ancora insultato.

Era da un mese che non gli rivolgeva le solite parole.

 « Sono andato in soccorso di una principessa.»

E qui mostrò il suo sorriso, quello che sempre aveva sul viso e porgeva a tutti, ed è quello che Hajime non tollerava poiché fasullo.

Se ne rense conto anche questa volta che tutto fosse falso, che avesse messo su la sua preziosa maschera di porcellana, tanto che si avvicinò ancora di qualche centimetro, restando sempre attento ai movimenti della persona che aveva di fronte.


«Perché sei andato dai corvi?»- Il tono del ragazzo sembrava piatto, ma si notava una nota diversa, che annientava la sua neutralità riguardante la faccenda.-

Oikawa stava fingendo, evitando di dirgli la verità? Perché non farlo?

E lui Come sapeva tutto quello?

Come faceva a sapere che era andato nella palestra della Karasuno High, luogo abbastanza distante dal proprio quartiere e scuola.

Non aveva detto ad anima viva del suo spostamento poiché ogni singolo incontro con Sugawara era stato sapientemente celato a tutti, per non creare problemi, o solo anche il minimo sospetto su di loro due

Chi aveva detto ad Hajime il suo intervento nella squadra della Karasuno?

Cercò di tenere ben sotto controllo le sue emozioni e tutte le sensazioni che si erano riversate nella sua testa, assumendo una espressione più neutra che il giovane moro potesse sfruttare, senza mai togliere quel sorriso dal proprio volto.

 

«Sei venuto a controllarmi, Iwa-Chan? Eri preoccupato per me?»

Aveva usato quel suo tono gentile, snervante sotto certi punti di vista, che sembrava prenderti in giro ad ogni lettera pronunciata da quella bocca insolente. Ma era una reazione per via di sentirsi osservato, analizzato a fondo da quella persona che aveva davanti.

La persona che gli piaceva più di ogni altra cosa.

Forse anche più della pallavolo.

«Non dovresti andare in giro a dare fastidio»

Il tono di Hajime, dal canto suo, sembrò freddo e privo di ogni tonalità, tanto da sembrare una perfetta macchina il cui compito era quello di riportare all’ordine il suo disastroso padrone di casa.

Ma c’era qualcosa in quegli occhi, qualcosa che Tōru non seppe definire; Sembrava esserci una traccia di irritazione, probabilmente causata dalla sua assenza agli allenamenti ma avvertiva dell’altro, qualcosa di nascosto sotto la crosta dura dell’anima verso il cui era attrato.

«pressappoco è quello che ti ha riferito la spia corvetto? Che ho dato fastidio?»

Tōru era certo che qualcuno avesse parlato, riferito la sua posizione, ed era certo che questo era della squadra della Karasuno.

Alzò le spalle, mostrando un sorriso falso e indifferente, incassando leggermente il capo come a volersi difendere da qualche attacco fisico, anche se di questo non vi era pericolo in presenza di Iwaizumi. Quest’ultimo non rispose alla domanda posta dal moro e si limitò a fissarlo con quella espressione criptica, difficile da comprendere a fondo, prima di afferrare, con un gesto che nascondeva un certo nervosismo, la tracolla nera della propria cartella e andare via così, rammentando al capitano di non mancare più agli allenamenti.

Quello che si lasciò alle spalle fu un Oikawa silenzioso che colpì il proprio banco con un pugno chiuso appena rimase solo.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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"In alcuni casi la nostra volontà non vale nulla: Hai mai pensato a questo?
Ti sei mai chiesto cosa sarebbe successo se tu,
proprio tu che non credevi in queste superciali cose
come l'amore, la fortuna, l'amicizia, non ti fossi fatto travolgere?
Saresti forte?
Debole?
Vuoto?
O perduto?"

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Capitolo 3
*** Fase 3: Danse Macabre. ***


Immagini indelebili e forti percorsero la mente di Sugawara che ritenne la catena di eventi che fu scatenata, da quella fatidica notte al campo, solo un gioco di pessimo gusto del destino: a questo piaceva giocare sporco, in modo viscido e senza usare regole.

Ma lui non era una persona che giocava senza regole, lui era onesto, ligio, il giapponese perfetto, il figlio perfetto.

Quando si ritrovò ad alzare lo sguardo, scostando la sua attenzione dal libro di Murakami che stava leggendo, e notò la madre compiere le sue quotidiane faccende domestiche iniziò ad avvertire un senso di colpa che tornò a portarlo nell’oblio.

Lui non era affatto il figlio perfetto, anzi, era qualcosa che nessun genitore voleva avere in casa, un qualcosa di cui vergognarsi e nascondere alla società; Se solo potesse urlare al mondo e liberarsi di quel peso opprimente…
“Mamma, devo dirti una cosa”

“Mamma, non mi piacciono le ragazze”

“Mamma, sono gay e innamorato di...”

- Daichi… “

Il nome dell’altro gli scappò dalle labbra in un sussurro, tanto che si ritrovò ad allarmarsi e controllare che il genitore non lo avesse sentito, cosa che non accade, per fortuna, ma il destino stava di nuovo per mettere in campo le sue pedine più perfide.

Il suono della porta fu la distrazione di Koushi dai suoi pensieri tanto che lo portò ad alzarsi per andare ad aprire, evitando altre rotture alla madre impegnata con la biancheria da stendere, camminando in modo calmo e tranquillo senza sforzare il corpo che si stava ancora riprendendo dalla brutta influenza di quei giorni.

Aprì senza neanche porsi il problema di chiedere chi fosse, ritrovandosi di fronte alla persona che, poco prima, stava tormentando i suoi pensieri più reconditi: Daichi era lì, con la sua espressione severa, lo sguardo fisso, che sembrava voler scrutare nell’animo dell’alzatore, come se i suoi sensi avessero intuito che c’era qualcosa che lui, l’amico di sempre, il suo fedele vice, gli nascondeva da alcuni mesi.

“ Sono venuto a portarti i compiti, ovviamente” - il moro soffiò quelle parole senza muoversi dall’uscio della porta, tenendo sulla spalla la cartella con tutto il necessario - “Ho sentito dagli insegnati che il malore in palestra era dovuto ad una brutta influenza e non ho trovato… corretto disturbarti al cellulare.”

Bugia.

Bugia, bugia, bugia.

Stava dicendo una bugia.

Sugawara sorrise, un sorriso veramente grato, un sorriso contento nel vedere l’altro perché gli era mancato.

La sua dose di veleno giornaliera gli era mancata.

“Grazie… Ma vieni dentro, non stare fuori” -Si scostò dalla porta il padrone di casa, lasciandola aperta a Daichi per permettergli di entrare, spostandosi in automatico verso la cucina per mettere su i fornelli l’acqua per il tea.

Dopo i saluti convenevoli, la preparazione del necessario per fare una merenda, si erano ritrovati entrambi in camera del vice capitano, per restare tranquilli mentre parlavano dei compiti da recuperare, gli aggiornamenti con la squadra. Ma Daichi sembrava non riuscire a scostare lo sguardo dell’altro, seguendolo per tutta camera quando questo si muoveva anche solo per prendere una matita dalla scrivania.

“Sai, mi stavo domandando come mai Oikawa fosse venuto a scuola” - la sua voce sembrò che a stento stesse trattenendo un fremito per la rabbia “ E abbia lasciato gli allenamenti del bel mezzo, senza dire nulla ai compagni.”.

Lo sguardo di Koushi scattò verso l’altro e sembravano quelli di un corvo impaurito, di fronte a qualche nemico e in quel momento, il nemico, era un suo compagno, un suo simile.

“Questo mi fa pensare che lui sapesse… che stavi male, Sugawara.”

Lo sapeva?

Oh, si che Tōru lo sapeva.

Lo sapeva da tempo che lui stava male.

“ … Qualcosa del genere...” - Si umettò le labbra con la lingua, avvertendole incontrollabilmente secche - “Da quando si è concluso il rientro sportivo, al campo, ci siamo scambiati il numero di telefono”

Il senso di colpa stava iniziando a divorare Koushi, avvertendo di essere anche un pessimo amico.

Era pessimo in tutto e per tutto, e questo non migliorava quando si ritrova il capitano, il suo capitano, così vicino: il suo sguardo lo stava tagliando in due e avvertì un sentimento negativo da parte sua.

Daichi era arrabbiato. Era arrabbiato con l’altro, era arrabbiato con sé e, più di tutti, era arrabbiato, senza capire il perché, con Oikawa.

“ Senti: lo so che ultimamente sono stato distratto, per via degli esami, dell’università da controllare e tutto ma… puoi contare su di me, lo sai”

No, no no no no. Daichi non doveva usare quelle parole.
“Lo so, ma mi sembravi veramente in crisi e poi sto conoscendo anche altre persone così, no?” Il suo sorriso dolce, accondiscendente, riuscì a interrompere quella catena di rabbia e risentimento.

La mano del vice capitano si allungò, andando a sfiorare la fronte dell’altro con le fini dita, scostandogli alcuni ciuffi fin troppo scomposti.

Sawamura restò immobile, lasciandolo fare, abituato che l’altro lo mettesse in ordine, che gli sistemasse la divisa quando la notava in disordine.

Ma lo sguardo di Koushi si soffermò sulle sue labbra che ormai si era ritrovato spesso a contemplare, a pensare come fossero al tatto, a lasciarsi andare a pensieri per nulla casti, per nulla tranquilli.

“ ...Sì. Suppongo di sì.

Ma ti stai comportando in modo strano da quando… siamo tornati dal campo.” -Ma no. Non gli piaceva quella cosa, non gli piaceva che Koushi poggiasse il suo viso contro la spalla di Oikawa.E non capiva perché.

“ Allora siamo in due che abbiamo avuto un mutamento.” -Ma qualcosa, nella mente sveglia di Suga, si attivò dopo quello scambio di parole “… Anche perché, per saperlo, ti sei informato e sei andato alla Aoba Johsai, no?

Altrimenti non sapresti che ha lasciato gli allenamenti.”

In un lampo, le parti si invertirono, tanto che Daichi si ritrovò con il corpo rigido, lo sguardo sorpreso e le labbra dischiuse: Bingo.

“ … Non importa.” Suga continuò con il suo atteggiamento tranquillo, senza insistere, senza mettere alle strette il compagno poiché rischiò di farlo saltare come una molla troppo tesa.

Per lui, l’importante, era stato capire come avesse avuto le informazioni.

Forse l’alzatore aveva rischiato troppo nel mettere in mezzo Tōru, che aveva cercato sempre di tenere ben celato, ma le domande stavano iniziando a diventare troppe e insistenti.

Tornarono entrambi a controllare i compiti, lasciando scorrere quel pomeriggio che sembrò durare una eternità e di questo, entrambi, ne erano stati grati: era una pausa dai pensieri, un ritorno alla quotidianità che li vide seduti uno di fianco all’altro, a ripetere alcuni passaggi matematici.

Sugawara, forse perché ancora febbrile, o forse era stato cullato dalla presenza del moro, si ritrovò con il poggiare il capo sulla spalla del capitano e addormentarsi così, senza esternare nessuna difesa: Era con Daichi, cosa poteva andare storto?

Quest’ultimo, dal canto suo, si ritrovò ad osservare il viso del collega e a chiedersi cosa davvero gli stesse nascondendo; sospirò e prese la decisione di sollevarlo per poterlo poggiare sul letto, spostando prima le coperte, e farlo restare al caldo.
-“Direi proprio che per oggi abbiamo finito” - scosse il capo, lasciandosi scappare un sorriso “E che dovresti stare a casa a riposare, ancora.”

Koushi sembrò destarsi a quelle parole e lasciò sbucare il capo dalle morbide coperte, annuendo appena, con gli occhi socchiusi e lo sguardo stanco: si limitò ad allungare la mano, sfiorando quella di Daichi, prima di tornare nel mondo di sogni che, vorticosamente, lo trascinò nell’oblio.

Ma quella mano venne afferrata, venne presa in un tocco gentile ma deciso che la lasciò andare solo dopo avergli lasciato una lieve carezza sul dorso.

 


 

 

-“Daichi?”-

Oikawa si ritrovò a fissare il compagno di squadra, Shigeru, con una espressione confusa in viso.

-“Sì. L’ho visto l’altro giorno. E’ venuto in palestra e cercava te, ma non trovandoti ha parlato con Hajime: sembrava avere una certa fretta.”-

Sul volto del capitano sembrò apparire un sorriso divertito ma il suo pensiero di concentrò di più nel mettere in ordine la palestra scolastiche che preoccuparsi della presenza dell’altro nella sua zona di comando.

Quello che però lascio interdetto il ragazzo, era il fattore che Hajime, a detta di Shigeru, fu la loro lunga chiacchierata’ e le espressione preoccupati in viso: che lui e Koushi fossero stati scoperti?

Improbabile.

Era sicuramente per la sua entrata alla palestra della Karasuno e questo mise assieme i pezzi del puzzle.

Ora aveva la spia che aveva riferito tutto al suo vice ed era pericoloso se quei due erano in contatto fra di loro.

-“Probabilmente cercava qualche consiglio da capitano...” -E qui il suo sorriso, il più finto che avesse nel repertorio personale, si mostrò.- “Per riacchiappare qualche pecorella smarrita.”-

Una volta finito di sistemare quella zona della palestra, si ritrovò a guardarsi attorno e a rendersi conto che non era più rimasto nessuno: decise così di congedare l'unico altro ragazzo rimasto con lui lì.

Una volta rimasto solo, si sedette su una panca, con l’ultimo pallone rimasto in circolo, a fissare l’ambiente vuoto e oscuro, preferendo tenere accesa solo una luce fioca che illuminò la sua figura; Fra le mani lasciò girare la palla, osservandone il movimento circolare come incantato e si perse per qualche secondo in quella spirale che formavano i disegni impressi sopra.

In quel momento tutto sembrava avere senso, soprattutto nell’avere quell’oggetto che aveva monopolizzato la sua intera esistenza. Tanto, lui, il grande Re, era nato solo per giocare a pallavolo e niente più. Non doveva preoccuparsi di ragazze, della famiglia, degli amici… L’importante era giocare, no?

L’importante era vincere, affrontare tutte le sfide, uscirne sempre da campione quale era destinato ad essere.

Lui era nato vincente e questa era sempre stata la sua più grande sicurezza.

Ma questi pensieri lo fecero sentire stranamente vuoto, come una lumaca che aveva lasciato indietro il suo guscio troppo vecchio, o troppo brutto. Anche se escludeva assolutamente l’ultima cosa.

Dopo un periodo imprecisato si alzò da quella fredda panca e si decise e prendere le sue cose per poiuscire e chiudere la porta della palestra, usando la chiave che ormai portava sempre con sé: si ritrovò a lanciare un ultimo sguardo attorno, per controllare che nulla fosse fuori posto, e avvertì un vento gelido, pungente, improvviso e tempesto.

Gli sembrava una sorta di avviso, come la calma che anticipa sempre una potente bufera.

Per suo stupore, c’era qualcuno che lo attese, poggiato vicino al cancello semi chiuso, che guardava con poco interesse il cellulare che aveva nella mano destra.

“ Hai dimenticato qualcosa in palestra, Iwa-chan?” - Quel sorriso smielato riappare, cacciando via l’espressione stupita nel ritrovarlo lì, ad attenderlo, da solo. “ Se vuoi ti lascio le chiavi, così recuperi le cose, e vai via.”

-“Ti stavo aspettando” - Diretto, senza esitazione, ripose il cellulare in tasca il vice capitano, voltandosi a guardare l’altro negli occhi, deciso, anche se un’ombra di timore sembrava offuscare le sue iridi.

-“ Oh, pensavo che fossi ancora arrabbiato con me.”- E lui, Tōru, di sicuro non si tirava indietro nel provocare quella oscurità per farla uscire fuori, come se fosse desideroso nel vedere il lato oscuro di Hajime.

-“Puoi essere serio, per una volta, e non mostrare quei sorrisi fasulli?” - Le mani. Le mani di Iwaizumi si strinsero a pugno, in una morsa letale e pericolosa.- “Credo che dovremmo parlare. Di… quel giorno.” -E la voce tremò, incerta, cosa non tipica del ragazzo.

-“Non credo proprio.” - il moro Si fermò a qualche metro dal suo vice, tenendo le mani nelle tasche della giacca, preferendo anche restare distante dal raggio di azione dell’altro: voleva proprio evitare di essere preso a pugni - “ Quello che è successo non cambia, Hajime. Dai la colpa all’alcool, al mio egocentrismo, a tutto quello che vuoi.Cerca tutte le scuse possibili se non vuoi accettare la verità.
Dal canto mio, posso… scusarmi nei modi: ero ubriaco, non sono riuscito a controllarmi come si deve.”-

Disse quelle parole con un tono grave, rendendole più dure più di quanto già lo fossero per entrambe le parti, guardando il suo amico d’infanzia negli con la sua espressione stanca. Terribilmente stanca.

-“E puoi anche andare in giro a dirlo: sono arrivato al mio limite.” - Era sicuro che stava condannando sé stesso a quel modo, ma stava anche spingendo se stesso e Koushi ad uscire allo scoperto - “Mi importa di giocare a pallavolo. Fino a quando potrò farlo, il resto non ha valore.”

In quel modo tagliò ogni via di fuga ad Hajime, si era di nuovo esposto per vincere una delle sue battaglie personali contro i mulini a vento.

-“Cosa diamine stai dicendo?? se si viene a sapere, nessuno ti prenderà in squadra! Idiota!” - La voce di Iwaizumi si era alzata, i suoi occhi sembravano più arrabbiati di prima ed era stato proprio lui ad annullare le distanze fra di loro, tanto che Tōru si ritrovò a chiudere gli occhi pronto ad incassare un qualsiasi colpo ma quello che avvertì fu una pressione sulla fronte, conseguenza del fattore che l’altro avesse appoggiata la propria contro la sua.

-“Senti, io non ci sto capendo nulla e questa cosa mi manda ai matti, Tōru. Siamo amici da parecchio.” - Sorrise il capitano, ritrovandosi a socchiudere gli occhi mentre ascoltava Hajme parlare- “Qui le cose non sono facili. In Giappone non sono facili, ti rendi conto?”

 

-“Non è che uno sceglie di esserlo, Iwa-chan...” - Interruppe il monologo del suo vice e quasi non scoppiò in una risata- “ Perché, credimi, mi risparmierei un sacco di problemi e non arriverei al limite di ubriacarmi e saltare addosso al mio migliore amico.”

Lo sguardo furente dell’altro lo zittì, ma non a farlo smettere di sorridere come un imbecille, avvertendo un calore che lo stava dilaniando.
-“ Infatti, ti ho detto che non ci capisco nulla di queste cose, ma non ti lascio nei casini solo perché non comprendo.”

Oikawa, a quelle parole, avvertì quella lieve spiaggia di paradiso inghiottirlo, sempre di più, scomparendo del tutto quando l’altro si allontanò da lui. - “Questa volta devi farlo: fa male già così.”- Senza dire altro si scostò, oltrepassandolo per uscire dal cancello. -“Preferisco andare a casa da solo, scusami.”

Una volta superato il cancello si mise a correre senza aspettare un secondo. Corse. Corse e iniziò ad innalzare un muro attorno a se stesso , ignorando l'amico d'infanzia che lo stava chiamando che a gran voce, che stava cercando di fermarlo anche se era tardi: Tōru era troppo lontano dalle mani del vice capitano.

Era lui ad allontanarsi da Hajime, a correre per salvarsi dopo che si era buttato in mare aperto, alla merce degli squali pronti ad azzannarlo.

Non poteva avere al suo fianco, come amico, una persona del genere.

Non poteva avere solo come amico una persona che poteva quasi dire di amare.

Già aveva sopportato abbastanza e aveva bisogno di una boccata d’aria, di una pausa da quel turbinio di pensiero.

I suoi piedi si mossero in automatico verso la metropolitana, prendendo il treno per un soffio e lasciandosi indietro Iwaizumi con il fiatone: non era a conoscenza della direzione del treno, in quale zona della sua città. Per lui l’importante era allontanarsi da lì almeno per quel momento, fuggendo come un codardo.

Alzò il capo solo nell’avvertire il movimento della carrozza, segno che si stesse muovendo, ma non era troppo tardi per non notare la presenza e lo sguardo di Hajime seguirlo.

Ma dove voleva scappare?

Il giorno dopo si sarebbero rivisti.

Il giorno dopo, per un motivo o per un’ altro, tutto sarebbe cambiato.

Per tutti.

“Parla, anche se ti sembrerà che non ti ascoltino.

Fallo, anche se sembrerà strano agli occhi degli altri il tuo agire.

Pensa, senza seguire nessuno schema.

Ama…

Ama e basta, senza nessuna riserva.”

 


Angolo auto.
Quella che si parcheggia
So bene che aggiorno questa storia dopo anni, e non pretendo mica che molti la seguano, ma avevo un conto in sospeso e mi sono decisa di continuarla.
Enjoy~

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Capitolo 4
*** Fase 4: Revolution. ***


“Oikawa!!” - La voce di Koushi era alta, agitata e arrabbiata - “Che cosa hai fatto??”

Il ragazzo non poté fare a meno di notare i segni che l’altro gli aveva lasciato, delle lunghe strisce rosse sulla schiena, come artigli di un qualche felino, accostati ad alcuni segni più rotondi, dalla forma inconfutabile di un morso.

Sospirò il ragazzo dai capelli chiari che in un modo strano, acrobatico e contorsionistico riuscì ad “ammirare” il suo corpo dipinto con quei segni indelebili; ciò che non riuscì a vedere era l’espressione di pura soddisfazione che un Oikawa stava avendo in viso mentre si avvicinava al piccolo corvetto.

“Oh, sono solo sigilli reali che io, Oikawa Tōru, pongo sulle persone degne della mia compagnia.” -Si ritrovò a schivare una spazzola che per poco non gli sfiorò il viso, rischiando di rovinare quel bel faccino che lui stesso riteneva di avere.

Dall’altro lato un ansante e rabbioso Sugawara fissò con il suo sguardo di rimprovero il ragazzo.

“Non un passo in più” - Lo minacciò a quel modo, notando l’altro cercare di avanzare in sua direzione. “Non un passo in più altrimenti...”

“Altrimenti, Mister Rinfrescante?” - Il moro sembrò un lupo in quel momento, pronto a balzare sulla sua bella preda -” Che farai, chiamerai aiuto?”

Forse l’espressione che il vice capitano della Karasuno assunse era troppo invitante, ingenua, e con le sue deboli rimostranze non migliorò il quadro generale.
-“Smettila di chiamarmi a quel modo, dopo un po' non è pù divertente” - E l’unica cosa che uscì dalle sue sottili labbra era un sospiro di rassegnazione, soprattutto quando si ritrovò le mani del moro avvolte al suo bacino e avvertire a quel corpo caldo così vicino.- “Ieri ti ho fatto entrare in casa solo perché mi sembravi scosso, Tōru, e perché erano giorni che non mi mandavi qualche messaggio, per non parlare del fatto che non mi hai detto neanche il perché: sei entrato, ti sei avvicinato e avvinghiato come un polpo senza dire nulla.” - le mani si Koushi andarono al viso dell’altro, lasciandogli una carezza ad entrambe le guance, in un gesto di puro affetto anche se insolito, anche se diverso da quello che gli altri potevano immaginare guardandoli.

Si portavano addosso segni inequivocabili. Segni di morsi, graffi, baci e violenza ma di quelle sane, che aiutano a sfogare i bassi istinti, a sanare la mente che si logora nel subire determinati processi.

Erano amanti per convenienza.

Erano amici per scelta.

Erano partner per necessità.

“ Toru.” - La voce insistente del ragazzo fece tornare in sé Oikawa, che tornò a porgergli un sorriso lieve, quasi spontaneo. “Hajime si è reso conto che l’assalto di quella notte, da ubriaco, non è stato solo un mero caso.”- Le labbra si contrassero in una smorfia dolorosa e sentita” - “Ho definitivamente mandato tutto a puttane, Koushi.”

Quest’ultimo quando sentì quelle parole si dimenticò del perché si fosse arrabbiato poco prima e abbracciò Oikawa, lasciandogli un lieve bacio sulla clavicola, un punto che arrivava facilmente a toccare, senza grandi difficoltà, visto le loro rispettive altezze. Mi inventerò qualcosa per non fare la doccia con gli alt- “ - Le parole gli morirono in bocca anzi: si bloccarono in gola, sostituite ad un suono più basso e primitivo, avvertendo lo stomaco ribollire per sensazioni lascive che stavano prendendo piede; nessuna sillaba uscì da Tōru per spiegare perché si fosse insinuato con una gamba in mezzo a quelle dell’altro e avesse intenzionalmente spinto il ginocchio sul cavallo del pantalone, avvertendo l’erezione già pronta a rivelare la sua presenza. Si avvicinò con le labbra vicino al suo lobo, sfiorandole con le labbra. - “Mh, Hajime dovrebbe prendere d’esempio dalla tua buona delicatezza” - gli soffiò quelle parole sulla pelle, avvertendo il calore dei corpi di entrambi aumentare pericolosamente.

A quelle parole qualcosa scatta della mente di Sugawara che sciolse quell’abbraccio di conforto, andando ad appoggiare le mani sulle spalle ampie di Toru, lasciando alle dita il compito di soffermarsi su i muscoli ben allenati, di assaggiare quella pelle chiara su quale non c’erano segni e ringraziò il cielo che l’altro non si fosse ancora infilato una maglietta come il buon costume richiedeva. Le dita proseguirono presto il loro tragitto scivolando verso il basso, sul petto, dove affondò le corte unghie che possedeva, senza nessuna remora, lasciando anche lui un suo personale segnale. Seguì una spinta forte, improvvisa e audace che costrinse Oikawa ad avere la sua schiena un incontro ravvicinato contro il muro del bagno, sorprendendolo, ma fu una sorpresa a breve termine visto che si ritrovò coinvolto e trasportato in un bacio di pura lussuria, avvertendo la lingua di Koushi infilarsi con violenza nella sua bocca, alla ricerca di quella del suo partner, travolgendola in un turbinio di lussuria che solo in pochi riuscivano a darti con un semplice bacio.

I loro corpi erano vicini, avvinghiati, intenti a strusciarsi fra di loro alla ricerca di un piacere fisico che avrebbe annullato del tutto la mente, come solo il sesso sapeva fare e richiedere.

E’ Koushi il primo che lasciò l’altro senza le proprie labbra per potersi inginocchiare di colpo, come solo un corpo agile e allenato potesse fare, e si avvicinò con il viso al basso ventre di Tōru; In quel punto la pelle odorava ancora del bagnoschiuma che il ragazzo aveva usato per farsi la doccia, un odore forte di menta che invita le labbra di Sugawara a lasciare una serie di baci velati che andarono via via verso il bordo del pantaloncino però, quei tocchi delicati, vennero sostituiti con una singola dentata ben decisa che lasciò Oikawa gemere per il dolore. Dopo questo, il Vice capitano si alzò, lasciando un singolo e e casto bacio a stampo, segno che no, non avrebbe continuato, e si ritrovò a fissare negli occhi il coetaneo, con rimprovero.- “Lasciando stare i tuoi sbalzi di testosterone quando sei giù di corda, non ti azzardare più a rifilarmi frasi che usi con le tue ragazze, Toru.” - per rafforzare quelle parole si ritrovò fra i denti il labbro del moro, quello inferiore, per morderlo senza trattenersi poi molto - “Il sesso resterà sempre una cosa sporca, che tu lo faccia con un amante, con il tuo compagno o con uno sconosciuto. Lo sai come la penso, come anche il fattore che quello fra due ragazzi sia il peggiore.” -

“Lo so, ma non puoi mettere in dubbio che io ti trovi comunque delicato e carino, Koushi. Sei sia il bastone che la carota. ”- Oikawa alzò le mani, come ad arrendersi e non voler continuare quella battaglia che con Sugawara avrebbe sicuramente perso, reduce anche dalle esperienze passate ed era meglio che non provocasse più un corvo indispettito.

Ma stava sorridendo come non mai, divertito.

 

Oh, sì.

Entrambi pensavano che il sesso fosse sporco, ma a Toru piaceva per questo.

La sua depravazione, il suo sembrare sempre impeccabile e superare gli altri lo aveva portato anche ad avere preferenze fuori dal comune. Almeno questa era la sua scusa.

A lui piaceva davvero passare del tempo con Koushi; questo, a differenza sua, era sincero, era gentile e si era dimostrato un ottimo amico e lui, per pura magnanimità da grande Re qual’era, voleva dimostrargli che nelle cose sporche potevi trovare anche il bello.

Non si forgia un diamante senza sporcarsi le mani di fango, terra e sangue.

 

“ Ora siamo pari con i segni? Mi hai fatto male. Non si sfigura una persona come me, lo sai!” - Riprese il suo tono lamentoso il capitano della Aoba Jobai e seguì l’altro in camera per vestirsi, ricevendo come risposta una maglia lanciata in viso che però prese al volo.

“ Credo che sarebbe meglio pensare al casino che hai fatto con Iwaizumi: Lo sai che non ti lascerà in pace solo perché sei scappato, vero?” - Ma Suga era decisamente più pratico: riuscì a vestirsi in pochi minuti, presentandosi anche a impeccabile con gli indumenti e i capelli. - “… Credo che tu non voglia perdere il tuo migliore amico, no?” - Cercò di usare parole con attenzione, equilibrandole nella speranza che l’altro non se ne uscisse con frasi fatte e sorrisi falsi.

Cosa che avvenne, per sfortuna di entrambi.

Il moro sorrise, il sorriso più finto di quell’universo.- “Posso aspettare l’università per poter andare a giocare in una squadra extra continentale che non mi permetterà più di mettere piede qui.” - Fece spallucce, convinto delle sue parole. -” Voglio dire: Non posso fare molto, come neanche te che sei incastrato nel limbo del: sono amico del ragazzo che mi piace, mi va bene che eventualmente frequenti altri, ma se sto male e non se ne accorge, ecco che mi struggo. Però devo mantenere la mia morale e la integrità di uomo.”

Un pugno. Sugawara desiderò tanto dare un pugno a quella guancia perfetta che poco prima stava carezzando.

“Sì, ma al momento non stiamo parlando di me, Re del campo.” - incrociò le spalle e scosse di poco il capo.- “Credo che la situazione, per come è messa adesso, sia il caso di lasciarla stare e far scorrere un po' l’acqua. Ok, Toru?

In fondo hai avuto anche il fine settimana per isolarti da scuola, visto che era chiusa.”- Si ritrovò a cercare disperatamente lo sguardo di consenso dell’altro, temendo qualche idea rivoltosa.

“Okay. Oggi andrò a scuola, farò il bravo capitano e l’amico perfetto quale sono.”- Sorrise. Di nuovo.

Ed era solo Lunedì.

 

 

 

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Hinata stava litigando con Kageyama.

Tutto nella norma.

Nishinoya. cercava di incitare Asahi con un nuovo motto, tutto suo.

Tutto nella norma.

Tsukishima era lì, a distanziarsi da tutti ma, allo stesso tempo, tenendoli d’occhio.

Tutto nella norma.

Daichi lo stava fissando da quando si erano incontrati quella mattina a scuola.

Niente nella norma.

 

 

Koushi più volte, nel corso della giornata, scappò dallo sguardo indagatore del capitano della sua squadra. Uno sguardo che sembrò voler entrare nella sua mente e cercare i più reconditi segreti; forse era solo la sua sensazione, il fattore che addosso portasse i segni indiscreti della notte precedente, che si sentisse lurido dentro o, semplicemente, era solo un dato di fatto.

Ma Daichi lo stava davvero guardando, senza perderlo di vista neanche un secondo.

A lui, il capitano della Karasuno, sembrò non andare per nulla giù la faccenda che il suo vice stesse troppo tempo con Tōru e avvertì un fastidio anche in quel momento a pensare entrambi vicini, nella stessa stanza, senza uno spazio personale, e vitale, a dividerli.

Ma il ragazzo non capì perché tali sensazioni stessero sconvolgendo il suo cervello, arrivando a tormentarlo. E tutto aveva avuto inizio quando avvenne quella famosa chiacchierata con Iwaizumi.

 

Oikawa si sta comportando in modo strano, non sapevo neanche che avesse contatti con Sugawara”

 

Eccole. Quelle precise parole tornarono a riempire di nuovo la testa del moro, senza dargli tregua.

Eppure a lui non doveva importagli di nulla, non doveva preoccuparsi se Koushi si frequentasse con qualcuno al di fuori di lui, della Karasuno o dell’istituto…

… Era fastidioso.

Tutto ciò, per lui, era semplicemente fastidioso.

“Sugawara- San?” - Tsukishima si avvicinò al suo vice, chinando appena il capo come a scusarsi del disturbo, anche se la sua espressione restò indifferente- “Ho ricevuto un invito dai Nekomata.

Beh, direi da un po' tutte le squadre che abbiamo affrontato: Vorrebbero fare una cena per ritrovarsi tutti assieme, senza finire con l’ucciderci a vicenda sul campo.”- Le parole del biondo furono precise, dirette e senza tanti giri di parole.

Era un invito e bisognava decidere tutti assieme.

Suga si alzò e fece cenno a tutta la squadra di avvicinarsi, anche se era caduto dalle nuvole a sentire quel messaggio; neanche da Oikawa aveva sentito di un evento del genere, che gli sembrò fin troppo strano.

Lasciò che Kei ripetesse il messaggio di fronte a tutti i presenti, compreso da Daichi che restò sorpreso quanto loro due.

“Passo” -Il primo a fare un grande e unico cenno di no fu Tobio. “Molti di loro sono fin troppo invadenti e appiccicosi. Poi, Oikawa, potrebbe inserire qualcosa nel mio piatto per farmi fuori.

Tutti i presenti si rivolsero a lui, evitando di descrivere quel modo di fare leggermente paranoico.

“OH! Cibo buono, gente bassa, io ci stò!” - Hinata sembrò saltare dalla gioia, tirandosi addosso lo sguardo omicida di Kageyama.

A turno esposero i loro pareri a riguardo ma alla fine di tutto, la decisione finale, aspettava sia a Daichi che al coach, che si limitò ad uno sguardo di consenso e una raccomandazione sul non bere alcolici, come se potessero alla loro età: era illegale. Ma questo non fermava i più stupidi e testardi.

Sugawara era consapevole che alla fine sarebbero andati e che lui si sarebbe trovato nella scomoda posizione di dover evitare di stare troppo a contatto con Tōru: ora che anche Iwaizumi era a conoscenza delle sue preferenze, era meglio non rompere il già precario equilibrio che già c’era.

Ma perché, nel bel mezzo dell’anno scolastico, decisero di programmare tutto questo?

 

Ma quella sottile linea venne varcata la settimana dopo con l’incontro con le altre squadre.

Non avendo trovato nessun locale che ospitasse così tante persone, almeno che non si occupasse una sala riunioni di qualche hotel, la soluzione da prendere era stata semplicemente una: occupare una delle palestre delle varie scuole e fu Oikawa in persona a proporre quella del proprio istituto e a ad aver parlato con il dirigente, ottenendo così il permesso di poter allestire l’enorme spazio concesso con una tavolata infinita, sedie di ogni tipo e forma e pietanze preparate dagli stessi atleti o dai genitori: nessuno vorrebbe assaggiare qualcosa fatto da Hinata. Lui era negato nelle faccende domestiche.

Man mano tutti arrivarono al punto di incontro, chi prima e chi dopo, con le braccia cariche di leccornie, chi di utensili per poter mangiare e chi, spavaldamente, era giunto a mani vuote senza preoccuparsi di portare nulla perché, nella sua genialità, aveva dimenticato tutto sul tettuccio della macchina del genitore e questo, quando partì con la vettura, fece capitolare tutti i piatti pronti a terra lasciando le mani piene di aria.

Il caso in questione era Bokuto.

Un Bokuto dalla cresta abbassata che si appiccicò a Kuroo, come se l’altro potesse comprendere cosa davvero significasse una tale perdita: erano talmente presi in quella consolazione che ignorarono anche Tsukishima.

Eppure l’aria era tranquilla e strana, allo stesso tempo. Una tranquillità che raramente si viveva su i campi da gioco, come la questione che tutti erano in abiti normali: Suga si sentiva quasi sicuro di potersi rilassare per una serata ma questo venne meno quando anche Tōru iniziò a girare per dare una mano, ovviamente lasciando agli altri le cose più faticose, che comprendessero sporcarsi gli indumenti o spostare oggetti luridi.

No, lui si rifiutò totalmente di fare anche solo uno sforzo in più ritenendo che la sua parte già era stata ben fatta e poi, il suo vestiario chiaro, doveva restare immacolato. Però questo non gli impedì di correre in soccorso del vice capitano della Karasuno, aiutandolo a portare un tavolo di legno abbastanza pesante e questo a Iwaizumi non sfuggì e il suo sguardo subito si direzionò verso Sawamura che trovò ad osservare la stessa scena.

“Potevi venire prima ed aiutare con tutto, sai?” - Suga lo guardò con un sopracciglio inarcato, segno che vi era un lieve fastidio in lui -” E non a tuffarti ad aiutare me: mi sento piuttosto osservato” - ma evitò accuratamente di guardarsi attorno, sorridendo all’altro ragazzo per ringraziarlo dell’aiuto.

“E qui il bello, Koushi: questo è il momento in cui tutte le pedine si muovono, si scontrano e presto avremo i risultati di chi ha vinto cosa.” - La sguardo di Toru risultò tagliente, la sua espressione decisa e i suoi gesti sicuri e questo era un grande contrasto fra le personalità dei due.

“ Solo cenere, Oikawa. Le battaglie lasciano solo cenere.” - Calcò bene le parole, soprattutto sul cognome del ragazzo, segno che volesse mantenere una certa distanza.

Stavano tutti partecipando ad un gioco di cui non conoscevano le regole e che rischiava di ferirli mortalmente.

Presto il tutto fu sistemato e pronto ad essere utilizzato per la serata che avevano programmato: a loro si unirono anche gli allenatori che preferirono restare in fondo alla tavolata, discutendo di argomenti degni per degli adulti circondati da ragazzini adolescenti, a detta loro.

Tutto iniziò bene, con il piede giusto, ma subito Koushi si rese conto che Daichi, seduto alla sua destra, era vicino ad Oikawa.

Lo aveva fatto apposta.

Il capitano della Jobai aveva chiesto ad Asahi di scambiarsi di posto con la scusa di integrarsi meglio nel gruppo e si era accomodato di fianco a Sawamura che notò il gesto e accolse l’altro con un cenno di sorriso: Koushi capì subito quanto il suo compagno di squadra fosse irritato dalla cosa. Quel sorriso, le dita che stringevano le bacchette e la posizione rigida, fecero subito intuire al ragazzo che a Daichi non piaceva avere Tōru a fianco e, la cosa che più infastidiva la mente di Sugawara, era il non comprendere il perché, ma restò cautamente sorpreso quando entrambi si rivolsero parole abbastanza cortesi.

Daichi ringraziò Oikawa per l’intervento con il preside, questo ricambiò con un sorriso ed espresse la felicità che fosse venuto ma, visti dagli occhi del vice capitano della Karasuno sembravano teatralmente finti.

La cena sembrò proseguire tranquilla, lineare e senza troppi intoppi tranne gli schiamazzi a cui “gli adulti” si lasciarono andare, alla lotta del cibo fra Bokuto e l’intera squadra dei Nekoma, e Hinata che sembrò trovare divertente rubare tutto il cibo che Kageyama prendesse per sé.

“OH, il pasticcio di patate di Koushi” - Toru si voltò verso il ragazzo, riconoscendolo subito, riconoscendo le mani che lo avevano creato e i contenitori colorati che aveva spesso visto a casa di Sugawara - “Pensavo che portassi qualcosa di più pratico, ma sono contento così”

Suga si ritrovò ad arrossire appena, forse in imbarazzo di avere gli sguardi su di sé o perché l’altro aveva urlato il suo nome con così tanta veemenza.

“Oikawa, è solo un p-”- Non finì la frase, venendo interrotto dall’altro.

“ No, è il migliore.” - Si leccò le labbra il castano che prese il contenitore, abbastanza grande, per poter prendere una importante porzione da infilare nel piatto: osservò con aria critica quello che aveva preso ma non sembrò soddisfatto tanto che stava per metterne ancora ma si vide sottrarre il contenitore dalle mani e non poté opporre resistenza.

Daichi.

Daichi aveva preso il contenitore e si era riempito il piatto con la restante parte, lasciando a bocca asciutta gli altri che ora sembravano incuriositi sia per la scena, sia per questo fantomatico tortino di patate.

Ma la cosa che fece bloccare i pensieri di Suga furono gli sguardi che i due divoratori di patate sembravano scambiarsi in quel momento.

I corvi possono essere particolarmente territoriali, tanto da uccidere anche i propri simili.

“ Oh, scusami, Toru; volevo assaggiare anche io.” -La voce di Daichi era ferma, senza esitazione, che calcò sul nome dell’altro, ricordando di accompagnarlo con un sorriso di circostanza. -“D’altronde l’ha portato il mio Vice Capitano.”

A quella frase Koushi si ritrovò a fissare il piatto, rosso, con la mente totalmente confusa ma sapeva che doveva dire qualcosa per smorzare quella tensione che, forse, avvertiva solo lui -” Oh, ne ho portato altro. Si… cioè, è in quei contenitori” - Sorrise, calmo e pacato, poggiando una mano, in modo lieve e senza fare pressione, sul braccio di Sawamura come a placare qualcosa di invisibile che gli sembrava lo stesse soffocando. Con questa mossa riuscì a distrarre la maggior parte dei ragazzi che non si fecero ripetere il messaggio e si avventurarono alla ricerca dei contenitori per assaggiare il magico tortino di patate di Mr. Rinfrescante, che riuscì a lasciarsi andare ad un sospiro di sollievo ma si ricordò di lanciare uno sguardo a Oikawa, uno di ammonimento, per farlo smettere ma nel preciso momento in cui alzò il capo si rese conto che Daichi lo stava guardando mentre stava assaggiando la pietanza.

“ E’ davvero buono, Suga. Non sapevo che avessi certe doti culinarie.” - Ed ecco la vera e gentile espressione del capitano che dimostrò il suo apprezzamento, la sua riuscita nel aver specificato di chi fosse cosa.

Chi.

“ Ovvio. Mica sei la mia fidanzata che mi può costringere a cucinare!” - protestò in modo giocoso Sugawara, guardando l’altro, aspettandosi la sua solita reazione schifata, quella che assumeva sempre quando a fargliela era Nishinoya che di solito portava i pasti per tutta la squadra.

Ma il ragazzo lo sbalordì, rispondendogli dopo aver preso un’ altro boccone.- “Un gran peccato.”

Mentre il cuore del corvetto sembrò implodere nel suo petto, Oikawa, dal suo posto, si ritrovò a fissare la scena e a sogghignare, divertito dalla situazione e dalla reazione, ma ben presto si ritrovò a far sparire quel ghigno poiché Iwaizumi, senza farsi vedere, gli si era avvicinato con un piatto pieno di verdure stufate, che spiaccicò sul viso al suo Capitano senza nessuna grazia o cortesia.

“Tieni: assaggia anche il mio piatto.”

 

 

“Ci rendiamo conto delle nostre somiglianze

solo quando siamo messi all’angolo.

Ci rendiamo conto delle nostre differenze

solo quando stiamo bene.

Ci rendiamo conto che ci facciamo del male

solo quando questo viene fatto notare.”

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Capitolo 5
*** Fase 5: Notturno. ***


Sugawara si avvolse più volte la sciarpa attorno al collo, attento a non lasciare nessuna parte di pelle scoperta per via degli spifferi freddi che quella giornata autunale stava regalando; non era così freddo da ricorrere a indumenti pesanti ma quello che bastava per correre ai ripari.

Si guardò un paio di volte attorno osservando le persone che passavano veloci di fronte a lui, poggiandosi contro il muro grigio del locale che era stato scelto per l’appuntamento.

Una normale uscita per svagarsi un po’.

Almeno queste erano state le parole che Oikawa gli aveva al telefono il giorno prima, chiedendogli di uscire, cosa che lasciò sorpreso il corvetto più che mai.

Uscire voleva dire esporsi e questo significava rischiare molto grosso.

Reclinò il capo indietro fino ad appoggiarlo contro lo stesso muretto di prima che, ormai, era diventato un punto di appoggio solido e fermo. Chiuse gli occhi, inspirando a fondo.

Almeno quello lo era, a differenza sua. Però doveva ammettere che quella uscita poteva distrarlo dagli ultimi avvenimenti di quei mesi, soprattutto della serata passata con le diverse squadre che era stata surreale sia per il motivo per cui era stata messa su, per quello che fosse successo. A come Daichi si era comportato.

Strinse una mano al petto, al centro, avvertendo il battito aumentare in modo anomalo, segno di un lieve cenno di tachicardia, cosa che ormai gli succedeva spesso come anche i suoi attacchi d’ansia improvvisi e senza senso che lo lasciavano senza forze e con il corpo pesante.

- “Tana.” - Quella voce ruppe quella catena di eventi di Suga tanto che questo si ritrovò a spalancare gli occhi per la sorpresa, sia della presenza di qualcuno di fronte a lui, sia per il tono di voce che riconobbe.

Si raddrizzò osservando con aria sospetta il ragazzo che gli aveva poggiato una mano sulla spalla.

- “ Daichi, che ci fai qui?” - Poteva essere una casualità, visto il posto centrale. Ma, in un remoto angolo del suo cervello crebbe il sospetto che il suo capitano lo avesse seguito, di nascosto; ultimamente aveva notato in Sawamura un atteggiamento più presente, soprattutto quando si lasciava scappare di dover uscire; questo si offriva sempre di accompagnarlo e non sapeva se esserne felice oppure inquietato.

Il moro sembrò più a disagio dell’altro, tanto che si scostò da Suga con un gesto netto, portando una mano dietro la nuca che massaggiò, chiaro segno che fosse a disagio anche lui.

Sugawara lo guardò, con calma, lasciando percorrere il suo sguardo su tutta la figura del ragazzo che aveva di fronte e arrivò a sorridere nel vedergli fare quel gesto che tanto gli era diventato familiare in quegli anni di amicizia, scacciando tutta la preoccupazione che poco prima lo stava attanagliando: tutto gli sembrava così facile quando l’altro gli era attorno e, in parte, anche se non si era mai esposto, doveva ringraziare anche lui di essere uscito dai suoi pensieri lugubri e suicidi. Letteralmente.

- “Iwaizumi. Iwaizumi mi ha contattato e detto che lui, Oikawa e tu uscivate. Così mi sono unito anche io.” - Koushi si ritrovò presto addosso uno sguardo accusatorio: lui non gli aveva riferito che usciva. Non gli aveva detto che lo avrebbe fatto con Oikawa e… cosa centrasse Iwaizumi ancora non capiva.

- “ Io dovevo uscire solo con Oikawa. Come è coinvolto anche iwaiz” -

- “ Sono stato io ad autoinvitarmi. Chiedo scusa per questo mio maleducato gesto.” -

Tutta quella situazione stava diventando sempre più complicata, tanto che Suga si ritrovò a fissare tre figure ben distinte, a turno: Daichi, Iwaizumi ed Oikawa dietro di lui con un finto broncio.

Oikawa fu il primo a lasciarsi scappare un sospiro e guardò in direzione del suo segreto amante, mimando uno “scusa” grande come una casa.

Tōru Oikawa, capitano della Jobai, era stato beccato dal suo vice mentre era in chiamata con Koushi.

Lo stronzo, perché solo così riuscì a definirlo il, gli aveva detto che sarebbe venuto anche lui, e non da solo.

E lo aveva minacciato di lanciargli tutte le future schiacciate sul perfetto viso se avesse osato annullare tutto.

Tōru Oikawa era stato beatamente incastrato dalla persona di cui meno si sarebbe aspettato un gesto così villano contornato da una minaccia ancora più grave. Anche sé, in fondo, era sottostato a quelle regole perché trovò divertente l’idea di una uscita a quattro per nulla ufficiale.

Koushi si ritrovò a fissare la sua sciarpetta gialla, concentrato ad ammirare i filetti di stoffa. - “No, va bene così.” - Sussurrò il ragazzo tornando in possesso del suo sorriso gentile. -”Poi, più siamo meglio è, no? “ - Si allontanò definitivamente dal muro che fino ad allora gli aveva fatto da sostegno, preferendo avere spazio libero attorno invece di avere una delle vie di fuga tagliate.

- “ Non avevamo in mente un posto preciso dove andare ma ci tenevo a passare ad una nuova pasticceria che hanno aperto al centro: vogliamo andare lì? “ - Parlare gli sembrò il modo più efficace per stroncare ogni qualsiasi silenzio, pensiero e azione da parte di tutti. E poi, in cuor suo, sperò che un buon dolce potesse sistemare tutto. Anche il subbuglio che aveva nel proprio corpo in quel momento.

Nessuno obbiettò tanto che si misero in marcia senza nessuna esitazione, neanche quando Suga si ritrovò affiancato da Daichi:il ragazzo notò solo Iwaizumi afferrare per il bordo della maglietta Oikawa e affiancarlo a forza, camminando così in coppie, due davanti e due dietro.

La cosa non lo allarmò, abituato a farlo visto che erano compagni di classe, ma la situazione gli sembrava così surreale che non sapeva come muoversi.

- “ Non volevo tenerti nascosto che uscivo.” - Ma qualcosa doveva pure dire al suo capitano. - “Credo sia normale uscire con altre persone, tutto qui. “ - E di difendersi, avvertendo un senso di colpa avanzare inesorabile.

Sawamura, dal canto suo, lo guardò con una finta espressione di rimprovero anche se questa era accompagnata da un caldo sorriso - “In realtà mi sono imbucato io. Anche perché penso che sia una pessima presenza con cui passare il tuo tempo.” - Con il capo fece cenno verso Oikawa che sentì distintamente le sue parole; questo ghignò avvertendo una certa sfida in esse

- “Tranquillo, Capitano: non te lo rompo. Non troppo.” - Sugawara ebbe un brivido, intravedendo la sottile malizia che la voce di Tōru a fatica celò. Una malizia che venne stroncata dalla gomitata poco ortodossa di Hajime.

 

Quando finalmente giunsero al locale, per chissà qualche grazia divina tutti interi e senza litigi, quelli che furono lasciati al tavolo da soli furono proprio Daichi e Oikawa: gli altri due erano andati a scegliere cosa prendere, anche se Koushi era stato tentennante nel lasciare proprio quei due.

Tōru, senza il benché minimo sforzo, stava controllando il suo cellulare anche se sentì palesemente lo sguardo di Sawamura su di sé, uno sguardo che lo divertiva e infastidiva allo stesso modo, tanto che si sentì stuzzicato da questo.

- “ Se sei così disperato da farti trascinare dal mio vice, significa che sei davvero ad un punto morto della tua strategia, capitano. “- Sottolineò con un certa provocazione il suo titolo all’interno della squadra, tanto che posò il cellulare per poter guardare negli occhi il ragazzo. - “Insomma: è un po’ imbarazzante infilarsi così negli appuntamenti altrui. Per tua fortuna, Koushi, è una persona a modo.” -

- “Da quanto hai così tanta confidenza da chiamarlo per nome e mancargli di rispetto? “ - Serrò la mascella Daichi, irrigidendo il corpo nel sentire quello che l’altro stava blaterando - “ Io non so a quale gioco tu stia giocando, ma non mi piace per niente.” -

Oikawa poggiò un gomito sul tavolo, tenendo l’altro braccio placidamente poggiato sul bordo della sedia di legno dove era seduto, osteggiando tutta la sua figura in una sicurezza ineguagliabile.

- “ Sawamura- San, io sono gay. Non mi posso permettere di giocare. Ora, concludi tu tutto il teatrino e fammi sapere quando qualche lampadina si accenderà nel tuo cervello: la vicinanza con Kageyama ti ha per caso influenzato con la sua stupidità? “ - Qualsiasi frase che usciva dalle labbra di Tooru poteva diventare una cattiveria gratuita e, in quel momento, non si stava neanche impegnando.

Ma così ebbe l’effetto che desiderava. Ebbe la confusione negli occhi del Capitano della Karasuno, la sorpresa e la totale incapacità di formulare i dati ricevuti ed è proprio lì che continuò, rincarando la dose.

-” Oh, shi: esistiamo. Non siamo creature immaginarie e finte. Anche se spesso il Giappone lo dimentica.” - L’espressione sul suo viso mutò, in una disgustata a quel pensiero. Al fattore che persone come Koushi erano costrette a vivere nella paura totale, in balia di eventi, regole e doveri che tradizioni, famiglia e governo imponeva alle giovani menti.

- “ Se vuoi andare, fai pure: Dirò ai ragazzi che hai avuto un impegno e che sei dovuto andare” - Sventolò la mano davanti al suo viso, distogliendo lo sguardo da quello di Daichi, indifferente di cosa l’altro potesse fare. Ma nel cuor suo sperava che no, che Sawamura non si alzasse e scappasse, ma solo perché Suga ci sarebbe rimasto male.

Quando Tōru, però, sentì il movimento da parte dell’altro, il rumore della sedia che veniva spostato e la sua mano venire afferrata per il polso dovette tornare su i suoi passi e guardare l’altro capitano, intravedendo ancora il suo sguardo incerto ma la sua presa, al contrario, era più che decisa.

- “Qualsiasi cosa tu stia facendo con Koushi, smettila di farla, per favore.” - Quelle parole forti e il tono severo era in contrasto con quel “per favore” finale, che fece sorridere Oikawa dal profondo che liberò il suo sogghigno mefistofelico.

- “ Non appena mi dimostrerai che sei capace di prendertene davvero cura.” - Con uno strattone si liberò dalla presa dell’altro e si alzò di scatto, intravedendo gli altri due ragazzi in procinto di tornare. - “Vado a prendermi il mio dolce: me lo sono proprio meritato.” -

Daichi non poté fare a meno di seguirlo, rivolgendo sia ad Iwaizumi che a Sugawara un sorriso tirato quando li incrociò sul cammino. Questo si che fece impensierire quest’ultimo.

Si sedette, continuando a rivolgere lo sguardo verso il bancone dove i due erano andati, distraendosi solo per osservare la cheescake giapponese che aveva sopra, disegnato con il cioccolato, un gattino sorridente.

- “ Preoccupato? “ - Iwaizumi stava osservando il bicchiere di tea freddo mentre si rivolgeva all’altro, lanciandogli di tanto in tanto uno sguardo, senza metterlo in soggezione.

- “So bene che stare a contatto con Oikawa è complesso e porta problemi, ma non farti trascinare dai suoi casini del cavolo” - A Suga scappò un sorriso nel sentirlo parlare.

- “ Tu però riesci a destreggiarti bene nel casino che è, no? “ - A quella frase vide le spalle di Hajime incurvarsi.

- “ Lo conosco da quando siamo piccoli: sono cresciuto con le sue manie di grandezza e i suoi complessi di inferiorità.” - Nel momento stesso in cui il vice capitano della Karasuno appoggiò una mano su quella di Iwaizumi, questo perse ogni interesse nel bicchiere di vetro pieno di Tea e guardò nella sua direzione: Koushi tolse subito la mano, come scottato, portandola sul proprio grembo.

- “ Iwaizumi. Spero vivamente che tu non lo lascerai solo. Sei l’unica persona che può farlo.” -

Hajime porse quello che si potrebbe definire un sorriso e annuì appena con il capo, rivolgendo il suo sguardo al bancone, dove Tōru stava flirtando con una delle commesse.

- “ Lo so.” -


Fu solo quell’avvenimento ad essere fuori misura, quel lieve mutamento che presto avrebbe sistemato tutti i tasselli al posto giusto, sia nel bene che nel male.

Il pomeriggio passò con leggerezza, in compagnia e i ragazzi, forse per la prima volta, si sentirono di appartenere alla loro età che richiedeva solo di divertirsi ed essere spensierati.

 

Quando Koushi si ritrovò sulla via di casa, affiancato ad un Daichi particolarmente più sereno, non riusciva a togliersi quel sorriso sereno dal volto, tanto che il disagio di trovarsi assieme al collega non lo stava tormentando, come da tempo ormai faceva.

- “Sembri particolarmente soddisfatto. Eppure è stato un semplice pomeriggio.” - Sawamura si ritrovò ad indagare del perché il suo vice fosse davvero così felice, non poteva fare a meno di non sapere cosa gli passasse per la testa.

La risposta di Suga fu immediata, tanto che si avvicinò un po' a lui, affiancandolo mentre camminavano.

- “ Era da un po’ che non passavo un “semplice” pomeriggio. Forse mi ha fatto comprendere che non è poi così male stare qui.” - La voce gli uscì bassa e le guance erano di un lieve rossore, forse per colpa del vento serale che si era fatto più freddo e insistente. -” Sai, alle volte diamo proprio per scontato quanto sia facile ritagliarsi un momento di serenità.” -.

Era la prima volta che esponeva certi pensieri, così melanconici, al suo capitano che sembrò essere catturato da quella frase, tanto che si ritrovò a mordersi il labbro inferiore, sovrappensiero.

- “ … Mi sono reso conto che ultimamente non stavi tanto bene. Ma non sapevo come affrontare la cosa. Sono stato un vigliacco e ho fatto finta che andasse tutto per il meglio, Suga. Sono pessimo..” - Il sorriso che rivolse al suo vice era lieve e pieno di scuse, tanto che questo si ritrovò spiazzato da una tale confessione. -” Sai, dover lasciare la squadra, andare all’università. Credo di avere un po’ paura di ciò che ci aspetta e il tuo cambiamento improvviso mi ha fatto correre in un rifugio.” -

Inspirò.

Inspirò di nuovo, contando fino a tre prima di prendere la mano di Daichi, un gesto lieve che poteva essere scambiato per una stretta amichevole.

- “ I cambiamenti sono necessari anche se spaventosi. Però… tanto andremo alla stessa università, no?

Questo non cambierà” - Con il pollice sfiorò il dorso della mano di Sawamura, con calma. - “ Qualsiasi cosa succeda.” -

Sugawara stava per lasciare la mano del suo compagno, ma questa fu trattenuta da Daichi stesso che avvicinò quella dell’altro al proprio viso, lasciando un lieve e veloce tocco di labbra, attento che non ci fosse nessuno attorno a loro. Questo mandò in completa confusione il giovane Koushi che trovò in quel gesto tanto genuino il fattore che sì, forse sarebbe stato facile anche per lui vivere ciò che voleva.

- “ E’ una promessa.” - il moro disse solo quelle semplici sillabe prima di lasciarlo e affiancarlo, accompagnandolo a casa.

 


- “Iwa -chan, guarda che ancora conosco la strada per tornare a casa mia. “ - Oikawa si voltò verso il ragazzo, mettendo su un broncio degno di nota, degno di una diva di alta classe: però si poteva notare un certo sguardo soddisfatto nei suoi occhi, compreso un lieve tremolio per il freddo.

Ma quel broncio non fece per nulla effetto su Iwaizumi che si voltò a guardarlo, tenendo le mani in tasca, coprendole per non gelarsi.

- “Mi assicuro che tu torni alla tua dimora senza deviazioni, Tōru.” - Semplice. Diretto. Freddo. Distaccato. Iwaizumi si stava comportando come suo solito. Almeno agli occhi del suo capitano il quale sospirò, affranto.

- “ Paura che vada a casa di qualche amante focosa, Hajime? “ - Oh, il broncio venne spodestato da un sorriso vittorioso e l’espressione provocatoria, ricevendo dall’altro una reazione particolarmente vispa: Iwaizumi lo afferrò per il collo della maglia, abbassandolo quei pochi centimetri di altezza che li distanziavano.

- “ Puoi andare da tutte le amanti, o gli amanti, focosi che vuoi” - Si puntò il suo stesso dito contro la sua figura, tenendo lo sguardo fisso sul suo amico d’infanzia. - “Tanto sempre qui tornerai” -

Indisturbato Oikawa continuò a guardarlo con la sua espressione da poker, allungando la mano per poggiarla su quella dell’altro per farsi liberare dalla sua stretta che lo stava snervando: gli stava rovinando la maglia a quel modo, cattivo.

- “ E cosa ti farà pensare che io voglia tornare, Iwaizumi? Non ne avrei motivo.” - Il ghigno sul viso di Tōru tornò a mostrarsi in tutto il suo splendore. - “Sai, ora siamo soli e ancora non sei scappato via da qualche parte per parte a nasc-” -

Lui.

Oikawa Tōru venne zittito.

Venne zittito con un pugno al centro dello stomaco che lo costrinse a piegarsi appena, cercando di attenuare il dolore: boccheggio, avvertendo le lacrime agli occhi venire su in modo naturale, per via della sensazione sgradevole dovuta al colpo inferto.

- “Ne meriteresti altri due: uno per le stronzate appena dette, e l’altro per il fattore che sei scappato come un imbecille l’altra sera.” - La mano, quella stretta ancora a pugno, tremò leggermente per la tensione ma che sciolse per poter poggiare anche quella sul collo della maglietta, avendo così più presa e strattonando l’altro vicino al suo viso, avvicinandolo più che poteva, arrivando a far sfiorare i loro nasi e avvertire il calore del respiro di Oikawa contro la propria pelle.

- “ Sai, mi era passato in mente di provare a darti uno di quei schifosi baci a cui tieni tanto, ma con le tue stronzate mi hai fatto passare la voglia” - Ma non lo stava lasciando, consapevole anche che se avrebbe mollato l’altro, sarebbe caduto per il dolore del pugno: lo stava sorreggendo con la scusa di maltrattarlo.

A quel modo stava nascondendo anche la paura.

La paura che aveva provato nel vedersi essere saltato addosso da un uomo, dal suo migliore amico, e nella sua inesperienza aveva avuto terrore perché non aveva capito cosa diamine stesse succedendo.

Aveva avuto paura di perdere il suo amico, il suo migliore amico, che si era allontanato fino a sparire totalmente dalla sua vita.

Poi, la paura, si era trasformata in rabbia.

Rabbia nel vedersi schivare, rabbia nel vederlo vicino ad un’altra persona, rabbia nell’intravedere sul corpo di Oikawa segni inconfutabili che si, qualcun’altro lo aveva toccato.

- “ Ma, per oggi, mi limito ad accompagnarti a casa.” - Lo mollò solo quando fu certo che le gambe dell’altro sorreggessero il suo peso, afferrandogli il polso, che strinse appena fra le dita, riconducendo Tooru a casa sua.

Questo, dal canto suo, non aveva replicato e stava osservando il cielo mentre si lasciava trascinare nei vicoli che conducevano al loro quartiere, fidandosi completamente.

- “ … Sicuro che gli alieni non ti abbiano scambiato con qualcuno, Iwa- chan? Magari hai visto un fascio di luce di notte, un disco circolare, ricordi di strane tecnologie avanzate.” - Hajime neanche si voltò a quelle parole, grugnendo appena nel constatare quanto gli fosse mancato sentirlo parlare a vanvera.

 

"Quando veniamo spinti dalla certezza di avere ragione non riusciamo a fermarci.
Non comprendiamo i gesti degli altri, arrivando anche a denigrarli alle volte.
Quando veniamo spinti dai sentimenti, questi possono rendere ciechi i giudici ma avvicinano gli animi.
Quando riusciamo a prendere un pizzico di ragione e una spolverata di sentimento, ecco che si forma il dialogo."


Note: Insomma, sto iniziando ad essere soddisfatta di questa opera e contenta di averla ripresa dopo tanto.

Presto finirà e sono felice se è riuscita ad attirare la vostra attenzione o solo avervi fatto compagnia.

Grazie a tutti!

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Capitolo 6
*** Fase 6: Bolero. ***


Il tutto sembrò essere tornato alla normalità dopo quella fatidica uscita.

Forse l’unico punto diverso era il fattore che Iwaizumi Hajime si ritrovò a fissare più volte, e con più, insistenza il suo capitano: gli sembrava tranquillo.

Era tornato un po' a fuggire alle sue domande, ma in modo decisamente minore rispetto al periodo in cui, entrambi, scappavano l’uno dall’altro. Cosa, che per fortuna, non era più accaduta e del quale ringrazia il cielo.

Ora il vice capitano della Jobai era ben fermo, con i piedi piantati al suolo ad osservare il ragazzo dai capelli castani, senza farsi sfuggire neanche una sua espressione, una sua parola, attento che questo non provasse di nuovo ad evitarlo, per impedire qualsiasi ricaduta.

Gli sembrò di star partecipando ad un contorto gioco del gatto e del topo solo che, a sua insaputa, non sapeva di avere il ruolo del roditore.

Ma, come Hajime controllava i movimenti di Oikawa, così questo aveva notato quelle attenzioni crescenti da parte del suo migliore amico e ne era lusingato, anzi, era proprio questo che stava aspettando da una vita e che si meritava.

Di proposito aveva accettato di chiudere lui la palestra, di rallentare il suo lavoro per poter far andare via tutti e concedersi una doccia in solitaria con Hajime, spogliandosi di fronte a lui quando era certo fossero soli negli spogliatoi, con una lentezza degna di una spogliarellista che cercava di guadagnare il massimo con il minimo sforzo, mostrando porzioni di pelle a poco a poco e se voleva, lui poteva benissimamente anche replicare certe loro movenze, ma era un “signore” e certe cose non poteva proprio farle, non così sfacciatamente.

Il suo sguardo alcune volte correva verso il ragazzo, per accertarsi che fosse ancora lì ad ammirarlo, e un sorriso divertito e malizioso si dipingeva ogni qualvolta lo beccava in flagrante, che notava le sue guance lievemente arrossate e l’espressione incerta negli suoi occhi.

- “Neh, Iwa-chan. Visto che non hai mai avuto una ragazza, posso fartene conoscere alcune. “- Ormai con solo l’intimo addosso si avvicinò ad Hajime, che era seduto su una delle panche, intento a spogliarsi, chinandosi di poco con il busto in avanti una volta che gli fu di fronte per essere certo di avere la sua attenzione - “ Meglio che ti godi tutte le esperienze del mondo prima di avere il meglio. “ - Si auto indico, sorridendo soddisfatto alla espressione rabbiosa e imbarazzata che l’altro si ritrovò a lanciargli per quelle sottili insinuazioni a cui era sottoposto dal Tōru a cui avrebbe sempre replicato come si doveva, senza tirarsi indietro perché sapeva quanto l’ego dell’altro potesse essere nocivo se non era fermato.

- “Tōru, io sono stato con una ragazza.” - Quelle parole raggelarono Oikawa sul posto che si ritrovò a guardare con occhi smarriti il viso del suo amico d’infanzia, sorpreso più del fattore che ne venisse a conoscenza solo in quel preciso istante. - “Non ti ho detto nulla perché è successo poco prima del casino che hai combinato quella sera, da ubriaco..” - e la frase che seguì gli fece scappare anche un sospiro.

- “Mi nascondi le cose, Iwa-chan?” - ma si pentì amaramente di averlo detto: lui, nell’ultimo periodo, gliene aveva nascoste fin troppe, per questo si ritrovò a mordersi il labbro inferiore, distraendosi a tal punto di non accorgersi di Iwaizumi che si era alzato e gli aveva poggiato le mani sulle spalle e quasi sobbalzò nel constatare di essere un po' in trappola, stretto fra il corpo del moro e gli armadietti freddi e di ferro posti alle sue spalle. - “ Oh beh, mi hai risparmiato del lavoro da fare. “ -Prontamente recuperò il suo micidiale sorriso, che si accentuò e osò allungare una mano verso il busto di Hajime, scivolando verso il basso prima di toccarlo per poter stringere fra le dita il bordo della maglietta e alzarla leggermente. - “Niente doccia?” -

Oikawa Tōru poteva essere definito un demonio.

Un demonio che riusciva a dare il meglio di sé e a tirare il peggio fuori dagli altri.

Un demonio che ora stava fissando il corpo del suo vice irrigidirsi di colpo nel comprendere che sì, aveva seguito il gioco del suo capitano che riuscì a far scivolare l’indumento fino al petto, scoprendo a quel modo l’addome che divorò con gli occhi.

Lui non si sarebbe mai fatto mettere all’angolo o trovare impreparato, lui doveva avere sempre la risposta a tutto e la situazione sotto controllo, anche in quel momento in cui la ragione e l’ultima ad esistere e ad avere parola.

Ma la sua mente tornò ad Hajime e alla sua maglietta alzata, alla pelle ormai scoperta e alla sua voglia di crogiolarsi nel peccato di divorarla.

Quella visione gli sembrò talmente irreale da far chinare il capitano della Jobai sul petto del suo vice, lasciando un lieve bacio vicino al petto destro, sfiorando l’aureola del capezzolo con le labbra.

Lo aveva sognato troppe volte quel momento, di poter fare quelle cose con il suo vice che si ritrovò sorpreso nel constatare che le sue fantasie non erano paragonabili alla realtà.

Era molto meglio toccare con mano viva quello che aveva sempre e solo fantasticato di sfiorare in un modo per nulla casto.

Neanche si accorse che qualcosa agitò i bassifondi di entrambi, però venne portato alla realtà da Iwaizumi e alla sua presa sulle proprie spalle ancora presente, avvertendo un lieve e costante spingere che lo costrinse ad alzare il busto e allontanarsi di poco da lui in un gesto incerto quanto la sua stretta, tentato fra il cedere e la paura di farlo.

Oikawa si ritrovò a sorridere ancora e ancora, ma stavolta era molto più onesto di tutti gli altri che falsamente regalava in giro, spingendolo ad avvicinarsi al compagno per poter sfiorare le sue labbra con le proprie, in un tocco appena avvertito. - “ Ai tuoi tempi, Hajime.” - gli sussurrò quelle parole contro le labbra prima di staccarsi da lui per andare in doccia. - “Fino ad allora mi accontenterò dei tuoi sguardi diretti alla mia sublime persona!” -Annunciò, spezzando tutta la delicatezza che le parole di poco prima avevano creato, ancora di più nell’esatto momento in cui si tolse l’intimo e lo lanciò addosso ad Hajime, divertito più che mai, innescando nella povera vittima di quel lancio un desiderio di uccisione.

- “Tooru, sei pessimo. “ - I suoi pensieri andarono in scene future, prossime, in cui si sarebbe trovato con Tōru In quali mirabolanti sciocchezze lo avrebbe cacciato, in che situazioni critiche e pericoloso lo avrebbe infilato.

Aveva solo 17 anni, ma improvvisamente ne avvertì molti di più.

Il tempo dedicato alla doccia fu veloci ed Iwaizumi notò l’altro già mezzo vestito con il cellulare fra le mani e l’asciugamano sul capo, per tamponare i capelli bagnati e umidicci: sembrava concentrato, tanto che si avvicinò per recuperare i suoi indumenti puliti indisturbato ma anche per capire cosa diamine stesse facendo, lanciando vaghi sguardi sullo schermo del cellulare per riuscire a leggere così da comprendere: si ritrovò a corrugare la fronte quando notò che il destinatario era Sawamura, tanto che si Oikawa si voltò beccandolo in flagrante.

- “Oh, Iwa-chan! Non si leggono i messaggi altrui” - Si imbronciò appena, uno di quelli fittizi, tornando subito dopo a guardare lo schermo e continuare a pigiare le dita sulle lettere che gli servivano.

Qualcosa nella mente di Iwaizumi si accese, tanto che alzò lo sguardo ad osservare Tooru, la sua schiena pulita, senza nessun segno che qualcuno lo avesse sfiorato di nuovo, un dettaglio che aveva avuto piacere di notare anche prima.

Le parole gli uscirono dalle labbra prima che queste lui potesse frenarle o misurarle. - “ Tu e Sugawara siete andati a letto assieme, vero?” - Quello che prima era solo un sospetto venne confermato dallo sguardo del suo compagno, che posò il cellulare con calma, scostando lo sguardo per timore; Gli sembrò che Oikawa non volesse rispondere ad una domanda così intima e diretta ma che, allo stesso tempo, era decisamente il caso di chiarire gli avvenimenti successi in quei mesi di totale chaos.

- “Diciamo che ci sono state situazioni un po’… difficili: Koushi mi ha aiutato molto e non voglio che tu pensi a lui in modo negativo” - Smise di giocare con la maglietta che aveva fra le mani, decidendo di indossarla dopo aver incrociato lo sguardo di Hajime per una frazione di secondi.

- “ Senti, idiota, non è mia intenzione di farlo. Volevo solo sapere se mi devo preoccupare o meno.” - Questo sentì la rabbia montare quando intravide un sorriso divertito sul viso dell’altro, seguito da una piccola e genuina risata. - “Hey, smettila” - Con ancora l’asciugamano addosso era tornato vicino al corpo dell’altro, afferrandogli un polso per farlo voltare verso di sé, stringendo la presa con le dita, avvertendo distintamente le ossa quando la stretta si fece più decisa.

Non c’era più distanza fra di loro, nessun oggetto a dividerli e la poca stoffa presenti su i loro corpi sembrava svanire nelle loro menti, come l’imbarazzo che poco priva Iwaizumi aveva provato nel trovarsi le mani addosso al proprio corpo; le sue mani vanno ai lati del viso di Oikawa, tenendolo ben fermo, beandosi del sorriso dell’altro che riusciva ad illuminare anche un semplice spogliatoio scolastico. Con il pollice andò a sfiorare il labbro inferiore del suo capitano, soffermandosi all’angolo della bocca, avvertendone la morbidezza sotto i propri polpastrelli che lo indussero a volere di più, a chinarsi per poter poggiare le proprie di labbra su quelle appena toccate, avvertendo i loro respiri diventare di alcuni secondi più veloci.

Era durato poco quel tocco ma il vice capitano avvertì il corpo come in fiamme, soprattutto nel notare il proprio amico d’infanzia umettarsi le labbra in modo meticoloso. - “ Iwa-chan, non sarò la prima persona con cui sei stato, ma di sicuro posso dire di essere il primo uomo a farti venire l’alza bandiera.” - ammiccò verso di lui, lasciando sostare il suo sguardo verso le parti passe di Hajime.

 


La camera di Sawamura era di un chiaro colore beige, con un letto a una piazza e mezza in un angolo, a ridosso del muro, con sopra una fila di mensole dove poggiare libri e oggetti vari. Di fianco, ad angolo, c’era l’armadio contenente i vestiti e infine sotto la finestra c’era la scrivania con sopra un pc acceso e vari libri scolastici aperti.

Sugawara si ritrovò ad osservare varie volte entrambi, controllando i vari dati della loro ricerca sul processo di metamorforsi, cercando ogni errore possibile prima della imminente consegna mentre, di sottofondo, andava un brano di musica leggera, elemtno che lo aiutava a concetrarsi; si era ritrovato a lavorare assieme a Daichi, optando di finire a casa sua per velocizzare i tempi, e lo stava aspettando che portasse in camera la loro meritata merenda per una pausa; era più una scusa per fermarsi che una vera e propria necessità di mangiare.

Si portò una mano al collo che massaggiò, avvertendo questo indolenzito per tutte le ore che erano stati lì, chini su i libri e seduti per la ricerca, sentendo anche gli occhi bruciare per l’eccessiva esposizione allo schermo.

- “Suga, staccati da quel coso e vieni a sederti” - Fu così che venne richiamato da Sawamura al quale rivolse un sorriso di scuse mentre seguiva il suo consiglio e si avvicinava al tavolino basso posto in mezzo alla stanza, ringraziando il cielo che il ragazzo avesse portato anche del tea caldo, oltre da mangiare.

- “Dobbiamo ancora trovare la percentuale giusta della riuscita di tale trasformazione: i dati trovati sono tutti contrastanti. “ - Si passò una mano fra i capelli chiari, pensieroso, allungando una mano per prendere la tazza ricolma di tea. - “Grazie; ci voleva proprio.” -

Daichi imitò il gesto dell’altro, annuendo sollennamente alle sue parole. - “Ci manca solo quella, poi domani possiamo consegnare e occuparci dei test di ingresso.” - Si portò la tazza alle labbra, sorseggiando a quel modo la bevanda calda che subito andò a riscaldare il corpo. - “ … Mi spiace non poter andare assieme all’università. Come avevamo detto.” - A quelle parole si ritrovò lo sguardo di Koushi addosso che traspariva una serenità spontanea. - “Insomma, dopo quello che ci siamo detti l’altra sera” -

- “Non fa nulla, Daichi.” - Continuò con il suo atteggiamento positivo, tenendo fra le mani la tazza calda, inspirando a fondo. - “Entrare in polizia è un desiderio che ti porti da un paio di anni, ora che hai convinto anche i tuoi, non vedo perché stare a ripensarci. Scommetto anche che la divisa addosso ti starà benissimo.” - In automatico gli rivolse un occhiolino, cercando al contempo di frenare la sua fantasia nell’immaginare davvero Sawamura in tali vesti.

- “Questo non ci impedirà di vederci ogni tanto, una piccola rimpatriata all’anno, cose del genere.” -

- “Hai intenzione di farti vedere e sentire solo una volta all’anno o ogni tanto?” - Sobbalzò il vice capitano della Karasuno nel sentirsi rispondere subito, senza neanche un istante di pausa, e avere puntato addosso gli occhi scuri dell’altro che sembravano contrariati da tale affermazione.

- “No, intendevo dire che… saremmo parecchio impegnati con lo studio e tutto.”-

Qualcosa si stava agitando dentro al suo compagno di squadra, tanto che dovette posare la tazza di tea sul tavolino per avvicinarsi a lui, osservandolo con attenzione negli occhi, anche se si ritrovò spaesato quando avvertì la propria mano essere stretta.

- “ Suga. Io lo so.” -


- "Io lo so e va bene così. Non c'è niente di sbagliato." -

Quelle parole. Quelle parole fecero accendere una miccia che portarono nel panico la persona in questione che cercò in qualche modo di dissimulare; aveva sicuramente compreso male.

Di sicuro era così.

- “Di cosa stai parlando?” - Cercò di svincolarsi dalla presa di Daichi che si era fatta più presente, mandando in black out la sua mente già sull’orlo del precipizio. - “Daichi, non è divertente, lasciami.” - Ma ebbero l’effetto contrario quelle sue volontà. Tanto che si ritrovò nella morsa di un abbraccio dal quale non poteva e non voleva sfuggire.

- “ Non posso farlo adesso. Non posso perché altrimenti mi guarderesti in viso, mi sorrideresti e te ne andresti fingendo che vada tutto bene quando, cazzo, non va affatto nulla bene.” -

- “Lasciami!!” - Il panico si era impadronito completamente del ragazzo che iniziò seriamente a scalciare per farsi liberare, avvertendo quelle parole come un coltello puntato dritto alla sua coscienza che aveva sempre cercato di far zittire.

- “ Daichi, lasciami andare!” - Arrivò quasi a sfiorare con il pensiero di dargli un pugno in viso per farsi finalmente mollare e correre via da quella stanza ma, nell’istante preciso in cui stava per farlo, le forze gli vennero a meno e si ritrovò a singhiozzare contro la spalla del suo capitano.

Singhiozzava mentre cercava di darsi un contegno che un ragazzo avrebbe dovuto avere, perché loro non piangono. Non possono piangere.

Ma più cercava di ricacciare indietro il groppone, più questo risaliva finendo con il bagnare la maglietta di Sawamura con le proprie lacrime.

Lui non aveva mai pianto.

Non per quello.

Si era tenuto tutto dentro, sigillato in una stanza stagna a doppia mandata, in modo che i suoi pensieri non scappassero via, che il dolore fosse ben custodito in modo da non nuocere chi gli stava attorno.

Le sue dita stringevano con rabbia il tessuto e le mani cercavano ancora di spingere via l’altro da sé.

Che fottuta egoista e masochista che era.

Sawamura portò una delle mani al capo, carezzando con premura la nuca, evitando di guardare in viso Koushi per lasciargli quel momento di debolezza, per fargli sfogare a quel modo quel poco che aveva dentro.

- “Hai bisogno di uno psicologo. E… hai bisogno di me.” - ora una consapevolezza anche per il moro che si ritrovò ad avere fra le braccia la cosa più fragile di questo mondo e non si aspettava sarebbe stato il amico delle superiore. Una persona che si rese conto di avere bisogno nella vita.

- “Ma, egoisticamente, anche io ho bisogno di te e ti chiedo di avere pazienza. Di darmi tempo.” - Le mani andarono al viso di Suga, sulle guance, per poter così guardare gli occhi arrossati dal pianto che crearono una morsa attorno al cuore di Daichi, ma il primo scostò lo sguardo per non mostrare il suo viso, per nascondere quella vergogna.

- “No, tu hai bisogno di una vita normale e… basta.” - La voce che uscì fuori da quelle labbra era più simile ad un bisbiglio.

- “Sì, forse. Non ti sto dicendo che “saremmo per sempre felici e contenti”. Ma possiamo provare a creare qualcosa di simile, un passo alla volta, che ne dici?”-

- “Tu non sai in cosa ti stai cacciando, Sawamura.”- Voleva crederci. Sugawara volevo tanto credere alle parole dell’altro, ma non poteva farlo.

Non poteva trascinarlo con sé in quell’inferno.

- “ Diventerò un poliziotto Suga: so bene a cosa sto andando incontro.” - Quella battuta ebbe l’effetto di far voltare Koushi che non resistette nel sorridere appena, un sorriso stanco e stremato.

- “… Scemo.” -

- “ Lo so.” - Non esitò a passare una mano fra i capelli chiari dell’altro, allungando quella lieve carezza fino alle guance del ragazzo dove ancora c’erano le tracce di alcune lacrime: un giorno, forse, avrebbe ringraziato Tōru Oikawa per la sua sfacciataggine.

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Capitolo 7
*** Fase EXTRA. ***


Il cielo era coperte di stelle, tanti piccoli puntini che creavano una coperta scintillante e splendente, pronta ad essere usata dalle persone che volevano perdersi ad osservare quel manto luminoso.

E Sugawara si stava perdendo un po' ad osservare gli astri, distendendo le gambe e il proprio corpo sul pianerottolo di cemento del tetto di quel palazzo, di schiena, dove si era rifugiato e dove stava attendendo una certa persona raggiungerlo: Erano passati alcuni anni, non molti, ma quelli che bastavano per far smuovere qualcosa in Suga, a prendere la decisione di esporsi con i genitori con il risultato che ora si trovava a vivere in un piccolo appartamento mantenuto con due lavori precari.

Ma andava bene così.

Anche se stanco per l’università, per lo sforzo fisico costante e il continuo correre dietro al mondo avvertiva un senso di libertà ineguagliabile anche se fra le mani non aveva nulla, almeno agli occhi degli altri.

Quando avvertì dei passi avvicinarsi si ritrovò a sorridere, reclinando il capo per osservare il moro che si stava avvicinando a lui con una busta di plastica contenente la loro precaria cena già pronta per essere consumata.

- “ Cena Express, per servirla.” - Daichi camminò con passo svelto fino a raggiungere il ragazzo e sedersi vicino a lui, invitandolo con la mano a fare lo stesso, cosa che l’altro fece di buon grado, avvicinandosi subito all’ormai ex capitano, allungandosi a lasciargli un bacio sulla guancia.

- “Grazie signor poliziotto.” - Ridacchiò il ragazzo, prendendo la busta fra le mani dell’altro per iniziare a controllare quale glorioso bottino gli avesse portato.

- “ Futuro signor Poliziotto: al momento sto ancora studiando.” - ribatte, allungando la mano per lasciare una veloce e lieve carezza sulla guancia di Suga. - “Signor “futuro insegnante” -

Rise. Una risata limpida si diffuse su tutto il tetto mente Sawamura era lì a fissare la fonte di quel suono meraviglioso.

- “Cosa ti devo dire: Hinata e Tobio mi hanno ispirato per tale strada” - Koushi sorrise nel ricordare i ragazzi, che sentiva ancora nonostante fossero passati anni, loro si preoccupavano di farsi vivi e lui di controllare che stessero seguendo la buona strada. Che si stessero allenando come si doveva senza esagerare.

- “Hey, Sensei, non mi hai ancora salutato.” - Il suo filo logico fu rotto bruscamente da quella unica parola pronunciata dalle labbra di Daichi, tanto che Suga si fermò nel prendere il cibo per guardarlo, scacciando via il brivido che gli aveva provoco. -” Chiedo perdono” - Si sporse, lasciando un bacio sulle labbra dell’altro che ne approfittò decisamente, tanto che si trascinò il ragazzo sulle proprie gambe, lasciando stare il loro cibo confezionato il quale era sparso sul pavimento.

Le mani di Sugawara andarono subito sulle spalle che usò per appoggio per potersi posizionare a cavalcioni sull’altro, ignorando volutamente che non era proprio il luogo adatto per lasciarsi andare ad effusioni.

Daichi fece scivolare le mani sotto la maglietta leggera di Sugawara, andando a sfiorare la schiena, la sua pelle, con la punta delle dita, trovandola confortevolmente calda, spingendo il corpo del compagno contro il proprio, lasciando che quel casto bacio si trasformasse in qualcosa di più lascivo, avvertendo le loro lingue toccarsi, cercarsi, con un bisogno sempre più incessante: un sospiro basso, udibile solo a Sawamura, scappò dalle labbra di Koushi quando il primo strinse con forza le natiche fra le mani, in una presa quasi dolorosa.

- “Hey, è solo una settimana che non ci vediamo e non mi sembra il luogo adatto.” -E gli sottolinea la cosa con un gesto della mano, indicando la porta che portava al tetto, luogo accessibile a tutti i residenti del palazzo.

Le mani tornarono a loro posto, così anche Suga che si sistemo per prendere i suoi tramezzini già pronti, passandone uno anche al compagno - “E’ stato davvero un caso avere il giorno libero, di entrambi i lavori, nella stata data.” -

Ne erano entrami grati.

Con gli impegni del lavoro, degli studi e della loro vita quotidiana, sembrava quasi impossibile vedersi ma loro ci erano riusciti rubando quegli attimi di privacy dove potevano.

- “Sto già controllando le case. Almeno, in due, potremmo prendere un appartamento più grande e in un posto migliore.-

Ne avevano parlato tanto.

Ne avevano discusso tanto.

Daichi non aveva detto nulla di Koushi che, a differenza sua, si era tolto il peso non appena avevano finito le superiori, ma quest’ultimo non lo condanna affatto e non gli imponeva nulla, tant’è che la proposta di andare a vivere assieme era partito proprio dal corvino, tanto che gli era sembrato tutto uno scherzo agli inizi.

Ma ora no.

Ora era l’uno di fianco all’altro, dopo un cammino durato anni, dove ancora erano lì a costruirsi il loro percorso dorato attenti a non inciampare nelle possibili buche.

- “ Ne sei sicuro?” -

- “Assolutamente.” -


Ore 22:08.

L’aereo dal Brasile doveva già essere atterrato da un pezzo ma di Oikawa nessuna traccia.

Iwaizumi con un occhio guardava il Gate d’uscita mentre, con l’altro, il telefonino in caso il ragazzo chiamasse.

Ma nulla.

Quando l’orologio segnalò che era passato ancora un’ altro minuto si ritrovò gli occhi coperti da delle mani che, inutile dirlo, riconoscette subito: allungò la propria per afferrare quella dell’altro, voltandosi per ritrovarsi di fronte un Oikawa felice come una pasqua e dalla pelle lievemente abbronzata.

- “Iwa- Chan mi è venuto a prendere all’aeroporto!”- La sua voce risultò squillante alle orecchie di Hajime che tenne la mano di Tōru ben stretta nella sua.

- “Ti lamenti sempre che i tassisti sono sgarbati e che non ti piacciono: Non mi andava di sentire le tue lamentele per tutta la sera. “ - Una piccola bugia che aveva salvato il suo orgoglio, ma che fecero sorridere l’altro ragazzo ancora di più.

Uscirono alla svelta da quel posto, dirigendosi nell’immenso parcheggio di cemento di quel labirintico posto, riuscendo a trovare la macchina anche al primo colpo.

Iwaizumi non fece in tempo a sedersi al posto guida che si ritrovò le labbra di Tōruappiccicate alle sue, no che questo gli provocasse fastidio, ma imbarazzo sì. Anche se quello cercava sempre di camuffarlo.

- “Mi sei mancato.” - soffiò quella frase sulle labbra del fidanzato, osservando con un ghigno vittorioso il viso agitato della magnifica persona che aveva di fronte.

Hajime si massaggiò le tempie, cercando di contare fino a 10 prima di esplodere in uno scatto di rabbia più per il luogo dove si trovavano che per il gesto.

- “ Sei un avventato del cazzo, Oikawa.” - Se lo tolse da dosso solo per farlo sedere per bene sul sedile, allacciandogli anche la cintura, prima di inserire le chiavi nell’accensione per far partire la vettura. - “ … Anche tu.” -

Evitò di guardare Tōru in viso di proposito, ben sapendo che gli stava rivolgendo uno dei suoi sorrisi vittoriosi.

- “Andiamo a casa.”-

La fine di qualcosa è solo l’inizio di un’altra:

La trasformazione di una persona

è solo il suo adattamento alla vita.”

 

 

 


Angolo autore.

Ringrazio, come sempre, chiunque abbia letto questa FF.

Questo è un capitolo extra, posto dopo qualche anno: Mi sembrava doveroso farlo.

Buona continuazione a tutti e grazie ancora!

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