La Valchiria del Re (2)

di Lamy_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Sól e Máni ***
Capitolo 2: *** Un nuovo mondo ***
Capitolo 3: *** Il Profeta ***
Capitolo 4: *** Festa delle maschere ***
Capitolo 5: *** A caccia di innocenza ***
Capitolo 6: *** Cuore spezzato ***
Capitolo 7: *** La principessa e la guerriera ***
Capitolo 8: *** Destino fraterno ***
Capitolo 9: *** Nodi indissolubili ***
Capitolo 10: *** I due Re ***
Capitolo 11: *** La Valchiria del Re ***



Capitolo 1
*** Sól e Máni ***


1. SÓL E MÁNI

Tre mesi dopo.
Hildr osservava il cielo con la stessa meraviglia di quando era bambina. Si era sempre domandata come facessero le stelle ad essere così luminose e sua madre le diceva che era merito degli dèi. Crescendo e ascoltando zio Floki, si era convinta che gli astri brillassero per opera di Odino. Non poteva esserci altra spiegazione a tanta bellezza. Allungò una mano in acqua e lasciò che le dita danzassero insieme alle onde che spostavano l’imbarcazione. Oramai erano in viaggio da tre mesi, quella barca era diventata la loro casa e il mare era l’unica certezza che accompagnava le loro giornate. Si erano fermati solo quattro volte, ma le soste erano state brevi, l’urgenza di ripartire era imminente per quei mercanti. Hildr scendeva e recuperava ciò di cui avevano bisogno, poi ritornava in tempo per la partenza. Si trovavano su un’imbarcazione mercantile che si spostava in lungo e in largo, erano una decina di uomini e due donne che lavoravano come cuoche. Loro tre si era ritagliati un piccolo angolo per starsene tranquilli, in fondo erano soltanto giovani ragazzi che non avrebbero recato alcun disturbo.
“Hildr.”
Ivar si sedette accanto a lei e mise da parte la stampella per sistemarsi meglio. Le gambe gli dolevano, e l’umidità peggiorava solo le cose. Desiderava fermarsi e riposare in un vero letto, ma era ancora una remota possibilità.
“Isobel dorme?”
“Sì, era molto stanca. Tu che ci fai qui da sola?”
Era notte, tutti dormivano – eccetto il timoniere – e lei aveva ritenuto fosse il momento giusto per restare da sola a riflettere.
“Pensavo.”
“A cosa?”
“Che ci siamo cacciati in un brutto guaio. Sarà dura, Ivar.”
Ivar le prese la mano e strinse forte per mostrarle la sua vicinanza.
“Non importa. Ce la caveremo anche questa volta. Devi mantenere il morale alto.”
“Questa tua positività mi dà il voltastomaco.” Disse la ragazza.
“Lo so, per questo sono positivo. Infastidirti è lo scopo della mia vita.”
Scoppiarono a ridere, e almeno le risate tra di loro non erano mai finite. Hildr guardò l’anello che portava all’anulare e guardò la collana che Ivar portava al collo, e sorrise. Si erano sposati tre mesi prima senza nessun testimone, senza cerimonia, perciò non era un vero matrimonio. Eppure a loro andava bene così.
“Dobbiamo fermarci da qualche parte. Non possiamo navigare ancora. E dobbiamo anche trovare una soluzione per Isobel.”
“Una soluzione di che tipo?” chiese Ivar, le sopracciglia aggrottate.
“Tra poco partorirà e non potremo trascinare il bambino di qua e di là. Entrambi hanno bisogno di una casa. Non siamo in grado di badare ad un neonato.”
“Scommetto che tu hai già un’idea.”
Hildr annuì, aveva rimuginato sull’ipotesi giorno dopo giorno senza trovare altre vie d’uscita.
“Isobel e il bambino devono tornare in Wessex. E’ l’unico modo che hanno per sopravvivere. Lei ha una zia in vita che può aiutarli.”
“Ancora Alfred.” Disse Ivar con voce nervosa.
Sembrava che Hildr riuscisse a tirare fuori Alfred anche nei momenti meno inopportuni.
“Che c’entra Alfred? Io parlo di Isobel. Un bambino non può vagare come un vagabondo. Quello è nostro nipote e quindi dobbiamo fare il possibile per lui, o per lei.”
Ivar sbuffò per l’irruenza di Hildr, era la persona più testarda che avesse mai conosciuto.
“Come faranno a tornare in Wessex?”
“Il timoniere mi ha detto che fra due settimane la barca di un suo amico farà un carico destinato al Wessex. Isobel e il bambino potrebbero andare con loro. Ovviamente chiederò ad una delle cuoche di andare con lei per non lasciarla da sola.”
“La cuoca vorrà di sicuro qualcosa in cambio. Non abbiamo monete di scambio, Hildr.”
“Una cosa ci sarebbe.”
Hildr si slacciò la collana con la punta di freccia che Ivar le aveva regalato, del resto era un gioiello che avrebbe abbandonato pur di aiutare Isobel.
“E tu saresti disposta a dare via questa collana? Incredibile.” Chiosò Ivar, infastidito.
“Se noi dovessimo morire, il figlio di Isobel sarebbe l’unico erede di Kattegat. Stiamo preservando il trono nel caso tutto andasse in malora. Quel bambino è l’unica speranza di sopravvivenza.”
Ivar detestava quando Hildr aveva ragione, lei riusciva a ragionare in modo più lucido di lui e alla fine era in grado di convincerlo.
“D’accordo. Faremo come dici tu. E’ solo una stupida collana, anche se è un mio regalo.”
“Grazie.”
Hildr sorrise e lo abbracciò. Ivar ricambiò l’abbraccio perché non c’erano parole o azioni che potessero minare la fiducia che riponeva in lei.
 
Una settimana dopo.
Ivar non riusciva a dormire, tormentato dai pensieri che gli arrovellavano il cervello. Un’onda sollevò l’imbarcazione prima di tornare a spostarsi in maniera regolare. In quei mesi di viaggio aveva imparato a odiare il mare. Sin da bambino il mare gli era piaciuto, aveva sognato di solcare le acque del mondo insieme a suo padre e alla sua più cara amica, si era immaginato al comando di una barca degna di un re. Invece la realtà era ben diversa da come aveva sperato. Ogni giorno ripensava all’ultima battaglia contro Bjorn. Certo, il fratello dapprima si era ritirato, ma poi le circostanze lo avevano reso il vincitore. Ivar si sentiva un codardo per essere scappato, per aver lasciato Kattegat senza contrattaccare, però Hildr era rimasta ferita e senza di lei non era concepibile andare avanti.
“Ivar!”
Il flusso di pensieri fu interrotto dalla voce incrinata di Isobel. La ragazza emerse dal buio con il vestito bagnato e le mani sulla pancia rigonfia. Ivar si mosse con cautela per non svegliare Hildr che dormiva accanto a lui.
“Che succede?”
“Il bambino … Ah! Credo stia … per … oh! Nascere!”
Ivar allungò la mano tremante verso Hildr per scuoterla, lei era l’unica che poteva sostenere Isobel in quel momento.
“Hildr! Hildr! Svegliati!”
La ragazza sobbalzò, l’espressione assonnata, i capelli sciolti sulle spalle.
“Mmh, che c’è? Ci stanno attaccando?”
Isobel si lamentò di nuovo e si accasciò contro la parete della barca, i capelli biondi erano appiccicati alla fronte dal sudore.
“Sta per partorire.” Disse Ivar.
Hildr si mise in piedi e indossò gli stivali in pochi secondi, dopodiché corse fuori a chiamare le cuoche. Le due donne erano madri, sapevano come gestire un parto e sapevano cosa fare una volta avuto il neonato tra le braccia.
“Hildr mi ha detto che mi rispedite in Wessex. E’ vero?” chiese Isobel.
Ivar intanto si era alzato a fatica con l’aiuto della stampella e si era seduto su un barile contenente chissà cosa. Erano stati confinati assieme alle merci, perlomeno era un luogo piuttosto caldo e asciutto.
“E’ vero. Tu e il bambino avete bisogno di un posto sicuro. Sei la madre di un papabile sovrano di Kattegat. Hai una grande responsabilità.”
Isobel lo sapeva che suo figlio non sarebbe stato un bambino normale, era il figlio di Hvitserk e il nipote di Ragnar, pertanto era già un prodigio per questo. Se i figli di Ragnar fossero morti nell’arco di pochi anni, il bambino sarebbe stato l’unico erede del regno e lei sarebbe stata la reggente.
“Allora tu e Hildr cercate di sopravvivere perché non sopporto l’idea che mio figlio regni su Kattegat. Sarebbe come condannarlo a morte certa.”
Ivar rimase stupito dalle parole di Isobel poiché era una ragazza silenziosa e timida, che seguiva Hildr come un cane fedele, ma ora era una madre che doveva difendere il proprio figlio.
“Sopravvivremo.”
Hildr tornò insieme alle cuoche, munite di bacinelle e panni puliti, e si posizionò alle spalle di Isobel.
“Io resto qui con te.”
Isobel fu grata all’amica e le strinse la mano per darsi coraggio. Ivar, dal canto suo, decise che era meglio svignarsela prima che iniziassero le urla e i lamenti. Sgusciò via senza che nessuno se ne accorgesse dato che le tre donne erano focalizzate sull’imminente parto.
 
Era l’alba quando l’imbarcazione si fece di nuovo silenziosa. Il parto era stato lungo e doloroso, la notte era trascorsa lentamente e ricca di strilli. Alle prime luci la calma era tornata a far da padrone. Ivar sbarrò gli occhi quando vide Hildr camminare con un fagotto tra le braccia. Si inginocchiò di fronte a lui e gli mostrò un visino tondo ancora stremato dalla nascita.
“Ivar, ti presento tua nipote Aila.”
Per un attimo Ivar fu deluso dal fatto che fosse una femmina, poi ricordò a se stesso che la sua vita era segnata da donne straordinarie che si erano rivelate migliori degli uomini. Prese la piccola in braccio e le accarezzò la guancia con delicatezza.
“Aila vuol dire ‘benedetta’, è una scelta azzeccata.”
Hildr era stanca, sudata anche lei e con la mano dolorante a causa della stretta di Isobel, ma aveva un sorriso radioso che fece sorridere anche Ivar.
“E’ la bambina più bella del mondo.”
“Come sei sentimentale, Hildr. Non è da te.” scherzò lui.
“Idiota. – replicò Hildr – E’ solo che Aila è la prima cosa bella che è capita negli ultimi tempi e siamo costretti a lasciarla andare.”
“E’ per il suo bene. Questa bambina un giorno potrebbe essere tutto ciò che resta della nostra eredità.”
Hildr baciò la testa di Aila e si prese qualche istante per imprimere nella memoria quel dolce viso che forse non avrebbe rivisto mai più.
“Lo facciamo per te, bambina mia.”
 
Due mesi dopo.
“Terra!” gridò il timoniere.
Hildr finì di allacciarsi la giacca e si legò i capelli in una treccia semplice, poi indossò la pelliccia.
“Ivar, svegliati.” Disse, tirando un colpetto al fianco del ragazzo.
“Perché sei vestita?”
Ivar si mise seduto e si stropicciò gli occhi per scacciare il sonno. Dormire su un sacco di iuta e sulle assi di legno umide era diventato un incubo. Aveva i muscoli delle braccia intorpiditi e aveva anche torcicollo.
“Perché a momenti attracchiamo. Le tue gambe sono peggiorate e hai bisogno della gramigna. Forse al mercato ricavo qualcosa.”
La notte precedente un osso delle gambe si era spezzato procurandogli un dolore lancinante. La pelle era rossa e gonfia. Ivar aveva passato la notte a farsi cullare da Hildr per non pensare alla sofferenza.
“Stai attenta, ti prego.”
Hildr prese l’ascia e l’appese alla cintola, recuperò anche l’arco e le poche frecce che erano rimaste nella faretra.
“Ci vediamo dopo.”
Ivar la vide lasciare l’imbarcazione con una terribile sensazione di sciagura. Da quando Isobel e Aila erano partite per il Wessex, Hildr era taciturna e spesso si isolava. Quel vagabondare stava mettendo a dura prova il loro rapporto, sia l’amicizia sia l’amore, e Ivar temeva che un giorno la ragazza sarebbe scesa a terra senza fare mai più ritorno.
 
# Ivar intagliava il legno mentre Hildr ne levigava la superficie. Floki li aveva chiamati poche ore prima perché i ragazzi lo aiutassero a lavorare alla nuova imbarcazione. Ragnar ne aveva ordinato la costruzione dal momento che doveva recarsi in Wessex per aiutare la regina di Mercia, pertanto era necessario lavorare bene e in fretta.
“Cosa sono quei musi lunghi, ragazzi?” chiese Floki controllando il sacchetto dei chiodi.
“Abbiamo fame.” Si lamentò Ivar.
“Sì. – confermò Hildr – Zio, hai intenzione di tenerci qui fino all’alba? Stasera la regina Aslaug ha organizzato una festa e noi vorremmo andarci.”
Floki lanciò un’occhiata divertita alla nipote e ridacchiò, era una bambina piuttosto autoritaria per avere solo dieci anni.
“L’alba è un dono degli dèi. Dalla città non si vede bene, ma da qui è uno spettacolo. Non vi piacerebbe vedere il sole sorgere?”
Ivar arricciò il naso, la prospettiva di dormire in spiaggia non lo allettava particolarmente. Al contrario, Hildr stava già annuendo.
“Sì, io voglio vederlo! Ivar, tu resti con me?”
“Lui resta.” Disse Floki.
“Ah, sì? Non ho mica risposto.” Ribatté Ivar, annoiato.
Hildr mise da parte il legno e scompigliò i capelli di Ivar per gioco.
“Dai, brontolone, resta con me.”
Ivar sbuffò, sebbene in cuor suo fosse felice che Hildr lo voleva con sé, e fece spallucce.
“Va bene, pidocchiosa.”
La bambina rise, del resto la sua amicizia con Ivar si basava su offese e schernimento. Floki si sedette su uno sgabello sgangherato e bevve un sorso d’acqua, i suoi occhi ammiravano il cielo che pian piano cedeva il posto all’oscurità.
“Conoscete il mito del sole e della luna?”
Ivar e Hildr si scambiarono uno sguardo confuso e scossero la testa all’unisono.
“Racconta.” Lo incitò la bambina.  
“Sól e Máni erano in origine fratello e sorella e avevano il compito di guidare rispettivamente il carro del sole e il carro della luna. I due carri dovevano essere guidati per metà del giorno mentre due lupi li inseguivano. La leggenda narra che i lupi alla fine siano riusciti a divorare Sól e Máni durante Ragnarok.”
“Io e Hildr siamo Sól e Máni?” domandò Ivar.
Floki guardò i due bambini, sempre uniti come il giorno e la notte, e si rese conto che involontariamente aveva parlato di loro.
“Sì, siete un po’ come loro. E voi sarete divorati dai lupi?” #
 
“Ivar!”
Il ragazzo avvertì un lieve dolore nel punto in cui Hildr gli aveva tirato un pugno.
“Era necessario colpirmi?”
“Ti eri imbambolato. Stai bene?”
“Stavo solo ricordando una delle storie di Floki.”
Hildr si tolse la pelliccia e si liberò delle armi, poi si sedette di fronte a lui e tirò fuori dalla tasca un fazzoletto.
“Ho trovato solo tre foglie di gramigna. Mi dispiace.”
“Non ti preoccupare. Va bene così, Hildr.”
Ivar si accorse dell’espressione triste della ragazza e gli venne voglia di consolarla, ma lei odiava essere confortata come fosse un cucciolo smarrito. Hildr odiava la propria fragilità, voleva sempre dimostrare di essere forte e di potersela cavare da sola.
“Dammi il tempo di pestare le foglie.”
“Ti ricordi quando aiutammo Floki con la barca che ha condotto mio padre in Wessex?”
Hildr premette le foglie tra le dita, le mise nella ciotola e le pestò con una pietra che aveva rubato da un banco del mercato.
“Quale delle tante barche per quale dei tanti viaggi in Wessex di tuo padre?”
“Una delle ultime che Floki ha costruito. Te la ricordi, dai. Era quella con la fiancata colorata di giallo.”
“E quindi? Sei nostalgico?”
Ivar non capiva perché Hildr fosse tanto distratta, pestava le foglie con una rabbia tale che avrebbe fracassato un cranio in un minuto.
“Pensavo alla storia che ci ha raccontato su Sól e Máni.”
“Solleva i calzoni. Comunque, è la storia del sole e della luna.”
“Allora te la ricordi.”
Ivar digrignò i denti per il dolore quando tirò su la stoffa per mostrare due gambe rachitiche coperte di vesciche.
“Ivar, perché non mi hai detto quanto fosse grave? Guarda qui, la pelle è infiammata e sembra che si sia rotto un altro osso.”
Hildr incominciò a spalmare la sostanza verdastra sulla gamba destra, che a prima vista era quella messa peggio, facendo la minima pressione.
“Non sono un caso pietoso che devi sempre soccorrere.” Disse lui, infastidito.
“Però sei un bambino. Diamine, alle volte sei proprio infantile.”
Ivar trasalì quando Hildr massaggiò la parte in cui provava più pena. Conviveva da tutta la vita con quei dolori, eppure non riusciva ad abituarsi perché di volta in volta l’intensità aumentava.
“Tu non dovresti prenderti cura di me. A quest’ora tu dovresti essere la regina di Kattegat.”
“Non voglio essere la regina di Kattegat. Io voglio solo tornare a casa.”
Hildr terminò i massaggi dopo aver unto per bene la pelle arrossata, fasciò le gambe con dei panni puliti che aveva ottenuto scambiando una pagnotta di pane e risistemò i calzoni.
“Saresti una regina straordinaria. Saresti come il sole per Kattegat.” Disse Ivar sorridendo.
La ragazza ridacchiò e gli diede un pugno gioco sulla spalla, poi si sedette al suo fianco per mettersi al caldo sotto le coperte.
“Ti ricordo che Sól e Máni sono stati sbranati. Zio Floki ci raccomandò di stare attenti ai lupi.”
Ivar le circondò le spalle con il braccio e si sporse per baciarle la fronte.
“Ma noi siamo insieme. E quando io e te siamo insieme non ci spaventa niente e nessuno. Siamo come Sól e Máni, uniti nella buona e nella cattiva sorte.”
“Sì, Ivar. Insieme.”
 
Una settimana dopo
Hildr emise un sospiro di sollievo quando si sedette dopo una lunga e faticosa camminata. Due giorni prima lei e Ivar erano giunti in ‘Rus, un territorio ad Est che nessuno dei due aveva mai sentito nominare. I mercanti si erano fermati in una cittadella costiera, avevano distribuito il carico ed erano tornati dalle proprie famiglie. Il loro viaggio per mare era giunto al termine. Quella tappa era la loro ultima destinazione. Al porto avevano incontrato un gruppo di altri mercanti che stavano andando a Kiev, la capitale del regno, e Ivar aveva deciso che andare con loro era l’unica soluzione per cavarsela in un mondo nuovo.
“C’è qualcosa che non va.” Esordì Hildr.
Si erano fermati nella foresta per la sosta notturna, avrebbero ripreso il cammino l’indomani dopo un meritato riposo. Ivar era stremato, sebbene perlopiù avesse viaggiato a cavallo, per via delle gambe indolenzite.
“Qualcosa di che tipo?”
Hildr si guardò attorno ed ebbe un fremito, era come se il suo corpo le stesse inviando un segnale di pericolo.
“Non lo so ancora, so solo che non mi piace.”
“A te non piace niente, Hildr.” La incalzò Ivar.
Lei inarcò il sopracciglio e sbuffò, sin da bambina aveva la nomea di essere diffidente.
“Non è vero. Tu mi piaci.”
“Ah, sì?”
Ivar le afferrò il mento e la baciò dolcemente, sorridendo subito dopo. Hildr gli fece la linguaccia in risposta. Era bello che tra di loro le cose non fossero cambiate dopo il fidanzamento. Certo, erano una coppia – quasi sposati – ma prima di tutto erano migliori amici e cercavano di mantenere la loro relazione quanto più leggera possibile.
“Quell’anello deve valere parecchio.” Disse uno degli uomini che stava con loro.
Hildr sapeva che l’anello di Aslaug aveva un grande valore, era fatto di oro e pietre preziose, e agli occhi di un mercante doveva essere un grande affare.
“Se tu o i tuoi amici provate a rubare questo anello, giuro su Odino che vi squarto vivi.”
“E non scherza.”commentò Ivar, compiaciuto.
L’uomo le riservò uno sguardo disgustato, dopodiché si riunì agli altri per la notte.
“Dovremmo dormire anche noi, siamo entrambi stanchi.” Disse Hildr.
In silenzio allestirono un giaciglio abbastanza comodo accanto al fuoco e si coricarono abbracciati in modo da scaldarsi meglio. Ivar accarezzava la schiena della ragazza perché sapeva che avrebbe impiegato un po’ di tempo a prendere sonno.
“Hildr.”
“Dimmi.”
“Hai paura?”
Hildr fu sorpresa da quella domanda. Non avevamo mai affrontato quella questione nonostante fossero in mare da mesi, sperduti, di paese in paese, senza una meta precisa.
“No. – rispose lei – E tu?”
“Ci sei tu, quindi va bene così.”
Hildr si accoccolò contro di lui e affondò la guancia contro il suo petto, al che Ivar la strinse di più.
“Ce la possiamo fare, Ivar.”
 
Hildr nel dormiveglia udì degli strani rumori. Sembravano spade che cozzavano, urla indistinte, neve smossa da passi concitati. Rotolò su un fianco e aprì gli occhi, subito feriti dalla luce intensa. Era ormai giorno. Impiegò diversi minuti per rendersi conto che erano sotto attacco. Più in là, verso la fitta boscaglia dove si erano appartati i mercanti per la notte, c’erano una decina di uomini armati che stavano facendo una strage uccidendo chiunque capitasse a tiro.
“Ivar! Muoviti! Dobbiamo andarcene!”
Mentre scrollava il ragazzo affinché si svegliasse, avvertì un debole fragore alle sue spalle. Con la coda dell’occhio scorse due scarponi neri che avanzavano. Afferrò l’ascia e si voltò puntandola contro il nemico.
“Non ti conviene fare un altro passo.”
L’uomo la guardò confuso, non capiva la sua lingua, ma quelle parole incomprensibili bastarono per metterlo sulla difensiva. Aveva una spada pesante e affilata, mentre lei stava brandendo un’ascia smunta e piccola. Hildr indietreggiava mentre lui si avvicinava con un sorriso disgustoso sulle labbra.
“Non così in fretta!” disse Ivar.
L’attimo dopo una freccia si conficcò nella gola dell’uomo, che cadde tra la neve col sangue che si allargava sotto di lui.
“Era ora che ti svegliassi!” lo rimproverò Hildr.
Ivar gettò l’arco a terra e si issò sulla stampella, le gambe gli facevano incredibilmente male.
“Scusami se stavo facendo una dormita decente dopo mesi.”
La ragazza si fissò l’arco sulla schiena e si allacciò l’ascia alla cintura, pronta per qualsiasi evenienza.
“Scusami se degli uomini armati hanno interrotto il tuo sonnellino di bellezza.”
“Hildr.” La richiamò Ivar con tono piatto.
Hildr stava per ribattere con una delle sue solite frasi, ma imprecò a bassa voce quando si vide accerchiata dagli uomini armati.
“Fantastico, adesso ci rapiscono pure!”
I minuti successivi furono caotici: Ivar e Hildr furono incappucciati, caricati su un carro e trasportati chissà dove.
 
La prima cosa di cui Ivar prese coscienza fu il peso di Hildr addosso. Il corpo della ragazza era appoggiato su di lui come se fosse stata buttata a mo’ di sacco. Si trovavano in una piccola stanza spoglia, solo una finestrella in alto permetteva alla luce di illuminare lo spazio. Facevano freddo, c’era umidità e loro erano sdraiati sul pavimento di legno marcio.
“Sono morta?” biascicò Hildr.
Le girava la testa e aveva la vista appannata, ma tutto sommato era illesa. Tastò qualcosa di morbido sotto la testa e spalancò gli occhi con il timore che si trattasse di qualcosa di brutto.
“Quello che tocchi è il mio braccio.” Disse Ivar.
Hildr scrutò l’ambiente estraneo, era strano non sentire le onde sotto la barca oppure la neve sotto gli stivali. Era da tempo che non stava più in una stanza sulla terra ferma.
“Dove ci troviamo?”
“Non lo so. Hildr, per favore, sposta il gomito.”
Il gomito della ragazza premeva sul cavallo dei pantaloni di Ivar, che non poteva sopportare ancora quel fastidio. Hildr si mise seduta e si passò una mano tra i capelli aggrovigliati e sporchi, non faceva un bagno decente da mesi.
“Perché sono spaparanzata su di te?”
“Non lo so. Vuoi chiedermi qualcos’altro che non so?”
Ivar era irritato, odiava perdere il controllo della situazione, e odiava anche non conoscere le intenzioni degli uomini che li avevano catturati.
“Stai calmo, Ivar. Siamo in questo guaio insieme.”
“Ti chiedo scusa. E’ solo che non conoscere il guaio in cui siamo finiti mi disturba. Vogliono tenerci in vita? Torturarci? Ucciderci?”
Hildr alzò gli occhi al cielo, sfinita dall’ennesima trappola in cui erano caduti.
“Perché la gente vuole sempre o torturarci o ucciderci?”
“Perché siamo uno storpio e una ragazza.”
“Chi è la ragazza e chi è lo storpio?”
Benché le circostanze fossero negative, Ivar rise per la stupida battuta di Hildr. Lei era sempre capace di farlo sorridere, anche nei momenti più brutti.
“Se morissimo stanotte, vorrei che tu sapessi che ti amo.”
“E io amo te, Ivar. Però non moriremo stanotte. Non ci sono lupi abbastanza forti per divorarci.”
La loro conversazione fu stroncata dall’arrivo di tre guardie armate. Due di loro costrinsero Ivar e Hildr ad alzarsi pungolandoli con la punta della spada. La terza guardia, un uomo dallo sguardo severo, fece un cenno col capo e il gruppo si mosse come un unico corpo.
“Stiamo andando a morire.” Bisbigliò Hildr, trucidando la guardia che la spintonava.
Ivar arrancava a fatica, le gambe gli facevano troppo male e non sapeva quanto ancora avrebbe retto. Difatti, cadde a terra battendo il mento sulla stampella. Hildr provò ad abbassarsi ma una delle guardie la pungolò di nuovo con la spada.
“Lasciate che io lo aiuti.”
I tre uomini non cambiarono espressione, non comprendevano quella lingua e lei non sapeva come altro farsi intendere. Tentò ancora di abbassarsi e fu prontamente afferrata per il braccio da una guardia. A quel punto, stanca di essere trattata come una bambola di pezza, tirò una gomitata in faccia all’uomo per destabilizzarlo.
“Ivar, stai bene?”
“Sì. – mentì lui – Sto bene. Aiutami.”
La guardia ferita agguantò Hildr per le spalle e la scaraventò sul pavimento, poi con la spada scombinò i capelli di Ivar per divertimento.
“Basta.” Tuonò una voce autoritaria alle loro spalle.
Dal fondo del corridoio era emerso un uomo sulla trentina, spalle larghe, capelli corti e neri, due magnetici occhi verdi spiccavano sul viso squadrato. Indossava la stessa divisa delle guardie – nera e grigia di pelle – ma sulla giacca recava una spilla d’oro. Il nuovo arrivato rimise Ivar in piedi e gli restituì la stampella, dopodiché allungò una mano verso Hildr per aiutarla. La ragazza, però, fece una smorfia schifata e si drizzò da sola. L’uomo tese il braccio in avanti per invitare i due ragazzi a seguirlo. Hildr strinse le mani intorno al braccio di Ivar per facilitare i suoi passi fiacchi.
“Sta tranquilla.” disse Ivar con un mezzo sorriso.
Lei rafforzò la presa sulla stoffa in modo da trarre conforto dalla loro vicinanza.
“Di solito queste sono le parole che precedono una decapitazione.”
 “Tu saresti una bellissima testa decapitata.”
Hildr fece una breve risata, almeno le loro stupide battute non avevano ancora ceduto dinanzi alla prospettiva di morire.
Furono condotti in una grande sala ornata da paramenti color oro e argento, tappeti preziosi, candelabri lavorati a mano, e con un grande trono si ergeva su una pedana. Su di esso stava seduto un uomo, capelli scuri e barba scura, abiti sgargianti, dita inanellate. Stava sorridendo come se accogliesse vecchi amici.
“Benvenuti a Kiev. Permettetemi di presentarmi: io sono il principe Oleg. Vi trovate nel mio regno e nel mio palazzo. E voi siete?”
Ivar e Hildr rimasero spiazzati dal fatto che Oleg parlasse la loro lingua, ma al tempo stesso c’era la possibilità di intavolare un dialogo civile.
“Io sono Ivar, figlio di Ragnar Lothbrok e sovrano spodestato di Kattegat. Lei è Hildr, il mio generale e la mia compagna.”
“Un generale donna? Scioccante.” Commentò Oleg ridacchiando.
Hildr non rise, anzi assunse l’espressione annoiata di chi ascolta per l’ennesima volta la stessa solfa. Tutti la sottovalutavano perché era una donna e perché era giovane.
“Hai finito di ridere o devo darti un pugno in faccia per farti smettere?”
Oleg smise subito di ridere, la sua attenzione si concentrò tutta su Hildr. Certo, era sporca e indossava abiti stracciati, ma la sua postura era quella di chi non perde mai un colpo.
“Lui è Vadim, mio cugino e generale dell’esercito.”
L’uomo che era andato in loro soccorso si fece avanti e si inchinò per presentarsi. Ora Hildr capiva la ragione della spilla sulla giacca.
“Perché siete qui?” indagò Vadim, e il suo timbro sembrava dettare ordini.
“Non siamo qui per invadervi, se è questo che pensate. Siamo in fuga.” Spiegò Ivar.
Oleg accarezzava i braccioli del trono mentre studiava la giovane coppia come avrebbe fatto un cacciatore con la preda.
“Un figlio del leggendario Ragnar Lothbrok giunge nel mio regno e io non devo sospettare un’invasione? E’ ridicolo, ne sarete consapevoli anche voi.”
“Per quanto possa sembrare ridicolo, questa è la verità. Io e Hildr siamo in viaggio da mesi dopo essere stati sconfitti dai miei fratelli, Bjorn La Corazza, Ubbe e Hvitserk.”
Vadim sgranò gli occhi a quei nomi, aveva udito molte storie sui figli di Ragnar e per anni gli erano parse solo leggende, mentre ora erano divenute realtà.
“Tu sei Ivar Senz’Ossa. E lei è Hildr La Valchiria. Le storie sull’impresa che avete portato a termine a York è arrivata anche in Rus.”
“Allora sai che ti posso conficcare una freccia nell’occhio.” Disse Hildr.
Ivar la fulminò con un’occhiataccia ma lei non si arrendeva all’idea di tacere. Oleg fece un sorriso, quasi si divertiva a conversare con loro.
“So che hai una mira infallibile, so che Ivar è una grande stratega, e so che insieme avete costruito delle difese intorno a Kattegat che hanno obbligato Bjorn alla ritirata. E proprio perché conosco queste cose che non posso lasciarvi liberi. Devo capire bene quali siano le vostre intenzioni.”
Ivar sapeva che un re doveva riflettere a lungo prima di accettare due estranei alla corte poiché il tradimento e la guerra erano sempre dietro l’angolo.
“Che vuoi fare con noi?”
“Vadim, accompagna i nostri ospiti nell’ala ovest del palazzo. Fate buona permanenza nelle nostre prigioni.”
Ivar e Hildr furono scortati in una cella fredda e buia, l’acqua scrosciava lungo le pareti bagnando le pareti. Vadim chiuse il cancello a chiave e li lasciò da soli con una sola fiaccola a illuminare lo spazio. Hildr si appoggiò alle sbarre di metallo e diede un calcio nella vana speranza di divellere i cardini.
“Sai una cosa, Ivar? Era meglio morire che finire tra le grinfie di questa gente.”
Ivar si fece scuro in viso, un’ombra vagava nei suoi occhi nascondendo l’azzurro delle iridi.
“Forse abbiamo trovato i nostri lupi.”
 

Salve a tutti! ^_^
Sono tornata purtroppo per voi! Scusate il ritardo ma tra l’università e altri impegni ho dovuto un po’ mettere da parte la storia.
Chiariamo un po’ di cose: 1) come sempre parto dalla trama della serie tv riscrivendo gli eventi in maniera diversa e con personaggi nuovi; 2) Vadim, appunto, è un personaggio di mia fantasia; 3) questo capitolo è solo di passaggio per collegare la prima parte con questa seconda, pertanto non è un granché; 4) sul viaggio sono andata molto di fretta perché la storia ha tante cose da raccontare e su qualcosa ho voluto/dovuto tagliare.
Fatemi sapere cosa ne pensate.
Alla prossima, un bacio.

 

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Capitolo 2
*** Un nuovo mondo ***


2. UN NUOVO MONDO
 
Hildr avvertì un dolore al fianco che la costrinse a ridestarsi dal sonno. La notte prima lei e Ivar si erano rannicchiati l’uno accanto all’altro per farsi calore e per dormire, ma erano trascorse delle ore prima che entrambi si abbandonassero al riposo. Nella cella c’era una serva che con la punta del piede le dava dei colpetti al fianco per farla svegliare. Ivar non c’era.
“Dov’è il ragazzo? Che gli avete fatto?”
La donna non rispose, non conosceva la lingua, quindi con la mano le indicò il cancello aperto della cella. Hildr capì che la stava invitando ad uscire. Si scrollò la polvere dai vestiti e seguì la serva fuori dalla prigione. La sua unica speranza era che Ivar fosse stato convocato da Oleg. Solo la remota possibilità che lui fosse morto le faceva tremare le ossa di terrore. Attraversarono una serie di corridoi angusti e umidi, salirono ripide scalinate, ed entrarono a palazzo da una porta secondaria. Hildr fu guidata in un salone arredato da tavoli e sedie, tende pregiate e lampadari che non aveva mai visto prima. Attorno ad un tavolo era seduto Vadim in compagnia di due donne, una anziana e una più giovane.
“Benvenuta.” Esordì Vadim in tono gentile.
Lei non ricambiò il sorriso cortese, rimase salda nella sua posizione di difesa.
“Dov’è Ivar? Lo avete ucciso? Lo state torturando?”
“Nulla di tutto ciò. Prego, accomodati con noi.” la invitò Vadim.
Hildr decise di restare in piedi, immobile come una statua, con gli occhi fissi sull’uomo.
“Dov’è Ivar? Non farmelo ripetere un’altra volta.”
“Che bestiola adorabile.” Commentò la donna giovane.
Aveva lunghi capelli rossi intrecciati ad una sottile corona d’argento e indossava un abito blu con ricami bianchi che sottolineavano il suo status privilegiato. Era bella, molto bella. Hildr per un attimo si sentì in imbarazzo per via dei capelli sporchi e degli abiti usurati, ma il sentimento subito si tramutò in collera.
“Le bestie attaccano, perciò vi conviene dirmi dove avete portato Ivar.”
“Ivar è partito insieme ad Oleg all’alba. Non so dove siano andati, ma so per certo che il ragazzo sia vivo.” Disse Vadim.
“Ora mi dirai anche che devo stare tranquilla e che faranno ritorno presto? Io non ci casco. Ho avuto a che fare con uomini più meschini di te.” replicò Hildr a tono.
Vadim non si scompose, tutto in lui era calmo, sembrava che nulla potesse turbarlo.
“Ivar tornerà, è una promessa. Ora, per favore, prendi posto e mangia qualcosa.”
Hildr era deperita in quei mesi di viaggio, il cibo aveva scarseggiato – soprattutto nei mesi freddi – e di certo doveva avere l’aspetto di un cadavere con le ossa che sbucavano da sotto i vestiti. Si sedette come richiesto, però non toccò né cibo né bevande perché non si fidava di loro.
“E’ maleducazione rifiutare un pasto offerto con gentilezza.” Disse la donna anziana, un viso giallognolo su cui spiccavano due grandi occhi verdi.
“Sarei una sciocca a mangiare pasti offerti da persona che vorrebbero la mia morte.”
Vadim fece un piccolo sorriso per cui la donna anziana lo trucidò con gli occhi.
“Hildr, ti presento mia madre Inna e mia moglie Kyra.” Disse Vadim.
Kyra chinò il capo in segno di saluto e i capelli rossi le ricaddero intorno al viso come fili preziosi.
“Tu sei Hildr La Valchiria, vero? Sei una shield …”
“Sono una shieldmaiden, ossia una donna guerriero. E no, La Valchiria non è un epiteto che mi piace usare.”
“Modesta. – disse Vadim – Circolano molte voci che tessono le tue lodi.”
“Non mi importa di chi tesse le mie lodi. Ad interessarmi è solo chi trama ai danni miei e di Ivar.” Ribatté Hildr con durezza.
Inna la guardava con superbia mentre sorseggiava chissà quale bevanda.
“Non vedo l’ora che Oleg impicchi te e quello sgorbio.”
Fu allora che Hildr impugnò un coltello della tavola e lo scagliò contro Inna. La lama si conficcò nel legno a pochi millimetri dalla mano dell’anziana signora.
“Ivar non è uno sgorbio!”
“Infatti, è uno storpio.” Disse Kyra ridendo.
Prima che Hildr lanciasse un altro coltello, Vadim batté la mano sul tavolo per richiamare l’attenzione.
“Adesso basta. Non accetto che insultiate i nostri ospiti. Fino a quando Oleg non avrà preso una decisione, Hildr e Ivar verranno rispettati. Non voglio ribadire tale concetto.”
Inna e Kyra si zittirono e continuarono a spiluccare cibo dalle varie ciotole, mentre Hildr tornava a respirare in modo regolare. Vadim era ospitale, gentile e sapeva farsi rispettare, perciò era meglio non inimicarsi uno così.
“Posso almeno dire che questa ragazza ha bisogno di un bagno? Puzza come una mandria di capre.” Disse Kyra, la bocca contratta in una smorfia.
Vadim guardò Hildr con fare interrogativo e la ragazza annuì piano, in fondo aveva davvero necessità di pulirsi.
“Kyra, occupatene tu. E ricorda le mie parole: è una nostra ospite.”
Il vestito della russa frusciò quando si incamminò verso l’uscita, poi si voltò e con un gesto della mano chiamò Hildr.
“Andiamo, ospite. Non vorrei che la tua puzza infestasse il palazzo.”
Hildr grugnì, odiava essere tratta con tale supponenza, però seguì la donna in silenzio perché il suo corpo reclamava una pulizia completa.
 
Hildr tratteneva un urlo isterico mentre due serve la spogliavano e la gettavano nella vasca con l’irruenza riservata ad un animale che andava tosato. L’acqua era bollente, i muscoli ringraziavano quella sensazione gradevole, ed emanava una piacevole fragranza di rose.
“Raschiate lo sporco dalla pelle.” Disse Kyra.
Quello era il suo bagno privato nella camera matrimoniale che divideva con Vadim, e lei era la prima ospite ad usufruirne. Hildr trasalì quando le due serve iniziarono a sfregarle la pelle con panni imbevuti di acqua e unguenti di erbe. Anche zia Helga da bambina le faceva il bagno secondo quelle modalità, era doloroso ma molto utile. Le due donne non tralasciarono neanche un lembo di pelle. Poi fu il turno dei capelli, ormai una massa lercia e nodosa, e Hildr si agitò facendo strabordare un poco di acqua a terra. Le serve tirarono le ciocche con i denti affilati dei pettini, le versarono acqua e profumo sul capo, e infine i suoi capelli corvini erano di nuovo setosi e lucidi.
“Poiché non hai altri abiti, deduco che tu abbia bisogno dei miei. Hai qualche preferenza?”
“Non hai una casacca e dei calzoni da prestarmi?”
Kyra guardò Hildr come se avesse appena detto una blasfemia, nessuna donna indossava un abbigliamento maschile a corte.
“Ti sembro una che indossa casacca e calzoni?”
Hildr alla fine dovette vestire un lungo abito grigio con il collo alto e le maniche svasate, calzò i proprio stivali – ora puliti – e si legò i capelli in due trecce che partivano dai lati della testa.
“Questo vestito mi fa orrore.”
Kyra, invece, sorrise con soddisfazione e le accarezzò i capelli acconciati.
“Adesso hai le sembianze di un essere umano.”
“Come conoscete la nostra lingua?” domandò Hildr.
“Sono stanca. Non ho voglia di rispondere ai tuoi quesiti e non ho voglia di vedere la tua faccia. Dirò alle serve di accompagnarti da Vadim, lui ti darà tutte le risposte che cerchi.”
Kyra la liquidò con un breve saluto, la spinse fuori dal bagno e chiuse la porta a chiave.
 
Ivar era ancora sconvolto da quanto accaduto. Poche ore prima Oleg lo aveva fatto salire su un carro con la scusa di mostrargli qualcosa. Giunti sul posto, avevano trovato ad attenderli due soldati e un uomo attaccato agli alberi. Era uno dei mercanti che avevano accompagnato lui e Hildr lungo la Via della Seta.
“Che sta succedendo?” aveva chiesto Ivar.
“Voglio interrogare quest’uomo per assicurarmi che tu non sia qui con un’armata per un’invasione.” Aveva detto Oleg.
Poi era successo che dopo l’interrogatorio Oleg aveva ordinato ai soldati di tirare le corde e che il mercante aveva perso entrambe la braccia; era morto in pochi minuti. Oleg era montato sul carro come se nulla fosse capitato, sorridendo con una serenità tremenda. Ivar si era chiuso nel silenzio per metà del viaggio, scosso dalle tattiche del principe.
“Dunque non siete qui per un’invasione. Allora come mai siete in Rus?”
“Te l’ho già detto: io e Hildr siamo scappati prima di essere catturati. Abbiamo viaggiato a lungo prima di arrivare qui. Il tuo regno non era una meta pianificata.” Disse Ivar.
Aveva evitato di menzionare Isobel e la bambina, quello era un segreto che lui e Hildr dovevano mantenere per garantire a Kattegat un erede papabile.
“Hai detto che Hildr è la tua compagna. E’ la tua amante o è tua moglie?”
“E’ mia moglie in via ufficiosa. Ci siamo sposati su una barca senza testimoni.”
Oleg rifletté su quell’informazione e rise.
“Quindi è solo la tua amante.”
“La sposerò come gli dèi desiderano.” Disse Ivar, la mano intorno alla collana di Hildr.
“Il matrimonio è una faccenda complicata in cui i sentimenti valgono poco. Prima o poi tutti tradiscono, anche il grande amore della nostra vita ci tradirà.”
Ivar captò rabbia e amarezza nella voce di Oleg, forse proprio lui era stato tradito da una persona amata.
“Hildr è la mia famiglia, è tutto ciò che ho, e so che non mi tradirebbe mai.”
“Mai sottovalutare una Valchiria. Ricordatelo, Ivar Senz’Ossa.”
 
Vadim stava studiando una mappa quando Hildr comparve sulla soglia dell’armeria. Ora poteva vedere bene le sue fattezze, era incredibilmente giovane, i capelli neri in netto contrasto con la pelle bianca, lunghe ciglia che contornavano occhi scuri e sprezzanti.
“Eccoti, Hildr. Spero che Kyra si sia comportata bene.”
“Io credo che Kyra non si sia mai comportata bene in vita sua.”
Vadim dovette ammettere che sua moglie era sempre stata una donna capricciosa, volubile e spesso anche dispettosa. La loro unione era solo un’alleanza politica per rafforzare il potere di Oleg.
“Credi bene. Immagino tu abbia alcune curiosità da soddisfare. Chiedi quello che vuoi.”
Hildr si appoggiò contro la parete e concentrò lo sguardo su di lui come faceva Floki quando voleva farle confessare una marachella.
“Come conoscete la nostra lingua? Chi è Oleg? Cosa volete da noi?”
“I nostri avi  della dinastia Rurik partirono dalla Scandinavia alla conquista di queste terre. Loro parlavano il norreno, erano legati a questa lingua che ricordava la loro casa e l’hanno tramandata ai posteri. Diciamo che noi siamo per metà vichinghi. Oleg è mio cugino ed è il reggente della monarchia. Cosa vogliamo da voi è un mistero anche per me, non è facile capire le intenzioni di Oleg.”
“Oleg è il reggente, pertanto sta reggendo il regno in vece di qualcun altro. Chi è?”
Vadim sorrise per l’intelligenza della ragazza, che doveva essere ben incline alla politica per comandare l’esercito del Senz’Ossa.
“Regna in vece del futuro sovrano di Rus, ma per ragioni di sicurezza non posso farti il suo nome.”
“Certo. – convenne Hildr – Pensi che Oleg ci voglia uccidere?”
“No. Penso che lui abbia già ordito un piano che includa sia te che Ivar. Oleg ha sempre un piano. Ora ho io qualche domanda.”
“Chiedi pure.”
“Quanti anni hai? Cosa pensa la tua famiglia della fuga? Perché Ivar ha scelto te come comandante?”
Hildr doveva elaborare una risposta che compiacesse la curiosità di Vadim ma che non rilevasse troppi dettagli della sua vita. Servire una vendetta eventuale al nemico era una mossa da evitare.
“Ho diciannove anni. I miei parenti sono morti, quindi non pensano più. Ivar ha scelto me perché combatto bene e sono un bravo arciere.”
“Sei giovane, molto giovane. Io a diciannove anni facevo ancora parte della fanteria, invece tu comandi un esercito intero. Ti fa onore.”
Vadim appariva sincero nella sua ammirazione, però Hildr non accennava a fidarsi di lui neanche un po’.
“Ivar è uno stratega lungimirante, ha scelto me perché mi ritiene in grado di comandare.”
“Oh, Ivar ha scelto te anche per altre ragioni.”
“Che stai insinuando?”
“Sei la sua compagna ed è ovvio che ti volesse al suo fianco anche in battaglia.”
Hildr non rimase sorpresa da quel commento, molti ritenevano che fosse stata scelta perché Ivar era invaghito di lei.
“Io valgo a prescindere da Ivar. Non è lui a determinare il mio valore in battaglia.”
 
Ivar e Oleg fecero ritorno a palazzo alcune ore dopo a causa di una tempesta di neve che aveva rallentato i cavalli. Era pomeriggio inoltrato, il cielo plumbeo sfumava verso il blu della sera, e forse sarebbe venuto a piovere considerato il colore nero delle nuvole. Si trascinò al seguito di Oleg all’interno dell’edificio, dove per fortuna faceva abbastanza caldo, e insieme varcarono la porta della sala centrale.
“Ivar!”
Hildr balzò dalla sedia e corse ad abbracciarlo, profumava di rose e di erbe aromatiche. Ivar la strinse a sé e le depositò un bacio sui capelli lucenti.
“Stai bene? Ti hanno fatto del male?”
“No. – disse Hildr – Sto bene. Mi sono fatta il bagno e ho mangiato qualcosa. A te che cosa è successo?”
“Abbiamo fatto una passeggiata.” Intervenne Oleg.
La ragazza non ci credeva, del resto anche la faccia cupa di Ivar era un cattivo segno.
“Io e mio cugino abbiamo bisogno di parlare da soli. Ho fatto allestire una stanza per voi dove potrete sostare nel frattempo.” Disse Vadim.
Una serva si avvicinò a Hildr per toccarle il gomito e si avviò fuori dalla sala, al che Hildr prese Ivar a braccetto per andare dietro ai passi della donna.
Si ritrovarono in una piccola stanza con il fuoco acceso, un piccolo letto, e un vassoio con vino e due bicchieri. Ivar si lasciò cadere sul materasso e si liberò dei supporti alle gambe, sentiva troppo dolore per reggersi in piedi.
“Ti fanno male le gambe?”
“Sì. – confessò lui – Però non ti preoccupare. Adesso dobbiamo discutere di alcune cose.”
Hildr si sedette a gambe incrociate di fronte a lui, entrambi avevano ignorato il vino perché c’era il pericolo che fosse avvelenato.
“Cosa avete fatto tu e Oleg?”
“Mi ha portato fuori città, nella foresta, e ad aspettarci c’erano i suoi uomini. C’era anche uno dei mercanti che ha viaggiato con noi, quello con la cicatrice sul polso. Lo hanno torturato per scoprire le nostre intenzioni perché Oleg è convinto che siamo qui per invadere il suo regno. Poi hanno strappato le braccia del mercante con delle corde.”
“Oleg e Vadim staranno parlando di questo. Staranno decidendo se possiamo restare o no.” Disse Hildr.
“E noi dobbiamo sperare che ci facciano restare. Ho avuto un’idea durante il tragitto.”
Hildr lo sapeva che Ivar avrebbe architettato qualcosa, era troppo intelligente per non sfruttare quella situazione.
“Quale idea?”
“Possiamo convincere Oleg a invadere Kattegat con il suo enorme esercito per togliere di mezzo Bjorn e i miei fratelli.”
“Vuoi davvero allearti con queste persone, Ivar? E’ una follia.”
Ivar le accarezzò la guancia ma lei si tirò indietro con uno scatto.
“Hildr, ti prego di non fare così. Se Oleg non è nostro alleato, diventa nostro nemico. Abbiamo finalmente la possibilità di tornare a casa e riprendere il nostro posto.”
“Tu pensi davvero che Oleg sia la nostra unica soluzione?”
“Sì, lo penso davvero. Ci serve un esercito forte e numeroso, ci servono risorse che non abbiamo e che solo Oleg può darci.”
Hildr riteneva che l’idea di Ivar fosse sensata, malgrado tutto, ma restava la paura che quelle persone le tradissero e le uccidessero.
“Non possiamo fidarci di loro.”
Ivar le prese dolcemente le mani e ne baciò ogni nocca, un gesto molto affettuoso.
“Non devi fidarti di loro. Ti sto chiedendo di fidarti di me, Hildr.”
“Va bene.”
“Resterai con me qualunque cosa accada?”
Hildr sorrise e guardò l’anello che luccicava al dito, il segno del loro amore.
“Resterò con te per sempre.”
Si abbracciarono ancora e si baciarono con tenerezza, un modo per suggellare quella promessa.
 
Hildr serrava la mano intorno al calice mentre sorseggiava l’acqua. Oleg li aveva convocati per cena e lei, troppo affamata, aveva ceduto dinanzi a tutto quel cibo prelibato. Aveva mangiato tutto con voracità, infischiandosene degli sguardi dei presenti che la giudicavano. Ivar, dal canto suo, aveva mangiato poco e non aveva bevuto niente.
“Ho preso una decisione.” Asserì Oleg, l’indice che si muove sul bordo del bicchiere.
Ivar guardò Hildr per una frazione di secondo, dopodiché si focalizzò sul principe.
“Siamo morti o siamo vivi?”
“Dipende. Avete qualcosa da offrirci in cambio della vostra vita?”
“Abbiamo una proposta, sì. Io e Hildr vorremmo che ti unissi a noi per la riconquista di Kattegat.”
“Esatto. – disse Hildr – Inoltre, tuo cugino ha detto che i vostri antenati erano vichinghi e questo vi rende partecipi attivi della ripresa di Kattegat.”
Oleg si mise a giocare con l’orlo della tovaglia, era meditabondo e aveva le sopracciglia corrugate.
“Un’alleanza con Ivar Senz’Ossa, figlio di Ragnar Lothbrok, può essere interessante e produttiva.”
Vadim abbassò la testa per nascondere il suo disappunto, quasi mai era d’accordo con le scelte del cugino. Sua moglie, invece, si attorcigliava una ciocca rossa intorno al dito con fare annoiato.
“Accetti la nostra proposta?” insistette Ivar.
“Accetto volentieri. Brindiamo a questa nuova alleanza che porterà gloria ai nostri nomi!”
I convitati brindarono, Ivar incluso, e procedettero a una serie di strette di mano che ufficializzavano la loro coalizione.
 
Hildr si scioglieva le tracce distrattamente, le sue dita compivano i gesti in maniera meccanica. Oleg aveva assegnato loro una camera riservata agli ospiti, spaziosa, con un grande letto al centro, un tavolo, un braciere e con una finestra che si affacciava sul cortile interno del palazzo. Su una sedia erano impilati abiti e scarpe nuove.
“Lo so a cosa stai pensando, Hildr.”
Ivar si era già piazzato sul letto, era troppo stanco per continuare a stare in piedi, e si aggiustava le coperte sulla gambe. Hildr gli dava le spalle, era passata a sciogliersi la seconda treccia.
“E a cosa sto pensando?”
“Che allearsi con Oleg è sbagliato.”
“Indovinato. – disse lei – Ma alla fine facciamo sempre come vuoi tu. Potevamo intraprendere una strada diversa.”
“Diversa come?”
La ragazza si voltò con i capelli neri che le coprivano una parte del viso, somigliava ad una luna a metà.
“Avremmo dovuto lasciare questo posto in fretta. Non so, saremmo potuti andare da qualche altra parte, ricominciare una nuova vita, restare lontani dalla guerra.”
“Ah, capisco. Tu saresti voluta andare in Wessex dal tuo caro Alfred.” Disse Ivar, nervoso.
“Ancora con questa storia di Alfred? Sei diventato ripetitivo, Ivar. Smettila.”
Hildr andò dietro al paravento e si tolse l’abito – finalmente – per infilare una veste da notte bianca che le aveva donato Kyra. Quando si mise a letto, Ivar era imbronciato come un bambino privato del suo gioco preferito.
“Certo, la smetto. Come vuoi tu.”
“Ti odio quando sei così infantile. Io non sono innamorata di Alfred, e lo sai bene. Avrei voluto raggiungere Isobel e Aila, tutto qui. Questo posto non mi piace e non mi sento al sicuro.”
“Questo posto non piace neanche a me, però è l’unica via che abbiamo per tornare a casa. Sarà difficile ma ne varrà la pena quando Kattegat sarà di nuovo nostra.”
Hildr scosse la testa e fece spallucce, era esausta per controbattere.
“Sento che le cose andranno male. Ho un brutto presentimento, Ivar.”
Ivar le circondò la vita con il braccio e le baciò la spalla, poi il collo e infine la guancia.
“Lo so che sei preoccupata, ma siamo astuti e possiamo gestire Oleg. Siamo insieme, Hildr, ed è questo che conta.”
“Saremo anche insieme sul patibolo.” Disse lei ridendo.
“Finchè morte non ci separi, mia Valchiria.”
Hildr si fece sfuggire un sorriso, era inutile opporsi ora che tutto era stato stabilito. Poteva solo affidarsi al destino che gli dèi avevano plasmato per loro.
“Sì, finchè morte non ci separi.”
Quella notte dormirono abbracciati, con le mani allacciate, e con la consapevolezza che insieme avrebbero affrontato qualsiasi tempesta.
 
# Ivar giunse presso la dimora del Veggente a tarda notte. Era sgattaiolato via mentre la sua famiglia dormiva per non essere braccato dalle stupide domande dei fratelli. Dalla cima della montagna poteva vedere tutta la città, la spiaggia, e anche la casa di Floki sulla riva del fiume. Una fiammella ardeva nel buio e ciò significava che il costruttore di barche stava lavorando a qualcosa. Hildr di certo stava dormendo dopo il duro allenamento a cui Hvitserk e Ubbe l’avevano sottoposta nei giorni precedenti.
“Senza Ossa.” Sussurrò una voce profonda.
La porta della capanna si spalancò e il ragazzo si fece coraggio per entrare. Di colpo una fiamma vibrò illuminando il volto deturpato del Veggente.
“Cosa cerca la tua anima in pena, Ivar?”
“Sono qui perché voglio sapere cosa mi riserva il futuro. Sarò capace di combattere come i miei fratelli? Avrò un regno tutto mio? Avrò una moglie? Vivrò a lungo?”
La mano del Veggente toccò il fuoco senza bruciarsi e le dita si chiusero a pugno come se avesse appena agguantato la risposta a quella domanda.
“Il tuo futuro è incerto, vi sono luci e ombre. Vedo una guerra. Vedo fiumi di sangue. E poi vedo una distesa bianca. Vedo la cura e la malattia.”
“Una distesa bianca? E la cura e la malattia? Di che parli?”
“Oh, povero ragazzo. Vedo ali spezzate. Vedo anche un cuore a pezzi. Oh, oh, che grande sofferenza!”
Ivar tentava invano di guardare attraverso le fiamme ciò che aveva scorto il Veggente, ma non riusciva a cogliere nessuna verità.
“Il cuore a pezzi sarà il mio? E di quali ali spezzate parli?”
“La Valchiria, Ivar. La tua Valchiria.” #
 
“Ivar!”
Ivar spalancò gli occhi e vide il volto teso di Hildr incombere su di lui. Era sudato e aveva il respiro affannato.
“Che cosa è successo?”
“Stavi facendo un incubo. Mormoravi di ali spezzate, fiumi di sangue, di malattia.”
“Era un sogno orribile.”
Ivar sprofondò sul grembo della ragazza per ricavare conforto.
“Forse hai bevuto troppo. Chissà cosa ci mettono questi nel vino.”
“Sì, probabilmente il vino è troppo forte.” Mentì lui.
Sapeva bene che quell’incubo non era altro che il ricordo di una delle tante visioni che il Veggente gli aveva comunicato. Hildr era già agitata per la loro permanenza a Kiev che decise di non dirle nulla, era meglio per entrambi dimenticare l’accaduto e tirare avanti.
 “Ti serve qualcosa? Vuoi un po’ d’acqua?”
“Non mi lasciare, Hildr.”
Hildr non si capacitava del perché Ivar fosse tanto spaventato da un incubo, in fondo a tutti capitava di avere un brutto sogno.
“Non ti lascio.”
“Grazie.”
Il ragazzo si avvinghiò a lei con entrambe le braccia come se fosse l’unica cosa che lo tenesse in vita. Hildr gli accarezzò i capelli per tranquillizzarlo.
“Sei sicuro di stare bene, Ivar?”
“Sicuro. Ora torniamo a dormire, dai.”
La notte proseguì quasi del tutto insonne, tutti e due fingevano di dormire per non parlare di quanto accaduto, però nessuno dei due osò scostarsi dall’abbraccio in cui erano stretti. Per quanto fosse dura la loro vita in quel frangente, restare uniti era la sola speranza di sopravvivenza.
 
 
Salve a tutti! ^_^
Come sempre ho modificato qua e là gli eventi della serie per adattarli alla mia storia. Anche Inna e Kyra sono personaggi di mia invenzione.
Fatemi sapere cosa ne pensate.
Alla prossima, un bacio.

 

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Capitolo 3
*** Il Profeta ***


3. IL PROFETA

Tre giorni dopo
Hildr stava alla finestra a osservare il viavai di persone che affollavano il cortile del palazzo. Da lì era possibile anche avere un’ampia visuale della città, gremita di cittadini e forestieri in piena attività. Si era svegliata ben presto dopo la terza notte di dormiveglia, proprio non riusciva a riposarsi in quel letto estraneo. Ivar dormiva beato, sin da bambino la sua capacità di adattamento lo aiutava a trovarsi bene in ogni situazione. Avevano trascorso tre giorni o in camera oppure a tavola con Oleg e la sua famiglia, mentre le guardie li controllavano ogni volta che si spostavano.
“Hildr.” Biascicò Ivar, assonnato.
“Dormi più di un ghiro, sei incredibile.”
“Sei tu che dormi poco. Non sei stanca dopo il viaggio sfiancante che abbiamo affrontato?”
Hildr si buttò sul letto, i capelli neri sparpagliati sul cuscino come rami, e sbuffò.
“Non riesco a dormire sapendo che Oleg potrebbe ordinare il nostro assassinio nel sonno.”
“Ancora con questa storia? Basta.” Disse Ivar in tono categorico.
“Sei un imbecille, Ivar.”
Lei provò ad alzarsi ma Ivar la trattenne sul letto per il polso. Hildr così si ritrovò imprigionata sotto il corpo di lui.
“Lo sai che non mi piace quando mi lasci solo nel letto.”
“E tu lo sai che non mi piace quando sei cieco davanti alla verità.”
“Non credevo fossi ancora gelosa di Freydis.” Disse Ivar con un ghigno.
“Disse quello ancora geloso di Alfred, che tra l’altro non era nemmeno mio marito.” Replicò lei.
Ivar distolse lo sguardo perché lei aveva centrato il punto, si sentiva ancora colpevole per averla imprigionata e per averla quasi ammazzata agli Hòlmganga.
“Quando smetteremo di farci la guerra, io e te?”
“Suppongo mai. – disse Hildr – Siamo troppo orgogliosi per ammettere che abbiamo sbagliato entrambi.”
Ivar era in procinto di baciarla quando la porta si aprì e Kyra sbucò in un tripudio di piume dorate.
“Scusate l’interruzione ma Oleg richiede la vostra presenza nella sala del trono.”
“Arriviamo subito.”
Kyra lanciò loro un’occhiata divertita prima di lasciare la stanza. Hildr si liberò dalla presa di Ivar, raccattò i vestiti – pantaloni neri e casacca grigia – e si riparò dietro il separé. Ivar si tirò giù dal letto lentamente, le gambe di mattina erano più pesanti del solito.
“Perché non ti cambi davanti a me?”
“Perché sei in punizione e non puoi godere della mia bellezza.” Disse Hildr.
“Mi farai diventare matto, Hildr.”
“Tu sei già matto.”
 
Oleg stava giocando con un cane quando Hildr e Ivar si unirono a lui. Nella sala c’era solo Vadim, che salutò gli ospiti con un cenno del capo.
“Principe Oleg, perché siamo qui?” domandò Ivar.
Era piuttosto nervoso e agitato, ma fece di tutto per mostrarsi cordiale e sereno.
“Voglio invitarti a fare una gira fuori città. Sono certo che un po’ d’aria fresca ti farà bene.”
“Dove andiamo?” aggiunse Hildr.
Oleg smise di giocare col cane per rivolgerle uno sguardo confuso.
“Non ho detto che vieni anche tu. Ho invitato solo Ivar.”
Hildr indurì la mascella, era chiaro che il russo volesse escluderla dalle faccende politiche e militari, ma lei non si sarebbe arresa.
“Ivar non va da nessuna parte senza di me. Non abbandono mai il suo re.”
“Anche Vadim resta qui, non sarai da sola.” Disse Oleg, un sorriso finto sulle labbra.
Hildr notò che Vadim non si era mosso, eppure nel suo sguardo era palese la rabbia per essere stato messo da parte. Poi guardò Ivar che serrava le mani sulla stampella tanto da far sbiancare le nocche.
“Hildr, per favore, resta qui. Io e Oleg torneremo prima che faccia buio.”
“Come, scusa? E’ assurdo.”
Oleg e Ivar si parlavano attraverso gli occhi, era come se comunicassero tacitamente per non farsi sentire da nessuno.
“Fa come ti dico e non replicare.”
Hildr incassò quell’ordine come un pugno allo stomaco. Era delusa dal comportamento di Ivar, che sembrava fidarsi più di uno sconosciuto che di lei. Senza dire altro, lasciò la sala del trono per evitare di fare una scenata davanti a Oleg e uscì dal palazzo per una passeggiata.
“Straniera!” la richiamò una voce.
Kyra ancheggiava verso di lei con i capelli rossi che le frusciavano attorno come un mantello.
“Che vuoi?”
“Perché sei arrabbiata? Scommetto che lo sgorbio ti ha lasciato qui da sola. Anche Vadim è furioso perché Oleg non lo vuole in gita. Sai che noia!”
Hildr prese un respiro profondo perché era necessario calmarsi e non fare sfoggio di debolezza. Quelle persone potevano sfruttare qualsiasi punto vulnerabile per colpirli.
“Ivar avrà le sue ragioni per lasciarmi qui.”
“Certo, fingiamo di crederci. Fammi compagnia, su. Non hai altra scelta.”
Kyra la prese a braccetto e la trascinò verso il mercato di Kiev, dove un nutrito gruppo di bancarelle e mercanti vendeva ogni genere di prodotto.
“Potrei gettarmi dalla finestra ed evitare di trascorrere la giornata con te.” disse Hildr.
“Moriresti pur di evitarmi? Beh, non saresti la prima.” ribatté Kyra ridendo.
Era una donna inusuale, pensò Hildr, ben vestita e ingioiellata ma fin troppo arguta per svolgere il ruolo banale di moglie del comandante.
“Tu e Vadim siete sposati da molto?”
“Da tre anni. E’ un matrimonio combinato, alla base non c’è amore. Io e Vadim siamo amici.”
“E perché lo hai sposato? Una come te può avere qualsiasi uomo.”
Kyra per un momento apparve stanca, innocua, però sorrise per mascherare la tristezza.
“Perché io e Vadim siamo i più nobili subito dopo Oleg. Quando la moglie di Oleg è morta, c’era bisogno di un altro matrimonio importante e siamo stati scelti noi.”
Hildr corrugò la fronte a quella nuova informazione che poteva tornarle utile in seguito.
“Oleg è vedovo?”
“E’ una brutta faccenda. Vadim una mattina si è presentato da mio padre e ha chiesto la mia mano dopo che la moglie di Oleg era morta misteriosamente durante la notte. E’ stato un funerale molto bello, sai.”
L’impassibilità di Kyra circa la morte sorprese Hildr, che aveva avuto a che fare con troppe morti per riderci sopra.
“Misteriosamente, dici? In che senso?”
“Non lo so. Fai troppe domande, straniera. Uh, guarda che bella quella stoffa!”
Si soffermarono presso una bancarella di tessuti e spille fatte a mano, la vecchia signora stava mostrando a Kyra la stoffa blu di cui si era invaghita. Hildr si accorse che Vadim camminava da solo lungo una fila di bancarelle che vendevano armi, le mani dietro la schiena, un sorriso appena accennato.
“Scusami, Kyra.”
Kyra non si rese conto dell’assenza di Hildr, era troppo impegnata a scegliere le stoffe con cui far ricamare i suoi nuovi abiti.
“Vadim.”
L’uomo rallentò per permettere a Hildr di affiancarlo, era molto più alto di lei e le faceva ombra. I deboli raggi del sole illuminavano i suoi occhi verdi di una luce affascinante.
“Kyra ti assilla con le sue chiacchiere?”
“Sì, è logorroica. Mi ha parlato del vostro matrimonio.”
“Lei non ha amiche a corte, non va nemmeno d’accordo con mia madre, e Oleg non è sposato. Tu sei la prima donna con cui può relazionarsi, sebbene i suoi modi possano sembrare inopportuni.”
Vadim prelevò un coltello da un banco per esaminarlo, ruotò il polso per testarne l’agilità e lo rimise a posto con disappunto.
“Mi ha detto che Oleg è vedovo, ecco perché vi siete sposati.”
“E’ vero. Purtroppo le circostanze delle nostre nozze non sono state felici.”
Vadim tergiversava rispondendo in maniera assai vaga, e Hildr non voleva calcare troppo la mano per non risultare invadente.
“Dove sono andati Oleg e Ivar?”
“A Novgorod per incontrare Askold, uno dei fratelli di Oleg. Non so perché abbia portato con sé anche Ivar. Mio cugino spesso fa delle cose senza logica.”
“E tu perché non sei con lui? Insomma, sei il comandante dell’esercito.”
Vadim si fermò all’improvviso e Hildr andò a sbattergli contro. Si massaggiò il naso dolorante.
“Non posso rispondere a tutte le tue domande, soprattutto quelle che riguardano questioni private di stato.”
“Ma io e Ivar siamo vostri alleati.” Incalzò Hildr.
“Alleati non significa amici. Sei una ragazza intelligente, Hildr, perciò sai che non ti conviene ficcanasare negli affari altrui.”
Sebbene Vadim la stesse velatamente minacciando, riusciva a essere gentile come suo solito. Era strano pensare che lui e Oleg fossero parenti.
“Non posso smettere di ficcanasare quando c’è in ballo il futuro del re e di Kattegat. Io devo proteggere Ivar e i suoi interessi.”
“Tu stai solo cercando di proteggere il tuo amore. A te poco importa di Kattegat, tu vuoi solo che Ivar viva e che lo faccia al tuo fianco.”
Hildr non seppe che dire, si sentì punta nel vivo, quindi si limitò a sospirare.
“Questo palazzo ha qualcosa di bello e divertente?”
Vadim sorrise e le fece cenno di seguirlo.
“Rimarrai a bocca aperta.”
 
Hildr era davvero rimasta – letteralmente – a bocca aperta davanti a tutta quella bellezza. Vadim l’aveva portata nella biblioteca, uno dei locali più grandi del palazzo e che attraeva tutti gli ospiti e i forestieri. Centinaia di papiri e pergamene riempivano gli scaffali, i tavoli, e alcuni erano addirittura stati sistemati sul pavimento. Un uomo anziano, calvo e gobbo, stava ricopiando un antico testo.
“E’ meraviglioso.” Disse Hildr sorridendo.
“E’ il mio posto preferito. Vengo qui quando ho bisogno di riflettere o semplicemente quando voglio stare da solo. E’ il mio rifugio.” Spiegò Vadim.
“Anche io ho un rifugio a Kattegat. Alla foce del fiume, nascosta alla vista, c’è una capanna che mio zio usava come deposito per gli attrezzi. Non vedo l’ora di tornarci.”
“Presto tornerai a casa. Entro questa primavera l’esercito sarà pronto per invadere Kattegat.”
Hildr srotolò un papiro e lo ripose poiché non capiva cosa ci fosse scritto.
“E finalmente sarò regina!”
“C’è dello scetticismo nella tua voce. Come mai?” chiese Vadim.
“Perché non voglio essere regina, non fa per me. Io voglio combattere, costruire navi, aiutare Ivar a gestire eventuali problemi.”
“Beh, trova consolazione nel fatto che tu e Ivar non siete sposati per davvero e questo non fa di te la sua regina.”
Hildr non aveva mai dato peso a quella piccolezza, però ora Vadim le aveva messo la pulce nell’orecchio. Abbozzò un mezzo sorriso per non destare sospetti.
“Vedremo. Allora, in che lingua sono scritte queste pagine?”
“In greco, latino e alcune in russo. Vedi l’uomo anziano che scrive? Ecco, lui è Johannes , è un monaco e intellettuale bizantino. E’ lui che si occupa della traduzione di queste pagine.”
“Come mai un bizantino si trova a Kiev?”
“Perché abbiamo conquistato Costantinopoli.”
Hildr fu percorsa da un brivido perché se Oleg era stato capace di sottomettere una potenza quale Costantinopoli, Kattegat sarebbe caduta nelle sue mani in poche mosse. Il vecchio all’ingresso borbottò qualcosa quando una guardia entrò in biblioteca facendo cadere i fogli dal leggio. Vadim si allarmò per l’espressione cupa del suo soldato.
“Scusami, Hildr, ma adesso devo lasciarti. Resta qui pure quanto vuoi.”
Hildr rimase interdetta, circondata da parole incomprensibili, e si sentì tremendamente sola per un istante.
Per aspera ad astra.” Disse l’anziano sollevando gli occhi lucidi su di lei.
“Cosa hai detto?”
“E’ latino. Ho detto che attraverso le asperità si raggiungono le stelle. Significa che bisogna faticare prima di ottenere un buon risultato.”
Hildr si avvicinò a lui e vide che stava ricopiando un documento con grande cura, ogni dettaglio era riportato in maniera perfetta.
“Tu sai molte cose, eh.”
“La conoscenza è infinta, non si finisce mai di imparare. Tu conosci il latino o il greco?”
“No. – disse Hildr – Io sono inesperta.”
“E ti piacerebbe imparare?” chiese Johannes con gentilezza.
“Conoscere queste cose mi aiuterebbe a combattere meglio?”
“Molte opere qui conservate sono trattati di guerra e di tattiche di combattimento. Gli antichi erano molto precisi su questi argomenti.”
Hildr sapeva leggere e scrivere solo la propria lingua, non aveva mai creduto che un giorno le sarebbe servito conoscere altre culture. Floki le raccontava sempre di antiche civiltà che brillavano per grandezza, i greci, i macedoni, i romani, e lei rimaneva ammaliata da quelle storie di eroi e grandi condottieri. Quando Ragnar era tornato da uno dei suoi primi viaggi in Wessex, aveva raccontato loro delle terme e delle statue romane che Re Ecbert tanto adorava, e anche allora era rimasta affascinata da quel mondo antico.
“Sì, mi piacerebbe imparare. Come faccio?”
Johannes spulciò tra i vari volumi presenti sullo scaffale alle sue spalle e recuperò una manciata di fogli pergamenacei.
“Potresti venire qui ogni tanto a fare qualche chiacchierata con me. Sono un povero vecchio solitario che vive di studio e silenzio. Mi farebbe piacere un po’ di compagnia.”
“Certo.”
 
Quando tornarono in città era sera, il buio accerchiava il palazzo e veniva rischiarato solo dalle candele all’interno. Ivar era stremato da quella gita, le gambe gli procuravano grandi sofferenze e il suo umore era peggiorato ora dopo ora. Si congedò da Oleg e si rintanò in camera per poter finalmente mettere fine a quella giornata. Hildr stava appollaiata accanto al fuoco, le fiamme illuminavano il suo viso creando sfumature chiaro-scure.
“Disturbo?”
La ragazza sorrise e scosse la testa, gli andò incontro e lo abbracciò. Ivar ne approfittò per baciarla.
“Com’è andata la gita senza di me? Ti sarai annoiato a morte.”
“Siediti, Hildr. Ti devo parlare.”
Si sedettero sul letto, lei a pancia in giù e lui con la schiena contro il muro.
“Che succede?”
“Oleg ha ucciso suo fratello Askold, lo ha avvelenato stamattina davanti ai miei occhi. Ora so per chi sta reggendo il trono.”
“Per chi?”
“Per un ragazzino. Si chiama Igor ed è il suo protetto. E’ il figlio di suo cognato a cui spetta il trono, però Oleg ne fa le veci fino a quando non sarà pronto.” Spiegò Ivar.
Si era tolto i sostegni alle gambe e si massaggiava i muscoli indolenziti dopo il lungo viaggio. Hildr gli mise una mano sul ginocchio per fargli qualche carezza.
“Io ho scoperto che Oleg era sposato e che sua moglie è morta sotto circostanze misteriose. Adesso mi dici che ha ucciso il fratello e che ha rapito un bambino. E’ palese che questo tizio sia un folle. Non puoi fidarti di lui.”
“Anche io ho ucciso mio fratello.” Replicò Ivar con stizza.
“Ma all’epoca tu e i tuoi fratelli non stavate litigando per Kattegat, ma solo per vendicare Ragnar. Hai sbagliato a uccidere Sigurd ma avevi delle attenuanti. Oleg che scusa ha? Sta solo eliminando la concorrenza per il trono.”
Hildr si rotolò sul fianco per avere accesso alle gambe di Ivar, solo lei sapeva come alleviare il dolore con il tocco giusto. Ivar emise un sospiro di sollievo man mano che le ossa sembravano alleggerirsi.
“Ciò vuol dire che Oleg ci sta aiutando perché vuole Kattegat per sé. Ha senso.”
“Dobbiamo stare attenti, Ivar. Molto attenti.”
 
Kyra non ci capacitava della quantità di cibo che Hildr ingurgitava senza sosta da quando avevano iniziato a cenare. La vichinga si era servita di ogni pietanza e di ogni bevanda, facendo addirittura il bis. Ivar era più contenuto, assaggiava poche pietanze e si limitava a bere solo il vino.
“Sei davvero disgustosa!” esclamò Kyra.
Hildr bevve un sorso d’acqua e si pulì la bocca con la manica della casacca.
“Scusate. Era tutto delizioso.”
I presenti ridacchiarono, eccetto Ivar che era avvezzo, e Vadim le riempì ancora il bicchiere. Accanto a lui sedeva Igor, un ragazzino pallido e con due enormi occhi tristi. Hildr si rivedeva in lui: erano entrambi orfani, entrambi avevano perso gli zii che li avevano cresciuti, ed entrambi si erano ritrovati ben presto a doversi destreggiare in un mondo spietato. Ma mentre lei aveva avuto Ivar con sé, il ragazzino era solo sia a corte sia nel suo cuore. Oleg di colpo si alzò per avvicinarsi al braciere e gettare altra legna ad ardere.
“Sapete con quale nome sono noto al resto del mondo? Mi chiamano il ‘Profeta’.”
Ivar e Hildr si guardarono brevemente, sin da bambini sapevano dialogare con lo sguardo.
“Perché?”
“Eravamo da poco arrivati a Costantinopoli, ma non avevamo ancora intenzione di attaccare perché il sovrano voleva trattare una tregua. La notte precedente avevo fatto un sogno in cui mi avvelenavano col vino. E cosa successe il giorno dopo? A cena ci offrirono un vino prelibato. Ironia della sorte! Feci bere il vino a due miei uomini e quelli morirono pochi minuti dopo. Fu così che decisi che Costantinopoli sarebbe caduta. Nulla sfugge al mio controllo.”
Hildr avvertì una morsa allo stomaco e la cena le provocò un conato di vomito che trattenne a fatica. Ivar deglutì, captando il pericolo strisciare su di lui come una serpe.
“E cos’altro ti ha mostrato la tua dote?”
Oleg sorrise e fece scorrere il dito sul bordo del bicchiere, nei suoi occhi neri aleggiava un macabro compiacimento.
“So che eri sposato un tempo e che hai avuto un figlio. So che Hildr ti ha tradito in qualche modo. E so anche che voi due nascondete un segreto che non riesco a comprendere ancora bene.”
Hildr sarebbe voluta esplodere, aveva voglia di afferrare il coltello e conficcarlo nel collo di Oleg, ma la calma di Ivar mitigò la sua furia. Il ragazzo, infatti, sorrideva come se il principe stesse parlando del tempo e non delle loro vite.
“E’ tutto corretto. Sono stato sposato, il più grande errore della mia vita. Hildr non mi ha tradito, ha solo preso una scelta senza il mio consenso. Sì, nascondiamo un segreto che verrà nella tomba con noi.”
“Perché è stato il tuo più grande errore?” lo interrogò Kyra, incuriosita.
“Non era la donna giusta per me. Io sono da sempre innamorato solo di Hildr.” Rispose Ivar.
Allungò la mano sul tavolo per stringere quella di Hildr, che era arrossita un poco. Vadim distolse lo sguardo, anche lui desiderava un amore vero ed invece era costretto ad un matrimonio infelice.
“Prima o poi scoprirò il vostro segreto.” Disse Oleg.
Hildr immaginò Isobel e Aila in una pozza di sangue e si portò la mano fredda sulla fronte accaldata, quei pensieri tremendi non dovevano offuscare la sua mente oppure Oleg avrebbe avuto la meglio.
 
Hildr si rigirò nel letto per l’ennesima volta, sbuffando e sospirando. Ivar, che non prendeva sonno a causa sua, si mise sul fianco e appoggiò la testa sulla mano.
“Hildr, che c’è? Ti muovi come una mula impazzita.”
“Non mi tolgo dalla testa la minaccia di Oleg. Scoprirà cosa nascondiamo e lo userà contro di noi.”
Ivar le mise la mano sul fianco per attirarla a sé, l’odore di acqua di rose su di lei era ancora forte. Hildr passò il braccio attorno al suo busto e gli stampò un bacio sul pettorale sinistro, proprio sopra il cuore.
“Non saprà mai cosa nascondiamo. La storia del profeta è una montatura, conosce certe cose perché qualcuno gliele ha riferite. E’ facile che le voci sul mio matrimonio e sul tuo tradimento siano arrivate fin qui. Le voci corrono veloci.”
“Vadim mi ha detto che Kyra non ha amiche, potrei avvicinarmi a lei per farmi confidare alcuni segreti di Oleg visto che lei ha una voce assai veloce.”
Ivar le prese il polso e ne baciò la parte interna nel punto in cui erano tatuati i due nodi che simboleggiavano la loro unione.
“Tu fa amicizia con Vadim e Kyra, io penserò a Igor. Arriverà il momento in cui Oleg avrà bisogno del sostegno della sua famiglia e loro sceglieranno di schierarsi dalla nostra parte.”
“Questo è un buon piano.”
“Dunque possiamo tornare a dormire.” Disse Ivar.
Hildr, però, non aveva più sonno e il ragazzo era incredibilmente bello alla fioca luce della luna.
“E se io volessi restare sveglia?”
Ivar colse la scintilla maliziosa di Hildr e sorrise raggiante.
“In questo caso potrei intrattenerti con alcune attività interessanti.”
“Quali attività?”
“Queste.”
Hildr sorrise nel bacio mentre Ivar la stringeva a sé. A volte era strana la sensazione che provavano quando si baciavano dato che per anni erano stati solo amici e si erano fermati agli abbracci. Sebbene sembrasse bizzarro, per loro baciarsi era un’azione naturale, come se in tutti quegli anni non avessero aspettato altro. Forse Aslaug aveva avuto ragione a sostenere che erano destinati a stare insieme.
# Ivar non ne poteva più di quel baccano, le tempie gli pulsavano a causa dell’eccessivo rumore causato dalle risate e dalla musica. Aslaug aveva invitato i cittadini a festeggiare l’inizio della bella stagione, i campi presto avrebbero generato grano e frutti da mangiare e conservare per l’inverno. Era un evento felice per tutti, tranne per il ragazzo. Si era seduto in un angolo della sala da solo, un piatto di carne e un boccale di birra a tenergli compagnia. I suoi fratelli si sbellicavano dalle risate mentre si ubriacavano. Hildr si era unita a loro per il tipico gioco delle spighe che consisteva nel lanciare un coltello intrecciato ad una spiga di grano dell’anno passato in un fantoccio di paglia.
“Figlio mio, cosa ti disturba?”
Aslaug si lisciò le pieghe dell’abito dopo essersi accomodata accanto al figlio, che aveva l’espressione infastidita. Ivar non staccava gli occhi da Hildr, lei catturava la sua attenzione ogni volta.
“Tutto. Questa musica, queste risate, e soprattutto quegli idioti dei miei fratelli. Ubbe è così ubriaco che non regge neanche un coltello.”
“Oppure a disturbarti è il fatto che Hildr non sia con te.”
Una settimana prima Ivar aveva confessato a sua madre di essere innamorato di Hildr e da allora la regina coglieva ogni occasione per punzecchiarlo sull’argomento.
“Hildr può fare quello che vuole. Se non vuole stare con me non è mio diritto obbligarla.”
“Ma tu desideri tanto che lei stia con te.”
“Madre, basta.” Disse lui con tono brusco.
Aslaug sorrise per il modo in cui Ivar si perdeva a guardare Hildr, come se la ragazza fosse l’unica stella luminosa di tutto il cielo.
“Dovresti dirle cosa provi. Sono sicura che lei …”
“Lei non è innamorata di me. Non lo sarà mai. Hildr mi considera solo il suo migliore amico, non mi vede come l’uomo con cui passare il resto della sua vita.”
Ivar si scolò il boccale di birra con l’intento di addolcire il malumore con l’alcol, ma il vuoto nel petto stava solo peggiorando. Sussultò quando Hildr gli regalò un sorriso, e poi arrossì perché nel profondo sperava che lei gli regalasse davvero tutti i suoi sorrisi.
“Hildr, vieni qui!” disse Aslaug.
La ragazza si defilò dagli amici poiché non poteva opporsi alla richiesta della regina.
“Eccomi, regina Aslaug. Cosa vi serve?”
“Non perdere tempo con i miei figli, sono ormai ubriachi. Resta con Ivar.”
“Certamente.”
Dopo che Aslaug si fu allontanata, Hildr tirò uno schiaffo alla nuca dell’amico.
“Perché lo schiaffo?”
“Perché tua madre mi ha rimproverato come fossi una bambina. Non è stato bello.”
“Lascia perdere mia madre. Torna pure da quegli stupidi.” Disse Ivar, ferito.
Hildr lo colpì di nuovo e Ivar le pizzicò il fianco. Si facevano la guerra come cane e gatto.
“Un asino è più sveglio di te, Ivar. Io voglio stare con te. E’ dall’inizio della festa che voglio stare con te, ma ti sei isolato e non volevo darti fastidio.”
Ivar bevve per nascondere il sorrisetto che gli aveva provocato Hildr, non poteva rischiare di rovinare la loro amicizia per il suo cuore che batteva veloce.
“Tu mi dai sempre fastidio.”
Hildr alzò gli occhi al cielo e rise con la consapevolezza che la loro amicizia si basava su screzi banali che si risolvevano con una battuta.
“Sei proprio un asino, Ivar.”
“Però mi vuoi bene.”
“Forse.” Disse lei ghignando. #
 
Hildr rabbrividì quando la mano di Ivar le toccò l’interno coscia. Si baciavano da chissà quanto tempo, avvolti in un abbraccio, con il mondo esterno che si era volatilizzato. Ivar scese a baciarle il collo, la mano che risaliva sempre più su, e Hildr si lasciava irretire da quelle attenzioni. Si interruppero a causa di un pianto sommesso che proveniva dal corridoio.
“Vado a vedere.” Disse Hildr alzandosi di scatto.
Ivar emise un rantolo disperato, era la seconda volta che venivano bloccati sul più bello. Da quando erano scappati da Kattegat non avevano avuto un momento di intimità, né lo avevano permesso il cantuccio sull’imbarcazione e la costante presenza di Isobel.
“Non è necessario. Torna qui, dai. Eravamo impegnati fino a qualche secondo fa.”
“Sta zitto, Ivar.”
Hildr fece capolino nel corridoio con la testa e scorse una figura accovacciata alla finestra che singhiozzava.
“Chi c’è là?”
Igor sollevò la testa, gli occhi rossi di pianto, e tirò su col naso. La ragazza andò da lui per controllare che stesse bene, che Oleg non lo avesse ferito in alcun modo.
“Stai bene?”
“Sì.”
“E perché piangi?”
Igor si asciugò le guance in fretta, anche se ormai era stato scoperto, e tentò di comportarsi da vero uomo.
“E’ la polvere che mi fa arrossare gli occhi.”
Hildr non ebbe la possibilità di replica che il ragazzino corse via verso la propria camera. Chiusasi la porta alle spalle, trovò Ivar imbronciato.
“Quale anima dovevi salvare questa volta?”
“Igor stava piangendo. Credo che il ragazzino abbia paura di Oleg o che comunque non voglia stare qui.”
“Ottimo. – disse Ivar – Abbiamo appena trovato un piccolo alleato. Ora torna a letto.”
Hildr si infilò sotto le coperte ma non era calma come prima, bensì era scossa dal pianto di Igor. Pensò ad Aila, a quando avrebbe pianto da sola, a quando si sarebbe trovata in difficoltà, e si rattristò.
“Ivar, ti sei mai sentito solo fino alle lacrime?”
“Mi sono sentito solo quando è morta mia madre, ma per il resto tu ci sei sempre stata.”
La ragazza accennò un sorriso prima di tornare seria, e Ivar non sopportava che qualcosa la agitasse.
“Anche io mi sono sentita molto sola quando i miei genitori sono morti, quando zia Helga è morta, quando Floki è partito senza fare ritorno. E mi sono sentita sol quando mi hai fatto imprigionare nella gattabuia.”
“Uno dei miei tanti sbagli.” Mormorò Ivar con aria colpevole.
“Aila non dovrà mai sentirsi sola in vita sua. Ha una mamma, ha me e ha te, perciò dovrà sempre sentirsi protetta.”
Ivar sapeva che Hildr soffriva per la separazione da Isobel e Aila, le uniche persone che erano entrate nella sua famiglia dopo la morte dei genitori e degli zii.
“Il fatto che Igor pianga in un corridoio buio non implica che nostra nipote farà la stessa fine. Se ci stiamo alleando con Oleg è anche per riportare Aila a casa con noi.”
Hildr annuì, benché quella prospettiva non fosse allettante. Allearsi con Oleg equivaleva ad una sorta di condanna a morte poiché il principe non sembrava troppo proteso alla condivisione del potere.
“Credi che Oleg abbia ucciso sua moglie?”
“Può darsi. – disse Ivar – Oppure no. Non lo sappiamo, quindi non possiamo fare supposizioni. Fidati di me, Hildr.”
“Sì, sì, ovvio che ho fiducia in te.”
Ivar le scompigliò i capelli facendola ridacchiare e le stampò un bacio sulla bocca.
“Non sei sola. Ci sono io con te.”
Hildr lo abbracciò, affondò il viso nell’incavo del suo collo e si fece consolare da quelle braccia che la sostenevano quando ne aveva bisogno.
 
 
Salve a tutti! ^_^
Ora si tratta di un gioco di fiducia. Di chi fidarsi? E chi sarà il primo a tradire?
Fatemi sapere cosa ne pensate.
Un bacio, alla prossima.

 

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Capitolo 4
*** Festa delle maschere ***


4. FESTA DELLE MASCHERE
 
Una settimana dopo
Ivar camminava nel cortile del palazzo per curiosare in giro. Il palazzo era in fermento per una festa in maschera che si sarebbe tenuta quella sera, perciò i servi si affaccendavano per addobbare la sala principale, in cucina si lavorava sin dalle prime luci per preparare il lauto banchetto, e i soldati lucidavano le armature da sfoggiare con gli ospiti. Oleg aveva invitato tutti i nobili dei dintorni di Kiev, qualche suo vecchio amico e anche suo fratello Dir.
“Pedinare le persone non è carino.” Esordì Ivar, divertito.
Igor spuntò da dietro un barile di vino con le gote arrossate dall’imbarazzo per essere stato scoperto.
“Non ti stavo pedinando.”
“E cosa stavi facendo?”
“Spiavo il nemico.”
Ivar riprese a camminare e questa volta Igor procedette con lui.
“Io sono tuo amico, Igor. Io e Oleg siamo alleati, pertanto io e te non abbiamo motivi di inimicizia.”
“Allora posso sapere perché sei storpio?”
“Sono così dalla nascita per volere degli dèi.”
Igor aggrottò le sopracciglia per quella risposta insensata.
“Gli dèi non esistono. Esiste un solo Dio ed è quello cristiano.”
“E’ per il vostro Dio che state organizzando questa festa?”
Due servi scaricano una grande quantità di legna da due carri poiché i festeggiamenti sarebbero andati avanti per tutta la notte e gli ospiti dovevano stare al caldo.
“Non proprio. Festeggiamo il ‘Carnevale’, il periodo che precede la Pasqua. Indossiamo delle maschere, balliamo, giochiamo.”
“Che cosa stupida.”
Igor rise per l’espressione accigliata di Ivar. A palazzo non parlava con nessuno, anzi faceva il possibile per evitare Oleg e il resto della famiglia, ma il vichingo gli ispirava una certa simpatia.
“Dov’è la ragazza?”
“Hildr, intendi? Non lo so. Ha detto che mi avrebbe raggiunto presto.”
Ivar si sedette su una cassa di legno perché la gamba destra gli tirava i muscoli causandogli piccole scariche di dolore.
“Voi state insieme?”
“Sì, lei è mia moglie … più o meno, è una storia lunga.”
Igor prese posto accanto a lui e arricciò il naso, visto così sembrava davvero un bambino innocente.
“Hildr sembra un ragazzo.”
“Hildr è un po’ un maschiaccio, ma questo dipende dagli anni che ha trascorso insieme a me e ai miei fratelli. Ti assicuro che è una donna strabiliante.”
Per lungo tempo Ivar stesso aveva pensato a Hildr come a una mezza donna. Si sporcava sempre di fango, giocava con i maschi, lottava meglio di un maschio e aveva la sfrontatezza di un maschio. Poi aveva scoperto che sotto quella facciata, in verità, c’era una donna dalla mente affinata e dal corpo pieno di curve sinuose.
“E’ di certo più simpatica di Kyra.” Disse Igor, un sorriso furbo dipinto sulle labbra.
“Sono d’accordo. Dai, andiamo a infastidire Hildr.”
 
Quando Ivar entrò in camera, Hildr era ancora a letto ma non dormiva. Era sveglia, avvolta nelle coperte in posizione fetale, ed era pallida. Per fortuna Igor era rimasto fuori in attesa.
“Hildr, stai bene? Sei bianca come un cencio.”
“Voglio morire.”
Ivar vide un panno sporco di sangue sul pavimento e fu sopraffatto dalla paura che qualcuno l’avesse aggredita in sua assenza.
“Che succede? Ti hanno fatto del male?”
Hildr si mise a sedere lentamente, la sua cera era peggiore di quando era stata ferita in battaglia.
“Sto così per colpa del sanguinamento. Mi fa male la pancia come se mi avessero investito con un cavallo dagli zoccoli ferrati.”
“Posso fare qualcosa per te?” chiese Ivar, titubante.
Di solito Hildr curava quel suo malessere femminile con intrugli appresi da Helga, ma a Kiev con tutta quella neve non crescevano le erbe necessarie.
“Prega gli dèi affinché io muoia. Non sopporto questo dolore.”
“Richiesta decisamente estrema.”
Ivar si sdraiò in modo che lei si appoggiasse con la schiena contro il suo petto, un tentativo di placare il suo stato. Come gli aveva suggerito una volta Aslaug, incominciò a massaggiare piano la pancia di Hildr.
“Che stai facendo?”
“Mia madre diceva che può essere d’aiuto in questi casi un massaggio. Devo smettere?”
“No! – disse Hildr – E’ piacevole. Continua.”
Ivar si rese conto che le lenzuola erano macchiate di sangue, così anche la veste di Hildr, ed ebbe un’idea che forse la ragazza avrebbe contestato.
“Potremmo chiedere aiuto a Kyra. E’ una donna ed è nobile, sono sicuro che abbia qualcosa per il dolore. E poi dobbiamo chiamare qualche serva per ripulire il sangue.”
“Mi vergogno! Non se ne parla! No!”
Hildr parlava del sanguinamento solo con Ivar dopo la morte di Helga perché odiava mostrarsi debole a causa dei dolori. Lei non chiedeva mai aiuto, tantomeno a quella spocchiosa di Kyra con cui avrebbe dovuto affrontare un discorso imbarazzante.
“Hildr, non fare la bambina. Stasera ci sarà una festa e tu dovrai essere al mio fianco.”
“Ti detesto.” Disse Hildr tra i denti.
 
Due ore dopo Hildr stava sorseggiando un intruglio a base di agnocasto, una pianta che possedeva grandi doti curative. Alla fine Kyra era andata in suo soccorso con un boccale di quella brodaglia medicinale, panni di cotone e un paio di calzoni neri per attenuare eventuali macchie. Ivar era andato a visitare i cavalli con Igor mentre le serve pulivano a fondo la camera dal sangue.
“Tu davvero parli di questo con Ivar?” domandò Kyra, sbalordita.
“Sì, davvero. Prima mi confidavo con mia zia, poi mi è rimasto solo Ivar con cui parlarne. Per noi è normale.”
Kyra rimaneva sempre più stupita da quella ragazza. Era cresciuta con il monito a non parlare del sanguinamento perché era una cosa di cui vergognarsi, era una cosa sporca e gli uomini non gradivano sapere nulla al riguardo. Sua madre e sua sorella maggiore le ripetevano che il sanguinamento femminile causava la morte delle api, il cattivo odore del bronzo, l’arrugginimento del ferro, la caduta dei frutti dagli alberi perché appassiti, insomma in quei giorni una donna doveva restare chiusa in camera da sola per impedire alla malattia di diffondersi*.
“Voi due siete bizzarri.” Disse Kyra scuotendo la testa.
Hildr sghignazzò, il dolore stava diminuendo e il buon umore stava tornando – per quanto buono potesse essere l’umore di un’esule in terra straniera.
“Ivar mi ha detto che stasera ci sarà la festa di Carnevale. Cos’è?”
“E’ una festa che si celebra prima della Quaresima, ovvero i quaranta giorni che precedono la Resurrezione di Cristo. Oleg bandisce sempre una grande festa in questa occasione perché adora la sfrenatezza di questa celebrazione.”
Kyra sembrava preoccupata, aveva perso la sua verve altezzosa e non sorrideva neanche più.
“A te non piace questa festa?”
“Sì e no. Mi piace perché posso indossare un bell’abito e sfoggiare la maschera più bella, ma non mi piace perché mi sento sola in mezzo alle donne invitate. Inoltre, questa sera ci sarà anche Dir e non sarà in vena di festeggiare dato che Askold è morto pochi giorni fa per mano di Oleg.”
“Dir vorrà vendicarsi. Tu che ne pensi?”
Hildr non capì perché la rossa la stesse fissando come se l’avesse appena insultata. A Kyra non era mai stato chiesto un parere, era una donna e il suo ruolo era quello di moglie muta e accondiscendente. A lei non era permesso pensare ed avere un’idea.
“Penso che ti serva un vestito decente per questa sera!”
“No, no, no. Non è necessario!” replicò Hildr con veemenza.
Kyra la trucidò con lo sguardo di chi non ammetteva un rifiuto.
“Taci. Tu fai come dico io perché stasera quelle oche starnazzanti delle mie amiche giudicheranno il mio vestito e anche il tuo poiché sei mia ospite. E’ mio dovere dare una sistemata al disastro ambulante che sei.”
Hildr inarcò il sopracciglio e bevve un altro sorso di agnocasto.
“Ah, grazie dei complimenti.”
 “Ora vieni con me, ti porto dalla sarta di corte.”
 
“Per tutti gli dèi, smettila di farmi male!” gridò Hildr.
“Continua.” Insistette Kyra.
La sarta diede retta alla sua signora e continuò a stringere i lacci del corpetto, nonostante Hildr si divincolasse. Aveva sempre indossato vestiti comodi – calzoni e camicia – per muoversi liberamente, perciò quell’abbigliamento le sembrava uno strumento di tortura piuttosto che un mucchio di stoffa. Kyra aveva dato il peggio di sé nella scelta dell’abito: consisteva in una tunica blu notte che arrivava al polpaccio, un corpetto azzurro dalla scollatura ampia e rotonda da cui sbucavano le bianche maniche lunghe svasate dal gomito, in aggiunta una larga fascia color argento sottolineava il punto vita e una cintura di cuoio intrecciato.
“Basta! Ti supplico!”
La sarta annodò i lacci del corpetto tanto da mozzare il fiato di Hildr. Respirare era impossibile.
“Sembri umana adesso, non una gattaccia randagia.” Disse Kyra sorridendo trionfante.
Una serva spinse bruscamente Hildr sulla sedia per acconciarle i capelli. La ragazza pettinava le ciocche con irruenza, tirava, attorcigliava, e Hildr emanava gridolini inferociti. Kyra era già pronta, indossava un abito simile a quello di Hildr ma con colori che tendevano al rosa, i capelli rossi erano legati in due trecce laterali che mettevano in risalto la coroncina e ai lobi pendevano preziosi orecchini d’oro.
“Kyra, la festa inizierà a momenti!” disse Vadim dall’altra parte della porta.
“Arriviamo! Aspettami in sala.”
Quando la serva fece un passo indietro, Hildr poté guardarsi allo specchio e rimase meravigliata: i lunghi capelli neri erano ondulati e ornati da un sottile filo d’argento, le gote erano rosate e le orecchie erano ornate da semplici orecchini argentati.
“Sono … carina.”
Non aveva mai pensato a se stessa in quell’ottica. Non si era mai soffermata sul proprio aspetto fisico, poco le importava di come la vedevano gli altri, eppure in quel momento si sentì bella.
“Ivar rimarrà senza parole.”
 
Hildr rientrò mentre Ivar si issava sulle stampella. Anche lui indossava abiti nuovi, calzoni e casacca neri, e si era legato i capelli in una sola treccia.
“Eccoti! Pensavo ti fossi per … Oh!”
Ivar non aveva mai visto una donna più bella di Hildr. Era talmente stupito che la bocca gli si era spalancata senza volerlo.
“Non startene lì imbambolato! Sciogli i nodi del corpetto, è troppo stretto e va allentato.”
Hildr gli diede la schiena e si spostò i capelli sulla spalla mettendo in bella mostra il collo.
“V-vuoi che … ehm … cosa?”
“Ivar, ma sei stupido? Slacciami il corpetto! Mi manca il respiro.”
Ivar allentò i primi lacci permettendole di fare un respiro profondo. Non vedeva l’ora che la serata volgesse al termine per liberarsi di quel tremendo abito che le dava il tormento.
“Igor ci ha portato … ehm … le … maschere.” Balbettò lui.
Le maschere consistevano in una semplice benda munita di buchi per gli occhi, una era nera e una marrone, ed erano state realizzate con i brandelli residui del cuoio.
“Che festa inutile. E siamo imbecilli noi che partecipiamo!”
Ivar annodò gli ultimi due lacci in modo che Hildr non svenisse, dopodiché fece un passo indietro per ammirarla. Hildr si voltò e si lisciò le pieghe del vestito, i capelli neri ricadevano in morbide onde sulle spalle.
“Sei più bella di Freya.”
“Non dire idiozie, Ivar. Nessuna è più bella della dea della bellezza.”
“Tu sì. Se solo ti guardassi con i miei occhi … sei sensazionale.”
Ivar era sinceramente ammaliato. Aveva visto Hildr in numerosi abbigliamenti e con diverse acconciature, ma quella sera c’era qualcosa di quasi magico nella sua bellezza. La ragazza fece una smorfia, non amava i complimenti e non capiva perché Ivar fosse tanto impressionato.
“Grazie, credo. Andiamo prima che tu dica altro.”
 
Ivar e Hildr avevano presenziato a tutte le feste organizzate da Aslaug, ma il Carnevale a Kiev era tutta un’altra storia. La sala principale pullulava di persone, nobili principi con le consorti e i figli, principesse in cerca di marito, servi che accorrevano ad ogni alzata di mano, e i musici sul fondo che allietavano l’atmosfera. Lunghi tavoli di legno erano coperti da tovaglie sgargianti ricamate a mano con cura estrema e sopra era esposta un’abbondante carrellata di cibi: zuppe, ventri di pesce, pasticci di acqua e farina, panna acida, frutta secca, dolci alla frutta e alcol a volontà.
“Sto morendo di fame.” Disse Hildr adocchiando una zuppa bollente.
“Non è una novità.” Ribatté Ivar.
All’improvviso gli ospiti smisero di vociferare e la musica si interruppe. Oleg era appena entrato insieme a Igor. Tutti si inchinarono al loro passaggio, anche Ivar e Hildr, e rimasero in quella posizione fino a quando Oleg non prese posto. Gli ospiti in gran fretta si sistemarono ai lati della sala per lasciare spazio alle danze.
“Quindi non si mangia?” domandò Hildr, stizzita.
Ivar rise perché Hildr non sarebbe mai cambiata, e non era di certo un aspetto principesco a renderla diversa.
“Come fai a mangiare sempre? Hai lo stomaco più grande di un orso.”
“Lo sai che il sanguinamento aumenta la fame.”
“Hildr, la tua fame aumenta anche in condizioni normali.”
“Può darsi.”
Hildr andò a sbattere contro Ivar dopo che una ragazzina era inciampata addosso a lei. Kyra afferrò la ragazzina per le spalle e la sgridò in russo.
“Scusatemi. Lei è mia sorella ed è molto maldestra.”
“Non importa. – disse Hildr – Quando sarà possibile mangiare?”
“La cena inizia sempre dopo il discorso di Oleg. Dovrai attendere ancora un po’, straniera.”
Rimasta da soli, Hildr e Ivar si appartarono in un angolo isolato della sala per stare tranquilli.
“Stamattina Kyra mi ha riferito che Oleg ha invitato anche suo fratello Dir.”
Ivar, che stava bevendo, sputò il vino nel boccale a quella notizia.
“Solo una settimana fa ha ucciso Askold! Oleg vuole innescare una guerra stasera.”
“Sì. – confermò Hildr – Kyra pensa che Dir voglia vendicarsi. Secondo me c’entra Igor.”
“Igor è il futuro sovrano ed è indispensabile per il reggente, perciò tutti lo vogliono per ottenere maggiore potere.”
Hildr stava per dire qualcosa quando un silenzio tetro piombò sulla folla. Un uomo stava facendo il suo ingresso, mano sull’elsa della spada, sguardo carico di odio. Oleg si alzò in piedi con un sorriso esagerato.
“Dir! Fratello caro, è un vero onore averti qui!”
“Posso parlarti in privato, fratello?”
Vadim si oscurò in volto mentre Oleg e Dir uscivano dalla sala per discutere lontano dagli ospiti. Kyra batté le mani e i musici ripresero a suonare. Anche i presenti continuarono a chiacchierare e bere.
“Dir è venuto qui per minacciare Oleg, vuole vendetta per Askold e rivuole Igor.” Disse Ivar.
“Scommetto che la conversazione finirà con la testa di Dir in mano a Oleg.”
“Che c’entra la testa di Dir?”
Igor era spuntato dal nulla obbligando Hildr e Ivar a zittirsi e a simulare un sorriso.
“Nulla. – mentì Hildr – Dir ha proprio una bella testa.”
“Tu sei Hildr, giusto? La moglie di Ivar.”
“Ah, sono famosa a quanto pare!”
Ad Ivar scappava sempre un sorriso quando Hildr veniva riconosciuta come sua moglie, per lui era motivo di vanto.
“Ivar dice che sei brava a combattere. Mi insegneresti?”
“Ti insegno a combattere se adesso mi porti una scodella di zuppa calda. Ci stai?”
Igor si fiondò come un’aquila verso le pietanze e riempì di zuppa una scodella, però Inna lo bloccò prima che potesse sgattaiolare per rimproverarlo.
“Usi un bambino per sfamarti? Sei una cattiva ragazza.” scherzò Ivar.
Hildr spostò la maschera verso l’alto per fargli la linguaccia, poi rise insieme a lui.
“Il mio corpo reclama cibo, non è colpa mia.”
Ivar si incupì vedendo che Vadim si dirigeva verso di loro con espressione nervosa. Era un uomo che appariva pacato, quindi quel cambiamento doveva dipendere da qualcosa di grave.
“Ivar, vieni con me. Oleg richiedere la tua presenza.”
“Dove? – fece Hildr – Perché non vuole anche me?”
“Hildr, non ti intromettere.”
“Se gli fate del male …”
Vadim le riservò uno sguardo truce tanto da farla zittire.
“Non succederà nulla ad Ivar. Hai la mia parola che lo proteggerò.”
Ivar notò che Hildr era furiosa, tremava di rabbia, perciò le stampò un bacio sulla guancia.
“Va tutto bene. Ci vediamo dopo. Tu pensa a goderti la festa.”
 
Hildr tamburellava le dita sull’orlo della scodella da un’ora ormai. Ivar non era ancora tornato, di Oleg e Vadim non c’era traccia, e anche i soldati di Dir sembravano svaniti. Erano iniziate le danze, le coppie affollavano il centro della sala battendo piedi e mani a ritmo di musica. Kyra ballava con sua sorella minore, che aveva gli stessi capelli lunghi e rossi.
“Non mangi?”
Igor allungò il collo per rubare una cucchiaiata di zuppa alle verdure, era ancora tiepida per fortuna.
“Mi è passata la fame. Strano ma vero. Sono in pensiero per Ivar.”
“Vuoi spiarlo?”
Allora Hildr rivolse tutta la sua attenzione al ragazzino che stava leccando i bordi della scodella.
“In che senso?”
“Ho visto che portavano Ivar nella sala del trono. Dalla mie stanze si vede bene cosa accade là.”
“Andiamo, su! Sbrigati!”
Igor la condusse nelle proprie stanze – che erano due volte più grandi dell’alloggio di Hildr e Ivar – e chiuse la porta bloccandola con la sedia.
“Vedi quella finestrella in alto? Si affaccia sulla sala del trono.”
Nella parete sinistra, coperta da un panno trasandato, si apriva una piccola finestra munita di sbarre di legno.
“Sposta il tavolo contro la parete.” Ordinò Hildr.
Igor buttò a terra le cianfrusaglie e spostò il tavolo in modo da farlo combaciare alla perfezione alla parete. Senza troppe cerimonie, Hildr si sollevò la gonna e salì in piedi sul tavolo. Scostata la tendina, ebbe una parziale visuale della sala. Vedeva bene Oleg e Vadim, di fronte a loro stava Dir, e riusciva a vedere solo la stampella di Ivar.
“Cosa vedi? Ivar sta bene?”
La preoccupazione di Igor per Ivar era dolce, Hildr sorrise e annuì.
“Ora fa silenzio e fammi ascoltare.”
 
Ivar non capiva cosa stava per succedere. Oleg fissava il fratello con espressione indecifrabile. Vadim era teso come una corda, muoveva gli occhi tra i due principi e teneva la mano intorno all’elsa della spada.
“Hai ucciso nostro fratello, Oleg. Non ti senti in colpa?” parlò Dir.
“No. – rispose Oleg – Askold mi stava ostacolando e noi tutti sappiamo che gli ostacoli vanno rimossi. Igor appartiene a me. Mio cognato lo ha affidato a me.”
“E ha commesso un grave errore. A te non importa di Igor, tu vuoi solo il suo potere.”
“Tu cosa vuoi, invece? Vuoi rimboccargli le coperte ogni sera e dirgli che il mondo è un bel posto? Mi deludi, Dir.”
Oleg rideva mentre il fratello incassava il colpo. Ad Ivar sembrò di rivivere uno dei tanti battibecchi con i fratelli, quando bisticciava con Hvitserk per il vino, quando Ubbe gli rubava le coperte, quando Sigurd lo derideva.
“Mi riprenderò ciò che mi spetta. Uomini, arrestate il principe Oleg!” tuonò Dir.
Una dozzina di soldati marciò verso Oleg brandendo le spade, uno di loro in mano portava due catene da polsi. Vadim si parò davanti a Oleg puntando la spada alla gola di Dir.
“Che nessuno si avvicini al principe.”
“Tranquillo, Vadim. Riponi pure la spada del fodero. Userò le mie doti profetiche per difendermi.”
Ivar cercò di mostrarsi indifferente ma dentro di lui si agitava una curiosità morbosa circa le profezie di Oleg. Anche Dir rimase interdetto.
“Non essere sciocco, fratello.”
“Già. – chiosò Oleg – Però mi sa che l’unico sciocco qui sia tu. E sei anche scortese dato che non mi hai invitato al tuo matrimonio.”
Il volto di Dir si tramutò in vero terrore, sapeva che il fratello anche quella volta aveva anticipato le sue mosse.
“Come … come è possibile che tu lo abbia saputo?”
“Perché sono un profeta!”
Oleg con un gesto della mano richiamò due figure che emersero dal buio spingendo una donna. Dir sbiancò per la paura.
“Oleg, lasciala andare. Lei non c’entra niente.” Intervenne Vadim.
Ivar non capiva perché un comandante  delle truppe non appoggiasse il suo principe, del resto il suo compito era quello di assecondare ogni scelta del superiore, ma Vadim aveva quel barlume di moralità che sbandierava senza remore.
“Oh, no, Anna si sta divertendo con noi. Vero, cara cognata?”
Anna tremava, non osava sollevare lo sguardo, piangeva sommessamente.
“D’accordo. – disse Dir – Io mi ritiro a patto che tu mi riconsegni mia moglie.”
Il sorriso spocchioso di Oleg non tardò ad arrivare, di nuovo aveva ottenuto ciò che voleva con la forza.
“Molto bene, fratello. Lasciate andare la donna e accompagnate mio fratello fuori dal palazzo. Per lui la festa è finita.”
 
Hildr scese dal tavolo facendo attenzione a non inciampare nel vestito. Era avvilita da quanto aveva visto. Una vocina nella sua testa le bisbigliava che per Dir le cose non sarebbero finite bene. Oleg era un calcolatore vendicativo, per nessuna ragione avrebbe lasciato andare il fratello e la moglie illesi.
“Torniamo alla festa prima che si accorgano della nostra assenza.”
Igor la riportò alla festa attraverso un passaggio segreto che abbreviava il tragitto. Ricomparvero nella sala da dietro un arazzo decorato a motivi bianchi e rossi. Hildr si sedette su una panca mentre Igor andava alla ricerca di qualche avanzo da mangiare. Ivar rientrò pochi minuti dopo, la stampella che picchiava forte contro il pavimento, l’espressione accigliata. Prese subito posto accanto a Hildr.
“Hildr …”
“So già tutto. Igor mi ha permesso di spiarvi dalla sua stanza.”
Ivar non era sorpreso, Hildr seguiva il proprio istinto alla cieca senza dare ascolto agli altri.
“Oleg mi voleva là solo per darmi una dimostrazione del suo potere. Ridicolo.”
“Efficace. – disse lei – Ora sappiamo che abbiamo davvero a che fare con un uomo ricco di informazioni su chi lo circonda. Pensi che già conosca il nostro segreto?”
“Può darsi, ma lo userà contro di noi solo se necessario. Noi, però, non gli daremo motivo di farlo. Vero?”
Il tono di Ivar sapeva tanto di rimprovero rivolto a uno spirito libero come Hildr che non andava d’accordo con l’autorità, specie se in ballo c’era la vita di persone a lei care.
“Farò del mio meglio per non irritare il principe.”
“Fallirai miseramente.” Replicò Ivar con disappunto.
Hildr sfoderò un ghigno malizioso.
“Può darsi.”
“Ivar! Sei tornato!”
Igor diede una pacca sulla spalla al ragazzo, prese posto e affondò la faccia nella zuppa.
“Eri in pensiero per me?”
“Hildr era preoccupata. Le è addirittura passata la fame!”
“Non è vero! Quel ragazzino dice frottole.” Si difese Hildr.
Ivar inarcò il sopracciglio e rise della vergogna che la ragazza provava per aver ammesso i propri sentimenti.
“Igor! Vieni avanti!” gridò Oleg, il boccale oramai vuoto.
Igor si avviò verso il principe con titubanza, le spalle ingobbite, le labbra morse fra i denti. Gli invitati si scansavano man mano che procedeva, quello era il loro futuro sovrano ed era bene essere già buoni sudditi.
“Ho un regalo per te. Portatelo dentro!”
Un mormorio serpeggiò tra i presenti quando una guardia entrò nella sala trascinando al guinzaglio uno degli uomini di Dir.
“E’ atroce.” Sussurrò Hildr.
Ivar le afferrò il polso per tenerla vicina e poi fece incastrare le loro dita in una presa ferrea.
“Sta buona, Hildr.”
Oleg strofinò la punta dello stivale sul mento dell’uomo al guinzaglio, rideva in maniera sadica.
“Ti piace il regalo?”
Igor avvertiva gli occhi pizzicare a causa delle lacrime che premevano per sgorgare, difatti le guance si bagnarono in pochi secondi. Oleg sembrò contrariato dalla debolezza del ragazzino.
“Piangi come una femminuccia? Davanti a tutti? Sei un perdente.”
“Io … non  ...” balbettò Igor, però richiuse la bocca.
Hildr, che non sopportava più quel teatrino penoso, si staccò da Ivar per raggiungere Igor. Gli circondò le spalle con un braccio e gli asciugò le lacrime col pollice.
“Va tutto bene. Allontaniamoci.”
Stavano per indietreggiare quando una guardia sguainò la spada per minacciarli. Ivar arrancò verso di loro e abbassò l’arma con l’ausilio della stampella.
“Non li toccare.”
Oleg rubò la spada e la rivolse contro Ivar, la punta sfiorava il naso del ragazzo.
“Tu sarai pure senza ossa, ma la tua donna è senza cervello se osa sfidare un principe.”
“Ho abbastanza cervello per capire che stai agendo male.” disse Hildr.
Vadim si accorse che gli ospiti stavano trattenendo il fiato, impauriti da quello scontro, poiché il principe era noto per essere un uomo vendicativo e spietato.
“Ci penso io a lei.” Disse Ivar.
Oleg depose la spada ma i suoi occhi bruciavano di ira per Hildr. Non avrebbe dimenticato quell’affronto.
“Sì, pensaci tu.”
 
Ivar sbatté la porta tanto forte da fare cadere la candela dal tavolino.
“Sei impazzita? Oleg avrebbe potuto ucciderti! Tu e la tua dannata lingua!”
“Sempre meglio che reggere ancora la sua cattiveria!”
Hildr si disfò delle scarpe, si tolse gli orecchini e cercò di slacciarsi anche il corpetto.
“Ti senti quando parli? Hai perso il senno, Hildr!”
“Ho perso il cervello stando al tuo amichetto Oleg! E poi come hai intenzione di pensare a me? Vuoi picchiarmi fino a farmi tacere?”
Le grida di colpo si acquietarono. Loro si guardavano in cagnesco, i respiri affannati, e una distanza che pareva incolmabile a separarli.
“Non ti picchierei mai, lo sai.”
“Perché io ti picchierei prima.”
Per qualche assurdo motivo scoppiarono a ridere. Per quanto fossero cresciuti, nel profondo restavano quei due bambini che amavano passare il tempo assieme fra giochi e risate.
“Dobbiamo evitare di litigare. Dobbiamo restare uniti, ricordi?”
“Certo. – asserì Hildr – E’ solo che … ho rivisto te in Igor, quando i bambini a Kattegat ti prendevano in giro facendoti piangere.”
Ivar appoggiò la fronte contro la sua e abbozzò un sorriso.
“E tu eri sempre lì a difendermi e a consolarmi.”
“Sempre, Ivar. Ti amo.”
“E io amo te.”
Si scambiarono un bacio ricolmo d’amore e anche di un pizzico di tristezza. Non erano più piccoli, non potevano giocare a scacchi e aiutare Floki con le barche, ora erano due adulti che dovevano sfarzi spazio nel mondo a suon di gomitate e asce.
 
 
Salve a tutti! ^_^
La faccenda di Dir l’ho riscritta in maniera diversa dalla serie tv per adattarla alla storia, speriamo non vi dispiaccia.
Oleg sta mettendo un po’ di zizzania, e peggioreranno le cose!
Fatemi sapere cosa ne pensate.
Alla prossima, un bacio.
 
*queste erano credenze tipiche del mondo antico, Plinio il Vecchio le ha elencate nella sua Naturalis Historia.
* Il Carnevale veniva festeggiato così come l’ho descritto, anche dai cristiani. Mi sono documentata.

 

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Capitolo 5
*** A caccia di innocenza ***


5. A CACCIA DI INNOCENZA

Il giorno dopo
Hildr si aggirava nella biblioteca dalle prime luci dell’alba. Aveva trascorso la notte insonne, quanto accaduto alla festa l’aveva scossa e tenuta sveglia a pensare. Oleg non sarebbe mai stato un semplice alleato, le sue azioni minavano a sottolineare il proprio potere per intimorire chiunque, anche un ragazzino.
“Cerchi qualcosa?”
Johannes era sbucato da un corridoio secondario che gli permetta di accedere alla biblioteca dagli alloggi.
“Forse. – disse Hildr – Non so nemmeno io cosa cerco.”
“I libri sanno concedere una grande consolazione, sai.”
“Peccato che io debba avere a che fare con le persone!”
Johannes ridacchiò, la vichinga era la prima persona a palazzo che si interessava a lui dopo Vadim.
“Come scrisse Seneca: Ignoranti quem portum petat nullus suus ventus est, non esiste vento favorevole per il marinaio che non sa dove andare.”
“Mi conviene trovare una meta prima che il vento diventi troppo sfavorevole da impedirmi di scorgere un porto sicuro.” Disse Hildr.
“Hai una bella mente, ragazza. Usala bene.”
“Ci proverò.”
La porta cigolò quando Kyra fece irruzione con le gote arrossate per la corsa.
“Sei qui, straniera! Oleg vuole vederti subito.”
Hildr si girò verso Johannes per salutarlo con un cenno del capo, dopodiché seguì Kyra all’esterno del palazzo.
“Perché mi vuole vedere? E perché fuori?”
“Perché oggi è la giornata della ‘Venatio’, ossia della caccia. E’ un’antica forma di divertimento dei romani che Oleg ha conosciuto a Costantinopoli e se n’è appropriato. Ai nobili divertono le battute di caccia.” Spiegò Kyra.
“E’ una banale battuta di caccia. Perché farne una festa?”
Hildr rabbrividì per il freddo e si avvolse meglio nella pelliccia. Durante la notte una tempesta di neve aveva imbiancato tutta Kiev e i campi circostanti, era uno spettacolo suggestivo.
“Perché questi stupidi giochi servono a Oleg per gratificare i nobili e garantirsi il loro sostegno.”
“In cosa consiste? Dobbiamo uccidere animali?”
“No. – disse Kyra – Si dà la caccia ad una ragazza in età da marito che Oleg sceglie a occhi chiusi. La ragazza è la bestia selvatica in questo caso.”
Hildr fece una smorfia di disgusto. Era una pratica disumana proprio come i sacrifici umani che loro concedevano agli dèi.
“Uccidono ragazze innocenti per divertimento?”
Kyra si fermò per scuotere il capo e sospirare.
“Non la uccidono. E’ solo un gioco. Il primo nobile o soldato che cattura la ragazza è il vincitore. Non muore nessuno, tranquilla.”
“E scommetto che poi la ragazza va in sposa al vincitore.” Disse Hildr, schifata.
“Se il vincitore ha già una moglie sceglie a chi dare in sposa la ragazza. Una delle mie sorelle l’anno scorso è andata in moglie al figlio del nobile vincitore, un bell’affare.”
“E’ orribile. Sposare qualcuno per obbligo è una punizione tremenda!” replicò Hildr.
Kyra la guardò in tralice quasi volesse schiaffeggiarla con gli occhi.
“Non siamo tutte fortunate come te. Non tutte le donne guidano un esercito, lottano e scelgono chi amare. Non siamo tutte libere.”
Hildr abbassò il capo per la vergogna, le parole della russa non facevano una piega.
“Hai ragione. Perdonami.”
Kyra non proferì parola e proseguirono il tragitto in silenzio. Hildr da lontano intravide un gruppo di uomini – nobili, soldati e servi – intorno a Oleg. Tutti si stavano armando per la caccia.
“Principe, la ragazza è qui.” annunciò Kyra.
I suoi capelli rossi erano come fili di sangue in mezzo al bianco della neve. Oleg sorrise e si avvicinò a Hildr per poi baciarle la mano. La ragazza non capiva perché quella gentilezza dopo che lo aveva sfidato davanti alla sua corte.
“Hildr, è un onore averti qui. Kyra ti ha spiegato che giorno è?”
“Andate a caccia secondo una vecchia pratica romana. E cacciate giovani donne.”
“Non per mangiarle!” rispose uno dei nobili, baffi unti e doppio mento.
“Non mangiate i loro corpi ma di certo mangiate le loro anime.” Ribatté Hildr con freddezza.
“Intelligente. – commentò Oleg – Però oggi ho deciso di cambiare le regole del gioco. Dal momento che ieri sera abbiamo un piccolo screzio, mi piacerebbe dimostrare a tutti che noi siamo in pace. Ti andrebbe di essere la preda di questa caccia?”
Hildr si irrigidì, per un secondo la paura le attraversò il corpo come una scarica dolorosa. Desiderava che Ivar fosse lì a sostenerla ma chissà dove era andato insieme a Igor.
“Io sono già sposata, dunque non ne vedo il motivo.”
Oleg le arruffò i capelli come se stesse coccolando un cane, e la ragazza si tirò indietro con uno scatto.
“Non sei davvero sposata, non c’è mai stata una vera cerimonia. Non ti obbligo a sposare nessuno, voglio solo far vedere ai miei nobili che tra di noi non c’è astio. Ieri hai osato sfidarmi, è bene che tu ora mi renda il debito che hai con me.”
“Quale sarebbe il premio per il vincitore?”
“Una pietra preziosa, credo. Ci penserà Vadim a stabilire il premio. Ci stai?”
Hildr voleva rifiutare perché nelle intenzioni di Oleg c’era qualcosa di oscuro, ma il pensiero di Kattegat e della riconquista la pervase ad accettare. Lo faceva per Ivar, per restituirgli il regno che gli spettava.
“D’accordo. Posso scegliere la mia arma?”
“No, la preda non è armata. Che gusto ci sarebbe altrimenti se la preda potesse difendersi?”
“Perché mai la preda dovrebbe difendersi se è solo un gioco innocuo?” lo incalzò Hildr.
Oleg sorrise, aveva architettato un piano mascherando la faccenda losca con uno stupido gioco.
“Sai come sono le battute di caccia, spesso qualcuno resta ferito.”
La vichinga non si lasciò intimorire, mostrarsi debole non rientrava nelle opzioni.
“Allora prega che quel qualcuno non siano i tuoi cacciatori.”
“Pregherò. – disse il principe – Date una cartina alla ragazza!”
Mentre Hildr esaminava la cartina che segnava il percorso della caccia, Kyra le allacciava al braccio un nastro rosso che fosse riconoscibile ai partecipanti.
“Kyra, mi servono i tuoi fermagli.”
“Sono un regalo di nozze, sei impazzita?”
“Sono appuntiti e sono armi perfette. Davvero vuoi che un’orda di uomini spregevoli mi inseguano senza avere la possibilità di difesa?”
Kyra sbuffò, odiava rinunciare ai propri ornamenti, ma la ragazza aveva le sue ragioni. Si sciolse i capelli e cedette i due lunghi fermagli a Hildr, che li nascose sotto la pelliccia.
“Sta attenta, Hildr.”
Hildr agguantò le esili mani di Kyra e strinse forte obbligandola a guardarla in faccia.
“Se dovesse capitarmi qualcosa, dì ad Ivar che … che …”
“Lo farò.” disse Kyra.
“Siete pronta, signora?” domandò un servo.
Hildr annuì e il servo la condusse verso una striscia di neve smossa che indicava l’inizio del percorso. Dietro di lei si erano schierati i giocatori, sguardi eccitati e mani tremanti per l’adrenalina. Oleg si mise in piedi e sventolò uno straccio rosso, poi fischiò.
“Che la caccia abbia inizio!”
Hildr iniziò a correre più veloce che poteva.
 
“Hildr ha scoccato una freccia e siamo sbucati dalle fogne riversandoci per le strade di York. E’ stata una battaglia forte, sanguinolenta e la vittoria è stata molto dolce. Ti sarebbe piaciuto.”
Ivar e Igor, chiacchierando del più e del meno, erano finiti a parlare della presa di York e delle altre battaglie dei vichinghi. Il ragazzino ascoltava quei racconti epici e in cuor suo desiderava farne parte.
“Avrei voluto esserci. Per la prossima battaglia sono dei vostri?” domandò Igor, speranzoso.
Ivar ridacchiò e si fermò un momento per riprendere fiato, camminare a lungo lo affaticava e i muscoli delle gambe incominciavano a indolenzirsi.
“Prima devi imparare a combattere. Sono certo che Hildr saprà insegnarti bene.”
“Ivar! Igor!”
Vadim affrettava il passo per raggiungerli, le guance erano rosse per il freddo intenso. Con lui c’era una ragazza con indosso un abito bianco che svolazzava schizzando neve. Ivar per qualche motivo provava irritazione verso il comandante, la sua sola presenza era fonte di noia.
“Che c’è?”
“Dov’è Hildr?”
“In biblioteca. – disse Ivar – Perché?”
“Perché Oleg ieri sera era infuriato per l’affronto di Hildr, è bene che lei oggi non si faccia vedere.”
“Sei carino a preoccuparti per la mia ragazza.”
Vadim inclinò la testa di lato per osservare meglio l’espressione sarcastica di Ivar, ogni sua parola mirava a pungere come un coltello bel limato.
“Non voglio che un alleato muoia sotto il mio tetto. Ora sarà meglio andare da Oleg ad assistere alla Venatio. Igor ti ha detto cos’è?”
“Sì, è una battuta di caccia in cui la preda è una ragazza. Hildr vomiterebbe se sapesse che delle ragazze vengono usate in questo modo.” Chiosò Ivar.
“E lei la ragazza di quest’anno?” chiese Igor indicando la figura accanto a Vadim.
“Sì, lei è Anya.”
Nel frattempo erano arrivati sul luogo predestinato alla Venatio. Su una pedana, circondato da servi e due guardie, c’erano Oleg su una sorta di trono e Kyra alle sue spalle su una panca. Alcuni nobili accerchiavano il sovrano sotto la pedana, borbottavano fra di loro e scommettevano sul vincitore. Kyra sventolò la mano per invitarli a prendere posto. Oleg e Ivar si scambiarono un sorriso di cortesia.
“La caccia è già iniziata da venti minuti.” Bisbigliò Kyra.
“Come? – fece Vadim – Ma Anya è qui! Chi è la preda?”
Ivar avvertì una sensazione di angoscia che sembrava bucargli lo stomaco. Si portò la mano sul petto dove erano tatuati i due nodi.
“Dov’è Hildr?”
Kyra non capiva perché fossero tutti in allarme, quindi sorrise e fece spallucce.
“Oleg l’ha scelta come preda per questa caccia. Non ha menzionato Anya.”
“Vuole ucciderla.” Disse Ivar tra i denti.
“Già. – convenne Vadim – Vuole punirla per l’affronto di ieri sera. Prendo un cavallo e vado a cercarla.”
Ivar si alzò e si trascinò verso il bordo della pedana con l’intento di recuperare un cavallo.
“Ci vado io! E’ mia moglie quella!”
“Sei lento. E Oleg saprebbe che abbiamo scoperto il suo piano. Resta qui e fingi di goderti lo spettacolo. Penso io a Hildr.” Disse Vadim con tono perentorio.
Ivar dovette rinunciare al suo intento, avrebbe perso tempo a cercare un cavallo e Oleg avrebbe avuto sospetti su di lui, mentre Vadim poteva allontanarsi con una scusa e muoversi liberamente.
“Ti prego, riportala da me. Hildr è tutto quello che ho.”
“Hai la mia parola.”
“Vadim …” tentò di parlare Kyra, ma lo sguardo furente del marito la zittì.
“Con te facciamo i conti dopo, Kyra. Sei stata molto, molto stupida.”
La donna si accasciò sulla panca con gli occhi colmi di lacrime. Igor, invece, stringeva il braccio di Ivar per infondergli coraggio.
 
Hildr aveva l’impressione di camminare da ore. Ad un certo punto non era stata più in grado di seguire la mappa, pertanto ora vagava senza alcuna idea dello spazio circostante. Tutto intorno c’erano solo alberi, neve, ruscelli ghiacciati e un silenzio pacifico. Forse si era spinta troppo oltre e nessuno dei cacciatori l’avrebbe trovata. Ripensò a quella volta che suo padre la portò a giocare con le palle di neve fino ai crampi allo stomaco per le risate. La mancanza dei suoi genitori si faceva sentire ogni volta che restava da sola e aveva un momento per riflettere. A volte, di notte, le capitava di udire la risata cristallina della madre, però al risveglio tutto torna di nuovo triste.
“Sii gentile. Sii un’eccezione.” Sussurrò con un sorriso.
Un flebile rumore fece arrestare i suoi passi. Ivar le aveva insegnato come riconoscere il fragore prodotto da un ramo spezzato, seppure debole. Si voltò lentamente, aspettandosi di vedere uno dei cacciatori, ma non c’era nessuno. Con la coda dell’occhio scorse un movimento dietro gli alberi. Impugnò i fermagli per qualsiasi evenienza. Stava per colpire quando vide Vadim con le mani in alto.
“Sono solo io. Tranquilla.”
“Oleg ha mandato te a fare il lavoro sporco?”
“Hai capito che vuole ucciderti.”
Hildr nascose di nuovo i fermagli e si abbottonò meglio la pelliccia.
“Ovvio! Non ci vuole mica un genio per capire che non ama essere contrastato, quel bastardo pazzoide. Se non sei qui per uccidermi, che vuoi?”
“Ho dato la mia parola ad Ivar che ti avrei riportata da lui sana e salva.”
Vadim era una macchia nera in mezzo al candore nivale. I suoi magnetici occhi verdi risplendevano.
“Io riesco a salvarmi da sola. Non sono una donzella in pericolo.”
“Abbassati!”
Hildr si accovacciò e Vadim scagliò un coltello che si andò a piantare nel petto di un uomo.
“Lo avrei visto se tu non mi avessi distratto!” petulò la ragazza spazzandosi la neve dai calzoni.
Vadim si chinò sul morto per esaminarlo, non indossava abiti nobili né da soldato, era coperto su tutto il volto e mostrava solo gli occhi ora spenti.
“Non è un partecipante. Come è possibile?”
“Forse Oleg ha ingaggiato dei mercenari per ammazzarmi.”
“Può darsi. – disse Vadim – Oleg ti ha dato la mappa sbagliata per farti trovare dai mercenari. Dobbiamo andarcene.”
Nella mente di Hildr ronzò un’idea. Serrò le mani sui fermagli e li puntò contro Vadim.
“Tu sei riuscito a trovarmi, come mai? Nessuno sa che ho preso questo sentiero.”
“Credi davvero che io voglia ucciderti?”
Lui avanzava e la ragazza arretrava, simili a due cani che si annusano per riscontrare il pericolo.
“Credo che ora come ora io non possa fidarmi di nessuno.”
“Hildr, ragiona. Lo sai che puoi fidarti di me.”
“Oh, io ragiono sempre. Perdonami, se puoi!”
“Perdon- …”
Hildr roteò su se stessa per darsi forza e colpì Vadim con un calcio dritto alla mandibola. Il russo si afflosciò per terra come un fiore secco. Ormai quel sentiero era pericoloso e i nemici potevano attaccarla su ogni fronte. L’unica soluzione era ritrovare il castello. Rubò la spada di Vadim e si mise di nuovo a correre.
 
Hildr aveva il respiro mozzato dalla corsa. Non si era fermata da quando aveva abbondato Vadim privo di sensi. Si era guardata intorno più e più volte, aveva velocizzato il passo, e solo ora rallentava per dare tregua ai polmoni. Si sedette su un masso per regolarizzare i battiti del cuore.
“Sul serio, Odino? Vuoi farmi morire in un bosco? Mi aspettavo di meglio da te. Mi punisci perché negli anni ho perso fiducia in te e negli dèi? Beh, mi dispiace se nel Valhalla vi sentiti offesi! Sai com’è, non rendi le cose facili su Midgard. Non te la sarai mica presa per quella volta che ho detto a Heahmund che esistono troppe divinità per riconoscere quelle vere? Quel vescovo era piuttosto convincente con le sue litanie e i suoi discorsi sulle donne. Oppure ce l’hai con me perché il mio ultimo sacrificio era dedicato alle Valchirie? Va bene, provvederò a fare meglio la prossima volta! E sto anche parlando da sola, ottimo! Sono del tutto impazzita!”
Sussultò quando udì un rumore alle sue spalle. Non ebbe il tempo di voltarsi che un uomo la spinse giù dal masso. Hildr ruzzolò nella neve e batté la fronte contro un tronco caduto di traverso.
“Morirò così? Deprimente.”
Si rialzò e brandì la spada di Vadim, il metallo era troppo pesante per lei ma si sforzò di farsela bastare come difesa. Cercò di ferire il mercenario ma quello si spostava talmente veloce che era quasi impossibile vederlo chiaramente. D’improvviso Hildr fu scaraventata ancora a terra, la neve nel naso e nella bocca, e l’uomo la colpì alla schiena con l’elsa della spada. La ragazza rotolò sul fianco, afferrò un fermaglio e lo infilzò nel palmo del nemico. La neve si imbrattò di rosso, i lamenti sommessi dell’uomo era simili ad un gorgoglio.
“Abbiamo un problema di comunicazione, eh.” Disse Hildr con voce tremante.
La schiena le doleva nel punto in cui era stata colpita, aveva la vista appannata e il ghiaccio in bocca le faceva battere i denti. Hildr tentò un affondo e l’uomo si ritrovò col braccio squarciato da una ferita. Mentre lei spingeva ancora la spada in avanti, l’uomo l’agguantò per la mano e le strinse il braccio attorno alla gola nel tentativo di strozzarla. Hildr, che aveva imparato quel trucco da Ubbe, pestò il piede del mercenario, si liberò dalla sua presa e gli diede una testata tanto forte da farlo vacillare. Allora gli tirò un calcio al petto che lo costrinse a inginocchiarsi sulla neve.
“Non si tratta così una signora.”
Detto ciò, Hildr gli mollò una ginocchiata e l’uomo ricadde all’indietro. Sgranò gli occhi quando la ragazza affondò la spada nel suo cuore.
 
Hildr inchiodò gli stivali nel terreno poco prima di cadere. La sua corsa si interrompeva sull’orlo di un burrone. Sul fondo scorreva un fiume, c’erano pareti rocciose dappertutto e in lontananza si intravedevano dei tetti. Poteva essere Kiev oppure un’altra città. Non sapeva più come andare avanti. Era in mezzo al nulla, smarrita, con un’orda di mercenari sulle sue tracce. Prima o poi uno di loro l’avrebbe trovata e l’avrebbe uccisa senza alcun pietà. Soffriva all’idea di lasciare Ivar da solo, di non rivedere più Isobel e Aila, di non poter ammirare il sole sorgere su Kattegat. Si inginocchiò sul precipizio, chiuse gli occhi e si portò le mani sul cuore.
“Ti supplico, Odio, dammi un’altra possibilità. Giuro sui miei genitori che farò tutto quello che devo per riconquistare Kattegat in tuo onore. Mostrami la via. Ti supplico.”
Due corvi volarono in cielo e gracchiarono forte attirando l’attenzione di Hildr. Erano maestosi, si libravano nell’aria con eleganza e il suono roco che producevano sembrava una cantilena antica.
“Huginn e Munnin! Siete voi?”
I volatili si posarono su un ramo, gracchiavano allo stesso ritmo e fissavano la ragazza muovendo a scatti la testa nera. Hildr sorrise. Odino aveva ascoltato le sue preghiere. Quando i due corvi si lanciarono in volo, lei capì che le stavano indicando la strada per Kiev. Senza indugiare oltre, si fissò la spada al fianco e di corsa inseguì i due fedeli servitori di Odino.
 
Ivar non ce la faceva più a fingere una calma che non provava. Era pomeriggio, la caccia era terminata per ordine di Oleg e Vadim non era rientrato. Hildr era andata persa. Il solo pensiero di perderla lo mandava in collera, lo rendeva triste come non mai, lo dilaniava nell’animo. Hildr era tutto per lui. Era l’inizio e la fine, era l’amore e il dolore, era la sua Freya. Era la sua Valchiria. Si slacciò la collana di ambra della ragazza, un tempo appartenuta alla madre, e ne sfiorò la pietra.
“Odino, padre di tutti gli dèi, restituiscimi Hildr. Io senza di lei non posso vivere.”
Quel momento raccolto fu bruscamente spezzato da passi concitati che provenivano dal corridoio. L’attimo dopo la porta si spalancò e apparve un Igor sorridente.
“E’ tornata! Hildr è tornata!”
Ivar si trascinava con la stampella più veloce che poteva, la voglia di riabbracciare sua moglie superava il dolore delle ossa. Sulla soglia si bloccò come se avesse ricevuto un pugno allo stomaco. Hildr era là, insieme a Kyra e ad una serva, e stava sorridendo. I loro occhi si incontrarono finalmente e il mondo, per qualche strana ragione, tornò a girare nel verso giusto. Hildr fece un ultimo sforzo per correre da lui. Ivar l’accolse fra le braccia e la strinse fino quasi a fondere i loro corpi.
“Sei tornata.”
“Tornerò sempre.”
“Vadim!” strillò Kyra, emozionata.
Hildr indurì la mascella e si staccò da Ivar, che non capiva la reazione della ragazza.
“Hildr. – disse Vadim – Sono lieto che tu abbia fatto ritorno.”
“Non grazie a te.”
“Noi ci ritiriamo in camera. Hildr ha bisogno di riposare.” Disse Ivar propinando l’ennesimo sorriso falso.
 
Hildr sospirò di sollievo quando entrò nella vasca di acqua bollente. Il suo corpo si lasciò andare a quella sensazione di benessere senza opporsi. Era troppo stanca per continuare ad essere vigile. Ivar si sedette accanto alla vasca e immerse la mano smuovendo la superficie dell’acqua. Dopo essersi chiusi in stanza, aveva curato i graffi e le ferite di Hildr, l’aveva spogliata e le aveva preparato un bagno per sciogliere la tensione accumulatasi nei muscoli.
“Sapevi che Oleg voleva ucciderti. Sei stata un’incosciente, Hildr.”
“Non potevo rifiutare di giocare. Oleg lo avrebbe interpretato come un segno di debolezza, e lui deve sapere che noi siamo alleati forti.”
Hildr se ne stava ad occhi chiusi e Ivar ne approfittò per imprimere nella mente ogni dettaglio del suo viso, gli zigomi pieni, le labbra carnose e sempre screpolate, le lunghe ciglia nere, la curva perfetta del collo. Tutta quella bellezza lo faceva stare male perché, se fosse andata perduta, anche lui sarebbe andato alla deriva.
“Hai rischiato di morire. Questo non è sufficiente?”
Hildr lo fulminò con lo sguardo. Poi, notando la ruga di cipiglio che gli segnava la fronte, si addolcì.
“Sono viva, Ivar. Conta solo questo.”
“Sei proprio un’eccezione.”
Ivar si protese e la baciò con tutto l’affetto di cui disponeva. Hildr ricambiò il bacio con altrettanto trasporto.
“Lo sai che l’acqua è calda e che io mi sento sola qui dentro? Vieni a farmi compagnia.”
“Hildr!” la rimproverò lui, sebbene ghignasse.
“Non accetto obiezioni. Ho rischiato di morire! Abbi pietà di una povera ragazza che ha corso per tutto il giorno.”
Ivar si spogliò a rilento e adagio si immerse nella vasca, posizionandosi alle spalle di Hildr. Sulla scapola della ragazza vi era un livido bluastro che si stava allargando.
“Secondo te Vadim voleva ucciderti?”
Hildr si rilassò contro il petto di Ivar, che le districava i capelli con le dita per farla rilassare.
“Non lo so, però era strano che conoscesse il tragitto che Oleg ha affidato a me. Comunque me ne sono sbarazzata nell’imbarazzo della scelta.”
Ivar le baciò la spalla e sorrise perché almeno il senso dell’umorismo restava alto.
“Allora direi che è arrivato il momento di una contromossa.”
La ragazza lo guardò di traverso con fare interrogativo, non capiva quelle parole.
“Di quale contromossa parli?”
“Ho un’idea. Oleg sarà pure in vantaggio rispetto a noi, ma io sono piuttosto abile ad anticipare le sue azioni. Stanotte, quando tutti dormiranno, libererò Dir.”
“Ma Oleg intuirà che siamo stati noi. Già nutre forti dubbi sul nostro conto e la fugga di Dir alimenterebbe le sue congetture.”
Ivar esercitò una lieve pressione sulle spalle di Hildr per ammorbidire la durezza dei muscoli.
“Lo so, ma abbiamo bisogno di un alleato in più nel caso in cui Oleg voglia maggiore potere su Kattegat. Non vuole solo aiutarci a riconquistare il nostro regno, io temo che lui voglia appropriarsene ed eliminarci.”
Hildr si sottrasse al tocco di Ivar e si mosse per guardarlo in faccia facendo strabordare l’acqua oltre la vasca.
“L’ho pensato anche io. La tua idea non è pessima ma dobbiamo stare molto attenti.”
Ivar squadrò il viso della ragazza, piccole gocce scorrevano lungo le guance come lacrime e rendevano i suoi occhi scuri più luminosi. Un piccolo taglio era inciso sul mento, eppure anche quel dettaglio contribuiva alla sua bellezza. Si attorcigliò una ciocca nera e umida all’indice senza staccare gli occhi da lei.
“Dicono che Freya sia bellissima, la creatura perfetta, la pura meraviglia creata da Odino. Si sbagliano, sai. Perché la sola e unica creatura perfetta è qui davanti a me.”
“Stai peccando di tracotanza, Ivar. Nessuno può superare Freya in bellezza.”
Ivar le disegnò il contorno della labbra col pollice e Hildr ne baciò il polpastrello.
“Non è tracotanza, è verità. Freya è di certo bella, però tu sei lo splendore in persona.”
“Sei un vero impertinente.” Lo canzonò Hildr ridendo.
“Ma tu mi ami anche per questo, sì?”
“Nah, non direi proprio.”
Ivar non riuscì a simulare un broncio, quindi si mise a ridere e poggiò la testa sul bordo della vasca. Hildr ebbe l’opportunità di vedere per bene i nuovi tatuaggi che decoravano l’ampio petto del ragazzo, segni neri con cui si era marchiato durante il loro viaggio. Sfiorò con la punta delle dita i due nodi che lei stessa esibiva sul polso.
“Ti ricordi quando ci siamo tatuati questi nodi? Mi dicesti una cosa davvero bella.”
“Ricordo bene. Ti dissi che il nostro legame era come il nodo di un marinaio, forte e indissolubile, che niente e nessuno avrebbe potuto annientarlo. Lo credo ancora.”
“Anche io. – disse Hildr – E spero che saremo legati per il resto delle nostre vite.”
Ivar le sollevò il mento perché si guardassero dritti negli occhi senza esitazione alcuna.
“Io ti amo più di quanto abbia mai amato e mai amerò in vita mia.”
“E io amo te, Ivar. Ti amo a tal punto da sacrificare il mio stesso cuore e la mia stessa anima per te.”
Le loro bocche si incontrarono in un bacio vorace, uno di quelli da far girare la testa. L’acqua cadeva sul pavimento mentre loro si stringevano più forte. Hildr si mise a cavalcioni sul bacino di Ivar, che affondava le mani nei capelli di lei per avvicinarla. Il fuoco scoppiettava unendosi ai loro gemiti, l’atmosfera si scaldava di secondo in secondo.
“Hildr …  non …”
“Sta zitto.” Tagliò corto lei.
Ivar prese a baciarle il collo, dedicandosi alle clavicole per arrivare a baciarle il petto. La pelle di lei era bagnata e lievemente arrossata dal bollore dell’acqua, odorava di rose. Hildr gli tirò i capelli per lasciargli un bacio sulla gola, Ivar ansimò e in risposta l’attirò ancora di più a sé.  Quando le mani scesero placidamente sull’addome – tutto muscoli tonici – Ivar sorrise contro la sua bocca. Inspirò in modo brusco quando la ragazza gli accarezzò le gambe.
“A-aspetta … Hildr … n-non …”
“Affidati a me, Ivar.” Lo rassicurò lei con dolcezza.
“Va bene.”
Ivar detestava perdere il controllo, soprattutto quando il suo corpo reagiva ad ogni singolo tocco di Hildr, però la fiducia in lei superava la vergogna. Certo, le sue gambe erano uno spettacolo obbrobrioso, rachitiche e prive di ossa solide, eppure lei riusciva a vederne comunque la bellezza. Le mani di Hildr risalirono sui fianchi di Ivar mentre riprendevano a baciarsi con passione. Si scostarono quando qualcuno bussò alla porta. Era Igor.
“Hildr, sappi che Oleg ti vuole parlare in privato nella sala del trono. Sbrigati.”
“Sì, arrivo!”
Hildr uscì dalla vasca coprendosi con un telo, i capelli lasciavano una scia d’acqua sul pavimento. Ivar ammirava le sue armoniose forme che il fuoco lasciava intravede attraverso il tessuto del telo.
“Ci interrompono ogni volta sul più bello.”
La ragazza fece un sorriso divertito mentre raccattava abiti puliti da indossare. Si vestì in fretta e si asciugò i capelli meglio che poté accanto al fuoco frattanto che allacciava gli stivali.
“Oleg vorrà scusarsi per quello che è successo oggi.”
“Vero. – confermò Ivar – Ed è la scusa perfetta per mettere in atto il nostro piano. Tu distrai Oleg, io e Igor liberiamo Dir. Va bene?”
Hildr aiutò Ivar a venire fuori dalla vasca e a coprirsi con un panno sui fianchi, dopodiché gli rese le stampelle perché si sedesse sul letto.
“Va bene. Farò del mio meglio. Tu e il ragazzino cercate di non farvi mozzare la testa.”
“E tu fa attenzione a Oleg, sa un essere un boia crudele con le parole.”
“Lo farò.”
Ivar afferrò Hildr per la cintura, l’abbracciò e posò il mento sulla sua pancia per guardarla.
“Torna da me, Hildr.”
“Tornerò.”
 
Quando Hildr fu scortata da una guardia nella sala del tono, Oleg stava brindando con un uomo anziano. Era uno dei nobili che avevano partecipato alla Venatio. I due si salutarono con una stretta di mano e un sorriso di intesa, poi l’uomo lasciò la stanza senza degnare Hildr di uno sguardo.
“Hildr, vieni. Accomodati pure.” Esordì Oleg con un sorriso accorto.
“Accomodarmi? Deduco che le tue scuse siano eterne se devo addirittura accomodarmi.”
“Pungente. – commentò lui – Mi piace questa tua caratteristica. Mi dispiace per quello che è successo stamani. Ti è stato assegnato il percorso sbagliato, i servi sono sempre molto sbadati. Mi addolora anche sapere che sei stata aggredita per ben due volte. Meno male che sei una shieldmaiden addestrata a dovere.”
Hildr non credeva a quelle lusinghe, temeva che le sue orecchie avrebbero iniziato a sanguinare a causa di quelle menzogne.
“Sono viva, per fortuna o per sfortuna. Perché sono qui? Ivar e Igor mi aspettano per giocare a scacchi.”
“Igor si è affezionato a voi, sono contento. Un futuro re ha bisogno degli amici giusti.”
Oleg si versò del vino e lo tracannò in poche sorsate, la sua sete era avida come la sua brama di potere.
“E un principe come te di quali amici ha bisogno?”
“Dipende. Tu e Ivar per me che amici potete essere?”
Hildr si morse le labbra per non sorridere. Ora intravedeva una piccola crepa nella maschera di Oleg, un’ombra che oscurava la sicurezza del principe.
“Hai paura che l’alleanza con Ivar sia finita a causa di quanto accaduto oggi? Non è così facile spezzare un’alleanza.”
“E’ facile quando viene minacciata una donna speciale come te. Tu per Ivar non sei solo una compagna o un comandante, tu per lui hai un valore inestimabile. Per Ivar il giorno e la notte si alternano solo se ci sei tu. Tutto il suo mondo ruota intorno a te.”
“Ciò non vuol dire che rischierebbe Kattegat per me.” replicò Hildr.
Oleg si rilassò sul trono, sembrava più vecchio della sua età.
“Quindi siamo ancora tutti amici?”
“Sì. Malgrado di eventi, siamo ancora alleati. La riconquista di Kattegat non si discute.”
“Bene, era quello che volevo sentire.”
“Oleg!”
Vadim fece irruzione nella sala con il volto contratto dalla preoccupazione. I suoi occhi verdi luccicarono quando caddero su Hildr.
“Hildr, stai bene. Mi fa piac-…”
“Che succede, Vadim?” domandò Oleg.
“Ehm … sì, sì. Devi venire con me per una questione urgente.”
Oleg comunicò ad una guardia di accompagnare Hildr nel proprio alloggio, in seguito lui e Vadim si fiondarono in cortile. Hildr poté finalmente sorridere trionfante: Ivar e Igor ce l’avevano fatta.
 
Salve a tutti! ^_^
Ho messo un po’ di carne sul fuoco con questo capitolo.
La Venatio era davvero una pratica di caccia romana, mi sono informata.
Fatemi sapere cosa ne pensate.
Alla prossima, un bacio.

 

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Capitolo 6
*** Cuore spezzato ***


6. CUORE SPEZZATO

# Hildr non capiva perché Ragnar muovesse la testa in quel modo bizzarro, col collo che faceva avanti e indietro come un uccello. Dalla foresta erano visibili le guglie di una chiesa cristiana, ciò significava che il castello di Alfred era vicino. Ivar stava ancora riposando dopo una notte trascorsa a lamentarsi per il dolore alle gambe, mentre Hildr e Ragnar erano andati in cerca di qualche preda da catturare e mangiare per rimettersi in forze prima di proseguire.
“Hildr, mi ricordo che tua madre aveva la grande abilità di nascondere i propri sentimenti, paure e desideri, ed era per questo che era una guaritrice eccellente.” Disse Ragnar.
Hildr rimane stupita da quel riferimento a sua madre, non sembrava che Ragnar fosse il tipo che si abbandona ai racconti del passato.
“Ci vuole sangue freddo per soccorrere qualcuno in fin di vita. Mia madre era davvero in gamba.”
“Tu, invece, non sei molto brava a nascondere i tuoi sentimenti.”
“Di quali sentimenti parli?”
Ragnar si voltò con un sorriso beffardo incorniciato dalla folta barba. Aveva le stesse microespressioni di Ivar, esagerate e spesso fastidiose.
“Dei sentimenti che provi per Ivar. Ce l’hai scritto in faccia che provi qualcosa per lui.”
“Va bene che a Kattegat tutti ti considerino una leggenda, ma ti posso assicurare che non sei un granché come lettore! Io non provo sentimenti romantici per Ivar. Lui è solo il mio migliore amico.”
Hildr era arrossita, non sapeva se per rabbia o imbarazzo, e si mise a raccogliere i rami pur di impedire a Ragnar di leggerle ancora il viso.
“Sai, nella mia vita ho amato molto sia Lagertha sia Aslaug, ma non ho mai provato quello che tu provi per Ivar. Lo guardi come se Midgard dipendesse dal suo respiro.”
“Lo guardo come tu non lo hai mai guardato. Anziché pensare ai miei sentimenti, pensa alla sofferenza che hai procurato a tuo figlio lasciandolo da solo. Sarai anche un grande re, Ragnar, ma sei un pessimo padre.”
Ragnar sorrise di sbieco come faceva di solito quando riceveva una critica, eppure sapeva che la ragazza aveva ragione e questo gli faceva male.
“Hildr, tu devi farmi una promessa.”
“Quale promessa?”
Hildr sbarrò gli occhi quando Ragnar le mise le mani sulle spalle, era un gesto piuttosto affettuoso.
“Qualunque cosa accada e qualunque decisione Ivar prenda, tu devi promettermi che resterai al suo fianco. Sei l’unica persona al mondo che può riportarlo sulla retta via qualora dovesse smarrirsi. Ti sto affidando la vita di mio figlio perché ho piena fiducia in te.”
Hildr ripensò ad Ivar, al bambino solitario, al ragazzino ferito, e all’uomo astuto che stava diventando, e annuì.
“Te lo prometto.” #
 
Due settimane dopo
“No! Ivar! Mollami! Ivar!”
La risata di Hildr riecheggiava in tutta la stanza mentre Ivar le faceva il solletico. Per quante battaglie sanguinolente avessero vissuto, era bello perdersi in momenti infantili come quelli.
“No che non ti mollo! Sono un re spietato e ti torturo quanto voglio!”
Avevano entrambi i crampi allo stomaco per le risate, ma non volevano smettere di divertirsi. Le ultime due settimane erano state tese a palazzo, con Oleg che aveva sparpagliato i suoi uomini sulle tracce di Dir, Kyra che per qualche motivo era stata confinata nella sua camera, e Vadim che evitava ogni contatto con i due vichinghi. Oleg aveva interrogato Ivar sulla scomparsa di Dir, il giovane re era stato furbo nella sua difesa e il russo aveva dovuto lasciarlo andare senza accusarlo. Inoltre, un paio di giorni prima il principe aveva annunciato le sue nozze con una delle donne – a sua detta – più belle di tutto il regno. Solo Igor girovagava per il palazzo felice e allegro come era giusto per un ragazzino della sua età.
“Ti odio, Ivar!”
Hildr riuscì a sfilarsi dalle grinfie del ragazzo, che continuava a ridere a crepapelle. Anche lei rideva, proprio non riusciva a smettere. Si sedette sul bordo del letto e si riavviò i capelli all’indietro, cercando di tornare a respirare.
“Torna qui. Non lasciarmi tutto solo.”
Quando furono di nuovo vicini, Hildr si posizionò fra le gambe di Ivar e si appoggiò con la schiena contro il suo petto. Prese a giocare con l’anello all’anulare.
“Non vedo l’ora di tornare a casa. Sono stufa di questo posto.”
“La primavera ci sta venendo incontro, presto torneremo a Kattegat. Presto sarai la mia regina a tutti gli effetti.”
Hildr arricciò il naso a quel titolo, lei che non voleva assumere una tale posizione di rilievo per non essere eccessivamente amata o odiata dal popolo.
“Che ne dici se resto la tua fidata consigliera? Non sono adatta per essere una regina.”
“Ogni re che si rispetti ha la sua regina. Non fare la bambina, Hildr.”
Ivar le pizzicò i fianchi facendola trasalire, gli piaceva irritarla con quei piccoli gesti.
“Dovrò vestirmi da regina? Insomma, non sopporto i corpetti, non so camminare con le gonne perché inciampo, gli orecchini mi danno fast-…”
“No. Non devi indossare i panni di una regina per essere tale. Non mi importa come ti acconci, l’importante è averti al mio fianco sul trono.”
“Mmh, va bene. Però ogni tanto andiamo a rifugiarci nella casa dei miei genitori che hai ricostruito per scaricare i problemi.”
“D’accordo. – acconsentì Ivar – Non molti sono i re che hanno la fortuna di amare per davvero la propria regina.”
“Ma io sono una regina molto speciale!” scimmiottò Hildr con voce stridula.
“Davvero? Dimostramelo.”
Hildr captò la malizia nel tono del ragazzo, perciò si sedette sul suo bacino e lo trasportò in un bacio travolgente. Ivar sollevò la veste da notte per accarezzarle le cosce, affondando le dita nella carne morbida. La ragazza ansimò nella sua bocca e lui l’accolse con un altro bacio. Ivar capovolse le posizioni in maniera da sovrastare Hildr e le lasciò una scia di baci umidi sul collo, sulle spalle, fino al solco tra i seni. Lei lo afferrò per la collana per poterlo baciare sulla bocca.
“E’ una valida dimostrazione?”
“Non basta.” Mormorò Ivar sulle sue labbra, sorrideva.
Ivar le abbassò le spalline della veste per baciare altra pelle calda. Hildr si godeva quelle attenzioni appieno, consapevole che prima o poi quella pace sarebbe stata spazzata via da una qualsiasi incombenza. La bocca di Ivar iniziò una lenta e piacevole discesa in mezzo ai seni, sulla pancia, fino ai fianchi. Si curvò a baciarle la parte interna di una coscia e poi dell’altra, con calma e con un sorriso compiaciuto premuto sulla carne. Hildr strinse le lenzuola in un pugno per quelle sensazioni che le davano brividi di piacere.
“Ivar! Ivar!” strillava Igor da dietro la porta.
Ivar sbuffò e scosse la testa, era l’ennesima volta che non riusciva a condividere un briciolo di intimità con Hildr.
“Che vuoi?”
“Oleg mi fa pattinare. Tu e Hildr venite a vedermi?”
“Un giorno ammazzerò questo ragazzino.” Sussurrò Ivar.
Hildr gli diede un pugno gioco sul petto e si aggiustò la veste, scese dal letto per aprire la porta. Igor indossava abiti pesanti adatti ad una giornata all’aperto.
“Io e Ivar veniamo a vederti volentieri. Ci vediamo fra poco.”
“Perfetto!”
Igor scappò via con un sorriso talmente felice da far sorridere anche Hildr. Ivar, dal canto suo, si era spaparanzato di nuovo fra le lenzuola.
“Non fare così, Ivar. Hai visto com’è felice? Sarebbe meschino farlo intristire.”
“Anche io ero felice qualche secondo fa!”
Hildr rise per il broncio del ragazzo e gli fece la linguaccia per aumentare la sua irritazione.
“Sta zitto e muoviti!”
 
Hildr stava sorseggiando una bevanda calda – ‘tè’ lo aveva chiamato la serva – e doveva ammettere che il gusto era gradevole. Si trovavano fuori dal palazzo, in un’area che Oleg aveva riservato per il pattinaggio. La folla si accalcava per vedere Igor volteggiare sul ghiaccio con estrema grazia.
“Ti ricordi quella volta che abbiamo sciolto la neve nel vino e lo abbiamo bevuto?” chiese lei.
“E alla fine il sapore era lo stesso ma congelato.” Disse Ivar ridendo.
Hildr notò un uomo che pian piano si era avvicinato a loro. Prima lo aveva visto seduto sugli spalti e ora lo vedeva a poca distanza.
“Ivar, c’è un uomo che ci sta tenendo d’occhio.”
Ivar non ebbe il tempo di verificare che l’uomo gli si mise al fianco.
“Dir ti manda i suoi saluti e ti ringrazia. E ti dona questo come segno della vostra alleanza.”
L’uomo fece scivolare un piccolo crocifisso nel palmo della mano del vichingo, che annuì senza fiatare. Il messaggero di Dir si allontanò e sparì tra la massa, sembrava quasi che non fosse mai giunto lì.
“E’ fatta. – disse Ivar – Presto ci libereremo anche di Oleg.”
“Ottimo. Davvero ottimo.” Commentò Hildr, soddisfatta.
Igor atterrò di fronte a loro e allargò le braccia per ricevere gli applausi dei presenti.
“Come sono andato?”
“Sei bravissimo. Complimenti, principino!” disse Ivar.
Hildr si era accorta che Ivar e Igor avevano legato molto, questo la rendeva felice perché sapeva che uno trovava conforto nell’altro. In fondo, erano due bambini cresciuti troppo in fretta e destinati a reggere il tremendo peso della corona.
“Perché voi due non avete figli?” domandò Igor a bruciapelo.
“Perché non ne vogliamo. Semplice.” Rispose Hildr.
Ivar si era fatto scuro in volto, detestava affrontare l’argomento relativo alla paternità. Confessare agli altri di non avere figli perché non era in grado era una ferita ancora aperta.
“Capisco. – disse Igor – Sareste dei genitori fantastici.”
Ivar e Hildr si scambiarono un’occhiata complice, entrambi conoscevano le ragioni che avevano portato a quella decisione: lei che non voleva essere madre e lui che non poteva procreare. La ragazza abbozzò un sorriso per non far sentire il ragazzino in colpa per la sua curiosità.
“Grazie, Igor. Forse più in là prenderemo un cane.”
“Bell’idea. Siete pronti per il matrimonio? Oleg ha organizzato una grande festa.”
“Io sono pronta se c’è cibo a volontà.” Rispose Hildr.
Ivar sorrise, perlomeno la fame della ragazza era una costante che non cambiava mai direzione.
“Igor, tu conosci questa principessa Katya?”
“Non l’ho mai vista, ma Askold ne parlava spesso. Dicono che sia bellissima ma anche letale, che con uno sguardo riesca ad incantare gli uomini.”
“Cos’è, una strega?!” lo schernì Hildr.
“Sì. – disse Igor – Alla corte di Askold circolava questa voce. Devi fare molta attenzione a lei, Ivar.”
“Non c’è problema. Eccetto Hildr, non c’è donna che possa incantarmi.”
 
Hildr alla fine si era acconciata meglio che poteva con un abito giallo ocra di seconda mano che una serva aveva recuperato dall’armadio di chissà chi e Ivar le aveva intrecciato i capelli in modo da formare una coroncina elegante intorno alla testa. Ora si stavano dirigendo nella cappella adiacente al palazzo in coda agli invitati. Molti di loro guardavano i due vichinghi di sottecchi, erano curiosi e spaventati. Igor fece loro segno di prendere posto accanto a lui. Hildr vide Kyra e Vadim in prima fila, entrambi sofisticati nei loro abiti pregiati, e con loro c’era anche Inna, vecchia e con l’espressione annoiata come al solito.
Nell’arco di dieci minuti la chiesetta si riempì e il prete ebbe l’assenso da Oleg di iniziare. Il principe e la sua sposa davano le spalle ai presenti, quindi non si scorgeva il volto della ragazza, ma aveva tutto intorno un’aurea di bellezza.
“Siamo qui riuniti per celebrare le nozze tra il principe Oleg e la principessa Katya, entrambi figli del Signore. L’amore va costruito su di Lui che è una roccia, la nostra roccia. Solo se siamo radicati nel Verbo non crolliamo. L’amore è impegnativo. Esso costruisce, crea, ma talvolta distrugge, separa, divide per sempre. Eppure il prezzo dell’amore richiede perdono, sopportazione, confronto e sacrificio. Come Dio diede la Sua vita per i suoi figli, noi dobbiamo donare la nostra vita a chi amiamo.”
Ivar fece scivolare la propria mano in quella di Hildr e la strinse forte, al che lei sorrise e ricambiò la stretta. Sebbene a parlare fosse un cristiano, quelle parole avevano una certa valenza anche per loro. La messa andò avanti per una mezz’oretta prima che il prete pronunciasse la formula finale.
“Per il diritto concessomi dal Divino, vi dichiaro marito e moglie.”
Oleg e sua moglie si diedero un bacio casto mentre gli invitati battevano le mani. Ivar smise di respirare quando la sposa si voltò per sorridere ai presenti.
“Freydis.” Sussurrò.
“Ivar, andiamo. Sto morendo di fame!” disse Hildr trascinandolo fuori dalla cappella.
 
Ivar non riusciva neanche a pensare, il suo cervello aveva subito un completo oscuramento. Tutto ciò su cui riusciva a concentrarsi era su Freydis, o meglio su Katya. La principessa somigliava tremendamente a Freydis, fatta eccezione per il colore scuro di capelli. Mentre tutti festeggiavano tra pietanze e musica, lui se ne stava sulla sedia a fissare la sposa di Oleg. Hildr e Igor, dopo una cena fin troppo abbondante, si erano cimentati in passi di danza che sottolineavano la loro comica incapacità.
“Ivar, amico mio! Ti stai divertendo?”
Oleg era comparso dal nulla con un boccale ricolmo di vino. Ivar annuì distrattamente, gli occhi ancora focalizzati su Katya.
“Bella festa.”
“Beh, i festeggiamenti sono finiti. Vieni con me, io e Vadim siamo pronti per esporti il nostro piano per invadere Kattegat.”
Hildr fece una giravolta e per un pelo non cadde addosso ad un servo che reggeva un vassoio di birra. La ragazza e Igor scoppiarono a ridere e tornarono a sedersi dopo quella danza sfrenata. Ivar si era allontanato con Oleg e Vadim, perciò Hildr trafugò dal piatto del marito un pezzo intatto di carne.
“Hildr.”
Kyra sembrava una statua immobile com’era, il viso bianco come una porcellana in un contrasto netto con i capelli rossi. La vichinga si pulì la bocca con la manica del vestito, incurante delle macchie di grasso, e gettò la carne nel piatto.
“Sì?”
“Andiamo sul balcone, ti devo parlare.”
Le due donne si ripararono dietro una colonna affinché occhi e orecchie indiscrete non assistessero alla loro conversazione.
“Vadim non voleva ucciderti.” Esordì subito Kyra.
Faceva freddo allo scoperto, Hildr si strinse nelle spalle e si appoggiò al muro di pietra.
“E’ tuo marito, mi sembra naturale che tu lo difenda.”
La rossa non fece una piega, quella sera appariva severa e determinata. Dal suo atteggiamento era svanita ogni traccia di infantile disgusto per tutto e quella cattiveria sarcastica, era salda e imperturbabile.
“Hai molti difetti, Hildr, ma il peggiore è che tu distingui solo tra il bianco e il nero. Devi sapere, però, che esiste anche una zona grigia dove si confina tutto ciò che non è né troppo male né troppo bene. E’ nel grigiore che sta Vadim.”
“Io distinguo tra chi vuole uccidermi e chi non vuole uccidermi. Vadim, beh, lui aveva proprio l’aria di uno che voleva ammazzarmi.”
“Sbagli. – obiettò Kyra – Lui era lì per salvarti. Ti chiedi come facesse a conoscere quel sentiero, giusto? Sono qui per darti una risposta.”
“Avanti, parla, io ti ascolto.”
Hildr ostentava una falsa sicurezza per non far crollare la sua facciata da ragazza dura, anche se in fondo aveva il timore che Kyra stesse per confessarle qualcosa che l’avrebbe sconvolta.
“La prima moglie di Oleg si chiamava Nika, bellissima e dolce, era la donna più desiderata di Kiev. Dopo il matrimonio diventò la donna più triste di Kiev, passava intere giornate a letto o in biblioteca, reclusa dal resto della corte. Qui entra in scena Boris, il fratello di Vadim. Una notte Oleg scoprì che Nika lo tradiva con Boris, lei disse che era vero amore e che voleva fuggire con lui. Oleg non poteva perdonare un tale tradimento, quindi uccise Nika. Boris, invece, fu costretto alla tortura e fu inseguito dai cani di Oleg attraverso il sentiero che tu stessa hai percorso. Vadim impiegò tre giorni per rinvenire il cadavere sbranato del fratello. Lui ha camminato quel sentiero, lo conosce meglio delle sue tasche e non sopportava l’idea che tu soffrissi come Boris.”
Kyra aveva gli occhi lucidi, le tremavano le mani e si sforzava di non far fremere anche la voce. Hildr deglutì come se potesse ingoiare quel racconto e seppellirlo nelle profondità della sua anima per dimenticarlo. Amore e morte, il binomio più antico e imperituro nella storia dell’umanità.
“Mi dispiace. Sono stata una stupida. Più tardi mi scuserò con Vadim. In questi ultimi giorni sei stata chiusa in camera a pensare come parlarmi di questa storia?”
Kyra si sporse oltre il parapetto per guardare la neve che danzava sui tetti della città.
“Sono incinta, Hildr.”
“Ah … ehm … congratulazioni!” berciò Hildr nell’imbarazzo.
“Grazie.”
“Non sei felice? Un bambino è una bella aggiunta alla famiglia.”
Kyra inarcò il sopracciglio e riservò un’occhiata glaciale alla vichinga.
“Sarei felice se potessi crescere questo bambino con l’amore della mia vita.”
Hildr allora realizzò che quella storia non era terminata, bensì vi era una parte occultata che forse non era mai stata narrata.
“Tu eri innamorata di Boris?”
“Io ero innamorata di Nika. Era la persona migliore che io avessi mai conosciuto, colta, gentile, spiritosa, romantica. Peccato che non fosse mia.”
Kyra adesso aveva perso anche la risolutezza, sembrava affaticata e malinconica, i capelli rossi che volteggiavano intorno a lei come linee di sangue fluttuante.
“Fa male vedere la persona che ami amare qualcun altro. Io lo so, comprendo la tua sofferenza.”
“Ivar è stato un vero idiota per non essersi accorto prima di quanto tu fossi speciale.”
Hildr si portò le mani sul petto in un atto di fasulla sorpresa.
“Mi hai appena fatto un complimento? Incredibile!”
Kyra sorrise per un istante prima di tornare seria, ogni ilarità smorzata dai suoi pensieri cupi.
“Tu mi ricordi Nika, entrambe testarde e buone di cuore.”
“Io sono soltanto Hildr.”
Poco dopo Kyra rimase da sola sul balcone a piangere per quell’amore mai avuto e perduto.
 
Ivar tornò al banchetto due ore dopo al seguito di Vadim e Oleg. I due cugini si riunirono con gli altri nobili per brindare mentre lui si sedeva per riposare le gambe. Hildr stava parlando con Kyra sul balcone, Igor giocava con un altro ragazzino, pertanto aveva l’occasione di godersi un momento per sé.
“Ivar Senz’Ossa, che titolo pretenzioso.” Squittì una voce femminile.
Katya sorrideva e sorseggiava dal un boccale d’oro ricoperto di gemme.
“Sempre meglio essere senza ossa che senza coraggio.”
“Osservazione intelligente. Come mai qui tutto solo?”
Ivar fece spazio alla principessa perché si accomodasse al suo fianco.
“Mi godo un po’ di vino in solitudine.”
“Non sei solo. Ci sono io. Allora, qual è il progetto per la riconquista del tuo regno?”
Katya d’improvviso cambiò espressione quando Hildr si avvicinò a loro.
“Sì, Ivar, qual è il progetto?” ripeté la vichinga in tono piccato.
Ivar voleva sprofondare, trovarsi in mezzo a sua moglie e alla donna che somigliava alla sua ex moglie era peggio di una freccia piantata nel cranio.
“Tra qualche settimana Oleg invierà piccole squadre in ricognizione sulle coste di Kattegat. Risaliranno dall’antro più nascosto del fiume. Io e Hildr andremo con loro.”
“Un po’ d’azione! Mi stavo annoiando a non massacrare nessuno.” Disse Hildr sorridendo.
La sua frase, in verità, era una lancia contro Katya, che non sorrideva più come una civettuola da qualche minuto.
“Sì. – concordò Ivar – Inoltre, Oleg mi ha mostrato dei documenti falsi secondo cui i Rus’ hanno il legittimo diritto di rivendicare le nostre terre in quanto la dinasta Rurik nei secoli passati abitava la Scandinavia.”
Hildr assaggiò il vino e lo sputacchiò nel bicchiere perché aveva un sapore troppo acido. Ivar sospirò per le maniere poco educate della ragazza, mentre Katya abbozzò un ghigno.
“Tu fai tutto quello che ti passa per la testa, Hildr?”
“Non sempre, altrimenti a quest’ora metà della tua corte sarebbe stramazzata in un lago di sangue.”
“Hildr, per favore!” La rimproverò Ivar.
Hildr fece spallucce e, imperterrita come suo solito, continuò a stuzzicare la principessa.
“Mi dispiacerebbe solo sporcare quel bel vestito da sposa di rosso, il sangue è difficile da lavare via.”
“Tu parli di bei vestiti? Non hai neanche idea di cosa sia un vestito dato che per metà sei un uomo.” replicò Katya con cattiveria.
“Hildr, smettila.” La invitò Ivar, la voce nervosa.
Al contrario, Hildr rincarò la dose esibendo un sorriso maligno.
“Principessa, augurati che il prossimo vestito che indosserai non sarà quello del tuo funerale.”
“Ivar, hai un pessimo gusto nella scelta delle donne.” Disse Katya.
“Oh, su questo sono d’accordo!” ribatté Hildr con strafottenza.
Quello screzio fu placato dall’arrivo di Igor che affondava l’indice in una deliziosa torta di frutta.
“Dovreste mangiare questa torta, è davvero squis- … è successo qualcosa?”
“No, no. – disse Katya – Io e i nostri ospiti stavano solo facendo una chiacchierata. Ora è meglio torni da mio marito.”
“Buon divertimento!” le augurò Hildr salutandola con la mano.
 
Ivar entrò in stanza con un diavolo per capello. Sbatteva talmente forte la stampella sul pavimento che a momenti sarebbe venuto giù l’intero palazzo. Hildr, dal canto suo, non capiva la ragione di quel comportamento tanto furente.
“Che ti prende, Ivar? Hai la faccia di uno che vuole dare fuoco al mondo.”
“Sta zitta! Per stasera hai già combinato abbastanza danni.”
“Come, scusa? Hai appena provato a zittirmi? Non osare farlo mai più!”
“Oppure mi lasci a morire in un lago di sangue?!”
Ora anche Hildr era in collera, la rabbia le faceva vibrare le vene nel corpo.
“Quale diamine è il tuo problema? Ti dispiace che io abbia offeso la principessina?”
“Mi dispiace che a volte tu sia così stupida!”
Ivar si accasciò contro il muro, sfinito dalle sue stesse urla e da quelle della ragazza.
“Hai ragione. Sono davvero una stupida a credere che tu non sia influenzato da Katya! Lei ti piace, vero? Ti attrae? E’ questo il problema?”
“Non essere ridicola, Hildr.”
Hildr capì al volo che Ivar stava mentendo perché lui evitava il contatto visivo, proprio come quando da bambino diceva una bugia ad Aslaug. Si lasciò cadere sul letto, annientata da un peso insormontabile sul cuore.
“Ho capito, sai. Lei ti ricorda Freydis. Sono entrambe molto belle, hanno una particolare dolcezza nello sguardo, quella purezza che attrae tutti. Io non sono così, io … io sono soltanto Hildr.”
“Anche tu sei molto bella, Hildr.”
“Ma non come Katya. Lei è una principessa, è stata cresciuta per essere la futura regnante, ha una corte intera al suo cospetto. Io sono una donna semplice, di umili origini, fuggo tutto ciò che ha a che fare con il potere.”
Ivar si sentì svuotato di ogni emozione. Era come un mare senza acqua, come un cielo senza sole né luna, come una terra priva di vita.
“L’ho uccisa. – bisbigliò – Io ho ucciso Freydis prima di portare te e Isobel via da Kattegat. E Katya … lei … beh … lei è identica a Freydis … e io …”
Hildr si alzò e barcollò, quella confessione era come precipitare nel vuoto, o forse peggio.
“Hai uccido Freydis? E me lo dici solo ora! Tu … tu mi hai mentito per tutto questo tempo! Ivar, maledizione! Io mi fidavo di te!”
“Hildr, ascoltami, ti prego …”
“No! – strillò lei – Io ho smesso di ascoltarti un attimo fa. Mi hai deluso.”
“Ti supplico …”
Hildr non si fece intenerire dalle lacrime di Ivar, erano solo l’ennesima menzogna che le propinava per farla restare.
“Complimenti, Ivar Senz’Ossa, mi hai spezzato il cuore.”
 
Johannes illuminava i propri passi mentre in silenzio percorreva il passaggio che collegava l’alloggio alla biblioteca. Udiva un pianto sommesso provenire dalla sezione dedicata ai testi dei filosofi greci, era una cantilena singhiozzante che installava in lui un senso di angoscia.
“Chi è là? Fatti vedere!” gridò il vecchio, sollevando la torcia per scorgere la figura.
Era Hildr, la vichinga. Rannicchiata contro il leggio, piangeva abbracciandosi le ginocchia al petto.
“Non sapevo dove altro andare.”
La ragazza si gettò fra le braccia di Johannes e riprese a singhiozzare. Era atroce vedere una giovane fanciulla lamentarsi a quella maniera.
“Puoi restare qui.”
“Grazie.”
“Shh, basta. Su, su, bambina mia, non piangere più.”
Hildr alternava respiri profondi ai singulti del pianto, tentava invano di bloccare le lacrime. Johannes le offrì un fazzoletto con un sorriso gentile, e in qualche modo le rammentava suo padre che la consolava dopo una brutta caduta.
“Posso avere dell’acqua?”
“Certamente! Sediamoci nell’altro vano, vieni.”
Si trasferirono nel piccolo antro destinato ai lettori, ovvero un divanetto logoro e un tavolino di legno grezzo, e Hildr bevve l’acqua in un colpo solo nella speranza di arrestare i singhiozzi.
“Altra acqua, per favore.”
Johannes si premurò di riempirle in bicchiere fino all’orlo e di prestarle un altro fazzoletto, dopodiché si sedette e prese un libro dagli scaffali sopra le loro teste.
“Che cosa è capitato da ridurti in questo stato?”
“L’arma più banale ma assassina del mondo: l’amore.” Disse Hildr, asciugandosi altre lacrime.
Non piangeva così dalla morte dei suoi genitori e poi dalla morte di Helga. Non aveva mai pianto per Ivar, non aveva mai avuto motivo perché loro erano sempre stati uniti, eppure questa volta sentiva che un pezzo della sua anima era svanita per sempre.
“Non è una tragedia, fidati. Sono stato giovane anche io e proprio come te ho molto sofferto per amore, ma ti assicuro che si sopravvive.”
Hildr desiderava che fosse Floki a consolarla con qualche storiella sugli dèi che avrebbe contenuto la morale giusta per andare avanti, invece si trovava in una terra straniera e a piagnucolare fra le braccia di un vecchio filosofo bibliotecario. Era desolante.
“Ora come ora mi sembra la cosa peggiore del mondo.”
“Il poeta Virgilio ci ha lasciato delle importanti parole di conforto nell’Eneide: tu ne cede malis sed contra audentior ito, non lasciarti opprimere dalle calamità ma va loro incontro coraggiosamente.”
Hildr fece un sorriso triste, quel vecchio signore aveva trovato le parole giuste. Aveva smesso di piangere, sebbene le lacrime seccate sulle guance erano fastidiose, e tra le mani si rigirava il fazzoletto di stoffa.
“Ivar è da sempre la mia calamità.”
“Allora affrontalo coraggiosamente.”
 
# Hildr non ce la faceva più a tirare con l’arco, era stremata dal caldo e dalla fatica.
“Dai, Hildr, datti una mossa!” disse Ivar, comodo su un tronco d’albero.
“Ha parlato in bamboccio che se ne sta all’ombra!”
Il ragazzo rise e roteò gli occhi, adorava istigare l’amica fino a farle perdere le staffe.
“Floki tornerà fra due giorni e tu per allora dovrai perfezionare la tua mira. Lavora!”
“La mia mira è perfetta.” Borbottò Hildr.
“Colpiscimi al cuore!” la prese in giro Ivar, ridendo.
La ragazza prese la sfida sul serio, tirò il braccio indietro e l’arco scoccò una freccia che volò a pochi millimetri dal braccio di Ivar tanto da strappargli la manica della camicia. Ivar sgranò gli occhi e dalle mani gli cadde la mela che stava sgranocchiando. Benché avesse diciassette anni, quando mangiava si imbrattava come un neonato.
“Che c’è, Ivar? Loki ti ha mangiato la lingua?”
“La tua mira è … strabiliante!”
“Lo so. – disse Hildr – Io colpisco dritto al bersaglio.”
“Questo mio povero cuore malandato è vostro, mia signora!”
I due amici si misero a ridere, poi Hildr saltò sul tronco e stampò un bacio sulla guancia del ragazzo.
“Ditemi, mio signore, il vostro cuore sarà mio per l’eternità?”
“Per l’eternità.” #
 
Salve a tutti!
Chiaramente ho seguito la linea centrale della serie ma ho riscritto l’ingresso di Katya per adattarlo alla mia storia. La storia che Kyra racconta a Hildr è di mia invenzione.
Hildr e Ivar non se la passano bene, chissà cos’hanno in serbo per loro gli dèi!
Fatemi sapere cosa ne pensate.
Alla prossima, un bacio.

 

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Capitolo 7
*** La principessa e la guerriera ***


7. LA PRINCIPESSA E LA GUERRIERA

# Ivar faceva del suo meglio per non lanciare l’ascia contro uno dei suoi fratelli. Era una sera come le altre, si trovava a cena con la madre e i tre fratelli. Aveva invitato anche Hildr per avere un supporto morale, ma l’amica aveva promesso a Floki di aiutarlo con la costruzione di una barca e poi doveva aiutare Helga con i preparativi del viaggio. Difatti, l’indomani sarebbero partiti tutti insieme per uccidere re Aelle e re Ecbert e vendicare così la morte di Ragnar. Hildr, però, non sarebbe andata con loro perché Bjorn le aveva ordinato di restare a Kattegat e proteggere Aslaug. La ragazza aveva accettato l’incarico volentieri, difendere la regina e la casa reale era un traguardo di spicco per una shieldmaiden alle prime armi.
“Ivar, hai sentito cosa ha detto nostra madre?” chiese Hvitserk.
Ivar scrollò la testa per liberare la mente dal volto di Hildr e tornò al presente, i fratelli e la madre lo guardavano.
“No. Cosa hai detto, madre?”
“Ho detto che avete l’età giusta per sposarvi. Nessuno di voi è innamorato?”
“Io ho messo gli occhi su una ragazza.” ammise Sigurd con un sorriso beffardo.
Hvitserk aggrottò le sopracciglia e diede una gomitata nelle costole al fratello.
“E chi sarebbe la sfortunata?”
“E’ Hildr.”
Ivar smise di mangiare, il cibo era appena diventato veleno. Fissò lo sguardo cieco di rabbia su Sigurd.
“Hildr non è disponibile.”
“Perché? Vuoi sposarla tu? Nessuna donna potrà mai amare uno storpio come te. Hildr è tua amica solo perché prova pietà per te.”
Aslaug abbassò il mento per non vedere la tristezza che si abbatteva su Ivar. Sapeva che suo figlio era innamorato di Hildr e che temeva di esternarle i propri sentimenti, quindi le parole di Sigurd per lui dovevano sembrare coltellate nella carne viva.
“Hildr non sarà mai tua. Non sarà di Hvitserk, né di Ubbe, né di qualsiasi altro uomo!” tuonò Ivar.
La risata di Sigurd fu come sale su una ferita aperta, bruciava e corrodeva Ivar dall’interno.
“Non mi importa della tua cotta. Hildr diventerà mia moglie quando torneremo.”
“Ti sei appena scavato la fossa da solo, Sigurd.”
Ivar fece un sorriso perfido, intriso di cattiveria pura, perché il fratello aveva appena segnato la propria condanna a morte. #
 
Una settimana dopo
Ivar distese il braccio per toccare Hildr, ma la sua mano incontrò solo le lenzuola fredde. Si passò le mani fra i capelli ed emise un sospiro grave. Da una settimana Hildr aveva preso le distanze da lui, non gli rivolgeva lo sguardo, non gli parlava, cambiava strada quando lo incrociava, e si era allontanata anche da Igor. Ivar era conscio che quella separazione fosse colpa sua e del suo segreto riguardo alla morte di Freydis, ma in tutto ciò riusciva solo a pensare che Hildr gli mancava terribilmente. La ragazza aveva trovato un’altra sistemazione da qualche parte nel palazzo, mangiava da sola e passava il tempo con Johannes e con Kyra.
“Disturbo?”
La testa di Katya fece capolino dalla porta e Ivar d’istinto si coprì, benché rimanesse a petto nudo.
“Principessa, non dovresti essere qui.”
La ragazza ridacchiò e liquidò la faccenda con un gesto della mano, poco le importava di ciò che doveva o non doveva fare. Più lui cercava di stare lontano da Katya, più lei si avvicinava. Per qualche assurda ragione Ivar in parte era felice di quella vicinanza, era come riavere Freydis con sé.
“A volte mi guardi come se mi conoscessi da una vita.” Disse lei.
“E’ così. – confermò Ivar – Mi ricordi mia moglie Freydis. Quando ti guardo è come rivedere lei. Fa uno strano effetto.”
“Strano in positivo o in negativo?”
“Positivo.”
I due si scambiarono un sorriso imbarazzato. Ivar si ricordò che Hildr non c’era e di colpo si accigliò. Ricordare Freydis, chiacchierare con Katya, erano cose che lui non avrebbe mai dovuto fare poiché la sua attuale – quasi – moglie si aggirava in quello stesso palazzo.
“Oggi pomeriggio Oleg ha organizzato un torneo. Ti va di accompagnarmi?”
“Non penso sia consono. Deve essere tuo marito ad accompagnarti.”
Katya si sdraiò sul letto a pancia in giù, occupando il posto di Hildr, e si mise a giocare con la pelliccia della coperta.
“Oleg sarà impegnato fuori città per affari commerciali. Ha lasciato il governo nelle mani di Vadim, che presenzierà al torneo. Io sono senza accompagnatore.”
Ivar si morse le labbra nel tentativo di frenare le parole, però non ebbe un esito favorevole.
“Allora sarà per me un onore essere il tuo accompagnatore.”
“Non vedo l’ora di rivederti.”
Katya si allungò a baciargli la guancia, dopodiché sgattaiolò via dalla stanza con un risolino.
 
“Il tanfo che c’è qui dentro supera quello che c’è in una tomba!” esclamò Kyra, nauseata.
Hildr sbatté le palpebre piano per abituarsi alla luce. Dormiva in una nicchia della biblioteca, in mezzo a volumi polverosi e fogli ingialliti, su una branda improvvisata.
“Buongiorno anche a te.”
“Puzzi, Hildr. Hai bisogno di un bagno.”
La vichinga si tirò a sedere e si stropicciò gli occhi per scacciare il sonno. Era l’ennesima notte trascorsa nel dormiveglia.
“Lo so, ma le tue stanze sono vicine a quelle di … quella persona innominabile.”
“Hai paura di incontrare quello sgorbio? Questa è nuova!”
Hildr non vedeva Ivar da una settimana ormai, faceva i salti mortali pur di non trovarsi nella stessa stanza con lui. Era troppo arrabbiata e ferita per tollerare la sua presenza.
“Non è uno sgorbio, soffre di una disabilità. Lo odio, sì, ma non per questo prenderò in giro il suo fisico.”
“Sei disgustosamente buona. Comunque, Oleg ha indetto un torneo per questo pomeriggio.”
“E a me cosa importa?”
Kyra si portò le mani sui fianchi ingrossati dalla gravidanza e la guardò come se stesse per comunicarle la fine del mondo.
“Il tuo nome compare nella lista dei lottatori.”
“Ma io non mi sono iscritta.” Disse Hildr, la voce ancora assonnata.
“Lo so. E’ stata Katya a segnare il tuo nome. Quella vipera ti vuole ammazzare.”
“Non sarebbe la prima.”
Kyra inarcò le sopracciglia a quella affermazione, sembrava che Hildr ci tenesse poco alla sua vita.
“Hai intenzione di batterti? Sono tutti lottatori più grossi e capaci di te.”
“Mi batterò per il gusto di illudere Katya di potermi fare fuori. Non so perché lei ce l’abbia con me, ma è appena diventata una questione personale.”
“Lei vuole Ivar.” Disse Katya senza preamboli.
Hildr si guardò la mano sinistra senza anello e avvertì un vuoto al centro del petto.
“Può prenderselo. Io ho smesso di correre dietro a lui.”
“Vadim immaginava che avresti risposto così, ecco perché ti aspetta nel capannone dove si allenano ogni tanto i soldati. E’ l’austero edificio in pietra sul lato est del palazzo.”
 
 
Hildr raggiunse Vadim soltanto verso mezzogiorno, dopo un bagno e un pasto veloce. Quando entrò nel capannone, il comandante stava discutendo con sua madre. Inna si interruppe quando si accorse della ragazza, quindi disse qualcosa al figlio in russo e lasciò l’edificio senza calcolare Hildr.
“Hildr! Benvenuta nel mio regno personale.” La accolse Vadim con un sorriso.
“Grazie. Tua madre non sembrava felice di vedermi. Ho sbagliato qualcosa?”
“Non è per te. Mia madre è offesa con me perché ieri sera non ho cenato con loro. A corte devi sempre fare attenzione al galateo altrimenti ti additano come un eretico maleducato.”
Hildr annuì, non capiva bene perché i cortigiani dovessero seguire tutte quelle stupide regole di educazione dato che a Kattegat le cene erano occasioni in cui il baccano e la birra la facevano da padrone.
“So che Katya ha inserito il mio nome per il torneo di lotta. La principessina si dà piuttosto da fare per togliermi di mezzo.”
“Oleg le concede ogni lusso, cede ad ogni suo capriccio, addirittura ha costretto i miei uomini al freddo perché Katya voleva fare un bagno in mezzo al ghiaccio.”
Vadim si sbottonò la giacca e Hildr per la prima volta si accorse di quanto fosse tonico e muscoloso il suo fisico. Guardò altrove per non essere scoperta.
“E’ una viziata. Dunque, cosa ci facciamo qui?”
“Ci alleniamo. I tuoi avversari sono forti, giocano sporco, molti di loro provengono da ogni parte di Kiev e sono spietati con quelli che stanno a palazzo. Ho valutato la tua tattica di combattimento e ritengo che alcuni punti vadano rivisti.”
Hildr aggrottò la fronte a quella specie di insulto, lei sapeva combattere come i figli di Ragnar le avevano insegnato e non ci poteva essere altro modo.
“E sentiamo, saputello, cos’è che sbaglio?”
Vadim si avvicinò a lei e le posò le mani sulle spalle, i suoi palmi erano tanto freddi da far rabbrividire la vichinga.
“Sei alta all’incirca un metro e settanta, hai muscoli forti ma i mesi in mare hanno debilitato il tuo corpo a causa della scarsa nutrizione. Mmh, direi che ti serve un’arma semi-leggera.”
“Un’arma semi-leggera? Io uso arco e ascia.”
“Non qui. – replicò Vadim – Il torneo prevede solo l’utilizzo di spade e scudi, ti dovrai accontentare. In base al tuo peso e alla tua altezza è meglio usare una spada semi-leggera che ti permetta agilità e buona presa. Sei una donna, sei minuta rispetto ad un uomo e questo è il tuo vantaggio perché puoi essere più veloce e scattante.”
Hildr rimase stupita da quelle direttive, nessuno le aveva mai spiegato quei particolari che potevano migliorare le sue modalità di combattimento. Ubbe e Ivar le aveva sempre insegnato ad attaccare a oltranza, a non lasciar respirare il nemico, a montare dentro la furia per poi scagliarla in battaglia. Al contrario, Vadim adottava la logica come filo conduttore e questa novità le piaceva.
“Va bene. Quale spada mi consigli?”
Hildr diede un’occhiata alle tante spade che ornavano una parete del capannone, erano tutte lucenti e ben affilate.
“A te la scelta. Prendi quella che vuoi, te la regalo io.” disse Vadim indicando le numerose armi.
“In base al mio peso e alla mia altezza, credo che sia ottimale una lama da sessanta centimetri con profonde scanalature per migliorare la potenza. Inoltre, la lama deve essere costituita solo da acciaio dolce e omogeneo. L’elsa deve avere la guardia piatta e l’impugnatura deve essere ad una mano. Hai qualcosa del genere?”
Vadim si era imbambolato ad ammirare Hildr che parlava tanto da non rendersi conto che la ragazza lo aveva colpito al braccio per risvegliarlo.
“Sì … ehm, sì, ho qualcosa del genere. Anzi, ho un pezzo unico.”
Dalla parete sfilò una spada conservata in un pregiato fodero di cuoio solcato da ricami dorati, la sguainò e la depose sul tavolo con cura. Hildr ne accarezzò la lama con delicatezza.
“E’ bellissima. Cosa c’è scritto qui?”
Tra le scanalature c’era un parola incisa perfettamente visibile.
“C’è scritto ‘свѣтъ’ che significa ‘luce’. Dopo la conquista di Costantinopoli il Vescovo fece un omaggio a Oleg per salvarsi la vita: donò dieci spade con sopra incise parole che rimandassero alla Bibbia.” Spiegò Vadim, le dita che sfioravano l’incisione.
“E questa parola a quale passo rimanda?” domandò Hildr, curiosa.
“Giobbe al versetto nove del capitolo tre scrive: si oscurino le stelle del suo crepuscolo, aspetti la luce e la luce non venga, e non contempli le palpebre dell’alba. Ancora Giobbe al versetto ventotto del capitolo ventidue scrive: quello che intraprenderai ti riuscirà, suo tuo cammino risplenderà la luce.”
“Voi cristiani scrivete delle cose belle, lo ammetto.” Disse Hildr.
Vadim rise e fece un buffo inchino facendo ridacchiare anche la ragazza.
“Sì, sappiamo il fatto nostro.”
Hildr si sedette sulla panca con fare meditabondo, qualche pensiero le vagava nella mente.
“Per caso conosci il nome del mio sfidante?”
“Non ho ancora avuto modo di controllare la lista degli sfidanti. La prima cosa che ho fatto stamattina è stata preparare le armi per te. Sei preoccupata?”
“Non per il combattimento. Sono preoccupata per la rabbia che proverò nel rivedere Ivar.”
Vadim si sedette al suo fianco e le sistemò una ciocca di capelli dietro l’orecchio, i suoi gesti erano lenti e accorti.
“Ivar è un imbecille se si lascia scappare una come te. Fin da ragazzo sogno un grande amore che riempia la mia vita, sai. Ho sempre pensato che un giorno avrei sposato la donna giusta per me, che il nostro matrimonio sarebbe stato felice e che avremmo cresciuto insieme i nostri figli. Le mie speranza sono andate in frantumi quando mia madre mi ha imposto di sposare Kyra. Quando ho visto te e Ivar insieme ho provato una grande invidia, volevo quello che avevate voi, volevo essere amato e sostenuto come tu fai con lui.”
“Peccato che i sentimenti finiscano.” Chiosò Hildr, mesta.
“Tu sei piena di luce, Hildr. Nessuno può oscurarti. Sei destinata a splendere.”
Poi accadde tutto in fretta. Vadim si chinò su di lei per baciarla. Fu un bacio rapido, a stampo, molto casto, ma che bastò a far sobbalzare Hildr dalla panca. Afferrò la spada e uscì dal capannone di corsa senza voltarsi a guardare, anche se Vadim era rimasto fermo sulla panca con un mezzo sorriso.
 
“Sei sicura di quello che fai? Non devi dimostrare niente a nessuno.” Ripeté Johannes.
Hildr aveva trascorso il resto della giornata in biblioteca, lontana da chiunque volesse infastidirla o baciarla. Mentre Johannes aveva lavorato alla copiatura di Cicerone, lei si era allenata con la spada in modo da riuscire a gestirla bene durante il combattimento. Avrebbe preferito usare l’ascia o l’arco, ma quell’arma sembrava forgiata apposta per lei.
“Sono sicura. La principessa vuole a tutti i costi che io combatta e io le darò ciò che vuole.”
“Lei ti vuole morta per chissà quale motivo.” Replicò l’anziano, piegato sul rotolo.
Anche Hildr si poneva la medesima domanda: perché Katya stava cercando di eliminarla? Quale vantaggio avrebbe ottenuto dalla sua morte? Davvero il motivo di tutto era Ivar?
“Non morirò, non oggi perlomeno.” Scherzò Hildr per alleggerire l’atmosfera.
Johannes tastò la tasca della tunica e tirò fuori un bracciale con un ciondolo dalla forma bizzarra.
“Questo bracciale apparteneva a mia figlia, me lo ha lasciato come suo ricordo prima di morire. Una brutta malattia me l’ha portata via, ma il Cielo si prende cura di lei e ciò mi rincuora. Voglio che lo tenga tu come portafortuna.”
Hildr era sbigottita mentre il bibliotecario si premurava di allacciarle il monile al polso.
“Grazie. Sei un buon amico, Johannes. E sono fiera di indossare il bracciale di tua figlia. Vincerò anche in suo onore.”
Johannes sorrise, poi con il mento le indicò qualcuno alle sue spalle. Vadim, ora in abiti ufficiali da comandante, la guardava dalla soglia.
“E’ il momento, Hildr.”
 
Mille pensieri affollavano la mente di Hildr, alcuni cupi e altri poco più colorati. Vadim le aveva consegnato una tenuta da combattimento che una delle serve aveva adattato per il suo corpo. Lei si cambiava e lui limava la spada perché fosse il più letale possibile.
“Mi dispiace per prima. Non avrei mai dovuto baciarti senza il tuo permesso.” Esordì Vadim.
Hildr ringraziò il separé che celava la sua espressione di totale imbarazzo.
“Non importa. Solo non ti azzardare mai più a farlo oppure ti ritroverai con la faccia spiaccicata contro il muro.”
“Messaggio ricevuto. Però, sai, avevo davvero voglia di baciarti.”
La ragazza si annodò per bene le stringhe degli stivali e raccattò un pezzo di stoffa per legarsi i capelli in una treccia singola. Vadim osservava ogni sua azione con un certa ammirazione.
“Non ne parliamo più, Vadim. Io … beh … non voglio altri baci.”
Il russo stava per replicare quando Kyra entrò nello spogliatoio con le braccia conserte e i capelli svolazzanti.
“Quella strega me la pagherà cara! Io avrò quel vestito a tutti i costi!”
“Che succede, mia cara?”
“Succede che Katya ha rubato il vestito che ho fatto cucire appositamente per me. Ti rendi conto? Quella megera pensa davvero di farmi un simile torto e passarla liscia. Oh, si sbaglia di grosso!”
Hildr e Vadim risero per il comportamento infantile di Kyra, alle volte sembrava davvero vivere in un mondo tutto suo fra le nuvole.
“Andiamo a battere quella strega allora!” esclamò Hildr.
Kyra e Vadim la presero a braccetto per accompagnarla sul luogo dello scontro.
 
Vadim fissò il fodero alla cintura di Hildr e controllò che l’elsa fosse ben salda per la presa.
“Sei pronta. Il tuo sfidante è Goran, è il vincitore del torneo da quattro anni. Il pubblico lo venera, e anche Oleg fa il tifo per lui. E’ grosso e forte, ti farà a pezzi. Stai attenta.”
“Ho tranciato la testa ad un uomo una volta, posso ripetermi anche oggi.”
Kyra allungò una mano sui capelli della vichinga in una sorta di carezza di conforto.
“Resta viva, ho bisogno di insultarti per vivere bene.”
“Ci proverò.”
Mentre Kyra e Johannes andavano a prendere posto, Vadim la scortò all’interno del perimetro dove si combatteva. Goran era già lì, si sgranchiva le gambe e faceva scricchiolare le ossa del collo con un rumore inquietante.
“Goran è enorme rispetto a te, sfrutta questo vantaggio.” Le suggerì Vadim all’orecchio.
Hildr annuì, era concentrata a studiare il nemico per carpire eventuali punti deboli. Dopo che Vadim ebbe lasciato il perimetro, Katya si alzò in piedi e la folla si zittì per lasciarle la parola.
“Siamo giunti al duello finale, miei sudditi. Gli sfidanti sono il mio campione Goran e Hildr.
Comunico un cambiamento delle regole: si combatte senza spade. Si combatte a mani nude.”
Ivar si agitò sulla sedia, le grida della folla acclamante erano ovattate. Goran era corpulento, era alto il doppio di Hildr e le sue mani da macellaio erano forti. La ragazza, più minuta e gracile, sembrava non avere scampo.
“Ivar, hai sentito? E’ una ingiustizia!” protestò Igor, sbattendo i pugni sui braccioli della sedia.
“Taci, Igor. – disse Katya – Questo è un gioco e si gioca fino alla morte.”
Hildr non si scompose, teneva la testa alta e la schiena dritta, non avrebbe mai mostrato di avere paura. Goran, invece, rideva pregustando la vittoria. Un corno diede il via al duello: i due sfidanti occuparono le posizioni e abbandonarono le spade e a terra.
 
“Se quella è una strega, Ivar è uno sgorbio stupido e repellente.” Grugnì Kyra.
Lei e Vadim sedevano nella loggia opposta a quella di Katya, con Inna e un'altra coppia di nobili. Da lì la visuale era ottima, per quanto ottimo potesse essere quello scontro terribile.
“Non capisco cosa stia facendo Ivar. Insomma, Hildr è la sua compagna e lui non si ribella a una tale ingiustizia? Sono senza parole.”
“Tu la ami più di Ivar?” chiese Kyra, divertita.
Vadim arrossì e tossì per schiarirsi la voce. Non era bravo a celare le emozioni.
“Io provo uno spiccato interesse per Hildr, lo confesso. Si vede tanto?”
“Ce lo hai stampato in faccia, amico mio.”
La loro conversazione fu stroncata da un urlo disumano. Goran stava correndo verso Hildr come un orso che si getta sulla preda. La ragazza non fece in tempo a spostarsi che Goran la spintonò a terra con forza.
“La ucciderà.” Commentò Inna con nonchalance.
Vadim notò il ghigno perfido di Katya e desiderò scendere sul campo per strappare il cuore di Goran con le proprie mani, ma il regolamento lo impediva e lui poteva solo assistere a quello scempio.
 
Hildr si rialzò con la testa che girava e lo stomaco in subbuglio a causa dell’impatto col terreno. Goran era possente e l’aveva spinta come se lei avesse il peso di una foglia. Stava ancora riprendendo l’equilibro quando Goran le tirò uno schiaffo in pieno volto, lasciandole il segno delle dita sulle guance.
“Vuoi la guerra? E va bene, grosso sacco di carne, ti darò la guerra.” sussurrò lei a se stessa.
Rispose allo schiaffo con un calcio alle costole, però l’omone non fece una piega. Le sue mani tozze agguantarono la ragazza per le braccia e la scaraventarono ancora per terra. Hildr sputò la terra che le era finita in bocca e trattenne un conato di vomito. Tentò di rimettersi in piedi ma la sua instabilità la costrinse ad aspettare qualche altro secondo. Goran ne approfittò per darle un calcio sulla schiena che la fece appiattire al suolo. Hildr trovò la forza di muoversi, rotolò sul dorso e si diede uno slancio per alzarsi.
“Sei davvero un cattivo ragazzo, Goran.” Disse tra i denti.
L’uomo, che non capiva la lingua, aggrottò la fronte e caricò un altro calcio. Questa volta Hildr parò il colpo con la gamba e gli assestò un calcio che fece vacillare Goran. La ragazza si allontanò il giusto per riprendere il respiro affaticato. Goran, però, non mollava e si avventò su di lei come un folle. Hildr fu sbattuta a terra con violenza, la testa pulsava per il dolore e l’orecchio destro perdeva sangue. Scorse il volto minaccioso dell’uomo incombere su di lei, sorrideva e tendeva le mani su di lei. Facendo ricorso alle poche energie rimaste, Hildr afferrò una manciata di terra nel pugno e la lanciò negli occhi di Goran. Liberatasi dal peso, Hildr gattonò via mentre l’uomo invano si ripuliva gli occhi. Il suo obiettivo era recuperare la spada per uccidere l’avversario, benché fosse proibito, perché non aveva altre soluzioni.
 
Ivar non riusciva a guardare, manteneva lo sguardo rivolto verso il basso. Igor sussultava, gioiva, si atterriva, era come leggere il libro di quella sfida. Katya, invece, era tranquilla e pareva assaporare ogni colpo che Hildr subiva.
“Hildr, andiamo! Alzati!” strillò Igor, battendo i pugni sui braccioli della sedia.
“Che succede? – domandò Ivar – Hildr sta bene?”
Il ragazzino gli rivolse un’occhiata gelida, era offeso con lui per come stava trattando Hildr.
“Sta strisciando letteralmente a terra per salvarsi. Secondo te sta bene?”
Ivar osò guardare, e volle cavarsi gli occhi piuttosto che sopportare quella visuale. Gli abiti di Hildr si riempivano di terra e polvere mentre sgusciava verso l’altro capo del campo. Respirava a fatica, sanguinava dall’orecchio e dal labbro, ma qualcosa in lei trasudava ancora determinazione.
“Interrompi il torneo.” Disse Ivar.
“Hai detto qualcosa?” fece Katya, disattenta.
“Interrompi il torneo, Katya. Adesso!”
Igor si morse la lingua per non ridere all’espressione allibita sul volto di Katya.
“Perché? La chiamano Hildr la Valchiria per un motivo, giusto? Attendo con ansia una conferma.”
Ivar voleva battersi per convincerla, ma quel sorriso appena accennato gli ricordava Freydis e questo lo bloccava.
“Hildr è forte, ce la farà.”
Proprio in quel momento Hildr cacciò un grido dopo che Goran che l’aveva presa per le gambe e la trascinava come una bambola di pezza. Per quanto lei tentasse, non riusciva a svincolarsi. La tenuta si stava riducendo a brandelli, la pelle delle gambe era quasi visibile sulla parte anteriore. Igor si voltò di colpo poiché non era in grado di reggere ancora e scappò via piangendo.
 
Hildr sentiva la pelle bruciare. Braccia, petto e gambe erano ricoperti di graffi che diventavano sempre più profondi man mano che Goran la trascinava. Doveva liberarsi prima che fosse troppe tardi, dunque si sfilò la cintura dopo tante difficoltà e diede una frustata al polpaccio di Goran. L’uomo si arrestò per voltarsi e scagliarsi contro di lei, ma Hildr fu più veloce e slittò dalla sua presa. Corse verso la spada – la sua accecante speranza – con la poca vitalità di cui disponeva. Avvertiva il respiro pesante e i passi veloci di Goran, però lei continuava a correre senza indugio. Goran era sempre più vicino, al che Hildr scivolò per terra sul fianco e raccolse la spada. Si inginocchiò con la prospettiva di avere il nemico alle calcagna e inferire un colpo. Voltandosi, la lama della spada si conficcò nello stomaco di Goran. Hildr affondò fino a quando solo l’elsa rimase fuori dal corpo dell’uomo. Il terreno ai piedi di Goran si allagò di sangue, il suo viso era contratto dal dolore e la bocca perdeva sangue rapidamente.
“Addio.” Sussurrò Hildr.
Goran ricadde a terra come un fiore secco che si affloscia. La folla stette zitta per diversi secondi, poi esplose una pioggia di fischi e applausi. Hildr sollevò la mano per ringraziare. La felicità non durò molto, si accasciò per terra e vomitò. Aveva il corpo in fiamme, le ferite multiple bruciavano e sanguinavano. L’ultima cosa che udì prima di svenire fu una voce supplichevole.
“Hildr, non mi lasciare. Resta con me.” stava dicendo Ivar.
 
Hildr sentiva un sapore amaro in bocca, come se avesse ingerito veleno. Aprì gli occhi lentamente e vide tutto buio, solo dopo si accorse che l’ambiente era semi-illuminato dalle candele. Sotto di lei c’era qualcosa di morbido, faceva caldo e tutto profumava di acqua di rose.
“Bentornata, straniera.” Disse Kyra, chinandosi su di lei.
Hildr si mise seduta con calma e riconobbe la stanza di Kyra e Vadim, era lì che l’avevano portata per le medicazioni.
“Hildr!”
Le braccia di Igor la strinsero in un abbraccio goffo. Il ragazzino era stato tanto in pensiero per lei.
“Ciao, Igor. Che ci faccio qui?”
Kyra scansò Igor e offrì a Hildr un bicchiere di acqua.
“Sei svenuta a causa delle ferite. Vadim ha ordinato di portarti qui per le cure. Sei piena di tagli e lividi, ma nel giro di due settimane i segni scompariranno. Sei stata fortunata.”
Solo ora Hildr notava numerose bende avvolte intorno alle braccia e alla gambe, sul petto, e una all’orecchio.
“Mmh, è una specie di esperienza pre-morte. Vadim dov’è?”
“Sta litigando con Oleg per aver lasciato a Katya la direzione del torneo. Katya è stata meschina, ti guardava senza alcun rimorso. Ti odia davvero.” Rispose Kyra.
“Ivar è stato qui. – disse Igor – Ha aspettato per ore il tuo risveglio. Poco fa si è ritirato in stanza perché gli facevano male le gambe. Era in pena per te.”
Hildr fu contenta che Ivar fosse preoccupato per lei. Ricordava ancora la sua voce che la implorava di restare con lui. Era stanca di quella distanza abissale che li separava, era il momento di parlare a cuore aperto.
“Vorrei andare a parlare con Ivar. Posso avere dei vestiti?”
Kyra le prestò un proprio abito – un semplice modello a maniche lunghe di colore verde – e l’aiutò anche a vestirsi.
“Sei una sciocca a tornare da lui. Ivar non ti merita. E poi Vadim bacia bene.”
“Vadim è tuo marito. E poi anche Ivar bacia bene, estremamente bene.”
Igor, che era uscito per avvisare Vadim, incontrò Hildr sulla porta.
“Dove vai?”
“Da Ivar, ho bisogno di parlargli. Mi accompagni?”
Igor le diede il braccio come un vero gentiluomo e Hildr si lasciò condurre, anche perché faceva uno sforzo immane a reggersi da sola.
“Sei stata incredibile al torneo. Dovevi vedere la faccia di Katya!” rise Igor.
“Ti ringrazio. Che dire, essere picchiata davanti a tutti genera un certo divertimento.”
“Vuoi fare pace con Ivar?”
Hildr si commosse per la tenerezza nello sguardo di Igor, era tanto affezionato ad Ivar da sperare in una loro riappacificazione.
“Forse. Vanno considerate alcune cose.”
“Tipo Vadim che ha una cotta per te?”
“Tu sei un impiccione, ragazzino.” Disse Hildr scuotendo la testa.
Una serva andava loro incontro con una cesta di panni sporchi, si inchinò davanti a Igor e poi gli disse qualcosa in madrelingua.
“Hildr, riesci a camminare da sola? Oleg ordina la mia presenza a cena.”
“Ce la faccio. Mangia anche per me!”
Lo stomaco di Hildr guizzò, aveva fame ma era così spossata da non voler neanche annusare l’odore del cibo. Pian piano, poggiandosi sulla parete e fermandosi per le fitte di dolore, imboccò il corridoio che conduceva alla camera che divideva con Ivar. Si fermò all’improvviso quando vide Ivar trainarsi in direzione opposta, era a petto nudo e aveva i capelli sciolti. Hildr lo seguì il silenzio, voleva capire dove stesse andando a quell’ora in un palazzo perennemente controllato. Anche se, notò pochi minuti dopo, le solite guardie appostate per il turno di notte non c’erano. Una serva teneva la porta aperta di una stanza che Hildr non aveva mai visto, Ivar si intrufolò e la donna svanì nel buio.
“Che diamine …”
Hildr si ritrovò schiacciata contro la porta nell’atto di cogliere qualche suono, uno stralcio di dialogo, invece dall’interno non proveniva nulla. Poi una voce sottile, femminile, incominciò a parlare. Subito dopo la voce di Ivar rispose. Oramai troppo incuriosita, spinse la porta il giusto per sbirciare. Quello che vide fu peggio di una pugnalata. Katya era seduta sul bacino di Ivar e si stavano baciando appassionatamente.
“I-Ivar?”
Il ragazzo atterrì quando riconobbe Hildr, gli occhi lucidi di lacrime, le labbra che tremolavano per la rabbia.
“Hildr, aspetta!”
Ivar si scostò da Katya e si precipitò in corridoio per raggiungere Hildr che intanto indietreggiava.
“Io ti odio, Ivar! Ti odio!”
Hildr corse via senza che lui potesse avvicinarsi, i suoi singhiozzi riecheggiavano nel palazzo come una campana che suona gli ultimi rintocchi della messa. Era finita.
 
Salve a tutti!
Beh, Ivar sta facendo il cattivello questa volta. La nostra povera Hildr sta piangendo troppo.
Chissà cosa succede.
Fatemi sapere cosa ne pensate.
Alla prossima, un bacio.
 

 

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Capitolo 8
*** Destino fraterno ***


8. DESTINO FRATERNO

# Hildr era di ritorno dal porto, dove aveva comprato del pesce su ordine della regina Aslaug. Il sacco pesava per una ragazza di quindici anni, ma non voleva farsi aiutare per dimostrare alla regina che si poteva fidare di lei per tutto. Attraversando la piazza centrale, si rese conto che i ragazzi riuniti stavano ridacchiando sotto i baffi. Non vi diede peso, in fondo quegli sciocchi ridevano per le banalità, quindi andò dritta verso la dimora reale per la consegna. Si aspettava di trovare Ivar sul portico poiché avevano progettato di andare insieme a caccia, ma l’amico non c’era. Aslaug uscì per accoglierla con un sorriso.
“Hildr, sei stata brava. Grazie.”
“E’ un onore, regina. Dov’è Ivar? Sta poco bene?”
L’espressione affranta della regina preoccupò Hildr, che provò ansia al pensiero che qualcosa di brutto fosse capitato al ragazzo.
“E’ in casa. Non vuole uscire. Credo che i suoi fratelli gli abbiano fatto uno scherzo per cui i ragazzi di Kattegat lo prendono in giro. Entra, per favore, e prova a parlargli.”
Hildr entrò in camera di Ivar senza bussare, non era sua abitudine, e trovò Ivar nascosto tra le coperte.
“Chi devo ammazzare? Sono pronta a fare strage.”
“Vattene. Non ti voglio vedere.” Disse Ivar, la voce stravolta dalla tristezza.
Hildr gli saltò addosso e lo scoprì, rivelando due occhi azzurri contornati da cerchi neri per il sonno mancato.
“Che succede, Ivar? Sono la tua migliore amica. Parlami.”
Erano così vicini che Ivar notò dei riflessi castani fra i capelli neri della ragazza.
“Io e Margrethe abbiamo … beh, siamo andati a letto insieme. E’ stata la mia prima volta.”
Hildr deglutì, la sua stessa saliva era diventata amara a quelle parole. Una scossa di inconcepibile gelosia la punse nel vivo.
“Ah. E’ … è andata … bene? E’ stato … b-bello?”
“E’ andata malissimo! I miei fratelli hanno sparso la voce e tutti mi prendono in giro. Sono un orribile storpio!”
Ivar rimase deluso quando Hildr andò via come una furia. Di sicuro anche lei si sarebbe messa a ridere insieme agli altri. Poco dopo urla starnazzanti rimbombarono nella piazza. Si trascinò sul portico per capire cosa stesse succedendo.
“La ragazza sa il fatto suo.” Commentò Aslaug con un sorriso.
Hildr aveva raccolto un bastone di legno ed era andata da Hvitserk per aggredirlo. Picchiava forte mentre il ragazzo cercava di sfuggire alle bastonate. Tutti i ragazzi scoppiarono a ridere per Hvitserk che si faceva pestare da una ragazzina di appena quindici anni.
“Così la prossima volta impari a stare zitto. E tutti voi, brutti vermi viscidi, sappiate che Ivar è andato bene! E’ stato bravissimo! Ora tornate agli affari vostri!” urlò Hildr agitando il bastone.
Benché compiaciuta, Aslaug soccorse Hvitserk e lo portò in casa per medicarlo. Ivar, con le gote arrossate, sorrideva.
“Grazie, Hildr. Tu mi proteggi sempre.”
L’amica gli fece l’occhiolino e lo abbracciò brevemente.
“Sempre qui a proteggerti.” #
 
Tre settimane dopo
Hildr lasciò la biblioteca alle prime luci dell’alba. Era il giorno in cui iniziavano le prime ricognizioni a Kattegat, pertanto le navi sarebbero salpate dalla Rus’ ben presto. Oleg e Ivar avevano architettato la strategia: spiare le nuove difese della città, contare su per giù il numero degli uomini, ricavare quante più informazioni possibili sull’esercito di Bjorn. I rapporti tra lei e Ivar non erano migliorati, anzi si erano allontanati sempre più fino a smettere persino di guardarsi. Si erano scambiati solo poche parole di circostanza, ma per il resto ognuno continuava per la propria strada. Ivar e Katya sembravano affiatati, passeggiavano e ridevano, bevevano il tea davanti al fuoco, chiacchieravano fino a tarda sera. Hildr, invece, trascorreva il suo tempo con Johannes in mezzo a volumi polverosi e con Katya e Vadim quando erano disponibili. Ogni tanto parlottava con Igor, ma il ragazzino faceva molta più compagnia ad Ivar.
“Hildr.”
Vadim l’affiancò con due falcate, era tanto alto da obbligare la ragazza a sollevare il mento per guardarlo.
“Come sta Kyra? Ieri era pallida.”
“Sta bene, è colpa della gravidanza. Oleg ci aspetta al porto.”
“Bene. – disse lei – Finalmente respirerò di nuovo la fetida aria di Kattegat.”
“Non vuoi tornare a casa?”
“Quello che voglio è impossibile.”
Hildr stava pensando a Isobel e Aila, le uniche persone su cui poteva fare affidamento, la sua vera famiglia. Si sentiva sola a Kiev, tra genti straniere e inospitali, con Ivar distante anni luce.
“Anche quello che voglio è impossibile.” Disse Vadim, serio.
La luce che filtrava dalle finestre illuminava i suoi magnetici occhi verdi creando un bellissimo contrasto con i capelli scuri. Hildr sbarrò gli occhi per aver solo pensato a una cosa del genere e conficcò le unghie nei palmi delle mani.
“Non ti azzardare a darmi un altro bacio.”
“Oppure mi tranci la testa. Sì, è chiaro.”
Hildr ridacchiò e gli diede una spallata, al che Vadim finse di essersi fatto male.
“Alla buon’ora!” esclamò Ivar in tono irato.
Il sorriso di Hildr si smorzò all’istante, non aveva neanche la minima voglia di essere allegra nei suoi paraggi. Strinse la mano intorno all’elsa della spada per restare lucida e impassibile, proprio come un buon guerriero.
“Siamo puntuali, non temere.” Disse Vadim, gentile come suo solito.
Ivar guardava Hildr con un’intensità tale che lei dovette dargli le spalle per non cedere. Ben presto l’ambiente si riempì di soldati, circa una decina, che avrebbero condotto le navi verso lo stretto di Kattegat. Dalla sala del trono uscì Oleg, maestoso nella sua giacca dorata, e spalancò le braccia con un sorriso trionfante.
“Miei alleati, andate e tornate con le informazioni necessarie a vincere questa guerra. Vadim, assicurati che Ivar e Hildr facciano ritorno sani e salvi.”
“Certamente, principe.” Disse Vadim chinando il capo.
Il manipolo di soldati si riversò fuori dal palazzo, le tenute nere come il manto di un corvo che sembravano sporcare il candore della neve che gli spessi stivali calpestavano. Ivar li seguì per primo, lo sguardo fiero e la mano che giocava con uno dei suoi coltelli. Hildr e Vadim furono subito alle sue spalle simili alle due statue che proteggevano il palazzo.
 
Hildr era stranamente contenta di essere di nuovo in mare, con le onde che sollevavano l’imbarcazione e frusciavano producendo un suono piacevole. Era come essere catapultati nel passato, a quando trascorreva intere giornate in barca con Floki ed Helga tra risate e stuzzichini saporiti che la zia preparava con tanto amore. Sebbene avesse perso i genitori in tenera età, i suoi zii erano stati degli ottimi sostituti che in parte erano riusciti a colmare quel vuoto che lacerava il suo piccolo cuore di bambina. Perdere Helga e Floki avevano allargato quel vuoto di nuovo, ma perdere Ivar aveva fatto sì che quel vuoto la risucchiasse.
“Stai bene?”
Vadim le toccò la spalla per richiamarla, la guardava con enorme preoccupazione.
“Sto bene. Stavo solo ricordando. A che punto siamo?”
“Entro due giorni saremo a Kattegat. Tu e Ivar, invece, avete fatto un viaggio molto lungo per arrivare a Kiev.”
Hildr lanciò un’occhiata ad Ivar che se ne stava da solo in un angolo a intagliare il legno, una delle sue tante doti nascoste ma che lei apprezzava.
“Il nostro viaggio si è protratto a lungo perché siamo rimbalzati da una parte all’altra. Non pensavamo nemmeno di restare in Rus’, è stata una coincidenza che Oleg fosse di origine scandinava.”
“E’ stata una fortuna per me che tu sia capitata in Rus’.” Disse Vadim.
“Vadim, lo sai che io …”
“Che ami Ivar, lo so. Ma non vorrei saperlo. E vorrei che tu non lo amassi.”
Hildr si toccò l’anulare sinistro e avvertì la dolorosa assenza dell’anello. Guardò ancora Ivar, immerso a scavare il legno col coltello, ed ebbe un tuffo potente al cuore.
“Anche io vorrei non amarlo, eppure lo amo. Non è la testa che decide, è il cuore.”
Vadim fece scorrere il dito lungo la treccia della vichinga e abbozzò un sorriso triste.
“Vorrei che il tuo cuore decidesse meglio.”
Ivar di sottecchi spiò Hildr e Vadim parlare fitto, vicini, un’atmosfera particolare li avvolgeva. La gelosia gli schizzò nelle vene unendosi al sangue, era una sensazione sgradevole. Nella sua mente era ancora impressa l’espressione delusa e ferita di Hildr quando l’aveva scoperto a baciare Katya. La tristezza di Hildr per lui era una sconfitta, avrebbe preferito piantarsi l’ascia nel petto che farla soffrire. Invece era successo, aveva ferito l’unica persona che gli era sempre stata accanto, che lo aveva sempre protetto, che lo aveva sempre amato, e tutto questo in memoria di una donna che lui stesso aveva ucciso. Tutto perché il senso di colpa nei confronti di Freydis superava l’affetto di Hildr. L’odio per stesso e per le sue azioni oscuravano l’amicizia e l’amore. Solo. Ivar era rimasto solo.
 
Due giorni dopo
Hildr si svegliò di soprassalto. Ivar incombeva su di lei mentre con la stampella la pungolava.
“Siamo arrivati.”
Lei si mise seduta contro la parete della nave e si sgranchì le braccia intorpidite dal sonno. Il sole era sorto da poco, faceva freddo e il mare era piuttosto calmo. In lontananza era visibile Kattegat, o meglio i tetti e la grande casa reale. Vadim ordinò al timoniere di attraccare nel punto più nascosto della costa per evitare che dalla città si accorgessero di loro.
“Sei a casa. – disse Vadim – Come ti senti?”
Hildr emise un sospiro, non sapeva se essere felice o triste di essere tornata in quel posto che le aveva regalato tanta gioia ma anche tanto dolore.
“Diciamo che sto. Come ci organizziamo, Ivar?”
Ivar fu stupito quando Hildr gli rivolse la parola, non lo guardava in faccia ma nella sua voce non c’era tono di astio.
“Perlustriamo l’area nei dintorni della città in coppie per non essere scoperti. Dobbiamo acquisire quante più informazioni possibili e ripartire prima che ci trovino.”
“Hildr, vieni con me?” chiese Vadim.
Hildr raddrizzò la schiena e prese un respiro prima di rispondere.
“No. Io vado con Ivar, un comandante protegge sempre il suo re.”
Ivar si morse la guancia per non sorridere in maniera sfacciata, ma la decisione di Hildr lo rendeva felice. Sapere che lei, nonostante tutto, pensasse alla sua protezione era positivo.
“Certo. – disse Vadim – Allora ci rincontriamo sulla spiaggia appena fa buio.”
Hildr  recuperò un arco dell’esercito di Oleg, si fissò la faretra sulla schiena e recuperò anche un pugnale dalla lama lunga. Per qualsiasi evenienza, pensò.
 
Ivar camminava a rilento per colpa delle gambe intorpidite dal viaggio. Respirava con affanno mentre arrancava per tenere il passo di Hildr. La ragazza procedeva di qualche metro avanti per assicurarsi che la zona fosse sicura.
“Dunque, tu e Vadim siete molto amici.” Cominciò Ivar.
“Almeno io non bacio la prima principessa che mi capita sotto il naso.” replicò lei, dura.
Hildr scostò un ramo e si abbassò per passare, poi aiutò Ivar a fare lo stesso. In pratica si trovavano alle spalle di Kattegat, dove spesso Floki li aveva portati a raccogliere legna per le sue navi, pertanto conoscevano alquanto bene quella fitta boscaglia.
“Mi dispiace per quello che hai visto. Io …”
“Non ti devi giustificare, Ivar. Katya è una principessa, è bellissima, è raffinata ed elegante, ha quel fascino delicato che piace a tutti. Comprendo il tuo interesse per lei, però non comprendo perché tradirmi.”
Ivar si fermò, esausto nel fisico e nella mente, e costrinse Hildr a voltarsi verso di lui.
“Tu sei straordinaria. Sei migliore di Katya, sei più bella, più forte e coraggiosa, sei più gentile.”
“E perché lei ti piace? Perché hai mandato in malora la nostra relazione?”
Hildr aveva gli occhi, benché si fosse sforzata sino ad allora di mantenere la calma, e Ivar fu sopraffatto dall’angoscia.
“Perché lei mi ricorda Freydis. Mi ricorda la vita che avevo quando ero il re di Kattegat. Mi ricorda che un tempo sono stato speciale.”
“Uccidere Freydis ti ha sconvolto a tal punto? Assurdo. Ti fai divorare da un senso di colpa che ti sei provocato da solo. Quella vita era una bugia, una squallida illusione. Tu non eri un dio, lei non ti amava davvero e il vostro matrimonio si basava sul nulla. Tu sei speciale a prescindere da tutto e da tutti, ma sarà troppo tardi quando lo capirai.”
Ivar non seppe che dire e rimase in silenzio, al che Hildr rise nervosamente e riprese a camminare. La delusione era tale da pizzicarle gli occhi, ma si impose di non piangere davanti a lui. Chiuse le mani a pugno e conficcò le unghie nei palmi perché il dolore le impedisse di lacrimare.
“Hildr, hai sentito?”
La ragazza fece un respiro profondo, si girò e vide che Ivar si indicava l’orecchio. Si mise in ascolto anche lei e colse un flebile fragore tra gli alberi, sembravano passi strascinati. Hildr prese l’arco, incoccò una freccia e la puntò verso le fronde.
“Vieni.” Mimò ad Ivar, che si trascinò al suo fianco.
Quella vicinanza faceva male tanto che Hildr fece un passo avanti per prendere le distanze. Ivar finse di non rendersene conto, anche se dentro di sé il cuore ebbe un guizzo. Poi la sua attenzione fu catturata da una sagoma scura che si dirigeva nella loro direzione.
“Là c’è qualcuno.”
Hildr tese l’arco nel caso in cui dovesse annientare lo sconosciuto, e doveva ammettere che imbracciare la sua arma era una bella sensazione. Da un albero sbucò un uomo vestito di stracci, capelli lunghi e sporchi gli ricadevano sul viso pallido e zoppicava in preda ai tremori.
Ivar avrebbe riconosciuto gli occhi di suo fratello fra mille.
“Hvitserk? Sei tu?”
Hildr sgranò gli occhi quando Hvitserk sollevò lo sguardo spaventato su di loro. Non sembrava neanche più lui, sembrava un morto vivente. Ivar si avvicinò a lui e gli diede una pacca sulla spalla.
“Ivar, allontanati da lui.” disse Hildr, la freccia che mirava a Hvitserk.
“Va tutto bene. Abbassa l’arco. Io e mio fratello dobbiamo parlare.”
Hildr rimase interdetta dalla disponibilità di Ivar a riabbracciare il fratello dopo che quest’ultimo aveva preferito Bjorn e Ubbe. Abbassò l’arco come le era stato ordinato senza distogliere lo sguardo da Hvitserk poiché non si fidava di lui.
“Torniamo alle navi.” Disse Ivar, prendendo il fratello a braccetto.
Hildr li seguiva tenendo la mano intorno all’elsa del pugnale, nel caso in cui Hvitserk avesse provato ad aggredire Ivar.
 
Hildr non ne poteva più di starsene seduta in disparte. Ogni fibra del suo corpo pretendeva di muoversi, di agire, invece doveva restare ferma su una roccia scomoda. Ivar le aveva chiesto di parlare con Hvitserk in privato per un momento – che a lei sembrava eterno – e si erano appartati distanti da lei per non essere sentiti. Vadim e gli altri soldati non erano ancora tornati, del resto non era ancora calata la sera, perciò avevano tempo sufficiente per spremere Hvitserk e farsi spifferare i segreti di Bjorn. Balzò in piedi quando Ivar e Hvitserk si avvicinarono alle navi.
“Ecco il fratello scemo che torna.” Disse lei, sarcastica.
“Bada a come parli, Hildr.” La redarguì Ivar con tono serio.
Hvitserk si sedette contro la parete dell’imbarcazione con un sospiro, era stanco e affamato. Ivar gli mise una coperta sulle spalle e una intorno alle gambe, un’insolita tenerezza gli brillava nel volto. Hildr, invece, tirò un calcetto alla gamba per assicurarsi che fosse del tutto vivo.
“Ebbene, come mai ti sei ridotto così? Un cadavere divorato dai corvi sta decisamente meglio di te.”
Lei ignorò l’occhiataccia di Ivar, non le interessava di essere rimproverata come fosse una bambina indisciplinata. Hvitserk ridacchiò e si strinse nella coperta.
“Sono stato esiliato da Kattegat per aver ucciso Lagertha. Bjorn voleva bruciarmi vivo, poi ha pensato che la foresta mi avrebbe ucciso in maniera lenta e sofferta.”
“Per una volta Bjorn ha avuto ragione.” Disse Hildr.
“Hildr! – fece Ivar –Hai ucciso Lagertha per vendicare nostra madre?”
“Sarebbe la prima volta che fai qualcosa di utile.” Chiosò Hildr.
Ivar le colpì leggermente la coscia con la punta della stampella, irritato da quel comportamento ostile.
“Smettila, per tutti gli dèi!”
“No. – disse Hvitserk – L’ho uccisa senza rendermene conto. Dopo che siete andati via da Kattegat, quando la battaglia si è assopita, la mia mente ha smesso di funzionare. Sono tormentato dagli incubi e da mostri, mi sono ubriacato per sedare gli orrori nella mia testa.”
Ivar e Hildr si scambiarono uno sguardo breve ma loquace, come sempre comunicavano anche senza le parole.
“Credevi che Lagertha fosse uno di quei mostri?”
“Sì, è così. Ho vagato da solo per due giorni prima di incontrare voi.”
“Che peccato.” Commentò Hildr.
Hvitserk fece un risolino e fissò gli occhi arrossati sul fratello, sembrava sinceramente felice di rivederlo.
“E voi come mai siete qui? Indossate abiti strani.”
“E’ una lunga storia.”
Hildr intravide i bagliori dei fuochi che giungevano verso la riva, Vadim e gli altri stavano ritornando.
“Io vado ad aggiornare Vadim. Voi due restare qui a civettare come due signorine.”
“Non cambia mai, sempre pungente.” Disse Hvitserk.
Ivar guardò Hildr che salutava Vadim con una stretta di mano, erano diventati complici negli ultimi mesi e questo era per lui fonte di timore. Deludere Hildr era un errore a cui porre rimedio sarebbe stato quasi impossibile.
“Beh, Hildr … è Hildr.”
 
 
Vadim si era prodigato per accendere tre fuochi in modo che tutti fossero al caldo. Lui, Hildr, Ivar e Hvitserk si erano radunati intorno allo stesso fuoco per mangiare la preda che avevano cacciato prima che il sole tramontasse. Era ormai buio, sarebbero ripartiti all’alba, dunque era meglio sostare per la notte. Hildr accettò la propria porzione di cibo e la mangiò in silenzio, gli occhi fissi sul fuoco, persa in chissà quali pensieri. Dall’altra parte, Ivar la osservava attraverso le fiamme indugiando sul suo volto. Hildr aveva gli occhi scuri e le fiammelle danzavano in essi come stelle incendiate, era bella come sempre. Anche Vadim guardava la ragazza con una certa venerazione, e questo alimentava la rabbia e la gelosia di Ivar.
“Hai detto che Bjorn ha installato nuove protezioni. Di che si tratta?” chiese Vadim a Hvitserk.
“Ha costruito una nuova palizzata e ha realizzato altre opere difensive di cui io non so molto.”
“Inutile sin dalla nascita.” Borbottò Hildr.
Vadim ghignò, l’atteggiamento della vichinga nei confronti del nuovo arrivato lo divertiva.
“Sono sicuro che troveremo la soluzione per superare le difese della città. Deduco che le menti migliori si trovi intorno a questo fuoco.” Disse il russo.
“Vero. – convenne Ivar – Penso che sarà piuttosto facile elaborare una strategia, considerate le scarse doti intellettive di Bjorn.”
Hildr si alzò e si ripulì le mani sui calzoni, dopodiché bevve dalla borraccia di Vadim e raccattò una coperta dalla pila accatasta accanto a lei.
“Fantastico. Io vado a fare un sonnellino, avere a che fare con i traditori mi rende esausta.”
Ivar e Hvitserk si guardarono, non sapeva a chi si riferisse quella frecciatina, forse a entrambi dati i trascorsi.
“Sogni d’oro, Valchiria.” Disse Vadim sorridendo.
Hildr fece un inchino sbilenco e salì sulla nave in cerca di un angolino dove riposare. Non aveva sonno, però non riusciva a stare con Ivar senza volergli conficcare una pugnalata nel petto. Perché era così che lei si sentiva dopo averlo visto baciare Katya: ferita a morte.
 
“Hildr! Hildr!”
“C-che s-succede? Che …”
Hildr inarcò il sopracciglio quando vide la faccia di Ivar ad un centimetro dalla sua. I suoi occhi erano così azzurri da fare a gare con il mare in estate.
“Che diamine vuoi?”
“Ti devo parlare. Mi fai il favore di seguirmi?”
La ragazza, benché riluttante, avvertì l’esigenza di andargli dietro per capire la ragione di tanta urgenza. Ivar illuminava il tragitto con una fiaccola rubata dalla spiaggia, dove alcuni soldati dormivano, e Hildr gli camminava di fianco per non inciampare in qualche sasso o tronco.
“Che succede? Hai visto qualcuno? Siamo sotto attacco?”
“No, non succede nulla. Volevo solo parlarti di un’idea. Ti va ancora di fare quattro chiacchiere con me o sei troppo arrabbiata?”
Hildr arricciò il naso, lui era particolarmente bravo a farla sentire in colpa.
“Spero per te che riguardi l’invasione.”
“Sì, riguarda l’invasione. Prima, mentre sonnecchiavo, mi è venuto in mente quel pomeriggio che abbiamo passato con Floki ed Helga alla cava di pietre. Ricordi?”
Nel frattempo si erano inoltrati nella fitta boscaglia, gli alberi sembravano dotati di tentacoli spaventosi e il vento frusciava sollevando deboli fischi.
“Me lo ricordo. Floki ci portò lì per aiutarlo a raccogliere le pietre per chissà quale suo strano progetto. E’ lì che stiamo andando?”
Ivar incespicò a causa dell’erba alta e Hildr gli afferrò la mano per non farlo cadere. Si ritrovarono appiccicati, i petti che si toccavano, le mani intrecciate. Lei si staccò subito come se avesse avvolto la mano intorno ad una barra di metallo incandescente. Ripresero a camminare senza dilungarsi sull’accaduto.
“Stiamo andando lì perché ho bisogno di un tuo parere sulla mia idea.”
Una decina di minuti dopo, tra una scivolata e qualche imprecazione, giunsero ai piedi di una ripida parete rocciosa. Le bianche pietre accalcate attorno a loro spiccavano nel buio come lucciole in estate.
“Quale sarebbe la tua folle idea?”
Ivar si sedette su un tronco caduto di traverso e si massaggiò una gamba, mentre Hildr spostava la fiaccola di qua e di là con fare circospetto.
“Ci serve un modo per entrare a Kattegat senza essere visti, giusto? Le navi vengono intercettate immediatamente perché  il mare e il fiume sono sempre pattugliati, ma il bosco no. Potremmo scalare quella parete rocciosa per arrivare in città senza essere visti. Come abbiamo fatto a York, usiamo l’ingegno per avere la meglio. Che ne dici?”
Hildr studiò la parete in questione con attenzione, valutando la presenza o meno di appigli, valutando il pericolo di una simile impresa.
“Dico che è folle, però potrebbe funzionare. Bjorn non si aspetta di vederci scalare la parete. Sono d’accordo con te, è un buon piano.”
Ivar sorrise tronfio, lo inorgogliva quando gli altri riconoscevano le sue doti di stratega.
“Proporrò la faccenda a Oleg.”
“Va bene. – disse Hildr – Ora torniamo alle navi? Qui siamo vulnerabili a qualsiasi attacco.”
Stava per avviarsi verso la spiaggia quando Ivar l’agguantò per il polso, obbligandola a voltarsi. La fiaccola cadde tra due massi, la fiamma era debole ma viva.
“Aspetta, Hildr.”
“N-non è sicuro. Dobbiamo andarcene.”
Di colpo Hildr sentì le mani di Ivar sui fianchi che l’attiravano in un abbraccio. Sebbene facesse freddo, lei sentiva caldo per quella vicinanza.
“Aspetta. Ti supplico, aspetta.”
“Che vuoi, Ivar?”
Hildr ringraziò che ci fosse il buio a celare il rossore sulle sue gote, sarebbe stato imbarazzante se lui lo avesse notato. Trasalì quando percepì la bocca di Ivar a pochi centimetri dalla sua.
“Sto letteralmente morendo dalla voglia di baciarti.”
“Allora muori.” Sussurrò Hildr tra i denti, la collera sporcava la sua voce.
Provò ad allontanarsi di nuovo, ma la presa di Ivar era ferrea e non le dava la possibilità di andare via.
“Un bacio, ti chiedo solo questo. E’ buio, non ci vede nessuno, tu non vedi me e io non vedo te. Lasciamo che il buio seppellisca tutto quello che è successo nelle settimane precedenti, lasciamo che nasconda questo momento e che poi lo divori fino a farlo scomparire. Baciami, Hildr. Ti prego. Baciami.”
Una volta Floki, quando Hildr era bambina, aveva detto che Ragnarok – la battaglia distruttiva finale – avrebbe causato un tracollo del mondo tale che solo il buio e il silenzio sarebbero sopravvissuti prima della nuova creazione. E in quel momento, circondati dal buio e dal silenzio, loro potevano compiere qualsiasi azione prima che il sole spuntasse per creare un nuovo giorno. Hildr permise all’oscurità di inglobare e spazzare via quell’istante.
Ivar sussultò quando Hildr finalmente lo baciò. Era un bacio vorace, disperato, al sapore di mancanze. Lui ne approfittò per stringerla a sé e approfondire il contatto. Ben presto le mani di Hildr gli si incrociarono sulla nuca per spingerlo in nuovo bacio passionale. Le loro bocche erano calde e sicure, si muovevano seguendo una logica perfetta. Per loro baciarsi era naturale quasi quanto respirare. Le dita di Ivar risalirono dal fianco di Hildr per sbottonarle la giacca della tenuta e accarezzarle il collo. Lei ansimò quando sentì la mano del ragazzo le scivolò delicatamente sul seno destro, era bollente in tutto quel freddo che li attorniava. Smisero di baciarsi ma non si separarono, le loro fronti si toccavano. Hildr teneva gli occhi chiusi perché, insieme al buio, non voleva vedere cosa aveva appena fatto. Ivar, dal canto suo, la guardava con aria trasognata perché Hildr per tutto ciò che i suoi occhi avrebbero voluto guardare.
“Hildr, io …”
“Hildr! Ivar! Dove siete?”
I due si staccarono non appena riconobbero la voce di Vadim, che avanzava nella notte facendosi luce con una fiaccola.
“Siamo qui! – gridò Ivar – Stiamo bene!”
Hildr simulò una calma apparente quando Vadim fu vicino, i suoi occhi verdi brillavano alla luce delle fiamme.
“Che ci fate nel bel mezzo del bosco?”
“Stavo esponendo la mia strategia di attacco a Hildr. Volevo un parere del mio braccio destro.”
Il russo riservò uno sguardo interrogatorio a Hildr, che si limitò ad annuire in accordo con Ivar.
“D’accordo. Torniamo indietro, sì?”
Hildr fu la prima a muoversi in direzione delle navi, non avrebbe resistito un altro secondo in compagnia di Ivar.
 
“Ivar è bravo a mentire, sai.” Esordì Vadim mentre spostava un ramo per passare.
“Non capisco.” Disse Hildr, turbata da quella affermazione.
“Lo so che la storia della strategia è una bugia, o almeno è vera per metà.”
Ivar li sorpassò per salire sulla nave e controllare che Hvitserk stesse ancora dormendo. Hildr e Vadim si fermarono vicino ad uno dei fuochi sulla spiaggia per scaldarsi.
“E da cosa deduci che si tratta di una mezza bugia?”
“Hai le labbra rosse e la giacca slacciata. Vi siete baciati?”
Nelle parole del russo serpeggiava una punta di gelosia che innervosiva la ragazza, era un sentimento inappropriato.
“Quello che io e Ivar facciamo non è affar tuo. Che ci baciamo o ci ammazziamo, è solo un nostro problema.”
“Lui non ti merita, Hildr. Prima te ne accorgerai, prima capirai che lui per te è nocivo. Sei troppo preziosa per uno come Ivar. Sei troppo preziosa per tutti.” Disse Vadim.
Hildr lanciò un’occhiata a Ivar e si morse le labbra, consapevole di aver commesso un errore. Anziché assecondare quei baci, avrebbe dovuto schiaffeggiarlo e urlargli contro, invece si era abbandonata a lui come faceva sempre. Il suo cuore non avrebbe mai smesso di amarlo.
 
“Brava! Hai una mira perfetta!” si complimentò Hvitserk.
Hildr esultò per gli ottimi risultati che aveva raggiunto negli ultimi mesi di allenamento sotto la supervisione di Hvitserk e Ivar. Si lasciò cadere sull’erba accanto ad Ivar e si mise a guardare le nuvole bianche che solcavano un cielo azzurro vivo.
“Quella nuvola somiglia al cavallo di Ubbe.” Disse Ivar, indicando un punto bianco.
Hildr scoppiò a ridere e rotolò sul fianco per guardare meglio il ragazzo. Aveva i capelli più lunghi ed erano intrecciati, aveva più muscoli e qualche tatuaggio sulle spalle, eppure lei vedeva sempre quel bambino imbronciato che era stato un tempo.
“E le altre nuvole?”
“Quella somiglia alla testa di Floki, è identica! Quell’altra mi ricorda un cervo, non so perché. Quella … quella somiglia a te, leggera e candida.”
Hvitserk, seduto su un tronco, rise per lo sguardo innamorato che Ivar e Hildr si scambiavano. Era palese che fossero cotti l’uno dell’altro, ma per qualche motivo nessuno dei due si confessava. Erano la coppia di amici più strana che avesse mai conosciuto: stavano sempre insieme, ridevano e bisticciavano, si sostenevano a vicenda e si criticavano, l’uno supportava l’altro nei momenti difficili. Ragnar aveva sempre ribadito che quei due sarebbero vissuti e morti insieme perché neanche Ragnarok avrebbe reciso il legame di Hildr e Ivar. Loro erano per sempre.
 
L’indomani, quando il sole emanò i primi timidi bagliori, ripartirono senza perdere tempo. Le probabilità di essere scoperti di giorno erano troppe alte per attardarsi. Hildr sedeva in disparte, distante da tutti, con un senso di angoscia nel petto. Sentiva le risate di Ivar e Hvitserk, per un attimo le sembrava di essere tornata a quando si allenavano insieme e finivano per scherzare sulle nuvole. Non erano più ragazzini, erano adulti con una guerra da fronteggiare, con la morte che aleggiava su di loro. Al collo di Ivar brillava ancora la collana che in passato era appartenuta alla madre di Hildr, lei non aveva il coraggio di chiederne la restituzione. Lui, del resto, non avrebbe ceduto quell’oggetto caro che ormai faceva parte di lui. Hildr rabbrividì quando i suoi occhi incontrarono quelli di Ivar, iridi nere in iridi azzurre. Terra e cielo che si mescolavano. E allora fu chiaro ad entrambi che, nonostante tutto e tutti, loro erano legati per il resto della vita.
 
Salve a tutti!
Hildr e Ivar non sanno come comportarsi insieme, ma è certo che prima o poi si ritrovano sempre. Ora c’è anche Hvitserk a peggiorare le cose!
Fatemi sapere cosa ne pensate.
Un bacio, alla prossima.

 

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Capitolo 9
*** Nodi indissolubili ***


9. NODI INDISSOLUBILI
# Hildr si tormentava una ciocca di capelli mentre Ivar si toglieva la casacca. Erano trascorsi due giorni dall’assedio di York, la cittadina pullulava di vichinghi piuttosto ubriachi e in vena di risate. Quella mattina Ivar l’aveva tirata giù dal letto perché aveva avuto un’idea: voleva marchiarsi la pelle con un tatuaggio per celebrare la vittoria. Sebbene lei fosse stata riluttante al pensiero di uno scalpello che le scavava la pelle, alla fine lo aveva assecondato come sempre. Ora, seduta di fronte a lui, faceva tremare la gamba per il nervosismo.
“Hai pensato al tatuaggio che vuoi?” le chiese Ivar.
La resistenza al dolore che aveva sviluppato sin da bambino stava dando i suoi frutti, il ragazzo non dava segnali di sofferenza mentre l’uomo barbuto gli imprimeva i segni sulla schiena.
“No. – disse Hildr – Hai qualche suggerimento?”
Ivar sorrise di sbieco, lui aveva sempre un suggerimento. Per tutta la notte aveva meditato in cerca di un simbolo che potesse accomunarli.
“Potremmo tatuarci due nodi. Lo sai che i nodi dei marinai sono difficili da sciogliere, se non impossibili. Il nostro legame è come un nodo: indistruttibile.”
Se prima Hildr era incerta, adesso era sicura di volere quel tatuaggio a vita sul proprio corpo.
“Ci sto. Lo voglio fare sul polso, sulla pelle che ricopre il sangue che scorre. Tu?”
“Qui sul petto. Lo voglio giusto sopra il cuore.”
La risposta di Ivar fece sorridere Hildr perché quelle manifestazioni di affetto erano insolite per loro. Abituata a insulti e schernimenti, fu scossa da un brivido di felicità per quelle parole.
Due ore dopo Hildr soffiava sulla pelle arrossata e increspata dall’inchiostro.
“Fa un pochino male.” disse, studiando il nodo nero.
Ivar le prese il polso e poggiò le labbra sul tatuaggio con delicatezza, al che Hildr sussultò.
“Un bacino guarisce tutte le ferite. Va meglio?”
Lei ridacchiò e scosse la testa, sin da bambini continuavano a fare quel giochino stupido.
“Sì, va meglio.”
“Allora andiamo a conquistare il mondo, mia Valchiria!”
Mano nella mano, ridendo come matti, passeggiavano fra le strade di York sotto gli sguardi straniti della gente.#
 
 
Tre giorni dopo
Ivar si svegliò per l’ennesima volta in un letto vuoto. Ormai Hildr alloggiava in biblioteca e non aveva intenzione di tornare a condividere la stanza con lui. Dopo quel bacio nel cuore della notte non si erano più parlati. Lei lo evitava di proposito, a cena ignorava i suoi sguardi, e lo salutava soltanto con un minimo cenno del capo. Ivar non sapeva cosa fare, era caduto in un baratro di solitudine e disperazione per aver perso la sua àncora. Eppure ogni volta che vedeva Katya in lui nasceva un sentimento di gioia che oscurava la disperazione, era come tornare a vivere. Era possibile essere felici e tristi al tempo stesso? Era possibile provare sentimenti per due donne? Il flusso dei suoi pensieri fu interrotto dall’arrivo di Igor.
“Buongiorno. Stai ancora dormendo? Muoviti, Oleg ti vuole incontrare!”
“Hai visto Hildr?”
Igor inarcò il sopracciglio, aveva capito che tra l’amico e la ragazza qualcosa non andava bene come prima.
“Sì. L’ho vista uscire dalla biblioteca con Vadim. Quei due passano davvero un sacco di tempo insieme.”
Ivar emise un sospiro pesante mentre si infilava i sostegni alle gambe. Nella sua mente balenò l’immagine di Hildr e Vadim che si baciavano, dovette trattene un conato di vomito.
“Vadim è sposato e presto diventerà padre. Di certo non pensa a Hildr.”
“Fidati, Vadim pensa moltissimo a Hildr!” replicò Igor.
Ivar ripensò a quel bacio di pochi giorni prima, la sensazione del seno di Hildr sotto la mano, la sua bocca carnosa che lo baciava e ansimava.
“Ivar! Sbrigati! Oleg odia i ritardatari!”
“Arrivo, arrivo!”
Faceva fatica a camminare, le gambe erano pesanti e doloranti, temeva che un altro osso si fosse spezzato. Giunse nella sala del trono con la fronte imperlata di sudore, dunque si accasciò sulla prima sedia che trovò e si massaggiò le ginocchia.
“Siamo pronti.” Annunciò Oleg.
Hildr e Vadim smisero di parlottare e si avvicinarono al tavolo. Accanto a lei stava Hvitserk, fresco e riposato rispetto a come lo avevano trovato.
“Ivar ha un piano per entrare a Kattegat. Ritengo sia una buona strategia.” Disse Vadim.
“Bene. – disse Oleg – Esponici il piano, vichingo.”
Ivar si sforzò di mettersi in piedi, la gamba sinistra tremolava, e allungò le mani sul modellino plastico che rappresentava Kattegat.
“Dobbiamo suddividere la flotta: una parte arriva dal mare, un’altra risale dal fiume, una parte scende a terra e giunge a Kattegat di nascosto. Per irrompere in città senza essere visti, e quindi sorprendere i nemici, possiamo scalare una parete rocciosa che si staglia nel bosco a nord di Kattegat. Bjorn non se lo aspetta un attacco su tre fronti.”
“Certo, è una strategia allettante. La città come è protetta?” domandò Oleg.
Fu Hvitserk questa volta a farsi avanti dato che era l’unico ad avere lasciato la città indenne.
“Kattegat è protetta da una palizzata, mentre la spiaggia è protetta da una serie di spuntoni di legno per prevenire l’attacco via mare e da una piattaforma di legno. Ivar ha ragione a dire che non si aspettano il nostro ingresso dalla parete.”
Oleg sembrò riflettere su quelle informazioni, si toccava la barba sul mento e respirava piano.
“Hildr, tu che ne pensi?” volle sapere Vadim.
La ragazza si ritrovò tutti gli occhi puntati addosso, compresi quelli di Ivar che sembravano sul punto di trivellarle l’anima.
“Sono d’accordo con Ivar. Bjorn sta riutilizzando alcune delle difese che io ho ideato per Kattegat l’anno scorso. Dividere l’esercito è la strategia migliore. L’attacco su più fronti è la soluzione ottimale per avere la possibilità di entrare in città. Bjorn punta tutto sulla difesa delle coste senza pensare che potremmo attaccare da qualsiasi altro punto dello stretto.”
Vadim annuì e le riservò uno sguardo fiero.
“Allora anche io sono d’accordo con Ivar. Oleg, che te ne pare?”
“Sì, anche a me pare un’ottima strategia. Non riusciranno mai a difendere tutti i fronti su cui abbiamo intenzione di attaccarli. Vadim, procedi alla ripartizione dei compiti e arruola nuovi soldati. Tra un mese, non appena la primavera farà germogliare i primi fiori, partiremo. Siete congedati.”
L’assemblea fu sciolta e i presenti si riversarono in corridoio, lasciando il principe da solo.
“Hildr, vieni.” Disse Ivar.
Hildr si congedò da Vadim e si avvicinò ad Ivar, che le mise la mano sulla spalla per reggersi. Era pallido e sudato, appariva sofferente.
“Stai bene? Non hai una bella faccia.”
“Sto bene. Ti devo parlare dei nostri piani per il futuro.”
Lei capì al volo che ‘piani per il futuro’ intendesse Isobel e Aila, dunque annuì e lo aiutò a camminare verso la stanza in cui un tempo dormivano assieme. Hildr chiuse la porta con il chiavistello, mentre Ivar si sedeva sul letto e si liberava le gambe dai supporti.
“Che succede?”
Hvitserk era stato invitato da Vadim per una bevuta, così loro avevano il tempo necessario per affrontare il discorso. Hildr si sentiva a disagio, l’ultima volta che aveva dormito in quel letto le cose erano diverse tra le e Ivar, erano uniti e innamorati. Si sedette sulla mensola sotto la finestra, lontana da lui.
“Hvitserk mi continua a chiedere di Isobel e Aila, è la sua ossessione.”
“E allora? Mi auguro che tu abbia inventato una scusa per proteggerle.”
Ivar corrugò la fronte e abbassò lo sguardo, tipico atteggiamento che assumeva quando deludeva le aspettative altrui.
“Non ho inventato nessuna scusa. Sono stato sincero. Gli ho detto che ha una figlia di nome Aila, che lei e Isobel sono tornate in Wessex e che andremo a riprenderle.”
Per Hildr fu come ricevere una pugnalata allo stomaco, al cuore, al cervello. Le vennero gli occhi lucidi, voleva piangere dalla rabbia e dalla delusione, ma non lo fece.
“Hai venduto nostra nipote! Hai venduto Aila a quel traditore di tuo fratello! Sei un idiota, Ivar! Brutto bastardo!” urlò lei in preda ad una furia crudele.
“Calmati! Hvitserk è suo padre e merita di sapere dove si trovi sua figlia! Non abbiamo alcun diritto su quella bambina!”
Hildr affondò le unghie nelle cosce per non affondarle nella carne di Ivar.
“Abbiamo promesso di proteggere lei e Isobel. E tu che fai? Spifferi tutto a Hvitserk solo per avere il suo appoggio! Mi fai schifo!”
“Aila è sua figlia! Non tua! Non è tua figlia e non lo sarà mai perché una madre ce l’ha! Tu puoi farti ingravidare da Vadim, so che a letto è bravo!” sbraitò Ivar.
Lei rimase scioccata, occhi sbarrati e bocca spalancata.
“Ora capisco. Tu non hai parlato di Aila a Hvitserk per riunire padre e figlia, tu glielo hai detto per ferire me. Tu sei geloso di Vadim e per questo hai voluto punirmi usando Aila.”
“Hildr … mi dispiace …”
“Taci. – ordinò Hildr – Nessun’altra parola deve uscire dalla tua bocca velenosa. Sai che c’è, Ivar? Io non ti riconosco più. Pensi che io sia andata a letto con Vadim, dubitando della mia fedeltà dopo tutti questi anni insieme. Lo sai che per me il sesso non è importante. Lo sai che a me piace il modo tutto nostro in cui facciamo l’amore perché, appunto, lo abbiamo creato noi stessi. E poi, fai tanto la morale a me quando tu hai baciato Katya e continui a pensare a Freydis. Io sono … delusa, profondamente. Vuoi che gli altri ti accettino perché tu in primis non ti accetti. Sei un uomo strabiliante, Ivar, ma non te rendi conto. La tua cecità ti fa risultare stupido. Ho capito che non mi ami più, anzi forse non mi hai mai amato, e va bene, però detesto che tu non ami te stesso. A questo punto credo che non siamo fatti per stare insieme. Non riesco neanche a guardarti in faccia dopo quello che hai fatto.”
Ivar serrò la mano attorno alla stampella fino a sbiancare le nocche.
“Mi stai lasciando, Hildr?”
“No. Sei tu che hai lasciato me quando hai baciato Katya.”
Hildr era serena, sebbene pochi minuti prima avesse urlato come una forsennata, e quella calma irritava il ragazzo.
“Ho perso mia moglie e la mia migliore amica in un colpo solo.”
“Sì. – confermò lei – Però svolgerò il mio ruolo da comandante e braccio destro in battaglia come sempre. Quando e se torneremo a Kattegat, discuteremo di questo mio ruolo. Ho promesso a Odino e a Ragnar di starti accanto in qualsiasi situazione, ed è ciò che sto facendo. Manterrò il giuramento fatto. Per quando riguarda noi due, non c’è nessun legame d’amore o di amicizia. Hai fatto le tue scelte, Ivar, e ora devi conviverci.”
Ivar avrebbe preferito morire piuttosto che subire quella condanna: perdere Hildr equivaleva a perdere una parte di sé. Ma non si oppose, si limitò a fissare il vuoto con gli occhi che pizzicavano a causa delle lacrime.
“Come vuoi tu.”
“Perfetto. C’è altro da discutere?”
“No. Puoi andare, se vuoi.”
“Certo, re Ivar.”
Dopo che Hildr uscì dalla stanza, Ivar si asciugò una lacrima e represse i singhiozzi. Assurdo, pensò. Hildr lo aveva appena nominato ‘re Ivar’ per la prima volta da quando erano amici, e faceva male. Quel titolo bruciava come sale cosparso su una ferita aperta.
 
Hvitserk trangugiava quella nuova bevanda calda una tazza dopo l’altra. Vadim l’aveva chiamata ‘tè’ e gliene aveva versate almeno due tazze piene, e lui non si era lamentato. Dal fondo del corridoio emerse Hildr, capelli neri che frusciavano come un mantello. Era nervosa e avvilita, la sua bocca era una linea dura.
“Hildr, mi leghi per bene i capelli?” domandò Hvitserk in tono gentile.
“Solo se dopo posso mozzarti la testa.” Ribatté lei, glaciale.
Vadim sorrise per l’irriverenza della vichinga, non aveva mai conosciuto una donna tanto diretta.
“Tutto bene fra te e Ivar? Spero non abbiate cambiato strategia.”
“Tutto bene, abbiamo solo parlato della scalata alla parete rocciosa. Dove posso trovare Kyra?”
“Nelle sue stanze. Mia madre la tiene sotto osservazione da giorni.”
Hildr non aggiunse altro, girò i tacchi e svanì di nuovo nel buio del corridoio. Voleva trascorrere del tempo con Kyra per distrarsi, per non pensare al fatto che il legame con Ivar si era appena spezzato in modo drastico.
“Hildr! Hildr!”
Vadim la bloccò contro la parete e le sollevò il mento con le dita. Lei, però, si scansò con uno spintone.
“Non toccarmi.”
“Che hai? Sei sconvolta. Ivar ti ha detto qualcosa?”
“Vadim, tu devi lasciarmi in pace. Non sono la donna giusta per te.” disse lei, secca.
“Non è vero. Sei perfetta.”
Vadim parlava con il cuore che gli batteva negli occhi, era un inguaribile romantico. Per questo Hildr si sentiva male a ferirlo in quel modo crudele.
“Sei sposato e stai per diventare padre, non perdere tempo dietro a qualcosa che non esiste. Io sono innamorata di un altro, malgrado tutto. Amare qualcuno non implica starci insieme. Certi amori possiamo solo viverli nella nostra mente.”
Vadim le accarezzò la guancia con l’indice, poi le depositò un bacio sulla fronte.
Quos amor verus tenuit, tenebit.”
“Che significa?”
“Il vero amore non smetterà mai di legale coloro che ha legato una volta.”
Hildr si sfiorò i nodi tatuati sul polso, una fitta dolorosa le pungolò tutto il corpo. Nonostante il dolore, i sentimenti per Ivar sarebbero rimasti veri ed eterni fino al suo ingresso nel Valhalla.
 
Kyra si annoiava a morte. Cucire non faceva per lei, la innervosiva non riuscire a mettere un punto esatto. Al contrario, Inna non faceva altro che cucire per ore intere, in silenzio e senza guardarsi attorno. Ecco perché Kyra si illuminò quando Hildr fu invitata ad entrare.
“Ehilà, straniera! Come mai da queste parti? Credevo che stessi scorticando vivo il tuo amico.”
La vichinga si sedette davanti al fuoco e allungò le mani per scaldarsi.
“Hvitserk, intendi? No, purtroppo è ancora vivo.”
Inna sbuffò come se quelle chiacchiere futili le facessero perdere la pazienza. Hildr non capiva perché quella donna provasse tanto astio nei confronti di Kyra, del resto era sua nuora e stava per dare alla luce suo nipote.
“Stamattina ho sentito Oleg e Katya litigare.” Disse Kyra, un accenno di sorriso sulle labbra.
Hildr si versò da bere e mangiucchiò qualche pezzo di frutta che i cuochi avevano appositamente preparato per la futura mamma.
“Perché mi dovrebbe interessare?”
Kyra mise da parte il ricamo, i suoi occhi si posarono sulla vichinga con un balenio.
“Perché il motivo del litigio era Ivar. A quanto pare Oleg sospetta che tra lo sgorbio e la moglie ci sia qualcosa. E’ vero?”
Inna si mosse inclinando la testa di lato, di sottecchi guardava Hildr. Benché apparisse sempre stoica e silenziosa, i pettegolezzi interessavano anche a lei.
“Non lo so. – rispose Hildr – Ivar non mi dice tutto quello che fa. Un comandante non è tenuto a conoscere certi dettagli della vita del proprio re.”
Kyra si oscurò in viso e si alzò per avvicinarsi a Hildr, le accarezzò le trecce nere come la pece.
“Da quando Ivar è solo il tuo re? Presumo che tra voi due le cose non vadano bene.”
“Ivar ha fatto delle scelte che hanno condotto il nostro rapporto alla deriva. Certi legami sono destinati ad estinguersi.” Disse Hildr, un nodo le premeva in gola.
“Sapevo che Ivar fosse un imbecille, ma non pensavo che avrebbe sbavato per Katya. Insomma, è uno sgorbio nell’anima!” protestò Kyra.
Hildr fece un mezzo sorriso, almeno Kyra era in grado di risollevarle di poco il morale. D’improvviso sembrava che i nodi sul polso bruciassero dolorosamente.
 
Due settimane dopo
“Raccontami di più.” disse Hildr a Johannes.
Era ora di cena e si erano riuniti intorno ad un piccolo tavolo della biblioteca, poiché lei si era rifiutata di cenare con Oleg e gli altri propinando la scusa di essere stanca. Non aveva voglia di vedere Ivar, la sua presenza la faceva stare male.
Johannes le stava parlando dei romani, dei loro usi e costumi, dell’impero, e ora le stava raccontando alcune delle azioni messe in atto dagli imperatori.
“Ti racconto di Nerone. La storiografia lo ha designato come uno dei peggiori. Una volta salito al potere, non avendo un affetto vero per chi gli stava attorno, decise pian piano di eliminare tutti colore che potevano rappresentare una minaccia: fece uccidere Britannico, la madre e anche la moglie Ottavia. E’ stato anche accusato di aver dato fuoco a Roma per incolpare i cristiani. Era anche stonato e privo di talento, eppure costringeva i sudditi ad ascoltare le sue declamazioni poetiche durante le feste. Poveri sudditi!”
“Sono stati davvero pazienti a non ficcargli un pugnale nel petto!”
Entrambi si misero a ridere. Hildr si sentiva tranquilla in compagnia di Johannes, le sembrava di essere tornata bambina e di sentire le mille storie di Floki.
“Adesso raccontami tu qualcosa della cultura norrena.”
Hildr finì di mangiare il pasticcio di carne e si pulì le mani, dopodiché tracannò un bicchiere intero di acqua e si distese contro lo schienale della sedia.
“C’era una storia che mia madre mi narrava spesso quando era bambina: è la storia di Brunilde e Sigfrido. Brunilde è una Valchiria, la più testarda e ribelle. Per questa sua propensione alla disobbedienza Odino la relegò sulla cima di un monte in fiamme. Fu salvata dall’eroe Sigfrido. Si innamorarono e così attirarono l’invidia del mago Hayen, folle d’amore per Brunilde.  Riuscì a separare la coppia facendo bere a Sigfrido un intruglio che lo fece innamorare di un’altra donna. Brunilde, accecata dall’ira, rivelò ad Hayen il punto debole dell’eroe. Lo stregone colpì Sigfrido alla spalla, il suo punto mortale, uccidendolo. Brunilde scoprì dell’intruglio e dell’inganno del mago, quindi si gettò sulla pira che bruciava il corpo di Sigfrido. Le fiamme salirono fino al Valhalla, dove Odino accolse gli spiriti di Brunilde e Sigfrido in modo che vivessero insieme per l’eternità.”
“Il vero amore trionfa sempre.” commentò Johannes con dolcezza.
Hildr si rese conto, con disappunto, di aver raccontato una storia d’amore che a grandi linee riprendeva quella tra se e Ivar. Lei una Valchiria e lui un eroe, separati da una figura cattiva e riuniti solo dopo la morte. Ma davvero lei e Ivar si sarebbero ritrovati nel Valhalla? Per loro su Midgard non c’era alcuna speranza?
La porta della biblioteca fu aperta con un tonfo che fece sussultare la ragazza e il vecchio bibliotecario. Sulla soglia c’era Igor che respirava con affanno dopo aver corso su e giù per il palazzo.
“Ivar sta male. Devi aiutarlo!”
Hildr impiegò una manciata di secondi per prendere la sua bisaccia e seguire Igor. Corse più veloce che poté, l’ansia era un buon incitamento a sbrigarsi. Sapere che Ivar stava male e aveva bisogno di lei da una parte era piacevole ma era anche spaventoso. Temeva che prima o poi quei malori lo avrebbero ammazzato, e a lei cosa sarebbe rimasto senza lui?
 
Ivar si piegava in due dal dolore. Pregava Thor di fulminarlo seduta stante anziché continuare a patire quella atrocità. Si era ritirato dalla cena con la scusa di sentirsi stanco – anche se, doveva ammettere, l’assenza di Hildr lo aveva ferito – e si era rintanato in camera man mano che il dolore aumentava.
“Ivar!”
Hildr comparve insieme a Igor, ambedue molto preoccupati per le sue condizioni di salute.
“Va via. Sto bene.” biasciò lui, in evidente stato penoso.
“Igor, esci e sorveglia la porta. Che nessuno entri. Ci penso io ad Ivar.” Disse Hildr.
Igor richiuse la porta e si sedette per terra comodamente, presumeva che le cose sarebbero andate per le lunghe. Più tardi avrebbe chiesto alla servitù di portargli qualcosa da magiare dato che a cena si era limitato a piluccare nei piatti.
Nella stanza a spezzare il silenzio erano i lamenti di Ivar. Era sudato, bianco in volto e stringeva le mani intorno alla stampella per reggere la sofferenza. Hildr si inginocchiò davanti a lui e lo guardò con tutta l’apprensione possibile.
“Che cosa è successo? Ti fanno male le gambe?”
“Ah, adesso ti importa di me? Fantastico!” sbottò Ivar, scosso da un’altra ondata di dolore.
“Mi importa sempre di te, Ivar.”
“Stento a crederci.”
Hildr gli afferrò il mento e lo obbligò a guardarla.
“Guardami negli occhi e dimmi che ti fidi di me.”
Ivar fu trafitto dalla spaventosa sincerità nello sguardo di Hildr. Sì, le importava di lui a prescindere dalla loro separazione. E sì, lui le avrebbe affidato la propria vita.
“Mi fido. Certo che mi fido di te.”
“Grazie. – disse Hildr – Allora, dove ti fa male?”
“Ieri stavo passeggiando in cortile e sono caduto, mi sono procurato una sbucciatura piuttosto profonda e ora suppongo che un osso si sia rotto.”
La ragazza gli tastò la fronte che scottava e gli controllò i battiti del cuore dalla gola.
“Hai la febbre e hai i battiti accelerati. Spogliati, fammi vedere.”
Ivar si calò piano i calzoni, ogni movimento era uno sforzo che gli faceva digrignare i denti. La gamba destra era arrossata nel punto in cui un’ampia sbucciatura stillava piccole gocce di sangue. Hildr studiò con estrema attenzione la pelle, come le aveva insegnato sua madre da bambina, e ragionò in fretta sul da farsi.
“Nessun osso si è rotto. Il dolore è provocato dalla ferita non curata. Sei stato fortunato.”
“Tu sei qui, quindi mi sento molto fortunato.” Disse Ivar, sorridendo appena.
Lei ignorò quel commento, era comunque adirata con lui per la faccenda del tradimento e di certo una ferita sanguinolenta non diminuiva la delusione.
“In questi mesi dalle cucine ho rubato alcune erbe curative e unguenti. Per la ferita uso il miele, è ottimo nei casi in cui la pelle ha bisogno di essere lenita. Per il dolore alle ossa posso usare la gramigna come sempre. Per la febbre ci sarebbe una specie di intruglio che ho rubato dalla scorta di medicinali di Kyra.”
“Fa la tua magia, Hildr.” La incitò Ivar.
Hildr versò una quantità abbondante di miele sulla sbucciatura e con estrema accortezza iniziò a spalmarlo. Ivar aveva il respiro concitato e ogni tanto, quando le dita della ragazza premevano, trasaliva. Per quanto facesse male, era una sensazione piacevole sentire Hildr toccarlo dopo tanto tempo. In quindici giorni si erano visti a malapena, non si erano parlati ed entrambi facevano il possibile per non trovarsi nella stessa stanza.
“Smettila di guardarmi, oppure ti cavo gli occhi.” lo minacciò lei.
“Tu smetteresti di guardare qualcosa che desideri?”
Ivar imprecò quando Hildr gli pizzicò la ferita, era un modo per zittirlo.
“Perché ieri non mi hai detto che sei caduto? Se la ferita si fosse infettata, avresti rischiato molto. Sei stato un incosciente.”
“Perché temevo che mi avresti respinto. E’ così che fai negli ultimi tempi, mi odio e mi tieni lontano.”
Hildr terminò di ungere la ferita col miele e la coprì con una benda pulita (sempre rubata dalle scorte di Oleg), dopodiché si mise a pestare la gramigna per le ossa.
“Sono il tuo braccio destro, è mio dovere prendermi cura di te. Non posso lasciare che il mio re muoia, non ora che siamo ad un passo da riprenderci Kattegat.”
Ivar fece una smorfia disgustata, avrebbe voluto sbattere la testa fino a dimenticare l’appellativo con cui lei gli si rivolgeva.
“Re. – disse, sprezzante – E’ questo che sono per te dopo tutti questi anni? Mi aspettavo qualcosa di più. Certo, non stiamo più insieme, ma potremmo ancora essere amici. Migliori amici.”
“Abbiamo solo giocato a fare la coppietta innamorata. Non siamo fatti per stare insieme, e forse neanche per essere amici.” Disse Hildr.
Pestava le foglie con forza, quasi volesse triturare il proprio cuore per cancellare la sofferenza che in esso abitava.
“Sei la parte migliore di me, Hildr. Che tu sia mia moglie, mia amica, o il mio comandante, tu sei l’unica parte che amo di me.”
“E perché diamine hai baciato Katya?”
Hildr di colpo si era bloccata, la bocca che tremava, gli occhi scuri puntati su di lui. Dal canto suo, Ivar abbassò il mento perché era incapace di reggere la tristezza della ragazza.
“Perché mi sento in colpa per aver ucciso Freydis. Katya per qualche bizzarra ragione mi ricorda Freydis, baciarla e stare con lei mi fa sentire meglio. Mi fa pensare di poter porre rimedio ai miei peccati.”
“Però Katya non è Freydis, e le tue colpe non svaniscono. Stare con Katya non ripulirà la tua coscienza, ti farà solo illudere e alla fine ti annienterà.”
“Lo so.”
“Allora ti sei condannato ad un suicidio dell’anima.” Sentenziò Hildr.
Si avvicinò di nuovo al letto per applicare la pasta di gramigna sulle gambe malmesse di Ivar, era così abituata che era un gesto meccanico a cui non badava più. Ricordava ancora che Aslaug l’aveva ringraziata per giorni per aver trovato un rimedio che alleggerisse le pene del figlio.
“Mi odi, Hildr?” domandò Ivar.
Sudava ancora ed era bollente, eppure era lucido come sempre. Hildr gli sfiorò il ginocchio in una debole carezza.
“Brunilde ha mai odiato Sigfrido per davvero?”
Ivar conosceva la storia d’amore di Brunilde e Sigfrido, amanti in eterno nonostante le avversità.
“No, non lo hai mai odiato per davvero.”
“Ecco la risposta alla tua domanda.”
“Mi amerai di nuovo?”
Hildr sospirò, avvertiva un peso opprimente sullo sterno che quasi la soffocava. Con le dita andò a toccare i nodi tatuati sul petto del ragazzo, il cuore gli batteva forte.
“Il Veggente aveva ragione: noi combatteremo ancora insieme ma non saremo insieme per sempre.”
Ivar fece ciondolare la testa sul petto, sconfitto dai segreti, dalle colpe, dalla solitudine.
“Il Veggente aveva ragione anche su un’altra cosa. Un giorno mi disse di aver visto che il mio futuro sarebbe stato incerto, ricco di luci e ombre. Aveva visto una guerra, fiumi di sangue e una distesa bianca. Inoltre, aveva visto ali spezzati e un cuore a pezzi.”
Hildr, piegata sulle ginocchia, si passò una mano fra i capelli con preoccupazione. Adesso era tutto chiaro.
“La distesa bianca è la neve di Kiev. I cuori spezzati sono i nostri.”
“Tu non hai solo il cuore spezzato, hai anche le ali spezzate.” Disse Ivar.
“La nostra distruzione era già stata scritta dagli dèi. Odino ci ha fatto credere di poterlo sfidare, invece aveva programmato la nostra fine tempo addietro. Dobbiamo arrenderci al nostro destino.”
“Sei tu il mio destino, Hildr. Non mi importa cosa abbiano deciso per noi gli dèi, io sono Ivar Senz’Ossa e scelgo io come vivere.”
Nella stanza irruppe Hvitserk, causando l’interruzione di quella conversazione.
“Fratello, stai bene?”
“Sì. – mentì Ivar – Hildr mi ha rimesso in sesto.”
“Non avevo dubbi che lei sarebbe stata al tuo fianco.” Replicò Hvitserk con un sorriso.
Hildr stava per fare una delle sue battute quando l’entusiasmo le crollò sotto i piedi. Katya entrò nella stanza e gettò le braccia intorno al collo di Ivar, abbracciandolo forte.
“Come ti senti? Sei andato via di fretta prima, ero in pensiero per te.”
“Mi sento meglio. Hildr mi ha curato.” Disse Ivar, scontandosi da Katya.
La principessa rivolse un’occhiata di superiorità a Hildr, non sopportava che quella ragazza si trovasse sempre al fianco di Ivar.
“Ivar si riprenderà.”
“Per sfortuna sì.” fece Hildr.
 
Hildr si rannicchiò sotto le coperte, era sfinita e aveva solo voglia di dormire. Johannes russava già da un pezzo, sembrava una nave che sbuffava rumorosamente. Dopo aver fatto bere ad Ivar un intruglio per la febbre, si era defilata per non vedere le moine di Katya. Avrebbe voluto tirare un pugno sulla bella faccia della principessa, però si doveva trattenere per tornare a casa. Immaginò Isobel e Aila, il suono inudibile delle loro risate era un toccasana. Non vedeva l’ora di riabbracciarle e di sentirsi parte di una famiglia.
“Hildr! Hildr!”
Si mise seduta e sbirciò nel buio della biblioteca, ma non vedeva nessuno. Johannes dormiva beatamente, quindi non era stato lui a parlare.
“Chi c’è?”
“Hildr! Salva il Re dai tentacoli della bestia.”
“Chi c’è? Che cosa vuoi?”
Il volto deturpato del Veggente le balenò davanti agli occhi, facendola urlare.
“Salva il Re! Salva il Re, Valchiria! Salvalo prima che sia troppo tardi!”
“Hildr! Che succede?”
Johannes si era svegliato di soprassalto per le grida della vichinga, e l’aveva ritrovata con le mani sulle bocca.
“Ho avuto un incubo … credo. Torna a dormire, Johannes. E scusami.”
Il bibliotecario non se lo fece ripetere, le diede la schiena e tornò a russare. Hildr si sdraiò col cuore che martellava senza controllo, spaventata da quella visione ad occhi aperti.
Sì, toccava alla Valchiria salvare il Re.
 
 
Salve a tutti!
Ormai Katya è dappertutto, come le pulci. E tocca a Hildr far rinsavire Ivar.
Fatemi sapere cosa ne pensate.
Un bacio, alla prossima.

 

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Capitolo 10
*** I due Re ***


10. I DUE RE

Due settimane dopo
Hildr non aveva chiuso occhio, la trepidazione per la guerra imminente l’aveva costretta ad una notte insonne. Adesso guardava il proprio riflesso allo specchio, la tenuta nera aderiva al corpo perfettamente, i capelli erano intrecciati in un’acconciatura particolare, gli occhi erano cerchiati di nero secondo l’usanza delle shieldmaiden di truccarsi per la battaglia. Si fissò l’arco e la faretra sulla schiena, si munì di una spada corta e di un’ascia.
“Somigli ad Atena, la dea greca della guerra.” esordì Johannes dallo stipite della porta.
Hildr abbozzò un sorriso, si voltò verso l’anziano e gli diede una pacca sulla spalla.
“Questa dea è sopravvissuta a tutte le guerre?”
“Certo. E’ una dea, mica una donna qualunque!” replicò lui ridendo.
“Anche io vincerò. Le Valchirie mi proteggono.”
Johannes la intrappolò in un abbraccio goffo, odorava di polvere e pergamena.
“Sta attenta, Hildr. Hai il bracciale di mia figlia con te?”
“Certamente.”
Lei fece tintinnare il monile al polso e il bibliotecario emise un sospiro di sollievo, lo consolava sapere che sua figlia avrebbe protetto la ragazza.
Nec aspera nec ardua coela timeo, non temo gli asperi e difficili cieli. E’ una frase che i romani proclamavano poco prima dello scontro.”
Hildr notò che Johannes aveva gli occhi lucidi di commozione, e anche lei era triste per quel probabile addio.
“Ci vedremo ancora, Johannes.”
Lasciò la stanza senza girarsi a guardare indietro, doveva restare concentrata e non pensare a quello che abbandonava a Kiev.
“Straniera, pensavi di andartene senza salutare?”
Kyra si era appostata nel corridoio fuori dalla biblioteca per intercettare Hildr prima della partenza.
“Non credevo che tu fossi il tipo da saluti strappalacrime.”
La russa cercò di ridere, ma non riusciva a mantenere la solita maschera di indifferenza.
“Sei l’unica persona che ho sopportato nell’ultimo anno. Sei una bella persona, anche se perdi tempo con quello sgorbio.”
“Mi mancherai anche tu.” Disse Hildr.
L’attimo dopo Kyra la stringeva in un abbraccio caloroso, insolito per una donna che si era dimostrata alquanto fredda e poco incline all’affetto.
“Grazie di essere stata con me, Hildr. Tieni, prendi questo. E’ un regalo.”
Kyra le cacciò in mano uno dei suoi anelli, un cerchio d’argento sormontato da una piccola pietra azzurra. Hildr lo infilò all’indice della mano sinistra come portafortuna.
“Lo terrò sempre con me.”
La russa le accarezzò le spalle e le braccia, poi le prese le mani.
“Avrei potuto innamorarmi di te, straniera.”
Hildr non sapeva come reagire a quella confessione, era la terza persona nel giro di un anno che pronunciava il suo amore per lei. Era strano che qualcuno potesse innamorarsi di lei, in fondo era solo una ragazza non troppo bella e piuttosto scortese.
“Sei un’arpia e spesso sei detestabile, però in fondo sei una bella persona anche tu.”
“Ah, grazie. – rise Kyra – Ora sparisci prima che mi metta a piangere come una bambinella. Vai!”
Hildr le scoccò un bacio sulla guancia e si allontanò a passo spedito. Non immaginava che lasciare Kiev sarebbe stata tanto dura, ora tornare a casa le sembrava doloroso. Forse non avrebbe rivisto mai più Kyra e Johannes, forse presto avrebbe dimenticato quel palazzo e la sua vita sarebbe tornata quella di sempre.
 
Ivar sorrise d’istinto quando Hildr salì a bordo della nave. Il suo abbigliamento scuro creava uno spettacolare contrasto con il bianco della nave che li circondava. Era bellissima e fiera come una Valchiria.
“Hildr, vieni qui. Abbiamo fatto un sacrificio.” La invitò Ivar.
La ragazza sbuffò, odiava i sacrifici e tutto ciò che ne conseguiva. Si avvicinò e si abbassò di poco, al che Ivar intinse il dito nella ciotola di sangue e le disegnò due strisce rosse sotto gli occhi.
“Posso farlo anche io?” domandò una vocina allegra.
Hildr con orrore si accorse che Igor era sulla nave, con indosso gli abiti regali che denotavano la sua posizione sociale.
“Che ci fai qui? Torna subito a palazzo!”
“No, resto qui. Oleg vuole che io partecipi alla battaglia.”
“Hildr. – intervenne Ivar – Non ti opporre. E’ una decisione che spetta a Oleg.”
“Ma è solo un bambino!” protestò lei.
“Lascia perdere, per favore. Concentrati su ciò che avverrà fra tre giorni.”
Hildr scosse la testa ben conscia che Ivar aveva talmente bisogno del supporto di Oleg che non avrebbe mosso un muscolo per aiutare Igor.
“Certo, re Ivar.”
Ivar indurì la mascella e serrò le mani intorno alla ciotola. Non si abituava ad essere apostrofato in quel modo, non da lei che prima d’ora non lo aveva mai chiamato così. La vide sedersi con Igor dalla parte opposta e vide che Vadim si era unito a loro in un coro di risate. Si chiese perché l’amore facesse tanto male e perché proprio a lui fosse capitata una simile sventura.
 
Tre giorni dopo, Kattegat.
Hildr fece scricchiolare il collo mentre la nave si spingeva sempre più vicina alle coste di Kattegat. La flotta di Oleg si era separata secondo il piano di Ivar, dunque loro erano giunti nei pressi della parete rocciosa.
“Come ti senti?”
Hvitserk comparve al suo fianco, determinato e serio come capitava sempre prima di una battaglia.
“Arrabbiata e pronta ad ammazzare qualcuno.”
“Questo è lo spirito giusto. Senti, Ivar mi ha parlato di Aila. E’ una bella bambina, vero?”
“E’ bella per merito di Isobel. Tranquillo, non ha preso nulla da te.” disse Hildr, stizzita.
“Io amo Isobel e amo mia figlia, a dispetto di quanto tu creda. Spero che un giorno lo capirai.”
Hildr fece una breve risata e piantò gli occhi su Hvitserk come se volesse trafiggerlo.
“Non capirò mai perché hai tradito la tua famiglia per seguire Bjorn. Isobel non ti perdonerà mai. E se pensi di riconquistarla, sappi che farò il possibile per impedirtelo.”
“Tu e Ivar siete identici, difendete ciò che amate con i denti.”
“Di che parli?”
Hvitserk sorrise compiaciuto dal fatto che lei fosse all’oscuro di quel piccolo segreto che il fratello si era portato dentro per anni.
“Tu sai perché Ivar ha ucciso Sigurd?”
“Perché Sigurd lo ha insultato davanti a tutti.”
“No. – disse Hvitserk – Ivar ha usato questa giustificazione per nascondere il suo vero intento. Poco prima di partire per vendicare nostro padre, Sigurd ha dichiarato di volerti sposare e questo ha mandato Ivar su tutte le furie. Capisci? Ivar ha ucciso Sigurd per te, perché era geloso che nostro fratello ti avesse in sposa.”
Hildr si appoggiò alla fiancata della nave per reggersi in piedi, era attonita da quella scoperta. Ivar non le aveva mai accennato qualcosa del genere, le aveva sempre ripetuto di aver ucciso Sigurd per averlo infangato davanti ai guerrieri, e invece la verità era ancora più terribile.
“Siamo arrivati!” annunciò Vadim dal timone.
“Hildr, ci sei?”
La ragazza si ritrasse dalla mano di Ivar sul gomito. Lui sollevò le braccia per farsi vedere disarmato.
“Stai bene, Hildr? Sono solo io.”
“Ehm … s-sì … sì, sto bene.”
Nel frattempo Vadim aveva radunato gli uomini per impartire gli ordini da eseguire una volta atterrati. Il suo sguardo magnetico si posò su Hildr e sorrise.
“Allora, Valchiria, sei pronta a volare?”
Hildr colse il riferimento alla scalata della parete rocciosa e si sforzò di ricambiare il sorriso, ma venne fuori più un ghigno storto che altro.
“Pronta.”
 
Ivar incespicò un paio di volte mentre camminava verso la parete rocciosa. Davanti a lui avanzava un nutrito gruppo di soldati guidati da Vadim e da Hvitserk. Hildr camminava alle sue spalle per difenderlo da eventuali attacchi a sorpresa. Scivolò su una pietra per la terza volta e Hildr lo afferrò in tempo perché non cadesse.
“Cerca di non spezzarti il collo proprio adesso.” Lo ammonì lei.
Nella sua voce non c’era il solito astio dei giorni passati, la rabbia si era sciolta in un tono più amichevole.
“Ora ci tieni alla mia vita?”
“Muoviti, idiota.”
Hildr lo spintonò in avanti per spronarlo a camminare, però Ivar le prese la mano facendo incastrare le loro dita.
“Aspetta un momento. Tu e Hvitserk prima di cosa parlavate?”
“Di Isobel e Aila, tutto qua. Adesso sbrighiamoci.”
Ivar si arrese e riprese a zoppicare al seguito dei soldati, con Hildr che ora procedeva al suo fianco con la mano sull’ascia. La parete rocciosa si stagliava alta e bianca davanti ai loro occhi, la sua vetta era minacciosa. I soldati si fermarono e iniziarono a legarsi le funi attorno alla vita, dovevano essere sicuri di arrivare tutti in cima.
“Ci siamo.” Disse Vadim, immobile con lo sguardo sulle rocce.
“Tu e Hvitserk proseguite verso la città. Io e Hildr scaliamo la parete il più in fretta possibile. Ci vediamo sul fiume al di là della parete, dove Oleg ci attenderà con la flotta.” Spiegò Ivar.
Vadim guardò Hildr che stava frugando in un sacco in cerca delle funi. Le posò una mano sulla spalla a mo’ di carezza.
“Sei davvero sicura di volerlo fare? E’ pericoloso.”
La ragazza si scrollò la mano di dosso e assunse un’espressione accigliata.
“Dici solo a me che è pericoloso perché sono una donna? Ti getterei volentieri dal dirupo.”
Vadim, anziché offendersi, ghignò. Quella ragazza lo intrigava sempre di più.
“Lo dico solo perché ci tengo a rivedere il tuo bel faccino.”
“Sta zitto.” Disse Hildr ridendo.
Ivar, che aveva assistito a quella scenetta penosa, storse il naso e piantò la stampella nel terreno.
“E’ bene che voi andiate. Non vogliamo perdere la guerra perché vuoi fare la corte a Hildr.”
Hvitserk fece cenno a Vadim di andare, al che il russo fischiò per ordinare ai soldati di riprendere il tragitto verso Kattegat. Il manipolo di soldati rimasto si preparava alla scalata in silenzio e velocemente.
“Sei stato scorbutico con Vadim.” Disse Hildr, allacciandosi la fune sopra i fianchi.
“Sono scorbutico con chi mi pare, soprattutto con uno che ci prova con mia …”
“Ho capito. – lo interruppe lei – Ti serve una mano?”
Ivar stava tentando invano di slegare un nodo che intrappolava due funi, era nervoso e non riusciva a concentrarsi.
“Sì, grazie.”
Hildr era brava con i nodi, Helga aveva cercato di insegnarle a cucire e spesso si era ritrovava a dover disfare la tela più e più volte.
“Hvitserk mi ha detto la verità su Sigurd.”
“Che era un imbecille sin dalla nascita? Non è poi una così grande novità.” Scherzò Ivar.
“So la vera ragione per cui lo hai ucciso. Sigurd voleva sposarmi.”
Ivar trattenne in respiro. Hildr non osava guardarlo, rallentava lo scioglimento del nodo per non essere costretta ad affrontare il suo sguardo.
“Se Sigurd avesse chiesto la tua mano, mia madre sarebbe stata obbligata ad accontentare la sua richiesta. Anche Floki ed Helga avrebbero accettato. Per loro sarebbe stato bello far sposare la propria nipote con un figlio di Ragnar Lothbrok.”
“Tu non lo avresti mai permesso, vero?”
Ivar tese la mano per accarezzarle il collo, la vena pompava sangue e battiti.
“Nessuno merita di sposarti perché nessun uomo è degno. Ti amo da sempre, Hildr, e non avrei permesso a un bastardo come Sigurd di toccarti.”
Finalmente Hildr alzò gli occhi su di lei e fece un piccolo sorriso.
“Nel caso le cose dovessero andare male, sappi che …”
“Già so tutto.”
Ivar si chinò e fece scontrare le loro labbra in un bacio ricco di passione, e anche un pizzico di adrenalina in vista dello scontro. Hildr si aggrappò a lui in un gesto di disperazione, voleva sentirlo vicino prima che il mondo andasse alla malora. Forse non si sarebbero rivisti presto, forse uno dei due sarebbe morto, forse quello era l’ultimo bacio della loro vita. Valeva la pena mettere da parte la delusione e abbandonarsi al momento. Ivar fu il primo a staccarsi, ma le sfiorò la nuca con le dita e le sorrise.
“Andiamo a vincere, mia Valchiria.”
La scalata fu più difficile del previsto. Le asce più volte erano scivolate senza trovare appigli nella parete. Alcuni soldati erano caduti, altri risalivano rapidi e altri risalivano lenti. Ivar e Hildr salivano insieme, le spalle che si toccavano, allo stesso ritmo. Quando uno aveva problemi, ci pensava l’altra a tirarlo su. Alla fine ricaddero sul terreno della cima, il cielo azzurro sopra di loro e le urla che provenivano dalla città.
 
Ivar e Hildr si persero di vista non appena varcarono le porte di Kattegat. Oleg abbaiava ordini ai soldati affinché la flotta attraccasse per aiutare i compagni a terra. Hildr superò la dimora reale per gettarsi nella mischia. Le urla e il sangue erano ormai la normalità. Schivò una spada in tempo, si abbassò sulle ginocchia e ficcò l’ascia nel collo di un uomo.
“Impressionante!” commentò Vadim.
Il russo aveva ucciso un paio di uomini con la sua spada pregiata, e sorrideva tronfio. Hildr alzò gli occhi al cielo e scosse la testa, non capiva come facesse Vadim ad essere allegro in quelle circostanze.
“Pensa a combattere!”
Si misero a correre verso il porto per riunirsi con la flotta, ma un’ascia volò a pochi centimetri da Hildr. Gunnhild stava per lanciare un pugnale, la faccia più magra e pallida del solito.
“Hildr, andiamo!” gridò Vadim, uno squarcio alla gamba sanguinava.
“Vai avanti tu. Trova Ivar e proteggilo! Vai!”
Rimasta sola, Hildr incoccò una freccia e la scagliò verso Gunnhild. La freccia le strappò la giacca e le procurò un graffio senza, però, arrestare l’arrivo della donna.
“Non hai scampo.” Disse Gunnhild.
Hildr prese l’ascia dalla cintura e la strinse forte, dopodiché si lanciò contro l’avversaria. Ebbe inizio uno scontro furioso in cui sia l’una che l’altra menavano fendenti a velocità spaventosa. Gunnhild diede un calcio nello stomaco a Hildr facendola ruzzolare a terra. La ragazza avvertì un dolore lancinante alla testa, ma si fece coraggio e si mise in piedi. Non ebbe la possibilità di ripresa che Gunnhild la ferì con l’ascia sulla guancia.
“Bene. – borbottò Hildr – Adesso mi hai fatto davvero arrabbiare.”
Si gettò addosso a Gunnhild come una furia. Serrò la mano intorno al polso della donna e con il piedi la colpì in pieno volto. Gunnhild cadde in ginocchio, un occhio nero e un rivolo di sangue lungo il mento, e cercò di colpire ancora Hildr. La ragazza questa volta intercettò il colpo, piegò il braccio dell’avversaria e le spezzò il polso.
“Mai farmi arrabbiare.”
Gunnhild riuscì a recuperare l’ascia e a sfregiare la gamba di Hildr, che balzò indietro per il dolore. Il sangue caldo sgorgava piano dalla ferita bagnando la terra ai suoi piedi.
“Non vincerete mai. Bjorn è il favorito degli dèi.” Disse Gunnhild.
“Ah, sì? Quell’imbecille di tuo marito è favorito solo dalla sua stupidità. E stupida tu che perdi tempo con lui!” ringhiò Hildr, il sudore che bruciava sulle ferite.
L’attimo dopo si ritrovò schiacciata contro la terra umida. Un uomo dai lunghi capelli biondi la teneva premuta col peso del proprio corpo.
“Corri, regina! Corri!”
Hildr intravide Gunnhild sgattaiolare in direzione del mare, laddove Bjorn stava guidando i suoi guerrieri. Con una spalla si liberò dall’uomo e strisciò per riprendere l’ascia. L’uomo l’afferrò per i capelli e le premette un piede sulla schiena per immobilizzarla. Hildr, stanca di incassare colpi, slacciò la spada dalla cintura e lo affondò nella caviglia dell’uomo. Ora in piedi, riprese l’arco e lo puntò contro il nemico.
“Addio.”
La freccia centrò perfettamente la fronte dell’uomo, che morì in pochi minuti.
 
Hildr digrignava i denti mentre correva – o meglio, tentava di correre – in spiaggia per trovare Ivar. Aveva bendato la ferita alla coscia con uno straccio trovato per caso, ma la fuoriuscita di sangue era diminuita di poco.
“Hildr! Stai bene?”
Hvitserk, coperto di sangue e terra sulle mani e sui capelli, stava riprendendo fiato.
“Dov’è Ivar?”
“Non …”
Una donna caricò la spada contro di loro, però Hvitserk la trafisse con la propria arma prima di essere attaccato.
“Non lo so dov’è Ivar. E’ andato a cercare Bjorn, verso la costa a est.”
Hildr in lontananza adocchiò la spiaggia e tra i combattenti scorse una palizzata lignea che i soldati russi stavano assaltando. In mezzo a loro c’era una figura che claudicava a tre gambe, quello doveva essere Ivar con la stampella.
“Devo andare da lui. Tu coprimi fino alla spiaggia, va bene?”
“Ti fidi di me?” chiese Hvitserk, stupito.
“No. – rispose lei – Ma non ho altra scelta. Se mi tradisci, ti troverò e ti scuoierò vivo.”
“Messaggio ricevuto.”
Insieme si avviarono verso la spiaggia. Man mano che procedevano, si difendevano da spade e asce che volevano ucciderli. Hildr scoccava frecce rapide ed efficaci, in grado di stendere i nemici come fiori flosci. Hvitserk schivò un coltello, si girò e uccise il suo aggressore.
“Lo vedo! Ivar sta inseguendo Bjorn!” disse Hildr, indicando un’ombra sulla palizzata.
Mentre correva a perdifiato, alla sua destra arrivò un uomo che la spinse in acqua. Quando riemerse aveva la vista appannata dallo shock. Nuotò per raggiungere la riva ma fu tirata di nuovo in acqua. Si sentiva soffocare, non era mai stata una grande nuotatrice e trattenere l’ossigeno dopo un certo periodo non era per lei. Spalancò gli occhi nel panico e si agitò, non riusciva a liberarsi. Si rese conto che a breve sarebbe morta se non avesse trovato una soluzione. Non aveva armi con sé, l’ascia era caduta in acqua e l’arco era rimasto a terra. Poi, come luce esplosa in una stanza buia, due braccia la tirarono fuori.
“Prego!” disse Hvitserk.
Hildr si allungò per toglierli l’ascia di mano e si girò per conficcare la lama nella gola dell’uomo che l’aveva spinta. L’acqua si colorò di rosso e il corpo del nemico fluttuò in superficie.
“State bene?”
Vadim si fermò per aiutare la ragazza a mettersi in piedi, la sua pelle era fredda e striata di sangue. Hildr era bagnata come una pezza immersa a lungo in acqua, il vento l’avvolgeva facendola rabbrividire.
“Devo andare da Ivar. Ha bisogno di me.”
Si staccò da Vadim e si fiondò nell’ennesima corsa, ignorando il dolore e la fatica. Il suo unico pensiero era raggiungere Ivar per difenderlo in caso ne avesse avuto bisogno.
 
Hildr sospirò di sollievo quando salì il primo gradino della palizzata di legno. Alle sue spalle Hvitserk e Vadim copiavano i suoi movimenti come ossequiosi soldatini. Dalla piattaforma in alto molti uomini precipitavano tra le urla. Alcuni si affacciavano per controllare che i russi fossero morti. Hildr riconobbe la chioma castana di Skuld, una delle shieldmaiden al servizio di Lagertha. La donna ghignava passandosi tra le mani l’ascia.
“Ciao, piccoletta! Hai deciso di morire oggi?” la schernì Skuld.
“Ho deciso che tu devi morire oggi.” ribatté Hildr, furiosa.
Strillò quando Skuld lanciò un coltello che si piantò nella mano di Hildr. Sarebbe precipitata anche lei se Vadim non l’avesse agguantata in tempo per il braccio. La mano spillava sangue come una fontana, era caldo e viscoso. Con uno sforzo immane, Vadim riuscì a riportare Hildr sulla scala di legno. La ragazza si strappò un lembo di casacca e si fasciò la mano alla bell’e meglio.
“Ce la fai a proseguire?” volle sapere Hvitserk.
“Sì, sì. Voi salite sulla piattaforma, a Skuld ci penso io.”
Vadim e Hvitserk si spostarono sulla scala adiacente perché era l’unica via per salire senza intoppi. Skuld, intanto, stava scendendo e puntava contro Hildr.
“Il tuo storpio non ha speranze. Bjorn lo ammazzerà come il cane che è!”
“Anche tu sei un cane dato che annusi le chiappe di Bjorn come fossero oro!” replicò Hildr.
Skuld con un agile salto si ritrovò a tre pioli di distanza, l’ascia protesa in avanti per difesa e attacco insieme.
Hildr scendeva piano, voleva portare Skuld sulla terraferma per affrontarla. Ad ogni piolo che scendeva, lasciava un’impronta di sangue sulla scala.
“Hai scelto di stare dalla parte dei perdenti, Hildr. Peccato! Saresti stata una grandiosa shieldmaiden.”
“Ho fatto molte scelte sbagliate nella vita, ma almeno non mi sono schierata con Bjorn.”
Hildr atterrò sollevando una sottile coltre di polvere. Skuld balzò a terra come un gatto, era brava nelle acrobazie.
“Lagertha diceva sempre che sei sprecata al fianco di Ivar. Tu meriti di sedere al tavolo dei vincitori.”
“Lagertha non mi conosceva. Nessuno di voi mi conosce. Il mio posto è sempre stato al fianco di Ivar e sempre lo sarà. Non saranno le tue lusinghe a cambiare la mia idea.”
Skuld ghignò di nuovo, i suoi occhi blu spiccavano nel nero del trucco.
“I sentimenti sono il tuo punto debole, piccola Hildr. L’amore e la lealtà non ti porteranno a niente.”
Nel frastuono della battaglia, fra urla disumane e imprecazioni, Hildr udì la flebile voce del padre sussurrarle all’orecchio: Sii gentile, sii un’eccezione.
“Sono i miei sentimenti a rendermi forte.”
Approfittando della disattenzione di Skuld, Hildr brandì l’ascia e la incastrò nella spalla della shieldmaiden. Skuld cacciò un urlo tremendo, accasciandosi in ginocchio per il dolore. Il suo sangue colava lungo l’asta dell’ascia imbrattando la mano di Hildr, ma lei affondava e affondava la lama nella carne di Skuld senza pietà. Quando la donna fu piegata su se stessa dalla sofferenza, Hildr estrasse l’ascia e le tranciò la testa. Sangue e nervi le schizzarono sugli stivali mentre il corpo della shieldmaiden sbatteva a terra.
 
Hildr si arrampicava sulla scala con una sferzata di energia incredibile. Non sentiva dolore, sebbene le ferite spurgassero sangue, e sembrava che la sua forza fosse aumentata. Quando arrivò sulla piattaforma, Vadim stava infilzando due vichinghi con la spada e Hvitserk faceva a pugni con un altro uomo.
“Valchiria!” la richiamò una voce alle sue spalle.
Sorrise nel costatare che Ivar era vivo, che aveva battuto numerosi guerrieri da solo. Si strinsero velocemente la mano.
“Dunque stai bene.” mormorò Hildr, emozionata e ansiosa.
“E’ la tua maniera per dirmi che sei felice di vedermi?”
“Forse.”
“Ivar, dov’è Bjorn? Dobbiamo trovarlo subito.” Disse Vadim con l’affanno.
Intorno a loro i guerrieri di Kattegat erano morti, corpi in putrefazione di cui i corvi si sarebbero cibati nelle prossime ore. Dalla palizzata era visibile la città e la nave di Oleg attraccata al porto, con i soldati che uccidevano con grande abilità e precisione.
“E’ sceso dalla palizzata mentre due uomini mi assalivano. Credo fosse intenzionato ad andare sulla spiaggia.”
Hildr indirizzò lo sguardo sulla spiaggia e vide un gruppo di persone camminare per ricongiungersi con altra gente che scappava da Kattegat.
“E’ lì! Bjorn è laggiù e si sta allontanando!”
“Dobbiamo prenderlo prima che ci sfugga, oppure Oleg ci fa giustiziare tutti.” Disse Vadim.
“Abbiamo un problema. Altri guerrieri salgono ora!” comunicò Hvitserk impugnando l’ascia.
Ivar strinse la mano di Hildr in una presa ferrea che fece rabbrividire entrambi.
“Io e Hildr andiamo a prendere Bjorn, voi due tenete occupati chi sta salendo.”
Vadim sembrò incerto, fissava Hildr con quei suoi magnetici occhi verdi che la mettevano in soggezione.
“Te la senti, Hildr?”
“Sì. Sono il comandante di Ivar, è compito mio andare con lui.”
“Bene. – acconsentì Vadim – Andate e uccidetelo.”
Ivar trascinò Hildr nella parte più isolata della palizzata in modo da scendere senza essere attaccati. Lei fu la prima a calarsi e aiutò Ivar passo dopo passo fino a quando non toccarono terra. Il ragazzo si guardò intorno spaesato.
“Bjorn è troppo lontano. Come lo raggiungiamo?”
“Così!”
Hildr corse incontro ad un guerriero vichingo a cavallo, sembrava quasi che volasse. Ivar era tentato di andarle dietro per fermarla quando lei fece volteggiare l’ascia in aria come fosse una freccia. L’ascia si piantò nel petto del guerriero, che ruzzolò in un bagno di sangue.
“Il cavallo! – disse Hildr – prendi il cavallo!”
Il cavallo, uno stallone nero, galoppava verso Ivar con la criniera che svolazzava al vento. Il ragazzo catturò le briglie per un soffio e avvicinò l’animale a sé per calmarlo.
“Sei impazzita? Potevi farti male sul serio!” la rimproverò lui.
Hildr rise e fece un buffo inchino. Così macchiata di sangue e sudore sembrava più vecchia della sua età.
“E’ l’unico modo per arrivare in fretta da Bjorn. Prendi tu le redini, io odio cavalcare.”
Dopo essere montani a cavallo sfrecciarono in direzione della spiaggia mentre dalla piattaforma cadevano uomini come foglie secche.
 
Hildr fu lieta quando smontò dalla sella, non aveva mai amato andare a cavallo.
“Io devo uccidere Bjorn.” Esordì Ivar.
“Lo so. Vai, ti copro io.”
Ivar le sfiorò lo zigomo livido con la punta delle dita, era un tocco intimo e delicato.
“Avevo ragione, sai. Sei davvero una Valchiria.”
Hildr ridacchiò e gli prese la mano per scostarla dal proprio viso.
“Smettila. Ora va e fa ciò per cui sei nato: il re.”
“Hildr …”
“No! Vai! Vai!”
Ivar rimase zitto, si limitò a baciarle la fronte e la guancia. Tornò in sella e lanciò il cavallo contro il gruppo di persone che accerchiavano Bjorn. Hildr sguainò la spada che Vadim le aveva ceduto sulla piattaforma e si preparò all’orda di guerrieri che stava per abbattersi su di lei.
 
Hildr dovette fermarsi per prendere un respiro. La ferita alla gamba le dava il tormento, la benda era zuppa di sangue e anche la tenuta si stava impregnando.
“Ti supplico, Odino, non lasciarmi proprio adesso.”
D’improvviso tutto diventò buio e lei si ritrovò con la faccia nella sabbia. Sopra di lei c’era Dragun che le puntava l’ascia al collo.
“Mi dispiace, Hildr. Non vorrei farlo.”
In passato erano state amiche, erano state vicine di casa e le loro madri erano le guaritrici migliori di Kattegat. Crescendo si erano separate sempre più, soprattutto perché Hildr trascorreva tutto il suo tempo con Ivar.
“Lasciami almeno combattere ad armi pari.”
Dragun si spostò e Hildr a fatica cercò di alzarsi, ma il ginocchio cedette a causa della ferita alla coscia. Ricevette uno spruzzo di sangue sul petto della giacca. Voltandosi, vide che Vadim aveva decapitato Dragun.
“No! Poteva essere risparmiata! Potevo salvarla!”
Vadim pulì la spada sulla sabbia, i granelli si incastravano nel sangue.
“Siamo qui per vincere, non per salvare vite.”
Hildr per la prima volta guardò a Vadim come a un soldato, non più come all’uomo amorevole e gentile che aveva conosciuto. Il palazzo di Oleg era un covo di crudeltà celata in abiti sfarzosi e bugie cortesi.
“Siamo qui per riprenderci Kattegat, non per sterminare i suoi cittadini.”
Hvitserk allungò una mano per rimetterla in piedi, era ferito sul collo e intorno ai polsi, ma per il resto sembrava stare bene.
“Che diavolo è quello?” fece Vadim indicando il cielo.
Nuvoloni neri si era addensati spazzando via l’azzurro, erano carichi di pioggia. Il vento cominciò a soffiare sempre più forte fino a provocare una tempesta di sabbia. Nel cielo balenò un lampo. Subito dopo un fulmine saettò sulla spiaggia. Hildr e Hvitserk caddero indietro mentre Vadim veniva sbalzato a riva.
“Thor. – disse Hvitserk – Thor è qui.”
Quando la tempesta sabbiosa si fu placata, tutto si fece di nuovo fresco e limpido. Hildr si riparò gli occhi dall’intensa luce del sole, poi capì che quella luce proveniva dai raggi che si riflettevano su una spada. Vide Bjorn disteso a terra e Ivar immobile davanti a lui, con la lama della spada che gocciolava sangue sulla sabbia.
Un re era morto e un altro era appena risorto.
 
 
Salve a tutti!
Uh, che fatica descrivere le scene di guerra! Ma ecco qua che Ivar ha la vittoria in pugno, ora dipende tutto da lui e dalle scelte che vuole prendere.
Fatemi sapere cosa ne pensate.
Alla prossima, un bacio.

 

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Capitolo 11
*** La Valchiria del Re ***


11. LA VALCHIRIA DEL RE
 
 “Loro posso anche sconfiggerti, bruciarti, insultarti, ferirti e abbandonarti. Ma loro non posso distruggerti perché tu sei come Roma: sei stata costruita sulle ceneri e sai come risorgere simile ad una fenice.”
(Nikita Gill)
 
Un’ora dopo, Kattegat
Ivar se ne stava seduto al capo di un lungo tavolo mentre la stanza si riempiva di soldati e prigionieri. Oleg sedeva alla sua destra, Hvitserk alla sua sinistra e Vadim stava accanto a quest’ultimo.
“Possiamo iniziare?” chiese Oleg.
“Un momento ancora.” disse Ivar.
La battaglia era terminata da un’ora circa, erano tutti feriti e macchiati di sangue, ma quella riunione era urgente per decretare il nuovo re ufficialmente. Ivar si rilassò quando Hildr entrò gettando occhiatacce torve di qua e di là. Le fece posto al suo fianco, dove era giusto che sedesse il comandante.
“Iniziamo?” fece Hildr, era piuttosto affaticata.
“Sì. – disse Ivar – Bene, ringrazio voi tutti per essere qui presenti. Ringrazio Oleg, principe di Kiev, per il suo sostegno nella riconquista di Kattegat. Ringrazio mio fratello Hvitserk per essere tornato sulla retta via. E ringrazio Hildr, il mio braccio destro che non ha mai smesso di supportarmi. Vi parlo in qualità di nuovo re di Kattegat. Bjorn la Corazza è morto, sua moglie è fuggita e i suoi uomini sono morti o sono stati catturati.”
“Cosa hai intenzione di fare ora? Ammazzarci tutti?”
Uno dei consiglieri di Bjorn, tra i pochi sopravvissuti, si era messo in piedi per richiamare l’attenzione.
“Siediti, ti conviene.” Lo ammonì Hvitserk.
L’uomo, però, era deluso dalla sconfitta e voleva scatenare la rabbia sul nuovo sovrano.
“Sei debole, Ivar. Avrai anche un alleato forte come questo principe, ma al tuo fianco hai solo Hvitserk e quella ragazzina. Non hai un esercito. Non hai una regina. Non hai un erede. Tu non sei nessuno. Sei solo uno storpio che gioca a fare il re.”
Ivar si irrigidì, passò il dito sul bordo del bicchiere e poi bevve il vino in un sorso solo.
“Questo storpio ha appena ucciso Bjorn, il prediletto degli dèi. Questo storpio ora ha il potere di decidere cosa fare della tua futile vita. Mi basta schioccare le dita per ordinare la tua morte. Fossi in te baderei alle parole.”
Hildr emise un sospiro frustrato e si alzò battendo i pugni sul tavolo.
“La situazione è questa: Ivar è il nuovo re di Kattegat, non si discute. Nel giro di due settimane la città avrà una nuora riorganizzazione tramite un assetto che cercherà di accontentare tutti. Voi avete perso la guerra e per il vostro bene vi conviene arrendervi con le buone, altrimenti le cattive segneranno la vostra fine. Ah, se provi a chiamarmi di nuovo ‘ragazzina’ ti sgozzo nel sonno.”
Vadim nascose un sorriso divertito, la vichinga riusciva sempre a sorprenderlo.
“La regina ha parlato!” disse una voce roca dal fondo della stanza.
Hildr si spostò per capire chi fosse, e non rimase stupita quando vide il sorriso sgangherato di Beiti, uno degli uomini fidati di Bjorn.
“Non sono la regina.”
“Infatti, stavo scherzando. Tu puoi essere solo la concubina del re, apri le cosce e le richiudi quando vuole lui.” replicò Beiti senza smettere di sorridere.
Hildr sentì la rabbia montarle dentro come fuoco che esplode e brucia tutto ciò che incontra.
“Sai dove puoi infilartelo il tuo scherzo?”
Sganciò un pugno sulla faccia dell’uomo tanto forte da rompergli il naso. La sedia di Beiti si rovesciò sul pavimento spaccando il legno dello schienale.
“Hildr, basta!” la rimproverò Ivar.
La ragazza lo trucidò con lo sguardo mentre scuoteva la mano con le nocche doloranti.
“Se lo meritava. Io non sono la concubina di nessuno, brutti bastardi maledetti!”
“E’ chiaro! – disse Ivar – Siamo tutti stanchi, sarà meglio rinviare la riunione a domattina. Che i prigionieri siano rinchiusi in gattabuia! Andate!”
Frattanto che la seduta si scioglieva Vadim si avvicinò a Hildr, che si era attaccata alla brocca dell’acqua come se non bevesse da secoli.
“Bel gancio destro. Sei davvero brava nel corpo a corpo.”
Hildr non riusciva a parlare, le girava la testa e si sentiva stranamente debole. Dopo lo scontro non aveva avvertito alcun dolore, sebbene fosse ferita in tutto il corpo, ma adesso sembrava che un peso le fosse piombato sulle spalle.
“Hildr? Stai bene? Sei pal-…”
Vadim fece in tempo a prenderla prima che cadesse a terra. Ivar interruppe la conversazione con Oleg quando capì che Hildr era svenuta.
“Chiamate una guaritrice! Subito!”
 
Hildr riprese conoscenza una ventina di minuti dopo. Sopra di lei intravide un soffitto famigliare, riconobbe anche il tipico odore salmastro e l’aria umida. Si mise seduta e realizzò di trovarsi nella dimora di Floki ed Helga.
“Hildr. Mi senti?”
Sbatté le palpebre in preda alla confusione, ma si sentì al sicuro quando vide che Ivar era seduto sul letto.
“Purtroppo ti sento ancora. Perché … perché sono qui?”
“Sei svenuta e ho mandato a chiamare qualcuno per aiutarti. Sapevo che non avresti voluto stare negli alloggi di Bjorn e casa tua è troppo lontana, quindi ho pensato di portarti qui.”
Hildr sentiva caldo, troppo caldo e le coperte aggrovigliate alle gambe la rendevano nervosa.
“Fa caldo … apri la porta … fa caldissimo …”
“Hildr.”
Le seguì lo sguardo di Ivar e inorridì: la ferita alla gamba era uno squarcio largo e profondo che sanguinava copiosamente. Si stava dissanguando.
“Eccomi!” disse la guaritrice alle loro spalle.
Ivar si fece da parte per darle lo spazio necessario per le pratiche di medicazione. Hildr sussultò quando la donna le sfiorò la coscia.
“Sto morendo, lo so. Mia madre mi ha spiegato che il sangue continuerà a sgorgare fino a uccidermi.”
La guaritrice annuì, aveva all’incirca trenta anni e aveva il ventre rigonfio per la gravidanza.
“Non se interveniamo subito. Conoscevo tua madre, era la mia insegnante. Fidati di me.”
“Come hai intenzione di guarirla?” domandò Ivar.
“Dobbiamo disinfettare e richiudere la ferita, ma un semplice ago non basterà. Abbiamo bisogno del fuoco.”
Hildr capì al volo: il fuoco avrebbe cicatrizzato la ferita in poche ore evitandole il dissanguamento.
“Fallo.”
“Ti avverto che sarà doloroso.”
“Fallo.” Ripeté con voce decisa.
Era bianca e zuppa di sudore, il viso e la braccia erano coperti da lividi verdastri e vari tagli. I capelli erano sfuggiti dalle trecce e si erano arruffati sulla nuca e sulla testa.
“Procedi.” Ordinò Ivar allungando uno dei suoi coltelli.
La guaritrice prese l’arma e si avvicinò al fuoco per arroventare la lama. Hildr respirava a singhiozzi e la vista era sempre più annebbiata, per non menzionare i diversi tagli che bruciavano dappertutto.
“Resti con me?” sussurrò.
Ivar le cinse le spalle con un braccio facendola accoccolare a sé.
“Certo che resto con te. Non ti lascio, Hildr.”
“Ci siamo.” Annunciò la guaritrice.
Hildr strinse la mano di Ivar e affondò la guancia contro il suo petto, incurante della sabbia appiccicata ai vestiti.
“Va tutto bene.” mormorò Ivar.
Hildr strinse fra i denti un bastoncino e annuì per dare il consenso. Gridò quando la lama incandescente fu premuta sullo squarcio. Si levò un tanfo di pelle bruciata che le fece venire il voltastomaco. Il sangue sfrigolava a contatto con il coltello creando una spuma rossa attorno alla ferita mentre l’intenso calore ricucia dolorosamente la pelle. Hildr continuò a gridare tra le braccia di Ivar, che rafforzò la presa su di lei per tenerla ferma. Quando la lama si spense diventando scura, lei quasi gli svenne di nuovo addosso.
“Ehi, ehi, resta sveglia. Forza.”
La guaritrice spalmò un unguento sulla pelle in modo da disinfettare l’area e accelerare la ripresa. Bendò la coscia in un doppio involucro che impedisse contatti che potessero causare infezione.
“Ecco fatto. Adesso hai solo bisogno di tanto riposo per guarire bene.”
Hildr era troppo esausta per parlare, si limitò a crogiolarsi nell’abbraccio di Ivar. La donna si inchinò al nuovo re e lasciò la dimora di Floki.
“La riunione. – disse Hildr – Voglio partecipare anche io.”
“Non pensare alla riunione. Pensa solo a riposarti.”
Ivar la mise a letto e le rimboccò le coperte, dopodiché si stese al suo fianco per vegliare su di lei durante la notte. Hildr appoggiò la testa sul suo petto e scivolò nel sonno.
 
Hildr si svegliò solo quando un raggio di sole la colpì in faccia. Grugnì e sbadigliò, rigirandosi nel letto. Digrignò i denti quando una scossa di dolore la pungolò. Si voltò in cerca di Ivar, però il posto era vuoto e del ragazzo non vi era traccia. Si sedette sul bordo del letto, le tempie pulsavano e lo stomaco gorgogliava per la fame. Era ancora sporca di sabbia e sangue, i capelli erano una sudicia massa nodosa e i vestiti erano strappati in più punti. Decise che un bagno sarebbe stata la soluzione migliore. Zoppicò per raggiungere la tinozza in cui zia Helga la lavava ogni sera dopo che si imbrattava nel bosco. Si immerse nell’acqua tenendo la gamba posata sull’orlo per non bagnare la fasciatura. Si sfregò per bene la pelle rimuovendo ogni traccia di sporco, e man mano scopriva lividi, tagli e graffi che non ricordava neanche di essersi procurata. Dopo aver accuratamente eliminato le macchie, afferrò un telo per coprirsi e zoppicò verso il letto.
“Gli dèi oggi sono gentili con me: mi regalano questa splendida visuale.”
Ivar la guardava dallo stipite della porta, anche lui era pulito e indossava abiti nuovi, pareva che anche la stampella fosse nuova di zecca.
“Sta zitto, Ivar. Soffro come un cane.”
Lui notò che la schiena della ragazza era costellata da piccole ferite di ogni genere, così come le braccia e le mani. Un piccolo taglio brillava di sangue sul sopracciglio sinistro.
“Sei bella lo stesso.”
Hildr sbuffò per quei complimenti stupidi e si massaggiò la spalla indolenzita, si sentiva come se una mandria di cavalli l’avesse investita.
“Non infastidirmi più di quanto io già non lo sia.”
Ivar le sfiorò un livido violaceo sulla scapola e vi lasciò un bacio che la fece sobbalzare.
“Vieni qui, ci penso io a te.”
Hildr emise un sospiro soddisfatto quando Ivar incominciò a massaggiarle la parte bassa della schiena, salendo poi verso le spalle. Le sue mani erano delicate e sicure, ed erano calde sulla pelle bagnata di lei. Gemette quando Ivar toccò un muscolo teso.
“Tu come stai? Sei il re di Kattegat e Bjorn è morto. Il tuo obiettivo è stato raggiunto.”
“Mi sento bene. Sono molto contento. E’ stata dura ma alla fine ho riavuto ciò che mi spetta.”
“Ubbe tornerà e vorrà vendicarsi.” Disse Hildr.
“Lo so, ma per allora avremo ricostituito l’esercito e saremo pronti a difenderci. Goditi la vittoria, Hildr. Non capita tutti i giorni di trionfare!”
“Mmh, già. – fece lei – Dovrei prepararmi per la riunione.”
“Non è necessario che tu venga. Ti posso riferire tutto più tardi.”
Hildr si scostò e si mise in piedi, barcollava per via del dolore.
“Voglio esserci. Tutta la città pensa che tu sia debole, non diamo loro modo di pensarlo ancora.”
“Allora vestiti, dai.”
“Voltati o chiudi gli occhi.”
Ivar si mise a ridere ma smise subito quando vide l’espressione accigliata della ragazza.
“Sul serio?”
“Sul serio. Ti ricordo che non stiamo insieme. E dovresti voltarti anche se stessimo insieme perché non sei nessuno per guardarmi mentre mi spoglio.”
“Non ti sto capendo, però mi volto.”
Ivar si voltò e Hildr si infilò i pantaloni tra un gemito di dolore e uno sbuffo di irritazione. La ferita tirava provocandole prurito e bruciore, benché poco prima avesse applicato una dose abbondante di unguento. Un paio di tagli sulla schiena la infastidivano mentre cercava di avvolgersi la fascia intorno al seno.
“Maledizione!”
Ivar si girò con la preoccupazione che le fosse successo qualcosa. Arrossì quando il suo sguardo cadde sul seno esposto di Hildr. Da tempo non erano più intimi.
“Ahm … ti serve una mano?”
“Sì. – affermò lei – Se mi muovo troppo i tagli sulla schiena si aprono. Mi aiuti a sistemare questa?”
“Volentieri.”
Ivar prese la fascia e sfiorò la schiena di Hildr con il pollice, dopodiché depositò un leggero bacio sui tagli e sui lividi.
“Ivar … no.”
“Scusami, non ho resistito. Te lo hanno mai detto che hai un corpo perfetto per i baci?”
Hildr emise una breve risata prima di tornare seria, non avevano tempo da perdere.
“Datti una mossa, abbiamo degli impegni.”
Ivar fece un doppio giro con la fascia per coprirla bene, sapeva che in quel modo lei si sarebbe sentita a suo agio. Conosceva ogni minimo dettaglio di quella ragazza. Poi l’aiutò anche a indossare la casacca e una giacca dato che la brezza primaverile faceva venire i brividi.
“Ti sistemo i capelli?” volle sapere Ivar timidamente.
“Va bene.”
Hildr gli passò la spazzola e si sedette sulla panca sotto il tavolo. Adorava la sensazione piacevole delle dita di Ivar fra i capelli, era delicato ed era anche bravo ad acconciare le sue lunghe ciocche.
“Vuoi le tracce? Quante?”
“Una sola, per favore.”
Mentre lui attorcigliava le ciocche fra di loro, Hildr ebbe l’impressione di essere tornata indietro di almeno cinque anni. Quello delle trecce era un loro rituale, lei esprimeva le sue volontà e Ivar esaudiva. Per un momento tutto sembrò bello, felice, giusto. Ma la realtà delle cose era ben diversa.
“Sei pronta. – disse Ivar – Sei splendida come sempre.”
Hildr si toccò la treccia con fare pensieroso e abbozzò un sorriso, anche se le attenzioni di Ivar la lasciavano interdetta. Come poteva trattarla così se era interessato a Katya?
“Grazie.”
 
Ivar passava in rassegna i volti dei presenti per carpire le loro emozioni. Alcuni erano rilassati, altri annoiati, e altri ancora erano arrabbiati. Oleg e Hvitserk erano gli unici che all’apparenza erano sereni.
“A cosa serve questa riunione se il Senza Ossa non parla? Durante la notte hai perso anche la bocca?” esordì Beiti ridendo.
“Vuoi un altro pugno? Mi pare che quello di ieri non ti sia bastato.” Ribatté Hildr, furiosa.
“Hildr, sta buona.” Bisbigliò Ivar.
Lei alzò gli occhi al cielo ma rispettò il suo ordine, quindi incrociò le braccia al petto e si abbandonò contro lo schienale.
Ivar si alzò con l’ausilio della stampella e si mise a camminare avanti e indietro nella sala, i supporti picchiavano contro il pavimento come colpi d’ascia.
“Questa riunione serve a stabilire nuove regole per la città. Bjorn è morto e con lui anche le sue leggi.”
“Come moriranno anche i prigionieri?” intervenne Oddlaug.
Era una delle shieldmaiden che si erano arrese di loro spontanea volontà quando i russi avevano fatto irruzione in città. Molti seguaci di Bjorn si erano arresi e ora sedevano al tavolo per capire come sarebbero cambiate le cose.
“Sì, mi pare ovvio.” Rispose Oleg sorridendo.
“No.” Disse Hildr.
Tutti puntarono gli occhi su di lei, incuriositi dalla nipotina di Floki che si stava dimostrando un vero leader. Ivar tornò a sedersi e si massaggiò le gambe sotto il tavolo.
“Giustiziare i nemici è una prassi antica. Altrimenti cosa proponi?”
“Propongo i lavori forzati. Il popolo si trova sotto la guida di un altro re, deve abbandonare il vecchio regno di Bjorn, deve accettare che Ivar ha riconquistato Kattegat. Dobbiamo riconquistare anche la fiducia e il rispetto dei cittadini. Giustiziare quelle persone genererà solo odio e opposizioni, addirittura si potrebbero scatenare ribellioni di ogni sorta che potremmo non essere in grado di sedare. Bjorn è nato e cresciuto a Kattegat, è stato un po’ il figlio di tutti e la sua morte è un grande dolore. Se ammazziamo quegli uomini e quelle donne, i cittadini avranno paura di noi, ci odieranno e vorranno eliminarci. Ora come ora abbiamo bisogno di una strategia diversa. Dobbiamo andare incontro al popolo, confortarlo, ricordargli che noi non siamo più i nemici. I prigionieri possono essere costretti ai lavori forzati, arare i campi, costruire le difese giorno e notte, pescare senza sosta. I loro parenti potranno vederli di tanto in tanto e saranno grati al nuovo re.”
Ivar si chiuse in un silenzio religioso e riflessivo, il ragionamento di Hildr era abbastanza sensato e lui teneva molto alla sua opinione.
“L’idea di Hildr è buona. Tutti i prigionieri saranno impiegati nei lavori più pesanti e risiederanno comunque in gattabuia in quanto criminali. La prossima questione?”
Oleg si agitò sulla sedia, non era d’accordo con la linea adottata da Ivar, ma non voleva mettere in crisi la loro alleanza, perciò tacque.
“Le difese saranno ricostruite?” domandò un uomo robusto e dai capelli bianchi.
“Sì, domani riprenderanno i lavori per le difese. Altro?”
Oddlaug alzò una mano e Ivar fece un cenno del capo per farla parlare.
“La tua regina? Freydis è morta, adesso ti serve una nuova moglie che consolidi il tuo potere.”
Hildr deglutì, il ricordo del matrimonio di Freydis e Ivar faceva ancora male in un angolo remoto della sua mente. Ivar le rivolse un’occhiata fugace, poi tornò a guardare la shieldmaiden che ghignava.
“Mi hai anticipato. Ho già scelto la mia regina.”
“Chi è?”
Nella sala calò un silenzio inquietante, sembrava che tutti avessero addirittura smesso di respirare a quella notizia. Ivar afferrò la mano sinistra di Hildr e le baciò le nocche.
“Hildr, mi faresti l’onore di diventare mia moglie e la mia regina?”
Hildr sbiancò. Il cuore saltò qualche battito. Iniziò a sudare e a sentire caldo, troppo caldo.
“C-c-come … n-o-n … capi-to … Eh?”
Ivar ridacchiò e le baciò ancora la mano, dopodiché tirò fuori dalla tasca l’anello di Aslaug.
“Vuoi diventare mia moglie?”
Hildr era osservata, ciascuno dei presenti attendeva la sua risposta facendola sentire sull’orlo di un precipizio. E Ivar la fissava con una dolcezza atroce negli occhi che la dilaniava dentro.
“Sì … sì, voglio diventare tua moglie.”
Ivar le fece scivolare l’anello all’anulare e si sporse le baciarle a stampo le labbra.
 
Hildr scaraventò una brocca contro il muro quando Ivar la spinse nelle sue stanze.
“Hildr, calmati. Ti prego!”
“Calmarmi? Calmarmi? Io ti odio! Come hai potuto farmi questo?”
Lei era fuori di sé dalla rabbia, aveva gli occhi lucidi e il respiro concitato.
“Ho bisogno di te, lo capisci? L’ho fatto perché tu sei la regina perfetta! Sei intelligente, astuta e forte. Ci vuole una donna come te al potere!”
“Sei un egoista, Ivar! Mi fai schifo!”
Ivar tentò di toccarla ma lei gli tirò uno schiaffo sulla mano per allontanarlo.
“Chi avrei mai potuto sposare? Dimmelo! Non c’è altra donna che voglio al mio fianco. Io ti amo! Hildr, io ti amo!”
“Risparmiami la storiella dell’amore! Tu non ami me, tu ami solo il potere!”
Ivar riuscì ad agguantarla e le strinse le braccia per obbligarla a guardarlo in faccia.
“A parte i nostri sentimenti, ora ho bisogno del suo sostegno. Ho bisogno della mia migliore amica. Potrai anche non amarmi, ma sii mia complice. Ti supplico di restare con me e di affrontare questa cosa insieme. Senza di te non ce la posso fare. La prima volta come re ho fallito perché Freydis mi aveva avvelenato la mente, avevo perso il senno e ho commesso degli errori. Questa volta non voglio sbagliare, voglio essere un buon re e posso farlo solo se al mio fianco ho una buona regina. Ho bisogno di te.”
D’improvviso Hildr si sentì svuotata, la rabbia e ogni sentimento negativo erano svaniti. Era vuota, sola, smarrita. Ivar aveva parlato con la voce tremante e gli occhi rossi per le lacrime che tratteneva, e ogni parola era vera. Hildr capì che in quel momento lui cercava l’appoggio di un’amica. Cercava il suo aiuto. Ripensò a Ragnar, alla promessa che gli aveva fatto. Ripensò a Odino, al giuramento che gli aveva fatto a Kiev.
“Ti sposerò a due condizioni.”
“Quali?”
“La prima: voglio andare personalmente a prendere Isobel e Aila, inventati una scusa per Hvitserk.”
“Va bene. La seconda?”
Hildr abbassò lo sguardo e respirò a fondo.
“Voglio sapere la verità: provi qualcosa per Katya?”
“No. La verità è che ho finto di essere interessato a lei per un mio tornaconto. Oleg è potente, ha un esercito forte e alleati altrettanto forti. Temo che possa invaderci e che possa reclamare il trono, in fondo ha delle carte che avvalorano la sua rivalsa su Kattegat. Qual è il punto debole di ogni uomo su Midgard?”
“L’amore.” Mormorò Hildr.
“Esatto. Oleg era innamorato perso della sua prima moglie e con Katya ha cercato di aggiustare le cose, ma lei non prova amore per lui. Ho trovato una crepa nel loro matrimonio e mi ci sono intrufolato per indebolire Oleg. Ho mentito anche a te perché dovevo far credere a tutti che fosse vero. Io non amo Katya.”
“Sei un vero bastardo, Ivar Senza Ossa. Mi hai fatto soffrire per una … farsa.”
“Una farsa che probabilmente ci salverà la vita. Qualora Oleg avesse intenzione di attaccarci, Katya potrebbe essere un valido aiuto per noi.”
“Sì, beh, hai ragione.”
Ivar allentò la presa sulle sue braccia e Hildr si sedette sul letto, di colpo era stanca come se non dormisse da giorni.
“Mi dispiace. Non ti avrei mai fatto soffrire se ci fosse stato un altro modo. Avevi ragione tu su Oleg, è pericoloso e non possiamo fidarci di lui.”
“Voglio stare da sola.” disse Hildr.
“Capisco. – fece Ivar – Io andrò a controllare alcune cose. Tu resta qui per tutto il tempo che vuoi.”
 
Hildr osservava la luna piena galleggiare nel cielo scuro. Dietro di lei provenivano rumorosi schiamazzi, brindisi e risate. Ivar e i suoi alleati stavano festeggiando la vittoria. Lei si era isolata, stanca e demoralizzata.
“Anche la luna era alta in cielo quando Didone si è suicidata.” Disse una voce.
Hildr strinse i pugni quando Oleg uscì in veranda con un boccale di birra in mano. Aveva quel suo sorriso meschino stampato in faccia. Si appoggiò al parapetto di legno della piccola terrazza e bevve un sorso.
Dulces exuviae, dum fata deusque sinebat, accipite hanc anima, meque his exsolvite curis.”
Hildr gettò un’occhiata all’interno e vide Ivar ridere a crepapelle con Hvitserk. Ritornò a guardare Oleg con sospetto.
“Che significa?”
“Oh, dolci spoglie, finchè il destino e il dio lo permettevano, ricevete questa vita e scioglietemi da queste pene.”
“Il mio destino è limpido e Odino è dalla mia parte. E nessuno mi deve sciogliere da alcuna pena.” Disse Hildr, seria e pacata.
“Didone pronuncia quelle parole prima di togliersi la vita perché Enea non ricambia il suo amore.”
“Conosco la storia, Johannes mi ha letto qualche passo dell’opera. Cosa ti fa credere che io sia come Didone?”
Oleg sorrise ancora, più meschinamente di prima.
“Perché siete due regine deluse dall’amore, tradite dagli uomini amati, tristi sui loro troni. Ivar ha fatto come Enea, ha abbandonato la sua Didone.”
“Certo. – disse Hildr – Ti riferisci a Katya e Ivar, vero? Che brutta faccenda.”
Oleg aggrottò la fronte alla serenità di Hildr, non era affatto scalfita da quelle parole.
“Ivar è rimasto folgorato da Katya, e anche lei è molto presa da lui. Questo non ti infastidisce?”
“Mi infastidisce di più che tu abbia provato a uccidermi.”
Il principe russo rise e mandò giù un altro sorso di birra, i suoi occhi luccicavano dall’ebbrezza.
“Lo confesso: volevo la tua morte perché tu sei una spina nel fianco. Ivar si fide molto di te, ti sta a sentire e tu dai sempre consigli intelligenti. Sei il braccio destro che ogni sovrano vorrebbe avere. Pensavo che avresti convinto Ivar a spezzare l’alleanza con me, ecco perché ho ordinato il tuo assassinio. Mi dispiace.”
Questa volta fu Hildr a ridere, più un verso disgustato che una vera risata.
“No, non ti dispiace. La mia morte avrebbe reso Ivar vulnerabile alla tua volontà, lo avresti raggirato per ottenere qualsiasi cosa. Però, principe, ti ricordo che sono viva e che continuerò ad essere una spina nel fianco. Sono la futura regina di Kattegat, nessuno oserà allungare le sue luride mani sul mio regno.”
Oleg lasciò cadere il bicchiere a terra facendolo frantumare e facendo schizzare la birra sugli stivali della ragazza.
“Vedi? Ogni cosa è destinata al declino, cara Hildr. E Kattegat non è da meno.”
“Caro Oleg, vedi di non fare la fine di Orfeo: sceso agli inferi per riprendersi sua moglie, è stato fatto a pezzi e dannato per l’eternità. Te l’ho detto, Johannes mi ha insegnato parecchie cose.”
Hildr lo mollò da solo in veranda, rientrò e con una scusa si rifugiò nei suoi nuovi alloggi.
 
Hildr si rigirava nel letto da un’ora ormai. Era irrequieta e il sonno non voleva lenire la sua insofferenza. Si mise seduta e sbuffò, passandosi le mani fra i capelli sciolti. Si sporse oltre il letto per guardare Ivar che dormiva per terra. Al termine della festa, dopo i saluti, Ivar era entrato in camera a si era preparato un giaciglio sulle assi del pavimento per lasciare il letto a lei, per non invadere quello spazio.
“Ivar. Dormi?”
“No. Ti agiti come una gallina che sta per essere sgozzata. Che succede?”
Nel buio Hildr riusciva a scorgere il brillante azzurro degli occhi di Ivar. Lui si portò le mani dietro la testa flettendo i muscoli tonici delle braccia.
“Avevi ragione su Oleg. Vuole mettere le mani su Kattegat. E Katya è il suo tallone d’Achille.”
“Chi è Achille e cosa c’entra il suo tallone?” fece Ivar, confuso.
Lei ridacchiò, aveva passato ore e ore nella biblioteca apprendendo da Johannes le storie degli antichi eroi greci e latini.
“Lascia stare. Comunque, cosa pensi di fare con Oleg? E’ pericoloso. Dobbiamo considerarlo come una minaccia.”
“Per adesso non possiamo fare niente, il nostro regno è solo agli inizi e la nostra posizione è ancora fragile. Dobbiamo aspettare e studiare ogni sua mossa. Nel frattempo sono certo che i sentimenti di Katya per me aumenteranno. Inoltre, Vadim si è invaghito di te e potrebbe tornarci inutile.”
Hildr gli tirò un ceffone sulla pancia e uno sul braccio.
“A me non interessa Vadim. Non sfrutterò la sua infatuazione. E’ una brava persona, più o meno, e sta per diventare padre.”
“Come preferisci.”
Hildr ritornò a letto, si coprì e sistemò il cuscino. Sbuffò per la millesima volta.
“Ivar.”
“Sì?”
“Vieni a letto. Quel pavimento fa solo male alle tue gambe.”
“Sei sicura? Credevo che …”
Hildr scostò le coperte per invitarlo, e Ivar si fiondò sul materasso senza pensarci due volte perché il legno duro del pavimento gli stava uccidendo la schiena.
“Io ti amo, Ivar. Ti amerò sempre. Però non voglio stare con te, non dopo tutto quello che mi hai nascosto: Freydis, il bambino, Katya. Ti sposerò perché sono comunque la tua migliore amica, la persona con cui hai condiviso gran parte della tua vita e perché insieme possiamo fare grandi cose.”
Ad Ivar sembrò di inghiottire veleno. Comprendeva le ragioni di Hildr, ma al tempo stesso sentiva il proprio cuore reclamare il loro amore ogni volta che erano vicini.
“Va bene, se è questo che vuoi. Che tu sia mia amica o la mia amante, sono felice che sarai mia moglie e la regina di Kattegat. Non avrei potuto scegliere donna migliore. E ovviamente ti amo anche io, tantissimo.”
Hildr gli strinse la mano e gli diede un bacio sulla guancia.
“Mi fa piacere che tu abbia capito.”
Ivar sorrise tristemente, non c’era nulla di piacevole in quella situazione. Avere accanto la donna che si ama, averla per moglie senza starci davvero insieme era insopportabile.
“Mi perdonerai un giorno?”
“Sì, un giorno ti perdonerò.”
“E allora torneremo insieme?”
“Forse.”
 
Due giorni dopo
Hildr camminava spedita verso la sala reale. Ivar aveva indetto un incontro straordinario perché aveva delle nuove comunicazioni da fare. Lei si era svegliata presto per rifugiarsi nella baracca di Floki sul fiume per iniziare a costruire una barca. Non era brava come suo zio, eppure le piaceva lavorare il legno in ricordo dei vecchi tempi. Il suo ingresso nella sala fu accolto da un inchino generale, tutti mostravano rispetto per la futura regina.
“Alzate le teste, suvvia!”
“Una regina non dovrebbe parlare così!” esclamò Vadim, seduto già al tavolo.
“Beh, questa regina parla come le pare e piace. Dove sono Oleg e Ivar? E Igor?”
“Stanno ultimando gli accordi dell’alleanza. Igor, invece, sta preparando le sue cose. Partiremo dopo l’incontro. Kiev non può restare a lungo senza il sovrano e l’esercito.”
“Finalmente voi russi vi toglierete dai piedi. Splendido!”
Hildr prese posto su una sedia che sembrava un piccolo trono decorato da particolari intarsi in legno. Quella specie di trono aveva ospitato Lagertha e Aslaug, le più grandi sovrane che Kattegat avesse mai conosciuto. E ora Hildr si aggiungeva a quella dinastia di regine forti, potenti e morte valorosamente.
“Ti mancherò, ne sono sicuro.” Disse Vadim sorridendo.
Lei inarcò il sopracciglio e addentò una mela che aveva pescato dal cesto di frutta al centro del tavolo.
“Non credo proprio. A Kiev dovrai concentrarti su Kyra e su vostro figlio.” 
“A Kiev penserò a te.” replicò Vadim, e questa volta era risoluto.
Quella conversazione fu troncata dall’arrivo di Ivar e Oleg, seguiti da Hvitserk e Oddlaug. Ivar ricadde sulla sedia con un rantolo di dolore causato dalle gambe. Guardò Hildr e sorrise, poi le schioccò un bacio sulla guancia. Hildr gli mise una mano sulla spalla e ricambiò il sorriso, erano gesti veri e non dettati dalla presenza di occhi curiosi che li scrutavano in cerca di una crepa.
“Ho riunito qui tutti voi perché devo comunicarci delle importanti notizie: la prima è che settimana prossima mia cognata Isobel, la moglie di mio fratello Hvitserk, farà ritorno a Kattegat insieme alla loro bambina. La seconda notizia è che io e il principe Oleg abbiamo firmato il trattato di alleanza che sancisce aiuto reciproco. Terza notizia, forse la più importante, è che ho ideato il nuovo assetto militare: a capo dell’esercito ci saranno Hvitserk e Hildr. Inoltre, Hildr sarà a capo di un manipolo di shieldmaiden che addestrerà come suo personale esercito.”
Dopo un primo momento di incredulità nella sala incominciò a scoppiare un applauso che diventò sempre più rumoroso.
“Perché?” sussurrò Hildr.
Ivar le afferrò le mani e le baciò entrambe, sorrideva raggiante.
“Perché sei la mia Valchiria.”
 
Hildr rimase stupita dall’abbraccio stretto di Igor. Pareva che il ragazzino le si fosse appiccicato come una cozza allo scoglio.
“Andiamo, Igor. E’ tempo di ripartire.” Lo incitò Oleg.
Il principe russo aveva stretto le mani di Ivar e Hildr con estrema cortesia, senza rimpiangere il tempo passato insieme e senza scusarsi per le sue azioni. Mentre Vadim salutava Ivar, Igor si era lanciato addosso a Hildr con le lacrime agli occhi.
“Ora sarò di nuovo solo.” Si lamentò Igor.
Hildr lo cullò come fosse un bambino e gli baciò la testa. Odiava gli addii.
“Non è vero. Tra pochi mesi nascerà il figlio di Kyra e potrai giocare con lui, sono convinta che lei ti lascerà fare da balia. Se ti manchiamo tanto, puoi sempre venire a trovarci.”
“Hildr ha ragione: casa nostra sarà sempre aperta per te.” aggiunse Ivar.
Igor si tuffò tra le braccia del vichingo piangendo, era difficile lasciare il primo amico che avesse mai avuto in vita sua.
“Non voglio lasciarti.” Disse Vadim.
Hildr nei suoi occhi verdi lesse una profonda tristezza, del resto lui stava tornando ad un matrimonio senza amore e ad una corte crudele.
“Smettila di pensare a me, Vadim. Per noi non ci sarà mai nessuna possibilità. Io amo Ivar e resterò con lui a qualunque costo perché è il mio destino.”
“Mi condanni ad una vita senza di te. Sei perfida.”
“E’ tempo che tu vada. Oleg ti aspetta.” Si intromise Ivar, ingelosito dalle parole del russo.
Vadim chinò la testa, baciò Hildr sulla mano e raggiunse la flotta a passo veloce. Igor sventolò la mano fino a quando la nave non scomparve oltre la cortina di nuvole bianche.
 
Una settimana dopo
Hvitserk aveva l’aspetto di un cane rabbioso con i denti in mostra, la fronte aggrottata e i continui sospiri frustati. Ivar non ne poteva più e gli diede un colpetto con la stampella.
“Puoi dare un taglio a questa agonia? Sei patetico, fratello.”
“Ti rendi conto che Hildr sta andando a prendere Isobel? Dovresti esserci io su quella nave!”
“Ci va Hildr perchè se in Wessex catturano un principe vichingo lo uccidono.” Disse Ivar.
Quella era l’unica scusa plausibile che la sua mente aveva elaborato per tenere fede alle condizioni di Hildr. Non poteva deluderla ancora, quindi tanto meglio mentire a suo fratello.
“Siamo pronti!” strillò uno degli uomini che avrebbero condotto la nave.
Hildr viaggiava scortata da due guerrieri e un marinaio, anche se Ivar aveva insistito che ad accompagnarla fosse un esercito intero.
“Ci siamo. – disse Hildr – Tranquillo, Hvitserk, andrà tutto bene. Peccato per Isobel che dovrà sopportarti al suo rientro.”
“Pft.” Disse Hvitserk accigliandosi ancora di più.
Ivar si avvicinò a Hildr e l’abbracciò a lungo, già avvertiva la sua mancanza.
“Mi raccomando, stai attenta. Non posso perderti.”
“Tornerò prima che tu possa notare la mia assenza. Fai attenzione anche tu, Kattegat non è sicura come pensi.”
“Lo farò. Ti prego, Hildr, torna da me.”
Date le circostanze, Ivar la baciò nell’eventualità che qualcosa di terribile potesse separarli. Hildr si strinse a lui approfondendo il bacio per assaporare quegli ultimi istanti insieme.
“Tornerò sempre da te.”
 
Hildr aveva il fiatone dove essersi inerpicata per un sentiero che dalla costa risaliva in collina. C’erano alcune capanne disseminate un po’ dappertutto, recinti di animali e recinti entro cui si coltivava. Alcune persone si fermarono a guardare lei e i due guerrieri alle sue spalle con terrore. Hildr non indugiò a rassicurarli, il suo unico scopo era trovare Isobel e Aila e riportarle a Kattegat. Individuò la loro capanna grazie ai racconti di Isobel, spalancò la porta e rimase sgomenta. Era vuota. Non c’era nessuno. Sguainò l’ascia e si mise a cercare in giro qualsiasi indizio su dove potessero essere, ma sembrava che avessero lasciato la dimora di loro spontanea volontà. Un secondo dopo era tutto buio.
 
“Ahia … ma che …”
Hildr riaprì gli occhi con un dolore acuto che le martellava nella testa. Si trovava in quella che sembrava una chiesa, con l’altare, le candele e un grande crocifisso di legno appeso al soffitto.
“Hildr, ti stavo aspettando da anni.”
Lei atterrì. Seduto sui gradini sotto l’altare c’era una persona che lei conosceva bene.
Era Alfred.
 
 
Salve a tutti!
Siamo giunti alla fine di questa seconda parte, che è stata una vera giostra di emozioni per me.
GRAZIE DI CUORE per aver seguito la storia e per il vostro immancabile supporto.
Un grande bacio, alla prossima.
La vostra Lamy_
 
PS. LA TERZA PARTE ARRIVERA’ NON APPENA SARA’ DISPONIBILE LA 6B.

 

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