You can't trick your destiny

di Amex Gold
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Verso Santa Barbara ***
Capitolo 2: *** Il campus militare Poseidon ***
Capitolo 3: *** Sala mensa ***
Capitolo 4: *** Allenamento 1 ***
Capitolo 5: *** Contorni ***



Capitolo 1
*** Verso Santa Barbara ***


 1. Verso Santa Barbara

 
“Ciao amore mio, ti prometto che tornerò presto.” Olimpia pronunciò queste parole in modo solenne, pur ben sapendo che fossero bugie. Non sapeva quando sarebbe tornata, probabilmente sarebbero passati mesi.
“Sta’ attenta mi raccomando, e non cacciarti nei guai, piccola peste!” le raccomandò caldamente il suo fidanzato, Michael.
“Non lo farò, te lo prometto.” La ragazza lo fissò negli occhi e poi lo abbracciò più di quanto potesse effettivamente permettersi. Il pullman sarebbe arrivato tra cinque minuti, e doveva ancora terminare il giro dei saluti.
 
“Tesoro mi raccomando, fatti sentire, chiamami ogni giorno, e se ti trattano male torna subito a casa!”
“Sì mamma tranquilla, dopotutto devo solo affrontare un addestramento militare, non mi tratteranno male.” rispose sarcasticamente Olimpia. Poi, arrivò il momento di salutare ‘il pezzo forte’.
 
“Ho sempre saputo che questo momento sarebbe arrivato, bambina mia. Ti ho addestrato duramente per prepararti ad affrontare tutto ciò che comporta questa vita, ma non si è mai pronti abbastanza per diventare un militare. Noi siamo nati guerrieri, e ci batteremo per difendere la nostra gente. Continua a rendermi orgoglioso di te.” Il padre di Olimpia, il capitano di vascello Filippo Fiammella, era un uomo altissimo e forte. Aveva passato metà della sua vita in mare, arruolato come soldato nella Marina, e quel giorno aveva il petto gonfio d’orgoglio. 
“È il nostro DNA, papà. Non si diventa soldati, ci si nasce.” Olimpia rispose con gli occhi velati di lacrime, poi abbracciò stretto suo padre.  
 
È il momento. Il pullman che l’avrebbe condotta verso il suo destino era arrivato: destinazione Santa Barbara.
Olimpia diede un ultimo bacio al suo fidanzato, per poi congedarsi. Vide tutta la sua famiglia in lacrime, e le sembrò insolito il fatto che quasi desiderava non partire più. Suo padre diceva il vero, l’aveva addestrata per tutta la vita ad abbracciare il suo destino, da quando la svegliava alle 6:00 del mattino all’età di dieci anni cantando una qualche marcia militare, a quando la obbligava a mangiare piccole razioni di cibo scadente, a quando costruiva percorsi ad ostacoli in giardino per farla allenare, perfino sotto la pioggia, ma al momento in cui ti arruoli non si è mai abbastanza pronti. Da bambina a ragazza, Olimpia seguiva con passione gli insegnamenti del padre, convinta ad abbracciare il suo stesso stile di vita non appena avesse ottenuto il diploma. 
Certo, suo padre non era stato un uomo molto presente nella sua vita: spesso era via a cause dalle sue missioni per mare e Olimpia non lo vedeva per mesi interi, ma quando tornava portava sempre con sé souvenir esotici provenienti da tutte le parti del mondo, come la bambolina fatta a mano da una bambina di un villaggio africano o stoffe orientali pregiate e bellissime. Le raccontava di come in posti freddi e molto lontani talvolta il cielo si tinge di verde e si mette a danzare, o di come siano eleganti le balene quando nuotano e sembrano parlarti. 
Olimpia crebbe con la promessa che avrebbe indossato fieramente una divisa, tutelando la gente dai pericoli del e dal mare. 
 
Si sedette a fianco al finestrino, solitamente agevolava i suoi pensieri. Suo padre le aveva insegnato molti esercizi per diminuire l’ansia, ma in quel momento voleva solamente lasciare libero sfogo ai suoi sentimenti. Dopotutto, come le diceva sempre lui, avere paura è normale, ma il soldato abbraccia la sua paura. 
Accanto a lei si posizionò una ragazza. È carina ma troppo pallida, ha le occhiaie e trema come una foglia. “Un bravo soldato deve aiutare gli altri, in qualsiasi situazione.” Pensò Olimpia.
“Stai bene? Ti serve un po’ d’acqua?” chiese gentilmente.
“No grazie, ce l’ho già, ma se ne bevo troppa mi scappa la pipì e poi non so dove farla.” La risposta della ragazza era più confidenziale del previsto.
“Soffri di mal d’auto?” le chiese ancora Olimpia.
“No.” La ragazza rispose in modo secco. Olimpia non voleva sembrare troppo pressante, e semplicemente tirò fuori dalla tasca le sue cuffiette, decisa a godersi il viaggio.
“Anche tu sei… sei…” iniziò a chiedere la sua vicina di posto, balbettando.
“Sono cosa?”
“Sei… sei… arruolata?” le tremava visibilmente il labbro inferiore.
“Ah, beh, sì. Anche tu, quindi.”
“Sì…” Olimpia si sentì sollevata. Era necessario creare un legame solido con i compagni di squadra, magari sarebbero finite nella stessa compagnia e si sarebbero potute dare una mano con i rispettivi compiti.
“Piacere, Olimpia!” la ragazza procedette a stringerle la mano.
“Piacere, Diana…” la ragazza non riuscì più a contenersi e scoppiò in un pianto silenzioso ma disperato.
“Hei, hei, che succede?!” Olimpia procedette ad estrarre dal suo zaino un pacchetto di fazzoletti.
“Tu non hai paura?” le chiese Diana, con gli occhi azzurri spalancati e pieni di lacrime.
“Beh, certo, certo che ho paura, ma alla fine penso che sarà un’esperienza decisamente formativa, dopotutto è il nostro lavoro…” Olimpia venne colta alla sprovvista. Ora capiva: quella ragazza stava avendo un attacco di panico. Ecco il suo primo compito da soldato: aiutare una compagna a calmarsi e a ragionare con lucidità!
“Ok, ok, Diana tranquilla, non preoccuparti. Chiudi gli occhi, ed immagina di starti trovando in un posto a cui sei molto legata, come una spiaggia, un parco, un prato o qualsiasi cosa ti trasmetta pace e serenità. Ci sei?”
“Sì, sì, ci sono.” La ragazza chiuse gli occhi e seguì le sue istruzioni, respirando l’aria a grandi boccate.
“Perfetto. Ora, immagina di stare con una persona a cui tieni molto, come i tuoi genitori, tuo fratello o sorella o il tuo fidanzato. Ecco, lo vedi? Ti sta venendo incontro, ti abbraccia, e ti dice che va tutto bene.”
“Sì, sì, ecco vedo mia sorella che mi abbraccia… Diana andrà tutto bene, andrà tutto bene…” Ok, quella ragazza era decisamente stramba, ma Olimpia era certa che questi esercizi di visualizzazione avrebbero calmato il suo attacco d’ansia. La ragazza smise di piangere e riprese a respirare normalmente. 
“Per fortuna, ora mi sento meglio.” Olimpia ne fu felice: aveva completato la sua prima missione, era stata utile a qualcuno, niente di meno ad una sua collega! Le porse una cuffietta. 
“Allora, ci mettiamo una bella playlist di Spotify adesso. Scegli tu.”
“Grazie!” la ragazza la abbracciò inaspettatamente forte. “Mi hai salvata la vita, prometto di fare lo stesso con te in futuro, se ne dovessi avere bisogno!” Olimpia sorrise. 
 
Le due ragazze si assopirono, e al loro risveglio si trovarono esattamente alla fermata di Santa Barbara. Presero i loro bagagli, insieme agli altri ragazzi, e si incamminarono per raggiungere la scuola di addestramento, a circa un quarto d’ora di cammino dalla stazione dei pullman.
 
Una carovana di ragazzi, di poco più di diciotto anni, marciava in direzione della scuola. Passarono davanti all’imponente Arsenale e si fermarono ad osservarlo con occhi sognanti. Non potevano ancora entrarci, avrebbero avuto il permesso solo ad addestramento compiuto.
 
I ragazzi ripresero i loro cammini, si scambiavano qualche chiacchiera di tanto in tanto, esternando i pensieri e paure che condividevano. Olimpia aveva calmato la sua ansia, respirava già a pieni polmoni il clima della fratellanza tra colleghi. 
 
Eccola, la Scuola di addestramento per cadetti della Marina Militare italiana. Erano arrivati. Un enorme cancello in ferro con lo stemma di un'ancora si ergeva di fronte ai ragazzi. Un soldato aprì il cancello e li fece entrare, un po’ alla volta.
 
“Disponetevi in fila da due ed entrate un po’ alla volta. Non create assembramenti che possano arrecare disagio al normale funzionamento di questa struttura.” Il soldato era alto e grosso, senza barba e con la testa rasata. Aveva una splendida divisa blu scuro. La voce era ferma ed intimidatoria. Il cancello si chiuse dietro i ragazzi e il soldato li condusse nella sala conferenze. 
 


“Benvenute, nuove leve.” Una voce maschile quasi robotica a giudicar dall’intonazione, zittì l’aula magna.

 
Olimpia sorrise. Da quel momento in poi ci sarebbero stati solo lei, e il suo destino. 

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Capitolo 2
*** Il campus militare Poseidon ***


2. Il campus militare Poseidon.

 
“Mi chiamo Giacomo Marinetti, direttore e comandante di questa struttura. È con onore che inizio il mio discorso parlandovi della scuola militare in cui vi trovate: il campus Poseidon. Qui è dove i soldati più valorosi che lo stato italiano abbia mai posseduto si sono formati e hanno ricevuto la giusta educazione militare, e non solo, è anche dove suderete, piangerete, e ve lo dico chiaramente, soffrirete, per i prossimi sei mesi. 
 
Incontrerete persone che vi cambieranno la vita, non saranno solamente vostri amici, ma veri e propri fratelli e sorelle. All’inizio odierete il campus, vi pentirete della scelta di vita che avete intrapreso, vi sentirete ad un tanto così dall’arrendervi, da mollare tutto e tornare a casa da mamma e papà come mocciosi, e probabilmente lo farete; ma alla fine di tutto ciò sarete molto più di semplici uomini e donne: sarete soldati. 
 
Non uscirete più da questo campus nello stesso modo in cui siete entrati, alla fine della vostra esperienza qui sarete completamente diversi, ed è un processo irreversibile. Non vi sveglierete una mattina con le vostre divise immacolate ed i muscoli pompati e vi crederete soldati.” Dall’aula si elevarono risate. 
“SILENZIO. Ripeto: non vi sveglierete una mattina, rendendovi conto di esservi trasformati in macchine da guerra durante la notte: sarà un percorso lento, che percorrerete strisciando, e porterete a termine con dolore e fatica. Perché è la sofferenza che ci fa crescere, ci fa maturare, che spinge l’uomo aldilà dei suoi limiti naturali. 
 
Io, e gli altri ufficiali responsabili del vostro addestramento, vi renderemo più forti, più disciplinati, più ligi al dovere. Crescerete e diventerete le persone che avete sempre sognato di essere. Ci odierete, desidererete ucciderci e scappare, ma non lo farete. E perché dovreste fare tutto questo? Semplice: per tutti coloro che dobbiamo proteggere! Per i civili, per i poveri, per i malati, i bambini, i più deboli. È questo che noi facciamo: difendiamo coloro che non sanno o non possono difendersi da soli, nello specifico caso della nostra forza armata, noi li difendiamo dalle minacce che arrivano dal mare. Il mare, sì, quello che vedrete quando uscirete fuori da qui, imparerete che esso è sì generoso e gentile con gli uomini, ma sa essere anche spietato e crudele. Noi, marinai e soldati, tuteliamo il mare e la sua gente. Siete pronti ad affrontare questo percorso?”
 
In coro si elevò il grido delle reclute: “Sì, comandante!”
 
“Ancora più forte!”
 
“SÌ, COMANDANTE.” I futuri soldati gridarono con tutto il fiato che possedevano.
 
“Benvenuti al campus militare Poseidon, futuri soldati.”
 

 
Il discorso dell’ufficiale Marinetti aveva caricato di adrenalina le nuove leve. Un soldato simile a quello che li aveva accolti al cancello ordinò alle donne e agli uomini di separarsi e mettersi in fila al banco divise, per il ritiro di quest’ultime. Tutti obbedirono ed in silenzio si disposero come comandato. Ad ognuno vennero consegnate due buste di plastica, con all’interno piegate due differenti divise. 
“Prendete le due buste e non apritele fin quando non sarete arrivati nella vostra camerata.” Ordinò sempre lo stesso soldato. 
Spinta dall’eccitazione e della curiosità, Diana aprì una delle due buste, sbirciandoci all’interno.
 
“Cadetta, cosa non ti è chiaro del mio ultimo ordine? Rimetti a posto quella cazzo di divisa o deterrai il record del primo rapporto in meno di un’ora dall’ingresso al campus!” le urlò in faccia il militare. Silvia capì subito di cosa stesse parlando, ovviamente grazie ai racconti di suo padre. I soldati in addestramento possono ottenere degli elogi, nel caso in cui siano lodati per qualche particolare ragione, o dei rapporti, nel caso disobbediscano alle regole o adottino una cattiva condotta. Se un soldato avesse ottenuto tre rapporti, sarebbe stato automaticamente cacciato dalla scuola. 
 
Diana sfoderò un’espressione da angelo mortificato, e le si riempirono nuovamente gli occhi di lacrime. Il soldato sembrò ancora più irritato da questo atteggiamento, ma la lasciò stare.
 
Ad ogni modo, disponendosi nell’altra fila invece, si accedeva al ritiro delle scarpe. Anche qui veniva ritirata un’enorme busta contenente due grandi anfibi antinfortunistici. 
 
Il soldato che aveva guidato le file fino a quel momento si concentrò sul gruppo maschile, mentre nel gruppo femminile intervenne un’altra soldatessa.
“Mi chiamo Regina Cielo. E sarò il vostro capo e coordinatrice del gruppo femminile. La prima di voi, piccole matricole indisciplinate, che farà commenti sul mio nome o oserà lamentarsi dei miei metodi educativi, sconterà un allenamento durissimo di almeno novanta minuti in cortile. Ora, restate in silenzio, non voglio sentir volare una mosca.”
 
Cavolo, quella Regina doveva essere una tipa tosta. Ad occhio e croce non aveva molto più di trent’anni, i capelli erano raccolti e nascosti sotto il cappello della divisa, e il viso era snello e scavato sulle guance. Gli occhi erano piccoli ma animati da sopracciglia arcuate e minacciose. Dal suo discorso si capiva che non stesse scherzando. 
 
Il campus Poseidon era composto da tre principali strutture: una a destra, ovvero il dormitorio maschile, una centrale, il centro delle attività in comune e dove si sarebbero svolte le lezioni, ed una a sinistra, il dormitorio femminile. La soldatessa guidò Olimpia e le altre ragazze nel dormitorio femminile: le stanze ospitavano massimo dodici soldati ed erano minimaliste, le brande sistemate in letti a castello e all’apparenza vecchie e arrugginite, i materassi erano bassi e piatti. L’ufficiale Cielo elencò i nomi delle ragazze insieme alla lettera della camerata assegnata, e poi ordinò:
 
“Scegliete voi, da sole, il vostro letto, e le prime capre fortunate che litigheranno per la posizione migliore verranno ovviamente messe in punizione. Detto questo, sistemate i vostri bagagli e dopo scendete giù in mensa, per la cena.” Detto questo, la donna si congedò. 
 
“Olimpia, siamo nella stessa camerata! Che gioia!” Esclamò Diana. Già, che gioia, pensò Olimpia. Per quanto all’inizio pensasse che la sua collega Diana rappresentasse un degno inizio di amicizia tra soldatesse, adesso si stava ricredendo. La ragazzina aveva l’aria di una che avrebbe presto mollato, una sorta di anello debole, e suo padre le diceva che doveva allontanare gli anelli deboli, e circondarsi solo di leoni. Allo stesso tempo però, il suo animo da soldato non le permetteva di abbandonare o ignorare quella ragazza.
 
“Già, che coincidenza, eh?” rispose Silvia, con poco entusiasmo. 
Continua…
 

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Capitolo 3
*** Sala mensa ***


3. Sala mensa

 
Olimpia scelse una brandina, ma prima che potesse poggiarci sopra i suoi bagagli, un’altra ragazza lanciò il suo zaino sullo stesso letto che aveva scelto. La ragazza le si avvicinò in modo minaccioso.
“Questo è già occupato, Barbie.” Aveva nerissimi capelli corti a caschetto e occhi azzurri tendente al grigio. I suoi lineamenti erano abbastanza spigolosi, ad eccezione per le labbra, grandi e a cuore. 
“Scusami.” Silvia digerì questa incursione e si spostò nella branda di Diana, nella branda superiore del letto a castello. Forse erano capitate nel posto peggiore, verso la porta, e Olimpia non avrebbe nemmeno voluto stare sopra, ma a quanto pare non c’era scelta. 
 
Olimpia estrasse dalla busta la prima divisa, con occhi sognanti. Era la così detta ‘operativa’, consistente in un pantalone blu scuro con larghi tasconi, blusa sempre blu scuro con su cucito il suo nome su un pezzetto di stoffa, e due stelline argentate da una parte e dall’altra del colletto. Sulle spalle erano cucite due ancore rosse. Parte della divisa era anche il cappello, un berretto blu scuro con l’ennesima ancora sopra. Olimpia si sentì fiera, quella sarebbe stata la divisa che avrebbe usato per lavorare. Dall’altra busta invece ne estrasse un’altra, questa doveva essere la divisa per le ‘occasioni speciali’, che avrebbe indossato il giorno del suo giuramento. La divisa era tutta bianca con bottoni dorati ed un mantelletto azzurro da mettere sulle spalle, in più c’era il tipico cappello piatto, con la scritta della Marina Militare dorata. Questa era decisamente più bella della prima, ed Olimpia si incantò ad immaginare il giorno del suo giuramento, quando sarebbe diventata una vera e propria soldatessa. 
Anche le altre ragazze, nello scoprire l’aspetto delle loro divise, erano esplose in grida isteriche e risate.
 
“Ma insomma, cos’è tutto questo baccano?!” Oh no, l’ufficiale Cielo era tornata. “Per nessuna ragione tollererò tanto baccano provenire dalle vostre camerate! Dovete stare in silenzio, o al massimo parlare a bassa voce! Già che ci sono, vi elenco anche le altre regole: 
 
Punto numero 1: dovrete rifarvi i letti ogni mattina appena sveglie, stando ben attente a non lasciare i vostri oggetti personali sul letto o altrove, ma a riporle sempre e solo negli armadietti che avete scelto. 
Punto numero 2: pulirete i bagni a turno una volta al giorno alla sera, i turni di pulizia saranno autogestiti da voi. Se al momento del controllo-pulizia i bagni non saranno puliti, tutte voi verrete punite. 
Questo porta al punto numero 3: il principio di base secondo cui se una di voi fa qualche cazzata, tutto il gruppo verrà punito. 
Punto numero 4: ogni mattina verrete controllate una ad una per quanto riguarda igiene, pulizia e il corretto modo di indossare la divisa." Da questo momento in poi la voce della donna divenne sempre più alta e intimidatoria. “E adesso, particolare attenzione a queste regole:
 
È vietato truccarsi, anche in modo leggero, è vietato portare unghia lunghe e smaltate, è vietato portare i capelli sciolti, ma solamente legati in una crocchia bassa, vietato usare profumi o deodoranti troppo profumati, vietato indossare gioielli o accessori di altro tipo. NON SIETE VENUTE QUI A FARE LE PICCOLE MISS. MI SONO INTESA? TRASGRESSIONI DI QUALSIASI TIPO COMPORTERANNO PUNIZIONI SEVERISSIME. Spogliatevi di tutte queste cose e scendete giù per la cena entro quindici minuti. Se non sarete giù entro quell’ora, scordatevi di mangiare per stasera.” 
 
“Bella stronza, chissà se alla fine di tutto questo ci daranno una mazza in culo come quella che ha lei.” Disse la stessa ragazza con i capelli neri che si era appropriata del letto di Olimpia. Le altre ragazze risero, ma non Olimpia, che era interessata a mantenere un profilo basso: quella ragazza aveva decisamente un atteggiamento troppo spavaldo, ed immaginò che non avrebbe avuto vita facile al campus. 
 
Quando la donna si congedò, scoppiò una corsa nel cambiarsi il più velocemente possibile, togliersi orecchini, collane e accessori, struccarsi e raccogliersi i capelli. 
Olimpia, essendo già informata di tutte queste regole, finì molto in fretta. Non era truccata e non portava gioielli, raccolse i capelli e si recò immediatamente in sala mensa, guadagnandosi le occhiatacce delle sue colleghe di camerata. La sala mensa si trovava nella palazzina centrale, dove non era prevista la divisione tra maschi e femmine, ed infatti, entrando, Olimpia notò subito di essere stata la prima ragazza ad arrivare: l’intero ambiente pullulava di ragazzi alti e muscolosi, che iniziarono a guardarla in modo strano, come una gazzella che era entrata nella gabbia dei leoni. Dopo di lei arrivarono altre ragazze, ormai mancavano una manciata di minuti alla cena e nessuna delle sue colleghe di camerata si era fatta ancora viva, nemmeno Diana.
 
Olimpia si mise in fila con gli altri e ricevette il suo pasto. Un’insalata di patate maleodorante, un panino, una mela ed una bottiglietta d’acqua. 
 
Ben sei minuti dopo l’inizio della cena, il resto delle compagne fece il suo ingresso in sala. 
 
“Cosa ci fate voi qui? Mi era sembrato di esser stata chiara: si cena alle otto, non un minuto in più, né uno in meno.” Gridò l’ufficiale Cielo.
“Abbiamo fatto tardi per adeguarci il più possibile alle regole di cui ci ha messe al corrente soltanto quindici minuti prima della cena…” tentò di giustificarsi una ragazzina mora con gli occhiali, che era decisamente più gradevole all’aspetto senza trucco.
“Cadetta, stai per caso sotto intendendo che sarei io la causa del vostro ritardo, per non avervi avvertite prima? Ma insomma, stamattina quando vi siete truccate come direttrici di circo non avete considerato neanche per un momento che stavate venendo per arruolarvi, e non per fare una sfilata di moda? Patetiche! Nessuna di voi stasera cenerà. Vi siederete semplicemente ai tavoli a guardare gli altri che mangiano.” Dopodiché, la donna si girò verso Olimpia e gli altri ragazzi già seduti.
“Per quanto riguarda voi, non pensate neanche di dividere la cena con queste ritardatarie. Devono solamente guardarvi! E ora, SEDETE! E un’ultima cosa, TACETE! La punizione collettiva è che non potete parlare tra di voi, durante la cena.” 
 
Con Olimpia si sedettero Diana, la mora con gli occhiali, la ragazza con cui aveva litigato in camerata, ed altre tre ragazze. Olimpia era osservata da ben cinque colleghe, che la guardavano mangiare, con un’espressione contrariata e sofferente, in silenzio.
 
“Benissimo, ottimo inizio per fare amicizia.” Pensò Olimpia. Sarebbe stato molto meglio scendere in ritardo, e farsi punire insieme alle altre, almeno avrebbe fatto gruppo, e si sarebbe evitata di collezionare l’odio di tutte quelle ragazze. 
 
L’ufficiale Regina girava per i tavoli con estremo rigore, assicurandosi che nessuna delle ritardatarie mangiasse e che nessuno dei commensali dividesse il suo cibo. Dopo di ché si avvicinò al tavolo di Olimpia.
 
“Sapete perché lei sta mangiando e voi no? Perché lei è più sveglia di voi, più pronta di voi, ed è arrivata prima di voi. Lei ha il diritto di mangiare, e voi femminelle non ce lo avete. Guardate bene la vostra compagna, e prendete esempio da lei!” Olimpia era diventata completamente rossa, e non poteva fare a meno di notare il disprezzo delle ragazze che aveva di fronte. Diana nel frattempo era sull’orlo di scoppiare in lacrime, aveva gli occhi rossi e gonfi. 
 
“Domani mattina la sveglia suonerà alle 5:30. Alle 6:00 dovrete essere tutti nel cortile, in tuta, ed inizieremo gli allenamenti. Mi raccomando, vi voglio in forma.” Gridò un altro ufficiale uomo, riferendosi in generale a tutta la sala mensa. 
 
Olimpia tornò nella sua camera in silenzio.

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Capitolo 4
*** Allenamento 1 ***


4. Allenamento 1

 
Alle 5:30 del mattino, i megafoni posti un po’ dappertutto al campus iniziarono a sparare la classica marcia militare del risveglio. Olimpia, come tutti, si svegliò di soprassalto. Quella marcia era simile a quella che le cantava suo padre da piccola, ed improvvisamente, si ricordò della spiacevole sensazione di essere tirata giù dal letto a forza, ed essere costretta ad essere operativa fin dal mattino presto. Le ragazze si coprivano le orecchie con le mani, quella canzone era davvero inquietante, sembrava di trovarsi in un film di guerra. 
 
Si catapultarono fuori dal letto, procedettero verso i bagni per lavarsi e prepararsi. Avevano quindici minuti per recarsi in sala mensa e fare colazione, alle 6:00 avrebbero dovuto essere nel cortile per iniziare l’addestramento. Le ragazze digiune dalla sera prima non vedevano l’ora di addentare qualcosa.
 
Quella mattina tutte furono puntuali. Ricevettero la loro colazione, consistente in uno yogurt e una mela, e la mangiarono velocemente. Poi si recarono in cortile.
 
Un soldato super muscoloso, con la testa rasata ma una barba piuttosto lunga, dalla voce profonda e probabilmente macchiata dal fumo, era già posizionato in cortile per divertirsi con quelle povere matricole. I ragazzi e ragazze si posizionarono in file, pronti per iniziare il loro addestramento.
 
“Buongiorno a tutti, avete dormito bene stanotte? Mi auguro proprio di sì, perché da questo momento in poi vi assicuro che sarà un problema dormire, a causa dei forti dolori muscolari che vi impartirò. Mi chiamo Michele Spadafranca, e spero che tutti voi abbiate almeno una base di allenamento alle spalle, altrimenti beh, fatevi il segno della croce.” L’uomo scoppiò in una sonora risata. 
La ragazza dal caschetto nero pronunciò qualcosa all’amica mora e occhialuta accanto a lei, e l’altra rise.
 
“Signorine, vi ha fatto ridere quello che ho detto?” il militare si avvicinò minacciosamente alle due ragazze. “Forse non mi avete preso abbastanza sul serio. Fate un passo avanti e qualificatevi.”
 
“Matricola Zaira Siviglia, signore. Al servizio.” “Matricola Dafne D’achille, signore. Al servizio.” 
Le due ragazze si qualificarono.
 
“Per farvi capire meglio cosa intendo, vi siete appena guadagnate una punizione. Rimarrete mezz’ora in più rispetto ai vostri compagni, e vi assicuro che desidererete tornare indietro nel tempo e rimangiarvi la vostra battutina del cazzo.”
 
“Sì, signore.” Risposero in coro le ragazze.
 
“E ora iniziamo a riscaldarci. Iniziate a correre, cazzo!” I ragazzi presero a correre intorno al campo da corsa in cui si trovavano. Fecero il primo giro, il secondo, il terzo, il quarto, al quinto giro molti iniziarono a rallentare, o fermarsi, come Diana, che aveva riattaccato a piangere disperata.
 
“I perdenti che si fermano possono accomodarsi a terra e fare dei divertenti piegamenti fin quando non gli sarà passato il dolore alle gambine.” L’uomo rideva sguaiatamente.
 
Arrivata al settimo giro, Olimpia cominciava a sentire i polmoni bruciare. Quel campo era davvero tanto grande, e anche se ella era ben abituata alla corsa di resistenza, sicuramente quella era una bella prova. 
 
Al decimo giro, solamente venti ragazzi erano sopravvissuti. Al dodicesimo, cinque, tra cui Olimpia e Zaira, che ormai correvano lentamente, ed erano sudate ed esauste, ma non volevano mollare: era diventata una questione personale. Altri tre ragazzi precedevano di poco le due sfidanti, anch’essi visibilmente stremati. 
 
“Basta, i soldati Magno, Riontino ed Allia possono abbandonare la corsa. Con le due ragazze voglio giocare un altro po’.” 
 
Ad Olimpia girava la testa, ma non poteva mollare. Zaira la guardava in modo truce ed il sudore le colava dappertutto, ormai la tuta bianca era completamente zuppa. Le due ragazze stavano più camminando molto velocemente che correndo.
“Vi ho ordinato forse di camminare? Più veloce!” ordinò il capo, Olimpia avrebbe voluto gonfiare quell’egocentrico bell’imbusto. 
 
“Basta, fermiamoci entrambe” suggerì Olimpia.
“Mai, io posso ancora resistere, ma vedo che tu sei parecchio in difficoltà” rispose Zaira, ansimando.
“Io? Io posso farne ancora dieci. E tu?” messaggio ricevuto, la compagna era competitiva.
“Nah, io almeno venti.” Si pavoneggiò Zaira, con la mano sul fianco. 
 
Quando le ragazze si trascinarono al quattordicesimo giro, Zaira cadde a terra, stremata. Olimpia la superò di uno o due metri, dopo cadde anche lei. 
 
“Ahahahah, vi è piaciuta la sfida, ragazzi? Sono state brave, non è vero?” ringhiò l’ufficiale Spadafranca, applaudendo sarcasticamente. “Bene, visto che siete così dure, non vi dispiacerà mettervi a terra e fare cinquanta piegamenti; dopotutto, questo era il riscaldamento. Forza, mammolette!” Le due ragazze sputavano saliva mista a sangue, la gola e i polmoni bruciavano come non mai e non si reggevano sulle gambe. Si riunirono al gruppo e cominciarono i piegamenti, già stremate dai quattordici giri compiuti.
 
“Benissimo, vedo che i piegamenti vi piacciono particolarmente. Continuate, matricole.” l’ufficiale si aggirava tra i ragazzi bestemmiando ed urlando insulti, poi si fermò davanti a Diana, che piangeva e non riusciva a tirarsi su con le braccia.
 
“Tu bambolina, non vali niente. Non me la prendo con te, c’è chi è nata per fare il soldato, chi per fare l’estetista, e tu appartieni decisamente alla seconda categoria. Scappa da qui, non è posto per te. Rimani sdraiata a terra fin quando gli altri non avranno finito. Stai giù, cazzo.” Le urlò, con il piede sopra la schiena, per tenerla a terra. “Tutti quei perdenti, come la signorina, che non ce la fanno più possono sdraiarsi sulla pancia e rimanere a terra, inermi. Non valete un cazzo.” 
 
Poi spostò l’attenzione su un ragazzo magrolino, pallido e rossiccio, visibilmente in difficoltà.
“E tu saresti un uomo? Posso spezzarti un braccio schioccando le dita. Cresci, cazzo!” l’uomo lo provocò, toccandogli il fianco con la punta della scarpa.
 
Poi si avvicinò ad Olimpia.
“Oh, che bella cucciola bionda. Non hai ancora esaurito le energie? Continua, continua.” Poi le premette il piede sulla schiena, per aumentare la difficoltà. Olimpia cedette e cadde a terra, provò a rialzarsi ma l’uomo la rispingeva giù. “Forza, non ce la fai più, cucciola? Anche tu estetista?” l’uomo rideva sguaiatamente. Olimpia non ne poteva più, avrebbe voluto alzarsi e spaccargli la faccia, ma non poteva.  
 
Zaira si arrese e si sdraiò a terra.
“Oh, la tigre della Malesia si è fermata. Non sei più così potente, vero? Stai a terra, e rifletti su quanto sei scarsa.” Stavano regalando a quell’uomo molte risate. 
 
“Ok mammolette, ora giratevi, e fatemi vedere quanti addominali sapete fare.” Disse l’ufficiale, battendo le mani.
Tutti iniziarono a pompare. “Bravi, bravi, ancora.”
Olimpia continuava a contrarre l’addome, come una macchina. Di certo aveva addominali molto forti, ma era già provata dagli allenamenti precedenti. Non aveva più fiato e sentiva l’intero corpo molle come un budino. L’ufficiale sembrava particolarmente interessato a lei.
“Tu cucciola bionda, decisamente mi stai stupendo. Sai cosa faccio a quelli che mi stupiscono?” 
Olimpia non rispose. “Non conosci l’educazione? RISPONDIMI, CAZZO.”
“No signore!” rispose Olimpia, ansimando per lo sforzo dell’esercizio.
“Le uso come cavie. E tu sarai la mia cavia, fin quando lo vorrò. Capirai tutto nei prossimi giorni.” Olimpia deglutì, i suoi tentativi di mantenere un profilo basso crollavano giorno dopo giorno. 
“Sì signore.” 
 
Dopo ben cinque ore di corsa, piegamenti, addominali, squat, salti e chi più ne ha ne metta, Spadafranca dichiarò l’allenamento finito. Le matricole non si tenevano in piedi, e si trascinavano a vicenda come soldati sconfitti che strisciano via dal campo di guerra. 
 
“Voi no.” Disse Spadafranca, indicando Zaira e Dafne. “Vi ho detto che eravate in punizione.”
Dafne provò a replicare. “Signore, non per contraddirla, ma crediamo di essere allo stremo delle forze.”
“Lo decido io quando siete allo stremo delle forze, cazzo! Correte!” Dafne aveva gli occhi colmi di lacrime. “E anche tu, rossiccio. Non mi sei affatto piaciuto durante l’allenamento, una corsetta con le ragazze non ti farebbe male, dopotutto, ti alleni più come una donnicciola che come un uomo!” disse al ragazzo rosso ed esile. L’ufficiale rideva alle sue stesse battute, di certo era un egocentrico bastardo. 
 
I tre si fecero forza a vicenda, e ricominciarono a correre.

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Capitolo 5
*** Contorni ***


5. Contorni

 
Olimpia e Diana si trascinarono in mensa, ancora sporche e sudate dopo gli allenamenti sfiancanti dell’ufficiale Spadafranca. Si sedettero al tavolo con le altre ragazze: tutte avevano la testa bassa sul loro cibo e non riuscivano a parlare dalla stanchezza.
 
“È stata tosta eh, ma ce l’abbiamo fatta. Piacere, Olimpia Fiammetta!” Olimpia provò ad intavolare una conversazione con le sue colleghe.
“Sì, che gioia.” Rispose sarcasticamente una ragazza dai capelli scuri e gli occhi ghiacciati. “Mi chiamo Irma, Irma Leone. Quel grosso bastardo, non mi sento più il corpo…”
“E domani sarà peggio, con tutti i dolori dell’allenamento di oggi. Piacere, Gemma Rosati.” Si unì alla conversazione una ragazza dalla pelle olivastra e i capelli ricci, che non ne volevano sapere di collaborare con la capigliatura imposta dal regolamento. “Tu te la sei vista brutta, eh? Mi spiace per quello che ha detto il bastardo…” Gemma si rivolse a Diana.
“Sì, beh… non preoccuparti, ha ragione.” Diana rispose con voce cupa. 
“Non devi dargli ragione, devi arrabbiarti, tirare fuori il meglio di te e dimostrare a quel coglione quanto vali!” la incitò Irma. Diana non rispose, e continuò a mangiare in silenzio. Nemmeno lei credeva molto nelle sue capacità.
 
A fine pasto, i tre ragazzi rimasti sotto le grinfie di Spadafranca si unirono agli altri in mensa. 
“Tutto finito. Sono rimasti solamente i panini.” Informò la signora poco gentile che distribuiva il cibo.
 
Zaira spalancò gli occhi. Aveva sopportato l’allenamento mangiando solamente uno yogurt per colazione e digiunando la sera prima, e adesso avrebbe dovuto saltare anche il pranzo, così come Dafne. Le due ragazze afferrarono due panini con le poche forze che le rimanevano e il ragazzo rossiccio fece lo stesso. 
 
“Ok ragazzi, ricreazione finita. Andate nei vostri dormitori, lavatevi, sistematevi e ci vediamo in sala conferenza alle 15:00 in punto.” Ordinò un soldato simile a quelli disposti dappertutto al campus. Molto spesso non si riconoscevano l’uno dall’altro, a causa dei capelli rasati, la divisa e l’atteggiamento identico. Sembravano tante fotocopie: Olimpia si domandò se anch’ella, a fine del suo addestramento, sarebbe parsa simile a loro. 
 
Le ragazze tornarono nelle loro camere. 
 
“Tieni, sono riuscita a nascondere questa.” Olimpia tese la mela che aveva preso di nascosto a mensa e la porse a Zaira. La ragazza la guardò con disprezzo.
 
“Stupida.” Zaira le diede uno schiaffo sulla mano, facendole cadere la mela a terra.
“Non devi mai rischiare per gli altri. Devi pensare a te stessa. Se ti avessero scoperto saresti stata messa in punizione. Devi fare una sola cosa: rispettare le regole.”
Olimpia rimase di stucco. Okay, aveva deciso di rischiare per la sua compagna ed era stata ringraziata così. Ci rimase male. Raccolse la mela dal pavimento e si rese conto di essere osservata da Dafne, quest’ultima però presa da un moto d’orgoglio, distolse subito lo sguardo. Olimpia capì che la ragazza provava vergogna nell'accettare, di conseguenza prese la mela e gliela lasciò sul suo cuscino. 
 
Dopo essersi lavate e indossato la divisa operativa, si recarono in sala conferenza. 
 

 
“Ascoltatemi bene, ragazzine.” L’ufficiale che li accolse si rivolse così ad entrambi i ragazzi e le ragazze seduti. Aveva una faccia poco amichevole, era estremamente muscoloso ed alto, stava in piedi con le braccia dietro la schiena e l’espressione truce. “Sono l’ufficiale Marco Lo scudo, e sono qui per insegnarvi un paio di cosette sulla vita che, coraggiosamente, avete deciso di intraprendere.” Olimpia si chiese se almeno uno dei militari presenti al campus avesse la capacità di sorridere. 
“Ora vi mostrerò alcuni video, in modo che voi sappiate di cosa state parlando quando dite in giro di fare i militari.”
 
L’ufficiale azionò il proiettore e al muro comparirono figure di navi militari. Nel primo video un paio di navi della Marina avevano attaccato una nave pirata che trasportava illegalmente armi e droga. Alcuni militari vennero buttati in mare, altri furono presi a coltellate dagli spietati corsari, altri ancora riuscirono ad avere la meglio.
Nel secondo video, alcuni militari erano impegnati in una missione militare in Afghanistan, e stavano reagendo dopo un bombardamento alla loro base. I video erano altamente dettagliati, mostravano qualsiasi cosa: sangue, dolore, sofferenza. Alcune matricole distolsero lo sguardo, Diana pianse per tutta la visione dei video, i ragazzi tentavano di rimanere impassibili ma si lanciavano tra di loro occhiate impressionate. Olimpia e Zaira tenevano gli occhi fissi verso lo schermo.
 
Olimpia sapeva da sempre che il suo mestiere non sarebbe stato una passeggiata, suo padre l’aveva già messa al corrente di tutti i rischi e pericoli che comporta essere un militare. Le immagini crude che l’ufficiale stava mostrando di certo la turbavano, ma mai nella sua mente avrebbe pensato di aver sbagliato lavoro.  
 
L’uomo spense il proiettore. 
 
“Bene, finocchi. Spero che vi sia piaciuto il film.” Erano sempre tutti gentili, notò Olimpia.
 
“Tu” si rivolse verso Diana. “Asciugati le lacrime, ragazzina. Dimmi, tu cosa faresti se ti trovassi su una nave, in mezzo all’oceano, circondata da pericolosi pirati?” 
La ragazza scosse la testa, non riuscendo a trattenere le lacrime. “Sì, non ho dubbi che piangeresti come una mocciosa. Tu, cosa faresti invece? E mettiti seduto, mastro lindo” chiese, indicando un ragazzo dai capelli rasati e la cicatrice sul sopracciglio destro. Era stranamente affascinante, aveva la faccia da stronzo, di chi ne ha viste tante e vuole vederne ancora. Gli occhi verdi non esprimevano nessuna particolare emozione, ed era seduto in maniera scomposta, con il sedere troppo in basso sulla sedia e le gambe aperte. Il ragazzo si addrizzò all’ordine dell’ufficiale.
 
“Beh, se mi dovessi rendere conto che i nemici sono in maggioranza numerica, sicuramente ordinerei al radarista di lanciare un allarme. Dopodiché semplicemente, scapperei.”
 
“Bravo, buona risposta. Se vi rendete conto di essere in minoranza numerica, semplicemente, scappate. Sì, non potete mettere a rischio le vostre vite con una missione suicida. Tornerete con dei rinforzi per arrestare quei criminali. Come ti chiami, ragazzo?”
“Massimo. Massimo Coraggio.”
“Coraggio! Bel cognome. Andiamo avanti con la nostra visione…”
 
Olimpia non poté fare a meno di notare quel ragazzo, la sua strafottenza era altamente attraente, e di sicuro possedeva una notevole dote di carisma. Probabilmente lei avrebbe risposto al suo stesso modo, e c’era qualcosa in lui che li rendeva simili. Distolse l’attenzione, dopotutto era fidanzata da tre anni con Micheal, che la aspettava pazientemente fuori da lì, e lei non avrebbe mai potuto tradire la sua fiducia.
 
Micheal, quel pensiero era così confortante. Era un ragazzo dall’intelligenza fuori dal comune, aspirante medico, campione di atletica leggera, appassionato musicista. Ed era dolce, simpatico, buono, gentile e romantico, tutto ciò che di meglio una ragazza poteva desiderare. Micheal non si era mai opposto alla scelta di Olimpia, tutto ciò che gli importava è che lei fosse felice, e seguisse perfettamente il suo destino, realizzando la sua persona completamente. 
 
Mentre le immagini di spari, bombe, attacchi e chi più ne ha ne metta scorrevano proiettate al muro, Olimpia si perdeva a pensare alle labbra del suo ragazzo, ai suoi stretti abbracci, a tutti i tramonti e le albe che avevano condiviso, e all’ultima notte che avevano passato insieme prima che lei partisse.
 
Notò che era la prima volta da quando aveva messo piede al campus che pensava a qualcosa di ‘esterno’: in un giorno e mezzo sembrava aver rimosso completamente la sua vita precedente, sembrava essere lì da sempre, tutto il contorno in cui si muoveva era scomparso a contatto con il campus. Ma quando pensava a quel contorno sentiva il calore delle mani di sua mamma, le larghe spalle di suo padre, i baci di Michael, lo scodinzolare del suo cane, l’odore dell’erba appena tagliata in giardino. Ma cosa stava facendo? Non poteva distrarsi, doveva concentrarsi sulla lezione. 
 
Distolse la mente da quei candidi pensieri e riportò i suoi occhi al muro, mentre alle sue orecchie giungevano urla e rumori di spari. 

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