Why we don't?

di KiarettaScrittrice92
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** I sentimenti di Midoriya ***
Capitolo 2: *** La rabbia di Bakugou ***
Capitolo 3: *** L'apprensione di Todoroki ***
Capitolo 4: *** La delusione di Midoriya ***



Capitolo 1
*** I sentimenti di Midoriya ***


I sentimenti di Midoriya
 

Chiusi la porta della mia stanza, poggiando la schiena su di essa e lasciandomi scivolare in basso, finendo con il sedere per terra.
Come ero arrivato a quel punto? A ridurmi in quel modo? 
Era una sensazione strana e a dir poco angosciante. Nemmeno la voglia di avere anche io un quirk o la paura dei villain e di Tomura Shigaraki, mi aveva fatto sentire così male.
Fin da piccolo ero sicuro che il mio unico sogno, il mio unico obbiettivo, sarebbe stato ottenere un quirk e diventare un eroe. Per questo motivo stavo sempre dietro a Kacchan: perché lo ammiravo, perché per me lui era una forza della natura, proprio come gli avevo confessato alla prima esercitazione di All Might qui alla UA. 
Crescendo però le cose erano cambiate. Avevo ottenuto un quirk e non un quirk qualsiasi, ma il One for All di All Might; ero entrato nella UA; mi ero fatto nuovi amici e avevo scoperto che essere un supereroe significava affrontare gente pazza è pronta a tutto per il proprio scopo, gente che utilizzava le proprie unicità per il lato sbagliato.
In tutto questo era cambiata anche un altra cosa: io, i miei sentimenti, il mio corpo, le mie emozioni. Non me n'ero reso conto prima di allora, ma ero cresciuto e insieme a me erano cresciuti i miei interessi verso qualcosa a cui solitamente da bambini non si pensa. 
Chissà forse non era vero che quando ero piccolo stavo sempre con lui perché lo ammiravo, forse già allora provavo qualcosa per lui, nonostante lui si fosse sempre comportato in modo cattivo e scontroso con me. Com'è che si chiamava? Sindrome di Stoccolma: quella patologia in cui t'innamori del tuo aguzzino. No, Kacchan non è mai stato il mio aguzzino; insomma poteva essere scontroso, irascibile, pieno di sé, ma io avevo sempre visto sotto quella sua corazza, avevo sempre visto il grande eroe che era e che voleva diventare: un ragazzo dai grandi ideali e dal cuore d'oro che nascondeva tutto dietro una rabbia che aveva semplicemente ereditato da sua madre. In fin dei conti era quello che mi aveva dimostrato nell’ultimo combattimento di una settimana prima, quello che ci aveva portato entrambi ad essere puniti per rissa; in quel momento avevo visto il suo lato debole, quello che solo io conoscevo e sapevo tirar fuori.
Eppure mi resi conto dei miei sentimenti solamente a quel maledetto ritiro nei boschi. Ricordo ancora l'assoluto panico e la sensazione d'impotenza nel momento in cui i nemici me lo stavano portando via e lui, con uno sguardo che non gli avevo mai visto addosso, mi disse di non andare a salvarlo. Era preoccupato, e non per se stesso, ma per me; anche se forse solo io avevo compreso quello sguardo. Non voleva che lo andassi a salvare perché sapeva che sarei stato disposto a rischiare la vita per lui. Fu proprio in quel momento, mentre tra le lacrime mi lanciavo verso il buco nero di Kurogiri, incrociando il suo sguardo rosso carico di preoccupazione, che mi resi conto di cosa davvero provavo. Me lo stavano portando via, il mio Kacchan, senza che potessi fare nulla per salvarlo.
Per questo motivo dopo che lo salvammo non mi sentii affatto sollevato, sentivo ancora il dolore per non essere riuscito ad aiutarlo in quel momento, ma soprattutto sentivo il peso di quei sentimenti che non avevo il coraggio di confessare. Per lo stesso motivo diedi tutto me stesso in quel combattimento notturno, perché sapevo era l’unico modo per comunicare con lui, ma nemmeno quella volta riuscii a confessarmi. Nel momento in cui mi atterrò, ricominciando a insultarmi e dicendomi che nonostante tutto mi aveva battuto, io ero pronto a dirglielo, anche a costo di prendere altre botte da lui, ma proprio in quel momento intervenne All Might.
Mi sentii quasi sollevato quando il mio mentore decise di raccontargli tutto: era ingiusto nascondere un segreto così grande alla persona a cui tenevo di più in assoluto. Ero sicuro al cento per cento che lui non mi avrebbe mai tradito, rivelando a qualcuno quel segreto, anzi a dirla tutta forse lo sapevo anche quel giorno dopo la prima esercitazione, quando gli confessai che il mio quirk era in prestito.
Con la punizione, l’inizio delle lezioni e la scoperta dei tirocini, quasi dimenticai le tribolazioni del mio cuore, esattamente come le avevo dimenticate durante l’esame per ottenere la licenza temporanea.
Quel giorno però era successa una cosa che le aveva fatte riemergere come un fiume in piena, non solo facendomi sentire nuovamente male per quell’amore non confessato che continuava a opprimermi, ma anche perché improvvisamente mi ero ritrovato a deludere la mia migliore amica: quella che prima che mi accorgessi del mio orientamento reputavo anche carina.
Lei, al contrario di me, si era presa di coraggio ed era venuta a confessarmi che le piacevo ed io l'unica cosa che ero riuscito a risponderle era che non potevo, per poi scappare via e rinchiudermi nella mia stanza.
Mi passai le mani tra i capelli, incapace di pensare ad altro se non a quello. Dovevo trovare un modo per risolvere la situazione, ma come? Innanzi tutto dovevo scusarmi con Uraraka, spiegarle la situazione e magari avrei potuto chiederle consiglio. Scossi la testa, meglio di no: meno persone avrebbero saputo di quei miei sentimenti, meglio era. Una cosa però era certa, dovevo dirlo a Kacchan e già solo quel pensiero mi metteva addosso un ansia pazzesca.

 

Il giorno successivo, dopo aver preso il mio vassoio con la colazione, alla mensa del dormitorio, andai come tutte le mattine al tavolo con Uraraka e Iida. Era presto e ancora molti nostri compagni erano nelle loro camere a cambiarsi oppure a dormire; perciò per me sarebbe stato più facile scusarmi con lei.
Non appena mi sedetti il nostro capoclasse mi diede il buongiorno, mentre lei fece appena un cenno di testa. 
«U… Uraraka, poi… possiamo parlare? – le domandai, vedendola voltarsi verso di me con un aria gentile, ma che nascondeva un velo di tristezza che credevo di vedere solo io – Voglio chiederti scusa per il mio comportamento di ieri. Credo… Credo di doverti delle spiegazioni.» aggiunsi, leggermente imbarazzato.
«Tranquillo Deku, non ce n'è bisogno.» rispose lei, sempre con la stessa espressione leggermente delusa, ma che comunque cercava di mascherare con un sorriso.
Scossi la testa, sicuro della mia idea: anzi forse era l'unica cosa di cui ero convinto. Mi fidavo di Uraraka ed ero sicuro che avrebbe capito.
«È importante per me Ur... Ochako.» dissi, chiamandola per nome per la prima volta da quando ci conoscevamo.
Lei sembrò rimanere stupita da quelle mie parole, lo vidi nei suoi profondi occhi castani che sgranarono leggermente; dopodiché con un sospiro accettò la mia richiesta, suggerendo di vederci poco prima delle lezioni, nel cortile davanti all'ingresso della struttura principale della UA. Tutto questo sotto lo sguardo attento di Iida, che però non si azzardò a intromettersi, e ancora lo ringrazio per quello: probabilmente a lui non sarei riuscito a spiegare la situazione per intero, per lo meno non in quel momento.
Quando io e Uraraka ci trovammo quasi un'ora dopo nel cortile, ero ancora più nervoso del giorno prima, ma cominciai subito a parlare, senza darle il tempo di dire nulla.
«Ascolta Uraraka, io... – mi portai una mano alla nuca, percependo il groviglio dei miei capelli verdi sul palmo – Sono onorato di... Beh di quello che mi hai detto ieri e mi sento uno stupido a non essermene mai accorto. Se devo essere sincero, anche tu mi sei piaciuta fin da subito quando ci siamo conosciuti ma...» non riuscii a continuare l'imbarazzo stava prendendo possesso di me, ma soprattutto la preoccupazione che lei non avrebbe capito. Non pensavo affatto che lei fosse omofoba, o robe simili, ma mi resi conto che nonostante tutto, fare quello che nel mondo moderno chiamavano coming out era più complicato di quanto sembrasse.
«Ma...?» m'incoraggiò lei, e devo essere sincero non capii affatto se era scocciata del fatto che le stessi facendo perdere tempo, visto che ormai l'avevo già delusa, o semplicemente fosse curiosa di capire il motivo di quel mio rifiuto.
«Il fatto è che... da... da un po' di tempo io... io ho capito che mi piacciono i ragazzi…» dissi, non riuscendo più a sostenere il suo sguardo e iniziando a fissarmi i piedi.
«Oh…» riuscì appena a dire lei e subito mille pensieri m’inondarono la testa, facendomi rimuginare come mio solito, portandomi a film mentali assurdi.
«Ieri non sapevo come dirtelo, per questo sono scappato. A dirla tutta non lo sapevo nemmeno io, l’ho compreso da poco e poi quando tu ieri mi hai detto quella cosa, io ho capito che non riuscivo a ricambiare i tuoi sentimenti. Sono stato tutta la notte a pensarci e…» continuavo a parlare, a mezza voce, come una macchinetta.
Solamente quando lei mi mise le mani sulle spalle, chiamandomi con quel soprannome che, grazie a lei aveva ottenuto un altro significato rispetto a quello offensivo che gli aveva affibbiato Kacchan, riuscii ad alzare lo sguardo su di lei.
«Non c’è nessun problema Deku, dico sul serio; anzi sono contenta che tu me l’abbia detto. – mi disse con un sorriso dolcissimo – Non si possono decidere i propri sentimenti e se hai scoperto questa cosa, nonostante mi abbia confessato che ti piacevo, vuol dire che è vero. Perciò va bene così. L’importante è che rimaniamo amici e che d’ora in poi non ci nascondiamo niente. Promesso?» domandò infine, mostrandomi il mignolo, come a voler suggellare un accordo.
Ci pensai qualche secondo, in fin dei conti le stavo già nascondendo qualcosa: le avevo detto che ero gay, ma non le avevo certo confessato chi mi piacesse. Era decisamente troppo presto per farlo, ancora me ne vergognavo e poi, dovevo riuscire a dirlo prima a lui che a chiunque altro. Nonostante tutto però, allungai la mano e intrecciai il mio mignolo al suo.
«Promesso.» risposi con un sorriso.

 

Le lezioni quel giorno furono molto tranquille, trattarono il primo soccorso, un qualcosa che un bravo eroe doveva conoscere in modo da prendersi cura delle vittime prima dell'arrivo delle ambulanze. Avevamo avuto già un assaggio di quel lato del nostro futuro mestiere: nella seconda prova per ottenere la licenza provvisoria, ma di certo non era come studiarle. Venne proprio Recovery Girl a farci lezione, ovviamente affiancata dal professor Aizawa.
Presi appunti molto attentamente, come facevo sempre, ma ad un certo punto Mineta con quel suo solito tono lascivo e leggermente fuori controllo fece una domanda che imbarazzò tutti.
«Non ci può spiegare qualcosa sulla respirazione bocca a bocca?»
Improvvisamente a quella domanda il mio cervello andò in tilt; non sentii nemmeno più cosa gli rispose Recovery Girl. Il mio cuore aveva cominciato ad accelerare i battiti e i miei occhi furono calamitati dall'acconciatura bionda ed esplosiva, proprio come il suo potere, del ragazzo davanti a me, mentre mi domandavo come sarebbe stato fare la respirazione bocca a bocca a lui.
Lui però si accorse in qualche modo del mio sguardo addosso, forse distratto dall'osservare Mineta che sbavava sul banco, perciò quando accadde mi aggredì come suo solito.
«Cosa cazzo hai da guardare, nerd?!» domandò, puntandomi con il suo sguardo rosso fuoco e facendomi tornare in me.
Aizawa lo rimproverò e lui si voltò di nuovo, ma la sensazione di disagio che si era creata in me per quell'assurda situazione rimase. Non capivo cosa cavolo mi stava succedendo, perché tutto all'improvviso mi sentivo a quel modo? Fino a quel momento avevo sempre studiato tutto ciò che riguardava gli eroi e i super poteri, non mi ero mai soffermato su altri argomenti, a meno che in qualche modo non mi servissero per la battaglia, perciò comprendere che quella era l'età in cui gli ormoni di un adolescente si risvegliavano era un qualcosa a me completamente sconosciuta, che mi lasciava sempre più spiazzato.
Una cosa però era certa, non potevo aspettare un giorno di più: anche a costo di tornare nella mia camera pieno di bruciature e lividi, io sarei andato in fondo a quella situazione, aspettando che Kacchan tornasse dal suo corso di recupero per ottenere anche lui la licenza temporanea e confessandogli ciò che provavo.
Mai però mi sarei aspettato sarebbe andata in quel modo.

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Capitolo 2
*** La rabbia di Bakugou ***


La rabbia di Bakugou
 

Non capivo affatto perché mi avesse chiesto di vederci lì; ad essere sinceri non sapevo nemmeno perché avessi accettato di vederlo. Era dal duello notturno che non gli rivolgevo la parola, se non si considerava il breve scambio di richieste durante la punizione e le volte in cui lo insultavo, come d'altronde facevo sempre. 
Odiavo quella mezza calzetta: il suo modo di approcciarsi con il mondo e il suo essere sempre maledettamente positivo e insistente, soprattutto da quando aveva ottenuto un quirk tutto suo. Sorrisi stizzito, non era nemmeno suo quel quirk, era di All Might. 
All Might, il nostro idolo fin da quando eravamo bambini, colui che ammiravamo assieme, l’unica cosa che ci aveva accomunati fin dall'asilo, aveva scelto quella nullità di Deku come suo erede. Perché? Cos’aveva di speciale? Cosa ci aveva visto quando aveva deciso di donargli uno dei quirk più potenti al mondo, anzi il più potente in assoluto.
La risposta s’insinuò nella mia testa come un insetto fastidioso, piccolo e ronzante proprio come il verde: altruismo e coraggio. Odiavo ammetterlo, lo odiavo con tutto me stesso, ma se c’era una cosa che avevo sempre invidiato a quella mezza cartuccia era il suo prodigarsi per gli altri. Noi due eravamo cresciuti con lo stesso identico sogno: diventare degli eroi proprio come All Might, dei simboli di giustizia e di pace; ma da quando avevamo cominciato a frequentare entrambi la UA mi ero reso conto che lui aveva un qualcosa in più, un qualcosa che era sempre stato nel suo carattere, ma che forse per via dell’assenza di un quirk non era mai uscito fuori: l’istinto incondizionato di mettere a rischio la propria vita per salvare quella degli altri. 
Ingoiai la bile che mi si era creata in gola nel ripensare a quel maledetto nerd in lacrime che tentava di salvarmi da quel villain, scavando nella melma che pian piano mi stava risucchiando; o lo stesso che sempre piangendo tentava di raggiungermi, mentre venivo rapito dall'Unione dei Villain.
«Kacchan... Grazie di essere venuto...» fece la sua vocina intimidita, distogliendomi dai quegli insopportabili pensieri, che stavano prendendo una piega che non mi piaceva affatto.
Mi voltai, incrociando le braccia al petto e rivolgendogli il peggior sguardo che mi potesse uscire: come se quei pensieri insopportabili di ammirazione che mi facevano tanto ribrezzo dipendessero solamente da lui e non dalla mia mente confusa.
«Mi dici perché cazzo hai voluto che ci vedessimo di nascosto qui? – domandai, per poi fare un ghigno derisorio – Non dirmi che vuoi la rivincita...» proposi. Se era quello che voleva, gliel’avrei sicuramente data: anche a costo di finire nuovamente in punizione gli avrei inferto una sonora lezione che non avrebbe dimenticato mai più. La sua risposta però negò ogni mia aspettativa.
«No, no... – fece, agitando nervosamente le mani davanti al viso – Voglio... Voglio solo parlare...» disse.
Lo guardai storto, notando finalmente che c’era qualcosa di diverso in lui quel giorno. L’avevo sempre visto parecchio nervoso e intimidito davanti a me, soprattutto quando lo minacciavo, ma quella volta sembrava quasi imbarazzato. Non so per quale motivo, forse perché ero ancora troppo giovane, forse perché lo odiavo ancora troppo per rendermene conto, ma non riuscivo davvero a capire il perché si stesse comportando in quel modo.
«Avanti, muoviti allora, ho ben altro da fare che ascoltare i tuoi piagnistei!» lo invitai, anche se non era affatto vero: a quell’ora tarda l’unica cosa che potevo fare era rintanarmi in camera mia a fare l’unica cosa al mondo che non odiavo, ossia leggere le Grafic Novel di All Might.
Lui però non parlò, si morse solamente il labbro inferiore nervosamente e quel suo comportamento stava cominciando ad irritarmi.
«Deku, vuoi deciderti a...» cominciai, muovendo leggermente le dita e percependo le prime scintille percorrermi le articolazioni, pronto a dargli una svegliata a forza delle mie esplosioni.
«Va bene, va bene... Te lo dico... – fece lui agitando nuovamente le mani – È che non è facile...» cercò di giustificarsi, distogliendo il suo sguardo verde dal mio: una cosa che faceva spesso quando ci ritrovavamo a parlare, ma che ultimamente notavo più spesso del solito.
A quel suo gesto sentii aumentare l'irritazione, non tanto per quel suo inspiegabile imbarazzo, ma più per il disgusto verso la mia sensazione di dispiacere nel non sentire più l’attenzione dei suoi occhi smeraldini addosso. Mi faceva incazzare solo il pensiero di provare quella forma di delusione e in qualche modo cercai di auto convincermi che la colpa era sua e non mia.
«Rendilo facile.» sbottai appena, cercando di trattenere quella rabbia che sentivo ribollire nel mio corpo e risvegliava il mio quirk esplosivo.
«Ecco... È da un po’ che... No, in realtà ieri... Il fatto è che...»
«Insomma merdeku, vuoi deciderti a dire una frase di senso compiuto? – cominciai a gridare, mentre lui continuava a balbettare parole senza senso – Non ho tempo da perde...»
«Kacchan, tu mi piaci!» gridò all’improvviso, come se anche lui fossi esasperato dalle mie lamentele.
A quelle tre semplici parole sentii il sangue gelarmisi nelle vene. Per un attimo sembrò che il mondo si fosse fermato in quel piccolo angolo nascosto del cortile dell’accademia: lui era davanti a me, con gli occhi serrati come se avesse paura della mia reazione; mentre io li tenevo sbarrati, completamente sconvolto. Non potevo credere a ciò che aveva detto, o forse non volevo crederci.
Nella mia testa si stava creando il caos, ma tra tutte le mie emozioni sicuramente c’era la frustrazione di sentirmi in quel modo: ero a disagio e quel disagio mi faceva incazzare ancora di più.
In un attimo, da che ero rimasto gelato, cominciai a tremare dalla rabbia e digrignai i denti, proprio nel momento in cui lui aprì un occhio per tentare di vedere la mia reazione.
Lo afferrai per il bavero della divisa grigia, sollevandolo leggermente da terra e sbattendolo contro il muro, provando quasi una sensazione di godimento nel vedere la sua smorfia di dolore provocata molto probabilmente dalla sua schiena che sbatteva contro il cemento dell’edificio.
«Mi stai prendendo per il culo?!» ringhiai.
«No...no... Io...» cercò di proteggersi con le braccia; mentre i suoi occhi, finalmente di nuovo aperti, diventavano mostruosamente espressivi, scombussolando le mie viscere.
«Sono anni che ci conosciamo ed ora te ne esci con questa stronzata?!»
«È che... Io... Anche io me ne sono accorto da poco...» cercò di dire, ma la mia rabbia era cresciuta talmente tanto che non riuscivo nemmeno a controllarla.
Iniziai a muovere le dita della mano libera, percependo le scintille del mio quirk che scoppiettavano febbrili.
«Stronzate!» gridai.
«Kacchan... dico sul serio... tu mi p...»
«Non ti azzardare a ripeterlo un’altra volta o giuro che ti faccio fuori!» sbottai, bloccandolo prima che completasse la frase. Non volevo più sentire quella confessione, non volevo più sentire lui.
Preso da un moto di furia, liberai il mio quirk, puntando dritto al suo viso, ma lui prontamente si parò con le braccia.
Il rumore dell’esplosione si propagò per tutto il cortile, ma vista l’ora tarda probabilmente non ci aveva sentito nessuno.
Mollai la presa su di lui, che scivolò a terra: le maniche della divisa completamente a brandelli e leggermente fumanti per il colpo.
Non me ne fotteva niente però, almeno non in quel momento. Lo mollai lì, allontanandomi e dirigendomi verso il dormitorio. Avevo bisogno di chiudermi in stanza e non uscire fino all'indomani mattina o sarei stato capace di fare fuori qualcuno.

 

Arrivato in camera mi chiusi la porta alle spalle. Ero furioso: sentivo chiaramente i miei muscoli tesi fino al limite, come se dovessero strapparsi da un momento all’altro, per non parlare del dolore alla mascella che avevo irrigidito dal momento in cui avevo incrociato quella faccia di merda.
Non riuscivo in nessun modo a calmarmi, più che altro perché allora non comprendevo con esattezza cosa stavo provando. Prima di allora, nella mia testa, io e Deku eravamo stati rivali, nemici; per me lui era solo un maledetto ostacolo alla mia gloria. Ma con quella confessione lui aveva stravolto tutto: aveva messo in dubbio i miei stessi sentimenti, la mia stessa indole, mi aveva aperto gli occhi su una realtà che non volevo assolutamente vedere. Non era possibile che gli piacessi, come non era possibile che lui piacesse a me, era qualcosa di inconcepibile; come poteva provare qualcosa per me dopo tutti i miei insulti, le mie botte, il mio bullizzarlo costantemente fin da quando eravamo bambini.
Tirai un pugno al muro, cercando di trattenere il mio quirk e rischiare di distruggere il muro, che comunque s’incrinò leggermente sotto le mie nocche che cominciai subito a sentir pulsare e bruciare.
Non avevo nemmeno la più pallida idea di come avrei dovuto sfogarmi, fosse stato per me avrei tirato pugni al muro per tutta la sera e per tutta la notte, fino a quando mi sarei ritrovato stremato e con le nocche sanguinanti. Eppure il mio buon senso, quel poco che mi era rimasto, me lo impedì.
«Fanculo!» sussurrai appena, e non sapevo nemmeno se fosse rivolto a lui o semplicemente alla situazione in generale. Dopodiché mi tolsi la giacca della divisa, mi allentai la cravatta, buttandomi sul letto come fossi stanco di quell’essere costantemente incazzato.

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Capitolo 3
*** L'apprensione di Todoroki ***


L'apprensione di Todoroki
 

Ero ancora seduto su uno dei divani che si trovavano nella zona giorno del dormitorio, quando vidi rientrare Bakugou. Sembrava furioso, più del solito per lo meno. A quel tempo ancora non riuscivo a comprendere appieno le motivazioni di quella sua costante rabbia, trovandola solamente irritante. Se c'era però una cosa che avevo imparato a comprendere di quel ragazzo, già allora, era che quel suo lato irrequieto e scontroso con il mondo intero, era pari alla sua caparbietà e la sua voglia di diventare un eroe.
Fin da piccolo avevo avuto a che fare con mio padre, un uomo rigido, parecchio suscettibile e irruente, un uomo che odiavo con tutto me stesso; eppure sapevo bene che sotto quell'odiosa corazza di padre esigente che vuole assolutamente diventare il numero uno, c'era un eroe che si prodigava costantemente per gli altri e che pur con il suo sguardo duro, non avrebbe mai deluso il mondo che costantemente difendeva. Ecco, in Bakugou, a quel tempo, vedevo principalmente quello: un carattere irruente, scontroso e forse anche parecchio da bullo, ma che in fin dei conti aveva tutte le carte in regola per essere il migliore eroe che potesse esistere. Me ne resi conto, soprattutto, quando qualche settimana dopo il nostro salvataggio improvvisato per sottrarlo all'Unione dei Villain, disse che uno di loro gli aveva proposto di diventare cattivo, e lui si era rifiutato, anche a costo di farsi torturare. Non sapevo ancora se l'avesse detto per sfogarsi, o per attirare l'attenzione di quei pochi di noi che lo stavano ad ascoltare, ma sicuramente quell'affermazione mi aveva dato la conferma dei miei pensieri.
Non che m'importasse più di tanto comunque, o meglio tenevo a lui come un qualsiasi altro compagno di classe e anche se non lo davo a vedere, tutti loro erano diventati la mia squadra, la mia famiglia, di cui anche Bakugou faceva parte, soprattutto ora che entrambi ci ritrovavamo a dover fare i corsi di recupero per ottenere la licenza provvisoria e recuperare il livello dei nostri compagni.
Kirishima provò a chiamarlo, chiedendogli cosa stesse succedendo, ma lui non rispose, anzi forse nemmeno l'aveva sentito, e si chiuse in camera, quasi sbattendo la porta.
In poco tempo la zona giorno del dormitorio si svuotò, tra auguri di buonanotte e promesse di vedersi il giorno dopo, che sarebbe stato finalmente il fine settimana. Potevano essere passati sì e no, una decina di minuti, non di più, dal rientro di Bakugou, quando anche Midoriya attraversò il portone d'ingresso.
«Deku!» esclamò Uraraka, a voce relativamente alta per quell'ora, attirando così anche la mia attenzione.
Sollevai lo sguardo dal libro che stavo leggendo, vedendo finalmente cosa aveva agitato l'unica altra persona che era rimasta fuori dalla propria camera, oltre a me. Il verde aveva lo sguardo triste, spento: la divisa all'altezza delle braccia era a brandelli è ancora fumava leggermente.
Mi alzai, chiudendo di colpo il libro e avvicinandomi a lui con passo svelto, ma senza pronunciare parola, fu sempre la ragazza a rivolgersi a lui.
«Deku, che cosa è successo? Cosa...?» 
«Scusa Uraraka, non ho voglia di parlarne.» disse lui a mezza voce, aprendo la porta bianca della sua camera e chiudendosela alle spalle, lasciandoci lì, pieni di dubbi e di domande.
Vederlo in quel modo mi aveva scosso, non era da lui. Era ormai da parecchio tempo, più esattamente dal festival sportivo, che prestavo più attenzione ad ogni suo comportamento e ad ogni sfaccettatura del suo carattere ostinato e sconsiderato, perché fin dal nostro scontro, quando mi costrinse ad usare le mie fiamme, avevo compreso la mia affinità con lui. Quel giorno, non era solo riuscito a far bruciare il mio lato sinistro, ma anche il mio cuore. Avevo tenuto quei sentimenti per me, non perché me ne vergognassi o avessi paura di esternarli, ma perché nel nostro percorso che ci avrebbe portati a diventare degli eroi, li ritenevo superflui. Ma era proprio in quei momenti, quando vedevo la preoccupazione negli sguardi dei miei compagni, che comprendevo che erano proprio i sentimenti a renderci migliori: era quel mio amore per Midoriya che mi rendeva diverso colui che tanto odiavo, ma che mi aveva cresciuto; per questo motivo il giorno dell'attacco di Stain abbandonai il mio apprendistato con mio padre e lo raggiunsi subito.
Quella stessa preoccupazione, in quel momento, la vidi negli occhi castani di Uraraka: l'aveva capito ormai tutta la classe che anche lei si era presa una bella cotta per Midoriya, e vederlo in quello stato le doveva aver fatto molto male.
Le misi una mano sulla spalla, cercando di dare un tono il più possibile rassicurante alla mia voce, nonostante non fosse affatto nel mio stile.
«Non ti preoccupare, ci penso io. Vai a dormire, vedrai che domani mattina sarà di nuovo il solito Midoriya.» ero poco convinto di quell'ultima affermazione, ma mi sembrava la cosa giusta da dirle.
Lei tirò su leggermente col naso, come se fosse sul punto di piangere, dopodiché fece un cenno di testa e si allontanò, dirigendosi verso le scale che portavano al piano delle ragazze.
Rimasi qualche secondo lì, indeciso se andare anche io a letto, oppure tentare di capire cosa fosse successo. In fin dei conti non ero mai stato molto socievole, nonostante tutti i miei compagni conoscessero il mio lato mite che si frapponeva a quello freddo, ma c'era anche da dire che dopo il festival sportivo mi ero in qualche modo sbloccato. 
Decisi di seguire il mio cuore, che in quel momento batteva irrequieto, a dimostrazione della preoccupazione che stavo provando. Poggiai la mano sulla maniglia della camera di Midoriya e, senza nemmeno bussare, la aprii leggermente, chiedendo però permesso.
Il piccolo spiraglio che dava accesso alla camera, mostrava solamente il letto, che però appariva integro e soprattutto vuoto; spinsi di più l'anta della porta, notando finalmente il mio compagno di classe: se ne stava rannicchiato su se stesso, il capo appoggiato alle ginocchia, che teneva portate al petto con le braccia leggermente annerite. 
Mi chiusi la porta alle spalle, avvicinandomi lentamente a lui.
«Midoriya...» dissi solamente, vedendolo stringere di più sulle gambe e sentendo un leggero singhiozzo.
Mi chinai, mettendomi alla sua altezza, allungando una mano verso il suo groviglio di capelli verdi, ma ritraendomi subito, non sicuro di quel gesto.
«È stato di nuovo Bakugou, vero? – domandai, ricevendo un cenno d'assenso dal suo capo, che teneva ancora il volto nascosto dalle ginocchia – Avete litigato di nuovo?» aggiunsi allora è questa volta rispose scuotendo la testa a destra e a sinistra.
Sospirai, comprendendo che non voleva parlarmene, almeno non in quel momento. Lo sguardo mi cadde sulle sue braccia: tremavano ed erano ricoperte di piccole ustioni e qualche taglio; molto probabilmente il biondo l'aveva colpito da una distanza molto ravvicinata ed ovviamente lui non era voluto andare in infermeria o da Recovery Girl, nel tentativo di farlo sapere a meno gente possibile.
Mi morsi le labbra, indeciso su cosa fare, per aiutarlo; dovevo assolutamente fare qualcosa, perché vederlo in quello stato mi faceva quasi male al cuore. Quel ragazzino triste e intimorito non era lo stesso ragazzo coraggioso e determinato che aveva insistito nel voler farmi usare tutto il mio potenziale, fino a rompersi tutte le ossa delle dita, solamente per potermi affrontare nel pieno delle forze; non era lui il ragazzo per cui provavo quei sentimenti così profondi, ma allo stesso tempo sapevo bene quanto una delusione potesse demoralizzare, in fondo da piccolo ne avevo provate parecchie sulla mia pelle, a partire da quella che mi aveva lasciato quella cicatrice da ustione sul viso.
«Midoriya, mi permetti?» domandai semplicemente, sfiorando uno dei suoi bracci con le dita della mia mano destra emanando una leggera arietta fredda, che potesse dargli sollievo.
Lui a quei miei gesti attenti, alzò finalmente lo sguardo: i suoi occhi verdi erano arrossati dal pianto, o dal tentativo di trattenerlo e il suo sguardo sembrava quasi spento. Nonostante tutto però, mi risolve la parola.
«Todoroki... Tu come reagiresti se la persona che ti piace ti rifiutasse?»
In un attimo mi fu tutto chiaro, non era affatto difficile capire cosa fosse successo e subito compresi che c'era ancora una speranza per risolvere le cose. Poco importava che a rimetterci sarei stato solamente io, era giusto fare un tentativo, ed avrei fatto di tutto per rivedere il Midoriya che conoscevo, anche rinunciare a lui e averlo solo come amico, ammirandolo a distanza.
Rimasi quasi tutta la sera a prendermi cura di lui e a rassicurarlo, anche se non mi rivelò mai esplicitamente la sua attrazione per Bakugou, con cui avevo tutte le intenzioni di parlare quello stesso weekend.

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Capitolo 4
*** La delusione di Midoriya ***


La delusione di Midoriya
 

Erano passati due giorni dal palese rifiuto che avevo ricevuto da Kacchan alla mia dichiarazione. Quella sera mi sentivo a pezzi, credevo che nulla e nessuno avrebbe potuto tirarmi su di morale, eppure Todoroki era venuto nella mia stanza e, dopo avermi dato sollievo alle braccia ustionate con del vapore freddo mi era stato accanto quasi tutta la notte. 
A parte un paio di domande iniziali non ci eravamo detti assolutamente nulla. Lui era rimasto in assoluto silenzio vicino a me, eppure la sua presenza diceva molto più delle parole; mi sentivo confortato e in qualche modo felice ad avere un amico così. Lui si addormentò prima di me e mi sorpresi a pensare che sarebbe stato davvero tutto più facile se invece di innamorarmi di Kacchan avessi provato quegli stessi sentimenti per lui. 
Ma il cuore purtroppo segue una strada tutta sua e difficilmente queste strade sono razionali e sensate. Non volevo arrendermi, sapevo perfettamente che con il mio amico d’infanzia la strategia migliore era insistere, me n’ero già accorto durante il nostro scontro notturno. Lui mi voleva come rivale, bene sarei stato il suo rivale, ma sarei stato anche il suo amante e non mi sarei fermato davanti a nulla, nemmeno davanti alle esplosioni del suo quirk.
Per questo nonostante il suo rifiuto, quasi categorico, volli riprovarci due giorni dopo. Sapevo che lui e Todoroki sarebbero tornati dalle esercitazioni, per ottenere la licenza da eroi, poco prima del tramonto ed io li avrei aspettati nella stradina laterale che portava alla seconda entrata del dormitorio, visto che mi ero accorto usavano sempre quella lì, piuttosto che la principale.
Quella sera però, stranamente, dovetti attendere più del dovuto. Non mi sorprendeva più di tanto quel ritardo, magari erano rimasti più tempo ad allenarsi; d’altronde non sapevo cosa facessero al recupero e conoscendo la loro dedizione nel voler diventare i numeri uno, proprio come me, non mi avrebbe stupito che avrebbero voluto sfruttare ogni possibilità di raggiungere il resto della classe. Io avrei fatto così.
Nuovamente, ero rimasto l’ultimo studente fuori dal dormitorio a quell’ora, poco prima del tramonto dovetti anche nascondermi dietro un bidone della spazzatura, perché il professor Aizawa stava facendo un giro di ronda per controllare gli accessi, lasciando aperta solo quella lì sul retro. Probabilmente avevano raccomandato i miei compagni di chiudere il cancello alle loro spalle non appena fossero rientrati.
Rimasi rannicchiato dietro al bidone per parecchio tempo, anche dopo che sentii i passi del professore allontanarsi, sebbene non sapessi esattamente il motivo di quella precauzione. Dubitavo fortemente che Todoroki avrebbe fatto la spia sul mio essere fuori dal dormitorio dopo il coprifuoco, d’altronde non aveva detto nulla due giorni prima, non aveva nessun motivo di farlo quel giorno; ma volevo riuscire a sorprendere Kacchan da solo e starmene nascosto, mentre pensavo ad un modo per trattenerlo, mi sembrava la soluzione migliore.
Li sentii avvicinarsi, quando ormai il sole stava tramontando e tingeva di un rosso fuoco il cielo; prima ancora dei passi sentii le loro parole, Kacchan non aveva perso il vizio di urlare.
«…Se quei mocciosi provano un altra volta a prendermi per il culo, giuro che gli faccio vedere cosa significa provare l’hero sbagliato!» sbraitò.
«Sono dei bambini, Bakugou, cosa ti aspetti che facciano?» il tono calmo del ragazzo con il quirk del ghiaccio e del fuoco, era in perfetto contrasto con quello fin troppo esuberante del mio amico d’infanzia.
«Non lo so! Ma se quelle merdine non la smettono, m’incazzo sul serio. Ci basta già quella merda secca di Deku a farmi salire il nervoso!» 
Era strano, ormai gli insulti di Kacchan non mi facevano più effetto; era come se fossi diventato immune alle sue offese, come se riuscissi a vedere il suo cuore che si celava dietro a quella corazza fatta di odio e insulti gratuiti. Todoroki, però, non era della stessa opinione e anzi, dal mio nascondiglio riuscii a vedere il suo sguardo assottigliarsi, mentre si fermava. Erano ormai a un paio di metri dal bidone dietro cui mi ero nascosto.
«Che c’è, bastardo a metà? Perché ti sei fermato?!» gli sbraitò il biondo, voltandosi verso di lui.
«Dovresti smetterla di trattare così Midoriya.» disse solamente lui, continuando a mantenere il suo tono freddo e serio, eppure aveva tutta l’aria di essere quasi una minaccia.
«E a te che cazzo te ne frega di come tratto Merdeku?» gli domandò lui, sollevando il sopracciglio.
«Me ne frega. Perché lui ci tiene a te e tu lo tratti come un rifiuto. So cosa gli hai fatto due giorni fa.» a quel suo commento il biondo fece un verso stizzito, molto simile a un grugnito.
«Sai cosa cazzo me ne importa se è venuto da te a piangere come una femminuccia! Se l’è cercata… Ha detto… Ha detto…» per la prima volta vidi il suo volto disperdersi e intristirsi; non era più il volto tirato dalla rabbia che lo caratterizzava e nemmeno quello determinato di colui che voleva superarmi ad ogni costo. Decisi che quello era il momento d’intervenire, non m’importava se l’avrei fatto davanti a Todoroki; in fin dei conti lui era mio amico, tanto quanto Uraraka, quindi aveva anche lui il diritto di saperlo, magari l’aveva anche già intuito.
«Ti ho detto che mi piaci, Kacchan!» strillai, uscendo dal mio nascondiglio. Questa volta però non chiusi gli occhi dall’imbarazzo, lo fissai dritto negli occhi e per un attimo vidi lo stupore nel suo sguardo rosso vivo. Fu solo un attimo, poi tornò la rabbia.
La mia attenzione fu attirata dalle sue mani, le dita stavano tremando irrequiete e qualche scintilla ne schizzava fuori, ma nulla di più. Fu la sua voce a esplodere.
«Sai che c’è pezzo di merda? Mi hai veramente rotto il ca…»
«Bakugou smettila. – s’intromise Todoroki, cercando di calmare i toni – Se scoprono Midoriya fuori dai dormitori dopo il coprifuoco, finirà nei casini e poi rischi di svegliare tutti.»
«Cosa cazzo vuoi che me ne importi di chi sveglio o no! E poi non è affar mio se finisce nei casini è lui che non mi vuole dare più tregua.» disse indicandolo, e continuando a usare quel tono adirato che lo caratterizzava, sebbene avesse diminuito leggermente il tono di voce.
«Tre… tregua?» non capivo. D’altro canto io stavo insistendo perché volevo una risposta, perché non riuscivo a capire il motivo per cui negasse la sua parte migliore. Cosa stava a significare che dovevo dargli tregua.
«Sai che c’è… – fece lui, guardandomi dritto negli occhi, come a volermi sfidare ad una gara di sguardi – Non me ne fotte un cazzo!» dette quelle parole fece una cosa che mi lascio completamente senza fiato.
Afferrò Todoroki per la giacca della divisa e lo tirò a sé baciandolo in bocca. In quel preciso istante sentii il mio cuore andare letteralmente in frantumi. Continuai a guardarli, tremante di dolore, con le lacrime che ricominciavano a pizzicarmi gli occhi per voler uscire. Anche quando pochi secondi dopo Todoroki si scostò sconvolto e forse anche infastidito, chiedendogli cosa gli fosse saltato in mente.
Entrambi si voltarono verso di me, Shoto con uno sguardo affranto, come se avesse voluto chiedermi scusa, anche se non era stata colpa sua e Bakugou con lo sguardo strafottente e soddisfatto di chi sapeva di aver fatto un bastardata. Non resistetti più e fuggi via.
Risalii di corsa le scale del dormitorio e schizzai in camera mia, prima che chiunque fosse rimasto nella zona giorno potesse chiedermi qualcosa; ma questa volta chiusi a chiave la porta.
Pochi minuti dopo sentii qualcuno bussare e la voce di Todoroki che mi chiedeva come stessi, che m’incitava ad aprigli la porta; ma io non gli diedi nessuna risposta. Rimasi per tutta la notte sveglio, al buio, solo con me stesso. Avrei voluto sparire, dissolvermi nel nulla, avrei voluto sentire le mani di Tomura Shigaraki stringersi intorno al mio collo in modo che la mia intera esistenza si potesse sgretolare come si era sgretolato già il mio cuore. Che senso aveva vivere, diventare l’eroe numero uno, se la persona a cui tenevi di più, l’unica che ti faceva sentire veramente vivo, provava quei tuoi stessi sentimenti per un altra persona? 

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