La storia di un amore

di se solose
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** ONE - CLARICE ***
Capitolo 2: *** TWO - LORENZO ***
Capitolo 3: *** THREE - CLARICE ***
Capitolo 4: *** FOUR - LORENZO ***
Capitolo 5: *** FIVE - CLARICE ***
Capitolo 6: *** SIX - LORENZO ***
Capitolo 7: *** Seven - Lorenzo ***
Capitolo 8: *** Eight - Clarice ***
Capitolo 9: *** Nine - Lorenzo ***
Capitolo 10: *** Ten - Lorenzo ***



Capitolo 1
*** ONE - CLARICE ***


Richiudo il libro dopo aver letto una sola pagina. Quest’oggi concentrarsi mi sembra quasi impossibile. Il gorgogliare di Maddalena è incessante e non faccio altro che tenerla in braccio, poggiarla su di una spalla, per poi riporla nuovamente nella culla una volta addormentata. E il giro ricomincia. Mi sento esausta.
La porta si apre e non ho neanche la forza di alzarmi dalla sedia.

“Avanti”

Ad entrare nella stanza, a piccoli passi, è Lorenzo. Ormai ci parliamo a malapena da quel girono. Il giorno in cui è tornato da Napoli. Dopo averlo lasciato sul pulpito a raccontare ancora e ancora quella che per tutti sembrava una bellissima favola, ci siamo allontanati. Quasi non lo vedo più. Se non fosse per questo piccolo batuffolo probabilmente non ci incroceremmo nemmeno. Ma va bene così.

“Clarice” mi dice avvicinandosi in modo timido. A volte mi fa ancora effetto vederlo così impacciato, quando fuori da queste mura è sempre sicuro di sé e risoluto.
“Maddalena…è sveglia?” mi domanda.

Decido di alzarmi dal mio trono dorato e mi avvicino alla culla, con fare stanco. Le notti insonni con la bambina iniziano a farsi sentire. Tutto quello che vorrei fare ora è stendermi sul letto e dormire, per diverse ore.

“No, si è appena addormentata. Credo abbia problemi con il pancino” dico posandole, con fare delicato, una mano proprio lì,
“Come mai?” chiede premuroso.
“Si addormenta e sveglia in continuazione. Se non riesco a farla addormentare neanche oggi credo sia il caso di chiamare il medico”.

Annuisce per poi passare lo sguardo dalla bambina a me. I suoi occhi di un azzurro così intenso. Quasi mi ero dimenticata dell’effetto che hanno su di me. E’ come immergersi nel mare, così bello, infondono tranquillità al solo contemplarli. Mi lascio andare ai pensieri tanto da dimenticare la stanchezza del corpo. Sento un formicolio alle gambe e subito mi aggrappo alla culla, per non cadere. Lorenzo, con il suoi riflessi pronti, mi afferra per un braccio portandomi subito una mano alla vita.
Dio. Avevo dimenticato che cosa significasse farsi stringere dalla sue mani grandi e forti.

“Clarice, cos’hai?” chiede preoccupato avvicinandomi al letto.
“Niente, è solo un po’ di stanchezza”.
“Non dormi abbastanza?”

Mi fa sedere sul letto e io non posso fare altro che notare quella conversazione. Apparentemente tranquilla ma che, fin da subito, porta alla luce il nostro allontanamento. Da quando non condividiamo più lo stesso letto, ma che dico…la stessa camera, sembra di vivere due vite a sé stante. Io proseguo le mie attività di lettura, cucito e mi occupo dei bambini, mentre lui è sempre preso dagli affari di Firenze tanto da dimenticarsi di avere una famiglia. Sono settimane che non riesco a vederlo, neanche per cena. Le prime sere ho provato ad aspettarlo sveglia, cercando di sbirciare dalla finestre i suoi movimenti ma poi, con il passare dei giorni, Morfeo ha preso il sopravento.

“Credo di no, se questo è il risultato” cerco di essere serena, di rassicurarlo ma non credo stia funzionando. Sento ancora il suo sguardo bruciarmi la carne tanta l’intensità.
“Cosa c’è? Non mi credi?” Azzardo un sorriso.
“Certo, ti credo. Non è questo” questa volta si sottrae ai miei occhi e non posso fare a meno di notare la sua espressione addolorata.
“Cosa, allora?” cosa gli sta passando per la testa? Oramai mi sembra di avere un estraneo vicino. Una volta riuscivo a comprendere i suoi pensieri prima ancora che li esternasse, mentre adesso? Non so più niente.
“Cosa stiamo facendo, Clarice?” sento le dita della sua mano allungarsi sulla coperta e coprire la distanza che le separava dalle mie. Le stringe, dolcemente. Quel gesto mi porta un brivido, quasi sconosciuto. Come se fossi ancora la ragazza di tani anni fa, timida e imbarazzata.
“Non lo so” Sono sincera. Non so dove stiamo andando, a questo punto non so neanche come ci siamo arrivati fin qui.
“Mi manchi”

Lo dice con una tale naturalezza da prendermi alla sprovvista.
Gli manco?
Perché ha dovuto aspettare così tanto per dirmelo?
Sento il cuore prendere la rincorsa e accelerare di un battito. Trascino la mano libera sulla sua coscia, costringendolo a guardarmi negli occhi.

“Anche tu”

Lo dico senza pensare, senza lasciare alla mia parte razionale di mettersi in mezzo a questo momento. So che, se l’ascoltassi adesso, sarebbe la fine del nostro matrimonio. E io non voglio tenerlo lontano. Voglio che la notte possa stringermi, voglio un suo bacio al mattino, voglio che le sue braccia siano il mio rifugio e al tempo stesso la mia oasi di felicità, voglio i suoi occhi su di me guardarmi con amore, vogliosi.

Voglio tutto.

Lo vedo sorridere e il mio cuore fa una capriola. Da quanto non vedevo quel sorriso genuino? Forse davvero troppo tempo. Probabilmente se l’è lasciato sfuggire solo alla nascita di Maddalena, quando la paura di perdere entrambe aveva fatto capolino nel suo cuore. Da quel giorno il silenzio. La sua faccia è sempre stata cupa e tesa. Ricambio il suo sorriso con uno amorevole.

Sento la sua mano posarsi sui mie capelli, mi piego leggermente per poter gustare a pieno il suo tocco. Chiudo gli occhi, mi crogiolo. A portarmi alla realtà sono le sue labbra. Un bacio leggero, quasi timido. Come a voler testare il terreno. Non mi basta. Alzo la posta ricambiando con un bacio appassionato. Sento le sue labbra umide sotto le mie. La sua lingua esplorare la mia bocca e il mio cuore inizia a correre veloce. Dopo tanti anni insieme, quando Lorenzo mi sfiora torno ad essere la bambina ingenua che si è trasferita a Firenze, da sola. Torno ad essere timida e impacciata. Quasi imbarazzata quado porta le mani al mio corpetto, iniziando a slacciarlo. Le mani cercano i nostri corpi, li spogliano dei loro vestiti. Lorenzo indugia per un attimo sul mio corpo. Lo sta gustando lentamente, dapprima con gli occhi, poi la bocca. Soffoco un gemito di piacere e lui sorride beffardo. Continua a indugiare sulle mie labbra inferiori e io non riesco più ad aspettare. Quasi lo imploro di darmi ciò che desidero e lui mi accontenta. Lo sento entrare dentro di me e questa volta mi lascio andare. Non mi importa chi può sentirmi, non mi importa di cosa penserà la servitù oppure Lucrezia se dovesse passare davanti la nostra porta. L’unica cosa che mi sta a cuore in questo momento siamo noi, Lorenzo ed io. Il nostro amore ritrovato. Più lo sento in me e più affondo le mie unghia nella sua carne, fino a quando un gemito di piacere non mi pervade. La testa mi gira, inondata di piacere.

“Ti amo” Mi sussurra dolcemente e i mi lascio andare ad un sonno profondo tra e sue braccia.

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Capitolo 2
*** TWO - LORENZO ***


Fremente attendo davanti la porta di legno massiccio. Non so se sia il caso di bussare.

Dopo quel momento di fuoco, nella nostra stanza, io e mia moglie non ci siamo più riusciti ad incontrare. Vado via troppo presto per discutere con i dieci e torno troppo tardi, riesco solo ad aggiustarle un po' la coperta per tenerla al caldo. Sorrido tra me e me, come uno stolto. Ricordo che, qualche sera fa, al mio rientro ho trovato Clarice stremata, con un braccio penzoloni dal letto. Ho indugiato sulla porta, osservando quella scena tanto tenera. Una volta al suo fianco, le ho preso il braccio e messo delicatamente sotto le coperte, sistemandole. Le ho posato un bacio sulla folta chioma scomposta e poi sono tornato nella mia stanza. Ma oggi sono qui, ho deciso di lasciare prima il consiglio per potermi dedicare un po' ai miei figli, a Maddalena, a mia moglie. Sono certo che, qualsiasi momento abbiamo attraversato nell'ultimo periodo possiamo superarlo. Alla fine decido e accosto, con fare deciso, le nocche al legno.

Una voce femminile mi intima di entrare. Quando apro la porta trovo una delle scene più belle viste in questi ultimi anni. Mentre Piero, Giovanni e Giulio si rincorrono litigandosi una spada di legno, Clarice è sul letto intenta a giocare con Maddalena, la quale se la ride rotolandosi sulla morbida coperta. Non riesco a muovermi. Resto come uno stoccafisso sull'ingresso. Vengo inondato da una sensazione di gioia, serenità e amore che non provavo da prima della morte di Giuliano. Non così, almeno. La mia famiglia è tutta qui, in questa stanza e sono sereni, quasi contagiosi perché mi apro in un sorriso senza rendermene conto. Li osservo dall'esterno quasi la mia presenza potesse rompere quest'incantesimo armonico. Mi sento sazio. Colmo d'amore. E' questo che succede quando, dopo le tenebre, ci si affaccia alla felicità?

"Guarda, Maddalena. C'è papà."

Sento la voce di Clarice riportarmi alla realtà e, solo in quel momento, mi rendo conto che mi sta porgendo la bambina. La prendo con molta attenzione, come se avessi paura che si rompa. Non mi sento più molto pratico, deve essere passato tanto tempo dall'ultima volta. La guardo e noto quanto è cresciuta. Possibile non me ne sia accorto nelle ultime settimane? E anche vero che, a questa età, i bambini crescono molto rapidamente. E' così piccola, così innocente per vivere in un mondo così oscuro.

"Stravedi per lei"

Mia moglie ha ragione. Dopo due, anzi tre figli maschi se contiamo Giulio, avere una femminuccia è tutta un'altra cosa. Non devo insegnarle a combattere, ad essere un uomo. Posso coccolarla, stringerla a me, viziarla. E' una sensazione del tutto nuova.

"E' vero. Chissà se sarò un papà geloso" Una riflessione detta ad alta voce. Clarice mi sorride.

"Bambini, basta! Andate da Maria per farvi un bagno. Forza, forza". Tende la mano a Giulio e lui le lascia il tesoro tanto conteso prima di uscire.

Approfitto della quiete per mettermi seduto sul letto e Clarice mi raggiunge. Si accovaccia poggiando il gomito sul cuscino e continua a osservarmi mentre gioco con le manine di Maddalena.

"Come mai già di ritorno?" chiede.

"Avevo bisogno di passare del tempo con la mia famiglia, con te" dico risoluto, senza aver paura di mostrare la mia parte più devota.

"Ne sono lieta" Sorride e il suo volto pallido si illumina.

Prendo Maddalena e la poggio nella sua culla, si è addormentata continuando a stringermi il dito. Ritorno a letto e mi stendo, allungando un braccio sulla montagna di cuscini, un segnale silenzioso che vuole far comprendere a mia moglie che può poggiarsi su di me. Lo coglie immediatamente. Le carezzo la schiena, con fare premuroso, mentre continuo a fissare il soffitto. Per la prima volta ho la mentre sgombera dai pensieri pesanti, dai cattivi presagi, dai giochi di potere. Mi godo questo momento come l'ultimo.

"Ho deciso che voglio tornare al convento"

La sua voce calma interrompe quell'attimo di serenità riportando la mia mente nell'oscurità.

"Clarice non pens..."

"Non sto chiedendo cosa ne pensi, Lorenzo. Ti sto solo rendendo partecipe di una decisione"

"Bene"

Sono stizzito. Non ha mai dovuto chiedermi il permesso per fare qualcosa, siamo una coppia ben lontana dagli schemi del nostro tempo ma il fatto che non capisca perché preferirei che stesse a casa mi fa arrabbiare, ma so anche che è inutile tentare di farla ragionare. Preferisco troncare quello che sembra essere il preludio di un'ennesima discussione e tornare a godere della quiete e del silenzio.

"Me lo stai dicendo adesso perché domani vi farai ritorno, vero?"

Non è vero. Non riesco a tacere. Annuisce, lo sento dai movimenti del viso poggiato sul mio petto.

"Perché tanta fretta?" Cerco di essere calmo, anche se dentro sento il fuoco iniziare a divampare e l'unica cosa che vorrei dirle è quanto sia testarda.

"Perché il popolo soffre, Lorenzo. Forse non te ne rendi conto ma l'assedio della città ha fatto molte vittime e non parlo solo dei morti"

Parla in un modo così appassionato che la invidio. Ha un ideale ben preciso a cui fa riferimento nelle sue azioni e questo è meritevole di tanta stima ma è pur sempre la madre dei miei figli.

"E invece lo capisco, Clarice"

Mi tiro su, sfregandomi la fronte. Mi sento toccato dalle sue parole, sembrano accusatorie.

"Pensi che io gioisca nel vedere il popolo di Firenze ridotto alla fame a causa di una guerra? Una guerra dove sono io a tirarne le fila?"

"Penso solo che hai avuto modo di scegliere diverse volte tra Firenze e la vendetta e hai deciso di perseguire quest'ultima"

Colpito e affondato. Le sue parole centrano sempre il punto, colpiscono dritte al cuore come uno stiletto appuntito. Ho iniziato questa guerra contro Riario e Papa Sisto per vendicare Giuliano, è vero, ma poi è diventata Firenze il punto focale. Non avrei mai lasciato che qualcuno si impossessasse della città, soprattutto non il Papa.

"Ad ogni modo, se pensi che tornare al convento possa darti conforto, fa pure. Ti prego solo di fare attenzione" Incasso ancora un colpo dalla sua lingua appuntita e cambio discorso.

"Bene. Darò nuove disposizioni a Maria per i bambini" scende dal letto per dirigersi verso la porta ma la trattengo tirandola per un polso. Mi alzo a mia volta, posizionandomi dietro di lei. Con due dita percorro il suo profilo, il suo collo. Lo bacio in modo delicato.

"Abbiamo ancora una questione di cui discutere" le soffio in un orecchio. Trema, posso sentirlo sotto le mie dita. Il suo cuore batte forte da risuonare in tutta la stanza.

"Sarebbe a dire?" chiede deglutendo. E' tesa, ma non è una tensione dovuta alla paura. No, certo.

L'afferro per la vita, facendo aderire il suo corpo al mio. Lo sente, lo so che lo sente. Questa volta è il mio naso a sfiorarle la pelle candida, quell'incavo di porcellana.

"Mi stavo chiedendo se non fosse il caso di tornare a dormire qui, con te"

E' un colpo basso, persino per me. Chiederlo ora, quando la voglia di unirci pervade i nostri corpi, quando la logica e la razionalità sono oscurate dalla voce del cuore e le sue azioni. Clarice si volta, strusciando le sue vesti alle mie. Cielo, come vorrei possederla adesso, qui, senza giochi, senza aspettare risposte.

"Credo sia giunto il momento" sussurra ad occhi chiusi prima di darmi un bacio a fior di labbra.

 

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Capitolo 3
*** THREE - CLARICE ***


Saluto Savonarola, raccolgo le ultime cose e mi dirigo verso l’uscita. Essere tornata ad aiutare i bisognosi, distribuire loro del cibo mi dà pace e serenità. Mi ricorda che, seppur non ho fatto voto come avrei voluto in gioventù, posso continuare a servire Dio, in qualche modo. Inoltre i sermoni di Savonarola sono davvero belli, accorati, anche se a volte possono risultare crudi, quasi intransigenti. E’ il suo fare da oratore, credo.
Mi incammino verso Palazzo Medici a piedi, ho preferito fare due passi questa mattina. Lorenzo è sempre così protettivo nei miei confronti da quando ho ripreso la mia attività caritatevole. Ogni mattina lascia uno degli uomini di guardia pronto a pedinarmi tutto il giorno, ma questa mattina mi sono rifiutata in modo categorico. Sono uscita di casa senza curarmi delle sue proteste. Sarà ancora furioso? Conoscendolo è molto probabile. Alzo gli occhi al cielo e la meravigliosa luce del crepuscolo mi inonda il viso. Mi fermo. Ne assaporo qualche raggio sulla pelle, posso sentirne ancora il calore. Cerco di imprimere questo ricordo nella mia mente, tra poco il caldo del sole lascerà il posto al freddo invernale.
Apro gli occhi ma non riesco a muovere un passo. Un fischio mi sta attraversando le orecchie e tutto intono a me diventa ovattato. Che mi sta succedendo?
 
Lucrezia entra nella stanza senza curarsi di bussare.
“Clarice, come ti senti questa mattina?” mi chiede tirando via le tende scure dalla finestra.
“Meglio, Lucrezia. Grazie”
Mi sorride. E’ sempre stata molto dolce con me, sin dal primo momento in cui ho messo piede a Palazzo, dispensando consigli che negli anni si sono rivelati davvero utili ed efficaci.
“Lorenzo è già andato via?” chiedo, cercando di alzarmi dal letto. Lucrezia si precipita in mio aiuto, mi tende una mano, la prendo e solo dopo riesco a mettermi in posizione eretta.
“No, è di sotto. Sta facendo colazione, ma io presumo che stia temporeggiando nella speranza che tu ti svegli. Vogliamo raggiungerlo?”
Il suo sguardo è divertito, complice del mio. Annuisco e lascio che mi aiuti a scendere, anche se sono ancora in camicia da notte. Quando entro nella grande sala Lorenzo è seduto al mio posto, con la faccia rivolta verso la porta. Probabilmente Lucrezia ci aveva visto giusto. Entro un po’ traballante e lo vedo alzare lo sguardo.
“Vieni, siedi” Corre in aiuto della madre. Mi prende delicatamente per il braccio e mi lascia accomodare, mi lascia un bacio sui capelli ancora annodati prima di tornare al suo posto.
“Come ti senti?”
“Meglio”
Gli sorrido e lui mi ricambia con un sorriso caldo.
“Mi hai fatto morire dallo spavento, ieri”
“Perdonami, non era certo mia intenzione. Probabilmente avevo mangiato poco”
Mi mordo un labbro perché so che sto dicendo una bugia. Mi volto alla ricerca degli unici occhi complici in questa casa e sono li, che mi fissano. Grazie Lucrezia.
“Sarà, ma ti prego di fare più attenzione. Cerca di mangiare e riposare a sufficienza, non voglio certo che ti prenda qualche malanno”
“Non lo farò”
“Sai quanto vorrei restare qui, vero?” Mi prende una mano e la bacia.
“Va, non preoccuparti per me” Lo rassicuro.
“Ah, Lorenzo, pensi che questa sera rincaserai presto?” gli chiedo. Ho assolutamente bisogno di parlare con lui, ma voglio farlo con calma. Senza dovermi infilare tra un impegno e l’altro. Mi guarda con fare sospetto. In effetti non sono solita fare questo genere di domande.
“Si, certo. Ho dimenticato forse qualcosa?”
“No, avrei solo piacere che cenassimo tutti insieme. Tutto qui”
Vedo Lorenzo andare via, non troppo convinto. Sono certa che farà quanto più possibile per non mancare questa sera, anche se Firenze e la guerra con Riario e Papa Sisto lo sta consumando. Vedo la sua anima allontanarsi da lui sempre di più, pezzo dopo pezzo. Muovo la testa per scrollare via quei pensieri.
“Glielo dirai questa sera?” Mi ero scordata che Lucrezia fosse ancora nella stanza. La guardo mettere in bocca un tozzetto di pane mentre mi guarda, aspettando una risposta.
“Si”
 
 
Mi guardo allo specchio mentre aggancio l’ultimo orecchino. Controllo ancora una volta che sia tutto perfetto. Ho scelto questo abito azzurro, un colore che non porto da diverso tempo. Ho acconciato i capelli in una morbida treccia, ho messo anche qualche fronzolo a festa, giusto per darmi un tono. Scendo le scale, ansiosa di entrare nella grande sala da pranzo e vedere Lorenzo, ma purtroppo le mie aspettative vengono tradite. La tavola è colma dei suoi commensali e ne manca solo uno. Lorenzo.
“Mamma, mamma. Come sei bella!” urla Giovanni dall’altro lato della tavola mentre fa delle piccole palline con il pane. Gli sorrido, è un bambino tanto dolce, sempre attento, gioviale.
Mi guardo alle spalle, sperando che mio marito spunti da un momento all’altro ma non vedo nessuno. Non odo passi. La mia espressione delusa deve essere molto evidente perché sento la mano di Lucrezia posarsi sulla mia spalla.
“Arriverà, vedrai”
Lo dice per rincuorarmi perché Lorenzo non è arrivato. Abbiamo cenato, ho giocato a scacchi con Piero, allattato Maddalena ed esausta sono andata nella mia camera, ma di mio marito nessuna traccia.
Mi appoggio alla finestra, sento il rumore del vento sbattere sui vetri e mi stringo nelle spalle in modo automatico. Non fa freddo, almeno non nella stanza, è dentro il problema. Nella mia anima, nel mio cuore sento un grande buco nero. Temo che prima o poi verrò risucchiata in esso.
Lo vedo, sta entrando di tutta fretta nel grande ingresso. Si toglie i guanti e corre verso le scale. Probabilmente entrerà da quella porta a momenti, pieno di mille scuse.
“Lo so, avevo promesso che ci sarei stato ma…”
Entra con lo sguardo fiero, guardando dritto verso di sé quasi si fosse preparato una litania da recitare. Finalmente di decide a guardarmi e la sua espressione risoluta va in frantumi. Ha capito che quella era una serata diversa, una serata speciale.
“Sei bellissima”
“Ti abbiamo aspettato per molto tempo, questa sera”
Non ho intenzione di cedere ai suoi giochi di parole.
“Scusami, ero immerso nel lavoro e quando mi sono reso conto del tempo che avevo passato chiuso nello studio era già troppo tardi”.
Congiungo le mani all’altezza del basso ventre. E’ una cosa che faccio sempre quando sono contrariata o indecisa sul da farsi. Lorenzo lo sa bene.
“Puoi perdonarmi?”
“Non ho problemi nel perdonarti una cena mancata, Lorenzo. Forse dovresti scusarti con i bambini, con Piero soprattutto. Sono diverse sere che ti aspetta sveglio per fare quella famosissima partita a scacchi che gli hai promesso”
Sono dura questa volta, ferma. Non voglio fargliela passare sempre liscia. Lorenzo è un re senza corona, questo lo comprendo. Firenze ha bisogno di lui, ma anche la sua famiglia.
“Hai ragione, domani”
“Non devi dirlo a me. Domani glielo spiegherai tu cosa stavi facendo”
Inizio a togliermi la collana e gli orecchini.
“Perché eri vestita di tutto punto, c’era un ospite?” mi chiede aiutando a sciogliere quel corpetto troppo stretto.
“No” rispondo secca.
“E allora…?” Non termina la frase ed è in quel momento di esitazione che mi volto a guardarlo.
“Devo dirti una cosa”
Corruga la fronte, con fare leggermente allarmato. Capisco che la sua mente sta vagando in direzione totalmente opposta allora gli prendo la mano, gliela apro e la poso sul mio ventre.
“Noti qualcosa?” chiedo con un grande sorriso. Lo vedo smarrito per un solo attimo, capisce. Le sue dita stringono la stoffa del mio vestito mente il suo volto si apre in un grandissimo sorriso.
“Sei in attesa?”
Annuisco felice e lui mi circonda il viso tra le mani. Mi osserva radiante prima di darmi un bacio.
“Per questo la cena in pompa magna, il vestito e tutto il resto?” Finalmente ha collegato tutto e il sorriso sparisce dal suo volto lasciando spazio ad un’espressione addolorata.
“Non roviniamo questo momento non dei pensieri tristi” La mia voce è una supplica. Infilo la mia testa nell’incavo del suo collo, facendogli appoggiare il mento sulla mia nuca. Lo sento stringermi in un forte abbraccio e torno a rilassarmi.
“Sono un uomo fortunato”
“Si, lo sei.”

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Capitolo 4
*** FOUR - LORENZO ***


Non riesco a concedermi una notte di sonno da diverso tempo ormai. Mi giro e rigiro nel letto senza trovare pace, questa sera a rincarare la dose un forte temporale. Un fulmine ha appena illuminato la stanza e un tuono rumoroso l’ha seguito, squarciando il cielo e la quiete in questa casa. Mi volto verso Clarice, anche lei sono notti che non riesce dormire serena, probabilmente questa gravidanza è più complessa delle precedenti. Ha gli occhi chiusi e sembra tranquilla. Almeno per adesso. Mi alzo dal letto e vado verso la stanza dei bambini. So quanto abbiano paura dei temporali, soprattutto Maddalena. Apro la porta ma trovo tutti sotto le coperte, in un sonno quieto. Probabilmente questo temporale sta dando più fastidio a me che a loro. Accosto nuovamente la porta, cercando di non fare rumore e vado a dare uno sguardo nella culla.
Questa volta però ci avevo visto giusto. La piccola ha gli occhi sgranati, spaventati, ma non ha ancora emesso un fiato. Le carezzo la testa e la prendo in braccio avvolgendola nel suo lenzuolo bianco.
Inizia a gorgogliare, sembra quasi voglia parlare. Mi guarda e di rimando le sorrido pacato, vorrei infonderle tranquillità così da favorirle il sonno.
“Shhh…va tutto bene” le bisbiglio avvicinando la mia testa alla sua.
Vedo l’ennesimo riflesso di un fulmine e il rombo assordante di un tuono. Questa volta Maddalena sussulta e inizia a gridare. Provo a zittirla cullandola ma ormai il danno è fatto. Clarice si è svegliata di soprassalto mettendosi a sedere sul letto. Lo sguardo confuso.
“Maddalena!” urla.
“Tranquilla, è qui. Si è spaventata con il temporale” le dico porgendole la bambina. La prende senza neanche degnarmi di una risposta e inizia a cantare qualcosa, con voce flebile. La osservo mentre la culla con fare materno e protettivo ma allo steso tempo deciso. La bambina inizia a diminuire l’intensità dei suoi lamenti fino a soffocarli del tutto. In pochissimi minuti è tornata un piccolo angelo, in altrettanti pochi minuti è tornata persino a dormire. La vedo alzarsi, mettere la bambina nella culla con cura per poi tornare a letto. Trascina i piedi. Deve essere ancora in uno stato di dormi veglia.
“Stai ancora dormendo?” sono divertito.
“Probabilmente. Mi sono svegliata di soprassalto, temevo stesse di nuovo male”
“Sta bene, solo non le piacciono i temporali, a quanto sembra”
Allargo le braccia invitandola a prendere posto tra di esse, come fossero un rifugio dove sarebbe potuta tornare a dormire, cullata dal mio amore. Accetta subito l’invito e mi ritrovo a stringerla. Il suo respiro è ancora un po’ irregolare, lo sento posarsi sulla pelle del collo.  E’ inquieta, tanto che dopo qualche sbuffo si gira dall’altro lato, dandomi le spalle. Mi sistemo avvicinandomi a lei, plasmando la posizione del suo corpo in modo da formare un incastro perfetto. Le poggio un braccio sulla vita e tocco il ventre con il palmo della mano. Sento una dolce curva che non posso fare a meno di accarezzare. E’ una sensazione appagante. Non vedo l’ora che inizi a scalciare, fino a quel momento ho sempre la sensazione di essere tagliato fuori. Quando scalciano, solo in quel momento, inizio a sentire davvero quel piccolo esserino, posso toccarlo con mano. Le porgo un bacio sulla nuca, nel bel mezzo della sua folta chioma color cenere, è il mio modo per dirle che va tutto bene e che sono davvero felice, che non vedo l’ora che questo bambino venga al mondo, per conoscerlo. Lei mi capisce, come sempre, e mette la sua mano sulla mia. Insieme portiamo le nostre mani su e giù per quel tratto di corpo coperto dalla sottana.
“Sarà un maschio oppure una femmina?”
La sua voce è un bisbiglio, probabilmente si sta avviando verso Morfeo ma tenta di resistere, ancora un pochino.
“Non lo so. Però spero in una femminuccia, almeno anche Maddalena avrà qualcuno con cui giocare, con cui parlare”
“Sarebbe bello, si” a malapena riesco a capire ciò che ha detto. E’ caduta nel sonno e io sono qui a contemplarla, anche perché ho capito che di dormire questa notte non se ne parla.
 

E’ tutto il giorno che mi accompagna una strana sensazione. Alla fine non ho passato l’ennesima notte in bianco come avevo immaginato, mi sono addormentato, senza fare nulla in particolare, mi sono solamente fatto coccolare da quella quiete e, di punto in bianco, la tempesta non era poi così fastidiosa.
Stanotte però ho sognato anche Giuliano, mio fratello. Ha iniziato a parlare dell’amore, un sacco di discorsi filosofici che non appartenevano molto a lui, probabilmente ho proiettato i miei pensieri nella sua figura, o almeno credo. Non sono molto pratico nella lettura dei sogni, lascio queste pratiche a quei farlocchi dei maghi e degli indovini.
Esco da Palazzo Vecchio per accertarmi che i lavori per la nuova casa dell’arte procedano bene, ma nella piazza sento alcuni occhi guardarmi con sospetto. Decido di non farci troppo caso proseguendo la mia camminata.
“Lorenzo”
Qualcuno mi chiama. Una voce famigliare. Una voce che riconoscerei ovunque, anche tra un milione di anni. La mia mente fa un salto indietro, torna al passato per qualche istante e mi sento tremendamente in colpa nei confronti della mia famiglia, dei miei figli.
“Lucrezia” accenno un piccolo inchino, in segno di riverenza e lei sorride. Com’è bello il suo sorriso. Anche dopo tanti anni, anche dopo tutto il male che gli ho arrecato al cuore lei sceglie di essere sempre gentile con me. Il suo sorriso mi rincuora.
“Dove ti stai dirigendo in gran fretta?” mi chiede, genuinamente curiosa.
“Ho bisogno di entrare in contatto con un po’ di arte. Di questi giorni non ho avuto tempo per vedere come procedono i lavori nella nuova scuola”
Non riesco ad essere freddo e di poche parole con lei, la sua sola presenza mi permette di essere loquace. E la cosa mi spaventa non poco. Dopo tutti questi anni, Lucrezia ha ancora un particolare ascendente su di me.
“Allora non ti trattengo. Porta i miei saluti a Clarice”
La guardo sorpassarmi e sento il suo profumo penetrarmi le narici. Clarice, ha detto, e la mia mente torna alla realtà, torna al presente e sento il bisogno urgente di tornare a casa.

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Capitolo 5
*** FIVE - CLARICE ***


 
Lorenzo mi ha chiesto di non andarmene a spasso per la città, data la gravidanza, e io gliel’ho accordato. Salvo casi strettamente necessari. Portare una sacca piena di monete da distribuire ai poveri alle porte della chiesa mi sembra davvero strettamente necessario. Sono certa che Lorenzo non si accorgerà neanche della mia piccola fuga da Palazzo.
Guardo fuori dal finestrino della carrozza, ho la tenda aperta, non voglio perdermi i raggi di sole di questa bellissima giornata, seppure fredda. Le strade pullulano di gente, le voci riecheggiano nelle orecchie ma non riesco a percepire nessun discorso. Sorrido alla cupola che ci guarda dall’alto della sua bellezza.
Nel riabbassare gli occhi qualcosa cattura la mia attenzione, proprio davanti Palazzo Vecchio. Lorenzo è fermo e sta parlando con qualcuno. Una fitta mi trafigge da parte a parte il petto.
Riconoscerei quei capelli corvino acconciati con eleganza ovunque, tante volte li ho sognati nei miei incubi peggiori. Si guardano, si sorridono e non posso fare altro che notare la loro complicità. Pensavo di aver superato quei momenti, quel senso di inadeguatezza provato negli anni della mia gioventù. Lorenzo aveva detto addio a quella donna e al suo letto tanti anni fa, eppure, sono sempre stata convinta che, in cuor suo, lui non l’abbia mai davvero dimenticata. Potranno essere anche semplici paure, le mie, ma ogni volta che provo a mettermi a paragone di quella donna così raffinata, io perdo.
Oh, la mia insicurezza.
 
Scendo dalla carrozza mancando il gradino, se non fosse stato per la prontezza di Vanni sarei sicuramente caduta a terra. Gli sorrido, in rimando ricevo un’occhiata preoccupata.
Vanni è al servizio di mio marito, della nostra famiglia, praticamente da sempre. Oserei dire che è il suo più fidato alleato in tutta questa follia di trame e complotti e, da diverse settimane, da quando ha scoperto della mia gravidanza, Vanni è al mio fianco. Lorenzo mi ha detto che non si fiderebbe a lasciare la mia sicurezza nelle mani di nessun’altro per sostituirlo a lui. E’ un pensiero molto dolce.
 
Arrivo nella mia stanza di corsa, non riesco a rispondere neanche a Lucrezia tanto il fastidio di un conato di vomito. Arrivo alla mia tinozza giusto in tempo.
Lucrezia, che mi aveva seguito assieme ad una delle cameriere, mi passa una mano sulla schiena. Porge la tinozza sporca alla donna che esce dalla stanza, mi prende una mano e mi fa accomodare sulla sedia poco distante, vicino la finestra, porgendomi un bicchiere d’acqua. La mando giù a grandi sorsi e sento l’acido bruciare nella gola.
“Ti senti meglio?” E’ sempre premurosa.
Ancora non riesco a parlare, ma annuisco per evitare che si preoccupi ulteriormente. Poso d’istinto una mano sul ventre, come ad accertarmi che tutto sia in ordine.
“Preferisci che chiami il medico, Clarice?” mi chiede ancora, capendo la mia ansia.
“Sono certa che sia tutto in ordine, ma preferirei che me lo confermasse” dico con il cuore in gola e lei mi sorride di rimando. Esce dalla stanza chiamando uno dei messaggeri.
 
Lorenzo irrompe nella stanza in modo prepotente, seguito dalla madre.
“Lorenzo!” lo chiama con fare di rimprovero.
“Ho visto il medico uscire da Palazzo” si precipita verso di me.
“Che succede?” Continua a fissarmi senza preoccuparsi delle proteste della madre.
“Sto bene” mi passo una mano sul ventre, rettifico le mie parole “Stiamo bene, non preoccuparti”
Gli poso una mano sulla guancia e sento i suoi muscoli distendersi e la tensione calare mentre si siede al mio fianco. Guardo Lucrezia e capisce che può uscire dalla stanza, chiudendosi la porta alle spalle.
“Quando l’ho visto alla porta io…io…ho pensato subito al peggio” chiude gli occhi e poggia la mano sulla mia prima di stamparle sopra un lungo bacio, la sposta fino a portarla al cuore dove posso sentirlo correre veloce, come un cavallo nel più verde dei campi.
“Perché è venuto?”
“Questo pomeriggio ho avuto il lieve malessere e, in via precauzionale, ho lasciato che mi visitasse” gli spiego.
“Perché non sono stato informato?”
“Ho pensato che non ci fosse bisogno” replico, ma Lorenzo è già furente.
“Questo dovrei deciderlo io, non trovi? Mia moglie, incinta, sta male e tu pensi che non ci sia bisogno che venga informato?”
Lo vedo andare su tutte le furie e questo non migliora certo il mio stato d’animo o di salute. Il pensiero vaga all’incontro a cui ho assistito e tutto quello che vorrei fare sarebbe rivangare il passato.
“Sapevo che eri molto impegnato” sottolineo con fare ironico e Lorenzo coglie la mia frecciatina perché il suo sguardo si fa interrogativo.
“Avrei rimandato qualsiasi impegno” dice deciso.
“Anche se avevano a che fare con Lucrezia Ardinghelli?” Lo dico senza pensare, è uscito dalla mia bocca senza che potessi controllarmi. Odio sentirmi in questo modo, odio dover tornare indietro in un passato che mi fa stare male, che mi fa sentire una bambola in un gioco di potere più grande di me. Vedo Lorenzo aprire bocca per poi richiuderla, non sa neanche lui cosa dire.
“Vi ho visti, mentre parlavate davanti il palazzo dei Priori” spiego, per dare una logica a quelle parole che altrimenti sarebbero potuti essere i deliri di una moglie insicura.
“Stavamo solo parlando”
“Ho degli occhi che sono in grado di vedere, Lorenzo” dico in modo acido, ormai sono un fiume in piena.
“Clarice, sai bene come la penso su questo argomento. Non ho intenzione di tornarci ancora una volta”
“Se tu la incontri a mia insaputa, sono cose che mi riguardano. Sai anche tu come la penso su questo argomento e non ho intenzione di cambiare il mio punto di vista” Mi alzo dal letto furente. E’ facile voler chiudere una conversazione quando si sa di avere la ragione contro e non ho intenzione di cedere.
“Clarice, ti giuro sul mio cuore che niente è stato fatto a tua insaputa, alle tue spalle. Ci siamo incontrati per puro caso”
Cerca di calmarmi prendendomi i polsi portandomi ancora a sedere. Si inginocchia tenendo il mio viso, pieno di lacrime, tra le mani.
“Clarice non c’è niente di più che un semplice ricordo d’affetto tra me e Lucrezia”
La mia emotività mi distrugge e le lacrime non accennano a fermarsi. Lorenzo sta facendo il possibile per calmare il mio stato di ansia e questo peggiora le cose perché non riesco a distinguere se le sue parole siano veritiere. Sposto il viso dalle sue mani, mi asciugo le lacrime salate con la manica della veste.
“Ho bisogno di riposare adesso”
Ho un tono di voce piatto, quasi apatico. Non capisco bene come siamo arrivati ad avere questo diverbio, il punto è che c’è stato e non si può tornare indietro. Il forte ronzio nelle orecchie fa in modo che tutto prenda una piega ovattata, anche se Lorenzo non proferisce parola. Si limita ad annuire, a guardarmi come si fa con un pazzo, con estrema accondiscendenza, fino ad uscire dalla stanza lasciando la porta leggermente accostata.

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Capitolo 6
*** SIX - LORENZO ***


Entro nel mio studio, prendo la brocca e riempio un bicchiere di vino rosso. Ne ho estremo bisogno.
Ne sorseggio un po’ mentre crollo su di una sedia davanti il camino. Non riesco a capacitarmi del vortice in cui siamo finiti in pochissimi minuti. Più cerco di muovermi nella giusta direzione, più sento di commettere dei passi falsi. Questa sensazione di inadeguatezza mi è nuova ed è soprattutto estenuante.
Mia madre si siede vicino a me, bicchiere alla mano.
“Vuoi dirmi qualcosa anche tu?” le chiedo sprezzante passandomi le dita sulla fronte.
“Non prendertela, figlio mio. La gravidanza è un periodo particolare per noi donne, dovresti saperlo ormai”
Prende un grande sorso dal bicchiere e continua a contemplare il fuoco. Faccio altrettanto.
“Mi ha visto con Lucrezia, oggi, in piazza” le confesso. Ho bisogno di togliermi questo peso dalle spalle, non ce la faccio a portare tutto da solo.
“Immaginavo che fosse ben altro a turbarla. E, dunque?”
“Non lo so” Mando giù un lungo sorso di liquido rosso.
“Il tuo dovere di marito è rassicurarla. Lo hai già fatto una volta? Fallo nuovamente e poi ancora, se dovesse servire” Si alza con fare deciso senza aspettare una mia risposta mentre torno a vagare nei miei pensieri.
Forse ha ragione, come capita spesso, soprattutto di recente. I suoi consigli sono sempre stati molto utili e hanno aiutato molto nel mandare avanti il mio matrimonio, soprattutto all’inizio, quando avevo acconsentito a sposare Clarice solo per l’aiuto che poteva portare alla nostra famiglia, al nome dei Medici.
Ricordo ancora la nostra conversazione a Roma, dopo aver conosciuto Clarice e aver fatto un buco nell’acqua, probabilmente era la prima volta che mi capitava.
“Madre, è inutile! Non vuole saperne di avere a che fare con me o con il matrimonio, è troppo presa dalla sua chiamata dall’alto” lo avevo detto quasi con stizza perché, nel profondo, quel rifiuto non riuscivo ad accettarlo.
“Lorenzo, abbiamo bisogno del loro appoggio. Sono certa che sarai in grado di persuaderla, anche noi facciamo del bene a Firenze, al suo popolo. Falle vedere questo”.
Rimasi in silenzio. Uno strano silenzio e mia madre lo percepì subito.
“Ti piace?” mi chiese curiosa. Ogni tanto lo faceva.
“Si, è molto bella. Non posso negarlo” Sorrisi. Era bella, bella davvero. Rimasi folgorato da lei dal primo momento in cui la vidi, a Trastevere, quando ancora non sapevo chi fosse o che cosa le nostre madri avessero orchestrato.
Lascio che ancora un sorso di liquido rosso frizzate mi attraversi la bocca e poi vado verso le scale in direzione della mia stanza. Entro, trovo il letto vuoto. Mi guardo intorno, alla ricerca di mia moglie. Non avrei dovuto lasciarla sola, mi dico. Faccio per uscire e, proprio in quel momento, è lei ad entrare. Non ha una bella cera, è bianca, pallida come poche volte mi è capitato di vederla. In modo istintivo le allungo una mano, in segno di aiuto, di sostegno e lei l’afferra senza fare la sostenuta. Dopo i primi passi la sento trascinare le gambe e in quel momento, senza aspettare il suo consenso la prendo in braccio. I suoi occhi, adesso un po’ spenti, si piantano nei miei. Ha due grandi cerchi neri a contornarli e la sua iride è lucida. Ha pianto? Che domanda sciocca, l’ho lasciata in lacrime. Sento le sue mani appoggiarsi sulle mie spalle a peso morto. Ho paura che stia per svenire. Muovo velocemente i passi che mi distanziano dal letto e l’adagio lentamente. Lascio che si sdrai e le accarezzo i capelli.
“Sei bollente!” le dico toccandole la fronte.
“Non è niente, avrò preso solo un po’ di freddo” mi risponde ansante chiudendosi su di un fianco.
“Maria!” urlo in preda al panico, ma nonostante Clarice mi guardi come un pazzo, mi volto verso la nostra governante appena entrata nella stanza.
“Signor Medici”
“Chiama il dottore, Maria. Subito!” Le ordino, senza capire se sto ancora urlando. Mi inginocchio accanto a mia moglie e le prendo la mano, baciandola.
“Lorenzo, ho sentito che urlavi...” mia madre entra nella stanza parlando.
“Che sta succedendo? Clarice, stava bene fino a poco fa. Hai chiamato il medico?” mi dice visibilmente allarmata e io annuisco.
Sento mia moglie stringermi la mano, con fermezza. Nonostante sia lei ad aver bisogno di cure e di conforto ecco ancora una volta che andiamo a capovolgere le nostre parti: è lei a rassicurare me.
“Vedrai, sarà solo un po’ di febbre” mi dice, abbozzando un lieve sorriso. Le annuisco, ricambiando quel sorriso, cercando di apparire il più calmo possibile anche se dentro avevo un’incredibile paura di perderla.

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Capitolo 7
*** Seven - Lorenzo ***


Ringrazio il medico e, mentre vedo chiudere la grande porta dell’ingresso, trascino le gambe su per le scale, fino alla mia stanza. Mi appoggio alla porta ancora aperta, lascio cadere la testa sul legno liscio e la guardo dormire. 
Il medico mi ha rassicurato dicendo che è una semplice febbre e sembra che non stia portando particolari problemi alla sua gravidanza. Inoltre mi ha confessato di trovare Clarice molto smagrita, probabilmente non mangia a sufficienza e mi ha sottolineato quanto sia di vitale importanza, per lei e per il bambino, essere nel pieno delle forze. Tornando in stanza ero pronto a farle una bella ramanzina ma vederla così tranquilla, nel pieno del sonno, mi ha fatto rimandare a domani ogni sentimento di stizza.
Mi trascino, anche io esausto, sul letto. Mi stendo sul fianco, allungando il collo su di lei per controllare la situazione più da vicino. Il respiro sembra essere regolare e solo a quel punto me ne concedo anche io uno, lungo e ristoratore. Ho avuto come l’impressione di trattenere il fiato per tutto questo tempo, per tutte queste ore. L’apprensione presumo. Questo mi fa pensare a tutte le volte in cui ho sentito Clarice sospirare a questo modo, la sera nel nostro letto, quando mi vedeva rientrare a notte fonda. Dunque, è questo che prova ogni volta che non mi vede tornare a casa?  Ogni volta che tardo? Quando salto una cena?
Mi chiedo come faccia a sopportarlo.
La osservo. Ha un braccio ripiegato sotto la testa, la fronte ancora imperlata di sudore e i cerchi neri sono ben visibili sotto gli occhi. Posa, teneramente, una mano sul ventre. Questo bambino non è ancora nato eppure la necessità di proteggerlo, di prendersene cura è così forte in lei, che mi fa pensare che sia nata per questo: proteggerci è la sua missione.
Un moto d’amore spropositato mi attraversa il corpo partendo dalle viscere, sprigionando in me una sensazione di calore prepotente, che solitamente sento accostandola a sentimenti di rabbia. Questo è il bisogno più ardente che abbia mai sentito negli ultimi mesi, forse anni. Finalmente quella sensazione di durezza è svanita e mi sembra di tornare ad essere, anche se solo per un momento, il ragazzino che credeva di poter salvare il mondo, di poterlo plasmare sull’immagine dell’antica bellezza. Per un momento sono tornato ad essere quel ragazzino speranzoso che credeva ancora di fare del bene e che voleva portare luce in questo mondo. Clarice una volta mi disse che Dio non guarda alle nostre azioni ma alle nostre intenzioni, sarà vero? Perché, se così non fosse, probabilmente brucerei all’inferno per l’eternità.
L’abbraccio, cercando di stringerla il più delicatamente possibile per non svegliarla, la sua pelle umida tocca la mia e, solo in quel momento, mi concedo di chiudere gli occhi.

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Capitolo 8
*** Eight - Clarice ***


Un timida luce entra nella stanza attraverso una piccola fessura lasciata aperta tra le tende rosse. Sbatto gli occhi più volte per rendermi conto di essere a casa, deglutendo la saliva resta bloccata come un masso alla fine di una valanga. La bocca è così impastata e la gola è così secca che non riesco neanche a respirare. Volto lo sguardo al comodino e vedo un bicchiere d’acqua ancora pieno ma quando cerco di allungare il braccio per prenderlo non riesco a spostarlo, sento un grande peso sul corpo e non capisco cosa mi stia succedendo. Preoccupata mi volto in direzione della mano e mi rendo conto di non avere nulla che non vada, sono solo troppo debole per spostare il peso del corpo di Lorenzo.
Ha un viso beato, ancora preso dal sonno e non ho voglia di svegliarlo ma non riesco a spostare il braccio e ho davvero tanta, troppa sete per aspettare. Conto fino a tre e tiro il più forte che riesco il braccio senza avere troppa fortuna, ci provo di nuovo ma questa volta sento una fitta attraversarmi fino al fianco e, dalla bocca, esce un piccolo grido di dolore. Lorenzo mugugna e si avvicina ancora di più a me. Sorrido, rassegnata.
 
“Buongiorno”
Sento la sua voce assonnata e mi volto nella sua direzione. Ha ancora un occhio chiuso eppure mi sta già sorridendo. Un sorriso al quale ricambio spontaneamente.
Lo sento spostarsi verso il suo lato del letto per poi tornare a girarsi verso di me, poggiandosi su di un fianco. Finalmente riesco a muovermi anche io, mi sforzo per tirarmi su, mettendomi seduta in malo modo. Allungo un braccio per afferrare il bicchiere e trangugio l’acqua in un solo sorso. Sento i suoi occhi addosso e, quando mi volto a guardarlo, un rivolo di acqua scende lungo il mento.
“Come ti senti?” Mi chiede mentre con due dita asciuga l’acqua sul mio volto. Cerco di parlare ma non esce alcun suono. Schiarisco la voce e provo di nuovo.
“Un po’ meglio” Non oso dire bene per evitare che Lorenzo mi faccia qualche predica, al momento non me la sento di affrontarlo, non ne avrei la forza. Mi sta guardando con aria poco convinta.
“Ieri sera mi hai fatto davvero preoccupare. Ho temuto il peggio” mi confessa sedendosi davanti a me. Mi prende una mano e inizia a giocherellare con i polpastrelli. Quando gioca con le mie dita ci sono solo due motivi e, adesso, direi che posso sceglierne solo uno: è preoccupato.
“Era solo un po’ di febbre, te lo avevo detto” cerco di rassicurarlo e sembra funzionare perché mi rivolge un sorriso sincero.
“Quando sarai in forze, faremo un bel discorsetto tu ed io”
“Riguardo a cosa?” chiedo curiosa.
“Il medico dice che non mangi a sufficienza, che sei troppo sotto stress e tutto questo non fa bene a nessuno di voi due” punta il dito prima verso di me e poi verso la mia pancia appena visibile. Istintivamente corro ad abbracciarla.
“Mi comporterò meglio…” dico subito come a voler rimediare.
Sento le dita di Lorenzo tornare a giocare con le mie e questa volta ho paura che ci sia un motivo molto serio dietro. Decido di parlare e chiedergli che cosa stia succedendo.
“Lorenzo, cos’è che ti preoccupa?” La mia domanda lo coglie di sorpresa, infatti la sua risposta tarda ad arrivare.
“Stai giocando con le mie dita…” cerco di incoraggiarlo a parlare, sa bene che non mi può nascondere le cose, almeno non troppo a lungo.
“Dovevo immaginarlo…” dice nervoso lasciando andare la mia mano.
“Credo che sia colpa mia” dice iniziando a tormentare il lenzuolo.
“Che cosa?”
“Penso che tu sia stressata e che non ti prenda abbastanza cura di te stessa, per colpa mia.”
Adesso è tutto chiaro. Si sta colpevolizzando. Lo fa ogni volta che succede qualcosa che non può controllare. Nonostante mi senta debolissima, mi sforzo di alzare una mano e posarla sul suo viso. Lascio che il pollice segua le linee del suo volto, fino alla bocca.
“La devi smettere di pensare che il mondo intero sia sule tue spalle, Lorenzo”
Lo sento tremare e un rivolo bagnato si infrange sulle mie dita. Sta piangendo. Mi avvicino il più possibile a lui, tirando verso il mio petto la sua testa, lasciandogli appoggiare la fronte alla mia spalla.
Lo stringo talmente forte che ho paura di non lasciarlo respirare.
“Amore mio” sussurra e il mio cuore si riempie di amore. “So che non te lo dimostro spesso, forse mai, ma ti amo così tanto che…che il solo pensiero che tu possa andartene…”
“Non vado da nessuna parte. Sono qui, sto bene. Noi stiamo bene, Lorenzo”. Cerco di tranquillizzarlo il più possibile. Si allontana un po’, prendendo la mia testa tra le sue mani.
“Perdonami se sono stato poco presente, con te e con i bambini. Non succederà più, te lo prometto Clarice.” Mi bacia posando le sue labbra sulle mie con vigore.

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Capitolo 9
*** Nine - Lorenzo ***


Continuo a guardare i fogli davanti a me ma sono troppo distratto, non riesco a leggere più di due righe consecutive che subito dimentico il filo del discorso. Li lascio cadere e poggio la penna sulla scrivania con prepotenza tanto che un po’ di inchiostro fuoriesce macchiandone la superficie. Prendo subito il fazzoletto che ho nel primo cassetto del grande comò e cerco di ripulire prima che l’inchiostro finisca per macchiare i documenti allargandosi a macchia d’olio. Un semplice gesto che mi ricorda quando entrai in questa stessa stanza e trovai Clarice alla mia scrivania. Era concentratissima e quasi mi dispiacque quando, sentita la mia presenza, alzò la testa. Si alzò con la faccia colpevole, chiedendomi scusa e io ne rimasi divertito. Non ero abituato ad avere una presenza femminile in casa o meglio, non ero abituato ad avere una donna a girovagare per casa che non fossero mia madre, mia sorella oppure una delle migliaia di donne di Firenze e non solo passate per il letto di Giuliano. Pensare a mio fratello mi rende sempre triste e malinconico, a volte persino arrabbiato per come qualcun altro abbia avuto il potere di decidere quando la sua vita sarebbe dovuta giungere al termine.
Tornai a guardare la scrivania, il danno sembrava essere scampato. Prendo i fogli per unirli tutti sotto un grande cumulo, chiudo il libro che avevo sulla destra per riporlo nella libreria, laddove un grande vuoto tra una copertina marrone dalle rilegature oro e un’altra, più o meno simile, non vedeva l’ora di essere colmato. E, proprio mentre lo riponevo sulla mensola che il libro non ne voleva sapere di rientrare al suo posto, come se qualcosa dietro lo impedisse. Lo spostai per vedere meglio cosa si nascondesse tra quei volumi e rimasi curiosamente sorpreso di vedere una pila di fogli delicatamente piegati. Li prendo per osservarli più da vicino mentre torno a sedermi al mio posto. Li rigiro tra le mani e alla fine decido di aprirli per vedere il contenuto. Di prim’occhio sembrano delle lettere. La calligrafia è dolce, delicata, sembra essere quella di una donna, probabilmente sono di mia madre, penso immediatamente ma, osservandoli ancora meglio trovo qualcosa di famigliare. Riconoscerei la scrittura di Clarice in mezzo a dozzine di documenti, le sue alte sono ricurve in un modo tutto loro. Ricordo di averla spesso preso in giro per questa sua caratteristica e mai avrei pensato che mi sarebbe stata utile nel ritrovare un segreto nascosto dietro i libri. Le apro avvicinandole di più al viso con fare indeciso, sento di violare la sua intimità in qualche modo eppure non riesco a fermarmi.
Sono delle lettere mai inviate. Cerco, vagando con lo sguardo il nome del destinatario senza avere successo, questo dettaglio accresce la mia curiosità così, senza starci troppo a pensare, inizio a leggerne una.
 
Sono passati più di dieci giorni da quando sono arrivata a Firenze, eppure non riesco ad adattarmi allo stile di vita dei suoi cittadini. Guardandomi intorno penso a tutte quelle donne che indossano vestiti di ogni sorta, così sfarzosi, qualcuno dai colori più sgargianti mentre altri più tenui. Spesso mi guardano quando esco per fare la mia passeggiata verso il Duomo e non so decifrare i loro occhi. Non capisco cosa vogliano dirmi. Qualcuna mi saluta, altre tirano dritte come se non volessero farsi vedere a parlare con me in strada. Forse i fiorentini avrebbero preferito avere una di loro come moglie di Lorenzo e alla fine si sono ritrovati me, la romana. Forse ho sbagliato, avrei dovuto assecondare la mia fede e rimanere a Roma. Mio marito non c’è mai, non so dove se ne vada tutto il giorno. Ogni sera rientra, alle ore più impensabili, e la scusa è sempre la stessa: affari. C’è chi dice che siano gli affari di letto quelli che lo trattengono fuori così a lungo e io non so davvero a cosa credere. Infondo non conosco per nulla quest’uomo e, a questo punto, inizia a sorgermi il dubbio che non lo conoscerò mai.
 
Sbalordito allontano quel foglio dai miei occhi, come se non volessi più leggere una sola parola. Sono delle lettere che Clarice scriveva a se stessa, come un diario. Probabilmente, appena arrivata a Firenze, la carta era la sua unica amica. Non ho mai pensato a quanto potesse sentirsi sola, fuori luogo, in una città che non conosceva e con una famiglia che le era praticamente sconosciuta. Faccio un lungo respiro e poi torno a scegliere un foglio e mi immergo ancora in quella scrittura delicata.
 
Questa mattina mi sono svegliata in preda al panico, ho sentito una grande fitta al ventre e non sapevo cosa fare. Mi sono girata verso Lorenzo ma il suo letto era vuoto. Ho fatto dei respiri profondi, mi sono accarezzata il pancione (adesso è davvero enorme) e ho cercato di dormire ma non ho potuto farlo. Ho passato le ore cercando di tranquillizzarmi, dicendomi che non era nulla di grave e che, queste cose, in gravidanza succedono sempre ma non avevo nessuno a cui chiederlo. Mia madre non è qui, non ho nessuno con cui confrontarmi e per quanto Lucrezia si mostri materna verso di me è sempre presa dalla banca, dai conti che non me la sento di disturbarla per queste sciocchezze.
 
Lascio cadere il foglio per mettere la mano che lo sorreggeva tra i capelli. Non ricordo questo episodio, Clarice non ne me ha mai parlato. Non capisco per quale motivo. Sono suo marito, non si è mai fatta remore a parlarmi di tutto. Ripasso velocemente con gli occhi sulla lettera e, ciò che cattura la mia attenzione e la parte iniziale: mi sono girata verso Lorenzo ma il suo letto era vuoto.
Dov’ero quando aveva bisogno di me? Il grande interrogativo.
Continuo a leggere prendendo un altro foglio.
 
 
Quando vedo Piero tra le braccia di Lorenzo mi assale un moto di tenerezza. Non so cosa sia con precisione, ma so che non riesco a staccare gli occhi di dosso da quel quadro. E’ raro vedere Lorenzo a casa, soprattutto la sera, e quando capita passiamo le ore nella nostra stanza, accovacciati sul letto a contemplare il nostro bambino, a parlare del futuro, di come diventerà da grande ebbene, è in momenti come questo che penso di aver fatto la scelta giusta, che mi sento appagata, serena e non l’invasore piombato da Roma. Vedere Lorenzo che parla con Piero, che gli racconta quanto la sua giornata alla banca sia stata impegnativa avvertendolo che un giorno sarà tutto sulle sue spalle, rassicurandolo che quel giorno però è lontano, raccomandandosi di trarre il massimo dalla sua giovinezza perché, fin quando ci sarà lui sarà sempre al sicuro. Sono momenti come questi che mi lasciano pensare che, a modo mio, sono innamorata di quest’uomo.
 
Ricordo bene le sere passate in stanza, noi tre, come una famiglia. Lontano dai problemi, dai Pazzi, dalla banca, da tutto. Ricordo anche lo sguardo di Clarice. Forse non è stata solo lei a capire di essersi innamorata durante quelle sere. Forse lo abbiamo fatto entrambi. Forse…
I miei pensieri vengono disturbati dal bussare sulla porta. Mi schiarisco la voce, rimetto insieme i fogli e torno a metterli al loro posto.
“Ehm, avanti” mi ritrovo a dire ancora in piedi, vicino la libreria. E’ Vanni.
“Lorenzo, vostra moglie vuole andare alla celebrazione domenicale”.
Alzo gli occhi e lo seguo verso il grande salone dove ad aspettarlo c’è Clarice nel suo abito color porpora intenso, con il pancione sempre più in bella vista.
“Sei andato a chiedere il permesso a Lorenzo?”  Si rivolge a Vanni come se le avesse rivolto un grandissimo affronto.
“Stai tranquilla, per favore” le dico posandole entrambe le mani sulla pancia per darle un bacio a fior di labbra.
“E’ solo venuto ad avvisarmi che sareste usciti per andare alla celebrazione” le dico, facendo l’occhiolino in direzione del mio più vecchio amico.
“A quel punto ho deciso di unirmi a voi. Posso?” le chiedo con una nota di presa in giro nella voce.
Mi lancia uno dei suoi sguardi che sanno di ramanzina silenziosa e mi precede alla carrozza. Vanni corre a porle una mano per aiutarla a salire e io faccio lo stesso. Lo vedo ritrarsi nel momento esatto in cui nota il mio gesto e, Clarice, gli sorride prima di voltarsi verso di me e prendermi la mano. Lascio che si accomodi e solo dopo entro anche io.

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Capitolo 10
*** Ten - Lorenzo ***


Per le strade c’è molta confusione, il mercato della domenica pullula di persone. C’è chi si scambia monete e chi, vestito di tutto punto, si dirige verso San Marco per la celebrazione della domenica. Guardo Lorenzo e noto che anche lui sta guardando fuori. Mi tiene una mano e la carezza con il pollice. E’ un gesto semplice che per me significa molto. Anche il fatto che voglia venire con me. Da quando sono stata male Lorenzo è cambiato, qualcosa in lui è ritornato a prendere vita. Ne sono immensamente felice.
“Sei stato gentile a voler venire con me, Lorenzo” In risposta ricevo un sorriso bellissimo e ne sono grata.
So quanto Lorenzo sia attraversato dal conflitto interiore verso Dio, so quanto creda che lo abbia abbandonato e il fatto di essere ora al mio fianco mi dà speranza che possa ricongiungersi al Signore e capire che non lo ha mai abbandonato. Giornate come queste vorrei che fossero eterne.
Il senso di appagamento si impossessa di me e d’istinto poso la mano sulla mia pancia, come a voler chiudere quel quadro di una famiglia felice.
 
 
“Stai bene?” mi chiede Lorenzo sottovoce. Deve essersi accorto delle mie smorfie durante la messa. Annuisco per rassicurarlo, non voglio che si spaventi, ma è tutta la mattina che ho delle leggere fitte. Solo quando sento il bambino scalciare mi dico che è tutto apposto. Il quel momento mi viene in mente la prima volta che abbiamo sentito i suoi piedini.
Ero in piedi nella sala grande, pronta a richiamare i ragazzi per l’ennesima volta mentre Lorenzo stava leggendo a Maddalena una storia. Entrambi erano sul pavimento. All’improvviso lo sentii. Eccitata chiamai Lorenzo, volevo che non si perdesse quel momento. Si è precipitato da me e ha posato il palmo della mano dove gli avevo indicato.
“Lo senti?” Chiesi e lui annuì. Era davvero felice, in quel momento abbiamo realizzato che, ancora una volta, saremmo diventati genitori. Fu un momento emozionante.
 
Ci incamminiamo verso l’uscita e Lorenzo mi offre il suo braccio. Accetto volentieri. Inizio ad avere difficoltà nello stare in piedi per troppo tempo.
“Madonna Medici” mi dice una voce, non ho bisogno di voltarmi, so bene chi mi sta chiamando.
“Madonna” dico gentilmente per celare il fastidio.
“E’ bello vedervi da queste parti, Lorenzo” dice rivolgendosi a mio marito, non posso fare a meno di lanciargli un’occhiataccia che lui recepisce immediatamente. Con gentilezza ci congeda da Lucrezia per tornare alla carrozza.
Il viaggio di ritorno mi è sembrato lunghissimo, sebbene la strada da percorrere sia poca inizio a sentire un leggero malessere dovuto alle troppe ore fuori. Scendo dalla carrozza a fatica e mio marito se ne rende conto perché non mi lascia andare la mano neppure mente percorriamo l’atrio del palazzo.
Mentre camminiamo l’ennesima fitta nel basso ventre mi costringe a fermarmi. Tiro indietro la mano stretta in quella di Lorenzo e lui si volta. Mi piego dal dolore.
“Clarice..” si avvicina quanto più possibile ma non riesco a percepire la sua presenza. L’unica cosa che sento è una forte sensazione di calore percorrermi l’interno coscia. In preda al panico mi alzo la gonna e lo vedo. Lo vediamo. Lunghe macchie di sangue sono arrivate alle scarpe fino a macchiare il pavimento.
Lo guardo, è la prima cosa che mi viene in mente di fare, ma nei suoi occhi vedo lo specchio dei miei. Il panico si è impossessato di lui e non sa cosa fare. Urla il nome di Vanni ma tutto diventa lento e offuscato. Mi aggrappo al suo braccio per non cadere, lui mi tiene forte circondandomi la vita. Cado a peso morto urtando la sua gamba.
“Amore, amore, amore…” dice piano cercando di prendermi in braccio.
Vanni accorre in suo aiuto ma basta uno sguardo e lo vedo allontanarsi. Probabilmente sta andando a chiamare il medico.
“Lorenzo…” mugugno mentre le lacrime mi lucidano gli occhi, non ho abbastanza forza per ricacciarle indietro. Lo sento prendermi tra le braccia con sforzo. Vorrei aiutarlo, alleviargli un po’ di peso ma non ci riesco.
Lucrezia si precipita giù per le scale urlando il nome del figlio ma, una volta arrivata al piano terra si mette una mano davanti la bocca, spaventata.
“Andrà tutto bene, capito? – dice cercando di darmi speranza, poi guarda la madre – Dì a Maria di tenere i bambini lontano, non voglio che vedano la madre in queste condizioni”. L’ultima parte la sussurra ma sono così vicino che riesco a sentirlo.
 
Mi poggia delicatamente sul letto ma l’ennesima fitta mi viene a trovare, mi piego ancora una volta. D’istinto mi porto le mani al basso ventre ma tutto ciò che sento è il sangue viscoso attaccato alle vesti. Non riesco ad evitare che le lacrime scendano. Lorenzo si mette in ginocchio al mio fianco stringendo il mio viso tra le sue mani.
“Andrà tutto bene, mi hai sentito?” ripete e ripete questo mantra e credo che, a questo punto, lo dica più a se stesso che a me.
Vorrei dirgli che sto perdendo troppo sangue ma non riesco a parlare, sono nuovamente in preda agli spasmi dati dal dolore. Ansimo. La mia vista perde colpi, vedo tutto offuscato.
 
Credo di essere svenuta per qualche minuto perché al mio risveglio trovo il medico al mio capezzale che sta parlando con Lorenzo. Riesco solo a capire che il bambino deve nascere prima che sia troppo tardi. Stringo la mano di Lorenzo e lui torna a posare gli occhi su di me.
“Non mi lasciare” sussurro e lui mi bacia la mano.

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