Everything for love

di MauraLCohen
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** La sorpresa ***
Capitolo 2: *** Bacio al sapore di caffè ***
Capitolo 3: *** Vuoi ballare? ***
Capitolo 4: *** Un giorno di pioggia ***
Capitolo 5: *** Casa ***
Capitolo 6: *** Guardami, papà! ***



Capitolo 1
*** La sorpresa ***


 

Ambientato durante il primo anno in cui Ryan è arrivato a casa Cohen. 
Sandy è impegnato ad organizzare una sorpresa per Kirsten e chiede l'aiuto di Ryan per riuscirci.


La sorpresa
 


Erano appena le nove di una soleggiata mattina di maggio. 
Seth e Ryan erano usciti presto per andare a scuola, Kirsten era di sopra a fare una doccia e Sandy passeggiava per la cucina con una tazza di caffè in mano, mentre aspettava che la moglie scendesse per la colazione. Ad attenderla c’erano croissant caldi, uova strapazzate, bacon croccante e il giornale aperto sulla pagina dei cruciverba che a lei piacevano tanto. 

Sandy tese l’orecchio per sentire se dalle scale arrivasse qualche rumore, e non udendo nulla, prese il cellulare dalla tasca e compose frettolosamente un numero. 

« Ryan? » disse, appena prese la linea. 

Dall’altro lato ci fu un rassicurante: « Sandy? Tutto fatto, tranquillo. » 

L'uomo tirò un sospiro di sollievo: « Perfetto, grazie » aggiunse, prima di chiudere la telefonata. 

« Con chi parlavi? » chiese Kirsten, sopraggiungendo in cucina ancora in accappatoio. Sandy l'accolse con un sorriso smagliante, camminandole incontro per baciarla. 

« Nessuno di importante » aggiunse, vago, porgendole subito dopo una tazza di caffè. Kirsten assunse un'espressione confusa, ma non indagò oltre e si sedette a mangiare accanto a lui. 

« Mi passi la pagina dell’economia? » domandò rivolta verso Sandy, che subito ubbidì. Rimasero lì a mangiare e leggere il giornale insieme per diversi minuti; entrambi apprezzavano quei momenti  che per loro erano un'oasi di tranquillità nel caos di Newport, una sorta di comfort zone in cui potevano essere semplicemente i due ragazzi che si erano innamorati a Berkeley, senza responsabilità o preoccupazione. 
Sandy guardò la moglie che sfogliava le pagine del quotidiano, era completamente distratta ed assorta in quello che aveva davanti agli occhi, annuendo impercettibile ai dati della borsa; pensò che fosse adorabile e stava per dirglielo, ma la suoneria del proprio cellulare lo fermò, riportandolo alla realtà. 

Chiamata in arrivo da Ryan

Kirsten distolse lo sguardo dal giornale per portarlo sul marito. 

« Chi è? » gli chiese. 

« È Ryan. Scusa. » le rispose Sandy, alzandosi dal tavolo rapidamente e andando in soggiorno. Kirsten rimase in cucina e lo osservò scomparire dietro la parete, restò immobile in quella posizione per qualche secondo.
Da quando Sandy scappa via per rispondere alle telefonate di Ryan? si interrogò lei, prima che il proprio interesse venisse catturato dall’orario. 

Era in ritardo per il lavoro, perciò avrebbe indagato dopo su cosa tramavano quei due. 

Le ci volle più di mezz’ora per essere pronta e dal piano di sotto poteva sentire Julie che faceva avanti e indietro mentre l’aspettava; la collega sembrava stranamente nervosa, così Kirsten prese la borsa e la raggiunse in soggiorno senza farla attendere oltre. 

« Ce l’hai fatta! » esclamò Julie vedendo Kirsten arrivare. « Ho temuto che volessi lasciarmi affrontare tuo padre da sola. » 

« Mio padre? » replicò Kirsten con tono interrogativo. 

« Andiamo Kiki, non dirmi che te lo sei dimenticata. Il progetto Miller. Hai detto che potrebbe essere una buona possibilità di investimento e che avremmo potuto proporlo a Caleb. » Julie assunse uno sguardo quasi supplicante che fece scoppiare Kirsten a ridere. 
L'esaltazione della futura matrigna sarebbe stata evidente anche per un cieco. 

 « Me l’ero completamente scordato, scusa. » Kirsten si portò due dita a massaggiarsi la fronte, come se stesse riflettendo sul da farsi. « Ci inventeremo qualcosa, non preoccuparti. »

Julie la guardò soddisfatta, scuotendo i pugni in segno di vittoria. « Ti adoro, tesoruccio! » esclamò, esaltata, poi afferrò l'amica per un braccio e la trascinò fuori casa, continuando a blaterare qualcosa sull’importanza del supporto tra donne e del successo che avrebbe riscosso il progetto con loro due alla carica. Kirsten si lasciò trascinare; aveva imparato negli anni che discutere con una Julie Cooper arrabbiata era una missione suicida, ma provare a mettere i bastoni tra le ruote alla Julie Cooper ispirata era come parlare ad un sordo, pretendendo che ascoltasse. 
Sorrise, fermandosi per un secondo sulla soglia. 

« Sandy, io vado. Ti chiamo dopo! » disse ad alta voce, prima di chiudere la porta di casa alle sue spalle.

(...)

Dopo oltre due ore di riunione con i maggiori azionisti del Newport Group e suo padre, Kirsten si sentiva esausta, come se tutto quel parlare di fondi, demolizioni e case residenziali, l’avesse svuotata di ogni energia.

Si era lasciata sprofondare nella poltrona del suo ufficio, facendola ondeggiare prima a destra e poi a sinistra a ripetizione e senza interruzioni. Aveva una gran voglia di tornare a casa, di infilarsi il pigiama e restare a letto per il resto della giornata, senza fare niente, senza sentire niente. 

Caleb sapeva come rovinarle l’umore, questo era certo. 


Lei e Julie avevano avanzato una bella proposta, che avrebbe incrementato i profitti del Newport Group, offrendo alla società anche un po' di buona pubblicità per risanarne l'immagine, profondamente logorata dalla causa delle Balboa Isles. Soprattutto, il progetto Miller era un’ottima occasione per ritornare a lavorare insieme, dopo tutti quei mesi che Caleb aveva passato lontano. Questo, almeno, era ciò che aveva pensato Kirsten, ma evidentemente il padre non era stato dello stesso avviso, visto che aveva bocciato la sua idea su tutta la linea. 

Kirsten era sinceramente stanca di farsi trattare come una quindicenne sprovveduta che giocava a fare l’adulta: Caleb non le riconosceva i mietiti che aveva e quasi si divertiva ad umiliarla davanti al resto del consiglio. 
In quegli uffici, lei era la più qualificata, la più brava. Non voleva passare per quella immodesta, ma era la realtà dei fatti. Il settore immobiliare, che lei gestiva da sola, era sempre in attivo e costituiva il sessanta per centro delle entrate pulite del Newport Group. I dati parlavano chiaro: lei era la migliore nel suo lavoro, solo Caleb non se ne accorgeva. 
Tuttavia, Kirsten si era rassegnata già molti anni prima al fatto che il padre non si sarebbe mai mostrato orgoglioso di ciò che lei era diventata. A vent’anni fa male, ma a trentasei è solo una cicatrice che brucia ogni tanto, nulla di più. 

Quella giorno, però, faceva parte dell’ogni tanto

Dopo la morte di Rose, Caleb era diventato ancora più freddo e assente; Kirsten si era ritrovata orfana senza nemmeno accorgersene: senza madre e con un padre che si comportava come se lei non esistesse. Non che prima le cose andassero meglio, ma almeno Rose era lì e poteva consolare la sua bambina. 
Ora Kirsten era da sola a fronteggiare il muro che la teneva lontana da Caleb.

Con la testa pesante, la donna si tirò su e si trascinò con la sedia alla scrivania dove aveva il telefono, prese la cornetta e compose un numero. 
Aveva davvero bisogno di conforto in quel momento; aveva bisogno di qualcuno che scacciasse via quel senso di malessere e inadeguatezza, che la facesse sentire amata.  

Sandy le rispose dopo qualche squillo. 

« Che voce che hai, brutta giornata? » chiese l’uomo premurosamente. 

Lei sorrise al telefono: Sandy la conosceva meglio di chiunque altro. Tornò ad appoggiare la schiena sulla spalliera e si mise comoda, giocherellando con una ciocca di capelli.

« Terribile. Non sai che disastro è stata la riunione, mio padre... Terribile, te l'ho detto » commentò, lasciandosi scappare un sospiro sommesso. « Ci vediamo per pranzo? Così te la racconto. » 

Dall’altro lato della cornetta ci fu un attimo di silenzio. « Oh tesoro, mi dispiace, non sai quanto. E credimi: non vedo l’ora di sentire tutta la storia, ma a pranzo non posso, sono oberato di lavoro e non posso sganciarmi. Facciamo a cena? » Il tono di Sandy era davvero dispiaciuto. Avrebbe voluto lasciare tutto e correre da lei; nessuno meglio di lui sapeva quanto il brutto carattere di Caleb potesse essere devastante per Kirsten. Quell'uomo aveva il potere di mandarla a fondo con una sola parola e la cosa mandava Sandy fuori di testa. 
In quel momento, però, non poteva proprio raggiungerla: doveva sbrigare una commissione urgente che la riguardava, ma sapeva che sarebbe riuscito a farsi perdonare.

« A cena? Che devi fare tutto il pomeriggio? » contestò lei, riportandolo alla realtà. 

« Lo sai che non posso dirtelo, segreto professionale » mentì, mentre davanti agli occhi gli appariva l'espressione contrariata che la moglie metteva su ogni volta che lui le diceva così. La cosa lo fece ridacchiare, anche se dovette farlo a bassa voce per non farsi sentire. 

Kirsten sospirò, delusa. « Già, il segreto professionale » commentò. Era irritata e la voce non lo mascherava.

Si salutarono ed entrambi chiusero la chiamata. 

Sandy guardò il display del telefono spegnersi, mentre attendeva che Ryan lo raggiungesse nel cortile della scuola. Non gli piaceva mentire a Kirsten, ma ogni tanto era necessario

Il ragazzo, fortunatamente, non si fece attendere molto e raggiunse il padre subito dopo il suono della campanella. Aveva con sé una piccola busta bianca, di dimensioni da lettera;  vedendo Sandy la sollevò in aria e questi fu subito più sollevato. 

« Ecco » disse Ryan porgendogli la busta. « Come mai tutto questo mistero? Cosa c'è dentro? »  

Sandy guardò quel pezzo di carta bianco. « Un regalo per Kirsten » rispose senza aggiungere altro. 

Ryan lo guardò sospettoso. «  Allora occhio perché  Kirsten mi ha chiamato prima, voleva sapere cosa stessimo architettando. Mi sa che non si è bevuta la storia del pranzo di lavoro. »

« Tu non le hai detto niente, vero? » replicò Sandy, un po’ preoccupato. 

« Certo che no! » rispose il ragazzo, ma intanto rincarò la dose. « Quindi, che cos’è? » Con gli occhi puntava la busta. 

« Una sorpresa. Grazie per averla recuperata. » Sandy diede a Ryan una pacca sulla spalla e si allontanò per dirigersi alla macchina. 

(...)

La giornata era passata veloce, in fin dei conti. 
Kirsten era riuscita a sganciarsi dagli impegni del Newport Group, tornando a casa ad un orario decente, mentre i ragazzi si erano dileguati subito dopo cena per andare da Marissa e Summer. Sandy era tornato un'oretta dopo la moglie, aveva lasciato la valigetta nello studio e poi si era fiondato nella loro camera da letto.

Ora lei lo poteva sentirlo canticchiare dal bagno con in sottofondo l’acqua della doccia che scorreva. 

L’aveva evitata per tutta la giornata e ancora non aveva smesso. 

Kirsten aveva cercato di indagare tramite Ryan ma questi fu incorruttibile, così aveva deciso di arrendersi e aspettare che fosse Sandy a spiegarle cosa stesse succedendo. L'ansia, però, la stava uccidendo.

Lo osservò uscire dal bagno con indosso i pantaloni grigi della tuta e i capelli ancora bagnati che gli gocciolavano sulle spalle, mentre lui, distrattamente, provava ad asciugarli con un asciugamano. 

« Allora, che hai fatto oggi? » gli chiese, cercando di tenere un tono pacato. Sandy colse subito il senso di quella domanda e le sorrise mentre si sedeva vicino a lei sul letto. Bastava guardarla per capire che era arrabbiata e lui non poteva fare a meno di intenerirsi davanti a quell'espressione da bambina offesa che Kirsten cercava di nascondere. Le accarezzò i capelli, posandole un bacio innocente sulle labbra.  
Si allontanò da lei per un istante e le sorride di nuovo, per poi voltarsi in direzione del comodino accanto al letto. 

« Questo! » le rispose, porgendole la busta da lettera. 

Kirsten guardò il marito dubbiosa mentre l’apriva, ci sbirciò dentro e nel vedere il contenuto ebbe un soffio al cuore. Non poteva credere ai propri occhi.

« Dove l’hai trovato? » domandò, prendendo in mano il ciondolo d’oro. Le parole le erano uscite a stento.  

Rimase a fissare quel gioiello senza dire più niente. 

Incise nel pendente vi erano la K e la H

Le iniziali del suo nome e di quello della sorella. 

« Pensavo che Hailey lo avesse perso dopo la morte di nostra madre. » Kirsten  abbassò lo sguardo, la voce rotta e la mente completamente annebbiata dai ricordi. Sandy fermò una lacrima solitaria che le stava percorrendo il viso e le portò un braccio dietro la schiena, stringendola a sé. 

« In realtà lo aveva impegnato » le spiegò e dalla bocca di Kirsten sfuggì un sospirò irritato. 

« Non cambierà mai. Mi aveva giurato di averlo perso durante un viaggio. Come sei riuscito a trovarlo? »

« Tramite un paio di amici ho rintracciato la persona che lo aveva acquistato. Tua madre era molto legata a questa collana e so quanto ci tenevi ad averla. Ed ho pensato  che fosse arrivata l'ora di  restituirla alla legittima proprietaria, che dici? » Sandy le baciò il naso dolcemente. 

« Dammi, ti aiuto a metterlo » aggiunse poi, spostandole i capelli su una spalla. Kirsten non oppose resistenza. 

Erano anni che non vedeva quel ciondolo: da quando sua madre era morta e Hailey aveva supplicato Caleb in ogni modo per averlo lei - non che le preghiere fossero necessarie: lui non era mai riuscito a dirle di no. 

Per Kirsten quello era un ricordo importante della madre, non aveva mai visto una sola volta Rose senza quel pendente al collo. 

Caleb glielo aveva regalato poco prima che lei si ammalasse di cancro. Era un modo per permetterle di sentire meno la mancanza delle figlie, visto che in quel periodo Hailey era già andata via di casa e Kirsten viveva stabilmente a Berkeley con Sandy e il piccolo Seth. Averle entrambe così lontane, per Rose, era stato devastante e Caleb lo sapeva bene: leggeva negli occhi della moglie il desiderio costante di riabbracciare le sue bambine, vederle accoccolate insieme nel grande divano del soggiorno, intente a guardare la tv, come erano solite fare quando erano piccole.


Quella, forse, fu l’unica volta in cui lui riuscì a dimostrare un briciolo d’amore sincero nei confronti della sua famiglia e, proprio per questo, quel ciondolo per Kirsten significava davvero tanto; era il ricordo indelebile dell’amore della madre, di un periodo della propria vita in cui i drammi del Newport Group non avevano ancora inaridito l'animo del padre. 

Il giorno in cui Hailey le disse di averlo perso, solo un miracolo l’aveva fermata dal metterle le mani addosso. 
Quella volta aveva sentito di odiarla sinceramente, come mai prima d’allora. 

In tutti quegli anni, però, Kirsten aveva smesso di pensarci e non credeva che riavere davanti quel ciondolo potesse farla sentire così felice, completa
Sandy le aveva restituito la madre anche se solo per un istante, il tempo fugace di un’emozione. 
Sentendosi al collo quel piccolo pendente rotondo, era come se riavesse la mamma vicina, ad un centimetro dal cuore. 
E non sapeva dirgli quanto gli fosse grata per essere sempre lì, con lei, trovando ogni modo per renderla felice. 

Kirsten si avvicinò a Sandy, aveva una mano sopra la sua, e con l’altra gli stava accarezzando il viso. 

« Grazie » gli disse, la voce spezzata dal pianto imminente. Lui le sorrise e avvicinandosi piano, le scostò qualche ciocca bionda dalla guancia,  sfiorandole le labbra con le proprie. 

« Lo sai che ti amo, vero? » le mormorò.

Stavolta fu lei a sorridere, annuendo, mentre Sandy continuava a baciarle gli angoli esposti della bocca. 

 
Note dell'autrice: 
 

“(...)The smile on your face lets me know that you need me
There’s a truth in your eyes saying you’ll never leave me
The touch of your hands says you’ll catch me wherever I fall
You say the best, when you say nothing at all(...)”


Con il ritornello di una delle canzoni d’amore più belle della Storia, vi do il benvenuto in una breve raccolta di One Shots dedicata a Sandy e Kirsten. 

Brevi momenti di vita mai raccontati, parole mia ascoltate, in scenari vecchi e nuovi, ma con la passione e l’amore di sempre. 

L’idea nasce dal desiderio di riunire in un unico progetto tutte le storie che ho scritto durante gli ultimi event del gruppo Facebook We are out for prompt

Sandy e Kirsten sono la mia definizione di vero amore dal 2003 e mi andava di celebrarli un po’.

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Capitolo 2
*** Bacio al sapore di caffè ***



Ambientata in un momento non ben precisato della prima stagione


 

Sapore di caffè


Le immagini sfocate della camera da letto iniziarono ad apparirle davanti agli occhi ancora un po' annebbiati dal sonno. 

Mentre si risvegliava, Kirsten allungò una mano nella parte del letto in cui pensava di trovare il marito, che, però, non era sdraiato accanto a lei. 

Il sole era alto e il venticello fresco che entrava dalla finestra, sfiorandole la pelle e scostando di poco le lenzuola che aveva sul ventre, le fece intuire che fuori doveva essere proprio una bella giornata. 

Una di quelle da passare sulla spiaggia

Conoscendo Sandy, non doveva essersi fatto scappare l’occasione di cavalcare qualche onda fin dalle prime luci dell’alba, per poi andare in studio e concentrarsi sul lavoro.
Quello era il suo rituale fin dai tempi di Berkeley. Stare sulla tavola da surf lo aiutava a sgomberare la mente da ogni pensiero e gli permetteva di rilassarsi. Lui glielo ripeteva sempre e per quanto Kirsten non capisse cosa ci fosse di tanto speciale nel finire a sguazzare tra i pesci, trovava che quel luccichio soddisfatto e felice che Sandy aveva dopo ogni 
surfata fosse la cosa più tenera del mondo. Lo amava, tanto, e vederlo così felice, sereno, per lei era l'unica cosa che importava davvero; per questo non si era mai lamentata di tutte le volte che si era svegliata da sola, perché ci teneva a vederlo sempre con quello sguardo spensierato di bambino sul viso. 
Inoltre, quando erano più giovani, succedeva spesso che lei andasse con lui: stava sulla spiaggia e lo guardava fare le sue magie con la tavola mentre l'onda si alzava e il sole della California gli colorava la pelle. Ormai, però, il lavoro non le permetteva più di avere molto tempo libero, specie la mattina, perciò le volte in cui lei poteva seguirlo in spiaggia si erano ridotte all'osso. Era più di un anno che non andava e doveva ammettere che le mancava molto poter ammirare  Sandy cavalcare qualche onda. 

Alla mente le tornarono i primi mesi in cui uscivano insieme: non c'era verso di tenerli separati, nemmeno se stavano male. Proprio per questo lui teneva molto al fatto che la sua ragazza gli facesse compagnia in spiaggia, almeno qualche volta. Il surf era una parte importante della vita del giovane Cohen e Kirsten lo sapeva bene, perciò lo accontentava quando poteva, anche se non aveva mai smaniato per imparare a surfare. Quando lo accompagnava in spiaggia, infatti, era solo per guardare e nulla di più, spesso  non  metteva nemmeno il costume sotto i vestiti, proprio per evitare che Sandy provasse a convincerla a salire su quelle che lei definiva trappole mortali e che il mondo conosceva come tavole da surf. 
Una volta, però, Kirsten dovette ammettere che Sandy riuscì a tentarla e, persino, convincerla a provare. 
Al pensiero di quella mattina le  nacque un sorriso spontaneo sul viso, mentre, con gli occhi rivolti verso il soffitto, rivedeva davanti a sé tutta la scena.

 

Stavano insieme sì e no da quattro mesi e il fatto che i loro rispettivi coinquilini si frequentassero, permetteva a tutt'e quattro di dividersi le camere dei dormitori come preferivano. 
Quella volta a Sandy e Kirsten era spettata la stanza di lei, mentre Helen e Paul avevano dormito in quella dei ragazzi. 

Sandy ronfava a pancia in giù, con il lenzuolo che gli lasciava scoperta la schiena, il viso schiacciato contro il cuscino e le ciocche dei capelli che gli ricadevano sugli occhi, infastidendolo di tanto in tanto. Teneva un braccio stretto alla vita di Kirsten e l'altro disteso lungo il fianco. Sembrava davvero rilassato e visto che non si sarebbe dovuto svegliare prima delle sei e mezza - alle quali, stando alla sveglia sul comodino, mancavano ancora più di trenta minuti -
Kirsten decise di non svegliarlo, anche se la voglia c'era. 

Lei, invece, tanto serena non era. La notte precedente aveva chiuso occhio a stento e forse non era riuscita a collezionare più di venti minuti continui di sonno. Ora aveva la testa che minacciava di esplodere, mentre sentiva tutto il corpo teso per l'ansia che negli ultimi giorni la stava divorando.

A breve, infatti, avrebbe avuto l'esame più difficile del suo corso, con un professore che dava tutta l'aria di avercela a morte con lei perché era una Nichol, ergo, una a cui bastava aprire bocca per avere tutto ciò che voleva. 

« Qui a Berkeley non funziona così, signorina Nichol. Qui sono i meriti che fanno le persone, non i cognomi. » Glielo aveva detto una mattina nel bel mezzo della lezione, così che tutti potessero sentire. In vita sua, Kirsten non si era mai sentita così tanto umiliata come quel giorno. Sentiva ancora addosso gli sguardi curiosi, divertiti e, a tratti, anche soddisfatti dei colleghi. 
Perciò doveva riuscire a prendere il massimo in quell'esame, dimostrare a Jim Donovan che lei non era solo la figlia di Caleb Nichol e che non aveva bisogno del padre per ottenere ciò che voleva. 

Doveva dimostrargli quanto valeva e zittirlo una volta per tutte. 

Più ci pensava, più ansia e rabbia le chiudevano lo stomaco. Era scappata da Newport per poter finalmente trovare se stessa, ma sembrava che ovunque andasse, l'ombra di suo padre la raggiungesse. Tutti quelli che incontrava erano o spaventati o affascinati dal fatto che fosse proprio la figlia di Caleb Nichol, quel Caleb Nichol, ed Kirsten era stanca di sentirsi come se fosse una proprietà del padre. 
Perché non lo era.

Spostò lo sguardo dal soffitto bianco a Sandy, che  ancora dormiva beato, gli accarezzò la fronte, allontanando le ciocche dei capelli dagli occhi. Lui mugunò qualcosa nel sonno che la fece sorridere. Più lo guardava sonnecchiare, più quell'espressione di bambino che aveva la inteneriva. 

Con Sandy, pensava Kirsten, era tutto diverso. Con lui non si sentiva la figlia di Caleb Nichol né la principessina venuta da Newport; a lui non importava cosa si era lasciata alle spalle, non vedeva la bambolina viziata che, invece, vedevano tutti; lui vedeva lei. La vera lei. Quella a cui non interessavano i debutti in società, i grandi ricevimenti o le ville sfarzose. 
Sandy sapeva cosa le piaceva davvero, cosa le interessava e la rendeva felice, e faceva di tutto per assecondarla e supportarla in qualsiasi deicisone prendesse. L'accomoagnava per le gallerie d'arte, stava con lei quando doveva studiare o quando le andava di restare a letto e disegnare; sapeva che pizza e cinese erano i suoi due cibi preferiti e che il venerdì sera le piaceva cenare con uno dei due, così faceva in modo di accontentarla, sempre. 
Sandy conosceva la vera Kirsten, quella che lei per tanto tempo aveva dovuto tenere nascosta per assecondare il volere del padre e le regole non scritte dell'alta società di Orange County. Ora, però, si serviva libera di vivere come voleva. 
Con lui.
Sapeva che non sarebbe mai stata in grado di dirgli quanto lo amasse per questo, ma sapeva anche che, in qualche modo, Sandy ne era consapevole. 


Intanto che la sua mente vagava, però, la sveglia prese a suonare e, piano piano, anche il ragazzo iniziò a svegliarsi. 

« Hey. » Kirsten si chinò su di lui per baciarlo. 

« Hey » mormorò lui in risposta, stropicciandosi gli occhi con i pugni per poi contorcerli sopra la testa e stiracchiarsi. « Mi guardi dormire? » scherzò, subito dopo, portando entrambe le braccia intorno al bacino di Kirsten per farla sdraiare su di sé. 

Lei ridacchiò, poggiando la testa sul suo petto. « Forse. » rispose con fare giocoso. 

Sandy rimase in silenzio per un po', accarezzandole i capelli e godendosi quel momento di dormiveglia: le tende tirate, che a stento facevano entrare la luce dei primi, tenui raggi di sole, e il suono del respiro di Kirsten contro l'addome. L'atmosfera sembrava quasi ovattata e Sandy non voleva alzarsi, anche se sapeva che di lì a poco avrebbe dovuto farlo, se non voleva rischiare di perdersi le onde di quella mattina. 

Kirsten, intanto, era stranamente silenziosa, e già il fatto che fosse sveglia da così presto aveva messo Sandy in allerta. 


Nell'ultimo periodo l'aveva vista molto tesa a causa di qualche scontro un professore. Donovan, Sandy ricordava fosse quello il cognome. Insegnava qualcosa come storia dei materiali o simili, non era importante; quello che, invece, Sandy aveva ben chiaro in mente era la reputazione di quell'uomo. Al campus si vociferava che fosse un vero stronzo, qualcuno che era meglio non mettersi contro, perché se ti prendeva di mira, sapeva come rovinati il curriculum. 
E stando ai racconti di Kirsten, quel professore aveva scelto lei come nuova preda. 
Sandy odiava la gente che dispensava cattiveria gratuita per il semplice gusto di farlo, ma odiava ancora di più quando quel tipo di atteggiamento colpiva Kirsten. 
Lei non aveva bisogno di essere difesa, lui questo lo sapeva, ma la conosceva abbastanza bene da capire quando qualcosa la colpiva a fondo ed era ciò che Donovan aveva fatto senza alcuna pietà. 
L'unica cosa che Sandy voleva in quel momento era capire come aiutarla, così fece l'unica cosa che sapeva avrebbe potuto farla sentire un po' meglio: darle tutto il supporto di cui aveva bisogno 

« Va tutto bene? » le chiese, spostando le mani lungo la sua schiena. « Non riesci a dormire? »

Kirsten sorrise, anche se lui non poté accorgersene, e si morse il labbro inferiore. Sandy sapeva sempre cosa fare e come farla per tirarle su il morale. Era il suo super potere. 

« Se è ancora per quel cretino di Donovan, lo sai. È cretino. Non devi dimostrargli nulla. Non devi dimostrare nulla a nessuno. » lui continuò a rassicurarla, ma sentendo che continuava a non proferire parola, la strinse a sé ancora più forte, affondando il viso nei suoi capelli. « Ti amo » le mormorò all'orecchio e Kirsten non poté fare a meno di sollevarsi per guardarlo. 

Dio, la conosceva così bene. 
Sapeva sempre ciò che pensava, come si sentiva, a volte prima ancora che lo sapesse lei. 
Sandy Cohen era incredibile. 

Gli portò una mano sul viso, accarezzandoglielo. 

« Anche io » rispose a fior di labbra « Tanto »

E Sandy sapeva che quella era la verità. 
Le sorrise, ritirandola su di sé e riprendendo ad accarezzarle la schiena, 

Era in ritardo per il surf, lo sapeva, e probabilmente Owen e gli altri lo avrebbero ucciso, ma in quel momento non gli interessava altri che Kirsten: voleva rimanere lì, nel letto, con lei e assicurarsi che stesse bene. 

« Allora, ho ragione? » insistette, abbassando lo sguardo sul suo viso.  « È per Donovan che stai così? »

« Così come? » contestò Kirsten, sviando la domanda. Voleva evitare di scaricare su Sandy anche quel problema. Non voleva che lui si sentisse sempre in dovere di combattere le sue battaglie. 

« Così, come se qualcosa ti stesse avvelenando i pensieri. È per lui? »

Beccata. 
Ora doveva parlare. 
Nascondere qualcosa a Sandy Cohen era letteralmente impossibile e lei non sapeva mentirgli. In più Sandy non avrebbe mai lasciato perdere di quando non avesse saputo per filo e per segno cosa le stesse passando per la testa. Faceva sempre così e quel suo modo di fare riusciva a farla sentire protetta e amata come niente al mondo.


« È solo che vorrei riuscire a farlo stare zitto. Prendere il massimo all'esame e dimostrargli che si sbaglia su di me. » La voce le uscì fuori quasi fosse un lamento. A Sandy si spezzava il cuore nel sentirla così avvilita: cercava con tutto se stesso di reprimere il desiderio di prendere a pugni in faccia quel Donovan. Sapeva che non doveva farlo, che doveva lasciar perdere perché avrebbe solo peggiorato le cose, ma le mani gli fremevano e quell'uomo si meritava proprio una lezione alla Sanford Cohen.

« Mi dici perché è così importante dimostrarglielo? Tu e io sappiamo che si sbaglia, Helen e Paul sanno che si sbaglia e chiunque altro ti conosca davvero lo sa. Che ti frega di cosa pensa un vecchio bigotto sessista che nemmeno si ricorda più perché ha iniziato ad insegnare? È uno stronzo » provò a consolarla. 

« Lo so » rispose Kirsten, ma non parve troppo convinta. « Credimi. Però ho passato tutta la mia vita a sentirmi dire che tutto ciò che ho, lo devo al fatto di essere una Nichol. Sono stanca di dover sempre giustificare ogni mia scelta agli altri. Stanca di vedere gli sguardi curiosi di chi si chiede perché io sia qui, anziché in un'università dell'IVY League o, ancora meglio, su qualche yacht al largo di Maui a sbronzarmi con qualche amica del fondo fiduciario. È svilente vivere ogni giorno pensando che la gente si aspetta da te solo capricci e lamentele. Io non sono quella ragazza. Sono scappata da Newport per non dovermi più sentire così, ma sembra che ovunque io vada, qualsiasi cosa faccia, il cognome di mio padre mi segua come un'ombra. Almeno qui, Sandy, voglio sentirmi libera da quel fardello. »

Sandy sentì la rabbia divampargli dentro; se avesse avuto Donovan davanti in quel momento lo avrebbe massacrato di botte. Senza pietà o ripensamenti. Era uno stronzo e Dio solo sapeva cosa ci stava ancora a fare in quell'università.
Si poteva essere così meschini da mortificare una persona a tal punto da buttarla giù nel modo in cui Donovan aveva fatto con Kirsten? 

Quanto bisognava essere frustrati per essere così cattivi? 
Persone così non meritano nessun rispetto, pensò il ragazzo, riportando la sua attenzione su Kirsten.

« Allora dimostraglielo » le disse, fiero. « Fagli vedere chi sei. Tu meriti di stare qui anche più di lui e nessuno meglio di me sa quanto puoi essere testarda se ti metti in testa una cosa. - dicendolo la guardò, ridacchiando e pizzicandole la guancia con il medio e l'indice - Perciò vai e fallo a pezzi. So che ce la farai. » 

« Davvero? » Kirsten poggiò il mento sul suo petto per poterlo guardare in faccia. Dopo tutti quei mesi ancora non capiva cosa avesse fatto di buono nella vita per meritarsi che qualcuno come Sandy l'amasse così tanto.

« Davvero » replicò lui, senza nessuna esitazione. 

Lei gli sorrise ancora, avvicinandosi per baciarlo e Sandy le andò incontro. 

Lo amava.
E più passava il tempo, più la consapevolezza di aver trovato chi avrebbe voluto al fianco per il resto della vita si faceva forte. 

Aveva lasciato Jimmy Cooper perché sentiva che con lui le mancava qualcosa, che l'amore che sentiva non era abbastanza; lo aveva lasciato perché voleva molto di più e, finalmente, l'aveva trovato. 
Non sarebbe riuscirà a descrivere a parole quello che provava, se qualcuno glielo avesse chiesto, ne avrebbe potuto definire cosa fosse quel qualcosa che le era mancato così tanto con Jimmy da convincerla a rinunciare ai loro piani, al loro futuro insieme e perfino al bambino. Sapeva, però, che con Sandy lo aveva e se lui glielo avesse chiesto, lei avrebbe lasciato tutto per iniziare una nuova vita insieme.
Era sicura che quello che provava per Sandy era ciò che aveva sempre desiderato sentire. 
Ciò che aveva cercato disperatamente.
Lui era il suo destino, l'amore della sua vita. 
Ne era sicura. 

Lo squillare incessante del telefono la richiamò alla realtà. Kirsten si allontanò da Sandy e prese la cornetta dal comodino. 

« Pronto? » bofonchiò, mentre Sandy le mordicchiava il collo, divertito dal modo in cui lei arriciò  il naso  dopo averne capito con chi stava parlando.

« Kirsten? Hey! Sono Owen. Sandy è lì con te? » disse la voce dall'altra parte. 

Lei, intanto, cercava di allontanare il ragazzo con un braccio, ma senza riuscirci.  Sandy era più forte e aveva facilmente la meglio su di lei. 

« È per te » gli disse, porgendogli il telefono, ma il giovane parve più interessato alla scia di baci che stava lasciando sull'incavo del suo seno.

« Owen... Sandy... Un attimo » mormorò lei, sopprimendo un gemito e spingendo via il viso del ragazzo, che stava risalendo con il labbro lungo il suo collo.  « È proprio qui. Aspet... » Non riuscì a finire la frase che Sandy la zittì catturandole le labbra. « Sandy... fermo » ridacchiò, spingendolo via un'altra volta. Tenendolo a distanza con una mano premuta contro il suo petto, Kirsten tornò a concentrarsi  sull'interlocutore al telefono. « Owen, aspetta che te lo passo » concluse, appoggiando la cornetta all'orecchio del fidanzato. Questi fece una smorfia scontenta, stringendo la spalla al proprio orecchio per tenere saldo il telefono.
 

« Ehi, Ow » esordì, tornando a sdraiarsi sulla schiena e trascinando Kirsten con sé. Lei lo osservava ascoltare quello che l'amico gli stava dicendo e intanto gli accarezzava i capelli con la punta delle dita. 

« Ahn ahn » diceva di tanto in tanto, annuendo e facendo una smorfia annoiata che la faceva ridere. 

« Va bene, ho capito. Dieci minuti e arrivo. Rompi palle. » Con un gesto secco ripose la cornetta sull'apparecchio e tornò a concentrarsi su Kirsten.

« Che voleva? » gli domandò, portandogli le braccia al collo. 

Lui le prese il viso con una mano per baciarla, poi si mise in piedi, cercando i pantaloni, dispersi da qualche parte sul pavimento. 

« I ragazzi mi aspettano per andare in spiaggia » le spiegò, tirandosi su i jeans. « Devo passare in stanza a prendere il costume e la tavola. Ci vediamo dopo le lezioni? » 

Kirsten annuì, mentre, appoggiata alla spalliera del letto e con il lenzuolo che la copriva fino al seno, lo guardava rivestirsi. 
Odiava quando la lasciava per andare a fare surf, ma sapeva quanto a lui piacesse quello sport e non aveva cuore di dirgli che le mancava da morire ogni volta che se ne andava. Se glielo avesse detto, lui sarebbe rimasto lì, ma non voleva che Sandy rinunciasse a qualcosa che amava solo per soddisfare un suo capriccio.  Così Kirsten si limitava ad osservarlo mentre si preparava e ad incoraggiarlo ad andare, senza dire nulla. 

Sandy, però, parve accorgersi comunque che qualcosa non andava o, forse, semplicemente, non voleva andarsene sapendo che lei sarebbe rimasta lì da sola con i suoi pensieri per ancora quattro o cinque ore e che la  cosa non avrebbe fatto altro che peggiore lo stato d'animo in cui si trovava. 

Così finì di infilarsi la maglia, si diede una rapida occhiata allo specchio, soddisfando il Narciso che era in lui e tornò vicino al letto dove Kirsten era sdraiata. Si chinò su di lei e la baciò senza malizia sulle labbra, sorridendole. 

« Che ne dici di venire con me? » le propose. 

Kirsten scoppiò a ridere. « Ma se non ho mai toccato una tavola da surf in vita mia » rispose, sollevandosi sugli avambracci. 

Lui rise appresso a lei, avvicinandosi al suo viso per baciarla di nuovo. 

« E che problema c'è?! ti insegno io. » Si strinse nelle spalle, facendole gli occhi dolci. « Eddai! Vieni! Nulla come il surf aiuta a sgomberare la mente dai brutti pensieri. Parola di Sandy Cohen »

Lei rise ancora mentre guardava l'espressione fiduciosa che stava facendo brillare gli occhi del ragazzo.  

Sandy poteva giurare che quella fosse la risata più bella che avesse mai sentito in vita sua. 

« Allora, si va? » insistette, dandole un altro piccolo e innocente bacio.

Lei annuì: « Se lo dice l'esperto, non posso che fidarmi. Giusto? » 

« Giusto! » Sandy, esaltato, la prese per una mano e la tirò su, abbracciandola. 

(...)

Neanche mezz'ora dopo si ritrovarono insieme a Owen, Lance e qualche altro amico di Sandy che Kirsten conosceva solo di vista, su una spiaggia quasi deserta, con il sole che tinteggiava il cielo di colori pastello e qualche nuvola. Dalla terra ferma si potevano vedere in lontananza le flebili figure di alcuni surfisti in piedi sulla tavola, mentre il rumore delle onde che si distendevano sul bagnasciuga gremiva l'aria.

Sandy stava preparando la tavola insieme a Owen, mentre Kirsten e il resto del gruppo si stavano ancora togliendo scarpe e vestiti. 

Al giovane Cohen non sfuggì qualche sguardo d'apprezzamento che gli amici rivolgevano di tanto in tanto alla sua ragazza e, infastidito, lanciò un'occhiataccia nella direzione di alcuni di loro, che subito colsero il messaggio, riportando la loro attenzione sulle onde. 

« Oggi calma piatta » commentò uno, con fare deluso. 

Si trattava di Alex Tower; ragazzo carino: castano, alto, anche se un po' magrolino. Studiava scienze politiche, almeno così Kirsten si ricordava di aver sentito da Sandy. I due frequentavano alcune lezioni insieme, ma non si conoscevano molto. 

« In effetti è da un po' che non si vedono onde degne di nota » lo assecondò Owen, uno dei migliori amici di Sandy, mentre guardava il lontananza il movimento del mare. « Meglio per te, Kirsten » proseguì, voltandosi verso di lei e stringendosi nelle spalle con fare beffardo. « Non rischi di romperti nulla, visto che è la tua prima volta. »

Kirsten, in piedi vicino a Sandy, si finì di levare la maglia, rivelando uno splendido bikini nero. Quando sentì le parole di Owen si pietrificò, guardandolo con occhi sgranati. 

« Sta scherzando? Sandy, dimmi che sta scherzando » disse, quasi isterica, portando lo sguardo sul fidanzato. Questi scoppiò a ridere nel vedere l'espressione di terrore che le si era dipinta sul viso. 

« Certo che scherza, ti pare che possa farti fare male? » la rassicurò, allacciandole entrambe le braccia alla vita per stringerla a sé. « Non lo farei mai » continuò, baciandole una guancia, poi rivolse la propria attenzione all'amico: « E tu piantala di dire cazzate, che la spaventi »

Owen scoppiò a ridere, alzando le mani in segno di resa. Conosceva Sandy da anni ormai, dai primi mesi in cui lui arrivò a Berkeley, e non lo aveva mai visto così preso da una ragazza, nemmeno da Rebecca. Quando qualche mese prima Sandy gli aveva confessato che aveva iniziato a vedersi con Kirsten Nichol, la prima cosa che Owen pensò fu che non sarebbero durati una settimana; erano troppo diversi, avrebbero finito col litigare tutto il tempo. Invece sì era dovuto ricredere: Sandy e Kirsten erano complementari e insieme funzionavano alla perfezione, tirando fuori il meglio l'uno dell'altro. E facevano anche un po' invidia a vederli così felici e innamorati.

Una manciata di minuti dopo erano tutti pronti ad andare in acqua.
Sandy teneva Kirsten per mano mentre con l'altra reggeva la tavola sotto al braccio. 

In acqua, iniziò a spiegarle cosa doveva fare: quando e come alzarsi, come muovere le mani, ma per Kirsten era come se stesse parlando in una lingua incomprensibile e Sandy non riusciva a smettere di ridere, prendendola anche un po' in giro.

« Piccola, ti amo, ma il surf non fa proprio per te » scherzò, mentre la teneva per le mani, evitandole di cadere in acqua ancora una volta nel tentativo di alzarsi in piedi sulla tavola. 

Lei lo guardò un po' contrariata, come a dirgli "te l'avevo detto" e quell'espressione lo fece scoppiare a ridere di gusto.

« Cosa ridi? » protestò Kirsten, ridacchiando, mentre lo schizzava con una mano. Era seduta a cavalcioni sulla tavola e per poco non richiò di cadere.
Sandy la afferò per i polsi, sia per impedirle di scivolare sia per farla smettere di schizzarlo. Continuava a sorridere, provando a baciarla, ma lei lo evitava, cercando di liberarsi. 
Sandy era chiaramente più forte e così ebbe la meglio. Fece forza per spingerla con la schiena vicino all'acqua.

« Ti lascio cadere? » chiese, ridendo. Lei si dimendò ancora. 
« Sì, ti lascio cadere » confermò Sandy, allentando la presa sui polsi e spingendola giù dalla tavola.

Kirsten riemerse qualche secondo dopo, passandosi le mani sul viso e poi sui capelli per spostarli indietro; aveva ancora gli occhi chiusi e il naso arricciato.
Era adorabile, pensò Sandy, avvicinandosi per baciarla.  
La strinse per i fianchi, facendo aderire i loro corpi alla perfezione e le sorrise, mentre lei gli portava le braccia al collo.  
Le loro labbra si incontrarono a metà strada ed iniziarono ad esplorassi prima timidamente, poi sempre più profondamente, lasciando che le loro lingue danzassero insieme trovando il loro ritmo. 
Per un attimo il mondo si fece silenzioso, sparendo dalle menti di entrambi. C'erano solo loro due e sarebbe stato così per sempre, si dicevano, immersi l'uno nel calore del corpo dell'altro. 

 

Il ricordo di quella giornata riuscì a farle manca Sandy ancora di più e mentre desiderava di averlo lì con sé, Kirsten si rigirò un paio di volte tra le lenzuola, sperando di non doversi alzare ancora per molto. Sfortunamanere per lei, però, la sveglia aveva deciso di non accontentarla. Era già tardi e sapeva che quella mattina doveva essere al massimo delle sue facoltà mentali, ricettiva e pronta a sopportare il peggio che suo padre aveva da offrire.

Ancora un po’ stordita dalla sonnolenza si mise in piedi per andare a fare una doccia veloce, si stiracchiò allungando le braccia sopra la testa e, dopo aver recuperato l'accapatoio, lasciò la camera da letto. Nel tragitto verso il bagno ne approfittò per guardare fuori dalla finestra: sì, era proprio una bella giornata, pensò, mentre una parte di lei moriva dalla voglia di raggiungere il marito in spiaggia. 

Mezz’ora dopo era pronta, perfetta nel suo abito firmato e raggiante come al solito. Scese al piano di sotto per mangiare qualcosa al volo e mettere insieme le idee per la riunione che l'attendeva al Newport Group. Appena girò la parete che separava il soggiorno dalla cucina,  rimase sorpresa nel trovare Sandy in piedi vicino ai fornelli, intento a preparare la colazione. 

« Non sei andato in spiaggia? » gli chiese, avvicinandosi per baciarlo. Non sapeva dire quanto fosse felice di poterlo vedere prima di andare a lavoro e scordarsi per qualche minuto dello stress che la riunione le stava già causando. 

Guardandolo, però, Kirsten non riuscì a capire se fosse effettivamente andato a fare surf. Lo trovò con addosso i pantaloni della tuta e la felpa grigia, bagnata sul girocollo e sulle spalle dalle punte gocciolanti dei capelli bagnati. Sandy aveva il vizio di non asciugarli mai e lei non capiva come facesse a gestirli o a non morire dal mal di testa. 

Lui, intanto, era rimasto immobile ad osservarla camminargli incontro e quando la ebbe vicina, le sorrise.  

Era bellissima, come sempre, ma qualcosa la turbava.  
Sandy poté leggerglielo negli occhi.  

« Sono tornato poco fa » spiegò mentre le porgeva una tazza di caffè e le baciava una guancia. 

La casa era avvolta nel silenzio e dalla casetta in piscina non sembravano arrivare segni di vita. I ragazzi dovevano essere già usciti per andare a scuola.

Kirsten prese una ciambella che Sandy aveva imburrato per lei e si sedette di fianco a lui, accarezzandogli il collo. 

« Prendo le parole crociate? » le chiese Sandy, voltandosi a guardarla ed indicando con la testa il giornale che giaceva, ripiegato su se stesso, poco lontano dalle loro tazze di caffè. 
Le parole crociate erano una specie di rituale mattutino di cui  nessuno dei due ricordava l'inizio. Un giorno si erano ritrovati a notare che passavano così quasi ogni mattina, quando il tempo lo permetteva: seduti vicini, ridendo tra loro e interrogandosi su quale fosse la soluzione della dodici verticale o della cinque orizzontale. 

In quel momento Kirsten non avrebbe desiderato altro che passare un po’ di tempo con lui, da sola; negli ultimi giorni stavano lavorando come matti - lui a un nuovo caso e lei al progetto dell'abitazione tipo - e a stento riuscivano ad incrociarsi per casa. Si mancavano da morire, potevano leggerlo l'uno negli occhi dell'altra ogni volta che si guardavano. Avevano voglia di stare un po' insieme, lontani dalla frenesia di Newport e da qualsiasi altra cosa potesse frapporsi tra loro.
 Perciò Kirsten avrebbe voluto avere il tempo di rimare lì con lui quella mattina, aveva davvero bisogno di stare un po' da sola con Sandy, ma ancora una volta non poteva perché doveva preoccuparsi di fermare Caleb dal commettere l'ennesimo passo falso, che rischiava di affondare la società. 

C'erano giorni in cui era stanca di dover sempre anteporre alla propria felicità, il Newport Group. 
La mancava il periodo di Berkeley, la casa con il parquet ovunque e le tacche della crescita di Seth incise sullo stipite della porta della cucina. Le mancavano le mattinate di ozio con Sandy, quando bastava un niente per convincerlo a restare a letto con lei per qualche altro minuto. 
Le mancava il tempo in cui erano solo lei, Sandy e il piccolo Seth, senza nessuna telefonata di lavoro che disturbava i loro momenti felici, senza nessuna giornata passata in ufficio fino a tardi che le impediva di stare con Sandy e Seth; le mancava potersi godere la sua famiglia fino in fondo e, a volte, odiava Newport per questo. 

Sospirò sommessamente, guardando Sandy con gli occhi ricolmi di tristezza. 

« Ho solo due minuti »  gli rispose, accarezzandogli il viso, e il tono con cui lo fece lasciava trasparire quanto le costava rifiutare. « Julie sta arrivando. Ci aspetta la peggior riunione della storia del Newport Group. Mio padre è furioso e minaccia di licenziare metà personale per un solo affare saltato. Vuole davvero licenziare delle persone a caso solo per soddisfare il suo bisogno di rivalsa. Come se a lui, poi, servissero davvero quei soldi. A volte mi chiedo come faccia a dormire la notte. Sarà una guerra. » 

Una guerra che lei non aveva voglia di combattere, ma che non poteva ignorare. Nell'utlimo mese la società aveva perso due importanti gare d'appalto su cui Caleb aveva puntato gli occhi ed ora lui dava di matto minacciando di licenziare metà personale, dato che la colpa, ovviamente, doveva essere degli incompetenti, scansafatiche che lui manteneva. Così aveva indetto una riunione del consiglio che, secondo Kirsten, doveva servire per procedere con i licenziamenti in blocco e lei  non poteva lasciare che il padre commettesse un'ingiustizia simile. Si parlava di persone, padri e madri di famiglia che si sarebbero trovati senza un lavoro solo perché lui si era alzato col piede sbagliato. Il Newport Group aveva bisogno che lei, in quanto braccio destro del CEO, fosse pronta a dare il cento per cento quella mattina. 
Il consiglio, infatti, era un organo di facciata: chi prendeva le decisioni era solo ed esclusivsmenre Caleb e se si metteva in testa una cosa, non c'era modo di fargli cambiare idea; Kirsten sapeva che solo lei poteva essere in grado di farlo ragionare e ci avrebbe provato con tutte le sue forze. Quindi no, non poteva restare a casa con Sandy, anche se voleva farlo con tutta se stessa; non poteva ignorare il fatto che il destino di nove persone era nelle sue mani.

Sandy, tutto questo, lo capiva e non poteva che essere orgoglioso di aver sposato una donna così buona ed empatica, pronta a rinunciare a qualcosa che per lei era importate a favore della felicità altrui. Si era innamorato di lei tanti anni prima anche per questo. Conosceva la storia di Kirsten e il mondo 
da cui arrivava, fatto di frivolezze e menefreghismo nei confronti del resto del mondo, ma sapeva anche che lei era diversa: non le importavano stupide feste, ristoranti di lusso e macchine costose, a Kirsten bastavano un bel film (purché romantico), una pizza e qualche birra per passare una bella serata. Lei sapeva che  al di là di quella sfarzosa bolla in cui era cresciuta, c'era il mondo reale, un mondo che non sempre era giusto, ma che aveva tanto da offrire a chi sapeva cercare e lei voleva farlo, voleva scoprire cosa il mondo aveva in serbo per la sua vita. Sandy a volte rimenva stupito dalle cose che faceva e, ancora, a distanza di vent'anni lei aveva il potere di lasciarlo senza parole. 

Le sorrise, accarezzandole il viso con il dorso del pollice. « Ce la farai, vedrai. Nessuno meglio di te riesce a far cambiare idea a tuo padre. D'altronde si fida solo di te e del tuo intuito, sono certo che ti darà retta » le disse, fiducioso. « E stasera ti porto a cena fuori per festeggiare il successo. » 

Kirsten si lasciò trasportare dal sorriso fiero del marito e lo ricambiò, passandogli una mano tra i capelli sempre un po’ ribelli. 

« Ci vorrebbe proprio. Mi sembra quasi di non avere più tempo per noi » ammise e la sua voce si fece dolce, appena udibile. Chiuse gli occhi pregustando già la serata che l'aspettava e gli portò una mano dietro la nuca, lasciando che le proprie dita scivolassero tra i suoi capelli. Gli sorrise ancora, avvicinandosi piano al suo viso per baciarlo. Le labbra di Sandy sapevano di caffè appena fatto.

« È un appuntamento, signora Cohen? » scherzò lui, rispondendo al bacio e facendola ridere. 

Kirsten annuì. « È un appuntamento, signor Cohen. »

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Capitolo 3
*** Vuoi ballare? ***



Ambientato durante un momento non ben precisato della seconda parte della prima stagione 



Vuoi ballare?


Quella sera il Club ospitava l’asta annuale di beneficenza di Newport, ovvero l'evento più atteso dal gruppo delle pettegole , le quali non vedevano l’ora di partecipare per mettersi in mostra, farsi fotografare e flirtare con qualsiasi maschio sotto i quaranta presente in sala. Erano agghindate per l'occasione, ovviamente: abiti corti e scollature vertiginose che lasciavano campo libero su quello stormo di seni rifatti. Allo stesso modo, l’ala del locale che ospitava l’evento era stata allestita seguendo esattamente lo sfarzo che piaceva al jet-set di Newport. 

Vedendo quello scenario pacchiano e raccapricciante, Kirsten non poté che pensare a quanto fosse ipocrita tutta quella serata: serviva davvero una festa da centinaia di migliaia di dollari per staccare un assegno e devolverlo a qualche associazione?

 Il primo impulso della donna fu quello di voltarsi e condividere il pensiero col marito, certa che anche lui stava pensando lo stesso , ma quando si voltò di lato si ricordò che Sandy non era lì con lei quella sera. 

Chissà dov'era, che faceva, se la pensava.

Kirsten sapeva che Sandy odiava le feste di Newport, che fossero sfilate, galà, manifestazioni, non importava: lui detestava l'ipocrisia, la frivolezza e la superficialità; niente riusciva ad infastidirlo più di un ricco che si fingeva interessato ai problemi reali per ammazzare la noia.

« Vivono tutti in una bolla di sapone, devono augurarsi che il loro mondo non incontri mai la punta affilata di quello reale. Rischierebbero di farsi male. » Lo ripeteva sempre, ogni volta che si ritrovava in giacca e cravatta, seduto ad un tavolo a guardare Newport fare dei tovaglioli stonati l'ennesimo dramma.

Eppure Sandy continuava ad inghiottire il rospo e partecipare, sforzandosi di divertirsi e di far divertire Kirsten. 
Era lei il motivo per cui si trascinava a quegli inutili parties, perché capiva quanto sua moglie ci tenesse ad averlo lì al proprio fianco.

Kirsten questo lo sapeva bene. 
Sapeva che Newport era un boccone amaro che Sandy mandava giù solo perché l'amava e lei non sapeva dirgli quanto gli fosse grata per essere sempre il marito eccezionale che era.

Quella sera, però, lui non era al suo fianco. 
Non c'erano battute sussurrate di nascosto all'orecchio per prendere in giro qualche cinquantenne con il seno da ventenne; niente baci rubati,  balli abbracciati al centro della pista; niente di niente. 

Era sola.

Lei contro Orange County, senza Sandy che le faceva scudo dalle malelingue delle pettegole, dagli sguardi languidi di qualche marito annoiato, da tutto quel mondo ovattato che la soffocava.

Tutto perché quella mattina avevano discusso.

Per cosa? Nemmeno se lo ricordava più. 

Si era scordato una cena? Aveva dato a Seth il permesso di fare qualcosa che lei gli aveva negato? Era forse per Rachel?

Non importava, perché Sandy in quel momento le mancava più di quanto l’avesse fatta arrabbiare. 


Lo voleva lì con lei, sentire le sue braccia strette attorno alla vita, la sua risata che le solleticava la pelle e la sua voce che, mentre le parlava, riusciva a farle dimenticare dove fossero.  

Era incredibile pensare che senza la presenza di Sandy, Kirsten non riusciva a sopportare Newport. Quella città era casa sua, il padre ne aveva costruito la maggior parte e lei era cresciuta tra quelle strade, con quelle persone, che ora vedeva passeggiare per tutta la sala; eppure niente di tutto ciò la faceva sentire a proprio agio. La verità era che quel luogo continuava a ricordarle come sarebbe stata la sua vita, come sarebbe stata lei, se un giorno di tanti anni prima non fosse inciampata in Sandy Cohen, che teneva in mano una spilla e sul viso un sorriso bonario.  E quello che vedeva non le piaceva.

« Kiiiki! Che bello, sei venuta! » Una voce alle sue spalle la fece trasalire, riportandola alla realtà. Era Julie Cooper, accompagnata dalla regina delle pettegole, Veronica Townsend, entrambe vestite in nero, come gli uccelli del malaugurio. 

Oh no! – pensò Kirsten, desiderando con tutta se stessa di scappare. 

Qualcuno mi salvi, continuava a ripetere tra sé e sé, mentre, sorridendo nella loro direzione, le guardava avvicinarsi a lei. 

« Non vedo Sandy, che fine ha fatto? » chiese Veronica, dando una rapida occhiata in giro. 

Giù le mani da mio marito, troietta - avrebbe voluto risponderle Kirsten, ma si trattenne, limitandosi ad un secco: « Non è riuscito a venire. » 

Non è voluto venire... Perché non dici la verità, eh Kiki? Codarda. - si ammonì, tra sé e sé. 

« Da quando Sandy Cohen rinuncia a fare un po’ di beneficenza? Aver adottato un trovatello gli ha fatto cambiare idea sull'aiutare il prossimo? » intervenne Julie, in tono sarcastico. 
Kirsten alzò gli occhi al cielo, incurante che le due donne potessero cogliere il senso di fastidio che provocavano in lei. 

« Tutto il contrario, Julie. Conosci Sandy, lui preferisce la vera beneficenza. Ed ora, se volete scusarmi, andrei a cercare i miei figli. » Emfatizzò l'ultima parola per chiarire il concetto: nessuno insulta la sua famiglia e Ryan è parte di essa. Il tono irritato con cui aveva parlato lasciò alle due donne poca possibilità di replica, così si limitarono a fissarla mentre si allontanava nel suo elegante abito rosso. 

Intanto l’asta stava per cominciare e dal palco si invitavano i partecipanti a prendere posto al tavolo. Kirsten, però, non aveva ancora trovato i ragazzi: forse nemmeno loro erano lì. 
in fondo, tale padre, tali figli, si disse. 

L’asta iniziò con un colpo di martelletto e subito arrivarono i primi oggetti e le prime offerte; ci fu un susseguirsi incessante di mani alzate e rilanci per qualsiasi cosa venisse mostrata, che fosse un vaso o un paio di scarpe non sembrava fare differenza. Bastava comprare.
Si arrivò alla battuta finale dopo quasi due ore e mezza di asta; era stato venduto tutto e la cifra raggiunta era da capogiro, come ogni anno.

Peccato che la metà torni nelle tasche della gente seduta a quei tavoli - si disse Kirsten.

Dopo aver ringraziato tutti, colui che si era incaricato di condurre l’evento diede il via libera ai festeggiamenti post-serata. Venne servita la cena, il bar riprese a preparare cocktail, i camerieri ripresero a girovagare armati di calici di champagne e riniziò a suonare anche l’orchestra da sala. 

Kirsten si prese una pausa da tutta quella confusione. Essere rimasta seduta per così tanto tempo le aveva intorpidito le gambe e voleva sgranchirsi un po’, così lasciò la grande sala e si diresse sul terrazzo,  el quale, appoggiata alla ringhiera, poteva ammirare il mare di Newport avvolto nell’oscurità della notte. 
Alle spalle sentiva il calore degli enormi lampadari che illuminavano di intense luci gialle la sala da ballo, la musica che faceva da sottofondo alle chiacchiere e alle risate dei presenti, ma la sua mente era del tutto rapita dalle increspature dell'acqua che si potevano ammirare in lontananza. 
Sandy avrebbe amato quanto lei quell'immagine.

Lui e il mare avevano un rapporto profondo, di cui, a volte, Kirsten era gelosa. 

Da quando lo conosceva, era stata rara la volta che non si fosse alzato all'alba per andare a fare surf. 

« È rilassante immergersi nella quiete di una spiaggia semi-deserta, con il sole chi si affaccia sul mondo e le onde che si alzano per salutarlo. E quando ho finito, il mare si porta via ogni preoccupazione con cui ero arrivato. » 

Sandy glielo aveva rivelato una mattina di tanti anni prima, quando ancora erano a Berkeley, distesi tra le lenzuola raggrinzire del letto di lei, uno abbracciato all'altra e con nessuna intenzione di lasciarsi andare.

Sì, è tempo di chiamarlo - si disse. Erano stati lontani fin troppo per i suoi gusti ed ora voleva sentirlo, sapere che aveva fatto tutto il giorno, cosa aveva mangiato, se era andato a giocare a golf... Voleva farsi raccontare ogni cosa, nel dettaglio, per sentirlo parlare, per fargli sapere che le mancava da morire e che non voleva più litigare con lui, perché era estenuante stargli lontano. 

Ma a quanto pare, Kirsten non era l'unica ad aver avuto quell'idea; infatti, prima ancora che potesse prendere il cellulare in mano per chiamare il marito, si sentì avvolgere nella giacca di un completo nero. 

Era lui.

Voltandosi, Kirsten trovò Sandy che le sorrideva un po' colpevole, mentre le portava le braccia attorno alla vita. 

« Hey » mormorò lei, abbozzando un sorriso incerto, talmente dolce agli occhi dell'uomo che lo indusse istintivamente a mordersi il labbro inferiore, proprio come un ragazzino. 

« Hey » le rispose, con lo stesso tono di voce. 

Rimasero a guardarsi per qualche secondo, persi l'uno negli occhi dell'altra.
Il mondo intorno a loro parve sparire e i rumori affievolirsi per non disturbarli.

Si erano mancati.

Tanto.

E non c'era bisogno di dirlo ad alta voce, entrambi lo sapevano, lo leggevano, nello sguardo dell'altro, nella stretta di quell'abbraccio. 

Sandy la teneva vicino a sé con entrambe le braccia allacciare con decisione alla sua schiena, mentre il viso di Kirsten restava nascosto contro il suo petto. Nessuno dei due voleva muoversi o allontanarsi. 

« Vuoi ballare? » le chiese lui, sussurrandoglielo con le labbra e il naso tra i suoi lunghi capelli biondi. Lei si mosse piano, rimanendo ben salda tra le braccia del marito, e cercando di incontrare i suoi occhi.

« Da tutta la sera » gli rispose, allungandosi verso il suo viso. 

Sandy fece lo stesso, andandole incontro e lasciando che le loro labbra si incontrassero a metà strada. Sentì i palmi delle mani di Kirsten poggiarsi sulle proprie guance, facendo pressione per attirarlo ancora di più a lei. 

« Non sai quanto mi sei mancato » gli bisbigliò, vicino alla bocca, mentre riprendeva fiato. Le loro fronti premute una contro l'altra e gli occhi chiusi. 

Lui le ricatturò il viso, stavolta senza aspettare per approfondire il bacio. Le labbra di Kirsten si schiusero appena sentirono la punta della lingua di Sandy farsi strada tra di loro, lasciandola libera di incontrare la sua. Insieme iniziarono una lunga danza, che vent'anni di pratica avevano reso perfetta. 

Sandy si allontanò dopo qualche secondo, facendole scappare un gemito misto di piacere e frustrazione. 

« Pace fatta? » la stuzzicò con un sorriso beffardo dipinto sul viso. 

Lei rispose al sorriso, annuendo e afferrandogli la cravatta con una mano per attirarlo di nuovo a sé e riprendere il bacio da dove Sandy lo aveva interrotto. 

Pace fatta, decisamente - si disse Kirsten, portandogli entrambe le braccia al collo per far aderire meglio i loro corpi. 

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Capitolo 4
*** Un giorno di pioggia ***


Quel giorno Newport era stata colpita da uno dei temporali più violenti degli ultimi anni, tanto che già dalle prime luci dell’alba tutte le radio e i telegiornali annunciavano l’allerta meteo che aveva messo in scacco la città. I locali erano tutti chiusi e così anche le strade: muoversi o spostarsi sembravano azioni impossibili da compiere; era impressionante la facilità con cui po’ d’acqua fosse in grado fermare un’intera città. 
Kirsten e Sandy, quel giorno, erano entrambi a casa, non potendo andare a lavoro, e così anche i ragazzi, che si erano rinchiusi a giocare ai videogiochi nella casetta in piscina. Fuori dalle finestre il rumore della pioggia che cadeva violenta al suolo ricordava quella di una mitragliatrice e proprio come una scarica di proiettili, tutta quell’acqua avrebbe avuto un effetto devastante su Newport.
« Hai visto che macello? » chiese Sandy, spostando la tenda della cucina. « Non pioveva così da anni. » 
Kirsten alzò gli occhi dal giornale ma non disse nulla, erano le dieci del mattino ed era ancora in vestaglia. Non succedeva mai, neanche quando aveva il giorno libero, la domenica o quando stava male… Era proprio il tempo di quella giornata a stancarla, a metterla di cattivo umore. Sbuffò osservando il cielo grigio. « Speriamo passi presto » commentò, riportando gli occhi sulle notizie del giorno. Sandy comprese che quell’improvviso turbamento della moglie non poteva dipendere solo dalla pioggia:  solo un’altra volta Newport era stata blindata per il maltempo, l’anno prima, proprio quando stavano attraversando uno dei momenti più difficili del loro matrimonio. La presenza di Rebecca in quei mesi li aveva profondamente allontanati e Kirsten aveva iniziato a bere tanto, troppo. Non doveva essere facile per lei vedere ripresentarsi lo stesso scenario di quel periodo. Intanto fuori dalla finestra il cielo continuava a minacciare di far danni. Sandy si avvicinò alla moglie posandole un amorevole bacio sulla testa. « I ragazzi sono di là » la rassicurò, « Stanno bene e hanno spazzato via la colazione. Perché non mangi qualcosa anche tu? » le chiese, ma lei insistette sul fatto di non avere fame. In effetti, i rumori, i colori spenti e quell’aria umida non facevano altro che ricordarle quel sabato dell’anno passato; tutte le brutte sensazioni, la paura di veder finire il proprio matrimonio, il ricordo di Sandy e Rebecca in quel motel, il modo in cui quell’immagine la faceva sentire, tutto quello, continuava a tormentarle il cervello e non aveva voglia di parlare, di mangiare o di fare qualsiasi altra cosa. Voleva solo che quel tempaccio finisse e finalmente tornasse il sereno fuori, e in lei. Kirsten, però, avrebbe dovuto aspettarsi che Sandy Cohen non si sarebbe dato per vinto tanto facilmente, in fondo, lo aveva sposato anche per questo. Lo vide tornare alla carica neanche una mezz'oretta dopo, armato di uno dei film che entrambi odiavano di più. « Te lo ricordi? » le chiese, sventolando il DVD di Pioggia di Ricordi
« Dio, no! » esclamò lei, vedendolo. « Portalo lontano da me. Lo vedo ancora nei miei incubi peggiori. » 
Sandy rise: condivideva lo stesso pensiero. « Seth ci avrà costretto a guardarlo un milione di volte » osservò, esilarato.
« All’anno » aggiunse Kirsten. « Ne andava pazzo e lo conosceva a memoria, ma continuava a volerlo riguardare ancora e ancora. Ma perché lo hai ritirato fuori? » 
Sandy fece spallucce e con aria colpevole spiegò che forse era giunto il momento di prendersi una rivincita sul figlio e fargli scontare tutti gli anni di tortura a cui li aveva costretti. « Ci sono anche Summer e Taylor nella casetta in piscina. Vediamo se a loro piacerà come a Seth. Sarà molto, molto imbarazzante. » Alla fine, testardo com’era, le aveva strappato un sorriso, allontanando così i brutti pensieri che le stavano inquinando la mente in quelle ore. Certo, forse Seth non lo avrebbe mai perdonato, ma era un rischio che Sandy era disposto a correre per Kirsten, almeno questo pensò mentre inseriva il DVD. 
La giornata proseguì serena: la famiglia Cohen riunita sul divano a punzecchiare il povero Seth che inutilmente cercava di spiegare la bellezza e la profondità di Pioggia di Ricordi, o forse cercava solo di giustificare il fatto che stesse piangendo come un bambino. Sandy portò il braccio attorno alle spalle di Kirsten e la strinse a sé. La sera dell’ultimo temporale le aveva giurato che nulla sarebbe riuscito a tenerlo lontano da lei ed era una delle poche cose di cui era certo. In quel momento, guardandola ridere, guardando i ragazzi così sereni, non sarebbe voluto essere da nessun’altra parte, se non lì a godersi quella giornata di pace, tutti assieme.

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Capitolo 5
*** Casa ***


Il terremoto aveva devastato la loro casa e da allora la famiglia Cohen si era trasferita da July Cooper, nell’abitazione del dottor Roberts. Kirsten aveva sperato fino all’ultimo che il perito le dicesse che i danni non fossero così gravi e che in breve tempo si sarebbero potuti sistemare; ma non fu così. La ristrutturazione costava più del valore dell’immobile, quindi si sarebbe dovuta cercare un’altra casa, perché la sua era persa per sempre. Sandy sapeva quanto questo la facesse star male, glielo vedeva dipinto negli occhi ogni volta in cui visitando l‘ennesima villa mozzafiato, questa lasciava la moglie completamente impassibile. Ormai erano mesi che vedevano più il loro agente immobiliare che i figli, e Kirsten era stanca di non trovare quello che stava cercando; a Newport tutte le case erano uguali, ma nessuna era come la sua. Nessuna conservava i ricordi dell’infanzia di Seth, le cene in famiglia, l’arrivo di Ryan. Quelle case erano tutte vuote, e prima si sarebbe rassegnata all’idea che volente o nolente avrebbe dovuto comprarne una, prima quella tortura sarebbe finita. Così quella mattina, davanti all’ennesima casa-perfetta – secondo l’opinione dell’agente – Kirsten decise di firmare il contratto d’acquisto, lasciando alquanto incredulo il marito. 
« Sei sicura? » le chiese Sandy, prendendola da parte. Lei lo guardò scoraggiata e scosse il capo « No » ammise « Ma il parto è vicino e io sono stanca di girare per le zone residenziali tutti i giorni. »
« Troveremo quella giusta » la rassicurò Sandy cingendole le spalle « Non rinunciamo. »
« Sandy, ti rendi conto che le ha costruite la società di mio padre queste case? Sono tutte così. Tutte belle, per carità, ma - » Kirsten si zittì per un attimo, guardandosi intorno. « Ma, cosa? » insistette Sandy. 
« Ma sono tutte asettiche, fredde. Voglio rimettere i vestiti nel mio armadio e far nascere mia figlia con un tetto sulla testa, prendiamo questa e via. Ci abitueremo col tempo. » Sandy era conscio del fatto che alla fine sua moglie si sarebbe pentita di quella scelta, lei non era una che si abituava alle cose, e avrebbe finito con l’odiare quella casa, così si oppose all’acquisto. Ora doveva fare i conti con una Kirsten furiosa e in preda agli ormoni, ma era comunque meglio di doverla poi vedere per il resto della loro vita infelice in una casa che non sentiva sua.
In quel momento entrambi ignoravano il fatto che il destino, abituato a giocare strane partite, aveva assunto i panni dei loro due figli diretti a Berkeley per riacquistare la casa in cui era nato Seth. 
Solo quando ultimarono il trasloco, diverse settimane dopo, Kirsten realizzò che Sandy aveva ragione quando le aveva detto che non valeva la pena rinunciare a trovare la loro casa. « Non stai scegliendo un paio di scarpe, qui parliamo di dover far crescere nostra figlia, del luogo in cui conserverà tutti i suoi ricordi. Non è sbagliato pretendere di sentirsi a casa, Kirsten, e devi avere pazienza se vuoi che la ricerca ci porti a qualcosa di buono. Non possiamo comprare il primo ammasso di mattoni come se fosse una cosa da niente, solo perché così sarebbe più rapido… Casa nostra è importante, non gettiamo la spugna fingendo che non sia così. » Ora Kirsten si guardava intorno e respirava aria di casa, rivedeva quegli angoli in cui si nascondeva Seth per non andare dal dottore, le pareti che avrebbe voluto ritinteggiare per seguire qualche strana tendenza degli anni ‘80… Si guardava intorno e si sentiva bene, protetta. Lasciò perdere gli scatoloni e andò a cercare Sandy, trovandolo al piano di sopra, con in braccio Sophie Rose; la stava cullando dolcemente, cercando di farla addormentare, ma la piccola non sembrava avere alcuna intenzione di dormire. Kirsten rimase a guardarli senza dire niente. Sandy guardava Sophi proprio come vent’anni prima guardava Seth, con lo stesso amore e lo stesso entusiasmo. La bimba era ancora troppo piccola per capirlo, ma era davvero una figlia fortunata ad avere un padre come lui. Così come lo era stata Kirsten, nel sposarlo. Dopo tutti quegli anni, il loro matrimonio era ancora pieno d’amore, vivo, e rendeva la lavora di entrambi più semplice e completa. Era il super-potere di Sandy riuscire sempre a fare la cosa migliore per la loro famiglia, anche quando Kirsten non sembrava capirlo. Era successo con Ryan, con la ricerca della casa… Succedeva sempre. Aveva sposato un uomo capace di renderla sinceramente felice. E lì, ancora ferma sull’uscio della porta, ad osservare suo marito, Kirsten aveva la certezza di aver trovato davvero il suo Sandy Cohen1.



1: si riferisce all’episodio della quarta stagione in cui Summer chiede consiglio a Kirsten per capire se Seth è davvero l’amore della propria vita. Quando Kirsten le racconta la storia che aveva vissuto con Jimmy e poi com’era iniziata quella con Sandy, Summer usa i nomi dei due uomini per indicare: col primo un amore che sembra quello vero, ma che in realtà non lo è; con il secondo, l’unico grande amore della vita. In un dialogo dello stesso episodio, infatti, Seth chiede a Kirsten “Mamma, perché Summer si chiede se io sia il suo Jimmy Cooper o il suo Sandy Cohen?”. 


 

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Capitolo 6
*** Guardami, papà! ***


Era domenica, questo significava che Sandy Cohen poteva dimenticarsi del lavoro per ventiquattro ore e dedicarsi solo ed esclusivamente alla cosa che amava di più al mondo: la sua famiglia. Quella mattina, fortunatamente, il sole splendeva alto e le temperature ricordavano quelle tipiche di Newport, tirava un piacevole venticello fresco che impediva al caldo di diventare insopportabile. Osservando il panorama fuori dalla finestra, Sandy, ancora in pigiama, non poté fare a meno di pensare che quella fosse proprio una bella giornata. Dalla cucina, intanto, arrivava un’intenso profumo di caffè appena fatto, accompagnato dalle voci di Kirsten e Sophi che discutevano vivamente di qualcosa. La piccola, di appena otto anni, sembrava furiosa. 

« Perché quel muso imbronciato? » chiese Sandy mentre entrava in cucina. Sophi non emise un fiato, mentre puntava gli occhi sulla sua tazza di latte caldo. Fu Kirsten, impegnata tra i fornelli, a spiegare al marito che succedeva: « Voleva provare ad andare in bici senza le rotelle, visto che i suoi compagnetti lo fanno già. Ci ha provato ieri sera con Ryan, ma continuava a cadere ed ora si rifiuta di riprovare. » I due genitori si scambiarono uno sguardo d’intesa. « Ho capito » disse allora Sandy, mente rivolgendosi alla piccola aggiunse: « E perché non vuoi riprovare? » Questa assunse un’espressione rabbiosa e, incrociando le braccia, contestò con un sonoro: « A che serve? Tanto non ci riesco. » 
Sandy si chinò a baciarle i lunghi capelli biondi. Quel broncio lo inteneriva profondamente e gli ricordava lo stesso che metteva su Kirsten quando non riusciva ad ottenere ciò che voleva. Sophi era una versione in miniatura della madre e Sandy lo aveva sempre pensato, fin dal primo momento in cui la tenne tra le braccia. Si piegò sulle ginocchia, mettendosi ora alla stessa altezza della bambina, le sorrise dolcemente e le disse: « Se non ci provi non puoi saperlo. »
« Ma ci ho già provato » ribattè lei, trattenendo le lacrime. Era anche testarda come la madre. Sandy assunse un tono più serio, ma sempre gentile e paterno. « Una sola volta. Quello non è provare. È troppo facile pretendere che tutto ti venga bene al primo colpo.  Non funziona così. » La risposta non piacque a Sophi che si alzò indispettita, trascinando la sedia sul pavimento, per poi scappare via brontolando qualcosa che risultò incomprensibile alle orecchie del padre. Sandy rise e, voltandosi verso Kirsten, commentò scherzando: « Chissà da chi avrà preso quel caratterino? » 
« Da Seth, probabilmente. » rispose lei, facendo spallucce.
« E Seth lo ha preso da te » continuò Sandy, cingendole la vita con entrambe le braccia. « Mi stai dando della testarda? » Kirsten assottigliò gli occhi e accennò un sorrisetto indispettito, scuotendo la testa. Quell’espressione continuò a divertire Sandy, che annuì colpevole. « E anche della perfezionista » aggiunse guardando la moglie alzare un sopracciglio in segno di sfida. « Oh, avanti, tesoro non fare quella faccia. Lo sai che ho ragione. Ti ricordi al college? Tenesti il broncio per una settimana intera dopo l’esame di… Cos’è che era? » 
« Storia dell’architettura » rispose lei, ancora palesemente irritata dal ricordo. 
« Eri furiosa, in confronto Sophi è un innocuo orsacchiotto di peluche. » Sandy ricordava ancora gli occhi furenti di rabbia con cui l’aveva vista uscire fuori dall’aula, quel giorno ebbe paura persino lui di dirle qualcosa di sbagliato perché avrebbe potuto ucciderlo, irritata com’era.
« Vorrei vedere! » protestò Kirsten « Quell’esame mi costò la media e tutto perché al professore non piacque una mia risposta, per altro giusta. » A ripensarci le veniva ancora il nervoso. Si ricordava benissimo com’era andato il colloquio e, a distanza di oltre trent’anni, quel voto le sembrava del tutto ingiusto. Sandy glielo poté leggere in faccia e non riuscì a trattenersi dallo scoppiare a ridere nuovamente. Sembrava proprio Sophi . « Che hai da ridere? » contestò, ancora una volta, Kirsten mentre lo colpiva alla spalla, ma Sandy non riusciva a smettere: l’immagine della moglie che impuntava i piedi e incrociava le braccia intenta a raccontrgli l’esame era qualcosa che non avrebbe mai cancellato dalla memoria. « Ci vollero le mie  carte migliori per farti passare quel broncio » affermò con un sorriso soddisfatto, avvicinandosi per baciarle il collo e aggiungendo, poi, con tono provocatorio: « E se non sbaglio mi riuscii molto bene. » Kirsten rispose al sorriso di rimando, intenta a sistemargli con le dita qualche ciuffo ribelle che gli cadeva sugli occhi « Già » ammise, « E anche con Seth ti riuscì piuttosto bene. Ti ricordi quei pattini verdi che gli regalò tua madre per Natale? » Il volto di Sandy si contrasse in una smorfia di stupore, aveva rimosso l’immagine del figlio con quei pattini e rivederla davanti agli occhi gli scaldò il cuore. « Ci vollero dei giorni interi solo per insegnargli a stare in equilibrio. Che anno era? » chiese, riportando lo sguardo sulla moglie. Kirsten ci dovette pensare per qualche secondo ma poi concluse: « Il ‘95, mi pare. Era così piccolo e non si separava mai da quegli aggeggi infernali, neanche a casa. Graffiò tutto il parquet dell’andito. »
« Fu una vera impresa riuscire a convincerlo a rimettere quei pattini dopo la caduta in piscina » commentò Sandy ridendo sotto i baffi, per poi proseguire con un po’ di aria nostalgica: « Ma ne valse la pena. Era così felice mentre sfrecciava da una parte all’altra. » Sembrava impossibile che quel bambino di cui ora lui e la moglie parlavano fosse lo stesso ragazzo che avevano accompagnato all’altare con Summer Roberts meno di tre anni prima. Seth era cresciuto così velocemente che a Sandy parve quasi di essersi perso qualcosa del figlio, quando aveva smesso di essere il pargoletto impaurito che si appoggiava al padre per qualsiasi cosa? Nel pensarci gli occhi dell’uomo si velarono di una dolce malinconia. Com’era volato il tempo. 
Kirsten continuava a guardare il marito, ora un po’ commosso, lo conosceva abbastanza bene da poter leggere dentro quello sguardo distratto tutta la nostalgia che quei ricordi gli provocavano. Non riuscì a trattenersi dal catturargli le labbra ancora una volta mentre gli accarezzava il viso. Sandy non si ritrasse e rispose al bacio, prendendo la moglie in braccio per metterla a sedere sull’isola della cucina. Quella mossa la colse di sorpresa e le strappò un gridolino. 

« Sai » disse Kirsten, allontanando il proprio viso di quel poco che bastava per guardare il marito negli occhi. « Penso proprio che anche Sophi adesso abbia bisogno di un intervento alla Sandy Cohen. Perché non vi prendete un pomeriggio solo tu e lei? Farebbe bene ad entrambi passare un po’ di tempo insieme. » 
« Un pomeriggio solo padre e figlia, eh? » ripeté Sandy, sorridendole. « Mi sembra un’ottima idea. »

(...) 

Quel pomeriggio Sandy seguì il consiglio di Kirsten portando Sophi al parco vicino a casa. Passavano lì la maggior parte del loro tempo insieme perché la bimba amava quel piccolo parcogiochi e, spesso, era perfino difficile convincerla che fosse ora di tornare a casa. Da quel punto di vista Sophi era completamente diversa da Seth, quando lui aveva l’età della sorellina cercare di farlo uscire di casa era un’impresa impossibile. Lui e i suoi videogiochi erano inseparabili… pensò Sandy, intanto che aiutava Sophi ad allacciare il casco. « Sei pronta? » le chiese, dandole una pacca sul guscio di plastica. Lei annuì, ridendo, mentre montava in sella alla sua bici rosa e bianca, si site se ai manubri e cercò di mettersi comoda. « Non mi lasciare, okay? » disse, subito dopo, rivolta verso il papà. 
« Okay » rispose lui, dolcemente. 

Ci volle un po’ perché Sophi acquisisse sicurezza e stabilità nel pedalare, ma dopo diversi tentativi e qualche rovinosa caduta che sia lei che il padre avrebbero omesso di raccontare a Kirsten, Sandy poté vedere la propria bambina andare spedita da un punto all’altro dello sterrato completamente sola. Anche Sophi cresceva a vista d’occhio ed ogni giorno aveva sempre meno bisogno del papà, sarebbe diventata grande e, forse, Sandy non avrebbe fatto nemmeno in tempo ad accorgersene; un giorno sarebbe uscita dalla porta di casa per andare al college, pronta ad affrontare il mondo e lui non avrebbe più potuto proteggerla come stava facendo in quel momento. 

« Guardami papà » gli stava gridando lei mentre pedalava decisa verso di lui « Ci riesco da sola! » Era al settimo cielo e aveva stampato in faccia un enorme sorriso soddisfatto che Sandy si augurava potesse accompagnarla per tutta la vita. 
« Sei bravissima! » le rispose, ricambiando lo stesso sorriso orgoglioso. 

Era proprio vero che non avrebbe potuto difenderla per sempre dalle delusioni che la vità aveva in serbo per lei, ma questo non significava che lui comunque non ci avrebbe provato. Sarebbe stato sempre lì, per la sua Sophi, pronto a sorreggerla finché non fosse stata pronta a camminare da sola. In fondo, esserci è l’unica cosa che un padre può fare per i propri figli, Sandy lo sapeva bene, e proprio per questo ci sarebbe sempre stato per i suoi tre ragazzi; Seth, Ryan e Sophi avrebbero sempre potuto contare sul loro papà e non avrebbero mai dovuto dubitarne. 

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