Horror Vacui

di RaidenCold
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 144 ***
Capitolo 2: *** 89 ***
Capitolo 3: *** 55 ***
Capitolo 4: *** 34 ***
Capitolo 5: *** 21 ***
Capitolo 6: *** 13 ***
Capitolo 7: *** 8 ***
Capitolo 8: *** 5 ***
Capitolo 9: *** 3 ***
Capitolo 10: *** 2 ***
Capitolo 11: *** 1 ***
Capitolo 12: *** 1 ***



Capitolo 1
*** 144 ***


Roventi colline sconfinate a perdita d’occhio, e arbusti mediterranei sospinti talvolta dalle correnti giunte dal mare: Ramiel non aveva impiegato molto a comprendere la ripetitività del paesaggio ellenico.

Kaila spense l’automobile e si rivolse al figlioletto sul sedile accanto:

“Siamo arrivati.”

Ramiel prese quell’enorme borsone, a momenti più grande di lui, e smontò dalla vettura: si trovò dinnanzi ad un varco tra due alture, in cui era impossibile vedere cosa vi fosse oltre.

“Andiamo amore.” - lo esortò Kaila accarezzandogli la folta chioma argentea.

Ramiel scosse il capo timidamente e strinse la valigia, per poi incamminarsi al seguito della madre.

“Altolà!” - tuonò una voce cavernosa tra le pareti di roccia - “State entrando nel sacro territorio del Grande Tempio di Atene.”

Ramiel si pietrificò intimorito, terrorizzato nell’immaginarsi chissà quale orco mostruoso si nascondesse in quella buia gola, ma bastò un sorriso della genitrice a tranquillizzarlo:
“Kaila è il mio nome, e vengo su invito del Gran Sacerdote.”

La presentazione della donna echeggiò per la strettoia fino a disperdersi in un silenzio che perdurò alcuni lunghi istanti, che vennero infine interrotti dalla voce tra le rocce:
“Potete passare.”

Attraversando il varco, Ramiel vide guardando in alto come tra le varie fessure brulicassero alcune fosche figure che non riusciva bene a mettere a fuoco, ma che avrebbe giurato indossassero strani abiti con placche di cuoio ed elmi di ferro, completamente diversi da quelli che aveva sempre visto vivendo in città.

Dopo aver camminato per un po’, Ramiel si ritrovò accecato dalla luce del sole appena ebbe messo piede fuori da quel corridoio ombroso.

Dinnanzi a lui, si stagliava un paesaggio che pareva uscito da un tempo lontano e immemore: un’ampia vallata cinta da monti rocciosi, colma di capanne di pietra e scintillanti templi marmorei.

Ovunque persone vestite come quelle nella gola, intente a svolgere ogni genere di attività proveniente dai tempi antichi, dal tagliare la legna al forgiare armi di ferro, il tutto rigorosamente svolto a mano in piccole botteghe dai camini fumanti.

Ramiel osservava il tutto stupefatto: per lui era come tuffarsi nelle illustrazioni dei libri sulla mitologia greca che tanto amava leggere.

D’un tratto, mentre si scrutava attorno estasiato si accorse che un paio di grandi occhi celesti lo scrutavano attentamente: ad osservarlo era una bambina minuta vestita di bianco, il cui aspetto era in parte celato dalla penombra di alcune colonne marmoree del palazzo in cui si trovava.

Il tempo di un battito di ciglia, e Ramiel la perse di vista, come fosse stato una sorta di fantasma che non era mai stato lì.

 

Dopo aver attraversato per un bel po’ la vallata, Ramiel venne condotto da sua madre dinnanzi ad un colle imponente, sul cui declivio vi era una lunga scalinata serpentina fino alla cima, interrotta regolarmente da alcuni piccoli tempietti.

 

“Vi porgo i miei saluti, nobile Kaila.”

Sulla gradinata che conduceva al primo palazzetto vi si trovava genuflesso un giovane dal viso delicato, con una lunga e setosa chioma d’un tenue colore rosato, raccolta all’altezza della schiena da un fiocco sottile. Ma la cosa di certo più appariscente, era ciò che l’uomo indossava: un’armatura completamente d’oro che brillava splendente in ogni punto, anche senza che il sole vi ci si infrangesse.

“Alzati ti prego.” - lo esortò dolcemente Kaila.

“Dunque è lui…?” - commentò pacatamente il ragazzo indicando con un cenno Ramiel.

“Sì, mio figlio.” - e a quel punto la donna si rivolse al piccolo - “Coraggio Ramy, salutalo, è un amico della mamma.”

“Ciao…” - si presentò timidamente Ramiel, facendo ben attenzione a rimanere nascosto dietro la madre - “Io mi chiamo Ramiel, ho sette anni…”

L’uomo con l’armatura d’oro si avvicinò e si abbassò sorridendo:

“Piacere di conoscerti Ramiel, io mi chiamo Mur.”

Dettò ciò si alzò e si rivolse nuovamente a Kaila :
“Il Grande Sacerdote non è nei suoi alloggi al momento, se vuoi posso condurti da lui.”

Kaila sospirò allietata:
“Meno male, non avevo alcuna voglia di percorrere a piedi tutte le dodici case…”

 

 

Il sole cocente rendeva la giornata di per sé sufficientemente dura da sopportare, figurarsi il trascorrerla lottando in un’arena pietrosa senza il minimo accenno di ombra.

Tutti si erano adunati attorno a una figura d’aspetto minuto, il cui volto era coperto da una maschera alabastrina ed inespressiva.

E mentre quella dozzina di giovani uomini annaspava coperta di sudore e polvere, colei che stava al centro appariva imperturbabile e neppure minimamente spostata; non un singolo capello della sua fluente chioma scarlatta pareva fuori posto.

D’un tratto i ragazzi, dopo un mutuale sguardo di assenso, caricarono tutti assieme urlando a squarciagola pronti a colpire con tutte le proprie forze: in pochi istanti, quasi senza rendersene conto, giacevano tutti a terra, senza che apparentemente la giovane mascherata si fosse mossa neppure di un passo.

 

“Basta così.” - sentenziò una voce imponente proveniente dalla tribuna più alta di quell’arena.

Apparteneva a una figura vestita con una lunga toga bianca, adornata da una stola color zaffiro pendente dalle spalle, e da varie collane ricche di pietre preziose; portava inoltre un copricapo dorato simile ad un elmo, sulla cui sommità vi era posto il simulacro di una viverna con le ali spiegate.

La giovane mascherata si mise in ginocchio, e così rapidamente tutti gli altri da lei appena affrontati scattarono per prostrarsi.

 

“Ormai è pronta per diventare un cavaliere d’oro, Saga.”

L’uomo con la toga si voltò e con sommo stupore vide giungere, assieme al cavaliere d’oro della prima casa, una figura dai corti capelli argentei, al cui seguito vi era un bimbo a lei incredibilmente somigliante.

“Grande Sacerdote.” - lo salutò Kaila con un lieve inchino del capo.

“E’ bello rivederti dopo tanto tempo; e lui dev’essere tuo figlio Ramiel…”

Il Grande Sacerdote scrutò con occhio austero Ramiel, che si sentì parecchio intimorito dal suo sguardo.

Infine l’uomo si sfilò il copricapo, sciogliendo una fluente chioma cerulea, e rivelando un viso armonioso e gentile:

“Ti somiglia in maniera impressionante; ma dimmi, hai lasciato Natalia a casa?”

“Sì, non me la sentivo di farle fare un viaggio così lungo e l’ho lasciata da alcuni amici.”

“Capisco… e in lei non hai percepito alcun risveglio?”

Kaila scosse il capo:
“No, e avrei preferito che non vi fosse stato neppure in lui…”

“Comprendo quel che provi, ma è impossibile non avvertire la vastità del suo cosmo, se lo ignorassimo in futuro potrebbero esserci conseguenze per tutto il santuario del Grande Tempio.”

“Lascia che si addestri” - intervenne Mur - “garantirò io per la sua incolumità.”

Kaila si fece scura in viso ed abbassò lo sguardo in silenzio, ma poi, vedendo che di riflesso Ramiel appariva tremulo e spaventato, si avvicinò al figlio e gli sorrise dolcemente:
“Adesso devo andare, ma sta tranquillo, tornerò a trovarti appena potrò.”

Qualsiasi altro bambino sarebbe scoppiato a piangere a dirotto in una situazione del genere, ma a Ramiel, nonostante le lacrime pronte a sgorgare, era bastato guardare i profondi occhi ebano di sua madre per sentirsi tranquillo e pronto ad affrontare ogni sfida.

Così, Kaila abbracciò e baciò il figlioletto un’ultima volta, ed infine si voltò e, accompagnata dal cavaliere d’oro, fece per tornare alla gola da cui erano giunti.

Saga pose le proprie mani sulle spalle di Ramiel, il quale in silenzio osservava la genitrice andarsene, e poco prima che potesse perderla di vista, lei si voltò e gli lanciò un ultimo amorevole sorriso.

“Vieni.” - lo esortò il Grande Sacerdote, al ché Ramiel prese il proprio borsone e lo seguì.

 

 

Nel frattempo Kaila, entrata nel varco roccioso, ed accertatasi che il suo piccolo non potesse vederla, mutò il proprio sorriso e scoppiò in lacrime, dilaniata da un incolmabile senso di colpa.

 

 

“C’è una persona che vorrei presentarti Ramiel.” - disse Saga mentre accompagnava il giovinetto dietro l’arena, all’ombra di alcuni alberi sempreverdi; là vide, intenta a rinfrescarsi presso un ruscello che sgorgava tra le rocce, la ragazzina dell’arena, la quale a differenza di poco prima non indossava la propria maschera, e Ramiel notò una somiglianza inequivocabile tra lei ed il Sacerdote, nonostante il colore contrastante delle loro chiome, rispettivamente blu violaceo e rosso acceso.

Vedendo giungere i due, la giovane d’istinto fece per prendere la maschera, ma Saga le fece cenno di non disturbarsi, e lei si limitò a inchinarsi:
“Saluti, nobile Grande Sacerdote.” - disse lei colma di riverenza.

L’uomo le fece cenno di alzarsi, e poi si rivolse al bambino:
“Lei è mia figlia, Zenovia, ha tre anni più di te.”

Ramiel guardò entrambi confuso.

“So cosa stai pensando, ma vedi, non sono quel tipo di sacerdote… e in ogni caso, Zenovia è nata prima della mia investitura, ovvero quando ancora ero un cavaliere di Atena.

E a tal proposito, immagino che tua madre ti abbia parlato di ciò…”

Ramiel rispose scuotendo il capo con assenso.

“E riguardo al cosmo?”

“Anche: dice che è quell’energia che sento dentro di me, e che le altre persone però non avvertono…”

“Ottimo, dunque sai per quale motivo ti trovi qui, giusto?”

“Io… devo diventare un cavaliere…”

A quel punto Saga si inginocchiò davanti a lui e lo guardò dritto negli occhi:
“Ciò che più conta è: tu vuoi diventare un cavaliere?”

Ramiel non rispose, limitandosi ad abbassare lo sguardo ammutolito.

“Immagino tu sia pieno di dubbi, e anche spaventato, ma ti assicuro che sei una persona molto speciale, e che sei destinato a grandi gesta. Sono sicuro che col tempo, troverai le risposte da te.

Zenovia...”

“Sì, padre?”

“Vorrei che tu gli dessi i precetti fondamentali della cavalleria; te la senti?”

“Certamente.” - accettò lei senza alcuna esitazione.

“Sai vero” - si rivolse nuovamente al piccolo - “da dove prendono forza i Cavalieri di Atena, Ramiel?”

“Dalle costellazioni…?”
“Proprio così, e sai che cos’è lo Zodiaco?”

“Più o meno…”

“Per noi lo Zodiaco rappresenta il gruppo di costellazioni più importante, tanto che delle tre caste di cavalieri, bronzo, argento, e oro, sono proprio questi ultimi ad appartenere alle dodici costellazioni zodiacali. Mur, che hai conosciuto poc’anzi, è cavaliere d’oro dell’Ariete, ed occupa il primo palazzo dello Zodiaco; io appartengo alla costellazione dei Gemelli, ma ora che sono Grande Sacerdote ho rinunciato al mio titolo e Zenovia si sta addestrando per ottenere l’armatura d’oro di Gemini. Quanto a te, sai già a quale ruolo sei destinato?”

“Sì: io devo diventare il Leone.”

Saga annuì e si alzò in piedi:

“Benissimo allora, possiamo iniziare.”

Nonostante si mostrasse soddisfatto, Saga rimaneva dubbioso per via dell’elusività delle risposte di Ramiel: le sue risposte erano incentrate sul dovere, ma non accennavano minimamente al volere.

Fin da subito Ramiel si fece conoscere per l’enigmaticità del suo carattere.




 

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Capitolo 2
*** 89 ***


Ramiel si ritrovò sbalzato dall’altra parte del bosco; si rialzò, vide l’erba rossa e tastandosi la fronte notò che stava sanguinando.

 

“Alzati.”

La voce di Zenovia risuonò imperiosa attraverso la maschera, e poco dopo emerse dagli alberi in tutta la sua possanza.

“S-sto sanguinando…” - uggiolò tremulo Ramiel.

“Lo farai spesso se non allenerai il tuo corpo adeguatamente.”

Zenovia scattò e fece per colpirlo, fermando il colpo all’ultimo momento: constatò che Ramiel, pietrificato dalla paura, non avrebbe reagito in alcun modo.

“Basta così: è più di un mese che sei qui ormai.” - sentenziò alterata - “Non ho tempo da perdere con un bamboccio piagnucoloso.”

A quel punto la ragazza si voltò dall’altra pare e se ne andò, lasciando solo Ramiel a piangere rannicchiato a terra.

Gli mancava la sua famiglia e voleva disperatamente tornare a casa, ma sapeva che sua madre credeva in lui e non voleva assolutamente deluderla.

Inspirò ed asciugandosi le lacrime si rimise lentamente in piedi.

Si guardò intorno, in cerca della sua severa maestra, ma con sommo stupore, l’unica cosa che trovò in mezzo agli alberi, fu un paio di iridi cerulee che aveva già avuto modo di vedere:

pian piano fece per avvicinarsi stupito a quella bimba che, all’ombra delle fronde, impassibile lo osservava con gli occhi sgranati.

“Ciao…” - la salutò timidamente, senza ottenere alcuna risposta.

“Stai sanguinando.” - commentò la bambina senza apparire minimamente turbata.

“Sì.” - inspirò Ramiel cercando di trattenere nuovamente le lacrime.

“Hai bisogno di aiuto?”

“Sì…”

A quel punto la bambina si avvicinò senza troppa fretta, rivelando per bene il suo aspetto: indossava un abito bianco simile a una tunica con maniche decisamente troppo lunghe portate all’altezza della punta delle dita, e aveva i capelli di un tenue color lavanda portati in una specie di caschetto un po’ mosso.

“Io mi chiamo Ramiel.”

Sapeva che una presentazione ne esigeva un’altra in risposta, ma non ottenendone alcuna, proseguì.

“Ti ho vista qualche tempo fa, sai?”

“Sì.”

“Vivi anche tu qui?”

“Sì.”

A quel punto la bambina invitò Ramiel a sedersi su una roccia, dopodiché impose la mano all’altezza della testa.

“Come ti chiami?”

“Non ho un nome.”

Ramiel strabuzzò gli occhi confuso:
“Come sarebbe a dire? Tutti hanno un nome…”

“Io no, sono solo un’ombra.”

“Un’ombra?”

“Sì: nulla di quel che vedi in me è qualcosa di mio, per questo non posseggo neppure un nome.”

In quel momento, Ramiel percepì un piacevole tepore sopra le tempie, dove si era tagliato cadendo, presso lo stesso punto su cui la bambina aveva avvicinato la propria mano: in pochi istanti non solo non sentì più alcun dolore, ma toccandosi constatò come la ferita si fosse chiusa guarendo completamente.

“Ma come hai…?”

“Il mio cosmo.”

“Non sapevo che un cosmo potesse fare queste cose…”

“Il mio è … particolare.”

“Sei qui anche tu per diventare un Cavaliere?”

“Non proprio.”

Ramiel si rialzò come nuovo e la bambina fece per allontanarsi:
“Aspetta…!”

La piccola si arrestò:
“Sì?”

“Grazie…”

“Prego.” - rispose lei senza emozioni facendo nuovamente per andarsene.

“A-aspetta!”

La piccola si arrestò nuovamente.

“Sì?”

“Che ne dici se, per sdebitarmi ti do un nome?”

Lo guardò senza dire nulla per alcuni istanti, infine rispose:

“Per me va bene: come vuoi chiamarmi?”

Ramiel si trovò del tutto impreparato dinnanzi a quella domanda, sebbene la richiesta provenisse proprio da lui stesso:

“Ehm… te lo dico la prossima volta che ci vediamo, ok?”

La bambina fece un cenno di assenso, e prima di congedarsi definitivamente tra gli alberi, lanciò un piccolo e quasi impercettibile sorriso a Ramiel, il quale scordò in quel brevissimo istante tutti i propri affanni.

 

Zenovia camminava per il sentiero, stringendo i pugni ed inspirando spazientita.

 

“Che brutta cera.”

 

Alzò lo sguardo, e dinnanzi a sé notò una figura vestita d’oro che se ne stava a braccia conserte appoggiata su di una parete rocciosa:

“Hai combinato qualche marachella, ragazzina?” - la sfotté il giovane cavaliere dalla chioma violacea.

“No, non è successo niente…” - rispose lei nel modo più pacato che il suo umore le potesse consentire di fare in quel momento.

“Dal grugno che hai non si direbbe; problemi col novellino?”

“Con tutto il rispetto, Milo, come puoi sapere che faccia abbia sotto questa maschera?.”

“Accidenti, ti sei proprio alzata col piede sbagliato” - ridacchiò il cavaliere - “serve una mano?”

“Ti ringrazio, ma devo farcela da sola, non posso deludere…”

“Tuo padre?” - la incalzò il cavaliere.

“… tutti.” - sentenziò Zenovia seccamente.

A quel punto Milo sciolse le braccia e posò una mano sulla spalla della giovane:
“A parte gli scherzi, forse stai prendendo la faccenda dal verso sbagliato.”

“Dici?”

“E’ un mio pensiero; non dico che tu debba essere più comprensiva con quel bambino, nessuno ha mai detto che sia facile diventare cavaliere, però chiediti cosa vuoi fare.”

“Cosa… voglio fare?”

“Sì insomma, hai accettato di addestrarlo perché vuoi dimostrare di essere forte o perché vuoi che lui sia forte?”

Zenovia piegò il capo e posò lo sguardo a terra:
“Forse temo… temo di non aver capito quale sia il mio compito.”

Milo le diede una pacca sulla spalla:
“Su, adesso prendi un respiro e torna dal tuo allievo: avrete molto lavoro da fare!”

“Ti ringrazio, e perdonami se sono stata sgradevole.”

Il cavaliere d’oro la salutò con la mano di sfuggita, mentre si allontanava, dopodiché scomparve dietro la curva del sentiero;

a quel punto Zenovia si fece coraggio, e decise di tornare sui propri passi.

 

 

Nei mesi successivi Zenovia riservò a Ramiel un allenamento intenso e massacrante, ma evitò di accanirsi su di lui e cercò a sua volta di conoscere i limiti dell’allievo: grazie alle parole di Milo, aveva compreso che il primo passo per il miglioramento, era capire da dove poter iniziare.

Marce, flessioni, piegamenti, combattimenti: Zenovia vedeva dove poteva arrivare Ramiel, e quest’ultimo un po’ alla volta cresceva senza rendersene conto.

Ma nonostante la grande determinazione, Ramiel restava pur sempre un bambino di sette anni ed un giorno senza una particolare ragione, logorato dalla stanchezza fisica e psicologica, sentì crollare su di sé i lunghi mesi passati lontano da casa.

 

“Si può sapere che cos’hai oggi?” - lo rimproverò Zenovia, senza ottenere risposta.

“Guardami mentre ti parlo!”

Ramiel alzò lo sguardo, mostrando gli occhi lucidi e il naso gocciolante.

“Che diavolo hai da piagnucolare?”

I modi di Zenovia non erano dettati dalla cattiveria, bensì dall’attitudine: aveva un carattere decisamente rigido, e quando il suo obiettivo, in quel caso l’addestramento, veniva sbarrato da un ostacolo di qualunque genere, finiva per irritarsi facilmente nel tentativo di riportare tutto sotto il proprio controllo.

Dal canto suo Ramiel non aveva il coraggio di rispondere a quelle parole tanto austere che il suo desiderio era quello di riabbracciare la mamma e la sorellina, temendo di essere visto dall’insegnante come un debole vigliacco.

Nonostante le paure del piccolo fossero piuttosto fondate, ironicamente Zenovia avrebbe preferito che le avesse detto cosa gli passasse per la testa: quando chiedeva cosa stesse accadendo lo faceva perché voleva davvero risolvere un problema.

Purtroppo, il carattere rigido della prima ed il senso di smarrimento dell’altro non facevano altro che alimentare le incomprensioni tra i due.

“Allora?” - chiese lei nel tentativo di farlo parlare, ottenendo il risultato esattamente opposto.

Ramiel scoppiò a piangere: lei lo detestava.

Non sopportava l’idea di dover aver a ché fare con un frignone con cui fosse impossibile comunicare, e nonostante stesse dando fondo a tutto il proprio autocontrollo, non trovava modo di uscire da quella situazione: andare a consolarlo era fuori questione, ma sgridarlo senza neanche sapere di preciso il perché non avrebbe certo migliorato la situazione.

“Va bene, resta qui un secondo.”

Zenovia corse via, assecondando l’unica assurda idea che l’era venuta in mente in quel momento.

Tra un singhiozzo e l’altro Ramiel la vide andarsene, e sentendosi abbandonato il suo pianto divenne ancora più inconsolabile.

 

Dopo alcuni minuti passati nella più totale tristezza, Ramiel, mentre se ne stava con la testa rannicchiata tra le gambe, si sentì accarezzare dolcemente:
“Ma guarda qui cosa abbiamo…”

Un tocco morbido e una voce delicata come il miele: per un istante avrebbe giurato che li accanto a lui vi fosse sua madre.

Quando tuttavia alzò lo sguardo vide di fronte a sé una giovane ragazza dalla lunga chioma verde chiaro, probabilmente della stessa età di Zenovia, ma dal fisico meno filiforme; il particolare del look della ragazza che più colpì Ramiel, era il fatto che sopra la tenuta da addestramento indossasse una felpa nera munita di cappuccio, decisamente fuori luogo in quel contesto.

“Che succede piccolo, Zenovia ti ha sgridato?” - gli chiese sedendosi accanto a lui, continuando ad accarezzarlo.

“N-non devo parlare con le persone sconosciute.”

“Hai ragione, in tal caso mi presento: il mio nome è Ria, e mi sto allenando per diventare un cavaliere; tu invece sei Ramiel, giusto?”

“S-sì…”

“Su, non prendertela, conosco Zenovia, e so che a volte può essere dura, ma non è cattiva…”

“Ma non… non sto piangendo per quello…”

“Oh, per cosa dunque?”

“Ecco…” - esitò per un istante, poi inspirò e singhiozzò disperato - “mi manca tanto la mia mamma… e anche la mia sorellina…”

Ria fece un’espressione di stupore, poi sorrise e lo abbracciò dolcemente:

“Piccolo Ramiel, ma è naturale che tu abbia nostalgia di casa… perché non l’hai detto alla tua maestra?”

“P-perché lei vuole che io sia forte e io non voglio che si arrabbi con me…”

“Ma no, vedrai che non si arrabbierà se ci parli.”

“Tu dici?”
“Ne sono certa; su adesso finisci di sfogarti per bene, e se quella cattivona ti fa piangere vieni pure da me.”

Ria si alzò e mentre se ne andava Ramiel la guardò con gli occhi lucidi ma sorridendo estasiato: non aveva conosciuto nessuno così dolce e premuroso, forse nemmeno sua madre, e per la prima volta da quando era giunto al Grande Tempio, si era sentito un po’ a casa.

 

“E tu sei contenta adesso?” - sorrise Ria a Zenovia, che da lontano aveva assistito a tutta la scena nascosta tra gli alberi senza dire nulla.

“Ti ringrazio, non so proprio come avrei potuto fare se non mi avessi aiutata.”

“Posso aiutarti ogni volta che lo desideri, però potrei anche fare di meglio.”

“Sentiamo.”

“Magari potrei mostrarti come essere meno severa nei confronti di quel povero cucciolo…”

Zenovia sbuffò ruotando gli occhi in alto:
“Adesso non esagerare ti prego, aveva solo bisogno di calmarsi un po’.”

“Aveva bisogno di coccole: è pur sempre un bambino.”

“Deve diventare un cavaliere.”

“Anche noi abbiamo bisogno di coccole ogni tanto.” - sorrise Ria facendole l’occhiolino per poi passare oltre.

Più che l’uscita di scena della ragazza, a turbare Zenovia in verità era stato l’apprendere che il suo allievo si sentisse intimorito dal parlare liberamente in sua presenza: certo si era sempre imposta in modo autoritario, ma non aveva mai messo alcun paletto alla libertà di espressione di Ramiel, ed anzi ne gradiva l’educazione ed il fatto che non parlasse mai a sproposito.

Si rese però conto di non aver mai mostrato in alcun modo di apprezzare quelle sue caratteristiche.

 

Zenovia ritornò sul campo di addestramento, dove Ramiel se ne stava seduto immobile intento a scrutare il vuoto.

A quel punto la ragazza chiese una cosa che fece rabbrividire il suo smisurato orgoglio, verso cui in quel momento provava un enorme disprezzo per il modo in cui l’aveva fatta apparire:
“Va tutto bene?”

Ramiel sollevò il capo e la guardò, dopodiché rispose con voce pacata e monocorde:
“Sì.”

La reazione ottenuta non era quella che si aspettava:

Ramiel non disse altro, limitandosi a rimettersi in piedi e a fissare il vuoto con sguardo imperturbabilmente gelido.

Eppure l’aveva visto sorridere fino a un momento prima, quando era ancora con Ria; quel repentino cambio di umore sembrava legato al suo arrivo.

In quel momento Zenovia realizzò con grande amarezza che un seme d’odio da lei stessa piantato in Ramiel stava iniziando a germogliare.

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Capitolo 3
*** 55 ***


L’arena brulicava di persone, quasi tutto il santuario era giunto per assistere all’evento, e nonostante il sole fosse diventato insopportabilmente scottante già dalle prime ore del mattino, una piacevole brezza donava un po’ di respiro ai presenti.

Al centro dell’arena vi erano soltanto due persone, entrambe, con maschera e tenuta d’addestramento.

Dinnanzi alle due, Saga nelle vesti di Grande Sacerdote, sollevò in aria uno scettro e lo impose sopra due scatole dorate frapposte tra loro
“Ria, Zenovia, vi siete affrontate tra di voi come prova finale per la vostra investitura, e avete bruciato il vostro cosmo dimostrando di poter raggiungere il settimo senso, caratteristica principe tra tutte le prerogative per essere un cavaliere d’oro, ma ricordate: non dovrete mai combattere per motivi personali, ed il vostro pugno si solleverà soltanto qualora vi sia da difendere i più deboli, o per affrontare i nemici della giustizia.

Detto ciò, in quanto Grande Sacerdote della Dea Atena, vi nomino rispettivamente cavalieri dell’Acquario e dei Gemelli; potete disfarvi delle vostre maschere.”

 

Le ragazze si genuflessero rendendo grazie e, a quel punto, le scatole si aprirono, ed in un turbine di luce dorata le armature si posarono sui loro corpi: inginocchiatesi sacerdotesse, le due si rialzarono cavalieri d’oro, e tutti i presenti si infervorarono.

 

Per cercare riparo dalla calura e dalla folla congratulante, Zenovia era sgusciata sul retro dell’arena, al riparo sotto alcuni alberi.

Si sfilò la maschera, ancora emozionata per il proprio traguardo, e prese a fissare l’oggetto con cui aveva celato per anni il suo viso al mondo, contemplandone la freddezza e la pallida lucentezza.

 

“Ti dona quell’armatura.”

Incuriosita alzò lo sguardo e con grande sorpresa si trovò davanti l’ultima persona al mondo che immaginava di vedere in quel momento:
“Un giorno ne indosserai una anche tu, Ramiel.” - rispose senza emozioni, tornando a scrutare la propria maschera.

“Sì.” - rispose monocorde Ramiel.

“Immagino ti sia già congratulato con il nuovo Aquarius.”

“Naturalmente.”

“Ora mancano solo due cavalieri d’oro, dopodiché saremo tutti e dodici…”

“C’è un altro ruolo vacante oltre al mio?”
“Sì, quello della nona casa, il Sagittario.”

“Anche lui è…”

“No, è sopravvissuto alla battaglia dei Campi Elisi, ma ha subito una ferita che lo ha debilitato a tal punto da non riuscire a poter più bruciare il suo cosmo; è un grand’uomo, ti consiglio di andare a parlarci, vive qua vicino, poco fuori Rodorio. ”

“Come si chiama?”
“Aiolos.”

“Capisco.” - concluse Ramiel per poi congedarsi senza aggiungere altro.

 

 

Rientrando al suo alloggio, Ramiel vide seduta su una roccia lungo il sentiero, una figura a lui familiare:

“Ciao.” - la salutò senza nascondere un lieve stupore.

“Oh, sei tu, aspirante cavaliere…” - rispose la giovane dagli occhi azzurri

“E’ passato più di un anno dall’ultima volta che ti ho vista.”

“Alla fine?”

Ramiel fece un’espressione interrogativa, colto di sorpresa da quella domanda.

“Hai pensato ad un nome?”

“Ah…” - sospirò cadendo dalle nubi - “Sì, certo.”

“Sentiamo.”

“Che ne pensi di Alexis?”

“Alexis…” - bisbigliò la bambina assaporando la parola tra le labbra, come se stesse cercando di capire che sapore avesse.

“Come mai questo nome?”

“Non lo so di preciso, mi piaceva.”

A quel punto, con sommo stupore di Ramiel, per la prima volta la bambina sorrise candidamente:
“Mi piace.”

“Ne sono felice.” - rispose Ramiel abbozzando un mezzo sorriso.

“Vai da qualche parte?”

“Sì, passavo un attimo al mio alloggio prima di andare in un posto.”

“Vai a trovare qualcuno?”
“Un ex cavaliere d’oro.”

“Immagino tu stia andando da Aiolos.”

“Sì.”

“Posso condurti da lui se ti va.”

“Se per te non è un problema…”

“Affatto” - disse voltandosi - “Seguimi.”

 

Giunsero nei pressi di una campagna, dinnanzi a una casetta di pietra dall’aspetto un po’ rustico ma accogliente.

Arrivato davanti alla soglia Ramiel rimase paralizzato per alcuni istanti: la sua timidezza quasi patologica non era certo di aiuto in situazioni del genere, e nonostante avesse imparato a spaccare macigni a mani nude e a muoversi alla velocità del suono, una porta chiusa rappresentava per lui uno degli ostacoli più insormontabili.

Si voltò, cercando in Alexis il coraggio che lui non riusciva a trovare, ma con suo sommo sconcerto constatò che la bambina si era volatilizzata senza lasciare alcuna traccia.

Era rimasto da solo dinnanzi all’ignoto.

 

Infine, appellandosi a tutta la propria temerarietà, sollevò le falangi e le avvolse attorno al batacchio, preparandosi a percuotere il nefasto varco.

E mentre ogni centimetro del suo corpo teso si preparava all’impresa, una voce alle sue spalle per poco non lo fece sobbalzare dallo spavento:
“Posso aiutarti?”

Tremulo e con gli occhi sbarrati Ramiel si voltò, trovandosi davanti un uomo slanciato con una chioma di un biondo scuro, quasi castano: indossava abiti semplici e dai colori chiari, e nonostante quel look sembrasse indietro di cinquant’anni, rimaneva comunque uno dei più moderni che avesse visto da quelle parti.

“I-io sto…”

L’uomo lo guardò perplesso, e Ramiel fuggì il suo sguardo abbassando gli occhi; in quel momento notò che al posto del braccio destro vi era una protesi almeno fino all’altezza del gomito.

“Tu mi ricordi qualcuno…” - disse l’uomo stringendo gli occhi incuriosito - “Come ti chiami?”

“R-Ramiel…”

Udendo quel nome parve illuminarsi:
“Ma certo, tu sei figlio di Kaila! Vero?”

“Sì.”

“Io sono Aiolos” - si presentò porgendogli la mano buona - “perdonami se ti offro la sinistra, ma come vedi dall’altra parte c’è… solo legno.”

“Piacere signore.”

“Ti va di entrare? Non ho molto, ma nel frigo dovrei avere ancora un po’ di limonata.”

Ramiel fece un cenno di assenso e lo seguì.

 

“Dunque giovane Ramiel, ti stai addestrando per essere un cavaliere?” - domandò porgendogli una tazza.

“Sì.” - rispose accettandola timidamente.

“Rilassati, non ti mangio mica.” - ridacchiò Aiolos per poi sedersi su una poltroncina di fronte a quella dov’era Ramiel - “Ma dimmi, vuoi diventare un cavaliere d’oro come tua madre?”

A quel punto Ramiel sgranò gli occhi colpito:
“Non mi dirai che non te l’ha mai detto…”

Senza levarsi l’espressione di stupore dal viso Ramiel scosse il capo in segno di negazione.

“Ma pensa te che stranezza… in ogni caso, immagino che tu stia tentando di assumere il ruolo di cavaliere del Leone, esattamente come lei, giusto?”

“S-sì… ma quindi l’armatura che dovrò indossare, prima era della mamma?”

“No a dire il vero tua madre era la proprietaria prima del precedente cavaliere.”

“Il… precedente cavaliere?”

Aiolos indicò con un cenno una foto incorniciata sopra un mobile accanto a loro, e Ramiel lo vide nell’immagine visibilmente più giovane abbracciato ad un ragazzino a lui molto somigliante ma con una chioma più chiara.

“Era il mio fratellino, Aiolia; ora non c’è più.”

“Mi dispiace…”

“Sai, tua madre ci ha addestrati entrambi, o meglio, prima è stata mia compagna d’addestramento, poi io l’ho aiutata a fare di Aiolia un cavaliere

: se non fosse stato per lei non saremmo mai stati in grado affrontare quella battaglia…”

 

“La… battaglia dei Campi Elisi?”

“Sì.” - rispose Aiolos seccamente, facendo intuire al bambino che non volesse approfondire il discorso.

Da quando era giunto al Santuario, Ramiel aveva incontrato più di un veterano tra i cavalieri d’oro che avevano preso parte a quelle spaventosa battaglia avvenuta poco prima che nascesse, otto anni addietro; eppure nessuno dei superstiti da lui incontrati aveva avuto il coraggio di raccontargli quanto accaduto quel giorno.

“Ad ogni modo” - riprese parola Aiolos - “prima ho visto che stavi per bussare alla mia porta: avevi bisogno di qualcosa?”

“Uhm, sì: la mia maestra Zenovia mi ha consigliato di venire da te a parlarti.”

“Quindi tu sei il suo allievo…” - sogghignò l’uomo - “Non poteva toccarti insegnante migliore: sai, stamattina c’ero anch’io alla cerimonia, e devo dire che non pensavo che a undici anni raggiungesse un tale potere, è straordinario anche per un cavaliere d’oro. D’altronde, buon sangue non mente…”

“Già, è davvero forte…” - commentò Ramiel cercando di non smorzare l’entusiasmo del suo interlocutore.

“Tuttavia te lo vedo scritto in faccia.” - lo incalzò Aiolos.

“Che cosa?”

“Che non è facile aver a che fare con lei; però vedrai, anche questo servirà a renderti un cavaliere più forte!”

“Immagino che sia così.”

“Comunque ascoltami: non dimenticare mai che stai diventando un cavaliere non solo per te stesso, ma anche per proteggere gli altri che ti stanno attorno. Inoltre devi percepire il cosmo in ogni cosa, lascia che entri in te, come un flusso, e connettiti col resto del mondo attraverso l’energia; e quando quella sensazione diventerà talmente intensa che dovrai far ardere tale energia, avrai raggiunto il settimo senso. Allora sarai tutt’uno col cosmo, e diverrai un cavaliere d’oro. Combatti senza paura e con tutto il tuo ardore, ma non dimenticare mai di far parte di questo universo, nemmeno mentre sollevi il tuo pugno; e se dovessi sentirti smarrito, ricorda che Atena ha scelto noi, persone nate sotto la protezione delle stelle, per risplendere anche nei momenti più oscuri di questa umanità.”

Udendo quelle parole Ramiel tacque sbalordito: l’uomo che aveva di fronte aveva una nobiltà d’animo incredibile che non aveva visto in nessun altro cavaliere da lui incontrato finora, neppure in Saga. In Aiolos c’era una virtù squisitamente umana che suscitava in Ramiel un incommensurabile senso di ammirazione, e capì perché Zenovia gli avesse consigliato di conoscerlo; di certo tale entusiasmo sarebbe accresciuto ulteriormente se avesse saputo che, molto probabilmente, se non fosse rimasto debilitato dalla battaglia nei Campi Elisi, sarebbe potuto benissimo diventare lui il

Grande Sacerdote.

“Ho detto qualcosa che ti ha turbato?” - domandò Aiolos lievemente impensierito dall’atteggiamento ammutolito del giovane.

“N-no,affatto, anzi, erano parole molto belle.”

Aiolos sorrise e gli diede una pacca sulla spalla:
“Ne sono lieto.”

“Ora” - disse Ramiel alzandosi - “credo che toglierò il disturbo.”

“Nessun disturbo, e se dovessi aver bisogno di fare altre chiacchierate come questa, non esitare a tornare.”

Ramiel sorrise facendo un cenno, ed infine si congedò guadagnando l’uscita.

Mentre lo osservava andarsene, Aiolos sorrise e scuoté il capo sorridendo: per lui era come aver appena fatto un tuffo nel passato.

 

 

Quattro anni dopo, giunse infine il momento per Ramiel di rivendicare il proprio ruolo di guerriero di Atena.

Egli ricordava bene il giorno in cui Zenovia era diventata un cavaliere d’oro, e quel mattino non poteva essere più diverso:

quasi a volerlo fare apposta per contrasto, il cielo era carico di fosche nubi roboanti, ma non accennava minimamente a piovere, nonostante l’afa opprimente.

Come quel lontano dì, Saga era sulla tribuna principale con in mano il suo scettro, e di fronte a sé il contenitore dell’armatura d’oro.

Accanto a Ramiel vi era un cavaliere d’oro dall’aspetto delicato, ma che aveva combattuto senza riserve nel duello per la sua investitura: il suo nome era Aphrodite, della costellazione dei Pesci, e tra tutti i cavalieri d’oro era di certo uno di quelli più difficili da avvicinare, per via di un carattere enigmatico che non lasciava mai trasparire le sue reali emozioni, opportunamente celate da sguardi taglienti e sorrisi sardonici.

“Ramiel, come ultima prova hai affrontato il qui presente cavaliere della dodicesima casa dimostrando il coraggio e la determinazione tipici della rinomata casta dei cavalieri d’oro; inoltre appare evidente la tua maestria nel bruciare il cosmo.

Pertanto, ti consegno i paramenti di Leo, e ti nomino custode del quinto palazzo dorato: ricorda sempre di combattere contro l’ingiustizia, e di difendere i più deboli dalla mano dei malvagi.”

 

Detto ciò Saga impose lo scettro ed una luce investì il ragazzo, il quale si trovò in un battito di ciglia con indosso l’armatura che gli era costata anni di sudore, sangue, e lacrime.

Per prima cosa Ramiel lanciò un’occhiata tra gli spalti, dove notò, tra la folla esultante, Aiolos sorridere soddisfatto e Ria applaudire giubilante.

 

A quel punto Saga si rivolse a tutti i presenti:
“Ed ora, in questo giorno di festa, desidero farvi un annuncio che sono certo riempirà i vostri cuori di una felicità incommensurabile: il momento è finalmente giunto.”

Saga alzò lo scettro e lo puntò dietro di sé, sulla tribuna più alta dell’arena, su cui, affiancata da Mur dell’Ariete, e da un altro nobile cavaliere suo parigrado dalla lunga chioma dorata, Shaka della Vergine, vi era una fanciulla vestita di bianco che Ramiel riconobbe immediatamente: nonostante non la vedesse da quattro anni, non aveva dubbi sul fatto che fosse Alexis.

“Abitanti del Grande Tempio” - parlò nuovamente Saga senza nascondere una certa emozione - “Atena ha infine deciso di rivelarsi a noi!”

A quel punto tutti i presenti si infervorarono fragorosamente ed intonarono canti di gioia in onore della dea reincarnata.

Aiutata dai due cavalieri d’oro, Atena prese a scendere le gradinate, e tutti si fecero da parte inginocchiandosi, per permetterle di passare.

Giunse infine dinnanzi a Ramiel ed al suo opponente, ed entrambi si prostrarono con rispetto dinnanzi a lei.

“Cavaliere di Leo” - gli si rivolse pacata e imperturbabile - “la tua luce sarà scintilla per il mondo.”

Pronunciate tali criptiche parole la dea si congedò dalla folla osannante; Ramiel osservò ammutolito quella figura eterea lasciare l’arena, ancora incredulo che la misteriosa Alexis fosse la dea Atena in persona.

 

 

“Dove stai andando?”

Ramiel si arrestò, stringendo le cinghie avvolte attorno al contenitore dell’armatura d’oro, che aveva caricato sulla schiena a mo’ di fardello.

Voltandosi, vide sul sentiero, illuminata dal chiarore di luna, la scintillante armatura dei gemelli; ma ancora più splendente era il diafano volto di Zenovia, i cui occhi cenerini lo scrutavano con la consueta aria di austerità.

“Te lo chiedo un’altra volta: dove intendi andare?”
“L’armatura è mia ora, non ho alcun obbligo di rimanere in Grecia se Atena o il Grande Sacerdote non mi convocano.”

“E con questa scusa pusillanime pensi di poter fare quel che ti pare? Hai degli obblighi che vanno al di là delle leggi, scritte e non: oggi Atena si è rivelata a noi, e te ne vai con tanta leggerezza?”

A quel punto Ramiel si voltò, mostrandosi decisamente accigliato:
“Sono stanco.”

“Siamo solo all’inizio.” - rispose duramente Zenovia avvicinandosi a lui e guardandolo dritto negli occhi ebano.

“Vuoi fermarmi con la forza?”

“Non intendo dare il via a una lotta dei mille giorni; e poi intraprendere battaglie personali è strettamente proibito ad un cavaliere di Atena.”

Un baleno solcò la mente di entrambi in quel preciso istante, come se le parole di Zenovia avessero scoperchiato qualcosa di profondamente nascosto.

“Dunque ammetti che fermarmi per te sarebbe una questione privata, e non un obbligo morale.” - la incalzò Ramiel.

“Tutto quel che faccio lo compio in virtù del mio dovere.” - rispose lei ergendosi come un nobile soldato pronto a partire per il fronte - “Tu invece sei solo un bambino.”

“Sono un cavaliere.”

“Pensi che quell’armatura di renda una persona matura?”

“Credevo che avrei dovuto imparare a esserlo per merito tuo.”

“A nulla sono valsi i miei insegnamenti da quanto vedo.”

“Tu non hai mai voluto addestrarmi per fare di me una persona migliore” - si alterò Ramiel - “lo hai soltanto fatto per pavoneggiarti!”

“Come osi…” - ringhiò Zenovia afferrandolo per la collottola della maglietta - “Tutto quello che sai lo hai imparato grazie a me, l’oggetto sulla tua schiena è tuo grazie a me… dovresti baciare la terra su cui cammino! Senza di me non saresti che un moccioso debole e stupido!”

Ramiel sorrise beffardo:
“Ecco qui la grande Zenovia, il cavaliere più umile e generoso del Grande Tempio.”

“Non ti permetto di giudicarmi!”

“Le mie parole ti feriscono?” - domandò con strafottenza.

“Le tue parole sono illazioni!” - rispose lei spingendolo via di forza e facendolo cadere dietro di sé.

Indignata, Zenovia non si avvicinò nemmeno per aiutarlo a rialzarsi.

“Cinque anni ho passato ad osservarti nell’animo.”

“E cos’hai visto?”

Ramiel osservò quel viso, così perfetto nonostante la collera del momento:

“L’angelo sul volto.”

Posò poi lo sguardo all’altezza del busto, dove attraverso l’armatura riusciva a percepire il suo battito agitato:

“Il demone nel cuore.”

Zenovia strinse i pugni e chinò il capo scura in viso:
“Addio, cavaliere di Leo.”

Ramiel le passò accanto andando oltre:
“Addio.”

 

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Capitolo 4
*** 34 ***


Ogni cosa era buia: neppure una stella nel cielo, né le luci di una città in lontananza.

E nel ventre di quelle tenebre così fitte, una figura ancor più tetra si destò risucchiando quanta più aria che potesse, come se fosse appena emerso dal fondo di un oceano.

A pochi passi da quell’entità indefinita che annaspava, una giovane donna dalla chioma canuta osservava il tutto immobile, ipnotizzata da quel vortice di bitume che sembrava inglobare ogni cosa.

Mentre il gorgo si espandeva, la figura che vi stava affogando all’interno sembrava volersi avvicinare a lei e disperato si dimenava emettendo grida incomprensibili, soffocate da fiotti di quella sostanza oscura che gli impastavano la bocca. E quando quell’essere riuscì infine a portarsi davanti a lei, fino a quasi toccarla, la giovane non arretrò: era terrorizzata, ma non riusciva a controllare il suo corpo.

Pensò di essere giunta alla fine dei propri giorni.

 

D’un tratto spalancò gli occhi, ed il putrido arto catramoso della figura si mutò all’istante in un braccio dalla pelle rosea, illuminata flebilmente dai pochi raggi di sole che penetravano attraverso le persiane.

“E’ tutto ok Talia?” - domandò Ramiel accarezzandole il viso delicatamente, senza tuttavia riuscire a nascondere il terrore nei propri occhi, come se avesse appena visto la morte in faccia.

“Ramy…” - inspirò mettendosi seduta nel letto - “… credo fosse solo un brutto sogno…”

A quel punto il suo occhio cadde sulla sveglia, e notò che erano da poco passate le cinque del mattino.

“Ti ho disturbato?”

“No, mi sono alzato da solo; sentivo come se qualcosa non andasse…”

Natalia abbracciò il gemello:
“Adesso va tutto bene, non preoccuparti fratellone.”

Detto ciò si distese nuovamente e si avvolse sotto il lenzuolo, al ché Ramiel fece per alzarsi e tornare al proprio letto.

“Aspetta…” - lo bloccò la ragazza - “Puoi dormire con me?”

Ramiel tornò indietro e si adagiò accanto a lei:
“Certamente; lo sai che non ti abbandonerò mai.”

Natalia chiuse gli occhi e sorrise, dopodiché abbracciò il fratello e si addormentò nuovamente.

 

 

Ciò che in quel momento ignoravano non solo loro, ma anche il resto del mondo, era che quello di Natalia non era stato solo un sogno: quella notte ebbe inizio la catena di eventi che avrebbe costretto il cavaliere del Leone a tornare al Santuario dopo sette anni.

 

233:

 

Ho lottato in ogni modo, fino alla fine, ma nonostante i miei sforzi, tutto sta diventando oscuro.

 

 

Per un istante, mentre si rigirava nel letto, Natalia aprì gli occhi, e di sfuggita vide una chioma canuta accanto a sé.

Dopo alcuni istanti però mise a fuoco la figura che aveva appena visto, e realizzato che non si trattasse di sua madre, incredula spalancò gli occhi:
“Ramy…!”

Il letto era vuoto: l’immagine del suo gemello era stata soltanto un sogno.

 

Il Black Bear era uno dei bar più vecchi della città, e nonostante fosse lontano dagli antichi fasti, era un locale del tutto rispettato, e piuttosto tranquillo al mattino presto: era accogliente, ben illuminato, con morbidi divanetti dove potersi sedere ai tavoli, e grandi finestre di vetro, su cui vi erano poste eleganti tende con decorazioni floreali per dare un senso di intimità ai clienti.

Natalia lavorava al computer frettolosamente, e non si era neanche accorta dell’arrivo del suo cappuccino:
“Natalia, se non lo bevi si raffredda…” - le si rivolse con un lieve accento inglese il barista nonché proprietario, un arzillo vecchietto paffuto, con la testa calva e tondeggiante, intento a pulire il bancone.

“Lo so, scusami, è che ho iniziato a scrivere un nuovo racconto, e sto per entrare nel vivo della storia!”

“Beh, cerca almeno di farlo a stomaco pieno.” - e detto questo le portò una brioche glassata.
“Oh Mick, la mia preferita…”
“Offre la casa.”
“Ma… !”
“Sta tranquilla, vedere una ragazza in gamba come te che lavora così sodo a qualcosa che ama è il pagamento che preferisco.”

Natalia smise di battere con le dita, e sorridendo ringraziò l’anziano:
“E’ davvero buonissima…” - disse addentandola, e un piccolo rivolo di crema uscì dal dolce e cadde sul piattino.

“Però non imparerai mai a mangiare a modo Natalia, lasciatelo dire!” - disse il vecchio Mick ridendosela, mentre la ragazza si limitò a continuare a mangiare la brioche imbarazzata.

D’un tratto l’uomo tirò fuori dal taschino della camicia i suoi occhialetti da vista, e strabuzzò incuriosito gli occhi fuori:
“Ma dimmi, di cosa parla questo tuo nuovo brano?”

“E’ la storia di un soldato che cerca di tornare a casa dopo la guerra, ma per qualche motivo inspiegabile non riesce a farlo e rimane bloccato sempre al punto di partenza.”

“Sembra una storia un po’ triste…”

“Sì lo so, però lui non smette mai di provarci, non ne vuole sapere di arrendersi.”

“E alla fine?”

Natalia si portò la mano sul mento e alzò lo sguardo perso al soffitto:
“Devo ancora decidere.”

In quel momento la porta del bar si aprì, e vi entrò

un ragazzo con una felpa nera con il cappuccio alzato e dei jeans attillati del medesimo colore.

Natalia non ci fece caso e ricominciò a scrivere, ma non appena il nuovo arrivato si abbassò il cappuccio, il vecchio Mick le scosse delicatamente la spalla:
“Natalia, forse è il caso che ti giri…”

La ragazza si voltò, ed incredula sgranò i suoi grandi occhi scuri, dinnanzi alla visione di quel viso delicato, quasi completamente identico al suo.

 

“Talia…” - la salutò Ramiel.

“Fratellone… pensavo fossi ad Atene, che ci fai qui?”

Ramiel si immerse in quelle iridi gemelle, dopodiché sospirando la abbracciò:

“Non ha importanza.”

Le disse dolcemente.

«Non ha importanza» - ripeté tra sé e sé - «poiché oggi morirò.»

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Capitolo 5
*** 21 ***


Le campagne delle terre fuori dal Grande Tempio non erano mai state fertili né lussureggianti, ma lo spettacolo che si diradava a perdita d’occhio fece gelare il sangue al cavaliere inviato per scoprire cosa stesse accadendo.

Lesto, il custode della decima casa rientrò più in fretta che poté per poter riferire l’esito del suo inquietante resoconto.

 

Come vide entrare quella donna dalla pelle scura, che reggeva tra le braccia un elmo munito di lunghe corna appuntite, Saga riconobbe all’istante il cavaliere del capricorno, una sua conoscenza di vecchia data: aveva i capelli neri raccolti in una coda all’altezza delle nuca, ed un paio di intensi occhi color nocciola che mettevano in risalto alcune lentiggini sul suo viso leggermente allungato.

“Dunque Areusa, che ne è del villaggio a ovest?”

“Nessuna traccia.” - rispose la donna senza mascherare la propria inquietudine.

“Come sarebbe a dire?” - domandò confuso Saga.

“Nulla, niente di niente: né persone, né animali, né cose.”

“Qualcosa deve pur essere rimasto.”

“Polvere, nient’altro che polvere; è come se una forza sconosciuta avesse inghiottito il villaggio e le zone adiacenti durante la notte: si tratta della medesima sorte capitata ai monti a sudest da qui un paio di mesi fa.”

“Va bene, invierò dei messi nei paesi vicini per sapere se qualcuno ha visto da lontano cosa sia successo.”

“Saga…” - aggiunse con voce profonda il cavaliere.

“Dimmi, Areusa.”

“Che sia il caso di convocare i cavalieri d’oro e di mettere il Santuario in allerta?”

“A tal punto ti ha terrorizzato ciò che hai visto?”

“C’era qualcosa in tutta quella desolazione che mi dà ancora i brividi lungo la schiena; la prima volta che ho osservato tanta desolazione, nei monti ad oriente, ancora non mi ero resa conto di quanto fosse angosciante, ma ora vi ci vedo qualcosa di… terribile.”

In quell’istante entrambi si rivolsero con lo sguardo ad Atena, che fino a quel momento era rimasta in disparte sul suo trono, ad ascoltare in silenzio.

“Mi fido del tuo istinto, Capricorno; Saga, convoca i cavalieri d’oro.”

 

Nonostante ritornare al Grande Tempio non fosse tra i suoi desideri, Ramiel aveva risposto quasi subito alla chiamata di Atena: erano passati sette anni dalla sua ultima visita, ma ancora si sentiva tremare all’idea di venire nuovamente strappato dalla sua casa, e sperava con tutto sé stesso che qualunque fosse la questione non avesse richiesto troppo tempo per essere svolta.

 

Prima di recarsi alle stanze sacerdotali, decise di passare brevemente in un luogo che nonostante tutto era rimasto dentro di lui: la collina silvestre presso cui si era allenato per cinque lunghi anni.

Nulla era cambiato e sul terreno, sulle rocce, e sopra alcuni tronchi erano rimaste le cicatrici dei colpi di energia che non era riuscito a controllare.

 

“O santo cielo…”

Udendo quella voce melodiosa Ramiel si voltò incredulo:
“Ramy, sei proprio tu?”

Vide davanti a sé una donna indossante una felpa nera col cappuccio alzato, e dei jeans scuri che ne accentuavano il fisico procace ed armonioso:

“Certo che sono io cucciolotto.” - ridacchiò la ragazza abbassandosi il cappuccio.

“Ria…” - constatò arrossendo imbarazzato.

L’ultima volta che l’aveva vista era poco più di una ragazzina, ed ora invece l’aveva ritrovata come una donna nel pieno del suo splendore; tuttavia, il sorriso smagliante non era cambiato, e rimaneva ancora una delle più belle visioni che ci fossero al mondo per lui.

L’imbarazzo aumentò ancor di più quando lei abbracciandolo premette il suo corpo su quello di Ramiel, che attraverso le vesti sentì la morbidezza delle sue forme generose celate dalla felpa.

“Mi sei mancato così tanto; ma guardati, sei un ometto ormai!”

“A-anche tu… sì insomma, non sei un ometto chiaramente… quello che voglio dire è…”

Ria scoppiò a ridere di gusto:
“Ehi piano, piano! Capisco che tu sia felice di vedermi, però adesso prendi un bel respiro e metti in ordine le idee.”

La persona che aveva davanti, era una delle poche ragioni per cui aveva accettato di tornare senza opporsi troppo: durante i duri anni dell’addestramento Ria lo aveva cullato dolcemente tra le sue braccia, ed aveva asciugato le sue lacrime nei momenti più bui.

“Certo che sei proprio una peste” - lo rimproverò la ragazza - “non sei mai venuto a trovarmi neppure una volta in tutti questi anni!”

“Io… ecco… però ti ho scritto.”

“Se avevi tutto quel tempo per chattare mi spieghi come mai non sei mai tornato?”

Ramiel chinò il capo contrito:

“Mi dispiace.”

“Sta tranquillo.” - lo tranquillizzò Ria accarezzandogli la guancia col dorso della mano - “L’importante è che ora tu sia qui.”

 

In quel momento un’altra giovane donna, senza saperne il perché, aveva avuto l’impulso di recarsi nel campo di Marte improvvisato dove aveva addestrato il suo allievo: quando vide Ramiel abbracciarsi dolcemente a Ria, non ebbe il coraggio di farsi avanti e di rovinare al suo pupillo quel momento così piacevole con la sua presenza, certa che gli avrebbe evocato solo brutti ricordi.

In parte Zenovia aveva ragione, ma la verità era che non era stata l’unica a ripensare alla discussione avvenuta su quel sentiero sette anni prima: anche Ramiel aveva maturato in sé il desiderio di sistemare la notte che aveva lasciato entrambi così amareggiati l’uno verso l’altra.

 

Poco dopo mezzogiorno, tutti i cavalieri d’oro si erano presentati nella stanza sacerdotale al cospetto di Atena e del Grande Sacerdote.

Era un elegante ed ampio salone marmoreo, arredato con tappeti e arazzi cremisi; sul fondo spiccava un altare al cui centro svettava

un trono dorato su cui il Sacerdote era solito sedersi prima che la Dea si incarnasse.

Disposti su due file ai lati dello scranno, i cavalieri d’oro si ergevano in attesa di Atena e di Saga.

Ramiel notò, come di consueto, l’assenza del cavaliere d’oro del Sagittario: il ruolo era rimasto ancora vacante, apparentemente.

Ad un certo punto, emergendo da una sorta di sipario dalle tende purpuree stante alle spalle dell’altare, che dava sulle stanze private di Atena, comparve proprio quest’ultima, accompagnata dal Grande Sacerdote.

“Cavalieri d’oro” - li salutò Saga con un gesto solenne - “io ed Atena vi abbiamo convocati per una questione della massima urgenza.

A quel punto fece un cenno ad Areusa, ed il cavaliere del Capricorno si fece avanti:

“Per farvi capire meglio ciò che sta succedendo, occorre tornare indietro di alcuni mesi, precisamente sessantasette giorni fa: una zona montuosa a sudest è scomparsa completamente senza lasciare alcuna traccia.”

“Che intendi?” - domandò perplesso Milo dello Scorpione.

“Intendo che non c’era niente, eccetto la polvere: ogni cosa è stata come risucchiata.”

“E da cosa?” - chiese il cavaliere di Scorpio ancora più confuso.

“Inizialmente non avevamo neppure notato il fenomeno, si trattava di una zona inospitale dove di rado le persone si recavano, e i pochi che ci hanno messo piede nell’ultimo periodo hanno pensato si fosse trattato di chissà quale cataclisma. Poi però, dodici giorni fa è accaduto qualcosa di simile, solo che questa volta il fenomeno ha colpito un intero centro abitato a sudovest da qui.”

“I testimoni” - aggiunse Saga - “parlano di una sorta di nube che inghiotte ogni cosa: su internet ci sono già alcuni video amatoriali di questo fenomeno.

“Cioè c’è una nuvola che si mangia case e persone?” - ridacchiò Deathmask del Cancro, in un momento decisamente poco opportuno.

“Non sappiamo se e quando il fenomeno si ripresenterà” - continuò Areusa ignorando la smargiassata del suo parigrado - “ma in ogni caso dobbiamo rimanere all’erta.”

“Cioè c’è una nuvola che si mangia case e persone e noi dovremmo… farci a botte per impedirglielo?” - parlò nuovamente a sproposito il cavaliere di Cancer.

“Fa silenzio!” - lo redarguì aspramente Saga, ed il custode della quarta casa si rimise al proprio posto - “Ad ogni modo, vorrei rimaneste vigili e nei paraggi in caso di necessità in caso di bisogno; non pretendo vi chiudiate nei vostri palazzi, ma vi chiedo di essere reperibili il prima possibile se dovesse accadere qualcosa.”

“Grande Sacerdote” - intervenne nuovamente Deathmask, questa volta con tono più riverente - “per quanto dovremmo rimanere in questo stato? Voglio dire, non siamo tutti come il maestro del Goro-Ho, non possediamo l’abilità di vivere attraverso i secoli…”

“Se indossi quell’armatura” - sentenziò un cavaliere d’oro di aspetto robusto e dai connotati orientaleggianti - “è perché hai giurato di donare la tua vita ad Atena, se necessario; se il nostro destino è di rimanere a guardia di questo Santuario, per quanto mi riguarda continuerò ad adempierlo fin quando indosserò queste vestigia dorate.”

Quell’uomo dai capelli fulvi era il leggendario Dohko del Goro-Ho, il cavaliere d’oro della Bilancia, e nonostante si mostrasse come un uomo verso la fine della trentina, aveva più di duecento anni, avendo ricevuto in dono in giovane età il sangue della dea Atena.

Nonostante in linea gerarchica fosse la massima autorità tra i Cavalieri, aveva sempre preferito restare in disparte dalla maggior parte delle faccende del Santuario, intervenendo solo per questioni particolarmente importanti: la sua sola presenza era un segnale sufficiente a tutti per comprendere quanto fossero preoccupati Atena ed il Gran Sacerdote.

“Come al solito le vostre parole sono colme di virtù, maestro.” - soggiunse Saga con riverenza - “Ad ogni modo per ora non ho altro da riferirvi, potete congedarvi.”

A quel punto tutti i cavalieri d’oro fecero per tornare alle proprie case, ad eccezione del maestro della Bilancia, che volle rimanere per discutere in maniera più approfondita sulla faccenda.

Accertatosi che tutti fossero usciti, Deathmask si accostò ad Areusa, che si trovava ancora presso la soglia delle grandi porte del salone.

“Allora” - esordì lui con fare baldanzoso - “sembra una faccenda piuttosto pericolosa, giusto?”

“Se l’avessi presa seriamente ti saresti reso conto che abbiamo a ché fare con qualcosa di oscuro.” - lo redarguì Areusa.

“Scherzavo, scherzavo” - si discolpò ridacchiando con aria ebete - “volevo solo sdrammatizzare; ho visto che eri la più preoccupata di tutti.”

A quel punto Areusa sorrise scuotendo il capo: per chi lo guardava da fuori Deathmask poteva sembrare nient’altro che un bulletto sbruffone, e magari in tempi più giovani lo era stato, ma imparando a conoscerlo si capiva che - in fondo - non era una persona cattiva.

“Visto? Stai sorridendo.” - la incalzò il cavaliere di Cancer.

“Suvvia granchione, non hai qualche povera anima da tormentare al posto mio?”

“Magari! Da quando abbiamo estinto gli Specter non mi diverto più…”

Areusa scosse nuovamente il capo:
“Tra tutti i Cavalieri d’oro tu sei quello con l’animo più controverso; mi domando cosa sarebbe successo se non fossi stato circondato da persone esemplari…”

“Probabilmente sarei una sorta di serial killer!” - ridacchiò lui.

“Già, probabilmente” - gli sorrise con benevolenza - “Su, torna alla tua casetta, gli adulti devono discutere di cose noiose.”

Senza che Deathmask potesse avere il tempo di controbattere, Areusa rientrò a palazzo chiudendosi dietro il portone.

“Fa niente, tanto non sarei rientrato manco morto…” - commentò Deathmask facendo spallucce.

Girandosi verso le scale vide Aphrodite dei Pesci che lo osservava con un sorriso sghembo.

“E te che c’hai da guardare?”

“Niente, niente!” - ridacchiò il custode della dodicesima casa alzando le mani al cielo.

“Pensa alle tue rose tu.” - brontolò Deathmask iniziando a scendere la scalinata assieme al compagno.

 

 

Tornando a valle, Ramiel si imbatté nel cavaliere dei Gemelli, in procinto di entrare nel proprio palazzo:
“Zenovia…” - disse il ragazzo quasi bisbigliando.

“Ciao Ramiel.” - rispose lei senza celare una certa sorpresa.

“Sei cambiata così tanto.”
“Anche tu.”

Entrambi si osservarono con finto stupore: durante la riunione avevano continuato a scrutarsi reciprocamente ma senza rendersene conto, poiché ciascuno dei due fuggiva lo sguardo non appena l’altro sembrava notarlo.

Ramiel non era più un ragazzino fragile, ma un giovane piuttosto imponente, seppur slanciato, mentre Zenovia come Ria, era sbocciata in tutta la sua bellezza e, seppur meno voluttuoso, anche il suo corpo si era fatto vistosamente più femmineo.

Ambedue rimasero in silenzio, cercando di distogliere lo sguardo: se c’era un momento per sistemare le cose era decisamente quello.

 

“Allora, ci vediamo.” - disse Ramiel iniziando a scendere verso la casa del Toro.

“Già.” - soggiunse Zenovia, rimanendo immobile.

Entrambi dovevano andare nella stessa direzione, ma la strada per quanto ampia, appariva troppo stretta per poter camminare assieme.

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Capitolo 6
*** 13 ***


Quella sera il cielo appariva sgombro, senza neppure una nuvola all’orizzonte; solo tante stelle, e l’accenno della prima falce della luna nuova. Nessuno vide arrivare l’ombra, né tanto meno la sentì appropinquarsi al di sopra delle campagne.

L’allarme venne dato celermente, e in pochi minuti giunse anche al Grande Tempio, il quale inviò un potente cavaliere d’oro assieme ad alcuni guerrieri di bronzo per investigare.

 

“Nobile Shaka, riuscite a vedere ciò che abbiamo di fronte?”

Per la prima volta della sua vita, il cavaliere d’oro della vergine, che per accumulare il proprio cosmo in maniera più elevata si privava spontaneamente del senso della vista, dovette spalancare gli occhi poiché incapace di identificare col proprio cosmo che cosa avesse davanti:

“E’ soltanto… ombra…” - constatò atterrito il guardiano della sesta casa, osservando una colossale massa nera e informe che inghiottiva ogni cosa su cui si posasse.

“Come agiamo?” - domandò un cavaliere di bronzo.

Shaka iniziò a bruciare il proprio cosmo:
“Contrasteremo le tenebre con la luce.”

 

 

La notte era stata lunga, ed essendo dovuto rimanere costantemente in guardia, alle prime luci dell’alba Ramiel ne aveva approfittato per riposare un po’ gli occhi – rimanendo comunque all’erta.

Circa un’ora dopo l’aurora, sentì qualcuno entrare nel palazzo del leone d’oro, tuttavia notò che i passi non provenivano dall’ingresso, bensì dall’uscita che dava sulle scalinate per salire alla casa della Vergine.

Sentendo bussare alla porta della propria abitazione all’interno del palazzo, Ramiel si destò ed andò ad aprire la porta al suo ospite:
“Salve Milo”- lo salutò garbatamente.

“Buongiorno Ramiel.” - contraccambiò il cavaliere dello Scorpione.

“E’ successo qualcosa?”

“Volevo chiederti se per caso avessi visto Shaka.”

“No, oggi non è passato nessuno in questo palazzo a parte te ora.”

“Capisco…”
“Ho sentito che è corso in missione stanotte.”

“Sì, ma, da alcune ore non abbiamo più notizie sue, né dei cavalieri di bronzo con cui è partito.”

Ramiel rabbrividì impallidito:
“Non mi dirai che…”

“Non ci voglio neppure pensare.” - commentò Milo scuotendo il capo.

“Questo è assurdo… Shaka è uno dei cavalieri d’oro più potenti, come può essere scomparso così nel nulla?”

“Io non lo so.”
“E se fosse opera di…” - Ramiel fece una pausa, come per trovare il coraggio di pronunciare la successiva parola - “… Specter?”

“No questo è impossibile, io, Saga, e gli altri cavalieri d’oro

della vecchia guardia abbiamo annientato Ade ed il suo esercito diciannove anni fa. E poi sapremmo riconoscere il cosmo di quei diavoli.”

“Capisco… in ogni caso fammi sapere se scopri qualcosa.”

“Senz’altro.”

Detto ciò Milo passò oltre e si incamminò verso la casa del Cancro.

 

Nei giorni successivi Saga fece rastrellare a pettine tutte le zone adiacenti al Grande Tempio: eppure, nonostante gli sforzi congiunti di cavalieri e soldati semplici, di Shaka e del suo gruppo non era rimasta alcuna traccia.

 

Per evitare che qualche curioso si avventurasse nella voragine dove erano scomparsi i cavalieri, alcuni soldati erano stati incaricati di sorvegliarne i bordi: nessuno sapeva che cosa vi fosse all’interno di quello spazio vuoto, ma bisognava prevenire ogni rischio per i civili delle zone.

Un paio di essi chiacchieravano del più e del meno seduti su una panchina posta in quel che rimaneva di una strada che si interrompeva bruscamente nel nulla, quando nel pomeriggio

videro giungere una figura in lontananza.

Tosto i due balzarono in piedi impugnando le proprie lance, ma quando videro un’armatura scintillare si calmarono.

“Ma che volete fare con quegli arnesi?” - domandò il cavaliere appena arrivato.

“Queste sono le armi che abbiamo in dotazione…” - rispose sconsolata una guardia.

“Non vi abbiamo mai visto” - disse l’altro - “chi siete?”

“Sono un cavaliere di Atena, non vi serve sapere altro.”

Il cavaliere li guardò di sbieco e i due si vergognarono per aver posto una domanda tanto sciocca.

 

L’uomo aveva un aspetto piuttosto minaccioso, per via di una corvina chioma arruffata e di penetranti occhi glaciali, sormontati da un paio di occhiaie che gli davano un’aria ancor più truce.

L’armatura non aveva particolari aspetti salienti, eccetto quattro code pendenti da dietro la schiena, e sotto di essa portava vestiti neri in pelle, pieni di borchie e catenelle.

“Io vado a dare un’occhiata.”

“M-ma signore, è pericoloso…!”

Il cavaliere si voltò e gli lanciò un’occhiata tagliente:
“Ho detto che vado a guardare, non vi ho chiesto il permesso.”

Dinnanzi a tali parole, i due tapini non poterono far altro se non rimanere in silenzio come due bambini appena sgridati dall’insegnante.

 

Il cavaliere iniziò ad esplorare la zona: l’area scomparsa doveva estendersi per almeno tre chilometri quadrati.

Tre chilometri quadrati di materia disgregata nel nulla.

Girò a lungo, esplorando tutta la zona, ma l’unica cosa che trovò fuori dal normale fu una specie di sabbia nera mescolata alla polvere: la cosa più curiosa di quella sostanza dal colore fosco era che, partendo da quello che doveva essere stato l’epicentro della calamità, si espandeva per diversi metri in forma spiraleggiante.

Ma a parte questo fenomeno, che il cavaliere ritenne potesse essere spiegato con del magnetismo dovuto a elementi ferrosi – che avrebbero anche spiegato il colore scuro della sabbia – tutto sembrava perfettamente normale.

Nessuna traccia di energia o di esplosioni, soltanto una fossa piena di polvere.

D’un tratto, alzando lo sguardo da terra, per un battito di ciglia quasi impercettibile il cavaliere vide la figura di un giovane dalla chioma dorata che sorrideva in quell’abisso.

Per diverse ore cercò di capire cosa fosse accaduto, ma non trovando alcuna prova della presenza di quel personaggio, concluse momentaneamente che si fosse trattato di un’allucinazione.

Quando infine il sole iniziò a calare il cavaliere ritenne che non vi fosse più nulla da osservare in quel luogo, e pertanto uscì dalla voragine e tornò al punto di partenza:

“Potete andare a casa, qui non c’è niente; l’unico rischio è di scivolare per il dislivello del terreno, ma per quello sono certo che un cartello sia più che sufficiente.”

Le due guardie lo salutarono, e prima di andarsene il cavaliere si rivolse a loro un’ultima volta:
“Ad ogni modo io sono Blake di Phoenix.”

 

377

 

Ormai il mattino appare utopia, solo il lampo del mio pugno riesce a squarciare le tenebre.

 

 

Ramiel aprì gli occhi, e vide Natalia osservarlo preoccupato; la fioca luce dell’aurora attraverso le fessure delle persiane illuminando flebilmente la cameretta, e i loro volti in penombra.

“Ti stavi lamentando…”

Il ragazzo si voltò, fingendo di ignorare le parole della sorella, la quale delicatamente si stese accanto a lui e lo abbracciò, senza dire nulla. Ramiel era sempre stata una persona con cui era difficile parlare, ed in particolare, ogni volta che tornava dal Grande Tempio il suo carattere diventava ancor più ermetico.

Natalia sapeva bene che in certe situazioni la forma di comunicazione più sincera era il contatto fisico, ed ogni volta che lo abbracciava dopo un lungo periodo di tempo, si rendeva conto delle nuove cicatrici che il fratello si portava dietro, domandandosi quando avrebbe finalmente cessato di procurarsene altre.

 

Quando Natalia si appisolò nuovamente, Ramiel ne approfittò per strisciare fuori dalla camera, ed andare in cucina a fare colazione.

Non appena entrò nella stanza, notò che assieme a sua madre, seduta al tavolo vi era una ragazza dal viso tondeggiante con una chioma bionda tenuta legata in una coda, ma con la frangia lasciata sciolta.

Senza dire una parola Ramiel prese una ciotola dalla credenza, la riempì di latte, prese un cucchiaio e si sedette a sua volta al tavolo, sotto lo sguardo delle due.

Iniziò a sorseggiare in silenzio, allorché la bionda si rivolse a lui con tono pacato:
“Ciao Ramy...”

Il giovane alzò lo sguardo, e la fissò in silenzio per un istante.

“Che ti serve, Ikaros del Toro?” - domandò senza emozione.

“Non essere scortese Ramy…” - lo esortò Kaila, ottenendo in risposta solo un altro sorso dalla tazza.

“Te ne sei andato senza dire niente a nessuno, ci stavamo preoccupando…”

“Sto bene.” - sentenziò il giovane finendo di prendere l’ultimo sorso.

“Sì lo vedo, solo, ecco… mi dici cosa ti è preso?”

Ramiel si alzò da tavola, posò la ciotola nel lavandino e la sciacquò con un piccolo getto d’acqua, al ché spazientita Ikaros si alzò in piedi e gli si portò davanti:
“A che gioco stai giocando?”

Ramiel alzò lo sguardo – nonostante il suo metro e settantasei, lui e Ikaros avevano praticamente la stessa altezza – e la guardò negli occhi cerulei:
“Sei venuta qui a riportarmi indietro con la forza?”

“Perché dovrei?”

“Perché non tornerò al Grande Tempio.”

Ikaros lo guardò amareggiata:
“Non capisco come mai ti stia comportando così, noi siamo i tuoi compagni, puoi fidarti! E soprattutto… abbiamo bisogno di te.”

A quel punto anche Kaila si avvicinò e gli posò una mano sulla spalla:
“Che cosa succede Ramy?”

D’improvviso il giovane prese dapprima a ridacchiare sommessamente, poi scoppiò in un risata quasi isterica, e scuotendo il capo con gli occhi chiusi si rivolse alle due donne:

“Non c’è niente che possiate fare per me: oggi è il giorno in cui morirò.”

 

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Capitolo 7
*** 8 ***


Le ricerche di Shaka della Vergine e degli altri cavalieri proseguirono per tre settimane consecutive, ma dovettero interrompersi di colpo quando si persero le tracce di una delle unità scout di punto in bianco: l’incubo che aveva risucchiato i cavalieri scomparsi era infine riapparso prima di poter dare una spiegazione al mistero.

 

 

Il grande sacerdote spalancò le porte della stanza con tanta forza da romperle quasi, e celermente si portò accanto al capezzale di Atena: la giovane urlava e si dimenava nel proprio letto, madida di sudore freddo.

“Sono qui Atena!” - esclamò stringendole la mano con delicatezza, ma senza riuscire a calmarla minimamente.

“Sono qui.” - ripeté più pacatamente, facendo fluire parte del proprio cosmo nell’esile corpo della dea, che istantaneamente parve placarsi.

Gli spasmi cessarono, ed Alexis iniziò a prendere profondi e lunghi respiri ansimando, tossendo in maniera secca di tanto in tanto.

“Vado a prendervi dell’acqua.”

“N-no…!” - lo supplicò lei afferrandogli la manica della veste - “Resta qui…”

“Come desiderate.” - disse inginocchiandosi nuovamente accanto al suo letto.

Conosceva quell’incarnazione di Atena da diversi anni ormai, ma mai l’aveva veduta in un simile stato: ella appariva sempre così imperturbabile, persino distaccata in certi momenti.

Quelle notte gli sembrò che in lei fossero scoppiati violentemente anni di emozioni represse.

 

“Atena, Saga, che succede?”

Il cavaliere dei Pesci comparve sull’uscio della stanza di Atena, impugnando una delle sue celebri rose rosse a mo’ di coltello.

Era in allerta, ma non sembrava trafelato: persino durante un’emergenza il custode della dodicesima casa riusciva a mantenere un aspetto elegante e composto.

“E’ tutto a posto Aphrodite, la divina Atena ha avuto un brutto malore e sta iperventilando, ma non è in pericolo; per favore, porta un po’ d’acqua, e manda a chiamare un medico.”

“Come ordinate.” - rispose il cavaliere eseguendo un lieve inchino col capo.

“Non è necessario un dottore.” - disse Alexis, pallida e fradicia ma nuovamente composta come di consueto, salvo alcuni respiri più affannosi.

“Siete sicura?” - domandò il cavaliere dei Pesci porgendole un bicchiere d’acqua fresca.

“Sì” - prese un lungo sorso - “adesso abbiamo cose più importanti a cui pensare: io l’ho visto.”

“Che cosa avete visto Atena?” - le chiese il Grande Sacerdote.

“Dove si manifesterà la prossima calamità.”

 

610

Ma presto anch’io annegherò in questa oscurità sconfinata.

Baleni di ombra seguiti da tuoni rombanti: null’altro rimane, e presto cesserà anche questo.

 

“Il maestro dei cinque picchi non ha fatto ritorno questa notte?” - domandò sconcertata Ikaros salendo le scale appena fuori dal palazzo dei gemelli.

“Non ancora, ma sono diverse ore che non abbiamo più sue notizie.” - rispose Mur senza mascherare una certa preoccupazione nelle sue parole.

“Che sia questo il motivo per cui il Grande Sacerdote ha nuovamente convocato tutti i sacri guerrieri d’oro?”

 

“Dicono che Atena si sia sentita male stanotte.” - si rivolse a loro dall’alto della scalinato Deathmask, appoggiato con le braccia conserte ad una delle colonne dell’ingresso del palazzo del Cancro.

 

“La nobile Atena?” - domandò allarmata il cavaliere del toro - “Come sta ora?”

“E’ tutto a posto, Saga e Aphrodite sono rimasti a vegliare su di lei tutta la notte.”

Udendo ciò Ikaros tirò un lungo sospiro di sollievo e da rossa la sua pelle tornò al suo solito colore alabastro.

Tra tutti i cavalieri d’oro della nuova generazione quella giovane dalla chioma bionda era colei che lasciava il custode della quarta casa più perplesso: certo non la si poteva considerare esile, specie con l’armatura addosso che le donava una certa imponenza, ma la sua stazza era ben lontana dal consueto standard solitamente accostato ai cavalieri investiti dell’armatura del Toro. Inoltre la giovane Ikaros aveva un viso delicato, con occhi grandi e brillanti occhi azzurri, ed un’espressione un po’ ingenua sempre dipinta in volto, almeno a detta di Deathmask: lui riteneva che nello sguardo di un vero cavaliere dovesse sempre celarsi in qualche modo qualcosa di irrequieto, per i grandi dolori provati negli anni dell’addestramento o, nel caso dei cavalieri d’oro, per l’incredibile potere celato nelle loro membra. Pertanto gli sembrava assurdo che potessero esserci sacre guerriere come Ria o Ikaros, che sembravano perfettamente in pace nella mente e nel corpo, entrambe cose a cui Deathmask aveva rinunciato già da diversi anni ormai: anche nei momenti migliori, avvertiva qualcosa scricchiolare in maniera fastidiosa nel suo animo, come a ricordargli la sua condizione straordinaria ma al contempo ineffabile per le persone comuni.

“Ma dimmi, Deathmask, tu come mai non ti sei ancora recato alle stanze sacerdotali?” - gli domandò Mur.

“Per aspettare i miei fidi commilitoni naturalmente!” - rispose ruotando la mano in maniera teatrale accogliendo i due parigrado nella quarta casa.

“Hai fatto il caffè?” - chiese Ikaros annusando l’aria incuriosita per poi mettersi a ridacchiare - “Non sei ancora andato dal Grande Sacerdote per berti il tuo caffè?”

“Non è un semplice caffè, è una miscela che mi sono fatto portare dalla mia patria: berlo è un rito sacro!”

“Possiamo andare ora?” - intervenne Mur fulminando i due con lo sguardo; pur non essendo una persona particolarmente rigida, mal sopportava che due cavalieri d’oro con indosso l’armatura si comportassero in maniera poco consona al proprio rango.

“Ad ogni modo” - disse Deathmask mentre uscivano dalla casa - “voi avete saputo qualcosa del maestro della Bilancia?”

“In verità speravamo potessi illuminarci tu a riguardo.” - rispose Ikaros.

“Io non ne so nulla, ma forse Saga vuole parlarci proprio di questo.”

 

Arrivati Mur, Ikaros, e Deathmask, il consiglio poté finalmente avere inizio: come di consueto, i cavalieri d’oro si disposero in due file ai lati dello scranno di Atena, ed il Grande Sacerdote si mise accanto ad essa. La dea aveva un aspetto spossato ed il capo di tanto in tanto le barcollava; appariva evidente che fosse reduce da una nottata difficile.

“Cavalieri” - parlò la dea, lasciando tutti piuttosto sorpresi, essendo normalmente il suo vicario a proferire parola per primo, e per la maggior parte del tempo - “questa notte la terribile calamità che già tre volte ha colpito il Santuario si è di nuovo abbattuta su di noi.”

Udendo ciò i cavalieri si lanciarono occhiate di sconcerto, e vedendoli perplessi Saga decise di intervenire:
“Non sappiamo se il sommo Dohko sia scomparso proprio a causa di tale evento, ma alcune fonti riferiscono che fosse vicino alla zona del disastro fino a poche ore prima.”

“Ma insomma dov’è successo tutto questo?” - domandò incredulo Milo.

“A meno di dieci chilometri a nordest da Rodorio.” - rispose secco il Grande Sacerdote, gettando nuovamente tutti nello sgomento - “Da quando tutto questo è iniziato, il fenomeno si è avvicinato sempre di più, sia in termini di spazio che di tempo.”

“Quasi come se ci stesse girando attorno…” - constatò Mur - “E se tutto ciò accadesse non in maniera casuale, ma seguendo uno schema ben preciso?”

“Per l’appunto, questa notte, proprio nell’ora in cui si stava verificando il disastro Atena ha avuto una rivelazione: il prossimo cataclisma avverrà tra dodici giorni esatti.”

“Mi sembra un buon passo avanti” - disse Milo - “ma resta l’incognita del luogo.”

“Sto radunando i più eminenti studiosi del Santuario, e inoltre ho chiesto anche aiuto all’università di Atene.”

“C’è ancora una cosa però con cui dobbiamo fare i conti.” - intervenne Areusa - “Come fermeremo un potere così grande e misterioso?”

“La mia conclusione è che essendo un’energia oscura quella con cui abbiamo a ché fare, l’unico modo per combatterla sia opporvisi con un immenso cosmo luminoso: per tale motivo, dopo essermi consultato con la divina Atena, abbiamo deciso di acconsentire all’utilizzo della tecnica proibita.”

“L’urlo di Atena…” - mormorò Mur - “In effetti con la potenza di un piccolo Big Bang forse riusciremo a sconfiggere questo nemico senza volto; ma chi si cimenterà in una tale impresa?”

“Speravo di poter contare su di te cavaliere dell’Ariete, e anche su Milo e Areusa.”

“Sarà un onore.” - disse Milo inginocchiandosi dinnanzi a Saga e ad Atena.

“Anche per me.” - aggiunse Areusa, prostrandosi a propria volta.

“Benissimo, allora è deciso: fra dodici giorni Mur, Milo, e Areusa eseguiranno l’Urlo di Atena, nel tentativo di contenere la calamità che affligge il Santuario; se nel frattempo le ricerche ci riveleranno altro, verrete prontamente informati.”

“Quanto al maestro della Bilancia?” - chiese Ikaros.

“Le ricerche continueranno; voglio comunque mettervi al corrente del fatto che, parallelamente alla vostra missione, c’è un mio fidato cavaliere che sta facendo ulteriori indagini sul campo.”

Detto ciò Saga diede il permesso ai presenti di congedarsi fino a nuovo ordine, e tutti lasciarono le stanze sacerdotali, ad eccezione del cavaliere dei Gemelli.

“C’è qualcosa che ti turba?”

“Vorrei parlarvi in privato, Grande Sacerdote.” - rispose lei con tono riverente.

“Restate pure voi qui, io ho bisogno di ritirarmi a riposare.” - disse Alexis alzandosi dal trono e recandosi verso la porta dell’anticamera dov’era la sua stanza privata.

“Volete che vi accompagni?” - le domandò Saga avvicinandosi impensierito.

“Ce la faccio, ho solo bisogno di dormire un po’.” - rispose la dea con tono monocorde, per poi sparire tra i drappi scarlatti del salone.

A quel punto Saga si rivolse alla figlia:
“Che cos’è che volevi dirmi?”

“Perché non avete scelto me per la missione?”

“Nutri forse dubbi nei confronti dei tuoi compagni, Zenovia?”

“No, affatto…”

“Allora perché mi poni questa domanda?”

“Anch’io sono in grado di eseguire la tecnica proibita, lascia che vi prenda parte!”

“La decisione ormai è presa, e in ogni caso non capisco perché dovrei preferirti ad altri tuoi parigrado.”

In quel momento la giovane ebbe un’improvviso lampo di collera, che prontamente bloccò dentro di sé prima di fare o dire qualcosa di sconsiderato.
“Non è questione di preferenza.” - disse Zenovia quasi a denti a stretti.

“Di forza dunque? Ritieni per caso di essere superiore ai tuoi compagni?”

Nuovamente si sentì scattare, e ancora una volta dovette tenere a freno i propri impulsi.

“Non mi ritengo superiore a nessuno, ma vorrei solo sapere perché non sono stata la tua prima scelta, non hai forse fiducia in me?”

“Adesso basta Zenovia, mi sembra che tu stia dicendo cose totalmente fuori luogo.” - rispose Saga senza alzare la voce, ma con una marcata nota di monito.

Zenovia chiuse gli occhi e strinse i denti nervosamente, dopodiché inspirò profondamente, ed in quel momento l’uomo le mise le mani sulle spalle:
“Mi rendo conto che da sempre temi di vivere nella mia ombra, ed allo stesso tempo di essere considerata avvantaggiata in quanto mia erede, ma non devi dimostrare niente a nessuno: tutto ciò che devi fare è proteggere Atena e lottare per la giustizia.”

La giovane guardò il padre dritta negli occhi, e contrita abbassò lo sguardo:

“Ti chiedo scusa, padre, non intendevo mancarti di rispetto.”

“Sei brillante e tenace, figlia mia.” - disse accarezzandole delicatamente la guancia - “Mi ricordi tanto tua madre, e vorrei che potesse vedere come sei diventata.”

 

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Capitolo 8
*** 5 ***


Che cosa sta succedendo Ramy?”

 

Tutto era indefinito, e ovattato, ma quella era la voce di sua madre, ne era assolutamente certa.

«Mamma…Ramy…» - provò a chiamarli, emettendo più un gemito che una frase di senso compiuto.

 

Non c’è niente che possiate fare per me.”

La voce di Ramiel sembrava strozzata e graffiante.

Oggi è il giorno in cui morirò.”

 

«No…!» - si agitò Natalia, ma era come se fosse sotto una cappa di fumo che la immobilizzava e le toglieva il fiato.

«No!» - ripeté più decisa, riuscendo a far uscire un flebile grido strozzato.

E mentre si dimenava in quella dimensione di tenebre, vide in lontananza l’inconfondibile chioma argentea del suo gemello;

se ne stava rannicchiato con la testa china tra le braccia, ed aveva indosso l’armatura d’oro del Leone.

Attingendo a tutta la propria forza di volontà vinse la paralisi e provò ad andargli in conto, ma per quanto si avvicinasse a lui, rimaneva in qualche modo sempre distante e sfocato.

Quando arrivò al punto più vicino possibile, notò che l’armatura era coperta di crepe, e pareva avvolta da un sottile strato di una scura sostanza viscosa, che l’aveva privata della sua peculiare lucentezza.

Natalia iniziò a dimenarsi e a cercare di chiamare il fratello urlando a squarciagola, ma solo un’insignificante frazione di

voce fuoriusciva dalla sua gola.

Non si diede per vinta e continuò a strillare per minuti interminabili, fino a ché il suo richiamo disperato non riuscì a raggiungere le orecchie del gemello.

Ma quando Ramiel sollevò il capo, Natalia si sentì raggelare il sangue nelle vene: il viso del fratello era consunto, pieno di abrasioni, e deformato in una maschera di dolore straziante.

«T-Talia…» - sibilò Ramiel con voce roca.

«Sono qui fratellone!» - riuscì infine a parlare chiaramente e ad andargli incontro, e subito si chinò accanto a lui aiutandolo a sostenersi e abbracciandolo.

«Sca… scappa…» - la supplicò, mentre dai suoi occhi sgorgavano copiose lacrime fosche come pece.

 

“Non ti lascio!” - gridò destandosi.

Lui era là, disteso accanto a lei.

Ebbe un giramento di testa, e piombando sul cuscino urlò invocando nuovamente il suo nome.

Udendo il suo grido Kaila si precipitò nella camera della figlia e tosto si portò accanto al letto stringendole la mano:
“Sono qui amore mio!”

Natalia aprì lentamente gli occhi:
“M-mamma… dov’è Ramy?”

“E’ al Grande Tempio.”

In quel momento la ragazza scoppiò in lacrime e Kaila la strinse forte a sé:
“Sta tranquilla…” - la consolò dolcemente - “Sono qui.”

“Ramiel” - singhiozzò Natalia - “gli sta succedendo qualcosa di brutto…!”

Kaila abbracciò ancora più forte la figlia:
“Adesso faccio una telefonata per accertarmi che sia tutto a posto, va bene?”

Natalia fece un cenno con gli occhi lucidi, e dopo averla accarezzata Kaila uscì dalla stanza e prese il cellulare.

 

Non poteva mostrarsi turbata davanti a sua figlia in un tale stato d’animo, ma la verità è che temette per il peggio fino a quando non sentì che il figlio, seppure un po’ malconcio, stava bene.

Una piaga ignota stava falcidiando i cavalieri, e ogni giorno Kaila era sempre più vicina a lasciare tutto per partire alla volta della Grecia; ma ora tale sentimento si era manifestato anche in Natalia, in maniera più improvvisa ed al contempo più intensa.

 

987:

 

Se lotterò fino alla fine, almeno nessuno mi vedrà sprofondare.

Ma alla fine a chi davvero importerà?

 

Trascorsi i dodici giorni dopo il concilio, i tre guerrieri d’oro scelti dal Grande Sacerdote, assieme ad una piccola scorta di soldati e di cavalieri di bronzo e d’argento, si prepararono verso l’imbrunire a recarsi verso le campagne circostanti a Rodorio: nessuno era ancora riuscito a scoprire quale sequenza logica si celasse dietro quegli avvenimenti, pertanto i sacri guerrieri vennero inviati a sorvegliare un’area piuttosto vasta in cui, secondo gli studiosi, sarebbe stato più probabile il verificarsi del successivo cataclisma.

 

Terminato di indossare i paramenti, Areusa fece per uscire dal proprio palazzo, quando si imbatté in Deathmask, appoggiato sull’ingresso a braccia conserte:

“Salute, Capricorno!” - gli si rivolse col consueto sorrisetto spavaldo stampato in viso.

“Salute a te, Granchio dorato.” - rispose cortese ma un po’ sardonica la donna.
“Uffa, odio quando mi chiamano granchio, suona così poco imponente…” - sbuffò Deathmask facendo spallucce - “Ad ogni modo, sono venuto ad augurarti buona fortuna.”

“Oh, molto gentile da parte tua…” - commentò Areusa con falso stupore volutamente mal celato - “C’è forse qualcos’altro che vorresti dirmi, Deathmask di Cancer?”

“Null’altro direi, devi forse dirmi tu qualcosa, oh custode della sacra spada Excalibur?”

“Cosa mai dovrei voler dire a un ragazzaccio come te?”

“Oh andiamo, non sono così male…”

“Sì, in effetti poteva andare peggio, ma poteva anche andare meglio…”

A quel punto, dopo essersi guardati per un istante senza dir niente, i due scoppiarono a ridere di gusto, specialmente Areusa, la quale diede una pacca sul braccio di Deathmask:
“Riesci a farmi ridere anche in momenti del genere… sei un buon amico Deathmask di Cancer, grazie.”

“Di nulla!” - rispose sorridendo impettito il custode della quarta casa.

“Ti andrebbe di accompagnarmi per un po’, mentre discendo le scale?”

“Oh beh, tanto qui o si scende o si sale, e non è che abbia troppa voglia di vedere il brutto muso di Aphrodite!”

“Pensavo voi due andaste d’accordo…”

“Certo, ma rimane comunque un brutto muso; insomma, vuoi mettere me?”

“Se lo dici tu…”

 

“E’ permesso?”

 

I due si voltarono, e videro giungere dall’altra parte del salone una figura canuta vestita con un’armatura d’oro.

 

“Buonasera, Ramiel di Leo.” - lo salutò garbatamente Areusa.

“Buonasera a voi, Areusa e Deathmask.”

“Ciao.” - lo salutò senza troppo entusiasmo Deathmask con un cenno della mano.

“Com’è andato il colloquio con il Grande Sacerdote?”

“Voleva soltanto darmi delle notizie da casa, tutto qui.”

A quel punto i tre iniziarono a scendere assieme verso il palazzo del Sagittario:
“Dimmi, come sta tua madre?”

“Bene, era solo un po’ preoccupata.” - rispose Ramiel, omettendo tutta la parte riguardante l’incubo di Natalia, non avendo voglia di parlarne; in generale comunque, Ramiel non raccontava mai granché ai compagni riguardo la sua vita privata.

“Kaila ha fatto davvero molto per noi della nuova generazione, sono felice che qualcuno segua le sue tracce.” - disse sorridente Areusa.

“Dici davvero?”

“Sì, lei, Saga, e Aiolos hanno assistito il vecchio Gran Sacerdote, Shion, nel crescere un’intera generazione di cavalieri, me inclusa; anche se non ha partecipato direttamente alla guerra santa, senza il suo contributo non avremmo mai sconfitto Ade e i suoi Specter.”

“Voi avete quindi preso entrambi parte alla battaglia dei Campi elisi?”

“No, io rimasi a combattere qui al Santuario, assieme al venerabile Shion.” - rispose Areusa - “Ai tempi ero ancora il cavaliere di bronzo del cane minore.”

“La precedente condusse noi dodici cavalieri d’oro nella tana del leone, l’inferno; fu lì che perdemmo Aldebaran, l’allora cavaliere del Toro.” - spiegò Deathmask - “Poi mentre la battaglia stava raggiungendo il culmine, Atena, bardata della sua armatura d’oro, prese con sé Saga dei Gemelli, Aiolos del Sagittario, Aiolia del Leone, Camus dell’Acquario, e Shura del Capricorno, e si recò dritta dritta da Ade, dove con il loro aiuto sconfisse il re degli inferi in maniera definitiva.”

“Solo Aiolos e Saga tornarono dai Campi elisi: oltre agli altri cavalieri d’oro, purtroppo perdemmo anche la precedente Atena durante la battaglia.” - disse Areusa con un sorriso malinconico dipinto in volto - “All’epoca io e Shura avevamo appena compiuto diciotto anni, e meditavamo entrambi di abbandonare le nostre cariche per andare a vivere assieme nella nostra comune terra natia…”

“Mi dispiace…”

“Ormai è passata una vita, e forse doveva andare così.” - disse Areusa scuotendo il capo - “Nasciamo sotto il segno delle stelle che ci proteggono, non possiamo ignorare il nostro dovere ancestrale; Shura ha combattuto fino all’ultimo credendo in questo.”

 

I tre giunsero infine al palazzo del Sagittario, che non essendo più abitato da quasi vent’anni era divenuto un edificio spoglio ed un po’ polveroso; molte volte Ramiel aveva attraversato tale luogo, ma per qualche ragione quella sera avvertì una strana sensazione nell’animo nel passarvici attraverso; voltò lo sguardo e notò alla propria destra un ampio finestrone da cui era possibile vedere tutta la valle delle dodici case illuminata dagli ultimi tiepidi raggi di sole.

“Voi andate pure, io mi fermo un attimo.”

“Vuoi goderti il panorama?” - domandò Areusa.

“Lasciamolo bearsi in pace, so che il nostro Leone ama la tranquillità.”

Ramiel fece un cenno affermativo, e dopo averlo salutato i due cavalieri uscirono dalla nona casa, lasciandolo solo coi suoi pensieri; si affaccio sulla balaustra, e per godersi meglio un timido scirocco si sfilò il diadema dell’armatura.

Inspirò profondamente, ed immerse il proprio sguardo nell’immensità del cielo roseo e nella calda luce arancio che illuminava la vallata, mentre placido il sole scendeva tra i monti all’orizzonte: per un istante anche lui sì sentì scivolare in quel tepore, cullato dolcemente dal vento crepuscolare.

 

“Bellissimo, non trovi?”

 

Una voce calda e armoniosa si rivolse a Ramiel, il quale voltandosi notò sulla balaustra di fianco un giovane vestito con un’armatura d’oro alata, che se ne stava con le gambe a penzoloni; aveva una folta chioma bionda, ed un viso delicato e candido, sui cui vi erano incastonati un paio di occhi color nocciola, resi quasi cremisi dalla luce del tramonto.

“Chi sei?”

Il giovane ruotò il capo e lo guardò sorridendo dolcemente:
“Il mio nome è Calipso, è sono il cavaliere protetto dalla costellazione del Sagittario.”

Ramiel lo scrutò per alcuni istanti senza dire niente, incuriosito ed al contempo un po’ affascinato dalla sua figura.
“Non ero al corrente del fatto che la nona casa avesse un nuovo custode.”

“Sono appena arrivato in effetti. Ad ogni modo, tu devi essere Ramiel del Leone, dico bene?”

“Sì, immagino tu conosca mia madre…”

“No, io conosco te.” - rispose ridacchiando, facendo sorridere Ramiel di riflesso.

“Tu temi di non essere all’altezza di chi ti ha preceduto, dico bene?”

“Io… forse sì, è così… tutti hanno avuto grandi aspettative su di me fin da quando sono arrivato, e anche se non ci ho mai dato grande peso a lungo andare la cosa ha iniziato a gravarmi un po’.”

Ramiel stesso si meravigliò per quella confidenza così sincera appena detta ad una persona di fatto sconosciuta, ma che gli trasmetteva un enorme senso di calma interiore.

“E’ normale sentirsi in questo modo quando si è parte di qualcosa di grande, ma è anche importante capire che quello che stiamo vivendo è il nostro momento, ed è unico ed irripetibile, ed anche tu sei così, cavaliere di Leo.”

“Io?”

“C’è tanta grandezza nel tuo animo, solo che ancora non te ne sei reso conto.”

“Non penso di meritarmi tali parole… gli altri cavalieri hanno lottato al fianco di Atena, o contribuito alla crescita del Santuario, io invece sono stato lontano e di fatto non ho ancora combinato niente: sono solo un ornamento dorato da esporre tra gli eroi dei dodici templi.”

“Credo che nei prossimi giorni avremo modo di mostrare il nostro valore come cavalieri.” - commentò Calipso smontando dalla balaustra.

“Anche tu dunque percepisci l’avvicinarsi di una grande minaccia.”

“Sarebbe incauto ignorare i segnali degli ultimi giorni, non lo pensi anche tu?”

“Sì, ma ciò che mi preoccupa è l’idea di dover affrontare un nemico senza volto, e per questo invincibile; di fatto, ciò a cui dovremo opporci sarebbe l’universo stesso.”

“Che cosa faresti in quel caso?”

A quel punto Ramiel si incamminò verso l’uscita del palazzo, ma prima di andarsene lanciò un’ultima occhiata al suo interlocutore:
“Me lo chiedo ogni giorno.”

 

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Capitolo 9
*** 3 ***


Piccole lapidi di marmo bianco si ergevano su una piccola collinetta erbosa, circondate da centinaia di altri sepolcri, tutti con sopra incise soltanto due cose: un nome, e sotto di esso la scritta cavaliere, di bronzo, argento, o oro.

Ma c’era un un’unica grande differenza tra quelle lastre grige e tutte le altre: nel suolo in cui erano piantate non vi erano spoglie di alcun genere, ma solo la fredda e nuda terra.

Il Grande Sacerdote si inginocchiò davanti ad esse, per poi incamminarsi silenzioso verso l’uscita del cimitero, ma d’improvviso due braccia lo afferrarono energicamente per la toga:
“Nemmeno una parola, Saga?” - ringhiò Deathmask strattonandolo.

“Lascialo subito!” - intervenne Zenovia tentando di frapporsi tra i due.

“Sta indietro ragazzina, gli adulti devono parlare!” - rispose il cavaliere d’oro spingendola via bruscamente e facendola cadere all’indietro - “Guardami, sacerdote, che cos’hai da dirmi ora?”

“Ho fatto il possibile.”

“Dall’alto del tuo trono?!”

“Tu dov’eri, Deathmask?”

“Non rigirare la frittata, non ho mandato io verso morte certa Areusa, Mur, e Milo!”

“Sai bene che non avevo alcuna intenzione di sacrificarli, e che ho agito facendo ciò che ritenevo più giusto.”

“Cosa me ne faccio ora delle tue buone intenzioni?!” - urlò mollando infine la presa, per poi andarsene senza aggiungere altro.

“Grande Sacerdote, dobbiamo inseguirlo?” - gli domandò un soldato.

“Lasciatelo perdere, è solo sconvolto, come tutti del resto; rimane comunque un servo di Atena.”

 

Nel frattempo, Ramiel aiutò Zenovia a rialzarsi:
“Ce la faccio da sola.” - rispose lei più bruscamente di quanto intendesse fare.

“Non ce l’aveva con te.”

“Sì lo so, ma poteva evitare questa scenata; anch’io sono addolorata, ma non mi sembra il caso di scatenare diatribe tra noi in questo momento.”

Ramiel a quel punto guardò il cielo, carico di nubi fosche dall’aria minacciosa:
“Sta venendo cattivo tempo, è meglio rientrare alle dodici case.”

 

 

Ria entrò nella quinta casa, con i capelli leggermente inumiditi:
“Sta iniziando a piovere… Ramy, posso rimanere un po’ qui da te finché il tempo non migliora?”

“Certo, se vuoi puoi andare nel bagno ad asciugarti.”

Dopo qualche minuto la ragazza tornò strofinandosi un asciugamano sul capo:
“Ho tolto l’armatura d’oro e l’ho messa sulla finestra a sgocciolare; dovresti fare anche tu lo stesso, non è più necessario stare in alta uniforme.”

“Hai ragione.” - disse il ragazzo iniziando a sfilarsi di dosso la corazza, mentre Ria si accomodò su un divanetto presente in quell’ala del palazzo, dove egli passava la maggior parte del suo tempo libero.

C’erano dei libri e qualche fumetto sparsi qua e là, un appendiabiti, ed un tavolo da pranzo con alcune sedie disposte attorno, ma per il resto era un’abitazione piuttosto spoglia:
“Sei un po’ caotico leoncino, o mi sbaglio?” - commentò Ria prendendo a sfogliare uno dei giornaletti.

“Scusa il disordine , non sono abituato ad avere visite.”

“Non dovresti mettere a posto per gli ospiti, ma per te stesso; mi chiedo come tu riesca a sgomberare la mente se è tutto sotto sopra…”

“Hai ragione.” - disse sedendosi sul divanetto, completamente svestito dell’armatura d’oro; ora entrambi sfoggiavano degli indumenti felpati monocromi e un po’ attillati, ma comodi a sufficienza da permettere di muoversi liberamente dentro le sacre vestigia.

L’unica cosa che turbava Ramiel era il fatto che quegli abiti accentuassero la fisicità di coloro che li indossavano, in quel caso mettendo bene in risalto le forme generose di Ria.

 

“Ramy?”

 

Ramiel si ridestò dalla sorta di ipnosi in cui era improvvisamente caduto nell’osservare la ragazza, e questa si mise a ridacchiare dolcemente:
“A volte mi dimentico che non sei più un bambino…”

“Perdonami, non intendevo essere inopportuno.”

Di tutta risposta la ragazza lo strinse tra le braccia con delicatezza, facendolo poi stendere sopra di sé:
“Non sei inopportuno…” - disse iniziando ad accarezzargli lentamente la fronte.

Ria aveva sempre avuto un carattere piuttosto materno, ma a Ramiel parve esserci qualcosa di strano nel suo atteggiamento, specie in un giorno così infelice come quello in cui avevano appena celebrato il funerale dei loro compagni dispersi.

“Tu hai mai baciato qualcuno?” - domandò Ria come un fulmine a ciel sereno - “A parte della tua famiglia, naturalmente.”

“No…” - rispose timidamente, quasi vergognandosene.

A quel punto Ria, senza fretta si avvicinò al suo viso, per poi appoggiare le sue labbra sopra quelle del ragazzo.

Un turbine impetuoso di emozioni si impadronì di Ramiel, il quale tuttavia fece l’unica cosa che l’istinto gli suggeriva davvero in quel momento: ricambiare il gesto, e stringere la ragazza tra le proprie braccia.

“Ora abbiamo entrambi dato il nostro primo bacio.” - sussurrò Ria, per poi alzarsi pacatamente dal divanetto.

“Aspetta…” - le sfiorò la mano Ramiel e la guardò dritta nei suoi grandi occhi color cenere.

“Ha smesso di piovere, è ora di tornare a casa.”

La ragazza si rimise l’armatura d’oro, e fece per guadagnare l’uscita, ma prima di andarsene lanciò un ultimo sorriso a Ramiel:

“Quando tutta questa storia sarà finita, potrei mostrarti qualcosa di più adulto, che ne dici?”

“Ria…”

“Riposati, leoncino.” - disse per poi varcare la porta.

Ramiel ripensò tutto il giorno a quell’ultimo sguardo, privo di emozione quasi melancolico, così diverso dal suo solito caldo sorriso.

 

1597

Non si ferma mai, si avvolge su sé stessa, continua a lacerare il mio corpo e la mia mente, ma la mia anima non crollerà, o almeno spero.

 

“Un nuovo cataclisma?” - domandò Zenovia - “Ad appena una settimana di distanza dal precedente?”

“Sì, sta nascendo proprio ora” - rispose Ikaros trafelata - “è visibile ad occhio nudo da Rodorio.”

Le due scesero fino ai piedi della prima casa, e da lì poterono infine osservare il tetro spettacolo all’orizzonte: una cupola completamente nera, che diveniva sempre più grande di secondo in secondo, e non accennava minimamente ad arrestare la propria crescita.

“Ikaros, chi è il cavaliere più vicino laggiù?”

“Ria…!”

Zenovia strinse i denti mordendosi un dito:

“Accidenti… manda a chiamare gli altri, io vado a darle man forte.”

“D’accordo!”

 

Il cavaliere dei Gemelli corse più celermente che poté, bruciando anche il proprio cosmo per arrivare il prima possibile: in pochi istanti giunse nei pressi del gorgo oscuro, che aveva ormai raggiunto le dimensioni di uno stadio olimpico.

Dinnanzi a quel fenomeno inarrestabile, si ergevano Ria e Ramiel, ansimando spossati dopo aver dato fondo a gran parte delle proprie energie per fermarlo.

“Aquarius, Leo” - li chiamò Zenovia a distanza di qualche metro - “resistete, i rinforzi stanno arrivando!”


“Nessuno ci aiuterà ora, e fra un minuto sarà troppo tardi.”

“Che cosa facciamo?” - chiese allarmato Ramiel.

Ria chiuse gli occhi e rimase in silenzio per un istante, dopodiché si voltò, e guardandolo sorrise senza allegria :

“Prenditi cura di te, leoncino.”

Ramiel riconobbe quello sguardo: era il medesimo che gli aveva lanciato quel giorno, dopo il loro momento intimo, e solo in quell’istante intuì cosa si stesse celando dietro al suo sorriso malinconico: consapevolezza, disperazione, ed accettazione.

“C-che cosa intendi fare?”

La ragazza non rispose, si limitò a far divampare il suo gelido cosmo in maniera tanto intensa da far arretrare Ramiel di alcuni passi e con l’armatura ricoperta da un sottile strato di brina, dopodiché sollevò le braccia in modo solenne, ed unì le mani stringendole:

 

“Questa è l’esecuzione dell’aurora; questa è la mia esecuzione.”

 

Infine la ragazza abbassò le braccia, e dal suo corpo fuoriuscì un getto di energia congelante che si scagliò contro la massa di tenebre, venendo tuttavia completamente risucchiata; a quel punto Ria innalzò ai limiti estremi il proprio cosmo, ed il suo attacco si irradiò avvolgendo tutta la cupola, ed anche sé stessa.

 

 

Al posto del gorgo nero, ora vi era un’immensa e scintillante ghiacciaio di forma sferica.

 

“Ria…” - sospirò tremulo Ramiel, cadendo in ginocchio dinnanzi all’enorme lastra.

“Esci da lì!” - gridò disperata Zenovia sbattendo i pugni sul ghiaccio - “Ti libererò io! Ti libererò io!”

“Il suo cosmo è completamente svanito…” - commentò mestamente il cavaliere del Leone.

“Mi rifiuto di lasciarla là dentro!” - rispose la rossa facendo ardere la propria energia.

“Così non farai altro che distruggere il suo corpo!” - gridò Ramiel rialzandosi e frapponendosi tra il ghiacciaio ed il cavaliere dei Gemelli.

“Ma certo è così che fai tu, rinunci!” - ringhiò Zenovia mentre gli occhi le diventavano lucidi - “Ti volti dall’altra parte e te ne vai, non importa chi rimane indietro!”

“Ria è morta!” - urlò Ramiel in risposta, facendo infiammare il proprio cosmo.

“Tu non hai fatto niente per impedirlo!”

A quel punto le nubi si dissiparono ed i raggi del sole del sole finalmente liberi da quell’opprimente oscurità, illuminarono la cupola di ghiaccio, rivelando la figura della sacra guerriera d’oro: il suo dolce viso aveva un’espressione tanto serafica che sembrava stesse facendo uno splendido sogno, da cui tuttavia non avrebbe mai avuto alcun modo di destarsi.

Dinnanzi a quella vista, i due cavalieri d’oro si placarono, e dopo essersi appoggiati sulla gelida tomba, si abbandonarono ad un lungo pianto di commiato.

 

2584

Presto o tardi la morte del mondo si compirà, e non vi saranno altro che tenebre.

 

Ramiel se ne stava sulle scale dinnanzi all’ingresso del proprio palazzo, intento a scrutare il cielo notturno in cerca di qualche stella; quella sera tuttavia, non vi era alcuna traccia di luci e tutto appariva plumbeo, indefinito.

 

“E’ molto tardi, cavaliere del Leone.”

 

Ramiel riconobbe all’istante quella voce soave dietro alle sue spalle:
“Non riesco a prendere sonno.”

“Lo immagino” - disse Calipso portandosi accanto a lui - “nessuno riuscirebbe a dormire serenamente dopo una giornata come questa.”

“Già.” - rispose il giovane senza sforzarsi di continuare la conversazione.

A quel punto il biondo si sedette accanto a lui:

“Se vuoi, posso restare qui con te per un po’.”

“Non è necessario tanto disturbo…”

“Nessun disturbo.” - rispose Calipso arridendo affabilmente.

Il suo sorriso era diverso da quello di Ria, meno candido ma comunque estremamente sincero, ed in quel momento lo apprezzò molto.

Dopo un po’ la stanchezza ebbe la meglio, e senza rendersene conto Ramiel finì per appoggiarsi sul fianco dell’altro ragazzo:

“Riposa pure, leone bianco: io resterò qui con te tutta la notte.”

A quel punto Ramiel serrò lentamente gli occhi, e si abbandonò ad un profondo sonno ristoratore fino al mattino seguente.

 

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Capitolo 10
*** 2 ***


Zenovia nacque il due giugno, tre anni prima che scoppiasse la guerra contro il re degli inferi; sua madre, una donna di umili origini, svolgeva il ruolo di domestica presso il Santuario, dov’era amata da molti per la sua straordinaria bellezza, ma soprattutto per il suo carattere risoluto e determinato.

Quando morì, Zenovia aveva appena quattro anni; al funerale, che si tenne durante una fresca e soleggiata mattinata primaverile, furono presenti diversi cavalieri, e persino il sacro guerriero d’oro dei Gemelli, da poco divenuto grande sacerdote.

 

“Tu devi essere Zenovia, vero?” - chiese dolcemente l’uomo inginocchiandosi di fronte a quella bimba minuta vestita di nero.

“S-sì…” - rispose timidamente la piccola, sentendosi un po’ in soggezione di fronte a quell’imponente cavaliere e alla sua armatura scintillante.

“Il mio nome è Saga, e sono il tuo papà.”

“Il mio papà…?”

“Sì, la tua mamma non mi ha mai detto di te perché… perché io sono un cavaliere di Atena, e a noi non è permesso avere una famiglia, di solito. Però se vuoi, ora posso prendermi cura io di te, che ne dici?”

“Sì, ma solo se fai una cosa…”

“Dimmi pure.”

“Da grande voglio essere anche io un cavaliere.”

 

4181

Almeno alla fine del mondo, avrei voluto sapere per cosa abbiamo lottato.

 

Saga accompagnò Zenovia in una piccola arena senza spalti, cinta da un cerchio di colonne marmoree, al cui interno vi erano altre due bambine, ed un cavaliere con un’armatura decisamente meno appariscente di quelle dorate.

“Zenovia, costui è Blake della Fenice, un cavaliere veterano che ti insegnerà le basi dei principi cavallereschi.”

“Molto piacere.” - si presentò con riverenza Zenovia.

“Il piacere è tutto mio.” - rispose garbatamente l’uomo - “Queste che vedi saranno le tue compagne; anche loro si stanno addestrando per conquistare una sacra armatura d’oro, spero che andiate d’accordo.”

A quel punto una delle due bambine si fece avanti sorridendo:
“Io mi chiamo Ria!”

“Piacere, sono Zenovia.”

“Io invece mi chiamo Ikaros!” - aggiunse l’altra con tono più deciso.

“Mi piacciono molti i tuoi capelli!” - cinguettò entusiasta Ria.

“G-grazie…”

Quella bambina sempre sorridente dalla pittoresca chioma color menta e dai modi così gentili riuscì a ritagliarsi fin da subito un posto speciale nel severo cuore di Zenovia.

 

6.765

Ormai anche se sono morto dentro da tempo, il mio corpo continua ad avanzare.

 

Zenovia se ne stava seduta sulla balaustra di una delle finestre del suo palazzo, intenta ad osservare la pioggia, che incessante scendeva sulla vallata del Grande Tempio.

 

“Zenovia…”

 

La giovane si voltò e vide il padre entrare in quell’ala dell’edificio, il quale le si rivolse con aria preoccupata:
“Come stai?”

“Sto bene.” - disse lei senza degnarlo di troppe attenzioni.

A quel punto Saga si portò alla finestra, e si sedette davanti a lei:
“Sono cinque giorni ormai che non esci dalla casa dei Gemelli…”

“Non c’è niente là fuori, se non altra oscurità in arrivo.”

“Sono preoccupato per te Zenovia, e non come Grande Sacerdote, ma come padre.”

“Le tue paure sono infondate,” - rispose secca - “Come ho già detto, sto bene.”

Capendo che il muro tra loro fosse in quel momento insormontabile, le accarezzò il viso e si alzò:

“Prenditi il tuo tempo, ma ricorda che non sei sola.” - disse avviandosi verso l’uscita.

“Siamo tutti solo ormai, a questo mondo…” - mormorò Zenovia.

 

Rimasta sola, si alzò ed andò verso la dispensa in cerca di qualcosa da mangiare. Aprì lo sportello di una credenza e sull’anta vi trovò, attaccata con del nastro adesivo, una foto di lei assieme a Ikaros e Ria, durante i lontani giorni di addestramento.

Strinse i denti e divenne paonazza, dopodiché con un gesto energico ribaltò il mobile e lanciò un urlo disperato; infine cadde a terra e si rannicchiò portando le ginocchia verso il petto, abbandonandosi ad un pianto inconsolabile.

“Non dovevi farmela questa, Ria…” - singhiozzò tenendo tra le mani la fotografia - “Non dovevi lasciarmi…!”

 

Qualche ora dopo, decise che quelle mura fossero diventate troppo strette, pertanto decise di sfidare il tempo e recarsi a valle a fare due passi.

Scendendo, trovò ai piedi della prima casa il cavaliere del Leone, intento a scrutare la pioggia silenziosamente; quando si accorse della sua presenza, Ramiel la fissò per un istante rimanendo interdetto.
“Ciao…” - disse infine, non riuscendo ad aggiungere altro.

“Ramiel.” - rispose lei senza troppa emozione.

Entrambi erano ancora amareggiati per i fatti dei giorni passati, e a stento riuscivano a guardarsi.

Dopo essere rimasti ancora in silenzio, Zenovia fece per andare oltre, ma Ramiel la chiamò:
“Mi dispiace.”

“Lascia stare, non dovevo aggredirti.”

“Zenovia” - si alzò e si avvicinò a lei sotto la pioggia - “non te l’ho mai detto, ma… ho sempre nutrito molta stima nei tuoi confronti.”

“Lo apprezzo.” - rispose lei, per poi rimettersi in marcia.

 

Il suo errare la portò presso la collina dove per anni aveva addestrato il suo allievo; quando giunse sulla cima, per un istante gli parve di vedere proprio la sua chioma canuta, ma osservando meglio attraverso la fitta pioggia, constatò fosse in realtà un’altra persona.

 

“Non dovresti startene sotto la pioggia in quel modo.” - le si rivolse quello sconosciuto vestito con un’armatura d’oro alata di cui aveva sentito parlare, ma che non aveva mai visto coi propri occhi.
“Da che pulpito, e comunque chi saresti?”

“Io sono Calipso, custode della nona casa.”

“Non sapevo che la sacra armatura d’oro del Sagittario avesse un nuovo proprietario…”

“Sono giunto da poco tempo al Santuario.”

A quel punto piombò un lungo silenzio, interrotto soltanto dallo scrosciare della pioggia che si abbatteva impetuosa sugli aghi di pino e sulle rocce.

 

“Tu cadrai, Zenovia dei Gemelli.”

La rossa gli si portò accanto e lo guardò dritta negli occhi:

“Cosa intendi?”

“Lo senti anche tu, dentro di te: il viaggio è finito, tu cadrai, i cavalieri cadranno, Atena cadrà.”

“Ma che razza di cavaliere sei, come puoi dire cose del genere? Noi siamo i sacri guerrieri che difendono il mondo dal male, non c’è tempo per l’autocommiserazione!”

In quell’istante, un forte boato attraversò l’aria, e Zenovia poté vedere in lontananza una massa oscura che ormai conosceva fin troppo bene:
“Dovremmo andare.”

“Dovremmo avvertire il Grande Sacerdote prima.”

“E allora vacci tu con le tue belle alette dorate; se qualcuno non interviene, quell’affare rischia di divorare qualunque cosa nei dintorni!”

Detto ciò la rossa svanì in un lampo dorato diretto verso il gorgo oscuro, il tutto sotto lo sguardo impassibile ed al contempo beffardo di Calipso:

“Il tuo viaggio finisce oggi, Zenovia dei Gemelli?”

 

 

“Anche tu qui?”

La rossa si voltò, e vide venirle incontro un viso familiare:
“Maestro Blake?”

“Sei cresciuta molto dall’ultima volta che si siamo visti.”

“Perdonami ma non ho davvero tempo per i convenevoli, come vedi…”

“Lo vedo, lo vedo; a tal proposito, come hai intenzione di fermarlo?”

Zenovia strinse i pugni e chinò il capo perplessa:
“Non lo so, ma in qualche modo devo provarci.”

“Posso suggerirti di creare un passaggio verso l’altra dimensione?”

“Non ho mai usato quella tecnica su qualcosa di tali dimensioni; inoltre, se aprissi un varco così grande nello spazio e nel tempo c’è il rischio che si formi un buco nero…”

“Posso provare a comprimere il gorgo con l’immenso potere della Fenice, ma per un solo istante; credi di potercela fare?”

“Non ne ho idea.”

Blake sorrise senza emozione ma con aria di sfida:
“Benissimo, non mi sembra ci sia altro da perdere.”

Il cavaliere di bronzo innalzò il proprio cosmo fino ai limiti estremi, e raggiunto il settimo senso avvolse la massa nera con la sua energia fiammante; nell’istante esatto in cui Blake comprimette il gorgo oscuro, Zenovia adoperò la prodigiosa tecnica legata alla costellazione dei Gemelli in grado di aprire un portale verso una dimensione sconosciuta.

All’improvviso, avvenne una cosa che mai era accaduta fino a quel momento: Zenovia avvertì qualcosa all’interno del vortice nero. Non riusciva a capire se si trattasse di un’emanazione di energia, o addirittura una manifestazione di volontà, ma era certa che vi fosse un qualche agente, per lo meno dietro la comparsa di quell’ultima calamità. Squarciando violentemente il cosmo infuocato della Fenice, il gorgo si espanse rapidamente, e con esso il passaggio dimensionale aperto dal cavaliere dei Gemelli, ora non più in grado di controllarlo.

“No, non può finire così…” - disse Zenovia - “Non lo accetto, non voglio morire!”

Infine il vortice ed il varco avvolsero i due cavalieri inghiottendoli al proprio interno:

“Non posso morire così, non ha senso!” - gridò la rossa cercando di respingere l’oscurità che avanzava inesorabile cercando di agguantarla - “Io sono Zenovia dei Gemelli, figlia di Saga, con le mie mani posso distruggere le galassie!!!”

Ma in quell’oscurità a nessuno interessavano i titoli e le qualità del cavaliere d’oro, e quella fredda indifferenza dell’universo le infiammò l’animo:
«Non è giusto, perché non sono riuscita a fermarlo? Non ho salvato nessuno, ho lasciato morire i miei compagni, ho lasciato morire Ria… chi è davvero il cavaliere dei Gemelli? Che senso ho di esistere se non riesco ad adempiere al mio ruolo, se non riesco a proteggere le persone a me care? Io ero nata per essere la migliore, era scritto nel mio sangue, allora perché continuo a vivere se non riesco ad adempiere al mio destino? Dovevano guardarmi tutti, ammirarmi, rispettarmi… amarmi! Non volevo altro, soltanto sentirmi amata, per dimenticare anche per un singolo insignificante secondo quanto profondamente io sia sempre stata… sola…»

 

«Non sei mai stata sola.»

 

Nel bel mezzo di quell’infinità di tenebre, in cui sentiva le sue membra sciogliersi nel nulla, Zenovia vide in lontananza una figura vestita con l’armatura dei Gemelli; tuttavia, a differenza di quella che aveva indosso, l’altra armatura era di un colore fosco, dai riflessi violacei.

«Padre…»

«Sei cresciuta così tanto… e somigli anche a tua madre in maniera sorprendente.»

«Che cosa ci fai qui, sei forse rimasto anche tu vittima del gorgo?»

«No, io sono defunto da molti anni ormai, ciò che vedi è solo un residuo della mia coscienza, all’interno dell’armatura dei Gemelli.»

«Non capisco… tu defunto?»

«E’ tempo che tu sappia la verità, figlia mia, sulla reale natura di tuo padre, e sul reale esito della guerra contro il re degli inferi.»

 

10.946

Vorrei che qualcuno mi salvasse, vorrei che tu mi salvassi, ma la mia voce non sembra raggiungerti.

 

Il Grande Sacerdote sedeva sugli spalti dell’arena, dove dieci anni prima aveva investito Zenovia del titolo di cavaliere d’oro; ma da tre giorni ormai, di lei non si aveva più alcuna notizia.

“Atena…” - disse rivolgendosi alla giovane dea accanto a sé - “Perché tutto questo?”

Alexis non rispose, limitandosi a guardarlo con aria dispiaciuta.

“Perché non sono riuscito a proteggerla?” - singhiozzò l’uomo aggrappandosi al chitone della ragazza - “Avevo giurato, non doveva andare così!”

“Hai fatto tutto il possibile.” - disse la dea accarezzandogli il capo.

 

In quel momento il Grande Sacerdote percepì una presenza all’interno dell’arena, e voltandosi, vide una figura vestita di un’armatura nera dalle sembianze feroci, con grandi ali affilati dietro la schiena, e un elmo munito di lunghe corna appuntite.

“Atena… tornate alle vostre stanze.”

La ragazza lo guardò confusa:

“Ma io sono la tua dea, ho già abbandonato diversi cavalieri, non voglio lasciare anche te…”

“Io non sono chi credete sia, per tutti questi anni vi ho sempre nascosto la verità, e ora dovrò pagare per i miei peccati.”

Dispiaciuta, la dea gli accarezzò il viso guardandolo coi suoi grandi e imperscrutabili occhi celesti:
“Spero che tu possa infine trovare la redenzione che cerchi.”.

Detto ciò Alexis abbandonò l’anfiteatro, ed il Grande Sacerdote si alzò in piedi per affrontare il proprio avversario:

“Dovevo immaginare che il passato sarebbe venuto a bussare alla mia porta col tuo volto” - disse rivolgendosi all’uomo con l’armatura nera - “Radamante, Stella della Furia Celeste.”

“Sono solo un messaggero, un guscio vuoto senz’anima, in verità.” - tuonò lo Specter con voce cavernosa - “Eppure questo corpo ancora mantiene il ricordo dell’esplosione galattica che hai inflitto a entrambi.”

A quel punto Radamante sollevò il braccio minacciosamente, ed indicò il suo antico avversario:
“Che tu sia sopravvissuto fino ad oggi è stato soltanto un beffardo scherzo del destino, e anche se vengo qui davanti a te come agente del fato, sarò ben lieto di adempiere al mio compito: preparati ad essere inghiottito dall’oscurità, Kanon dei Gemelli.”

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Capitolo 11
*** 1 ***


Oggi è il giorno in cui morirò.”

 

Natalia si svegliò di soprassalto: un altro brutto sogno?

Eppure era certa di essere davanti al Black Bear fino al momento prima, e riusciva persino a sentire ancora il calore dell’abbraccio di Ramiel: era stato tutto fin troppo lucido.

Guardò la sveglia, e non avendo più voglia più rimanere a letto si alzò ed andò, sollevò le persiane per illuminare la cameretta e spalancò le finestre, dopodiché scese fino in cucina in cerca di qualcosa con cui fare colazione; Kaila non si era ancora svegliata, ma avendo entrambe avuto dei problemi a dormire negli ultimi tempi preferì lasciar riposare la madre.

 

Riempì una scodella di latte appena scaldato, e si sedette al tavolo della cucina per gustarlo con calma.

D’un tratto udì un paio di colpi secchi provenire dalla porta d’ingresso, e quando questi si ripetettero decise infine di andare a controllare: dallo spioncino vide una giovane dai capelli scarlatti, vestita con un’armatura d’oro simile a quella di Ramiel.

 

Quando la porta si aprì, Zenovia rimase sbalordita dall’incredibile somiglianza della giovane col fratello, malgrado la differenza di sesso.

“T-tu sei… sei la sorella di Ramiel?”

Natalia osservò la ragazza: aveva un’aria affaticata, quasi emaciata, e la sua armatura era coperta da diverse crepe a livello superficiale.

“Sì, e tu invece sei un cavaliere d’oro, come lui, ho ragione?”

“Esattamente, il mio nome è Zenovia.”
“Immagino tu voglia parlare con mia madre…”

“No, a dire il vero la persona che stavo cercando sei tu.”

“Io?”

A quel punto Zenovia le posò le mani sulle spalle e la guardò con estrema serietà:
“Da te dipendono le sorti di tuo fratello, e del mondo intero.”

 

17711

Ancora una volta mi trovo a dover percorrere questa strada buia.

 

Le dodici case erano ormai divenute praticamente deserte: quasi tutti i cavalieri d’oro non c’erano più, ed anche il Grande Sacerdote era scomparso da alcuni giorni senza lasciare traccia.

 

Ramiel se ne stava sdraiato sul suo divanetto a fissare il soffitto, senza nessun pensiero in particolare per la testa.

Si sentiva svuotato delle proprie emozioni, e in quel momento non riusciva a provare niente: tutto gli appariva lontano, distaccato.

La sua atarassica contemplazione del vuoto venne infine interrotta dall’arrivo di una figura vestita di bianco, che lo fece alzare in piedi e composto, ma comunque senza troppo disturbo:
“Alex… Volevo dire, Atena…”

“Chiamami pure con quel nome tanto bello, Ramiel.”

“Che cosa ti porta nella casa del Leone?”

“Da quando il Grane Sacerdote è scomparso le mie stanze mi sembrano deserte senza la sua compagnia, e inoltre avevo voglia di vedere un volto amico.”

“Capisco, ma sarei dovuto venire io, non il contrario…”

“Non importa, ormai sono qui.”

La dea prese a passeggiare su e giù tra i saloni del palazzo:
“Tu non ti senti mai solo in un edificio così grande?”

“Sì, per questo prima che questa situazione avesse inizio preferivo starmene altrove.”

“Oh, e dove?” - chiese Alexis sbucando da una colonna.

“A casa mia, con la mia famiglia.”

“Devi volere loro molto bene.”

“Sì, e vorrei vederle un’ultima volta.”
“Un’ultima volta dici?”

“Sì, prima di sparire intendo; ormai siamo rimasti in pochi, e non credo faremo una bella fine.”

“Già, immagino che ti sia molto difficile rimanere ottimista in questo momento.” - disse Alexis per poi avviarsi verso l’uscita - “In ogni caso mi ha fatto piacere chiacchierare con te dopo tanto tempo.”

 

Dopo aver parlato con Alexis, Ramiel decise di andare a fare due passi per cercare di distrarsi un po’ dai suoi pensieri ombrosi, e camminando giunse nei pressi di un vecchio tempio abbandonato: il tetto era stato ormai scoperchiato, e rimanevano solo colonne consumate dal tempo, coperte di muschi ed edera.

Là vi trovò, seduto su un vecchio capitello crollato dal proprio pilastro, perso in silenzio nei suoi pensieri, un cavaliere a lui sconosciuto vestito con un’armatura dai colori spenti e piena di crepe.

“Salve…” - lo salutò timidamente.

“Salve a te, cavaliere d’oro.” - rispose sollevando lo sguardo verso di lui, per poi assumere un’espressione sorpresa - “Tu devi essere Ramiel, dico bene?”

“Sì, è così; quanto a voi, non credo di avervi mai visto prima…”

“Come puoi vedere, non sono una persona molto socievole.”

“Io credo di non aver mai visto neppure la vostra armatura.”

“Sono le sacre vestigia di bronzo della Fenice.”

“Non ne ho mai sentito parlare…”

“Oh, è una delle armature più prodigiose: come l’araba fenice ha il potere di rinascere dalle proprie ceneri, anche se temo che per un po’ non potrò più utilizzare quel potere, a causa dei vortici neri…”

“Li avete visti?”

“Ero con il cavaliere dei Gemelli al momento della sua scomparsa.”

“Quindi la conoscevate…” - commentò Ramiel rammaricato.

“Per quasi due anni ho addestrato Zenovia.”- rispose sorridendo senza allegria - “So che poco dopo ha preso con sé un allievo, e che quell’allievo eri proprio tu…”

“Sì, è stata la mia insegnante.”

“Non dev’essere stato facile, conoscendo il suo carattere.” - ridacchiò il cavaliere.

“No infatti… mi dispiace solo non essere mai riuscito a parlarci apertamente.”

“Sono sicuro che anche lei provi la stessa cosa; anche se può non sembrare è una persona di buon cuore.”

“In ogni caso ormai non avrò più occasione per chiarirmi con lei.”
“Chi può dirlo.” - rispose alzandosi dal capitello - “Ad ogni modo, mi ha fatto piacere parlare con te e spero di poterti rivedere un giorno, Ramiel del Leone.”

“Aspettate Phoenix, non so il vostro nome.”
“Blake.” - rispose arridente, per poi incamminarsi e sparire tra le ombre di una foresta situata di fianco al tempio.

“Blake…” - ripeté Ramiel bisbigliando tra sé e sé.

Era certo di non aver mai incontrato quell’uomo, eppure il suo nome e la sua figura gli erano in qualche modo familiari; tuttavia non ebbe il tempo di poterci riflettere sopra a lungo, in quanto poco dopo quell’incontro avvertì un cosmo immenso ed ostile espandersi in direzione delle dodici case.

 

Celermente si precipitò ai piedi della lunga scalinata ed iniziò a percorrerla col cuore in gola: non era tipo da sconvolgersi tanto facilmente, dunque perché quel cosmo gli stava facendo tremare tanto l’animo?

Giunto dinnanzi al proprio palazzo si rese conto di due fatti: per prima cosa, salendo non aveva avvertito minimamente la presenza dei custodi della seconda e della quarta casa, e in secondo luogo si rese conto che la fonte di energia non proveniva dalla dimora di Atena, ma da un luogo non molto distante ad essa.

Man mano che si avvicinava a quel cosmo crescente riuscì a delinearlo in maniera più chiara: aveva un’aura opprimente eppure non ostile, e per qualche motivo gli trasmetteva la stessa sensazione di malessere che aveva provato trovandosi dinnanzi al gorgo oscuro.

 

Quando giunse infine alla nona casa, quel nemico che fino a poco prima non aveva né una consistenza né un volto, ora si mostrava a lui con fattezze umane:
“Finalmente sei arrivato.” - lo salutò arridente il cavaliere del Sagittario.

“Che cosa significa tutto questo…?” - domandò Ramiel entrando trafelato nella casa del Sagittario.

“Era una spirale.”

“Come?”

“Lo schema che il Grande Sacerdote cercava di comprendere; a dire il vero c’era arrivato molto vicino, ma purtroppo è scomparso prima di poter giungere alla soluzione dell’enigma.”

“Io non capisco… che cosa succede, e dove sono Deathmask, Aphrodite, e Ikaros?”

“Ormai siamo vicini al collasso, non ti sei neppure reso conto del vortice apparso ieri all’interno del Santuario…”

“No… me ne sarei accorto…”
“Ciò che dici sarebbe in effetti corretto, se non fossi tu a dirlo: solo tu non potevi percepire un evento così imponente pur trovandotici estremamente vicino.”

“Smettila di prenderti gioco di me, Calipso!” - gridò Ramiel iniziando d’istinto ad avvampare il proprio cosmo.

“Non ti sto prendendo in giro” - disse il giovane dai capelli biondi guardandolo dritto negli occhi foschi con aria dispiaciuta - “anzi provo una smisurata compassione nei tuoi confronti, cavaliere.”

“E allora ti scongiuro, spiegami cosa sta accadendo…” - aggiunse Ramiel avanzando tremulo verso di lui.

“Esattamente vent’anni fa Atena ed alcuni suoi fidati cavalieri compirono un’impresa senza uguali: sconfissero Ade, il re degli inferi. Lo capisci? Di fatto sconfissero la morte stessa, e in tal modo cancellarono tutte le sue opere atte a castigare gli esseri umani dopo il trapasso.”

“Ma che cos’ha a che vedere ciò con tutto questo?”

“Quando nacque l’universo, forze incontrollabili si agitavano dentro di esso: intere galassie si scontravano per poi svanire nel nulla, mentre fiumi di stelle solcavano lo spazio sconfinato.

E tra tutti questi fenomeni, ve ne era uno che fin da subito, temettero più di ogni altra cosa prima i titani e poi gli dei: la Notte. Nata dal Caos, Notte divorava qualunque cosa su cui si posasse, senza lasciarne traccia: l’unico fine della sua esistenza era inghiottire l’universo intero rendendolo di fatto una versione illimitata di sé stessa.”

A quel punto Calipso spiegò le ali dell’armatura del Sagittario, ed una scia d’energia oscura iniziò a turbinare attorno a lui:
“Ma Notte aveva anche un fratello, Erebo, plasmato con la sua stessa sostanza, col preciso compito di aprirle la via gettando l’oscurità nel mondo, pertanto creò uno potere da offrire ai numi immortali, che il futuro signore degli inferi adoperò per plasmare il suo regno; tuttavia Ade scoprì il sotterfugio, e con l’aiuto del re dei cieli Zeus sigillò nella sua nuova creazione Erebo stesso.

A quel punto Notte, privata del suo agente, sprofondò in un sonno profondo da cui si ridestò soltanto con la caduta del re degli inferi, ovvero quando riuscii finalmente a liberarmi dalla mia prigionia mitologica.”

Ramiel sgranò gli occhi sconcertato, ed osservò incredulo il giovane dinnanzi a sé:
“Tu sei Erebo…”

“Sono la sua incarnazione, e la sua volontà.”

“Eri tu a causare i vortici!”

“No, su questo t’inganni: io stesso fungo da araldo della Notte, ma non sono io a crearli, essi nascono spontaneamente man mano che il potere di Notte si accresce.”

“Una spirale…” - mormorò Ramiel intuendo infine le parole che Calipso gli aveva rivolto poco prima - “Una spirale che si stringe sempre più vicina al proprio punto d’origine… ma se non sei tu, che cos’è che attira i vortici oscuri?”

“Quando i Campi Elisi collassarono, al loro interno vi erano ancora le spoglie di Atena, e mentre la sua anima le lasciava io colsi al volo l’occasione per gettarvici dentro parte della mia sostanza, contaminando la sua successiva reincarnazione.”

“Alexis…” - commentò Ramiel incredulo.

“Lei non sa di essere il ricettacolo di Notte, ma in cuor suo ha sempre sentito qualcosa di anomalo dentro di sé.”

“Sei stato tu a provocare quel costante senso di malinconia nell’animo di Alexis… non ti perdonerò mai!” - ringhiò il cavaliere del leone innalzando la propria energia - “Io mi fidavo di te, e invece hai solo tramato alle mie spalle, portando via le persone a me care!”

“Rispondi solo a una domanda, se vuoi: cosa saresti disposto a fare, per il bene di tua sorella?”

Spiazzato da quella domanda Ramiel non rispose, e a quel punto sul volto di Calipso apparve un sorriso malinconico privo di allegria:
“Eccoci dunque, un’altra volta a questo punto, Ramiel…”

“Che intendi dire con un’altra volta?”

“Ora io ti farò una proposta, e tu ancora una volta la declinerai sdegnato, accettando una sofferenza senza eguali.”

“Di che cosa stai parlando?”

“Quando ebbe inizio questa cosa per me eri soltanto un semplice mortale… eppure la prima volta che ci trovammo in questa situazione la tua tenacia suscitò il mio interesse, e decisi di volerti mettere alla prova. Accettasti di ricominciare da capo, dicendomi che avresti trovato il modo di sconfiggere me e Notte prima o poi, ed il primo te stesso venne dilaniato in dodici punti attraverso lo spazio ed il tempo. Vuoi sapere che cos’è la spirale? Sei tu stesso la spirale che dispone gli eventi di questa storia, incastonandoli al loro posto poiché non potevi permettere che una porzione di realtà venisse asportata lasciando spazio al niente, al vuoto; la spirale è sia il tuo passato che il tuo futuro.”

“Ciò che dici non ha alcun senso per me!” - gridò confuso Ramiel - “Sentiamo dunque, quale sarebbe questa proposta che io dovrei rifiutare con sdegno?”

Calipso a quel punto sollevò un braccio e lo allungò solenne verso di lui:
“Diventa parte di me, non soffrirai, non vivrai, non morirai, sarai eterno ed imperturbabile.”

“Altrimenti?”

Il biondo abbassò il braccio e scoprì il petto:
“Uccidimi, prendi il mio posto nel vortice, e fa ripartire il corso degli eventi, se sei convinto di potere trovare un modo per fermarmi.”

Ramiel sollevò il proprio pugno, ammantandolo con un’energia fiammante di colore diafano:

“Dimenticherò tutto, non è così?”

“Dopo che la tua anima sarà fatta a pezzi, sì.”

 

Il cavaliere d’oro rimase a lungo col proprio braccio pronto a sferrare il colpo, in silenzio e con il capo chino.

 

“Fa ciò che devi.”- rispose il biondo sorridendo candidamente.

“Sarà doloroso?”

“Per me un po’, per te in modo inimmaginabile.”

“Capisco…”

 

Infine, con uno scatto rapido Ramiel si portò su Calipso, conficcando il proprio pugno in mezzo al suo petto.

 

“Spero un giorno tu accetterai la mia offerta, così potremo essere felici… assieme…” - mormorò Calipso chiudendo gli occhi, mentre un paio di lacrime rigarono il viso di Ramiel scivolandogli lentamente sulle guance.

 

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Puoi sentirmi? Riesci a vedermi?

Da questo dipende tutto quanto.

 

«Ancora una volta?»

«Già, pare che non siano ancora pronti.»

«Spero presto arrivi il momento in cui tutto questo avrà fine.»

«Lo spero anch’io.»

«Fino a quel giorno, addio Erebo, mio amato fratello.»

«Addio Notte… o come tanto ami essere chiamata dal leone bianco, Alexis. »

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Capitolo 12
*** 1 ***


Zenovia e Natalia giunsero alle pendici delle dodici case, e quest’ultima rimase estasiata nell’osservare la loro imponenza:
“Dunque è qui che risiedono i dodici cavalieri d’oro, compreso mio fratello…”

“Sì, ma questo silenzio è innaturale, il Santuario pare completamente deserto… eppure percepisco qualcosa provenire dalla sommità dei templi, dalle stanze di Atena.”

 

“Allora dovreste recarvici al più presto.”

 

Zenovia si voltò, colpita nell’udire quella voce:
“Maestro Blake, credevo che il gorgo oscuro ti avesse…”

“Sono riuscito a uscirne grazie alle ali della fenice, ma questo ha ucciso l’armatura purtroppo.”

“Pensavo che le sacre vestigia di Phoenix fossero immortali.”

“Evidentemente c’è un limite anche a questo potere; in ogni caso ti faccio le mie congratulazioni per essere riuscita a risvegliare il tuo ottavo senso, Zenovia.”

“Non avrei immaginato di apprendere la verità su mio padre in quel modo… tu lo sapevi?”

“Sì, ma solo io e Kanon ne eravamo a conoscenza.”

“Mi chiedo perché non abbia mai voluto dirmi la verità…”

“Amava anche lui tua madre, ma purtroppo c’erano molto ombre nel suo passato che lo tormentavano costantemente, e credo cercasse la redenzione mettendosi al totale servizio di Atena e prendendosi cura te; tuttavia sono certo ti abbia davvero amata come fossi stata la sua vera figlia.”

A quel punto Blake si rivolse a Natalia, che fino a quel momento era rimasta ad osservarlo incuriosita senza dire niente:
“Sei davvero la copia sputata di tuo fratello… ed entrambi assomigliate in modo impressionante a vostra madre.”

“Ci conosciamo?”

“No, non ci siamo mai incontrati.”

“Eppure hai un’aria così familiare…”

Il cavaliere di bronzo rimase in silenzio per alcuni istanti, dopodiché scosse il capo e fece marcia indietro:

“Non posso venire con voi.”

“Maestro…”

“Non fraintendermi Zenovia, il fatto è che voi siete state scelte, mentre io sono solo un umile pedone in questa storia. La scalinata delle dodici case è ora un luogo fuori dallo spazio e dal tempo, governato dal caos; se io provassi ad attraversarlo finirei per vagare in eterno in preda alla follia, oppure verrei lacerato dalle forze celate tra le nicchie della realtà che va disgregandosi.”

“Perché noi?” - domandò Natalia.

“Immagino che fosse scritto nelle stelle.” - rispose Blake avviandosi verso un orizzonte oscuro e nebuloso - “Portate i miei ultimi saluti al cavaliere del Leone, se riuscite.”

Infine, sotto lo sguardo sconcertato di entrambe, l’uomo sparì tra quelle fosche nubi che avevano ormai avvolto tutto il Santuario,

“Non c’è più tempo” - disse Zenovia prendendo Natalia per mano - “dobbiamo andare.”

 

Come annunciato dal cavaliere della Fenice, attraversando le dodici case le due ragazze si ritrovarono in un luogo fuori da ogni logica, in cui angoli insensati conducevano a svincoli che fino a un istante prima neppure esistevano, e dove per salire era necessario scendere, oppure a volte l’esatto contrario; in tutto ciò una bruma nera aleggiava sempre attorno a loro, e l’unica cosa che sembrava allontanarla almeno po’ era l’armatura d’oro dei Gemelli, che mai Zenovia aveva visto risplendere in quel modo, quasi come stesse fungendo da faro in mezzo alle tenebre sconfinate.

 

“Sai” - disse Natalia spezzando il lungo silenzio in cui erano piombate da quando si erano avventurate nella foschia - “Ramiel mi ha parlato molto di te.”

“Davvero?” - domandò Zenovia colpita.

“Sì, ci confidiamo praticamente ogni cosa da quando abbiamo iniziato a parlare; Ramiel ha sempre avuto un carattere difficile, non è quel tipo di persona che riesce ad aprirsi con tutti, per questo il nostro è un legame così speciale, almeno dal mio punto di vista. Quando è tornato dal Santuario però, facevo fatica a riconoscerlo:

era come se qualcosa dentro di lui si fosse rotto.”

A quel punto la rossa scuoté il capo sorridendo senza allegria:

“Non devi avere una bella opinione su di me…”

“A dirla tutta mi sembri una brava persona, ma il fatto è che gli somigli…”

“A Ramiel?”

“Sì, ora che ti conosco riesco a vederlo chiaramente; probabilmente è quello il motivo per cui non siete mai riuscire a comunicare.”

“Forse hai ragione.”

 

Senza rendersene conto le due giunsero infine in un piazzale aperto, sotto un cielo completamente nero, illuminato soltanto da una serie di fiaccole disposte in cerchio attorno ad una grande statua raffigurante Atena; davanti ad essa, la dea in persona sembrava aspettarle con la sua consueta aria imperturbabile.

 

“Ho sempre saputo che eri una persona caparbia, Zenovia dei Gemelli, ma non immaginavo fino a questo punto.”

“Non c’è tempo per i complimenti, ho varcato la soglia dell’aldilà ed ho appreso la verità su Erebo e Notte; sono giunta fin qui per fermare questa eterna oscurità che intendi far piombare su tutto il mondo.”

“Fate pure.” - rispose Alexis senza troppa emozione - “Seguitemi, se ritenete di essere pronte ad affrontare la realtà delle cose.”

 

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Ecco il mio supplizio senza fine avere nuovamente inizio

 

Ramiel percorreva la valle oscura, solo ed in silenzio;

ad ogni passo sentiva le sue membra divenire più pesanti, ed il respiro farsi più affannoso.

D’un tratto tuttavia, avvertì alcune presenze alle proprie spalle, e voltandosi si stupì enormemente nel vedere quelle tre ragazze in un posto tanto lugubre:

“Alexis, Talia, Zenovia…”

“Ciao, fratellone” - lo salutò Natalia avvicinandosi - “il tuo messaggio è arrivato.”

Ramiel a quel punto sorrise con gli occhi lucidi:
“Allora il mio compito qui è finito, posso finalmente riposare in pace…”

“Che… che cosa stai dicendo?”

“Ho varcato gli universi più estremi, e ridotto cieli di diamante in polvere, soltanto per poterti vedere un’ultima volta.” - disse rivolgendosi poi ad Alexis con lo sguardo - “Siamo alla fine del viaggio, vero?”

Natalia e Zenovia si voltarono verso la dea, e questa prese a spiegare:
“Ramiel ha trasformato sé stesso nel motore di questi eventi, divenendone parte integrante ed inscindibile.”

“Ricominciamo!” - esclamò Zenovia - “Troveremo il modo di impedire tutto questo, ora non sei più da solo Ramiel!”

“No mi spiace, è così che devono andare le cose…”

“Ma perché?”

“Perché questo è l’unico modo che ho per proteggervi tutti.” - sorrise Ramiel per poi rivolgersi alla gemella - “Ho cercato di contattarti, di modo che potessi dare forma ad una nuova realtà che spezzasse la vecchia.”

“Allora perché anch’io non sono entrata a far parte del corso degli eventi?” - chiese la rossa.

“Ogni volta che sprofondavi nel gorgo riuscivi ad attivare il tuo ottavo senso, e quando il mio messaggio è finalmente arrivato a Natalia, il tuo cosmo si è agganciato alla sua presenza: seguendola sei in tal modo risalita dal mondo dei morti con una nuova consapevolezza che prima sarebbe scomparsa con il cambiare della realtà.”

“Quindi è stato solo un incidente…”
“No, avevi un compito preciso: portare Natalia qui. Ti ringrazio di cuore per averlo fatto.”

“Ma non capisco… come hai fatto a contattare tua sorella attraverso due piani dimensionali differenti?”

“Tra i nostri cosmi esiste un legame unico, e ritenevo potesse trascendere qualsiasi cosa, anche l’esistenza stessa; tuttavia ogni mio tentativo di contattarla era come una goccia d’acqua nell’oceano, e soltanto ripercorrendo la mia strada numerose volte sono infine riuscito ad ottenere il risultato sperato.”

“E subito dopo aver lanciato il tuo richiamo disperato” - spiegò Alexis - “venivi fatto a pezzi dalla nuova realtà, non più in grado sostenere una presenza tanto anomala nel suo tessuto.”

Zenovia e Natalia guardarono raggelate il ragazzo:

“Quante volte hai ripetuto questa cosa…?” - domandò tremula la rossa.

“Non potevo arrendermi, se lo avessi fatto tutto sarebbe divenuto parte di Notte…”

La risposta del ragazzo lasciava intuire il peso di un ciclo ripetuto un numero esorbitante di volte, e a quel punto Zenovia si avvicinò ad Alexis sollevando il proprio pugno:
“Dunque basterà togliere di mezzo il suo ricettacolo…!”

La giovane non si scompose, limitandosi a chinare il capo con accettazione:
“Fa ciò che ritieni più opportuno.”

“Fermati Zenovia, tutto questo ha avuto inizio poiché mi sono macchiato del sangue di Erebo, se tu facessi lo stesso con Notte chissà quali conseguenze potrebbe avere sulla realtà.”

“E allora perché saremmo giunte fin qui, solo per vederti morire un’altra volta?”

“No, il mio compito è finito, ora devo affidare tutto a mia sorella.”

Ramiel si avvicinò a Natalia e le prese delicatamente le mani:
“Grazie per essermi sempre restata accanto, Talia…”

“Non voglio perderti” - singhiozzò lei in lacrime - “come posso vivere in un mondo a metà…?”

“Sarò sempre con te.” - disse per poi appoggiare la sua fronte a quella della sorella.

A quel punto i due si guardarono e pur in lacrime sorrisero dolcemente, guardandosi nelle fosche iridi gemelle:
“Pare che questo sia un addio allora.” - commentò Natalia.

“Già. Non sono mai stato molto bravo in queste cose: che cosa dovrei dire ora?”

“Non devi dire niente…” - rispose la ragazza ridacchiando.

“Addio Talia.”

“Addio Ramiel.”

 

Infine i loro corpi iniziarono a brillare di una luce bianca che in iniziò a vorticare impetuosa espandendosi rapida, avvolgendo in pochi istanti l’intera vallata.

 

Finalmente sono riuscito a salvare tutti quanti.

 

«Eccetto te stesso.»

 

Ramiel si voltò, e vide in mezzo a quella landa scintillante una figura dorata dalla lunga chioma scarlatta.

 

“Che cosa ci fai qui?”

“Ho pensato di venire a far un po’ di compagnia al mio pupillo.”

“Dovresti andartene, prima che tutto questo collassi per lasciare posto alla prossima realtà.”

“Natalia ti dimenticherà, non è vero?”

“Sì, sarà come se non fossi mai esistito. In fondo va bene così, con me se ne andrà anche tutto il dolore accumulato nel mio animo.”

“Forse non è ancora arrivato il momento di estinguersi in un mondo di luce.” - disse facendogli cenno di guardare davanti a sé.

Ramiel notò a quel punto una figura vestita di bianco, la quale lo osservava coi suoi grandi occhi celesti.

“Alexis…”

“Pensavi ti avrei abbandonato proprio ora?” - disse arridendogli.

“Non capisco, che cosa ci fai ancora qui…”

“Quando ti ho conosciuto ero soltanto un ombra: né dea, né umana. Sono stata una pessima Atena, e come Notte sono riuscita ad essere persino peggiore. Ma ogni volta che ti rincontravo sentivo qualcosa nel mio cuore… e ora posso dirti che conoscerti abbia dato un senso alla mia esistenza.”

Ramiel la guardò sgranando gli occhi per lo stupore:
“Cosa vuoi fare Alexis…?”

“Hai lottato senza sosta per proteggere tutti quanti, senza chiedere nulla in cambio: mi sembrava giusto che almeno alla fine ricevessi un premio.”

A quel punto Zenovia prese Ramiel per mano e lo guardò dritto negli occhi sorridendo:

“Che ne dici di ricominciare da capo tutto quanto?”

Il giovane la osservò sbalordito, dopodiché ricambiò il sorriso:

“Per me va bene.”

Infine i due si avviarono verso un nuovo mondo di luce, attraversando una strada ora non più troppo stretta da percorrere assieme.

 

Grazie a tutti per avermi voluto bene

 

“Ho sentito che il maestro della Bilancia ha finalmente accettato di guidare il Santuario.” - disse Kaila mordicchiando un biscotto.

“Sì, il Grande Sacerdote è improvvisamente scomparso senza lasciare alcuna traccia, ma sono sicuro che stia bene.” - rispose Blake per poi prendere un sorso di tè - “Sai chi avrei visto bene come nuovo vicario di Atena?”

“No chi?”

Blake non disse nulla, limitandosi a fissarla sorridente, rimanendo incantato dal suo viso candido, e dai suoi grandi occhi foschi, illuminati dalla timida e calda luce del mattino.

“Dai non dire assurdità…”

“Perché no? I tempi mi sembrano maturi.”

“Non è quello, è che mi piace la vita che faccio; sono felice.”

“Mi fa piacere sentirlo.”

“Lo sai vero, che c’è sempre un posto per te…?”

L’uomo scuoté il capo e ridacchiò:
“Lo so, ma non è facile per uno Specter fare i conti col suo passato.”

“E per quanto riguarda Talia, glielo dirai mai…?”

“Forse un giorno.” - rispose per poi alzarsi dal divanetto - “Mi ha fatto piacere rivederti dopo tutti questi anni, Kaila.”

“Anche a me.”

A quel punto Blake fece per andarsene dal salotto, ma Kaila lo chiamò un’ultima volta:
“Non sprecare il tuo tempo Blake, o esso ti consumerà.”

“Lo terrò a mente.” - sorrise, per poi uscire di casa.

 


«Chissà dove sarà finito il maestro Blake…» - pensò Ria tra sé e sé, aggirandosi per l’affollato via vai del mercato con aria spensierata.

D’un tratto, senza accorgersene, si scontrò con una giovane dai capelli bianchi, facendole cadere la busta della spesa.

“M-mi dispiace…!” - si scusò la ragazza.

“Oh no, è stata colpa mia” - rispose Ria aiutandola a raccogliere le cose da terra - “dovevo stare più attenta.”

A quel punto la guardò in viso, trovandola stranamente familiare:
“Ci conosciamo?”

“No, ma ho come l’impressione di averti già vista da qualche parte…”

“Ad ogni modo, mi chiamo Natalia, piacere di conoscerti!” - le offrì cortesemente la mano.

“Io sono Ria dell’Acquario.” - si presentò a sua volta, senza spiegarsi il perché avesse aggiunto il proprio titolo cavalleresco.

“Hai un nome particolare.” - ridacchiò allegramente Natalia - “Mi piace molto.”

“Anche il tuo è davvero bello.” - rispose ricambiando la risata candidamente.

“Non sei di queste parti, vero?”

“No, sono greca; ero venuta insieme ad un amico per incontrare una persona.”

 

In quell’istante, senza sapere il perché, entrambe ebbero l’istinto di portare lo sguardo all’orizzonte, dove in mezzo alla gente tra le bancarelle avvistarono una chioma bionda ed una rossa: gli sembrò che stessero sorridendo, tuttavia, in un battito di ciglia entrambe le figure scomparvero tra la folla, come se non fossero mai esistite.

 

“Che strano, per un istante mi era sembrato di aver visto qualcuno che conoscevo…” - mormorò Natalia.

“Già, anch’io…” - aggiunse Ria.

“Sembravano due persone molto felici.”

“Hai ragione, chiunque fossero mi hanno trasmesso un grande senso di gioia.”

“Forse un giorno li rivedremo.”

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