Mai Innamorarsi del Nemico

di LazySoul
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** New balance ***
Capitolo 2: *** Revelation ***
Capitolo 3: *** Damaged ***
Capitolo 4: *** Restricted Section ***
Capitolo 5: *** Suicidal ***
Capitolo 6: *** Hogsmeade ***
Capitolo 7: *** Upset ***
Capitolo 8: *** A day like many in Hogwarts ***
Capitolo 9: *** Theo is dead ***
Capitolo 10: *** Fear ***
Capitolo 11: *** Where am I? ***
Capitolo 12: *** Stay ***
Capitolo 13: *** I'm here to save you ***
Capitolo 14: *** Draco's health ***
Capitolo 15: *** I think about it too ***
Capitolo 16: *** Our little secret ***
Capitolo 17: *** Wedding (Part One) ***
Capitolo 18: *** Wedding (Part Two) ***
Capitolo 19: *** Bonus: Baby shower ***



Capitolo 1
*** New balance ***


 

1. New balance



Sulla lavagna spiccava in una grafia minuta ed elegante il nome: "Lara Bing".

Dietro alla cattedra, una donna dai tratti orientali e un timido sorriso sulle labbra accoglieva gli studenti con brevi cenni del capo.
Appena la vidi inorridii.
«Non bastava l'apertura di due nuovi negozi di cinesi a Diagon Alley? Ora ci dobbiamo anche sorbire lezioni di Pozioni da Mss Cina?», si lamentò Daphne, scuotendo la bionda chioma con fare teatrale.
Sorrisi alle sue parole, sedendomi accanto a lei: «Questa scuola sta letteralmente cadendo a pezzi», mi lamentai, appoggiando il volume di pozioni sul banco.
«Mai giudicare un libro dalla copertina», s'intromise Blaise dal banco di fronte, scoccandoci un'occhiata di rimprovero.
«Grazie, saggio Zabini», sbuffò Daphne, alzando gli occhi al cielo.
«Come faremmo senza le tue perle di saggezza?», rincarai la dose, beccandomi una botta al braccio da parte del mio amico.
«Quando la smetterai di essere così superficiale, Malfoy? Pensavo che stare con la Granger ti avesse...»
«Smettila Ronald! Non ho intenzione di passarti i miei appunti di Trasfigurazione, te l'ho già detto», esclamò la Mezzosangue in questione, attirando la mia attenzione verso la zona rosso e oro dell'aula.
Riconobbi la massa disordinata di capelli ricci che, sciolti, le ricadevano sulle spalle e la schiena. Le dita mi formicolarono per la voglia che avevo di stringerli; ne conoscevo perfettamente la consistenza ruvida, lo spessore e il modo in cui ondeggiavano — flutti scuri rispetto al bianco della pelle — mentre facevamo l'amore.
Le spalle erano curvate in avanti, aveva già la penna in mano e la pergamena dispiegata di fronte; pronta a prendere appunti.
Avrei voluto che si voltasse, i due secondi necessari per vedere i suoi occhi scuri, le ciglia folte e la fronte aggrottata per il disappunto; avrei voluto passarvi il dito e rilassare quel cipiglio che, ne ero certo, stava increspando la sua espressione proprio in quell'istante.
«Buongiorno», disse la voce della professoressa, attirando l'attenzione di tutti e la mia solo parzialmente. Avrei continuato a fissare la nuca della Granger fino a quando lei non si fosse voltata. Se necessario...
«Sei ridicolo», mi sussurrò all'orecchio la Greengrass, facendomi stringere con forza la mano a pugno e voltare totalmente verso la cattedra. Daphne aveva ragione, ma feci comunque in modo di avere nel mio campo visivo la Granger, mentre prestavo attenzione all'insegnante.
«Mi chiamo Lara Bing e sono la vostra nuova professoressa di Pozioni. Mi sono fatta elencare dal Professor Lumacorno gli argomenti che sono già stati trattati in classe, così da non perdere tempo e poter andare avanti col programma. Oggi vorrei mettervi alla prova, per farmi un'idea delle vostre capacità. Per questo proverete a realizzare singolarmente l'Elisir per Indurre Euforia, so che ne avete brevemente parlato col professor Lumacorno, quindi è ora di mettere in pratica ciò che avete imparato. Buon lavoro», disse l'insegnante. La voce della donna non era delicata e sottile come avrebbe potuto suggerire la sua costituzione fisica, ma forte e chiara, tanto da spingermi a provare per lei, malgrado i miei pregiudizi, un minimo di rispetto. Appena finì di parlare, alle sue spalle, sulla lavagna scomparve il suo nome, sostituito dagli ingredienti e la procedura per ricreare la pozione da lei scelta.
Malgrado il poco rispetto che provavo per lei, era comunque un peccato che il professor Lumacorno avesse deciso di abbandonare la cattedra per prendersi una lunga vacanza.
«Ma Pansy?», chiese Daphne, guardandosi intorno e colpendomi al braccio con abbastanza forza da farmi voltare verso di lei. Fui costretto a distogliere lo sguardo dalla nuca della Granger per poter fulminare la mia vicina di banco.
«Non sono io a dormire nella stessa stanza della Parkinson. Dovrei chiederlo io a te», le feci notare, massaggiandomi la zona offesa.
Daphne alzò gli occhi al cielo: «Non sapevo di essere diventata la sua balia».
«Se per questo non vedo perché dovrei...»
«Tutto bene, ragazzi?», chiese la voce troppo vicina di Mss Bing, facendoci sussultare. "Come ha fatto ad avvicinarsi così silenziosamente?", mi chiesi, fissandola con stupore.
«Tutto bene», dissi, fingendo un sorriso, mentre mi alzavo e mi dirigevo verso gli scaffali, alla ricerca degli ingredienti necessari.
Approfittai dell'occasione per pizzicare il fianco della Granger e rubarle un bacio a stampo, quando mi trovai accanto a lei, entrambi alla ricerca della squama di sirena.
«Malfoy! Siamo in aula!», mi rimproverò la riccia, colpendomi il braccio col suo solito fare manesco.
Sorrisi: «Questa sera, stesso posto, stessa ora», le sussurrai all'orecchio, mentre l'aiutavo a recuperare il barattolo sullo scaffale in alto, che conteneva il cumino dei prati.

«Quanta arroganza», commentò con tono infastidito, ma vidi chiaramente il sorriso malizioso che incurvò le sue labbra, il tempo di un battito di ciglia ed era già scomparso, sostituito dal suo cipiglio concentrato, mentre metteva a fuoco la scritta sulla lavagna per recuperare l'ingrediente successivo. 
«Non vedo Pansy in giro», disse, sbirciando verso il banco occupato da Blaise e nessun altro.

Alzai gli occhi al cielo e sbuffai. Lei e la Greengrass si erano per caso messe d'accordo?

«Non so dove sia», dissi, recuperando la polpa di zucca e la ruta.

Hermione annuì, pensierosa.

Sapevo a cosa stava pensando, era lo stesso a cui pensavo pure io: se ci fossimo comportati diversamente, saremmo riusciti a impedire la morte di Nott? O la morte di qualsiasi altro caduto durante la battaglia?

Eravamo tornati ad Hogwarts da due giorni. Chi poteva si aggrappava agli amici per non lasciarsi sopraffare dalla depressione, chi non aveva più amici faceva di tutto per non rimanere solo. Pansy invece era come uno dei fantasmi di Hogwarts; uno spirito pensieroso che vagava per i corridoi o per i sotterranei, ogni tanto andando a lezione, altre volte preferendo stare da sola in camera sua. In quei due giorni mi aveva rivolto la parola una volta, per chiedermi l'ora, per il resto era rimasta chiusa in se stessa e aveva impedito a chiunque di entrare. Hermione aveva provato più volte a parlarle, anche Daphne e Blaise si erano cimentati in tale impresa, ma nessuno aveva ottenuto il minimo risultato.

Neville Paciock, poco distante, si voltò verso di noi, con gli occhi colmi di compassione.

Lo fulminai con lo sguardo, lasciandogli intendere di togliersi dalla mia visuale; non avevo bisogno della sua pietà o quella di nessun altro. Ricordai in un flash la battaglia, i morti e quella terribile sensazione di budella attorcigliata all'idea di morire, all'idea di vedere Hermione morire, all'idea di non riuscire a salvarmi e a salvarla.

Senza pensarci, allungai una mano, confortato dal contatto con la pelle tiepida dell'avambraccio della mia ragazza. La Granger sollevò lo sguardo, scrutandomi con curiosità.

«Va tutto bene», disse semplicemente, appoggiando il capo contro la mia spalla, trasmettendomi il senso di pace di cui avevo bisogno in quel momento.
«Prendetevi una stanza voi due», si lamentò Daphne, il calderone appoggiato al fianco e una boccetta contenente squame di sirena in una mano.
«Concordo», borbottò Weasley, beccandosi un'occhiataccia dalla Serpeverde, che lo scrutò con uno sguardo a metà strada tra il disgustato e l'altezzoso.

Ignorando il modo patetico in cui Weasel sorrideva alla mia amica, quasi volesse cercare di instaurare una sorta di tregua con lei, afferrai i pochi ingredienti che mi mancavano, il mio calderone e mi diressi verso il fondo dell'aula. Accarezzai con lo sguardo il corpo di Hermione per un'ultima volta, prima di concentrarmi sul compito assegnato dalla "professoressa" Bing.

Seguii alla lettera le istruzioni riportate alla lavagna, rispettando i tempi e le dosi prestando la solita attenzione maniacale. Non era casuale che Piton mi considerasse il migliore del suo corso.

Piton.

Era strano non vederlo più al tavolo degli insegnanti durante colazione, pranzo e cena. Come era strano non sentirlo togliere punti a quei buffoni di Potter e Weasley, o fulminarli col suo sguardo colmo di disprezzo. Il giorno prima mi era quasi sembrato di vederlo percorrere i corridoi dei sotterranei col suo passo sicuro e cadenzato, col mantello nero che ne abbracciava la figura snella.

Smisi di triturare la squama di sirena e presi un profondo respiro, nel tentativo di non lasciarmi sopraffare dall'emotività.

In quell'istante, dalla parte opposta dell'aula sentii qualcuno singhiozzare.

Calì Patil era davanti al suo calderone, gli ingredienti disposti disordinatamente sul banco e le mani strette in due pugni. Aveva le nocche bianche da quanto le stringeva.

Tutti o quasi erano voltati verso di lei, osservavano il suo dolore con un misto di pietà e morbosità. Era così comune vedere persone piangere in quei giorni, malgrado ciò entrare nel dolore di un altro aveva ancora un certo fascino. Qualcosa a cui era difficile sottrarsi.

«Signorina?», la chiamò la professoressa Bing, guardandola stranita da dietro la cattedra.

«Lei non avrebbe mai avuto bisogno dell'Elisir dell'Euforia», mormorò tra un singhiozzo e l'altro, le guance arrossate e il viso rigato di lacrime fino al mento.

Senza aggiungere altro Calì uscì dall'aula, portandosi dietro la sua borsa.

Nell'aula era calato un silenzio di tomba.

Tutti avevano capito a chi si stesse riferendo la Grifondoro, non era difficile immaginare che stesse pensando alla sua migliore amica, a quell'uragano inopportuno e sempre sorridente di nome Lavanda Brown.

La professoressa Bing fece per seguirla, ma Daphne la bloccò: «Vado io a vedere come sta», disse, con un tono di voce stranamente apprensivo.

La guardai, allucinato, chiedendomi da quando la Greengrass fosse amica o considerasse anche solo lontanamente Calì Patil come essere umano.

La bionda Serpeverde dovette intuire la domanda che era palesemente scritta sulla mia fronte aggrottata dalla confusione, perchè mi si avvicinò per sussurrarmi un'unica parola all'orecchio prima di uscire: «Padma».

Un sorriso comprensivo mi incurvò le labbra.

Daphne era ostinata più che mai a conquistare la ragazza per cui provava una malsana attrazione; era stanca di aspettare e dopo la guerra alla quale era miracolosamente sopravvissuta, aveva deciso di non perdere ulteriore tempo e di imbastire subito un piano per entrare nella cerchia delle amicizie di Padma Patil. Apparentemente aveva deciso di iniziare a fare il lavaggio del cervello alla sorella gemella.

«Comincio a pensare che quella ragazza abbia più palle di te», disse Blaise, guardandomi di sottecchi dal banco di fronte.

Sollevai un sopracciglio, sentendomi a dir poco insultato dal suo commento: «Cosa te lo fa pensare?»

«Insomma, per stare con la Granger devi avere molto coraggio, non lo metto in dubbio, ma Padma? Quella fa paura», disse Zabini, muovendo il mestolo con cui stava mescolando la pozione in aria mentre gesticolava: «Ti ricordi quella volta, al... mi sembra quarto anno, quando ha urlato contro Zacharias Smith, dicendogli che non aveva intenzione di "uscire con uno snob con la puzza sotto il naso come lui"?»

Sorrisi al ricordo. Mi ero premurato personalmente di ricordare l'accaduto a Smith per mesi, prendendolo in giro per essersi fatto mettere i piedi in testa da una Corvonero frigida. Mi ero beccato una gomitata nelle costole quando Daphne aveva sentito il modo in cui avevo chiamato la sua "amata", ma ne era valsa la pena; la faccia paonazza e colma di vergogna di Smith era a dir poco esilarante. Peccato che i suoi avessero deciso di mandarlo a studiare all'estero, terrorizzati che il loro prezioso bambino potesse farsi male tornando nella pericolosa Hogwarts.

«Mi manca Smith», ammisi, ricordando i bei tempi in cui mi divertivo a prenderlo in giro.

«C'è sempre Paciock», mi ricordò Zabini, guardando dalla parte opposta dell'aula, dove il Grifondoro in questione stava cercando di capire perché la sua pozione fosse color rosso sbiadito invece di giallo intenso.

«Da quando ha aiutato Potter "a salvare il Mondo" si è montato la testa, non è più facile come una volta fargli i dispetti», gli feci notare, mescolando il contenuto del mio calderone che era del colore giusto.

"Un'altra pozione perfettamente riuscita da aggiungere alla mia collezione", pensai compiaciuta.

«Che peccato, toccherà crescere e trovare hobby maggiormente costruttivi», commentò Blaise, con un sospiro fintamente addolorato.

«Tipo?», chiesi, sigillando la mia pozione in una boccetta, alla quale allegai un pezzetto di pergamena col mio nome.

«Tipo scacchi».

Sia il mio sguardo, sia quello di Blaise si spostarono su Weasley che, dall'altra parte dell'aula, mescolava tristemente la sua pozione, dello stesso colore dei suoi capelli.

«Scacchi direi di no», dissi, lasciando vagare lo sguardo tra le divise rosso ed oro, fino a quando non trovai i ricci ribelli che stavo cercando: «Non voglio rischiare di diventare come Weasel».

Hermione mi dava le spalle e stava dicendo a Potty come doveva fare per non rovinare irrimediabilmente la pozione; non riuscivo a sentire la sua voce, ma me la immaginavo seccente e petulante come suo solito. Davanti a lei il contenuto del calderone era color giallo intenso, proprio come il mio.

«Siete proprio fatti l'uno per l'altra», mi lesse nel pensiero Zabini, facendomi sussultare.

«Come scusa?», gli chiesi, distogliendo lo sguardo dalla figura a dir poco tentatrice della mia ragazza.

«A quando il matrimonio?», rincarò la dose Blaise, beccandosi un coppino sulla nuca.

«Presto, spero», disse Daphne, comparendo alle mie spalle con un sorriso radioso in volto: «Sabato esco con Calì ad Hogsmade, le ho promesso di confidarle tutti i miei segreti per essere sempre perfetta in ogni occasione. Già mi ama».

Io e Blaise ci lanciammo uno sguardo divertito.

La Greengrass non aveva idea della situazione in cui si era andata a cacciare.

 

*****

Ciao a tutti! 😍

Sono così emozionata che fatico a contenere la gioia: finalmente, sono riuscita a pubblicare il primo capitolo di "Mai innamorarsi del nemico"! 💪🏻

Daphne è più agguerrita che mai, Blaise è sempre il solito (pronto a dispensare consigli e a fare commenti pungenti), Draco è lo snob Serpeverde di sempre e Hermione la saccente che tutti noi amiamo.

Mi rendo conto che come capitolo è piuttosto triste, ma penso che sia normale; sono sopravvissuti ad una guerra (che è terminata da una settimana e due giorni). Non so voi, ma io li ammiro per non essere tutti delle Calì piangenti, ma essere abbastanza forti da riuscire a non mostrare troppo la loro tristezza.

Voglio sapere assolutamente cosa ne pensate! Spero abbiate tempo e voglia di lasciarmi qualche commento 😁

Cercherò di aggiornare il più presto possibile (comunque non prima di una o due settimane, temo), ma non vi prometto nulla perché non voglio darvi false speranz🙈

Un bacio enorme a tutti 😘

LazySoul

 

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Capitolo 2
*** Revelation ***


2. Revelation



·≈· HERMIONE'S POV·≈·

 

«Parkinson!», esclamai, cercando di attirare l'attenzione della ragazza.

La Serpeverde era appoggiata ad una colonna del cortile interno, stretta nel mantello scuro, gli occhi che scrutavano l'orizzonte, pensierosi. La sigaretta che stringeva tra le dita era quasi interamente consumata e lo smalto color malva era smangiato in più punti.

«Parkinson?», la chiamai nuovamente, in attesa di avere una reazione di qualsiasi tipo da parte sua.

La ragazza lasciò cadere a terra la sigaretta, pestandola con la punta della scarpa; mi dovetti mordere con forza il labbro inferiore per non riprenderla.

«Non dovresti...», iniziai, non riuscendo a trattenere la Caposcuola che era in me.

«Cosa vuoi, Granger?»

Il suo tono di voce era vuoto, privo di inflessioni. Non c'era rabbia, dolore, disprezzo o tristezza. Solo apatia.

«Volevo...», cominciai, ma ancora una volta venni interrotta dalla Parkinson.

«Volevi aggiungermi all'elenco di casi umani che ti senti in dovere di salvare?», chiese la Serpeverde, dedicandomi una smorfia di disprezzo, prima di tornare all'indifferenza precedente: «Tornatene nella favola a lieto fine da cui sei venuta e lasciami vivere in pace».

Aprii bocca, poi la richiusi; ero certa che una risposta arguta non sarebbe servita a migliorarle l'umore.

Mi trattenni dal raccogliere da terra la sigaretta, decidendo che l'avrei fatto appena lei se ne fosse andata e sollevai lo sguardo, scrutando a mia volta la pioggia sottile e i nuvoloni scuri che ingrigivano il cielo.

«Non ti arrendi mai, Granger?»

«No».

Rimanemmo in silenzio per qualche secondo, lasciandoci cullare dal cadenzato ticchettio della pioggia. 

La Parkinson aveva un aspetto orribile. Profonde occhiaie a circondarle gli occhi arrossati per il pianto e il poco sonno, il volto più scarno e affilato a causa del suo digiuno, i capelli sfibrati e poco curati.

«Lo so che...», iniziai, ma venni interrotta dalla sua voce: «No, Granger, non lo sai».

Cadde di nuovo il silenzio, poi la Parkinson prese un profondo respiro e si voltò verso di me: «Non hai idea di come ci si senta», iniziò, i lineamenti distorti da una sofferenza che faticavo a comprendere: «Non ho bisogno della tua compassione».

Prima che me ne potessi rendere conto la Serpeverde si era già voltata e stava percorrendo con passo spedito il corridoio. Feci un passo in avanti, intenzionata a seguirla, poi mi bloccai.

Strinsi forte le mani a pugno e mi costrinsi a non inseguirla.

La Parkinson aveva ragione. Non sapevo come si sentiva. Potevo immaginarlo, provando a mettermi nei suoi panni, ma non avrei mai potuto comprenderla totalmente.

Feci evanescere la sigaretta a terra, poi tornai a scrutare la pioggia alla mia sinistra.

Sospirai, osservando il mio respiro condensarsi in una nuvola, per poi disperdersi nella nebbia.

«Hai fame?», chiese una voce alle mie spalle, facendomi sorridere tristemente.

«Andiamo insieme a pranzo?», ribattei, incontrando gli occhi verdi di Harry.

«Come ai vecchi tempi», disse Ronald gettandomi un braccio intorno alle spalle e sorridendomi con affetto.

Circondata dai miei amici, mi diressi verso la Sala Grande, chiacchierando con loro della nuova professoressa di Pozioni e ascoltandoli discutere del tempo e degli allenamenti di Quidditch imminenti.

Per una frazione di secondo sembrò che la guerra e la sofferenza non avessero mai disturbato il sereno vivere di Hogwarts e tutti e tre ci ritrovammo a sorridere, felici.

Poi calò il silenzio tra di noi, ognuno perso nei propri pensieri, nella propria sofferenza.

Ronald aveva perso suo fratello, Harry aveva perso Sirius (*).

Avevamo perso Albus Silente, Lavanda Brown, Remus Lupin, Ninfadora Tonks, Theodore Nott...

Il male era stato sconfitto e il Signore Oscuro era soltanto un brutto ricordo, ma il prezzo che avevamo dovuto pagare per la pace era stato altissimo.

«Ho una fame da lupi!», esclamò Ron, massaggiandosi lo stomaco con aria assorta.

Bastò così poco per riportare un po' di serenità tra di noi.

«Sei sempre il solito», borbottai, mentre Harry rideva di gusto.

Una volta arrivati in Sala Grande raggiungemmo la nostra tavolata.

«Oh, c'è il polpettone!», esultò Ronald, sedendosi accanto a Neville Paciock, mentre Harry si sedeva vicino a Ginny. 

Prima di sedermi a mia volta spostai lo sguardo verso la tavolata verde-argento, dove trovai subito gli occhi chiari di Malfoy scrutarmi da lontano. Gli feci un cenno con il capo e lui rispose con un sorriso e un occhiolino.

Rincuorata da quel semplice scambio mi accomodai accanto a Ginny e mi servii una generosa porzione di patate arrosto.

L'atmosfera in Sala Grande era meno tetra rispetto ai giorni precedenti. Cominciava a respirarsi l'aria spensierata tipica delle settimane che precedevano il Natale. Poche decorazioni erano già state allestite e un manto di neve candida aveva spolverato di bianco il parco durante la notte, facendo sospirare di felicità alcun studenti.
Dean Thomas chiuse di scatto la "Gazzetta del Profeta", scuotendo il capo con aria cupa: «Ancora non ci sono tracce di Lestrange», disse, facendo calare un silenzio teso.

E addio all'aria spensierata che avevo respirato fino a pochi secondi prima.

«Possibile che gli Auror non riescano a fare niente? Mi sembra incredibile che ancora non abbiano idea di dove si possa essere nascosta», commentò Seamus, con tono petulante.

«Di sicuro stanno facendo il possibile!», s'intromise Calì, guardando con aria di sfida l'irlandese.

«La guerra è finita da poco», commentò Harry, attirando l'attenzione di tutti: «Bellatrix e Mulciber verranno catturati, è solo questione di tempo».

La sua sicurezza allietò gli animi, interrompendo la discussione.

Seamus annuì, poco convinto e introdusse un nuovo argomento di conversazione.

Osservai il profilo del mio migliore amico e notai con rammarico le rughe di preoccupazione che solcavano il suo giovane viso. 

Da quando la guerra era finita Harry Potter era diventato un punto di riferimento per l'intero mondo magico. Il "Bambino che era sopravvissuto" era riuscito a riportare la pace, uccidendo il Signore Oscuro e permettendo alle autorità di incarcerare la maggior parte dei Mangiamorte.

Kingsley Shacklebolt, il nuovo Ministro della Magia, non aveva perso tempo, riportando una parvenza di ordine nel mondo magico. Molti Mangiamorte erano stati incarcerati dopo lunghi processi, altri erano ancora in attesa di giudizio, altri ancora erano stati completamente scarcerati, come i genitori di Draco, grazie alle testimonianze che dimostravano la loro collaborazione con L'Ordine e gli Auror prima e durante la guerra finale.

Harry Potter dalla fine della guerra si era ritrovato con il peso della popolarità sulle spalle. Una popolarità ancora maggiore rispetto a quella che l'aveva sempre accompagnato fin da quando, all'età di un anno era riuscito, grazie all'amore di sua madre, a sfuggire alle grinfie del Signore Oscuro.

All'interno della scuola non correvano pettegolezzi sul suo conto, la gente semplicemente si fermava e zittiva appena lui appariva; come se fosse stato una divinità e non un semplice ragazzo su cui, come sempre, si stavano gettando sulle spalle troppe responsabilità. Anche i Serpeverde evitavano di attaccare briga come loro solito, limitando le loro battutine e dispetti al minimo indispensabile.

Harry Potter, il Bambino sopravvissuto, il Salvatore del Mondo Magico, portava sul viso i segni di una popolarità che non aveva mai cercato o bramato. Aveva rughe di preoccupazione agli angoli di occhi e bocca, occhiaie profonde e espressioni quasi sempre corrucciate.

In quanto sua amica avevo a mia volta sperimentato sulla pelle parte della sua popolarità; intuivo come si dovesse sentire e non l'avrei augurato nemmeno al mio peggior nemico.

Un ragazzo costretto a vivere la vita decisa per lui da un destino crudele; sempre sotto i riflettori, costretto a valutare ogni suo gesto così da non essere giudicato male da tutti per un semplice errore.

«Dopo abbiamo Erbologia», borbottò Ron, scuotendo la testa affranto: «Solo all'idea di attraversare il prato innevato sto male».

«Sei sempre il solito esagerato, Ronald», commentai, sollevando gli occhi al cielo: «Sono certa che se invece di lezione avessi gli allenamenti di Quidditch, non ti lamenteresti così tanto».

Le orecchie del rosso si colorarono di un rosa acceso, mentre cercava di negare: «Non è vero, mi lamenterei comunque!»

«Smettila di mentire, Ron, non ne sei capace», commentò Ginny, mentre Harry distendeva lo sguardo in quello che sembrava un sorriso accondiscendente.

«Non è giusto! Ve la prendete sempre con me», borbottò, abbassando lo sguardo sul suo piatto ancora pieno di cibo.

«Bravo, affoga i tuoi dispiacere nel cibo», rincarò la dose Ginny, allungandosi per scompigliare la chioma del fratello maggiore, il quale la fulminò con lo sguardo.

Tutti spalancarono gli occhi quando videro parte dello spezzatino che si trovava nel piatto di Ronald compiere una perfetta parabola e finire sulla divisa immacolata di Ginevra.

Un silenzio di tomba calò sulla tavolata rosso-oro.

La più piccola di casa Weasley spostò lo sguardo dalla macchia al viso del fratello.

«Sei morto», disse, afferrando con sicurezza la bacchetta e puntandola contro Ronald.

Harry si sentì in dovere di intervenire in difesa del suo migliore amico e portò le braccia intorno alla vita sottile della sua ragazza, sussurrandole qualcosa di indecifrabile all'orecchio.

Ginny abbassò l'arma e utilizzò la bacchetta per pulirsi la divisa, mentre Harry continuava a massaggiarle delicatamente le spalle e le braccia; sembrava che stesse ammansendo una bestia selvatica e non una semplice ragazza.

Ronald, stupito di averla scampata, tornò a pranzare con un ghigno vittorioso sulle labbra.

Conoscevo Ginny ed ero certa che la vendetta si sarebbe abbattuta su Ron quando meno se la sarebbe aspettata, molto probabilmente non appena Harry non si fosse trovato nei paraggi.

Con il sorriso sulle labbra mi alzai da tavola appena finii pranzo, attirando su di me gli sguardi dei miei amici.

«Vado in bagno, ci vediamo tra qualche minuto all'ingresso per andare a lezione», dissi, dirigendomi verso l'uscita della Sala Grande.

Mentre percorrevo i corridoi, diretta ai servizi più vicini, notai in lontananza una figura distesa a terra.

Preoccupata aumentai la velocità dei miei passi, così da raggiungere in pochi secondi quella che scoprii essere Pansy Parkinson.

La Serpeverde aveva il volto contratto in un'espressione di puro dolore e dalle labbra socchiuse provenivano gemiti bassi e sofferenti. Provai a svegliarla, scuotendole le spalle, ma non aprì gli occhi.

Senza pensarci due volte la sollevai grazie ad un incantesimo di levitazione e la trasportai in Infermeria, dove trovai Madama Chips intenta a riordinare i suoi scaffali di medicinali.

«L'ho trovata per terra», dissi, mentre adagiavo il corpo sul lettino più vicino: «Non so cosa le sia successo, ma sembra soffrire molto».

Madama Chips mi raggiunse in un battito di ciglia, abbandonando a metà il suo operato.

Con il suo tipico cipiglio severo visitò Pansy, mentre io rimanevo poco distante ad osservare con orrore il volto sempre più pallido di quella che, malgrado le circostanze avverse, avevo finito col considerare mia amica.

Madama Chips somministrò alla Serpeverde una pozione, il cui contenuto aveva le stesse proprietà di una flebo babbana e un antidolorifico.

«La signorina Parkionson si dovrebbe riprendere a momenti, sembra che abbia avuto un semplice svenimento, dovuto ad un calo di zuccheri, ma dovrò svolgere ancora alcune analisi prima di esserne completamente certa», disse, prima di ritirarsi nel suo studio con un paio di campioni di sangue.

Mi sedetti sulla sedia che si trovava accanto al lettino e afferrai la mano fredda della Parkinson.

Una vocina nella mia testa mi suggerì che sarei dovuta andare a lezione, che stare accanto alla Serpeverde non avrebbe giovato a nessuno, sopratutto alla mia carriera scolastica, ma l'idea di abbandonarla lì, da sola... Non ne ero semplicemente in grado.

Tirai un sospiro di sollievo quando notai il pallore delle sue guance scomparire, sostituito da un colorito più roseo e sano. 

«Lo so che non deve essere facile, Parkinson, ma non puoi lasciarti morire d'inedia», mormorai: «Perdere Nott, essere poi attaccata da Greyback... Non oso immaginare la tua sofferenza, ma tenerti tutto dentro è sbagliato, dovresti parlarne con qualcuno, sfogarti...»

«E fammi indovinare, Granger: tu ti offriresti volontaria per la causa?», chiese con tono debole, mentre socchiudeva gli occhi scuri e mi scrutava, caustica.

«Non sarebbe la prima volta, vorrei ricordarti che ti sei già confidata con me in passato», dissi, stringendo maggiormente le mie dita intorno alla sua mano: «Come ti senti?»

«Cos'è successo?», chiese, guardandosi intorno.

«Sei svenuta, ti ho trovato per caso e ti ho portato subito in infermeria. Madama Chips dice che...» mi interruppi notando l'infermiera emergere dal suo studio.

«Oh, signorina Parkinson, vedo che si è svegliata! Come si sente?», chiese la donna, avvicinandosi a noi.

«Meglio», rispose la Serpeverde, districando la sua mano dalle mie.

Non mi risentii e portai le mani al mio grembo, mordendomi le labbra per non commentare il suo comportamento infantile.

«Signorina Granger, potrebbe lasciarci sole un istante? Dovrei parlare con la signorina Parkinson in privato», disse Madama Chips, .

Non rimasi particolarmente stupita da quella richiesta e mi diressi verso l'uscita dell'infermeria. Una volta fuori però, presa dalla curiosità non potei evitare di origliare la conversazione tra Madama Chips e Pansy Parkinson.

«Signorina, il suo svenimento non è stato frutto del calo di zuccheri come pensavo inizialmente», disse l'infermiera: «Non soltanto, almeno».

«Immaginavo», disse la Serpeverde.

Ero stupita da quella conversazione. Cosa stava succedendo? Cos'aveva la Parkinson?

«Confido nel fatto che la Preside sia a conoscenza della sua situazione...»

«Sì, la McGranitt sa che il morso di Greyback mi sta tramutando in un licantropo e la professoressa Bing creerà per me la Pozione Antilupo. É tutto sotto controllo».

Sbarrai occhi e bocca, sconvolta da quella rivelazione, mentre mi allontanavo dalla porta dell'infermeria, smettendo di origliare.




 

(*) Per chi non si ricordasse mi sono presa la licenza poetica di non far morire Sirius nel quinto libro come aveva decretato la Rowling, ma è comunque deceduto durante la battaglia finale di Hogwarts, quindi per Harry è una ferita ancora fresca.
 

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Capitolo 3
*** Damaged ***


3. Damaged



·≈· PANSY'S POV·≈·

 

L'odore di medicinali e disinfettanti dell'infermeria non mi aveva mai dato particolarmente fastidio. Ricordavo di non essermene lamentata durante il terzo anno quando ci avevo passato lunghe ore per stare accanto a Malfoy, il cui braccio era stato fasciato da una meticolosa Madama Chips, dopo l'attacco di Fierobecco.

Ora quell'odore mi era semplicemente insopportabile.

Così come stavano diventando insostenibili molte altre cose: i rumori troppo forti, le stanze particolarmente affollate, i sapori di certi alimenti serviti dagli elfi durante i pasti, gli odori delle persone, delle stanze, delle cose.

Sentire l'odore di Malfoy sulla Granger e quello della Granger su Malfoy. 

Quello più che essere insostenibile faceva male.

E non perché fossi ancora innamorata di lui, ma perché loro avevano l'un l'altra; io cosa avevo se non me stessa e il mostro che mi stava nascendo dentro? 

Certo, se mi fossi confidata con la Granger non sarei più stata sola. Ma ne sarebbe valsa la pena? Sarebbe valsa la pena di vedere la pietà nei suoi occhi?

Ero già sopravvissuta agli sguardi di pietà della Granger, ma non sapevo se sarei stata in grado di cavarmela ancora una volta.

Era già stato atroce sopportare gli sguardi della McGranitt, della professoressa Bing e di Madama Chips. E loro non erano mie coetanee, non erano delle ragazzine petulanti decise a portare il lieto fine ovunque andassero.

A quale lieto fine avrei mai potuto aspirare ora?

Se prima ero stata carne guasta agli occhi dei miei genitori, ora ero semplicemente inservibile.

Mia madre si era premurata di farmi sapere che lei non aveva più una figlia prima di obbligarmi a tornare ad Hogwarts così da starle il più lontano possibile e evitare di rendere carne avariata anche mio fratello, Charles.

Quale partito purosangue avrebbe mai pensato di prendere in moglie una come me; una ragazza deflorata con la tendenza a trasformarsi in licantropo una volta al mese?

La risposta era semplice: nessuno.

Per questo cercavo di stare più tempo possibile da sola, per abituarmi al destino che mi attendeva e per stare il più lontano possibile dai suoni e dagli odori degli altri studenti.

Avevo pensato di togliermi la vita.

In fondo chi avrebbe sentito la mia mancanza? Mia madre? La Granger?

L'unico problema era che mi mancava il coraggio, la forza di volontà necessaria per mettere effettivamente fine alla mia misera vita.

Ero una codarda in tutto e per tutto, anche quando si trattava di porre fine alle mie sofferenze.

In fondo mamma aveva ragione, ero davvero misera e insignificante.

Ignorando le raccomandazioni di madama Chips, che mi aveva esplicitamente ordinato di non abbandonare il letto fino a quando lei non mi avesse dato il permesso, mi alzai, dirigendomi poi con passi malfermi verso la porta d'uscita.

Dovevo tornare in camera mia prima che terminassero le lezioni del pomeriggio, non potevo assolutamente trovarmi in giro o avrei rischiato di impazzire.

Il giorno prima avevo commesso quel fatale errore e mi ero dovuta rinchiudere in uno sgabuzzino per cercare di attutire tutti quei rumori, tutte quelle voci, tutti quegli odori.

I professori erano stati informati che non potevo assistere alle lezioni perché non stavo bene, la McGranitt aveva preferito per il momento mantenere segreto il motivo delle mie prolungate assenze, ma sapevamo entrambe che una ragazza licantropo all'interno di Hogwarts non poteva rimanere un segreto per sempre. Per evitare che rimanessi indietro rispetti ai miei compagni, i professori mi spedivano in stanza delle lettere con il materiale da studiare e i compiti da svolgere.

Premuroso da parte loro, peccato che studiare al momento non rientrasse nelle mie priorità.

Che senso aveva perdere tempo dietro a inutili libri scolastici quando non sapevo nemmeno se sarei sopravvissuta alla luna piena? Perché sprecare il mio tempo in modo così futile, quando potevo stare tutto il giorno sdraiata a letto a chiedermi quale male atroce avessi compiuto nella mia vita precedente per meritarmi una tale sofferenza?

Percorsi i corridoi con calma, anche perché volevo evitare di svenire nuovamente, godendomi il senso di pace che fare una cosa tanto banale e quotidiana mi infondeva. Era strano ma mi mancavano le lezioni, mi mancavano le passeggiate lungo i corridoi, le battute, le occhiatacce, i commenti. Mi mancava perfino la voce saccente della Granger mentre rispondeva correttamente all'ennesima domanda. Mi mancava la monotonia in cui ero immersa fino a pochi mesi fa, quando le mie più grandi preoccupazioni erano mettermi perfettamente lo smalto alle unghie o acconciare correttamente i miei capelli o trovare un modo per far sorridere Malfoy, perché il suo sorriso era adorabile.

Ora Malfoy era felicemente fidanzato con la Granger e i suoi sorrisi erano sempre e solo per lei, i miei capelli erano spettinati e poco curati e le mie unghie tutte mangiucchiate e con lo smalto rovinato.

Mi fermai a osservare da una finestra il cielo nuvoloso e i giardini di Hogwarts, lasciando che lo sguardo vagasse fino alla Foresta Proibita e il Lago Nero.

Gli alberi spogli, le foglie sospinte dal vento a formare mulinelli variopinti sull'erba, i corvi che gracchiavano sui rami...

Sembrava tutto immutato, ma non lo era; c'era stata una guerra, molte persone erano morte e nulla sarebbe potuto tornare come un tempo.

Distolsi lo sguardo e continuai a percorrere i corridoi, diretta alle scale che mi avrebbero finalmente condotta ai sotterranei.

Ebbi la fortuna di non incrociare nessuno, così da evitare sguardi di compassione o domande indesiderata da parte dei professori.

Una volta nella mia stanza mi diressi verso il bagno, dove speravo di farmi una doccia calda prima che Daphne e Millicent tornassero dalle lezioni del pomeriggio.

Averle come compagne di stanza non mi era mai dispiaciuto, anche se non ero riuscita a legare molto con nessuna delle due.

Daphne mi era sempre apparsa come una rivale e Millicent come una ragazzina priva di personalità; sempre pronta a pendere dalle mie labbra o da quelle di chiunque altro senza mostrare mai spina dorsale o il proprio punto di vista.

Da quando eravamo tornate ad Hogwarts pochi giorni prima le cose non erano molto cambiate; Millicent continuava ad essere poco più di un'ameba, mentre Daphne aveva preso la snervante abitudine di confidarmi i suoi segreti, senza che io le avessi chiesto peraltro qualcosa.

Il vero problema era che, ogni volta che incrociavo gli occhi chiari della Greengrass, non potevo fare a meno di pensare a Theo.

Scossi la testa, decisa a non lasciarmi sopraffare ancora una volta dalle lacrime e mi chiusi in bagno.

Mi spogliai velocemente mentre aspettavo che il getto della doccia si scaldasse, provando in ogni modo a non guardarmi allo specchio. Malgrado i miei tentativi però, non potei impedire ai miei occhi di scrutare con un misto di ribrezzo e tristezza il mio riflesso.

Il mio sguardo cadde subito sul mio petto, dove un'orrenda cicatrice deturpava il mio seno sinistro.

Avevo sempre pensato di avere un bel corpo.

Ora non riuscivo a guardarmi allo specchio senza provare repulsione. 

Greyback aveva affondato i suoi denti poco sopra il mio capezzolo, dilaniando la carne fino alla clavicola. Sarei potuta morire dissanguata, ma qualcuno era giunto in mio soccorso.

Ancora rimaneva un mistero chi avesse colpito Greyback con una fattura, salvandomi la vita.

Del mio salvatore ricordavo soltanto il colore degli occhi.

Sarebbe stato bello cercare quel verde scuro tra gli sguardi degli studenti di Hogwarts e scoprire a chi dovevo la vita. Peccato che il solo pensiero di mettere piede in Sala Grande mi era insopportabile.

Spostai i miei capelli corvini, trovando facilmente l'altra cicatrice lasciatami dallo scontro con Greyback; una linea sottile che percorreva orizzontalmente la mia nuca. 

Calde lacrime mi rigarono il volto, mentre percorrevo con dita tremanti le cicatrici che deturpavano il mio corpo un tempo perfetto.

Smisi di commiserarmi quando il vapore proveniente dall'acqua calda della doccia appannò completamente lo specchio, impedendomi di vedere il mio riflesso.

Il getto bollente sulla mia pelle era proprio quello di cui avevo bisogno in quel momento per smettere di pensare; lo scrosciare dell'acqua ovattava qualsiasi altro suono e il profumo delicato del mio bagno doccia copriva i diversi odori sulla mia pelle, compreso il vago sentore di disinfettante dell'infermeria e l'odore acre delle sigarette che ultimamente avevo iniziato a fumare con costanza.

Rimasi nella doccia il più a lungo possibile, poi mi avvolsi nell'accappatoio e andai in stanza a vestirmi, scegliendo un maglione a collo alto, così da nascondere al meglio le mie cicatrici, e un paio di pantaloni scuri.

Mi sdraiai a letto, lanciando un'occhiata annoiata alla lettera incantata che era appena passata sotto la porta e si era adagiata sul mio comodino. Capii dalla calligrafia che era da parte della McGranitt, dovevano essere le indicazioni sui temi trattati a lezione e i compiti da svolgere.

Millicent entrò in stanza poco dopo con un'espressione triste: «Pansy» mi salutò con un cenno del capo, prima di gettare sul letto la sua borsa e chiudersi in bagno.

Passarono pochi secondi ed entrò in camera una sorridente Daphne Greengrass. Portava i capelli acconciati in un disordinato chignon, dal quale erano sfuggiti alcuni ricci che le accarezzavano le guance e la nuca, la divisa era leggermente sgualcita dopo l'intera giornata di lezioni e le labbra erano accentuate da un rossetto incantato per durare più a lungo.

«Ciao Py!», esclamò, buttandosi a peso morto sul letto: «Non hai idea di cosa sia successo oggi!», esclamò, sciogliendo i ricci biondi, che le incorniciarono il viso in modo adorabile: «Durante Pozioni Calì ha fatto una scenata, mi sono offerta per andarla a consolare e... ancora non riesco a crederci, ma ha funzionato! Questo sabato andrò con lei ad Hogsmeade e sento che questa è la volta buona, Py! Finalmente riuscirò a trovare un modo per entrare nelle grazie di Padma».

Calò un breve silenzio, poi Daphne continuò: «Oggi l'ho vista, stava leggendo la Gazzetta del Profeta durante il pranzo ed era tutta corrucciata. Mi ha fatto venire voglia di baciarle la fronte per cancellare tutte quelle rughe di preoccupazione. Aveva i capelli legati, le danno un'aria così seria e sexy», rise, rotolandosi nel letto con un enorme sorriso in volto, si puntellò sul materasso con un gomito, sollevandosi in modo da incrociare il mio sguardo: «Dici che faccio bene a tastare il terreno con Calì prima di confessarle tutto?»

Chiusi gli occhi, nascondendo le mie lacrime sotto le palpebre serrate, mandai giù il groppo che mi si era formato in gola e annuii, sentendola sospirare in risposta: «Questa notte l'ho sognata, giocava con i miei capelli mentre io le parlavo di qualsiasi cosa mi venisse in mente. É stato un bellissimo sogno».

O Daphne non si stava rendendo conto di quanto male mi stessero facendo le sue parole, oppure lo stava facendo apposta e il suo obiettivo era proprio quello di provocare una mia reazione.

In quel momento Millicent uscì dal bagno, impedendomi di urlare contro Daphne come avrei voluto.

«Avete visto la mia spazzola?»

Ignorai la domanda, raggomitolandomi sul letto in posizione fetale, presi poi il cuscino e lo usai per coprirmi il viso, nascondendo così le lacrime che mi rigavano il viso alle mie compagne di stanza.

Se l'obiettivo di Daphne era distruggere la poca stabilità mentale che mi era rimasto, era riuscita nel suo intento.

Tutto quello a cui riuscivo a pensare in quel momento era il dolce sorriso di Malfoy, che era della Granger ormai, e il volto privo di espressioni di Theo l'ultima volta che l'avevo stretto tra le braccia, morto. 

I ricordi sarebbero mai andati via? Il dolore sarebbe mai scemato? Il mio cuore si sarebbe mai ripreso da tutta questa sofferenza? Ci sarebbe mai stata una fine allo strazio? O ero destinata a continuare a patire in eterno?

Le lacrime cessarono di scorrere e una strana calma si impossessò di me.

Sapevo quel era l'unica soluzione, l'avevo sempre saputo, ma fino a qualche ora fa sembrava impossibile pensare che sarei giunta ad odiare così tanto la mia vita da volermi suicidare.

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Capitolo 4
*** Restricted Section ***


4. Restricted Section


·≈· DRACO'S POV·≈·



 

Quando arrivai di fronte alla biblioteca trovai la porta già socchiusa, segno che Hermione doveva già essere arrivata.

Un sorriso malizioso si fece strada sul mio volto mentre entravo, chiudendomi l'uscio alle spalle con un incantesimo.

Due sere prima eravamo casualmente capitati in quella zona del castello, mentre cercavamo una stanza appartata dove poter rimanere soli. 

Avevamo ripiegato sulla biblioteca quando Mrs. Purr aveva fatto la sua apparizioni a pochi metri di distanza da noi, costringendoci a rompere l'incantesimo che proteggeva i preziosi libri di Madama Pince per nasconderci tra gli alti scaffali in legno.

Da quella sera, giocare a nascondino nel labirinto di carta e inchiostro che era la biblioteca sembrava esser diventata una delle nostre attività notturne preferite.

L'ambiente era fiocamente illuminato da candele incantate, che fluttuavano a mezz'aria, e dai pochi raggi di luna che riuscivano a filtrare attraverso le spesse tende alle finestre. 

«Hermione?», la chiamai in un sussurro, cercando la sua silhouette nella semi oscurità.

Quando non ottenni risposta iniziai a cercarla, insinuandomi tra gli scaffali.

In biblioteca regnava la solita pace surreale, gli unici suoni percepibili provenivano dall'esterno; l'ululare del vento e il crepitare delle foglie secche.

Mentre avanzavo lungo i corridoi di scaffali, non riuscivo a smettere di sorridere.

Ero impaziente, emozionato...

Ogni angolo che giravo, ogni corridoio che percorrevo il cuore mi batteva più forte in petto.

Non vedevo l'ora di stringere la mia ragazza in un abbraccio e chiederle come fosse andata la sua giornata.

A pochi passi dal Reparto Proibito riconobbi la massa di ricci disordinati della Granger e il sorriso mi si allargò ulteriormente.

Era seduta su un banco, le gambe sospese nel vuoto che dondolavano leggermente mentre sfogliava un libro con aria assorta. Non alzò lo sguardo dalla pagina, ma i lineamenti le si addolcirono in un dolce sorriso.

«Finalmente», disse, continuando a leggere: «Cominciavo a temere che avessi cambiato idea o che fossi stato scoperto da Gazza».

«Cosa leggi?», le chiesi, sedendomi accanto a lei e sbirciando oltre la sua spalla le parole impresse sulla carta.

«É un saggio breve sull'Elisir per Indurre Euforia, dopo la lezione di oggi con la professoressa Bing volevo approfondire l'argomento», disse distrattamente, spostandosi leggermente sul banco, in modo da premere la spalla contro la mia: «Ho dovuto trovarmi qualcosa da fare dato che, qualcuno qua è in ritardo».

«Blaise continuava a tormentarmi e ho perso la cognizione del tempo», mi giustificai, tralasciandole i dettagli scabrosi; da quando il mio migliore amico aveva realizzato di essersi sinceramente affezionato alla Lovegood non riusciva a parlare d'altro. In pubblico sembrava sempre lo stesso, ma nel privato del nostro dormitorio, appariva il suo lato sdolcinato. Quella sera mi aveva deliziato con un monologo incentrato sul modo adorabile in cui la Lovegood arrossiva; monologo che mi veniva ripetuto ogni giorno e del quale ormai conoscevo ogni parola.

«Tormentarti?», ripetè, lanciandomi un veloce sguardo di scherno: «Povero furetto».

Appoggiai il mento sulla sua spalla, facendo attenzione a non farle male: «Io soffro e tu mi prendi in giro? Ma che razza di morosa sei?»

«La migliore», sussurrò, chiudendo il libro che stava leggendo con un suono sordo.

«Com'è andata la giornata?», le chiesi, mentre lei riponeva il piccolo manuale su uno scaffale poco distante.

«Vorrei dirti una cosa, ma non so se posso farlo», disse piano, tornando da me e posizionandosi tra le mie gambe, gettandomi le braccia intorno al collo.

Le diedi un bacio a fior di labbra, sorridendole: «Ora sono curioso, devi dirmelo».

«Sei sempre il solito prepotente», si lamentò, scuotendo piano la testa.

La preoccupazione sul suo viso mi fece capire che non era un argomento semplice quello che voleva affrontare, così non insistetti ulteriormente, limitandomi a circondare la sua vita con le braccia e inebriarmi del suo profumo, in attesa che trovasse le parole giuste.

«Prima delle lezioni del pomeriggio ho trovato la Parkison a terra, svenuta».

Tra me e Pansy non c'era un rapporto idilliaco. Lei mi sopportava a mala pena e io non potevo darle torto; mi ero comportato da stronzo con lei, mi ero approfittato della sua cotta per provare a togliermi la Granger dalla testa, usandola e spezzandole il cuore senza riguardi. Non andavo fiero del mio comportamento, ma non potevo fare nulla per cambiare il passato.

Avevo notato che da quando erano rincominciate le lezioni lei non si era quasi mai fatta vedere, ma mi ero volutamente tenuto fuori dall'intera faccenda. Non ero mai stato bravo a consolare le persone, inoltre avevo temuto che un mio possibile avvicinamento potesse solo peggiorare le cose e farla stare peggio.

Forse era stato un errore, forse avrei dovuto insistere e provare a starle vicino.

«Sta bene?», chiesi, preoccupato. Pansy era stata la mia prima ragazza, e anche se non ero mai veramente riuscito ad amarla come si sarebbe meritata, le avevo voluto bene e continuavo a volergliene.

«Sì, era un calo di zuccheri, ma c'è dell'altro», disse: «Ho origliato la conversazione tra Madama Chips e la Parkinson».

Un tenue rossore si diffuse sulle sua guance.

«Stare con me ti sta rendendo una vera Serpe», dissi, nella speranza di alleggerire un po' la tensione. Ottenni una breve botta sulla spalla e uno sguardo di rimprovero.

Le maniere manesche della Granger non si smentivano mai.

«Il morso di Greyback l'ha trasformata in un licantropo».

Rimasi con occhi e bocca sbarrati dalla sorpresa per qualche secondo: «No, è impossibile», mormorai, abbassando lo sguardo.

«Anche io l'ho pensato, per questo dopo le lezioni sono venuta qua a informarmi...».

«Greyback era in forma umana quando l'ha morsa. La trasformazione avviene solo quando vieni morso da un licantropo durante la luna piena», dissi, ricordando la lezione che avevamo avuto il terzo anno a tal proposito.

La Granger annuì: «Sì, a meno che il morso non sia abbastanza profondo da raggiungere il cuore».

Guardai il volto di Hermione con stupore e orrore.

Non potevo crederci. Non volevo crederci.

Pansy non aveva già sofferto abbastanza? 

«MI sono informata sull'argomento e credo che, molto probabilmente, non viene a lezione perché le danno fastidio i suoni e gli odori».

«Lupin non aveva di questi problemi», le feci notare, aggrottando la fronte.

«Ma Lupin venne morso da piccolo, ciò gli diede la possibilità di abituarsi ai sensi sviluppati nel corso degli anni. Pansy è stata morsa da pochi giorni», mi fece notare Hermione, puntando i suoi occhi scuri nei miei: «Non oso immaginare come si debba sentire sola. Dobbiamo aiutarla».

La risoluzione con cui disse quelle parole mi stupì. 

«Pansy è testarda quasi quanto te, non sarà facile convincerla ad aprirsi con noi», le feci notare, rigirandomi una sua ciocca di capelli tra le dita.

«Dobbiamo provarci».

La serata non stava procedendo come mi ero aspettato. Mi ero immaginato molte meno parole e molti più baci.

«Va bene, hai un piano?»

«Non proprio», disse, aggrottando la fronte: «Penso che dovremmo provare a parlarle intanto e poi vedere come reagisce».

Annuii, osservando la sua espressione assorta e risoluta.

«Per il resto la giornata è andata bene?», le chiesi, accarezzandole le braccia in punta di dita; ero deciso a distrarla dalla questione Pansy, era evidente che la faccenda la stesse logorando e sia lei che io avevamo bisogno di un po' di pace.

«Sì, è stata una giornata piuttosto monotona. La tua com'è stata?»

«Non mi lamento, anche se non ho fatto altro che pensare a te per la maggior parte del tempo», ammisi, baciandole lievemente la fronte e poi la guancia.

«E come mai?»

«Ho bisogno di un motivo per pensare alla mia ragazza?», le chiesi, sorridendole.

Hermione si morse il labbro inferiore, seguii quel gesto con occhi famelici.

Lei se ne accorse e ripetè il gesto, prima di sussurrare: «Raccontami, a cosa hai pensato nello specifico?»

Adoravo quando stava al gioco.

«Tu ed io nel Reparto Proibito, nudi».

«Reparto Proibito, eh?», sussurrò, prima di districarsi dal mio abbraccio e indietreggiare verso quell'ala della biblioteca.

«Che stai aspettando, non vieni?», chiese, incitandomi a seguirla.

Non me lo lasciai ripetere e mi alzai, deciso a non perderla di vista nemmeno un istante.

Il Reparto Proibito era semplicemente più impolverato e lugubre rispetto al resto della biblioteca. Fino a un paio di anni prima solo l'idea di entrarci mi avrebbe emozionato oltre ogni dire: tutta la conoscenza rinchiusa in quei volumi, gli incantesimi oscuri che avrei potuto usare contro il Trio dei Miracoli per dimostrare di essere un mago migliore di loro...

Chi avrebbe mai pensato che mi sarei ritrovato a metterci piede per la prima volta proprio con Hermione Granger?

«Sei mai stato qui?»

«No», ammisi, seguendola fino al limite massimo del Reparto.

«Chiudi gli occhi», mi disse, un sorriso malizioso ad incurvarle le labbra.

«Perché?», chiesi, obbedendole.

«Poi vedrai, non sbirciare».

Passarono pochi secondi, poi ricevetti il permesso di aprire gli occhi e quello che vidi mi lasciò semplicemente senza parole.

Hermione era seduta su un tavolo che fino a poco fa non c'era, non indossava più il mantello e la camicia era aperta, lasciando in bella vista il suo reggiseno. Indossava la gonna della divisa, che era leggermente alzata e permetteva di ammirare una maggiore porzione di coscia rispetto al solito. Aveva le guance color porpora e lo sguardo imbarazzato; era bellissima.

Mi avvicinai, cancellando i pochi metri che ci separavano, poggiando le mani sul legno del tavolo ai lati dei suoi fianchi.

«Non è il mio compleanno oggi», le dissi, sfiorando la pelle del suo viso con le labbra: «A cosa devo questo... regalo?»

Hermione mi gettò le braccia al collo, stringendomi in un abbraccio. Ricambiai la stretta, premendo le mani contro la sua schiena.

«É tutto il giorno che aspetto questo momento», disse: «Non sei l'unico ad avere fantasie».

Avvolse le sue gambe intorno ai miei fianchi, avvicinando ulteriormente i nostri bacini e le sue labbra si premettero con foga contro le mie.

La sua presa di posizione mi eccitò ulteriormente, svuotando la mia mente da qualsiasi altro pensiero che non fosse lei.

Impiegai pochi secondi per liberarla definitivamente della camicia, mentre lei non perdeva tempo e mi slacciava la cintura e la patta dei pantaloni. La sua impazienza non faceva altro che aumentare la mia smania.

Feci un incantesimo contraccettivo, poi tornai a spogliarla senza l'ausilio della magia.

«Hai le mani fredde», si lamentò, tirandomi leggermente i capelli. 

Sogghignai e premetti le dita sulla sua pancia bollente, poi sulle cosce, sentendola tremare al mio tocco: «Tu sei calda invece», mormorai, prima di abbassarle le mutande e iniziare a stimolare il suo clitoride.

Hermione gemette, afferrando il bordo dei miei pantaloni per abbassarli insieme all'intimo.

«Quanta impazienza», mormorai, sfoggiando il mio ghigno malizioso.
Il sorriso però mi morì sulle labbra quando la mano di Hermione si avvolse intorno alla mia eccitazione, lasciandomi senza parole.

Ci baciammo con frenesia, continuando a stuzzicarci entrambi.

Fu Hermione a mettere fine ai preliminari quando spostò la mia mano dal suo inguine e agganciò le gambe intorno alla mia vita, facendo scontrare le nostre intimità.

La penetrai lentamente, osservando le guance rosse e il viso scarmigliato di Hermione, così da non perdermi una sola delle emozioni che attraversarono il suo volto.

Non avrei mai pensato che uno dei miei sogni erotici più ricorrenti sarebbe diventato realtà.

Avevo sempre collegato Hermione alla biblioteca e allo studio, ero stato segretamente affascinato dalla sua intelligenza fin dall'inizio; non c'era da stupirsi se uno dei primi sogni erotici della mia adolescenza era ambientato nella biblioteca di Hogwarts e aveva come protagonista la so-tutto-io-Granger.

Mi portai una sua gamba sulla spalla, facendola scivolare all'indietro sul banco; aveva la testa gettata all'indietro e la bocca socchiusa alla ricerca disperata d'aria.

Era una visione a dir poco mozzafiato. 

Mi spinsi in lei lentamente, poi sempre più veloce, cercando di mantenere un ritmo costante. I suoi fianchi si muovevano nel tentativo di starmi dietro, venendomi incontro ad ogni spinta.
«Ti faccio male?», le chiesi, scrutando il suo volto contratto in quella che mi sembrava una smorfia di dolore.
Prima ancora che mi rispondesse diminuii la foga delle spinte, così da darle la possibilità di riprendere fiato.
«No», disse, sorridendomi languidamente: «Non ti fermare».
Non me lo feci ripetere e tornai ad aumentare la velocità, cercando di capire dalle espressioni sul viso di Hermione cosa le piacesse di più.
Una volta individuato un punto particolarmente sensibile dentro di lei fu relativamente facile farle raggiungere l'orgasmo, per poi seguirla pochi secondi dopo.
Rimasi accasciato su di lei qualche secondo a riprendere fiato, mentre lei — sdraiata sul banco — faceva lo stesso.
I nostri petti si alzavano e abbassavano a causa dei polmoni smaniosi di ricevere abbastanza ossigeno, mentre il cuore batteva con forza contro la cassa toracica.

«Draco?», mi chiamò Hermione quando mi sollevai, aumentando la distanza tra di noi.

«Dimmi».

Cominciai a rivestirmi mentre aspettavo che mi parlasse.

«La prossima fantasia che vorrei realizzare è farlo nel Bagno dei Prefetti».

Smisi di allacciarmi i pantaloni e la guardai con sgomento ed eccitazione: «Con molto piacere».

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Capitolo 5
*** Suicidal ***


5. Suicidal


·≈· PANSY'S POV ·≈·

 

La McGranitt era stata chiara: non sarei dovuta andare a lezione fino a quando non mi fossi sentita pronta, ma questo non voleva dire ignorare i miei doveri scolastici; dovevo impegnarmi a svolgere i temi assegnati entro le scadenze e leggere i capitoli svolti in classe autonomamente.

Guardai i libri di scuola, ammassati disordinatamente nel baule ai piedi del mio letto e venni colta dallo sconforto.

Non ero mai stata una scansafatiche, avevo sempre dato il massimo nella mia carriera scolastica, senza però intaccare la mia vita sociale. 

Ora non avevo più nulla, non ero nessuno.

Osservai distrattamente il mio Rossetto-bacio-perfetto, appoggiato sul comodino. Mi ricordava un periodo più spensierato della mia vita, un periodo in cui mi ritenevo ancora una bella ragazza. 

Lo afferrai e me lo rigirai tra le mani. 

Senza pensarci mi alzai dal letto e mi diressi in bagno.

Avvicinai il viso alla superficie dello specchio e mi passai il rossetto sulle labbra, attenta a non sbavare il prodotto.

Osservai la mia bocca, la arricciai leggermente, sentendo la consistenza cremosa del prodotto.

L'ultima volta che l'avevo indossato, Theo era ancora vivo.

Chiusi momentaneamente gli occhi poi, ignorando il groppo in gola, li riaprii e tornai in camera, colta da una risolutezza che non pensavo potessi ancora avere.

Mi accovacciai accanto al mio baule fino a quando non recuperai la mia trousse di trucchi e tornai in bagno.

Sparsi i prodotti accanto al lavandino, facendo una cernita tra i vari cosmetici alla ricerca dei miei preferiti e riposi nel nécessaire quelli che non mi servivano.

Impiegai circa venti minuti davanti allo specchio tra fondotinta, blush, mascara e ombretto.

Quando fui abbastanza soddisfatta del risultato tornai in camera, senza preoccuparmi di sistemare i prodotti che avevo lasciato sparsi accanto al lavandino.

Ora che assomigliavo alla Pansy di un tempo volevo sentirmi come la Pansy di un tempo.

Mi tolsi il pigiama e indossai la divisa scolastica, storcendo leggermente il naso quando mi resi conto che la gonna mi stava leggermente larga. Ero dimagrita e non me ne ero resa nemmeno conto. Spostai lo sguardo verso il vassoio della colazione, intatto accanto al mio letto.

Sospirai piano e afferrai un biscotto al cioccolato, l'odore era buono e all'improvviso mi resi conto che la pancia mi faceva male da quanta fame avevo.

Addentai il dolce e aspettai che il boccone mi si sciogliesse in bocca, prima di morderne un altro pezzo. Era dalla sera prima che non toccavo cibo, quando avevo assaggiato con riluttanza lo sformato di zucca e le patate al forno sotto l'occhio vigile di Madama Chips, che era venuta di persona ad accertarsi che stessi bene. 

Riuscii a mangiare in totale quattro biscotti prima che mi si chiudesse lo stomaco, impedendomi così di ingerire altro.

Presi una pastiglia Sorriso Smagliante 24h, sentendo subito in bocca il sapore fresco della menta e finii di prepararmi, pettinandomi i capelli corti in modo che mi incorniciassero il viso alla perfezione.

Afferrai la mia borsa e vi infilai all'interno alcuni fogli di pergamena, la piuma d'oca e la boccetta d'inchiostro, mi strinsi nel mantello e uscii dalla camera.

Hogwarts sembrava deserta, tutti gli studenti erano a lezione.

Entro qualche minuto i corridoi si sarebbero riempiti a causa della pausa pranzo, ma avevo abbastanza tempo per raggiungere l'aula studio accanto alla torre di Astronomia, dove non avrei trovato nessuno e dove contavo di dedicarmi alla stesura delle lettere che avevo intenzione di scrivere prima di mettere definitivamente fine alla mia vita.

Avevo passato la notte intera a rimuginarci su, motivo per cui avevo avuto profonde occhiaie sotto agli occhi fino a pochi minuti prima, quando avevo coperto tutto con il Togli-occhiaie della Mag. Che senso aveva vivere in un mondo dove nessuno teneva a me? Nessuno tranne, forse, l'insopportabilmente felice Hermione Granger? Non potevo reggere la sua vista, figurarsi qualsiasi sorta di aiuto da parte sua. 

Raggiunsi l'aula studio e mi sedetti al primo banco disponibile, srotolai subito di fronte a me una delle pergamene che mi ero portata dietro e cominciai a scrivere la prima lettera, poi passai alla seconda e in fine alla terza; una per mia madre, una per la McGranitt e una per Draco Malfoy.

Nella lettera per mia madre scrissi tutto quello che non avevo mai avuto il coraggio di dirle, tutto il dolore che direttamente o indirettamente aveva portato nella mia vita. Malgrado mi avesse diseredato perché mi considerava inservibile per la continuazione della discendenza pura a cui aspirava, continuavo a volerle bene. Era mia madre e anche se non era riuscita a proteggermi come avrebbe dovuto, ci aveva provato a volermi bene, anche se nel modo più sbagliato di tutti. Speravo con tutta me stessa che Charles potesse avere una vita migliore della mia.

Nella seconda lettera ringraziai la McGranitt per avermi accolta ad Hogwarts dopo la guerra. Certo, grazie alla testimonianza della Granger ero stata assolta da tutti miei peccati; ero passata dalla parte dei buoni, avevo aiutato nell'uccisione di Colui-Che-Non-Doveva-Essere-Nominato, quindi potevo ancora considerare Hogwarts casa mia. Rimanevo comunque un licantropo, e questo la McGranitt lo sapeva. Avrebbe potuto rispedirmi a casa, o suggerirmi di frequentare un'altra scuola di magia, magari una meno prestigiosa. La nuova preside di Hogwarts non aveva fatto nulla di tutto ciò. Mi aveva accolta nella sua scuola, mi aveva aiutato e mi aveva protetto. E per questo non avrei mai potuto ringraziarla abbastanza.

Nell'ultima lettera, quella indirizzata a Malfoy, faticai a trovare le parole giuste da scrivere. Era difficile spiegare al ragazzo che avevo amato e a cui continuavo a voler bene che non mi stavo suicidando per colpa sua, ma perché non avevo più nessuno che mi teneva ancorata al mondo reale. Nessuno tranne lui. Il sentimento che ancora mi legava a lui sarebbe potuto essere l'unico che avrebbe potuto effettivamente persuadermi dal suicidarmi, ma non era abbastanza. Non quando lui amava un'altra, non quando lui aveva Hermione Granger. Non provavo però rabbia o rancore nei suoi confronti e volevo che lo sapesse. Ero felice per lui e mi auguravo che potesse vivere la vita perfetta che si meritava di vivere.

All'improvviso sentii chiaramente le porte delle aule aprirsi e gli studenti e professori iniziare a sciamare verso la Sala Grande. Faticavo ancora un po' a sopportare i rumori forti, infatti sussultai quando sentii qualcuno urlare a pochi passi dall'aula studio in cui mi trovavo.

Sigillai le pergamene nelle loro buste e le riposi nella mia borsa. Non avevo tempo di andare in guferia a spedirle, una volta rinvenuto il mio cadavere avrebbero anche trovato la mia borsa e le lettere.

Mi chiesi chi avrebbe scoperto per primo il mio corpo morto e un brivido mi attraversò la schiena.

Volevo davvero farlo?

Quando sentii che il rumore per i corridoi era drasticamente diminuito, mi alzai in piedi e uscii dall'aula, diretta verso la Torre di Astronomia.

Salii i gradini lentamente, chiedendomi ad ogni passo se, una volta arrivata, sarei davvero riuscita a trovare il coraggio di buttarmi.

Gettai un'ultima volta un'occhiata all'aula di Astronomia, dove allineati si potevano trovare numerosi telescopi e mappe della volta celeste appese lungo le pareti. Ma non prestai più di tanta attenzione ai dettagli, certa che altrimenti sarebbe sopraggiunta la malinconia. 

Continuai a salire fino a quando raggiunsi l'ultimo piano della torre.

Presi un profondo respiro e mi passai nervosamente una mano tra i capelli, chiedendomi se il trucco fosse perfetto come quando era uscita dalla mia stanza.

Quel pensiero mi fece ridere nervosamente.

Stavo per buttarmi dalla Torre di Astronomia, stavo per terminare una volta per tutte la mia vita, possibile che tutto quello a cui riuscivo a pensare era il mio aspetto fisico?

Appoggiai al centro della stanza la mia borsa, mettendo in bella mostra le tre lettere, poi mi avvicinai con risolutezza ad una delle ampie finestre che davano sul cortile di Hogwarts.

Tutto quello che riuscivo a sentire, oltre all'ululato del vento, era il battito impazzito del mio cuore e il respiro corto che mi usciva dal naso. Non ero mai stata così tanto consapevole del mio corpo e del suo funzionamento vitale fino a quel momento.

Avrebbe fatto male?

Avrebbe fatto più male rispetto al dolore che già provavo?

Chiusi gli occhi e cercai di non scoppiare a piangere.

Mi tremavano le mani e le ginocchia sembravano faticare a sorreggermi.

Fu in quel momento, quando mi resi conto che non potevo farlo, che non ero abbastanza coraggiosa da porre fine alla mia vita, che sentii un rumore alle mie spalle.

Voltai il viso rigato dalle lacrime quel tanto che bastava per vedere la figura di Neville Paciock a tre metri di distanza che osservava la scena con gli occhi verdi colmi di orrore e stupore.

Nessuno dei due disse niente, rimanemmo a fissarci per lunghi interminabili secondi, poi lui si mosse nella mia direzione, le mani alzate e allungate verso di me: «Non farlo».

Distolsi lo sguardo dal suo e tornai ad osservale il cortile ai miei piedi, dove foglie variopinte venivano sollevate dalla forza del vento, per poi essere nuovamente scaraventate a terra.

Avrei voluto dire al Grifondoro che non volevo uccidermi, non più, ma non riuscivo a parlare, non riuscivo a muovermi. Sembravo congelata in quel momento.

Percepii lo spostamento di Paciock e non mi opposi alla sua stretta intorno alle mie braccia, alla delicatezza che utilizzò per allontanarmi dalla finestra, portandomi al centro della torre, proprio dove avevo lasciato la mia borsa.

Iniziai a singhiozzare, accovacciandomi al suolo senza forza. Non m'importava che lui mi vedesse in quello stato, anzi, provavo nei suoi confronti una strana forma di gratitudine. Senza di lui non sapevo quanto ci avrei messo ad allontanarmi dal vuoto sotto di me e dal fascino che esercitava sul mio spirito debole.

Sentii le braccia di Paciock avvolgermi delicatamente e non mi opposi. Mi lasciai stringere, godendo del senso di pace che mi trasmetteva avere quel tipo di contatto con un altro essere umano. Quand'era stata l'ultima volta che ero stata abbracciata da qualcuno? Non riuscivo a ricordarlo.

Continuai a piangere fino a quando non terminai le lacrime, fino a quando non provai più alcun tipo di dolore. Tutto quello che era rimasto era un senso di vergogna e timore. 

Mi mossi tra le braccia di Paciock, così da fronteggiarlo e quello che notai mi lasciò senza fiato.

Mi ero voltata con l'intento di parlargli, dirgli magari che gli ero grata, che non volevo davvero farlo, che quello a cui aveva assistito era stato un attimo di debolezza e che non si sarebbe ripetuto. Ma non uscì niente dalle mie labbra, perché i miei occhi scuri erano rimasti incantati a scrutare quelli di Paciock che mi osservavano con preoccupazione.

«Sei tu», dissi con stupore, guardandolo come se lo stessi accusando di chissà quale crimine terribile. 

Lui sembrò confuso dalle mie parole, aggrottò le sopracciglia e storse leggermente la bocca, ma non disse nulla.

«Sei stato tu a salvarmi», mormorai, gli occhi nuovamente colmi di lacrime: «Tu mi hai salvato da Greyback».

Non avevo dubbi in proposito, avrei riconosciuto quegli occhi in mezzo a mille altri; con la loro sfumatura blu intorno all'iride e il verde limpido misto al castano chiaro vicino alla pupilla.

Mi asciugai le lacrime e mi stupii nel vedere il volto di Paciock colorarsi di rosso, sembrava quasi in imbarazzo.

Sciolse l'abbraccio, mettendo qualche centimetro tra i nostri corpi.

«Non lo ricordavi?», mi chiese, tenendo lo sguardo basso, mentre si passava nervosamente le mani sui pantaloni della divisa.

«No», ammisi, arrossendo a mia volta; mi sentivo una stupida senza sapere bene il perché: «Ricordavo solo...»

Lasciai la frase in sospeso, chiedendomi se fosse il caso di confessargli che del mio salvatore ricordavo solo il colore degli occhi e nient'altro.

«Sono in debito con te», dissi semplicemente, mordendomi nervosamente il labbro inferiore: «Doppiamente in debito», mi corressi, spostando lo sguardo verso la finestra dalla quale mi ero quasi buttata.

Paciock si sollevò in piedi, passandosi la mano sui pantaloni per pulirli dalla polvere, si issò sulla spalla la mia borsa e mi porse una mano per aiutarmi ad alzarmi «Andiamo, ti accompagno in infermeria».

Accettai il suo aiuto senza protestare e non mi lamentai nemmeno del braccio che avvolse intorno alla mie spalle fragili mentre mi scortava giù dalla Torre di Astronomia.

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Capitolo 6
*** Hogsmeade ***


6. Hogsmeade


·≈· DAPHNE'S POV ·≈·


 

Sabato mattina mi svegliai prima del solito con un sorriso stampato in volto e le mani che mi fremevano dall'impazienza. 

Era il grande giorno; avrei finalmente parlato con Calì. 

Presa dall'euforia del momento non mi curai di Millicent e Pansy, entrambe ancora beatamente addormentate e iniziai a canticchiare un motivetto allegro.

Spostai le coperte e le tende del baldacchino, saltando fuori dal letto con una piroetta. 

Non ero una "persona mattiniera"; il sabato e la domenica, infatti, li passavo sempre a dormire fino a tardi o a poltrire in sala comune. Quel giorno però dovevo riuscire ad essere perfetta per l'appuntamento con la mia futura cognata, quindi dovevo dedicare più tempo del solito alla mia beauty routine.

Recuperai dal baule tutto il necessario e poi mi chiusi in bagno.

Mi spogliai in pochi secondi, lasciando scivolare gli abiti a terra.

Mi presi qualche minuto per ammirare il mio riflesso allo specchio; ero sempre stata invidiata per il mio fisico snello, i fianchi stretti, la vita sottile e i seni piccoli e sodi. Tutte le ragazze che conoscevo avevano uno o più motivi per essere gelose di me. 

C'era chi invidiava i miei capelli biondo grano, chi i miei occhi verdi, chi le lentiggini che ricoprivano il mio naso sottile alla francese, chi le labbra piene e rosee.

Una volta Millicent era entrata in bagno quando ero da poco uscita dalla doccia e a coprirmi avevo solo un asciugamano avvolto intorno al corpo; mi aveva squadrato con uno sguardo colmo di gelosia per lunghi secondi prima che le chiedessi di uscire.

Ero abituata agli sguardi delle altre studentesse di Hogwarts quando entravo nelle aule o in Sala Grande, tutte mi osservavano con odio e invidia. Tutte avrebbero voluto essere me.

Mi passai una mano tra i capelli, scompigliandoli leggermente, poi la feci scorrere lungo il mio corpo; partendo dal mio collo da cigno, fino alle mie cosce lattee e snelle. 

Padma non aveva scampo. Avrebbe potuto combattere l'attrazione che c'era tra noi quanto voleva, ma prima o poi avrebbe ceduto al mio fascino, al mio corpo, alla mia mente.

Il mio sorriso si allargò, facendo comparire due piccole fossette agli angoli della mia bocca.

Entrai in doccia con una mezza piroetta, continuando a canticchiare.

Non mi ero propriamente preparato un discorso per quando sarei uscita con Calì, ero una brava improvvisatrice e sapevo che con il minimo sforzo sarei riuscita ad ottenere tutte le informazioni su Padma che volevo ottenere.

Il mio aspetto spesso ingannava. Potevo sembrare tanto angelica e fragile, ma sotto la mia aria da brava ragazza celavo una mente fredda e calcolatrice, nonché un cuore di ghiaccio e una lingua tagliente.

Avevo spesso sfruttato il mio aspetto per ottenere favori, o per uscire con i ragazzi più ambiti della scuola o della società magica. Da quando avevo però accettato il mio orientamento sessuale, avevo utilizzate certe connessioni solo per fare buon viso a cattivo gioco.

I miei genitori non sapevano nulla della mia omosessualità, così come non sapevano che avevo perso la mia verginità a quattordici anni con Nicolas Dumonde; non sapevano che avevo fumato, bevuto alcolici e in numerose occasioni ballato semi-nuda per ottenere soldi in cambio.

Non ero la ragazza perfetta che loro pensavano, che tutti pensavano.

La prima ragazza che avevo baciato era stata Eleanor Thorne, eravamo ad una festa di compleanno, eravamo entrambe ubriache e in vena di fare pazzie. Dopo quell'esperienza avevo dovuto affrontare una parte di me stessa che non avevo mai realizzato esistesse fino a quel momento.

Mi erano sempre piaciute altre ragazze, ma non avevo mai collegato quel sentimento a qualcosa di più che semplice curiosità. 

A volte mi ritrovavo ad ammirare il modo in cui un'altra camminava, oppure si portava una ciocca di capelli dietro l'orecchio. 

Avevo sempre pensato che fosse normale, che capitasse a chiunque, poi avevo conosciuto Amanda Rogers.

Io e Amanda eravamo state amanti per qualche mese, prima che lei tornasse in America, nell'estate tra il quinto e il sesto anno. Lei aveva tre anni in più di me, ci eravamo conosciute ad un matrimonio di amici di famiglia e per fuggire alla noia di quell'evento mi aveva proposto di chiuderci da qualche parte con una bottiglia di vino.

Se fino a quel momento avevo avuto dei dubbi sulla mia sessualità, Amanda riuscì in una semplice serata a farmi capire cosa volessi davvero. 

Era stata la mia prima relazione seria; con lei avevo scoperto un lato nuovo di me stessa, un lato che temevo non sarei mai riuscita a far emergere completamente. 

Con lei era stato tutto facile: i baci, le carezze, le confidenze.

Anche lei veniva da una benestante famiglia che la voleva sposata a qualche ricco mago Purosangue, avevamo vite simili a centinaia di chilometri di distanza; confidarmi con lei era stato fin troppo facile.

Bastavano pochi sguardi per capirsi, poche parole per rafforzare il forte legame che già ci univa.

Quando era partita avevo pianto segretamente per giorni. Ogni sera per una settimana mi ero chiusa in camera, avevo nascosto il viso contro il cuscino e avevo riempito quest'ultimo di lacrime fino ad addormentarmi per la stanchezza.

Il tempo aveva guarito il mio cuore ferito, rendendolo un po' più duro, un po' più impenetrabile.

Una volta finita la doccia avvolsi i miei capelli in un asciugamano color pervinca e il mio corpo in un accappatoio bianco. Massaggiai il mio corpo con una crema idratante e frizionai i miei capelli.

Non mi truccai molto; quel tanto che bastava per nascondere il piccolo brufolo che avevo sul mento e le occhiaie. Poi applicai il mascara e un filo di lucida labbra.

Tornai in camera con addosso solo l'asciugamano e, sempre canticchiando, cercai nel baule ai piedi del mio letto qualcosa di carino da indossare per l'uscita ad Hogsmeade.

Selezionai con cura un semplice completo intimo color panna e poi disposi sul letto diversi outfit.

Sbirciai le mie compagne di stanza e il sorriso mi si allargò alla vista di Millicent, la testa ricoperta di bigodini e la bocca spalancata nel sonno. Pansy dormiva in modo più aristocratico, con le labbra a formare una piccola ed elegante "o" e i capelli raccolti in una treccia. Era da quando era ricominciata la scuola che non la vedevo così serena.

Io e Pansy non avevamo mai veramente avuto un rapporto di amicizia. Fin dal primo anno avevamo instaurato una relazione a metà strada tra una latente rivalità e una stabile coalizione d'interesse quando c'era da sminuire qualche Tassorosso o Grifondoro. Avrei voluto che le cose fossero diverse tra me e Pansy, ma ero terrorizzata all'idea di fare il primo passo, così continuavo a rimandare.

Scelsi con cura un gonna nera a ruota che mi arrivava poco sopra il ginocchio, collant scuri e una camicetta azzurra, che richiamava il colore dei miei occhi. 

Indossai il mio cappotto pesante dal taglio elegante color grigio topo e presi la mia borsetta incantata, dentro alla quale potevo riporre tutti gli oggetti che volevo senza modificare la forma e il peso della borsa.

Una volta in Sala Grande mangiai in fretta, per paura di arrivare in ritardo all'appuntamento, rischiando di scottarmi col caffè bollente. Accanto a me un sonnolento Draco Malfoy scrutava la sala con sguardo annoiato.

«Augurami buona fortuna», gli dissi, sorridendo a trentadue denti, mentre aggiungevo dello zucchero al caffè.

«Per cosa?», chiese, aggrottando le sopracciglia.

«L'uscita con Calì», gli ricordai.

«Oh».

Indispettita, osservai l'espressione impassibile del biondo. Odiavo non ottenere quello che volevo.

«Allora? Non mi auguri buona fortuna?»

«E per cosa? Per andare a parlare con quella tonta di Calì? Non ne hai bisogno».

Mi chiesi se le sue parole potessero essere interpretate come un complimento e, nel dubbio, scossi la testa e sorrisi. «La Granger questa mattina sembra stanca. Dovresti smettere di tenerla sveglia fino alle quattro di mattina, Draco», disse Blaise, sedendosi nel posto libero accanto al biondo.

Quest'ultimo sorrise maliziosamente: «Chi ti dice che sia io a tenerla sveglia fino a quell'ora e non il contrario?»

«Certi dettagli puoi tenerteli per te? É già traumatico immaginarti andare a letto con lei, meno mi racconti meglio è», borbottò Zabini, servendosi una generosa porzione di uova strapazzate.

«Sei solo invidioso perché la Lovegood non te le da».

Le spalle del moro s'irrigidirono: «Il fatto che io non parli di certe cose non vuol dire che non accadano».

«Certo, amico», commentò sarcasticamente Malfoy, ridendo sotto i baffi.

Non potei fare a meno di sorridere a mia volta; sentirli battibeccare mi metteva sempre di ottimo umore.

«Ora devo andare, a dopo», dissi, alzandomi in piedi.

Nel giro di pochi secondi ero all'ingresso di Hogwarts, dove mi sarei dovuta incontrare con Calì.

Ero in anticipo di tre minuti, e cercavo in tutti i modi di non mostrare il mio nervosismo.

Malfoy aveva ragione, Calì era facile da gestire, eppure non riuscivo a liberarmi dall'ansia.

In quel momento sentii dei passi alle mie spalle e, convinta che fosse la Grifondoro, mi voltai con un sorriso in volto. 

Davanti a me un'impassibile Padma Patil, mi salutò con un frettoloso gesto del capo e una smorfia di circostanza che probabilmente sarebbe dovuta essere un sorriso.

«Mia sorella sta male, mi ha chiesto di venire a informarti che non potrà venire ad Hogsmeade con te oggi», detto ciò mi superò, diretta verso la strada che portava al villaggio.

Calì mi aveva scaricato.

Socchiusi le labbra dallo sconcerto per qualche secondo, poi i miei occhi si focalizzarono sulla silhouette di Padma che si allontanava a passo sostenuto e all'improvviso non ero più infastidita.

L'assenza di Calì poteva giocare a mio vantaggio, quella era la scusa perfetta per attaccare bottone con la Corvonero.

Senza pensarci seguii Padma, raggiungendola in pochi passi: «É un vero peccato, che cos'ha?»

«Febbre», rispose sbrigativa la ragazza, guardandomi con quello che mi sembrava sospetto.

«É tanto grave?»

«Si riprenderà in un paio giorni, non c'è da preoccuparsi».

«Anche tu diretta ad Hogsmeade?», domandai, anche se la risposta era palese, continuando a mantenere il passo sostenuto della ragazza.

«Sì».

Strinsi le labbra, infastidita. Possibile che non potesse rispondermi con frasi articolate, invece di usare solo monosillabi?

«Devi fare molti acquisti?»

Padma si fermò di colpo in mezzo al sentiero deserto e io feci lo stesso, aggrottando le sopracciglia alla vista dell'espressione accigliata della ragazza.

«Cosa vuoi, Greengrass?», disse con un tono di voce mortalmente serio e gli occhi scuri fissi nei miei.

Un brivido mi corse lungo la schiena.

Quello era il momento che avevo aspettato e temuto per lungo tempo, dovevo usare le parole giuste, altrimenti mi sarei giocata ogni possibilità che avevo con lei.

Aprii bocca, poi la richiusi, mordendomi il labbro inferiore.

«Non mi piace giocare, Greengrass, e non mi piace perdere tempo».

«Chi ti dice che io stia giocando?»

La Corvonero mi studiò per qualche secondo, poi scosse la testa, il fantasma di un sorriso a incurvarle le labbra: «Non sono stupida, vedo il modo in cui mi guardi. Quello che non capisco e il perché; perché continuare a tormentarmi? Il resto di Hogwarts è andato oltre, tu invece sembri esser rimasta indietro. La gente ha smesso di spettegolare alle mie spalle, perché non puoi farlo anche tu?»

Rimasi impassibile, ma dentro di me si susseguivano pensieri confusi. Davvero percepiva il mio interesse nei suoi confronti come un tormento? Un tormento? Avrebbe dovuto essermi riconoscente per le attenzioni che le dedicavo.

«Il fatto che io sia gay non dovrebbe essere motivo di scherno, quindi gradirei che la smettessi», aggiunse, utilizzando il linguaggio forbito che mi aspettavo da una Corvonero come lei.

«Quindi sei davvero gay?», le chiesi, avvicinandomi di un passo e muovendo leggermente il capo di lato, pronta a studiare ogni sua minima reazione.

Nel volto di Padma lessi un misto di insofferenza e timore.

«Cosa importa? Che differenza fa? Che io lo sia o non lo sia non può scalfire in nessun modo la tua vita perfetta, quindi smettila di tormentarmi», disse con tono spazientito, stringendosi maggiormente nel cappotto nero.

«Rispondimi», dissi, semplicemente, mantenendo il mio tono di voce il più neutro possibile.

Non volevo espormi troppo, per paura che la faccenda potesse ritorcermisi contro.

I suoi occhi scuri si assottigliarono leggermente e le sue labbra piene ed invitanti si arcuarono in una smorfia: «Cosa vuoi, Greengrass?» ripetè per la seconda volta da quando quella conversazione era iniziata.

«Sapere la verità», risposi, assottigliando ancora un po' la distanza tra di noi.

Eravamo a un meno di un metro di distanza, potevo sentire con più chiarezza il suo profumo agrumato e vedere meglio i cerchietti dorati che aveva ai lobi delle orecchie.

«Va bene», disse con tono esasperato la mora, portandosi una mano tra i capelli, scompigliandoli.

La voglia che avevo di passare a mia volta le dita in quella chioma perfettamente liscia e color d'ebano, mi fece fare un altro passo verso di lei.

«Sì, sono gay», confessò Padma: «Ora mi lascerai in pace una volta per tutte?»

«No».

La Corvonero mi guardò con occhi stralunati per qualche secondo, e fece per aprire la bocca, ma la precedetti.

«Ora è il mio turno», dissi, sorridendo appena.

«Il tuo turno? Di cosa stai parlando?»

«Il mio turno di dire la verità», specificai: «Anche io sono gay».

Padma socchiuse le labbra dallo stupore e un silenzio pesante calò tra di noi.

Non riuscii a resistere e spostai lo sguardo su quelle labbra piene leggermente aperte e la voglia di cancellare le distanze e poggiare le mia bocca sulla sua divenne quasi insopportabile.

«É uno scherzo?», chiese Padma con tono fin troppo serio.

«No, non lo è».

«Vuoi dirmi che tutti gli sguardi e gli occhiolini e... Vuoi dirmi che sei interessata a me?»

Arrossii leggermente; non mi ero aspettata una domanda così diretta.

«Sì».

Le labbra di Padma tremarono leggermente, poi sorrise e scosse la testa, distogliendo lo sguardo: «Te lo devo concedere, sei un'ottima attrice, ma sono dell'idea che dovresti trovare un modo più costruttivo di passare il tuo tempo. Prendermi in giro per la mia omosessualità non va più di moda. Ora devo andare, ti auguro una buona giornata».

Detto ciò non mi lasciò nemmeno il tempo di controbattere e continuò imperterrita lungo il sentiero che portava ad Hogsmeade.

Feci per seguirla, poi mi bloccai sui miei passi. Ad un tratto mi era passata la voglia di fare shopping e tutto quello che volevo era raggomitolarmi di fronte al camino e osservare le fiamme avvolgere il legno e consumarlo fino a renderlo cenere. Così presi la strada opposta, diretta alla sala comune Serpeverde.

 

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Capitolo 7
*** Upset ***


7. Upset


·≈· LUNA'S POV ·≈·


 

Quando Blaise Zabini occupò il posto libero di fronte a me, la biblioteca, che fino a quel momento era stata un tempio del silenzio, venne invasa dal fastidioso stridio dei Mantrigli. 

Sapevo di essere l'unica a percepire fisicamente quelle creature insopportabili, ma questo non voleva dire che gli altri ragazzi non fossero in qualche modo influenzati dalla loro presenza; notai con la coda dell'occhio un giovane Tassorosso muoversi a disagio sulla sedia e non potei fare a meno di pensare che fosse dovuto alla presenza dei Mantrigli.

Osservai quello che da pochi giorni potevo definire il mio ragazzo e aggrottai le sopracciglia dal disappunto.

C'erano cinque o sei Mantrigli che gli volavano vicino al viso e altri due appollaiati sulla sua testa. Quello non era un buon segno.

«'Giorno», disse, prima di tirare fuori dalla borsa il libro di Erbologia e iniziare a sfogliarlo svogliatamente.

«Buongiorno, Blaise».

Studiai il suo volto per qualche secondo, cercando di ignorare la presenza dei Mantrigli e notai le rughe d'espressione sulla fronte e intorno alla sua bocca imbronciata.
Era forse dispiaciuto di essere chiuso con me in biblioteca piuttosto che essere ad Hogsmeade a fare acquisti?
Quando ne avevamo parlato il giorno prima mi era sembrato felice all'idea di studiare insieme, possibile che avessi interpretato erroneamente il suo entusiasmo?

«Come stai?», chiesi, tornando ad abbassare il volto sulla pergamena quasi conclusa davanti a me.

Sentii gli occhi di Blaise fissarmi, così sollevai a mia volta lo sguardo.

La sua espressione tesa mi fece pensare alla guerra, i cui ricordi ancora freschi mi tormentavano le notti. Le urla, l'odore di bruciato, i lampi di colore degli incantesimi e delle maledizioni...

«Luna?» 

Mi riscossi dai miei pensieri e trovai Blaise intento a scrutarmi con attenzione: «Stai bene?»

Tornai ad osservare la pergamena di fronte a me e ad un tratto tutta la voglia che avevo di studiare era scomparsa.

«Sì, sto bene», mentii, pentendomene subito: «In realtà, stavo pensando che potremmo fare una passeggiata. Ti va?»

Osservai la sua espressione tesa addolcirsi leggermente, mentre scuoteva lievemente il capo: «Pensavo dovessi "assolutamente studiare" oggi».

Sollevai gli occhi al cielo e sulle mie labbra si aprì un sorriso imbarazzato: «Se non ti va possiamo rimanere qua, non c'è bisogno di...»

Blaise con un gesto fulmineo si alzò, rischiando di far cadere la sedia su cui si era da poco seduto: «Vogliamo andare?», mi chiese, mentre posava nuovamente il libro di Erbologia nella borsa e si sistemava il mantello sulle spalle.

Sorrisi divertita e raccolsi a mia volta i libri, seguendolo fuori dalla Biblioteca.

La mia felicità crebbe ulteriormente quando notai che i Mantrigli sulle spalle di Blaise erano in parte scomparsi.

«Allora, dove vorresti passeggiare?», mi chiese Blaise, appoggiando il braccio destro sulle mie spalle, trasmettendomi un senso di calore e protezione. In quel momento, circondata dal suo profumo, mi convinsi che andava tutto bene.

«Andiamo al lago?», chiesi, avvolgendo il braccio sinistro intorno alla sua vita.

Mi sentivo le guance bruciare, ma ignorai il mio imbarazzo e sollevai lo sguardo, incrociando i suoi occhi chiari.

«Sicura? Potrebbe piovere da un momento all'altro...» disse, baciandomi la fronte.

Tutta la dolcezza di quel gesto aumentò il rossore sulle mie guance: «Ti fai spaventare da quattro gocce di pioggia?»

Blaise rise, scuotendo la testa: «Certo che no».

Mi resi conto in quel momento che i Mantrigli erano del tutto scomparsi e non potei fare a meno di sorridere soddisfatta.

«Vado a posare i libri in camera, ci vediamo tra dieci minuti all'ingresso», gli proposi, allontanandomi malvolentieri dal calore del suo corpo, per dirigermi verso i dormitori di Corvonero, mentre lui continuava a scendere verso i sotterranei.

 

***

 

Una ventina di minuti dopo eravamo sulle sponde del lago Nero.

Tra le nuvole spuntavano flebili raggi di sole, che creavano effetti di luce sulla superficie del lago.

Un gruppo di ragazzine di Serpeverde aveva deciso di approfittare, come noi, del momentaneo bel tempo per chiacchierare ai piedi di una grande quercia, mentre un paio di Tassorosso facevano un picnic a pochi passi dalla riva.

Non riuscivo a ricordare quand'era stata l'ultima volta che mi ero trovata sulle sponde del lago Nero per passeggiare in compagnia. Solitamente mi recavo nei pressi della Foresta Proibita da sola, passavo del tempo con i Thestral, leggevo all'ombra di un albero o mi esercitavo con gli incantesimi di trasfigurazione. Ma non ricordavo l'ultima volta che avevo svolto una di queste attività in compagnia...

«Potevamo organizzare un picnic», mormorò Blaise, riscuotendomi dai miei pensieri.

«Sarà per la prossima volta», lo rassicurai, prendendolo per mano e guidandolo verso una radura a pochi passi dal lago.

Quel giorno non c'era traccia dei Thestral, così mi limitai a sedermi su una roccia in riva al lago e ad ammirare, stringendomi nel mantello, l'orizzonte, dove i raggi di sole continuavano a creare effetti di luce e una sottile nebbia circondava ogni cosa.

Blaise iniziò a passeggiare vicino alla riva, calciando ogni tanto le pietre vicino a sé.

Continuava ad apparirmi turbato, malgrado i Mantrigli se ne fossero definitivamente andati, e non potevo fare a meno di chiedermi cosa avesse potuto provocare il suo malumore.

«A cosa pensi?», gli chiesi, incapace di trattenere oltre la mia curiosità.

Blaise scosse leggermente le spalle, prima di inginocchiarsi e mostrarmi un sasso: «Ti va una sfida?»

Ero infastidita dal fatto che non mi avesse risposto, ma decisi di non mostrargli il mio turbamento e scesi dalla roccia per avvicinarmi e studiare il sasso che stringeva ancora tra le dita.

«Una sfida a cosa?»

Blaise si avvicinò all'acqua, mi fece l'occhiolino e poi lanciò la pietra con un movimento fluido; il sasso rimbalzò tre volte sulla superficie del lago, prima di affondare.

«Chi riesce a fare più rimbalzi, vince», mi disse, porgendomi un'altra pietra dall'aspetto simile a quella che aveva appena lanciato.

«Non conosco questo gioco», ammisi, stringendo il sasso nella mano destra: «Non so come fare».

«Ti insegno io», si propose, sorridendomi calorosamente.

Tentai più volte di copiare i suoi movimenti fluidi, sperando di far rimbalzare a mia volta i sassi che continuava a porgermi, ma era arrivato il momento di ammettere l'evidenza: non ne ero in grado.

«É inutile, non ci riesco», mi lamentai dopo l'ennesimo tentativo, incrociando le braccia al petto e abbassando il capo, delusa da me stessa.

«Devi solo capire il meccanismo», mi disse, posizionandosi alle mie spalle, così da guidarmi.

«Tieni il sasso tra le dita... Esatto, così».

Al momento del lancio le dita mi tremarono e quella reazione, solo in parte causata dal freddo, mi impedì di tirare il sasso come avrei dovuto, ma riuscì comunque a rimbalzare una volta prima di affondare definitivamente nel lago.

Blaise mi abbracciò da dietro, peggiorando il mio tremore: «Hai visto? Ce l'hai fatta».

Sorrisi: «Ho un ottimo maestro».

«Ti senti pronta per una vera sfida?», mi chiese, appoggiando il mento sulla mia spalla.

Il suo respiro contro la guancia mi provocò la pelle d'oca.

«No, ma possiamo provarci comunque», risposi, voltando il capo per guardarlo negli occhi.

Dopo qualche tiro, disastroso per me ed eccellente per Blaise, fummo costretti ad interrompere la sfida. Il cielo si era chiuso all'improvviso e la pioggia aveva iniziato a scrosciare su di noi.

Sentimmo poco distanti le ragazzine di Serpeverde iniziare a strillare e qualcuno imprecare.

Scoppiai a ridere e feci un giro su me stessa, godendomi la sensazione dell'acqua ghiacciata contro la pelle, mentre Zabini si copriva il capo con il mantello e mi osservava come se fossi impazzita: «Cosa stai facendo?»

Non mi presi il disturbo di rispondergli e mi limitai ad afferrargli una mano e a costringerlo a volteggiare con me.

«Non hai mai ballato sotto la pioggia?»

«Mai prima d'ora», ammise, osservandomi divertito, mentre continuava a farsi trascinare nella mia danza improvvisata.

«Possiamo tornare al castello o dobbiamo per forza prenderci la febbre?», mi chiese dopo pochi secondi, passandosi una mano tra i capelli fradici.

«Guastafeste!», esclamai, prima di gettargli le braccia al collo e baciarlo sulle labbra: «Chi arriva per ultimo al castello è un troll», gli sussurrai all'orecchio, prima di iniziare a correre.

Sentii la sua esclamazione stupita alle mie spalle, ma non mi voltai, decisa a raggiungere il castello per prima. Rischiai di scivolare in un paio di pozze, ma riuscii a recuperare all'ultimo l'equilibrio, evitando così di sporcare ulteriormente i miei vestiti e il mantello.
Una volta arrivata al portone non potei trattenermi dal ridere divertita: «Ho vinto!», esclamai: voltandomi verso il sentiero che avevo appena percorso: «Mi dispiace, Blaise, ma...»
Le parole mi morirono in gola, quando mi resi conto che il mio ragazzo non si vedeva da nessuna parte.
Cercai di capire se si trovava ancora nei pressi della boscaglia, ma la pioggia mi impediva di avere una visuale completa sul sentiero e il parco.

«Blaise?», lo chiamai, con la voce che mi tremava.

Avevo sentito le sue lamentele fino a pochi secondi prima, mentre percorrevamo il sentiero, io qualche metro davanti a lui. Si lamentava della pioggia e del terreno scivoloso. 

All'improvviso l'idea che potesse essere caduto non mi sembrava tanto assurda. Scesi la scalinata, decisa a ripercorrere il sentiero che portava al lago, quando scorsi la sagoma di Blaise.
Era appoggiato al tronco di un albero e stava riprendendo fiato dopo la corsa.

«Merlino, Luna!», esclamò con affanno, avvicinandosi a me: «Non sapevo fossi così veloce».

La preoccupazione venne sostituita da un'ondata di sollievo e il sorriso tornò sulle mie labbra: «Sono tante le cose che non sai di me».

Blaise mi prese per mano e percorremmo i pochi metri che ci separavano dal portone d'ingresso in silenzio.

«Ti va di...», iniziò, per poi abbassare lo sguardo con aria incerta e scuotere la testa: «... tornare a studiare? Il compito di Erbologia non si scrive da solo e non posso permettermi di rimanere indietro».

Continuai a osservare la sua espressione per qualche secondo, certa che non era quello ciò che voleva chiedermi.

«Blaise, cosa hai paura di chiedermi?»

Il moro osservò a lungo un arazzo all'ingresso, prima di tornare a guardarmi dritto negli occhi: «Non capisco di cosa tu stia parlando».

Il finto sorriso che stava sfoggiando mi innervosì al punto che mi era insopportabile continuare a guardarlo.

«Non ho intenzione di farmi prendere in giro da te. È ovvio che qualcosa ti turba e il fatto che tu non voglia condividere con me i tuoi pensieri, mi fa sentire tagliata fuori».
Osservai la sua espressione adombrarsi leggermente: «Ti sbagli, non sono turbato».
«Quando avrai voglia di essere sincero, mandami un gufo», risposi bruscamente, iniziando a percorrere la scalinata che portava alla sala comune di Corvonero, intenzionata a mettere più spazio possibile tra di noi.

«Luna!», mi sentii chiamare, ma non mi voltai.

Ero troppo ferita in quel momento per sopportare altre bugie.

Mi era stato chiaro fin da quando aveva messo piede in biblioteca che c'era qualcosa di cui voleva parlarmi, qualcosa che lo turbava. Gli avevo proposto la passeggiata al lago Nero proprio per cercare di farlo sentire a proprio agio, così da spingerlo a confessarmi i suoi problemi.
Avevo provato ad essere comprensiva e non l'avevo assillato di domande, preferendo lasciargli lo spazio che necessitava. La mia premura non era servita a nulla. Il mio ragazzo aveva preferito non fidarsi di me.

Mi sentii afferrare un braccio e per lo spavento colpii il mio assalitore in viso.

«Ahi! Luna, sei impazzita?», mi chiese Blaise, coprendosi la parte offesa.

«Mi hai spaventato», confessai, stringendo le braccia al petto, per cercare di resistere all'impulso di accarezzare a mia volta la sua guancia arrossata.

«Non volevo spaventarti», disse, gli occhi chiari fissi nei miei: «E... mi dispiace, non era mia intenzione farti sentire esclusa».

«Accetto le tue scuse. Ora puoi dirmi cosa c'è che non va?»

«Non c'è nulla che non va».

Un'altra bugia.
Chiusi gli occhi e presi un profondo respiro: «Smettila di mentirmi».

Ci fu un breve silenzio.

«Va bene. Vuoi sapere cosa non va? Perfetto. Allora te lo dirò».

Aprii gli occhi e osservai la sua espressione, un misto di esasperazione e rassegnazione.

«Voglio fare sesso con te».

Rimasi a fissarlo senza parole, incerta su come reagire a ciò che mi aveva appena detto.

Fu Blaise a interrompere il silenzio, avvicinandosi ulteriormente a me: «Ma non voglio costringerti o farti sentire obbligata a fare qualcosa che non ti senti pronta a fare... quindi mantengo le distanze».

La sua mano destra mi accarezzò brevemente la guancia, poi il suo pollice iniziò a sfiorarmi il labbro inferiore, facendomi avvampare.

«Questa conversazione non cambierà niente», sussurrò, appoggiando la fronte contro la mia: «Continueremo a fare le stesse cose che abbiamo fatto fino ad ora; continueremo a passare il tempo insieme e a conoscerci meglio. Io continuerò ad aspettare che tu ti senta pronta e tu continuerai a farmi impazzire».

Mi baciò dolcemente, vezzeggiando il mio viso con carezze leggere e io mi sentii una stupida per non aver capito da sola quale fosse il problema.

«Ora, ti va di andare a studiare insieme?», mi chiese, allontanando le labbra dalle mie.

«Va bene», dissi, sorridendogli timidamente.

Non sapevo cosa dirgli. 
Molti pensieri affollavano la mia mente, ma ciò che prevaleva era una sensazione di benessere e dolcezza che mi spinse a baciarlo brevemente, quasi a volerlo ringraziare per essere stato sincero.

«Vai a farti una doccia, sei fradicio», dissi, sospingendolo verso le scale: «Ci vediamo in biblioteca».

La sua espressione divertita sciolse definitivamente la tensione tra di noi.

Lo osservai mentre si allontanava e mi resi conto che non l'avevo mai amato tanto.

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Capitolo 8
*** A day like many in Hogwarts ***


8. A day like many in Hogwarts


·≈· HERMIONE'S POV ·≈·


 

Il profumo dello sformato di patate e zucca mi mise istantaneamente di buon umore.
La mattinata era stata a dir poco monotona, tra una sessione di studio e l'altra avevo avuto giusto il tempo di andare in bagno prima che arrivasse l'ora di pranzo.
Sorrisi a Neville che, seduto di fronte a me stava giocando con la sua Ricordella; il vapore all'interno della sfera era rosso acceso, segno che doveva aver dimenticato qualcosa, ma il proprietario sembrava troppo perso nei suoi pensieri per rendersene conto.

«Tutto bene, Neville?», gli chiesi, servendomi una generosa porzione di sformato.

Il ragazzo si riscosse dai suoi pensieri e sfoggiò un sorriso imbarazzato: «Sì, sto bene... tu?»

«Non mi lamento», dissi, continuando a studiare l'espressione del mio compagno di casa: «Hai bisogno di aiuto?»

Neville sfoggiò uno sguardo a dir poco confuso: «Aiuto per cosa?»

Indicai la Ricordella che continuava a rigirarsi tra le mani, invece di mangiare: «Per ricordare cos'hai dimenticato».

Neville scoppiò a ridere, posando la sfera sul tavolo: «Grazie, Hermione, ma non serve, sono un caso perso».

In quel momento Seamus prese il posto a sedere accanto a noi, appoggiando sul tavolo il volume di Trasfigurazione.

«La professoressa Bing è pazza», disse, servendosi un generoso boccale di succo di zucca.

«Cos'è successo?», chiedemmo io e Neville all'unisono.

«Ero in aula studio, quella vicino alla biblioteca con Ginny, la Lovegood e Zabini, quando è arrivata la professoressa Bing che ha ordinato a tutti di uscire senza dare nessun tipo di spiegazione», raccontò Seamus, sfogliando il volume di Trasfigurazione: «Sono rimasto ad origliare quando ci ha chiusi fuori dall'aula, ma non sono riuscito a sentire nulla», continuò, usando un tono di voce abbastanza alto da essere sentito anche dal tavolo di Corvonero e Tassorosso: «Per me, la Bing nasconde qualcosa».

Il mio primo pensiero andò a Pansy Parkinson e alla pozione anti-lupo che la professoressa di Pozioni avrebbe dovuto preparare entro pochi giorni. Possibile che la strana richiesta della Bing fosse collegata proprio alla preparazione della pozione?

«A me non ha fatto una cattiva impressione questa prima settimana, mi sembra una professoressa valida», disse Neville, tornando a giocare con la Ricordella.

«Non mi sorprenderebbe se fosse anche lei un licantropo o una Mangiamorte», ribatté Seamus.
Dai tavoli vicini si alzò un mormorio concitato.

«Non ti sembra di esagerare?», gli chiesi, sorpresa dalle sue parole tanto dure.

«Non sarebbe la prima volta, Hermione», mi fece notare con espressione tesa.

Ero certa che le sue congetture fossero dettate dalla paura. 
Tutti nel castello e nel Mondo Magico erano in stato di allarme; ogni minima stranezza veniva catalogata come possibile minaccia, a causa di Lestrange e Mulciber ancora a piede libero.

«È vero, non sarebbe la prima volta», s'intromise McLaggen, sfoggiando una smorfia schifata.

«È inutile alimentare false accuse», dissi, decisa a farli ragionare: «Non abbiamo nessuna prova che la professoressa Bing sia una Mangiamorte o un licantropo».

Seamus non rispose, si limitò a chiudere il volume di Trasfigurazione con un colpo secco e alzarsi: «Aspettiamo allora con le mani in mano, che trovi il modo per ucciderci tutti».

Alzai gli occhi al cielo e decisi di tornare al mio pranzo, ignorando Seamus e McLaggen che continuavano a confabulare tra di loro mentre uscivano dalla Sala Grande.

«È la paura a parlare», disse Neville: «Sono tempi difficili e la gente reagisce in modi estremi».

Annuii, muovendo distrattamente il cibo nel piatto, la fame sembrava essere scomparsa: «Lo so, Neville. A volte vorrei ci fosse un modo per entrare nella testa delle persone, mi risparmierei un sacco di problemi».

«Esiste un modo», disse Neville con un sorriso divertito: «Basta usare la Maledizione Imperio».

«Non mi tentare», scherzai, ridendo.

Il resto del pranzo lo trascorsi chiacchierando con Neville e Ginny, la quale mi confermò che effettivamente il comportamento della professoressa Bing poco prima era apparso anche a lei strano.

Avevo in programma un tranquillo pomeriggio studio in compagnia del mio ragazzo, ma avrei potuto modificare i piani, così da potermi accertare di persona che la professoressa Bing non fosse un pericolo.

Spostai lo sguardo verso il tavolo di Serpeverde, dove individuai senza problemi la chioma bionda del mio ragazzo seduto accanto a Zabini, che gli stava parlando con aria concitata. 

Che il moro gli stesse raccontando dello strano comportamento della professoressa Bing?

Quando gli occhi chiari di Draco si posarono su di me, provai l'inconfondibile batticuore e un nodo allo stomaco. 

Mi ricomposi in fretta e gli feci un breve cenno del capo per indicargli che l'avrei aspettavo fuori dalla Sala Grande.

Draco annuì e iniziò a raccogliere le sue cose per raggiungermi. 

L'ultima cosa che notai prima di uscire fu l'occhiata offesa che Zabini lanciò a Malfoy, quando quest'ultimo se ne andò senza permettere all'amico di terminare ciò che gli stava dicendo. 

«Qualcosa non va?», mi chiese subito Draco, sistemandosi la borsa sulla spalla. I suoi occhi chiari mi studiarono attentamente, in attesa della mia risposta. 

«Forse, non ne sono sicura», dissi, dirigendomi verso le scale: «Zabini ti ha parlato del comportamento strano della professoressa Bing?»

«Zabini parla un sacco, non sempre lo ascolto», scrollò le spalle Draco.

Mi fermai per le scale e mi voltai per guardarlo bene in faccia: «Anche io parlo tanto», gli feci notare, assottigliando lo sguardo.
L'idea che potesse non ascoltarmi quando gli parlavo era un oltraggio che non ero disposta a sopportare.

«Lo so, Hermione, ma tu dici cose interessanti. Non ripeti, ogni volta che ci vediamo, la stessa identica cosa», mi rassicurò, baciandomi la fronte.

«Sarà meglio per te».

In quel momento le scale si mossero.
 

·≈· DRACO'S POV ·≈·
 

Rischiai di perdere l'equilibrio, ma lo recuperai facilmente aggrappandomi alla balaustra.

Alzando lo sguardo notai che le scale avevano deciso di portarci nell'ala opposta del castello, rispetto alla Biblioteca.

«Fantastico», borbottai sarcasticamente a mezza voce: «Avevo proprio voglia di una passeggiata».

«La smetti di lamentarti? Non è la fine del mondo», mi rimbeccò Hermione, afferrandomi per la manica del maglione per trascinarmi su per le scale: «Abbiamo altri problemi».

La curiosità mi stava uccidendo. Possibile che dovesse sempre fare la misteriosa? Non poteva dirmi cosa la turbava e basta?

«Ossia?», le chiesi alla fine, incapace di sopportare oltre il silenzio.

«Seamus e Ginny mi hanno detto di aver visto la professoressa Bing comportarsi in modo strano oggi», disse, fermandosi lungo il corridoio per sussurrarmi quelle parole a mezza voce: «Magari è un falso allarme, ma preferirei controllare di persona».

«Cosa hai intenzione di fare?», le chiesi. Già sapevo che qualsiasi cosa avesse detto non mi sarebbe piaciuta.

«Voglio introdurmi nel suo ufficio».

Sospirai e scossi sconsolatamente la testa. Hermione doveva avermi confuso con Pel di Carota e San Potty.

«Pensavo che potessi indagare le questioni sospette solo con i tuoi amichetti del cuore».

«Io e te siamo una squadra migliore».

«Non pensavo avrei mai visto questo giorno: Hermione Granger preferisce la compagnia di un Serpeverde a quella di Weasel e Sfregiato»

«Furetto, non essere ridicolo, non ho detto di preferire la tua compagnia».

Quelle parole mi ferirono giusto qualche secondo, poi capii dal suo sorrisetto che stava scherzando.

«Sono sempre più convinto che la vera serpe tra noi due sei tu».

Hermione non rispose, si limitò a sollevare gli occhi al cielo, mentre continuava a trascinarmi verso la biblioteca.

«Pensavo volessi introdurti nel suo ufficio».

«Esatto», mi confermò, prendendo una rampa che ci avrebbe portati a pochi metri dalla biblioteca.

«Allora perché siamo in biblioteca?»

«Voglio prima controllare una cosa», mi disse, appostandosi fuori dall'aula studio a pochi passi dall'ingresso della biblioteca.

Hermione appoggiò l'orecchio al legno della porta chiusa, poi abbassò la maniglia.

L'aula era completamente vuota.
Hermione sembrò contrariata a quella vista.

«Puoi dirmi cosa stiamo cercando?», chiesi esasperato, appoggiandomi a uno dei tanti banchi vuoti.

«Ti faccio il riassunto: la professoressa Bing poco prima di pranzo è entrata in questa aula, ordinando ai pochi studenti qua dentro di andarsene. Seamus ha anche provato ad origliare, ma non ha sentito alcun rumore provenire dall'interno», mi spiegò, ispezionando ogni banco fino al fondo della stanza: «Mi ero aspettata di trovare la porta chiusa per tenere segreto qualcosa. Non capisco».

Osservai con occhio critico l'aula è capii la frustrazione presente sul volto di Hermione; l'aula era come al solito, non un banco fuori posto, nessuna traccia di incantesimi sui muri.

«Non capisco», ripetè Hermione dal fondo della classe: «Perché entrare qua dentro, far uscire gli studenti e non fare niente? Poteva andare nel suo ufficio o cercare un posto vuoto. Perché quest'aula?»

Erano le stesse domande che frullavano nella mia testa.
C'era qualcosa di sospetto nel comportamento della professoressa Bing, non potevo negarlo.

Mi persi a osservare la trama monotona del pavimento alla ricerca di ispirazione per risolvere quel mistero, quando l'occhio mi cadde su quella che sembrava della melma.

Mi alzai, accovacciandomi vicino a quella goccia di fanghiglia: «Forse ho trovato qualcosa».

Hermione mi raggiunse per studiare a sua volta il liquido grumoso e dal colore verde-marrone.

«Sono giorni che piove, potrebbe essere semplice fango», mi fece notare.

«Se fosse fango dovrebbe essercene di più».

Hermione raccolse coll'indice destro quella goccia di fango prima che potessi fermarla, e se la portò al naso: «Questo odore mi è vagamente familiare».

«Non è detto che sia stata la professoressa Bing a lasciare questa goccia di... melma dietro di sé», dissi, continuando a ispezionare il pavimento, alla ricerca di altri indizi.

«Merlino e Morgana!», esclamò Hermione, afferrandomi la spalla.

La guardai preoccupato e vidi i suoi occhi spalancati da quella che mi sembrava paura.

«Questa è Pozione Polisucco, Draco», disse, osservando il dito sporco della fanghiglia con orrore: «Come ho fatto a non arrivarci prima?»

Annusai a mia volta la melma e dovetti concordare con lei: quello era il tipico odore della Pozione Polisucco.

«Questo spiegherebbe la fretta che aveva di rimanere da sola in quest'aula: gli effetti della pozione stavano svanendo e lei aveva bisogno di berne ancora senza destare sospetti», ragionai ad alta voce.

«Pensi anche tu quello che penso io?», chiese con la voce che le tremava leggermente.

«Se stai pensando che in questa situazione ci deve essere lo zampino di zia Bella allora sì, sto pensando la stessa cosa», dissi, alzandomi: «Dobbiamo andare dalla McGranitt».

Hermione annuì decisa e mi seguì fuori dall'aula, l'indice destro ancora sporco di Pozione Polisucco, proteso per non perdere quella prova fondamentale.

Appena girato l'angolo per raggiungere l'ingresso di quello che un tempo era lo studio di Albus Silente, ci fermammo, nascondendoci dietro ad un'armatura.

La professoressa Bing era di fronte ai due Gargoyle, intenta a cercare un modo per accedere alle scale.

«Maledetto ammasso di pietra», esclamò la donna, nell'inconfondibile voce di Bellatrix Lestrange.

Osservai lo sguardo serio e indurito dalla paura di Hermione e mi chiesi quale sarebbe stata la mossa più giusta in quel momento cruciale.

«Vai da Potter, digli tutto, io rimango qua a tenerla d'occhio», le sussurrai all'orecchio, sospingendola delicatamente verso il corridoio da cui eravamo arrivati pochi secondi prima.

«No, non ti lascio da solo», ribatté lei in un sussurro.

«Non è il momento di litigare, vai a parlare con Potter, io mi accerterò che non riesca ad entrare nello studio».

Hermione mi guardò con gli occhi colmi di paura e sapevo che non era timore per se stessa, ma per me e la mia incolumità.

«Fai attenzione», mi ordinò, dandomi un bacio.

Mi inebriai del suo odore e sapore, tanto da volerne ancora ma, invece di stringerla come avrei voluto, la lasciai andare.

Quando Hermione scomparve dalla mia vista, tornai a concentrarmi su mia zia. Era ancora di fronte ai due Gargoyle, le mani sui fianchi, a lanciare improperi contro il muro di pietra, apparentemente non si era ancora resa conto della mia presenza.

Sperai che Hermione si sbrigasse ad avvertire l'intera scuola del pericolo, certo che presto zia Bella si sarebbe stancata di parlare da sola e si sarebbe decisa ad agire.

Ero talmente concentrato a spiare ogni mossa di Bellatrix Lestrange che, quando mi resi conto di Mrs Purr, era ormai troppo tardi.

La gatta del custode, a pochi passi dall'armatura dietro alla quale ero nascosto, iniziò a miagolare per attirare l'attenzione della Professoressa Bing. Attenzione che riuscì ad ottenere in poco tempo.

Presi un profondo respiro e pensai a quale sarebbe stata la mossa più saggia. Fuggire? Non avevo abbastanza tempo. Nascondermi? Non era possibile, la stanza più vicina era comunque troppo lontana. Attaccare?

Mi armai di bacchetta e strinsi i denti, sperando che l'attacco, in quel caso, potesse essere la miglior difesa.

Uscito dal mio nascondiglio lanciai un Incarceramus, ma zia Bella fu più veloce e riuscì abilmente a parare l'incantesimo.

L'ultima cosa che vidi fu un lampo di luce, poi arrivò il dolore.


 

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Capitolo 9
*** Theo is dead ***


9. Theo is dead


·≈· PANSY'S POV ·≈·

 


Vorrei parlarti di quello che è successo ieri.
Possiamo vederci dopo pranzo nel cortile della Torre dell'Orologio? 
N. P.

Era da poco passato mezzogiorno e ancora non ero riuscita a staccare gli occhi da quel biglietto e dalla calligrafia sgraziata di Neville Paciock.
Sdraiata a letto, ancora in pigiama, rileggevo quelle poche parole a mezza voce, rovinando con le dita, che mi tremavano dal nervosismo, la pergamena su cui erano scritte.
Neville Paciock voleva incontrarmi per parlare è solo il pensiero di ciò che avrebbe potuto dirmi mi provocava un doloroso fastidio alla testa.
Senza volerlo, ero finita nella lista delle persone da salvare di un altro Grifondoro e la cosa non mi entusiasmava particolarmente.
Se fosse successa una cosa simile l'anno passato, certamente avrei pensato che Neville Paciock si era fumato un po' troppa polvere di fata e avrei buttato il biglietto senza pensarci due volte.
L'anno passato però ero ancora la Pansy Parkinson che arricciava il naso dal disgusto per ogni minima cosa, quella che si limava attentamente le unghie ogni sera prima di andare a dormire, quella che godeva della protezione della propria famiglia e di quella dei Malfoy, quella che viveva nella spensieratezza di un'innocenza che non esisteva più nel mondo magico.
Quella Pansy Parkinson era morta insieme a Theo.
Ora continuavo ad arricciare il naso dal fastidio, ma solo quando le cicatrici sulla mia pelle pizzicavano.
Le sere non avevo tempo di limarmi le unghie, troppo impegnata a piangere fino ad addormentarmi.
La mia famiglia mi aveva voltato le spalle da tempo, così come quella dei Malfoy, ma in compenso potevo vantarmi di avere Hermione Granger come "amichetta del cuore" e Neville Paciock come salvatore.
Distratta dai miei pensieri non mi ero resa conto che era ormai imminente l'incontro con Paciock e io, ancora, non gli avevo dato una risposta.
Non riuscivo a prendere una decisione.
Sapevo che uscire dalla camera e dalla protezione delle spesse pareti dei sotterranei non era saggio; che mi sarei ritrovata a premere le mani sulle mie orecchie per zittire tutti i rumori e le voci. Così come sapevo che alcuni odori mi avrebbero dato la nausea.
Allo stesso modo in cui al solo pensiero di rivedere Paciock, dopo quello che era successo il giorno prima, mi tremavano le dita dal nervosismo. 
Sapevo che ci sarebbero state tante domande da parte sua e poche risposte da parte mia, tanta compassione nei suoi occhi e rabbia nei miei.
Io non volevo parlare di quello che era successo il giorno prima, quindi che senso aveva andare all'incontro? Sarebbe solo stato uno spreco di tempo da parte mia e sua. Non ne valeva la pena...

Malgrado tutto, malgrado la mia paura, mi sentivo in debito con lui e quindi propensa a raggiungerlo nel cortile dalla Torre dell'Orologio. 
Neville Paciock mi aveva salvato la vita due volte, il minimo che potevo fare era parlare con lui.

Sussultai quando la porta della camera si aprì di colpo e una imbronciata Daphne fece il suo ingresso. Aveva addosso l'odore di cenere e torta al cioccolato.

«Pansy», disse semplicemente, muovendo appena il capo, poi si gettò sgraziatamente a letto.

Non capivo il suo comportamento, fino alla sera prima era saltellante e felice all'idea di uscire con Calì Patil, che le era preso? Avrei voluto chiederglielo, ma preferii nascondere il biglietto di Paciock sotto il mio cuscino, per evitare che lo vedesse, e rimanere in silenzio.

«Pansy, so che non siamo propriamente amiche e che tu stai passando un brutto periodo e che è molto egoistico da parte mia voler condividere con te i miei problemi, ma sei l'unica persona con cui vorrei parlare in questo momento», disse, continuando a rimanere scompostamente sdraiata a pancia in su, le mani giunte sulla pancia.

«Non c'è bisogno che tu mi risponda, puoi anche non ascoltarmi...», sospirò, voltando leggermente il capo, così da guardarmi negli occhi.

Theo era innamorato di lei, affascinato da quelle labbra piene e dagli occhi da cerbiatta, invaghito dei suoi modi delicati e del suono dolce della sua voce.

Ma Theo era morto e non avrebbe più posato gli occhi su di lei. Theo era morto e non avrebbe più potuto confessarle i suoi sentimenti.

«Ho rovinato tutto», disse Daphne, imbronciando le labbra: «Ho voluto essere impaziente e giocarmi il tutto per tutto, sono stata una stupida!»

Daphne si coprì il volto ed emise un lamento soffocato: «Provo una malsana attrazione per Padma da non so nemmeno io quanto tempo e oggi, quando me la sono trovata davanti, le ho detto tutto; le ho praticamente consegnato il mio cuore... e lei? Lei se n'è andata come se niente fosse!»

Quelli di Daphne mi sembravano i capricci di una bambina viziata, ma non commentai, non ero nella posizione per farlo dato che anche io, più volte, mi ero comportata allo stesso modo.

«Come ha osato trattarmi con tanta freddezza?», aggiunse, sollevandosi a sedere con uno scatto: il dolore sembrava essere stato sostituito da una cocente rabbia. 

«Mi ha detto che sono un'ottima attrice! E che dovrei smettere di prenderla in giro! Al solo pensiero, io...»

Daphne tornò sdraiata con un tonfo sordo, le molle del letto sotto di lei cigolarono rumorosamente: «Cosa posso fare? Come faccio a farle capire che non la sto prendendo in giro?»

Non ero certa che si aspettasse una risposta, così rimasi in silenzio per qualche secondo, in attesa che continuasse. Quando non lo fece, sospirai e mi sollevai a sedere: «Stai chiedendo consiglio alla persona sbagliata», le dissi, dirigendomi verso il bagno, decisa a lavarmi la faccia prima di raggiungere Paciock.

Daphne mi seguì, rimanendo appoggiata allo stipite della porta, mentre io mi lavavo frettolosamente.

«Perché dici così?», mi chiese, osservandomi attraverso il riflesso dello specchio.

«Tutte le persone per cui ho provato qualcosa mi hanno lasciata in un modo o nell'altro».

«Siamo in due, allora», disse Daphne, appoggiandomi una mano sulla spalla.

Mi abbracciò senza che potessi fare niente per impedirlo e venni avvolta dall'odore di bucato, cenere, torta al cioccolato e una lieve nota di agrumi.

Quando sciolse l'abbraccio sorrideva: «Vado a pranzo, ti tengo un posto?»

Scossi la testa, un flebile sorriso sulle mie labbra: «No, grazie».

Annuì e si sistemò il maglioncino sui fianchi, poi uscì dalla stanza come se niente fosse successo.

Tolsi il pigiama e indossai dei semplici pantaloni neri, un maglione verde muschio e completai il tutto con stivali e mantello.

Ero riuscita a parlare con Daphne e a stabilire con lei una specie di tregua; potevo fare lo stesso con Neville Paciock, potevo farcela.

Sistemai distrattamente i miei capelli, poi uscii dalla camera.

La prima cosa che mi colpì fu l'odore di torta al cioccolato che aleggiava nella sala comune. Capii subito che qualcuno doveva averne portata una fetta dalle cucine e quel qualcuno doveva essere Daphne Greengrass.

Mi stavo lentamente abituando ai miei sensi oltremodo sviluppati, ma le risate e le urla continuavano a provocarmi un acuto dolore ai timpani. Così come alcuni profumi mi facevano girare la testa o avere la nausea.

Il tragitto verso il cortile della Torre dell'Orologio fu tranquillo: la maggior parte degli studenti si trovava ancora in Sala Grande per pranzo e fui abbastanza fortunata da non incontrare nessuno per i corridoi.

Ad ogni passo che facevo mi si formava un nodo di ansia nello stomaco.

Ero ancora in tempo per tornare indietro, sarebbe stato facile e...

Strinsi le mani a pugno e scrollai le spalle: non avevo paura di Paciock, non avevo paura delle sue domande e non avevo paura di me stessa.

Potevo affrontare una conversazione con Paciock.

Il cortile della Torre dell'Orologio era deserto come i corridoi che avevo appena percorso.

La pioggia battente aveva creato numerose pozzanghere tra le siepi che popolavano il cortile.

Rimasi incantata, appoggiata ad una colonna del loggiato, ad osservare le nuvole grigie che si rincorrevano nel cielo e il verde brillante delle foglie tramutarsi in giallo e oro.

«Ti piace l'autunno?»

La voce di Paciock mi avrebbe spaventato se, grazie al mio nuovo e sviluppato udito, non l'avessi sentito arrivare con largo anticipo.

Feci per rispondere, ancora incantata dalla cadenza della pioggia, ma mi riscossi in fretta e mi scostai bruscamente dalla colonna del loggiato per voltarmi verso Paciock: «È di questo che volevi parlare?»

Il Grifondoro parve ferito dalle mie parole per una frazione di secondo, poi mi sorrise.

Non avevo mai realizzato che il ragazzo paffuto sempre alla ricerca della sua stupida rana fosse cresciuto. Da quando Paciock aveva un accenno di barba?

«No, in realtà no», disse, grattandosi la nuca in imbarazzo: «È di altro che vorrei parlarti».

Le sue guance si colorarono di un tenue rossore, così come le sue orecchie. Pensai che dovesse essere una caratteristica dei Grifondoro, avevo visto più volte Weasley reagire allo stesso modo a causa dell'imbarazzo.

All'improvviso mi chiesi perché mai avessi avuto paura di parlare con Neville Paciock.

«Ossia?», lo invitai, notando come il ragazzo sembrava aver perso l'uso della parola.

«Ti sembrerò banale», mormorò, il viso era sempre più rosso: «Ma ti ho chiesto di venire qua, perché vorrei sapere come stai».

Sospirai affranta. 

Era proprio come immaginavo e temevo; un altro Grifondoro deciso a salvarmi da me stessa. Una tragedia, in poche parole.

Il problema era che non sapevo come liberarmi da una piaga simile, ecco perché avevo anche Hermione Granger alle calcagna.

«E...», Paciock deglutì nervosamente: «Sono qua anche per dirti che, se hai bisogno di un amico o hai bisogno di aiuto, puoi contare su di me».

Osservai con lo sguardo allucinato l'espressione del Grifondoro a pochi passi da me. Quando mi resi conto che era sincero, scoppiai a ridere.

«Un amico?», faticavo a parlare, ancora a corto di fiato per lo scoppio d'ilarità che le sue parole avevano causato: «Non ho bisogno di un amico».

Ignorai l'espressione nuovamente ferita di Paciock e il modo in cui il suo labbro inferiore sporgeva più del solito.

«Non ho bisogno di un amico», ripetei, smettendo completamente di ridere: «Quello di cui ho bisogno è che la mia vita torni ad essere quella di un tempo».

Mi pentii immediatamente delle mie parole. Non avrei dovuto mostrarmi debole, i Grifondoro ne erano attratti come le api col miele o i vampiri col sangue.

«Posso aiutarti», disse, facendo un passo verso di me.

Sollevai un sopracciglio, annoiata dalla conversazione: «Sì? Come?», chiesi con sarcasmo.

Paciock mi sorrise nuovamente: «Insultami».

«Cosa hai detto?», chiesi, certa di aver capito male.

«Ho detto: insultami».

Lo guardai allibita per qualche secondo, incapace di emettere suono. Paciock doveva aver perso il senno.

«Dimmi che sono grasso, che non sono in grado di tenere la bacchetta dal verso giusto e che i miei denti sono storti come la Stramberga Strillante», disse Paciock, un sorriso triste ad adornargli le labbra: «Magari se mi insultassi come hai sempre fatto, la tua vita tornerebbe ad essere come quella di un tempo».

La Pansy Parkinson di un anno fa avrebbe riso di fronte a quelle parole e poi se ne sarebbe andata senza voltarsi. La Pansy Parkinson di un anno fa avrebbe raccontato l'accaduto a Malfoy con orgoglio e un pizzico di cattiveria e poi se ne sarebbe dimenticata.

Ma non ero più quella ragazza. 
Per quanto mi sforzassi, non potevo tornare a quando tutto era facile come respirare.

Calde lacrime iniziarono a bagnarmi le guance senza che potessi controllarle e un doloroso groppo in gola mi fece desiderare di essere sola, in camera mia, avvolta dalle calde coperte del mio letto, l'unico luogo in cui mi sentivo abbastanza al sicuro per piangere.

No, non l'unico.

Mi ricordai con ulteriore dolore e disgusto che quella era la seconda volta in due giorni che Neville Paciock mi vedeva piangere.

L'umiliazione bruciava più di qualsiasi altra cosa.

«Vattene», dissi, semplicemente, dandogli le spalle per tornare a guardare la desolazione del cortile allagato.

Non lo sentii muovere inizialmente, poi fece quello che avrei dovuto immaginare avrebbe fatto: si avvicinò per appoggiare una mano sulla mia spalla.

Percepivo chiaramente il calore del suo corpo vicino al mio e il profumo di patate al forno, bucato e gelsomino.

«Scusami, non volevo farti piangere», disse con un soffio di voce: «Credevo di ottenere la reazione opposta... non avrei dovuto dire quelle cose».

Non risposi, limitandomi a chiudere gli occhi, nel disperato tentativo di trattenere le lacrime.

«Parkinson?»

Avrei voluto scrollarmi di dosso la sua mano e andarmene, ma le gambe sembravano pesarmi come macigni e la sua vicinanza, per quanto assurdo potesse apparire, mi dava conforto.

«Puoi perdonarmi?»

Un singhiozzo sfuggì al mio controllo e un'ondata di rabbia mi diede la forza di voltarmi e guardarlo nuovamente negli occhi.

Quegli stessi occhi che avevano tormentato i miei sogni, notte dopo notte.

«Perdonarti? E per cosa? Per avermi ricordato quanto sia stata una persona orribile e crudele!?», esclamai, asciugando con gesti bruschi le lacrime che mi bagnavano ancora le guance: «Lo so che non ero perfetta, ma almeno la mia vita era facile, almeno potevo guardarmi allo specchio senza provare disgusto o...», chiusi la bocca di scatto. 

Avevo di nuovo detto troppo.

«Non ho bisogno del tuo aiuto e non ho bisogno della tua amicizia».

Riuscii a malapena a fare due passi, poi le parole di Paciock mi gelarono sul posto: «Pensi che Theodore Nott vorrebbe questo? Vorrebbe che ti togliessi la vita o che ti facessi morire di fame?».

Tornai a voltarmi verso Paciock con lo sguardo allucinato. 

«Tu non sai di cosa stai parlando», dissi, stringendo con forza le mani a pugno, ferendomi i palmi con le unghie.

«So che gli volevi bene, so che la sua morte ti ha fatto soffrire».

«Tu non sai niente!», urlai, cancellando in pochi secondi la distanza tra di noi. 

Lo afferrai per il bavero del mantello e lo strattonai, godendo per brevi secondi della sua espressione allibita e spaventata: «Voi Grifondoro dovete smetterla di credervi Merlino sceso in terra: non sapete niente, eppure vi ostinate a pensare di essere onniscienti. Theo non avrebbe voluto molte cose, per esempio non avrebbe voluto morire, eppure è successo. Di quello che penserebbe o vorrebbe Theo non m'importa niente. Theo è morto».

Lasciai andare il suo mantello e Paciock rischiò di cadere, ma recuperò l'equilibrio all'ultimo momento, rimanendo in piedi.

«Tu non puoi sapere quello che provo, non puoi sapere quello che ho provato, non puoi sapere quanto fa male ogni giorno svegliarmi e...», chiusi con forza gli occhi per trattenere ancora una volta le lacrime: «Svegliarmi e rendermi conto che non è possibile tornare indietro, che questa è la mia vita ora e che devo accettarla».

«Parkinson, io non intendevo... io non volevo...»

«Oh, lo so che voi Grifondoro siete animati da buone intenzioni e che non è vostra intenzione fare del male, ma gradirei che imparaste anche ad accettare il fatto che...»

Un rumore concitato di passi in lontananza mi zittì.

Guidata da non so bene quale timore, afferrai Paciock per la manica del mantello e lo trascinai dietro all'arco, oltre il quale c'erano le scale che portavano all'Orologio.

Una volta nascosti, gli intimai il silenzio.

Quella camminata nervosa, i piedi che venivano leggermente strascicati contro il pavimento in pietra, mi ricordava una persona che speravo non avrei mai più incontrato.

Dopo pochi secondi passò lungo il porticato che si affacciava sul cortile della Torre dell'Orologio, quella che all'apparenza sembrava la professoressa Bing.

Alle sue spalle levitava, grazie ad un incantesimo, il corpo privo di sensi di Draco Malfoy.

Paciock cercò di liberarsi dalla mia stretta per intervenire in qualche modo, ma io, pietrificata dalla paura, glielo impedii, continuando ad osservare quella che ero certa fosse Bellatrix Lestrange scomparire lungo il sentiero del parco di Hogwarts, diretta verso il Platano Picchiatore.

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Capitolo 10
*** Fear ***


10. Fear



·≈· HERMIONE'S POV ·≈·


 

Quella che era stata pioggerella fino a qualche secondo prima, divenne leggero nevischio, che cominciò a imbiancare i tetti e i giardini di Hogwarts.
Non riuscivo a staccare lo sguardo dalla finestra, chiedendomi dove Bellatrix Lestrange avesse portato il ragazzo che amavo.
L'intero castello era in allarme, la McGranitt aveva mandato un gufo al Ministero per avvertirli dell'accaduto e richiedere aiuto, ma ci sarebbe voluto del tempo prima che qualcuno si smaterializzasse ad Hogsmeade.
Sapevo che non c'era molto da fare in quel momento, oltre ad attendere, ma ad ogni secondo che passava diminuivano sempre più le probabilità di trovare Draco sano e salvo.

Rivedere le rughe di preoccupazione sul volto della preside, era stato come tornare indietro nel tempo.

Era da poco finita una guerra e nessuno era pronto a rivivere lo stesso orrore. Lo si notava dai volti stanchi, dagli sguardi allucinati e dalle labbra tese.

La maggior parte degli studenti si era raccolta in Sala Grande, dove la McGranitt e il resto del corpo docenti vegliava su di noi e allo stesso tempo si preparava alla possibile battaglia imminente.

Non sapevamo se Bellatrix Lestrange era da sola, non sapevamo dove si trovasse e non sapevamo quali fossero le sue intenzioni.

Sicuramente si trovava ad Hogwarts per vendicare la morte del Signore Oscuro, ma qual era il suo piano?
Avrebbe ucciso ogni studente che aveva preso parte alla guerra? Avrebbe distrutto il castello mattone dopo mattone?

E Draco? Che fine aveva fatto Draco?

Di fronte all'ufficio della preside non era stata trovata nessuna traccia che potesse permettere di capire se Draco fosse ancora vivo o meno. Il suo corpo sembrava essere svanito nel nulla, ma dato che entro le mura di Hogwarts era impossibile smaterializzarsi, ero certa che dovesse trovarsi da qualche parte dentro il castello o nel perimetro dei giardini di Hogwarts.

«Andrà tutto bene, Hermione», cercò di confortarmi Harry, appoggiando una mano sulla mia spalla: «Vedrai che lo troveremo».

Annuii lievemente, cercando di trattenere le lacrime di rabbia. 

Era stata tutta colpa mia. Avevo voluto coinvolgere Draco in quella stupida indagine convinta che non avremmo trovato niente, convinta che ancora una volta Seamus esagerasse e che "lo strano comportamento della professoressa Bing" fosse in realtà del tutto normale.

Lasciai che Harry mi abbracciasse, facendomi sentire per pochi brevi attimi al sicuro.

Fu in quel momento, mentre sbirciavo oltre la spalla del mio amico l'ingresso della Sala Grande (forse nella speranza di veder comparire Draco), che vidi Neville Paciock irrompere con passi veloci e agitati, trascinandosi dietro una recalcitrate Pansy Parkinson.

Sciolsi l'abbraccio, osservando con stupore le mani di Neville e Pansy unite. Mi dovevo essere persa qualcosa: da quando quei due erano così "intimi"?

«Hermione!», esclamò il Grifondoro, venendomi incontro; Pansy alle sue spalle sembrava più che mai intenzionata a fuggire, ma pareva non riuscire a liberarsi dalla presa di Neville.

«Hermione, abbiamo visto la professoressa Bing...», iniziò il Grifondoro, ma lo interruppe la Parkinson: «Te l'ho già detto: quella non era la professoressa Bing».

Neville ignorò la Serpeverde: «L'abbiamo vista vicino al cortile della Torre dell'Orologio, Malfoy era con lei, sembrava svenuto».

Osservai gli occhi di Pansy e il dolore che vi lessi dentro mi confermò, se mai avessi avuto bisogno di ulteriore conferma, che Bellatrix Lestrange era davvero fuggita da Hogwarts con Draco.
La poca speranza che avevo di trovarlo vivo, nascosto da qualche parte nel castello, svanì, lasciando dietro di sé una dolorosa consapevolezza.

Le ultime parole che avevo detto al ragazzo che amavo erano state "Fai attenzione" e l'ultima volta che l'avevo baciato non avevo avuto il tempo di stringerlo a me come avrei voluto.

Non ero nemmeno riuscita a dirgli un ultimo "Ti amo".

Le parole che pronunciò successivamente Pansy mi riscossero: «Abbiamo visto Lestrange sparire lungo il sentiero che porta al Platano Picchiatore, magari possiamo raggiungerla prima che arrivi alla Foresta Proibita».

Harry alle mie spalle, si avvicinò a noi con la fronte corrucciata e un'espressione incuriosita: «Hai detto Platano Picchiatore?»

Neville annuì: «Sì, la professoressa Bing è andata da quella parte», disse, guardando con la fronte corrucciata Pansy: «Come fai ad essere certa che fosse Lestrange camuffata, quella che abbiamo visto?».

La Parkinson non rispose, distolse semplicemente lo sguardo da quello di Neville per osservarsi distrattamente le unghie.
Più li osservavo, più mi rendevo conto che doveva essere successo qualcosa tra quei due.

«Oh, no», disse Ron, guardando Harry con aria disperata: «Non di nuovo il Platano Picchiatore».

Fu in quel momento che capii cosa volevano dire i miei due migliori amici e una scintilla di speranza mi nacque in petto.

«No, Harry, non è possibile. Come fa Lestrange a conoscere il passaggio? Solo i Malandrini ne erano a conoscenza!», fece notare Ron.

«Minus», dissi, osservando i miei due amici.

Harry e Ron rimasero in silenzio per qualche secondo. Il primo si grattava pensosamente la cicatrice, annuendo flebilmente, mentre il secondo scuoteva la testa con rassegnazione.

«Quel verme di Minus! Non mi stupirebbe se avesse spifferato tutto al Signore Oscuro», disse alla fine Ron.
«Dobbiamo controllare», aggiunse Harry, sistemandosi gli occhiali.

«Tu stai capendo qualcosa di quello che stanno dicendo?», chiese Neville a Ginevra, la quale scosse sconsolata la testa: «Se avessi una moneta ogni volta che...»

La più giovane di casa Weasley non ebbe il tempo di concludere la frase, perché Daphne Greengrass, la quale si era fatta largo tra la gente che si era raccolta intorno a noi per origliare, la interruppe: «Avete visto Padma? Non riesco a trovarla da nessuna parte».

Zabini, che non avevo notato essere pochi passi dietro a Neville, sollevò gli occhi al cielo: «Daphne, non è il momento».

«Forse si trova ancora ad Hogsmeade, potrebbe essere in pericolo!», ribatté la Greengrass, fulminando con uno sguardo d'odio il moro.

«Cosa sta succedendo qui?», chiese la McGranitt, seguita dal professor Rufus e Hagrid, osservando il nostro gruppo con espressione seria: «Granger, Potter, Weasley, gradirei essere informata per tempo se avete intenzione di intraprendere una delle vostre dissennate avventure».

Sentii chiaramente le guance colorarmisi di rosso e notai che anche le orecchie di Ron avevano assunto lo stesso colore.

«Pensiamo di sapere dove possa trovarsi Malfoy», disse Harry, senza distogliere lo sguardo da quello della McGranitt.
La preside annuì: «Gli Auror arriveranno tra meno di un'ora, appena saranno qui potrà comunicare loro le sue supposizioni, signor Potter. Fino ad allora attenderemo dentro al castello, al sicuro, il loro arrivo».

Harry aprì bocca per protestare, decise però di non farlo e annuì semplicemente, borbottando a mezza voce un poco convinto: «Certo, professoressa».

«Preside! E i ragazzi che si trovano ad Hogsmeade in questo momento? Non dovremmo avvertirli?»

Zabini sollevò gli occhi al cielo alle parole di Daphne.

La McGranitt sembrò riflettere per qualche secondo prima di annuire distrattamente: «Ha sollevato una questione di non poco conto, signorina Greengrass, mi consulterò con gli altri docenti e cercheremo la soluzione più sicura da attuare».

La preside si allontanò, seguita da Rufus e Hagrid, per raggruppare gli studenti più giovani, i quali erano destinati a rimanere nascosti nelle cucine con gli elfi domestici fino a quando non si fossero calmate le acque.

«Aspettare gli Auror ci farebbe solo perdere tempo», dissi, voltandomi verso Harry, che stava annuendo: «Hai ragione, dobbiamo trovare il modo di andare a controllare il Platano Picchiatore senza farci scoprire dalla McGranitt».

«Qualcuno potrebbe creare un diversivo», ragionò a voce alta Ron, grattandosi il mento pensieroso: «Qualche idea?»

Osservando i volti delle persone che si erano raggruppate intorno a noi, mi chiesi chi potesse attirare l'attenzione di molti docenti così da permettere a qualcuno di noi di sgattaiolare fuori dalla Sala Grande.

Quando lo sguardo mi cadde su Pansy Parkinson, capii che era la nostra unica possibilità.

«Parkinson, potresti fingere uno svenimento?», le chiesi, piena di speranza.

La Serpeverde sollevò gli occhi al cielo, palesemente infastidita all'idea di esser stata presa in considerazione per fare da esca: «Ci posso provare», disse alla fine, con tono poco convinto.

«Ottimo! Ma mi sembra che continuiamo a dimenticarci degli studenti che si trovano ad Hogsmeade in questo momento!», fece notare con tono petulante Daphne, ricevendo un'occhiata esasperata da Zabini.

«Quella è la parte più facile, basta passare per il passaggio della Strega Orba», disse Harry con tono rassicurante, anche se la maggior parte dei ragazzi raccolti intorno non capirono a cosa si stesse riferendo: «Qualcuno vuole accompagnare la Greengrass?»

Zabini fece un passo avanti: «Vedo io con lei».

«Pure io», si propose Luna, afferrando la mano del suo ragazzo: «Non ti lascio andare senza di me», aggiunse a bassa voce.

«Ottimo, appena la Parkinson creerà il diversivo, voi tre dovrete dirigervi al terzo piano. Sulla scalinata che porta all'aula di Difesa Contro le Arti Oscure si trova la Statua della Strega Orba, pronunciando la formula Dissendium sulla gobba si aprirà un passaggio che porta fino alla cantina di Mielandia, una volta lì vi sarà facile radunare gli studenti e farli tornare al castello. Io, Hermione e Ron invece andremo a controllare il Platano Picchiatore», disse Harry, prendendo con nonchalance il comando della spedizione: «Gli altri rimangono qui ad aiutare i professori e a coprirci in caso qualcuno dovesse rendersi conto della nostra assenza».

«Forse non dovresti venire, Harry», dissi, mordendomi pensosa il labbro: «La tua mancanza si noterebbe fin troppo facilmente».

«Hermione non ha tutti i torti», commentò Ron: «La accompagno io».

Harry si adombrò leggermente, sembrò voler protestare, ma alla fine ci diede ragione: «Posso rimanere e creare un ulteriore diversivo nel caso in cui quello della Parkinson non dovesse bastare», disse, sorridendo: «Mi raccomando, fate attenzione».

Abbracciai con forza Harry, lasciandomi brevemente cullare dalle sue braccia familiari e dal suo odore, che mi faceva sentire al sicuro. Mi tornò in mente quando, il quarto anno, lo avevo abbracciato poco prima dell'inizio della prima prova del Torneo Tremaghi. 
In quel frangente era lui a dover affrontare un grande pericolo, mentre io aspettavo nelle retrovie, sperando che non gli succedesse niente. Questa volta i ruoli si erano invertiti.

«Possiamo prendere il mantello?», gli chiesi all'orecchio, prima di sciogliere l'abbraccio.
Harry annuì deciso: «Anche la mappa se lo ritieni necessario».

Voltandomi verso Pansy, mi resi conto della sua terribile cera. Stavo per farglielo notare, quando lei disse velocemente, mangiandosi le parole:  «Credo di non aver bisogno di fingere, non mi sento bene».

Daphne strinse il braccio della compagna di casa, quasi avesse voluto trasmetterle un po' della sua forza, poi, fatto un gesto a Zabini e Luna, iniziò ad allontanarsi dal nostro gruppo.

«A dopo», disse Harry, dandoci qualche secondo per prendere le distanze dal caos che sarebbe sopraggiunto a breve.

Appena io e Ron fummo abbastanza vicini alla porta della Sala Grande, Harry iniziò ad attirare l'attenzione della Preside.

«Preside McGranitt! Preside McGranitt, Pansy Parkinson non si sente bene!»

Quando, osservando la Sala Grande, ci rendemmo conto che l'attenzione generale verteva sulla figura della Serpeverde accasciata a terra e che nessuno stava guardando nella nostra direzione, iniziammo a correre.
Io e Ron diretti verso la Torre Grifondoro, dove avremmo recuperato il Mantello dell'Invisibilità e la Mappa del Malandrino prima di avviarci verso il Platano Picchiatore; la Greengrass, Zabini e Luna verso l'aula di Difesa Contro Le Arti Oscure.

Il cuore mi batteva all'impazzata, in parte per la corsa, in parte per la paura che mi scorreva nelle vene. 

Paura di non arrivare in tempo, paura di non riuscire a rintracciare Malfoy e salvarlo da sua zia prima che fosse troppo tardi, paura di non poter più sentire la sua voce, la sua risata, il suo tono insopportabile quando litigavamo. Paura di non poterlo più stringere a me.

Paura.

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Capitolo 11
*** Where am I? ***


11. Where am I?



·≈· DRACO'S POV·≈·



 

La prima cosa che percepii appena ripresi i sensi fu dolore.

Un dolore così lancinante che desiderai tornare nello stato d'incoscienza in cui mi ero trovato fino a pochi secondi prima.

La testa mi pulsava come se si trovasse all'interno di una morsa che ogni pochi secondi si chiudeva un po' di più, comprimendomi dolorosamente le tempie.

Percepivo delle voci, indistinte, lontane, che però non riuscivano a superare il rumore del mio cuore che batteva come impazzito, assordandomi i timpani.

Avevo in bocca un sapore orribile, la gola secca e l'odore di legno marcio che m'invadeva le narici.

Un conato di vomito mi fece rotolare sul fianco, sputai della bile.

Mi sembrava di avere la gola a fuoco.

Udii chiaramente dei passi, lo spostamento d'aria. Qualcuno si era avvicinato al mio corpo riverso a terra, in mezzo alla polvere.

«É vivo?», sentii una voce maschile chiedere, una voce che mi sembrava di aver già sentito, anche se non avrei saputo dire quando e dove.

«Sì, per il momento».

La seconda voce era più familiare e un campanello di allarme si accese nella mia mente nell'udirla.

Bellatrix Lestrange.

«Non rimarrà privo di sensi a lungo, dobbiamo...», la voce di mia zia si affievolì fino a scomparire, sovrastata dal rombare del mio cuore e il rantolare del mio respiro.

Basandomi sull'olfatto e l'udito non avrei saputo dire dove mi trovavo... Non avrei saputo dire nemmeno quanto tempo ero rimasto incosciente.

Ricordavo Hermione, il bacio che mi aveva dato prima di correre a cercare aiuto. 

Dalla situazione in cui mi trovavo, ero abbastanza certo che non fosse riuscita a raggiungere nessuno in tempo. 

Avrei voluto aprire gli occhi, ma continuavo a percepire la vicinanza di mia zia e dell'uomo che non ero riuscito a identificare. Temevo che, aprendo gli occhi, avrei svelato a entrambi di non essere più completamente addormentato. Sapevo cosa mi sarei dovuto aspettare in tal caso dalla mia amorevole zietta: torture e altro dolore.

Continuai quindi a tenere gli occhi chiusi, cercando di regolarizzare il più possibile il mio respiro spezzato dalle fitte di dolore.

«Non capisco», disse l'uomo, il cui tono brusco quasi ringhiante, mi fece venire la pelle d'oca.

In quel momento lo riconobbi: Mulciber. 

«Dovevi introdurti nel castello per uccidere Potter», continuò l'uomo, la cui voce sembrava farsi sempre più tonante: «Ora torni con tuo nipote...»

«Zitto», disse con tono tagliente Bellatrix Lestrange: «So qual era il piano, pensi che sia facile trovare Harry Potter da solo? Draco mi ha scoperto mentre cercavo di introdurmi nello studio del Preside»

«Della Preside», la corresse Mulciber.

Zia Bella rise: «Giusto, dimentico sempre che quella vecchia scopa della McGranitt ora è la Preside».

Ci furono alcuni attimi di silenzio: «Potremmo usare questa situazione a nostro vantaggio», disse Lestrange: «Ci metteranno ore prima di rendersi conto della mancanza di Draco, abbastanza tempo per elaborare un nuovo piano».

Mulciber emise un suono gutturale che sembrava voler sottolineare la sua titubanza, ma non osò controbattere.

Il dolore che provavo alla testa, sembrava peggiorare a ogni secondo che passava, ma dovevo vedere il lato positivo di tutta quella faccenda: zia Bella non sapeva che Hermione si trovava con me poco prima che venissi rapito, e che quindi con molto probabilità tutta la scuola già sapeva quello che era successo.

Le ore che pensava di avere a disposizione per riorganizzarsi, non erano probabilmente altro che una manciata di minuti.

O almeno così speravo.

Quando sentii i loro passi allontanarsi e il forte rumore di una porta chiudersi, provai un moto di sollievo e mi arrischiai a socchiudere lentamente gli occhi.

L'ambiente in cui mi trovavo era angusto, sporco e malamente illuminato. 

Nel mio campo visivo potevo vedere il pavimento coperto da uno spesso strato di polvere, le gambe di quella che dedussi essere una sedia e una porta socchiusa che sembrava dare su una rampa di scale.

L'unica fonte di luce sembrava provenire da una finestrella dai vetri anneriti, le voci concitate di Bellatrix e Mulciber giungevano invece da un luogo indistinto alle mie spalle.

Per non rischiare di attirare la loro attenzione, decisi di rimare immobile, mentre spostavo lo sguardo alla mia destra e sinistra, alla ricerca di qualcosa, qualsiasi cosa che potesse farmi capire dove mi trovavo.

Le pareti erano spoglie, ad abbellirle si potevano vedere solo spesse ragnatele e profonde crepe nell'intonaco. Di fronte a me, oltre ad una sedia, c'era un tavolino le cui gambe tarlate sembravano rimanere in piedi per miracolo e un mobile antico le cui ante aperte mostravano altre ragnatele e un topo morto.

Tornai a concentrarmi sulla finestrella, nella speranza di scorgervi qualcosa di distintivo che avrebbe potuto aiutarmi; ma tutto quello che potevo vedere era il cielo plumbeo.

Presi un profondo respiro e mossi lentamente prima una e poi l'altra gamba, ignorando il forte dolore alle tempie e le fitte alle costole.
Constatai di non avere niente di rotto,  e sospirai di sollievo.

Cercai con la mano tremante di tastare le mie tasche, alla ricerca della mia bacchetta, ma non riuscii a trovarla da nessuna parte, così mi arresi al fatto di essere disarmato e inerme.

Mentre osservavo la porta socchiusa che dava sulle scale, calde lacrime amare mi bagnarono le guance. Se solo fossi stato meno debole, meno dolorante... avrei potuto raggiungere la via di fuga che mi si presentava a pochi passi e lasciarmi alle spalle quella stanza inquietante, Mulciber e zia Bella.

Sentendo un rumore non bene identificato chiusi gli occhi per qualche secondo, nel timore che i miei carcerieri stessero tornando. Quando realizzai che quello che sentivo era il rumore di vestiti che sfregavano contro il legno, capii che non ero solo in quella stanza delle torture.
Arrischiai un'occhiata veloce alle mie spalle e provai sollievo nel vedere la professoressa Bing che, malgrado la debolezza, stava cercando di raggiungermi, strisciando tra la sporcizia.

«Stai bene?», chiese con un filo di voce la donna, osservandomi con sguardo terrorizzato.

Annuii, senza sapere bene perché lo feci. Di sicuro non stavo bene, perché le avevo mentito?

Un rumore di passi in avvicinamento, mi fece tornare nella posizione fetale in cui mi trovavo fino a pochi secondi prima, con gli occhi chiusi e il volto premuto contro la polvere.

«Oh, no, professoressa, se ne vuole già andare?», chiese con tono cantilenante zia Bella: «Temo di non poterglielo permettere», aggiunse.

«Crucio!»

Sussultai all'urlo rabbioso di Mulciber, per poi immobilizzarmi, terrorizzato all'idea che uno o entrambi i miei rapitori avessero visto il mio movimento involontario.

Restai senza fiato ad ascoltare le urla della donna a pochi passi da me, per quelle che mi parvero ore: sentivo i suoi movimenti convulsi, il modo in cui digrignava i denti e le risate isteriche di mia zia Bella.

Dopo un paio di maledizioni Cruciatus, calò il silenzio nella stanza.

«É svenuta», si lamentò l'uomo.

«Controllali, torno subito», disse Bellatrix.

Sentii i passi di zia Bella allontanarsi e scendere delle scale.

Mi chiesi dove fosse diretta.

Un forte colpo alla bassa schiena mi fece gemere di dolore.

Mulciber doveva avermi tirato un calcio.

Cercai di usare tutte le doti recitative in mio possesso per far credere al Mangiamorte di essere ancora svenuto, rimanendo immobile il più possibile.

Sentii l'uomo sputare a terra, poi dopo qualche secondo di silenzio udii i suoi passi dirigersi verso la stanza in cui, poco prima, aveva conferito con zia Bella.

Socchiusi piano gli occhi.

La porta che dava sulla rampa di scale ora era completamente aperta.

Avrei voluto avere la mia bacchetta; così da potermi difendere dai miei rapitori, ma doveva essere rimasta nel castello, dove mi era caduta.

Chiusi nuovamente gli occhi e scacciai i pensieri amari, deciso a non lasciarmi abbattere, non quando ancora non era finita.

Sarei riuscito a salvarmi, Hermione doveva aver avvisato la McGranitt ormai e...

Hermione.

L'avrei rivista?

Avrei avuto di nuovo occasione di scorgere i suoi sorrisi, di sentire la sua voce, di baciare le sue labbra?

Avevamo passato troppo poco tempo insieme e quelle poche settimane erano state stravolte da litigi, guerre e incomprensioni. Quando avremmo potuto avere finalmente la pace che ci meritavamo? Il dolce far niente, oltre ad amarci, a cui agognavo con tutto me stesso?

Probabilmente non avremmo mai ottenuto una pace simile.

La monotonia non avrebbe mai fatto parte della nostra relazione, non quando bastava un nonnulla per litigare, non quando era necessario un suo semplice sguardo per farmi sentire più vivo che mai.

Sentii scricchiolare le scale e un brivido mi attraversò la schiena.

Zia Bella era già di ritorno?

Tenni gli occhi chiusi, per sicurezza e continuai a mantenere sempre la solita posizione fetale sul pavimento; non volevo rischiare di ottenere la stessa cortesia che era stata elargita poco prima alla professoressa Bing o di ricevere altri calci.

Sentii Mulciber borbottare qualcosa nella stanza accanto, poi altri scricchiolii dalle scale.

Il quasi totale silenzio venne spezzato da una voce maschile a pochi passi da me: «Expelliamus!»

Udii chiaramente Mulciber imprecare nella stanza accanto, poi una mano calda percorse il mio viso sporco con una dolcezza che riconobbi all'istante: «Draco?»

Aprii gli occhi, incontrando quelli scuri di Hermione.

«Incarceramus!», urlò Ron Weasley, la bacchetta puntata contro quello che immaginai essere Mulciber.

«Hermione», riuscii a sussurrare con la voce carica di sollievo: «Come hai fatto a trovarmi?»

«Ti spiegherò quando saremo al sicuro», disse lei, sistemandomi i capelli dietro alle orecchie, un dolce sorriso a illuminarle il viso.

«Posso avere un bacio?», le chiesi, facendo allargare il suo sorriso.

«Dopo potrai avere tutti i baci che vuoi», sussurrò, prima di alzarsi per controllare il polso della professoressa Bing, che si trovava riversa accanto a me.

«É debole», disse al rosso, mentre lui riemergeva dalla stanza accanto, con la bacchetta in mano, pronto a difendersi.

«Dov'è Lestrange?», mi chiese il ragazzo, guardandosi intorno con aria concentrata: «Ci sono altri Mangiamorte?»

«É uscita poco fa, non so dove sia andata. Io ho visto solo loro due».

Il rosso annuì, scrutandomi attentamente: «Tu stai bene?»

Io e il rosso non eravamo propriamente diventati amici, il nostro rapporto si basava sulla tolleranza reciproca, per questo mi stupii della sincera preoccupazione che scorsi sui suoi lineamenti tesi.

«Sì, nulla che Madama Chips non possa sistemare», lo rassicurai, facendo forza sulle braccia per sollevarmi a sedere.

Lo sguardo mi si oscuro per qualche istante e temetti di svenire, poi sentii un rumore di passi concitati.

Mi portai una mano alla testa, respirando profondamente. 

Sentii le braccia di Hermione circondarmi da dietro, il suo petto a sostenere il mio capo dolorante, così da impedirmi di cadere di nuovo tra la polvere.

«Non sforzarti, Draco».

«Sta arrivando qualcuno», sussurrò Weasley.

Altri passi concitati, scricchiolii lungo la rampa di scale.

«Mulciber! Non abbiamo tempo, dobbiamo...»

L'urlò di mia zia venne spezzato dall'incantesimo di disarmo lanciato da Weasley.

Sentii una fitta alla testa, un urlo e la stretta di Hermione aumentare intorno a me.

Quando i puntini neri che mi oscuravano la vista scomparvero, vidi Bellatrix Lestrange a terra, avvolta e immobilizzata da strette corde robuste, i suoi occhi scuri vagavano nervosi per la stanza.

Più cercava di divincolarsi, più le funi la stringevano.

«Dobbiamo avvisare gli altri», disse Hermione, ottenendo un gesto di assenso dal rosso: «Mando un Patronus».

«Andrà tutto bene, Draco», mi sussurrò la ragazza contro la tempia: «Ti amo», aggiunse, aumentando la stretta intorno al mio corpo.

«Ti amo anche io».








 

****

Ciao a tutt*!

Spero che il capitolo vi sia piaciuto e che abbiate tempo e voglia di lasciare qualche recensione per dirmi cosa ne pensate!

Sembra che anche questa volta i nostri protagonisti siano riusciti a salvare la situazione, cosa ne pensate?

Il prossimo capitolo sarà o dal punto di vista di Pansy o da quello di Daphne (ancora devo decidere), ma se avete preferenze al riguardo fatemi sapere!

Vi auguro una buona giornata e mi raccomando: rimanete a casa ❤️

Un bacio,

LazySoul

 

P.S. Nel caso qualcuno fosse interessato, può seguirmi su Instagram, il mio nome è LazySoul_EFP

 

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Capitolo 12
*** Stay ***


12. Stay

 

 

·≈· PANSY'S POV ·≈·


 

Quando ripresi conoscenza riconobbi immediatamente l'odore di disinfettante e intrugli magici imbottigliati dell'Infermeria e storsi schifata il naso, socchiudendo appena gli occhi.

Quando individuai alla mia destra il profumo di patate al forno, bucato e gelsomino che conoscevo bene, non potei trattenermi dal sospirare.

Neville Paciock era seduto sull'unica sedia per le visite vicino al mio letto, stava leggendo un libro con la copertina consumata e ammuffita dal tempo, che immaginai avesse preso in prestito in biblioteca, gli occhi erano concentrati nella lettura e le labbra erano leggermente socchiuse.

Mi ritrovai a pensare, ancora indebolita dallo svenimento, che avesse un bel viso.

«Come ti senti?», chiese lui, spostando brevemente lo sguardo dalla lettura per posarlo su di me.

«Una favola», dissi sarcastica, portandomi una mano al viso, levandomi un sottile strato appiccicoso di sudore dalla fronte: «Quanto sono rimasta priva di sensi?»

«Qualche minuto, abbastanza per creare il diversivo», mi disse a bassa voce, controllando la sala per accertarsi che Madama Chips non si trovasse a portata d'orecchio.

«E cosa ci fai tu qui?», chiesi con un pizzico di scontrosità nel mio tono, abbastanza per ricordargli il nostro recente litigio.

«Leggo un trattato del diciottesimo secolo sulle piante medicinali», disse, tornando a concentrare lo sguardo sulle pagine del tomo che reggeva tra le mani.

Sbuffai, alzando gli occhi al cielo: «E non puoi andare a leggere da qualche altra parte?»

Il Grifondoro non diede segno di avermi sentito, continuando a muovere lo sguardo sulle pagine puzzolenti di quel vecchio libro.

«Ti piace Erbologia?», mi chiese lui, dopo qualche secondo, sorridendomi.

«É una materia come un'altra», dissi, facendo spallucce.

Ricordai quella lezione del secondo anno, quando la professoressa Sprite aveva cercato di ucciderci tutti con i pianti delle Mandragole e Paciock era svenuto. Sorrisi, involontariamente, al pensiero. Quelli sì, che erano bei tempi.

«Perché ridi?», domandò il ragazzo, chiudendo il volume che stava leggendo, senza preoccuparsi di usare un segnalibro o di indicare in qualche modo il punto che aveva raggiunto.

«Ripensavo alle mandragole e a quanto ti fossero piaciute», ammisi, osservando le guance del Grifondoro colorarsi d'imbarazzo.

«Sono sempre stato facilmente impressionabile», confessò, abbassando lo sguardo sulle proprie mani, che stringevano ancora il trattato del diciottesimo secolo.

«E ingenuo», aggiunsi, pensando ai suoi patetici tentativi di "aiutarmi" poche ore prima.

«Sì, e ingenuo», ripeté, spostando lo sguardo sul mio viso: «E tante altre cose».

«Beh, in quanto Grifondoro, sei anche coraggioso», gli ricordai, studiando i suoi occhi verdi, nel tentativo di sondare le emozioni che nascondevano.

«Così si pensa», disse, facendo spallucce: «Vuoi che ti vada a chiamare Madama Chips?»

Scossi il capo, provocandomi con quel gesto brusco un leggero dolore alle tempie.

«Hai sete?», domandò, indicando un bicchiere d'acqua che si trovava sul tavolino, del quale notavo solo in quel momento la presenza, accanto al letto.

Annuii e feci leva con le braccia per sollevarmi a sedere e Paciock si sporse subito sulla sedia, allungando le mani per aiutarmi.

Lo fulminai con lo sguardo, aggrottando la fronte per lo sforzo che quel semplice gesto richiedeva e per la stizza; non volevo il suo aiuto.

Paciock tornò a sedersi composto, afferrando il bicchiere per porgermelo.

Sentivo le mani ancora infiacchite dallo svenimento e dovetti concentrarmi per non perdere la presa sul vetro.

«É fredda», disse Paciock, osservando ogni mio gesto: «Bevi piano».

Seguii il suo suggerimento, sorseggiando l'acqua con lentezza, così da diminuire subito il fastidio alla gola secca.

Rimanemmo in silenzio per qualche istante, ognuno perso nei propri pensieri.

«Ho capito», disse, infine Paciock, mentre giocherellava con il bordo del maglione della divisa scolastica: «Ho capito che non hai bisogno di me, che sei una donna forte e indipendente».

Sollevò lo sguardo, una lieve smorfia sulle labbra: «Però stai passando un brutto periodo, e non mi interessa sapere qual è il motivo per cui volevi buttarti dalla Torre di Astronomia, non sono affari miei, ma penso che tu abbia bisogno di un amico. Non devo per forza essere io, voglio dire, se hai bisogno di qualcuno con cui parlare puoi contare su di me, ovviamente, ma immagino che tu...».

Calò per qualche secondo il silenzio, mentre il ragazzo si grattava il mento imbarazzato: «Non sono bravo a parlare», ammise, sorridendo appena: «Quello che sto cercando di dire è che non sei sola».

Posai, con la mano che mi tremava appena, il bicchiere mezzo vuoto sul tavolo accanto al letto, mentre pensavo alle parole appena dette da Paciock.

Il mio cinismo mi spingeva a credere che quel discorso fosse solo una facciata; frasi dette per il gusto di dirle e per potersi sentire in qualche modo utile. Da un Grifondoro sempre pronto ad accorrere in aiuto dei più deboli, non mi sarei potuta aspettare altro.

Ma c'era anche, dentro di me, il desiderio di credergli; il desiderio di non essere sola, ma di avere qualcuno su cui poter contare.

«Se non mi vuoi qui, me ne vado».

Quelle parole, mi costrinsero a sollevare lo sguardo per incontrare gli occhi verdi di Paciock.

Aprii bocca senza pensarci: «Rimani», sussurrai con la voce spezzata dall'emozione. 

Una volta che realizzai il modo in cui avevo appena parlato, mi schiarii la voce e raddrizzai la schiena: «Puoi rimanere, se vuoi», dissi, utilizzando un tono di voce distaccato, mentre distoglievo lo sguardo, iniziando a lisciare le coperte con gesti nervosi.

«Conosci il cavolo carnivoro cinese?»

Il suo maldestro tentativo di cambiare argomento, mi calmò istantaneamente e un sorriso di scherno comparve sul mio volto: «Fammi indovinare, ha l'aspetto di un cavolo, ma è carnivoro ed è originario della Cina».

Le mia parole lo fecero ridere: «Quasi», disse, aprendo il libro che aveva in grembo, facendomi storcere il naso dal fastidio, per il forte odore di muffa.

«É stato effettivamente scoperto in Cina secoli fa, quindi sì, è di origine orientale. Ma l'hanno chiamato così perché l'odore di questa pianta bollita ricorda quello del cavolo cinese, e non perché ne ricorda la forma».

«Perché stai leggendo quel libro puzzolente? Per la prossima settimana, la Professoressa Sprite ha assegnato da scrivere una pergamena sui bubotuberi», dissi, mettendomi comoda sul letto.

«Oh, quello l'ho già scritto. In realtà mi piace approfondire argomenti di Erbologia per conto mio», ammise il ragazzo, facendo spallucce.

Annuii pensierosa, rendendomi conto di non aver mai avuto una materia preferita; avevo sempre mantenuto una media scolastica alta in generale, in parte per la pressione dei miei genitori, in parte perché avevo sempre visto Hermione Granger come inferiore e l'idea che lei prendesse voti più alti dei miei non mi era mai andata a genio. Eppure non avevo mai trovato qualcosa che mi piacesse davvero studiare.

«L'unica cosa della quale mi sono sempre interessata, oltre ai pettegolezzi, è la moda», riflettei, arricciando pensierosa le labbra: «Peccato che in questa scuola gestita da professori decrepiti non ci sia mai stato nemmeno l'accenno al mondo della moda magica».

«Non sono un esperto in materia».

«Sì, è ovvio», dissi, senza pensarci, osservando le scarpe consumate che aveva ai piedi e i calzini dalla stampa improbabile, che il ragazzo non riusciva a nascondere con i pantaloni troppo lunghi e dall'orlo scucito in più punti.

«Conosci l'esistenza dei sarti, vero, Paciock?», chiesi con una smorfia in viso.

«Sì, Parkinson, ma non tutti possiamo permetterci abiti su misura», rispose il ragazzo, abbassando lo sguardo, sembrava imbarazzato.

Solo in quel momento mi resi conto di esser stata, senza pensarci, la Pansy di un tempo, quella che credevo perduta per sempre. Provai gioia in un primo momento, poi orrore.

«Ho parlato senza pensare», dissi, osservando il volto arrossato del Grifondoro.

Malgrado il bruciante senso di colpa, ero troppo orgogliosa per chiedere scusa, così rimasi in silenzio.

«Ti piacerebbe quindi diventare una giornalista?», chiese Paciock, tornando ad alzare lo sguardo.

Venni colta di sorpresa dalla sua domanda. In quanto donna Purosangue, quindi destinata ad un matrimonio vantaggioso in giovane età con un ricco Purosangue, non mi ero mai veramente chiesta cosa avrei potuto fare per me una volta terminata la scuola.

Un matrimonio di convenienza ormai era impensabile, non soltanto perché, una volta terminata la scuola, non avrei avuto nessun posto dove andare (dato che i miei genitori mi avevano diseredata) e quindi nessun valido partito da sposare, ma soprattutto perché non ero più un normale essere umano, quindi non potevo aspirare ad una vita comune.

«Forse», dissi alla fine, tornando a lisciare con gesti nervosi le coperte del letto.

C'erano leggi che impedivano ai Lupi Mannari di avere un lavoro comune? Non ne ero certa.

Di sicuro c'erano pregiudizi, ma quelli c'erano sempre stati; in quanto donna ero abituata ad essere vista come più debole, meno capace, meno intelligente, più sensibile...

Qualche pregiudizio in più non avrebbe dovuto fare molta differenza.

«Potresti avere una rubrica di moda o di gossip», disse Paciock, attirando la mia attenzione.

Scacciai i brutti pensieri e sogghignai, decisa a non lasciarmi vedere troppo abbattuta: «Perché non entrambe?»

Il Grifondoro scosse la testa, ridacchiando: «Hai ragione, quando si sogna bisogna farlo in grande. Quindi, ricapitolando, Pansy Parkinson tra dieci anni avrà un lavoro in una rivista o giornale famoso, dove scriverà di gossip e moda. E poi?»

«E poi, vivrò in un lussuoso appartamento, oppure in una graziosa villetta, avrò una linea di vestiti o di trucchi che porteranno il mio nome e sarò ammirata e invidiata dall'intero Mondo Magico», dichiarai, con tono compiaciuto.

Quando incrociai il suo sguardo, mi resi conto che Paciock stava sorridendo: «Non stento a immaginarlo».

Tutta quella fiducia, racchiusa in una misera frase, mi fece arrossire; non riuscivo a ricordare quand'era stata l'ultima volta, che qualcuno aveva creduto in me con altrettanta serenità.

«Che ne sarà di Neville Paciock tra dieci anni, invece?», chiesi, così da spostare i riflettori su di lui.

Il Grifondoro fece spallucce: «Probabilmente sarò qua, a fare il professore di Erbologia, o magari avrò una piccola serra in cui coltiverò piante medicinali».

Feci una smorfia: «Pensavo dovessimo sognare in grande», gli feci notare.

Paciock sorrise: «Anche se un sogno sembra piccolo, non vuol dire che sia meno importante o che possa portare meno soddisfazione».

Sollevai gli occhi al cielo: «Fammi indovinare, un'altra tua passione è la filosofia?»

Madama Chips emerse dal suo ufficio proprio in quel momento, avvicinandosi a noi con pochi passi nervosi: «Signorina Parkinson, vedo che si è ripresa», disse, appoggiandomi la mano sulla fronte: «Niente febbre. Come si sente?»

«Meglio», dissi, lasciando che mi afferrasse il polso per controllare i miei battiti.

«Sembra tutto regolare, se se la sente può andare nelle cucine, so che stanno radunando lì la maggior parte degli studenti, altrimenti può rimanere qua», disse la donna, facendo esplodere la bolla in cui mi ero trovata fino a quel momento; mentre parlavo con Paciock mi ero completamente dimenticata di Bellatrix Lestrange, del rapimento di Draco e dello stato d'allarme in cui si trovava l'intero castello.

Annuii, chiedendomi quale sarebbe stata la scelta più saggia, mentre Madama Chips tornava nel suo studio con passi nervosi.

Guardai Paciock che, accanto a me, si stava alzando: «Vuoi venire in Sala Grange con me? Probabilmente saranno ancora tutti lì, ad aspettare che gli altri tornino dalle rispettive missioni».

«Sarei solo di peso», dissi, aggrottando pensierosa la fronte. 

«Quando ci si trova nella stessa stanza di Harry Potter è probabile, ma posso assicurarti che ci si fa l'abitudine», mi rassicurò, sfoggiando un sorriso.

Scostai le coperte, e mi sedetti sul bordo del letto per indossare le scarpe: «Era una cattiveria gratuita quella, Paciock?»

Il Grifondoro rise, infilandosi il libro voluminoso sotto braccio: «No, una semplice constatazione».
 

 

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Capitolo 13
*** I'm here to save you ***



13. I'm here to save you



·≈· DAPHNE'S POV ·≈·


 

Una volta arrivata di fronte alla statua della Strega Orba avevo il fiato corto e il cuore mi martellava insistentemente in petto; non avevo mai corso tanto veloce in vita mia.

Zabini e la sua consorte si trovavano ai mei lati, anche loro paonazzi in volto stavano cercando di riprendere fiato.

«Lo sai che questa non è una gara di corsa, vero, Daph?», chiese Blaise, portandosi una mano sul fianco con una smorfia di dolore: «Prima Luna, poi tu, cos'è questa mania di correre sempre?»

Aggrottai la fronte, non capendo a cosa si stesse riferendo, ma decisi di ignorarlo, e dedicai tutte le mie attenzioni alla statua di fronte a me.

La prima che cosa che pensai fu che il volto della Strega Orba fosse a dir poco grottesco e sgraziato, stavo anche per commentare quel fatto ad alta voce, ma mi ricordai che non avevamo tempo per certe cose ed estrassi la bacchetta dal cappotto.

«Dissendium».

Rimasi con gli occhi sbarrati dalla sorpresa a fissare la gobba della statua, che si aprì con un forte e fastidioso rumore di pietra contro altra pietra.

«Ha funzionato», dissi con sorpresa, aprendo e chiudendo gli occhi un paio di volte per accertarmi che quello a cui avevo assistito fosse vero.

«Avevi dubbi, forse?», chiese Zabini, sporgendo il capo per osservare il passaggio che si era aperto di fronte a noi.

«Certo che sì», ammisi, usando l'incantesimo "Lumos" per illuminare l'ingresso di quel tunnel.

Notai subito le numerose ragnatele che decoravano le pareti basse ricavate dalla viva pietra e mi chiesi come avrei fatto a non spezzarmi l'osso del collo scendendo quei gradini irregolari e dall'aspetto poco sicuro.

«Potter non conosceva un passaggio segreto pulito?», borbottai, con una smorfia in viso, mentre mi facevo forza e iniziavo a scendere, facendo attenzione a dove mettevo i piedi e a tenere la testa più bassa possibile.

Arrivata al settimo gradino, iniziai a starnutire a causa della mia mia allergia agli acari della polvere.

«La vera domanda è: come faceva Potter a conoscere questo passaggio?», disse Blaise.

Sia lui che la Lovegood avevano a loro volta acceso la punta delle loro bacchette con un incantesimo "Lumos" e avevano iniziato a seguire i miei passi, Blaise apparentemente schifato quanto me dall'ambiente sporco, Luna invece guardava il mondo con la solita espressione stupita e affascinata di sempre.

«Lui è il Bambino Sopravvissuto, Blaise, appena messo piede ad Hogwarts la McGranitt gli avrà fornito l'elenco di tutti i passaggi segreti e metodi migliori per evitare Gazza e Mrs. Purr», dissi con tono tagliente, mentre evitavo l'ennesima ragnatela.

«Questo spiegherebbe come ha fatto tutti questi anni a salvare il Mondo Magico tutto da solo», aggiunse Zabini.

«Ora non esageriamo, aveva gli altri due paladini della giustizia ad aiutarlo», gli ricordai, starnutendo ancora una volta.

Mi fermai, portandomi una mano alla bocca, alla vista di un roditore che, qualche gradino più in basso, giaceva morto.

«Che schifo!», esclamai, sentendomi attraversare da un brivido: «Dite che è da pazzi usare l'incantesimo "Gratta e netta" ogni due scalini?», aggiunsi, continuando a scendere con cautela.

«Forse», disse Blaise, facendo spallucce: «Ma se vuoi ti do una mano».

Da quel punto in poi iniziammo a pulire il tunnel di ogni ragnatela e granello di polvere che ci si presentava di fronte e sentii, pian pianino, le mie vie respiratorie liberarsi e gli occhi che mi erano diventati lucidi, tornare normali.

Dopo qualche minuto le scale vennero sostituite da un corridoio altrettanto buio e irregolare, pieno di curve e zone in cui il soffitto era molto basso. Per me e Luna, entrambe poco più alte di un metro e sessanta non fu un problema, ma Blaise rischiò più volte di battere la fronte.

Quando riuscii finalmente a scorgere la fine del tunnel non riuscii a trattenere un urlo di gioia: «Vedo una porta!»

Pulii con un incantesimo "Gratta e netta" la maniglia in ottone fino a quando non divenne abbastanza pulita e solo allora la toccai per abbassarla.

Una volta oltre la porta mi sistemai i vestiti, controllando di non aver residui di ragnatela o altra sporcizia addosso. Osservandomi attorno, notai gli scaffali in legno su cui erano riposti barattoli in latta e scatole il cui contenuto era esplicitato da etichette colorate; una parete era occupata da una grossa insegna rovinata, accanto alla quale c'erano pile e pile di vecchi volantini pubblicitari e poster promozionali.

«Potter non mentiva», commentò Blaise, guardandosi intorno con espressione assorta, mentre Luna osservava con insistenza un angolo della stanza in cui non c'era niente.

In quel momento comparve Ambrosius Flume dalla rampa di scale in pietra che collegava la cantina e il negozio soprastante, aveva un barattolo in vetro vuoto tra le mani e un sorriso pensieroso sulle labbra.

«Voi come avete fatto a entrare qui?», chiese con voce sorpresa l'uomo, osservandoci confuso.

«Arriviamo dal castello», lo informai, indicando il passaggio alle mie spalle: «Siamo qua perché pensiamo che ci siano dei Mangiamorte nei paraggi e dobbiamo riportare gli studenti a Hogwarts, dove saranno più al sicuro».

Mantenni un tono di voce calmo e professionale mentre parlavo al signor Flume, sfoggiando il mio sorriso più rassicurante.

In un primo momento il proprietario di Mielandia mi parve terrorizzato e incerto sul da farsi, poi dopo aver preso un profondo respiro e aver raddrizzato la schiena annuì deciso: «Potete contare sul mio aiuto».

Sorrisi soddisfatta: «Grazie, signor Flume. Io e i miei amici ora andremo a cercare i nostri compagni, la prego di non allarmare nessuno con questa notizia per il momento», iniziai a salire la scala in pietra, avvicinandomi all'uomo: «Cercheremo di fare in fretta, così che lei possa poi chiudere il negozio e nascondersi con sua moglie».

Il proprietario di Mielandia mi fece segno di seguirlo nel retro bottega, poi nel negozio, dove un gruppo numeroso di studenti di Hogwarts stava osservando i dolciumi esposti: «Come può notare, signorina, molti sono già qua».

Annuii soddisfatta e, voltandomi verso Blaise e Luna dissi: «Occupatevene voi, io vado a cercare Padma».

Non diedi loro il tempo di ribattere e mi feci spazio tra la folla di ragazzini, diretta verso l'uscita.

Quella era la prima volta che mettevo piede a Mielandia; l'avevo sempre trovato un posto poco adatto a una purosangue come me (sempre attenta alla linea e alla reputazione) eppure in quel momento, mentre notavo di sfuggita la meraviglia e l'eccitazione sui volti dei ragazzini del terzo anno, mi resi conto di aver perso per sempre la possibilità di sperimentare una gioia così innocente e pura.

Una volta uscita da Mielandia, osservai la strada poco trafficata e i negozi più vicini. Scartai subito l'atelier di Madame Polette; Padma aveva tante doti, ma il senso della moda non rientrava tra esse.

Decisi di tentare la sorte ai Tre Manici di Scopa, dove trovai altri studenti, che indirizzai verso Mielandia senza scatenare troppo il panico, ma di Padma nemmeno l'ombra.

Cominciai a preoccuparmi seriamente quando non la trovai nemmeno nel negozio dedicato agli oggetti di cancelleria.

Feci quasi per tornare verso l'atelier di Madame Polette, quando ricordai di averla vista più volte, all'inizio dell'anno scolastico, entrare nel negozietto di libri che avevo sempre snobbato: Books & Fun.

Si trovava in una viuzza laterale e da fuori aveva l'aspetto di un ambiente polveroso e poco ospitale.

Quando entrai, storcendo il naso per la puzza di muffa, non riuscii a trattenere uno starnuto, dettato dalla mia allergia.

La proprietaria, una signora sulla cinquantina con numerosi anelli alle orecchie e un gatto bianco acciambellato sul registratore di cassa, mi sorrise, sfoggiando la dentatura storta: «Benvenuta, se hai bisogno non hai che da chiedere».

Sfoggiai un sorriso di circostanza e mi nascosi alla vista della donna, imboccando il corridoio di scaffali e libri più vicino.

Non dovetti cercare molto prima di scorgere la chioma color ebano di Padma Patil che, dandomi le spalle, osservava i titoli della sezione "romanzi rosa" di fronte a sé.

Rimasi a osservarla per qualche secondo; ero meravigliata dal suo interesse per temi considerati comunemente frivoli e, allo stesso tempo, affascinata all'idea che dietro alla sua aria seria e impenetrabile si nascondesse un animo sensibile.

Padma allungò una mano per afferrare il dorso di un libro dalla copertina celeste, il cui titolo, "Accio marito", era scritto in oro.

Si spostò verso la finestrella alla sua sinistra, così da poter leggere la trama alla fioca luce esterna.

Non riuscii a trattenermi e starnutii ancora una volta.

Fu in quel momento che mi notò: i suoi espressivi occhi scuri si sollevarono dalla lettura, incrociando i miei.

«Cosa ci fai tu qui?», mi chiese bruscamente, posando il libro dalla copertina celeste sullo scaffale.

Grazie alla luce che giungeva dalla finestrella e le illuminava il viso, potei notare le sue gote arrossate.

«Sono qua per salvarti la vita», dissi, sfoggiando uno dei miei migliori sorrisi.

La mia entrata in scena trionfale venne però rovinata dalla mia allergia agli acari, che mi fece starnutire di nuovo. 

Padma aggrottò brevemente le sopracciglia, poi con aria annoiata, sollevò gli occhi al cielo: «Se fai riferimento a un punto di vista spirituale cristiano e quindi alla concezione che le persone omosessuali, una volta morte, finiscono all'inferno, non ho bisogno di essere salvata. Sono atea e pronta a correre il rischio, grazie».

Socchiusi le labbra per la sorpresa, starnutii e poi sorrisi divertita: «Non sono cristiana, e comunque sarebbe molto ipocrita da parte mia cercare di salvare la tua anima, ma non la mia».

«Oh, giusto, perché anche tu sei omosessuale, certo», commentò con tono ironico, sfoggiando una smorfia annoiata.

«Senti», iniziai, prima di starnutire ancora una volta: «rimarrei qui a discutere con te del mio orientamento sessuale per ore, ma in questo momento non abbiamo tempo. Dobbiamo tornare al castello, molto probabilmente siamo sotto attacco e...», starnutii ancora: «... e Hogsmeade non è un luogo sicuro, sono qua per riportare ogni studente di Hogwarts indietro», dissi, recuperando il mio fazzoletto di cotone, sul quale erano ricamate le mie iniziali, per soffiarmi il naso.

L'espressione di Padma si fece seria e preoccupata: «Cos'è successo?»

Starnutii ancora una volta, poi dissi: «Dobbiamo raggiungere Mielandia, posso raccontarti tutto durante il tragitto».

Padma annuì, poi mi puntò un dito contro: «Se scopro che questo è uno dei tuoi giochetti, Greengrass, me la paghi».

Sorrisi maliziosamente: «Se ti riferisci a punizioni corporali durante il sesso, potrebbero anche piacermi», le dissi, starnutendo ancora una volta.

«No, Greengrass, mi riferisco alle maledizioni senza perdono», disse con tono tagliente, poi mentre mi osservava le comparve un sorrise quasi tenero: «Sei allergica a qualcosa, Greengrass?»

«Sì, agli acari della polvere. Andiamo?», la incitai, dirigendomi verso l'uscita.

«Le consiglio di chiudere e nascondersi, gira voce che ci siano Mangiamorte in zona», dissi alla stramba proprietaria del negozio: «E magari potrebbe anche dare una pulita in giro, non so se ha notato, ma è tutto ricoperto di polvere».

Una volta fuori da quel luogo infernale, notai che aveva iniziato a piovere e i sampietrini delle strade erano diventati pericolosamente scivolosi.

Mi soffiai ancora una volta il naso e mi sfregai gli occhi lucidi e gonfi. 

Padma mi affiancò: «Tutto bene?»

«Sì, passerà a breve», la rassicurai, prima di iniziare a dirigermi con passo spedito verso Mielandia.

«É stata la Granger a dare l'allarme», iniziai a raccontarle, cercando di farmi sentire oltre al rumore della pioggia, che aveva iniziato a farsi più insistente: «a quanto pare Draco è stato rapito da quella che si crede essere Bellatrix Lestrange con l'aspetto della professoressa Bing. La McGranitt ha chiamato gli Auror, ma ci metteranno un po' ad arrivare, per questo sono venuta qua di nascosto con Lovegood e Zabini, per riportare gli studenti al sicuro al castello».

«Non ti facevo tanto coraggiosa e altruista, Greengrass».

«Infatti non lo sono», ammisi, guardandola: «Sono solo avventata e testarda».

Padma smise di camminare, costringendomi a fermarmi a mia volta in mezzo alla strada.

La pioggia aveva inzuppato il suo mantello e i suoi capelli, che le ricadevano in grosse ciocche appesantite dall'acqua sulle spalle. Si passò una mano sul viso, nel tentativo di asciugarselo: «Sei venuta qua per me? Perché sapevi che io ero ad Hogsmeade?»

«Se anche fosse?», dissi, facendo spallucce.

Padma annuì lentamente, osservando i sampietrini ai suoi piedi, poi sollevò lo sguardo su di me, non riuscivo a leggere le emozioni sul suo viso, ma rimasi incantata dal modo in cui l'acqua accarezzava la pelle ambrata del suo viso.

«Se entro domani tutto questo sarà finito, ci vediamo alle dieci e mezza alla torre di Astronomia».

Sbarrai leggermente gli occhi per la sorpresa, mentre un sorriso di pura gioia mi illuminava il viso.

«Non montarti la testa Greengrass, parleremo soltanto», aggiunse, riprendendo a camminare verso Mielandia.

La seguii, sostenendo il suo passo veloce e ogni tanto spiavo la sua espressione impassibile, chiedendomi quali emozioni e pensieri celasse.

Avevo desiderato così tanto la possibilità che mi stava dando, la possibilità di parlare con lei, di conoscerla e farmi conoscere, che continuavo a pensare che non poteva essere vero.

Entrammo a Mielandia poco dopo. Dentro al negozio di dolciumi c'era Blaise, appoggiato svogliatamente al registratore di cassa.

«Finalmente, Daph, cominciavo a pensare che fossi morta», disse Zabini, sospirando: «Andiamo, Luna è in cantina a gestire i bambini».

«Cantina?», chiese Padma, seguendo me e Zabini nel retrobottega.

«Oh, sì», dissi, sollevando le spalle: «Potter è stato così gentile da rivelarci la presenza di questo passaggio segreto, che dalla statua della Strega Orba al terzo piano ad Hogwarts porta alla cantina di Mielandia».

Padma mi osservò con gli occhi sbarrati dalla sorpresa e io annuii: «Lo so, lo so. Nemmeno noi sapevamo nulla, ma stiamo parlando di Potter, quello probabilmente conosce la scuola meglio della Preside».

Il ritorno ad Hogwarts fu veloce e grazie alle precedenti pulizie al tunnel, starnutii solo una volta o due. Padma mi rimase vicina per quasi tutto il tempo, senza dire una parola. Non avevo intenzione di lamentarmi però, non quando ero riuscita ad ottenere una qualche sorta di appuntamento per la sera dopo. Mi arrischiai soltanto a chiederle se stesse bene, ottenendo come risposta un cenno del capo.

Una volta arrivati al terzo piano del castello, Luna e Blaise si offrirono per accompagnare i più piccini nelle cucine di Hogwarts, mentre io e Padma facemmo strada agli studenti più grandi, che si erano detti disposti a combattere in caso di necessità, verso la Sala Grande.

«Nel caso non dovesse finire tutto entro domani, possiamo avere un giorno e un orario d'incontro alternativo?», le chiesi a bassa voce, facendo attenzione a non essere udita dagli altri studenti.

«Non è il momento, Greengrass», rispose lei, lanciandomi un'occhiataccia.

«Se lo dici tu», borbottai, sollevando gli occhi al cielo.

Arrivata in Sala Grande notai che la situazione era simile a quella che avevo lasciato poco prima, gli studenti erano divisi in diversi gruppetti, che si consultavano animatamente su quanto stesse accadendo, i professori anche facevano il punto della situazione borbottando tra di loro, mentre Harry Potter, seduto al tavolo Grifondoro, stava parlando da solo con la Preside.

Stavo per avvicinarmi alla prima divisa Serpeverde nei paraggi per chiedere cosa stesse succedendo, quando mi passò accanto una figura eterea. Sussultai per la sorpresa, credendo in un primo momento, che quello che avevo visto fosse un fantasma del castello. Mi dovetti ricredere quando misi a fuoco la creatura e mi resi conto che non era umana, ma era un cane.

Un Jack Russell Terrier si stava dirigendo verso Harry Potter.

Osservai la scena con la fronte aggrottata dalla confusione: «E quello cos'è?»

«Credo sia...», ma Padma non riuscì a finire la frase, perché Harry Potter la interruppe, attirando l'attenzione dell'intera Sala Grande su di sé: «Professoressa, quello è il patronus di Ron, dobbiamo andare al platano picchiatore, devono aver trovato Malfoy o Lestrange, o entrambi!».

L'istante dopo fu il caos.
 

 

****

Ciao a tutti*!

Eccoci arrivati alla fine di un altro capitolo, questa volta dal punto di vista di Daphne.

Intanto vi farei le solite domande di routine: cosa ne pensate? Vi è piaciuto il capitolo? Avete voglia e tempo di lasciarmi una recensione per farmi sapere il vostro pensiero al riguardo?

Non è stato facilissimo entrare nella testa di Daphne, ma direi che l'immedesimazione c'è stata, dato che mentre scrivevo il capitolo continuavo a starnutire e no, da quello che so io non ho allergie. 

(Vi giuro che è successo davvero, non me lo sto inventando)

Piccole precisazioni riguardo al capitolo: non ricordo (e non sono riuscita a trovare informazioni al riguardo), se nei negozi magici ci sono dei registratori di cassa simili a quelli babbani o meno. Io li ho inseriti comunque, ma nel caso qualcuno di voi sapesse qualcosa al riguardo, fatemelo sapere.

Per quanto riguarda i negozi che ho nominato oltre a Mielandia e i Tre Manici di Scopa, ossia l'atelier di Madame Polette, Books & Fun e il negozio di cancelleria, me li sono inventati di sana pianta.

Detto ciò, vi ricordo che, chi volesse, può seguirmi su Instagram (il nome dell'account è: lazysoul_efp), per sapere in anticipo aggiornamenti e informazioni sulle storie.

Vi auguro una buona giornata e vi abbraccio forte!

Un bacio,

LazySoul

 

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Capitolo 14
*** Draco's health ***


14. Draco's health




·≈· HERMIONE'S POV ·≈·



 

Mi allontanai dal capezzale di Malfoy solo quando Madama Chips mi intimò di uscire dall'infermeria, così da lasciarle lo spazio necessario per visitare il paziente.

Quei pochi minuti furono una tortura.

Eravamo riusciti a trasportare Draco al castello, solo quando Harry, la McGrannitt, Neville e Hagrid erano giunti alla Stramberga Strillante, seguendo il Patronus inviato da Ronald.

Era stato piuttosto facile a quel punto organizzarsi in modo da portare la professoressa Bing e Draco in infermeria mentre Ron, Harry e la McGranitt rimanevano a sorvegliare Bellatrix e Mulciber.

Ancora più facile fu consegnare nelle mani degli Auror i due Mangiamorte, quando giunsero al castello.

Appoggiata al corridoio di fronte all'Infermeria pensavo a quanto fosse stato tutto fin troppo facile, tanto da farmi sospettare che quanto avvenuto quel giorno fosse soltanto l'inizio.

Era probabilmente la mia paranoia a farmi temere ulteriori attacchi ad Hogwarts, o forse semplicemente il fatto che era successo talmente tante volte, che non mi sarei stupita se fosse accaduto di nuovo.

Presi a passeggiare avanti e indietro lungo il corridoio, non perdendo di vista la porta dell'Infermeria e torcendomi le mani per il nervosismo.

Sapevo che la situazione di Draco non era grave, eppure non potevo fare a meno di preoccuparmi.

"Se va avanti così finirò coll'avere i capelli bianchi prima dei vent'anni", pensai, sospirando amaramente.

In quel momento sentii un rumore di passi in avvicinamento e, alzando lo sguardo, vidi Luna Lovegood.

«Malfoy e la Professoressa Bing come stanno?», chiese la bionda, appoggiandosi al muro accanto a me.

A quelle parole non potei fare a meno di sentire una punta d'imbarazzo e senso di colpa.

Ero lì a tormentarmi al pensiero di cosa stesse succedendo a Draco in Infermeria in quel momento e non avevo dedicato nemmeno un pensiero alla nuova Professoressa di Pozioni che, sicuramente, era messa peggio del mio ragazzo.

«Madama Chips mi ha detto di uscire mentre li visitava, lo sapremo presto», dissi, abbassando lo sguardo sulle mia scarpe: «Spero non sia nulla di grave».

«Lo speriamo tutti», disse Luna, appoggiandomi la mano sulla spalla, sorridendomi appena.

Quel semplice gesto da parte sua riuscì a confortarmi all'istante: «Com'è andata ad Hogsmeade?», le chiesi, ricordandomi che anche lei aveva avuto modo di rischiare la vita quel giorno.

«Bene», disse con noncuranza, poi un sorriso le comparve sulle labbra e con un tono di voce basso, quasi cospiratorio, aggiunse: «Non pensavo che Daphne fosse così cotta di Padma».

Quelle parole erano proprio ciò di cui avevo bisogno per distrarmi e pensare a qualcosa che non fosse Draco.

«Cos'è successo?», chiesi, colma di curiosità.

«In realtà niente di particolare, ma il modo in cui Daphne guarda Padma è molto dolce», disse la Corvonero, l'espressione intenerita da uno sguardo sognante: «Padma ha sofferto molto, penso che le farebbe bene trovare qualcuno che la tratti bene e la rispetti».

Rimanemmo in silenzio per qualche secondo e non potei fare a meno di pensare alla Parkinson; anche lei meritava di essere felice, malgrado fosse convinta del contrario. Avrei voluto parlarle, una volta che mi fossi accertata dello stato di salute di Draco, ma avevo paura di peggiorare soltanto le cose.

«Blaise come sta?», chiesi alla Corvonero, rendendomi conto tardi di aver fatto la domanda sbagliata; lo sguardo prima sereno di Luna si adombrò alle mie parole.

«Bene», disse, muovendosi a disagio.

«É successo qualcosa?», domandai, non riuscendo a trattenere la curiosità.

«Ho come l'impressione di non essere la persona adatta a lui», disse con un filo di voce Luna, giocando nervosamente con una ciocca di capelli che le era sfuggita dalla treccia: «A volte mi sento in colpa per non essere come lui avrebbe bisogno che io fossi».

Aggrottai le sopracciglia, confusa dal discorso della Corvonero: «Se lui avesse bisogno di altro non starebbe con te, Luna».

La ragazza non sembrò nemmeno sentire le mie parole, continuava ad avere lo sguardo perso a fissare il pavimento sotto ai suoi piedi, poi sorrise appena: «Dici che mi sto preoccupando per nulla?»

«Se la tua preoccupazione riguarda il fatto che Blaise possa volere un'altra persona, invece che te, sì, penso che tu ti stia preoccupando per nulla», la rassicurai, sorridendole calorosamente.

In quel momento Madama Chips fece la sua apparizione di fronte a noi, con la divisa bianca stirata alla perfezione e i capelli raccolti in uno chignon stretto.

L'espressione sul suo viso era seria, mentre parlava: «Sapete dove si trova la Preside?»

«L'ultima volta che l'ho vista, stava parlando con gli Auror nell'atrio della scuola», disse Luna, con sguardo pensieroso: «Ha bisogno che la vada a chiamare?»

Madama Chips sembrò rifletterci per qualche secondo, passandosi una mano sulla divisa immacolata: «Forse sarebbe meglio».

La poca calma, che avevo provato, fino a pochi secondi prima con Luna, evaporò all'istante, sostituita da una morsa di paura.

Possibile che avessi sottovalutato la condizione fisica di Draco? Possibile che stesse peggio di quanto pensassi? 

Luna si allontanò dall'infermeria a passi veloci, ma non ci prestai molta attenzione, mentre osservavo il volto adornato da rughe di Madama Chips.

«É successo qualcosa a Draco?», chiesi, faticando io stessa a riconoscere la mia voce, da quanto era alterata dalla preoccupazione.

La donna spostò lo sguardo su di me e la rigidezza sul suo volto scomparve, sostituita da un'espressione quasi dolce, rassicurante: «No, cara, il signor Malfoy sta bene».

Bastarono quelle poche parole per far scomparire il peso che mi comprimeva il petto e sostituirlo con un senso di pace e leggerezza

«Posso entrare a fargli compagnia?», chiesi speranzosa, osservando la porta dell'Infermeria alle spalle della donna.

«Certo, al momento sta dormendo, ma gli farà di certo piacere avere qualcuno accanto quando riprenderà conoscenza», disse la donna, sorridendo teneramente: «Mi raccomando solo di non disturbare la Professoressa Bing».

Annuii, ringraziando Madama Chips, prima di entrare con passo deciso in Infermeria.

Trovai Malfoy nel lettino in cui l'avevo abbandonato pochi minuti prima, avvolto dalle lenzuola immacolate.

Il volto, tanto pallido da ricordarmi quello di un cadavere, era rilassato nel sonno. L'unica cosa che mi permetteva di capire che fosse vivo era l'alzarsi e abbassarsi del suo petto e il rumore lieve del tuo respiro che fuoriusciva dalle labbra socchiuse.

Mi sedetti sulla sedia che avevo lasciato poco prima accanto al suo letto e mi sporsi in modo da appoggiare il braccio al cuscino su cui era adagiato il suo capo.

Iniziai a giocare con le ciocche chiare dei suoi capelli, ringraziando di poter ancora compiere un gesto tanto semplice. Gli scostai alcuni ciuffi dalla fronte e non potei fare a meno di sorridere.

Ne avevamo passate molte negli ultimi mesi.

Il Mondo Magico aveva subito atroci perdite, ognuno di noi aveva sofferto per la morte di una o più persone care; ma il fatto di avere lui nella mia vita, di avere amici cari come Harry e Ronald, di avere persone che mi volevano bene come Luna e Ginny, mi trasmetteva un senso di conforto e appartenenza.

Se non fosse stato per loro non sarei stata la donna che ero diventata.

E dovevo tutto a momenti specifici dei miei anni ad Hogwarts, che mi avevano permesso di entrare a far parte della vita di persone così speciali; primo fra tutti l'incidente con il Troll di montagna nel bagno delle ragazze.

Se non fosse stato per quell'episodio, probabilmente la mia amicizia con Harry e Ronald non si sarebbe tramutata in un sentimento di fratellanza tanto forte.

Accarezzai il volto di Malfoy e il sorriso mi si allargò.

Se non fosse stato per la scommessa di qualche mese prima, io e lui avremmo continuato a vivere le nostre vite separate, continuando ad insultarci e a disprezzarci per abitudine, senza superare il pregiudizio che ci ancorava a pensieri bigotti.

Sentii un rumore di passi e, alzando lo sguardo, vidi la Preside e Madama Chips entrare con passi veloci in infermeria, parlando tra loro con tono concitato.

«La Professoressa Bing necessita di cure specifiche, temo di non poterle fornire tutto il supporto di cui potrebbe avere bisogno una volta sveglia, sembra che le maledizioni Cruciatus possano averle danneggiato la mente. Sfortunatamente non posso esserne certa, per questo dovrebbe essere trasferita al San Mungo».

«Certo, Poppy, provvederò subito al trasferimento», disse la Preside, prima di abbassare il tono di voce e confabulare ancora per qualche secondo con l'infermiera.

Non riuscii a sentire quello che si stavano dicendo, ma non ci feci troppo caso, tornando a prestare tutte le mie attenzioni a Draco e al suo volto che sembrava, lentamente, riprendere un po' di colorito.

Le due donne attirarono nuovamente la mia attenzione quando la Preside disse con tono di voce abbastanza alto e comprensibile: «Ne riparleremo presto Poppy, scusami ma oltre al trasferimento della professoressa Bing devo anche trovare un sostituto o una sostituta disposto a prendere il suo posto per il resto dell'anno. Troppe cose da sistemare e troppo poco tempo per occuparsi di tutto».

Dopo aver posato la mano sulla spalla di Madama Chips per qualche secondo, la Preside si allontanò.

L'infermiera dopo aver sospirano amaramente, andò nel suo ufficio, dove erano contenute le scorte di pozioni medicinali e tomi di medicina e anatomia impolverati.

Osservai da lontano la Professoressa Bing che, sdraiata su un letto dalla parte opposta della stanza rispetto a dove si trovava Draco, sembrava respirare affannosamente, come se l'aria che inspirava non bastasse a riempirle i polmoni. 

Ero profondamente dispiaciuta da quanto le era successo. Anche se non la conoscevo bene — avendola avuta come docente per solo una settimana — mi era sembrata una donna molto ben preparata e entusiasta di insegnare, proprio il tipo di professoressa che avrei voluto avere per ogni materia scolastica. Mi ritrovai a sperare che i timori di Madama Chips fossero infondati e che le maledizioni Cruciatus, che aveva dovuto subire, non avessero provocato alcun danno alla sua mente.

Percepii un movimento accanto a me e, voltandomi verso il letto sul quale ero appoggiata, notai che Draco si era leggermente mosso, spostando il capo nella la mia direzione.

Mi sorse spontaneo un sorriso, mentre pensavo: "Non ti stavo prestando abbastanza attenzioni, furetto?"

Tornai a giocare con i suoi capelli fini e morbidi, in attesa che aprisse gli occhi.

Ero tentata di cercare qualcosa da leggere o qualcos'altro da fare, mentre attendevo che si svegliasse, ma non volevo che riprendesse coscienza da solo in Infermeria, così decisi di non abbandonare il suo capezzale.

Dopo qualche minuto mi raggiunsero anche Harry e Ron in Infermeria, ai quali raccontai che la Professoressa Bing sarebbe stata trasferita al San Mungo, mentre Draco era stato fortunato e si sarebbe ripreso presto.

I miei due amici mi raccontarono invece nei minimi dettagli le espressioni stupite degli Auror, quando arrivati ad Hogwarts si erano ritrovati i due Mangiamorte già pronti per Azkaban.

«Peccato che tu non li abbia visti, Herm!», esclamò il rosso, appoggiandomi la mano sulla spalla: «Tu rimani qua?»

Annuii, spostando lo sguardo sul volto addormentato di Draco: «Aspetto che si svegli, poi vi raggiungo».

Harry mi sorrise: «Ci vediamo in Sala Grande allora, la McGranitt ha detto di voler fare un discorso».

«Dici che dobbiamo per forza ascoltarlo?», chiese Ronald con espressione affranta, facendo ridere Harry.

Sospirai: «Sei sempre il solito, Ron».

Quando se ne furono andati riflettei su cosa avrebbe potuto dire la Preside a tutta scuola. Voleva forse chiudere prima delle vacanze di Natale e riprendere poi le lezioni con l'anno nuovo? Avrebbe potuto aver senso, dato che al momento eravamo a corto di un docente. O forse avrebbe annunciato che le lezioni sarebbero continuate, tranne quella di Pozioni? 

Il respiro regolare che aveva cullato i miei pensieri fino a quel momento cambiò, attirando la mia attenzione.

Draco emise un gemito di dolore, portandosi una mano alla fronte, poi i suoi occhi chiari si socchiusero appena: «Dov'è zia Bella?»

«Degli Auror la stanno accompagnando ad Azkaban», lo rassicurai, poggiando la mano sulla sua guancia tiepida: «Come stai?»

«Potrei stare meglio», si lamentò, una smorfia ben visibile sul suo volto pallido: «Quindi è tutto finito?»

«Sembra di sì».

«Finché Potty rimarrà in vita ci sarà sempre qualche lunatico che vorrà farlo fuori», borbottò Draco, chiudendo gli occhi per qualche istante.

Quando tornò ad aprirli li puntò nei miei: «Se non ricordo male tu mi avevi promesso "tutti i baci che voglio"».

Socchiusi le labbra, sorpresa che non avesse dimenticato le mie parole, poi sorrisi: «E li vuoi ricevere ora?».

«Posso?»

Mi sporsi sul letto, avvicinandomi: «Certo che puoi».

Poggiai le mie labbra sulle sue per un veloce bacio a stampo, poi mi ritrassi: «Sono felice che tu stia bene».

Gli diedi un altro bacio e poi un altro ancora.

Quando stavo per scostarmi di nuovo, la mano di Malfoy si appoggiò sulla mia nuca, impedendomelo, così da approfondire il bacio.

«Merlino, temevo che non l'avrei più potuto fare», sussurrò Draco a pochi millimetri dalle mie labbra.

« E invece ti toccherà sopportarmi ancora per un po'», gli dissi, sorridendo.

«Lo dici come se fosse una condanna».

«E non lo è?», chiesi per stuzzicarlo, baciandogli la punta del naso.

«No, non lo è», sussurrò, sporgendosi per far scontrare le nostre labbra ancora una volta.



 

*****

Buongiorno!

Eccoci alla fine di un altro capitolo. 

Come avete letto, tutto sembra essersi sistemato, Lestrange e Mulciber sono stati trasferiti ad Azkaban, la Professoressa Bing riceverà cure specifiche al San Mungo e Draco sta bene.

Siamo vicini alla fine della storia, ancora non so quanti capitoli rimangono nello specifico (perché la scaletta che mi sono preparata potrebbe cambiare), ma vi terrò aggiornati.

Al prossimo capitolo!

Un bacio,

LazySoul

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Capitolo 15
*** I think about it too ***


15. I think about it too


·≈· LUNA'S POV ·≈·
 


 

Stretta tra le braccia di Blaise, faticavo a credere che fosse davvero tutto finito.

La McGranitt stava intimando il silenzio, fulminando con lo sguardo i pochi studenti che continuavano a parlottare nelle ultime file.

Aveva voluto raccogliere tutti quanti in Sala Grande per tenere un discorso importante, le uniche persone che mancavano erano Hermione Granger, Draco Malfoy e la Professoressa Bing, i quali si trovavano tutti e tre in Infermeria.

Nel caso fosse stato necessario, ero disposta a occuparmi personalmente di riferire ad Hermione le parole che stavano per uscire dalle labbra della Preside.

Appoggiai la nuca contro la spalla del mio ragazzo che mi circondava da dietro in un abbraccio protettivo e dolce: «Profumi di caffè», gli dissi, lasciandogli un bacio leggero sul collo.

«Mentre ero nelle cucine prima ne ho rubato un po'», ammise, poggiando le labbra sulla mia fronte: «Tu profumi di lavanda».

«Silenzio!», esclamò la Preside, utilizzando un incantesimo per amplificare il suono della sua voce: «Vi ho chiesto di raccogliervi qui, per parlare e chiarire quello che è successo oggi e quali ripercussioni ci saranno nelle prossime settimane, prima delle vacanze di Natale, rispetto al normale svolgimento delle lezioni».

«Secondo te ci rimanderà a casa prima?», mi sussurrò Blaise all'orecchio, iniziando a muovere il pollice della mano, appoggiata alla mia pancia, su e giù, provocandomi dolci brividi.

«Shhh», gli intimai, intrecciando le mie dita con le sue.

Con quel semplice gesto, riuscii a interrompere la tortura del suo pollice, così da tornare a prestare attenzione alle parole della McGranitt e da sedare la voglia che avevo di baciarlo.

«... Professoressa Bing e Draco Malfoy sono entrambi in salvo. La prima è stata da poco trasferita al San Mungo per ricevere le cure mediche necessarie, mentre il signor Malfoy si trova in Infermeria, nelle mani di Madama Chips, la quale mi ha assicurato che il ragazzo si riprenderà entro due giorni al massimo. I due Mangiamorte responsabili di quanto accaduto quest'oggi, Bellatrix Lestrange e Mulciber, sono stati consegnati poco fa agli Auror e mi è stato comunicato tramite gufo, che entrambi si trovano dietro le sbarre di Azkaban in questo preciso momento».

Il corpo studentesco raccolto eruppe in urla di gioia e applausi, ai quali mi aggiunsi a mia volta, con un sorriso orgoglioso sulle labbra, mentre Blaise, le mani ancora sul mio corpo, fischiò rumorosamente, facendomi dolere i timpani.

La Preside attese qualche secondo, poi, appena tornò il silenzio, riprese il discorso: «Provvederò personalmente a migliorare le difese di Hogwarts, per garantire a tutti voi e agli studenti futuri di non dover incappare in altri spiacevoli incidenti...»

«Mi sembra il minimo», borbottò Pansy Parkinson, che notai in quel momento trovarsi poco distante da noi, aveva un'espressione di pura sofferenza in volto.

«... Il normale svolgimento delle lezioni riprenderà da domani fino alle vacanze di Natale, senza subire alcun tipo di variazioni, tranne per quanto riguarda le lezioni di Pozioni che sono momentaneamente sospese, dato che la Professoressa Bing è impossibilitata a tornare a insegnare e ancora non è stato individuato un sostituto o una sostituta disposto a prendere l'incarico. Per sicurezza mi sento di dover impedire ulteriori gite a Hogsmeade per le prossime settimane, le gite riprenderanno regolarmente con l'arrivo del nuovo anno. Questa sera, alla solita ora verrà servita la cena, ora potete tornare nelle vostre sala comuni, nel caso qualcuno di voi dovesse notare qualcosa di strano o avesse bisogno di parlare con qualcuno, noi docenti rimaniamo a vostra disposizione».

Un altro applauso generale, anche se meno entusiasta rispetto a quello precedente, si levò in Sala Grande, mentre molti studenti iniziavano a fluire verso le scale o i sotterranei.

Una delle prime persone che notai fuggire da quell'assembramento fu Pansy Parkinson.

«Allora», disse Blaise, appoggiando il mento sulla mia testa: «Cosa vuoi fare?»

Il cuore nel mio petto batté un po' più forte, mentre le mie guance si facevano rosse fuoco.

Senza pensarci troppo mi districai dalla presa del mio ragazzo intorno al mio corpo e, prendendolo per mano, iniziai a dirigermi verso le scale.

«Dobbiamo parlare», gli dissi semplicemente, mentre prendevo la rampa che ci avrebbe portati più vicini al settimo piano. Ero intenzionata ad avere una conversazione seria con lui nella Stanza delle Necessità, dove ero sicura che non saremmo stati disturbati.

«Di cosa?», chiese Blaise, con tono di voce curioso: «Devo preoccuparmi?»

Sorrisi, scuotendo la testa: «Non credo».

«Non mi stai rassicurando molto, Lù», disse, pizzicandomi il fianco con la mano libera.

«Lù?», ripetei, aggrottando la fronte. 

Fermai la mia avanzata lungo i corridoi, per poterlo guardare dritto negli occhi; era la prima volta che lo sentivo apostrofarmi in quel modo.

«Non ti piace?», mi chiese con una smorfia d'incertezza in volto.

Scossi la testa: «Non ho detto che non mi piace», dissi, passandogli una mano tra i capelli folti: «É carino».

Blaise si abbassò per darmi un bacio, poi si guardò intorno: «É qua che volevi parlare? In mezzo al corridoio del quarto piano?».

«No», dissi, abbassando lo sguardo imbarazzata, prima di riprendere a marciare verso la Stanza delle Necessità.

L'ultima volta che c'eravamo stati era stato per recuperare il diadema di Priscilla Corvonero. Sembravano essere passati mesi, invece che pochi giorni.

«Posso sapere in anticipo di cosa vorresti parlare?», chiese Blaise.

«No», gli dissi, fermandomi di fronte all'Arazzo di Barnaba il Babbeo bastonato dai Troll.

«Stanza delle Necessità; avrei dovuto immaginarlo», mi disse, guardandomi dritto negli occhi.

Scorsi un sentimento che non riuscii ad identificare in quelle sue iridi blu, ma non mi lasciai distrarre e passando tre volte di fronte alla parete spoglia, chiesi una stanza dove poter parlare senza essere disturbati.

Blaise mi aprì la porta magicamente apparsa con un mezzo inchino: «Prima le signore», disse, facendomi ridere.

«Che cavaliere d'altri tempi», commentai.

La stanza era molto semplice e spoglia, composta da un divano e un paio di poltrone rosse, un tappeto persiano a terra e le pareti bianche prive di decorazioni.

Ero particolarmente soddisfatta di quell'ambiente, dove non era presente alcun elemento che avrebbe potuto effettivamente disturbarci, durante la nostra conversazione.

Blaise si chiuse la porta alle spalle: «Ora posso sapere di cosa vuoi parlare?»

«Sediamoci», gli dissi, afferrandogli la mano e guidandolo fino al divano rosso.

Rimanemmo in silenzio per qualche secondo, poi presi un profondo respiro e iniziai a parlare, osservandolo negli occhi per studiare ogni sua reazione: «Stavo pensando a quello che mi hai detto questa mattina, prima che Lestrange rapisse Malfoy».

Un'ombra gli attraversò lo sguardo e una mano si posò sulla mia bocca, zittendomi momentaneamente: «Ti avevo detto che non volevo che...»

Poggiai a mia volta la mano sulle sue labbra.

«Cosa stai facendo?», mi chiese, la voce attutita dalle mie dita.

«Quello che stai facendo tu: provo a zittirti», risposi, con voce altrettanto ovattata.

Quando Blaise mi liberò, feci lo stesso, sorridendogli: «Posso finire di parlare?»

Lui annuì, ma potevo vedere molto chiaramente dalla sua espressione che era preoccupato della piega che stava prendendo la nostra conversazione. 

«Stavo dicendo, che prima pensavo a quello che mi hai detto questa mattina e volevo dirti che anche io vo-vorrei», sentivo le guance bruciarmi per l'imbarazzo e le mani tremarmi per il nervosismo: «Voglio dire, non sei l'unico a pensarci».

Un sorrisetto comparve sulle labbra di Blaise e la sua posa rigida sembrò rilassarsi all'istante, mentre afferrava una mia mano, e iniziava a giocare con le mie dita tremanti.

«Quindi?», sussurrò, incastrando i suoi occhi blu nei miei.

«Quindi», ripetei, muovendomi sul divano in modo da mettermi in ginocchio e poter portare le mia braccia introno al suo collo: «Vorrei che ora tu mi baciassi e magari provassimo qualcosa, con calma».

Blaise si morse il labbro inferiore, osservando la mia bocca per qualche secondo, poi tornò a portare i suoi occhi blu nei miei: «Ora?»

«Sì, ora», dissi, cancellando le distanze per poggiare le mie labbra sulle sue.

Ci baciammo lentamente per una manciata di minuti, prima che Blaise si scostasse e, spostandomi alcune ciocche bionde dietro all'orecchio, dicesse: «Cosa vorresti provare?»

Sapevo di avere già le gote arrossate, ma le sue parole scatenarono un'ulteriore ondata di imbarazzo e colore sul mio viso: «Mi piacerebbe», iniziai, sfilandomi il maglione color pervinca che indossavo, esponendo ai suoi occhi la canotta bianca e il reggiseno color carne che avevo sotto: «Mi piacerebbe sentire la tua bocca qui», completai la frase, indicandogli il mio seno destro.

Blaise spostò lo sguardo dal mio viso al mio petto, un piccolo sorriso sulle labbra: «Ogni tuo desiderio è un ordine», sussurrò aiutandomi a sfilare anche la canottiera e il reggiseno.

Mi morsi forte il labbro inferiore, sospirando pesantemente, quando sentii la sua bocca posarsi sulla mia pelle calda e giocare col mio capezzolo turgido.

Spostai la sua mano, che mi stava sfiorando la schiena, per portarla sul mio seno sinistro: «Toccami», lo incitai, chiudendo per qualche secondo gli occhi, nel tentativo di godere appieno delle sensazioni che provavo in quel momento.

Mi mossi sul divano, portandomi a cavalcioni su di lui, così da facilitargli quella dolce tortura.

Lo sentii gemere, piano, contro la mia pelle e solo in quel momento mi resi conto di aver iniziato a muovere involontariamente il bacino contro il suo.

«Togliti il maglione», gli ordinai, desiderosa di baciare a mia volta la sua pelle.

Sentivo chiaramente la morsa di desiderio che, con quelle semplici attenzioni, il moro era riuscito a creare all'altezza del mio basso ventre. Per sciogliere quella tensione avrei fatto qualsiasi cosa in quel momento.

Quando il torso del ragazzo rimase nudo di fronte ai mie occhi mi sporsi, appoggiando le mie labbra sul suo collo, per poi scendere verso il basso. Cercai di copiare i gesti che poco prima Blaise aveva usato su di me, passando a mia volta la lingua su un suo capezzolo, prima di stringerlo tra le mie labbra e tirare leggermente.

Una mano la portai ad accarezzare il suo torace snello, l'altra la appoggiai sul suo fianco, mentre continuavo a muovere il bacino contro il suo, aumentando la frizione tra i nostri corpi.

«Lù», ansimò, portando entrambe le mani sui miei seni: «Se continuiamo così va a finire che vengo nei pantaloni».

Scostai le labbra dal suo petto, per poggiarle sulla sua bocca. Ci baciammo famelici per qualche istante, poi poggiai entrambe le mani sulla cintura dei suoi pantaloni scuri, iniziando a slacciarla.

La presa di Blaise intorno ai miei polsi bloccò quasi subito i miei movimenti: «Cosa vuoi fare?»

«Voglio farti venire», dissi, rendendomi conto di ciò che avevo appena detto, solo quando ormai le parole avevano abbandonato la mia bocca; sentii subito le mie gote andare a fuoco.

Blaise gemette, premendo le labbra contro le mie: «Non hai idea di quanto tu sia bella in questo momento».

Ci baciammo per qualche secondo, in modo caotico e passionale.

Quando Blaise mi liberò i polsi, tornai a slacciargli la cintura, con le dita che mi tremavano per il nervosismo e l'emozione.

Anche le sue dita andarono subito alla patta dei miei pantaloni e la aprirono: «Posso toccarti?», mi chiese, abbassando appena il tessuto lungo i miei fianchi, esponendo le mie semplici mutande di cotone.

«Sì», acconsentii, iniziando a mia volta ad aprire la patta dei suoi pantaloni.

Il contatto delle dita tiepide di Blaise, che s'insinuarono oltre il bordo delle mie mutante, esplorando la mia pelle bollente e umida, mi fece chiudere chi occhi per qualche secondo, bloccando i miei movimenti.

Gemetti piano, gettando la testa all'indietro, muovendo il bacino per andare incontro ai suoi movimenti delicati.

L'istante dopo mi avventai sulle sue labbra, soffocandovi contro i gemiti che le sue abili dita riuscivano a provocarmi.

«Ti piace?», mi chiese, portando la sua mano libera sul mio seno, aumentando ulteriormente la pressione che sentivo sempre di più nel basso ventre. 

«Non ti fermare», lo pregai, affondando una mano tra i suoi capelli scuri, mentre l'altra s'insinuava oltre il bordo delle sue mutande.

«Luna», gemette, quando iniziai a ricambiare le sue attenzioni; muovendo a mia volta la mano sulla sua eccitazione.

Raggiungere il mio primo orgasmo fu un'esperienza indescrivibile: la pressione che era andata crescendo nel mio basso ventre fino a quel momento non c'era più, sostituita da una calda sensazione di piacere che a ondate mi percorreva interamente, lasciandomi senza parole e pensieri coerenti.

Premetti le labbra contro quelle di Blaise per dargli l'ennesimo bacio, mentre sentivo le gambe continuare a tremarmi e le ondate di piacere scemare.

Riportai la mano sulla sua eccitazione, muovendola piano, tastando la sua durezza e la morbidezza della sua pelle: «Fammi vedere come si fa», dissi, la voce impastata da una piacevole spossatezza.

La mano di Blaise si strinse intorno alla mia, dandomi il giusto ritmo e suggerendomi il movimento del polso che più gli piaceva.

Quando venne anche lui, provai un indescrivibile orgoglio al pensiero di esser stata io a provocargli un piacere simile.

Rimanemmo in quella posizione a lungo, entrambi impigriti dall'orgasmo, felici.

«Lù», mi chiamò, baciandomi la punta del naso: «Penso che dovremmo tornare alla vita reale».

«Non voglio», dissi con tono triste, baciandogli la spalla.

«Ti è piaciuto?», mi chiese, spostando il capo, così da lasciarmi abbastanza spazio per lasciargli lievi carezze e baci sulla pelle esposta del collo.

«Sì, dovremmo rifarlo presto», ammisi, sentendo le mie gote colorarmisi di rosso.

«Quando vuoi», concesse lui, percorrendo con le dita la pelle esposta della mia schiena, provocandomi la pelle d'oca.

Gemetti piano, alzando il capo, così da incrociare le sue iridi blu: «La prossima volta proviamo qualcosa di nuovo».

«Non vedo l'ora».

 

 

***
 

Ciao!

Ho appena finito di scrivere questo capitolo e vorrei tanto avere un Blaise pure io, sono triste.

E niente, spero che il capitolo vi sia piaciuto. 

Scusate se ci ho messo un po' a scriverlo, pensavo di riuscire a pubblicarvelo ieri, ma avevo provato a fare prima il capitolo dal punto di vista di Daphne, ma continuavo a non essere soddisfatta, quindi ho cambiato POV, mettendo quello di Luna e direi che è andata molto bene.

Spero abbiate tempo di farmi sapere cosa ne pensate.

Al prossimo capitolo!

Vi auguro una buona serata e una serena quarantena,

LazySoul

 

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Capitolo 16
*** Our little secret ***


16. Our little secret



·≈· DAPHNE'S POV ·≈·

 

 

Percorrevo i corridoi a passo di marcia, ignorando gli sguardi che mi osservavano curiosi e la stanchezza che annebbiava la mia mente.

Avevo un obiettivo ben preciso in testa e non avevo tempo di preoccuparmi di cose banali come il mio tipico portamento aristocratico o il mio viso che solitamente mostrava indifferenza o malcelato disgusto.

Sapevo come dovevo apparire agli sguardi dei pochi studenti che avevo incrociato per le scale: una Serpeverde scarmigliata con la cravatta della divisa allentata e il mascara leggermente sbavato dopo le interminabili ore di lezione.

Non avevo mai permesso a nessuno, oltre a Pansy e Millicent, di vedermi in uno stato simile, ma in quel momento il mio aspetto fisico non importava; contava soltanto la rabbia e l'umiliazione che mi bruciavano la gola.

Entrai in biblioteca senza rallentare o modificare in alcun modo il mio incedere rumoroso e nervoso.

Ero talmente agitata che ci misi qualche secondo di troppo a individuare la figura che stavo cercando.

Padma Patil era seduta vicino alla scrivania di Madama Pince, aveva il capo piegato su un libro e i capelli lisci color ebano legati in una semplice treccia.

Ignorai la sensazione di malessere che trovarmi in biblioteca e quindi circondata da strati e strati di polvere mi causava e sbattei entrambe le mani sul banco occupato da Padma.

La Corvonero sussultò per lo spavento, alzando i suoi occhi scuri su di me.

Per un istante percepii del timore nel modo in cui sbarrò leggermente gli occhi e socchiuse le labbra; poi Padma abbassò nuovamente lo sguardo sul libro dalle pagine giallognole che aveva di fronte, tornando a ignorarmi.

Non riuscii a trattenermi e starnutii, coprendomi la bocca e il naso con la mano destra.

«Salute», disse la Corvonero in un sussurro.

Mi sporsi sul banco e chiusi di malo modo il libro che Padma stava leggendo, attirando nuovamente su di me i suoi occhi scuri.

«Perché non sei venuta ieri sera?», le chiesi, senza preoccuparmi degli altri studenti, che ci osservavano con vivo interesse, o di Madama Pince che sembrava sul punto di lanciarci contro uno sciame di matite incantate.

Padma sussultò alle mie parole, osservandomi con occhi allucinati.

Sembrava sul punto di rispondermi, quando la figura di Madama Pince si palesò alla nostra destra e con un tono di voce basso e autoritario ci intimò di abbandonare la biblioteca, se il nostro unico scopo era quello di disturbare gli altri studenti.

La Corvonero non sembrò felice di esser stata scacciata, mentre io ero soddisfatta di aver ottenuto in così breve tempo proprio quello che volevo: parlare con Padma Patil, da sole.

Una volta in corridoi, presi un profondo respiro (per quanto il naso chiuso e arrossato per l'allergia mi permetteva) e puntai i miei occhi chiari in quelli scuri di Padma.

«Avevi detto che avremmo parlato, perché non sei venuta?»

In un primo momento la Corvonero sembrò voler evitare il confronto e si allontanò lungo il corridoio con passo di marcia, poi si fermò di fronte alla prima aula vuota e, voltandosi verso di me mi disse: «Hai intenzione di rimanere lì impalata per sempre, Greengrass? O ti decidi a venire?»

Non me lo lasciai ripetere una seconda volta e la raggiunsi in pochi passi, decisa a non lasciarmi sfuggire l'occasione di parlare con lei seriamente una volta per tutte.

Padma si preoccupò di lanciare un incantesimo Muffliato e di bloccare la porta della stanza, così da non essere disturbate, mentre io lanciavo un incantesimo Gratta e Netta per eliminare parte della polvere che ricopriva il mobilio dell'aula.

Rimanemmo a studiarci per qualche secondo, fui io a interrompere il silenzio, ponendo per l'ennesima volta la stessa domanda: «Perché non sei venuta ieri sera?»

Padma sospirò e si sedette sul banco più vicino, lasciando ciondolare le gambe nel vuoto: «Non mi sentivo bene».

La guardai allibita, poi scoppiai a ridere, gettando brevemente il capo all'indietro: «É la scusa più patetica che io abbia mai sentito», dissi, puntando nuovamente i miei occhi su di lei: «Ora puoi dirmi cortesemente la verità, Padma?»

La Corvonero abbassò lo sguardo sulla sua gonna, che le copriva le gambe fino al ginocchio: «Cosa vuoi da me, Greengrass? Una sveltina?»

Sbarrai gli occhi, sorpresa: «Per prima cosa: non si risponde a una domanda con un'altra domanda, dovresti saperlo. Seconda cosa: la tua è una proposta?»

Gli occhi scuri di Padma tornarono su di me, indecifrabili: «No, non è una proposta, Greengrass».

«Oh, peccato», dissi, osservandomi distrattamente le unghie per nascondere la mia delusione: per un attimo avevo davvero pensato che sarebbe stato così facile.

Calò un silenzio teso.

Ancora una volta fui io a interromperlo: «Allora? Hai intenzione di rispondere alla mia domanda?»

Padma sbuffò e sollevò lo sguardo per incontrare il mio: «No».

Il suo tono di voce, secco e deciso, mi provocò un brivido lungo la schiena: ammiravo molto le persone con carattere e non si poteva certo dire che lei non ne avesse da vendere.

Poteva sembrare timida e ingenua, allo stesso modo in cui io potevo sembrare sciocca e debole, ma in realtà aveva abbastanza grinta da tenermi testa.

«Nessuno aveva mai osato darmi buca, Padma», dissi, scandendo molto bene le parole, mentre muovevo un paio di passi verso di lei, accorciando le distanze: «Non mi sembra irragionevole da parte mia, voler sapere il motivo che ti ha spinto a non venire alla Torre di Astronomia ieri sera. Sbaglio, forse?»

«Vuoi la verità, Greengrass?», iniziò lei, alzandosi dal banco su cui era seduta.

«Puoi chiamarmi Daphne», dissi, interrompendola: «O Daph, non c'è bisogno di usare il mio cognome, Padma».

La Corvonero sembrò per qualche secondo senza parole, poi riprese il discorso: «Sono venuta alla Torre di Astronomia ieri sera, solo che, una volta arrivata di fronte alle scale della torre, non sono riuscita a salire».

Mi sembrò fragile, insicura; non era un lato di Padma che avevo mai notato prima di allora e rimasi spaesata per qualche secondo.

Il puzzle misterioso che era Padma si stava lentamente svelando di fronte ai miei occhi.

Avevo sempre pensato che fosse una ragazza molto seria e intelligente, quindi poco avvezza a mostrare i suoi sentimenti o debolezze. Solo in quel momento mi rendevo conto che in realtà indossava una maschera di fredda indifferenza, per tenere lontane le persone e non rimanere ferita.

Quella mia scoperta dimostrava che eravamo più simili di quanto credessimo o fossimo pronte ad ammettere.

«Perché non ci sei riuscita?», le chiesi, rischiando il tutto per tutto; appoggiando una mano sulla sua spalla.

La sentii irrigidirsi solo per qualche secondo, poi la sentii rilassarsi e sospirare: «Perché ho avuto paura, Daphne».

Sentire il mio nome pronunciato da quelle labbra piene così invitanti mi fece sorridere appena.

«Paura di me?», le chiesi, incredula.

Perché avrebbe dovuto avere paura di me? Solo perché ero una Serpeverde? Possibile che nutrisse ancora pregiudizi simili nei confronti della mia Casa di appartenenza?

Mi azzardai a lasciar scorrere la mano sul suo braccio, ero quasi arrivata a prenderle la mano, quando Padma si scostò, portandosi entrambe le braccia al petto, gli occhi sbarrati: «É proprio questo di cui ho paura, Greengrass. Tu sei troppo diretta e sicura, mi destabilizzi».

Non mi aspettavo una reazione simile dalla Corvonero e rimasi qualche secondo senza parole.

«Non capisco», ammisi, aggrottando le sopracciglia.

Le avevo soltanto toccato un braccio, certo era stato piacevole ed emozionante, ma non le avevo mica infilato una mano in mezzo alle gambe. Perché era così terrorizzata?

«Non ho esperienze in questo campo, non ci sono libri che posso leggere al riguardo, non ad Hogwarts almeno, e tu sembri una persona molto fisica», disse, lanciandomi veloci occhiate.

Starnutii e mi portai il mio fazzoletto ricamato al viso, così da soffiarmi il naso.

Utilizzai quei pochi secondi per analizzare le parole dette da Padma.

«Non ti piace essere toccata?», le chiesi, arricciando leggermente il naso per trattenere l'ennesimo starnuto.

«Non lo so, non sono mai stata toccata come intendi tu, Greengrass».

Avevo dato per scontato che la bellissima e brillante ragazza di fronte a me avesse avuto un qualche tipo di esperienza romantica fuori dalle mura di Hogwarts, magari un amore estivo o un flirt durante le vacanze di Natale. Scoprire che non era così mi sorprese.

«Oh», sussurrai, poi sorrisi: «Possiamo fare una prova», alzai subito le mani quando vidi i suoi occhi preoccupati: «Con i vestiti addosso», specificai, vedendo istantaneamente le sue spalle tese rilassarsi: «Non toccherò nulla che tu non voglia».

Padma lasciò cadere a terra la sua borsa colma di libri, poi puntò lo sguardo nel mio, c'era una risoluzione nei suoi occhi che mi stregò.

«Baciami», disse, senza distogliere lo sguardo, le gote leggermente arrossate e le labbra carnose strette in una linea nervosa.

Sorrisi e mi avvicinai a lei, appoggiando le mani sulle sue spalle: «Sei troppo tesa», le sussurrai all'orecchio, prima di inspirare a fondo il profumo dei suoi capelli: cocco e miele.

Portai una mano a giocare con la sua treccia, per poi arricciare tra le dita le poche ciocche libere, che le accarezzavano il collo. L'altra mano la lasciai scivolare lungo il suo braccio, fino a stringere le sue dita tra le mie.

Aveva la pelle dei palmi fredda e sudata.

Le baciai lo zigomo ben disegnato, poi feci scontrare i nostri nasi, facendo attenzione a non baciarla, non ancora.

«Hai dei bellissimi occhi, Padma», sussurrai, facendo sfiorare appena le nostre labbra: «Ho sempre avuto l'impressione che tu nasconda dietro a questi occhi indecifrabili tutto quello che provi».

«Daphne», mormorò, portando la sua mano libera a circondarmi la nuca, stringendo tra le dita alcuni miei capelli: «Ho detto: baciami».

Bastò un'istante di cedimento e il suo volto, che si era sforzato di rimanere impassibile fino a quel momento, mi mostrò il desiderio, l'attesa, l'impazienza che la tormentavano.

La baciai piano inizialmente, assaporando quel momento che avevo atteso a lungo; le sue labbra erano morbide proprio come le avevo sempre immaginate.

Sentii un brivido attraversarmi interamente, quando la sua mano scese, spostandosi dalla nuca alla spalla e poi al mio seno; lo sfiorò appena, ma quel semplice gesto bastò per farmi stringere le dita alla base della sua treccia, tirandola quanto bastava per farle esporre la gola, dove lasciai una scia di baci lievi, prima di tornare a far scontrare le nostre labbra e lingue.

Strinsi le sue dita, che si trovavano ancora intrecciate alle mie, e iniziai ad avanzare, in modo da bloccarla contro il banco su cui si era seduta poco prima. 

Gemette piano quando portai la mano libera ad accarezzare la sua coscia, coperta dai collant, sotto la gonna della divisa.

Avrei voluto portare le mie dita in un posto ben specifico, ma sapevo che era troppo presto e che se non volevo spaventarla e allontanarla de me per sempre, avrei dovuto aspettare che fosse lei a chiedermelo.

Fui io a interrompere il bacio, mettendo qualche centimetro tra i nostri corpi.

Attesi per qualche secondo, in silenzio, che Padma dicesse qualcosa, qualsiasi cosa, alla fine mi arresi al fatto che, come sempre, sarebbe toccato a me interrompere il silenzio: «Com'è stato?»

Non mi ero mai sentita tanto insicura in vita mia.

Padma mi guardava con i suoi grandi occhi scuri, di nuovo indecifrabili.

«É stato bello», disse alla fine, la voce che le tremava appena.

Si sporse per darmi un semplice bacio a stampo e portò entrambe le sue mani intorno al mio viso: «Continuo ad essere intimidita da te, Daphne Greengrass, ma se sei disposta a portare molta pazienza e a darmi tempo, possiamo provarci».

Sorrisi e le diedi a mia volta un bacio veloce: «Posso dire in giro che sei la mia ragazza, quindi?»

Padma rise e sentii chiaramente una fitta al petto nel vederla così felice: «Adesso non esageriamo, Greengrass, non c'è nulla di ufficiale, sei in prova».

Sorrisi: «Posso dirlo ai miei amici?»

«Non mi piace essere al centro dei pettegolezzi», disse Padma, mordendosi nervosamente il labbro inferiore.

«Quindi sarà un segreto?»

La Corvonero annuì: «Il nostro piccolo segreto».

 

 

***

Buongiorno!

Eccoci alla fine di un altro capitolo!

Cosa ne pensate? Vi è piaciuto? Non vi è piaciuto?

Io personalmente trovo Daphne e Padma molto carine insieme, anche se mettermi nella testa di Daphne non è sempre facile.

Spero che abbiate tempo e voglia di farmi sapere cosa pensate del capitolo!

Vi ricordo del mio account su Instagram (lazysoul_efp), dove rispondo alle vostre domande, vi parlo di libri e vi tengo aggiornati sui futuri aggiornamenti.

E dato che ci sono, faccio pubblicità alla mia storia da poco su EFP che s'intitola "L'Amore ai Tempi della Quarantena", per chi avesse voglia di una lettura leggera e divertente, questa è la storia che potrebbe fare per voi, anche se non è una Dramione.

Vi auguro una buona giornata e una serena quarantena e ovviamente un augurio speciale e tutte le mamme!

Un bacio,

LazySoul

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Capitolo 17
*** Wedding (Part One) ***


17. Wedding (Part One)


 

·≈· HERMIONE'S POV ·≈·





 

Fu quasi un sollievo rivedere i miei genitori, con l'inizio delle vacanze di Natale.

Dopo tutto quello che era successo in quei pochi mesi, ero felice di poter fare qualcosa di tanto banale come abbracciare mio padre o bisticciare per delle sciocchezze con mia madre.

Mi sarebbe piaciuto trascorrere un tranquillo Natale a casa, ma sapevo che non sarebbe stato possibile, dato che i miei genitori avevano prenotato da tempo la nostra breve fuga a Parigi, con tappa a Rennes per il matrimonio di Kimberly il 4 Gennaio. 

Prima delle vacanze mi ero premurata di salutare i miei amici, augurando a tutti loro di trascorrere delle buone feste. Mi ero sforzata di estendere gli auguri anche ai Serpeverde: Zabini, la Greengrass e, soprattutto, la Parkinson.

Il primo aveva risposto ai miei auguri con entusiasmo, ricambiandoli con un allegro sorriso in volto, la seconda era stata più fredda, ma altrettanto educata, mentre Pansy mi era sembrata addirittura serena.

Gli ultimi giorni prima delle vacanze mi ero premurata di stare, per quanto mi era stato possibile, vicina alla Parkinson; avevo provato a parlarle, ad aiutarla ad aprirsi e a sfogarsi. 

Non avevo ottenuto molto, ma col passare dei giorni avevo notato che la ragazza aveva cominciato ad avere un colorito più sano e un'aspetto meno lugubre, merito di sicuro anche di Neville Paciock, che, come me, aveva iniziato a studiare con la Serpeverde e a instaurare con lei l'inizio di un'amicizia. Anche la Greengrass e Malfoy le erano stati vicini e sembrava che per il momento fosse sulla buona strada per tornare ad essere la Pansy Parkinson di un tempo, o quasi.

Draco mi aveva detto che mi avrebbe raggiunto a Rennes per il matrimonio di mia cugina, trascorrendo la prima parte delle vacanze con la sua famiglia al Manor.

I signori Malfoy sembravano continuare a non voler intromettersi in nessun modo nella nostra relazione, anche se Draco era certo che suo padre non fosse propriamente felice che il suo unico figlio Purosangue passasse tanto tempo con una Sanguesporco.

Per il momento sembravano volergli lasciare la libertà di gestire da solo la sua vita e Draco mi aveva chiaramente detto di volerne approfittare il più possibile; per questo aveva invitato sua zia Andromeda, con la quale non aveva mai avuto contatti, a trascorrere il Natale al Manor, avvisando poi con una lettera i suoi genitori della decisione che aveva preso.

Potevo figurarmi chiaramente le espressioni sconvolte e contrariate dei signori Malfoy quando avevano letto la missiva di Draco e non potevo negare ti trovare tale immagine mentale particolarmente piacevole.

Le giornate a Parigi con i miei genitori furono semplicemente stupende.

Mamma aveva organizzato nel dettaglio ogni singolo giorno, così da poter visitare e vedere il maggior numero di musei e monumenti possibili. 

Il freddo di Dicembre non ci impedì di goderci appieno la capitale francese.

I miei genitori, ai quali avevo già parlato dopo la Seconda Guerra Magica di quello che era successo e della mia relazione con Draco, non mi tartassarono di domande, anche se ogni tanto si informavano con tono casuale della mia vita sentimentale e di come stessero i miei amici di sempre.

Mamma era stata molto felice quando le avevo detto che Draco avrebbe partecipato al matrimonio di Kimberly come mio accompagnatore, mio padre un po' meno.

Entrambi erano ansiosi di conoscere "il mio ragazzo". Fino all'anno precedente l'idea di presentare Draco Malfoy, il bulletto arrogante che mi aveva tormentato per anni, ai miei genitori mi avrebbe messo profondamente a disagio. Le cose però erano cambiate, ora al pensiero provavo solo un po' di immotivata ansia.

Quando mettemmo piede a Rennes il 3 Gennaio, zia Nicole ci venne a prendere all'aeroporto e ci portò a casa sua, dove aveva preparato due stanze degli ospiti per noi.

Sapevo che quel ramo della famiglia era più che benestante, ma non mi ero aspettata tanto sfarzo ed eleganza.

La casa della zia Nicole era una villa in stile Liberty-Veneziano color giallo acceso con bifore e trifore che sia affacciavano sul giardino maniacalmente curato. L'interno conservava uno stile d'altri tempi, con affreschi e dipinti sulle pareti, tappeti persiani, pavimenti a mosaico e mobili antichi con le ante in vetro che permettevano di vedere il contenuto dei vari ripiani.

Non intravidi nemmeno un granello di polvere e mi chiesi quante persone lavorassero per mantenere quella casa così pulita e impeccabile.

Zia Nicole ci fece accompagnare alle nostre camere da Annette, una delle domestiche, mentre lei, ci informò, che sarebbe andata a chiamare Kimberly e il suo futuro sposo, Gustave, e ci avrebbero aspettato nella sala del tè dopo che ci fossimo rinfrescati.

Annette mostrò prima la camera ai miei genitori, poi mi accompagnò a dare un'occhiata alla mia che era accanto a quella di mamma e papà.

La stanza in cui avrei dormito per due notti aveva le pareti affrescate con foglie d'edera e fiori gialli, le finestre davano sul giardino impeccabile e il letto matrimoniale a baldacchino sembrava più comodo di qualsiasi altro letto su cui avessi mai avuto la fortuna di dormire.

Aprii la mia valigia, che mi sembrò troppo piccola rispetto allo sfarzo della stanza, e presi il vestito che avrei indossato al matrimonio, appendendolo all'armadio quattro stagioni, che occupava un'intera parete della stanza, così da evitare che si stropicciasse troppo prima del grande evento.

Dopo essermi lavata la faccia e aver cambiato la felpa, che avevo indossato in aereo, con un maglione color crema, aspettai che anche i miei genitori fossero pronti.

«Questa casa è stupenda», disse mia mamma, appena iniziammo a dirigerci verso l'ingresso, nella speranza di trovare da soli la "sala del tè": «Ora capisco perché Nicole ci ha detto che non sarebbe stato un problema ospitarci. Questo posto sembra più un albergo che una casa».

Papà sorrise: «A quanto pare ho sposato la cugina sbagliata», disse, per indispettire mia mamma, che si limitò a lanciargli un'occhiataccia: «Non fa ridere».

Trovare la sala del tè fu relativamente facile una volta che incrociammo Annette e ci facemmo indicare la strada.

Zia Nicole sedeva su un divano dall'aria antica, con quella che doveva essere Kimberly seduta accanto e un ragazzo che doveva avere sui trent'anni, seduto sulla poltrona di fronte a loro.

La stanza era ben tenuta come il resto della casa e aveva una vista stupenda sul giardino.

Prendemmo il tè, servito con dei biscotti al limone e macarons.

Mamma e Nicole, che non si vedevano da molto tempo, iniziarono fin da subito a chiacchierare amabilmente, mentre papà chiedeva a Kimberly e Gustave dettagli su come si fossero conosciuti.

Io cercai di ascoltare, per quanto mi fu possibile, entrambe le conversazioni.

«E il tuo ragazzo, Hermione? Non è potuto venire?», mi chiese zia Nicole, dirigendo l'attenzione di tutti su di me.

«Oh, no, lui arriverà più tardi», dissi, sorridendo.

«Dove vi siete conosciuti?», chiese Kimberly, con un pesante accento francese.

«A scuola».

«Un amore giovane», disse zia Nicole, portandosi una mano al petto, sospirando: «E la scuola come va?»

«Oh, Hermione è la migliore», disse mio papà, con tono orgoglioso, sorridendomi.

Appena finimmo di prendere il te, zia Nicole ci invitò a visitare il parco che si estendeva intorno alla casa, facendoci lei stessa da guida.

I giardini, spogli in quel periodo dell'anno, rimanevano comunque affascinanti. 

Mamma e Nicole continuarono a rivangare vecchi ricordi della loro infanzia, mentre io e papà passeggiavamo in silenzio, godendoci la bellezza del paesaggio.

Quando tornammo alla villa, venimmo informate da una cameriera, Louise, che all'ingresso c'era un giovanotto, che sembrava comparso dal nulla e diceva di essere il mio ragazzo.

Non riuscii a trattenere il sorriso radioso che comparve sul mio viso, mentre andavo ad accertarmi che Draco fosse arrivato sano e salvo, seguita dai miei genitori che sembravano non riuscire a contenere l'emozione di conoscere finalmente il mio ragazzo.

Draco era effettivamente all'ingresso, proprio come aveva detto Louise, indossava un cappotto nero e lungo che copriva quasi interamente la sua figura, accanto a sé aveva il suo baule e i capelli biondi erano leggermente spettinati.

«Sei arrivato!», dissi, fermandomi di fronte a lui.

Notai subito il naso rosso del ragazzo, dovuto probabilmente all'aria gelida esterna, e il nervosismo sul suo volto: «Hey», disse, prima di avvicinarsi per darmi un bacio a stampo e sussurrarmi all'orecchio: «Non lasciarmi solo, i babbani sono assurdi».

Risi alle sue parole, prima di voltarmi verso i miei genitori e dare il via alle presentazioni.

Grazie ai toni educati di Draco e all'affabilità di mia madre, capii subito che non ci avrebbe messo molto a conquistarla, ma per quanto riguardava mio padre ero certa che gli ci sarebbe voluto un maggiore impegno.

Zia Nicole si presentò a Draco in modo particolarmente espansivo e, abbassando appena il tono di voce — ma non abbastanza da non essere udita dai miei genitori — ci chiese se volessimo dormire in stanza insieme per quelle due notti.

Prima che potessi rispondere, Draco fece spallucce, dicendo: «Non sarebbe la prima volta».

Notai subito l'espressione stupita di mio padre, mentre mia madre nascondeva il suo sorriso imbarazzato dietro a una mano e zia Nicole rimase a fissarci in silenzio per qualche secondo.

Percepii Draco irrigidirsi alle mie spalle.

Per fortuna ci pensò la nostra ospite ad alleggerire la tensione, scoppiando a ridere: «I ragazzi d'oggi!», disse: «Dico ad Annette di preparare un'altra stanza, in caso doveste cambiare idea. Ora scusatemi, ma devo definire gli ultimi dettagli con mia figlia per il matrimonio di domani. Vi aspetto a cena per le otto, Louise vi indicherà la strada!»

Quando zia Nicole scomparve mi resi conto che sarebbero stati due giorni difficili.

«Allora, Draco», disse mia mamma, spezzando il silenzio: «Come sei arrivato qua? Com'è andato il viaggio?», gli chiese, mentre ci dirigevamo verso le camere, così che Draco potesse posare il suo bagaglio.

Quando il mio ragazzo fece per tirare fuori la bacchetta, probabilmente per usare un Wingardium Leviosa per il baule, lo bloccai, guardandolo con uno sguardo eloquente.

«Cosa?», mi chiese lui, aggrottando la fronte, confuso.

«Non puoi usare la magia!», gli ricordai, lanciando una veloce occhiata ai miei genitori, che stavano ridendo sotto i baffi.

Draco sbuffò: «E come dovrei fare con il baule, allora?»

«Ci penso io!», disse Annette in uno stentato inglese, comparendoci accanto come per magia.

«Grazie», dissi, sorridendo alla domestica e, dopo un momento di esitazione, anche Draco la ringraziò.

Giungemmo in breve al corridoio dove si trovavano le nostre stanze e Annette entrò nella porta, che si trovava di fronte a camera mia e a quella dei miei genitori, dicendo che a breve avrebbe preparato il letto per Draco.

«Finalmente soli», disse mia mamma, sorridendo: «Allora, Draco, com'è andato il viaggio?»

«Oh, sì», disse il mio ragazzo: «É andato bene, inizialmente avevo pensato alla Metropolvere o alla Smaterializzazione, ma in fine ho optato per una Passaporta».

Mio padre sollevò un sopracciglio, confuso, mentre mia mamma sorrideva per cortesia, ma si vedeva chiaramente che non aveva ben capito neanche lei il discorso del ragazzo.

«E quale sarebbe la differenza tra questi tre metodi di trasporto?», chiese, infine, mio padre.

«La Metropolvere permette di spostarsi tramite camini, ma questa è una casa babbana e avevo paura che non ci fossero camini o i camini fossero troppo piccoli. La Smaterializzazione siamo ancora troppo giovani per usarla, mio padre ha cercato di spiegarmela, ma comunque non mi sarebbe stato permesso utilizzarla per venire fino a qua. Per questo ho preso una Passaporta, è un oggetto che permette di viaggiare da un posto all'altro facilmente».

I miei genitori sembrarono ancora più confusi, ma decisero di non indagare oltre e sorrisero, mia madre in modo affabile, mio padre sfoggiò un'espressione un po' tirata.

«È andata bene a Natale?», gli chiesi, in parte per cambiare discorso, in parte perché ero curiosa di sentire il racconto del fatidico pranzo a cui aveva partecipato sua zia Andromeda. 

Draco ghignò: «È andata bene», rispose: «Conoscere zia Andromeda è stato piacevole, è una donna molto forte e intelligente».

«E i tuoi genitori?»

«Oh, loro non l'hanno presa molto bene, mamma in realtà mi è sembrata abbastanza felice di rivedere sua sorella dopo tanto tempo, ma papà era livido», mi raccontò, sul volto una smorfia: «Non mi ha parlato per tutta la durata delle vacanze natalizia, penso lo abbia fatto per punirmi».

Annuii distrattamente; i cambiamenti erano sempre difficili da digerire, ma speravo vivamente che i signori Malfoy accettassero Andromeda nella famiglia e magari, in futuro, anche me.

«Sono contenta che tu abbia passato del tempo con tua zia», gli dissi, passandogli le dita tra i capelli, saggiandone la consistenza che conoscevo fin troppo bene.

«E a voi il Natale com'è andato? Piaciuta Parigi?», chiese Draco, voltando il capo verso i miei genitori.

Fu in quel momento che mi ricordai della scommessa che avevamo fatto sull'Espresso verso Hogwarts, dopo la Guerra Magica, quando Draco mi aveva detto che non solo avrebbe partecipato a un matrimonio babbano, ma avrebbe approfittato della situazione per incantare col suo fascino i miei genitori.

«Oh, sì!», disse mia mamma, con un sorriso radioso: «Magnifica! Parigi è una città così affascinante e i monumenti che abbiamo visitato e i musei... è stato un Natale proprio piacevole, per quanto diverso dal solito!»

Papà annuì, passando un braccio intorno alla vita di mamma: «Concordo, proprio una bella città».

Osservandoli attentamente, non avevo dubbi che mia mamma fosse già stata conquistata dallo charme e dalla bellezza di Draco, mentre papà sembrava ancora studiare il mio ragazzo, come se ci fosse qualcosa di lui che non lo convinceva completamente.

«Ci sei mai stato a Parigi, Draco?», chiese mia mamma, spostandosi impercettibilmente più vicina a mio papà, che la teneva vicina a sé.

«Molte volte», disse lui, togliendosi il cappotto, rivelando un paio di pantaloni neri e un maglione verde scuro, che metteva in risalto il pallore della sua pelle: «Ma non sono molto a conoscenza dei monumenti babbani, di solito quando andiamo a Parigi preferiamo rimanere nella parte magica».

Annette uscì dalla stanza, che stava sistemando, proprio in quel momento e con un sorriso e uno stentato inglese informò il mio ragazzo che la camera era pronta.

Mia madre sospinse mio padre verso la loro stanza: «Andiamo a riposarci un attimo prima della cena, ci vediamo dopo», disse.

Papà non sembrava particolarmente convinto, ma non si oppose e nell'arco di pochi secondi io e Draco rimanemmo soli in corridoio, dato che anche Annette si stava allontanando verso l'ingresso.

Draco gettò un'occhiata a quella che sarebbe stata la sua stanza per le due notti successive e io lo seguii, ammirando le pareti affrescate da nuvole e cherubini, tende bianche alle finestre e un letto dall'aspetto costoso e raffinato proprio come quello che si trovava in camera mia.

Il mio ragazzo gettò il cappotto sul letto, poi con un incantesimo chiuse la porta della stanza.

L'istante dopo ero circondata dalle sue braccia, premuta contro il suo torace caldo.

«Mi sei mancata in questi giorni», disse contro la mia fronte, sospirando.

Mi lasciai inebriare dal suo odore, sorridendo beata: «Anche tu mi sei mancato».

«Dici che sono andato bene?», mi chiese e percepì chiaramente una punta di preoccupazione nel tono della sua voce: «Con i tuoi genitori dico».

«A parte lo scivolone iniziale, direi di sì», lo rassicurai, premendogli un bacio sul collo, poi sulla guancia: «La parte difficile sarà la cena con zia Nicole, Kimberly e Gustave».

«Gustave è un nome orribile», disse, con una smorfia.

Ridacchiai, scuotendo divertita la testa: «Non ci credo che hai detto di fronte ai miei genitori che abbiamo dormito insieme».

Draco arrossì leggermente: «Anche io fatico a crederci».

 

 

 

 

***

Buongiorno popolo di EFP!

Dato che questo capitolo sta venendo lunghissimo, ho deciso di pubblicarvi intanto questa prima parte e nei prossimi giorni scriverò la prossima!

È da "Mai Scommettere col Nemico" che questo fantomatico matrimonio della cugina Kimberly aspetta di essere celebrato, e finalmente ci siamo quasi.

Voi che dite: Draco riuscirà a conquistare tutti o finirà per combinare un casino dopo l'altro?

Spero che il capitolo vi sia piaciuto e che abbiate tempo e voglia per farmi sapere cosa ne pensate!

Avete Instagram? Vorreste seguirmi anche su quel social per incitarmi a scrivere e sapere per tempo quando usciranno i capitoli? Potete farlo: il nome dell'account è lazysoul_efp!

Vi auguro una buona domenica!

Un bacio,

LazySoul

 

 

 

 

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Capitolo 18
*** Wedding (Part Two) ***


18. Wedding (Part Two)



 

·≈· HERMIONE'S POV ·≈·






 

La cena iniziò in modo piuttosto tranquillo. 

La sala in cui ci trovavamo sembrava uscita dal XVI secolo, con il mobilio in stile barocco, il pavimento a scacchi neri e bianchi e i soffitti affrescati che ritraevano cherubini tra le nuvole e statue che raffiguravano giovani donne coperte da veli impalpabili, ad occupare gli angoli della stanza.

Era stata Annette ad accompagnarci in quella stanza, poco prima dell'orario stabilito per la cena.

Kimberly e zia Nicole occupavano i posti a capo tavola, io mi trovavo accanto a quest'ultima e alla mia sinistra c'era Draco, di fronte a noi sedevano mamma, papà e Gustave.

Alla sinistra di Draco c'era un posto apparecchiato che scoprii essere riservato alla sorella di Gustave, Elise, che sarebbe dovuta arrivare da un momento all'altro.

Mentre aspettavamo la ritardataria brindammo al matrimonio dell'indomani e zia Nicole ne approfittò per tartassare il mio ragazzo di domande.

«Hai un nome molto singolare, caro, come mai i tuoi genitori hanno scelto di chiamarti Draco?»

«È una tradizione della famiglia di mia madre da qualche generazione, di scegliere nomi di costellazioni o stelle per i propri figli», spiegò il ragazzo, lanciandomi un'occhiata titubante.

Intrecciai le nostre dita sulla sua coscia, sorridendogli.

Potevo capire il suo nervosismo, ma non doveva preoccuparsi; c'ero io con lui e non gli avrei permesso di dire nulla di stupido. Inoltre anche i miei genitori erano diventati fin troppo bravi a cambiare argomento o a evitare le domande scomode, da quando avevano scoperto di avere come figlia una strega e di dover mantenere il segreto.

«Affascinante! Quindi tua madre come si chiama?», chiese zia Nicole, bevendo un sorso d'acqua.

«Narcissa».

«Un nome stupendo! Kimberly, se dovessi avere una figlia in futuro potresti chiamarla così!», propose zia Nicole, facendo arrossire la ragazza: «Quindi se tu ed Hermione doveste avere dei figli continuereste questa tradizione?»

Mio padre rise, palesemente innervosito da quella domanda: «Sono degli adolescenti, mi sembra un po' presto per porre domande simili».

«Oh, ma certo! La mia era una domanda ipotetica infatti», specificò zia Nicole, prima di puntare nuovamente gli occhi su me e Draco: «Quindi?»

«Forse», disse il mio ragazzo, stringendomi forte la mano sotto al tavolo.

«Mi hanno sempre affascinato le tradizioni di famiglia», dissi, cercando di spostare i riflettori da Draco, che in mezzo a dei babbani si sentiva giustamente come un pesce fuor d'acqua: «Non vedo perché non dovremmo mantenerla viva, se mai dovessimo avere un figlio, in futuro».

«In un futuro molto lontano», specificò mio padre, lanciandomi un'occhiata molto seria.

«Certamente», disse Draco, più pallido del solito per il disagio che molto probabilmente provava.

«Sono d'accordo, Hermione, le tradizioni di famiglia sono molto affascinanti!», disse Kimberly, prima di lanciare un'occhiata a Gustave: «Elise?»

L'uomo scollò le spalle, lasciando intendere che non avesse idea di dove potesse essersi cacciata sua sorella.

In quel momento si sentì il ticchettio di tacchi in avvicinamento e zia Nicole sorrise: «Penso che sia arrivata, finalmente».

L'istante dopo le porte a doppio battente che conducevano alla sala da pranzo si aprirono ed entrò una giovane donna, che mi ricordò in modo incredibile le ragazze di Beauxbatons, che avevano invaso Hogwarts il quarto anno per il Torneo Tremaghi.

«Scusate per il ritardo!», disse quella che immaginai essere Elise.

Mi alzai per presentarmi, mentre Draco e i miei genitori facevano lo stesso.

Elise aveva un caschetto biondo ed era vestita in modo impeccabile.

Quando ci fummo tutti seduti Annette, Louise e un'altra cameriera iniziarono a servire gli antipasti.

Durante il pasto sembrò instaurarsi ben presto una quiete generale, tanto che Draco allentò la presa intorno alle mie dita, anche se continuò a tenere le nostre mani unite, iniziando a mangiare con la sinistra.

Elise e Nicole si rivelarono essere ben presto le più chiacchierone.

La prima iniziò a parlare dei suoi studi di storia dell'arte a Parigi e chiese a mia madre cosa avessimo visitato durante la nostra permanenza. Mamma, che era sempre stata un'appassionata d'arte si perse ben presto a parlare di lei.

Zia Nicole invece si prodigò ben presto a fare altre domande a me e Draco.

«Sembrate proprio una bella coppia! Hermione mi ha detto che vi siete conosciuti a scuola. Frequentate dei corsi insieme, siete dello stesso anno?»

«Sì», dissi, un po' stanca di quell'interrogatorio, ma troppo gentile per far notare zia Nicole che era un po' troppo invadente: «Siamo dello stesso anno e frequentiamo alcuni corsi insieme».

«Ricordo quando ho conosciuto il padre di Kimberly, pace all'anima sua, ero a Lion per lavoro e questo uomo affascinante mi chiese di pranzare insieme... erano altri tempi, di solito i primi incontri erano molto più formali di adesso, ma provai subito una forte attrazione per lui e finii coll'affezionarmi fin troppo facilmente», disse la donna, con un sospiro e gli occhi lucidi.

«Hai fratelli o sorelle, Draco?», chiese poco dopo zia Nicole, il sorriso le era tornato in volto.

«No, sono figlio unico», rispose lui, con maggior calma rispetto a prima; sembrava essersi reso conto che le persone intorno a lui non presentavano un pericolo e si stava godendo la cena in modo più rilassato.

«Oh, come Hermione e Kimberly!», disse zia Nicole, bevendo un sorso di vino bianco.

Per fortuna la cena giunse ben presto alla sua fine e venimmo tutti quanti spediti a dormire per le dieci, con la scusa che il giorno dopo sarebbe stato a dir poco impegnativo.

Augurai la buona notte ai miei genitori e lasciai un bacio lieve sulla labbra a Draco, prima di chiudermi in camera.

Ebbi giusto il tempo di lavarmi i denti e mettermi il pigiama, prima di buttarmi esausta a letto. 

La giornata era stata fin troppo stancante, tra il viaggio in aereo, le continue domande di zia Nicole e la paura che Draco dicesse o facesse qualcosa che potesse svelare la nostra vera natura; quello di cui avevo bisogno era proprio di dormire.

In quel momento la porta della mia camera si aprì e il mio ragazzo, con addosso un pigiama dall'aspetto molto costoso e la bacchetta in una mano, s'introdusse con passo felpato, chiudendosi l'uscio alle spalle.

«Cosa fai qui?», chiesi, aggrottando leggermente la fronte, più per la sorpresa che per il disappunto.

Draco fece il giro del letto, posò la bacchetta sul comodino, poi s'infilò sotto alle coperte. Nell'arco di pochi secondi mi stava già circondando in un caldo abbraccio.

«Hai i piedi freddi», gli feci notare con una smorfia, ricevendo un suo bacio sulla fronte.

«Sono qua per dormire con te, Hermione», disse, mettendosi comodo: «Non m'importa se qualcuno dovesse scoprirci».

Risi, trovando a mia volta una posizione confortevole tra le sue braccia: «Se non fossi così stanca ti toglierei quel ridicolo pigiama che ti ritrovi».

«Hey! Non è ridicolo, è in seta molto pregiata e ha anche le mie iniziali sulle maniche», disse Draco, pizzicandomi il fianco.

Sorrisi nel buio della stanza: «Come vuoi, sono troppo stanca per bisticciare».

«'Notte, amore», disse, lasciandomi un bacio sulla spalla.

Il giorno dopo mi svegliai quando Draco si alzò per andare in bagno, controllando la sveglia sul comodino, constatai che erano appena le sette.

Dato che il matrimonio si sarebbe tenuto intorno alle undici quella mattina, sapevo che mamma sarebbe entrata in camera mia intorno alle otto, otto e mezza al massimo, per prepararci insieme. Un po' esagerato a parer mio, ma potevo capire la sua eccitazione.

Sorrisi, rigirandomi tra le coperte all'idea dell'oretta che avevo ancora a disposizione per farmi coccolare da Draco.

Quando il mio ragazzo uscì dal bagno, passandosi una mano tra i capelli, spettinandoli, il sorriso sul mio viso di allargò ulteriormente.

«Buongiorno», dissi, attirando la sua attenzione.

Quando gli occhi di Draco si posarono su di me sentii un nodo di desiderio alla bocca dello stomaco.

«Buongiorno», contraccambiò il saluto, avvicinandosi al letto.

La pallida luce del mattino filtrava dalle tende alle finestre, permettendomi di studiare il pigiama in seta nera che indossava Draco e di notare le sue iniziali ricamante sulle maniche.

«Io rimango dell'opinione che quel pigiama sia ridicolo», gli dissi, sorridendo alla sua smorfia.

«Questo è perché hai dei pessimi gusti», controbatté, raggiungendomi sotto alle coperte.

Aprii la bocca, fingendomi più oltraggiata di quanto fossi in realtà per quel commento e Draco scoppiò a ridere.

«Sembri un pesce fuor d'acqua».

L'istante dopo iniziò a farmi il solletico, facendomi contorcere e quasi soffocare dalle risate.

Cercai di fargli a mia volta il solletico, ma ero troppo indebolita per contrattaccare, così fui costretta a implorarlo di smetterla.

Draco mi baciò sulla fronte, stringendomi in un abbraccio: «Dici che potremmo saltare il matrimonio e rimanere qua tutto il giorno?»

Sorrisi contro il suo petto, iniziando ad accarezzargli con movimenti lenti la schiena: «Non mi tentare».

Parlammo per qualche minuto della sera prima, gli chiesi se la cena con dei babbani fosse stata tanto terribile e lui mi disse che avermi vicina per tutto il tempo l'aveva aiutato a non andare troppo nel panico, rimanemmo a coccolarci a letto e a chiacchierare fino a quando non sentii qualcuno bussare alla porta della mia camera.

Mamma entrò nella stanza prima che io o Draco potessimo pensare a un modo per nascondere il fatto che avesse dormito con me quella notte.

«Buongiorno, Hermione! Oh, scusate», disse mamma coprendosi gli occhi con le mani: «Pensavo che fossi sola, tesoro», aggiunse, con una punta d'imbarazzo.

«Mamma siamo vestiti», le feci notare, mentre Malfoy si alzava e recuperava la propria bacchetta.

«Buongiorno, signora Granger, tolgo il disturbo», disse Draco, dirigendosi con passo di marcia verso l'uscita.

«Puoi chiamarmi Jane, caro», disse mamma, sorridendogli, una volta che si fu tolta le mani dagli occhi: «Scusami, ma dovrò rubarti Hermione per un po'», aggiunse, sorridendo in modo a dir poco malefico, mentre scostava le tende alle finestre e faceva entrare più luce in camera.

Quando Draco se ne fu andato, mamma non perse tempo, incitandomi ad alzarmi e iniziare a prepararmi, mentre lei andava a recuperare in camera sua il suo vestito e qualche trucco.

«Non posso nemmeno fare colazione?», le chiesi quando tornò.

«Non essere sciocca! Con tutto quello che mangeremo al banchetto, non abbiamo bisogno di scendere per colazione», mi disse, ridendo sommessamente.

Sollevai gli occhi al cielo, ma non ribattei e dedicai i successivi minuti a truccarmi lievemente e a indossare l'abito verde scuro che mamma mi aveva comprato qualche giorno prima in una boutique a Parigi, mentre io e papà visitavamo la Biblioteca Nazionale di Francia.

Il vestito era smanicato e plisettato, stringeva leggermente in vita, così da mettere in risalto la mia silhouette a clessidra e dello stesso colore avevo il coprispalle, le scarpe con qualche centimetro di tacco erano nere, così come la borsetta.

Non ero mai stata a un matrimonio e cominciavo a pensare che mamma avesse un po' esagerato con l'abito e gli accessori, ma non potevo lamentarmi.

«Ti sta d'incanto!», disse mamma, indossando il suo vestito aderente rosso fuoco, che fasciava perfettamente il suo corpo snello.

«Grazie, anche tu stai molto bene», notai, sorridendole.

«Farai perdere la testa al tuo ragazzo con quest'abito».

Arrossii profondamente alle sue parole: «Esagerata».

«Si vede che ci tiene a te. È stato un po' uno shock trovarlo nel letto con te questa mattina, ma mi sembri felice con lui ed è questo quello che conta», disse, sorridendomi: «Mi raccomando di fare attenzione».

Abbracciai mamma, stroncando il suo discorso che sapevo dove sarebbe andato a parare; era carino da parte sua preoccuparsi, ma mi aveva già fatto il discorso sesso, bambini e precauzioni ed ero abbastanza certa che la teoria non fosse cambiata più di tanto dall'ultima volta.

«Lo so, mamma, non hai nulla di cui preoccuparti».

«Oh, lo so di averti cresciuta con la testa sulle spalle», mi disse, pizzicandomi scherzosamente il fianco, sciogliendo il nostro abbraccio: «Ma capisco che i ragazzi a volte possano far perdere il contatto con la realtà».

«Farò attenzione», la rassicurai, capendo che ne avesse bisogno.

«Brava la mia ragazza, ora direi che possiamo anche scendere a cercare i nostri ometti!»

Trovammo papà e Draco nel cortile esterno, dove era stato allestito il ricevimento, poco distante si vedeva il luogo in cui gli sposi si sarebbero scambiati le promesse; il prato curato alla perfezione era ricoperto di petali bianchi e un'arco di fiori di acacia e rose si trovava di fronte a file di panche in legno chiaro.

Doveva essere stato preparato tutto nell'arco della mattinata, dato che il giorno precedente, quando avevamo fatto la passeggiata per i giardini, non c'era nulla di tutto ciò.

Draco indossava un semplice smoking nero nella moda babbana, quando mi avvicinai il fazzoletto bianco che aveva nel taschino davanti diventò verde, come il mio vestito.

«Non dovresti fare incantesimi per cose così futili», dissi a bassa voce, passando un braccio intorno alla sua vita, mentre lui avvolgeva il proprio braccio intorno alle mie spalle.

«Hai ragione, ma è stato più forte di me; il verde ti dona», sussurrò contro i miei capelli, baciandomi la tempia.

Avrei voluto chiedergli di cosa avesse parlato fino a quel momento con mio papà, ma decisi di aspettare un momento in cui fossimo soli.

Al ricevimento c'erano numerose persone, la lingua che veniva parlata era principalmente il francese di cui conoscevo qualcosa, ma non abbastanza da riuscire a tradurre le varie conversazioni. 

Fu abbastanza una sorpresa scoprire che Draco invece aveva frequentato lezioni di francese da piccolo.

«Quante lingue conosci?», gli chiesi ammirata, mentre mamma e papà sorseggiavano del mimosa e parlottavano tra di loro.

«Un po'», disse Draco, facendo spallucce.

«Fammi l'elenco», lo spronai, felice di aver scoperto qualcosa di lui, che non avevo mai nemmeno sospettato.

«Parlo un po' di francese, spagnolo, bulgaro e russo, ma sono anni che ho smesso di prendere lezioni, così come ho smesso di suonare il violino».

Rimasi letteralmente a bocca aperta: «Suoneresti per me un giorno?»

«Forse», disse, sorridendo.

Conoscere quei piccoli dettagli su di lui mi fece venire voglia di scoprire ancora di più ed ero pronta a fargli altre domande sulla sua infanzia, ma erano ormai arrivate le undici e venimmo invitati ad accomodarci per assistere al matrimonio.

Mamma scoppiò a piangere alla vista della sposa; Kimberly arrivò subito dopo le damigelle d'onore, indossava un abito a sirena con le maniche lunghe in pizzo e il bouquet che stringeva al petto era composto interamente da rose bianche.

Lo sposo anche era vestito tutto di bianco e lo scambio delle promesse fu particolarmente dolce; vidi chiaramente zia Nicole piangere copiosamente durante tutta la cerimonia.

Notai che Draco, per quanto sembrasse tranquillo, continuava a guardarsi intorno con aria sospetta, forse per paura che qualche babbano lo notasse tre gli invitati e lo additasse come mago

Il resto della giornata trascorse come in un sogno. 

Tutto andò fin troppo bene, tanto che durante il pranzo iniziai a chiedermi se avessi dovuto aspettarmi da un momento all'altro qualche brutta sorpresa.

Draco riuscì a non farsi notare da nessuno, cosa di cui andava molto fiero e ogni tanto, quando udiva delle parole a lui sconosciute o riferimenti ad avvenimenti di cui non era al corrente, faceva finta di niente e mi chiedeva di spiegarglieli.

Quando arrivò il momento di danzare, Draco non perse tempo e mi trascinò subito in pista, dicendomi che dovevamo recuperare il tempo perduto. 

«Ricordi il Ballo del Ceppo?», mi chiese all'orecchio, mentre iniziavamo a volteggiare in pista.

«Sì, ricordo», gli dissi, curiosa di sapere dove voleva andare a parare.

«Blaise voleva che ti invitassi, ci sono rimasto un po' male quando ho scoperto che Krum sarebbe stato il tuo cavaliere», ammise, facendomi fare una breve giravolta.

«Sì, beh non sei l'unico, anche Ronald non era felice della cosa», ricordai con una smorfia.

«Non paragonarmi a Lenticchia, Hermione, per favore».

Sollevai teatralmente gli occhi al cielo a quelle parole, ma non dissi niente.

«So che abbiamo già ballato insieme, quella volta, alla cena del Lumaclub — sembrano passati anni — ma in questo momento mi sembra di aver avuto una seconda occasione per invitarti al Ballo del Ceppo e ho intenzione di ballare con te fino a quando i nostri piedi con chiederanno pietà», mi disse, dandomi un bacio a fior di labbra.

Sorrisi, emozionata dalle sue parole: «Mi sembra un'ottima idea», acconsentii, lasciandomi cullare dalle note dell'orchestra, dalle braccia di Draco intorno al mio corpo e dal suo profumo inconfondibile.

Ero felice, i ricordi della guerra, del dolore, della paura, in quel momento non esistevano.

C'eravamo solo io e Draco e tutto era perfetto.

Più tardi mi ricordai di chiedere a Draco di cosa avesse parlato con mio padre quella mattina, mente io e mamma perdevamo tempo a "farci belle".

«Mi ha chiesto della mia famiglia, dei miei voti a scuola e poi mi ha fatto promettere di trattarti con rispetto e affetto», disse, sorridendo: «Sai, temo di aver vinto la nostra scommessa e di aver conquistato in tempo record i tuoi genitori, Granger», aggiunse, sfoggiando un'espressione fiera.

«Non ricordo cosa avevamo scommesso», ammisi, sorridendo alla vista della sua allegria. 

«Mi toccherà rinfrescarti la memoria, allora: abbiamo scommesso che se non ce l'avessi fatta, mi avresti potuto chiamare furetto platinato tutte le volte che volevi e io non mi sarei dovuto offendere; se invece avessi vinto io, cosa che è successa, tu mi avresti accompagnato al ballo organizzato dai miei genitori per festeggiare il loro anniversario di nozze, che si terrà tra due mesi».

Il sorriso mi si congelò sulle labbra: «Sei sicuro?»

Draco annuì.

«Non so se sono pronta a rivedere tua madre», ammisi con una smorfia.

Draco scoppiò a ridere: «Ci sarò io con te, andrà tutto bene».

«Non ho intenzione di scommettere mai più con te, Malfoy», gli dissi, mortalmente seria.

«Scommettiamo?»



 

***

Buongiorno popolo di EFP!

Eccoci alla fine dell'ultimo capitolo ufficiale di "Mai innamorarsi del nemico".

Prima che prepariate i pomodori, vorrei dirvi che più avanti aggiungerò dei capitoli bonus sul futuro dei personaggi (se avete delle richieste al riguardo potete lasciarmele qua, oppure scrivermele su Instagram, il nome del mio account è lazysoul_efp).

Ovviamente non aspettatevi ogni settimana un nuovo capitolo bonus o altri 80 capitoli bonus, sarà a mia discrezione scegliere quanti scriverne e di cosa parlare, ovviamente i vostri suggerimenti sono ben accetti, ma non vuol dire che li userò tutti, anzi potrei proprio non usarne nessuno e decidere per conto mio di cosa parlare nei capitoli bonus. In poche parole, avete tutto il diritto di lasciarmi dei consigli, ma la storia rimane mia e la svilupperò come meglio credo.

Nei capitoli bonus parlerò, ovviamente, anche delle altre coppie che fanno parte di questa storia, mi riferisco a Luna e Blaise, Daphne e Padma e Pansy con Neville (?).

È stato un lungo viaggio e vorrei ringraziarvi in questo capitolo del supporto, dei commenti, delle stelle e della vostra pazienza. Chiedo perdono se sono scomparsa più volte da Wattpad, lasciandovi in sospeso. Ora avete finalmente il vostro finale felice e spero che vi piaccia!

Grazie davvero ❤️

Se avete qualsiasi dubbio riguardo alla storia o critica, ovviamente mi riferisco a critiche costruttive, non esitate a farle.

Ho voluto concludere questa storia con il riferimento alle scommesse, dato che hanno accompagnato Draco ed Hermione fin dall'inizio della prima storia "Mai scommettere col nemico". C'è inoltre un riferimento a "Lost Chance" (one-shot prequel ambientata il quarto anno, che trovate nella mia raccolta "Questa non è una fiaba"), quando ballano al matrimonio.

Grazie ancora per avermi accompagnata in questa lunga avventura, spero di leggere presto i vostri commenti nei capitoli bonus futuri!

Un bacio, 

LazySoul

 
 

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Capitolo 19
*** Bonus: Baby shower ***


Bonus: Baby shower




Buonsalve popolo di EFP!

Dopo — troppi — mesi di assenza da questa storia, eccomi tornare più agguerrita che mai con questo capitolo bonus che vi avevo promesso .

Per il momento questo è quello che la mia mente ha prodotto, ma potrebbe darsi che presto ci saranno altri capitoli, chi può dirlo?

Buona lettura!



 

·≈· HERMIONE'S POV ·≈·


 

Era stata la signora Malfoy ad insistere, dicendomi che era una tradizione di famiglia e che in quanto tale non potevo esimermi dal rispettarla.

Non ero solita ascoltare e seguire ogni consiglio e usanza di cui mi parlava mia suocera, ma in quel caso dovevo ammettere di aver pensato a mia volta di organizzare qualcosa di simile; quindi l'idea di un baby shower non mi appariva più di tanto pacchiana o ridicola.

La signora Malfoy, appena aveva capito che ero favorevole all'organizzazione di una festa, si era rimboccata le maniche aveva iniziato a stilare una lista di invitate, a scegliere quale tè e quali biscotti servire e, ovviamente, la location.

Era stato difficile, ma non impossibile, imporre di fare la festa nel mio salotto e non nel tetro salone degli orrori di Malfoy Manor; così come non era stato affatto facile far capire a mia suocera che avevo intenzione di invitare anche uomini alla festa e non solo donne.

Nel bel mezzo dell'organizzazione avevo provato l'irrefrenabile desiderio di annullare tutto e mandare al diavolo la signora Malfoy.

Quello stress mi aveva ricordato quello che avevo provato un anno e mezzo prima, quando con l'aiuto di Draco e dei nostri genitori avevamo iniziato a delineare ogni dettaglio del nostro matrimonio.

Avevamo annunciato il nostro desiderio di sposarci durante una delle imbarazzanti e molto tese cene a cui la signora Malfoy ci costringeva a partecipare ogni mese al Manor.

Era stato Draco a dare la notizia, eravamo già fidanzati da tempo, quindi non sarebbe dovuta essere una sorpresa la nostra decisione di convolare a nozze, eppure il signor Malfoy rischiò di strozzarsi coll'idromele, mentre mio papà scoppiò a piangere per la commozione, appena Draco annunciò la data che avevamo deciso.

Appena fu certa che il signor Malfoy non sarebbe morto strozzato per qualche goccia di idromele, la signora Malfoy aveva alzato il proprio calice e aveva brindato alla nostra felicità, seguita a ruota da mia madre, che sorrideva da orecchio a orecchio, da mio padre, il cui viso continuava ad essere bagnato dalle lacrime, e da un titubante signor Malfoy, la cui espressione — simile a quella di un uomo che si era appena infilato uno spicchio di limone in bocca — indicava chiaramente quanto fosse felice di udire una simile notizia.

Subito dopo cena la signora Malfoy non aveva perso tempo e si era messa a stilare una lista di possibili invitati, una di possibili pietanze e per finire la sicura location.

Mi era stato spedito tutto via gufo il mattino dopo e la felicità che avevo provato nel fare colazione con Draco, prima che dovesse correre al lavoro, si guastò irreparabilmente.

Dopo la mia giornata di lavoro al Ministero mi ero fatta coraggio e mi ero presentata a Malfoy Manor da sola, per discutere faccia a faccia con la signora Malfoy delle sue manie di controllo mascherate in "tentativi di aiuto".

Non era la prima volta che io e la madre di Draco ci trovavamo in disaccordo, ma quella sembrò essere la battaglia decisiva, di quella guerra sotterranea di cui Draco sembrava sapere poco o niente.

Vinsi io e da quel momento in poi la signora Malfoy sembrò rispettarmi un po' di più.

Ero riuscita ad impedire che il mio matrimonio si svolgesse al Manor e allo stesso modo ero riuscita a convincere mia suocera a non organizzare il baby shower nel suo salotto, ma il tutto mi era costato fatica e stress.

Sospirai e ripiegai la Gazzetta del Profeta, che tanto non stavo leggendo da qualche minuto ormai, persa com'ero nei miei pensieri, e osservai la tazza, nella quale rimaneva un sorso di tisana al finocchio.

Erano mesi che mi costringevo a bere quelle tisane prescritte dal medimago, ma più tempo passava, più ero nauseata anche solo dall'odore di quella bevanda calda.

Mi portai la mano destra sul pancione, quasi ad accettarmi che ci fosse ancora, e sorrisi lievemente quando sentii un piccolo calcetto contro il mio palmo.

«Ci siamo svegliati, eh?», mormorai, abbassando lo sguardo, con un dolce sorriso ad illuminarmi il volto.

Ricevetti un altro calcetto, poi più nulla e sospirai.

Allo stesso modo in cui non era stato facile far capire alla signora Malfoy che il mio matrimonio non si sarebbe tenuto nei giardini di Malfoy Manor e che gli invitati sarebbero stati principalmente miei amici e non suoi; ero certa che quando sarebbe giunto il momento di scegliere un nome per il bambino o la bambina che scalciava nella mia pancia, avrei dovuto lottare per far valere la mia opinione.

Narcissa Malfoy aveva già iniziato a spedirmi saltuariamente alcune missive dove elencava i nomi, secondo lei, appropriati all'erede di una grande famiglia.

A volte io e Draco leggevamo quelle lettere prima di andare a dormire, avvolti tra le coperte e le rispettive braccia e c'immaginavamo come sarebbe stato chiamare nostro figlio Aldebaran o nostra figlia Adhara. Erano più le volte in cui scoppiavamo a ridere nel sentire certi nomi, che quelle in cui apprezzavamo il suggerimento.

Tra i diversi elenchi avevamo deciso di valutare seriamente tre nomi femminili: Phoenix, Cassiopeia e Carina; e tre maschili: Orion, Arcturus e Leo.

Ogni tanto ce li ripetevamo, per valutare quale suonasse meglio e quale ci piacesse di più, ma Draco era convinto che avremmo deciso il giorno della nascita e che non aveva senso impazzire prima.

Osservai l'orologio babbano alla parete e sorrisi nel notare che il turno di Draco sarebbe finito a breve.

Mi costrinsi a sorseggiare l'ultimo residuo di tisana al finocchio nella tazza, poi la spostai con un semplice Wingardium Leviosa nel lavandino della cucina e mi spostai sul divano, sul quale avevo abbandonato il libro che mi aveva prestato Ginny, "Strega e mamma".

Leggere della maternità era in parte rilassante, perché mi sembrava di prepararmi per un esame importante, in parte preoccupante, perché sembrava mettermi di fronte alla grandezza di quello che stava per succedere.

Aprii il libro al decimo capitolo, dove si parlava di come poter osservare i primi segni di magia nel proprio bambino e cosa fare nel caso in cui non si presentassero.

Eravamo ormai alla vigilia del baby shower e, malgrado l'ultimo mese d'inferno — in cui avevo dovuto più volte impormi con la forza per far valere la mia opinione, la quale sembrava non essere contemplata nelle decisioni che mia suocera prendeva — ero relativamente tranquilla.

Mancava ancora più di un mese al parto e tutte le analisi e le ecografia che avevo fatto, sia nel mondo babbano, che in quello magico, mi informavano della stessa cosa: il feto era sano e ben formato e non dovevo preoccuparmi di nulla, oltre a prendere gli integratori consigliati e bere tanta tisana al finocchio.

Al Ministero, dove ero a capo dell'Ufficio per i Reinserimento degli Elfi Domestici, andavo solo quando mi annoiavo troppo o sopraggiungevano emergenze che necessitavano la mia presenza.

Riempivo le mie giornate con letture sulla maternità, lettere e incontri con Luna e Ginny, lunghe passeggiate nella Londra babbana e pisolini che mi rendevano più spossata che mai.

Avevo iniziato da un paio di mesi a fare una coperta all'uncinetto, guidata in un primo momento dall'aiuto di mia madre e una vecchia rivista, poi soltanto dalla mia memoria. Ogni giorno vi dedicavo almeno mezz'oretta ed ero fiera di essere ormai quasi alla fine, ero certa che avrei concluso quel lavoro prima del parto e avrei potuto usare quella nuova coperta per avvolgere il mio bambino.

Quando nel camino alla mia destra apparvero fiamme verdi, chiusi il libro e sorrisi.

Draco comparve pochi secondi dopo, con in mano la cartelletta in pelle in cui aveva sempre del lavoro arretrato, e uno stanco sorriso a illuminargli il volto.

«Bentornato a casa», gli dissi, posando il libro sul divano e alzandomi in piedi in modo goffo.

Draco lasciò la cartelletta sul divano e mi abbracciò, premendomi un bacio sulla guancia, uno sulla fronte e poi uno sulle labbra.

«Com'è andato il lavoro?», gli chiesi, lasciandomi guidare nuovamente tra i cuscini del divano, dove ci sedemmo insieme.

«Potrebbe andare meglio, la nuova pozione anticoagulante è ancora incompleta, ma continuiamo a fare il possibile», disse, iniziando ad accarezzarmi il pancione: «Voi come state?»

In quel momento il bambino scalciò e Draco sorrise: «Qualcuno è felice di sentire la mia voce, o sbaglio?»

«Sarebbe impossibile il contrario, hai una bellissima voce».

Draco sorrise e si sporse fino a lasciarmi un bacio sulle labbra: «Adulatrice».

«Sono solo sincera».

Rimanemmo abbracciati e in silenzio per qualche secondo, poi iniziai a raccontare a Draco quello che avevo letto sul libro "Strega e mamma" quel giorno e lui mi raccontò degli ultimi gossip al lavoro, dove una sua collega usciva con il capo reparto da qualche settimana.

Da quando avevamo iniziato a vivere insieme, era diventata ben presto tradizione per noi passare qualche minuto a chiacchierare e raccontarci ogni avvenimento della giornata, stressante o meno, che avevamo trascorso separati.

Non era stato facile trovare il perfetto equilibrio, soprattutto all'inizio, quando era più facile perdere la pazienza e litigare, ma eravamo riusciti a costruire un luogo sicuro, dove potevamo essere noi stessi e parlare di ogni cosa.

Capitava tutt'ora di litigare o di discutere di fronte a certi argomenti, ma eravamo diventati più bravi a leggere il rispettivo linguaggio del corpo e a capire quando c'era tensione, tristezza o delusione nell'aria.

L'ultima volta che avevamo discusso — se non si tenevano conto i litigi causati dal ficcanasare della signora Malfoy, che solo io sembravo ritenere snervante e indesiderato a volte — era stato intorno al quinto mese di gravidanza, quando avevamo dovuto scegliere di che colore dipingere le pareti della stanza del bambino.

Dato che non sapevamo se fosse maschio o femmina, e anche perché ero contraria agli stereotipati blu per un maschietto e rosa per una femminuccia, avevo fin da subito proposto il colore verde, o in alternativa il bianco.

Draco non era stato molto felice dell'idea; a lui l'idea di avere una cameretta tutta azzurra o tutta rosa, a seconda del sesso del bambino, non dispiaceva affatto e non capiva perché mi ci opponessi con tanta forza.

Avevamo parlato per giorni interi della faccenda, fino a quando non ero riuscita a fargli comprendere appieno il mio punto di vista.

In fine avevamo pitturato personalmente la stanza di bianco e ci eravamo ripromessi di ridipingerla in futuro, se mai nostro figlio o nostra figlia avesse voluto un altro colore per le pareti della sua camera da letto.

«Agitata per domani?», mi chiese Draco, con uno sguardo preoccupato.

«No, sto bene e sono certa che andrà tutto bene», ripetei, non per la prima volta negli ultimi giorni.

«Solo io temo che sarà un disastro?», borbottò, sfregandosi stancamente il viso.

«Sì, perché sei pessimista».

«Non sono pessimista», si lamentò, sollevando gli occhi al cielo: «Sono soltanto realista: mettere i miei genitori, i tuoi genitori e i nostri amici — tra cui un veterimago puntiglioso, una scrittrice di libri per bambini che vede creature che non esistono, un paio di salvatori del mondo magico con le rispettive consorti e figli, una coppia di ragazze che ancora non ha detto ai rispettivi genitori di convivere da anni, il nuovo professore di Erbologia di Hogwarts e una giornalista che combatte per i diritti dei lupi mannari — tutti in una stanza, a parer mio, potrebbe essere un po' troppo».

«Al matrimonio è andato tutto bene, non vedo perché non dovrebbe essere così anche per un banale baby shower... e poi i miei genitori non ci saranno domani; due persone in meno di cui preoccuparsi», borbottai, incrociando le braccia al petto.

«Sì, ma al matrimonio non c'erano alcune dinamiche che sono emerse negli ultimi mesi, come per esempio i continui litigi tra Padma e Daphne, l'imminente matrimonio di Blaise e Luna... inoltre Pansy e Neville hanno smesso di parlarsi dopo il nostro matrimonio, ricordi?»

Mi alzai in piedi e inizia a dirigermi verso la cucina: «Beh, sono nostri amici e potrebbero lasciare per qualche ora le loro divergenze da parte e divertirsi con noi», dissi, mentre riempivo una pentola d'acqua e la mettevo a bollire sui fornelli.

Draco mi abbracciò da dietro, appoggiando entrambe le mani sul mio pancione: «Hai ragione. Potrebbero, ma non è detto che lo facciano».

«Il solito pessimista», borbottai, imbronciandomi leggermente.

Draco mi baciò la spalla: «Realista», ribatté, facendo ridere entrambi.

La tensione si sciolse quasi immediatamente e, come ogni sera, apparecchiammo tavola insieme, per poi dedicarci alla preparazione della cena.

Tornammo a parlare di argomenti più leggeri; il tempo, il bambino e il mal di schiena di Draco, causato dai tavoli di lavoro troppi bassi per lui, che doveva passare ore piegato in avanti per mescolare pozioni, nel reparto del San Mungo dedicato alla creazione e sperimentazione di nuovi intrugli.

«Non puoi parlare con il tuo capo e farti procurare un tavolo più alto?», chiesi, non per la prima volta, mentre gli massaggiavo le spalle.

«Gliene ho parlato oggi, mi ha ignorato», borbottò Draco, lasciandosi maneggiare con fin troppa gratitudine la schiena dolorante: «Hai le mani d'oro, Hermione».

Sorrisi e gli pizzicai il fianco: «Questo perché sono stata una Grifondoro».

Draco scoppiò a ridere, per poi interrompersi pochi secondi dopo, lo sguardo perso nel vuoto.

«A cosa pensi?»

«Stavo pensando al giorno del nostro matrimonio», sussurrò, sorridendo: «Stavo pensando che malgrado il gruppo particolarmente eterogeneo di invitati, è stata una magnifica giornata».

«La parte più bella è stato entrare in bagno e trovare Padma e Daphne mezze nude», borbottai, con una smorfia, facendo ridere Draco di gusto.

«Pensavo che la tua parte preferita fosse stato il brindisi di mio padre», ribatté Draco, riportandomi alla mente le poche parole che il signor Malfoy aveva detto il giorno delle nostre nozze, biascicando per il troppo whiskey incendiario, mentre Narcissa lo guardava con disapprovazione. 

«Vi auguro ogni bene e tanti figli maschi», aveva esclamato Lucius Malfoy sollevando al cielo il suo bicchiere colmo di alcol, per poi aggiungere: «Non saranno purosangue, ma almeno non saranno dei bastardi».

Sospirai: «Hai ragione, il discorso di tuo padre batte a mani basse Daphne e Padma che ci danno dentro nel bagno».

«Ma la vera domanda è: batte anche il momento in cui Ronald Weasley è inciampato, facendo cadere a sua volta Potter e un vassoio colmo di tartine al salmone?»

Sorrisi e scrollai le spalle: «Ne abbiamo già parlato: tuo padre vince il premio per il miglior brindisi della storia, mentre Harry e Ron vincono quello per il miglior momento imbarazzante».

«Ah, giusto, me ne ero dimenticato», disse Draco, un enorme sorriso sulle labbra, mentre mi aiutava a portare in tavola la cena.

«Ti ricordo che domani gli invitati inizieranno ad arrivare intorno alle quattro», dissi, poi aggiunsi: «Conoscendo tua madre arriverà prima per controllare che sia tutto in ordine».

«Mia madre deve trovarsi un hobby che non sia farsi continuamente i fatti nostri», borbottò Draco, affondando la forchetta nel piatto di spaghetti al sugo.

«Concordo, ma sei il suo unico figlio e a quanto pare non riesce a trovarsi un hobby che non comprenda venerarti dall'alba al tramonto e disprezzarmi in quanto "nata babbana" e "non alla tua altezza"».

«Domani le parlo», affermò Draco, guardandomi dritto negli occhi: «Anche per la questione dei nomi sta esagerando, l'altro giorno mi è arrivato in ufficio un biglietto da parte sua, dove ha pensato bene di ricordarmi che la fine della gravidanza è vicina e che ancora non le avevo fatto sapere il nome scelto in caso di maschietto e quello in caso di femminuccia».

Sospirai e mi riempii la bocca con una forchettata di spaghetti, per impedirmi di dire qualcosa di sconveniente o che potesse rovinare l'atmosfera tutto sommato tranquilla.

«Ti hanno confermato tutti quanti la partecipazione per domani?», cambiò argomento Draco.

Annuii: «Sì, sarà una bella rimpatriata... Sai, stavo pensando che l'ultima volta che siamo stati tutti insieme è stato al nostro matrimonio, quindi un anno fa, ormai».

«Magari riusciamo a trovare un modo per convincere Pansy e Neville a sotterrare l'ascia di guerra», disse Draco, sorridendo.

«Tu sai alla fine cosa è successo?», gli chiesi, sperando che fosse giunto a conoscenza di qualche dettaglio inedito.

«No, ma ho una teoria: Pansy l'ha allontanato, convinta di non essere abbastanza, o qualcosa del genere, e lui ha accettato passivamente la cosa».

«Non so, secondo me deve esserci qualcos'altro sotto, magari un segreto tra loro due...», dissi, pensierosa: «Magari c'entra... sai, la licantropia».

«Paciock non mi sembra il tipo da discriminare qualcuno», disse Draco scrollando le spalle: «Ma devo ammettere di non conoscerlo poi molto... Ho un'idea!»

Mi morsi il labbro e mi trattenni a stento dal sollevare gli occhi al cielo; quando Draco aveva una delle sue brillanti idee finivamo sempre con fare stupide scommesse o immischiarci in fatti che non ci riguardavano.

«Ho paura a chiederti quale», ammisi, ricevendo una boccaccia come risposta.

«Domani io mi occupo di capire qual è il problema tra Daphne e Padma, mentre tu ti occupi di Pansy e Neville!», esclamò, con un enorme sorriso sulle labbra.

Sospirai: «Vorrei ricordarti che io e il mio pancione saremo al centro dell'attenzione domani e che mi sarà difficile trovare un momento per fare qualcosa che non sia sorridere, aprire regali, mangiare e intrattenere con conversazioni leggere i nostri ospiti».

Draco annuì: «E va bene, vorrà dire che mi occuperò di tutto io, mentre tu intrattieni il resto degli invitati, attirerò prima una coppia e poi l'altra in una trappola. Un po' come avevamo fatto con Potter e la Weasley, ricordi?»

Sorrisi e annuii, ricordando fin troppo chiaramente il suo piano per far mettere insieme i miei due amici.

«Dato che ci siamo potremmo fare una piccola scommessa», aggiunse Draco, facendomi l'occhiolino.

«Abbiamo già una scommessa in corso: tu hai scommesso che nascerà una femminuccia, mentre io ho scommesso un maschietto», gli ricordai.

«Le scommesse non sono mai troppe: scommetto che domani riuscirò a risolvere sia il problema di Padma e Daphne, sia quello di Neville e Pansy».

Scoppiai a ridere e scossi la testa: «E come pensi di fare, scusa? Non sai nemmeno quale sia il problema!»

«Vero, ma sono fiducioso».

Giocherellai per qualche istante con il cibo che avevo nel piatto, arrotolando e srotolando con la forchetta i pochi spaghetti rimasti.

Non mi andava particolarmente a genio il fatto che Draco volesse invadere prepotentemente la privacy di alcune nostre amicizie. 

Ero certa che Pansy non avrebbe apprezzato il suo ficcanasare, essendo lei molto riservata; Daphne magari avrebbe potuto ascoltarlo, ma questo non voleva dire che le parole di Draco avrebbero effettivamente aiutato a sistemare ogni tensione tra lei e Padma.

Sospirai e sollevai lo sguardo dal piatto di spaghetti: «Cosa vuoi scommettere?»

Draco si sfregò pensoso il mento, poi un sorriso fanciullesco si allargò sul suo viso: «Se vinco io, vorrei che tu riconsiderassi la mia proposta di prendere un gatto, so che la morte di Grattistinchi ti ha rattristato molto e che l'idea di prendere un altro animale in casa non ti convince, ma vorrei che tu ci pensassi ancora un po'».

Abbassai nuovamente lo sguardo sul piatto.

Pensare a Grattastinchi, che era stato al mio fianco per più di dieci anni, faceva ancora male, malgrado fossero passati ormai due anni dalla sua morte per vecchiaia.

«Va bene», acconsentii alla fine: «Se invece non dovessi riuscire ad avere successo nel tuo ficcanasare di domani, vorrei che riconsiderassi il nome Antares, nel caso dovesse nascere un maschietto».

Draco storse appena il naso, ma poi annuì: «Affare fatto».

Ci stringemmo la mano e tornammo a mangiare.

Fu Draco a interrompere il silenzio: «Ti piace davvero così tanto il nome Antares?»

Scrollai le spalle e sorrisi appena: «È una delle stelle più brillanti dell'intera volta celeste e lo preferisco di gran lunga a molti altri nomi che ci ha proposto tua madre».

Draco mi sembrò pensieroso per qualche secondo, poi mi sorrise a sua volta: «Ma come, non ti piace il nome Betelguese?»

«No, e lo sai bene», dissi, tra una risata e l'altra.

Appena finimmo di cenare, usammo un paio di incantesimi per pulire ogni cosa, per poi dirigerci in camera da letto.

La casa che avevamo comprato, una volta che avevamo messo abbastanza soldi da parte e chiesto un prestito alla Grincott, era un cottage grazioso nella campagna inglese. Aveva un cortile e un piccolo orto, di cui ci prendevamo cura grazie ai preziosi consigli di Neville.

Eravamo poco distanti da un paesino babbano e per questo cercavamo di non attirare troppo l'attenzione su di noi e di rimanere nell'anonimato.

L'unica babbana che aveva sfidato la barriera protettiva, che avevamo alzato intorno alla nostra proprietà e che avrebbe dovuto tenere lontani gli sguardi curiosi, Lucille Letemps si era rivelata essere una Maganò, che sapeva tutto della magia, dato che sua mamma era una strega. Lucille si era offerta fin da subito di raccontarci tutto quello che c'era da sapere su Castle Hedingham e il castello di origine medioevale, che sorgeva nel villaggio e di cui lei era una delle guide.

Grazie a lei era stato più facile ambientarci e fare amicizia con qualche altro vicino di casa; come per esempio il signor Tallys, che ci vendeva le uova delle sue galline allevate a terra, e la signora Goodall, la fornaia del paese.

Quando avevamo iniziato a cercare una casa, inizialmente avevamo pensato di rimanere in città; prendere magari un appartamento poco distante da Diagon Alley e rimanere in questo modo anche vicino ai rispettivi luoghi di lavoro.

Per curiosità avevamo iniziato a guardare anche cottage che si trovavano nella campagna che circondava Londra e avevamo subito capito che la calma di una piccola casa in mezzo al verde era proprio quello che desideravamo.

Avevamo visitato molte case, prendendo in considerazione sia agenzie immobiliari babbane, che agenzie gestite da maghi, e proprio quando avevamo iniziato a perdere le speranze, avevamo visitato quella che sarebbe poi diventata la nostra casa.

Fin da subito ci aveva affascinato il suo stile rustico esterno e la semplicità degli interni. Era abbastanza grande da poter contenere un massimo di quattro o cinque persone, aveva un ampio salotto, una cucina con annessa la sala da pranzo e un piccolo bagno; al piano di sopra si trovavano un altro bagno e tre camere da letto; la nostra, quella per gli ospiti e quella del bambino.

Non aveva niente a che vedere con la maestosità di Malfoy Manor o con il piccolo appartamento che avevamo affittato per qualche anno a Diagon Alley — prima di mettere da parte abbastanza galeoni da poterci permettere una casa più grande — ma a noi piaceva proprio perché non era troppo pretenziosa e allo stesso tempo era abbastanza spaziosa da farci sentire a nostro agio.

La metropolvere ci permetteva di arrivare comodamente al lavoro e quando avevamo bisogno di fare acquisti bastava camminare fino al paese e acquistare quello che ci serviva.

Prima di addormentarmi quella sera, lessi ancora qualche pagina del libro "Strega e mamma", che mi aveva prestato Ginny, mentre Draco leggeva qualche documento che si era portato a casa dal lavoro.

Era da qualche giorno che non facevamo sesso, in parte perché eravamo sempre molto stanchi o stressati, in parte perché il pancione era diventato enorme e ogni posizione sembrava causarmi dolori alla schiena o fastidi che prima non avevo mai provato.

Una cosa che però non era cambiata era la voglia inesauribile di contatto, che provavo quando Draco era accanto a me. Bastava che iniziasse ad accarezzarmi distrattamente i capelli o a sfiorarmi un braccio o una gamba, che mi era impossibile concentrarmi su qualsiasi altra cosa e tutto quello che riuscivo a pensare era al fatto che ne volessi ancora.

Quando quella sera Draco iniziò a giocare con una mia ciocca di capelli, posai subito il libro che stavo leggendo e gli tolsi di mano i documenti, appoggiandoli sul suo comodino.

«Cosa fai?», borbottò, guardandomi con aria accigliata.

«Probabilmente me ne pentirò domani, quando avrò male alla schiena, ma...», iniziai a dire, sfilandomi con un gesto deciso la maglia del pigiama che indossavo: «... sono a un livello di eccitazione che sta cominciando a diventare insopportabile. Credo c'entrino gli ormoni della gravidanza, ma potrei sbagliarmi e potrebbe essere semplicemente il fatto che non facciamo sesso da troppo tempo e tutto quello a cui riesco a pensare è a quanto ti voglio».

Draco sorrise malizioso, nel suo sguardo mi sembrò d'intravedere anche una punta d'orgoglio: «Temevo che ti fossi stancata di me, invece sei solo tanto brava a fingere indifferenza», disse, sfilandosi con un gesto fluido la maglietta del pigiama: «Se ti faccio male o per qualsiasi altro motivo vuoi che mi fermi, basta dirlo, ok?»

Annuii e scostai con gesti frenetici le coperte, adagiandomi più comodamente sui cuscini.

L'ultima volta avevamo dovuto fermarci perché avevo sentito una dolorosa fitta alla schiena e mi era stato impossibile continuare, ma questa volta ci sarei andata coi piedi di piombo e avrei fatto il minor numero di movimenti rischiosi possibili, lasciando che fosse Draco a compiere il lavoro sporco.

Ci spogliammo in fretta, entrambi impazienti, e quando Draco iniziò a masturbarmi, con la maestria di chi sapeva quello che stava facendo, gettai il capo all'indietro, gemendo forte.

Erano passati solo pochi giorni dall'ultima volta che avevamo provato, eppure sembrava che non venissi toccata da più di un anno. L'orgasmo iniziò a montare quasi subito, accompagnato dalle dita esperte di Draco e dalla sua bocca premuta contro il mio clitoride.

Avrei voluto dirgli di non fermarsi, ma le corde vocali sembravano essermisi attorcigliate e tutto quello che potevo fare era respirare pesantemente, con gli occhi chiusi e le dita che artigliavano il cuscino sotto al mio capo.

Draco si fermò poco prima che riuscissi a raggiungere l'orgasmo e un mugolio indispettito mi sfuggì dalle labbra, mentre riaprivo gli occhi e lo fissavo.

«Perché ti sei fermato?», mi lamentai, con la voce leggermente roca.

Draco si sporse, facendo attenzione a non premermi troppo sulla pancia e mi baciò con passione, abbastanza a lungo da farmi dimenticare la domanda che gli avevo appena posto.

«Tutto bene?»

Annuii, rassicurandolo e lui mi sorrise, prima di dedicare le proprie attenzioni al mio seno, più prosperoso del solito, a causa della gravidanza.

Appena decise che i preliminari erano durati abbastanza, entrò dentro di me ed iniziò a muoversi lentamente in un primo momento, facendo attenzione ad ogni mia espressione e indicazione per non farmi male. La sua attenzione quasi maniacale al mio benessere, cedette ben presto il posto alla frenesia che precedeva il raggiungimento dell'orgasmo.

La corsa al massimo piacere non durò a lungo; eravamo entrambi in astinenza da troppo tempo per poter sopportare di far durare più a lungo il momento che precedeva l'orgasmo, così ci lasciammo semplicemente andare, stringendoci in un dolce abbraccio appagato.

«Ti fa male la schiena?», mi chiese dopo qualche minuto di totale silenzio, appena i nostri cuori tornarono ad un battito normale.

«Sto bene... anzi, più che bene; ne avevo proprio bisogno», mormorai, riempiendo di baci il volto stanco di Draco.

«Bene, lieto di esserti stato utile», mormorò, prima di liberarmi dall'abbraccio, così da permettermi di indossare nuovamente il pigiama e correre in bagno per svuotare la vescica.

Ci addormentammo dopo poco, avvolti dalle coperte e dalle rispettive braccia.

Il giorno dopo era un sabato e dato che nessuno dei due doveva lavorare, rimanemmo un po' più a lungo del solito a letto, a coccolarci e sonnecchiare.

Solo quando la fame divenne insopportabile ci vestimmo e scendemmo di sotto per preparare la colazione.

Draco sarebbe andato dalla fornaia a prendere qualche biscotto e pasticcino per la festa nel primo pomeriggio e voleva anche decorare un po' il salotto, ma per il resto era già tutto pronto.

Dato che ultimamente non andavo quasi mai in ufficio, avevo avuto tutto il tempo, i giorni precedenti, di pulire a fondo la casa e nello specifico il piano terra, dove si sarebbe tenuto il baby shower, quindi prima della festa non avevo molto da fare, se non mettermi qualcosa di carino, provare a domare i miei capelli indomabili e sperare che tutto andasse per il meglio.

Dopo la colazione — una triste tisana al finocchio per me e una fumante tazza di tè nero per Draco — decidemmo di fare una veloce passeggiata a Castle Hedingham, dove ci fermammo brevemente dalla signora Goodall per chiederle di metterci da parte le paste, che saremmo passati nel primo pomeriggio a ritirare.

Mentre passeggiavamo Draco mi parlò ancora di lavoro e io lo annoiai con i pettegolezzi che mi erano stati raccontati da Lucille qualche giorno prima e che ancora non avevo avuto modo di raccontargli.

Rispetto agli inizi della nostra relazione, nata per una scommessa fatta da due ragazzini sciocchi, la nostra quotidianità era fatta di semplicità. Non c'erano minacce che incombevano su di noi, non c'erano maghi oscuri pronti a stravolgere il Mondo Magico e non c'era bisogno di nascondere la nostra storia. Potevamo essere noi stessi e potevamo amarci senza aver paura di essere giudicati.

A volte ripensavo alle incomprensioni dei primi tempi, ai litigi, alla frenesia della guerra e non potevo fare altro che essere grata di esser viva e di avere Draco accanto a me.

Una volta tornati a casa, dopo la nostra passeggiata, mi sedetti sul divano a leggere "Strega e mamma", mentre Draco gonfiava qualche palloncino e li incantava in modo che volassero ad un'altezza di due metri da terra in salotto e cucina.

Appese anche, sopra al camino, uno striscione pacchiano, che aveva comprato apposta per l'occasione, su cui c'era scritto "Baby shower" in oro a caratteri cubitali.

Lo avevo implorato per giorni di buttarlo via e non mostrarlo mai a nessuno, ma avrei dovuto immaginare fin dall'inizio che la mia richiesta sarebbe stata ignorata.

Quando Draco si metteva in testa qualcosa, soprattutto se quel qualcosa era particolarmente ridicolo o assurdo, dovevo stare certa che avrebbe trovato un modo per realizzarlo.

In quel caso si trattava di appendere uno stupido striscione, la volta prima si era trattato di regalarmi per il nostro anniversario dell'intimo commestibile, idea che lo aveva fatto sogghignare di soddisfazione per giorni...

Spostai lo sguardo dal libro che stavo leggendo per osservare il compiacimento nei lineamenti del viso di Draco, mentre spostava leggermente lo striscione, in modo tale che fosse ben visibile in tutta la stanza, e sorrisi.

A volte bastava davvero poco per renderlo felice; bastava semplicemente assecondarlo nel suo infantilismo e nella sua imprevedibilità.

Trascorremmo il resto della mattinata e del primo pomeriggio nella calma più totale, che venne spezzata alle tre e mezza, quando arrivarono i primi ospiti, in anticipo di trenta minuti.

Narcissa e Lucius Malfoy sbucarono dal camino con un grande pacco regalo che fluttuava accanto a loro e sorrisi tirati sulle labbra.

Ero certa che trovarsi nella nostra modesta dimora doveva essere un affronto per loro, soprattutto per la signora Malfoy, che mi aveva più volte invitata a sposate la festa a casa sua.

«Buon pomeriggio», disse mia suocera, salutando Draco con un bacio sulla guancia e me con una lieve pacca sulla spalla: «La festa non è ancora iniziata?»

Lucius non disse niente e si diresse semplicemente in cucina, dove lo sentimmo stappare una bottiglia di idromele.

«Siete in anticipo», fece notare Draco alla madre.

«Come pensavo», disse lei, sorridendo affabilmente: «Io e Lucius abbiamo un altro impegno e abbiamo pensato di venire a portarvi il nostro regalo per il futuro nascituro in anticipo».

Guardai Draco, che sembrava sollevato quanto me dalla notizia, e sorrisi: «Che peccato! Siamo contenti che comunque siate riusciti a fare un salto veloce».

Narcissa scrollò le spalle: «Vedo che avete decorato con palloncini volanti».

«Sì, ho insistito», disse Draco, osservando con orgoglio il suo lavoro: «Anche se Hermione non era convinta».

«Bene, allora vi auguro un buon proseguimento, magari riusciamo a ripassare più tardi, ma in caso non dovessimo farcela, scrivetemi, sono curiosa di sapere cosa pensate del regalo».

Narcissa fece un veloce incantesimo e l'enorme pacco che fluttuava nell'aria si adagiò con delicatezza sul tavolino basso del salotto.

Lucius ricomparve in quel momento dalla cucina e dopo un freddo gesto del capo prese una manciata di metropolvere e scomparve tra le fiamme del camino.

«Scusatelo, oggi è di pessimo umore», disse Narcissa, sospirando, prima di avvicinarsi a sua volta al camino: «Arrivederci!»

L'istante successivo la sua figura era scomparsa e io e Draco eravamo nuovamente soli.

«Tuo padre è sempre più scontroso», dissi e lui annuì, sedendosi con me sul divano.

«Penso che la colpa sia nostra».

«Mia vorrai dire», lo corressi, massaggiandomi distrattamente il pancione, dal quale non provenivano strani movimenti in quel momento: «È chiaro come il sole che non riesce ad accettare il fatto che tu abbia sposato una Nata Babbana e che presto nascerà un bambino che non sarà abbastanza Purosangue ai suoi occhi».

«Prima o poi gli passerà», disse Draco, lasciandomi un bacio sulla guancia: «Penso che la nascita di nostro figlio potrebbe fargli vedere il tutto da un altro punto di vista».

«Intendi il punto di vista di un nonno?»

Draco scrollò le spalle: «Magari gli verrà voglia di dare il buon esempio di fronte a suo nipote e smetterà di comportarsi come un bambino».

Sorrisi e mi accoccolai più vicina a lui sul divano: «Almeno la nostra festa non sarà rovinata da qualche battuta fuori luogo di tuo padre».

«Esatto, ma non ti preoccupare, sono certo che qualcuno prenderà il suo posto».

Le parole di Draco furono a dir poco premonitrici e scoprimmo ben presto che al posto dell'infantile Lucius, avremmo avuto come ospite speciale la turbata Daphne, che si preoccupò subito, appena mise piede nel nostro salotto, di stappare la bottiglia di idromele, che si era portata da casa, e berne un generoso sorso.

«Congratulazioni», disse, lasciando accanto al regalo dei signori Malfoy un pacchetto dai colori sgargianti. 

«Padma?», chiese Draco, osservando con espressione preoccupata l'amica.

Gli occhi di Daphne si riempirono di lacrime, che scacciò con un veloce gesto della mano: «Arriverà più tardi».

Dopo aver bevuto un altro sorso di idromele la ragazza si diresse in cucina e scomparve alla nostra vista.

«Me ne occupo io», disse Draco, raggiungendo la nostra prima ospite.

Rimasi seduta sul divano ad osservare i regali di fronte a me e sospirai, accarezzandomi il pancione: si prospettava una festa a dir poco interessante.


***



 

La festa iniziò ufficialmente quando arrivarono, a poca distanza l'uno dall'altra, Harry con Ginny e il piccolo James, Ron con Tatiana — una collega Auror con cui si era sposato da due anni circa — e la neonata Anastasia.

Mi ritrovai ben presto sommersa da baci, abbracci e congratulazioni.

Vidi con la coda dell'occhio, mentre cercavo di sopravvivere all'abbraccio di Ginevra, Draco portare Daphne al piano di sopra, probabilmente per permetterle di rinfrescarsi e calmarsi.

«Dove hai nascosto tuo marito?», chiese Tatiana, con il suo marcato accento russo, mentre cedeva la piccola Anastasia alle cure di Ron.

«Oh, Draco arriva, credo sia ancora in camera», dissi, scrollando le spalle.

Invitai tutti ad accomodarsi e iniziai subito a parlare con Ginevra del libro sulla maternità che mi aveva prestato, così da includere anche Tatiana, che ero certa le fosse stato imprestato lo stesso volume qualche mese prima di me, nella conversazione.

Harry e Ron stavano intanto facendo giocare James e Anastasia con un giocattolo a dir poco rumoroso, pescato dalla borsa dei giochi che Ginny si portava ormai dietro ovunque, e nel frattempo chiacchieravano animatamente di questioni di lavoro, che ogni tanto attiravano l'attenzione di Tatiana.

Proprio quando stavo per invitare tutti a mangiare qualche snack in cucina, comparve dalle fiamme del camino Pansy Parkinson, tra le braccia aveva un peluche a forma di orsetto con un enorme fiocco sulla pancia e sembrava molto poco felice di trovarsi circondata da ex Grifondoro.

«Pansy!», esclamai, avvicinandomi a lei: «Benvenuta e grazie per il peluche».

La nuova arrivata sorrise appena, ma sembrò tranquillizzarsi quando accanto a me arrivò Draco e la invitò a bere qualcosa in cucina.

Solo in quel momento, quando vidi Draco farmi l'occhiolino e salutare tutti quanti i nostri ospiti con un enorme sorriso, mi ricordai della scommessa, che avevamo fatto la sera prima, e mi ritrovai a sperare che, per quella volta, vincesse lui.

Non perché non vedessi l'ora di prendere un altro gatto, ma perché Pansy meritava un po' di felicità nella vita, così come la meritavano Neville, Padma e Daphne; e se poteva bastare l'aiuto di un amico — l'aiuto di Draco — a fare in modo che potessero sistemare le divergenze e tornare ad essere felici, come potevo non sperare che accadesse?

Seguii i nostri ospiti in cucina, dove il tavolo era stato riempito di biscotti, pasticcini e tartine salate, qualche bevanda analcolica e una bottiglia già iniziata di idromele.

«Scusate, mio padre è passato di qua prima di voi», disse Draco, con un sorriso dispiaciuto in volto.

Notai che Harry fece una piccola smorfia nel sentire menzionare il signor Malfoy, ma non disse niente e si limitò a prendere un biscotto per James e uno per sé.

Mentre intrattenevo gli ospiti, notai Draco prendere Pansy sotto braccio e accompagnala verso le scale, mentre le parlava a bassa voce.

Non avevo idea di quello che le stesse dicendo, ma potevo immaginare che stesse cercando di parlarle di Neville.

Nessuno, oltre a me, sembrò rendersi conto dell'improvvisa scomparse di Pansy e Draco, o, per lo meno, nessuno fece domande al riguardo.

Ginny aveva da poco lasciato le Holyhead Harpies, così da poter dedicare più tempo a James e alla sua nuova passione: insegnare Quidditch privatamente nell'enorme cortile di casa sua a giovani maghi e streghe.

Harry ogni tanto la aiutava, così da avere una scusa per tirare fuori la sua vecchia Nimbus e volare e James, che era ancora troppo piccolo per il Quidditch, si divertiva a guardare i suoi genitori fluttuare aggraziatamente in aria.

Appena chiesi a Ginny della sua nuova passione, la ragazza s'illuminò e iniziò a parlarmene, mentre Tatiana e Ronald si aggiungevano alla conversazione, entrambi a loro volta appassionati di Quidditch.

Tatiana si offrì di dare una mano a Ginny ogni tanto e le due cognate iniziarono a parlare di aprire insieme una scuola per insegnare Quidditch e magari fondare una squadra di giocatori tutta loro.

Harry e Ron sembrarono entusiasti dell'idea delle rispettive mogli e proposero un brindisi, a quella che si prospettava un'interessante collaborazione.

In quell'istante giunse un rumore dal salotto e appena mi affacciai notai il volto sorridente di Neville apparire nel camino, ma prima che il resto del gruppo potesse rendersene conto — erano tutti troppo intenti a brindare e a ridere soddisfatti e orgogliosi della futura squadra di Quidditch, che avrebbero creato e plasmato — Draco comparve dalle scale, afferrò Neville per il braccio e lo trasportò al piano di sopra in tempi record.

«È arrivato qualcuno?», chiese Ron, sporgendosi a sua volta per controllare il salotto.

«Oh, mi era sembrato di sentire qualcosa», dissi, scrollando le spalle: «A quanto pare mi sono sbagliata».

«O forse no», disse Ronald, indicandomi il fuoco verde nel camino.

In quel momento comparve tra le fiamme il corpo minuto di Luna, seguito subito dopo da quello di Blaise.

Sorrisi felice e andai loro incontro: «Benvenuti, cominciavo a pensare che aveste avuto un contrattempo!»

«Blaise ha avuto un'emergenza e ha dovuto aiutare una mamma ippogrifo a partorire», disse Luna, sorridendo serena, mentre appoggiava il pacchetto del loro regalo insieme al cumulo di altri doni sul tavolino del salotto: «Hermione, sei sempre più bella!», aggiunse.

Scoppiai a ridere: «Sempre più enorme, vorrai dire», la corressi, accarezzandomi pensosamente la pancia: «Ho dimenticato ormai che aspetto hanno i miei piedi».

Zabini rise della mia battuta: «Scommetto che Draco, ovunque sia in questo momento, fatichi comunque a toglierti occhi e mani di dosso».

Mio marito scese in quel momento le scale e ci raggiunse con un sorriso malizioso in volto: «Un giorno, Blaise, dovrai spiegarmi come fai ad essere sempre inopportuno».

Il moro scoppiò a ridere e salutò Draco con un abbraccio: «Allora, medimago, come va il lavoro?»

«Sono un pozionista, più che un medimago, e lo sai benissimo», rispose lui, invitando il nuovo arrivato a bere un bicchiere di burrobirra con lui.

Rimasta con Luna e il resto del gruppo, invitai tutti ad accomodarsi in salotto; chi occupò il divano, chi prese delle sedie dalla cucina, chi occupò le poltrone.

Mentre Ginevra e Tatiana continuavano a parlare della loro nuova squadra di Quidditch e Ron ed Harry di lavoro e figli, ebbi la possibilità di chiedere a Luna come stessero andando i preparativi per il matrimonio.

«Oh, bene bene, in realtà se ne sta occupando molto più Blaise di me, io mi sto dedicando al mio nuovo libro e lo aiuto solo quando proprio non posso farne a meno. La prossima settimana però credo che andrò a vedere per il mio abito da sposa, la data del matrimonio è sempre più vicina e non posso permettermi di arrivare all'altare senza un abito bianco, Blaise non me lo perdonerebbe mai! Ti andrebbe di accompagnarmi?»

«Certo, volentieri! Hai già un'idea su che abito comprare?»

Luna scosse la testa e sorrise: «No, vedremo poi sul momento cosa attirerà la mia attenzione».

Sentii un forte rumore provenire dal piano di sopra e il mio sguardo corse subito a cercare il volto di Draco, che trovai accigliato a pochi passi dalle scale.

«Vado a controllare che vada tutto bene», disse, prima di salire i gradini due alla volta.

«C'è qualcuno di sopra?», chiese Harry, sistemandosi gli occhiali sul naso.

«Penso che Draco abbia chiuso nella stessa stanza Pansy e Neville».

«Neville? Quando è arrivato?», chiese Ron, con la fronte aggrottata, mentre Ginny scoppiava a ridere: «Ancora vi divertite a creare coppie?»

Sollevai le spalle e sorrisi: «Draco si diverte a fare Cupido».

«Cupido? E chi è?», chiesero Ronald e Tatiana insieme, facendomi ricordare che i maghi ne sapevano ben poco delle divinità mitologiche romane.

«Si diverte a formare coppie», spiegai, con un sorriso indulgente sulle labbra.

In quel momento dal camino emersero le figure di Calì e Padma Patil, che vennero accolte calorosamente dal resto degli invitati riuniti in salotto.

Ricevetti da entrambe un pacchetto e un caloroso abbraccio, poi le accompagnai in cucina, seguita da Luna e Blaise, per permettere loro di servirsi da bere e prendere qualcosa da mangiare.

«Padma, potrei parlarti brevemente?», chiese ad un certo punto Blaise, indicandole con il capo le scale: «In privato».

L'ex Corvonero annuì e seguì il moro.

Osservai la scena con una punta di curiosità, poi mi resi conto che Draco doveva aver chiesto una mano a Zabini per il suo piano malefico e sospirai.

«A quanto pare il mio futuro marito e il tuo continuano ad essere complici», disse Luna, scuotendo sconsolata la testa.

«Complici?», chiese Calì, con espressione curiosa.

Le spiegai brevemente il piano di Draco e la ragazza scoppiò a ridere: «Se Malfoy dovesse riuscire a far ragionare mia sorella, meriterebbe una medaglia. Ho provato anche io a parlarle, ma dice che non capisco e che non capirò mai. Invece capisco benissimo che ha paura di dire ai nostri genitori di essere innamorata di un'altra strega perché teme il loro giudizio, ma dovrebbe imparare a godersi la vita!»

«Un po' come fai tu?», le chiesi, alludendo agli anni in giro per il Mondo e alla sua nuova marca di profumi che stava avendo un enorme successo.

Calì sorrise e annuì: «Esatto! Un po' come faccio io; deve buttarsi, altrimenti si ritroverà piena di rimpianti tra qualche anno e chi dovrà sopportare le sue lamentele e i suoi musi lunghi? Io».

Luna le diede subito ragione e Calì, con un bicchiere di idromele in una mano e un pasticcino nell'altra, sembrò prendere un'improvvisa decisione: «Vado a dare manforte a Malfoy, sento che potrei fare la differenza: quando si tratta di mia sorella so quali sono i suoi punti deboli».

Senza darci la possibilità di poter dire altro, ci abbandonò in cucina, dirigendosi con passo spedito al piano di sopra.

«Speriamo che nessuno si faccia male là sopra, Padma aveva un paio di Mantrigli sulla spalla», disse Luna, con le labbra arricciate per la preoccupazione.

Incerta se chiedere a Luna di spiegarmi ancora una volta cosa fossero i "Mantrigli" o se limitarmi a darle ragione, dissi un semplice: «Già», sperando che potesse bastare.

Quando tornai in salotto, accompagnata soltanto da, Ron e Harry mi chiesero dove avessi perso le gemelle e Zabini e dovetti ammettere che sembravano esser stati tutti quanti risucchiati nel piano di Draco.

Anastasia, che si era precedentemente addormentata tra le braccia del papà, scelse proprio quel momento per risvegliarsi e Tatiana interruppe la chiacchierata con Ginny, per recuperare la bambina e allattarla.

«Anastasia è come un orologio babbano», disse Ron, sorridendo intenerito: «Ogni quattro ore piange perché ha fame».

«La notte deve essere un incubo, allora», disse Ginny, lanciando un'occhiata colma di compassione a Tatiana: «James sembrava voler sempre giocare e mai dormire, un po' come adesso, solo che quando sono neonati e hanno tutta questa energia, sono difficili da gestire».

«Appena ha iniziato a camminare, però le cose sono andate meglio», disse Harry, lasciando un buffetto sulla guancia alla moglie: «Ora si stanca più facilmente, basta lasciarlo libero di correre in giardino».

Ginny annuì e sorrise: «Un mese fa l'abbiamo trovato addormentato tra i tulipani, tutto pieno di terra: la parte difficile è stata fargli il bagnetto».

«Sì, ricordo», disse Harry, ridendo divertito.

Si sentirono voci concitate al piano di sopra e dopo poco Draco, Blasie e Calì tornarono in salotto.

«Come sta andando la missione?»

Draco mi raggiunse e scosse il capo: «Non bene temo», borbottò, lasciandomi un bacio sulla fronte: «Sono testarde, l'unico tranquillo è Neville».

«Hanno caratteri forti», dissi, accarezzandogli il braccio: «Ma se ce l'abbiamo fatta noi, penso che ce la faranno anche loro; hanno solo bisogno di un po' di tempo».

«Concordo, ecco perché ho chiuso a chiave Padma e Daphne in camera nostra e Neville e Pansy nella stanza degli ospiti».

«Hai fatto cosa?», chiese Harry, sconvolto, mentre il resto degli ospiti scoppiava a ridere.

«Oh, Draco», dissi in un sospiro, prima di dirigermi verso le scale: «Andiamo a liberarli, non mi sento a mio agio all'idea di avere delle persone prigioniere in casa mia».

«Ci penso io», disse Draco, bloccando la mia avanzata, prendendomi per un braccio: «Tu pensa ad aprire i regali, ci penso io ai nostri ospiti difficili».

Mi lasciai convincere e mi sedetti sul divano, lanciando una veloce occhiata alla figura di Draco che scompariva su per le scale.

Ero abbastanza certa che non si sarebbe arreso così facilmente e che avrebbe trovato un altro modo, per spingere le due coppie al piano di sopra a parlare sinceramente e ad appianare ogni lite.

«Prima il nostro!», urlò Ginny, prendendo un pacchetto dal cumulo di doni e porgendomelo con un sorriso a trentadue denti.

Il regalo di Harry e Ginny conteneva un buono per un negozio di giocattoli di Diagon Alley e un pacco da venti pannolini magici riutilizzabili, facilmente pulibili con un "gratta e netta" e perfetti per non inquinare l'ambiente.

Il presente di Ronald e Tatiana si rivelò essere una scacchiera magica giocattolo, fatta apposta per permettere ai bambini di giocare e divertirsi.

Il pacchetto di Luna e Blaise conteneva invece l'intera serie di libri per bambini scritti da Luna negli ultimi anni, dove i protagonisti delle storie erano Gulippe, Gorgosprizzi, Mantrigli e altre creature, al resto del mondo invisibili, che Luna sembrava essere l'unica in grado di vedere. Quei libri illustrati stavano avendo un enorme successo e Luna doveva spesso girare le librerie di tutto il Regno Unito e l'Irlanda per presentare la sua serie.

«Mi è stato detto che sono perfetti per far addormentare ogni bambino», disse la scrittrice, attirando l'attenzione di Ginevra, che disse di voler provare a comprarne uno o due e vedere se avrebbero potuto far addormentare anche il piccolo ed energico James.

Hermione stava per aprire l'enorme pacco che le era stato consegnato dai suoceri, quando un rumore di passi sulle scale la fece voltare.

Draco, seguito da Neville, Pansy, Daphne e Padma, si unì al resto degli invitati che stava assistendo all'apertura dei regali.

Daphne aveva tra le mani una bottiglia di idromele vuota e faticava a reggersi in piedi, per questo Padma la aiutava, tenendole un braccio intorno alla vita, accanto a loro, Pansy e Neville si lanciavano ogni tanto qualche occhiata veloce, che non riuscivo in nessun modo a decifrare, indecisa se fosse complicità o imbarazzo.

Aprii il regalo del signori Malfoy e rimasi senza parole alla vista del cavallino a dondolo in legno, magistralmente dipinto che si trovava all'interno.

«È bellissimo», mi lasciai sfuggire, cercando con lo sguardo Draco, che sembrava stupito e affascinato da quel presente quanto me.

«Se avevo dei dubbi prima, ora non ne ho più: appena diventeranno nonni perderanno quel minimo di ragione che gli è rimasta: questo cavalluccio deve essere costato una fortuna!», disse mio marito, raggiungendomi per osservare più da vicino il regalo.

«Sembra che i signori Malfoy non vedano l'ora di diventare nonni», disse Blaise, con gli occhi sbarrati.

«Mamma, anche io», disse James, gli occhi puntati sul cavalluccio e le mani protese, pronte ad afferrarlo.

Harry lo prese prima che potesse saltare sul giocattolo e gli disse che se si fosse comportato bene, gliene avrebbero comprato uno uguale.

Ginny lanciò uno sguardo allarmato al sentire quelle parole e cercai di tranquillizzarla, dicendole che avremmo potuto prestarglielo qualche volta.

Il regalo successivo era da parte di Neville.

Appena lo spacchettai una piccola smorfia mi comparve in viso: «Mancava effettivamente un giocattolo rumoroso», dissi, osservando tutti i colori di quello xilofono per bambini.

«È incantato in modo che i genitori possano scegliere se sentire o meno il bambino giocarci», spiegò Neville e Draco, accanto a me, tirò un sospiro di sollievo: «Meno male».

«Avete già aperto il mio regalo?», chiese Daphne, biascicando appena, ancora sorretta da Padma.

«No», la tranquillizzai, prendendo successivamente il pacchetto dai colori sgargianti che aveva portato lei, al cui interno c'erano delle tutine invernali e un biglietto da visita del negozio in cui erano state comprate, nel caso avessimo voluto cambiarle.

Gli ultimi regali si rivelarono essere, oltre al peluche da parte di Pansy, un puzzle, da parte di Padma e un soggiorno in un lussuoso albergo a Saint-Vincent, in Italia e due ingressi per le terme magiche del posto, da parte di Calì, che immaginava avremmo avuto bisogno di una fuga dopo le prime settimane da neo genitori.

Ringraziammo uno ad uno i nostri ospiti per quei bellissimi regali e mi preoccupai di spedire subito un biglietto ai signori Malfoy, per ringraziarli del generosissimo cavalluccio in legno, facendo sapere loro che ci era piaciuto molto.

Trascorremmo il resto del pomeriggio tra la cucina e il salotto, chiacchierando affabilmente tra di noi.

Draco non tentò più di rinchiudere i nostri ospiti nelle stanze al piano di sopra e, ben presto, ogni tensione sembrò svanire.

Daphne si addormentò mezza sdraiata su Padma sul divano e rischiai di piangere, quando notai il modo inconsapevolmente dolce con cui Padma accarezzava, ogni tanto, i capelli di Daphne o il suo viso arrossato per l'idromele.

Scoprii Neville e Pansy appoggiati al bancone della cucina che parlavano a bassa voce, durante una delle mie veloci capatine a rubare qualche stuzzichino o dolcetto. Non li disturbai in nessun modo e mi limitai a prendere da mangiare e tornare subito in salotto.

Luna chiese anche a Padma, Ginny, Tatiana e Calì di accompagnarla a scegliere l'abito da sposa la settimana successiva e decidemmo ben presto di organizzare un'intera giornata di sole donne.

Blaise iniziò poi a lamentarsi dei troppi dettagli che c'erano da stabilire nell'organizzare un matrimonio e Calì si offri di dargli una mano, dato che il suo sogno era sempre stato quello di essere una wedding planner.

Durante una delle mie numerose fughe in bagno, incrociai Pansy e senza pensarci, la invitai a chiacchierare brevemente da sole.

«Volevo chiederti scusa per il modo in cui si è comportato Draco, mi aveva detto che voleva provare a far parlare te e Neville, ma non avrei mai immaginato che il suo "piano" fosse quello di chiudervi in una stanza a chiave».

Pansy scrollò le spalle e sorrise appena: «I modi di Draco sono sempre poco delicati, ma forse era quello di cui avevo bisogno».

«Quindi stai bene? Va tutto bene?»

Pansy annuì e osservò brevemente il suo riflesso nello specchio del bagno: «Sì, Granger, sto bene. Prima o poi avrei dovuto parlare con Neville, continuare a ignorarlo non era più fattibile ormai, quindi potremmo quasi dire che Draco ci ha fatto un favore oggi».

«Vuoi parlarne?», le chiesi, cercando di tenere a bada la mia curiosità.

«Non so chi è più ficcanaso tra te e Draco», borbottò Pansy, un sorriso scocciato sulle labbra: «Non sono più la ragazzina fragile di un tempo, Granger, sono cresciuta e maturata e, fidati, non esiste essere umano più forte di una donna distrutta, che ha raccolto i pezzi e si è ricostruita giorno dopo giorno. Per questo ho allontanato Neville qualche mese fa, perché ho pensato di poter essere abbastanza forte da poter stare da sola. Ho scoperto che avevo ragione; sono abbastanza forte e in pace con me stessa da poter stare da sola, solo che sentivo la mancanza di Neville e la chiacchierata di oggi mi ha permesse di scoprire che anche Neville ha sentito la mia mancanza; quindi abbiamo deciso che cercheremmo di trovare un nostro equilibrio ed essere felici».

Senza pensare a quello che stavo per fare, inglobai il corpo di Pansy in un abbraccio: «Non sai quanto mi faccia piacere sentirtelo dire. So che non è stata facile per te e sono felice che finalmente sia arrivato anche per te il momento di essere felice!»

Pansy rispose timidamente all'abbraccio, poi lo sciolse, leggermente in imbarazzo: «Okay, ora basta però. Torno di là».

Mi lasciò sola in bagno e mi resi conto di essere davvero entusiasta per quella bellissima notizia, tanto felice da dimenticarmi di dover fare la pipì per ancora qualche lungo e interminabile secondo.

Prima che me ne rendessi conto arrivò per tutti il momento di andare.

I primi furono Tatiana e Ronald, con la piccola Anastasia nuovamente addormentata, poi fu il turno di Harry e Ginny con James e di Calì, che aveva una cena di lavoro a cui non poteva mancare.

Luna mi disse che mi avrebbe fatto presto sapere i dettagli della giornata solo donne, che aveva intenzione di organizzare entro la settimana successiva e Blaise disse a Draco che dovevano vedersi assolutamente ancora prima della nascita del bambino.

Pansy e Neville ci ringraziarono per l'ospitalità, prima di andare, chiedendo però di non essere più rinchiusi nella stessa stanza in futuro, in caso le cose tra loro due non avessero funzionato.

Alla fine rimanemmo in compagnia di Padma e Daphne. Quest'ultima si era da poco svegliata e aveva un terribile mal di testa a causa della sbronza e Padma si sentiva in dovere di starle accanto e capire se sarebbe riuscita a tornare a casa sana e salva, prima di prendere la metropolvere.

«Se volete rimanere, potete avere la camera degli ospiti», proposi, fin troppo consapevole che usare la metropolvere da ubriachi fosse poco sicuro.

«Gentilissima, ma non ce ne sarà bisogno, posso permettermi senza problemi una stanza in un hotel», disse Daphne, con un tono di voce triste e monotono

Aggrottai le sopracciglia a quelle parole, non capendo a cosa si riferisse, dato che ero abbastanza certa avesse una casa, quando Padma si alzò di colpo dal divano, spaventando tutti quanti con quel gesto repentino.

«Per quanto ancora avrai intenzione di comportarti così?», disse l'ex Corvonero, osservando con gli occhi lucidi la compagna.

Daphne si sfregò il volto con aria triste, poi rispose: «Fino a quando non ti deciderai a dire ai tuoi genitori che mi ami, credo. O forse non vuoi dirglielo perché è una bugia?»

«Credo che io e Draco dovremmo lasciarvi un po' di privacy», dissi, facendo un cenno a mio marito di seguirmi al piano di sopra.

Draco mi guardò con gli occhi leggermente sbarrati: «Cosa? No!»

Daphne si alzò in piedi e dovette sostenersi allo schienale del divano, per non perdere l'equilibrio: «Tranquilli, ce ne andiamo».

Padma bloccò la propria ragazza, in modo da guardarla negli occhi: «Torna a casa con me».

Daphne sorrise tristemente: «Mi piacerebbe, ma sono stanca di nascondermi Padma. Ti amo e non mi vergogno di amarti, perché tu non puoi fare lo stesso?»

Assistetti con il cuore stretto in una morsa e gli occhi lucidi a quella dichiarazione d'affetto, mentre intrecciavo con forza le mie dita a quelle di Draco.

«Perché non ho la tua forza», sussurrò la ragazza, con lo sguardo basso: «Ma ti amo e lo sai. Torna a casa con me e cerchiamo una soluzione insieme».

Daphne sembrò arrendersi, prese la mano di Padma e si lasciò guidare da lei verso al camino.

«Grazie di tutto», disse Padma, prima di scomparire tra le fiamme verdi del camino.

Daphne ci fece un semplice cenno del capo, poi si lasciò inghiottire a sua volta dal fuoco.

«Credo di aver vinto la scommessa», disse Draco, appena rimanemmo soli.

Scoppiai a ridere e lo abbracciai: «Vorrà dire che prederemo un gatto».

«Lo sai che ti amo, vero? Anche se non te lo ripeto ogni giorno, lo sai, sì?», sussurrò Draco contro i miei capelli, prima di lasciarmi un bacio sulla fronte.

«Lo so, e tu lo sai che ti amo, vero?»

«Sì, lo so».


 

·≈· DRACO'S POV ·≈·

 

Un mese dopo, 22 Settembre 2005

 

La mia rinascita avvenne nel momento esatto in cui la medimaga che aveva assistito Hermione al parto, mi mise tra le braccia il corpicino piagnucolante di mio figlio, avvolto in una copertina gialla.

Percepii con fin troppa chiarezza il calore, il peso e l'odore di quella creatura delicata contro il mio petto, mentre muovevo i pochi passi che mi separavano da Hermione.

Non esisteva più il Draco Lucius Malfoy di una manciata di secondi prima, ora ero diventato padre e il centro dell'Universo non ero più io, ma il neonato che stavo porgendo a Hermione, in modo che potesse allattarlo.

Distolsi lo sguardo dagli occhi chiari del bambino e dal suo visetto rubicondo, bagnato dalle lacrime, per osservare il volto stanco di Hermione. 

Mi sporsi per baciarle la fronte e poi le labbra, incapace di dirle a parole le emozioni che provavo in quel momento; emozioni talmente forti da farmi male al petto.

Hermione rispose al bacio, poi guardammo entrambi nostro figlio, incapaci di staccargli gli occhi di dosso, mentre piagnucolava tra le braccia della madre.

«Sembra che abbia vinto tu questa scommessa», realizzai, pizzicando giocosamente la guancia di mia moglie, che scoppiò a ridere.

«Sembra proprio di sì, ricordi cos'avevamo scommesso?», mi chiese, puntano i suoi grandi occhi stanchi, ma colmi di felicità, nei miei.

Scossi il capo: «No, non ricordo».

Hermione si slacciò abbastanza il camice per poter allattare il nostro bambino, poi tornò a guardarmi con gli occhi colmi di lacrime e le labbra che le tremavano appena: «Dobbiamo scegliere un nome».

«Un nome...», ripetei, annuendo distrattamente, mentre cercavo di ricordare uno qualsiasi delle centinaia di nomi che avevamo letto, negli ultimi mesi, nelle missive di mia madre.

Guardai il bambino, quasi mi aspettassi un suggerimento da parte sua, poi Hermione sussurrò un nome e tutto quello che potei fare fu scoppiare a piangere e ripetere quello stesso nome: «Antares».

«Benvenuto, Antares», sussurrò Hermione, accarezzando la guancia di nostro figlio.

 

 

***

 

Buonsalve popolo di EFP!

Eccoci alla fine del capitolo bonus, che spero vivamente vi sia piaciuto!

Non so se in futuro riuscirò a scriverne altri, dato che ho mille altre idee per la testa che vorrei realizzare, quindi per il momento penso che segnerò questa storia come conclusa e vedremo se avrò ispirazione in futuro per altri capitoli.

Spero che abbiate tempo e voglia di farmi sapere cosa pensate di questo piccolo bonus con qualche commento!

Vorrei approfittare di questa spazio per ringraziarvi di cuore per tutte le recensioni e le semplici visualizzazioni a questa mia storia (e alle due precedenti della serie) e per aver sopportato le mie continue assenze e crisi d'ispirazione. 

Grazie di cuore! ❤️

Per chi fosse interessato ad altre mie Dramione, basterà spulciare tra le mie storie, oltre a questa serie esiste una duologia "Gioco di Sguardi" e "Momenti Rubati" (che sto valutando se far o meno diventare una trilogia) e una storia a sé stante dal titolo "Perdonami". 

Mi potete trovare anche su Instagram, il nome dell'account è lazysoul_efp; e potete trovarmi anche su Ko-fi, il link per la mia pagina è nella mia bio. Vi consiglio di guardare ogni tanto la mia pagina Ko-fi, dato che lascio qualche anteprima di capitoli futuri o altre notizie che potreste trovare interessanti e, nel caso in cui voleste farmi un regalo di Natale, ma non sappiate come, potete sempre donarmi un caffè su Ko-fi tramite PayPal!

Vi auguro una buona giornata e una buona festa dell'Immacolata!

Un bacio,

LazySoul

 

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