Grandi avventure per piccole pixie

di Emmastory
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Gelo e calore ***
Capitolo 2: *** Voglia di imparare ***
Capitolo 3: *** Il nuovo nido di due pixie ***
Capitolo 4: *** L'orgoglio di una mamma ***
Capitolo 5: *** Giù per lo scivolo ***
Capitolo 6: *** Il villaggio dei divertimenti ***
Capitolo 7: *** Foto di famiglia ***
Capitolo 8: *** Penderghast Elementary ***
Capitolo 9: *** Uguali ma diverse ***
Capitolo 10: *** Il vecchio peluche ***
Capitolo 11: *** Torna a casa Bucky ***
Capitolo 12: *** Dolcetti in amicizia ***
Capitolo 13: *** La pixie e il dentino perduto ***
Capitolo 14: *** Le magie della natura ***
Capitolo 15: *** Pigiama party ***



Capitolo 1
*** Gelo e calore ***


Big-Adventures-for-little-pixies
 
Grandi avventure per piccole pixie
 
Capitolo I
 
Gelo e calore 
 
Una luce bianca. Soltanto una luce bianca. Il sole del mattino si stava di nuovo levando sul bosco, e le due bambine non ricordavano altro. A otto e sei anni, Sky e la piccola Kaleia erano rimaste da sole, e sveglie dall'ennesimo riposino fra le foglie, avevano fame. Ancora stanca, Kaleia si rimise in piedi a fatica, e strofinandosi gli occhietti ancora cisposi, si avvicinò alla sorella maggiore, sveglia come lei ma ancora sdraiata nel suo lettino di foglie. "Sky?" chiamò. "Mangiamo?" chiese poi, con lo stomaco che ancora brontolava. Assonnata e annoiata, Sky quasi non rispose, e voltandosi a guardare la sorellina con la stizza negli occhi, sbuffò. "Kia, sul serio? Ancora? Mi hai svegliata due ore fa per lo stesso motivo! Io non ho fame, trovati qualcosa da sola!" si lamentò, rigirandosi nel verde fino a darle le spalle. Una frase semplice, che dati i loro trascorsi, giunse alle orecchie della pixie come dolorosa, capace di gelarle il cuore e il sangue nelle vene. Triste, la bimba abbassò lo sguardo e incrociò i piedi in segno di resa, e con alcune piccole lacrime a velarle e inumidirle gli occhi, rischiò di scoppiare a piangere. Erano sorelle, e lei era più grande, certo, ma perchè doveva comportarsi in quel modo? Cosa le aveva fatto di tanto orribile? Chiedere di mangiare qualcosa insieme era davvero così irritante per la sorella? Si lamentava forse troppo? Domande su domande che la pixie si poneva, e che per sua sfortuna non trovavano mai una risposta. Scivolando nel silenzio, si voltò sfuggendo allo sguardo della sorella, e fatti pochi passi, si ritrovò davanti al tronco di una quercia. Era cavo, il che significava che qualche animale o creatura del bosco doveva averlo scelto come tana. Incuriosita, la bambina volse lo sguardo al cielo, azzurro come i suoi occhi e il leggero vestitino in cui senza volerlo, a volte si stringeva. Era strano. A giudicare dalla flora attorno a loro e al sole ancora alto in cielo, la primavera doveva essere arrivata da poco, ma per quanto strano potesse sembrare, Kaleia aveva freddo. Sì, freddo. Nonostante il sole, il tepore, i fiori e il loro profumo, avvertiva quella strana sensazione fin dentro le ossa. Colta da un brivido, tremò come una foglia, e nel silenzio di pochi istanti, un suono attirò la sua attenzione. Non un suono qualsiasi, ma bensì uno squittio a dir poco caratteristico, che conoscendosi avrebbe distinto fra mille. Veloce, uno scoiattolo le saettò davanti, e alla vista di quella piccola palla di pelo, la bimba sorrise. "Ciao, Bucky." Salutò, felice di rivederlo. Piccolo e contento quasi quanto lei, l'animaletto ruppe il silenzio con uno dei suoi simpatici versi, ed ergendosi sulle zampe posteriori, le offrì una dolce e succosa mora. Uno dei tanti dolcetti che quel topolino si concedeva quando decideva di prendersi una pausa da noci e nocciole. Tutti parte di una dieta bilanciata per un esserino come lui, ma non certo per una pixie come Kaleia, che con un sorriso sul volto e le lacrime già asciutte, accettò quel frutto prendendone un morso con gusto. "Grazie, sei un amico." Bofonchiò, parlando a bocca piena. Ancora persa nei suoi pensieri, Sky si voltò nel sentire quelle parole, e fu allora che  capì. Aveva sbagliato, e rimasta da sola, la sorellina era stata costretta a rivolgersi a uno scoiattolo per trovare del cibo. In breve, il silenzio calò su di lei impedendole di parlare, e provando una strana stretta al petto, ebbe lo strano, stranissimo impulso di avvicinarsi. "Kia, ascolta, mi... mi dispiace." Balbettò, facendosi pena e schifo da sola. Pur sentendo quella voce, Kaleia non si voltò, e addentando nuovamente la mora ricevuta in regalo dall'amichetto peloso, si allontanò, deglutendo e sparendo dalla sua vista per giocare con lui. Stando a Sky e ai suoi ricordi, non aver praticamente mai incontrato i loro genitori e non averne memoria, eccezione fatta per quella dannatissima luce bianca doveva averla stabilizzata più di quanto credesse, ragion per cui anche venire ignorata le faceva male, molto male. Era quella la ragione per cui finiva per diventare lamentosa e appiccicosa, sicura di voler e poter fare qualunque cosa pur di ottenere l'attenzione della sorella. Forse sbagliava, forse esagerava, ma il suo cuore di bambina parlava chiaro, e il gelo avrebbe avuto come unico potere quello di peggiorare le sue ferite. Così, triste come e forse più di lei, Sky alzò lo sguardo verso il cielo, e azzardando un fischio ben modulato, richiamò a sè il caro e fido merlo Midnight, che scendendo in picchiata, la fece ridere mentre gracchiando si posava sulla sua spalla. Sedendosi all'ombra, non disse una parola, poi, accarezzando quelle piume color pece, gli parlò appena. "Che ne dici, ho davvero sbagliato?" gli chiese, muovendo appena le dita su quel piumaggio scuro e scivolando nel silenzio di una risposta. Concentrato sull'orizzonte, il suo merlo gracchiò ancora, e per tutta risposta, una ghianda cadde dalla quercia sotto la quale riposava. "Midnight!" gridò, credendo che la colpa fosse del volatile. Infastidito, questo ruppe il silenzio con un ennesimo stridio, e attimi più tardi, massaggiandosi la parte lesa, Sky si rimise in piedi, e aguzzando la vista, rivide la sorellina felice e sorridente. Dopo mangiato, giocava ancora con il suo amico scoiattolo, e con le braccine al vento, correva per la foresta senza alcun pensiero a turbarla, o almeno non più. A quella vista, Sky sorrise, e ancora una volta, il suo cuore battè, allora più forte di prima. Fra le due, lei era la sorella maggiore, e nonostante i loro dissapori e le loro differenze, doveva ammettere che era davvero bello vederla così felice, mentre giocava e si divertiva con quel piccolo mascalzone peloso. Avvicinandosi, la vide impegnata a riempire l'aria e il cielo di spruzzi di magia colorata, e ridendo di cuore, non tardò ad unirsi a lei. "Battaglia di fate!" quasi urlò, protendendo una mano in avanti e liberando una folata di vento che minò l'equilibrio della sorella, facendola quasi cadere all'indietro. Divertita come non mai, la piccola Kaleia si mostrò stoica, e allargando le braccia quanto bastava, ritrovò la propria stabilità attimi prima di vederla svanire nel vento. Erano sole, certo, ma almeno erano insieme, e data la loro età e la forza del loro legame di sorelle prima e amiche dopo, giocare insieme era sempre bellissimo. Così, fra uno schizzo di magia e l'altro, le due sorelle si divertirono come poche, e nonostante la gioia nei loro cuori e il colore della speranza tutto attorno a loro, qualcosa le distrasse. Dopo quelle che parvero ore, il sole scese nascondendosi dietro ai monti, e ben presto, il cielo si tinse di nero. In altre parole, il buio era arrivato, ed era ora di tornare a casa, o perlomeno nel luogo che le due definivano tale. Una sorta di grotta nel fitto della foresta, dove riposare e passare la notte come facevano sempre, dovendo però sforzarsi di sopportare il freddo senza una giacca o un pigiama di lana. Difatti, sole com'erano, dormivano spesso con le stesse vesti che anche ora avevano addosso, e infastidita da qualcosa di freddo e bagnato, Sky alzò la testa. Era pioggia. "No, non ci voleva. Adesso che faccio?" pensò, mentre il panico prendeva il posto della calma impossessandosi lentamente di lei. In quel momento, confusa e spaventata, non seppe cosa fare. Giocando, le due non si erano certo accorte del tempo che scorreva, e il divertimento aveva tolto loro ogni energia, ragion per cui la soluzione più ovvia, ovvero usare i loro poteri per togliersi dai guai, non avrebbe funzionato. Come avrebbe potuto, ora che riuscivano a malapena a camminare? Ansiosa, Sky si guardò attorno, e respirando velocemente, sentì il cuore battere come impazzito, così forte da minacciare di scoppiarle in petto, e improvvisamente, il silenzioso pianto della sorella la spaventò ancora di più. "Sky, ho... ho paura! Andiamo a casa!" piagnucolò la piccola, diventando improvvisamente rossa in viso e tirando su col naso mentre tentava di asciugarsi il viso con una manica della veste. Senza proferire parola, Sky fece saettare lo sguardo in tutte le direzione, ma impossibilitata da quel buio, non vide quasi nulla, e il distante suono di tuoni la bloccò sul posto. "Kia, ti prego, non piangere. Andremo a casa, sul serio. Vieni." Le rispose soltanto, sussurrando ogni parola e tendendole una mano nella forse vana sperando di vederla stringergliela con forza, come faceva ogni volta che la paura aveva la meglio su di lei o su entrambe. Dal suo canto, Kaleia sembrava inconsolabile. Aveva freddo, di nuovo fame, e cosa ancor peggio, era spaventata da tutto ciò che le accadeva intorno. C'erano la pioggia, il buio, i tuoni, e chissà che razza di animali selvaggi, e con i pugni stretti fino a farsi male, pianse e pianse senza posa, per poi voltarsi verso la sorella e cercare rifugio fra le sue braccia. Sospirando, Sky si fece coraggio, e raccogliendo le sue ormai esigue forze, la sollevò da terra fino a prenderla in braccio. "Andrà tutto bene, Kia. Non saremo da sole per sempre." Le sussurrò, stringendola a sè e cullandola con ogni passo. Lenta, si mosse guardandosi costantemente intorno, e finalmente, nel mezzo dell'oscurità, un viso amico. Una donna, che calma e gentile, sollevò una mano come per salutarle. "Piccoline?" chiamò, preoccupata. "Sì?" risposero le due sorelle, parlando all'unisono come gemelle. "Sta piovendo, e se continua così vi ammalerete." Disse allora la donna, avvicinandosi e offrendo loro l'ombrello che portava, invitandole a ripararsi. Insicura, Sky si chiuse nel silenzio, e solo pochi istanti più tardi, mentre il suo corpicino tremava, azzardò un'importante domanda. "Chi sei?" soffiò appena, terrorizzata. "Un'amica, e mi chiamo Eliza." Rispose la donna rivelandosi alle due pixie, acquistando finalmente una vera identità. "Ciao." Si limitò a dirle allora la bambina, non riuscendo ancora a fidarsi completamente. Ad essere sincera, la piccola non sapeva perchè, ma la sua insicurezza, o meglio, diffidenza, doveva avere un qualche tipo di radice. Non lo sapeva, ma avrebbe dovuto combattere contro quel demone anche negli anni a venire. Molto più ingenua, Kaleia già sorrideva, le lacrime avevano smesso di rovinarle il viso, e a poco a poco, anche grazie alla gentilezza di quell'umana non più conosciuta, anche la pioggia quasi non scrosciava più. Fu quindi questione di attimi, e contagiata dall'ottimismo della sorella, anche Sky si affidò a quell'anima così buona e dolce, e seguendola verso casa, una vera casa, le due furono felici. Finalmente non erano più costrette fuori al freddo e al gelo, ma al contrario avevano conosciuto l'esatto contrario, ovvero il calore di un amore sincero e materno, qualcosa di perfino più potente della loro magia, e in termini a loro più comprensibili, un sortilegio che neanche il tempo avrebbe potuto spezzare. 
 
 
Salve a tutti! Sono tornata con una nuova raccolta dedicata alle nostre care fate, ritornate fra queste pagine ai loro tempi di bambine. Qui scopriamo cosa sia davvero successo nel giorno in cui la cara Eliza ha deciso di adottare, prendendole con sè e donando loro una vita nuova e piena d'amore. Alla prossima pubblicazione,
 
Emmastory :)

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Capitolo 2
*** Voglia di imparare ***


Big-Adventures-for-little-pixies
 
 
Capitolo II
 
Voglia di imparare
 
Era un nuovo giorno al bosco di Primedia, e con il sole che faticava a mostrare il suo pallido volto, la pioggia aveva iniziato a scrosciare, e seduta nel salotto di casa, la piccola Kaleia si divertiva a guardarla rigare i vetri delle finestre. Non che quella vista le piacesse, anzi, tutt'altro, ma a soli sei anni, ne faceva spesso un gioco. Estraniandosi dal resto del mondo, fissava lo sguardo su due particolari gocce a sua scelta, e seguendo il loro movimento, improvvisava una vera e propria gara di velocità, coinvolgendo la sorella e facendo sempre il tifo per una di loro. Un gioco un pò stupida, ma pur sempre tale, che in assenza di sole e possibilità di uscire, la divertiva, come restare ferma sull'uscio di casa alla sera guardando le lucciole ballare nel cielo assieme a mamma Eliza. A dirla tutta, quella donna aveva adottato Sky e Kaleia soltanto poco tempo prima, e non sarebbe certo mai stata la loro vera madre, ma a lei non importava, e neanche alle bambine. A otto e sei anni, avevano trovato nella donna un viso e una mano amiche, e ora che erano piccole e stavano crescendo, non passava giorno in cui ringraziassero il cielo per averle aiutate, e le stelle per aver compiuto quel miracolo. Non avevano idea di cosa fosse successo ai loro veri genitori, e se ce l'avevano era così confusa da non avere una vera forma, in quanto tutto ciò che ricordavano era una luce bianca, un gran dolore alla testa, e poi tante, tante lacrime. Era andata così. Abbandonate come vecchi giocattoli, costrette a crescere prima del tempo e vivere nella foresta, e dopo un tempo che nessuna delle due era riuscita a definire, eccola. Eliza. Umana e affatto avvezza alla magia, si era avventurata in quel bosco per pura curiosità, e in quel giorno di pioggia, le aveva trovate. Da allora in poi, le aveva prese con sè, e guardandosi metaforicamente indietro, pixie e madre adottiva riuscivano a ricordarlo perfettamente, come se quella rimembranza appartenesse appena al giorno prima. Ovvio era che così non fosse, e che nella più assoluta, Kaleia non facesse altro che dondolare le gambe, sentendo l'aria muoversi e il tempo scorrere. Rapita dallo spettacolo offerto dalla pioggia, quasi non si accorse di nient'altro, ma all'improvviso, una timida imprecazione della sorella maggiore la distrasse, interrompendo bruscamente il flusso dei suoi pensieri. "Dannazione!" ringhiò Sky a sè stessa, tenendo bassa la voce per non farsi sentire dalla sorellina. A dire il vero quella non era una brutta parola, ma ad Eliza non piaceva sentire le bambine imprecare, e Sky sperava davvero che abbassare la voce le evitasse un rimprovero. "Che è successo? Che hai fatto?" le chiese Kaleia, improvvisamente curiosa e interessata. Alzando lo sguardo dal suo foglio di carta, Sky si voltò a guardarla, e stringendo la matita che teneva in mano con forza ancora maggiore, quasi si fece male. "Niente, ho sbagliato. Possibile che ancora non ci riesca?" le spiegò, finendo poi per lamentarsi di quello che era stato il suo ennesimo errore. "A fare cosa?" azzardò la bambina, sempre più curiosa. Seccata, Sky quasi la ignorò, e abbandonandosi a un sospiro di noia e frustrazione, decise di parlarle. "Scrivere. Mamma mi fa insegnare dalle fate anziane, e una di loro mi ha dato questo compito. Scrivere una frase con tutte le lettere dell'alfabeto, poi provare a leggere ad alta voce." replicò la sorella, sorridendo appena e dimenticando per un attimo la tensione accumulata. Studiare a volte poteva essere difficile, ed era vero, ma valeva davvero la pena arrabbiarsi? Per niente, o almeno non per problemi di quel genere. Scivolando nel silenzio, la piccola Kaleia annuì, poi un dubbio le balenò in mente. "Alfa... cosa?" chiese, sentendosi improvvisamente confusa come in quel nefasto giorno. "Alfabeto, Kia. Serve a parlare, scrivere e farsi capire nella nostra lingua, capito?" quella volta fu Eliza a parlare, e annunciandosi con quelle parole nel salotto, sorrise alla figlia minore, per poi spostare una sedia e invitarla ad avvicinarsi. "Su, vieni, Sky ed io possiamo insegnarti, se vuoi." Le disse, continuando a sfoggiare quel sorriso e prendendo posto su una sedia vuota accanto a quella che aveva mosso per lei. Annuendo alla madre e a sè stessa, la pixie mosse qualche passo verso di lei, e sedendosi a tavola, aguzzò la vista per sbirciare quanto la sorella aveva già fatto. Fu questione di un solo attimo, e davanti ai suoi occhi comparve una frase. "In quel buio profondo, la draghessa sforzò gli occhi ma non potè vedere nulla." Semplice e facile da imparare, le ricordava le avventure di uno dei tanti personaggi di un suo libro di favole, in cui un giovane folletto finiva per sentirsi in colpa dopo aver allontanato una madre dai suoi cuccioli, e preso dal rimorso, aveva preso con sè le uova rimaste orfane, scaldandole e prendendosene cura fino a vederle schiudersi e liberare tre piccoli draghi. Forse un pò cruda per una bambina come lei, e anche se corta, incredibilmente significativa, in quanto descrivendo anche i giorni di divertimento del folletto con quei dolci cuccioli di drago dal dorso e dalle scaglie color del fuoco, insegnava valori mai desueti come la gentilezza, l'amore, e la forza di volontà nel fare la cosa giusta. Per sua fortuna era un libro illustrato, ragion per cui nessuna delle scene la spaventava nonostante alcuni dei contenuti, e che per un periodo si era fatta leggere dalla mamma ogni sera prima di andare a dormire. A quel solo pensiero, la bambina sorrise, e afferrando una matita dall'astuccio della sorella, attese. Alzandosi in piedi, Eliza sparì dalla sua vista per alcuni minuti, portando con sè un'intera risma di fogli. Non poteva dirlo con certezza, e forse cinquecento erano addirittura troppi, ma stando ai ricordi della donna, Kaleia  tendeva a farsi prendere troppo dalla fantasia, ragion per cui le lettere avrebbero potuto assumere la forma di qualunque animale del bosco. Ridacchiando a quell'eventualità, Eliza nascose quei pensieri, e senza dire altro, si sedette con la figlia, e tenendole stretta la mano senza però farle alcun male, la guidò sapientemente in quella sorta di missione. Una per una, le lettere presero forma. Una sotto l'altra, in perfetto ordine. A, B, C, e così via, fino alla Z. In totale ben ventisei, ognuna con un proprio suono. A lavoro finito, madre e figlia posarono la matita, e dopo altri tentativi, alla pixie toccò lasciare la mano della mamma e completare quel percorso da sola. Le ci volle del tempo, ma quando ci riuscì, decise di provare a passare alle frasi. Secondo la madre e la sorella era decisamente troppo presto per farlo, ma testarda come pochi, la piccola non volle sentire ragioni. "Posso farcela, e posso anche imparare a leggere." Dichiarò, fiduciosa. Non provando che orgoglio per quella figlia tanto determinata, Eliza sorrise ancora, e senza proferire parola, le posò una mano sulla spalla. "Puoi farcela." Sembrò voler dire, pur mantenendo il silenzio. Quasi leggendole nel pensiero, Kaleia ricambiò quel sorriso, e senza una parola proprio come la mamma, tentò di ricalcare ognuna delle lettere già create in precedenza. Iniziò dalla A e finì con la Z, proprio come le era appena stato insegnato. Così, altri minuti scomparvero dalla sua vita, e dopo l'ennesima riscrittura di quell'ormai famosa frase, fu per lei tempo di leggere, o almeno provarci. Nel farlo, però, balbettò inconsapevolmente, sbagliando anche qualche parola. "In quel buio... porfondo... la... la darghessa...." provò a dire, sentendo poi la gola secca e la lingua impastata. Stringendo i pugni, quasi si ferì piantandosi le unghiette nel palmo della mano, e con le lacrime già agli occhi, allontanò da sè il foglio che stava usando. "No, non ci riesco! piagnucolò, arrabbiata con sè stessa e con i suoi occhioni azzurri. Aveva sei anni, era ancora piccola, ma perchè sua sorella ci riusciva e lei no? Era strano, strano e anche ingiusto. Ferita, la piccola incrociò le braccine al petto, poi udì la voce della madre. "Pixie, tranquilla. Stai ancora imparando, va tutto bene. Non preoccuparti, anche Sky ha avuto i suoi problemi. "Le disse, tentando di spiegarle quella realtà in termini semplici e comprensibili ad una bambina. "Non è vero. Lei ci riesce." Protestò la piccola, seccata. Mantenendo il silenzio, Eliza si limitò a guardarla, e sospirando, cercò gli occhi della figlia maggiore sperando di trovarvi conforto e aiuto. Silenziosa, Sky raccolse il muto appello della madre, e in un istante, la mano della sorella fu nella sua. "Kia, avanti. Riprovaci." Le disse in un sussurro, carezzandole la mano arrossata dai graffi che si era procurata da sola. Sorridendo debolmente, la bambina si scambiò con la sorella un'occhiata d'intesa, e attimi più tardi, le due provarono insieme. Quella volta la frase fluì chiara dalle labbra della bambina, e ormai sicura di poterla aiutare da sola, Sky l'accompagnò nella sua stanza, richiudendosi la porta alle spalle. Rimasta sola con la sorellina, riprovò quella sorta di scena infinite volte, e a sera, tutti i dubbi e le insicurezze erano ormai spariti. La mattina dopo, di nuovo al cospetto di una delle fate anziane, Sky dimostrò le sue capacità eccellendo a pieni voti, e come lei anche Kaleia, che finalmente, dopo migliaia o forse milioni di tentativi era riuscita grazie a mamma e sorella a soddisfare la sua voglia di imparare.
 
 
Seconda storia di questa raccolta, che reminiscente della prima, racconta di come a sei anni Kaleia sia incuriosita dalla sorella e da ciò che impara studiando con le fate più anziane. Più piccola, non sa scrivere nè leggere, ma sogna di imparare, e vede il suo desiderio realizzarsi dopo aver unito impegno, perseveranza e amicizia con la sorella maggiore. Dolce e semplice, ma molto bella da scrivere, devo dirlo. Vi è piaciuta?
 
Emmastory :)

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Capitolo 3
*** Il nuovo nido di due pixie ***


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Capitolo III
 
Il nuovo nido di due pixie 
 
Erano passati pochi giorni dalla loro adozione, e nonostante lo scorrere del tempo, Sky e Kaleia non riuscivano a sentirsi al sicuro. Se la seconda era già più calma e sicura di aver trovato una famiglia e un'amica in Eliza, la donna che le aveva prese con sè in quello sfortunato e nefasto giorno di pioggia, lo stesso non valeva per la prima, che a otto anni, e con ancora negli occhi l'orrore del giorno in cui assieme alla sorella non aveva visto altro che una luce bianca e poi il nulla più totale nel buio della notte, era stata costretta a crescere prima del tempo, essere grande anzichè piccola, indossando panni che almeno per allora non avrebbero dovuto competerle. Silenziosa, non parlava quasi mai, e si guardava bene dal dirlo ad alta voce, ma in fondo, molto in fondo nel suo cuoricino di fatina, restava nascosto il desiderio di tornare indietro nel tempo al giorno di nascita proprio e della sorellina, così da conoscere davvero i due esseri magici che avevano offerto loro il dono della vita e impedire che le abbandonassero, o almeno provarci. Già, provarci. Avrebbe davvero potuto a soli otto anni? Non lo sapeva, e assieme a quello, altri mille dubbi si facevano spesso spazio nella sua piccola mente. Perchè le avevano abbandonate? Come avevano potuto? E perchè lasciarle da sole senza la benchè minima spiegazione? Erano quelli i pensieri che in quei giorni continuava ad avere, e che puntuali come orologi svizzeri ed efficaci come ogni medicina, la facevano piangere, o se non accadeva, innervosire come mai prima. Inizialmente, la stessa Eliza cercava di non dare troppo peso alla cosa, concedendo alla bambina il beneficio del dubbio e provando in ogni modo a darle tempo di abituarsi e ambientarsi in quella nuova casa, ma più il tempo scorreva, peggio la donna arrivava a sentirsi. Che fosse sdraiata sul letto o seduta sul divano di casa  a leggere, migliaia di pensieri visitavano e affollavano anche la sua mente, e fra tutti ne spiccava uno. "Perchè fa questo? Sono forse una cattiva madre?" quesiti dolorosi da porsi e difficili da risolvere, ai quali la povera Eliza, ormai stanca di vedere quella piccola pixie soffrire, tentava ogni giorno di trovare una risposta. Fra una faccenda e l'altra giocava con la figlia minore, Kaleia, divertendosi e ridendo nel vederla far levitare i suoi cubi colorati e poi costruirci torri o castelli per le proprie bamboline, tutte sapientemente elevate al rango di principessa. Sorridendo, Eliza stava al suo gioco, ritrovandosi ogni volta a dover cercare le soluzioni adatte ai conflitti del regno creato dalla figlia. Prima fra tutti, spiccava la faida fra principesse e orsacchiotti, che in quanto semplici membri del popolo e affatto vicini alla nobiltà, spesso si mostravano gelosi. "Non c'è bisogno di litigare." Lasciava dire ad una delle bambole dal sangue blu, sempre sorridente e felice di risolvere quelle dispute. "Dice, principessa? E come mai?" rispondeva prontamente uno degli orsetti, incredulo. "Semplice. Il regno di Primedia è nostro e dei principi che abbiamo accanto, ma io dichiarò questa la giornata della parità!" una risposta semplice e logica anche per una bambina come Kaleia, a cui la madre aveva dato voce al solo scopo di vederla sorridere. Divertita, la pixie aveva accettato, e a screzio concluso, festeggiato con un bricchetto di succo di frutta e qualche biscotto. Lasciando la bambina ai suoi giochi, Eliza aveva ben pensato di rimettersi in pari con le faccende di casa accumulatesi nel tempo, e proprio mentre spolverava la propria stanza, ecco che il suo riflesso nello specchio dell'armadio la colse di sorpresa. Si sforzava di ridere e sorridere per il bene delle bambine che aveva adottato, certo, ma era stanca. Stanca di mentire a sè stessa e a entrambe, stanca di soffrire per una sola di loro. Decisa, mise fine a quel lavoro, e camminando lentamente, attraversò il corridoio che l'avrebbe portata alla camera della pixie, e posando appena una mano sul legno della porta, sospirò. "Sky?" chiamò poi, incerta. "Vattene via, Eliza." Rispose la piccola, che seduta sul letto e chiusa a riccio non aveva voglia di parlare con nessuno. Poteva sembrare, strano, forse anche sciocco, ma quella risposta fu abbastanza da spedire il morale della donna metri e metri sotto terra. Che stava succedendo? Dov'era finita quella bambina tanto speciale, felice di avere finalmente una casa e una famiglia, con gli occhi pieni di lacrime di gioia? La risposta era semplice, ma la povera Eliza non riusciva a formularla. Sparita. Era semplicemente sparita. Non esisteva più, e la colpa non era da imputarsi che al suo passato. Tristissima, la donna si ritirò nella sua stanza, e dopo ore passata a stringere il cuscino e piangere come un'adolescente delusa da una cotta, si decise. Non poteva obbligare quella pixie ad amarla, ovvio, ma non sarebbe rimasta con le mani in mano, non più e non per sempre. Alzandosi dal letto, marciò verso il salotto, e incatenando il proprio sguardo a quello di una Kaleia ancora impegnata nel gioco, sforzò un sorriso, poi la prese in braccio. "Cosa facciamo, mamma? È già ora di cena?" chiese la piccola, confusa e affamata. "No, tesoro, ma ho bisogno del tuo aiuto." Le spiegò la madre, picchiettandole il naso e scompigliandole i capelli. Ridacchiando divertita, la pixie la lasciò fare, e fra le braccia della madre, vide il mondo attorno a sè da un'altra prospettiva. "Dove mi porti? Posso camminare da sola!" quasi urlò, fintamente indignata all'idea di essere presa in braccio a tradimento. "Kia, parla piano! Rovinerai la sorpresa per Sky!" replicò la madre, perdendo improvvisamente la calma. "Sorpresa?" le fece eco la piccola, eccitata a quella sola idea. Piccola com'era, non aveva idea di cosa si trattasse, ma con lo scorrere del tempo, si divertiva ad immaginarlo. "Voglio aiutare!" disse poi, mentre felicissima, scalciava per divincolarsi dalla sua presa. Affatto sorpresa, Eliza sorrise a sè stessa e alla figlia, e lentamente la lasciò andare, attendendo finchè i suoi piedini non toccarono terra. Finalmente libera, Kaleia si precipitò in cucina, e aprendo uno dei pensili, tirò fuori ben tre scatole di biscotti. "Questi vanno bene?" azzardò, sorridendo dolcemente. "Certo, piccola, ma a proposito di dolci, prendi i guantini e accendi il forno, va bene?" la pregò la donna, per poi voltarsi e fissare l'apparente vuoto. Poteva sembrare così, eppure il suo sguardo era rivolto verso il corridoio poco distante, fattosi improvvisamente freddo come l'aria attorno a loro. Pur avendo adottate le due figlie da poco, si stava già abituando alle loro capacità e ai loro poteri, e sapeva bene che quello era uno dei modi in cui Sky esprimeva la propria tristezza. Mantenendo il silenzio, faceva calare il freddo attorno a sè e agli altri, riuscendo talvolta a influenzare il tempo atmosferico. Con le tende tirate, madre e sorella minore non poterono vederlo, ma intanto, fuori pioveva. Pioveva di nuovo, proprio come in quello sfortunatissimo giorno. Ignara di tutto, la bambina fece ciò che le era stato chiesto, e senza dire una parola, attese. Di lì a poco, Eliza scosse la testa, e libera da pensieri molesti, diede inizio alla sua missione. Conosceva sua figlia, ed era sicura che una festicciola in suo onore l'avrebbe finalmente riscossa dal suo dolore, spingendola ad abbandonare le metaforiche armi con cui si difendeva. Così, due ore passarono veloci, e dopo aver preparato l'impasto con l'aiuto della piccola Kaleia, a cui fu concesso di divertirsi con i rimasugli della pasta avanzata. Senza la magia, ma semplicemente con le sue manine, muovendola e modellandola come se fosse stata gelatina. Divertendosi, la piccola non interferì con il lavoro della madre, e quando finalmente questo ebbe fine, dal forno già caldo e acceso venne fuori una gustosa torta alle more. Proprio nel centro, scritta con la glassa, una sola frase. "Benvenuta a casa, Sky." Un augurio come tanti altri, che come Eliza sperava, forse avrebbe finalmente potuto sciogliere il ghiaccio attorno al cuore della bambina. Intromettendosi quasi senza volerlo, Kaleia sparì dalla vista della madre per andare a rovistare nella dispensa, e fu allora che trovò quello che cercava. Nascosti assieme alle provviste, nei ripiani più alti così che le bambine non potessero raggiungerli, pacchetti di coriandoli colorati, palloncini ancora sgonfi e stelle filanti pronte ad essere liberate nell'aria. Tutto l'occorrente per una festa come quella, che la piccola fu felice di mostrare alla madre. Sorridendole, la donna si congratulò con lei, poi una sola frase abbandonò le sue labbra. "Bel lavoro, Kia. Ora, hai dimenticato qualcosa?" azzardò, distraendola di nuovo per il tempo necessario ad appendere le decorazioni senza essere disturbata. Non che la presenza della bambina fose per lei un problema, anzi, l'esatto contrario, ma conoscendola, sapeva che in momenti di felicità come quello, la piccola tendeva a diventare invadente e quasi fastidiosa, un vero e proprio vulcano di energia. Annuendo, la piccola sparì di nuovo, tornando solo pochi attimi dopo con una candelina fra le mani. Piccola e azzurra, aveva la forma del numero otto, e ancora spenta, attendeva solo di essere posata sulla torta. Avvicinandosi lentamente al tavolo, Kaleia si sporse quanto bastava per raggiungerla, e facendo attenzione a non rovinare quel dolce e pannoso capolavoro, la mise al suo posto. Dritta al centro, come una freccia su un bersaglio. Allontanando lentamente la mano, rimase ad ammirare il risultato ottenuto. "Sono stata brava, mamma?" chiese, scivolando poi nel silenzio in attesa di una risposta. Orgogliosa della sua piccola, Eliza le sorrise, e scompigliandole ancora i capelli, ebbe il piacere e la fortuna di vederla sorridere. Era successo mille e mile volte, aveva addirittura perso il conto, ma non importava. Per lei, in quanto madre di una bambina speciale come lei, ogni volta era uguale alla prima. "No, tesoro. Sei stata bravissima, e ora non resta che chiamare Sky." Le disse semplicemente, sfiorandole una guancia con dolcezza. Accettando quella carezza, Kaleia quasi arrossì, e spezzando il silenzio, corse subito via. "Vado io!" dichiarò, decisa. Lasciandola fare, Eliza si lasciò sfuggire una risatina, e spegnendo ad una ad una tutte le luci del salotto, preparò il salotto per la sorpresa definitiva. Seppur colta alla sprovvista dal buio, Kaleia non ebbe problemi a raggiungere la camera della sorella, ed entrando solo dopo aver educatamente bussato, si avvicinò a quella bambina tanto triste e sofferente. "Sky? Stai bene?" sussurrò appena, sperando di non adirarla. "No. Non sto bene. Quella donna non è nostra madre, ed io non voglio rivederla." Rispose la sorella, ferita. "Cosa? Che stai dicendo? Eliza è fantastica, e poi... abbiamo una sorpresa per te!" Le spiegò subito l'altra, felice come e forse perfino più di prima. A quelle parole, Sky sgranò gli occhi, e incredula, si voltò di nuovo, ignorando la sorella che intanto scoppiava di felicità. "Non ci credo." Si limitò a dirle, sfiduciata. "Sky, avanti! Diciamo sul serio, vieni!" insistette la sorellina, afferrandole il polso e trascinandola con sè. Fra un passo e l'altro, Sky faticò a seguirla, e trascinandosi in ogni passo, rischiò più volte di inciampare e cadere. "Kia, basta! Aspetta, o cado!" finì per gridare, lamentandosi aspramente. "Scusa!" replicò l'altra, mettendosi in testa alla marcia e guidandola nonostante ora camminasse da sola. Giunta a destinazione, Kaleia arrestò la sua corsa, e nel silenzio dell'oscurità che l'avvolgeva, tastò piano il muro andando alla ricerca dell'interruttore da premere. Di lì a poco, un solo suono ruppe il silenzio, e la luce inondò la stanza, rivelando la torta, i palloncini, le decorazioni appese ovunque e all'insaputa di entrambe, perfino un pacco regalo. "Benvenuta a casa, Sky!" gridò Eliza, emergendo dalla cucina e allargando le braccia per richiamare a sè la bambina e stringerla in un abbraccio. Felicissima, la piccola non si fece attendere, e con gli occhi pieni di lacrime, si strinse alla madre, scusandosi per come si era comportata in tutto quel tempo. "Mamma... mammina..." chiamò, disperata. "Va tutto bene, tesoro, sfogati. Butta tutto fuori, avanti." Le sussurrò Eliza, mentre calma e orgogliosa, le accarezzava la schiena in piccoli movimenti circolari. Non riuscendo a calmarsi, la bambina si scosse nei singhiozzi, e felice di quella calorosa accoglienza, finalmente sorrise. Ben presto, la sera scese anche a Primedia, e quella sera, durante una festa fatta di giochi, dolci e divertimenti, Sky ricevette dalla mamma il suo regalo. Al sicuro in una scatola avvolta nella carta luccicante, un lumino da notte, così che dormendo la bambina non dovesse più soffrire e provare paura, specialmente ora che sapeva di essere entrata in un nuovo nido per sè e per la sorella. Due bambine dolci, provate dalla vita e al tempo stesso spensierate, o in altre parole, due piccole pixie. 
 
 
A minuti dalle prime due, già una terza storia, che ambientata solo giorni dopo l'adozione delle due sorelle, si concentra sui sentimenti della più grande, che al contrario della piccola Kaleia, proprio non riesce a sentirsi tranquilli e vivere serenamente la sua nuova vita accanto a una donna umana. Preoccupata, Eliza fa quello che può per farla sentire a suo agio, e una festa è ciò che le serve. Che ne pensate? Avreste fatto qualcosa di simile? Alla prossima,
 
Emmastory :)

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Capitolo 4
*** L'orgoglio di una mamma ***


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Capitolo IV
 
L'orgoglio di una mamma
 
Sky e Kaleia erano stanche. Semplicemente stanche. Avevano cenato da poco, e fra un boccone e l'altro avevano ingannato il tempo strofinandosi gli occhietti prossimi a chiudersi, e dopo aver preparato una tazza di latte fumante per entrambe, mamma Eliza aveva dato loro un bacio e una carezza, e dopo aver aiutato la figlia minore a infilarsi il pigiama e averle rimboccato le coperte, aveva fatto lo stesso con l'ormai non così piccola Sky, che a otto anni riusciva a spogliarsi e rivestirsi da sola. Le ultime parole pronunciate da madre e figlie furono quelle della buonanotte, seguite poi dalla promessa di rivedersi allo spuntare del mattino. Sempre piccola e tenera, Kaleia aveva anche chiesto un abbraccio drizzandosi a sedere sul lettino, e lasciandosi conquistare dalla sua disarmante dolcezza, Eliza non aveva saputo rifiutare. Così, un lungo istante le aveva unite, e con il suo scadere, era davvero arrivata l'ora di andare a letto. Spompate dai propri giochi e dai bizzarri modi di divertirsi che avevano, tutti in qualche modo collegati ai loro poteri, il controllo dell'intangibile vento per la prima e quello della verde natura per la seconda, le due pixie non fecero alcuna fatica ad addormentarsi, e sistemandosi sotto le coperte fresche e leggere dato l'arrivo dell'estate ormai alle porte, scivolarono in fretta nel sonno, raggiungendo fra un attimo d'incoscienza e l'altro la quieta stazione da cui presto sarebbe partito il rumoroso, divertente e colorato treno dei sogni. Per le ore a venire, quella notte si rivelò tranquilla, ma all'improvviso, un orribile suono in tutto simile a uno scoppio distrasse la povera Kaleia, risvegliandola e interrompendo così il suo viaggio in una landa infinita e piena dei mille colori della sua immaginazione. Spaventata, si agitò fra le coperte, e finalmente sveglia da quello che per un attimo le era sembrato un incubo, sperò che la sua flebile voce, tenuta bassa anche per via dell'ora tarda, raggiungesse la sorella. "S-Sky?" provò a chiamarla, tremante e colta dal freddo. Nessuna risposta. Completamente distesa e felice, ma anche senza forze, e si notava, la sorella maggiore dormiva, e anzi, al richiamo della minore si svegliò per un solo istante, mugugnando prima frasi senza senso, poi qualcosa di simile ad un "Lasciami stare." Sentendosi ignorata, la bambina le diede le spalle, e infilando una mano sotto la coperta, andò alla ricerca della bambola con cui era solita dormire. Come il resto dei suoi giocattoli, non aveva un nome, ma per qualche strana ragione a lei ignota, a volte la sola vista di quel luminoso sorriso su quel finto volto di stoffa bastava a rassicurarla. Non che la bambola avrebbe mai potuto cambiare espressione, ma la cosa non la toccava. Se quella bimba di pezza era felice, lei lo era a sua volta. "Hai sentito anche tu?" le chiese, confusa da quello stranissimo rombo. Alla sua domanda seguì un ovvio silenzio, e dopo alcuni secondi passati a fissare il pallido volto di quella bambola, la pixie parlò ancora. "Già, non lo so neanch'io. Vieni, andiamo a chiedere alla mamma." Sussurrò nel buio, intrattenendo con l'amica bambola una vera e propria conversazione. Un'abitudine infantile e forse radicata in lei, ma comunque non certo allarmante data la sua ancora tenera età. Più grande di lei di qualche anno, Sky aveva ormai smesso di farlo, preferendo di gran lunga stringere a sè il cuscino, e sognare un giorno d'innamorarsi e trovare qualcuno da amare. Già decisa sul da farsi, Kaleia sgusciò silenziosa fuori dal lettino, e senza disturbare il sonno della sorella, aprì la porta della stanza con un pizzico di magia e polvere di fata, così che anche aprendosi questa non facesse rumore. Per sua sfortuna, la magia stessa aveva spesso una luce propria, e trattenendo il fiato, sperò ardentemente che quell'incanto non destasse troppi sospetti. Grazie al cielo, almeno in quel caso il colore che assunse fu il bianco, e silenziosa come un topolino, camminò a piedi scalzi fino al corridoio. "Missione compiuta." Si disse, non appena sfiorò il pavimento freddo. Andando alla ricerca di conforto, cercò nel buio il sorriso della bambola, e fattasi più coraggiosa, avanzò senza più paura in quella fitta oscurità, battendo piano le ali per fendere il buio e riuscire ad orientarsi. Diventando così simile al lumino da notte ricevuto dalla sorella, la pixie si mosse lentamente, e giunta alla porta di quella stanza, entrò senza una parola, e quella volta, senza neanche bussare. Ovvio era che le fosse stato insegnato e sempre ripetuto il contrario, ma quella volta, le buone maniere avrebbero dovuto aspettare. Aveva paura, non aveva idea di cosa stava succedendo fuori dalla sua finestra, nè perchè quel rumore si fosse presentato nel cielo così all'improvviso, squarciandolo assieme al silenzio come l'affilata lama di una spada. Forse le fate anziane ce l'avevano con lei, forse erano gli spiriti della foresta ad essere arrabbiati, o magari era stata una sorta di stranissima e inspiegabile coincidenza legata alla pioggia, ma qualunque fosse la verità, lei voleva, anzi doveva scoprirla. Insicura e titubante, la pixie si avvicinò al letto della madre, e restando in piedi appena accanto a lei, mosse ancora qualche passo, così da essere abbastanza vicina da toccarla. Pur non volendo svegliarla, finì per scuoterla e stringerle le mani, e pochi istanti più tardi, una stanca e confusa Eliza si ritrovò occhi negli occhi con sua figlia. "Mamma, mamma, svegliati." Piagnucolò, con un misto di dolore e paura nella voce. Preoccupata per la figlia, Eliza aprì gli occhi, e anche se a fatica, si liberò delle coperte. "K-Kaleia?" biascicò, stanchissima. "Mamma! Gli spiriti! Li ho sentiti, e ho paura!" quasi urlò la bambina, spiegando ciò che le era successo e lasciandosi prendere dal panico con ogni parola. Ascoltandola senza interrompere, la donna la invitò a sedersi sul letto, e pur accomodandosi, la piccola non smise di tremare e piangere. A quanto sembrava, quel semplicissimo evento atmosferico l'aveva davvero spaventata, e anche se al sicuro fra le braccia della mamma, la bambina non sentì altro che il battito accelerato del suo giovanissimo cuoricino. Batteva veloce, come impazzito, così forte da poter essere udito nel silenzio della stanza. Stringendola a sè in un delicato abbraccio, Eliza le accarezzò lentamente la schiena, e rovinando quell'atmosfera di quiete e calma, le parlò con dolcezza. "Tesoro, non è niente, è soltanto un temporale. Qualche goccia di pioggia e passerà tutto, vedrai. Ora torna a letto, non vorrai lasciare Sky da sola, vero?" le spiegò, mantenendo la calma e guardandola negli occhi come a volerla rassicurare. "Non voglio, ma non voglio neanche tornare. Lì dentro ho troppa paura." Replicò la pixie, seria e al contempo terrorizzata. A quelle parole, il sorriso di Eliza si spense, e stringendo per l'ennesima volta la figlia, tirò le coperte verso di sè. "Vuoi dormire con la mamma, amore?" indagò, nonostante fosse sicura della risposta. Mantenendo il silenzio, la pixie si limitò ad annuire, e spostandosi solo per trovare una posizione comoda, posò la testa sul cuscino. Chiudendo gli occhi, provò a riaddormentarsi, e improvvisamente, un altro suono. Per pura fortuna non di nuovo il cielo che brontolava, ma soltanto qualcuno che bussava alla porta. "La porta è aperta, avanti!" rispose Eliza, decisamente troppo stanca per alzarsi, non intravedendo altro che uno spiraglio di luce provenire dal corridoio. Rispondendo a quella sorta di richiamo, anche Sky fece il suo ingresso sulla scena, e tremando, si inerpicò subito sul letto della madre. "Anche tu, vero?" s'informò, tutt'altro che sorpresa. Con il corpicino scosso da tremiti sempre più evidenti, la piccola Sky annuì lentamente, e già carponi sul letto, si rintanò sotto le coperte. "Anch'io." Biascicò la piccola, con la voce a metà fra spavento e vergogna. A otto anni, era più grande di Kaleia di circa due anni, e a giudicare dal loro passato e da come questo l'aveva segnata, avrebbe dovuto essere forte e coraggiosa, eppure eccola lì, a tremare e lasciarsi spaventare da un pericolo neanche classificabile come tale. Soltanto un temporale e nient'altro, che agli occhi due bambine come loro appariva come il risultato della rabbia degli spiriti della foresta. Imparando dalla fate più anziane, avevano sentito varie voci sul loro conto, e stando ad alcune leggende vecchie come il loro mondo, e fra le tante, figurava proprio quella a cui ora credevano di star assistendo. "Piccole, non è niente. Pioverà per un pò di tempo, forse qualche ora, ma poi smetterà, ve lo prometto." Disse loro la madre, abbozzando un sorriso d'incoraggiamento. Rinfrancate, le piccole ricambiarono quel sorriso, e finalmente più calme, si sdraiarono abbracciando ognuna il proprio cuscino. "Già a letto, signorine? Non vi facevo tanto pigre." Commentò allora Eliza, prendendole bonariamente in giro. "Siamo stanche!" si lamentarono le pixie, parlando all'unisono come gemelle. "Vorrà dire che lo spettacolo non avrà luogo, stasera." Aggiunse poco dopo, già divertita. Spinte dalla curiosità, le bambine si ridestarono dal loro torpore, e sorridendo ancora una volta, guardarono la mamma senza capire. "Sky, per favore, accendi quella lampada." Pregò, aprendo un cassetto e andando velocemente alla ricerca di chissà cosa. Annuendo, la piccola non si fece attendere, e sporgendosi quanto bastava per sfiorare l'interruttore, lasciò che un timido fascio di luce inondasse la bianca parete davanti a loro. "E adesso?" azzardò Kaleia, curiosa come e forse più di prima. "Adesso, amore, mi serve la tua bambola, e Sky, la tua magia." Rispose appena la donna, spiegando le sue intenzioni ed erudendo la piccola. Felice, la fatina del vento cercò la mano della madre, e stringendola, accettò quell'idea. Preparandosi al prossimo passo da compiere, Eliza prese in mano la bambola della figlia, e muovendola ad arte di fronte alla lampada, la fece esibire in una danza degna di una leggiadra ballerina, e scambiandosi con la figlia maggiore un'occhiata d'intesa, la vide protendere una mano in avanti e poi chiuderla a pugno, dando solo allora vita a una pioggia di stelle. Nel buio dell'ancora giovane notte, quel piccolo teatrino si protrasse per quello che alle bambine parve un tempo infinito, e alla fine, dopo un inchino della ballerina e la chiusura di un metaforico sipario, sbadigliarono e tentarono di dormire assieme alla madre, ma non prima di aver ascoltato da lei la consueta favola della buonanotte. Sempre la stessa, sempre la loro preferita, da entrambe conosciuta come "Il giovane e i tre draghi", già letta centinaia o forse migliaia di volte, conteneva sempre grandi valori mai sopiti, insegnando a fatine, folletti e bambini umani cosa fossero la gentilezza, l'amore e la forza di volontà. Dopo quell'ennesima lettura, le due sorelle scivolarono nella grigia incoscienza, e sveglia accanto a loro a guardarle prendere sonno c'era sempre Eliza, nuovamente convinta di quanto le sue amate figlie fossero speciali per lei, o in altri termini, il vero orgoglio di una mamma.   
 
 
Vi saluto di nuovo, proponendovi questa quarta storia, in cui Kaleia, pixie di soli sei anni, va a nanna a letto presto come una brava bambina, ma mentre dorme, si sveglia di soprassalto, spaventata da un temporale. Ha paura, non ha idea di cosa sia, e si rivolge subito a mamma Eliza, l'unica in grado di calmarla con mille giochi e parole gentili. Mossa a compassione, la donna non riesce a non sciogliersi, invitando poi nella sua stanza entrambe le figlie, il vero orgoglio di una mamma. Che ve ne pare di questa quarta storia? Aspetto di scoprirlo, ma a presto,
 
Emmastory :)

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Capitolo 5
*** Giù per lo scivolo ***


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Capitolo V
 
Giù per lo scivolo 
 
Ottobre. Il decimo mese dell'anno, comunemente collegato con la calda eppure mite stagione dell'autunno, la stagione preferita di Eliza. Faceva ancora caldo, e dopo quel settembre appena finito, l'estate ancora si trascinava. Nata in quella stagione, la piccola Kaleia aveva ormai compiuto sette anni, mentre Sky, fatina del vento e regina dei climi più freddi, di giorno in giorno si avvicinava ai nove. Sfinite dalla canicola che non risparmiava niente e nessuno, trascorrevano il loro tempo chiuse in casa, sedute sul divano a leggere libri su libri di favole assieme alla mamma. Fra i tanti, il loro preferito spiccava fra tutti, e anche se da poco, a quella sorta di collezione se n'era aggiunto un altro. Trovato per puro caso in uno degli scaffali dell'emporio vicino casa, era costato solo poche monete, e tanto piccola quanto orgogliosa, Sky aveva insistito fino allo spasimo per pagarselo da sola fino all'ultimo centesimo. Non era passato tanto tempo, e ricordava ancora il giorno in cui, sorridendo al negoziante, aveva fermato la mamma e messo mano mano al proprio minuscolo portafogli, estraendone ad una ad una tutte le monetine che le servivano. Una scena divertente per Eliza, fonte di sorrisi e sguardi colmi d'eloquenza per entrambi gli adulti presenti. "I bambini... crescono in fretta, vero, signora?" aveva chiesto l'uomo, sinceramente divertito dall'insistenza della piccola nello spendere i soldini che aveva guadagnato con giorni e giorni di aiuti in casa, con le faccende e il servizio di babysitting a Kaleia, che stava crescendo, certo, ma era ancora troppo piccola per restare a casa da sola. Proprio a causa delle bambine, Eliza usciva ormai di rado, e nelle rare occasioni in cui non le portava con sè, delegava un compito importante come quello proprio a Sky, che nonostante la giovane età aveva già imparato le cose più semplice, come scaldare la cena nel microonde o mettere il pigiama alla sorellina, rimboccarle le coperte e cantare a voce bassa l'unica nenia infantile capace di farla addormentare. Tutti lavoretti semplici, che non portavano mai via tanto tempo alla piccola nè alla madre, in quanto questa restava via per poco. Generalmente dieci minuti, o mezz'ora al massimo. Soltanto una volta Eliza era rimasta fuori casa per un'ora intera, e proprio allora, al ritorno a casa, si era ritrovata davanti un vero sfacelo. Il salotto in disordine, piatti sporchi sparsi per tutta la cucina e una Kaleia completamente disinteressata al sonno, non avendo mangiato altro che dolci e caramelle dopo una cena a base di carne e purè di patate. Stremata, Sky non sapeva più cosa fare con lei. Più la inseguiva, più lei correva a perdifiato per la casa, deridendola e beffandosi di lei. "Io non vado a dormire! Le fatine non hanno mai sonno!" gridava, ridendo fino a non aver più fiato in corpo. Per pura fortuna, quella disastrosa serata ora non era che un ricordo, e in silenzio, ora le tre leggevano quel nuovo libro dalle pagine ancora intonse, la cui copertina color del ghiaccio mostrava un castello di quello stesso materiale. Forse magico, forse fatato come due di loro, ma qualunque fosse il caso, alle bambine non importava. La storia era profonda, ma allo stesso tempo semplice e divertente, e racchiudeva in sè la lezione più importante che le due avrebbero mai imparato in vita loro. Erano sorelle, si volevano bene, e ogni ostacolo, in principio una montagna, poteva ridursi ad una semplice tana di talpa, facile da superare se solo si allungava il passo. La chiave di tutto questo? Restare unite anche se il vento delle avversità soffiava, proprio come le due protagoniste. Fermandosi a pensare, sia Sky che Kaleia potevano dire di rivedersi nei personaggi. Onestamente, era quasi come guardarsi allo specchio. La prima somigliava moltissimo alla sorella maggiore di cui la mamma leggeva nella storia, con cui a tratti condivideva anche il nome, e che scoprendo i suoi poteri legati al ghiaccio quasi per caso in un vero e proprio impeto di rabbia, sceglieva di isolarsi, prima nella sua stanza, poi sulle alte montagne, erette da lei stessa proprio grazie ai suoi poteri. Ad ogni modo, quella fuga lasciava da sola la sorella Anna nel loro regno d'origine, che sempre per colpa della ragazza, Elsa, finiva tristemente bloccato in un inverno perenne e irreversibile. Una sorta di maledizione lanciata senza volere, spezzata solo dal calore dell'amicizia e dell'amore fra lei e la sorella Anna, che a soli diciott'anni, di fronte ad un intero reame perso nell'incredulità, era rimasta l'unica a credere in lei. Più giovane e ingenua, quest'ultima era una perfetta copia di Kaleia, che sempre con la testa fra le nuvole e mille pensieri legati al gioco e al divertimento, a sette anni aveva già dei sogni propri, fra i quali figurava quello di innamorarsi. Fantasia comune a tutte le ragazzine, che mamma Eliza sperava un giorno di vedere realizzata. Lo stesso valeva per Sky, che forse troppo influenzata dai suoi poteri legati al vento, risultava più fredda e distaccata della sorella. In quanto umana, Eliza non poteva certo prevedere il futuro e sapere come la figlia sarebbe cresciuta, ma dentro di sè sperava che quella strana, stranissima freddezza costituisse soltanto una fase della sua crescita. Fra una pagina e l'altra, il tempo continuò a scorrere, e quando il sole d'autunno scese fin quasi a scomparire raffreddando l'aria riscaldata dall'afa che ancora insisteva nel mostrarsi, le bambine si decisero a uscire, seppur non senza avvisare prima la madre. "Ora fa più fresco, andiamo a giocare!" gridarono, precipitandosi fuori dalla porta di casa seguite dai rispettivi animali domestici. Bucky, uno scoiattolo dolce, grasso e pasticcione, e Midnight, un merlo dalla voce stridula e irritante, ma dagli occhi color oro capaci non infondere altro che sicurezza. In loro compagnia, le due pixie non erano sole, e aiutate dal buio non ancora sceso sul bosco, furono libere di camminare e correre fra l'erba, mano nella mano. Sorridendo, Kaleia strinse forte la mano della sorella, e rompendo in silenzio, azzardò una domanda. "Che vuoi fare?" chiese, annoiata. "Vieni, ti porto in un posto perfetto per noi." Le rispose la sorella, ricambiando quel sorriso e invitandola a seguirla. Annuendo, Kaleia non si fece attendere, e dopo alcuni minuti trascorsi a camminare fra erba e sentieri, le sorelle raggiunsero una sorta di parco giochi per fatine, con due corde e due tavole di legno saldamente attaccate ad una base dello stessa fattura a fungere da altalene, e un tronco svuotato e privato di eventuali spine a fare da scivolo. Una piccola scala fatta sempre di legno permetteva di salirvi, e a quella vista, la più piccola si coprì la bocca con meraviglia. "Sky, qui... qui è tutto fantastico! Voglio giocare!" balbettò, per poi alzare la voce e finire per gridare al mondo la sua gioia. "E puoi, però inizio io, va bene?" concesse la sorella, dando voce a quell'unica regola. "No, perchè? Non è giusto!" protestò l'altra, arrabbiata. "Sì che lo è! Sono più grande, ricordi?" le fece notare Sky, mettendo in campo una nuda e cruda realtà. "Va bene..." si lamentò allora Kaleia, tutt'altro che convinta. Sorridendo come se nulla fosse accaduto, Sky corse verso le altalene, e sedendosi, si diede la spinta per iniziare a giocare, e dopo lunghissimi minuti passati a guardare il mondo scorrere davanti a lei in un costante e continuo andirivieni, scese con un salto, spaventando la sorella rimasta a guardarla, ma per fortuna senza farsi male. Ancora insoddisfatta, la piccola puntò lo scivolo, e salendovi lentamente, invitò la sorella a farsi da parte. Annuendo, questa fece ciò che le era stato chiesto, e scansandosi, attese il suo turno. Come Sky, anche lei voleva giocare, ma quel parco era troppo piccolo per entrambe, e sicura di dover attendere, non mostrò che pazienza, evitando di creare problemi. "Kia, attenta! Ora scendo!" l'avvisò Sky, preparandosi a scivolare da quel tronco. "D'accordo, aspetta!" replicò l'altra, arretrando di qualche passo e dandole il via libera con un cenno del capo. Dando retta alla sorella, Sky si lasciò andare, sicura di scivolare e incontrare il terreno attimi dopo, ma fu allora che accade l'irreparabile. Incredibilmente, il peso di Sky fu troppo da sopportare, e la struttura cedette sotto di lei, facendole perdere l'equilibrio e spingendola a cadere di lato. Spaventata, la bambina finì per urlare, e come se tutto ciò non bastasse, si ritrovò prima distesa fra l'erba, poi chiusa a riccio per il dolore alle gambe. A occhi semichiusi, strinse i denti, e controllandosi le ferite, scoprì prima un'ecchimosi, poi del sangue. A quella vista, il suo intero corpo divenne rigido come marmo, e con il poco fiato che le restava in gola, biascicò appena il nome della sorella, invocando il suo aiuto. Scattando sull'attenti, Kaleia l'aiutò a rialzarsi, e offrendole il braccio, anche a camminare. Ferita, e non solo fisicamente Sky continuava a piangere e sperare nell'aiuto della mamma, che riuscì ad aiutarla solo quando le due arrivarono a casa. Dato l'infortunio di Sky, il viaggio fu più lungo del previsto, ma per fortuna le sue ferite non furono gravi, e anzi, nulla che un paio di cerotti non potessero curare. In altre parole, quello vissuto da entrambe era stato un incidente causato da una caduta mentre si divertivano lanciandosi giù per uno scivolo. 
 
 
E arriviamo così alla quinta storia, che mostra cosa accade alla foresta di Primedia quando il tempo passa e il caldo non da tregua. Per fortuna ottobre mitiga il clima, e stanche di restare in casa, le bambine raggiungono una sorta di parco mai visto prima per giocare su uno scivolo. Tenere, vero? Come le altre, anche questa è stata divertente da scrivere, specialmente se consideriamo il finale lieto e tranquillo. Aspetto di sapere cosa ne pensate, a presto,
 
Emmastory :)
 
 
 

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Capitolo 6
*** Il villaggio dei divertimenti ***


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Capitolo VI
 
Il villaggio dei divertimenti
 
Gennaio era ormai finito, ma con esso non l'inverno, che anche nel mese successivo continuava a mostrare il suo volto e le sue capacità, facendosi a volte così tiranno da costringere gli abitanti di Primedia e del villaggio vicino a chiudersi in casa. Fortunatamente, almeno quel giorno le cose erano diverse, forse perchè non era un giorno come gli altri. Avendo imparato a leggere da poco, Kaleia si esercitava con il calendario, e quella mattina, sveglia da poco, era così eccitata da non sentire neanche i morsi della fame. Era felice, troppo felice. Sua sorella era di pochi anni più grande, e felicissima a sua volta, la capiva perfettamente. Era ormai giunta la metà di febbraio, e oltre a San Valentino, la festa preferita dagli innamorati, quell'anno c'era anche Carnevale. Per quanto ne sapevano, la data non era mai sempre la stessa, ma la fortuna sembrava davvero aver sorriso ad entrambe. Così, decidendo finalmente di far colazione, le bambine finirono in fretta, senza però dimenticare di gustare i loro cereali. Nessuna delle due aveva poi molta fame in verità, ma allo steso tempo nulla avrebbe mai potuto separarle dal loro appuntamento mattutino, e giornaliero, c'era da dirlo, con le loro solite tazze di nutrienti Fairy O's, tutti di forme sempre diverse, e in qualche modo sempre legate al mondo della magia. Era strano a vedersi, eppure ognuno rimandava sempre ad un elemento specifico. Natura, vento, terra, fuoco, acqua, nessuno escluso. Fra una cucchiaiata e l'altra, Kaleia si divertiva a ispezionare ogni forma, sorridendo nello scoprire che per qualche strana ragione, il suo cucchiaio finiva per riempirsi di gustose foglioline completamente commestibili, mentre a Sky toccavano spesso versioni stilizzate di piccoli moti d'aria. Che i cereali stessi sapessero chi li stesse mangiando? Strano, eppure probabile. Un'eventualità di fronte alla quale Eliza rideva, mentre non osando intromettersi nella colazione delle sue figlie, preparava per sè stessa semplici tazze di caffè a cui accompagnava fette di pane e marmellata, che ogni giorno le davano l'energia necessaria ad affrontare la giornata. Prendersi cura di due figlie piccole come le sue non era certo uno scherzo, e più crescevano, più se ne rendeva conto. Ora avevano soltanto sei e otto anni, ma un giorno, sempre troppo presto, sarebbero diventate adolescenti e poi adulte pronte a vivere una vita propria, e se c'era un pensiero a confortarla nei momenti in cui ci pensava, era quello di essere ancora in grado di vivere ogni momento con loro e migliorarlo fino a renderlo perfetto, sicura che quelle dolci pixie sarebbero state le sue bambine per sempre. A quel pensiero, quasi diluì il caffè con qualche lacrima, e imponendosi il silenzio, sperò che le piccole non la notassero, ma come spesso accadeva, le sue speranze furono schiacciate come insetti. "Tutto bene, mamma?" chiese infatti Kaleia, più giovane e sensibile. Colpita, Eliza non seppe cosa dire,e sentendo la gola riarsa e il cuore stretto in una morsa, dovette sforzarsi per parlare e non piangere ancora. "N-Non è niente, piccola, ho... dimenticato lo zucchero." Mentì, nascondendo la verità alla bambina, che stringendosi nelle spalle era tornata a scavare nella scatola di cereali alla ricerca della sorpresa nascosta all'intero. Generalmente giocattoli piccoli e colorati, tutti connessi al mondo della magia,e  tutti da collezione. Sulla scrivania della sua stanza, Kaleia ne teneva un'intera fila, spolverandoli ogni mattina, quasi fossero stati reliquie. Contrariamente a lei, Sky preferiva collezionare globi di neve trovati e comprati all'emporio o nei rustici negozietti che popolavano il villaggio degli umani. Poteva sembrare strano agli occhi degli umani stessi, ma forse era il suo essere una fatina del vento a condizionarla tanto. Ad ogni modo, il mattino continuò a scorrere veloce, e dopo quella robusta colazione e un bagno con l'aiuto della mamma, le due sorelline si ritrovarono in piedi davanti al grande armadio della sua camera. Era lì che Eliza teneva i suoi vestiti e quelli riservati alle occasioni speciali delle bambine. Fra questi figuravano gli ultimi due che aveva comprato, entrambi in onore del Carnevale che colorava le strade del villaggio degli umani poco distante, riempiendo l'aria di dolci e cristalline risate infantili. Seppur diverse, le due portavano praticamente la stessa taglia, e ora restava da capire quale dei due toccasse a chi. "Voglio essere una farfalla!" dichiarò Kaleia, già decisa. "Allora io sarò una coccinella." Replicò Sky, accontentando del costume che restava. "Avete deciso, signorine?" chiese allora Eliza, facendo il suo ingresso sulla scena e staccando i due vestiti dalle grucce a cui erano appesi. "Sì." Replicarono in coro le pixie, felicissime. "Bene! Su, vi do una mano." Rispose allora la mamma, offrendosi di aiutarle a cambiarsi. "No, grazie, ce la facciamo da sole." Disse subito Sky, negando con un cenno del capo e sedendosi sul letto per iniziare a svestirsi. "Va bene, piccole miss tuttofare, vi lascio da sole, allora." Concesse a quel punto Eliza, divertita da quella piacevole chiacchierata con le figlie. Tranquille, le due le sorrisero, e appena pronte, tornarono da lei. "Mamma, veloce! Dai, così usciamo!" cantilenarono, mettendole fretta. Voltandosi a guardarle mentre si infilava il cappotto, la donna rimase in silenzio, e mostrando un ennesimo sorriso alla vista di quelle due piccole meraviglie che aveva adottato. Sembrava passato appena un giorno, eppure non era così. Ricordava ancora la sera di pioggia in cui le aveva trovate e prese con sè, e anche se altri avrebbero sicuramente alzato gli occhi al cielo, non c'era davvero giorno in cui non ringraziasse il cielo per averle trovate. Che sarebbe successo altrimenti? Non lo sapeva, e non voleva neanche pensarci. Ad ogni modo, il pomeriggio arrivo presto, e tenendo per mano le figlie, Eliza le guidava sapientemente, stando ben attenta a evitare che venissero spinte dalla miriade di bambini che riempiva la piazza principale del villaggio. Era quello il punto centrale del divertimento, e anche solo guardando in terra si poteva vedere quanto i piccoli si stessero godendo la giornata. C'erano coriandoli e stelle filanti sparsi ovunque, e proprio davanti alle piccole, una bancarella che offriva dolci e leccornie umane, tutte a base di zucchero e cioccolata. Pregando la madre, Sky e Kaleia se ne fecero comprare qualcuna, e sempre attente a non sporcare nè rovinare i propri vestitini, giocarono con i pochi amici che riconobbero, fra cui Marisa, figlia della strega Zaria Vaughn e vestita da gatta. "Misa! Bel costume!" commentò proprio Eliza, complimentandosi anche con la madre. "Grazie! Mi piacciono tanto i gattini. Ora non mi è permesso, ma forse da grande ne avrò uno." Rispose la bambina, adorabile in quel costume e con il viso reso simile a quello di un gatto grazie a un gioco di trucco e colori. "No! Davvero? Io invece ho soltanto uno scoiattolo!" replicò Kaleia, sorpresa e quasi gelosa dell'amica. "Sì, invece! E pensa, ho già scelto il nome." Continuò la piccola strega, perfino più seria di prima. "Misa..." la richiamò la madre, decisamente convinta che stesse parlando fin troppo. "Cosa, mamma?" replicò lei, mentre, nervosa, si riduceva al silenzio. Intanto, magnifica a sua volta nel suo costume da coccinella, Sky gironzolava da sola, e seppur sempre vicina alla mamma, ora non le teneva più la mano. Nel bel mezzo della folla, qualcosa, o meglio, qualcuno, le saltò agli occhi, e fu allora che lo vide. Noah. Capelli marroni, occhi dello stesso colore, e in quell'occasione tanto speciale, un costume da cavaliere in armatura scintillante.  Un bambino che ricordava bene di aver già visto, e che per qualche strana ragione le mandava a fuoco le guance e in fibrillazione il cuoricino. Era davvero quello l'amore? Avevo letto e visto alcuni esempi nei suoi libri di favole, e ancora non riusciva a crederci. Troppo timida per avvicinarsi, rimase in disparte, e allontanandosi per raggiungere le giostre, sperò vivamente di poterlo vedere ancora una volta, anche solo per parlarci, e forse un giorno raccontargli la verità. La sua verità. Contrariamente a lei, la sorella era ancora con la mamma, e agitandosi come una piccola ossessa, cercava qualcosa che Eliza non riusciva a vedere. Alta quanto e forse meno di uno gnomo, faceva fatica a guardarsi attorno, ma in quell'autentico marasma, due figure adulte che la donna riconobbe subito. "Edgar! Andrea!" chiamò, felice di vederli. "Eliza! Aspetta!" risposero entrambi, accelerando il passo per raggiungerla e non perdere in quella calca. Spaventato alla sola idea di perderli, il loro figlioletto arrancò appena dietro di loro, e fermandosi per riprendere fiato, incrociò lo sguardo color del mare della giovanissima pixie. Imbarazzato, non seppe cosa dirle, ma ingoiando quel rospo, decise di provare a parlarle. "C-Ciao... io sono..." balbettò, insicuro. "Kaleia, questo è Christopher." In quel momento, fu sua madre a parlare, salvandolo senza sapere da quella situazione "Ciao! Io sono Kia, ti va di giocare?" propose lei in risposta, sorridendogli e mostrandogli la mano perchè il nuovo amico gliela stringesse. Ricambiando quel dolce sorriso, il ragazzino accettò la sua mano, e accompagnandola cavallerescamente ad una giostra adocchiata da entrambi solo poco tempo prima, i due si godettero il tempo insieme in groppa ad uno degli unicorni in legno, giocando fino a sera e conservando nelle loro menti e nei loro cuori i ricordi di quella giornata passata al villaggio dei divertimenti.
 
Salve di nuovo a tutti! Vi siete mai chiesti come le fate e gli altri esseri magici festeggiassero il Carnevale? C'è da dire che è una tradizione umana, quindi tendono a imitarci, ma dettagli a parte, vi è piaciuta questa sesta storia? E i costumi dei personaggi? A presto!
 
Emmastory :)

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Capitolo 7
*** Foto di famiglia ***


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Capitolo VII
 
Foto di famiglia
 
Dopo l'inverno e il Carnevale, a Primedia erano arrivate la primavera e le rose, che Eliza lasciava crescere in un vaso sempre pieno d'acqua fresca appena all'ingresso. Anche se da poco, Kaleia aveva iniziato a notarle davvero, più di quanto facesse prima, e a volte metteva da parte i suoi giochi e le sue bambole per sedersi in terra e accarezzare dolcemente i petali di quei bellissimi fiori rossi e rosa, come se questi potessero davvero sentirla. In realtà avrebbero potuto, ma aveva appena sette anni, e i suoi poteri di pixie non erano ancora abbastanza sviluppati da permetterle di parlare con le piante e gli animali. Avrebbe imparato, certo, ma solo dopo lunghi anni di pratica. Ad ogni modo, lei non demordeva, e armandosi ogni volta di una matita e di un quaderno compratole proprio dalla mamma, annotava ogni suo minimo progresso. Sembrava strano, eppure teneva davvero alla sua crescita come fatina, e proprio come aveva dimostrato imparando a leggere appena l'anno prima, aveva ancora addosso una gran voglia di imparare. Ora sapeva far muovere gli steli d'erba, staccare con delicatezza le ghiande dai rami della grande quercia in giardino, e usare la propria polvere di fata per ridar vita ai fiori più stanchi e provati dal freddo o dal caldo eccessivi. Tutti primi passi, tutte piccole cose che nel tempo l'avrebbero sicuramente aiutata. Posando per puro caso gli occhi su uno dei tanti libri di magia trovati in casa, aveva scoperto che ad ogni fata adulta veniva assegnato un protettore, e lei non vedere davvero l'ora di conoscere il suo. Avrebbe raggiunto la maggiore età solo fra circa dodici anni, ovvio, ma per ora la cosa non la toccava. Volubile e indecisa com'era, tendeva a desiderare spesso molte cose dalla vita, e fra queste si annoverava proprio il suo primo incontro con il protettore che la vita le avrebbe riservato. Sempre con in mano una matita, o a volte dei pennarelli o dei pastelli a cera, si divertiva a immaginarne e disengarne l'aspetto, per poi aggiugere uno schizzo di sè stessa da adulta proprio accanto. Di recente aveva iniziato a fare lo stesso con le principesse e i personaggi dei libri che leggeva, o anche dei cartoni animati che guardava incollando gli occhi color del mare a quello strano aggeggio umano chiamato televisione. Soltanto pochi giorni prima le era capitato di rileggere per l'ennesima volta la storia del castello di ghiaccio e delle due sorelle costrette a vivere in quel regno di ghiaccio e neve, e proprio come la sorella maggiore Sky, anche lei si era innamorata dell'acconciatura di una delle due protagoniste. Alta, dai capelli rossi e gli occhi azzurri proprio come i suoi, portava delle lunghe trecce che scendevano morbide fino a ricaderle sulle spalle, e rimasta a bocca aperta davanti alla scena in cui la ragazza danzava per l'intera sala da ballo del palazzo in cui viveva, la bambina si era alzata senza neanche spegnere l'apparecchio, e andando alla ricerca della madre, non aveva fatto altro che assillarla, ponendo insistentemente una sola domanda. "Posso essere una principessa? Mi servono dei bei capelli per farlo, posso?" continuava a chiedere, non facendo mai uscire parole diverse dalla bocca. "Kaleia, tesoro, questo non è vero. Sei già bellissima come sei, e sei la mia principessa, proprio come Sky!" questa era stata la risposta della madre, che sorridendo dolcemente le aveva accarezzato una guancia e scompigliato amorevolmente i capelli. "No! Così poi dovrò pettinarli di nuovo!" si era lamentata la bambina, pestando i piedi e cercando di sfuggire all'affetto della donna. "Perchè, scusa? Non era questo che volevi? Non volevi essere bellissima e avere le trecce? Guarda, io sono riuscita a farle da sola." Poco dopo, anche Sky si era intromessa nella conversazione, e le sue parole avevano avuto come unico potere quello di rafforzare le convinzioni della sorella. In quel momento, aveva in testa migliaia di interrogativi. Come aveva fatto? Come ci era riuscita da sola? Dove aveva imparato? E soprattutto, perchè ora la mamma non diceva più niente? Non lo sapeva, ma la sola vista di Sky che viveva il suo sogno stilistico la mandava davvero fuori di testa. "Non è giusto! A Sky permetti di tutto!" piagnucolò, ferita. Alla vista della figlia in lacrime, Eliza non seppe cosa dire, e anche se solo per un attimo, il suo sguardo si posò sulla maggiore. "Dovevi proprio farti vedere adesso in quel modo?" sembrava volerle dire, anche se non con cattiveria. Quasi come se sapesse di aver sbagliato, Sky si avvicinò alla sorellina, e posandole una mano sulla spalla, provò a rincuorarla. "Non preoccuparti, se davvero le vuoi basta chiedere alla mamma. Non dirà di no, fidati." Le disse in un sussurro, per poi sorriderle e ritirarsi nella sua cameretta. Con ancora le lacrime agli occhi, la piccola Kaleia si limitò a guardare la madre, e prendendole la mano, questa la condusse fino al bagno di casa, e pregandola di restare ferma e dritta davanti allo specchio, diede subito inizio ad un affatto complesso lavoro di spazzola e fiocchi per capelli. Per pura fortuna, soddisfare quel capriccio richiese poco tempo, e a missione compiuta, le due sorelle furono ben felici di lasciarsi immortalare, con i loro bei vestiti e i loro splendidi capelli intrecciati, in una foto di famiglia destinata ad essere gelosamente conservata per il futuro e gli anni a venire.
 
 
In quest'altra storia molto più corta della precedente, solo un breve racconto di quello che succede mentre le nostre care fatine crescono imparando a controllare e usare i propri poteri, e poi, inaspettatamente, i capricci di una di loro, decisa a farsi fare le treccine prima di una foto di famiglia. Quale bimbo non è capriccioso? E soprattutto, avete dei pareri riguardo a questo piccolo episodio? Resto in attesa, a prestissimo con la prossima storia della raccolta,
 
Emmastory :)

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Capitolo 8
*** Penderghast Elementary ***


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Capitolo VIII
 
Penderghast Elementary
 
Era arrivato. Le bambine ancora non riuscivano a crederci, eppure il fatidico giorno era arrivato. Sveglia da poco, ma tutt'altro che stanca, Kaleia era stata la prima ad alzarsi, e sgusciando fuori dal letto, non aveva neanche indossato le pantofole, e quasi trascinando i piedini nudi sul pavimento, aveva attraversato il corridoio che portava alla camera della mamma, aprendo lentamente la finestra e lasciando che la stanza venisse inondata dal sole. "Mamma! Svegliati, svegliati, è oggi! È oggi!" gridò, felice ed eccitata. Confusa, Eliza non seppe cosa dire, e ancora assonnata, ruppe il silenzio con uno sbadiglio. "Kaleia... ho capito, e mi ricordo, ma sono appena le sei del mattino!" si lamentò la donna, affatto contenta di essere stata svegliata. La piccola sveglia che teneva sul comodino avrebbe suonato a breve, ed era vero, ma avrebbe di gran lunga preferito godersi gli ultimi minuti di riposo che il sole ancora basso le concedeva. "Lo so, ma oggi devo andare a scuola! È il mio primo giorno!" continuò la bambina, sorda alle lamentele dell'ancora stanca madre. "Non ti arrendi, vero, piccola?" le chiese Eliza, mentre mettendosi a sedere sul letto si stiracchiava come la gatta a cui aveva dato da mangiare appena la sera. Era strano, ma sembrava che un'intera colonia felina si fosse stabilita al villaggio degli umani, e che separandosi dal gruppo, ogni componente si fosse a poco a poco staccato, dando inizio a una propria vita. Esattamente ciò che era successo a quella femmina, che avventurandosi per il villaggio aveva raggiunto il bosco e poi la casa di Eliza, sedendosi sull'uscio e miagolando alla ricerca di cibo. Ad ogni modo, ormai sveglia, la donna si era alzata dal letto, e in silenzio, si stava ora guardando allo specchio, usando una spazzola per tentare di dare un verso ai capelli spettinati. Finalmente pronta, sorrise alla bambina, e prendendola per mano, la guidò fino alla sala da pranzo, per poi sparire in cucina e dare inizio alla propria giornata. Una semplice tazza di caffè opportunamente zuccherato, una fetta di pane e della dolce e buona marmellata, accompagnata dal telegiornale del mattino ascoltato distrattamente da una mai muta televisione. Seduta nella stanza accanto, Kaleia chiamò a sè la madre, e rispondendo a quella sorta di richiamo, la donna le fu accanto solo pochi istanti dopo, con ancora la propria tazza di caffè in mano. "Sì, tesoro?" chiese, sorridendole. "Hai fame? Vuoi i tuoi Fairy O's?" azzardò poi, sicura che per lei fosse ora di colazione. A Eliza sembrava di essersi appena svegliata, eppure era già passata mezz'ora. Lentamente, il sole si stava alzando nel cielo, giocandoci e ripulendolo dai tetri colori della notte. Per fortuna c'era ancora tempo, e la pixie non era in ritardo per il suo primo giorno di scuola, e negando con la testa, quest'ultima diede voce alla sua "ordinazione" almeno per quella mattina. "No, grazie. Li ho mangiati ieri. Posso avere il latte caldo e una brioche?" disse infatti, per poi scivolare nel silenzio e aspettare la risposta della madre. "Certo! Arrivano subito!" replicò Eliza, regalando un nuovo sorriso alla figlia prima di tornare in cucina per prendere il latte dal frigo e accontentarla. Prima di tornare indietro, si assicurò di non dimenticare la gustosa brioche che aveva promesso, e a lavoro concluso tornò dalla figlia. Fu quindi questione di attimi, e guardandola mangiare, la donna quasi pianse. In molti avrebbero pensato che stava esagerando, ma la sua piccola stava crescendo, quello sarebbe stato il suo primo giorno di scuola, e il solo pensiero che quella dolce pixie destinata a trasformarsi in fata fosse sua figlia la riempiva d'orgoglio. Lo stesso valeva per Sky, che ancora addormentata, si stava probabilmente preparando a scendere dal treno dei sogni, e che proprio come la sorellina avrebbe iniziato la scuola quello stesso giorno. In classi diverse a causa dell'età, certo, ma comunque assieme a Kaleia, che avendo ormai finito di mangiare, si stava già dirigendo verso il bagno di casa per lavarsi il viso e i denti, e poi, sempre aiutata dalla mamma, entrare nella vasca. Tutte attività della routine quotidiane, che per sua fortuna non richiesero troppo tempo. Ormai pronta, Kaleia non vedeva l'ora di sostituire il pigiama con la sua nuova divisa scolastica, ma c'era una sola cosa a fermarla. Sky. Dormiva ancora, e a giudicare dallo sguardo della mamma, svegliarla sarebbe stato scortese, specialmente se in modo brusco. "Mamma, devo vestirmi! Se non si sveglia faremo tardi!" si lamentò la bambina, pestando i piedi e rimanendo ferma nel bel mezzo del corridoio. "Kia, abbiamo tempo! Va a giocare in salotto, d'accordo? Sveglierò io Sky, va bene?" le rispose la mamma, abbassandosi al suo livello e posandole una mano sulla spalla. "Va bene." Concesse la piccola, fidandosi. "Ma se farò tardi la colpa sarà sua. Non si arriva tardi il primo giorno!" continuò poco dopo, sempre più ansiosa all'idea di far magre figure davanti agli insegnanti. "Tesoro, davvero. Sta tranquilla, non succederà." La rassicurò la madre, per poi allontanarsi e aprire la finestra della camera della figlia. "Sky... amore, svegliati. Hai dormito troppo, è quasi ora di andare a scuola." La chiamò, scuotendola dolcemente e aiutandola a liberarsi delle coperte, per poi farle notare quel piccolo ma importante dettaglio. A quelle parole, la piccola si svegliò di soprassalto, e alzandosi subito dal letto, corse trafelata fino al bagno di casa, e chiudendosi a chiave, sacrificò la colazione per una doccia. Avrebbe potuto fare il bagno, certo, ma la prima delle due opzioni le avrebbe fatto risparmiare tempo, preziosi granelli di tempo per quel primo giorno di cui si era completamente dimenticata. Come aveva fatto? Non lo sapeva, ma una cosa era certa. Quella era l'ultima volta che si lasciava coinvolgere da una maratona televisiva del suo programma preferito. Per quale motivo la trama di Pixie Club doveva essere così dannatamente interessante? Maledetti produttori televisivi, ne sapevano una più del diavolo. Quelle erano le cose a cui la piccola pensava fra un attimo sotto la doccia e l'altro. Uscendone lentamente, si preparò a vestirsi, e indossando la sua divisa scolastica, verde e con lo stemma della scuola cucito su un piccolo scudo di stoffa all'altezza del petto, sorrise nel guardarsi allo specchio. Aveva dormito troppo e rischiava di far tardi, per colpa sua anche la sorella, ma si sentiva bellissima. Lo stemma scolastico su feltro verde brillò sotto la luce riflessa dallo specchio, e soddisfatta del risultato ottenuto anche acconciandosi i capelli e intrecciandoli come già aveva fatto, ne uscì attraversando il corridoio con fierezza. "Sono pronta! quasi urlò, annunciando la sua presenza nel salotto e raccogliendo da terra lo zainetto azzurro, che ben ricordava di aver lasciato lì la sera prima. "Finalmente!" replicò Kaleia, seccata dal vederla saltellare per la stanza a quell'ora così tarda mentre lei aveva sudato sette camicie per prepararsi in tempo e a dovere. Sotto muto consiglio della madre, la piccola lasciò cadere l'argomento, e prendendole la mano, si lasciò guidare nel percorso che le avrebbe condotte a scuola. Sfortunatamente lontano, nella città oltre il confine del bosco per la precisione, ma grazie a chissà quale miracolo fatato, magico o provvidenziale, le due giunsero alla scuola di Eltaria alle nove del mattino, ossia in perfetto orario per l'inizio delle lezioni. Appena arrivate, le piccole non avevano idea di dove andare o dove voltarsi, e fu allora che videro il cancello aprirsi con un cigolio a dir poco sinistro, sentendo poi il suono della prima campanella. Sempre vicine alla mamma, entrambe le tennero la mano, restando in attesa di essere smistate come gli altri esserini magici nelle proprie classi. Di lì a poco, Sky e Kaleia si sarebbero separate, ma non importava. L'intervallo le avrebbe riunite, e volendo essere oneste con sè stesse, entrambe dovettero ammettere di non vedere l'ora di iniziare le lezioni di magia, pozioni e storia della magia stessa, che a giudicare dai depliant informativi, era soltanto una parte del programma scolastico, lasciato nelle mani di insegnanti più che qualificati. Così, uno dopo l'altro, pixie e folletti trovarono ognuno la propria aula, e per la fortuna di Kaleia, che aveva da poco scoperto di adorare la musica e le sue infinite sfumature, la prima lezione era proprio quella, appositamente creata, almeno allora, per dar modo ai bambini di conoscersi meglio gli uni con gli altri, parlando e scambiandosi opinioni e passioni prima di prendere in mano uno strumento. Ai piccoli ne furono mostrati di diversi, e una maestra con un sorriso dolce e una voce gentile, incoraggiò ognuno di loro a scegliere uno, e alzandosi dal suo banco, Kaleia optò per il più grande di quelli presenti nella stanza. Nero e maestoso, un pianoforte. Circa due o forse tre volte la sua taglia, certo, ma comunque, e per qualche ragione a lei sconosciuta, il suo preferito. Anche pensandoci, non riusciva a dare un perchè alla sua scelta, e sorridendole apertamente, la maestra l'aiutò a sedersi, per poi pregarla di aspettare mentre aiutava anche gli altri bambini. Fra tutti, spiccava una signorina dalla pelle verdastra e i capelli castani che le ricadevano morbidi sulle spalle, intrecciandosi in boccoli degni di una principessa. Pur restado seduta, Kaleia si voltò a guardarla, e regalandole un veloce sorriso, mimò il suo stesso nome con la bocca, presentandosi. Capendo al volo, anche l'altra fece lo stesso, e solo allora, Kaleia scoprì il suo nome. Si chiamava Aster, era una ninfa, e contrariamente a lei, aveva scelto il violino. Poco dopo, quando anche il resto dei suoi compagni ebbe in mano uno strumento, principalmente flauti, violini o piccole tastiere, la lezione ebbe inizio. La prima cosa che i piccoli impararono fu cosa fossero i crescendo e il loro contrario, poi le note e la loro successione, e infine come leggere un pentagramma. Sempre al suo posto davanti al pianoforte, Kaleia dovette quasi rassegnarsi e aspettare, e aiutata dall'insengante, diede vita a una scala musicale, passando lentamente dal Do minore a quello maggiore sotto lo sguardo stupito dell'insegnante. Quello che aveva fatto non era nulla di difficile, certo, ma guardandosi intorno notava che i compagni facevano fatica, e sapere di essere trattata così bene dall'insegnante, che la ricopriva di elogi, complimenti e incoraggiamenti mentre provava, la faceva sentire speciale. Così, seguite da altre lezioni, quelle prove andarono avanti per ben tre settimane, allo scadere delle quali, ogni bambino fra pixie, folletti, ninfe e satiri avrebbe dovuto suonare una canzoncina da solo e senza sbagliare, tutto di fronte ai propri genitori. Ciò che ne seguì fu una sorta di recita, e quando dopo circa cinque o sei compagni Kaleia sentì il suo nome, capì che era il suo turno. Imbarazzata come non mai, potè giurare di avere il volto in fiamme, ma scuotendo la testa, scacciò i brutti pensieri come faceva con gli insetti più fastidiosi, e sedendosi al suo amato pianoforte, lesse ogni nota sullo spartito, dando poi inizio ad una melodia semplice e allegra, che sembrava essere stata scritta apposta per una bambina come lei. A spettacolo finito, si alzò, e con un inchino, tornò dalla madre, restando con lei fino all'esibizione della sorella. Il turno di Sky arrivò poco dopo, e pur seguita dall'insegnante, che portava con sè un leggio, ovvero una piccola base per posare il libro di musica o uno spartito senza doverlo tenere in mano, qualcosa andò storto. Spaventata, la piccola non seppe come iniziare, ed esitando troppo, finì quasi per piangere. Incoraggiata dalla mamma, dalla sorella e dai compagni, trattenne le lacrime, ma proprio quando si decise, un altro disastro. Faceva caldo, l'aria era secca, e un'improvvisa folata di vento irruppe nell'auditorium, distraendola e facendo volar via lo spartito con il testo e le note della sua canzone. In preda alla vergogna, la bambina sparì dal palco assieme al suo flauto, e in lacrime, fuggì via da compagni e adulti, aspettando solo di essere riportata a casa e sperando di mettersi quella bruttissima esperienza alle spalle. Forse non era portata per la musica, o forse le sarebbe servito più tempo per imparare, ma ad ogni modo, dopo le lacrime e il dolore, la piccola pixie del vento imparò una lezione. Si era fatta prendere la mano dalle emozioni ed era fuggita, ovvio, ma ciò non significava che avrebbe potuto o dovuto farlo in eterno. Ben presto, compagni e insegnanti l'avrebbero perdonata e accolta ancora, felici di rivederla per un nuovo giorno di studi alla Penderghast Elementary. 

Non perdendo tempo, vi regalo subito quest'ottava storia. Il primo giorno di scuola delle nostre fatine preferite, e anche un breve cameo da parte della ninfa Aster. Appena sedute fra i banchi, Sky e Kaleia si ritrovano a imparare cosa sia la musica e poi esibirsi, e nonostante uno sfortunato incidente, sanno di essere benvenute in quella scuola, che le aiuterà a sviluppare i loro poteri fino all'età adulta. Al prossimo aggiornamento, come sempre attendo i vostri pareri,
 
Emmastory :)
 
 
 
 
 
 

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Capitolo 9
*** Uguali ma diverse ***


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Capitolo IX
 
Uguali ma diverse
 
Eliza aveva avuto una giornata lunga. Il sole del pomeriggio appena iniziato la salutava dalla finestra solleticandole le guance e la vista, e annoiata dal caldo che ancora la tediava in quell'estate ai suoi esordi, sbuffò. Spostando lo sguardo, lo fissò sull'orologio appeso al muro della cucina, e fu allora che si accorse dell'orario. Erano le tre, ecco perchè faceva così caldo. Conoscendosi, sapeva di non guardare poi così spesso la televisione, nè di non dare mai troppa attenzione alle notizie che apprendeva dai documentari, giudicandole spesso false e gonfiate solo per attirare l'attenzione. Insomma, era mai possibile che le madri uccello abbandonassero i piccoli solo perchè accidentalmente toccati dagli umani? O che i pesci rossi fossero capaci di ricordare qualunque cosa soltanto per tre secondi? O anche che i tori detestassero il colore rosso più di ogni altro. Falsità, tutte falsità dimostrato da alcuni libri che aveva letto da ragazza, che contenevano invece le risposte esatte. A quanto sembrava, le madri spingevano i piccoli fuori dal nido quando arrivava il momento di insegnar loro a volare, ed era quella la ragione per cui a volte li si trovava in terra o vicino agli alberi. Per quanto riguardava i pesci rossi, contrariamente a ciò che si pensava, riuscivano a ricordare suoni e informazioni per un periodo di tempo di ben cinque mesi, e tornando invece ai tori, il colore rosso non era certo il loro tallone d'Achille, anzi, tutt'altro. Perchè? Semplice. Se c'era una cosa a spaventare i tori, non era affatto il colore, ma la dimensione del drappo stesso, che ostruendo loro la vista, li mandava spesso in confusione, disorientandoli e spingendoli ad attaccare. Annoiata, l'accese per dare uno sguardo alle previsioni del tempo, che proprio come si aspettava, potevano essere riassunte in una sola parola. Caldo. Caldo, semplicemente caldo. Spegnendola di colpo, gettò indietro la testa, e alzando gli occhi al cielo, si ritrovò a fissare il ventilatore appeso al soffitto, sempre in funzione e impegnato in un moto perpetuo. Chiudendo gli occhi, respirò a fondo, e all'improvviso, una voce la distrasse. "Tieni, mamma. È tè freddo, ne vuoi?" era Kaleia, che finalmente fuori dalla sua stanzetta, si era decisa a far qualcosa di diverso rispetto a giocare con i suoi pupazzetti e le sue adorate bambole, e nonostante il caldo, ora era pronta a fare i compiti. Non che in quei giorni ne avesse tanti, per fortuna, ma ligia al dovere com'era, si era messa in testa di finirli e poi tornare a giocare. Un piano completamente diverso da quello della sorella, che rimasta nella sua stanza, sdraiata sul letto a fissare il soffitto, si riposava, cercando di dormire nella forse vana speranza di vedere quel sole cocente sparire dalla sua vista. In quanto fata del vento, sapeva che avrebbe potuto concentrarsi sulle bianche nuvole che vedeva fino a renderle grigie e pronte a scaricare parecchia pioggia, ma la sua età e inesperienza non glielo permettevano, o almeno non ancora. "Stupidi libri di magia." Pensò, maledicendoli. Perchè i suoi contenevano solo gli incantesimi più sciocchi e semplici, come spostare oggetti e farli levitare, o dar loro la capacità di vivere una vita propria per poco tempo soltanto  schioccando le dita? Non lo sapeva, e in tutta onestà non le interessava scoprirlo. Nel silenzio della propria camera, spesso si fermava a riflettere, e guardandosi allo specchio, provava il forte e forse insano desiderio di crescere. Vivere con Eliza era sempre bellissimo, certo, ma nonostante tutto, l'ambiente e le condizioni in cui era cresciuta l'avevano formata, e dimenticare i veri genitori l'aveva segnata davvero. Nel tempo, l'unico risultato ottenuto era stato quello di erigere attorno a sè mura invalicabili. Era così che si proteggeva dal dolore, così che lo sopportava, ed era sempre quel malessere a spingerla a voler diventare adulta e iniziare le sue indagini da sola. Ora non sapeva, ma prima o poi qualcosa avrebbe scoperto. Ad ogni modo, ora il tempo stava passando, e mentre la piccola Kaleia studiava le pagine del suo sussidiario, Eliza sorseggiava quel buon tè freddo, accompagnandolo di tanto in tanto alla lettura di un libro che aveva riaperto da poco. La storia di una principessa in un regno remoto e lontano, figlia d'un amore non dissimile dal peccato, costretta a lottare per vivere la vita che un più che crudele destino aveva disegnato per lei. Pagine e pagine sempre più avvincenti, che trasportandola in quel mondo di dolore, fame, misera, disperazione e distruzione le rubarono più tempo del previsto, tanto che quando rialzò gli occhi non vide più la figlia intenta a studiare, accorgendosi solo allora che se n'era andata, e che intanto l'orologio aveva continuato a muoversi, segnando le cinque. Mancava appena un'ora all'appuntamento di Eliza con l'amica Isla. Nulla di diverso da una semplice passeggiata al villaggio nelle ore più fresche della giornata, certo, ma pur sempre un ottimo modo per incontrarsi e chiacchierare del più e del meno, specialmente ora che la cara amica aspettava un bambino. Si sarebbero divertite moltissimo a parlarne e discuterne insieme, fantasticando sul sesso e sul nome del nascituro, ne era certa. Così, dandosi da fare con le ultime faccende domestiche prima di uscire, Eliza le sbrigò pensando, e inevitabilmente, i suoi pensieri andarono a Sky e Kaleia. Stavano crescendo, ed era vero, ma nonostante tutto non erano certamente in grado di restare a casa da sole. A nove anni, Sky sapeva già cosa fare per prendersi cura della sorellina, ma stavolta non sarebbe bastato. La mamma avrebbe continuato a fidarsi di lei, ma dato il lasso di tempo che avrebbe trascorso fuori, assumere una baby-sitter le sembrava più indicato, e chi meglio di Marisa, che avendo già aiutato in passato poteva dire di conoscere quelle pixie meglio di sè stessa?" Nessuno, chiaro. Per pura fortuna, Eliza e sua madre Zaria si erano già messe d'accordo, e la giovane sarebbe arrivata a momenti. Sollevata, la donna attese, e quando finalmente il campanello la distrasse, lei corse ad aprire. "Marisa, grazie al cielo, stavo iniziando a preoccuparmi." Le disse, scostandosi per lasciarla entrare dopo averla stretta in un abbraccio. "Sky e Kaleia staranno giocando, tu sta tranquilla. Isla ed io saremo fuori solo per qualche ora." Spiegò poco dopo, non badando alla velocità con cui le parole lasciavano la sua bocca. Colpita, Marisa dovette trattenersi dal ridere. Capiva l'apprensione della donna, e non poteva fargliene una colpa, ma nonostante tutto doveva ammettere di trovarlo divertente. "Eliza, calmati. Dico sul serio, andrà tutto bene. Le tue piccole mi adorano e viceversa, cosa vuoi che succeda?" provò a dirle, tentando di rassicurarla. Agitata, Eliza sfiorò la maniglia della porta, e solo pochi istanti dopo, finì per ricredersi. "Bambine!" chiamò, quasi urlando per farsi sentire. "Sarò fuori per poco, date retta a Marisa mentre non ci sono!" aggiunse poco dopo, per poi non sentire altro che il suono dei loro passi mentre le correvano incontro. Piccola e veloce, Kaleia fu la prima a raggiungerla, e abbracciandola forte, le diede un bacio sulla guancia. "Ciao, mamma." Salutò, dolcissima. "E tu, Sky? non saluti la mamma?" azzardò allora Marisa, che intenerita da quella scena, si stupì di non vederne una replica. "No, ci sono abituata." Si limitò a dirle la bambina, sedendosi sul divano ed estraniandosi dal mondo mentre accendeva la televisione. Non sapendo cosa dire, Eliza si strinse nelle spalle, e salutando le figlie con un cenno della mano, uscì. Stranita da quanto era appena accaduto, anche Marisa mantenne il silenzio, e forzando un sorriso per il bene di entrambe, si sedette con loro. "Vostra madre mi ha chiesto di badare a voi mentre è via, cosa vi va di fare?" chiese, tentando di coinvolgerle in qualche modo. Uscendo, Eliza aveva detto che sarebbe stata via per ore, ma quante? Due? Tre? Erano già le sei e un quarto, significava che avrebbe dovuto anche preparare la cena ad entrambe? Fastidiosi, mille dubbi le affollarono la mente, e scuotendo la testa, la ragazza provò a liberarsene. "Calma." Si disse. "Sono solo bambine, cosa vuoi che facciano?" continuò, parlando più con sè stessa che con loro, completamente assente dal mondo reale. "Misa?" la chiamò una voce, distraendola. Confusa, la ragazza si riscosse, e abbassando lo sguardo, la vide. La sua piccola amica Kaleia, con in mano un libro di favole per bambini. "Ci leggi una storia?" pregò, guardandola con i suoi profondi occhi azzurri e tirando leggermente una manica della sua veste. "Certo, scegline una." Concesse lei, mostrando un sorriso ormai non più forzato. Come poteva esserlo dato il gran bene che voleva a quella dolce creatura? "No, scegli tu. Sorprendici." Rispose la bambina, dando carta bianca all'amica. "D'accordo." Continuò quest'ultima, sedendosi più comodamente e aprendo il libro a una pagina a caso. Silenziosa quanto furba, Kaleia andò a sedersi sulle sue ginocchia, e quasi senza accorgersene, prese a succhiarsi il pollice, giocherellando intanto con una ciocca di capelli. Poco dopo, Marisa iniziò a raccontare. "Bene, c'era una volta una ragazza di nome Cenerentola..." ebbe appena il tempo di dire, interrotta subito dopo da una Sky completamente disinteressata. "Già, e aveva la matrigna cattiva, due sorelle tremende e una scarpina di vetro." Replicò la ragazzina, che alla sua età aveva ascoltato quella storia centinaia o forse migliaia di volte. "Era cristallo, ma se non ti piace cambiamo, ci stai?" le rispose Marisa, evitando di scomporsi e girando pagina. Indecisa, lo fece un paio di volte, poi si fermò. "Allora, in un villaggio piccolo e accogliente, vivevano insieme tre porcellini, e per difendersi da un lupo cattivo, ognuno aveva bisogno di..." un'altra frase, un'altra interruzione, sempre da parte di Sky, che annoiata come mai prima, aveva anche iniziato a sbadigliare. "Una casa di paglia, legno e mattoni. Già sentita anche questa." Disse infatti la pixie, agli occhi della ragazza stranamente matura per la sua età. Infastidita, Kaleia si fermò a guardarla, e ingoiando quel boccone così amaro al solo scopo di evitare una lite, girò ancora pagina, scegliendo in fretta la terza storia, e sperando che almeno allora la sorella non interferisse. Prima di ricominciare, Marisa ne controllò il titolo, e soddisfatta, si preparò a leggere. "Tanto tempo fa, in un regno assai lontano, viveva..." anche stavolta, la frase non terminò, e scontrosa come sempre, Sky rovinò l'atmosfera. "Lasciami indovinare, una bella principessa?" chiese, fingendo sorpresa in realtà non provata. Seccata, Marisa chiuse il libro, e posandolo sul divano, guardò Sky, che con gli occhi altrove, la ignorava pesantemente. "Va bene, piccola miss "non mi fregate, so già come va a finire", si può sapere cosa ti va di fare?" le chiese, indurendo il tono di voce e scivolando nel silenzio in attesa di una risposta. "Non lo so, un puzzle? Qualcosa di più costruttivo, ho nove anni io, cavolo." Propose la bambina, quasi sputando veleno con ogni parola. Non voleva essere cattiva, si stava solo annoiando. Com'era possibile? Conosceva Marisa, le voleva bene, ma mentre il tempo scorreva, un ennesimo sbadiglio ruppe il silenzio. "Puzzle, hai detto? Bene. Kia, potresti..." concesse a quel punto la ragazza, che a quindici anni comprendeva perfettamente lo stato d'animo della bambina. Crescendo, lei non aveva avuto una baby sitter, e avendolo scelto come lavoretto, per quanto noioso a volte potesse essere, voleva comunque sentirsi meritevole dei dieci rubli di luna che avrebbe portato a casa a fine serata.  Ad ogni modo, Kaleia annuì, e sparendo dalla vista di entrambe per qualche istante, tornò indietro con una scatola fra le mani, che a coperchio sollevato, mostrò il centinaio di pezzi di plastica che lo componeva. Forse erano pochi per una bambina come Sky, o forse pochi, ma almeno l'avrebbero tenuta occupata per un pò. Intanto, tornata dall'amica, la piccola Kaleia aveva sostituito il desiderio di ascoltare una favola con quello di divertirsi, e lesta e veloce, quella semplice richiesta abbandonò le sue labbra. "Vuoi giocare a Magimani?" chiese, per poi tacere e restare a guardarla, dando vita a un sorriso a dir poco adorabile. Confusa, Marisa si fermò a pensare, e alcuni istanti dopo, capì a cosa la pixie si riferisse. Un gioco molto simile a quello che gli umani chiamavano battimani. Il principio era lo stesso, ma data la presenza della magia nel corpo e nel sangue di pixie, folletti, elfi, gnomi e leprecauni, il contatto delle mani dei due partecipanti provocava piccole scintille di magia, e ridendo, la bambina si divertì con l'amica per i minuti a venire, sorprendendola con la sua velocità e mostrando il controllo con cui teneva a bada i suoi poteri. Ripensandoci, la pixie doveva ammettere che imparare era stato difficile, ma se ci era riuscita, era stato solo grazie agli insegnamenti delle fate più anziane. Ancora orfane di un protettore, lei e Sky erano state costrette a trovare una soluzione, e così erano iniziate le loro lezioni di magia, seguite poi dall'iscrizione alla prestigiosa Penderghast. "Per fatine e folletti magici e perfetti." Quello era lo slogan, e tanto felice quanto eccitata alla sola idea di iscriversi, la stessa Kaleia si era ritrovata a recitarlo come una sorta di ormai dimenticato mantra mentre giocava. A quel ricordo, sua madre Eliza rideva ogni volta, e persa nei propri pensieri, Sky quasi non ci pensava, essendo ora completamente concentrata sul suo puzzle. Per pura fortuna, proprio il suo preferito. Grande e colorato, raffigurava quattro fatine a lei simili con le ali colorate d'arcobaleno, tutte intente a ballare insieme sotto la luce della luna, che maestosa e lucente, permetteva ai loro corpi di brillare di luce propria, che unita a quella della loro polvere magica, risplendeva più di quanto avesse mai fatto. Sullo sfondo un castello fatato, e in lontananza, proprio la luna. Silenziosa, la bambina mise l'ultimo pezzo al suo posto, e lenta si rialzò da terra. Piano, come se avesse paura di rovinare quel capolavoro. "Marisa! Marisa!" chiamò, felicissima. "Ho finito, guarda!" disse poi, saltellandole intorno e non riuscendo a smettere di sorridere. "Davvero? Brava!" si complimentò l'amica, ricambiando quel sorriso e abbracciandola, per poi stringerla a sè e condurla verso il divano, dove la sorella, comoda come non mai, era seduta a seguire forse l'ennesimo episodio di Pixie Club, un cartone animato più che adatto alla sua età, incentrato su un gruppo di fatine, sei o sette, Marisa non ricordava mai il numero esatto, messe ogni giorno di fronte alle sfide della vita durante la loro avventura nel bosco alla scoperta dei loro poteri. Nulla di troppo serio, per loro fortuna, ma in ogni episodio, una lezione per ogni bambino, umano o magico che fosse. Situazioni normali e ordinarie, ma sempre pregne di valori alle volte tristemente desueti. Amicizia, amore, gentilezza, bontà d'animo e resilienza. Tutte cose che Kaleia imparava ogni giorno anche dalla mamma, che in tutto quel tempo si era sempre presa cura di lei e Sky completamente da sola. Fermandosi a pensare, la piccola provava un certo orgoglio per quella donna, seguito poi da un improvviso e fortissimo desiderio di abbracciarla. Ad ogni modo, annoiata da quella che considerava una replica, Sky si appropriò del telecomando, e spingendo un tasto a caso, cambiò canale, guardando l'immagine sullo schermo cambiare e mostrare le strade poco illuminate di una cittadina immersa nel silenzio, nel buio e nella quiete. Sorpresa, si lasciò incantare, e prendendo la mano dell'amica, la incoraggiò a seguire quel programma con lei. A quella vista, Marisa sussultò. La sera stava calando, alla cena delle bambine mancava ancora molto, ed era convinta che guardare un film fosse il modo migliore d'ingannare il tempo. In quanto apprendista strega, aveva una strana predilezione per l'oscurità e il mistero, e con essi, anche i film dell'orrore. Sedendosi più comodamente sul divano, si concentrò sulla trama, e di scena in scena, sentì il mondo attorno a lei svanire, come se in quel momento non esistesse altro che quel film. Rapita, quasi non si accorse della presenza delle bambine, ma staccando gli occhi dallo schermo per un solo attimo, ricordò. Preoccupata per loro, provò a spegnere il televisore, e non riuscendoci, si voltò verso le sue due piccole amiche. "Sky, Kia, non credo che questo sia il vostro genere." Le avvisò, preoccupandosi per loro e per gli incubi che avrebbero potuto avere. "Nostro? Magari non il suo, ma io ho nove anni, e mamma dice che posso guardare quello che voglio!" gridò allora Sky, testarda. "Pixie, sul serio. Questo è un film dell'orrore, non è fatto per bambine come te." Insistette la ragazza, seriamente preoccupata per lei. "No, non se ne parla. È interessante, io resto." Replicò la fatina, puntando i piedi e fissando gli occhi sullo schermo televisivo. Seccata, Marisa non insistette oltre, e stringendosi nelle spalle, la lasciò fare, e come lei, anche la sorella minore si lasciò catturare da quelle immagini. Senza distrarsi, la ragazzina continuò a guardare, interessandosi sempre di più a mano a mano che il mistero diventava più fitto. Cos'era successo in quella cittadina? Perchè c'era sempre quello stranissimo silenzio? A chi apparteneva l'ombra che aveva visto in precedenza. Non lo sapeva, e non si sarebbe addormentata, non fino a scoprirlo. A tratti veloci e incalzanti, a tratti lente e spaventose, le scene continuarono a susseguirsi, e spaventata come mai prima, la piccola Kaleia aveva finito per coprirsi gli occhi con le mani e rifiutarsi di guardare, dando ogni volta voce alla stessa domanda. "È finito? Dimmi che è finito, per favore." Pregava, con il corpo e la voce scossi da tremiti sempre più evidenti. Troppo concentrata per risponderle, Marisa restava in silenzio, e così anche Sky, che tentando di dissimulare il suo stesso terrore, si sforzava di restare calma, stringendo la mano della cara baby sitter con forza sempre maggiore. Così, dopo un tempo che nessuna di loro riuscì a definire, quel terrificante film ebbe la sua fine, e anche se il mistero non trovò una soluzione e lo schermo divenne nero dopo una breve dissolvenza, non mostrando altro che la parola fine seguita da un punto interrogativo, a Marisa quasi non importò. Paralizzata, Kaleia non riusciva quasi a respirare, e lo stesso valeva per Sky, che con le dita ancora intrecciate a quelle della stessa Marisa, le stringeva la mano così forte da bloccarle la circolazione. "Sky, lasciami. Il film è finito, e se non mi lasci non posso prepararti la cena." Provò a dirle l'amica, abbozzando un debole sorriso e ritirando la mano. Testarda, la piccola strinse ancora più forte, e avvicinandosi a piccoli passi, Kaleia l'abbracciò. Con il cuore in tumulto, la bambina tremava, ed era a un passo dal cominciare a sudare, come spesso accadeva quando faceva brutti sogni. "Dov'è la mamma?" azzardò, voltandosi verso la porta ancora chiusa. Ormai il sole non era più in cielo, al suo posto c'erano le stelle e la luna, e pur sapendo leggere l'orologio, aveva ormai perso la cognizione del tempo, e preoccupata, tornò a guardare l'amica alla ricerca di conforto. "Ancora fuori, tesoro. Starà tornando, non preoccuparti." Le rispose la ragazzina, sorridendo dolcemente e scostandole una ciocca di capelli dal visetto tondo. A quelle parole, anche Sky si voltò a guardarla, e proprio allora, mille dubbi si insinuarono nella sua mente. "Fuori? Ma ci sono i lupi e i vampiri, fuori." Biascicò, spaventatissima. "Sky, pixie, i mostri non esistono. La mamma arriverà a casa, te lo prometto." Rispose a quel punto Marisa, avvicinandosi e stringendola a sè per confortarla. Affatto convinta, Sky sentì gli occhi bruciare, e solo pochi istanti più tardi, alcune piccole lacrime le rigarono il volto. Di lì a poco, i suoi lamenti riempirono il silenzio, e piangendo disperata, la piccola non desiderò altro che vedere quella porta aprirsi. Le ore passavano, ma lei non tornava, e dopo ciò che aveva visto, mille scenari sembravano rincorrersi nella sua mente, risultando sempre uno peggiore dell'altro. Colta alla sprovvista dal pianto della piccola, Marisa non seppe cosa fare, ma proprio quando tutto le parve perduto, ebbe un'idea. "Se smetti di piangere ti do il gelato." Disse alla bambina, continuando a consolarla e sperando che si calmasse. Ascoltandola, la pixie si acquietò all'istante, pronunciando assieme alla sorella un'unica parola. "Vaniglia." Dissero entrambe, felici alla sola idea di assaggiare anche una sola cucchiaiata di quella delizia. Sollevata, la ragazzina aprì il frigo, ed estraendone la vaschetta, prese un cucchiaio e tre bicchieri di carta, riempiendoli uno per volta di gelato. Quasi fino all'orlo, proprio come piaceva alle bambine. Finalmente più calme, le piccole mangiarono con gusto, e dopo una vera e propria eternità, qualcuno bussò alla porta. Scattando in piedi come una molla, Sky si precipitò ad aprire, e fu allora che la vide. Finalmente, la mamma era tornata, e abbracciando le sue piccole, ignorò completamente il fatto di aver ancora addosso la giacca con cui era uscita. "Sono state brave, vero?" azzardò la donna, scompigliando amorevolmente i capelli delle due figlie. "Certo! Veri angeli, sai?" replicò la ragazza, scavando nel proprio bicchiere e mandando giù l'ultimo freddo boccone. A quella notizia, Eliza sorrise, e lasciando che le bimbe la salutassero, non dimenticò di darle quanto aveva promesso. Ben dieci rubli di luna, una paga più che sufficiente dopo quella lunga giornata, in cui le due sorelle avevano scoperto molto l'una dell'altra, e di essere, data la paura per i film dell'orrore mista a quella di perdere la mamma, uguali anche se diverse.  
 
 
Dopo l'ottava, a voi la nona storia in cui vediamo per la prima volta una Marisa quindicenne alla prese con il suo lavoro di baby-sitter. Fra le due bimbe, Sky crea più problemi, e come sappiamo è molto diversa dalla sorella, ma nonostante tutto hanno molte cose in comune. Voi? Vi siete mai ritrovati a fare un lavoro del genere? Come l'avete trovato? E soprattutto, che mi dite dei bambini in generale? Al prossimo scritto,
 
Emmastory :)

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Capitolo 10
*** Il vecchio peluche ***


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Capitolo X
 
Il vecchio peluche
 
L'estate aveva da poco lasciato il bosco, e in quel timido autunno appena iniziato, Marisa si sentiva nostalgica. Sì, nostalgica, poichè quello era l'unico termine adatto a indicare come si sentiva. Era strano, ma se tanti descrivevano l'autunno come la stagione della morte, fatta di momenti in cui la vita finiva raggiungendo il suo culmine, lei la pensava in modo diverso, e riusciva a vedere la cosa da un'altra prospettiva, considerando ogni foglia trovata in terra o sui marciapiedi del villaggio umano una piccola fiamma, vicina a spegnersi eppure sempre viva. Ancora giovane e parzialmente inesperta, prendeva lezioni di stregoneria dalla madre Zaria, ma guardando fuori dalla finestra, si concentrava sul tappeto di foglie visibile da quest'ultima, e rompendo il silenzio si abbandonò ad un cupo sospiro. Poco più che ventenne, aveva cambiato per sfuggire alle angherie che la madre stessa era in grado di infliggere. Non a lei, per fortuna, ma a qualcuno che al contrario di lei non avrebbe mai potuto difendersi. Willow, semplicemente Willow. La gatta di casa, o meglio, proprio di Marisa, dato che Zaria tendeva a ignorarla e scacciarla ogni volta che la vedeva, prendendola in braccio solo per portarla fuori dalla propria stanza e abbandonarla nel corridoio o fuori dalla porta, e per quale ragione? Inutilità. In una parola, della donna, peraltro, inutilità. Stando ai ricordi della figlia, Willow era arrivata in casa bagnata e tremante come una foglia, spaventata e completamente fuori forma. Un giorno di ritardo nel bussare a quella porta, e non ce l'avrebbe fatta. Era stato proprio grazie a Marisa se la gatta era riuscita a salvarsi, e ora, al sicuro in un'altra casa, affidata alle cure dell'amica Kaleia, Willow viveva felice, coccolata e viziata come ogni gatto che si rispetti. Seduta sul divano, Marisa ora guardava il sole filtrare oltre i vetri puliti, e senza una parola, si lasciava trasportare dalla corrente dei suoi pensieri. Aveva poco più di vent'anni, viveva da sola, non aveva ancora avuto la fortuna di incontrare qualcuno di cui innamorarsi e con cui trascorrere il resto della vita, ma almeno per ora non ci pensava. Sognava, certo, ma non poteva dire che quello fosse l'unico scopo della sua vita. Annoiata, sbuffò senza volerlo, e alzandosi in piedi, lasciò il salotto, dirigendosi lentamente verso la sua stanza. Era lì che di solito andava per rilassarsi, e sempre lì era anche solita leggere. Le bastava scegliere un libro, sdraiarsi e seguire con gli occhi i neri caratteri impressi nelle pagine, ancora e ancora. In genere dipendeva dal libro in questione, ma il più delle volte le capitava di emozionarsi, ridere, piangere o emulare le emozioni dei personaggi, proprio perchè fra le tante, la sua scrittrice preferita aveva sempre avuto quella sorta di strano potere su di lei. Una semplice umana, ovvio, con un modo di scrivere pulito e semplice, ma anche cangiante, come la ragazza non mancava di notare, a seconda dei casi, delle scene e delle storie che raccontava. Proprio ora leggeva di una madre impegnata a mettere a letto la figlioletta di circa sei anni, per poi salutarla e lasciare la sua cameretta spegnendo la luce, ma prima che potesse farlo, la piccola la richiamò a sè, piagnucolando e lamentandosi alla sola idea di aver perso i suoi due amati pupazzi. Un vecchio orsacchiotto e un coniglietto di pezza, entrambi caduti dalla mensola dove la piccola li teneva. Tornando indietro, la madre l'aveva aiutata a ritrovarli, e raggiungendo la fine di quel toccante passaggio, Marisa si ritrovò costretta a chiudere il libro e sospendere la lettura, e tutto pur di non piangere. Non se l'aspettava, davvero, ma quelle poche righe erano bastate a ridar vita a un ricordo nascosto nei meandri della sua memoria, e c'era da dirlo, anche nel suo armadio. Triste, aprì entrambe le ante per guardarvi dentro, e nascosto sul fondo, uno dei suoi vecchi pupazzi. Piccolo e nero, un peluche con le fattezze di un gattino e un sorriso sul muso, nonchè un collare arancione. Sorridendo debolmente, gli accarezzò il pelo, e solo allora, una miriade di ricordi le arrivò alla mente. La felicità provata nel riceverlo, la gioia che le pervadeva il cuore ogni volta che ci giocava portandoselo ovunque dentro e fuori da un cestino di vimini, ma non l'identità di chi gliel'avesse regalato. Non era la prima volta che la memoria la tradiva in quel modo, ma volendo essere sincera, doveva ammettere di essere davvero triste di averlo dimenticato. Non capiva come potesse essere successo, e proprio quando ogni sua speranza parve svanire, eccola. Celata da una scatola piena di maglie, maglioni e vestiti invernali, una sorta di biglietto, a quanto sembrava precedentemente attaccato al collare del pupazzo "Buon Halloween, mia piccola strega. Ti voglio bene, Mamma." Un semplice messaggio indirizzato alla sè più giovane e innocente, di circa quattro o forse cinque anni, scritto da sua madre, l'unica donna che l'avrebbe amata per sempre nonostante ogni lite, screzio e dissapore che avrebbero mai potuto avere. Non riuscendo a mentire a sè stessa, la ragazza ammetteva che ce ne fossero stati fin troppi, e quella sera, andando a dormire, la ragazza tenne le mani giunte in preghiera, e cadendo lentamente fra le braccia di Morfeo, strinse al petto quella soffice reliquia, per lei un ricordo d'infanzia e tempi felici, non certo soltanto un vecchio peluche. 
 
 
Mentre questa raccolta si avvia alla decima storia, giungiamo così alla decima storia che la compone, e ora che ne mancano cinque, qui leggiamo di una Marisa adulta e alle prese con i propri ricordi d'infanzia, concretizzati, come dice il titolo della storia, in un vecchio peluche. Chi non ne ha avuto uno? Io non sono certo esente, ma voi? Lo conservate ancora? Di che forma era? Sono curiosa, ma intanto ringrazio chi è arrivato fin qui, e a presto,
 
Emmastory :)

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Capitolo 11
*** Torna a casa Bucky ***


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Capitolo XI
 
Torna a casa Bucky
 
Dopo giorni e giorni di fredda eppur rinvigorente pioggia, il sole era tornato a splendere, e a Primedia stava spuntando un'alba tutta nuova. Era mattina presto, e mattiniera come sempre, Kaleia era già sveglia. Aveva sette anni, e frequentava la scuola di magia Penderghast come tanti altri bambini che conosceva, ma almeno allora non avrebbe dovuto. Dando uno sguardo al calendario che da poco teneva anche nella sua stanza dopo aver convinto la madre ad appenderlo al muro con un piccolo chiodo, la bambina notò che la data era di colore rosso, il che poteva signficare due sole cose. Domenica, oppure un giorno di festa. Lento, l'ultimo giorno della settimana aveva già iniziato a fare il suo corso, e pervasa dal buonumore, la piccola saltò fuori dal letto, liberandosi subito dalla morbida trappola rappresentata dalle coperte. La scuola le piaceva, e le piacevano anche studiare e far pratica con la sua magia, ma nonostante il suo amore per lo studio, quello per il gioco non svaniva mai, e i giorni di libertà come la domenica erano perfetti per divertirsi, da sola o con la sorella, o anche, quando capitava, con l'unico animaletto che le volesse bene e la capisse davvero. Quattro zampe, una folta coda e due occhietti scuri e vispi, il pelo marrone e una striscia bianca lungo tutta la schiena. Quello era Bucky. All'apparenza uno scoiattolo come tanti, ma in realtà, o almeno agli occhi della bambina, il sorcetto più carino che avesse mai avuto la fortuna d'incontrare. Tenero, giocoso, amante dell'avventura, tutte caratteristiche che lo rendevano unico e speciale, e che allo stesso tempo condivideva con la padroncina. Già in piedi da un pò, la pixie aveva raggiunto la mamma in cucina per la colazione, e ora attendeva di gustare i suoi waffle caldi al miele e cioccolata, mentre Sky, che aveva già mangiato, era ferma e immobile davanti alla televisione, concentrata su un episodio di Woodland Critters, un altro cartone animato iniziato da poco, che in breve aveva catturato l'interesse di entrambe. Semplice e colorato, narrava le avventure di un gruppetto di animali del bosco e la vita di ognuno di loro mentre andavano di giorno in giorno alla ricerca di novità da scoprire, tutte sapientemente nascoste nel verde in cui vivevano. L'episodio che Sky stava guardando si concentrava sul più saggio degli amici, un gufo giovane eppure saggio, rimasto senza casa dopo che alcuni corvi avevano occupato il suo nido e minacciato di distruggerlo se non fosse volato via al più presto, lasciandoli in pace. Spaventato, il gufetto non aveva potuto fare altro, e ora tutti i suoi amici, piumati e pelosi, cercavano di dargli una mano. Fra i tanti, l'ingenuo e goloso orsetto bruno era stato il primo a fargli spazio nella sua tana, seguito dall'energico coniglio e dal mai quieto lupacchiotto, ma per loro sfortuna, nessuna di quelle abitazioni aveva fatto al caso dell'amico senzatetto. In cuor suo, la piccola Kaleia avrebbe voluto continuare a guardare per scoprire come l'episodio terminasse, ma la fame ebbe la meglio su di lei, e così anche la voglia di giocare. "Dov'è Bucky? Stamattina non era con me." Chiese fra un boccone e l'altro, parlando con la bocca piena e adorabilmente sporca di cioccolata. "Non è venuto a svegliarti? Strano." Commentò la mamma in risposta, confusa. In silenzio, la piccola negò con un cenno del capo, e alzandosi, si pulì la bocca, ignorando il resto dei suoi progetti per quella giornata e mettendosi subito alla sua ricerca. Decisa, uscì subito di casa, e immersa sin da subito nel verde, iniziò a chiamarlo per nome. "Bucky! Bucky, dove sei?" tentò, alzando la voce per farsi sentire. Per sua sfortuna, l'unica risposta che ricevette fu il sibilo del vento, e poco più tardi, una voce alle sue spalle la distrasse. "Kia, aspetta, dici sul serio? Bucky è davvero scomparso?" era Sky, che preoccupandosi per la sorellina e per il suo amichetto, aveva spento la televisione, avvicinandosi per darle conforto. "Vieni, andiamo a cercarlo insieme." Le disse infatti, sorridendo e posandole una mano sulla spalla. Ricambiando quel sorriso, la pixie annuì in silenzio, e senza dire altro, prese la mano della sorella. "Andiamo." Ripetè, convinta. Seguendola, Sky non si mise in testa alla marcia, sicura che camminare al suo fianco e non davanti a lei in un momento di quel calibro avrebbe avuto un significato tanto importante quanto profondo. L'aveva imparato a scuola, quando, catturata da un libro che la maestra aveva con sè, si era fermata a leggere quello che più tardi aveva compreso essere un aforisma. "Non camminare davanti a me, potrei non seguirti. Non camminare dietro di me, potrei non guidarti. Cammina al mio fianco, e sii mio amico." Parole piene di sentimento e verità, che quella mattina a scuola avevano quasi fatto piangere Sky, che nei suoi nove anni di vita era già stata segnata abbastanza. Così, con quella sola frase in testa, accompagnò la sorella nel suo viaggio alla ricerca dell'animaletto perduto, ma per loro sfortuna, niente. Bucky non si trovava, sembrava essersi volatilizzato, scomparso nel nulla. Scivolando nel silenzio, Kaleia continuò a guardarsi intorno cercando il suo amico, ma con lo scendere della notte, si arrese. "Non lo troveremo mai." Biascicò, sfiduciata. "Mi spiace, Kia, ma è meglio... è meglio tornare." Le rispose Sky, perfino più triste di lei, camminandole accanto e trascinando i piedi sul selciato. "Hai ragione." Replicò la sorella, per poi ridursi nuovamente alla quiete e prenderle ancora la mano per dare inizio al viaggio verso casa. Fra un passo e l'altro, le sorelle tornarono indietro stanche ma illese, e troppo triste per dormire, Kaleia affidò le sue speranze al cielo, pregando fino a scivolare nell'incoscienza. Preoccupata quanto e forse più delle figlie, Eliza rimase sveglia per quasi tutta la notte, e all'improvviso, nell'oscurità e nel silenzio più totali, un suono che avrebbe riconosciuto fra mille. Uno squittio familiare, appartenuto proprio al piccolo Bucky, che stanco e infreddolito, ora cercava rifugio in quella casa. Mossa a compassione, Eliza lo lasciò entrare, e prendendolo in braccio, raggiunse la camera della figlia, e aprendo lentamente la porta, sperò di non svegliarla, per poi lasciar andare lo scoiattolo e restare a guardare mentre quel tenero roditore trovava il suo posto sulla coperta della bambina, facendosi sempre più vicino mentre questa dormiva. "Sono tornato." Sembrava voler dire, squittendo debolmente e rompendo il silenzio presente nella stanza. Pur dormendo, Kaleia dovette sentirlo, poichè per tutta risposta, fece scivolare una mano sotto la coperta per accarezzarlo e stringerlo a sè. Nessuno sapeva cosa gli fosse successo, perchè fosse scappato o perchè tremasse tanto, ma quella notte, finalmente felice, la piccola Kaleia ringraziò ancora le stelle, sicura che queste avessero ascoltato la sua preghiera ed esaudito il suo desiderio, il desiderio di veder tornare a casa il suo dolce e piccolo Bucky. 
 
 
Salve a tutti voi ancora una volta, cari lettori. Come avete visto, la raccolta è sempre più vicina a concludersi, e in questa tenera storia, una mattina come tante altre per la piccola Kaleia, che in genere trascorre il tempo guardando i cartoni animati, giocando con la magia e divertendosi con il suo piccolo Bucky, il suo amico del cuore con un pelo morbido come piume. Per sua sfortuna, sembra scomparire, e nonostante il dolore iniziale, solo l'amicizia che lo lega alla bambina riuscirà a riportarlo indietro. Da amante degli animali, so bene cosa si provi nel perderne uno, e per fortuna, tutto è bene quel che finisce bene. Al prossimo racconto, e grazie ancora del vostro supporto,
 
Emmastory :) 

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Capitolo 12
*** Dolcetti in amicizia ***


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Capitolo XII
 
Dolcetti in amicizia
 
La pioggia aveva smesso di scrosciare da poco, e sia al bosco che nel villaggio degli umani, l'erba prossima ad asciugarsi brillava sotto il sole, coperta di un misto di acqua e rugiada. Già sveglio e mattiniero come sempre, il piccolo Christopher si stava godendo la sua colazione, e mentre la mamma sorseggiava del caldo latte addolcito con qualche cucchiaio di zucchero, suo padre dava piccoli e sporadici morsi a una brioche, leggendo di tanto in tanto i titoli di giornale che trovava più interessanti. Silenzioso, il bambino consumò il suo pasto senza una parola, salvo poi lasciare la propria tazza nel lavandino e abbracciare la mamma prima di uscire a giocare. "Non allontanarti, tesoro." Lo avvisò Andrea, che come ogni brava madre, tendeva a preoccuparsi, forse troppo, per i suoi figli. Molti avrebbero detto che esagerava, ma non dando ascolto a quelle insensate malelingue, la donna andava avanti con la sua vita. Che poteva fare? Avrebbe potuto cambiare il suo modo di essere, certo, o almeno provarci, ma anche allora i giudizi non sarebbe scomparsi, ragion per cui l'unica cosa da fare era vivere la propria vita come aveva sempre fatta, prendendo ogni giorno come veniva, e godendo di ogni istante al fianco di coloro che amava. Suo marito Edgar, il figlio Christopher, e la figlia maggiore Leara. Di pochi anni più grande del fratello, aveva interessi e abitudini diverse, inclusa quella di chiudersi nella propria stanza ad ascoltare ore e ore di musica con i propri auricolari. Non che non avesse altro da fare, ovvio, ma nonostante tutto, forse complice l'età vicina a quella adolescenziale e piena di cambiamenti, il carattere tendenzialmente chiuso non l'aiutava. Stringere amicizia le risultava difficile, ed era come se ogni volta sentisse il bisogno di difendersi, come se pensasse che la nuova conoscenza in questione si stesse approfittando di lei, e che proprio per quella ragione, fidarsi era la cosa più sbagliata che potesse fare. Preoccupata per la figlia, Andrea faceva quanto in suo potere per aiutarla ad uscire da quell'infinito tunnel d'insicurezze. Non c'era ancora riuscita, certo, ma ciò non significava che si sarebbe arresa. Al contrario della donna, il padre Edgar si limitava a darle i suoi spazi, sicuro che quella forse una sorta di fase legata proprio all'inizio dell'adolescenza. Ad ogni modo, felice come mai era stato, Christopher correva per le strade del proprio villaggio al solo scopo di raggiungere il bosco, così da far visita alla sua migliore amica Kaleia nel momento del bisogno. La bella stagione era arrivata da poco, ma la pioggia e il freddo non avevano fatto altro che alternarsi al caldo, e abituata a giocare fuori, la fatina aveva finito per ammalarsi. Nulla di grave per fortuna, solo i sintomi della comune febbre. Tosse, mal di testa, improvvisi capogiri e dolore ovunque. Quando stava male, le calde coperte del letto erano l'arma perfetta contro i brividi dati dal freddo, così come dormire e sognare erano la strategia ottimale per dimenticare il dolore e il malessere. Inutile dire che in quei tre giorni non fosse andata a scuola, ma che per sua fortuna la sorella Sky si fosse rivolta ai suoi insegnanti per portarle a casa i compiti da fare, così che una volta guarita, la piccola non rimanesse indietro. Così, anche imbozzolata fra le coperte, la pixie aveva provato a rimettersi in carreggiata e riprendere gli studi di magia, ma penalizzata dalla febbre, vide ognuno dei suoi incantesimi svanire in una nuvola di polvere magica. Intanto, il viaggio di Christopher continuava, e giunto finalmente a destinazione, bussò alla porta. I suoi furono tre colpi rapidi e probabilmente troppo bruschi, dettati dalla voglio che il bambino aveva di vedere l'amica. Non lo diceva mai, e stava bene attento a tacere di fronte agli adulti e agli altri amichetti, ma anche se ancora non riusciva a spiegarsene il perchè, sentiva il cuoricino stretto in una piacevole morsa ogni volta che la vedeva, che gli parlava o che lei gli sorrideva. Forse era quello l'amore, forse era per quel motivo che i suoi genitori avevano scelto di trascorrere la vita insieme. Stavano bene l'uno in compagnia dell'altra, e in una parola, si amavano. Alla tenera età di sette anni, la stessa dell'amica, il bambino non era sicuro di nulla, ma se c'era una cosa che davvero desiderava fare, quella era aiutarla. Non era un dottore, soltanto un bambino, ma nonostante tutto, voleva fare almeno un tentativo. Così, in piedi davanti a quella porta, attese. Fu questione di circa un minuto, ed Eliza, lo accolse con un abbraccio. "Chris! Che piacere vederti! Sei qui per Kia, vero?" gli chiese, sorridendogli e invitandolo ad entrare. In silenzio, il bambino si limitò ad annuire, e pur non volendo rovinare la sua felicità, Eliza fu costretta a dire la verità. "Mi dispiace, ma oggi non può venire a giocare. Si è ammalata, ha la febbre. Sarà per la prossima volta, va bene?" gli disse soltanto, abbassandosi al suo livello e parlando in tono mesto. "Lo so, e vorrei fare qualcosa per lei." Replicò allora Christopher, che premuroso come sempre, aveva ormai preso la sua decisione. "Davvero? E cosa?" azzardò allora la donna, sinceramente incuriosita. Sicuro che quello sarebbe dovuto restare un segreto, il piccolo fu restio a parlarne, ma con un gesto della mano, invitò Eliza ad avvicinarsi, così da confessarle ogni cosa e farsi udire soltanto da lei. "Sarebbe bello farle dei cupcake, non credi?" le sussurrò all'orecchio, felice alla sola idea di poter riportare il sorriso sul volto della fatina. A quella proposta, Eliza sorrise, e sentendo il cuore sciogliersi, non ebbe il coraggio di rifiutare. Annuendo, lo abbracciò ancora, e senza dire altro, lo accompagnò in cucina. Insieme, i due lavorarono a quel progetto culinario dividendosi i compiti, aiutati anche da una Sky giustamente incuriosita a sua volta, e come loro, preoccupata per la sorella. "Posso mettere la glassa?" chiese, pronta a dare una mano. "Certo, piccola, vieni. Sono nove, ne avremo tre a testa, basta scegliere il colore." Le rispose la mamma, guidandola sapientemente in quel lavoro così delicato. "Azzurro." Disse la bambina, lasciandosi guidare dalla mamma e glassando lentamente i primi tre cupcake, così che quella dolce copertura formasse tanti piccoli cerchi progressivamente più piccoli. Poco dopo, fu il turno del piccolo Christopher, che scegliendo il verde, si ritrovò ad imitare Sky in quella tecnica a dir poco artistica, e lasciando divertire i bambini, Eliza riservò gli ultimi tre per sè stessa, scegliendo una glassa di colore rosa. Quando finalmente furono pronti, i due piccoli chef li lasciarono raffreddare sul tavolo, e a lavoro finito, seguirono Eliza per tutto il corridoio, fino alla stanzetta della povera pixie malata. "Kaleia, tesoro?" chiamò, a voce bassa. "Sei sveglia? Abbiamo una sorpresa per te." Disse poi, avvicinandosi al letto e posando il vassoio sulla scrivania della figlia. Stanca e confusa, la piccola non seppe cosa dire, e strofinandosi gli occhi assonnati e cisposi, si stiracchiò pigramente. "Una sorpresa? Per me?" azzardò poi, piena di meraviglia. "Sì, amore, guarda." Disse subito la mamma, prendendole la mano e indicando con lo sguardo il vassoio sulla scrivania poco distante. A quella vista, la pixie rimase a bocca aperta. "Cupcake!" esclamò, felicissima. "Li abbiamo fatti insieme, e sono tutti per te, sei contenta?" quella volta fu Christopher a parlare, e sorridendo dolcemente, ne prese delicatamente uno, porgendoglielo e aspettando che lo assaggiasse. Grata, la bambina non se lo fece ripetere, e affamata, diede il primo morso. Quello che si ritrovò fra le mani fu un cupcake al cioccolato, e fra un assaggio e l'altro, la piccola dovette ammettere di sentirsi orgogliosa della sua famiglia e di ognuno dei suoi amici, sempre pronti a schierarsi in prima linea quando si trattava d aiutarla, proprio come quella volta, quando la sua febbre era stata curata da una giornata di risate e deliziosi dolcetti in amicizia. 


Come avrete capito, oggi non ho assolutamente voglia di farvi aspettare, e vi mostro subito questa dodicesima storia. Il protagonista stavolta è il piccolo Christopher, desideroso di giocare con la sua amica Kaleia, e deciso ad aiutarla a guarire non appena scopre che sta male, improvvisandosi cuoco provetto e preparando per lei, come peraltro recita anche il titolo che ho scelto, dei dolcetti in amicizia. Un bel gesto, non trovate? Prima di andare rinnovo i ringraziamenti a chiunque si sia fermato a leggere anche solo in silenzio, il supporto che ricevo conta sempre moltissimo,

Emmastory :)

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Capitolo 13
*** La pixie e il dentino perduto ***


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Capitolo XIII
 
La pixie e il dentino perduto
 
La sera era scesa sul bosco di Primedia, e quella sera, Sky e Kaleia erano sedute insieme sul tappeto del salotto.  Guardandosi negli occhi, videro la noia riflessa l'una nello sguardo dell'altra, e alzandosi in piedi, Kaleia raggiunse il baule dei giocattoli, aprendolo e andando alla ricerca di qualcosa con cui giocare. Una bambola? No, l'aveva già fatto? I cubi colorati? Neanche, ormai era troppo grande per usarli. Forse un puzzle? Nemmeno. A Sky piacevano, certo, e anche a lei, ma conoscendosi, sapeva bene che perdere anche un solo pezzo o non riuscire a incastrarli le dava noia, facendola spesso anche innervosire. Non dandosi per vinta, continuò a cercare, e fu allora che li vide. Due pupazzi che credeva di aver dimenticato, nascosti nel fondo di quel baule. Un fantasmino e un mostriciattolo molto simile a una zucca intagliata, giocattoli perfetti per quel giorno per loro tanto speciale. L'ultimo di Ottobre, ossia Halloween. Una festa generalmente umana e pagana, ma arrivata anche al bosco quando molteplici voci si erano sparse nel vento e nell'aria. Da allora in poi, la decisione era stata semplice. Proprio come il Natale, anche quella sarebbe stata una nuova tradizione fatata. Felice, la piccola Kaleia si avvicinò alla sorella, e sorridendo le mostrò il peluche del fantasma. "Te lo ricordi? È Spooky, il tuo fantasma. Perchè non lo usi più. Oggi è Halloween, dagli un'occasione." Le chiese, per poi avanzare quella proposta, che alle orecchie dell'altra pixie ebbe il suono di una supplica. Ferma dov'era, osservò il pupazzetto e lo sfiorò con le dita, e appena un attimo più tardi, un timido sorriso le increspò le labbra. "Hai ragione." Le rispose soltanto, prendendolo in mano a sua volta e stringendoselo al cuore. A quella vista, Kaleia sentì il proprio cuoricino battere più forte, e voltandosi ancora verso il baule dei giocattoli, riprese anche il proprio peluche lasciato distrattamente con gli altri, e imitando la sorella, abbracciò quella sorta di zucca antropomorfa. Divertita, rise, e poco dopo, la voce della mamma le distrasse entrambe. "Piccole! Siete pronte? È quasi ora di uscire!" quasi urlò dall'altra stanza, alzando la voce per farsi sentire. "Sì, mamma!" risposero le due in coro, abbandonando i giocattoli sul divano e andando alla ricerca dei due cestini di caramelle che la mamma aveva comprato. Disordinate com'erano, non riuscivano mai a ricordare dove mettessero le loro cose, e sparendo dal salotto, Kaleia si diresse verso la sua stanza, attraversando il corridoio buio e decorato con decine di finte ragnatele, streghette e fantasmini che si muovevano nel vento. Il corridoio sembrava il posto perfetto per il loro regno di terrore, ma impegnandosi fino allo spasimo e chiedendo anche aiuto alle bambine, era stata ben attenta ad appenderli anche in altre stanze della casa, come ad esempio il salotto e le loro rispettive camere, compresa la propria. Le finestre poi non erano certo state risparmiate, ed era così che tanti fantasmini sorridenti, assieme a ragni e altri spaventosi insetti sembravano fissare ogni sfortunato visitatore con sguardo malevolo. Già pronte a uscire di casa, le due pixie non si preoccuparono di indossare un costume, poichè stando alle regole di quella festa unite a quelle del bosco, gli unici a mascherarsi erano i bambini umani. In fin dei conti, in quella notte di magia e divertimento il loro essere magiche aveva la stessa valenza di un costume, e con una gran voglia di uscire a chiedere dolcetti, le due sorelle si presero per mano, e camminando l'una accanto all'altra, si incamminarono per il villaggio degli umani, bussando ad ogni porta e sperando di ricevere anche una sola di quelle delizie. La loro ricerca andò avanti per ore, e ogni volta, presentandosi agli adulti, le bambine davano voce a una sorta di formula. "Dolcetto o incantesimo?" dicevano ogni volta, mostrando un sorriso e i loro cestini di caramelle ancora vuoti. Tenere e attaccate ai loro pupazzi, li avevano ripresi prima di uscire di casa, e ora, inanimati ma sorridenti, il fantasmino e l'uomo zucca stavano seduti in quei cestini, quasi invogliando gli umani a riempirli. Per loro fortuna, le piccole rimediarono un lauto bottino, e sulla strada verso casa, sgranocchiarono le caramelle e i cioccolatini ottenuti. Più calma, Sky resistette alla tentazione, ma golosa, la sorella fallì in quell'intento, e di nuovo sul tappeto, fra un gioco e l'altro, mise sotto i denti dolciumi di ogni tipo, scambiandosene di tanto in tanto qualcuno con la sorella. Previdente come sempre, mamma Eliza l'avvisò di non esagerare, ma sorda a quell'avvertimento, la bambina continuò a mangiar dolci, e proprio quando morse uno dei tanti confettini colorati, non provò altro che dolore, e ritraendo la mano, vide del sangue. Spaventata, si guardò intorno come alla ricerca di qualche ferita, e precipitandosi in corridoio, scoprì la verità. La sua innata golosità le aveva appena fatto perdere un dente, e sputando, la bambina se lo ritrovò fra le mani. "Mamma! Mamma!" chiamò, spaventatissima. "Sì, tesoro?" rispose la madre, distratta dal gotico panorama visibile appena fuori dalla finestra della cucina. "Aiutami. Ho mangiato troppe caramelle, e guarda!" piagnucolò la pixie, maledicendosi per non averla ascoltata in precedenza. Preoccupata da quel pianto quasi isterico, Eliza si voltò verso la bambina, e guardandola, le posò una mano sulla spalla. "Kia, amore! Hai soltanto perso un dentino! Non preoccuparti, capita alle fatine come te." Le spiegò, calma e tranquilla, abbozzando un sorriso per fugare i suoi dubbi. "Davvero?" azzardò la pixie, come a volersi sincerare di quella verità. "Certo! E poi sei anche fortunata, sai? Quando succede ti basta metterlo sotto il cuscino, e mentre dormi, una fatina ti farà visita, lasciando un rublo di luna al suo posto." Continuò poi la donna, sorridendo ancora e stringendo la sua bambina in un abbraccio. A quelle parole, gli occhi di Kaleia si illuminarono di gioia, e felicissima, corse verso la sua stanza, facendo subito ciò che la mamma le aveva spiegato. "Che bello! Non vedo l'ora!" gridò dal corridoio, muovendosi come se avesse avuto le ali ai piedi. Orgogliosa, Eliza attese la notte, e intrufolandosi nella camera della piccola, nascose quella preziosa moneta sotto il suo cuscino. Ovvio era che ciò che le aveva raccontato non fosse altro che una storiella per bambini e bambine della sua età, ma nonostante tutto, al suo risveglio, la fatina non attese oltre, e controllando il guanciale, scoprì che la madre non le aveva mentito. A quanto sembrava, quella fata le aveva davvero fatto visita, e prendendo in mano quella monetina, la mise al sicuro nel suo salvadanaio, trascorrendo il resto di quella nuova giornata con il sorriso sul volto e nel cuore dopo quella che per lei era stata un'avventura, nata da una dolce abitudine e un dentino perduto. 
 
 
Ah, Halloween. La festa preferita di molti bambini data la presenza di dolci e caramelle, seconda forse solo al Natale e ai suoi regali. Sempre vicine alle tradizioni umane, le due pixie Sky e Kaleia lo celebrano esattamente come noi, e se la conosciutissima formula differisce solo di poco, l'aspetto dei loro pupazzetti è ispirato a due che avevo da bambina. Vi ringrazio ancora una volta di tutto il vostro supporto, specialmente ora che mancano solo due storie alla vera fine di questa raccolta,
 
Emmastory :)

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Capitolo 14
*** Le magie della natura ***


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Capitolo XIV
 
Le magie della natura
 
Quell'anno, l'inverno al bosco era stato duro, e dopo aver preparato i biscotti e gli omini di pan di zenzero con la mamma, decorato l'albero di Natale e guardato un episodio speciale di ognuno dei loro cartoni animati preferiti dedicato proprio alla festa, Sky e Kaleia avevano lasciato che la madre le aiutasse a mettere il cappotto, la sciarpa e i guanti, e uscite di casa, avevano corso fra la neve e giocato a costruirci pupazzi e fortini, e buttandosi in quel bianco tappeto, anche angeli. Fra un passo e l'altro in quella bianca coltre, però, Kaleia aveva notato qualcosa nell'erba gelata del giardino di casa. Un fiore. Piccolo e azzurro, un fiore. Abbassandosi, la bambina si fermò ad osservarlo, e fu allora che scoprì la verità. Dato il freddo di quella così algida stagione, quel povero fiore stava ormai morendo, e anche a sei anni, era sicura di poter fare qualcosa in quanto fata della natura, ma le sue speranze si infransero come vetro quando si ricordò dei guanti. Avrebbe voluto toglierli, liberarsene e provare a salvare la vita a quel povero fiore, ma faceva davvero troppo freddo perchè potesse agire, così, salutando il proprio pupazzo di neve, la bambina si decise a rincasare, e con le lacrime agli occhi, guardò la sorella maggiore richiudere la porta e rintanarsi sul divano con una coperta sulle gambe, vicina al caminetto ancora acceso e pieno di grigia cenere scaldata dalle fiamme. Pur seguendola e unendosi alla mamma seduta in poltrona a leggere, Kaleia non riuscì a distrarsi, avendo fisso in testa il pensiero di quel fiorellino bruciato dal freddo. Aveva sei anni, era ancora una pixie, e oltre ad essere deboli a causa della sua ancora tenera età, i suoi poteri sembravano smettere di funzionare con il freddo. Le piaceva giocare fra la neve, ridere e divertirsi, ma era in momenti come quelli che desiderava essere più simile alla sorella. A otto anni, era diversa da lei sotto ogni aspetto, incluso il segno che dalla nascita aveva impresso sulla pelle. Se la piccola Kaleia aveva una foglia, a Sky era toccata la forma stilizzata di un moto d'aria, e con essa i poteri del vento. Era quella la ragione per cui il freddo e la neve non la disturbavano affatto, come invece accadeva alla sorella, e sempre quello il motivo per cui riusciva a controllarlo, così come a volte, per divertirsi, faceva con le stelle. Sedendosi più comodamente sul divano, la pixie prese il libro di favole dal tavolino in legno del salotto, e silenziosa come un gufo in volo, iniziò a leggere. Così, parola dopo parola e riga dopo riga, i suoi occhi si mossero veloci fra le pagine, fino a quando, stanca e priva di energie, non si addormentò sul divano, sbadigliando e sistemandosi meglio la coperta addosso, per poi sdraiarsi e scivolare pian piano nel sonno. Poco prima di addormentarsi a sua volta, la piccola Kaleia si lasciò cullare dal crepitio delle fiamme, e chiudendo gli occhi color del cielo, si abbandonò lentamente alla grigia incoscienza, riposando tranquillamente per intere ore e svegliandosi solo quando il sole tornò a regnare nel cielo. Il mattino seguente, la piccola pixie si svegliò riposata e piena di energie, e con ancora addosso i vestiti del giorno prima, ebbe come unico pensiero quello di controllare il fiore che aveva abbandonato in mezzo alla neve. Veloce, si precipitò in giardino, e solo allora, riuscì a vederlo. Ora che la neve si era sciolta, quel piccolissimo fiore azzurro era nuovamente pregno di rugiada mattutina, e qualcosa, un sesto senso o una voce nella sua testa, comunicava con la pixie, parlando e rassicurandola sullo stato di salute di quella piantina, che forte e resiliente, era riuscita a sopravvivere sfidando e sconfiggendo il freddo. Provati, i petali erano ormai caduti raggruppandosi tristemente sul terreno, e con gli occhi che bruciavano a causa di un pianto che avrebbe solo voluto liberare, la piccola protese una mano in avanti, e controllando i suoi poteri, scostò lentamente un cumulo di neve ancora vivo dopo il sole, e solo allora, qualcosa entrò nel suo campo visivo. Semi. Tre piccoli semi nascosti nel terreno ammorbidito dalla neve trasformatasi in acqua, che la piccola nascose nella tasca del vestito e riportò in casa. Giunta in salotto, avvisò la sorella della sua scoperta, e insieme, le due si ispirarono al nuovo passatempo preferito della mamma, ossia il giardinaggio. Per quanto ne sapevano, ogni finestra in casa aveva almeno due o tre vasi di fiori sul davanzale, ragion per cui trovarne uno non era certo stato difficile. Ora l'unica cosa  a mancare era il terriccio, ma aiutate dalla mamma, le bambine superarono anche quell'ostacolo, e finalmente pronte, piantarono quei semi. Erano tre, e non c'era garanzia che tutte le future piantine conoscessero il mondo, e pur senza usare la magia per aiutarne la crescita, Kaleia tenne vive le proprie speranze. In fin dei conti, e proprio come il fiore da cui avevano avuto origine, anche quei minuscoli semi dovevano essere stati forti per sopravvivere ai rigori dell'inverno, ma ora la pixie poteva solo aspettare. Così, decisa e determinata, la piccola dedicò tre intere settimane alla costante e continua cura di quei semi, innaffiando il terreno quando lo scopriva asciutto, e spostando con cura il vaso quando il sole era decisamente troppo forte. Stoica, si impose un divieto sull'uso della magia, e dopo una settimana d'impegno, il primo germoglio. "Mamma, è vivo! Sky, guarda! Ce l'ha fatta! Il semino è vivo!" gridò, felicissima. Orgogliosa, la madre l'abbraccio e così la sorella, e appena fuori dalla finestra, un altro viso amico la colse di sorpresa. In piedi al centro del suo giardino, Christopher. Il suo migliore amico, che a quanto sembrava, doveva aver sentito parlare del miracolo che cercava di compiere, e appena qualche giorno dopo la disavventura fra la neve, la bambina aveva finito per ammalarsi. Nulla di più serio di un semplice raffreddore per fortuna, ma abbastanza da farla startunire, e appena attimo dopo, farle girare e dolere la testa come mai era successo prima. Aveva avuto la febbre in passato, e forse stava succedendo di nuovo, ma a lei non importava. Salutando l'amico, lo invitò ad entrare, e annuendo, il bimbo non si fece attendere. Fu infatti questione di attimi, e qualcuno bussò alla porta. Proprio lui, proprio Christopher, che nell'innocenza dei suoi sei anni, aveva deciso di aiutare l'amica in quella missione, e avvicinandosi alla finestra, sfiorò con le dita il terriccio presente nel vaso, scoprendolo asciutto. "Stai facendo un buon lavoro, ma questo fiore ha bisogno d'acqua. Eliza, ci aiuti?" disse, continuando ad osservare quel seme da poco venuto al mondo. Annuendo, la donna riempì una bottiglietta d'acqua, e passandola al bambino, lo guardò svuotarla quasi completamente, mentre il terreno, assetato come diceva, l'assorbiva, e con essa tutti i suoi nutrienti. Felice di vedere quei progressi, Kaleia sorrise, e improvvisamente, il suono di un suo starnuto ruppe il silenzio. Divertito, Christopher scoppiò a ridere, e prendendole la mano, gliela strinse leggermente. "Ti stai impegnando, ed è la cosa giusta. Un giorno questo fiore ti ringrazierà." Le disse dolcemente, sentendo il cuore battere come impazzito. Colpita, la bambina non seppe cosa dire, e mantenendo il silenzio, si limitò a sorridere. Così, per il resto di quel pomeriggio, i tre bambini si dedicarono alla botanica, e dopo altre settimane di cura e attesa, un'altra sorpresa. Sempre al sicuro nel suo vaso, la piantina prese a risplendere e brillare di luce propria, e più che certa di non aver usato la propria magia in alcun modo, Kaleia rimase a bocca aperta, e stringendo ancora la mano di Christopher, osservò quello spettacolo unito al panorama visibile appena fuori dalla finestra aperta. Meravigliati, i bambini si ridussero al silenzio, e scioccando i presenti, due piccole sfere di luce si sollevarono dalle foglie della pianta, ormai adulta e all'apice della sua crescita. Orgogliosa di sè stessa, Kaleia sentì una nuova stretta di speranza al cuore, e quando le due sfere di luce si mossero nell'aria come se danzassero insieme, un abbraccio di gruppo unì i tre piccoli amici, che contenti di aver compiuto una buona e nobile azione, promisero di restare insieme per sempre, senza lasciarsi mai. "Amici per sempre, ragazze?" chiese Christopher, scivolando nel silenzio in attesa di una risposta. "Amici per sempre." Gli fecero eco le pixie, felici. Con quelle parole, i tre si strinsero la mano, e avvicinandosi, il piccolo Christopher provò a posare un bacio sulla guancia di Kaleia. "Chris, sei... sei sicuro. Non sto bene, e ti ammaleresti." Lo avvisò lei, allontanandolo gentilmente. "Non m'importa." Rispose il bimbo, testardo come mai era stato. "Che vuoi dire?" chiese allora lei, confusa. "Che ti voglio bene, Kia." Cinque parole, cinque semplici parole che il piccolo Christopher pronunciò con il cuore in tumulto, ignorando il rischio di ammalarsi e regalandole un bacio che la piccola, anche alla tenera età di sei anni, non avrebbe mai dimenticato. Quella sera, lei e Sky andarono a letto con la serenità nell'anima, provando orgoglio e felicità nell'aver scoperto a poco a poco le magie della natura. 
 
 
Rieccomi di nuovo, per la penultima di quelle che saranno quindici storie. Che succederebbe se una fatina della natura come Kaleia decide di salvare tre semini dal freddo dell'inverno? Leggendo, l'avete scoperto insieme a lei e ai suoi amici, che a loro volta hanno sperimentato con orgoglio le magie della natura. Spero che la storia vi sia piaciuta, rinnovo nuovamente i ringraziamenti e il supporto, come sempre sappiate che mi motivano moltissimo,
 
Emmastory :)

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Capitolo 15
*** Pigiama party ***


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Capitolo XV
 
Pigiama party
 
Come ogni settimana, la domenica non si faceva attendere, e sin dalla mattina, Sky e Kaleia erano felici. Le lezioni alla scuola Penderghast, come entrambe sapevano, "Per fatine e folletti magici e perfetti" erano iniziate da poco, circa un mese o poco più, e le bambine avevano già degli amici. Fra questi, la giovanissima ninfa Aster, dai capelli castani che le ricadevano lunghi e morbidi sulle spalle. Le due sorelle la vedevano e salutavano ogni mattina, sorridendo nel vederla e facendole sempre i complimenti per i suoi bellissimi boccoli che la facevano sembrare una principessa. Inoltre, e forse a causa delle sue origini, la bimba dalla pelle color dell'erba aveva anche dei fiori nei capelli, e reagendo alle sue emozioni, quei fiori rosa e azzurri potevano aprirsi alla ricerca del sole o chiudersi alla notte e quando riposava. Ad essere sincere, le piccole non sapevano quale caratteristica di quella bambina le attirasse di più, sapevano solo che era dolcissima, sincera e di buon cuore, proprio come Marisa. In quanto figlia della strega Zaria Vaughn, prendeva lezioni proprio da lei, ma nonostante tutto la madre lasciava che frequentasse anche quella scuola, in special modo le lezioni di magia e stregoneria. In fin dei conti, studiare era un modo come un altro per imparare, e felice, la piccola apprendista si sentiva di giorno in giorno più sicura delle sue capacità. Non recitava formule ne agitava bacchette, certo, facendo pratica con i propri poteri soltanto chiudendo gli occhi e muovendo piano le dita. Per ora, le sue abilità comprendevano incantesimi facili, come teletrasportarsi da un lato all'altro di una stanza, creare piccole illusioni o vedere scorsi di futuro molto prossimi nella sfera di cristallo della mamma. Tutte piccole cose, che messe insieme davano vita ai suoi poteri e alla sua autostima. Anche se da poco, la madre le aveva anche permesso di adottare una gattina, Willow. Nera come l'ebano, vantava una caratteristica conosciuta come eterocromia. Se un occhio era azzurro, l'altro era marrone, e nonostante potesse sembrare strano o dare l'impressione che la gatta avesse qualche strana malattia, quello non era certo il caso. Difatti, la piccola Willow era sana come un pesce, e mentre il tempo scorreva, le due pixie erano sedute sul divano a godersi un film d'animazione assieme alla mamma. Nessuna di loro ricordava il titolo, ma la storia, con un lupacchiotto separato dalla propria famiglia che tentava in tutti i modi di ricongiungersi al branco che aveva perso, aiutato dall'amicizia con una dolce cagnolina proveniente da un villaggio di umani era interessante, e come tanti altri programmi per bambini come loro, insegnava cosa fossero l'amicizia, l'amore e la forza di volontà, tutto in termini comprensibili a pixie della loro età. Di scena in scena, Kaleia non riusciva a staccare gli occhi dallo schermo, salvo per il momento in cui l'orologio appeso al muro segnò le cinque del pomeriggio. Stando alle abitudini sue e della sorella, ormai era ora di merenda, e il caldo di quella giornata di primavera permetteva loro di scegliere qualunque cosa volessero mangiare. Affamata, Kaleia prese una brioche dalla dispensa, alternando ogni morso ad un sorso di succo d'arancia. Golosa quanto e forse più di lei, Sky optò per qualche biscotto al cioccolato, preferendo poi una limonata per togliersi la sete. Ripulendosi la bocca con un fazzoletto, Kaleia si avvicinò alla mamma, e dando un'altra occhiata a quel mai quieto orologio, si fermò a pensare. Che fine aveva fatto Marisa? Appena il giorno prima le bambine avevano preso accordi con le rispettive madri, sicure che una avrebbe fatto visita all'altra quello seguente, ma nulla, dell'amichetta strega ancora nessuna traccia. Colta dai dubbi, decise di parlare. "Mamma?" azzardò, incerta e dubbiosa. "Sì, Kia?" rispose lei, alzando gli occhi dal libro che leggeva per ascoltarla. "Dov'è Misa? Se non arriva sarà in ritardo!" si lamentò, per qualche ragione quasi sicura che alla streghetta fosse successo qualcosa, qualcosa di brutto. "Kaleia, tesoro, casa sua è al confine del bosco, ci vuole tempo perchè arrivi qui. Non preoccuparti, e anzi, va a giocare, vuoi?" le spiegò la donna, sorridendo apertamente e avanzando quella proposta. Rinfrancata da quelle parole, la pixie annuì, e voltandosi, puntò subito verso il baule dei giocattoli, fu sicura su cosa scegliere. Le sue bambole. Aveva sei anni, ed era bello farle divertire, parlare e inventare un intero mondo attorno a loro, specialmente ora che quelle stesse bambole avevano una casa tutta loro. Così, un'altra ora sparì dalla vita della bambina, e distratta dal campanello, Sky si precipitò ad aprire. "Misa!" Esclamò, felice. "Sei arrivata!" disse poi, abbracciandola con una dolcezza rara nel suo carattere freddo come il ghiaccio che nel tempo avrebbe imparato a controllare. Lasciandosi abbracciare, l'amica le sorrise, per poi muovere qualche passo verso il tappeto del salotto e posare in terra una sorta di casetta. "Ha insistito per portarsi dietro Willow, spero non sia un problema." Chiarì la madre, Zaria, in un sussurro. "Tranquilla, sono solo bambine, che male vuoi che faccia un pupazzo in più?" rispose subito Eliza, divertita da quel comportamento che tante e tante volte aveva visto nelle sue stesse figlie. Difatti, ogni volta che una delle due doveva andare dal dottore, da fate ed esseri magici conosciuto come guaritore, la piccola in questione insisteva sempre fino allo spasimo pur di portare con sè il proprio animaletto da compagnia. Stringendosi nelle spalle, la madre le lasciava fare, e in quella sera appena giunta anche a Primedia, non ci fu eccezione. "Bella! Cos'è? Una casa di bambole?" chiese Kaleia, in ginocchio sul tappeto e sinceramente interessata. "No, qui c'è la mia gattina, Willow. Vuoi vederla?" rispose la piccola apprendista, regalando un dolce sorriso all'amica e abbassandosi quanto bastava per aprire la gabbietta. Agendo con un misto d'istinto e abitudine, la bambina ci mise appena un istante, e in quelli a venire, una minuscola palla di pelo nero si stiracchiò davanti alle presenti, svegliandosi dal sonno in cui era caduta e mischiando insieme un miagolio e uno sbadiglio. "Misa, è carinissima! Possiamo giocarci, mamma? Possiamo?" pregarono le due sorelle, rapite dalla tenerezza di quel dolcissimo animaletto. Confusa Eliza si fermò a guardare la gattina cercare di orientarsi in quell'ambiente del tutto, guardandosi intorno e muovendo di tanto in tanto passi pieni d'incertezza. "C-Certo, che male potrà fare?" titubò la donna, impacciata. Non lo diceva, ma per lei era tutto troppo strano. Appena un attimo prima era stata convinta che Willow fosse il nome di un qualche pupazzo appartenuto alle piccole, e invece ora eccola lì, una gattina in pelo e ossa. Intenerita da quella vista, anche lei si abbassò ad accarezzarla, e prendendola subito in simpatia, la micetta iniziò a fare le fusa. "Mamma, le piaci!" commentò Sky, dolce come sempre in quella lunga giornata. Sorridendo, la donna accarezzò ancora la gattina, e insieme, le bambine giocarono ognuna con le proprie bambole per le due ore a venire, improvvisando dialoghi, situazioni e piccoli drammi, sempre risolti dal potere più magico di tutti, ovvero l'amicizia. Giocando, quasi non sentirono la voce di Eliza chiamarle per la cena, e quando arrivò il momento, le tre gustarono pollo e pure di patate, tornando a divertirsi subito dopo essersi riempite la pancia. Stanche degli stessi vecchi giocattoli, ne cercarono di nuovi, ma non trovandone di interessanti, scelsero di giocare insieme a Magimani, canticchiando e divertendosi fino ad avere le mani arrossate e intorpidite da milel e mille colpi di magia. Ad ogni modo, anche dopo quella piccola sfida, le tre non si dissero soddisfatte, e sedendosi sul divano con la dolcissima Willow, trascorsero il resto del tempo giocando con lei e facendole le coccole fino a sentirla fare le fusa. Ridendo, le piccole sopportarono graffietti e piccoli morsi senza farsi male, e all'improvviso, la mente di Kaleia venne fulminata da un'idea. Si stava facendo tardi, ed era vero, ma non voleva vedere l'amica andar via, così, raggiungendo la madre ancora in cucina a lavare i piatti, diede voce a una sola, chiara e innocente domanda. "Mamma, Misa può rimanere a dormire?" chiese, giungendo le manine in preghiera e sperando che la risposta fosse positiva. "Sì, Kia, certo che può. Avviserò io sua madre, ma ora andate a letto. Domani è un giorno di scuola." Rispose la donna, lasciandosi vincere dalla dolcezza della sua bambina e scompigliandole amorevolmente i capelli. Felicissima, Kaleia tornò dall'amica, trovandola seduta in salotto con la propria gatta sulle gambe. "Misa, hai sentito? Mamma dice che puoi restare." Le disse, per poi scivolare nel silenzio in  attesa di una risposta. "Davvero? Ma allora questo diventa..." replicò la streghetta, felice quanto e forse più della pixie, non riuscendo a terminare la frase tanta era la contentezza. "Un pigiama party!" gridarono le due sorelle, anticipandola e stringendosi a lei in un abbraccio di gruppo, coinvolgendo anche la gattina, che alla ricerca di sicurezza e conforto aveva trovato rifugio sulla spalla della padroncina. Ebbre di gioia, le piccole si sistemarono nella stanza di Kaleia, e mentre le due sorelle divisero il letto, fortunatamente abbastanza grande per entrambe, a Marisa toccò un sacco a pelo, ma troppo contenta per lamentarsi, la bambina lasciò correre. Poco prima di dormire, Kaleia accese la lampada sullo scrittoio, e quando questa illuminò la stanza, prese a giocare con le ombre e la magia, dando vita a uno spettacolo già visto assieme alla mamma. Di lì a poco, anche Sky si unì a lei, e anche la notte si riempì di divertimenti, fra ombre danzanti, teatrini di soffici pupazzi e piccoli episodi di preveggenza da parte della stessa Marisa, che con la luna e le stelle in cielo, riuscì a vedere il futuro delle sue piccole amiche nello specchio della stanza. Insieme, sarebbero state felici, e anche il loro avvenire diceva la stessa cosa, legandole entrambe a un protettore e alla propria famiglia con una sorta di doppio filo, a simboleggiare la forza dei loro legami e la possibilità di scegliere sempre due strade per avanzare nel viaggio della vita. Ringraziandola, le pixie si addormentarono tenendosi le mani, ricordando quella sera come una di divertimento, amicizia e sorprese, tutte nate da un inaspettato e magico pigiama party. 
 
 
E ultima, a concludere questo viaggio nell'infanzia delle nostre Sky e Kaleia, un divertente pigiama party assieme alla cara amica Marisa, che porta con sè la dolce micina Willow e mette in mostra le sue capacità di streghetta. Il modo perfetto di concludere un lavoro del genere, completamente ispiratomi dalla mia amica crazy lion, ormai quasi un anno fa. Se non fosse stato per lei, la prima storia che avete letto non esisterebbe, e ad essere onesti, neanche le altre. Ne approfitto per ringraziare lei, ancora una volta, tutti voi per il continuo supporto che non mancate di fornirmi. Grazie davvero, ci rivedremo nella mia prossima pubblicazione,
 
Emmastory :)

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