Armageddon

di Vanclau
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Due piume, due colori ***
Capitolo 3: *** In una notte di pioggia ***
Capitolo 4: *** Bianco contro Nero ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


I due erano uno di fronte all’altro. Immobili come statue, si scrutavano negli occhi fin quasi a cercare di arrivare all’essenza delle loro anime, mentre la pioggia continuava a scendere copiosa inzuppando le vesti.

«E così siamo arrivati a questo» esordì il primo, vestito interamente di nero, sollevando la mano destra armata di pistola e rompendo lo strano incantesimo che tra i due pareva essere calato, come se il tempo stesso avesse deciso di fermarsi. «Evidentemente era inevitabile.»

«Per una volta siamo d’accordo, Luxor» fu la pronta risposta dell’altro che non lasciava trasparire la minima preoccupazione nonostante avesse un’arma puntata contro. «Sicuro sia la scelta giusta da fare?»

Colui chiamato Luxor non rispose subito, lasciando passare alcuni secondi scanditi dalla pioggia battente sull’asfalto crepato di quella strada malmessa. «Ormai dovresti conoscermi, Dwight.» Un fulmine si abbatté in lontananza, seguito dal rombo assordante del tuono prodotto. «Sai che non rimpiango mai le mie azioni.»

«Dunque è arrivato il momento di farla finita una volta per tutte» concluse Dwight portandosi la mano destra guantata di bianco alla cintola da cui pendeva il fodero di una spada.

Altri fulmini, seguiti da altrettanti tuoni, comparvero all’orizzonte illuminando il paesaggio circostante, fino a quel momento avvolto nelle tenebre del temporale nonostante ancora si trovassero al crepuscolo.

«Tu sei sicuro di essere pronto?» Luxor sorrise, la mano destra che continuava a tenere la canna della pistola rivolta a Dwight, la sinistra che andò a scostarsi una ciocca di capelli corvini dalla fronte dove, ormai zuppi d’acqua piovana, si erano appiccicati.

«Mai stato più pronto.» Le vesti bianche di Dwight ondeggiarono lievemente sollevate dal vento. «Mi chiedo solo cosa ci riserverà il futuro da qui in avanti e se uno di noi potrà esserne testimone.»

«Credo che entro domani l’avremo scoperto.» Il dito di Luxor iniziò a fare pressione sul grilletto, finché il colpo non esplose nel momento stesso in cui la lama di Dwight veniva estratta.

 

Le due ragazze continuavano a correre, ormai esauste e zuppe per la pioggia battente, ma senza rallentare l’andatura. A ogni fulmine sobbalzavano spaventate, temendo per il peggio, mentre la loro destinazione pareva sempre più lontana, più irraggiungibile; il tempo scorreva avanti tiranno e nessuna delle due sembrava sicura di riuscire a fare in tempo.

«Coraggio, manca poco!» urlò una delle due cercando di incitare l’altra, ma probabilmente la frase era rivolta anche a se stessa.

L’ennesimo tuono che riecheggiò le fece di nuovo saltare dallo spavento, più vicino e violento di prima sembrava quasi lo sparo di una pistola.

«Sono lì!» urlò la seconda indicando un punto indistinto davanti a sé, gli occhi azzurri che parevano brillarle di felicità. L’altra provò a guardare meglio, notando finalmente le due sagome che si stagliavano in quel panorama desolato, l’una vestita di nero e l’altra di bianco.

«Luxor!»

«Dwight!»

I due nomi vennero pronunciati contemporaneamente dalle due senza ancora fermarsi, fino a giungere davanti a uno scenario che tolse loro il respiro.

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Capitolo 2
*** Due piume, due colori ***


Crystal odiava la scuola. Non riusciva a capire come potesse esserci qualcuno che osava anche solo pensare di continuare gli studi dopo le superiori iscrivendo all’università o come imparare qualche lingua morta potesse essere d’aiuto nel periodo storico che stavano vivendo. Le uniche due lezioni che riusciva appieno ad apprezzare erano la storia, che la affascinava, e la ginnastica per la quale era incredibilmente portata, risultando migliore fisicamente di molti altri maschi suoi coetanei. L’unica cosa che la consolava mentre ascoltava disinteressata l’ennesima noiosa lezione di un ennesimo noioso giorno di scuola era che quello sarebbe stato l’ultimo anno prima di poter fare richiesta di ammissione all’Istituto coronando il suo sogno fin da quando era uscita dall’orfanotrofio.

Istintivamente si guardò il polso destro, osservando nei minimi dettagli il piccolo braccialetto di stoffa che vi era legato ormai annerito dal tempo e in alcuni punti sfilacciato ma che per lei raffigurava il suo più grande tesoro, la prova di una promessa che aveva deciso di mantenere a tutti i costi.

Aveva dieci anni quando si era legata quel braccialetto e sette ne erano passati dal giorno della sua adozione, ma mai avrebbe dimenticato le parole dette in quel momento.

«Signorina Dawson.» La voce proveniva dall’ingresso dell’aula, non dall’insegnante che si interruppe nella spiegazione guardando l’orologio appeso alla parete; la sua espressione non era sorpresa, come se si aspettasse che quel momento sarebbe arrivato. Anche Crystal Dawson stava, dopotutto, aspettando quel momento. «Vostro padre è venuto a prendervi.»

Crystal si limitò ad annuire riponendo il materiale scolastico nella cartella e alzandosi sotto gli sguardi attenti dei suoi compagni di classe, i quali parevano non volerle staccare gli occhi di dosso fino al momento della sua uscita. Quando fu fuori nel corridoio dietro alla professoressa che l’aveva chiamata, sospirò. Quello era un altro dei motivi per cui odiava la scuola.

Suo padre, anche se adottivo, era un importante aristocratico e fin dal suo arrivo era sempre stata trattata con eccessivo riguardo dal personale, che fossero insegnanti o semplici inservienti, mentre gli altri ragazzi parevano evitarla di proposito. Alla fine, non aveva mai avuto un vero rapporto di amicizia o anche solo una vera conversazione con qualcuno in circa cinque anni che andava in quella scuola; infine, ma non per importanza, c’era il momento del rientro a casa.

Lord Dawson la veniva a prendere personalmente ogni giorno, dai trenta minuti all’ora di anticipo rispetto la fine delle lezioni regolari e ogni volta doveva sorbirsi la sfilata per raggiungere l’uscita dall’aula; quell’anno, poi, il destino aveva voluto che il suo banco fosse nell’angolo opposto rispetto alla porta, dovendo quindi attraversarla tutta, anche se credeva fosse stato fatto di proposito. Davanti agli altri le mostravano assoluto rispetto e riverenza, ma dietro quella maschera l’odio e il disprezzo nei suoi confronti erano palpabili considerando chi fosse suo padre. Più volte si era ritrovata vittima di scherzi infantili come la sparizione delle scarpe da ginnastica, del materiale scolastico o anche solo qualche disegno sul suo banco o sull’armadietto della palestra; nonostante fosse arrabbiata per tutto ciò, cercava di fare a buon viso cattivo gioco fingendo di non preoccuparsene. L’unica volta che davvero si era fatta prendere dall’ira arrivando a colpire un ragazzo della sua classe era stata quando, dopo essersi di nuovo addormentata in classe, si era pensato bene di tagliarle il braccialetto e nasconderlo. In quell’occasione era sicura che l’insegnante avesse fatto solo finta di non accorgersene e, presa dalla rabbia, aveva colpito ripetutamente il colpevole e dovette intervenire il Corpo Armato per fermarla. Sul braccialetto ancora si poteva vedere una parte più lucida dove era stato riparato con un pezzo di scotch.

Il solo ricordo di quell’avvenimento la faceva sia soffrire sia scoppiare di rabbia, dovendo mordersi il labbro per non urlare mentre cercava qualcosa per distrarsi, qualcosa che trovò osservando fuori dalla finestra. Fu un attimo, eppure una singola piuma nera le sembrò passare rapidamente dall’alto verso il basso, come fosse stata strappata da un uccello in volo. Dopo aver battuto una volta le palpebre per lo stupore, della piuma non c’era più traccia.

Quando la professoressa si fermò, Crystal vide l’uomo intento a parlare al telefono. Non sembrava essersi accorto del loro arrivo e sembrava parecchio infuriato mentre urlava nell’apparecchio, quasi volesse aggredire lo sfortunato interlocutore, attirando alcuni sguardi di chi stava passando per l’ingresso della scuola in quel momento.

Crystal odiava la scuola, ma ancor di più odiava la famiglia Dawson di cui ora portava il cognome.

 

«Sybil?» Il tono interrogativo con cui stava venendo apostrofata dall’insegnante aveva una sfumatura rassegnata e la giovane non poteva dargli certo torto. Ormai tutti in classe si erano abituati al suo stare spesso distratta nonostante in generale avesse voti piuttosto buoni a scuola, ma nonostante i continui richiami per le sue distrazioni le capitava di ritrovarsi a sognare a occhi aperti fin troppe volte, di solito perdendosi il filo della lezione e quindi dovendo raddoppiare l’impegno a casa nello studio.

Però non poteva farci niente, lei era così sin da bambina e ricordava tanto con felicità quanto con nostalgia le numerose volte che le era stato rimproverato ai tempi dell’orfanotrofio. Non che potesse lamentarsi della sua vita dopo essere stata adottata, la famiglia Price si era dimostrata incredibilmente affettuosa nei suoi confronti senza mai farle mancare niente, nonostante l’unica cosa che davvero volesse ancora non era riuscita ad averla.

«Mi scusi» rispose mortificata cercando di ritornare attenta, ma lasciandosi sfuggire uno sguardo al braccialetto di stoffa che portava al polso e sul quale gravava una promessa. Erano ormai passati sette anni dal giorno in cui si era separata da Crystal eppure non avrebbe mai potuto dimenticare le ultime parole che si erano detto quel giorno. Si erano promesse che si sarebbero riviste, presto o tardi che fosse, perché in quanto sorelle gemelle dovevano essere inseparabili.

A quel tempo lo aveva anche detto ai suoi nuovi genitori, ma questa era l’unica cosa che non erano mai riusciti a darle. Non perché non ci tenessero, ma la famiglia Dawson aveva adottato Crystal prima e non avevano voluto prendere una seconda figlia, solo in seguito i Price avevano adottato Sybil e in quanto erano piuttosto modesti come stato sociale arrivare a chiedere ai Dawson di poter far incontrare le due sorelle era praticamente impossibile o almeno queste erano state le spiegazioni del padre dopo aver sentito la storia di Sybil.

«Un giorno dovrai insegnarmi come fai a dormire durante le lezioni e a prendere comunque buoni voti, vorrei riuscirci io almeno potrei fare tutt’altro a scuola!» Il ragazzo, mentre uscivano dall’edificio dopo la fine delle lezioni, stava parlando con tono incredibilmente serio, come pensasse davvero ci fosse qualche metodo particolare.

«Mi spiace, ma mi limito a studiare molto più di voi a casa» rispose invece Sybil come fosse la cosa più normale.

«Ragazzi, avete sentito le ultime notizie?» Il secondo ragazzo che si era inserito nella discussione si parò loro davanti mostrando il cellulare. «Forse la pace è possibile!»

Incuriositi, tutti iniziarono a guardare lo schermo, compresa Sybil, commentando quel che diceva l’articolo sulla possibilità di terminare finalmente quel lungo conflitto.

«Mi chiedo come fosse vivere prima della guerra» disse alla fine una ragazza.

«Purtroppo le ultime tre generazioni sono nate a conflitto iniziato, quindi non potremo mai chiederlo a qualcuno» rispose un’altra ragazza, intristita. «E per questo tante vite sono andate perdute.»

Il ragazzo che aveva ancora in mano il cellulare le fece un rapido cenno con la mano e quella si voltò subito verso Sybil, scusandosi, ma quest’ultima scosse la testa. «Non preoccuparti, va tutto bene.»

Era stata la guerra a rendere orfane lei e Crystal, facendole finire in quell’orfanotrofio fino alla loro separazione, ma ormai la giovane non ci pensava neanche più nonostante nei pochi ricordi che ancora conservava dei suoi veri genitori essi erano amorevoli con lei e Crystal, quasi risplendendo di luce propria. «Hai ragione, molti hanno perso i loro cari per questa guerra, quindi speriamo finisca davvero» disse con un sorriso.

Dopo che ebbe finito di parlare, la sua attenzione venne colta da un rapido movimento tra le fronde di un albero nel lungo viale che dovevano passare. Fu un singolo istante, ma per un attimo le era sembrato le foglie si fossero mosse pur senza un alito di vento e, infine, che qualcosa fosse caduto a terra.

Ignorando i compagni di classe che la stavano chiamando, Sybil si avvicinò notando qualcosa che brillava ai suoi piedi. Una piuma. Una piuma bianca.

 

Gli piaceva il nero. Il più forte dei colori, il più ambizioso, così tanto da non accontentarsi di essere un singolo colore ma tutti, assorbendo la luce senza rilasciarne una singola sfumatura. Per Luxor era una perfetta metafora della vita, di come non ci si doveva mai accontentare e prendere tutto il possibile. Gli piaceva il nero e gli piacevano gli umani, che comparava proprio al nero che mai si accontentava.

Gli umani erano incredibili. Nonostante fossero così deboli, compensavano il tutto con l’ingegno e un sorprendente istinto di sopravvivenza che li rendeva capaci di opere altrimenti impossibili. La storia sin dalla comparsa del genere umano lo testimoniava e Luxor ne era stato in gran parte testimone. Anche dopo l’apparizione di Demoni e Angeli, come venivano comunemente definiti dagli umani, pur con una ben comprensibile paura di ciò che non conoscevano si erano ripresi e avevano pensato di volerne scoprire di più con svariati contatti tra le due nuove creature sensienti scoperte. Il primo contatto era avvenuto quasi per caso, anche se si trattò più di uno sbaglio compiuto sia da Demoni sia da Angeli, che invece già sapevano tutto di loro e li osservavano da molto tempo, alle volte interferendo direttamente. Voler apprendere di più, quella fama di conoscenza così radicata nella debole razza umana, tutto ciò lo affascinava e forse era proprio questo a renderlo così unico tra i suoi simili.

Anche dopo lo scoppio dell’inevitabile ennesima guerra tra Angeli e Demoni, gli umani che per la prima volta nella loro storia si erano trovati nel mezzo avevano trovato il modo di sopravvivere e riorganizzarsi in un mondo ormai devastato come quello in cui ora vivevano.

Le gerarchie angeliche e demoniache erano molto simili e semplici, ai suoi occhi, rispetto a quelle umane e ciò era motivo di maggior fascino per Luxor non si sarebbe mai stancato di osservarli. Angeli e Demoni dopotutto rispondevano a un singolo individuo e i loro numeri erano infinitesimali rispetto ai miliardi di umani che popolavano la Terra e nonostante le diverse fazioni, sette e gruppi in entrambe le razze, non potevano competere con le numerose nazioni umane, le loro gerarchie di comando e la loro politica. In effetti, pensava, Angeli e Demoni non avevano mai avuto bisogno di complicarsi tanto con sotterfugi e questioni politiche, anche se il semplice essersi mescolati agli umani aveva comunque dato loro una qualche idea rivoluzionaria come il Codice degli Angeli o la Catena dei Demoni, che pur con nomi diversi avevano la medesima funzione come raggruppamento di leggi in costante aggiornamento.

Dopo lo scoppio della guerra, tale complessità politica era rimasta radicata negli umani anche con il sorgere di nuove città sui resti delle vecchie, sopravvivendo con le unghie e con i denti a una vera e propria Apocalisse e arrivando loro stessi a sviluppare capacità incredibili o, meglio dire, a risvegliarle. Aveva sentito dire che in situazioni di difficoltà un essere umano poteva arrivare a fare cose altrimenti impossibili ma tutto quanto era già accaduto aveva portato il genere umano a trovare la forza sopita in loro, capacità che già possedevano inconsciamente e che la situazione di pericolo, più l’essenza stessa di Angeli e Demoni che ormai aleggiava su tutto il mondo degli uomini, ne aveva permesso il risveglio.

Sorridendo, si sistemò meglio sul tetto del piccolo edificio che svolgeva una funzione di istruzione, una scuola come l’avevano chiamata gli umani, chiudendo gli occhi. Quella era una delle maggiori città della zona e fungeva da punto di riferimento per la sopravvivenza umana. Ogni centro abitato era praticamente diventato una nazione a sé, ormai, ma sempre più umani continuavano a raggrupparsi per cercare una qualche organizzazione, fino al sorgere del Corpo Armato con cui Luxor aveva già avuto dei trascorsi, così come ne aveva avuti volente o nolente con i Cavalieri dell’Ala e i Guerrieri dell’Abisso; nomi molto iconici, secondo lui, ma che raffiguravano i tre principali schieramenti di umani in quel momento. I Cavalieri dell’Ala erano coloro che “combattevano per il bene”, schierati apertamente con gli Angeli, mentre i Guerrieri dell’Abisso erano quegli umani che si erano alleati ai Demoni nonostante nella storia umana i Demoni si erano macchiati di numerosi crimini nei loro confronti, semplicemente perché più numerosi e tendenzialmente la fazione più forte. Il Corpo Armato stava nel mezzo, non schierato con nessuna delle due fazioni, affermavano di “combattere per l’umanità”.

Luxor li ammirava e disprezzava allo stesso tempo, apprezzando l’ambizione umana che non consentiva loro di lasciarsi trasportare dagli eventi alleandosi con Demoni o Angeli e li disprezzava perché avevano scelto di “tradire” la propria umanità rispecchiandosi maggiormente in una delle due razze. A conti fatti, tra i tre gruppi, il Corpo Armato era il suo preferito poiché aveva mantenuto la sua identità e ambiva a vivere rimanendo fedele a essa, al suo essere un’organizzazione di umani. Ironico, invece, era che doveva considerarli nemici al pari dei Cavalieri dell’Ala e degli Angeli.

«Il nero è un bel colore» commentò aprendo gli occhi e osservando le nuvole che andavano a coprire il cielo. Quella notte si preannunciava tempestosa. Si alzò, dispiegando le ali piumate nere come il carbone. «È il colore dell’ambizione.» Si voltò senza mostrare la minima sorpresa. «Non sei d’accordo, Orion?»

«Sfortunatamente non ho tempo per parlare di filosofia con te, Luxor.» Il Demone che gli era apparso davanti lo sovrastava fisicamente sia per prestanza muscolare sia per altezza, eppure agli occhi di Luxor appariva incredibilmente piccolo. Anche Orion doveva sentirsi così, davanti a lui, a giudicare dallo sguardo colmo di rispetto che gli stava riservando. In quegli occhi, però, Luxor lesse anche rammarico e rancore, come del resto accadeva sempre ai loro incontri. Orion era stato per un brevissimo tempo il diretto superiore del Demoni dai capelli corvini, ma Luxor gli si era dimostrato superiore sin da subito sorpassandolo e suscitando un sentimento vendicativo nei confronti dell’altro. La cosa non gli dispiaceva, significava che Orion era pieno di quell’ambizione che tanto gli piaceva. «Sembra che gli Angeli si preparino a un offensiva, ma la tua presenza potrebbe farli desistere.»

«Oppure ci concederebbe una rapida vittoria.» Luxor si alzò in volo, seguito da Orion. Raggiunsero così rapidamente una quota non visibile da terra che sarebbe stato impossibile anche solo accorgersi della loro presenza in cielo, nonostante Luxor non si rese conto che l’alta velocità aveva fatto staccare una piuma dalle sue ali, che stava passando davanti agli occhi azzurri di una ragazza dentro l’edificio della scuola. «Andiamo, mi spiegherai i dettagli lungo la strada.»

 

Gli piaceva il bianco. Nonostante riflettesse tutti i colori era in grado di esistere, generoso oltre ogni immaginazione. Dwight si sentiva proprio come quel colore da lui tanto apprezzato, altruista e generoso, forse ancor più dei suoi simili, forse anche troppo.

Da sempre gli Angeli erano visti dagli umani come entità benevole, che li aiutavano nei momenti di difficoltà e, dato che in passato era davvero successo, la cosa non gli dispiaceva. Tale nomea aveva permesso agli Angeli di essere accettati meglio dei Demoni nonostante alcuni umani per paura dell’altra razza avevano deciso di servirli.

«A volte mi chiedo se sia stato un bene o un male per gli umani apprendere della nostra esistenza» commentò rivolgendosi all’Angelo che gli stava di fianco in quel tranquillo primo pomeriggio. Le guerre tra Angeli e Demoni, considerando l’immortalità di entrambe le razze al trascorrere del tempo, erano decisamente più lunghe di quelle tra umani ed entrambi gli schieramenti avevano concetti di vita e di morte ben diversi. Spesso, quindi, capitavano anche tregue lunghe diversi anni, tanto che un umano avrebbe potuto considerarla una vera pace anche se era temporanea.

«È inutile continuare a pensarci, ormai quel che è fatto è fatto.» L’Angelo che aveva parlato, una ragazza piuttosto minuta, volse lo sguardo al cielo. «L’unica cosa che possiamo fare è continuare a combattere per difendere questo mondo dai Demoni, come sempre abbiamo fatto.»

«Eppure i Guerrieri dell’Abisso sono umani, ma li combattiamo.» Dwight non sapeva come comportarsi in tale circostanza. Le sue mani erano già sporche del sangue degli umani appartenenti a quello schieramento e in altre circostanze si era ritrovato a battersi con il Corpo Armato, il cui unico scopo sembrava la mera sopravvivenza senza appoggiare le due fazioni.

«Sono traditori cui il cuore è stato corrotto dai Demoni» fu la lapidaria risposta che ricevette. «Dubito possano ancora essere considerati umani.»

«Credo tu sia troppo severa con loro, Camie. Nella loro posizione, anche io avrei faticato a prendere una posizione.» Dwight prese un sasso da terrà, facendoselo rigirare tra le dita distrattamente. Per fortuna fisicamente Angeli, Demoni e umani si somigliavano, così erano liberi di camminare per le città e mescolarsi agli ultimi senza che questi se ne accorgessero; solo Demoni e umani particolari sembravano in grado di notare le differenze e la loro essenza angelica.

«Sono oggettiva. A questo punto potevano rimanere con il Corpo Armato e non schierarsi, sarebbe stato meglio per tutti.» Camie sembrava irremovibile.

Dwight sospirò. «In un certo senso noi, Demoni e umani siamo più simili di quanto possiamo credere. Forse abbiamo le nostre convinzioni, ma le linee di pensiero sono tutte differenti da individuo a individuo.»

«Solo in questo possiamo definirci veramente simili» commentò Camie.

Dwight lanciò il sasso tra le fronde dell’albero che aveva davanti, rendendosi conto solo in quel momento che stava passando un gruppo di ragazzini di una scuola locale e maledicendosi dopo essere stato apostrofato “idiota” da Camie che aveva già dispiegato le ali alzandosi in volo. L’Angelo la imitò affrettandosi per non essere visto, senza però rendersi conto che una singola piuma bianca gli si era staccata, planando dolcemente vicino l’albero colpito e sotto gli occhi verdi di una ragazza.

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Capitolo 3
*** In una notte di pioggia ***


La città era costruita secondo un sistema quasi piramidale, a ridosso di un’altura e interamente circondata da quattro cinte murarie concentriche. La più grande e più esterna copriva l’intero agglomerato urbano, prima linea di difesa nonché la più alta delle tre; al suo interno e fino alla seconda cinta muraria si poteva trovare la maggior parte della popolazione dove si mischiavano i poveri con la bassa e media borghesia, commercianti e artigianati, mercati e istituti scolastici; proprio lì si svolgeva la vita quotidiana della città. Oltre la seconda cinta, invece, si trovavano gli appartamenti dei membri del Corpo Armato e delle loro reclute, l’Istituto che svolgeva la funzione di una vera e propria accademia militare e altre strutture di stampo militaristico, rendendo la zona tra seconda e terza linea di mura la “zona armata” della città, nonostante solo alcune delle aree erano interdette mentre di norma ci si poteva camminare senza alcun problema. Oltre il terzo muro, invece, sorgeva l’area nobiliare, con le ville e le residenze dei vari casati ricchi della città, che supportavano economicamente il Corpo Armato e il governo cittadino grazie alle ricchezze ereditate nel tempo dai propri antenati. Raro, sebbene possibile, era far parte sia della nobiltà che del Corpo Armato anche se solitamente la vita militare veniva lasciata ai secondogeniti, anche se avere più figli non era ormai più di uso comune considerando le già esigue risorse che si possedevano di quei tempi. Di solito, se si avevano due figli, era perché nati gemelli anche se nulla vietava realmente la possibilità di avere più di un erede né tra la nobiltà né tra il popolo.

Crystal era quasi un’eccezione a quello, nonostante fosse figlia (anche se adottiva) di un nobile aveva avuto l’occasione di entrare nel Corpo Armato da Lord Dawson. Lo stesso padre l’aveva adottata con tale intento, da quando aveva scoperto che sua moglie non poteva avere figli, ma Crystal non ne capiva appieno il motivo. Non avere eredi per una famiglia nobile non era contemplabile, difatti non erano rari i casi in cui bambini orfani entro i dieci anni, spesso anche molto più piccoli, venissero adottati dalla nobiltà che non era riuscita a ottenere un erede ma era la prima volta che quell’erede venisse scelto per far parte del Corpo Armato. La ragazza non sapeva come le cose funzionassero nelle altre città affiliate al Corpo Armato o ai Cavalieri dell’Ala e i Guerrieri dell’Abisso, ma era sicuramente la prima volta che accadeva nella città dove l’idea stessa del Corpo Armato era nata.

Mentre si trovava nell’auto di suo padre, guardò verso la quarta e ultima cinta muraria, visibile in cima all’altura. La più piccola delle quattro, comprendeva semplicemente il Palazzo Governativo dove risiedeva il Magistrato con il suo consiglio. Non aveva mai avuto modo di vedere l’uomo che governava sull’intera città, ma aveva sentito dire fosse amico intimo di suo padre e che spesso i due si ritrovavano a parlare nonostante Lord Dawson avesse lasciato il consiglio una decina di anni prima, senza che le motivazioni fossero mai state chiare.

«Se riuscirai a entrare nel Corpo Armato, potremo parlare di quella promessa che ti avevo fatto sette anni fa» disse d’un tratto l’uomo, destando curiosità in Crystal che non capì subito ce l’avesse con lei.

Padre e figlia non avevano mai avuto una reale conversazione e l’uomo non si era mai neanche curato di sapere come le fosse andata a scuola, tantomeno di parlare di quella promessa che le aveva fatto il giorno dell’adozione. «Ho capito, padre» si limitò a rispondergli semplicemente.

«Io sono un uomo di parola» continuò lui. «Se entrerai nel Corpo Armato farò il possibile per farti riunire a tua sorella.»

Crystal annuì, appoggiando la testa al finestrino con lo sguardo verso il cielo. Avrebbe piovuto quella notte, pensò rammaricata. La pioggia non le piaceva, pioveva anche il giorno che si era separata da Sybil.

 

Castel York era una delle maggiori fortezze dell’esercito dei Demoni nella zona controllata dal Corpo Armato, punto d’appoggio all’interno di quell’area nonché sede operativa del fronte contro gli Angeli. Che fosse un bersaglio appetibile, Luxor non lo aveva mai negato ma non credeva possibile un assalto degli Angeli al castello dopo le ultime sconfitte sul campo che i loro nemici avevano subito. Da quanto aveva appreso, il castello era stato eretto sopra le rovine di una città umana chiamata proprio York, da cui prendeva il nome. Costruito in tempi relativamente brevi, almeno per i Demoni, si ergeva circondato dalle vecchie rovine del centro cittadino, a sovrastare la distruzione che la città aveva subito nel corso di una delle prime battaglie scoppiate tra Angeli e Demoni. Dalla torre sulla quale stava, Luxor poteva scorgere anche quella che un tempo era stata la cattedrale della città, ormai un rudere consumato dal fuoco e dagli agenti atmosferici e di cui a malapena era rimasto lo scheletro con qualche muro che ancora miracolosamente si ostinava a rimanere in piedi. Le ali nere dispiegate, contemplava quel panorama alla luce del crepuscolo, cercando di scorgere l’avanzata dell’esercito nemico ma senza molta fortuna.

«Le vostre informazioni sono corrette?» chiese a Orion, che gli stava un paio di passi dietro.

«Non abbiamo motivo di dubitarne, anche se non si è chiaro il motivo di questo tentativo. Se non contiamo il Corpo Armato, questa zona è pienamente sotto il nostro controllo e dopo l’ultima sconfitta subita gli Angeli non possono essersi riorganizzati abbastanza per riuscire a eguagliare i nostri numeri in quest’area.» Orion sembrava assolutamente convinto di quella sua analisi.

Luxor annuì, alzandosi in volo e iniziando a planare all’interno delle mura del castello, per poi dirigersi verso l’interno seguito dall’altro Demone. Come consuetudine per le costruzioni di stampo demoniaco, il castello era privo di qualsiasi ornamento sia all’esterno sia all’interno, “spartano” lo avrebbero definito gli umani, con anche le fonti di luce che scarseggiavano e permettevano di vedere a malapena a un palmo dal proprio naso; ciò non valeva per esseri come i Demoni (o anche gli Angeli) la cui vista superava quella degli umani.

Raggiunta la Sala Grande, Luxor osservò i presenti. Molti li conosceva solo di nome, con altri aveva avuto modo di combattere fianco a fianco ma senza mai scambiare una singola parola. Sul tavolo, c’erano due mappe raffiguranti la Gran Bretagna una e l’intero pianeta l’altra.

Avvicinatosi al tavolo, si voltò verso quello che aveva l’apparenza di un trono e sul quale era posata una sfera completamente nera che brillava debolmente a intermittenza. Qualche istante dopo, in una nube di fumo, al suo posto apparve un Demone più imponente degli altri, lo sguardo severo, completamente rivestito di un’armatura nera ornata di intarsi dorati. I presenti si inginocchiarono, tutti a eccezione di Luxor che invece non aveva negli occhi la stessa riverenza che si poteva intravedere in quelli degli altri.

«Signore» esordì Orion, prendendo la parola con voce quasi tremante. La paura che quel Demone incuteva in lui era palpabile. «Abbiamo allestito le difese, siamo pronti a ricevere gli Angeli in qualsiasi momento.»

Il Demone sembrò lieto di sentire quella notizia, ma qualcosa nel suo sguardo lasciò perplesso Luxor. Goliath non gli era mai piaciuto, anche se faceva parte della famiglia reale seppur attraverso un ramo minore. «Perché gli Angeli dovrebbero attaccare proprio qui?» chiese quindi avanzando di un passo e sfidando gli occhi ardenti del Demone.

Nonostante fosse una semplice manifestazione incorporea, quando Goliath si alzò dal suo scranno si poté percepire tutta la sua prestanza fisica e la sua presenza quasi asfissiante. Non era sicuramente né il più forte dei Demoni, né il più forte nella famiglia reale, ma tra i presenti pochi potevano sperare anche solo di colpirlo, praticamente nessuno di eguagliarlo. Luxor, dal canto suo, era convinto di poter fare entrambe le cose e non aveva paura del suo fratellastro. «Fratello, dubiti forse delle mie informazioni?»

«Dubito che gli Angeli possano avere anche solo una possibilità di riuscita. Se attaccheranno, sarà la mossa disperata di un suicida.» Luxor non aveva paura. Lo sfarzo che Goliath tendeva a mostrare gli faceva ribrezzo, così come il suo tendere a dimostrazioni di forza nei confronti dei suoi uomini. In poche parole, lo odiava. «Richiamarmi per difendere Castel York mi è sembrato inutile.»

«Nostro Padre mi ha dato la gestione di questa zona e tu dovrai obbedire ai miei ordini.» Goliath andò al tavolo, indicando la mappa con la Gran Bretagna. «L’intera isola è sotto il mio controllo da anni e finora nessuno ha mai osato sfidare apertamente il mio potere. L’assalto a Castel York è un’offesa che non possiamo tollerare.» Chiuse la mano a pugno. «Insegneremo agli stupidi Angeli a rispettare la nostra forza, non voglio superstiti o prigionieri.»

Luxor ghignò. «Il Corpo Armato non starà a guardare una battaglia del genere così vicino alle loro città senza intervenire, in special modo se saranno coinvolti i Guerrieri dell’Abisso o i Cavalieri dell’Ala.» Quasi tutta la Gran Bretagna ospitava città che avevano dato il loro supporto al Corpo Armato, ma nel continente europeo c’erano le sedi dei Cavalieri dell’Ala in quelle zone ancora sotto il controllo degli Angeli mentre a Castel York erano stati riuniti anche molti umani appartenenti ai Guerrieri dell’Abisso. Luxor aveva imparato a conoscere molto bene il Corpo Armato, che non considerava le altre due fazioni come nemiche e avrebbe voluto farle passare dalla propria parte. Per i Cavalieri dell’Ala c’era ancora una possibilità, pensava, ma per i Guerrieri dell’Abisso, le cui città erano sotto la tirannia dei Demoni, la questione sarebbe stata molto più difficile.

«Allora annienteremo anche il Corpo Armato» sentenziò Goliath. «Per troppo tempo quegli umani hanno osato sfidare la mia autorità rimanendo impuniti.»

«Nostro Padre non approverà» gli fece notare Luxor. «Pensi davvero di riuscire a tenere la Gran Bretagna se il Corpo Armato dovesse schierarsi al fianco di Angeli e Cavalieri dell’Ala? Forse è proprio questo l’intento degli Angeli con quest’attacco, spingere il Corpo Armato contro di noi.»

Goliath lo fulminò con gli occhi. «Hai paura di qualche misero umano?»

«Se ci tieni tanto a far vedere la tua forza agli umani del Corpo Armato, potrebbe sembrare che tu abbia paura di loro; che senza avere il pieno controllo dell’isola, temi la possibilità di perderla contro dei “miseri umani”.»

«Come osi?» Luxor era riuscito nel suo intento, far infuriare il fratellastro che sembrava sul punto di volerlo colpire se non fosse stato una semplice illusione creata da quella sfera nera usata per le comunicazioni. Il semplice fatto che Goliath non avrebbe combattuto avvalorava la tesi che temeva davvero per la propria vita e che preferiva di gran lunga mandare a morire i suoi uomini piuttosto che essere in prima linea. Luxor, però, odiava i vigliacchi come suo fratello.

«Vi prego di smetterla.» La voce, innaturalmente calma e priva di qualsiasi emozione, era emersa da un angolo completamente oscurato della Sala Grande e apparteneva a un Demone apparentemente normale. Alto all’incirca quanto Luxor, quindi almeno una decina di centimetri in meno di Goliath, aveva un libro tra le mani ed era vestito completamente di azzurro, con una tunica, un paio di guanti (unica macchia bianca del vestiario), stivali e pantaloni in pelle. I capelli erano di un nero più lucido di quello di Luxor e Goliath, portati anche molto lunghi al contrario degli altri due.

«Dorian, non mi aspettavo di vederti qui.» Nei suoi confronti, Luxor non aveva lo stesso sguardo ostile che rivolgeva Goliath ma neanche si era lasciato andare a esclamazioni stupite o impaurite come avevano fatto tutti i presenti, Goliath compreso.

Il secondo principe dei Demoni avanzò di qualche passo, con un sorriso dai mille significati e dei quali Luxor non ne comprese neanche uno. Non era il primo in linea di successione al trono, ma si vociferava fosse il più forte tra i principi. «Nostro Padre temeva poteste iniziare a lottare tra di voi, quindi mi ha mandato come semplice osservatore. Non parteciperò alla battaglia in nessun caso, ma sappiate si aspetta una vittoria schiacciante da parte vostra.»

Goliath annuì senza riuscire a dir nulla, mentre Luxor rimase impassibile. «Quali sono i piani di nostro Padre?» chiese.

«Non sta a me o a te conoscerli, Luxor, ma confido che tu tra tutti possa capire il motivo per cui la mia presenza qui fosse inevitabile.»

Luxor lanciò una rapida occhiata a Goliath. «Ho capito. Ti assicuro la nostra vittoria.»

Dorian sembrò gradire quella risposta. «Solo una cosa, fratelli.» Dorian li raggiunse al tavolo della mappa. «Luxor ha espresso un quesito interessante, la possibilità dell’intervento del Corpo Armato. Dovesse davvero palesarsi tale eventualità, nostro Padre autorizza ad agire come credete sia meglio per il controllo della Gran Bretagna e per il Regno. Ovviamente, anche io ho questa facoltà, qualora ritenessi necessario un mio intervento.»

Mentre Goliath annuiva, Luxor cercò di percepire qualcosa negli occhi privi di espressione di Dorian, senza alcuna fortuna. Capire il Re dei Demoni era impossibile per chiunque, ma anche Dorian sapeva essere enigmatico almeno quanto il padre e la cosa al Demone non era mai piaciuta; c’era qualcosa di sinistro in Dorian, ancor più che in qualsiasi altro Demone, come se oltre al benessere del Regno, fossero altri i suoi obiettivi.

Dorian li lasciò così, senza aggiungere altro e senza neanche una qualche parola di commiato, volatilizzandosi in una nube nera incurante del gelo che era scesa nell’intera sala. Goliath, Luxor e Dorian, tre principi dei Demoni in quel momento si trovavano vicini tra loro, sebbene molto diversi esteticamente e in quanto a forza; tre entità che superavano di gran lunga tutti gli altri della loro razza che non appartenevano a famiglie nobili. Possibile che la Gran Bretagna fosse così importante per il Regno da necessitare di tutti e tre? Luxor proprio non riusciva a capire.

 

Perché rischiare tanto in un assalto a Castel York? Più Dwight ci pensava, più la risposta sembrava sfuggirgli senza comprendere appieno cosa passasse per la testa dei suoi superiori. Lui era un soldato e come tale di domande se ne sarebbe dovute fare ben poche pensando solo a obbedire, ma gli sembrava un vero e proprio suicidio. Capiva che la riconquista della Gran Bretagna poteva essere di vitale importanza, ma si trattava sempre del dominio di un principe dei Demoni, sebbene minore come Goliath; pochi tra coloro che erano stati riuniti in fretta e furia per quell’assalto potevano vantare una forza tale da poter anche solo pensare di metterlo in difficoltà. «Inoltre i nostri numeri sono davvero esigui» commentò, guardandosi alle spalle i soldati che ormai pensava fossero solo stati mandati a morire.

Secondo le loro informazioni, Castel York poteva vantare circa mille Demoni e qualche centinaia di umani, mentre loro tra Angeli e Cavalieri dell’Ala a malapena raggiungevano le ottocento unità. Da quando avevano perso la Gran Bretagna e il Nord dell’Europa, anche ricevere rinforzi risultava fin troppo oneroso ed erano dovuti ripiegare nella vicina isola un tempo chiamata Irlanda, dove c’erano le ultime città fedeli alle truppe angeliche. Alla fine, molti avevano optato per chiedere asilo ai territori neutrali del Corpo Armato, dove erano sicuri che i Demoni non avrebbero attaccato per non rischiare di inimicarsi l’unica fazione di quella guerra a non essersi schierata.

«Non possiamo farci niente, abbiamo i nostri ordini» gli disse Camie che gli stava volando accanto. «E poi questa volta ci sei tu dalla nostra parte, forse abbiamo qualche possibilità.»

«Un singolo non può coprire un deficit di circa settecento unità, Camie.» Dwight non era convinto che la sua sola presenza avesse potuto fare la differenza, come invece sembravano pensarla tutti in quel manipolo di soldati. Con lui il morale era certamente migliorato e ben più di quanti si aspettasse avevano risposto alla chiamata del loro Generale, ma le possibilità di conquistare Castel York erano ancora troppo esigue.

«Smettila di lamentarti, Dwight.» La voce del Generale, che li aveva raggiunti, fece trasalire i due Angeli. «Gli ordini erano piuttosto chiari.»

«Scusatemi ma non riesco ancora a comprenderli» fu la risposta dell’Angelo mantenendo un tono di riverenza nei confronti del Generale.  «Mi sembra solo che ci stiano mandando a morire.»

«Dwight, Camie, venite con me.» Il Generale, senza aggiungere altro, diede disposizioni a un Angelo di prendere la testa del gruppo e guidare gli altri, prima di allontanarsi con gli altri due al suo seguito, lontano da occhi e orecchie altrui. «Dwight, sai dirmi secondo te come si vince una battaglia?»

Sorpreso per quella domanda, Dwight iniziò a pensare a una possibile risposta. «Uccidendo o catturando chi comanda le truppe avversarie. Anche negli scacchi si vince mangiando il re avversario.»

Camie sembrò d’accordo, ma il Generale si limitò ad annuire senza mostrare apertamente se la risposta fosse stata giusta o sbagliata. «Indubbiamente, in quel modo si può vincere una battaglia, ma secondo te cosa rende una vittoria tale?»

Dwight non rispose, non capendo la domanda.

«Voglio che tu e Camie pensiate a una risposta e me la diate appena ce l’avrete. Non avete un limite di tempo per farlo.»

I due Angeli si guardarono interrogativi.

Il Generale sorrise. «Questo significa che tutti e tre dovremo sopravvivere per forza a questa notte.» Rise. Quando riuscì a tornare serio, nei suoi occhi sembrava ci fosse una vitalità che Dwight non gli aveva mai visto da quando aveva raggiunto la Gran Bretagna. Non conosceva il Generale prima del suo arrivo e non l’aveva mai incontrato quando la Gran Bretagna era ancora sotto il dominio degli Angeli; fin dal loro primo incontro, sembrava aver sempre ritenuto colpa sua le sconfitte subite a opera dell’esercito di Goliath e la tristezza in lui era palpabile, invece dopo averci parlato un po’ sembrava aver riacquisito vigore e sicurezza. «Dwight, sicuramente già ti hanno elogiato abbastanza per le tue qualità sul campo di battaglia, dunque voglio dirti solo un’altra cosa: da quando ti ho incontrato, ho subito capito che sei un bravo ragazzo. Ricorda sempre di non fare il mio stesso errore, non avere mai rimorsi qualunque decisione tu prenda.»

Dwight e Camie si guardarono senza sapere cosa dire.

Il Generale continuò voltandosi verso Camie. «So che voi due vi conoscete praticamente da sempre, Camie. Anche in tempi oscuri come questi è bello vedere un’amicizia come la vostra ed è triste che Angeli giovani come voi debbano spendere le loro vite sul campo di battaglia.»

Non disse altro, lasciandoli con troppi quesiti prima di tornare dai soldati e riprenderne la testa, mentre Dwight osservava le poche centinaia dei Cavalieri dell’Ala che seguivano da terra gli Angeli. Molti erano ragazzi appena ventenni, il più vecchio non poteva avere più di trenta o trentacinque anni. «È triste che anche umani giovani come loro debbano combattere una guerra che non li riguarda direttamente.» Le parole appena sussurrate non vennero ascoltate da Camie, che intanto lo aveva preceduto per tornare in formazione. Quella notte avrebbe piovuto, come se il cielo stesso avesse già preannunciato gli accadimenti futuri e fosse pronto a grondare lacrime.

Sfiorando l’impugnatura della spada che aveva al fianco, appartenuta un tempo all’uomo che considerava suo padre, Dwight iniziò a seguire Camie. L’ora della battaglia si stava avvicinando.

 

Un dolore al petto la fece trasalire, giunto inaspettato e con una forza tale da darle l’impressione di aver appena ricevuto una pugnalata, anche se non essendo mai stata colpita da un pugnale non poteva esattamente sapere cosa si provasse. Sybil aprì gli occhi di scatto, guardando le prime gocce di pioggia che avevano iniziato a cadere dal cielo coperto di nuvole. Aveva sempre trovato i giorni di pioggia molto tristi, ma quello in particolare aveva qualcosa di particolare che non riusciva bene a definire, come se da un momento all’altro dovesse succedere qualcosa. Sapeva benissimo che la sua era solo una supposizione senza nessun fondamento e che poteva trattarsi di semplice suggestione, ma non riusciva a togliersi quel pensiero di dosso. La piuma bianca trovata quel pomeriggio era posata sul comodino della sua camera, mentre continuava a guardare assorta l’esterno dalla piccola finestra accanto al letto.

Ripensò all’articolo che aveva letto appena uscita da scuola, a come si diceva che poteva esserci spazio per una riappacificazione con alcune città assoggettate ai Demoni. Lei non sapeva neanche cosa fosse la pace e oltre al conflitto tra Angeli e Demoni che era la guerra principale che in quel momento si stava combattendo su tutto il pianeta, aveva vissuto in un mondo dove gli scontri tra gli umani dei tre schieramenti erano all’ordine del giorno. Però, ora, sembravano iniziati alcuni contatti tra i Cavalieri dell’Ala nel Nord Europa e i Guerrieri dell’Abisso che le cui città stanziavano nei territori degli Angeli, quindi quelli che ancora non avevano provato la tirannia dei Demoni. Sebbene fosse una speranza molto blanda, in quanto le città che vivevano con il terrore dei Demoni difficilmente avrebbero acconsentito a una pace con gli altri due schieramenti, era comunque una piacevole occasione che non si era mai verificata in passato dallo scoppio della guerra. Da quanto aveva appreso, era stato il Corpo Armato a fare da mediatore e alcune città sarebbero dunque passate sotto lo stendardo di quest’ultimo professando la propria indipendenza dai due schieramenti. Sybil era certa che gli Angeli non avrebbero obiettato, sin dall’inizio erano stati proprio loro a chiedere aiuto senza obbligare nessuno ma i Demoni invece non l’avrebbero mai presa bene e per questo le trattative rischiavano di diventare fin troppo lunghe. L’obiettivo, comunque, era quello di estraniare completamente il genere umano dal conflitto tra Angeli e Demoni, questo era scritto chiaramente in quell’articolo, per consentire un qualcosa di molto simile alla pace.

Sospirò, portandosi una mano al petto dove aveva sentito quel particolare dolore di cui ignorava l’origine. Perché si sentiva così ansiosa? Cosa rischiava di accadere? Riuscì a ritrovare un po’ di calma solo guardando il braccialetto della promessa fatta a Crystal, ritrovandosi a volere la presenza forte e rassicurante della sorella vicino; Crystal era sempre stata la sua sicurezza, colei che la faceva sentire protetta; in quel momento le mancava come mai le era mancata negli ultimi sette anni.

 

Fu Luxor il primo ad avvistare l’avanzata dell’esercito nemico. Ancora molto distanti e rallentati dall’avere tra le loro fila i Cavalieri dell’Ala, avrebbero impiegato almeno un’ora prima di arrivare e altro tempo per prepararsi a quel disperato attacco.

«Non voglio prigionieri» sentenziò l’immagine incorporea di Goliath al suo fianco. «Non deludermi, fratello.»

Il modo in cui apostrofò l’ultima parola non piacque per niente a Luxor, che però non disse nulla dirigendosi verso Orion che stava dando le ultime disposizioni ai difensori umani. Da quello che sentì, Luxor capì subito che i Guerrieri dell’Abisso sarebbero diventati carne da macello, sacrificabili. Strinse i denti, mordendosi la lingua per non dire niente, non sapendo se Dorian fosse celato da qualche parte in ascolto. Orion era pur sempre un nobile, mentre lui pur appartenendo alla famiglia reale dei Demoni rimaneva comunque un semplice “protetto” del re, non aveva legami di sangue con nessuno dei principi, né con il sovrano in persona. L’unica cosa che gli aveva fatto guadagnare il rispetto di cui godeva, difatti, era la sua forza che eguagliava quella di molti nobili e principi.

Impugnò la pistola che lo aveva sempre accompagnato negli ultimi secoli, soffermandosi sul piccolo sigillo che si intravedeva in rilievo sul calcio. Quello era l’unica cosa che lo avrebbe potuto aiutare a identificare le sue origini, l’unica cosa rimastagli della sua scomparsa famiglia. Nelle biblioteche del Regno non aveva mai trovato niente di simile, né tra le famiglie nobili né in quella reale, come se la sua famiglia fosse stata interamente cancellata dalla storia dei Demoni. Doveva per forza essere nobile, solo la nobiltà aveva simili sigilli, ma oltre a ciò non sapeva nient’altro. «Lord Goliath ricorda che non dobbiamo far prigionieri» annunciò dopo aver finito di sentire il discorso di Orion, pieno di frasi come “ricordatevi che state dalla parte dei più forti” e “gli Angeli e i Cavalieri sono nulla paragonati a noi”, con alla fine il suo classico “sentitevi onorati di dare la vita per i gloriosi Demoni, un onore che spetta a ben pochi umani fortunati”. Quelle frase, in particolare l’ultima, fece ribollire il sangue a Luxor se ripensava a quanti umani erano morti per la causa dei Demoni, sicuramente molti più di “ben pochi fortunati”.

I tempi di attesa furono all’incirca quelli che Luxor aveva pronosticato. Mentre la pioggia continuava a battere incessantemente inzuppando l’uniforme da battaglia nera del Demone, il suono di un corno iniziò a riecheggiare tra le rovine della città di York, seguito dal fragore di un tuono e dall’urlò inconfondibile dei soldati pronti ad attaccare.

La mantella nera di Luxor continuò a ondeggiare all’alzarsi del vento, mentre le ali vennero dispiegate e il Demone si alzò in volo per osservare quale sarebbe stata la strategia del nemico. Le mura avrebbero fermato gli umani a terra, ma gli Angeli potevano volare come loro e per questo una barriera era stata eretta dai Praticanti per fermarli il più possibile all’esterno. Come avrebbero attaccato? La risposta non attardò ad arrivare e Luxor si gelò il sangue.

 

L’assalto sarebbe incominciato a breve, tutti sembravano fin troppo tesi e Dwight poteva ben comprendere che per molti umani doveva essere la prima vera battaglia. Scese a terra, mentre il Generale incitava gli Angeli rimasti in volo. «Avete paura?» chiese a un ragazzo che non aveva più di vent’anni.

Quello annuì, senza dire niente. Dwight non riusciva a capire se negli occhi del giovane stava vedere ammirazione o paura, forse entrambi.

«Non è sbagliato avere paura, è un sentimento che ci comunica la nostra vita.» Alzò la voce in modo tale che anche gli altri Cavalieri potessero sentire. «L’importante e non farsi dominare da essa, ma essere noi a controllarla. In una battaglia c’è sempre un vincitore e un perdente, c’è sempre chi sopravvive e chi muore, questa è la guerra, è inutile negarlo.» Fece una breve pausa, guardando a uno a uno gli occhi di quegli umani. Gli piaceva parlare agli umani, più di quanto gli piacesse fare i discorsi ai suoi simili. «Ma ricordatevi che oggi non dovete combattere per uccidere i Demoni o i Guerrieri dell’Abisso, non dovete combattere per conquistare Castel York dalle grinfie di Goliath, non dovete combattere sotto lo stendardo degli Angeli! Voi siete umani, voi oggi combattere per riconquistarvi la Gran Bretagna che i Demoni tiranneggiano!»

Dwight sapeva bene che non era del tutto vero quanto stava dicendo. I Cavalieri dell’Ala, per quanto fossero uno schieramento umano, combattevano al fianco degli Angeli e se davvero Castel York fosse caduto, il dominio britannico sarebbe potuto passare sotto gli Angeli, non certo tornare agli umani, ma in quel momento doveva trovare un modo per motivarli o sarebbero sicuramente morti tutti. Forse catturare Castel York neanche sarebbe bastato, c’erano altre fortezze nell’isola e dubitava di trovare Goliath tra le fila nemiche, ma poteva essere comunque un passo importante per un’eventuale riconquista. L’unica cosa che gli dava ancora da pensare era la strategia da adottare, di cui il Generale non gli aveva ancora parlato. Come avrebbero attaccato? Durante il tragitto aveva posto tale domanda all’Angelo, ricevendo come risposta soltanto un “vedrai” più alcuni semplici ordini. Lui non avrebbe seguito alcuna strategia, il suo unico compito era di trovare chi comandava le truppe nemiche e ucciderlo o catturarlo, facendo arrendere i difensori. Demoni e Angeli erano molto timorosi e rispettosi della forza altrui, se qualcuno era in grado di battere il loro comandante allora il più delle volte si arrivava alla resa. Non aveva altri ordini, poteva agire come meglio riteneva opportuno.

«Voi oggi non siete qui per “donare le vostre vite” ma per vendicarvi di quanto i Demoni vi hanno tolto! Voi oggi avete la possibilità, con le vostre azioni, di fare un passo verso la liberazione della Gran Bretagna dalla tirannia!» Concluse il discorso sguainando la spada dal fodero bianco e sollevandola verso il cielo, con un urlo che venne imitato dai Cavalieri, un grido che risuonò come un sol uomo mentre il corno degli Angeli cominciava il suo lamento, un lamento che per Dwight sapeva fin troppo di morte, sangue e guerra.

Il Generale lo raggiunse complimentandosi con lui per come aveva parlato ai Cavalieri, indicandogli infine la fortezza. «Contiamo su di te, portaci alla vittoria, Dwight.»

Dwight annuì, la pioggia che batteva incessante riempiendogli le orecchie e scivolandogli addosso sulle vesti da battaglia completamente bianche. Né Demoni né Angeli avevano in realtà uniformi loro, a differenza degli umani che erano vestiti tutti uguali con le divise dei loro schieramenti, ma Dwight tendeva a trattare quegli abiti come se fossero la sua divisa. Glieli aveva lasciati lo stesso uomo a cui era appartenuta la spada che stava impugnando. Si scostò una frangia bionda dalla fronte, pronto al segnale, che puntualmente arrivò dopo che le disposizioni date dal Generale agli umani. L’attacco era iniziato e Dwight in quel momento capì, rabbrividendo come mai aveva fatto in vita sua mentre aveva già iniziato ad avviarsi verso la fortezza.

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Capitolo 4
*** Bianco contro Nero ***


Luxor non riusciva a credere ai propri occhi. Mentre osservava ciò che si stava svolgendo sotto di lui, di tanto in tanto volgeva lo sguardo intorno provando a capire se poteva esserci dell’altro che in quel momento gli stava sfuggendo. Gli Angeli erano bloccati fuori dalla barriera, provando a sfondarla con le armi o i loro poteri senza avere molto successo, derisi dai Demoni sui bastioni che a volte li incitavano a ritentare con grida di scherno; gli umani, invece, erano… Completamente allo sbaraglio! La barriera eretta copriva solo la parte superiore della fortezza per impedire agli Angeli di entrare, mentre le mura rimanevano scoperte e proprio contro di essere gli umani si erano lanciati in un vero e proprio attacco suicida sotto i colpi degli arcieri difensori che stavano compiendo una vera e propria carneficina.

«Che cosa significa?» ruggì Luxor frustrato. Quello non era il modo di agire degli Angeli. I Demoni mandavano a morte i propri alleati umani, era sempre stato così eppure… Riprendendosi dallo stupore, osservò Orion che stava dando altri ordini agli arcieri e fu in quel momento che lo vide. Un vero e proprio lampo bianco, una velocità di volo che poteva essere raggiunta da pochi persino tra gli Angeli o tra i Demoni più forti, difficile da seguire con lo sguardo persino per lui. Non gli ci volle molto per capire di chi si trattasse e un sorriso tutt’altro che divertito gli apparve in faccia.

 

«Dunque era questo il vostro piano.» Sentendo quelle parole, Dwight fermò il proprio volo. Era riuscito senza troppi problemi ad aprirsi una breccia nella barriera, volandoci all’interno prima che si rigenerasse aiutato dalla sua velocità ma senza sapere cosa esattamente doveva cercare. Conosceva l’aspetto di Goliath, ma dubitava stesse guidando lui la difesa, quindi aveva optato per una perlustrazione individuando i possibili candidati. Aveva riconosciuto un Demone nobile, Orion, che stava organizzando gli arcieri umani ma non poteva affrettare la sua decisione; quando però sentì quella voce e vide a chi apparteneva… Lui era lì. Non lo aveva mai incontrato ma aveva sentito delle storie sul suo conto, Luxor il Principe Nero.

«Cosa intendi, Principe Nero?» Dwight lo sfidò con lo sguardo. Conosceva solo per sentito dire la forza di Luxor, ma non gli faceva paura.

Luxor gli indicò verso il basso, fuori dalle mura. «Ora gli Angeli mandano a morire in un attacco suicida i propri alleati solo come diversivo?»

Dwight doveva ammettere che era riuscito a penetrare dentro la barriera non visto solo perché i Demoni erano troppo intenti a schernire gli Angeli, mentre gli umani stavano pensando a sterminare i Cavalieri. Lo aveva subito capito, ma non poteva contravvenire agli ordini ricevuti. «Pensi che la cosa mi faccia felice?»

Luxor gli si avvicinò con calma. «Forse no, ma sei complice come tutti gli altri, Diamante Bianco.» Ormai erano talmente vicini da essere entrambi a portata dell’arma dell’altro. «Evidentemente avevo giudicato male voi Angeli.»

Dwight non ne poteva più. Gli puntò la spada alla gola, guardandolo con una rabbia malcelata. «Se uccido te, tutto sarà finito!»

Luxor rise. «Allora provaci, non rendere vano l’aver mandato a morte tanti umani!»

Con una velocità incredibile anche per un Demone, Luxor scansò la spada utilizzando il calcio della sua pistola e premendo il grilletto. Il proiettile partì ma anziché prendere la fronte di Dwight venne intercettato da un vero e proprio muro invisibile formato dal vento smosso dal potere dello stesso Angelo. Fu proprio quest’ultimo a partire al contrattacco con un affondo, evitato con un volteggio in aria del Principe Nero che, avvitandosi, tornò all’attacco sparando una serie di cinque proiettili. Dwight non si fece trovare impreparato, rivestendo il proprio corpo di una vera e propria armatura di vento che fermò le pallottole a mezz’aria, prima che l’Angelo partisse nuovamente alla carica con la spada, provando un fendente in diagonale, all’altezza della spalla sinistra di Luxor; questi intercettò la lama della spada con il calcio della sua pistola, ghignando. «Tutta qui la forza del grande Dwight Diamante Bianco?»

«Stavo per dire la stessa cosa di te, Luxor Principe Nero.» Con una piroetta i due si staccarono. Luxor andò fuori dalla portata della lama di Dwight, mentre quest’ultimo continuava ad avere il corpo avvolto nella sua armatura che rendeva inutile la pistola del nemico.

I due stavano per partire nuovamente all’attacco quando un fulmine si abbatté sulla barriera aprendo un varco abbastanza grande da permettere l’ingresso degli Angeli prima che si rigenerasse. «Sembra che Camie abbia deciso di fare sul serio» commentò Dwight.

«Come se ciò possa bastare a conquistare Castel York» fu la pronta risposta di Luxor. «E mi basterà ucciderti per porre fine a questa battaglia.»

«Buffo, stavo per dire la stessa cosa io.» Più il tempo passava, più gli umani sotto le mura venivano uccisi, così Dwight si lanciò nuovamente contro Luxor.

 

Luxor riusciva in qualche modo a prevedere gli attacchi di Dwight, ma anche l’Angelo sembrava riuscirci e così la situazione di stallo che si stava andando a formare proseguiva senza che nessuno dei due fosse realmente in vantaggio. Nessun colpo di spada aveva ancora raggiunto il Principe Nero, così come nessuna pallottola era riuscita a raggiungere il corpo del Diamante Bianco protetto da quella maledetta armatura di vento. Però era anche vero che né l’uno né l’altro avevano ancora tirato fuori i loro veri poteri, anche se Luxor dubitava ormai che tra i due ci fosse uno così nettamente più forte dell’altro da poter vincere facilmente; conosceva bene le capacità di Dwight pur non avendolo mai affrontato sul campo di battaglia.

Dopo una piroetta in aria per evitare l’ennesimo fendente, ricaricò rapidamente la pistola e infondendo nel primo proiettile parte del suo potere lo sparò mirando alla spalla destra del Diamante Bianco, ma anche questa volta la pallottola si fermò senza raggiungere il bersaglio, sebbene il colpo doveva essere stato abbastanza forte da far vacillare la difesa di vento. Ispirato da quell’evento, Luxor si diede una spinta con le ali indietreggiando di colpo e sparando altri due proiettili in rapida successione, entrambi caricati con il suo potere verso lo stesso punto. Dwight non fece in tempo a reagire e le pallottole impattarono sulla sua armatura che diede l’impressione di essersi incrinata; quello era il vantaggio che stava aspettando. Anche gli ultimi tre colpi del caricatore vennero sparati caricati magicamente, con Dwight che sembrava essersi sbilanciato per la sorpresa. Il primo infranse definitivamente l’armatura che copriva la spalla, il secondo venne in qualche modo evitato ma il terzo, sparato leggermente più a sinistra rispetto agli altri due, centrò il bersaglio facendo zampillare sangue dalla ferita del Diamante Bianco. Luxor non fece però in tempo a gioire che un dolore lancinante alla gamba sinistra gli fece capire di aver abbassato la guardia. Un pugnale gli si era conficcato sulla coscia, poco sopra il ginocchio.

«Credevi davvero che la spada fosse la mia unica arma?» lo schernì Dwight che però non sembrava capace di mascherare il dolore provocatogli dalla ferita, come del resto non ne era stato capace il Principe Nero.

Con un ringhio, Luxor si estrasse il pugnale dalla coscia gettandolo sotto di sé, mentre si preparava a un’altra offensiva. Ci stava mettendo troppo, doveva concludere in fretta quello scontro; l’idea di quel che stava avvenendo fuori dalle mura e la presenza di Dorian lo inquietavano più di quel che volesse ammettere. Anche Dwight sembrava intenzionato a far finire il tutto più velocemente possibile.

 

Non poteva perdere altro tempo o troppe sarebbero state le vittime di quella dannata battaglia. Oltre agli umani, anche gli Angeli ora stavano subendo le loro perdite e il tutto si stava traducendo in un vero e proprio massacro. Tirando un profondo sospiro, impugnò la spada con entrambe le mani concentrando tutta la sua energia. L’armatura di vento si annullò completamente, con l’aria che iniziò a volteggiare intorno alla lama e alle sue ali, mentre un’aura oscura aveva iniziato ad avvolgere gli ali e la pistola di Luxor; quello sarebbe stato l’ultimo attacco. Entrambi con questo pensiero, si lanciarono l’uno contro l’altro lanciando un grido all’unisono. Più veloci di prima, furono due veri lampi, uno bianco e uno nero, che fermarono per un istante la battaglia sottostante sotto gli sguardi attoniti di tutti i presenti che solo in quel momento si resero conto di ciò che stava accadendo sopra le loro teste e solo Camie riuscì a scorgere uno scorcio di quello che stava accadendo, sentendo una profonda fitta al petto. Anche la pioggia sembrò arrestarsi in quel singolo istante, mentre i due duellanti si incrociavano e la spada calava seguita da cinque colpi di pistola in rapida sequenza. Solo Camie poté vedere la lama del Diamante Bianco colpire l’ala nera di Luxor e i colpi del Principe Nero impattare contro l’attaccatura dell’ala di Dwight. In quel singolo istante la battaglia si era arrestata, tutti rimasti con il fiato sospeso, mentre un Dorian visibilmnete divertito osservava la scena con un sorriso.

«Credo sia meglio se vi ritiriate, ora» disse il secondo principe dei Demoni rivolgendosi al Generale che gli stava alle spalle. «Altrimenti morirete tutti.»

«Non accetto consigli da un Demone.» Il Generale armato di lancia si preparò al combattimento.

«Allora hai scelto la morte tua e dei tuoi uomini.» Dorian sorrise.

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