La città era costruita secondo un sistema quasi piramidale, a ridosso di un’altura e interamente circondata da quattro cinte murarie concentriche. La più grande e più esterna copriva l’intero agglomerato urbano, prima linea di difesa nonché la più alta delle tre; al suo interno e fino alla seconda cinta muraria si poteva trovare la maggior parte della popolazione dove si mischiavano i poveri con la bassa e media borghesia, commercianti e artigianati, mercati e istituti scolastici; proprio lì si svolgeva la vita quotidiana della città. Oltre la seconda cinta, invece, si trovavano gli appartamenti dei membri del Corpo Armato e delle loro reclute, l’Istituto che svolgeva la funzione di una vera e propria accademia militare e altre strutture di stampo militaristico, rendendo la zona tra seconda e terza linea di mura la “zona armata” della città, nonostante solo alcune delle aree erano interdette mentre di norma ci si poteva camminare senza alcun problema. Oltre il terzo muro, invece, sorgeva l’area nobiliare, con le ville e le residenze dei vari casati ricchi della città, che supportavano economicamente il Corpo Armato e il governo cittadino grazie alle ricchezze ereditate nel tempo dai propri antenati. Raro, sebbene possibile, era far parte sia della nobiltà che del Corpo Armato anche se solitamente la vita militare veniva lasciata ai secondogeniti, anche se avere più figli non era ormai più di uso comune considerando le già esigue risorse che si possedevano di quei tempi. Di solito, se si avevano due figli, era perché nati gemelli anche se nulla vietava realmente la possibilità di avere più di un erede né tra la nobiltà né tra il popolo.
Crystal era quasi un’eccezione a quello, nonostante fosse figlia (anche se adottiva) di un nobile aveva avuto l’occasione di entrare nel Corpo Armato da Lord Dawson. Lo stesso padre l’aveva adottata con tale intento, da quando aveva scoperto che sua moglie non poteva avere figli, ma Crystal non ne capiva appieno il motivo. Non avere eredi per una famiglia nobile non era contemplabile, difatti non erano rari i casi in cui bambini orfani entro i dieci anni, spesso anche molto più piccoli, venissero adottati dalla nobiltà che non era riuscita a ottenere un erede ma era la prima volta che quell’erede venisse scelto per far parte del Corpo Armato. La ragazza non sapeva come le cose funzionassero nelle altre città affiliate al Corpo Armato o ai Cavalieri dell’Ala e i Guerrieri dell’Abisso, ma era sicuramente la prima volta che accadeva nella città dove l’idea stessa del Corpo Armato era nata.
Mentre si trovava nell’auto di suo padre, guardò verso la quarta e ultima cinta muraria, visibile in cima all’altura. La più piccola delle quattro, comprendeva semplicemente il Palazzo Governativo dove risiedeva il Magistrato con il suo consiglio. Non aveva mai avuto modo di vedere l’uomo che governava sull’intera città, ma aveva sentito dire fosse amico intimo di suo padre e che spesso i due si ritrovavano a parlare nonostante Lord Dawson avesse lasciato il consiglio una decina di anni prima, senza che le motivazioni fossero mai state chiare.
«Se riuscirai a entrare nel Corpo Armato, potremo parlare di quella promessa che ti avevo fatto sette anni fa» disse d’un tratto l’uomo, destando curiosità in Crystal che non capì subito ce l’avesse con lei.
Padre e figlia non avevano mai avuto una reale conversazione e l’uomo non si era mai neanche curato di sapere come le fosse andata a scuola, tantomeno di parlare di quella promessa che le aveva fatto il giorno dell’adozione. «Ho capito, padre» si limitò a rispondergli semplicemente.
«Io sono un uomo di parola» continuò lui. «Se entrerai nel Corpo Armato farò il possibile per farti riunire a tua sorella.»
Crystal annuì, appoggiando la testa al finestrino con lo sguardo verso il cielo. Avrebbe piovuto quella notte, pensò rammaricata. La pioggia non le piaceva, pioveva anche il giorno che si era separata da Sybil.
Castel York era una delle maggiori fortezze dell’esercito dei Demoni nella zona controllata dal Corpo Armato, punto d’appoggio all’interno di quell’area nonché sede operativa del fronte contro gli Angeli. Che fosse un bersaglio appetibile, Luxor non lo aveva mai negato ma non credeva possibile un assalto degli Angeli al castello dopo le ultime sconfitte sul campo che i loro nemici avevano subito. Da quanto aveva appreso, il castello era stato eretto sopra le rovine di una città umana chiamata proprio York, da cui prendeva il nome. Costruito in tempi relativamente brevi, almeno per i Demoni, si ergeva circondato dalle vecchie rovine del centro cittadino, a sovrastare la distruzione che la città aveva subito nel corso di una delle prime battaglie scoppiate tra Angeli e Demoni. Dalla torre sulla quale stava, Luxor poteva scorgere anche quella che un tempo era stata la cattedrale della città, ormai un rudere consumato dal fuoco e dagli agenti atmosferici e di cui a malapena era rimasto lo scheletro con qualche muro che ancora miracolosamente si ostinava a rimanere in piedi. Le ali nere dispiegate, contemplava quel panorama alla luce del crepuscolo, cercando di scorgere l’avanzata dell’esercito nemico ma senza molta fortuna.
«Le vostre informazioni sono corrette?» chiese a Orion, che gli stava un paio di passi dietro.
«Non abbiamo motivo di dubitarne, anche se non si è chiaro il motivo di questo tentativo. Se non contiamo il Corpo Armato, questa zona è pienamente sotto il nostro controllo e dopo l’ultima sconfitta subita gli Angeli non possono essersi riorganizzati abbastanza per riuscire a eguagliare i nostri numeri in quest’area.» Orion sembrava assolutamente convinto di quella sua analisi.
Luxor annuì, alzandosi in volo e iniziando a planare all’interno delle mura del castello, per poi dirigersi verso l’interno seguito dall’altro Demone. Come consuetudine per le costruzioni di stampo demoniaco, il castello era privo di qualsiasi ornamento sia all’esterno sia all’interno, “spartano” lo avrebbero definito gli umani, con anche le fonti di luce che scarseggiavano e permettevano di vedere a malapena a un palmo dal proprio naso; ciò non valeva per esseri come i Demoni (o anche gli Angeli) la cui vista superava quella degli umani.
Raggiunta la Sala Grande, Luxor osservò i presenti. Molti li conosceva solo di nome, con altri aveva avuto modo di combattere fianco a fianco ma senza mai scambiare una singola parola. Sul tavolo, c’erano due mappe raffiguranti la Gran Bretagna una e l’intero pianeta l’altra.
Avvicinatosi al tavolo, si voltò verso quello che aveva l’apparenza di un trono e sul quale era posata una sfera completamente nera che brillava debolmente a intermittenza. Qualche istante dopo, in una nube di fumo, al suo posto apparve un Demone più imponente degli altri, lo sguardo severo, completamente rivestito di un’armatura nera ornata di intarsi dorati. I presenti si inginocchiarono, tutti a eccezione di Luxor che invece non aveva negli occhi la stessa riverenza che si poteva intravedere in quelli degli altri.
«Signore» esordì Orion, prendendo la parola con voce quasi tremante. La paura che quel Demone incuteva in lui era palpabile. «Abbiamo allestito le difese, siamo pronti a ricevere gli Angeli in qualsiasi momento.»
Il Demone sembrò lieto di sentire quella notizia, ma qualcosa nel suo sguardo lasciò perplesso Luxor. Goliath non gli era mai piaciuto, anche se faceva parte della famiglia reale seppur attraverso un ramo minore. «Perché gli Angeli dovrebbero attaccare proprio qui?» chiese quindi avanzando di un passo e sfidando gli occhi ardenti del Demone.
Nonostante fosse una semplice manifestazione incorporea, quando Goliath si alzò dal suo scranno si poté percepire tutta la sua prestanza fisica e la sua presenza quasi asfissiante. Non era sicuramente né il più forte dei Demoni, né il più forte nella famiglia reale, ma tra i presenti pochi potevano sperare anche solo di colpirlo, praticamente nessuno di eguagliarlo. Luxor, dal canto suo, era convinto di poter fare entrambe le cose e non aveva paura del suo fratellastro. «Fratello, dubiti forse delle mie informazioni?»
«Dubito che gli Angeli possano avere anche solo una possibilità di riuscita. Se attaccheranno, sarà la mossa disperata di un suicida.» Luxor non aveva paura. Lo sfarzo che Goliath tendeva a mostrare gli faceva ribrezzo, così come il suo tendere a dimostrazioni di forza nei confronti dei suoi uomini. In poche parole, lo odiava. «Richiamarmi per difendere Castel York mi è sembrato inutile.»
«Nostro Padre mi ha dato la gestione di questa zona e tu dovrai obbedire ai miei ordini.» Goliath andò al tavolo, indicando la mappa con la Gran Bretagna. «L’intera isola è sotto il mio controllo da anni e finora nessuno ha mai osato sfidare apertamente il mio potere. L’assalto a Castel York è un’offesa che non possiamo tollerare.» Chiuse la mano a pugno. «Insegneremo agli stupidi Angeli a rispettare la nostra forza, non voglio superstiti o prigionieri.»
Luxor ghignò. «Il Corpo Armato non starà a guardare una battaglia del genere così vicino alle loro città senza intervenire, in special modo se saranno coinvolti i Guerrieri dell’Abisso o i Cavalieri dell’Ala.» Quasi tutta la Gran Bretagna ospitava città che avevano dato il loro supporto al Corpo Armato, ma nel continente europeo c’erano le sedi dei Cavalieri dell’Ala in quelle zone ancora sotto il controllo degli Angeli mentre a Castel York erano stati riuniti anche molti umani appartenenti ai Guerrieri dell’Abisso. Luxor aveva imparato a conoscere molto bene il Corpo Armato, che non considerava le altre due fazioni come nemiche e avrebbe voluto farle passare dalla propria parte. Per i Cavalieri dell’Ala c’era ancora una possibilità, pensava, ma per i Guerrieri dell’Abisso, le cui città erano sotto la tirannia dei Demoni, la questione sarebbe stata molto più difficile.
«Allora annienteremo anche il Corpo Armato» sentenziò Goliath. «Per troppo tempo quegli umani hanno osato sfidare la mia autorità rimanendo impuniti.»
«Nostro Padre non approverà» gli fece notare Luxor. «Pensi davvero di riuscire a tenere la Gran Bretagna se il Corpo Armato dovesse schierarsi al fianco di Angeli e Cavalieri dell’Ala? Forse è proprio questo l’intento degli Angeli con quest’attacco, spingere il Corpo Armato contro di noi.»
Goliath lo fulminò con gli occhi. «Hai paura di qualche misero umano?»
«Se ci tieni tanto a far vedere la tua forza agli umani del Corpo Armato, potrebbe sembrare che tu abbia paura di loro; che senza avere il pieno controllo dell’isola, temi la possibilità di perderla contro dei “miseri umani”.»
«Come osi?» Luxor era riuscito nel suo intento, far infuriare il fratellastro che sembrava sul punto di volerlo colpire se non fosse stato una semplice illusione creata da quella sfera nera usata per le comunicazioni. Il semplice fatto che Goliath non avrebbe combattuto avvalorava la tesi che temeva davvero per la propria vita e che preferiva di gran lunga mandare a morire i suoi uomini piuttosto che essere in prima linea. Luxor, però, odiava i vigliacchi come suo fratello.
«Vi prego di smetterla.» La voce, innaturalmente calma e priva di qualsiasi emozione, era emersa da un angolo completamente oscurato della Sala Grande e apparteneva a un Demone apparentemente normale. Alto all’incirca quanto Luxor, quindi almeno una decina di centimetri in meno di Goliath, aveva un libro tra le mani ed era vestito completamente di azzurro, con una tunica, un paio di guanti (unica macchia bianca del vestiario), stivali e pantaloni in pelle. I capelli erano di un nero più lucido di quello di Luxor e Goliath, portati anche molto lunghi al contrario degli altri due.
«Dorian, non mi aspettavo di vederti qui.» Nei suoi confronti, Luxor non aveva lo stesso sguardo ostile che rivolgeva Goliath ma neanche si era lasciato andare a esclamazioni stupite o impaurite come avevano fatto tutti i presenti, Goliath compreso.
Il secondo principe dei Demoni avanzò di qualche passo, con un sorriso dai mille significati e dei quali Luxor non ne comprese neanche uno. Non era il primo in linea di successione al trono, ma si vociferava fosse il più forte tra i principi. «Nostro Padre temeva poteste iniziare a lottare tra di voi, quindi mi ha mandato come semplice osservatore. Non parteciperò alla battaglia in nessun caso, ma sappiate si aspetta una vittoria schiacciante da parte vostra.»
Goliath annuì senza riuscire a dir nulla, mentre Luxor rimase impassibile. «Quali sono i piani di nostro Padre?» chiese.
«Non sta a me o a te conoscerli, Luxor, ma confido che tu tra tutti possa capire il motivo per cui la mia presenza qui fosse inevitabile.»
Luxor lanciò una rapida occhiata a Goliath. «Ho capito. Ti assicuro la nostra vittoria.»
Dorian sembrò gradire quella risposta. «Solo una cosa, fratelli.» Dorian li raggiunse al tavolo della mappa. «Luxor ha espresso un quesito interessante, la possibilità dell’intervento del Corpo Armato. Dovesse davvero palesarsi tale eventualità, nostro Padre autorizza ad agire come credete sia meglio per il controllo della Gran Bretagna e per il Regno. Ovviamente, anche io ho questa facoltà, qualora ritenessi necessario un mio intervento.»
Mentre Goliath annuiva, Luxor cercò di percepire qualcosa negli occhi privi di espressione di Dorian, senza alcuna fortuna. Capire il Re dei Demoni era impossibile per chiunque, ma anche Dorian sapeva essere enigmatico almeno quanto il padre e la cosa al Demone non era mai piaciuta; c’era qualcosa di sinistro in Dorian, ancor più che in qualsiasi altro Demone, come se oltre al benessere del Regno, fossero altri i suoi obiettivi.
Dorian li lasciò così, senza aggiungere altro e senza neanche una qualche parola di commiato, volatilizzandosi in una nube nera incurante del gelo che era scesa nell’intera sala. Goliath, Luxor e Dorian, tre principi dei Demoni in quel momento si trovavano vicini tra loro, sebbene molto diversi esteticamente e in quanto a forza; tre entità che superavano di gran lunga tutti gli altri della loro razza che non appartenevano a famiglie nobili. Possibile che la Gran Bretagna fosse così importante per il Regno da necessitare di tutti e tre? Luxor proprio non riusciva a capire.
Perché rischiare tanto in un assalto a Castel York? Più Dwight ci pensava, più la risposta sembrava sfuggirgli senza comprendere appieno cosa passasse per la testa dei suoi superiori. Lui era un soldato e come tale di domande se ne sarebbe dovute fare ben poche pensando solo a obbedire, ma gli sembrava un vero e proprio suicidio. Capiva che la riconquista della Gran Bretagna poteva essere di vitale importanza, ma si trattava sempre del dominio di un principe dei Demoni, sebbene minore come Goliath; pochi tra coloro che erano stati riuniti in fretta e furia per quell’assalto potevano vantare una forza tale da poter anche solo pensare di metterlo in difficoltà. «Inoltre i nostri numeri sono davvero esigui» commentò, guardandosi alle spalle i soldati che ormai pensava fossero solo stati mandati a morire.
Secondo le loro informazioni, Castel York poteva vantare circa mille Demoni e qualche centinaia di umani, mentre loro tra Angeli e Cavalieri dell’Ala a malapena raggiungevano le ottocento unità. Da quando avevano perso la Gran Bretagna e il Nord dell’Europa, anche ricevere rinforzi risultava fin troppo oneroso ed erano dovuti ripiegare nella vicina isola un tempo chiamata Irlanda, dove c’erano le ultime città fedeli alle truppe angeliche. Alla fine, molti avevano optato per chiedere asilo ai territori neutrali del Corpo Armato, dove erano sicuri che i Demoni non avrebbero attaccato per non rischiare di inimicarsi l’unica fazione di quella guerra a non essersi schierata.
«Non possiamo farci niente, abbiamo i nostri ordini» gli disse Camie che gli stava volando accanto. «E poi questa volta ci sei tu dalla nostra parte, forse abbiamo qualche possibilità.»
«Un singolo non può coprire un deficit di circa settecento unità, Camie.» Dwight non era convinto che la sua sola presenza avesse potuto fare la differenza, come invece sembravano pensarla tutti in quel manipolo di soldati. Con lui il morale era certamente migliorato e ben più di quanti si aspettasse avevano risposto alla chiamata del loro Generale, ma le possibilità di conquistare Castel York erano ancora troppo esigue.
«Smettila di lamentarti, Dwight.» La voce del Generale, che li aveva raggiunti, fece trasalire i due Angeli. «Gli ordini erano piuttosto chiari.»
«Scusatemi ma non riesco ancora a comprenderli» fu la risposta dell’Angelo mantenendo un tono di riverenza nei confronti del Generale. «Mi sembra solo che ci stiano mandando a morire.»
«Dwight, Camie, venite con me.» Il Generale, senza aggiungere altro, diede disposizioni a un Angelo di prendere la testa del gruppo e guidare gli altri, prima di allontanarsi con gli altri due al suo seguito, lontano da occhi e orecchie altrui. «Dwight, sai dirmi secondo te come si vince una battaglia?»
Sorpreso per quella domanda, Dwight iniziò a pensare a una possibile risposta. «Uccidendo o catturando chi comanda le truppe avversarie. Anche negli scacchi si vince mangiando il re avversario.»
Camie sembrò d’accordo, ma il Generale si limitò ad annuire senza mostrare apertamente se la risposta fosse stata giusta o sbagliata. «Indubbiamente, in quel modo si può vincere una battaglia, ma secondo te cosa rende una vittoria tale?»
Dwight non rispose, non capendo la domanda.
«Voglio che tu e Camie pensiate a una risposta e me la diate appena ce l’avrete. Non avete un limite di tempo per farlo.»
I due Angeli si guardarono interrogativi.
Il Generale sorrise. «Questo significa che tutti e tre dovremo sopravvivere per forza a questa notte.» Rise. Quando riuscì a tornare serio, nei suoi occhi sembrava ci fosse una vitalità che Dwight non gli aveva mai visto da quando aveva raggiunto la Gran Bretagna. Non conosceva il Generale prima del suo arrivo e non l’aveva mai incontrato quando la Gran Bretagna era ancora sotto il dominio degli Angeli; fin dal loro primo incontro, sembrava aver sempre ritenuto colpa sua le sconfitte subite a opera dell’esercito di Goliath e la tristezza in lui era palpabile, invece dopo averci parlato un po’ sembrava aver riacquisito vigore e sicurezza. «Dwight, sicuramente già ti hanno elogiato abbastanza per le tue qualità sul campo di battaglia, dunque voglio dirti solo un’altra cosa: da quando ti ho incontrato, ho subito capito che sei un bravo ragazzo. Ricorda sempre di non fare il mio stesso errore, non avere mai rimorsi qualunque decisione tu prenda.»
Dwight e Camie si guardarono senza sapere cosa dire.
Il Generale continuò voltandosi verso Camie. «So che voi due vi conoscete praticamente da sempre, Camie. Anche in tempi oscuri come questi è bello vedere un’amicizia come la vostra ed è triste che Angeli giovani come voi debbano spendere le loro vite sul campo di battaglia.»
Non disse altro, lasciandoli con troppi quesiti prima di tornare dai soldati e riprenderne la testa, mentre Dwight osservava le poche centinaia dei Cavalieri dell’Ala che seguivano da terra gli Angeli. Molti erano ragazzi appena ventenni, il più vecchio non poteva avere più di trenta o trentacinque anni. «È triste che anche umani giovani come loro debbano combattere una guerra che non li riguarda direttamente.» Le parole appena sussurrate non vennero ascoltate da Camie, che intanto lo aveva preceduto per tornare in formazione. Quella notte avrebbe piovuto, come se il cielo stesso avesse già preannunciato gli accadimenti futuri e fosse pronto a grondare lacrime.
Sfiorando l’impugnatura della spada che aveva al fianco, appartenuta un tempo all’uomo che considerava suo padre, Dwight iniziò a seguire Camie. L’ora della battaglia si stava avvicinando.
Un dolore al petto la fece trasalire, giunto inaspettato e con una forza tale da darle l’impressione di aver appena ricevuto una pugnalata, anche se non essendo mai stata colpita da un pugnale non poteva esattamente sapere cosa si provasse. Sybil aprì gli occhi di scatto, guardando le prime gocce di pioggia che avevano iniziato a cadere dal cielo coperto di nuvole. Aveva sempre trovato i giorni di pioggia molto tristi, ma quello in particolare aveva qualcosa di particolare che non riusciva bene a definire, come se da un momento all’altro dovesse succedere qualcosa. Sapeva benissimo che la sua era solo una supposizione senza nessun fondamento e che poteva trattarsi di semplice suggestione, ma non riusciva a togliersi quel pensiero di dosso. La piuma bianca trovata quel pomeriggio era posata sul comodino della sua camera, mentre continuava a guardare assorta l’esterno dalla piccola finestra accanto al letto.
Ripensò all’articolo che aveva letto appena uscita da scuola, a come si diceva che poteva esserci spazio per una riappacificazione con alcune città assoggettate ai Demoni. Lei non sapeva neanche cosa fosse la pace e oltre al conflitto tra Angeli e Demoni che era la guerra principale che in quel momento si stava combattendo su tutto il pianeta, aveva vissuto in un mondo dove gli scontri tra gli umani dei tre schieramenti erano all’ordine del giorno. Però, ora, sembravano iniziati alcuni contatti tra i Cavalieri dell’Ala nel Nord Europa e i Guerrieri dell’Abisso che le cui città stanziavano nei territori degli Angeli, quindi quelli che ancora non avevano provato la tirannia dei Demoni. Sebbene fosse una speranza molto blanda, in quanto le città che vivevano con il terrore dei Demoni difficilmente avrebbero acconsentito a una pace con gli altri due schieramenti, era comunque una piacevole occasione che non si era mai verificata in passato dallo scoppio della guerra. Da quanto aveva appreso, era stato il Corpo Armato a fare da mediatore e alcune città sarebbero dunque passate sotto lo stendardo di quest’ultimo professando la propria indipendenza dai due schieramenti. Sybil era certa che gli Angeli non avrebbero obiettato, sin dall’inizio erano stati proprio loro a chiedere aiuto senza obbligare nessuno ma i Demoni invece non l’avrebbero mai presa bene e per questo le trattative rischiavano di diventare fin troppo lunghe. L’obiettivo, comunque, era quello di estraniare completamente il genere umano dal conflitto tra Angeli e Demoni, questo era scritto chiaramente in quell’articolo, per consentire un qualcosa di molto simile alla pace.
Sospirò, portandosi una mano al petto dove aveva sentito quel particolare dolore di cui ignorava l’origine. Perché si sentiva così ansiosa? Cosa rischiava di accadere? Riuscì a ritrovare un po’ di calma solo guardando il braccialetto della promessa fatta a Crystal, ritrovandosi a volere la presenza forte e rassicurante della sorella vicino; Crystal era sempre stata la sua sicurezza, colei che la faceva sentire protetta; in quel momento le mancava come mai le era mancata negli ultimi sette anni.
Fu Luxor il primo ad avvistare l’avanzata dell’esercito nemico. Ancora molto distanti e rallentati dall’avere tra le loro fila i Cavalieri dell’Ala, avrebbero impiegato almeno un’ora prima di arrivare e altro tempo per prepararsi a quel disperato attacco.
«Non voglio prigionieri» sentenziò l’immagine incorporea di Goliath al suo fianco. «Non deludermi, fratello.»
Il modo in cui apostrofò l’ultima parola non piacque per niente a Luxor, che però non disse nulla dirigendosi verso Orion che stava dando le ultime disposizioni ai difensori umani. Da quello che sentì, Luxor capì subito che i Guerrieri dell’Abisso sarebbero diventati carne da macello, sacrificabili. Strinse i denti, mordendosi la lingua per non dire niente, non sapendo se Dorian fosse celato da qualche parte in ascolto. Orion era pur sempre un nobile, mentre lui pur appartenendo alla famiglia reale dei Demoni rimaneva comunque un semplice “protetto” del re, non aveva legami di sangue con nessuno dei principi, né con il sovrano in persona. L’unica cosa che gli aveva fatto guadagnare il rispetto di cui godeva, difatti, era la sua forza che eguagliava quella di molti nobili e principi.
Impugnò la pistola che lo aveva sempre accompagnato negli ultimi secoli, soffermandosi sul piccolo sigillo che si intravedeva in rilievo sul calcio. Quello era l’unica cosa che lo avrebbe potuto aiutare a identificare le sue origini, l’unica cosa rimastagli della sua scomparsa famiglia. Nelle biblioteche del Regno non aveva mai trovato niente di simile, né tra le famiglie nobili né in quella reale, come se la sua famiglia fosse stata interamente cancellata dalla storia dei Demoni. Doveva per forza essere nobile, solo la nobiltà aveva simili sigilli, ma oltre a ciò non sapeva nient’altro. «Lord Goliath ricorda che non dobbiamo far prigionieri» annunciò dopo aver finito di sentire il discorso di Orion, pieno di frasi come “ricordatevi che state dalla parte dei più forti” e “gli Angeli e i Cavalieri sono nulla paragonati a noi”, con alla fine il suo classico “sentitevi onorati di dare la vita per i gloriosi Demoni, un onore che spetta a ben pochi umani fortunati”. Quelle frase, in particolare l’ultima, fece ribollire il sangue a Luxor se ripensava a quanti umani erano morti per la causa dei Demoni, sicuramente molti più di “ben pochi fortunati”.
I tempi di attesa furono all’incirca quelli che Luxor aveva pronosticato. Mentre la pioggia continuava a battere incessantemente inzuppando l’uniforme da battaglia nera del Demone, il suono di un corno iniziò a riecheggiare tra le rovine della città di York, seguito dal fragore di un tuono e dall’urlò inconfondibile dei soldati pronti ad attaccare.
La mantella nera di Luxor continuò a ondeggiare all’alzarsi del vento, mentre le ali vennero dispiegate e il Demone si alzò in volo per osservare quale sarebbe stata la strategia del nemico. Le mura avrebbero fermato gli umani a terra, ma gli Angeli potevano volare come loro e per questo una barriera era stata eretta dai Praticanti per fermarli il più possibile all’esterno. Come avrebbero attaccato? La risposta non attardò ad arrivare e Luxor si gelò il sangue.
L’assalto sarebbe incominciato a breve, tutti sembravano fin troppo tesi e Dwight poteva ben comprendere che per molti umani doveva essere la prima vera battaglia. Scese a terra, mentre il Generale incitava gli Angeli rimasti in volo. «Avete paura?» chiese a un ragazzo che non aveva più di vent’anni.
Quello annuì, senza dire niente. Dwight non riusciva a capire se negli occhi del giovane stava vedere ammirazione o paura, forse entrambi.
«Non è sbagliato avere paura, è un sentimento che ci comunica la nostra vita.» Alzò la voce in modo tale che anche gli altri Cavalieri potessero sentire. «L’importante e non farsi dominare da essa, ma essere noi a controllarla. In una battaglia c’è sempre un vincitore e un perdente, c’è sempre chi sopravvive e chi muore, questa è la guerra, è inutile negarlo.» Fece una breve pausa, guardando a uno a uno gli occhi di quegli umani. Gli piaceva parlare agli umani, più di quanto gli piacesse fare i discorsi ai suoi simili. «Ma ricordatevi che oggi non dovete combattere per uccidere i Demoni o i Guerrieri dell’Abisso, non dovete combattere per conquistare Castel York dalle grinfie di Goliath, non dovete combattere sotto lo stendardo degli Angeli! Voi siete umani, voi oggi combattere per riconquistarvi la Gran Bretagna che i Demoni tiranneggiano!»
Dwight sapeva bene che non era del tutto vero quanto stava dicendo. I Cavalieri dell’Ala, per quanto fossero uno schieramento umano, combattevano al fianco degli Angeli e se davvero Castel York fosse caduto, il dominio britannico sarebbe potuto passare sotto gli Angeli, non certo tornare agli umani, ma in quel momento doveva trovare un modo per motivarli o sarebbero sicuramente morti tutti. Forse catturare Castel York neanche sarebbe bastato, c’erano altre fortezze nell’isola e dubitava di trovare Goliath tra le fila nemiche, ma poteva essere comunque un passo importante per un’eventuale riconquista. L’unica cosa che gli dava ancora da pensare era la strategia da adottare, di cui il Generale non gli aveva ancora parlato. Come avrebbero attaccato? Durante il tragitto aveva posto tale domanda all’Angelo, ricevendo come risposta soltanto un “vedrai” più alcuni semplici ordini. Lui non avrebbe seguito alcuna strategia, il suo unico compito era di trovare chi comandava le truppe nemiche e ucciderlo o catturarlo, facendo arrendere i difensori. Demoni e Angeli erano molto timorosi e rispettosi della forza altrui, se qualcuno era in grado di battere il loro comandante allora il più delle volte si arrivava alla resa. Non aveva altri ordini, poteva agire come meglio riteneva opportuno.
«Voi oggi non siete qui per “donare le vostre vite” ma per vendicarvi di quanto i Demoni vi hanno tolto! Voi oggi avete la possibilità, con le vostre azioni, di fare un passo verso la liberazione della Gran Bretagna dalla tirannia!» Concluse il discorso sguainando la spada dal fodero bianco e sollevandola verso il cielo, con un urlo che venne imitato dai Cavalieri, un grido che risuonò come un sol uomo mentre il corno degli Angeli cominciava il suo lamento, un lamento che per Dwight sapeva fin troppo di morte, sangue e guerra.
Il Generale lo raggiunse complimentandosi con lui per come aveva parlato ai Cavalieri, indicandogli infine la fortezza. «Contiamo su di te, portaci alla vittoria, Dwight.»
Dwight annuì, la pioggia che batteva incessante riempiendogli le orecchie e scivolandogli addosso sulle vesti da battaglia completamente bianche. Né Demoni né Angeli avevano in realtà uniformi loro, a differenza degli umani che erano vestiti tutti uguali con le divise dei loro schieramenti, ma Dwight tendeva a trattare quegli abiti come se fossero la sua divisa. Glieli aveva lasciati lo stesso uomo a cui era appartenuta la spada che stava impugnando. Si scostò una frangia bionda dalla fronte, pronto al segnale, che puntualmente arrivò dopo che le disposizioni date dal Generale agli umani. L’attacco era iniziato e Dwight in quel momento capì, rabbrividendo come mai aveva fatto in vita sua mentre aveva già iniziato ad avviarsi verso la fortezza. |