Mise en abyme

di MadLucy
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Primo anno ***
Capitolo 2: *** Secondo anno ***
Capitolo 3: *** Terzo anno ***
Capitolo 4: *** Quarto anno ***
Capitolo 5: *** Quinto anno ***
Capitolo 6: *** Sesto anno ***
Capitolo 7: *** Settimo anno ***
Capitolo 8: *** Chiusura ***



Capitolo 1
*** Primo anno ***


Primo anno.







La prima volta che Harry lo vide, non se ne rese nemmeno conto. Aveva appena trovato il binario nove e tre quarti, aiutato da una donna paffuta dai capelli rossi che si sarebbe rivelata, in un futuro dotato di strumenti per decrittare quel passato denso di simboli, la signora Weasley, e mentre osservava quella colonna di mattoni così magnificamente in grado di schiudersi intravide una figura della sua stessa altezza, con i suoi stessi capelli, in parallelo, sull'altro binario, immersa in un'identica folla brulicante, con stretta in mano una valigia di pelle come la sua. Per un attimo, gli parve che ci fosse uno specchio nel mezzo. Poi, dopo aver osservato uno dei fratelli Weasley sparire contro il muro e aver rivolto di nuovo lo sguardo al suo ipotetico riflesso, era svanito. Tante cose insolite erano successe nel giro di due giorni e non aveva il tempo per farci caso. 
La seconda volta –un po' una seconda prima– Harry e Ron erano stati condotti da Hermione alla Sala dei Trofei, dove la targa di una coppa d'argento recava il nome svolazzante di James Potter, un baldo Cercatore di Quidditch che doveva, in qualche misura, averlo amato. Harry era così assorto ad osservare la sua immagine disciolta e leggermente distorta nell'argento che non fu il primo a notarlo. Ron era voltato verso gli scudi, dove qualcuno li stava passando febbrilmente in rassegna tutti con lo sguardo, come il visitatore di un cimitero con le iscrizioni delle lapidi. Non era un adulto, era un bambino. Quando anche Harry si girò nella sua direzione, si accorse di loro e sembrò colto spiacevolmente di sorpresa. Aveva un taglio di capelli color bistro estremamente preciso e curato, liscio e compatto, con una frangia omogenea; Harry suppose che potesse addirittura pettinarsi. Anche la sua divisa, pur non nuova di zecca, aveva un'aria ben tenuta, senza pieghe e macchie sul mantello. Il viso aveva tratti fini e regolari e gli occhi erano scuri, con un taglio elegante e altero. Li bersagliò con uno sguardo ostile. 
«Ciao» disse Ron, perplesso.
Il bambino non rispose, li squadrò un'ultima volta con fastidio e uscì in fretta. Harry non potè fare a meno di domandarsi chi stesse cercando.
«Sono tutti pazzi in questo castello» commentò Ron quando riuscirono a liberarsi anche di Hermione. 
Durante quel primo anno, ci fu un ultimo episodio. Fu allora che Harry scoprì il suo nome. Un capannello di studenti rideva di una ragazzina di Tassorosso del primo anno che non riusciva a rialzarsi in piedi, impedita da una qualche forza misteriosa che Harry ipotizzò essere un fantasma. Hermione, però, dopo aver esaminato la scena, si diresse furiosa verso il ragazzino che avevano sorpreso nella Sala dei Trofei. Non sembrava per nulla coinvolto, anzi, se ne stava seduto nella nicchia di una finestra, le ginocchia raccolte al petto sulle quali era poggiato un volume consunto, e leggeva senza staccare gli occhi dalle pagine. 
«Smettila subito» sibilò Hermione con petulanza.
«Di fare cosa?» Il ragazzino non la degnò di un'occhiata. La sua voce aveva un tono cupo e acuto al contempo e un registro monocorde. Ora, da vicino, Harry notò lo stemma di Serpeverde che splendeva sulla divisa.
«Lo so che sei tu» rimbeccò Hermione, severa. «A farlo.»
«Non so di cosa stai parlando» ribattè lui, e adesso c'era una venatura di malanimo nella voce. 
«E io non so come ci riesci, ma smettila. Non è divertente.»
Il ragazzino finalmente la guardò, e quello sguardo era davvero strano. Aveva un'energia negativa che mise i brividi a Harry. Era poco infantile, fredda come la pietra. «È meglio se non ti immischi.» Il suo distogliere l'attenzione, a quanto pare, ebbe un qualche effetto che liberò dai tormenti la Tassorosso, che scappò via tra le risate generali. Hermione reagì alla velata minaccia stringendo le labbra fino a farle sbianchire dall'indignazione e girò i tacchi, costringendo gli amici a seguirla.
«Chi era quello strambo che metteva una strizza tremenda e stava per Maledirti sul posto?» le domandò Ron sconvolto quando si allontanarono. «E soprattutto, perchè ci hai attaccato briga?»
«Quello è Tom Riddle» tagliò corto Hermione, in difficoltà, «è un tipo in gamba, devo ammettere che ha un buon livello... ma non è la prima volta che fa del male a qualcuno di nascosto. La prossima volta vado a dirlo alla McGranitt. Non è giusto che la passi sempre liscia.»
«Lo denunci perchè non ti soffi il ruolo della secchiona della scuola?»
«Sei così ridicolo a volte, Ronald.»









 

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Capitolo 2
*** Secondo anno ***


Secondo anno





Dopo un fortuito incontro sulla soglia della biblioteca, Draco Malfoy li stava deridendo per la scarsa qualità di ogni possedimento della famiglia Weasley, gufo compreso, quando Tom Riddle spuntò da dietro un angolo, calato in qualche pensiero serioso, sottobraccio un libro (era l'unica persona, oltre a Hermione, che Harry fosse abituato a vedere quasi esclusivamente con un libro al seguito). 
«Diglielo anche tu, Riddle, che hanno la sfiga addosso» rincarò Malfoy, con un sorriso complice che Tom non intercettò. Invece prese posto al tavolo della biblioteca, le sopracciglia scolpite in un'espressione di risoluta indifferenza, e aprì il libro mettendosi a studiare. Harry pensò che lo stava facendo perchè molti di quelli sberleffi avrebbero potuto essere rivolti a lui stesso senza problemi: indossava e possedeva solo roba usata, anche se in buone condizioni grazie all'ordine e alla scrupolosità che contraddistinguevano Riddle ben più di Ron, il che faceva pensare che non appartenesse ad una grande casata illustre. Ma Malfoy non se la prese per quella presa di posizione oppositiva, si limitò ad accentuare il sorriso con imbarazzo, disorientato, e uscire dopo aver esibito un ultimo ghigno all'indirizzo di Ron. Dopo che Hermione ebbe raccolto i libri che le servivano, Harry lasciò che gli amici lo precedessero nell'avviarsi alla Sala Comune, e si trattenne qualche minuto in più. 
«Grazie per non avergli dato corda» buttò lì semplicemente, in piedi accanto alla sedia dove Riddle sedeva. Non sapeva proprio perchè, ma sentiva il bisogno di gratificarlo. Forse perchè, nonostante sembrasse non solo accettare ma caldeggiare il proprio stato con stoicismo, era sempre solo. Era un Serpeverde atipico. Di solito erano i timidi Corvonero i lupi solitari: quelli della sua Casa prediligevano i branchi. Harry lo capì, dicendogli poche parole. A stargli accanto anche solo per un momento si percepiva qualcosa che teneva gli altri previdenzialmente a distanza. Dietro quello stoicismo risiedeva, profondo, un marchio di inoppugnabile, repulsiva scontentezza. Ma Harry conosceva troppo bene l'infelicità per averne paura come di una malattia contagiosa.
Come aveva fatto quella volta l'anno precedente, Riddle non alzò la testa dalle pagine. «So quello che dicono di me alle mie spalle» mormorò, quando Harry ormai aveva perso le speranze per una risposta. «Non lo fanno in faccia perchè hanno paura.»
«Pensavo ci andassi d'accordo» mentì Harry. In realtà, era alla ricerca di un perchè. 
«Sono dei deboli» sentenziò Riddle con leggerezza. «Se sei venuto per dire qualcosa, dilla.»
Harry improvvisò. Le parole gli uscirono quasi di bocca, senza che potesse riflettere su quanto Ron e Hermione potessero essere d'accordo. «Ti va di venire al parco con noi domani pomeriggio? Non facciamo niente di che, un giro al Lago, andiamo a trovare Hagrid.»
Si ritrovò a sperare sinceramente che Riddle acconsentisse, ma era un passo più lungo della gamba. Nonostante ciò, non fu nemmeno un'offesa abbastanza bruciante da spingerlo a distogliere lo sguardo dal libro. 
«Il fatto che non mi vada di accompagnarmi a Malfoy e i suoi non significa che voglia accompagnarmi a te e i tuoi, Potter. Adesso raccogli la tua pietà e vattene.» Harry rimase ad osservarlo ancora per qualche istante prima di obbedire. Le lampade ad olio della biblioteca gettavano un riverbero di rame sui suoi capelli bruno-nerastri, lucidi come l'ala di uno scarabeo. Pietà non era esatto: era tenerezza quella che lo invadeva. Gli sembrava di vedere una specie di sè, attanagliato dalle angherie di Dudley, senza Ron e Hermione, e in più con un brutto carattere da trascinarsi dietro come una zavorra. 
La volta seguente era stata in una delle serre non in uso per le lezioni. Harry era lì per recuperare un ingrediente per la Pozione Polisucco, quando scoprì che qualcuno aveva già avuto l'idea di praticare attività illegali nello stesso posto. Riddle era seduto su una cassa e teneva sulle ginocchia, arrotolato alle gambe e alle braccia, un grosso serpente. Era troppo tardi per arretrare: Tom alzò la testa e lo vide. Parve allarmato nel suo solito modo aggressivo, come un animale sulla difensiva. 
«Che cosa stai facendo?» chiese Harry. 
«Gli affari miei» replicò Riddle innervosito. Non sembrava qualcosa di cattivo: il serpente gli lambiva le dita facendo scattare la lingua. Il ragazzino ne carezzò la testa. «Mi appartiene. Si chiama Nagini. Devo tenerla nascosta, però lei vuole uscire ogni tanto.»
«Perchè non hai scelto un altro animale?»
«Non è una questione di scelta. Noi abbiamo un legame» precisò Riddle, stizzito. 
Harry sorrise nel ricordare qualcosa. «Anch'io ho parlato con un serpente, il giorno del compleanno di mio cugino. Era nato in cattività e-»
«Non mi interessa.» Però il viso di Riddle parve attraversato da un'ombra di sospetto e curiosità. «Vedi di non dirlo a nessuno, altrimenti so dove trovarti.» Anche Nagini lo spiava torva dal grembo del suo padrone. Harry mantenne il segreto, persino con Ron e Hermione. Gli piaceva l'idea di aver conquistato un frammento di confidenza e ci teneva a rispettarlo. 
Poi una sera, rincasando dalla sala comune, udì di nuovo la voce. Rincorrendola a ritroso nei corridoi, s'imbattè, guarda caso, in Riddle, che come lui aveva tutta l'aria di ripercorrere un filo d'Arianna, e lo fissò con lo stesso sbalordimento. 
«Lo senti anche tu?» si stupì Harry. 
Sembrò seccato dall'insinuazione. «Sì, non sono sordo.»
Fu un bel sollievo. «Oh, grazie al cielo! Pensavo di essere pazzo.»
«Non balbettare» lo apostrofò Riddle. Harry stava per precisare che non balbettava affatto. «Perchè tu lo senti? Non sei nemmeno un Serpeverde.» Il suo tono era accusatorio e diffidente. 
«Non lo so!» protestò Harry, che avrebbe di gran lunga preferito non sentirlo e non accettava di doversene fare una colpa. «Dovresti essermi grato, sono la prova che non sei pazzo nemmeno tu.»
Riddle bofonchiò qualcosa. Non sembrava aver mai preso in considerazione questa possibilità. Allora fu Harry a insospettirsi. 
«Non è che sei tu l'erede di Serpeverde e mi pietrificherai?»
Riddle gli dedicò un'occhiata di desolato disprezzo, per fargli capire appieno quanto fosse stupido ciò che aveva detto. «No, non sono io.» Si avvertiva una certa delusione nella sua voce. «O se lo sono, non si è manifestato nessun segno per dimostrarmelo.»
«Oh, che peccato. Tutti impazziscono all'idea di essere visitati dallo spirito del vecchio Salazar che fa di te il suo erede ammazza-nati-babbani» ironizzò Harry.
Riddle roteò gli occhi al soffitto, esasperato. «Come sempre non cogli il punto, Potter. Comunque mi sa che è ora di tornarsene a letto. Non voglio essere messo in punizione perchè bazzico con te come succede a tutti i tuoi tirapiedi.»
«Io non ho tirapiedi, ho solo amici!» puntualizzò Harry. 
«Chiamali come ti pare.» Per la prima volta vide il suo sorriso, che si sarebbe potuto anche definire ghigno: superbo, sdegnoso e pungente. Ma Harry preferì considerarlo un sorriso. 
L'ultima volta che Harry aveva visto Tom era stato al banchetto di fine anno. Lui mangiava sempre poco, con aria distratta e concentrata al comtempo, la mente di certo altrove. Questa volta fu Tom stesso a cercarlo.
«Incredibile ciò che hai fatto là sotto, Potter. Sconfiggere un Basilisco non è affare da tutti.» La sua voce era contegnosa, come se volesse in un certo senso trattenere o attenuare quel complimento. 
«Come facevi a sapere che era un Basilisco?» La notizia era rimasta perlopiù nascosta, per non alimentare la cattiva impressione di Hogwarts che le famiglie si erano fatte in quei mesi. 
«Non sono completamente ottuso come pensi» lo liquidò Tom. «Quel diario... era davvero legato a Voldemort?» C'era un che di avido nella sua voce.
«Sì» ammise Harry. «Ma ora è stato distrutto.»
«Doveva essere un oggetto di incredibile potere. Mi sarebbe piaciuto esaminarlo prima che ciò accadesse» deprecò. 
I pasti si avvicendavano sulle grandi tavolate, i bicchieri si riempivano senza sosta, le luci danzavano ovunque e il soffitto atmosferico mostrava la nottata più ricca di stelle che si fosse mai vista.
«La magia è meravigliosa» si lasciò sfuggire Harry, sospirando. Gli sarebbe mancato tutto ciò durante l'estate. 
«Non c'è niente di meglio della magia» lo corresse Tom, ma lo fece rabbiosamente, come se precisarlo lo facesse soffrire in qualche modo. 
«Non sei contento di tornare a casa, vero?» intuì Harry. 
«Non ho nessuna casa» lo contraddisse Tom con durezza. «Sono in un orfanotrofio.» La sua voce ambiva all'imperturbabilità, senza successo.
«Mi dispiace molto» si limitò a dire Harry, senza lasciar trapelare della pericolosa e offensiva compassione. Non era sorpreso nel sentirlo. «Ma anche le case non sono sempre bei posti.»
«So tutto di te, Potter» lo interruppe Tom. Lasciò trascorrere qualche istante di silenzio, in cui osservarono la Sala Grande insieme. «La strada più difficile sarà quello che ci renderà ciò che saremo» concluse. Difficile capire qual era il sentimento che lo dominava in quel momento. 
«Ma non dobbiamo farci condizionare per forza. Possiamo decidere chi diventare» gli fece notare Harry. Il mago che era a Hogwarts aveva dimenticato, o almeno archiviato, il passato di Privet Drive come qualcosa che non gli era mai appartenuto davvero, e che gli faceva solo apprezzare di più ciò che aveva ora. 
«Forse.» Un sorriso sibillino e quasi sognante aleggiava sulle labbra sottili e diafane di Tom. «Io credo di avere già le idee chiare.»








 

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Capitolo 3
*** Terzo anno ***


Terzo anno



«Non c'è problema, signore» si fece avanti Harry, inaspettatamente, senza nemmeno aver deciso di prendere la parola. «Vado io a parlare con Riddle.»
Lo sguardo di Lupin si soffermò nel suo solo per un istante, senza l'ombra di alcun cattivo giudizio. «Benissimo, Harry, vai pure.»
Lo trovò seduto con la schiena contro uno dei pilastri del chiostro. A tredici anni, Tom sembrava già più grande della sua età. Gli zigomi alti avevano precocemente affilato le guance dal pallore alabastrino, cancellando la rotondità dell'infanzia inoltrata, il che lo faceva apparire non solo già adolescente ma anche bello, di un fascino crepuscolare e emaciato. Molte ragazzine gli circolavano intorno ridacchiando, ma lui le non le vedeva, e se lo faceva era per palesare il suo disprezzo. Persino in un momento di crisi emotiva riusciva a mostrare una facciata piena di dignità e Harry ne provò un po' di invidia. 
«Tutto bene?» domandò in modo del tutto inutile, per vedersi rivolgere un'occhiatina diffidente e un'alzata di spalle. Gli si inginocchiò accanto, senza fretta.
«Posso chiederti in cosa si è trasformato esattamente il Molliccio?» domandò, ancora confuso della scena a cui aveva asstito e l'uscita improvvisa di Tom dalla classe. «Era... eri tu? Hai paura di te stesso?»
Tom rispose severamente al suo sguardo, come se avesse detto un'ingenuità. «Era il mio fantasma» confessò infine.
«Il tuo...?»
Fece una pausa, ma cedette alla sollecitazione di spiegazioni ulteriori. «Sai cosa succede a chi ha una paura della morte sopra la norma? Non muore mai. Diventa un fantasma, un essere senza scopo, incapace di vivere e impossibilitato all'oblio. Diventa una perversione dell'esistenza.» 
Harry continuava a non comprendere. «Hai paura di diventare un fantasma?» 
Tom inarcò le sopracciglia. «Ho paura della morte, Potter, e so che quello sarà il mio destino. Perdere la vita a causa della paura della morte. È ridicolo, vero?» La sua voce aveva un'intonazione amara, ma soprattutto triste. Sapeva essere molto spietato soprattutto con se stesso. 
«Non è ridicolo, è solo un po'... complicato da capire» lo corresse Harry, gentilmente. 
Tom roteò gli occhi, sempre in prima linea nell'accusarlo di lentezza persino in un'occasione come quella. «Ho paura che la mia vita finirà prima che io le abbia trovato un senso per farla diventare rilevante. Così è più chiaro?»
Lo era solo in parte, perchè a Harry sembravano interrogativi non pertinenti alla sua età. Forse era a causa di un grado di intelligenza in difetto, ma non gli era mai passato per la testa di chiedersi una cosa simile. 
«Perchè la tua vita dovrebbe avere meno senso di quella di chiunque altro?» si stupì. «Tu sei... una gran cosa. Voglio dire, sempre meglio di me e Ron che ci siamo schiantati con una macchina su un platano pazzo e cose del genere. Tu invece sei... una persona seria. Ogni cosa che fai ti riesce bene.» Stava parlando con disattenzione, senza calibrare bene ciò che usciva, ma l'attenzione di Tom si appuntò scrupolosamente su ogni parola, come un professore che corregga un compito. La sua fronte, da aggrottata, si distese lentamente. Continuava a fissarlo e Harry non capì se stesse per insultarlo o schiaffeggiarlo.
«C'è davvero dell'arroganza dietro la tua fronte sfregiata se pensi che l'autostima di una persona possa dipendere dalle tue considerazioni su di lei, però... non manchi di parlantina.» Tom lo disse con estrema precauzione, come se avesse una portata pericolossima. 
Harry scrollò le spalle. «Grazie?»
«Prego.» Tom si alzò in piedi e riassettò alla svelta il mantello. «Me ne vado a imparare cose più importanti per conto mio. Dì a Lupin che sono in infermeria.» E in un attimo era di nuovo lui stesso, incapace di qualsivoglia forma di fragilità. Però, prima di allontanarsi, si fermò un'ultima volta. «Le nostre bacchette sono gemelle. Il nucleo ha la stessa origine. La stessa fenice. Lo sapevi?»
«Oh, io... no.» Harry ricordò che Olivander nel vendergliela aveva detto una cosa un po' diversa, ma non volle contraddirlo. «Come fai a capire il nucleo di una bacchetta?»
«È facile. Un giorno posso insegnartelo.» Erano passi avanti, anche se Harry dubitava fosse così facile. 
La volta seguente in cui si imbattè in Tom fu invece al di fuori di una lezione. Stava inseguendo il nome di Peter Minus sulla Mappa del Malandrino, quando Piton spuntò dal corridoio e glie la confiscò. Harry stava blaterando qualcosa sul fatto di essersi perso, e: «mi scusi, professore.»
Piton parve infastidito dalla sua presenza, che lo costringeva a distogliere il potenziale punitivo da Harry. Lo scrutò da capo a piedi, in cerca di indizi per capire il motivo per cui era lì. «Signor Riddle. Vedo che il disprezzo congenito di Potter per le regole è talmente contagioso da corrompere anche i più integri.»
«Faccio ammissione di colpa.» Tom sorrise gelido. «Sono venuto a riprendermi la pergamena che Potter mi ha sottratto senza il mio permesso.»
Piton brandì la Mappa del Malandrino in bianco. «Sarebbe questa?»
Harry fu ammirato dal modo in cui Tom non battè ciglio, con perfetta faccia tosta, come se avesse mentito con la stessa innocenza da quando era nato. «È un artefatto che utilizzo per impedire che i miei studi vengano letti da sguardi indiscreti. Lei mi capisce.» Aveva usato il tono giusto, allo stesso tempo di complicità, malizia e ritrosia, una miscela di cui Harry percepiva l'aroma persuasivo. Piton forse non fu persuaso, però fu costretto ad arrendersi per mancanza di prove. «Renderò la pergamena al proprietario, Potter, e tu te ne vai a letto con cinque punti in meno per aver infranto il coprifuoco e cinque per la condotta criminosa del furto. Hai qualcosa da obiettare?»
«Assolutamente no» rispose Harry, lanciando un'occhiata di ringraziamento a Tom. Il giorno dopo, nella Sala Grande, si diresse al suo posto con Hermione e Ron mentre faceva colazione.
«Ti trovavi lì per puro caso o mi stavi seguendo?» si sorprese. 
«Ti ho anche salvato» osservò Tom, senza negare, allugandogli la pergamena arrotolata. «È abbastanza goliardica nella forma ma come strumento è parecchio utile. Cerca di non fartela requisire di nuovo.»
«Sei riuscito a leggerla?» si sbalordì Harry ancora di più. Nemmeno Piton ci era riuscito. Tom assunse un'espressione di ironica enfasi, celebrando l'ovvietà di quel successo. 
«Posso chiederti che incantesimo hai usato?» si insospettì Hermione. 
«Potresti, ma ti toglierei tutto il piacere intellettuale di scoprirlo da te» la liquidò Tom. 
Ron, invece, parlò con più franchezza. «Quindi adesso stai dalla nostra parte o cosa?»
«Mi siete indifferenti.» Tom troncò la conversazione alzandosi di botto dalla panca. «Vogliate scusarmi.»
«Perchè deve sempre fare il misterioso?» brontolò Ron, mentre lo osservavano uscire dalla Sala Grande.
«Non lo so, ma può permetterselo» commentò Harry. 










 

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Capitolo 4
*** Quarto anno ***


Quarto anno




«È un tuo amico?» gli aveva chiesto Cedric dubbioso giusto un giorno prima. 
Harry aveva optato per una risposta criptica. «Se lo chiedessi a lui, ti risponderebbe senz'altro di no.»
«Allora spero che non ti offenda se ti dico che non lo sopporto. È un lecchino senza dignità con i professori e guarda tutti dall'alto in basso.»
Harry capiva come un ragazzo del quarto anno, quindi soltanto un quattordicenne, potesse attirare tanto odio: Tom era davvero troppo talentuoso, e questo, nonostante il suo comportamento, lo rendeva appariscente. Lo vide di sfuggita qualche giorno prima del Ballo del Ceppo; era intento ad evitare i branchi di ragazze di Serpeverde che lo spiavano avidamente, e si accingeva a guardarle abbastanza male da dissuaderle dall'invitarlo al Ballo. Aveva già mollato almeno tre rifiuti secchi e pubblici, che erano diventati barzellette circolanti in giro per il castello. 
«Bel lavoro con quel drago» disse Tom, con l'aria un po' sdegnosa che aveva sempre nel fargli un complimento. Ginny, che stava per attraversare il ritratto in quel momento, lo fissava; lui si girò per rifilarle un'occhiataccia che le fece cadere tutto quello che aveva in braccio, libri e piume. Ron assistette alla scena, truce. 
«Adesso la vera impresa è decifrare il messaggio per la seconda prova» sospirò Harry, speranzoso di un aiuto. Tom aveva quel genere di mente analitica predisposta allo svelamento degli enigmi, ne era certo.
«Non ho dubbi che uno che si è dimostrato pieno di risorse come te ce la farà» fu tutto ciò che ottenne. Soffocò a stento la delusione. 
«Ciao Tom, vieni al ballo con me?» esclamò una del sesto anno di Serpeverde alle sue spalle.
«No!» sbottò Tom senza nemmeno voltarsi, stizzito. Harry rise, mentre Ron rimase imbronciato.
«La prossima volta che vuoi dare buca a qualcuna, reindirizzala a noi.»
Tom gli dedicò uno sguardo che esprimeva con precisione l'entità del disprezzo che provava per loro. «Voi due dovreste andarci insieme e non coinvolgere nessuna disgraziata.»
«E tu, che disgraziata ci porterai?»
«Io» aveva sottolineato «non ci andrò.»
Invece ci venne, anche se in divisa e con nessuna intenzione di ballare; o meglio, Harry lo vide apparire proprio mentre stava pensando a lui, da un momento all'altro, in quel modo sinistro che gli dava un'aura di ubiquità.
«Che succede, Potter? È morto qualcuno?» lo sbeffeggiò nel vederlo pettinato e con una giacca elegante. 
«Simpatico.» Harry sbuffò. «A proposito, perchè Cedric Diggory ce l'ha con te?» Era un pensiero in qualche modo soddisfacente, che Tom potesse averlo umiliato in un'occasione –anche se Harry sapeva che era brutto pensarlo.
«Non saprei. Dev'essere perchè l'ho denunciato quel giorno in cui usava impropriamente il bagno dei Prefetti.» Tom simulò un'espressione meditabonda. «Con lui sono entrate almeno due ragazze e un uovo enorme. Non voglio sapere cosa sia accaduto dopo.»
Ma Harry non era interessato ai pettegolezzi sulle ragazze. «Un... uovo, hai detto?»
L'ultima volta del quarto anno fu nell'ufficio di Moody. Prima che Silente o chiunque altro fosse arrivato, Tom irruppe dalla porta e Schiantò Barty Crouch, a fiato corto. Si scambiarono uno sguardo di completo orrore, e Harry seppe che lui sapeva. Tom gli si avvicinò e gli alzò la manica, lì dove la pelle ardeva e la stoffa si era attaccata al sangue. La vista dello squarcio fu orribile come immaginava. Il sangue sembrava inchiostro e sgorgava dai bordi netti della ferita. La mano di Tom si sporcò e lui la ritrasse, atterrito. Harry non l'aveva mai visto così fuori controllo. Non ebbero bisogno di dire nulla.
Quando tutti gli altri invasero la stanza, Silente lo apostrofò: «tu cosa ci fai qui?» e Tom balbettò «ho sentito Harry chiamare aiuto.» Non aveva mai mentito così male. Harry gli rivolse la parola solo più tardi, quando la testa smise di vorticare. 
«Come facevi veramente a sapere che ero in pericolo?»
«Non lo so.» Tom era esangue in volto quanto lui. «È tutto l'anno che ho... intuizioni che ti riguardano e non capisco il motivo. La cicatrice, so quando ti fa male. E quando lui è tornato, l'ho sentito.»
Non rimase nient'altro che potessero dire. Harry avrebbe voluto avere delle risposte, invece aveva in mente solo l'espressione di Cedric una volta morto, e la ferita che continuava a bruciare. Vide Tom sfiorarsi l'avambraccio. Fu la prima volta che nei suoi occhi distinse la paura. Cosa avrebbe significato per lui, per loro, quella cicatrice nuova? Il giorno dopo si incontrarono in un'aula deserta.
«Le nostre bacchette» disse Harry «ti sbagliavi. Ce n'è un'altra con lo stesso nucleo.» 
«Cosa è successo quando si sono... incontrate?» sussurrò Tom. C'era una nota di ammaliamento impossibile da ignorare nella sua voce. Harry si afferrò la testa, che ancora pulsava malignamente. 
«Io... Solo io gli servivo per tornare. Gli ho offerto ciò di cui aveva bisogno su un piatto d'argento.» Era qualcosa di perverso, che lo faceva sentire sbagliato. «Ce l'ha fatta solo grazie a me. Glie l'ho permesso
«Non potevi saperlo.»
«Ha importanza?» sbottò. «Io sono il motivo per cui può continuare a vivere, riesci a capirlo?!» Tom spostò lo sguardo assorto in un punto indefinito nell'aria, facendo dei collegamenti.
«Ho sempre avuto l'impressione che tu fossi la chiave» mormorò tra sè. «Mai... prima d'ora... Una forma antica di magia, non controllabile...» Sembrava in uno stato di parziale coscienza.
«La chiave per cosa?» lo aggredì Harry. «Ti fa piacere che Voldemort sia tornato, lo speravi? Vorresti andare anche tu a giocare al mago oscuro con Codaliscia e il padre di Malfoy?»
Nell'udire quelle parole, Tom parve rinvenire. «Tu non sei l'unica persona coinvolta» obiettò, irrigidendosi. «Io credo, credo che lui cerchi di... entrare nella mia testa. Vuole qualcosa da me... Si intromette in ciò che penso. Alcuni pensieri non sono miei, sono i suoi, ma lui pretende che siano i miei. Lui... vuole... che io diventi come lui. Forse anch'io gli servo.»
Harry lo aveva già intuito, ma era la risposta che gli premeva. «E tu glie lo vuoi permettere?!»
Tom tacque per un po'. Quando parlò, la sua espressione era severa e volitiva. «Senti. Io e te siamo in questa situazione, che non comprendiamo appieno. Entrambi siamo stati costretti a dubitare di appartenere a noi stessi. Cerchiamo di uscirne... collaborando. Io non so chi voglio diventare, ma di certo non accetto che sia qualcun altro ad impormelo, Silente o Voldemort che sia.»
Harry era accigliato, ma annuì. «Posso fidarmi di te, Tom?»
Tom esitò, poi rispose con cautela: «Credo di sì.» Era il massimo che si sentiva disposto a promettere. Non si fidava nemmeno lui completamente di se stesso, Harry lo avvertiva e lo capiva. Anche tra di loro c'era un legame, ormai. 
 

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Capitolo 5
*** Quinto anno ***


Quinto anno





In quel periodo di isolamento, Harry si chiese come Tom avesse potuto farcela da solo per cinque anni. Per lui anche solo poche settimane trascorse ad evitare i suoi amici furono insostenibili. Cercare di parlarne e capire che c'era una barriera di incomprensione in mezzo lo fece sentire del tutto disarmato, colto alla sprovvista, come se si fosse svegliato parlando una lingua differente. Senza Ron e Hermione, la persona che era diventato non poteva reggersi in piedi. Però ebbe bisogno di riflettere per un po', prima di capire che la colpa non era di nessuno, che un compromesso poteva essere arrangiato e che la soluzione era la cosa che lo faceva stare bene; e durante quel periodo di pausa e straniamento da ciò che era familiare, ebbe davanti agli occhi il riflesso di Tom, pervaso dalla stessa inquietudine, e potè immergersi e immedesimarsi nella sua dimensione. Negli stessi momenti della notte in cui Harry si alzava e usciva a prendere aria, lo trovava insonne, scavato. Non avevano bisogno di descriversi a vicenda ciò che avevano visto. 
«Come farai a tirarlo fuori dalla tua testa per sempre?» mormorò Tom. 
«Spero che basti ucciderlo, ma ne dubito» rispose Harry stancamente. «Lui ha trasmesso... qualcosa... in me. Dei poteri, ma anche qualcosa di più...» Non gli venne un termine adeguato. L'unico era personale. Tom sembrava allarmato.
«Dico sul serio, Harry. Può leggerti. Sapere i tuoi punti deboli. Premere dove fa male.» Parlava come se questa letale facoltà fosse condivisa anche da lui. Aveva smesso di chiamarlo "Potter".
«Non è quello che ha sempre fatto?» ribattè Harry, rabbiosamente. 
«Devi provarci» insistette Tom. La faccenda sembrava innervosirlo. Pensi che se io ce la farò, sarai salvo anche tu? Credi che la nostra sorte sia appesa allo stesso filo? Vuoi che io scacci te dalla mia testa? Soffri nel dovermi invadere ogni notte?
«E tu? Come ci proverai?» lo provocò Harry. Sapeva che era irreversibile per l'uno come per l'altro. 
Tom mosse la testa come se fosse stato colpito. «Lui non è interessato a me.» Nagini sgusciava tra le sue mani, in quello che Harry interpretò come un gelido tentativo di conforto. Tom non aveva amici da evitare e con cui ricongiungersi. Non aveva nulla a schermarlo da quell'oscurità. Non aveva un motivo per cui valesse resistere, e Harry, per la prima volta, capiva; capiva il piacere e l'abisso dell'abbandono, che si profilava come un'uscita di sicurezza, con il suo sinistro, accattivante richiamo. «Tu invece sei interessato a lui?» Era la prima volta che Tom glie lo chiedeva, e Harry sentì una punta di rimorso. 
«Cosa intendi dire?»
«Mantenere questo contatto mentale, ti... dà soddisfazione, in parte. Anche se non osi ammetterlo con gli altri.» Lo sguardo di Tom sapeva sempre coglierlo in fallo. 
«Ho bisogno di conoscerlo il più possibile, di pensare come lui per avere un vantaggio e pareggiare quello che lui ha su di me. Ormai tentare di stargli lontano è impossibile, non mi resta che avvicinarmi abbastanza da scoprire i suoi segreti.» In verità era un'esigenza. Anche fisica, in qualche modo, sì. «Voglio usare questo legame contro Voldemort.»
«E cosa succederebbe se scoprisse quali persone deve uccidere per farti diventare come lui?» Il modo in cui Tom parlava non sembrava affatto presentarla come un'ipotesi.
«Se capisci com'è essere amati, non torni indietro. Non diventerei mai come lui, nemmeno se uccidesse tutti quelli che amo» replicò Harry con sicurezza. «Lo farei per loro.»
Quello che non osavano dirsi, ma che galleggiava silenzioso tra loro, era: e se fosse anche lo stesso motivo per cui Harry ricercava Tom, e Tom ricercava Harry? Se l'origine della loro vicinanza fosse il fatto che entrambi condividessero misteriosamente quel vincolo? Se fosse stato Lord Voldemort ciò che li univa, quanto poteva essere giusta quell'unione, quanto sana quell'intimità?
Nei giorni seguenti, Harry trovò sollievo nel sedere accanto a Tom: quando lo faceva, nessuno si soffermava a guardarlo di storto o ridergli in faccia. Allo stesso tempo si sentiva in colpa nell'usare la sua reputazione a proprio vantaggio.
«Mi dispiace che la gente faccia così con te. Non è giusto» commentò, nel vedere che il tavolo della biblioteca dov'erano seduti rimaneva vuoto.
«No, invece va bene» lo contraddisse Tom. Harry sospettò che quella risposta fosse una costruzione deliberata, frutto di autoinganno.
«A nessuno può piacere essere uno spauracchio.»
«Preferisco il termine minaccia.»
Harry abbozzò un sorriso. «Con quegli stivaletti? No, sei proprio uno spauracchio, Riddle.»
«E tu sei un idiota.» Però intanto rideva.
Poco dopo, Luna si accostò al loro tavolo. «Posso sedermi qui?»
«Oh, certo» rispose Harry. Tom le rifilò uno sguardo ostile, ma lei non si lasciò dissuadere. «C'è qualcosa di estremamente positivo in te, Tom. Come una vibrazione. La stessa che mi danno i primi fiori di primavera» osservò assorta.
«Ma davvero» mugugnò Tom, imbarazzato e risentito.
«Sì... Qualcosa come un nuovo inizio.» Quando chinò la testa su un libro, Harry gli scoccò un'occhiata eloquente. Tom la evitò accuratamente. In seguito, aiutò anche lui, Hermione e Ron nel redigere il programma dell'addestramento dell'Esercito di Silente, pur non partecipando in prima persona, in parte perchè ne sapeva quanto se non più di loro, ma anche perchè temeva che la sua presenza avrebbe scoraggiato quella degli altri partecipanti.
Hermione era contenta di avere un aiuto competente. «Ci vuole sicuramente l'attacco e difesa di base, Disarmo, Schiantesimi, Sortilegi Scudo, Incantesimo di Ostacolo...»
«Incantesimi di Appello e Esilio.»
«Incantesimo delle pastoie.»
«Levicorpus.»
«Incanto Patronus, è fondamentale.»
«... Confundus?» 
«... l'incantesimo di memoria?» I due si guardarono dubbiosi, infine Tom scosse il capo con disdegno. 
«No, quello è troppo per la plebe.»
«Sì, hai ragione» ammise Hermione costernata. 
«Non mi piace» bofonchiò Ron, cupamente, «non mi piace affatto.»
«Invece di prendertela con me, cerca di essere più carino con la tua fidanzata» lo fulminò Tom, infastidito da quella gelosia senza fondamento. I due ebbero un bel negare veementemente, ma lui si limitò a scambiare uno sguardo esasperato con Harry. 










 

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Capitolo 6
*** Sesto anno ***


Sesto anno

 



Harry rinvenne dal Pensatoio e vi si aggrappò al bordo per qualche istante. Doveva semplicemente prendere coscienza di qualcosa che non aveva mai smesso di temere, in un anfratto della mente. Silente sostenne con pazienza il suo sguardo pieno di frastornamento.
«Cosa significa tutto questo?» sussurrò.
Il preside intrecciò le dita davanti a sè, guardando leggermente verso l'alto, com'era solito fare quand'era intento in qualche riflessione intrigante. «Sarei interessato ad ascoltare le tue congetture.»
«Ma, voglio dire... È un'incongruenza temporale, no?! Ce l'aveva detto lei che erano pericolose.»
«Oh, lo sono senz'altro.» Eppure Silente non sembrava preoccupato.
«Non ha mai pensato che potesse essere un... piano di Voldemort?» L'idea gli faceva ritorcere le viscere, ma non lo si poteva escludere.
«Ovviamente, Harry, dal primo momento in cui ho visto nella Sala Grande lo stesso bambino che io stesso andai a recuperare da un orfanotrofio londinese cinquant'anni prima... Capirai che presi in considerazione diverse ipotesi per spiegarlo e diverse soluzioni su come affrontarlo.» Silente passeggiò nello spazio del suo studio, fino a fermarsi davanti al trespolo di Fanny. «... però impiegai poco tempo a capire che quel bambino non solo non possedeva la minima cognizione del fatto di essere un doppelgänger temporale, com'era presumibile, ma non aveva nulla a che vedere con Lord Voldemort.»
Harry non lo contraddisse e tacque. 
«La domanda fondamentale smise di essere chi abbia rimandato qui Tom, come lo abbia fatto e perchè. A questo punto, mi sono chiesto... se non si tratta di un piano architettato da Voldemort –e, in un certo senso, anche se lo fosse– potrebbe mai rivelarsi un espediente i cui scopi sono molto più luminosi?» Fanny becchettò dal suo palmo qualche chicco.
Harry cercò intensamente di trovare il bandolo della matassa offertagli. «Secondo lei... il fatto che Tom sia qui... potrebbe essere usato contro Voldemort?» 
«È esattamente quello che credo.» Silente si appoggiò alla propria scrivania sopraelevata dai gradini. Harry lesse ciò che il suo sguardo limpido gli suggeriva.
«Ma non... dal punto di vista del potenziale magico.»
«Questo è ciò che avrebbe potuto escogitare Voldemort. Però, se lo scopo ultimo fosse stato creare un altro Signore Oscuro gemello del primo, ammetterai che sarebbe stato allestito con parecchio pressapochismo e non corrisponde al suo modo di agire.»
«Tom è diverso. Perchè non farebbe mai le stesse scelte.» Harry ascoltò il suono della propria voce con un misto di stupore e crescente eccitazione. «Il che significa che avrebbe sempre potuto farlo anche Voldemort.»
Silente si limitò a sorridere. 
Harry deglutì e si leccò le labbra. «Signore, ho ancora una domanda.»
«Penso di conoscerla, ma ponila pure.»
«Cosa accadrà se Tom e Voldemort si incontreranno?»
Silente accarezzò la testolina di Fanny, che si era aggrappata alla sua mano annerita. «Non te la prenderai, Harry, se citerò una profezia che ti riguarda da vicino. Posso soltanto supporre che nessuno dei due possa vivere se l'altro sopravvive.»
Quella stessa notte, secondo la logica ormai interiorizzata per cui la loro mente era sintonizzata sulla stessa frequenza, Harry seguì l'intuizione che lo condusse alla Stanza delle Necessità. Lì dentro, Tom stava scrutando la superficie di un grande specchio. Harry realizzò due cose: che se era stato in grado di trovare la stanza significava che Tom aveva anche bisogno che lui la trovasse, e, allo stesso tempo, che ciò di cui Harry aveva bisogno era la medesima cosa; e che quello era lo Specchio delle Brame. Avanzò fino ad affiancarlo, sbirciando sulla superficie ossidata e salmastra, quella che da piccolo gli appariva come una porta dal vetro molto sporco, e che ora sembrava come la superficie del Pensatoio, una membrana volubile permeata di sogni che potevano entrare e non potevano uscire. James e Lily gli sorrisero da lavvia con familiarità, come se lo facessero ogni giorno. 
«Da quanto lo sai?» mormorò Tom. I suoi occhi erano bui. 
«Forse da sempre, in qualche modo» replicò Harry, sommessamente. «È diventato un sospetto reale al cimitero di Little Hangleton. Poi, le visioni...»
«Perchè non l'hai detto a qualcuno?» l'apostrofò Tom, inquietato da una strana collera. «Perchè non ti sei allontanato da me?»
«Perchè non c'è niente di cui avere paura, Tom. Tu non sei Voldemort.» Quando pronunciò quel nome, Tom ebbe qualcosa a metà tra un fremito e un sussulto. Harry insistette. «Lui non ha mai potuto toccarmi prima del cimitero, invece tu sì, da sempre. Sai cosa vuol dire, vero? sei sveglio. Tu non sei ancora Voldemort.»
Quella verità congelò l'aria in mezzo a loro, come se non potesse più esserci un movimento, un suono, senza che tutto andasse in frantumi.
«Ma una volta lo sono diventato! Come puoi fidarti di me?» sbottò Tom. Harry riusciva a capire perchè gli facesse così male. 
«Chissà quanti potenziali destini ciascuno di noi ha sfiorato, e chissà quanti sono oscuri» obiettò, scrollando appena le spalle. «Tu al contrario degli altri conosci il tuo. Ma proprio perchè lo conosci ti è del tutto chiaro che puoi fare una scelta. Che devi farla.»
Tom cercò il minimo indizio di reticenza nei suoi occhi, ma fallì. Allora tornò a concentrarsi sullo specchio. Harry si chiese cosa vedesse. Qualsiasi cosa fosse, lo riempiva di malinconia. 
«Non è vero. Non esiste nessuna scelta» bisbigliò a mezza voce. «Non potrei mai diventare ciò che lui è, non qui e ora.»
Harry ne era già sicuro, e sorrise debolmente. «Capisci perchè non ho paura di te?»
Tom si voltò di nuovo di scatto, lo sguardo di nuovo affilato. «C'è una parte di lui in me.» Aveva il tono di un avvertimento. 
«C'è una parte di lui anche in me.» Harry sentì gli occhi inumidirsi sotto le ciglia. «Siamo in due.»
Ci fu di nuovo silenzio per un po', ma uno morbido, come una coperta di velluto nero, come il tetto di Hogwarts che li sovrastava e avvolgeva. Tom sfiorò la superficie dello specchio, con un misto di nostalgia e stupore. 
«Credevo che nulla mi facesse più paura di non avere un motivo per vivere. Ma quello...» L'indice si staccò dallo specchio e l'ombra della condensa si spanse fino a svanire. «Se solo lo trovassi del tutto estraneo da me, Harry, sarebbe tutto più facile. Ma...»
«Lo so» intervenne Harry, un nodo doloroso in gola. «Lo so.»
Poi non dissero più niente.







 

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Capitolo 7
*** Settimo anno ***


Settimo anno 






Il letto della vecchia camera da letto di Dudley non gli era mai sembrato stretto: suo cugino aveva tutta un'altra stazza rispetto a lui, e uno a sua misura per Harry era più che comodo. Però, certo, in due era un'altra storia. Tom era snello, ma non magro quanto lui. Nonostante a undici anni le loro figure fossero state speculari, l'adolescenza gli aveva donato un torace più ampio e solido, che la divisa di Hogwarts fasciava con smaccata eleganza. Eppure era Harry quello che faceva sport. Però non c'era il minimo spazio per l'invidia da parte sua: non l'aveva mai provata nei suoi confronti, soltanto ammirazione, ora svaporata in uno stupore beato e placido, quasi insonnolito nella conca di quel piacere. Era strano che Tom fosse lì, a Privet Drive; aveva osservato quegli ambienti per Harry sgradevolmente familiari con una cura quasi scientifica, come per capire appieno, respirare la storia che vi si era svolta all'interno, che sembrava in grado di far essudare dalle pareti, di udire dal pulviscolo. Sbirciò anche nello stanzino delle scope, e nello scorgere i soldatini sulla mensola impolverata Harry lo vide fare un sorriso pieno di freddezza e disprezzo, mentre un lampo di odio gli passava nello sguardo come un velo di Dissennatore. Harry immaginò che si trattasse dell'ennesima analogia tra loro, l'infanzia che aveva cercato di farsi largo e germogliare in mezzo alla contaminazione dell'infelicità. Dovevano esserci dei vecchi soldatini abbandonati all'incuria di una brutta casa anche nella vita di Tom. 
«Quel giorno, la prima volta che ci siamo visti» gli disse, a notte fonda, mentre Harry cercava di prendere sonno al ritmo dei tonfi del suo cuore grande, pesante, ma gli occhi di entrambi erano socchiusi nel buio. «Su quelle targhe stavo cercando il nome di mio padre.»
«L'avevo immaginato» rispose Harry a mezza voce. Lui era lì a fare la stessa cosa, solo che l'aveva trovato. Tom no. La sua pelle bianchissima irradiava un pulsante magnetismo, non privo di un pizzico di fastidio, come una corrente elettrica sottocutanea, una vibrazione di scossa. La sensazione di avere una spina nella carne che duole un po'. Ma Harry la ricercava disperatamente. 
«Quando ho scoperto di mia madre, avrei dovuto sentirmi orgoglioso. Invece ero così arrabbiato, Harry. Così furioso. Sarebbe stato più confortante il pensiero che fosse solo una misera babbana, ma era un strega, era una strega e non ci aveva nemmeno provato, non ce l'aveva fatta.» Tom inghiottì il respiro a fatica. «Io lo capisco. Non posso fare finta che non sia così. Lui era ciò che io ero. Lo giustifico, forse. Non riesco a sentirmiindignato da lui. Sono solo...» Inorridito? Disgustato? Impietosito? Harry comprese i termini tra cui era combattuto e che si agitavano nella sua mente. 
«Anche io lo capisco e so quanto sia doloroso vedere se stessi in lui, e ancora di più lui in se stessi» affermò con decisione. «Ma questo non ti deve... intimorire. Noi possiamo essere diversi. Ne abbiamo la forza. E siamo insieme.» Gli era costato coraggio pronunciare quell'ultima parola, così come gli era costato scrivergli per lettera che aveva bisogno di vederlo prima che tornasse ad Hogwarts, e così com'era stato un pericolo immenso sbilanciarsi a baciarlo sulle labbra, solo perchè all'improvviso lo voleva più di ogni altra cosa. 
«Sì, tutto converge su questo, non è vero? Tutto si riduce a questo.» Il tono di voce di Tom era indefinibile, insieme a un sorriso sospeso, quasi etereo. 
«Sì, credo che sia una cosa non da poco» bisbigliò Harry, senza fiato. Si sentiva proiettato in un'altra realtà siderale, piena di luce abbagliante, in grado di cancellare i confini. All'improvviso Tom aveva smesso di essere qualsiasi cosa fosse di non familiare, aveva perso il volto e il nome che aveva per il resto del mondo, ed era rimasto solo quel loro contatto, liminale, estremo. Harry sapeva quanto sforzo e dolore e pressione fosse necessaria affinchè Voldemort possedesse la sua mente, ma non era paragonabile a questo. Era una passione così viscerale, così irrimediabilmente interna e imperscrutabile, che non riusciva a distinguere quanta purezza e quanta oscurità ci fosse, o se avesse un senso considerarla bene o male. Di certo era piacevole, ma in un modo in cui, Harry lo sapeva, non avrebbe dovuto indugiare. 
Ma Tom era così bello, e la notte così quieta.
«Dovrei venire a cercare gli Horcrux con te.» Lo disse amaramente, come se fosse già un'opzione inattuabile. 
«No. Ho bisogno che tu sia a Hogwarts. Così... potrai mostrarmi quello che sta succedendo. Reperire informazioni.» Harry stava imbastendo scuse. 
«Cerchi di rimandare il momento in cui ci incontreremo.» Non serviva che Tom specificasse di chi stava parlando. «Ma accadrà, lo sai?» accennò con un misto di malizia e malinconia.
Harry ascoltò ancora i rintocchi del suo cuore rassicurante. «Desideri che accada?» Il silenzio delle pause aveva quasi una consistenza tra loro, un sapore.
«Penso che... sia necessario. Almeno una volta.» Il suono della sua voce, carezzevole e tagliante al contempo, percorreva la sua spina dorsale nuda, così come le sue dita, ora ferme sulla sua schiena, avevano tracciato linee sconosciute su di lui. 
Harry cercò di distanzarsi dalle sensazioni del corpo, che ora erano molto più reali e concrete del contenuto della mente. «Non pensi che sia rischioso? Insomma, se questo è davvero un paradosso temporale...» Silente non era stato chiaro a proposito delle cose orribili che succedono ai maghi che si intromettono nel tempo; ma d'altronde non erano stati loro ad avviare il gioco. 
«Eppure, perchè tutto questo avrebbe dovuto avvenire, se non affinchè ci incontrassimo? Affinchè lui vedesse me?» 
Harry non seppe contraddirlo. «Potresti impazzire.»
«È una condizione familiare» ironizzò Tom. «Saprò gestirla.» No, Tom, tu non sei mai impazzito davvero, altrimenti non sarei tra le tue braccia, pensò Harry. Provava un bisogno struggente di difendere quel Tom; suo, in quella notte aliena, o congelato in un'istantanea come suo. Con la sua pelle diversa, cerea e salmastra, dal tocco elettrico. Eppure, anche se tutto appariva fuorchè quello, vulnerabile, cangiante. Pronto a svanire via come un precario raggio di luce. 
«Non voglio che tu venga con me, certo, ma se tu avessi, ecco, dei suggerimenti... Capisci, Silente pensava che gli Horcrux e i nascondigli andassero ricercati nel suo passato. E voi avete lo stesso passato.»
Dal prolungamento del suo silenzio Harry temette di avere esagerato nel chiedergli di pensare a tutto questo, ma diversi momenti dopo Tom parlò come se nulla fosse. «Siete già stati nella grotta e a Little Hangleton. Un anello e un medaglione che rimandano a Serpeverde... Potrebbe essere andato in cerca di qualche altro cimelio magico. E poi... Anche lui ha un serpente, giusto?»
Harry chiuse gli occhi e si limitò a baciargli una spalla. Voleva limitare il più possibile quel genere di parole tra di loro. Quando era sul punto di addormentarsi, però, la voce di Tom risuonò desta e nitida nell'aria tersa della notte estiva che entrava dalla finestra aperta. 
«Il mio cambiamento sei stato tu, Harry Potter. Questo ti permette di detenere un potere su di me, che in un certo senso mi attrae verso di te e che, d'altro canto, non riesco a tollerare. Non ci sono abituato, tutto qui.» Solo per un solo attimo gli fece venire la pelle d'oca, perchè in quel momento assomigliava più a lui che a se stesso. C'era sempre una parte che prevaleva.
«Il tuo cambiamento sei sempre tu, Tom» gli rammentò Harry, morbidamente. «Tante cose avrebbero potuto cambiare Voldemort. La presenza di un padre, la sopravvivenza di tua madre. La crescita in un posto... migliore. L'amore in qualsiasi altra forma.» Credeva, di nuovo, di aver esagerato. Con lui era sempre come camminare sul vetro.
«Non dovresti parlare di amore se non conosci fino in fondo l'entità delle conseguenze che ne potrebbero scaturire.» Il tono di Tom era più duro, e ancora diffidente. I dubbi che aveva in testa erano semplici e rispecchiavano i suoi. Ma è vero? Potrebbe mai essere vero?
Harry rispose di getto. «Non si conosceranno mai davvero queste conseguenze. Si può solo amare e basta.»
«Quindi tu mi ami e basta?» Era raro che Tom fosse così diretto, e Harry non se l'aspettava di certo ora. Lo fece con una certa lapidaria brutalità, come se provasse piacere nel metterlo spalle al muro di fronte a quel bivio. Una lama sulla gola. Sì o no? Harry capì che sarebbe bastata l'esitazione di un secondo per ridimensionare tutto. Ma non venne. 
«È difficile parlarne a voce» mormorò. S'inabissava di nuovo tutto nella pelle, nel dialogo della carne, nel buio inarticolato. In quel pozzo nero e bellissimo. 
«Allora mostrami» sibilò Tom. Harry obbedì. 







 

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Capitolo 8
*** Chiusura ***


Chiusura.






«E quindi è così che deve andare» biascicò Harry. Appena riemerso dal Pensatoio insieme a lui, Tom annuì quietamente. Non sembrava sorpreso, solo assorto.
«Verrò con te» disse soltanto. «Ci andremo insieme.»
Harry non fu in grado di dissuaderlo, nè ne provò il desiderio. Sentiva che quella non era solo la sua, di resa dei conti, e aveva un bisogno attanagliante di averlo al proprio fianco. Anche solo camminargli accanto era ancora un soffuso, amaro piacere, che se socchiudeva gli occhi poteva rimandarlo alle prime volte che lo avevano fatto in quei corridoi. La sua calma gli infuse un'artificiale apatia, che disinnescava il panico e sommergeva, quasi, in una torbida stasi mentale. Il silenzio era stato sotto varie forme tra loro, e adesso era liquido. Mentre in Sala Grande si disponevano i corpi dei caduti, scesero le scalinate deserte di Hogwarts, occupate solo dalle macerie dei combattimenti. Quando Hermione e Ron gli vennero incontro, Harry li abbracciò come se avvenisse da lontano. Si sentiva già espropriato del corpo, desensibilizzato, e persino quel contatto parve un prendere le distanze. Tom rimase in disparte, e quando i suoi amici lo notarono non commentarono. C'era qualcosa di naturale, di intuitivo, nel fatto che ci andassero insieme. Harry riuscì a passare avanti, senza farsi devastare dai singhiozzi soffocati di Hermione. Il suo cuore fantasma si contraeva appena nel petto, allentato, aereo. Si era originato un distacco tra la pellicola delle emozioni e lui stesso. Era, necessario, si disse, per completare quel cammino. Ma capì che non era sufficiente, quando il freddo della Foresta Proibita gli carezzò la pelle. La sua mano sgusciò delicatamente dentro quella di Tom, inerte e abbandonata.
«Se lui morirà stanotte, cosa succederà a te?» Era la supplica di una rassicurazione, o un lamento, piuttosto che la pretesa di una soluzione. 
«Non lo so» rispose Tom, asciutto. «Non so nemmeno cosa succederà a te.» Chiuse la mano intorno a quella di Harry, assertivo. 
«Voldemort non accetterà la tua esistenza. Sei la prova che ha sempre avuto torto, che tutto poteva essere altrimenti.» Chi avrebbe mai potuto desiderare di essere Voldemort, se avesse potuto essere Tom?
«Altrimenti, ma fino a che punto?» Lo sguardo di Tom era opacizzato. «Non riesco ad immaginare un futuro per me e te. Dopotutto, è stato lui a unirci. Sarebbe ragionevole che allo stesso modo ci separasse.» Harry si teneva stretto alla speranza della bellezza di ciò che provava, ma doveva chiudere gli occhi davanti alla realtà per vedere ciò che voleva. 
Quando il Boccino si schiuse sotto le sue labbra rivelando la Pietra della Resurrezione, d'impulso, la allungò prima a Tom. Lui aveva già visto Lily e James, nelle fotografie, nello Specchio delle Brame, quel giorno al cimitero, ma era certo che Tom non avesse volti da associare ai suoi nomi. Non riuscì a respingerla in tempo, posata sul suo palmo. Se avesse potuto vedere quello che vedeva lui, Harry avrebbe distinto la sagoma densa e argentea di una donna minuta, avvolta in un abito modesto, con il viso affilato e due bande di capelli scuri sulle spalle. Non era bella, ma la tenerezza che i suoi occhi umidi esprimevano la rendeva luminosa. 
Tom non riuscì a fare altro che contemplarla, quasi oltraggiato dalla sua vista; le alette del naso fremettero, e Harry sentì la mano stringere forte la sua. Nel suo sguardo si leggeva tutto ciò che non espresse a voce: rifiuto, risentimento, quasi odio. Lo spettro di Merope Gaunt chinò il capo.
«Lo so, hai ragione» mormorò. «Non sono e non sarei mai stata degna di essere tua madre. Ero debole e non ti ho difeso da nulla. Non potrai mai odiarmi come mi odio io, Tom. Tom...» Gli sfiorò uno zigomo, con fervente devozione. «Sei così bello. Sei... più bello di lui.» Nel vedere la reminiscenza di sua madre stillare lacrime per lui, Tom riconsegnò la Pietra a Harry, mortalmente pallido. 
Non gli fece nessuna domanda. Dopo l'apparizione di James, Lily, Sirius e Remus, non restava che un ultimo tratto di strada. Le loro mani erano ancora allacciate.
Nella radura, i Mangiamorte si erano dileguati; Voldemort sembrava aspettarli. Quando i suoi occhi rettili si posarono su Tom, non vi si soffermarono a lungo. Lui sa, pensò Harry. Invece, lo sguardo di Tom era sgranato, qualcosa che non seppe se interpretare come feroce eccitazione o completo terrore. 
«Benvenuti, amici miei» proclamò Voldemort, con manieroso sarcasmo, aprendo le braccia. «Vi siete presentati e non solo, mi onorate anche della splendida visione della vostra patetica allenza. Uno scarto cronologico e un parassita del mondo magico. Questa sarebbe la tua arma finale, Harry Potter? Una versione larvale di me?»
«Come facciamo a coesistere, io e te?» La voce di Tom risuonò imperiosa. «Dimmelo.» Harry comprese che si stava sforzando di non apparire impressionato, ma la mano tremava impercettibilmente.
Voldemort ghignò con indolenza. «Voi non potete saperlo, ma questa è la seconda volta che stiamo vivendo questo momento.»
«Cosa intendi dire?» lo apostrofò Harry. Notò Nagini strisciare tra l'erba, nel buio. 
«Sapete, ho imparato dai miei errori. Mi hanno detto che ignoravo l'amore e di conseguenza ne sottovalutavo il potere. Questo mi ha dato di che riflettere. C'era una frazione di verità, senza dubbio.» Voldemort non sembrava colto alla sprovvista, anzi, sembrava divertirsi nel contemplare il proprio piano messo in atto.
«Tu hai organizzato tutto questo? Silente aveva detto-» 
«Silente si sbagliava» tagliò corto Voldemort, bruscamente. «La prima volta non avevo tenuto conto della disposizione al sacrificio di Potter, e del fatto che il martirio per lui fosse un esiguo prezzo da pagare, anzi, l'ennesimo motivo di vanto. Ma adesso ho ricalibrato il tiro. La strategia migliore era porre un frammento della mia anima in qualcuno che il piccolo Harry non sarebbe mai stato in grado di uccidere. Qualcuno che potesse capirlo nel profondo e che muovesse le corde più intime del suo cuore.» Harry si voltò verso Tom, che invece guardava ancora Voldemort, le labbra ora strette in un'espressione di evidente ira. «Qualcuno che lo irretisse e conquistasse in maniera... irreversibile. E ha funzionato, Harry Potter.» Voldemort sorrise e i suoi denti erano piccoli e appuntiti. «Dopo aver scansato tanti pericoli, dopo aver superato tante peripezie, ti sei lasciato sedurre con un'ingenuità spiazzante. Ti sei innamorato di me
Harry provò un singulto di repulsione nel sentire la storia raccontata in quei termini. «Non è vero! Non è andata così!»
«Dopo l'omicidio dei Potter, ho trasferito il lembo della mia anima aggrappatosi al loro piccolo in un altro bambino, sottratto ad una dimensione alternativa parallela a questa.» Voldemort si voltò verso la sua controparte, giovane, fresca, illesa. «Dopo hai fatto tutto da solo, Tom, ti sei comportato esattamente come speravo: la condivisione del legame con me vi ha attratti l'uno all'altro. Hai adescato il giovane Potter in maniera tanto convincente che adesso venite qui davanti a me a dare spettacolo in maniera disgustosa del vostro coniugio.» Usò quella parola in termini sprezzanti. «Non serve che tragga le conclusioni per voi, vero? Lo farò comunque. Affinchè io possa essere sconfitto non è Harry che deve morire, ma tu, Tom.» Ancora una volta lo aggredì con quel nome, in tono denigratorio, irridente. 
Ma Tom non si lasciò più scalfire. «Correresti il rischio che Harry possa farlo davvero?» Strinse leggermente gli occhi, con aria inquisitoria. 
Voldemort rimase altrettanto impassibile. «E tu?» gli rispose solamente. 
Lunghi momenti trascorsero, e Harry vide i loro occhi scambiare o comunicare qualcosa di indecrittabile, qualcosa di solo loro. Era impossibile indovinare in maniera esauriente cosa la visione dell'uno scatenasse nell'altro. 
Poi, Tom scoppiò a ridere. Non fu un suono inquietante, nelle tenebre della foresta, ma sincero, di cuore. 
«Ti sbagli, Lord Voldemort» proferì, con sicurezza e con la stessa ironia. «Per l'ennesima volta sei rimasto un passo indietro.»
Se era preso in contropiede, Voldemort non lo diede ad intendere. «In che modo?»
«Tante cose sono successe.» Tom si voltò, in maniera da non fronteggiare più lui ma Harry. «Il frammento della tua anima non è più intatto dentro di me come quando ce l'hai messo» concluse, guardando il ragazzo negli occhi. Quindi Tom sapeva? Sapeva la ragione per cui era lì, sapeva qual era il piano con cui Voldemort sperava di vincolare Harry... e subito, mentre si fissavano, fu chiaro anche il perchè non sarebbe bastato uccidere Tom. Era vero, tante cose erano successe; a Privet Drive, ma anche soltanto nello spazio tra i loro fianchi in cui avevano intrecciato le mani.
«Dovremo farlo insieme, Harry» annunciò Tom, con voce soffice. «O almeno, questo è l'unico tipo di insieme che vedo per noi.» La dolcezza e tristezza nella sua voce spezzarono qualcosa in Harry. La dolorosa consapevolezza di tutto venne, e la paura scomparve.
«Com'è romantico.» Voldemort parve capire cosa stava per accadere. «Non lo farete.»
«Quello che è lui lo sono io. Quello che io sono, Tom lo è diventato» mormorò Harry. «Siamo cambiati insieme. Siamo diventati diversi per assomigliarci sempre di più e per distinguerci sempre di più da te.»
«Tu non puoi accettare di morire, non puoi accettarlo!» urlò Voldemort.
Tom gli sorrise. Aveva puntato la bacchetta contro il petto di Harry, in un gesto veemente e in un certo modo passionale, una grande pressione affondata nella sua carne. Harry non sapeva cosa sarebbe successo dopo, un lampo di luce verde, una sensazione di calore, il nulla, una candida King's Cross; sapeva solo che Tom stava sorridendo. Posò la bacchetta sul suo collo, e tra le loro bacchette incrociate c'era ancora il suo sorriso, sottile, fermo, come una promessa. Non erano più costretti a vivere se l'altro non fosse sopravvissuto. Mentre gli occhi di Tom lo accompagnavano fino alla fine, le labbra mimarono la formula. Harry lo imitò. 


***

Quando Harry aprì gli occhi, Tom era seduto sul letto dove lui era disteso. Il suo sorriso era di nuovo lì, quasi divertito dal suo sbalordimento.
«Siamo nell'aldilà?» chiese stupidamente.
«No.» Tom indicò il comodino dell'Infermeria accanto a loro. «Siamo nel rudere di questa scuola.»
Harry balzò su con il torso dal materasso. «Voldemort...?»
«Paciock ha ucciso il serpente. Sdraiati, hai il colore dell'erba.»
«Tom!» gridò Harry. «Siamo... vivi? Siamo vivi! E lui è morto! E tu sei qui!» Non gli importava nemmeno capire come, francamente.
«Sì, Potter, mi sembra un buon riassunto.» Ma gli occhi di Tom brillavano.
Harry gli saltò al collo. «Non siamo morti, e siamo insieme! Possiamo stare insieme senza essere morti!»
«Sì, ma se non riposi, adesso...!» Harry lo zittì con il bacio più impetuoso che gli avesse mai dato. Quella era la riprova che aveva sempre avuto ragione, che il suo fidanzato aveva il diritto di vivergli accanto e che avrebbero continuato il loro futuro da soli, senza ombre, senza intrusi. Decisamente non aveva tempo per riposare. 











 

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