Venticinque personaggi in chiave natalizia

di Carme93
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Una squadra di Quidditch, grazie ***
Capitolo 2: *** Il ragazzino dalle converse rosse ***
Capitolo 3: *** Argus Gazza, l'uomo dal cuore peloso ***



Capitolo 1
*** Una squadra di Quidditch, grazie ***




Una squadra di Quidditch, grazie
 
 
 
 
 
 
 
Era così bella. Lo era sempre stata per lui, naturalmente, ma nelle ultime settimane aveva qualcosa di diverso: sembrava risplendere.
Eppure quando le chiedeva se fosse accaduto qualcosa, magari a Scuola, lei rispondeva di no, che era tutto normale.
 
«Ho cucinato i pancake. Marmellata e cioccolata» gli sorrise. «Ehi, Oliver, sei qui con me? Tutto bene?».
«Sì, certo. I pancake, buoni. Tu, stai bene?» domandò Oliver a sua volta, senza neanche degnare di uno sguardo la colazione.
«Sì». In quel sì, però, Oliver colse un pizzico d’incertezza. La conosceva troppo bene.
«Avanti, sbrighiamoci a fare colazione. Ho un paio di commissioni da sbrigare e stasera dobbiamo cenare dai miei».
Oliver Baston, Portiere del Puddlemere United, annuì ma per tutta la colazione continuò a fissare la moglie di sottecchi: Alicia Spinnett non era brava a mentire, non a lui comunque. E poi, perché mai avrebbe avuto bisogno di mentirgli? «Che commissioni devi fare? È la Vigilia di Natale. Posso aiutarti, se vuoi».
Di nuovo quell’espressione incerta, quasi spaventata. Che cosa gli nascondeva? «No, grazie».
«Ma che devi fare?» insisté Oliver.
«Devo andare a prendere dei libri al Ghirigoro e poi dei vestiti da Madama McClan. Libri e vestiti, non sono cose che ti esaltano… a meno che non riguardino il Quidditch, naturalmente… Perché sei così nervoso oggi? Ci vediamo a pranzo al Paiolo Magico, va bene?».
«Non sono nervoso» borbottò Oliver bevendo l’ultimo sorso di caffè. Era una mezza verità in fondo: non era ancora nervoso, ma cominciava a diventarlo. «Mi fa piacere accompagnarti, possiamo fare una passeggiata».
«No». Quel ‘no’ era arrivato così precipitosamente, che Oliver non poté fare a meno di sollevare gli occhi su di lei e fissarla con sospetto. «Ti lamenteresti per tutto il tempo, lo sai».
«Non è vero».
«Sì, che è vero».
Oliver incrociò le braccia al petto, sempre più irritato.
«Oh, Merlino, Oliver, perché stiamo litigando proprio oggi? È il nostro primo Natale da marito e moglie» sospirò Alicia sedendosi tra le sue braccia e baciandolo.
Oliver rispose al bacio, ancora seccato, ma non abbastanza da non approfittarne.
Alicia ridacchiò e lo cinse con le sue braccia sottili. «Ti amo, pomeriggio sarò tutta tua».
Oliver mugugnò, ma la tenne stretta finché lei non si lamentò che avrebbe tardato.
«Mica scappano i tuoi libri» bofonchiò infastidito. «Chi vuoi che li compri? Uno dei tuoi alunni?».
Alicia alzò gli occhi al cielo. «Alcuni sono bravi» ribatté. «Ma dubito di trovarli al Ghirigoro la mattina della Vigilia alla ricerca di un libro sulle Antiche Rune».
Oliver si lasciò andare sulla poltrona vicino al camino, mentre la moglie rassettava la cucina con rapidi colpi di bacchetta prima di raggiungerlo.
«Ci vediamo a pranzo, ok?».
«Sì, sarò puntuale» confermò Oliver, baciandola e poi osservandola entrare nel camino spento e usare la Metropolvere. Altro aspetto sospetto: ultimamente Alicia non ricorreva alla Materializzazione. Qualche giorno prima si era offerto di andarla a prenderla a Hogsmeade per fare un giro insieme prima di tornare a casa, ma lei aveva preferito rientrare direttamente con il camino del suo ufficio.
Sbuffò e decise di andare a sfogarsi sotto la doccia. Questa volta, però, l’acqua calda non fu molto d’aiuto: il senso d’inquietudine non sparì. Si fidava ciecamente di Alicia e allora perché il suo comportamento sospetto lo turbava tanto?
Si vestì con cura e tornò in soggiorno, dove tentò di leggere il quotidiano.
Sfogliò il giornale per una mezz’oretta, senza, però, comprendere pienamente le parole che vi leggeva. Non riusciva a non pensare alla moglie! Perché tutto questo mistero per un paio di libri e per dei vestiti?
Alla fine non resistette più e recuperò il mantello: avrebbe fatto un giro a Diagon Alley. La gelosia era una pessima consigliera, su questo non aveva dubbi. Quante volte, scherzando, Alicia gli diceva – citando non ricordava quale autore babbano - che era un mostro dagli occhi verdi e ingannevoli?
Uscì sul retro della villetta dove un ampio e incolto giardino lo accolse. Ancora non avevano deciso come sistemarlo: Alicia avrebbe voluto un gazebo, magari anche un laghetto con pesciolini rossi e tartarughe; lui, neanche a dirlo, avrebbe voluto costruire un piccolo campo da Quidditch dove allenarsi. Certo non sarebbe venuto molto grande, ma almeno tre anelli ci sarebbero entrati comodamente e, piantando alberi alti e dal fusto robusto, non avrebbero dovuto preoccuparsi dei Babbani. Naturalmente, non avevano trovato un punto d’accordo.
Beh, non era certo quello il momento di pensarci: saggiamente Alicia aveva deciso che ci avrebbero ripensato in primavera e ci avrebbero riflettuto con calma nel frattempo.
Oliver tentò di concentrarsi e si smaterializzò poco fuori dal Paiolo Magico. A quel punto tutta la sua sicurezza vacillò e si vergognò di sé stesso: stava mettendo in dubbio la parola di Alicia? Era sua moglie ed era anche una fiera Grifondoro: quando era arrabbiata con lui non l’aveva mai nascosto, né aveva lesinato sugli insulti. Eppure nel suo comportamento c’era qualcosa di strano. In lei c’era qualcosa di diverso.
Non sapendo quale fosse l’atteggiamento corretto da tenere in una circostanza simile, decise di entrare al Paiolo Magico e bersi qualcosa.
L’idea si rivelò quasi subito pessima: il locale era gremito e fu letteralmente assaltato dai suoi fan. In quei momenti comprendeva bene perché Harry preferisse recassi in luoghi totalmente babbani con Ginny.
Nonostante il suo umore stesse solo peggiorando, si costrinse a firmare autografi per figli, nipoti, bisnipoti, cugini, cugini di secondo e terzo grado.
Non che non gli piacesse la fama, ma, quando invadeva la sua vita privata, diveniva decisamente fastidiosa.
Così rinunciò alla burrobirra calda che avrebbe voluto sorseggiare, mentre rifletteva – ogni tanto sapeva essere filosofico anche lui – e tornò nella fredda e affollata Diagon Alley. Non che qui la gente non lo fermasse o additasse, ma, con il cappuccio ben calcato sulla testa, era più facile passare inosservati. A quel punto decise di andare al Ghirigoro e se avesse incontrato la moglie le avrebbe detto la verità: era preoccupato e forse era il caso che ne parlassero senza bugie di mezzo. Di solito la moglie – anche quando doveva soltanto ritirare dei libri – trascorreva come minimo una mezz’oretta in libreria, di conseguenza o c’era già stata e non l’avrebbe trovata oppure l’avrebbe beccata con il naso il mezzo a qualche vecchio tomo che sperava avrebbe potuto attirare l’attenzione dei suoi studenti. Quand’erano ragazzi non avrebbe mai pensato che Alicia da grande potesse divenire un’insegnante tanto appassionata, o forse era davvero troppo preso dal Quidditch per accorgersi del mondo intorno a lui, come ogni tanto lei gli aveva rinfacciato.
In libreria non vi era traccia della donna, ma per essere sicuro Oliver fece un giro completo fermandosi a osservare qualche nuovo titolo nel reparto sportivo: avevano finalmente pubblicato la biografia di Viktor Krum. Si trattenne dal comperarla, perché sicuramente qualche amico o familiare gliel’avrebbe regalata per Natale. Prima di uscire si fermò alla cassa e chiese al proprietario se avesse visto la moglie. Magari, se non c’era ancora stata, sarebbe stata meglio attenderla lì: se i libri non lo facevano impazzire, ancora peggio i vestiti.
 
«No, signor Baston, non ho visto sua moglie oggi».
«Capisco» replicò Oliver, poi, sperando di far cosa gradita alla moglie e farsi perdonare il suo piccolo attacco di gelosia, disse: «Prendo io i libri che ha ordinato».
Il proprietario, un uomo molto più basso di lui, con ciuffi già bianchi sulla testa e degli occhialetti piccoli sul naso, lo fissò sorpreso. «Non ricordo alcun ordine. L’ultimo è stato evaso una settimana fa».
«Impossibile» bofonchiò allora Oliver. «Mia moglie mi ha detto che sarebbe passata proprio per ritirare alcuni saggi sulle popolazioni celtiche».
«Mi dia un attimo per controllare sul registro, ma non ricordo proprio». L’ometto tirò fuori un registro enorme - e all’apparenza molto più pesante di lui - e con il dito scorse alcune colonne. «Niente, come le dicevo, l’ultimo ordine della professoressa Spinnett risale a due settimane fa e le ho inviato io i libri, quando mi sono arrivati».
La notizia infastidì non poco Oliver, che dopotutto avrebbe preferito essere rimproverato per la sua gelosia e cercare di farsi perdonare piuttosto che scoprire che la moglie gli avesse veramente mentito.
Sospirò e tentando di tranquillizzarsi – magari era stata solo una svista della moglie, tanto ritirava libri peggio di un Corvonero - si fece consigliare un romanzo, che avrebbe potuto piacerle, e lo acquistò.
Tornato sulla via principale di Diagon Alley, si diresse a passi svelti verso il negozio di Madama McClan, questa volta entrandovi senza tentennare.
La signora ormai anziana dovette strizzare gli occhi per riconoscerlo, ma lo accolse calorosamente e gli chiese se avesse bisogno di una veste elegante per le feste.
Oliver negò e le chiese gentilmente se avesse visto la moglie quel giorno.
 
«No, no. La signora è venuta ieri in compagnia della madre, ma alla fine non ha acquistato nulla».
Oliver sapeva che il giorno prima Alicia era uscita con la madre, ma chissà perché quella mattina gli era sfuggito: sarebbe stato utile per smascherare le menzogne della moglie. Si sentì profondamente in colpa per quei pensieri e si chiese se avesse commesso qualche sbaglio, se Alicia fosse arrabbiata con lui per qualcosa. Ma insomma, quella mattina era sembrata sì nervosa, ma da come l’aveva baciato, promettendo un pomeriggio solo per loro due, non sembrava avercela con lui. A meno che non volesse torturarlo.
«Signor Baston, tutto bene?».
«Sì, sì» replicò Oliver riportando la propria attenzione sulla sarta. «Senta, sa per caso se mia moglie fosse interessata a qualche vestito in particolare?».
Madama McClan rifletté per qualche istante e poi gli mostrò un’elegante veste scarlatta, decisamente degna di una Grifondoro. Oliver non dubitava che sarebbe calzata a pennello ad Alicia. «Perché non l’ha acquistata?» domandò sorpreso.
«Non lo so» replicò la sarta. «L’ha pure provata e le stava divinamente».
Oliver si passò una mano sui capelli e sbirciò il cartellino del prezzo: era cara, ma non poteva credere che la moglie vi avesse rinunciato per quello. Lavoravano entrambi e avevano un buon stipendio.
«Lo prendo io, se le stava divinamente, non posso che regalarglielo».
«Oh, lei è un marito premuroso! Lo incarto?».
«Sì, grazie». Un marito premuroso? Forse, ma in quel momento si sentiva in colpa e profondamente confuso: non aveva fatto nulla!
Trascorse il resto della mattinata passeggiando per Diagon Alley e, a parte un salto a Accessori di Alta Qualità per il Quidditch, rendendo felici fans e proprietari, mantenne un umore cupo: sua moglie non era in nessun negozio. Sua moglie quella mattina non si era recata a Diagon Alley. Poco prima di mezzogiorno ritornò al Paiolo Magico, qui fu di nuovo preso d’assalto e tentò di accontentare tutti e non affatturare nessuno; appena libero chiese al proprietario di condurlo in una saletta privata, dove avrebbe pranzato con la moglie.
Attese più di mezz’ora prima che ella arrivasse.
«Oliver! Ti ho fatto aspettare tanto?».
Vederla così raggiante, gli fece dimenticare i suoi propositi di litigare. Alicia lo abbracciò e lo baciò.
«È stata una mattinata intesa?» non riuscì a non commentare.
In quel momento sopraggiunse un cameriere per prendere le ordinazioni.
«Già» replicò soltanto Alicia, le cui guance erano teneramente arrossate per il freddo. I due coniugi ordinarono.
«Raccontami».
Alicia sembrò sorpresa dalla richiesta e si strinse nelle spalle, nuovamente nervosa, come se Oliver fosse un esaminatore dei M.A.G.O.
«Da quando ti interessi di vestiti e libri?» borbottò nervosamente e fu palesemente sollevata quando il cameriere servì gli antipasti. Da quel momento parlò di cibo e di come si sarebbero organizzati per andare dai suoi genitori a cena.
Oliver tentò di distrarsi e farsi coinvolgere in quelle chiacchiere, ma in nessun modo riusciva a non essere infastidito.
«Che hai comprato?» chiese stupita Alicia, notando le buste quando si alzarono per andare a pagare.
«Niente, cose che mi ha chiesto mia madre» replicò Oliver bruscamente.
Quel pomeriggio Alicia non mantenne la promessa: appena rientrati a casa, affermò di essere stanca e andò a sdraiarsi. Non che Oliver avesse voglia di star con lei: quella questione irrisolta lo stava facendo impazzire. Nonostante ciò qualche ora dopo si lasciò consigliare sui vestiti da indossare e tentò di farsi contagiare dal suo entusiasmo natalizio.
«E sorridi!» sbuffò Alicia. «Sembra che stiamo andando a trovare Gazza!».
Oliver si accigliò: ma come le venivano in mente simili battute?
«Lo so dove stiamo andando» bofonchiò in risposta. «Non capisco perché non possiamo smaterializzarci. Ci sporcheremo tutti».
«Da quand’è che t’interessa tanto?».
«Da quando non interessa a te?» sbottò Oliver.
Alicia sembrò ferita dal suo tono, ma sussurrò: «Non mi sento bene, preferisco non smaterializzarmi. Andiamo, o faremo tardi. Se vuoi posso andare anche da sola con la Metropolvere».
«No, figurati» borbottò Oliver, sentendosi in colpa per la millesima volta. «Ma che ti senti?» le chiese preoccupato, mentre lei prendeva un pugno di polvere volante.
«Niente, tranquillo».
Oliver sbuffò vedendola sparire nuovamente quel giorno in uno sbuffo verde, questa volta la seguì senza tentennare. A casa dei suoceri, però, non ebbero tempo di parlare. La questione continuò ad aleggiare tra loro per tutta la serata.
Oliver discusse di Quidditch con il suocero, sebbene non tifasse per il Puddlemere United, così come il resto della famiglia Spinnett. Quasi si rilassò almeno finché non rischiò di affogarsi con la monetina dentro il Christmas pudding, suscitando le risatine dei presenti.
«Ti porterà fortuna» gli disse sorridente Alicia, apparentemente dimentica della loro discussione, e gli scoccò un bacio sulla guancia.
Quella notte, quando rientrarono a casa, Alicia lo abbracciò appena misero piede sul tappeto del salotto. «Non ti avevo promesso un pomeriggio solo per noi due? Sono un po’ in ritardo, ma…».
«Dobbiamo parlare» la interruppe Oliver che in caso contrario sarebbe scoppiato.
«Di cosa?» gli chiese sorpresa Alicia.
Come poteva non capire? E dire che era lei che insegnava Antiche Rune!
«Ecco questi sono per te!» sbottò porgendole gli acquisti effettuati quella mattina a Diagon Alley.
«Ma, Oliver, ci siamo già scambiati i regali» borbottò stupita Alicia. «E il tuo anello è bellissimo… grazie di non averlo messo nel pudding, in caso contrario mi sarei affogata come hai fatto tu…».
«Guardali» intimò Oliver, ignorando le sue parole e la mano anellata che gli sventolava sotto gli occhi.
Alicia con un sospiro obbedì e scartò il romanzo e il vestito, rimanendo a bocca aperta.
«Bello, vero? Madama McClan mi ha detto che l’hai provato».
«Grazie, non dovevi» mormorò lei avvicinandosi con la chiara intenzione di baciarlo, ma lui la respinse.
«Non mi chiedi quando sono stato a Diagon Alley?».
«Cosa…?» cominciò Alicia, ma poi si fermò a riflettere. Oliver la vide sgranare gli occhi e fissarlo turbata. «Stamattina? Sei stato a Diagon Alley stamattina?».
«Già. E tu non c’eri» sbottò Oliver, tirando fuori quello che lo tormentava da tutto il giorno. «Non mi venire a fare la morale sulla gelosia! Non ti ho trovato».
Alicia sospirò e annuì, sedendosi sul bracciolo di una poltrona. «Hai ragione, Oliver: è un po’ che ti devo dire una cosa, ma prima volevo esserne sicura».
Oliver, nervoso, accese il fuoco nel caminetto e si voltò a fissarla. «Dov’eri stamattina?» le chiese direttamente, visto che lei sembrava in difficoltà.
«Al San Mungo».
Per poco Oliver non lasciò cadere l’attizzatoio. «Dove?». Era l’ultima risposta che si sarebbe aspettato.
«Sono incinta, Oliver».
L’attizzatoio colpì il pavimento rimbombando nel silenzio della villetta.
I due giovani si fissarono negli occhi per qualche secondo, finché Oliver non ruppe il contatto e si passò una mano tra i capelli. «Incinta? Ho sentito bene?». Alicia annuì. Sembrava spaventata e fu proprio questo a scuotere Oliver. «È una cosa bella, no?». La strinse in un abbraccio e Alicia scoppiò in lacrime.
Oliver l’accarezzò per un po’, poi la spinse dolcemente sul tappeto in modo che fossero più vicini al fuoco e appellò un plaid a motivi natalizi.
«Ce la caveremo» le disse a un certo punto. «Hanno imparato tutti a fare i genitori».
Alicia rispose con una risatina acquosa e si accoccolò meglio tra le sue braccia.
«Ce la caveremo» gli concesse.
«Ho solo una richiesta» disse Oliver giochicchiando con i suoi capelli. I loro visi erano illuminati dalle fiamme scoppiettanti.
«Cosa?» mormorò Alicia leggermente assonnata.
«Voglio una squadra di Quidditch».
«Una squadra di Quiddich?» replicò Alicia non comprendendo.
«Beh, sì, sette figli proprio come i Wigtown Wanderers».
Alicia sbuffò: «Stai scherzando, vero?».
«Non li vuoi sette bellissimi bambini?».
«Forse, ma non ho particolare voglia di tirare su una squadra di Quidditch».
«Oh, non ti preoccupare, ci penserò io ad allenarli».
Alicia rise.
«Allora me lo prometti? Mi darai una squadra di Quiddicth?».
Alicia rise fino alle lacrime, coinvolgendo anche Oliver, ma quando si calmò, annuì: «Sì, te lo prometto, farò del mio meglio».
«Oh, grazie, non vedo l’ora. Dobbiamo disegnare una divisa adatta per la nostra squadra. Che colori vorresti? Tinta unita o no?».
«Oh, Merlino, Oliver» sospirò Alicia.
«Non è mai troppo presto per scegliere la giusta divisa» ribatté il ragazzo.
Alicia scosse la testa, si voltò e gli buttò le braccia al collo. «I genitori normali discutono per il nome da dare al bambino, non per il colore della divisa di una squadra di Quidditch immaginaria» borbottò prima di baciarlo a lungo.
«Ma tu me l’hai promessa!» riuscì a dire Oliver, quando gli diede la possibilità di prendere fiato un attimo.
«Buon Natale, Capitano» sussurrò allora Alicia.
«Buon Natale, Presidentessa».
 

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Capitolo 2
*** Il ragazzino dalle converse rosse ***


[Questa storia si è classificata decima al contest "Il contest delle prime volte" indetto da inzaghina.EFP sul forum di EFP oltre che alla challenge "M(h)arry Christmas - Il calendario dell'Avvento" indetto da blackjessamine sul forum di EFP]. 











 
Il ragazzino dalle converse rosse
 
 
 
 



 
22 dicembre
Quartier Generale degli Auror
Ministero della Magia
Londra
 
 


 
 
«Hai visto l’ultima partita dei Cannoni di Chudley?».
«Oh, sì. Sono stati terribili. La loro cacciatrice, però, è un bel pezzo di…».
«Hai ragione! Ma mai quanto il portiere delle Holyead Harpies… quella è veramente da paura».
Sbuffò e sedette ancora più rigidamente, come se con il suo contegno avesse potuto prendere le distanze da quegli sciocchi. Come potevano comportarsi tanto infantilmente? Venivano già considerati solo dei ragazzini appena diplomati dai loro colleghi più anziani, perché allora assumere un comportamento simile avvalorando quella convinzione?
Il cubicolo che condividevano era piccolo e purtroppo parecchio disordinato: erano stati rimproverati più volte per quel motivo, ma gli altri sembravano non curarsene.
Aveva sognato per anni quel momento, ma, ora, faticava ad abituarsi al ritmo del Ministero della Magia, inaspettatamente meno incalzante e rigido dell’Accademia. D’altronde avrebbe dovuto prevederlo: Colui-Che-Non-Deve-Essere-Nominato era caduto e i suoi seguaci erano stati quasi tutti catturati e condotti ad Azkaban, perciò per gli Auror era un periodo tranquillo. Ciò che, però, l’aveva colpito negativamente era stata la piena compresione di come funzionassero i meccanismi ‘segreti’ del Ministero della Magia: il talento non era fondamentale, a volte era sufficientemente avere una camera blindata alla Gringott particolarmente pingue e appartenere a una famiglia con i giusti agganci. La sua famiglia era antica e ricca, perciò s’impegnava quotidianamente per dimostrare di essersi meritato quel posto.
«Shacklebolt».
Un Auror con una cicatrice sulla guancia, ma abbastanza giovane, si era fermato sulla soglia del loro cubicolo. Il giovane alzò lo sguardo sorpreso e ricambiò il suo sguardo.
«Shacklebolt, sei sordo?» sbottò quello rudemente. «Ti vuole la Vaughan».
«Ora?» chiese sorpreso.
«No, al ballo di Natale del Ministero» sbottò quello andandosene.
Gli altri giovani Auror presenti sghignazzarono divertiti.
«Che hai combinato, King?» chiese uno di loro.
Kingsley riteneva di essere sufficientemente socievole, ma non apprezzava quando gli altri si prendevano troppe confidenze: solo i suoi amici e i suoi familiari usavano quel diminutivo. Non perse tempo a rispondere, anche perché era agitato e non voleva mostrarlo: per quale motivo la Vaughan l’aveva convocato?
Esmeralda Vaughan era un’Auror anziana ed era stata anche loro istruttrice all’Accademia: a lezione si era comportata sempre severamente, ma in quei mesi Kingsley aveva avuto modo di osservarla sul lavoro e aveva scoperto una donna molto disinvolta, a tratti amichevole, ma sempre molto autorevole tanto da farsi rispettare anche dai colleghi uomini più arditi e rudi.
Naturalmente aveva un cubicolo tutto suo, Kingsley si fermò sulla soglia e bussò.
Esmeralda era seduta con le gambe sulla scrivania di legno massiccio, gli stivali di pelle di drago in bella mostra; gli occhi seguivano distrattamente il movimento della sua piuma prendiappunti e giochicchiava con una ciocca di capelli sfuggita dalla stretta coda di cavallo. Sua sorella Adelaide avrebbe certamente disapprovato un comportamento talmente poco femminile, ma d’altronde lei non approvava le donne che decidevano d’intraprendere quella carriera.
Esmeralda si voltò e sorrise leggermente. «Entra».
Kingsley obbedì e si avvicinò alla scrivania. La stimava parecchio e sperava di non averla infastidita in qualche modo. Esmeralda tolse i piedi dal tavolo e alcuni fogli di pergamena svolazzarono via, ma lei li recuperò immediatamente con un movimento secco della bacchetta.
«Coda di paglia?» chiese Esmeralda notando la sua espressione.
Kingsley imprecò mentalmente per quella figuraccia. «No, signora. Mi domando il motivo della mia convocazione» disse pur di darsi un contegno.
«C’è del lavoro da fare» replicò Esmeralda. «E Scrimgeour vuole che me ne occupi io, perché, a Natale, nessuno vuole lavorare qui dentro». Kingsley percepì il battito del suo cuore accelerare improvvisamente, ma si costrinse a non illudersi. «E voglio che tu mi dia una mano».
La sua prima missione! «Sì, signora» rispose all’istante.
«L’entusiasmo della giovinezza» ghignò Esmeralda. «Dopo il primo appostamento notturno cambierai idea».
A Kingsley sembrava difficile, ma tentò di controllarsi. «Di che cosa si tratta?».
«Contrabbando di pozioni oscure. Abbiamo avuto una soffiata e dobbiamo andare a controllare, possibilmente arrestando un po’ di gente».
Kingsley annuì compuntamente, poteva quasi immaginarsi Scrimgeour con la sua criniera rossastra impartire un ordine del genere. «Farò del mio meglio».
«Preparati. Ci incontreremo alle undici al Paiolo Magico per bere qualcosa tra colleghi».
 
 
 


 
 
23 dicembre
Notturn Alley
Poco dopo la mezzanotte.
 
 
 

 
Kingsley, stretto in un mantello di lana scuro, rabbrividì dal freddo. Lui ed Esmeralda si erano appostati sul tetto di una casa abbandonata da quasi due ore e osservavano con attenzione lo stretto e buio vicolo sottostante. Il suo corpo era man mano più rigido e intorpidito non solo per il freddo ma anche per la posizione scomoda.
Crack!
Al familiare suono di una smaterializzazione il giovane sussultò; Esmeralda al contrario non si mosse ma i suoi occhi luccicarono e divennero ancor più attenti: sembrava una fiera pronta a gettarsi sulla sua preda. Kingsley si aspettò di vederla fiondarsi sull’uomo vestito di nero e artigliarlo, ma non accadde.
L’uomo avanzò illuminando il vicolo con la bacchetta. Kingsley reputò che non dovesse essere particolarmente esperto: in quei posti era sempre meglio procedere nell’ombra per passare inosservati. Inoltre era tarchiato e alquanto impacciato: si voltò spesso indietro nervosamente, infine si accostò a un portone dall’aspetto sgangherato, lo aprì con un gesto della bacchetta ed entrò.
Kingsley si sollevò pronto a intervenire, ma Esmeralda lo fermò con una mano.
«Attendiamo» disse soltanto con gli occhi ancora puntati sulla porta ormai chiusa.
Una luce si accese al primo piano dell’abitazione: era fioca, ma potevano scorgere un’ombra tarchiata e tremolante muoversi con una certa disinvoltura.
«Tieni» sussurrò Esmeralda.
Kingsley prese l’omniocolo in ottone. All’Accademia gli era stato insegnato a usarlo in caso di appostamenti come quello, ma non se n’era mai servito senza supervisione, perciò ebbe difficoltà a regolarlo, ma Esmeralda lo comprese e lo aiutò. La ringraziò a mezza voce sempre più imbarazzato. Durante la sua prima missione avrebbe preferito fare una figura ben diversa.
L’omniocolo permetteva di vedere, attraverso le sporche finestre, più da vicino i movimenti dell’uomo: stava palesemente armeggiando con un calderone, sotto il quale era accesa una fiamma tenue. La parte della stanza dove lavorava era illuminata fiocamente da alcune candele, il resto era completamente al buio.
«Lo arrestiamo?» bisbigliò Kingsley.
«Non ora. Voglio sapere chi sono i suoi clienti. Aspetteremo che finisca di distillare la pozione e poi lo seguiremo. Potrebbe volerci un po’, ma sono sicura che farà di tutto per disfarsene al più presto» spiegò Esmeralda.
Kingsley annuì, consapevole che avesse ragione.
Rimasero lì fino a che l’uomo non smise di lavorare per quella notte - la pozione continuava a sobbollire - e si smaterializzò.
Ormai era giorno.
«Cosa pensa che stia distillando, signora?» chiese Kingsley.
«Non lo so, ma è sicuramente roba oscura o non verrebbe a lavorare di notte. L’informatore di Scrimgeour è molto affidabile». La voce di Esmeralda era roca, segno che la nottata al freddo aveva fatto effetto anche su di lei.
Si incamminarono coprendosi il volto con il cappuccio. Diagon Alley si stava svegliando, ma ancora non vi erano molti avventori in giro. Nonostante la stanchezza, però, era bello ammirare le vetrine decorate a motivi natalizi.
«Va’ a riposarti. Ci vediamo pomeriggio al Quartier Generale per fare il punto. Ci aspetta un’altra nottata di appostamento e speriamo che si decida a concludere o trascorreremo anche Natale a Notturn Alley».
La prospettiva era pessima, ma Kingsley assentì. «Sì, signora. A pomeriggio».
 
 
 



 
23 dicembre
Diagon Alley
Mattina
 
 
 



 
Esmeralda si smaterializzò, ma Kingsley aveva deciso che sarebbe rientrato più tardi poiché ancora non aveva comprato i regali di Natale e a quanto sembrava non ne avrebbe avuto il tempo con quella missione inaspettata. Sospirò e si diresse verso la Gelateria di Florian Fortebraccio: era ancora presto perché i negozi aprissero, ma aveva necessità di scaldarsi e la cioccolata calda sarebbe stata perfetta.
Stanco com’era si scontrò con qualcuno, si scusò per poi rendersi conto che era un ragazzino: indossava vestiti decisamente babbani, ma vecchi e troppo larghi, e delle converse rosse consumate che risaltavano immediatamente rispetto agli indumenti scuri.
«N-non fa niente» borbottò il ragazzino senza guardarlo negli occhi e pronto ad allontanarsi.
«Per farmi perdonare, ti offro una cioccolata calda» disse Kingsley gentilmente.
Il ragazzino si mostrò incerto e quasi spaventato, ma alla fine annuì.
«Vieni, Florian è sicuramente il migliore, non solo per i gelati». Kingsley gli sorrise. «Come ti chiami?».
«Byron».
«Che bel nome» commentò Kingsley sinceramente.
Byron non replicò, ma si sedette al tavolo più vicino all’uscita. Kingsley non si lamentò, ma, infreddolito com’era, avrebbe scelto quello più vicino al caminetto, in fondo alla sala.
A quell’ora c’erano loro e una manciata di negozianti che facevano colazione e chiacchieravano prima d’iniziare a lavorare.
Ordinarono due cioccolate e Kingsley provò a fare un po’ di conversazione. «Allora, Byron, quanti anni hai?».
«Undici» rispose il ragazzino che lo scrutava curioso.
«Quindi hai iniziato Hogwarts quest’anno? Che bello! In che Casa sei?».
«Non vado a Hogwarts» rispose il ragazzino evitando il suo sguardo.
Kingsley si diede dello stupido per la sua indiscrezione. «Scusami, alle volte non penso prima di parlare. Non c’è nulla di male a essere un magonò».
«Ma che hai capito?» borbottò il ragazzino occhieggiando le due enormi tazze che Florian portò loro. «Studio a casa».
Kingsley annuì e decise di tacere, anche se non gli sfuggì l’occhiata che Florian lanciò al più piccolo.
Bevvero in silenzio e Kingsley si sentì scaldare dentro. Il ragazzino bevve abbastanza velocemente, il quanto bastava per non bruciarsi e divorò i biscottini al cioccolato.
«Ora vado… grazie…» borbottò appena finito e scappò via.
Kingsley lo fissò sorpreso e gli gridò dietro: «Buon Natale». Sospirò e si alzò per pagare, ma non trovò il suo sacchetto in nessuna delle tasche del mantello né della stretta tuta che indossava. Eppure l’aveva preso prima di uscire di casa il giorno prima!
«Ti ha rubato i soldi, vero?». Florian lo fece sobbalzare. «Quel ragazzino bazzica sempre da queste parti e la sua attività prediletta è proprio derubare le persone… oh, se sapesse che sei un Auror!». Lui sembrava quasi divertito, ma Kingsley non lo era per nulla: quel ragazzino l’aveva fregato! Se mai l’avessero scoperto i suoi colleghi, l’avrebbero preso in giro per sempre! Non era mai stato tanto imbarazzato in vita sua! «Tranquillo, offro io» disse Florian. «Buon Natale a te e alla tua famiglia».
Kingsley ricambiò e ringraziò, poi si diresse direttamente a casa: di certo non avrebbe potuto comprare più regali per quel giorno e gliene era passata anche la voglia!
Trovò la madre intenta a sorseggiare del succo di zucca e ascoltare la radio nel salone, le si avvicinò e la baciò sulla guancia. Con la mano sfiorò il ventre prominente e sorrise. Adelaide aveva trovato disdicevole una nuova gravidanza a quell’età, lei riteneva che adesso i genitori avrebbero dovuto soltanto preoccuparsi di trovare dei buoni partiti per lei e Kingsley e dell’educazione di Alma. Effettivamente all’età della madre era stata una sorpresa, ma entrambi i genitori ne erano stati comunque felici. Kingsley era contento di avere un nuovo fratello o sorella e non aveva alcuna fretta di sposarsi.
«Oh, tesoro, come stai? Ero tanto preoccupata».
«Mamma stai tranquilla, è il mio lavoro» sospirò Kingsley. Sua madre aveva fatto di tutto per convincerlo a non entrare in Accademia e diventare un Auror, ma alla fine aveva dovuto rassegnarsi.
«Sei stanco? Hai fame?» gli chiese apprensivamente.
«Sì, ora vado a riposare. Per piacere farmi chiamare alle tre. Devo tornare al lavoro».
«Va bene, caro, lo dirò a Satty».
«Grazie. Papà è nel suo studio?».
«Sì, ma uscirà tra poco».
La ringraziò nuovamente e si avviò al piano superiore. Bussò e subito fu invitato a entrare.
«King, sei tornato» lo accolse con calore suo padre abbandonando le carte alle quali probabilmente stava lavorando fino a quel momento.
«Sì, adesso. Ora vado a riposarmi, pomeriggio mi aspettano al Quartier Generale».
«Com’è andata la tua prima missione?».
«Ancora in corso» rispose laconicamente Kingsley.
«Ti conviene non farti vedere da Adelaide, è fin troppo nervosa per l’arrivo di quel Gramont e della sua famiglia. Ha svegliato Alma presto per provare il suo vestito e lei non era molto contenta».
Kingsley gemette: l’arrivo del futuro fidanzato della sorella lo aveva spinto a fare parecchi straordinari nell’ultima settimana pur di starle lontano; la piccola Alma non aveva avuto questa fortuna, ma avrebbe tentato sicuramente di vendicarsi vista la sua indole dispettosa.
«Grazie dell’avvertimento» sospirò il ragazzo. «Ehm avrei bisogno di un prestito» buttò lì. I regali doveva farli e lo stipendio sarebbe arrivato dopo Natale.
Suo padre si accigliò. «Non presto soldi ai miei figli, dovresti saperlo. Qual è il problema?».
Kingsley sospirò e gli raccontò del ragazzino.
Suo padre ridacchiò, tirò fuori un sacchetto dal cassetto della scrivania e glielo lanciò. «Tieni e, mi raccomando, fai attenzione stanotte».
«Certo» assentì Kingsley per poi ritirarsi nella sua camera: aveva veramente bisogno di riposare a quel punto.




 
 
24 dicembre
Notturn Alley
Circa le due di notte
 



 
Doris Alexanders era particolarmente versato nell’arte delle pozioni, peccato che cercasse di guadagnarsi da vivere stringendo accordi con soggetti poco raccomandabili. Di certo Kingsley non se lo sarebbe dimenticato considerando che per colpa sua stava trascorrendo una seconda nottata al freddo. E sperava che non si mettesse a nevicare.
«Se dovesse smaterializzarsi?» chiese Kingsley ripensando al piano che la collega gli aveva spiegato la notte precedente.
Esmeralda si accigliò. «Cosa che credi che abbia fatto quando siamo arrivati?».
«Incantesimi di Disillusione?».
«Sì» concordò Esmeralda. «Ma anche un incantesimo antismaterializzazione. Spero che oggi terminerà».
Kingsley si diede dello stupido per aver messo in dubbio la sua esperienza.
Sospirò e si rassegnò all’attesa pensando di essersi sempre immaginato la sua prima missione molto più avvincente.
Questa volta il pozionista non si smaterializzò alle prime luci dell’alba, ma continuò a lavorare febbrilmente.
«La consegna è prevista per oggi» comprese Esmeralda.
Kingsley assentì: l’uomo, a un certo punto, riempì diverse ampolle di vetro e poi le arrotolò in quella che poteva essere benissimo carta da pacchi.
«Preparati».
Il ragazzo si stiracchiò per quanto lo permettesse il loro nascondiglio.
L’uomo tarchiato, brizzolato e con una barba non rasata da giorni, uscì appena fu giorno.
Ancora una volta Esmeralda non si mosse e Kingsley comprese che avrebbero dovuto pedinarlo, ma si mossero solo quando Alexanders si allontanò dal vicolo. Esmeralda aveva scelto una delle poche case con una scala esterna. Era di pietra, quindi non vi fu alcun scricchiolio al loro passaggio. All’angolo della strada i due Auror si fermarono e cercarono il pozionista con lo sguardo: per fortuna sembrava non avere fretta e non aveva la minima idea di essere seguito. Dopo una decina di minuti compresero che era diretto a Diagon Alley: ovviamente pensava che sarebbe passato inosservato mescolandosi alla folla che completava le spese per Natale.
Poco prima di svoltare nel vicolo che si immetteva nell’High Street di Diagon Alley, Esmeralda indicò a Kingsley i tetti bassi e lo incitò ad arrampicarsi su alcuni bidoni. Da quell’altezza, appiattiti su un tetto, osservarono il pozionista fermo e in attesa. Non si era mescolato alla folla, quindi avrebbe incontrato lì i suoi clienti.
Kingsley sentì salire l’adrenalina: presto sarebbero entrati in azione; ma si sbagliò: trascorse una buona mezz’ora ma il pozionista, sebbene sembrasse nervoso, non si mosse né gli si avvicinò qualcuno.
Improvvisamente l’attenzione di Kingsley fu attirata dal ragazzino conosciuto il giorno prima: le converse sdrucite non lasciavano adito a dubbi. Byron si scontrò con il pozionista, proprio come aveva fatto con lui! Sarebbe voluto intervenire – il suo orgoglio ferito lo chiedeva a gran voce -, ma sapeva che non poteva agire impulsivamente. Inoltre era anche preoccupato per il ragazzino che non era consapevole della pericolosa situazione.
Il pozionista spintonò Byron e lo colpì con una manata, dando vita a una vera e proprio colluttazione tanto che per qualche secondo il più piccolo sparì alla loro vista coperto dalla mole dell’altro.
Kingsley strinse i pugni, ma Esmeralda gli ordinò di non muoversi.
«È solo un bambino» si lamentò.
«Appunto. Alexanders non può attirare troppo l’attenzione, perciò lo lascerà in pace».
Effettivamente il ragazzino si liberò dalla stretta del pozionista e scappò via. Kingsley si rilassò leggermente.
«Lucius Malfoy» sussurrò dopo un po’ Esmeralda.
Kingsley seguì il suo sguardo e annuì. In mezzo alla folla allegra e giocosa, altero e spocchioso risaltava con le sue vesti eleganti proprio Malfoy, ricco e purosangue, conosciuto anche per essere stato sospettato di attività oscura durante la guerra. Al suo fianco camminava altrettanto altezzosamente un bambino piccolo, probabilmente il figlio Draco.
Proprio in quel momento il ragazzino con le converse rosse riapparve e urtò proprio Malfoy. Il gesto causò una certa confusione anche per la prevedibile reazione stizzosa dell’uomo e le strilla indignate del piccolo Draco. Qualcuno si avvicinò per aiutare e per qualche secondo Kingsley ed Esmeralda ebbero difficoltà a comprendere pienamente che cosa stesse accadendo. Byron, però, riuscì a fuggire e Kingsley lo seguì con lo sguardo: era proprio testardo!
Il ragazzino si scontrò poco dopo con un vecchio leggermente ingobbito, utilizzando per l’ennesima volta la medesima modalità di furto, sembrava che fosse un esperto.
«Malfoy non si è nemmeno avvicinato ad Alexanders» sbuffò Esmeralda delusa, poi il suo sguardo s’illuminò nuovamente. «Quello è Connor Pereira, un noto contrabbandiere di origini sudamericane. Non esattamente il benvenuto nel nostro paese. Non può essere qui per caso».
Ancora una volta Kingsley individuò il ragazzino e si ripromise che appena libero si sarebbe occupato di lui, dopotutto, essendo stato derubato, ne aveva il diritto. Ciò che lo colpì fu, però, che Byron si muoveva proprio verso Pereira. Perché proprio lui tra tutti? All’improvviso gli sovvenne la colluttazione tra il ragazzino e Alexanders, il ragazzino che si scontrava con Malfoy e un altro vecchio dall’aria poco raccomandabile e tutto sembrò avere un senso.
«Il ragazzino!» disse a Esmeralda e, senza attendere una risposta, si smaterializzò in mezzo alla folla: molti strillarono per la paura o per essere stati spintonati, ma lui non si preoccupò di scusarsi. Doveva raggiungere il ragazzino. Arrivò proprio nel momento in cui Byron si scontrò con Pereira. Kingsley velocemente lo afferrò per il mantello e una fiala cadde a terra rompendosi. Pereira comprese la situazione e tentò di fuggire, ma fortunatamente Esmeralda li aveva raggiunti e lo colpì con un Incantesimo delle Pastoie facendolo ruzzolare, poi con la stessa rapidità lo disarmò e lo legò; riprendendo fiatò evocò un patronum probabilmente per avvertire il Quartier Generale.
Kingsley tentò di trattenere Byron che si divincolava dalla sua stretta con forza.
«Legalo» gli disse Esmeralda tentando di disperdere la folla che si era radunata intorno a loro. La Gazzetta del Profeta si sarebbe precipitata lì in breve tempo, d’altronde la sua sede era a pochi metri da lì.
«È un ragazzino» obiettò Kingsley affannato.
«Legalo» ripeté imperiosamente Esmeralda lanciandogli un’occhiataccia.
Kingsley comprese che era un ordine e non era il caso di discutere oltre, così obbedì tentando di ignorare le lacrime di paura sul volto di Byron. Da lì a pochi minuti giunsero anche Gawain Robards, Adama Williamson e Savage che li aiutarono a trasferire i prigionieri al Ministero. Esmeralda prima di raggiungere Kingsley aveva catturato anche il pozionista.
 
Dell’interrogatorio si occuparono Scrimgeour in persona ed Esmeralda, ma a Kingsley fu concesso di assistere.
Alla fine il Capitano si congratulò con loro per il successo della missione. Peccato che Malfoy l’avrebbe passata liscia anche quella volta. Williamson e Robards avevano perquisito la sua casa, ma naturalmente non avevano trovato nulla di compromettente; invece una breve perquisizione nell’abitazione di Alexanders a Notturn Alley aveva permesso di raccogliere ulteriori prove contro di lui.
 
 



 
 
 
 
24 dicembre
Quartier Generale degli Auror - Hogwarts
Tardo pomeriggio
 
 
 
 
 

 
Quando finalmente Kingsley sedette nel cubicolo di Esmeralda era ormai pomeriggio inoltrato, l’adrenalina era sparita del tutto e si sentiva distrutto. Probabilmente a casa sua fervevano i preparativi per la cena di Natale e i francesi dovevano essere già arrivati. Sua madre doveva essere preoccupata, ma a quest’ora doveva aver già sentito che era andato tutto per il meglio. Sentì un pizzico di orgoglio per il lavoro compiuto, ma una parte di lui sapeva di non aver rispettato il protocollo: aveva agito senza l’autorizzazione di Esmeralda, abbandonandola sul tetto senza nessuna spiegazione. Lei non l’aveva riferito a Scrimgeour fortunatamente, ma gli aveva chiesto di attenderla e Kingsley era leggermente preoccupato.
Esmeralda giunse poco dopo, si sedette dietro la scrivania e dalla sua espressione Kingsley comprese di non essere l’unico stanco.
«Non dico che dovevi cantarmi un poema in rima» iniziò lei sarcasticamente e al solito senza mezzi termini, «ma almeno la prossima volta lasciami capire che intenzioni hai. Alexanders ti ha sentito quando ti sei smaterializzato».
«Mi dispiace, ho agito di impulso» sospirò Kingsley, sollevato però dal fatto che non sembrasse troppo arrabbiata. «Conosco il protocollo. Grazie di non averlo riferito al Capitano».
Esmeralda si accigliò. «Al Capitano non interessano queste cose. Tu, però, devi imparare a lavorare in coppia. Se la missione fosse fallita per il tuo gesto avventato che cosa credi che sarebbe accaduto? Io ti ho scelto, io ti ho portato con me, a me era stata affidata la missione e io avrei dovuto renderne conto al Capitano» replicò con fermezza. Kingsley annuì, ma non osò replicare. Esmeralda si rilassò leggermente e sorrise leggermente. «Sembra che tu abbia parecchio istinto, non mi ero sbagliata. Come hai fatto a capire il ruolo del ragazzino?».
Kingsley, nonostante l’imbarazzo, le raccontò di come il giorno prima Byron l’avesse derubato e di come avesse dedotto che quella mattina non avesse scelto le sue vittime casualmente.
«Alexanders sarà rinterrogato nei prossimi giorni, vedrai i tuoi soldi usciranno fuori: il ragazzino rubava sotto suo ordine» disse Esmeralda.
«Grazie» borbottò Kingsley.
«Sei stato molto bravo. Sono sicura che lavoreremo bene insieme».
Kingsley la fissò stupito: non era raro che un Auror anziano prendesse sotto la propria ala protettiva un giovane diplomatosi da poco, ma Esmeralda non era mai stata particolarmente paziente.
«Farò del mio meglio» disse.
«Sappi che odio stendere i verbali, ma questa volta lo farò perché ho bisogno che tu svolga un altro compito».
«Mi dica».
«Devi occuparti di William Alexanders».
«Chi?».
«Il ragazzino».
«Ah, mi aveva detto di chiamarsi Byron».
«A quanto pare è stato ben addestrato» commentò Esmeralda.
«Che gli accadrà?».
«Subirà un processo proprio come il padre. Naturalmente è troppo piccolo per andare ad Azkaban e il Ministero gli assegnerà un tutore, nel frattempo lo accompagnerai a Hogwarts. Silente si è assunto la responsabilità e fino a giugno sarà sotto la sua tutela e della Scuola».
«Mi sembra ottimo» considerò Kingsley.
«Usa il camino nell’ufficio di Scrimgeour. William si trova lì».
«Va bene, me ne occuperò immediatamente».
«Perfetto. Io e te ci rivedremo dopo domani. Buon Natale, Kingsley».
Kingsley ringraziò e ricambiò gli auguri. Quando arrivò nell’ufficio di Scrimgeour il ragazzino era terrorizzato, probabilmente nessun Auror si era premurato di tranquillizzarlo.
«Ciao» sussurrò il ragazzino.
«Ciao, William o preferisci Byron?» replicò ironico Kingsley.
«Non sapevo fossi un Auror».
«Se ti consola, non ero in servizio quando mi hai derubato». Lo fissò a braccia conserte fin troppo abituato alle marachelle di Alma per lasciarsi impietosire dal suo sguardo.
«Sei venuto per portarmi ad Azkaban?».
Ok, forse non avrebbe resistito. Kingsley sospirò e sorrise leggermente per rincuorarlo. «I bambini vanno a scuola, non in prigione».
William lo fissò senza capire.
«Ti porto a Hogwarts, vieni».
Lo sguardo di William s’illuminò. «Veramente?».
«Sì, sbrigati. Così potrai cenare. Vedrai a Natale Hogwarts è ancora più bella».
William lo seguì all’istante. Kingsley avrebbe voluto aggiungere qualcos’altro, ma Silente sarebbe stato sicuramente più bravo.
Nello studio circolare, il Preside li stava già aspettando insieme alla professoressa McGranitt. Kingsley felice di rivederli li salutò e augurò loro buon Natale, ma rifiutò gentilmente l’invito del Preside di trattenersi per cena. Usò, però, il suo camino per recarsi ai Tre Manici di Scopa: doveva ancora comprare i regali. Come aveva potuto ridursi a quell’ora? Alla fine decise di spedire anche un pacco pieno di dolci di Mielandia a William.
 


Era stanchissimo, eppure non avrebbe mai dimenticato la sua prima missione e quel ragazzino dalle converse rosse tanto consumate.

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Capitolo 3
*** Argus Gazza, l'uomo dal cuore peloso ***


[Questa storia si è classificata quarta al contest "Sincero (non mi odi più) indetto da GiuniaPalma sul forum di EFP ed è vincitrice del premio speciale "Brutte intenzioni"]










 
Argus Gazza, l’uomo dal cuore peloso
 
 
 
 

 
23 dicembre
 
 
 
 
Avanzò lentamente. Il corridoio era illuminato fiocamente, ma non ebbe difficoltà a orientarsi: conosceva il castello come le sue tasche. Appena superò l’angolo, un gruppo di ragazzi apparve davanti ai suoi occhi.
Gridò per richiamarli, oh, non l’avrebbero passata liscia per aver violato il coprifuoco. Il suo, però, fu un grido muto. Si portò le mani alla gola, meravigliato di aver perso improvvisamente la voce. Stranamente, però, i ragazzi lo sentirono, o forse percepirono la sua presenza, e si voltarono verso di lui.
Le loro scarpe erano sporche di fango, ma naturalmente non li interessava minimamente di sporcare il pavimento, anzi si misero a saltellare tutto intorno e risero ai suoi muti rimproveri. Si stavano prendendo gioco di lui!  
Allora si avvicinò e li minacciò a gesti, rammaricandosi di non riconoscerli e del fatto che loro divise non fossero altro che una lunga veste scura, senza alcun elemento distintivo, che gli permettesse di denunciarli almeno al Direttore della loro Casa!
A tratti il nero della divisa sembrava coprire anche i piedi e divenire un tutt’uno con il fango sul pavimento di pietra.
I ragazzi, anziché intimidirsi, si avvicinarono sempre di più e, man mano, i loro volti divenivano sempre più sfocati.
«Non ti piace il fango?» chiese uno di loro. La voce profonda e remota.
Cercò di allontanarsi, ma l’avevano già circondato.
«Hai paura?» chiese un altro estraendo la bacchetta.
Deglutì quando le bacchette si moltiplicarono.
«Ti ricopriremo di fango» minacciò un altro.
 
Si svegliò di soprassalto, la fronte imperlata di sudore e il cuore che batteva all’impazzata. Argus Gazza, custode della Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts, sbuffò e fissò il soffitto ansimando.
La stanza era semibuia, segno che presto avrebbe albeggiato.
Mrs Purr, la sua amata gatta, saltò sul letto e miagolò come a richiamarlo ai suoi doveri. Gazza si sollevò e l’accarezzò con delicatezza.
«Sì, lo so, era solo un incubo» borbottò.
Mrs Purr emise un acuto miagolio e balzò giù dal letto.
Era ora di iniziare la giornata e di occuparsi di quei perfidi e indisciplinati studenti che insozzavano il castello e violavano le regole.
«Se siamo fortunati, piccola mia, beccheremo qualche studente in flagrante» disse a Mrs Purr.
Come se non bastassero gli studenti di Hogwarts a far confusione e a sporcare dappertutto, adesso c’erano persino gli ospiti stranieri. Erano più educati, non c’erano dubbi, e per lo più vivevano fuori dal castello, ma erano anche molto più arroganti, con quella loro aria altera: le ragazzine di Beauxbatons erano fin troppo schizzinose - nonostante la Scuola brillasse, grazie al suo sudore e alla sua fatica, sembrava sempre che qualcosa non fosse alla loro altezza - e quelli di Durmstrang lo fissavano dall’alto in basso!
La giornata si sarebbe trascinata uguale a tutte le altre - ronde, pulizia dei corridoi che quei maleducati e ingrati non facevano che sporcare, tentativi di convincere Silente e gli altri insegnanti del bisogno d’imporre maggiore disciplina -, se non fosse stato per la presenza degli stranieri. Le ragazze, poi, sembravano seguire dappertutto Viktor Krum aumentando la confusione nei corridoi e persino in biblioteca.
C’era qualcosa, però, che rallegrava le giornate di Argus Gazza, o meglio qualcuno: Irma Pince, la bibliotecaria. Ogni tanto, durante il giorno - specialmente nelle ore di lezione, quando era difficile che vi fossero studenti n0elle vicinanze -, cercava una scusa per avventurarsi nel regno di Madama Pince e la osservava lavorare. Era così seria! Così colta!
Trovare una scusa non era un problema: controllare se fosse tutto pulito, aver visto uno studente che aveva saltato le lezioni, oppure seguire Mrs. Purr – lei sì che era la sua migliore alleata.
Quel pomeriggio, per nulla toccato dal clima natalizio, che si respirava per la Scuola, anzi stufo di tutte quelle decorazioni, azzardò una capatina in biblioteca.
Madama Pince sembrava parecchio arrabbiata e rimproverava veementemente uno studente, probabilmente del quarto anno. Gazza tese l’orecchio e comprese che la colpa del ragazzo fosse quella di essersi messo a mangiare, mentre studiava, e per poco non aver sporcato un antichissimo tomo.
Mrs Purr miagolò insistentemente e si fiondò all’interno della biblioteca. Gazza deglutì, comprendendo il suggerimento della gatta. Gonfiò il petto e la seguì: sarebbe corso in aiuto di madama Pince e l’avrebbe salvata dall’impudenza del ragazzino!
Il suo ingresso attirò immediatamente l’attenzione, ma non se ne preoccupò.
«Madama, questo ragazzo l’ha disturbata?» chiese con sussiego. La sua voce tremolò solo leggermente. Fu molto orgoglioso di sé stesso, Mrs Purr gli avrebbe fatto i complimenti!
«Oh, Gazza» lo accolse sorpresa la bibliotecaria. «Sì, l’ho colto in flagrante mentre mangiava dei zuccotti di zucca! E con quelle mani sudicie ha osato toccare un volume molto antico!».
«Se permette, me ne occupo io. Gli farò passare la voglia».
«Sì, grazie» rispose sempre più sorpresa Madama Pince.
«Sarà punito adeguatamente» promise Gazza, mentre lei si stava già allontanando per rimproverare un gruppetto di ragazze che ridacchiavano un po’ troppo forte indicando Viktor Krum.
La vista del giovane Campione rovinò a Gazza quel piccolo momento di gloria poiché gli rammentò che il Natale era ormai alle porte e così il celeberrimo Ballo del Ceppo. Naturalmente era solamente uno stupidissimo evento mondano, che per lo più lo stava costringendo a sgobbare più del solito: gli insegnanti sembravano voler far colpo sugli ospiti stranieri. Soltanto il giorno prima aveva trascorso ore a raccogliere tutti gli aghi di pino disseminati da Hagrid nella Sala d’Ingresso mentre portava i consueti dodici abeti in Sala Grande.
Si allontanò contrariato dalla biblioteca.
Il miagolio di Mrs Purr lo richiamò.  «Mmm» borbottò. «Non so come chiederglielo, è inutile che mi guardi in quel modo».
 



 
24 dicembre
Notte
 




 
A tarda notte, dopo la consueta ronda, Gazza si ritirò nel suo ufficio e sedette alla scrivania: nonostante si fosse sforzato, non era riuscito a non pensare a Madama Pince e a quello stupido ballo. Con un gesto nervoso spostò i moduli per le punizioni e dispiegò una pergamena pulita. Mrs Purr saltò sulla scrivania in attesa.
Egregia Madama Pince, iniziò a scrivere ma cancellò immediatamente.
Egregia? Non suonava molto bene.
«Non comincia così una lettera d’amore, eh?» chiese a Mrs Purr, che si limitò a stendersi e soffiare sulla pergamena.
Inevitabilmente la memoria di Gazza vagò sul disordine causato dall’idea balzana avuta da Gilderoy Allock un paio di anni prima: il sedicente professore di Difesa contro le Arti Oscure aveva letteralmente messo a soqquadro la scuola con i suoi gnomi cupido. All’epoca lui si era infuriato non poco, ma adesso quelli gnomi gli sarebbero tornati comodi: per un attimo s’immaginò il piccolo Cupido improvvisato cantare dei dolci versi a Madama Pince, una donna della sua cultura avrebbe sicuramente apprezzato. Scacciò immediatamente quell’assurdo pensiero, perfettamente conscio che la bibliotecaria non avrebbe mai approvato: gli gnomi, pestiferi per natura, avrebbero potuto mettere sottosopra la biblioteca e rovinarne i preziosi libri che vi erano gelosamente custoditi.
«Che ne dici di ‘carissima’» borbottò Gazza scribacchiando. «No, no, troppa confidenza… Ma allora come?».
Mrs. Purr emise un basso miagolio.
«E se chiedessi aiuto?». Eh, bella idea ma a chi? Uno dei professori? Impensabile. «Avanti, Mrs Purr, suggeriscimi qualcosa».
In quel momento, però, la gatta rizzò il pelo e schizzò sul pavimento fiondandosi fuori dall’ufficio.
«Ah, ah, studenti fuori dal letto!» strillò Gazza infastidito. Mai che rispettassero le regole! Abbandonò pergamena e piuma e seguì Mrs Purr.
Vagò per il corridoio per diversi minuti, ma non trovò la sua gatta né alcuno studente. Cominciò a preoccuparsi. Quanto si era allontanata Mrs Purr? L’aveva seguita subito!
Impiegò almeno dieci minuti per trovarla: era vicino a un’armatura e girava su sé stessa, tirando fuori gli artigli e soffiando infastidita.
«Che ti hanno fatto?» strillò. «Oh, ma la pagheranno! Chi è stato Mrs Purr? Chi?».
«Signor Gazza, tutto bene?».
Una donna altera lo fissò attraverso i suoi occhialetti squadrati.
«Professoressa McGranitt! Guardi cos’hanno fatto a Mrs Purr!».
La gatta continuava a soffiare e girare intorno.
«Dobbiamo punire i colpevoli! L’hanno incantata!».
La donna scrutò la gatta con attenzione, poi mosse leggermente la bacchetta. Gazza la fissò in silenzio senza perdere nessuna delle sue mosse. La donna tirò sul con il naso e odorò intorno a sé. «Signor Gazza, Mrs Purr non è stata incantata».
«Non è stata incantata? Come no? Qui ci vuole una bella punizione!» strillò fuori di sé: la sua gatta non dovevano nemmeno sfiorarla! Ancora rabbrividiva al solo ricordo di Mrs Purr pietrificata.
«Signor Gazza, non è stata incantata» ribadì la professoressa McGranitt. «Le hanno spruzzato un forte profumo, il suo olfatto è disorientato e lei è naturalmente infastidita».
«Un profumo?».
«Esattamente».
«M-ma dobbiamo punire il colpevole! Ci sono studenti fuori dal letto!» sbottò Gazza, prendendo in braccio la sua povera gatta. «Sono sicuro che siano stati i gemelli Weasley!»
«Che sia stato uno studente è altamente probabile, ma non accusi nessuno senza avere le prove» replicò la McGranitt con fermezza. «Non ci resta che controllare».
Gazza si mise subito a lavoro, ma non trovò nessuno. Alla fine, arrabbiato e stanco, si diresse a passi svelti verso il suo ufficio. Gliel’avrebbero pagata! Oh, sì. «Stai tranquilla, piccola! Ora ti sciacquo gli occhietti! Gliela faremo pagare cara!».
Imprecò sonoramente quando vide la porta del suo ufficio accostata. Eppure lui l’aveva chiusa! «Shhh piccola, li becchiamo questa volta!». Si avvicinò allo spiraglio, da cui appariva una striscia di luce, e sbirciò all’interno: c’erano dei ragazzini, dovevano essere dei primi anni, terzo o quarto al massimo. Oh, oh! Questa volta avrebbero passato un brutto guaio! Oh, sì. Entrare nel suo ufficio!
«Ma guardate qui» disse uno dei ragazzi. «“Mia cara…”, “…ti guardo ogni giorno” …».
«Ma fai sul serio?» chiese un altro.
«Giuro! Leggi».
«Oddio, Gazza scrive lettere d’amore!» sghignazzò il primo.
Gazza s’immobilizzò fuori dalla porta. Non era possibile che scoprissero il suo segreto! No! Che cosa doveva fare ora? L’istinto gli diceva di entrare e farli passare la voglia di ficcare il naso nelle cose altrui!
«Ma non è possibile! E io che credevo che fosse lui il protagonista della storia di Beda il Bardo».
«Quale storia?» chiese uno dei compagni fino a quel momento rimasto in silenzio.
«Oh, parlo de Lo stregone dal cuore peloso» rispose l’altro. «Praticamente la fiaba racconta di un mago che non voleva permettere ai sentimenti di renderlo vulnerabile, così ha fatto ricorso alla magia nera: si è staccato il cuore e l’ha conservato in uno scrigno. Quando l’ha mostrato alla ragazza che voleva conquistare, quella si è spaventata, ma lui l’ha fatta sua con la forza prima di ucciderla e, alla fine, si è suicidato».
«È una fiaba terribile» borbottò il ragazzo che aveva chiesto chiarimenti.
Gazza stava attaccato al muro ansimando: qualcosa lo bloccava, tanto che non riusciva quasi a respirare.
«Gazza è proprio come lo stregone della fiaba» affermò uno dei ragazzi.
«Oh, sì, un uomo dal cuore peloso».
«Un magonò dal cuore peloso» scoppiò a ridere uno coinvolgendo gli altri.
«Andiamo, va» disse quello che doveva essere il capo.
Gazza sospirò e si spostò dietro la porta per non farsi vedere e fece segno a Mrs Purr di non parlare. Lui un uomo dal cuore peloso! Vide scorrere i primi due mentre il sangue gli saliva alla testa! Avrebbero visto l’uomo peloso! «Fermo! Sei in guai seri!» strillò artigliando l’orecchio dell’ultimo ragazzino, che gridò a sua volta per lo spavento. Gli altri due corsero via, senza neanche voltarsi indietro probabilmente sperando di raggiungere il più velocemente possibile la sicurezza delle loro camere. «Oh, sì! Sei entrato nel mio ufficio di nascosto! Oh, sei nei guai! Andiamo dalla professoressa McGranitt, immediatamente!».
Il ragazzino si dimenò e si lamentò, ma Gazza non mollò la presa, anzi la rafforzò, e lo trascinò nell’ufficio di Minerva McGranitt che non fu per niente felice di riconoscere uno dei suoi Grifondoro.
La ramanzina che si beccò il ragazzino, però, non rincuorò Gazza come di consueto e nemmeno chiedere punizioni più severe. Aveva come un nodo alla gola.


Compì un ultimo giro del castello, nonostante fosse certo che non avrebbe più trovato i ragazzini che gli erano sfuggiti; ma, alla fine, stanco, chiuse la porta del suo ufficio con un sospiro: il suo piccolo mondo era stato profanato. Raccolse tutte le pergamene sparse sulla scrivania, le stracciò e le gettò nel cestino. Fortunatamente non aveva scritto il suo nome da nessuna parte. Era stato solo uno sciocco e si era messo in ridicolo davanti a quei mocciosi.

Chiuse gli occhi e un ricordo tornò alla mente prepotentemente senza che potesse impedirlo.
Era piccolo, aveva all’incirca undici anni, e si trovava a Diagon Alley. Sua madre stava chiacchierando con altre signore, seduta a un tavolino della Gelateria da Florian Fortebraccio, ed era una calda giornata estiva. Con le signore c’erano anche i figli, più o meno suoi coetanei.
Argus quel giorno era triste e di cattivo umore, ma si era seduto sul ciglio della strada a poca distanza in modo che la madre potesse vederlo - gli aveva raccomandato di comportarsi bene e non farle fare brutta figura davanti alle amiche.
Gli altri ragazzini avevano occupato un altro tavolino, ma ad Argus non piacevano perciò si era rifiutato di sedersi con loro: aveva promesso alla madre di comportarsi bene, ma non certo di essere socievole con quei ragazzini boriosi e stupidi. Spiluccò la brioche e mangiò il suo gelato lentamente, sperando che la madre si sbrigasse velocemente perché non vedeva l’ora di andare al Serraglio Stregato: i suoi genitori gli avevano promesso che per l’ammissione a Hogwarts gli avrebbero regalato un animale. La lettera non era ancora arrivata, ma la madre, quella mattina, gli aveva promesso che, se si fosse comportato bene, allora sarebbero potuti andare anche al negozio e vedere se c’era qualche creatura che lo attirasse particolarmente.
«Ehi».
Argus alzò il capo sui figli delle amiche della madre, l’avevano circondato e lo fissavano ghignando.
«Che volete?» chiese annoiato abbassando gli occhi sul gelato alla nocciola sciolto.
«Allora, sei un magonò» disse il più grande e forse più stupido. Argus non capiva se la stupidità forse proporzionale all’età. I suoi genitori non erano stupidi, quindi forse lo erano solo gli adolescenti.
«Sono un mago, naturalmente» sbottò. «La lettera arriverà nei prossimi giorni». Sua mamma gliel’aveva assicurato e Argus le credeva fermamente.
«Noi l’abbiamo già ricevuta» disse uno dei ragazzini della sua età.
«Tua mamma ti ha mentito» aggiunse un altro.
«Guardala, si vergogna troppo di aver un figlio magonò» continuò il più grande.
Argus tornò a guardare la madre e si accorse che aveva le lacrime agli occhi, tentava di asciugarsi con un fazzoletto e le sue amiche la consolavano.
«Sei un magonò» ripeté il più grande.
Argus si alzò di scatto, gli gettò il gelato rimasto in faccia e scappò via prima che la madre e le altre signore si potessero accorgere di quello che stava accadendo. Continuò a correre, in mente aveva solo quella parola: magonò.
 
Argus riaprì gli occhi e sorrise debolmente a Mrs Purr: lei non c’era o l’avrebbe difeso, come aveva fatto da quello stesso giorno quando sua madre gliel’aveva regalata. I ragazzini, quel giorno, erano stati a malapena rimproverati dalle loro madri, ma per Argus non era più un problema: da quando era diventato custode, era lui che comandava e con l’aiuto di Mrs Purr non gli sfuggiva nessuna violazione delle regole.
 


 
25 dicembre
Ballo del Ceppo
 



La musica delle Sorelle Stravagarie risuonava nella Sala Grande festante. Dal suo angolo Gazza aveva una visuale oscurata dai corpi dei ragazzi che ballavano come dei forsennati, ma non era importante: vedeva benissimo Madama Pince poco distante, che osservava a sua volta le danze e ogni tanto sussurrava qualcosa a qualche professoressa. Non aveva più neanche provato a chiederle di accompagnarlo al Ballo, sarebbe stato ridicolo. Una donna come lei, colta e intelligente, non avrebbe mai rivolto la sua attenzione a un magonò dal cuore peloso.
 
 

 
Eppure quel cuore batteva, come ogni altro.

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