Gli eredi di Isildur

di lone_wolf_08
(/viewuser.php?uid=1009728)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Ricordatevi questo nome! ***
Capitolo 2: *** Solo un sogno ***
Capitolo 3: *** Un demone nell'anima ***
Capitolo 4: *** Faccia a faccia ***
Capitolo 5: *** Occhi di ghiaccio ***
Capitolo 6: *** La scelta giusta ***
Capitolo 7: *** Comunque vada ***
Capitolo 8: *** Senza volto ***
Capitolo 9: *** Il Caradhras ***
Capitolo 10: *** Un'ombra a Moria ***
Capitolo 11: *** Il Corvo ***
Capitolo 12: *** Il Bosco d'Oro ***
Capitolo 13: *** I Signori di Lórien ***



Capitolo 1
*** Ricordatevi questo nome! ***


Capitolo 1 : RICORDATEVI QUESTO NOME!



Ti diranno che sei pazza solo perché loro non avranno mai il coraggio di fare quello che fai tu



Morwen stette ben nascosta dietro un arbusto per non farsi scoprire.
Ultimamente aveva adocchiato un gruppo di uomini del Nord che facevano razzie e contrabbando di armi e merci di vario tipo che poi rivendevano agli orchi o agli Haradrim.
Ogni giorno la ragazza usciva per la sua cavalcata giornaliera e osservava le loro mosse; una volta era pure riuscita a liberare dei cavalli rubati in alcuni villaggi vicino al lago di Rhûn e a restituirli ai proprietari senza farsi scoprire.
Ora si trovava in una radura in posizione nord-est rispetto a Dol Guldur e vide una cosa che la fece infuocare di rabbia; quei bastardi, insieme alla merce rubata, tenevano due giovani rohirrim, uno sui 15 anni e l'altro sui 10, legati su un carro. Si erano messi perfino a commerciare ragazzi? Era certa che li avrebbero venduti come schiavi nelle miniere di ferro dell'Harad. Avrebbero sofferto le pene dell'Inferno e molto probabilmente sarebbero morti solo per procurare con il loro sudore e sangue una materia prima essenziale per costruire strumenti di morte, e per di più per il nemico! Thranduil le aveva raccontato di quanto spietati fossero gli Haradrim con gli schiavi che lavoravano nelle loro miniere e le aveva raccontato della vita terribile e delle violenze che erano costretti a subire quei minatori.

Si avvicinò per sentire meglio le loro parole. Un omone muscoloso pieno di tagli e con una benda sull'occhio parlò

“Ci fermeremo qui stanotte e aspetteremo gli Haradrim che verranno a comprarci la merce. Sirgo! Ruben! Andate a procurare della legna per il fuoco. Io e Kludd andremo a controllare i dintorni mentre Stolph, Caleb e Yagus resteranno a guardia della merce”.

Come si permetteva di considerare due ragazzi della merce? Morwen aveva tanta voglia di trafiggerlo con la sua spada! Ma si trattenne; non era il momento giusto. Ora infatti era nei guai: Sirgo e Ruben, i due brutti ceffi incaricati di procurare la legna, erano diretti proprio verso di lei. Dagor da dietro se ne accorse e cominciò a sbuffare agitato.

“Buono Dagor, indietro...tu va! Nasconditi non molto lontano da qui così che possa chiamarti quando avrò bisogno. Io mi arrampicherò su un albero” disse la ragazza rivolgendosi al suo fidato destriero nero come la pece.

Erano cresciuti insieme: Dagor era nato nelle scuderie del Reame Boscoso proprio mentre sul confine sud aveva luogo una battaglia tra elfi e orchi. Per questo venne chiamato così e quando Morwen, allora bambina, lo vide, se ne innamorò. Nessuno avrebbe potuto dividerli. Si capivano perfettamente e lui si faceva cavalcare solo da lei. Il nero destriero quindi corse via e la ragazza si arrampicò in fretta su una grossa quercia appena in tempo perché i due uomini stavano passando sotto quell'albero proprio in quel momento. Dall'alto vide quello che pareva il capo, ovvero l'omone con la benda sull'occhio, allontanarsi in direzione Nord rispetto alla radura insieme ad un giovane sui 27 anni, che doveva essere Kludd.
Aspettò che se ne fossero andati per scendere dalla quercia. Ora erano rimasti in tre e per sua fortuna non erano particolarmente robusti. Si calò il cappuccio sul viso e incoccò una freccia nel bel arco decorato a motivi elfici. Partì una freccia che andò a colpire i vestiti di un uomo e subito dopo il legno del carro al quale era appoggiato intrappolandolo.

“Caleb che succede?!” un'altro uomo, il più alto dei tre, si girò immediatamente appena sentì il rumore e si avvicino a Caleb che ora cercava invano di sfilare la freccia dal legno per liberarsi. Un'altra freccia partì e andò a conficcarsi nella gamba di quello alto che urlò di dolore. Doveva essere Stolph perché urlò all'altro uomo rimasto

“Yagus fa qualcosa! Trova e uccidi questo maledetto!”, la sua voce era rabbiosa.

Morwen doveva sbrigarsi se non voleva che le urla di Stolph richiamassero anche gli altri che si erano allontanati. Corse fuori con la spada sguainata e sicura di sé si avventò su Yagus che, non essendo pronto all'improvviso attacco, cadde all'indietro ma fece appena in tempo a bloccare il fendente della ragazza con la sua spada. L'uomo riuscì ad alzarsi e cominciò un duello con Morwen. Sono addestrata non mi lascerò battere da questo bifolco! Si disse continuamente lei a mente. Yagus fece un affondo ma Morwen l'aveva previsto; lo schivò e gli diede un calcio nello stomaco che lo fece piegare in due dal dolore, poi approfittò della situazione per calciargli via la spada e puntargli la sua al collo. Tutto questo appena in tempo perché a dispetto del dolore, Stolph si era tolto la freccia dalla gamba e la stava attaccando quando la vide puntare la lama alla gola dell'amico.

“Fermi tutti o questo qui finisce male!” disse lei minacciosa,

“Ok ragazza stai calma”; era chiaro che a Stolph scottava il fatto che una semplice ragazza fosse riuscita ad avere la meglio su di loro e lei si sentì forte.

“Ora...liberate i due ragazzi” continuò lei con la voce ancora un pò affannata. Stolph, riluttante e con un ghigno di disprezzo, salì sul carro e slegò i due giovani Rohirrim, poi li spinse verso Morwen.

“Vuoi anche la merce per caso?” le chiese sprezzante.

“No, quella potete tenerla ma solo perché non ho il tempo materiale di portarla via sappiatelo” gli rispose lei con lo stesso tono. Poi si rivolse ai Rohirrim e ordinò loro

“Prendete due cavalli e andatevene in un posto sicuro”.

I ragazzi non se lo fecero ripetere due volte e dopo aver ringraziato la loro salvatrice, presero due cavalli ai contrabbandieri e partirono al galoppo verso sud-ovest. Morwen stava per chiamare Dagor con un fischio quando sentì una lama posarsi sul suo collo e una voce dietro di lei la fece sussultare

“Ehi bella, che ci fai qui tutta sola?”,

la ragazza si girò e si trovò davanti a due penetranti occhi di ghiaccio che risaltavano sulla carnagione abbronzata. Un lato del viso era attraversato da una cicatrice e sulla bocca dell'uomo appariva un ghigno malizioso. I capelli corvini erano spettinati e gli cadevano dritti sulla fronte. Era bello si ma tenebroso, e inquietò Morwen.

“Kludd! Meno male sei arrivato in tempo stava per squagliarsela” disse Stolph avvicinandosi al nuovo arrivato.

“E siete così inetti da non riuscire a contrastarla in tre???” gli urlò minaccioso in faccia facendolo sussultare. Morwen approfittò della distrazione di entrambi per girarsi di scatto e fuggire ma prima che potesse mettersi a correre nella direzione in cui era sparito Dagor, la mano di Kludd le strinse forte l'avambraccio e il giovane se la tirò appresso. Poi con l'altra mano le prese il viso stringendole le guance e si mise a fissarlo con intensità soffermando poi gli occhi di ghiaccio sulle sue labbra. Tutto questo le provocò un immenso fastidio e tirandosi indietro soffiò

“Non mi toccare canaglia!”.

Lui in risposta si mise a ridere.

Morwen allora tentò con il braccio libero di prendere uno dei due pugnali che teneva sulla schiena ma si accorse che Stolph, da dietro, le teneva bloccato anche quello. Non riusciva più a liberarsi. Kludd mollò la presa sul braccio sinistro che prontamente venne afferrato da Stolph che lo posizionò a fianco dell'altro dietro la schiena di lei.

Il giovane dai capelli neri la esaminò dall'alto in basso. Negli occhi di ghiaccio scintillavano curiosità e furbizia. Chi era quella donna così sfrontata da mettersi contro di lui pur essendo in palese svantaggio? Morwen lo fissò rabbiosa, gli occhi ridotti a due fessure

“Se avessi le mani libere saresti già morto”.

Stolph le strinse i polsi con forza facendola gemere di dolore. Kludd le si avvicinò con un sorrisetto di scherno

“Già...ma non è così a quanto pare”, poi cambiò argomento

“Perché porti vestiti elfici? Non sarai per caso una delle loro spie?!”.

La giovane non disse nulla, non aveva assolutamente intenzione di rispondere a una persona come lui. Lo disprezzava e lo odiava per ciò che faceva e per il suo modo di fare. Lo trovava davvero irritante.

“Hai intenzione di rispondermi o no?” le chiese lui spazientito.

Morwen gli sputò in faccia.

Per un momento le parve di leggere negli occhi dell'uomo stupore, quasi sconcerto. Probabilmente non si aspettava di trovarsi davanti ad una donna così coraggiosa. Poi Kludd si scosse e il suo viso si contrasse in un'espressione di rabbia.

“Va al diavolo!” gli soffiò Morwen continuando imperterrita nella sua personale sfida.

In un istante l'uomo la colpì in volto con il dorso della mano, la ragazza fece appena in tempo a realizzare cosa fosse accaduto che sentì il nitrito infuriato di Dagor che coi suoi possenti zoccoli colpì Stolph, il quale rotolò per terra tramortito. Ora era libera; in uno scatto fulmineo afferrò un pugnale che passò a pochi centimetri dal viso di Kludd il quale si era saggiamente tirato indietro. Il nero destriero le passo di fianco e Morwen si aggrappò al volo alle briglie saltando in sella, quindi galoppo via.

“Prendete i cavalli idioti! Inseguiamola!!” ordinò Kludd fuori di sé dalla rabbia.

“Vai Dagor! Corri come sai fare tu! Corri come il vento!” lo incitò la ragazza.

Sfrecciavano nella foresta ma sentivano ancora dietro di loro il vociare e le urla dei banditi.

“Non ci avranno così”, Morwen stava infondendo coraggio nell'amico ma soprattutto in sé stessa.

L'aria fredda le sferzò la faccia e la fece rendere conto del pericolo che aveva corso. Aveva sfidato apertamente quell'uomo pur avendo le mani bloccate senza la possibilità di difendersi. Chiunque l'avrebbe considerata una donna sciocca, avventata e sprezzante del pericolo. Quale persona con un minimo di senno si sarebbe da sola messa contro un gruppo di contrabbandieri armati?

Girandosi urlò con scherno “Ah! Mangiate la polvere perdenti! E ricordatevi questo nome: Morwen! La principessa guerriera!!”.

Dagor alzò gli occhi davanti a tanta sfacciataggine e fece uno sbuffo che molto chiaramente intendeva "Vedi di smetterla furbetta che se non ci fossi stato io...".

Morwen ovviamente lo capì “Sei invidioso di tanta bravura forse?”, un altro sbuffo:
"Certo come no, signorina principessa guerriera".

Lei esplose in una risata “Ti adoro Dagor” e gli abbracciò il possente collo.





Nota dell'autrice:

Calorosi saluti a tutti coloro che hanno letto questo mio primo capitolo di “Gli eredi di Isildur” ed avranno pensato “che schifo” XD. Voglio solo dirvi che questa è la mia prima FF quindi abbiate pietà di me. E' da un po di tempo che ci lavoro e ho cercato di farla aderire meglio che potevo al capolavoro di Tolkien (ma lo noterete nei prossimi capitoli). Ovviamente è una mia versione perciò delle modifiche sono più che ovvie no?

Spero tanto che questo assaggio vi abbia appassionato e che continuiate a leggere questa mia storiella. Un saluto speciale a una mia cara amica di EFP Princess_of_Erebor (vi consiglio vivamente la sua storia): “Ecco la sopresa!”

Recensite a tanti mi raccomando, voglio sapere le vostre opinions e se avete qualche critica costruttiva fatevi avanti! Si può sempre migliorare. Besooos

PS: sotto potete ammirare il nostro bello stallone Dagor con la sua amichetta

Kia



Image and video hosting by TinyPic

Image and video hosting by TinyPic

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Solo un sogno ***


Capitolo 2 : Solo un sogno



Io credo che quando tu hai vissuto tanto tempo in un posto, tu sei quel posto.
R.B.



Arrivarono al confine del Reame Boscoso che era sera e ormai avevano seminato i banditi quando giunsero al ponte sul fiume selva, il quale fungeva da sistema di difesa del reame.

Morwen tirò un sospiro di sollievo. Ora però avrebbe dovuto affrontare un'altra sfida: l'interrogatorio di suo padre, Thranduil.
Non era il suo vero padre ma lei lo considerava tale in quanto l'aveva accolta quando non aveva nessuno e l'aveva cresciuta con amore e responsabilità.
Le raccontò di come era stata abbandonata e di come l'avevano trovata avvolta in una coperta davanti al portone d'ingresso nel cuore della notte.
La donna non sappe spiegarsi il perché del suo abbandono perciò cominciò a condurre delle ricerche, a insaputa del sovrano, per scoprire da quale popolo provenissero i suoi genitori e da quale lei stessa discendeva.
Purtroppo però le ricerche non portarono a niente e Morwen smise di cercare una spiegazione a ciò che le era successo. Si disse semplicemente che erano morti, o peggio ancora che non l'avevano voluta.
Nel regno di Thranduil la ragazza era stata istruita ed addestrata al meglio tanto che nel combattimento dava del filo da torcere persino al re.
Quest'ultimo poi le era oltremodo affezionato e le stava molto vicino anche se allo stesso tempo il suo affetto per la ragazza sfociava in iperprotettività, cosa che lei non sopportava data la sua indole indomabile e testarda.

Lasciò che i servi si occupassero di Dagor mentre lei corse alla sala del trono mettendosi a posto meglio che poté i capelli disordinati e il vestito stropicciato.
Quando Thranduil la vide arrivare smise di girare nervosamente in tondo, mise le mani dietro la schiena e corrugò la fronte in un'espressione di rimprovero. Morwen capì subito di trovarsi nei guai, l'aveva fatto stare in ansia un'altra volta e si preparò all'ennesima ramanzina.

"Ma guarda chi si è decisa a ricomparire!" cominciò sarcastico.

L'altra non disse nulla ma sostenne il suo sguardo.

"Voglio proprio sentire che scusa ti inventerai questa volta..." continuò.

"Nessuna scusa, semplicemente era una bella giornata e ho ritenuto giusto passarla all'aperto con Dagor" rispose innocentemente l'interpellata.

"Cavalcata all'aperto dici? Sembra piuttosto che tu sia stata in guerra" ribatté lui tra l'arrabbiato e il sospettoso. Poi posò lo sguardo sul collo della giovane e assunse un'espressione preoccupata, quindi si precipitò verso di lei;

"Ma che ti è successo?? Sanguini!".

Morwen non ci aveva fatto caso ma ora sentiva un bruciore fastidioso sopra la clavicola sinistra: proprio dove Kludd aveva appoggiato la sua lama. Il sovrano le mise una mano dietro il collo e si avvicinò per esaminare meglio la ferita.
La ragazza sobbalzò

"Ah!",

"Ti ho fatto male??" chiese il biondo preoccupato.

"No...hai le mani gelide!" rispose lei quasi seccata dalla sua reazione esagerata.

"Comunque è solo un taglietto niente di che. Stai calmo" disse spostandogli la mano.

Thranduil tornò arrabbiato

"E guardati il viso; ti sei rotolata per terra per caso?",

quindi passò una manica della veste sulla guancia destra della giovane strofinando via lo sporco e tamponando delicatamente un leggero taglio sanguinante.

"Ada! Smettila ti prego!" sbottò lei esasperata,

"Possibile che per te non possa mai fare niente?".

"Morwen il sole è tramontato da ore ormai! Pensavo ti fosse accaduto qualcosa, stavo per mobilitare una squadra di ricerca e tu torni ora, ferita e pretendi pure di avere ragione!".

In un momento le parve di rivedere gli occhi di Kludd in quelli del padre adottivo, così glaciali, impenetrabili. Fece un passo indietro spaventata. Thranduil la guardò con apprensione, stupito dal suo strano comportamento

"Morwen stai bene?".

La mora si riprese e d'impeto gli rispose

"Certo che sto bene! Smettila di trattarmi come se fossi una bambina!!".

Solo dopo si accorse dell'aggressività che aveva riservato all'elfo.
Le avevano detto fin da piccola di moderare la sua impulsività ma non ci era mai riuscita; era nel suo sangue. Non poteva trattenersi e ciò le aveva provocato parecchi disagi, situazioni imbarazzanti e anche pericolose (come nel caso di quel giorno).
In quel momento si sentì un'ingrata; Thranduil le voleva bene come a una figlia e lei lo aveva trattato in quel modo...
Cercò di scusarsi

"Io...ecco...scusa." e cominciò a fissare il pavimento.

Il sovrano le rivolse la parola in tono pacato

"Se ci fosse Legolas non ti comporteresti così".

Al pensiero dell'amato fratello il cuore di lei si spezzò: non lo vedeva da 1 anno ma le sembrava fossero passati secoli. Lui, insieme al padre, era il suo punto di riferimento fin da bambina e, quando se ne andava, lei ne soffriva tantissimo.
Le diceva sempre che andava a trovare un'amico a Gran Burrone, ma stava via sempre troppo per i sui gusti.
La ragazza odiava quel posto che le pareva inghiottisse il fratello per un arco di tempo infinito, ma ancora di più odiava "quell'amico" che gli portava spesso via Legolas; infatti, perfino negli addestramenti i suoi bersagli si trasformavano in quel ladro spietato tanta era la sua gelosia.

"Da quando se n'è andato sei sempre più scontrosa e non fai altro che stare fuori tutto il giorno. Vorrei proprio sapere dove vai...".

Non ottenendo risposta sospirò sconsolato

"Beh ora che è tornato spero tu la smetta di comportarti così".

Alle parole di Thranduil la ragazza si girò di scatto, gli occhi sbarrati che fissavano l'elfo in un'espressione incredula. Si parò davanti a lui e gli strinse le mani, tutto senza mai staccargli gli occhi di dosso

"Cosa hai detto? Legolas è tornato???".

Thranduil le rispose in un cenno di assenso. Morwen aprì la bocca ma non ne uscì alcun suono: non sapeva cosa dire, quindi saltò al collo del sovrano felice come non mai e finalmente riuscì a formulare una frase

"Oh per i Valar! Non ci posso credere!",

poi si staccò dall'abbraccio e come un razzo scese le scale che portavano alla sala del trono per salire quelle per le stanze reali dimenticandosi completamente che Thranduil non aveva ancora finito di parlarle.
Sorvolò di corsa la sua camera e si fermò dinnanzi a una porta con incisioni a forma di foglie; la spalancò.
Legolas, intento a mettersi la cintura davanti allo specchio, per poco non fece un infarto e si girò verso la porta.
Morwen si illuminò e un enorme sorriso prese posto sul suo viso, poi corse incontro all'elfo che, come lei, era traboccante di felicità al rivederla

"Leggy!!" urlò saltandogli addosso.

Legolas la strinse forte a sé assaporando quel momento che sempre aspettava al suo ritorno a casa.

"Morwen quanto mi sei mancata peste!" disse ridendo.

Dopo un pò si sciolsero dall'abbraccio e lui aggiunse ironico

"Vedo che non hai perso la tua follia in mia assenza...e che non hai ancora imparato a bussare" finì la frase con uno sguardo di rimprovero.

Poi, dopo averla squadrata, fece una smorfia

"Avresti bisogno di una bella lavata...",

Morwen rise

"di capo l'ho già avuta dal re" e agilmente si sedette su un tavolino facendo dondolare le gambe.

L'altro sospirò mettendosi a braccia conserte

"Che hai combinato stavolta?".

Lei saltò giù dal tavolino e si mise a camminare nervosamente per la stanza

"Beh tu eri via, io ero triste e mi sono trovata un'occupazione...".

"Sei andata oltre il confine?";

Legolas e Morwen quasi si leggevano nel pensiero da tanto che si conoscevano

"Indovinato!" rispose lei.

"E scommetto che oggi ti sei cacciata nei guai particolarmente..." continuò il biondo.

Morwen cominciò a mangiarsi le unghie

"Se te lo dico mi prometti che non ti arrabbierai?" gli chiese lei insicura.
L'elfo si mise una mano sul cuore con fare offeso

"Che c'è? Non ti fidi più di me?" le chiese rivolgendole poi un sorriso complice.

"Ok...beh...oggi ho liberato due ragazzi che stavano per essere venduti come schiavi nelle miniere di ferro dell'Harad" buttò fuori velocemente la giovane.

All'espressione incredula di Legolas, Morwen approfondì la spiegazione

"Stavo seguendo le mosse di un gruppo di contrabbandieri. Due mesi fa sono riuscita a portargli via dieci cavalli rubati in un villaggio di Rhûn e a restituirli a quella povera gente. Quei cani meriterebbero la morte!!" disse esplodendo in un tono aggressivo stringendo forte i pugni.

Legolas si avvicinò alla sorella adottiva e le pose le mani sulle spalle tese

"Non bisogna augurare la morte di nessuno...neanche se si tratta di un nemico" disse saggiamente in un tono pacato e tranquillizzante.

"E nel caso si trattasse di un fratello seccante?" chiese lei sfoggiando un sorrisetto beffardo.

"In tal caso sarei costretto a venire al tuo funerale" rispose tranquillamente l'elfo.

"Ehi! Guarda che sono migliorata nel combattimento!" ribatté offesa la mora.

"Questo non vuol dire che tu possa battermi",

"Bene! Allora domani mattina all'alba preparati ad una sfida mai vista! Ti farò rimpiangere di avermi presa in giro principino!".

"Quando vuole mia signora" rispose sarcastico.

"Dì un pò, è quel tuo amichetto di Gran Burrone che ti ha fatto diventare antipatico o è solo un trattamento speciale nei miei confronti solo perché non mi vedi da tanto?",

Morwen incuriosita si appoggiò con fare di superiorità allo stipite della porta e inarcò un sopracciglio scuro. Legolas sapeva che era solo gelosia quella che la stava facendo parlare perciò non se la prese molto

"Mi sembrava di avertelo già detto...lui si chiama Aragorn! E comunque smetti di fare la gelosa, ora sono qui con te. Non è abbastanza?".

Morwen ribatté seccata

"Non sono affatto gelosa!".

Legolas la fissò.

"E va bene forse lo sono un pò ma mi sembra ovvio voler passare più tempo con te!"

Legolas, non volendo continuare la questione, le sorrise comprensivo. Sapeva come era fatta; orgogliosa e testarda. Era inutile discutere con lei.

"Ok, ora se vuoi scusarmi vado a cenare; è tardi lo so, ma quando sono tornato ho avuto appena il tempo di lavarmi e riposarmi" poi le diede un bacio sulla fronte

"A domani guerriera" e si avviò fuori dalla stanza a passo elegante.

La ragazza andò nella sua e dopo essersi fatta un bagno ricostituente ed essersi pulita le ferite leggere, rimase a pensare un pò, sdraiata sul letto.
Poco dopo crollò dalla stanchezza senza rendersene conto.


Morwen si trovava in una valle circondata da cascate e rocce meravigliose, un sole tiepido le riscaldava le membra e le illuminava il viso. Pian piano la luce del sole si fece insopportabilmente accecante e la donna dovette ripararsi gli occhi.
Una risata glaciale le giunse alle orecchie e la fece rabbrividire, una figura nera si stagliava contro la potente fonte luminosa. Mentre l'ombra misteriosa si avvicinava Morwen chiese

"Dov'è Legolas?", poi vide che la figura aveva un non so che di familiare

"L'ho rapito. Sei sola Morwen. Sola" parlò una voce maschile.

Si avvicinò ancora di più: due occhi azzurro chiaro la fecero tremare.
Una cicatrice sul volto.



Nota dell'autrice:


Ed eccomi di nuovo qua con il nuovo capitolo! Come avrete visto la nostra protagonista non è un elfo femmina ma un umana, cosa che nel primo capitolo non si nota. Ovviamente ne saprete di più su di lei e sulla sua famiglia andando avanti.
Un passo per volta scoprirete il suo passato. Per ora nemmeno lei ne è a conoscenza quindi abbiate pazienza 😉.

Bene, spero vi sia piaciuto e non abbiate paura a scrivere le vostre opinioni! Avanti commentate sono curiosa di sapere cosa vi aspettate nel prossimo capitolo!
Un abbraccio fortissimo a chi a messo la mia storia nelle seguite e che ha commentato. Loooove


Kia


Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Un demone nell'anima ***


Capitolo 3 : UN DEMONE NELL'ANIMA



Ci sono dei giorni in qui non posso fidarmi di me: un demone mi arde, mi agita, mi divora
U. F.




All'alba Morwen era già in piedi e vestita; pronta per la sfida.

Indossava dei pantaloni stretti di pelle nera che tuttavia erano molto comodi, un pò più sopra le cosce le cadeva una casacca a maniche corte di lino verde scuro stretta in vita da una cintura marrone in cuoio nella quale teneva un piccolo coltello molto affilato.
Sopra la casacca indossava un corpetto di pelle marrone e dal gomito fino al dorso della mano dei manicotti aderenti neri coperti da bracciali protettivi in cuoio.
Ai piedi portava degli stivali marroni stretti da stringhe, sempre di cuoio, mentre sul capo aveva raccolto i capelli in una treccia che le arrivava fino a metà schiena.
Guardò fuori dalla finestra il sole salire velocemente e ripensò al sogno che aveva fatto; cosa significava? E come mai c'era Kludd? Scacciò subito il pensiero e si posizionò la faretra sulla schiena, si attaccò il fodero della spada alla cintura e la infilò dentro, dopodiché prese l'arco in mano e si avviò fuori dalla stanza a passo deciso.

Quando arrivò nella conca di addestramento, che era appena poco distante dal ponte dell'entrata principale, vide che era sola nella radura.
Legolas non era ancora arrivato, perciò cominciò a colpire i bersagli con l'arco facendo parecchi centri perfetti.
La interruppe una voce dietro di lei

"Non vale allenarsi prima della sfida", a parlare era stato Legolas che si avvicinò con un sorrisetto beffardo.

"Ti eri addormentato principino?" lo prese in giro lei rigirandosi l'arco tra le mani,

"Oppure ti stavi preparando emotivamente ad una sconfitta clamorosa?" continuò sfottente.

"No, stavo solo cercando di calmare Thranduil ancora arrabbiato che tu ieri non sia tornata da lui dopo che sei venuta da me. Sai, non aveva ancora finito di parlarti" trionfando sull'espressione colpevole e spaventata della ragazza.

"Me n'ero dimenticata! Dev'essere furioso!" disse mettendosi le mani tra i capelli preoccupata.

"Si beh dopo avrete tutto il tempo per confrontarvi...ora se non ti dispiace dimmi come si terrà questa sfida".

Morwen concentrò la sua attenzione sull'elfo

"Ok allora, faremo una serie di prove: gara a cavallo, tiro con l'arco e combattimento a spade" disse autorevolmente girandogli attorno a testa alta.

"Bene, in tal caso vado a recuperare Alagos e Dagor" disse avviandosi verso le stalle il biondo.

Morwen dopo aver descritto il tracciato di percorrenza della gara montò su Dagor e si posizionò affianco a Legolas ed Alagos.

"Guardami bene il muso ora perché ciò che vedrai di me durante la gara sarà solo la mia coda...novellino".

Dagor ignorò la presa in giro del cavallo sfidante e si concentrò sulla strada.
Il manto nero lucido del destriero contrastava con quello bianco puro dell'altro, così come i capelli chiari di Legolas contrastavano con quelli scuri di Morwen.
I muscoli dei cavalli erano tesi, pronti a scattare.
La concentrazione al massimo.
Il silenzio era tale che si potevano perfino sentire gli animaletti zampettare nel sottobosco e le api ronzare in lontananza.
Il fischio di una guardia chiamata ad arbitrare segnò l'inizio della gara.
Gli sfidanti scattarono in avanti come fulmini. Legolas era già in testa, Morwen lo tallonava cercando di sorpassarlo ma lui spostandosi le copriva tutti i varchi possibili.
Continuarono così quasi fino alla fine del tracciato fino a quando Morwen colse l'occasione propizia per sorpassarlo; infatti alla destra di Legolas poco più avanti stava un grosso ramo che invadeva la corsia.
Dagor nitrì sorpreso capendo ciò che la mora aveva intenzione di fare

"Ma non vorrai mica...?!?!",

"Oh si!" lo interruppe lei risoluta.

"Sappi che non mi prendo alcuna responsabilità sulla riuscita di questa pazzia",

"Nessun problema, ce la farò",

detto questo spronò il nero destriero, il quale in uno scatto si posizionò al fianco di Alagos sotto lo sguardo incredulo di Legolas.
Che stavano facendo? Se fossero rimasti lì Morwen avrebbe preso un ramo dal diametro di 25 centrimetri dritto nello stomaco e tenendo conto della velocità alla quale andavano, ci sarebbe rimasta secca. Era forse impazzita?

"Morwen spostati!!!" le urlò Legolas spaventato;

ormai il ramo era vicinissimo. Lei lo guardò sfidandolo

"No"

e subito si alzò posizionando un piede dietro l'altro sulla sella.
Accuciata, pronta a darsi lo slancio, calcolò il momento giusto e saltò sorvolando il ramo e cadendo poi a cavalcioni su Dagor, leggermente inclinata verso sinistra.
La giovane si raddrizzò e Dagor partì subito ad una velocità impressionante, staccando di un bel pò un Legolas basito e andando a vincere la gara.
Dagor affiancò Alagos

"Allora...ti è piaciuta la mia coda?" nitrì trionfante.

Alagos sbuffò offeso girando il muso dall'altra parte. Morwen scese dal cavallo galvanizzata e si appoggiò ad Alagos guardando Legolas divertita. Lui la guardò a sua volta, ma i suoi occhi chiari esprimevano disappunto. Morwen se ne accorse

"La sconfitta brucia eh?" chiese volendo alimentare il fuoco.

"Credi che mi importi di aver perso? Ho temuto il peggio per quella tua azione avventata" disse scendendo da cavallo arrabbiato.

La donna si sorprese per quel suo improvviso senso di protezione; in quel momento le sembrò di sentire il re.

"Smettila! Mi sembra di sentire Thranduil" disse lei dando voce ai suoi pensieri.

"Perché? Dovrei forse incoraggiarti nel suicidarti? Ti ricordo che era solo una gara. Una stupida gara!",

"Ma non mi sono fatta niente! E poi era tutto sotto controllo!" ribatté lei.

Non voleva cedere, anche se sotto sotto sapeva di aver rischiato parecchio.

"Certo certo, come del resto in tutte quelle volte in cui ti cacci nei guai vero?",

"Anche tu hai intenzione di farmi la predica??"

"No"

"Bene! Perché abbiamo altre sfide in programma" tagliò corto infastidita.


Dopo aver preparato i bersagli, si allontanarono da essi di 70 metri. La guardia a cui avevano dato il ruolo di arbitro delimitò una linea che i due non avrebbero dovuto superare con i piedi e poi si allontanò dalle linee di tiro.
La sfida consisteva nel fare più centri perfetti avendo a disposizione solo tre frecce.
Morwen era più tesa della corda del suo arco, voleva vincere anche quella sfida in quanto era più che decisa nel mostrare all'elfo quanto fosse migliorata. Si era allenata tantissimo affinché quando Legolas sarebbe tornato l'avesse trovata alla sua altezza nella disciplina in cui il biondo eccelleva. Avanti Morwen sono solo tre frecce...ce la puoi fare! Si ripeteva lei per sciogliere la tensione.
Legolas invece, con una fastidiosa tranquillità, si trastullava facendo girare l'arco tra le mani come fosse un giullare.
Al fischio dell'arbitro che li intimò alla prontezza, l'elfo smise di giocare e si concentrò sull'obiettivo incoccando una freccia nell'arco; le gambe leggermente divaricate e poste diagonalmente rispetto alla linea orizzontale tracciata davanti a sé.
Morwen fece lo stesso, con l'unica differenza che lei era agitata il doppio di lui tanto che le cadde di mano anche la freccia, cosa che fece sorridere il biondo.
Al secondo fischio dell'arbitro le due frecce partirono, quella di Legolas fece centro, quella di Morwen no.
Quest'ultima imprecò sottovoce e fulminò con lo sguardo l'elfo che soddisfatto se la rideva di nascosto.
La seconda andò a segno per Morwen e quella di Legolas mancò il centro per un soffio.
La ragazza lo guardò divertita rispondendo alla beffa precedente.
Poi venne il momento della terza freccia.
Non la mancherò! Devo solo essere sicura.  Non devo agitarmi.
Morwen si concentrò incoccando l'ultima freccia con calma e precisione.
Legolas alla sua sinistra sembrava ancora irritato dall'errore precendente e non era assolutamente intenzionato a fallire anche il prossimo tiro. Si preparò seccato.

L'ultimo fischio risuonò nell'aria e il silenzio che si era creato venne rotto dai sibili delle frecce elfiche.
Nell'istante in cui la ragazza mollò la corda dell'arco chiuse gli occhi e non appena sentì la punta di metallo conficcarsi nella paglia del bersaglio li riaprì.
La invase un sentimento di soddisfazione: aveva fatto centro!
Anche Legolas non aveva fallito ma lei era contenta lo stesso, una parità le andava più che bene considerando la bravura del suo sfidante nel tiro con l'arco.
L'aveva eguagliato!!

"Beh, devo dire che hai migliorato molto la tua precisione" le si avvicinò lui complimentandosi.

"Gli allenamenti danno il loro frutto" rispose lei semplicemente.

"Già ma devo darti un consiglio se posso. Quando stai per lasciare la freccia, stacca il cervello, isolati dal mondo; non devi sentire alcun rumore se non quello dei tuoi battiti cardiaci, concentrati su quel ritmo e focalizza l'obiettivo. Questa tecnica ti aiuterà a mantenere la calma e a colpire con massima precisione il bersaglio".

Morwen lo ascoltò attentamente e si tenne stretto quel consiglio prezioso. A lui non importava davvero di perdere: voleva aiutarla a migliorare le sue tecniche di combattimento per renderla una guerriera ancora più forte. Si stava comportando proprio da fratello maggiore e un moto d'affetto le pervase il cuore.


Arrivò anche il momento dell'ultima sfida.
I due si posizionarono al centro della radura, l'arbitro li osservava attentamente dalla linea limite del campo di combattimento.
Faccia a faccia si sorrisero ironici, Legolas parlò

"Che vinca il migliore",

"Lo farò di certo" rispose lei beffarda.
Poi si allontanarono l'uno dall'altra e sguainarono le spade, pronti ad attaccare.
Morwen chiuse gli occhi e buttò fuori aria dalla bocca regolando l'adrenalina che la stava facendo letteralmente saltare sul posto.
Legolas la fissava concentrato. L'arbitro diede il segnale e la mora partì subito alla carica, menò un colpo che Legolas parò facilmente. Continuò ad attaccare ma lui non sembrò per niente in difficoltà e parò tutti i fendenti della ragazza con grazia.

"Cerca di metterci più eleganza Morwen, mi sembri un olifante" ridacchiò l'elfo.

L'altra si trattenne dall'urlargli in faccia perché si rese conto che in confronto ai movimenti di lui, i suoi sembravano quelli di orco.
Le bastava concentrarsi un attimo ma le parve impossibile.
Poi toccò a Legolas partire all'offensiva e la ragazza schivò e parò con prontezza tutti i suoi colpi.
Sembravano eguagliarsi anche lì.
Eh no! Questa sfida la devo vincere! Si incitò Morwen; e subito, con una mossa imprevista, saltò sul tronco di un frassino al quale si erano avvicinati combattendo, si diede lo slancio e atterrò poi alle spalle dell'elfo agilmente.
Con un calcio nel fondo schiena lo fece andare a sbattere contro l'albero e si preparò al contrattacco.
Legolas più sorpreso che arrabbiato, si girò di scatto e, dopo essersi massaggiato velocemente il naso dolorante, si lanciò su di lei a spada sguainata.
Morwen deviò il suo fendente spostandogli la spada verso il basso. Ora il biondo aveva il petto scoperto così lei lo andò prontamente a colpire con una gomitata. Ciò, tolse per un pò il respiro a Legolas, che si accucciò sofferente.
Morwen, preoccupata di avergli fatto troppo male, gli si avvicinò incauta

"Legolas tutto apposto?".

Approfittando della situazione l'elfo le afferrò il polso della mano armata, incontrando lo sguardo della ragazza.
Morwen ebbe un sussulto: come in un lampo le parve di trovarsi di nuovo di fronte a Kludd, le parve di rivederlo negli occhi azzurri di Legolas, rivisse il sogno di quella notte.
L'elfo lesse nei suoi occhi la paura e mollò la presa lasciandola cadere a terra; gli occhi sbarrati fissi su di lui. Ma che le stava succedendo? Perché la mente le giocava questi brutti scherzi?
La giovane non riusciva a capire; eppure non le sembrò di aver vissuto come un trauma l'incontro con il contrabbandiere...Si sentì debole.
L'arbitro ruppe la tensione che si era creata tra i due con il fischio di fine sfida e decretò Legolas vincitore del duello, ma lui non se ne curò, andò incontro alla sorella e le tese il braccio per aiutarla ad alzarsi. Lei lo ringraziò con lo sguardo e si rimise in piedi.
L'elfo aveva capito che c'era qualcosa che non andava ma sul momento non ebbe il coraggio di chiederle di cosa si trattava e quindi si limitò a sorriderle cercando di metterla a suo agio

"Complimenti principessa! Sei davvero in gamba".

Morwen lo guardò male: aveva anche voglia di scherzare? Sapeva che si era accorto che c'era un problema in lei. Perché allora faceva finta di niente?
Andò a recuperare la sua spada e senza degnarlo di uno sguardo si avviò verso le stalle lasciando fermo nella radura un Legolas confuso.
Ora voleva solo accarezzare il suo bel stallone e aggiornarlo sull'esito della sfida. O forse voleva solo un pò di conforto silenzioso.
In ogni caso l'obiettivo era mettere da parte quelle strane sensazioni di paura che ogni tanto avvertiva dentro di sé.
Un senso si vuoto e di smarrimento misto a rabbia la scuoteva dal profondo.
Non riusciva a capire.


Nota dell'autrice:

Ed eccoci arrivati al terzo capitolo! Innanzi tutto vorrei augurare a tutti un Buon Natale e felici momenti insieme ai vostri cari.

Cosa ne pensate della storia? Mi piacerebbe molto sentire i vostri pareri e se ne avete anche consigli! La nostra Morwen si fa misteriosa...secondo voi che le sta succedendo?

Spero il capitolo vi sia piaciuto e attendo impaziente recensioni!

Un abbraccio anche ai lettori silenziosi della mia FF. Aspetterò prima o poi anche il vostro parere, sempre nel rispetto dei vostri tempi e sempre se ve la sentite. Besos e ancora Buon Natale!



Kia

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Faccia a faccia ***


Capitolo 4 : FACCIA A FACCIA



"C'è una storia dietro ogni persona. C'è una ragione perché loro sono quel che sono. Loro non sono così solo perché lo vogliono. Qualcosa nel passato li ha resi tali e alcune volte è impossibile cambiarli."
S. F.




Dopo un pranzo silenzioso, Morwen tornò nelle stalle, prese Dagor e galoppò verso sud. Voleva stare un po' sola, ne aveva abbastanza degli sguardi interrogativi di Thranduil e Legolas. Se ne era stata zitta tutto il tempo fissando solamente il piatto e mangiando in silenzio. Alle loro domande rispondeva a monosillabi. Non era arrabbiata con nessuno dei due ma era turbata da ciò che ultimamente vedeva e da quello strano sogno che l'aveva scossa parecchio.
Ma che significava? La decisione migliore sarebbe stata quella di riferirlo al sovrano, che in queste cose aveva molta esperienza.Ma ancora non se la sentiva.

Tornò al Reame Boscoso verso il tardo pomeriggio. Quando Legolas la vide arrivare al trotto su Dagor le andò incontro; deciso a capire cosa avesse, stufo di quella sceneggiata.

"Morwen possiamo parlare?"

Lei scese da cavallo e lo guardò con sicurezza; in fin dei conti parlare con l'elfo le avrebbe fatto bene, anche se non era ancora intenzionata ad andare nei dettagli.

"Ok porto Dagor nelle stalle e arrivo".

I due andarono nel posto dove da sempre si erano fermati a conversare. Quel luogo, che ormai per loro era diventato sacro, consisteva in un vecchio frassino che dava su un orizzonte sconfinato ai margini nord-est della foresta, a qualche minuto dal palazzo reale.
Si sedettero sulle radici dell'albero rivolti alla distesa brulla che si stagliava di fronte a loro. Il cielo arancione illuminava di un colore acceso tutti i tronchi e le foglie degli alberi accanto a loro. Le nubi rosa e grigie allungate sembravano rincorrersi e cambiare forma in pochissimo tempo mentre venivano solcate dalle figure nere di alcuni uccelli che, in uno stormo, sorvolavano il paesaggio inondato dalla luce di quel sole cadente.
Sarebbe stato tutto perfetto se nella mente della donna non ci fosse stato quel pensiero fisso al sogno.
Restarono in silenzio qualche minuto a contemplare la muta bellezza di quel lembo di terra che ormai conoscevano come il loro palazzo.
Morwen appoggiò la schiena al tronco, chiuse gli occhi e inspirò l'aria, sentendosi finalmente in pace con i sensi. Niente visioni, niente turbamenti d'animo. Quel posto pareva avere un effetto speciale su di lei. Forse era magico.
Sarebbe potuta rimanere così un'eternità; seduta lì, a contatto con una natura così tranquilla e pacifica, accanto ad un elfo a cui voleva un bene dell'anima, finalmente al sicuro da quelle angoscianti emozioni.


Fu Legolas ad interrompere quel magico momento iniziando a parlare

"Ho sempre avuto dei bei ricordi di questo posto".

Morwen lo ascoltò in silenzio

"Ti ricordi quando da piccola mi chiedevi sempre perché il sole andasse via lasciando spazio l'oscurità?"

la ragazza sorrise al ricordo.

"La vedevi come un'ingiustizia"

"O quando ti addormentavi sulle mie gambe dopo l'addestramento"

"Ti credo! mi facevi correre saltare come una cavalletta!" ribatté lei tra l'offeso e il divertito

"Haha già! E i risultati si sono visti direi".

Seguì un minuto di silenzio imbarazzato, poi Legolas riprese a parlare

"Ehm...io dicevo sul serio prima; sei davvero migliorata" disse rivolgendole uno sguardo pieno di ammirazione e d'orgoglio.

Morwen sbuffò distogliendo lo sguardo dai suoi occhi

"Senti, Legolas, vieni al dunque! Mi hai chiamata per raccontarmi dei tuoi ricordi qui?" le chiese acida.

L'elfo, scosso dall'atteggiamento mutato di lei, la guardò intensamente cercando di capire cosa avesse.

"Vorrei sapere se c'è qualcosa che ti turba".

Vedendo che esitava un po' a rispondere insistette

"Durante l'ultima sfida ho letto paura nei tuoi occhi...".

"Io...non lo so" il tono di voce della ragazza era titubante e ciò parve molto strano a Legolas che la conosceva bene per la sua irritante sicurezza.

"Ho paura di quello che sento dentro"

Di Legolas si fidava ciecamente ma non gli avrebbe ancora detto di Kludd. Lei stessa voleva prima a capirci qualcosa.

"C'entra qualcosa con la tua famiglia?".

Lo sguardo di Morwen si fece buio.

"No, non penso. In ogni caso non mi interesserebbe. Ho chiuso con le ricerche; non ne voglio sapere niente".

A Legolas il suo comportamento parve sempre più strano. Morwen era sempre stata decisa nello scoprire qualcosa sui suoi genitori ed ora non gliene importava minimamente. Non era più la stessa.

"Sicura? Ora che sono tornato potremmo fare delle ricerche insieme, che ne dici? Magari riusciremo a..."

"Legolas!"

Morwen l'aveva interrotto con impeto e ora lo guardava accigliata

"Siete tu e Thranduil la mia famiglia. Ho detto che ho chiuso con le ricerche".

Sembrò, con quella frase, di voler chiudere la conversazione perciò l'elfo non ebbe più il coraggio di continuare a farle domande. Restarono in silenzio per un po' e poi Legolas riprese a parlare

"Morwen...In ogni caso io sarò sempre disponibile se hai bisogno di parlare o di confidarti. Ti sarò sempre vicino sorellina"

quindi si alzò e volse lo sguardo al sole che ormai non si vedeva quasi più. Morwen si alzò a sua volta guardando Legolas commossa. Non si meritava la sua attenzione; lei era così fredda è distante, mentre lui così buono. Stava per dirglielo quando ad un tratto sentì un freddo gelido percorrerla tutta. L'angoscia si impossessò del suo cuore. Guardò verso il sole; era sparito oltre l'orizzonte. Sentì la terra tremare sotto di sé; la paura la invase.
Legolas si girò a guardarla e assunse un'aria preoccupata

"Morwen va tutto bene? Sei pallida!".

La ragazza non sentì la sua voce, tutto le sembrò buio, le gambe non la ressero più. L'elfo con prontezza di riflessi la prese tra le sue braccia e la sollevò guardandola con apprensione. Poi si diresse a passo spedito verso il palazzo reale.
La portò subito nella sua stanza e ringraziò il cielo di non aver incontrato il padre nel tragitto altrimenti la ragazza non sarebbe stata la sola da sostenere. La sdraiò dolcemente sul letto e rimase lì per vegliare su di lei.


Morwen si svegliò due ore dopo con un gran mal di testa e due preoccupati occhi azzurri che la guardavano.

"Legolas...Che ci fai qui?" gli chiese lei massaggiandosi la tempia

"Non ti ricordi niente?"

"Cosa dovrei ricordare?"

"Sei svenuta e hai dormito per due ore" disse lui parlandole con dolcezza.

Ad un tratto ricordò tutto: la conversazione, il paesaggio mozzafiato e la sensazione di smarrimento.

"Oh si...ricordo" rispose rabbuiandosi in volto,

"Ma non c'era bisogno che rimanessi qua per me. Vai pure a cena io resto qui"

Legolas si alzò

"Non se ne parla neanche, tu vieni con me. Devi mangiare per tenerti in forze; oggi hai combattuto parecchio e hai bisogno di energie".

Il suo pareva più un ordine che un consiglio ma la mora non aveva alcuna intenzione di recarsi nella sala da pranzo sotto lo sguardo indagatore dei presenti. Voleva stare un po' tranquilla. Solo il fatto che Legolas l'aveva sorvegliata tutto quel tempo la mise in imbarazzo; non doveva preoccuparsi per così poco. In fin dei conti lo svenimento era dovuto alla stanchezza derivante la giornata. La ragazza assunse un'aria decisa

"Sto bene, te l'assicuro! Tu va', io voglio riposare" mentì.

Legolas non volle insistere ma le promise che finito di mangiare sarebbe subito tornato ad accertarsi che tutto andasse bene. Morwen si arrese e quando il biondo chiuse la porta dietro di sé, non poté fare a meno di sorridere.


Più tardi la ragazza sentì bussare alla porta. Nel frattempo si era alzata e, seduta ad un tavolino, era intenta ad affilare il suo coltello. Mollò tutto e si lanciò sul letto coprendosi con le lenzuola di seta, fingendo di esserci sempre stata.

"Vieni avanti Legolas!" dichiarò infine a voce alta.

Quando la porta fu aperta però, davanti a lei, non c'era Legolas, bensì Thranduil, che, nella sua solita espressione indecifrabile, reggeva una tazza fumante.

"Ada!" esclamò lei sorpresa

"Sì; ho insistito con Legolas nel portartela io" detto questo chiuse la porta dietro di sé e pose la tazza sul comodino

"È un infuso alle erbe...ti farà bene" continuò

"Grazie"

l'elfo si sedette con grazia sulla sedia vicino al letto

"Hai lo sguardo vuoto..." disse poi osservando la donna.

Morwen scrollò le spalle

"Sono solo stanca"

Poi prese con entrambe le mani la tazza tenendola stretta, gli occhi incollati nel bollente liquido verde.

Thranduil la guardò scettico

"Ti conosco troppo bene; non sai mentire a me, Morwen".

la ragazza sospirò

"Non ho voglia di parlare".

"Una volta ti confidavi con me"

"I problemi erano diversi", ripose evasiva.

"In ogni caso erano problemi".

La mora ripose la tazza sul comodino e si massaggiò le tempie.

"Devi chiedermi qualcosa?",

l'elfo le rivolse la domanda e guardandola negli occhi capì che aveva bisogno di parlare, solo che non ne aveva il coraggio. Li sapeva leggere con una facilità incredibile. Lui e Legolas erano gli unici a saperlo fare; tutti gli altri elfi la vedevano come la strana principessa irraggiungibile e misteriosa. Piaceva a molti di essi, ma nessuno di loro aveva mai avuto il coraggio di farle avance o mostrarle interessamento. Si limitavano ad ammirarla o a sorriderle timidamente, e in tutta risposta lei li freddava con un semplice sguardo.

"È saggio dare ascolto ai sogni?".

Passò qualche secondo di silenzio, poi Thranduil parlò

"I sogni sono una dimensione misteriosa. Talvolta confondono anche me. In ogni caso essi contengono del vero. Possono mostrarti qualcosa di cui hai paura, qualcosa che hai vissuto o qualcosa che desideri" poi si fermò e guardò intensamente la ragazza.

"Ma nel caso si trattasse di sogni premonitori bisogna stare in guardia; spesso si va incontro al proprio destino sulla strada intrapresa proprio per evitarlo".

Dopodiché il sovrano si alzò e se ne andò raccomandandole di riposare. Morwen però non riuscì ad addormentarsi subito ripensando alle sue parole.
Poteva davvero essere un sogno premonitore?
Come avrebbe fatto a saperlo?
L'unica cosa di cui era sicura era che suo padre e Legolas le erano vicini e su di loro poteva contare.

Passarono settimane e Morwen non ebbe più visioni né sogni strani, il che la rese molto più serena.
Trascorse i giorni allenandosi e facendo cavalcate con Legolas, mentre lui non la smetteva di raccontarle le avventure vissute con Aragorn e dirle di quanto fosse bello Gran Burrone.

Venne Yavieba: la festa dedicata al primo giorno di Lasbelin (Autunno).
Secondo la tradizione elfica durante la sera vengono organizzati balli e canti attorno al fuoco per salutare la luce e il calore estivo e si mangiano i primi frutti autunnali esprimendo un desiderio al primo assaggio.
Morwen ormai sembrava essere tornata quella di prima: attiva, sicura e priva di inibizioni. Inoltre non vedeva l'ora di festeggiare e di divertirsi.

Lei e Legolas uscirono alla mattina presto insieme ad altri elfi per una passeggiata nel bosco e per cercare funghi e frutti per la festa. Pranzarono seduti sotto le folte chiome delle querce dalle foglie rosse e gialle che contrastavano con quelle verdi dei caducifogli, mentre il sole, al suo picco della giornata, filtrava a malapena dal fitto fogliame creando così un'atmosfera irreale. Il tutto infine fu coronato da una dolce melodia intonata Ilwe, un'elfa che si era unita al gruppo per la passeggiata. Morwen, rilassata, poggiò la testa sulla spalla di Legolas e, chiusi gli occhi, si godette la canzone.

Quando la donna riaprì gli occhi si accorse che tutti gli altri elfi erano spariti. Rimanevano solo lei e Legolas. Alzò la testa di scatto e, confusa, guardò il biondo che invece sembrava divertito.

"Dove sono tutti??"

"Sono già tornati al palazzo. Hai dormito per tre ore"

"Cooosa?", Morwen saltò in piedi che sembrò l'avesse punta un insetto.

"E tu perché non mi hai svegliato??"

Legolas si alzò a sua volta e, dopo essersi sgranchito tutto, rispose

"Ti ho visto così rilassata che non ne ho avuto il coraggio. Pensavo fossi stanca"

"Pff...stanca. Dai sbrighiamoci. Dobbiamo tornare in tempo per i festeggiamenti", e si avviarono a passo spedito verso verso il palazzo.

Quando Morwen ebbe finito di vestirsi e pettinarsi si diresse velocemente alla sala del banchetto dove Legolas l'aspettava, già seduto a tavola. Thranduil non era ancora arrivato. La mora si sedette di fronte al principe, il quale la guardo ammirato e le fece i complimenti per il vestito nuovo che le aveva regalato il re per l'occasione.
Morwen rispose con una smorfia e con un grazie imbarazzato. Odiava vestirsi elegante e non si vedeva mai bene in quei sontuosi vestiti femminili che solevano portare le elfe di corte. Prediligeva di gran lunga gli abiti pratici e comodi come quelli da addestramento.
Non fece in tempo a restituire il complimento all'elfo che il sovrano era già arrivato e, dopo aver fatto un rapporto generale sulla stagione estiva appena conclusa, diede inizio al banchetto e ai festeggiamenti.
Assaggiarono i primi frutti ed espressero desideri, ballarono e intonarono poesie e canzoni nella Sala del Fuoco festeggiando fino a tardi.

Verso le due di notte, gli elfi presenti, erano già brilli e Morwen cominciò a stufarsi. Infatti, tempo una mezz'ora, e stava già tornando in camera sua. L'unico che era rimasto lucido era Legolas che, accortosi dell'allontanamento di lei, la raggiunse guardola sorpreso.

"Te ne vai di già?"

"Certo. Non vedo come tu possa trovare interessante conversare con degli ubriachi" rispose schietta.

"Capisco...va pure allora. Io resterò ancora un pò" disse con una punta di tristezza nella voce.

Morwen girò lo sguardo verso Thranduil che, palesemente alticcio, rideva di gusto insieme ad un altro elfo di certo non messo meglio.

"Lo fai per lui vero?" chiese allora lei.

L'altro lo guardò e sospirò

"Si...ora come ora non sarebbe in grado di raggiungere da solo la sua camera da letto".

Morwen scosse la testa accigliata

"Non ho mai approvato il suo attaccamento al vino"

"Nemmeno io".

La giovane non volle soffermarsi ancora e, congedatasi dall'amico con un abbraccio, si diresse verso la sua stanza.

~~~

Kludd era di nuovo di fronte a lei; la luce fortissima piano piano stava svanendo per lasciare spazio ad una radura oscura. Capì di trovarsi nel Bosco Atro e riconobbe la radura in cui lei e Legolas si erano soffermati quel pomeriggio. L'unica cosa differente era che tutto era molto più tenebroso e inquietante. Kludd parlò

"lo so cosa cerchi Morwen. Tu cerchi risposte; le hai sempre cercate e non smetterai di farlo".

Tutto le sembrò così reale tanto che riuscì a rispondere cosciente.

"Esci dalla mia testa!"

"Potrei farlo si...ma è davvero ciò che vuoi?"

"Assolutamente sì!"

"Va bene, come desideri. In ogni caso sai dove trovarmi".


Morwen si alzò; il respiro affannato, qualche goccia di sudore sulla fronte. Le sembrò troppo vero per credere di aver sognato, eppure era così. Scese dal letto e in fretta cominciò a vestirsi, quasi inconsapevole di ciò che stava per fare. Prese con se solo il suo lungo coltello e, uscita dalla stanza, si avviò alle stalle colta dall'improvvisa sete di sapere qualcosa da quell'uomo. Dagor, che sapeva riconoscere il suo passo, la sentì arrivare, si destò dal dormiveglia e nitrì sorpreso

"Che succede Mo?"

"Ti spiegherò con calma, ora però fa silenzio; non devono scoprirci"

"Signor sì signora!" nitrì con forza provocandola.

"Shhh!!"

Fuori dalle stalle sentirono un gran vociare proveniente dalle sale superiori: quelle dedicate alla festa; e Morwen si rese conto che doveva essere passata poco più di un'ora da quando l'aveva lasciata. Al portone d'ingresso trovarono due sentinelle, perciò dovettero fare dietrofront e avviarsi attraverso le prigioni sotterranee per utilizzare l'uscita segreta che sono la famiglia reale conosceva e che si apriva solo con il sigillo regale. Quest'ultimo si trovava sull'anello che possedevano lei, Legolas e il sovrano.

Appena fuori dal palazzo si diressero a tutta velocità in direzione nord per aggirare il ponte sul quale vegliavano le due guardie silvane. Cavalcarono per un lungo tragitto fino ad arrivare ad una radura sulla sponda est del fiume Selva. Lì, l'acqua era più bassa e meno tumultuosa, perciò passarono senza difficoltà.

"Forza Dagor! Sento che siamo quasi arrivati",

"Fai presto a dirlo. Non sei certo tu che ti stai ghiacciando le gambe"

"Oh e smettila".

Passato il fiume però, il cavallo si inchiodò.

"Bene, ora non mi muoverò di qui finché non mi dirai che sta succedendo"

"Uff...non molli mai tu?".

In risposta lui le nitrì irritato,

"E va bene...Ho sognato quel contrabbandiere da cui mi hai salvata. È qui nella foresta perciò voglio sapere una volta per tutte chi è. Soddisfatto?".

Dagor si diede una scrollata ai crini

"Ora si grazie" e riprese il galoppo.

Anche se era notte Morwen sapeva con sicurezza dove andare: qualcosa dentro di lei la guidava e l'ansia cresceva man mano che si avvicinavano alla destinazione.
Quando, pochi minuti dopo, arrivarono, la piccola radura era immersa nelle tenebre e di Kludd nessuna traccia.

"Sicura sia questo il posto?" nitrì il destriero sommessamente.

"Più che sicura" rispose la donna cercando di nascondere il suo turbamento.

Tentò di scorgere l'uomo tra il folto degli alberi ma non vide nessuno. Scese allora da Dagor e si posizionò al centro dello spazio privo d'alberi. Il freddo che le penetrava nelle ossa e il silenzio che la turbava. Ad un tratto una voce dietro di lei la fece sobbalzare

"Sapevo che saresti venuta".

La giovane si girò e incrociò gli occhi con quelli di ghiaccio del contrabbandiere, che sembravano brillare di una luce innaturale.
Paura e inquietudine si impossessarono di lei.

Nota dell'autrice:

Rieccomi qui amici lettori! Spero di non aver tardato troppo ad aggiornare il quarto capitolo e soprattutto spero vi sia piaciuto! Purtroppo la quinta superiore si fa sentire perciò per i prossimi capitoli probabilmente tarderò un pò e vi chiedo scusa in anticipo.
Per quanto riguarda la storia ditemi le vostre impressioni a riguardo.
Commentate mi raccomando. Un abbraccio a tutti voi ♥

Kia

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Occhi di ghiaccio ***


Capitolo 5 : OCCHI DI GHIACCIO



"Io di risposte non ne ho, mai ne ho avute e mai ne avrò. Di domande ne ho quante ne vuoi"

J. H.




Si fissarono a lungo senza che nessuno proferisse parola. Morwen non riusciva a formulare neanche una frase di senso compiuto. Dagor le si avvicinò immediatamente dandole tutto il supporto possibile, dopodiché nitrì irritato verso l'uomo.

"Toccala e sei morto".

Kludd lo guardò, ma subito dopo tornò a posare le sue iridi glaciali su Morwen.

"Vedo che ti sei portata la guardia del corpo" disse con una nota beffarda nella voce.

"So badare a me stessa" rispose lei sguainando il lungo pugnale e puntandoglielo al collo.

Kludd si ritrasse guardandolo sorpreso, poi riassunse l'espressione di prima e, passandosi una mano tra i capelli neri, esclamò sospirando

"Principessa...".

"Contrabbandiere..." rispose lei con disprezzo.

L'uomo fissò la lama del pugnale a pochi centimetri da lui e poi guardò la donna, in attesa che parlasse.

"Perché mi appari in sogno? Perché ho tutte queste visioni? Perché non sono più la stessa?" domandò lei infine abbassando l'arma.

"Fai tanto la dura fuori, ma dentro sei debole. Hai una voragine nell'anima e finora non ha fatto altro che cercare di riempirla. Come credi che sia riuscito a sondarti se non passando attraverso le tue debolezze?".

Morwen lo fissava, visibilmente confusa. Cosa intendeva dire con "voragine"? Come aveva fatto a sondarla? Era forse capace come Thranduil e Legolas di leggerla dentro?

"Chi sei tu?".

"Una domanda semplice a cui tuttavia si possono dare molteplici risposte...Io sono Kludd, figlio di Margon. La mia famiglia è originaria del Nord".

"Appartieni alla stirpe dei dúnedain?".

"Mio padre...si".

"Conosci Aragorn figlio di Arathorn?" chiese lei incuriosita.

Legolas le aveva parlato molto di lui, perciò sapeva che anche Aragorn apparteneva a quella gente.

"Purtroppo non ho mai avuto il privilegio di parlargli, ma mio padre lo conosceva. Hanno combattuto fianco a fianco anni fa".

La mora dedusse allora che l'amico di Legolas non doveva essere poi così giovane. Kludd le si avvicinò con decisione fissandola negli occhi. Morwen, per nulla intimidita, rimase dov'era. Dagor invece, si fece avanti soffiando aggressivo.

"Buono Dag!" lo tranquillizzò lei.

"Avanti...so che vuoi chiedermi un'altra cosa. Perché esiti?" chiese lui per nulla intimidito dalla reazione del destriero.

Morwen non sapeva quale domanda fare. Ne aveva davvero troppe...Eppure ce n'era una in particolare alla quale voleva una risposta. Desiderava sapere chi fossero i suoi veri genitori. Ma come faceva lui a saperlo? E poi non si sarebbe fidata a fargli una domanda così personale. Perciò optò per la seconda.

"Come puoi tu sondarmi? Sei solo un misero contrabbandiere!".

Lui rise. Una risata fredda.

"Credi ancora che io sia un contrabbandiere? Davvero bambola...credevo fossi più intelligente".

Con rabbia la donna gli puntò di nuovo la lama al collo.

"Non chiamarmi così" sibilò.

"Credi davvero di farmi impressione con quel giocattolo? Esistono armi più potenti; capaci di scuoterti dentro".

L'espressione decisa di Morwen svanì. Era lui a provocarle tutte quelle sensazioni? Doveva vederci chiaro. Stavolta fu lei ad avvicinarglisi. Stringendo con forza il manico del pugnale elfico, gli parlò con rabbia.

"Sei tu la causa di come mi sento! Sei uno stregone!"

"Finalmente l'hai capito" le rispose lui sogghignando.

"Perché ce l'hai con me se posso saperlo?".

"Perché non sei ciò che credi. Io voglio scoprire chi sei realmente. Ora sei la mia preda".

Quell'affermazione provocò dei brividi nel corpo della ragazza che, prima di poter ribattere, vide la figura dell'uomo piano piano svanire nell'oscurità della notte. Prima di sparire del tutto però sentì di nuovo la sua voce;

"Ricordati che le risposte che ti ho dato hanno un prezzo". Non c'era più.


Passò più o meno un mese e arrivò il giorno della partenza per Gran Burrone. Giorni addietro, infatti, il sovrano di Bosco Atro aveva avvisato i due principi di un consiglio che avrebbe tenuto Elrond su alcune questioni importanti. Aveva raccomandato a Legolas di partecipare al posto suo per comunicare la fuga di Gollum dalla loro celle. Morwen allora, aveva insistito per parteciparvi anche lei e alla fine era riuscita a convincere Thranduil, che, seppure molto riluttante aveva consentito a lasciarla andare. Morwen e Legolas, ora, erano nell'atrio del palazzo, pronti a partire. La ragazza indossava dei pantaloni attillati verde marcio, una casacca verde chiaro a maniche corte stretta in vita da una cintura di cuoio che reggeva la spada il coltello. Sopra la casacca portava un corpetto verde scuro con una fascia marrone sotto il petto. Gli stivali in pelle le arrivavano a metà coscia e i bracciali in cuoio, stretti da stringhe, anch'esse in cuoio, terminavano appena prima del gomito e le coprivano anche parte della mano. A coprire il tutto una mantella regale in velluto che portava uguale Legolas. I due controllarono se, nelle bisacce, c'era tutto il necessario per il viaggio e aspettarono l'arrivo del sovrano che, dopo qualche minuto, videro scendere elegantemente le scale e avvicinarsi a loro. Quando fu a un passo dai due parlò,

"Salutatemi Elrond e la sua famiglia", sul volto, la solita espressione indecifrabile.

Poi guardò suo figlio,

"Ti devo parlare".

Dopodiché si allontanarono da Morwen che, intanto, si era messa a controllare che la sella di Dagor fosse fissata bene.

"Legolas, non mi è stato facile lasciarla andare lo sai" disse volgendo uno sguardo veloce alla ragazza, che ora stava parlando con una guardia silvana.

"Ti prego veglia su di lei...non voglio perderla di nuovo" la sua voce era quasi implorante.

Legolas infatti si stupì e non capì cosa intendesse con "di nuovo", ma non gli chiese niente. Associò quell'affermazione alle scappatelle della ragazza fuori dai confini, che avevano sempre fatto preoccupare il re.

"Fidati di me padre. Comunque è solo un viaggio fino a Gran Burrone..." concluse superficialmente.

"Oltre i nostri confini le terre selvagge brulicano di orchi e banditi e tu lo sai!",

Legolas evitò di dire che lo sapeva anche Morwen e si limitò ad annuire solennemente.

"Nel caso Elrond vi affidasse una missione..." esitò un attimo e poi riprese.

"Lei non vi parteciperà. Resterà a Imladris e dopo manderò qualcuno per accompagnarla sulla via del ritorno".

Il figlio lo guardò, lo sguardo corrucciato.

"Una missione? Credi sia questa l'intenzione di Re Elrond?".

"Ti dico solo ciò che prevedo", poi il suo sguardo si incupì.

"Sono tempi oscuri Legolas...espandi le tue percezioni; ne avrai bisogno. Esse ti aiuteranno ad affrontare molti pericoli" concluse guardandolo intensamente.

A Legolas parve di vedere un lampo d'orgoglio nei suoi occhi e in risposta gli sorrise un po' imbarazzato. Poi il sovrano andò dalla figlia adottiva.

"Morwen vorrei darti una cosa. Forse avrei dovuto consegnartela tempo fa, ma non me la sono mai sentita di rivangare ulteriormente nel suo passato".

La mora lo guardò con aria interrogativa e, quando lui gli porse avvolta in una leggera stoffa argentata una collana di Agata blu, rimase senza fiato ad osservarla. Le era familiare ma non capì il perché. Prese il ciondolo e se lo rigirò fra le mani, contemplando seriamente. Poi alzò lo sguardo e puntò i suoi occhi in quelli, sorprendentemente lucidi, di Thranduil. Che aveva ora? Non stava certo partendo per andare in guerra!

"Dove l'hai presa?" chiese incuriosita.

"Era appoggiata sul tuo fagotto la notte in cui ti trovammo".

Morwen dedusse che fosse appartenuta a sua madre e il dolore che provò per questo pensiero le bloccò la gola.

"Morwen guardami" le ordinò dolcemente passandole una mano fra i capelli neri.

"Io non voglio perderti".

"Ada! È solo un consiglio!" rispose lei seccata.

"Lo so! Ma ciò a cui esso può portare mi inquieta molto". Guardò gli occhi confusi della giovane e poi l'abbracciò.

"Ti prometto che tornerò" lo rassicurò lei.

Poi si staccò dall'abbraccio, mise la collana in una sacchetta che portava in cintura e si issò su Dagor, che scalpitava, impaziente di partire. Lei e Legolas salutarono con un cenno della mano il re, per poi avviarsi al trotto nella foresta illuminata dal primo sole. L'aria frizzante dell'alba scompigliava i loro capelli e solleticava loro il naso. Morwen volse uno sguardo a Legolas che, di fianco a lei, procedeva elegantemente sul dorso di Alagos. Poi tornò ad ammirare la ben nota natura intorno a sé come se fosse la prima volta. La guardò con occhi nuovi e si sentì invadere da una strana felicità: per la prima volta non stava uscendo dai confini di nascosto. Per la prima volta si sentì veramente libera.


Viaggiarono instancabilmente per quattro giorni e tre notti, sostando solo per riposare, dato che il lembas permetteva ai due principi e i loro cavalli di proseguire senza fermarsi. Attraversarono la foresta e il fiume Anduin, passarono vicino al Carrock e intrapreso la via per passare le montagne nebbiose. Infine, all'alba del quinto giorno, furono in vista della Valle di Imladris.
Appena Morwen posò gli occhi su tale splendore rimase senza fiato: la luce calda cresceva piano piano e creava giochi di luci e riflessi sensazionali. Le cascate brillavano e sembravano essere composte da mille goccioline di sole. Gli alberi, con le loro graduazioni rosse arancioni gialle e verdi, non creavano confusione per la quantità di colori; bensì un'armonia unica che solo quel luogo sembrava possedere e le foglie di essi producevano una musica speciale, mentre venivano attraversate da una leggera brezza. Tutto ciò portò la donna ad uno stato di pace interiore, che venne poi bruscamente interrotto da un nutrito spazientito di Dagor.

"Ne hai ancora per molto?".

Morwen notò allora che Legolas era già avanti e che non si era accorto della sua sosta. Spronò quindi il nero destriero, chiedendogli scusa, e si riposizionò dietro l'elfo che, intanto, procedeva imperterrito verso il palazzo.

Quando varcarono le soglie dell'edificio vennero accolti da un gruppo di elfi nel quale si trovava anche Elrond. Morwen intuì dai vestiti che portava, eleganti ma sobri, che il sovrano di Gran Burrone doveva essere molto diverso da Thranduil. Il signore di Imladris fece portare i cavalli nelle stalle e salutò Legolas con un abbraccio paterno. La giovane invece lo salutò con inchino, al quale lui rispose con un solenne saluto. Poi la guardò intensamente.
"Tu devi essere Morwen giusto?",

"È così Signore", rispose lei, per nulla intimidita dagli sguardi che stava ricevendo da tutti.

"Devo dire che ne è passato di tempo, dall'ultima volta che ti ho vista"; le disse l'elfo con gli occhi grigi.

Lei non rispose; non aveva idea di averlo già visto, perciò evitò di fare brutte figure.

"Benvenuta ad Imladris...spero tu possa trovarti a tuo agio qui. So che è molto diverso dal Regno in cui sei cresciuta".

A Morwen parve di leggere qualcosa di strano nei suoi occhi grigi, ma non riuscì a capire di cosa si trattasse.

"Grazie. Sono sicura che mi troverò bene qui; è un posto così bello...".

Elrond le sorrise in risposta e poi, allontanandosi, si congedò dai due ospiti.

"Lindir vi accompagnerà nelle vostre stanze", disse indicando un elfo dai lunghi capelli dritti e scuri, che stava venendo verso di loro.

"Prima di pranzo terremo il consiglio sulla terrazza principale; quella dedicata alle riunioni. Siate puntuali, mi raccomando".

Così dicendo si avviò su per una rampa di scale, seguito dal gruppo di elfi. In fondo ad esso, Morwen, vide una giovane elfa dai capelli neri mossi e gli occhi azzurri. Era bellissima e la sua pelle sembrava brillare di una luce eterea, mentre le guance, di un colorito roseo, sopra le labbra rosse naturali, le davano un aspetto umano. Si fermò di fronte al Legolas e lo guardò con dolcezza, poi mise la mano destra sul petto in forma di saluto. Il biondo rispose allo stesso modo e poi, rivolgendosi verso Morwen, la presentò.

"Morwen, lei è Arwen: figlia di Elrond, chiamata Stella del Vespro". Poi rivolgendosi all'elfa presentò l'amica.

"Arwen, lei è Morwen: principessa di Bosco Atro, nonché mia sorella adottiva"; concluse guardando la donna con occhi luminosi.

Arwen, che si era girata verso di lei, chinò leggermente il capo e pose di nuovo la mano sul petto.

"È un onore conoscerti Morwen".

Poi la guardò negli occhi e le sorrise.

"Anche per me, Arwen"; rispose la donna, imbarazzata dalla regalità che emanava quell'elfa.

Subito dopo Lindir li condusse alle stanze degli ospiti e si congedò dai due. Morwen si fiondò subito nella camera, per lavarsi e riposare le membra stanche dal lungo viaggio. Legolas, invece, rimase appoggiato alla balaustra del corridoio nel quale si trovavano gli alloggi e rimase un bel po' a guardare il paesaggio incantato che si trovava sotto di lui. Avvertiva qualcosa nell'aria; forse un vento di cambiamenti, forse il consiglio avrebbe portato solo brutte notizie, o forse no. Una cosa era certa: il male stava crescendo e bisognava fermarlo in qualunque modo.



Nota dell'autrice:

Rieccomi da voi lettrici e lettori carissimi 💜
Mi scuso ancora per il ritardo ma la scuola mi fa impazzire. Spero possiate capirmi 😩, abbiate pietà di una maturanda sclerata 😱😲. Allora che mi dite di questo capitolo??? Pareri su Kludd? E Morwen?
Sappiate che da questo capitolo alla nostra amica cominceranno a capitare cose strane. Non vi spoilero altro, lo leggerete più avanti. 😜
Ammetto di aver pubblicato il capitolo più corto rispetto a ciò che avevo programmato, ma il fatto è che non volevo farvi aspettare ulteriormente per aggiungere anche il consiglio di Elrond. Perciò il capitolo 6 inizierà proprio con quello 😉.

Mi raccomando ESPRIMETE I VOSTRI PARERI che sono sempre ben accetti e recensite numerosi 💞
Besooos 😘 hasta pronto muchachos
Kia

Image and video hosting by TinyPic
Vestiti da viaggio di Morwen

Image and video hosting by TinyPic
Legolas ed Alagos

Image and video hosting by TinyPic
Kludd

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** La scelta giusta ***


Capitolo 6 : LA SCELTA GIUSTA



"Puoi andare dappertutto, ma non ti allontani da quello che hai dentro"



Quando Morwen giunse al punto di raduno, erano già tutti seduti a disposizione circolare e chiacchieravano in attesa che si cominciasse. Elrond era già seduto e stava parlando con un elfo dai lunghi capelli biondi in piedi di fronte a lui. Legolas, anch'esso già seduto, fece cenno all'amica di sbrigarsi. Così, Morwen, passando in mezzo al cerchio sotto lo sguardo curioso di presenti, sedette a fianco dell'elfo. Evidentemente si stavano chiedendo chi fosse quell'umana dai vestiti elfici nella rappresentanza di Bosco Atro. La donna, guardandosi intorno, vide uomini, elfi e perfino nani. Si chiese se tra quest'ultimi alcuni avevano partecipato all'impresa di Thorin Scudodiquercia, di cui aveva tanto sentito parlare Thranduil. Come se le avesse letto nel pensiero, Legolas, fece un cenno della testa verso un nano dall'imponente barba rossiccia che parlava animatamente con uno che la donna immaginò fosse suo parente, tanta era la somiglianza.

"Quello è Gloin: uno dei nani della compagnia di Thorin II".

Dopo poco arrivò Gandalf insieme a due piccoli uomini dai grandi piedi e i capelli ricci. Tali tratti distintivi ritraevano la razza Hobbit di cui le aveva parlato il Re del Reame Boscoso quando era piccola. Uno era vecchio, l'altro giovane. Il primo si sosteneva grazie ad un bastone e sembrava fisicamente molto fragile, ma il suo passo non era affatto incerto e, quando Morwen incrociò i suoi occhi, vi lesse dentro una forza incredibile. Legolas le sussurrò all'orecchio.

"Quello è Bilbo Baggins, il famoso Hobbit che aiutò Thorin Scudodiquercia e la sua compagnia a riprendersi Erebor".

Morwen lo guardò di nuovo, stavolta con grande ammirazione e si chiese come aveva fatto un piccoletto come lui ad affrontare si tanti pericoli e avversità. Di certo affrontare un drago non era un'impresa da poco, perciò le era chiaro che in lui c'era molto più di quanto non apparisse. Poi guardò il giovane; capelli scuri e occhi di un azzurro intenso. I due Hobbit si sedettero anch'essi e il consiglio cominciò. La voce forte e decisa del Signore di Imladris risuonò nell'aria.

"Stranieri di remoti paesi e amici di vecchia data. Siete stati convocati per rispondere alla minaccia di Mordor. La Terra di Mezzo è sull'orlo della distruzione. Nessuno può sfuggire. O vi unirete o crollerete. Ogni razza è obbligata a questo fato, a questa sorte drammatica".

Così, dopo aver scrutato tutti i presenti, si rivolse al giovane Hobbit dai capelli neri.

"Porta qui l'Anello, Frodo"

Il mezz'uomo si alzò e andò ad appoggiare su una tavola rotonda di pietra un piccolo anello d'oro. Poi, come se si fosse tolto un enorme peso di dosso, si risedette sospirando sulla sua sedia. I presenti ammutolirono all'istante. Si sentiva solo il rumore dell'acqua delle cascate, che si infrangeva sulle rocce instancabile. Morwen sentì Legolas irrigidirsi vicino a lei. Nell'aria si percepiva una strana tensione.

"Come potete essere certi che si tratti dell'unico?"

A rompere il silenzio era stato un uomo dai capelli biondo scuro tagliati sopra le spalle, un pizzetto curato e gli occhi grigi. Il suo aspetto era nobile e lo sguardo orgoglioso e severo. Legolas si girò verso l'amica.

"Si chiama Boromir. È il primogenito del sovrintendente di Gondor".

"La tua domanda è lecita, Boromir figlio di Denethor. Per questo ora sei qui e per questo risponderò al tuo dubbio raccontandoti la storia dell'anello dalla caduta di Isildur". Quando Elrond ebbe finito, Morwen intervenne.

"E il signore oscuro sa del ritrovamento di esso da parte di Bilbo Baggins?".

Gloin rispose alla sua domanda.

"Certo che lo sa! Non per niente uno dei suoi servi del male venne tempo fa a Moria per chiedere informazioni sulla tanto strana razza Hobbit. Noi non gli dicemmo niente, così se ne andò irritato, ma non essendo più tornato deducemmo che dovette aver trovato informazioni altrove" concluse amaramente.

"E come seppero che fu proprio Bilbo a trovarlo? Chi disse loro il nome dello Hobbit?" chiese ancora dubbioso il gondoriano.

A rispondergli, stavolta, fu un uomo dal nobile aspetto, con i capelli scuri e una leggera barba.

"Fu la creatura di nome Gollum a riferirglielo. Mentre cercava l'anello per conto suo, venne catturato dagli orchi e, sotto tortura, nominò Baggins e la Contea".

"E da qui entrai in gioco io" intervenne Gandalf.

"Dopo la riconquista di Erebor. Lasciai Bilbo con la certezza che avesse trovato solo un semplice anello magico; ignoravo si trattasse proprio dell'unico. Ebbi dei dubbi solo tempo dopo e, successivamente, alla festa di compleanno di Bilbo, quando esso passò in eredità a Frodo, dovetti metterlo in guardia. Andai a cercare informazioni alla grande biblioteca di Minas Tirith e, dopo aver letto delle pergamene su quel fatale oggetto, tornai nella Contea. Misi l'anello nel fuoco e vidi apparire le scritte elfiche che lo caratterizzano. In quel momento potevo esser certo di trovarmi davanti al Flagello di Isildur. Raccontai a Frodo la sua storia e lo esortai a partire il prima possibile. Dopodiché dovetti andarmene con la necessità di conferire con il bianco stregone" concluse Gandalf rivolgendo poi lo sguardo verso Frodo, come per esortarlo a continuare.

Lo Hobbit intervenne riportando la sua testimonianza.

"Purtroppo io non partì immediatamente, infatti traslocai prima in una casa nella terra di Buck dove Pipino, Merry e Sam che mi avevano aiutato nei preparativi, decisero di farmi una sorpresa unendosi a me nel mio imminente viaggio verso Gran Burrone".

Poi, dopo aver raccontato della partenza dalla terra di Buck fino all'arrivo di Brea e da Brea fino a Gran Burrone, terminò il racconto sotto lo sguardo sempre più stupito di Morwen. Come aveva fatto un piccoletto come lui a resistere alla ferita di un pugnale Morgul? Questi mezz'uomini la incuriosivano parecchio. Venne scossa delle sue riflessioni dalla voce di Frodo che, rivolgendosi a Gandalf, chiese

"Perché tardasti così tanto a raggiungerci? Avevamo paura che ti fosse capitato qualcosa".

Tutti spostarono gli occhi sullo stregone che non tardò a rispondere.

"Come vi ho già detto andai a trovare Saruman per chiedergli consigli, ma ad Isengard scoprì amaramente che il saggio stregone si era lasciato corrompere dalla sete di potere. Mi chiese di unirmi a lui nel suo progetto di conquista della Terra di Mezzo. Egli cerca l'anello per sconfiggere l'Oscuro Signore e assumere il potere. Lui stesso mi disse di non essere più Saruman il Bianco, bensì Saruman multicolore".

"Infido traditore!"

"Lasciami finire Gimli figlio di Gloin"

Il nano si zittì ma borbottò qualcosa, chiaramente ancora furioso.

"Ebbene, poi venni imprigionato ad Orthanc e fuggii solo grazie all'aiuto di Lady Galadriel. Raggiunsi Brea in velocità e lì, venni a sapere con gran sollievo che Frodo e gli altri avevano incontrato Grampasso ed erano già partiti".
Così, rassicurato dalla presenza del loro accompagnatore, mi concedetti una notte di riposo, per poi ripartire alla volta di Collevento, dove i Cavalieri Neri mi tennero in assedio. Riuscii poi a scappare e, dato che trovare Frodo nelle Terre Selvagge con il nove alle calcagna era impossibile, decisi di recarmi direttamente a Gran Burrone per poi inviare aiuto da lì. Dovevo fidarmi di Grampasso"

"Eppure non mi è chiara una cosa" disse Boromir pensieroso.

"Che ne è di Gollum dopo che rivelò al nemico le informazioni sull’anello?".

"Riuscii catturarlo sull'Emyn Muil e ora marcisce nelle celle di Bosco Atro" rispose l'uomo dai capelli scuri e l'aspetto nobile. Doveva essere Gampasso, dato che durante il racconto di Gandalf annuiva seriamente come per confermare le parole dell'amico.
Legolas si alzò in piedi.

"Mi dispiace contraddirti, ma ciò che dici non è più vero. Io e Morwen siamo qui, in veste di messaggeri del nostro Re Thranduil, per comunicarvi la fuga di Gollum del Reame Boscoso. Purtroppo, fummo troppo buoni con lui e gli concedemmo qualche libertà in più, come qualche uscita all'aria aperto e.…".

"Lui se ne approfittò e fuggì" concluse tagliando corto Morwen, evidentemente infastidita. Lei infatti, a suo tempo, non aveva mai approvato quella decisione.

Legolas si risedette guardando storto l'amica per aver concluso così bruscamente, ma lei non sembrò farci caso. Ci fu di nuovo silenzio. Poi a romperlo fu di nuovo Boromir.

"Allora questo è un dono. Un dono ai nemici di Mordor. Perché non usare l'Anello? A lungo mio padre, Sovrintendente di Gondor, ha tenuto le forze di Mordor a bada. Grazie al sangue del nostro popolo, tutte le vostre terre sono rimaste al sicuro...Date a Gondor l'arma del nemico; usiamola contro di lui!" disse ad alta voce alzandosi dal suo posto.

"Non potete servirvene. Nessuno di noi può. L'Unico Anello risponde soltanto a Sauron...non ha altri padroni".

Era stato Grampasso a contraddirlo. Morwen incrociò i suoi occhi e rimase un'attimo incantata nel vedere quelle iridi azzurre, piene di determinazione e saggezza. Boromir allora, rivolgendosi verso colui che aveva parlato, rispose sgarbatamente.

"E cosa ne sa un Ramingo di questa faccenda?" disse marcando con disprezzo il termine "ramingo".

Legolas, infastidito da tanta arroganza, si alzò di scatto per rispondere a tono all'uomo di Gondor.

"Non è un semplice Ramingo"

Morwen si sorprese della sua reazione. Di rado perdeva la pazienza, rispondendo con così tanto fervore; e se lo faceva era per difendere qualcuno a cui teneva molto.

"Lui è Aragorn, figlio di Arathorn. Si deve a lui la vostra alleanza".

Morwen e Boromir guardarono stupefatti l'uomo di cui avevano appena scoperto l'identità. La donna si sentì confusa... Quindi Grampasso e Aragorn erano la stessa persona! ...Il famoso amico di Legolas. Eppure, non riusciva a capire come faceva a conoscere l'elfo da molto tempo ed essere così giovane. Aveva anche combattuto a fianco al padre di Kludd per un periodo. Doveva essere un mezz'elfo, altrimenti non si sarebbe spiegata il suo aspetto così giovane a dispetto delle esperienze che aveva vissuto. Ma non fu solo questo a provocarle una strana sensazione... Boromir invece, visibilmente incredulo, si rivolse all'uomo in questione.

"Aragorn? Costui è l'erede di Isildur?"

"Ed erede al trono di Gondor" concluse con fierezza Legolas.

Aragorn, imbarazzato, invitò Legolas a sedere.

"Havo dad, Legolas".

Poi Boromir, riassumendo la sua compostezza, si risedette dichiarando con superbia.

"Gondor non ha un re. A Gondor non serve un re".

Morwen si infastidì del comportamento adottato da quell'uomo tanto orgoglioso. Chi si credeva di essere? Poi Gandalf tornò sull'argomento precedente.

"Ha ragione Aragorn. Non possiamo servircene".

Elrond quindi, riprendendo le redini del consiglio, esclamò gravemente.

"Non esiste altra scelta. L'Anello deve essere distrutto".

"Allora cosa aspettiamo?" dichiarò Gimli, alzandosi risoluto dal suo seggio.

Con la fedele ascia in mano, si avvicinò alla tavola e sferzò un colpo micidiale all'Unico. Fu questione di attimi. Morwen si sentì male, la sua testa prese a girare e d'un tratto la ragazza si trovò di fronte a Kludd, con una spada in mano, pronto a colpirla. Poi tutto tornò normale; rivide Legolas vicino a lei, gli altri partecipanti e Gran Burrone attorno. Le cadde lo sguardo su Frodo, il quale sembrava parecchio scosso. Sembrava essere stato male anche lui. La ragazza non poté fare a meno di chiedersi se anche lui aveva avuto una visione come la sua. Gimli invece era a terra, la sua ascia era frantumata e qualche pezzo fumante si trovava ancora sulla tavola. L'anello era ancora intatto! Qualche forza oscura aveva respinto quell'attacco e ciò fu subito spiegato da Elrond.

"L'Anello non può essere distrutto qui, Gimli, figlio di Gloin, qualunque sia l'arte che noi possediamo. L'Anello fu forgiato tra le fiamme del monte Fato. Solo lì può essere annientato. Dev'essere condotto nel paese di Mordor, e va ributtato nel baratro infuocato da cui è venuto".

I presenti si guardarono con un brutto presentimento. Poi il signore di Imladris concluse guardando tutti accigliato.

"Uno di voi deve farlo".

Calò il silenzio nel portico. Nessuno voleva recarsi a Mordor, e non per questo erano da biasimare, ma un sacrificio andava fatto se si voleva sconfiggere Sauron. Fu Boromir a dare voce ai pensieri di molti, accusando l'impossibilità di tale missione.

"Non si entra con facilità a Mordor. I suoi cancelli neri sono sorvegliati da più che meri Orchi. Lì c'è il male che non dorme mai. E il Grande Occhio è sempre all'erta. È una landa desolata, squassata da fiamme, cenere e polvere. L'aria stessa che si respira è un'esalazione velenosa. Neanche con diecimila uomini sarebbe possibile. È una follia".

Legolas si alzò di nuovo e guardando con sfida l'uomo esclamò.

"Non avete sentito ciò che ha detto re Elrond? L'Anello deve essere distrutto a qualsiasi costo!".

"E tu lo faresti a costo della tua vita? Voi elfi predicate tanto bene ma poi siete i primi a tirarvi indietro quando qualcuno è in difficoltà!" disse a gran voce Gimli.

Morwen si alzò dal suo posto guardandolo in cagnesco.

"Perché voi nani sareste meglio? Avete l'egoismo nei geni!".

Gimli infuriato andò verso di lei. Legolas si mise in mezzo fermandolo.

"E se falliamo, cosa accadrà? Cosa accadrà quando Sauron si riprenderà ciò che è suo?" disse a gran voce Boromir alimentando la preoccupazione che serpeggiava tra i partecipanti.

Poi si alzarono tutti e cominciò un'animata discussione, che a mano a mano si trasformò in un chiassoso litigio.

"Ma non capite? Mentre bisticciamo fra noi, il potere di Sauron si accresce! Nessuno può sfuggirgli! Sarete tutti distrutti!". Gandalf cercava di calmare gli animi ma nessuno sembrava dargli ascolto.

Cercando di sovrastare il rumore qualcuno gridò.

"Lo porterò io!".

Nessuno parve sentire quella voce che allora si ripeté più forte.

"Lo porterò io!".

Tutti si girarono per vedere chi avesse parlato. Morwen fece lo stesso e si accorse con stupore che era stato Frodo, il quale, a disagio per i numerosi occhi puntati su di lui, continuò più intimorito.

"Porterò io l'Anello a Mordor. Solo... non conosco la strada".

In quel momento, alla ragazza, parve un fragile bambino bisognoso di affetto e sicurezza e dentro di lei qualcosa le diceva che aiutarlo sarebbe stata la scelta più giusta. Gandalf, con uno sguardo di pura ammirazione, si fece avanti verso di lui dichiarando

"Ti aiuterò a portare questo fardello, Frodo Baggins. Finché dovrai portarlo".

Aragorn, che era rimasto seduto non prendendo parte al tumulto, si alzò dal suo seggio solennemente.

"Se con la mia vita o la mia morte riuscirò a proteggerti, io lo farò. Hai la mia spada".

Legolas lo seguì a ruota.

"E hai il mio arco",

"E la mia ascia", si aggiunse Gimli.

Boromir si avvicinò a quello Hobbit sorprendentemente coraggioso. La sua espressione era indecifrabile: quasi un misto di sorpresa e ammirazione in uno sguardo divertito.

"Reggi il destino di tutti noi, piccoletto. Se questa è la volontà del Consiglio, allora Gondor la seguirà".

"Ehi!"

Da dietro i cespugli saltò fuori un altro Hobbit, paffutello e dai capelli biondi e mossi. Egli si pose accanto a Frodo a braccia conserte, dichiarando con sicurezza.

"Padron Frodo non si muoverà senza di me!"
Elrond faticò a trattenere un sorriso e rispose in modo provocatorio ma divertito.

"No, certo, è quasi impossibile separarvi. Anche quando lui viene convocato ad un Consiglio segreto e tu non lo sei".

"Ehi! Veniamo anche noi!"

Da dietro le colonne del portico sbucarono altri due Hobbit, sorprendendo per la seconda volta il Signore di Imladris.

"Dovrete mandarci a casa legati in un sacco per fermarci" dichiarò risoluto uno dei due.

Poi l'altro, con un'espressione saccente affermò.

"Comunque, ci vogliono persone intelligenti per questo genere di missioni, ricerche...Cose!"

L'amico lo guardò.

"Ma così ti autoescludi, Pipino".

Morwen dovette stare attenta a non scoppiare a ridere di fronte a tutti. Doveva ammettere che quei due erano un vero spasso. Elrond osservò ognuno di loro e poi guardò l'intero gruppo con fierezza. Morwen pensò fosse soddisfatto dell'entusiasmo dimostrato dai piccoli componenti ma anche della presenza di guerrieri forti ed esperti nel gruppo.

"Nove compagni"

"Dieci!"

Esclamò Morwen facendosi avanti e raccogliendo gli sguardi di tutti. La giovane vide negli occhi di Legolas un misto di confusione e imbarazzo e si chiese perché. Poi Elrond riprese, riottenendo su di sé l'attenzione.

"Molto bene! Dieci compagni! Voi sarete la Compagnia dell'Anello!".
In quel momento nient'altro era importante per Morwen: andarsene, alla volta di un'avventura. Fare la cosa giusta perché ciò che stavano per fare poteva salvare la Terra di Mezzo, anzi, di questo ne era quasi sicura. Sapeva che era quella la sua occasione di fare la differenza e non ci avrebbe rinunciato tanto facilmente. Poi una vocina si insinuò nella sua testa.
Non starai invece scappando da qualcosa?


Nota dell'autrice:


Sono tornata gente! Si credo di essere tornata dall'oltretomba 😂 Finalmente ho finito la maturitaaaaaaaaà e posso dedicarmi alla storia con più impegno! Voi non sapete che bello è la sensazione di libertà dopo gli esami! È dal primo di luglio, il giorno successivo all'orale che festeggio, e mi sembra quasi impossibile aver già fatto 5 anni di superiori...Solo che a volte mi trovo a girare per casa dicendomi "e ora che faccio?" ahahaha.
Passiamo alla storia.
Non posso nascondervi la difficoltà che ho trovato scrivendo questo capitolo. La parte difficile è stata infatti incastrare il libro con il film. Infatti, nel libro, oltre che ad essere molto più lungo, il consiglio si sviluppa in modo un tantino diverso. Perciò mi ci è voluto un po' per farli combaciare. Spero solo di esserci riuscita... Datemi i vostri preziosi pareri!
Che avrà stavolta il nostro Legolas? Lo scoprirete nel prossimo capitolo!!!
Recensite numerosiii ❤

Peace and Love

Kia

PS: vi piace di più questo font?

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** Comunque vada ***


Capitolo 7 : COMUNQUE VADA



"Comunque vada anche se sarà finita sarai sempre la colonna sonora della mia vita"




A consiglio concluso andarono a pranzare in una grande sala all'aperto. Morwen e Legolas si sedettero vicino ad Arwen, di fronte ad Aragon e Bilbo. L'elfo biondo, giratosi verso la figlia di Elrond, chiese.

"Elladan and Elrohir non ci sono?".

"Purtroppo no" rispose lei.

Poi abbassando la voce continuò.

"Sono sulle tracce dei cavalieri neri e di sicuro non torneranno prima di un mese".

Morwen alzò gli occhi dal piatto a base di verdure e li fissò in quelli di Legolas. Poi sussurrò.

"Chi sono i Cavalieri neri?".

Ne aveva sentito parlare anche durante il consiglio da Frodo e Gandalf, ma non aveva la minima idea di chi fossero. Aragon, che l'aveva sentita, le schiarì le idee.

"Spettri malvagi al servizio del Signore oscuro. Ti auguro di non incontrarli mai".

Un lampo parve illuminare la sua mente. Fece due più due e capì.

"Sarebbero i nove?".

"Sì proprio loro" annuì il ramingo.

"Possiamo evitare di parlarne qui?" si intromise Arwen, il viso turbato.

Proprio come Aragorn, Morwen, tornò a fissare il piatto in silenzio. Vicino a lei Legolas conversava tranquillamente con Bilbo, mentre attorno a loro, elfi musici suonavano melodie rilassanti. Il pranzo passò così. Con Legolas intento a raccontare a Bilbo e ad Arwen di Yavieba e Morwen, immersa nei suoi pensieri; che passavano incessantemente dalla partenza imminente alla visione su Kludd che aveva avuto al consiglio. Pensava, poi, a come avrebbe potuto dire a Thranduil che ora era entrata a far parte della compagnia e doveva partire.
Voleva partire.
Una risata fragorosa la scosse dai suoi pensieri affollati. Gimli, seduto non molto lontano da lei, stava ridendo come un matto, mentre tutti gli altri commensali sorridevano o ridevano più sobriamente. Era così persa nei suoi pensieri da non essersi nemmeno accorta che qualcuno doveva aver detto qualcosa di divertente. Rise per non sembrare fuori posto.

Nei giorni che seguirono i membri della compagnia ebbero la possibilità di addestrarsi e di accumulare le forze in vista del viaggio. Legolas e Aragorn erano sempre insieme. Si raccontavano le ultime novità e si scambiavano preoccupazioni. Boromir lo si vedeva gironzolare per Gran Burrone da solo con il volto cupo, sempre quando non era nella sua stanza a riposare. Gimli invece, adorava chiacchierare con gli Hobbit, vantandosi delle sue prodezze e delle meraviglie architettoniche dei nani. Loro, d'altro canto, lo ascoltavano affascinati. E quando Marry e Pipino non erano intenti a farsi raccontare da Gimli o da Aragorn qualche aneddoto, si divertivano importunare Boromir o ad assillare Morwen con domande, spesso imbarazzanti, come "Ma tu sei un'elfa?" oppure "Legolas è il tuo fidanzato?".
La principessa di Bosco Atro invece, passava le giornate ad allenarsi per conto suo o ad esplorare Gran Burrone e i dintorni. Così i giorni scorrevano.

Quando Morwen andò ad aprire la porta della sua stanza per vedere chi avesse bussato, si trovò di fronte a Legolas.

"Che vuoi?" il tono di voce era freddo.

"Volevo parlarti..." cominciò insicuro, "...riguardo al consiglio".

"Beh mi sembra sia ora" esclamò lei con stizza.

Il biondo la guardò con fare interrogativo e l'altra continuò seccata.

"Credi che non mi sia accorta dello sguardo che mi hai lanciato alla fine del consiglio? Da quel momento fino ad oggi non hai fatto altro che evitarmi! Mi sembra più che giusto che tu mi debba qualche spiegazione riguardo questo tuo illogico comportamento".

Legolas, scosso dal fervore di lei, faticò a trovare le parole giuste. Ora che ci pensava non aveva passato neanche un po' di tempo con Morwen. Era stato troppo preso a pensare a cosa avrebbe potuto dirle, per farla desistere dal partecipare all'impresa, che non si era accorto di essersi comportato veramente male. Poi si sbloccò.

"Dobbiamo restare a parlare sulla soglia?".

Morwen si scansò e lo fece entrare, poi chiuse la porta.

"Allora?" lo incitò. L'arrabbiatura non le era passata.

"Mi dispiace se in questi giorni sono stato un po' assente" cominciò.

"Un po' assente?!?" lo attaccò lei. "Eri praticamente un fantasma! Stavi sempre con Aragorn, non mi parlavi, distoglievi lo sguardo quando lo incrociavamo...".

Morwen era furiosa. Legolas sconvolto. Come sarebbe riuscito a parlarle, ora che era così intrattabile?

"Come hai potuto lasciarmi sola in questi giorni? Credi sia facile ambientarsi in un posto sconosciuto in mezzo a persone sconosciute senza il minimo supporto? Da te non me lo sarei mai aspettata" gli occhi scuri esprimevano risentimento.

L'elfo non sapeva davvero cosa dire e due rimasero in silenzio per qualche interminabile secondo. Poi Morwen riprese.

"Che sei venuto a dirmi?" chiese con rabbia.

"Io..." Non dirle di Thranduil! "Sono venuto a scusarmi per questo mio comportamento".

La mora lo ascoltava a braccia conserte con occhi severi.

"Ero preoccupato e devo aver perso di vista il resto".

Non seppe dire altro; anche perché non avrebbe potuto trovare una scusa plausibile per averla abbandonata a sé stessa in quel modo. Legolas si stava odiando dal profondo.

"È questa la tua spiegazione? Eri preoccupato?".

Legolas sprofondava sempre di più.

"Perché? Secondo te io non lo ero? Pensavo che tu prima di tutti avresti capito".

Di nuovo quello sguardo risentito. Di nuovo Legolas si odiò. La giovane non era più arrabbiata, bensì delusa. E quella scheggia di delusione si conficcò nel cuore dell'elfo e fece più male di mille coltelli di rabbia. Detto ciò Morwen gli voltò le spalle e uscì dalla stanza senza dire una parola, lasciando il suo interlocutore a fissare il vuoto con frustrazione. Dopo qualche minuto, Legolas si sedette sul letto e si passò il viso tra le mani. La mente continuava a fargli sentire la voce di lei, mentre i suoi occhi delusi erano ancora impressi dentro di lui. Lo sguardo vagò per la stanza e si soffermò su una collana dal ciondolo blu posta sul comodino. La prese e la osservò. Era la collana che suo padre aveva dato a Morwen prima di partire per Gran Burrone. La corda era consunta e sbiadita, mentre l'agata blu era piccola e sfregiata qua e là. Non era per niente speciale e, se doveva dirlo, anche un po' bruttina. Si domandò che significato potesse avere per lei. Glielo avrebbe chiesto, ma non era il momento adatto. Il sole stava tramontando e l'elfo pensò di andare da Aragorn. Aveva bisogno di qualche consiglio.

Morwen se ne andò a passo spedito dalla stanza, lasciandolo lì in preda ai sensi di colpa e, con arco e frecce in mano, si diresse al campo di allenamento, mostratole due giorni prima da una guardia elfica. Arrivata, cominciò a scoccare frecce con rabbia, ma i centri mancati, che furono molti, non fecero che peggiorare la situazione. Scagliò l'arco lontano e fece per andarsene, quando una voce la fece sobbalzare dalla sorpresa.

"Se non ti concentri non potrai mai farcela".

Morwen si girò e lì, appoggiato ad un albero, stava un elfo dalla lunga e ondulata chioma dorata. Il viso traspariva una bellezza antica, bella e solenne al tempo stesso, come l'abito azzurro che portava. Gli occhi, blu come il mare profondo, brillavano divertiti e la bocca era increspata in un leggero sorriso, quasi derisorio. Ma no, non la stava deridendo. Nel complesso, però, furono i capelli dai riflessi lucenti a farle ricordare chi si trovasse davanti. Era l'elfo che aveva visto parlare con Elrond, prima che cominciasse il consiglio.

"Mi chiamo Glorfindel, tu dovresti essere Morwen giusto? La principessa di Bosco Atro".

"Si...sono io".

"Sai, Gran Burrone è noto per la sua capacità di rasserenare gli animi e le menti delle persone che solcano i suoi cancelli. Vedendo te però, questa sembrerebbe solo una diceria infondata".

Morwen non disse una parola. Non aveva intenzione di scambiare parole sui suoi problemi con il primo venuto, anche se questi le infondeva una certa sicurezza.

"Immagino che in questi momenti una persona voglia essere lasciata sola, ma sappi che parlare con qualcuno fa più bene di quanto pensi".

"Chi dice che abbia qualcosa da dire? Mi stavo solo allenando".

"In tal caso, chiedo perdono per la mia interruzione" disse in un mezzo inchino, la mano sul petto.

"In ogni caso io sono disponibile se vuoi parlare. Ora ti lascio al tuo addestramento".

Detto questo si voltò e salì con passo fiero le scale che portavano al palazzo.
Morwen non rispose, ma rimase ferma qualche secondo guardandolo andarsene. Qualcosa nelle sue movenze eleganti e altezzose le fece ricordare Thranduil e, in qualche modo, per la prima volta da quando era arrivata a Gran Burrone, si sentì a casa. La visita di Glorfindel fu tanto inaspettata quanto gradita. Riprese l'allenamento con una nuova serenità e rimase soddisfatta dei risultati finali. Tornando nella sua stanza, per ripulirsi per la cena, decise. L'indomani avrebbe parlato con Glorfindel.

A cena il suo umore migliorò ancora di più, grazie alle battute che le propinarono Merry e Pipino. Non smetteva di ridere e ogni tanto, per sbaglio, incrociava lo sguardo di Legolas, per poi distoglierlo subito e guardare altrove. Il biondo elfo, avvilito, riposava lo sguardo nel piatto ogni volta. Ad Aragorn e Glorfindel non sfuggirono questi particolari. Il giorno successivo Morwen si allenò tutta la mattina con Glorfindel e nel pomeriggio andarono a fare una cavalcata sulle colline di Rhudaur. Parlarono a lungo dei rispettivi reami e Morwen gli raccontò alcune sue piccole avventure, non molte in quanto trascurò quelle che coinvolgevano pericoli e uscite di nascosto (che erano la maggior parte). Lui, invece, le raccontò di storie passate della Prima e della Seconda Era. Morwen ascoltava affascinata. Le sembrò di tornare bambina, quando il suo sovrano le raccontava la storia di Beren e Lúthien, oppure la morte del grande Ancalagon il Nero. Ma lui non era Thranduil e lei non era nelle alte sale del Reame Boscoso, e neanche nel fitto bosco che lo avvolge. Era su un masso soleggiato nelle terre solitarie a godersi una sosta. Eppure l'avrebbe ascoltato per ore, se solo ce ne fosse stato il tempo. Ma il tramonto si avvicinava, perciò tornarono a Imladris prima che l'ultima luce lasciasse la valle. I due si congedarono e la ragazza corse in camera sua a ripulirsi, in vista della cena.

Legolas passò tutto il pomeriggio in compagnia di sé stesso pensando alle parole che avrebbe potuto dire a Morwen, al suo ritorno. Poi, mentre la ragazza si lavava e cambiava, decise di aspettarla fuori dalla sua stanza; così l'avrebbe colta di sorpresa e lei non avrebbe potuto evitarlo. Appena Morwen aprì la porta e vide Legolas fece un balzo indietro dalla sorpresa e, mettendosi la mano destra sul petto, esclamò.

"Legolas! Vuoi farmi morire d'infarto?!?".

L'elfo non rispose, si fece coraggio e affrontò la barriera che li aveva divisi per giorni.

"Morwen, capisco che ora tu sia arrabbiata ma credimi; non era mia intenzione lasciarti sola!" disse tutto d'un fiato.

Morwen stava già richiudendo la porta, quando lui la fermò con la mano.

"Ti prego ascoltami!".

Per la prima volta, dopo giorni, Morwen lo guardò negli occhi intensamente. Legolas recuperò il poco fiato che gli rimaneva, sostenendo lo sguardo di colei che aveva davanti.

"Non pretendo di essere il fratello e amico migliore di questo mondo, ma ciò che potrò fare per salvare il nostro rapporto lo farò...".

Morwen non lo interruppe.

"...Questa litigata non potrà certo rovinarlo. Ne abbiamo avuti di scontri, ma non ci siamo mai fatti sopraffare e li abbiamo superati tutti. Voglio che tu capisca che stare in silenzio non ti aiuterà".

Glorfindel le aveva detto la stessa cosa; doveva parlare.

"Ho fatto un errore enorme e mi odio per averti fatta soffrire. Vorrei rimediare, ma tu non me ne dai la possibilità".
La sua voce si era fatta più spezzata e i suoi occhi offuscati.

"Non sai quanto mi fa male il tuo silenzio. Mi mancano le cavalcate e gli allenamenti insieme a te, mi manca la tua risata sorellina, mi manchi tu".

Il silenzio che seguì, durò qualche secondo, durante il quale Morwen si rese conto che, per colpa del suo orgoglio, stavolta era stata lei a ferirlo. L'elfo stava per andarsene quando si sentì stringere forte al collo. Morwen gli era saltata addosso in un abbraccio soffocante.

"Quanto sono stata stupida!".

"Utilizza pure il plurale" rispose lui stringendola a sua volta.

Quando si staccarono, qualche secondo dopo, Legolas assunse un'espressione seria.

"Morwen devo dirti anche un’altra cosa".

Questo non rabbuiò lo sguardo della mora che, allegra, sembrava essersi tolta un grande peso.

"Non importa me lo dirai dopo...ho una fame!" e così dicendo si avviò spedita verso la sala da pranzo trascinandoselo dietro.

A tavola, Aragorn, vide compiaciuto che la tensione tra i due era svanita e sorrise con fare complice all'amico.
Glorfindel fece lo stesso con Morwen.
Qualche ora dopo, si alzarono tutti da tavola ristorati dall'ottimo cibo elfico, che Gimli continuava a sostenere "poco saziante". Morwen e Legolas si avviarono verso il patio più vicino per ammirare le stelle e godersi l'aria frizzante della sera. È il momento giusto per parlarle. Si disse l'elfo. La giovane assaporava la brezza notturna ad occhi chiusi, le labbra increspate in un sorriso. Tra un po' le sarebbe stata tolta la serenità che aveva da poco riacquistato.

"Morwen..." cominciò per attirare la sua attenzione.

Lei si girò guardandolo, sempre sorridente.

"Si?"

"Prima di partire da Bosco Atro, Thranduil mi fece promettere due cose".
"Di avere cura di te e...".

"E...?" lo incitò lei impaziente.

"Di impedirti di partecipare a qualsivoglia impresa Elrond avesse avuto in mente".

Poi trattenne il respiro in attesa della sua risposta. Lo sguardo di lei si fece corrucciato ma la voce rimase calma.

"E tu...?".

"Io gli promisi che l'avrei fatto".

Morwen gli scoccò un'occhiata infuocata.

"Non sapevo cosa fare Morwen! Non avevo mai visto mio padre così preoccupato e non seppi dirgli di no".

"Come può essere così egoista!" sbottò infine lei.

Legolas provò un moto di sollievo nel sentire che non era arrabbiata con lui ma con suo padre.

"Sa da quanto desidero avere un'avventura che mi faccia sentire viva. Sa quanto odio sentirmi intrappolata dentro quelle mura tutti i giorni. Non ho la minima intenzione di assecondare le sue richieste sappilo! Ora che ho trovato la libertà non vi rinuncerò tanto facilmente".

Legolas tentò di calmarla.

"Non prendertela troppo...Avrà avuto le sue ragioni" suppose.

"Le sue ragioni? Si vorrei proprio conoscerle!".

L'elfo non poté fare a meno di pensare alle parole del sovrano quando gli disse che non voleva perdere Morwen "di nuovo". Che avrebbe voluto dire? Quando si svegliò dai suoi pensieri vide Morwen che lo stava fissando con curiosità, come se stesse attendendo una risposta. Gli aveva appena fatto una domanda?

"Vuoi rispondermi?", la voce spazientita.

"Scusa stavo pensando...Cosa mi hai chiesto?".

La mora sbuffò.

"Ti ho chiesto se hai intenzione di mantenere la seconda promessa".

"No!".

Morwen fece un piccolo scatto indietro. Probabilmente non si aspettava una risposta tanto veemente. Lui stesso si stupì del fervore con cui l'aveva detto. Poi le parole scorsero libere come un fiume in piena.

"Non ho il diritto di togliere la libertà a qualcuno, specie se quel qualcuno sei tu, che sogni questo momento da una vita. Questo però non vuol dire che verrò meno alla prima promessa. Darò me stesso per proteggerti perché solo i Valar sanno quanto mi sta a cuore la tua incolumità".

Abbassò lo sguardo per cercare la mano di lei, la strinse e tornò a guardarla negli occhi.

"Comunque vada".

Gli occhi della mora brillavano e sul volto illuminato dalle prime stelle della notte si fece strada un sorriso.

"Comunque vada".


Nota dell'autrice:


Hi guyyys!
Scusate tanto tanto tanto per il super mega ritardo con cui sto aggiornando! Credo che potrei fare concorrenza a Trenitalia XD
Anyway eccoci qui al settimo capitolo. Purtroppo, è, almeno per me, un capitolo noiosetto ma mi farò perdonare col prossimo!
Non so voi ma io ho adorato Glorfindel e Aragorn che, da dietro le quinte, hanno contribuito a far riappacificare quei due testoni.
Recensioni ben accette! Anzi richieste XD
BUON HALLOWEEN A TUTTI!!!
(Io, oltre che essere una incallita tolkieniana, sono anche una grande potterhead perciò colgo l'occasione di ricordare oggi, nell'anniversario di morte, i nostri amati James e Lily Potter____ALWAYS)
Detto questo vi saluto tanto e ci vediamo al prossimo capitoloooo

Besos

Kia

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** Senza volto ***


Capitolo 8 : SENZA VOLTO



"Ci sono più cose naufragate in fondo a un'anima che in fondo al mare" V.H.




La mattina della partenza, Morwen si trovò sul letto i suoi abiti da viaggio puliti e piegati con cura. Si vestì, si pettinò leggermente i capelli ondulati, che si erano arruffati durante la notte, e lì lasciò sciolti a coprire spalle e metà schiena. Poi si caricò di tutte le armi che possedeva e, senza dimenticare la collana d'Agata blu uscì dalla stanza.
Come stabilito precedentemente da Elrond, la compagnia sarebbe partita col favore delle tenebre ma Morwen, carica di adrenalina, non poteva certo starsene tranquilla ad aspettare nella sua stanza. Non aveva chiuso occhio tutta la notte e ora aveva proprio bisogno di una cavalcata mattutina con Dagor.
Quando tornò, incrociò Glorfindel sul ponte che conduceva all'ingresso. Scese da cavallo salutandolo e si avviarono insieme alle stalle.

"Ti mancherà vero?"

"Chi?"

"Il tuo cavallo...vedo che ci sei molto affezionata" continuò ignorando lo sguardo confuso di lei.

"Ma di che stai parlando?"

"Nessuno ti ha detto niente?"

"No" rispose con calma glaciale.

"Non partirete a cavallo; dovrà restare qui" disse girandosi a guardare Dagor.

La donna non poté fare a meno di chiedersi se Legolas era a conoscenza anche di questo, e non gliel'aveva detto.

"Non se ne parla nemmeno! Lui parte con me"

"Elrond non ritiene..."

"Non mi interessa cosa ritiene o meno Elrond!".

Morwen si rese conto tardi di aver alzato un po' troppo la voce, ma Glorfindel non diede segni di indignazione. Anzi, le sembrò di vedere compassione nei suoi occhi blu. La giovane continuò con più calma ma non meno convinta.

"Dagor è parte di me e non lo lascio. Sarebbe come se partissi disarmata".

Dopo qualche secondo in cui l'elfo parve pensare, rispose.

"Parlerò con Elrond a riguardo. Forse ammetterà un eccezione".

"Ti ringrazio".

Non poté fare a meno di pensare a quanta classe avesse quell'elfo. Lei gli aveva urlato contro e lui, come se nulla fosse successo, la stava aiutando. Il sorriso sincero che apparve sulle sue labbra la fece vergognare di se stessa. Ma perché non riusciva mai a controllarsi?

***

Era il crepuscolo di un giorno freddo e grigio di fine dicembre, quando la compagnia dell'anello si accinse a partire. Il vento dell'Est spaziava tra gli ormai spogli rami degli alberi e fremeva fra gli scuri pini sulle colline. Sembrava ieri che Morwen e Legolas erano entrati nella valle ammirandone i colori autunnali. Ora tutto era cambiato; divenuto più spoglio e freddo. Nel cielo, basse e cupe nuvole in brandelli li sorvolavano veloci.
Stavano scambiando gli addii all'interno di un grande salone. Frodo e Sam salutarono calorosamente Bilbo; nei suoi occhi, la nostalgia delle avventure che a suo tempo aveva vissuto. Merry e Pipino parlavano con un'elfa graziosa facendola ridere. Gimli era abbracciato a suo padre che, fiero di lui, gli stava dando grandi e sonore pacche sulla schiena possente. Boromir stringeva con rispetto e orgoglio la mano ad alcuni elfi. Di Gandalf ed Aragorn nessuna traccia. Elrond, parlando con Legolas, uscì dal salone. Morwen e il resto della compagnia li seguirono fuori. Mentre usciva, la mora si sentì chiamare. Girandosi vide con gioia che Glorfindel non era mancato agli addii e ora stava venendo verso di lei per salutarla; il volto nobile illuminato a intermittenza dal fuoco presente nella sala.

"E così il grande momento è arrivato" disse sorridendo.

"Mi mancherai Glorfindel. È stato un piacere fare la tua conoscenza".

Tentò di mascherare la tristezza ma non ce la fece.

"Vale lo stesso anche per me Morwen. Il tuo cuore è nobile e buono. La tua forza d'animo e il tuo coraggio ti serviranno più che mai ora, ma confida anche nelle tue debolezze. Esse ti rendono anche più forte, perciò lasciale vincere qualche volta. Dai loro sfogo o ti si ritorceranno contro. Le emozioni vanno vissute non represse. Ricordalo".

La giovane non capì appieno le sue parole ma si tenne stretto il consiglio. Aveva imparato che qualunque cosa quell'elfo dicesse, non era mai messa lì a caso. Poi il biondo mise le mani sulle sue spalle.

"Che i Valar siano con te", dopodiché le diede un bacio sulla fronte in segno di benedizione.

Morwen si sentì rinvigorita e pronta più che mai a partire.

Poco dopo Gandalf li raggiunse e infine fu la volta di Aragorn, il quale si avvicinò al gruppo con il volto rabbuiato, non di certo per la sopraggiungente notte. Morwen lesse infatti un grande dolore nei suoi occhi e si chiese dove fosse stato, ma soprattutto perché era ridotto così. Elrond gli andò incontro e lo abbracciò come un padre. Poi gli parlò; il suo sguardo era serio ma la giovane era troppo distante per capire cosa gli stesse dicendo. Pipino la distrasse dai pensieri.

"Ehi Morgan! Anche tu sei elettrizzata quanto noi?" domandò con un sorrisone stampato sul viso simpatico.

"Prima di tutto è Morwen non Morgan" finse di rimproverarlo. "E si! Potrei dire che sono 'elettrizzata' quanto voi all'idea di partire" disse lasciandosi scappare un occhiolino.

Qualcuno dietro di loro sbuffò sprezzante "Come se stessimo andando a fare una gita di piacere".

La giovane si girò verso Boromir, gli occhi ridotti a fessura, pronta a ribattere, ma una piccola mano si posò sul suo braccio e la voce di Merry la raggiunse.

"Lascia perdere, è solo nervoso".

La mora lanciò al gondoriano un ultimo sguardo infuocato e si rigirò. Si accorse che in quel frangente doveva essersi persa il discorso del Signore di Imladris che ora stava concludendo così.

"...Ma ora partite con animo sereno!".

Molto sereno pensò lei con sarcasmo.

"Addio, e possa la benedizione degli Elfi, degli Uomini e di tutti i Popoli Liberi accompagnare il vostro cammino. Che le stelle vi illuminino il volto".

Glorfindel salutò Gandalf, chinandosi in segno di rispetto.

"Addio Olórin, buon viaggio".

Lo stregone fece lo stesso "Addio Glorfindel e grazie ancora per il tuo prezioso aiuto".

"Dovere".

Olórin? Ma quanti nomi aveva Mithrandir? Si ritrovò a pensare Morwen. Poi, salita in sella a Dagor, si accodò alla compagnia. La giovane pensò a quanto era stato gentile Elrond a lasciarle portare con sé il fidato amico. Stavano lasciando l'ultima casa accogliente a est delle Montagne. Quel posto che inizialmente non le ispirava, ma che col tempo l'aveva conquistata. Si, alla fine Gran Burrone le era entrato nel cuore. Pensò questo mentre, con i nove compagni, si allontanò, scomparendo silenziosamente nel crepuscolo.

***

Anziché percorrere la verde vallata del Grande Fiume, decisamente più accessibile e comoda, optarono per un percorso a ovest delle Montagne Nebbiose, lungo una strada più accidentata e difficile, ma sicuramente meno battuta. Speravano così di evitare il più possibile le spie di Sauron e Saruman. L'ombra delle montagne li celava al sole, il quale sembrava ormai un ricordo di giorni felici passati, mentre il vento freddo penetrava loro nelle ossa, rendendo difficili e rigidi i movimenti. Per fortuna gli abiti caldi e le cappe e le giacche foderate di pelliccia, fornite gentilmente da Re Elrond, li proteggevano a dovere, e si rivelarono provvidenziali dato che raramente si concedevano il lusso di accendere un fuoco. "Troppo rischioso" sosteneva Aragorn; Gandalf gli dava ragione. Morwen invece sbuffava ogni volta "Rischio è il mio secondo nome". "Se non vuoi attenerti alle regole puoi pure tornartene a casina" ribatteva acido Boromir. Da quando erano partiti, i due, non facevano altro che provocarsi. "Non dire sciocchezze" lo rimproverò Gandalf. "È chiaro che la situazione non è tra le migliori, ma dobbiamo restare uniti".

Percorsero parecchie miglia verso sud, anche se a tutti pareva non si fossero mossi di un centimetro, in quanto il paesaggio era sempre lo stesso ogni giorno. Marciavano a fatica tra le colline franate e le valli attraversate da acque turbolente, su sentieri stretti e tortuosi, imbattendosi spesso in strapiombi e paludi. Dopo 14 giorni di marcia il tempo cambiò e il sole tornò a illuminare i loro volti stanchi.

"Guardate!" indicò con impeto Merry.

Davanti a loro si stagliavano i contorni di tre imponenti vette innevate.

"Quella è la terra dei miei padri giovane Hobbit" disse Gimli con voce nostalgica. "Khazad-dûm giace sotto quelle vette, nelle profondità della roccia fu scavata e modellata a regola d'arte". Gli occhi gli brillavano. "Moria in lingua corrente; orgoglio nanico".

Morwen si chiese cosa avrebbe fatto quando sarebbe arrivato ai piedi di quelle montagne se già ora si stava commuovendo.

"Ci recheremo alla Valle dei Rivi Tenebrosi, percorreremo il passo del Caradhras chiamato Cancello Cornorosso e infine giungeremo alla scala dei Rivi Tenebrosi dove giace il Mirolago e nasce il Fiume Argentaroggia".

"E poi?" chiese curioso Pipino.

"Poi seguiremo il corso dell'Argentaroggia attraverso i boschi fino all'Anduin".

"Si, e poi?"

"Quel poi sarà questione del domani Peregrino. Per ora occupiamoci delle mete più prossime" rispose tranquillamente lo stregone.

Morwen aveva sentito parlare del Caradhras e di quanto fosse ostile e pericoloso. Inoltre, considerato il periodo, doveva essere sicuramente coperto di neve. Infatti, quando sentì quel nome, non poté fare a meno di incrociare preoccupata lo sguardo di Legolas. Capì che il biondo la pensava alla stessa maniera, quando lesse nei suoi occhi azzurri lo stesso scetticismo. Boromir aveva aperto bocca, probabilmente per protestare, ma Gimli lo precedette.

"Il passo di Caradhras? Stai scherzando Gandalf?".

"Qual'è il problema mastro nano?".

Stavolta fu Boromir ad anticipare Gimli. "Io ho fatto molti viaggi su alture come queste e vi posso dire che, anche se non dovessimo trovare neve, cosa alquanto improbabile, il freddo ad attenderci non sarà per nulla indifferente".

Morwen ribatté sprezzante "Chi è ora che vuole tornare a casina? Mamma ho freddo!" lo derise fingendosi infreddolita.

Anche se concordava con il gondoriano non l'avrebbe mai dato a vedere; e poi non si sarebbe mai persa un occasione per insultarlo. Boromir la guardò con occhi di fuoco.

"Non sto parlando per me sciocca ragazza! Sei davvero così egoista da non pensare agli Hobbit? Credi che resisterebbero più di due giorni con un clima del genere?" concluse rabbioso.

I due si fissarono con sfida.

"Dannazione sono Hobbit non fragili bambini umani! E poi noi siamo qui per un motivo giusto? Li aiuteremo se necessario", poi si avvicinò di più all'uomo e con un sibilo aggiunse "Non ti azzardare più a chiamarmi sciocca ragazza".

"Credi di poter darmi ordini principessa?".

Prima che questa gli saltasse addosso, pugnale sguainato, Legolas le si pose davanti trattenendola, mentre Aragorn spingeva via l'altro litigante, ancora fumante di rabbia. La voce di Sam si alzò forte per farsi sentire da tutti.

"Non vogliamo di certo essere un peso e non lo saremo! Ce la caveremo".

I compagni, vicino a lui, annuirono seri. Morwen li guardò con ammirazione, per poi risposare lo sguardo su Boromir, leggendo sul suo viso apprensione. A quanto pareva era sinceramente in pena per i membri più piccoli della compagnia. Pensò che avrebbe potuto anche stargli simpatico, se solo non fosse stato così arrogante, presuntuoso, tagliente e testardo; insomma, se non fosse stato così insopportabile. Poi vide Gimli avvicinarsi a Gandalf ma erano distanti e la giovane non riuscì a capire le parole che gli rivolse il nano.

Il giorno dopo si fermarono a riposare ed a consumare il pasto (preparato da Sam) su un agglomerato di rocce. Gandalf fumava la sua pipa in silenzio. Boromir addestrava Merry e Pipino nell'arte del combattimento. Aragorn e Morwen li osservavano; uno fumando, l'altra affilando il suo coltello. La mora sentì al di sopra del clangore delle lame la voce di Gimli brontolare.

“Se qualcuno chiedesse la mia opinione, e noto che nessuno la chiede, direi che abbiamo preso la strada più lunga. Gandalf...potremmo attraversare le miniere di Moria; mio cugino Balin ci darebbe un benvenuto regale”.

“No Gimli, non prenderei la strada attraverso Moria a meno che non avessi altra scelta”.

Pipino gridò e la sua voce fu sovrastata delle scuse di Boromir.

“Scusa scusa!” disse avvicinandosi al piccoletto, che fu subito pronto a tirargli un calcio in risposta.

In un attimo i due Hobbit gli furono addosso. “Per la contea!” urlò Merry.

Boromir, sotto di loro, rideva scompigliandogli i capelli ricci. Era la prima volta che la ragazza lo vedeva sorridere e non si stupì del fatto che fossero stati quei due a riuscire nell'impresa. Legolas, nel frattempo, scrutava l'orizzonte con occhi vigili; c'era qualcosa che non andava, lo sentiva. Poi nel cielo comparve qualcosa che sembrava tanto un'enorme sciame di insetti.

“Che cos'è?” chiese Sam.

“Niente. Solo una nuvoletta” buttò lì Gimli non curante.

“Si sposta velocemente per essere una nuvola” fece notare Boromir, che nel frattempo aveva interrotto la lotta.

“Ed è controvento” precisò Morwen.

Fu Legolas a dare una conferma al gruppo “I Crebain da Dunland!”.

“Frodo, Sam al riparo!” gridò Aragorn.

“Merry, Pipino!” lo imitò Boromir.

In pochi secondi i compagni erano nascosti nelle fenditure delle rocce che li circondavano, celandoli al nemico. Uno stormo di corvi più grandi del normale li sorvolò, gracchiando in modo sinistro, e passò oltre. Quando il pericolo fu passato, uscirono allo scoperto.

“Spie di Saruman” esclamò gravemente Gandalf. “E' una conferma che ci conviene passare per il Caradhras; il passaggio a sud è sorvegliato”.

Nessuno obiettò, ma lo stregone sapeva che a nessuno piaceva molto quell'idea.

***

Dopo qualche giorno, arrivarono ai piedi del Caradhras e cominciarono la scalata. Morwen sapeva che per Dagor sarebbe stato difficile scalare la montagna in quelle condizioni. Insomma, era un cavallo. non uno stambecco. Bill, il pony di Sam, sembrava molto più adatto con tutto quel pelo a proteggerlo, inoltre, le gambe corte e tozze lo favorivano. Non c'era altra soluzione che farlo passare a sud per la Breccia di Rohan e, una volta scesa dal Caradhras, si sarebbero rincontrati alla scala dei Rivi Tenebrosi o lungo l'Argentaroggia. Quella via, per tutta la compagnia, era troppo rischiosa, in quanto passava troppo vicino ad Isengard, ma per un singolo cavallo non sarebbe stata un problema. Lo baciò sul muso con le lacrime agli occhi.

“Passa a sud. Aggira le montagne e torna a nord. Torna da me” gli sussurrò.

“Tornerò. A presto mia principessa guerriera”.

Lo guardò allontanarsi al trotto, finchè non fu che un puntino all'orizzonte.

***

Come avevano previsto, c'era la neve; ed era pure tanta. Avanzavano penosamente nella bianca coltre, col vento gelido che sferzava loro il viso, riducendogli gli occhi a fessure. Per fortuna il sole brillava su di loro e sul bianco attorno, rendendolo accecante; altro motivo per cui i loro occhi erano socchiusi. Morwen pensò che se non si erano ancora imbattuti in una tempesta era solo questione di tempo. Lungo il dorsale della montagna marciavano in fila: Gandalf in avanscoperta, subito dietro Merry, Pipino e Sam con Bill, poi Legolas, il quale camminava sulla superficie bianca come se niente fosse, Boromir, Gimli, Frodo, Morwen e a chiudere la fila Aragorn.

La giovane si attardò per permettere al ramingo di raggiungerla e potergli così parlare; era stufa di tutto quel silenzio. Gli unici rumori che si sentivano erano quelli dei piedi della compagnia sulla neve scricchiolante. Perfino Merry e Pipino stavano zitti, probabilmente perché avevano la bocca congelata.

“Credo che più avanti troveremo una tempesta. Per ora sta andando anche troppo bene, e mi sembra strano data la brutta fama di questa montagna”.

Aragorn sembrava immerso nei suoi pensieri (come sempre d'altronde) ma le rispose quasi subito.

“Si lo credo anch'io”.

Sembrava voler chiudere lì la conversazione, ma la mora non mollò.

“Quindi tu vivi a Gran Burrone?”.

“Diciamo che vivevo; Elrond mi crebbe lì da quando non ero che un bambino. Poi, raggiunta l'età adulta, ho cominciato a viaggiare per le terre solitarie e le terre selvagge. Credo di aver vissuto più anni della mia vita al di fuori dalla valle che al suo interno. Tuttavia è quella per me la mia casa” concluse guardandola negli occhi.

Quelle iridi azzurre avevano qualcosa di speciale e Morwen ci si perse dentro per qualche secondo, prima di parlare di nuovo.

"Allora è per questo che eri così triste la sera in cui la lasciammo".

"Non tutti i luoghi sono casa. Non tutte le case sono luoghi".

Morwen non capì ma non pretese di farsi spiegare perché aveva intuito il dolore dell'altro. Decise allora di cambiare argomento.

"Conosci un certo dunedain chiamato Margon?".

Era da quando l'aveva incontrato che voleva porgergli tale domanda. Sapeva troppo poco sul conto di Kludd e voleva indagare un po'. Il ramingo parve pensarci su, poi rispose.

"Si, lo conoscevo. Era un uomo degno di rispetto. Morì come era vissuto: combattendo con onore difendendo il suo popolo. Perché me lo chiedi?".

Vennero interrotti da Frodo che, davanti a loro, era scivolato, rotolando per un po' nella neve e finendo loro addosso. Aragorn lo aiutò a rialzarsi.

"Tutto bene?".

Lo Hobbit annuì togliendosi la neve dai vestiti. Poi la sua mano vagò con una certa ansia sul collo; stava cercando l'anello. Alzò lo sguardo per cercare il perduto e si accorse che era caduto poco più avanti. Morwen, ora, stava osservando Boromir chinarsi sull'oggettino e prenderne la catena tra le mani. La sollevò rimirandone il pendaglio; troppo per i gusti di Morwen.

"Boromir" lo chiamò all'attenzione Aragorn.

Il gondoriano parve non sentirlo nemmeno; era troppo intendo a contemplare l'anello. Il resto della compagnia, ormai, si era accorto di cosa stava succedendo ed erano tutti girati, in attesa che l'uomo rendesse l'anello al suo portatore. Ma nessuno, a parte Frodo, Aragorn e Morwen, riusciva a leggere negli occhi grigi dell'uomo un'oscura ambizione, né a sentire ciò che disse.

"Che strano destino che dobbiamo provare tanti timori e dubbi per una cosa così piccola...".

Sembrava come in estasi.

"Boromir!".

L'uomo si scosse e guardò il ramingo.

"Dà l'anello a Frodo" gli ordinò quest'ultimo.

Allora si avvicinò, porgendo la catena allo Hobbit che, con uno scatto della mano, la rifece sua.

"Come desideri...non mi interessa", e detto ciò gli scompigliò i capelli in segno d'affetto tornando al suo posto dietro Legolas.

A Morwen non sfuggì la mano di Aragorn sull'elsa della spada.

***

Si fermarono a riposare, nel tardo pomeriggio, su un'ampia sporgenza della montagna. Morwen stava ancora pensando alla reazione che aveva avuto Boromir in presenza dell'anello. Cosa avrebbe fatto se Aragorn non l'avesse richiamato all'ordine? La sua voce sembrava proprio averlo svegliato da una sorta di ipnosi. Un colpo alla nuca interruppe i suoi pensieri. Dietro di lei, Pipino si rotolava nella neve per le risate. Quel delinquente! Merry lo rimproverò.

“Non si colpisce alle spalle! Soprattutto non si colpisce una signora”.

Ma, nonostante il tono di voce serioso, la donna capì che i due erano in combutta.

“Sai che ti dico Merry? Hai ragione. Per questo ora le prenderete e basta!”, e veloce come un fulmine scagliò la pallina di neve, che nel frattempo aveva preparato e nascosto dietro la schiena, in fronte a Merry.

Pipino gridò “Allora è guerra!”.

“E guerra sia!” gridò lei a sua volta ridendo.

Fu così che cominciò un'estenuante battaglia senza esclusione di colpi. Una palla di neve, proveniente da Pipino, andò a colpire Legolas che, desideroso di vendetta e soprattutto incitato dalla sorella, si unì a lei contro i due Hobbit. Morwen, a un certo punto, mirò alla testa di Pipino, ma questi si abbassò in tempo e la neve andò a colpire Boromir dritto in faccia. La mora, che già si aspettava una sfuriata, rimase di sasso quando si ritrovò a sua volta una palla di neve spalmata su occhi, naso e bocca. L'uomo aveva risposto al fuoco ed ora era lui a ridere. Morwen era più scossa per la sua reazione che per il colpo in sé o la sensazione di freddo umido sul viso. Si pulì in fretta e la battaglia riprese. Stavolta le fazioni erano: Merry, Pipino e Boromir contro Morwen, Legolas e Gimli; acquisto dell'ultimo secondo dato che, a detta di lui, si stava annoiando e una distrazione ci voleva ogni tanto.
Infine, stanchi, fradici ma felici, si sedettero attorno al fuoco per asciugarsi e consumare la cena preparata da Sam.

“Mastro Samvise vi siete superato. Ottimo lavoro davvero” lo lodò Gimli.

Morwen non poté che trovarsi d'accordo col nano; quel piccoletto era davvero bravo a cucinare. Legolas era seduto accanto a lei e sorrideva tra un boccone di cibo e un altro. A dire la verità tutti, apparte Aragorn e Gandalf, stavano sorridendo. Cibo e compagnia davanti al fuoco dopo essersi divertiti; la mora pensò che non poteva esistere di meglio. Per un momento poteva anche mettere da parte le discordie con Boromir, i pensieri su Kludd e le preoccupazioni per Dagor.

Dagor...una fitta di nostalgia la pervase. Legolas le circondò le spalle con il braccio destro. “Che hai?”.

“Stavo pensando a Dagor”.

“Ehi” la scosse dolcemente. Lei lo guardò; gli occhi azzurri sorridevano confortanti. “Se la caverà. È in gamba”.

Morwen sorrise “Si hai ragione”.

Poi l'elfo cominciò a intrecciarle i capelli che nel frattempo si erano asciugati. Gli altri si distesero e il sonno li colse in poco tempo. Il fumo della pipa di Aragorn, rimasto a guardia, si mescolava con quello del fuoco, creando spirali e cerchi di ogni forma. La ragazza si perse in quei ghirigori e senza accorgersene cadde in un sonno profondo tra le braccia dell'elfo.

Morwen si trovava a Gran Burrone, il vento tiepido le scompigliava i capelli e il sole le illuminava il viso; dovevano essere le ultime ore del pomeriggio prima del tramonto. La risata di un bambino le arrivò all'orecchio.

"Dai andiamo a giocare".

La ragazza si girò per vederlo, ma non c'era nessuno. Poi sentì un'altra voce; quella di una donna.

"Tra poco ci sarà la cena perciò non allontanatevi troppo".

"Si mamma" rispose il bambino.

Poi il sogno mutò. Era ancora ancora a Gran Burrone, ma il sole era sceso da un po'. L'atmosfera era cupa, malinconica. Vide una donna piangere su una balaustra; i capelli chiari le coprivano parte del viso. Si avvicinò per vederla meglio e poterla consolare per qualsiasi cosa fosse triste. Ma quando la donna alzò il viso su di lei, Morwen arretrò spaventa; era senza volto.


Si mise a sedere con uno scatto; il cuore pompava a mille. Attorno a lei, tutti dormivano ancora e, data la scarsa visibilità, doveva essersi spento anche il fuoco. Aragorn stava sempre di guardia. La ragazza si alzò dal giaciglio e si stiracchiò un po'. Anche se era ancora notte non sarebbe tornata a dormire, almeno non dopo il sogno che aveva fatto.

"Già sveglia? Sono solo le 3".

Guardò il ramingo. "Non riesco a dormire, vado a fare quattro passi" e si allontanò senza una direzione precisa.

Quando si trovò al limite dello spiazzo dove avevano trovato riparo si sedette su una roccia, spazzando prima via la neve con la mano. Si passò l'altra mano tra i capelli e nel farlo si accorse delle trecce che le aveva fatto Legolas prima di addormentarsi. Sorrise ripensando al giorno prima, ma poi la felicità svanì. Li aspettava un'altra scalata, stavolta più dura della prima; si sarebbero alzati di quota ancora di più, probabilmente imbattendosi in una tempesta. Lo sentiva. Cercava di pensare a questo piuttosto che alla donna senza volto del sogno. Anche il bambino sembrava essere inquietante quanto lei; se ne sentiva la voce ma lui non c'era. Le venne un brivido. Non aveva indossato la cappa foderata, inoltre si era allontanata dalle braci, di conseguenza cominciava a sentire il freddo penetrante del Caradhras. Ma era solo dovuto al freddo quel brivido?


Nota dell'autrice:


JINGLE BELL, JINGLE BELL, FINALLY TODAAY! I HAVE PUBBLICATO NEW CAPITOLO FOR YOUU!
E' arrivato Babbo Natale anche per i miei piccoli followers!
Speravo tanto di pubblicarlo il 25 ma poi per problemi tecnici non ci sono riuscita. Perdonatemiii
Raga se siete fan di Boromir non arrabbiatevi se lo faccio litigare con Morwen perchè, essendo questi due adorabili idioti molto simili, si devono beccare per forza come due pulcini arrabbiati XD. Avete notato che, elencando i difetti di lui, Morwen si è praticamente descritta? XD
Anywayy ringrazio di cuore i miei recensori immancabili che mi danno sempre l'imput giusto e la carica per continuare questa storia che tanto amo. VI ADOROOOOO
Ringrazio anche chi mi legge e segue in silenzio, un bacione anche a voi!!!
Detto questo mi auguro che abbiate passato un felice natale assieme ai vostri cari e vi auguro anche un felice anno nuovo; pieno di aspettative e soprattutto diete post-feste ahahahaha
Ci vediamo al prossimo capitoloooo

Besos

Kia


Image and video hosting by TinyPic

Ritorna all'indice


Capitolo 9
*** Il Caradhras ***


Capitolo 9 : IL CARADHRAS



"È nella separazione che si sente e si capisce la forza con cui si ama." F.M.D.




Ripresero la marcia all’alba. Dai volti pallidi e tirati traspariva la stanchezza fisica dovuta all’ostilità del Caradhras. L’assenza di Morwen, che era rimasta seduta sul masso fino al momento di ripartire, non era stata ignorata dagli altri e quando Legolas la vide unirsi al gruppo in partenza le si avvicinò.

“Dov’eri? Non hai dormito?”.

“Non riuscivo…sai no? L’agitazione, l’adrenalina…”.

“Anche ieri hai dormito poco”.

“Ora mi spii?" gli chiese divertita.

“Ero in turno di guardia se ti ricordi”.

“Non sai quanto sei fortunato ad essere elfo. Certi sogni ti stancano più di una notte insonne”.

“Per questo non dormi? Per non sognare?”.

“A volte si”.

Legolas la guardò stranito. Che sogni poteva mai aver fatto per sconvolgerla così? Decise di sondare un po' il terreno.

“Sono incubi?”.

“In un certo senso…”.

Le sue risposte erano sempre evasive ma stavolta sarebbe riuscito a farla parlare. Camminavano fianco a fianco nella neve. Il bianco silenzio della montagna li circondava, aumentando di volume le loro voci.

“Vuoi parlarne?”

“Meglio di no” rispose bruscamente.

“Morwen io sono qui per aiutarti, non capisco perché ti ostini a tenerti tutto dentro. Una volta ti confidavi con me su tutto. Non capisco cosa sia cambiato da allora…”.

Il risentimento nella sua voce fece sentire in colpa la ragazza che non seppe come rispondergli, perciò continuò a camminare tenendo la testa china.

“Se proprio non vuoi rispondermi ti degneresti almeno di guardarmi?”.

L’elfo stava cominciando ad infastidirsi, cosa che accadeva raramente.

“Ti credevo più matura”.

La ragazza si girò di scatto trovandosi faccia a faccia con il biondo.

“Se non ti parlo di certe cose avrò i miei motivi! Perché mi obblighi a raccontarti tutto? Se mi vuoi bene davvero allora lasciami i miei spazi! Credevo fossi diverso da Thranduil…Lasciami in pace!”.

Aveva provato a nascondere il tremolio della voce ma aveva fallito, inoltre aveva alzato la voce. Il resto della compagnia, che nel frattempo era andato avanti non accorgendosi della sosta dei due, si voltò e, intuendo cosa stava succedendo, stette fermo per non interrompere.

“Mi dispiace sentirti fraintendere le mie intenzioni. Semplicemente vorrei che mi dimostrassi un po' più di fiducia. Ma sì, tieniti tutto dentro e lascia che ti corroda, io in fondo ti faccio sentire in trappola. Sai cosa penso invece? Penso che la trappola te la porti dietro ovunque tu vada e che te la sia creata tu stessa”.

Poi la sorpassò andando a ricongiungersi al gruppo che, dopo aver esitato un po', riprese la marcia. Morwen non sapeva se sentirsi arrabbiata con Legolas per la schiettezza delle sue parole o con sé stessa per non essersi confidata con lui riguardo al sogno.

Hai fatto bene a non dirgli niente! Sono affari tuoi che diritto ha lui di sapere tutto quello che ti capita?

Morwen scacciò la voce del suo orgoglio e cercò di riconcentrarsi sul percorso accidentato che aveva davanti.

Camminarono per tutta la giornata, fermandosi qualche volta per uno spuntino o per riposare le gambe. Dopo la discussione con Legolas, Morwen non parlò con nessuno. Merry e Pipino tentarono di farla sorridere raccontandole qualcuna delle loro innumerevoli bravate, fallendo però miseramente. La testa di lei era altrove.

A mezzanotte videro scendere i primi fiocchi di neve, dapprima piccoli e radi poi, avanzando coi metri, e col tempo si fecero spessi e numerosi fino a riempire l’aria. Si faticava nel vedere distintamente i compagni, oramai divenuti ombre scure. Morwen urlò per farsi sentire sopra l’ululato del vento.

“Gandalf! Non si vede niente! Non potremmo fermarci?”.

“Concordo con Morwen, Gandalf. Fermiamoci!” la sostenne Aragorn.

Lo stregone, davanti a loro, indicò col bastone un gruppo di rocce poco più avanti. “Laggiù!”.

Le rocce offrirono riparo ai viandanti infreddoliti e stanchi, che sostarono, sorseggiando un pò di miruvor, aspettando che la bufera si placasse. Quando questo accadde, ripresero la marcia con rinnovata fiducia. La neve non li accecava più e il vento non fischiava più minaccioso nelle orecchie. Non fecero neanche in tempo ad abituarsi alla ritrovata calma notturna, che la tempesta tornò alla carica, se non come prima, ancor più violenta. Morwen, come tutti del resto, non ce la faceva più a proseguire. Le gambe e i piedi erano come di piombo, gli occhi ridotti a fessure, si sentiva sbalzata dalle folate gelide. Ormai andava avanti per pura forza di volontà. Davanti a lei, Boromir, che stava portando in braccio gli sfiniti Merry e Pipino, avanzava penosamente mentre Aragorn, che portava Frodo, era dietro di lei seguito da Sam con il fedele Bill. A chiudere la fila stava Gimli, mentre in testa avanzava Gandalf. Legolas, affianco allo stregone, camminava senza evidente fatica sullo strato superficiale di neve, tendendo le finissime orecchie per captare rumori strani.
Boromir stava rallentando il passo e la mora capì che doveva essere stanco di portare gli hobbit e avanzare alla cieca nella neve, ormai divenuta alta.

“Boromir dammi un hobbit sei esausto!”.

“Ce la faccio principessina, pensa a rimanere in piedi tu piuttosto”.

In un'altra situazione la mora gli avrebbe sputato in faccia. Probabilmente se ci avesse provato ora, lo sputo si sarebbe ghiacciato in aria solidificandosi in una mini-stalattite andando a conficcarsi negli occhi del gondoriano. Ma cosa le veniva in mente? Era il freddo a farla impazzire per caso?

“Non ce la farai a portarli entrambi ancora per molto. Hai la testa più dura della roccia di questa maledetta montagna, lasciatelo dire”.

“Sarò anche una testa dura ma sono più resistente di te ragazzina” ribatté sprezzante.

Stupido! Stupido e irrazionale. Non fece in tempo a rispondergli che il biondo inciampò e cadde nella neve trascinandosi appresso i due hobbit, ai quali scappò un gemito di sorpresa.

“Hai bisogno di altre motivazioni o ti basta questa?”.

Boromir si rialzò in silenzio, ferito nell’orgoglio, e senza neanche una parola prese con sé Merry e riprese la marcia. Morwen, per nulla sorpresa dall’atteggiamento, caricò su di sé Pipino e si avviò dietro il gondoriano senza aggiungere altro. Non seppe dire quanto tempo passò da allora, un’ora, forse due, magari cinque. Il freddo, la neve e il vento non la facevano più pensare lucidamente; si preoccupava solo di mettere un piede davanti all’altro senza sosta.

Gandalf e Legolas sembravano gli unici veramente all’erta del gruppo, perfino Aragorn sembrava al limite. Ad un tratto la voce di Legolas irruppe nell’ululato del vento.

“Gandalf sento qualcosa! La percepisco!”.

“Che succede?”.

“Avverto ostilità nel vento, nella neve, nella roccia, in tutto ciò che ci circonda, Gandalf”.

“E’ il Caradhras! Avverto la sua malvagità”.

“Gandalf dobbiamo andarcene è troppo pericoloso!”, era la voce di Aragorn.

Cominciava a temere seriamente il potenziale distruttivo di quell’entità.

“Ve ne siete accorti adesso che è stata una pazzia?” si fece sentire Boromir sopra il boato del vento.

Lo stregone non fece neanche in tempo ad aprire bocca, che uno scricchiolio preoccupante fece alzare i loro volti, riempiendo tutti di muto terrore. Un pezzo di montagna si era staccato, portando giù con sé neve e detriti. Una valanga sulle loro teste. Pipino urlò e si strinse forte al collo della ragazza.

“Presto! Tutti contro la parete, al riparo!”.

Un’ondata bianca sommerse la compagnia fino alla testa, mentre i pezzi di roccia scivolavano giù dal versante innevato. Morwen si sentì sprofondare in un abisso freddo e immacolato, poi un colpo alla testa la fece vagare in un secondo abisso, stavolta buio.

Thranduil stava davanti a lei, sempre impeccabile nelle sue vesti eleganti. “Papà!”, voleva corrergli incontro ed abbracciarlo ma qualcosa le bloccava i piedi, le gambe, il busto. Riuscì solo a piangere. “Oh Ada mi sei mancato”. “Tu mi hai disubbidito Morwen”, il volto era accigliato ma la sua voce traspariva una morbidezza paterna. Le lacrime solcavano le guance della ragazza, che esplose disperata “Mi dispiace tanto! Sono solo una stupida avventata, mi sono messa in una storia più grande di me e ora non posso tornare indietro. Mi sentivo forte e pronta a tutto ma ora…”, si interruppe in un singhiozzo. Una mano calda le accarezzò la guancia eliminando le lacrime. Thranduil si era avvicinato. “Io non sono arrabbiato con te. Prima lo ero, poi ho capito che mi stavo comportando da egoista. Dovevi fare la tua scelta e l’hai fatta. Non potrei essere più orgoglioso di te. Sei una donna forte e coraggiosa, e sei mia figlia, lo sarai sempre”. La mora alzò lo sguardo e fissò gli occhi arrossati dal pianto in quelli dolci e pieni di affetto di lui. “Non so se sarò forte abbastanza…”. “Tu lo sarai Morwen, lo sarai…”. Le diede un bacio sulla fronte. “Io sono sempre con te”, poi l’immagine e la sua voce sparirono. Rimase solo il buio penetrante in cui era precipitata. “No Ada! Thranduil non andartene! No no no! Papà! Ho bisogno di te! Ho bisogno…non andartene…ti prego…”. Chiuse gli occhi e pianse.

***

Un piacevole tepore la avvolgeva e quando socchiuse gli occhi, si chiese che ci faceva Legolas stretto a lei, sotto ben tre coperte! Aprì del tutto gli occhi e si accorse di essere in una stretta fenditura della montagna. Il vento e la neve infuriavano ancora all’esterno e, davanti a loro, un piccolo fuoco coraggioso crepitava, riscaldando l’angusta cavità. Appena si mosse, mettendosi seduta per uscire dalle coperte, Legolas si destò.

“Morwen! Come stai? Hai freddo? La testa ti fa ancora male? Ricordi qualcosa?”.

Quella raffica di domande le turbinò nella testa, confondendola.

“Io…aspetta…”, si guardò intorno e si accorse che non erano soli.

In un angolo sulla destra riposavano i quattro Hobbit, mentre Aragorn stava seduto vicino all’ingresso, fumando la sua pipa in silenzio. Il ramingo incrociò il suo sguardo e la giovane sentì una scossa lungo la spina dorsale. Quegli occhi avevano un che di speciale e profondo che non sapeva ancora decifrare. Dov’erano però Gimli, Gandalf e Boromir? Si voltò di nuovo verso l’elfo e nello stesso tempo avvertì una forte fitta alla testa. Si tastò accorgendosi di una fasciatura che le correva tutto intorno alle tempie e alla nuca.

“Ma che è successo?”.

“Una valanga ci ha sommersi e tu hai preso una bella botta. Come mi chiamo?”.

“Credo proprio che il tuo nome sia Idiota. Ci vuole ben altro che un masso a farmi dimenticare di te…”.

Lui la guardò sorridendo, poi la aggiornò su tutto. “Abbiamo trovato questo anfratto scendendo dalla montagna perché sì; abbiamo rinunciato a passare dal Caradhras. Frodo ha deciso che passeremo per Moria, con somma gioia di Gimli. Non mia…”.

Il suo sguardo luminoso d’un tratto si incupì. Poi riprese come se nulla fosse.

“È stato Boromir a strapparti dalle grinfie della morte. Pipino era mezzo sconvolto e lui è stato l’unico ad accorgersi che mancavi”.

Morwen sgranò gli occhi, per una volta non sapeva cosa dire. Cercò di mascherare l’imbarazzo cambiando discorso.

“Dove sono gli altri?”.

“Sono andati in avanscoperta, non vogliamo più rischiare altri pericoli dopo quello che ti è successo. Sono partiti da parecchio, ormai dovrebbero essere di ritorno”.

E infatti la punta di un cappello grigio fece la sua comparsa nella fenditura rivelando l’ingresso di Gandalf, seguito da Gimli e Boromir.

Lo stregone le rivolse un sorriso stanco “Sono felice di vedere che ti sei ripresa Morwen. Sei pronta? Ci aspetta un lungo cammino”.

“Sono pronta” rispose lei finendo di vestirsi.
Sotto le coperte infatti, aveva solo la tunica leggera e i calzoni, tutto il resto le era stato tolto e messo vicino al fuoco ad asciugare. Poi cercò Boromir con lo sguardo ma lui la ignorò.

La compagnia riprese a camminare in discesa. La neve e il vento cominciarono a diminuire di intensità facilitando i movimenti e rassicurando gli animi. Infine smise del tutto di nevicare e un piccolo spiraglio di sole fece capolino dai neri nuvoloni che li sovrastavano.

“Un raggio di speranza amici miei” li esortò Gandalf.

A fine giornata giunsero finalmente alla base del Caradhras e tutti tirarono un sospiro di sollievo.

“Non voglio più vedere un fiocco di neve almeno per i prossimi 100 anni!” esclamò Gimli sedendosi esausto su un masso.

“Come biasimarti” disse Pipino sedendosi a sua volta.

“Ci accamperemo qui stanotte” annunciò Aragorn tornando da un breve pattugliamento della zona.

“Non ci sono pericoli in vista” li informò Legolas, che lo aveva accompagnato.

Boromir posò giù armi e scudo. “Vado a prendere la legna per il fuoco”. Quindi si avviò verso il boschetto lì vicino.

“Ti aiuto” si offrì Morwen, posando a sua volta le armi tranne il fedele coltello.

Si voltò per seguire l’uomo e non poté non leggere un gran stupore negli occhi di tutti.

“Che c’è?” chiese lei sulla difensiva.

I due stettero in silenzio per un po', Boromir sembrava ignorarla del tutto. L’aveva salvata! Ora perché la stava evitando?

“Volevo ringraziarti per avermi tirata fuori dalla valanga” cominciò lei.

“Siamo una squadra” rispose semplicemente. “Non potevo lasciarti morire”.

“Già…suppongo di sì”.

“E comunque dovresti ringraziare l’elfo; è lui che ti è stato vicino tutto il tempo. Io ti ho solo tirata fuori”.

La ragazza pensò a Legolas. Le era rimasto accanto per scaldarla. Pensò a quanto si fosse spaventato all’idea di perderla e si accorse d’un tratto che non l’aveva ancora ringraziato.

“Sì, è vero, ma tu hai fatto la tua parte e sei intervenuto in tempo”.

“Quando non ti ho più sentita inveirmi contro ho capito che doveva esserti successo qualcosa” disse raccogliendo un grosso legno.

Morwen non potè non sorridere.

Boromir interruppe il lavoro per guardarla. “Niente battute sarcastiche?”.

“Stavolta no”.

“Posso chiederti cosa mai ho fatto per meritarmi la tua ostilità?”.

“Davvero me lo stai chiedendo? Sai essere davvero sgradevole. Per i Valar...Sei davvero insopportabile. Io piuttosto cosa mai ti ho fatto?”.

“La tua arroganza e finta sicurezza mi urtano i nervi”.

“Perchè tu invece sei l’umiltà in persona” ribatté infastidita.

“Se non fosse per me a quest’ora saresti ormai parte del Caradhras” disse alimentando il fuoco che stava cominciando a bruciare dentro la ragazza.

“Non ti ho chiesto io di salvarmi”, “e tanto per la cronaca, ora pensi di rinfacciarmelo a vita?”.

“Ti ricordo solo che hai un debito con me e…”, poi si interruppe.

“So bene di esserlo, ma questo non ti arroga il diritto di comportarti…”.

“Zitta”. L’uomo distolse lo sguardo dalla mora accigliandosi.

Morwen lo guardò offesa.

“Zittiscimi un’altra volta e giuro che-”.

La mano di Boromir andò a tapparle la bocca prima che potesse finire la sua minaccia.

“Ascolta…”.

I due tesero le orecchie e un ululato giunse loro forte e chiaro. Un ululato, due ululati e ne vennero altri seguiti da ringhi e urla di battaglia. I rumori provenivano da dove la compagnia si era accampata. Uomo e donna si guardarono all’unisono; negli occhi una muta certezza. I mannari stavano attaccando! Nello stesso momento mollarono la legna che avevano tra le braccia e corsero all’impazzata verso l’accampamento. Morwen arrivò poco prima di Boromir e quel che vide le mandò una scarica di adrenalina mista rabbia che la fece scattare in difesa degli amici. Pipino era a terra e si teneva una mano ferita, davanti a lui Merry lo difendeva a spada sguainata. Gandalf fronteggiava ben tre mannari e sembrava cavarsela egregiamente. Legolas, in cima ad una roccia, scagliava frecce come se non ci fosse un domani, mentre ai piedi della stessa roccia, Gimli, mulinava la sua fedele ascia abbattendo numerosi lupi. Erano veramente tanti! Frodo e Sam stavano faticando contro un grosso mannaro e infine riuscirono ad abbatterlo con l’aiuto di Aragorn. Il ramingo poi, vedendo arrivare Morwen e Boromir, sembrò tirare un sospiro di sollievo. Si accucciò per prendere le armi del gondoriano, che aveva lasciato lì e gliele lanciò. I nuovi arrivati cominciarono a combattere con una tal ferocia che alcuni lupi si ritirarono di spontanea volontà. Ora ne rimanevano solo cinque. Due puntarono sulla ragazza ringhiando, ma lei era pronta al contrattacco. Sentì una presenza vicina e quando guardò, si trovò gli occhi di Aragorn puntati nei suoi. Una forte determinazione bruciava negli occhi di entrambi. Cominciarono a menare fendenti e schivare morsi come se si fossero allenati insieme da una vita. Capivano al volo le mosse l’una dell’altro non intralciandosi mai nei movimenti, e questo li rendeva un’arma micidiale. In poco tempo i due lupi caddero morti, così come gli altri tre a opera del resto della compagnia. La battaglia era conclusa e loro stremati e feriti. Aragorn si rivolse allo stregone.

“Gandalf qui non siamo al sicuro, Saruman invierà un altro gruppo, dovremmo rimetterci in marcia e trovare una grotta, dopo aver cancellato con cura le tracce”.

L’interpellato si guardò attorno. Gli hobbit erano seduti, sconvolti e tremanti, mentre Legolas stava fasciando con un panno pulito la mano di Pipino. Gli altri erano in piedi, troppo tesi e pieni di adrenalina per sentire stanchezza e dolore, ma si leggeva negli occhi di tutti che un riposo era necessario.

“No. Siete troppo stanchi per andare avanti. Non temete, starò io di guardia”, decise lo stregone.

Non avevano più le forze per spostare le carcasse dei lupi, perciò si accamparono nel boschetto dove Boromir e Morwen stavano raccogliendo la legna e, toccato il suolo, si addormentarono di colpo.

Ancora una volta, la principessa del Reame Boscoso, sognò la voce del bambino che da giorni la perseguitava nel sonno, vide la donna senza volto e sentì sé stessa urlare: “Papà! Non lasciarmi! Non andartene!”.

Ancora una volta si svegliò di soprassalto.

“Allora non sono l’unico ad avere incubi”.

Poco distante dal suo giaciglio, Boromir, seduto, la osservava con curiosità.

“Buono a sapersi” rispose lei freddamente.

Si sdraiò di nuovo cercando di tornare a dormire, ma il cervello continuava ad accavallare pensieri senza sosta e una domanda emerse sulle altre. Si tirò su a sedere di nuovo e guardò l’uomo.

“Come sono i tuoi incubi?” chiese per pura curiosità.

Sulle prime si diede della stupida. Figuriamoci se proprio Boromir le avrebbe detto cose così intime come i sogni. In questo caso incubi. Erano la causa per cui non dormiva, di certo non li avrebbe raccontati a lei. Perciò rimase molto stupita, quando lui cominciò a spiegare.

“Vedo Minas Tirith, la mia città, in rovine. L’albero bianco di Gondor che va a fuoco. La mia famiglia morta”.

Il tono di voce dell’uomo era atono ma Morwen riuscì a scorgere nei suoi occhi un lampo di…paura? Dolore? Non ne era sicura. Chi l’avrebbe mai detto che si sarebbe confidato proprio con lei? Era forse una dimostrazione di fiducia?

“Da quanto tempo lo sogni?”.

“E’ questo il motivo che mi ho spinto a partecipare al consiglio di Elrond”.

Morwen gli rivolse un’occhiata di compassione.

“Mi dispiace…è tanto allora che non dormi”.

“Ormai ci ho fatto l’abitudine”.

Per la prima volta la giovane notò quanto i suoi occhi grigi fossero segnati dalla stanchezza. Provò pena per l’uomo.

“E tu? Non hai digerito bene il lembas?”.

“No…anch’io ho incubi ricorrenti”.

“Beh io mi sto annoiando e qualcosa mi dice che non tornerai a dormire”.

“Non riuscirei a descriverli bene. Non li comprendo nemmeno io…”.

“A volte non c’è bisogno di capire, sono così e basta”.

“Sento voci, vedo sagome ma mai volti. L’atmosfera è sempre cupa e avverto sempre una strana sensazione”.

“Che tipo di sensazione?”.

“Come se queste persone mi conoscessero o che siano legate a me in qualche modo”.

“L’hai detto all’elfo?”.

“Legolas non sa nulla”.

“Perché a me lo dici allora?” il tono tra il sospettoso e l’incredulo.

“Credo sia più facile confidarsi con qualcuno di cui non ti importa l’opinione”.

***

Ripartirono a metà mattinata e giunsero ai cancelli di Moria la sera stessa. Il sole era tramontato da un pezzo e la luna si rifletteva tetra nelle acque torbide del Sirannon. Esso, infatti, era un torrente che passava nei pressi delle porte. Ora però, del Rivo del Cancello, rimaneva un solo filo d’acqua, che percorreva timido l’antico letto tra i sassi rossi e marroni. Era stato arginato e riempiva l'intera vallata antistante, apparendo come un cupo e malsano stagno. Tutto era arido e squallido e la vita mancava sia in terra che in cielo. Morwen si sentì quasi soffocare. C’era davvero un abisso di differenza tra Bosco Atro e quel posto.

“Temo che dovremo dire addio alla nostra bestia da soma. Che ognuno prenda con sé parte dei viveri e l’acqua. Ovviamente la quantità che riesce a portare” dichiarò Gandalf alla compagnia.

“Ma non possiamo lasciarlo in questo posto da solo signor Gandalf!” protestò Sam, che si era molto affezionato al pony.

“Mi dispiace Sam ma non possiamo farlo addentrare nell’oscurità di Moria”.

Sam abbracciò il collo dell’animale con le lacrime agli occhi “Scusa Bill”.

Poi Gandalf si avvicinò, posò una mano sulla testa del pony e gli parlò a bassa voce. Poi si voltò verso lo hobbit. “Ecco ora è protetto dalle mie parole di guardia e guida”, lo rassicurò.

Morwen si avvicinò a Sam e gli mise una mano sulla spalla stringendola con dolcezza. “Se la caverà. Anch’io ho dovuto lasciare un caro amico. Chissà, magari si troveranno” gli disse sorridendo.

Nel vedere Sam costretto ad abbandonare il pony, Morwen, rivisse gli ultimi momenti con Dagor e fu sopraffatta dalla tristezza. Cercò di consolarlo, ma la verità era che cercava di consolare anche se stessa. Il fedele destriero gli mancava molto. L’avrebbe mai rivisto? Lo sperava con tutto il cuore.

Ora Gandalf era davanti a una parete di roccia tra due alberi. Passò una mano sulla superficie liscia e poco dopo apparvero vene luminose, che man mano si ingrossarono formando un disegno e, sopra di esso, un’iscrizione a caratteri elfici: « Ennyn Durin Aran Moria / Pedo mellon a minno » cioè « Le porte di Durin Signore di Moria / Di' amico ed entra ».

“Che significa?” chiese Merry.

“Beh mi sembra ovvio, mastro Brandibuck. Gli amici che conoscono il lasciapassare riusciranno ad aprire le porte ed entrare a Moria”

“E tu conosci la parola giusto?” chiese Boromir allo stregone.

“No!” rispose egli.

Tutti al sentire ciò furono costernati. Solo Aragorn era impassibile.

“A che pro allora condurci in questo posto maledetto?” gridò il gondoriano su tutte le furie.

Morwen sapeva che Gandalf non era uno sprovveduto e si infastidì quando Boromir lo aggredì a quel modo. Anche lei era reticente ad entrare a Moria ma di certo non si sarebbe messa a litigare con lo stregone. Non perché ne avesse paura, quanto per il rispetto che serbava nei suoi confronti.

“Credi che non sappia quello che fa? Sai, penso proprio che abbia leggermente più esperienza di te” rispose lei a tono.

“Quella botta in testa ti ha fatta uscire di senno? Ma nessuno apparte me pensa che sia una pazzia entrare là dentro?” esclamò esasperato.

“Adesso basta Boromir” parlò finalmente Aragorn avvicinandosi al capitano, “Entreremo là dentro perchè così è stato deciso dal portatore dell’anello. Resta pure qui se vuoi ma ti ricordo che hai prestato un giuramento a Imladris, sta a te decidere se rispettarlo o meno. Confido solo nella tua lealtà”.

Detto questo andò a sedersi su un masso lì vicino e prese a fumare, nell’attesa che Gandalf avesse trovato la parola. Boromir non ebbe più nulla da dire e anch’egli andò a sedersi contrariato su un altro masso.

Morwen era rimasta incantata dal discorso del ramingo. Le poche volte che parlava era un grande trascinatore. Aveva zittito Boromir con un’innata eleganza e la mora pensò che avesse proprio la stoffa del leader.

Gandalf provò tutte le parole possibili, ma la porta non cedette mai. Man mano che il tempo passava, i membri della compagnia cominciarono a pensare che lo stregone non ce l’avrebbe mai fatta. Morwen andò a sedersi vicino ad Aragorn che, impassibile come sempre, stava seduto da solo a fumare.

“Posso provare?” chiese lei indicando la pipa con un sorriso.

Aragorn la guardò come se si trovasse di fronte ad una bambina curiosa. Le porse lo strumento e lei fece un tiro profondo, inspirando una gran quantità di fumo.

“Ehi vacci piano!” la avvertì lui.

Infatti, la mora esplose, cominciando a tossire ripetutamente, gli occhi lacrimanti. Aragorn rise di gusto a quello spettacolo esilarante e lei lo spinse debolmente.

“Smettila. È colpa tua che non mi hai fermata in tempo”.

“E come avrei potuto? Eri troppo divertente”.

“Ah, è così? Godi della mia sofferenza? Che persona orribile!” esclamò fingendosi indignata.

Risero di nuovo. Lei lo osservò e quando l’uomo se ne accorse parlò.

“Sei più bello così. Dovresti sorridere più spesso”.

Lui allora le rivolse un sorriso sincero “Potrei dire la stessa cosa a te”.

“Ma io ogni tanto lo faccio. Te invece è la prima volta che ti sento ridere o sorridere da quando siamo partiti”.

“Allora dovresti essere fiera di te stessa. Sei riuscita a farmelo fare”.

Si guardarono entrambi senza sapere come continuare la conversazione. Poi Morwen distolse lo sguardo e cambiò discorso.

“Ti ricordi quando eravamo sul Caradhras? Ti stavo chiedendo di Margon”.

“Mi ricordo” rispose disinteressato.

“Volevo chiederti se per caso tu abbia avuto l’occasione di conoscere suo figlio…”.
“A dire la verità non credevo avesse figli”.

Morwen capì che era sincero. Kludd le aveva mentito su suo padre? E sul fatto che aveva avuto il privilegio di conoscere Aragorn?

“Magari non ti ricordi…Il nome Kludd ti dice niente?” insistette lei.

Il ramingo si voltò improvvisamente e dalle iridi azzurre, Morwen, capì che quel nome non gli suonava nuovo.

“Kludd hai detto?”.

La giovane era contenta di vedere che ne sapeva qualcosa. “Si…lo conosci?”, il tono di voce speranzoso.

“No, ma so chi è. La mia gente lo chiama “il corvo”. Ci sono molte storie su di lui, voci strane. Ti dirò solo che è famoso per la sua scaltrezza e misteriosità. Di certo non è una persona da prendere alla leggera o una di cui potersi fidare. Tu come fai a conoscerlo?”.

L’uomo ora aveva assunto un’aria preoccupata e al contempo sospettosa. Morwen capì che non poteva rivelargli i rapporti che aveva con lui, ma non poteva nemmeno negare di conoscerlo.

“Io…lo conobbi mesi fa. Combattevo contro un gruppo di contrabbandieri e mi sono imbattuta in lui. Mi disse il suo nome e quello di suo padre. Poi riuscii a scappare e non lo rividi più”.

Aragorn la guardò poco convinto, poi però annuì e fece cadere la conversazione alzandosi in piedi. In quel momento sentirono un rumore raschiante provenire da dietro di loro. Si girarono e videro con stupore e felicità che Gandalf ce l’aveva fatta. Aveva aperto i cancelli di Moria!

Il gruppo si avviò dietro l’arcata massiccia, addentrandosi nell’oscurità della montagna. Il puzzo che invase le loro narici e l’aria pesante fece loro accapponare la pelle. Quella montagna aveva tutta l’aria di essere disabitata. Poi i loro occhi si abituarono al buio e, aiutati dalle torce, videro uno spettacolo orrendo. Scheletri di nani, ancora nei loro assetti da battaglia, giacevano ai loro piedi. Morwen rabbrividì e afferrò convulsamente il braccio di Legolas. Stava cercando di reprimere un conato di vomito. Finora non aveva mai visto la morte così da vicino e non erano solo gli occhi a vederla. La sentiva nell’odore di chiuso, la sentiva nel silenzio che la circondava e l’avvertiva nell’anima. Legolas le strinse la mano nel tentativo di rassicurarla.

“Non è una miniera” esclamò Boromir, e poi aggiunse più cupo “E’ una tomba”.

“No no no!” Gimli era disperato; già si figurava il benvenuto caloroso che gli avrebbe riservato il cugino Balin e invece si era trovato di fronte ad un massacro.

La sua gente morta ai suoi piedi. Morwen non osò pensare al destino che era stato riservato al vecchio nano se già le sue guardie, o meglio, ciò che ne restava, erano in quello stato.

“Usciamo da qui!” si fece sentire Aragorn.

Poi accadde altro. L’urlo di Frodo squarciò la notte senza stelle.

“Aiuto! Aragorn!”.

Tutti uscirono seguendo il disperato richiamo dello hobbit e Morwen vide il mezz’uomo librarsi sulle loro teste; un tentacolo gli avvolgeva la caviglia sollevandolo a testa in giù sul lago. Altri numerosi tentacoli si agitavano nelle acque nere e turbinose. Che diavolo era quello??? Il ramingo scattò in avanti a spada sguainata, colpendo tentacoli all’impazzata. Il mostro mollò la presa su Frodo, che cadde a capofitto nell’acqua nera, emergendo qualche secondo dopo, tossendo e invocando aiuto. Anche Boromir si era lanciato all’attacco e colpiva con furia l’essere acquatico, che in risposta agitò con più fervore i tentacoli, stavolta afferrando Aragorn. Legolas scagliava frecce e Gimli e Gandalf portavano al riparo gli hobbit nella miniera. Morwen vide che Frodo non era ancora uscito dall’acqua e ora un secondo tentacolo l’aveva afferrato trascinandolo giù. Aragorn e Boromir erano troppo impegnati a coprire la ritirata che non lo videro. Toccava a lei salvarlo. Si lanciò di corsa verso il lago ignorando le urla di Legolas e si tuffò senza esitazione. L’acqua era fredda e le ricordò la neve del Caradhras che l’aveva sommersa, ma l’adrenalina sblocco la paura e si immerse laddove Frodo era scomparso. Legolas sconvolto chiese aiuto.

“Aragorn! Morwen si è tuffata nel lago!”.

L’uomo si girò di scatto, il viso accigliato. Poi si voltò verso Legolas per fermarlo dal fare la pazzia di seguirla.

“Lasciami andare!” gli gridò contro l’elfo.

“No! Devi avere fiducia in lei. Io so che può farcela”.

Legolas mutò la sua espressione da arrabbiata a preoccupata e con grande difficoltà diede ascolto al ramingo. Tornò a scoccare frecce, sperando con tutto sé stesso che l’amico avesse ragione. Pochi secondi dopo, Morwen, riemerse reggendo qualcuno tra le braccia: Frodo! Nessuno si era accorto che lo hobbit era rimasto nel lago. Legolas, come gli altri, pensava che fosse tornato con i compagni nella miniera dopo essere stato liberato. Morwen invece se n’era accorta e non aveva esitato a tuffarsi in suo aiuto. Stavolta Legolas non venne fermato quando si precipitò in aiuto della giovane. Si caricò Frodo in braccio e, prendendo la mano della ragazza, l’aiutò ad uscire dall’acqua e a correre al riparo. Aragorn e Boromir coprivano la ritirata. Pochi secondi dopo erano tutti intrappolati nella montagna. Un ammasso di rocce infatti, aveva bloccato l’ingresso. Ora dovevano per forza prendere quella via.

“Come stai?”.

“Ti ho detto che sto bene Legolas” rispose per la terza volta da quando era uscita dal lago. “Comunque…”, disse prendendogli le mani, “…devo ancora ringraziarti per averti preso cura di me quando rischiavo l’ipotermia”.

“Non devi ringraziarmi, ho fatto ciò che ogni fratello avrebbe fatto”.

“Già...”.

Poi il biondo ruppe l’imbarazzo creatosi.

“Comunque cerca di non farti venire manie di grandezza ora che hai salvato qualcuno”.

“Tranquillo, tanto ce le ha già” si intromise Boromir.

Lei si girò guardandolo male “Sul serio, qual è il tuo problema?”.

Vennero interrotti dalla voce di Gandalf.

“Sbrighiamoci, ci aspettano quattro giorni di cammino e poi saremo fuori da questa tomba”.


Nota dell'autrice:


Rieccomi da voi tesssoriii💖

Sono consapevole del mio esorbitante ritardo e mi scuso, ma ho avuto da fare un sacco tra esami di sport e scuola. Inoltre ho avuto un brutto periodo per il quale ho interrotto la scrittura. Ma ora rieccomi qua a riprovare a recuperare il ritmo che un tempo avevo. Stavolta il capitolo è più lunghetto del solito ma spero che ciò non cambierà la vostra fedeltà nel leggere la mia misera storiella da fangirl impazzita XD.

Mi piacerebbe davvero tanto ricevere vostre recensioni su quello che pensate del capitolo e della storia in generale. Sarebbe uno sprono a continuarla e poi si può sempre migliorare. Sia chiaro non voglio obbligarvi a recensire (e invece si LOL). No dai comunque spero stiate passando delle vacanze migliori delle mie. Vi saluto e vi mando un grande abbraccio, dandovi ovviamente appuntamento al prossimo capitolo!

AAAH dimenticavooo...Se qualche lettore qui è anche fan del Trono di Spade (#multifandomsemprepresente) vi consiglio di passare dal canale del mio bro RedelNord che sta scrivendo una storia fantasticaaaa (in realtà non lo so perchè non l’ho letta ma nevermind so che scrive beneee) 😅💕

PS: Miruvor = cordiale di Imladris

Besos

Kia

Ritorna all'indice


Capitolo 10
*** Un'ombra a Moria ***


Capitolo 10: UN’OMBRA A MORIA



“Non andartene docile in quella buona notte. Infuriati, infuriati, contro il morire della luce.” D.T.




La terra trema. Fuggi. Fuoco e ombra. Questo quello che ti attende. Fuggi. L’oscurità ti avvolge e ti fa precipitare nel vuoto. Fuggi. Sta correndo in un enorme salone, l’oscurità alle sue spalle che morde, brucia e uccide. La via è una sola e lei sta fuggendo disperatamente verso di essa. Sente che qualcuno è rimasto indietro ma non può fermarsi. La miniera è maledetta.

“Vattene. Vattene subito da questo posto”. Una voce le sibila all’orecchio. Una folata di vento gelido e subito dopo una calda rovente. Chiama i compagni, non c’è nessuno. È sola, le mura di Moria le si stringono addosso. Poi vede un’ombra prendere pian piano forma. Kludd.


Morwen aprì gli occhi e si accorse di essere ancora nella stanza dove coi compagni si era coricata per riposare. Sentì una presenza alle sue spalle e seppe con certezza di chi fosse. Si alzò in piedi per affrontarlo, i pugni serrati con rabbia. Ogni volta che si vedevano era la stessa storia.

“Ne ho abbastanza di te e dei tuoi giochetti mentali!”.

“Che ingenua che sei...”.

“Smettila!” lo ammonì sforzandosi di un urlare per non svegliare tutti.

Lui rimase calmo “Sai benissimo anche tu che i sogni che fai non sono merito mio”.

“Ti sbagli...io non so proprio un bel niente. Ma di una cosa sono certa, tu esisti solo per rendere la mia vita un inferno e non mi importa cosa hai da dire in tua discolpa; prima di conoscerti stavo bene!”.

“Se per te vivere una vita non tua è stare bene allora non ti do torto. Se volevi restare nell’ignoranza, circondata dalle menzogne del tuo paparino, ti conveniva restare a Bosco Atro”.

“Ma che diavolo stai dicendo?! Perché ora metti in mezzo Thranduil?”, la ragazza era molto confusa.

“Dovrai fare ancora molta strada ma prima o poi saprai la verità. Tuttavia, non è per questo che sono venuto a trovarti”. La zittì con un cenno e proseguì “Nelle viscere di questa montagna si cela un male terribile, credimi se ti dico che tu e i tuoi compagni siete in pericolo”.

“E io dovrei crederti?”.

“Scelta tua...Io, da parte mia, ho fatto il mio dovere e ti ho avvisata. Uscite al più presto e soprattutto non passate dal salone sotto al livello dei cancelli”.

L’ombra di Kludd si dissolse nel buio penetrante del salone abbandonato.

Morwen affondò il viso sudato tra i palmi delle mani reprimendo un urlo di rabbia e frustrazione. La presenza dello stregone e di ciò che le aveva detto l’avevano messa in crisi maggiormente. In quel momento avrebbe preso a pugni la montagna o qualunque cosa le fosse capitata sotto tiro. Attorno a lei i corpi addormentati dei suoi compagni di viaggio. Loro contavano anche su di lei e come membro della compagnia aveva responsabilità perciò si promise che avrebbe messo da parte il più possibile i sentimenti per portare a termine la missione. La terra di mezzo contava su di loro e per quanto opprimenti fossero i suoi problemi non erano nulla in confronto a quelli che gravavano sul mondo. Si ridistese cercando di riprendere sonno. Non seppe perché ma le venne in mente il ciondolo di agata blu, lo tirò fuori dalla sacchetta e lo strinse nel palmo. Fu come pervasa da una sensazione di pace. Chiuse gli occhi e in poco tempo si riaddormentò. Stavolta però fece un sogno diverso.

La voce di una donna le cantava una dolce ninna nanna e una mano le accarezzava i capelli. Due forti braccia la stringevano, la risata di un bambino fu l’ultima cosa che sentì.

La mattina dopo fu l’ultima a svegliarsi e Legolas ne parve piuttosto contento. “Mi rallegra vedere che hai dormito stanotte”.

“La stanchezza ha preso il sopravvento” scherzò lei.

Subito dopo si accorse che stava ancora tenendo in mano la collana, così la ripose nel sacchetto e si stirò i muscoli. Li aspettavano altre lunghe ore di marcia.

Morwen sentiva il freddo umido della miniera penetrarle le ossa. Stavano camminando da un bel po’ e non si vedeva altro che buio e roccia. Gandalf era sempre in testa e col suo bastone luminoso illuminava il terreno dinnanzi a loro. Subito dopo lo seguiva Gimli, che ogni tanto forniva lui un consulto nei punti dove la via era biforcata e dubbiosa. Frodo e Sam seguivano dietro di lui e davanti a Legolas. Poi venivano Merry e Pipino, fin troppo silenziosi da quando si erano addentrati i quei cupi corridoi. Boromir guardava loro le spalle e camminava a fianco a lei, mentre a chiudere la fila stava Aragorn, fosco e silenzioso. Nessuno di loro avrebbe mai immaginato quanto fossero vaste e intricate quelle miniere.

“Mi auguro che lo stregone sappia quello che fa”, borbottò Boromir.

“Me lo auguro anch’io” rispose Morwen.

La voce di Aragorn giunse loro da dietro “I vostri timori sono infondati. Ho fatto con lui parecchi viaggi e so per certo che non si smarrirà. Fidatevi”.

***

Continuarono la marcia scegliendo strade al posto di altre, evitando buche, pozzi cupi e trappole disseminate lungo il sentiero. Più avanzavano e più le insidie aumentavano; crepe, baratri e spacchi che non facevano altro che aumentare l’agonia, rallentandoli e prolungando la loro permanenza a Moria. La compagnia procedeva a passi stanchi e pesanti; la loro resistenza era messa a dura prova.

Quando sostavano non udivano assolutamente nulla, tranne forse il debole gorgoglio di acque invisibili. Eppure, c’era qualcos’altro che Morwen sentiva, e le parve che anche Frodo lo percepisse: passi. Erano passi leggeri, quasi un fruscio impercettibile che chiaramente non era un’eco o uno scherzo del loro udito. La donna si avvicinò al portatore dell’anello e si sedette vicino a lui. Non aveva ancora avuto l’occasione di parlargli da quando erano partiti ed era veramente incuriosita dal piccolo hobbit.

“Non hai un compito facile” esordì.

“Che lo sia o meno devo portarlo a termine”.

Morwen provò pena di fronte al suo sguardo afflitto e spaventato. Resistette all’impulso di abbracciarlo compassionevolmente e continuò a conversare.

“Sei forte Frodo. Voglio che tu sappia che io ci sarò sempre per sostenerti qualora ne avrai bisogno. E se mai dovessi dare la vita per proteggerti, lo farò”.

Frodo la guardò confuso. “Non mi conosci neanche…perché mai arriveresti a tanto?”.

“Non mi occorre conoscerti per capire che ne sei degno. Porti sulle spalle un fardello più grande di te e l’hai scelto tu. Questo è il minimo che io possa fare”.

Sulle labbra del mezz’uomo si stampò un sorriso “Ti ringrazio”.

Poi la mora diede voce al dubbio che da un po’ le si era insinuato nella testa. “Penso che qualcuno ci stia seguendo”.

L’altro ribatté allarmato “Allora non me lo sono immaginato!”.

Morwen si alzò in piedi “Penso che dovremo dirlo a Gandalf”.

Lo hobbit si alzò a sua volta e la seguì dallo stregone. Quest’ultimo stava seduto fissando il vuoto e fumando, lo sguardo corrucciato. Morwen avrebbe tanto voluto entrare nei suoi pensieri: se Gandalf era preoccupato, e così sembrava, allora dovevano essere in problemi seri e lei avrebbe voluto esserne al corrente. Avere tutto sotto controllo la rendeva tranquilla e al momento non lo era affatto.

I due gli esposero i loro timori e il vecchio li ascoltò in silenzio continuando a fumare. Quando finirono disse tranquillamente, come fosse una cosa di dominio pubblico “È Gollum. Ci segue da tre giorni”.

Frodo era confuso “Ma Aragorn mi aveva detto che era prigioniero a Barad-dûr”.

Morwen esclamò “Evidentemente è fuggito! Vorrei proprio sapere come...”.

Poi, per la prima volta da quando avevano cominciato a parlare, Gandalf rivolse loro uno sguardo eloquente. “Fuggito o lasciato andare?”.

La mora sbottò “Quel viscido vuole l’anello”.

Gandalf riprese con la sua solita calma “Lui odia e ama l’anello, proprio come odia e ama sé stesso. Non si libererà mai del bisogno di averlo”.

Stavolta fu Frodo a esprimere la sua rabbia. “Vorrei che Bilbo l’avesse ucciso quando poteva”.

“Tuo zio ne ha avuto pena” ribatté lo stregone zittendolo, “molti di quelli che vivono meritano la morte e molti di quelli che muoiono meritano la vita. Tu sei in grado di giudicare Frodo?”.

Morwen osservò lo hobbit riflettere su quelle parole e non poté non pensare a cosa sarebbe successo se davvero Bilbo l’avesse ucciso. Di sicuro ci sarebbero stati meno problemi. Spesso non condivideva la filosofia di Gandalf, ma la rispettava.

“Il mio cuore mi dice che Gollum ha ancora una parte da recitare, nel bene o nel male, prima che la storia finisca”.

“Deduco perciò che tu non abbia intenzione di fare niente in proposito” intervenne Morwen, lo sguardo serio e penetrante.

“Non aver fretta ad elargire morte” la ammonì Gandalf.

“Perché? Non è ciò che lui darebbe a noi?”.

“Hai ancora molto da imparare”.

Poi Frodo sedette sconsolato. “Vorrei che l’anello non fosse mai arrivato a me, vorrei che non fosse accaduto nulla”.

“Vale per tutti quelli che vivono in tempi come questi, ma non spetta a loro decidere” lo consolò lo stregone, “Possiamo solo decidere cosa fare con il tempo che ci viene concesso. Ci sono altre forze che agiscono in questo modo, a parte la volontà del male. Bilbo era destinato a trovare l’anello, nel qual caso anche tu eri destinato ad averlo, così come Morwen era destinata ad aggregarsi alla compagnia” disse guardando la ragazza. “Credo sia un pensiero incoraggiante”.

Frodo sembrò sollevato da quelle parole e anche su Morwen ebbero un buon effetto. Si sentì rincuorata e più fiduciosa. Poi Gandalf decise la via da intraprendere e dopo poco si trovarono in una sala molto più ampia rispetto a quelle incontrate finora. Lo stregone aumentò la luce del bastone e tutti rimasero di stucco. Una meraviglia architettonica si estendeva sopra e attorno a loro. Colonnate altissime e maestose sostenevano il soffitto di quello che doveva essere stato il salone principale.

“Ammirate, il grande reame della città dei nani: Nanosterro”.

Morwen era senza parole tanto l’enormità di quell’arte l’aveva colpita. Dovette ammettere che i nani erano dei grandi artefici. Gimli aveva gli occhi che brillavano di luce propria mentre, con la bocca leggermente aperta, vagava con lo sguardo dappertutto. Fu Pipino a rompere l’incantesimo.

“Mi chiedo come facciano dei nani a creare strutture così alte”.

“Io direi volando Pipino” lo prese in giro Merry.

Morwen non capì se ciò che disse il giovane Tuc era dettato dalla sua sincera innocenza o se stesse al gioco del cugino, sta di fatto che non poté fare a meno di ridere.

“Certo che i nani non smettono di sorprendermi”. Poi si girò “Avanti Gimli, vogliamo una dimostrazione di volo”.

Il nano però non rispose; era già scattato in avanti per varcare una porta a lato del salone. Essa apparteneva ad una larga stanza equilatera, fiocamente illuminata da un pozzo aperto verso il cielo. La luce di tale pozzo cadeva dritta su un blocco rettangolare di pietra bianca, che aveva tutta l’aria di essere una tomba.

Gimli infatti, si inginocchiò dinnanzi ad essa afflitto e il resto della compagnia si avvicinò per comprendere la sua reazione. Gandalf lesse le iscrizioni riportate nei linguaggi degli uomini e dei nani.

“Qui giace Balin, figlio di Fundin, Signore di Moria”.

“È morto dunque” disse Boromir.

“Grazie Boromir per averci detto l’ovvio” rispose Morwen. Poi avanzò per osservare meglio la stanza, sentendo lo sguardo infastidito del gondoriano trapassarle la nuca.

Un particolare colpì la sua attenzione: ai piedi della tomba lo scheletro di un nano stringeva ancora tra le mani un grosso tomo polveroso. La giovane lo prese e lo aprì cominciando subito a tossire e starnutire, tanta era la polvere impregnata tra le pagine consunte. Boromir ridacchiò soddisfatto e lei lo guardò male. Gandalf le si avvicinò per esaminarlo. Legolas, nel frattempo, consigliava di non indugiare lì oltre ma di proseguire ed Aragorn capì che l’elfo doveva aver percepito un pericolo in agguato. Intanto Gandalf aveva cominciato a leggere le ultime rune scritte.

“Hanno preso il ponte e il secondo salone. Abbiamo sbarrato i cancelli ma non possiamo resistere a lungo. La terra trema. Tamburi. Tamburi negli abissi. Non possiamo più uscire. Un’ombra si muove nel buio. Non possiamo più uscire. Arrivano”.

Morwen aveva i brividi al solo immaginare gli ultimi istanti di vita di quei nani. Dalle pagine traspariva tutta l’angoscia che dovevano aver provato. Il tetro silenzio che si era creato tra i presenti venne bruscamente interrotto da un tonfo metallico improvviso, al quale tutti trasalirono. Si scopri che era stato Pipino, il quale, armeggiando con uno scheletro ancora equipaggiato di armatura e armi, aveva fatto cadere il teschio con l’elmo nel pozzo sottostante, portandosi poi dietro tutto il resto del corpo, secchio e catena inclusi. Il rumore echeggiò sinistro per tutti i cunicoli e mettendo un gran timore a tutti.

Aragorn rivolse allo hobbit uno sguardo esasperato mentre Gandalf non si trattenne.

“Idiota di un Tuc! Ti sembra che stiamo facendo una passeggiata hobbit? Gettati tu la prossima volta e liberaci della tua stupidità”.

Al contrario di ciò che potevano pensare però, il pericolo non era scampato, anzi, era stato appena risvegliato. Cominciarono a sentire dei tamburi; dapprima il suono era debole e lontano, poi divenne sempre più forte e vicino e i colpi più frequenti. Morwen rivolse a Legolas uno sguardo pieno di sgomento.
Aragorn annunciò cupo “Stanno arrivando”.

Sentirono corni e strilli acuti in lontananza. Il rumore frettoloso di molti piedi che stavano per raggiungerli. Boromir si affacciò alla porta e per poco non venne colpito da due frecce che si infilarono nella porta a pochi centimetri dal suo viso. Rientrò nella stanza riferendo ciò che aveva visto.

“Sono a centinaia: orchi e alcuni Uruk di Mordor. Temo inoltre ci sia un Troll in mezzo a loro”.

“Sbarriamo questa porta e teniamo la porta orientale libera per poter scappare!” suggerì Gimli.

“Già, lasciamola aperta così che possano entrare e finirci per davvero” ribatté con sarcasmo Boromir.

“Da quella porta non proviene nessuna minaccia” fece notare Aragorn, “Se la chiudessimo allora saremmo intrappolati qui definitivamente”.

“Se così è allora perché non fuggiamo subito da quella parte?” chiese Morwen.

Gandalf intervenne a dare man forte ad Aragorn “Quella porta non è collegata al salone; non sappiamo dove porti. Non servirà fuggire ciecamente con gli inseguitori alle calcagna; ci raggiungerebbero subito. Prima di tutto dobbiamo contenere il nemico dandoci così un minimo di vantaggio per la fuga”.

Dopo qualche secondo di esitazione Morwen sguainò la spada “Spero abbiate ragione”.

Boromir la imitò, ancora leggermente contrariato. Nel frattempo, i passi si erano avvicinati sino al corridoio. Aragorn, Boromir e Legolas si precipitarono a chiudere la porta bloccandola con spade rotte, lance e pezzi di legno. Poi si ritirarono al centro della stanza con gli altri aspettando il nemico. La porta cominciò a subire colpi a raffica; dietro, le grida degli orchi, chiamavano morte e distruzione. Morwen, tra Aragorn e Legolas, sentiva montare l’ansia. Finora non aveva mai combattuto contro una minaccia di quella portata. E se tutto il suo addestramento non fosse servito?

“Stai sempre vicino a qualcuno di noi. Non isolarti capito?” le ordinò l’elfo guardandola fissa negli occhi scuri.

Lei capì che non doveva discuterne; l’ultima cosa che avrebbe fatto era contraddirlo in quel momento delicato. Annuì “Facciamoli a pezzi”.

***

Lo scontro infuriava già da un po’, eppure Morwen non avvertiva un minimo segno di stanchezza. L’adrenalina la faceva scattare senza sosta a trafiggere il nemico che ormai era ovunque. Aiutò Pipino ad uccidere un Uruk e impedì che un orco finisse Gimli bloccando il fendente partito alle spalle del nano.

“Non è leale!” ringhiò prima di trapassarlo senza pietà.

Poi l’attenzione di tutti si voltò verso la porta, dalla quale fece irruzione un troll di caverna. Boromir aveva visto giusto. Il troll cominciò a mulinare la sua mazza colpendo tutto ciò che gli si parava davanti, compresi i suoi viscidi alleati. Ad un certo punto sembrò prendere di mira Sam. Lo hobbit era caduto nel tentativo di schivare un colpo ed ora la morte incombeva su di lui. Aragorn e Boromir, con un tempismo perfetto, distolsero il troll dal suo obiettivo tirando la catena che stava già attaccata al suo collo butteroso. Il mostro si girò furioso colpendo il biondo, che volò letteralmente andando a sbattere con violenza contro una parete. Un orco stava per finirlo, sempre se non lo fosse già stato, quando Morwen corse in sua difesa uccidendolo. Preoccupata per il compagno si chinò su di lui.

“Boromir mi senti? Svegliati!” e cercò di rianimarlo schiaffeggiandolo.

Poi vide che respirava ancora e tirò un sospiro di sollievo prima di rilanciarsi nella mischia di lame. In tutto quel trambusto si accorse di aver perso di vista Frodo. Si era detta tra sé di tenerlo d’occhio perché la ferita del pugnale Morgul di certo non l’avrebbe aiutato. Legolas scagliava frecce senza sosta e Gandalf ne abbatteva in gran quantità. Finalmente lo vide: Frodo era in compagnia di Merry e Pipino e stavano scappando dal troll. Un colpo di mazza si infranse sul pavimento dividendo Baggins dagli altri due e rendendolo più vulnerabile. Il troll infatti, se la prese con lui e Morwen corse in suo aiuto. Prese una lancia e trafisse il mostro che però non diede segni di cedimento; anzi, la colpì di rimando mandandola a sbattere contro una colonna. Sentì delle fitte lancinanti alla schiena e non seppe rialzarsi per impedire quello che accadde poco dopo. Il troll infilzò Frodo con la stessa lancia.

Morwen sentì montare una rabbia che neanche immaginava di possedere. Appena riacquistò la mobilità si scagliò come una furia sul mostro, menando una raffica di colpi con la sua spada. Merry e Pipino, anch’essi pieni d’ira, le darono man forte saltandogli sulla schiena e colpendolo all’impazzata. I tre vennero ben presto raggiunti dal resto della compagnia che, visto ciò che era accaduto, avevano eliminato in fretta tutti gli orchi concentrandosi poi solo sul più grosso. L’ultimo scontro non durò molto e finì con una freccia di Legolas dritta nella giugulare del bestione. Il tonfo che provocò cadendo al suolo fu l’ultimo rumore di quella maledetta battaglia che aveva portato alla morte del portatore dell’anello.

Morwen era ancora sconvolta. L’aveva visto cadere trafitto, aveva ancora impressa nella mente quella smorfia di dolore sul suo volto. Non poteva crederci. Aveva fallito, non era riuscita a proteggerlo. Ma chi vuoi prendere in giro? Non sei in grado di difendere neanche te stessa e hai avuto la presunzione di poter difendere un compagno. Sei patetica. Tentò di scacciare quelle voci che sapevano di cruda verità, ma non ci riuscì. Poi avvertì due braccia avvolgerla in un energico abbraccio. Sentì la voce di Legolas sussurrare al suo orecchio.

“Come stai sorellina?”.

Lei si staccò dall’abbraccio e lo guardò negli occhi, le lacrime che lottavano per uscire. “Frodo” disse solamente.

Tutti ora stavano davanti al corpo inerme del mezz’uomo, steso a pancia in giù.

Aragorn lo voltò e tutti rimasero sconvolti a ma felici nello scoprire che era ancora vivo.

“Sto bene” disse infatti, “Non sono ferito”.

Aragorn non se ne capacitava “Dovresti essere morto”.

Morwen non gliene dava torto; d’altra parte quella lancia avrebbe trafitto anche un Uruk.

Gandalf sorrise sollevato. “In questo Hobbit c’è più di quanto non colpisca la vista”.

Frodo tastò sotto le vesti scoprendo la cotta che gli aveva donato suo zio Bilbo.

“Mithril!” Gimli riconobbe subito l’artefatto nanico.

“Tu sei pieno di sorprese Frodo Baggins” constatò Boromir.

Per quanto fosse felice, Morwen sapeva che dovevano sbrigarsi a lasciare quell’orrendo posto. Infatti, cominciarono a sentire altri strilli in lontananza. Stavano tornando e chissà in quanti sarebbero stati stavolta.

“Al ponte di Kazhad Dum, presto!” esclamò Gandalf.

Si precipitarono giù dalle scale attraverso la porta orientale mentre Boromir la sprangava dall’esterno per rallentare in nemico. Fuggirono per un miglio. Non si sentivano più i rumori dell’inseguimento, niente passi, né grida, né voci. Era tutto fin troppo strano. Poi l’aria iniziò a farsi calda e pesante, davanti a loro comparve una luce.

“Siamo salvi! Vedo la luce del giorno” esclamò Pipino, ma Aragorn lo smentì.

“Quella non è la luce del giorno”.

Morwen ebbe un brutto presentimento.

Gimli esclamò “Dobbiamo proseguire oltre, ho capito dove siamo: ci troviamo al livello immediatamente sotto i cancelli. Siamo vicini non possiamo fermarci ora”.

Morwen sentì dei brividi freddi percorrerle la schiena. Il livello sotto i cancelli. Pensò all’avvertimento di Kludd e al sogno. Sperò con tutto il cuore che non ci fosse davvero in agguatto nulla di terribile.

In poco tempo si trovarono in un salone con doppia fila di colonne scolpite come tronchi maestosi. Il rullo di tamburi tornò a tormentarli e fu subito seguito da grida e scalpiccii sinistri. Finalmente arrivarono dinnanzi ad un baratro, attraversato da uno stretto ponte in pietra senza alcun parapetto; e aldilà di esso, la porta esterna. Se fossero riusciti ad attraversarlo sarebbero stati in salvo.

I ranghi di orchi si sparpagliarono come se lasciassero spazio a qualcosa di molto più orribile ed oscuro. Gandalf si girò verso il resto della compagnia.

“È un Balrog, un demone del mondo antico. Di certo non un nemico alla nostra portata. Fuggite attraverso il ponte. Io lo terrò occupato...”.

Tutti gli ubbidirono, tranne Aragorn e Boromir che rimasero al suo fianco. Ci sarebbe rimasta anche Morwen se Legolas non l’avesse letteralmente trascinata via. La scura figura fiammeggiante si lanciò su di loro e giunse al ponte.

“Andatevene subito!” tuonò Gandalf; e dopo un attimo di esitazione, i due uomini lo ascoltarono.

Dopo che tutti ebbero passato il ponte, si girarono verso colui che era rimasto a coprirgli le spalle. Lo stregone era sul ponte e dava loro la schiena. Reggeva nella mano sinistra il fedele bastone e nella destra Glamdring scintillava, fredda e bianca, minacciando il demone.

“Tu non puoi passare! Sono un servitore del fuoco segreto e reggo la fiamma di Anor. A nulla ti servirà il fuoco oscuro, fiamma di Udùn! Ritorna nell’ombra!”.

Il Balrog strideva ma non osò fare altri passi.

Gandalf ribadì urlando “Tu non puoi passare!”, dopodiché batté il bastone a terra facendo crollare il ponte sotto il demone, che cadde stridendo nell’abisso sottostante ancora reggendo la sua frusta infuocata.

Era finita, Gandalf aveva avuto la meglio. Si girò per raggiungere la compagnia quando la frusta maledetta gli artigliò il piede sbilanciandolo. Cadde ma si tenne aggrappato, rimanendo sospeso sul precipizio.

“Fuggite sciocchi!”.

Furono le sue ultime parole prima di cadere, seguendo il destino di colui che aveva precedentemente sconfitto.

Frodo urlò, Boromir lo trattenne dal fare sciocchezze prima di portarlo via insieme agli altri hobbit verso la via d’uscita. Gli orchi tornarono a scagliare frecce, Morwen ed Aragorn erano rimasti a fissare l’abisso infernale, ancora sconvolti. La ragazza si sentì afferrare e trascinare via, si attaccò a sua volta al braccio di Aragorn, scuotendolo dal suo stato. Appena fuori dalla miniera vide i compagni affrontare il lutto in modo diverso. Chi piangeva, chi sedeva afflitto e chi nascondeva tutto dietro una maschera di impassibilità. Lei non piangeva. Per quanto Gandalf fosse stato un ottimo leader, non riusciva a vederlo più di ciò. Non aveva avuto l’occasione di conoscerlo bene e questo la rattristò. Era certa che se lo avesse conosciuto come lo conoscevano Frodo, Aragorn o Legolas avrebbe reagito diversamente. Ciò non tolse però il fatto che fosse molto scossa per tale perdita. Abbracciò Legolas per confortarlo. Nessuno disse nulla, il dolore era troppo.

Gimli lottava per tornare nella miniera in chissà quale remota e impossibile speranza di salvare lo stregone, ma era sempre quel dolore ad agire al posto suo, accecandolo. Boromir lo tratteneva, sul volto un’espressione puramente sconvolta e addolorata.

“Legolas...falli alzare”.

Morwen guardò il ramingo, meravigliata ed allo stesso tempo arrabbiata. Come poteva riuscire ad essere obiettivo in un momento come quello? Come poteva essere così insensibile da non capire che erano tutti devastati? Legolas aveva lo sguardo perso nel vuoto e sembrò non sentirlo.

Boromir protestò “Concedi loro un momento, te ne prego”, la voce rotta.

La donna si trovò d’accordo col gondoriano, un’altra volta. Pensò che in fin dei conti erano simili in molte cose, e la pensavano uguale su molte altre. Inoltre, non l’aveva mai visto così afflitto e le provocò pena.

“Stanotte queste colline brulicheranno di orchi, dobbiamo arrivare ai boschi di Lothlórien” continuò imperterrito Aragorn.

Morwen si avvicinò a Boromir e gli mise una mano sulla spalla in segno di conforto “Per quanto possa sembrarci difficoltoso, credo abbia ragione. Dovremmo muoverci”.

Il capitano la guardò e la donna vide un gran dolore nei suoi occhi che non seppe dire altro, si limitò a guardarlo a sua volta. Poi lui si alzò in piedi e si recò da Pipino e Merry per esortarli ad alzarsi. Morwen si occupò di Sam, mentre Aragorn chiamava Frodo, che si era leggermente allontanato.

Ricominciarono a camminare ed Aragorn prese il posto di Gandalf alla guida della compagnia. Il paesaggio attorno rispecchiava i loro animi; era bello e maestoso ma aveva un che di turbolento e triste. A nord, i picchi innevati delle montagne di Moria, li sovrastavano e all’estremità della valle un torrente scorreva giù, in numerose piccole cascate. Morwen pensò dovette trattarsi della Scala dei Rivi Tenebrosi. Non vi era nome più azzeccato. A sud, le Montagne nebbiose si allungavano a perdita d’occhio e la superficie del Mirolago, rivolta verso Nord, era senza increspature e le sue sponde, ricoperte di erba soffice, erano in contrasto col paesaggio brullo che si stagliava loro davanti. Gimli si fermò ad ammirarlo, ma il suo animo era così pesante che non poté goderselo appieno.

Aragorn li guidò alla sorgente dell’Argentaroggia e da lì seguirono il suo corso, come aveva stabilito Gandalf. Avrebbero raggiunto i boschi laddove il fiume avesse imboccato il Grande Fiume. Dall’alto di un pendio la compagnia guardò il suo corso. Morwen vide la loro destinazione in lontananza. Le acque si inoltravano attraverso le terre pianeggianti, fino arrivare ad una foschia dorata. Aveva sempre sentito parlare dei boschi di Laurelindórinan, la Terra della valle d'oro cantante. Thranduil le raccontava sempre storie meravigliose sul suo conto e fin da piccola sognava di cavalcare con Dagor in quella dimora degna di un Valar. Ora finalmente l’avrebbe vista, anche se la situazione era molto diversa da come se l’era immaginata. Dagor non era lì con lei, un enorme peso incombeva sulle loro spalle e un compagno li aveva lasciati per sempre. No, il contesto era decisamente pessimo.

“È davvero ciò che penso che sia?” chiese rivolta a Legolas.

“Si sorellina, è Lothlórien”.

***

Dall’alto di una torre oscura due occhi di ghiaccio scrutavano le distese pianure di Gondor. Kludd era pensieroso. Come avrebbe fatto ad aiutarla se si ostinava a non credergli? Come avrebbe potuto conquistare la sua fiducia? La sfida che si era preposto si stava rivelando più ardua del previsto. La ragazza non era poi così debole come credeva.


Nota dell'autrice:


Rieccomi da voi tesssoriii💖

Rieccoci qui amici dopo un’interminabile attesa. Mi scuso di cuore con tutti voi per avervi tenuto sulle spine per così tanto tempo. Ho voluto farvi un regalino e, data la critica situazione in cui ci troviamo, spero di rallegrare con questo capitolo questa Pasqua, definiamola, “alternativa”.

“Ora che sei in quarantena non hai più scuse per continuare a scrivere!” direte giustamente voi. Ebbene vi prometto che mi metterò di più impegno anche se l’università si fa sempre sentire. Eh già, quella non si ferma e gli esami devo darli lo stesso.

Non mi dilungo oltre e vi auguro una serena, per quanto possibile, Pasqua coi vostri familiari. Un abbraccio speciale va a chi invece i suoi familiari per vari motivi non ha potuto vederli. Speriamo in tempi migliori e intanto decidiamo cosa fare col tempo che ci viene concesso.

"È come nelle grandi storie, padron Frodo, quelle che contano davvero, erano piene di oscurità e pericolo, e a volte non volevi sapere il finale, perché come poteva esserci un finale allegro, come poteva il mondo tornare com'era dopo che erano successe tante cose brutte, ma alla fine è solo una cosa passeggera, quest'ombra, anche l'oscurità deve passare, arriverà un nuovo giorno, e quando il sole splenderà sarà ancora più luminoso, quelle erano le storie che ti restavano dentro, anche se eri troppo piccolo per capire il perché, ma credo, padron Frodo, di capire ora, adesso so, la persone di quelle storie avevano molte occasioni di tornare indietro e non l'hanno fatto... andavano avanti, perché loro erano aggrappati a qualcosa."
"Noi a cosa siamo aggrappati Sam?"
"C'è del buono in questo mondo, padron Frodo... è giusto combattere per questo!"


Ancora Buona Pasqua e alla prossima volta!


Ps: Vi spoilero che nel prossimo capitolo si parlerà della storia di un’altra persona. Immagino vogliate sapere subito di chi si tratta eh? Provate ad indovinare voi! Scrivete nei commenti chi è secondo voi! Vi voglio numerosi eeeehhh

Pps: ArUmOsS94 mi ha dato una bella idea nel commento dell’ultimo capitolo. Vi darò i nomi delle possibili ship di Morwen. Quelle che avete pensato voi ovviamente. Ho evinto che non sapete con chi shipparla perché la sottoscritta vi sta creando una bella confusione (LOL). Comunque, eccovi i nomi delle ship così potrete nominarle anche nei commenti. Se avete nomi migliori da propormi ben venga perché alcuni non mi convincono ahaha.

Morwen/Legolas 🡪 Morlas
Morwen/Aragorn 🡪 Aragwen
Morwen/Boromir 🡪 Borwen
Morwen/Kludd 🡪 Kludden

E voi per quale tifate? Sono curiosaaa

Un bacio enorme ai miei fedelissimi lettori e recensori in particolare sissi04, ArUmOsS94, RedelNord, Princess_of_Erebor, Emma Wayne, LaViaggiatrice. Mi invogliate sempre a dare il meglio. Vi lovvooo

Kia

Ritorna all'indice


Capitolo 11
*** Il Corvo ***


Capitolo 11: IL CORVO



“Ci sono individui che non hanno bisogno della notte; essi stessi irradiano l’oscurità.”
S.J.L.




Kludd, affacciato alla finestra del suo studio, guardava giù, verso il corso dell’Isen e mentre la dura e nera pietra di Orthanc lo circondava, rifletteva. A sud, dai Monti Cenere, confine naturale di Mordor, spuntavano le esalazioni del Monte Fato, divenute ultimamente più consistenti. Riusciva a percepire tutto il male all’opera; gli provocava intense scariche di eccitazione. Sarebbe mancato poco, prima della fine. Una folata di vento mosse i suoi capelli corvini, portandogli le fragranze forti e penetranti di Fangorn. Quella foresta, vecchia di ere, sembrava essere l’unica certezza al momento. Eppure, anch’essa aveva ceduto in parte sotto le scure del male. Il suo maestro, dopo aver raso al suolo il giardino attorno alla torre, aveva cominciato ad abbattere quegli alberi per procurarsi legna, allo scopo di alimentare le fornaci del progresso industriale che stava attuando.

Chiuse gli occhi e la sua mente tornò indietro, a quando non era che un ragazzino e correva tra gli alberi decrepiti di quella foresta, sentendosi finalmente libero, lontano dai giudizi delle persone e da una casa in cui non era apprezzato. Aveva stretto amicizia con gli Ent, coi quali passava ore e ore a parlare. Loro lo amavano per essere così fuori dall’ordinario e lo chiamavano affettuosamente “Il piccolo corvo”. Nessuno nel villaggio l’aveva mai fatto sentire così accettato.

L’odore di zolfo e legna bruciata lo riportò alla realtà. Ora riusciva a sentire come una lugubre voce che dalla foresta chiamava vendetta, lo malediceva per averla abbandonata. Era come se gli Ent gli stessero ricordando quanto fosse malvagio nel lasciarli al loro triste destino. Eppure, Kludd non provava nulla a riguardo. Fissava con freddezza gli orchetti lavorare, fare a pezzi quei vecchi tronchi una volta amici. Il sentimentalismo non faceva parte della sua persona, l’aveva capito quando i suoi genitori erano morti. Non aveva versato nemmeno una lacrima. Non aveva sentito niente.

Forse la magia l’aveva reso così. L’aveva conosciuta a 9 anni, quando durante una battuta di caccia causò un incidente in cui vennero coinvolti dei suoi coetanei. Fu il primo di una serie in cui i ragazzini del villaggio con cui si rapportava rimasero feriti e sconvolti. Prima di allora la sua vita era più serena. Certo, era sempre stato emarginato per il suo carattere introverso e misterioso, ma da quel giorno le cose cambiarono decisamente. Non aveva la minima idea di come controllare gli impulsi che prendevano il sopravvento in lui. Erano sensazioni forti e indomabili, e lui non era che un bambino. La paura di poter causare danni, inoltre, non faceva che alimentare la sua magia. Gli incidenti divennero sempre più frequenti, allorché sua madre e suo padre gli proibirono di vedere anima viva, costringendolo in casa, senza alcun precettore che si occupasse della sua istruzione. Kludd sentiva tutta la tensione, la paura e la diffidenza che la gente e i suoi genitori provavano nei suoi confronti. Lo facevano sentire una minaccia, uno sbaglio e cominciò a provare avversione nei confronti di tutti. Portava un enorme peso fatto di paura e rabbia. Ogni tanto, chiuso nella sua stanza, veniva colto da un attacco di panico, come se qualcosa lo scuotesse dal profondo. Cominciava a far levitare gli oggetti intorno a lui, a volte qualcosa prendeva fuoco, allora tornava in sé e spegneva tutto, per poi ripiombare nella certezza che fosse pazzo. A 13 anni aveva tentato il suicidio piantandosi un coltello da carne nel petto. Una voce nella sua testa l’aveva preso a schiaffi e l’aveva fatto desistere dal gesto. Perché ucciderti quando puoi uccidere coloro che ti fanno stare male? Loro si meritano la morte, non tu.



“Kludd dobbiamo parlarti tesoro” esordì sua madre una volta a cena.

“Io e papà vogliamo abbandonarti. Ho indovinato?” la interruppe sarcastico “Oh, oppure questa è meglio: Vogliamo rinchiuderti da qualche parte”.

Suo padre lo zittì “Ascolta tua madre!”

“Noi vorremmo assegnarti un precettore, un maestro che ti istruisca. È ingiusto lasciarti senza cultura solo perché-”

Non fece in tempo a finire che Kludd la interruppe di nuovo “Solo perché sono un pericolo pubblico. Dite le cose come stanno”

Margon intervenne “E’ vero, le cose stanno proprio così. Hai dei poteri e finché non saprai controllarli sarai un pericolo per tutti gli altri”

Meira lo richiamò e subito dopo riprese il suo discorso “Si chiama Gandalf ed è uno stregone, verrà a trovarti domani”

“Posso illudermi di avere una scelta o è già deciso?”

“È deciso” affermò seriamente Margon.

“Perfetto. Grazie per avermi reso partecipe delle decisioni a questioni concluse. Con il vostro permesso tornerei nella mia stanza”

Detto ciò si alzò dalla sedia senza aspettare alcuna risposta e si avviò fuori. Meira lo chiamò, intristita dal suo comportamento, Margon invece ne era infastidito “Spero che Gandalf ci sia d’aiuto”.

Meira fissava ancora la porta da dove il figlio era uscito “Sento che lo stiamo perdendo Margon”.

“Sciocchezze, a quest’età sono tutti così”.

Ma Meira sapeva che non era per quello, sentiva altro, qualcosa di peggio.

Kludd nella sua camera ripensò alla conversazione avvenuta poco prima. In fondo si trattava dei suoi genitori e come tali sapeva che agivano sempre nel suo bene e si preoccupavano per lui. Pensò che in fondo si era comportato da maleducato e irrispettoso. Volle andare a scusarsi ma una parte dentro di lui lo bloccò e trasformò le emozioni positive in negative. Ricordò lo sguardo di sua madre, pieno di paura, e quello colmo di disprezzo e fastidio di suo padre. Si chiese se il motivo per cui non lo facessero più uscire di casa fosse perché se ne vergognavano e non per proteggerlo come loro dicevano. Sentì crescere un odio incontenibile e si spaventò. Per un frangente aveva pensato di ucciderli.




Saruman lo distolse dai suoi pensieri “Cosa senti Kludd? Il Signore Oscuro ti ha parlato?”

Il moro si girò a guardare il mentore, in piedi sulla soglia del suo studio. “Al momento è più silenzioso di un tumulo antico”

“Avrai saputo che Gandalf è morto”

“L’ho visto cadere, si”

“Avremo un problema in meno a cui pensare”

Kludd ripensò a quando aveva conosciuto lo stregone. Da quando gli aveva stretto la mano aveva letto nei suoi occhi diffidenza e sospetto. Gandalf l’aveva sempre trattato con tatto, quasi ne avesse paura; per questo probabilmente non gli aveva mai insegnato le magie più pericolose. Non si era fidato nemmeno dopo anni e Kludd, a sua volta, non gli aveva mai dato completa fiducia o cieca devozione.

“Si, una seccatura in meno”.

Quando i suoi genitori morirono, Gandalf non volle più occuparsi dell’istruzione del giovane che passò in affidamento al suo nuovo mentore, Saruman. Kludd cresceva e imparava in fretta le arti magiche, fino a che lo stregone non lo ritenne degno di diventare suo apprendista. Al compimento dei 18 anni, venne fatta la cerimonia di iniziazione ad Orthanc su suggerimento stesso del giovane. Si trattava di un rito di accettazione nell’ordine degli Istari. Kludd venne nominato ufficialmente apprendista del grande Saruman il Bianco e fu un avvenimento storico in quanto era la prima volta che uno di loro sceglieva un successore a cui insegnare le vie della magia. Kludd ricordò lo sguardo contrariato di Gandalf quando l’aveva saputo.

“Stai imboccando una strada sbagliata Saruman, non è bene porsi al livello dei Valar”

“Non prendo ordini da te Gandalf, faccio ciò che ritengo giusto. Il ragazzo deve essere istruito nelle vie della magia, diverrà molto potente e un aiuto prezioso”

“Come fai a non vedere oltre? Questa decisione è pericolosa, non sappiamo come il ragazzo potrebbe evolvere nel tempo. Addestrandolo potresti invece offrire un prezioso alleato a Sauron”

“È incredibile come tu l’abbia accompagnato in tutti quest’anni e non abbia colto quanto abbia da offrire”

“Kludd è un ragazzo straordinario, ma sento qualcosa di sbagliato in lui”

Gandalf si interruppe appena vide entrare il giovane nello studio.

“Non fermarti per me Mitrhandir… Continua, sono interessato”, la voce calma ma decisa.

Lo stregone non si fece intimidire dall’atteggiamento passivo aggressivo dell’ex allievo e continuò ad esprimere i suoi pensieri. “Noi vegliamo sulla Terra di Mezzo in qualità di Istari, non ci è dato prendere apprendisti”

Kludd si infastidì leggermente “Ti avevo detto di continuare… Stavi parlando di me o sbaglio?”

“Non sbagli… Fin dal primo incontro capii che eri diverso, decisamente fuori dall’ordinario. Ti ho guardato negli occhi e vi ho letto una battaglia che un bambino di 11 anni non poteva portare. Ritenevo rischioso già allora insegnarti, ma avevi bisogno di controllare i tuoi poteri, perciò l’ho fatto. Non volevo che altri si facessero male”

“Se ero tanto pericoloso perché non togliermi di mezzo?”

“Ho voluto credere che per te ci potesse essere salvezza. Mi sono sobbarcato di un’impresa che non ero sicuro di poter affrontare”

Kludd rise “Buffo come l’evidenza era chiara ai miei occhi e non ai tuoi”

“Non volevo vedere la verità. Mi rifiutavo di credere che quel bambino avrebbe potuto compiere azioni tanto orribili”

Gandalf gli si avvicinò, gli occhi socchiusi, il tono di voce rotto “Dimmi solo una cosa… Cos’hai provato quando sono morti?”

Kludd simase impassibile per qualche secondo, poi sollevò gli angoli della bocca in un sorriso sadico “Liberazione”





Da allora erano passati 9 anni e Kludd non aveva più visto l’ex mentore. Una visione l’aveva svegliato in piena notte: sul ponte di Khazad-dûm il Falgello di Durin trascinava Gandalf nell’oscurità con la sua frusta infernale. La compagnia scappava dalla montagna mentre lo stregone precipitava verso la sua morte. Aveva provato solo un grande stupore, non gaudio, né lutto, stupore. La caduta di Mitrhandir aveva un peso consistente, un segno che la Terra di Mezzo doveva prepararsi al peggio, l’oscurità stava avanzando sempre di più. Il giovane mago ne era perfettamente consapevole, essendone parte integrante e agente. Un grande passo si era appena compiuto e finalmente la compagnia aveva perso la sua guida, il componente più temuto. Un risvolto tanto inaspettato quanto gradito. Inutile dire che avrebbe approfittato della situazione.

Saruman gli si avvicinò “Scoperto qualcosa su di lei?”

“Una potente magia ancora mi cela la vista. Il suo passato è occultato e finchè non lo conoscerà lei stessa la magia resterà intatta, proteggendolo alla vista di altri”

“Confido nelle tue doti, lo sai. Ad ogni modo cerca di impegnarti il più possibile, sento che il ruolo di questa donna sarà decisivo per le sorti del conflitto. Non possiamo permetterci errori”

“Certo maestro”

Il vecchio uscì dalla stanza lasciandolo lì, ancora affacciato a quel vetro, mentre fuori aleggiava la certezza che il mondo non era più lo stesso. I tronchi venivano abbattuti sotto lo sguardo di un ragazzo dal cuore nero e gli occhi di ghiaccio. La magia che turbinava nella sua testa tra una moltitudine di immagini, a cui in parte ancora non aveva risposte. Un vecchio mago piombava in un baratro infuocato, un gruppo di viaggiatori alle prese con un percorso pieno di ostacoli, una ragazza dal passato misterioso su cui voleva disperatamente fare luce... Queste non erano che le immagini a cui sapeva associare una realtà tangibile. Ma che ne era di quella voce che lo chiamava nella notte, di quella figura che gli metteva una mano sulla spalla, che lo incitava a seguirlo? Molte cose erano nebulose e il Palantir, ormai lo sapeva, non aveva le risposte a tutto. Il più delle volte, anzi, gli metteva in testa solo altre domande.

Ora però, solo ad una di queste voleva una risposta. A nord, la cresta delle montagne nebbiose si stendeva imponente. L’opera di Morgoth, eretta per impedire le scorribande di Oromë e dare fastidio al Maia cacciatore, sembrava urlare che una lotta all’ultimo sangue era in corso. Kludd affilò la vista scorgendo, grazie alla magia, la vetta innevata del Celebdil, sotto il quale giacevano le aule di Khazad-dûm. Pensò all’ex mentore. Il grande Mithrandir era davvero morto? Certo che si, il Palantir non mentiva mai. Eppure un dubbio si era insinuato in lui. Tolse lo sguardo dalla vetta e lo puntò più in basso. Da qualche parte, ai piedi di quelle montagne una donna stava compiendo un viaggio importante. “Giuro che ti troverò... Scoprirò chi sei davvero... Morwen”



Nota dell'autrice:


Ragazzi veramente non so che dire… Spero che il mio imperdonabile ritardo non abbia scoraggiato molti di voi. Spero che tornerete a leggere questa mia tormentata fanfiction a cui tengo tantissimo. Vi adoro tutti dal primo all’ultimo, a partire da voi lettori affezionati e silenziosi fino a voi adorabili pazzerelli che con coraggio e amore recensite. Sapete che sentire la vostra presenza mi sprona sempre a dare il meglio e a continuare a scrivere. Purtroppo, anche gli scrittori sono umani. Ci sono momenti zero ispirazione, momenti no, blocchi di scrittura (quanto li odio…). Eppure, sono ancora qui e se non mollo è perché ho cominciato una cosa e ora penso solo a portarla a termine. Certo un commentuccio mi aiuterebbe molto ma voglio dirvi che oltre a questo la mia storia continuerà a vivere e se voi sarete così pazienti e buoni con me ne vedrete anche la fine. Ve lo prometto.

D’ora in poi vi avviso che non vedrete capitoli incentrati solo su Morwen. Darò voce ad alcuni personaggi entrando nei loro pensieri e dedicando loro uno spazio personale. “Esatto Morwen non sei al centro di tutto spostati”. Pian piano scopriremo anche il passato del giovane stregone e… “Morwen, davvero piantala… sto cercando di parlare coi miei lettori”… in questo capitolo ne avete avuto un assaggio. Che ne pensate? “No non ho chiesto cosa ne pensi tu, vai ad allenarti con Legolas e stai zitta”

Scusate ora devo lasciarvi perché Merry e Pipino mi stanno distruggendo la cucina per la loro seconda colazione. Vado a placarli.

Un abbraccione a tutti

Kia

Ritorna all'indice


Capitolo 12
*** Il Bosco d'Oro ***


Capitolo 12: IL BOSCO D’ORO



“ Siamo esseri di un’abbagliante fragilità e piccolezza, perduti in una galassia sconfortante.” G.C.




Percorsero i pendii occidentali incontrando le acque turbinose dell’Argentaroggia che si tuffavano impavide in una conca sul cui fondo vi era una zona pianeggiante dove il gruppo si fermò a riposare e curare le ferite di Sam e Frodo. Gimli riscaldò l’acqua per gli impacchi e Aragorn dispensò le foglie di Athelas. Boromir teneva lo sguardo fisso sulle acque rumorose del torrente lì vicino e pensava. La morte di Gandalf l’aveva turbato più di quanto volesse ammettere e non tanto per la perdita in sé, quanto per ciò che essa significava. Se perfino uno stregone del suo calibro era soccumbuto al potere dell’oscurità che ne sarebbe stato di loro? Lui, Gandalf, pieno di luce com’era. Il capitano di Gondor non osava pensare cosa sarebbe successo a un semplice uomo come lui, o al suo popolo, deboli menti umane, fragili al cospetto di tanto male.

Dopo la sosta, una volta rifocillati e curati, ripresero il cammino. Frodo e Sam procedettero più spediti alleviati dalle cure, permettendo loro di fare ancora parecchia strada. Anche dopo il tramonto, con il pallido bagliore della luna, Aragorn li condusse per altre tre ore lungo la via. Arrivò la notte, e la compagnia era ancora in marcia. Le teste di ognuno di loro si alzarono almeno una volta per ammirare il cielo stellato, quelle di alcuni si alzarono più volte. Il buio silenzioso era interrotto dal rumore dei grilli, dallo scorrere delle acque del fiume poco distante, del vento e degli stivali che calpestavano il terreno, con un ritmo sempre più lento e strascicato, per via della stanchezza crescente.

Boromir, troppo distratto dall’incantevole luce degli astri, si accorse d’un tratto di aver perso di vista Frodo, quindi si girò e lo vide qualche passo indietro, un’aria preoccupata adombrava il suo viso. Gimli lo affiancò e li vide scambiare due parole, poi ripresero la marcia, eppure lo hobbit non sembrava ancora tranquillo. Pensò fosse semplicemente il peso che dovesse portare a renderlo così; il capitano non poteva biasimarlo. Da quando aveva visto l’anello, aveva sentito installarsi e crescere un pensiero costante nella sua testa, esso lo logorava giorno dopo giorno, inducendolo ad altri pensieri, altrettanto corrotti e sbagliati.

Poco prima della sua partenza da Osgiliath aveva parlato con suo padre, il quale lo aveva esortato a partecipare al consiglio di Elrond cercando di convincerlo su quanto fosse stato utile e saggio al loro regno avere a disposizione l’anello del potere. Gondor stava affrontando un periodo difficile, lui lo sapeva bene come suo capitano e vice sovrintendente, eppure non era d’accordo col padre: non avrebbe mai abbandonato la sua gente basandosi solo su voci che dicevano che l’arma del nemico era stata trovata. Poi aveva guardato il genitore negli occhi e vi aveva letto una strana luce, quasi folle. Non l’aveva mai visto così risoluto e infervorato, pensò perciò che potesse davvero avere ragione e cercò di convincersi che era la cosa giusta da fare.

Una folata di vento freddo lo scosse riportandolo alla realtà. Pipino e Merry camminavano a fianco a lui e si chiese se anche loro stessero patendo il freddo pungente della notte. Ricevette la risposta due secondi dopo quando vide Pipino sfregarsi le braccia in modo da creare calore con l’attrito del movimento. Fece per prendere il fagotto dove teneva la sua coperta ma non trovandolo si rese conto di averlo perso a Moria, nella battaglia o nella fuga. Diede un colpetto amichevole sulle spalle del mezz’uomo “Resisti ancora un po', appena ci fermiamo accendiamo un fuoco”. Pipino volse su di lui uno sguardo di ringraziamento e negli occhi si specchiò il cielo stellato.

“Fratello mio, ho bisogno di parlarti”. Sul volto di Faramir gravava chiaramente un peso, non fu difficile a Boromir capire che aveva bisogno di sfogarsi con qualcuno, e quel qualcuno non poteva essere che lui, dal momento che Denethor trascurava le sue opinioni, non considerandole valide. Quello fu il momento in cui venne per la prima volta a conoscenza della profezia:

«Cerca la Spada che fu rotta, A Imladris la troverai; I consigli della gente dotta Più forti di Morgul avrai. Lì un segno verrà mostrato, Indice che il Giudizio è vicino, Il Flagello d'Isildur s'è svegliato, E il Mezzuomo è in cammino.»

Faramir gli raccontò come, più volte in sogno, la detta profezia l’aveva svegliato. Inizialmente Boromir faticava a darci abbastanza peso per via della sua natura pragmatica e scettica, ma una volta che il sogno profetico venne a fare visita anche a lui, si rese conto della stranezza della cosa. Subito lo riferì al fratello minore, che si sentì decisamente più sollevato nell’apprendere che non era un sogno dettato dalla pazzia ma un avvertimento serio e da non sottovalutare. A Boromir non piaceva, perché significava venire a patti col fatto che esisteva un potere a loro superiore in grado di influenzare le loro vite e di mutare i pensieri installandosi nelle menti. Non voleva che quel sogno lo condizionasse al punto da influenzare le sue azioni, lui non sarebbe partito: il suo esercito contava troppo su di lui perché potesse farlo. Eppure, qualcuno sarebbe dovuto andare. D’un tratto i discorsi di suo padre acquisirono un senso, e il consiglio di Elrond era diventato un’opzione non rifiutabile. La terra di mezzo, quindi anche Gondor, contava su questo per garantirsi la salvezza. Nonostante questo, Boromir arrivò alla conclusione che non sarebbe andato via perché in qualche modo sentiva che non era quella la strada che doveva prendere. Pensò a Cirion, il più giovane del suo battaglione, morto tra le sue braccia durante la riconquista della Cittadella Delle Stelle. Non aveva potuto fare niente, non era riuscito a salvarlo. Quel pensiero lo teneva ancorato lì, il suo destino era legato a quello dei cavalieri sotto al suo comando, non aveva intenzione di abbandonare quella responsabilità, specie dopo le morti che aveva dovuto affrontare. Ogni giorno i volti dei suoi soldati gli ricordavano cosa significasse il sacrificio e la fedeltà, lo facevano riflettere sul significato del giuramento alla propria patria, gli ricordavano che Gondor e le sue vite erano sulle sue spalle e degli uomini che decidevano di dare la vita per esse. Non avrebbe abbandonato tutto questo, anche se fosse stato per una “causa più grande”, come gli aveva detto Faramir.

Faramir, suo fratello minore, era sempre stato il più saggio della famiglia nonostante la giovane età. Spesso Boromir si trovava a pensare che il titolo di vice sovrintendente dovesse spettare al fratello. A lui sarebbe davvero bastato il comando dell’esercito, dove si sentiva a suo agio. Non avrebbe chiesto di più. Ovviamente, però, suo padre non l’avrebbe permesso: adorava troppo il primogenito per poterlo togliere dal dorato piedistallo su cui l’aveva posto, soprattutto per un’azione a favore del figlio minore. Denethor sembrava provare per Faramir una profonda avversione. Alle volte lo guardava con così evidente disprezzo che Boromir, non reggendo la cosa, si poneva tra i due rompendo il contatto visivo e allentando la tensione. Questo provocava sempre un’enorme tristezza nel maggiore che amava entrambi. Faramir, dal canto suo, non dava più peso al comportamento del padre, dando l’impressione che non lo ferisse. Eppure, nonostante questa forza che voleva dimostrare, era abbastanza evidente come il ragazzo cercasse in tutti i modi di compiacere il padre e renderlo fiero.

La sua mente rivangò ricordi d’infanzia passando a proiettare l’immagine di un piccolo Faramir che con gli occhioni azzurri e il viso contrito lo guardava chiedendogli cosa avesse fatto per far arrabbiare suo padre. Allorché Boromir lo abbracciava rassicurandolo che era solo perché era stanco e non controllava le parole. Fu dalla morte di sua madre che il capitano vide suo padre cambiare, non era mai stato troppo affettuoso, ma da quel momento si chiuse se possibile ancora di più in sé stesso, escludendo Faramir da qualsivoglia dimostrazione d’affetto. Ma allora perché con me è diverso? Si trovava spesso a pensare il maggiore. Faramir all’epoca aveva cinque anni, Boromir dieci, e dal momento che erano lasciati a loro stessi, instaurarono un legame fortissimo. Boromir non faceva nulla se prima non era sicuro che Faramir fosse al sicuro, d’altra parte, Faramir, più posato e pacifico, si trovava spesso coinvolto nelle bravate del fratello e per amor suo si prendeva spesso la colpa sulle sue piccole spalle. Boromir ogni volta interveniva per specificare che era stata un’idea sua ma la diatriba finiva sempre con un castigo per entrambi. Faramir odiava infatti lasciare il fratello solo, si fosse parlato di avventure così come di punizioni.

“Lothlórien! Siamo giunti ai margini del Bosco d’Oro!” esclamò Legolas distogliendo il gondoriano dai suoi pensieri.

Boromir alzò lo sguardo dai suoi piedi e ciò che gli si parò dinnanzi gli fece una certa impressione, non seppe se buona o cattiva, ma lo scosse molto nel profondo. Quel luogo aveva chiaramente qualcosa di mistico ma il capitano non riuscì a capirne la natura. Gli alberi si ergevano imponenti nella notte invernale, i loro tronchi erano di un grigio pallido alla luce delle fredde stelle. Le foglie fremevano nella brezza notturna.

“Chi ci dice che gli elfi saranno pronti a darci il benvenuto?”. Gimli espresse i suoi timori e subito Legolas gli rispose, “Si nascondono ma so per certo che Lórien non è deserto e che ancora oggi la sua forza segreta respinge il male da questa terra”.

Boromir si chiese in cosa consistesse quella forza segreta.

Dopo un breve istante in cui nessuno, nemmeno tra gli hobbit, fiatò, la voce di Aragorn si innalzò allo scopo di guidare ancora una volta il gruppo lungo il percorso. “Faremo ancora un po' di strada finché gli alberi saranno fitti intorno a noi, dopodiché riposeremo fuori dal sentiero”.

“Ritenete davvero saggio addentrarci in quel bosco? Ho sentito storie a Gondor, voci dicono che pochi di coloro che vi mettono piede ne escano, e che di questi pochi nessuno sia uscito illeso”.

La scetticità espressa da Boromir fece alzare gli occhi a Morwen che rispose con esasperazione evidente. “Si può passare qualche miglia senza che ci sia un certo capitano ad controbattere ogni decisione presa da chi di dovere?”.

Aragorn invece si limitò a correggerlo, “Non userei quel termine, direi più che non ne siano usciti immutati”.

Boromir ignorò il commento di Morwen concentrandosi su quello del compagno, “Non che sia meglio di ciò che ho detto io”.

“Com’è possibile che nella città dei saggi ora si parli male di Lothlórien?” chiese il moro, chiaramente ancora stupido dalla dichiarazione precedente del compagno.

Boromir continuò a ribattere ignorando la domanda retorica. “Tutte le strade che abbiamo preso finora, sempre contro la mia volontà, non hanno portato che a esiti infausti, partendo dal Caradhras per finire con Moria”.

“Vuoi profetizzarci la prossima disfatta?” lo stuzzicò Morwen.

Boromir fece appello a tutta la sua pazienza per non sfociare in un linguaggio colorito.

Aragorn, che comprendeva i timori dell’uomo, gli rispose con calma, “Mi dispiace Boromir, ma non abbiamo altra scelta se non questa, a meno che tu non voglia tornare al cancello di Moria, scalare le montagne o nuotare lungo il Grande Fiume”.

Il biondo sospirò rassegnato, “D’accordo, guidaci allora”.

Legolas, cerco di alleviare le sue angosce per quanto possibile. “Ti posso assicurare che non ti sarà arrecato alcun danno da parte degli elfi, solo il male ha da temere qui”.

“E chi lo porta seco” completò l’erede di Isildur.

Boromir non si sentì rassicurato dall’ultima affermazione. Incrociò per errore gli occhi di Morwen, quindi distolsero entrambi lo sguardo come se fossero stati scottati ma il capitano giurò di avervi letto paura.

***

Percorsero più di un miglio nella foresta prima di giungere ad un corso d’acqua le cui acque scure turbinose e scroscianti si univano all’Argentaroggia attraversando il sentiero su cui posavano i piedi. Nimrodel si chiamava; Legolas raccontò come gli Elfi Silvani, la sua gente, molto tempo fa ivi vi compose molte canzoni.

Lo attraversarono con facilità poiché le acque arrivavano loro alle ginocchia e non erano troppo forti, quindi giunsero sulla sponda opposta, dove si accamparono per riposare e rifocillarsi. La voce del Nimrodel in sottofondo conciliava pensieri profondi in tutti, tanto che il silenzio tra i membri era volto tutto all’attenzione verso quel posto magico e misterioso. Legolas lo ruppe per raccontare ai compagni storie di Lothlórien che però Boromir non riuscì a godersi appieno dati i continui pensieri e timori che affollavano la sua testa in quel momento. L’elfo d’un tratto cominciò ad intonare un dolce canto, la voce fioca si mischiava con il fruscio delle foglie e lo scorrere dell’acqua. Gli occhi del capitano si posarono sui membri della compagnia, li passò in rassegna uno alla volta pensando a quanto sarebbe mancato prima che un altro di loro li lasciasse.

Da quando Gandalf era caduto, la paura che ciò potesse accadere era cresciuta, si era radicata e come un virus e lo stava infettando portandolo ad approdare a questi pensieri tragici. Non bastava il peso che portava da Gondor, ora si era aggiunto anche questo fardello. Non dormiva più per i continui incubi, che il più delle volte avevano i piccoletti come protagonisti. L’uomo temeva per la loro incolumità e malediceva il dipartito stregone per aver permesso loro di unirsi a quella spedizione suicida. Gli occhi grigi si soffermarono su Morwen, intenta a pulire le sue armi, le sopracciglia aggrottate, sinonimo di concentrazione. Boromir non riusciva proprio a capire quella donna, sapeva essere una vera spina nel fianco, ma quella breve conversazione che avevano avuto sul Caradhras gli aveva mostrato un lato che chiaramente teneva celato. Quella notte le era parsa davvero una ragazza turbata e in lotta con i suoi demoni, proprio come lui. Aveva sentito una connessione dettata dall’angoscia che evidentemente entrambi portavano nel cuore per i propri motivi. Poi l’aveva salvata, ricordò di aver provato una profonda paura nell’averla persa di vista quell’istante necessario per capire che le era successo qualcosa. Si era tuffato nella neve candida e mortale, sperando di trovarla prima che fosse troppo tardi. Fortunatamente era finito tutto per il meglio, eppure il gondoriano non negò a sé stesso di aver temuto la triste dipartita della ragazza, chiaramente però non lo avrebbe mai confessato, tantomeno all’interessata.

La luce delle stelle le illuminava il viso creando riflessi blu nella chioma nera. Boromir seguì le onde dei capelli intrecciati e tortuosi come i suoi pensieri attuali. Si trovò a pensare che fossero belli, poi si diede uno schiaffo internamente. Si alzò in piedi raccogliendo gli sguardi dei compagni, non si fermò a spiegare dove stesse andando, perché non lo sapeva nemmeno lui. Sapeva solo che voleva dimenticare per un attimo di fare parte di quella compagnia, fare sì che la missione che gli era stata affidata da suo padre sbiadisse, anche per poco, dalla sua testa.

Si inginocchiò in riva al fiume rinfrescandosi il viso, cercando di lavare via i pensieri negativi. Pensò a Faramir, gli mancavano lui e i suoi saggi consigli, ne avrebbe avuto bisogno ora più che mai.

“Ricordati di oggi fratello”.

Le ultime parole che gli rivolse prima di avviare il suo destriero fuori da Osgiliath ancora gli risuonavano nelle orecchie. Ricordava come fosse accaduto solo ieri che suo padre l’aveva incitato a partire e lui aveva rifiutato. Faramir si era offerto di partire e compiere lui stesso la missione ma Denethor l’aveva guardato con disprezzo sminuendolo con poche taglienti parole. Boromir aveva subito chiamato il padre in disparte per rimproverarlo “Lui vi ama!”, ormai era stufo di cadere nei soliti litigi. Fin da quando ne fu capace, infatti, aveva cominciato accese discussioni col padre, perché non sopportava l’atteggiamento che egli riservava al fratello. Difendeva Faramir, l’aveva sempre fatto e, dalla morte di Finduilas di Dol Amroth, loro madre, questo agire si era fortificato. Lo difendeva da chiunque e se questo voleva dire litigare aspramente con suo padre, ebbene l’avrebbe fatto senza alcuna esitazione. In più, il carattere impulsivo e spregiudicato che si trovava creava le condizioni per cui questo accadesse molto spesso. Alle volte, infatti, l’eccessiva paranoia del maggiore sfociava in conflitti le cui cause erano quasi mai un motivo ben fondato, il più delle volte frasi o sguardi mal interpretati.

Ricordò quella volta a cena: avevano 15 e 10 anni e Denethor li aveva appena rimproverati per essersi allontanati dalla scorta, quel pomeriggio, durante una battuta di caccia. Dopo qualche minuto di silenzio il sovrintendente aveva ripreso a parlare. “Incredibile come sia sempre insipido... è inaccettabile”. Boromir si era alzato sbattendo i pungi sul tavolo, facendo saltare Faramir dallo spavento. “Ne ho abbastanza padre: chiedete scusa a Faramir!”. Denethor lo aveva guardato assottigliando gli occhi. “Siediti Boromir, stavo parlando del pollo...”.

Boromir continuò a pensare al fratello lungo quella notte stellata, a lui sarebbe piaciuto molto Lothlórien ma era meglio che non ci fosse stato. Il capitano era contento che quel destino fosse toccato a lui e non a Faramir, almeno lo avrebbe saputo al sicuro, dietro le salde e millenarie mura di Minas Tirith. Sebbene fosse stato con suo padre, almeno lì non avrebbe corso immediati pericoli. La guerra stava giungendo, era inevitabile, come l’espansione dell’oscurità, ma Boromir contava di riuscire a portare la salvezza nella sua gente prima che il male potesse intaccare la sua città, il suo popolo, la sua famiglia.

A mano a mano che il tempo passava però, lungo le strade impervie e le minacce crescenti del viaggio, si faceva sempre più impaziente la necessità di ricorrere a soluzioni drastiche e pericolose, perciò la convinzione che l’anello del potere dovesse andare a Gondor si era fatta tanto spazio nel cuore del gondoriano, da acquisire una certa indipendenza e sicurezza. Se glielo avessero chiesto a Moria, Boromir avrebbe detto di non essere ancora d’accordo con il padre, ma ora le sue parole cominciavano ad acquisire un senso, eppure ancora del tutto non era caduto nella trappola della paura. Ancora resisteva perché mille domande gli affollavano la testa, come aveva fatto ad esempio suo padre a sapere dell’anello? Quella luce di folle sapienza nei suoi occhi aveva turbato l’uomo più che mai.

La voce di Morwen lo scosse.

“Boromir, vuoi rimanere a contemplare l’acqua o vuoi seguirci?”.

L’uomo si girò a guardarla con uno sguardo che chiedeva spiegazioni.

“Aragorn non ha reputato saggio sostare sul sentiero, quindi ci allontaniamo cercando rifugio tra le chiome degli alberi”.

Boromir si alzò senza dire una parola e seguì la donna raggiungendo i compagni.

Legolas e Morwen, in assoluto i più agili e preparati a questo genere di cose, si arrampicarono per accertarsi della sicurezza degli alberi. Boromir ammirò le loro abilità ma non lo espresse a voce alta, avrebbe dato solo motivo di vanto alla ragazza. I due scesero quasi subito, gli occhi erano allarmati e le orecchie tese.

“Abbiamo compagnia” sussurrò Legolas al gruppo.

Dagli stessi alberi scesero due elfi bardati, gli archi puntati verso gli intrusi. Poi dalle fronde, senza fare il minimo rumore, si fecero chiare nella notte le figure di altre guardie elfiche.

“Respiravate così forte che potevamo con una freccia trafiggervi al buio”. La voce fiera era di colui che sembrava essere al comando della comitiva. “Io sono Haldir, avevamo udito della vostra venuta dai messaggeri di Elrond, quindi non vi abbiamo colpito per quello, altrimenti non avremmo esitato”.

“Posso capire, viviamo in tempi bui” gli aveva dato ragione Aragorn.

Haldir si girò verso l’uomo squadrandolo con attenzione “La tua nobile presenza mi suggerisce che tu sia Aragorn figlio di Arathorn”.

“È così”.

“Il tuo nome è conosciuto qui a Lórien, e gode della benevolenza della Dama, quindi va bene, ma non posso dire lo stesso riguardo a quel nano”. Disse guardando con diffidenza Gimli, il quale cominciava a scaldarsi per il trattamento riservatogli.

Frodo parlò in difesa dell’amico “È della nobile stirpe di Dáin, ed è amico di Elrond, inoltre è un compagno coraggioso e fedele”.

Dopo un breve consulto coi suoi sottoposti, Haldir si rivolse di nuovo alla compagnia “Molto bene, ci fidiamo delle vostre parole, Aragorn e Legolas risponderanno delle azioni di tutti. Tuttavia, dagli ululati che sentiamo ai margini del bosco, posso intuire che portiate seco il pericolo, perciò, stanotte potrete riposare sui nostri talan ma domattina dovrete proseguire”.

Il talan non era altro che una piattaforma in legno costruita sugli alberi. Si raggiungeva tramite un foro centrale attraverso il quale passava una scala di corda. Non era provvisto né di muri né di ringhiere, perciò, agli hobbit non piacque molto: erano abituati a saldi e sicuri buchi nella terra e quella struttura dava loro un profondo senso di instabilità. Pipino, infatti, non smetteva di lamentarsi “Non mi addormenterò su questo coso... e se rotolassi giù?”.

“Io sarei così stanco da non accorgermi nemmeno della caduta” ribatté Sam esausto.

Boromir si sdraiò sulla superficie di legno, un braccio a sostegno del capo e l’altro in grembo, mentre puntava lo sguardo sulle stelle che si intravedevano tra l’intrico di rami e foglie. Sapeva già che non sarebbe riuscito a dormire, ma tentò lo stesso, quindi fece calare le palpebre lasciandosi cullare dal vento tra le fronde e dal dolce mormorio delle cascate del Nimrodel.

Si accorse di aver dormito quando venne destato da un rumore. Vicino a lui una luce bluastra scintillava nella notte, Frodo aveva sguainato pungolo e ora stava allerta. Il gondoriano si alzò a sedere acuendo l’udito. Non sentì nulla e ci volle poco alla lama per offuscarsi lentamente, qualunque fosse stato il pericolo, era passato. Boromir guardò Frodo, che ricambiò, non era ancora tranquillo, il capitano glielo poteva leggere negli occhi. Lo hobbit si mise a scrutare in basso attraverso l’apertura. L’uomo avrebbe voluto chiedergli cosa gli prendesse ma intuì dovesse trattarsi di eccessiva paranoia, dal momento che il portatore dell’anello portava un fardello decisamente pesante. Boromir mise una mano sul suo braccio come per rassicurarlo che là fuori non c’era niente, ma Frodo si ritrasse mimando con le labbra “C’è qualcosa...”. Boromir allora guardò nella stessa direzione ma non scorse nulla se non il movimento dei rami, divenuto più lieve dopo che il vento si era calmato. Tornò a guardare il mezz’uomo, stavolta con compassione.

“Mi dispiace che tu debba vivere così. Frodo, questa strada ti distruggerà lentamente se non saprai come gestirla”.

Frodo lo guardò confuso “Come posso fare?”.

“So come ti senti al momento, posso immaginare, ma voglio solo dirti che la morte di Gandalf non è stata vana, né ti avrebbe permesso di perdere speranza. Porti un grave fardello Frodo, non portare anche il peso dei morti”.

Frodo accolse il consiglio in silenzio, e ne fu sorpreso perché non se lo sarebbe aspettato da Boromir.

Il gondoriano continuò a parlare. “Anch’io ho paura, temo per la mia gente, la mia terra. Quest’oscurità non fa che crescere, e io non sono che un uomo... Come posso sperare di contrastare questo male senza un adeguato potere alla mia portata?”.

Tornò a fissare il suo sguardo sul mezz’uomo, poteva quasi sentire il potere emanato dall’anello, poteva avvertire l’impulso di strapparlo dalla custodia del piccoletto e impossessarsene. Lotto con tutto sé stesso per tornare in sé e ci riuscì. Si passò una mano tra i capelli chiedendosi con angoscia se lo hobbit avesse letto la tentazione nei suoi occhi. L’ultima cosa che voleva era diventare una minaccia per il portatore e la compagnia.

***

Infine, giunse la mattina, la luce pallida del sole fece capolino tra le foglie e la brezza frizzante solleticò i volti dei viaggiatori. Il Nimrodel non esauriva la sua energia scorrendo instancabile sotto il loro flet.

Ripresero la marcia scortati da Haldir e i suoi elfi, quindi attraversarono il Celebrant, un vigoroso corso d’acqua, grazie all’ausilio di funi, raggiungendo la sponda orientale dell’Argentaroggia e precisamente, come spiegò loro Haldir, il Naith di Lórien. Il Naith era un lembo di terra a forma di testa di lancia situato al confluire dell’Argentaroggia e dell’Anduin ed erano ben pochi coloro a cui vi era permesso l’accesso. Fu lì che venne posta loro la condizione di avanzare solo con Gimli bendato. Il nano rifiutò indignato e avrebbe tranquillamente iniziato una disputa armata se non fosse stato per la diplomazia e il buon cuore di Aragorn che trovò la soluzione al problema.

“Non ritengo giuste queste distinzioni, perciò proseguiremo tutti bendati”.

A Morwen parve non andare a genio la cosa perché guardò male il ramingo.

Nemmeno Legolas fu molto d’accordo “Ma procederemo con estrema lentezza così”.

Gimli si infastidì “Non sei certo tu ad aver subito tale affronto”.

Morwen appoggiò il fratello “Ci sarà un motivo per cui le loro leggi sono così”.

Il nano rispose a tono “Il mio popolo non ha mai collaborato col Nemico, né ha arrecato danno agli Elfi. È altrettanto probabile che vi tradisca qualsiasi altro dei miei compagni”.

“Io non camminerò bendato nella terra della mia gente!” rispose Legolas con rabbia.

“Basta così!” Aragorn si pose tra Gimli, Legolas e Morwen, fissandoli con decisione ed autorità “Faremo come ho detto, e non si discute”.

Una volta fuori dalla portata delle orecchie di Haldir, Morwen si lamentò con Legolas e Aragorn “Che follia queste precauzioni, come se non fossimo anche noi nemici dell’Oscuro Signore...”.

Boromir però non riusciva a dare loro torto, anche lui al loro posto avrebbe preso tutte le decisioni necessarie per garantire la sicurezza del suo popolo. Nemmeno con loro si sarebbe permesso di rischiare. Quindi si intromise nella conversazione portando la sua opinione. “Non posso biasimarli dal momento che vi sono insidie ad ogni angolo ormai, farei lo stesso per la mia gente”.

“Un conto è la sicurezza, un altro è ostinarsi a non vedere chi sono gli amici” lo affrontò Morwen.

“Non si può mai sapere, anche un amico può nascondere qualcosa di oscuro o rappresentare una minaccia”, il gondoriano non staccò gli occhi da quelli scuri di lei. Voleva metterla alla prova.

Morwen sembrò turbarsi un po' a quelle parole, ma subito distolse lo sguardo scuotendo la testa “Non discuterò ancora con te, mi sono stancata”.

“Perché ho ragione?”.

“Perché sei ottuso e non vuoi capire quando è ora di smetterla”.

“Continuerò finché non ti sarà chiaro che in qualità di membro della compagnia sono libero di esprimere i miei timori riguardo la missione che dobbiamo compiere insieme”.

“Credi di essere l’unico che pensa ai pericoli a cui potremmo andare incontro? L’unico ad avere delle preoccupazioni?”.

“Scusa se mi permetto di avere delle opinioni riguardo alla strada da prendere”.

“Adesso basta!”, Aragorn si era posto tra i due e con le mani sulle spalle di ognuno li aveva allontanati.

“Non mi stupisco che gli elfi non si fidino se nemmeno noi diffidiamo di noi stessi”.

Boromir sbuffò incamminandosi a seguito degli elfi di Lothlórien. Non avrebbe sprecato altro fiato se non per camminare.


Nota dell'autrice:


I’m back guys! Che ne pensate di questo capitolo incentrato su Boromir? Avremo altri modi di entrare nel suo punto di vista. Spero che ciò possa farvi comprendere meglio il suo agire, entrare in empatia con lui ed amarlo come tutti gli altri membri della compagnia.


Al prossimo con l’entrata a Lothlórien, la compagnia farà la conoscenza della Dama e del suo specchio magico. Lì vedranno qualcosa e noi vedremo come reagiranno...

Un abbraccione a tutti

Kia

Ritorna all'indice


Capitolo 13
*** I Signori di Lórien ***


Capitolo 13: I SIGNORI DI LÓRIEN



“Ti posso dare la mia tristezza, la mia oscurità, la fame del mio cuore; cerco di corromperti con l'incertezza, il pericolo, la sconfitta.” J.B.L.




La brezza fresca della sera cominciò a colpire i volti ancora bendati della compagnia che quella notte dormì a terra, data l'impossibilità di arrampicarsi sugli alberi. Circa a metà del giorno seguente poi, durante la marcia, sentirono avvicinarsi una schiera di elfi, i quali vennero a portare delle notizie ad Haldir: gli orchi predoni erano stati quasi annientati mentre i superstiti fuggitivi venivano inseguiti. Inoltre, anche un altro strano essere era stato avvistato nella zona; si spostava curvo appoggiando le mani a terra come una bestia ed era riuscito a scappare dirigendosi poi verso l'Argentaroggia. L'ultimo messaggio infine era della Dama di Lórien, la quale aveva chiesto che la compagnia viaggiasse ora liberamente poiché aveva conosciuto l'identità e l'indole di ognuno.

Vennero finalmente tolte le bende e su tutti i compagni si dipinse sul volto un'ammirazione incredula. L'incanto del posto che li circondava faceva provare loro emozioni mai vissute e il loro cuore sembrava fluttuare tra storie antiche e magiche che avevano visto come protagonista quel luogo senza macchia. Dopo aver soffermato lo sguardo sulle cerchie di alberi bianchi e dorati, sui piccoli fiori d'oro a forma di stelle ai loro piedi e sui loro esili steli verde pallido, gli occhi di Morwen si spostarono in alto, dove un cielo blu li sovrastava abitato dal forte sole del pomeriggio che riscaldava le membra e giocava con le ombre.

Cerin Amroth; così si chiamava quel posto. Frodo ascoltò Haldir raccontare dell'antico reame e di come questo fosse stato il suo cuore. Il mezz'uomo non trovava parole per descrivere tanta bellezza, tutto intorno a lui era armonioso, nessun aveva alcun difetto, né malattia, né deformità.

Seguirono Haldir entrando in un cerchio di alberi bianchi dove vennero colpiti dal Vento del Sud che ivi passava, quindi si arrampicarono su un alto flet. Appoggiando la mano al tronco dell'albero Frodo avvertì tutta la gioia vissuta da esso penetrare in lui e si sentì felice.

Giunti sulla piattaforma Haldir indicò loro il Sud "Guardate".

Frodo seguì il punto indicato: su un colle a una certa distanza sorgeva una città bellissima, dalla quale sembrava irradiare tutto il potere e la luce che la terra poteva offire. Poi il suo sguardo si spostò sopra il fiume Anduin e la luce si spense, proprio come la gioia nel suo cuore. Oltre il fiume si estendeva una terra senza luce, piatta, vuota, vaga e imprecisa. L'energia oscura che emanava sembrò arrivare anche dentro di lui, risvegliando il male che si portava appresso.

"La fortezza del Bosco Atro Meridionale" spiego Haldir indicando quella barriera cupa.

"e nel mezzo di quegli scuri abeti si erge Dol Guldur, dove a lungo dimorò il Nemico nascosto. Temiamo che sia tornato un male ancora più potente di questi tempi".

Gli occhi di Frodo si posarono quindi su Legolas e Morwen. Come aveva fatto un posto ombroso come quello ad aver cresciuto due guerrieri dall'animo buono e valoroso? Entrambi con lo sguardo puntato sulla loro terra, quello di Legolas sembrava indifferente ma quello di Morwen brillava di una nostalgia amorevole. Il mezz'uomo si chiese se anche loro, che vi avevano vissuto riuscivano a percepire la malvagità che percepiva lui.

***

Arrivarono le ombre della notte sui viaggiatori, quindi gli elfi accesero le loro lampade d'argento che brillarono sui volti stanchi della compagnia. Merry e Pipino erano estasiati da quelle luci, ammirandole come se fossero stelle imbottigliate.

Giunsero ad una radura ovale oltre la quale un fossato e un verde muro circondavano un colle punteggiato da imponenti alberi d'oro, i più belli che Morwen avesse mai visto. Brillavano di luci verdi, oro e argento e tutti ne furono incantati.

"Benvenuti a Caras Galadhon! " annunciò loro Haldir "Questa è la dimora di Sire Celeborn e della Dama di Lórien, Galadriel. Tuttavia entreremo dal lato sud, quindi dovremo camminare ancora."

"E io che speravo di essere arrivato... Ho le gambe a pezzi..." si lamentò Pipino.

"Io ho lo stomaco che grida implorando cibo..." aggiunse Merry.

Gimli sbuffò "Smettetela, sembra di avere a che fare con dei fanciulli".

Ma Haldir prese parola di nuovo rivolgendosi agli Hobbit "Manca poco, e una volta arrivati avrete riposo e di che alimentarvi".

Percorsero una strada bianca lastricata, con la città che si innalzava maestosa alla loro sinistra, fino a che giunsero ad un candido ponte che permetteva l'ingresso alle porte tra le mura. Una volta entrati nella Città degli Alberi camminarono per altri sentieri e scalinate senza udire alcun suono dei loro passi. In compenso voci abitavano l'aria facendola vibrare di una vita che non però non riuscivano a vedere. Dov'erano gli abitanti?

Finalmente arrivarono ad un ampio prato nel cui mezzo stava una fontana scintillante illuminata da lampade d'argento sospese sui rami degli alberi. Lo scroscio dell'acqua nella vasca andava poi ad alimentare un niveo ruscello mentre a sud del prato un imponente albero si innalzava maestoso al cielo. A ridosso del tronco stava una scala bianca e ai piedi di quest'ultima, tre elfi stavano seduti, alzandosi poi per andare incontro ai viaggiatori appena giunti. Gli elfi annunciarono poi la loro presenza ai Signori di Lórien, che chiesero ai viaggiatori di raggiungerli per conversare. Quindi cominciò la salita della scala che si prospettò più lunga del previsto ma che comunque fu colmata qua e là da alcune brevi soste per rinfrancare i più affaticati.

Morwen non fece a meno di notare che il viso di Aragorn era talmente sereno da sembrare alleggerito di anni. Nonostante quella sensazione di irrequietezza che la ragazza aveva provato dal momento in cui aveva varcato le soglie di quel luogo d'incanto, si sentì felice per lui, e per la prima volta, dopo parecchi giorni, anche lei sorrise rasserenata.

"Ci sei già stato vero?" gli chiese lei affiancandolo nella marcia.

"Si, è corretto"

"Lo immaginavo, ti guardi attorno come se fossi tornato in qualche modo a casa"

"Qui provo un'emozione che non posso descrivere, ma non temere, questo non mi farà deconcentrare dalla missione".

"Non temevo questo" rispose chiedendosi perché avesse sentito il bisogno di giustificarsi.

Aragorn la guardò dritta negli occhi e la giovane sentì un brivido in tutto il corpo.

"Leggo preoccupazione in te, Morwen"

"Chi di noi non lo è in fondo?"

"Da quando siamo entrati non ho visto nessuna ombra sul volto della compagnia, l'unica differenza è che su quello degli altri è comparsa una luce che sul tuo non vedo"

Morwen non capiva dove volesse arrivare. O forse non voleva?

"Cos'hai da temere Morwen?"

La giovane, sempre capace di trovare le parole in qualsiasi situazione, al momento sembrava annaspare nel dubbio. "Niente... te lo assicuro". Eppure il suo tono non lo sembrava affatto.

Dopo un silenzio imbarazzante, Morwen decise di evadere da quella situazione scomoda e raggiungere Legolas, qualche metro dietro di loro, ma appena rallentò bruscamente il passo volgendosi verso la coda, Aragorn le prese il polso in modo gentile eppur deciso, facendola voltare. La scrutò negli occhi ancora qualche istante. Morwen era confusa e allo stesso tempo imbarazzata da quel contatto inaspettato.

"C'è qualcosa..." la voce di Aragorn era bassa, quasi stesse parlando a sé stesso, e la giovane notò che era anche estremamente turbata. "...nei tuoi occhi"

Vennero interrotti da Legolas che ormai li aveva raggiunti "Perché vi siete fermati?"

Aragorn distolse subito lo sguardo lasciando la presa sul polso della ragazza, quindi riprese a camminare davanti ai compagni.

Morwen, ancora scossa, guardò di sfuggita l'elfo "Proseguiamo"

Legolas si avviò dietro di lei. Cos'era quella sensazione che stava provando? Aveva sentito l'impulso di scansare il migliore amico di malo modo, eppure stavano solo parlando... No, si stavano anche guardando intensamente... Un po' troppo per i suoi gusti.

***

Una volta giunti ai nobili seggi dei due sovrani, essi si alzarono per accogliere gli ospiti. Erano entrambi di una bellezza eterea e sembravano non portare il peso degli anni se non negli occhi; profondi, impenetrabili e colmi di ricordi antichi. Sire Cereborn salutò tutti i compagni chiamandoli per nome a mano a mano che entravano, senza fare alcuna distinzione. Appena entrò, Morwen sentì gli occhi della Dama su di lei e la sensazione di inquietudine si intensificò. Venne salutata come tutti gli altri compagni ma ancora lo sguardo di Galadriel la stava studiando.

"Qui siete in nove, eppure dieci partirono da Gran Burrone. C'è stato qualche cambiamento di cui non eravamo a conoscenza?" chiese Celeborn con curiosità solenne.

Il dolore cadde come rinnovato sulle spalle dei compagni, che ebbero modo di ricordare la triste scomparsa dello stregone; loro guida, loro punto di riferimento maggiore, loro amico.

Prima che uno di loro aprisse bocca per raccontare la vicenda però, Dama Galadriel parlò per la prima volta da che erano arrivati.

"No, non ci furono cambiamenti. Gandalf il grigio partì con loro tempo fa, eppure lui non ha varcato i confini di questa terra. Nubi oscure offuscano il suo cammino e i suoi pensieri, e io non riesco a vederlo. Dov'è quindi lo stregone?"

Fu Aragorn a risponderle "Mi dispiace doverle comunicare che... Gandalf è caduto nell'ombra di Moria"

A quelle parole tutti gli elfi presenti in sala trasalirono e gridarono di dolore e stupore. Poi Celeborn chiese com'era successo e Aragorn cominciò raccontando la vicenda per intero. Una volta concluso il resoconto, Celeborn prese parola nuovamente.

"Ignoravo che la vostra situazione fosse tanto cattiva. Non temete, farò quanto possibile per esservi d'aiuto secondo i vostri bisogni o desideri, specie per colui della piccola gente che porta il fardello" concluse riservando a Frodo uno sguardo compassionevole.

Boromir si chiese quanto Elrond avesse detto loro riguardo la missione che avevano intrapreso. Potevano davvero fidarsi?

"Conosciamo la vostra missione" disse Galadriel come se avesse letto il suo pensiero. "Tuttavia non vi darò consigli su che strada dobbiate o meno intraprendere, perché ciò spetterà solo a voi. Io mi limiterò a mostrarvi ciò che fu, ciò che è e in parte ciò che sarà"

Poi continuò fissando uno ad uno i membri "Ricordatevi ciò che ora vi dirò: la vostra missione è sulla lama di un coltello. Una piccola deviazione, ed essa fallirà trascinando tutti in rovina. Ma vi è ancora speranza fin quando la compagnia sarà tutta fedele".

Solo Aragorn e Legolas seppero reggere il suo sguardo. Morwen lo abbassò appena si sentì bruciare quegli occhi chiari in fondo all'anima.

"Non siate turbati, stanotte riposerete in pace" disse poi la dama sorridendo.

"In questa città potrete guarire e ristorarvi. Riposate ora, per un po' non parleremo del cammino che vi attende" li congedò infine Celeborn.

Quella notte la compagnia si accinse a dormire nei giacigli preparati loro appositamente e prima di abbandonarsi a un sonno ristoratore scambiò qualche parola.

"Ti ho visto arrossire Sam, hai ceduto subito allo sguardo della Dama" lo derise Pipino "ha forse visto che complottavi di rubarmi le coperte stanotte?"

Sam però non era dell'umore "Niente di tutto ciò..."

"Lascialo in pace Pipino" lo rimproverò Merry, che nemmeno lui sembrava dell'umore.

Chissà come si erano sentiti al cospetto di tale potere, si chiese Frodo mentre si sistemava per dormire. Lui da quando era lì avvertiva come se si fosse sollevato il peso che portava, e non poteva che esserne felice. Tuttavia lo sguardo della Dama aveva sorto il lui alte aspettative, che non era certo, dal suo piccolo, di poter soddisfare. Era veramente all'altezza di quel compito?

Morwen ne era certa, erano stati tutti messi alla prova dalla Dama che aveva mostrato loro ciò che essi desideravano intensamente, in modo che potessero scegliere tra quello e l'ombra piena di oscurità che li attendeva.

"A me sembrava tutto troppo strano" disse Boromir "Sono sicuro che ci stesse mettendo alla prova e volesse solo leggere i nostri pensieri per un suo fine a noi sconosciuto"

Poi il gondoriano volle sapere cosa avesse mostrato a Frodo ma questi non volle rivelare nulla.

"Ad ogni modo fa attenzione, non mi fido molto di questa Dama elfica"

Per quanto le parole di Boromir fossero dure, Morwen non poté non rivedersi in esse dal momento che, come l'uomo, portava dentro sé molti dubbi da quando aveva messo piede a Lórien. Eppure non avrebbe mai esternato ciò per paura di come l'avrebbero presa Legolas e Aragorn.

Difatti, quest'ultimo, arrivò subito a rimproverare Boromir "Non sai quel che dici se ti ritrovi a dubitare e parlare male di Dama Galadriel. Non c'è male nelle sue azioni né in questa terra, a meno che non lo porti qualcun altro" concluse guardandolo severamente.

Boromir tuttavia non si scompose e mantenne lo sguardo del ramingo con sicurezza. Di certo non aveva timore a esprimere ciò che pensava, Morwen dovette dargliene atto.

Quella notte, tuttavia, non dava spazio a turbamenti. La magia di Lórien permise loro di rinfrancare corpo e spirito in un riposo privo di sogni o rumori, e perfino i più dubbiosi della compagnia poterono godere di un profondo e pacifico sonno.


Nota dell'autrice:


Eccomi qui come promesso ;)

Questo capitolo era abbastanza descrittivo, quasi di stallo, ma ho già cominciato a mostrarvi come si sente la nostra protagonista. Nel prossimo vedrete un focus più dettagliato sulle sue emozioni siccome verranno un po' messe a nudo da Galadriel :)

Comunque sono contenta di aver aggiornato, avevo abbandonato questa storia da un po' per via di impegni, poca motivazione e problemi vari. Però ora pubblicando questo nuovo capitolo mi sono ricordata di quando mi piaceva dare vita a questa storia e riuscire a farvi appassionare ad essa quanto lo sono io. Scusate ma ci tenevo a dirlo... Inoltre voglio ringraziare chi non ha mai smesso di seguirmi e leggermi perché voi siete ciò che mi spinge a rendere pubblico tutto ciò e a far sì che quello che ho in testa esca sottoforma di linguaggio scritto.

Perciò grazie infinite <3

Kia

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=3718129