Indigo

di thewickedwitch
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Ascolta il tuo cuore ***
Capitolo 2: *** Più paura dell'Inferno ***



Capitolo 1
*** Ascolta il tuo cuore ***


I know there's something in the wake of your smile,
I get a notion from the look in your eyes...
 
"Dov'è Hope?"
"Da Regina"
"Da Regina, davvero? Perchè la cosa non mi meraviglia?"
"Tu non c'eri, i miei neanche, a chi avrei dovuto lasciarla?"
"E così non ti è neanche venuto in mente che potessi essere tornato. Ma certo, Hope è sempre da Regina..."
"E come dovrei poter prevedere i tuoi spostamenti, sentiamo? E poi, ora ti interessa così tanto di lei? Sei sempre fuori, sai qual'è la verità? Che non fai mai niente per lei!"
"Non è vero! Le porto sempre regali, da ogni viaggio!"
"Ah davvero? Le porti i regali? E quale è stato il regalo il giorno del suo primo compleanno, quando sono dovuta venire a prenderti al porto perchè tu eri troppo ubriaco persino per camminare? Perchè non poteva bastarti la sua festa, no, avevi bisogno dei tuoi amici!"
"Non ho neanche il diritto di vedere i miei amici ora?!"
"Io....Io..." distolse lo sguardo digrignando i denti, lacrime di rabbia a combattere l'orgoglio delle sue palpebre.
"Non hai neanche voluto toglierti quello stupido uncino, nonostante possa ferirla in qualsiasi momento, solo per...cosa? Orgoglio? Per non dimenticare il personaggio che il tuo stupido ego ha costruito?"
sputò quelle parole con disgusto, aspettandosi una brusca risposta e tuttavia non importandosene :" non dovresti neanche più averne bisogno…"
"E tu non dovresti più aver bisogno di Regina, continui a dire che é l'altra madre di tuo figlio e lo fai sembrare addirittura importante, ma adesso ne hai un'altra di figlia, no? Ed Henry é abbastanza grande da non avere più bisogno di una madre. Che ti importa ormai di lei?"
lo guardò incredula:" Regina é parte della mia famiglia, mi importerà sempre di lei! E Henry avrà sempre bisogno di una madre!"
"Appunto, una. Non due…Dovresti pensare a me. Dovresti pensare a quello che é meglio per Hope, stare con suo padre"
Lo guardò cercando di capire se pensava davvero quello che diceva, e il suo sguardo non lo negò:
"Parli tu, che ami la tua nave più di quanto ami lei..." sibilò, con amarezza di rabbia e delusione
"Beh Swan, la mia nave è al mio fianco da tutta la mia vita, ma questo non significa..."
Fu troppo. Qualcosa esplose in lei,o forse si spezzò soltanto. Si rifiutò di ascoltare oltre e sosse la testa incredula. Gli voltò le spalle, sbattendo la porta, senza la voglia, o la forza, di sprecare una parola in più.
Non era un tipo paziente Emma, non lo era mai stata. Ed era diventata quello che mai aveva creduto di poter essere, ed era stata felice. Si, era stata felice, cullata dalla sua dolce illusione di amore e serenità.
E si, aveva fatto dei sacrifici per arrivarci, perchè non si può essere felici e basta, va guadagnata, la felicità. E non si può essere felici del tutto, lo sapeva, ed all'idea di una totale felicità aveva da tempo rinunciato, prendendo ciò che poteva, senza pretese, ciò che le era concesso, che era già tanto, per un'orfana come lei. Perché aveva ritrovato i suoi genitori, Emma, ma a volte continuava a sentirsi un'orfana senza sapere neanche perché.
Però non era a questo, che quei sacrifici avrebbero dovuto portarla.
Non era per ottenere questo, litigi giornalieri e stress continuo, che aveva accettato di reprimere parte di se, solo perché aveva sperato che con quella parte avrebbe represso anche il suo passato.
Eppure aveva Hope e doveva essere felice, no?
E lo era, per ogni suo più piccolo gesto, per ogni sua parola, per ogni sua vittoria in quella lotta interminabile chiamata crescita, insomma,per qualsiasi cosa la riguardasse.
Ed era felice, dell'affetto dei suoi genitori, dell'amore di Henry, dell'amicizia di tutti gli abitanti di Storybrooke e di tutti quegli innumerevoli regni che neppure aveva ancora conosciuto, e dell'amicizia... si, dell'amicizia di Regina.
Ma era anche stanca, dei conflitti dentro e fuori di se, con un marito che non si era rivelato quello che lei aveva confidato che fosse,  della realtà che aveva, che non era quella che aveva sperato di ottenere con quei sacrifici.
Ma in fondo, si diceva, avrebbe dovuto saperlo, perché già aveva vissuto, prima, già sapeva quanto era dura. E poco importava poi che quella cittadina dall'aspetto fiabesco fosse stata in grado di illuderla, che i suoi abitanti le avessero fatto credere davvero nella possibilità di un lieto fine persino per lei, che avesse visto il "vero amore" realizzato negli occhi dei suoi genitori. Non importava, perché quelle cose non facevano per lei lo stesso. Principessa o meno che fosse, aveva rinunciato al suo trono, e con esso al suo lieto fine, il giorno in cui era nata sotto il nome di Emma, in un destino da salvatrice già scritto.
Ed era strano, pensò Emma, come tutto le sembrasse così sbagliato, in momenti come quello.
Sospirò chiudendo gli occhi e alzando il viso al cielo,  lasciando che quel vento leggero e pungente che si infilava furtivo tra i tetti e le strade di quella cittadina in un immaginario Maine in quei giorni di metà Dicembre, lo sferzasse.
Si, forse era semplicemente stanca.
Non aveva alcun diritto di lamentarsi della sua vita ora, lo sapeva, dopo aver conosciuto cosa significasse  davvero una "vita di schifo", come aveva così chiaramente spiegato ad Henry i primi giorni che aveva passato con lui, spingendolo a non lamentarsi di ciò che aveva, una madre come Regina, che era tanto, davvero tanto, rispetto a chi non aveva niente, a quei volti affamati e a quegli occhi tristi di bambini sperduti nelle strade, che aveva avuto davanti per tutta la vita, a partire dal suo specchio.
Eppure più aveva avuto, più la sua speranza di poter avere quello che aveva sempre sognato era cresciuta, e più lo aveva desiderato, come era forse umano. Ma, come tutti, Emma sognava la perfezione. E la perfezione non si può ottenere, mai. A volte la si vede passare, la si riesce a sfiorare, ma non si può afferrare, non si deve, perché è irraggiungibile e se raggiunta finirebbe per disintegrarsi, ma una volta assaggiata, nulla potrebbe colmare il vuoto che lascerebbe.
 E se si fermava a pensarci, Emma, sentiva quella consapevolezza atrocemente umana squarciarle il petto, quell'unica, indiscussa, mancanza d'autostima vittima delle circostanze, che di quella umanità aveva scritto la storia stessa. E dunque preferiva ignorarla, barricandosi nelle celle imbottite della sua realtà, che avrebbero dovuto salvarla da quel baratro di follia su cui quei pensieri affacciavano, impedendo la sua autodistruzione.
Cercava così un sollievo dalla sua stanchezza, aggirandosi per strade abbandonate per il freddo da tutti se non da lesti passanti incappucciati, volti senza nome che non si sforzava di riconoscere o anche solo di vedere.
Eppure non lo trovava il sollievo che cercava, nelle ormai prossime festività natalizie, né nel futuro ad attenderla dopo di esse, non aveva più progetti ne ambizioni. E questo, a parer suo, era terribile.
Ma era già da un po' di tempo, in verità, che Emma non provava più nulla se non l'amore per sua figlia e la gioia di averla accanto, e non se ne domandava in fondo neppure il perché. Lasciava invece che il tempo alterato di quella cittadina le scorresse addosso, sperando che lui solo avrebbe sistemato tutto.
In fondo, lo aveva sempre fatto.
Tornò alla realtà solo quando un bianco contorno che quasi sbiadiva nella luce argentea, confondendosi con il simile cielo, si profilò dinanzi ai suoi occhi. Riemerse dalla furiosa tempesta dei suoi pensieri nella calma di quel primo cielo pomeridiano. Lanciò uno sguardo a quella enorme casa bianca, un giusto, se non umile, palazzo per quella che era ora un'imperatrice a tutti gli effetti, come se non ne conoscesse ormai a memoria ogni più piccola crepa ed invisibile traccia di bianco scrostato dal tempo.
Sentì i muscoli del suo viso venir rilasciati da parte di quella tensione che li teneva ancora contratti in quel cipiglio infastidito dall'immateriale odore di stantio che quell'ultima discussione la aveva lasciato addosso , e prese un respiro profondo. Mai come in quei momenti aveva bisogno di sua figlia, della sua luce, della sua allegra risata e del suo affetto incondizionato. E dopo non sapeva dove sarebbe andata. Di tornare a casa non aveva proprio voglia. I suoi genitori erano ancora nel loro vecchio castello nella foresta incantata.Vi tornavano periodicamente, accolti dagli attuali reggenti. In fondo, era quella la loro vera casa, il luogo in cui avrebbero voluto crescerla. Dunque da loro non poteva andare, ma voleva stare con Hope in un luogo tranquillo, che non era di certo casa propria. Certo c'era sempre il Granny's, ma di tutta quella gente non aveva voglia. E c'era, ovviamente, casa di Regina, che mai avrebbe negato loro la sua ospitalità, lo sapeva, ma già aveva accettato di badare ad Hope, come sempre, nonostante i suo infiniti impegni, e non le pareva giusto abusare ulteriormente della sua gentilezza.
Salì i pochi gradini che la distanziavano dalla sua porta e suonò, in un gesto ormai quasi automatico.
La porta si aprì dopo poco, scivolando sui cardini in silenzio.
E poi c'era Regina.
Si scansò per farla entrare, senza neppure guardarla, ma lei non si mosse, fissandola.
L'emblematico, enorme, punto interrogativo della sua esistenza, che tornava a tormentarla quando vedeva il suo viso, quando nei suoi lineamenti rileggeva quell'antica storia capace di calmare ogni tempesta, azzerare ogni pensiero in un istante, narrata dalla sua voce, materna come avrebbe sempre voluto, decisa come era sempre stata, resa reale dal suo profumo, di selvaggia libertà affogata in notti alcoliche, di umano, stordente quasi fino ad essere minaccioso, ma familiare, calore. Odorava di vita, Regina. Della vita che Emma aveva trascorso, di quella che credeva di avere e di quella che avrebbe voluto.
E si fermava a pensarci Emma, a cosa aveva significato, a cosa si era ormai convinta significasse Regina per lei, in momenti come quello.
Regina che era un astro a lei opposto, con cui si era scontrata in una sera d'Ottobre, discendente nella sua ascesa ed ascendente nella sua discesa, la luna che tutti avevano celato dietro il suo sole, ma che non aveva tentato mai di eclissarlo, nonostante tutto, e che aveva finito per brillare più del sole stesso, dopo essere stata da questo fissata e riempita di luce fin quasi a scambiare i loro ruoli.
Regina che aveva estirpato ogni sua convinzione alla radice, fino a cambiare la sua concezione stessa di bene e male, evidenziando l'invisibilità della linea che li separa e distingue, crescendola così, come nulla aveva mai fatto prima.
Ed era spaventoso, pensò Emma, quanto tutto ciò la innalzava ai suoi occhi, era spaventosa, l'ombra di quell'ammirazione in cui rischiava di perdersi ogni volta che la guardava.
Ma lo sapeva, perché era così da anni. E da quell'ombra, sapeva ormai come uscire.
Regina continuava a non guardarla, gli occhi incollati sul foglio che stringeva in mano, dietro quegli occhiali dalla leggera montatura nera su lei così improbabili da risultare perfetti.
E in fondo poteva riassumere tutto ciò che Regina era ed era sempre stata  per lei in quelle due parole: improbabile perfezione.
Non badò a quei pensieri, non furono volontari, ormai da tempo sopiti nella spessa coltre di ghiaccio che proteggeva la vita che si era costruita, che tornavano spontanei quando una nuova crepa vi si apriva, perché non era conveniente, che lei pensasse quelle cose di Regina. E lo era ancor meno, che i suoi occhi fossero calamitati dal lieve movimento quasi automatico delle sue labbra, intente a fissare, con lievi e confuse parole, in contenuto di quel foglio nel suo cervello.
Era ancora elegante Regina, come quando le aveva portato Hope quella mattina, aveva aggiunto solo una giacca di lana su quello che Emma poteva riconoscere come "abito da lavoro". Si, ormai sapeva distinguere persino le differenze tra gli abiti che indossava per le sue formalità di regina e quelli che invece aveva quando era solo Regina. "Solo", poi. Era un eufemismo che non si addiceva per niente al suo punto di vista personale, che la preferiva nettamente nella seconda versione.
"Preferiva" poi, lei non " preferiva" Regina, erano i suoi abiti che...si, parlava dei suoi abiti....
-Oh insomma!-
La bruna alzò solo allora gli occhi dal foglio, perplessa
"Emma, vuoi entrare? Fa freddo..."
Ed era automatico per entrambe, che lei volesse entrare, che non fosse lì per prendere Hope e basta, che avrebbe potuto raggiungerla fuori e andare via con lei. Era sempre entrata Emma, e sempre lo avrebbe fatto. Era normale fosse così.
"Certo, scusa"
Si riscosse ed entrò, lasciandole chiudere la porta. Non disse nulla, vedendola tornare sui suoi documenti, si limitò a seguirla in salotto in silenzio.
Istantaneamente il suo orecchio colse i gridolini allegri di Hope, da lì provenienti, che rimbalzavano per le pareti della casa riempiendone lo spazio vuoto lasciato dagli alti soffitti
-E rendendo il lavoro di Regina assolutamente impossibile-
pensò, ma avevano affrontato quel discorso già molte volte, e lei aveva ribadito di non avere problemi. Non aveva tuttavia idea di come l'altra facesse, a lavorare tranquillamente mentre badava alla bambina. Doveva avere una predisposizione naturale.
Raggiunse il salotto e la vide, la sua Hope, seduta sul tappeto a giocare con i suoi pupazzetti e le costruzioni di Henry, in un punto in cui poteva essere tenuta sotto controllo anche dalle tre stanze circostanti, in caso ci si fosse dovuti allontanare. Sapeva non fosse un caso, e il suo volto si illuminò istantaneamente, per la dolcezza della sua bambina certo, ma anche per l'infinita attenzione con cui sapeva Regina se ne prendesse cura, quasi fosse sua. E forse, dopotutto, un po' lo era. Esattamente come Henry.
"Hope, c'è la mamma..."
Le sentì dire distrattamente, ma con così tanta, naturale, dolcezza che le si strinse il cuore, mentre la piccola alzava lo sguardo su di lei, notando la sua presenza, e con uno slancio si metteva in piedi ignorando tutto ad un tratto il suo gioco, che sebbene avesse rappresentato tutto il suo mondo nelle ultime ore, passava in secondo piano dinanzi alla presenza di sua madre. Corse da lei e si lanciò tra le sue braccia, facendosi agilmente afferrare da quella stretta che la faceva sentire al sicuro.
"Ciao amore..."
Sussurrò Emma, che ancora non aveva imparato a mantenere una voce ferma davanti agli slanci di affetto di sua figlia, e le baciò i capelli, cullandola leggermente mentre la stringeva.
Lo sguardo vagante si posò, erroneamente, su Regina, ora ferma a fissarla, a sua volta dimentica  della sua precedente occupazione, quasi incantata dalla loro naturale dimostrazione d'affetto che, pur essendo abituale, non riusciva mai a lasciarla indifferente. Le sorrise, e la vide riscuotersi.
"Vuoi qualcosa? Un the o..."
"Caffè, se lo hai, ma se devi farlo apposta per me..."
Regina non la lasciò neanche finire di parlare, voltandole le spalle in quel modo assolutamente regale -e tremendamente studiato- che aveva di farlo
"Caffè sia. Siedi pure sul divano"
Emma annuì, dinanzi a ciò che era tutto tranne che un'offerta , e si sedette con un sospiro, mettendosi sulle gambe la sua bambina, cercando di sistemare i suoi tanti, sottili, fili d'oro affinchè fossero ordinati.
"Ti sei divertita amore?"
"Mhmh..." le rispose distrattamente giocando con i suoi capelli.
Regina riapparve poco dopo con due tazze di caffè, e sentendo Hope dimenarsi, già nuovamente attirata dal suo gioco, Emma la lasciò andare.
La guardò rimettersi a "lavoro" con affetto, girandosi poi per prendere quella tazza di caffè di cui già sentiva odore alle sue spalle. Dita pallide e sottili vi si avvolsero intorno, sfiorando per un momento quelle più scure appartenenti alla donna cui viso stava accuratamente evitando di guardare. E non sussultò, non incatenò al suo il proprio sguardo, come un tempo avrebbe fatto. Si mosse invece, in quella ormai acquisita abitudinale noncuranza, necessaria al suo instabile equilibrio, ritirandosi nello schienale del divano.
La sentì sedersi accanto a lei con naturalezza.
E con quanta delicatezza il suo peso deformava i morbidi cuscini in pelle bianca, e come era diversa, dal brusco squilibrio a cui era abituata, impresso da un peso nettamente superiore al suo.
Bevve un sorso di caffè in silenzio.
Profumava la sua casa, di essenza di giglio e shampoo per bambini, e l'odore del caffè si mischiava gentilmente a quel profumo di mela irradiato dalla donna a lei poco distante. Si lasciò cullare da quelle essenze e  da quel silenzio, non disturbato da voci di televisione, strumento a cui Regina era ancora piuttosto contraria, che nella sua casa era invece abituata a sentire,perturbato occasionalmente solo da tenere, vivaci, esclamazioni di gioia di Hope.
Lasciò dunque che la tranquillità prendesse il posto del rancore che il suo cuore aveva fino ad allora serbato, e non disse niente, non ne sentì il bisogno.
Non fu lei a rompere la quiete, quando Regina parlò, lo sguardo ancora fisso su Hope e una mano tra i capelli. Si tolse gli occhiali con un sospiro, ed un gesto fluido che con tutta la sua buona volontà Emma non riuscì a fare a meno di notare.
"Mi dispiace... non poterle dedicare più attenzione. Insomma giocare con lei è così bello ma... l'anno sta finendo, ogni regno deve chiudere i conti e devo sistemare così tante cose che..."
Era stanca la voce di Regina, notò Emma. Non stanca come la sua, pregna di apatica rassegnazione e sopito rancore, no. Era esausta, avrebbe potuto dire. Ma celava soddisfazione, in qualche modo. Rassegnazione si, ma rabbiosa e vendicativa, come in fondo la sua indole sarebbe sempre rimasta. Forte.
Regina era forte, sarebbe sempre stata più forte di lei, e non poteva che ammirarla per questo.
"Non hai di che scusarti, Regina. Già passi tantissimo tempo con lei, mi dai un aiuto davvero importante."
La vide stringersi nelle spalle
"Mi rattrista vederla giocare da sola"
Ed Emma si sentì in colpa. Senza sapere neanche perché, ad un tratto, si sentì in colpa. Perché forse non era lei, la madre che Hope meritava. Non era una famiglia in lotta, quello che meritava.
Però tacque, perché non poteva lamentarsi, non di se stessa, non con lei. Non ne aveva il diritto.
Si schiarì la voce, e con essa anche la mente, spostando il discorso su una neutralità che avevano sviluppato negli anni, con una cura ed un attenzione pari a quelle che si possono riservare ad una delicata ed instabile struttura cristallina.
"Come va nel regno?"
Regina la guardò per un solo istante prima di rispondere, il tempo necessario per cogliere l'utilità di quella domanda. Perché ad Emma non era mai interessato, del regno.
"Bene direi. Misthaven prospera più del solito quest'anno, non possiamo che aspettarci ancora di meglio per l'anno prossimo. Arendelle ha migliorato la sua politica di esportazione del ghiaccio, e a partire dal nuovo anno ridurrà le tasse di esportazione sulle quantità superiori ai trecento chili. Ad Agrabah la sultana ha istituito nuovi rifugi nelle lande sabbiose per tutti i senzatetto e..."
Ed Emma smise di ascoltare, perché non le era mai interessato del regno. Certo, era principessa, aveva delle responsabilità e bla bla bla, come sua madre non mancava di farle notare. Ma non era quello che aveva deciso di essere, per questo era rimasta a Storybrooke. Certo, non che tutti quegli altri regni non la interessassero, li avrebbe visitati volentieri, un giorno, ma l'arrivo di Hope glielo aveva impedito, almeno per il momento.
E poi, stava parlando Regina. Ed era ipnotizzante quasi, come la sua voce si sciogliesse abile tra i meandri delle sue responsabilità di regnante, pareva quasi sapesse tutte quelle nozioni a memoria. E probabilmente era così, perché nel suo lavoro era bravissima, impeccabile, la migliore. Emma pensava che se nel mondo reale fossero esistiti ancora regnanti così le cose sarebbero andate meno a rotoli.
Anche se a volte, Emma, non poteva fare a meno di domandarsi se quello fosse davvero ciò che Regina voleva.
Ma fissarla non le dava una risposta, come un tempo avrebbe fatto. O forse la aveva già, ma l'illusione di essere ancora fuori da alcuni dei suoi misteri le lasciava lo spazio sufficiente per allontanarsi quel tanto che le serviva per non perdere l'orientamento, nel mare profondo della sua voce.
Eppure non poteva evitare di fissarla, in nome di quella certezza che cercava ormai da anni. Doveva essere certa, Emma, di non provare più nulla per Regina.
Un tempo la guardava, perché guardarla nutriva i suoi sogni, la sua determinazione, il suo odio, la sua luce e la sua oscurità. Un tempo la guardava perché lei era ciò per cui combatteva.
Ora la guardava solo per avere quella certezza, che non sapeva quando, ne come, sarebbe arrivata, ma che senz'altro presto avrebbe avuto. Ma che non avrebbe potuto avere, se non continuando a fissarla.
E Regina forse sapeva, di non essere ascoltata, ma continuò, terminando poi il suo discorso aggraziatamente, nella vile noncuranza
"Insomma, le solite cose"
"mh..." borbottò Emma, tornando presente
Regina la guardò ancora, perplessa, quasi studiandola, avrebbe detto, perché se lei cercava ormai di restare fuori dai suoi misteri, per paura di questi, Regina non faceva altrettanto. Non ne aveva bisogno, pensava Emma, perchè Regina era più forte di lei. Non aveva bisogno di non conoscerla, per superarla, per superare ciò che era stata.
"E tu?"
Tornò a vederla veramente, a disagio come colta in flagrante
"Io cosa?"
La vide trattenersi a stento dal roteare gli occhi
"Come stai?"
Come stava? Bene. Dopotutto, stava bene. Per Regina, doveva stare bene, perché lei non aveva colpe, questa volta poteva dirlo senza dubbio alcuno. Non aveva colpe. E faceva sempre tutto ciò che poteva, per aiutarla.
Si strinse nelle spalle e distolse lo sguardo abbozzando un debole sorriso, cercando di sembrare il più naturale possibile.
"Va tutto bene"
Ed era vero, lei non mentiva mai a Regina. Si limitava ad omettere. Andava tutto bene, intorno a lei.
"Non mi interessa come va, Emma. Mi interessa come stai tu. Non credere che non la veda, la stanchezza nel tuo sguardo. Quel sorriso non è... non è il tuo"
E le parve quasi arrabbiata Regina, nel modo in cui pronunciò quelle parole, che si sforzò di stroncare tuttavia, prima che si spingessero troppo oltre.
E come faceva poi Regina a sapere quale era il suo sorriso? Lo sapeva e basta, perché nessuno l'aveva conosciuta mai così a fondo come aveva fatto lei. E per quanto la cosa la spaventasse e l'avesse sempre spaventata non poteva fare a meno di ammetterlo. E di negarlo. A lei e a sé stessa.
"Te l'ho detto, va tutto bene, sono solo un po' stanca, ho svolto vari impegni prima delle feste oggi e..."
"Hai svolto vari impegni? Davvero?" e pareva istericamente disperata e divertita, la voce di Regina
"Emma...hai sconfitto mostri, draghi, viaggiato attraverso dimensioni e tempo, dormito in macchina per...non so neanche quanto tempo, sopravvivendo in un mondo che ti metteva a rischio ogni giorno e ora...sei stanca per aver svolto 'vari impegni'?"
Aveva ragione. E no, non erano gli impegni a stancarla, o forse si, nella sua attuale quotidianità.
Ma non poteva lamentarsi con lei, non voleva...
Sentì la sua mano toccarle il braccio e questa volta sobbalzò. Trovò il senso di colpa nei suoi occhi, e strinse i propri.
"Cosa sta succedendo veramente, Emma?"
E si, poteva sembrare egoistico da parte sua, pensò Regina, intromettersi nella sua vita. Era un'accusa che nessuno le aveva rivolto, ma che da sola aveva sviluppato,perché riportare Emma a chi era davvero, chi ora non era più, avrebbe significato per lei riportare la sua Emma, eppure non parlava per quello, non lo faceva per quello,lei voleva solo il meglio per lei. Ed era sicura che il meglio non fosse quello che stava vivendo. La luce nei suoi occhi che non c'era più. Il suo sorriso, di cui era rimasta solo una scia sbiadita.
Ma aveva davvero il diritto, Regina, di intromettersi nella sua vita quando lei diceva di essere felice?
Aveva il diritto, di cercare di allontanarla da una persona che era sicura fosse la causa di ogni suo male, e che pur lei diceva di amare?
Non lo faceva dunque, per puro egoismo? No, ma quell'accusa continuava a battere perpetuamente sulle pareti della sua mente.
E allora fece un passo indietro. E ritirò la mano.
"Se pensi di volermelo dire, ovviamente..."
Emma sorrise a quella preoccupazione, a quell'affetto che le era ben noto, e che al tempo stesso era stato sempre terribilmente ignoto.
Sospirò.
"Ho litigato di nuovo con Killian"
Non la sorprese, la totale impassibilità sul volto di Regina, così diversa dalla sorpresa che solcava quello di sua madre ogni volta che veniva a sapere di un loro litigio.
"E poi?"
Si voltò a guardarla, sorpresa
"E poi cosa?"
Regina si spostò sul divano, quasi a disagio, interrompendo il loro contatto visivo
"Non è una novità che tu litighi con Killian e... non mi intrometterò nella vostra vita di coppia, sebbene tu sappia benissimo come la penso..."
Emma sorrise divertita
"Già, non sei molto brava a nascondere la tua antipatia, non con me"
E anche l'altra si sciolse in un sorriso
"Già... ma ...non può essere solo questo, a turbarti. Almeno immagino che non lo sia"
La bionda sospirò sprofondando nello schienale del divano
"Non posso dire di avere nessun reale problema, non dopo quello che ho passato, non dopo quello che hai passato tu, ma...è come se tutto andasse nella direzione sbagliata. Tranne Hope, ovviamente"
Regina non la guardò, riconoscendosi perfettamente nella sua situazione. E non le rispose davvero, intimorita dall'addentrarsi nell'argomento
"Sono cambiate tante cose..."
"Si ma... a volte sembra quasi che siano cambiate nel verso sbagliato"
Un sorriso ironico solcò le labbra della bruna, brucianti di rabbia, strette per impedire a quell'incendio di divampare.
Perché si, era arrabbiata Regina. E non sapeva esattamente neanche perché.
Forse perché dopo tutto quello che avevano attraversato, dopo tutti gli anni che erano trascorsi, non sarebbe dovuta finire così.
Forse perché per l'ennesima volta nella sua vita si era trovata a ricoprire un ruolo che non era il suo, per l'ennesima volta qualcuno aveva distrutto il suo cuore, lasciandolo frammentato e sanguinante. E , cosa peggiore di tutte, quel qualcuno non lo aveva fatto in nome della propria felicità, ma in nome di una collettiva salvezza che il suo ruolo quasi le imponeva, riservata però stavolta a loro due sole, che le impediva di odiarla, detestarla, o semplicemente allontanarla, quando si rendeva conto di aver bisogno di lei.
Forse perché era una codarda a sua volta, pugnalata dalla paura e bruciata nel suo orgoglio.
"Tu dici?"
E servì qualche secondo ad Emma per analizzare quella risposta e tutti i possibili tormenti che in essa potessero essere celati.
La fissò ancora a lungo, mentre lei finiva di bere il suo caffè, quel sorrisetto ancora sulle labbra, che se non fosse stato così pieno di dolore avrebbe senz'altro risvegliato in lei quelle fiamme che a lungo l'avevano lambita dall'interno, scarlatte come il suo rossetto.
Eppure il tenue profilo di una soluzione si delineò nella sua mente, qualcosa a cui non aveva mai pensato prima.
"Essere regnante non è quello che volevi, vero? Non lo hai mai voluto"
E lei continuò a sorridere in quel modo, fissando il vuoto della stanza innanzi a lei
"Se l'ho voluto? No. Non l'ho mai chiesto ma infondo, è sempre stato il mio destino. Mi ci sono rassegnata. Inoltre... è un onore che mi è stato dato, il mio perdono, il debito che devo riscattare nei confronti di tutti loro, ed è per questo che continuerò ad adempiere al mio ruolo finchè avrò la forza di farlo,  nel migliore dei modi in cui ne sono capace"
Ed era così fiera Regina, nella sua posa eretta e nella sua decisione, che il cuore di Emma saltò un battito.
"Però non è quello che vuoi"
La guardò finalmente, con una leggera stretta di spalle
"Io voglio solo lasciarmi il passato alle spalle Emma. Non ho mai voluto nient'altro."
E quegli occhi scuri la trapassarono, lasciando nella sua anima tracce di uno e cento significati.
"Anche il perdono ha un prezzo. E poi...non mi pare che tu abbia chiesto di essere la salvatrice, prima di nascere, eppure lo sei stata lo stesso, ed hai pagato il tuo prezzo, per esserlo, per avere la magia. Hai sofferto. E ora suppongo che... tu ti ci sia rassegnata"
Deglutì, distogliendo lo sguardo.
"La differenza tra me e te, Emma, è che io sto pagando per gli errori che ho commesso. Tu invece hai dovuto affrontare un destino già scritto sin dalla nascita senza avere nessuna colpa."
"Anch'io ho commesso errori, Regina..."
la vide scuotere lentamente la testa
"Si. E poi io ho affrontato il mio destino, già scritto magari, ma già scritto con un lieto fine. Tu non hai avuto questa possibilità. Tu te lo sei dovuto guadagnare, il tuo lieto fine, combattendo con le unghie e con i denti, da sempre."
Lieto fine... era buffo parlarne con lei.
Improvvisamente Regina sospirò esausta della conversazione.
"Sei felice Emma? Intendo, davvero felice?"
Emma le sorrise, e Regina credette di vedere il tormento di una vita, nell'increspatura delle sue labbra, e tutti i suoi anni
"é possibile per noi essere davvero felici?"
Ripiombarono in un silenzio amaro e vuoto, e vi rimasero finchè Regina non parlò nuovamente, risollevandosi con un altro sospiro
"Abbiamo deciso di festeggiare qui il Natale, con Henry, Jacinda e Lucy. E ovviamente i tuoi, se torneranno in tempo. Verrete?"
Emma sorrise. Per la prima volta il pensiero del Natale la fece stare meglio.
"Certo che si. Non perderei un Natale con voi per nulla al mondo"
Regina ricambiò il suo sorriso con uno luminoso, sincero.
Il pendolo suonò l'ora ed Emma la controllò  alzandosi subito dopo dal divano
"Scusami, ti sto facendo perdere un sacco di tempo. Avrai da lavorare, togliamo subito il disturbo"
Ed una fastidiosa stretta allo stomaco la assalì ripensando al tornare a casa.
Regina si alzò dopo di lei
"Veramente pensavo di non lavorare più per oggi"
Si massaggiò la schiena indolenzita. Il tempo aveva ormai smesso da un po' di anni di essere clemente con lei.
Ma si sentiva bene, dopo aver parlato con Emma. Si sentiva meglio. E pensò che, dopotutto, nonostante tutto il loro dolore, avrebbero potuto continuare ad essere amiche.
Sorrise.
"Vi andrebbe di...fermarvi a cena? Non so se Killian..."
Emma si voltò verso di lei improvvisamente, una luce di sollievo negli occhi.
"Lui non avrà problemi. Se davvero possiamo...sono sicura che Hope ne sarà felice"
Sentendosi chiamata in causa la bambina alzò la testa e le guardò per poi alzarsi e raggiungerle con i suoi passetti ancora instabili
Emma si chinò alla sua altezza e le sorrise dolcemente
"Ti va di restare a cenare qui amore?"
Lei le fece un grande sorriso
"Si!"
E la abbracciò felice prima di correre da Regina ed abbracciarle le gambe guardandola dal basso
"Co zia 'Gina!"
E quelle semplici parole scaldarono un cuore che troppe volte era stato di ghiaccio, mentre lei le sorrise con un affetto sconfinato negli occhi e la prese tra le braccia.
 
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You've  built a love, but that love falls apart
Your little piece of heaven, turns too dark.
 
"Killian, sei pronto? Siamo già in ritardo..."
Entrò di fretta in soggiorno cercando il suo cappotto, tenendo per mano Hope, solo per trovarlo seduto scompostamente sulla sua poltrona, ancora nei vestiti di quella mattina, con una bottiglia vuota di rum in mano e uno sguardo vacuo sotto un cipiglio indisponente e quasi furente.
E sebbene lo odiasse, rabbrividì.
L'uomo che aveva  sposato, il marito che aveva scelto, che aveva creduto essere uno spirito troppo libero per lasciarsi andare, eppure disposto a condividere con lei quella libertà, si era trasformato ora in un altro degli stanchi prigionieri della quotidianità, privi di sogni e di speranze, e cechi di valori.
Non vi era più traccia di quella persona gentile e disponibile, che cercava in tutti i modi di lasciarsi alle spalle il passato, che un tempo vi aveva visto. E forse, aveva iniziato a non esserci già da qualche anno.
Temette, forse non per la prima volta, che come altri che aveva in passato conosciuto, nelle tante famiglie in cui era stata, si sarebbe d'un tratto alzato e avrebbe distrutto con calci e pugni, alimentati da immotivata rabbia e scontento di se stesso, i muri di quella "prigione" che avrebbe dovuto donargli solo felicità.
E si, avrebbe potuto difendere se stessa e sua figlia, su questo non aveva dubbi, ma era giusto pensare quello che lei stava ora pensando, muta davanti a quello spettacolo di decadenza, del proprio marito?
Aveva senso?
"Non ti sei ancora cambiato... faremo tardi. Sai che Regina odia i ritardi e..."
Mossa sbagliata.
"Regina, Regina... non fai altro che parlare di lei, almeno te ne rendi conto?!"
Killiab rise, e forse una parte di lei si sentì in colpa. Non rispose.
Lui sollevò la testa ed aprì gli occhi
"Non mi interessa, della tua ridicola cena di famiglia. Non mi interessa di Regina. Regina è ovunque, c'è sempre, cresce mia figlia, si comporta meglio di me, non è così?"
"Killian io non..."
Lui rise di nuovo
"Avrei dovuto assicurarmi che Greg e Tamara la uccidessero tanti anni fa..." sussurrò divertito, zaffate di alcol a raggiungerla ogni volta che apriva bocca.
E quelle parole accesero qualcosa in Emma. Ogni timore, ogni limitazione, si scostò dinanzi al pericoloso mistero.
"Che diavolo vai farneticando?" rispose nello stesso tono, quasi ringhiò, si accorse, tra i denti, stringendo la mano di sua figlia che li guardava in silenzio, con spavento crescente negli occhi.
Cercò di mantenere la voce bassa solo per lei, pregando che in qualche modo non dovesse sentire quella conversazione, che non dovesse vedere suo padre così, che non dovesse vivere una situazione come quella, dannazione! Eppure si sentì impossibilitata a lasciar andare la sua mano, sentendo il bisogno di averla vicina.
La risposta di Killian tuttavia, non tardò ad arrivare.
"Oh sai...quando l'avevano presa per torturarla..."
Un ghigno deformò le sue fattezze, uno che non vedeva da tempo, forse da quando era ancora un cattivo in piena regola, tronfio di soddisfazione, le iridi annegate nell'alcol.
"Chi credi abbia svolto l'importante ruolo di mettere a rischio la propria incolumità per toglierle i poteri e portarla da loro, dimmi?"
Il viso di Emma invece, riuscì solo a deformarsi in un espressione di disgusto
"Sei stato tu?!"
Lui continuò a sorridere
"Non c'è bisogno che questa città mi ringrazi. Anzi, avrei dovuto assicurarmi che la finissero, invece non ero lì per aiutarli..."
"Come puoi...come puoi...tu..."
Era senza parole Emma, incerta se mettersi a gridare, a piangere o a colpirsi da sola per quanto ottusa era stata, ora che tutto pareva così evidente.
"Oh andiamo!" esclamò lui: " al tempo non importava a nessuno, era la regina cattiva che tutti odiavate, o meglio, lo è ancora, ma pare voi abbiate smesso di ricordarlo. La sua morte avrebbe solo reso tutti più felici."
"Importava a ME!" urlò finalmente
"Mi sono tormentata per giorni, per non essere stata in grado di evitare che le facessero quello, per giorni, ho sofferto vedendola reprimere le emicrania che la torturavano fin quasi a lasciarla senza respiro, PER GIORNI! E tu invece... tu invece ci hai fatto credere di essere all'improvviso il buono che ci forniva la soluzione. Lei ha..." deglutì al pensiero. E la colpì ancora una volta, più forte che mai, la meraviglia di quanto forte fosse, Regina.
Calmò il tono, rendendolo poco più di un sussurro profondo, furente, inamovibile
"Lei ha viaggiato sulla tua nave, passato giorni in tua presenza, senza dire una parola di tutto questo, senza abbassarsi al tuo livello e...tentare di ucciderti"
Scosse la testa incredula. Quanto cieca era stata.
"Oh andiamo! Non venirmi ora a raccontare questa storia, dopo che ha sterminato milioni di innocenti nella foresta incantata. Mi domando ancora come tu faccia a stare dalla sua parte dopo che lei ti ha fatto passare ventotto anni di solitudine per la sua stupida vendetta"
"Tu non capisci... non capirai mai, vero?"
Sentì allora un lieve tirare su col naso e si voltò a guardare sua figlia, che tratteneva a stento lacrime di tristezza e paura. E tutto il resto scomparve.
La prese in braccio e la strinse a se, protettiva.
Come aveva potuto esporla ad un rischio così grande? A qualcuno che aveva fatto quello e chissà cos'altro.
Si, era vero, Regina aveva fatto del male, tanto, imperdonabile, male,  in passato, ed alcune di quelle cose non sarebbero mai potuto essere cancellate, ma altrettanto aveva fatto lui, se anche non aveva ucciso aveva rovinato vite in altro modo, e sapere che aveva fatto del male a lei, tra di tutti proprio a lei, quando già era una persona nuova fu improvvisamente inaccettabile.
La sua presenza nella sua vita, divenne inaccettabile.
"Finisce qui, Killian. Finisce qui." accarezzò nervosamente la testa di sua figlia, scossa dai singhiozzi sulla sua spalla
"Non venire a cercarci"
Lui scoppiò a ridere
"Chi, io? Venire a cercare te e tua figlia? E perché mai? Ne ho abbastanza, di te. Vai pure, a goderti il tuo Natale con la tua cara famigliola, con tutta quella gente che hai sempre amato più di quanto amavi me. Va! Con questa bambina ingrata che corre più volentieri nelle braccia di una pazza criminale che in quelle di suo padre. Va!
Questa città... è maledetta, è il posto più terribile in cui abbia mai messo piede. Tutti così buoni, eppure nell'aria si respira puzza di vecchi rancori e rabbie represse e, più di tutto, puzza di falsi innocenti che si credono vittime perché hanno voluto credere in una vita migliore. "
La guardò, ed in quel fiume di parole senza senso, claudicanti nel loro andamento, eppure sul bordo di un baratro di spaventosa ed oscura verità, i suoi occhi parvero improvvisamente sobri.
"I cattivi non cambiano mai, ricordatelo Swan"
E le sembrò una minaccia, e la scosse così profondamente e la fece infuriare talmente, che avrebbe vomitato all'istante se non si fosse sforzata di mantenere un contegno per sua figlia.
"Va all'inferno, Killian"
Così si avviò a grandi falcate verso la porta, decidendo di ignorare la sua voce che la seguì fin fuori alla porta
"Ci sono già stato! E ti assicuro che era meglio di questo posto!Era meglio di te!"
Emma strinse Hope al petto e corse via, contro il vento freddo che la intirizziva colpendo senza pietà la sua schiena coperta solo dal maglione sottile. Corse via con le palpebre serrate, per  paura di lasciar scappare lacrime di odio, di risentimento e di frustrazione per essere ancora quello che era sempre stata, una bambina indesiderata, che trovarono comunque la loro strada sulle sue guance, come lei trovava la sua verso il luogo a cui sempre era arrivata, anche ad occhi chiusi, lasciandosi guidare dal suo istinto.
Corse via da quell'amore che aveva costruito, che le stava cadendo addosso in pezzi che rischiavano di schiacciarla, da quel piccolo pezzo di paradiso che la sua casa non era mai stata, ma che lei si era sempre sforzata di immaginare che fosse, che era diventato troppo oscuro per metterci ancora piede.
Semplicemente corse via, come aveva sempre fatto.
Ma questa volta, sapeva dove andare.
 
Sometimes you wonder if this fight is worthwhile,
the magic moment are all lost in the tide...
 
Nonostante credesse di essere già in ritardo, quando arrivò a bussare alla porta di Regina Emma non trovò nessuno oltre lei, a causa di un piccolo imprevisto nei preparativi, come poi venne a sapere.
E quando Regina aprì la porta e le trovò in quello stato sbiancò visibilmente facendole entrare senza una parola e chiudendo a chiave la porta dietro di loro. Le fece sedere in salotto, accanto al camino, e diede ad entrambe una coperta per riscaldarsi.
Non parlò tuttavia, non disse niente, limitandosi ad assisterle come poteva e a guardarle senza sapere se avvicinarsi o meno. Poteva solo immaginare, quello che era successo.
E quando immaginava Regina, immaginava sempre gli scenari più tetri e spaventosi. Emma lo aveva sempre attribuito a tutto quello che aveva vissuto in passato.
"Mamma, ho paura..." le giunse flebile, la voce di Hope, ma catturò la sua attenzione in un istante, congelandola sul posto
Trascorse un momento prima che Emma le rispondesse, con voce dolce, nonostante tutto, ricacciando indietro le lacrime
"E di cosa hai paura amore?"
"Di papà" la bambina scoppiò in un altro singhiozzo mentre Emma la stringeva al petto cercando di tranquillizzarla
"Sshh, sta calma. Siamo a casa di zia Regina, ti ricordi cosa ti ho detto? Casa di Regina è il posto sicuro, ok? Non devi aver paura di niente qui" le baciò la fronte, lasciando che quelle rassicurazioni agissero anche su se stessa.
E Regina rimase ancora in silenzio, si, anche la sua mente non fiatò. Perchè se si fosse soffermata su i pensieri che in quel momento vi stavano nascendo, era certa che la parte di sé che aveva con tanta fatica cercato di reprimere sarebbe tornata alla luce in pochi istanti.
Quando si accorse però, che anche le spalle di Emma erano scosse da singhiozzi silenziosi, le si avvicinò con cautela, riservando la rabbia che sentiva crescere nel suo petto al dopo,perché loro venivano prima di tutto,  e prese ad accarezzarle la schiena, disegnandovi ampi cerchi delicatamente. E se Emma sobbalzò all'inizio di quel contatto, prese a rilassarsi lentamente, fin quando i singhiozzi non si furono calmati del tutto.
Si calmò anche Hope, cullata delicatamente dalle sue braccia e riscaldata dalla coperta, ed Emma la posò piano sul divano, nel suo vestitino di tulle rosso che lei stessa aveva scelto per quella serata, cercando di non svegliarla. La vide rannicchiarsi ancora di più e sorrise.
Con un respiro profondo poi si preparò ad affrontare Regina.
C'era infatti un motivo, se ogni volta che aveva bisogno di aiuto si recava da lei invece che da sua madre. Non poteva sopportare Emma, la valanga di domande della donna, che non riusciva a comprenderla in altro modo, in silenzio, come Regina faceva.
Si voltò infine verso di lei, tentando di eliminare con un rapido gesto ogni traccia rimasta delle lacrime che aveva versato dalle guance. Accennò un debole sorriso.
"Grazie" sussurrò
Regina la stava fissando, non poteva fare a meno di fissarla, chiedendosi se sarebbe stato meglio chiederle ciò che era successo e lasciarla sfogare, o ignorare del tutto la faccenda, prendendo i suoi personali provvedimenti perché, dal suo punto di vista, non c'era alcun dubbio, su chi fosse la causa di tutto quello.
D'altronde, Hope era stata chiara.
Ma alla fine, scelse di parlare, perché forse era ciò che Emma avrebbe fatto.
"Gli altri arriveranno tra mezz'ora, hanno avuto un imprevisto. Ti va di... dirmi cosa è successo?"
Emma sospirò. Pochi giorni ed era già la seconda volta che era da Regina a lamentarsi sulla sua vita, sul suo senso di inadeguatezza e sul suo matrimonio in frantumi, mentre lei avrebbe avuto così tanto di cui lamentarsi ma non lo aveva mai fatto.
E poi le tornarono in mente le parole di Killian, ed improvvisamente guardò la donna di fronte a lei in modo del tutto diverso
"Regina io...mi dispiace"
E senza lasciare che la sua mente elaborasse ciò che stava per fare una seconda volta, la abbracciò.
Infranse la sua figura, la sua impassibile stabilità, eretta di forza, che riusciva persino a trasmettere agli altri, come se già non servisse tutta per lei sola, con un'immotivata, imprevista, stretta. Con un calore che lasciò la bruna senza fiato e senza spiegazione.
E che in qualche modo, la ridusse in frantumi.
Regina rimase immobile, avrebbe dovuto in ogni caso, perché quelle braccia non le lasciavano scelta, ad ascoltare il suo respiro affannato ed ancora umido di lacrime.
Cosa aveva da dispiacersi, Emma? Emma, l'unica a non averle mai fatto niente per davvero?
Emma che era arrivata da lei in lacrime, fuggendo da ciò che lei aveva sempre saputo che sarebbe avvenuto, ma che non aveva mai provato a fermare per cieca codardia.
Perché aveva troppe colpe, Regina, per giudicare. E la colpa più grande di tutte era proprio quella che l'avrebbe spinta a farlo. Quella che lacerava in silenzio il suo cuore ogni giorno, quella che tornava a pugnalarla nella sua stretta disperata, perché non era stata in grado di reprimerla, e allo stesso tempo non le aveva fatto onore. L'aveva solo seppellita, nella parte più profonda del suo cuore, dove giacevano Daniel e Robin, affinché loro fossero promemoria del perché era esattamente lì, che sarebbe dovuta restare.
Eppure quella tornava, prepotente, facendosi strada nel suo petto a coltellate roventi, come aveva fatto sempre. E come sempre, lei non riusciva a fermarla: eccessiva la sua intensità.
Perché la colpa più grande di Regina era amare.
Ancora e ancora, senza speranza, senza limite, nuotando in quel mare di sofferenza di cui era vittima e causa.
E nel profumo dei capelli di Emma, nell'odore della sua disperazione di cui si sentiva inevitabile causa, sentì quel mare gonfiarsi a dismisura, inondare il suo petto, e con esso i suoi occhi.
Li chiuse, trattenendo con tutte le sue forze qualunque cosa avrebbe potuto uscirne.
Ma non resse quel contatto, non poteva.
"Emma, ti prego..."
Solo una supplica strozzata lasciò le sue labbra, il gemito di un cuore agonizzante, senza senso eppure pregno di qualsiasi significato.
Ed Emma la lasciò andare ritirandosi di scatto, in una mancanza di coraggio che le impedì di guardarla in viso, lasciando così all'altra il tempo per eliminare dai suoi occhi ogni traccia di liquido dolore.
"Scusami..."
Sussurrò ancora Emma, temendo di essersi spinta troppo oltre. Non aveva altro da dire. Come annullare anni di sofferenza, infiniti momenti di insensibilità di fronte a ciò che l'aveva distrutta?
Regina deglutì
"Va tutto bene... tu...tu stai bene?"
Non le interessava sapere perché Emma si scusava. Avrebbe forse avuto troppo, di cui scusarsi, o forse assolutamente niente. Ma quella stanchezza che sentì invaderla improvvisamente in quella funesta vigilia di Natale, ritrasse ogni sua curiosità. E poi, non era lei il centro del discorso. Era Emma, a soffrire. Era lei, a doversi sfogare.
E anche Emma, privata delle parole, troppo sconvolta, colse l'occasione per cambiare discorso. Perché parlare di sé era più facile che parlare di lei.
Annuì
"Si, grazie. Stiamo bene. Un po' scosse ma..."
E i lievi, terrorizzati sussurri di Hope tornarono nella testa di Regina con la forza di un uragano. Si alzò di scatto dal divano.
"Non muovetevi di qui. Vado a sistemare quel bastardo..." una sfera di fuoco iniziò a formarsi sulla sua mano, facendo alzare istantaneamente Emma, che le mise una mano sul braccio, tentando di fermarla.
"No, Regina. Per favore. Non fa niente..."
"Ha fatto paura a Hope, l'ha fatta piangere, ha fatto piangere te! Merita di morir..."
"Regina, per favore...guardami"
E Regina si voltò, perché il richiamo degli occhi di Emma Swan era più forte di qualsiasi vendetta a cui il suo cuore avesse mai aspirato. Era, ed era sempre stato, il richiamo alla speranza di una vita migliore, nel verde delle sue iridi.
La fissò in silenzio, le fiamme ad agitarsi nei suoi occhi
"Stiamo bene, ok? Non ci ha toccate. Era ubriaco e... ha detto delle cose. Non verrà stasera. Non so neanche se..."
distolse lo sguardo
"...se lo troverò a casa la prossima volta che tornerò, ad ogni modo... noi abbiamo bisogno di te qui"
Guardò Hope dormire e un mezzo sorriso spuntò sulle sue labbra
"Avrà bisogno di te, quando si sveglierà"
E dinanzi a quella richiesta il fuoco, nei suoi occhi e nella sua mano, si spense. Il suo viso si rilassò e prese un respiro profondo passandosi le mani tra i capelli.
"Va bene..."
si riprese e la guardò
"Ti andrebbe qualcosa di caldo? Cioccolata o..."
"Anche in questo caso, qualcosa di più forte sarebbe meglio"
Accompagnò quelle parole con un sorriso a metà tra il divertito e il nostalgico, e d'un tratto nove anni parvero niente. Per un momento, Regina pensò di poter ancora risentire all'improvviso Henry salire le scale di corsa lasciandosi dietro le scarpe. Sorrise a quel ricordo, e sorrise a lei, che ancora la aspettava. Si limitò così a chinare il capo in un cenno d'assenso, invitandola a sedersi, senza pronunciare una parola, per paura di cosa sarebbe potuto uscire dalle sue labbra a sua insaputa. E si avviò verso la cucina con una tempesta nel petto, di ricordi ed emozioni,  che dubitava il tempo sarebbe mai riuscito a placare del tutto.
 
La serata trascorse tranquilla, nonostante tutto. Henry e la sua famiglia le raggiunsero quando Regina aveva previsto, e con loro portarono una allegria nuova ed una ventata di giovinezza che serviva ad entrambe.
Non che non notarono i visi leggermente stravolti e l'insolita timidezza di Hope, nonchè, cosa più sospetta, la mancanza di Uncino, ma conoscevano Emma abbastanza da sapere che, se c'era qualcosa che non andava, era meglio non farne parola. Almeno, non davanti a così tante persone, per quanto fossero tutte di famiglia. Era un tratto del suo carattere che Henry conosceva bene, poichè lo aveva anche la sua altra madre. Cercarono anzi in tutti i modi di distrarle con racconti della loro quotidianità che Henry sapeva amassero sentire e di far divertire la piccola Hope, che presto dimenticò gli avvenimenti di quel pomeriggio giocando con Lucy.
E loro stesse si trovarono a sorridere spesso davanti alla loro allegria, di felicità, per ciò che loro figlio era stato in grado di costruire, e con un pizzico di malinconia, generata da quella linea di dubbio sottile che, fluttuando nelle loro menti in un sincronizzato moto, la portava ancora una volta a chiedersi, ora con più consapevolezza e tristezza che mai, a seguito dei recenti eventi, se anche loro nella loro vita -se non fossero state chi erano e se i loro caratteri ed il loro passato non avessero rappresentato una barriera così invalicabile, se i loro cuori avessero battuto in modo diverso- sarebbero potute essere capaci di giungere a quello. Ad un lieto fine che avesse quella forma.
Ma senza risposta restavano le loro domande, all'origine della loro persona stessa, ed i loro occhi si limitavano ad essere testimoni di quello che, in parte, avevano contribuito a creare, con l'amore incondizionato  che nutrivano nei confronti di loro figlio.
Quando la cena finì, tutti si riunirono in salotto.
Il momento dei regali sarebbe dovuto essere la mattina seguente, ma Regina ritenne opportuno dare il suo regalo speciale per Hope allora, nella speranza di farla sorridere a sua volta, dopo che la vista delle sue lacrime le aveva spezzato il cuore, e di far piacere anche a sua madre, con quel regalo, che come lei meritava di tornare a sorridere.
E quando Hope scartò la scatola rettangolare ricoperta di brillante carta verde e circondata da un nastro a fantasia scozzese, rimase a bocca aperta e, soddisfacendo le sue speranze, il suo viso si illuminò di un sincero ed entusiasta sorriso, pieno di quella innocenza che può essere solo dei bambini.
Regina sorrise a sua volta, seduta accanto a lei, e la aiutò ad estrarre il contenuto dalla scatola. Si rivelò essere una minuscola giacca di pelle rossa, identica a quella di Emma, oggetto che aveva odiato, intensamente,  ma che era diventato con il tempo ciò che i suoi occhi cercavano, costantemente, e quando aveva smesso di utilizzarla, presa dalla sua nuova vita, era rimasto come ciò che la sua mente ricordava, malinconicamente, di un tempo prezioso che non aveva sfruttato come dovuto, e che ora non sarebbe più tornato.
Ma Hope era la loro nuova speranza, l'unica, ormai, ed era giusto che ora fosse lei, a portare qualcosa di così importante.
La bambina la ringraziò felice, avvolgendo le braccia al suo collo e stringendosi al suo petto nel più sincero degli affetti. E nel suo dolce abbracciò gli occhi di Regina non poterono evitare di fermarsi, bloccarsi, incatenarsi, su quella figura rigida di fronte a lei che, di rimando, la fissava.
E si perse, in quell'istante di tenerezza, nel mare dalle sfumature verdacee che erano gli occhi di Emma, spalancati di incredulità e allagati di commozione, e pura emozione dinanzi a ciò che pareva così scontato da essere incredibile. Si perse nel mare di luci che essi riflettevano, e nel modo esclusivo in cui quelle luci brillavano solo per lei.
Presto Hope si allontanò con un bacio, e si lasciò nuovamente coinvolgere dai giochi con Lucy e Jacinda, che, come a Regina non era passato inosservato, in un discreto sussurro aveva preso accordi con Henry per lasciar loro del tempo da soli. Ammirava davvero quella ragazza, e non poteva desiderare per suo figlio partito migliore, non che la scelta le appartenesse, in ogni caso.
Quando rimasero loro tre soli tuttavia, sul divano ad osservare le baluginanti luci dell'albero, e delle fiamme del camino, in un silenzio colmato solo dalle risa delle tre donne nella stanza antistante, nessuno dei tre seppe da dove cominciare. Fu Henry poi, a trovare il coraggio e a chiedere loro cosa fosse successo, sebbene non fosse interamente sicuro che ciò che avrebbe sentito gli avrebbe fatto piacere.
E infatti così non fu, ma, con suo stupore, se ne scoprì per nulla sorpreso. Quasi come se lo avesse sempre saputo ma, con una fede che somigliava a quella che aveva da piccolo, avesse sempre creduto che quel giorno non sarebbe mai arrivato.
Non che impazzisse di gioia all'idea di sua madre sposata con Uncino, non lo aveva mai fatto, ma crescendo aveva capito che sono molti i fattori che possono influenzare le scelte di una persona, e se quella era stata la sua allora lui non aveva diritto di intromettersi. 
Che poi credesse che fosse tutto sbagliato, che soffrisse per la tristezza evidente che scorgeva, a volte, negli occhi di Regina, e per il vuoto ormai frequente negli occhi di Emma, non aveva importanza.
E, come sua madre, si ritrovò pieno di rabbia, ma a differenza sua, anzichè tentare di soddisfarla, pensò di sfruttarla, proponendo ciò a cui da tempo stava pensando.
Infatti, frequentando comunque entrambe almeno due volte a settimana, non gli era certo sfuggito il recente, ma non improvviso, crollo degli eventi che il mese di Dicembre aveva poi peggiorato.
E si, credeva davvero che ad entrambe servisse una vacanza. Più che mai dopo le ultime,spiacevoli, novità.
Così interruppe la serie di adirati improperi sgorganti dalle labbra di sua madre Regina nei confronti di Uncino, vanamente tentati di placare da Emma, che temeva un improvviso ritorno della regina cattiva appositamente per far fuori Uncino, più che plausibile considerata la sua reazione alla notizia di ciò che aveva fatto.
"Stavo pensando...che ne dite di andare via da Storybrooke per un po'? Entrambe"
Si voltarono contemporaneamente a guardarlo
"Cosa?" gli chiesero in coro
"Ma si, prendetevi una vacanza, un po' di tempo per voi. Ne avete bisogno. Tu mamma ormai fai la madre a tempo pieno, e con quello che è successo... beh, mi pare inutile spiegare perché ne avresti bisogno, e tu mamma ormai non fai altro che lavorare dalla mattina alla sera su documenti di oltre venti reami, riesco a stento a vederti mentre invece vedo bene quanto stanca tu sia"
Ammutolirono entrambe di fronte all'eloquenza di loro figlio che, come sempre aveva ragione.
"Allontanatevi per un po' da qui. Vi rilasserà e vi darà l'occasione di affrontare poi le cose a mente più lucida. "
Non incontrando altro se non evidente dubbio sui loro volti continuò
" Non dico di andare lontano... anche Boston va bene, New York... insomma l'importante e che vi allontaniate di qui, respiriate aria diversa" guardò Regina: " tu mamma non sei mai stata a lungo in un'altra città di questo mondo. Certo sei andata a New York e a Boston ma...insomma, non eri davvero in vacanza. Non sai cosa quelle città hanno da offrire. Che ne dite? Potreste persino prendere parte ad una festa alla vigilia di capodanno..."
Attese una loro reazione che ancora non si rendeva manifesta. Solo dopo un po' Emma smise di guardarlo con un sospiro. Si passò una mano tra i lunghi capelli sciolti riflettendoci.
Un viaggio con Regina al momento era tutto quello che poteva desiderare e anche tutto ciò che più temeva. Insomma, quanti discorsi avrebbe dovuto affrontare, quante domande si sarebbe dovuta porre,come avrebbe trovato il coraggio di stare con lei dopo ciò che aveva saputo? Si, forse non avrebbe dovuto, ma si sentiva in colpa per aver introdotto nella loro famiglia un uomo che le aveva fatto quello. Di certo Regina non doveva esserne stata contenta, per quanto potesse essere cambiato lui, e per quanto avesse potuto perdonarlo lei, e non poteva biasimare ora questa sua voglia di "fargli vedere cosa significa tenere alla famiglia", come lei aveva detto. E arrossì leggermente al ricordo di come Regina fosse stata istantaneamente pronta ad eliminare chiunque avesse potuto rappresentare per loro una minaccia, indipendentemente da quello che tutti avrebbero potuto pensare di lei.
 Era unica, Regina. Ma questo, Emma lo sapeva già.
"Non posso lasciare Hope..."sussurrò, quasi come una scusa per giustificare quella sua paura e al tempo stesso quella incapacità di dire no che affliggeva anche la donna seduta accanto a lei.
"Ma non dovrai farlo! Portatela con voi! Di certo vedere un posto nuovo farà bene anche a lei. Siete in due, saprete pur tenere una bambina no?"
Solo allora Regina , scossa da quelle parole, parlò:
"Henry Daniel Mills, ti ricordo che ero una, quando avevi l'età di Hope. E ti assicuro che non eri il più pacifico dei bambini"
Lui rise, colto alla sprovvista da un tono tanto leggero
"ma mi amavi lo stesso, no?"
Lei sospirò e gli sorrise. Amava quella loro complicità che si era sviluppata davvero solo da pochi anni, da quando lei era rimasta sola e lui aveva iniziato a confidarle tutti quei dubbi e quei segreti che affliggevano la sua vita di ogni giorno e che lei, solo lei, magicamente, riusciva a risolvere.
E lo stesso aveva da lei ottenuto. Non che le servisse sentirgliele dire, le cose che la affliggevano, per capirle, ma averle da lei rivelate le rendeva più preziose, in qualche modo.
"Comunque sia, a maggior ragione! Siete due ottime madri, distrarrete Hope e vi distrarrete voi. Non ci vedo nulla di male, in questo"
Regina sospirò di nuovo e deviò lo sguardo che Emma inseguiva cercando disperatamente di incrociarlo per leggervi dentro quelle che erano le sue intenzioni a riguardo.
"Non lo so Henry, è un periodo così complicato, ho ancora i conti di cinque regni da chiudere e controllare e..."
Stupidaggini. Tutte stupidaggini. Sapeva benissimo che non le importava assolutamente niente di dover rimandare il suo lavoro, magari persino ritardarlo, se si trattava di aiutare la sua famiglia. Solo che...non era certa che quella del viaggio fosse una scelta saggia. Certo magari avrebbe dovuto cercare davvero, per una volta, di essere l'amica di cui Emma aveva bisogno, che l'avrebbe fatta distrarre, che avrebbe tenuto sua figlia mentre lei si perdeva in estasi alcoliche di cui, ne era sicura, aveva più che mai bisogno, solo che...solo che ... lei non era quel tipo di amica. Non lo era mai stata, sebbene ci avesse provato, e probabilmente non sarebbe mai riuscita ad esserlo. Probabilmente il suo cuore traditore l'avrebbe solo resa ciò di cui Emma aveva meno bisogno: qualcuno che si approfittasse della situazione per fare un primo passo. E lei non voleva, non voleva essere quello, per Emma, ma non era sicura di riuscire ad evitarlo, quando la sofferenza causata delle lacrime che avrebbe visto scorrere sul suo viso sarebbe stata troppo forte per essere solo deglutita e messa da parte. Non ne era sicura, anzi, ne dubitava fortemente.
Ma d'altra parte Henry aveva ragione, quel viaggio l'avrebbe senza dubbio aiutata.
Così rinunciò persino a terminare la frase, nel timore che anche una sola parola in più l'avrebbe potuta mostrare più o meno favorevole alla proposta.
Proprio in quel momento una Hope entusiasta corse in salotto
"Mamma, vieni a vedere!"
Ed Emma si alzò, istantaneamente, neanche fosse un soldato agli ordini del suo generale, andando da lei con un sorriso sincero ad illuminarle il viso
"Certo amore, arrivo"
Ed anche Henry approfittò del momento per prendere la mano di sua madre, avvicinandosi a lei sul divano, e guardarla negli occhi.
"Mamma..."
"Henry..."
"Mamma."
"Henry."
"Mamma!"
si guardarono negli occhi solo per un momento prima di scoppiare entrambi in una risata a voce bassa, intima, quasi dovesse restare solo per loro. Quando Henry tornò a guardarla negli occhi dovette sorriderle dolcemente, per quello che vide. Quello sguardo preoccupato, dubbioso, vulnerabile, di fronte a quel figlio ormai più alto di lei, in cui tuttavia riponeva ormai ogni confidenza e ogni suo segreto. Sapeva tutto di lei, suo figlio. Ed Henry trovò quello sguardo assolutamente adorabile.
"Mamma, potrebbe essere davvero l'occasione giusta per..."
"No Henry, non può..."
"Ma perchè? Insomma, hai visto come si sono messe le cose. Lei non è più felice, ammesso che lo sia mai stata..."
"Proprio per questo. Non posso entrare nella sua...nella loro vita e pretendere di farne parte"
"Ma mamma, tu fai già parte della loro vita! Ne hai sempre fatto parte, molto più di lui!"
Lei abbozzò un sorriso tristemente ironico vagando con lo sguardo per la stanza
"Cosa ti dice che io potrei...sarei in grado di..."
-Renderla felice-
Era così assurdo da non riuscire neanche a pronunciarlo. Ma ad Henry non servivano le parole, non gli erano mai servite. Non gli aveva mai detto a parole, sua madre, quello che provava per l'altra sua madre, mai aveva sentito quelle parole, chiare e nitide come lui le scriveva nelle sue fiabe, lasciare le sue labbra, eppure lui sapeva, aveva capito tutto in un semplice silenzio ed in uno sguardo vagabondo ormai molto tempo fa.
Poggiò una mano sul suo braccio, per riportare la sua attenzione su di sé
"Mamma, io lo so"
Parve quasi restare sconcertata, Regina, davanti a quelle parole. Forse vi rimaneva sempre, ogni volta che suo figlio, un tempo così diffidente e lontano,  dimostrava ormai di avere una fede in lei che andava oltre quella che chiunque avesse mai dimostrato. E non fece in tempo a dire niente che Emma tornò da loro e restò in piedi a guardarli.
"Wow... beh, dire che l'idea entusiasma Hope è un eufemismo..."
Henry ghignò soddisfatto guardandole alternativamente
"Visto? Che vi avevo detto?"
Emma sospirò, la mano ancora a vagare nervosa tra i capelli
"Henry, non lo so, magari è... un errore. Una mossa troppo avventata. Magari domani Uncino non ricorderà più niente di oggi per quanto era ubriaco e verrà a chiedermi scusa, magari non intendeva davvero quello che ha detto e..."
Ma a quelle parole Regina smise di trattenersi. Si alzò e le si piantò di fronte, trapassandola con sguardo a dir poco minaccioso che istantaneamente la incatenò tra l'impossibilità di sfuggirvi e la voglia immediata di scappare.
"E suppongo che tu lo lascerai fare. E dimmi cosa accadrà la prossima volta, quando, oltre delle sue parole, perderà il controllo delle sue azioni, eh?"
"Regina, stai esagerando, non ci ha mai toccate, non è mai stato violento con noi..."
La voce insicura davanti a quello sguardo fiero e fiammeggiante, nonostante stesse dicendo la verità
"E allora perché hai avuto paura?"
"Io..." Emma distolse lo sguardo a disagio, incontrando per un attimo quello di suo figlio che aveva ben deciso di restare fuori da quella conversazione e da quei dardi infuocati che Regina minacciava di lanciare contro Emma ad ogni secondo con un semplice sguardo .
"Non ha mai fatto nulla, è vero, è solo che degli atteggiamenti che ha delle volte non... mi ricordano quelli di..."
"Emma" Regina la interruppe, insicura di poter reggere altre confessioni di suoi dolori passati, che le trafiggevano la pelle più del ricordo di quelli che aveva subito lei stessa
"Non cambierà mai. Non ha scusanti per quello che ha fatto, o che ha detto. Ha fatto del male a delle persone, per quanto ne so, siete solo state fortunate che quelle persone non siate state voi."
Emma sorrise divertita e lievemente amareggiata
"Lui ha detto le stesse cose di te..."
Pronunciò quelle parole con leggerezza, senza pensare, ma colpirono Regina come una miriade di aghi nel petto. Spensero in un istante il fuoco nei suoi occhi, lasciandovi solo delusione.
Incrociò le braccia al petto, quasi stringendosi in esse, e si voltò
"Va bene Emma, fai quello che vuoi"
Poco più di un sussurro. Non sapeva se essere arrabbiata, per essere stata appena paragonata a lui, ferita, per sentirsi rigettata anche da lei, quando non aveva fatto nulla per meritarlo, o semplicemente delusa, da sè stessa, perché se anche Emma pensava quello sul suo conto significava che in tutti quegli anni non aveva fatto nulla che realmente la riscattasse dal dolore e dalle pene che aveva inflitto in passato, e da Emma stessa, che ancora una volta si stava lasciando andare, nonostante quello, nonostante tutto, ad una vita che credeva appartenerle solo perché era ciò che credeva di meritare e di poter ottenere.
Forse dopotutto quel conflitto non meritava davvero di essere combattuto. Che fine aveva fatto ormai, la sua Emma? La guerriera, l'eroina, la salvatrice ribelle che cercava solo di crearsi una vita?
Forse era ormai persa, nella corrente del tempo e dell'esistenza. Forse era troppo tardi persino per lei. Persino in una città in cui il tempo scorreva a stento.
Ed Emma da parte sua,  realizzò solo un attimo dopo quello che aveva detto e quanto osceno, blasfemo, era dovuto sembrare.
Che razza di idiota era? Tra tutti, doveva andare a dirlo proprio a lei, dopo quello che aveva passato?
Allungò un braccio verso di lei per fermarla
"Regina, mi dispiace! Non intendevo quello..."
Lei si voltò, e la vista del suo sguardo basso e ferito le spezzò il cuore.
-I cattivi non cambiano, ricordatelo Swan-
Non aveva dimenticato quelle parole, ma mai, neanche per un momento, aveva pensato valessero anche per Regina. Era corsa da una cattiva dopotutto, per cercare conforto, una ex-cattiva. E l'idea che potesse farle del male, mentre calmava i singhiozzi suoi e della sua bambina, e le faceva sorridere, non l'aveva neanche sfiorata. Perché lei credeva in Regina e lo avrebbe sempre fatto.
Perché si, magari era vero, magari certi cattivi non cambiano. Ma, ormai Emma ne era sicura, certi altri si.
"Mi dispiace. Non volevo paragonarti a lui, stavo solo pensando a quanto..." chiuse gli occhi per un secondo e vide chiaramente quali erano le uniche parole che avrebbero potuto rimediare al disastro che aveva appena combinato. Deglutì e fissò gli occhi nei suoi, pronunciandole
"...a quanto sia stato codardo, a rigettare su altri colpe che sono solo sue"
Vide le spalle di Regina rilassarsi impercettibilmente a quelle parole, quasi colte da un improvviso sollievo,e non poté fare altro che sorridere, sperando di ricevere indietro il favore.
Ma Regina non le sorrise, continuò a guardarla con serietà ed una sorta di rimprovero nelle iridi prima di annuire
"Va tutto bene"
Emma guardò Henry, ancora quel sorriso speranzoso sul volto, anche se quella volta l'aveva fatta grossa ed era certa che rimediare non sarebbe stato così semplice.
"Magari hai ragione" gli disse:" magari un viaggio farà bene a tutti quanti"
Guardò di nuovo Regina, per un momento in silenzio divorata da improvvisa insicurezza
"Tu...tu che ne pensi? "
E nonostante tutti i dubbi e tutti i buoni propositi che aveva cercato di mantenere fino ad allora, spontanea, e noncurante di tutti quelli, salì la risposta alle sue labbra.
Troppo forte l'istinto di unirsi a loro, inevitabile l'impulso di provare ancora ad essere quella che desiderava, e a renderle felici come poteva, dal basso della sua posizione.
"Penso che se ritarderò di un paio di giorni le ultime pratiche non ci saranno grandi problemi"
E solo allora Henry si sciolse in un sorriso, rilasciando la tensione accumulata nell'ultimo conflitto che temeva avrebbe potuto mandare all'aria ogni suo piano, e saltò in piedi entusiasta
"Allora è deciso!"
Ed entrambe si trovarono, inevitabilmente, a sorridere davanti all'entusiasmo di loro figlio.
"Voi non preoccupatevi, mi occuperò io di tutto. Passerete il capodanno a Boston e vi assicuro che vi divertirete un mondo!"
Annuirono e lo sguardo di Emma si posò su Regina, esaminandola, e assicurandosi che fosse davvero quello ciò che voleva. Ma nei suoi occhi trovò solo tranquillità, dolcezza e speranza, nei residui di quella rabbia che lei stessa aveva provocato, e che pure non percepiva come realmente rivolta contro di sé.
E bellezza. Vi era sempre bellezza, sul viso di Regina, in ogni sua espressione.
Quando fu da lei colta a fissarla distolse lo sguardo cercando una scusa, una qualsiasi.
"A questo proposito...mi chiedevo se stasera potremmo..."
Regina la interruppe, conoscendo troppo bene l'orgoglio, così caratteristico di quella donna, che ostacolava la sua richiesta.
"Stanotte tu ed Hope resterete qui"
E non era una domanda, così Emma si limitò ad abbassare lo sguardo ed annuire.
 
They swept away, nothing is what it seems,
that feeling of belonging to your dreams...
 
E alla fine così fecero, partirono. Senza parlarne più di tanto, nei giorni precedenti, senza porsi più dubbi o problemi.
Regina praticamente scomparve nel suo ufficio tra mari di pratiche e resoconti da leggere, uscendone solo a tarda sera, in tempo per cenare con loro. Si, con loro, perché nonostante non fosse in casa quasi mai aveva categoricamente impedito ad Emma di tornare a casa sua. E non importava che lei fosse una donna adulta e padrona di sé stessa: fino a quando c'era Hope, questa era la scusa, lei non poteva riportarla a casa. Né poteva lasciarla sola da Regina, ovviamente.
Tuttavia Emma era tornata a casa sua, una mattina. Ad ogni modo avrebbe avuto bisogno di vestiti e di tutte le sue cose che, moltiplicatesi esponenzialmente negli anni da quando aveva trovato una casa, non aveva alcuna intenzione di lasciare lì. E poi, aveva la magia. Se anche avesse dovuto affrontarlo allora, non ne avrebbe più avuto paura.
Ma quando era arrivata a quella che era stata casa sua, l'aveva trovata vuota. Nessun biglietto, nessun messaggio, solo vuoto silenzio ed aria fredda che entrava da una finestra spalancata dal vento. Aveva sorriso sprezzante,  trovando lo scheletro di un'altra bottiglia sul pavimento. Ed in qualche modo, si era fatta pena da sola.
Aveva dunque recuperato le sue cose e le aveva lasciate a casa di Regina, di cui ormai da anni aveva le chiavi. Poi, lasciata Hope nelle mani di Jacinda, l'unica oltre a loro a conoscenza di tutti i fatti, aveva deciso di farla finita una volta per tutte. Chiudere il conto in sospeso che aveva con quell'uomo da persona adulta e responsabile, sperando che lui avrebbe fatto altrettanto.
Così si era recata al porto, la fede ormai abbandonata da qualche parte in casa di Regina.
No. Le piaceva pensarlo ma no, non era così. Era conservata al sicuro invece, perché rappresentava comunque una parte della sua vita, e lei aveva smesso di voler dimenticare e ricominciare, come sempre aveva fatto. Avrebbe ricominciato, ma con tutti i suoi ricordi e tutti i suoi errori.
Si era diretta alla banchina dove sapeva essere ormeggiata la Jolly Roger, con la speranza di trovarlo lì e chiarire come le cose sarebbero state da allora in avanti, ma al posto della nave vi aveva trovato solo il suo posto vuoto nella darsena . E la cosa, dopotutto, sebbene l'avesse colmata di disappunto dinnanzi alla puerilità e codardia di quell'uomo, non l'aveva stupita più di tanto.
Si era così arresa, ed era tornata da sua figlia, l'unica che meritasse davvero la sua presenza. Oltre che tutto il resto della sua famiglia, ovviamente.
Non era stato facile trovare le parole per spiegarle tutto, ma in qualche modo ce l'aveva fatta, aiutata da sua nuora, che non credeva di non aver mai apprezzato così tanto come in quel momento.
Hope era stata triste, per un po'. Era ancora piuttosto piccola, ma era sicura che avesse capito tutta la situazione. Perché, nonostante l'influenza paterna, era eccezionalmente brillante sua figlia, ed Emma non poteva evitare di pensare che fosse sopratutto a causa dell'essere stata cresciuta per gran parte da Regina.
Era stata certa però che quella tristezza non sarebbe durata a lungo, e a stento aveva rinunciato a chiamare il sindaco per chiederle di tornare prima a casa, visto che sapeva bene come un solo sorriso della donna ne avrebbe istantaneamente generato uno sul viso di sua figlia. Era sempre stato così, sin da quando era piccola. E fu così anche quel giorno, nell'intesa di uno sguardo silenzioso tra loro, e nel modo in cui Regina, seppure stanca e affamata, si prese cura di lei quella sera, facendola giocare e chiacchierare in quella sua lingua ancora un po' incerta e confusa finchè, con una dolcezza che aveva minacciato di sciogliere il cuore di Emma, Hope si era addormentata, esausta ma sorridente, tra le braccia della donna.
Quando l'aveva messa nel suo lettino poi, Emma, che cercava sempre, per quanto le era possibile, di far trovare all'altra la cena pronta o qualche piccola sorpresa che servisse, se non altro, a ripagare seppure in minima parte tutto quello che Regina stava facendo per loro, aveva cenato con lei e le aveva raccontato come le cose erano finite.
Neanche Regina era stata sorpresa. Tutt'al più l'aveva vista...sollevata. E doveva in fondo ammettere di esserlo a sua volta, perché non era sicura di essere in grado di reggere ancora il timore che sua figlia le fosse portata via. O un'altra, semplice, discussione con lui.
E dunque fino a quando erano partite, l'idea di quel viaggio era ormai diventata naturale e quasi essenziale,ora che non c'era più niente a fermarle e che avevano lavorato così tanto per renderla possibile. Per non parlare di quanto si era impegnato Henry, che pareva aver aperto in casa sua un misto tra uno studio di ricerca ed un'agenzia viaggi.
Aveva pensato ad ogni dettaglio, a suo dire, ma nessuna delle due sapeva dire perché quelle parole più che tranquillizzarle le preoccupassero lievemente. Non che non si fidassero di loro figlio ma... a volte aveva delle idee strane, in quella sua fede cieca per i lieto fine che nessuna di loro due condivideva. Doveva aver preso dai suoi nonni senza dubbio.
 
Andarono in macchina fino a Boston. Guidò Emma, mentre Regina si occupava di Hope che non era troppo paziente nel trascorrere in macchina più di cinque minuti.
Attraversare quel confine, dopo anni, fu strano. Per Emma fu quasi un tornare alla realtà dopo aver vissuto in una bolla per tutto quel tempo. Ed istintivamente si voltò, superata quella linea, per controllare che loro fossero ancora lì, che il confine non desse problemi, come aveva sempre fatto, ma più di tutto che la sua bambina fosse ancora lì, che non fosse stata solo frutto della sua immaginazione, irreale come sembravano quegli ultimi due anni. Ma voltandosi trovò solo Regina che sorrideva con amore infinito ad Hope, giocando con lei, e si trovò a pensare che ne era valsa la pena, mentre un sorriso le accarezzava le labbra. Tutto quello che nella sua vita aveva passato, ne era valsa la pena, per avere loro. Così come erano, e come non sarebbero mai potute essere se la sua vita fosse stata diversa. E forse era per quello, si disse, che non sarebbe mai riuscita in fondo ad odiare Regina nonostante quello che aveva fatto. Perché troppe erano state le cose belle che vi aveva ricavato, alla fine, da quella vita. Così tante da superare in importanza quelle brutte: le ferite e la solitudine. 
E per un solo, fugace, attimo, in fronte alla luce del sole, le parve di appartenere ai suoi sogni. A quelli che aveva da bambina, in cui ancora, nel profondo, credeva.
 
 
 
 
 
 
 

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Capitolo 2
*** Più paura dell'Inferno ***


Listen to your heart, when it's calling for you…
 
L'albergo che Henry aveva scelto per loro era abbastanza in centro, ma non in zona troppo caotica. Ed entrambe apprezzavano quella scelta.
 Lo aveva scelto, in realtà, perchè nella sala da ballo che esso ospitava al piano terra, sarebbe stata organizzata una festa per la vigilia di Capodanno, una delle migliori, a detta delle recensioni bostoniane ed anche esterne, a cui aveva voluto assolutamente che loro prendessero parte.
E, una volta entrate nella hall, nessuna delle due ebbe più dubbi sul perchè quell'albergo potesse ospitare addirittura balli.
Era imponente. Si ergeva maestoso, dall'esterno, nella sua struttura di vetro e metallo, in un disegno alquanto futuristico che, per quanto potesse conferire quella sensazione di freddo classica del suo genere, dava invece all'interno spazio ad una calorosa ospitalità.
Persino Regina ne rimase affascinata, il che voleva dire molto.
Ciò che le stupì fu, oltre agli enormi spazi, punteggiati di luci a led, sui toni del nero, del bianco e del grigio, il calore e la familiarità che riuscì ad ispirare in loro al primo sguardo, normalmente sensazioni che vanno più d'accordo con mobili in legno, camini scoppiettanti e grandi tappeti dai colori caldi; quell'albergo non aveva nulla di tutto ciò, eppure riusciva ad ispirarle ugualmente.
Dopo essersi date un'occhiata intorno, si avvicinarono al banco della reception. Emma rimase qualche passo indietro, con Hope addormentata sulla spalla, lasciando parlare lei.
Regina salutò cordialmente la ragazza al banco chiedendo poi per la sua prenotazione.
"Mills...dunque mi faccia vedere...si, stanza matrimoniale con lettino, giusto?"
E non le sfuggì lo sguardo indagatore che la ragazza rivolse ad Emma e ad Hope, distanti solo pochi passi.
"No io...ci deve essere un errore, doveva essere una stanza doppia o...due stanze separate, non lo so"
La giovane si strinse nelle spalle
"Qui c'è scritto stanza matrimoniale con lettino.  è sicura di non aver sbagliato al momento della prenotazione? Sa, con le prenotazioni online è molto facile..."
Smise di ascoltarla. Certo, poteva aver sbagliato, ma il punto era che non era stata lei,a prenotare.
Avrebbe pensato a tutto Henry. Certo.
Avrebbe dovuto saperlo.
A volte quel ragazzo era cosi simile a sua madre che...
Lanciò un'occhiata preoccupata ad Emma ma lei era troppo impegnata con Hope per notarla. Così con un sospiro tornò a rivolgersi alla ragazza.
"Senta non sarebbe possibile... cambiare camera?"
Lei scosse la testa dopo aver scrutato attentamente lo schermo del suo computer
"Mi dispiace signora, ma... avete prenotato una sola camera e ora siamo al completo, non posso più cambiarla ne aggiungervene un'altra."
Regina sospirò nuovamente. Non le pareva una buona idea andarsene in giro a cercare un albergo, visto che era già passata l'ora di pranzo e avrebbero dovuto prendere a breve parte alla festa. E le pareva un'idea ancor meno invitante passare la notte in un albergo trovato per caso, di cui non sapeva nulla. Fatta parte per i suoi scherzi, era certa Henry si fosse ben documentato sulla reputazione di quell'albergo prima di mandarci le sue madri e sua sorella. Così scosse la testa.
"Non si preoccupi, va benissimo così. Possiamo salire in camera?"
"Certamente, solo un momento"
La ragazza esaminò i loro documenti e le fece firmare alcuni fogli prima di lasciarle andare con la chiave.
Emma la guardò lungo il tragitto, notando la singola chiave.
"Abbiamo stanze comunicanti?"
Regina le rispose tenendo ostinatamente lo sguardo puntato sul corridoio innanzi a se
"Abbiamo la stessa stanza"
Emma la guardò scioccata
"Cosa?"
"Non fare quella faccia. Chiedi a tuo figlio"
Emma chiuse la bocca. Non aveva bisogno di vederla, Regina, per sapere che faccia aveva fatto.
Insomma, non che le dispiacesse avere la sua stessa camera, solo che...solo che...
Solo che significava avere lo stesso bagno, letti vicini, stessi luoghi per poggiare gli abiti, stesso ambiente per cambiarsi... e se poi Hope si fosse svegliata di notte piangendo? Avrebbe dato fastidio a Regina.
E se, legata com'era alla bruna, la bambina avesse deciso, preteso, di dormire con lei?
Non che non fosse mai successo ma... insomma Regina era in vacanza, doveva rilassarsi, non badare a sua figlia.
Sospirò.
Il punto era che era incredibilmente allettante, l'idea di avere la stessa stanza di Regina, e al tempo stesso assolutamente terrorizzante.
Anche in casa sua, avevano ovviamente avuto stanze separate. E se fossero state strette? E se magari i suoi vestiti non fossero stati profumati come quelli di Regina?i Non potevano essere profumati come quelli, i suoi. Niente poteva essere profumato come i vestiti di Regina. E i capelli, di Regina, e...
Si accorse di star divagando solo quando l'altra raggiunse finalmente la stanza ed aprì la porta, rivelandolel'unico, piccolo, insignificante dettaglio che ancora non sapeva: che avrebbero avuto un solo letto.
Non seppe più che pensare a quel punto, Emma.
Regina invece si infilò nella stanza con poco più di uno sguardo e passo spedito, raccomandandole di chiudere la porta a chiave. Ed era chiaro, era evidente, che a Regina quella situazione non piaceva, ed era solo colpa sua. E di Henry.
Dannazione ad Henry!
"Regina, se non ti sta bene sono sicura che ci sia un'altra soluzione. Posso andare a chiedere se hanno..."
"E non credi che io lo abbia già fatto?" rispose l'altra bruscamente girandosi
Emma fece un passo indietro
"Scusa... certo che lo hai già fatto..."
E non fu sicura del perché ma quello sguardo quasi infastidito che vedeva sul suo volto fu in grado di rattristarla.
"Va bene non...non importa, posso...posso dormire sul tappeto io, prendi pure il letto"
"Non dire assurdità. Quel letto è abbastanza grande da ospitarci entrambe. Non c'è niente di male...no?"
ribatté Regina, deglutendo.
Non c'era niente di male, no. Come non c'era niente di male nello stare in camera con Emma. Il male era solo in lei ed in quello che provava. Il male era in come aveva risposto ad Emma quando sapeva bene che non era colpa sua. Non era in viaggio con lei per trattarla così, per farla sentire come qualcuno prima aveva già fatto. Ma avrebbe parlato con suo figlio molto presto, oh, se l'avrebbe fatto...
"No..." sentì rispondere da Emma a bassa voce, mentre chinava lo sguardo ed in silenzio posava piano Hope sul letto per poi dedicarsi alle valigie.
E l'inconfondibile senso di colpa che ormai riconosceva così bene nella sua voce ne generò nel suo petto uno altrettanto potente.
"Emma, mi dispiace. Non volevo risponderti male, io...ero solo sovrappensiero. Per te..." cercò il suo sguardo: " ...per te è un problema?"
Emma le sorrise, leggermente rincuorata
"No, non lo è"
Sorrise a sua volta solo per un istante , per poi trovare occupazione nel sistemare le valigie e nel controllare tutte le funzionalità della stanza.
"Sono tutti così, gli alberghi?"
chiese dopo un po', guardando con meraviglia il frigo bar.
Emma ridacchiò divertita
"No...beh dipende da quello in cui vai. Sono stata in posti che... di sicuro non avrebbero soddisfatto neanche lontanamente le esigenze igieniche di sua maestà"
Regina fece una smorfia richiudendo il frigo, che Emma trovò assolutamente adorabile.
"Suppongo di dover ringraziare Henry allora..."
La bionda rise ancora
"Suppongo di si. Magari..." pensò ad un modo per difendere suo figlio da quelle che sapeva sarebbero state le accuse che lei gli avrebbe rivolto non appena avuta occasione di parlare con lui
"Magari questa era l'ultima stanza disponibile, e lui che sapeva quanto buone fossero le condizioni di questo albergo ci teneva affinché tu avessi la possibilità di stare qui comunque, non credi?"
Regina le lanciò un'occhiata sospettosa
"Stai cercando di difenderlo?"
Emma roteò gli occhi
"Andiamo Regina! Alla fine ci ha trovato una buona sistemazione, no? Avremo persino una festa a cui partecipare! Non essere troppo dura con lui, in fondo... è normale che creda possiamo stare in camera insieme no? Siamo le sue madri, siamo amiche, qualsiasi amica non si porrebbe problemi..."
Si zittì forse troppo tardi, arrossendo e distogliendo lo sguardo. Perché era naturale, quello che aveva appena detto, era vero. Ma altrettanto scontati erano, in ciò che aveva detto, quei problemi che invece loro si ponevano. Quasi fosse una cosa ovvia ad entrambe e tuttavia mai rivelata.
Tacque, e neanche Regina le rispose, lasciando cadere lì la conversazione, cercando con noncuranza un qualcosa con cui tenersi occupata.
"A che ora è la festa?" chiese dopo un po'
Emma guardò l'orologio
"Alle otto c'è l'aperitivo"
Regina annuì.
"Hai guidato, magari dovresti riposare..."
"No grazie, sto bene. Penso che...uscirò un attimo a prendere una boccata d'aria. Sempre se per te non è un problema stare qui con lei..." guardò Hope addormentata.
Regina scosse la testa
"Certo che no, va pure"
E prese il suo posto sul letto accanto alla bambina, nel tempo in cui lei si coprì per uscire. La fermò appena prima che si chiudesse la porta alle spalle.
"Emma?"
"Mh?"
"Dove vai?"
Lei ghignò
"A comprare le sigarette"
La bruna la guardò interdetta per un momento per poi farsi sfuggire un sorriso
"Certo, come no"
Emma non ribatté, chiudendosi la porta alle spalle.
"A dopo"
 
Quando Emma tornò in camera mancavano ormai pochi minuti alle sette.
Era stata fuori per circa un'ora, vagando senza meta nei dintorni dell'albergo. Aveva bisogno di spazio, e di pensare. Perché tutto quello che stava avvenendo la sconvolgeva forse più del dovuto. La lasciava, se non altro, perplessa, ed impegnata ad ascoltare quello che ora il suo cuore comunicava, in quella nuova sinfonia di battiti. Perché si, qualcosa era cambiato anche al suo interno. C'era una sorta di sollievo, una liberazione, che non sapeva se attribuire alla separazione con Killian o ad una consapevolezza del tutto nuova che si stava lentamente affermando nella sua mente.
Ma per quanto la facesse sentire sollevata, la spaventava in eugual misura. E la presenza di Regina a così poca distanza da lei, per tutto il tempo che avrebbero trascorso in quella vacanza non la aiutava di certo a ragionare, per questo si era allontanata.
Ma non era tornata troppo tardi, per non lasciarle troppo a lungo la responsabilità di Hope, cosa che non le sembrava giusta, sebbene non nutrisse alcun dubbio che le facesse piacere.
Rientrando nella loro camera si fermò per un momento incantata, a ciò che vide. E chiuse piano la porta per non far rumore, rischiando così di rovinare quella vista unica che aveva davanti agli occhi.
Nell'attesa infatti, Regina doveva essersi addormentata, e giaceva ora su un fianco leggermente curvata attorno al piccolo corpo rannicchiato di Hope, che ancora dormiva beatamente.
Ed Emma trattenne il respiro e non mosse un passo. Non si era mai sentita così, così bene, così a casa, sebbene non fosse ora neppure nel paese che aveva iniziato a considerare come tale.
La sentiva più nitida ora, quella sinfonia che il suo cuore creava con battiti più possenti, o forse solo più evidenti nel silenzio che inondava la stanza ed il suo intero corpo.
Raccontava una storia, la storia di un vecchio sogno, di una vecchia ricerca di un misterioso quanto ambito tesoro che era stata lasciata incompleta proprio quando era stata sul punto di essere realizzata.
La storia di una bambina sperduta che ancora cercava il suo posto nel mondo, e che per un attimo, solo un attimo, parve realizzare che quel posto che cercava non era tra forti e salde mura, ma nell'aria condivisa da due respiri.
Sospirò, incapace di distogliere lo sguardo da loro, cercando di non ascoltare quei sussurri nella sua testa, ma era come bloccata, non c'era modo in cui potesse fuggire.
Finchè, con uno sforzo, guardò l'orologio che portava al polso, accorgendosi, nonostante il buio all'esterno avrebbe già dovuto farle intuire, che si era fatto piuttosto tardi.
Dunque, cercando di ricomporsi, si avvicinò a Regina, che sapeva non le avrebbe perdonato il lasciarla dormire un secondo di più, per quanto pacifico e magnifico il suo sonno potesse essere, e la scosse leggermente sfiorandole la spalla
"Regina...Regina sono le sette"
Regina si svegliò con un mugugno e voltò la testa per guardarla.
Spalancò pozzi scuri di infinito in cui, Emma ne era certa, di notte si sarebbero potute vedere le stelle, evidentemente sorpresa. Doveva essersi addormentata senza accorgersene, pensò.
Ma lei lo nascose subito, tirandosi a sedere con fin troppo vigore, finendo inevitabilmente, ed inaspettatamente, a soli pochi centimetri dal suo volto, tanto che quando parlò, Emma sentì il suo fiato sfiorarle la guancia
"Ti eri persa, per caso? O la "boccata d'aria" di cui avevi bisogno doveva riempire una piscina gonfiabile?"
Ed Emma rise. Semplicemente, rise, lasciando che la tensione che aveva inconsciamente accumulato scivolasse via insieme alla sua voce. Perché ridere ad occhi chiusi era più facile che tenerli puntati sulle sue labbra, cercando disperatamente di non cedere alla tentazione di farle sue.
 
Era esattamente quello, il problema di avere un'unica stanza.
Entrambe dovevano essere pronte in un ora, anzi, tutte e tre, e lo spazio per cambiarsi era uno.
Alla fine, contro ogni sua aspettativa, Regina offrì volontariamente di essere lei a cambiarsi in bagno, lasciando così loro la stanza. Scomparve dietro la porta pochi minuti dopo essersi alzata senza riapparirne più per molto tempo.
Emma invece fu molto più rapida. Aveva portato con se un abito che non metteva da anni, e che di sicuro non aveva messo più di una volta o due, perché non era il tipo da andare a cene galanti a quel punto. Eppure quando, tanti anni prima, lo aveva visto in un negozio in quella stessa città, non aveva potuto evitare di comprarlo: aveva sempre trovato gli smoking da donna di una fine eleganza, capaci di snellire la figura e donare un fiero portamento, e quando aveva messo gli occhi su quello che ora portava indosso, nella vetrina di quel negozio probabilmente più costoso di quanto lei potesse al tempo permettersi, aveva fatto una follia. Una delle tante della sua vita di allora, dopotutto. E forse aveva nutrito, in quel giorno lontano, la speranza di poter arrivare un giorno a metterlo davvero, e non per pompare l'eleganza di un appuntamento - che per altro finiva inspiegabilmente male quando ci provava-, ma perché sarebbe stato semplicemente l'abito adatto per quella circostanza.
E credeva non ci sarebbe potuta essere circostanza migliore di quella.
 Inoltre, le ricordava così tanto la sua vecchia vita, e così poco la "nuova" che si accingeva a lasciarsi, almeno in parte, alle spalle, che le era sembrato assolutamente perfetto.
Tuttavia metterlo era stato semplice, in pochi minuti aveva raccolto i capelli in una coda costeggiata da due trecce, per poi dedicarsi ad Hope e al suo vestito bianco con ricami argentati che lei tanto adorava.
Aveva sistemato anche i suoi capelli, a fatica, prima di lasciarla correre allo specchio per rimirarsi e giocare, sorridendo affettuosamente.
Si era dedicata infine al trucco, un'attività in cui non era molto pratica e sopratutto mai soddisfatta.
Dopo un quarto d'ora a rimuovere e riapplicare lo stesso trucco con un millimetro di differenza dalla volta precedente, in una frenesia che le era estranea e che rifiutava categoricamente di spiegarsi, decise di averne abbastanza. Hope era ancora intenta a giocare, parlando con se stessa e facendo smorfie allo specchio, riempiendo la stanza di piacevoli e allegre risate, così optò per uscire sul balcone.
Non era molto grande, giusto lo spazio necessario per respirare aria di sera di città e lasciarsi carezzare dalle luci, brillanti in ogni dove, tra i palazzi e nelle strade.
Emma sospirò, poggiando la schiena al muro alle sue spalle.
Doveva ammettere che tutto quello le era mancato. Dopotutto, aveva passato vent'otto anni in città più o meno grandi, quello era l'ambiente a cui era abituata. Forse per questo all'inizio Storybrooke l'aveva messa un po' in soggezione.
Ma sopratutto, quello che le mancava era la notte, quel preciso spettacolo che ora vedeva davanti ai suoi occhi: il rumore confuso ma soffuso, interrotto nel momento più inaspettato da un urlo, un clacson o una qualsiasi altra onda sonora che su di esso si propagasse; le luci che sostituivano le stelle sotto un cielo poco meno che nero, di mille colori, baluginanti, abbaglianti; quel sentire la città pulsare intorno a sé, quasi sul punto di inghiottirla ma ancora, gettandola fuori da un altro tunnel, in una assuefacente realtà.
Si, Emma amava la naturalezza di Storybrooke, i sussurri del bosco e il silenzio stellato che di notte inondava le sue strade, in una sorta di magica caligine, ma doveva ammettere che c'era qualcosa di magico anche lì, nel mezzo della vita umana, con le sue emozioni, i suoi pregi, i suoi crimini ed i suoi difetti, tra le sue creazioni. Perché dopotutto era solo quello per lei, la notte in città: vita.
Sospirò ancora ed, in un gesto la cui naturalezza aveva dimenticato, estrasse dalla tasca una sigaretta.
Non aveva mentito a Regina, lei non mentiva mai, a Regina. Aveva comprato davvero delle sigarette.
Controllò che Hope non potesse vederla, poi la accese, inspirando profondamente una boccata di fumo e di ricordi.
A dir la verità l'idea non l'aveva sfiorata fin quando non lo aveva detto. Le era parso un gioco, in quel momento, ma solo mettendo passi in quella città che sapeva troppo e niente di lei aveva deciso di farlo per davvero.
Erano passati anni dall'ultima volta, davvero tanti anni, e il fumo pizzicò leggermente la sua gola strappandole un lieve colpo di tosse.
Non fumava da quando era finita in prigione.
Aveva iniziato molto presto, da giovane, come quasi tutti i ragazzi sperduti come lei. Non era mai arrivata a dipendervi del tutto, però le era sempre piaciuto. Le piaceva osservare le volute di fumo, lasciare che portassero con loro ogni bruttura, almeno ognuna di quelle presenti nel suo cuore. Era una sorta di gioco che si era inventata da ragazza: per ogni espirazione, un pensiero brutto doveva andar via. Era affamata, e d'un tratto non lo era più. Aveva freddo, e presto era sparito. Si sentiva sola, e il fumo creava sul muro ombre che la tenevano compagnia. Non era sano, lo sapeva e lo aveva sempre saputo, ma non le importava più di tanto allora: spesso trovare sigarette abbandonate era persino più facile di trovare cibo, in alcuni dei luoghi peggiori dove aveva vissuto.
Ma da quando era entrato nella sua vita e nel suo ventre, Henry le aveva portato un intero nuovo senso di responsabilità che l'aveva fatta smettere senza indugio: in quei nove mesi era stato lui a farle compagnia,a darle calore e a far passare la sua fame. Oltre naturalmente alla difficoltà del fumare in prigione. E quando ne era uscita era già troppo abituata a farne a meno per riprendere. Aveva deciso di dare nuova forma alla sua vita, ed un vecchio amico non era di certo il punto da cui partire.
E non sapeva per certo perché in quel momento ne aveva sentito il bisogno. Era una sorta di passaggio,  un'ulteriore mano tesa verso la persona che era e che forse aveva respinto troppo negli ultimi anni. Solo un altro mezzo per evadere da una scomoda realtà odierna e da sentimenti nuovi, o meglio, antichi, ma così fortemente repressi da parere quasi sconosciuti.
Si, si era sentita così delle volte, vicino a Regina. Aveva sentito, quel bisogno di sentirla vicina, quell'imbarazzo in ogni gesto che poteva farla avvicinare, quel modo speciale ed imprevisto in cui il suo cuore batteva quando era con lei e quel modo in cui forse non batteva affatto, lontano da lei. Dopotutto, c'era la magia, no? Tutto era possibile. Ma no, Emma sapeva fosse una sciocchezza, solo che a volte la sensazione era stata davvero quella, al punto che era arrivata a chiedersi se lo avesse ancora, un cuore nel petto, se Regina non avesse invece deciso di prenderselo a sua insaputa e richiuderlo in uno degli scrigni nella sua cripta per averla in pugno. Ma poi lei le aveva sorriso, e allora aveva capito che non avrebbe mai fatto una cosa del genere, semplicemente perché non aveva bisogno di avere il suo cuore per averla in pugno.
Eppure erano passati anni da quei pensieri, da quelle sensazioni. Il tempo affievolisce tutto, lo sopisce, per lo meno: il dolore, la gioia, e persino quello. Qualsiasi cosa fosse stato.
E dunque non capiva perché dovesse ripresentarsi ora, quando non lo voleva. Perché senza di Uncino... quelle emozioni sarebbero potute addirittura arrivare a prendere il sopravvento. E non era quello che lei voleva. E di certo non era quello che Regina voleva. E per come si stava prendendo cura di loro, Regina meritava solo il meglio, che non aveva mai avuto per davvero.
Era nel mezzo di questi pensieri quando la porta del balcone si spalancò facendola sobbalzare. Regina ne uscì e la chiuse velocemente alle spalle. Vide il suo sguardo, una scintilla nel buio,esaminarla, soffermarsi sulla sua mano, una miccia rovente ora, incandescente nelle tenebre più di quella sigaretta che ancora stringeva tra le dita.
"Che cosa stai facendo?"
Ed Emma rabbrividì per il freddo che sentì improvvisamente sulla pelle a quelle parola, quasi una minaccia di non sapeva bene cosa, se non avesse dato la giusta risposta. E rabbrividì anche per un improvvisa ondata di calore che sentì arrivare alle guance, a quel tono profondo e rauco.
Seguì il suo sguardo e fissò a sua volta la sigaretta nella propria mano
"Io..."
"E questo che hai intenzione di fare, davvero?"
Deglutì Emma, senza saperle rispondere, senza fiato dinnanzi all'autorità che la sua figura regale emanava, nel mezzo di quell'ondata di profumo che la raggiunse mentre i suoi capelli si mossero, scossi dal vigore delle sue parole e dal vento che li accarezzava, gentile.
"Non sapevo fumassi..."
E non seppe bene per quale motivo, ma le parve quasi... ferita, la sua voce.
"Infatti non fumo"
"E cosa fai con una sigaretta in mano allora? Ti riscaldi le dita?"
Emma ebbe l'istinto di ridere per la ridicolaggine di tutta quella situazione, ma lo represse. Si strinse nelle spalle, invece
"Fumavo, da giovane. Ne avevo voglia."
"Ne avevi voglia?! Emma non..."
Si zittì, sconcertata, arrabbiata. La vide cercare con lo sguardo Hope nella stanza che ancora giocava, per poi riportarlo su di lei, la sua espressione contratta, ora ammorbidita
"Quella bambina lì dentro è tua figlia. Sei madre ora. E non voglio insegnarti come esserlo ma...non puoi permetterti neanche un momento di debolezza. Lei..."
di nuovo il suo sguardo si perse sulla piccola figura felice all'interno
"...lei vale più di tutto il resto"
Emma non proferì parola. Sarebbe dovuta essere arrabbiata per quelle parole, ma non ci riusciva. Sapeva benissimo che lei aveva ragione, l'aveva sempre avuta, era e sarebbe sempre stata una madre migliore di lei. E poi, dinanzi all'affetto profondo e sconfinato che vedeva nei suoi occhi per una bambina che non era neanche sua figlia, cosa avrebbe potuto dire?
Non avrebbe mai smesso di meravigliarla, Regina. Anche se la cosa dopotutto, non la meravigliava affatto.
La bruna riportò lo sguardo su di lei.
"Quindi ora..."
Riassunse il suo tono duro, allungando una mano e strappandole la sigaretta dalle dita, sfiorandole con le sue nel farlo. Ed Emma fu sicura di sentire ancora calore, per gli istanti successivi, non nel punto in cui aveva la sigaretta, ma in quello che le sue dita avevano sfiorato.
La vide spegnere la sigaretta e lasciarla in un posacenere nell'angolo.
"...vai dentro, ti lavi i denti e ti assicuri di non odorare di fumo e di essere perfettamente pronta prima di venire fuori da quel bagno, perché finchè non lo farai non lasceremo questa stanza."
Distolse bruscamente lo sguardo, portandolo sulla strada sotto di loro, e lasciandolo li, impassibile, lasciandola di quello privata.
Emma non disse nulla. Restò a fissarla solo per un secondo ancora, prima di girarsi lentamente e tornare dentro. La porta del bagno si chiuse pochi istanti dopo con un tonfo.
 
Emma uscì dal bagno solo dopo essersi assicurata di soddisfare tutte le condizioni che Regina aveva richiesto, con la vergogna per quel momento di debolezza che aveva sentito salire un attimo dopo essersi guardata allo specchio. Eppure, quando aprì la porta, già certa di non riuscire a guardare l'altra donna negli occhi per il resto della serata, dimenticò ogni cosa fissando lo sguardo proprio su di lei. Stava aiutando Hope a mettersi la giacca di lana e ridevano insieme nella loro solita, totale, complicità. I capelli scuri le cadevano in ciocche ai lati del viso, mentre stava leggermente chinata, mostrando ad intervalli il profilo di un viso leggermente truccato, mosso da una sincera espressione di divertimento, di labbra tinte di un porpora scuro, piegate in un dolce sorriso, dicendo parole alla sua bambina che Emma non colse.
Nel buio di fuori e nella situazione di poco prima non aveva potuto accorgersi di come lei apparisse, di quanto perfetta fosse.  Più del solito, come forse non l'aveva mai vista.
E quando raddrizzò la schiena davvero Emma sentì la bocca prosciugarsi, nonostante avesse bevuto solo pochi momenti prima.
Indossava un lungo abito da sera color indaco, ricoperto di argentea polvere brillante che, delicatamente sparsa,  ne illuminava ogni curva e ogni piega, come centinaia di stelle su un cielo notturno; un corto spacco laterale lasciava le caviglie libere di muoversi ed una fenditura ovoidale lasciava scoperta una porzione centrale del suo petto.
Era bellissima. Ed era naturale, come se per una volta non stesse usando quella bellezza come una barriera.
Si, Emma non poteva dire di averla mai vista tanto bella prima d'allora.
Lei la guardò, senza malizia, le sorrise, genuinamente. Emma arrossì, colta a fissarla,ma poi incrociò i suoi occhi, resi ancora più profondi dal sottile contorno scuro, forse più luminosi e belli di tutto il resto, e vi vide solo pura accettazione, una sottile consapevolezza di quanto accaduto poco prima, il lieve timore forse di aver esagerato, stemperato però nel chiaro messaggio delle sue iridi: andava tutto bene. Sarebbe andato tutto bene.
E Emma adorava come solo Regina sapesse cullarla in questa consapevolezza, da sempre.
"Noi siamo pronte" disse lei dopo un istante
"Mamma sbigati!" la incitò sorridente Hope ballando sulle ginocchia, impaziente.
Emma lasciò uscire una lieve risata che stemperò la tensione accumulatasi dentro di lei
"Certo, certo. Sono pronta"
Regina sospirò drammaticamente
"La mamma è lenta Hope, cosa ci vuoi fare?"
Si beccò un' occhiataccia da Emma
"Non sono lenta, ero pronta da prima di te!"
Lei roteò gli occhi mentre Hope ridacchiava
"Si certo"
Emma decise di ignorare entrambe e andò a prendere il suo telefono. Lo accese solo per vedere l'orario, ma il suo sguardo inevitabilmente si fermò sulla foto che ancora aveva come blocco schermo. Tutti e tre loro, lei, Hope e Uncino, stavano in posa davanti alla macchina fotografica sorridenti. Risaliva a quasi un anno prima, con la piccola che a malapena si manteneva in piedi, ma sembrava essere passato un secolo, da allora. Si soffermò sullo sguardo dell'uomo accanto a se, sul suo sorriso. E forse si odiò un po', ma non riuscì più a riconoscerlo sincero come lo aveva sempre visto. Le ultime immagini che aveva di lui continuavano a sovrapporsi a quel volto cui tutta la fiducia aveva dato, nelle cui promesse aveva creduto, e che era cambiato negli anni come forse avrebbe dovuto aspettarsi ma come si era rifiutata di accettare fino all'ultimo.
Si accorse di star stringendo il telefono più del dovuto.
Il telefono, già. Se lui si fosse mai deciso ad accettarne uno, ora avrebbe potuto chiamarlo, e si, lo avrebbe fatto, per gridargli tutte le cose che avrebbe voluto e forse farla finita una volta per tutte. O forse chiarirsi, chi lo sa. Ma no, lui non aveva mai capito quei "dispositivi diabolici", per usare uno dei termini più gentili che aveva usato, lasciando lei come unica reperibile persino quando era arrivata Hope e c'era bisogno di contatti che potessero soggiungere in caso di bisogno.
Una nuova ondata di rabbia la percorse, e se non fossero dovute andare via, e se non ci fosse stata Regina pronta a prenderla a schiaffi per il suo comportamento, Emma era certa che l’avrebbe fumata via con tutte le sigarette del pacchetto.
Ma Regina era lì, e sua figlia anche.
Prese un respiro profondo e recuperò il pacchetto che ancora giaceva nella sua tasca lanciandolo velocemente nel cassetto del comodino, che richiuse subito dopo. Si voltò poi a guardare loro due, con i loro abiti che erano perfetti vicini. Sorrise e, raccolto il telefono si voltò, mettendosi di fronte a loro
"Sorridete"
Regina si voltò a guardarla perplessa. Quando capì, strinse la mano di Hope nella sua e sorrise, sentendo la bimba fermarsi per lo scatto.
Emma le fotografò e restò a guardare la foto sullo schermo per un momento, sentendo un sorriso iniziare a tirare, dispettoso, le sue labbra in su. Senza un ripensamento dunque, la mise come schermata di blocco, riponendo poi il telefono ed unendosi a loro con il più sincero dei sorrisi, mentre si avviavano verso la sala al piano terra.
 
Il vociare del centinaio di ospiti e il sottofondo della musica dal vivo giunsero loro già quando erano ancora sulle scale. Arrivate al piano terra, superarono il bar e, seguendo le indicazioni di un cameriere in livrea, raggiunsero la sala: le persone erano moltissime, una più elegante dell'alta, ad intrattenersi in leggere conversazioni ridendo di tanto in tanto, o ad infervorarsi su argomenti politici o di altro tipo sforzandosi di contenere il tono non appena questo saliva oltre le soglie della decenza per un luogo pubblico come quello. Camerieri si aggiravano con tartine o calici di uno spumante leggero, altri preparavano cocktail dietro un bancone dedicato, mentre altri ancora servivano caviale o affettavano capocollo italiano dietro un altro tavolo: quello era solo l'aperitivo, ma già vi era cibo sufficiente per sfamare tutti quegli ospiti e molti di più.
Emma sentì un moto di disgusto.  Le pareva di essere in uno di quei film sull'alta società degli anni cinquanta, pieno di ipocriti e milionari senza scrupoli, bravissimi a mantenere una perfetta facciata ma incapaci di provare reali sentimenti dietro di essa. Certo, non erano tutti così, ma quella era l'impressione che davano in quel momento, innanzi ai suoi occhi. Non aveva mai sopportato quel tipo di individui, quel tipo di sprechi, dopo la fame e la povertà che aveva conosciuto.
Si accorse tuttavia che erano rimaste entrambe sulla soglia a fissare l'interno. Probabilmente era un ambiente in cui Regina si sarebbe trovata bene invece, pensò. Anche lei era una milionaria, dopotutto, sebbene non convenzionale. E di sicuro era abituata, in quanto regina e tutto il resto, ad ambienti del genere. Ma quando guardò il suo viso non vi trovò la conferma che si sarebbe aspettata. Le sue labbra erano strette in una linea sottile, gli occhi a cercare una via di fuga, chiaramente a disagio. Emma si fece indietro, tirandole fuori dalla sala, in un angolo più tranquillo.
Aspettò che Regina la guardasse per parlare
"Cosa c'è?"
"Nulla" distolse lo sguardo
-Consapevole di star mentendo- pensò Emma.
D'impulso, portò le dita al suo mento e le sollevò il viso "cosa c'é?"
Ritirò la mano di scatto, continuando però a fissarla.
"Nulla. è solo che...mi ricorda così tanto le feste al castello di Leopold, tutte quelle persone che ridono mentre tu..." si zittì mordendosi la lingua prima di dire troppo.
Emma continuò a fissarla, quasi potesse sondare con lo sguardo lo strato di dolore che ricopriva la sua vita
"Ma tu non sei mai stata ad un evento così." riprese Regina
" Lei..." guardò Hope e sorrise "...si divertirà. Andiamo."
Fece per riportarle dentro ma Emma la fermò.
"No. Andiamo."
Rimase stupita Regina, dalla decisione nella sua voce.  E dalle sue parole.
"Come?"
Emma le prese gentilmente il braccio, con la mano che non stringeva quella di sua figlia, e la trascinò con sé nella hall
"Emma, dove stiamo andando?"
"Aspettatemi qui"
Non disse nient'altro e di corsa sparì nell'ascensore. Regina rimase a guardarla basita da quel repentino cambiamento, ma presto fu tenuta occupata da Hope che, capendoci ancor meno di lei, le chiedeva spiegazioni.
La bionda tornò poco dopo con i loro cappotti e il suo già indosso. Porse a Regina il suo, rigorosamente nero, e aiutò Hope ad indossare il proprio. E Regina, stranamente, fece come indicatole senza replicare, seppur non si trattenne dal esprimere la sua perplessità
"Dove hai intenzione di andare, Emma? Pensavo dovessimo prendere parte alla festa..."
Alzò lo sguardo su di lei rimettendosi in piedi
"Non 'dobbiamo' fare niente, Regina. Siamo qui per rilassarci e divertirci, anche tu" la zittì prima che potesse interromperla "ed è quello che faremo"
"Ma Henry ci teneva tanto a che noi vi prendessimo parte..."
Emma rise
"Sono certa che non sia come lui lo immaginava. Ad ogni modo...non deve venirlo a sapere per forza"
Si avviò verso l'uscita con Hope, venendo subito seguita da Regina, e dal sorrisetto divertito che era spuntato sulle sue labbra, forse semplicemente lusingato, da un'attenzione semplice come quella eppure così rara
"Mi stai suggerendo di mentire a mio figlio?"
"Nostro, figlio. E si, è un adulto ormai, hai il diritto di mentirgli"
Regina la guardò scioccata
"E questo cosa dovrebbe significare?"
Ma non ebbe risposta, poichè Emma decise di ignorarla uscendo nella fredda sera bostoniana.
 
 
Listen to your heart, there's nothing else you can do…
 
 
L'aria fredda urtò improvvisamente le sue gambe, protette solo dalla stoffa del vestito e dalle calze leggere, mandando un brivido giù per la sua schiena: non si aspettava facesse così freddo. A dir la verità, non si aspettava di dover uscire del tutto, quella sera, ma Emma pareva più che determinata a proseguire in quel suo folle piano, testarda come al solito. La cosa le strappò un altro sorriso, che parve non voler abbandonare le sue labbra neanche quando parlò, tingendo di una dolce sfumatura di divertimento la sua voce, mentre si affrettava, nel ticchettio irregolare dei tacchi sulla pietra, a tenere il suo passo
"Potrei almeno sapere dove stiamo andando?"
chiese con un leggero affanno. Non era arrabbiata, e come poteva esserlo, d'altronde? Ma non intendeva mostrarlo, non subito, non l'avrebbe lasciata vincere così, per quanto era certa che la sua voce non lasciasse molti dubbi riguardo al suo stato d'animo. E non sapeva controllarla la voce, Regina? Da quando aveva perso quella abilità che era sempre stata in lei così innata?  Da anni forse, in ogni singolo momento passato al fianco di quella donna dagli occhi di quel verde, e di quella sincerità, disarmante. Quella donna che era in grado di farla sorridere, no, di più, di renderla felice, come si sentiva allora, anche con le sue follie, come uscire d'improvviso nella sera mandando all'aria ricevimento e tutto - profumatamente pagato- per andare a finire chissà dove. Perché si augurava davvero che lo sapesse Emma, dove stavano andando.
Follie che non avrebbe mai tollerato, in altre circostanze.
Però non doveva saperlo Emma, di avere quel potere su di lei. Perché per quanto grande fosse, Regina era certa non lo avesse ancora notato. E non doveva farlo ora, no, non perché l'avrebbe usato contro di lei, ma perché semplicemente il suo sceriffo non poteva contraddirla. Non poteva trascinarla fuori nell'ignoto e passarla liscia.
Ma era poi una gara, quella che stavano facendo? Forse, forse no.
Forse lo era sempre stata, nel bene e nel male.
E perché mai, perché mai all'improvviso tutti quei pensieri, si chiese Regina, mentre osservava quella coda bionda ondeggiare ad ogni passo, in attesa di una risposta che tardava ad arrivare.
Perché così, dopo anni di sforzi per mandarli via, per non esserne più vittima, come ne era stata in un tempo lontano? Perché sentiva ancora, nel profondo del suo petto, quella spina grondante veleno verde di speranza, verde dei suoi occhi, dopo averla sentita spezzarsi così tante volte, pronta a perforare e avvelenare di nuovo il suo cuore?
Eppure se lo era detto, di non lasciare che crescesse di nuovo. Se lo era detto, quella notte di Natale in cui lei era giunta alla sua porta in lacrime, ma evidentemente il suo spirito fragile non aveva resistito ad una tanto potente tentazione, al richiamo di quel benessere e voglia di vivere che, nonostante tutto, quella speranza le aveva dato e continuava a darle, finchè viveva in lei.
Forse perché ne aveva solo bisogno, un bisogno disperato. Di ritrovarla ancora com'era, di sfidarla ancora, di raggiungere in quel improvviso senso di libertà, la sua giovinezza. Di sperare ancora.
E, di questo Regina era sicura, solo Emma poteva farla sentire così.
"In un bel posto...vedrai."
Le sembrò leggermente dubbiosa la sua voce, ma non disse nulla, infondo non era importante, non davvero.
Hope tirò la manica di sua madre
"Amma, pecchè corriamo?"
Emma le sorrise intenerita e si fermò un istante per prenderla in braccio, riprendendo a camminare subito dopo
"Corriamo, amore mio, perchè altrimenti facciamo tardi e non riusciamo a cenare prima di mezzanotte"
"E che obbiamo fare a mezzanotte?" la bimba la fissò inclinando il capo, mentre Emma aveva rallentato l'andatura, permettendo così a Regina di raggiungerla su quei suoi tacchi vertiginosi
"Beh, a mezzanotte inizia il nuovo anno. Sai, quello che ti ho raccontato? Si conta a rovescio fino allo zero, e allora ci si fa gli auguri e si festeggia perché inizia un nuovo anno"
"E pecché si festeggia?"
Regina trattenne una risata all'espressione confusa della piccola, ma non ritirò quel sorriso che nasceva spontaneo sulle sue labbra, senza che lei neanche se ne accorgesse, ogni volta che le vedeva insieme, Hope così curiosa su tutto ciò che la circondava ed Emma che si struggeva per trovare le risposte a tutte le sue domande, risposte che molto spesso neanche aveva, ma che comunque in qualche modo riusciva a trovare, in quella sua quasi disperata urgenza di dare a sua figlia tutta se stessa, e se possibile anche di più.
La vide mordersi il labbro distrattamente, alla ricerca della risposta più adatta, e si sforzò di aiutarla, non soffermandosi, no, su quel tocco fine di fascino che, dalla sua figura racchiusa in nero maschile, giungeva sino alla sua pelle in una vellutata carezza di seduzione.
"Beh, si festeggia perché un nuovo anno significa un nuovo inizio..." disse allora, trovandola la risposta più ovvia e semplice
"O una seconda possibilità" terminò per lei la frase Emma.
E solo per un momento i loro sguardi si cercarono e si intrecciarono, complici e diversi, scivolarono l'uno nell'altro, nello stupore degli occhi di Regina che lasciò lo spazio alla determinazione nuova che trovò in quelli di Emma, un determinazione che non seppe spiegare, ma che fu così potente da farla rabbrividire. Distolse lo sguardo, fissandolo ostinatamente sul pavimento e sulle proprie scarpe che continuavano ad inseguirsi sul lastricato gelido.
Non aveva senso, tutto quello. Non aveva senso e lo sapevano entrambe. Lo sapeva Regina, che ormai aveva imparato a riconoscere e a temere quella sensazione, e lo sapeva Emma, che al momento non sapeva nient'altro se non di star ricadendo, per la seconda volta quella sera, in una vecchia abitudine, seppur così usuale da ripiombarle addosso senza nemmeno chiedere alla sua mente il permesso, e da venirle così naturale da sembrare persino giusta. Ma non era giusta, di questo era consapevole. Non era giusto dare a Regina illusioni, non era giusto darle a se stessa, ma era così semplice, quando la bruna era ad un passo da lei, perentoria e determinata nei suoi passi, nella sua figura eretta, alta e regale, a porre rimedio a tutte le sue debolezze affrontando a testa alta al suo posto ogni indecisione e ogni problema. A dare a lei e a sua figlia, le risposte che cercavano.
Chiuse gli occhi per un istante, inspirando profondamente l'aria gelida della sera. Strinse di più a sé Hope che, soddisfatta della risposta, si era poggiata sulla sua spalla fissando apaticamente il marciapiede che si allungava alle loro spalle.
Faceva davvero freddo quella sera, non era certa che quella di uscire fosse stata una saggia decisione, dopotutto.
Ma faceva ancora più freddo, pensò, senza la voce, lo sguardo ed il sorriso di Regina, e se uscire e andare in un posto diverso, che fosse meno formale e non le ricordasse il suo passato, glieli avrebbero riportati, allora ne valeva la pena.
La guardò e sentì la necessità di riavere il suo volto sorridente
"Non ti stò portando in nessun posto malfamato, tranquilla"
Regina alzò lo sguardo e la accontentò, donandole un sorriso, che in breve divenne una corazza, malizioso e scettico
"Lo spero bene, signorina Swan"
Emma rise, e quel suono risollevò inconsciamente l'animo di entrambe. Poi, fissò lo sguardo su un palazzo all'isolato successivo
"Siamo arrivate"
 
Dovettero salire fino all'ultimo piano per raggiungere il locale, che si trovava infatti in un ampio attico che di giorno doveva vantare una luminosità invidiabile. Una grande sala ospitava pista da ballo e tavoli tutt'intorno; più che di autentici tavoli, si trattava di parallelepipedi trasparenti contenenti fili di luci blu, contornati di divanetti in pelle bianca e indaco. Aveva un aspetto più moderno di come Emma lo ricordasse, complici le luci blu ad illuminare la sala in una calda atmosfera al tempo stesso non opprimente, in un'omogeneità spezzata solo da sparse serie di lucine bianche memori delle passate festività natalizie.
Quando vi andava lei, o meglio, quando sognava di andarci, quel luogo era ancora più semplice di così, ma, non sapeva bene perché, le aveva sempre dato un'idea di raffinatezza ed eleganza mista a fascino cittadino. Allora non conosceva ancora Regina ma... dovendo essere sincera con se stessa era già da un po' che aveva ricondotto a lei, al suo stile e alla sua raffinatezza, quel posto, sebbene non avrebbe mai creduto di avere davvero un giorno la possibilità di portarcela.
Ed era buffo, perché lo aveva sempre collegato all'uscita romantica che, da ragazza, sognava di avere, alla persona perfetta che lì l'avrebbe accompagnata, non certo ad una fuga da un ricevimento eccessivamente pomposo con sua figlia e l'altra madre di suo figlio. Eppure i sogni molto spesso si sbagliano, lo aveva imparato ormai questo, deludono. Ed era certa che sarebbe potuta restare delusa più facilmente da un appuntamento romantico che da un' uscita con sua figlia e la sua migliore amica...si, la sua migliore amica.
A tal proposito la guardò, curiosa della sua reazione.
E se il posto non le fosse piaciuto? Fosse stato troppo distante, troppo moderno o...chiassoso, per i suoi standard? Nell'aria risuonava una dolce musica blues.
Cercò risposte sul suo viso ma vi trovò solo lieve stupore e meraviglia nello sguardo. Strinse a se Hope, quasi a cercare nella bambina il coraggio che le mancava.
"Ti... piace?"
E in fondo non sarebbe dovuta essere così nervosa, in fondo quello non era un appuntamento, era solo una fuga, se anche il posto non le fosse piaciuto se non altro non aveva nulla in comune con quello da cui stavano scappando. Ma non poteva fare a meno di esserlo.
Regina la guardò e deglutì. Si sforzò di mascherare la meraviglia che le invadeva lo sguardo, e quel torpido calore che, come sul corpo a causa dell'aria calda del locale, sentiva allargarsi nel petto. Sorrise.
"é davvero bello..."
Stava per aggiungere altro ma fu interrotta da un cameriere che si avvicinò loro per accoglierle. Emma mise Hope a terra e chiese all'uomo il tavolo più vicino alla grande vetrata circostante presente.
Finirono in un angolo alquanto appartato della sala, i tavoli intorno ancora vuoti . Emma si preoccupò di sistemare Hope per poi notare con sollievo la presenza nel locale di una piccola zona di giochi per bambini: almeno, nel peggiore dei casi, non si sarebbe annoiata.
Amava tanto il suo piccolo angelo, che cresceva così in fretta. Sorrise nel vederla correre entusiasta, avvolta nel tulle del suo vestitino bianco che svolazzava vivace intorno a lei, fino all'enorme vetrata per restare a fissare, stupefatta, la vita notturna della città scorrere quaranta piani più sotto. Era così curiosa, la sua Hope, così forte, nonostante tutte le stranezza degli ultimi giorni evitava di fare domande. L'aveva scoperta a fissarla, a volte, quasi preoccupata, accorgendosi solo dopo dell'espressione presente sul suo stesso viso, stanca e sconfortata. Allora le aveva sorriso e l'aveva abbracciata, dicendole che andava tutto bene, che non aveva nulla di cui preoccuparsi perchè c'era la mamma, a proteggerla sempre. E se non c'era la mamma, c'era zia Regina.
Ma Hope non meritava quelle preoccupazioni, e non poteva evitare di sentirsi sempre terribilmente in colpa per quello.
Presero posto, lasciando la bambina libera di vagare pur senza perderla mai di vista, e restarono relativamente in silenzio fin quando non ordinarono piatti raffinati ma semplici, strani al punto giusto, per non tralasciare quella punta di ignoto necessaria per godere di ogni pasto fuori da casa propria.
E alla fine si ritrovarono ad attendere, con Hope a scorrazzare in giro e con troppi pochi punti per posare lo sguardo che escludessero la reciproca figura.
"Grazie" si sentì in dovere di dire Regina ad un tratto. Continuò, notando lo sguardo perplesso dell'altra
"Per avermi portata qui intendo, per non essere rimaste in quel posto"
Il cameriere riempì loro i bicchieri di vino rosso, ed Emma ne prese un sorso prima di incrociare finalmente i suoi occhi e sorridere
"Te l'ho detto, non siamo costrette a fare nulla, potevi dirlo subito che non avevi voglia"
"Non mi aspettavo fosse...così. Così simile a come era...pensavo di averlo superato" confessò, quasi in un sussurro
"Come era? Voglio dire... se ti va di parlarne"
Regina sorrise lievemente, chinando per un momento lo sguardo
"Beh era... disgustoso. Provavo disgusto"
La bionda la guardò stranita, non aspettandosi una risposta del genere
"Per cosa?"
Si strinse nelle spalle, accennando un gesto vago con la mano
"Per tutto. Tutto quello che mi circondava. La gente che... beveva, mangiava, il vino che scorreva,i vassoi portati costantemente avanti e indietro, i balli sempre uguali, mascherati seppur a viso scoperto, le risate frivole, mentre tutto dentro di me stava urlando...mi faceva impazzire."
Si zittì solo per studiare lo sguardo negli occhi di Emma, concentrato, comprensivo, dolente ma non pietoso. Il suo silenzio la spinse a continuare, non prima di aver controllato che Hope fosse ancora sufficientemente lontana da non sentire
"Smisi di mangiare, per un periodo. Il cibo mi disgustava, la loro voracità...non mangiarlo mi faceva sentire diversa da loro, in qualche modo, libera. E mi lasciava in una sorta di trance data dalle debolezza, la notte, che mi impediva di percepire realmente ciò che avveniva intorno a me..."
Emma vide un brivido di dolore percorrere la sua pelle, mentre portava lo sguardo sulla città oltre il vetro
"Era meglio, in qualche modo. Nessuno si preoccupava di quanto mangiassi, men che meno mio marito, e la mia debolezza era vista solo come naturale evoluzione di una vita rinchiusa tra le mura di un castello"
Ancora guardò Emma. La vide quasi scioccata ora, sul punto di parlare, ma la fermò prima
"Smisi quando mi accorsi di non riuscire a stare più in sella al mio cavallo. Avrei sopportato qualunque cosa pur di poter cavalcare."
Continuò a guardarla negli occhi, sentendosi indicibilmente più leggera, dopo quella confessione, eppure spaventata dall'aver potuto rovinare tutto, la serata, forse perfino la vacanza. Spaventata dalla risposta di Emma, che forse come gli altri l'avrebbe considerata ora debole e codarda.
"Scusa.." sussurrò, seppur senza sapere bene perché, distogliendo lo sguardo un momento dopo.
E solo allora si accorse, di un calore estraneo, una mano posata sulla sua in un gesto di muta compensazione alle migliaia di parole inespresse che comunque non sarebbero mai state abbastanza, e che era meglio di tutte loro. Non la respinse. Scaldò il suo cuore, e la fece sorridere.
"Non ti ho mai vista farlo"
le parole di Emma la raggiunsero, delicate come una carezza, leggere e curative come un soffio di vento fresco. La stupirono, e rialzò lo sguardo su di lei.
"Fare cosa?"
"Cavalcare. Mi piacerebbe, devi essere davvero brava."
Regina sorrise mentre un lieve rossore le si diffondeva sulle guance.
E realizzò ancora una volta in quell'istante quanto Emma fosse una persona unica e meravigliosa, e che per quanto in certi momenti fosse assolutamente irritante, insopportabile, e a volte arrivasse a credere persino di odiarla, in fondo, per tutto quello che le aveva fatto e ancora le faceva, non c'era nessuno con cui si sarebbe esposta tanto quanto sentiva di poter fare con lei.
Nessuno si era mai interessato al suo passato, a quello prima di quello che tutti ricordavano, a lei per prima non piaceva parlarne, ma se anche era capitato, sfuggito, nelle conversazioni, mai nessuno aveva reagito così. Non facendola sentire vittima, nè carnefice, ma solo umana.
Non pensava neppure avrebbe abbandonato quel ricevimento per lei dopotutto.
Anche se in fondo non ne dubitava.
Rispose a quella nuova sensazione mai provata prima. Perché in qualche modo Emma era sempre in grado di sorprenderla.
"suppongo non sia così difficile. Vado con Henry due volte a settimana. Potresti venire con noi un giorno, se ti va"
La bionda sorrise a sua volta e annuì
"Mi piacerebbe davvero molto"
Si scambiarono ancora una sguardo, ed un sorriso, prima che la prima portata raggiungesse il loro tavolo. Solo allora le loro mani si separarono, in un imbarazzo lieve.
Richiamarono Hope e le coprirono il vestitino legandole un tovagliolo al collo, per evitare che si sporcasse, ridendo della loro complicità nel tenerla ferma contro la sua volontà e lanciandosi un'occhiata fugace quando le loro dita si sfiorarono per un istante.
Ma poi iniziarono a mangiare, e tutto il resto passò in secondo piano.
"Comunque...non piaceva neanche a me quel posto" le disse Emma tra un boccone e l'altro
Regina sorrise "Probabilmente invece tua figlia ci odierà per sempre per questo"
Hope le guardò a turno per poi tentare per l'ennesima volta di tirarsi via il tovagliolo venendo fermata istantaneamente dalle loro mani e da risate che si fusero, a cui volentieri lei si aggiunse, nella sua preziosa ingenuità.
 
Il pasto fu dosato e delizioso, nettamente diverso da quello che avrebbero avuto fermandosi al grande ricevimento ancora in corso nel loro hotel. Hope gradì le pietanze almeno quanto loro, se non di più, lasciandole ogni quando poteva per tornare a giocare con un paio di bambine, anche loro clienti del locale che si era andato riempiendo. Non aveva mai avuto problemi a fare amicizia, e di questo Emma non poteva che essere contenta. Ringraziava non avesse preso da lei la socievolezza, perché credeva non esistesse persona meno brava a farsi amici di se stessa. Sopratutto da bambina.
La guardò giocare con il sorriso per un po', per poi riportare lo sguardo su Regina, che con il passare del tempo e l'abituarsi all'ambiente, e senza dubbio anche grazie alla musica e al cibo, si era visibilmente rilassata. Non beveva molto, Regina, l'aveva vista consumare a malapena un calice di vino rosso. Non lo avrebbe detto, vista la quantità di bottiglie, e la loro varietà, che aveva in casa.
Dunque non doveva essere per stordimento che la stava fissando ostinatamente. Quasi sobbalzò, incontrando quello sguardo indagatore e profondo come non mai, riflessi blu nelle iridi castane. A pensarci, quel locale sembrava fatto per lei e per quel suo stupendo vestito. Che perfetta coincidenza.
Emma amava le coincidenze, quella sera le amò più che mai.
"Cosa c'è?" chiese. Solo allora l'altra distolse lo sguardo.
"Nulla, pensavo"
"A cosa?"
Regina tacque, elaborando una risposta. E quando gliela diede Emma non fu sicura si trattasse della verità. Non fu sicura si trattasse  di una vera e propria risposta.
"Perché proprio questo locale?Indigo..." disse, leggendo l'insegna luminosa vicino al bancone
"Quando vivevo a Boston il lavoro mi ci portava spesso, mai per divertimento, in verità. Era un posto abbastanza popolare ai tempi, sebbene appartato. Però...mi è sempre piaciuto. Ho sempre pensato che...un giorno ci sarei venuta, sai, con qualcuno. In testa avevo più un appuntamento romantico ma..." sorrise" ...in realtà credo di non poter chiedere di meglio di quello che ho. Grazie"
Regina la guardò, a metà tra il sospetto e il sorriso
"Per cosa?"
"Per essere qui con me sta sera. E non solo. Per tutto quello che fai per noi, per come, nonostante tutto..." fece un gesto vago con le mani, alludendo ad un tutto non specificato eppure ingombrante e presente al pari di una muraglia, da essa protetto, relegato nell'ignoto, costituito da dolore, delusioni e paure, ma anche qualcosa di bello, qualcosa di bello che lo rendeva ancora più massacrante.
Il loro tutto.
"...non mi lasci affrontare questo casino da sola"
Regina alzò le sopracciglia
"'Questo casino' sarebbe la separazione da Killian, o meglio, Uncino?"
Emma sospirò lievemente, distinguendo la punta di odio profondo nella sua voce
"'Questo casino' è la mia vita, Regina"
L'altra accennò un sorriso ironico e profondamente amaro, distogliendo lo sguardo
"Suppongo sia il minimo, considerato che ne sono in gran parte responsabile"
Scattò, posando una mano sul suo braccio
"Non dire così! Non lo sei. Ne abbiamo già parlato."
Ritirò la mano. Erano passati anni, anni di forzate abitudini, anni in cui si era sforzata di non provare più nulla, e c'era riuscita, c'era quasi riuscita, anche se aveva significato sprofondare nell'apatia. Ma ora si sentiva così viva, vino a scurire il suo sangue, luci ad elettrizzarla, la libertà del resto del mondo a renderla reale. Ed era come se anche tutte quelle emozioni represse con tanta forza fossero tornare a martellarle il cervello.
Regina non rispose, lasciando cadere la conversazione. Passarono minuti di pigro silenzio, di vociare, nel locale ormai pieno, e di lenta musica a far ballare quei pochi coraggiosi al centro della pista, che tuttavia andavano aumentando.
Poi Regina sospirò, attirando istantaneamente l'attenzione di Emma. La guardò
"Allora...so che dovrei dirti di distrarti, e di non parlarne nè pensarci, ma...so che se non lo affronterai non lo supererai ed io..." si morse la lingua per prevenire parole tempestive in una frase ben, e a lungo, studiata
"...ed io non posso ospitarvi a casa mia per sempre, quindi..."
Quindi. Cosa aveva da dire, Emma? C'era l'evidenza, a parlare per lei, i fatti, che seppure apparentemente futili agli occhi di tutti significavano tanto per lei.
"Era un bugiardo" sentenziò.
Regina la scrutò in silenzio, mentre lo sguardo di Emma saettava a disagio in giro per la sala, timoroso di posarsi su di lei, sui riflessi di quel vestito che terribilmente, e da tanto, la distraeva, ancor peggio nei suoi occhi, che soli le avrebbero fatto perdere l'intero significato di ogni sua frase.
Fu cauta la sua risposta
"cosa ti ha detto?"
"che i cattivi non cambiano"
Deglutì Regina, sentendosi in pericolo come non le succedeva da anni: " e tu ci credi?"
Ed allora Emma fu forzata a guardarla, semplicemente per il puro, naturale istinto, di lenire le ferite sdrucite in quella semplice domanda. E guardandola seppe esattamente cosa rispondere, non potè evitare di chiedersi, invece, come si potesse anche solo pensare che fosse vero, con una donna come lei di fronte.
"No"
La potè quasi percepire emettere un lieve sospiro di sollievo, sebbene lei si impegnò a nasconderlo.
"E mi dispiace..." aggiunse, riconquistando in un istante la sua attenzione
"Di cosa?"
"Di quello che ti ha fatto"
Vide un guizzo nei suoi occhi, dopo un istante, quasi avesse avuto bisogno di tempo per realizzare a cosa si riferisse, per poi piombare nella consapevolezza affilata come lame d'acciaio.
"Oh...beh, non è colpa tua"
"L'ho tenuto al mio fianco per anni, lo è"
La bruna si strinse nelle spalle
"non potevi saperlo. E poi...è cambiato, no? Come tutti, d'altronde" sussurrò
"Perché non me lo hai detto?"
"Perché non era giusto, Emma. Allora a nessuno importava di me, e tu avevi trovato l'uomo che amavi e...e io ero cattiva, non avevo alcun diritto di...recriminare niente a nessuno"
"E dopo?" le chiese ancora
La guardò: " Dopo era troppo tardi"
Emma distolse lo sguardo, chiedendosi se non fosse solo per una serie sfortunata di errori che si trovassero lì, in quel momento, in quel modo, e non altrove, in un posto migliore.
"A me importava di te" disse, pur senza guardarla. Regina non rispose, e nel suo silenzio ogni nota ed ogni bisbiglio sembrarono sciocche favole di un mondo frivolo, privo di consapevolezze ed ignaro del dolore.
"Sai a volte, nell'ultimo periodo... mi faceva paura"
E sentì una morsa di senso di colpa allo stomaco, Regina, perché non aveva voluto rovinare la sua felicità, nascondendole la verità, ma forse non l'aveva poi mai avuta Emma, una felicità. Non con lui. Non quanta avrebbe potuto averne se solo...
"Perché era un pirata?"
"No, per quello che...per quello che era, ho visto... vedevo il vuoto nei suoi occhi a volte, e mi faceva paura"
Emma temette altre domande, ben consapevole di quanto vaga e priva di fondamento fosse la sua risposta, ma lei si limitò ad annuire
"Capisco"
Ne rimase stupita, ma preferì non commentare. Scosse la testa
"Avrebbe dovuto dirmelo. Tu me lo hai detto, di aver ucciso Graham. Non subito, ma me lo hai detto."
Regina abbassò lo sguardo al ricordo, ma si sforzò di restare presente a lei
"Probabilmente non lo riteneva necessario"
La bionda la guardò incredula
"Non lo riteneva necessario? Regina, noi siamo... eravamo, sposati"
E fu allora, solo allora, a quel breve lapsus, che lo sguardo di Regina cadde sulle sue mani incrociate sul tavolo. Un'aureola di luce a riflettersi sul suo anulare.
Sorrise amaramente, distogliendo lo sguardo.
"Porti ancora la fede..."
E il suo tono fu così freddo e vago che un brivido scosse la schiena di Emma
"Oh... non volevo...lasciarla a casa tua, e poi...ho pensato avrei evitato gli scocciatori nel caso fossi andata a bere, sai..." deglutì
Regina accennò una risata, lo sguardo ostentatamente fisso sulla città di vetro e fumo color indaco
"Swan, non eviti gli scocciatori con un anello..."
"Io..." non seppe cosa rispondere, così si limitò a fissarla. Quasi sobbalzò quando lei si girò con un impeto improvviso
"Io non capisco perchè tu debba continuare a fare così, debba continuare a farti del male"
La trafisse con lo sguardo, e ad Emma mancò il fiato. Sentì di doverle dare una risposta, nonostante tutto, sentì di doversi sforzare di vedere l'amica, in lei, di cui credeva di avere bisogno.
Non la guida, l'approdo, a cui ciecamente anelava.
Spezzò il contatto con quegli occhi di ghiaccio.
"Il fatto è che...il modo in cui abbiamo concluso...non abbiamo concluso, ed è come se ci fosse questo conto in sospeso che..."
E Regina si sentì così sola, così impotente, davanti a quel tono annegato nella sconfitta, nel disperato tentativo di tornare in superficie e di ritrovare l'aria, sola ed impotente come era stata davanti al suo sorriso di sposa e alle sue lacrime d'avorio in quel dolce, dolcissimo sguardo d'addio, anni addietro,  che decise di finirla lì. Si arrese, lasciandola sola nella sua resa. Sospirò
"Quello che vuoi, Emma. Non sono affari miei, dopotutto. Solo..."
la guardò ancora una volta, ed in quello scontro di iridi bagnate si insinuò, fuggevole, un riflesso d'universo
"...stai attenta. A te, e a lei."
Regina volse lo sguardo su Hope, sorridendole non appena lei si voltò. Restarono a guardarla in silenzio, consapevoli entrambe di una tacita e rispettiva sconfitta, nel secolare conflitto a fuoco che da sempre le univa e violentemente separava, sapendo che qualsiasi parola ormai non avrebbe più avuto significato.
Poi, dopo indefinibile tempo, Regina si sentì il suo sguardo addosso e si voltò. Non era la prima volta che ne aveva la sensazione, ma ora era diventata una certezza. A stento frenò i propri occhi dal roteare, portandoli su di lei.
"Perchè continui a fissarmi?"
"Sei bellissima"
A Regina mancò il fiato, al suo cuore forse un battito.
Emma sorrise, in quella adorabile innocenza da principessa da fiaba che nei momenti più impensati ostentava.
Perché in fondo, quel conflitto tra loro non sarebbe forse mai terminato.
 
La presenza di Hope riuscì a portare nuovamente la serenità sui loro volti, così come la portava nelle loro conversazioni e nelle loro vite. Rimasero ancora un po' al tavolo, tutte e tre insieme, a far rotolare  il tappo della bottiglia dell'acqua tra loro, in un gioco così stupido ma così divertente che Regina non avrebbe smesso di ridere neanche se avesse potuto guardarsi dall'esterno, ricordando la regina che era stata. E guardando quella bambina dai biondi capelli a boccoli e dai grandi occhi castani fu sicura che anche lei fosse in possesso della magia. Non le importava, in verità: certo sarebbe stata felice di poterla istruire nella sua pratica come era certa sua madre non fosse in grado di fare, ma non le importava davvero, dopotutto, l'amava e basta, e l'avrebbe amata in ogni caso. Tuttavia qualcosa doveva esserci, nel modo in cui la sua risata innocente e cristallina liberava il suo cuore da qualsiasi ombra vi si fosse momentaneamente posata, qualcosa doveva esserci, nel modo in cui sapeva esistere lei sola, nel mare dei loro conflitti e delle loro incomprensioni, riducendolo solo ad una indistinta striscia di sabbia su cui tutte insieme potevano giocare, felici. Si perse, Regina, a guardare i delicati movimenti delle sua manine sul vetro blu, mentre guardava assorta la città, ascoltando la cullante voce di sua madre che, tenendola sulle gambe, le narrava tutti i suoi più misteriosi segreti, quasi sussurrandoglieli all'orecchio. A volte le ricordava così tanto Henry da farle male. Però niente risanava la sua anima e cancellava il suo passato così tanto come vederle insieme davanti ai suoi occhi, in un universo che era solo loro e loro soltanto.
E anche Emma praticava una delle più grandi magie di cui fosse in grado, ne era certa, isolandosi con la sua bambina in quella diversa dimensione.
E sebbene Regina odiasse Uncino, non potesse fare altro che odiarlo con ogni fibra del suo essere, si trovava ora ad accettare la sua presenza nella vita di Emma come per tanto tempo non era riuscita a fare. E tutto per merito di Hope: se non fosse stata sua figlia, non aveva dubbi che sarebbe stata meravigliosa lo stesso, ma non sarebbe stata lei, e Regina non avrebbe cambiato Hope con nulla e con nessuno al mondo. Era, ai suoi occhi, assolutamente perfetta. Aveva sentito dire tante volte che la perfezione non era cosa di questo mondo: tutte sciocchezze, Hope era perfetta. Perfetta come ogni bambino amato può essere, e ogni bambino dimenticato può diventare, se conosce l'amore. E la loro storia, la storia di tutti loro, l'aveva portata a capire che si può rifiutare il passato solo fino a quando si è tristi e soli, ma quando si è felici...accettarlo diviene naturale, indispensabile, per poter vivere quella felicità nell'unica, vitale, convinzione che sia giusta. Lo aveva capito grazie ad Henry, cui piccolo corpo stretto tra le braccia l'aveva portata a ringraziare di tutto quello che aveva avuto, nel bene e nel male; lo aveva capito grazie ad Emma, che l'aveva perdonata nonostante avesse rovinato la sua vita dal principio, solo perché aveva avuto la possibilità di averne una migliore poi, sebbene dopo anni di sofferenza. E questa consapevolezza era ormai fondamentale, le aveva fatto vincere i demoni del suo passato, i fantasmi, la spingeva a vivere ogni giorno, e ogni giorno si rivelava più veritiera che mai.
Riemerse dalle profondità dei suoi pensieri quando trovò Emma nuovamente a fissarla, con sguardo indecifrabile.
Le pareva bloccata tra l'ignoto e la realizzazione, la meraviglia e la paura, e naturalmente, assolutamente, bellissima, elegante più che mai in quel suo completo bianco e nero. Posando poi gli occhi sui suoi, sentì un brivido percorrerle la schiena: li percepì ora determinati, decisi ad abbattere ogni sua barriera, a spogliarla, aggredendola, sfidandola, come avevano sempre fatto, a resistere alle loro profondità, alla loro capacità di sondare le sue, di profondità, quelle della sua anima, che non era neanche sicura di conoscere del tutto. Erano gli occhi di un amante tradito, ma ancora, profondamente, innamorato, che all'oggetto dei suoi desideri ritorna, mostrandogli  il vigore della sua forza, ma solo per un istante, per crollare invece, subito dopo, in una silenziosa, vitale, supplica. Li vide vivi come non erano da tempo, li vide suoi. E la stavano supplicando.
Si alzò bruscamente, spezzando contatto ed incanto, cercando qualcosa, qualunque cosa, che possedesse anche solo  una minima frazione della loro attrazione. Parlò meccanicamente
"Si è fatto tardi, è quasi mezzanotte. Forse però potremmo ancora trovare qualcosa del brindisi all'hotel, se ci sbrighiamo"
Solo per un altro istante il suo sguardo accidentalmente cadde sul suo, alto, tenero, perduto, a seguire la sua figura, cedendo a quella sua forza gravitazionale, ma fu solo un istante. Si voltò.
 Infranse così la sua supplica e parte del proprio cuore.
"Ti precedo alla cassa"
Non attese risposta per allontanarsi, afferrando la borsa.
Ed Emma rimase a guardarla, senza proferire parola, ammutolita dalla sorpresa, dalle sconquassanti emozioni nel suo petto, dalla regalità di quella figura perfetta che si allontanava in passi sicuri, vestita di notte e di stelle.
Non era certa di quanto fosse appena successo, del perché lo avesse fatto. E cosa aveva fatto poi, lei? Cosa avrebbe potuto fare contro quella forza che l'aveva catturata quando si era soffermata a guardarla per un momento di troppo, quel flusso in cui si era persa, da cui si era lasciata trasportare? Impossibile da resistere, impossibile da ignorare, come la bellezza folgorante che l'aveva trapassata, del suo sguardo pensieroso e dei pigri gesti delle sue dita tra le ciocche di capelli scuri.
Non lo aveva voluto, no. Ma non lo aveva respinto, e ora, nonostante avrebbe dovuto, non se ne pentiva. Non se ne pentiva affatto.
Si alzò piuttosto bruscamente a sua volta, mettendo Hope in piedi, e raccolse le sue cose, realizzando solo in quell'istante che probabilmente Regina aveva già pagato per tutte loro. E non c'era modo, in cui glielo avrebbe lasciato fare.
Prese in braccio Hope, ormai sonnolenta, e raggiunse di corsa la bruna alla cassa.
La serata doveva essere decisamente a suo favore, realizzò, quando vide che, nonostante tutti i suoi sforzi, Regina non riusciva a trovare la carta di credito nella borsa. Estrasse velocemente la sua sostenendo Hope con un braccio, passandola all'uomo dietro il banco.
Regina la guardò. Distolse lo sguardo un istante dopo, con iridi ancora scosse ma solo per la durata di un momento. Poi parve tornare quella di sempre, la sgridò con un'occhiata dura.
Emma si strinse nelle spalle: " faccio io. Siamo qui per causa mia, no?"
L'altra si limitò a scuotere la testa spostando poi la sua attenzione su un quadro alla parete che sembrava trovare improvvisamente molto interessante.
Non parlò, diffidando della sua voce.
 
L'uomo  aveva quasi terminato l'operazione quando le luci nella sala, improvvisamente, si abbassarono, lasciando solo quelle di tonalità indaco, immerse nel buio rischiarato dalla città che circondava quella sfera di vetro. Anche la musica cambiò. Si fece più alta, a sovrastare il vociare che a sua volta diminuì, con note leggere che avvicinarono coppie di ogni genere tra loro, in una tacita ed improvvisa intesa comunicata nel più emotivo dei linguaggi: quello della musica.
"Che succede?" sentì Regina chiedere, quasi infastidita, anzi, sicuramente infastidita da quella situazione, all'uomo dietro la cassa.
"sono gli ultimi balli prima della mezzanotte, una nostra tradizione. Fermatevi con noi fino ai rintocchi!" esortò con un sorriso sincero.
Ecco. Quella era esattamente il genere di atmosfera che si era sempre aspettata da quel locale, quello che aveva sempre sognato di trovarvi, di vivervi. Si voltò a guardare Regina, e fu certa di avere scintille di supplica negli occhi, quando ricorse ad uno dei suoi più dolci e subdoli sorrisi a cui sapeva lei non avrebbe mai potuto resistere.
Lei la fissò per un primo momento senza capire, poi vide la realizzazione dipingersi sul suo viso. Separò le labbra
"No. Emma, non se ne parla, non pensare neanche che io..."
L'attenzione di entrambe venne catturata da Hope che improvvisamente di rizzò sulla sua spalla, più sveglia che mai. Si guardò intorno, con occhi spalancati, pieni di meraviglia e curiosità, poi guardò loro e sorrise
"Bello, balliamo!"esclamò battendo le manine con dolcezza ed entusiasmo disarmante.
E disarmante fu quel sorriso per la risolutezza di Regina, che se anche avesse potuto resistere ad uno dei più dolci sorrisi di Emma, di certo non sarebbe stata in grado di farlo con uno di quelli di Hope. O con qualsiasi cosa Hope avesse chiesto, indistintamente.
Sorrise a sua volta alla bimba, e il cuore di Emma parve fare una capriola di fronte alla luce che vide accendersi nei suoi occhi scuri, una luce dedicata interamente a sua figlia. Come era sempre stato.
La vide porgere la mano a Hope
"vuole ballare con me, principessa Hope?"
La bimba annuì vigorosamente e si dibattè per essere messa a terra e lasciata libera, cosa che Emma si apprestò a fare, mettendosi poi da parte e guardandole unirsi agli altri ospiti sulla pista da ballo, mani nelle mani, ridendo felici. E quanto voleva, Emma, che quella felicità fosse la sua. Quanto avrebbe voluto, essere determinata abbastanza, coraggiosa abbastanza, per farla sua e lasciare che riempisse ogni singolo istante della sua vita. Perchè era certa che se solo l'avesse lasciata entrare ogni cosa sarebbe andata a posto.
Quanto avrebbe voluto...se solo per un attimo...
Prima che potesse accorgersene, persa com'era nei suoi pensieri e nella scena di fronte a lei, Hope fu di nuovo ai suoi piedi afferrandole la mano
"Adesso con te mamma!"
Non oppose resistenza mentre la trascinava dove aveva ballato fino ad un momento prima con Regina, e ridendo assecondò i suoi passi, lanciando un debole sguardo di scusa all'altra donna, che tuttavia non poteva che avere per loro un dolce sorriso colmo di tenerezza mentre scuoteva leggermente la testa. Ed Emma si rese conto che era quel modo che Regina aveva di guardarle quando erano insieme, quell'affetto, cieco e privo di invidia, a sancire tra loro tre, quattro con Henry, un legame diverso da qualsiasi altro, quella che sarebbe sempre stata la loro stramba famiglia, anticonvenzionale al massimo, ma unita come poche.
Furono pochi i momenti che passarono prima che la canzone finisse, scivolando dolcemente in toni più caldi e profondi, e nell'ultimo minuto di quell'anno, che si stava concludendo in maniera così inaspettata.
Così Hope scivolò dalle sue braccia e, ormai regina delle loro vite, decise che era il loro turno di ballare insieme. Prima che entrambe potessero rendersi conto di cosa stesse accadendo, lei aveva già tirato sua madre fino alla donna immobile, per poi spingere quest'ultima verso di lei con entusiasmo accresciuto dalla trepidante atmosfera.
"Voi due insieme adesso!" annunciò, ordinò, perentoria, al punto da spingere Emma a chiedersi se non passasse effettivamente troppo tempo con la bruna
"Hope, fa piano!" si sentì in dovere di dirle, presa alla sprovvista, perché in fondo non poteva trattare Regina così, ma la sua voce si spense sui suoi ultimi accenti, persa insieme al suo sguardo, in un mare di oscuro tormento.
Perché risuonò il primo rintocco, e Regina fu tra le sue braccia.
E il mondo intero, nel secondo, si spense, il mondo intero tranne lei, e quegli occhi in grado di farla precipitare in un vuoto senza fine.
Bastò solo il tempo di un rintocco a distaccarle da ogni realtà il mondo avesse loro imposto, da ogni illusione la vita avesse loro concesso, a far cadere ogni battaglia in un silenzio di occhi affamati, a scavare sentieri nelle loro anime disperate, mentre solo la leggera stretta di mani decise su tessuti tremanti era in grado di abbattere ogni muro fosse ancora rimasto tra loro.
E rivelare quello che ancora il cuore non faceva, soffocato da un dolore che non gli era mai stato straniero, mentre i loro corpi si lasciavano cullare nel blu malinconico della notte e delle note che in essa si perdevano.
Era tutto, la sua presenza, il suo calore, il suo profumo, la magia che scorreva in lei. Era tutto.
E lo sentì arrivare nell'aria, quella notte, il momento che stava aspettando da tutta la vita, leggero eppure opprimente come il suo respiro sulle labbra.
Socchiuse gli occhi, celandosi per un solo momento alla responsabilità, a quell'ultima schematica parvenza di ordine che nella sua vita era rimasta, sentendo di dover dire qualcosa, ma nascondendosi anche alle parole, per lasciarsi affondare nei riverberi di quel dodicesimo rintocco, in quel valico tra le porte del tempo che avrebbe reso quell'istante infinito, nell'anno che sarebbe venuto, iniziando con la più straordinaria delle visioni, e in tutti quelli a seguire, fintanto che memoria fosse rimasta alle sue spoglie mortali.
E fu tanto importante quell'attimo perché potè percepirla muoversi, avvicinarsi, come lei non avrebbe mai avuto il coraggio di fare, dandole quel coraggio, come in fondo aveva sempre fatto. Perché era questo che faceva Regina: le dava la forza e la determinazione di conquistare il mondo e di vincere qualunque battaglia.
Vide le sue labbra muoversi, forse in un ultimo sussurro disperato che non fu in grado di percepire, sfiorando la sua fronte con la propria, affondando il suo cuore con il più innocente dei gesti, in una dimensione di essenza di rosa e pieghe di notte stellata, nella carezza delicata dei suoi capelli sul viso e nel modo in cui i suoi occhi furono in grado di accogliere nuovamente il suo sguardo, facendole dono del più valido e prezioso tesoro, una promessa di perdono, che nel tempo di un respiro le salvò la vita.
Anche se fu proprio questa, come sempre, a portarla via. Da lei, e da quella dimensione di infinito che loro avevano creato e che sempre a loro sarebbe appartenuta, fino alla fine dei tempi.
Le luci si accesero in un'esplosione di festa, e l'entusiasmo bloccatosi in quegli istanti pregni di magia ed ignoto fascino tornò a scorrere tra i presenti con più vigore di prima.
La voce di Hope fu una scossa che le sospese lontano l'una dall'altra, troppo opposte per non attrarsi eppure troppo simili per non respingersi. Ancora una volta, sospese restarono, così come i loro respiri, e gli sguardi alla ricerca di qualcosa di lontanamente comparabile all'infinito di bellezza appena sfiorato.
"Auguri mamma e zia 'Gina!" la piccola corse da loro abbracciandole contemporaneamente.
E nuovamente tensione e spavento, disperata tristezza perfino, si sciolsero nel più dolce e sollevato dei sorrisi, tra le braccia di una bambina. E le loro, che rifiutarono ostinatamente di cercarsi, consce del baratro da dover assolutamente evitare.
"Auguri amore..." sussurrò Emma, ed il cuore di Regina pianse in una dolorosa stretta di illusa presunzione.
"Auguri piccola mia..." sussurrò lei a sua volta stringendo al petto quei capelli biondi in grado di cambiarle la vita per l'ennesima volta. E non aveva scelto di definirla sua, lo era semplicemente stata dal momento in cui aveva stretto per la prima volta il suo esile corpicino tra le braccia, davanti a quel sorriso di sua madre che all'epoca le era mancato così tanto,nonostante la natura e la convenzione dicessero il contrario.
Fu Hope stessa a sciogliere quell'abbraccio, nell'impazienza frettolosa caratterizzante ogni bambino. Saltellò felice, circondata dai festeggiamenti, mentre loro due non poterono che scambiarsi un debole sorriso, tregua fredda ed impersonale dei loro tumulti interiori.
"Auguri, Emma"
"Auguri, Regina"
E terminarono lì le parole, quando alle menzogne preferirono il silenzio.
D'altronde presto la loro attenzione fu attirata da Hope che, avendo esaurito le possibili compagne di ballo conosciute, si rivolgeva alle sconosciute, correndo ad importunare una donna di mezza età seduta su un divanetto a bordo pista. Era fine ed elegante, tubino grigio e capelli biondi raccolti ad incorniciare un volto vissuto ma non ancora stanco, pieno di vita, nel sorriso radioso che rivolse alla bambina. Rise, quando lei le prese le mani, poco prima che Emma accorresse a fermarla prendendola in braccio rapidamente
"Hope, cosa fai? Non dare fastidio alla signora!"
Guardò la donna, profondamente dispiaciuta, mentre Regina la raggiungeva.
"Mi dispiace, ha deciso di ballare con tutti stasera..."
La donna rise scuotendo piano la testa
"Non fa niente, è una così dolce bambina!" le guardò alternando lo sguardo tra loro: " è vostra?"
Solo un lampo di esitazione attraversò gli occhi di Emma, pregno di ricordi, prima che rispondesse:
"Si"
La donna si avvicinò, guardando Hope: "come ti chiami?"
"Hope!" rispose prontamente lei "perché ho portato la speranza a mamma e a 'Gina!" aggiunse entusiasta e fiera di sé.
Entrambe distolsero repentinamente lo sguardo: erano ben consapevoli di aver riempito loro la testa di Hope con quelle parole, sin da quando era piccola, solo che...solo che non se lo erano mai detto, perché Emma non avrebbe dovuto avere bisogno di speranza, con la vita che conduceva, e Regina non avrebbe di certo dovuto trovarla in sua figlia.
La donna rise ancora, per poi sorridere sinceramente: "allora devi essere davvero speciale, piccola" le sfiorò la manina poggiata sul braccio di Emma per guardare poi quest'ultima.
"Complimenti, vi stavo guardando, prima, sulla pista: siete davvero una bellissima famiglia"
Sentì Regina scattare al suo fianco
"Noi non..."
Ma lei non la lasciò finire la frase
"Grazie"
E non si voltò a guardarla, perché preferiva non conoscere la sua reazione. Non dopo quello da cui erano, inaspettatamente, appena sopravvissute.
Sorrise ad Hope, cercando il suo sguardo
"che ne dici, è tardi, andiamo? Non hai neanche un po' di sonno?"
La bambina, quasi se ne fosse ricordata solo in quel momento, sbadigliò e annuì, poggiandosi poi sulla sua spalla.
Emma guardò la donna
"Buonanotte e...scusi ancora"
Lei sorrise: "non si preoccupi..." guardò Hope, i suoi occhi pronti a chiudersi: "Buonanotte e...siate felici"
Si dileguarono con un cenno del capo.
 
I don't know where you're going
and I don't know why…
 
La strada le accolse ancora, nell'aria satura di silenzio di voci rubate dalle feste e fredda di luce stellare e d'un sentore di neve, che gravava su asfalto e cemento in quella notte immobile. Camminavano svelte, dopo aver rinunciato all'idea di prendere un taxi per tornare all'albergo, spinte un po' da soggezione notturna e un po' dalla voglia di seminare, nel rumore dei tacchi e nel loro vuoto silenzio, tutto ciò che, rincorrendo la loro anima da troppo tempo, l'aveva, per un breve momento, raggiunta e sfiorata quella sera.
Ma la notte faceva paura, il silenzio opprimeva, e troppe domande volteggiavano senza sosta tra labirinti di pensieri. Finchè non ne trovarono l'uscita, in un soffio d'aria gelida.
Il suo corpo fu scosso da un brivido, mentre accelerava per raggiungere Emma, più svelta e comoda, su scarpe basse, più in fuga di lei. Forse da lei, e da quelle sue domande.
"Perché lo hai detto?"
Fu certa di sentirla deglutire, oppure lo seppe soltanto, capace ormai di prevedere le sue reazioni.
"Perché è vero. Sei sempre stata più un genitore tu, per lei, di quanto lo sia statolui "
Chinò lo sguardo, Regina.
Colpita e affondata. Lei sapeva benissimo come fare.
Ma non era giusto.
"Eppure torneresti da lui se potessi"
Tacque Emma, sprofondando in un'abitudine di silenzio.
E si originò un solo perché, in risposta al suo silenzio, a urlare improvvisamente nella testa di Regina,  senza speranza, sull'orlo della disperazione.
"Prendiamo un taxi"
Codarda.
Vile, quando si accostò ad un taxi fermo che Regina non aveva neanche notato.
Eppure le venne voglia di ridere. Improvvisamente.
Non potè far niente per fermarla.
Stupida.
"Scapperai per sempre, vero?"
Ostinata, non le rispose. Testarda, come era stata una volta, eppure distante anni luce da quella persona.
Entrò nel taxi con Hope stretta al petto e Regina la seguì.
Sentì il suo sguardo addosso per tutto il viaggio, quello stesso sguardo che aveva percepito nel locale, che scavava lentamente un passaggio tra le sue pareti, da cui voleva fuggire, da cui si sentiva disarmare, spogliare, studiare,di cui non riusciva a capire la causa, che la portò persino a chiedersi se non fosse cambiamento, quello che vedeva sul suo viso, un'improvvisa consapevolezza, per fuggire da quel pensiero un istante dopo, non appena lo percepiva accendere un scintilla troppo simile a quella rifuggita speranza nel suo petto.
 
Si rifugiarono silenziosamente nell'accogliente calore della hall non appena ne ebbero l'occasione. Sebbene inizialmente la loro intenzione fosse stata quella di fermarsi ad assistere almeno alla fine di quel prezioso gala a cui non avevano preso parte, quando si trovarono all' interno della struttura e il calore rilassò le loro membra contratte fino ad un istante prima dal freddo e dalla tensione, il semplice vociare proveniente dalla sala da ballo le spinse ad allontanarvisi il prima possibile, cercando la chiave della loro camera.
Già, la loro camera. Come se già tutta quella situazione non bastasse. Regina si ritrovò, involontariamente, a maledire nuovamente suo figlio tra sé e sé. Lasciò fare tutto all'altra e la seguì cercando di mantenere una debita distanza per tutto il corridoio, lasciando che entrasse in camera per prima, restando poi ferma sull'uscio a guardarla mettere Hope, ormai da tempo profondamente addormentata sulla sua spalla, nel suo lettino. La vide coprirla e sistemarla con una cura che, nonostante tutta la rabbia che stava provando, non poté che intenerirla,così come il sorriso che vide disegnarsi sul suo viso, illuminato dalla luce proveniente dal balcone dietro il lettino, pieno di materna dolcezza e privo di qualsiasi altro interesse al mondo.
Pensò di dover entrare, a quel punto. D'altronde, non poteva certo restare lì tutta la notte, Hope dormiva, non avrebbero comunque avuto occasione di parlare. E stava per farlo, quando Emma si allontanò dalla bambina addormentata e la guardò, la guardò di nuovo in quel modo che le faceva paura
"Regina..."
Fu certa di non farcela. Fece un passo indietro.
"Vado a bere qualcosa giù. Torno tra poco...appena finisco. Prenditi pure la tua metà di letto e metti la tua roba dove vuoi"
Si voltò senza attender risposta, il viso in fiamme al solo pensiero di dover condividere il letto con lei. Si, avrebbe senz'altro avuto bisogno di molto alcol quella sera. E di far svaporare un po' di quella rabbia prima di poterle nuovamente parlare civilmente.
 
Ma Emma non aveva nessuna intenzione di lasciarla andare, quella sera. La determinazione che aveva sentito montare in sé durante il loro ritorno verso l'albergo non glielo avrebbe permesso.
Non sapeva spiegarsi cosa era accaduto, da quanto aveva incontrato il suo sguardo in quel locale, prima ancora di ballare, ed in qualche modo aveva capito che quello sguardo era esattamente tutto ciò di cui aveva sempre avuto bisogno nella sua vita. L'affetto, l'amore, la comprensione, la nostalgia.
E lo aveva avuto davanti per anni.E quando l'aveva stretta tra le braccia era stato il paradiso, o tutto ciò che di più vicino ad esso avesse mai potuto conoscere, e quando l'aveva lasciata andare, nell'istante in cui l'aveva persa di nuovo, per l'ennesima volta, spontaneamente, si era chiesta perché. Si era chiesta che diritto avesse di lamentarsi della sua vita se alla fine era sempre stata lei, a non migliorarla, a peggiorarla perfino. Ma no, aveva avuto Hope, non l'aveva peggiorata, solo...Hope sarebbe potuta essere di Regina, Hope era di Regina, e lo aveva realizzato solo dicendolo, e solo dicendolo aveva capito quanto avesse senso, e quanto invece era tutto il resto, a non avere senso, a non averlo mai avuto. E allora si era chiesta perché, quale fosse lo scopo, di tanto affaticarsi, poco più che formiche sotto il sole, struggendosi per vivere un'insignificante vita umana che poteva terminare in qualsiasi momento, se la lasciava sfumare nel destino e nell'avvenire più ignoto, senza provare, minimamente sforzarsi, a prenderne il controllo.
Questo si era chiesta, Emma, per tutto quel viaggio in taxi, fissando quell'essere di bellezza e di dolore che le sedeva accanto, che aveva avuto la possibilità di vivere per così tanto tempo, almeno di provarci, e che invece aveva ucciso lentamente, facendo di ognuno di quei secondi una lama che aveva sprofondato nel suo e nel proprio petto. E lo sapeva, sapeva di averlo fatto. E si sentiva in colpa di tanto, nella sua vita, si era persino sentita colpevole dell'aver anche solo pensato di poter esporla al rischio di essere una di quei tanti nomi incisi sulla pietra tombale che si ergeva in mezzo al suo cuore, ma non si era mai sentita in colpa per quello, prima, così certa di star assolvendo al suo compito di salvatrice per tutti da non accorgersi di star solo bruciando una vita, un amore, e quel qualcosa di bello che nel tempo avrebbe potuto ergersi. Di star sacrificando l'ultima occasione che a lei era rimasta di essere felice.
E a voler essere onesti aveva un gran mal di testa, la sentiva quasi sul punto di scoppiare, per tutti quei pensieri, e tutta quella presunzione, si, presunzione, perché chi mai poteva essere lei, per Regina Mills, ma che presunzione non era, perché sapeva Emma Swan, cosa era lei per Regina Mills. Lo sapeva bene.
E avrebbe fatto qualsiasi cosa per liberarsi di quel mal di testa, e di quella pressione che aveva sul cuore ormai da troppo tempo, qualsiasi cosa, che fosse perdere la memoria nell'alcol, come tante volte aveva fatto, o tirare tutto fuori e probabilmente mandare la vita perfetta che aveva all'inferno, anche se non avrebbe dovuto farlo, per Hope, ma non lo aveva fatto, per Henry, e ora lo avrebbe fatto, perché se c'era anche una sola possibilità di raggiungere ciò che la spaventava persino nominare, allora sua figlia meritava di averla. E doveva essere lei, a provarci.
Così la lasciò a dormire, pacifica, con un bacio sulla fronte, promettendole che sarebbe tornata presto, ed uscí dalla stanza richiudendosi la porta alle spalle silenziosamente. Si avviò verso il bar, al seguito di quella donna che stringeva tra le mani le stringhe del suo cuore, e che in lontananza le tirava, dolorosamente, legandole al proprio, facendoli sanguinare entrambi ad ogni loro battito.
 
E, come poteva aspettarsi, sentendo la sua voce Regina si voltò di malavoglia, un bicchiere ancora pieno tra le mani, la guardò a malapena e non nel migliore dei modi.
"Non mi pare di aver detto di voler bere in compagnia Swan"
"Wow, siamo ritornate a Swan ora?"
Si sedette sullo sgabello accanto al suo, nonostante non fosse evidentemente quello che l'altra voleva.
Non le sfuggì il suo non ribattere alla provocazione, così tornò all'attacco.
"Non mi pare neanche che nulla mi impedisca di scendere al bar del mio hotel a bere. O si, persino a seguirti se ne ho voglia. Scusi..." richiamò l'attenzione dell'uomo dietro al bancone: "un jack daniel's per favore"
Vide Regina roteare gli occhi: "Hai lasciato Hope da sola in camera..."
"Dorme profondamente. Per qualche minuto, starà bene."
"Non dovresti lasciarla sola..."
"Non dovrei lasciare sola neanche te, ma ancora non ho il dono dell'ubiquità"
Regina rise. Di una risata secca ed amara.
Cosa voleva davvero Emma da lei? Cosa era cambiato quella sera, per spingerla a darle la caccia come non faceva da anni?
"Non ho niente da dirti, Emma."
"Ma io si" rispose subito l'altra. "Volevo...ringraziarti. "
Divenne seria, ogni traccia di scherno o leggerezza scomparve dalla sua voce. La bruna alzò le sopracciglia ma non disse nulla, lasciandole la possibilità di continuare, se avesse voluto.
"Per...tutto, insomma. Sei venuta a fare questo viaggio con noi, ti prendi sempre cura di Hope, in ogni momento, e...risolvi i nostri...i miei, casini, insomma. Te l'ho detto, significa molto per me. Quindi...grazie"
Regina scosse la testa, un sorriso ironico sul viso.
"Hai finito? Ora ti senti meglio? "
"Regina, cos..." ma Regina era stanca, stanca davvero. Di sentire tutti quei grazie, tutti quei "sei importante per me", per poi ricevere una porta in faccia e continuare nonostante tutto.
"Emma" si girò a guardarla: "se una sola parola di quello che hai detto fosse vera, allora non saremmo qui" guardò il soffitto con uno strano sorriso sulle labbra, tristemente divertito, prima di bere un sorso dal suo bicchiere per poi posarlo di nuovo.
"Non so cosa tu stia cercando di fare, ma non funzionerà" aggiunse. Perché era bene che Emma lo sapesse, e smettesse di provarci. Smettesse di farle male.
E si era aspettata una negazione, un passo indietro, come era sempre avvenuto, ma non fu così.
"Perché?" le rispose, più seria di quanto ricordava potesse essere.
"Perché?" si degnò di guardarla nuovamente: "perché è passato troppo tempo, Emma. Sono trascorsi...anni, Henry è cresciuto, tu..." deglutì senza darlo a vedere: "...tu ti sei fatta una famiglia, e io...sono andata avanti. Non si cancella il tempo, Emma. Abbiamo fatto delle scelte, entrambe, lo sai. Non ti sto incolpando, ma... non siamo più le persone che eravamo otto anni fa, lo sai meglio di me.  Ne abbiamo passate tante, ormai..." e dovette abbassare lo sguardo, perché quei laghi di verde verità che si stavano frantumando di fronte ai suoi, di oscura rassegnazione, rischiavano di ferirla con le loro schegge. O forse solo di riportare luce in quel buio, una luce piccola, un frammento di speranza,  destinata a spegnersi, ma che per il corso della sua breve esistenza avrebbe accecato quell'oscurità, per poi lasciarla ancora più buia e vuota.
Perché si, il tempo era passato, e gli errori non erano più concessi.
"...ormai è tardi" tenne lo sguardo basso, restò ad ascoltare il silenzio, l'eco delle sue stesse parole rimbalzare sulle sue orecchie e nella sua testa.
Sacrificava tutto, e questa volta sceglieva di farlo. Eppure, dopo anni, era certa fosse la scelta migliore.
E fu la voce di Emma, a strapparla dalle grinfie di quel silenzio divoratore, pieno di rimpianti.
"Robin. Lo amavi?"
Restò immobile per un momento, poi sorrise amaramente, scuotendo la testa tra l'incredulità e la rabbia.
"Non metterlo in mezzo ora"
"Dannazione Regina, rispondimi!"
Allora si voltò di nuovo a guardarla, duramente, perché no, Emma non aveva nessun diritto di parlare di lui.
"Si." e fu più affilato di quanto avrebbe voluto, ma lo lasciò infliggere la sua ferita ugualmente. E inspiegabilmente, sentì il bisogno di alimentare le fiamme che stavano crescendo in lei, d'ira e dolore, e lasciare che bruciassero quella conversazione, quella situazione, che non sentiva di meritare.
"Non puoi parlare di lui, non dopo che è morto per andare a salvare il tuo fidanzato, anzi scusa, tuo marito, o adesso è un ex marito?"
Emma si stava alterando e lo vedeva, ma non aveva alcuna intenzione di fermarsi, e non lo avrebbe fatto se lei non l'avesse interrotta, togliendosi quell'anello ai suoi occhi maledetto e sbattendolo sul bancone, attirando persino l'attenzione del barista che però fortunatamente se ne disinteressò un attimo dopo.
"è questo il tuo problema, dimmi? Questo anello?"
Ma Regina scoppiò a ridere
"Stai prendendo i modi di tuo marito"
Emma si zittì ed in un momento parve l'essere più misero della terra. Abbassò lo sguardo
"Scusami, io...non volevo"
Regina smise di ridere e scosse la testa, tristi boccate d'ossigeno a riempirle i polmoni. Ma quando parlò, lo fece con serietà e profonda malinconia.
"Non puoi dimenticare chi sei andata a riprendere all'inferno, Emma." fece un gesto vago con le mani: "non mi ero neanche accorta che...significasse così tanto per te"
"Era meglio che pensare"
La guardò. C'era serietà anche nei suoi occhi verdi, e senso di colpa, ma anche determinazione.
"Pensare a cosa?" le chiese, poco più di un sussurro, perché era certa di non volerla sapere, la risposta.
"A te"
E bastò a spegnere tutta la sua rabbia, e a lasciarla in silenzio, perché forse quella situazione, la loro, situazione, era ed era sempre stata dannatamente complicata ed impossibile, e piena di rancore e rimorsi, ma nonostante tutto non c'era mai stata volta in cui, in momenti come quello, momenti in cui credeva di percepire la grandezza di ciò che c'era nel cuore di Emma, e in cui si illudeva potesse essere davvero, per una volta, riservata a lei, non avesse finito per sentirsi sopraffatta ed impotente.
Scosse solo la testa
"Smettila, Emma"
E adesso era solo disperata. Perché, come aveva immaginato, non avrebbe dovuto far entrare Emma di nuovo nel suo cuore, non poteva, e quel limite che avevano così difficilmente segnato, entrambe, negli anni, quella sera stava per essere decisamente superato.
Se solo non fosse stato per quella sua determinazione, stranamente così accesa e viva quella notte, che avrebbe potuto salvarle anni prima...
Se solo non fosse stato per quel suo sguardo, che sentiva fisso su di sé anche senza guardarla, la cui potenza e profondità la stava consumando lentamente...
"E smettila di fissarmi!"
"Sei davvero bellissima stasera..." le sussurrò lei, di rimando, calamitando inevitabilmente il suo sguardo. Perché sapeva che era sincera, Emma, ma per un attimo aveva sperato di trovare falsità, nel suo sguardo, una presa in giro che le avrebbe dato un motivo, uno solo, più che valido, per tirarsi indietro e respingerla. Invece nei suoi occhi trovò solo la più limpida e sincera ammirazione, no, devozione, quell'unico e solo sguardo che da anni torturava il suo cuore, incatenandolo ad un irrealizzabile desiderio e ad un impossibile sogno, che portava il nome di Emma Swan.
Quello sguardo in cui non poteva evitare di perdersi, di cadere, nutrendosi della sua luce e del suo tutto, tutto quello che lei non aveva mai avuto, tutto quello che aveva sempre cercato, volendone sempre di più, sempre di più, trovandosi ad un respiro dal suo viso e volendo ancora sprofondare in quello spazio, lasciarsi avvolgere da tutta quella dolcezza, e quella luce, e quell'amor...
Si riscosse prima che fosse troppo tardi. Una mano di Emma le stava già sfiorando la tempia, il suo sguardo era già perso tra le sue labbra e i suoi occhi, in un'inarrestabile corsa.
Ma lei si tirò indietro.
Sentì il tonfo della porta del paradiso che si richiudeva alle sue spalle, o forse solo il rumore di un cuore spezzato. Come lo sguardo di Emma.
Trovò il coraggio che credeva di non avere, per fronteggiarlo. La voce stanca, lontana ormai sul fondo dell'abisso, per parlare.
"Non puoi farlo, Emma. Non puoi prendermi e usarmi per distrarti e poi buttarmi via come un giocattolo rotto, non ne hai il diritto. Magari sono rotta, probabilmente per te sono sempre stata troppo rotta, troppo complicata da aggiustare, e lo capisco, non ti rinfaccio nulla, non mi sono mai aspettata niente, ma non sono un giocattolo.
Non puoi farlo ancora. Sono stanca di essere spezzata."
Ogni parola le strappò un pezzo di cuore, ma magari così avrebbe smesso di soffrire. E non si sbagliava, era terrore quello che vedeva profilarsi nelle iridi di Emma e sulle sue fattezze attonite.
"No, io non..."
Sorrise amaramente
"Cosa? Non hai neanche la forza di negarlo..."
E allora lo sentì, quel nodo di emozioni e di brandelli di cuore, stringerle dolorosamente la gola, privarla dell'ossigeno, arrossando i suoi occhi. Li chiuse, non voleva più vedere. Scosse la testa, non c'era più bisogno di parole. Si allontanò dal bancone e la superò senza voltarsi indietro, giurando a sé stessa che mai più si sarebbe permessa di farlo.
Imboccato il corridoio, iniziò a correre, insieme alle stille di dolore sulle sue guance, insieme al suo cuore sanguinante, cercando solo di andare lontano, più lontano possibile, da lei e da quell'indistruttibile mostro  che di lei portava il volto ed il nome, che la inseguiva e raggiungeva da anni,  per nutrirsi del suo cuore e della sua anima.
 
...But listen to your heart before you say goodbye.
 
 
L'aveva guardata andare via senza neanche il coraggio di risponderle. Era rimasta immobile, travolta dalle sue parole, dai propri errori o forse solo dalla tristezza del loro destino. Un destino che si erano costruite distruggendolo, giorno dopo giorno. Era incredibilmente triste. Era incredibilmente stupido. Ed Emma.. Emma era incredibilmente codarda. In fondo, aveva sempre saputo di essere lei la colpevole di tutto. Lo aveva sempre saputo, eppure aveva continuato a nascondersi dietro a mille maschere e a mille scuse. Il contesto, la situazione, il passato... erano solo scuse, nient'altro che questo. Lo sapeva. Erano scuse per la sua codardia che le aveva da sempre impedito di fronteggiare il mostro enorme che incombeva su di lei, che dopo una vita di solitudine ed odio l'aveva raggiunta, finalmente. Che portava il nome ed il volto di Regina Mills e che voleva divorarla interamente.
Era troppo grande per lei, quel mostro. Una minaccia che non poteva sconfiggere, che allora si limitava a rifuggire, pur sapendo che la sua ombra avrebbe oscurato la sua esistenza per sempre, fino alla fine dei suoi giorni e forse anche dopo.
Ma, dopotutto, le era andato bene. Se lo era fatto andare bene per anni, perché nessuno le aveva mai insegnato ad aver cura di sé e dunque non le era mai importato se avrebbe sofferto. Poteva ferirsi, ma restare viva, e questo era bastato, molto, molto a lungo.
Ma non andava bene, se a ferirsi era Regina. Se a ferirla era lei, il suo egoismo, la sua codardia. Non andava bene, se il prezzo lo avrebbe pagato sua figlia. Non era questo quello che voleva, non lo aveva mai voluto.
Regina...Regina Mills che credeva di essere un ripiego. Lei era riuscita a far sentire Regina Mills un ripiego.
Credette di non essersi mai odiata come in quel momento. Cosa era lei, allora? Cosa era stata, per tutti quegli anni? Come avrebbe potuto essere madre? Come avrebbe potuto essere ancora, accanto a lei?
Non l'aveva neanche fermata...aveva lasciato che, ancora una volta da sola, si caricasse sulle spalle il peso di una felicità respinta.
Era un essere orribile e forse a Regina star lontana da lei avrebbe fatto bene.
No.
Dannazione, no!
No, non si sarebbe più permessa di farlo, mai più. Si stava nascondendo ancora, dietro quella stupida scusa di non essere all'altezza, di non essere abbastanza, solo perché ora seguirla le faceva paura, più paura dell'inferno.
No, forse non era all'altezza di Regina, di sicuro non lo era, ma avrebbe fatto di tutto, di tutto, per scalare quell'Olimpo di sogni dove la sua anima si recludeva sola, afferrarla, e darle la vita che desiderava, la compagnia che necessitava, l'amore che meritava. Per non lasciarla andare mai più.
Iniziò a correre, addentrandosi nella sua paura.
Mai più l'avrebbe lasciata soffrire così, mai più, e non importava il prezzo.
Allora, e solo allora, sarebbe forse finalmente stata qualcuno.
E quando la trovò nel corridoio della loro camera, poggiata al muro, coperta di lacrime urlando devastazione, non ebbe più tempo per pensare o per avere paura.
Fuori di sé, i passi che mosse non furono i suoi. O forse lo furono, i suoi primi passi, venendo alla luce.
Le scoprì il volto afferrandole i polsi, li inchiodò al muro alle sue spalle.
Si perse nei suoi occhi, annegati nelle lacrime, sollevò il suo viso, tinto di stupore. La guardò solo per un momento, lasciando che si imprimesse per sempre nella sua memoria.
E poi la baciò.
Appassionatamente, come avrebbe voluto fare da anni, dolcemente, come ne avevano entrambe bisogno. Sentì il vuoto aprirsi nella mente, il cuore sprofondare di miglia nel suo petto, e si chiese se fosse davvero quello ciò che si provava. Ciò che lei non aveva mai provato.
Sentì calde lacrime bagnarle le palpebre, scenderle sul viso, mescolarsi a quelle di Regina il cui sapore avvertiva sulle labbra, sulle sue labbra.
Era quello, ciò che aveva sempre cercato: la straordinaria ed assurda illusione che il mondo stesse per finire, sgretolandosi sotto i suoi piedi, e lei fosse sul bordo del baratro che l’avrebbe inghiottita per sempre non appena il momento fosse passato, perché non sarebbe mai potuta tornare a respirare, dopo quello.
E quando l'ossigeno davvero finì nei loro polmoni, e si separò da lei riaprendo gli occhi, respirava ancora, ma nelle sue iridi scorse stelle, intere galassie, vite mai scoperte che la portarono a chiedersi quale fosse la meraviglia del mondo, confluire in un unico sguardo di stupore d'innanzi all'infinito che era certa di riflettere nelle sue, defluendo poi in un'ultima lacrima rimasta.
Regina, era la meraviglia del mondo.
Ed Emma era l'unica persona fortunata abbastanza da averla incontrata sul suo cammino.
La vide cercare di domare lo stupore in statici secondi d'attesa, d'agonia e di piacere, per poi deglutire e cercare di parlare
"Perché lo hai fatto?" un sussurro flebile, a malapena udibile. Ma avrebbe udito qualsiasi cosa Regina avesse detto da allora in avanti, no, avrebbe ascoltato, per il resto della vita.
"Ti avevo detto che non volevo..." abbassò lo sguardo, e la paura di vedere in esso una ferita spinse Emma a parlare, per bruciare con la sua voce ogni via di fuga.
"Non lo farò" ottenne nuovamente la sua attenzione, e con essa il privilegio di guardare nei suoi occhi.
Non avrebbe mai potuto buttarla via come un giocattolo rotto. Mai. Non quando era il dono più grande che avesse mai ricevuto.
"Ti giuro che non lo farò"
Respirò, Regina. Valutò.
"Come faccio a saperlo?"
Parlavano così piano da accarezzarsi appena con il fiato, con la paura che una parola più forte, una parola di troppo, avrebbe potuto distruggere il loro fragile universo.
"Non puoi, ma te lo prometto. E ti chiedo di credere in me come io ho creduto in te. Credere che io possa cambiare da quello che sono stata."
"è una recriminazione?"
"è una supplica"
Si incontrarono in uno scontro di sguardi, di dubbi e certezze,di promesse e timori, cercando di distinguere la vittoria dalla sconfitta.
Alla fine Regina si arrese alla forza del conflitto presente in lei. Sbatté le palpebre, di un passo più lontana.
"Non ne siamo in grado"
Ed Emma si sentì persa, vicina a lei che era così lontana in quelle fredde parole.
"Perché?" chiese, trattenendo appena ribelli vibrazioni delle corde vocali.
"Perché abbiamo sempre visto e voluto ciò che sarebbe potuto essere e non ciò che sarebbe stato. "
"Cosa sarebbe stato?"
"Io, tu e...tutti i nostri problemi. Ne abbiamo troppi, non li abbiamo mai superati, cosa ti dice che ce la faremo?"
Non è così. No, Regina, non lo è.
"No. Saremmo state noi due, con i nostri problemi. Per questo li avremmo superati. Per questo possiamo essere e saremo, se tu lo vorrai."
Vide riaccendersi i suoi occhi, sentì la propria speranza tornare a bruciare.
"Ma se non dovessimo farcela...Emma, questo potrebbe distruggerci"
Capì di dover alimentare la fiamma della sua, riconobbe la sua possibilità. Forse l'ultima che aveva.
"Allora guardami e dimmi che adesso sei felice"
In un sospiro cadde lo sguardo di Regina.
"Sai che non è così"
"Allora ne sarà valsa la pena, se ci distruggeremo. Lo farei, per avere almeno una possibilità."
Capì che il momento era arrivato da un suo fugace sguardo. Le prese le mani.
"Guardami, ti prego." supplicò, perché senza il sostengo del suo sguardo non ce l'avrebbe fatta, non sarebbe riuscita a distruggere quell'enorme muro di paura, a lanciarsi tra le braccia del mostro.
Regina la guardò, sorpresa. Emma le strinse le mani.
"Siamo sempre state donne spezzate, spesso dai nostri stessi errori. Tutto quello che possiamo fare per guarire è ascoltare il nostro cuore e fare quello che dice. è l'unico modo. Quindi, ti prego..."
Eccolo, il momento. Quello che avrebbe cambiato la sua vita. Per una volta, seppe che era lí. Per una volta, ne ebbe il controllo e la responsabilità.
Si inginocchiò di fronte a lei, le tenne le mani.
Avrebbe chiesto perdono. Solo così, forse, si sarebbe salvata.
"Dammi la possibilità di guarire e di rimediare a tutti i miei errori. Perdonami."
Si zittì e rimase a fissarla, reduce ansimante da una corsa contro i battiti del proprio cuore, frenetici di paura e d'emozione.
Anche Regina la fissava, con gli occhi quasi sgranati ed il respiro mozzato.
Emma Swan che chiedeva perdono a lei, alla regina cattiva, che le aveva rovinato la vita prima ancora che iniziasse. Lo meritava il suo perdono, Emma Swan, perché lei non sentiva di provare più alcun rancore. Meritava quella possibilità. La meritavano entrambe.
E forse, dopotutto, lei aveva ragione.
Mentre la tirava su, in piedi, e contro di lei, pensò che forse Emma aveva ragione, avrebbero dovuto ascoltare i battiti dei loro cuori, così forti, agitati e coordinati, cercandosi a vicenda attraverso ossa e carne a contatto.
 Richiamando a sé quelle labbra e quel corpo, avvolgendosi nel loro calore, capì che quella era l'unica cosa che potesse ancora salvarla. Lei, poteva ancora salvarla, era sempre stata lei. E loro, potevano ancora salvarsi, in quel sospiro di sera e abbandono che condivisero prima di unirsi ancora una volta nella loro personale supernova, in quella esplosione dei loro corpi ormai celesti , uniti oltre la carne e l'amore, nella loro perfetta costellazione.
E in quei loro destini, cui fili si inseguivano nella stessa trama, da sempre paralleli, per incontrarsi finalmente nel loro perfetto disegno.
 
Scivolarono nell'oscurità della stanza in una nuova, surreale, calma, che sentirono improvvisamente permeare i loro cuori e i loro corpi, forse dovuta alla stanchezza, al sollievo, o ad un misto di entrambi.
Non avevano fretta, non c'era più motivo di correre e di affannarsi, non c'era più nulla da cercare, perché ogni loro fine confluiva in quella stanza, e nella famiglia che vi avevano  all'interno.
Certo, avrebbero avuto ancora molto da scoprire, l'una dell'altra, altre intere dimensioni del loro noi, dei loro corpi, sfumature ed esternazioni del loro amore, ed insieme del mondo, nuove verità, sensazioni e realtà, ma non vi era fretta, non allora che erano riuscite a trascendere il tempo, che era stato per loro donatore ed esattore, scorrendo lentamente e freneticamente, e che ora non era altro che tempo, perché sarebbero state infinite, nel loro essere insieme, da allora in avanti.
Così si limitarono, no, si compensarono nella totalità del fronteggiarsi, del potersi guardare con sincerità e senza veli, come mai prima di allora, sentendosi al sicuro.
Si concessero di spogliarsi a vicenda, lentamente ed in silenzio, solo per permettersi di giungere alla realizzazione di aversi, di aversi per davvero, forse non per sempre, ma per un sempre ideale che era già sufficiente.
Si tolsero le scarpe, restando scalze ed ugualmente alte sul pavimento, sentendosi inspiegabilmente più vere.
Regina fece un passo verso Emma e le tolse la giacca, le aprì la camicia lasciando scorrere le mani sul suo petto e sul suo addome, senza malizia o desiderio, solo tracciando i suoi confini, i profili delle sue spalle, quando vi fece scivolare il tessuto bianco, solo per sentirla lì, stabile e presente, facendo sua quella stabilità.
Emma finì di spogliarsi, restando in intimo, con i lunghi capelli biondi sciolti sulle spalle. Regina ne prese una ciocca tra le dita, accarezzandola con il pollice. Non erano più come un tempo, i capelli di Emma, non aveva più quei boccoli biondi in cui aveva da sempre voluto affondare le mani, erano più chiari ora, più lisci. Si era sempre rifiutata di tingerli, e alla luce del sole si iniziavano ormai a vedere sottili fili bianchi sparsi nel mare oro pallido, ma li aveva sempre trovati belli, Regina. Trovava le dessero un nuovo senso di realtà, un nuovo strato di esperienza, mostravano la donna più matura che ormai era diventata, e sperava non scegliesse mai di nasconderli, perché per lei Emma era e restava bellissima sempre e comunque, ed era proprio la sua autenticità a renderla tale.
Sentì la bionda trattenere il respiro sotto il suo tocco, e le accarezzò dolcemente il viso, avvicinandosi lentamente e baciandola, come non si era ancora stancata di fare e come immaginava non avrebbe mai fatto.
E in quel bacio Emma sentì il dolce consenso che aspettava. Quando si separarono la fece girare di spalle con delicatezza e le abbassò la cerniera del lungo vestito da sera che ancora lanciava scintille di riflessi lunari nell' oscurità, facendolo poi scivolare dalle sue spalle e lungo il suo corpo fino a toccare terra.
Era liscia la sua schiena, disegnata dalla prima luna di un nuovo anno, soffice la pelle delle sue spalle quando vi poggiò lievemente le labbra, quasi a marchiarla, rendendola sua come nessuno aveva fatto prima: con la gentilezza di una richiesta. Sentì un brivido correre sulla sua pelle, poi, Regina si girò.
Ed era bellissima, Emma non aveva mai avuto dubbi al riguardo, e riusciva a sembrarle allo stesso tempo piccola e indifesa,  e maestosa come nulla e nessuno avesse mai incontrato prima.
Si chiese se non avessero sempre tutti ignorato che in realtà, in quel mondo strano da cui provenivano e in cui tutto era possibile, un tempo Regina non fosse stata un regina ma una dea, un'autentica dea, come ora le sembrava, in un ambiente troppo piccolo per contenere la sua grandezza. Le fu chiaro allora che non avrebbe mai posseduto Regina, perché non ne era all'altezza. Tutto quello che avrebbe potuto fare sarebbe stato venerarla, ed era tutto quello che voleva ed intendeva fare, per il resto della sua vita.
Si accorse di essere ancora immobile a fissarla, vide un lampo di incertezza nei suoi occhi, allora sfiorò il suo collo con i polpastrelli, accarezzò il suo cuore ed il suo ventre, sentendolo respirare e vivere sotto il suo tocco, e poi si avvicinò a sua volta colmando quello spazio e baciandola piano, con dolcezza, lasciandola andare solo dopo essersi persa nuovamente nel sapore di quel bacio e nelle sensazioni che aveva sempre cercato.
E quando si separarono, continuarono a vivere la loro normalità come se non fosse appena accaduto il più grande miracolo in cui avessero mai sperato, entrambe troppo perse nel sogno che diventasse quella, la loro normalità.
Emma lasciò lavare Regina restando ad aspettare immobile nel buio, fissando il niente vivendo il tutto, sentendosi davvero in un sogno, incantata, incapace di fare tutto ciò che non le fosse stato automatico.
Quando lei uscì dal bagno, ancora in intimo, prese il suo posto, si lavò e preparò come un automa, senza probabilmente pensare a niente perché avrebbe avuto troppo, a cui pensare, per poi uscire, ancora seminuda come lei.
La trovò già nel letto, rannicchiata sotto le coperte, e la visione le risvegliò un nuovo, feroce battito del cuore fin troppo rilassato dopo tutto quel travaglio, questa volta di tenerezza.
La raggiunse lasciando che i suoi occhi si abituassero nuovamente al buio e che le sue orecchie si riempissero ancora di quel profondo silenzio che la stava lentamente stordendo.
Si coricò accanto a lei che aprì gli occhi, in cui ancora si perse, sentendo il cuore traboccarle di una nuova emozione.
Entrambe, cercarono le loro mani e le strinsero, portandole e poggiandole tra loro: non avevano bisogno di altro.
E restarono a fissarsi senza dire una sola, altra parola, lasciandosi trasportare lentamente oltre quella soglia rimasta ad attenderle per troppo tempo, cadendo poi, in un dolce buio fatto di luce, nella pace di cuori feriti, lasciati sanguinare troppo a lungo, guariti allora dal caldo silenzio di una fredda prima notte dell'anno.
 
 
La mattina dopo la luce del sole che entrava dalla finestra ed un brivido causato da un soffio d'aria fredda sulla spalla scoperta svegliarono Emma.
Aprì gli occhi convinta di essere reduce da un sogno unico e bellissimo, ma quando riuscì a mettere a fuoco la stanza attorno a lei nella nuova luce del sole, e vide Regina accanto a sé e sentì le sue mani ancora strette tra le sue, capì che di un sogno non si era trattato. Ma si sentiva sveglia, ora, il cuore e la mente riposati e pronti a travolgerla nuovamente d'emozioni. Ed eccole lì, quelle emozioni, quando ancora qualcosa cambiò: Regina si svegliò.
Schiuse le palpebre vellutate come petali sul nucleo di vita rovente che erano i suo occhi, velati dalla sottile lucidità del sonno che, come rugiada, ricopriva il risveglio di quel mattino.
E forse, si disse inconsciamente Emma, nel sussulto che ebbe il suo cuore nella sua gabbia a quella vista, forse era Regina il suo mattino. Il suo nuovo inizio. Forse lo era sempre stata.
Ma non ebbe il tempo di soffermarsi su quel pensiero, perchè poi furono le labbra di Regina a schiudersi, così vicine alle sue da lasciarla senza fiato.
La vide sorridere, la vide ringiovanire di anni, e così si sentì lei, travolta dalla luce e da una gioia infantile, senza sapersi trattenere dal raggiungerla e baciarla, chiudendo gli occhi e pregando di potersi svegliare in quel modo ogni restante giorno della sua vita, che anche solo per quello sarebbe stato meritevole di essere vissuto.
Regina rise leggermente, forse non l'aveva mai vista così. Le sembrò...felice.
Sorrise a sua volta, troppo incantata per parlare. Poi, sentì uno sbadiglio ed una vocina alle sue spalle.
"Mamma, 'giorno, auguri!"
Chiuse gli occhi e sorrise, girandosi verso il lettino
"Buongiorno amore. Auguri anche a te."
Guardò Regina per un momento e la vide ancora sorridere, così si alzò e raggiunse Hope, poggiandosi al suo lettino.
"Vuoi venire un po' nel lettone con me?"
Hope annuì e si inginocchiò tendendo le braccia. Emma la prese e tornò a letto portandola con se, lanciando una muta richiesta a Regina che però continuò a sorridere e annuì.
La mise tra loro e si coricò al suo fianco.
"Ciao, zia 'Gina, guri!"
La bruna le accarezzò la guancia con dolcezza e le baciò la fronte
"Auguri a te, tesoro"
Emma rise: "aspettava questo momento per fare gli auguri a tutti da una settimana"
"Auguri!!" fece lei battendo le manine entusiasta e facendole ridere entrambe
"Grazie, abbiamo capito, ora puoi smettere"le disse Emma. Lei annuì e le guardò entrambe a turno, rivolgendosi poi a sua madre
"Mi piace stare tra te e zia 'Gina"
Emma le sorrise e sollevò lo sguardo sulla donna di fronte a lei, sorrideva anche lei, e con così tanta dolcezza da farle realizzare qualcosa che non aveva ancora realizzato. Guardò Hope, improvvisamente seria seppur trattenendo un minimo sorriso,e le prese una manina
"Senti, amore...che ne dici...ti piacerebbe chiamare zia Regina 'mamma', da ora in poi?"
Attese la sua risposta guardandola, e percepì  Regina irrigidirsi dall'altro lato del letto, il suo sguardo a trapassarla. La bambina parve valutare attentamente la questione, poi fissò sua madre.
"Mamma..."
 Emma sentì un brivido attraversarla
"Si?"
Un sorriso si allargò sul viso di Hope, diventando poi una risata: " sei buffa con quella faccia! Si, mi piace tanto!"
Emma tirò un sospiro di sollievo. Poi Hope si girò verso Regina e la abbracciò da sopra le coperte stringendosi al suo petto.
"Da ora mamma 'Gina"
Ed Emma fu sicura di vedere delle lacrime negli occhi della bruna, mentre ricambiava l'abbraccio di Hope, ma non disse nulla e si limitò ad accarezzare i capelli di quel piccolo angelo che aveva l'onore di poter chiamare figlia.
"prima o poi riuscirai anche a dire il suo nome come si deve..."
Regina rise e la guardò con un misto di gratitudine ed amore a cui forse Emma non si sarebbe mai abituata.
Poi, fu il suo turno di chiedere qualcosa ad Hope. Le prese il viso e la guardò
"Hope ascolta... ti piacerebbe vivere con la mamma...con mamma Emma a casa mia, da ora in poi?"
E fu Emma allora a restare senza parole a guardarla, con la stessa gratitudine e lo stesso amore, e le stesse lacrime negli occhi.
Ma a quella risposta Hope non ebbe bisogno di pensarci, perché era noto a tutti quanto amasse casa di Regina.
"Siii!" la abbracciò ancora una volta con ancora più slancio, dando poi un bacio sulla guancia ad entrambe.
Regina guardò Emma, sorridendo.
"Allora signorina Swan, pare che adesso possiamo finalmente definirci...una famiglia" e nonostante il lieve scherno nella sua voce, Emma riuscì a percepire l'incertezza di quelle parole. Le prese la mano.
"Siete la mia famiglia da anni. Tu, Henry e Hope."
Regina sorrise sinceramente
"E voi la mia"
Si sollevarono appena, tendendo l'una verso l'altra, e si diedero un bacio a fior di labbra, colmo di tenerezza e del principio di realizzazione di tutti quei sogni inseguiti e distrutti per secoli.
E trovarono solo allora, per la prima volta, nel suono dell'applauso felice di Hope, il coraggio di dire quelle parole così preziose e pericolose, quelle parole che le avevano terrorizzate per anni e che solo allora smettevano finalmente di fare paura.
Quel lieve ed esitante "ti amo" che per sempre sarebbe rimasto un principio nella storia. Che avrebbe contenuto il significato di mille e più azioni,  che sarebbe stato il significato espresso da mille e più piccoli gesti quotidiani, e il cui significato, tuttavia, avrebbe continuato ad essere scoperto giorno dopo giorno, in una infinita, e mai tediosa, ricerca della felicità.
 
E avrebbe poi dimenticato, Emma, quell'anello abbandonato sul bancone del bar che un tempo avrebbe dovuto significare quelle parole, per comprarne un altro, solo pochi mesi dopo. Perché si conoscevano già da abbastanza tempo, si amavano, già da abbastanza tempo, e aspettare ancora, ai suoi occhi, non aveva senso.
E glielo avrebbe offerto con una dolce promessa d'eternità su labbra tremanti e guance bagnate di lacrime, fatto scivolare al dito sentendo che qualcosa, nel mondo, stava andando al suo posto, al posto giusto, e sentendo di aver trovato anche lei, per la prima volta, il suo posto del mondo.
Perché Regina avrebbe accettato senza pensarci, l'avrebbe accettata, come se non avesse fatto altro che aspettarla per tutta la vita, ed insieme avrebbero iniziato a riscrivere il loro destino. E non importava se era tardi, e se il tempo era passato: non sarebbe mai stato troppo tardi per ascoltare il loro cuore e smettere, una volta per tutte, di avere paura.
   
 
 
 
//Salve a tutti e grazie per essere arrivati fin qui.
Questa storia è nata lo scorso inverno in periodo natalizio e si è sviluppata fino ad ora, ma considerato che ancora per il prossimo capodanno ci vuole un po' di tempo e che in questo periodo invece abbiamo tutti (o quasi) un po' di tempo libero in più ma sopratutto tanta voglia di distrarci, ho deciso di pubblicarla ora.
Per altro come avrete notato il tema delle festività è piuttosto marginale quindi ho pensato non sarebbe stata fuori luogo.
L'ho divisa in due capitoli per evitare eccessiva lunghezza e facilitarne la lettura.
Ciò che era mia intenzione rendere, oltre chiaramente alla grandezza del loro sentimento e all'affinità delle loro anime, era proprio un realistico quadro sul tempo che passa e su come esso cambi sia le persone che i sentimenti.
Spero di essere riuscita in questo obbiettivo.
Le canzoni da cui ho tratto ispirazione sono 'Listen to your heart', nella versione dei Through fire, di cui ho riportato il testo, e 'In the air tonight' di Phil Collins per il ballo.
Per quanto riguarda il nome del locale poi, e della storia, Indigo, c'è un riferimento al significato che la parola, in italiano 'Indaco', assume nella canzone di Sharon den Adel 'My Indigo' ( che per loro trovo perfetta), appunto di un qualcosa di ignoto ed inespresso però così potente da esistere nonostante tutto.
Spero davvero la storia vi sia piaciuta e mi farebbe molto piacere leggere dei vostri pareri.
Grazie a chiunque abbia  anche solo iniziato a leggere.
Eleonora
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

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