Sempre

di _mills_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1 ***
Capitolo 2: *** 2 ***
Capitolo 3: *** 3 ***
Capitolo 4: *** 4 ***
Capitolo 5: *** 5 ***



Capitolo 1
*** 1 ***


Reese's POV

C'era un silenzio assordante. Troppo. E in casa mia c'era stato di tutto ma mai e poi mai il silenzio.
Mi alzai lentamente e, cercando di non fare il minimo rumore, recuperai da sotto il letto un coltello pieghevole, regalatomi da mio padre "per ogni evenienza". Uscii dalla camera e, camminando lungo il corridoio, iniziai a sentire un lieve odore metallico. Sudavo freddo e fui costretta a stringere la presa sull'impugnatura del coltello: non serve essere nati nella zona sud del Bronx per riconoscere l'odore del sangue.

Sentii dei movimenti provenire dalla scala antincendio e, incoscientemente, corsi in salotto. Lì, buttato a terra e immerso in una pozza di sangue, c'era mio padre; feci appena in tempo a voltarmi che vidi alla finestra un uomo sulla trentina che, dopo aver incrociato il mio sguardo, scese agilmente le scale poste sulla facciata dell'edificio. 

Non riuscivo a muovermi, non riuscivo a pensare, non riuscivo a urlare né a piangere: mi sentii completamente inutile.

Dopo quella che sembrò un'eternità, sebbene fossi completamente paralizzata per lo shock, ricordandomi di quelle stupide lezioni sulla sicurezza tenutesi nella mia scuola, cercai un telefono per chiamare la polizia e, ripensando agli insegnamenti di mio padre, mi affrettai a mettere il coltello in un cassetto della cucina. "Quando gli sbirri trovano un minore con un'arma in mano sono sempre cazzi!" mi diceva ogni volta che dei ragazzi del quartiere si mettevano nei casini. 

Non so dire dopo quanto tempo arrivò la polizia: tutto intorno a me girava e la puzza di morto stava diventando insopportabile. Una ragazza in uniforme mi porse un bicchiere d'acqua e, mentre cercavo di non vomitare quel poco che stavo bevendo, vidi entrare nell'appartamento due detective, un viso pallido e un ispanico, e quella che intuii essere il medico legale. Tutti e tre, dopo essere stati informati sull'accaduto da alcuni poliziotti, si voltarono verso di me e il medico, una giovane donna di colore, disse che sarebbe stato meglio che fosse Kate a parlare con me. Non sapevo chi fosse questa Kate ma di una cosa ero certa: non avevo voglia di parlare con nessuno e soprattutto non con i piedi piatti.

Tornai in camera mia e, come mossa per inerzia, cercai nell'armadio una felpa che potesse far sparire tutto il freddo che provavo in quel momento. Incrociai il mio sguardo nello specchio: avevo la matita della sera prima colata e le occhiaie più accentuate del solito ma non avevo pianto. "Se cresci qui, bambina, ti devi aspettare di tutto anche di trovarmi buttato senza vita da qualche parte!" mi ricordava spesso mio padre. Non era un pessimista e non aveva neanche predetto la sua morte, era solo realista come tanti in questo quartiere. 

Sentii a stento, talmente assorta nei miei pensieri, bussare alla porta della stanza: si trattava di una giovane donna vestita molto bene che mi guardava attentamente; alle sue spalle invece si trovava un uomo che, come lei, osservava tutto con grande scrupolosità. 

"Sono il detective Kate Backett e lui è Richard Castle." mi disse con un lieve sorriso incoraggiante sul volto. 

"I... Io sono Reese." dissi cercando di sembrare leggermente amichevole. 

"Abbiamo bisogno che tu ci dica tutto quello che sai e, Reese, ti prometto che troverò chi ha fatto questo!" disse il detective con un tono gentile. 

Annuii e, senza molte altre alternative, decisi di seguirli in centrale.

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Capitolo 2
*** 2 ***


Reese's POV

"Io l'ho visto e lui ha visto me!" dissi in fretta e quasi sbottando.

Avevo raccontato al detective Beckett tutto ciò che era successo anche se, come immaginavo, non sapevo un granché. Io però, anche se per poco, avevo visto il bastardo che aveva accoltellato mio padre e quindi potevo fornire a quelli della omicidi un identikit abbastanza attendibile. C'era solo un piccolo ma rilevante problema: lui mi aveva vista e, cosa che sapevo bene, nessun omicida lascia mai incompiuto un lavoro.

"Chiunque fosse era solo un tirapiedi che non sapeva ci fosse qualcun altro in casa e, avendo esitato troppo, ha preferito scappare. A questo punto però il mandante dell'omicidio gli avrà già detto di trovarmi e di farmi fuori." dissi attirando l'attenzione dei detective e del capitano del distretto. 

"Come fai ad esserne sicura?" chiese Ryan, il detective viso pallido. 

"Intuizione del Bronx! Mio padre, come vi ho già detto, non aveva problemi con gang o gruppi mafiosi ma non posso assicurarvi che non abbia pestato i piedi a nessuno... era un tipo troppo imprevedibile." risposi sinceramente. Per assicurarci una vita tranquilla quell'uomo ne aveva combinate di grosse e, cosciente di ciò, mi aspettavo di tutto.

"Reese Morris, sedici anni..." lesse su un fascicolo Esposito, il detective ispanico. 

"Non hai parenti che possiamo contattare?" mi chiese esitante. 

"Mia madre è morta un paio di anni fa di overdose ma comunque non ha mai vissuto insieme a noi. E sono abbastanza sicura di non avere altri parenti. Gli amici non contano, vero?"chiesi a nessuno in particolare.

"Se quello che dice è vero, la ragazza va messa subito sotto protezione." disse seria il capitano Gates.

"Può stare da noi finché non risolviamo il caso!" propose Richard Castle che avevo scoperto essere uno scrittore di romanzi gialli e il quasi marito di Kate Beckett.

"Se per Beckett non è un problema, potrebbe essere un'idea." disse il capitano guardando la diretta interessata.

"Beh... non ho nulla in contrario capitano. Sarà al sicuro." rispose lei molto convinta.

"Noi sorveglieremo il palazzo." Dissero in coro Esposito e Ryan rivolgendosi al capitano.

"Posso tornare nel mio appartamento per prendere un paio di cose?" chiesi speranzosa: avevo bisogno di cambiarmi e, per "ogni evenienza", di recuperare il coltello che avevo lasciato in cucina.

"L'assassino si aspetta che tu vada lì... quindi no, mi dispiace." disse Beckett. 

"Troveremo qualche vestito per te nell'armadio di Alexis, mia figlia." mi disse Castle. Leggermente sconsolata, annuii con la testa.

 

Castle si offrì di accompagnarmi a casa sua mentre gli altri rimasero al distretto per cercare di scoprire qualcosa di nuovo.

"Perché ti sei preso la responsabilità di ospitarmi? Potevi lasciarmi ai servizi sociali." chiesi allo scrittore durante il tragitto in macchina. 

"Tu mi piaci e piaci anche a Kate. Sarai molto più al sicuro con noi che in qualche casa-famiglia." disse sorridendomi.

"Alla fine finirò nelle loro mani, giusto? Dei servizi sociali, intendo." chiesi con un sopracciglio alzato. La mia domanda rimase sospesa ma tanto conoscevo già la risposta. Castle accese la radio e scoprii con entusiasmo che non sentiva musica di merda: dopotutto qualcosa in comune forse ce l'avevamo.

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Capitolo 3
*** 3 ***


Reese's POV

Il suo appartamento, situato nel quartiere di Manhattan, a differenza del mio, era tanto grande da potercisi perdere. Per uno che, come me, viveva nella più totale semplicità anche una casa più piccola e spoglia di quella sarebbe stata fantastica. Non appena varcammo la soglia, ci accolse a braccia aperte una signora dai capelli fiammanti che, durante il tragitto in macchina, Castle mi aveva detto essere sua madre. 

"Grazie al cielo state bene ragazzi! Tu devi essere Reese. Io sono Martha Rodgers, la madre di Richard. È un piacere conoscerti!" mi disse affettuosamente. 

"Mentre voi due chiacchierate un po', vado a cercare qualcosa nell'armadio di Alexis che possa andarti bene ." disse Rick. Non feci in tempo ad annuire che era già sparito al piano di sopra. 

"Mi dispiace molto per la tua perdita cara. La mia è una domanda banale ma come ti senti?" mi chiese Martha. 

"Decisamente stordita. Mio padre mi ha sempre detto di aspettarmi tutto dalla vita ma certe cose fanno lo stesso male." risposi accennando un lieve sorriso. 

"Supererai anche questa." disse lei mettendomi una mano sulla spalla. 

"Ho delle cattive notizie!" disse Castle scendendo le scale in tutta fretta. 

"Alexis ha lasciato solo pigiama parecchio rosa e, se non mi sbaglio, tu non mi sembri una che indossa spesso questo colore." aggiunse ridacchiando. 

"In effetti no! Solitamente porto cose molto nere però, in questo caso, va bene qualsiasi cosa." affermai non volendo essere ancora più di disturbo. 

"Forse ho un'idea..."disse Castle correndo dall'altra parte della casa. Riemerse portando con sé una felpa nera della polizia di New York. 

"Questa dovrebbe andare. È di Kate ma prendila pure." disse porgendomela. 


Decisi, sperando in questo modo di potermi sentire meglio, di andare a fare una doccia per poi andare a letto.
Mentre l'acqua bollente mi scorreva addosso, passai la mano sulla perfetta cicatrice a X che avevo sull'avambraccio sinistro. Mi dissi che non era il momento di pensare anche a questo, non oggi.
Mi infilai la felpa e, con i capelli asciutti e legati in una coda di cavallo, andai nella camera che Castle e Martha avevano preparato per me. Dopo aver recuperato il telefono dalla tasca della giacca, mi fiondai sotto le coperte: finalmente un letto morbido e caldissimo nel quale sprofondare.
Mi erano arrivati veramente tanti messaggi ma mi soffermai solamente su quelli che avevo ricevuto sul gruppo che condividevo con i miei due migliori amici, Dylan e Owen. Ci conoscevamo da una vita, sapevamo tutto l'uno dell'altro e, soprattutto, tutti e tre avevamo una vita piuttosto merdosa. Mi avevano scritto a raffica per sapere come stessi, dove fossi finita e se mi dovevano venire a salvare dagli sbirri. Decisi di rispondergli con un unico messaggio abbastanza riassuntivo:

Ehilà giovani gangster! Tutto considerato, sto abbastanza bene. I piedi piatti mi hanno messa sotto protezione per evitare che il bastardo che ha ucciso mio padre faccia fuori anche me. Vedete di chiedere a quelli del quartiere se hanno visto o sentito niente in questi giorniCi sentiamo domani che sto morendo di sonno. Baci.

Dopo un po', quasi contemporaneamente, mi mandarono lo stesso messaggio:

Pensi siano stati loro? 

Avrei potuto ignorare la notifica e preoccuparmene il giorno dopo con la mente più fresca ma decisi di rispondere subito: 

No! Se fossero stati loro, non mi avrebbero lasciata lì.

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Capitolo 4
*** 4 ***


Kate's POV

Tornai a casa verso mezzanotte dopo essermi fermata in centrale ad indagare sul caso. Mi chiusi la porta alle spalle e, dopo aver posato le mie cose, cercando di non fare rumore, mi diressi verso la camera da letto.

"Sei ancora sveglio?" chiesi a Castle che, con il portatile sulle ginocchia, probabilmente lavorava ad un suo romanzo.

"Oh, sì! Buttavo giù alcune idee per il mio prossimo libro." mi rispose alzandosi e venendomi a baciare.

"Avete scoperto qualcosa di nuovo?" mi chiese speranzoso. 

"Ancora no. Abbiamo controllato gli ultimi spostamenti del padre di Reese ma niente. Lei come sta?" domandai con un po' di preoccupazione. 

"Era distrutta: è andata a letto alle otto e dorme da allora. Non ha voluto cenare ma mi ha promesso che domani mangerà almeno un po' a colazione." mi rispose Castle con aria paterna. 

"Sai cosa ho notato guardandola oggi? Avrà anche sedici anni ma è ancora una bambina, una bambina che è dovuta crescere in fretta per adattarsi a questo mondo." dissi pensierosa.

"Credo ne abbia viste tante in questi anni: anche se vuole apparire molto forte, si vede che soffre. Ha bisogno d'aiuto e io sono pronto a darglielo."disse serio.

"Ti stai affezionando a lei, eh, Castle?"chiesi con tono un po' provocatorio.

"Perché, tu no? Kate, da come la guardavi oggi, ho capito che quella ragazza ha fatto breccia nel tuo cuore." mi disse sorridendo Castle. Non gli risposi ma mi limitai ad annuire leggermente. 


Ripensavo a ciò che mi era successo quando ero ancora una ragazza, al dolore che continuavo a provare nonostante fossero trascorsi diversi anni ormai da quel fatidico giorno in cui mia madre mia era stata strappata via così brutalmente. Ero certa che Reese stesse provando lo stesso identico dolore per la perdita di suo padre anche se, diffidente nei confronti di chi non conosceva, faceva di tutto pur di tenerlo nascosto. Appoggiata alla spalla di un Rick completamente addormentato, capii che quello che mi aveva detto poco prima era assolutamente vero: Reese era una ragazza fantastica ed io, senza volerlo, mi ci stavo affezionando troppo.

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Capitolo 5
*** 5 ***


Reese's POV

"Devi andartene! Subito!" mi urlò improvvisamente mio padre apparendo davanti a me come sbucato dal nulla.

"Papà! Come fai ad essere qui? È impossibile!" dissi con voce tremante: avevo infatti visto il suo corpo senza vita quella mattina stessa.

"Reese, ascoltami! Loro stanno arrivando, lei sta arrivando!" disse avvicinandosi e mettendomi le mani sulle spalle.

"Promettimi che cercherai un posto sicuro. Devi avvertire Dylan e Owen: anche loro, come te, sono in pericolo!" continuò guardandomi dritto negli occhi.

"Non è possibile: non può averci già trovato. Siamo stati così bravi a far perdere le nostre tracce..." dissi stringendomi d'impulso il braccio su cui si trovava la mia cicatrice. 

Tutto ad un tratto si sentirono degli spari e, quando mi voltai nuovamente verso mio padre, lui era scomparso e al suo posto c'era solo una pozza di sangue.
Sentii dei cani abbaiare e fui accecata dalla luce dei fanali di alcune auto che si avvicinavano sempre di più. Istintivamente cominciai a correre. Correvo così tanto da sentire i polmoni in fiamme e la gola completamente asciutta. Correvo senza sosta sapendo con certezza che se mi fossi fermata mi avrebbero presa e portata da lei. Poi, mancatami la terra da sotto i piedi, iniziai a cadere. Anche se non riuscivo a vedere il fondo di quel baratro senza luce, mi confortò il pensiero che perlomeno lì non mi avrebbero potuta seguire. 

Dopo quella che sembrò un'eternità, repentinamente la mia caduta si arrestò.

 

Mi svegliai di soprassalto e con il battito accelerato ma, nonostante tutto, felice di essere atterrata sul morbido.

Mi diressi lentamente verso il bagno annesso alla camera in cui avevo dormito: speravo che sciacquarmi il viso con un bel po' di acqua fredda mi avrebbe aiutata a scacciare dalla testa quel sogno snervante. 

Sognavo, anche se con alcune differenze, le stesse persone e cose già da diverso tempo tanto da averci fatto l'abitudine. All'inizio, soprattutto dopo le bevute con Dylan e Owen e altri amici, i sogni erano talmente vividi che, quando mi svegliavo, facevo difficoltà a reprimere la paura. Dopo un po', con l'aiuto di mio padre, ero riuscita a controllare le mie emozioni svegliandomi così solamente scocciata dalla monotonia del mio inconscio.

Dopo essere rimasta immobile davanti allo specchio del bagno per due minuti buoni, mi ributtai sul letto e recuperai il telefono da sopra il comodino. Mentre mi facevo gli affari di un po' di gente sui social, mi arrivò un messaggio di Owen:

 

Oi Reese! Come ti senti stamattina? Ti scrivo per dirti che Miguel ha detto di farti sentire in giornata perché potrebbe darti qualche informazione utile. Mi raccomando: fammi sapere cosa ti dice.

 

Decisi, visto che era ancora online, di rispondergli subito:

 

Ricevuto Ow! Facciamo una videochiamata con Dylan non appena finisco di parlare con Miguel. Grazie per esserti informato.
 


Mi dissi che avrei chiamato Miguel in mattinata dopo essermi data una sistemata e aver messo qualcosa nella pancia. 

Non mi stupiva che quell'uomo avesse qualcosa da dirmi: sapeva sempre tutto di tutti. Era un delinquente, di quelli importanti, proprietario della maggior parte dei locali notturni del mio quartiere nonché uno dei più fidati amici di mio padre. Erano così amici e si conoscevano da talmente tanto tempo che quell'ispanico era sempre stato per me lo zio Mig. Pensai però che, se mi avesse dato una buona pista, vista la sua fedina, sarebbe stato complicato spiegare a Kate e Castle da chi avevo ricevuto la soffiata. Ritenni che, se fosse stata un'informazione utile, avrei preparato un discorso convincente per loro insieme a Dylan e Owen facendo di tutto pur di non essere costretta a fare il suo nome.

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