I Guardiani degli Innocenti

di Roberto Turati
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Il demonio al pascolo ***
Capitolo 2: *** Sogni da incubo (da riscrivere) ***
Capitolo 3: *** L'erborista e la driade ***
Capitolo 4: *** La strega non morta ***



Capitolo 1
*** Il demonio al pascolo ***


IL DEMONIO AL PASCOLO

Era l’inizio della primavera. I Guardiani degli Innocenti stavano viaggiando lungo un piccolo sentiero lungo la riva del Pontar, nell’Aedirn. Avevano speso tutti i soldi nelle provviste per svernare e lo strigo aveva in mente di prendere nuove scorte a Vengerberg. Quindi, per permetterseli, avevano bisogno di riempire la scorta di denaro e conoscevano un solo modo per guadagnarne: cercare un contratto. Per fortuna, nelle campagne c’era sempre qualche villaggio in cui i mostri causavano problemi. Lungo il percorso, trovarono diversi tabelloni con degli annunci, ma Fulbert li scartava tutti. Alla terza bacheca che oltrepassarono, Willy si spazientì:

«Sai che non possiamo riempirci le tasche se non facciamo niente, vero?»

Fulbert allargò le braccia:

«Lo so, ma con lavori da quattro spiccioli non possiamo permetterci quasi niente»

«E se cercassimo dei banditi e prendessimo il loro bottino? Otterremmo un po' di corone e io potrei bere il loro sangue: la mia sete sta iniziando a tornare» ammise la bruxa.

«Il discorso non fa una piega» commentò 

Lo strigo, rifletté, poi dichiarò:

«Facciamo così: controlleremo un ultimo annuncio, se neanche per quello ne varrà la pena, andremo in cerca di banditi»

«Idea bella!» esclamò Gurg.

Dunque continuarono il loro viaggio in direzione delle montagne di Mahakam, finché non intravidero un altro cartellone. Lo raggiunsero e diedero un’occhiata agli annunci. Con grande sorpresa dello strigo, uno degli avvisi attirò la sua attenzione:

C’È BISOGNO URGENTE DI UNO STRIGO

Un mostro sta divorando le nostre mucche, ce ne sta portando via una al giorno. Se muoiono tutte non avremo più niente, e abbiamo superato l’inverno a fatica. Se sei uno strigo e leggi questo annuncio, noi ti supplichiamo di venire al nostro villaggio al più presto. Non abbiamo molto, ma cercheremo di pagare come possiamo.


E, in fondo al testo, era segnato il nome del villaggio e le indicazioni per raggiungerlo. Fulbert veniva sempre colto dalla nostalgia quando sentiva nominare le mucche: gli ricordava di quando le allevava con la sua famiglia, da bambino, prima che fosse portato alla Scuola della Manticora. Quindi, senza pensarci due volte, strappò il contratto con un sorriso e annunciò:

«Ragazzi, abbiamo un lavoro!» dichiarò, allegro.

«Perché Fulbert prende lavoro che non dice paga?» chiese Gurg.

«Perché ci sono le mucche» confessò lo strigo.

«Davvero? Un giorno dovrai dirci perché sei fissato con loro» disse Aleera.

Giunti in vista del villaggio, Fulbert lasciò indietro i suoi compagni e ci andò da solo. Mentre percorreva le strade, gli abitanti si giravano curiosi a guardarlo. Vedendo le due spade alla sua schiena, capivano chi fosse e le reazioni variavano: gli allevatori sospiravano di sollievo, i bambini si fermavano a fissarlo affascinati e alcune madri più ansiose delle altre portavano i loro figli in casa, per paura che lo strigo li portasse via. Fulbert vide l’aldermanno del villaggio fuori dalla sua abitazione, intento ad osservare con aria assorta i campi in aratura che circondavano le abitazioni.

«Salve» salutò Fulbert, quando gli fu accanto.

L’aldermanno, un tizio di mezza età ingobbito e con vestiti giusto un po’ meno conciati di quelli di tutti gli altri, si voltò verso di lui grattandosi la testa pelata.

«Oh, uno strigo! Meno male che uno è arrivato, alla fine»

«Sì, ho letto il vostro avviso. Sapete già di che mostro si tratta?»

«Non è a me che devi chiedere, faresti meglio a cercare i mandriani. Ora sono al pascolo, li troverai in riva al fiume»

«D’accordo, andrò a vedere»

«Anzi, al mandriano: da quando la bestia è comparsa, solo Alkai ha il coraggio di sorvegliare la mandria»

Fulbert trattenne un sospiro infastidito: gli dava fastidio quando i clienti divagavano e si perdevano in piccoli dettagli che non gli facevano né caldo, né freddo, quindi interruppe il cliente con una domanda:

« Da quant’è che vi mangia le mucche?»

«Non molto, in realtà: ha iniziato poco dopo l’inizio dell’inverno, con le prime fioriture»

Fulbert annuì, sentendo che era come si aspettava: molto probabilmente, era una creatura appena uscita dal letargo che era andata subito a recuperare le energie bruciate in inverno, più affamata che mai. E le mandrie di mucche erano la preda perfetta. Ringraziò e si allontanò, pronto ad iniziare. Per un attimo, ebbe l’impulso di tirare in ballo il pagamento, ma alla fine decise di aspettare: non sempre trattare in anticipo finiva bene, per lui.

«Aaaaaaaah! Mostri!»

Il giovane vaccaro seduto davanti al fiume, quando sentì la mandria agitarsi e muoversi, si voltò e vide uno strigo seguito da una donna coi capelli neri e tre creature mostruose avanzare verso di lui. Le mucche, in un primo momento, ebbero quasi la sua stessa reazione, ma quando videro che i mostri non attaccavano si placarono, pur rimanendo guardinghe. Lui, invece, balzò in piedi e cominciò a correre a perdifiato verso il suo villaggio, terrorizzato. La donna, però, scattò con una velocità sovrumana e lo raggiunse in un lampo: gli si parò davanti e, con una semplice spintarella sul petto, lo fece cadere seduto sull’erba.

«Calmo! Se volesse ucciderti, ti avrebbe già succhiato ogni goccia di sangue» disse lo strigo.

«Ma che cazzo…»

«Sì, so cosa stai pensando: uno strigo che sta con dei mostri invece di ucciderli? Può sembrarti strano, ma con molti»

«Non uccidetemi! Ho una moglie al villaggio!»

«Donna umana strana: accoppiata con maschio fifone» commentò il troll.

«Scommetto che anche Laurent era così, da normale! Ho sentito che a Toussaint tremano come foglie appena vedono un cane rabbioso» ridacchiò Willy.

Il lupo mannaro lo zittì con un ringhio stizzito. Fulbert fece un altro tentativo di calmare il mandriano a parole, ma siccome non smetteva di urlare e supplicare, decise che cercare di parlargli era inutile e lo ipnotizzò col segno Axii:

«È normale che loro quattro siano qui, non c’è niente di strano» scandì, tracciando il segno con le dita.

«Giusto, è ovvio: sono al sicuro» biascicò il giovane, in trance.

Fulbert gli rivolse un sorriso rassicurante:

«Visto? Non ti faranno del male. Ora, cosa sai dirmi del mostro? Uno di voi l’ha mai visto, sentito?» domandò Fulbert.

«A che serve chiedere a lui? Possiamo cercarlo da soli: posso fiutarlo, se vuoi» suggerì Laurent.

Lo strigo fece spallucce:

«Preferisco sempre raccogliere più informazioni che posso, prima di cominciare. Allora, mandriano, cosa puoi dirci?»

Il villico ci pensò un po’ su, poi rispose:

«Nessuno l’ha mai visto bene, perché pensiamo a salvare le mucche. A volte, però, mi è sembrato di vedere una montagna pelosa, feroce come una bestia e veloce come un fulmine. Un attimo c’è calma, subito dopo il mostro è arrivato dal nulla e una mucca è morta! Quando ruggiva, sembrava un tuono»

«Non è granché, potrebbe essere parecchie cose»

Aleera scosse la testa:

«Fulbert, è inutile. Dovremo capire cos’è da soli»

Fulbert annuì:

«Non è un problema. Se viene una volta al giorno, il bosco intorno al pascolo sarà pieno di tracce. Qualcuno vuole venire con me?»

Il licantropo si offrì. Quindi dissero al mandriano che per quel giorno poteva tornare a casa in anticipo e, lasciato il resto del gruppo a sorvegliare la mandria, lo strigo e Laurent andarono a cercare una pista che li aiutasse a riconoscere il mostro.

La foresta era molto tranquilla. Gli uccelli cantavano senza sosta tra le frasche, segno che intorno non c’erano minacce, almeno per il momento. Fulbert e Laurent trovarono le prime tracce praticamente subito: al limitare del pascolo, sparse qua e là, c’erano le carcasse sventrate di tutte le mucche che il mostro aveva divorato nei giorni precedenti e che i contadini non avevano mai tolto di mezzo.

«Ha un odore fortissimo, hrrrrrrrr… hrrrrrrrrrr…» ringhiò Laurent, arricciando freneticamente il naso da lupo.

Fulbert inspirò a fondo e, a sua volta, sentì un pungente tanfo che sapeva di selvatico, muschio, sudore, urina e terriccio; così intenso che gli fece girare la testa. Era una traccia ben distinta, facilissima da seguire. Quindi iniziarono a seguirla e si addentrarono nel bosco. Dopo diversi minuti, il licantropo fu preso dalla foga di seguire la pista e cominciò a trottare a quattro zampe attraverso gli arbusti, tanto che Fulbert fu costretto a corrergli dietro per non perderlo. Alla fine, superato un tratto di foresta particolarmente fitto, lo ritrovò fermo in riva ad un piccolo fiume, un affluente del Pontar. Fulbert osservò il corso d’acqua con le mani sui fianchi: non era né molto profondo, né così largo. Guardando per terra, vide delle impronte d’orso.

«L’odore sparisce qui» spiegò Laurent.

«Ha attraversato il torrente. Vuol dire che dovremo cercare altri indizi dall’altra parte»

Al lupo mannaro bastò prendere la rincorsa e spiccare un lungo balzo per ritrovarsi subito sulla sponda opposta, mentre lo strigo fu costretto a guadare e a bagnarsi dalla vita in giù. Quando fu dall’altra parte, si scrollò l’acqua dai gambali con un sospiro stizzito e si sforzò di ignorare i brividi di freddo che gli venivano all’inguine, a contatto con l’aria. Continuarono a cercare tracce per un pezzo, poi Laurent si rizzò in piedi e annusò l’aria con molta attenzione.

«Cos’hai trovato?» chiese Fulbert.

«C’è un orso morto qui vicino»

«Fai strada: magari è stato ucciso dal mostro»

Il licantropo seguì la nuova pista fino ad una radura. Lì, ai piedi di un platano, trovarono la carcassa di un orso, come preannunciato. Era disteso su un fianco, orrendamente massacrato e circondato da un lago di sangue. Nei dintorni era pieno di impronte, segni di graffi e altre macchie di sangue: c’era stato uno scontro. Di solito, Fulbert avrebbe cercato di identificare la creatura dalle ferite sulla bestia morta, ma bastò guardare la forma e la dimensione delle impronte per svelare il mistero.

«Allora?» chiese Laurent.

«Ho scoperto il colpevole. Possiamo tornare dagli altri, decideremo bene cosa fare»

«D’accordo»

 

Quando tornarono al pascolo, trovarono gli altri appostati ai margini del prato, a sorvegliare i dintorni. Mentre li raggiungevano, Fulbert batté la mano sul dorso di un paio di vacche con un vago sorriso, in memoria della sua infanzia.

«Scoperto qualcosa?» chiese Aleera

«Sì: il nostro divoratore di mucche è un demonio – lo strigo fece un ghigno malizioso – Ehi, Aleera, ti ricordi quella volta nel Velen, quando ti davo ancora la caccia? Arrivò un chort e provò a mangiarti, sembrava che gli piacessi. Che ne diresti di fare da esca?»

La bruxa lo fissò e scoprì un po’ i denti, infastidita:

«Se ti dicessi che voglio bere un sorso del tuo sangue ogni notte per tenere a bada la mia sete, accetteresti?»

«Forse, se non avessimo altra scelta. Ma siccome lasciarti succhiare i banditi funziona, direi di no»

«Infatti. Quindi no, non farò da esca»

«D’accordo. Valeva la pena chiedere»

«Allora qual è il piano?» domandò Laurent.

Fulbert fissò la foresta, si mise le mani sui fianchi e disse:

«Senza dubbio, il demonio verrà a mangiare anche oggi. Lo aspetteremo e lo abbatteremo»

Tutti furono d’accordo col piano. Dunque, ognuno iniziò a prepararsi per lo scontro.

CIRCA UN’ORA DOPO…

Le mucche stavano ancora pascolando nella tranquillità più totale, segno che il mostro era ancora lontano. Anche il lupo mannaro, che aveva appena pattugliato il limitare del bosco per ormai più di venti volte, non fiutava il forte odore di selvatico lasciato sulle carcasse avvicinarsi. Intanto Fulbert, seduto su una roccia a guardare la mandria, stava passando dell’unguento anti-ancestrali sulla spada d’argento per prepararsi. Sapeva che non aveva senso chiedere, ma gli venne comunque spontaneo chiedere ad Aleera se sentiva o fiutava qualcosa. La bruxa, che si era già spogliata per cominciare il combattimento in fretta, scosse la testa. Finito di ungere la spada, lo strigo si alzò e andò sulla riva del fiume, da Willy e Gurg, per chiedere se il godling aveva finito di costruire le bombe che Fulbert gli faceva usare sempre, per compensare al suo fisico gracile. Li trovò intenti a disegnare sulla sabbia della sponda.

«Ehi, che state facendo? Avete finito con quelle bombe?» indagò.

«Facciamo quello per cui non ci ringrazi mai: lavoriamo sul logo!» sorrise Willy, fiero.

Guardando bene, Fulbert vide che i due stavano facendo vari tentativi di disegnare un emblema che fungesse da simbolo per il loro gruppo. Era da mesi che Willy insisteva che i Guardiani degli Innocenti dovessero avere dei biglietti da visita con cui pubblicizzarsi, quindi cercava di disegnare un simbolo che li rappresentasse.

«Non male, ma le bombe?» insisté.

Il godling sbuffò:

«Perché non vuoi prendermi sul serio? Sì, con le bombe ho finito, le ho messe tutte nel mio sacco»

«Molto bene. Adesso preparatevi: il demonio potrebbe arrivare da un momento all’altro. E per l’ennesima volta, Willy: non è che non ti prendo sul serio. Sono contento che tenga così tanto a noi, ma non voglio che ti faccia false speranze. Dubito che la gente si fiderebbe di voi, se vi vedesse; per questo parlo solo io coi clienti»

«E non mi piace per niente. Dovremo pur farci rispettare, prima o poi, no? Non mi piace stare nell’ombra mentre continui a prenderti tutto il merito per i mostri che noi quattro ti aiutiamo ad ammazzare. Gurg è d’accordo e anche Laurent: gliel’ho chiesto!»

«Gurg vuole che gente dice grazie» borbottò il troll.

Fulbert serrò le labbra, capendo le motivazioni del godling; ma ora non c’era tempo per affrontare l’argomento più spinoso per il gruppo, quindi disse:

«Ascolta, quando avrai trovato il nostro logo, vedremo una volta per tutte cosa fare. D’accordo?»

«Solo se lo giuri»

«E va bene: lo giuro»

«Allora ci sto»

«Guardiani di Innocenti famosi un giorno?» chiese Gurg.

«Gli conviene mantenere la parola, bestione! Adesso andiamo» gli rispose Willy.

Il godling si arrampicò su un macigno al centro del pascolo, prese la fionda mise la sacca con le bombe accanto a sé, pronto a tirarle. Il gruppo continuò l’attesa finché, finalmente, Laurent emise un rapido ululato dal limitare del bosco, dando l’allarme. Infatti, pochi secondi dopo, sentirono un fragoroso ruggito che penetrava le orecchie e spaventò le mucche, le quali iniziarono a trottare in direzione del villaggio. Fulbert tirò un sospiro profondo e bevve una boccetta di Tuono per dare il massimo. Insieme ad Aleera e Gurg, raggiunse il licantropo e stette pronto alla battaglia. Le fronde degli alberi furono scosse, gli uccelli volarono via spaventati e il demonio uscì allo scoperto, con la bava alla bocca. Rimase interdetto alla vista di loro quattro e indugiò per un secondo; poi, però, fece finta di niente e si lanciò all’inseguimento delle mucche in fuga.

«Fermalo, Willy!» esclamò lo strigo.

Il godling prese una mitraglia e la caricò nella fionda. Prese bene la mira e, prima che il demonio afferrasse una mucca, gliela lanciò. La bomba colpì il mostro sul dorso e la rosa di esplosioni infuocate lo fece rovesciare al suolo.
La bestia, dopo essersi contorta nell’erba in preda alla confusione, si rialzò e scosse la testa, con la pelliccia bruciata e la pelle annerita. Infuriato, raschiò la terra con gli artigli ed emise un ruggito di sfida. Aleera si trasformò e, velocissima, gli sfrecciò davanti e lacerò la gola con una sferzata degli artigli. Il taglio non fu abbastanza profondo da uccidere il demonio, che provò subito a contrattaccare. La bruxa schivò agilmente e diventò invisibile.

Intanto, Fulbert si portò ai fianchi del demonio e lo ferì con due fendenti. Il mostro ringhiò e provò a colpirlo con una cornata. Lo strigo evitò l’attacco rotolando, ma non fece in tempo a salvarsi da una zampata che venne subito dopo. Colpito col dorso dell’arto, Fulbert fece un volo di tre metri e finì lungo disteso sull’erba, senza fiato. Si rialzò più in fretta che poté e riprese la spada, che gli era caduta. Il demonio gli si parò di fronte e sollevò gli artigli per finirlo, ma il rosso fu più svelto e scagliò il segno Igni. La pelliccia sul petto della bestia prese fuoco e il demonio prese a scuotersi e scalpitare nel tentativo di spegnere le fiamme. Lo strigo ne approfittò per affondargli la lama nel torace, sperando di colpire i polmoni, ma li mancò.

Laurent compì un balzo e si aggrappò al dorso del demonio. Cominciò a mordergli il collo e a graffiargli le tempie ringhiando, mentre la creatura ancestrale si dibatteva e correva a sbattere contro gli alberi per disarcionarlo. Aleera, senza farsi vedere, colpì le zampe posteriori per fargli perdere l’equilbrio e Gurg, appena il mostro si girò verso di lui, urlò e sferrò un poderoso pugno che lo stordì e lo fece cadere a terra, rompendo anche un paio di zanne. Laurent scese a terra e affondò i denti nella gola. Fulbert, vedendo un’apertura, sollevò la spada per infilzare la testa del mostro; tuttavia, all’ultimo, il demonio ebbe un impulso d’energia e si alzò di scatto: il lupo mannaro rimase appeso alla sua gola.

«Oh no…» mormorò Fulbert.

«Ne lancio un’altra!» avvisò Willy, da lontano.

Capendo che stava per lanciare una seconda bomba, tutti fecero del loro meglio per allontanarsi e ripararsi. La mitraglia colpì il demonio subito dopo che ebbe lanciato lontano Laurent. Il licantropo sbatté la schiena contro un albero e rimase a terra, rintronato. Questa volta, l’esplosione ruppe le punte delle corna, ma non fece cadere la bestia. Stanco di quegli attacchi a distanza, il demonio si guardò in giro e si accorse di Willy. Prima ancora che il godling potesse imprecare, la creatura ancestrale partì alla carica verso di lui, a testa bassa. Willy fece appena in tempo a saltare giù dal macigno: un istante dopo, il mostro travolse la roccia e la frantumò. Il sacco, rimasto su di esso, volò via e le bombe si sparpagliarono in giro. Il demonio scosse la testa per la botta, si girò e fissò Willy col terzo occhio. Tutte le sue ferite guarirono e la bava che gli colava dalle fauci brillò al Sole.

«Aiuto!» gridò il godling.

Fulbert accorse e, prima che il demonio potesse attaccare di nuovo, raccolse una bomba samum da terra e la lanciò davanti al mostro. Il lampo di luce abbagliò quasi tutti e confuse il demonio. Lo strigo cercò di fare più danni possibili colpendolo alle zampe, ai fianchi e al petto, ma alla fine il mostro si riprese e lo colpì con una cornata. Fulbert finì di nuovo a terra e, questa volta, la sua armatura si danneggiò. Le fiale delle pozioni si frantumarono, spargendo il contenuto in giro. Sentendo un bruciore al petto, Fulbert si mise seduto e guardò: era stato ferito. Il demonio fece per attaccare, ma Aleera gli si parò davanti di colpo e gridò a pieni polmoni. L’urlo supersonico della bruxa stordì il mostro e lei ne approfittò per saltargli in testa. Una volta aggrappatasi, gli cavò il terzo occhio con gli artigli: ora non avrebbe più potuto ipnotizzarli, se avesse voluto. Il demonio ruggì dal dolore e la sua furia salì alle stelle.

«Finiscilo, prima che si ribelli!» esclamò Fulbert.

Aleera stava per lacerargli la gola, questa volta per davvero, ma non fece in tempo: il demonio la schiacciò a terra pestando la fronte sull’erba. Prima che la vampira si riprendesse, la premé al suolo con una zampa, la afferrò con le zanne e la fece a pezzi. Quando la strattonò, la gamba destra rimase a terra, poi le amputò il braccio sinistro serrando le mascelle. Sopportando il dolore, Aleera urlò ancora e il demonio la sputò con un muggito. Fulbert e Willy recuperarono due stelle danzanti tra gli esplosivi e le lanciarono insieme. Questa volta, tutto il corpo del demonio diventò un falò vivente. In preda al panico, il mostro si arrese e provò a fuggire nella foresta, ma la strada gli fu sbarrata da un ultimo ostacolo: Gurg. Il troll piantò bene i piedi per terra, alzò le braccia e afferrò le corna del demonio quando lo raggiunse. Ormai reso folle dalle fiamme, dalla furia e dal dolore, il demonio si limitò a continuare ad avanzare, dando inizio ad una sorta di braccio di ferro: la creatura ancestrale spingeva in avanti, avanzando a fatica e lasciandosi erba carbonizzata dietro, mentre Gurg spingeva a sua volta, cercando di frenarlo e scavando dei solchi per terra coi piedi quando il demonio cercava di proseguire. Alla fine, si ritrovarono a tenersi fermi a vicenda. Era l’occasione perfetta:

«Continua a tenerlo immobile!» esclamò Fulbert.

Mentre il troll faceva del suo meglio per non farsi sopraffare, lo strigo li raggiunse, scivolò sotto la testa del demonio e la trapassò da parte a parte: la lama d’argento penetrò nel mento del mostro e fuoriuscì dal cranio, trapassando il cervello. La bestia si accasciò a terra, senza vita. Fulbert tirò un sospiro di sollievo: ce l’avevano fatta.

«Quando Gurg in caverna con famiglia, spinge dentro e fuori rocce. Gurg migliore a spingere!» esclamò il troll.

«Buon per te» commentò lo strigo.

Willy recuperò tutte le bombe e le rimise nel sacco, poi andò a vedere come stava Laurent: era svenuto per lo schianto, ma si stava già riprendendo. Si scrollò un po’ e si guardò in giro, confuso:

«Hrrrrr… cos’è successo?»

«Il demonio è morto» rispose Willy.

«Capisco. Mi dispiace per aver aiutato poco. Non mi aspettavo quel colpo» borbottò il licantropo.

Intanto, mentre si puliva la faccia dal sangue del demonio, Fulbert raggiunse Aleera, che era tornata nella sua forma umana: stando in ginocchio e stando in equilibrio con l’unico braccio, la bruxa guardava i suoi arti amputati con sguardo avvilito, mentre i segni dei morsi sul suo corpo si richiudevano lentamente.

«Non essere triste, tanto ti ricresceranno!» la confortò.

«Lo so, sto pensando che ora dovrò farmi aiutare da te a camminare» rispose lei.

«Eddai, ti vergogni davvero così tanto?»

«Non sono abituata alla generosità»

Fulbert le porse la mano e lei si aggrappò a lui, quindi la aiutò ad alzarsi. Il gruppo si radunò sulla riva del Pontar e Willy cominciò a mettere fretta allo strigo affinché andasse a ritirare in fretta la ricompensa: aveva fame e non vedeva l’ora che andassero a fare rifornimento a Vengerberg.

Fulbert tornò al villaggio portandosi dietro la testa del demonio come trofeo. Raggiunse la casa dell’aldermanno e gettò il capo mozzato a terra, di fronte al capovillaggio. I contadini si radunarono, incuriositi, e si sollevò un brusio da cui traspariva un misto tra ammirazione e paura, quello che la gente provava tutte le volte quando uno strigo finiva un lavoro.

«Ci sei riuscito davvero? Quasi stento a crederci!» esclamò l’aldermanno, ammirato.

Fulbert annuì:

«Il vostro divoratore di mucche era un demonio. Sicuramente stava cercando prede facili per prendere peso e tornare in forma dopo l’inverno. Problema risolto! Però questa è la stagione degli accoppiamenti: niente esclude che la sua compagna possa farsi viva, se ne aveva già trovata una. Nel caso, pubblicate un altro annuncio»

«Sempre che potremo ancora permetterci un altro come te. Allora, signor strigo, quanto vuoi?»

Fulbert si morse le labbra, pensieroso:

«Vediamo, quanto avete?»

«Non molto. Abbiamo accumulato a stento cinquecento corone negli ultimi tempi, ma con le tasse del mese prossimo non dureranno molto»

«Allora che ne dite di duecentocinquanta? Di solito un demonio o un chort valgono trecento e passa, ma non voglio mettervi in difficoltà»

«Metà di quello che abbiamo? Ah! Costi caro, mutante! Ma direi che te le meriti. Vado a prendere l’oro»

«Grazie»

Ignorò il fatto di essere stato chiamato “mutante”: non poteva farci niente. L’importante era tenere le persone al sicuro dai mostri pericolosi e ottenere la giusta ricompensa per il suo lavoro.

AL TRAMONTO…

«Duecentocinquanta? Che avari! Hanno provato a darci di più, prima che la guerra finisse!» si lamentò Willy.

«Non fa niente: a Vengerberg i prezzi sono bassi, di questi tempi» fece spallucce Fulbert.

Ora che avevano finalmente guadagnato un gruzzolo, i Guardiani degli Innocenti erano tornati ad attraversare la campagna, diretto alla capitale dell’Aedirn. Gli arti di Aleera si erano rigenerati solo a metà, per cui lo strigo tagliò un bastone da un albero e glielo fece usare come stampella, visto che non poteva certo passare tutto il viaggio a tenerla abbracciata alle sue spalle. Intanto, discutevano su che scorte fare una volta arrivati.

«Carne! A Gurg manca fare sciuppa: carne e verdura!» suggerì Gurg.

Fulbert fece un sospiro amareggiato:

«A me servirebbe anche un cavallo nuovo. Ma non so se mi conviene, visto che un certo troll ha il brutto vizio di buttare tutti i miei cavalli nella “sciuppa” appena mi allontano!» lo rimproverò.

«Ma Gurg fame! Cavalli saporti, brodo sempre buono fanno»

Willy fece un sorrisetto:

«E i cardi non li prendi? Non prendi dei cardi per ringraziare la nostra succube preferita?»

«Cosa? No, Aurora è a posto con noi! Per ringraziarla per averci ospitati nella sua caverna, le ho già concesso di spassarsela con me per qualche notte»

«Speriamo che non faccia venire un infarto a qualcun altro, mentre non ci siamo: non so se gli abitanti di Cava Triste la perdonerebbero ancora» affermò Aleera.

«Con le succubi c’è sempre questo rischio, ma confido che la timidezza di Aurora la aiuti a trattenersi. Comunque, tu vuoi qualcosa, Aleera?»

«Al mercato c’è una femmina di pettirosso in gabbia, dovresti liberarlo»

«Come lo sai? Te l’ha detto un uccello?»

«Sì: ho sentito un pettirosso, nella foresta. È triste, perché hanno catturato la sua compagna»

«D’accordo, lo cercherò»

A quel punto, Laurent drizzò le orecchie e annusò l’aria:

«È quasi notte. Ci fermiamo? Intanto, posso vedere se in giro ci sono cervi che posso cacciare per voi»

Furono tutti d’accordo. Così, mentre il lupo mannaro spariva di corsa nella foresta, il gruppo si fermò e cominciò a raccogliere legna per accendere un fuoco. Intanto, all’orizzonte, si vedevano già le prime luci di Vengerberg. Quando il falò fu acceso, Fulbert diede un’occhiata alle prime stelle e si rilassò, soddisfatto per quella giornata di lavoro, e si mise a meditare. Magari l’indomani, se tutto sarebbe andato bene, avrebbero potuto trovare un nuovo incarico, in città.

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Capitolo 2
*** Sogni da incubo (da riscrivere) ***


SOGNI DA INCUBO

ORDINANZA 685214-B-76-N

In seguito al tredicesimo tentativo fallito della guardia nilfgaardiana di eliminare la misteriosa creatura notturna che si aggira nei dintorni del comune di Gloede, il commissariato dell’Impero decreta che finché il mostro sarà in vita tutti gli abitanti del paese dovranno rispettare un coprifuoco dal tramonto all’alba. I trasgressori saranno puniti con tre giorni di carcere e con una sanzione di 100 fiorini. Per giustificare eventuali infrazioni obbligate del coprifuoco, a rischio e pericolo della vostra incolumità, chiedere l’autorizzazione in caserma.

Commissario Vriwin aep Gwaehd

“Questa la voglio proprio vedere” pensò Fulbert, leggendo l’avviso.

Lo strigo aveva visto l’annuncio ad una bacheca quando era passato da un piccolo paese chiamato Gloede, a Nazair, per farsi aggiustare la spada d’acciaio da un fabbro. Fiutando un’occasione per accettare un contratto, ne aveva subito preso una copia e l’aveva letta nella bottega nel fabbro, mentre l’artigiano sistemava la lama. Fulbert pensava di farsi pagare per la testa del mostro, così da smorzare l’irritazione dei suoi compagni a causa di quell’improvviso viaggio verso Sud…

I Guardiani degli Innocenti erano andati nelle province di Nilfgaard su sua richiesta: infatti, aveva deciso di tornare a Mag Turga per salutare i suoi vecchi genitori, che non vedeva da sette anni. Tuttavia, a loro non aveva detto questo; come scusa per giustificare il trasferimento, aveva detto che da quando sul trono nilfgaardiano c’era l’imperatrice Cirilla le paghe erano diventate molto più alte. Quando erano giunti a Nazair, lo strigo iniziò a faticare sempre più a contenere la sua emozione: almeno una settimana di marcia verso Est e sarebbe stato in patria. Ma una cosa per volta… fu riportato alla realtà dalla voce della moglie del fabbro:

«Mio marito ha finito, mastro strigo! Ecco la spada» gli disse la signora, porgendogli l’arma col fodero.

«Grazie. Quant’è?»

«Quarantacinque fiorini»

Lo strigo pagò con la valuta dell’impero con parte del compenso di un contratto su un basilisco della settimana prima. A quel punto, si congedò e si avviò, uscendo dal paese. Per un attimo, gli parve che la moglie del fabbro stesse guardando l’ordinanza che stava leggendo con una certa preoccupazione, come vederlo con quel foglio in mano la mettesse a disagio. Ma Fulbert decise di non darvi peso: non era importante.

Attraversò un tratto di colline boscose in sella alla sua nuova cavalla, Arabella. Quando tornò all’accampamento che avevano allestito in riva ad un piccolo lago, però, rimase allibito: in sua assenza, i quattro mostri avevano fatto letteralmente un massacro. Tutt’intorno, c’era almeno una dozzina di cadaveri fatti a pezzi e con gli sguardi colmi di terrore ancora impressi sulle loro facce. Da come erano vestiti e armati, lo strigo capì presto che si trattava di briganti e allora non gli ci volle niente a fare due più due. Aleera, trasformata, teneva ancora gli artigli  affondati nella carne di dei malcapitati e gli stava succhiando il sangue con l’avidità di una drogata, facendolo rinsecchire.

«Ehi, che mi sono perso? Sembra che vi siate divertiti…» fischiò, scendendo da Arabella.

«Sì: guardare gli altri che li ammazzavano è stato uno spasso!» rise Willy, che stava pisciando su uno dei corpi.

«Capisco che i briganti sono stupidi, ma attaccare dei mostri? Ci vuole un cervello di gallina!»

«Hanno visto solo Aleera – spiegò Laurent – Io e Willy ci eravamo allontanati, poi devono aver scambiato Gurg per una roccia. Così si sono buttati su di lei»

«Loro ragione: Gurg grigio e duro come roccia! Ma Gurg no roccia, Gurg spacca loro crani!» esclamò il troll.

«Quasi mi fanno pena… d’accordo, seppelliamo i corpi prima che l’odore attiri dei mostri» esortò Fulbert.

«Ecco, era l’ultimo» disse il licantropo, quando sotterrò l’ultimo corpo.

«Quando sei arrivato, avevi un foglio. Cos’è?» chiese Aleera.

Lo strigo recuperò l’ordinanza dalla sacca e la spiegò, facendogliela leggere.

«Sembra che i Nilfgaardiani abbiano problemi con un mostro notturno. Ho intenzione di farmi dare un lavoro dal loro capo di qui»

«Lo farà?»

«Penso di sì: siamo in un paesino isolato e stanno avendo tanti problemi, non credo che farà la solita scenata egocentrica tipica degli Oscuri»

«Secondo te cos’è?» domandò Laurent.

Fulbert scrollò le spalle:

«Non saprei, le possibilità sono varie. Per aver respinto dei soldati in gruppo per tredici volte, non dev’essere uno scherzo… magari è un lupo mannaro come te, magari è una colonia di nekker che approfitta del buio, forse delle endriaghe. Dovrò indagare»

«Non dimenticare di contrattare! Se ti accontenti ancora di una paga da fame come la volta scorsa, giuro che ti faccio fare incubi su quella manticora!» lo minacciò Willy.

Appena lo sentì nominare la bestia che aveva ucciso i suoi fratelli, lo strigo si sentì avvampare e si sforzò di non spaccargli tutti i denti a pugni. Alla fine, decise di farlo spaventare: diede fuoco agli abiti del godling col segno Igni e Willy, strillando e bestemmiando, andò a tuffarsi nel lago per spegnere le fiamme. Quando emerse, per decenza, decise di stare zitto.

«Noi spacca mostro ora?» chiese Gurg.

«No, adesso io torno in paese a chiedere il permesso» rispose Fulbert.

«Per… messo? Gurg confuso»

«E perché non sei andato subito dagli Oscuri? Così devi fare due viaggi» chiese la bruxa.

«Be’, volevo sentire la vostra. Sapete che non facciamo niente se non siamo tutti d’accordo!»

«Noi non siamo mai d’accordo, però facciamo tutto per soldi» ridacchiò Willy, ancora fradicio.

PIÙ TARDI…

Gloede era un paesello di circa duecento abitanti, costruito su un pendio erboso in mezzo alla foresta. Le colline che la circondavano erano pieni di tane di marmotta, di cui ogni tanto si sentivano i fischi. Ora che lo rivedeva più con calma, Fulbert non lo trovò così male: gli piacevano le piccole località di collina o di montagna. Quando le persone lo vedevano passare, si scambiavano rapide opinioni in nilfgaardiano; lui, essendo di una provincia vicina, poteva capirli e sentì che si stavano chiedendo se sarebbe stato lui la soluzione per liberarsi dai mostri.

“Lo vedremo” pensava in risposta.

La caserma dei soldati nilfgaardiani era nella piazzetta al centro del paese, accanto al tempio del Grande Sole. Fulbert legò Arabella ad un palo assieme ad altri cavalli e si avvicinò all’ingresso. I due soldati all’ingresso, con un tono sprezzante, gli chiesero cosa voleva. Lo strigo tirò fuori l’ordinanza e disse che voleva parlare con il commissario Aep Gwaehd. I due si guardarono per alcuni secondi, poi quello a destra gli disse di aspettare ed entrò. Mentre aspettavano, quello rimasto si schiarì la gola e chiese, in modo più amichevole di prima:

«Sei di Mag Turga, vatt’ghern

Fulbert annuì:

«Da cosa l’hai capito? I capelli rossi?»

«Sì, ma anche l’accento si sente tanto»

«Lo so, è da tanto che non parlo nilfgaardiano. Ho passato tanti anni al Nord»

«Se lo si può chiamare ancora così, visto che l’abbiamo conquistato, hehehe!»

Fulbert, irritato, lo zittì subito:

«Di certo non grazie a te»

«Oh…»

In quel momento, il suo collega tornò e disse che il commissario aveva detto di sì. Fulbert ringraziò e lo seguì all’interno. Era un ambiente spartano e semplice per la media degli Oscuri, ma non c’era da sorprendersi: era un commissariato di provincia. Quando lo strigo varcò la soglia, il soldato al bancone gli ordinò di lasciare lì le armi. Con una smorfia contrariata, Fulbert si tolse le due spade e il coltello da caccia e le depositò accanto al bancone. A quel punto, fu accompagnato fino alla porta dell’ufficio del commissario e lasciato solo. Senza bussare, aprì e il commissario Vriwin aep Gwaehd, seduto ad una scrivania piena di pile di fogli, gli fece segno di entrare. Quando Fulbert si sedé davanti a lui, lo squadrò: era un tipo sulla cinquantina, coi capelli brizzolati e corti, la barba rasata e il braccio sinistro fasciato.

«Ma tu guarda, un vatt’ghern… come sei finito in questo piccolo angolo dimenticato di Nazair? L’impero è così vasto…»

Fulbert fece spallucce:

«Vagabondando si capita ovunque»

«Se lo dici tu… mi dicono che hai chiesto di me sventolando il nostro ordine di coprifuoco. Fammi indovinare, vorresti farci sborsare un sacco di fiorini per eliminare il mostro?»

«Proprio così! Allora ci state, commissario?»

«Perché dovrei prendere un’iniziativa così improvvisa? E, soprattuto, così poco ortodossa?»

Fulbert allargò le braccia:

«Forse per senso logico. Ho letto che avete provato per tredici volte di ucciderlo e non ha mai funzionato. Come siete messi dopo tutti questi sforzi?»

Il commissario sospirò:

«Male. Eravamo già in pochi, qui a Gloede, adesso gli ufficiali che non sono ricoverati si contano sulle dita di una mano»

«Tutti ricoverati? Quindi non ci sono morti?»

«Non ancora. Ha importanza?»

«Certo: potrebbe aiutarmi a capire cos’è il mostro… se mi assumete. Allora, che ne pensate?»

Il commissario sembrava ancora indeciso, così lo strigo provò ad incalzarlo:

«Coraggio, commissario! Non trovate che sarebbe meno rischioso lasciare che sia uno allenato apposta per uccidere mostri a rischiare la pelle per voi?»

Ci fu un momento di silenzio, poi il Nilfgaardiano si decise finalmente a rispondere:

«D’accordo, strigo. Puoi occuparti del nostro problema, ad una condizione: avrai il compenso solo e soltanto a lavoro finito e con tutte le prove che hai risolto la faccenda»

Fulbert annuì e sorrise:

«Che problema c’è? Ho sempre fatto così!»

«Tanto meglio. Allora, cosa ti serve sapere?»

«Chi potrebbe dirmi com’è il mostro?»

«Te lo dico io. Secondo te, come mi sono rotto il braccio?»

«Ditemi tutto»

Il commissario iniziò a rimuginare sfregandosi il mento. Sembrava che facesse fatica a ripensare all’accaduto. Nel frattempo, Fulbert diede un’occhiata alla parete alle sue spalle e agli oggetti che vi erano appesi: le varie medaglie e riconoscimenti ottenuti dall’ufficiale durante la sua carriera e un ritratto dell’imperatrice Cirilla. Alla fine, Vriwin si decise a cominciare a raccontare e Fulbert ascoltò con attenzione.

«Dopo il dodicesimo fallimento dei miei soldati, ho deciso di vedere di persona questo maledetto mostro. Li ho radunati, siamo partiti per la foresta dopo il tramonto e… non crederai mai a quello che ci ha attaccati»

«Parecchi mostri sembrano incredibili alla gente comune»

«Sono certo che nemmeno tu hai mai sentito parlare di una cosa simile: siamo stati tutti sconfitti in pochi colpi da un toro-rana»

Fulbert non rispose, non avendo la minima idea di cosa pensare. Passarono un paio di minuti a fissarsi senza dire una parola, dopodiché lo strigo rispose con un certo imbarazzo:

«D’accordo, adesso però ditemi la verità»

«Io non sto inventando niente. L’ho visto chiaramente sia prima, che dopo che mi frantumasse il braccio: era una bestia con la testa e gli zoccoli di un toro davanti e i fianchi e le cosce di una rana dietro! Gracidava invece di ruggire e balzava a testa bassa, come se caricasse! Chiedi a tutti gli altri!»

Fulbert, poco a poco, dovette riconoscere che l’ufficiale era serio:

«Un momento… davvero c’è una cosa simile?»

«Sei tu lo scannamostri. Non lo riconosci?»

«Non esistono i “tori-rana”. Lo so, come so che lo Skellige è un arcipelago»

«Eppure è quello che è successo»

«Pazzesco… potrebbe avere le abitudini notturne di alcuni rospi, il che spiega perché attacca di notte»

«C’è altro – proseguì il commissario – Quando sono intervenuto io, ho visto il toro-rana. Eppure, se chiedi agli altri soldati, ti daranno descrizioni diverse»

«Davvero?»

«Sì. Ti risparmio la perdita di tempo di andarli a trovare in infermeria a chiedere: ho già ascoltato ciascuno dei loro rapporti e so bene che, se ci fossi stato tu al mio posto, non avresti creduto ad una parola. Ogni ronda mi ha parlato di un mostro diverso, non ce n’è mai stato uno uguale. Quindi sospetto che, quando tu gli darai la caccia, incontrerai qualcosa di unico. Se nemmeno uno strigo sa dirmi di cosa si tratta…»

«Adesso sono veramente curioso! Di solito, dove attacca?»

«Attacca sempre il lato settentrionale del paese. Se prosegui in quella direzione prima che arrivi, giungerai a delle rovine elfiche: è lì che è sempre apparso quando provavamo ad ucciderlo»

«Penso di aver sentito abbastanza. Me ne occuperò»

Il commissario lo congedò con un cenno della testa, quindi lo strigo si alzò, uscì dal suo ufficio e riprese le sue armi, prima di lasciare la caserma.

AL TRAMONTO…

Dopo che Fulbert ebbe annunciato che aveva ottenuto il lavoro e che ebbe spiegato cos’aveva scoperto dal commissario nilfgaardiano, i Guardiani degli Innocenti si misero alla ricerca delle rovine elfiche a Nord di Gloede e le avevano trovate senza difficoltà. Adesso, come loro solito, si stavano preparando allo scontro. Tuttavia, per la prima volta, Fulbert non aveva la minima idea di quali unguenti spalmare sulla spada d’argento e quali pozioni bere per avere un vantaggio sul mostro, e la cosa lo frustrava parecchio.

«Secondo me quei soldati si strafanno di fisstech dalla mattina alla sera e non lo vogliono ammettere» scherzò Willy, mentre preparava le bombe.

«Non credo: gli Oscuri sono troppo professionali per drogarsi» replicò Fulbert.

Aleera, che si stava togliendo i vestiti in attesa di trasformarsi, provò a suggerirgli un’ipotesi:

«Pensi che possa essere qualche sorta di illusione, una magia lanciata da qualche mago o maga che vive qui in giro? Tanto tempo fa, ricordo di aver sentito una storia simile a questa. C’entrava uno stregone nomade che faceva esperimenti con le illusioni e stava spaventando la gente. Spiegherebbe perché ti hanno detto che il mostro cambia tutte le notti»

«Uhm… se fosse un’illusione, non potrebbe ferire»

Il godling, arrampicatosi su un tetto in rovina per avere una postazione di tiro, insisté con la sua idea:

«Continuo a pensare che fossero solo pieni di fisstech: gli umani diventano sempre più tossici, con gli anni!»

«Zitto! Non c’entra il fisstech

Laurent interruppe la sua ronda in cerca di odori sospetti per dire la sua:

«E se fosse uno di quei cosi allergici all’argento, i… hrrrrr… hrrrr… i mutaforma?»

«Non credo neanche che sia quello: i mutaforma possono diventare solo esseri di stazza simile a loro, non credo che un “toro-rana” sia a portata»

«Hrrrrr… cominci a farmi preoccupare, hrrrrr, lo sai?»

«Un lupo mannaro che si preoccupa? La vita non ha più segreti!»

«Sono un uomo, Fulbert, hrrrrrrrrr… un uomo con pelo e zanne, hrrrrrrrr»

Intanto, Gurg se ne stava per i fatti suoi in un angolo delle rovine, ad impilare sassi uno sopra l’altro per provare a fare qualcosa di “artistico”, come aveva deciso di fare da quando aveva visto delle statue di marmo trasportate sul carro di un mercante, e intonava la canzone delle tre cameriere da Vicovaro con la sua foce cavernosa e gorgogliante. Ogni volta che il troll cantava, Laurent uggiolava e abbassava le orecchie, come se quel rumore gli trivellasse dentro la testa.

«Hrrrrrrrr! Falla finita, roccia con le gambe! Hrrrrrrr…» ringhiò il licantropo.

«Ma Gurg piace canto! Tre cameriere da Vicovaro suona bene con voce di Gurg…»

«Zitti, tutti quanti! Vogliamo tendere un agguato o no?» li zittì Fulbert.

I due mostri, allora, obbedirono contrariati e Gurg lasciò perdere la sua “arte”. Iniziò una lunga attesa, in cui i Guardiani degli Innocenti rimasero in silenzio e guardinghi per accorgersi del minimo segno della presenza di una creatura quanto prima. Alla fine, quando la Luna era ormai alta nel cielo stellato, sentirono qualcosa: un rumore di passi. Numerosi e frenetici passi nel sottobosco, che si avvicinavano sempre di più.

“Ci siamo” pensò lo strigo.

All’improvviso, qualcosa scagliò un masso da dietro un muro delle rovine di fronte a loro. Tutti lo schivarono in tempo, prima che il macigno li schiacciasse. Laurent scoprì le zanne e, sbavando, scavalcò subito il muro con un agile balzo per fare a pezzi qualunque cosa si nascondesse lì dietro… ma fu rilanciato via subito dopo. Il licantropo fu scagliato sul muro e lo frantumò, rotolando nel fogliame in preda allo stordimento. Gli altri videro una strana sagoma nel polverone e, quando si dissipò…

«Ma cosa…» sobbalzò Willy.

Si trovavano di fronte un groviglio di braccia. Non sapevano in che altro modo chiamarlo: il mostro era un orrendo gomitolo di braccia lunghe ed elastiche come i tentacoli di un polpo, con mani enormi e lunghe dita che si agitavano in continuazione. Per camminare, appoggiava le mani rivolte verso il basso ad un ritmo velocissimo, le braccia libere brandivano spade, mannaie e picche come armi e, dal centro dell’ammasso, sporgevano due bulbi oculari verdi connessi a lunghi nervi ottici che si confondevano con gli arti. Fulbert non avrebbe mai pensato di vedere una cosa simile in vita sua.

«Addosso!» esclamò, appena si ricompose.

Aleera assunse la sua forma vampirica e si scagliò sulla creatura, ferendo uno degli arti con un’artigliata e azzannandone un altro. Con stupore, la bruxa si accorse che non c’era sangue da bere: nemmeno dai tagli che aveva aperto ne usciva. La bestia cercò di afferrarla, ma lei diventò invisibile e sfrecciò fuori dalla sua portata. Intanto, Fulbert si riparò da un colpo d’ascia con lo scudo del segno Quen e approfittò del contraccolpo subìto dalla creatura per mozzarle la mano. Non avendo la bocca, il mostro non emise un lamento, ma prese ad agitare l’arto ferito in modo convulso, in preda al dolore.

«Al volo!» esclamò Willy.

Il godling lanciò una mitraglia con la fionda. Ma il mostro, girando di scatto uno degli occhi, vide la bomba e… la afferrò al volo per davvero. Dopodiché, la rispedì al mittente. Il blocco di pietra in rovina esplose e Willy fu scaraventato via dall’onda d’urto. Rotolò sul terreno coperto di muschio e finì lungo disteso, circondato dalle altre bombe del suo arsenale.

“È intelligente…” pensò lo strigo.

Fulbert parò un colpo di spada di un altro braccio, lo respinse col segno Aard per far incespiscare il groviglio di arti e mozzò anche quello. Laurent, che si era rialzato, ululò incollerito e si gettò sul mostro, dilaniando la carne senza osso di quelle orrende braccia con artigli e zanne, ignorando tutte le altre mani che gli tiravano la pelliccia per farlo desistere. Alla fine, dopo tanto strattonare, riuscì a sua volta a strappare a morsi un braccio e lo masticò per alcuni secondi, preso dall’istinto da lupo e dalla frenesia. Intanto, Gurg schiacciava coi suoi poderosi pugni le mani che cercavano di colpirlo, gridando:

«Mani lunghe e mosce schifo! Io schiaccia!»

Alla fine, però, il mostro lo colse di sorpresa: uno dei bulbi oculari schizzò in avanti e andò a sbattere contro la sua faccia. Il troll, stordito dal colpo e accecato dalla gelatina dell’occhio che gli era schizzata sul volto, finì per inciampare e rovesciarsi sulla sua schiena rocciosa, non riuscendo più ad alzarsi.

«Il primo regalo non ti piaceva? Allora te lo cambio!» esclamò Willy, stizzito.

Questa volta, lanciò una bomba al fungo del diavolo. Il mostro, impegnato a duellare con la lancia contro la spada d’argento di Fulbert, non la vide in tempo e la nube tossica si sparse, disorientandolo. A quel punto, Aleera tornò all’assalto e, con dei potentissimi e precisi attacchi, mozzò uno ad uno quasi tutti gli arti rimanenti della bestia con gli artigli, facendolo stramazzare. Ora, a parte delle convulsioni dei bracci e dei nervi ottici, non si muoveva più. Gurg, di nuovo in piedi, spappolò uno dei due occhi calpestandolo, mentre il lupo mannaro divorò l’altro. A quel punto, il groviglio si sciolse e rivelò il suo nucleo: un grosso cervello pulsante, che prima era protetto dalle braccia intrecciate.

«Alla fine, eri solo un tipo manesco…» scherzò Fulbert.

«Pessima» commentò Willy.

«No, non è vero!» replicò lo strigo.

«Forza, finiscilo: io non lo tocco» lo esortò Aleera, mentre si ritrasformava.

Fulbert non se lo fece ripetere: si avvicinò al cervello, puntò la lama verso il basso e la affondò in quell’ammasso di tessuto nervoso, che si arricciò su se stesso e poi, lentamente, si afflosciò al suolo. Era morto. Si presero dei momenti per osservare la carcassa della loro preda, ancora increduli di quello che stavano vedendo. Il licantropo si fece sfuggire un commento nella lingua di Toussaint:

«Quelle laide bête… hrrrrrrr…»

Fulbert, sfregandosi i capelli, rimuginava a occhi aperti:

«Adesso dovrei aggiungere una nuova pagina al mio bestiario personale… peccato che non abbia la minima idea di cosa sia questa schifezza orrenda. Niente apparato respiratorio, digerente, circolatorio… mi stupisco che fosse vivo!»

«Anche i fantasmi non hanno gli organi, ma vanno in giro» disse Willy.

«Cosa c’entra? Quelli sono morti. Ma io mi chiedo… adesso che l’abbiamo ucciso, tornerà?»

«Morto, quindi no torna» rispose Gurg.

«Lo so, però… è lo stesso mostro assurdo di cui mi hanno parlato, o sono diversi? Uno per ogni notte?»

Aleera, mentre andava a rimettersi i vestiti, rifletté:

«Di certo c’è qualcosa sotto, qui. Credi che questo posto sia maledetto? I sortilegi possono essere molto vari»

Fulbert ridacchiò:

«Be’, se questa è una maledizione, chiunque l’abbia scagliata è un ritardato! O forse l’ha solo pensata e fatta coi piedi…»

Willy, però, si era accorto di qualcosa che escludeva qualunque teoria. Adesso che poteva guardare bene e da vicino il mostro, infatti, il godling si accorse che la sua psiche percepiva la creatura di braccia allo stesso modo in cui sentiva ogni essere dotato di vita quando sognava o quando manipolava i sogni degli altri per gioco o dispetto: gli dava la stessa sensazione. Questo poteva significare solo una cosa…

«Non ci crederete mai, ma questo affare mi sembra un sogno realizzato!»

«Cosa?» chiesero gli altri.

Willy annuì:

«Sì! Lo sento nella testa come quando decido di sognare di giocare con una volpe, o quando entro nei sogni di Gurg e gli faccio vedere cani di roccia che lo mordono!»

«Tu crei sogni di cani? Quello per Gurg incubo! Willy cattivo!» tuonò il troll.

«Questa non me l’aspettavo» commentò Aleera.

E ci voleva parecchio per sorprendere un essere longevo come un vampiro. Fulbert, grazie a ciò, ebbe in parte la conferma che si trattava di un intervento magico dall’esterno, non di un fenomeno naturale. Anche perché di naturale c’era ben poco, in quell’essere schifoso. Gli venne un’idea:

«Se a Gloede c’è un simpaticone che fa magie oniriche, per stanarlo dovremo pizzicarlo. Domani lancerò l’esca e poi si vedrà»

Furono tutti d’accordo.

L’INDOMANI…

Tutto il paese si era radunato di corsa davanti alla caserma dei soldati di Nilfgaard, dove lo strigo dai capelli rossi aveva appena depositato la carcassa mutilata di un essere disgustoso che non avrebbero mai potuto immaginare. Il commissario Aep Gwaehd e i pochi ufficiali ancora in servizio osservavano il trofeo del mutante ad occhi sbarrati. Nemmeno loro, dopo tutte le varie forme che avevano visto la creatura assumere, avrebbero saputo concepire un tale obbrobrio.

«Che io sia dannato… hai avuto fegato, vatt’ghern!» esclamò Vriwin.

«Fa parte del lavoro» rispose Fulbert.

A quel punto, come d’accordo, il commissario ordinò ad un funzionario comunale di Gloede di portare allo strigo la più grande somma che potessero offrirgli come compenso. Fulbert ricevé un cofanetto di legno e lo aprì: vi trovò ottocento fiorini, che una volta cambiati in corone gli avrebbero concesso delle spese discrete una volta tornato nel Nord. Poteva dirsi soddisfatto. Normalmente, quella era la parte dove salutava e se ne andava, sotto gli sguardi intimoriti e sospettosi della gente…Ma non quella volta.

«Ti ringraziamo per averci tolto questo sasso dallo stivale, mutante. Adesso puoi…» cominciò il commissario.

«Non ho finito, commissario» lo interruppe Fulbert.

«Cosa?»

Lo strigo gli voltò le spalle e si rivolse alla folla di curiosi, cercando di assumere l’espressione e il tono di voce più minacciosi che seppe trovare:

«Già, il mio lavoro non è finito. Infatti ho scoperto che questo mostro, che nella realtà non esiste, è stato tirato fuori dal sogno che qualcuno deve aver fatto stanotte. Certo che bisogna essere davvero fantasiosi, per avere una mente così malata… i miei complimenti, sul serio!»

Sentendo quelle parole, si sollevò un forte brusio di preoccupazione e scalpore che occupò tutta la piazza.

«Cos’è questo discorso, vatt’ghern? Come fai ad essere così certo di quello che dici?» indagò Vriwin.

Lo strigo si voltò e gli rispose, imponendosi di mostrare disinvoltura:

«Una fonte affidabile me l’ha confermato. Qui c’è qualcuno che usa la magia per realizzare dei brutti sogni, letteralmente! Se sei in mezzo alla folla, fatti avanti! Oppure lascia perdere questa scemenza prima che altri si facciano male, perché se continuerai a far apparire mostri immaginari verrò a cercarti e la risolverò alla maniera degli strighi! Sei stato avvertito. Starò in zona ancora un po’, aspettando che ti faccia vedere»

Detto questo, Fulbert salutò educatamente e si allontanò, con lo sguardo sgomento degli abitanti puntato su di lui. Vriwin aep Gwaehd era senza parole, ma quando si riscosse si rivolse agli ufficiali:

«Avete sentito? Qui si sta facendo uso di stregoneria senza autorizzazione e di natura pericolosa! Battete a tappeto il comune e scoprite ogni indizio utile! – poi si rivolse ai paesani – E voi tornate alle vostre faccende: non c’è nulla da vedere. Qualcuno si sbarazzi di questa carcassa!»

Dunque, ancora stupefatta, la folla si disperse lentamente e Gloede tornò alla vita di tutti i giorni.

«Sei stato un ingenuo» disse Aleera, a braccia incrociate.

«Perché? Ho posto condizioni chiare, ora sta al simpaticone decidere»

«Infatti. Gli hai dato un motivo per essere cauto. E se prende un’iniziativa e ci attacca?»

«Gli risponderemo a tono, che ti devo dire?»

Lo strigo non era per nulla preoccupato della sua scelta, quindi mentre la bruxa criticava il modo in cui aveva messo in pratica il piano che avevano accordato insieme, lui stava semplicemente inginocchiato davanti al fuoco da campo su cui aveva messo delle pozioni a distillare, meditando per saltare l’attesa. Non apriva gli occhi nemmeno per risponderle. Intanto, Laurent stava squartando con gli artigli alcune marmotte che aveva cacciato e che sarebbero state il loro pranzo, mentre Willy e Gurg provavano di nuovo a disegnare un logo per i Guardiani degli Innocenti. Erano completamente rilassati, si stavano prendendo del meritato riposo dopo un contratto andato a buon fine, almeno per il momento. Ma la loro pace fu interrotta un’ora più tardi, quando i loro uditi od olfatti sviluppatissimi percepirono una persona che si avvicinava al loro accampamento.

«Hrrrrrrrr… odore di case, di strade, hrrrrrrr… viene dal paese…» ringhiò il licantropo, arricciando il naso.

«Passi leggeri… una donna» rimuginò Fulbert.

“Il battito del suo cuore è lento e stanco. Allora è una vecchia… sangue troppo rancido” pensò invece Aleera, digrignando i denti per un attimo.

«Che facciamo? Le facciamo prendere un colpo e ci godiamo il suo attacco di cuore, eh? Eeeeeh?» suggerì Willy, divertito all’idea.

«No! Io butta in stufato viva, no morta, così carne dolce!» lo contraddì Gurg.

Fulbert alzò gli occhi al cielo e si alzò, zittendoli tutti con un gesto:

«Nessuno si muova, ci penso io» annunciò.

Quindi, prima che il visitatore vedesse i mostri, Fulbert si alzò e si diresse verso il rumore di passi. Dopo aver attraversato una macchia cespugliosa, apparve di colpo davanti alla nuova arrivata, che si spaventò. Lui, invece, era solo sorpreso: era la moglie del fabbro.

«Che ci fate qui, signora? Ho pagato troppo per la spada e ho dimenticato il resto?» chiese, sarcastico.

Lei si guardò in giro per un attimo, con uno sguardo afflitto e le mani congiunte. Sembrava che stesse per fare una confessione molto scomoda e non era del tutto sicura di voler andare fino in fondo. Ma, alla fine, parlò:

«Mastro strigo, non ho tanto tempo… c’è una cosa che dovete sapere, sul mostro»

«Ah, sì?»

«Ecco… è colpa nostra, mia e di mio marito»

«Non sembrate per niente capaci di fare magie. Voglio la verità»

«La saprete. Non avete fermato nulla: i mostri continueranno ad apparire ogni notte, finché…»

Fu interrotta bruscamente dal grido di un uomo, alle sue spalle:

«CHARLELIA!!!»

Fulbert guardò alle spalle della donna e vide arrivare il fabbro, trafelato e infuriato. Lo strigo incrociò le braccia, sempre più incuriosito: quella faccenda diventava più interessante ogni minuto che passava. Il fabbro raggiunse la moglie e la afferrò per un braccio, fuori di sé:

«Charlelia, che cazzo fai?! Finiremo dentro! Saremo rovinati!»

«Abbiamo lasciato che delle persone si facessero del male per troppo tempo! Lo stigo deve sapere!»

«Sono soldati di Nilfgaard, non ha importanza! E non è morto nessuno, quindi andiamo! Mutante, questo non ti riguarda. Va’ via dal nostro paese e dimentica tutto!»

Ma Fulbert scosse la testa e lo ipnotizzò col segno Axii:

«Tu non mi dici quello che devo fare, e adesso mi dirai tutta la verità con tua moglie» ordinò.

Il fabbro, manipolato dalla magia, si calmò all’istante e lasciò andare le braccia della consorte, scusandosi sia con lei che con Fulbert. La donna, allora, tirò un sospiro di sollievo e riprese a parlare:

«Vedete, mastro strigo, la nostra bottega è ipotecata. Avevamo un disperato bisogno di soldi, molti più di quelli che guadagnamo di solito… poi, tempo fa, a Gloede è arrivata una donna con poteri magici… non so se è una maga, una strega, una fattucchiera, non ha importanza; fatto sta che ha detto di sapere della nostra situazione»

«Ho capito: cosa ha voluto da due come voi, in cambio di pagarvi?» domandò Fulbert.

«Siamo l’unica coppia in paese con un figlio sotto i dieci anni. Lei ci ha chiesto se potevamo affidarglielo per un paio di mesi, per fare degli esperimenti sui suoi sogni…»

Fulbert spalancò gli occhi: ecco, finalmente, la spiegazione di tutto. Willy aveva proprio ragione: le creature che cambiavano ogni notte venivano dai sogni di un bambino ed era una maga ad estrarli dalla sua mente per renderli veri. Non gli serviva altro, a parte un dettaglio:

«Dov’è?» chiese.

La moglie del fabbro puntò il dito verso Ovest:

«Di fianco al villaggio, se superi le tane delle marmotte, troverai una vecchia casupola abbandonata. Lei e il nostro piccolo sono rifugiati nella cantina: andiamo a trovarlo spesso, per vedere se sta bene»

Fulbert annuì e li ringraziò:

«Mi siete stati molto utili, quindi non dirò niente a nessuno quando avrò finito. Adesso andate a casa, al resto penserò io»

«Vi ringrazio, mastro strigo! Solo, per favore, fa’ che non succeda niente a nostro figlio!»

«Non prometto niente, ma vedrò cosa posso fare»

Detto questo, lo strigo aspettò che se ne fossero andati e tornò all’accampamento, dove i suoi compagni lo stavano aspettando. Fulbert spiegò quello che gli era stato rivelato e gli altri ne furono molto sorpresi: era la prima volta da quando erano un gruppo che avevano a che fare con una maga, nel loro lavoro. Era del tutto diversa dai mostri, anche quelli senzienti. Willy, dal canto suo, fu solo orgoglioso per essere stato utile per far scoprire la verità dietro quel contratto allo strigo.

«Prima mostri usciti da sogni, adesso una maga, hrrrrrrr, hrrr… come faccio a stupirmi ancora, da uomo-lupo?» scherzò Laurent.

«Cosa pensi di fare quando la troveremo?» chiese Aleera.

Fulbert allargò le braccia:

«Non lo so ancora. Proveremo a parlarle, poi vedremo»

«Eccola. Il medaglione vibra: ci siamo» avvertì Fulbert.

Seguendo le indicazioni, i Guardiani degli Innocenti avevano aggirato Gloede e superato le tane di marmotta sul suo lato occidentale, fino a raggiungere una baracca in apparenza disabitata. Ma, come il medaglione a forma di manticora dello strigo dimostrava, lì c’era della magia. Qualunque cose li aspettasse lì dentro, erano pronti.

«Gurg apre» disse il troll.

Si avvicinò alla porta fatiscente, sferrò un pugno e… l’intera baracca cadde a pezzi, talmente era vecchia e marcia. Davanti a loro rimase solo un cumulo di assi e tronchi putrefatti.

«Addio all’effetto sorpresa… così sì che la maga sarà disposta a parlare!» commentò Willy.

Con un sospiro, Fulbert salì su quello che prima era il pavimento e, come immaginava, trovò una botola che conduceva allo scantinato. Il passaggio era largo, tanto che ci poté passare anche Gurg. Quando scesero nello scantinato, trovarono… niente. Non c’era altro che polvere e ragnatele. Ma era scontato che ci fosse un trucco, da qualche parte. Iniziarono a cercarlo e Fulbert, seguendo l’intensificarsi della vibrazione del medaglione, lo trovò in un angolo in fondo. Era buio, ma per i suoi occhi da felino non era un problema. Si accorse che c’era un ciottolo di ossidiana; non c’entrava niente col resto dello scantinato ed era troppo levigato e pulito: era un oggetto nuovo. Il medaglione impazzì, quando si abbassò per guardarlo meglio.

«Beccato» disse.

«Che cos’è?» chiese Aleera.

«Se ho indovinato, è il meccanismo magico per aprire un portale…»

Lo strigo prese il ciottolo, che si illuminò. Sentirono un suono fortissimo e secco, come un tuono, e un portale apparve sul muro di fronte a loro, illuminando la cantina. La maga doveva essere per forza dall’altra parte.

«Che figata!» esclamò Willy.

Fulbert aveva deciso di provare con la diplomazia, per prima cosa, ma in caso la maga avesse reagito in modo aggressivo avrebbero dovuto essere pronti. Quindi, sfoderò la spada d’acciaio e chiese agli altri se erano pronti. Quando tutti dissero di sì, attraversarono il portale uno alla volta, prima che si richiudesse. Si ritrovarono in una stanza illuminata da torce, che ricordava lo studio di un medico. C’erano scaffali con pochi libri, scrivanie con disegni di creature bizzarre tra cui il toro-rana e il groviglio di braccia. In un angolo c’era un megascopio, i cui cristalli erano sistemati accanto ad esso.

«Chi siete? Cosa volete da me?» li apostrofò una voce femminile, allarmata.

I Guardiani degli Innocenti, così, incontrarono la maga che evocava i mostri di Gloede: era in piedi accanto ad un lettino su cui era seduto un bambino di nove anni, il figlio del fabbro, e li stava osservando con uno sguardo cauto. Come tutte le maghe, era una donna bellissima e attraente. Aveva lunghi capelli castani, gli occhi azzurri, il naso piccolo e all’insù e la pelle pallida. Indossava un abito grigio con dei motiv bianchi.

«Noi eravamo a Gloede per i mostri, ma abbiamo scoperto che il problema andava risolto alla radice… e così siamo arrivati da te» le rispose Fulbert.

La maga si sbatté i palmi sul viso:

«Non ci credo, alla fine quei due hanno parlato… e meno male che erano disperati e disposti a tutto!»

«Mamma e papà hanno detto tutto?» chiese il bambino, confuso.

«Sì, purtroppo – sbuffò lei – Comunque… che razza di gruppo siete? Uno strigo, una donna e tre mostri? Non dovresti proteggere la signorina da queste creature?» scherzò, con un sorrisetto.

Fulbert, cercando di apparire degno di fiducia, rinfoderò la spada e rispose con calma:

«Primo, la mia compagna non è una donna, ma una bruxa»

«Scusami»

«Secondo, noi strighi uccidiamo solo i mostri pericolosi, mai quelli senzienti. Come vedi, loro sono tutti fuori dalla mia lista nera»

«Siamo i Guardiani degli Innocenti, bambola!» gongolò Willy, facendosi fulminare con lo sguardo da Fulbert.

La maga fece un sorriso più ampio, divertita, mentre il bambino li osservava in silenzio. Il lupo mannaro chiese chi era e lei si presentò:

«Agata Prendergast, maga appassionata di ricerca e scoperta. Bene, adesso andatevene! Ho da fare»

«Noi appena arriva!» esclamò Gurg, contrariato.

«Non così in fretta – le replicò Fulbert, avvicinandosi – Noi siamo venuti qui per un motivo e abbiamo intenzione di andare fino in fondo. Devi smettere di fare qualunque cosa stessi facendo coi sogni di quel marmocchio, dico sul serio»

«Perché dovrei?»

«Be’, abbiamo visto che i simpaticoni che tiri fuori dalla sua testa non sono molto amichevoli, e dei soldati di Nilfgaard che hanno cercato di abbatterli sono stati feriti. Questa storia deve finire»

«Lo so, ogni esperimento ha i suoi rischi… ma ci sto lavorando! Devo solo capire come renderli innocui e avrò finalmente finito la ricerca sui sognatori attivi. Credimi, strigo, so quello che faccio! Poi mi trasferirò in un’altra regione, inizierò un nuovo studio su un altro campo e Gloede starà in pace. Sei contento?»

«Uhm… non sono del tutto convinto…»

«Peggio per te, perché io non prendo ordini da nessuno» ribatté Agata.

Fulbert iniziò a pensare ad una buona risposta, ma fu preceduto da Aleera, che sembrava molto incuriosita da tutto ciò:

«Scusami per la domanda… tu sei la maga di una corte? Non ho mai sentito parlare di te»

Agata scosse la testa:

«Io odio quella vita. Mentre le altre maghe stanno a fare politica e a manipolare regnanti, io ho deciso di vivere da sola, viaggiare il più possibile e continuare a studiare la magia. C’è qualcosa di male a scegliere cosa si vuole fare?»

«No. Anzi, io invidio chi può scegliere: guarda come sono ridotto! Credi che l’abbia voluto?» le rispose Laurent.

«Non credo»

Fulbert riattaccò bottone:

«Hai ragione… ma è sbagliato scegliere di mettere a rischio delle persone, quindi voglio che tu la faccia finita con questa faccenda. Posso continuare a chiederti gentilmente, oppure…»

«Oppure vi teletrasporterò tutti in mezzo all’oceano e sarà peggio per voi!» esclamò Agata.

«Agata, vuoi fargli del male?» domandò il bambino.

Per un attimo, a Fulbert parve strano che non si spaventasse alla vista dei quattro mostri, ma poi si ricordò che la sua mente era la stessa che aveva partorito l’obbrobrio a mille braccia, quindi capì che si spiegava tutto. La maga gli poggiò una mano sulla spalla e disse:

«Non è detto… dipende se loro vorranno fare i bravi»

Fulbert, a quel punto, era combattuto: a pensarci bene, i mostri onirici fino ad allora avevano solo ferito, non avevano ancora ucciso. Inoltre, quel bambino non sembrava per nulla a disagio o costretto a stare lì, né era stato incantato per rimanere zitto e buono… anche se era contrario a quello che la maga aveva intenzione di fare, pensava di poterla ancora risolvere con le buone. Per lui, in ogni caso, sarebbe stato meglio se la maga si fosse fermata subito.

«Fulbert vuole che Gurg butta donna magica dentro sciuppa?» suggerì Gurg.

«No, fatti bastare le marmotte» gli rispose lo strigo.

Aleera, adesso, era curiosa di sapere come se la sarebbero cavata. In caso le cose fossero degenerate, era sempre pronta a combattere: anche se Agata era una maga, loro erano pur sempre più numerosi. Alla fine, nonostante sapesse che questo li avrebbe portati a grandi seccature in futuro, Fulbert decise di scendere a compromessi con lei:

«Ho un’idea: se tu interrompi questo lavoro e, soprattutto, non ne farai più di così pericolosi per la gente, noi ti faremo un favore quando lo vorrai»

«Cosa?! Sei diventato scemo?!» gridò Willy, attonito.

«Un favore a una maga? Hrrrrr… non è rischioso?» domandò Laurent.

«Spero che sappia quello che stai facendo…» mormorò Aleera.

«Che succede? Gurg confuso» borbottò il troll, estraneo al concetto di scambio di favori.

Agata sembrò intrigata da quella proposta. Non si aspettava che quello strigo apparso all’improvviso con dei mostri al seguito fosse disposto a scomodarsi tanto, pur di risolvere una questione di cui si stava occupando. Rimase in silenzio per alcuni secondi, poi chiese:

«Come ti chiami, strigo?»

«Perché non mi leggi la mente e lo scopri da sola?»

«Cortesia»

«Mh-hmm… mi chiamo Fulbert, vengo da Mag Turga»

«D’accordo, Fulbert… mi hai convinto. Ora sistemerò tutte le mie cose qui, poi riparleremo con calma di questo nostro accordo che hai voluto fare. Ci stai?»

«Sì»

«Ottimo! Ditemi dove siete appostati, così vi teletrasporto lì»

Fulbert, dopo un po’ di esitazione, guardò i suoi compagni e loro gli fecero cenno di parlare pure. Le descrisse il laghetto nel bosco e Agata riconobbe il luogo. Dunque, alzando le braccia e allargandole di scatto, evocò un nuovo portale alle loro spalle e salutò; anche il bambino, anche se aveva capito molto poco di quello che si erano detti, li salutò con la mano. I Guardiani degli Innocenti, dopo aver risposto scetticamente al suo saluto, varcarono il portale.

Bene o male, alla maggior parte del gruppo non dispiacque più di tanto la soluzione a cui Fulbert era giunto per dissuadere Agata Prendergast, il loro nuovo contatto: più che altro, erano solo un po’ preoccupati che lei chiedesse loro qualcosa di molto difficile o di rischioso, se non addirittura losco. Willy, però, passò tutta la giornata a lamentarsi con Fulbert, ma lo strigo si limitò ad ignorarlo come al solito: il godling non serbiva mai tanto rancore, era solo molto fastidioso quando non c’era nessun guadagno per lui. Passarono il pomeriggio cacciando e mandando lo strigo a fare altro rifornimento a Gloede, dopodiché, al tramonto, Agata si rifece viva. La maga spiegò che aveva riportato il piccolo ai genitori e che aveva dato loro la ricompensa perché potessero pagare l’ipoteca, per poi andare dal commissario e cancellargli i ricordi di quel giorno, per fargli credere che la questione era stata risolta con la morte del mostro di braccia.

«Gran bel lavoro» commentò Fulbert, con un fischio.

«Grazie. Ora, passando a noi…»

A quel punto, la maga diede allo strigo un fazzoletto di stoffa. Gli spiegò che era incantato e che le sarebbe servito per contattarli o raggiungerli in qualsiasi momento, appena avesse deciso cosa chiedere al gruppo per farsi restituire il favore. Fulbert prese il fazzoletto e la ringraziò per essere stata così disposta ad accettare la sua offerta. Laurent le chiese se voleva stare a mangiare delle marmotte arrosto con loro e tutti lo guardarono storto. Lui, imbarazzato, disse che era solo un’abitudine contadina di Toussaint per avvicinarsi ai nuovi contatti. Lei, imbarazzata, rifiutò replicando che non era una che prendeva confidenza così in fretta, anche se ammise di essere una tipa piuttosto socievole. Magari dopo che avrebbero pareggiato i conti, ma non quel giorno. Così, senza nemmeno salutare, Agata sparì oltre un altro portale, lasciandoli soli.

«Be’… eccoci qua, soli e indebitati» sospirò Willy.

«Piantala! Una volta che ce la saremo sbrigata, saremo a posto: siamo sempre usciti dai nostri problemi. Quel che conta è che abbiamo risolto il problema di questo paesello dimenticato in fondo a Nazair»

«Non ti do torto» disse Aleera.

«Dove noi va dopo?» chiese Gurg.

Fulbert sorrise:

«A casa mia»

«Ah, Mag Turga? Hrrrrrr…» chiese Laurent.

«Sì, era ora che facessi un salto dai miei, dopo anni. Magari questa volta vi presenterò a loro due!»

«Non reagiranno male? Sono pur sempre due umani impreparati» chiese Aleera.

«Tranquilla, ma’ e pa’ sono forti di stomaco: hanno affrontato con dignità la perdita dei miei fratellini quando quella fottuta manticora è passata da quelle parti, anche se io e Mila li abbiamo aiutati molto in quel periodo»

«Credo che tua sorella l’abbia fatto di più, hrrrrrr: tu sei ripartito subito, a quanto hai detto, lei no» disse Laurent.

«Che ci vuoi fare? Sono uno strigo, la mia vita è sempre sulla Via. Ma ora sto per rivederli. Dovrò prendere delle rose blu di Nazair per loro, prima che partiamo…»

E così passarono il resto del tempo, fino a sera, a conversare tranquillamente su quello e altri argomenti, per rilassarsi. Alla fine, quando la Luna sorse, i Guardiani degli Innocenti decisero di coricarsi e riposare: l’indomani sarebbero ripartiti e il viaggio era lungo. Nuovi contratti, nuove cacce e nuovi incontri li attendevano, prima della loro destinazione successiva…

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Capitolo 3
*** L'erborista e la driade ***


L’ERBORISTA E LA DRIADE

Dopo l’esperienza a Gloede che li aveva condotti a conoscere Agata Prendergast, i Guardiani degli Innocenti avevano proseguito il loro viaggio fino a Mag Turga, come voluto da Fulbert. Facendo rifugiare i suoi compagni in una caverna fuori dal suo paese natale, nella quale giocava da bambino, lo strigo aveva tenuto compagnia a sua madre e suo padre per circa un paio di settimane, presentando loro i suoi “soci” mostri e raccontando le sue avventure più memorabili e andando a rivedere tutti i luoghi dei suoi primi anni di vita, che non aveva mai dimenticato: erano pochissimi gli strighi con l’immensa fortuna di avere ancora una casa e una famiglia da cui poter tornare ogni tanto, per la sua casta era quasi un’utopia: Fulbert aveva intenzione di godersi meglio che poteva quella rimpatriata, prima di andarsene. Per fare un piacere ai suoi soci, specialmente Willy, nel frattempo accettò anche quattro contratti per guadagnare: quando ripartirono, avevano accumulato circa milleottocento fiorini nilfgaardiani, una somma che a loro andava più che bene.

Dunque, tra le lamentele di Willy per il viaggio di ritorno e i suoi tentativi di disegnare un simbolo per il loro gruppo assieme a Gurg, i Guardiani degli Innocenti iniziarono a tornare verso i regni del Nord per riprendere i loro “soliti” vagabondaggi in cerca di contratti. Un giorno, un paio di mesi dopo la loro ripartenza, si fermarono presso un villaggio ai confini di Brugge, vicino alla foresta di Brokilon, sulla sponda meridionale dello Yaruga. Inizialmente, si erano solo fermati nei dintorni per la notte, ma poi Aleera suggerì di prendere delle provviste prima di guadare il fiume e tornare nei regni settentrionali, così non avrebbero più dovuto farlo per un tratto di strada maggiore. Gli altri non avevano visto nessun motivo per non essere d’accordo.

Quindi, in quel momento, Fulbert e Aleera si trovavano nel mercato del paese per comprare ortaggi, pane e pesce essiccato. Lo strigo pagava e prendeva i cibi, mentre la bruxa li metteva in un cesto di vimini che teneva sottobraccio. Ogni tanto la gente si voltava con sguardo perplesso verso di lei, stranita non solo dal fatto che una “donna” facesse coppia con uno scannamostri, ma anche a vedere che quando passava i merli o i passeri che svolazzavano per le stradine o sui tetti si posassero sulle sue spalle e le cinguettassero come per parlare con lei, prima di volare via. Fulbert, ad un certo punto, le chiese a bassa voce di cercare di mettere meno in mostra la sua empatia con gli uccelli, ma lei rispose che non poteva farci niente.

«Sì, come no – replicò lui – Almeno cerca di non far notare i tuoi denti»

«Fulbert, guarda non è la prima volta che mi fingo un’umana. L’unica cosa sospetta qui sei tu che mi sussurri»

«Touché»

Una volta che i due decisero che avevano comprato abbastanza, Fulbert e Aleera si avviarono per l’uscita del paese per tornare all’accampamento che avevano allestito in riva allo Yaruga e rimettersi in viaggio. Ma, prima che raggiungessero il limitare del centro abitato, il brusio della folla nella piazza del mercato diventò molto più intenso di colpo, unito a quella che sembrava la voce di un bambino che strillava. I due, incuriositi, si voltarono e videro che un gruppo di curiosi aveva lasciato perdere le loro faccende e si era radunato davanti alla bottega di un orafo, da cui venivano le grida. Poco dopo due guardie di Nilfgaard, allertate dal rumore a loro volta, si fecero strada tra la folla ed entrarono. All’inizio, Fulbert fece spallucce e riprese a camminare, ma Aleera gli fece notare un dettaglio:

«Aspetta, quella era la voce di Willy»

Lo strigo si fermò e guardò la bruxa, perplesso e preoccupato:

«Ne sei sicura?»

Aleera lo guardò stortando le labbra:

«Ho un udito ancora più sensibile del tuo, quindi stanne certo: quello è Willy. Ascolta meglio»

Quando la voce bianca si stagliò ancora tra la folla, urlando imprecazioni e insulti che facevano scandalizzare le donne e ridere i bambini, anche lo strigo dai capelli rossi riuscì a riconoscerla e si coprì gli occhi con una mano, sconcertato:

«Non ci credo, ha sul serio cercato di rapinare un orafo mentre noi eravamo qui! E poi a che cazzo gli serve?»

«Lo conosci: vuole sempre sentirsi più ricco» sospirò la bruxa.

Allora, senza perdere un istante, il cacciatore di mostri corse tra la folla e si fece largo spingendo e scansando le persone senza fare caso alle loro reazioni irritate, seguito con più calma dalla vampira. Quando arrivò alla porta del negozietto, vide quello che stava succedendo: l’orafo, un uomo robusto di mezza età coi baffi e i capelli lunghi e grigi, stava trattenendo proprio Willy per le braccia, mentre i due soldati nilfgaardiani giunti nel frattempo osservavano con aria interrogativa. Il godling, trattenuto con grande vigore dalle possenti braccia dell’artigiano, si dibatteva e bestemmiava come un posseduto, cercando invano di liberarsi. Quando si accorse di Fulbert, lo guardò e gli fece un tacito segno di fare qualcosa. Lo strigo, in risposta, lo fissò con uno sguardo di rimprovero e scosse la testa, sbuffando. Aleera, invece, lo guardò con la compassione che si mostra ad un cagnolino randagio dei vicoli.

«Cos’è successo?» chiese una delle guardie.

L’orafo scoprì i denti in una smorfia di disprezzo e spiegò:

«È successo che mi sono preso un minuto per pisciare nel vicolo qui dietro, poi appena torno sento dei rumori sospetti e trovo questo schifoso sgorbietto con gli occhi a palla che si riempie i pantaloni con la mia roba! Per fortuna l’ho preso subito»

«Ah, tanto l’oro lo dai agli altri alla fine! Che problema c’è se me lo prendo, eh? Solo perché sono basso e grigio?»

«Stavi rubando, stronzetto! Forza, guardie, buttatelo da qualche parte! Prima, però, sarebbe meglio dargli un paio di bastonate, che non fanno certo male» esortò l’orafo.

I due uomini in armatura si stavano già facendo avanti, ma in quel momento Fulbert decise che era il momento di prendere in mano la situazione e inventarsi qualcosa per uscirne senza ricorrere alle maniere forti; facendo un improvviso passo avanti, si frappose tra le due guardie e Willy e cominciò a parlare a gran voce, in modo che tutti potessero sentirlo bene:

«Calma, calma! Non è così facile liberarsi di questo bastardello: qui ci vuole un professionista»

L’orafo lo guardò in cagnesco, mentre Willy tirava un sospiro di sollievo, capendo che Fulbert stava per tirare fuori qualche scena improvvisata su due piedi per tirarlo fuori da quella situazione. Le guardie si fermarono e si scambiarono una sguardo perplesso, poi quella a destra domandò:

«Uno strigo, eh? Se c’è bisogno di uno di voi mutanti, dov’eri fino a un secondo fa?»

«Ehi, sono uno strigo, non un veggente: passavo di qui, ho notato la ressa e ho visto che c’era lavoro per me. Adesso lasciatemi prendere il godling cleptomane, lo sistemerò a modo mio»

L’orafo grugnì, poco convinto:

«Perché? È come tutti i mocciosi che ti rubano in casa: gli tiri una pedata nel culo, lo tieni una settimana in cella a farsi passare la voglia di prendere la roba degli altri e il gioco è fatta: una raddrizzata coi fiocchi»

Fulbert fece finta di ridere, mentre Aleera e la folla ascoltavano con interesse:

«Magari fosse così facile! I godling sono cocciuti, quando scelgono un posto dove rubare lo maledicono per stare certi di riuscire a tornarci quanto vogliono in futuro»

«La mia bottega è maledetta?! – sobbalzò l’orafo, spaventato – Aiutami, mutante! So che voi non fate mai nulla gratis, quindi liberami da questo nanerottolo e potrai avere un pezzo d’oro a tua scelta! Promesso!» supplicò.

Quando sentì questo, Willy dovette seriamente sforzarsi per non scoppiare a ridere a crepapelle: era venuto per rubare, era stato beccato e adesso c’era l’occasione di prendere lo stesso dell’oro dal suo negozio grazie alle fandonie raccontate da Fulbert. L’ironia della situazione era qualcosa di assurdo. Vedendo che la sua trovata stava funzionando, lo strigo si avvicinò al godling e si abbassò per poterlo guardare negli occhi, quindi proseguì:

«Dunque, per rompere la maledizione di uno di loro c’è una procedura apposta. Tanto per cominciare, devo fare così»

E, improvvisamente, strappò Willy dalla presa dell’artigiano, lo afferrò per le spalle, reclinò la testa all’indietro e sferrò un’improvvisa testata proprio al centro degli occhi del godling, che svenne sul colpo e cadde a peso morto sul terreno polveroso della strada. La gente ebbe un lieve sobbalzo, non aspettandosi quel colpo di punto in bianco. Aleera abbozzò un sorriso, divertita dal modo in cui Fulbert aveva saputo scagionare Willy e strigliarlo per la sua bravata allo stesso tempo. A quel punto, lo strigo si caricò il godling senza sensi su una spalla e continuò:

«Bene, ora non potrà più lanciare altri sortilegi mentali se volesse. Adesso lo porterò al fiume, lo legherò, con delle pietre traccerò un cerchio magico intorno a lui e, dopo che avrò annullato la maledizione con una formula magica, lo annegherò. Allora la tua bottega sarà a posto!»

«Ti ringrazio, mutante! Ti ringrazio!»

Anche il resto della folla cominciò a vociare e annuire con approvazione. Le due guardie sembravano colpite a loro volta. Lo strigo ricambiò con un sorriso forzato e fece cenno ad Aleera che era ora di andare. L’orafo gli disse di tornare da lui una volta finito il lavoro, così che avesse potuto prendere un pezzo d’oro a sua scelta Fulbert disse che sarebbe ripassato senz’altro, dunque lui e la bruxa si allontanarono finalmente dal paese, lasciandosi la folla sorridente alle spalle. Superato l’ingresso del comune, i due seguirono la sponda del fiume e Fulbert sospirò, rassegnato:

«Willy è davvero incorreggibile»

«È naturale: ha la mente di un bambino umano e decenni di condizioni avverse e opprimenti alle spalle, è ovvio che abbia certi atteggiamenti»

«Sì, però ci finiamo sempre dentro anche noi! Dico sul serio, Aleera, io non so che diamine mi è passato per la testa quando ho deciso di portare questo caso disperato con me quando l’ho conosciuto a Novigrad: dovevo lasciare che si tirasse la zappa sui piedi con la sua vita da criminale e fine»

«Perché empatizzi molto facilmente, tutto qui. Non aspettarti che sappia anche spiegarti perché sei così, quello spetta a te»

«Mi sembra giusto» commentò lui.

«Di certo io, te, Gurg e Laurent lo stiamo rendendo più sano di mente di com’era prima, da come me lo descrivi»

«Lo spero davvero! Adesso, però, gli altri devono proprio dirmi come hanno fatto a farselo sfuggire» si lamentò Fulbert, mentre cominciavano ad avvicinarsi al loro falò, dove il troll delle rocce e il lupo mannaro li stavano aspettando.

Quando li vide tornare, Gurg smise di tenere d’occhio le lepri che stavano bollendo in brodo nel suo pentolone sopra il falò ed esultò:

«Ooooooh! Fulbert e Aleera trova Willy!» esclamò Gurg.

Lo strigo adagiò Willy su un sacco a pelo del loro accampamento senza tanta delicatezza e lanciò uno sguardo di rimprovero a lui e a Laurent, che invece stava spolpando una lepre cruda stando accucciato a quattro zampe.

«Perché non l’avete fermato?» chiese Aleera.

«Ho dovuto inventarmi di sana pianta una recita da baraccone su maledizioni e quant’altro per portarlo via vivo, perché altrimenti l’avrebbero rinchiuso o ammazzato per furto! Non avete ancora imparato com’è fatta questa peste sociopatica? Non lo si può perdere d’occhio un secondo»

«Perde occhio? Ma Willy ha tutti due occhi, no perso uno»

Fulbert si sbatté una mano in faccia, esasperato. Il lupo mannaro smise per un secondo di mangiare, si leccò via il sangue dal muso e rispose, tranquillamente:

«Infatti è quello che è successo, hrrrrrrrrr: l’abbiamo perso d’occhio, hrrrrrrrrr. Quando mi sono accorto che il suo odore si era allontanato, non potevo più inseguirlo perché era entrato in paese, mi avrebbero visto, hrrrrrr, hrrrrrrrr. Ho capito solo dopo perché si è finalmente deciso a lavarsi, oggi, hrrrrr: voleva coprire il suo odore»

Fulbert annuì, comprensivo:

«Sì, hai fatto bene a non seguirlo, altrimenti avremmo avuto un casino più grande. Cazzo, aveva in mente di andare a rubare oro fin dall’inizio! Direi che ci vorrà parecchio per fargli passare le abitudini da teppistello di Novigrad»

Aleera sistemò il cibo che avevano comprato nelle borse da sella di Arabella, accanto alle quali pendeva la testa di uno spriggan che avevano ucciso la settimana prima e tenuto come trofeo, dopodiché si voltò e gli disse che almeno aveva ottenuto il vantaggio di poter riscuotere gratuitamente dell’oro grazie all’ignoranza degli abitanti. Fulbert annuì e le rispose che era l’unico motivo per cui si era accontentato di dare a Willy una semplice testata per farlo svenire e nulla di più, con un sorrisetto fantastico. A quel punto, lo strigo si avvicinò al calderone di Gurg e si godé il profumo delle lepri che bollivano assieme alle verdure e chiese quanto ci sarebbe voluto prima che fossero pronte.

«Ora! Una ora» rispose il troll delle rocce.

«Perfetto, allora prima di mangiare faccio in tempo a tornare in paese a prendere l’oro»

«Lasceremo Willy a digiuno?» chiese Aleera.

«Altroché! C’è bisogno di chiederlo?»

Dopo la risata sommessa che si scambiarono, Fulbert si incamminò di nuovo verso il paese, annunciando che sarebbe tornato subito. Quando rimise piede nel centro abitato, la gente lo guardava passare affascinata e ammirata; lui ne era lusingato da un lato e, in quel caso specifico, ne era imbarazzato da un altro, perché li aveva ingannati. Ma d’altronde, aveva fatto il suo dovere: gli strighi uccidevano i mostri pericolosi per la gente e Willy non lo era, occorreva solo raddrizzare il suo comportamento. Quando il rosso raggiunse la bottega dell’orafo, l’artigiano lo accolse a braccia aperte:

«Eccoti, mastro strigo! Allora, hai infranto la maledizione?» gli chiese, ansioso.

«Tutto a posto, sei libero dai furti»

«Oh, grazie! Io sono un uomo di parola: scegli uno dei miei articoli e sarà tuo»

Fulbert fece alcuni giri della bottega, osservando con cupidigia i manufatti d’oro zecchino che riempivano gli scaffali. Alla fine, fu colpito in particolar modo da un piccolo candeliere. Quasi d’istinto, fece la sua scelta e lo prese, mostrandolo all’orafo. Il proprietario del negozio annuì, sorridente:

«Ottima scelta, strigo! Quel pezzo è una delle mie creazioni più soddisfacenti, sono contento che sia finita nelle mani di qualcuno che mi ha dato un prezioso aiuto»

«Bene, allora tanto meglio. Addio»

«Addio, scannamostri»

Fulbert uscì di nuovo in strada con il candelabro in mano. Ma, mentre camminava verso l’uscita, passò uno dei soldati dell’Impero, che lo fermò:

«Aspetta, strigo!»

Fulbert alzò gli occhi al cielo, imprecando mentalmente:

«Cosa c’è adesso? Ho già fatto tutto qui»

«Il borgomastro ha sentito parlare di quello che hai fatto poco fa ed è impressionato. Ci ha chiesto di dirti di andare da lui nel municipio, perché potrebbe avere un lavoro per te: abbiamo un problema da qualche tempo e potrebbe servirci uno come te»

Fulbert rimase immobile per qualche secondo, combattuto: d’istinto avrebbe voluto dire di non essere affatto interessato, però quell’informazione gli mise addosso una curiosità che non avrebbe mai sospettato di provare, che ben presto si fece strada nella sua mente e lo tentò sempre di più, finché non seppe più resistere. Come scusa per rispondere a se stesso quando si domandò perché diamine si stava pure interessando a quella richiesta improvvisa, si disse che tanto ci sarebbe voluta ancora un’ora perché le lepri lessate di Gurg fossero pronte. Così chiese alla guardia se poteva accompagnarlo dal borgomastro; l’uomo in armatura annuì e gli disse di seguirlo, scortandolo fino al municipio, nella piazza centrale. Quando entrò nell’edificio, fu portato alla porta dell’ufficio del borgomastro al piano di sopra e lasciato solo. A quel punto, entrò e fu ricevuto da un vecchio mezzo calvo e i capelli ingrigiti, dal fisico corpulento e un naso rosso dovuto a frequenti bevute. I suoi abiti erano così sfarzosi e decorati da farlo sembrare una figura più importante del borgomastro di un piccolo paese di provincia, il che lo rendeva leggermente ridicolo. Fulbert fu accolto con uno sguardo incuriosito e una domanda ingenua:

«Sei tu lo strigo che ha tolto di mezzo il ladruncolo d’oro blu di cui si parla in giro da qualche minuto?»

Fulbert trattenne a stento una risata imbarazzata e rispose:

«È abbastanza raro che due come noi si trovino nella stessa città lo stesso giorno, quindi sì»

«Giusto, chiedo venia. Ti hanno detto perché voglio parlare con te?»

«Non hanno detto niente di specifico»

«Allora te lo spiego io»

Fulbert, prevedendo un lungo racconto pieno di dettagli superflui e aneddoti personali, fece per accomodarsi alla scrivania nell’ufficio, ma il borgomastro lo fermò alzando una mano:

«No, no, non serve che ti sieda, la faccio breve!»

«Ah, va bene» replicò Fulbert, un po’ stupito da quella reazione.

Il sindaco sistemò alcune pile di carte sulla sua scrivania e incrociò le dita, iniziando a spiegare:

«In pratica, nei boschi che circondano il nostro paese è apparso un mostro, la settimana scorsa. Ha preso di mira il nostro erborista e il suo apprendista, che è sparito nel nulla. Sarà perché il loro laboratorio è in mezzo al bosco, nel suo territorio»

«Soltanto loro?»

«No, prima loro. Ma da quando c’è il mostro, nessuno è più al sicuro lì: ormai gli abitanti hanno paura del bosco ed è grave, perché è una risorsa preziosa. Se qualcuno ci va, le piante diventano vive e cercano di ucciderlo!»

«Ah sì?»

«Mi devi credere, scannamostri! È successo anche a me, sono andato a vedere di persona!»

«Rilassatevi, non ho detto che non vi credo» lo tranquillizzò Fulbert.

«Bene, bene. Dei soldati imperiali che ho mandato a indagare sono spariti e un’altra squadra sorveglia la casa dell’erborista, non ho intenzione di inviarne altri. Continuando di questo passo, mi ritroverò a dover chiedere supporto alla capitale!»

«Qualcuno ha mai visto il mostro?»

«L’erborista me l’ha descritto, dopo che il suo apprendista è scomparso. Meno male che lui non ha fatto la sua stessa fine! Comunque, mi ha detto che è un’orrida creatura che uccide con le piante, ha raccontato che le comanda come se fossero cani da caccia. Strigo, è possibile una cosa del genere?»

Fulbert, adesso, era decisamente interessato:

«Be’, la prima cosa che mi viene in mente è un leshen o uno spriggan. Dovrò andare a parlare con questo erborista. Dov’è il suo laboratorio?»

«È facile raggiungerlo: dall’uscita ad Ovest del paese parte un sentiero che va dritto nella foresta, ti porterà da lui. Mi ha chiesto con insistenza di mettere una piccola scorta di soldati nilfgaardiani a sorvegliarlo sempre, perché ha paura del mostro; non che lo biasimi, nessuno vorrebbe scomparire per sempre come quelli che si è portato via! Spero che tu riesca a liberarci da quella bestia»

«Un secondo, non ho nemmeno accettato!»

«Ah, certo: dimenticavo che voi mutanti mettete il compenso davanti a tutto»

«Non intendevo questo, vi stavo solo dicendo di non dare niente per scontato»

«Ma allora accetti questo lavoro, sì o no? Se l’offerta non era ufficiale prima, lo è adesso»

Fulbert rifletté incerto ancora un secondo, ma alla fine annuì:

«D’accordo, accetto il contratto. Tratteremo sulla mia ricompensa quando avrò visto di che si tratta»

«Molto bene, allora affare fatto! Spero che questa faccenda finisca, sta avendo un impatto anche economico sul comune. comunque, dài un’occhiata alle ricerche dell’erborista: l’ultima volta che ce le ha illustrate, ci prometteva scoperte mediche rivoluzionarie» suggerì il borgomastro infine.

«Grazie per la dritta, darò un’occhiata» disse Fulbert, prima di voltarsi e andarsene.

«Perché ci hai messo tanto?» chiese Aleera, quando lo vide tornare.

Adesso Willy si era svegliato e se ne stava seduto a gambe incrociate col broncio e le braccia conserte, dando le spalle al falò. Gurg rigirava sempre più spesso le lepri nel brodo ribollente facendo ondeggiare la pentola con le mani, anche se scottava, e il lupo mannaro stava bevendo al fiume. Lo strigo si sedette assieme a loro e si tolse le spade coi foderi dalla tracolla, poggiandole accanto a sé.

«Dopo che ho preso un candelabro dall’orafo, ho accettato un contratto a sorpresa dal borgomastro» spiegò Fulbert.

«Interessante» commentò la bruxa.

Willy si voltò di scatto, facendo l’offeso:

«Oh, allora ti è venuta voglia di fare ancora più soldi dopo l’oro gratis che hai preso grazie a me! E tutta quella storia che per questa gita al Sud ne abbiamo già preso abbastanza?»

Fulbert lo fulminò con lo sguardo:

«Questo è un lavoro onesto, non un furto. E no, non devo esserti riconoscente per questo candelabro, sei tu che dovresti esserlo a me perché ti ho coperto. La prossima volta ti lascerò al tuo destino, sia chiaro»

«No, non lo farai: ti piace troppo fare l’eroe dei mostri» lo sfidò il godling.

Laurent smise un attimo di abbeverarsi e si voltò per chiedere:

«Fulbert, hrrrrrrrrr, vuoi che gli morda quel culetto blu, hrrrrrrrr?»

Lo strigo scosse la testa e si limitò a ribattere, con tutta calma:

«E sei fortunato che mi piaccia, perché senza di me saresti morto in quella banda di nani malavitosi di Novigrad. La prossima volta inventati un insulto vero, bamboccio ingrato»

Dopo che Willy restò così interdetto da non essere più in grado di far continuare la discussione, i Guardiani degli Innocenti passarono ancora del tempo a discutere sui loro programmi futuri e poi a mangiare il loro pranzo. Quando finirono le lepri lessate, Allera volle sapere di più sul loro nuovo lavoro. Fulbert, allora, riassunse in poche parole le spiegazioni risicate del borgomastro e la storia dell’erborista e del suo apprendista scomparso. Quindi, quando furono a posto col loro pranzo, si prepararono a partire. Non ebbero bisogno delle indicazioni del borgomastro per trovare il laboratorio dell’erborista: bastò chiedere a Laurent di trovare una scia odorosa di “un sacco di erbe e fiori messi isieme”, come disse lui, e lasciare che li guidasse.

Attraversarono il primo tratto di bosco, che era abbastanza rado e pieno di radure. Dopo alcuni minuti, i cinque si fermarono e si ripararono dietro una macchia di arbusti appena videro la capanna di legno circondata da soldati nilfgaardiani dall’aria annoiata e assonnata: alcuni se ne stavano con la schiena appoggiata alle pareti della casetta, con le braccia incrociate, mentre altri stavano seduti su delle rocce e giocavano a gwent usando il ceppo come tavolo, all’ombra di un tiglio. I Guardiani degli Innocenti li guardarono in silenzio dal loro riparo per alcuni secondi, poi Willy commentò sussurrando:

«Vedo che sono molto impegnati»

«È chiaro che il mostro non fa mai il primo passo: attacca solo chi entra bel bosco» spiegò Fulbert. 

«Guardie inutili, Nilfgaard inutile» borbottò Gurg, grattandosi il cranio.

«Vado a parlare con l’erborista, voi allontanatevi» avvisò lo strigo.

Quindi, uscendo dai cespugli e uscendo dalla radura, Fulbert venne allo scoperto e si mostrò alle guardie, che ebbero un lieve sobbalzo e fecero per impugnare le armi quando lo videro comparire all’improvviso.

«Uno strigo? Che ci fai qui?»

«Quello che facciamo noi strighi: do la caccia al mostro. Mi manda il borgomastro»

A quella rivelazione, invece, i soldati furono decisamente contenti e sollevati:

«Oh, finalmente! È da una settimana che sorvegliamo per niente questo vecchio paranoico, ormai avevamo paura che ci toccasse andare a stanare il mostro e fare la fine del bestiame» disse uno di loro.

«Bene, se vuoi parlare con l’erborista, fai pure» disse un suo collega.

Lo strigo andò alla porta e fece per bussare, ma l’uscio gli fu aperto prima: gli apparve un uomo anziano fragile e ingobbito, con la pelle grinzosa e piena di macchie scure, le mani tremanti, gli occhi stanchi e una folta barba bianca. Era incappucciato e avvolto in un mantello scucito di lana grezza, come se fosse pieno inverno. Appena si trovò Fulbert di fronte, iniziò a tremare il doppio e spalancò gli occhi per quel poco che riusciva ancora:

«Uno strigo è venuto per il mostro, finalmente! Ho paura! Entra»

Fulbert entrò nella capanna e il padrone di casa richiuse la porta a chiave. Lo strigo osservò il locale: più che un’erboristeria, sembrava una serra minuscola a cielo chiuso. Le piante in vaso a ridosso dei muri e sulle file di mensole erano così numerose e fitte che coprivano le pareti e ostruivano le finestre, impedendo di vedere fuori. Il miscuglio di aromi delle varie erbe e fiori era così intenso che Fulbert si sentì quasi ubriaco, a causa del suo olfatto incrementato. Gli unici spazi liberi erano l’angolo del vecchio e sgangherato letto di legno e il tavolo da lavoro, che era stracolmo di attrezzi, strumentazioni alchemiche e piante quanto il resto della casa.

«Quante piante, troppe! – commentò, d’istinto – Per caso sei un accumulatore?»

«Be’, sì. La mia mania è entrata nel mio lavoro»

Dopo quella risposta, il vecchietto andò a sedersi sul letto e fissò Fulbert dal basso, tenendo le mani congiunte come se stesse pregando:

«Per favore, strigo, per favore, uccidi quel mostro prima che torni! Prima che torni per me!» supplicò.

Fulbert si sentì un po’ a disagio per quel panico insensato:

«Woah, calmati! Cerca di aiutarmi! Mi è stato detto che il mostro che ha fatto sparire il tuo apprendista e quei soldati può controllare le piante. L’hai visto?»

«Oh, sì»

«È una sorta di uomo-albero con lunghi artigli e il teschio di un cervo in testa?»

Il vecchio erborista scosse la testa:

«No, è peggio: molto più infido di così. Vedi, in realtà era da qualche mese che Styn, il ragazzo, aveva iniziato a comportarsi in modo strano»

«Che tipo di “strano”?»

«Era distratto, pensava sempre a qualcos’altro, ogni volta che si faceva sera trovava una scusa diversa per uscire e andare nel bosco, faceva ogni cosa di fretta e male; non vedeva l’ora di liberarsi dei suoi impegni e di mettere in pratica i miei insegnamenti»

Sentendo quei “sintomi”, Fulbert non seppe trattenere una lieve risata:

«Senza offesa, ma hai sbattuto contro un muro: questa non è opera di un mostro, è una normalissima cotta! Qui c’entra una ragazza. Tu non sei mai stato giovane? Non hai mai visto altri ragazzi come il tuo apprendista?»

L’erborista sbuffò e levò gli occhi al cielo:

«Se fosse stato tutto per una ragazza, non avrei bisogno di quella scorta là fuori, non trovi?»

«Lo so, stavo scherzando»

«Ah sì? Voi strighi non eravate senza emozioni?»

«Stronzate: siamo solo più calmi davanti al pericolo. Dicono così perché non ci sentiamo esattamente bene in mezzo alla gente che ci guarda e parla male. Non è quello che succederebbe a chiunque?»

«Scusami, ma non cambiamo argomento. Anch’io ho pensato subito che avesse conosciuto una donna, così gli ho detto che non era un problema e gli ho pure chiesto se poteva presentarmela, ma lui si è rifiutato. La cosa mi ha insospettito, così una sera della settimana scorsa ho deciso di seguirlo di nascosto. Sono vecchio, ma so ancora come muovermi in silenzio nel bosco»

«E allora l’hai visto?» domandò Fulbert.

Il vecchietto annuì; la sua faccia si riempì di sconvolgimento, ma anche di qualcos’altro, una seconda emozione che fu visibile per un fugace momento, prima di sparire o di essere nascosta. Fulbert inclinò la testa, cercando di capire se aveva percepito bene quella piccola espressione lampo e cos’era: era dispiacere? O amarezza? Non poté pensarci oltre, perché l’erborista riprese quasi subito a raccontare:

«Sì, non potevo crederci. Styn è stato sedotto da una bestia che si finge una bellissima fanciulla, ma in realtà vuole solo avvicinarsi alla sua preda passo dopo passo! Sembra umana in apparenza, ma la sua pelle è come le foglie delle piante e cammina nuda come l’animale feroce che è in realtà!»

Fulbert era a dir poco stupito. Per quanto carica di superstizione e sebbene fosse più adatta a descrivere una succube, quella descrizione gli fece intuire subito di cosa parlasse l’erborista: una donna nuda con la pelle verde, in un bosco, per cui un giovane uomo aveva preso un colpo di fulmine? Non c’erano dubbi sulla creatura. Solo che non era un mostro, era una specie simile agli umani e agli elfi:

«Una driade» rifletté a voce alta.

L’erborista restò in silenzio per un attimo, prima di confermare:

«Esatto, strigo: una driade ha tentato il mio allievo»

«In effetti, siamo vicini alla foresta di Brokilon, ma non mi sembra normale che una di loro ne esca solo per cercare un uomo: è vero che per loro trovare compagni per procreare è importante, ma non vanno a cercarseli fuori dal loro territorio»

«A quanto pare, questa fa eccezione»

Le stranezze, però, non finivano lì. Fulbert non era per niente convinto:

«Inoltre, dici che il mostro controlla le piante, ma non ha senso: le driadi non hanno poteri magici, sono solo in armonia con la loro foresta e sono abilissime arciere. I leshen controllano le piante, gli elementali di terra lo fanno, ma una driade? Sei davvero sicuro che quella che hai visto fosse una driade?»

«Altroché! Sicuro come il Sole! Quando li ho visti insieme, ho capito che dovevo salvare Styn prima che quella bestia lo attirasse del tutto nella sua trappola, ma quando ha scoperto che io avevo trovato il suo piano, ha tirato fuori il suo lato feroce: ha toccato una quercia, le ha dato vita e l’ha usata per attaccarmi! Ho dovuto scappare per salvarmi, lasciare indietro il ragazzo! Ti rendi conto di come mi possa sentire, strigo?»

«Posso immaginarlo» rispose Fulbert.

L’erborista si mise le mani in testa, sconvolto, sembrava quasi che potesse mettersi a piangere da un momento all’altro:

«Sapere che non ho potuto aiutare Styn in tempo, che lei l’ha portato via con sé e gli ha fatto chissà cosa. I soldati che il borgomastro ha mandato per ucciderla sono spariti come lui e mi tocca avere paura che lei torni per occuparsi anche di me! Non reggo! Aiutami, strigo!»

Fulbert decise che il vecchio si stava fomentando troppo e lo calmò avvicinandosi e abbassandosi per guardarlo negli occhi:

«Va bene, ho capito! Indagherò su questa faccenda, vedrò cosa posso fare. Ma ci sono troppe cose che non hanno senso, per i miei gusti. Qui c’è qualcosa che non quadra» insinuò, pensando a tutti i dettagli anomali su quella driade.

«Certo che qualcosa non quadra: c’è un mostro nel bosco di questo paese che ammazza la gente! Fai il tuo dovere, ammazzala! Che aspetti?»

«Non aspetto, vado. Tu resta qui e non fare niente: mi sei stato d’aiuto»

«Mi fa piacere saperlo. Non che abbia fatto qualcosa nell’ultima settimana: ho paura di uscire, ormai»

Fulbert salutò frettolosamente i soldati dell’Impero e tornò nel punto in cui aveva lasciato i suoi compagni. Si allontanarono dalla zona della casa e lo strigo, mentre camminavano verso il loro accampamento per potersi equipaggiare meglio, ripeté tutto quello che aveva scoperto dall’erborista. Willy fece una faccia sorniona tipica di un bambino che sta per fare una battutaccia sulle giovani coppie e fu solo una pacca di Laurent con la punta di un artiglio a fermarlo. Gurg fece la semplice domanda che gli venne in testa appena sentì la spiegazione:

«Driade come succube, ma senza zoccoli?»

Aleera lo ignorò e scosse la testa, poco convinta:

«Ci sono parti di questo discorso che non reggono, per me»

Fulbert la guardò negli occhi, serio:

«Ah, sì? Solo alcune parti? Secondo me non regge niente. Ho due sospetti: o l’erborista ha interpretato male la cosa o mi ha detto fesserie per coprire qualcosa che non gli farebbe comodo rivelare. In ogni caso, possiamo scoprirlo solo andando a fondo di questa storia»

Laurent si fermò un attimo per grattarsi le orecchie con una zampa posteriore, poi accostò a Fulbert e gli chiese:

«Mi spieghi bene cosa intendi? Non sono ancora così ferrato sul tuo lavoro, hrrrrrrrrrr, hrrrrrrrrrr, anche se ti seguo da parecchio, hrrrrrrrr»

«Nessun problema. Allora, da cosa posso cominciare? Prima di tutto, è strano che ci sia una driade fuori dalla foresta di Brokilon. Non dico che non possa succedere, ma in poche parole è come quando piove col Sole: rarissimo»

«Già, come una mia battuta che vi fa ridere invece di farmi avere minacce di morte» sorrise Willy.

Fulbert lo guardò con un sorriso compassionevole:

«Willy, c’è una bella differenza tra “rarissimo” e “assurdo”. Tornando alla nostra driade, non mi sembra normale che abbia passato un mese ad attirare e sedurre quel ragazzo: per le driadi la procreazione è qualcosa di molto importante, questo è vero. Spesso hanno figlie da uomini o elfi che capitano a Brokilon, ma non lo fanno per piacere, solo perché vogliono mandare avanti la loro specie»

Il lupo mannaro inclinò la testa, perplesso:

«Aspetta, hrrrrrrrr, come funziona? Vanno con uomini ed elfi, però vengono fuori altre driadi? Non dovrebbero nascere degli incroci? Non hanno driadi maschi?»

«No, sono tutte femmine, come la mia specie. Per noi bruxae funziona allo stesso modo» gli rispose Aleera.

«Uguale per le succubi» concluse Fulbert.

«Hrrrrrr, e io che pensavo che diventando un mostro non mi sarei mai più stupito di niente, hrrrrrrrr»

«E comunque, perché se l’è presa così comoda per un mese, per poi diventare così territoriale appena è stata scoperta? Perché ha fatto sparire solo quelli che sono entrati nel “suo” bosco e non è più andata dal vecchio per uccidere anche lui?»

«Chi ti dice che il ragazzo e i soldati siano morti?» domandò Aleera.

«Che motivo ci sarebbe di lasciarli vivi, per lei?»

«Non so, mi è venuto il dubbio»

«Infine, come fa a controllare le piante? Le driadi non lo fanno! Non hanno poteri magici! Cosa c’è di diverso in questa qui? È un incantesimo? Un’illusione?»

Gurg scosse la testa, più confuso che mai:

«Domande, domande, domande. Gurg no capisce, Gurg spacca driade cattiva»

«Uhm, meno dubbi e più azione, mi piace!» scherzò Willy.

«Adesso arriva l’azione, non vi preoccupate, bamboccioni» li stuzzicò Fulbert.

«Siamo tutti pronti?» chiese Fulbert, dopo che si furono preparati al fuoco da campo.

«Sì: ho la fionda, le bombe e voglia di incendiare qualcosa» rispose Willy.

«Gurg spacca solo driade o poi butta anche in sciuppa di sera?» chiese Gurg, battendosi la mano sulla pancia.

Fulbert levò gli occhi al cielo:

«Abbiamo appena pranzato e pensi già a cosa bollire vivo la prossima volta?»

«Sì! Troll sa sempre cosa mangia dopo!»

«Possiamo andare» affermò Aleera, dopo che ebbe lasciato tutti i suoi vestiti sulla schiena di Arabella.

Fulbert annuì e, prima che partissero, chiese a Willy se poteva dare a lui le bombe al dimeritio e tenere le altre. Il godling gli chiese perché dovevano anche solo portarle e lo strigo spiegò che, se la cosiddetta “fitocinesi” della driade era un potere magico e non congenito come il poliformismo dei mutaforma, il dimeritio sarebbe stato utile per toglierle quella capacità e indebolirla notevolmente. Willy, allora, accettò e gli consegnò le bombe al dimeritio della sua scorta di esplosivi.

Quindi, finalmente, la loro nuova caccia ebbe inizio. I Guardiani degli Innocenti seguirono il fiume per un po’, poi si inoltrarono ancora nel bosco, questa volta addentrandosi nella sua parte più interna e ombrosa, da dove i soldati mandati dal borgomastro non erano più tornati. Arrivati ad un certo punto, la boscaglia si fece così fitta da essere illuminata solo da sottili lame di luce che filtravano attraverso il fogliame. Anche il sottobosco era così pieno di cespugli e arbusti che, in alcuni tratti, era difficile avanzare. Ma gli uccelli cantavano ancora tra i rami, segno che non c’era nessuna minaccia, almeno per il momento. Fulbert teneva sempre all’erta i suoi sensi da strigo, confidando che anche Aleera e Laurent stessero facendo altrettanto. D’un tratto, il licantropo si fermò e cominciò ad annusare l’aria:

«Hrrrrrrr, fiuto sangue secco, da quella parte»

E indicò verso Nord. Iniziò a fare strada assieme alla bruxa, trottando a quattro zampe. Fulbert sguainò subito la spada d’argento, per sicurezza. Quando si avvicinarono al punto indicato dal licantropo, calò un silenzio di tomba su tutta la foresta. Si ritrovarono di fronte alla scena di un delitto, letteralmente: in giro per la zona, smunti, insanguinati e contorti in pose varie, c’erano i corpi di cinque soldati di Nilfgaard. Era chiaro che lì si erano scontrati con la driade ed erano stati massacrati.

«La nostra amica floreale sa il fatto suo» commentò Willy, con un fischio.

«Sì, solo Gurg e compagna tratta intrusi peggio, quando noi vive in caverna-casa» aggiunse Gurg.

«Immagino che sia il tuo momento, Fulbert» disse Aleera, incrociando le braccia.

Lo strigo annuì e rinfoderò la spada: era ora di dare un’occhiata ai corpi. Anche se sapeva già cosa li aveva uccisi, sarebbe comunque tornato utile osservare come aveva fatto. I cinque cadaveri erano vecchi di otto giorni. Il primo soldato era seduto a ridosso di una betulla, con la testa lasciata andare e rivolta verso terra, le mani erano poggiate sui dorsi per terra. Aveva tre frecce conficcate in tre punti diversi del tronco: una nel fegato, una nel polmone destro e una nel cuore.

«Tre tiri precisissimi, impressionante» disse lo strigo.

Il secondo soldato non mostrava ferite, ma aveva il collo spezzato. Era disteso su un fianco. Dalla posa in cui si trovava, pareva che fosse caduto a peso morto e non si fosse più alzato. La sua spada giaceva accanto a lui. A Fulbert parve strano che la driade si fosse avvicinata a lui apposta per rompergli l’osso del collo a mani nude: non sembrava una cosa da driadi. Così provò a guardare in alto e notò che un ramo robusto e sporgente del tiglio sotto in quale l’uomo era morto aveva dei tagli e dei graffi in una corteccia, lasciati da una spada.

«Pare che la driade abbia animato quel ramo, la fronda gli ha avvolto il collo e l’ha stretto fino a spezzarlo» rimuginò.

«Ammazzato da un albero? Se non avessi questo poveraccio davanti, riderei, hrrrrrrrrrr» disse Laurent.

La terza vittima era lunga distesa sulla schiena in mezzo al terreno umidiccio e aveva una freccia piantata in un occhio: non c’era niente da spiegare. Gli ultimi due, infine, avevano un enorme squarcio nel petto ed erano sdraiati proni sotto un faggio. Erano circondati da due pozze di sangue rappreso e, esattamente sopra di loro, c’erano dei rami intrisi di sangue dal mezzo alla punta.

«Li ha usati per impalarli. È stato uno sfogo di fantasia o sadismo?» si chiese Fulbert, ad alta voce.

«In conclusione, abbiamo a che fare con una tosta, vero?» domandò Willy.

Lo strigo coi capelli rossi annuì con le labbra serrate:

«Proprio così. Stiamo attenti e…»

Si interruppe bruscamente quando sentì qualcosa: un fruscio alle sue spalle, proveniente dall’alto. Era appena accennato, ma le sue orecchie potenziate riuscirono comunque a coglierlo. Sapeva che non c’era nessun tipo di animale lì con loro e l’aria era ferma. Quel fruscio poteva essere stato causato solo da qualcosa o qualcuno che si stava muovendo con furtività fra i rami, cercando di non farsi scoprire. Sia Fulbert che i suoi compari si voltarono di scatto verso una quercia dietro di loro quando sentirono un secondo suono: una corda che si tendeva. Lo strigo fece appena in tempo a vederla: una sagoma antropomorfa verdognola, appena visibile nel verde delle foglie; dopodiché, una freccia cominciò a volare verso la sua gola. Fu questione di un secondo: lo strigo tese il braccio e si salvò all’ultimo dal dardo proteggendosi col campo di forza del segno Quen.

«Beccata!» esclamò Willy, subito dopo.

Caricò una mitraglia nella fionda e la tirò verso la tiratrice ma, all’improvviso, un ramo della quercia si mosse di scatto e colpì la bomba a mezz’aria, come una racchetta che colpisce un volano. La mitraglia fu deviata verso destra ed esplose prima di toccare terra. Aleera si trasformò nella sua forma vampirica e urlò. L’onda d’urto del suo grido sonico scaraventò via la driade proprio mentre saltava con l’agilità di un acrobata verso le fronde della betulla e la donna verde si schiantò rovinosamente a terra, perdendo l’arco. Il lupo mannaro, velocissimo, la raggiunse in una frazione di secondo, la afferrò per la gola e la sollevò di peso solo con una mano, stringendo la presa. Sentendosi soffocare, la driade annaspava mentre Laurent si preparava a staccarle la faccia con un morso, ma Fulbert lo fermò:

«Aspetta, non uccidiamola!» esclamò.

«Eh?» chiese il lupo mannaro, sbavando.

«Voglio capire che cazzo sta succedendo qui, quindi…»

Prima che finisse la frase, però, la driade tese un braccio verso la betulla e la pianta iniziò a muoversi: tre rami si avvicinarono a Laurent. Uno si avvolse intorno al suo collo e due lo presero per le zampe posteriori, per poi sollevarlo a mezz’aria. Il licantropo lasciò andare la driade e, sospeso a mezz’aria, iniziò a dimenarsi e guaire. Gurg e Aleera corsero ad aiutarlo: il primo lo afferrò e impedì ai rami di portarlo più in alto, mentre l’altra iniziò a tagliarli ad artigliate col suo vigore.

«Lascialo andare, verdastra!» esclamò Willy.

Il godling caricò una stella danzante nella fionda e la lanciò. La driade schivò rotolando prima che le foglie e l’erba intorno a lei prendessero fuoco. Appena lei si rialzò, riprese l’arco e mirò a Willy, ma una bomba al dimeritio cadde ai suoi piedi e una nuvola verde la avvolse. La driade prese a tossire senza sosta, mentre la betulla smetteva di muoversi e lasciava andare Laurent. Fulbert aveva annullato il suo potere, scoprendo così che era di derivazione magica. Appena la nuvola si dissolse, lo strigo vibrò un deciso fendente, spaccando in due l’arco della driade. Lei, però, non si scoraggiò: prese una freccia dalla sua faretra e tentò di usarla come pugnale per trafiggere Fulbert, ma lui la buttò all’indietro col segno Aard. La driade finì a terra e, questa volta, non seppe rialzarsi subito.

«Maledetti!» esclamò, facendo sentire la sua voce per la prima volta.

«Non sei male, sai? – le disse Fulbert – Ora, come hai sentito prima, noi non vogliamo ucciderti. Vogliamo solo capire cosa sta succedendo qui e chi sei tu, quindi perché non…»

«Argh!»

Con quel grido improvviso, la driade tentò di gettarsi su Fulbert. Lui, però, schivò agilmente saltellando di lato. A quel punto, prima che la driade potesse fare altro, Gurg partì con una carica arrivandole alle spalle, la afferrò per i fianchi e le sferrò una portentosa testata, facendola svenire all’istante. Quando vide che era priva di sensi, la lasciò andare come un sacco di patate. I Guardiani degli Innocenti si radunarono attorno alla loro “preda”, ammirandola mentre giaceva svenuta al suolo. Osservavano con sguardi a metà strada tra l’affascinato e l’astioso quella bella e giovane donna dalla pelle verde e i capelli lunghi e da rasta completamente nuda, a parte dei bracciali di rami intrecciati e dei ricami di fiori in testa.

«Avresti potuto lasciare che la stordissi col segno Axii, ma non mi lamento. Bell’intervento, Gurg» ringraziò Fulbert.

«Gurg contento che aiuta» borbottò il troll.

Laurent, che ansimava ancora per il tentato strangolamento del ramo, ringhiava furiosamente:

«Hrrrrrrr! Hrrrrrrrr! Hrrrrrrrr! Laide putain verte! Hrrrrrrrr! Je te tue, je te mange! Hrrrrrrrr!»

Willy gli batté una pacca su una zampa anteriore per calmarlo:

«Ehi, rilassati, amico! Ce l’abbiamo, non è successo niente»

Aleera tornò alla sua forma umana e guardò Fulbert:

«Avevo l’impulso di tagliarle la gola, prma che Gurg la fermasse, ma ce l’abbiamo fatta: l’abbiamo presa viva. E adesso, Fulbert?»

Lo strigo mise via la spada e si caricò la driade sulle spalle, facendo quindi cenno ai suoi compagni di seguirlo:

«La portiamo all’accampamento, parleremo con lei lì. Se accetterà di parlare una volta che si sarà calmata, bene; altrimenti, sarà peggio per lei»

Quindi, anche se gli altri erano un po’ riluttanti sulla sua scelta, i Guardiani degli Innocenti si riavviarono verso il loro falò in riva allo Yaruga, in compagnia del loro insolito “trofeo” vivente.

UN PAIO D’ORE DOPO…

La driade, che avevano adagiato accanto al fuoco ormai spento, iniziò a muoversi con un mugolio e aprì molto lentamente gli occhi. Tenendo una mano premuta sulla fronte, dove c’era un livido enorme per la testata di Gurg, si mise seduta, chiaramente ancora stordita. Appena iniziò a tornare lucida e si rese conto di dov’era, si accorse dei Guardiani degli Innocenti, seduti in semicerchio attorno a lei. Sobbalzò e si portò subito le mani sulla schiena in cerca dell’arco, per riflesso automatico, non ricordando che Fulbert gliel’aveva rotto.

«Calmati, non vogliamo combattere ancora!» la rassicurò Fulbert.

«Sì, poco fa ci hai attaccati per prima, maudite, hrrrrrrrrr!» ringhiò il licantropo, irritato.

La driade sembrò passare da spaventata a confusa. Rimase immobile come una statua per dei secondi che parvero interminabili, squadrandoli dal primo all’ultimo. Solo i suoi occhi si muovevano, mentre la sua faccia era congelata in un’espressione diffidente e intimidita. Anche loro, in risposta, non si muovevano né dicevano nulla, almeno finché Gurg borbottò:

«Eh? Driade dorme con occhi aperti? Gurg dà botta forte!»

«Tranquilla, non vogliamo farti del male: ci stavamo solo difendendo» la rassicurò Aleera.

«Puoi almeno dirci come ti chiami?» le domandò Willy.

Niente, la driade non reagiva. Non sembrava sul punto di scappare o di tentare di opporre altra resistenza, era solo impassibile. Fulbert cercò di venirle incontro:

«Forse è meglio se ci presentiamo anche noi. Io sono Fulbert e, come vedi, sono uno strigo. Quindi sappi che non ti ucciderò, finché potrò stare sicuro che tu non sei davvero un pericolo a prescindere. Loro sono Aleera, Laurent, Willy e Gurg, sono i miei soci. So che siamo un gruppo strano, nulla di visto prima, ma…»

«Chi siete?»

Finalmente, erano riusciti a farla “aprire”, anche se di pochissimo e con una domanda a cui avevano già iniziato a rispondere. Era comunque un inizio. Willy sorrise e gonfiò prontamente il petto:

«Siamo i Guardiani degli Innocenti, solo per te!»

«Noi non ancora ha simbolo. Gurg disegna, ma Fulbert dice noi pensa dopo, sempre dopo e mai noi pensa» aggiunse il troll, in tono malinconico.

«È una storia lunga, ci vuole molto tempo per raccontarla tutta: sarà meglio se te la risparmio. Perché invece non ci racconti la tua? Chi sei, perché non sei a Brokilon, come fai a controllare le piante… mi incuriosisci, sai? Non mi dispiacerebbe conoscerti meglio!» la incalzò Fulbert.

La driade non era ancora rilassata, ma almeno la sua tensione sembrò smorzarsi un poco. Si sistemò meglio, sedendosi sulle ginocchia, ed esordì in modo titubante:

«Mi chiamo Daénn»

«Non male come nome» rispose Fulbert.

«Non so perché le piante fanno quello che voglio, ma è sempre successo. Ci sono nata. Alle mie sorelle non piacevo per questo, a Brokilon non ero la benvenuta. Dicevano che ero sbagliata e che non ero utile perché non potevo avere figlie. Appena sono stata grande, ho dovuto andare via. Non ho una casa»

I Guardiani degli Innocenti ascoltarono con attenzione, interessati. Fulbert annuì, iniziando ad unire i puntini.

“Dunque è una mutante, quindi è nata sterile. Poteri strani, incapace di fare una cosa essenziale per le driadi e più potenziale? Era ovvio che l’avrebbero buttata fuori” pensò lo strigo, comprensivo.

«E così ti sei sistemata in questo bosco, il più vicino a Brokilon» concluse Aleera.

Daénn annuì. Fulbert continuò con le domande:

«Allora hai vissuto qui da quando sei autonoma. Dimmi, che mi dici dell’apprendista dell’erborista? Dubito che provassi qualcosa per lui, conoscendo voi driadi. Ma perché, mi chiedo, visto che sei sterile? A che ti serviva lui?»

La driade fece spallucce, ma il suo viso si contrasse in una smorfia di rabbia appena fu toccato quell’argomento:

«Mi piaceva che mi tenesse compagnia. Sono stata sempre così sola che non mi dispiaceva averlo intorno. Qualche mese fa lui mi vide per caso e, per qualche motivo, si è interessato a me. Veniva a cercarmi tutte le sere e mi parlava di qualunque cosa sui suoi studi, poi mi faceva tante domande su di me e sulle mie sorelle. Mi sembrava innocuo, perciò lo stavo a sentire. Lui mi parlava, io ascoltavo e ogni tanto rispondevo alle sue domande. Niente di più: mi aiutava a non sentirmi sola»

«Oh, storia tenera! Gurg così felice» si commosse il troll, con un rauco singhiozzo simile ad un gargarismo.

Anche quel dettaglio era finalmente chiarito: tra i due non c’era stata nessuna cotta, solo un fascino platonico da parte di Styn e un simpatico apprezzamento da parte di Daénn.

«Aspetta, hrrrrrrrrr – la interruppe Laurent – Se ti stava simpatico, hrrrrrr, perché l’hai fatta sparire quando il vecchio vi ha visti? Non avevi niente da nascondere, hrrrrrrr…»

A quel punto, la pelle verde della driade diventò paonazza. Scattò in piedi e strinse i pugni, oltraggiata:

«Non è affatto vero! – sbottò, oltraggiata – Io sono scappata e basta. Li ho solo sentiti gridare e litigare, mentre andavo via. Poco dopo, ho sentito dei gemiti nel bosco, ho cercato e ho trovato Styn con delle accoltellate. Ho fatto il possibile per aiutarlo, ma non ce l’ha fatta»

«Ah, però! Il vecchietto è ancora arzillo quanto basta per spassarsela con un coltello, eh?» fischiò Willy.

«Gurg no capito» brontolò il troll delle rocce.

Daénn continuò:

«Ho provato ad andare da quel vecchio umano per chiedergli quale fosse il suo problema, ma aveva già quei soldati attorno alla casa. Non volevo fastidi. Lui ne ha comunque fatti arrivare altri che hanno cercato di farmi del male appena mi hanno vista: ho dovuto difendermi. Quando vi ho visti, ho creduto che avesse deciso di fare qualcosa di disperato pur di uccidermi. Perdonatemi davvero se vi ho attaccati, ho pensato male su di voi. In ogni caso, ho sepolto Styn nel bosco, ho pensato che se lo meritasse»

Fulbert ora capì tutto: aveva capito fin da subito che quel vecchio stesse nascondendo una verità che gli dava fastidio, gliel’aveva letto negli occhi. L’unica cosa vera che aveva dimostrato era la sua convinzione fanatica che la driade avesse stregato il ragazzo. Lo pensava a tal punto che dopo averli scoperti, dopo la fuga di lei, era arrivato a pugnalare a morte il suo stesso apprendista. Forse Styn aveva cercato di convicere il maestro del malinteso e che Daénn non era né cattiva né pericolosa. A quanto pareva, però, il vecchio aveva pensato che il ragazzo ormai perduto stesse cercando di ingannare o tentare anche lui per effetto del “maleficio” della creatura, così aveva preso un pugnale e aveva attaccato, credendo fermamente di starsi difendendo da una minaccia. Il resto era storia.

«Eh, umani: non c’è mai limite a quanto la loro ignoranza possa renderli stupidi» sospirò Aleera.

«Già» scosse la testa Laurent.

«Ora sapete tutto. Cosa farete ora?» domandò Daénn.

Fulbert si alzò e la fissò, con uno sguardo risoluto:

«Per te farebbe differenza andare in un posto diverso da questo? Immagino di no, ma sai…»

«Che sia qui o altrove, l’importante è che sia sereno e pacifico. Ve l’ho detto, io non ho una casa»

«Perfetto!» sorrise lo strigo.

«Cos’hai in mente?» chiese Willy, incuriosito.

«La foresta dove c’è la caverna di Aurora è sia isolata che pacifica. E poi, ci stavamo già andando per fare una pausa una volta tornati al Nord. Che ne dite se diamo una nuova casa a questa sventurata?» propose Fulbert.

«Chi è Aurora? E perché vorresti fare questo per me? Cosa ci guadagni?» chiese Daénn.

Fulbert le sorrise:

«Aurora è una succube, un nostro contatto: ci ospita nella sua grotta ogni inverno. Siamo i Guardiani degli Innocenti, aiutiamo chi merita una mano e una vita migliore di quella che ha, se possiamo. E tu la meriti, Daénn: non sei cattiva, hai solo avuto una serie di sfortune per tutta la vita. Ma per tua fortuna, adesso ti siamo capitati noi! Allora, che ne dici?»

Daénn sembrava davvero sbalordita. Fulbert la capiva molto bene, mettendosi nei suoi panni: nessuno doveva averle mai offerto un aiuto così generoso senza secondi fini, in vita sua: anzo, era probabile che nessuno le avese mai offerto aiuto in generale. La driade doveva faticare a capacitarsene Comunque, quell’offerta era impossibile da rifiutare, era una promessa di una sistemazione comoda e durevole. Quindi, come Fulbert si aspettava, Daénn accettò con sguardo sognante, dopo alcuni istanti di esitazione.

«Hai fatto la scelta giusta, femme verte. E scusa se all’inizio ti ho ringhiato in faccia» si scusò Laurent.

«No, perdonatemi voi se vi ho affrontati» rispose lei.

Willy si alzò e andò da Fulbert, dandogli delle gomitate nel fianco per stuzzicarlo:

«Ehi Fulbert, va bene che diamo una mano a chi se lo merita, ma è anche vero che diamo una lezione anche a chi si merita altro, vero?» ammiccò.

Fulbert gli rivolse un sorrisetto sornione, in risposta:

«Ma certo! Pensavi che avrei lasciato perdere quel vecchio rincoglionito? Ho un piano. Ascoltate bene»

L’INDOMANI…

I Guardiani degli Innocenti, finalmente tornati nel Nord, viaggiavano verso il confine meridionale dell’Aedirn, dove si trovava la foresta in cui Aurora aveva la sua caverna. Erano seguiti dalla loro nuova conoscenza, una certa driade nata con una misteriosa fitocinesi che non riusciva ancora a credere di aver incontrato delle persone così generose da aver deciso di darle una mano dopo aver comunicato con lei e aver scoperto la sua storia. Adesso veniva con loro, incredula ed entusiasta per la nuova vita che la attendeva. In quel paese a Brugge, lo strigo coi capelli rossi si era presentato davanti al comune con la testa di uno spriggan, salvando così gli abitanti del posto da future sparizioni e intascando la sua ricompensa, per poi andarsene acclamato per la seconda volta dalla folla. Alcune ore dopo, però, si diffuse una voce: la casa dell’erborista aveva preso fuoco ed era stata rasa al suolo in circostanze misteriosi, dopo che una “forza invisibile” l’ebbe tramortito e appeso ad un albero per i piedi. Nessuno capì mai cosa successe a quel vecchio, né perché lui farneticasse continuamente su una donna verde e sul suo apprendista morto. Diedero la colpa alla demenza senile e ignorarono le parole dell’erborista, che rimase senza casa, senza risorse o strumenti e senza lavoro. La storia del suo allievo e dei cinque soldati scomparsi e mai più ritrovati girò sempre meno, fino a scomparire e ad essere dimenticata. Nel giro di alcuni mesi, fu come se non fosse mai successo niente. L’anziano erborista passò il resto dei suoi giorni nella miseria e nella depressione: la verità era venuta a galla e ne aveva subito le conseguenze.

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Capitolo 4
*** La strega non morta ***


LA STREGA NON MORTA

Dopo il loro lunghissimo viaggio al Sud e il loro incontro con la driade Daénn, i Guardiani degli Innocenti erano finalmente tornati nella zona dell’Aedirn che, in un certo senso, consideravano una casa: i dintorni della grotta della succube Aurora. Trascorsi alcuni giorni di riposo nella caverna con la loro amica dai capelli rossi, lo strigo aveva proposto di accettare un nuovo contratto al paese vicino, Cava Triste. Trovò subito un lavoro che lo intrigò: un mostro che attaccava i carretti del cibo che andavano e venivano e minacciava i pastori. Dopo aver fatto le dovute indagini in giro per le colline boscose attorno a Cava Triste, lo strigo giunse alla conclusione che dovesse trattarsi di un dragonide, anche se non era stato in grado di identificare la specie con esattezza. Di certo non era un basilisco, né una coccatrice, perché non lasciava penne in giro. Magari era un codabiforca. In ogni caso, usò le tracce e le posizioni dei luoghi dove il mostro aveva colpito per restringere la zona di ricerca, fino a trovare il suo territorio. In quel momento, i Guardiani degli Innocenti si trovavano in cima alla collina che avevano scelto come campo di battaglia e Fulbert stava legando ad un albero la pecora che avevano comprato da uno dei pastori come esca. Per rendere il tutto più efficace, lo strigo fece un taglio poco profondo nel fianco dell’animale, così il mostro sarebbe stato attirato dall’odore.

«Molto bene, ragazzi, sarà qui da un momento all’altro» annunciò.

Il gruppo iniziò a scendere dalla collina per nascondersi nel bosco alla base, ma poi Fulbert si accorse che Gurg stava fissando la pecora con aria un po’ mesta e un po’ arrabbiata. Capendo perché, lo strigo alzò gli occhi al cielo e apostrofò il troll, alzando un dito:

«No! Non ci provare, eterno affamato, non ho alcuna intenzione di sistemare un casino come quella volta con la scaltrocertola di Sodden»

«Ma pecora buona!» si lamentò Gurg.

Laurent si grattò il fianco con la zampa posteriore e scherzò:

«Gurg, dovresti fare come me, hrrrrrrrr: quando vuoi mangiare una cosa che non devi, pensa a bere. Con me funziona anche se sono un uomo-lupo, ehehehe»

Il troll lo prese alla lettera e rimuginò ad alta voce:

«Ooooh, pecora buona, ma spirito di nani di più! Sì! Gurg no più fame»

«Bravo. Adesso appostiamoci» esortò Fulbert.

Una volta che tutti e cinque si furono nascosti nel sottobosco, Fulbert ripassò la strategia a bassa voce mentre beveva una fiala di Tuono per diventare più forte:

«Allora, facciamo come al solito: Willy lo tiene disorientato con le bombe e Gurg lo butta giù. Poi io e Laurent ci facciamo avanti per finirlo. Aleera, tu devi distrarlo, toccata e fuga, non devi lasciargli un secondo di respiro. Siete tutti sul pezzo?»

«Tutto chiaro» annuì la bruxa.

«Io ho una domanda» alzò la mano Willy.

«Ti rispondo solo se è una domanda utile, altrimenti lascia stare» sospirò lo strigo.

«Allora lascia stare» ridacchiò il godling.

I Guardiani degli Innocenti rimasero in attesa per più di un’ora. Una gentile brezza faceva ondeggiare le fronde degli alberi verso Ovest e il bosco era pieno di versi e richiami che risuonavano ovunque. Fulbert intrise la spada d’argento di unguento anti-dragonidi. Quando gli uccelli cantavano, Aleera si metteva ad ascoltare i loro cinguettii con un sorriso rilassato, come se stesse ascoltando una melodia. Anche Willy seguiva le “chiacchiere” degli uccelli, ma lo faceva con malizia, come uno spione che origlia i discorsi altrui. Gurg, invece, si distrasse ad impilare sassi per improvvisare delle “sculture”. Alla fine, fu Laurent ad allertarli, annusando l’aria:

«Sta arrivando qualcosa: puzza di lucertola e sangue»

«Perché, le lucertole hanno un odore?» rise Willy.

«Tutto ha un odore, petit idiot! Dubiti del mio naso?» si stizzì il licantropo.

Un’ombra fulminea sfrecciò sulla collina e la pecora iniziò a belare e dimenarsi, spaventata. Subito dopo, una creatura alata ricoperta di scaglie, con le zampe da aquila e un lungo muso ornato da quattro corna da ariete si precipitò sull’esca, sgozzandola in un istante con un morso e tenendola ferma con una zampa.

«Una viverna reale. Interessante» commentò Fulbert, sguainando la spada d’argento.

«Io vado, la distraggo» avvisò Aleera.

La bruxa si trasformò nella sua forma vampirica e diventò invisibile. Udendo il leggerissimo rumore dei suoi passi, Fulbert la percepì scalare la collina in un battito di ciglia e, subito dopo, nel fianco della viverna si aprì una profonda artigliata. Il draconide ruggì di sorpresa e scattò sull’attenti, con le ali sollevate. Si guardava intorno e lanciava grida di avvertimento. Con un cenno, lo strigo ordinò ai compagni di iniziare la lotta. Willy si arrampicò su un albero a metà della scarpata, caricò una stella danzante nella fionda e iniziò a mirare. Ma, prima che lanciasse la bomba incendiaria, Gurg gidò:

«No tocca pecora! Gurg vuole pecora! Aaaaaaaaaah!»

La viverna reale si voltò, incuriosita, mentre il troll delle rocce si inerpicava su per il colle lanciando l’urlo di guerra gorgogliante, con un pugno alzato. La viverna iniziò la carica, ma Aleera intervenne graffiandolo sul collo. Mentre il mostro sussultava, Gurg lo raggiunse e sferrò un pugno devastante, facendolo stramazzare a terra. Il troll alzò le braccia per schiacciare la testa della viverna, ma la creatura si alzò subito e lo colpì con le corna, facendolo cadere sul dorso. Allora la viverna reale gli saltò addosso e iniziò a morderlo e graffiarlo sulla pancia morbida, strappando urla di dolore a Gurg mentre il troll si dimenava.

«Fulbert, tiro?» chiese Willy, un po’ indeciso.

«Sì! Subito!» esclamò lo strigo.

Il godling prese la mira e lanciò la stella danzante. La bomba incendiaria colpì il dorso della viverna, che prese fuoco all’istante. Stridendo e scalpitando, il rettile lasciò perdere Gurg e cominciò a correre e rotolarsi in preda al panico e al dolore, cercando di spegnere le fiamme. Il troll rimase lungo disteso, esausto e con l’addome pieno di graffi. Fulbert e Laurent si fecero avanti: quando le fiamme iniziarono a spegnersi, il licantropo si gettò sulla viverna con le zampe tese e le fauci spalancate, azzannandole la gola e stringendo con un ringhio. La viverna iniziò a saltare aiutandosi con le ali e a schiantarsi a terra per sbattere Laurent al suolo e toglierselo di dosso, ma il lupo mannaro resisteva. Fulbert approfittò della distrazione della bestia: appena il dragonide gli rivolse il fianco dall’angolatura giusta, prese la rincorsa e le trafisse il torace con un affondo. Quando sfilò la spada d’argento, la viverna gli ruggì in faccia e reagì con una testata. Lo strigo si protesse col segno Quen: l’onda d’urto dello scudo magico fece barcollare la viverna, mentre Laurent la morse in un punto più delicato del collo. Prima che il rettile ritrovasse l’equilibrio, Aleera gli ferì una zampa con una rapida artigliata e il mostro cadde su un fianco; il licantropo fu costretto a mollare la presa, per non farsi schiacciare.

«Finitela!» esclamò la bruxa, tornando visibile.

Fulbert annuì e si preparò ad infliggere il colpo di grazia, ma la viverna si rialzò di colpo e fece una rapida giravolta, travolgendo lo strigo con una frustata della coda. Fulbert fu gettato a terra e la viverna iniziò subito a zoppicare verso di lui, furiosa.

«Lampo in arrivo!» gridò Willy, dalla sua postazione.

Capendo il segnale, Fulbert chiuse gli occhi mentre il godling gettava una bomba samum. Il lampo accecò la viverna, che iniziò a colpire a vuoto. Lo strigo si alzò, pronto a ritentare col colpo finale, ma fu preceduto: sentì l’urlo di Gurg, si voltò e vide che il troll era tornato in piedi, furibondo. Prima che la viverna capisse come attaccare, il troll le sbatté due potentissimi pugni sul muso, facendola stramazzare sull’erba.

«Bravo, bestione! Fatti valere!» lo incoraggiò Fulbert, con un sorriso compiaciuto.

«Lucertola con ali ruba pecora! Gurg voleva pecora!» si lamentò il troll.

Si affiancò alla viverna rintronata, le afferrò le ali e iniziò a strattonarle, tenendo fermo il corpo premendoci contro un piede. Il dragonide gemeva e si dimenava, ma era bloccato. Gurg tirò e urlò dallo sforzo finché, con un grosso schizzo di sangue, le ali della bestia non si strapparono dalle spalle. La viverna reale sbarrò gli occhi e rantolò, prima di chiudere lentamente gli occhi e lasciarsi andare. La caccia era finita.

«Ben fatto, ragazzi» disse Fulbert, rinfoderando la spada.

«No bene, Gurg ferito e arrabbiato» borbottò il troll.

Fulbert fece spallucce:

«Niente di grave, l’abbiamo uccisa lo stesso»

«Pecora rovinata!»

«Possiamo trovare qualcos’altro, non farne un dramma, hrrrrrrr» lo confortò Laurent.

Fulbert si inginocchiò accanto alla carcassa della viverna e prese il pugnale per tagliarle la testa, così l’avrebbe portata al villaggio per dimostrare che aveva compiuto la missione. Quando ebbe finito, disse ai suoi amici di riposarsi pure, mentre lui andava a riscuotere il compenso.

Nonostante il nome del villaggio, l’atmosfera a Cava Triste era piuttosto allegra. In particolare in quel periodo autunnale: mentre attraversava il centro abitato con la testa della viverna reale appesa alla sella della cavalla, Fulbert vide molte persone decorare le case e le stradine per una festa e si accorse che gli sguardi e i toni delle persone erano spensierati. A malapena si voltavano per guardarlo passare col trofeo della sua caccia, il che era una novità. Essendo passato quasi un anno dall’ultima volta che era entrato a Cava Triste, Fulbert non riusciva a capire cosa stesse succedendo, così sfruttò il suo udito da strigo per cogliere dei dettagli dalle conversazioni. Alla fine, quando ascoltò una vecchia che raccontava una storia ad un gruppo di bambini radunati davanti a lei, capì: si stava avvicinando l’anniversario della morte della strega che i primi abitanti del villaggio avevano impiccato generazioni prima, un evento che, per qualche motivo, veniva celebrato come una festività.

“Be’, a ciascuno i suoi svaghi” pensò.

Alla fine, raggiunse la casa dell’aldermanno, il vecchio Sensien. Fulbert lo conosceva: avevano avuto a che fare l’uno con l’altro per la prima volta nel periodo in cui i Guardiani degli Innocenti avevano deciso che quella zona dell’Aedirn sarebbe stata il loro rifugio invernale. Lo strigo aveva salvato Aurora dal linciaggio da parte di mezzo paese perché, a causa della sua eccessiva lussuria, aveva fatto venire un infarto ad un giovane. Dopo una lunga e delicata trattativa, Fulbert era riuscito a convincerli a risparmiarla, tra qualche chiarimento sulla natura delle succubi e un risarcimento ai parenti del morto per la perdita. Da allora, il vecchio Sensien aveva mostrato un certo interesse e simpatia per lo strigo dai capelli rossi. Fulbert non aveva mai capito perché, ma non si lamentava: era raro piacere a qualcuno, col suo lavoro. Scese da cavallo e andò a bussare alla porta. Poco dopo, venne ad aprirgli l’aldermanno: nonostante la terza età, le grinze della pelle e i capelli riccioluti e la folta barba completamente bianchi, dava sempre l’impressione di essere pieno di energia, soprattutto grazie al suo sguardo vispo, e teneva sempre un sorriso simpaticissimo che era quasi contagioso.

«Bentornato, Fulbert. Hai finito il lavoro?»

Lo strigo annuì e indicò la cavalla:

«Era una viverna reale. Adesso le vostre pecore staranno tranquille»

«Perfetto! Entra, ho preparato le corone per il tuo contratto»

Fulbert lo seguì nell’abitazione spartana, ma tenuta in perfetto ordine. In ogni angolo e su ogni mensola, erano sistemati dei libri: Sensien era un lettore accanito, l’ultima volta che lo strigo l’aveva visitato gli aveva spiegato che cercava sempre nuovi tomi che insegnavano e spiegavano le vite e i comportamenti dei mostri, nonché la storia e le arti degli strighi. Quella volta, Fulbert aveva capito perché il vecchio era così affabile con lui dalla vicenda di Aurora: era già interessato agli scanna-mostri e aveva superato i pregiudizi e la disinformazione delle masse su di loro, quindi fare “amicizia” con uno di loro doveva essere stata un’occasione unica per lui. Era bello sentirsi apprezzati.

«Ecco a te, seicento corone per la viverna» disse Sensien, porgendogli un sacchetto di monete preso da un forziere.

Fulbert intascò la ricompensa e ringraziò con un cenno. Prima di andarsene, però, gli venne voglia di informarsi un po’ di più sulla tradizione unica di Cava Triste. Così, quando Sensien si sedé al tavolo, lo strigo appoggiò la schiena al muro con le braccia incrociate e chiese:

«Posso chiederti una cosa? È giusto una curiosità»

«Chiedi pure»

«Ho notato che di fuori stanno tutti organizzando una sorta di festa per quella strega di cui sento parlare spesso, quando torno qui. Ormai sono curioso, cosa c’è dietro? Perché è così importante? Voglio dire, al mondo ci sono state tantissime donne che sono state impiccate perché la gente era troppo superstiziosa, cos’ha questa di speciale?»

Sensien scosse la testa:

«Ah, ma in questo caso non c’era nessun errore! Vuoi sapere la storia della strega di Cava Triste? Sarò lieto di raccontarti la storia che si tramanda a tutti gli abitanti da generazioni»

«Sentiamo»

«I nostri fondatori scoprirono una perfida strega che si nascondeva tra loro: un essere maligno travestito da donna innocente. Invocava il malaugurio e sputava sul nome dei nostri morti fingendo di parlare per loro. In realtà, lanciava sortilegi per portare sventura sul villaggio; così il mio capostipite, il primo aldermanno di Cava Triste, ordinò di farla impiccare. Se solo fosse stato così facile! Prima di morire, la strega lanciò una maledizione: i paesani che l’avevano voluta uccidere non avrebbero mai trovato la pace da morti e ogni anno, il giorno in cui l’avevano appesa per il collo, sarebbero usciti dalle tombe per massacrare i loro discendenti ancora vivi»

Fulbert fece una smorfia sardonica:

«Non avete mai pensato di assumere uno strigo? Ce la caviamo con le maledizioni»

Sensien non nascose una risatina divertita. Dopo la battuta, lo strigo chiese:

«Comunque, è la prima volta che sento una maledizione che fa risvegliare i morti e li istiga. Se succede tutti gli anni, trovo strano che siate così tranquilli e prosperosi»

A quel punto, il vecchio aldermanno gli lanciò un’occhiata confusissima: era come se stesse cercando di capire se Fulbert scherzasse o dicesse sul serio. Fulbert si stranì per quella reazione quindi, dopo alcuni secondi di silenzio imbarazzante, chiese:

«Che c’è?»

«Non dirmi che ci hai creduto sul serio!» si augurò Sensien.

«Aspetta, non è vero?»

A quel punto, il vecchio batté le mani e scoppiò a ridere, al punto che dopo un po’ ebbe un attacco di tosse:

«Per gli dèi! Uno strigo superstizioso! Credevo che stessi scherzando, Fulbert»

Lo strigo si sbatté le mani sui fianchi e levò gli occhi al cielo:

«Nel mio lavoro, i fantasmi e le maledizioni simili a questa sono comuni! Come facevo a sapere che questa è solo una storia locale? A meno che non ci sia il solito fondo di verità che ormai avete dimenticato»

«No, no, è un racconto che i genitori di Cava Triste usano per insegnare ai bambini che si deve sempre onorare e rispettare i morti. D’altronde, le fiabe educano con la paura della punizione. Di vero c’è solo la donna accusata di stregoneria, una triste ingiustizia causata dalla supersitizione. Hai altre domande?»

«No, sono a posto. Ora vado a ripagare il tizio che mi ha dato la pecora, quello che vive accanto al cimitero»

«Ah, Blosin? Scommetto che sarà terrorizzato anche quest’anno»

Fulbert inclinò la testa:

«Cosa intendi?»

L’aldermanno fece spallucce:

«Ogni volta che arriva l’anniversario della morte della strega, inizia ad avere paura anche della sua ombra. Ma in fondo è sempre stato strano: evita tutti e parla da solo»

Fulbert annuì, ricordandosi di aver notato qualche stranezza nel comportamento del custode del cimitero, quando l’aveva convinto a dargli la pecora. A quel punto, i due si salutarono e lo strigo uscì dall’abitazione del vecchio Sensien, lasciandosi dietro la testa della viverna e andando via a cavallo.

Il cimitero si trovava in una radura nel bosco intorno a Cava Triste, vicino alla cava abbandonata che dava il nome al villaggio. A prendersene cura c’era Blosin, un uomo sulla cinquantina sporco, trasandato e con evidenti problemi respiratori: quando Fulbert era andato a prendere la sua pecora, aveva constatato che faticava a finire una frase senza avere un attacco di tosse e diventare paonazzo. Inoltre, grazie al suo udito, aveva capito che il cuore di quel poveraccio poteva fermarsi in qualsiasi momento: faticava più di un asino vecchissimo. E la catapecchia in cui viveva era cadente almeno quanto il proprietario. Non si meravigliava che fosse il custode del cimitero: solitario, considerato strano dagli altri e malaticcio, non poteva che vivere isolato dalla comunità.

“Forse gli tornerebbe più utile un’altra pecora che una manciata di monete, ma chi sono io per giudicare?” pensò Fulbert.

Quando giunse in vista del cimitero e della baracca di Blosin, scese da cavallo e prese tante corone quante ne bastavano a ricomprarsi una pecora o una capra e iniziò ad avvicinarsi. Mentre camminava, con la coda dell’occhio intravide una sagoma familiare appostata fra i cespugli del bosco: guardò meglio e scoprì che era Willy, nascosto per osservare la casetta. Incuriosito, provò ad accertarsi che il padrone di casa non si fosse ancora accorto di lui e si avvicinò al godling, chiedendogli a bassa voce:

«Che stai facendo qui?»

Willy fece spallucce:

«Mi diverto a origliare quel matto mezzo morto che parla da solo. È proprio fuori di zucca, sai? Delira più di Gurg quando svuota un barile di spirito»

«Uao, sei proprio facile da intrattenere» commentò Fulbert, sarcastico.

«Comunque, quanto ti ha pagato il vecchio “intellettuale”?»

«Seicento corne»

Willy fece una smorfia:

«Il solito stipendio da fame. Certo che lavorare con te fa schifo!»

«Ma grazie! Benvenuto nell’attività. Comunque, torna dagli altri, trova qualcosa di meno sfacciato per divertirti»

«E va bene» sbuffò Willy.

Una volta che il godling fu sparito nel sottobosco, Fulbert tornò sui suoi passi e raggiunse la porta. Stava per bussare, quando sentì l’uomo tossire all’impazzata e ansimare come un cane, rovesciando qualcosa per terra. Un po’ interdetto, Fulbert indugiò ad aprire quando sentì Blosin parlare:

«Non c’è molto tempo... non c’è molto tempo…» rantolava.

E seguì un’altra tosse scatenata. Alla fine, lo strigo entrò preoccupato e trovò il custode del cimitero seduto ad un tavolo da lavoro illuminato da una candela, intento a respirare più a fondo che poteva per riprendersi dalla crisi respiratoria. Quando aveva preso la pecora, Fulbert non era entrato nella baracca, quindi ne approfittò per gettare una rapida occhiata all’interno: c’era lo stretto necessario, niente di superfluo. Si trattava del tipico arredamento di una piccola catapecchia nel bosco, tranne che per un dettaglio: il muro sopra il tavolo di lavoro era tappezzato di fogli su cui erano state scarabocchiate immagini di tombe, volti putrefatti e un cappio. Fulbert si insospettì: quell'uomo non poteva essere soltanto strano: doveva esserci qualcosa sotto e la sua allerta aumentò quando il suo medaglione a forma di manticora iniziò a vibrare, tintinnando contro la sua armatura: in quella stanza c’era qualcosa di magico, ma cosa? Quando l’uomo si accorse di Fulbert, ebbe un sobbalzo:

«Ah! Sei di nuovo tu, mutante. Hai finito il lavoro?»

«Sì, era una viverna reale. Come promesso, eccoti abbastanza corone da riprenderti una pecora» rispose lo strigo, sforzandosi di ignorare il sempre fastidioso “mutante”.

Blosin prese le monete e, continuando a tossire, andò a metterle in una cassetta di legno. Mentre lo guardava, Fulbert si accorse che sul tavolo c’era un vecchio libro dalla copertina di cuoio consunta e le pagine ingiallite. Gli sembrò molto strano vedere un libro in casa di un tipo come quell’uomo; osservando meglio, però, notò che c’era un piccolo diamante incastonato nella copertina. Incuriosito, fece un paio di passi avanti per vederlo più da vicino e il suo medaglione cominciò a vibrare con più intensità: era quello l’oggetto magico. La cosa si faceva molto interessante.

«Cos’è questo?» domandò, intrigato.

Blosin si voltò a fissarlo, con un’espressione seccata:

«Non hai mai visto un libro?»

Fulbert levò gli occhi al cielo:

«Non in quel senso. Voglio dire, cos’ha di speciale? Il mio medaglione dice che è magico. E perché non usi quel diamante per farti una vita migliore?»

Il custode del cimitero, dopo l’ennesimo colpo di tosse, si irrigidì come se lo avessero pugnalato, prima che da paonazzo diventasse pallido:

«Sei pazzo?! Questo libro è l’unica cosa che tiene al sicuro il villaggio! E io sono l’unico che può usarlo, anche se ho paura che questo sia l’ultimo anno in cui riuscirò a proteggere Cava Triste: sono ridotto così male che mi basterebbe uno spavento per morire»

A quel punto, forse perché aveva parlato troppo senza fare una pausa, iniziò a tossire così forte che si piegò in due e schizzò gocce di saliva su tutto il pavimento, tanto che Fulbert indietreggiò il più possibile per non farsi sporcare: sistema immunitario mutante o no, prendere la polmonite non era mai il massimo. Aspettò che il poveraccio si riprendesse quanto bastava, prima di indagare:

«Al sicuro? Se è quello che penso, magari…»

«Hai indovinato: la maledizione della strega è reale!»

Fulbert si lasciò sfuggire un sorrisetto soddisfatto:

«Ecco, sapevo che non era solo una fiaba. È sempre la stessa storia: passa così tanto tempo che la gente smette di crederci. È già la settima volta che mi capita, da quando faccio questo lavoro»

Blosin gli rivolse uno sguardo compiaciuto a sua volta, un’espressione che Fulbert riconobbe: era la faccia che facevano gli incompresi quando trovavano finalmente qualcuno con cui confidarsi senza temere un giudizio. Infatti, il custode del cimitero continuò con un vago entusiasmo nella voce:

«E sai perché nessuno ci crede più? È merito mio, di mio padre, di mio nonno e del resto della famiglia prima di lui: sono l’ultimo discendente della strega»

«E avete sempre usato questo libro per annullare la maledizione?»

«No, la maledizione rimane, tutto quello che faccio è tenere la strega addormentata per un altro anno. Se non lo facessi, tutte le persone sepolte nel cimitero di Cava Triste uscirebbero dalla terra per dare la caccia ai vivi! Solo io, che posso vedere i fantasmi, posso tenere la mia antenata nella tomba»

Fulbert unì i puntini e annuì:

«Ecco perché l’aldermanno mi ha detto che parli da solo: in realtà parli coi fantasmi, perché puoi vederli e sentirli dalla nascita»

Blosin sembrava sul punto di piangere di gioia:

«Sì! Non sono pazzo come credono, so parlare coi morti! Anche tu?»

Fulbert fece spallucce e tentò di spiegarsi in breve:

«Diciamo di sì: non li vedo tutti, ma sono stato allenato per percepire gli spettri, quindi mi accorgo di quelli che sono molto legati alla realtà dei vivi e posso combattere coi wraith, ma quelli appaiono a tutti, quindi immagino che a Cava Triste non ti capiscono perché non ne è mai apparso uno»

«Immagino che abbia ragione: gli spiriti di questo villaggio sono molto tranquilli. In ogni caso, ti ho detto cos’è il mio libro e mi hai pagato la pecora, quindi puoi andare: qui non c’è niente per te»

«Sicuro di non volermi assumere? Potrei aiutarvi a spezzare la maledizione per sempre, così anche se muori di polmonite senza qualcuno a cui passare il libro puoi stare tranquillo»

Blosin esitò a lungo, ma alla fine scosse la testa:

«No, l’unico modo per fermare il maleficio per sempre sarebbe convincerla a calmarsi o affrontarla, lo so. E tutte e due le strade portano a lasciarla svegliare, quindi lascia perdere! Farò del mio meglio per trovare qualcun altro che vede i fantasmi e convincerlo a prendere il mio posto, prima che la malattia mi stronchi»

Fulbert inclinò la testa, perplesso:

«Questo è un dettaglio specifico, come lo sai?»

«Me l’ha raccontato mio padre: questo diamante fu donato ai miei capostipiti da un druido che viveva qui vicino, che venne a dargli un modo per calmare la rabbia di quella poveretta. Sembra che questo libro fosse il suo preferito, così il druido ci mise un incantesimo»

«Capisco. Be’, se cambi idea, sei in tempo ad assumermi finché non partirò da questo bosco»

«Non cambierò idea. Ora vai»

Capendo che la conversazione era davvero finita, Fulbert decise di assecondare Blosin e uscì dalla baracca. Allora tornò a cavallo e partì verso la caverna di Aurora, dove i suoi amici e la succube lo stavano aspettando.

Quando Fulbert raggiunse la grotta, trovò Gurg all’esterno che faceva ruotare lentamente un cinghiale su uno spiedo sospeso sopra un grande fuoco da campo. Il troll ridacchiava soddisfatto emettendo dei buffi grugniti, mentre annusava la carne che si arrostiva lentamente. Fulbert lasciò la cavalla libera di pascolare e guardò Gurg con un sorrisetto, con le mani sui fianchi:

«Guarda guarda, hai già compensato per la pecora?» chiese.

Il troll annuì:

«Sì! Laurent fiuta cinghiale mentre noi torna qui, così preso per Gurg. Stasera tutti arrosto mangia! Gurg manda Aurora a prendere funghi»

Lo strigo entrò nella piccola caverna, illuminata da torce, che la succube aveva decorato riempiendo le pareti di ghirlande di fiori. Laurent e Aleera erano seduti in un angolo dell’antro: il lupo mannaro stava raccontando alcuni aneddoti dalla sua precedente vita da viticoltore e la bruxa ascoltava in silenzio, probabilmente fingendo soltanto di essere interessata. Salutarono Fulbert quando lo videro entrare e lo strigo ricambiò, prima di andare a rovistare nella cassa delle scorte che aveva depositato lì da quando svernavano nella grotta di Aurora: aveva deciso di preparare di nuovo le pozioni e l’unguento che aveva usato nella caccia alla viverna. Mentre lavorava con gli ingredienti, Laurent gli chiese:

«Allora, hai restituito le corone della pecora al padrone?»

Lo strigo annuì:

«Sì. Ho anche scoperto che la maledizione della strega che festeggiano qui tutti gli anni è vera e che lui tiene il villaggio al sicuro leggendo un libro incantato»

Aleera inclinò la testa, perplessa:

«Perché dovrebbero festeggiare una maledizione? Non che mi stupisca, ormai gli umani festeggiano tutto, pur di non pensare ai loro disagi»

«Perché siccome la maledizione non si è mai scatenata, non ci credono più. Il custode del cimitero può impedire alla strega di risvegliarsi con quel libro perché vede i fantasmi, ma ha i polmoni così conciati che è più morto che vivo: quando non ci sarà più, sarà un problema. Credo che dovremo intervenire, prima o poi»

Laurent cambiò argomento e Fulbert diede per scontato che l’avesse fatto perché gli dava fastidio parlare di maledizioni, visto che odiava la sua licantropia:

«Quanto ti ha pagato l’aldermanno?»

Fulbert alzò lo sguardo dagli ingredienti delle pozioni, insospettito:

«Seicento corone, Willy non te l’ha detto? Me lo sarei aspettato»

«Willy non è ancora tornato» rivelò Aleera.

«Ha detto di essere andato a lanciare sassi agli scoiattoli, non l’abbiamo ancora rivisto» aggiunse Laurent.

Questo fece suonare un fortissimo campanello d’allarme nella testa di Fulbert: Willy non stava spiando la casa di Blosin perché lo divertiva sentirlo parlare da solo. Doveva avere un secondo fine dei suoi, per aver mentito agli altri con una scusa e per aver agito a insaputa dello strigo. Di norma, quel secondo fine era rubare qualcosa di valore che aveva adocchiato, come un diamante.

«Oh, porca troia!» imprecò Fulbert, sbattendosi le mani sui fianchi.

«Qu'est ce qu'il se passe?» chiese Laurent.

«Willy non è andato a infastidire scoiattoli, è andato alla casa di quel tizio per derubarlo: nella copertina di quel libro magico c’è un diamante»

Aleera non poté fare a meno di abbozzare un sorriso:

«Il solito Willy. Immagino che sia stato troppo buono con lui, salvandolo da quell’orafo»

«Questa volta mi sente sul serio!» esclamò Fulbert, alzandosi stizzito e uscendo dalla caverna.

Ignorando Gurg che gli chiedeva dove andava e Aurora che tornava in quel momento dal bosco coi funghi in mano, lo strigo tornò dalla sua cavalla, la spronò e cominciò a rifare il percorso per il cimitero. Incrociò Willy a metà strada e il godling lo sfidò con un’espressione altezzosa:

«Ehi, spadaccino sottopagato, indovina un po’? Ci ho appena resi ricchi sfondati!»

«Dammi il diamante» gli ordinò Fulbert, con tono fermo.

«Non pensavo che ci avresti messo così tanto a capirlo, sai? Stai perdendo colpi, amico!» lo provocò Willy.

«Oggi hai dimostrato che farti una predica e farti schiaffeggiare da solo col segno Axii non serve a niente, per questo tra poco faremo i conti come si deve. Ma prima dammi il diamante, così lo riporto a Blosin»

Willy sbuffò:

«Oh, non farmi ridere! Hai visto quel demente? È vivo per miracolo! Che se ne fa di un diamante? Teniamolo, potremo finalmente permetterci qualche lusso! Noi sì che ce lo meritiamo: passiamo la vita a girare a vuoto per il Continente, salviamo la pelle agli ingrati e ci trattano come dei mendicanti. È ora di fare una svolta!»

«No, è ora di metterti in riga una volta per tutte. Il diamante»

Ma il godling insisté:

«Coraggio, che te ne sbatte? Era solo una decorazione, gli ho lasciato il libro! E poi stava facendo una dormita, non se n’è neppure accorto. Facciamo finta di niente e ognuno per la sua strada?»

«Ultimo avvertimento»

«Cazzo, non è giusto! Sono stanco di vivere di merda!»

A quel punto, Fulbert lo ipnotizzò col segno Axii, come aveva già fatto dopo fin troppi furtarelli. Willy andò in trance e iniziò a ciondolare avanti e indietro, con un sorriso da ebete. Fulbert gli ripeté di dargli il diamante e Willy, senza protestare, se lo tirò fuori dai pantaloni e glielo passò. Allora lo strigo gli disse di tornare dagli altri e di pensare che rubare era una brutta cosa, già che c’era. Mentre Willy si allontanava, docile come un agnello, il rosso proseguì verso la casa al cimitero, imprecando a denti stretti e riflettendo su cosa potesse fare per convincere il godling a dargli più ascolto. Una volta ritornato alla baracca, c’era tranquillità completa: forse il padrone di casa stava ancora dormendo, come Willy aveva detto, e non si era accorto di nulla. Quindi lo strigo bussò e chiamò Blosin per svegliarlo. Nessuna risposta. Fulbert attese qualche secondo, poi si insospettì. Facendo più attenzione, si accorse che dall’interno non veniva alcun rumore, neanche di un respiro. Allora entrò e rimase di sasso: Blosin era morto.

“Oh, merda!” pensò.

Il custode del cimitero aveva un’espressione terrorizzata, era cianotico come se l’avessero strozzato e, con una mano, si stringeva il petto. Non ci volle molto a capire che era morto d’infarto. Giaceva supino e il suo sguardo in preda al panico sembrava rivolto verso il libro che, ovviamente, adesso era privo del diamante. Fu tutto chiaro: Blosin doveva essersi svegliato poco dopo che Willy era scappato, si era agitato in modo estremo quando aveva notato che la decorazione del libro era stata rubata e il suo fisico malandato non aveva retto quell’ondata improvvisa di tensione. La situazione si era appena fatta molto più grave; ma forse, dato che tutti sapevano delle condizioni di Blosin, sarebbe stato facile spacciare il tutto come una morte naturale, cosa che in fondo era.

«Giuro che lo ammazzo» borbottò, stizzito.

Con un sospiro, lo strigo rimise il diamante nell’incavo sulla copertina del libro, si voltò e fece per uscire. Ma, prima che si richiudesse la porta alle spalle, sentì una voce lontana come un’eco che lo chiamava:

«Fermati!»

Era la voce di Blosin. Sospettando di cosa si trattasse, Fulbert si voltò di nuovo verso il cadavere con fare guardingo e vide che uno sbuffo di fumo si stava formando accanto al corpo. In qualche istante, il fumo prese la forma del custode del cimitero, trasparente e incolore: era diventato un fantasma.

«Fermati, strigo!» ripeté l’ombra.

«Oh, grandioso» mormorò Fulbert.

Incrociò le braccia e, con un misto di imbarazzo e compassione, guardò lo spettro che fissava angosciato le sue spoglie mortali e si guardava le mani, sconvolto. Ad un certo punto, per interrompere il silenzio, si azzardò a dire:

«Mi dispiace»

«Ti dispiace?! Questo è un disastro! – esclamò il fantasma, furioso – Adesso come farò a trovare un altro che vede i fantasmi, prima che la maledizione colpisca?! Appena trovo il bastardo che mi ha…»

Quando guardò il libro e vide che lo strigo aveva rimesso il diamante a posto, tirò un sospiro di sollievo.

«Oh, è tornato! Grazie agli dei! Ma ora sono morto! Sono rovinato! Tutti sono rovinati!»

Fulbert sapeva esattamente cosa fare: era il momento di un altro lavoro, anche se non c’era esattamente un contratto da accettare. Così, quando il fantasma di Blosin finì di imprecare e gridare in preda alla paura e alla rabbia, prese la parola:

«Senti, se vuoi posso fermare io la maledizione»

Il custode del cimitero sbarrò gli occhi, sorpreso:

«Davvero lo faresti?»

«Sì. Tenere le persone al sicuro da mostri e maledizioni è il mio lavoro, lo farei a prescindere»

Lo spirito si calmò in fretta, chiaramente rincuorato:

«Meno male, c’è ancora speranza! Come avrei fatto se non fossi capitato da queste parti?»

«Dimmi cosa devo fare» tagliò corto Fulbert.

Lo spettro annuì:

«Sì, meglio. Devi leggere il libro nel posto in cui la mia antenata, Afeh, fu sepolta. Mi raccomando, devi farlo prima che il sole tramonti, altrimenti il suo fantasma si risveglierà e farà uscire i morti dalla terra!»

«Bene, lo farò. A dirla tutta, è la maledizione più facile da contenere che abbia mai sentito» rispose lo strigo, fingendo sicurezza.

«Voglio sentirlo chiaro e tondo: impedirai alla strega di risvegliarsi? E dopo, troverai un successore per me? Prometti»

«Prometto. Anzi, non ti servirà un sostituto: prometto che tornerò qui una volta all’anno per rifare tutto per conto mio» annuì Fulbert.

Il fantasma fece un sorriso entusiasta e iniziò a mormorare:

«Grazie agli dei! Grazie agli dei, ci sono riuscito lo stesso: anche se sono morto, l’ho fermata! Ho salvato Cava Triste! Grazie!»

La sua voce diventò sempre più flebile e la sua ombra diventò sempre più fioca, finché non scomparve del tutto e Fulbert fu davvero solo nella stanza. A quanto pare, la sola garanzia che il suo compito sarebbe stato portato avanti gli era bastato per considerare le sue faccende in sospeso risolte. Doveva essere una persona davvero semplice.

«Certo che ti accontentavi con poco» scherzò Fulbert.

A quel punto, incoraggiandosi a togliersi il problema di torno il prima possibile, prese il libro e uscì dalla casa, iniziando ad aggirarsi per il cimitero di Cava Triste. Considerando che la strega era vissuta varie generazioni prima, si mise subito in cerca delle lapidi più vecchie, quelle più rovinate. Le trovò ai margini del bosco, quasi all’ombra delle frasche. Appartenevano quasi tutte ai fondatori del villaggio e ai loro figli, così iniziò a passarle tutte in rassegna. Era difficile leggere alcuni nomi, perché la pietra era erosa o avvolta da erbacce. Alla fine, però, riuscì a trovare il nome che cercava: Afeh. Era una minuscola lastra crepata e quasi inglobata da un agrifoglio e si trovava accanto ad alcune tombe che riportavano lo stesso cognome, che doveva essere anche quello di Blosin.

“Eccoti qua. Non mi resta che leggere” pensò Fulbert.

Prima di aprire il libro, esitò per un secondo e si guardò in giro, per accertarsi di essere solo: se qualcuno fosse venuto a trovare un parente morto proprio in quel momento, sarebbe stato davvero imbarazzante. Dopo quel rapido controllo, si affrettò ad aprire il volume. Per curiosità, prima di iniziare a leggere ad alta voce, iniziò a controllare il contenuto per conto suo. Rimase a dir poco interdetto quando si rese conto che si trattava di un racconto popolare:

«La bella addormentata? Ma che…» mormorò, confuso.

Era proprio una fiaba, una delle più classiche. All’inizio, Fulbert si sentì preso in giro, ma poi rifletté meglio sul quadro generale e capì cosa significava tutto quanto: Blosin aveva detto che leggere quel libro rimandava la maledizione all’anno successivo, perché impediva al fantasma della strega di risvegliarsi. E, guarda caso, per farlo doveva leggere una storia della buonanotte.

“Ma certo: il druido che aiutò la sua famiglia fece una magia che ha reso letterale questo concetto” pensò.

Avrebbe dovuto immaginare un ragionamento simile: le maledizioni avevano sempre queste metafore nascoste o scappatoie ingannevoli, quindi spesso le soluzioni per contrastarle si basavano su quello. Lo spirito della strega si svegliava dalla morte, quindi la si faceva continuare a “dormire”.

“Cominciamo. Meno male che sono da solo: Willy mi prenderebbe per il culo per anni se mi vedesse” si disse.

Allora, cercando di ignorare il fondo di imbarazzo che gli suscitava leggere ad alta voce una fiaba per bambini in mezzo ad un cimitero, Fulbert si sedette davanti alla piccola lapide e recitò l’intero contenuto del libro, dalla prima all’ultima riga.

«E vissero per sempre felici e contenti» concluse, dopo circa un’ora.

Dunque, schiarendosi la voce e ignorando la sete che gli era venuta nel frattempo, chiuse il libro e si alzò. Si guardò intorno, occhi e orecchie aperti, in cerca di un segno qualsiasi che gli confermasse che aveva fatto tutto come avrebbe dovuto, che la maledizione fosse stata bloccata. Non accadde assolutamente nulla. Non vide alcuna stranezza per diversi minuti e gli unici rumori che sentiva erano alcuni topi che si aggiravano guardinghi per le tombe e gli uccelli che svolazzavano sui rami degli alberi. Era tutto normale. Aveva funzionato? Aveva impedito alla strega di svegliarsi? Per scaramanzia, lo strigo rimase in attesa ancora un po’, prima di convincersi una volta per tutte che aveva fatto tutto quello che c’era da fare.

“Immagino di aver finito. Non mi resta che fare i conti con Willy: sarà la parte peggiore di questa giornata” pensò Fulbert, sbuffando.

Eppure, mentre si allontanava dal cimitero, fu punzecchiato dal vago sospetto che qualcosa non quadrasse.

PIÙ TARDI, AL TRAMONTO…

I Guardiani degli Innocenti avevano trascorso tutto il resto del pomeriggio a discutere sul problema dell’avidità e della cleptomania di Willy, che li metteva spesso nei casini. Per fortuna, anche grazie al segno Axii che aveva messo il godling nell’umore più adatto, i toni non erano stati troppo accesi. Ciascuno, a modo suo, riuscì a convincere Willy ad aprirsi sulla questione:

«Non so voi, ma per me è stato una merda, passare anni della mia vita a fare da sguattero, animale domestico parlante, buffone di casa per i borghesi, a prendere calci nel culo e a dormire sulla paglia zuppa di piscio. Ogni volta che cambiavo padrone, diventava peggio. Avete idea di quanto mi manchi vivere nella tana di una volpe? Quella sì che era vita: me ne stavo per i fatti miei nel bosco, potevo fare tutto quello che mi pareva, nessuno mi diceva quando mangiare o bere o dormire e non ero obbligato a fare le pulizie o a ballare per far ridere una folla di bastardi. Se c’è una cosa che ho imparato da quando mi hanno rovinato la vita, è che ai ricchi non tocca questa vergogna, così ho deciso di diventare ricco. Voglio dire, se sei pieno di soldi ti baciano i piedi pure se sei brutto e antipatico! L’ho visto coi miei occhi!»

«Be’, di certo unirti alla banda di Mannaia a Novigrad non ti avrebbe reso più libero» commentò Fulbert.

Willy allargò le braccia:

«Ehi, da qualche parte dovevo pur cominciare! Almeno, i nani mafiosi mi pagavano bene! Ero il taccheggiatore più richiesto della malavita della Città Libera, sapete?»

Lo strigo ridacchiò:

«Me lo ricordo. Guarda il lato positivo: ci siamo conosciuti proprio perché mi hai rubato i soldi per strada»

«E da allora vi seguo e vivo rischiando la pelle per quattro monete. Complimenti, Fulbert, mi hai fatto tornare sul lastrico!»

«Ma Willy ora libero, Willy in natura!» esclamò Gurg, addentando una coscia del cinghiale che aveva cucinato.

«Be’, in effetti mi manca solo di rubare la tana a un altro animale. Ehi, ma questa è la tana di una succube! Aurora, ti dispiace se marchio il territorio?» ridacchiò il godling, beffardo.

La succube arrossì all’improvviso e iniziò a guardarsi intorno, interdetta.

«Eh? Ma dici…» balbettò, imbarazzata.

Fulbert alzò gli occhi al cielo:

«No, non dice sul serio, o almeno spero. Comunque, Willy, dobbiamo davvero impegnarci tutti a fare in modo che questo sia il tuo ultimo furto: ti rendi conto che hai fatto venire un infarto a quel poveraccio?»

Willy allargò le braccia, sulla difensiva:

«E quindi? Aurora ha fatto venire un infarto a un tizio scopandolo!»

La succube diventò paonazza:

«Ehi, possiamo evitare? Non mi piace ricordare quella notte»

Lo strigo scosse la testa:

«Quello però era un ragazzo in salute e sapeva cosa rischiava, accettando di fare sesso con una succube. Tu, invece, hai spiato Blosin e hai visto che aveva i polmoni distrutti. Non hai pensato che farlo agitare così l’avrebbe ucciso?»

«Affatto: ho solo visto che tossiva tanto, che ne sapevo io? E che cazzo!»

«A proposito, che ne hai fatto di lui? L’hai lasciato dov’era?» chiese Aleera al rosso.

Fulbert scrollò le spalle:

«Certo che no, sono andato in paese ad avvisare tutti che è morto, se ne occuperanni loro. Ora che ne dite di pensare a come possiamo aiutare Willy a non rubare più?»

«Willy, tu no più ruba» disse subito Gurg, puntando il dito sul godling.

«Sì, grazie al cazzo» sbuffò il piccoletto, irritato.

Laurent tentò una proposta:

«Magari un compromesso, come hai fatto con Aleera? Sai, lei può bere solo il sangue dei banditi, Willy può rubare solo ai banditi. In fondo li uccidiamo sempre, chi si può lamentare?»

«Ooooooh, ma è geniale! Perché non ci ho pensato prima? Magari perché i banditi nascondono i loro soldi in rifugi e non possono dirmi dove si trovano, da morti? Sarai anche un uomo lupo, ma mi sembri più uno stupido cane» lo provocò Willy.

«Ehi! Cercavo di aiutare, stronzetto!» sbottò il licantropo.

«Laurent stupido? Ma voi sempre dice che Gurg stupido» si intromise il troll, confuso.

«Tranquillo, tu sei ancora al primo posto» replicò Willy.

«Comunque, l’idea di base non è male – ammise Fulbert – Potremmo lasciare un bandito vivo da interrogare, le prossime volte, così quando ci dice dove hanno nascosto le loro scorte lo ammazziamo e andiamo a fare rifornimento. Torna utile a tutti»

«Grazie» rispose Laurent.

Aleera rifletté, tenendo l’indice sul mento:

«Può essere un inizio. Ma poi dobbiamo vedere se una cattiva abitudine come rubare si gestisce come una dipendenza vera, come la mia»

«Secondo me smettere di rubare è più facile che rinunciare a un piacere, ve lo posso garantire» affermò Aurora.

Dopo tutti quei discorsi, Willy si fece quieto: sembrava in pensiero. Dalle espressioni che fece dopo qualche minuto, Fulbert iniziò a sentirsi speranzoso: il godling sembrava quasi convinto da quelle proposte. Avevano davvero trovato la prima idea valida per limitare i danni? Stava per fare un commento, quando Laurent si alzò di scatto con le orecchie tese e iniziò ad annusare l’aria, allarmato:

«Aspettate, cos’è questo odore?» si domandò.

«Che succede?» chiese Aurora, subito preoccupata.

Il licantropo fece un’espressione disgustata e storse le narici e la bocca:

«Hrrrrrrr! Rivoltante, hrrrrrrrr! È come se la foresta fosse ricoperta di gente morta da tanto tempo! Hrrrrrrrrr, hrrrrrrrr»

«Forse è un demone putrefatto: ogni tanto ne capita uno anche nelle zone più tranquille» ipotizzò Fulbert.

Pochi minuti dopo, però, tutti quanti iniziarono a sentire un insopportabile tanfo di decomposizione e di carne marcia, faceva quasi tossire. Infastiditi e confusi, uscirono dalla caverna d’istinto, sperando di prendere una boccata d’aria fresca della sera, ma si resero conto che all’esterno la puzza era ancora più intensa.

«Ma che cazzo è?» chiese Willy, quando videro cosa stava accadendo nel bosco.

Non avevano mai visto un fenomeno del genere: il sottobosco si era riempito di punto in bianco di una fittissima coltre di nebbia. Ma quella foschia non aveva niente di naturale: era nera come fumo e, invece di salire, non faceva che avanzare inghiottendo poco a poco la foresta, offuscando la vista per molti metri. Dopo un po’, Fulbert considerò l’idea di bere una fiala di Gatto per vederci attraverso la nebbia: persino i suoi occhi da felino non bastavano, tra la notte imminente e quello strano fumo. Oltretutto, l’odore di morte sembrava venire proprio dalla nebbia.

«Nebbia odore orrendo! Rovina cinghiale!» si lamentò Gurg.

Fulbert cercava di capire cosa stesse succedendo. Ben presto, un sospetto piuttosto ovvio iniziò a serpeggiare nella sua testa. E, quando il suo medaglione cominciò a vibrare all’impazzata, il sospetto diventò certezza. Sapeva che non poteva davvero essere filato tutto liscio.

«Oh, no!» mormorò.

«Cosa?» chiese Aleera, allertata.

«La strega!»

Tutto il gruppo si voltò a fissarlo, con sguardi sorpresi. Prima che uno di loro aprisse bocca, furono assordati da un agghiacciante urlo femminile acutissimo che squarciò i loro timpani e scosse le fronde degli alberi come una tormenta.

«La strega? Avevi detto che il custode del cimitero la teneva a bada» si ricordò la bruxa.

Willy diventò subito passivo-aggressivo:

«Oh, magnifco, quindi ora è di nuovo tutta colpa mia, vero?»

«No, ho parlato col suo fantasma, mi ha detto cosa dovevo fare. Dove ho sbagliato?»

«Ti dispiace spiegare? Questa situazione è orribile e vorrei davvero capirci qualcosa, hrrrrrrr, hrrrrrrrr!» ringhiò Laurent, agitato.

Lo strigo ragionò per alcuni secondi, prima di prendere una decisione. Immaginando cosa li aspettava quella notte, sfoderò la spada d’argento e disse a tutti:

«Seguitemi, dobbiamo andare a quel cimitero. Aurora, tu resta qui. Se succede qualcosa, sai difenderti»

«D’accordo» obbedì la rossa, titubante.

Quindi, mentre la succube si ritirava nella caverna, lo strigo e i quattro mostri si diressero in fretta e furia verso il camposanto. Una volta giunti in vista della baracca di Blosin, si fermarono e non poterono fare a meno di restare a bocca aperta, di fronte allo spettacolo a cui stavano assistendo: nel cimitero, la terra si rivoltava e si apriva e poco alla volta, davanti a ciascuna lapide, emergevano urlando e gemendo dei cadaveri viventi che si sbracciavano e contorcevano per uscire in superficie. Erano tutti avvolti nei loro sudari e ogni morto era ad uno stato di putrefazione diverso: alcuni erano semplicemente pallidi e smagriti, altri erano macilenti e avevano le viscere scoperte, perdendo liquidi maleodoranti, altri ancora erano quasi ridotti alle ossa. Appena uscivano dalle tombe, i morti viventi strisciavano per un po’, per poi alzarsi barcollando e iniziare a muovere degli incerti passi.

«Oh, Lebioda, préserve-nous de la damnation!» esclamò Laurent, sconvolto.

«Guardate, ce ne sono tanti laggiù: vanno verso il villaggio» disse Aleera, indicando un fitto gruppo di non morti già lontani dal cimitero e che si dirigevano di corsa verso Cava Triste, di cui si potevano vedere soltanto dei fiochi lumi a causa della nebbia nera.

Non passò molto, prima che i Guardiani degli Innocenti sentissero delle grida terrorizzate innalzarsi dalla collina su cui il paese era costruito. Come la maledizione voleva, tutti i morti di Cava Triste erano tornati in vita per massacrare gli abitanti.

«Dobbiamo fermarli!» esclamò Fulbert.

«Fermarli? Dici sul serio?» chiese Willy, con gli occhi sbarrati e un tono spaventato.

«Certo che dico sul serio! Iniziamo da questi, finché sono qui! Dateci dentro!» ordinò lo strigo.

Senza indugiare oltre, i cinque partirono all’assalto e si scagliarono contro i morti viventi che stavano ancora ciondolando per il camposanto. Fulbert iniziò a trafiggerli, mutilarli e decapitarli con la spada d’argento, a dargli fuoco col segno Igni e a spingerli lontano col segno Aard. Guardandosi attorno, vedeva che i suoi compagni stavano facendo un massacro ancora più grande: Aleera sfrecciava da un morto all’altro tranciandoli a metà con gli artigli, Gurg li schiacciava o li afferrava e faceva a pezzi, Laurent li smembrava uno ad uno e Willy lanciava le sue bombe a destra e a manca. Pezzi di corpi umani e fluidi putrescenti volavano dappertutto, il sangue marcio dei cadaveri più integri insozzava il terreno e le lapidi, la nebbia nera vorticava agitata da quel caos. La strage fu tanto violenta quanto rapida: in pochi minuti, i Guardiani degli Innocenti si resero conto di essere rimasti soli nel cimitero, circondati dalle membra dei morti viventi.

«È la cosa più disgustosa che abbia mai fatto, hrrrrrr» ringhiò Laurent, rigirandosi la lingua in bocca.

«E questi sono andati. Ma al villaggio hanno già iniziato a sterminare tutti» disse Fulbert, guardando verso le grida.

«Adesso noi che fa?» chiese Gurg.

Fulbert si mosse le labbra:

«Non c’è scelta: dobbiamo andare là e difendere gli abitanti. E intendo tutti noi»

I quattro mostri lo guardarono, stupiti. Era la prima volta che Fulbert prendeva una decisione simile, e c’erano state emergenze quasi peggiori da quando lavoravano insieme.

«Vuoi dire che possiamo lasciare che ci vedano? Io, Laurent e Gurg, in mezzo alla gente?» domandò Willy, incredulo.

«L’alternativa è farli morire tutti, non possiamo farci nulla»

«Allora non perdiamo tempo!» esclamò Laurent.

Il lupo mannaro si stava già avviando, quando si accorsero tutti di alcuni gemiti sommessi che avevano ignorato mentre parlavano. Controllando meglio a terra, si accorsero che i morti, nonostante le mutilazioni, erano ancora “vivi” e provavano invano a rialzarsi. Persino le teste mozzate si lamentavano e stridevano i denti.

«Morti non muore!» esclamò Gurg.

Improvvisamente, per tutto il bosco risuonò lo stesso urlo agghiacciante che avevano sentito alla caverna di Aurora. Stavolta, però, era ancora più intenso e coprirsi le orecchie fu inutile. Fulbert ebbe il capogiro per diversi attimi, quando il grido finì. Mentre cercava di riprendersi, notò qualcosa nella nebbia: due luci verdi nel buio, che spiccavano nella nebbia. In un primo momento, credette che fossero due lucciole, ma poi si accorse che stavano ferme e che gli mettevano sempre più inquietudine man mano che le fissava. Osservando meglio, lo strigo ebbe un lieve sobbalzo: erano due occhi luminosi. Al loro interno c’era un anello bianco che ricordava un’iride e le pupille lo stavano guardando.

«Argh! Quello cos’è?!» sobbalzò Willy, quando li vide a sua volta.

Tutti gli altri si misero sulla difensiva, intimiditi da quelle luci spettrali. Fulbert capì subito di cosa si trattava:

«È lei: il fantasma della strega!» esclamò.

I due occhi sembrarono stringersi in uno sguardo minaccioso. I due bagliori scomparvero subito dopo, come erano apparsi.

«Ragazzi, ho paura» ammise Willy, con voce tremante.

Fulbert lo ignorò e corse verso il fondo del cimitero: doveva controllare una cosa, prima di andare al villaggio. Quando raggiunse la lapide di Afeh, si inginocchiò e, aiutandosi con il coltello da caccia, iniziò a scavare e smuovere il morbido terriccio più in fretta che poteva. Gli altri gli si avvicinarono, confusi, e gli dissero che non c’era tempo da perdere, ma il rosso si limitò a farfugliare che ci avrebbe messo un secondo. Proprio come pensava, dopo un po’ non trovò nulla, né una cassa da morto, né una salma.

«Non è qui» affermò.

«Che stai dicendo? Andiamo a fermare i morti viventi, hrrrrr!» lo esortò Laurent.

Fulbert si rialzò e si voltò verso i suoi compagni, frustrato e agitato:

«È colpa mia: ho frainteso quello che ha detto il custode! Cazzo, perché è stato così generico?!»

«Gurg no capito» borbottò il troll.

Fulbert si sforzò di essere il più conciso possibile:

«Il libro col diamante serviva a tenere a freno lo spettro della strega. Quando sono tornato a restituire il gioiello, il fantasma di Blosin mi ha detto di leggere il libro nel posto in cui fu sepolta, prima del tramonto. Ho pensato che intendesse la sua tomba, ma mi sbagliavo! Lui non ha menzionato la tomba!»

«Allora il corpo è da un’altra parte» dedusse Aleera.

«Esatto! Ma ormai si è risvegliata e questi cadaveri non tornano morti neanche se li facciamo a pezzi. Dobbiamo capire dov’è la strega e affrontarla»

«E come pensi di capirlo?» chiese Willy.

Lo strigo ebbe subito la risposta pronta:

«L’aldermanno conosce benissimo la storia di Cava Triste, forse saprà darmi un indizio»

«Bene, adesso però andiamo! Abbiamo già perso troppo tempo!» esclamò il licantropo.

Quando raggiunsero Cava Triste, trovarono un campo di battaglia: alcune torce erano cadute nel putiferio e adesso alcune case andavano a fuoco. I morti inseguivano con inaspettata agilità tutti gli uomini, donne e bambini che vedevano e li massacravano di morsi e di colpi appena riuscivano a prenderli. Molti si erano barricati in casa e tentavano di impedire ai morti viventi, che si raggruppavano davanti a porte e finestre, di entrare. Era come quando un esercito razziava un villaggio per fare provviste, ma con dei cadaveri maledetti.

«Fate a pezzi tutti i morti che vedete, ignorate la reazione della gente – disse Fulbert agli altri – Io vado dal vecchio»

I Guardiani degli Innocenti annuirono e si divisero, iniziando a fare il possibile per aiutare. Lo strigo iniziò a correre verso la casa di Sensien, cercando nel frattempo di fermare tutti i non morti che gli capitavano a tiro: per non perdere tempo, si limitava a tagliare le loro gambe o a decapitarli alle spalle, per poi proseguire. A volte salvava degli innocenti prima che fossero fatti a pezzi, altre volte era già troppo tardi. Le persone correvano in preda al panico lungo le strade, in cerca di un nascondiglio o supplicando quelli che si erano chiusi in casa di farli entrare. Quando Fulbert le salvava, continuavano a correre alla cieca, senza badare a quello che stava succedendo. Quando fu più o meno a metà strada, vide una giovane donna bloccata a terra da uno dei cadaveri ambulanti, che cercava di impedire al non morto di azzannarle la gola. Prima che lo strigo intervenisse, Laurent apparve da un vicolo laterale, placcò il defunto con un balzo e gli staccò la testa con un morso. La ragazza si alzò sollevata ma, appena vide il lupo mannaro, urlò terrorizzata e corse via. Fulbert vide il licantropo fare un sospiro avvilito, prima di tornare a trucidare i non morti. Anche lo strigo non poté fare a meno di esserne dispiaciuto.

“Questa è l’ultima volta che li faccio uscire allo scoperto” si disse.

Ma non perse altro tempo e tornò sui suoi passi. La piazza dove si trovava la casa dell’aldermanno era piena di non morti che sciamavano verso l’abitazione grande, ma se ne stava già occupando Gurg: proprio in quel momento, il troll ne afferrò due per la testa, li sollevò di peso e schiacciò i loro crani stringendo la presa. Fulbert gli diede una mano a decimare quelli che rimanevano: alcuni si erano ammassati all’ingresso della casa e ci battevano i pugni contro.

«Corpi morti spezza come rametti» disse Gurg, schiacciando un cranio col piede.

«Ne arrivano altri dalle strade, pensaci tu» gli ordinò Fulbert, indicando dei nuovi non morti che si avvicinavano.

Mentre il troll delle rocce andava a continuare il massacro, lo strigo bussò alla porta e chiamò:

«Sensien, sono Fulbert! Fammi entrare, è urgente!»

Gli rispose una voce maschile spaventata:

«Sei impazzito?! Non se ne parla! È pieno di quelle cose!»

Ma, subito dopo, sentì la voce dell’aldermanno che ordinava di fare come il rosso aveva chiesto. Passarono alcuni momenti, prima che la soglia venisse finalmente aperta. Quando l’ammazzamostri entrò, fu accolto da un gruppetto di persone terrorizzate che il vecchio Sensien aveva fatto rifugiare nella sua abitazione, prima di sbarrare porte e finestre. Guardavano tutti lo strigo e la sua spada intrisa di liquidi maleodoranti con un misto di sgomento e speranza. L’anziano capo del villaggio si fece avanti, mentre l’ingresso veniva chiuso di nuovo e sbarrato con un’asse di legno.

«Sono proprio contento di vederti, Fulbert – ammise Sensien – Di colpo è stato come se gli dei ci avessero mandato tutte le piaghe possibili! Che sta succedendo?»

«Non credo di doverlo davvero spiegare. Cosa stavate festeggiando tutti?» rispose lo strigo.

Sensien era a dir poco allibito:

«La maledizione della strega è sempre stata vera?»

Fulbert annuì:

«Sì, ma la famiglia di Blosin ha sempre impedito che si avverasse sul serio. Almeno fino a oggi»

I rifugiati lì presenti iniziarono a mormorare tra loro, scandalizzati e atterriti. L’aldermanno domandò:

«Ma allora cosa possiamo fare?»

«Sono qui per questo. Ormai la strega si è risvegliata ed è chiaro che i morti sono legati a lei con la magia. Devo scoprire dove i fondatori di questo posto la seppellirono, affrontarla e scacciarla alla maniera degli strighi. Tu hai qualche idea di dove potrei cercare?»

Gli occhi di Sensien si illuminarono e il vecchio annuì con foga:

«Io no, ma so esattamente la fonte giusta! Seguimi»

L’aldermanno accompagnò Fulbert nella sua stanza da letto. In un comò sotto la finestra, erano contenuti sette quaderni che mostravano diverse fasi di decadimento. Sensien prese il primo, quello più vecchio e consunto, e lo porse a Fulbert mentre spiegava:

«Fin dalla prima generazione, tutti gli aldermanni di Cava Triste prima di me hanno tenuto un registro di tutti i fatti di cronaca più importanti che segnavano la storia del villaggio. È impossibile che qui dentro non ci sia anche l’esecuzione della strega. Se abbiamo fortuna, il mio capostipite ha scritto il luogo della sepoltura»

«Ottimo, grazie» replicò in fretta Fulbert, prendendo il quaderno.

Iniziò quindi a sfogliare velocemente il volume, passeggiando nervosamente in giro per la camera sotto lo sguardo apprensivo del vecchio Sensien. Dava un’occhiata frettolosa a ciascuna delle righe di ciascuna pagina, in cerca di parole chiave come “strega” o “impiccagione”. Per più di metà libro, non trovò niente di utile e la sua frustrazione cresceva ogni secondo, pensando ai non morti che intanto continuavano a devastare tutto. Alla fine, però, trovò quello che stava cercando: in una cronaca datata nell’autunno del 954, il primo aldermanno di Cava Triste si rallegrava di aver salvato il villaggio da una fattucchiera in grado di parlare coi morti che tramava di portare ogni sorta di sventura sugli abitanti. Fulbert lesse ogni singola parola con attenzione, sperando di trovare un indizio. Finalmente, lesse quello che gli serviva: anche se, su richiesta dei parenti della strega, era stata scolpita una lapide per lei al cimitero, l’aldermanno aveva ordinato che fosse sotterrata fuori dal paese, per evitare sventure. L’avevano seppellita sotto un maestoso olmo secolare in una radura a Est del villaggio.

«So dov’è» affermò lo strigo.

«E dov’è?» chiese Sensien, genuinamente curioso.

«Sotto un grande olmo a Est di qui. Ci sono stato stamattina: la viverna aveva marcato il territorio sulla corteccia di quell’albero»

«Dunque adesso andrai a combatterla?»

«Sì, è l’unico modo»

«In questo caso, buona fortuna»

«Grazie» rispose lo strigo, restituendogli il quaderno e correndo di fuori.

Una volta all’esterno, Fulbert vide i suoi compagni tutti radunati nella piazza: stavano smembrando gli ultimi morti viventi nelle vicinanze. Quando lo videro, gli corsero incontro.

«Hai scoperto qualcosa?» domandò Aleera, inzuppata di sangue putrido da capo a piedi.

«Per fortuna sì: sappiamo dov’è la strega!» esultò lo strigo.

«Dove?» chiese Laurent.

«Ricordate l’olmo dove la viverna aveva raschiato le corna e affilato gli artigli? Il suo fantasma è lì. Non ci resta che toglierla di mezzo, e addio morti che camminano»

Dunque, ignorando gli ultimi morti che ancora barcollavano per le strade e i superstiti ancora senza rifugio che scappavano impauriti alla loro vista, i Guardiani degli Innocenti corsero verso Est, uscirono dal villaggio e si inoltrarono di nuovo nell’oscurità opprimente del bosco avvolto dalla nebbia nera. Ricordandosi la strada per quella radura, procedevano a passo spedito, determinati a mettere fine una volta per tutte a quella maledizione. Più procedevano, più l’odore nauseabondo si faceva intenso, chiaro segno che si stavano avvicinando a dove la foschia si originava. Dovevano tutti sforzarsi di sopportare quel fetore acre e di non tossire, perché a momenti sembrava quasi che l’aria fosse velenosa. Solo quando giunsero sulla vetta dell’ultima collina che li separava dalla destinazione, poterono godersi una boccata d’aria più salubre, poiché in alto la nebbia era più rada. Da lassù, potevano vedere il grande olmo, che si trovava al centro di una radura a valle.

«Guardate» indicò Laurent.

La nebbia scura scaturiva proprio dai rami dell’olmo, come se andasse a fuoco. Da lì, ammantava tutto il bosco, lenta ma inarrestabile.

«Se da viva era una Fonte, la strega doveva avere un potenziale enorme, se da morta può fare questo» rifletté Fulbert.

Di colpo, per la terza volta in quella dannata notte, i Guardiani degli Innocenti furono assordati e sconvolti dal grido della strega. L’olmo si agitò come scosso da un terremoto e le fronde degli altri alberi ondeggiarono, per quanto non ci fosse un filo di vento.

«Accidenti, qual è il suo problema?!» si lamentò Willy, premendosi le orecchie.

Quando l’urlo cessò, i cinque sentirono dei gemiti familiari provenire dal bosco, tutto intorno a loro. A poco a poco, delle sagome umane sempre più numerose barcollarono sul versante della collina, arrancando verso la cima: altri non morti.

«La strega deve averne tenuti alcuni a difenderla» dedusse Aleera.

«Noi cosa fa?» chiese Gurg.

Fulbert si voltò verso i suoi compagni, con le direttive pronte:

«Voi pensate a questi cadaveri, io vado dalla strega. Se tenete impegnate le sue “guardie”, per me sarà più facile eliminarla»

«D’accordo» rispose Laurent.

«Dille di chiudere il becco da parte mia!» scherzò Willy, mentre lo strigo partiva di corsa.

Fulbert si accorse che quasi tutti i non morti lo ignoravano: erano concentrati sui quattro mostri. La maggior parte lo incrociò senza badare a lui; solo un paio di morti tentò di attaccarlo, ma li decapitò con facilità. Una volta che ebbe la via libera, il rosso scese di corsa giù per la collina e attraversò l’ultimo tratto di foresta che lo separava dalla destinazione. Si fermò ad una decina di passi dal margine della radura dell’olmo, osservando l’albero maledetto, spada d’argento alla mano.

“Ci siamo. O la va lo la spacca” pensò, determinato.

Iniziò a fare dei cauti passi verso lo spiazzo, guardandosi bene intorno per evitare di farsi cogliere di sorpresa dallo spettro della strega. Mentre avanzava, cercava di pensare alla strategia migliore per lo scontro: spargere dell’unguento anti-spettri sulla lama l’avrebbe aiutato molto, ma purtroppo non aveva avuto né il tempo, né il modo di prepararlo. Avrebbe dovuto affidarsi al segno Yrden e ai suoi riflessi. Una volta che mise piede nella radura, trattenne a stento un conato: l’odore lì era proprio insopportabile. Iniziò a sentirsi osservato: sentiva di non essere solo e, soprattutto, percepiva di non essere gradito. Fu allora che udì un sussurro: una delicata e giovane voce femminile che gli sibilò nelle orecchie, come se ci fosse qualcuno accanto a lui:

«Andate via. Tutti voi. E smettete di difendere quei miserabili»

Il medaglione di Fulbert vibrava all’impazzata. La strega era lì, da qualche parte. Aspettandosi un attacco da un momento all’altro, Fulbert mantenne i nervi saldi e decise di provocarla, sperando di attirarla allo scoperto:

«Tu sei Afeh, giusto? Ascolta, so che sei arrabbiata e che aspettavi di vendicarti da tantissimi anni, ma tutto questo è inutile»

Ci fu un silenzio di tomba. Fulbert guardò ogni angolo della radura, prima di continuare:

«Dico sul serio: solo quelli che ti hanno impiccata meritavano una maledizione, non gli abitanti di adesso. Non credevano nemmeno che la tua storia fosse reale! Cosa ci guadagni a scomodare i morti solo per sfogarti su dei disgraziati che non c’entrano niente con te?»

Questa volta, ottenne una risposta incollerita:

«Zitto! Tu non c’entri niente, e neanche quei mostri! E se non mi lascerete stare, morirete come gli altri!»

D’un tratto, Fulbert sentì un soffio gelido sul suo collo che gli fece scendere un brivido lungo la schiena. Si voltò di scatto e vide un wraith dalle fattezze femminili, con indosso un sudario sporco e sgualcito, la pelle putrefatta che pendeva dalle ossa e pochi capelli sfilacciati. Lo spettro stava allungando la mano per toccarlo, ma Fulbert lanciò subito il segno Yrden. Il cerchio magico di simboli viola illuminò il terreno intorno a loro e la strega, con un lamento, diventò solida. Senza esitare, Fulbert si scagliò su di lei e sferrò un energico fendente, squarciando l’addome del fantasma. Afeh urlò di sorpresa e di rabbia, prima di arretrare e scomparire. L’effetto del segno Yrden si esaurì poco dopo. Lo strigo tornò a osservare la zona con la massima allerta, pronto a reagire. Afeh riapparve di colpo alla sua sinistra, pronta a ghermirlo con le sue dita ossute. Fulbert la evitò scansandosi di lato e rispose subito con un affondo, ma il wraith scomparve prima che il colpo andasse a segno. La voce di Afeh risuonò per tutta la radura, questa volta era molto più forte e faceva un’eco inquietante:

«Cosa ti importa? Perché non vuoi che li punisca?»

«Perché è il mio lavoro» replicò Fulbert, con voce ferma.

La strega emise un grido rabbioso, dopodiché lo strigo si ritrovò circondato da tre copie identiche dello spettro. Non c’era modo di distinguerle, quindi non indugiò e attaccò la prima che provò a colpirlo. Lo spirito diventò fumo appena fu attraversato dalla lama: era un’illusione. Lo strigo schivò un colpo del secondo fantasma e contrattaccò, ottenendo lo stesso risultato. Quando si girò verso la vera Afeh, lei svanì. Fece un altro tentativo di punzecchiarla:

«Dammi retta, covare rabbia nella tomba per secoli è solo una perdita di tempo. Ormai è acqua passata, lascia perdere! I morti dovrebbero riposare in pace, non trovi?»

«Smettila!» urlò lei.

La voce veniva da sotto di lui. Spiazzato, Fulbert fece appena in tempo a chinare lo sguardo, prima che lo spirito della strega emergesse all’improvviso dalla terra e gli afferrasse la gola con le sue dita adunche. Quando Afeh strinse la presa, Fulbert si sentì pervadere dalla sensazione più orribile che avesse mai provato: le forze gli mancarono all’improvviso e la spada gli cadde di mano. Si accasciò in ginocchio, sorretto solo dal fantasma che gli stringeva la gola. Per quanto si sforzasse di respirare, gli sembrava sempre più difficile. Un gelo così intenso da bruciare come il fuoco iniziò a devastare il suo corpo. La sua vista si offuscava sempre di più ad ogni secondo che passava: di lì a poco avrebbe visto solo nero.

«Ora sai cosa si prova a morire. Sai cosa provano tutti i morti che ho fatto svegliare, ogni singolo istante» sussurrò la strega.

Ma Fulbert non aveva alcuna intenzione di morire. Avrebbe lottato fino allo stremo. Strinse i denti e, facendo appello a ogni residuo di energie che ancora non l’aveva abbandonato, riuscì ad alzare lentamente la mano sinistra, ignorando il freddo atroce che gli intirizziva i muscoli e, poco prima di cedere, riuscì a lanciare il segno Quen. Lo scudo magico si formò subito intorno a lui e, con una piccola onda d’urto, spinse via il wraith, che mollò la presa. All’improvviso, la sensazione di agonia sparì e Fulbert si sentì sano come un pesce. Inspirò più a fondo che poté e spalancò gli occhi, felice di essere tornato a vederci bene. Quando guardò davanti a sé, vide che Afeh era ancora disorientata per l’onda d’urto: era la sua occasione. Svelto come un fulmine, riprese la spada d’argento, si rialzò e si lanciò sullo spettro. Lanciò di nuovo il segno Yrden per farla tornare tangibile e, prima che lei riuscisse a fare qualsiasi cosa, la trafisse in pieno petto. Lo spettro sgranò i suoi occhi neri e infossati e gridò di nuovo, ma questa volta di dolore. Fulbert estrasse la spada e la colpì di nuovo, tagliandole la gola. Afeh iniziò a consumarsi e a dissolversi, come consumata da un fuoco invisibile.

«No… non voglio andare via… devono… pagarla! No!» piagnucolò sommessamente, prima di vaporizzarsi.

Era fatta: il medaglione di Fulbert smise di vibrare. L’immenso olmo smise di emanare la foschia pestilenziale e la nebbia nera cominciò a salire e a diradarsi, l’odore di marcio si affievolì gradualmente. In pochi minuti, il paesaggio della foresta tornò quello di sempre, illuminato da un limpido cielo notturno autunnale. Non si udiva più neanche un suono: i morti viventi dovevano essere stati liberati dal maleficio.

“Ora sì che la famiglia di Blosin si è tolta un peso” pensò Fulbert, soddisfatto.

Dopo aver rivolto un ultimo sguardo all’olmo, che portava ancora i segni del passaggio della viverna reale, lo strigo rinfoderò la spada d’argento e tornò sui suoi passi: ancora una volta, i Guardiani degli Innocenti avevano salvato la situazione.

ALL’ALBA, NELLA CAVERNA DI AURORA…

I Guardiani degli Innocenti erano radunati attorno al fuoco, mentre i raggi rosa del sole che sorgeva iniziavano a lambire gentilmente la foresta. Dopo che la maledizione era stata annullata per sempre, i non morti si erano accasciati a terra senza vita, come le carcasse che erano. Siccome il loro lavoro era finito, i Guardiani degli Innocenti avevano deciso di tornare direttamente dalla succube: gli abitanti di Cava Triste erano salvi, che ci pensassero loro a riprendersi dal disastro, a riparare i danni e a seppellire le vittime. Magari Sensien avrebbe voluto parlare di nuovo con Fulbert per chiedergli qualche altro chiarimento, oppure per ringraziarlo in pubblico e ricompensarlo, ma lo strigo non aveva fretta: sarebbe andato al villaggio più tardi. Per ora, voleva soltanto rilassarsi.

«Insomma, abbiamo salvato le pecore del villaggio da una viverna, per colpa un po’ mia e un po’ del tizio del cimitero abbiamo fatto avverare una maledizione vecchia di centinaia d’anni e poi l’abbiamo salvata da una sfilza di morti che camminavano. E tutto in un giorno e in una notte! Ragazzi, dovrebbero davvero apprezzarci di più» scherzò Willy.

«Questa volta potrei darti ragione, lo ammetto. Peccato che ci temino quanto i mostri da cui li salviamo» rispose Laurent, malinconico.

«Ma Gurg piace tanto schiacciare morti! Finiti già» si lamentò Gurg.

«Fulbert, molte persone hanno visto noi quattro stanotte. Se ti fanno domande, tu come ti spiegherai?» chiese Aleera allo strigo, insicura.

«Dovrai trovare un modo per proteggerli, come hai dovuto fare con me?» aggiunse Aurora, preoccupata.

Lo strigo meditò cosa rispondere a lungo, per poi stringersi nelle spalle:

«Non ho ancora deciso del tutto, a dirla tutta. Erano tutti nel panico e pensavano solo a scappare, forse non ci penseranno più o crederanno di essersi confusi, di aver visto qualche mostro tra le fiamme oltre ai non morti. Ma se davvero vorranno sapere la verità. Be’, mi inventerò qualcosa. O forse non mi inventerò nulla»

«Intendi davvero rivelare la verità su di noi? Sui Guardiani degli Innocenti?» chiese Willy sorpreso.

«Forse, oppure no. Come ho detto, dipende tutto da come si evolverà la situazione: in base a come andrà, mi adatterò. In ogni caso, possono solo esserci grati»

«Noi salva loro, certo che grati!» esclamò Gurg.

«Be’, non si può mai sapere con la gente, bestione» scosse la testa il lupo mannaro.

Dopodiché, il gruppo rimase in silenzio, senza che nessuno trovasse qualcosa da aggiungere. Erano soltanto soddisfatti per aver impedito un massacro totale. Stanchi ma soddisfatti. Dopo un po’, a Fulbert cominciò a non dispiacere quel silenzio: c’era tranquillità, si sentiva rilassato. Decise di approfittarne per volgersi verso l’uscita della caverna e godersi lo scorcio di foresta che si vedeva da lì: la boscaglia ancora in penombra, i canti dei primi uccelli sugli alberi, i raggi dell’alba che passavano attraverso le fronde... avrebbe potuto stare lì fermo a guardare fuori dalla grotta per ore. Per un paio di minuti, Fulbert si sentì in pace come poche altre volte, tanto che gli venne spontaneo abbozzare un sorriso.

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