Resident Evil 3: Resistance

di The LoonyBlogger
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo 01. ***
Capitolo 3: *** Capitolo 02. ***
Capitolo 4: *** Capitolo 03. ***
Capitolo 5: *** Capitolo 04. ***
Capitolo 6: *** Capitolo 05. ***
Capitolo 7: *** Capitolo 06. ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Resident Evil 3

Resistance


Era il 23 Settembre 1998, quando l'inferno piombò nelle strade di Raccoon City.

Erano stati mesi preoccupanti per la cittadina, misteriose scomparse tra i Monti Arklay, forze speciali del dipartimento di polizia decimate, bizzarri casi di violenza scoppiati in tutta la periferia.

Piano piano, senza accorgercene ci ritrovammo in un incubo, ma se devo dare una data in cui precipitò la situazione... beh, sicuramente quella era il 23 Settembre...

 

Alice Jackson era una ragazza come tante, poco più che ventenne alle prese con la sua carriera giornalistica.

Era entrata da poco a far parte del Raccoon Times, l'aveva sempre affascinata il mondo del giornalismo e, avendo deciso di non frequentare l'università cittadina, doveva trovare in qualche modo qualcosa di cui campare, almeno per qualche anno.

Aveva uno stile molto rock, capelli corti, lisci e biondi, quasi a caschetto, pesante eyeliner nero ed era solita indossare giacchetta nera di pelle smanicata, con sotto t-shirt grigie e denim neri.

Caratterizzava al meglio la sua personalità un po' da dura e ribelle, che finiva sempre per cacciarla in mille guai.

Quella grigia mattinata l'avrebbe sicuramente portata nei suoi incubi peggiori.

"Casi di aggressione si diffondono a macchia d'olio in tutta la città, solo questa mattina sono stat-"

Alice parcheggiò la sua auto davanti all'università di Raccoon City e spense la radio, osservando affascinata la struttura barocca che caratterizzava l'intero campus, risanificato insieme alla torre dell'orologio della città.

Esattamente come la torre era stata per tanti anni una scuola elementare, quella struttura era stata riqualificata per essere trasformata in un college universitario, con tanto di serra e dormitori per fuori sede, diventando ben presto un punto di riferimento per tutta la contea.

Alice si trovava lì per delle ricerche, non per conto del Raccoon Times, ma era certa che avrebbe trovato degli interessanti scoop che avrebbero portato lei e il giornale a farsi conoscere dall'intera nazione.

Scese dall'auto, prendendo dal sedile di fianco al suo un registratore, nascondendolo nella tasca interna della giacchetta.

Si diresse verso il cancello del campus, dove sull'inferriata splendeva maestoso il logo dell'Umbrella Corporation.

Esattamente come la maggior parte delle altre strutture storiche di Raccoon City, era stata l'Umbrello Corp. a finanziare la ristrutturazione degli edifici, trasformando l'università in un'importante polo di ricerca farmacologica, come l'ospedale della città.

"È ora di far luce su questa faccenda." Bisbigliò Alice a se stessa, prendendo un lungo respiro ed entrando nel campus.

 

 

Angolo Autore:

Buonasera, popolo di Efp!
Allora, beh, che dire, tanto per cominciare cosa ne pensate del prologo? Vi ha stuzzicati almeno un pochino?

Sì, lo so, è molto corto, ma non preoccupatevi, gli altri capitoli saranno abbastanza corposi ahahah

E' dall'uscita di Resident Evil 3 che guardo i protagonisti dell'avventura in multiplayer e mi chiedo il perché di lasciar dedicato loro così poco spazio, sono così bellini ed interessanti!
Potevano costruirci su qualsiasi cosa, magari un approfondimento degli eventi di Raccoon City, un'avventura parallela a quella dei due remake che abbiamo conosciuto in questi ultimi anni, un po' come si faceva in Resident Evil: Outbreak!

Così ho deciso di pensarci io, ho preso i sei protagonisti di Resistance e ho un po' cambiato loro e la lore che gira attorno a questi personaggi!

Prendendo spunto dalle informazioni rilasciate da Capcom e mettendoci un po' di mio, ho tirato su una bella lore su di loro, che piano piano prenderà forma in questa storia!

Vedrete, io mi sono già affezionato ahahahha

Per quanto riguarda il resto della trama, riguarderà cinque ragazzi universitari + Alice che si ritrovano nel bel mezzo dell'apocalisse di Raccoon City, che verrà raccontata dall'inizio alla fine, da cui tenteranno di scappare.

I protagonisti dunque sono:

Samuel Marini (alias Samuel Jordan nel gioco)

Martin Campbell (alias Martin Sandwich (scusate, ma il nome mi faceva troppo cagare))

Alice Jackson (alias January Van Sant (stesso discorso vale con lei))

Julia Woollett (alias Becca Woollett nel gioco, ma mi ricordava troppo il nome di Rebecca Chambers)

Valerie Harmon (come nel gioco)

Tyrone Henry (come nel gioco)

Allora, la mia idea è quella di pubblicare un capitolo al giorno o ogni tre giorni, dipende da voi, una sorta di sfida per me stesso, per vedere se riesco a reggere i ritmi e tornare sul sito in pompa magna, io devo dire che sono molto preso dalla trama, quindi vediamo se riesco a giostrarmi bene questo periodo di quarantena per essere più produttivo a livello di scrittura!
Per ora non so quanto verrà lunga questa storia, sicuramente supererà i dieci capitoli.

Fatemi sapere se il plot e il prologo vi intrigano e come vedete l'idea di una pubblicazione così fulminea!

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Capitolo 2
*** Capitolo 01. ***


Resident Evil 3

Resistance

 

Capitolo 1.

 

Delle volte mi chiedo se la mia vita non sia tutto uno scherzo.
Se le persone non si stiano solo divertendo a prendermi in giro.
Mi chiedo se tutto questo sia reale.
A fine Settembre la cittadina di Raccoon City cadde in un incubo senza fine.

Il mio, però, era iniziato diversi mesi prima


 

Samuel Marini aveva da poco finito le superiori e si trovava al primo anno di università.
Grazie alle sue eccellenti doti fisiche aveva vinto una borsa di studio e aveva deciso di iscriversi al campus di Raccoon City, nella speranza di poter, in futuro, entrare in qualche squadra di basket di valore, restando comunque nella sua città natale.
Non voleva andarsene, non poteva farlo.
Samuel aveva alle spalle un’importante famiglia nella comunità di Raccoon City, la madre Piper era un'eccellente medico del Raccoon General Hospital, mentre la sorella maggiore e il padre erano agenti di polizia al dipartimento cittadino.
Samuel era un ragazzo fortunato, una bella famiglia, una carriera stellare per il suo futuro, una bella ragazza al suo fianco... un giorno, però, la sua vita venne stravolta.
Il padre, Enrico Marini, capitano della squadra Team Bravo della S.T.A.R.S, aveva perso la vita in un incidente nei monti Arklay, a luglio di quello stesso anno, sconvolgendo la comunità e la sua famiglia.
Samuel era finito sotto un treno, suo papà, l’uomo che l’aveva sempre sostenuto in tutto, era morto.
La cittadina si strinse per diverso tempo intorno alla famiglia Marini e a quelle degli altri agenti morti sui monti Arklay, addirittura il sindaco aveva fatto un encomio ai caduti, prendendosi la responsabilità di pagare i fondi universitari ai figli dei membri S.T.A.R.S morti, ma questo non sollevò Samuel e la sua famiglia dal dolore.
Enrico era un ottimo padre e un marito meraviglioso, Thomas, il più piccolo della famiglia, ancora lo cercava la sera, sperando che tornasse a casa.
Piper invece, la moglie, non poteva fermarsi un attimo a causa del suo lavoro, faticando ad elaborare il lutto come meglio poteva.
Samuel aveva pianto a lungo la morte del padre, ma fortunatamente aveva Julia al suo fianco, la sua ragazza, a farlo rialzare dalla depressione.
Aveva dunque deciso di proseguire gli studi e di portare avanti il sogno che suo padre aveva sempre sostenuto, iscrivendosi alla Raccoon University.
Era un ragazzo caucasico come il padre, dai capelli corti e gli occhi scuri, fisicamente ben piazzato, grazie agli allenamenti di basket, ed era solito indossare t-shirt bianche e denim azzurri, insieme alla felpa rossa con la cerniera che portava dalle scuole superiori.
Al collo aveva la targhetta del padre, in suo ricordo.
Quella mattina si trovava in università insieme alla sua ragazza, Julia, e il suo migliore amico, Tyrone.
Julia era una bionda dal fisico mozzafiato, aveva fatto la cheerleader alle superiori, ma non era solita darsi troppe arie.
Sua madre era il capo-giardiniere del campus ed era la sua più grande sostenitrice e amica.
Di fatto Julia era una ragazza semplice, portava shorts di denim e una corta camicetta a quadretti neri e rossi.
Tyrone invece era una vera testa calda, anche lui giocatore di basket aveva cacciato Samuel e i suoi amici in mille guai, ma sembrava starsi calmando da quando era iniziata l’università.
Era un ragazzo di colore, dagli occhi verde scuro, era solito vestirsi comodo, con pantaloni della tuta neri e ogni tanto indossava delle camicie, la sua preferita era a scacchi verdi e azzurri.
Stavano commentando una partita di basket, come al solito, quando videro un ragazzo camminare per i corridoi dell’università.
Era un tipo riccioluto, dai capelli scuri, decisamente più basso dei due sportivi e dagli occhi chiari.
“Ehy, ma quello non è Martin Campbell? Wow, non avrei mai detto si mettesse a frequentare la Raccoon University.” Tyrone ghignò, mentre da lontano lo vedevano scambiare due chiacchiere con dei suoi amici.
“Sì, ma lasciatelo in pace, lo avete già tormentato troppo alle superiori.” Julia lanciò un’occhiataccia di rimprovero ai due, ricordandosi quanto si fossero comportati da bulletti con Martin per tutta la durata delle high school.
“Oh, andiamo, copiare qualche compito e chiuderlo nell’armadietto non si può considerare tormento, semmai normale routine della Raccoon High School.” Borbottò Tyrone, facendo ridacchiare la ragazza, che in tutta risposta lo colpì con un libro su un braccio e dandogli dello scemo.
Samuel invece era rimasto a osservarlo, serio, perso nei suoi pensieri.
“Suo padre e il mio erano amici, quando è morto ci sono stati vicini.” Disse, dandosi interiormente dello stupido per aver tormentato Martin per tanto tempo.
Era un bravo ragazzo, ancora non si spiegava perché ce l’avesse tanto con lui alle superiori, era intelligente, certo, gli serviva per farsi aiutare, però era stato ingiustamente cattivo nei suoi confronti.
Quando Enrico morì, Martin e suo padre aiutarono molto la sua famiglia, ma lui non ebbe mai il coraggio di ringraziarlo, si sentiva in colpa per tutto ciò che aveva fatto.
“Oh, tesoro...” Julia abbracciò Samuel, baciandolo, mentre Tyrone faceva spallucce, indifferente a Martin.
“Sarà, ma rimane comunque uno sfigatello.”

 

Valerie Harmon era una ragazza dai lunghi capelli neri, raccolti in una treccia, dagli occhi nocciola nascosti da una spessa montatura di occhiali neri.
Non era mai stata troppo a suo agio con il suo corpo, diversamente da Julia tendeva ad indossare grandi felpe e jeans anche nei mesi più caldi.
Era un prodigio della chimica, era in procinto di laurearsi ed era il pupillo della docente del suo corso, Daniella Lawson.
Lei era una donna alta, slanciata, dai corti capelli castani e il viso tondo.
Le due erano proprio insieme quel 23 mattina, a discutere della tesi della ragazza e del suo futuro nel laboratorio di chimica.
“Sai, una volta finita la tua tesi potresti lavorare per l’Umbrella Corporation. Ho un paio di contatti che potrebbero sicuramente farti arrivare in alto. Una mente come la tua sarebbe essenziale per l’azienda.” Le spiegò la professoressa, ammirata dalle doti eccelse di Valerie.

Lei sorrise, arrossendo, ma non sembrava del tutto convinta.
“La ringrazio, però non se so vorrò rimanere in città. Raccoon City è bellissima, ma preferirei muovermi, viaggiare. Insomma, esplorare un po’ il mondo.” Le rispose, sognando di vedere ben altro rispetto alla solita periferia in cui era confinata da quando era nata.
“Uhm, certo, però te pensaci, certe opportunità capitano una volta sola.” Daniella le sorrise, sperando seriamente che la sua studentessa ci potesse ripensare.
Un lieve bussare alla porta terminò la loro conversazione.
Valerie alzò lo sguardo sull’uscio, dove una ragazza bionda dall’aspetto un po’ rock fece il suo ingresso.
“Salve, questo è il laboratorio di chimica?” Chiese, spaesata.
Daniella la guardò incuriosita, confermando la sua supposizione.
“Sei qui per fare il tour della scuola? Ti sei persa?”
“Beh, credo di sì. Mi chiamo Alice, Alice Jackson.”
La professoressa la guardò di traverso, era in ritardo di ben due ore la ragazza.
“Sei in ritardo, se fai questi orari non so se ti ammetteranno ai corsi.” Se c’era una cosa che Daniella odiava, era sapere che qualcuno non sapesse rispettare le scadenze.
“Lo so, mi scusi, ma sa, l’università è immensa, non sono riuscita nemmeno a trovare la segreteria.” Alice nascose l’imbarazzo con un sorrisetto nervoso, avvicinandosi alle due donne.
“Strano, è all’ingresso dell’edificio.” Valerie la guardò con sospetto, ricevendo un’occhiata seria a sua volta.
“Devo averla superata senza accorgermene allora… non è che posso fare qualche domanda a voi? Sapete, per capire qualcosa di più sull’università.” Chiese, facendo notare che ormai fosse troppo tardi per unirsi al giro della guida.

“Domande di che tipo?” Daniella sembrò insospettirsi, era strano che qualcuno si presentasse in quel modo.
Alice lo notò, ma preferì andare avanti, guardandosi in giro tra i becher e le ampolle del laboratorio.
“Ooh, non so, mi piacerebbe sapere qualcosa di più sul rettore dell’università, che sbocchi lavorativi offrono i corsi… o quanto l’Umbrella Corporation è presente nell’amministrazione della struttura e nella formazione degli studenti...” Alicia sapeva bene di essere azzardata a fare certe domande, ma voleva vedere la reazione della professoressa, che non si fece certo fatta attendere.

La cacciò dal laboratorio, dicendole che se avesse voluto informazioni sarebbe dovuta direttamente andare in segreteria, o magari arrivare in orario la prossima volta.
Era il risultato sperato dalla ragazza, ora era ben certa che ci fosse qualcosa sotto in quella scuola.
“Ma guarda un po’ te quanta arroganza, spero proprio che scelga un’altra università.” Daniella, tutta indispettita, recuperò la sua borsa, dirigendosi verso l’uscita del laboratorio.
“Devo andare, Valerie, ma ci vedremo sicuramente più tardi.”
“Salve professoressa.” Valerie vide uscire la docente, per poi raggruppare anche lei le sue cose e lasciare il laboratorio.
Percorse il corridoio dal lato opposto in cui era andata la docente, trovando Alice intenta a leggere la bacheca scolastica.
“Oh, ciao di nuovo.” La bionda sorrise, mentre l’altra la guardava scettica.
“Hai bisogno di una mano?” Chiese la ragazza, vedendo quanto fosse attenta ad osservare la bacheca.
Alice sembrò pensarci un attimo su, per poi tornare a sorridere.
“In realtà sì, non è che ti potrei fare qualche altra domanda?”

 

Daniella stava camminando per i corridoi dell’università, quando raggiunse una cabina telefonica, chiamando la sicurezza del campus.
Un paio di edifici più in là, rispose un uomo tarchiato e brizzolato.

“Sì?… Ah, Daniella, che succede?” Domandò, mentre si sistemava la giacchetta che riportava il marchio Umbrella corp.
“Penso che qualcuno della polizia o robe simili sia venuto a ficcare il naso dove non dovrebbe, pensateci voi.” Rispose, sistemandosi i capelli grazie al riflesso del vetro della cabina telefonica.

“Descrizione fisica?”
“Posso darti molto di più, Ray, ha detto di chiamarsi Alice Jackson.”
“Ottimo, ci penso io.”

Ray fece una rapida ricerca su internet, che riportò al volto della ragazza, con su scritto “giornalista presso Raccoon Times”.
L’uomo ghignò, prendendo la sua beretta dalla scrivania.
“Bene, è ora di scoprire cosa vuole.”

 

Era primo pomeriggio quando Martin Campbell salutò i suoi amici, apprestandosi ad attraversare il giardino davanti all’ingresso, pronto ad andare a lezione.
Era un tipo minuto e semplice, solito a girare con camice aperte, t-shirt e denim, non separandosi mai dal suo ormai inconfondibile zaino nero, ben saldo alla schiena anche grazie alla chiusura sul petto.

Mentre attraversava il giardino incrociò lo sguardo di Samuel Marini, che lo fece un attimo sobbalzare e guardare da un’altra parte.
Nonostante l’avesse visto spesso, quell’estate, e di conseguenza anche rivalutato, ancora faceva fatica a guardarlo o averci una conversazione, sia perché Samuel non aveva mai mostrato interesse ad avercela, se non per ridere, sia perché lo metteva stranamente in soggezione.
Fu mentre pensava a qualche mese prima, a Samuel in casa sua, poco dopo la scoperta della morte del padre, dilaniato dal dolore con i suoi familiari, in cui lui e suo papà erano corsi per dare il loro sostegno, che si scontrò contro un altro studente.
Gli caddero alcuni libri dallo zaino stracolmo e si dovette apprestare a raccoglierli, si sentiva un vero idiota a non aver notato il coetaneo e di fare quella figura proprio davanti agli occhi di chi lo aveva sempre preso in giro fino a pochi mesi prima.

“Che cretino.” Bofonchiò Tyrone, che aveva seguito lo sguardo dell’amico.
Samuel non disse niente, stranamente anche lui aveva appena rivissuto lo stesso ricordo di Martin.

Si ricordò di quanto si sentisse impotente di fronte a lui, quando scoprì della morte di suo padre.
In quel momento stava veramente odiando Martin, ad averlo in casa sua, mentre lui era così fragile.
Lo trovava un affronto, come se lo stesse umiliando nel suo dolore, come se fosse intervenuto nella sua intimità, senza chiedere il permesso.
Avrebbe voluto che in quel momento ci fosse la sua ragazza, ci fosse Julia a stargli vicino per suo padre, non lui.
Ora, Samuel si rendeva conto di quanto fosse stupido quel ragionamento e di quanto fosse dettato dal dolore della perdita.
Proprio durante quel ragionamento, vide Martin rialzarsi con i libri in mano, pronto a ripartire per la struttura universitaria, se non fosse che si trovò di fronte ad un altro uomo.
E non era minimamente uno studente.

“Oh, mi scusi, non volev… signore tutto bene?” Martin lo osservò un attimo, l’uomo era a testa china, barcollante.

“Nonostante i difetti, comunque è una buona università. Non trovo affatto pressante o presente l’Umbrella sul nostro percorso formativo.” Anche Valerie e Alice erano giunte all’ingresso, in cui vennero distratte dalla scena al centro del giardino.
“Aspetta un attimo.” Alice guardò la figura barcollante vicino a Martin, insospettita.
“Ma che fa?” Julia sorrise divertita, era una scena veramente bizzarra.

“Signore?” Martin si avvicinò all’uomo, che alzò piano la testa.
Il suo sguardo non era più umano.

Sembravano gli occhi di una bestia, erano rosso sangue, lo osservava con odio animalesco, con… fame.
Successe tutto in un attimo.
Con un ringhio disumano l'uomo si gettò addosso a Martin, che cadde all’indietro!
L’uomo si dibatteva sopra il ragazzo, cercava di graffiarlo, mentre sbatteva i denti nel tentativo di morderlo!
Martin lo teneva per le spalle, lontano da lui, mentre questi gli sbavava addosso, famelico.

“Martin!” Samuel scattò verso il ragazzo, pronto ad aiutarlo e Tyrone e Julia gli furono subito dietro.
“Oh, cazzo.” Tyrone imprecò, chiedendosi cosa stesse succedendo, mentre Julia sembrava ben più preoccupata che qualcuno potesse farsi male.

“Merda.” Anche Alice si mise a correre verso il centro della scena, seguita da una ben più titubante Valerie.
Samuel fu subito addosso all’aggressore, prendendolo per le spalle e gettandolo a terra, lontano da Martin.

“Ma che cazzo fai, si può sapere?!” Era furioso, mentre si metteva tra lui e l’amico.
Aiutò Martin a rialzarsi da terra, assicurandosi che non gli avesse fatto niente.
“Stai bene?” Gli chiese, preoccupato.

“Sì, sì, grazie mille, quel pazzo voleva mordermi!” Campbell era scioccato, con il battito cardiaco a mille e con il respiro affannato.
Intanto l’ubriaco si alzò a fatica da terra, dando loro le spalle.
“Ehy, il mio amico ti ha fatto una domanda, che cazzo ti è preso?” Tyrone, infastidito dal comportamento dell’uomo, gli si avvicinò, prendendolo per una spalla.
Solo che l’ubriaco si girò di scattò, lanciandosi sulla sua gola!
Affondò le fauci sul collo di Tyrone, facendolo sanguinare e gridare dal dolore!
“Aaaah, Ty!” Julia portò le mani davanti alla bocca, scioccata, mentre metà campus, assistendo alla scena, gridava in preda al panico.
“Tyrone!” Samuel scattò verso l’amico, che con un sonoro pugno staccò via l’aggressore da lui, facendolo finire a terra.
“Brutto stronzo che cazzo fai?!” Tyrone barcollò all’indietro, mentre il sangue gli sgorgava come un fiume in piena dalla ferita.

Valerie era scioccata, mentre in lontananza si sentivano gli uomini della sicurezza correre nella loro direzione.
“Allontanatevi, ora!” Alice fece un passo avanti, estraendo una piccola pistola da una delle tasche interne della giacchetta, facendo andare tutti ancora di più nel panico.

La puntò contro l’uomo barcollante, che sembrava pronto ad aggredire ancora, questa volta lei.
Gli sparò un colpo sulla spalla destra, ma non sembrò avere effetto.
Sparò un’altra volta, ora sul cuore, ma quell’uomo non subì danni.
“Com’è possibile...” Julia era in lacrime, incredula esattamente come lo erano Tyrone, Samuel, Martin e Valerie.

“E vuoi morire?!” Alice alzò la mira, puntò alla fronte e sparò.
L’uomo barcollante cadde a terra, privo di vita, mentre tutti gli studenti del campus fuggivano da lì.
Valerie era senza parole, com’era possibile che quell’uomo non fosse morto, dopo il colpo al cuore di Alice?
“Non è… non è possibile tutto questo.” Balbettò, mentre il panico si insinuava in lei.
Fu la voce di Daniella che la riportò alla realtà.
“Valerie… Valerie!” La ragazza si girò, trovando la docente dietro di lei.
“Vieni con me.”
Alice invece era pronta a scappare, sapendo bene che dopo quel gesto la sicurezza si sarebbe accorta del fatto che non fosse parte del corpo studentesco del campus, ma venne fermata proprio dagli agenti, tra cui Ray.
“Ferma lì, dovrai darci un po’ di spiegazioni, bella!”

 

Intanto Tyrone non smetteva di sanguinare, la sua pelle stava rapidamente iniziando a diventare pallida.
“Dobbiamo portarlo in ospedale, immediatamente!” Samuel stava entrando nel panico, il suo migliore amico era appena stato morso!
“Vi accompagno io, venite, presto!” Un ragazzo si offrì di aiutare il ferito, correndo a prendere l’auto.
Samuel prese sottobraccio Tyrone e Martin si accinse a fare lo stesso dall’altro lato.
“Ti do una mano io.” Disse a Samuel, che gli fece un cenno di ringraziamento.
“Vengo con voi!” Julia scattò dal ragazzo, che invece la bloccò.
“Rimani qui, rimani al sicuro! Va' da tua madre, potrebbe aver bisogno di te.” L’ultima cosa che Samuel voleva in quel momento è che Julia rischiasse di farsi male, in più lei abitava nel campus insieme alla madre, quest’ultima sarebbe morta dalla preoccupazione nel sapere la figlia scomparsa dopo un’aggressione ed un omicidio!
“Ma io...”
“Ti prego, sei più al sicuro qui.” Le disse, prima di allontanarsi il più in fretta possibile con Martin e il ferito.
Dopotutto era vero, era da una settimana che giravano voci di aggressioni simili in tutta la città.
Julia rimase lì, terrorizzata, a guardare il fidanzato allontanarsi, mentre una pozza di sangue si disperdeva dal cranio del cadavere poco più in là.

Quello era solo l’inizio dell’inferno.


Angolo d'Autore:
Ehilà, popolo di Efp!
Eccomi qua con il primo vero capitolo della nostra storia!
Per prima cosa mi scuso immensamente, mi ero completamente dimenticato di aggiornare, chiedo venia, ma sono un maturando e in questo difficile periodo fatico a stare dietro a tutto ahahah
Allora allora, che dire, prima di tutto ringrazio summer_moon per aver recensito lo scorso capitolo, sono veramente contento che qualcuno segua la storia!
Devo essere sincero, la scrivo non tanto per pubblicarla, ma perché mi diverte immaginarmi e raccontare le disavventure dei nostri 6 protagonisti (presto 5, ma ci arriviamo) quindi non mi importa avere chissà quale seguito, voglio arrivare fino alla fine di una longfiction, anche se non ho idea quanto possa durare.
Penso che possa andare avanti più di trenta capitoli, ma non ne sono sicuro.
Per ora ho scritto fino all'ottavo, ma è ancora l'inizio dell'epidemia a  Raccoon City ahahaha
Voglio raccontarla tutta, fino alla sterilizzazione della città, quindi vi faccio immaginare quante cose ci siano da raccontare! Ahahaha
Per quanto riguarda la storia, da qui in poi sarà un escalation orrorifica, lenta, perché giustamente non possiamo far affrontare subito il peggio ai nostri eroi (possiamo giocare con la loro psicologia per un po' <3), ma sempre più spaventosa <3
Vi dico subito una cosa: nessuno è salvo.
Non pensiate che visto che sono protagonisti allora si salveranno tutti dal disastro di Raccoon City, perché credetemi, non sarà così.
Tyrone ne è la prova: ancora vivo, ma condannato a morte dal morso.
Chi sopravvivrà?
Come vedete le storie sono intrecciate tra di loro, Julia, Martin, Samuel e Tyrone si conoscevano da prima dell'epidemia, e sono molto contento del lavoro che ho fatto sulla psicologia di Samuel, figlio di un membro molto importante degli S.T.A.R.S
Non so, volevo rendere un po' di giustizia ad Enrico, bistrattato da tutti, almeno così ha una storia, una famiglia... e la cosa mi intriga parecchio!
Non mi dilungo oltre, grazie per aver letto, a presto!

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Capitolo 3
*** Capitolo 02. ***


REsistance

Capitolo 2.
 

La vita riserva sempre situazioni fuori dall’ordinario.
Spesso ti ritrovi a vivere momenti con persone con cui prima non avresti mai condiviso nulla.
E troppo spesso l’odio si trasforma in qualcos’altro.
 
Martin Campbell non avrebbe scommesso neanche un centesimo se gli avessero detto che un giorno si sarebbe trovato in auto con Samuel Marini e Tyrone Henry.
Eppure era così, Samuel lo aveva salvato da un’aggressione circa un’oretta prima e purtroppo ci era andato di mezzo proprio Tyrone.
Ora si trovavano in auto con uno sconosciuto, uno studente come loro, che si era offerto di accompagnarli al Raccoon General Hospital.
“Quanto-quanto manca?” Tyrone era dietro con Martin, a tenersi un panno ricolmo di sangue sul punto del collo in cui era stato morso dall'ubriaco.
“Siamo quasi arrivati, il Raccoon General Hospital non è vicinissimo al nostro campus.” Samuel gli lanciò un’occhiata decisa, come a cercare di infondergli sicurezza.
“Me ne sono accorto, fratello.” Henry cercò di abbozzare un sorriso, anche se il pallore della sua pelle non stava sicuramente ad indicare nulla di buono.
“Vedrai che mia madre ti rattopperà ben bene.” L’amico, dal sedile davanti, alzò un pugno, che l’altro ricambiò, anche se a fatica.
“Che sta succedendo?” Martin osservava le strade fuori dall’auto, c’era gente che correva, scappava via da altre persone, gridando in preda al panico.
In un vicolo vide un altro uomo barcollante aggredire una signora, così come dalla scala antincendio di un palazzo si poteva scorgere un ragazzo tentare di fuggire dalla finestra di camera sua, ma venne braccato dal padre e trascinato dentro per i capelli.
“La città è nel caos.” Il ragazzo che li stava accompagnando dovette frenare di botto, un gruppetto di ragazzine aveva attraversato la strada di corsa.
“Le persone stanno impazzendo.” Samuel era allibito, che stava accadendo a tutti quanti?
Erano in preda ad un'isteria di massa?
“Non sono più sicuro siano persone.” Disse Martin, secco, mentre deglutiva a vuoto.
Samuel gli lanciò dallo specchietto retrovisore uno sguardo serio, che l'altro ricambiò con altrettanta preoccupazione.
L’uomo che lo aveva aggredito non aveva niente di umano.
Né lo sguardo, né le movenze, né le debolezze.
Aveva visto la ragazza bionda sparargli al cuore e lui non era morto, non sembrava aver affatto subito danno.
Se c’erano altri come lui, beh, forse erano qualcosa che andava ben oltre l’umanità.
Una mezz’oretta dopo raggiunsero il Raccoon General Hospital e Martin e Samuel aiutarono Tyrone a scendere dall’auto.
“Grazie mille, ti dobbiamo un favore.” Fece Marini al ragazzo che li aveva accompagnati lì, ma questi fece spallucce.
“Tranquillo, nessun problema. Io ora però me ne vado da questa dannata città, dovreste farlo anche voi!” Disse, prima di sgommare via dalla direzione da cui erano arrivati.
“Forza, diamoci una mossa, Tyrone inizia a perdere conoscenza.” Martin aumentò il passo, mentre sosteneva il ragazzo di colore.
Questi ghignò, mentre sudava freddo dalla fronte.
“Ma dai? Quell’idiota guidava lento come una ragazzina.” Borbottò, reggendosi a stento sulle sue gambe.
“Sta bene, è stronzo come al solito.” Sorrise Samuel, sollevato.
“Vaffanculo.”
Quando furono dentro il pronto soccorso lo trovarono gremito di gente, altri feriti esattamente come Tyrone.
Gente morsa nei punti più disparati, pallidi e deliranti.
Samuel e Martin aumentarono il passo, trascinando Tyrone da un’infermiera.
“Ci serve una mano, il nostro amico è stato morso.” Disse Marini, mentre la donna valutava la ferita del ragazzo.
“Mi dispiace, il pronto soccorso è pieno di persone con problemi analoghi, dovrete aspettare.”
“Non lo vede che sta morendo? Ha bisogno di essere curato subito!” Martin era spiazzato, come potevano dare una risposta del genere?
Samuel rimase colpito da quella reazione, non lo aveva mai visto arrabbiarsi per qualcosa, nemmeno quando erano loro gli artefici dei suoi malumori.
“E io vi ho detto che non è l’unico in queste condizioni, andate a sedervi.” L’infermiera si irritò, indicando con la testa una panca vuota su cui avrebbero potuto far riposare il ragazzo.
Fu proprio durante quella discussione che da uno dei corridoi dei reparti adiacenti, attraverso una porta a vetri una donna dai lunghi capelli castani, gli occhi color nocciola e i lineamenti dolci, vide i tre ragazzi.
“Samuel cos’è successo a Tyrone?” Spalancò la porta, scioccata, avvicinandosi di gran passo ai ragazzi e mettendo subito una mano sulla fronte del ferito, controllandogli la febbre e la ferita.
“Mamma ti prego, aiutaci, siamo stati aggrediti da un ubriaco e Tyrone è rimasto ferito.” Marini era sollevato di vedere finalmente il volto della madre, che dopo aver ascoltato il figlio li indirizzò dalla porta da cui era uscita.
“Iniziate a chiamare l’ascensore, ci penso io.” Disse, lasciando Martin piacevolmente sorpreso, sapeva essere risoluta esattamente come il figlio.
“Ma dottoressa, ci sono altri pazienti che aspettano una visita e...” L’infermiera non poté finire di parlare, la donna le lanciò uno sguardo infuocato.
“...e quello è mio figlio, non lascerò che muoia un suo amico perché questo ospedale non sa gestire un’emergenza!” La zittì, per poi andarsene verso Samuel e gli altri.
“Tua madre è veramente cazzuta.” Ridacchiò Tyrone, iniziava ad avere la vista annebbiata ed era certo che la sua memoria a breve termine si fosse guastata, non riusciva a ricordare in che modo fossero arrivati fino a lì.
Una volta sull’ascensore la dottoressa abbracciò il figlio, sfogando la sua ansia e la sua preoccupazione in quella stretta.
“Ero così preoccupata, i casi di aggressione sono in progressivo aumento in tutta la città, Thomas è già con tua sorella alla centrale di polizia, non avevo tue notizie da questa mattina, avevo paura ti fosse capitato qualcosa.” Gli spiegò, ormai da quando aveva perso il marito l’ansia che potesse venire a mancare un altro membro della sua famiglia la logorava.
“Io sto bene, è Tyrone che sta sempre peggio.” La dottoressa poggiò lo sguardo sul ferito, che cercò di fare il suo solito sorriso strafottente.
“Hey.” Salutò, respirando a fatica.
“Ti ha conciato proprio male il pazzo che ti ha aggredito, poverino. Devi aver perso molto sangue.” La donna diede una prima diagnosi, da com’era pallido e da tutto il sudore che produceva doveva star avendo un fortissimo calo di pressione.
Posò poi gli occhi su Martin, accarezzandogli una guancia.
“Martin! Te stai bene, tesoro?” Chiese, sinceramente preoccupata per lui.
Era a terra, sembrava un vero straccio.
“Sì, grazie signora Marini. Sono solo ancora scosso per quello che è successo.” Cercò di sorridere, ma non gli riuscì benissimo.
Finalmente l’ascensore era arrivato al piano desiderato e si apprestarono a scendere.
“Non chiamarmi così, io e tuo padre siamo amici e tu e Samuel vi conoscete da quando siete bambini, chiamami Piper.” Mentre apriva la camera destinata a Tyrone, Samuel lanciò di nascosto un’occhiata a Martin, effettivamente lo conosceva da molto prima rispetto a Tyrone e Julia, non ci aveva mai fatto caso.
“Lasciatelo sul letto.” Piper si affrettò ad aprire le tende della stanza, mentre i due ragazzi appoggiavano sul materasso ospedaliero il loro amico.
“Ora uscite, ci penso io a lui.” Disse subito dopo, spingendo i due fuori dalla camera.
“Ma mamma, Tyrone...” La dottoressa però non lasciò finire di parlare il figlio.
“...lasciami fare il mio lavoro, vedrai che starà bene, ora fuori.” La donna rassicurò il figlio, facendolo uscire da lì.
Per Samuel e Martin non restava che aspettare, nella speranza che andasse tutto per il meglio…

 

Per Alice invece le cose non migliorarono affatto.
Fu ammanettata, perquisita e portata nell’edificio della sicurezza del campus.
“E così tu saresti Alice Jackson del Raccoon Times, cosa sei venuta a fare qui?” Ray, il capo della sicurezza, lanciò una rapida occhiata al tesserino della ragazza, che aveva preso dal suo portafogli, per poi lanciarlo con poca cura sulla scrivania su cui era seduto.
“Non è mai troppo tardi per farsi un’istruzione, no?” Disse lei, sarcastica, cercando di non pensare a cosa fosse appena successo, ma solo al problema che stava vivendo in quel momento.
Aveva sparato ad un uomo, certo, era pronto ad attaccare anche lei, però aveva sempre sparato ad una persona.
Non lo aveva mai fatto prima, tremava al solo pensiero di cosa le sarebbe successo da adesso in avanti.
Il ghigno seccato di Ray la riportò alla realtà, la stava guardando con disprezzo, quasi con disgusto.
“Voi giornalisti siete proprio una seccatura, lo sai? Sempre a ficcanasare dove non dovreste, vi servirebbe andare tutti a fare un corso di buone maniere, non alla Raccoon University.” Disse con odio, mentre cercava di comporre un numero di telefono.
“Ma ci penserà la polizia di Raccoon City a darti una sistemata, quando sapranno quello che hai fatto ti faranno passare il resto della vita in una cella.” Borbottò, portandosi la cornetta all’orecchio.
Alice deglutì a vuoto, preoccupata, nella speranza che non rispondesse nessuno.
Sapeva che non sarebbe successo, che avrebbero risposto alla chiamata, ma se l’avessero arrestata avrebbero subito capito chi fosse e sarebbero stati guai grossi.
“Sareste dovuti intervenire voi e non aspettare che uno studente venisse ferito.” Cercò di provocarlo lei, nella speranza che si allontanasse dalla cornetta, ma l’uomo non ci cascò.
“Presto finirai di fare la spiritosa.” Ringhiò, mentre attendeva che qualcuno rispondesse dall’altra parte.
Questo però non accadde e la linea saltò.
“Merda, devono avere il centralino intasato, chissà quanti altri pazzi stanno andando in giro armati in questo momento.” Imprecò Ray, sbattendo con forza la cornetta al suo posto.
Alice tirò un sospiro di sollievo, forse se la sarebbe cavata.
In quell’esatto momento entrò nella saletta un altro uomo della sicurezza.
“Capo c’è stata un’altra aggressione nel giardino posteriore!” Disse, preoccupato, facendo scattare il collega.
“Merda, dobbiamo risolvere subito questa situazione.” Corse fuori, ma non prima di lanciare un avvertimento ad Alice.
“Tu resta ferma lì, non provare a fuggire o ti ammazzo.” La minacciò, prima di sparire dalla vista della ragazza.
“E chi si muove.” Borbottò lei, visto com’era ammanettata alla sedia.

 

Appena vide Samuel, Tyrone e Martin andarsene, Julia si era messa a correre lontano dal giardino, dritta dritta alla serra del campus.
Percorse tutto il lungo pontile di legno che sovrastava l’habitat vegetale della struttura, arrivando in quello che pareva un bungalow in mezzo alla foresta, ovvero casa sua.
Da quando l’intero campus era stato sanificato e reso università, il rettore aveva assunto la madre di Julia, Becca Woollett, per prendersi cura ventiquattro ore su ventiquattro della serra e dei giardini del campus.
A Julia e sua madre la decisione di trasferirsi lì non dispiacque affatto, era un bell’ambiente e il lavoro di Becca era anche la sua più grande passione.
Arrivata dentro casa, Julia si sbatté la porta alle spalle, chiudendola, per poi correre per le stanze alla ricerca della madre.
“Julia che succede?” Dalla cucina spuntò la donna, stava finendo il suo pranzo, ancora vestita da lavoro con i lunghi capelli biondi legati in una coda alta, che sembravano tagliarle il viso già fine di suo.
La guardò curiosa, con i suoi occhi cerulei, non capendo il motivo di tanta apprensione.
“Tyrone è stato aggredito da un pazzo! L’ha ferito e ora Samuel lo sta portando di corsa in ospedale!” Raccontò scossa, appoggiandosi al tavolo mentre riviveva quell’attimo terribile.
“Oh mio Dio, te stai bene?” Becca le fu subito accanto, sincerandosi delle sue condizioni.
“Io sì, quell’uomo non mi si è neanche avvicinato. Ha provato ad aggredire un’altra ragazza, ma lei… lei gli ha sparato, l’ha ucciso mamma.” La ragazza era sotto shock, non aveva mai assistito a nulla del genere.
La madre, invece, era senza parole, come poteva essere accaduta una cosa del genere?
“Ma la sicurezza dov’era in quel momento? Ray è proprio un’idiota!” Becca non aveva mai visto di buon occhio i membri della sorveglianza del campus, non sembravano persone veramente in grado di proteggere gli studenti dell’università, più dei bulletti che se ne restavano in panciolle a percepire lo stipendio elargito dall’Umbrella Corporation.
“Li ho visti prendere la ragazza poco dopo la sparatoria...” Julia abbassò lo sguardo, cercando di calmarsi, sennonché alzò nuovamente il capo, agitandosi di nuovo. “…dobbiamo andarcene di qui, mamma, andiamo dai nonni, questa cosa non è normale!” Supplicò, ricordandosi la ferocia dell’ubriaco.
Becca la guardò scettica. “Ma che stai dicendo?”
“Ti dico che quel pazzo non era normale! Quella ragazza gli ha sparato alla spalla e al cuore, ma questi non ha battuto ciglio, non ha sentito niente! Finché lei non l’ha freddato con un colpo alla testa lui era ancora intenzionato a saltarle addosso! In più sono giorno che la città è nel pieno panico, queste aggressioni stanno avvenendo ovunque!” Julia stava piano piano avendo un attacco di panico, la madre quindi le strinse le spalle, cercando di rassicurarla.
“Calmati Ju, devi aver visto male o forse quell’uomo ha avuto una scarica di adrenalina fuori dal normale, che ne sappiamo.” Le disse, mentre vedeva lacrime di paura sgorgarle dagli occhi.
La ragazza scosse la testa, asciugandosi le guance. “Sono sicura di quello che ho visto. Ti prego, andiamocene per qualche giorno, la situazione non si calma. Metti che arrivano altri pazzi come lui? Si sentono tutti i giorni casi strani in televisione, da mesi!” Pregò, ma Becca non sembrò voler sentir ragioni.
Si alzò, recuperando un mazzo di chiavi.
“Sta' tranquilla Julia, vedrai che Ray avrà già chiamato quelli dell’R.P.D, ci penseranno loro a scoprire cosa avesse quel tizio. Non ti agitare o ti farai venire di nuovo gli attacchi di panico.” Disse, per poi andare verso la porta.
“Devo riprendere il turno, te resta a casa e riposa, poi fammi sapere cosa ti dice Samuel, quando lo sentirai...” Le sorrise, ma ciò non rassicurò la figlia.
“Ehy, sta tranquilla, i mostri non esistono. Ricordi?” Questa volta sembrò riuscire a tranquillizzare la bionda, che la vide poi uscire dalla porta di casa.
Da piccola Julia aveva sofferto spesso di attacchi di panico, dettati dalla paura che ci fossero mostri o strani esseri che vagavano per la serra.
Ma erano solo sogni, incubi mischiati alla fervida immaginazione di una ragazzina… no?

 

Valerie camminava per i corridoi spaziosi dell’università, seguendo la sua insegnante di chimica.
La ragazza era estremamente confusa, dove la stava portando?
Le scale che portavano al laboratorio le avevano decisamente superate, poi dopo quello che era appena successo… Valerie non aveva ancora metabolizzato tutta quella faccenda.
E in più la donna non accennava a dirle nulla.
Camminavano nel silenzio, mentre i loro passi rimbombavano su parquet liscio del pian terreno.
Arrivarono davanti alle scale che conducevano ai sotterranei e le percorsero fin là sotto.
Attraversarono prima delle aule usate solitamente per la proiezione di film vari, fino a raggiungere e superare l’area caldaie.
“Mi spiega dove stiamo andando, professoressa?” Domandò la ragazza, confusa.
“Pazienta, cara, presto tutto ti sarà chiaro.” Le rispose Daniella, prima di arrivare davanti ad un ascensore.
Valerie era perplessa, era l’ascensore usato dalle persone con disabilità per muoversi da un piano all’altro della struttura, se voleva salire allora perché fare tutto quel giro?
“Professoressa, se voleva andare al laboratorio di chimica bastava salire molto prima.” Disse, facendo sorridere l’altra.
“Ma noi non saliamo, scendiamo.”
Dentro l’ascensore Valerie vide la donna tirare fuori una tessera e appoggiarla davanti alla pulsantiera.
Con un sonoro bip! si aprì un altro pannello, su cui spiccavano tre tasti che portavano al: -2;-3;-4.
Daniella pigiò il -2 e l’ascensore iniziò a scendere.
“Che diavolo…?” Valerie era scioccata, com’era possibile tutto ciò?
Quando l’ascensore si fermò, si aprì su un largo androne bianco, sul muro davanti a loro c’era il rilievo in placche di ferro del logo dell’Umbrella Corporation, mentre quelli che parevano scienziati e medici correvano in lungo e in largo tra un corridoio all’altro, in fermento!
“Benvenuta al NEST Three, l’ultimo dei laboratori all’avanguardia Umbrella Corporation qui a Raccoon City!” Daniella fece un passo avanti nell’androne, aprendo le braccia per presentare il luogo all’alunna.
Valerie era senza parole, da quando c’era tutto ciò sotto di loro?
E con così tante persone poi!
“La Umbrella Corporation ha dei laboratori a Raccoon City?” Domandò incredula, addentrandosi nella struttura.
“Ben tre, come ho detto, ognuno con funzionalità diverse in campo farmaceutico, ma prego, vieni che ti faccio fare un giro e ti spiego da tutto.” Daniella iniziò a camminare spedita per il corridoio dei laboratori, a suo agio in quell’ambiente asettico e impeccabilmente pulito.
Valerie cercava di starle dietro, affascinata, mentre iniziava a parlare.
“Come ben sai la Umbrella Corporation ha aiutato molto la città ad evolvere e prosperare sotto diversi punti di vista, ha ristrutturato vari edifici, ha permesso la costruzione della metropolitana, dell’orfanotrofio, insomma, tante belle cose.” Fece Daniella, mentre passavano davanti a svariati laboratori, dove scienziati facevano analisi al vetrino e ricerche varie, osservati sotto l’occhio estasiato e meravigliato di Valerie.
“Alla corporazione però servivano dei laboratori di ricerca e sviluppo, posti in cui poter sperimentare in santa pace, senza il rischio di ferire o far del male a nessuno, così la città si è offerta di lasciare all’Umbrella la possibilità di farlo a Raccoon City, a patto che non si disturbasse la quiete pubblica e la vita mondana dei cittadini.”
Le due arrivarono davanti a una grande vetrata, che si affacciava su un laghetto artificiale, con tutt’attorno il NEST Three.
Al centro del laghetto stava una grande struttura, accessibile attraverso una passerella di metallo.
“Così si pensò di costruire il tutto sottoterra, dividendo gli impianti in tre strutture di ricerca, la prima incentrata sulla ricerca di nuovi farmaci, la seconda sulle innovazioni sul piano tecnologico e la terza, questa, un impianto di ricerca sui vaccini alle malattie che colpiscono l’uomo nel corso della sua vita.” Continuava a spiegare la donna, mentre la ragazza osservava stupefatta la struttura.
Arrivarono su un montacarichi metallico, che iniziò a portarle giù, verso il laghetto.
“Come puoi ben vedere il complesso è diviso in tre macro aree, quella di sviluppo e ricerca, da cui siamo arrivate, quella in cui ci sono i dormitori dei nostri scienziati genietti e tutto ciò di cui necessitano per vivere qua sotto, l’area amministrativa, compresa di uffici e sale meeting e poi c’è la struttura centrale, una sorta di QG che monitora il tutto e permette il funzionamento della baracca.”
“Tutto questo è straordinario.” Valerie era senza parole, come poteva essere che sotto l’università potesse esserci tutto ciò?
Era incredibile.
Intanto scienziati su scienziati correvano intorno a loro, facendo avanti e indietro dal QG.
“Come puoi ben vedere sono tutti in allerta e arriviamo al punto sul perché sei qui.” Le due percorsero tutta la passerella, fermandosi davanti alle porte dell’edificio centrale.
“Questa struttura esiste e nasce non solo per fare ricerca, ma anche per reclutare menti giovani e brillanti per conto dell’Umbrella Corporation, non a caso è situata sotto una università. Attraverso essa la corporazione può valutare migliaia di ragazzi all’anno e seguirli nei loro percorsi di studi, per vedere chi potrebbe essere in futuro idoneo o meno alle politiche dell’azienda. Tu, Valerie Harmon, sei una di questi ragazzi.” Spiegò Daniella, lasciando a bocca aperta la ragazza.
“I-io? Non ho ancora terminato la mia tesi, inoltre non so se...” Balbettò, ma la professoressa non la lasciò finire.
“Lo so, ma siamo in una situazione di emergenza e ci serve tutto l’aiuto possibile.” Disse la donna, per poi invitarla ad entrare nel laboratorio.
Valerie era sempre più incredula, il QG era una sala immensa, pieni di tavoli e computer all’avanguardia, in cui decine di scienziati stavano compiendo ricerche frenetiche e di vitale importanza.
Il tutto era osservato da una struttura rialzata, raggiungibile attraverso una lunga scala di metallo.
“Diversi mesi fa uno strano virus è comparso nei pressi dei Monti Arklay e ha infettato svariati animali e persone. Non sappiamo da dove provenga, sappiamo solo che è un virus molto aggressivo e che porta ad una morte molto dolorosa.” Iniziò a spiegare Daniella, trasformando l’espressione ammaliata di Valerie in una ben più seria e spaventata.
“La Umbrella Corporation, in collaborazione con la polizia locale, ha cercato di fermare tutto ciò, ma a quanto pare i nostri sforzi non sono bastati. In qualche modo il virus ha raggiunto la città e si sta diffondendo a macchia d’olio tra i suoi cittadini. Anche l’aggressione a cui hai assistito oggi è una conseguenza del virus.”
La ragazza era sconcertata, era tutto assurdo.
Prima l’aggressione, poi la scoperta dei laboratori, ora del virus, era tutto così… surreale.
“In questa struttura da mesi stiamo lavorando ad un possibile vaccino, ma ora la situazione è degenerata e le risorse che abbiamo non bastano più. Dobbiamo riuscire a trovare una soluzione, prima che sia troppo tardi e muoiano migliaia di persone. Io sono una dei reclutatori dell’università, mi occupo di selezionare le menti più promettenti che possano entrare a far parte della nostra società, e in un momento come questo ho pregato ai dirigenti di permettermi di farti entrare nel progetto. Hai una mente geniale, Valerie, non potevo escluderti da tutto questo.”
Daniella sembrava ammirarla molto, la ragazza non si sarebbe mai aspettata tutto ciò.
“Vuoi aiutarci? Vuoi aiutare tutta la città e probabilmente l’umanità intera in tutto questo? Vuoi entrare a far parte dell’Umbrella Corporation?”
Valerie era sicuramente colpita, tutto ciò, tutto quello che l’azienda aveva costruito era stupefacente, ma lei era veramente pronta ad entrare a far parte di quel mondo?
Pronta o meno, sopra di lei l’intera città era in grave pericolo.
“Sì, voglio entrare a far parte dell'Umbrella.” Rispose, decisa, avrebbe aiutato l’azienda a trovare un vaccino al virus, prima che fosse troppo tardi.
“Ottimo, allora vieni con me, ti presento la direttrice di questo centro.” Daniella fece un sorriso a trentadue denti, incamminandosi verso la struttura che sormontava tutto il QG.
Quando la donna aprì la porta Valerie si trovò in quello che pareva un grande ufficio, in cui una giovane donna sembrava star leggendo un rapporto.
Aveva i capelli biondi, corti, e due profondissimi occhi azzurri.
Appena sentì la porta aprirsi alzò la testa, sorridendo cordialmente alle nuove arrivate.
“Ciao, tu devi essere Valerie Harmon, ho sentito tanto parlare di te, piacere di conoscerti. Sono a capo di questa struttura, mi chiamo Alex. Alex Wesker.”



Note d'Autore:
Ta-daaaan!
Eccoci con un altro capitolo!
Piano piano stiamo entrando dentro questa storia e piano piano i nostri eroi stanno prendendo percorsi diversi!
Samuel e Martin sono bloccati in ospedale, in attesa che Tyrone si trasf... coff coff, guarisca, sotto le amorevoli cure della mamma di Samuel, Piper.
Vi piace come personaggio? E' una donna veramente cazzuta, su questo sono d'accordo con Ty ahahaha
Intanto Alice è bloccata nell'ufficio della sicurezza, non ci tocca che sperare per lei di riuscire ad uscire, prima che la città sia completamente invasa ahahaha
E' un personaggio ancora parecchio misterioso, chissà cos'è andata a cercare all'università, cosa sa dell'Umbrella e perché non vuole essere beccata dalla polizia... ehehehe
Julia, invece, poverina, vorrebbe solo andarsene.
E ci credo, fossi stato in Becca l'avrei ascoltata (comunque, ho riciclato il nome originale di Julia e l'ho dato alla madre <3).
Poi c'è Valerie.
Io trovo che sia un personaggio con un potenziale enorme, la adoro veramente!
In più adesso è stata reclutata dall'Umbrella, è parte dei cattivi, anche se ancora non lo sa ahahah
La versione dei fatti di Daniella mi intriga, ma chissà se è davvero tutto come dice lei ;)
E soprattutto... Alex Weskeeeerrrr! Alex Wesker è a Raccoon City, ai comandi di uno dei centri di ricerca dell'Umbrella Corporation!
Amo infinitamente il suo personaggio, chissà che combinerà in questa storia ahahah
Chissà se sa della ""morte"" di suo fratello :3
Sono super in hype per come sto scrivendo questa storia, non ho ancora deciso un finale, ma diciamo che sono a metà, vedremo come la svilupperò!!
Fatemi sapere se vi sta piacendo, ringrazio tantissimo summer_moon per le recensioni che lascia <3

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Capitolo 4
*** Capitolo 03. ***


REsistance

Capitolo 3.

Ci dimentichiamo velocemente delle persone quando siamo felici e riusciamo a ricordarcene solo nei momenti più bui.
E' ironico come dopo ciò sia così difficile anche solo pensare di non averli più nella nostra quotidianità.

 

Era passata mezz'ora da quando Piper aveva cacciato fuori dalla camera di Tyrone Samuel e Martin, che decisero di rimanere fuori in corridoio ad aspettare notizie sulla sua convalescenza.
La situazione era alquanto preoccupante, vedevano in lontananza dottori e infermieri correre da una parte all’altra dell’ospedale, delle volte al seguito di persone ferite e urlanti di dolore, altre con barelle ricolme di sangue e gente svenuta.
I due attendevano non troppo distanziati l’uno dall’altro, Martin seduto a terra e Samuel in piedi, di fianco a lui, ma appoggiato al muro.
Non si erano minimamente rivolti la parola, anzi, erano rimasti in silenzio per tutto il tempo.
Martin guardava il caos dei medici in lontananza, cercando di sentirsi a disagio il meno possibile, era la prima volta che si trovavano da soli, da tanto tempo.
Samuel invece voleva parlargli, sentire la sua voce in quel momento di ansia e preoccupazione, avere qualcuno con cui interfacciarsi per vivere tutta quella situazione un po’ più in leggerezza, ma capiva che non poteva essere facile per entrambi.
Da piccoli erano amici, i loro genitori li portavano sempre al parco o ai picnic insieme, poi con la morte della madre di Martin e la loro divisione in due scuole diverse si erano persi, fino a incontrarsi ancora una volta nella Raccoon High School, dove ormai erano troppo diversi per essere amici.
Martin era un po’ un nerd, sempre dietro alle sue passioni videoludiche e all’informatica, mentre Samuel era il capitano della squadra di basket della scuola, non avevano praticamente più nulla in comune.
Tyrone e gli altri della squadra si divertivano a prendere in giro Campbell e a fargli scherzetti ogni tanto e Samuel si limitava solitamente a stare nelle retrovie, evitando di partecipare attivamente a quelle bravate, ma non facendo comunque nulla per fermarle.
Certo, quando i suoi amici tendevano ad esagerare era pronto a bloccarli, ma preferiva non esporsi e andare avanti con la sua vita.
Aveva tanti progetti per il suo futuro, il padre era così fiero di lui e avrebbe fatto di tutto per renderlo orgoglioso del suo percorso.
Questo finché non morì e in quel momento non ci furono altri se non Martin e suo padre a rimanere al fianco della sua famiglia.
E Samuel si rese conto di non averlo mai ringraziato per quello.
Con quei pensieri in testa si decise a parlare con lui.
“Senti, volevo ringraziar...” Dissero, insieme, incrociando i loro sguardi.
Imbarazzati, li distolsero subito, per poi scoppiare a ridere quando, insieme, provarono di nuovo a proferir parola.
“Dai, prima tu.” Fece Samuel, divertito.
“Okay, beh, volevo ringraziarti per avermi aiutato prima, sennò a quest’ora sarei al posto di Tyrone, se non peggio.” Spiegò Martin, se l’altro non gli avesse tolto di dosso quel pazzo, probabilmente a quell'ora sarebbe già morto.
“Tranquillo, non potevo lasciare che quell’ubriaco ti facesse del male, non dopo tutto quello che tu e tuo padre avete fatto per la mia famiglia.” Sorrise l’altro, facendosi un attimo malinconico.
“Ed era per questo che volevo ringraziarti.” Borbottò, facendo sorridere Martin.
Proprio in quel momento Piper uscì dalla camera, asciugandosi con il camice il sudore che le perlava la fronte.
“Mamma, come sta Tyrone?” I due spostarono lo sguardo sulla donna, che non sembrava molto tranquilla.
“Non bene, la sua febbre continua a salire. È una cosa assurda, considerando che si tratti solo di un morso. Gli ho medicato la ferita e dato degli antibiotici per far scendere la febbre, ma non so se basterà.” Spiegò lei, preoccupata per la sorte del ragazzo.
Samuel era senza parole, si sentì crollare il mondo addosso.
“Non sono sicura riesca a superare la notte, non in queste condizioni.” La donna fu interrotta dall’arrivo di un’infermiera, che chiedeva il suo urgente aiuto al piano di sotto.
“Ora vado, torno più tardi a vedere gli sviluppi, voi stategli vicino e chiamate appena succede qualcosa, intesi? E se riuscite, contattate immediatamente la sua famiglia, i suoi genitori meritano di sapere cosa sta succedendo al proprio figlio.” Piper se ne andò di corsa, lasciando i due lì basiti.

 

Alice si trovava ancora ammanettata in quello stanzino della sicurezza e fu proprio quando non sentì più nessuno muoversi nell’edificio che decise di liberarsi e andarsene.
Dovevano essere tutti occupati in giro per il campus, aveva sentito delle grida provenire da fuori, probabilmente l’uomo che aveva neutralizzato non era l’unico pazzo in giro.
Tramite una forcina nascosta nelle tasche posteriori dei pantaloni iniziò a maneggiare con le manette, cercando di aprirle.
“Eddai, insomma… non sono nemmeno quelle dell’R.P.D, non dovrebbe essere così difficile.”
E infatti, dopo svariati tentativi, Alice riuscì a liberarsi.
“Ottimo, l’Umbrella Corporation sicuramente non ama spendere troppi soldi per la dipendenza esterna ai loro affari.” Pensò la ragazza, saccente come al solito, dicendosi che forse l’azienda avrebbe dovuto investire di più anche nelle infrastrutture di minor ordine, visto che quel campus era pieno di incapaci.
In un primo momento Alice iniziò a frugare per i cassetti della scrivania in cui in precedenza si era appoggiato Ray, alla ricerca di qualcosa di utile per la sua missione, ma appena sentì sbattere la porta di ingresso dell’edificio, capì che era meglio andarsene da lì.
Si sporse con cautela sul corridoio, ma non sembrava esserci nessuno.
Andò con passo felpato fino alla fine dell’andito, che si diramava sulla destra fino all’androne centrale che dava all’uscita.
Si affacciò per capire se ci fosse qualcuno e vide un ragazzo della sicurezza correre nella sua direzione, mentre cercava di ricaricare la sua pistola.
Alice tornò indietro in fretta, entrando in una porta che poco prima aveva evitato e appiattendosi al muro, nella speranza che il giovane non entrasse lì.
Dalla porta semi socchiusa lo vide andare nella stanza di fronte a quella, mentre cercava dei caricatori per l’arma e altri oggetti.
La ragazza decise di sgusciare via, era troppo a rischio in quel posto.
Si mise a correre verso l’uscita, gettando un attimo l’occhio dietro di lei, per paura che il ragazzo si facesse improvvisamente avanti, non notando la figura che gli si palesò poco più in là.
Appena si girò le arrivò un cazzottone in faccia, che la scaraventò a terra!
Ray fece un ghigno divertito, felice di essere tornato lì appena in tempo.
“Aaah, cazzo!” Alice si asciugò il labbro sanguinante, mentre la testa le doleva come mai prima di quel momento.
Tutto l’edificio stava girando intorno a lei, sfocato e indefinito.
Ray le si avvicinò, tirando fuori la pistola che aveva in tasca.
“Eh no bella, non vai proprio da nessuna parte!” L’uomo allungò il braccio, colpendo la ragazza con il calcio dell’arma, facendole perdere conoscenza.

 

Julia è seduta sul divano del salotto, a guardare preoccupata la televisione.
Ormai era sera inoltrata, la madre era uscita diverse ore prima per occuparsi della serra, non era la prima volta che si dedicava anima e corpo al suo lavoro, ma non vederla ancora tornare, in quella situazione, la stava preoccupando.
Di Samuel e Tyrone ancora non sapeva nulla, in più alla tv i telegiornali straordinari non facevano altro che parlare delle innumerevoli aggressioni che stavano avvenendo in città, mostrando i poliziotti dell’R.P.D sparare agli aggressori o cercando di riportare sotto controllo alcuni quartieri.

 

Nel frattempo nel NEST 3 sembrava essere pronto il ceppo di un vaccino, a cui la squadra in cui era stata assegnata Valerie stava lavorando da mesi.
Si trovava al QG insieme ai suoi nuovi colleghi e a Daniella, mentre si stavano preparando per una prima diffusione della cura.
Valerie non sapeva molto i dettagli, era appena arrivata, ma stava facendo di tutto per stare al passo con loro e dare una mano.
“Il ceppo del vaccino è ancora sperimentale, non siamo sicuri dell’effetto che avrà sull’uomo e in un ambiente arieggiato fuori dal nostro controllo, ma l’unico modo per testare l’efficacia di esso è spargerlo il prima possibile…. Il problema è: come?” Alex Wesker guardava tutti i suoi colleghi, concentrata, preoccupata per ciò che stava avvenendo all’esterno.
Attraverso un grande schermo, per tutto il QG si mostravano i tg straordinari di Raccoon City.
“Serve un mezzo che permetta la trasmissione immediata del vaccino.” Daniella stava rimuginando tra sé e sé, cercando di trovare una soluzione in quell’immenso rompicapo.
Valerie stava ragionando, chiedendosi se un tale sistema potesse esistere… almeno finché non le arrivò un lampo di genio.
“Il sistema di irrigazione… il sistema di irrigazione!” Urlò, attirando l’attenzione di tutti, specialmente di Alex.
“Potremmo veicolare il vaccino attraverso il sistema di irrigazione del campus della Raccoon University e vedere l’effetto che produce sulle piante della serra ed il giardino!” Propose, ricevendo subito l’approvazione di tutti.
Alex tirò un sospiro di sollievo, complimentandosi con lei.
“Brava, Daniella abbiamo fatto un ottimo acquisto.” Disse, meravigliata.
La reclutatrice abbracciò l’allieva, per poi gonfiare il petto piena d’orgoglio.
“Sento il profumo di un aumento.” Esclamò, facendo ridere la ragazza.
“Bene, a lavoro! Abbiamo di come testare il vaccino!” Alex riportò tutti sull’attenti, andandosene verso il suo ufficio.
Nessuno poté notare il ghigno che le incespicò le labbra.

 

Pochi minuti dopo, nella serra Becca si stava prendendo cura delle piante, finché il sistema di irrigazione non si attivò di colpo, spargendo acqua per tutto il giardino.
“Ma che? Hanno cambiato gli orari di irrigazione?” Borbottò, infastidita, mentre si sistemava il cappello di paglia che le copriva la testa.
“E’ assurdo, nemmeno avvertono adesso.” Bisbigliò infastidita, mentre potava una grande pianta grassa.
Era così presa dal suo lavoro che non si accorse delle spesse radici che poco più in là stavano prendendo vita.
 
La cosa però non sfuggì al QG.
Attraverso le telecamere di sorveglianza poterono tutti assistere alla scena.
Delle piante presero improvvisamente vita nella serra e nel giardino, attaccando uomini della sicurezza, gli esseri barcollanti e perfino alcuni studenti in fuga, iniziando a strangolarli con le loro radici!
“Interrompete la diffusione del vaccino, subito!” Alex gridò dall’interfono ai suoi scienziati, che in fretta e furia eseguirono l’ordine della direttrice, mentre tutti assistevano scioccati a quello spettacolo!
“Com’è possibile?” Valerie era terrorizzata, quelle piante erano come diventate senzienti e stava uccidendo una decina di persone!
“Qualcosa deve essere andato storto nel vaccino, oh mio dio, quelle cose invaderanno la scuola!” Daniella era scioccata, così come la ragazza.
Interruppero immediatamente la diffusione del vaccino, ma ormai quelle piante da lì non le toglieva più nessuno.
Videro morire strangolate svariate persone, almeno finché anche Becca non fu attaccata.
La pianta della serra la stava strangolando, ma lei, avvalendosi delle tronchesi, squarciò in due la radice, cadendo a terra e riuscendo a fuggire.
La pianta tentò di riagguantarla con un colpo di frusta, che la ferì ad una spalla, ma lei continuò a correre e scappare.
Alex riaprì l’interfono, non c’era più gioia nella sua voce.
“A quanto pare il vaccino deve aver subito qualche variazione a contatto con il mondo esterno, probabilmente deve essere mutato legandosi al virus già presente nel campus. E’ stato un fallimento, ma il nostro lavoro procede.” Disse, sconfitta, per poi chiudere la comunicazione.
Valerie barcollò all’indietro, tenendosi alla console alle sue spalle.
“E’ tutta colpa mia, ho proposto io il sistema di irrigazione.” Biascicò, sconfitta.
Daniella la guardò, dispiaciuta, doveva sentirsi come sotto ad un treno.

 

Mezz’ora dopo Julia era ancora intenta a guardare gli aggiornamenti in televisione, quando all’improvviso sentì spalancarsi la porta di casa, per poi richiudersi di colpo.
“Mamma!” Corse all’entrata, dove trovò la donna appoggiata alla porta, con il fiatone e ferita gravemente al braccio.
“Mamma oddio, cos’è successo?!” Julia scattò subito su Becca, accompagnandola in salotto.
“Non ne ho idea, le piante sono come mutate, stanno attaccando tutto e tutti!” La donna si sedette a fatica, dandosi un’occhiata alla ferita sanguinolenta e appoggiando sul tavolino di fronte alla tv quello che pareva essere un lanciafiamme casalingo.
Julia tornò subito da lei con un medikit, mentre lanciava un’occhiata all’arma.
“Ma che hai fatto?” Chiese, scioccata, mentre le medicava la ferita.
“Dargli fuoco è l’unico modo per ucciderle, a quanto pare, aaah! Sarei morta a quest’ora se non lo avessi usato.” Spiegò Becca, dopo la prima aggressione era corsa a proteggersi nel capanno degli attrezzi, dove venne attaccata da altre radici e dovette usare quell’arma casalinga per salvarsi.
“Dobbiamo andarcene da qui!” Julia stava piangendo, quel posto si stava trasformando in un inferno!
Intanto il telefono aveva iniziato a squillare.
“Non se ne parla, aspetteremo le autorità, non possiamo tornare là fuori!” Becca cercava di resistere al dolore, mentre la figlia le passava l’alcool vivo sulla ferita.
“Merda.” Julia disse alla madre di tenere sul braccio la garza che le aveva appena passato, correndo poi al telefono.
Se non fosse che, quando alzò la cornetta, ormai era troppo tardi e dall’altra parte avevano già staccato.
“Cazzo!” Sbraitò la ragazza, scoppiando a piangere e lanciando a terra la cornetta.
La situazione stava degenerando.

 

Intanto all’ospedale Martin stava assistendo Tyrone, che ormai non apriva più neanche gli occhi, in preda a dolori lancinanti e una febbre altissima.
Stava combattendo il più possibile per rimanere lucido e non lasciarsi andare, di controllare il dolore, ma era più forte di quanto potesse pensare.
La ferita iniziava a prudergli e teneva stretti i denti, senza nemmeno sapere il perché.
In quel momento entrò Samuel, sconsolato.
“A casa sua non risponde nessuno, ho anche provato a chiamare Julia, ma niente.” Sospirò, sedendosi accanto all’amico.
“Com’è la situazione nell’ospedale?” Chiese Martin, mentre rimbombavano le voci di persone disperate e medici di corsa.
“Esattamente come la si può immaginare da qui, c’è chi grida, piange, la gente sta morendo.” Samuel era un fil di nervi, tutto ciò era al di fuori dell’immaginario di chiunque.
Entrambi spostarono lo sguardo su Tyrone, pregando dentro di sé che il ragazzo ce la facesse.

 

Note d'Autore

Eccoci qui con il terzo capitolo della storia, popolo di Efp!
Le cose iniziano a farsi interessanti, nè?
Samuel, Martin e Tyrone sono ancora bloccati in ospedale ad aspettare che il nostro caro cestista si trasformi, mentre Piper è indaffarata a cercare di salvare più vite possibili... povera illusa, Raccoon City è ormai perduta! ahahaha
Mi è piaciuto molto fare in modo che i nostri due protagonisti si chiarissero, ne avevano bisogno per solo pensare di ricominciare ad avere un rapporto normale.
Tyrone è sempre peggio invece, tra quanti capitoli pensate che si trasformi? ahahahaha
Alice invece si trova in trappola, ha avuto un assaggio di libertà, ma Ray è un vero stronzo e non se la fa mica sfuggire di mano.
Lavora sempre per l'Umbrella, c'era forse altro da aspettarsi?
Comunque Alice rimarrà fuori gioco per un po', ci concentreremo sugli altri personaggi nei prossimi capitoli, piano piano vedrete <3
Julia e Becca sono in una situazione un po' critica, con la diffusione del "vaccino" sono rimaste bloccate in casa.
Forse aveva ragione Julia, dovevano andarsene finché potevano!
Valerie invece è stata alquanto usata, ma ehy, è entrata è far parte dell'Umbrella, è già bello che non sia già morta ahahaha
Quando capirà di essere dalla parte sbagliata?
Inoltre è causa sua se il "vaccino" è stato diffuso, mi sa che avrà i sensi di colpa per un po', oltre a trovarsi irrimediabilmente legata a Julia, visto che è la causa della ferita a sua madre.
Piano piano la città si sta trasformando nell'inferno che tutti conosciamo, come andrà a finire?
Ehehehe, non lo ancora neanche io, figuriamoci voi! xD
Cioè, ho un finale ben elaborato in testa, è l'arrivarci il problema :/
Ringrazio ancora una volta summer_moon per aver recensito e per continuare a seguire la storia, sei un mito <3
Per tutti gli altri, ci si vede nei prossimi capitoli!

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Capitolo 5
*** Capitolo 04. ***


REsistance


Capitolo 4.


Il dolore di vedere qualcuno che ami morire non cambia a seconda di quante volte è successo.
Puoi aver visto una, due, perfino venti persone perdere la vita, ma lo strazio e l’impotenza di non aver potuto fare niente… quella non svanisce mai.
 
Era ormai il 24 Settembre 1998, la mezzanotte era scattata da un bel pezzo a Raccoon City, all’interno dell’ospedale cittadino Samuel e Martin assistevano impotenti alla sofferenza sempre più acuta di Tyrone.
Ormai delirava, non sembrava neanche più essere lì con loro.
Era pallido come un cencio, provava un forte bruciore ovunque, oltre che un prurito persistente sul collo.
Stava morendo e loro non potevano farci nulla.
Piper Marini, la madre di Samuel, entrò nella stanza, sudata, sporca, stanca.
“Come sta?” Chiese, nonostante sapesse già la risposta.
“Male, scotta e continua a peggiorare.” Martin la vide avvicinarsi al ragazzo, somministrandogli ancora una volta un antibiotico per fargli abbassare la febbre.
“Mamma cosa sta succedendo là fuori? Le urla aumentano, continuiamo a sentire le ambulanze fare avanti e indietro per l’ospedale...” Samuel era scioccato, la situazione sembrava peggiorare di ora in ora da quando erano arrivati lì.
Piper non disse niente, dando ancora una volta un’occhiata alla ferita del ragazzo.
Samuel e Martin si lanciarono uno sguardo confuso.
“Mamma?”
“Dovreste andarvene da qui, appena sorge l’alba.” Disse, per poi girarsi a guardare negli occhi il figlio, sapendo bene che non lo avrebbe mai fatto.
“Cosa? No, non possiamo abbandonare Tyrone, i suoi neanche sanno che è qui!” Protestò, scioccato, come poteva chiedergli una cosa del genere?
“Ci sono qui io a prendermi cura di lui, voi...” Samuel non la lasciò nemmeno finire di parlare, negando con trasporto.
“Non se ne parla! Tyrone è il mio migliore amico, non me ne vado ora che sta più male!” Il ragazzo era furibondo.
Piper cercò sostegno nello sguardo di Martin, ma non lo trovò.
“Mi dispiace Piper, ma Tyrone mi ha salvato la vita ieri mattina, non posso.” Disse, decidendo di rimanere lì insieme a Samuel.
La donna sospirò, scuotendo la testa.
“Aah, va bene. Ma appena succede qualcosa, se Tyrone smette di respirare o ha comportamenti strani, convulsioni o… muore… venitemi a cercare immediatamente, tutti e due, okay?” Ordinò, vedendoli preoccuparsi ancora di più.
Il cerca persone della donna bippò, segno che doveva darsi una mossa.
“Devo scendere giù, hanno bisogno di me, c’è stato un altro collasso. Mi raccomando, fate come vi dico!” E corse via.
I due rimasero ancora una volta soli con Tyrone, fissandolo preoccupati.
“Se la caverà, vero?” Bisbigliò Samuel a Martin, che non rispose.
No, secondo lui non ce l’avrebbe fatta.

 
Julia era in camera con la madre, distesa a letto.
La ferita era ormai medicata, ma da fuori casa provenivano strani rumori e suoni gutturali.
Si sentivano grida provenire dal campus, sembravano essere finite in un film horror.
“Trentasette, vedi? E’ solo stanchezza, non mi si sta alzando la febbre.” Becca cercò di rassicurare la figlia, mostrandole il termometro, stava bene, era solo dolorante.
Intanto la sicurezza del campus aveva diramato l’ordine di restare nelle proprie stanze, stavano mettendo la situazione sotto controllo, ma Julia sembrava crederci poco.
“Tesoro sta' tranquilla, saranno pure degli idioti, ma sanno il fatto loro. Avranno già chiamato l’R.P.D” Le disse Becca, ma non servì a molto.
“Lo spero, mamma, lo spero.”
 
 
Valerie era seduta sul bordo del letto assegnatole poco dopo la diffusione dell’agente virale, ancora scioccata.
Visto in che stato era, avevano preferito farle terminare così il suo primo giorno di lavoro, dandole una camera, alcuni camici e dei vestiti puliti.
Daniella aveva provato a rincuorarla, ma non era servito a molto.
Errori che capitano, diceva, ma Valerie ci credeva poco.
L’Umbrella Corporation sapeva il fatto suo, come poteva Alex permettere la diffusione di un vaccino ancora in fase embrionale?
Valerie si stava facendo mille domande, in più quel nome lei lo aveva già sentito.
Wesker… ma dove?
Inoltre, come poteva, quello che doveva essere un vaccino, rivelarsi un’arma così aggressiva per le piante, all’improvviso?
Valerie guardò l’orologio posto sul suo comodino: erano le 4.30 a.m.
Aveva un gran mal di testa, doveva riposarsi e poi fare il punto della situazione.
Sicuramente, dal giorno dopo sarebbe stata molto più attenta.

 

Daniella era nell’ufficio di Alex Wesker, mentre sorseggiavano insieme un bicchiere di brandy.
“Avevi ragione, quella ragazza è veramente intelligente. La diffusione tramite gli irrigatori era già in programma, ma lei arrivandoci da sola ha dimostrato un intelletto fuori dal comune.” Alex era soddisfatta, non credeva che uno studente qualunque fosse in grado di lavorare là sotto, ma dovette ricredersi.
In fondo quel luogo era stato costruito con lo scopo di trovare dei geni come lei, ma era una delle prime che si dimostrava veramente tale.
“È da quando l’ho conosciuta che sento ci sia qualcosa di speciale in lei. Inventarsi tutte quelle storielle sulle ricerche fatte qua sotto è stato facilissimo e lei ci è cascata con tutte le scarpe!” Daniella era entusiasta, facendo sorridere l’altra.
“Delle volte vedi solo ciò a cui vuoi credere.” Fece notare Alex, versandosi ancora un po’ di brandy.
“Se riusciremo ad alienarla per bene ci darà ottimi consigli su come diffondere e potenziare le altre B.O.W senza accorgersene e diventerà un ottimo acquisto per il mio progetto.”
Daniella ancora non sapeva nello specifico a che progetto si stesse riferendo, ma brindò comunque insieme a lei, le doveva molto e sapeva di essersi guadagnata un posto di fiducia nei suoi ranghi.

 

Era ormai l’alba a Raccoon City, ma la cittadina stava avendo un risveglio ben diverso rispetto alla giornata prima.
Se il 23 Settembre era iniziato come una giornata normale, con qualche allarmismo, certo, ma assolutamente niente di paragonabile a quello che successe nelle ore successive, il 24 si apriva nel più completo caos.
Le urla nell’ospedale non si erano affatto placate nel corso della notte, divenendo sempre più intense e insistenti.
Samuel e Martin in un momento indefinito di quella notata si erano addormentati, stanchi e stravolti da tutto quello che stava accadendo, ma la cosa durò molto poco.
Martin si svegliò a causa delle forti convulsioni che iniziarono a percorrere tutto il corpo di Tyrone, che a fatica annaspava in cerca d’aria!
“Samuel! Tyrone sta male!”
Il ragazzo si risvegliò di colpo, notando subito in che condizioni fosse l’amico.
“Mamma!” Scattò fuori dalla stanza, lasciando Martin ad assistere all’orrenda scena.
Henry iniziava a sbavare, mentre il suo corpo era percorso da lunghi tremori, come se stesse avendo un attacco epilettico.
Fortunatamente Piper stava andando proprio da loro, quando dall’altra parte del corridoio vide il figlio correrle incontro.
Subito scattò verso di lui, capendo che era successo qualcosa a Tyrone.
Quando arrivò nella stanza, ormai il suo corpo aveva smesso di tremare e non sembrava star respirando più.
“Chiamate un’infermiera, subito!” Ordinò Piper, mentre iniziava a fare al ragazzo un massaggio cardiaco.
I due fecero come ordinato, sparendo oltre la porta.
Uno, due, tre.
Piper stava eseguendo il massaggio, ma Tyrone non sembrava rispondere.
“Eddai Ty, non abbandonarci, non anche tu.” Lo pregò mentre spingeva sul suo petto, ma non stava funzionando.
Quando Samuel e Martin tornarono indietro, con al seguito un’infermiera, Piper aveva appena smesso di spingere, con le lacrime agli occhi.
“È troppo tardi.” Disse, con la voce tremante, mentre guardava il figlio.
Samuel sentì il mondo crollargli addosso, il suo viso iniziò a bagnarsi di lacrime, mentre la madre correva ad abbracciarlo.
“No, no!” Singhiozzava il ragazzo, stringendosi alla donna, che piangeva con lui.
Martin era scioccato, dispiaciuto.
Nonostante tutto ciò che Tyrone gli aveva fatto, si sentiva come in colpa perché sarebbe dovuto esserci lui al posto suo, se non lo avessero salvato.
L’infermiera coprì con il lenzuolo il volto del ragazzo, lasciando poi un attimo soli quei tre.
Piper cercò di riprendersi in fretta, asciugando le lacrime sue e di suo figlio.
“Ora però dovete andarvene da qui. Samuel raggiungi i tuoi fratelli alla centrale, Martin tuo padre è a casa vostra, l’ho sentito prima, insieme al suo assistente, gli ho detto di andare al dipartimento, ma conoscendolo non lascerà l’officina.” Disse, facendosi seria, mentre il figlio la guardava confusa.
“Dovete andarvene il prima possibile dalla città prima che sia troppo tardi. L’ospedale è al collasso, Raccoon City non reggerà questa crisi… i morti… loro… dovete andarvene, correre da Connie e Paul e scappare da questa stramaledetta città.” Spiegò, trattenendo a stento i singhiozzi, riferendosi a sua figlia e al padre di Martin.
“No, mamma. Non senza di te, vieni con noi.” Samuel era sconcertato, cosa voleva dire? Perché non sarebbe andata con loro?
“Non posso Samuel, hanno bisogno di me qui, non posso prendere e abbandonare i malati e i miei colleghi.” Cercò di spiegargli lei, ma il ragazzo non sembrava voler sentir ragioni.
“Non me ne frega niente, anche io ho bisogno di te, Thomas, Connie, non puoi rimanere qui, ti prego!” Samuel stava piangendo a dirotto, rendendo ancora più difficile alla donna mandarlo via.
Piper lanciò uno sguardo supplichevole a Martin, che a quel punto prese il ragazzo per un braccio.
“Andiamo, Samuel.” Gli disse, cercando di trascinarlo via.
Arrivò anche l’infermiera, che vedendo Piper dir loro di andarsene, prese anche lei l'altro braccio del ragazzo per trascinarlo fuori da lì.
Lui li strattonò cercando di farsi lasciare mentre tentavano di portarlo fuori.
“No, non voglio!” Gridò, mentre anche la madre lo spingeva in corridoio.
“Ti voglio bene, amore mio, così come ne voglio a Thomas e Connie.” Singhiozzò lei, chiudendo la porta della stanza.
“State lontani da chiunque, non date retta a nessuno e raggiungete la centrale!” Avvertì, prima di girare la chiave.
“Lasciatemi!” Samuel si liberò dalla presa dei due bussando furiosamente sulla porta.
“Mamma! Mamma!!” Gridò, ma l’altra non fece niente.
Singhiozzò in silenzio, sperando che smettesse presto.

 

Diversi minuti dopo, Samuel era ancora sulla porta, a grattare nella speranza che la madre aprisse.
Martin gli era accanto, mettendo la mano sulla sua, attaccata alla maniglia.
“Samuel, ehy, Samuel. Tua sorella e tuo fratello hanno bisogno di te.” Gli disse, destandolo dal suo stato di trance.
Lui lo guardò, per poi abbassare lo sguardo sulle loro mani.
Martin si ritrasse subito, imbarazzato, mentre l’altro si asciugò le lacrime, accennando un sì con la testa non troppo convinto.
Si diressero verso l’ascensore, pigiando poi il bottone per il piano terra.
Samuel lanciò un’ultima occhiata alla porta della camera di Tyrone, nella vana speranza di poter presto rivedere la madre.
Piper era attaccata alla porta, cercando di sentire le porte dell’ascensore chiudersi, non accorgendosi del cadavere di Tyrone che si stava rianimando.
Il ragazzo si mise a sedere, con ancora il lenzuolo in testa.
 
Quando raggiunsero l’androne dell’ospedale, Samuel e Martin lo trovarono nel caos più assoluto.
C’erano un centinaio di persone che gridavano aiuto, feriti o con parenti a cui serviva una mano, che premevano e picchiavano sui tavoli della segreteria o ai portoni delle varie corsie ospedaliere.
Il Raccoon Hospital strabordava di gente in ogni singolo reparto, a quanto pare non potevano accogliere più persone.
“Fateci entrare, aiutateci!” Gridavano.
I due ragazzi erano scioccati.
“Andiamocene da qui.” Martin strattonò ancora una volta l’amico, correndo verso l’ingresso.
Si guardarono attorno, notando cadaveri a terra o persone in preda alle convulsioni, esattamente come Tyrone.
La situazione degenerò quando uno dei malati si rialzò dal pavimento, addentando la prima vittima che gli capitò a tiro!
“Ma che cazzo!” Samuel era sconvolto, mentre la gente iniziava a gridare in preda al panico, spingendo ancora più forte le porte dei reparti.
Alcuni riuscirono a sfondarle, causando un afflusso di gente per i corridoi dell’ospedale!
I due erano quasi fuori, quando assistettero ad una scena raccapricciante.
Davanti a loro, a lato dell’entrata, un uomo era riverso su un cadavere, strappando a morsi le sue interiora.
“Cristo santo!” Martin si paralizzò sul posto, esattamente come Samuel.
L’uomo girò la testa verso di loro, ringhiando con ancora un pezzo di stomaco penzolante sulla bocca.
“Via!” Samuel prese una sedia, lanciandola sull’uomo che si era appena rialzato e piazzato davanti alla porta.
Questi cadde a terra, permettendo ai due di sprintare fuori da quell’inferno.
Sulle strade di Raccoon City la situazione non era migliore.
C’erano incendi ovunque, altri pazzi come quello dentro l’ospedale si stavano riversando sulla strade, mentre gli agenti di polizia gli sparavano contro tutto l’armamentario che avevano.
La gente fuggiva, in preda al panico, mentre svariati incidenti stradali si intravedevano per le strade.
“Vieni, di là!” Martin indicò un vicolo e i due ci si fiondarono, finendo su una lunga passerella metallica che circondava svariati palazzi.
Corsero per un po’, almeno finché non si sentirono un minimo al sicuro e lontani da quei mostri.
“Dove credi sia la centrale di polizia?” Chiese Samuel all’amico, mentre riprendevano fiato.
Campbell, si guardò in giro, almeno finché non intravide la torre dell’orologio in lontananza.
“Guarda, di là! Ti basterà seguire la torre.” Disse, indicando l’edificio diverse miglia più in là.
Marini lo guardò stranito.
“Mi basta? Te non vieni?” Disse, confuso.
Martin abbassò lo sguardo, guardando altro.
“Non posso, tua mamma ha detto che mio padre è rimasto in officina… devo trovarlo.” Confessò, facendo irritare l’altro.
“Sì, ma ha detto che sarebbe venuto alla centrale anche lui!” Sbottò, non potendo credere a ciò che stava sentendo.
“Lo so, ma io lo conosco, non lascerà incustodita l’officina, non è da lui! E lo sai che non si fida più della polizia di Raccoon City dopo quello che è successo a tuo padre.”
L’altro però non sembrava voler sentire ragioni.
“Senti, Tyrone è morto, mia madre è rimasta in ospedale con quei pazzi, non puoi andartene anche tu, ti prego.” Lo supplicò, non potevano separarsi in un momento come quello.
E soprattutto Samuel non voleva perderlo.
Si sentiva legato in una maniera assurda a quel ragazzo, soprattutto dopo quella giornata.
Aveva bisogno che facesse parte della sua vita in quel momento, che lo sostenesse.
Martin forse percepì i pensieri dell’altro, ma scosse la testa, guardandolo con sofferenza negli occhi.
“Non posso, io… devo trovare mio padre, Samuel. Veramente.” Disse, facendo imprecare il ragazzo.
Passarono alcuni istanti, ma Marini riuscì a calmarsi, prendendo un paio di respiri.
“… va bene, ma promettimi solo una cosa.” Disse, facendosi lanciare un’occhiata interrogativa da Martin.
“Quando avrai trovato tuo padre convincilo a venire alla centrale, per favore.”
Martin sorrise, non pensava che ci tenesse tanto.
Forse, in qualche modo, quella giornata li aveva uniti.
“Va bene, te lo prometto.” Vide Samuel farsi un attimo più sereno, gli abbozzò un sorriso, prima di andarsene.
“A dopo allora.” Martin lo guardò scomparire dietro a una scalinata, chiedendosi se sarebbe riuscito a mantenere quella promessa.
Per un attimo si maledì per non aver salutato l’amico come si deve, in fin dei conti quella poteva anche essere l’ultima volta che si vedevano.
 

Note d'Autore

Eccoci con il nuovo capitolo della saga di Resident Evil più emozionante di sempre! (se va beh e domani mattina è capodanno)
Come prima cosa, R.I.P Tyrone Henry, insegna agli angeli ad essere buoni solo a farsi mordere.
Qui la situa peggiora sempre di più, Martin e Samuel si separano, Valerie inizia ad avere forti dubbi sull'Umbrella, Julia e Becca sono bloccate in casa, Alice (nd: si pronuncia all'inglese come la protagonista dei film, anche se non sono assolutamente la stessa persona) è bella che svenuta e Tyrone è morto!
Diciamo che stiano entrando nel vivo della prima parte di questa storia :3
Per ora, qual è il vostro personaggio preferito?
Come credete che si svilupperà il tutto?
Martin e Samuel si rincontreranno?
Becca starà bene?
Valerie capirà che cosa sta accadendo realmente là sotto?
Quali sono i progetti di Alex?
Alice riuscirà prima o poi a riprendersi?
E soprattutto: shippate SamuelxJulia o SamuelxMartin?
 

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Capitolo 6
*** Capitolo 05. ***


REsistance


Capitolo 5.

Amare qualcuno significa anche saperlo aspettare.
Significa capire l’altro, aiutarlo a rialzarsi nei momenti più bui.
Ma se lui non c’è, in quei momenti bui, io come faccio a rialzarmi da sola?
 

24 Settembre 1998

Fuori da quella casa il mondo si era inabissato all’Inferno, grida, urla, sparatorie, mostri, ma là dentro, in quel bungalow, nascosto in quella serra, Julia Woollett si sentiva ancora al sicuro.
Il suo piccolo rifugio, in una apocalittica città ormai fuori da qualsivoglia controllo.
Certo, la serra non era più un luogo sicuro, ma finché lei restava là dentro, ne era sicura, non le sarebbe successo niente di male.
Fu proprio per quello che, nonostante l’università fosse crollata nel caos più totale, lei quella notte era riuscita ad addormentarsi sul divano del salotto, con ancora la tv accesa a trasmettere degli atroci avvenimenti a Raccoon City.
Quella mattina, alle dieci non osava ancora aprire occhio, nonostante gli incubi, nonostante l’incessante squillare del telefono di casa.
Era sprofondata in un sonno così profondo da non sentire nemmeno i passi striscianti provenire dalla camera da letto, che in poco tempo la raggiunsero in salotto.
Fu questione di un attimo, l’incubo notturno della ragazza finì, trasportandola in quello ben peggiore della realtà.
Si svegliò di soprassalto, spaventata, mentre la cornetta smetteva di squillare e la mano della madre le si appoggiava sulla spalla, terrorizzandola, se fosse possibile, ancora di più.
“Julia tutto bene? Il telefono non ha smesso un secondo di squillare, pensavo lo prendessi tu.” Borbottò Becca, sedendole accanto.
L’altra stropicciò gli occhi, ancora confusa dal sogno appena fatto.
“No, non l’ho sentito, chi era?” Biascicò, per poi lanciare un’occhiata alla cornetta.
“Non lo so, non ho fatto in tempo a rispondere.”
A quel punto la ragazza si alzò in piedi imprecando, controllando il telefono per assicurarsi che non fosse rimasta traccia del mittente e a malincuore scoprì che era così.
“Cazzo, poteva essere Samuel, è da ieri che non ricevo notizie. Chissà se Tyrone sta bene.” Sbuffò, per poi tornare dalla madre, dopo averla sentita tossire.
“E tu come stai?” Le chiese, appoggiandole una mano sulla fronte per sentirle la febbre, per poi ritrarla velocemente da quanto fosse calda.
“Mamma scotti! Dobbiamo subito correre in ospedale!” Urlò, alzandosi di botto, venendo subito fermata dall’altra.
“Non se ne parla, ho appena preso degli antibiotici, starò bene, e poi non mi fido ad andare in giro con quello che mi è successo ieri alla serra, quello schifo deve essere ancora vivo.” Spiegò la donna, per poi accendere la televisione.
“E poi guarda, la città è in tilt.”
Julia rimase sconcertata, in un servizio stavano filmando una squadra della polizia che entrava al Raccoon General Hospital, sparando all’impazzata.
“La polizia locale raccomanda di restare ognuno nelle proprie abitazioni, da tutta la città stanno ricevendo richieste di aiuto e d’emergenza, presto saranno ad aiutarvi, ma bisogna avere pazienza, il morbo dei cannibali non accenna a fermarsi, state lontani da chiunque sia ferito, isolate gli infetti e mettetevi al sicuro fino all’arrivo della polizia.”
Julia si girò di scatto verso la madre, impaurita, compassionevole, mentre lei le lanciava uno sguardo torvo.
“Ehy, io non sono stata morsa da nessuno di quei pazzi, la pianta che mi ha colpita deve essere stata velenosa, mi avrà attaccato qualche tipo di infezione, sta' tranquilla.” Le spiegò risoluta, oltraggiata dal sol pensiero che la figlia potesse pensarla come una di quegli appestati.
“Poi hai sentito, la polizia appena sarà libera verrà a darci una mano, dobbiamo rimanere tranquille fino a quel momento.”
A sentirla Julia sospirò, augurandosi che avesse ragione.
Non restava che attendere.

 

Diverse ore prima, Samuel si era appena separato da Martin, ma non con poco sforzo.
Gli era risultato difficile andarsene, nonostante la promessa di rivedersi a breve.
Sì, perché Samuel sapeva fosse un giuramento alquanto infondato, vista la situazione attuale a Raccoon City.
Si augurava però che in qualche modo l’altro facesse fede a quel momento e che si sarebbero rivisti all’interno del dipartimento di polizia da lì a poche ore.
O almeno, che sopravvivessero entrambi a quell’Inferno.
Da quanto fosse distante la torre dell’orologio, il dipartimento di polizia di Raccoon City doveva essere diverse miglia più avanti, e se in occasioni normali per raggiungerlo a piedi ci si metteva un’oretta scarsa, in mezzo a quanto stava accadendo i tempi di arrivo si dilatavano e non poco.
Per prima cosa Samuel si rese conto di un problema a cui prima non aveva dato peso: doveva attraversare mezza città, ciò andava a significare dover per forza tagliare per le strade principali, quelle più a rischio.
Fu proprio mentre scendeva dalla scalinata in cui aveva lasciato Martin che si affacciò su una delle strade più grandi di Raccoon City, dove le forze dell’ordine si erano assembrate con le auto a mo' di scudo da un gruppetto di quei pazzi, che si avvicina loro, famelici.
I poliziotti sparavano senza pietà, ma non sembravano riuscire veramente ad arrecare danno a quegli esseri.
Esseri, sì, perché di umani non si poteva più parlare, Samuel si rese ben presto conto, tra l’aggressore dell’università e i pazzi visti all’ospedale, che quelli non erano più persone, erano zombie.
La mente gli volò subito alla madre e a Tyrone, forse aveva sbagliato a rimanere davanti alla porta della camera così tanto.
Aveva visto, mentre correva fuori dalla hall dell’ospedale, che alcuni dei morti si erano come risvegliati.
Se fosse successo anche a Tyrone, mentre la madre era ancora lì… beh, non poteva pensarci, era qualcosa di veramente orribile.
Si mise a correre a testa bassa verso il prossimo vicolo, mentre i colpi dei poliziotti volavano un po’ ovunque.
Sì perché i mostri o gli zombie, come li si voleva chiamare, non provenivano soltanto dall’esterno di Raccoon City, ma anche dall’interno, quindi i poliziotti ne avevano chiusi alcuni fuori, ma molti erano proprio dentro la loro recinzione improvvisata.
In qualsiasi caso, Samuel si vide quasi spappolare la testa da un proiettile, riservato in realtà allo zombie che lo stava per attaccare.
“Scappa ragazzo, corri a casa!” Lo intimò il poliziotto che lo aveva salvato e Marini non si lasciò sfuggire l’occasione per allontanarsi, tuffandosi nel vicolo a cui puntava fin dall’inizio.
Non si fermò lì la sua corsa, si addentrò nel vicolo, cercando di capire quale fosse la strada migliore da prendere per proseguire verso il suo obbiettivo, almeno finché, al primo bivio, una pallottola quasi non lo sfiorò.
Questa volta non per colpire uno dei mostri, no, volevano prendere proprio lui.
Samuel si lanciò dietro ad un cassonetto, mentre la voce graffiante di un uomo si faceva largo per tutto il vicolo.
“La prossima ti prendo, schifoso bastardo!” Gridò, mentre gli puntava addosso la sua pistola, tremante e spaventato come un bambino.
“Non sono uno di loro!” Cercò di rassicurarlo il ragazzo, alzando le braccia in segno di resa, ma l’altro sparò un altro colpo, mancandolo nuovamente.
“Sì, certo! Lo dite tutti e poi cercate di incularmi attaccandomi alla giugulare, vero?! Se ti hanno morso non sei uno di loro, ma lo diventerai presto!” Tuonò, sparando un altro paio di colpi contro il cassonetto, ma senza recare danni al cestista.
“Merda, come evito questo stronzo?” Samuel si guardò in giro, cercando di trovare una via di uscita da quella situazione, ma con scarsi risultati.
L’altra via era sbarrata da staccionate di legno ammassate un po’ a casaccio e se avesse provato a scattare verso la direzione da cui era arrivato si sarebbe trovato un bel proiettile sulla schiena.
La soluzione arrivò con l’urlo disumano di quell’uomo, due di quegli esseri lo avevano attaccato alle spalle, attirati dalla sua voce troppo animata, inveendo su di lui come bestie affamate, facendolo cadere a terra e strappandogli a morsi la carne della schiena.
L’uomo, in preda a dolori lancianti, non morì subito, ma iniziò a sparare colpi di pistola a casaccio, non controllando più la pressione del suo dito sul grilletto.
Con quest’azione fece scattare le scale antincendio della palazzina di fianco a Samuel, che se le ritrovò davanti come un dono divino.
Il ragazzo ci si arrampicò, percorrendo poi per intero la passerella metallica, che andava a svoltare nella strada principale.
Marini vide la squadra di poliziotti che poco prima gli aveva salvato il sedere venir attaccata brutalmente da quelle bestie, sopraffatta dalla loro andatura barcollante e l’apparente immunità al fuoco bellico.
La passerella di Samuel finiva su una finestra aperta, che dava dentro ad un appartamento alquanto facoltoso.
Era l’unica via percorribile, così si fece coraggio ed entrò.
In fondo alla stanza poteva vedere la porta d’ingresso, così ci andò spedito, non senza lanciare un’occhiata sulla famiglia che stava banchettando sul cadavere del loro papà.
Era una scena orribile, ma dovette sbrigarsi, quelle bambine tutto tranne che gentili lo avevano sentito muoversi per casa e stavano già per rialzarsi dalla loro colazione per attaccarlo.
In un attimo Samuel spalancò la porta di casa e fu fuori, sul corridoio.
Si mise a correre fino alle scale che portavano di sotto, ritrovandosi al portoncino del palazzo.
Finalmente fuori, il ragazzo cercò di prendere un attimo di respiro, aveva fatto poco più di cinquecento metri da quando si era separato da Martin e già sembrava un’epopea raggiungere la centrale di polizia.

 
Gli ci volle qualche ora per raggiungere il dipartimento, ma intorno alle dieci del mattino, miracolosamente, ci riuscì senza riportare danni.
Fortunatamente tutto il quartiere intorno alla centrale non era ancora caduto per mano di quei mostri, i poliziotti appena lo videro gli intimarono di entrare, mentre tentavano di tenere sotto controllo la situazione usando le automobili e gli altri mezzi come barricate.
Una volta dentro, la prima cosa che vide fu l’immenso androne del dipartimento, una volta museo, che come al solito era permeato di sontuosità.
La seconda invece, fu il suo fratellino, Thomas, che con un grido di gioia corse ad abbracciarlo.
Era identico a lui da piccolo, se non con i capelli più lunghi e il naso più schiacciato.
“Tommy! Non hai idea di quanto sia bello vederti!” Samuel lo strinse forte, sentendosi sollevato per la prima volta da quando aveva lasciato la madre all’ospedale.
“Samuel! Stai bene!” Ad abbracciarlo corse subito anche la sorella, praticamente identica a Piper, che lo strinse più calorosamente che poteva, con la paura che potesse sparire da un momento all’altro.
“E la mamma?” Connie lo guardò preoccupata, mentre l’altro si lanciò in una lunga spiegazione di tutto ciò che aveva vissuto fino a quel momento.
Dietro di loro tre figure li stavano guardando dal tavolo della hall, mentre ricaricavano le armi.
“I fratelli Marini riuniti, Enrico ne sarebbe contento.” Fece il primo, un uomo di colore che prendeva il nome di Marvin.
“Già, speriamo solo che se la cavino.” Sospirò quello accanto, con la giacca gialla, che si chiamava Brad.
“Non fare il pessimista, Vickers, riusciremo a far tornare Raccoon City alla normalità, serve solo fare un po’ il culo a quei pazzi.” Il terzo, Elliott, era forse il più fiducioso, ma anche il più giovane.
Per questo gli altri due iniziarono a prenderlo in giro, dandogli del novellino.
Intanto, Samuel aveva appena finito di raccontare tutto alla sorella, nella sala d'attesa accanto alla hall.
“Sì, capisco, mamma è sempre stata coraggiosa e dedita al suo lavoro. Vedrai che starà bene, sa come cavarsela.” Fece Connie, seduta nei divanetti neri insieme agli altri due.
“Lo so, lo so… qui come procedono le cose? In città è un vero casino. Ho visto molti dei tuoi… beh, hai capito.” Samuel si trattenne dal dare i dettagli, vista la presenza del fratellino.
“Non bene, devo essere sincera, la faccenda ci è sfuggita di mano, non abbiamo più contatti con molti quartieri e quei mostri avanzano da ogni angolo della città.” Sospirò la ragazza, finalmente in pausa dopo un’intera nottata a tenere fuori da lì quelle bestie feroci.
“E dall’università? Si sa qualcosa di come stanno lì?” Samuel palesò finalmente la sua preoccupazione per Julia, che aveva lasciato indietro quando ancora credeva che la ferita di Tyrone fosse un problema facilmente risolvibile.
“No, abbiamo perso i contatti all’alba, mi dispiace. La sicurezza però diceva di aver la situazione sotto controllo, hanno detto di aver chiuso il cancello del campus per tenere lontane quelle cose, nonostante… avessero problemi interni, ecco.” Connie vide lo sguardo del ragazzo allarmarsi di colpo.
“Problemi di che tipo?” Chiese, preoccupato, e lei decise di essere completamente sincera con lui.
“Aggressioni interne, infermeria piena, ragazzi impauriti, cose così… hanno menzionato un qualche tipo di problema con le piante, ma poco dopo è saltata la comunicazione e non abbiamo saputo più nulla.” Spiegò, vedendo il fratello agitarsi di colpo.
“Merda, spero che Julia e Becca stiano bene.” Disse lui, facendo avanti e indietro per la stanza.
Connie fece spallucce, guardandolo tranquilla.
“Se hai il numero potresti provare a contattarle, alcuni telefoni funzionano ancora.” Propose, facendo accendere in lui ancora una speranza.

 
Pochi minuti dopo il ragazzo era con la cornetta del telefono attaccata all’orecchio, nella speranza che Julia rispondesse alla chiamata.
“Forza, rispondi...” Incitò, ma il telefono stava squillando a vuoto.
Rimase lì diversi istanti, almeno finché non cadde la linea.
“Cazzo!” Sbottò, mettendo giù con violenza la cornetta.
“Che c’è, non ha risposto?” Borbottò Thomas, seduto su un divanetto mentre faceva su e giù con le gambe.
“No, è da ieri notte che provo a chiamarla, spero non le sia successo niente.” Samuel non ebbe nemmeno il tempo di finire di parlare che una grossa esplosione fece tremare il dipartimento.
“Aaah, che succede?!” Thomas corse ad abbracciare il fratello, impaurito, mentre della polvere gli cadeva addosso dal soffitto.
Connie li raggiunse di corsa, agitata come non l’avevano mai vista prima.
“Quei pazzi hanno superato la barricata davanti al dipartimento ed il serbatoio di un autobus è saltato, dovete andarvene da qui, prima che entrino dentro!” Ordinò la ragazza, scortandoli verso un’uscita.
“Cosa? No, non ce ne andiamo senza di te!” Samuel era sconcertato, non poteva lasciar andare così un altro familiare.
“Neanche io voglio lasciarti.” Piagnucolò il piccolo, con le lacrime agli occhi.
“Ascoltami Sam, devi tenere al sicuro Thomas, correte immediatamente a casa, prendi la jeep di papà e lasciate la città!” Spiegò la maggiore, non ascoltando le proteste dei fratelli.
“Ma che dici? Non lascio te e la mamma in mezzo a quest’Inferno!” Se c’era una cosa che caratterizzava quella famiglia era la testardaggine, ma Connie lo era molto più di lui.
“Io e mamma stiamo facendo il nostro lavoro, proteggere questa città, dobbiamo rimanere qui. Ascoltami, ho già seppellito troppi amici la scorsa notte, morirei se vi succedesse qualcosa.” Disse, facendo finalmente demordere il ragazzo.
Samuel tirò un sospiro sconfitto, piegandosi al volere della sorella, ma non prima di fare una cosa.
“Aspetta, devo lasciare un messaggio.” Corse dentro gli uffici dei poliziotti, prendendo carta e penna dalla scrivania di Elliott e scrivendo un messaggio a Martin.
Nel caso in cui avesse raggiunto la stazione di polizia almeno poteva sapere di essere stato abbandonato da lui.
Tornò dalla sorella, lasciandoglielo in mano.
“Nel caso in cui dovesse arrivare Paul Campbell o suo figlio, consegnaglielo, o lascialo in un posto in cui possano trovarlo.” Le raccomandò e lei, con un cenno della testa, accettò.
“Ora andate, e tu prendi questa.” Connie mise tra le mani del fratello una beretta, in modo che potessero proteggersi.
L’altro l’accettò di buon grado, una delle cose positive di aver avuto un padre poliziotto era stata aver avuto la possibilità di accedere al poligono di tiro regolarmente.
“Ma io non voglio, voglio restare con te, sorellona!” Thomas invece non sembrava molto contento di abbandonare la sorella, non voleva, non ne capiva il motivo.
“Andate, via.”
Samuel prese di peso in fratellino urlante, attraversando l’atrio e correndo verso l’uscita di servizio posta dopo la sala conferenze.
Dovettero superare una fila di loculi posti nel giardinetto posteriore, ma presto si ritrovarono finalmente fuori.
In mezzo alle strade di Raccon City, ancora in pericolo.
 

Note d'Autore:

Eccoci tornati con un nuovo capitolo!
Questa volta quasi completamente dedicato a Samuel e al suo (ennesimo) ricongiungimento familiare.
Abbiamo avuto dei piccolissimi cameo e abbiamo presentato due nuovi personaggi: Connie e Thomas Marini, i fratelli di Samuel!
Connie non ha avuto la vera occasione di farsi conoscere, purtroppo è durata meno di Piper, ma anche lei è una donna dal carattere molto forte.
Finalmente Samuel si è armato e ora ha il compito di fuggire via con Thomas.
Ci riuscirà?
Anche il prossimo capitolo sarà Samuel-centrico, d'ora in poi, almeno per un po', ogni capitolo affronterà le dissavventure di un protagonista.
Ora tocca a Samuel, più avanti agli altri <3
Inoltre, mi spiace dovervelo comunicare, ma d'ora in poi pubblicherò un capitolo ogni tre giorni.
Purtroppo devo iniziare a concentrarmi sull'esame di maturità e non posso permettermi di stare tutto il giorno attaccato al pc e a scrivere e pubblicare, anche se mi sta divertendo molto, scusate x(
Ringrazio ancora summer per le sue recensioni simpaticissime <3

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Capitolo 7
*** Capitolo 06. ***


REsistance

Capitolo 6.

Bisogna proteggere ciò che si ama, a qualsiasi costo.
Bisogna salvare se stessi, a qualsiasi costo, prima di riuscire a proteggere qualcun altro.
Bisogna sopravvivere per salvare se stessi, a qualsiasi costo.

 

24 Settembre 1998 – Strade di Raccoon City – Samuel Marini
 

Thomas non aveva idea da quanto tempo fosse tra le braccia del fratello, ma sapeva di aver pianto per un po’ dopo aver lasciato la centrale di polizia, nonostante Samuel gli intimasse di non far rumore.
Avevano lasciato indietro la sorellona, Connie, che quasi li aveva cacciati da lì e a lui la cosa non era affatto piaciuta.
Aveva paura di stare fuori, aveva paura di stare lontano da Connie, aveva paura che potesse accaderle qualcosa.
Senza che se ne accorgesse, aveva iniziato a pioviginargli in testa, mentre stretto a Samuel osservava aldilà della sua spalla le strade brulicarsi di mostri.
Allora lui si nascondeva nel petto del fratello, nella speranza di non vederli più.
Scoprì, in quel tempo indefinito, che erano tante le persone cattive adesso.
Scoprì, inoltre, che il clown della festa in giardino di una villetta nella periferia di Raccoon City mangiava i bambini.
Soprì, nonostante il terrore, che dopotutto anche il fratellone era bravo a proteggerlo dai mostri.

 

Era ormai l’ora di pranzo inoltrata quando finalmente Samuel raggiunse il vialetto di casa insieme al fratellino.
Avevano dovuto superare un paio di momenti critici, vicoli brulicanti di zombie o persone impazzite che non volevano farli proseguire, ma con un paio di colpi della sua fidata beretta il ragazzo era riuscito a sgusciare via dai suoi problemi e andare oltre.
Gli era rimasto mezzo caricatore, ma almeno aveva capito dove quei mostri fossero deboli: la testa.
Esattamente come aveva fatto la ragazza bionda al campus, sparare alla testa era apparentemente l’unico modo per ucciderli.
Arrivati davanti alla porta di casa, Samuel si accorse di non avere le chiavi dietro, la mattina prima se le era dimenticate dentro.
“Merda.” Imprecò, iniziando a cercare la chiave di riserva sull’uscio di casa, era certo che ne tenessero una copia dentro il vaso… o forse era sotto il tappetino?
“Fratellone.” Borbottò Thomas, impaurito.
“Quella non è Niky?” Chiese, facendo voltare il ragazzo.
Nel vialetto difronte al loro, l'amica di giochi di Thomas stava avanzando verso di loro a passo lento, trascinandosi dietro un piede fratturato.
“Entriamo in casa, subito.” Ringhiò Samuel, trovando finalmente le chiavi e buttandosi dentro casa con il fratellino, non volendo assolutamente uccidere una bambina, oltretutto davanti agli occhi di Thomas.
Per entrambi fu terapeutico ritrovarsi in salotto, mentre il loro naso veniva stuzzicato dagli odori di casa a cui tanto si erano abituati e che, incredibilmente, in quel momento riscoprirono di amare.
Lì dentro nulla sembrava cambiato rispetto a fuori, era ancora tutto al suo posto, come se fosse appena iniziata una normale mattinata lavorativa.
Era tutto esattamente dove lo avevano lasciato il giorno prima, Samuel sentì una fitta allo stomaco, nel rendersi conto di quanto ora gli sembrasse lontana quella quotidianità che per anni lo aveva accompagnato nelle sue giornate e che ora si rendeva conto non avrebbe mai più potuto vivere.
Le colazioni di fretta in famiglia, il perenne bagno di sopra occupato, la madre in salotto a sistemare lo zainetto di Thomas.
Quella quotidianità che già era stata stravolta dalla morte del padre, ora si faceva più pesante, più opprimente.
Chissà se la madre stava bene, chissà se era viva.
“Fratellone… io ho fame.” Il ragazzo si girò verso il piccolo, rendendosi finalmente conto di che ore fossero.
Era l’una passata, nessuno dei due aveva mangiato e capì anche lui di avere una gran appetito: non toccava cibo da un giorno.
Preparò velocemente una pentola d’acqua e la mise sul gas, portandola a bollire.
Ci versò dentro un pacco di spaghetti.
Samuel era scombussolato, quel procedimento era così normale da sembrargli irreale.
Si rese ben presto conto di non riuscire a sentirsi al sicuro nemmeno a casa sua.
“Aspetta qui.” Ordinò al fratellino, abbandonando la cucina e andando verso il box auto, dove trovò parcheggiata la jeep del padre.
Gli fece un certo effetto rivederla, ricordare le gite ai monti Arklay, le risate che si facevano quando fingevano di lasciare indietro Connie in qualche stazione di servizio… ma non poteva lasciarsi travolgere troppo dai ricordi, da lì presto se ne sarebbe dovuto andare.
Controllò lo sportello della jeep, era chiusa.
E nel garage non sembrava esserci traccia delle chiavi.
Probabilmente erano nello studio del padre.
Rientrò in casa e andò verso l’entrata, dove si trovavano le scale per il piano di sopra.
Niky, l’amica di Thomas, batteva sulla porta, incessante, famelica.
Samuel ci pensò un attimo, poi spostò la libreria posta sul muro accanto davanti alla porta, metti che in qualche modo la bambina fosse riuscita ad entrare?
Non poteva correre rischi.
Andò al piano di sopra, dove trovò chiusa anche la porta dello studio del padre.
“Merda. E adesso?” Imprecò, non sapendo in che modo arrivare alle chiavi della jeep.
“Samu la pasta!” Dovette tornare giù, scolare la pasta e condirla con uno dei sughi della madre.
Fu proprio mentre faceva ciò, pensando a dove potessero essere le chiavi, che il telefono iniziò a squillare.
Fu un suono del tutto nuovo per il ragazzo, che ormai era da ore e ore che non lo sentiva più.
Lanciò un’occhiata confusa al fratellino, che alzò le spalle come a dire che non ne sapeva nulla.
Samuel si avvicinò al telefono, alzando la cornetta e risentendo, dopo diverse ore, la voce della madre.
“Samuel? Samuel oddio stai bene?” Esclamò lei, agitata.
Il cuore del ragazzo perse un battito, finalmente la sentiva!
“Mamma! Mamma sì, sto bene, sono qui con Thomas, te come stai?” Chiese, preoccupato, mentre gli occhi gli si inumidivano.
Tyrone allora non le aveva fatto del male.
“E’ la mamma? Voglio parlarle! Mamma!” Thomas iniziò ad agitarsi, ma Samuel lo tenne a bada.
“Grazie al cielo! Ho provato a chiamare la centrale, ma non funziona più nulla! Ho sperato che in qualche modo fossi a casa! Connie e Thomas sono con te?”
“Sì, Thomas è con me, Connie è rimasta al dipartimento e ci ha chiesto di andarcene via. Tu mamma, dove sei? Ho visto quei mostri sfondare alcune porte all’ospedale e ho pensato subito al peggio.” Continuò a chiedere il ragazzo, ma l’altra non sembrava volergli rispondere.
“Bravi, prendi la jeep di papà e andatevene da Raccoon City il più in fretta possibile. Le chiavi sono nel suo studio, se non sbaglio, e la chiave dello studio in camera mia, nel cassetto.” Spiegò la donna, appoggiando in pieno il piano della figlia.
“Okay, mamma, potrei venire a prenderti, sei ancora all’ospedale?” Insistette il ragazzo, mentre Thomas urlava per farsi passare la donna.
Piper tentennò un attimo, mentre l’altro la sentiva singhiozzare.
Samuel sentì una stretta al cuore, mentre la sensazione che quella fosse la loro ultima chiamata si faceva largo nella sua mente.
“Di a Thomas che gli voglio bene, proteggilo sempre, Samuel, da tutto ciò che può ferirlo.” Disse, con la voce rotta dal pianto.
“Mamma, ti prego, dimmi dove sei, ti veniamo a prendere, ce ne andiamo insieme!” Il ragazzo strinse i denti, mentre le lacrime solcavano anche il suo viso.
“Ti voglio bene, Samuel, non dimenticarlo mai, okay? Ti voglio bene più di ogni altra cosa al mondo.”
“Mamma, ti prego, mamma!”
“Addio.”
La donna chiuse la chiamata, lasciando Samuel a pregare al vuoto.
Se ne era andata, per sempre, non l’avrebbe mai più sentita.
Thomas iniziò a tirargli pugni sull’addome, piangendo disperato, voleva anche lui parlare con la mamma, mentre Samuel sentiva tutta la rabbia montargli su.
Con un grido liberatorio lanciò il telefono lontano, spaventando il bambino.
Il ragazzo scoppiò a piangere, trascinandosi a terra, con la schiena contro i cassetti della cucina.
Non aveva solo perso suo padre, ma anche la madre e non era nemmeno certo di rivedere più nemmeno la sorella.
Tutta la sua vita era stata appena distrutta.
“S-Samuel, h-ho paura!” Thomas si avvicinò al fratello, singhiozzante, abbracciandolo e piangendo forte come lui.
Samuel lo strinse a sé, ancorandosi all’ultima cosa che gli era rimasta in quell’Apocalisse.
Aveva solo Thomas ormai e doveva far di tutto per proteggerlo, per portarlo via da quell’Inferno.
Il tempo di riprendersi e finirono di pranzare.
Samuel salì al piano di sopra, entrò nella camera della madre e aprì il suo cassetto.
Tra un libro e dei medicinali c’era la chiave dello studio.
Il ragazzo tornò nel corridoio e girò lo chiave nella toppa della porta, appoggiandosi tremante alla maniglia.
Era la prima volta che entrava, da quando il padre era morto.
Fece un passo dentro la stanza e venne travolto dai ricordi.
Diversi anni prima, poteva avere l’età di Thomas, reduce da una discussione con Connie, corse piangendo dal padre, a farsi abbracciare e consolare.
I due vennero subito raggiunti dalla figlia più grande di Enrico, che, al contrario del fratello, sosteneva che questi facesse solo capricci.
E Samuel piangeva, piangeva sempre più forte, così il padre ammonì bonariamente la figlia, anche se a questo a Samuel sembrava più una presa in giro.
Così, tutto offeso, corse dalla madre.
In un attimo i ricordi sfumarono via e Samuel venne stretto da una morsa allo stomaco.
Forse, quel giorno, avrebbe dovuto stringere il padre un po’ di più, per ancora un po’ di tempo.
Fece un lungo respiro e si addentrò nella stanza, notando quanto niente fosse cambiato da quel giorno, stessi mobili antichi, stessa libreria, stessa scrivania e stessa teca… ma certo! La teca!
Samuel scattò verso essa, mentre i suoi occhi si illuminavano di gioia.
La doppietta del padre era ancora lì, insieme ad una decina di cartucce e un paio di caricatori per la pistola!
Il ragazzo raccolse tutto, avido, mettendosi sotto la giacca le fodere ascellari in cui tenere pistola e munizioni.
Ricaricò il fucile, sicuramente molto più efficace su quei cosi che stavano conquistando la città, e andò alla scrivania del padre.
Era perfettamente in ordine, forse l’unica cosa che stonava, nei ricordi di Samuel il padre era molto disordinato, Piper doveva averla messa a posto.
Aprì il primo cassetto, dove trovò una torcia e le chiavi della jeep.
“Ma dove la tengo tutta sta roba?” Chiese a se stesso, già i caricatori era scomodo portarli nell’imbracatura, figuriamoci anche la torcia.
Corse in camera sua, raccolse uno zaino e ci mise dentro l’indispensabile.
Una volta aver sistemato l’inventario tornò giù dal fratello, che lo attendeva seduto sul divano del salotto.
“Andiamo Thomas, è ora di lasciare la città.” Gli sorrise, mentre questi guardava affascinato la doppietta che teneva tra le mani.
Era proprio un bel gioiellino.
Una volta nel box, Samuel mise Thomas nel sedile dietro, assicurandosi che fosse ben sistemato nel seggiolino, per poi andare ad aprire la saracinesca.
Appena la tirò su venne inondato nuovamente dal caos di Raccoon City, tra gente urlante, il grugnito di quei mostri e le esplosioni che percorrevano tutta la città.
Lanciò una rapida occhiata alla porta di casa, da cui Niky si era già staccata per andare verso di lui e divorarlo.
Corse quindi dentro la jeep, appoggiò fucile e zaino nel sedile di fianco al suo e partì a tutto gas, pronto ad andarsene finalmente da quella città.
Le strade erano un vero casino, tra vie barricate, gente impazzita che correva in preda al panico e zombie che uscivano da ogni angolo, andarsene si stava dimostrando più ostico del previsto.
Almeno finché non riuscirono a trovare una strada apparentemente sgombra da tutto quel caos.
“Samu dove stiamo andando?” Borbottò Thomas, dietro, facendo un attimo rimuginare il ragazzo.
Ancora non lo sapeva, ma dovevano arrivare alla prima stazione di servizio fuori Raccoon City.
Aveva promesso a Martin che si sarebbero rivisti, ma prima doveva mettere al sicuro Thomas.
Gli aveva lasciato un messaggio, sul foglio dato a Connie.
Diceva che se ne sarebbero andati da lì, che sarebbero scappati dalla città e che lo avrebbero aspettato alla stazione di servizio appena fuori Raccoon City.
Sperava, in cuor suo, che Martin riuscisse a trovare Connie e leggere il messaggio, che si sarebbe salvato.
“Non lo so, Thomas, ma sicuramente in un posto sicuro, fuori da qui.” Samuel per un attimo guardò lo specchietto retrovisore, sorridendo al fratellino.
Fu questione di pochi secondi.
Uno scuolabus spuntò da un incrocio, travolgendoli.
La jeep venne spinta fino ad un lampione, decappottandosi e strisciando per qualche metro sull’asfalto.
Dentro il rottame, Samuel e Thomas avevano perso i sensi.

 

Note d'Autore:

Eccoci tornati!
Scusate per il ritardo, ma sono stati veramente giorni intensi, dal punto di vista scolastico ahahaha
Ho cercato di ritagliarmi un pomeriggio per scrivere e pubblicare, ma molto presto dovrò tornare a studiare x(
Help me, non ce la faccio più.
Allooora, capitolo interessante, no?
Piper abbiamo scoperto che è ancora viva, forse, non sappiamo ancora per quanto, se sta bene, se è stata morsa, se è in ospedale o no, chissà!
Non so se tornerà nella storia, dubito, diamola per dispersa per ora ahahaha
Samuel ha una nuova arma, but ha avuto un brutto, bruttissimo incidente con il fratellino!
Cos'accadrà?
Bella domanda, ma il prossimo capitolo è completamente dedicato a Martin, quindi non sapremo il loro destino ahahaha
sono crudele, lo so.

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