HEX || Non è Harry Potter.

di caprafuribonda
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Non è romantico. ***



Capitolo 1
*** Prologo ***



Se mi avessero avvertita prima di quello che avrei dovuto passare una volta tornata a casa quel venerdì pomeriggio, forse avrei scelto di prendere una via diversa, magari diretta in qualche città sperduta lontana da tutto e tutti, dove sarebbe stato possibile evitare qualsiasi tipo di problema o malinteso.
Ma partiamo dal principio. Nulla di troppo esteso, la mia storia non ha niente di speciale e soprattutto io sono sempre stata astemia da ogni tipo di avvenimento traducibile con aggettivi quali "avventuroso", "strabiliante" o "fantomatico".
La mia infanzia l'ho trascorsa con estrema felicità, l'adolescenza un po' meno. Passare dalle bambole che facevano pipì agli assorbenti intrinsechi del mio sangue non era stato molto facile. Mia mamma al contrario aveva festeggiato, entusiasta del mio essere divenuta "donna" finalmente e dico finalmente perché per accoglierlo in famiglia, il mio amico ciclo aveva dovuto aspettare che io compissi quasi quattordici anni.
Eppure non avevo mai fatto richiesta di apportare modifiche alla mia vita, tantomeno di soffrire di un dolore atroce una volta ogni mese.
Tralasciando questi dettagli, anche poco importanti, in fin dei conti mi ero sempre ritenuta fortunata già dalla mia nascita. I miei genitori mi avevano perfino dato un bel nome, non troppo strano, ma nemmeno eccessivamente comune. Sta di fatto che mi andava a genio, non mi dispiaceva e nessuno ci faceva battute o aveva l'opportunità di crearci rime da rapper falliti sopra.
Il nome in questione è Tanja e per intero Tanja Gallygher, cognome poco conosciuto, ma dai grandi valori o almeno questa è la tipica scusa che si inventano tutti per farti credere di non valere zero nel mondo.
Insomma, nulla di cui lamentarsi troppo. Vivevo in un ambiente felice, con una famiglia economicamente stabile e due genitori che trascorrevano la maggior parte del loro tempo scambiando effusioni d'amore. A mia detta definirei quest'ultima situazione anche abbastanza vomitevole.
Perfino la scuola andava bene. Certo non ero una secchiona o studiosa di prima categoria, ma non facevo nemmeno così tanto pena. Mi impegnavo a modo io, ecco.
Come avevo già detto, il problema principale si fece avanti un venerdì pomeriggio qualunque, non diverso dagli altri.
Stavo tornando a casa dopo aver bighellonato¹ in giro con il mio solito gruppo di amici piuttosto squilibrati. Si trattava comunque di qualcosa di normale, nulla di nuovo.
Era usuale per me trascorrere in quel modo il tempo, anche perché stare a casa tutto il giorno era alquanto deprimente ed era un'ottima soluzione per disintossicarsi dalle troppe serie TV guardate e consumate.
Quel giorno comunque, avevo programmato di trascorrere il fine pomeriggio in completo relax una volta tornata nel mio covo privato: povera sciocca.
Entrata in casa ero stata colta alla sprovvista dalla mia professoressa di madrelingua francese che, con i suoi capelli a caschetto, si dondolava sulla sedia aggiungendo quantità di zucchero nella tazzina ripiena di caffè impensabili e fuori dalla norma per qualsiasi altro essere umano.
Il mio primo pensiero fu quello di una bella insufficienza nell'ultima verifica scritta di Francese. Non ero un arco di scienza in quella lingua e non era nemmeno un segreto tanto per essere precisi.
Poi però pensai che il suo sguardo poco sobrio, come quello di mia madre, suggeriva dell'altro. Insomma, capisco l'essere sadici, ma non fino al punto di sorridere come se ti stessero aumentando lo stipendio.
Siccome nessuno aveva intenzione di parlare, decisi che la prima mossa sarebbe toccata a me, anche perché mi ero stancata di quel silenzio imbarazzante e dannatamente fastidioso. Tutte e due erano troppo impegnate a manifestare una sorta di felicità tramite espressioni abbastanza ambigue.
«Quindi? Mi volete dire che succede o siete affette da qualche tipo di paralisi facciale?» mia mamma doveva aver poco apprezzato la domanda, infatti si era quasi strozzata con il caffè. Almeno non sorrideva più come un ebete.
Arrivati a questo punto, chiunque si sarebbe aspettato il discorsone del secolo, quello che ti fa gelare il sangue e allo stesso tempo provare uno stupore sorprendente. La tipica spiegazione da film. In questo caso, lo sceneggiatore della mia vita doveva aver cambiato prospettiva perché l'unica risposta che decise di dirmi la professoressa Nancy fu «sei una strega». Pazzesco vero? Non che io non ci credessi, ma avrei preferito un minimo di mistero, giusto per rendere tutta la faccenda più drammatica.
È mio dovere precisare che nessuno nella mia famiglia aveva mai manifestato strani comportamenti, tantomeno riguardanti il sovrannaturale. Allora perché mi ero ritrovata in questa scomoda situazione?
Alla mia nascita, mio padre, amante del "Faust"², decise di seguire le orme del protagonista di quella stravolgente storia e solo per risolvere i suoi problemini di Disturbo Ossessivo Compulsivo. La parte più interessante fu però il richiamare a sé una strega piuttosto che il diavolo e per sdebitarsi promise che la sua futura figlia sarebbe venuta in soccorso dell'intero mondo il giorno dell'Apocalisse.
Peccato che in questo caso la fine del Mondo non c'entrasse un bel niente, ma la cosa che più mi aveva esterrefatta era stata la pigrizia di mio padre che avrebbe potuto fare semplicemente ricorso ad una buona terapia e invece aveva venduto la vita di sua figlia senza pensarci due volte.
In sostanza, avrei preferito una bella fuga alla ricerca dei mammuth ormai estinti, piuttosto che prendermi certe responsabilità nemmeno per mia scelta personale tra l'altro.
La situazione degenerò soprattutto quando fui costretta a sottopormi ad un test, a mio parere davvero inutile.
Tanto per cominciare nessuno mi aveva chiesto se fossi d'accordo ad offrirmi come eroina nazionale in tutta questa faccenda e poi non avrei mai indossato un mantello nero a quasi inizio estate. Vorrei vedere loro andare in giro a scuotere una bacchetta con 42 gradi all'ombra.
Sta di fatto che in questo modo, totalmente a caso, ebbero inizio i miei problemi che fino a quel momento erano, se non inesistenti, almeno innocui. La cosa peggiore che sarebbe potuta capitarmi prima era dover fare il famoso "discorsetto" a mia madre perché dubito che lei avrebbe mai avuto il coraggio di farlo a me.
***

Bighellonare¹: Andare a zonzo senza meta, oziando; perdere il tempo invece di lavorare. (Fonte: Treccani)
Faust²: Faust è un poema drammatico del 1808 scritto da Johann Wolfgang von Goethe. L'opera si ispira alla tradizionale figura del Faust della tradizione letteraria europea. Nel suo poema, Goethe racconta il patto tra Faust e Mefistofele, il loro viaggio alla scoperta dei piaceri e delle bellezze del mondo. (Fonte: Wikipedia)

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Capitolo 2
*** Non è romantico. ***


Erano ormai passate già due ore da quando Nancy era entrata nella mia umile dimora obbligandomi a leggere un manuale di istruzioni, che si vantava di aver scritto, di circa 28 pagine.
«Perché mai dovrei leggere 28 inutili pagine per comprendere come utilizzare una sfera di cristallo?»
«Dovresti solo essermi grata» mi bacchettò la strega, «È sicuramente più chiaro e conciso della versione originale!».
Inutile dire che la sua concezione di "chiaro" e "conciso" doveva essere molto contorta. Pur consistendo in meno pagine rispetto a quelle usualmente assegnate per una comune interrogazione scolastica, quel prontuario¹ era di una complessità insostenibile alla lettura e alla comprensione, almeno per una persona avente le mie capacità. Eppure non avevo mai faticato a leggere e assimilare in poco tempo dei concetti.
 
La stanchezza mi aveva pervasa e, vista la quantità di tempo impiegata in queste "lezioni extra", era giunto il momento di alzarsi senza dare troppo peso alla reazione di Nancy. A suggerirmi questa magnifica idea era stato il mio sedere dolorante e appiattito per il lungo contatto con la superficie solida della sedia di legno. Nancy aveva alzato l'indice destro e aveva spalancato la bocca pronta a sputare una delle sue solite frasi canzonatorie.
«Sono davvero esausta!» gridai anticipandola, «Se sono in questa situazione non è per mia scelta». 
«Lo so» aveva ammesso sconsolata. «Per oggi è tutto. Ripassa i concetti chiave per il prossimo incontro».
«Perché non passare direttamente alla parte pratica?».
La professoressa roteò gli occhi di tutta risposta e si infilò la giacca bordeaux ripetendo nuovamente "Concentrati sui concetti chiave", sparendo infine nel nulla. 
 
Il giorno dopo mi era stato concesso del tempo libero. Avevo deciso di trascorrere il pomeriggio al parco. L'estate era ormai vicina e così la fine del mio penultimo anno scolastico da liceale. 
L'odore dell'erba bagnata dagli irrigatori, il sole caldo del primo pomeriggio di maggio e la piacevole arietta di una primavera ancora troppo poco stanca per andare in letargo davano la sensazione di trovarsi in paradiso, oscurando tutta la mia difficile situazione attuale.
«Bella là Gallagher!» mi aveva salutata Fips. Si era piazzato proprio davanti a me facendomi ombra. Teneva in mano, quasi con fatica, la sua inseparabile mountain-bike rosso fiamma.
«Sei caduto di nuovo?»
«Da cosa lo hai capito? Caz...» iniziò ad imprecare controllando, per quanto gli era possibile, la ferita ancora fresca poco sopra la ginocchiera sinistra. 
 
Fips era stato il mio primo ragazzo e anche la mia prima scopata. La nostra relazione non era durata più di un mese, in terza liceo. I motivi che ci spinsero a metterci insieme erano stati la solitude e anche, in particolar modo, gli ormoni. Eravamo nel pieno della nostra adolescenza e non mancava di certo la curiosità di fare le prime esperienze, soprattutto a livello sessuale. Almeno potevo vantarmi di aver perso la mia verginità in modo assolutamente piacevole, poiché il ragazzetto ci sapeva fare e, nonostante la sua rozzaggine, a letto era un vero galantuomo. Peccato fosse un rapporto privo d'amore e pieno solo di amicizia e stima reciproca.
Io e Fips non eravamo compatibili.
 
«Domani ci sei alla festa?» 
«Quella sulla spiaggia? Di già?»
Lui annuì. 
«Ultimamente sono impegnata con...» e Fips scoppiò a ridere impedendomi di finire la frase. 
«Tranquilla, lo so che non ti va» aveva poi detto accellerando il passo.
«Spero di poter venire con Julia!»
Le ruote della bicicletta avevano smesso di muoversi sul terriccio polverso e il mio amico si era voltato felice, forse per il nome appena pronunciato.
 
Ricordo il primo incontro tra Julia e Fips. Io e il ragazzetto avevamo messo da poco una pietra sopra la nostra storia da teen fiction americana. Julia aveva appena incominciato a frequentare il mio corso di lingua spagnola e, inevitabilmente, avevamo subito fatto amicizia, un po' per noia un po' per curiosità. Quando le mostrai Fips, Julia si mostrò subito interessata pur non volendolo ammettere, forse a causa della nostra relazione passata. In ogni caso tra i due fu tutto fumo e niente arrosto, ma Fips rimase comunque particolarmente legato a quella bella riccioli d'oro della mia amica. 
 
Quella sera ero tornata a casa malinconica. Fips mi aveva fatto compagnia per tutto il tragitto di ritorno e nel mentre avevamo parlato del più e del meno, come due amici che non si vedono da tanto. Poi era sparito con la sua bici, lasciandomi davanti il cancelletto che portava nel cortile del mio palazzo.
Avevo infilato la chiave nella serratura e l'avevo girata, scatenando nell'aria un interminabile click. Aperto il cancello mi ritrovai davanti una casetta apparentemente desolata circondata da un giardinetto pieno di ortaggi anche fuori stagione: carote, zucche, pomodori, piselli, peperoni... 
 
Poi il mio occhio cadde sulla scricchiolante porta in legno. Una graziosa bambina con indosso un grembiule verde pallido mi guardava sorridendo. 
«Hai intenzione di entrare o no?» mi aveva domandato una voce alle mie spalle. 
«Nancy?».
 
***
 
Prontuario¹: manuale contenente i dati o le nozioni più importanti relativamente a una disciplina, ordinati in modo da renderne agevole la ricerca e la consultazione. (Fonte: Google)
 

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