DALLA PARTE DI GREGOR

di JAPAN_LOVER
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Un nuovo incarico ***
Capitolo 2: *** Arginare i danni (Prima parte) ***
Capitolo 3: *** Arginare i danni (Seconda parte) ***
Capitolo 4: *** Friendly match ***
Capitolo 5: *** Addii, arrivederci e partenze (Prima parte) ***
Capitolo 6: *** Addii, arrivederci e partenze (Seconda parte) ***
Capitolo 7: *** Welcome to Japan ***
Capitolo 8: *** Buona la prima ***
Capitolo 9: *** Dalla parte di Gregor ***
Capitolo 10: *** Spiriti bollenti ***
Capitolo 11: *** Hanami in piena estate (Prima parte) ***
Capitolo 12: *** Hanami in piena estate (Seconda parte) ***
Capitolo 13: *** Hanami in piena estate (Terza parte) ***
Capitolo 14: *** Scelte ***
Capitolo 15: *** Un uomo (Prima parte) ***
Capitolo 16: *** Un uomo (Seconda parte) ***
Capitolo 17: *** Un uomo (Terza parte) ***
Capitolo 18: *** Final four ***
Capitolo 19: *** Sei tu il mio oro ***
Capitolo 20: *** Il rientro ***
Capitolo 21: *** Un nuovo inizio ***
Capitolo 22: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Un nuovo incarico ***


UN NUOVO INCARICO
 

GREGOR

Mi presento, sono Gregor Startseva, allenatore della nazionale italiana maschile di pallavolo.
Io e la mia squadra abbiamo appena ottenuto un altro successo: dopo tanto lavoro siamo riusciti a conquistare la medaglia d'argento ai mondiali in Brasile. Grande prestazione quella dei miei ragazzi, che purtroppo a Brasilia hanno capitolato in finale contro la formazione cinese.
Non ho niente da recriminare a me stesso, nulla da rimproverare ai miei ragazzi, semplicemente la Cina si è dimostrata superiore e, in alcune occasioni, anche molto fortunata.
Esco dalla doccia, mi asciugo e mi vesto, mentre lo specchio di fronte a me mostra un giovane uomo di 34 anni alto 1, 97 m e con un fisico ancora ben scolpito. Mi piace mantenermi in forma, sebbene non entri in campo ormai già da qualche anno. I miei occhi di un grigio acceso, la carnagione diafana e la mascella pronunciata sono tratti che tradiscono le mie origini sovietiche, mentre i miei capelli neri ribelli mi sfiorano la nuca.

Mi infilo in tutta fretta la polo azzurra da CT e mi sistemo il colletto un po' sgualcito. Quella azzurra è una maglia che ho sempre onorato: in panchina e in campo, da riserva e da titolare, e continuo a onorarla anche adesso in veste di allenatore. Sono un tipo piuttosto preciso e amo la puntualità, quindi mi catapulto fuori di casa e guido fino al Polasport. Spero con tutto me stesso di essere all'altezza delle aspettative anche questa volta, ma guidare nella nazionale una squadra femminile già schierata, che non conosco, a soli sette giorni dall'inizio delle competizioni è dura, anche per un tecnico abile come me.
Appena scendo dall'auto, mi viene incontro il signor Mengaldi, un rappresentante della dirigenza sportiva, insieme a Paolo Nastasi, il secondo allenatore della squadra. In mezzo a questo gran casino, sono felice di trovare il mio vecchio amico Paolo, che sarà il mio compagno di sventura in questa impresa.
Mengaldi è un signore di mezz'età stempiato e piuttosto in carne, mi stringe calorosamente la mano con un'espressione desolata stampata sul volto, che ha davvero il potere di indispormi ancora di più.
"Starsteva, ancora congratulazioni per la medaglia conquistata in Brasile! I ragazzi sono stati eccezionali e le sue strategie vincenti. Un vero trionfo!" dice, asciugandosi con un fazzoletto la fronte sudaticcia.
E per lui non posso che provare compassione. D'altronde, il signor Mengaldi ha solo l'ingrato compito di mediare fra me e chi mi messo in questa situazione, che vigliaccamente si nasconde dietro le sue spalle.
"La ringrazio molto, signore!" rispondo semplicemente.
Ci addentriamo nella grande struttura sportiva, la stessa in cui solitamente mi alleno anch'io con i miei campioni.
Lungo i corridoi sento le grida e le risate delle ragazze provenire dagli spogliatoi. Quanto baccano, sono più rumorose dei miei atleti, di quegli azzurri che ho scelto e selezionato personalmente con cura per la mia impresa e che si sono guadagnati, con spirito di sacrificio, il secondo posto sul tetto del mondo. Quei ragazzi che ho seguito fin da giovanissimi e di cui conosco perfettamente la tecnica e le capacità, i punti deboli e i punti di forza sui quali pianificare azioni vincenti.
"Signor Startseva, la dirigenza ci tiene molto ad esprimerle tutta la gratitudine per quello che ha fatto in Brasile e per quello che farà a Tokyo, a prescindere dall'esito!"
"Faremo tutti del nostro meglio!" assicuro.
Ed è vero, mi impegnerò anche questa volta, anche in questa causa già persa in partenza.
"Non ho dubbi! Non ho dubbi - si affretta a rispondere l'omaccione - infatti adesso tolgo il disturbo, vi lascio al vostro lavoro. In bocca al lupo per tutto!"
Non posso fare a meno di sorridere divertito, mentre lo vedo sparire di gran carriera. La verità è che mi sento preso in giro da una federazione, per la quale ho dato anima e corpo fin da quando ero solo un ragazzino.
"Il povero Mangaldi non vedeva proprio l'ora di svignarsela! Certo che lo hai intimorito parecchio!" ride Paolo.
"Chi? Io?"
"Sei stato così freddo e formale - osserva il mio amico - so che sei arrabbiato, Gregor, ne hai tutto il diritto visto la patata bollente che ti hanno affidato, ma ambasciatore non porta pena. È con quegli stronzi della dirigenza che devi prendertela!"
Paolo ha ragione, lo so, e mi limito semplicemente ad annuire. Perché sono veramente arrabbiato, perché so che di punto in bianco la mia carriera piena di successi verrà irrimediabilmente segnata da qualcosa che non dipende assolutamente da me.
Quindi mi siedo sulla panchina e comincio a consultare gli appunti di Pandolfi, il mio predecessore che, senza preavviso, ha abbandonato la nave e ha ceduto a me il timone impazzito. Poi, passo in rassegna le schede informative delle mie giocatrici, tutte giovanissime. Osservo che l'età media si aggira intorno ai 22 anni, merda!
Sgrano i miei occhi grigi e increduli.
"Ti prego, dimmi che tra loro c'è già qualcuna con un po' di esperienza nella nazionale... anche come riserva...anche come mascotte o raccattapalle...!"
Paolo scoppia a ridere, anche se non vorrebbe data la situazione veramente critica.
"Si, rilassati. Sono giovani, ma quasi tutte sono state convocate agli Europei di due anni fa!"
"Grazie al cielo!" tiro un lungo sospiro di sollievo, e un po' mi rilasso davvero.
Finalmente è una buona notizia, quanto meno lavorerò con ragazze che hanno già dimestichezza sul parquet internazionale. Inoltre, Paolo, il mio secondo, è una persona di cui mi fido e conosce già molto bene le giocatrici schierate da Pandolfi.
E mentre discutiamo nella panchina, ben dodici chiassose ragazze fanno il loro ingresso e, con disinvoltura, animano il campo deserto fino a un attimo prima. Tutte alte, tutte belle, tutte prestanti, ma anche fin troppo vivaci. E un po' mi dispiace, ma non riesco a impedirmi il paragone con i miei eroi dalla medaglia d'argento, certamente vivaci anche loro, ma assolutamente ben disciplinati.
Paolo mi dà una pacca fraterna sulla spalla. Mi conosce abbastanza da leggere nei miei occhi insondabili tutto lo sconforto che ho dentro, e mi rendo conto che non potrei fare a meno di lui in questa impresa.
"Amico, ricordati che siamo una squadra! Sono qui per loro, ma sono qui anche per te! Voglio che tu sappia che puoi fare affidamento su di me in ogni momento!" sussurra.
Sfodero finalmente un sorriso convinto e annuisco, profondamente grato.
Paolo ricambia il sorriso e porta alla bocca il fischietto che porta al collo, per attirare l'attenzione delle atlete. Come richiamate all'ordine, le ragazze si avvicinano subito in silenzio, chiudendoci in un semicerchio. Sento la mia schiena rigida, rilassarsi improvvisamente. Forse, queste ragazze non sono poi così indisciplinate come credevo.
Mi presento subito, abbiamo poco tempo per entrare in confidenza, manca solo una settimana alla partenza per il Giappone, devo imparare a conoscerle e loro devono imparare a conoscere me, a fidarsi soprattutto.
"Buongiorno a tutte, il mio nome è Gregor Startseva. Sono un ex-palleggiatore e attualmente alleno la nazionale maschile. Nel 2006 sono stato medaglia d'argento ai mondiali di Londra, nel 2008 medaglia di bronzo alle Olimpiadi di Rio De Janeiro e nel 2010 medaglia d'oro agli Europei"
Passo in rassegna i miei successi, ma non amo affatto vantarmi: semplicemente so che devo far di tutto per conquistare la loro stima e la loro fiducia. Se voglio guidarle, queste giovani ragazze devono pendere dalle mie labbra. Quindi continuo, sperando vivamente che questo possa servire a qualcosa:
Come vi dicevo, durante la mia carriera sono stato un palleggiatore. Chi di voi, occupa questo ruolo in squadra?"
Un profondo silenzio aleggia per qualche istante.
"Nessuno!" risponde finalmente una ragazza dal grazioso viso tempestato di lentiggini e con gli occhi nocciola e i capelli rossicci raccolti in una coda.
"Non abbiamo una palleggiatrice" risponde con più decisione, un'altra ragazza con il caschetto nero e chi occhi azzurri.
"Prego?" replico.
Che abbiano voglia di scherzare? Cerco con gli occhi Paolo che, costernato, si morde le labbra e mi bisbiglia all'orecchio:
"Non te l'hanno detto? Anche la palleggiatrice di punta, Anna Valente, ha abbandonato. Non ha fornito spiegazioni, si presume un lutto improvviso!"
Mi passo una mano sulla fronte e prendo seriamente in considerazione l'idea di mollare tutto e andarmene. Respiro profondamente, reprimo quest'idea così allettante e prendo di nuovo la parola:
"Ok... ho qui l'elenco delle vostre generalità e dei vostri ruoli. Vi chiamerò una per una, così... tanto per cominciare a conoscerci."
Le ragazze non fanno cenno, restano perfettamente immobili, tranne qualcuna che si limita ad annuire.
"Bene, partiamo dal capitano. Capparelli Lucia"
Nessun risposta, comincio seriamente a perdere la pazienza.
"Ho detto Capparelli Lucia! C'è?"
"Eccomi!" una voce decisa precede l'entrata di corsa della ragazza interpellata.
E' alta, ha due grandi occhi nocciola, un naso piccolo regolare e sbarazzino, capelli mossi biondo cenere legati indietro in una lunghissima coda. Con disinvoltura affianca le sue compagne in cerchio e io, davvero, non riesco a sorvolare:
"Ma buongiorno!"
"Buongiorno!" risponde, ignorando volutamente il mio tono di rimprovero.
E alzo i toni, mentre quei due grandi occhi sostengono sfacciatamente il mio sguardo, giustamente severo:
"Puntualità, apprezzerei più puntualità da parte vostra. Sono già le 9:30!"
E alla fine sono io stesso che interrompo questo teso contatto di sguardi. Mi impongo di calmarmi e smetto di stritolare fra le falangi questi poveri fogli, che proprio non mi hanno fatto niente.
"Mandelli Giulia, libero" proseguo.
La ragazza con i capelli rossi e le lentiggini di prima alza la mano.
"Bigonciari Camilla, schiacciatrice"
La ragazza dal caschetto corvino alza la mano.
"Deledda Cristina, centrale"
Una ragazza con la carnagione olivastra e due grandi occhi neri solleva, a sua volta, la mano.
Ho una memoria discreta. Quando finisco l'appello sono già in grado associare un nome alla maggior parte dei loro volti. Abbiamo ancora tanta strada da fare e continuo, consapevole di ciò:
"Bene, vedo che siete in dodici. Direi che possiamo cominciare con mezz'ora di riscaldamento, dopo di che vi suddividerò in due squadre. Ho bisogno di vedervi giocare...e trovare assolutamente una palleggiatrice"
Le congedo così, e le ragazze cominciano a correre lungo il campo.
Sprofondo sulla panchina, mi passo una mano sugli occhi e poi continuo a osservarle ridere e chiacchierare tra loro, chiedendomi come sia possibile che proprio io sia finito in una situazione del genere.
La mano di Paolo arriva calorosa sulla mia spalla.
"Mi hanno proprio incastrato!" sibilo.
"Nessuno pretende l'impossibile da te! Credimi, la tua carriera non verrà intaccata, la federazione ti ha messo in una situazione di merda, ma sa quanto vali!"
E vorrei tanto crederci, ma sono fatto così: ci metti l'impegno, il cuore, l'anima e, quando vedo le cose sfuggirmi di mano senza che possa farci niente, ne soffro.
"Sarà dura, sono abituato a collaborare con una squadra che sento mia, che sento che ha fiducia in me. Qui è diverso, lo so che a loro non piaccio"
"Come puoi dirlo? Ti hanno visto questa mattina per la prima volta!" replica il mio amico.
"Non lo so... forse mi vedono troppo giovane. Loro sono abituate a un coach come Pandolfi che ha 60 anni. È normale che lui esercitasse su di loro una certa autorevolezza, mentre io sembro il loro fratello maggiore che brontola e le bacchetta"
Paolo ridacchia e anch'io mi lascio andare. Questa situazione è davvero assurda, e non so se ci sia più da ridere o da piangere.
"Eh già, Pandolfi le faceva rigare dritto!" conviene Paolo.
"A proposito, perché diavolo si è ritirato così all'improvviso? Non poteva aspettare, portare a termine questa maledetta competizione e andare dopo in pensione!"
"Ne so quanto te, amico. Sono qui da un anno e davvero non mi capacito. La sera prima ci dà appuntamento al giorno dopo e al mattino non si presenta agli allenamenti. Che posso dire? Magari ha scoperto di avere qualche problema serio di salute!"
Scuoto la testa con perplessità, ormai non ha importanza.

 

LUCIA

Corro veloce facendo il giro del campo. Dietro di me, Cristina mi racconta l'ennesimo tentativo fallito con il suo storico ex fidanzato:
"Credimi, la serata era andata benissimo. Cena deliziosa, vino pregiato, chiacchiere come ai vecchi tempi, mi riaccompagna sotto casa e... niente! Se ne va, dicendo che questa mattina si sarebbe dovuto svegliare presto!"
"Magari è proprio così!" le rispondo, senza però crederci fino in fondo.

"E anche se fosse? - sbotta lei, atterrita - anche se mi fossi dovuta svegliare alle 5, io sarei salita lo stesso da lui, avrei bevuto un altro bicchiere di buon rosso, avremmo fatto una sana scopata e, anche senza rimanere necessariamente a dormire, me ne sarei tornata a casina mia! Lui invece che fa? Molla tutto sul più bello!"
Cristina conclude il tutto lasciandosi andare ad un urlo di rabbia liberatore.
E' precisamente da un mese che la mia amica tenta di ricucire i rapporti con Michele, il suo fidanzato storico. Quello che io, in tutto questo tempo, sto tentando di farle capire è che una volta che il vaso si rompe, non c'è nulla da fare. Anche rimettendo insieme i cocci, non ritornerà più quello di prima.
Stesso concetto che, senza successo, tento di trasmettere a Mirko, il mio attuale ex, anche lui pallavolista di professione.
Questa mattina, mi ha fatto un certo effetto arrivare in palestra e trovare il suo coach. Ho sentito salire il sangue al cervello nel trovare questa mattina Gregor Startseva, ora anche mio allenatore. Mi ha portato alla mente tutti i ricordi di quando andavo ad assistere il mio ragazzo durante gli allenamenti e le partite.
Probabilmente sono stata fredda e ostile, anche parecchio irrispettosa visto il mio innegabile ritardo, ma sono troppo orgogliosa perfino per ammetterlo a me stessa.
"
Devi deciderti a lasciarlo andare!" consiglio poi alla mia amica.
"Ma non voglio e nemmeno lui, ne sono sicura, altrimenti perché mi avrebbe invitata a cena?" piagnucola lei.
"Perché anche lui, come te, si attacca ai ricordi e non vuole perderti, ma Cris, abbiamo 24 anni, alla nostra età non si vive di ricordi, li si costruisce!"
So di essere stata dura, ma a un certo punto è necessario.
Non sento repliche e, senza perdere il passo, mi volto verso la mia amica che mi scruta con i suoi occhioni neri, mentre il viso tondo e olivastro è contratto in un broncio. Sa che ho ragione!
Ridacchio e torno a concentrarti sul mio corpo, sui miei muscoli che ormai si sono scaldati abbastanza, ma non prima di darle un ultimo suggerimento:
"Sorridi, Cris, pensa che fra una settimana saremo dall'altra parte del mondo. Approfitta di questo per mettere la giusta distanza fra voi. Magari un bel giapponese ti farà perdere la testa e sarai tu stessa a dimenticare Michele!"
E piano, la sento capitolare sommessamente:
"Forse hai ragione, forse mi converrebbe davvero approfittare di quest'occasione!"

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Capitolo 2
*** Arginare i danni (Prima parte) ***


ARGINARE I DANNI (PRIMA PARTE)


GREGOR

Ho trascorso le ultime notti insonni per guardare i video dello scorso campionato femminile.
Devo ammettere che la formazione schierata da Pandolfi è stata studiata davvero bene, probabilmente non avrei fatto diversamente.

Resta però il fatto che quest'ultimo mi ha lasciato una bella matassa da sbrogliare e, assolutamente, devo sbrigarmi a trovare una nuova regista * per la squadra.
In questi primi giorni di allenamento insieme, ho studiato attentamente le mie giocatrici, le ho divise in due squadre cosicché, a rotazione, ciascuna di loro provasse sotto rete il ruolo di palleggiatrice.
Odio sentirmi sotto pressione, ma il tempo stringe: lo sento scorrere inesorabile e sfuggirmi fra le dita. Con le ragazze sto facendo del mio meglio. Loro mi osservano, mi seguono, non replicano mai, rimangono ermetiche, chiuse a riccio nel loro gruppo. Non riesco a entrare in sintonia con loro e questo, per un coach come me che punta tutto sul gioco di squadra, è un grosso problema.
Neanche questa notte sarà diversa dalle altre. Mi preparo a trascorrerla così, in compagnia dei filmati e del mio blocchetto di appunti, disteso comodamente sul mio letto a una piazza e mezza, a gambe sciolte, in canotta bianca e pantaloncini blu.
Suona il campanello, e sono costretto a stoppare il video su una bella azione d'attacco di Capparelli. Salto giù dal letto e raggiungo, a piedi nudi, la porta d'ingresso, chiedendomi chi possa essere alle 9 di sera. Rimango un po' sorpreso nel trovarmi davanti Paolo, con due scatoloni di pizza.
"Qualcuno ha ordinato la pizza?" il mio amico strizza l'occhio, lieto della sorpresa riuscita.
"Ultimamente sei il mio salvavita, lo sai?" rispondo, sentendo un brontolio provenire dallo stomaco.
"Lo so, lo so, ci avrei scommesso che ancora non avessi mangiato!"
Lo faccio accomodare nel mio bilocale, essenzialmente arredato ma funzionale e adatto a un giovane single come me.
Paolo prende posto al tavolo, mentre predispongo tutto l'occorrente per una cena tra due scapoli: tovaglioli, due forchette, due coltelli e un cavatappi per due birre da gustare direttamente dalla bottiglia.
Paolo deve aver intravisto lo schermo acceso del mio computer, attraverso la porta della mia stanza da letto perché, con l'aria di chi ormai mi conosce bene, sospira:
"Ero sicuro che stessi ancora visionando quei filmati!"
Mi siedo e comincio a tagliare a spicchi la mia gustosissima capricciosa.
"Domani dovrò prendere una decisione, non c'è più tempo!"
Il mio amico manda giù un sorso di birra e annuisce silenziosamente. Il suo sguardo tacito è confortevole, in qualche modo mi dice che è certo che farò la scelta migliore.
"Gregor, cerca di rilassarti. Loro percepiscono la tua tensione"
Osservo distrattamente le bollicine salire placide nella bottiglia e vorrei davvero riuscire a rilassarmi, prendere tutto con la stessa leggerezza."Lo so, ma è tutto un gran casino. Pandolfi dà forfait a pochi giorni dall'inizio della competizione, lasciandomi senza palleggiatrice e con delle ragazzette ostili e capricciose"
Paolo increspa le labbra in un mezzo sorriso, ma questa volta non trova parole di supporto e rimane con uno spicchio di pizza sospeso a mezz'aria.
"Domani prenderò una decisione e la mia scelta mi renderà ancora più impopolare ai loro occhi"
"Questo è normale - considera Paolo - nessun professionista vorrebbe ritrovarsi a dover cambiare ruolo a pochi giorni da un campionato mondiale, ma sanno che qualcuno dovrà pur farlo. Quindi, fai la tua scelta con tutta serenità!"
Bevo tutto d'un sorso la bionda aspra, strizzo gli occhi per il retrogusto pungente, e non posso fare a meno di pensare a lei . Colei che più di tutte ha dimostrato insofferenza nei miei riguardi. Quella biondina dal viso armonioso e angelico, ma dallo sguardo penetrante e impertinente.
"Paolo, di te si fidano. Confido in te, se le cose dovessero degenerare"ù"Gregor, devi solo cercare un modo per ingraziartele! - mi suggerisce - cosa ti prende? Hai sempre avuto successo con le donne, sei sempre stato un piacione , sorridi di più, sfodera tutto il tuo fascino e il tuo carisma, e saranno tue!"
E conosco bene Poalo da sapere che il suo è un po' uno scherzo e un po' un suggerimento.
"Il mio presunto fascino sembra essersi dileguato!" replico, stringendomi nelle spalle.
"Punta a fare breccia su Lucia Capparelli, la capitana ha una forte influenza sulle altre. Vedrai che una volta che avrai conquistato la sua fiducia, tutto il resto verrà da sé!"
Ed è questa la nota dolente!
"La fai facile, peccato che la capitana è la più terribile. Quando mi vede, sembra che cambi faccia! Si può sapere cos'ha contro di me?"
"Addirittura? Ma vi conoscevate già?" domanda Paolo, stranito.
"Assolutamente!" alzo le mani, come scottato.
"Prova a cambiare strategia - riesce a consigliarmi soltanto - finora la tattica del coach autorevole non ha funzionato molto, prova a scendere al loro livello. Diventa loro amico"
Fare la parte dell'amico? Questa nuova prospettiva mi scuote un pò dal torpore in cui mi sono chiuso.
"Già, forse devo cambiare atteggiamento!"
"Almeno provaci!" ammicca Paolo, fiducioso.

°•°•°•°•°•°•°•°•°•°•°•°•°•°•°•°•°•°•°•°

Il rumore insistente del pallone rimbomba per tutto il Palasport.
Comodo nella mia tuta blu, osservo le prove appena fuori dal campo.
Sei contro sei, a dividerle c'è solo la rete di due metri, e ringrazio il cielo che almeno tra loro formano un gruppo compatto e unito. In questo momento, le due squadre si fronteggiano con Camilla Bigonciari sotto rete in un campo e Giulia Mandelli nell'altro.

Cristina Deledda in battuta. La ragazza dalla carnagione olivastra e dai capelli mogano raccolti in una crocchia serve la palla con violenza e precisione. Dall'altra parte, riceve De Brasi che indirizza la palla non troppo alta a Bigonciari, la quale alza in bagher per Capparelli, che infine attacca senza trovare ostacoli.
La capitana sfoga il suo sforzo lanciando un urlo e contraendo i pugni verso l'alto, e viene celebrata dalle compagne con un urlo liberatore. Io le faccio un cenno di assenso, e incito tutte a proseguire.
Bigonciari è piuttosto brava come palleggiatrice, l'avevo individuata fin da subito e inserita tra le potenziali alzatrici.
Quindi, continuo a seguire il loro gioco. Questa volta a servizio c'è la capitana. Appena fuori dalla linea del campo, Capparelli tasta il pallone facendolo rimbalzare un paio di volte sul parquet, poi lo solleva, prende la piccola rincorsa, salta e batte con forza.
Dall'altra parte, la palla viene intercettata da Deledda, la quale la passa a Mandelli, che a sua volta alza in favore di Rossella Certini per l'attacco. Certini è una diciannovenne molto promettente, un'altra ragazza vispa con gli occhi azzurri e una lunga treccia corvina. La schiacciata di Certini viene però intercettata dalle avversarie, che contrattaccano ancora una volta con il capitano.
A difesa, Mandelli e le sue compagne saltano a muro, però non riescono in alcun modo a contenere la palla. Mentre Capparelli e le compagne esultano nella loro metà campo, mi avvicino con discrezione a Mandelli.
"Giulia, quanto sei alta?" le domando affabilmente, chiamandola per nome.
Cerco di ridurre le distanze fra me e loro, proprio come mi ha suggerito Paolo. Questo non garantisce alcunché, ma voglio assolutamente provarci.
Lei mi guarda intensamente, un po' stordita per la fatica e un po' intimorita dalla mia imponente presenza.
"Coach... 1, 76 m..." risponde la ragazza rossa con il viso tempestato di graziose lentiggini.
Lei è minuta, una delle ragazze più basse in squadra, non ho dubbi che sia un libero. Lo avverto che un po' teme la mia vicinanza, ma faccio il possibile per metterla a suo agio.
"Bene, quando salti ti conviene calcolare meglio i tempi - le suggerisco - prima, quando Capparelli ha schiacciato, tu hai tardato troppo prima di saltare con le mani al muro. Prova a piegarti di più sulle ginocchia"
Lei flette un po' le ginocchia e salta, simulando l'azione.
"Di più, piegale di più!" insisto, serafico.
Lei tenta e ritenta, ma è evidente che tiene i muscoli delle gambe troppo contratti. Allora con la massima delicatezza le cingo i fianchi, mentre le mie dita l'accompagnano nel giusto movimento.
"Così..." le mostro, con tatto.
Quando sollevo lo sguardo, mi accorgo che due grandi occhi nocciola dall'altra parte del campo hanno seguito con circospezione ogni mio movimento. Per un lungo attimo, quelle fessure incandescenti mi inchiodano e mi sento come atterrito da quello sguardo pietrificante.
Ma che diamine? - sussulto - ancora lei!
Come scottato dalla violenza di uno schiaffo, non faccio più caso ai salti a rete della ragazza rossa che mi è accanto. Solo dopo un pò il sorriso e le parole riconoscenti di Giulia Mandelli, mi distolgono dallo sguardo ostile di Lucia Capparelli:
"Grazie tante, coach!"
"Prego... - sibilo in risposta, tornandomene fuori dal campo - avanti, continuate!"
Dovrei sentirmi fiero e appagato. Finalmente ho ricevuto una risposta da parte della mia squadra, ma nemmeno questo, nemmeno il sorriso di Giulia riesce a rendermi felice come dovrebbe. E non posso non sentirmi turbato da quanto è appena accaduto: è vero che non ho più a che fare con una squadra maschile, ma non ho fatto nulla di male. Nessuna malizia, nessun pensiero impuro mi ha attraversato la mente, mentre guidavo una mia allieva nei giusti movimenti. Davvero, io non ho nulla di cui giustificarti, eppure quelle pupille color gianduia mi hanno messo implacabilmente sotto accusa. Assurdo.
Solo quando Lucia Capparelli torna a concentrarsi sulla palla, riesco a rilassarmi e a tornare a respirare normalmente.
Ancora un pò e comunicherò alla squadra, chi di loro sarà la nuova palleggiatrice, la nuova regista della nazionale italiana femminile.
Vado in panchina, ancora sgomento, e svuoto tutta d'una volta la bottiglietta d'acqua minerale. Ho bisogno di ossigenarmi, di riprendermi dall'assurdità di quel momento.
Il mio amico Paolo è sommerso nelle formalità. Mentre io tento di addomesticare quelle leonesse, lui deve occuparsi della burocrazia e di curare i rapporti con l'esterno.
"Sono usciti i calendari!" mi annuncia.
Sgrano gli occhi e dimentico tutto, dimentico la difesa al muro, il sorriso di Mandelli, persino lo sguardo inceneritore di Capparelli.
Con impazienza, strappo dalle mani del mio amico i fogli e dalle sue labbra un sorriso divertito.
"Direi, che ci è andata bene!" mi anticipa, prima ancora che io riesca a scorrere i calendari.
"Meglio di quanto sperassi - confermo, alzando lo sguardo al cielo profondamente grato - nella prima fase dobbiamo affrontare il Cile, l'Azerbaigian e il Canada"
"Poteva andarci molto peggio. A parte il Canada a me sembrano tutte squadre piuttosto abbordabili..." osserva Paolo, fiducioso.
Io annuisco, il mio unico obbiettivo è qualificarci alla seconda fase. Non spero nella terza e men che meno nella semifinale. Con una situazione di partenza del genere, sarà già un successo passare la prima.
Ormai, il rimbombo delle pallonate non è che un sottofondo ovattato al nostro scambio di chiacchiere.
"Hai scelto, vero? Chi sarà la nostra palleggiatrice?" mi chiede Paolo, curioso.
"Bigonciari. È brava ed è molto in sintonia con le sue compagne, le capisce al volo e soprattutto riesce a concentrarsi sul suo gioco e a tenere contemporaneamente sotto controllo i movimenti delle avversarie, dall'altra parte del campo. Capisce a chi indirizzare la palla, per l'attacco.
Finora la percentuale delle sue azioni di successo sfiora il 90%, contro l'87% di Capparelli e l'84% di Deledda"
Paolo emette un fischio di stupore per il mio calcolo in percentuale, e poi osserva:
"Capparelli ci serve in attacco"
"Si, lo so - rispondo - ed è per questo che in caso di infortunio o chissà quale altra calamità, l'alzatrice di riserva sarà Deledda! Fortunati come siamo, non voglio lasciare niente al caso"
Lo vedo reprimere una risata, siamo stati tutt'altro che fortunati fino a questo momento. Si alza dalla sua postazione, mi dà una pacca amichevole sulla spalla e si congratula:
"Mi sembra un'ottima scelta!"
"Più di così non so cosa inventarmi!" concludo seccamente e con tutta sincerità.
Con un fischio, richiamo le ragazze in panchina per una pausa.
Sono sudate e con il respiro lievemente affannato, ma ancora piene di energie. Si idratano scolandosi intere borracce d'acqua e si rifocillano con bevande energetiche ricche di sali minerali. Quindi, ne approfitto per comunicare loro le buone nuove.
Con un colpo di tosse, Paolo richiama la loro attenzione. È emozionato, non vede l'ora di comunicare loro le buone nuove, mentre io temo davvero tanto il momento in cui nominerò ufficialmente il nome della nuova alzatrice. Il mio amico prende subito la parola:
"Dunque, abbiamo qui i calendari della prima fase. Siamo nel girone B, insieme al Cile, all'Azerbaigian e al Canada, tre squadre non molto impegnative, ma assolutamente da non sottovalutare" dice Paolo.
Le vedo sorridere, proprio non riescono a fare a meno di battere le mani e di commentare fra loro, con un chiacchiericcio, la notizia appena giunta.
"Ottimo, coach!" esulta Deledda, stingendo i pugni verso l'alto.
"Si, ma non cullatevi! Soprattutto tu, Cristina, che, spesso e volentieri, tendi a cullarti sugli allori" la rimbecca scherzosamente Paolo, mentre lei gli risponde confidenzialmente con una linguaccia.
E ora è il mio turno. Ringrazio tra me Paolo, sta proprio bene che lui, già molto amato e benvoluto dalle ragazze, faccia il portatore delle buone nuove, mentre io che mi sento ancora un corpo estraneo  all'interno di questa squadra, faccia l'annunciatore di quelle cattive.
Quindi, mi armo di coraggio e prendo la parola:
"Domani vi distribuirò i calendari e il programma per la partenza. Adesso torniamo a noi. Non mi è stato facile arrivare a questa scelta, ma i tempi stringono ed era ora di prendere una decisione. La nostra palleggiatrice di punta sarà Camilla Bigonciari, la seconda in sostituzione, avremo Cristina Deledda."
Silenzio, solo qualche sospiro di sollievo lambisce l'atmosfera rarefatta. Deledda alza gli occhi al cielo, ma smorza subito la tensione:
"D'accordo, coach!"
Invece, Bigonciari, contrariata, mantiene uno sguardo basso sul pavimento e proprio non riesce a guardarmi. È lampante che non si senta lusingata dalla mia scelta, e chi la biasimerebbe, parliamo della competizione più importante del mondo nella quale non giocherà nel ruolo per cui si è duramente allenata.
"Bigonciari?"
Lei annuisce e per un attimo i suoi occhioni azzurri si incatenano ai miei, grigi e intensi.
"Ricordiamoci, ragazze, il bene della squadra viene prima di tutto! - interviene Paolo, come a voler placare gli animi - se serve, dobbiamo essere disposti a tutto, anche a sacrificarci. Vogliamo puntare a questa medaglia, sì o no?"
Le ragazze sollevano i pugni e intonano uno strano grido, che deve essere il loro urlo d'incitamento, ed esortate dal mio secondo tornano in campo.
Paolo torna da me e mi poggia una mano sulla spalla.
"Non ti tormentare, vedrai ti ringrazieranno una volta scese in campo!"
Sospiro profondamente, poco convinto, e spero che prima o poi capiranno che davvero non avevo altra scelta.

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Capitolo 3
*** Arginare i danni (Seconda parte) ***


ARGINARE I DANNI
(Seconda parte)

 

LUCIA

Sono ancora scioccata per quello che è accaduto una settimana fa, per quello a cui io e Cristina, nostro malgrado, ci siamo ritrovate ad assistere. Forse è per questo motivo che oggi non sono riuscita a sorvolare sull'approccio di Startseva, su quelle sue grandi mani finite addosso a Giulia. Ci mancava un altro depravato!
Siamo state così bene in quei pochi giorni di allenamento con Paolo, prima che nominassero Gregor Startseva sostituto di quel porco di Pandolfi. Mi chiedo se fosse davvero necessario ingaggiare un nuovo allenatore quando ne abbiamo già uno valido, il nostro buffo e adorato Paolo!
"Stronzo! – Camilla scandesci con foga ogni singolara parola – è proprio uno stronzo!"
La sua voce stizzita ci accompagna, mentre attraversiamo il lungo corridoio per rientrare nello spogliatoio.
Con l'asciugamano, mi tampono bene la fronte imperlata di sudore e non posso fare a meno di concordare con la mia compagna. Startseva è un egocentrico, un presuntuoso, uno preoccupato per la sua carriera fino all'ossessione...veramente uno stronzo!
Entriamo finalmente nello spogliatoio e non vedo l'ora di gettarmi sotto la doccia e scrollare di dosso la fatica di una dura giornata di allenamento. Mi siedo sulla panca e per prima cosa mi libero delle ginocchiere bianche. Le faccio scivolare a terra, prima la destra, poi la sinistra...il fulcro della mia indispensabile corazza.
"Smettila di piagnucolare, Camilla! La stai facendo lunga!" taglia corto Rossella, sciogliendosi la traccia corvina.
Scalcio via le scarpe da tennis bianche, mentre seguo passivamente i discorsi delle mie compagne di squadra.
"Tu la fai facile! – replica con forza Camilla – non sei tu quella mandata allo sbaraglio. Io non sono una palleggiatrice, sono una schiacciatrice! Ho 25 anni, sono nel cuore della mia carriera e, vedermela rovinare in questo modo, permetti che mi fa rabbia"
"Anche io sono nella tua stessa situazione – osserva Cristina, senza entusiasmo – quando Startseva vorrà metterti in panchina o se ti dovesse capitare qualcosa, ci andrà di mezzo anche la mia carriera. Quindi abbozziamola, per favore, non possiamo farci niente!"
Ridacchio nel vedere Camilla toccarsi una tetta, in segno scaramantico di spergiuro.
"Giusto, atteniamoci alle direttive del boss !" sibilo, con tono canzonatorio.
"Lasciate in pace il coach Startseva – cinguetta sorniona Giulia, mentre sfila già nuda verso le docce – ha fatto la scelta migliore! Nessun'altra di noi è in grado di ricoprire quel ruolo. Vogliamo provare a vincerlo questo mondiale, oppure no?"
Vedo la mia amica Cristina inarcare maliziosamente un sopracciglio e inchiodare la rossa:
"Wow, Startseva ha già una super fun!"
Giulia ghigna maliziosa e fa spallucce:
"E che male c'è?" replica, mentre la sua schiena candida e sinuosa sparisce dentro una delle cabine doccia.
"Non è male... a me sembra piuttosto bravino! Scolastico, pignolo, ma bravino! Da qui ad amarlo ce ne vuole, però credo che stia dando il massimo" osserva Rossella.
"E' solo un mercenario! – sbotto, stufa di tutte quelle chiacchiere su quell' elemento – a me sembra solo concentrato su sé stesso, quello che gli preme di più è non fare brutta figura!"
"Tu lo detesti – mi incalza Cris divertita – neanche a me sta molto simpatico, però sembra andare d'accordo con Paolo, credo che siano amici, forse non è così male come sembra"
"Paolo è un angelo, neanche la persona più orribile del mondo riuscirebbe a non andare d'accordo con lui!"
"Ma vaaa!" mi rimbecca Cris, trascinandomi nella doccia.
Rido. Ho ancora il reggiseno sportivo addosso, e faccio appena in tempo a liberarmene prima che quelle gocce calde e concilianti raggiungano la mia pelle morbida e chiara .

°•°•°•°•°•°•°•°•°•°•°•°•°•°•°•°•°

Sono già pronta. Come ogni sera, aspetto fuori dagli spogliatoi Cris, Camilla e Rossella per raggiungere la metro. Anche se ormai è estate e le giornate sono più lunghe, evito di prendere da sola i mezzi pubblici dopo una certa ora.
Usciamo insieme dal palazzetto e ci incamminiamo verso il cancello. Ancora accaldata mi stringo nella felpa nera, e calo sulla testa il cappuccio dopo un'inavvertita folata di vento.
Camilla ancora non riesce ad accettare la scelta di Startseva, non riesce proprio a digerire la scelta ricaduta su di lei.
"Preferivo di gran lunga Pandolfi, sapete? – insiste, mentre insieme usciamo dal Palasport ormai semideserto – era rigido quanto volete, ma almeno ogni tanto dava qualche soddisfazione!"
Io e Cris ci lanciamo una tacita occhiata, su questo avremmo molto di cui dissentire con Camilla. Lei non ha idea di che persona viscida fosse davvero Pandolfi.
"Pandolfi ci faceva filare dritto, era un generale! A me non manca affatto!" replica Rossella, incrociando strette le braccia al petto.
" Nel 2006 ho vinto medaglia d'argento ai mondiali di Londra, nel 2008 medaglia di bronzo alle Olimpiadi di Rio De Janeiro, nel 2010 medaglia d'oro agli Europei bla, bla, bla... ma chissenefrega?" Camilla imita sfrontatamente le parole di Startseva nel suo primo giorno di allenamento.
Ridiamo crudelmente, un po' come facciamo noi ragazze quando ci coalizziamo, varcando il cancello di ferro battuto. Ma il riso muore sulle nostre labbra quando vediamo lì, accanto all'inferriata, proprio Gregor Startseva.
Quelle profonde iridi grigie si posano su di noi, in uno sguardo assolutamente indecifrabile, e non abbiamo dubbi sul fatto che abbia sentito tutto.
Ci sentiamo raggelare e sbianchiamo tutte. Rimango caparbiamente a testa alta, ma persino io ho perso in un colpo solo tutta la mia spavalderia.
Camilla, pallida come un cencio, vorrebbe reagire ma le parole le si strozzano nella gola.
Startseva non proferisce nemmeno una parola, rendendo il nostro atto meschino ancora più mortificante. Prende tranquillamente da terra il suo borsone da palestra, ci volta le spalle e, a passo lento ma deciso, raggiunge la sua auto, posteggiata tutta solitaria nel parcheggio
"C...coach! Coach Startseva, aspetti...!" riesce finalmente a dire Camilla, mortificata come non mai.
Lui la ignora, sale in macchina e sparisce imboccando il viale.
Rimaniamo tutte atterrite, completamente senza parole. Solo dopo lunghi attimi, Cris riesce a spezzare quel silenzio imbarazzato, con una delle sue uscite sprezzanti
"Bella figura di merda, ragazze!"
"Mortificante!" conferma Rossella, deglutendo vistosamente.
Solo io non riesco ad ammettere il nostro sbaglio, o meglio, sono troppo fiera e orgogliosa per manifestarlo apertamente. Eppure, solitamente non sono una ragazza così ostinata, ma Startseva rappresenta tutte le ferite fresche che ancora mi pulsano vive nel petto.
Ogni giorno la sua presenza in palestra mi ricorda Mirko e il suo tradimento, nonché quella feccia di Pandolfi. Inconsapevolmente, Startseva mi ripropone tutto quello che mi è andato storto nell'ultimo burrascoso periodo.
"Ragazze, su andiamo, si sta facendo tardi!" le esorto semplicemente, mentre la luna si staglia ormai alta sul Palasport, tingendo tutt'attorno di notturno cielo.

°•°•°•°•°•°•°•°•°•°•°•°•°•°•°•°•°

Entro nel palazzetto di buon mattino. Sulle spalle porto il peso del borsone e so già che sarà un'altra giornata impegnativa. Ormai siamo agli sgoccioli.
Questa notte non ho riposato bene come avrei dovuto fare a pochi giorni dalla partenza per il Giappone. Mi sono girata e rigirata nel letto in continuazione, cercando di immaginarmi che tipo di atmosfera avrebbe regnato quest'oggi in palestra.
Passando per il corridoio, noto con la coda dell'occhio Camilla e il suo caschetto scuro.
"Camiii!" la chiamo, ma lei non mi sente.
Allungo il passo per raggiungerla ma lei, con lo zaino in spalla e un sacchetto tra le mani, entra direttamente in palestra, senza passare prima per gli spogliatoi.
Mi avvicino, ma sento quella voce e mi blocco.
Rimango ferma dove sono, proprio dietro la porta, incapace di proseguire fino allo spogliatoio. Una strana curiosità mi costringe a restare lì in ascolto.
"Cosa significa?"
La voce di Startseva è particolarmente glaciale, sembra quasi infastidito.
"La prego, Coach..." la voce di Camilla è rotta, supplichevole.
"Questo è veramente troppo, siamo all'assurdo!" replica lui, perentorio.
"La prego, Coach, mi dispiace. Questo è solo un piccolo modo per scusarmi!"
"Non mi va di accettare, veramente!"
"Mi vergogno per ieri sera, sono stata sciocca e infantile!" Camilla è mortificata, al limite delle lacrime, tanto da far sembrare Startseva quello spietato.
C'è una piccola pausa di silenzio carica di tensione che a me, nascosta lì dietro, sembra davvero un'eternità. Quasi comincio a temere che mi abbiano scoperta.
"Non tollero questo tipo di comportamento nella mia squadra, non è questo l'atteggiamento che mi aspetto da voi. Non mi va proprio di passare per allenatore-despota, c'è un motivo se tra 12 ragazze ho scelto te. Ti dirò una cosa, Bigonciari, non sei tu quella che rischia di più in questo mondiale, hai 25 anni e hai tutto il tempo per riscattarti e credimi, lo farai, perché hai tutte le carte in regole per riuscirci. L'ho visto. Qui, sono io quello che ha solo da perdere dall'esito di questo campionato. Ho 34 anni, e molto più di voi ho a che fare con la Federazione e la stampa, che ti esaltano se hai successo e ti accantonano al primo fallimento. Cara Camilla, te lo dico per esperienza, sei l'unica in questa squadra in grado di sostituire la palleggiatrice e avrai tutto il tempo di dimostrare al mondo quanto vali. Quindi, ve lo chiedo per favore, veniamoci incontro, cerchiamo di collaborare. Una squadra che punta sull'unità è una squadra che può puntare a vincere!"
Ascolto quel lungo fluire di parole, che mi mette quasi i brividi. Le sue parole, la sua voce ferma e intensa. Sembra davvero che stia parlando con il cuore in mano.
"Adesso mi sento uno schifo ancora di più – risponde Camilla, a fil di voce – Coach, ha la mia parola, ce la metteremo tutta anche per lei!!"
Ancora un altro silenzio, che però questa volta mi sembra più rilassato.
"Al cioccolato o ai mirtilli?" domanda infine lui, spiazzandomi anche questa volta.
"Al cioccolato bianco e nero, Coach!" ride la mia compagna, e questa volta la sua voce è pregna di gioia.
Sento il rumore della carta accartocciata, e poi vedo Camilla uscire di corsa dalla palestra e sfrecciare verso il fondo del corridoio. Lei non mi ha visto, ma io ho notato un sorriso spuntare delle sue labbra.
Tiro un sospiro di sollievo, mi faccio ancora più piccola e cerco di attendere qualche attimo, prima di sgattaiolare a mia volta verso i. corridoio.
"Non lo sai che è cattiva educazione origliare le conversazioni private altrui?" la voce di Startseva mi manda in defibrillazione.
Vorrei sprofondare, ancora una volta quell'uomo ha la capacità di farmi sentire piccola. Io che sono una campionessa, una spilungona di 1,90 m mi sento minuscola davanti a lui.
A malincuore esco dal mio vergognoso nascondiglio, non ha più senso nascondersi.
"Mi sono ritrovata ad ascoltare per caso!" replico, varcando la porta blindata color verde acqua della palestra.
Lui è in piedi, proprio di fronte a me, con un grosso sacchetto bianco. In mano ha un dolcetto che conosco molto bene, uno dei famosi muffin di Camilla, che lui gusta golosamente.
"Mhm, davvero?" domanda masticando.
"Davvero!"
"Beh, allora sappi che il discorso che ho fatto a Bigonciari vale anche per te, anzi, vale per tutte quante voi!" mi risponde secco.
"Va bene!" rispondo io, semplicemente.
I suoi occhi grigi mi scrutano, sembrano proprio gli occhi di un falco. Profondi, intensi, cupi. Si vede lontano un miglio che non ha origini italiane, nonostante parli la nostra lingua alla perfezione.
Onde corvine incorniciano un viso diafano ma reso deciso dalla mascella volitiva, devo ammettere che è davvero un bell'uomo.
Tanto bello, quanto odioso! – non posso fare a meno di pensare."Va bene? – mi incalza – lo dici per via della bella parodia che ieri avete fatto di me o perché vi siete finalmente convinte a giocarvi questo mondiale?"
E' duro ma ha ragione, sin dall'inizio non siamo state molto amichevoli nei suoi confronti e io ancor meno delle mie compagne.
"Il motivo fa differenza?" trovo il coraggio di dire, ma la mia voce è malferma e tradisce tutta la mia tensione.
"No, non fa differenza, mi basta che vi siate decise a collaborare. Santo cielo, vi abbandonano il coach e la palleggiatrice in un colpo solo e voi vi mettere a fare le ragazzine capricciose? È incredibile, io sto solo cercando di arginare i danni!"
I nostri occhi sono incatenati, ma io vacillo. Lo fronteggio, lui è più alto di me di appena qualche centimetro, ma ugualmente mi ha il potere di atterrirmi.
"Collaboreremo!" è una promessa.
La mia voce è un sussurro, sto facendo una fatica pazzesca a sorreggere il suo sguardo.
"Grazie!" e mi sembra veramente sollevato.
Non so se sia più grato a me o al cielo, ma adesso sembra più sereno, rilassato... fiducioso.
Mi lasco distratte dalle voci delle mie amiche che corrono cariche lungo i corridoi. Guardo un'ultima volta Startseva e, senza proferire parola, raggiungo il resto della squadra negli spogliatoi.

 

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Capitolo 4
*** Friendly match ***


FRIENDLY MATCH
 

LUCIA

Ultimo giorno di allenamento, domani si parte per il Giappone.
Fisicamente e mentalmente mi sento pronta alla sfida. Quello che mi lascia perplessa è il cambio di atteggiamento della squadra nei confronti di Startseva, quasi mi sento abbandonata dalle mie compagne. Dopo la tremenda gaffe di Camilla, molte di loro hanno cominciato ad aprirsi con lui, in tante sembrano pendere dalle sue labbra e qualcuna addirittura lo adora.

Aaaah! Nemmeno fosse un dio sceso in terra! – penso, alzando gli occhi al cielo.
Accantono questi pensieri e cerco di concentrarmi sulla palla che sta per arrivarmi alta e morbida. Camilla ha fatto progressi sorprendenti, al suo bagher salto verso la rete e schiaccio, con tutta la forza che possiedo nell'altra metà campo.
Dall'altra parte, Giulia, con la sua coda rossa, si allunga ma non riesce ad arginare il mio grande attacco, ci ho messo dentro tutto il mio disappunto.
Paolo ci sta facendo da arbitro e il fischio secco del suo fischietto decreta la mia azione riuscita.
Mi giro verso le mie compagne e con ciascuna di loro batto vigorosamente i cinque.
"Molto bene! – dice Startseva – può bastare così!"
Non ce ne siamo neanche accorte ma si sono fatte le 19:00, e fuori c'è già il crepuscolo.
Ritorniamo in panchina e riprendiamo fiato, rifocillandoci con lunghe sorsate d'acqua e tamponandoci la fronte grondante di sudore.
Gli allenamenti sono stati duri, Startseva non ci ha risparmiato neanche oggi. In questi giorni abbiamo sostenuto ritmi serrati sotto la sua guida, ma so bene che il difficile viene adesso. Dobbiamo mettere a frutto tutto quello per cui ci siamo allenate fino ad adesso, dobbiamo reggere i ritmi, la tensione, la pressione della gara e tirare fuori tutta la nostra grinta.
"Coraggio ragazze, forza – ci incita Paolo – vi voglio belle cariche domani!"
"Paolo, hai fatto la valigia?" gli domanda Rossella.
Il nostro secondo allenatore è alla mano, io lo adoro. Con lui è facile usare toni amichevoli e confidenziali, ormai lo conosciamo da un po' e anche lui si è affezionato molto a tutte noi.
Paolo mostra i suoi denti di un bianco scintillante e strizza l'occhio.
"La mia valigia è già pronta da una settimana, mia cara!" replica lui come a ostentare una puntualità che proprio non gli appartiene, e forse proprio per questo si è sentito pizzicato.
"Si, ma mi raccomando, non fare tardi – lo stuzzica Cris, con un sorriso sornione – in aeroporto non sono mica pazienti come noi che ogni mattina ti aspettiamo speranzose qui davanti ai cancelli. Immagina che guaio, se dovessi perdere l'aereo!"
E in parte è vero, quante mattine ci siamo ritrovate ad attenderlo fuori dal Palasport!
Paolo si fa largo fra di noi, troppo prese a ridere di lui, e lungo il suo passaggio arpiona due falangi sui fianchi ancora accaldati e sensibili di Cristina, provocandole una sensazione a metà tra solletico e dolore. Poi, impassibile, si porta accanto al suo collega Startseva.
"Ahh!!" è Cris che sobbalza con un urlo di sorpresa.
Lui ghigna e mostra la lingua e, per un breve istante, mi è parso di vedere la mia amica Cris arrossire di un genuino imbarazzo.
Ehm, Cris che arrossisce?
"Che stronzo!" strepita un po' come è lei, impulsiva e senza controllo.
Rido. Sono così buffi, battibeccano sempre.
Paolo incrocia le braccia al petto e scuote la testa, simulando sgomento per quell'esternazione. Al suo fianco, Startseva inarca perplesso un sopracciglio ma lascia correre. Non ha seguito interamente la scena, ma ormai ci conosce abbastanza da sapere che quello è un modo tutto nostro di scherzare.
Poi, Startseva con un colpetto di tosse attira la nostra attenzione. Il chiacchiericcio si placa e ognuna di noi va a prendere ordinatamente posto lungo la panchina.
Naturalmente è d'obbligo il discorso del coach alla vigilia della partenza.
A braccia conserte, Statseva attende che ci sistemiamo. Indossa la solita polo azzurra molto semplice con la scritta ITALIA bianca sulle spalle, stretta quel tanto che bastava per mettere in risalto il suo fisico slanciato e scolpito. Lo osservo accanto a Paolo, parecchio più basso con il suo 1.86, Gregor Startseva svetta anche per la muscolatura solida e non esagerata che mantiene.
All'inizio i suoi occhi grigi, simili al mare in tempesta, e la sua mascella decisa mi avevano convinta che non fosse italiano, che si trovasse in Italia per una semplice questione di contratti vantaggiosi. Li chiamo mercenari, coloro che vanno non dove li porta il cuore, ma solo dove grava il portafoglio. Eppure, da qualche parte dentro di me, se non fosse stato per il mio cocciuto orgoglio, avrei visto la dedizione con cui, giorno dopo giorno, Startseva ha lavorato con ciascuna di noi. Sarà questo che ha fatto breccia nel cuore della mia squadra?
"Piccolo promemoria. Come concordato, domani mattina ci troviamo in aeroporto alle 9. Il decollo è previsto alle ore 11 – comincia a dire il nostro coach – ora sembra doveroso, da parte mia, spendere due parole sul cammino svolto insieme finora.
Innanzitutto, voglio ringraziare ciascuna di voi per la collaborazione, l'impegno e il duro lavoro svolto finora; soprattutto voglio ringraziare Paolo, per la pazienza e la cura con cui ha organizzato il viaggio e lo staff reso disponibile dalla Federazione."
Facciamo partire un lunghissimo applauso tale da far arrossire il nostro secondo allenatore. Gli occhi di Paolo si illuminano di gratitudine, poi sussurra qualcosa a Startseva e china il capo per accogliere il lungo e meritato plauso.
"Torniamo a noi – prosegue Startseva, i suoi occhi grigi sembrano brillare e le sue parole accendere i nostri animi – il lavoro che avete alle spalle è incredibile, frutto di anni e anni di duro sacrificio. Indubbiamente il tempo che abbiamo avuto a disposizione insieme è stato poco, ma a mio avviso sufficiente: vi siete ritrovate a cambiare il gioco impostato di Pandolfi e adeguarlo al mio e, contro ogni mia aspettativa, ci siete riuscite con successo. Brave, ragazze, sono orgoglioso di ciascuna di voi! – e qui qualcuna si lascia sfuggire un applauso breve ma concitato – quello che vi chiedo a Tokyo è di osare e fare gioco di squadra. Rimanete unite, spavalde, affiatate come vi state dimostrando, e questo per voi sarà un gran bel vantaggio. Entrate in campo con la stessa serenità e la stessa sicurezza dimostrata finora, non lasciatevi sopraffare o mettere sotto pressione... da nessuno. Rimanete lucide e serene, giocate come sapete fare voi, fate del vostro meglio! Molte volte il fattore psicologico incide molto più della prestanza fisica, ricordatevelo! Godetevi quest'avventura, perché alla fine si tratta di questo: un'avventura che vogliamo concretizzare e avvalorare con la medaglia. Quindi vi dico, godetevi l'ultima serata in compagnia dei vostri cari, dormite l'ultima notte nei vostri letti, nelle vostre case, pensando che la prossima volta che tornate lo faremo con al collo una medaglia, perché è a questo che puntiamo! Giusto?"
"Giusto!" urliamo in coro e ci alziamo, battendo vigorosamente le mani.
Applaudiamo, e anch'io batto forte le mani... tutto sommato ho apprezzato le sue parole.
"Un applauso per il coach Startseva!" il grido e il sorriso di Rossella emerge forte dal plauso generale.
Camilla fischia, prima di urlare a sua volta:
"Grande coach!!"
Startseva è entrato decisamente nel cuore delle mie compagne.
Lui ci regala uno dei suoi rari sorrisi, di rado l'ho visto lasciarsi andare a manifestazione emotive.
"Grazie!" risponde placido.
Il gruppo si scioglie, ed io e Cristina ci dirigiamo insieme verso la porta blindata che dà sul corridoio. Asciugamano sulla spalla e borraccia alla mano. Ho proprio bisogno di una bella doccia rinfrancante e di tornare a casa per chiudere definitivamente i bagagli.
"Sono così emozionata! – sussulta Cris, visibilmente elettrizzata – il discorso del coach mi ha dato la carica giusta. Ha detto osate! Uh! è così determinato, punta a vincere!"
"Tsk! Cosa ti aspettavi da quel bulimico di fama e riconoscimenti?"
Ebbene sì, anche la mia amica mi ha tradito ed è entrata a far parte dello Startseva fun club.
"Aaaah! Smettila! – mi rimbecca lei, assestandomi una gomitata in pieno fianco – è incredibile che tu lo odi così tanto! Ti ha ucciso il gatto, per caso?"
Cris non mi ha fatto male, trattengo una risata e scrollo le spalle, alzando all'insù il mio nasino piccolo e impertinente.
"No, semplicemente non sopporto lui e la sua arroganza!" replico.
Tampono il sudore sulla fronte con l'asciugamano, ma non facciamo in tempo a varcare la porta blindata che ci sentiamo richiamare dal coach:
"Cristina, Lucia e Giulia rimanete ancora un attimo!"
"Cosa vorrà ancora?" sbotto alla mia amica.
"Immagino che vorrà congratularsi con le migliori!" ride lei.
La sua è una battuta, ma Chirs ha comunque gli occhi persi e sognanti.
Si, come no... - scuoto la testa.
Torniamo sui nostri passi, seguite da Giulia.
Al contrario di noi due, la nostra compagna dalle graziose lentiggini e dalla coda rosso rame sfoggia un sorriso tutto entusiasta:
"Cosa c'è, coach?" cinguetta.
Startseva ci fa cenno di seguirlo al limite del campo, in zona di battuta.
Alza il pallone in aria e, con un balzo, lo colpisce con una potenza incredibile. La palla diventa una freccia bianca appena visibile, sembra impigliarsi nella rete, ma poi cade nell'altra metà, deviando bruscamente quella che era la traiettoria iniziale.
"Voi tre siete le migliori in battuta, vorrei che vi esercitaste ancora un po' con la battuta a nastro radente! – ci dice – affronterete squadre con le quali giocare d'astuzia sarà più producente che giocare di potenza...e farla in barba al nastro vorrà dire anche riuscire a beffare le vostre avversarie. Avanti, mostratemi di cosa siete capaci. Cominciamo da te, capitana !"
Poi, prende da terra un altro pallone e lo lancia nella nostra direzione.
Lo blocco un attimo prima che mi colpisca in pieno viso. Non ha lanciato la palla con violenza, non ha pronunciato con scherno il mio ruolo all'interno della squadra, o almeno così mi è sembrato. Insomma, Startseva mi infastidisce semplicemente con la sua aria di sfida.
Mi avvicino, e lui mi cede il posto in area di battuta. Mi posiziono, picchio forte il pallone sul parquet, poi lo sollevo in alto, salto, batto e quello finisce per sfiorare appena la rete.
Mordo con forza il labbro inferiore, la mia non è stata esattamente una battuta a nastro radente. La palla non ha deviato.
Startseva si avvicina e io tento in ogni modo di mascherare il mio nervosismo. Evita di toccarmi o anche solo sforarmi, so bene che con ogni probabilità è rimasto scottato dall'occhiata inceneritrice che gli ho lanciato quando lo ha fatto con Giulia.
Siamo ad altezze siderali. Due giganti. Il suo viso è a un palmo dal mio e per un attimo i suoi occhi di ghiaccio si incatenano ai miei gianduia.
Lui mi affianca e mi mostra più da vicino cosa vorrebbe da noi. Batte e la sua palla finisce, esattamente come prima, nell'altra metà campo deviando vertiginosamente la traiettoria verso il basso.
"Quando tentate questa giocata, non dovete avere paura del rischio...dovete correrlo – ci rassicura – dovete aggredire la palla a tutto braccio e forzare la rete, giocando di potenza. È una battuta rischiosa, ma in alcune situazione va tentata!"
Paolo nel frattempo ha recuperato tutti i palloni finiti nell'altra metà campo. Me ne passa uno, strizzandomi l'occhio, e io ringrazio che ci sia lui che ha l'incredibile potere di calmarmi in ogni situazione.
Startseva mi lascia di nuovo i miei spazi, e torno a respirare regolarmente. Punto fissa la rete in mezzo al campo e mi concentro su lei sola. Alzo morbida la palla e, sollevandomi in salto, la frusto con tutta la forza che ho a muro radente.
Soddisfatta, mi giri a guardare il mio allenatore, non cerco la sua approvazione ma piuttosto il suo riconoscimento. Sono la migliore attaccante che ha, e me la cavo discretamente anche nella battuta.
"Molto bene! – dice, congratulandosi per il mio colpo riuscito – Cristina, tocca a te!"
La mia amica mi dà il cambio, e io le batto un cinque di incoraggiamento. Lei annuisce con decisione, so che è molto più brava di me a servizio.
Prova tre battute su tre a filo, tutte riuscite. Lei si esalta e Startseva sembra darle molta corda, nonostante sia un tipo sostenuto e severo.
Poi è il turno di Giulia. A lei, Startseva la fa provare più volte. Rispetto a me e a Cris, il nostro libero è più esile e minuta, sicuramente meno avvezza alle frustate a tutto braccio, essendo specializzata più nella ricezione e nella difesa.
"Giulia, non è necessario che salti molto in alto quando batti" le suggerisce Paolo.
Gli occhi nocciola di Giulia cercano quelli grigi di Startseva, in cerca di conferma. Incredibile come tutte pendano dalle labbra di quell'uomo. Mi convinco che lui le abbia soggiogate semplicemente con il suo fascino esotico, piuttosto che ammettere che ci sia riuscito con il carisma e la fiducia che si è guadagnato giorno per giorno.
Lui annuisce, e la rossa riprova la sua ultima battuta.
"Molto bene! – esclama il coach – tenete a mente questo tipo di battuta, ma non provatelo finché non ve lo suggerisco io, siamo intesi?"
"Diciamo che è un asso nella manica da giocare al momento opportuno! – suggerisce Paolo, col suo solito sorrisetto compiaciuto, poi lancia una palla contro il suo collega – partitella?"
Startseva l'afferra al volo, un po' perplesso.
"Adesso?"
"Perché no? – replica il castano – ragazze vi unite anche voi?"
"Io devo correre a casa. Mi aspettano tutti i miei parenti per l'ultima cena , si lo so, messa così suona quasi una cena di addio... ma per mia madre sembra proprio che lo sia!" risponde Cris, e mi sembra veramente dispiaciuta.
"Anch'io!" mi affretto a rispondere, cogliendo la palla al balzo.
Faccio un po' la furbetta, lo ammetto. A quale ultima cena devo andare, io che a Milano vivo da sola in un monolocale, lontana da mia madre rimasta nel nostro paesino marchigiano?
"Daii, rimani! – mi esorta Giulia, avvinghiandosi a piovra al mio braccio – facciamo una partita veloce e ti do uno strappo a casa io, d'accordo?"
Io e Cris ci lanciamo un'occhiata perplessa, mentre la rossa non vuole proprio saperne di lasciarmi andare. Mi ha fregato.
"Allora è deciso – conclude Paolo – un mini set da 15 stabilirà chi è la squadra più forte. Cristina, tu svignatela pure... non sappiamo cosa farcene di pivelle!"
"Ho una cena!" sbotta lei, lanciandogli una pallonata che appena lo sfiora.
Lui le risponde con una linguaccia, e Cris si volta per salutarmi con un mezzo sorriso. Le dispiace davvero non poter giocare questa partita alla quale io rinuncerei volentieri.
Sono stanca e sudata, ho sete e fame, e come se non bastasse non ho ancora finito di fare la valigia. Le cederei più che volentieri il mio posto.
"Ti chiamo dopo, Cris!" la saluto e lei risponde mandandomi un bacio con la mano, prima di correre verso lo spogliatoio.
"Quindi un singolo set da 15? – cinguetta Giulia – io gioco con il coach Startseva. Le va bene, coach?"
"Si, certo!" risponde lui, posizionandosi in una metà campo.
"Perfetto, io allora scelgo la capitana! – replica Paolo – come chiedere di più?"
"Non che tu abbia altra scelta!" gli faccio notare, seguendolo nell'altra parte del campo.
"Dai, mostra un po' di entusiasmo! – protesta il secondo allenatore – domani si parte per il Giappone, ma non ti vedo molto entusiasta!"
"Sono entusiasta, sono contenta di quest'opportunità. Davvero." Replico, tenendomi un po' sulla difensiva.
Paolo mi scruta con i suoi grandi occhi nocciola.
In questo momento tiene i capelli castani, un po' lunghetti, in un codino. Mi fa sorridere il modo in cui tenta di scrutarmi nel profondo e costringermi a vuotare il sacco, chiedendomi tacitamente che cosa c'è?
"Niente!" gli assicuro, ridendo.
"Allora? Siete pronti?" è Startseva, che viene inconsapevolmente in mio soccorso.
E' alto, bello, indisponente e si prepara a servire dall'altra parte del campo.
Mi posiziono in recezione, Paolo lo è già. Mi fletto sulle ginocchia e mi piego con il busto leggermente in avanti. Non sono abituata a giocare un 2x2, devo coprire molto di più rispetto al tradizionale 6X6.
"Ci siamo, Gregor! Puoi battere!" risponde il mio compagno.
Startseva batte e la palla arriva dritta, in mezzo a noi, nella nostra zona di conflitto.
"Mia!" Paolo si affretta a chiamarsi la palla e io gli faccio spazio.
Riceve in bagher una pallonata che sicuramente raggiungeva la velocità di 130 km/h. Non sono abituata a questa potenza ma, se Paolo non si fosse messo davanti, orgogliosamente mi sarei buttata e avrei provato a recuperarla.
Corro verso la palla salvata da Paolo e cerco di servirgliela più alta che posso. Lui schiaccia forte, ma Giulia si lancia in scivolata e recupera quel pallone.
"Bravissima!" è il commento di Startseva.
Il coach dai capelli corvini le alza una palla alta e lenta, in modo che la rossa abbia tutto il tempo per rialzarsi da terra. Tuttavia, la palla è troppo staccata da rete e alla rossa non resta che lanciarla a pallonetto nella vostra metà campo.
La recupero io senza problemi. Paolo riceve la palla e me la passa in palleggio alta e morbida, permettendomi una delle mie proverbiali schiacciate. Colpisco Startseva in pieno petto, il coach rimane folgorato da quella palla che assolutamente non si era visto arrivare. Colpito e affondato!
Il primo punto è nostro.
I suoi occhi grigi fissano i miei caldi e nocciola, non troppo meravigliati. Celo bene il mio compiacimento, riservandomi di gongolare fra me e me, poi arretro nel mio campo andando a battere il cinque con il mio compagno.
"Grande!! Avete capito, chi sono i migliori? – ride Paolo, tutto esaltato – beccati questo, Gregor!"
Mi mordo le labbra per non ridere e mi preparo ad andare al servizio.
"Siamo ancora sull'1 a 0 – replica Starteseva – fossi in te, non esulterei prima di aver segnato il 15° punto!"
"Gliela facciamo vedere noi, coach?" sorride Giulia, con aria di sfida.
"Puoi contarci!" le risponde lui, con uno dei suoi rari e contenuti sorrisi.
Batto. La partita prosegue, e Paolo e Startseva non si risparmiano. Ormai sembra un regolamento di conti in sospeso fra loro. Paolo ha me che sono la migliore attaccante dalla squadra, ma Gregor ha Giulia, che in difesa è la migliore in assoluto.
Fra scambi lunghi e colpi bassi, arriviamo al match-point* che io e Giulia siamo veramente esauste.
"Dai, rimaniamo così, pari e da buoni amici!" dice Gregor, vedendoci provate.
"Ormai finiamola, siamo 14 a 14!" replica Paolo.
"Ma sono stanche, ti ricordo che fra due giorni hanno la prima partita!" osserva Startseva, di contro a un Paolo ostinato.
"Io ce la faccio!" cinguetta Giulia, nonostante sia finita esausta a terra già 2 volte, nel tentativo di ricevere la palla.
Il coach Startseva inarca un sopracciglio scettico.
"Time-out! Ho sete!" dico e abbandono il campo, per andare in panchina a recuperare la borraccia abbandonata lì insieme all'asciugamano.
Sigh, è quasi finita!
Le ultime gocce non servono che a inumidirmi la lingua, ma approfitto della pausa per riprendere fiato. Sprofondo sulla panchina, respiro. I miei capelli color cenere, raccolti in una comoda coda da cavallo, mi sfiorano il fondo della schiena. Quasi mi pento di non averli tagliati un pò prima della partenza.
Paolo mi raggiunge e si siede accanto a me.
"Scusa se prima te l'ho passata troppo bassa – dico, riferendomi alla mossa che non gli ha concesso di contrattaccare ma che poi ha permesso a Startseva di attaccare e di raggiungerci quando eravamo sul 13 a 14 – è per quello che ci hanno annullato l'ultimo match-point!"
"Mhm – replica, non sembra arrabbiato, e poi mi rimbecca – a cosa pensi?"
Rido, con lui non ce la faccio. Che testardo che è Paolo!
"Penso a come battere quei due sbruffoni!" rispondo, e i miei occhi non riescono a staccarsi da quei due in mezzo al campo.
E' buffo Paolo, so che è un buon amico. Ne avrei di cose da urlare al mondo, ma non puoi scoperchiare il vaso di Pandora con lui, o comunque non del tutto.
Intanto, i miei occhi non riescono a staccarsi da lì: Giulia chiacchiera con Startseva, lo guarda ammiccante e ride con un sorriso raggiante. Cielo, sembra proprio una gatta morta, se nella nostra squadra ci fosse davvero uno Startseva fan club lei ne sarebbe sicuramente la presidentessa.
E lui cosa fa, Mister tutto d'un pezzo? Arrossisce! Terrà anche gli occhi bassi, ma sembra lusingato.
"Ancora non lo sopporti?" mi punzecchia Paolo, dandomi una pacca sulla spalla.
Io deglutisco e mi affretto a mettermi sulla difensiva.
"E' solo che non sopporto quelli come lui – dico, continuando ad osservare quell'uomo di due metri ridere insieme alla mia compagna – non pensa ad altro che alla faccia, alla sua preziosissima carriera...sempre pedante, sempre ombroso, sempre arrabbiato."
"Stiamo ancora parlando di Gregor? Gregor Startseva? – replica Paolo, aggrottando un sopracciglio – se all'interno della Federazione c'è qualcuno ancora pulito, quello è sicuramente Gregor. Te lo assicuro!"
"Allora? – urla uno Startseva impaziente – si può sapere cosa avete da confabulare? Forza, o ci chiudono nel palazzetto!"
"Arriviamo – urla di rimando Paolo, prima di tornare a rivolgersi piano a me – non essere così severa con lui! La vita non gli ha sorriso molto!"
"E' stato adottato?" domando, cogliendo l'occasione di dar voce a un dubbio che mi accarezza da un po'.
"Si, ma non mi riferisco solo a quello. Ha avuto un periodo buio... e non sono così sicuro che ne sia completamente uscito!" lo dice a bassa voce, lasciandomi intendere che sta scucendo un brandello di un segreto che mai potrà rivelarmi.
Annuisce e comprendo che non riuscirò a estorcergli altro.
Ci alziamo e raggiungiamo di nuovo la nostra metà campo. La palla è di Giulia.
La rossa batte a muro radente. Io cerco di allungarmi, ma non riesco a raggiungere la palla.
"Grande, coach!" esulta Giulia, cercando gli occhi del nostro primo allenatore.
Lui non parla, sorride soltanto, e questo manda in bestia ancora di più Paolo.
"Questa è fortuna!" puntualizza stizzito il nostro secondo allenatore.
Giulia serve alto questa volta. Io ricevo e Paolo contrattacca, per lui è diventata una questione di principio.
E' ancor più buffo Paolo quando si impunta.
Startseva difende un grande attacco e poi, grazie a una buona alzata di Giulia, salta verso la rete e schiaccia una palla assolutamente imprendibile nella zona di conflitto tra me e
Paolo.

L'uomo con il selvaggio codino castano accanto a me rimane folgorato in ginocchio, mentre la palla atterra sotto i suoi occhi.
"N... non ci credo..." balbetta incredulo.
"Aaaah!" è il gridolino di Giulia.
La rossa esulta e va a battere un cinque a Startseva, che si lascia andare compostamente all'esultanza per la vittoria.
A me, che fondamentalmente non fregava un fico secco di questa sfida, non resta che ignorare bellamente la scena.
"Grazie al cielo, ora sì che possiamo andare!"
Così dicendo, abbandono un Paolo scioccato e ancora in ginocchio, recupero borraccia e asciugamano e corro verso il corridoio. Giulia mi raggiunge correndo. Libera dall'elastico i suoi capelli rossi sottili e liscissimi, nonostante la copiosa sudata.
"Che sfida avvincente – ride ancora esaltata – Startseva mi ha raccontato che, quando giocavano nel campionato, la sua squadra non ha mai perso contro quella di Paolo, neanche una volta. È per questo che Paolo ancora non si rassegna ed è ossessionato dal riuscire a batterlo!"
"Tsk! – mormoro, mentre entriamo nello spogliatoio ormai deserto – e tu brava, Giulia, mi raccomando, fagli gonfiare ulteriormente il petto, come se non avesse già un ego smisurato!"
Lei scoppia a ridere deliziata.
"Credimi, gli farei gonfiare ben altro, qualcosa che sta un po' più in basso del suo petto – risponde maliziosa, togliendosi la maglia e slacciandosi il reggiseno sportivo.
Scuoto la testa contrariata e mi sento avvampare per quell'uscita maliziosa, Giulia è fatta così, senza alcun freno inibitore.
Finiamo di spogliarci in un lampo e, senza perdere tempo, andiamo verso le docce. Lei ammicca e mi dà una gomitata:
"Andiamo! Non vorrai mica farmi credere che non ti stuzzica neanche un po' il nostro caldo allenatore "
"Vorrai dire il nostro petulante allenatore – replico duramente – no, al contrario, mi irrita!"
"Dovresti dargli un'occasione. Ti assicuro che, se solo imparassi a conoscerlo, ti accorgeresti che sotto quella corazza di ghiaccio si nasconde un uomo sensibile e assolutamente sexy!"
Alzo gli occhi al cielo e chiudo la tendina della doccia.
Lo so, magari Giulia è incorreggibile ma io sono anche molto testarda.

 

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Capitolo 5
*** Addii, arrivederci e partenze (Prima parte) ***


ADDII, ARRIVEDERCI E PARTENZE
(Prima parte)

 

LUCIA

Finalmente io e Giulia usciamo dal Palasport, con il borsone in spalla e la stanchezza per tutto il corpo. Sono passate le 10 e tutto intorno è deserto.
L'oscurità della nostra ultima sera milanese ci avvolge, solo qualche sporadico lampione in lontananza illumina questa notte senza stelle.
"...quindi ho deciso di lasciare Sam da mia sorella - continua a raccontarmi la rossa - lei non ama i gatti, ma non ci penso minimamente a chiedere al mio ex il favore di tenerlo!"
Ascolto con poca attenzione il discorso della mia compagna di squadra, ma la ringrazio dello strappo verso casa che sta per darmi. Dopotutto, se ho fatto così tardi è proprio perché lei ha voluto a tutti i costi fermarsi per quella stupida partita... e per quello stupido Startseva. Non mi sono certo sfuggite le occhiate ammiccanti che gli ha lanciato.
Come se ciò non bastasse, appena metto il naso fuori dal cancello vedo lui. Mirko.
Nell'immediato rimango interdetta e, al mio fianco, anche Giulia rimane con la bocca spalancata. Grosso modo, anche lei conosce il penoso epilogo della nostra storia.
Vedendoci, Mirko sorride e salta giù dalla sua moto. È evidente che sta aspettando lì da un po'.
"Ciao, vi hanno trattenuto per fare le pulizie? - sorride lui - è più di un'ora che aspetto!"
"Mirko...ma che bella sorpresa...!" sibila la ragazza rossa.
"Possiamo parlare?" mi domanda lui.
Giulia cerca il mio sguardo, alquanto indecisa sul da farsi, mentre io sostengo fieramente lo sguardo su di lui.
Esito un attimo, ma poi guardo Giulia e le faccio cenno di poter andare tranquilla.
Magnifico, addio passaggio! - sospiro.
"Va bene, ci vediamo domani!" mi saluta lei, abbozzando un sorriso di incoraggiamento.
La ricambio con un sorriso stentato, mentre Mirko grato le fa un cenno di saluto con il capo.
Di malavoglia, lascio cadere il borsone a terra e incrocio le braccia all'altezza del mio petto. Ecco, questo è esattamente il tipo di situazione in cui avrei evitato volentieri di ritrovarmi. Io e lui, insieme come qualche mese fa, ma con una cicatrice in più nel mio cuore.
Un'antica ferita, sepolta nelle profondità, mi ha sempre impedito di fidarmi degli uomini, ma con lui avevo voluto provare ad abbassare le mie difese, mi sono fidata e alla fine ho sofferto.
Mirko si avvicina a me con cautela.
E' alto quasi quanto me, forse un tantino più basso, è bello, atletico, sfrontato.
La sua folta capigliatura color grano incornicia un viso allungato e dai lineamenti armoniosi. I suoi occhi verdi acuminati mi guardano con circospezione, mi studiano, mentre io non riesco più a guardarlo con gli stessi occhi persi e innamorati di prima; prima che decidesse di mandare in frantumi tutto in quello in cui ho creduto, prima che tradisse me e la mia fiducia.
Irrimediabilmente.
"Mi hai fatto preoccupare, sai? È da giorni che non rispondi alle mie chiamate" mi dice, una volta rimasti soli.
"Sono stata molto impegnata... sai, gli allenamenti, i preparativi per la partenza!" mormoro.
Odio dovermi giustificare, ma lo faccio.
"Sì, posso capire..." risponde lui, poco convinto.
"..." e davvero non so cosa dirgli.
Il fatto è che di tanto in tanto mi scopro ancora a chiedermi come sarebbe potuto essere quello che invece non è stato... Il nostro non più possibile futuro insieme...
Perché lo hai fatto, Mirko? Questa è la domanda che non sono mai riuscita a porgli. Il mio orgoglio ferito pulsa ancora nelle vene ma ha smesso di gridare, di cercare una spiegazione che forse neanche esiste realmente.
Forse dovrei chiedergli semplicemente di sparire dalla mia vita, ma non sono fatta per le scelte estreme, semplicemente desidero che mi lasci finalmente in pace.
Già, scelte estreme, eh? Come quella di mio padre di abbandonare me e mia madre per un'altra donna quando ero ancora una bambina, quando ancora avevo bisogno di lui.
Abbandono... è la nota triste e dolente della mia vita.
Mirko si avvicina ancora di più, le sue dita scorrono tra le mie fronde bionde che mi ricadono lunghe davanti.
L'odore del suo dopobarba, il suo odore. Quell'odore che prima mi inebriava, ma che adesso mi suscita una strana malinconia e anche una certa repulsione.
So per certo che la nostra storia è giunta al capolinea.
Ma nel frattempo, siamo ancora l'uno di fronte all'altro, con i miei occhi nei suoi. Gli pianto le mani sul petto con decisione e lo allontano, non ha più il diritto di invadere i miei spazi. Non voglio più che mi tocchi, le sue mani sono indegne, lui è indegno. Indegno del mio amore.
"Credevo che avessimo deciso di rimanere amici!" mi dice.
"Un amico non ti tampina, un amico non ti chiama a tarda notte solo per dirti quanti gli manchi e per chiederti se vuoi tornare con lui!" è la mia risposta secca e stizzita.
Lui si morde le labbra.
"Forse no, lo ammetto... - ride, con la solita faccia da schiaffi - ma io ti amo ancora, Lucia, torna da me!"
E mi manda in bestia con la sua sfrontatezza.
Gliel'ho ripetuto fino allo sfinimento che è finita, ma lui sembra non recepire il messaggio, o peggio, sembra proprio che non mi prenda sul serio.
Sto per ripeterglielo con pazienza, per l'ultima volta, quando una voce alle nostre spalle ci interrompe, facendomi ricacciare indietro tutte le parole che finalmente stavo per pronunciare.
"Ma guarda chi si vede!"
La voce del coach Startseva precede la sua imponente figura, un attimo prima che spunti dal cancello.
"Coach!!" risponde Mirko, regalandogli uno dei suoi sorrisi più calorosi.
I due si danno una vigorosa stretta di mano e un rapido abbraccio, Startseva sembra molto stupito nel vederlo.
Quell'uomo con i suoi chiari lineamenti dell'est è rilassato, affabile, sorridente. Sembra quasi un'altra persona rispetto all'uomo serioso e taciturno che vedo ogni giorno in palestra.
"Mirko, che sorpresa trovarti qui, non credevo fossi ancora in città!"
"Già, coach. Ho saputo del brutto tiro che le hanno tirato, mi dispiace... anche per la sua vacanza alle Barbados" sorride il mio ex, cercando di sdrammatizzare.
"Si, lasciamo perdere...! Mi rifarò, almeno con quella!"
Così mi ritrovo in silenzio a sorbirmi i loro discorsi. Fantastico!
I due se la intendono parecchio, li sento conversare un po' di tutto.
Distrattamente, mi scopro a contemplare due diversi tipi di bellezza maschile: quella acerba, selvaggia, e spavalda di Mirko e quella matura, elegante e pacata, ma non meno avvenente, di Startseva.
Sbuffo, poco mi meraviglia la sintonia che c'è tra quei due... due scimmioni che ragionano con la parte del corpo sottostante la cintura.
"Spero proprio che in autunno torni ad allenarci in campionato, perderla sarebbe un duro colpo per tutta la squadra!" sento dire a Mirko.
"L'intenzione c'è... ma la Federazione si è riservata la firma del contratto solo a conclusione del campionato mondiale femminile!"
Il nostro allenatore parla con il mio ex fidanzato ma noto che, di tanto in tanto, mi lancia fugacemente qualche occhiata. Forse sbaglio, ma ho come l'impressione che Startseva stia soppesando le parole in mia presenza.
"Tsk! Che stronzi! Se in Brasile siamo arrivati sul podio, lo dobbiamo a lei. Questo per loro non conta?"
Startseva si stringe nelle spalle, solleva gli occhi grigi al cielo e abbozza un mezzo sorriso. Forse per la prima volta, intuisco che tipo di mondo vortica intorno al mio coach, ma non posso comprendere appieno come funzionino le cose ai piani alti,  non è colpa mia, e forse è giusto così... io sono una semplice giocatrice.
Tuttavia, vedere Mirko indignato e Startseva abbattuto mi ha provocato una strana morsa allo stomaco...come se ci fosse qualcosa di profondamente sbagliato in tutto questo.
"Beh, cosa possiamo farci? - taglia corto Startseva - adesso devo scappare, ragazzi, vi lascio, scusate se vi ho interrotto!"
"Si figuri, coach, buon viaggio e in bocca al lupo. Contiamo tutti su di lei!" Mirko sembra addirittura affettuoso.
Startseva gli tende la mano e il ragazzone che mi sta di fianco gliela stringe con calore.
"Ce la metteremo tutta! Tu, campione, goditi il meritato riposo adesso!"
"E non mi strapazzi troppo Lucia, coach, mi raccomando!"
Vedo Startseva mordersi le labbra sottili, forse un po' beffardo, come se stesse tentando di sopprimere qualcosa, e quel poco dispiacere che ho provato per lui si dilegua in un attimo.
E' mai possibile che deve indispormi così tanto?
"Ci provo, ma non ti assicuro niente!" strizza l'occhio Startseva.
Poi sparisce nel parcheggio e Mirko lo accompagna per un po' con lo sguardo, finché non si decidere a riprendere il filo del nostro discorso.
"Allora? Tornerai con me?"
"No!" è la mia risposta secca.
"Tornerai a fidarti di me?"
"..." questa invece è la mia risposta spazientita, esasperata.
"Lo so, ho sbagliato, ho commesso un terribile errore, ma mi hai perdonato, lo hai detto tu, no? E allora perché non riprovare? Potremmo ricominciare da dove eravamo rimasti, o ripartire da zero... potremmo..."
Scuoto la testa, mentre lui mi dice quelle parole un po' in preda all'esasperazione e un po' con il cuore in mano.
"Basta, basta così! - lo prego - non te ne accorgi? Continui ad avere un rispetto pressoché nullo della mia volontà! Si, è vero, ti ho perdonato, ma ti ho anche detto chiaramente che non saremo mai più tornati insieme. Non c'è più un noi! Io non sento più quello che sentivo prima ... io.... È finita, Mirko, accettiamolo...per favore!"
E' la prima volta che vedo i suoi occhi verdi inumidirsi, farsi lucidi, e un moto di tristezza assale anche me. Un nodo alla gola sembra mozzarmi il respiro, non credevo che il nostro addio sarebbe stato tanto doloroso.
"Non è giusto...!" sibila lui, scuotendo nervosamente la testa.
"Mi dispiace! - sussurro tristemente - possiamo restare amici, mi farebbe piacere, ma adesso ho bisogno di respirare..."
Lui fa un cenno di assenso con il capo, deluso e affranto, e io capisco che è realmente finita.
È finita.
Mirko incurva le labbra in un sorriso che, per quanto malinconico possa sembrare, non è mai stato più sincero.
Sono felice ma anche un po' triste... è sempre un po' così quando si conclude un capitolo della propria vita, no?
Questa volta sono io che mi avvicini a lui, per stampargli un ultimo bacio sulla guancia. Voglio che sia così il nostro bacio d'addio, leggero e fugace come è stata la mostra breve storia.
"Ciao, Mirko!" sussurro.
Adesso mi sento più leggera. Raccolgo da terra il borsone da palestra e vado via, con il peso della mia roba sulle spalle ma con un peso in meno sul cuore.
Mi affretto quindi a raggiungere il viale.
Ho già deciso che non prenderò la metro a quest'ora, quindi mi toccherà sperare nell'ultimo autobus di linea. Sono sul marciapiede, allungo il passo già spedito finché, a un certo punto, una grande macchina nera mi affianca e comincia a procedere insieme a me a passo d'uomo.
Per quanto questa zona sia stata riqualificata di recente, so bene che di notte ci bazzicano ancora prostitute, spacciatori e gente poco raccomandabile.
Ci mancava solo che mi scambiassero per una di quelle!
Stingo nervosamente gli occhi, sono stanca, voglio solo tornare a casa.
Poi, il finestrino di quel suv si abbassa.
"Capparelli...?"
Spalanco gli occhi e riprendo a respirare. È Startseva, mi ha fatto venire un colpo.
"Coach?!" sussulto per la sorpresa.
"Stai tornando a casa, sei da sola?"
Ha l'aria sorpresa, mi ha lasciato solo pochi minuti fa in compagnia di Mirko.
"Avanti, sali, ti accompagno a casa..." il suo tono è tornato il solito, gentile ma severo.
"Non si preoccupi, sto per prendere l'autobus" gli assicuro.
"A quest'ora? Avrai già perso l'ultima corsa!"
E continuo a camminare fino alla fermata, dove il tabellone automatico non segnala più corse. Guardo sconfortata lo schermo e poi guardo con esitazione anche il mio coach.
Lui solleva un sopracciglio.
"Quanto sei testarda! Su... non posso certo lasciarti qui!"
Accantono il mio orgoglio insieme al borsone sul sedile posteriore dell'auto e mi sistemo davanti, accanto a lui.
Mentre allaccio la cintura, la macchina riparte.
Che mi piaccia o no, Gregor ha ragione. Non può certo lasciare una ragazza tutta sola, in piena notte, in una via come questa. È un perfetto gentiluomo il mio allenatore, ma forse per me questo è troppo da ammettere.
"Grazie!" sussurro.
"Figurati..." mi risponde piano.
Il viaggio comincia silenzioso.
Mi guardo intorno nel buio dell'abitacolo. Non posso fare a meno di pensare che la macchina di Startseva sia esattamente come me la sarei immaginata: un'auto potente e spaziosa, con la tappezzeria pulita e tutto ben in ordine. Impeccabile, come lui.
Mi mette sempre una certa soggezione averlo vicino. Forse, perché è raro che incontri qualcuno della mia altezza...altezza fisica, s'intende! La prima volta che l'ho visto agli allenamenti mi è balzato il cuore nel petto. Un po' perché mi ha ricordato Mirko, la faccenda di Pandolfi e un po' per la severità del suo sguardo che contrastava molto con il suo viso armonioso di gigante nordico.
Senza nemmeno rendermene conto, mi perdo a guardarlo per un po'. I suoi occhi grigi sono concentrati, fissi sulla strada , e ripenso a quello che mi ha detto Paolo...
Non essere severa con lui, la vita non gli ha sorriso molto!
Cosa voleva dire?
Per un attimo, gli occhi di Startseva si distraggono dalla strada e si posano su di me.
Deglutisco e distolgo immediatamente lo sguardo da lui. Che imbarazzo, sembrava proprio che lo stessi fissando!
Il silenzio che ci avvolge si fa sempre pensante, finché lui non decide di infrangerlo.
"Quindi tu e Mirko, eh?" la batta lì.
"..."
Sebbene sia anche evidente che Startseva stia cercando di smorzare la tensione, come mio solito, quanto si tratta di lui, mi metto subito sulla difensiva.
"No...dico...mi fa piacere sapere che stiate insieme..." cerca di rimediare il poveretto.
"Non stiamo insieme!"
Ribadirlo è più che altro un bisogno fisiologico, ma mi esce male, troppo male. Lo dico con una durezza che farebbe rabbrividire chiunque.
"D'accordo, d'accordo! Non c'è bisogno che ti scaldi tanto!"
"Non... non mi sono scaldata!" dico esasperata.
Mi sento in colpa, ma non lo do minimamente a vedere.
Il poveretto, poi, è davvero saturo delle mie risposte ostili.
"E invece si!" mi fa notare lui.
"E invece no!"
"Mi dici qual è il tuo problema? Cosa ti ho fatto?"
"..."
Questa volta ho paura. Nei nostri consueti attriti è sempre lui quello controllato, quello che cede, quello che si cura di mantenere gli equilibri, ma questa volta non lascia correre...
Una piccola parte di me si pente di essere stata così impudente, ma questa volta ci pensa lui a rincarare la dose.
"Non parli? Bene, Lucia, allora te lo dico io qual è il tuo problema: tu mi odi perché sei rimasta da sola, mi odi perché la tua squadra mi apprezza. Lasciatelo dire, questo è un comportamento davvero infantile!"
Infantile? Infantile io?? Va bene, in effetti, non è che tutto questo orgoglio fino ad adesso mi abbia fatto apparire la ragazza matura e responsabile che sono in realtà.
Gregor non mi conosce, non può sapere come sono veramente. Gli ho dimostrato un'ostilità cieca e irrazionale e, per forza di cose, lui ha imparato a vedermi così: una ragazzina, sciocca e capricciosa, e magari anche un po' puerile.
Ma in questo momento sono troppo furiosa. Vedo solo quello che voglio vedere, e ascolto solo quello che voglio sentire.
"Come osa? Io sarei infantile?" ribatto, e la voce mi esce un po' isterica.
"Si, hai sentito bene, smettila di fare la ragazzina, cresci una buona volta!"
"Lei non mi conosce, è solo un presuntuoso!"
"Presuntuoso...?" lo lascio ancora senza parole.
"Si, un arrogante presuntuoso...!"
Finalmente intravedo il mio portone di casa. Non vedo l'ora di uscire da quest'auto, di allontanarmi da lui, di tornare a respirare.
Lo odio, lo odio per tutte le verità che mi sta sbattendo in faccia senza pietà.
Startseva ci è andato giù pesante, ma devo ammettere che per tutto questo tempo anch'io ho messo a dura prova la sua pazienza.
Scendo dalla macchina cercando di calibrare ogni movimento. Con la furia che ho addosso, lo sportello della sua preziosissima e costosissima auto verrebbe giù come niente.
"Grazie del passaggio!" dico piena di rabbia, dopo aver recuperato il maledetto borsone.
"Prego!" lo sento ribattere ad alta voce con il mio stesso tono aspro.
Estraggo frettolosamente le chiavi di casa dalla giacca a vento. Vado dritta e risoluta verso il portone, non mi volto a guardarlo, ma so che lui è ancora lì che aspetta che io entri in casa prima di ripartire.
Sbatto la porta alle spalle e prendo l'ascensore, sono decisamente furiosa.
Furiosa con Startseva e furiosa con me stessa...io ho sicuramente esagerato, ma lui non si è di certo risparmiato!
Si, sono testarda...
Si, sono stata infantile...
Si, mi brucia molto che le mie compagne abbiano simpatizzato con lui...
Ma che bisogna c'era di sbattermelo così in faccia?
Dall'alto della sua alterigia, Startseva ha punto il mio orgoglio, e me la prendo perché dentro di me so che lui all'inizio voleva solo essere gentile...
Sono sul pianerottolo, mentre apro la porta di casa suona il mio cellulare.
La scritta sul display MAMMA ha il potere di rasserenarmi e farmi dimenticare Startseva.
Rispondo al telefono, poso il borsone e, come al solito, comincio ad occuparmi di mille faccende di casa.
"Pronto, mamma?"
"Ciao tesoro, cosa fai?"
"Sono appena tornata, adesso mangio e poi finisco di fare la valigia!"
E' bello sentire la sua voce. Metto a scaldare sui fornelli il minestrone avanzato da ieri sera, e nel frattempo comincio a vuotare la lavastoviglie.
"Accidenti, tesoro, hai fatto tardi stasera!" mi dice, con apprensione.
Apparecchio velocemente e condisco l'insalata preconfezionata.
"Già, lasciamo stare - biascico, non mi va di rivangare la mia disavventura di questa sera, ho solo bisogno di parlare con lei - tu piuttosto, cos'hai fatto oggi?"
Mia madre fa l'infermiera in una clinica di riabilitazione, che a me è sempre sembrata più una casa di riposo con tutti quegli anziani. Tra tanti sacrifici mi ha cresciuta sola, e io mi sono sempre sentita un po' in colpa per essermi trasferita qui a Milano per studiare e per inseguire la passione della pallavolo.
Mentre ceno, mi racconta qualche piccolo aneddoto sui pazienti. Rido e sono felice di sentirla serena, nonostante il pensiero di sapermi lontana e per le preoccupazioni che le ho dato nei mesi successivi alla rottura con Mirko. Ma ora che mi sente più serena, è più tranquilla anche lei.
Poi, a conclusione della nostra telefonata, partono le immancabili raccomandazioni:
"Quando sei lì, attenta a quello che mangi"
"Si, mamma!"
"Non mangiare troppo sushi"
"Tranquilla!"
"Il pesce crudo è pericoloso, se non è abbattuto!"
"Si, lo so!"
"E non allontanarti troppo dagli altri, non conosci il giapponese, sai che guaio se ti perdessi!"
Sospiro... e lei finisce per ridere insieme a me.
"E chiama, tesoro! Io non ti disturberò, so che siete in ritiro, ma non farmi stare in pensiero! Ti voglio bene!"
"Certo, mamma, stai tranquilla! Ti voglio bene anch'io!"
Riaggancio e già la voce di mia madre mi manca.
Sparecchio in fretta e in furia, infilo tutto nella lavastoviglie e corro in camera a sistemare le ultime cose.
Intanto ignoro il mio telefono che continua a vibrare. Sono tutti messaggi delle mie compagne sul gruppo della squadra.
Li ignoro finché non chiudo definitivamente la valigia. Mi lavo, mi infilo il pigiama di ciniglia fuxia e finalmente posso distendermi sul letto.
Poi prendo il cellulare, non si sa mai le mie amiche mi facciano venire in mente qualcosa che potrebbe servirmi per il viaggio.

Giulia
Cris, porti il tuo fantastico arricciacapelli?
Cristina
E' già in valigia, baby! ; )
Giulia
Of course! Bravissima * . *
Camilla
Ragazze, mi è venuto in mente un nuovo motto.
Siamo in Giappone, giusto?
Invece che urlare il solito "per noi, hip hip hurrà!",
perché non gridiamo "per noi, hip hip Yattaaa!"?
Rossella
Cami, questo motto è davvero orribile!
Camilla
Noo, a me piace.! Non guardavi Mila & Shiro?? : (
Rossella
Non si può sentire comunque! =.='

Seguo divertita la diatriba messaggistica sul gruppo, finché non compare un nuovo messaggio che mi fa trasalire.

+39 ******
Filate a dormire!

Non sarà mica...?

Camilla
Coach!!! < 3

Ebbene, si! Apro la chat collegata a quel numero e visualizzo la foto del profilo: una vecchia foto di Startseva in campo, lui più giovane, sollevato in aria mentre schiaccia.
Mi riassale la tristezza. Mi sento in colpa e mi vergogno per come mi sono comportata.
Lui ha ragione, ancora una volta ho fatto la figura della mocciosa... e, per come si è comportato galantemente con me questa sera, accompagnandomi fino a casa, non meritava un simile trattamento!
Per una volta, decido di mettere da parte l'orgoglio. Fra due giorni cominciano le competizioni agonistiche, dovremmo sforzarci di andare d'accordo, lui è il mio coach e io sono la capitana.
Chiudo gli occhi, faccio un respiro profondo, e poi mi decido di fare la cosa giusta.
Gli scrivo...

 

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Capitolo 6
*** Addii, arrivederci e partenze (Seconda parte) ***


ADDII, ARRIVEDERCI E PARTENZE
(Seconda parte)

 

GREGOR

Accidenti a lei!
Perché deve fare sempre così?
Perché deve sempre spingere la mia pazienza oltre ogni limite?
In queste settimane, sono stato comprensivo. Nonostante mi prudessero le mani a ogni sua insubordinazione, ho sempre sopportato tutto con stoica calma. Cielo, se si fosse trattato di uno dei miei ragazzi avrei saputo bene come comportarmi, non avrei esitato a usare il pollice di ferro e a mettermelo sotto. Invece con loro no, con loro ho cercato di essere sempre comprensivo e ragionevole.

E poi diciamocela tutta, io ero abituato a trattare con i miei ragazzi, con il rude e semplice universo maschile ben lontano da quello femminile, assolutamente più complesso e irrazionale. Ma mi sono impegnato molto.
Non ho cercato di piegare loro alle mie esigenze, ma ben volentieri mi sono adattato io alle loro, e tutte le ragazze me ne hanno dato merito, ricompensando ampiamente i miei sforzi. Tutte, tranne lei... Perché lei no, lei deve sempre trovare il modo di farmele girare!
Questa volta però le è andata male, molto male! Ha tirato troppo la corda e la corda si è spezzata, e io non ho retto!
Che cavolo! Volevo solo essere gentile, provare a intavolare un qualche discorso. Un tipo riservato come me, poi, che apprezza la discrezione più di qualsiasi altra cosa, non voleva certo essere indiscreto.
Solo che in macchina quel silenzio cominciava a gravare tanto, ho sentito un certo imbarazzo intercorrere tra noi e in qualche modo ho cercato di smorzare la tensione come meglio ho potuto. Lì per lì, Mirko mi era sembrato un argomento in comune, dopotutto fuori dal palazzetto quei due mi erano sembrati piuttosto intimi. Non potevo certo prevedere che mi si sarebbe rivoltata contro in quel modo.
Non so cosa ci sia tra loro e non è certo affar mio, ma come mi tratta la capitana della mia squadra lo è eccome! Sono il suo coach, santo cielo! Mi deve rispetto.
Al diavolo! Al diavolo Capparelli! Al diavolo la Federazione! Al diavolo tutto!
Entro in casa, sbattendomi la porta alle spalle. Sono così fuori di me da non accorgermi nemmeno che la luce era già accesa quando sono entrato in casa.
"Gregor?"
La voce di mia madre giunge dalla cucina, cogliendomi piacevolmente di sorpresa, mentre un profumino invitante arriva a stuzzicare le mie narici.
La chioma brizzolata della mia mamma spunta per un attimo dalla porta della cucina.
"Gregor, finalmente!"
Mi disfo della giacca, metto via le chiavi della macchina e la raggiungo immediatamente. Non mi aspettavo di trovarla, sono felice.
Lei è ai fornelli e, neanche a dirlo, sta scaldando la zuppa di fagioli che doveva avermi preparato per cena.
Appoggio le spalle contro la credenza, incrocio le braccia e osservo a lungo quella signora di settant'anni, concentrata sui fornelli.
La mia mamma è davvero piccolina, arriva a sfiorare appena 1,55 m, in confronto io sono un gigante, ed è sempre molto distinta con la collana e gli orecchini di perle. Sotto il grembiule blu da cucina, indossa una camicina bianca e un pantalone nero di raso molto elegante. Ha i capelli corti brizzolati dal tempo ma tenuti ordinati e con molta cura. I suoi occhi castani sono concentrati sulla zuppa che ha preparato con amore per me.
Le voglio un gran bene.
"Zuppa di fagioli?" le chiedo.
"La tua preferita! - conferma lei, orgogliosa di farmi contento - come mai hai fatto così tardi? Sto provando a chiamarti dalle 9, ma risponde sempre la segreteria! Cominciavo seriamente a preoccuparmi."
"Paolo! - spiego semplicemente - dopo gli allenamenti ha insistito per fare una partita e, tra una cosa e l'altra, abbiamo fatto tardi! Credo che mi si sia scaricata la batteria..."
Suppongo bene, estraendo il cellulare dalla tasca, vedo che in effetti è spento. Lo metto via.
Mamma Angela mi versa una porzione abbondante di zuppa nel piatto e la porta in tavola, apparecchiata solo per uno. Poi, va a sedersi di fronte a me, piega i gomiti sul tavolo e affonda la testa tra le mani guardandomi con amore e già con nostalgia. So che mi mancherà anche lei...
Porto a mezz'aria una cucchiaiata di brodo per farlo freddare un po'.
"Sono contenta che lavorerai insieme a Paolino - sospira - lui cosa combina? Fa ancora lo scapolo spensierato?"
Rido, rischiando di scottarmi le labbra. Mia madre adora Paolo, ma ha sempre giudicato severamente la sua innata propensione per il libero amore.
"E' ancora single - confermo - ma non so fino a che punto sia spensierato!"
Lei ride e si morde le labbra.
"In fondo, cominciate ad avere una certa età..."
"Mamma...!" mi rabbuio.
Lo so che è preoccupata per me, per la storia di Vittoria, di tutti i miei sensi di colpa e della mia depressione.
So dove vuole andare di nuovo a parare, ma questa sera non ci sto. Non voglio discutere, voglio semplicemente godermi l'ultima sera in sua compagnia, senza pensieri, senza ricordi.
"D'accordo, d'accordo! - alza subito le mani lei, in segno di resa - permettimi solo di dirti che Vittoria non avrebbe voluto saperti solo in eterno. Ti amava troppo, per volerti solo e infelice senza di lei"
"Non sono infelice!" ed è vero.
Non sono felice, ma questo non vuol dire necessariamente che io sia una persona infelice.
La fascia d'età tra i 24 e i 28 anni è stata terribile. In campo ero un automa che giocava, le sconfitte non mi scalfivano e le vittorie non mi esaltavano. Ho anche fatto qualche sciocchezza, nel rispetto di certi limiti, con i controlli anti-doping non potevo certo permettermi di andare giù pesante con certa roba. Se mi avessero tolto anche la pallavolo, l'unica cosa che mi teneva a galla, per me sarebbe stata la fine.
Vittoria se n'è andata in una notte come tante di 10 anni fa. È spirata tra le mie braccia, a seguito di un'incidente in moto mentre cercavamo di tornare verso casa sua.
Una coupé grigia ci ha tagliato la strada, ma se prima di partire mi fossi assicurato che avesse allacciato bene il casco sarebbe ancora qui con me. Di questo non mi sono mai perdonato.
"Non punirti ancora Gregor! Sei un bravo ragazzo, non precluderti la possibilità di tornare ad amare e di essere amato!"
Non rispondo e mi richiudo nel mio solito mutismo. Mi concentro sulla mia zuppa e spero che mia madre capisca. Non è come crede lei, non è che io mi senta ancora a lutto, semplicemente ho smesso di sentire.
Non sono felice, sono sereno e tanto mi basta. Perché, fintanto che non mi ritrovo di nuovo navigare nelle acque buie torbide della depressione, va tutto bene...!
Finito di mangiare, accompagno mia madre alla porta. Gigante come sono, devo chinarmi di molto per stamparle un bacio affettuoso sulla guancia. Lei ricambia e mi stringe forte in un lungo abbraccio.
"A presto, tesoro mio! In bocca al lupo a te e alle tue meravigliose ragazze!"
"Crepi. Grazie, mamma!"
"E mi raccomando, sii sempre gentiluomo come ti ho insegnato - sorride soddisfatta - e soprattutto mi raccomando per quella Lucia di cui mi hai parlato! Mi piace, ha carattere!"
"Guarda che è lei che dovrebbe sforzarsi di trattare bene me!" obbietto alquanto stizzito.
Evito di raccontare a mia madre il carinissimo trattamento che la cara Lucia mi ha riservato stasera, ingiustamente.
Lei mi sorride enigmatica e procede con le raccomandazioni:
"Non dimenticare passaporto e documenti vari!"
"Il portadocumenti è già nel bagaglio a mano!"
"E chiamami appena arrivi!"
"Lo farò!" prometto.
Aspetto che sparisca nell'ascensore, prima di chiudere la porta e tornartene nella mia stanza.
Per fortuna sono un tipo previdente e la mia valigia è già pronta, per cui non mi resta che prepararmi per andare finalmente a letto.
Sprofondo fra le tue lenzuola pulite e profumate di bucato, inevitabilmente mi viene da pensare a lei e il malumore mi riassale.
Deve essere una ragazza mentalmente instabile per scattare in quel modo, mi chiedo come sia venuto in mente a Pandolfi l'idea di nominarla capitana, ma poi mi torna in mente l'ardore con cui incita le sue compagne, l'energia con cui le sprona a fare sempre meglio. Mi vengono in mente i suoi sorrisi e le fossette intorno alla bocca che nascono da quegli ampi sorrisi.
Quella peste sa come fare gruppo, sembra così tenera quando da quegli ampi sorrisi nascono tenere fossette intorno alla bocca... sembra. Tenera un corno! Lei sorride, sorride con le sue compagne, sorride persino con Paolo, sorride a tutti ma non a me. Sono consapevole di non essere esattamente un tipo loquace ed espansivo, ma è questo il mio carattere, cosa posso farci?
Eppure, mi convinco che non sia mio il vero problema... la squadra ormai è mia, le ragazze mi adorano nonostante io sia un tipo di poche parole. No, il problema è suo! Decisamente!
Metto a caricare il cellulare sul comodino, e quando lo riattivo una sfilza di messaggi invade la mia chat!
Naturalmente le mie giocatrici sono ancora sveglie, non si curano di nascondermelo e continuano a scambiarsi messaggini sul gruppo della palestra. Che impertinenti, ora mi sentono!

Tu:
Filate a dormire!
Camilla Bigonciari:
Coach!!! < 3
Rossella Certini:
Comandi, coach!
Cristina Deledda:
Agli ordini! : D
Giulia Mandelli:
Buonanotte, coach! ^_^

Ruffiane, ma mi sono davvero affezionato a tutte loro.
Spero con tutto il cuore che l'esito di questa competizione non le butti troppo giù, sono ancora così giovani.

Non posso certo dirlo a loro, ma sia io che Paolo non abbiamo sensazioni troppo positive. Certo, abbiamo fatto tanti progressi, più di quanto mi sarei immaginato, ma ciò non toglie che partiamo con un grave handicap... e io mi senti sotto pressione, perché loro hanno fatto tutto ciò che hanno potuto durante gli allenamenti. Adesso sta molto a me, e alla mia risposta dal punto di vista tattico.
Silenzio la chat del gruppo, voglio assolutamente dormire, a differenza loro che sono nel fiore degli anni io comincio ad avere anche una certa età.
Spengo anche la luce della lampada e tiro su le coperte, ma il suono del cellulare mi avvisa di un nuovo messaggio.
Mi lascio scappare un rantolo di fastidio, riafferro il cellulare e spalanco gli occhi quando leggo in sovrimpressione il nome del mittente.

Lucia Capparelli:
Coach,
le scrivo per scusarmi del mio comportamento di questa sera.
Non che il mio atteggiamento in generale verso di Lei sia stato dei migliori, ma questa sera credo di aver passato il limite...
Sono consapevole di averle mancato di rispetto in più di un'occasione e non posso fare altro, se non chiederle scusa.
Non ho giustificazioni per questo, semplicemente mi dispiace.
Mi impegnerò in questo mondiale, lo farò per me stessa, per le mie compagne e anche per lei.
Le prometto che seguirò le sue istruzioni senza fiatare, anche quando non mi troverò d'accordo, la ascolterò.
La prego solo di accettare le mie scuse...

Leggo queste parole tutte d'un fiato e non mi accorgo di una piccola morsa al petto. Quella peste, quell'indisciplinata, quella testa calda... mi ha un pò emozionato.
Inutile dire che quelle parole hanno penetrato la mia corazza di ghiaccio e raggiunto il mio cuore.

Forse dovrei risponderle. Non so se domani cambierà veramente qualcosa, dopotutto mi aveva assicurato già una volta che non mi avrebbe dato più problemi...eppure!
Sono tentato di telefonarle, comporre il numero e sentire la sua voce. Non mi piace affidare discorsi come questi a una chat messaggistica. Ma poi penso a quanto lei sia orgogliosa.
Avrà fatto uno sforzo non indifferente a scrivere quel messaggio. Non voglio e non devo rovinare tutto proprio adesso...
Quindi decido semplicemente di risponderle, probabilmente lei si sentirà più a suo agio così.

Tu:
Cara Lucia,
credimi, ho apprezzato molto le tue parole.
Non preoccuparti, non ci pensare più.
Mettiamo da parte tutto. Le emozioni, le nostre riserve, i nostri dissapori, tutto!
Non voglio affatto che tu segua punto le mie istruzioni, al vostro parere ci tengo.
Quello che vorrei tra noi è una collaborazione pacifica e uno scambio di idee più sereno.
Se ci impegniamo da entrambe le parti,
sono sicuro che riusciremo ad andare lontano.
Adesso concentrati solo su te stessa e su questa gara, sono sicuro che, comunque vada, tutte voi
saprete rendermi fiero e orgoglio.
Con affetto, Gregor.

Spero solo di aver non aver scritto nulla che possa nuovamente indisporla.
Mi scopro felice di questa sua iniziativa, finalmente ha perso coscienza. Sono ottimista, se davvero riusciamo a trovare un punto d'incontro io e la capitana, l'atmosfera nel gruppo ne risentirebbe positivamente...e non è detto che da una situazione disperata da cui nostro malgrado siamo partiti non possa uscirne qualcosa di buono.

Aspetto che Lucia visualizzi il mio messaggio e vado a letto.
Scopro con piacere che si dorme più serenamente, se si va a letto con un peso sullo stomaco in meno.

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Capitolo 7
*** Welcome to Japan ***


WELCOME TO JAPAN
 

GREGOR

Sono seduto comodamente al mio posto, sul primo sedile a destra accanto al finestrino.
Lancio un'occhiata all'orologio da polso, e vedo che mancano ancora due ore al decollo e un'ora all'arrivo delle ragazze e dello staff messo a disposizione dalla Federazione.

Questa mattina mi sono svegliato molto presto e sono arrivato in aeroporto con tre ore d'anticipo, e tutto questo per evitare la calca di giornalisti che sicuramente mi avrebbero preso d'assalto.
Con gli anni sono diventato ancora più scaramantico, non mi va di espormi troppo, a maggior ragione questa volta che proprio non riesco a fare pronostici. Non sono nella posizione di creare grandi aspettative e tanto meno intendo sminuirle. Non ho bisogno della pressione mediatica, più avanti avrò tempo e modo di dare conto alla stampa e alla Federazione, ma non adesso.
Accavallo le gambe e cerco di ingannare il tempo sfogliando le pagine del quotidiano sportivo. Passo oltre il piccolo articolo a noi dedicato e mi concentro sulle ultime notizie relative al mondo del basket.
Pensare che sono partito come cestita!
A 15 anni avevo raggiunto la mia altezza naturale ed ero anche piuttosto bravo in questo sport, ma quando ho conosciuto la pallavolo me ne sono innamorato. Chissà come sarebbe stata la mia vita se non ci fosse stato quel colpo di fulmine con il volley? Beh, probabilmente adesso non sarei sul punto di giocarmi la carriera in condizioni così imprevedibili. Ma la verità è che non rimpiango niente, amo troppo quello che faccio e non tornerei mai indietro.
Spero solo di poter tornare ad allenare la mia squadra in campionato nella prossima stagione, non chiedo altro al mio futuro.
Vedo salire Paolo sull'aereo tutto trafelato.
Il mio amico indossa una tuta blu scuro uguale a quella indossata da me stamattina e un paio di occhiali da sole scuri.
Lo steward gli controlla con gentilezza il biglietto. Poi lui solleva le lenti, mi adocchia e mi raggiunge subito con il suo solito entusiasmo.
"Avvoltoi?" domando, chiudendo e ripiegando il giornale.
"Già, ho fatto una corsa incredibile per aggirarli. Però, ottima trovata giocare d'anticipo! Complimenti, coach!" risponde, sollevando il palmo della mano.
"Grazie, coach!" rispondo così a lui e al suo cinque.
Gli faccio spazio sul sedile accanto al mio, e lo guardo mettersi comodo e riprendere fiato.
Per quanto il suo principale compito sia quello di curare e trattare le relazioni con l'esterno, neanche Paolo ama troppo avere a che fare con la stampa. In quanto primo allenatore, toccherà poi a me espormi e pronunciarmi.
"Mia madre ha chiesto di te – gli dico – ti ha invitato a cena al nostro ritorno"
"Mamma Angela! – esclama lui intenerito – da quanto tempo non la vedo. Come sta?"
"Benone, anche ora che è andata in pensione non riesce a stare un attimo ferma. Tra volontariato e le varie fondazioni benefiche, la vedo poco anche io!"
Mia madre, oltre ad essere una donna amorevole e un'ottima cuoca, è anche un avvocato molto noto in città e da poco in pensione.
"Quella donna è un portento! Mi ha aiutato un sacco in quella causa contro il Vercelli Volley club, dopo il mio infortunio. Se non mi fossi infortunato io, quell'anno..."
"Oh, sì, ci avreste sicuramente battuti nella finale!"
"Mi prendi in giro?" inarca un sopracciglio.
"No, certo che no!" trattengo a stento una risata.
Devo ammettere che quell'anno erano forti, hanno rischiato davvero di vincere la super coppa.
Paolo non digerirà mai quella che è stata la loro ultima sconfitta in finale al tie-break contro la mia squadra, ma per fortuna la nostra amicizia non ne ha mai risentito veramente.
Certo, lui tenta ancora di farmela pagare in qualsiasi occasione, come l'ultima sera in palestra, ma posso ben dire che la nostra amicizia è ancora salda.
"Mh... – mugola lui, poco convinto – in ogni caso, caro il mio Gregor, concentriamoci su questa sfida!"
"Abbiamo una bella gatta da pelare!" sono libero di commentare, in fondo siamo soli tra di noi.
"...e una dozzina di leonesse da domare!" ride lui.
Sorrido, è vero, sono delle ragazze tremende. Ragazze adorabili, in gamba, ma tremende, poi per me stare loro dietro è una vera impresa.
"Le hai già domate tutte, beh quasi tutte. Peccato che tu non sia riuscito ad addomesticare il capobranco!"
Paolo non lo dice con malizia, ma non mi piace che parli di lei in questi termini.
Mi scopro infastidito, nonostante stiamo semplicemente parlando per vie retoriche e con estremo rispetto. Siamo entrambi affezionati alle nostre ragazze, e poi mi sono accorto che tra Lucia e Paolo c'è vero affetto.
"Lucia non sarà un problema!" svio il discorso su un terreno più concreto.
"Ma non lo penso affatto, Lucia tiene troppo alla maglia ed è troppo legate alle compagne. Sono certo che in Giappone sarà più collaborativa, vedrai!" mi assicura.
E di questo ne sono convinto anch'io.
Qualcosa mi suggerisce che Lucia non mi creerà problemi, collaborerà. Per qualche ragione, mi sento più positivo dopo aver ricevuto il suo messaggio di scuse, ieri sera.
Comincia ad arrivare lo staff. Sono in tutto una decina, tra nutrizionisti e fisioterapisti, costituiranno la nostra equipe e si prenderanno cura dallo stato di salute delle nostre atlete. Io e Paolo ci alziamo e li salutiamo con gratitudine e professionalità.
Infine, arrivano le ragazze tutte insieme.
Sono elettrizzate. Guardo i loro visi, pieni di attesa e aspettative, e mi emoziono un po' anch'io sotto la mia coltre di impassibilità. Davvero, spero che tutto vada per il meglio.
Ci sfilano davanti con le loro tute bianche dalle striature azzurre e con il logo della nazionale ad altezza del cuore. Vanno a prendere posto dietro, portando naturalmente il solito scompiglio.
"Coach, questo è per lei!" dice Camilla, porgendomi un sacchetto e io immagino subito di cosa si tratta.
"Oh, no!" è la mia protesta immediatamente tradita da un mezzo sorriso.
Lei ride compiaciuta. Quando ho dei dolci davanti i miei lineamenti si addolciscono e sembro ritornare un pò bambino. Camilla lo ha notato e forse è per questo che da quella famosa volta, mi porta i suoi famosi muffin ogni volta che li prepara.
Il suo gesto di chiedermi scusa è diventato un modo tutto suo per compiacermi.
"Sei la più temibile attentatrice alla mia linea!" le dico un po' per scherzare, e un po' perché è la verità.
Faccio tanto per tenermi in forma e stare lontano dai miei amati dolci e, da quando sono in squadra, i suoi muffin sono diventati il mio principale peccato di gola.
Lei arrossisce visibilmente soddisfatta, sa che mi piacciono davvero molto.
"Grazie, sarà il mio spuntino di oggi!" dico grato, curiosando all'interno del sacchetto.
"Di niente, coach!" sibila contenta.
"E a me? Niente dolcetti?" protesta Paolo, deluso, sbirciando il contenuto.
"Ah, non sapevo che i dolci piacessero anche a te. Povero Paolo, la prossima volta li farò anche per te..." è la risposta piccata di Camilla, che ammicca e torna indietro al suo posto.
Due muffin ai mirtilli, due al cioccolato nero e due al cioccolato bianco. Mmh...ho già l'acquolina in bocca!
"Sei sempre il solito fortunato! – sbuffa il mio amico, di fianco – da quando sono in questa squadra non mi hanno mai portato dei dolcetti. Devo forse cominciare ad essere geloso?"
Rido di gusto. Effettivamente ...
Poi vedo arrivare lei. Si ferma dallo steward per i dovuti controlli.
Non posso negare che sia bella.
Sembra a suo agio nella sua tuta sportiva. E' decisamente la più alta fra le sue compagne, ma non per questo perde grazia nei movimenti. L'ho visto in palestra, Lucia sa sempre essere agile e flessuosa in modo del tutto naturale.
Le lunghissime ciocche ondulate biondo cenere, che tiene legate da un elastico azzurro, le scendono ordinatamente lungo la schiena. I grandi occhi nocciola e le sue labbra piene rosee sorridono affabili e divertite all'accompagnatore di volo. Non ho dubbi che Lucia sia sempre simpatica e gentile verso gli altri. Già, con tutti gli altri...!
Indugio un po' troppo nel guardarla, lei mi vede e abbassa i suoi occhi nocciola. Per un attimo temo di essere tornato punto e a capo con lei, dopo tutta la strada fatta.
Poi, passa i controlli e viene avanti in cerca del suo posto.
"Buongiorno!" saluta, proseguendo dritta lungo il corridoio.
"Lucia, eccoti! – la ferma Paolo – tu che sei imparziale, vuoi dire a Gregor qual è il vostro allenatore più affascinante?"
Lei spalanca ancora di più i suoi occhioni, chiaramente a disagio.
"Ignoralo, per favore!" le dico, mentre mi assale un'insana voglia di strozzare il mio amico a mani nude.
"No, Gregor! Seriamente! Devi toglierti dalla testa che le donne impazziscano solo per te! – dice lui imperterrito – allora?"
Possibile che Paolo non veda che la sta mettendo in difficoltà? Che gli passa per la testa?
Certo, lui non può sapere della nostra furiosa lite di ieri sera e del risolutivo scambio messaggistico, che possiamo considerare una sorta di armistizio, ma sa perfettamente che fra me e lei non è mai corso buon sangue. Certo che è proprio infantile!
Vedo Lucia tergiversare, andare con gli occhi alla cerca di una scappatoia che davvero non c'è, ed è proprio in quel momento che grazie al cielo spunta da dietro Cristina Deledda.
"Te la do io la risposta! – interviene esuberante la mora dalla carnagione olivastra – Coach Startseva. Alto, muscoloso, proporzionato, occhi di ghiaccio, capelli ebano indomabili, mascella virile e volitiva. Coach Nastasi. Altezza media, addominali A.A.A. CERCASI, capelli castani e viso tondo e occhi da pesce lesso. Paolo, perché non continui a puntare sulla simpatia?"
Vedo Paolo spalancare la bocca crucciato.
"Ah-Ah-Ah. Simpatica!" mormora con finta noncuranza, ma io so bene quanto sia stato ferito il suo ego maschile.
Quella di Cristina è chiaramente una provocazione, mi sono accorto anch'io di come le piaccia stuzzicarlo, ma lui in questo momento è troppo punto nell'orgoglio per accorgersene.
Lei e Lucia scoppiano a ridere, e io cerco di trattenermi come posso.
"Non te la prendere, hai molte altre qualità! – rincara la dose Cristina, prima di rivolgersi all'amica – su, Lucia, andiamo a sederci!"
Le due se ne vanno e tocca a me ricucire i brandelli dell'orgoglio del mio amico. Ma la colpa è sua, deve sempre mettersi in competizione su tutto. Ha cercato una vittoria troppo facile coinvolgendo tra tutte proprio Lucia, ma gli è andata male.
Poi ci penso e mi viene da chiedermi se Paolo si sia accorto di piacere a Cristina Deledda.
"Stava solo scherzando!" gli faccio notare.
"Taci! Stai zitto! Non ho bisogno della tua compassione!" risponde secco, incrociando le braccia.
"Ma è così...!" provo a dire ma poi lascio perdere, è testardo e permaloso.
Anche Paolo è decisamente un bell'uomo. Mentre io ho una bellezza chiaramente nordica, la sua è una bellezza tipicamente mediterranea. Ha le labbra carnose e un viso tondeggiante. I suoi occhi sono di un castano tenue e luminoso, e il suo sorriso è più ampio e caloroso del mio. Solo che è troppo permaloso e si ostina a mettersi in competizione con me su tutto. Non capisce che il confronto tra noi non sussiste. Lui era un ottimo libero e io un ottimo palleggiatore, senza contare che abbiamo due bellezze troppo diverse per fare un vero paragone. 
Il pilota inizia a parlare attraverso l'altoparlante per darci il benvenuto a bordo e fornirci tutte le indicazioni utili per il decollo. Quindi ci allacciamo la cintura e ci preparate a trascorrere le prossime 12 ore in una scatola di lamiera.
Incredibilmente il chiacchiericcio delle ragazze dopo qualche ora si placa, io però tengo ancora le cuffie e ascolto la mia play-list.
Paolo mi dorme di fianco, mentre io osservo dal finestrino l'immensità dei cieli e la soffice consistenza delle nuvole sottostanti. Sospesi tra cielo e terra, veniamo sospinti verso la nostra impresa.
Chiudo gli occhi, cerco di non pensare, respingo fuori di me la consapevolezza dell'enormità del lavoro che ci aspetta nei prossimi giorni a venire. Adesso ho solo bisogno di raccogliermi in me stesso.
Poi mi addormento e mi risveglio solo mezz'ora prima dell'atterraggio.
Quando scendiamo mi sembra un po' di essere in gita scolastica, con me e Paolo che da bravi supervisori cerchiamo di non perdere di vista le ragazze.
Siamo al recupero bagagli e, con gli occhi, le conto e le riconto mentalmente una ad una.
"Rimaniamo insieme, a meno che qualcuna di voi non conosca il giapponese, non disperdiamoci!" intima Paolo.
Cristina e Camilla abbandonano per un attimo le loro valige, congiungono le mani e chinano il capo.
"Nippon e yōkoso, Paolo-sensei!" urlano con decisione.
"Eh?" bofonchia lui, perplesso.
Incredibile, sembra ancora risentito.
"Vuol dire benvenuto in Giappone, Paolo" traduce Camilla.
"Si, si, brave! – borbotta lui – voglio proprio vedere come ve la cavate in un discorso vero, nel caso vi perdeste!"
"Ma che gli è preso?" si chiede Rossella.
Quando ciascuno di noi ha recuperato la propria valigia, le riconto accuratamente.
"Ragazze, seguiteci! Paolo ha ragione, rimaniamo uniti!" dico loro.
L'aeroporto di Narita è davvero grande. Attraversiamo il terminal con i trolley alla mano, fuori ci aspetta una navetta prenotata dalla Federazione che ci porterà in Hotel.
Le porte automatiche si aprono al nostro passaggio e, subito, un gruppo di giornalisti mi prende d'assalto e mi accerchia.
Mi ero illuso di essere riuscito ad aggirarli, ma loro sono molto più furbi di me. Dopotutto, è questo il loro mestiere, no?
"Coach Startseva, la prego, una domanda!"
"Ci dica, coach, quali sono le sue previsioni?"
"Signor Startseva, cosa pensa delle sue atlete? Sarete all'altezza?"
Mi sento sommerso da mille domande, senza contare che sono ancora stordito dal lungo viaggio. Faccio cenno a Paolo e alla squadra di cominciare ad incamminarsi verso il pullman, io vedrò di liberarmi alla svelta degli avvoltoi, come ci divertiamo a chiamarli io e Paolo.
Mi consegno e la prima a puntarmi il microfono è una giornalista dai capelli rosso fuoco e gli occhi verdi.

"Ci dica, cosa si prova a vestire di nuovo i panni di allenatore della nazionale a un mese della magica impresa a Rio che vi ha fatto salire sul secondo gradino del podio?"
"Ne sono onorato!"
"Come stanno le ragazze?"
"Fisicamente e mentalmente stanno molto bene. Sono serene e contente di questa opportunità!"
"Si sta tenendo in contatto con Pandolfi? Perché ha abbandonato la squadra a pochi giorni dal mondiale?
"Non ho avuto modo di sentire Pandolfi, sono sicuro che ha avuto i suoi buoni motivi per lasciare!"
"Ci dia un pronostico, quali sono le sue previsioni?"
"Ancora è presto per poter fare previsioni. Al momento, ci concentriamo sulla prima fase. È giusto che le ragazze distribuiscano il carico di stress volta per volta. Ora scusatemi, mi stanno aspettando!"

Qualcuno cerca di farmi altre domande, ma io molto abilmente mi defilo. Mollo i giornalisti e corro verso il pullmino che ci accompagnerà all'Hotel Hinata.
Diplomatico, essenziale, evasivo. Ottimo lavoro, Gregor, queste sono le regole. Bisogna porre un freno nelle interviste pre-partita, sempre.
Proprio non capiscono che bombardandomi di domande non fanno che mettere ancora più pressione?
Salgo al volo sulla navetta grigia metallizzata, che subito parte.
"Good morning!" mi saluta l'autista cinquantenne dagli occhi a mandorla, con un chiaro accento nipponico.
"Good morning!" ricambio cordiale.
Come sempre le ragazze fanno un gran baccano. Vedo volare da una parte all'altra bibite energizzanti, pacchetti di cracker, clinex e... assorbenti.
Arrossisco visibilmente e prendo posto accanto a Paolo in prima fila. Sono così genuinamente disinibite con me e con Paolo, io poi sono abituato ai miei ragazzi che fra loro potevano passarsi al massimo dei preservativi. E, quelli no, sicuramente non mi creano imbarazzo quanto i tamponi mestruali...
 

LUCIA

Sono felice di essere capitata in camera conCris.
Il viaggio non è stato stancante come avevo immaginato.Ho dormito molto e, nelle ore di veglia, ho chiacchierato a lungo con le miecompagne e il tempo è davvero volato.
Rossella era seduta ai primi posti, ha detto che Startseva e Paolo hanno dormito quasi tutto il tempo. Che bambinoni!

Ricordo di aver provato un forte imbarazzo quando Paolo mi ha fermata per chiedermi chi fosse, secondo me, l'allenatore più attraente tra lui e Startseva. Solo qualche giorno fa, non avrei esitato a reggere il gioco a Paolo e a fornire una delle mie risposte velenose, ma adesso è tutto diverso.
Non sapevo proprio come uscirmene da quella situazione, meno male che è arrivata Cris a rompere la tensione e a togliermidall'imbarazzo.
Certo, Paolo ci sarà rimasto un pò male. Sospetto che c'entrino parecchio i vecchi conti in sospeso con Startseva, Giulia me ne ha messo al corrente.
Davvero Paolo ha ingaggiato una sfida tra lui e Startseva? Bah, gli uomini! Valli a capire!
Per quanto riguarda, invece, i miei conti insospeso con Startseva, sono contenta che tutto si sia sistemato. Dopo quella scenata in macchina, ho riflettuto al lungo sulla mia condotta.
Mi sono sentita un po' infantile e anche un po' meschinella per il mio comportamento... adesso mi vergogno e quasi non riesco a guardarlo più in faccia. Mi ha fatto piacere ricevere il suo messaggio. Anche se ne aveva (quasi) tutte le ragioni, stamattina non sembrava arrabbiato quando sono salita sull'aereo, non sembrava guardarmi con severità.
Chiudo la porta della camera alle spalle, e Cris si getta di peso sul primo dei due letti che le capita. Meno male che ha scelto quello al centro, io preferisco sempre quello alla parete... mi fa sentire come protetta.
"Finalmente!" sospira la mia amica,  pancia in giù.
Faccio un lungo giro con la zip e comincio a disfare la valigia. Per adesso sistemerò solo la biancheria intima, il pigiama e la divisa per la prima partita di domani. Ho portato davvero un mucchio di roba.
"Sei stata crudele con Paolo!" dico, appendendo nell'armadio la gruccia con la divisa.
"Mh..?" mormora distrattamente la mia amica.
"Paolo! – le ricordo – credo che ci sia rimasto davvero male!"
Lei ride divertita e si volta pancia in su a guardarmi. Non risponde, solleva soltanto l'indice e il medio in segno di vittoria.
"Sto dicendo sul serio!" replico.
"Stavamo solo scherzando!"
"Si, può darsi, ma credo lui ci sia rimasto male lo stesso..."
Cris solleva un sopracciglio, molto perplessa.
"Durante l'amichevole che abbiamo fatto l'altra sera, pare che Startseva abbia raccontato a Giulia dei vecchi conti in sospeso tra loro, e ancora oggi si punzecchiano. Niente di eclatante, loro sono molto amici, ma credo che quella risposta da parte tua lo abbia buttato un po' giù. Non ti sei accorta che in aeroporto era piuttosto strano?"
Cris rimane con la bocca spalancata.
"Cavolo! Credevo fosse semplicemente nerviso perché stanco per il viaggio!" sussurra lei dispiaciuta.
Ci guardiamo negli occhi un po' colpevoli, e poi sentiamo bussare alla porta.
Vado ad aprire e mi ritrovo davanti i due allenatori.
Sgrano un po' gli occhi per la sorpresa.
"Stiamo facendo il giro dei controlli – dice Paolo, privo del suo solito brio – è tutto apposto?"
Cris si mette seduta, e poi fa su e giù sul letto come a testare la consistenza del materasso.
"E' tutto confortevole!" dice, azzardando un sorriso.
Paolo si guarda intorno, ignorandola completamente. I suoi occhi castani si posano poi su un peluche che spicca dalla mia valigia. Un vecchio orsetto con una maglietta azzurra.
Paolo mi guarda con un cipiglio interrogativo, e anche a Startseva viene spontaneo sollevare un sopracciglio. Forse non mi facevano così dolce e tenera.
Alzo gli occhi al cielo, ricordiamoci che odio giustificarmi...
"Ognuno ha i suoi riti scaramantici, io prima di ogni partita importante dormo con il mio peluche porta fortuna!" replico e incrocio le braccia.
Startseva sopprime educatamente una risata, ma non per questo gli risparmio una delle mie migliori occhiate inceneritici.
Lui deglutisce, dà un colpetto di tosse e devia il discorso:
"Controllo solo il climatizzatore e ce neandiamo!"
Paolo rimane sulla porta, mentre Startseva attraversa la stanza, trova il telecomando e comincia ad armeggiare.
Io sono ancora in piedi vicino alla valigia, e per qualche ragione comincio ad avvertire una strana sensazione. C'è qualcosa di strano nell'aria.
Gli occhi bassi di Cris, quelli di Paolo che guazzano da parte a parte, pur di evitare i suoi.
Improvvisamente ho come la sensazione di trovarmi nel bel mezzo esatto di una silente tempesta...
Nella perplessità, mi ritrovo a guardare Startseva che, dall'altra parte di questa stanza d'albergo, indugia sul telecomando e ricambia il mio stesso sguardo. E forse è la prima volta che noi due siamo accarezzati dallo stesso identico pensiero:

Quei due si piacciono, e anche tanto!

"Bene, qui è tutto apposto! Possiamo procedere!"dice il nostro primo allenatore, smorzando l'elettricità nell'aria.
Quando i due coach lasciano la stanza, vedo Cris molto abbattuta. Lei non parla, io non accenno il discorso. Sono convinta cheneanche lei abbia la più pallida idea di cosa stia succedendo...

Sorrido e sono felice per la mia amica, perché sono pronta a scommettere che nemmeno lei è indifferente a Paolo. Adesso mi è chiaro perché Paolo ci sia rimasto così male, non è da lui prendersela troppo a lungo per così poco: gli piace Cris!

 

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Capitolo 8
*** Buona la prima ***


BUONA LA PRIMA
 

LUCIA

Sono in pieno fermento.
In questa prima attesissima giornata di campionato mondiale, affronteremo il Cile.

Fortunatamente, gli spalti all'interno del Palasport di Tokyo non sono gremiti di gente come temevo. Sono pochi gli appassionati nipponici accorsi, e ancora meno i tifosi italiani e cileni.
Non sono nuova nelle competizioni internazionali, ma mi sento tesa come se fosse la mia prima volta. Tuttavia, ricordo a me stessa che sono la capitana, in qualche modo un punto di riferimento per le mie compagne. Non mi è permesso lasciarmi sopraffare dalle emozioni, devo dominarle.
Ma il cuore galoppa nel petto, l'adrenalina scorre pulsante nelle vene, mentre i muscoli sono un fascio di pura tensione.
Mi trovo insieme alle mie compagne, appena fuori dalla nostra metà campo.
Preparo gradualmente il mio corpo, lo porto alla giusta temperatura. Sgranchisco gli arti, roteo le braccia compiendo giri di 360°. Le mie gambe lunghe e tese sono già corazzate con le ginocchiere bianche, le dieci dita della mia mano sono ben incerottate, la maglia azzurra che indosso porta il numero 10 insieme al mio cognome.
Nonostante i movimenti siano metodicamente gli stessi, questo riscaldamento pre-partita non ha lo stesso sapore di quello che compio tutti i giorni in palestra. Lì, alla sola presenza della mia squadra, preparo il tuo corpo per 8h no stop in campo, non per pochi e decisivi set. Piccola ma sostanziale differenza!
Facciamo rimbalzare palloni da parte a parte. Con movimenti studiati, calibriamo bene i movimenti delle braccia con colpi sempre più decisi, sempre più secchi. Troviamo, ciascuna, il proprio ritmo.
Poi finalmente un fischio ci richiama.
Italia da una parte, Cile dall'altra.
Le due squadre si radunano appena fuori dal campo, a ridosso della linea dei 9 metri, si allineano e si predispongono in due schieramenti. L'elettricità nell'aria aumenta vertiginosamente.
Il momento della presentazione è sicuramente uno di quelli che più mi emozionano. Mi trovo all'estremo della fila tra Cris, alla mia destra, e i nostri due coach alla mia sinistra.
Ci stringiamo tutti. La mano accaldata di Cristina e quella grande di Startseva raggiungono le mie, mentre il consueto accordo di trombe e tamburi apre il nostro inno nazionale.
Una miriade di scariche elettriche attraversa la mia colonna vertebrale.

Fratelli d'Italia,
l'Italia s'è desta;
dell'elmo di Scipio
s'è cinta la testa.
Dov'è la vittoria?
Le porga la chioma;
ché schiava di Roma
Iddio la creò.

Sulle note dell'inno di Mameli, cantiamo a una sola voce.
Io, le mie compagne, Paolo, Startseva... quello che sentiamo è qualcosa di puro, irrazionale, qualcosa di assolutamente inspiegabile a parole.

Noi fummo da secoli
calpesti, derisi
perché non siam popolo
perché siam divisi.
Raccolgaci un'unica
bandiera, una speme;
di fonderci insieme
già l'ora suonò.

Ci sentiamo uniti, in perfetta comunione, tutti insieme, in un unico momento catartico.
Le nostre corde vocale vibrano all'unisono e nel nostro petto arde un sentimento di dedizione e di appartenenza a una maglia, a una squadra, a una nazione intera.

Uniamoci, amiamoci
l'unione e l'amore,
rivelano ai popoli,
le vie del Signore.
Giuriamo far libero
il suolo natio:
uniti per Dio,
Chi vincer ci può?

Alzo gli occhi verso Stertseva.
Lui è al mio fianco e la sua voce perfettamente intonata mi arriva nitida, ferma, decisa...
I suoi occhi grigi e acuminati guardano dritto davanti a sé. Sembra tranquillo, determinato, ma mi chiedo cosa stia realmente provando.

Fra le mie compagne, sono decisamente l'unica ad averlo visto per com'è, la sola a cui è stato concesso di vederlo cedere a uno dei suoi rari momenti di vulnerabilità.
Quella volta insieme a Mirko, ho visto uno Startseva del tutto diverso da come si presenta in palestra. Uno Startseva che si concede la debolezza di essere umano.
Questo campionato è importante per me e per la squadra, e lo è anche per lui.

Stringiamci a coorte!
siam pronti alla morte;
siam pronti alla morte,
l'Italia chiamò!

Stringiamoci a coorte!
siam pronti alla morte;
siam pronti alla morte,
l'Italia chiamò!
Sì!!

Alziamo le braccia al cielo, con le dita ancora saldamente intrecciate le une nelle altre, e poi ci lasciamo andare a un applauso liberatorio. Battiamo forte le mani, finché all'interno del palazzetto non si ristabilisce un silenzio solenne.
A seguire, infatti, parte immediatamente l'inno cileno. Le ragazze sudamericane, dalla carnagione prevalentemente olivastra, intonano sentitamente il loro canto nazionale.
Al termine, ci inchiniamo tutti al pubblico com'è buona usanza nella cultura nipponica.
Primo e secondo arbitro si posizionano alle estremità della rete, i giudici di inea a fondocampo. Tutto è pronto, noi siamo pronte e questa è la nostra formazione schierata:

Lucia Capparelli, opposto;
Paola De Brasi, schiacciatrice;
Rossella Certini, schiacciatrice;
Cristina Deledda, centrale;
Camilla Bigonciari, palleggiatrice;
Giulia Mandelli, libero;

Starseva ha schierato immediatamente noi titolari. Probabilmente vuole subito vederci in campo, studiarci al fine di costruire possibili soluzioni per le prossime partite.
Battiamo le mani, le une su quelle delle altre. Per noi battere il cinque significa molto più che imprimerci la giusta carica, è un po' come se l'energia dell'una riuscisse a passare all'altra in un unico circuito carico di elettricità.
Siamo radunate in panchina, riserve e titolari circondiamo i nostri due coach. Loro con la maglietta azzurra da CT e noi tutte con la divisa azzurra. Solo Giulia si differenzia con la divisa da libero, che è bianca con le rifiniture azzurre.
"Forza, raga! Concentrate! Dobbiamo mettercela tutta!" questo è l'incitamento di Paolo, mentre ci regala il suo sorriso più deciso.
Non ne sono tanto sicura, ma negli occhi grigi di Startseva scorgo finalmente il cenno di una qualche emozione.
"Non vi dico niente - dice il nostro primo allenatore - quello che fondamentalmente avevo da dirvi, ve l'ho già detto durante i nostri giorni di allenamento insieme.
Quello che mi è aspetto da voi è un gioco di squadra. Restate sempre unite, sempre coordinate. Giocate come sapete fare, e il Cile non sarà un problema. Restate sempre insieme, se rimanete unite non vi batteranno mai, perché voi insieme siete energia pura! Forza, ragazze, andate!!"

Piene dell'energia che ci hanno trasmesso i nostri coach, entriamo in campo con la giusta esuberanza.
Siamo tutte molto scaramantiche e, per buon auspicio, ciascuna di noi porta qualcosa di azzurro. Io, per esempio ho un elastico azzurro a domarmi la folta chioma biondo cenere. Cris invece ha un braccialetto azzurro.
Camilla, la nostra regista, si posiziona al centro in prima linea. Io sono alla sua destra in posto 2. I capelli neri cortissimi di Camilla sono tenuti indietro, ordinati da una fascia azzurra, e i suoi occhi blu sono iniettati di sangue. Ha lo sguardo giusto!
So che fra tutte, lei è la più tesa. Questa è la prima partita che gioca da palleggiatrice esordiente, la prima in cui è costretta a coprire un ruolo che non è mai stato suo.
Le tendo il palmo della mano e lei lo colpisce con grinta, piena di gratitudine.
"Andrà tutto bene!" le dico.
E lei annuisce con decisione.
Quando l'arbitro fischia ci prepariamo tutte in recezione. Serve il Cile.
La cilena batte dritta su Giulia. La nostra compagna si allunga in avanti per ricevere. Camilla vola verso il pallone e lavora per me una palla alta e rapida. Io salto e, liberandomi la mente da tutto il resto, attacco immediatamente con una fast...che va.
Primo punto, esultiamo e ci stringiamo in un rapido abbraccio.
Cambio palla, adesso sono io a servizio.
Mi dirigo in zona di battuta. Sotto il palmo della mano, faccio rimbalzare il pallone a terra, come a tastarne la consistenza. Lancio un'occhiata fugace fuori dal campo. Paolo mi sorride, Startseva sembra impassibile ma mi indirizza un cenno di incoraggiamento con il capo.
Aspetto fino al fischio dell'arbitro che mi dà il via. Finalmente posso battere.
Sollevo in alto il pallone, salto e colpisco violentemente. La mia palla flottante finisce irrimediabilmente nella zona di conflitto tra due cilene in recezione, che non possono fare altro che guardare la palla atterrare fra i loro piedi.
Uno splendido Ace*.
Si!
Le mie compagne esultano. Mi preparo nuovamente a battere e mi piacerebbe replicare l'azione, ma questa volta il pallone viene intercettato. Le cilene ricostruiscono e contrattaccano. Tutto si svolge molto velocemente.
Giulia vola in recupero, mentre poi Camilla alza in palleggio una palla per Cristina, che con un colpo di frusta, mette in difficoltà la difesa delle sudamericane. Sembrano aver recuperato un pallone che, però, è troppo impreciso, e va a impigliarsi nella rete al terzo tocco.
Le cilene tengono duro.
Provano a raggiungerci, puntando tutto su Florencia Ramirez, la loro giocatrice di riferimento.
Tra scambi lunghi e primi tempi, arriviamo a chiudere il primo set senza problemi sul 25-16, con una decina di match-point che il Cile non riesce ad annullare.
Prima del cambio campo, torniamo tutte in panchina. Le nostre compagne in riserva ci aiutato, ci incitano, ci passano gli asciugamani e le borracce.
Mi idrato, tampono la fronte, cercando di asciugare la fatica di un set non troppo impegnativo.
"Bene, ragazze, continuate così! - ci esorta Startseva, il mio coach sembra molto soddisfatto - unica cosa, mi raccomando al muro nelle diagonali. Ramirez è mancina e ha delle traiettorie difficile da leggere."
"Soprattutto quando avete lei in posto 2" soggiunge Paolo.
"Esatto, quando c'è lei in posto 2 è necessario rafforzare il muro!" conclude il nostro primo allenatore.
"Dai così, raga! Forza! Continuate così!!" grida Paolo elettrizzato.
Ci riuniamo in cerchio, siamo cariche, sudate ma affatto stanche.
Poniamo una mano sopra l'altra in cerchio.
"Forza ragazze - grida Camilla - per noi, hip hip, Yattaa!!"
Alla fine sul motto l'ha spuntata lei.
Sorrido e sono veramente tanto felice per la mia compagna. Camilla sembra aver acquistato coraggio e sicurezza, il successo delle sue azioni in campo le ha dato una fiducia che le mancava nonostante il sostegno incondizionato di Paolo, di Startseva e naturalmente di tutta la squadra. I progressi che ha fatto sono incredibili, sembra davvero che abbia sempre fatto la palleggiatrice.
Riesce a lavorare dei palloni anche non precisissimi che ci arrivano dalla ricezione, ed è perfettamente in grado di capire a chi meglio indirizzarli per un attacco ben riuscito. Camilla è padrona del nostro campo e, allo stesso tempo, è incapace di tenere sotto controllo la disposizione delle avversarie nell'altra metà campo.
Suona il fischio che dà inizio al secondo set.
Siamo state brave nel primo parziale. Adesso le sudamericane cercheranno in tutti i modi il riscatto, devono rincorrerci.
Come spesso avviene, però, chi sta sotto paga il duro prezzo di sentirsi sotto pressione.
Arriviamo sull'11-11 perfettamente in parità. Dopo un buon inizio, però, le cilene iniziano a vacillare.
Le sudamericane appaiono scoordinate, sembrano non capirsi, non trovarsi tra loro.
Non riescono a mantenere in vita palle tutt'altro che impossibili. Hanno perso la bussola, nonostante le pronte direttive della loro allenatrice.
Chiudiamo il secondo set con un 25-18.
Startseva adesso sembra ancora più rilassato. Non ci ha detto molto durante il cambio campo e durante i pochissimi time-out che si è riservato di chiamare. Stiamo andando alla grande e, nonostante le nostre piccole imperfezioni, abbiamo dominato incontrastate nei primi due parziali.
Poco Cile e molta Italia.
Senza grossi problemi, comincia anche il terzo set.
Startseva ha detto che vuole che sia l'ultimo. Vuole che chiudiamo con il botto questa partita, con un clamoroso 3 a 0.
A lui farà bene al cuore, a noi darà più coraggio e fiducia nelle nostre capacità.
In questo terzo parziale attacchiamo tanto, attacchiamo forte. Le cilene ci rispondono e qualche volta riescono anche a trovare il punto.
Non ci preoccupa che stiano rispondendo, a noi basta contenere la Ramirez.
L'attaccante di punta del Cile è l'unica che fa veramente sentire.
In un'azione perfettamente combinata con la palleggiatrice, Ramirez innesca una pipe**.
Leggiamo bene la loro mossa, io e Camilla ci posizioniamo per murarla. Ci lanciamo in un balzo a rete, ed effettivamente Ramirez si protende verso la palla alzata dalla palleggiatrice.
Quello che però non avevamo previsto è che l'attaccante di riferimento non schiaccia, ma innesca con le dita un pallonetto che ci coglie del tutto impreparate.
"Ci sono!!" urla, Giulia.
La rossa con le lentiggini riesce ad arrivare in scivolata miracolosamente sulla palla.
Camilla cade a terra, tentando di defibrillare il pallone.
"Vai, Luci..." mi urla.
Io, in un'azione tutt'altro che perfetta dal punto di vista tecnico, protendo il palmo della mano, cercando di salvare la giocata, ma la palla si invischia nella rete.
Peccato!!
Le cilene esultano, ma noi scoppiamo a ridere.
Aiuto Camilla a rialzarsi e le chiedo scusa per aver vanificato il suo sacrificio, lei ride e mi dà una pacca affettuosa sulla schiena.
Lanciamo un'occhiata fuori dal campo, Startseva ci guarda un po' basito. Il nostro allenatore metodico e perfettino non avrà gradito molto la nostra azione poco convenzionale. Non commenta, si passa la mano nella sua capigliatura corvina e selvaggia, mentre la sua espressione facciale si limita a un'alzata di sopracciglio.
Ci riposizioniamo.
Il set continua con noi sempre in netto vantaggio. Senza alcun problema, continiamo ad offendere in attacco e a mettere in difficoltà la ricezione.
Forse non siamo del tutto consapevoli dell'importanza di questa partita, ma il nostro caro coach sicuramente sì. Questo esordio è servito molto a rompere il ghiaccio e, infatti, siamo entrate subito in partita, abbiamo subito preso confidenza con l'ambiente. Questo ci darà un'ottima spinta per affrontare con lo spirito giusto le sfide più impegnative.
Quando arriviamo sul 24-15 cominciamo ad accusare un po' di stanchezza dettata se non altro dal trambusto delle emozioni iniziali.
Cristina batte. Spero che questo sia l'ultimo servizio.
La squadra cilena riceve e ha tutto il tempo per organizzare il proprio piano d'attacco. La Ramirez frusta la palla, io cerco di murarla, ma le mie mani non sono correttamente posizionate.
Il pallone mi passa fra le mani, apre il mio muro. Dietro di me, Giulia non può arrivare su questa palla, ma a salvarla si butta Cristina.
Camilla, in secondo tocco, tenta in tutti i modi di sistemartela ma la palla è troppo bassa, troppo attaccata a rete. Io, con il tuo 1. 94 m, non posso certo attaccarla, né mi riesce di arpionarla in un pallonetto.
Non penso, seguo solo l'istinto.
In un movimento del tutto scoordinato, protendo il palmo della mano e con forza spingo la palla dall'altra parte della rete. Non seguo nemmeno l'andamento del pallone, non so nemmeno io di preciso cosa ho fatto!
L'arbitro fischia e, con molta sorpresa, allarga il braccio verso la nostra metà campo.
Niente infrazione, niente fallo. Il punto è nostro.
Del tutto incredula, rido e urlo di sorpresa. Urlo insieme alle mie compagne e ci stringiamo ansanti in un fortissimo abbraccio.
Startseva ha la bocca spalancata, sul suo viso adesso c'è la stessa perplessità dipinta sul volto delle nostre avversarie. Accanto a lui, Paolo se la ride spassosamente.
Possiamo dirlo: ci siamo aggiudicate a pieno merito la prima vittoria di questa prima fase!
Ci abbracciamo felici, unite, esaltate. E forse ha ragione Startseva, insieme siamo davvero una forza!
 

GREGOR

Coach Startseva, com'è andata la prima partita di questa rassegna mondiale?
Bene, direi piuttosto bene!
Che impressione le hanno fatto le ragazze?
Mi hanno fatto una buona impressione. Le vedo molto cariche, hanno molta voglia di mettersi in gioco. Sì, posso dire che siamo partiti con il piede giusto. Abbiamo ancora molto su cui lavorare, ma direi che ci siamo...
Secondo lei, chi è stata la migliore in campo?
Difficile dirlo, ognuno di loro ha dato un prezioso contributo alla riuscita del match. Se devo pronunciarmi in favore di qualcuna in particolare, sento di dover dare il giusto merito a Bigonciari. Sicuramente lo saprete già, Camilla si è dovuta improvvisare palleggiatrice in sostituzione di Anna Valente, che ha lasciato la squadra. Con Camilla abbiamo lavorato tanto nelle ultime settimane, insieme abbiamo cercato di colmare lacune e pianificare il nostro gioco. Ha fatto dei progressi incredibili e oggi in campo ho ricevuto molte conferme sulle sue capacità. Quindi, se devo pronunciarmi in favore di qualcuna, un grosso merito va senz'altro a lei.
Per quanto riguarda invece la parte tecnica, come si pronuncia? Avete vinto 3-0 sul Cile, sigillando il tutto con un'azione rocambolesca ma a quanto pare efficace!

Mi mordo le labbra, nel tentativo di reprimere un sorriso.

Eviterei di commentare l'azione dal punto di vista tecnico, soprattutto per quanto riguarda questo terzo set. Noi abbiamo pasticciato, ma loro molto più di noi. In linea generale, però, mi ritengo soddisfatto. A inizio partita ho chiesto alle ragazze gioco di squadra, e loro hanno risposto bene.
Domani affronterete il Canada, quali sono le sue previsioni?
Dal punto di vista tattico, il Canada è sicuramente una squadra più organizzata e coesa rispetto al Cile. Sarà una partita diversa, non so se sarà più impegnativa, ma sicuramente sarà diversa. Dovremmo farci trovare più preparati in ricezione, ma si può fare. Abbiamo studiato e speriamo di portare a casa una seconda vittoria.

Sfoggio uno dei miei rarissimi sorrisi e mi congedo dai microfoni...
 

LUCIA

Saliamo sul pulmino grigio e rientriamo in Hotel, insieme a Paolo.
Startseva è stato trattenuto per la conferenza stampa, e noi abbiamo bisogno di riposo. Dobbiamo riacquistare tutte le energie in vista dell'incontro di domani con il Canada.

Sull'onda dei festeggiamenti, abbiamo già fatto la doccia al Palazzetto. Siamo contente di questa prima schiacciante vittoria. Non ci aspettavamo di perdere, ma quando si è in campo non si può mai dare niente per scontato finché non viene messo giù l'ultimo punto.
Già, il mio bislacco ultimo punto!
Sono in camera con Cris.
Lei è distesa sul suo letto, riposa ma non dorme.
Io invece sono in piedi davanti allo specchio a dare una sistemata alla mia chioma un po' arricciata. I miei capelli biondo cenere sono sciolti, li ripasso accuratamente con il diffusore. Mi piace che scendano sulla schiena ondulati e morbidi.
Attraverso lo specchio, vedo la mia amica armeggiare con il cellulare. Mi chiedo se stia pensando a Paolo.
Certo, il nostro secondo allenatore sembra essere tornato in sé. Questa mattina a colazione, si è seduto con noi e ha chiacchierato come se niente fosse successo. Ci ha incoraggiato molto per la partita e ci ha perfino scherzato su, a differenza del suo ccollega Mr. Tuttodunpezzo...
Spengo il diffusore e mi siedo sul mio letto, con lo sguardo rivolto verso Cris.
"Secondo te, cos'ha pensato Startseva del mio ultimo strambo punto?"
Le domando così, dal nulla.
Non lo ammetterei neanche sotto tortura, ma mi interessa dell'opinione che lui ha di me come giocatrice. Che io voglia o no, Gregor Startseva è il mio allenatore, la mia guida seppur soltanto in questo breve percorso agonistico.
La mia amica dai capelli color mogano scoppia in una sonora risata, stacca i suoi occhi scuri dal cellulare e li punta su di me.
"Non hai visto che faccia ha fatto?"
Mi stringo nelle spalle e mi lascio andare anch'io a una risata. Startseva sembrava più costernato delle povere cilene.
"Secondo me non sarà arrabbiato, dopotutto quello è stato il punto della vittoria - mi rassicura la mia amica - ma come mai questa domanda? Da quanto in qua ti interessa il giudizio di Startseva?"
A dire la veritá, non ho ancora raccontato a Cris della lite avvenuta la sera prima della partenza nella macchina di Startseva, né tanto meno del mio penoso messaggio di scusa e del nostro risolutivo compromesso.
Tuttavia non so rispondere con esattezza a quella semplicissima domanda. Faccio per abbozzare una qualche vaga risposta, ma le mie labbra rimangono socchiuse perché il cellulare di Cristina suona, catturando completamente l'attenzione della mia amica.
Cris sussulta e balza seduta:
"E' Annina!"
Sgrano gli occhi e raggiungo la mia amica, andando a sedermi proprio accanto a lei.
Ci posizionate con il telefono davanti, le ginocchia rannicchiate contro il petto e le spalle contro la testiera del suo letto.
Cris risponde alla videochiamata e il viso della nostra amica compare sorridente sullo schermo.
Anna è una ragazza dolcissima. Si può dire che fra le nostre compagne lei è sempre stata la più dolce, la più genuina, la più fragile... lei è davvero tutto questo.
"Anna!!" la salutiamo in coro.
E' da intere settimane che non avevamo notizie di lei ed è rassicurante vederla sorridere in quel modo.
E' sempre la stessa, viso tondo, capelli castani legati in una crocchia e due grandissimi occhi verdi lucidi ma inevitabilmente velati dalla tristezza.
"Ragazze, vi ho viste in Tv, siete state grandissime!" dice, la sentiamo emozionatissima.
Perché lei avrebbe dovuto esserci.
Perché lei avrebbe dovuto condividere tutto questo insieme a noi.
Perché la vita è imprevedibile e spesso la brutalità umana riesce ad avere il sopravvento sull'innocenza.
"Tesoro, come stai?" le chiede Cris in pena.
"Sto bene, scusate se non mi sono fatte sentire" e questa volta la sua voce è rotta da emozioni diverse.
Anna cerca di mascherare la tristezza come può, ed è davvero difficile per me sopprimere tanta rabbia.
"Non devi scusarti, noi capiamo - la rassicuro dolcemente - abbiamo provato a chiamarti tante volte, ci siamo preoccupate, ma adesso che hai telefonato siamo più
tranquille!"

"Scusate tanto. Ho staccato tutto, avevo bisogno di stare da sola... di lasciare il mondo fuori, capite? Mi dispiace tanto, non volevo farvi preoccupare!" Anna trattiene un singhiozzo.
Io e Cris ci scambiamo uno sguardo preoccupato. Ci si stringe il cuore.
Probabilmente è ancora presto, ma Anna è ancora lontana dall'aver superato quanto le accaduto quella maledetta sera in palestra.
"H...hai provato a farti aiutare?" dice Cris, con un filo di esitazione.
"Sì, ho cominciato una terapia per il supporto psicologico.... Sono in cura, il mio analista dice che supererò tutto ma ci vorrà un po' di tempo..."
"Per superarlo veramente devi denunciarlo!" le dice Cristina.
"No, io non potrei mai..."
"Devi farlo, Anna! Quel verme non può passarla liscia, deve pagare per quello che ti ha fatto!" le suggerisco anch'io.
"Io non posso, lui non è da solo, ha tutta la Federazione dietro, sarebbe uno scandalo...e io non so se sarei in grado di reggere tutto questo..."
Sto per replicare, sto per dirle che lei avrebbe tutto il nostro sostegno in caso decidesse di sporgere denuncia, ma qualcuno bussa alla nostra porta e tutto quello che ho dentro mi muore in bocca.
"Adesso dobbiamo andare..." sussurra Cris.
"Non sparire di nuovo, d'accordo?" la supplico.
"No, non sparirò più, ve lo prometto!"
Anna ci rassicura, regolandoci uno dei suoi dolci sorrisi, e Cris è costretta a interrompere la comunicazione.
Vado ad aprire e, alla porta trovo, Giulia.
Minuta, sorridete, ancora euforica per la vittoria di oggi.
I capelli lisci rosso rame incorniciano il suo volto ovale, e le sue lentiggini lo rendono ancora più grazioso
"Ragazze, noi stiamo scendendo di sotto - ci dice, ma si accorge subito delle nostre facce torve - è successo qualcosa?"
"No, niente!" ci affrettiamo a rispondere all'unisono.
Giulia inarca un sopracciglio poco convinta, ma finge di crederci. Le sono grata.
"Beh, sbrigatevi, fra poco servono la cena!" ci dice, prima di sparire nel corridoio.
Mi chiudo la porta alle spalle e sospiro sollevata.
Io e Cris vi lanciamo un'occhiata preoccupate, ma rimaniamo chiuse nel nostro silenzio. Riusciamo a comunicare in questo modo, soprattutto in situazioni difficili e delicate come queste. Siamo felici di aver ricevuto finalmente notizie da Anna e speriamo vivamente che lei decida di procedere con una denuncia. Noi la sosterremo sempre, qualsiasi decisione prenderà.
Quindi ci prepariamo per la cena e raggiungiamo gli altri in sala.
Ci sono già tutti. Le nostre compagne, lo staff e Paolo. Noto subito l'assenza del nostro primo allenatore.
Si starà prendendo tutti i meriti e godendo dei complimenti da parte della stampa... - sogghigno fra me, un po' cattivella.
Io e Cris ritroviamo il sorriso e prendiamo posto a tavola insieme a tutte le nostre compagne, ancora prese a commentare la partita.
Paolo ci raggiunge al nostro posto.
"Brave, ragazze, oggi siete state veramente bravissime!" dice, con tono beffardo.
"Grazie, Paolo!" risponde risoluta Cris, ignorando volutamente l'ironia.
"E' stato uno spettacolo guardarvi, a cosa stavate giocando? Ah, sì, chiaramente alla patata bollente***!
Scoppiamo a ridere tutte. Io nascondo il viso tra le mani, colpevole, so di essere quella che ha pasticciato di più. Se questa è la piccata reazione di Paolo, mi chiedo quale sarà mai quella di Startseva.
Ed eccolo che si materializza. Il nostro primo allenatore entra in sala, bellissimo e con l'aria decisamente stanca. Porta con sé una piccola cartella, probabilmente contenente parte dei suoi appunti.
Ci raggiunge e affianca il suo collega.
"Coach, cominciavamo a credere che si fosse perso!" dice Rossella, divertita.
"Effettivamente mi hanno sequestrato!" risponde lui, sorridendo di rimando.
"Gregor, hai visto come sono stare brave le nostre ragazze?" dice Paolo, dandogli un colpo sulla spalla.
Startseva alza gli occhi al cielo e per tutta risposta estrae un foglio dalla sua cartella scarlatta.
Aggrotta la fronte e legge:
"Su un totale di 75 punti realizzati sulle cilene, sono 5 i vostri ACE a servizio, 11 a muro, 31 in attacco...e i restanti 28 punti sono un gentile regalo delle cilene. Ringraziatele!"
"Grazie, cilene!!" cinguettano le mie amiche in coro.
Lui scuote la testa, ma sorride impercettibilmente. Tutto sommato il coach è contento dell'esito della partita.
Insieme a Paolo, ci lascia e raggiunge lo staff dall'altra parte del tavolo.
Non sembra arrabbiato, forse è anche piuttosto divertito ma so che pretenderà molto da noi, e dentro di me so anche che è giusto così.

*********************

*ACE: battuta di servizio vincente. Sia se la palla finisce direttamente a terra nel campo avversario, sia se finisce out dopo essere stata intercettata in primo tocco dalla ricezione avversaria.
**PIPE: è un'azione combinata, prevede che il palleggiatore, invece di alzare la palla per l'opposto per il centrale, alza la palla al limite dei tre metri (prima linea). Lo schiacciatore deve fare molta attenzione a non calpestare la linea dei tre metri, in compenso può oltrepassarla in volo e atterrare oltre questa.
*** PATATA BOLLENTE: premetto che di questo gioco ho solo dei vaghi ricordi da bambina. Se non sbaglio è un gioco con la palla a eliminazione, che consiste nel passarsi la palla sempre più velocemente e chi la fa cadere viene eliminato. Mi sono divertita a fare questo paragone, perché sembra che Lucia e Camilla abbiano toccato la palla come se scottasse :'D

 

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Capitolo 9
*** Dalla parte di Gregor ***


DALLA PARTE DI GREGOR
 

GREGOR

Faccio avanti indietro, sul ciglio del campo.
I miei occhi grigi sono fissi sulla partita, mentre le mie mani affondano nervosamente nelle tasche.

Sapevo che quella contro il Canada sarebbe stata la partita più impegnativa di tutto il girone, ma voglio vincere.
Voglio vincere senza lasciare nulla al caso.
Voglio vincere perché questa vittoria ci assicurerebbe l'accesso diretto alla seconda fase.
Vittoria... ormai sono in grado di pronunciare questa parola senza avvilirmi, senza pensare necessariamente alla mia Vittoria.
Certo, a distanza di dieci lunghi anni la penso ancora molto spesso, ma non più con la stessa morsa allo stomaco capace di togliermi il respiro.
Sono teso e concentrato. La mia carriera è nelle mie mani e in quelle di queste ragazze, che inaspettatamente mi hanno conquistato. A poco a poco, si sono guadagnate il mio affetto e la mia simpatia, e francamente non ci speravo più visto com'era cominciata tra noi.
Improvvisamente le vedo sbilanciate tutte in avanti.
Camilla e Lucia sono attaccate a rete, ma non riescono a contenere l'attacco di McGowan, che passa potentissimo sopra al loro muro. Giulia e Rossella volano indietro per tentare disperatamente un salvataggio, ma erano troppo in avanti, e senza alcun perdono la palla finisce a terra fuori dal campo, sporcata dal nostro muro.
"Avete lasciato la ricezione troppo scoperta, arretrate di più...!" grido io, cercando di sovrastare il caos all'interno del Palazzetto.
E mi rivolgo principalmente a Giulia, che è il nostro libero.
"Sì, coach!" annuisce lei, con decisione.
Siamo sull'1-1.
Il primo set è stato vinto dalle canadesi ma, dopo un primo parziale in cui abbiamo pesantemente subito, abbiamo annullato il loro vantaggio aggiudicandoci il secondo set.
Eccoci in questo terzo parziale, molto combattuto.
Entrambe le squadre sono entrate pienamente in partita.
Intanto cerco di dare loro qualche indicazione, non voglio giocarmi subito il terzo time-out discrezionale che ho a disposizione.
"Lucia, cerca di andare in diagonale quando hai davanti la Mc Gowan e la Patterson!" le suggerisco, dopo aver subito un dolente muro.
Lei mi guarda un po' affannata, con i suoi intensi occhi nocciola. Si asciuga il sudore dalla fronte e mi fa un deciso cenno di assenso con la testa.
Mi passo una mano tra i capelli, che oggi sono particolarmente indomabili, e continuo a tenere gli occhi puntati sul campo.
Le osservo e le guido. Soffro insieme alle mie ragazze, dal fischio della battuta d'inizio a quello che decreta l'ultimo punto decisivo.
Siamo in piccolo vantaggio, 22-19. Solo adesso si entra nel vivo del match, questi sono i punti decisivi, i più sofferti e combattuti di tutto il set.
Cristina è alla battuta. La mia giocatrice dai capelli color mogano e dalla carnagione olivastra si prepara a servire. Mi guarda, e sento di doverla rassicurare con un cenno del capo.
Il fischio dell'arbitro le dà il via.
Cristina solleva in alto la palla e imprime nelle braccia la giusta potenza per una battuta corta ma tanto efficace da spiazzare la ricezione avversaria.
Le canadesi cercano di tenere vivo quel pallone e di organizzare un'azione offensiva. Il loro è un attacco che non passa perché arriva il muro raddoppiato di Camilla e Lucia.
Le mie leonesse ruggiscono, come direbbe Paolo. Si stringono ansanti in un abbraccio, si sostengono, si incitano a vicenda.
Vederle giocare così è  uno spettacolo per i miei occhi. Al di là di tutto il resto, è questo quello che ho chiesto loro: spirito di gruppo e gioco di squadra.
Io, invece, qui fuori dal campo, sono tutto un fascio di nervi, anche se non lo do minimamente a vedere. Ho fiducia in loro, molta, ma non riesco a impedire al mio cuore di balzare nel petto a ogni singola azione.
In gioco, lo so bene, c'è il mio futuro da allenatore.
Cristina è di nuovo al servizio.
Anche questa volta le canadesi rispondono con decisione, devono assolutamente raggiungerci se vogliono vincere questo terzo parziale.
Il loro attacco è contenuto perfettamente da Giulia, molto brava in fondo al campo. La rossa riceve in bagher e riesce a indirizzare bene la palla a Camilla. A sua volta, la nostra palleggiatrice dagli occhi azzurri alza per Lucia una palla morbida e alta che viene messa giù, con una splendida fast.
Batto le mani anch'io in un applauso, adesso abbiamo allungato il nostro vantaggio, ma è necessario mantenere alta la concentrazione e i nervi saldi. Bisogna soffrire tanto...
Una mano raggiunge la mia spalla. Mi volto, è Paolo.
I suoi occhi castani sono concentrati sulla partita, il suo sorriso è fiducioso. Ringrazio di avere lui al mio fianco in quest'impresa.
"Sono brave, stanno mettendo a frutto tutto quello che hai insegnato loro!" dice orgoglioso.
E' vero, al di là di come andrà, mi stanno rendendo molto fiero di loro!
Cristina è di nuovo al servizio, ma la sua lunga serie fortunata di battute si interrompe qui, impigliandosi nella rete.
Peccato!
Lei si scusa con le sue compagne, che però la sostengono e le danno un cinque di incoraggiamento, e quando mi guarda sento anch'io di doverla tranquillizzare. Le faccio semplicemente un cenno con la testa, dopotutto la qualità del suo gioco per tutta la partita è stato davvero impeccabile. Eravamo sopra di 5 set point, quindi ci sta rischiare un po' a servizio in questi casi.
Adesso siamo24-20.
Le canadesi servano una palla precisa che mette in crisi la nostra ricezione. Camilla non riesce ad aggiustare bene la palla, quindi Lucia deve rimandarla nell'altro campo in palleggio.
Ci prepariamo al loro contrattacco, Camilla e Lucia si posizionano sotto rete, ma la Mc Gowan non sembra scoraggiarsi. Al contrario, schiaccia sulla parallela con tutta la forza che ha in corpo.
Evidentemente le mie giocatrici sono troppo staccate dal muro, perché la palla s'insacca* rovinosamente nella nostra metà campo.
Un urlo di sfogo e di vittoria fuoriesce della capitana canadese, che si congiunge insieme alle sue compagne. Noi stiamo soffrendo, loro stanno soffrendo, in questi casi vince chi riesce a mantenere i nervi saldi fino alla fine.
"Le mani devono essere più avanzate, dovete andare a chiudere di più quanto vanno di parallela!" suggerisco.
Le due si incoraggiano dandosi a vicenda una pacca sulle spalle. A parte tutto, è così che voglio la mia squadra: sempre in armonia, sempre unita, nel bene e nel male.
24-21.
Le avversarie stanno riguadagnando terreno, ma le mie non perdono la lucidità.
Da parte delle canadesi arriva per loro un altro servizio su Giulia. Il nostro libero riceve, mentre Camilla sceglie di nuovo l'attacco di Lucia in questo momento decisivo. Da posto 2, la capitana salta con fluidità e, senza alcun timore, attacca a tutto braccio una palla così potente da aprire in due il muro del Canada.
Ed ecco che arriva pronto il ruggito delle mie leonesse, il loro urlo di esultanza.
Anche il terzo set è nostro! 2-1.
Le giocatrici hanno pochi minuti per riprendere fiato, prima del cambio campo.
Mentre si riposano, si idratano e si rigenerano, io ne approfitto per complimentarmi e per fornire loro nuove indicazioni.
Sono orgoglioso di ciascuna di loro.
"...e mi raccomando, cerchiamo sempre di pressare a servizio...dai, andiamo a chiudere questa partita!!"
"Dai, dai, dai!" incita Camilla grintosa.
Rossella le dà il cinque e un rapido abbraccio.
Apprezzo come Camilla sia perfettamente entrata nel suo ruolo. Le sue alzate sono sempre molto precise, molto studiate. Mi si riempie il cuore quando vedo la ragazza dagli occhi azzurri esultare soddisfatta a ogni azione riuscita.
Il quarto parziale inizia e prosegue a ritmo serrato. Entrambe le squadre hanno determinazione e voglia di vincere.
Decido di mettere a riposo per qualche minuto a rotazione prima Rossella e poi Camilla, in modo da non sbilanciare troppo l'assetto della squadra. Vorrei far riprendere fiato anche a Lucia, ma non si sa come reagirebbe testarda e orgogliosa com'è.
I suoi occhi nocciola sono sempre vigili, fissi sulla palla. I suoi capelli lunghi e biondi, legati da un nastro azzurro, ondeggiano sulla schiena a ogni suo movimento.
Bella, orgogliosa e testarda! Un mix micidiale, ma è la capitana della mia squadra e io voglio andarci d'accordo.
Tra attacchi riusciti e attacchi subiti, arriviamo al match point.
Siamo 24-23 in favore del Canada, e io chiamo il time-out.
Le ragazze tornano in panchina, sono contento di vedere nei loro occhi la stessa determinazione che avevano all'inizio della partita.
"Dobbiamo assolutamente evitare di arrivare al tie-break! Camilla, questa palla devi indirizzarla a Lucia, ci serve il suo attacco da posto 2. Lucia, quando attacchi non chiudere troppo sulla diagonale, ricordati che la Patterson è una centrale molto forte a muro! Quindi, ragazze, forza! Andiamo a chiudere questa partita!"
Le vedo urlare, spalleggiarsi e incitarsi a vicenda. Spero davvero che possano aggiudicarsi questo set, senza ricorrere al tie-break!
Tornano in campo, si posizionano per ricevere. Giulia vola a recuperare il pallone, lo indirizza come sempre a Camilla che segue esattamente le mie indicazioni. Lucia balza e attacca una diagonale che butta giù la ricevitrice canadese.
Esulta, esulta forte ma non prima di essersi scusata con la sua avversaria, che si rialza senza problemi.
Chi pensa che la pallavolo non sia un gioco di forza si sbaglia. Ci vuole forza interiore e forza fisica, soprattutto in uno scontro ad alti livelli come questo.
Rossella va alla battuta.
La nostra schiacciatrice dagli occhi azzurri e i capelli corvini legati in una piccola treccia, serve una palla lungo linea. L'azione di ricostruzione delle canadesi è tecnicamente perfetta, Mc Gowan si solleva per un attacco che non passa perché le mani ben posizionate di Camilla respingono la palla verso il centro campo...
Punto!
"Siiii!!" urlo, non riesco a contenermi nemmeno io.
Le mie ragazze si stringono l'una sull'altra, felici. Esauste ma felici.
Abbraccio Paolo e lui stringe me, entrambi soddisfatti e fieri delle nostre meravigliose campionesse.
 

LUCIA

Oggi la nostra partita contro le canadesi è stata molta combattuta, per un pelo abbiamo evitato di finire al tie-break, ma la vittoria è arrivata meritata.
Questa sera, con la preziosa collaborazione di Paolo, siamo riuscite a convincere Startseva a uscire per festeggiare la qualificazione alla seconda fase. Un miracolo, vero?
Dopotutto domani la partita con l'Azerbaigian sarà molto più rilassata, senza contare che i nostri allenatori, di comune accordo, hanno deciso tatticamente di schierare le compagne della riserva.
Stasera avevo una gran voglia di rilassarmi e divertirmi.
Sono una studentessa di scienze della nutrizione, gioco a pallavolo da titolare nella nazionale femminile, ma resto sempre una ragazza di 24 anni.
Quindi, quando ci ritroviamo seduti intorno a un tavolo, in un locale tranquillissimo situato nelle immediate vicinanze del nostro hotel, non mi immaginavo minimamente di trovarmi davanti una scena del genere.
A fatica trattengo uno sbadiglio. Sorseggio il mio Margarita e, per non addormentarmi, sorreggo la testa con la mano, mentre le mia compagne spupazzano Startseva sotto i miei occhi indifferenti.

"Coach, quando ha cominciato a fare l'allenatore per la nazionale?"
"Coach, in quale squadra giocava in campionato?"
"Coach! Che numero porta di scarpe?"
"..." e questo è il suono assordante del tuo disappunto.

Mi scopro a disagio, mentre le mie compagne lo riempiono di complimenti in maniera veramente stucchevole. Persino Cris è tutta assorbita nei loro discorsi.
Il voltastomaco!

Startseva tiene gli occhi bassi e arrossisce come un deficiente. Forse è un po' in imbarazzo, ma si lascia comunque coccolare dalle mie amiche. Questa poi...

Mi sembra davvero di stare in un pollaio con tante galline e un unico gallo.
Finisco d'un sorso il mio Margarita decisamente annacquato e provo ad ignorare la scena di fronte ai miei occhi.

"Coach, ma lei è italiano?" gli chiede a un certo punto Camilla.
Questa domanda riesce ad attirare un pò la mia attenzione.
"Giusto, il suo nome sembra straniero..." dice Rossella, con curiosità.
"In realtà sono nato in Russia, a San Pietroburgo. Non ricordo molto della mia infanzia, se non che ho vissuto in orfanotrofio finché i miei genitori non mi hanno adottato, ma mi sento italianissimo!" sorride impercettibilmente.
"Si notato subito i suoi lineamenti dell'est, coach. Sono così decisi e affascinati..." cinguetta Giulia.
Beh, del fatto che fosse stato adottato lo sapevo già. Fino a questo momento non conoscevo la sua nazionalità, ma Paolo mi aveva accennato che Startseva fosse cresciuto in una famiglia adottiva.
A proposito di Paolo... il nostro secondo allenatore continua a starsene in disparte al bancone.
Decido di alzarmi e di raggiungerlo, senza proferire parola. D'altra parte nessuna delle mie amiche se ne accorge, troppo impegnate ad adulare quello Startseva!
E pensare che questa sera mi ero fatta carina. Nonostante la stanchezza, ho trovato la voglia di lisciarmi i capelli che scendono chiari lunghi e voluminosi lungo la schiena e ho messo solo il mascara e un filo di marita. Niente di che alla fine, ma da poco ho scoperto che quando sono serena e in pace con me stessa, mi apprezzo molto di più.
"Paolo...!" lo saluto.
"Capitana!" mi ricambia lui, con un sorriso.
Mi siedo allo sgabello accanto al suo e ordino un altro Margarita, con la speranza che non me lo facciano annacquato come il primo.
"Non sei con le tue amiche a osannare il dio allenatore sceso in terra per tutti noi?"
Non trattengo una risata.
Adulare Startseva? Io?
"Oh, mi conosci! – replico con un ghigno beffardo – ma tu non mi dirai che sei geloso..."
"Tsk, figurati!"
Paolo tiene il boccale con entrambe le mani e sorseggia la sua birra a piccoli sorsi.
I suoi capelli castani sono raccolti in un piccolo codino, i suoi occhi sembrano andare oltre quel boccale. E' pensieroso il mio secondo allenatore e io penso di sapere chi è la persona che affolla la sua mente.
"Dunque, vediamo... le piacciono i balli caraibici, preferisce il vino rosso, odia le rose, ma in compenso apprezza molto i girasoli" dico con scioltezza.
"Mh?"
Lui volta la testa di scatto, sembra essere andato un po' nel panico... e questo mi diverte troppo.
"E' quello che ho detto, tienilo a mente!" gli suggerisco caldamente.
Forse la sua mente ancora non lo realizza coscientemente, ma più in là mi ringrazierà.
"No...io...ehm, non so a chi tu ti stia riferendo, ma..." balbetta lui, mentre io rido di gusto.
Adoro fare la paraninfa, e poi vedere Paolo arrossire è davvero uno spasso.
Il mio Margarita arriva e, puntuale come sempre, ecco arrivare alle nostre spalle anche quel rompiscatole di Startseva.
"Hey, avevamo detto di non esagerare con l'alcool, niente secondo giro!" dice severo.
Sembra il mastino del doposcuola, ma da quand'è che è tornato a vestire i panni dell'allenatore-despota?
"Il mio primo Margarita era annacquato, quindi non vale!" replico decisa, mandando giù un altro sorso generoso.
Ci fissiamo reciprocamente negli occhi con aria di sfida. I suoi affilati occhi grigi nei miei profondi nocciola.
Startseva assottiglia lo sguardo, tenta di replicare qualcosa ma poi lascia perdere e ricaccia tutto indietro.
Ci raggiunge anche Cris.
Stasera la mia amica è bellissima e sprizza gioia e felicità da tutti i pori. Nella partita contro le canadesi ha messo l'anima ed ha realizzato il maggior numero di ACE, ma adesso, proprio come me, è solo una ragazza in un locale che vuole divertirsi e basta.
"Non fate gli asociali! Venite a ballare anche voi!" ci dice.
La mia amica dai capelli color mogano fa un cenno, mostrandoci le nostre compagne scatenate in pista.
"Cara, io sono il re dei balli caraibici!" ghigna Paolo.
Ah, davvero? Che coincidenza!
"Ma fammi il piacere!" ride lei.
"Non ci credi?" lui inarca un sopracciglio, con aria di sfida.
"Allora, fammi vedere cosa sai fare...!"
In un attimo, Cris lo trascina in pista. I due cominciano a muoversi a ritmo della musica latinoamericana che riempie tutto il locale. Li vedo ridere, ancheggiare sinuosi attaccati l'uno all'altro, un po' imbarazzati ma decisamente felici.
Startseva dall'alto dei suoi due metri non sembra molto entusiasta della cosa. Lo vedo scuotere il capo, mentre si siede sullo sgabello accanto al mio, quello finora occupato da Paolo.
Ordina un amaro, uno forte, per la precisione un Jäggermeister.
È sempre impeccabile il mio coach, ha buon gusto nel vestirsi, questa sera indossa una camicia blu non troppa ampia sopra un paio di pantaloni beige.
Tiene gli occhi grigi fissi sul bicchiere, ma credo che con la testa sia altrove, probabilmente alle prossime partite.
Mi fa strano averlo così vicino. Come quella volta nella sua macchina, mi ritrovo a osservare il suo profilo.
Il suo viso è sempre algido e inespressivo, ma quelle onde corvine che sono i suoi capelli gli conferiscono un aspetto più disteso, più sbarazzino. È bello il mio coach, insopportabile ma bello. Distolgo presto lo sguardo per evitare una nuova occasione d'imbarazzo.
Doveva per forza lasciarsi stropicciare in quel modo dalle mia compagne? Ma respingo dentro di me questo pensiero, incapace, come sono, di sostenere il peso delle mie stesse emozioni.
"Ma è possibile che tu debba sempre contrariarmi?" mi dice placido, senza guardarmi.
"Sarà un riflesso condizionato..."
Certo che indisporlo deve darmi un senso di vertigine non indifferente.
"Sul serio, Lucia! Noi due stiamo dalla stessa parte!" afferma lui, serio come sempre.
"Qual è il problema, coach? Tanto domani non dovrò giocare..."
"Potrei avere comunque bisogno di te, in caso di difficoltà – è la sua pacata replica – a questo non ci pensi?"
Gregor Startseva mi guarda con i suoi occhi grigi color mare in tempesta, mi sta parlando con gentilezza. Ancora una volta mi sta tendendo la mano.
Lo guardo intensamente per un lungo attimo, e più lui è gentile e più sento qualcosa dentro di me che mi blocca. Perché?
Giulia spunta alle nostre spalle, proprio in questo momento di massima tensione.
Lei poggia il suo bicchiere vuoto sul bancone e smorza tutta l'elettricità che si era venuta a creare nell'aria. È sempre bellissima con i suoi occhi castani da cerbiatta, i liscissimi capelli rosso rame eil viso tempestato da graziosissime lentiggini. Questa sera le labbra sono tinte di un vermiglio molto acceso, che illumina ancora di più il suo ampio sorriso.
"Coach, ci stiamo divertendo, venga a ballare con noi!!" dice suadente la mia compagna.
"Oh, no...io non so ballare..." ammette lui, timoroso.
"Ma non importa!!"
Vedo Giulia trascinarlo con sé in pista e lui, un po' titubante, si lascia trasportare da lei.
Startseva spicca maestoso tra tutti i giapponesi, mediamente poco alti. Davo ammettere che non è molto aggraziato nei movimenti, per via della sua presenza massiccia, ma è decisamente un bell'uomo.
Cerco di concentrarmi sul mio cocktail, ma niente, non riesco a distogliere lo sguardo da loro, da una Giulia spigliata e sensuale e dal sorriso splendido di lui.
Sembra divertirsi e stare a proprio agio, nonostante non sia il tipo da locali del genere, Startseva trova sempre il modo adattarsi perfettamente a qualsiasi situazione.
Nonostante il mio caratterino, con uno sforzo non indifferente riesco ad ammettere a me stessa che il mio coach non è poi così male...!

 

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Capitolo 10
*** Spiriti bollenti ***


SPIRITI BOLLENTI

 

LUCIA

Addosso avverto una strana frenesia, mai provata prima.
Non riesco a smettere di pensare a Giulia e a Startseva, o meglio, non riesco a sorvolare sulle mani della rossa su di lui.

E' vero che, durante tutta la serata, il coach le ha sempre afferrato gentilmente i polsi prima di allontanarglieli debitamente dal suo petto, ma quel breve contatto, seppur innocente e cercato della mia amica, mi ha irritato oltremisura.
Non si tratta solo dei trascorsi con il nostro precedente allenatore. Il fatto è che Startseva fa tanto il perfettino, ma il modo in cui si è lasciato stropicciare dalle mie compagne non è stato affatto un comportamento professionale.
Non mi rendo neanche conto che mi sto tormentando una ciocca bionda dei capelli, mentre ripenso a quelle immagini. Mi ha infastidito, punto.
Quindi, cerco di non pensare più a lui e mi riconcentro sulla partita che la mia squadra sta disputando contro l'Azerbaigian.
Oggi indosso la felpa azzurra sopra la divisa della nazionale, che si intravede perfettamente attraverso la cerniera lampo aperta.
Sono seduta in panchina con le mie compagne, proprio accanto a Cris che, fra un sorso di caffè e l'altro, mi racconta i dettagli succosi della serata caraibica appena trascorsa.
Ieri sera, quando siamo tornate dal locale, lei è praticamente crollata e non ha avuto modo di raccontarmi cosa sia successo con Paolo in pista, mentre io tanto per cambiare discutevo con Startseva.
Mentre mi parla, gli occhi sognanti di Cris sono fissi sulle spalle di Paolo, che in questo momento affianca Startseva sul ciglio del campo, concentrato sulla partita.
"Credimi, Lucia, è stato bellissimo! Stavamo ballando la bachata sulle note di Corazon Sin Cara, lui si è avvicinato ed è stato dolcissimo..."
La voce di Cris è eccitata come quella di un'adolescente alla prima cotta. Sono molto felice perché era da parecchio che non la vedevo così presa e coinvolta, parlando di un uomo.
"Davvero vi siete baciati?! - esclamo per la sorpresa, e anche io riscopro quell'adolescente emozionata che è in me - e Startseva? Come siete riusciti a fargliela sotto il naso?"
Glielo domando senza nascondere un ghigno di soddisfazione.
Cris scoppia a ridere, e io non riesco a capire se quella singola lacrima le sia sfuggita per la mia battuta, per la felicità o per entrambe le cose.
Sono contenta per loro, e anche un po' orgogliosa di me per aver spronato Paolo con i miei suggerimenti. Quei due avevano proprio bisogno di una bella spinta per prendere coraggio, ma non rendo partecipe Cris della mia chiacchierata di ieri con Paolo. Quella resta una cosa fra me e il nostro secondo allenatore.
"In quel momento Startseva stava ballando con Giulia, a proposito... - nonostante la confusione all'interno palasport, Cris mi si avvicina all'orecchio e abbassa ulteriormente la voce di qualche ottava - ...ma li hai visti?"
Eccome se li ho visti, non riuscivo a staccare gli occhi da loro.
"Sì, è disgustoso..." mi limito a commentare.
"Secondo me Giulia dovrebbe darci un taglio, ammetto che ieri al tavolo un po' tutte noi abbiamo esagerato con Startseva. Poveretto, lo abbiamo messo a disagio, ma addirittura strusciarsi su di lui e mettergli le mani addosso in quel modo...è stato veramente troppo!"
"E' lui che dovrebbe avere la decenza di non permetterlo! Mr. Tuttodunpezzo fa tanto il precisino, e poi cosa fa? Si lascia circuire così da una delle sue atlete?" dico molto duramente.
"Calmati, Luci, non ti sembra di esagerare? - mi sussurra Cris - sembra che tu stia parlando di lui come di un Pandolfi. Se hai notato, ogni volta che Giulia esagerava, Startseva l'ha sempre rimessa al suo posto!"
Mi stringo nelle spalle, sentendomi forse un po' colpevole.
Certo, sono ancora sconvolta per quello che è accaduto ad Anna. Forse è vero che il fantasma di Pandolfi aleggia ancora, che una parte me si ostina a sospettare che Gregor Startseva possa approfittare di qualcuna di noi...!
"Va bene, d'accordo! Startseva non sarà Pandolfi, ma ieri ha apprezzato molto le vostre moine da oche starnazzanti!" sbotto, un po' acida.
Adesso me la prendo pure con le tue amiche...!
E Cris fa qualcosa che io detesto profondamente: mi arpiona due dita sui fianchi, il punto più sensibile dove accuso il solletico più di qualsiasi altra zona del corpo. Mi sfugge un urletto e salto dalla panchina.
Startseva e Paolo si girano a guardarci perplessi. Il nostro primo allenatore inarca un sopracciglio, prima di tornare a concentrarsi sulla partita, mentre Paolo approfitta della piccola distrazione per lanciare un sorriso sbieco a Cris. Vedo la mia amica avvampare e ricambiarlo con un sorrisetto malizioso.
"Cosa vi prende?" è la domanda curiosa di Rossella.
Cerco di ignorare gli sguardi curiosi delle mie compagne e torno a prendere posto accanto a Cris.
"E adesso chi sarebbe l'oca starnazzante?" mi apostrofa lei, beffarda.
Le lancio un'occhiataccia di rimprovero, ma tutto sommato sono felice per quel tenero contatto di sguardi tra lei e il nostro secondo allenatore.
Volta dopo volta, allenamento dopo allenamento, fra loro si è creata un'intesa molto potente e io posso ben dirlo perché, prima ancora che loro ne prendessero pienamente coscienza, mi ero già accorta dei loro sentimenti.
 

GREGOR

Questa mattina abbiamo battuto le azere, 3-0.
Adesso si prospettano cinque giorni di stacco, prima dell'inizio della seconda fase.

Potrei riposarmi un po', magari raccogliere le idee prima di rituffarmi a capofitto nel lavoro. Invece ho concesso la libera uscita alle ragazze, che probabilmente adesso saranno in giro per la città a fare shopping o le turiste, e ho trascinato con me Paolo in una sala a noi riservata dell'hotel, a pianoterra, per visionare i filmati delle partite.
In questo momento stiamo studiando un filmato della prima giornata, precisamente la partita tra Russia e Stati Uniti.
Paolo se ne sta seduto accanto a me, con il taccuino sulle gambe, le mani intrecciate dietro la nuca e i piedi appoggiati su un'altra sedia. Si lascia sfuggire uno sbadiglio, e penso che sarebbe stato meglio dare la giornata libera anche a lui, ma dal momento che mi hanno convinto a partire domani per Kyoto, per una gita fuori porta, non me la sono sentita di perdere altro tempo.
Mi lascio scappare anch'io uno sbadiglio, e copro subito la bocca con la mano come a volermi scusare.
"Ok, può bastare!" dice lapidario il mio amico.
Paolo blocca il video e chiude il portatile che lo stava proiettando, lasciandomi un po' interdetto.
"Mmh?" è il mio mugolio contrariato.
"Per oggi basta così, Gregor, anche noi abbiamo bisogno di un di relax!"
"Forse hai ragione!" ammetto, passandomi distrattamente una mano sul volto un pò stanco.
Ho concretizzato tre vittorie su tre, ma non me la sto vivendo molto bene come vorrei. Mi sento costantemente teso e nervoso. Se solo non mi avessero convocato all'ultimo momento, sono sicuro che avrei affrontato questa gara con uno spirito diverso, più sereno.
"Coraggio - mi dice Paolo, sollevandosi dalla sua sedia - andiamo a rilassarci un po'!"
Mi alzo poco convinto e decido di seguirlo. Usciamo dalla sala, ma non ci dirigiamo affatto verso la hall e gli ascensori. Proseguiamo per il lungo corridoio, dalla parte opposta.
"Dove stiamo andando?"
"Te l'ho detto, andiamo a rilassarci un po'! Fidati, dopo tutta questa fatica ce lo meritiamo" mi assicura.
Paolo ha ragione da vendere, dovrei rilassarmi, ma non posso farci niente a riguardo, sono un tipo apprensivo. Somatizzo silenziosamente ogni cosa, questo è un cruccio che mi porto dietro da sempre.
"Ascolta, è da un po' che volevo chiedertelo... - dico con un po' di esitazione - cosa c'è esattamente tra te e Cristina Deledda?"
Lo vedo tentennare un po' al mio fianco.
"Me lo chiedi per via di ieri sera?" mi domanda, chiaramente evasivo.
"Anche!"
Ieri in quel locale li ho visti ballare insieme, in modo piuttosto intimo, ma già da prima non mi era certo sfuggita la loro intesa. Lucia ne era sembrata entusiasta, giustamente felice per la sua amica, ma io sul lavoro cerco di essere il più possibile professionale.
Sento un po' il bisogno di ricordarglielo: siamo qui per lavorare.
Ben venga un futuro tra lui e quella ragazza, ma finché dura questo campionato esigo la massima concentrazione, o quanto meno la massima riservatezza.
Conosco bene come funziona il circo mediatico che potrebbe scatenarsi attorno a una simile vicenda, gli avvoltoi vanno a nozze con questo tipo di notizie. Se la situazione in campo dovesse precipitare, e più ci addentriamo nel vivo della gara e più diventa probabile, mi dispiacerebbe non poco se il capro espiatorio venisse trovato in loro. Non sarebbe giusto, come d'altronde non è nemmeno giusto trovarlo in me o nelle ragazze. Quando le cose non vanno, la stampa cerca sempre qualcuno su cui scaricare la colpa, ma questa volta ci troviamo davvero in una situazione del tutto straordinaria. Siamo partiti chiaramente svantaggiati in questa competizione, nessuno dovrebbe farne le spese.
"Niente di particolare, Greg - risponde Paolo, piattamente - è solo una bella ragazza...!"
"Te lo chiedo perché non vorrei complicazioni all'interno del team!"
Poi lascio cadere il discorso perché la verità è che non mi piace sentirmi preso in giro, e Paolo è davvero un pessimo bugiardo.
"Ti chiedo soltanto di non combinare casini fino alla fine di questo campionato" aggiungo soltanto, e lui si morde le labbra, perché naturalmente sa di non avermi convinto.
"Amico, rilassati. Niente turberà la quiete all'interno della squadra finché Paolo sarà il secondo allenatore!"
E per la verità è proprio questo che mi preoccupa, ma evito di dar voce ai miei pensieri.
Il solito megalomane - sospiro.
Arriviamo nella zona benessere dell'hotel. Me lo sentivo che Paolo mi avrebbe portato in un posto del genere, mi stringo nelle spalle mentre entriamo nell'enorme spa piena di tutti i comfort.
Un profumo di fiori e aromi essenziali invadono le mie narici.
"Abbiamo un intero staff di specialisti a nostra disposizione, non è necessario venire qui, la spesa non è supportata dai fondi della Federazioni!" osservo, sentendomi un po' a disagio mentre due giovani donne asiatiche si avvicinano per riceverci, con un gran sorriso.
"Welcome!" ci accolgono, facendo un profondo inchino.
"Oh, so bene che le spese non sono coperte, ma vuoi mettere quattro massaggi con lo shatsu che hanno da offrirci queste belle donzelle!" è la risposta di Paolo.
Ricambiamo il saluto ossequioso verso le due ragazze dai visi tondi e dagli occhi a mandorla. Le due ci accompagnano in un camerino, e mi trovo ad ammettere che sono davvero molto carine, con quei Kimoni colorati e i capelli scuri raccolti dietro in uno chignon.
Ci spogliamo e schizziamo dentro alle cabine doccia, per prepararci al massaggio. Ci asciughiamo e utilizziamo i morbidissimi teli per coprirci il corpo dalla vita in giù, prima di uscire dalla cabina e raggiungere di nuovo le massaggiatrici.
Le due asiatiche ci sorridono e ci invitano a distenderci su due lettini.
Mi corico a pancia in giù sul lettino accanto a quello del mio amico, cercando di non sentirmi troppo impacciato nei movimenti.
Onestamente non mi sento molto rilassato, forse perché ultimamente ho sempre anteposto il dovere al piacere o perché mi trovo in una spa mentre i video da studiare sono ancora tanti.
Quando però la giapponesina comincia ad accarezzare il mio corpo, cospargendolo di oli essenziali e aromatici comincio a rilassarmi. A poco a poco, tutti i pensieri si dissolvono...!
"My name's Yoko!" mi sussurra lei timidamente.
"I'm Gregor!" le rispondo, imitando il suo tono di voce.
Il lettino su cui è adagiato Paolo è a due metri dal mio, la sua voce e quello della sua massaggiatrice mi giungono ovattate, probabilmente per l'incredibile stato di benessere che sono riuscito inaspettatamente a raggiungere.
"This is argan oil..."
"Mh..." questo suono è tutto ciò che riesco ad articolare, mentre preme le sue dita delicate ma decise nelle mie spalle larghe e massicce.
Il suo tocco parte dalla base del collo e poi scende delicato lungo la mia schiena. È incredibile il senso di beatitudine che mi suscita, come se quelle piccole falangi, affondate nella mia carne, riuscissero a sciogliere i muscoli rigidi e contratti.
"You have to be a very stressed man - mormora - your muscles're very contracted!"
("Devi essere un uomo molto stressato, i tuoi muscoli sono contratti!")
"Yes, l'am stressed!" ammetto, mentre faccio fatica a trattenere un gemito di piacere.
Mi sembra quasi di essere stato catapultato in un'altra dimensione, dove a farla da padrone è solo il piacere dei sensi. Perdo anche la cognizione del tempo che inevitabilmente scorre.
Dopo trenta minuti, il suono della voce di Yoko mi riporta dolcemente alla realtà:
"Position your-self face up, please!"
("Mettiti pancia in su, per favore!")
Gemo di frustrazione, quando le sue mani abbandonano il mio corpo.
Come lei mi ha gentilmente chiesto, inverto la mia posizione mettendomi pancia in su.
Mi sento rilassato e stordito, ma abbastanza lucido da prestare attenzione a non scoprirmi quando mi giro nel lettino.
Guardo gli occhi scuri di Yoko, e il suo sorriso gentile ha il potere di rassicurarmi.
Prima erano solo due mani anonime quelle che vagavano per il mio corpo, anche se la sua vocina di tanto in tanto mi riportava alla realtà contingente. Adesso è come se l'incantesimo si fosse spezzato e, vedere Yoko all'opera, mi mette un po' a disagio e mi impedisce di ritornare allo stesso stato di semi incoscienza, raggiunto poco prima. Lei se ne rende conto subito, perché avverte al tatto i miei muscoli irrigidirsi spasmodicamente di nuovo.
Mi invita così a chiudere gli occhi, e io colgo subito il suggerimento.
Il suo consiglio mi avrebbe sicuramente aiutato, ma non faccio in tempo a raggiungere la stessa dimensione estatica di prima, perché la voce di Paolo mi apostrofa orgoglioso:
"Che ti dicevo, Greg? Ne è valsa la pena, vero?"!
"Mh..." ammetto.
"Con tutto il rispetto per i professionisti che ci hanno accompagnato, ma queste bamboline ci sanno davvero fare!"
Sono contento che le giapponesi non capiscano una sola parola d'italiano, o almeno lo spero.
Deglutisco e cerco di concentrarmi sul massaggio, adesso che ci sono ho tutta l'intenzione di godermi ogni singolo minuto che resta. Ho un disperato bisogno di rilassarmi, e questo è proprio quello che mi ci voleva.
"You also want a penis massage?" ci chiedono Yoko e Kyomi.
("Gradite anche un massaggio del pene?")
"You mean a real penis massage?" fa eco Paolo, incredulo.
("Intendi un vero massaggio al pene?")
Le due giapponesine sorridono divertite e annuiscono.
"Oh, yes, thank you!" dice lui, con il suo improbabile accento.
Sussulto quando Yoko fa per sciogliermi l'asciugamano che porto intorno alla vita.
"No!" esclamo, trattenendole le mani.
"Oh - esclama lei, mortificata - if I send my male partner?"
("Oh, e se mandassi un mio collega maschio?")
"No, no! Thank you!" rispondo.
Yoko continua a massaggiare il mio petto e i miei bicipiti ancora ben scolpiti, mentre non riesco a impedirmi di vedere la scena che mi si prospetta a fianco: Kyomi che scopre il sesso di Paolo e comincia un massaggio decisamente intimo su di lui.
Mi sento veramente a disagio, cerco di pensare ad altro che possa coprire i singulti di piacere del mio amico, e davvero non mi capacito come io possa avere un'erezione in un momento del genere.
Arrossisco violentemente, solo il sorriso di Yoko, intenerita dal mio pudore, riesce a estraniarmi un pò da questa assurda situazione.
Trovo che fare il massaggiatore sia un mestiere di tutto rispetto, però mi chiedo cosa possa provare una giovane ragazza come Yoko a dover frugare nell'intimità di un estraneo.
Usciamo dal centro benessere e ripercorriamo a ritroso il corridoio da cui siamo venuti.
Sapevo che una volta uscito da lì, Paolo mi avrebbe fatto nero come non mai:
"Hai visto, Greg? Sicuramente quelle ragazze hanno pensato che tu fossi gay!"
Mi sento ancora terribilmente a disagio, guarda un po' a cosa mi è toccato assistere!
Inghiotto il rospo, cerco di calibrare tutte le mia emozioni contrastanti - imbarazzo, frustrazione, ma anche un senso di pace e rilassatezza - e le ricaccio tutte dentro.
Adesso l'unica cosa che mi preme è saldare il conto del massaggio alla reception che abbiamo consumato, ed è proprio lì che ci stiamo dirigendo. Non voglio certo che venga confuso con le spese a carico della Federazione, immagini poi l'imbarazzo?
"Non credo proprio che abbiano pensato fossi gay, al massimo timido!" replico stizzito.
"Confessa, da quand'è che non ti fai una sana scopata?"
"Ma questo cosa c'entra?" mi passo una mano sul viso rilassato, ma incredulo della piega che sta assumendo questa conversazione.
"Il tuo problema è che non ti lasci andare, fai come me, rilassati! Prendi la vita con più leggerezza - mi incita lui, concedendosi di parlare liberamente, come se effettivamente nessuno potesse comprendere i nostri discorsi - secondo me avresti potuto approfittarne, la mia Kyomi è stata bravissima..."
"Come avrei potuto rilassarmi con te accanto? Santo cielo, Paolo, ti sei fatto masturbare sotto i miei occhi...!"
Ma non sento il mio amico replicare come suo solito. Confuso, alzo la testa e seguo il suo sguardo sgomento rivolto dinnanzi a noi.
Cavolo!
Prego che non ci abbiano udito, sulle poltroncine della hall sono sedute Lucia e Cristina. Ai loro piedi sono adagiate delle buste, mentre una di fronte all'altra sembrano assorte, ciascuna davanti ai propri cellulari.
Tiro un sospiro di sollievo, non dovrebbero averci sentito. Paolo esita, ma non appena gli occhi di Cristina ci intercettano, non si tira indietro. Quest'ultima ci raggiunge davanti al desk della reception, e Lucia fa altrettanto con minore entusiasmo.
La mia giocatrice dai capelli mogano ci sorridere divertita.
"Coach, perché è tutto rosso?" è la prima cosa che dice Delessa, vedendomi.
Merda! - impreco fra me.
Lucia alza gli occhi e ci guarda con un cipiglio di sospetto...o forse è la mia insensata sensazione di colpevolezza che mi fa pensare al peggio?
"E' semplicemente accaldato, ci siamo concessi una sauna...!" questo è Paolo, che risponde per me.
Fa di tutto per non tradire le emozioni con la voce, peccato che precipitoso com'è fa comunque una grossa gaffe!
"Ma in questo hotel non c'è il servizio sauna, ieri Camilla lo ha domandato al desk..." osserva Lucia.
"Oh - la voce di Cristina è appena un sussurro - avete fatto ben altro..."
Dal suo sopracciglio inarcato traspare tutto il suo disappunto. Delusa com'è, Cristina non si cura minimamente di mantenere le apparenze difronte me, lancia a Paolo un'occhiataccia truce e amareggiata, per poi sparire verso gli ascensori.
"No, Cris, andiamo! Non è come pensi..." sento gridare Paolo, mentre si lancia a rincorrerla disperatamente.
Lucia incrocia le braccia e si stringe nelle spalle. Io evito di guardarla, le passo davanti e procedo verso il bancone della reception.
Sento il suo sguardo addosso e posso immaginare cosa starà pensando di me, ma decido di non curarmene. Massaggio intimo o no, io davvero non ho fatto assolutamente nulla di male, nulla di cui dovermi giustificare.
Se non sapessi che ha frequentato con un tipo come Mirko, potrei tranquillamente credere che Lucia sia una di quella ragazze pudiche e morigerate che magari aspettano il matrimonio per provare quel tipo di piacere.
Io poi non mi sono neanche lasciato toccare intimamente da quella ragazza asiatica, perché mi sento così a disagio... direi quasi colpevole?
Saldo il conto, rimetto la carta di credito nel portafogli e ringrazio cordiale il concierge dagli occhi a mandorla. Faccio per tornarmene in camera, ma lo sguardo severo di Lucia mi coglie ancora una volta di sorpresa. E mi sembra davvero fuori dal mondo che lei possa avere nei suoi occhi nocciola tutto quel disprezzo verso di me. Mi fa sentire sporco, quando dentro sento di essere davvero un uomo pulito.
Credevo che in qualche modo avessimo messo da parte le ostilità, che finalmente avessimo cominciato ad andare d'accordo, ma questo atteggiamento irrispettoso verso di me è davvero troppo.
"Che c'è?" dico per una volta visibilmente adirato.
Probabilmente la mia reazione del tutto inaspettata la coglie un po' di sorpresa, ma ostinata com'è non lo dà molto a vedere.
"Assolutamente niente...!" mi risponde, con fierezza.
I miei occhi grigi e affilati sono su di lei, e mi rincresce davvero perché odio scompormi e alzare la voce, soprattutto con una donna, figuriamoci poi con una ragazza giovane come lei.
Un senso di malessere mi balza nel petto.
Perché con lei deve sempre essere così?
"Mi pare che sono un uomo fatto di carne e ossa anch'io..." dico, veramente esasperato.
Mi sto davvero giustificando...?
"Lo vedo...!"
La osservo andare a recuperare le buste, sue e della sua amica, dai divanetti, e la seguo con gli occhi finché non sparisce nell'ascensore.
Nel pronunciare l'ultima frase, la sua voce è stato un flebile sussurro. Dentro non ci ho colto dell'astio, ma solo tanta amarezza.
Per quanti sforzi stia compiendo, davvero non riesco a capirla.

************************

Ciao^^

Questo è il penultimo dei capitoli che avevo già pronti nel cassetto :) Chiedo perdono per gli eventuali errori e per il mio improbabile inglese, se vi va segnalatemi e correggetemi pure con i vostri graditissimi commenti ;)

L'intenzione è quella di dare un degno finale a questa storia, quindi spero davvero di superare questo blocco e riuscire a portare a termine Volley Lovely. Grazie a tutti < 3

 

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Capitolo 11
*** Hanami in piena estate (Prima parte) ***


HANAMI IN PIENA ESTATE
(Prima parte)

 

LUCIA

Cris mi ha tenuta sveglia tutta la notte e il motivo, neanche a dirlo, è Paolo.
Ieri il nostro secondo allenatore ha passato tutta la serata a tentare di parlarle, di spiegarsi, ma la mia amica non ha voluto saperne di ascoltarlo, preferendo passare tutta la notte a lamentarsi e a rimproverare sé stessa per essersi lasciata andare ai sentimenti che da tempo provava per lui.

Cris cerca di fare la ragazza forte e orgogliosa, ma appena abbiamo spento la lampada - dovevano essere circa le 2 di notte - l'ho sentita soffocare i singhiozzi tra i cuscini.
Certo, il comportamento di Paolo ha deluso un pò anche me, ma io sono già disillusa nei confronti del genere maschile, e poi la cosa non mi riguarda direttamente.
Mio padre è sparito e l'unico ragazzo di cui io mi sia mai fidata mi ha tradito, probabilmente anche più di una volta, non mi aspettavo certo che Poalo, anche se mio amico, fosse molto diverso da tutti gli altri uomini.
Col tempo ho maturato una teoria tutta mia: non credo affatto che gli uomini siano esseri inferiori, ma quando c'è di mezzo il sesso, l'afflusso di sangue tende a concentrarsi sotto la cintura e stenta a raggiunge il cervello. Non sono meno intelligenti, sono solo imbecilli.
Con Cris non sono stata dura. L'ho ascoltata e, per quanto ho potuto, ho anche cercato di prendere le difese di Paolo, d'altronde si è solo lasciato massaggiare un po' più intimamente, non l'ha certo tradita. Tuttavia, penso che Paolo avrebbe potuto trovare un modo diverso per rilassarsi o per risparmiare a Cris la pena di venirlo a sapere. Ma forse sarebbe stato chiedere troppo.
In questo preciso momento sono sola in camera e ignoro volutamente i messaggi di Cris. So benissimo di essere in ritardo, e quindi non posso perdere ulteriormente tempo. La mia compagna di stanza è scesa a fare colazione e mi ha lasciato alle prese con la piastra, nell'arduo tentativo di domare la mia fluente chioma bionda. Avrei potuto semplicemente legare in capelli con l'elastico, ma in questi giorni di riposo sento il bisogno di prendermi più cura di me stessa.
Oggi trascorreremo una giornata a Kyoto, miracolosamente siamo riusciti a convincere Startseva a staccare e a concederci una gita fuoriporta.
Non sto più nella pelle D'altronde, sono cresciuta con il mito di Mila & Shiro, e il Giappone mi affascina fin da quando ero un'adolescente appassionata di anime e manga. Non potevo venire in Giappone e non visitare l'antica capitale imperiale.
Fra tre giorni inizierà la seconda fase.
Il nuovo girone sarà sicuramente più impegnativo, ma per oggi ho tutta l'intenzione di godermi Kyoto. Se sarà necessario, ignorerò Cris, Paolo, Startserva e chiunque tenterà di rovinarmi la giornata.
Forse dovrei scusarmi con Startseva per la scenata di ieri. Non è certo affar mio cosa fa in un centro benessere e nella sua intimità. È solo che Paolo aveva lasciato attonita un po' anche me, e la prima cosa che mi è venuta spontanea è sfogare su Startseva tutto il mio sgomento. Come se i nostri rapporti fossero idilliaci!
Mi scuserò con lui ancora una volta, ma con calma e al momento giusto. Lo farò quando sarò più tranquilla e quando lo troverò in buona, ma magari un altro giorno. Oggi voglio solo godermi questa gita e magari scattare qualche foto ricordo di questo momento importante che sto vivendo.
Cris e le mie compagne mi stanno tampinando con messaggi sul gruppo, che ignoro bellamente. So benissimo di essere in ritardo con i tempi e che probabilmente dovrò saltare la colazione, ma di certo non posso partire con l'ultimo ciuffo ribelle ancora da sistemare.
E adesso bussano anche alla porta! Sbuffo.
"Un attimo...!" dico alzando un po' la voce, per farmi sentire dall'esterno.
Ahi! - Per la furia finisco per scottarmi anche il palmo della mano.
Ancora quell'insistente toc-toc.
"Un attimo, arrivo!!" ripeto.
Quanta insistenza! Questa non può essere Cris, si è anche portata dietro la chiave. Mi allungo, apro la porta con la piastra rovente ancora in mano, e mai mi sarei aspettata di trovare sulla soglia proprio Startseva.
Sgrano gli occhi nocciola e, per un lungo attimo, rimango senza parole.
"Capparelli, sbrigati, di sotto stanno aspettando solo te! - mi dice, dando una rapida occhiata al rolex sul suo polso - il treno parte tra 40 minuti!"
In questo preciso momento, Starteseva mi appare in una veste del tutto inedita. Indossa dei bermuda beige, una t-shirt blu scuro e un paio di scarpe sportive del medesimo colore della maglia. Dal collo pende una Canon davvero interessante, e io me ne intendo. Oltre ad essere una giocatrice professionista e una studentessa di scienze della nutrizione, sono anche un'appassionata di fotografia.
Nelle Marche facevo parte di un gruppo di escursionisti e fotografi amatoriali, ma purtroppo gli impegni non mi hanno permesso di continuare a coltivare quest'altra mia grande passione.
Startvesa sembra uno di quei turisti Giapponesi che si incontrano anche per le vie delle principali città italiane, ma sempre impeccabile e curato nel suo aspetto.
"Sono quasi pronta - gli assicuro - cinque minuti e vi raggiungo"
"Bene, d'accordo!"
Lui se ne va, e io richiudo la porta.
Riprendo a piastrare l'ultima ciocca e passo giusto un filo di trucco sugli occhi, tanto ho già un astuccio pronto nella borsa. Finirò gli ultimi ritocchi con tutta calma quando sarò sul treno.
Indosso un pantaloncino nero piuttosto avvitato, con sopra una maglietta bianca di cotone con una stampa vintage e delle scarpe da ginnastica nere. Sono pronta! Sistemo al collo la mia Nikon, indosso lo zainetto di ecopelle e lascio la camera, richiudendomi la porta alle spalle.
A braccia incrociate, Startseva è appoggiato con la schiena alla parete accanto alla porta della mia stanza. Mi stava aspettando?
Adesso che lo guardo meglio, non sembra più amareggiato come ieri e dentro di me sospiro con sollievo.
Oggettivamente è un bell'uomo il mio coach: alto, ben scolpito, grigi occhi magnetici, riccioli scuri un po' allungati che gli vanno a incorniciare amabilmente il viso dai lineamenti marcati.
"Finalmente...!" mi dice, con il suo tenue sorriso.
Startseva sembra tranquillo, oserei dire anche un po' spensierato. È raro vederlo così.
Non è più arrabbiato, eppure anche questa volta con lui ho dato il peggio di me.
La cosa più snervante è che ogni volta che discutiamo, Startseva glissa sempre, come a voler rimarcare che dall'alto dei suoi 34 anni lui è l'uomo maturo, mentre io sono solo una ragazzina. E in effetti - penso tristemente - in alcuni momenti, i dieci anni che intercorrono fra noi li percepisco tutti.
Lo seguo in silenzio lungo il corridoio fino all'ascensore, e penso che forse dovrei dire qualcosa a proposito di ieri, quanto meno dovrei scusarmi.
Entriamo e le porte si richiudono davanti a noi. Mi volto timidamente verso di lui, e Startseva ricambia il mio sguardo per la verità un po' sorpreso, ma spetta che sia io la prima a parlare.
"Coach, io..."
Sto per pronunciare le mie penose parole di scusa, quando un rumore improvviso e poco rassicurante ci fa trasalire entrambi.
"C... crede che sia stata una scossa di terremoto?" mormoro, spaventata.
"No, non credo... ma mi sa che adesso abbiamo un bel problema!" risponde lui, sicuramente più controllato di me nelle emozioni.
L'ascensore non si apre e, con ogni probabilità, non è arrivato neanche al piano terra.
Mi agito, vado completamente nel panico. Comincio a premere ripetutamente il tasto 0, che porta al pianterreno.
Con una mano, Startseva afferra saldamente il mio polso e mi costringe, con un incredibile delicatezza, a voltarmi verso di lui.
"Hey, restiamo calmi, d'accordo?"
I suoi occhi rassicuranti mi guardano intensamente. Sento la gola secca e le gambe sono come paralizzate, quindi mi limito ad annuire e cerco di seguire il suo suggerimento.
"Vedrai, usciremo presto di qui - mi dice, lanciando un'occhiata all'orologio - soffri di claustrofobia?"
Scuoto la testa con decisione, ma la verità è che stare negli spazi troppo chiusi alla lunga mi mette ansia, altrimenti non sarei andata subito nel pallone così.
Dal canto suo, Startseva sospira di sollievo e preme il pulsante delle emergenze, che in preda all'agitazione proprio non avevo visto.
Inoltre, noto che qui dentro il telefono non prende linea, ma almeno arriva il wi-fi dell'hotel, seppur con un segnale piuttosto debole.
Ho praticamente una trentina di messaggi non letti da parte delle mie compagne e non ho la minima intenzione di soffermarmici proprio adesso. Apro la chat di Cris e la avverto di questo piccolo contrattempo.
"La segnalazione dovrebbe essere arrivata..."
Sento a mala pena la voce di Startseva e mando immediatamente un messaggio alla mia amica.

Tu:
Cris, io e Startseva siamo rimasti bloccati in ascensore.
Lui dovrebbe aver mandato la segnalazione, ma non so...
per favore, avvisa Paolo e controllate che sia arrivata!
Cris:
???
Lo avverto subito!!

Cerco con tutta me stessa di regolarizzare il mio respiro, di calmarmi. Sono tesa e la presenza di Startseva così vicina non mi aiuta.
Poveretto, lui ha cercato di calmarmi e adesso sta facendo tutto il possibile per tirarci fuori di qui.

Tempo qualche istante, e suona il suo cellulare. Si tratta di una videochiamata da parte di Paolo.
"Pronto, Paolo...?"
"Greg, i tecnici sono già al lavoro, a breve dovrebbero tirarvi fuori di lì!"
La voce di Paolo giunge rassicurante dall'altro capo.
"Grazie al cielo!" è il lungo sospiro di Startseva.
"Spiegami, cos'è successo? Non è che avete premuto qualche tasto...?"
"No, assolutamente, abbiamo solo sentito un rumore strano e l'ascensore si è fermato di colpo! - gli spiega Startseva - accidenti! Fra poco parte il treno!"
"Vedrai che ce la faremo..."
"Lo spero, chiamami se hai novità!"
"Certo, voi resistete!"
Startseva riattacca, e io adesso mi sento un po' più tranquilla. Abbiamo ancora parecchie ore di ossigenazione, ma non ne avremo bisogno. Presto saremo fuori di qui e ci riapproprieremo dei nostri spazi personali.
Solo che mi crea un profondo imbarazzo rimanere bloccata in ascensore col mio coach, proprio all'indomani di una nostra ennesima sfuriata.
Startseva è proprio accanto a me, e io cerco in ogni modo di evitare di incrociare il suo sguardo perché lui sa che prima stavo per dirgli qualcosa. Volevo cavarmela così, approfittare di quei pochi secondi per porgergli le mie scuse, il tempo di un breve tragitto in ascensore. Chiamiamolo Karma o destino, ma questa volta le alte sfere si sono davvero prese gioco di me.
I miei gli occhi sono incollati al cellulare, le mie dita flessuose scorrono svelte sullo schermo. Tento così di esorcizzare la presenza di Gregor, rispondendo ai messaggi di preoccupazione delle mie amiche, una presenza per chiunque discreta e rassicurante ma per me incredibilmente opprimente.
Di nuovo suona il suo cellulare.
"Paolo...! A che punto siamo?"
"Greg, resistete, i tecnici stanno per arrivare..."
Startseva lancia un'altra occhiata all'orologio e, senza alcuna esitazione, esorta l'amico:
"Bene! Ma voi cominciate ad andare in stazione, io e Capparelli vi raggiungeremo non appena ci avranno liberato da qui!"
"Greg, ne sei sicuro? Potrebbe volerci un po'!"
"Appunto per questo motivo, almeno voi non perdete la navetta! In qualche modo io e Lucia vi raggiungeremo, anche in taxi se è necessario!" gli assicura Gregor.
"D'accordo - conviene, infine, Paolo -ma tenete duro! Ci troviamo in stazione!"
Il mio secondo allenatore riaggancia, e io mi ritrovo di nuovo da sola con Startseva in questa minuscola scatola di lamiera, troppo piccola per noi. Attorno regna soltanto il nostro silenzio, lui chiuso come al solito nella sua impassibilità ermetica e io nel mio colpevole imbarazzo.
Non ricordo esattamente il momento in cui ho cominciato a stimare Startseva come allenatore, ma adesso mi rendo conto che di lui sto cominciando ad apprezzare molte altre qualità come la calma, la pazienza, la tempra con cui riesce a gestire ogni situazione. Perché devo ammetterlo, con me ha avuto bisogno di tutte queste sacrosante virtù.
Passano i minuti, e ancora nessuna notizia arriva dall'esterno. Lui non si scompone, ma so che comincia a temere che possiamo seriamente perdere quel treno. Lo osservo un po' assorta, mentre maneggia il cellulare con un po' di frenesia.
Il telefono di Gregor suona ancora una volta, mentre io ormai ho smesso di leggere e rispondere ai messaggi delle mie compagne.
"Greg, a che punto siete?" la voce di Paolo è disturbata dalla confusione in sottofondo.
Sono in stazione, il rumore dei treni e del chiacchiericcio ci suggerisce che i nostri amici hanno già raggiunto il binario.
"Siamo ancora qui dentro! - risponde Gregor, questa volta palesemente irritato - ancora nessuna novità, non ci hanno fatto sapere niente!"
"Cosa? - sento sbottare Poalo, incredulo - ma dannazione! Il treno sta per arrivare!"
"Prendete quel treno, noi troveremo un modo per raggiungervi!"
"Ma neanche per idea!"
"Paolo, sii ragionevole! - lo prega Gregor - è più facile riorganizzare un viaggio in due persone, piuttosto che spostarci in quattordici!"
Questa volta il rumore del convoglio si fa più forte e stridente: è il nostro treno appena fermatosi al binario.
"D'accordo! - risponde Paolo, con tono di resa - ma mi raccomando, scrivimi appena uscite di lì!"
Gregor annuisce e chiude la telefonata. I suoi occhi dal colore del mare in tempesta incrociano i miei nocciola, così diversi ma attanagliati dalla medesima preoccupazione.
Trascorrono minuti interminabili, forse ore. Non so quanto tempo passi prima che riavvertiamo lo stesso rumore di quando l'ascensore si era fermato. Poi, il suono inconfondibile della discesa e finalmente le porte si riaprono restituendoci al mondo esterno...e ai nostri spazi.
Aria nuova. Ossigeno nuovo.
Al nostro arrivo, troviamo i due tecnici e il concierge. Quest'ultimo, con l'aria terribilmente desolata, pronuncia parole a noi incomprensibili e china ripetutamente le spalle, chiaro segno di umiltà tipico della sua cultura.
Il signore della reception non smette di scusarsi con noi, interloquendo in inglese principalmente con Startseva. Il mio coach tenta di ottimizzare i tempi e trovare una rapida soluzione al nostro problema, quindi chiede all'uomo dai piccoli occhi a mandorla indicazioni su come raggiungere Kyoto nel minor tempo possibile.
Mentre i due uomini si recano in direzione, io attendo Startseva nella hall dell'albergo, speranzosa di buone notizie. Seduta su un comodo divanetto, mi rifocillo con del caffè preso al distributore e realizzo che siamo rimasti chiusi in ascensore per oltre due ore. Continuo a messaggiare con le mie compagne, che a breve arriveranno a Kyoto, e non vedo l'ora di raggiungerle per salvare il resto della giornata.
Sento la voce di Startseva e mi alzo contenta, ma tutto l'entusiasmo mi muore sulle labbra quando lo vedo arrivare con l'aria demoralizzata e un po' abbattuta.
"Temo che a questo punto non sia più possibile raggiungere gli altri - mi dice, mostrandomi dei fogli su cui ha annotato gli orari delle prossime partenze disponibili - i posti sui treni sono tutti occupati fino alla corsa delle ore 15, 30. Prendendo quel treno arriveremo a Kyoto giusto un'ora prima della ripartenza"
Guardo sconsolata le annotazioni riportate da Gregor con una calligrafia davvero molto chiara e ordinata, e mi lascio ricadere sul divano con i fogli tra le mani, aggrappandomi alla remota speranza di riuscire a trovare una soluzione. Ma inevitabilmente devo arrendermi all'idea di dover rinunciare a vedere uno dei posti che mi ero assolutamente prefissata di visitare durante la permanenza in Giappone.
"Dispiace molto anche a me! - afferma sincero il mio coach, mentre controlla nuovamente l'orario - ascolta, visto che siamo costretti a rimanere qui, ti andrebbe un giro per la città?"
Strabuzzo gli occhi e sollevo il capo verso di lui, alquanto sorpresa della sua proposta. Startseva è disposto davvero a visitare Tokyo insieme a me, proprio con me che sono, come dire, la sua spina nel fianco?
"Sì...d'accordo!"
Startseva mi rivolge un sorriso caloroso e soddisfatto, sembra contento di aver trovato un giusto compromesso e che io abbia accettato il suo invito. D'altronde, io mi sono già concessa un giro con le mie amiche nei scorsi giorni, ma lui è rimasto chiuso in albergo, assieme a Paolo, a lavorare per la nostra squadra.
Quindi lasciamo insieme l'albergo, lui con una tracolla e io con uno zainetto sulle spalle, e ci rechiamo alla fermata dell'autobus più vicina come due perfetti turisti. Nell'attraversare una magnifica via alberata molto tranquilla e poco trafficata, mi rendo conto che siamo stati molto fortunati.
Anche se è giugno inoltrato, ancora permangono rigogliosi sui rami degli alberi il ricordo della fioritura primaverile. Quello di assistere all'hanami - la tradizionale usanza giapponese di godere della bellezza della fioritura primaverile degli alberi - era un po' il mio sogno, peccato che le competizioni agonistiche mondiali ricadano sempre in estate, alla conclusione di tutti i campionati.
Così, mi concedo di perdermi un po' nel godere di tanta bellezza e nel respirare a pieni polmoni l'aria che sa di estremo Oriente, l'aria che sa di Giappone...e per un attimo mi dimentico di Startseva, del nostro ultimo attrito, delle mie amiche, di Paolo, della tensione per le competizioni, di tutto. Mi perdo e mi meraviglio di che magnifico spettacolo è capace la natura.
"Eccoci! - Startseva richiama la mia attenzione, riportandoti alla realtà - la fermata è questa, per andare in centro ci conviene prendere il 58"
Lo dice puntando un dito sulla mappa, che indica la nostra posizione, e facendolo scorrere verso una vasta area delimitata in rosso che rappresenta la zona centrale della capitale nipponica.
"Dove ha preso quella cartina?" domando perplessa.
"Me l'ha data gentilmente il direttore dell'hotel - risponde placidamente - per scusarsi dell'inconveniente dell'ascensore"
Chiamalo inconveniente...! Mi ha fatto saltare la visita a Kyoto!!
Sospiro rassegnata e aspetto insieme a Startseva l'arrivo dell'autobus, che non si fa attendere. Saliamo sul 58 che è quasi vuoto, e vado a prendere posto sul sedile di fronte al mio coach, che non smette un attimo di consultare la cartina con la leggenda e i consigli tutti in inglese.
Quindi ne approfitto per rispondere ai continui messaggi inviati dalle mie compagne nel nostro gruppo, quello privato che esclude tassativamente la partecipazione dei nostri allenatori... ma sospetto comunque che Paolo sia a conoscenza della sua esistenza.

Tu:
Ragazze, come state ? Siete arrivate a Kyoto?
Vorrei tanto essere lì insieme a voi!
Camilla: :
Noo, Lucii!! :'( :'( :'(
Rossella:
Maledetto ascensore!! =.="
Giulia:
Questo proprio non ci voleva : (
Camilla:
Luci, e adesso cosa farai?

Apro la fotocamera del cellulare e, divertita, scatto una foto a tradimento a Startseva e la invio sul gruppo.

Tu:
Sto andando in centro con Startseva... : (
Sempre meglio che passare la giornata
in albergo a non far nulla...!
Camilla:
Coach!!!!
* .............................. *
Giulia:
*O*
Uff...! Che invidia!! Avrei tanto voluto rimanere
io bloccata in ascensore insieme a Startseva!!

La vibrazione del cellulare mi avverte dell'arrivo di un nuovo messaggio su un'altra chat. E' Cris!
La mia amica mi ha appena mandato nella nostra chat privata una foto di lei e Paolo appena scattata. In primo piano c'è lei, intenta a nascondere la sua felicità in un sorriso contenuto, che viene cinta in un abbraccio da Paolo con il suo solito sorriso smagliante, mentre sullo sfondo si erge maestoso un antico tempio shintoista tipico dell'antica capitale.
Un sorriso compiaciuto ma beffardo mi si dipinge sul viso: sapevo esattamente che le cose sarebbero andate in questo modo, che Cris non avrebbe tardato a perdonarlo, ma era comunque necessario tenermi sveglia l'intera notte per insultare il suo Paolo.

Tu:
Bellissimi... i due imbecilli ritratti in questa foto!!
Cristina:
Ė un cretino, un imbecille, un vero idiota!!!
Ma temo di essermi innamorata!! : (
Tu:
Sì, ti sei decisamente innamorata...! E va bene così!
Paolo è adorabile, un adorabile imbecille, e ti ama...
quindi è perfetto!

Scrivo alla mia amica esattamente quello che penso. Nella sua impulsività, Paolo è un ragazzo spontaneo e genuino, e credo davvero che sia molto innamorato della mia amica.
Attendo il messaggio di risposta che Cris sta digitando, quando un'ombra mi si para davanti. Con un po' di timore vedo Startseva già in piedi, di nuovo pericolosamente a pochi centimetri da me.
"Dobbiamo scendere alla prossima...!" mi avverte.
Con lo sguardo un po' colpevole seguo il mio coach che mi precede verso le porte dell'uscita. Temo seriamente che in quel frangente possa aver visto qualcosa che non doveva...come il nostro gruppo segreto o peggio ancora la foto di Cris.
Ufficialmente Startseva non sa della tresca dei miei amici. Paolo ha detto che il nostro allenatore è un tipo molto preciso sul lavoro, non ama che i rapporti privati si mischino con quelli professionali. Quindi, di comune accordo, i miei amici hanno deciso di vivere clandestinamente la loro storia, almeno per il momento, ci sarà modo di portarla alla luce del sole alla fine del mondiale.
Quando finalmente l'autobus si ferma, scendiamo e ci ritroviamo in uno dei quartieri più popolosi e dinamici della città. Mi guardo attorno, rapita da tanta meraviglia, e tutto mi sembra straordinariamente esotico e moderno: i grattacieli altissimi, i megaschermi colorati, la varietà dei negozi.
Sono rimasta senza fiato, e non me ne accorgo nemmeno finché la mia attenzione non viene catturata ancora una volta da Gregor.
"Dimmi se ti piace questo programma. Dal momento che è davvero impossibile vedere tutta Tokyo in una sola giornata e sono già le 11, avrei pensato che questa mattina potremmo visitare la Tokyo Tower, andare a pranzo e poi visitare qualche tempio..."
Startseva è incredibile, ha passato tutto il tempo sull'autobus a studiare la mappa e ad elaborare una tabella di marcia, per trascorrere al meglio la nostra giornata. I suoi occhi grigi brillano alla luce del mezzogiorno, sembra così spensierato e sereno il mio coach che stento davvero a riconoscerlo.
"Va benissimo!" rispondo sincera.
"Sicura...? Se c'è qualcosa in particolare che ti andava di visitare fallo pure presente - osserva lui - siamo in libera uscita, e possiamo disporre del tempo come ci pare...!"
Scuoto la testa in segno di diniego, mostrando un grato sorriso di apprezzamento.
"Questo programma andrà benissimo!"
Gregor rimane un po' spiazzato dalla mitezza con cui mi sono rivolta, e ricambia timidamente il mio sorriso. Così, ci incamminiamo lungo un marciapiede, ordinatamente affollato. Nessuna delle tante fotografie del Giappone che ho visto, pur avendomi suscitato incredibili emozioni, è mai riuscita a trasmettermi le emozioni che sto provando in questo momento che sono completamente immersa in questo mondo.
Osservo Gregor al mio fianco, anche lui rapito e affascinato da tutto ciò che ci circonda, e lo scopro nuovamente umano. Nel profondo, so che è una brava persona e un ottimo allenatore, e finalmente riesco ad ammettere a me stessa che ritrovarmi qui insieme a lui non è poi un dramma.
In mezzo a questa folla, sembriamo due amici qualsiasi che passeggiano o che vanno a fare acquisti insieme, nessuno sospetterebbe mai dei nostri attriti e delle nostre liti furibonde. E mentre sorrido per questo pensiero, i miei occhi nocciola vengono intercettati da quelli grigi di Startseva, il quale mi apostrofa un po' perplesso:
"Mhmm...che succede?"
"Niente!" mi affretto a rispondere.
"Accidenti, non dirmi che ho fatto ancora disastri col caffè...!" sospira lui, tirando fuori il cellulare per avere un riflesso del suo viso, mediante la fotocamera interna.
"No... davvero!!"
Tutto a un tratto, trovo questo momento divertente e imbarazzante. Distolgo lo sguardo dal mio allenatore, mentre lui perplesso ripone nuovamente il telefono nel taschino. Sarà che per la prima volta ci troviamo in un contesto diverso, che non sia la palestra o il nostro gruppo, ma non avverto lontanamente la stessa sensazione opprimente di quando ci troviamo a discutere assieme.
Mi accorgo che per lui forse è lo stesso perché non si scompone, rimane calmo e rilassato come me, mentre a grandi passi ci dirigiamo verso la nostra meta.
"Lucia..."
"Sì, coach...?" mi volto nuovamente a guardalo.
Con il sorriso più bello che io gli abbia mai visto in volto, il mio allenatore fa cenno con la testa come a indicarmi qualcosa in lontananza. I miei occhi nocciola seguono il suo sguardo e finalmente vedo svettare stupenda e maestosa, dietro una coltre di alberi, la torre scarlatta.
La Tokyo Tower.

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Capitolo 12
*** Hanami in piena estate (Seconda parte) ***


HANAMI IN PIENA ESTATE
(Seconda parte)

 

LUCIA

CLICK! CLICK! CLICK!
"La Tokyo Tower è una torre panoramica e per telecomunicazioni, situata nel quartiere di Shiba-Koen di Minato a Tokyo. Costruita nel 1958 e alta 333 metri, la torre è la seconda struttura artificiale del Giappone, e la ventitreesima più alta del mondo...ah, però...!"

Con un certo interesse, ascolto Startseva leggere ad alta voce le curiosità contenute ai margini della cartina turistica, mentre impugno la macchina fotografica e do sfogo alla creatività con i miei scatti.
CLICK! CLICK! CLICK!
"Le due fonti di reddito principale della Tokyo Tower sono il turismo e l'affitto di postazioni per antenne-radio televisive. La struttura è dotata di due punti di osservazione: l'Osservatorio principale e l'Osservatorio speciale, mentre alla base della torre vi è il Foot Town, un edificio di quattro piani che offre ai visitatori svariate attrazioni – continua il mio coach – Lucia, che ne dici, ti andrebbe di salire sulla torre e visitare l'Osservatorio?" 
CLICK! CLICK! CLIK!
"Sì, certo!" rispondo, distogliendo lo sguardo dal mio ultimo soggetto immortalato.
Startseva lancia un'occhiata incuriosita al display della mia Nikon.
"Sembra interessante! Posso dare un'occhiata?"
E io decido di mostrargli tutte le foto della torre scattate finora. Vado piuttosto fiera della mia personale tecnica fotografica, e mostro sempre con un certo orgoglio i miei scatti.
"Ma sei bravissima! – è l'esclamazione piena di stupore di Startseva – queste tue foto sono davvero stupende!"
Faccio scorrere lentamente le immagini sul display della macchina fotografica, molte delle quali sembrano l'una il perfetto duplicato dell'altra per via dell'impostazione sullo scatto multiplo di prova. Il mio coach non si perde neanche una sequenza, e devo ammettere che il suo sguardo colmo di ammirazione mi inorgoglisce davvero molto.
"Amo molto la fotografia...!" dico un po' timidamente.
Cerco di vincere così l'imbarazzo di quei complimenti e di avere Startseva nuovamente così vicino, a un palmo dal mio viso.
Appena le fotografie della torre finiscono e lasciano posto a quelle scattate nei giorni scorsi insieme alle mie compagne, lascio ricadere la Nikon assicurata saldamente al mio collo.
"Hai una tecnica molto particolare, da vera professionista, sai? Mi piace molto"
Startseva si riferisce alla caratteristica di frapporre tra il soggetto e l'obiettivo una cornice tutta naturale, che sia un fiore o un ramo, così da sfocare questi in primo piano o l'obiettivo stesso. Questo è un po' il marchio distintivo delle mie fotografie.
"Beh, sì...diciamo che è una mia caratteristica quella di incorniciare naturalmente i soggetti – rispondo – qual è la sua tecnica, coach Startseva?"
"Chiamami Gregor e dammi dei tu...almeno per oggi... non sono poi molto più vecchio di voi" sorride.
Per quanto sia bello e conciliante il sorriso stampato sul volto di Startseva questa mattina, l'idea di ridurre ulteriormente le distanze tra noi mi mette un po' a disagio. Dubito che riuscirei mai a rivolgermi a lui, apostrofandolo con del tu.
"Beh, ecco, io non sono così bravo – afferma lui, accennando un po' di imbarazzo – anzi, direi che non lo sono affatto!"
Così dicendo, mi mostra attraverso il display della sua Canon alcune fotografie scattate a Rio de Janeiro un mese prima, durante la sua ultima trasferta per i mondiali della categoria maschile. Il sorriso imbarazzato di Startseva mi diverte, e un po' mi scalda il cuore. Allora esiste davvero qualcosa che non gli riesce! Lo scopro umano, quasi accessibile, lui che è sempre così glaciale e imperscrutabile. Evito di sorridere troppo davanti ai suoi scatti un po' sfocati e dall'inquadratura decisamente mal centrata, ma è innegabile che la sua fotografia è ben lungi dall'essere regolata da un'affinata tecnica.
"Queste sono state scattate durante i mondiali di Rio di quest'anno, vero?"
"Sì..." e un sorriso orgoglioso e nostalgico gli illumina quei lineamenti marcati.
Le sequenze mostrano una città esotica, vitale e movimentata. Me l'immagino proprio così Rio: una città da vivere dall'alba al tramonto in compagnia della mia fedele Nikon, e dal tramonto all'alba con un caipirinha fresco in mano.
In realtà, so per certo che Startseva non abbia vissuto la sua trasferta esattamente così.
Ma immagino che a un certo punto, un po' come ha fatto con noi ragazze, abbia ceduto alle richieste dei suoi atleti e si sia concesso un giro tra le vie della città sudamericana.
So che probabilmente il Cristo Redentore, Gregor deve averlo visto solo dall'angolatura delle sue fotografie, dalla terrazzina del suo hotel o dalla spiaggia.
Le foto che lo ritraggono in allegria insieme a Mirko e al resto della squadra per le strade di Rio mi suggeriscono l'idea di un gruppo unito e affiatato. Startseva, giovane com'è, si confonde tra i suoi ragazzi e quasi sembra uno di loro. Improvvisamente, mi torna alla mente il calore con cui Mirko lo ha salutato a Milano, la sera prima della nostra partenza per il Giappone: un'altra dimostrazione della fiducia e dell'affetto che lega Startseva alla sua squadra.
Nel vedere le foto del mio allenatore insieme a Mirko, attendo con un po' di timore che da un momento all'altro risalga il magone, quella morsa allo stomaco che mi ha tormentato negli ultimi mesi, e provo un indescrivibile sollievo nel constatare che rivedere quel volto non turba più la mia serenità.
"Come vedi, nel caso fallissi come allenatore, chiaramente non ho un futuro come fotografo! – ironizza Startseva – su, adesso andiamo a trovare il modo di salire in cima alla torre!"
Sorrido e seguo il mio coach fino ai piedi della Tokyo Tower, dove un'enorme struttura cubica a quattro piani si erge alla base della torre, il Foot Town. Accedendovi attraverso l'apertura delle porte automatiche, ci ritroviamo in una vasta area costellata da una grande varietà di negozi e attrattive: boutique, ristoranti, negozi di generi alimentari, ma anche piccoli musei e gallerie.
"Wow! – esclamo – sembra quasi di essere in un grande centro commerciale!"
"Vero...!" conviene Startseva, mostrando il mio stesso stupore.
Rubo qualche scatto d'ambiente, mentre ci dirigiamo verso i gli ascensori. Lasco volentieri che sia Startseva a fare da guida e a occuparsi di come raggiungere l'Osservatorio. Lo osservo, mentre cerca sul tabellone le indicazioni in inglese, con la sua solita calma e santa pazienza.
"Mhm...per salire direttamente all'Osservatorio Principale ci conviene prendere l'ascensore centrale!"
E io guardo con un po' di timore alla scatola di lamiera, decisamente più grande rispetto a quella dell'Hotel Hinata dove alloggiamo. Nonostante insieme a noi entrino altri sette visitatori, mi fa un certo effetto prendere quell'ascensore insieme a lui. Siamo gomito a gomito, e per tutto il tragitto gli occhi grigi di Startseva rimangono attenti sulla cartina. Insondabile com'è, mi chiedo se anche lui senta ancora addosso l'eco della tensione di stamattina, quando eravamo bloccati in ascensore. Una tensione assolutamente palpabile in quel momento di imbarazzo e di incertezza.
Usciamo dall'abitacolo, e per me è un po' come tornare a respirare. L'Osservatorio occupa uno spazio piuttosto ampio, i visitatori non sono molti, e tutto sembra assolutamente pulito e ordinato. Ci avviciniamo alla vetrata, e la visuale che ci si apre davanti è la panoramica di Tokyo vista a 360 gradi. Uno spettacolo mozzafiato: i grattacieli e palazzi affollano la capitale alternandosi con qualche piccola aree verde, mentre in lontananza il mare lambisce le coste, formando la bellissima baia.
"Tokyo è davvero uno spettacolo vista da quassù!" esclama Gregor.
"Già...è bellissima!"
Mi godo ancora un po' il panorama circostante, e poi impugno nuovamente la Nikon per qualche nuovo scatto. Da quassù non posso certo servirmi della mia tecnica, non ho appigli per ricreare le mie adorate cornici, ma sono sicura che usciranno comunque delle belle foto, considerata la vista non può essere diversamente.
Accanto a me, Startseva fa altrettanto, poi con un dito indica qualcosa sulla destra:
"Guarda, quello deve essere il Monte Fuji!"
Ci spostiamo sull'altro versante dell'Osservatorio, dove è possibile ammirare meglio la montagna che domina sulla città, la cui cima rimane incantevolmente innevata tutto l'anno.
Le foto col Monte Fuji sullo sfondo sono particolarmente belle, un po' come tutti gli spettacoli in cui ciò che di più suggestivo offre la natura si fonde con il meglio che riesce a creare la mano dell'uomo.
Una mano di Gregor mi sfiora delicatamente il braccio.
"Guarda in basso!"
Seguo il suo sguardo e vedo, sotto i nostri piedi, una finestra incastonata nel pavimento. Rapita com'ero dalla vista, non mi ero minimamente accorta di questo curioso spiraglio, che dà proprio sul tetto del Foot Town e sulla strada. Punto l'obiettivo della macchina fotografica sulla finestrella. Il mio coach si affretta a spostarsi, nel rendersi conto che i suoi piedi offuscano un po' la visuale panoramica.
"Oh, perdonami!"
"No...! – gli intimo – si rimetta pure come prima..."
E per un lungo attimo i miei occhi nocciola chiaro si incontrano perfettamente nei suoi grigissimi. Gregor obbedisce, posizionando di nuovo i suoi piedi sulla finestrella in maniera del tutto speculare ai miei.
CLICK! CLICK!
C'è la giusta centratura e una perfetta simmetria nelle foto che ho appena scattato: le sue scarpe blu e le mie nere incorniciano perfettamente la finestra panoramica che dà sulla parte sottostante della Tokyo Tower. Quindi, mostro soddisfatta l'esito della mia creazione a Startseva, che commenta con un fischio di apprezzamento.
"Molto bella, poi potrei averne una copia?"
"Certamente! – gli assicuro – va bene se gliela mando sulla sua mail?"
Proprio io che mi sono sempre dimostrata ostile nei suoi confronti, adesso non riesco a rivolgermi a lui senza dargli rispettosamente del lei.
"Certo, ti ringrazio molto!"
E realizzo di aver appena scattato la prima foto di me e Startseva assieme, una foto che per giunta ritrae i nostri piedi. Lo trovo curioso e divertente, se penso che la nostra prima foto assieme sarebbe sicuramente stata una fotografia di gruppo con tutta la squadra per la stampa e per la federazione, se solo stamattina non avessimo perso quel treno.
Gregor si stiracchia e ammira ancora un po' il panorama che ci si staglia maestoso davanti, oltre quelle grandi vetrate, e poi mi propone:
"Comincio ad avere una gran fame, sai... Ti va se ci fermiamo adesso per la pausa pranzo?"
Lancio un'occhiata all'orologio e noto con stupore che sono già passate le 13,30. È incredibile come da quassù si perda del tutto la cognizione del tempo.
"Sì, sono d'accordo...!" rispondo.
Sento improvvisamente un leggero languorino, e mentre Startseva si avvale della sua cartina informativa, io comincio a consultare Google alla ricerca di un posto buono e abbordabile nelle vicinanze. È risaputo che Tokyo è una città piuttosto cara, ma so che consultando le mie fidate applicazioni, posso trovare facilmente un buon ristorante a due passi e con ottimo rapporto qualità-prezzo.
"Cosa preferisce mangiare?" gli domando, così da ristringere il campo di ricerca.
Mi sorprende molto la varietà di ristorazione che offre questo quartiere, particolarmente turistico e commerciale. Gregor abbandona la sua fidata cartina informativa e mi si avvicina, per dare un'occhiata al sito che sto consultando.
"Mhm, non ho preferenze! Consigliami tu!"
Scorro sulle varie opzioni, avendo cura di filtrare quelle con i più alti feedback.
"Questo sembra molto allettante!" suggerisco, indicando un ristorante di cucina tradizionale.
Il ristorante si chiama Ryokan e possiede cinque stelle feedback su cinque. Noto che dalle foto il locale sembra molto accogliente e le pietanze davvero deliziose.
"Ottima scelta!" è il commento del mio coach.
Startseva dà il suo consenso con un sorriso e il solito suo cenno di apprezzamento col capo.
Così volgiamo un ultimo sguardo lontano sulla città, prima di imboccare l'ascensore e lasciare l'Osservatorio.
Spero di aver fatto una buona scelta, Startseva è rimasto in silenzio e ha lasciato che scegliessi io il ristorante in cui pranzare assieme. Scopro che la compagnia del mio coach non è affatto sgradevole: è un tipo molto curioso e instancabile, sempre aperto a qualsiasi proposta. Gregor non si lamenta mai e, a dirla tutta, un tipo come lui incarna proprio il mio compagno di viaggio ideale.
 

GREGOR

Dopo qualche minuto di cammino giungiamo al Ryokan, che ha tutto l'aspetto del tipico ristorante giapponese, con la sua insegna in ideogrammi kanji e lanterna rossa ben esposta all'esterno. Questo locale si trova in uno stretto vicolo interno, in un punto davvero nascosto nell'area metropolitana e caotica di Shibuya.
Entrando al suo interno, un profumino davvero invitante mi invade le narici e stuzzica ancora di più il mio appetito.
Come da indicazioni riportate sul cartello, ci togliamo le scarpe da tennis e le rimponiamo nell'apposita scarpiera accanto all'ingresso. Noto con un sorriso che neanche Lucia ha esattamente un piede di fata con il suo 41, mentre io necessito di almeno un 46. Ci vuole un po' per individuare i nostri numeri, ma finalmente riusciamo a trovare e a indossare le ciabatte con cinturino a infradito.
Non lo avrei mai detto, ma queste ciabatte sono incredibilmente comode. Non sarebbe una cattiva idea comprarne un paio prima di tornare in Italia, inoltre potrebbero essere anche un souvenir molto apprezzato da mia madre.
Mia madre...accidenti...! – Mi sono completamente dimenticato di rispondere al suo ultimo messaggio. Travolto dagli eventi e completamente assorbito dalla gara, non le telefono dal primo giorno che sono arrivato in Giappone. Prometto a me stesso che staserà rimedierò, una volta rientrato in hotel, magari con una videochiamata.
Veniamo ricevuti da un giovane cameriere dal viso tondo e dagli occhi a mandorla, che con modi piuttosto ossequiosi ci fa accomodare in un angolo piuttosto appartato. Spesso incontro un po' di difficoltà a interagire in inglese con i giapponesi, per via del loro marcato accento nipponico e del mio probabilmente troppo italiano, tuttavia alla fine ci riesco.
Adesso io e Lucia siamo seduti l'uno di fronte all'altra. Consultiamo i menù, e ancora mi sembra incredibile ritrovarmi a trascorrere una mattinata pacifica e spensierata insieme a lei. Quando questa mattina in hotel ho realizzato che l'ascensore si fosse bloccato, ho subito capito che probabilmente avremmo perso il treno per Kyoto. Per questo motivo ho esortato il mio amico Paolo a precederci in stazione, perché probabilmente era l'unico modo per salvare l'escursione... almeno per loro.
Lucia ci è rimasta male, doveva tenerci parecchio a quella gita, glielo si leggeva negli occhi quando mi è toccato darle la spiacevole notizia nella hall dell'albergo. Ci tenevo molto a tirarla su, per questo motivo che le ho proposto di accompagnarmi in questo giro turistico per Tokyo.
E non è stata affatto una cattiva idea perché adesso ci ritroviamo l'uno di fronte all'altra, in un tradizionale ristorante giapponese, circondati un'atmosfera decisamente intima e raccolta, senza essere avvolti dal solito clima pesante e ostile della palestra. Forse perché oggi io non sono il coach Startseva e lei la giocatrice Capparelli, ma siamo solo Gregor e Lucia, due ragazzi come tanti che cercano di trarre del buono da questa disavventura. 
La verità è che mi fa uno strano effetto stare solo con lei, avverto ancora una certa tensione intercorrere tra noi, ma questa volta non si tratta di una sensazione negativa...solo strana. È piacevolmente strano che io e Lucia chiacchieriamo serenamente di curiosità, di interessi comuni o di qualsiasi altra cosa esuli il mondo della pallavolo e della rassegna mondiale che stiamo vivendo.
"Ho letto sulle recensioni di questo locale che qui è molto consigliato il ramen – mi informa Lucia – credo che lo ordinerò!"
"Ah, sì...?"
Mi piace molto il ramen ma, sebbene fortunatamente non faccia poi tutto questo gran caldo, non ho molta voglia di mangiare del brodo.
"Io credo invece che mi butterò sui ravioli al vapore – dico, valutando ancora il menù – con cosa vogliamo accompagnare queste pietanze?"
Mi chiedo con curiosità se Lucia sia più un tipo da birra o da vino.
"Forse con del vino rosso – mi risponde, accarezzandosi pensosa il piccolo mento – o lei preferisce il bianco, coach?"
"No... ottima scelta, sono molto curioso – dico, rivolgendole un sorriso – sulla riserva facciamoci consigliare dal cameriere!"
Una volta scelto, comunico le ordinazioni che comprendono un primo e due secondi a testa. Probabilmente è un po' troppo, ma la piccola disavventura di stamattina e la lunga camminata ci hanno messo decisamente appetito.
Il cameriere ci porta subito l'acqua e il vino. Io degusto subito quest'ultimo e devo ammettere che è davvero ottimo.
Lucia non tocca ancora il suo calice, poggia i gomiti sul tavolo e raccoglie fra le mani il suo bel viso. Ogni tanto la vedo spostarsi una ciocca ribelle dietro le orecchie e guardarsi un po' attorno, verso l'ambiente forse un po' piccolo ma decisamente accogliente. Siamo nell'unica sala del locale, con l'atmosfera piuttosto raccolta e con piccoli spazi privati riservati a ciascun tavolo.
Di tanto in tanto, i nostri occhi si incrociano, scambiandosi un sorriso di circostanza ma non per questo meno autentico. Ormai ho imparato a conoscere una per una le mie atlete, e so che Lucia è un tipo impulsivo, assolutamente incapace di fingere. Ma se da un lato questa sua limpidezza d'animo ha potuto costituire un punto di forza per la squadra, dall'altro ha condannato per molto tempo il nostro rapporto professionale a continui contrasti.
Fin dall'inizio, Lucia è stata la mia spina nel fianco, la leonessa da conquistare. Mi sono chiesto a lungo come fosse saltato in mente a Pandolfi di nominare capitano proprio lei, una ragazza così impudente e con un simile caratterino; ma poi ho visto nei suoi occhi la tenacia, la determinazione, la forza e la grinta con cui incita e sostiene le sue compagne. Ho visto il suo attaccamento alla squadra e ho capito che la maglia numero dieci non poteva che indossarla lei. È stato difficile per noi accettarsi, abituarsi l'uno all'altra è stato un percorso lento e faticoso ma sento che questa volta ce l'abbiamo fatta.
Intanto i nostri telefoni non hanno smesso un attimo di vibrare. Nell'attesa che arrivino le portate, Lucia estrae dallo zaino il suo cellulare, e così anche io mi concedo di tirarlo fuori dalla tasca per ingannare il tempo.
Naturalmente si tratta delle ragazze. La chat è letteralmente invasa da foto e commenti che condividono sul gruppo della palestra. Fra le tante foto, ne compare anche qualcuna buffa e imbarazzante di Paolo che lo ritrae nel vano tentativo di mangiare una banana in santa pace o, nelle foto di gruppo, agghindato da dietro con delle corna. Sempre tremende, sempre irriverenti, sempre così...adorabili!
"Sembra che si stiano divertendo molto" commenta Lucia, recuperando i messaggi non letti dal suo dispositivo.
I suoi occhi nocciola sono assorti sullo schermo, e penso con un po' di rammarico che in questo momento lei preferirebbe trovarsi lì con loro, insieme a tutte le sue compagne, piuttosto che con me, il coach rompiscatole.
Sbuffo a questo pensiero.
"Oh, sì... anche Paolo si sta decisamente divertendo!"
Riesco così a strapparle una risata. Adesso quelle profonde iridi nocciola affondano nelle mie grigie e acuminate, con calore e una leggerezza mai provate prima. 
Quel bel sorriso dipinto sul suo volto e la timidezza con cui poi distoglie lo sguardo, posandolo nuovamente sul cellulare, riescono a scaldarmi il cuore. Perché in fondo anch'io sono un timido, ma avendo avuto molto a che fare con la stampa e i riflettori ho imparato a dominare la mia timidezza. Lucia è ancora nel fiore dei suoi anni, probabilmente è all'apice della sua carriera, ha ancora molta strada davanti e quello che è riuscita a conquistare alla sua giovane età è davvero molto ammirevole.
"Camilla la pensa sempre, coach!" sussurra poi lei, lanciandomi una breve occhiata.
"Come...?"
Con il pollice scorro nel gruppo, fino a trovare la foto di un dolcetto dall'aspetto invitante, inviato proprio da Camilla, insieme al messaggio Coach Startseva, questo è per lei!!
Un sorriso che proprio non riesco a trattenere mi si allarga sul volto.
"Sembra un muffin, vero? – domando – i suoi sono dannatamente buoni!"
"Già – conviene lei, divertita – Camilla e la sua fissazione per i dolci...!"
Prima di decidermi a riporre via il cellulare, mi ritrovo a soffermarmi su alcune foto di Camilla. Vederla sorridere felice e spensierata in questo modo mi infonde un grande sollievo. Sembrano così lontani quei primi tormentati giorni di allenamento insieme, quando in palestra regnava sovrana quell'atmosfera carica di tensione e diffidenza.
"Camilla è entrata pienamente nel ruolo, ha la stoffa della vera campionessa! Per i progressi che ha fatto in così poco tempo è davvero una forza della natura!" ed è il cuore gonfio di orgoglio che parla per me.
Forse non dovrei lasciarmi andare a questo tipo di commenti con una mia giocatrice, nel pieno della competizione, ma questa riflessione è sorta spontanea sulle mie labbra. Sono certo che in questo mondiale, a prescindere da quale sarà l'esito, Camilla sarà la mia vittoria più grande.
"Sì, concordo – afferma Lucia – con i suoi palloni, Camilla riesce a variare molto il gioco, come se avesse sempre fatto la palleggiatrice!"
E io concordo perfettamente con lei.
"Già! L'abbandono di Pandolfi e della vostra compagna ha gettato molto scompiglio nella squadra – osservo – ma in compenso sono contento che abbia dato a Camilla l'opportunità di scoprire il suo potenziale, e magari la possibilità di esplorare nuove strade in futuro!"
"Lei conosce il nostro vecchio allenatore?"
"Sì, Pandolfi è stato il mio primo allenatore, all'inizio della mia carriera nella pallavolo professionista – rispondo, tornando con i ricordi a molti anni fa – all'epoca militavo nella Milano Powervolley, ma solo dopo un anno lui è stato chiamato ad allenare la nazionale"
Gli occhi di Lucia mi scrutano adesso in maniera indecifrabile, il suo viso si incupisce. Improvvisamente sento che qualcosa non va. Ho come la sensazione che il lavoro, invadendo i nostri spazi, riuscisse a sconvolgere questo piacevole equilibrio creatosi tra noi, e io non voglio assolutamente che questo avvenga. Almeno non oggi, non adesso che finalmente la sento così vicina.
In mio soccorso arriva provvidenzialmente il giovane cameriere, portando con sé tutte le nostre ordinazioni. I nostri occhi sono sulla tavola ricolma improvvisamente di ciotole coloratissime piene di prelibatezze.
Il giapponese congiunge le mani con modi cerimoniosi, e noi con garbo di riflesso lo imitiamo.
"Itadakimasu!" sussurra il giapponese, prima di dileguarsi.
Non ci vedevo più dalla fame, si può dire che il cibo sia arrivato nel momento più propizio. Inforco le bacchette e mi concentro sui miei gustosissimi ravioli, mentre Lucia fa lo stesso con il suo ramen brodoso. Un mugolio soddisfatto le sfugge, mentre sgrana gli occhi per la sorpresa.
"Ė davvero ottimo...!" sorride arrossendo, e io la ricambio compiaciuto.
Una pacifica quiete accompagna il nostro pasto, e io spero con tutto me stesso di non aver rovinato in qualche modo ciò che di bello stavamo costruendo assieme.
Alla fine, con mia grande sorpresa, è proprio Lucia a spezzare il silenzio.
"Coach, vorrei scusarmi ancora una volta con lei...!"
"Mhm... – mi affretto a dire, ingurgitando il mio ultimo raviolo e ripulendomi con il tovagliolo – non è necessario!"
Lucia manda giù l'ultimo sorso del suo brodo e scuote la testa con decisione.
"La verità è che per me è stato un periodo particolarmente stressante. Negli ultimi giorni a Milano, tra i preparativi per la partenza, la tensione per le nuove competizioni, Mirko... ero veramente provata da mille emozioni – e penso davvero che questa volta ti stia parlando con il cuore in mano, vorrei dirle che non è necessario parlare di faccende così private, ma rimango in silenzio ad ascoltarla – aveva visto bene, sa? Io e Mirko stavamo insieme fino a qualche mese fa..."
Poso le bacchette e mi specchio in quelle calde pozze nocciola che sono i suoi occhi.
"Mi dispiace molto essermi dimostrato indiscreto quella sera, non era affatto mia intenzione essere così indelicato!" affermo con tutta sincerità, riferendomi alla nostra ultima sera a Milano.
"Ma lei non lo è stato affatto! E so che non sta bene parlare di faccende personali, ma ci tengo molto a scusarmi con lei e a tentare di spiegarle cosa mi sia preso quella volta – dice timidamente – qualche mese fa ho scoperto che Mirko mi ha tradita e ci siamo lasciati. Questo fatto in sé non è un dramma, se da bambina non avessi vissuto con difficoltà la separazione dei miei genitori, per il tradimento di mio padre e il suo abbandono. Lo so che non è una valida giustificazione, ma in un momento di preparazione fisica e mentale in vista di una competizione agonistica così importante, la tutta storia di Mirko mi ha destabilizzata emotivamente. Ma un capitano che si rispetti, non dovrebbe lasciarsi sconvolgere in questo modo, non dovrebbe lasciarsi influenzare dalle emozioni come ho fatto io...e lei decisamente non meritava un simile trattamento, e io non dovevo permettermi in nessun caso a mancarle di rispetto!"
Le sue parole sono un fiume in piena che mi travolgono. Davanti a simili rivelazioni l'immagine di ragazza viziata e capricciosa viene inevitabilmente meno, e lascia posto a un'immagine di Lucia vera e autentica: lasciando posto alla ragazza e non alla campionessa.
Sento come mia la difficoltà di Lucia nel parlare questioni così delicate, a cui io per tantissime ragioni non posso essere indifferente.
Forse rimango troppo a lungo senza parole, perché vedo lei distogliere nuovamente lo sguardo imbarazzata, abbassarlo sulla sua tempura di gamberi, e abbozzare un tenue sorriso:
"Mi dispiace, probabilmente non dovevo tirare fuori questioni così intime e private...!"
"No, non è questo...!" mi affretto a risponderle e di riflesso allungo una mano per poggiarla sulla sua, come a volerla trattenere, come se da un momento all'altro potesse di nuovo sfuggirmi.
A quel breve contatto fisico, sento una scarica di adrenalina attraversarmi la colonna vertebrale, e immediatamente ritiro la mano. Come se scottasse, come se sapessi di aver osato troppo con questo gesto.
Comprendo perfettamente il suo stato d'animo e apprezzo davvero che si sia lasciata andare a queste confidenze, perché in fondo nessuno meglio di me sa quanto può far male un ricordo.
"Credimi, Lucia, tutto questo per me ha perfettamente senso – e intendo ripagare la sua sincerità con altrettante sincerità – è assolutamente normale che tutti questi fattori, tutti questi cambiamenti abbiano finito per destabilizzarti in un momento stressante come questo. Anche io ho trascorso un momento molto buio nella mia vita, che mi ha sconvolto fino a farmi perdere il controllo delle mie stesse azioni. Dieci anni fa, un incidente in moto mi ha portato via la mia fidanzata, e alla guida c'ero io. Lei si chiamava Vittoria"
"Santo cielo – lascio Lucia senza parole – mi dispiace moltissimo!"
"Il punto è che anche io ho commesso errori, mi sono chiuso – le spiego in sostanza – ero nel pieno della mia carriera agonistica e ho cominciato a bere molto spesso e a fare uso di sostanze. Niente di troppo forte, visti i controlli antidoping a tappeto che fanno nel nostro sport, ma ho commesso anche io delle sciocchezze in passato, che tornando indietro sicuramente non rifarei. La mancanza di Vittoria mi faceva male e così anche tutto ciò che mi ricordava lei, portandomi a fare azioni che in una condizione normale mai avrei commesso".
"In questo momento i miei problemi sembrano sciocchi drammi adolescenziali!" sorride Lucia, imbarazzata.
"Sbagli a pensarla così – le dico, sincero – il dolore non è mai sciocco, e la nostra reazione ad esso non è mai razionale, soprattutto quando la ferita pulsa ancora nelle vene. La vita è davvero imprevedibile, non possiamo farci niente. Guardaci, siamo qui a chiacchierare delle nostre vite davanti a dell'ottimo cibo giapponese...noi che fino a ieri, sembravamo l'uno la nemesi dell'altra..."
E così, le strappo forse il più bel sorriso che abbia mai visto illuminare un viso di donna. Professionale come cerco sempre di essere, non avevo mai considerato Lucia o una delle tue atlete da questo punto di vista, nemmeno Giulia che sembra la più sensuale e vivace tra le mie ragazze. 
Rivelandosi, Lucia ha svegliato qualcosa dentro di me, forse perché siamo più simili di quanto non avremmo mai osato immaginare. Alla nostra giovane età, abbiamo già visto il peggio di questa vita – l'abbandono, la paura, il lutto – ma, nonostante tutto continuiamo a sorridere e a inseguire i nostri sogni. Non so a cosa somiglia questo sentimento che sento nascere lentamente dentro di me, se somigli più all'ammirazione, alla simpatia o all'affetto.
"Grazie...!" sussurra lei, piena di gratitudine.
Le rispondo strizzandole un occhio e rivolgendole un sorriso. Sono io a esserle profondamente grato per essersi aperta al dialogo, dandomi modo di fare altrettanto.
Finalmente sto per concedermi di passare al secondo, alla mia prelibatissima anguilla marinata quando sento vibrare insistentemente il cellulare nella mia tasca.
Non si tratta di un messaggio, alzo gli occhi al cielo e mi decido a tirare fuori il telefono.
Il display indica una chiamata da parte di mia madre, alla quale non posso proprio sottrarmi.
"Scusami, ma devo proprio rispondere!" prego Lucia, di perdonarmi per la scortesia.
"Non si preoccupi..." mi esorta lei, continuando il suo pasto.
Non faccio in tempo ad aprire la chiamata, che mia madre mi si avventa bruscamente, e devo ammettere non senza ragione.
"GREGOR!! POSSIBILE CHE NON SI RIESCA MAI A RINTRACCIARTI?"
"Perdonami – tento di giustificarmi – sono stati giorni parecchio impegnativi..."
"SEI DALL'ALTRA PARTE DEL MONDO, NON DELLA CITTÁ! IL MINIMO CHE TU POSSA FARE Ė ALMENO UNO SQUILLO, UN QUALSIASI SEGNALE GIUSTO PER FARMI CAPIRE CHE STAI BENE...!"
Mi sfugge una risata, la mia povera mamma ha ragione. Anche io sarei molto in pensiero al posto suo, sapendola in un luogo straniero così lontano.
"Avrei dovuto telefonare, hai ragione...! Ma dimmi, come stai?"
La sento respirare e inspirare profondamente dall'altro capo.
"Io sto bene, tesoro – finalmente abbassa la voce – ero così preoccupata, come sta andando la gara? State tutti bene?"
"Sì, stiamo tutti bene, e anche la gara procede discretamente, siamo già passati alla seconda fase!" le dico, senza spostare un attimo gli occhi dalla ragazza di fronte a me
.
Lucia si è raccolta discretamente in sé stessa, maneggiando con abilità quelle bacchette e degustando la sua ricca porzione di insalata di alghe.
"Bravissimi, sapevo che ce l'avreste fatta a superare il primo turno...le ragazze sono contente?"
"Oh, sì, certo – sorrido dentro di me – in questo momento sono tutti a Kyoto, avevamo organizzato questa gita di un giorno ma sfortunatamente io e Lucia siamo rimasti chiusi in ascensore, e ci è toccato rimanere qui in città. In questo momento stiamo pranzando assieme in un ristorante molto carino"
Sento un silenzio decisamente troppo prolungato dall'altro capo.
"Lucia...? Il capitano della squadra...?"
"Sì, proprio lei..." dico, provando un certo imbarazzo alla nota troppo entusiasta di mia madre.
Anche Lucia in quel momento solleva gli occhi un po' perplessa, evidentemente sentendosi chiamata in causa.
"UH! LA MIA PREFERITA!!"
"Sì, mamma – sospiro – ci sentiamo con più calma, d'accordo? Magari questa sera, quando rientro in hotel!"
"D'accordo tesoro, ma non dimenticare di telefonarmi – brontola lei – e salutami tanto Lucia!"
Sto per chiederle perché mai dovrei salutargliela dal momento che non ha mai conosciuto nessuna delle mie atlete, ma cerco di tagliare corto con questa telefonata che sta prendendo toni decisamente pericolosi.
"Lo farò!" prometto, con estremo imbarazzo prima di riagganciare.
Mentre ripongo nuovamente il cellulare nel taschino, Lucia inarca un sopracciglio, trattenendo a stento una risata.
"Ti saluta mia madre!" le dico, con la stessa fatica con cui avrei sputato un grosso rospo trattenuto in gola.
"Grazie... molto gentile e simpatica la tua mamma!" sorride Lucia, un po' intenerita e un po' divertita.
"Sì, le piace troppo chiacchierare!" commento acido.
Perché è stato un po' come ammettere che ho parlato molto con mia madre di loro, e soprattutto di lei. Ogni volta che quella peste mi faceva arrabbiare, ogni volta che mi faceva perdere la pazienza, ogni volta che mi faceva sputare bile amara, le persone con cui solitamente riuscivo a sfogarmi erano mia madre e Paolo, naturalmente.
"Non immaginavo fosse così divertente parlare con lei..." afferma Lucia, con un tono al contempo dolce e canzonatorio.
Ed è la cosa più simpaticamente impudente che mi abbia mai detto.
"Ah, nemmeno io!" ribatto, fintamente offeso.
E riesco così a strapparle uno di quei sorrisi raggianti capaci di far innamorare. 
 

***************************

NdA: Ciao, rieccomi tornata con il nuovo capitolo che avevo promesso. Spero che vi piaccia questa piccola svolta, che ancora non è del tutto conclusa ;) Lucia e Gregor hanno finalmente raggiunto il loro equilibrio...e non so se vi siete accorti (perché né l'uno e nell'altro, presi dal momento ci hanno fatto caso), ma Lucia ha già ridotto la distanza con suo coach dandogli finalmente del "tu" (oltre che aprendosi "quasi del tutto").

Buona lettura e buona domenica! ;)

 

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Capitolo 13
*** Hanami in piena estate (Terza parte) ***


HANAMI IN PIENA ESTATE
(Parte terza)
 


LUCIA

Usciti dal Ryokan, siamo di nuovo invasi dal trambusto cittadino. Anche in questa stradina piuttosto solitaria giunge caotico il rumore del traffico e della vita frenetica di Tokyo.
Sono felice che il ristorante suggerito dalla mia applicazione sia piaciuto al mio coach, abbiamo mangiato bene e tanto. Spinti dalla fame, abbiamo decisamente esagerato con le portate, non ci aspettavamo porzioni così abbondanti, ma sono sicura che la camminata che ci attende ci aiuterà a smaltire tutte le calorie in eccesso.
 Startseva recupera dallo zaino la sua inseparabile cartina, che ormai è diventata la fedelissima guida del nostro giro turistico.  Quello che abbiamo adesso in programma è la visita a un tempio, prima di concludere la giornata e rientrare nuovamente in hotel.
Lo osservo con attenzione mentre consulta scrupolosamente la mappa e mi domando come un uomo di trent’anni possa prediligere questi strumenti obsoleti e analogici alle nuove tecnologie. Certo è che Startseva si sta rivelando una continua sorpresa.
Sorrido mestamente, pensando al triste destino del suo amore perduto. Proprio mentre eravamo a tavola e Gregor mi raccontava la storia di Vittoria, mi sono tornate alla mente le enigmatiche parole che Paolo mi aveva rivolto l’ultima sera a Milano, durante la nostra amichevole insieme a Giulia e Startseva.
Non essere così severa con lui, la vita non gli ha sorriso molto!
Sono sicura che quelle parole si riferissero proprio a quel tragico incidente, alla morte di quella ragazza di cui ancora oggi Startseva si sente responsabile, questo è evidente. Nella sua voce melliflua e nei suoi occhi cupi ho percepito tutti i sensi di colpa che in questi lunghi anni devono aver dilaniato il mio allenatore. Non riesco a immaginarmi Starseva perdere il controllo, lasciarsi andare e commettere quel tipo di sciocchezze di cui mi ha lasciato soltanto intendere. Lui che è sempre così equilibrato, lui che non si sbottona mai, deve aver toccato i più cupi abissi della disperazione, un baratro da cui sembra essere riemerso solo a metà.
Mi vergogno profondamente di me stessa nel provare invidia nei confronti di una ragazza morta perché, nel tragico destino di una breve esistenza, ha avuto la fortuna di avere al suo fianco un uomo che l’amasse a tal punto da tenerne vivo l’amore e il ricordo.  Vittoria ha avuto la fortuna di incontrare lungo il suo cammino Startseva… Perché deve essersi trattato sicuramente di un grande amore se il ricordo di quella ragazza infonde ancora tanto dolore nel cuore del mio coach.
Solo un vero amore come il loro può resistere al tempo, alla distanza, alla morte…!
“Dunque, secondo me la soluzione migliore sarebbe visitare il tempio Zoji-ji, si trova qui vicino e poi sarebbe comodo anche per il ritorno nel caso volessimo prendere la metro… ehm, Lucia? Ci sei?”   
Le riflessioni ad alta voce del mi coach mi distolgono dai miei sciocchi e riprovevoli pensieri.
Sentendomi colta in fallo, sollevo timidamente gli occhi verso di lui.
 “Cosa…? Oh, sì, certo!”
“Se sei stanca non è affatto un problema, possiamo tornare direttamente in albergo” mi assicura lui.
Scuoto la testa in segno di diniego e allargo le labbra in un sorriso rassicurante, ridestandomi finalmente dal vortice di tristezza in cui stavo sprofondando.
“No, assolutamente!”
Startseva mi guarda con circospezione e soppesa con attenzione le mie parole, ma alla fine mi rivolge un sorriso sghembo ma convinto.
“Allora coraggio, proseguiamo con la nostra tabella di marcia!” 
Il mio coach mi indirizza un cenno col capo e io mi affretto a seguirlo, fiduciosa di riuscire a godere di un altro incantevole scorcio di questa splendida città.
Ci lasciamo alle nostre spalle il Ryokan e la via isolata in cui si nasconde, e torniamo nuovamente sul marciapiede della strada principale di Shinjuko, decisamente più affollata rispetto a come l’avevamo lasciata questa mattina. Proseguiamo così, l’uno accanto all’altro, ciascuno chiuso nell’intimità del proprio silenzio. Trovo impensabile che siamo riusciti a trascorrere una giornata in tutta serenità, e ancora più incredibile che siamo finiti per confidarci dettagli così intimi e privati delle nostre esistenze. Per un attimo ho avuto come la sensazione di conoscere Startseva da sempre, come se ci fossimo solo ritrovati dopo un lungo periodo di assenza. È stato difficile e al contempo naturale parlargli di Mirko e di mio padre, di quanto il loro tradimento abbia pesato sulla mia preparazione per questo mondiale, ma Startseva mi ha stupita ancora una volta. Le sue parole sono state balsamo per le mie ferite, una carezza in grado di lenire il mio dolore.
La sua vita non è stata affatto facile, ma non potevo minimamente immaginare una tragedia come quella di Vittoria. Ammiro profondamente la forza d’animo di Starseva, la saggezza con cui affronta le prove più difficili.
Lancio una fugace occhiata al suo profilo perfetto e mi sento invasa da una nuova grande consapevolezza. Gregor Startseva non è un uomo privo di scrupoli, non è il coach despota che ho condannato senza appello fin dall’inizio. Gregor è una persona meravigliosa, nonché un ottimo allenatore; ha sofferto molto ma non si è lasciato sopraffare dal dolore, è riuscito a trasformare tutto il male che la vita gli ha riservato in energia positiva.
Adesso che siamo davvero in vena di confidenze, non riesco a immaginare un momento migliore per sciogliere un dubbio che mi attanaglia da tempo. Quindi, ancora una volta, faccio ricorso a tutto il mio coraggio prima di rivolgermi nuovamente a lui.
“Coach… ehm, Gregor…” la mia voce fuoriesce malferma.
E davvero non so come comportarmi. Non mi viene spontaneo rivolgermi dandogli del tu, d’altronde si tratta pur sempre di Startseva, ma mi sembra altrettanto innaturale in questo momento rimarcare una distanza che ormai si è sgretolata, e non soltanto fisicamente.
“Sì? Dimmi pure…!” mi esorta Gregor, abbozzando un sorriso sbieco.
“L’ultima sera a Milano ho sentito che parlavi con Mirko del prossimo anno, del fatto che non ci sono certezze che possa tornare ad allenare nel suo club – sussurro – è ancora incerta la tua presenza durante la prossima stagione?”
 “Sì, è così – ammette con tutta semplicità – la dirigenza sportiva si è riservata la firma del contratto alla fine del mondiale, e automaticamente anche il club ha posticipato la firma per il prossimo triennio al termine di questa competizione. Funziona un po' così ai piani alti…!”
“Mi dispiace che tu ti sia ritrovato a gestire una situazione così difficile”
E di avertela resa ancora più complicata, con il mio sciocco comportamento…!
Startseva minimizza con uno sbuffo e un lieve cenno della mano.
“Non devi preoccuparti per me!”
Improvvisamente mi sento avvampare. Ora che lo vedo attraverso una luce diversa, gli occhi grigi di Startseva brillano ancora di più sotto il sole conciliante di fine giugno. 
Che sciocca sono stata ad aver puntato ciecamente il dito contro di lui, quando in realtà in ballo c’è qualcosa di ben più importante dei soldi e del successo, una passione a cui si è dedicato per una vita.
“Da quando ho smesso di giocare in campo, fare l’allenatore è sempre stata la mia più grande ambizione – mi confida ancora – lo ammetto, all’inizio avevo preso piuttosto male questo incarico per via della situazione così delicata, ma l’esperienza mi ha insegnato che la vita va presa come viene e che non tutto il male vien per nuocere. Farò del mio meglio come sempre, e se alla fine dovessi ripiegare su un altro lavoro non sarà una tragedia. Vorrà dire che rispolvererò dal cassetto la mia laurea in scienze motorie e mi darò all’insegnamento o chissà magari deciderò di aprire una palestra tutta mia”
Le parole di Startseva sono un misto di ottimismo e rassegnazione. Una morsa allo stomaco mi attanaglia, nel sentirlo parlare così. Sono pronta a scommettere che sarebbe un ottimo insegnante per i suoi studenti, ma il suo talento andrebbe completamente sprecato nelle palestre delle scuole. Startseva merita di continuare ad allenare nel suo club dove è molto amato, merita di continuare a dirigere dalla sua panchina la nazionale italiana. Ha ancora così tanto da offrire a questo sport ed è terribilmente ingiusto che la sua carriera debba dipendere dall’esito di una competizione che assolutamente non dipende da lui. Benché detesti ammetterlo, la nostra squadra appartiene a Pandolfi, è lui che ci ha seguite nella preparazione dall’inizio alla fine degli allenamenti. Gregor Startseva può solo continuare a fare del suo meglio, confidando nelle sue valutazioni, a quest’ultimo toccherà soltanto raccogliere i meriti e i demeriti di un lavoro non suo, di un lavoro che porta il nome del nostro vecchio allenatore.
Queste riflessioni mi accompagnano per tutto il tragitto, fin quando non giungiamo nei pressi del tempio Zoji-ji.  L’ingresso, costituito da un torii, il tradizionale portale d’accesso a un luogo sacro, è con mia grande sorpresa completamente deserto. Impugno la mia Nikon è scatto una piccola sequenza di foto a quell’imponete struttura di colore vermiglio, formata da due colonne di supporto verticali e da un palo orizzontale sulla cima. Il tempio è ancora invisibile ai nostri occhi, perché situato in un luogo nascosto del sito, proprio in cima alla lunga gradinata che si staglia davanti a noi.
Guardo un po' intimidita la scalinata, formata da ampi gradoni di pietra, non è piacevole affaticarsi così sotto questa calura estiva e con la pancia ancora piena.
“Che ti prende? – ridacchia Startseva – una campionessa come te non può tirarsi indietro davanti a due gradini!”
“Non sono due gradini!” puntualizzo, indispettita.
Gregor scrolla le spalle e si incammina lungo la scalinata, circondata da una fitta e suggestiva vegetazione. Si tiene ancora molto in forma il mio coach, sempre energico e vitale quando si tratta di mettersi in gioco.
Sospiro scoraggiata e mi affretto a seguirlo, non ho la minima intenzione di dargliela vinta. Nonostante il caldo estenuante e il cibo ancora nello stomaco, mi faccio forza e tengo il passo spedito del mio allenatore.
“Sono duecento...!” la voce di Gregor giunge un pò ansante alle mie orecchie.
“Cosa…?”
“Ho letto sulla cartina che sono duecento i gradini che conducono al tempio buddhista Zoji-ji!”
Sollevo un sopracciglio perplessa, ma non proferisco parola impegnata come sono a risparmiare fiato e ossigenazione.
Giunti finalmente in cima, veniamo travolti da un’improvvisa folata di vento, eppure lungo la gradinata non sembrava volare nemmeno una foglia. Un’incantevole pioggia di petali di ciliegio mi raggiunge in pieno viso, mentre Startseva fa appena in tempo a proteggersi con una mano.
“Wow!” esclama, divertito.
Io ridacchio ammaliata, mentre oltrepassiamo l’ennesimo torii che conduce finalmente al tempio. È davvero incredibile come all’interno di un’area metropolitana così all’avanguardia possa trovarsi un luogo così pacifico e incontaminato dalla modernità.
Ci troviamo al centro di questo luogo di culto, dove il tempio ne costituisce il cuore pulsante.  Il giardino che lo custodisce è pieno di splendidi alberi di ciliegio ancora fioriti, su alcune panchine sono adagiate ragazze in abiti tradizionali, forse delle geishe.  Tutto intorno ispira pace e silenzio. Il tempio non è molto grande, la porta di legno è spalancata agli eventuali visitatori e le pareti sembrano sottilissime, essenzialmente è il tetto la parte più visivamente suggestiva con le sue gronde lievemente ricurve.
Osservo Startseva impugnare la macchina fotografica e scattare qualche foto, completamente assorto da tanta bellezza.
“Vuoi che ti scatti qualche foto?” mi propongo, immaginando che gradirebbe molto qualche foto ricordo in questo magnifico posto.
 “Ti ringrazio moltissimo!” esclama, voltandosi pieno di gratitudine.
Gregor lascia cadere sul collo la sua Canon e si posiziona davanti al santuario, a una certa distanza da me. Mi piego su un ginocchio, in modo da avere un’inquadratura più completa del tempio alle sue spalle. Fa tenerezza Startseva mentre tenta di sorridere davanti all’obiettivo, di assumere una posa quanto più possibile naturale.
“Sorridi!” lo stuzzico un po', ma soltanto per farlo sciogliere un pò.
Lui si morde le labbra, trattenendo una risata.
“La cosa che più buffa è che io avrò foto di questa avventura più carine e centrate delle tue!” sospira, e finalmente riesco a scattare una bella sequenza.
“Su questo ho pochi dubbi!” sbuffo rassegnata, rimettendomi in piedi.
Startseva si avvicina di nuovo, incuriosito del risultato. Quando giunge al mio fianco gli mostro sul display le foto che gli ho scattato.  Nelle prime il mio coach sembra stare sulle sue, sentirsi un po' a disagio, mentre nelle ultime due sequenze sfoggia un sorriso spontaneo e a tratti divertito.
“Carine, decisamente carine – commenta lui, soddisfatto – spero solo di essere all’altezza di ricambiare il favore”
Sto per replicare con una delle mie battute pungenti, quando vediamo uscire dalle porte del tempio una coppia dai tratti chiaramente occidentali. Sorridono teneramente tenendosi per mano, si tratta sicuramente di una coppia di novelli sposi in luna di miele. Nel vederci, i due sgranano gli occhi e ci vengono incontro trasognati, come se avessero visto il miraggio di una fonte nel bel mezzo del deserto.
La donna, con un chiaro caschetto castagno e gli occhi azzurri, sia avvicina e ci sorride affabile.
“Excuse me, please! Can you take us a photo?” domanda quasi supplice.
“Yes, we can…” risponde Gregor un po' esitante, senza staccarmi gli occhi di dosso.
Decido così di togliere il mio coach dall’imbarazzo, proponendomi per gli scatti.  Rivolgendomi loro con un ampio sorriso, mi faccio consegnare dalla donna una piccola polaroid, un modello piuttosto vintage ma molto maneggevole. I due sconosciuti si stringono sorridenti in posa, mentre Startseva si posiziona al mio fianco e ne approfitta per studiarmi.
“Impara a centrare bene le foto!” stuzzicarlo è troppo divertente.
“Sono negato!” ammette lui, con rassegnazione.
Udendoci parlottare tra noi, l’uomo si lascia scappare un fischio di sorpresa:
“Com’è piccolo in mondo, anche voi siete italiani!”
Io e Gregor ci guardiamo divertiti, stupiti di quanto piccolo sia il mondo. Ultimati gli scatti, riconsegno la polaroid alla signora e rimaniamo per un po' a scambiare qualche chiacchiera con i nostri connazionali. Scopriamo, in effetti, che si tratta di una coppia appena sposata, entrambi romani di nascita e insegnanti di professione, mentre noi raccontiamo loro di trovarci in Giappone per una gara agonistica.
“Ah, quindi non state insieme? – domanda la donna, con una piccola nota di delusione – eppure a guardarvi così sembravate una coppia affiatata!”
“Cara, non metterli in imbarazzo!” sussurra il marito, costernato.
“Ma è vero, così mi è sembrato – continua lei, ostinata – non conoscete la leggenda di questo tempio, ragazzi? Si racconta che le coppie che varcano insieme i torii, posti a protezione di questo luogo sacro, rimarranno insieme per sempre!”
Io e Starteva sembreremmo una coppia? Ma quando mai!
“No, effettivamente non ne eravamo al corrente!” replica Startseva, con il solito tono conciliante.
“Dovete scusarla, è fatta così, si lascia sempre trasportare dalle sue fantasie…” minimizza il marito.
“Ma questa storia è così romantica!” enfatizza la signora, con gli occhi ancora sognanti.
Io e Gregor abbozziamo un sorriso di circostanza, per lo più al fine di placare gli animi, non vorremmo mai porci al centro di una diatriba tra sposini freschi di nozze.
Salutiamo questa bizzarra coppia, che ci ringrazia per le fotografie scattate e ci dà un caloroso in bocca al lupo per la competizione. Imboccando la discesa della lunga gradinata, il due spariscano lasciandoci addosso un leggero imbarazzo.
“Interessante questa leggenda – commenta Startseva, divertito – se non mi odiassi così tanto, potrei benissimo pensare che si tratti di un segno…!”
Per tutta risposta, mi incammino verso il tempio, senza concedergli la minima soddisfazione. È evidente che voglia indurmi a dire ciò che avrebbe voluto sentire da tempo, che in realtà io non lo odio.
Con rassegnazione, Gregor scoppia in una risata e decide di seguirmi lungo il breve sentiero che conduce al santuario. L’interno piccolo e stretto è così diverso dai nostri tradizionali luoghi di culto, protetto da una statua di Buddha a grandezza quasi umana. L’altare è sostituito da una piccola costruzione in legno, piuttosto simile a una cassetta, mentre accanto discende dal soffitto una lunga corda bianca.
Rimango sull’uscio, mentre vedo Gregor cercare nella tasca qualche spicciolo e avvicinarsi in rispettoso silenzio verso quella scatola. Il mio allenatore inserisce i soldi nella fessura, tira tre volte la corda che aziona brevemente il suono di una campana, si inchina tre volte, congiunge le mani e rimane per qualche minuto in raccoglimento a pregare. Per tutto questo tempo rimango a contemplare le sue spalle forti e larghe, avvertendo una strana sensazione. Sento riemergere qualcosa dalle profondità, qualcosa che a lungo è rimasto sopito dentro di me e che adesso si sta risvegliando, una sensazione familiare a cui ancora non riesco a dare un nome ma che porta con sé un retrogusto di felicità.
Gregor finalmente si volta e viene verso di me. I suoi occhi dal colore del mare in tempesta smuovono in me qualcosa di potente, qualcosa che cerco in ogni modo di reprimere.
“Quella davanti al Buddha è la cassetta devozionale, si chiama saisenbako – Gregor bisbiglia, portando rispetto al luogo di culto – secondo le usanze, chi fa un’offerta può esprimere una preghiera che verrà esaudita”
Sento anche io il desiderio di raccogliermi in me stessa e formulare una preghiera. Mi dirigo verso la cassetta votiva e imito quanto compiuto da Startseva poco prima, facendo tintinnare all’interno della scatola di legno tre monete, tirando la corda fino a suscitare il suono della campana e inchinandomi per tre volte. Congiungo le mani all’altezza del petto e non ho dubbi sul desiderio da esprimere.
Ti prego, fa che riusciamo ad andare in fondo a questa competizione in modo tale che Gregor non debba perdere a causa nostra il suo posto di allenatore.
La pace del tempio e la preghiera di raccoglimento riescono a placare finalmente la strana agitazione che aveva preso a vorticarmi nel petto fino a pochi istanti fa.
Quando usciamo da quel piccolo luogo, veniamo avvolti dai colori caldi del tramonto. Un arancione carico di speranza accompagna la nostra discesa nel tragitto di ritorno, mentre percorriamo a ritroso la lunga gradinata, questa volta a posso più spedito e ciascuno assorto nel proprio silenzio.
Non si tratta del solito imbarazzo, ma di un turbinio di sensazioni altrettanto complesse. Inquietudine, perplessità, aspettativa…
“Per cosa hai pregato?” mi chiede improvvisamente Startseva, una volta giunti a valle.
“Non si dice, altrimenti il desiderio non si avvera!” rispondo, tenendomi sulla difensiva.
“Non ho letto niente del genere nella mia guida” replica lui, con un malcelato sorriso.
“La tua guida deve essere incompleta – biascico – allora, se per te non è un problema, dimmi prima tu per cosa avresti pregato!”
Startseva si morde le labbra, abbozzando un sorriso. In fondo, sono curiosa anche io di sapere quale sia il desiderio che per lui valeva la pena pregare.
 “Ho pregato affinché vincessimo il mondiale” sibila, infine.
Volto il capo per poterlo scrutare meglio negli occhi, mentre varchiamo l’ultimo torii, il primo che all’inizio ci aveva accolti, ritrovandoci di nuovo nella civiltà, su una via piuttosto trafficata.
Nonostante cerchi di mantenersi impassibile, gli occhi di Startseva non riescono a mentirmi.
“Non è vero, non hai pregato per quello!”
Startseva sfoggia un sorriso sghembo adorabile, quasi enigmatico, e decido che non mi importa saperlo. Qualunque sia la preghiera che si sia sentito di volgere alle divinità pagane, riguarda soltanto lui.
“La nostra gita si conclude qui – mi annuncia infine, fermandosi sul marciapiede – da qui possiamo decidere se tornare in albergo in metro o in autobus”
Arresto anche io il mio passo spedito, allineandomi al mio coach.
Gregor fa un cenno col capo, indicandomi l’imbocco della metropolitana e la fermata dell’autobus, a poche centinaia di metri più avanti.
Sto per rispondergli che per me è una scelta del tutto indifferente, quando un urlo di donna ci fa trasalire entrambi. Non facciamo in tempo a voltarci indietro per capire cosa stia succedendo, perché qualcosa di forte e impetuoso si insinua tra me e il mio allenatore, sbalzandomi rovinosamente a terra. Grido a mia volta, completamente nel panico, mentre vedo un uomo con una borsetta in mano scappare via furiosamente e Gregor corrergli dietro.
“Gregor!! – urlo a pieni polmoni – no!!”
I due spariscono nell’imbocco poco illuminato della metropolitana, mentre un dolore lancinante alla caviglia mi tiene paralizzata a terra. Scoppio disperatamente in lacrime, assalita dai più terribili presentimenti. Il pensiero angosciante che possa accedere qualcosa a Gregor e il terrore che sia accaduto l’irreparabile al mio piede mi atterriscono e mi impediscono di ragionare con la dovuta lucidità. Presa dalla mia angoscia, non faccio nemmeno caso al pianto incessante della giovane donna derubata, con accanto un passeggino. La donna presa dallo spavento non riesce a fermare le lacrime, e cerca di consolare il suo bambino svegliato dalle sue stesse urla.
Solo quando vedo Gregor tornare indietro con la borsetta in mano riesco finalmente a calmarmi. Si avvicina alla signora con la carrozzina per restituirle borsa, la quale si asciuga le lacrime e non smette di ringraziarlo nella sua lingua incomprensibile. Gregor torna da me, con la fronte aggrottata e la preoccupazione dipinta sul volto.
“Oh, no, Lucia! Stai bene?”
Tento di alzarmi, ma la paura di compiere qualche movimento brusco mi impedisce di muovermi.
“Ce la faccio…” biascico, nel vano tentativo di rassicurare lui e me stessa.
“Riesci a muovere la gamba?” la voce di Startseva piena di apprensione ha lo strano potere di calmarmi.
“Ancora non lo so, ma ho paura…” ammetto.
Stringo con decisione la mano che Gregor mi tende, e pian piano mi tiro su. Fortunatamente non sento dolori particolarmente allarmanti, quando poggio a terra il piede offeso. Quello che avverto è piuttosto un’urticante sensazione di bruciore che si irradia dalla caviglia sinistra, nell’esatto punto da cui scorre un rivolo di sangue.
Dopo avermi esaminato la ferita, l’espressione sul volto Gregor sembra rasserenarsi. Senza proferire una parola, il mio coach mi afferra poderosamente e mi carica sulle proprie spalle, facendomi sussultare.
“Gregor, che fai? – urlo di sorpresa – Mettimi giù!”
Mi aggrappo disperatamente a lui, nel tentativo di non finire ancora una volta rovinosamente a terra.
“Ferma, non agitarti!” mi rimprovera lui, incamminandosi a passo deciso verso la fermata dell’autobus.
“Rimettimi giù, sono in grado di camminare!” gli assicuro.
“Non se ne parla, fino all’albergo ti porterò io in spalle!”
“Ma sono pesante!” piagnucolo.
“Non quanto mi sarei immaginato” osserva lui, tentando di reprimere una risata.
Mi mordo le labbra e mi dimeno, infastidita. Come sarebbe a dire che immaginava fossi più pesante?
“Hey! Hey!  Non agitarti così – sussulta Gregor, visibilmente spaventato – stavo solo scherzando!”
“Sei tu che mi accusi di essere troppo pesante!” protesto.
“Punto primo, sei stata tu la prima a sostenerlo – scherza lui divertito – punto secondo, sono abbastanza in forma da reggerti anche nel caso fossi pesata qualche altro chilo in più!”
Rassegnata, poggio la testa nell’incavo del suo collo e tengo strette le braccia attorno al suo petto. Gli occhi incuriositi dei passanti puntati su di noi mi incutono un certo imbarazzo.
“Sei stato incosciente, Gregor, quell’uomo poteva essere armato! Saresti potuto rimare ferito…avresti potuto farti del male…”
Questa giornata è davvero strana. Travolta da mille emozioni, adesso mi metto pure a rimproverarlo.
Startseva incurva le labbra in un sorriso, sembra quasi sorpreso della mia premura.
“Per fortuna non è successo!” risponde, con voce cristallina.
Per fortuna non ci tocca attendere troppo alla fermata, il 58 arriva puntualissimo come indicato dal tabellone automatico. Gregor è instancabile, non accenna neanche un attimo a volermi mettere giù. Per la prima volta mi sento come se fossi qualcosa di prezioso, qualcosa di fragile e delicato degno di essere custodito.
Quando arriviamo in hotel, Gregor rassicura frettolosamente il signore della reception precipitatosi in nostro soccorso, e si dirige a passo svelto direttamente dai nostri professionisti.
Il medico ortopedico ci lascia entrare subito nella sua camera. Già a un primo esame ci rassicura che non ci sono rotture o fratture, che possano compromettere la mia partecipazione al mondiale.
“Non ci sono lesioni importanti, si tratta solo di un lieve ematoma!” sussurra paterno l’uomo, mentre l’infermiere procede con cura a disinfettare la ferita.
Li ringrazio di cuore quando mi offrono un bicchiere d’acqua, che immediatamente contribuisce a calmare i miei nervi. Per tutto il tempo, la mia più grande preoccupazione è stata la gara, il timore di non poter più gareggiare insieme alle mie compagne.
Gregor non mi lascia neanche un attimo e, quando gli specialisti terminano con la medicazione, insiste nel volermi accompagnare in camera.
Ci dirigiamo insieme in direzione dei nostri alloggi, io con il braccio intorno alle sue spalle e Gregor con una mano impegnata a cingere il mio fianco e l’altra a trasportare la mia scarpa da ginnastica sinistra. 
Infilo le chiavi nella serratura e trovo la stanza vuota come l’ho lasciata questa mattina, Cris e le altre non sono ancora rientrate da Kyoto.  Sempre con un piede nudo e l’altro al riparo nella scarpa, raggiungo finalmente il mio letto e mi siedo comodamente. Tiro un lungo sospiro di sollievo, incredula che questa lunga giornata ricca di emozioni sia giunta alla fine, mentre Startseva richiude la porta dietro di sé e mi si avvicina. I suoi occhi apprensivi rimangono incollati a me e alla mia caviglia nuda. 
“Ci siamo presi un gran bello spavento, vero?”
Il mio coach incurva le labbra in un sorriso conciliante, ma è evidente che è ancora molto provato. Nessuno di noi ha osato fare il minimo cenno, ma è evidente che per tutto il tragitto ci ha tormentati lo stesso terribile cruccio, un timore ormai fortunatamente scongiurato anche dal dottore.
Improvvisamente, sento dentro di me la necessità di rassicurarlo e ringraziarlo per aver salvato in qualche modo me e questa disastrosa giornata. 
Il cuore prende a galopparmi forte nel petto quando lui mi si inginocchia davanti, e per un lungo attimo dimentico ogni cosa, anche di respirare.
“Posso…?”mi domanda con cautela.
Annuisco timidamente e lascio che il mio coach raccolga fra le sue mani il mio piede nudo e diafano, fino a cominciare un lento ed estenuante massaggio.
Avverto il battito del cuore accelerare all’improvviso, mentre un nodo alla bocca dello stomaco mi impedisce di respirare regolarmente. Una sensazione di assoluto piacere si irradia per tutto il mio corpo a dalla pianta del piede, dal suo delicato tocco.
“Ho imparato a fare massaggi al mio primo anno nel Milano Volley, e da allora sono diventato il massaggiatore preferito dei miei compagni di squadra” ridacchia.
“Grazie…” sussurro, e insieme alla mia gratitudine mi sfugge anche un gemito.
Sento il respiro di Gregor pericolosamente vicino. Il suo petto è massiccio e asciutto, la sua capigliatura corvina ondeggia ribelle sul viso dai lineamenti allunati e della mascella pronunciata, mentre la sua carnagione chiara gli fa da perfetto contrasto.
Per la prima volta nella mia vita mi sento vulnerabile e protetta. Non è una sensazione di paura quello che mi suscita l’uomo che ho davanti, ma un sentimento sconosciuto che mi scuote da dentro. La mia bocca socchiusa annaspa in cerca d’aria, mentre mi lascio avvolgere e inebriare dall’odore di Gregor. Cerco inutilmente di nascondergli il mio piacere, il mio irrefrenabile desiderio che parte dalle viscere e che culmina nell’intenso contato delle sue iridi nelle mie.
Annego in quei grandi occhi grigi come il mare in tempesta fino a perdere del tutto me stessa, e non so in quale esatto istante ho cominciato a desiderarlo così tanto…
È Gregor il primo a lasciarsi condurre dall’istinto, mi si avvicina con impeto e io mi protendo allo stesso modo verso di lui. Le nostre labbra si congiungono all’unisono, sugellando un incredibile e tenero bacio.
Quando invade la mia bocca, sento le gambe venire meno e mi aggrappo istintivamente alle sue forti braccia. Il suo sapore è buono e deciso, il vorticoso intrecciarsi delle nostre lingue mi stordisce fino a mozzarmi il respiro. Senza lasciare neanche un attimo la mia bocca, Gregor raccoglie dolcemente il mio viso tra le mani per poi scendere con tenere carezze lungo la mia schiena, suscitandomi piccoli brividi di piacere.
Assaporo ogni istante e mi beo di questo tenero contatto, fin quando non lo vedo spalancare gli occhi e staccarsi da me, come rimasto scottato.
“Non posso…” la sua voce è roca, il suo sguardo spaesato.
Quelle semplici parole si conficcano sotto la pelle come una miriade di aghi. Lo vedo alzarsi, con un’espressione mortificata dipinta in volto in grado di avvilirmi ancora di più.
“Perdonami, Lucia, io non…” e sconvolto com’è, non riesce neanche ad articolare una frase.
Non avrei voluto?
Una speranza di felicità che neanche immaginavo di possedere va in mille frantumi, insieme al mio cuore. Avvolta nel mio dolore, cerco di non darla vinta alla delusione e allo sconforto. Scelgo di tutelare me stessa, voltando dignitosamente il capo dall’altra parte: non riesco a guardarlo, non posso affrontarlo, almeno non in questo momento, ne uscirei soltanto distrutta.
Stento a trattenere le lacrime, ma resisto finché non sento la porta della mia camera aprirsi e richiudersi al suo passaggio. Soltanto adesso, nel silenzio assordante della mia solitudine, posso concedermi un momento di debolezza, di lasciarmi andare a un inconsolabile pianto.


 
GREGOR
 
Raggiungo la mia stanza con il cuore in gola e il respiro ancora tremante. Non ho idea di cosa mi sia preso, non posso credere di aver perso il controllo e di essermi lasciato andare così con una mia atleta, e non con una qualunque, ma proprio con lei. Proprio con Lucia.
Svuoto sul letto tutto il contenuto dello zaino che mi sono portato durante l’escursione, e avverto il bisogno di sfilare dal portafoglio due foto che mi porto dietro ormai da una vita.  La prima raffigura i miei genitori, ancora uniti e felici come quando mio padre era ancora in vita, mentre l’altra ritrae il primo piano di Vittoria. Guardo i suoi occhi celesti che non ci sono più, il suo sorriso che un tempo riusciva a rassicurarmi. Cerco disperatamente conforto in quelle foto sbiadite dal tempo, ma quello che sento è soltanto un indescrivibile nodo all’altezza dello stomaco.
Cosa mi sta succedendo…?
 
 
Siedo solitario al mio tavolo nella grande sala dell’hotel Hinata, in attesa della cena. Do una rapida occhiata
al menù e non ho dubbi su cosa ordinare dopo il consistente pranzo di oggi. Con la mente affollata da mille
pensieri, mi sforzo di sorridere affabilmente al cameriere mentre ordino una leggerissima zuppa di miso.
Poco fa, uscendo dall’ascensore, ho incontrato tutto lo staff tecnico che aveva appena finito di cenare e si
accingeva a ritornare negli alloggi al piano di sopra. Profondamente grato, ho saluto e ho ringraziato
calorosamente per l’assistenza prestata a Lucia. Fortunatamente il nostro capitano sta bene, non ha riportato
danni alla caviglia e fra tre giorni sarà pronta per scendere in campo.
Quando ho sentito urlare quella donna e ho visto quel ladro scappare con la borsetta, dopo averci bruscamente spintonati per farsi largo, non mi sono formato a riflettere. Semplicemente ho agito d’istinto e mi sono lanciato all’inseguimento del malvivente, riuscendo così a recuperare la borsa di quella signora. Ma quando sono tornato indietro e ho visto Lucia, rimasta a terra completamente immobile, il cuore mi è balzato in gola. Per fortuna non si tratta che di un piccolo ematoma, ma entrambi ci siamo presi un gran spavento.
Quello che è successo tra me e Lucia quest’oggi è stato indescrivibile, inaspettato, intenso. Mi sono lasciato trasportare da quel bacio, è stato coinvolgente, ma è stato un errore… santo cielo, sono il suo allenatore! E come se non bastasse, ci troviamo nel bel mezzo della competizione più importante. Cedere a quell’improvvisa ondata di passione è stato uno sbaglio, un errore a cui adesso devo cercare assolutamente di rimediare.
Che stupido!
Come starà in questo momento? Sarà arrabbiata, ferita, delusa o ancor peggio…spaventata?
Comincio a chiedermi se sia il caso di andare a bussare alla sua porta, ma il terrore di ritrovarmi nella stessa situazione di prima mi tiene ancorato a questo tavolo. Forse dovrei semplicemente telefonarle, sperare in qualche modo in una sua risposta.
Non faccio in tempo a maturare una decisione, che vedo la vedo spuntare dalla porta della sala. Bellissima come sempre, entra in sala con addosso una camicetta a fiori e un jeans scuro lungo fino alle caviglie. Quando i nostri occhi si incrociano sento un brivido scuotermi da dentro.  Il suo sguardo è sereno e perfettamente impassibile, ma addosso a lei, sempre diretta e cristallina, sembra così innaturale. Con mia grande sorpresa, raggiunge il mio tavolo con passi lenti e felpati.
“Posso?” mi domanda, con un filo di esitazione.
“Ma certo!”
Ancora prima che possa dire qualcosa a riguardo, Lucia mi precede.
“Va tutto bene, coach! Davvero!” la sua è una tacita preghiera a non tornare più sull’argomento.
Ma le cose non vanno affatto bene, a lei glielo leggo negli occhi mentre a me lo suggerisce il cuore. 
Una parte di me si sente più serena adesso che vedo con i miei occhi che non è arrabbiata, Lucia ha la capacità di sorprendermi ancora una volta. Una potente attrazione ci ha spinti l’uno verso l’altra, ho sentito anche da parte sua un certo coinvolgimento, altrimenti non avrei mai osato infrangere i confini del consentito.
Senza proferire altro, Lucia raccoglie fra le mani il menù e inizia a sfogliarne le pagine.
La osservo con apprensione, mentre un suono insistente accompagnato da una lunga vibrazione proveniente dalla mia tasca mi avvisa dell’arrivo di una nuova chiamata.
“Scusami…” sibilo.
Lucia solleva per un attimo gli occhi e, con noncuranza, torna a posarli nuovamente sul menù.
Estraggo il telefono dalla tasca, deciso più che mani a rifiutare la telefonata. Adesso sento solo l’impellente bisogno di parlare con lei, di chiarire la situazione, non c’è nulla in questo momento che non possa aspettare.
Leggo sul display un numero sconosciuto, il prefisso +39 mi suggerisce che si tratta di una telefonata proveniente dall’Italia. L’incommensurabile lontananza da casa e il timore che possa trattarsi di qualcuno dei miei pochi affetti rimasta, mi fanno desistere del mio intendo.
Mi mordo le labbra e attivo il collegamento.
“Pronto?”
“Buonasera, parlo con Gregor? Gregor Startseva?”
“Sì, sono io – confermo, affabilmente – posso sapere con chi sto parlando?”
“Non mi riconosci, eh? Hai ragione, ne è passata di acqua sotto i ponti da quando ci allenavamo nella Milano Powervolley – sorride l’uomo di una certa età, dall’altro capo del telefono – sono il tuo vecchio mister, Gianluigi Pandolfi”
In un attimo vengo assalito dai ricordi, e sorriso pieno di nostalgia. Mi fa un certo effetto sentire dopo tanti anni il mio primissimo allenatore, nonché l’uomo per cui mi trovo qui in questo momento.
“Mi dispiace non averla riconosciuta, coach! È davvero un piacere sentirla finalmente, spero stia bene!”
“Non c’è male, purtroppo sono stato colto da un improvviso malore che mi ha spinto ad anticipare di un anno la data del mio pensionamento”
“Sono contento che si sia ripreso, voglio che sappia che per me è stato un onore sostituirla”
“Ti ringrazio molto, per il tuo affetto e la tua stima. Come stanno le ragazze?”
“Le ragazze stanno molto bene, sono tutte in gran forma – rispondo, preso dall’entusiasmo – purtroppo in questo momento sono in gita a Kyoto, ma se le va nei prossimi giorni possiamo fare una videochiamata su Skype. Sono sicura che sentirla sarà un piacere e darà loro la giusta carica per affrontare la seconda fase!”
Improvvisamente vedo Lucia farsi più pallida e stringere con forza il menù tra le mani, fino al punto da sbiancarle le nocche.
“Sì, probabilmente sì – sento rispondere Pandolfi, con una punta di esitazione – ma sai, io sono storia vecchia, l’era di Pandolfi è ormai tramontata… non vorrei finire con il confonderle troppo, adesso il loro punto di riferimento sei tu”
Sussulto, nel momento stesso in cui Lucia getta in malo modo il tovagliolo che aveva precedentemente posto sulle gambe. Si alza bruscamente da tavola e, senza proferire parola, si avvia verso l’uscita della sala.
Per un lunghissimo attimo rimango attonito nel mio silenzio.
Ma che succede?
“Gregor…? Pronto…? Gregor, ci sei ancora…?”
“Sì, coach, mi perdoni…ci sono...””
“Non ti sentivo più!”
“Qui la linea è disturbata – biascico a mò di scuse – per quanto riguarda la videochiamata, ripensandoci, mi piacerebbe molto che le ragazze ricevano un ulteriore sprono anche da parte sua, ma solo se non le arreca troppo disturbo. Ecco, mi rendo conto che il fuso orario non aiuta…”
“No, nessun problema da parte mia… sono felice di augurare buona fortuna alle mie ex atlete. Allora nei prossimi giorni ci sentiamo, nel frattempo mi saluti caramente Nastasi e le ragazze”
Appena riaggancio la telefonata, decido che non posso lasciar correre questa situazione o finirà con lo sfuggirmi di mano. Qualcosa di troppo strano aleggia nell’aria, qualcosa di assolutamente poco chiaro a cui proprio non riesco a dare un nome.
Il cameriere lascia sul tavolo la zuppa di miso ancora fumante e rimane attonito quando vede alzarmi da tavola e lasciare la sala senza neanche aver consumato.
Mi ritrovo a bussare pacatamente alla porta di Lucia,
“Lucia, cosa succede?”
“Niente!”
“Come sarebbe a dire niente? Non mentire! – sibilo – ho visto il modo in cui sei scappata via! È per quello che è accaduto fra noi, vero?”
“No!”
“Allora parlami, dimmi cosa c’è che non va – esito per un attimo, sopraffatto dall’enormità delle mie stesse emozioni – ti prego Lucia, approfittiamone adesso finché siamo soli tu ed io. Se c’è qualcosa che non va, se ti ho fatto qualcosa, questo è il momento migliore per parlarne…”
Per un attimo la vedo esitare. Lucia si tormenta nervosamente le mani, mentre i suoi occhi combattuti guazzano alla ricerca di un appiglio che non c’è.  
“Coach, va tutto bene! – sussurra alla fine – Sto bene”
“D’accordo” dico per niente convinto.
Mi volto per andarmene, ma proprio non riesco ad andare via così, non dopo aver visto nei suoi occhi lo stesso velo di tristezza che alberga nei miei.
“Coach…”
Mi giro nuovamente, sentendomi invadere da sentimenti pieni di speranza e aspettativa.
“Quel bacio… cos’ha significato per lei?” la sua voce è un sussurro che ha il potere di spezzarmi il cuore.
Tutto.
“Mi dispiace, non avrei dovuto spingermi a tanto – riesco solo a dire – me ne scuso!”
Evito di guardarla negli occhi. Quelle parole stridono sulla mia bocca come un’enorme bugia, ma non posso, non devo, non ci riesco…!
Lascio quella stanza d’albergo quasi di corsa, come se scappando da Lucia potessi sfuggire anche dai miei sen
timenti.

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Capitolo 14
*** Scelte ***


SCELTE

 
LUCIA
 
Tengo stratta la palla fra le falangi e mi dirigo a passi calibrate calibrati nella nostra area di battuta.
Aspetto così il fischio di inizio da parte dell’arbitro, facendo rimbalzare ripetutamente sul parquet il pallone e saggiandone sul palmo della mano la dura consistenza. 
Il palasport è decisamente più affollato rispetto alle prime partite disputate, sempre qui al Tokyo Metropolitan Gymnasium. Appassionati e tifosi sono accorsi da tutti il mondo per seguire da vicino la seconda fase, decisamente più impegnativa e piena di sfide. Oggi ha inizio il nuovo capitolo di questo percorso agonistico costellato da impegno e dedizione, lacrime e sudore, gioie e sofferenze. D'altronde è questa la vera essenza dell’agonismo, e richiede da parte di ciascun atleta un grande spirito di sacrificio e un’incessante voglia di vincere.
In questa prima giornata, affronteremo gli Stati Uniti, una squadra che in passato ha più volte messo in difficoltà la nostra nazionale, capitanata da un fortissimo opposto, Tori Anderson.
Le mie compagne sono tutte rivolte verso l’altra metà campo, dove le nostre avversarie sono già pronte e schierate in ricezione. 
Cerco di concentrarmi solo sul campo e di liberare la mente da tutto ciò che non riguarda la partita. Lascio fluire via dal corpo, insieme alle tossine, tutti le emozioni che mi hanno tormentata negli ultimi giorni. 
Appena l’arbitro decreta con un fischio l’inizio del primo set, mantengo tesa e aperta la mano destra colpitrice mentre protendo avanti la sinistra con il pallone. Prendo visivamente le misure del campo, lancio la palla in altro e la colpisco a tutto braccio, imprimendovi tutta la forza che possiedo in corpo.  
La mia giocata spiazza la ricezione avversaria. Corro immediatamente a coprire il mio spazio, in postazione 1 mentre le americane riorganizzano rapidamente il loro attacco. L’alzatrice, la biondissima Kelly Johnson, sceglie subito di servire l’accattante di riferimento della loro formazione.
Camilla e Rossella sottorete riescono a stento a sfiorare la potentissima cannonata della Anderson, che balza via fuori dal campo, sporcata dal nostro muro.
Le avversarie esultano nella loro metà campo, mentre noi ci stringiamo forte in un rapidissimo abbraccio.
“Rimaniamo calme e concentrate, ragazze!” esorto decisa, mentre batto il cinque con ciascuna delle mie compagne.
“Non lasciamoci scoraggiare!” è il monito di Cris.
“Forza! Forza! Forza!” urla invece Camilla.
Sento carica con non mai la mia amica dai grandissimi occhi azzurri e il caschetto corvino, tenuto ordinato con una fascia naturalmente di colore azzurro. Sono contenta di vedere nei suoi occhi la stessa determinazione con cui aveva affrontato la prima fase. Camilla è la nostra sostituta palleggiatrice, la regista della nazionale italiana costretta a improvvisarsi tale: più di ogni altra merita incoraggiamento e supporto incondizionato.
Evito scrupolosamente di guardare verso la panchina, nostro punto di riferimento, e focalizzo la mia attenzione solo sulla palla, adesso finita nelle mani delle nostre avversarie. Sento l’assoluto bisogno di mantenere la dovuta lucidità per battere le americane, ma è inevitabile, mio pensiero corre sempre verso di lui…sempre verso Gregor. Ce ne ho messo di tempo per apprezzare l’allenatore Startseva, ma è bastata una sola giornata insieme, al di fuori dei nostri ruoli, per imparare ad amare Gregor come uomo. 
L’inconveniente in ascensore che ci ha fatto perdere il treno per Kyoto e poi quello all’imbocco della metro, la vista panoramica mozzafiato dalla Tokyo Tower e la visita al tempo Zoji-ji.  Quello che è avvenuto tra noi è stata una tempesta perfetta: uno straordinario intrecciarsi di eventi che ci hanno condotto a quel bacio. 
So che probabilmente ho scambiato la sua gentilezza per dolcezza e le sue premure di allenatore per tenerezze di un uomo innamorato, ma quel bacio…quel bacio non riesco a togliermelo dalla mente. Non ho mai ricevuto un bacio così intenso e travolgente da toglier e il fiato.
Lo so che devo mettere da parte le mie emozioni, che in questo momento non posso permettermi alcun tipo di cedimento. Questo mondiale è troppo importante! Rappresenta tutto ciò per cui mi sono impegnata tanto in questi anni, e so e significa molto anche per lui. Quindi devo mettere la parte le emozioni, esattamente come gli promisi all’inizio di questa competizione.
Salto al muro, in un tentativo di contenimento assieme a Camilla, per arginare un altro ferocissimo affondo della fuoriclasse americana, però troppo potente e diretto per essere arginato. 
Con la coda dell’occhio, vedo Giulia, il nostro libero, precipitarsi in scivolata a recuperare quel pallone. A quel punto, Camilla riesce a ricostruire un’azione di contrattacco servendo una palla alta e morbida a Rossella, che la sfrutta con successo andando a complire la zona di conflitto delle nostre avversarie.
Cami urla, in preda al furore agonista, e batte un fragoroso cinque con Rossella.  
Ci portiamo avanti in questo set, mantenendo un discreto scarto di tre punti dalle nostre avversarie finendo con un 25-22. 
Cambio campo. Ne approfittiamo tutte per riprendere fiato e sgranchirci come possiamo, prima del secondo set. In tutto ciò, non dimentico il mio ruolo per cui sono stata chiamata, per me è solo un onore portare la fascia da capitano della nazionale.
“Ce la possiamo fare, ragazze! – incito le mie compagne – stiamo dimostrando di non essere da meno delle grandi squadre!”
“Giusto!!” replica Giulia!
“Ragazze non so voi – ammette Cami – ma anche se non sto giocando nel mio, mi sento carica come una tigre!!”
“Allora fammi un ruggito!!” la incito, divertita.
“Grrrrrrrrraw!” urla Camilla, saltandomi letteralmente addosso.
Rido e ricambio la stretta della mia amica, che è una vera e autentica forza della natura. Con il suo passaggio da schiacciatrice ad alzatrice, abbiamo sacrificato una delle nostre migliori attaccanti ma è stata un’autentica rivelazione: Camilla è in grado di ricoprire il nuovo ruolo con la naturalezza e la disinvoltura di un vero alzatore.
Un nuovo fischio decreta l’inizio del secondo set. 
Ci ricomponiamo e ci prepariamo a ricevere, determinate più che mai a mantenere il nostro vantaggio. Ogni tanto giungono dalla panchina le urla di esultanza delle nostre compagne e soprattutto di Paolo, il nostro più grande tifoso ancor prima che allenatore.
“Siete una forza!! – lo vedo incitarci, infervorato – ragazze, continuate così!”
I miei occhi e quelli di Startseva si incontrano per la prima volta dall’inizio del match, i suoi concilianti e i miei irrequieti. Mi beo per quel tormentato contatto di sguardi, che per un breve attimo ha il potere riportarmi a quella sera. 
Nel frattempo il secondo tempo ricomincia con un punteggio purtroppo più equilibrato e con scambi più intensi e lunghi. Le americane ci sono ancora, e si fanno sentire!
10-11 per loro.
Il nostro coach deve correre ai ripari. Decide così di mette a riposo Cris, autrice di strepitose murate e una decina di punti diretti nel primo set ma adesso stanca, e chiama una validissima De Brasi a sostituirla. La nostra compagna ci saluta con un cinque, mentre ci riposizioniamo in ricezione pronte a difenderci e contrattaccare più che mai.
Giulia compie un miracolo, viene buttata letteralmente giù da un potentissimo attacco da fondocampo ma riesce a contenerlo. Cami ha così modo di lavorare il pallone e servirmelo alto morbido: schiaccio, ma la palla mi ritorna bruscamente indietro.
10-12.
Rimango per un attimo frastornata. Non è certo la prima volta che subisco una murata, ma non mi aspettavo una simile posizione di contenimento.
Le mie compagne si stringono a me e mi incoraggiano, anche dalla panchina sento arrivare supporto ed energia positiva. Non è questo momento di lasciarsi abbattere!
Ancora una volta il servizio è della Riley: qui urge decisamente un cambio palla. 
Questa volta in ricezione difende Rossella, e la nostra alzatrice decide di servire nuovamente me. Tento così un altro attacco dritto per dritto, mi slancio verso la rete ma ecco scontrarmi di nuovo contro un fragoroso muro.
All’ennesimo monsterblock subito, digrigno i denti in una smorfia di frustrazione. Sento il fischio della mia panchina e so perfettamente cosa significa. 
Vedo Federica Della Mea prepararsi e avvicinarsi a bordo campo. Ancor prima che lo speaker annunci il nostro cambio, corro a dare un cinque energico alla mia sostituta.
“Forza, in bocca al lupo!” grido per sovrastare la ola degli spalti.
“Crepiii!” urla di rimando la mia compagna.
Prima di raggiungere la panchina, passo inevitabilmente davanti ai miei due coach. Startseva si limita a rivolgermi un cenno di incoraggiamento e non proferisce parola, con grande sorpresa di Paolo, il quale mi dà invece una pacca sulla spalla e mi esorta ad andare a riprendere fiato.
Recupero così un asciugamano al volo e corro a sedermi accanto a Cris.
“Hey!” sussulta la mia amica, preoccupata.
Scuoto la testa e punto i miei occhi sulla schiena di Startseva, concentratissimo sulla partita. Terribilmente assetata, mi attacco alla borraccia e trangugio la mia bevanda energizzante. Provo a mettere in discussione me stessa, in questo momento così delicato in cui gli errori non sono più concessi: sono presente a me stessa, interamente concentrata sulla partita e su quella palla, niente turba la mia mente nemmeno i sentimenti più dolorosi, nemmeno Gregor! Eppure la corazzata americana mi ha punita, per ben due volte.
“Mi sono sentita come paralizzata!” riesco infine ad ammettere alla amica.
“Cosa ti è successo? – sussurra la mia amica – e poi sei strana da giorni, sei strana da quando…”
“Shhhh!” sibilo, terrorizzata che qualcuno possa sentirci.
Cris non sa nulla di quello che è successo il giorno della loro gita a Kyoto, ma in questi giorni di ritiro con la squadra qualcosa ha sicuramente intuito. 
“Allora cos’è successo?”
“Lucia…!” la voce del nostro coach mi fa balzare il cuore in gola.
Gregor mi fa cenno con la mano di raggiungerlo. Lancio uno sguardo spaurito alla mia amica e lei mi stringe forte le mani prima di lasciarmi andare, come a volermi sussurrare sono con te.
Con un braccio, Paolo mi cinge le spalle in un rapido abbraccio.
“Ti sei ricarica?” mi domanda il mio secondo allenatore.
“Sì!” come se il problema fosse questo.
Non sono certe le energie a mancarmi, in fondo siamo ancora al secondo tempo. Sono abituata a sostenere ritmi incessanti e giocare ininterrottamente cinque set, senza alcuna sostituzione. 
“E’ tutto ok, Lucia? – domanda Startseva, ma prima ancora che io possa replicare prosegue risoluto – ecco, vedi, in tutto questo tempo noi abbiamo studiato molto le americane ma anche loro hanno studiato noi, e in particolare te che sei la nostra punta di diamante!”
Io sarei la punta di diamante…?
“Tu prendile di sorpresa, stupiscile!” ammicca, Paolo.
“Esatto, gioca d’astuzia! – continua il mio primo coach – non hai sbagliato niente fino ad adesso, sei stata fortissima e hai giocato al meglio, ma in alcuni casi è bene variare i colpi per spiazzare gli avversari soprattutto quando le loro azioni di contenimento sono concentrate tutte su di te!”
Solo in quel momento ritrovo la dovuta lucidità. Le americane hanno dovuto triplicare il loro muro per contrastare il mio secondo attacco, impegnando Jefferson, Johnson ed Anderson. Avevano previsto che con quell’alzata precisa di Camilla io avrei innescato una parallela in posto 1.
“Arrivaci un po' più in ritardo su quella palla, soprattutto quando ti arriva così precisa – suggerisce Paolo – e prima di attaccare, mantiene sempre un occhio sul campo avversario”
Annuisco con decisione, infinitamente grata delle dritte dei miei allenatori. 
Vedendomi nuovamente carica e motivata, Startseva non esita a chiamare un doppio cambio: fuori Federica Della Mea e Paola De Basi, dentro di nuovo io e Cris.
Riprendo la partita con lo stesso entusiasmo e la stessa concentrazione di prima, ma con una rinnovata consapevolezza e fiducia in me stessa.
Questa volta sono io a chiamarmi la palla.
“Cami, da questa parte!”
La nostra regista lavora per me una palla alta e precisa. Mi slancio verso la rete e questa volta, invece di optare un’altra potente schiacciata a tutto braccio, innesco un pallonetto non precisissimo ma in grado di sporca il muro avversario. Punto.
Urlo di gioia, e insieme a me si scatena tutta la squadra e la panchina. 
Mi unisco alle mie compagne in un saldo abbraccio. La corazzata americana non mi fa più paura, sono riuscita a scardinare il loro muro e a fare breccia. Vedo Startseva gongolare orgoglioso a bordo campo, e questo ha il potere di darmi energia ancor più della scarica di adrenalina che ho appena provato. 
Chiudiamo la partita con un significativo 3-1, un risultato inaspettato che ha il potere di farci continuare a sognare ancora. Mentre ci dirigiamo negli spogliatoi con un ottimismo che mai ci saremmo aspettare all’esordio di questa rassegna mondiale, ridiamo e scherziamo come le ragazze di vent’anni che in fondo siamo.
“Dai, ragazze – grida Rossella – che rischiamo di rimanere in Giappone ancora per un altro po' qui!”
“Ora che hai parlato, sicuramente alla prossima le turche ci rispediscono in Italia!” alza gli occhi al cielo Cris.
“Ma ci pensate, che sogno sarebbe arrivare in finale?” gli occhi sognanti di Giulia, rispecchiano perfettamente lo stato d’animo di tutte noi dopo l’ennesima vittoria conquistata.
Sognare in grande, ma rimanere con i piedi saldi per terra: in fondo è questo il messaggio che fin dall’inizio Startseva ha cercato di trasmetterci e che noi abbiamo fatto perfettamente nostro. 
“Ragazze, sento che l’Italia dovrà attendere ancora un altro po' per il nostro ritorno – lo dico, lo sento – ma noi intanto mettiamocela tutta, qui non si molla!”
 
 
GREGOR
 
La nostra prima giornata si è conclusa positivamente.
Sono orgoglioso delle ragazze e sono orgoglioso dell’umiltà e della determinazione con cui Lucia ha fatto fronte alle difficoltà. L’ho vista andare in pallone, braccata letteralmente dalle americane, ma una volta riuscita ad eludere quel muro, punto dopo punto ci ha condotti alla vittoria.
Esco dalla doccia e mi avvolgo in un morbido accappatoio, allacciato alla vita. Stento a riconoscermi nella figura che mi restituisce lo specchio che ho davanti: gli occhi sembrano stanchi e il viso particolarmente livido e scarno.
Non riesco a togliermi dalla mente il nostro bacio a quanto sono stato bene il giorno della visita al Tokyio. Solo in quell’occasione ho avuto modo di rapportarmi con la vera Lucia, non la campionessa che ormai conosco benissimo dal punto di vista tecnico. Forse perché abbiamo entrambi una storia difficile alle spalle o perché si è dimostrata sensibile e affatto superficiale, ma con lei quel giorno mi sono sentito incredibilmente a mio agio.
Poi quel bacio ha cambiato tutto: se da una parte ha gettato nuovo scompiglio nel nostro delicato rapporto, dall’altra ha turbato l’equilibro interiore che dalla morte di Vittoria mattone dopo mattone, anno dopo anno, ero riuscito a costruire.
In questi giorni Lucia mi ha letteralmente ignorato, non uno sguardo o una parola, se non direttamente sollecitata. Per un momento ho temuto che fossimo tornati a qualche mese fa, che tutte le conquiste fatte fossero andate perdute: ma questa volta i suoi occhi erano spenti, non irriverenti o animati da un’aria di sfida. 
L’ho ferita, lo sento, e mi odio per questo. Il fatto è che Vittoria continua ad albergare nei miei pensieri e a tormentare i miei sogni, ma per la prima volta dopo tanto tempo mi sono scoperto ad addormentarmi con il pensiero rivolto a un’altra.
Qualcuno bussa alla mia porta e mi sottrae alle mie stanche riflessioni. 
“Chi è?” domando, uscendo dal bagno.
“Servizio in camera!”
Scoppio a ridere, aprendo la porta e trovandomi davanti quel mattacchione di Paolo.
“Te la prendi comoda coach?” mi rimbecca. 
“È stata una giornata stancante – osservo – ti ricordo che mentre tu riaccompagnavi le ragazze in hotel, io ho dovuto fermarmi al palasport per una conferenza stampa e ben tre interviste!”
“Touché!” solleva le mani il mio amico, in segno di resa.
“Mi vesto e scendo per cena!”
“D’accordo, fa pure con calma, io allora comincio a scendere e raggiungo le ragazze!” ammicca il mio amico prima di lasciarmi, ed io fingo di non sapere per quale motivo si trova così tanto a suo agio con le nostre ragazze.
Quindi mi affretto a ricompormi e a rendermi presentabile. Infilo un paio di jeans neri comodi, una camicia bianca e dei mocassini color cammello. Lancio un’ultima occhiata alla mia immagine riflessa, poco soddisfatto, e lascio la mia stanza.  
Seppellisco dentro di me i miei mille sentimenti contrastanti e mi incammino lungo il corridoio. Giunto all’ascensore vedo lei, che appena si accorge di me rimane come pietrificata. Non può andare avanti così, non può rimanere tutto in sospeso tra noi, decido quindi di farmi avanti.
“Lucia…!”
Cerca in tutti i modi di evitarmi, di eludere il mio sguardo, ma deve arrendersi alla mia presenza quando ormai le sono di fianco. 
“No, non adesso!” esala con tono esasperato. 
Lucia mi passa davanti, ma ancor prima di lasciarla scappare l’afferro per una mano. Lei rimane scossa dal mio gesto, forse troppo irruento, e mi restituisce uno sguardo sgomento.
“Perdonami!” mi limito a scusarmi, nel lasciare la presa.
I suoi occhi increduli e feriti mi domandano tacitamente cosa stiamo facendo e io, ancora una volta, rimango pietrificato, incapace di dar voce alle mie emozioni.
“Lucia, non possiamo continuare così…!”  
Cerco di articolare un qualche discorso logico, ma ancora una volta mi sembra di non arrivare a niente.
“Perché no? A me sembra funzionare” obietta lei.
“Lo sai…” tento in tutti i modi di esprimere quello che ho dentro, qualcosa che in fondo non è chiaro neanche a me.
“Lo so benissimo! – sbotta senza riuscire a trattenere quelle lacrime che fino a questo momento era riuscita a ricacciare dentro – quel bacio per te non ha significato niente, io l’ho accettato, sei tu che devi smetterla di farne un dramma…era solo un bacio!”
“Cosa…? Lucia, guarda che ti sbagli…”
Non riesco a credere che lo pensi seriamente, come fa a credere che quel bacio non abbia significato niente per me se non riesco a pensare più ad altro? 
“Davvero Gregor – la sua è una supplica – non devi dire niente, è già penoso così!”
“Io ti amo!” lo sento e lo dico ad alta voce per la prima volta.
Adesso i suoi occhi continuano a guardarmi increduli e confusi, come se stessi dicendo qualcosa di assurdo, assolutamente privo di senso…e in un certo senso è così. 
Non c’è niente di ragionevole in quello che ho detto, nulla di razionale nel bacio che sto per darle. Prendo il suo viso tra le mani e lascio che le mie labbra si perdano nuovamente nelle sue. Dopo un attimo di smarrimento, che per me è parsa un’eternità, Lucia ricambia il bacio. L’ascensore vuoto si apre alle nostre spalle e noi ci trasciniamo dentro senza alcun intento di staccarci l’uno dall’altro.
“Cos’hai detto poco fa…?” mi domanda, con filo di voce tra un bacio e l’altro.
“Che ti amo!”
“Sei un bugiardo!”
“Questo mai…!”
“Sparirai di nuovo!” queste parole hanno l’incredibile potere di toccare le corde del mio cuore.
“No, te lo prometto! – mi stacco un po' da lei quel tanto che basta per poter guardare i suoi occhi nocciola – ce ne ho messo per capirlo, ma adesso sono qui sono con te e non vado da nessuna parte!”
“Anche io, da nessuna parte…!”
La stringo in un possente abbraccio senza fine.
“Unica cosa…” dico con esitazione, sperando di non rovinare il momento.
“Lo so – mi anticipa, puntando l’indice lungo le labbra – dopo il mondiale…!”
Sapevo che avrebbe compreso, sono orgoglioso di lei come allenatore e come uomo.
Appena l’ascensore annuncia che siamo arrivati al piano terra, Lucia sguscia fuori prima di me precedendomi in sala da pranzo. 
Ciao a tutti, sono Gregor Startseva e ho appena scoperto di poter essere travolto da quel sentimento meraviglioso e irrazionale che tutti chiamano amore, ma sono ancora l’allenatore della nazionale italiana di pallavolo e ho dei doveri verso la maglia. L’uomo integro che è dentro di me mi richiama al senso del dovere, ma prometto che è solo questione di tempo e poi ci sarà modo di lasciar vivere questo amore alla luce del sole.
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CIAO A TUTTI! PUBBLICO SOLO ADESSO UN NUOVO CAPITOLO DI QUESTA STORIA, MA NON HO MAI SMESSO DI LAVORARCI SU, NEL POCO TEMPO LIBERO CHE HO AVUTO NELL'ULTIMO ANNO. MI PORTO DIETRO QUESTA STORIA DA MOLTO TEMPO, CHE E' RIMASTA DENTRO DI ME SEMPRE IMMUTATA E NON HA MAI SMESSO - POCO ALLA VOLTA - DI PRENDERE FORMA. UN GROSSO GRAZIE A CHI CONTINUA A SEGUIRLA E AI NUOVI ARRIVATI. SPERO CHE LA STORIA DI LUCIA E GREGOR POSSA CONTINUARE AD APPASSIONARVI E A FARVI SOGNARE. UN GROSSO ABBRACCIO!

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Capitolo 15
*** Un uomo (Prima parte) ***


UN UOMO
(Prima parte)

 
LUCIA

Continuo a vivere quest’avventura come fosse un sogno a occhi aperti.  
Punto dopo punto, partita dopo partita, la vittoria non sembra più un inafferrabile miraggio. Come quadra e come gruppo siamo sempre più unite, sempre più affiatate dentro e fuori dal campo. Ormai abbiamo trovato il nostro ritmo e ci mostriamo sicure davanti avversarie di primissimo livello, squadre che all’inizio abbiamo affrontato quasi con timore, come se ritenessimo di non essere altezza di questa sfida.
Sotto la guida attenta e costante del nostro CT, non molliamo mai, lottiamo colpo su colpo, cerchiamo di recuperare anche la palla più imprendibile, proprio come se ogni partita potesse essere l’ultima ed effettivamente oggi è così.
Tutto dipende dall’esito di questa partita: dentro o fuori, qualificate o non qualificate alla final four. Al termine di questa giornata, si saprà quali saranno le quattro migliori squadre che proseguiranno il mondiale, per contendersi la medaglia più preziosa.
“Camilla, la palla deve essere più staccata da rete quando decidi di servire una pipe!”
Questo è il monito di Gregor che giunge direttamente dalla nostra panchina. Il nostro primo allenatore è il primo a credere in noi e a guidarci fino all’ultimo brandello di energia.
“E tu, Lucia, quando ti trovi ad attaccare da posto 2, prenditi del tempo e osserva – mi dice, puntando gli indici verso i suoi meravigliosi occhi grigi – ritarda l’attacco per valutare meglio dove piazzare la palla! Loro cercheranno comunque di murarti ma tu intanto sarai in grado di valutare se cercare le mani fuori del muro oppure tentare di piazzarla dentro”
Annuiamo con decisione al nostro coach, ma rimaniamo vigili e ben concentrate sulla partita, che ci sta vedendo lottare con le unghie e con i denti contro una delle squadre favorite.
Siamo entrate in campo con la giusta grinta e la determinazione: l’obiettivo è tenere testa alla Repubblica Domenicana e aggiudicarci il pass per continuare a sognare.
Conduciamo noi il quarto sudatissimo set con un punteggio di 23-22, dopo aver conquistato il primo e il terzo set, ma ceduto il secondo alle rivali sudamericane.
Adesso al servizio c’è Camilla. Appena l’arbitro le dà il via, la nostra palleggiatrice aggredisce dalla linea dei nove metri una palla che subito getta scompiglio nella ricezione avversaria. Le dominicane, però, di salvano e contrattaccano con la Fernandez, la loro temibile giocatrice di riferimento, che più di tutte ha creato problemi soprattutto nel combattutissimo secondo set.
Giulia, che è il nostro fenomenale libero, si allunga in scivolata e recupera anche questa cannonata. Camilla mi serve come può, in bagher, una palla troppo staccata da rete, difficilissima da aggredire, soprattutto con un muro di contenimento già piazzato dall’altra parte, pronto ad aspettarmi. Scelgo così di arpionare la palla in quella che sul frangente mi sembra la zona più scoperta.
 Il mio pallonetto viene intercettato facilmente dalle dominicane, che adesso sono fin troppo libere di ricostruire un’azione veloce e servire al meglio la loro bomber. La Fernandez scarica nel suo braccio tutta la sua forza e attacca una palla che travolgere letteralmente e butta giù il nostro libero.
“Giulia!!” la chiama Rossella, che ha assistito come tutte noi impotente alla scena.
“Ti sei fatta male?” domando, preoccupata.
Giulia si rialza immediatamente, aiutata da Cris.
“Sto bene, sto bene!” assicura lei, che risponde con un cenno e un mezzo sorriso alla Fernandez, sportasi a chiedere scusa.
Proprio sul recupero delle dominicane viene chiamo il time-out discrezionale dalla nostra panchina. Siamo 23 a 23, Startseva corre ai ripari e ci richiama a sé per un consulto e per darci una ventata di respiro.  Ci riuniamo in cerchio attorno ai nostri commissari tecnici, mentre qualcuno di noi recupera una bibita energizzante o l’asciugamano per detergere il sudore.
“Tutto bene, Giulia? Ti sei fatta male?” domanda Gregor, mentre Paolo le consegna una busta con del ghiaccio.
“No, coach, sto bene” risponde, accettando di buon grado l’impacco.
“Allora, ragazze, state andando bene, quello che vi chiedo adesso è un ultimissimo sforzo – si rivolge adesso a tutte noi – quando il gioco-forza non permette di prendere il largo allora è tempo di giocare d’astuzia. Dobbiamo cercare di diventare meno prevedibili e variare i colpi: alle palle piazzate dobbiamo alternare pallonetti e così via!”
“Forza! Forza! Forza!” esorta Paolo, prima di congedarci.
Mi concedo per un attimo di perdermi in quelle profonde pozze grigie che sono i suoi occhi, anche se in questo momento dovrei solo essere Lucia Capparelli, la capitana della nazionale italiana. Gregor è un allenatore straordinario: corretto, preciso, scrupoloso. Sta mettendo tutto sé stesso in questa competizione ed è del tutto dedito al suo lavoro. È proprio per questo che do ancora più valore a ciascuno di quei baci rubati che ci scambiamo, in quei rari anfratti che siamo da soli.
Di noi ho raccontato solo alla mia amica Cris, non potevo non metterla al corrente di ciò che mi sta capitando in questo momento. E poi come facevo a nascondere proprio a lei che mi conosce così bene le fossette sul viso, ogni qual volta mi capita di sorridere per nessun motivo preciso, se non per il pensiero che corre verso di lui? O tutte le volte che sgattaiolo fuori dalla stanza, quando so che lui sta per raggiungere lo staff tecnico al piano di sotto? Tutto soltanto per la lontana possibilità di poterlo baciare, toccare per un breve attimo il cielo con un dito per poi ritornare alle nostre vite, ai nostri ruoli.
Mi sono innamorata, questa è la verità. Ancora una volta ho deciso di provarci e di abbassare le mie difese. Non so come andranno le cose tra noi, ma stavolta sento che c’è qualcosa di diverso in grado di arginare qualsiasi riserva: la consapevolezza di affidarmi a una persona che saprà prendersi cura del mio cuore ferito, perché ha sofferto molto anche lui.
Quando l’arbitro annuncia con un fischio la fine del time-out, rientriamo in campo con la giusta carica. Startseva non lo ha detto esplicitamente, ma a parlare erano i suoi occhi: bisogna chiudere qui il match ed evitare il tie-break. Se questo set dovessero vincerlo le dominicane, il nostro vantaggio sarebbe annullato e tutto verrebbe rimesso in discussione.
Al servizio c’è la Sanchez, una ventisettenne di grande esperienza. La sua battuta potente e flottante viene ricevuta con grande fatica da Giulia. Camilla cerca di aggiustare la palla su Camilla in favore di Cris, che attua un primo tempo perfettamente arginato dalla ricezione avversaria. Le dominicane possono così riorganizzarsi in un contrattacco di grandissima efficacia. La nostra attenzione rimane focalizzata sulla Fernandez, ma il muro eretto da me e Camilla arriva troppo scomposto sul suo attacco e la palla esce fuori, sporcata dalle nostre mani.
23-24 per la Repubblica Domenicana.
Alzo gli occhi al cielo arrabbiata con me stessa e poi mi stringo alle mie compagne mortificata, scusandomi per l’errore di valutazione. Startseva ci osserva senza proferire una parola, ma io che ormai lo conosco bene posso percepire tutta la sua tensione. Arrivati a questo punto del match ogni sbaglio pesa come un macigno, non dobbiamo regalare niente.
Ancora una battuta della Sanchez, ma contro ogni previsione la palla sfiora la rete, danza sul nastro per poi scivola rovinosamente nel nostro campo. La fortuna ha assistito le nostre avversarie, hanno forzato il servizio e sono state premiate.
Il quarto set si conclude così, con un clamoroso 23-25 a loro favore.
“Non ci posso credere…” mormora Camilla, che si è vista cadere la palla ai propri piedi.
Fuori dal campo, uno Startseva ancora più incredulo di noi rimane in silenzio ma che non si scompone. Mentre ci ordiniamo in fila per procede col cambio campo, il nostro coach ci accompagna con lo sguardo senza disperare.
“Calma, ragazze! Non c’è da angustiarci! – è il placido incoraggiamento di Paolo – adesso resettiamo tutto e ripartiamo con ancora più grinta e fame di vincere!”
“Ragazze non molliamo – intimo alle mie compagne, durante il nostro accorato abbraccio prima del fischio arbitrale – siamo qui per questa benedetta medaglia e ce la prenderemo!”
“Ce la faremo!” incita a sua volta, Rossella.
“Qui non si molla un accidenti” tuona Camilla, che il fuoco dentro.
“Per noi hip-hip Yatta!” urliamo puntando e sollevando le mani al centro del nostro cerchio.
Ebbene sì, alla fine l’ha spuntata inevitabilmente Camilla.
Il tie-break inizia combattutissimo. Nessuna squadra arrendersi, nessuno vuole rinunciare proprio adesso.
Giulia si sta superando, si getta su ogni pallone.
Camilla segue alla lettera le direttive dei nostri allenatori, smista con creatività tutti i palloni che le arrivano dalla ricezione. Tiene d’occhio le nostre avversarie e serve me, Cris, Rossella e Federica cercando di spiazzare in tutti i modi le nostre agguerritissime avversarie.
Neanche loro mollano un colpo. Il tie-break si trascina durissimo, tra colpi secchi e lunghi scambi, fino a un 13-12 in nostro favore.
Cris è alla battuta, riesco a percepire tutta la sua tensione e il senso di responsabilità. La mia amica è rivolta verso la nostra pancina, da dove i nostri due coach le dettano tutte le indicazioni.
La vedo finalmente annuire decisa e battere di potenza una palla, che riesce a forzare la ricezione avversaria. Ottimo colpo, Cris!
Linda Lopez, il libero dominicano dai folti ricci legati in una lunga coda, riesce soltanto ad arginare questa patata senza riuscire bene a incanalarla. Sento che a questo punto alla palleggiatrice, Miguelina Perez, non resta che ricorre alla migliore. Camilla deve aver avuto la mia stessa intuizione perché salta insieme a me, come sincronizzata, in un muro alto e compatto capace di contrastare la schiacciata della Fernandez.
Con la coda dell’occhio vediamo nitidamente la palla ricadere nella loro metà campo ed esultiamo, come impazzite.
“Siii!” è il nostro urlo, incredulo e soddisfatto al tempo stesso.
Battiamo il cinque e poi ci abbracciamo, per poi finire circondate e strette dalle nostre compagne in esultanza.
14-12.
Fuori dal campo Paolo esulta euforico e orgoglioso insieme alle nostre compagne, mentre Startseva mantiene il suo solito contegnoso silenzio.
“Adesso sangue freddo, ragazze – esorto le mie amiche – possiamo farcela, dobbiamo farcela…”
…anche per lui!
“Andiamoci a guadagnare questa final-four!” è l’urlo finale di Camilla, prima di riprendere le nostre posizioni.
Ancora una volta serve Cris, ma stavolta le nostre avversarie riescono a defibrillare il pallone e a ricostruire una perfetta azione di contrattacco, che il nostro muro proprio non riesce a contenere. Le mie mani e quelle di Camilla queste volte si piegano al passaggio della cannonata.
Anche Giulia è troppo distante, non può mai arrivare sul pallone, ma il miracolo lo compie Rossella che intercetta la palla e la indirizza perfettamente alla nostra palleggiatrice. Ci prepariamo tutte, sia da prima e che da seconda linea, in attesa che Camilla decida a chi affidare il possibile colpo decisivo.
Tutto avviene nel giro di pochissimi attimi. La nostra palleggiatrice si volta, salta e frusta la palla con tutta la potenza che ha nel suo braccio, spiazzando proprio tutti. Punto!
Appena il fischio dell’arbitro decreta la fine del match, noi azzurri ci scateniamo.  Tutta la nostra panchina ci raggiunge sul campo per esultare e festeggiare la qualificazione alla final-four
“Che cos’hai appena fatto?” urlo alla mia amica, per sovrastare il frastuono all’interno del Palasport.
“Non lo so – urla di rimando – so solo che non ho dimenticato la schiacciatrice che è in me!”
Camilla urla di sorpresa e anche tutte noi rimaniamo a bocca aperta nel vedere un inedito Gregor abbracciarla e sollevarla come se fosse un autentico trofeo.
“Sei stata fortissima!!”
“Coach!! – urla lei, commossa nel ricambiare la sua stretta – ce l’abbiamo fatta! Ce l’abbiamo fatta!”
Anche a me escono due grossi lacrimoni, mentre tutte le mie compagne mi stringono in un grande abbraccio, per l’accumulo di stress e per la grandezza di ciò che stavo osservando. Camilla è una sua creatura, Gregor ha forgiato la palleggiatrice che è in lei, merita di esserne orgoglioso.
I festeggiamenti di fine partita si protraggono ancora per un po'. Ci godiamo in allegria questo successo, frutto di anni di duro lavoro e tanto sacrificio, prima di scattare la foto di rito per la rassegna stampa e dare il saluto finale sottorete alle nostre validissime avversarie.
“Ora da brave – esordisce Paolo – filate tutte negli spogliatoi!”
Il nostro secondo allenatore incrocia le braccia al petto e cerca di ricomporsi un po', ma è ancora chiaramente su di giri per la vittoria appena ottenuta.
Camilla elettrizzata balza in avanti e porgere le mani Paolo, il quale non resiste e battere un poderoso cinque.
“Noi ci vediamo in hotel, ragazze – soggiunge Startseva– volevo soltanto avvisarvi che nel pomeriggio alle 15 abbiamo fissato una videochiamata con Paldolfi, il vostro vecchio coach ci tiene a salutarvi e a farvi le congratulazioni per la strada fatta finora! Vi sta seguendo ed è molto orgoglioso di voi!”
In quell’attimo mi si gela il sangue nelle vene. Le nostre compagne accolgono con entusiasmo la notizia, solo i miei occhi e quelli di Cris si incontrano inosservati in un tacito scambio di sguardi.  
Prima di congedarsi da noi e dal resto dello staff per la conferenza stampa, Starseva rivolge a tutte un candido sorriso e un cenno di saluto con il capo. Incrocio lo guardo magnetico del mio coach, che per una frazione di secondo mi strizza l’occhio, ma rimango attonita, consapevole di non aver abbastanza stomaco per affrontare tutto questo.
Imbocco il lungo corridoio che conduce nei nostri spogliatoi assieme alle mie compagne chiassose e ancora euforiche.
“Luci!” la voce di Cris mi giunge come un sussurro.
“No!” è la mia risposta secca.
“Non possiamo svincolarci…come lo giustifichiamo?”
“Come faccio a guardare la faccia di quel viscido, senza pensare a quello che ha fatto?”
Sento la mia amica deglutire e comprendo perfettamente il suo conflitto interiore. Giunte davanti alla porta blindata, afferro la mia amica per una mano e lascio che le nostre compagne di squadra ci precedano dentro. Rimaniamo noi due sole in quel lungo, stretto e asettico corridoio.
Stingo le sue forti braccia e punto i miei occhi nocciola nei suoi ancora più scuri e lucidi.
“Tranquilla, Cris, devi fare esattamente quello che ti senti” le intimo, diretta e sincera.
Con lei so che posso parlare senza remore, soprattutto di questo dramma che condividiamo assieme. Cris abbassa il capo, dilaniata come poche volte nella sua vita.
“Lo so!”
“Lascia stare quello che possono pensare gli altri, nessuno di loro sa!”
“Mi prendo del tempo per rifletterci ancora un po'!” mi assicura.
“Bene!”
Annuisco e sorrido flebilmente, d’altronde è una decisione che può prendere solo lei. Entriamo nello spogliatoio dove le nostre compagne in festa si preparano per entrare nelle docce.
“Ancora non posso crederci!” è il grido concitato di Rossella.
La nostra bellissima schiacciatrice, dai lunghi capelli corvini e dagli occhi azzurri, si dirige nuda verso la prima delle cabine.
“Merito nostro e del nostro sexy allenatore!” esordisce Giulia, mentre sfila l’elastico e libera la sua bellissima chioma color rame.
“Dio santo, Giuly – sorride divertita Camilla, mentre si spoglia delle ginocchiere – hai proprio perso la testa per Startseva!”
“Puoi biasimarsi? Hai visto come ti ha abbracciata prima? Ti ha sfoggiata con orgoglio come se fossi la coppa! Si vede che dietro quello sguardo di ghiaccio nasconde un cuore caldo e appassionato – intona suadente, sfilando bellissima verso la doccia – come fai a non innamorartene?”
Negli occhi da cerbiatta di Giulia brilla una luce che non avevo mai visto prima. Il mio sguardo guizza ancora una volta allarmato verso quello preoccupato di Cris: adesso non ci voleva anche questo.  
È proprio vero, dannazione, i guai non arrivano mai da soli!

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Capitolo 16
*** Un uomo (Seconda parte) ***


UN UOMO
(Seconda parte)

 
LUCIA
“Vado alla riunuone, ho deciso…” sussurra Cris, sulla soglia della porta della nostra camera.
Sapevo che alla fine sarebbe andata all’incontro online con Pandolfi. Distesa a pancia in su sul mio letto, agito un pugno e le regalo un candido sorriso di incoraggiamento.
Non è facile nemmeno per lei, ma in questo tipo di situazioni Cris è molto più equilibrata di me, sa gestire bene le proprie emozioni e soprattutto dissimularle.
Io non riuscirei a guardare la faccia quel mostro senza provare ribrezzo e comunicarglielo con ogni fibra del mio essere.
“Forza, Cris! Fai bene a comportarti come ti senti – ci tengo a dirle con tutta sincerità – hai fatto la scelta giusta”
“Anche tu, Luci – mi rassicura lei, conoscendomi nel profondo – cercherò in tutti i modi di coprirti con Startseva”
Le strizzo un occhio grata, prima che la mia amica richiuda la porta alle sue spalle e mi lasci sola a tormentarmi con i miei sentimenti contrastanti.
Sono consapevole di deludere ancora una volta Gregor e tornare indietro a qualche mese fa, quando tra noi i silenzi e le incomprensioni gravavano come macigni.  Non mi pento di aver disertato l’incontro, ma mi riempie di rabbia l’idea che sia proprio quell’individuo a minacciare ciò che sta nascendo tra me e Gregor.
Cosa penserà di me, adesso? Cosa penserà senza conoscere questo segreto di cui io e Cris siamo le uniche sole testimoni?

 
13 maggio
 
Come ogni sera, dopo gli allenamenti, mi ritrovo davanti all’uscita del Palasport insieme a Cristina e Camilla. Per quanto possiamo sbrigarci, correre per prime nelle docce, all’imbrunire ci ritroviamo sempre qui davanti ad attendere Anna, la nostra compagna ritardataria, con la quale dirigerci insieme alla fermata della metro, per prendere il treno che passa per la stessa direzione.
“Che stanchezza, ragazze belle! Ci vediamo domani per un'altra giornata di fuoco!” saluta per ultima Rossella, battendo a ciascuna il cinque prima di procedere dritta nel parcheggio dov’è posteggiata la sua auto.
“A domani!” ricambio, con il solito sorriso deciso.
Lascio cadere a terra il borsone pesante che porto sulle spalle e osservo con curiosità Camilla, che stasera sembra più impaziente del solito. Non smette un solo attimo di controllare l’orologio.
“Che ti prende? Stasera sei più irrequieta del solito – nota Cris, divertita – metti quasi ansia!”
È vero – ridacchio – sembra tu stia soffriggendo in una padella piena di olio bollente!”
“Ah-ah-ah-spiritose! Stasera esco a cena con Marco per il nostro primo anniversario – brontola la nostra amica – …se Annina si muove!!”
“Congratulazioni!” sussulta Cris.
“Allora vai, coraggio! – la esorto – ci pensiamo noi ad aspettare Anna”
“Sicure…?” la domanda di Cami suona più come una supplica.
“Corri, prima che ci ripensiamo!” taglia corto Cris.
Camilla ci abbraccia forte, prima di darsela letteralmente a gambe.
“Ma domani pretendiamo i dettagli!” le urlo per far sì che possa sentirmi forte e chiaro.
“CEEEERTO!” la sento rispondermi felice, ormai da fuori dal cancello.
Cris ridacchia sotto i baffi, Camilla è sempre molto buffa.
Rimaniamo soltanto io e la mia amica davanti all’atrio, in attesa soltanto che Annina finisca di prepararsi e ci raggiunga per tornare finalmente a casa. Man mano che si avvicinano i mondiali, gli allenamenti stanno diventando sempre più intensi e il nostro allenatore sempre più esigente.
Sto cercando di concentrare le mie energie soltanto sulla gara, soprattutto ora che la mia storia con Mirko si è disastrosamente conclusa. Neanche a Cris le cose vanno meglio, la mia amica sembra imprigionata in una storia che ormai si trascina da tanto, che non ha né più la forza di andare avanti, né di finire. Ci guardiamo negli occhi ormai stanche, lei con le braccia incrociate sul petto e io con le spalle appoggiate pigramente contro la parete.
“Lo hai più sentito?” mi domanda infine Cris, senza menzionare quel nome.
“Ho perso il conto delle chiamate e dei messaggi a cui non ho risposto – le dico, tradendo un certo orgoglio per la mia forza di volontà – il fatto è che non abbiamo più niente di sensato da dirci, nulla di valido da recuperare.”
“Bravissima!”
Cristina mi strizza l’occhio, fiera di come abbia reagito a testa alta davanti al tradimento di Mirko e agli immancabili pettegolezzi che si sono sparsi in tutto l’ambiente.
“Con il tuo, invece, come va?” le domando.
“Solite cose… – alza gli occhi al cielo, disarmata – …quando va bene, ci vediamo una volta a settimana!”
Ho consigliato più volte alla mia amica di prendersi una pausa per comprendere e fare il punto della situazione. Nove anni di fidanzamento alla nostra età sono davvero tanti, quasi un matrimonio. Ci stanno gli alti e i bassi, ma in questi casi bisogna più che mai prendersi cura del rapporto se lo si desidera davvero portare avanti.
“Stasera Annina ci sta davvero mettendo troppo” esclamo, vedendo che il display del cellulare segna già le 8,30.
“Fra poco ci chiudono dentro, a quest’ora se ne saranno andati tutti! – osserva Cris, preoccupata – andiamo a chiamarla? Magari non si è sentita bene!”
“Ma sì! Non ha mai tardato così tanto!” le rispondo, abbandonando il borsone sulla porta blindata accanto al suo.
Con un po' di apprensione, rientriamo nel palazzetto dello sport e imbocchiamo a passo svelto il lungo corridoio che porta verso gli spogliatoi.
Man mano che ci avviciniamo, sentiamo provenire dall’interno dei rumori insoliti. Apro la porta e lo scenario che ci si presenta davanti è qualcosa di terribilmente sbagliato.
Troviamo il locale letteralmente devastato rispetto a pochi minuti prima: asciugamani finiti a terra come stracci, la panca completamente ribaltata, il rumore scrosciante della doccia in sottofondo.
Il nostro sguardo cade sulla scena aberrante che si consuma proprio davanti ai nostri occhi. La  nostra amica sul pavimento terrorizzata, nuda, esposta, vulnerabile, mentre chino su di lei, con cerniera dei pantaloni sbottonata, intento a bloccarle le mani sopra la testa, ci sta l’uomo che più di chiunque altro qui dentro dovrebbe proteggerla, tutelarla.
Lanciamo un urlo disgustate e Pandolfi sgrana gli occhi, nel voltarsi e accorgersi della nostra presenza.
“Voi… – sibila l’uomo, con la fronte corrugata – eravate ancora qui?”
Le mani viscide di Pandolfi sono ancora serrate intorno ai polsi di Anna, mentre il suo volto è contratto in un’espressione di puro sgomento. Questa non è la reazione di un uomo assalito dai rimorsi per aver messo le mani addosso a una delle sue atlete, ma quella di chi comprende di essere stato appena scoperto.
Avanziamo furiose mentre lui cerca in tutti i modi di alzarsi e… ricomporsi.
“NOI COSA? SCHIFOSO!” lo rimbecca con odio Cristina.
Mi affretto a recuperare un asciugamano per Anna, la quale ci si avvolge tutta fino a coprirsi il capo, mentre Cris prende una sedia e la scaraventa con forza sulle spalle rudi e massicce di Pandolfi.
Il grido lacerante che ne segue ci fa rabbrividire tutte e temere il peggio.
“Cris, così lo ammazzi!” la mia preoccupazione è rivolta ovviamente alla mia amica, che non avevo mai visto così fuori di sé.
Quando pensavo che potesse essere accaduto il peggio, il nostro allenatore si rialza con gli occhi venati di dolore, paura…e rabbia.
“Sentite…dimentichiamo quanto è successo….”
Questa volta sono io che perdo completamente il lume della ragione. Pandolfi non fa in tempo a formulare la sua proposta che mi alzo, lo raggiungo ad ampie falcate e gli stampo un calcio in pieno stomaco.
Lui annaspa, cerca di aggrapparsi a un appiglio che non c’è.
“Fuori! – urlo senza mezzi termini, spingendolo via con odio e con rabbia fuori dallo spogliatoio – sparisci dalla mia vista, stronzo!”
Richiudo la porta con un boato e torno con le lacrime agli occhi dalle mie amiche. Annina non smette un attimo di piangere, raggomitolata nel suo telo da doccia.
“…dobbiamo portarti in ospedale”
“Noo…!” sussulta Anna, terrorizzata.
“Ma devi farti visitare!” le intima Cris.
“E quel maledetto la deve pagare!” soggiungo, con rabbia.
“No, per favore…no…ho paura” supplica Anna, stringendosi ancora di più nelle spalle.
Mi si stringe il cuore nel petto e un nodo alla bocca dello stomaco al vederla così, come se quel delitto lo avesse compiuto lei.
“Non po' farla franca!” il mio è quasi un urlo.
Tutto questo è profondamente sbagliato.
“Voglio solo… stare in pace – la voce ancora mal ferma per il pianto – voglio solo… non rivederlo mai più!”
Aiutiamo la nostra amica a rialzarsi e, pian piano, a rivestirsi.
“Annina, pensaci!” non voglio arrendermi, non voglio che finisca così. Non è giusto!
I suoi occhi verdi e languidi ci scrutano con paura inamovibile, mentre termina di allacciarsi anche le scarpe da ginnastica.
“Promettetemi che non lo direte mai a nessuno! – esala – promettetemi che tutto questo rimarrà qui dentro!”
Tutto questo è profondamente sbagliato.


 
GREGOR
Affronto l’incontro con la stampa con la solita tranquillità, senza nascondere la soddisfazione per la qualificazione appena ottenuta e l’orgoglio per le mie straordinarie atlete.
Siamo ufficialmente tra le quattro squadre migliori del mondo, un risultato quasi insperato alla vigilia di questo campionato.
Mi concedo ai giornalisti senza sbottonarmi troppo, senza fornire troppi giudizi personali, ma limitandomi a commentare la partita dal punto di vista strettamente tecnico. Cerco di spiegare in modo conciso e accurato la strategia studiata insieme allo staff tecnico, poi recepita e attuata dalle ragazze alla perfezione. 
 
Coach Starseva, persino Lei che è una persona molta discreta e introversa oggi si è lasciato andare ai festeggiamenti. Cosa ne pensa di Camilla Bigonciari, la palleggiatrice che ci ha regalato il punto decisivo contro la Repubblica Dominicana? Pare che sia davvero in ottimi rapporti con lei…”
Sorrido, era scontato che volessero arrivare lì.
Ho un buon rapporto con ciascuna delle mie atlete – sorrido, cercando di dare il giusto peso all’accaduto – Camilla è stata un’autentica rivelazione in questo campionato, sa meglio di me che nasce come schiacciatrice. Senza togliere nulla alle sue compagne, ritengo che buona parte del successo che stiamo riscontrando sia dovuto al suo talento e al duro lavoro che ha portato avanti nell’ultimo periodo. Camilla è un ottimo elemento sotto tutti i punti di vista, la sua grinta è stato un elemento fondamentale per il morale di squadra così giovane.
 
Evasivo come sempre, coach! Quindi se fosse stato al posto del suo predecessore, probabilmente avrebbe dato la fascia da capitano alla Bigonciari  al posto che alla Capparelli?
No, non ho affatto detto questo e non l’ho mai pensato. Credo che il capitano e la palleggiatrice debbano avere caratteriste simili, ma assolutamente complementari. Il palleggiatore rappresenta la mente di una squadra, mentre il capitano il cuore pulsante: il primo deve avere l’abilità creative, saper variare i colpi, mentre l’altro deve essere un punto di riferimento per le compagne, anche nei momenti più disperati. Credo che Camilla abbia un talento innato come palleggiatrice, lo sta dimostrando partita dopo partita, così come Lucia sta dimostrando di essere una grande trascinatrice per le sue compagne, un vero punto di riferimento. Quindi no, non cambierei nulla rispetto alle scelte del mio predecessore.
 
Quindi smentisce le voci di corridoio che vorrebbero lei e la capitana ancora in cattivi rapporti?
Lo smentisco assolutamente! Con Capparelli è nata un’ottima intesa, come del resto con tutta la squadra. Non nascondo che il nostro inizio sia stato un po' turbolento, ce n’è voluto un po' per creare un clima di fiducia reciproca, ma alla fine siamo riusciti a creare un gruppo molto affiatato. Non posso che sentirmi fiero di ciascuna di loro – do una rapida occhiata all’orologio, tre ore di intervista possono bastare – adesso vi prego di scusarmi, ma ho un impegno con la squadra!
 
Ancora una domanda, la prego, come vede il suo prossimo futuro nella nazionale? Continuerà ad allenare la femminile o rimarrà alla maschile…?
Mi alzo e saluto con un cenno, prima di abbandonare la conferenza.
Mi riserbo di rispondere a questa domanda alla fine del campionato.

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Capitolo 17
*** Un uomo (Terza parte) ***


UN UOMO
(Terza parte)

 
GREGOR
 
Senza che me accorgessi, le interviste si sono protratte per tutta la mattinata. Arrivo in hotel trafelato, dando un’ultima occhiata all’orologio al mio polso che segna ormai le 14:57. Sospiro, giusto in tempo per la videochiamata con Pandolfi, il mio vecchio coach!
Raggiungo l’ampia sala a noi riservata al pianterreno, dove Paolo mi sta già aspettando, e vengo accolto dal solito baccano delle mie chiassose ragazze.
“Finalmente sei riuscito a liberarti! Com’è andata con gli avvoltoi?” esordisce Paolo, già piazzato immancabilmente davanti al computer.
“Lasciamo stare – sospiro stancamente – le solite domande insidiose e indiscrete, ma niente che non avessi messo in conto!”
Prima di prendere posto accanto al mio collega, saluto le ragazze già pronte e posizionate in semicerchio davanti al computer.  Con una nota di disappunto, mi accorgo subito che manca ancora qualcuno all’appello.
“Dov’è Lucia? E Cristina...?”
“Non lo so, ma sono le 15,00 – avvisa Paolo, apprensivo – vi ricordo che in Italia sono avanti di 8 ore, quindi adesso saranno le 23,00 in punto…non possiamo tardare troppo!”
“Coach, è arrivata Cris!” sussulta Rossella, puntando il dito verso la porta in cui si è appena materializzata la compagna.
“Finalmente, eccone una – osservo, incalzando subito la ritardataria – Cristina, dov’è Lucia?”
La ragazza dalla carnagione olivastra prende posto fra le sue amiche davanti all’occhio della webcam.
“Non lo so, coach!”
“Come sarebbe a dire che non lo sai? È la tua compagna di stanza!” inarco un sopracciglio, del tutto allibito.
“Non lo so davvero, in camera con me non c’era”
Estraggo dalla tasca il cellulare e compongo in numero di Lucia.
Cosa sta combinando stavolta quella peste?
Il telefono squilla a vuoto, finché non risponde la segreteria telefonica in lingua giapponese.
“Greg, non abbiamo molto tempo…” il mio amico ha perfettamente ragione.
Qualcosa dentro di me mi suggerisce che Lucia non si sarebbe presentata a questo incontro.
“Procediamo!” concludo, ripromettendomi però di vederci chiaro.
Nel giro di pochissimi attimi, Paolo ci mette in collegamento con il nostro ex allenatore. Subito appare sullo schermo la figura di un uomo sulla sessantina d’anni, con il volto segnato qua e là da qualche ruga.
Pandolfi è una vecchia gloria, non sembra cambiato poi molto dai tempi in cui mi allenava nella Milano volley, con quella sua aria severa rasa ancora più austera dalla sua precocissima alopecia.
Ha vinto molto sia nei club in cui ha militato che con la nazionale, ottenendo un sacco di riconoscimenti nella sua straordinaria carriera. Severo, rigoroso, sprezzante: con lui non ricordo mai un sorriso o una pacca sulla spalla. Come allenatore non era avvezzo a nessun tipo di incoraggiamento o gratificazione, se non quando pienamente soddisfatto per l’obiettivo raggiunto. a
“Buonasera, coach! Ci vede tutti?” saluta Paolo, sistemando il pc in modo da renderci tutti visibili agli occhi del nostro interlocutore.
“Buonasera, vi vedo e vi sento forte e chiaro!” assicura affabilmente l’uomo.
“Coach!!”
“Come sta?”
“Che fine aveva fatto?”                          
“Si sente meglio?”
Queste sono le ragazze, giustamente preoccupate per l’uomo che, finché ha potuto, le ha allenate proprio in vista di questa competizione. Cerco di non dimostrarmi scioccamente geloso dell’affetto che le sue atlete gli riservano, in fondo è Pandolfi che ha creato dal nulla questa squadra e ha tirato su queste giovanissime ragazze. Una buona parte del merito della riuscita di questo campionato è sicuramente destinata a lui.
“Adesso sto molto meglio ragazze, scusate se sono sparito senza nemmeno avvisare – sospira l’uomo – ma il medico mi aveva fatto preoccupare molto sulle mie condizioni, sulle quali preferisco mantenere ancora un po' di riserbo!”
“Le auguriamo tutti una pronta guarigione, coach!” mi concedo di parlare a nome di tutti i presenti.
“Ti ringrazio molto Gregor, anche per l’ottimo lavoro che stai svolgendo. Sto seguendo con attenzione tutte le partite e sono davvero contento di come state affrontando la gara! – osserva, con orgoglio – ci tenevo molto a congratularmi con ciascuno di voi e augurarvi il mio più grande in bocca al lupo per le prossime partite!”
“Grazie, coach!”
“La renderemo orgogliosa!”
“Porteremo a casa la medaglia anche per lei!”
Io e Paolo sorridiamo davanti al genuino entusiasmo di queste ragazze, che si congedano una alla volta davanti allo schermo prima di tornare di sopra nelle rispettive stanze.
“Grazie ancora di tutto, coach Pandolfi! Le ragazze sono state contente di vederla” saluto, ormai in chiusura.
“Cercheremo di renderla fiero!” Paolo si unisce al commiato.
“Grazie a voi due, per avermi concesso di salutare un’ultima volta le mie atlete, ci tenevo molto – confida – è stato difficile abbandonarle così su due piedi!”
“È del tutto comprensibile!” assicuro.
“Tra una chiacchiera e l’altra, qui si è fatto tardi, eh eh! – ridacchia l’uomo – è giunto ormai il tempo, per una vecchia guardia come me, di congedarmi e lasciare posto a vuoi giovani. Non mi resta che augurarvi un grosso in bocca al lupo, ragazzi!”
Chiudiamo la videochiamata soddisfatti del colloquio e del risultato ottenuto oggi contro la Repubblica Dominicana.
Siamo rimasti soli, io e il mio amico Paolo. Lascio di buon grado che sia lui a scollegare tutti i cavi e risistemare la sala, così da lasciarla ordinata così come ci è stata consegnata.
Un brontolio proveniente dallo stomaco mi ricorda che ancora non ho neanche pranzato. Così mi adagio comodo sulla sedia e incrocio le mani dietro la nuca, concedendomi finalmente il meritato riposo dopo una mattinata ricca di grandi eventi e forti emozioni.
“Pandolfi non è cambiato affatto da quando allenava noi, vero?” sorrido al mio amico, che ha avuto occasione di collaborare insieme a lui per ben due stagioni.
“Severo, burbero, esigente… intransigente – sospira lui, divertito – nah, non è cambiato di una virgola!”
Scoppio a ridere davanti all’impietoso paragone che avranno fatto le ragazze, vendo arrivare uno sbarbatello come me dopo un allenatore della portata di Pandolfi, che decisamente appartiene alla vecchia scuola.
“Anche con noi ci andava giù pesante quando allenava ancora nei vari club della serie A – ridacchio – sempre molto rigoroso, non gli sfuggiva mai niente!”
“Chissà cosa avrà avuto, sicuramente qualcosa di importante per lasciare la squadra dall’oggi al domani, spero nulla di troppo grave – conviene il mio amico, prendendo posto accanto a me e dandomi una pacca sulla spalla – certo che non è da lui, non si è nemmeno accorto che mancava Lucia. È stato lui a volerla fortemente in squadra come capitano!”
Lucia…
Mi tornano alle mente i ricordi di quando sono approdato nella squadra, quando negli occhi di quelle ragazze potevo leggere curiosità, titubanza, perplessità, mentre negli occhi di Lucia percepivo qualcosa di profondamente diverso, diffidenza…quasi astio.
Scatto in piedi come una molla, come se la sedia che mi ospita fosse diventata improvvisamente rovente.
“Greg…? Che ti prende?”
“Niente – lo rassicuro, poco convinto – ho dimenticato di fare una cosa…ci vediamo fra poco!”
Mi dispiacere abbandonare nella sala ormai vuota un Paolo solitario e perplesso, ma devo affrontare da solo questo confronto. Uno strano presentimento mi conduce ai piani di sopra, da quella splendida, testarda ragazza che per me rimane ancora un mistero. Sento che c’è qualcosa che mi sfugge in questa faccenda e che, in qualche modo, la chiave di volta ce l’ha proprio lei.
Busso piano alla porta della sua camera, assalito da mille scrupoli che ormai non mi resta che mettere da parte.
“Avanti!” la voce di Cristina giunge nitida dall’interno.
Forse lei non c’è davvero, forse questi dubbi esistono sono nella mia testa, ma ho promesso di vederci chiaro ed è quello che ho intenzione di fare.
Apro la porta con discrezione, sorvolando sul fatto che non fosse chiusa dall’interno, e trovo Lucia e Cristina ciascuna distesa a gambe incrociate sul proprio letto.
“Coach!” sussulta la mora, balzando seduta come se avesse visto un fantasma.
Lucia spalanca gli occhi, con lo stesso stupore dell’amica. Chiaramente nessuna delle due si aspettava una mia visita.
“Cristina… – intimo alla mia atleta, incrociando le braccia sul petto – posso chiederti di lasciarci soli un attimo? Ho bisogno di parlare con la tua compagna”
Cerco il più possibili di mantenere le dovute distanze professionali. Non sono certo che Lucia sia riuscita a tenere il segreto con la sua amica, ma adesso di questo poco mi importa.
Cristina cerca disperatamente gli occhi di Lucia, che la ricambia con poca convinzione.
“Cristina, non è una richiesta di cortesia…”
“Sì, coach!” sussulta lei, infilandosi immediatamente le pantofole prima di defilarsi.
Come prevedibile che sia, appena rimaniamo soli nella stanza scende il più completo silenzio. Lucia si tira su con i gomiti e si siede sul letto, stringendosi al petto un cuscino con cui sembra volersi fare da scudo. La sua figura alta e slanciata sembra chiudersi a riccio, farsi improvvisamente minuta come una bambina.
Decido quindi di prendere in mano la situazione, cercando di superare il nervosismo che aleggia tra noi. Distendo le braccia e i pensieri e sospiro placidamente, mentre mi avvicino con cautela al suo letto.
“Non sei venuta all’incontro con Pandolfi!” osservo.
“Mi ero addormentata…”
“Ah sì? – alzo gli occhi al cielo – almeno concordatele insieme le bugie con Cristina!”
“…”
Prendo posto accanto a lei e punto le mie iridi grigie nelle sue nocciola, che proprio non riescono a reggere il confronto con i miei occhi.
Cerco di non dimenticare chi è la ragazza che ho davanti: Lucia, la donna che amo, ma anche la capitana della mia squadra e che per tanto ha delle responsabilità. Nonostante i baci che ci siamo scambiati e l’intimità che abbiamo condiviso, mi sforzo il più possibile di mantenere toni professionali. 
“Sai che non posso fare particolarità – le ricordo – se non mi dai una valida spiegazione per il tuo comportamento, sarò costretto a prendere dei provvedimenti!”
Lucia spalanca gli occhi e si volta a guardarmi, quasi terrorizzata.
“Mi sospenderai la maglia?”
Santo cielo, come fa a pensare davvero che proprio in questo momento possa toglierle la maglia da titolare?  Cerco allora di fare appello alla ragazza responsabile e ragionevole che ho scoperto in lei.
“Lucia, ormai ti conosco, so che non fai niente per caso – le stringo le mani nelle mie, costringendola così ad abbandonare quello sciocco cuscino – voglio solo sapere cosa ti passa per la testa!”
“No…” esala, abbassando la testa.
“Perché questo pomeriggio non ti sei presentata? Anche la sera in cui Pandolfi ha telefonato, sei fuggita via – frammenti di ricordi continuano a tornarmi alla mente come pezzi di un intricatissimo puzzle – in quel momento ho supposto che fosse a causa mia, ma adesso non ne sono più affatto sicuro!”
Le mie parole rimangono lì, fra noi si innalza ancora una volta un incomprensibile muro, ancora un assurdo silenzio. Io, però, non ho nessuna intenzione di mollare la presa neanche di un millimetro.
“Qualsiasi cosa sia successa fra te e Pandolfi – perché ormai so per certo che qualcosa di importante fra loro deve accaduto – ti prometto che non inciderà sulla totale fiducia che ho riponendo in te, ma ho bisogno di sapere!”  
Lei scuote la testa con forza, negandosi e negandomi ancora una volta la verità.
“Per favore…” mi supplica.
Questa volta rimango deluso, perché trovo davvero assurdo che con me riesca ad aprirsi. Non si tratta semplicemente di una mancanza di rispetto nei confronti di un allenatore che ti sta chiedendo delle spiegazioni, ma anche di una totale mancanza di fiducia nei confronti della mia persona. Con Lucia mi sono aperto, mi sono esposto, mi sono reso vulnerabile e lei probabilmente non si è neanche accorta di tutto la fiducia che le ho concesso.
“Sai Lucia, speravo che la verità venisse fuori dalle tue labbra – sospiro con rammarico – in questo modo mi costringi a chiedere spiegazioni direttamente al tuo vecchio coach!”
Mi alzo e mi dirigo verso la porta con profondo dispiacere.
“Noo!”  dalla sua bocca fuoriesce un rantolo.
Prima ancora che la mia mano giunga maniglia, con grande sorpresa Lucia mi raggiunge e mi stringe da dietro le mie mani attorno alla mia vita.
Sospiro profondamente senza muovere nessun altro muscolo, finché improvvisamente sento singhiozzare e avverto qualcosa inumidirmi la schiena.
Mi giro e l’abbraccio forte, rendendomi conto di essere stato forse troppo duro.
“Hey…” le sussurro asciugandole le lacrime con i pollici e baciandole la fronte con estrema tenerezza.
“Mi dispiace – esala, mortificata – non posso dirtelo, non si tratta solo di me…”
Le afferro il viso tra le mani, ancora rosso e frastornato dalle lacrime.
“Puoi dirmi tutto, lo sai – e lo ammetto senza remore – non sono solo il tuo allenatore, sono il tuo uomo”
La vedo mordersi le labbra e combattere contro sé stessa fino all’ultimo, fino a un attimo prima di capitolare.
“Si tratta della nostra compagna…” sussurra, senza riuscire a smettere di piangere.
Le concedo tutto il tempo per cercare di calmarsi.
Non ho mai visto Lucia così stravolta, cosa diavolo deve essere successo prima che arrivassi? Realizzo di essere addentrato in un campo minato, in qualcosa di veramente molto grosso, sicuramente in qualcosa più grande di queste giovanissime ragazze.
“Anna…Anna Valente, la nostra palleggiatrice – mi spiega, mentre io non smetto di stringerla e accarezzarle i biondissimi capelli – la nostra compagna è stata violentata da Pandolfi”
Sciolgo l’abbraccio per poterla guardare negli occhi, completamente sconvolto.
Pandolfi, uno dei professionisti più stimati e apprezzati a livello nazionale e internazionale, colui che mi ha allenato per anni e guidato alla conquista di moltissimi titoli, avrebbe messo le mani addosso a una delle sue atlete?
Adesso ogni tassello torna al proprio posto a ricomporre il puzzle. Pandolfi che si ritira a pochissimo tempo dai mondiali, la palleggiatrice della squadra che si dilegua nello stesso momento senza fornire alcuna spiegazione. Come ho fatto a non vedere, come ho potuto non collegare?
“Lucia, ti rendi conto della gravità di quello che mi stai dicendo?” domando, ancora incredulo alle mie orecchie.
“Sì! – replica a sua volta, con forza – adesso capisci perché non volevo dirtelo?”
“E Paolo…?” domando con il magone.
Possibile che Paolo sapesse e non abbia fatto nulla?
“Lui non sa niente, solo io e Cristina sappiamo di questa storia – mi assicura lei – Anna ci ha fatto promettere di non far parola con nessuno, non ha voluto denunciarlo quel maledetto. Credo abbia paura di affrontare un processo, Pandolfi è molto in vista”
Passo una mano sul viso stanco, ancora scosso, e mi allontano da Lucia per cercare di respirare. Un nodo allo stomaco mi impone di prendermi qualche attimo per metabolizzare quanto appena scoperto.
Sono profondamente turbato dalle rivelazioni di Lucia, il mito che ho sempre costruito attorno alla figura Pandolfi mi è crollata nel peggiore dei modi.
Mi dirigo verso la porta finestra ed estraggo il telefono dalla tasca, ma non posso procedere senza avere il consenso dalla ragazza.
“Vorrei parlare con la tua amica”
“No, Gregor…lei si arrabbierà…lei non vorrebbe…”
“Per favore, non posso fare finta di niente!” non adesso che sono al corrente di tutto questo.
Non conosco questa ragazza ma da allenatore, da uomo sento il dovere morale di fare un tentativo.
Costringo così Lucia a comporre il numero di Anna Valente. La vedo tesa, febbricitante in attesa della risposta della sua amica che tarda ad arrivare.
“Luci? Che succede?” avverto lontana ma nitida la voce della ragazza, provenire dall’altro capo.
“Scusami per l’orario, ma ascolta – questa è Lucia, comprensibilmente in difficoltà – qui c’è una persona che vuole parlare con te. Puoi fidarti di lui”
Lucia mi cerca con gli occhi, mentre vado a recuperare il suo telefono con gratitudine.
“Grazie – le sussurro, prima di rivolgermi con gentilezza alla sua amica – pronto, Anna? Sono Gregor…”
“Lei è il nuovo coach, vero?” la sua voce è giustamente sorpresa e impastata dal sonno.
“Sì, perdonaci per l’orario – tergiverso un po', sforzandomi in tutti i modi di trovare le parole giuste – ascoltami, so cos’è successo prima che arrivassi… con Pandolfi…”
“Noo…!” nella sua voce avverto tutto il dolore e tutta la paura che ancora prova.
“Credimi, posso immaginare quello che stai passando – provo in tutti i modi di sovrastare il suo pianto – ma credimi, la cosa migliore per superare tutto questo dolore è affrontarlo! non serve a nulla fare finta di niente, cercare di seppellire il dolore. Io lo so, lo so bene…!”
Come uomo non posso comprendere la sua sofferenza, ma so perfettamente cosa significhi quando il dolore prende il sopravvento sulla mente e sul fisico. Sono stato risucchiato anche io in quel vortice, e so che se non sei circondato dal sostegno delle persone giuste è difficile uscirne.
Questa giovanissima ragazza merita di riprendere in mano la propria vita, merita di tornare a stare bene.
“Non ce la faccio – la sua voce è straziante – e Pandolfi è un uomo troppo potente…”
“A questo ci penso io – le prometto – tu non dovrai fare niente… devi solo darmi il permesso di procedere per vie legali”
“…”
“Sul serio, Anna – la esorto ancora – tu supererai tutto questo, ne uscirai ancora più forte, ma non chiuderti così, non nasconderti. Chi dovrebbe vergognarsi è solo la persona che dovrebbe pagare per ciò che ha commesso e che invece la sta facendo franca.”
“…”
“Ma dipende solo da te…!”
“Va bene…”
“È un sì?”
“Sì”
“Bravissima – le sussurro dolcemente – hai preso la decisione migliore!”
Cedo nuovamente a Lucia il suo telefono e nel frattempo tiro fuori dalla tasca il mio. Mentre lascio che Lucia parli ancora un po' con la sua amica, compongo il numero dell’unica persona che può aiutarmi in questo momento.
“Greg!” mia madre risponde con apprensione, colta di soprassalto nel bel mazzo della notte.
“Sì, sto bene! Tranquilla, mamma…”
“Santo cielo! Hai idea di cosa significa ricevere una telefonata dal proprio figlio nel cuore della notte? Mi è vento un colpo, nel sonno ho completamente dimenticato il fuso orario…”
“Lo so, scusami, ma si tratta di un’emergenza – le spiego – devo sporgere una denuncia, mi serve il migliore”
La sento, nel silenzio, soppesare poco a poco le mie parole.
“Che cos’è successo?”
“Sono venuto al corrente di un episodio di violenza sessuale nella mia squadra…si tratta di Pandolfi!”
Il sospiro carico di preoccupazione di mia madre mi giunge, ma non mi smuove dal mio proposito.
“Oh, Greg – mi dice soltanto – ne sei sicuro? Ci saranno conseguenze, lo sai…”
Sorrido mestamente, perfettamente consapevole di ciò a cui sto andando incontro.
“Lo so, ma non posso fare finta di niente…”
“Sono fiera di te – la sua voce è malferma ma piena di orgoglio – domani mattina stessa telefono Maurizio Califano, lui è il migliore nelle cause relative al tuo settore!”
“Grazie, mamma!”
Appena riaggancio, la stretta di Lucia mi coglie di sorpresa. Trovo subito conforto nelle sue braccia, che mi danno tutta la forza, il coraggio e l’amore di cui ho bisogno per portare a termine la strada che ho appena intrapreso. La stringo forte al mio petto e accarezzo quei capelli che emanano un dolce profumo di pesca.
“Gregor!”
La accarezzo e le bacio dolcemente quella testolina bionda.
“Perché lo hai fatto? Perché ti sei esposto così?”
“Non potevo fare finta di niente!” ed è la verità.
Non potevo venire al corrente di un crimine così vile perpetrato all’interno della mia squadra e voltare la testa dall’altra parte. Quella ragazza merita giustizia, merita di riprendere in mano la sua vita!
“Adesso cosa succederà?” mi domanda, scostandosi quel tanto da incrociare i miei occhi ormai sereni.
“Me ne occuperò io, devi stare tranquilla per la tua amica! Non incontrerà Pandolfi, se non vorrà…” la rassicuro, in qualche modo.
“Mi riferivo a te, al tuo lavoro – geme – la pallavolo è la tua vita!”
Le sorrido con il cuore leggero e cerco in tutti i modi di rasserenala come posso.
“Ricordi che ne abbiamo già parlato? Le palestre delle scuole sono piede di giovani talenti che aspettano solo qualcuno in gradi riconoscere il proprio potenziale e indirizzarli – ridacchio – vedi? Non devi preoccuparti per me, se servirà saprò reinventarmi!”
Riesco a strapparla un sorriso tirato e tanto basta a riempirmi il cuore. La bacio, mi avvento con impazienza su quelle splendide, rosee labbra che mi sono tanto mancate. Lei ricambia, posandomi una mano sulla guancia e l’altra dietro la nuca in una tenera carezza, che mi risveglia un desiderio sopito da tempo.
La afferro per i fianchi a la sollevo con trasporto, senza volermi staccare un solo attimo dalle sue labbra. Finiamo sul suo letto avvinghiati, scambiandoci roventi baci e sensuali carezze di cui non sono mai sazio.
“Forse… forse dovremmo fermarci – provo a dire, lottando contro l’eccitazione che sta crescendo sempre di più – se dovesse tornare Cristina!”
“Non lo farà!” mi assicura lei, zittendomi con un altro bacio.
Lascio morire in bocca la mia risposta sardonica e provocatoria, mi ha appena fornito la prova che Cristina è al corrente della nostra relazione. Ingenuo io, questa volta!
“Ti amo, testolina calda!” le sussurro, invece.
Lei sorride e si stringe ancora più forte al mio petto, mentre io la circondo in un abbraccio.
“Ti amo anche io” risponde semplicemente, guardami intensamente negli occhi.
Gliela bacio e con grande fatica mi stacco dalle sue braccia.
“Purtroppo è ora di andare!”
Le lascio un tenero bacio sulla testa, prima di abbandonare la stanza, sorvolando sulla sua espressione carica di proteste e delusioni.
“Lo so – borbotta – tutto rimandato a dopo la partita!”
Ridacchio perché lei non è proprio capace di nascondere le proprie emozioni, e dai suoi occhioni nocciola traspare tutta il disappunto per il desiderio smorzato.
“L’attesa non farà che aumentare il desiderio – le prometto – e rendere poi tutto ancora più bello!”
Torna come una bimba a nascondersi dietro il cuscino, mentre io lascio la camera con il cuore incredibilmente leggero.
 
 
Ciao,
siamo alle battute finali, ormai mancano pochi capitoli, per l’esattezza 2 capitoli più l’epilogo! Che dire? Mi sono affezionata troppo a questa storia, ormai me la porto dentro da tempo e conto di portarla a termine!
Grazie per continuare a seguirla! spero inoltre che mi facciate sapere cosa ne pensate, pareri, critiche (negative o positive che siano)...così da darmi nuovi spunti su cui riflettere e migliorarmi! :)
Un grosso abbraccio,
Japan Lover!

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Capitolo 18
*** Final four ***


FINAL FOUR
 

GREGOR
Siamo approdati in semifinale con massimo impegno e determinazione. Le nostre ragazze sono arrivare fin qui seguendo perfettamente il nostro gioco, divertendosi e sudandosi ogni singolo match.
Tutte insieme, con tanto lavoro e spirito di sacrificio, sono riuscite ad aggiudicarsi un posto nella final four. Nel corso di questa giornata, insieme a Cina, Russia e Olanda, andremo a caccia della finale, alla ricerca della tanto agognata medaglia.
Proprio quando le ragazze sono impegnate con il riscaldamento, prima di scendere in campo per affrontare la corazzata cinese, ne approfitto per parlare liberamente con Paolo, mio secondo ma anche mio carissimo amico.
So che è completamente all’oscuro di quanto accaduto con Pandolfi, ma sento di doverlo mettere al corrente prima che la vicenda venga a galla. La stampa andrà a nozze appena la notizia comincerà a circolare nell’ambiente, quindi è giusto che sappia da me quanto accaduto nella squadra prima del mio arrivo. Sicuramente all’inizio verrà travolto anche lui, in quanto stretto collaboratore di Pandolfi e secondo allenatore della squadra, ma ne uscirà presto da questa vicenda giudiziaria.
Lo prendo da parte ed esordisco così, perfettamente coperto dal caos proveniente dalla tribuna:
“Ho denunciato Pandolfi!”
Il mio amico spalanca gli occhi e lascia a mezz’aria la borraccia da cui stava per dissetarsi.
“Tu hai fatto cosa …?”
Comprensibilissimo lo sgomento sul suo volto, proprio qualche giorno fa ha avuto luogo la videochiamata con il nostro ex allenatore, conclusasi cordialmente con i suoi cari saluti e i migliori auguri.
“Ho scoperto da alcune ragazze che ha violentato Anna Valente – gli spiego brevemente – credo che sia questo il vero motivo per cui si sia ritirato, di sicuro quella ragazza ha rinunciato a questo campionato a causa di ciò che le è successo!”
Tralascio di raccontargli la circostanza in cui sono venuto a sapere dell’accaduto e cerco di tenere a bada tutto il mio disgusto verso quell’uomo.
“Cosa mi stai dicendo Greg…?” Paolo è incredulo, assolutamente senza parole.
“Scusami se non te ne ho parlato subito, ancora stento a crederci anch’io”
“Non ci posso credere, le ragazze con me non hanno proferito parola…!” il mio amico proprio non riesce a capacitarsi.
Deve essere terribile scoprire che un episodio del genere sia accaduto sotto la propria supervisione, dopo esserne rimasto all’oscuro così a lungo.
“Lo so, lo so! Fra poco si scatenerà il circo mediatico intorno a questa vicenda, ho pensato che sarebbe stato meglio che tu venissi a saperlo da me – affermo, dandogli una pacca fraterna sulle spalle – sai che se dovessi venir coinvolto, puoi contare sul supporto legale di mia madre!”
“Greg…ti rendi conto di cos’hai fatto, vero? Gli avvoltoi si scateneranno e la federazione non sarà contenta dello scandalo…”
“Certo…” rispondo, scrollando le spalle.
Certo che so di essermi buttato a capofitto in un’azione legale che potrebbe costarmi tempo, denaro e una sospensione dall’incarico a tempo pressoché indefinito. So di aver iniziato una partita in cui potrei giocarmi la carriera e il lavoro della mia vita, ma mi basta guardare negli occhi ciascuna di queste ragazze, che con i loro sorrisi, il loro genuino entusiasmo, il loro impegno e i loro sacrifici danno anima e corpo in ciò che fanno, e so per certo di aver fatto la scelta giusta.
I miei occhi si incrociano fugacemente con quelli di Lucia, impegnata negli esercizi di torsione, che ricambia il mio sorriso. So per certo di aver fatto la scelta giusta!
Paolo mi dà una pacca sulle spalle e, con mia grande sorpresa, mi stringe in un poderoso abbraccio.
“Come sempre avrai tutto il mio sostegno – sussurra al mio orecchio – per qualsiasi cosa, conta su di me!”
E su questo, davvero, non avevo dubbi.
Insieme al mio amico mi ricongiungo al resto dello staff, proprio nel momento in cui lo speaker annuncia l’inizio della partita.
Le atlete italiane e cinesi si schierano ciascuna a bordo della propria metà campo, per la presentazione delle formazioni. Naturalmente al fuoco cinese rispondiamo con il fuoco, anche noi abbiamo schierato le titolari per affrontare al meglio questa semifinale che sarà combattutissima.
Lucia Capparelli in qualità di opposto, Camilla Bigonciari nella cabina di regia sottorete, Cristina Deledda come centrale, Certini e De Brasi come nostre schiacciatrici, Giulia Mandelli pronta a difenderci dalla seconda linea: è questo il nostro sestetto che scende in campo carico e sorridente, battendo vigorosamente il cinque.
Tutto ciò che avevo da dir loro dal punto di vista tecnico, l’ho ribadito nella giornata preparatoria di ieri. Sanno già cosa devono fare e come lo devono fare, non rimane che metterlo in atto contro una delle formazioni più forti al mondo.
“Serene come se si trattasse di un’amichevole, determinate come se vi steste giocando la partita della vostra vita!” solo questo che mi sento di suggerir loro, avvicinandomi appena alla linea di demarcazione del campo.
Sento le mie leonesse urlare, ruggire di rimando.
“Ce la metteremo tutta, coach!” la risposta di Rossella arriva ferma, risoluta.
“Venderemo cara la pelle!” Camilla solleva i pugni, infervorata come sempre dalla prima partita disputata.
Mi piacciono i loro occhi, sono quelli giusti, sono gli occhi chi ha il fuoco agonistico dentro.
Appena il fischio arbitrale decreta l’inizio della partita, mi allontano un po' dal campo e mi ricongiungo a Paolo per seguire attentamente l’incontro.
Il primo set inizia in salita per le nostre ragazze che, solo dopo un 5-0 per le cinesi, reagiscono a reagire con un contrattacco messo a segno dal centro da una fast di Cristina.  Il loro gioco delle nostre avversarie è tipicamente orientale, si tratta di un gioco molto rapido in cui difendono tantissimo.
“Bene così!” esulta, Paolo che non smette un attimo di far sentire il suo supporto alle ragazze.
Finalmente le nostre riacquistano grinta e fiducia in loro stesse, cercano di reagire con forza alle furie cinese che non hanno mollano neanche un pallone.
“Fate pressione in battuta! – suggerisco – ci serve una palla lunga e flottante, se vogliamo metterle in difficoltà”
Camilla dalla linea dei nove metri annuisce, prima di servire una cannonata esattamente come le avevo chiesto.
Il libero cinese riesce comunque a recuperare la palla e renderla giocabile, ma il loro attacco non è preciso perché arriva subito un bel muro coeso di Lucia e Cristina.
Questo secondo punto rincuora molto le ragazze, che ritrovano la carica per fronteggiare i ritmi serratissimi di questa partita.
Tuttavia, nonostante il nostro piccolo recupero, le cinesi rimangono sempre in testa in questo primo set che si conclude con un 25-22.
Durante il primo cambio campo le ragazze ne approfittano per rifocillarsi e io per risollevare al meglio il loro morale.
“Abbiamo pagato lo svantaggio di partire intimorite davanti a una squadra di veterane, ma siamo sempre rimasti in partita – lo dico e lo penso veramente – voglio che siate incisive sin dall’inizio, che crediate di più in voi stesse e vedrete che stavolta saranno loro a inseguire noi!”
“Ce la possiamo fare!” la prima è Lucia, la capitana, a spronare le sue compagne.
“Siii!” risponde Giulia
“Facciamogli  vedere chi siamo!” è l’urlo furioso di Camilla.
“Per noi hip hip…”
“Yattaaa!”
Le ragazze esultano e tornano in campo esplosive, animate da tanta grinta e tanto entusiasmo. Comincia così il secondo parziale che le vede combattere ad armi contro le nostre avversarie. Teniamo testa, punto dopo punto, a una squadra di primissimo livello, concludendo stavolta in positivo con un 25-23.
Si sapeva che non sarebbe stato facile ma quello che mi rende assolutamente orgoglioso di loro è che non mollano mai, neanche dopo aver subito un pesante attacco o un clamoroso muro, loro sono sempre lì.
Il terzo set non è altrettanto fortunato, le cinesi riescono stavolta a spuntarla dopo un serratissimo combattimento che le vede concludere con un 29-27.
Con i miei modi pacati cerco di trasmettere alla squadra tutta la calma e la serenità di cui hanno bisogno, nonostante le mille emozioni che mi animano dentro.
“Non lasciatevi abbattere, non è ancora finita – le esorta stavolta Paolo, durante il time-out – possiamo riprendere in questo quarto set”
“Esatto, avete tutte le carte in regola per riagganciarle!” intimo loro, prima di prendere da parte Camilla.
Affido le ragazze nelle mani di Paolo, prima di rivolgermi alla mia palleggiatrice per fornirle mie ultime indicazioni.
“Mi dica tutto, coach!” mi apostrofa lei, detergendosi con un asciugamano la fronte madida di sudore.
“Stai andando benissimo, sia in fase di palleggio che a muro – ci tengo innanzitutto a dirle – quello che sarebbe meglio provare a fare adesso è aumentare la nostra efficacia in attacco, spiazzando le avversarie dal centro. Loro hanno capito che nelle azioni decisive puntiamo tutto su Lucia e Rossella, quindi prendiamole di sorpresa utilizzando maggiormente le nostre centrali”
“Vero, coach – conviene lei, meditabonda – le principali murate le abbiamo subite così!”
“Esatto – le poggio affettuosamente una mano sulla spalla, nel tornare a ricongiungerci al resto della squadra – continuate così! Il modo migliore che avere per diminuire la pressione è mettere sotto pressione le vostre avversarie!”
Mi emozione vedere le ragazze tornare in campo, incoraggiandosi a vicenda, abbracciandosi e battendo il cinque.
Cerco così di distendere la tensione anch’io, sebbene sia difficilissimo tenere i nervi saldi a questo punto del match! È necessario vincere questo set per tenere a galla la speranza, ma ho una fiducia incondizionata in ciascuna di queste ragazze e so che, comunque andrà, daranno il massimo.
Il quarto set inizia combattutissimo: le nostre atlete hanno tutta la motivazione per andare avanti, mentre le cinesi non hanno la minima intenzione di rischiare tutto, finendo al tie-break.
“Camilla ha fatto dei progressi straordinari – commenta Paolo, al mio fianco – non potevi fare scelta migliore, Greg!”
“Ha molto talento come palleggiatrice – concordo – ma il merito è tutto del lavoro che ha fatto finora!”
In questo parziale equilibratissimo la Cina è sempre avanti di un punto, ma noi rimaniamo sempre lì alle calcagna.
Giulia si sta superando, ci sta difendendo come può da ogni attacco ma cominciamo a soffrire un po' in ricezione. Quindi decido di sostituire Rossella Certini con Paola De Brasi, per aiutare Giulia in difesa.
Questa sostituzione si rivela davvero efficace perché Paola è sia brava a ricevere ma anche un abile martello, capace di mettere in difficoltà anche nella zona di attacco.
Finalmente passiamo avanti, 22-20.
“Avanti così!” urlo loro, lasciandomi andare all’emozione del momento.
Le ragazze mi ricompensano subito aumentando ulteriormente il distacco dalle cinesi.
In questo momento di forte tensione, rimaniamo aggrappati alla speranza andando a concludere il set con un’incredibile schiacciata di Lucia, che va a mettere giù il venticinquesimo punto. 25-23 per noi.
“Siiii – urla Paolo – forza così!!”
Le nostre ragazze sono felici, incredule di quello che hanno appena fatto, sono riuscite a imporsi contro la potenza cinese e costringerle al tie-break.
Sono rimaste lucide, non si sono lasciate abbattere dalle mille difficoltà e talvolta sono riuscite a indurre in errore anche le loro avversarie.
L’ultimo parziale comincia con una cannonata messa giù dalla Yang, punta di diamante della formazione avversaria. La stanchezza si fa sentire in ciascuna delle due squadre, che ormai lottano da oltre due ore senza sosta, ma non demordono. 
A ogni punto parte un urlo liberatorio che sovrasta persino la musica e la bolgia sugli spalti. La potente valvola di sfogo di chi mette sangue, sudore e fatica in quello che fa e ne raccoglie i frutti.
Le nostre coraggiosissime ragazze rispondono colpo su colpo alle loro avversarie portandosi su un 10-10, sudatissimo. Le osservo le mie valorosissime atlete buttarsi in scivolata per difendere la palla, combattere incessantemente sottorete, slanciarsi in aria per attaccare con forza.
La Cina riesce a metterci in difficoltà con un attacco dalla linea dei nove metri e Camilla è costretta a servire una palla non precisissima a Lucia, serve a Lucia una palla non che tenta il tutto per tutto un attacco, cercando il mani-fuori delle avversarie, ma non le trova.
Chiedo l’ultimo video-check a disposizione per conferma, ma le mie speranze si dissolvono nel nulla vedendo Lucia scuotere amareggiata la testa. Il challenge dà piena conferma ai miei sospetti, ma la partita va avanti, non tutto è perduta.
Lucia si fa perdonare con un muro invadente ma regolarissimo contro l’attacco della Yang.
Adesso siamo sul 13-12 per la Cina.
“Ci siamo quasi, ragazze, tenete duro!” è il monito accorato di Paolo.
Le nostre speranze si assottigliano davanti al moto di reazione della corazzata cinese, che con un fortissimo attacco scardina il nostro muro ben piazzato. La palla, potentissima, si insacca fra mani di Camilla e Lucia, che proprio non riescono a respingerla al di là della rete.
Le nostre si danno forza a vicenda, stringendosi coese in un abbraccio, prima che l’arbitro fischi l’ultimo segnale per gli assalti finali. Siamo ancora in partita, non dimenticatelo ragazze!
La Xiao serve potentissima in profondità nel nostro campo, ma Giulia si allunga e recupera perfettamente il pallone. Camilla con una finta si volta verso Lucia, ma solleva all’indietro una palla per Cristina che la frusta con forza.
La Cina però è ancora lì, pronta a difendere e ricostruire con la stessa tenacia delle nostre. Le nostre possibilità di vittoria vengono spazzate via dall’ultimo attacco imperioso della Yang, che mette giù la palla e, insieme ad essa, anche le nostre speranze.
Il fatto è che avevamo cominciato a crederci, a sperare con tutte le forze che questo sogno potesse realizzarsi perché quello che hanno fatto fino ad adesso queste ragazze è stato davvero incredibile. La cosa più struggente in questo momento è vedere la delusione e l’amarezza nei loro volti. Camilla non la smette di piangere e le sue amiche di tentare di consolarla in tutti i modi con il loro affetto.
Come lo sport insegna, titolari e riserve sfilano sottorete salutando con onore e a testa alta le validissime avversarie.
Successivamente le cinesi si godono con orgoglio la meritata vittoria che ha consegnato loro l’accesso per la finale più prestigiosa, festeggiano e sorridono con gioia alla stampa e ai fotografi.
Sospiro al pensiero che a breve mi attende la consueta conferenza stampa per commentare la partita. Stavolta sarà ancora più pesante cercare affrontare la stampa, sempre in cerca di un capro espiatorio a cui scaricare tutta la colpa anche quando non c’è.
Un moto di tristezza mi assale nel vedere le mie azzurre imboccare profondamente abbattute il lungo corridoio latere dalla struttura. Senza rifletterci molto, mi allontano l’orda di giornalisti diretti verso la sala stampa e corro verso gli spogliatoi, non posso lasciarle andare via così.


 
LUCIA
Camilla chiude malamente il suo armadietto battendo violentemente l’anta, per poi scoppiare di nuovo a piangere.  A ruota, anche Giulia e Cris cedono ai lacrimoni e alle devastanti emozioni che l’esito della partita ha prodotto in tutta la squadra.
Ormai lontana da quegli occhi grigi e affranti, mi lascio andare anch’io a un pianto inconsolabile. Seduta sulla panca, mi tolgo con rabbia entrambe le ginocchiere per poi raccogliermi fra le mani il viso grondante di lacrime e sudore.
Sento bussare alla porta, ma sono troppo devastata per prestarci troppa attenzione. Volevo solo vincere questo mondiale, desideravo tanto farcela per Gregor. Lui che può dare ancora tanto a questo sport, con lo scandalo che uscirà fuori a breve e un mondiale che non siamo riuscite a conquistare, quante speranze avrà di continuare a fare ciò che ama veramente?
“Coach!!” il sussulto di Camilla fa trasalire anche me.
Mi asciugo le lacrime come posso e mi volto verso la porta blindata.
“Siete vestite…? Vorrei soltanto parlarvi un attimo…” la voce di Gregor giunge cristallina dal corridoio.
“Un attimo solo!” afferma Rossella, rindossando la maglietta della divisa.
“Ci sono quasi anch’io!” esclama Giulia, infilandosi di nuovo i pantaloncini.
Appena pronte, Camilla spalanca le porte al nostro allenatore che entra e ci osserva negli occhi a una ad una. Non sembra arrabbiato né tanto deluso, semplicemente ci scruta con occhi pieni di affetto.
“Scusate l’invasione – sdrammatizza con un sorriso, guardando con circospezione allo spogliatoio femminile – ma non potevo lasciarvi tornare in hotel così, con quest’aria da sconfitte! – la maggior parte di noi lo guarda con perplessità – avrete anche perso questo incontro, ma vi siete battute da vere campionesse contro una delle squadre più titolate di sempre. Non lo dico tanto per dire, oggi ha prevalso la voce dell’esperienza non le migliori in campo! Siamo una squadra composta per lo più da emergenti e abbiamo affrontato una squadra formata fuoriclasse già affermate e per un soffio non siamo riusciti a strappare loro la vittoria. Credetemi, questo vale già una medaglia! – Camilla scoppia di nuovo a piangere a dirotto, ma stavolta di pura commozione mentre abbraccia Gregor che sorridendo ricambia e continua ciò che desidera farci sapere – non sempre in campo vince il favorito, molto spesso vince chi ha più fame e voi fino ad adesso siete state implacabili. Siete arrivate fin qui imbattute, in una competizione che vi ha visto partire svantaggiate rispetto a qualsiasi altra squadra, probabilmente nessuno avrebbe puntato un centesimo su una vostra semifinale, eppure ci siete arrivate. Avete fatto qualcosa di straordinario e forse nemmeno ve ne rende conto! Quindi su con il morale, rialzatevi come sapete fare, con la vostra solita ostinata determinazione, abbiamo ancora un obiettivo da raggiungere, non finisce qui la nostra gara – ci esorta infine, mentre Cami si stacca piano da lui – c’è ancora una medaglia di bronzo da conquistare! Domani voglio vedervi scendere in campo con la stessa energia e lo stesso entusiasmo dimostrato finora! Abbiate fiducia in voi stesse, abbiate fame! Credeteci, metteteci il cuore vi prometto che la vittoria sarà nostra!”
Un lungo applauso colmo di affetto e gratitudine si diffonde in tutto lo spogliatoio facendo avvampare il nostro amatissimo coach.
“Grazie, ma adesso basta! – sorride imbarazzato – adesso resettate tutto, dimenticate completamente il risultato di questa partita!  Mi raccomando, oggi svagatevi, riposate corpo e spirito! Noi ci vediamo questa sera!”
Gregor se ne va, lasciandoci addosso una rinnovata energia e tanta voglia di rimetterci in gioco. All’interno dello spogliatoio sono tornati i sorrisi e quell’ottimismo che sembravano dissoltisi nel nulla alla conclusione di quello sfortunato tie-break!
“Io adoro quell’uomo!” esclama Rossella, completamente estasiata dal suo discorso.
“Io Startseva me lo sposo!” continua a venerarlo Camilla, mentre ci precipitiamo tutte sotto le docce.
“Mettiti in fila – cinguetta Giulia – tu sei fidanzata, Startseva l’ho puntato prima io!”
Prima di entrare nella mia cabina, cerco gli occhi di Cris, che scrolla le spalle e mi restituisce uno sguardo sereno e disteso. So cosa pensa la mia amica, non è colpa mia se non ho avuto la possibilità di essere onesta con Giulia. Tutto è successo così in fretta, il nostro primo bacio, i nostri primi avvicinamenti con la promessa di volerci provare, per non parlare delle direttive di segretezza imposte da Gregor. Prometto a me stessa di raccontarle tutto appena sarà finita la gara, ormai non manca molto! Domani ci giocheremo il tutto per tutto e poi le parlerò con il cuore in mano!
 
La giornata è trascorsa serena e allegra al centro benessere! Sauna, massaggi, fanghi, chiacchiere e tante risate, e tutto grazie alla complicità di Paolo, il nostro più grande alleato!
Non so quanto Gregor sarà felice del nostro spirito di iniziativa, ma se la Federazione farà storie sui conti abbiamo solennemente promesso che pagheremo noi anche la parte di Paolo.
Adesso siamo a tavola e aspettiamo il nostro allenatore di ritorno dalla conferenza stampa, che temo sia andata davvero per le lunghe stavolta. Per ingannare il tempo ci divertiamo a prendere in giro Paolo e il suo outfit da fighetto che ha sfoggiato stasera, con la sua camicia bianca di lino ben stirata e i mocassini chiari!
Lui si gongola e si impettisce tutto, alzandosi un attimo da tavola giusto il tempo di mostrare i pantaloni scuri ben abbinati.
“Tanto sappiamo che appena noi ci addormentiamo voi coach vi infighettate e uscite a fare conquiste!” lo stuzzica Cami.
Cris non dice una sola parola, ascolta soltanto e si gusta divertita il siparietto.
“Voi ragazze non lo sapete, siete ancora troppo giovani, ma noi maschietti abbiamo tutti un debole per le orientali – ridacchia lui – sono il nostro sogno proibito!”
Solo io, fra le risate generali, mi accorgo della smorfia di dolore che per qualche attimo è comparsa sul viso di Paolo. Qualcosa mi suggerisce che Cris gliele farà pagare proprio tutte!”
“Buonasera a tutti! – la voce di Gregor giunge alla mie spalle, facendomi balzare il cuore in gola – che stanchezza, ho una fame da lupo!”
Gli sorrido dolcemente mentre prende posto accanto a Paolo, prima di dare finalmente inizio alla penultima cena di questa avventura. La serata trascorre in perfetta allegria, come se la sconfitta con le cinesi fosse solo un lontano ricordo. Incredibilmente anche Gregor si presta alle battute sull’abbigliamento di Paolo, affermando addirittura che avrebbe contattato il brand dei suoi capi per chiedere se potessero farci da sponsor per le prossime gare.
“Adesso però filate nelle vostre stanze – conclude infine, controllando il suo orologio dal polso – mi raccomando, niente social, niente distrazioni per questa sera!”
“Va beeeeene!” rispondiamo in coro, un po' deluse.
Anche le mie compagne sono rimaste sorprese di questa versione inedita di Startseva, che sembra aver dismesso per una sera i panni di allenatore salvo poi rimetterci in riga una volta scoccata la fatidica ora.
Tornata in camera insieme a Cristina, mi butto sul letto e controllo il cellulare prima di ubbidire agli ordini del coach.
Fra tutti i messaggi ricevuti da parte delle amiche rimango stupita di trovare anche uno di Mirko.
 
Mirko:
Volevo solo darti un grosso in bocca al lupo per domani! Mi dispiace per com’è andata oggi, sei stata davvero bravissima, meritavate la finale! Un bacio (da amico), portate a casa quella fantastica medaglia!
 
Sorrido di gusto davanti alla puntualizzazione “da amico”, e non posso negare l’affetto che per lungo tempo ci ha legati.
 
Tu:
Grazie di cuore per il sostegno e…viva il lupo per la partita di domani! Un bacio (da amica), tranquillo faremo di tutto per strappare quella medaglia!

Invio il messaggio e subito il telefono annuncia l’arrivo di una videochiamata. È incredibile, mia madre sembra essersi sintonizzata perfettamente con il fuso orari.
“Pronto, mamma?”
“Luci, come stai?” domanda con apprensione.
“Va bene tutto bene, mamma, davvero – la rassicuro – ci siamo riprese perfettamente dalla batosta di oggi e sono carica per la battaglia di domani!”
“Sono felice di sentirti così – sorrido perché spesso sono io a tranquillizzare lei – ero sicura di trovarti a pezzi, non è che c’entra qualcosa del famoso allenatore di cui sento tanto parlare ultimamente?”
Mia madre si riferisce alle notizie che stanno circolando anche nei notiziari sulla nostra impresa sportiva, ma la verità è che le ho anche un po' accennato dei miei sentimenti per Gregor recentemente cambiati.
“Sì, oggi il suo supporto è stato davvero fondamentale – le dico, forse con troppo entusiasmo – dopo la partita è stato incredibile, sono bastate le sue parole per risollevare il morale a tutte…”
“Caspita! – esclama – non ti ho mai sentita parlare con così tanta ammirazione di qualcuno, deve essere speciale quest’uomo…”
“…questo allenatore!” puntualizzo.
“Per quando vi aspetto qui a Porto Sant’Elpidio?”
“Mamma...! – arrossisco – ancora è presto…!”
“Fatemelo sapere in tempo, così potrò preparargli al meglio gli astici con peperoni!”
“Buonanotte!” taglio corto, imbarazzata.
“Buonanotte, tesoro! – ridacchia lei, prima di riagganciare – e buona fortuna per domani! So che sarete bravissime!”
Chiudo la telefonata con un sorriso da adolescente alle prime cotte stampato in pieno viso. Incredibile l’effetto che mi fa il solo pensare a Gregor, mi calma e al contempo mi smuove qualcosa di sconvolgente dentro.
Cris esce dal bagno, con un pigiamino fine e attillato che lascia intravedere l’intimo molto interessante. Naturalmente le altre notti non ha mai indossato niente del genere per dormire insieme, quindi aggrotto le sopracciglia sorpresa.
“Cris…?”
Lei ridacchia soddisfatta dell’effetto sorpresa che il suo completino ha suscitato in me.
“Vado addormire da Paolo – ammicca, tutta eccitata – hai camera libera, puoi chiedere al tuo Shiro di venire a passare la notte con te…ma mi raccomando, niente cosacce sul mio letto!”
“Figurati se verrebbe!” sbuffo delusa già solo all’idea del suo due di picche.
“Ma va!! – minimizza la mia amica, con un cenno sbrigativo della mano – Startseva fa tanto il pastore valdese, ma se ti vedesse con dell’intimo da battaglia vorrei vedere se davvero rimarrebbe con le mani in mano!”
Scrollo le spalle sconsolata e saluto la mia amica, che fluttua letteralmente verso la camera del suo amato per una notte di pura passione.  
Non riesco a smettere di pensare a Gregor e alle parole di Cris. Mi giro e rigiro nel mio letto finché non mi decido a compiere la cosa più irragionevole che potessi fare. Esco dalla camera con addosso il mio pigiama a strisce blu e bianco, per niente sexy come quello di Cristina, e dopo aver attraversato il lungo corridoio mi ritrovo a bussare alla porta del mio coach.
Appena Gregor mi vede strabuzza gli occhi, mi trascina bruscamente dentro e richiude la porta alle sue spalle, dopo aver controllato accuratamente che nel corridoio non ci avesse visto nessuno.
“Che ci fai qui?”
Sfoggio un sorrido non troppo delusa, fin qui non mi aspettavo nulla di diverso.
“Ho pensato che magari potessimo dormire insieme le ultime notte qui a Tokyo…”
“Sentiamo signorina, chi le avrebbe dato questa autorizzazione?”
“Il mio coach – rispondo impudente – oggi si è raccomandato di svagarmi, di prendermi cura del mio corpo e della mia mente…”
E oltrepasso veramente il solco del consentito, avvicinandomi al un palmo del suo viso e protendendomi per un bacio. Con mia grande sorpresa Gregor risponde prontamente, premendo con più intensità le sue labbra sulle mie fino a invadermi con la sua lingua per dar vita ad un sensualissimo bacio.
“Cosa devo fare con te?” protesta debolmente, e capisco di averla spuntata io stavolta.
Solo adesso noto la tenuta da notte di Greg, un paio di pantaloncini blu scuro e una canotta bianca aderente che mette in risalto i suoi magnifici muscoli.
Mi permette di entrare per prima nel suo comodissimo letto a una piazza e mezza, per poi prendere posto accanto a me. Si premura di impostare la sveglia per domattina e accendere l’abatjour posta sul comodino, prima di spegnere la luce del lampadario.
“Sono proprio curioso – esordisce, sistemandosi bene sotto le lenzuola – quale scusa hai inventato a Cristina per sgattaiolare qui da me?”
“Le ho detto che avrei dormito con Camilla e Rossella” rispondo, forse un po' troppo in fretta.  
“Ottimo – sospira, prendendosi una piccola pausa – caspita, che testa! Ho dimenticato di dire una cosa molto importante a Paolo per domani, faccio un salto da lui e torno subito!”
Come per un riflesso incondizionato, afferro disperatamente Gregor per la sua canotta. Lui in risposta punta i suoi occhi grigi acuminati su di me e li assottiglia, in attesa di una mia spiegazione.
“Ma è tardi – bofonchio, sentendomi profondamente ridicola – gliela dirai domani!”
Lui si tira il lembo di stoffa che goffamente continuavo a trattene. Adesso so per certo che lui sa, ed è ancora più imbarazzante.
Gregor sospira profondamente mentre io cerco di nascondere con enorme fatica tutto l’imbarazzo.
“Sai che la fiducia è una cosa su cui non transigo? – dice serissimo in volto, per poi cercare di buttarla sul faceto – la cosa che più mi manda in bestia è che Paolo crede di avermela fatta sotto il naso tutto il tempo, ma domani appena tutto questo sarà finito mi sentirà! Eccome se mi sentirà!”
Scoppio a ridere comprendendo che Gregor sapesse della storia fra Cris e Paolo fin dall’inizio e che solo per quieto vivere avesse chiuso un occhio (e anche l’altro!).
“Lo so, anche per me la fiducia è la cosa più importante – gli assicuro poi, stringendogli forte la mano – ma non potevo tradire quella di Cris…”
“So anche questo – mi rassicura, passandomi dolcemente le nocche lungo la mia gota – ed è per questo che non sono minimamente arrabbiato con te, avevi prima di tutto un dovere da rispettare nei confronti della tua amica!”
Ancora una volta mi stringo a lui e lo tempesto di tanti piccoli baci sul petto, sul collo, sulla guancia che lui ricambia a sua volta scatenandomi un vortice di emozioni all’altezza del bassoventre.
Continuo a cercare le sue labbra con urgenza, desiderando di volta in volta sempre di più, finché non mi ritrovo a baciarlo a cavalcioni su di lui.
Non so fino a che punto Greg condivida il mio stesso desiderio, ma si stacca con riluttanza dalle labbra e comincia ad accarezzarmi le mie lunghe ciocche bionde.
“Per stasera facciamocelo bastare…” sussurra con dolcezza.
Io annuisco senza riuscire a nascondere tutta la mia delusione, ma capisco, ce l’eravamo promesso. Tutto rimandato alla fine del mondiale!
Mentre le due dita passano e ripassano quasi ipnotiche fra le mie fronde, comincio a muovermi lentamente sul suo bacino con movimenti dolci e sinuosi.
“Lucia…cosa stai facendo?”
“Shh…” lo zittisco dolcemente, puntandogli un dito sulle sue labbra.
I suoi occhi si spalancano e il suo respiro quasi si spezza mentre sento la sua erezione crescere, a fronte dei miei movimenti del tutto inaspettati.
L’unico modo per fare l’amore con lui senza farci sesso, senza infrangere la promessa!
I miei occhi si perdono nei suoi, a loro volta stravolti dal piacere.
Alla fine Gregor riesce a trovare la forza di porre fine a questa dolce agonia, afferrandomi saldamente per i fianchi.
“Ferma… – sussurra – vuoi forse farmi venire nelle mutande?”
Annuisco e avvampo violentemente per l’imbarazzo, per l’eccitazione, per mille altre emozioni.
“Va bene…” esalo, distendendomi di nuovo accanto a lui.
“Domani sera…” sembra una promessa.
“Sì…” cerco di riprendere a respirare.
“Portiamo un altro po' di pazienza, manca poco – mi rassicura – ti prometto che l’attesa renderà tutto ancora più bello!”
“Buonanotte, ti amo!”
“Buonanotte – ricambia, strappandomi un sorriso – ti amo anch’io, mia bellissima amazzone!”
Gregor mi lascia un bacio a fior di labbra, prima di spegnere la luce e consegnare entrambe nelle braccia di Morfeo.
Sembra un sogno a occhi aperto tutto quello che sto vivendo. Mi addormento cullata dal suono inconfondibile del suo respiro a un centimetro dal suo cuore, con le nostre gambe aggrovigliate e le dita delle mani intrecciate.
Se mi avessero chiesto qualche mese fa che cos’è la felicità non avrei saputo rispondere, ma adesso non avrei dubbi: la felicità è amare ed essere ricambiati con la stessa intensità.
Al mattino dopo sembra quasi una favola risvegliarmi accanto a Gregor Startseva, io un po' sfatta e lui sempre magnifico con quell’aria ancora assonnato. Ci scambiamo ancora qualche tenerezza a letto, prima che arrivi l’ora della mia fuga.
Gregor mi accompagna alla porta e mi stringe in un lungo abbraccio, prima di lasciarmi andare.
“Allora non è stata una cattiva idea la mia sorpresa!”
“Affatto – risponde – potrei abituarmici a queste sorprese…”
Sorrido felice ed esco dalla camera, senza voltarmi indietro a guardare e correndo a perdifiato fino alla mia stanza.  Non vedo l’ora di vedere Cris e raccontale cos’è successo stanotte o cosa non è successo. So solo che sono felice e che oggi come non mai riuscirò a trasferire sul campo tutta l’energia positiva che sprigiono, per guadagnare il terzo posto sul podio.
 
*****************************
Ciao^^
Spero che la prima parte di questo capitolo non vi abbia troppo annoiati. Ci tenevo a descrivere la prima sconfitta delle azzurre, fa parte dello sport cadere e rialzarsi (esattamente come avviene nella vita), quello che conta è rialzarsi e avere accanto le persone giuste! Spero di essermi fatta perdonare a sufficienza nell’ultima parte^^
Le sorprese e i colpi di scena non finiscono qui, vediamo se le azzurre riusciranno a guadagnarsi la medaglia di bronzo!
Ancora grazie per continuare a seguire le avventure di Lucia&co!
Un abbraccio affettuoso,
Japan Lover <3

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Capitolo 19
*** Sei tu il mio oro ***


SEI TU IL MIO ORO

 

LUCIA

 
Fratelli d’Italia
l’Italia s’è desta
dell’elmo di Scipio
S’è cinta la testa.
 
Dov’è la vittoria?
Le porga la chioma
ché schiava di Roma
Iddio la creò.
 
Stringiamci a coorte,
siam pronti alla morte.
Siam pronti alla morte,
l’Italia chiamò!
 
Stringiamci a coorte,
Siam pronti alla morte.
Siam pronti alla morte,
L'Italia chiamò', sì!
 
L’Inno nazionale italiano risuona per l’ultima volta all’interno del Tokyo Metropolitan Gymnasium, scenario di tutte le nostre imprese in questa rassegna mondiale. Lo intono con la stessa emozione di quella prima volta in cui ci preparavamo ad affrontare il Cile, quando ancora la possibilità di arrivare sul podio era solo un sogno. Ma oggi in ballo contro l’Olanda c’è ben altro che una semplice qualificazione al primo girone, in gioco c’è un’importantissima medaglia, e anche se non si tratta di quella più ambita noi abbiamo tutta l’intenzione di conquistarla.
Nell’aria si avverte tutta la magia di quando stai per giocare la finale della vita, e in un certo senso per noi è così. Questa è la nostra finale, in gioco c’è esattamente quello a cui avevamo puntato fin dall’inizio: una medaglia da portare a casa.
Finita la celebrazione degli inni, Paolo ci chiama a raccolta e noi ci raduniamo in panchina attorno ai nostri allenatori, piene di grinta e pronte a combattere come non mai. Titolari e riserve ci sgranchiamo i muscoli già scaldati e ci sosteniamo a vicenda, dandoci la giusta carica attraverso decisi e sonori cinque!
Stamattina io e Cris abbiamo avuto pochissimo tempo per raccontarci della scorsa notte, ma le nostre espressioni suggerivano molto di più di quanto avremmo mai potuto spiegare a parole. La mia amica per adesso mi ha solo raccontato che lei e Paolo hanno deciso di fare sul serio e che la notte di passione non ha fatto che confermare i loro sentimenti. Sono felicissima per i miei amici e sono davvero di curiosa di vedere la faccia di Paolo quando Gregor gli dirà che sa già tutto.
La tensione è a fior di pelle all’interno di questa gigantesca struttura, gremita di appassionati e tifosi accorsi da ogni dove. La confusione regna già sovrana sugli spalti, le vibrazioni nell’aria sono assolutamente palpabili, e noi siamo emozionatissime per questa sfida. Paolo è in piena defibrillazione, mentre Gregor, come suo solito, non dà minimamente a vedere le sue emozioni.
“Ragazze, mettiamocela tutta – ci esorta Cris – questa volta ce la faremo!”
“La vittoria sarà nostra!” le risponde un’energica Camilla, battendole un poderosissimo cinque.
“Forza, ragazze – questo è Paolo, che ci chiama a raccolta – è il momento di mostrare al mondo chi siamo!”
Il momento del discorso pre-partita è arrivato, l’ultimo di questo mondiale che sta per concludersi e incoronare le tre finaliste. Cerchiamo di concentrarci, tutte pronte a prestare ascolto alle parole di Gregor, ormai pronto a comunicarci le ultime indicazioni e le ultime parole di rito. Il nostro allenatore non sembra molto teso, ma per la prima volta viene tradito da una qualche emozione. Esita un po', ma poi mostra uno di quei rari e preziosi sorrisi prima di prendere la parola.
«La verità è che non ho più nulla da dirvi, le strategie da adottare per poter affrontare questa squadra ve le ho ripetute fino allo sfinimento – sono le sue parole – voglio che oggi su questo campo vi scateniate, che ci mettiate il massimo dell’impegno ma che vi divertiate! Questo è il vostro giorno, questa è la vostra partita, andate a conquistarvi quello che vi spetta, per tutto l’impegno e tutti i sacrifici!”
“Siii!”
“Coraggio!”
“Forza, andiamo!” Urliamo tutte di rimando, animando la nostra panchina con il nostro baccano.
Ci prepariamo per scendere in campo e sento il cuore battere a mille. L’emozione crescere sempre più dentro di me, so che daremo tutte il massimo per questa partita importantissima.  
Sono così elettrizzata che quasi mi accorgo di Giulia, che giunge al mio fianco adocchiandomi con uno strano sorriso.  
“Luci… - la sua suona voce dolce e sinuosa come sempre – come stai?”
“Giulia…”
“Stamattina ti ho visto particolarmente eufotica”
“Che cosa intendi?” un groppo alla gola, mi impedisce di scandire bene le mie parole.
Giulia deve per forza avermi vista uscire dalla camera di Gregor, non vedo altre possibilità. Solo Cris sa di noi e sono certa che non ne abbia fatto parola con nessuno.
“E così tu e Startseva ve la intendente!”
Per un attimo rimango completamente paralizzata davanti a quei due grandi occhi nocciola, che mi inchiodano, accusatori.
“Non so di cosa tu stia parlando…” cerco di tagliare corto.
“Adesso fai anche la finta tonta?”  Giulia mi inchioda così, afferrandomi in malo modo per il braccio.
Mi viene di riflesso spingerla via, ma questa mia inattesa reazione sortisce solo l’effetto di infiammarla ancora di più.
“Lasciami!”
“Sei solo una bugiarda!”
“Ragazze, che vi prende?” sussulta Camilla.
“Finitela, vi è dato di volta il cervello?”  è l’avvertimento preoccupato di Rossella, che mi afferra per le braccia da dietro, mentre Cris fa la stessa cosa con Giulia per allontanarci.
In men che non si dica abbiamo attirato l’attenzione su di noi. Mi sento avvampare nel ricordarmi che insieme alla platea siamo anche circondati anche dagli occhi delle telecamere. I nostri allenatori accorrono increduli, accorgendosi degli strani movimenti nella nostra panchina.
“Che sta succedendo qui?” è il moto di stizza di Paolo, completamente di stucco.
“Siete impazzite, per caso?” gli occhi acuminati di Gregor sono gelidi quanto il suono della sua voce, è davvero furibondo.
“Non è colpa mia!” la nostra risposta arriva all’unisono e ottiene solo di farlo infuriare ancora di più.
“Non ammetto questo comportamento nella mia squadra, voi due siete fuori! – taglia corto il nostro primo allenatore – Linda e Paola, andate a riscaldarvi!”
Io e Giulia rimaniamo impietrite.
“No, coach!!” urla lei, quasi piangendo.  
Dannazione, Gregor, perché lo stai facendo? Questa partita è troppo importante…per te, per me, per tutti noi!
Rimaniamo tutti attoniti davanti a questo provvedimento, persino Paolo aggrotta la fronte ma non osa controbattere la decisione del suo superiore. È impensabile affrontare una finale per il bronzo senza due titolari, ancor più se si tratta del libero e dell’opposto. Ma Gregor rimane ostinato, irremovibile sui suoi passi, e soprattutto arrabbiato come poche volte l’ho visto.
Io e Giulia finiamo dritte in panchina, senza degnarci di una parola, mentre le nostre compagne entrano in campo senza di noi, con un’espressione un po' titubante. Come biasimarle? Non hanno proprio idea di cosa sia intercorso tra me e Giulia e si sentiranno spiazzate nel dover riadattare all’ultimo il nostro gioco.
Quando l’arbitro annuncia l’inizio del match, mi assale un moto di rabbia e tristezza per l’epilogo del mio mondiale. È assurdo che sia finita così!
Vorrei tanto essere in campo a combattere insieme alle mie compagne e, invece, mi ritrovo qui accanto a Giulia ad assistere da perfetta spettatrice. Esultiamo a ogni assalto messo a segno dalle nostre, soffriamo a ogni punto subito, perfettamente impotenti. Sento la mia compagna dai bellissimi capelli color rame fremere esattamente come me, a ogni singola azione, ma tra noi permane il gelo.
Gregor e Paolo non smettono un attimo di incitare e fornire alle ragazze tutte indicazioni di cui hanno bisogno. Tengono testa alle agguerritissime olandesi, sconfitte dalla Russia nella semifinale, ma intanto il primo set va via premiando le nostre avversarie.
22-25.
La reazione delle nostre compagne non si fa attendere e durante il secondo parziale conducono il gioco, portandosi nettamente in avanti sul 15-11.
Il time-out chiamato dall’Olanda dà modo anche alle nostre di rifocillarsi. Sia io che Giulia ci uniamo alle nostre amiche, suggerendole e incitandole con tutte noi stesse.
Passo un asciugamano a Cris, mentre ci raduniamo tutte attorno a Starseva che ci richiama a sé.
“Organizzate bene il piano di rimbalzo, quando siete a muro! La Von der Horst sta giocando bene con il mani fuori – constata Gregor, richiamando la nostra attenzione sugli attacchi dell’opposto olandese – rallentate con il salto e orientate bene le mani nel seguire la traiettoria, così abbiamo più possibilità di neutralizzare i suoi attacchi!”
“Forza, forza, forza!” urlano le mie compagne nel tornare in campo.
Cerco disperatamente gli occhi di Gregor, ma lui rimane freddo e distaccato nei miei confronti. So di averlo profondamente deluso, ma per quanto mi sforzi non c’è modo di rimediare in questo momento.  
“Coach..” lo apostrofo con cautela, ma anche con un po' di timore.
“No!” la sua riposta secca mi raggela.
“Coach, la prego…” è la supplica mortificata di Giulia.
“Cosa vi è passato per la testa, eh? – ci inchioda amareggiato, compiendo con stizza un passo avanti verso di noi – il gioco di squadra è tutto, quante volte l’ho ripetuto? E voi cosa fate per tutta risposta? Date spettacolo addirittura davanti alle telecamere!”
“Coach è colpa mia, la prego – piagnucola la mia compagna – non è giusto, così stanno pagando tutto…”
“Non mi importa! Ogni azione porta con sé una conseguenza – conclude risoluto, prima di tornare sul ciglio del campo accanto a Paolo – consideratela la mia ultima lezione!”
Torniamo in panchina abbattute e scoraggiate. Lancio un’occhiata verso il profilo desolato della mia compagna, apprezzando la lancia appena spezzata in mio favore. Prendo un profondo respiro e una buona dose di coraggio, prima di riuscire a scusarmi con lei.
“Ti chiedo scusa…”
“Perché, Lucia? – sospira fissando il campo, senza incrociare il mio sguardo – perché non mi hai detto niente? Per quanto tempo ancora avresti voluto lasciarmi fare la figura della stupida?”
“Non hai fatto la figura della stupida!”
“E invece sì! – controbatte, puntando su di me i suoi occhi feriti – tu ti vedevi di nascosto con lui, mentre io continuavo a sbavargli dietro, davanti a tutte le altre!”
“Non è andata così! – le assicuro, profondamente dispiaciuta – tra noi è successo tutto molto in fretta e onestamente non so ancora di cosa si tratti…”
“Non fraintendermi, sono felice per te…dopo quello che hai passato con Mirko meriti di essere felice, ma vedi, avrei apprezzato che me lo dicessi tu e non che lo scoprissi vedendoti sgattaiolare fuori dalla sua stanza!”
Deglutisco visibilmente, nel trovare conferma ai miei sospetti.
“Te ne avrei parlato subito, Giulia, credimi – le dico con il cuore in mano – ma è stato lui a chiedermi di non farne parola con nessuno, fino al termine dei giochi”
Giulia non replica e rimane assorta, mentre continuiamo a seguire il match ciascuna chiusa nel proprio silenzio. Capisco solo adesso cosa avrà provato nello scoprire dalla nostra relazione e mi vergogno profondamente, perché meritava di sapere la verità dalla mia bocca. Giulia è stata crudele, perché io per prima sono stata crudele a fargliela alle spalle. Ma l’amore è imprevedibile quanto il mare in tempesta, esattamente come il colore degli occhi che mi hanno fatto innamorare. Per me l’amore ha il colore degli occhi di Gregor!
Intanto la partita non si ferma, l’incontro continua a disputarsi davanti ai nostri occhi. Dalla panchina continuiamo a sostenere in coro le nostre compagne, cerchiamo di infondere loro tutta l’energia di cui hanno bisogno.
Sotto gli occhi sempre vigili dei nostri allenatori, riusciamo a portare a casa il secondo set ma perdiamo clamorosamente il terzo.
Dobbiamo lottare per attivare al tie-break e mantenere a galla la possibilità di una medaglia. Gregor e Paolo non si risparmiano, esattamente come le nostre compagne ormai stanche, ma intenzionate a non mollare neanche di un centimetro. Rispondiamo colpo su colpo, replichiamo ad ogni attacco senza tregua in una partita di altissimo livello.
Ci troviamo sotto di un punto in questo combattutissimo quarto set: 22-23. Gregor corre ai ripari chiamando il time-out, principalmente per concedere alle nostre compagne di riprendere fiato che non per un consulto finale.
“State andando bene! Ce la potete fare, potete riagganciarle! Dovete solo continuare a credere nelle vostre possibilità!” le esorta, mentre si rifocillano con acqua e bibite energizzanti.
“Qui non si molla!” sentenzia Camilla, che è quella che più fra tutti ci ha messo il cuore.
“Siamo ancora in gara!! Mostriamo a tutti cosa può fare l’Italia!” è il monito di Paolo, prima di congedarle un’ultima volta.
Le nostre compagne scendono in campo per gli assalti finali di questo quarto estenuante parziale di un match, che vede le olandesi in vantaggio di un set. L’adrenalina cresce a mille anche qui in panchina, dove assistiamo con trepidazione alle ultime azioni di questo set decisivo. Le mie mani si stringono forte a quelle di Giulia, per cercare di stemperare la tensione ormai palpabile.
La rossissima Van Dijk batte con potenza, ma Linda, il nostro libero, riesce ad allungarsi per recuperarla. Da sottorete, Camilla riesce a spiazzare le nostre avversarie scegliendo di alzare una pipe per Rossella, dalla seconda linea.
23-24. Appena l’arbitro conferma la regolarità del nostro punto, io e Giulia ci alziamo e ci abbracciamo nell’esultanza generale. Gregor ci osserva di sottecchi ancora con un lieve cipiglio, standosene a bordo campo insieme al suo collega.
“Un solo punto…” preghiamo insieme in un sussurro.
Paola si sposta sulla linea dei nove metri, in area di battuta.  Gregor si avvicina quanto appena per le ultime direttive, probabilmente per invitarla a forzare un po' di più con il servizio. La nostra compagna annuisce con decisione prima di sollevare la palla e aggredirla con forza.
Le nostre avversarie recuperano la palla e ricostruiscono velocemente il contrattacco che viene fermato da un maestoso muro coeso di Cristina e Camilla. Il cuore mi scoppia nel petto dalla gioia, mentre la mia squadra annulla il vantaggio dell’Olanda andando al tie-break. 2-2!
Anche i nostri coach si lasciano prendere da un cauto entusiasmo, scambiandosi un rapido abbraccio. Arrivati a questo punto del match tutto è possibile: chi si aggiudica questo ultimo breve set porta a casa la medaglia di bronzo, chi perde deve accontentarsi del quarto posto, della cosiddetta medaglia di legno.
Durante il cambio campo, incoraggiamo con forza e con affetto le nostre compagne nuovamente cariche. La vittoria dell’ultimo parziale le fa decisamente rincuorate, riportando tanto entusiasmo e tanti sorrisi all’interno della nostra squadra.
L’arbitro fischia ancora una volta, annunciando gli ultimi cambi stabiliti dai nostri coach. Quando ormai ci eravamo rassegnate a rimanere in panchina, sentiamo Gregor richiamarci a bordo campo.
Io e Giulia ci scambiamo un tacito sguardo pieno di speranza, possibile sia tornato sui suoi passi?
“Su, avanti!” fa un cenno con il capo.
Gregor…!
“Grazie, coach!” sussulta felice Giulia, piena di gratitudine.
Con il cuore gonfio nel petto ringrazio tacitamente Gregor per averci concesso la possibilità di giocarci questo importantissimo tie-break. Lui ricambia la mia occhiata con quello che mi sembra lo spiraglio di un sorriso, ma percepisco chiaramente che ancora la collera non gli deve essere del tutto passata.
Io e Giulia diamo il cambio alle nostre compagne, battendo loro energicamente il cinque, e finalmente entriamo in campo.
Il cuore batte forte nel petto, l’adrenalina pulsa nelle vene mentre batto il cinque felice a ciascuno delle mie compagne.
“Poi voglio proprio sapere che cosa avete combinato!” esclama con finta stizza Camilla.
“Cose nostre!” faccio spallucce, strizzando l’occhio a Giulia che mi sorride di rimando con complicità.
Giuro che darò tutta me stessa in questo ultimo decisivo parziale! Ce la metterò tutta per le mie compagne e per i sacrifici che hanno fatto per arrivare fin qui; ce la metterò tutta per me stessa e per tutti i sacrifici che ho dato per meritare la fascia di capitato, ma che oggi non ho particolarmente onorato. Ce la metterò tutta per Gregor, per il cuore che mette in tutto ciò che fa!
L’inizio del set parte in nostro favore, la pressione accusata dalle a avversarie per il rientro nel nostro campo delle due titolari è assolutamente palpabile. Ma le Olandesi non hanno alcuna intenzione di cedere, rispondono con cattiveria agonistica alle nostre offensive, cercando di recuperare tutto ciò che possono!
Camilla mi cerca nei momenti di massima tensione, cercando di utilizzarmi in attacco sia da prima linea che da seconda linea spiazzando le nostre avversarie con potentissime pipe!
Al 12-11 in nostro favore ci concediamo di esultare abbracciandoci forte per stemperare la pressione che le olandesi cercano in tutti i modi di imprimerci. Ci confrontiamo fra noi ma sempre con uno sguardo rivolto alla panchina, dalla quale giungono preziosissimi il tifo delle nostre compagne e i suggerimenti dei nostri coach.
Adesso tocca a me battere, proprio nel momento più infuocato del set mi dirigo sulla linea dei nove metri per andare a servire.
“Te la senti di provare a battere sul nastro? – chiede Gregor da bordo campo – altrimenti puoi forzare con una battuta lunga sulla Von der Horst che adesso si trova in seconda linea, la ricezione non è uno dei fondamentali in cui brilla”
Annuisco pensosa, stringendo la palla fra le mani e concedendomi pochi attimi per rifletterci prima che l’arbitro suoni il fischio di inizio. Decido così di assumermi il rischio di una battuta a nastro radente, imprimendo nel pallone tutta la forza che possiedo per beffare la rete e le nostre avversarie. La palla sfiora la rete e sembra ballare per qualche attimo sulla sul nastro, ma poi scivola nel campo delle avversarie premiando il mio coraggio.
“Sii!” mi lascio andare all’entusiasmo, insieme a tutte le mie compagne.
13-11.
Gregor ammicca da bordo campo, mentre Paolo esulta come se avessimo la vittoria già in tasca.
Rimango pienamente concentrata sulla partita e stavolta decido di servire con una palla più lunga, ma altrettanto potente. Il libero olandese si getta sul pallone, permettendo alle nostre avversarie di organizzarsi in un contrattacco che stavolta fa breccia nella zona di conflitto tra me e Giulia.
Io e la mia compagna dai capelli color rame ci stringiamo e ci incitiamo, prima di ritornare alle nostre postazioni.
Siamo 13-12, siamo in vantaggio ma l’Olanda rimane sempre dietro l’angolo pronta a riagganciarci e ad approfittare di ogni nostro errore.
La Van der Dijk va alla battuta, questa volta cedo il passo a Giulia che in ricezione è davvero un portento: recupera con abilità la palla e la reindirizza alla nostra regista sottorete, che stavolta per contrattaccare sceglie la nostra centrale.  Cris si lascia andare a un grido di gioia mettendo a punto una strepitosa fast!
14-12.
“Vai così, Cris!” questo è l’urlo di Paolo, visibilmente sempre più emozionato.
La mia amica si lascia andare e gli ammicca gioiosa, regalandogli uno dei suoi più bei sorrisi.
Adesso torniamo noi alla battuta, grazie al cambio campo avanzo in prima linea a posto 2. Cris batte di potenza, ma le olandesi riescono a recuperare facendo tornare il pallone nel nostro campo.
Stavolta Camilla sceglie me per attaccare, mi slancio con un balzo verso la rete innescando una parallela stretta che però sembra uscire fuori dalla linea, senza toccare il muro avversario. Mi mordo le labbra per lo sgomento, trovando nei segnali degli arbitri conferma ai miei timori.
Ora siamo 14-1.3, le Olandesi festeggiano il recupero: adesso sono sotto soltanto di un punto.
Camilla e Rossella mi danno una pacca sulla spalla, invitandomi a non pensare più al mio errore e a non lasciarmi abbattere.
“Siamo ancora in partita!” mi ricorda la mia amica dal caschetto castano, strizzandomi l’occhio.
Lo stesso fa Gregor dalla panchina, i suoi intensi occhi grigi non smettono un solo attimo di infondermi coraggio.  
Siamo alle battute finali. L’Olanda torna al servizio nel momento decisivo, con la Van der Beek che aggredisce a tutto braccio. Giulia compie l’ennesimo miracolo recuperando anche questa potentissima cannonata. Con un bel balzo, Camilla alza per me da sotto la rete una palla alta e morbida.
“Vai, Luci! È per te!”
Libero la mente da ogni pensiero e lascio il mio corpo libero di agire, mentre salto verso la rete e frusto la palla cercando una parallela perfetta. Punto!
Attendo il segnale dell’arbitro prima di lasciarmi andare a un urlo liberatorio, che non tarda ad arrivare insieme a quello di esultanza delle mie compagne. È medaglia!
Chiudiamo qui la finale per il terzo posto. Mi rendo conto di aver fatto ciò che ho fatto nell’esatto momento in cui vengo sommersa dalle braccia, dallae lacrime e dai cori di esultanza delle mie compagne di squadra. Titolari, riserve e tutti i medici e tecnici dello staff si riversano sul campo per festeggiare la vittoria sull’Olanda.
Protendo le mani verso l’alto, per meglio cogliere le stelle filanti color del bronzo che piovono dal soffitto, e non mi sono mai sentita più felice e soddisfatta di me stessa.
Intorno, a bolgia regna sovrana all’interno del Palasport. Il campo viene letteralmente preso d’assalto dalle compagne della riserva, dallo staff e anche da qualche fotografo.
In mezzo a tutto il frastuono, i coriandoli e i volti pieni di gioia, vedo spuntare finalmente il sorriso più bello.
Gregor..!
In un attimo, i suoi occhi color del mare in tempesta sono nei miei nocciola.  Le sue mani sono placidamente affondate nelle tasche, le mie colme di filamenti bronzei.
Con cautela, decido di fermarmi a qualche passo da lui e mi sento riavere nello scorgere finalmente nel suo volto un’espressione distesa, direi felice. Gregor mi si avvicina e toglie via una stella bronzea impigliatosi nei miei capelli legati in una lunga coda bionda.
“Congratulazioni, coach! – gli sorrido felice – Ce l’hai fatta!”
Perché è così, perché in quest’ultima partita ha combattuto accanto a noi, senza risparmiarsi mai un solo attimo.
“Ce l’abbiamo fatta!” puntualizza.
Rimango senza fiato quando Gregor colpa la distanza fra noi e compie quello che mai mi sarei aspettata. Senza curarsi degli obiettivi puntati addosso mi bacia.
“Le telecamere...” trovo la forza di mormorare perché davvero mi mancano le parole.
Uno sportivo non smette mai di emozionarsi per ogni vittorio, ma non mi sono mai sentita scoppiare il cuore in petto come adesso di gioia, di soddisfazione, di felicità, di gratitudine. Devo tutte queste cose a Gregor, perché ha portato la felicità che tanto mi mancava. Con lui mi sento amata e protetta, e sapere di aver contribuito alla sua vittoria mi riempie di orgoglio.
“Mi dispiace non per quello che è successo con Giulia, mi dispiace per non essere riuscita a fare lo stesso con la Cina – gli sussurro, mortificata – meritavi molto di più, meritavi l’oro!”
“Sei tu il mio oro!” a quelle parole perdo un battito, e mi stringo forte al suo petto mentre lui mi circonda con le sue braccia.
Rimaniamo così per un tempo che mi sembra indefinito, finché la nostra pace nel caos non viene dissolta dall’irruenza di Paolo venuto a chiamarci per la foto di rito.
“Coach Startseva! – esordisce con tono beffardo – mi dispiace distogliere i due piccioncini, ma la stampa ci reclama tutti per la foto di squadra!”
Gregor si scosta e io lo lascio andare con una un po' riluttanza e un certo imbarazzo.
“Tu dove hai lasciato Cristina, invece?” replica infastidito Gregor, dirigendosi verso lo staff.
“Uhm..perché? – bofonchia lui,  piccato e seguendolo a ruota – cosa c’entra Cristina adesso?”
In un attimo vengo circondata dalle mie compagne curiosissime, il nostro bacio non è passato inosservato. Visti i nostri trascorsi, nessuna di loro si aspettava che tra noi potesse nascere qualcosa. Prometto loro di raccontare tutto appena possibile e corriamo tutte a posizionarci per la fotografia che uscirà domani su tutti i giornali sportivi.
Festeggiamo tutti insieme per poi prendere posto in tribuna per assistere all’attesissima finale per la medaglia d’oro, contesa da Cina e Russia. Seguiamo il match con l’animo sicuramene più rilassato, scherzando tra noi e tifando tutte per la Russia un po' perché non abbiamo ancora mandato giù la sconfitta contro le cinesi e un po' in onore di Startseva.
“Coach, tifiamo la Russia con lei!” continua a ridacchiare Camilla.
“Ma io sono italiano, il russo non lo capisco nemmeno!” continua a risponderle Gregor, suscitando le nostre risate.
Rido ma allo stesso tempo mi assale un po' di tristezza, mi mancherà tutto questo. Gregor Startseva ha portato una ventata d’aria fresca nella nostra squadra, è assurdo che debba pagare per qualcosa di cui non ha colpa.


 
GREGOR
Osservo con divertimento alla finale Cina-Russia, con il cuore ancora mille. Oggi le ragazze si sono superate nella partita decisiva contro l’Olanda, anche se qualche emozione forte me l’hanno fatta provare eccome. Come la lite fra Lucia e Giulia poco prima dell’inizio del match. Non so cosa abbiano avuto, ma il loro dare spettacolo davanti alle telecamere mi ha davvero fatto infuriare. È normale in una squadra avere dei problemi, ma si risolvono nello spogliatoio. Non in campo, né tanto meno davanti alle telecamere in diretta mondiale.
Le ragazze continuano a fare un baccano tremendo, distogliendomi spesso e volentieri dalla partita. Mi mancherà moltissimo lavorare con loro, ma so che comunque vada questo è un addio. Non solo perché attualmente il mio futuro lavorativo è un grosso punto interrogativo in assenza di qualsiasi tipo di contratto, ma anche se la federazione decidesse per un rinnovo sicuramente tornerei ad allenare la formazione maschile. Mi mancano i miei ragazzi, ma non posso negare di essermi affezionato molto a queste splendide atlete e poi lavorare con Paolo è uno spasso!
Cerco di non rabbuiarmi troppo con questi pensieri negativi e di godermi la vittoria appena conquistata. Quando finalmente la Russia batte la Cina con 3 set a 2, ci prepariamo tutti per le premiazioni.
Sul terzo gradino del podio salgono tutte le ragazze, i loro sorrisi pieni di gioia sono la soddisfazione più bella che potessi ricevere in questo mandato. A una ad una vengono consegnate le medaglie di bronzo, che sfoggiano con orgoglio.
Successivamente vengono premiate le cinesi un po' meno sorridenti, con delle importantissime medaglie d’argento ed infine vengono premiate le giocatrici russe, con delle splendide medaglie d’oro. Lacrime di commozione e altre di rammarico scivolano su qualche viso, ma questo è il bello dello sport: si cade e ci si rialza, con ancora più determinazione di prima!
Subito dopo l’inno nazionale russo intonato con emozione dalle ragazze sovietiche, vengono annunciati i premi individuali. Lo speaker li annuncia uno per volta: la prima ad essere premiata è Katarina Petrova, l’opposto della Russi che riceve la targhetta con il viso pieno di lacrime di felicità; la migliore centrale del campionato mondiale è la cinese Li Hong, che riceve il premio con un inchino ossequioso; la migliore schiacciatrice è sempre russa, Irina Semenov che accoglie la targhetta sollevandola con gioia; la palleggiatrice di questo mondiale è la russa è Natalia Fetisova; il libero più forte al mondo invece ce l’abbiamo noi. Quando viene annunciato il nome di Giulia Mandelli mi si riempie il cuore di felicità, avevo scommesso che Giulia avrebbe avuto serie possibilità di ricevere questo riconoscimento. Il libero italiano invece quasi non ci crede, riceve la targhetta con gli occhi pieni di stupore e felicità.
Le amiche la stringono in un abbraccio ed il mio cuore si riempie di orgoglio per tutte quante loro. Lo speaker annuncia che quest’anno c’è un nuovo riconoscimento, che vuole premiare il miglior allenatore, e quando pronuncia il mio nome non riesco a credere alle mie orecchie.
“Greg! Congratulazioni, amico!” Paolo mi stringe forte in un abbraccio.
Con un po' di esitazione mi avvicino al podio, dove le ragazze mi accolgono con i loro meravigliosi sorrisi.
“Grande, coach!”
“Se lo merita!”
“Lei è il migliore!”
Il loro affetto mi scalda il cuore e mi gratifica più di quanto riesca a fare quella targhetta che il rappresentante della Federazione Mondiale Pallavolo mi sta consegnando.
“Congratulation, the World Volleyball Federation wants to reward you with this award for rebuilding the Italian Team in such a short time!”
(“Congratulazioni, la Federazione Mondiale Pallavolo vuole premiarla con questo riconoscimento per aver ricostruito in così poco tempo il team italiano!”)
“Thank you, thank you very much!” rispondo, stringendogli vigorosamente la mano, dopo aver ricevuto la targhetta.
Mi sembra di vivere un sogno, le ragazze che vengono insignite di una medaglia mentre io vengo nominato migliore allenatore di questo mondiale.
Affronto la conferenza stampa conclusiva con il cuore incredibilmente leggero, con la consapevolezza che tutti abbiamo dato il massimo in questa rassegna mondiale. Trovo incredibile che quando tutto va per il meglio vieni elogiato mentre quando le cose non vanno bisogna per forza trovare un capro espiatorio a cui dare la colpa.
Coach Startseva, cos’è riuscito nella finalina con l’Olanda e cosa è mancato nella semifinale contro la Cina?
Sono stati due match molto combattute, stiamo parlando di squadre di altissimo livello. Contro la Cina è mancato quel cinismo che siamo riusciti a trovare contro le olandesi, ma sono contento dei risultati raggiunti dalle ragazze. Siamo una squadra giovane con un grandissimo margine di miglioramento, questa esperienza le ha fatte maturare molto e costituirà un grosso bagaglio per il loro futuro.
A proposito del futuro, dove allenerà nella prossima stagione?
Ancora non ho un contratto in mano, quindi non so nulla con certezza.
È vero quando si vocifera negli ultimi giorni? Lei ha davvero denunciato il coach Pandolfi per violenza sessuale nei confronti di una sua atleta?
Si tratta di una questione delicata – faccio notare con ferma pacatezza – mi avvalgo della facoltà di non rispondere a questa domanda.
Certamente, allora immagino che finalmente possa parlare della sua storia con Lucia Capparelli! Pare che siate usciti ufficialmente allo scoperto, con quel bacio.
Non riesco a trattenere un sorriso.
Sì, oggi le emozioni hanno preso il sopravvento – ammetto – come saprete già io e Lucia non abbiamo avuto un inizio facile, ma durante questo percorso ci siamo avvicinati molto prima di tutto a livello professionale. Tra noi sta nascendo qualcosa che mi rende felice, dico solo questo!
Grazie per questa dichiarazione personale coach, sappiamo benissimo quanto lei sia riservato. Com’è stato ricevere il premio di migliore allenatore di questo mondiale?
È stato incredibile, infatti ancora non ci credo – ridacchio, dando un’occhiata alla targhetta per sincerarmi ancora una volta che non si tratti di un sogno – non me lo sarei mai aspettato, per come era iniziata e per le mille difficoltà a cui abbiamo dovuto far fronte in questo percorso iniziato tutt’altro che in discesa. Dedico questo premio a tutto lo staff e a tutte le ragazze, perché buona parte del merito per la riuscita di questo mondiale va a loro!
La conferenza stampa va avanti per ore fino a notte fonda. Per far fronte a questi impegni, mi sono perso i festeggiamenti delle ragazze che sono uscite insieme a Paolo per i locali a Tokyo, e anche l’ultima sera in compagnia della mia squadra.
Entrando in Hotel, sento il cellulare suonare nella mia tasca. Mi rimprovero di non averlo spento prima, domani avrò tutto il tempo di rispondere alle chiamate e ai messaggi di felicitazioni.
Rispondo al numero sconosciuto della telefonata proveniente dall’Italia, trattenendo con fatico un grosso sbadiglio.
“Pronto..?”
“Buongiorno Startseva, o dovrei dire buonasera vista l’ora in Giappone!”
“Presidente – sussulto dalla sorpresa, si tratta del presidente della Federazione – buonasera a Lei!”
“Volevo congratularmi personalmente per la vittoria di oggi e per la splendida medaglia insperata che l’Italia è riuscita a conquistare sotto la sua sapiente guida!”
“Grazie, grazie mille, signore!”
“Sono contento di come ha gestito la squadra e la situazione pressoché disperata e le annuncio con soddisfazione che domani riceverà per email il contratto del rinnovo per la nazionale maschile!”
“D…davvero?” rimango incredulo. Possibile che non gli sia giunto all’orecchio la denuncia che ho avvito ai danni di un suo vecchio dirigente?
“Sì – ridacchia l’uomo dall’altro capo – abbiamo bisogno di uomini come lei, capaci e soprattutto leali. La lealtà ripaga sempre, Gregor…posso chiamarla per nome? Voglio che sappia che ho apprezzato ogni singola mossa, anche quella che agli occhi di molto può sembrare impopolare!”
“Non so come ringraziarla – sono senza parole, davvero – continuerò a fare del mio meglio signore!”
“Ne sono sicuro, adesso si goda il successo meritato e faccia le congratulazione a tutto lo staff e a tutta la squadra da parte mia!”
Il mio cuore scoppia di gioia e felicità, non riesco a credere ancora di aver ottenuto il rinnovo del contratto! Arrivo in stanza stanco ma felice per tutto quello che è successo oggi e per la consapevolezza di trovare lei ad aspettarmi.
Sorrido nel vederla distesa sul mio letto a sonnecchiare con un’espressione serena sul viso. Stamattina la peste mi aveva promesso di aspettarmi sveglia per festeggiare insieme, ma è stata vinta dalle fatiche dell’impresa di oggi e dai festeggiamenti di stasera. Decido di non svegliarla e di lasciarle un tenero bacio a fior di labbra prima di andare nella doccia per scrollarmi di dosso la stanchezza, prima di raggiungerla nel mio letto.
Sotto i getti di acqua calda ripercorro con la mente tutta questa avventura, dal mio turbolento arrivo in squadra alla consacrazione di oggi. Non posso che essere grato per i riconoscimenti ottenuti e per l’amore ritrovato. Mi infilo con cautela sotto le lenzuola per non rischiare di svegliarla, la Lucia con un sussulto spalanca gli occhi e si volta verso di me.
“Scusami – le sussurro – non volevo svegliarti!”
Ma lei mi sorride felice e si stringe forte a me in un potente abbraccio.
“Ho avuto il rinnovo!” le confido, voglio condividere questa mia gioia con Lucia. D’ora in poi voglio condividere tutto con lei…
Un urletto di felicità le sfugge dalle labbra, mentre io mi affretto a socchiuderle con le mie, per coinvolgerla in un bacio senza fine.
“Te lo meriti, amore mio – mi sussurra senza riuscire a trattenere le lacrime – meriti tutto questo!”
Lascio che le mie mani la accarezzino per tutto il corpo, mentre lei non smette un solo attimo di stringermi e baciarmi sulle labbra, sul collo, sul petto ovunque.
Le sfilo in un attimo tutto ciò che porta addosso e poi libero me stesso di ogni indumento. Trovo conferma nei suoi occhi pieni di amore e desiderio, prima di procedere ad amarla come la carne esige. In un attimo sono finalmente dentro di lei, mentre ogni fibra del nostro copro vibra di puro piacere.
“Ti ho aspettato tanto…” sussurra lei, intrecciando le sue dita nelle mie.
“Anche io – me ne rendo conto solo adesso – ma adesso non ti lascio più  andare!”


***********************
Ciao, scusate l'attesa ma questo capitolo aveva bisogno di un tempo di elaborazione più lungo. Spero vi sia piaciuto il finale, credo che sia l'esito naturale di questa storia
Grazie ancora del sostegno, è stata una spinta importantissima per questi ultimi capitoli. Ci vediamo per l'epilogo!
Un abbraccio grande,
Japan Lover

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Capitolo 20
*** Il rientro ***


IL RIENTRO

 
LUCIA
 
All’indomani del nostro successo al Tokyo Metropolitan Gymnasium è stata dura fare i bagagli e lasciare gli alloggi, dove abbiamo condiviso emozioni indimenticabili. Anche se non siamo diventate campionesse del mondo, siamo riuscite a portare a casa una medaglia e abbiamo costruito un gruppo molto unito e con tante promesse per il futuro.
 Insieme alle mie compagne ho riso, gioito e sofferto a ogni singolo incontro, ma è con Gregor che ho vinto la partita più bella.
Non abbiamo avuto tempo per renderci conto di tutto ciò che è successo nelle ultime ventiquattr’ore: la medaglia di bronzo che portiamo al collo con orgoglio, Giulia premiata come miglior libero e Startseva come miglior allenatore del torneo. Se lo meritano entrambi, soprattutto Gregor che si è messo sulle spalle una squadra che alla vigilia del mondiale stava andando alla deriva ed è riuscita a portarla sul podio. Sento che dovrà affrontare tante difficoltà appena la vicenda di Anna balzerà sotto i riflettori, ma so per certo che avrà il sostegno di tutta la squadra e soprattutto il mio, per quel che può valere.
Il viaggio di ritorno in aereo è molto più tranquillo e silenzioso rispetto a quello dell’andata, dove gli entusiasmi e l’adrenalina erano a mille.
Paolo, seduto accanto a Cris, ha dormito per quasi tutto il tempo, mentre io e Gregor, dall’altra parte del corridoio, abbiamo trascorso il nostro viaggio ad ascoltare buona musica e a sonnecchiare mano nella mano. Anche Gregor ha dormito parecchio ed è incredibile come il continuo chiacchiericcio delle nostre compagne dietro non sia riuscito a svegliarlo. Deve essere stato contento di come sia andato il nostro percorso e del suo rinnovo nella nazionale maschile e credo che aspetti con ansia anche il contratto da parte del club, ma sento che anche quello non tarderà ad arrivare. Dopotutto chi si lascerebbe scappare un allenatore che in meno di tre mesi porta a casa una medagli d’argento e una di bronzo, con tanto di riconoscimento come miglior allenatore del mondiale nella categoria femminile?
Lo osservo dormire sereno al mio fianco e il cuore mi esplode di gioia. È incredibile come cambino le cose in così poco tempo, solo un mese fa mi infastidiva anche solo averlo intorno, mentre adesso non riuscirei più a immaginare la mia vita senza di lui.
Quando spalanca gli occhi al suo risveglio, mi trova ad osservarlo assorta e mi sento avvampare un po'.
“Che ore sono?”
“Sono le 18:30, fra meno di venti minuti saremo a Milano!” gli comunico, controllando l’ora sul display dell’orologio al mio polso.
“Mhmm” mugola, stiracchiandosi e stropicciandosi gli occhi.
“Che sonno! Doveva riprendersi dalle forti emozioni di ieri, coach!” gli sussurro, con un riferimento non tanto velato alla notte appena trascorsa.
Gregor capisce al volo, ma si limita a sorridere senza darmi troppa soddisfazione.
“Antipatico…!” brontolo indispettita, mordicchiandolo sul collo prima di lasciargli un bacio.
“Ahi…! – ridacchia però divertito – adesso mordi anche! Vieni qui!”
Mi afferra con imponenza per le braccia a poi mi circonda le spalle in un abbraccio, prima di lasciarmi un tenero bacio sulle labbra.
“Vieni a dormire da me stasera, ti va?” mi domanda.
Il cuore mi balza in gola per la proposta allettante, che per la verità mi coglie un po' di sorpresa. Abbiamo già condiviso l’intimità, ma sento il bisogno di tornare a casa mia stanotte, dormire nel mio letto e riappropriarmi dei miei spazi.
“Stasera torno a casa mia! – rispondo un filo di esitazione – ma se l’offerta rimane valida, verrò a dormire da te domani sera!”
“Sì, posso capirlo” mi assicura, dopo una piccola pausa di silenzio.
Quando finalmente l’assistente di volo comunica di prepararci all’atterraggio tutto l’equipaggio si appresta ad allacciarsi le cinture di sicurezza.
“Siete troppo pucciosi, voi piccioncini!” commenta Paolo beffardo, seduto accanto al finestrino dall’altra parte del corridoio.
“Quasi quanto voi!” replica Gregor, con tono altrettanto sprezzante.
“Pff! La tua parola non vale un fico secco, Greg! Sei un ipocrita, predichi bene e razzoli male!”
“Tu invece non sai nemmeno farla alle spalle!”
“Basta voi! Non fate che punzecchiarvi da ieri sera!” sbotta Cris esasperata e con ragione, del momento che ci troviamo proprio in mezzo ai due fuochi.
“È lui che fa tanto il bacchettone e poi è il primo che infrange le regole – ribatte il nostro amico – e come se non bastasse vorrebbe pure farti la paternale!”
Paolo è troppo buffo, ogni volta non riesco a trattenere le lacrime dalle risate, la sua eterna rivalità con Gregor non riesce a scalfire minimamente la loro amicizia, piuttosto la rende unica e speciale.
Scendiamo dall’aereo insieme allo staff e alle nostre compagne, tutte con il sorriso sulle labbra, la divisa azzurra addosso e la medaglia di bronzo al collo. Trovo incredibile sfilare insieme alla mia squadra e camminare al fianco di Gregor, con le mie dita intrecciate nelle sue.
Come previsto, in men che non si dica veniamo accerchiati da una schiera interminabile di fotografi e giornalisti, a conferma del successo della nostra impresa in Giappone. Noi ragazze rilasciamo giusto qualche breve intervista, ma Gregor e Paolo vengono letteralmente presi d’assalto dalla stampa. Provo ad attenderlo finché posso, ma i genitori di Cris sono già arrivati e ci attendono al terminal.
“Eccoli!” sussulta Cris, intravedendo i suoi che si sbracciano felici e orgogliosi.
Sconsolata faccio un cenno con la mano a Gregor, dispiaciuta di non poterlo salutare come avrei voluto, e lui risponde al mio saluto strizzandomi un occhio di sfuggita. Anche questo fa parte del suo lavoro, non ci avevo mai pensato!
Stanche ma felici, io Cris ci dirigiamo verso l’uscita dove i signori Deledda ci accolgono come fossimo due eroine e ci abbracciano entrambe. In questi anni mi sono affezionata molto alla famiglia di Cris, battibeccano sempre ma sono molto uniti. Mi hanno accolta quasi come una seconda figlia ed io li adoro, per me sono l’esempio di come vorrei fosse la mia famiglia un domani, accanto alla persona giusta.
“Sicura che non vuoi fermarti da noi, almeno per cena?” mi domanda ancora una volta con una nota di disappunto la signora Deledda, mentre suo marito accosta sotto casa mia.
“Sicurissima, ma vi ringrazio davvero tanto!” le rispondo ancora una volta grata.
Scendo dall’auto e il signor Deledda mi aiuta a tirar fuori la valigia dal bagagliaio.
“Per qualsiasi cosa, conosci il nostro numero e soprattutto il nostro indirizzo!” si raccomanda.
“Grazie infinite – rispondo per poi passare a salutare Cris, sportarsi dal finestrino – ci sentiamo questa sera!”
“Sì! – ammicca, complice – abbiamo una lunghissima chiacchierata in sospeso da fare!”
Saluto i Deledda ed entro nel portoncino con tutti i miei bagagli. Mi fa strano tornare qui dopo quest’ultimo mese pieno di emozioni, sembra sia passata una vita intera.
Sospiro nel rientrare nel mio piccolo appartamento e ritrovare tutto esattamente come ho lasciato, ogni cosa è al suo posto tranne la moka che ho abbandonato dalla fretta nel lavandino la mattina della partenza.
Decido di fare una lunga doccia rigenerante prima di preparare la cena e telefonare mia madre, che come me non vede l’ora di poterci riabbracciare.
“Tesoro, com’è andato il viaggio? Hai cenato?”
“Sto cenando adesso – le dico, portandomi alla bocca una cucchiaiata di minestrone bollente – il viaggio è andato benone, abbiamo dormito un po'…!”
“Sarai comunque stanca! Stanotte vai a letto presto!”
“Sicuramente, appena finisco di cenare crollo!”
“Quando pensi di tornare a casa?”
Questa domanda mi coglie un attimo alla sprovvista, eppure ogni volta appena iniziano le ferie il primo pensiero è quello di correre a prenotare il treno.
“Non lo so… sicuramente in questa settimana! Domani prenoto!”
“Si vede che hai trovato l’amore, di solito appena finisci con il lavoro non vedi l’ora di tornare a casa – ridacchia felice mia madre – ti stai prendendo del tempo per vedere cosa fa lui, vero?”
 Mi sento sprofondare dall’imbarazzo, perché mia madre come a leggermi dentro scopre una verità che per orgoglio non volevo ammettere neanche a me stessa.
Gregor avrà già dei programmi per l’estate? Riuscirò a vederlo a settembre dopo la pausa estiva o verremo subito riassorbiti dalla routine dei nostri impegni?
Sono queste le domande che mi hanno tormentata un po' per tutto il viaggio.
“Forse è così!” Sospiro.
Mia madre scoppia a ridere e mi consola premurosa.
“Guarda che è normale, non devi vergognarti! Ma sappiate che la porta qui è sempre aperta se decidete di passare per qualche settimana!”
“Beh, io verrò sicuramente!” taglio corto, cercando di non pensarci troppo.
Chiusa la telefonata con mia madre, finisco con tutta la calma la mia minestra, mando giù boccone dopo boccone, cercando di non rimuginare troppo sul fatto che con Gregor non abbiamo ancora parlato dei nostri piani né a breve termine e né a lungo termine, dopotutto non abbiamo avuto tempo per parlare di noi.
Appena finisco di sistemare la cucina toro in camera e controllo il telefono, ancora nessun messaggio di Gregor, ma in compenso trovo 578 messaggi non letti sul gruppo della squadra.
Sorrido, Ma quanto chiacchieriamo?!
Il telefono suona ancora, MA questa volta si tratta di una videochiamata da parte di Cristina.
“Ciao!!” saluta la mia amica, comodamente distesa sul suo letto e avvolta in un pigiama rosa.
“Ciao Cris!”
“Che faccia…provata! – esclama divertita – nel gruppo sei sparita! Che combini? Cominciavo a credere che ti avesse rapito un certo Startseva!”
“Ma va, mi sono eclissata dai social perché ho sentito mia madre e sistemato un po’ casa – ridacchio – ma adesso basta con le chiacchiere, raccontami di Paolo”
Il sorriso di Cris si allarga ancora di più, durante gli allenamenti ci avevo visto decisamente lungo. Sono felice che a Tokyo il loro rapporto si sia evoluto e che la loro attrazione si sia trasformata in qualcosa di più.
“Non mi sentivo così da tanto, Luci…! Credo che le notti trascorse con lui siano le più belle della mia vita – ammette, mentre qualsiasi parola sembra morirle in bocca dalla felicità – Paolo mi ha chiesto di andare a vivere insieme e io devo essere impazzita, perché gli ho risposto di sì”
Sussulto e mi lascia scappare anche io un gridolino di eccitazione!
“E perché mai dovresti essere impazzita? Siete innamorati, questo è chiaro come il sole ed era evidente anche a Gregor, anche se non ho potuto confessartelo!” ammetto divertita.
“Sappi che Paolo ci è rimasto di stucco, aspettava con ansia di fare una bella sorpresa a Startseva ma alla fine è stato proprio il lui a fargliela!”
Non so quanto pagherei per vedere la faccia che ha fatto Paolo quando ha assistito al nostro primo bacio in pubblico. Nell’atmosfera magica dei festoni che piovevano dal soffitto, la squadra e lo staff acccorsi in campo a festeggiare non sono riuscita a rendermi conto di tutto quello che stava succedendo intorno.
“Devo ammettere che quel bacio ha stupito anche me!” constato con un filo di voce.
“Credo che in fondo al cuore lo abbia fatto per scusarsi di averti tenuta nascosta fino a quel momento – mi fa notare Cris – Startseva non è certo il tipo da fare uscite eclatante a cuor leggero!”
Annuisco, riflettendo attentamente sul significato profondo di queste considerazioni.
“Ti rendi conto che la medaglia di bronzo è finita completamente in secondo piano?”
“Avremo tempo e modo di realizzare anche questo, magari al mare tra una nuotata e l’altra – sospirò Cristina, ancora con occhi sognanti – ci sentiamo domani, magari riusciamo a organizzare qualcosa insieme!”
Incrocio le dita davanti allo schermo e do la buonanotte alla mia amica, grata di avere sempre dalla mia parte il suo sostegno.
 
 
GREGOR
Bentornato in Italia coach Starseva, come si sente dopo il successo della finalina? Cosa ne pensa  del successo delle ragazze e dei titoli individuali che avete ottenuto?
Sono molto soddisfatto dei risultati che abbiamo raggiunto tutti quanti, come atleti e come gruppo. Le ragazze si sono impegnate tanto e nel campo si sono superate, contro tutti i pronostici sono riuscite non solo ad arrivare tra le prime quattro squadre al mondo ma a strappare anche la medaglia di bronzo. Sono molto fiero di tutte loro, per quanto riguarda i titoli individuali non avevo alcun dubbio, che giunti sul podio, qualcuna di loro sarebbe riuscita a portarne a casa uno. E' giusto che tra la nostra schiera sia stata premiata Giulia, perché come libero è un vero talento. Ha difeso tutto ciò che poteva essere recuperato e in molte situazione è stata decisiva.
Crede che questa squadra molto giovane abbia trovato finalmente la sua identità?
Credo che la squadra avesse già una sua identità e una sua fisionomia, dal punto di vista tecnico andava soltanto consolidato quel feeling necessario tra il regista e i suoi attaccanti. Questo perché Camilla Bigonciari ha dovuto reinventare il suo ruolo sottorete, ed è riuscita perfettamente in questa che era l’impresa più ardua di tutti.
A proposito del regista, cosa ci dice di Anna Valenti? Gira voce che lei ha sporto denuncia contro Pandolfi, il suo predecessore, per abusi sessuali. Conferma?
Non ho nessuna dichiarazione da fare a riguardo, se vi dispiace rimanderei l’intervista…sono parecchio stanco dopo 16 ore di volo…
Provo a svincolarmi dai microfoni e dai giornalisti che mi circondano. Sapevo che la voce si sarebbe sparsa subito, devo temporeggiare almeno finché non riuscirò a consultarmi con l’avvocato con cui mi ha messo in contatto mia madre.
Certo, d’accordo, ma invece cosa ci dice di Lucia Caparelli?
Non amo mischiare la vita privata con quella professionale, ma confermo che tra noi sia nato qualcosa di importante – cerco di nascondere la timidezza dietro a sorriso quanto più naturale – tuttavia vorrei che per il resto del mondo continuassimo ad essere soltanto l’allenatore Gregor Startseva e lei il capitano della nazionale Lucia Capparelli”
 
Raggiungo di corsa il terminal, riuscendo a schivare con successo altri giornalisti, e salgo al volo sul primo taxi disponibile. Con una mano sorreggo stancamente il capo, puntellando il gomito sul bracciolo del sedile passeggero, mentre con l’altra mano invio un messaggio a Lucia, che non sono riuscito nemmeno salutare.

Gregor:
Sono riuscito a liberarmi degli avvoltoi solo adesso, non vedo l’ora di arrivare a casa! Ti chiamo appena mi metto comodo…!
 
Quando arrivo nel mio appartamento sono esausto, accanto la valigia in un angolo della camera da letto e vado direttamente a farmi una lunga doccia. Sono così stanco che a malapena mi accorgo di essermi dimenticato di dire a Lucia dell’invito di mia madre.
Accidenti!
Mangio un boccone al vola e mi getto di peso sul letto, probabilmente è stato un bene che Lucia sia tornata a casa sua per questa notte, sono così stanco che non avrei avuto modo di cucinarle niente di decente e sicuramente non le avrei fatto molta compagnia per la serata.
Prendo il telefono e la chiamo per darle la buonanotte e per dirle anche del pranzo con mia madre.
“Hey…” risponde felice, al secondo squillo.
“Hey!”
“Incredibile, ancora dovevi rientrare?”
“Sì, sono appena arrivato, ho preso un taxi – le rispondo, senza riuscire a trattenere uno sbadiglio – credo che fra poco cadrò tra le braccia di Morfeo”
“Eppure hai dormito parecchie ore sull’aereo!”
“Vero, ma credo sia un po' colpa dello stress accumulato, dormirei ininterrottamente fino a domattina!”
“Posso capire – sospira – allora ti do la stanotte, riposati!”
“Fallo anche tu – mi raccomando, con premura – ma prima di darti la buonanotte volevo avvisarti che domani siamo a pranzo da mia madre!”
“Cosa? – sussulta, forse troppo sonoramente – e me lo dici così? Solo adesso?”
“Sì, hai ragione! Scusami! – sospiro, un po’ colpevole – ci ha invitato qualche giorno fa, ma fra una cosa e l’altra mi è proprio passato dalla mente…”
Devo ammettere che negli ultimi giorni ho avuto la testa solo per la partita, ma Lucia sembra davvero turbata all’idea di conoscere mia madre. Amo scoprire inavvertitamente qualche sua insicurezza e fragilità, dietro alle fattezze di una ragazza forte e determinata, ma stavolta sento una strana e insensata tensione.
“Dille che domani ho già un impegno” si affretta a dire.
“Non dico bugie e sei pregata di non farlo neanche tu, signorina!” la ammonisco, cercando di mostrarmi infastidito.
“E se non dovessi piacerle?”
“Non dire assurdità! Perché mai non dovresti piacerle? –  sbuffo, un po' spazientito – e poi le piaci già!”
“Come sarebbe a dire che le piaccio già?”
“Fidati..! – taglio corto – e adesso fila a dormire!”
“Buonanotte, coach!” risponde divertita e indispettita allo stesso tempo, e io sento di amarla ancora di più di quanto pensassi.
“Buonanotte, peste che non sei altro!”
Riattaccato il telefono e lo abbandono da qualche parte sul comodino, certo che domani trascorreremo una domenica finalmente tranquilla.

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Capitolo 21
*** Un nuovo inizio ***


UN NUOVO INIZIO

 
LUCIA
Non posso credere che Gregor si sia dimenticato di dirmi una cosa così importante, per lo meno importantissima per me. Ieri sera, dopo aver parlato con lui, sono andata letteralmente nel panico, ho telefonato Cristina e l’ho tenuta sveglia fino a tardi.
 
“Ti ha già invitata a pranzo da sua madre? – Cris emette un fischio di stupore – Startseva non perde tempo!”
L’eccitazione della mia amica fa da perfetto contraltare alla mia ansia.
“Sono terrorizzata…” ammetto.
“E perché dovresti? Rilassati, vedrai che andrà tutto bene!”
Il sorriso di Cris mi rincuora un po', ma la verità è che tengo molto a Gregor e vorrei fare una buona impressione a sua madre.
“Lo sai come sono fatte le madri, no? – sospiro – sono sempre esigenti, del tipo nessuna è abbastanza per il proprio figlio, poi se si tratta di uno come Gregor, gli standard si alzano vertiginosamente”
 
Cris ha cercato in tutti i modi di rincuorarmi, e forse è grazie a questo se stamattina mi sono svegliata decisamente più tranquilla.
Il primo pensiero è quello di andare in pasticceria a comprare un dolce da portare al pranzo, non avendo idea di quali possano essere i gusti di sua madre opto su uno dei dolci preferiti di Gregor, un enorme babà farcito con crema e amarena.
Tornata a casa, il passo successivo è mettermi alla ricerca di qualcosa di carino da indossare, adatto all’occasione.
Comincio così a rovistare nell’armadio e a provare tremila vestiti, senza riuscire a sentirmi adeguata con nessuno di questi addosso.
Questo è troppo scollato!
Questo invece è troppo a suora!
Non ci siamo nemmeno con questo, toppo pacchiano!
Respiro e inspiro profondamente, finché ì non mi passa per le mani un vestito beige a pois neri molto semplice, lungo fino al ginocchio e non troppo scollato, che avevo quasi dimenticato. Lo indosso alla svelta e mi lego i capelli nella solita coda da cavallo che mi scende lungo la schiena, prima di guardami nuovamente allo specchio.
Così può andare…!
Quando suona il telefono so già che si tratta di lui.
“Buongiorno, sei pronta? Sono sotto casa tua!”
“Buongiorno a te! Due minuti e scendo!” gli prometto.
Finisco di sistemarmi, passandomi un delicato filo di trucco sugli occhi e sulle labbra, e mi guardo un’ultimissima volta davanti allo specchio prima di recuperare il dolce ben incartato dal frigo e scendere le scale con il cuore letteralmente in gola.
Riconosco subito la sua macchina nera di Gregor posteggiata sul marciapiede di fronte, apro lo sportello e ma rimango senza parole nell’accorgermi che il sedile è già occupato da qualcuno.
“S-O-R-P-R-E-S-A!  Mi dispiace bellezza, ma dovrai accontentarti di sederti dietro con Cristina!”
Il faccione divertito di Paolo mi fa strabuzzare gli occhi, mentre Gregor alla guida si limita a sorridere divertito.
“Non ci credo! Che ci fate voi qui?”
Prendo posto dietro accanto a Cris sistemo con massima cura la confezione del dolce sulle ginocchia. Poi, ancora incredula, stringo forte la mia amica, notando solo adesso che stringe tra le mani una bottiglia di Lambrusco.
“Doveva essere una sorpresa!” replica lei, orgogliosissima del suo silenzio.
“E ci siamo riusciti!” soggiunge Paolo, sollevando due pollici.
“Mia mamma mi aveva detto di invitare a pranzo Paolo appena fossimo tornati dal Giappone, così ho pensato che ti avrebbe fatto piacere se oggi con noi fossero venuti anche Paolo e Cristina…” chiarisce Gregor, stringendosi nelle spalle mentre mette in moto.
Non so ancora come valutare questa sua precisazione, ma avere a questo pranzo Cris al mio fianco mi rassicura molto. Se ci fossimo ritrovati noi tre da soli a un tavolo forse sarebbe stato troppo impegnativo…
Cris mi colpisce con una gomitata in pieno fianco, come suo solito sembra capace di leggermi dentro.
“Ti conosco, rilassati…non cominciare con i tuoi soliti viaggi mentali strani e insensati...!” sussurra, mentre Paolo fa zapping con la radio a palla.
Tento prima una debole protesta arricciando il naso, ma in fondo so che Cris ha ragione, devo godermi questo momento e ciò che la vita mi riserva senza appesantire il tutto con le solite insicurezze e paranoie.
“Hai ragione!” arrossisco, con il preciso proposito di godermi questa tranquilla domenica.
Viaggiamo spediti nei grandi viali di Milano, liberi dal solito traffico infrasettimanale, e in men che non si dica raggiungiamo il quartiere di Brera, una delle zone più centrali ed esclusive di tutta la città.
Gregor accosta davanti a un bellissimo palazzo stile liberty edificato su due piani, naturalmente sua mamma è un noto avvocato del capoluogo lombardo, il che alza spaventosamente le aspettative nei confronti della fidanzata di suo figlio.
Quando scendo dalla macchina, Gregor fa il giro mi raggiunge sul marciapiede che passa davanti al portone, stampandomi un rapido bacio sulle labbra.
“Ancora non ti ho perdonato, Greg!” esclama Paolo, suonando al citofono.
“Non dorme da due notti per questo motivo!” conferma Cris, divertita.
“E questa è la mia più grande soddisfazione di tutto il mondiale!” taglia corto Gregor.
Senza rispondere al citofono, una signora di circa settant’anni e dall’aria molto distinta apre il pesante portone sfoggiando un sorriso raggiante.
“Eccovi finalmente!”
La donna è vestita con un pantalone nero e una camicia di lino, e porta i capelli color argento legati dietro la nuca con un grosso fermaglio. Con un sorriso raggiante apre le braccia per accogliere suo figlio, il quale deve chinarsi parecchio riuscire bene a stringerla.
“Ciao, mamma” la saluta, lasciandole infine un bacio sulla fronte.
“Ciao tesoro mio, sono così contenta di vedervi – risponde lei, passando poi a stringere Paolo – Paolino!!”
“Mamma Angela! È sempre un piacere rivederla, la trovo in splendida forma!” saluta lui, stingendola con più forza.
“Sei il solito adulatore!” ridacchia lei.
I due devono essere parecchio in confidenza.
Poi Angela rivolge con curiosità i suoi grandi occhi azzurri verso me e Cristina, la quale cede a Paolo la bottiglia di Lambrusco.
“Ragazze, ma siete splendide! – esclama spalancando nuovamente le braccia – siete ancora più belle dal vivo!”
Cris sta un passo avanti a me e ricambia per prima l’abbraccio della signora.
“Grazie mille, lei è molto gentile!”
“Tu devi essere Cristina – osserva compiaciuta, per poi gettare uno sguardo ancora più curioso su di me – e tu invece sei Lucia, dico bene?”
Vedo Gregor venirmi in assistenza, gli consegno il dolce e mi chino per ricambiare l’abbraccio di Angela. Devo ammettere che questa la sua accoglienza calorosa ha il potere di scacciare via ogni mio sciocco timore.
“Sì, sono Lucia – confermo, con un timido sorriso – è un piacere conoscerla!”
“Ma non dovevate scomodarvi a portare proprio nulla, Greg porta il dolce in frigo – dice, cominciando a farci strada – venite, è tutto già in tavola”
In men che non si dica ci ritroviamo nella grande sala da pranzo il cui stile è perfettamente in linea con quello del resto della casa. Qui dentro, tutto sembra rimasto ai fasti degli anni Ottanta e Novanta, i mobili, i quadri, le rifiniture delle vetrine, tutto in castagno intagliato con decori che richiamano il Barocco.
“Siete stati bravissimi, vi ho seguiti in diretta, sapete? Non mi sono persa nemmeno una partita nonostante in Italia le partite siano state trasmette a notte fonda”
“Tutto merito delle nostre splendide leonesse – replica Paolo, per la verità concentrato sulla portata di risotto ai frutti di mare che Gregor gli sta passando – mhmm mi mancavano tanto i manicaretti di mamma Angela”
“Grazie, sei un tesoro, ma adesso voglio che mi raccontiate tutto, ancora ho la pelle d’oca mi avete fatto emozionare tanto!” ci prega Angela, congiungendo impaziente le mani.
“A dire la verità non mi sono ancora reso conto di quello che è successo!” risponde sincero Gregor, dando voce a un sentimento comune.
Tante sono state le cose accadute negli ultimi giorni, troppe e intense le emozioni che ci hanno travolti.
“Neanche io! – concorda Cris, scoppiando quasi a ridere – siamo vice-vice-vice campioni del mondo”
Paolo le strizza l’occhio a mo’ di intesa, prima di tornare a concentrarsi sulla sua pietanza, i due sono veramente una coppia molto affiatata.
“Mamma, ci è mancata la tua cucina, ma come al solito hai esagerato!” sospira Gregor, mentre Angela porta in tavola il secondo primo, una portata di ravioli ricotta e spinaci.
“Non conoscendo i gusti di tutti non potevo fare brutta figura con le mie nuove ospiti!” replica la donna, strizzandomi l’occhio quando mi passa il piatto.
“Grazie, ma per me solo un assaggio!” le dico, timidamente.
“Avete tante energie da recuperare, sono certa che in Giappone qualcuno vi abbia tenute a stecchetto con un’alimentazione troppo rigida e salutista!”
“Infatti è andata proprio così!” confermo, lanciando un’occhiata fintamente severa a Gregor che alza le mani colpevole.
“Sì, lo ammetto, ma ci siamo concessi anche uno strappo, ricordi? Quel giorno che siamo andati in giro per Tokyo, abbiamo mangiato bene e tanto in quel ristorante delizioso – puntualizza lui, prima di rivolgersi al suo amico con tono suadente – immagino che anche voi a Kyoto abbiate fatto lo stesso, no?”
“Puoi giurarci, ce la siamo spassati anche noi, vero?” ridacchia lui, e lo sguardo che rivolge a Cris dice tutto.
È stato proprio durante quella gita che i due si sono messi insieme.
“Voi non cambierete mai!” alza gli occhi al cielo Angela, lasciandosi andare a una risata insieme a tutti noi.
Il pranzo prosegue in allegria per metà pomeriggio, tra le pietanze davvero squisite della padrona di casa e l’ottimo vino portato da Cris e Paolo. Mangiamo così tanto che alla fine mi sento strapiena, ma prima di fare largo al dolce io e la mia amica insistiamo nel poter aiutare la padrona di casa a sparecchiare.
Cris si propone di riempire la lavastoviglie, mentre io mi offro di lavare le padelle e le pentole che restano fuori.
“Ti invidio, tua suocera è carinissima!” esclama Cris, una volta rimaste sole in cucina.
“Sì, infatti!” ammetto, lasciandomi andare finalmente a un lungo sospiro.
“Shh…!”
“Cosa?” sussulto.
La mia amica reclina appena il capo in ascolto, porgendo l’attenzione verso la sala da pranzo.
La sua espressione resta insondabile e mi incuriosisce, con il rubinetto dell’acqua aperto non riesco a sentire proprio nulla.
“Sembra stiano parlando di Anna”
Anche questo avevo completamente rimosso, la signora Angela non solo ha indirizzato Gregor verso un valido avvocato, ma si è messa a disposizione nel seguire il caso. La ammiro molto anche per questo.
“La mamma di Gregor sembra molto ottimista, sta dicendo che ha piena fiducia nel suo ex collega e che lo affiancherà nel caso” mi dice s Cris, ed io mi sento più tranquilla.
Quando Angela ci raggiunge in cucina, non la smette di ringraziarci.
“Ragazze, siete davvero troppo care! Non so come ringraziarvi”
“Si figuri, lei ha cucinato per un esercito…” le risponde divertita Cris.
“Era il minimo” concordo.
Angela prende una ricca cesta di frutta e la porge alla mia amica.
“Cara, ti dispiace cominciare a portarla in tavola? Sicuramente quei ragazzacci non ne vorranno, ma un po’ di frutta fa sempre bene”
“Certamente!” Cristina ci abbandona proprio mentre sto finendo lavare l’ultima padella.
Mi sento un po’ in imbarazzo a rimanere sola con la signora, la osservo di sottecchi mentre tira fuori dal frigo il dolce e comincia a scartare la confezione.
“Ho tifato per te dall’inizio, sai? – finito di lavare, mi volto e incrocio con tranquillità il suo sguardo, contenta del suo entusiasmo verso il nostro successo – da quando Greg mi ha parlato di te per la prima volta, ho sperato che fossi tu quella giusta.”
Arrossisco sensibilmente e mi sento tremare le gambe, adesso sì che mi sento davvero in imbarazzo, all’inizio Gregor non ha certo potuto raccontarle cose lusinghiere sul mio conto.
“Dice davvero?” mi sforzo di sorridere e contenere la miriade di emozioni contrastanti che mi si agitano dentro.
“Certamente, era la prima volta che mi parlava di una ragazza – mi strizza l’occhio – la prima volta dopo che…saprai anche tu, no?”
Annuisco con decisione, si riferisce sicuramente a Vittoria, so che è ancora una ferita aperta.
“Per dire la verità, quando mi parlava di te lo faceva sempre per brontolare – ridacchia la donna, con quegli occhi chiari che nonostante l’assenza del vincolo di sangue, mi ricordano incredibilmente quelli di Gregor – ma non è cosa da poco, lo conosci, lui non si lamenta mai. La cosa sorprendente è che durante i vostri allenamenti per intere settimane, quando lo vedevo, non faceva altro che lamentarsi di te, di come lo facevi arrabbiare…di come lo facevi sentire. Credo che non se ne sia reso minimante conto, ma tu sei riuscita a smuovere finalmente qualcosa dentro di lui, a fargli provare nuovamente delle emozioni…e ci avevo visto giusto”
Gregor…
E davvero non so che dire, quelle parole arrivano dritte al mio cuore.
“Credo che all’inizio si fosse creata un’antipatia reciproca, probabilmente perché entrambi rappresentavamo per l’altro qualcosa di doloroso, qualcosa che ci sforzavamo di rimuovere”
Angela mi guarda con un’espressione che è un misto di stupore e ammirazione.
“Credo che tu abbia perfettamente ragione”
“Allora? Quando arriva questo dolce?” Gregor fa il suo ingresso spedito in cucina, facendo subito il giro intorno al bancone in direzione del dolce.
Alla vista del babà, la sua espressione da bambino goloso mi strappa un sorriso e mi riempie di soddisfazione.
“Sei arrivato giusto in tempo, aiutaci a portarlo a tavola!” gli ordina Angela, strizzandomi l’occhio grata.
Quando ci alziamo da tavola sono quasi le 5 del pomeriggio. Nel congedarci, Angela ci abbraccia uno per uno ringraziandoci per la giornata e facendoci promettere di non far passare troppo tempo per un nuovo pranzo tutti insieme.
Nel far ritorno a casa, Gregor riaccompagna fin sotto casa i nostri amici, prima di passare a casa a recuperare pigiama e tutto l’occorrente per trascorrere la notte da casa sua.
“Perché non salite? Ci prendiamo un altro ammazza caffè e magari stasera ci ordiniamo delle pizze al volo!” ci dice Paolo, prima di scendere dall’auto.
Spalanco gli occhi, mi viene la nausea al solo sentir parlare di cibo.
“Credo che se mangiassi ancora qualcosa scoppierò mangio!” sospiro, toccandomi la pancia gonfissima.
“Non sono più abituato ai pranzi domenicali della mamma” ridacchia Gregor, convenendo con me.
“Allora ci vediamo in questi giorni, prima della tua partenza!” mi stringe forte Cris, prima di scendere dall’auto insieme a Paolo.
Già, la mia partenza…
 
 
GREGOR
Mi era mancato trascorrere una tranquilla domenica in famiglia, ma come al solito mia madre ha esagerato con il pranzo. Sono contento di aver passato finalmente una giornata insieme a lei, come purtroppo non accadeva da parecchio a causa dei miei troppi impegni con il lavoro. Sentivo che con Lucia si sarebbe trovata bene, e credo anche di aver interrotto qualcosa in cucina e qualcosa mi dice che l’argomento ero io. Spero solo che la mamma non abbia detto qualcosa di troppo, Lucia sa di Vittoria, ma non voglio in alcun modo che questo condizioni il nostro rapporto. Vittoria fa parte di un passato che purtroppo non c’è più, invece Lucia la vedo nel mio futuro. Nonostante la nostra storia sia solo all’inizio e non so casa ci riservi il domani, nel mio futuro riesco a vederla e questo mi rende felice.
Dopo un piccolo segnale acustico, l’ascensore ci lascia davanti alla porta del mio appartamento. Con una mano stringo quella di Lucia mentre con l’altra tengo ben saldo il suo borsone che porto sulle spalle. Al mio fianco, lei è particolarmente stanca e taciturna, ci vorranno settimane per riprenderci fisicamente dal mondiale, ma fortunatamente abbiamo davanti un lungo mese di vacanza davanti.
Apro la porta e le cedo il passo, facendomi da parte.
“È permesso?” sussurra Lucia, timidamente.
“Avanti! – rispondo, riponendo le chiavi al solito posto – fa come se fosse a casa tua”
Cerco di metterla subito a suo agio, mostrandole la cucina, il piccolo salotto e il bagno prima di condurla nella camera da letto. È strano avere qualcuno qui, sono dieci anni che vivo da solo in questo appartamento e l’idea di dividere i miei spazi con Lucia mi rende felice e al contempo mi crea una strana sensazione all’altezza del basso ventre.
Lei si guarda intorno nella stanza per poi posare i suoi occhi nocciola su di me, regalandomi un timidissimo sorriso, che ricambio accarezzandole una guancia. Poi ripongo il borsone su una sedia e mi impongo di lasciarle i suoi spazi.
“Ti lascio sistemare…” le dico, posando le mie labbra fugacemente sulle sue per un rapido bacio.
“Gregor…”
Sentendomi chiamare mi fermo sulla soglia che stavo per oltrepassate e rimango colpito nel voltarmi e scorgere nei suoi occhi smarriti un’improvvisa titubanza.
“Dimmi…” la mia voce è un sussurro mentre i miei occhi si perdono nei suoi.
Lucia esita un po’, ma poi con piccoli passi colma la distanza che ci separa e mi raggiunge sul limine della porta.
 
“Ascolta, so che per non è facile lasciarti andare a certe cose, ma voglio che tu sappia che per me vale lo stesso – mi dice, senza riuscire a guardarmi negli occhi – quindi prendiamocela con calma…magari posso passare qui la serata e rimanere per la notte un’altra volta…”
E davvero rimango senza parole davanti alla sua innocenza, perché in questo momento non vorrei essere in nessun altro posto se non qui con lei. Prendo il suo viso fra le mani e la guardo fisso negli occhi, in modo da intercettare i suoi e non lasciare alcun dubbio su ciò che provo.
“Lucia, sto bene – le assicuro – non devi preoccuparti per me perché ti assicuro che continuerò a star bene solo finché con me starai bene anche tu”
Poso le mie labbra sulle sue e le spalanco, dando inizio a un lunghissimo bacio senza fine.
Lucia si avvinghia a me e mi intreccia le sue dita introno alla nuca, mentre le mie mani corrono impazienti lungo i suoi fianchi.
Non resisto più. Senza staccarmi un attimo dalla sua bocca, l’afferro con forza per i glutei e la sollevo con urgenza facendole scappare un gemito di sorpresa.
“Ti amo…ti amo Greg…” mormora fra un bacio e l’altro, frattanto che la conduco sul mio letto.
Distesa tra le coltri, sotto di me, Lucia mi guarda intimidita e impaziente al contempo. Mi tolgo la maglietta e i pantaloni, senza riuscire a staccare i miei occhi dai suoi neanche un attimo. Rimasto completamente nudo, aiuto anche lei a liberarsi di ogni indumento. Mi avvento nell’incavo del suo collo, esile e sottile, sui suoi seni piccoli e deliziosi, sulla sua pancia piatta e incavata, lasciandole innumerevoli umidi baci.
La sento tremare e questo non fa che aumentare la mia eccitazione ormai dolorosa.
“Ti amo anche io, Lucia” riesco solo ad articolare, prima di arrendermi completamente a lei.
 
Apro gli occhi e d’istinto allungo una mano verso l’altra parte del letto.
“Mhmm…”
Lucia sonnecchia ancora e mi sento in colpa per aver rischiato di svegliarla. Mi passo una mano sul viso assonnato e mi volto verso la sveglia sul comodino, che segna le 22:37. Dopo aver fatto l’amore siamo crollati entrambi, distrutti sia dal pranzo che dalle fatiche dell’ultimo mese.
Sguscio silenziosamente fuori dal letto e mi reco in cucina, colto da un grandissimo mal di testa. Succede spesso quando mi addormento fuori dai miei regolari orari, e dopo la particolare annata ci sta.
Mi verso dell’acqua in un bicchiere e la trangugio con avidità, con la speranza di riprendermi un po’.
Mi muovo adagio, cercando in tutti i modi di non svegliare Lucia, se almeno lei riuscisse a dormire fino a domattina sarebbe l’ideale e non rischierebbe di sfasarsi il sonno.
Mi porto dietro la bottiglia d’acqua fino in soggiorno, dove ho lasciato il PC prima della partenza. Lo apro per cercare di sistemare la posta in arrivo e trovo una miriade di email non lette provenienti da diverse Federazioni. Rimango senza parole nel leggere che molti club e molte nazionali richiedono un mio ingaggio offrendo cifre da capogiro. Tutto sommato questa avventura a Tokyo mi ha portato molta fortuna, nonostante i presupposti infausti.
“Non ci credo…” sospiro.
Non solo società maschili di tutto il mondo, ma anche quelle femminili mi vorrebbero nella loro panchina.
Nonostante ciò, non me la sento ancora di lasciare i miei ragazzi con cui solo due mesi fa ho vinto un argento ai mondiali del Brasile. Due anni fa abbiamo iniziato insieme un percorso ben preciso, che sento ancora non essersi concluso.
Noto solo alla fine un’email dalla Federazione Italiana, che per la verità mi ha già rinnovato il contratto per altre due stagioni. Questa volta si tratta di un ingaggio per la categoria femminile, non ci credo, vorrebbero che restassi ad allenare anche le ragazze?
Rimango imbambolato a fissare lo schermo, questa proprio non me l’aspettavo, finché dei passi non mi distolgono dal display.
“Hey….”
Lucia, a piedi nudi, mi raggiunge fino al divano.
Indossa una canotta rosa e un paio di short neri molto aderenti, si siede sulle mie gambe ed io la aiuto a sistemarsi, lasciandole un bacio sulle labbra.
“Hey…” le faccio da eco, cercando di tenere a bada l’eccitazione che fa di nuovo capolino per averla accanto a me.
Lei mi circonda con le sue braccia e guarda lo schermo, aggrottando la fronte.
“Sempre con la testa al lavoro, coach – protesta fintamente – siamo in vacanza!”
Le passo una mano fra le sue lunghissime ciocche bionde e mi stringo forte a lei, pretendendo di nuovo le sue labbra.
“Controllavo solo la posta, ed ecco…la Federazione vorrebbe che rimanessi ad allenarvi” le dico infine, mostrandole l’email.
Il suo sorriso pieno di entusiasmo quasi contagia anche me, mentre mi stringe con esultanza.
“Ma è una notizia bellissima, le ragazze saranno contentissime!”
“Hey – la blocco subito – non ho ancora accettato, e non so nemmeno se lo farò!”
In teoria ho ancora due settimane per decidere, il volley mercato terminerà a metà agosto.
In un solo attimo il sorriso le muore sulle labbra
“Come sarebbe? Non ti sei trovato bene con noi?”
“Ma certo che mi sono trovato bene”
“Ti offrono poco?” prova a dire.
“Non è questo – sospiro, leggendo solo adesso la somma – anzi, mi pagano decisamente meglio rispetto allo scorso anno, quando avevo solo la nazionale maschile”
“E allora qual è il problema?” mi chiede, con impazienza.
“Ho molte offerte e vorrei prendermi del tempo per valutarle bene tutte – considero, a mezza voce – anche perché con il fatto che adesso stiamo insieme, magari la soluzione migliore è tenere vita privata e lavorativa separate…per non portarci a casa il lavoro, non trovi?”
Lucia sembra scrutarmi e soppesare bene le mie parole.
“Così non va bene – mi dice, infine – dici sempre che la nostra relazione non deve condizionare il nostro lavoro ed è giusto, ma ammettilo! Se non stessimo insieme tu non avresti esitato ad accettare questo incarico!”
Sospiro profondamente e scrollo le spalle. Non posso negarlo, avrei accettato a occhi chiusi perché a livello logistico è decisamente più agevole lavorare in due squadre che fanno capo alla stessa società.
“Molto probabile, sì…”
“Lo vedi?”
Lucia si copre il viso con le mani, non so se più per stanchezza o esasperazione, ed io gliele prendo con forza fra le mie.
“E sia! – le sussurro – abbiamo lavorato bene insieme, nonostante il nostro inizio difficile! A patto che i nostri problemi di volley rimangono in campo e i nostri problemi di coppia rimangano a casa!”
Il suo viso si illumina di un sorriso piano di felicità e non posso fare a mano di abbracciarla.
Peste che non sei altro!
“Gregor…”
“Mhm…”
“Cosa fai quest’estate?”
Sorrido nel ricordare che il mio programma principale era andare alla Barbados con i miei amici, e adesso mi ritrovo nella mia casa a Milano a stringere l’amore della mia vita.
“Qualunque cosa decida di fare tu…” sospiro.
“Che ne dici di venire a Porto Sant’Elpidio da mia madre?”
“Dico che non vedo l’ora di conoscere tua madre – ridacchio – e complimentarmi con lei per  la santa pazienza che deve aver avuto con te…”
 
 
 
Ciao a tutti!
Siamo arrivati alla fine di questa storia che mi porto dietro ormai dal 2018, grazie a tutti per essere arrivati fin qui. Manca solo l’epilogo, ma non ci penso minimamente a lasciar andare così Gregor e Lucia. Ho cominciato a lavorare a un sequel che li vedrà ancora una volta protagonisti. Così come è avvenuto in questa storia, anche il sequel abbraccerà tematiche di genere altrettanto importanti nel mondo dello sport.
Un abbraccio grande,
Japan Lover

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Capitolo 22
*** Epilogo ***


EPILOGO
 

LUCIA
Distesa sulla sdraio in riva al mare mi godo l’ultimo giorno a Porto Sant’Elpidio, dove abbiamo trascorso le ultime tre settime.
Il tempo è davvero volato, anche stamattina Greg ha voluto scendere in spiaggia prestissimo. Da quando siamo qui il mio amato coach non si è nemmeno perso un giorno mare, non credevo lo amasse così tanto.
Con una mano sblocco il telefono per controllare se ci sono novità da parte Cris, ma ancora niente. Nel cielo il sole tocca ormai mezzogiorno, ma ancora nessuna traccia dei miei amici per strada e da Gregor che deve ancora tornare dall’ultima nuotata.
Calo sugli occhi gli occhiali da sole e volgo lo sguardo verso l’orizzonte, improvvisamente lo vedo in lontananza far ritorno verso la riva. Esce dall’acqua prendendo una lunga boccata d’aria, con i bicipiti ben pronunciati.  
Da quando siamo qui i suoi riccioli scuri si sono incredibilmente schiariti e i suoi occhi dal colore del mare in tempesta danno quasi sull’azzurro. Inoltre è diventato scuro molto più di me, nonostante io usi un sacco di creme abbronzanti. Sembra un dio di qualche culto pagano, con il suo fisico imponente e statuario. Può sembrare incredibile, ma solo in spiaggia ho potuto notare al meglio il suo fisico mozzafiato. Sarà che amiamo fare l’amore alla luce soffusa di una stanza, ma solo adesso riesco ad ammirare ogni singolo muscolo del suo corpo.
Con il fiato un po’ corto e grondante di acqua salmastra, viene a distendersi sul lettino qui accanto al mio.
“Cominciavo a credere ti fossi perso…” lo stuzzico.
“Sono arrivato oltre la scogliera lì in fondo – mormora, indicandomi un punto lontano – c’era un’altra spiaggia molto piccola”
“Sei arrivato fino all’altro comune, quella spiaggetta non è di Porto Sant’Elpidio – noto con stupore – asciugati, fra poco dobbiamo rientrare”
Vedo attraverso gli occhiali annuire, mentre si lascia baciare dai raggi del sole di agosto.
Lo lascio riposare e godersi gli ultimi istanti il più possibile, finché non è ora di rientrare. Recuperiamo borse e asciugamani e saliamo sul lungomare, una bellissima passeggiata di circa 4 chilometri con vista mare.
Sono felice che a Gregor sia piaciuto il posto, nonostante sia abituato trascorrere le vacanze con gli amici in spiagge esotiche e paradisiache.
Stringo la mano di Gregor e mi guardo intorno con già nel cuore un po’ di nostalgia, so che ci vorranno le prossime vacanze per farvi ritorno.
“Hai notizie di quei due?” mi domanda Greg.
“Ancora niente, eppure dovrebbero essere arrivati da un pezzo”
Arrivati davanti al cancelletto, tiro fuori le chiavi di casa ed apro il portoncino che cigola annunciando il nostro rientro da mare.
Mia madre ha già apparecchiato la tavola in giardino, e un delizioso profumino ci raggiunge facendoci venire l’acquolina in bocca.
“Oggi proprio non volevate tornare da mare, vero?” ridacchia, sistemando cinque sedie intorno alla tavola.
“È dura lasciare un posto così – sospira Greg con il sorriso – non so come faccia Lucia a trovare la forza ogni volta di tornare a Milano”
Mia madre e Gregor si adorano, non mi aspettavo che avrebbero legato così tanto fin da subito e questo mi riempie il cuore di gioia.
“Su, intanto andate a togliervi la salsedine di dosso – ci ordina il capo, prima di tornare in cucina a ultimare i preparativi per il pranzo – i vostri amici saranno qui da un momento all’altro”
“Se non si sono persi” brontola Greg, frattanto che ci dirigiamo dall’altra parte del giardino dove ci sta la doccia all’aperto.
Osservo Greg recuperare il telefono dalla borsa, mentre mi tolgo il copricostume e occupo per prima la doccia. Arriva un primo getto d’acqua fredda che mi raggela, prima di intiepidirsi al punto giusto.
“Che fine avete fatto?...Possibile che ti perdi ovunque?...Sì, allora ci siete quasi, vi aspettiamo”
Sapevo che doveva esserci stato un qualche contrattempo.
Mi insapono bene tutto il corpo e mi passo lo shampoo tra i capelli, godendomi la doccia bella calda. Anche quando ci sono quaranta gradi non riesco a farla fredda.
“Dove sono?” gli domando, lasciandogli il posto.
Mi avvolgo in una delle asciugamani pulite che ci ha lasciato mia madre e mi tampono i capelli per bene.
“Paolo ha sbagliato l’uscita dell’autostrada, ma tra dieci minuti dovrebbero essere qui se non si perde di nuovo”
Mentre Greg finisce di lavarsi, mi infilo la salopette pulite e mi sistemo i capelli ancora umidi nella solita coda di cavallo. Poi gli passo un asciugamano e lui mi guarda con uno strano sorriso.
“Che c’è?” rido di rimando.
Lui scrolla le spalle ma rimane in silenzio, tamponandosi anche i capelli. Poi mi circonda con le sue forti braccia e posa le sue labbra sulle mie.
“Sei bella…” esala soltanto.
Apro le labbra per assaggiare il suo sapore, che mi piacere da impazzire, finché il suono di un clacson non ci interrompe bruscamente.
“Sono loro, andate ad aprire!!”” sento vociare mia madre dalla cucina.
“Paolo ha una sua puntualità” ridacchia Gregor.
“Finisci di vestirti, vado io…” gli dico strizzandogli un occhio con un sorriso malizioso.
Abbandono Greg vicino alle docce in giardino e vado ad accogliere i miei amici.
Paolo ha parcheggiato proprio davanti casa, lo vedo uscire dalla macchina brontolando qualcosa all’indirizzo di Cristina.
“Mi hai fatto fare il viaggio della speranza!” replica lei.
“Guarda che anche tu pensavi che quella per Civitanova fosse l’uscita giusta”
“Hey!” li saluto divertita.
Cris lascia le borse al suo ragazzo e corre a stringermi in un lunghissimo abbraccio.
“Pensavamo ormai che non arrivaste più” ridacchio.
“Anche io ho cominciato a temerlo” confessa lei.
Paolo e Cris passeranno la notte qui e domani partiremo tutti insieme per le Barbados, dove trascorreremo l’ultima settimana di vacanza prima di tornare alla base, a Milano. L’idea è stata di Cristina e Gregor ha accolto l’idea con grande entusiasmo visto che aveva in programma di andarci a luglio e invece ha dovuto seguire noi in Giappone.
“Pff! Ogni volta è sempre colpa mia…” sbuffa, caricandosi una valigia e un borse sulle spalle.
Li accompagno dentro e ci viene incontro Gregor, bello come il sole, che prima abbraccia Cris e poi dà una stretta di mano e un abbraccio rapido al suo amico.
“Stai davvero in un gran bel posto – osserva Paolo, con un lungo fischio di apprezzamento – come fai a lasciare tutto questo per venire a Milano?”
Sorrido con un po’ di malinconia, al pensiero che questo è davvero l’ultimo giorno.
“Il dovere chiama” sdrammatizzo, incrociando lo sguardo di Greg.
Adesso ho un motivo in più per tornare con il sorriso a Milano.
“Ragazzi, il pranzo è pronto – ci richiama mia madre – benvenuti!”
Gregor carica sulle spalle i bagagli dei nostri ospiti per portarli di sopra, frattanto che Cris e Paolo vanno a salutare mia mia madre.
“Rientri soltanto per il dovere che ti chiama, eh…?”
Questa sua esternazione seppur scherzosa mi prende di sorpresa.
“Per il dovere… e per un coach incredibilmente testardo ma decisamente sexy!”
Mi sento arrossire, ma lascio che Greg cerchi ancora una volta le mie labbra, prima di staccarmi con riluttanza da lui.
“Sbrigati, ci aspettano a tavola” gli bisbiglio, fintamente contrariata.
A breve ci attende un anno impegnativo e pieno di novità, sia a livello sentimentale che a livello lavorativo. Gregor alla fine ha firmato il contratto biennale e sarà ufficialmente il coach nella nazionale sia maschile che femminile, e anche se prima di gennaio non sono previsti allenamenti o ritiri, dovremo imparare a gestire il nostro rapporto di coppia e quello lavorativo. A tenerli ben separati, come ama tanto ripetere il mio coach, ma lo amo così com’è, adorabile e petulante.
Sento però che andrà tutto bene, con lui accanto affronteremo tutto con la solita placida imperturbabilità che contraddistingue Greg.
 
 
Ciao a tutti!
Non posso credere che questa storia sia arrivata alla fine, mi sembra così strano. Eppure non è cambiato nulla, si è conclusa esattamente come l’avevo concepita all’inizio. In tutto ciò ho iniziato il sequel, che per comodità recherà lo stesso titolo “DALLA PARTE DI GREGOR 2”, così che chiunque abbia voglia può agevolmente ricercarlo.
Non so ancora quando concluderò il primo capitolo, ma sento che questa estate sarà molto produttiva.
Grazie ancora a tutti voi che mi seguite, spero riusciate a lasciarmi un feedback.
Un abbraccio grande,
Japan Lover

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