Steven e Irene

di Biblioteca
(/viewuser.php?uid=131284)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Parte 1 ***
Capitolo 2: *** Parte 2 ***
Capitolo 3: *** Parte 3 ***
Capitolo 4: *** Parte 4 ***



Capitolo 1
*** Parte 1 ***


Steven gettò il pallone per terra e si stese sul letto.
Si sentiva molto più grande in quel momento.
Si sentiva più adulto dei suoi genitori.
E sapeva anche perchè: Moreno e Enza facevano finta di appartenere a un mondo che non era il loro. E per questo stavano tutti e due male. Lui no. Lui non aveva fatto finta.
"Io sò un pischello."
Lo aveva sempre detto, anche a Irene, quella sera che si era 'abbioccato' con l'accappatoio dell'albergo su un tavolino.
"Io sò un pischello.."
Eppure in quel momento si sentiva adulto.
Perché lui, alla fine, era stato il solo ad integrarsi.
Sua madre se n'era andata dall'albergo. Suo padre 'ce stava a provà co la cicognona'.
Lui invece era riuscito ad offrire una granita a quella precisina occhialuta.. così carina.. E in fondo tanto simpatica.
"Mi fai impazzire quando fai 'Aò!'" lei gli aveva detto quella sera.
E avevano scherzato.
Una serata semplice.
Senza tutto quel lusso, senza lo squallore dei locali coatti.
Era stata una serata normale, semplice.
Lui, lei, la granita e la luna.
Ed era stato così bene..
 
*Il giorno dopo nel tardo pomeriggio*
 
"Steven! Steven!"
"Eh, che c'è? Aò, ma che te specchi ar plasma? Ma fatte portà 'no specchio no?"
"Sta a sentì, t'ha chiamato tu’ madre?"
"No."
"Ve siete intesi?"
"No."
"Allora questa è la serata buona che la chiami, la vai a trovare e la porti fuori a cena. Va bene?"
"Te 'ndo vai? A un funerale? Poi co sti sandali.."
"Sei troppo giovane per capì certa eleganza te." Disse Moreno alzando il piede e mostrando il sandalo infradito nero e borchiato.
"Vai a cena co la cicognona, eh?"
"Io sta sera sono stato invitato da due coppie di nuovi amici che ho conosciuto. Poi se lei ce sta non lo so."
"E dove ai conosciuto sti nuovi amici che stai sempre solo?"
Steven ascoltò ancora il padre che mentiva. Avrebbe voluto che fosse stato onesto almeno con lui.
Ma cosa poteva aspettarsi, in fondo?
Moreno tirò fuori 500 euro e li diede al figlio dandogli precise istruzioni su come spenderli.
"Tu sta sera vai là fai er figlio e tu madre fa la madre, non sempre io e solo io.." aveva detto.
Ma Steven aveva in mente un altro programma.
“Salutame la cicognona!”
Suo padre per poco non bestemmiò e uscì dalla stanza.
Steven si sedette sulla poltrona e cercò sul cellulare il numero di Irene.
“Pronto?”
“Irene, so io.”
“Oh… Ciao. Come stai?”
“Bene. Senti… Te volevo dì n’a cosa… A che ora stacchi sta sera?”
“Sta sera… Verso le diciannove.”
“Allora… Senti, possiamo incontrarci?”
“Ma certo! Vediamoci all’uscita del giardino.”
“D’accordo. Ah, senti, c’hai mica cinquecento euro da cambiare?”
“Cosa? Beh… io credo di sì.”
“Allora senti, passo nella hall e cambio. Poi quando ci vediamo ti spiego.”
“Ok, d’accordo. A dopo.”
“Ciao.”
Steven chiuse la chiamata e sorrise. Aveva in mente una splendida serata.

 
(la scena della discussione tra Moreno e Steven è un po’ modificata: la potete vedere qui https://www.youtube.com/watch?v=_QZJQTnxoE0.)

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Parte 2 ***


Cambiare i 500 euro non fu difficile. Irene li aveva preparati e alla reception in quel momento era sola. Eppure Steven provò ugualmente vergogna.
“Una cosa de mi padre, lasciamo perdere.” Aveva detto a bassa voce guardando verso il basso.
Era vero che aveva promesso di spiegare tutto, ma dopo aver visto suo padre nel parcheggio che faceva il baciamano alla ‘Cicognona’ per poi farla salire in macchina, la voglia di parlare (ancora) dei suoi genitori con Irene era passata definitivamente. No, loro quella sera dovevano stare FUORI.
“Se vedemo alle sette.” Mormorò prima di sgusciare via, giacchè il concierge occhialuto era tornato.
Irene sorrise intenerita.
“Va tutto bene? Ancora mance dai Vecchiarutti?” domandò l’uomo alla sua tirocinante, mentre si puliva gli occhiali.
“No. Steven voleva solo un’informazione.” Rispose distratta Irene.
“Steven?!”
“Volevo dire ‘il signorino’!” si corresse lei.
L’uomo le lanciò un’occhiata severa, poi sorrise: “Un lato bello della gioventù è che si può sempre cambiare. Quel ragazzo in fondo è solo il frutto dell’ambiente in cui è cresciuto. Ma non è detto che un giorno non metta la testa apposto.” E fece l’occhiolino alla giovane.
Da quando lavorava in albergo, Irene era diventata quasi la sua “protetta”. L’uomo conosceva i suoi problemi familiari e le aveva insegnato tutto il necessario per poter essere assunta, si sperava in un futuro non troppo lontano, a tempo indeterminato; spesso le dispensava anche consigli, con un pizzico di paternalismo a volte, ma mai con cattiveria.
Lui, come tutto lo staff, mal sopportava i Vecchiarutti. Ma verso Steven provava solo pena. Anche perché in fondo dava molto meno fastidio dei genitori.
Irene invece non sapeva bene cosa provare. Dopotutto, era passata dall’antipatia alla tenerezza in così poco tempo…
“Assicurati di essere tu a raddrizzare il ragazzo e non lui a storcere te.” Le disse i collega, sempre sorridendo, più tardi, quando la vide uscire e avviarsi verso il giardino.
“Come?” Fece Irene.
“Non fare la finta tonta. Ricordati tutto quello che ti ho detto sull’avere relazioni con i clienti!” aggiunse prima di sparire dentro gli uffici.
 
“Aoh, ma come te sei vestita? !  Sei elegantissima!”
Steven osservò ammirato Irene, dall’alto verso il basso e viceversa.
Pantaloni neri di buona stoffa e maglietta azzurra semplice a maniche corte. Ma accidenti se le stavano bene.
“È l’abitudine. Ormai non ho abbigliamenti ‘coatti’ nel mio guardaroba.” Scherzò lei “Però vedo che questa sera anche tu sei elegante…”
Steven infatti aveva preso quello che aveva di più “normale” tra i suoi vestiti. Jeans neri molto attillati, senza né strappi o decorazioni. Mentre la maglia era nera a maniche lunghe con la marca scritta sul davanti. Purtroppo aveva portato solo le scarpe da ginnastica, ma almeno erano nere anche quelle. Aveva pensato di portare gli occhiali da sole, ma si era reso conto che con il buio sarebbero stati un eccesso.
“Stai molto bene…” fece Steven arrossendo leggermente.
“Anche tu.”
“Ho chiamato un taxi, ma dove mangiare lo scegli tu.”
“Ma io ho già scelto la gelateria.”
“Me fido de te.”
Lei rise
“Va bene. Che ne dici di una pizza?”
“Fico! Vabbene!”
Arrivò il taxi e i due salirono sull’auto.
“Allora giovani, dove si va?” fece l’autista.
Irene intervenne subito dando nome e indirizzo, prima che l’autista potesse dire qualcosa.
“Conosci tutti li posti?” fece ammirato Steven.
“Certo. È il mio compito consigliare i clienti. E poi…” fece abbassando la voce e avvicinandosi a lui “…se non si è pronti e ci si lascia consigliare dai tassinari, si rischia di finire in posti strani spendendo tanto.”
Steven, mentre l’ascoltava, notò che quella sera si era messa un profumo molto buono. Migliore di quell’anonima “acqua di rose” che portava sempre in albergo e che aveva anche la sera in cui si erano presi assieme la granita.
Arrivarono presto al ristorante.
“Stasera offro io!” Fece Steven allungando i soldi al tassista, ma non gli lasciò alcuna mancia “Anche la cena!”
Irene sorrise.
La pizzeria che aveva scelto era davanti al mare. Cibo di qualità ma a prezzi non troppo alti.
Steven fissò incantato il panorama.
“Bello sto posto!” esclamò dopo qualche minuto di silenzio. Poi si girò verso di lei “Entramo?”
Le sorrideva e i suoi occhi brillavano di gioia sincera.
Lei ricambiò il sorriso.
“Entramo!” esclamò alzando il tono di voce.

 
(Il “concierge con gli occhiali” è un personaggio secondario senza nome del film che appare varie volte, spesso vicino a Irene e ho deciso di inserirlo in questa storia, approfondendo il rapporto tra i due. Li potete vedere insieme qui, proprio all’inizio dell’episodio https://www.youtube.com/watch?v=slaSxV3Kvvs )

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Parte 3 ***


Steven si comportò molto bene. Non alzò troppo la voce una volta dentro al ristorante, cercò di trattenersi con l’accento mentre parlava con i camerieri, chiese consigli a Irene su cosa ordinare.
Si stupì di non trovare i supplì nel menu degli antipasti.
“Sono una specialità romana, nemmeno a Torino li fanno.”
“Ma la pizza è specialità napoletana e la fanno ovunque! Pure in America e ci mettono sopra di tutto!”
Irene rise. Poi continuò: “Possiamo provare gli arancini, qui seguono la ricetta tradizionale, li fanno molto buoni. Però guai a dire che sono come i supplì.”
“E chi si sognava di dirlo?”
Anche sulle pizze Steven non sapeva come orientarsi e ne discusse insieme a Irene.
Alla fine optò per una pizza all’ortolana, preparata con verdure fresche e di stagione.
Si stupì quando la ragazza ordinò una quattro formaggi.
“A saperlo prima! È pure pè me la mia preferita!” esclamò Steven appena il cameriere se ne andò via.
“Preferita no, è che mi piace come la fanno qui.”
“Se te do un pezzo de la mia, che me la fai assaggià?”
La capacità di Steven di trattenere l’accento durò poco.
“Ma certo!” fece Irene sorridendo divertita.
Gli arancini arrivarono presto ed erano veramente buoni, tanto che Steven si lasciò sfuggire un mugolio di piacere. Ne ordinò altri due che furono portati insieme alla pizza.
Steven aveva molto appetito ma cercò di non abbuffarsi e di stare composto sulla sedia. Più volte tolse i gomiti dal tavolo, mormorando uno “scusa” anche a bocca piena.
La cosa non passò inosservata; Irene lo osservò sempre sorridente.
“Vedo che ti sono piaciuti molto gli arancini.”
“Sì. Molto.”
“Senti Steven… Scusa se te lo chiedo, ma da quando ti ho visto, non ho fatto altro che farmi questa domanda.”
Steven arrossì.
“Chiedi pure!”
“Perché non volevi più parlare con i tuoi genitori?”
Steven si bloccò; non era la domanda che si era aspettato.
La prima volta che erano usciti insieme, durante la granita, avevano parlato di un sacco di cose. Ma erano tutti argomenti leggeri, adatti a ragazzi della loro età: film, internet, avventure scolastiche… e avevano parlato di Roma, di Torino e di tutte le città dove Irene aveva lavorato.
I loro problemi invece non avevano trovato molto spazio.
Irene aveva accennato alla sua situazione familiare, ma non più di tanto. Steven non aveva insistito a chiedere ed era stato ben felice che allora lei non avesse chiesto nulla a lui.
Però, pensandoci bene, avrebbe dovuto aspettarsi prima o poi una domanda come quella. In fondo era stata la stessa domanda che tutti gli avevano fatto da quando aveva iniziato a prendere quell’atteggiamento verso i suoi genitori: lo avevano chiesto amici, compagni di scuola, professori, lo psicologo e ovviamente gli stessi Enza e Moreno.
Ma Steven non aveva mai fatto quella domanda a se stesso. Anche perché era convinto di sapere già la risposta.
“Non abbiamo niente da condividere. Tutto qua.” Le disse.
“Davvero tutto qua?” fece Irene un po’ sorpresa dopo un minuto di silenzio.
Steven non rispose subito. Finì prima il suo pezzo di pizza. Sapeva bene che non era tutto là.
“Sai” disse infine “una vorta annavo a scuola co quelli der borgo mio. Tutti pischelli come me, che però m’ammiravano. Dicevano sempre che mi padre era un grande per aver fatto li sordi. E io ero fiero di mi padre perché me sembrava un omo vero, che lavorava pe fa felici a me e a mamma. Ma poi i sordi so diventati tanti, veramente tanti e papà m’ha mannato ar privato, ar classico. M’ha detto: Ah Steven, devi studià, devi datti da fa. Proprio lui che manco l’ha finito er liceo. Io volevo sta co gli amici mia, volevo annà a fa l’arberghiero, comme a te.”
A sentire quelle parole, Irene arrossì un pò.
“Sai perché? Perché volevo viaggiare. Volevo annà in posti nuovi e magari lavoracce. Ma papà e mamma non erano d’accordo. Quando so annato a quella scuola, gli amici mia se so sentiti traditi. A scuola ero er poveraccio, in borgata ero lo snob. L’unico modo c’avevo pe mantenè i contatti era entrare in curva. Così ho studiato. Me so imparato a memoria tutto d’er carcio. E un giorno so annato dar capo di curva e ho detto che volevo annà co loro. Mi ha fatto delle domande, ho risposto bene a tutte. M’hanno preso. E finarmente ho trovato degli amici veri. Co mamma e papà parlà non serve. Non capiscono molto.”
Irene, che aveva ascoltato fissandolo in silenzio lentamente annuì: “Grazie per avermi risposto. Credo di aver capito.”
Ripresero a mangiare e per un po’ non dissero nulla.
“Nemmeno i miei volevano che facessi l’alberghiero.” Disse Irene.
“No?!”
“No. Volevano che facessi un liceo ‘normale’. Sai sono tutti e due laureati e io sono figlia unica. Sarei stata una specie di vergogna. Poi niente, mio padre ha perso il lavoro e così l’idea di avere un entrata in più in casa gli ha fatto piacere.”
“Ma come, gli mandi li sordi a casa?”
“Certo. Un quarto del mio stipendio è per loro.”
“Ma perché? So sordi tuoi!”
“Litigano, rompono, ma sono pur sempre i miei genitori. Mi hanno cresciuta e voluto bene; e a modo loro me ne vogliono ancora. Solo perché non mi trovo a mio agio ad averli vicino non vuol dire che non debba comunque aiutarli. Se ci pensi, ogni persona che è su questo mondo, da noi due ai calciatori, al cuoco che ha preparato gli arancini, tutti noi siamo qui perché qualcuno ci ha amato quando eravamo indifesi.”
Steven alzò per un momento gli occhi al cielo. “C’hai ragione” disse poi sorridendo.
Gli ritornò in mente di quando era bambino e andava con Enza e Moreno alla spiaggia libera di Ostia e tutti e tre insieme facevano il castello di sabbia. Momenti stupendi e semplici che non sarebbero tornati mai più.
“IRENE!”
Un urlo lo riportò alla realtà e lo fece sobbalzare dalla sedia. Anche Irene aveva lasciato cadere la forchetta e si era girata.
“Irene! Sono io Franco! Ti ricordi!?”
Steven rimase immobile: un ragazzo elegantemente vestito, con i capelli impomatati e biondi, della stessa età di Irene si era avvicinato con un sorriso raggiante al loro tavolo.
Steven non capì perché, ma si sentì all’improvviso allarmato.

 
(Ho voluto immaginare un passato per entrambi i personaggi, probabilmente diverso da quello immaginato da Verdone ma credo in linea con il loro carattere. In questo capitolo si accenna a un’uscita precedente dei due con tanto di granita. Purtroppo non ho trovato da nessuna parte la scena da sola (anche perché non sono presenti né Verdone né la Gerini) ma è un momento tenero tra questi due personaggi che però a me non bastava e mi ha spinto a scrivere questa fan fiction dedicata a loro. Ci stiamo comunque avvicinando al finale. Spero che nel prossimo capitolo riesca a mettere tutto il necessario per concludere questa storia)

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Parte 4 ***


“Ah Franco, ciao…” fece Irene alzandosi per abbracciarlo.
Ma era all’improvviso cambiata. Aveva uno strano sorrido imbarazzato. Non sembrava felice di vedere quel ragazzo.
“Cosa ci fai qui? Io sono in vacanza, credevo tu lavorassi!”
“Sì. Ma… Ho serata libera.”
Fu solo in quel momento che Franco e Steven si guardarono. Steven si alzò e tese una mano, gelido.
“Piacere, Steven.”
“Ah… Piacere…”
Steven superava Franco di quasi dieci centimetri. Dopo aver stretto la mano al ragazzo guardò verso Irene. Lei aveva l’espressione stranamente molto tesa.
“Sei… Sei il suo nuovo ragazzo?” domandò Franco.
Steven vide Irene tendersi all’improvviso. Non gli fece alcun segno di dire sì o no. Steven allora agì d’istinto.
“Mi piacerebbe molto. Anche per questo sono uscito con lei questa sera.” Disse serio e cercando di non cadere nel dialetto. Non ebbe però il coraggio di osservare la reazione di Irene.
“Ah! Ah ok… Beh… Ti auguro buona fortuna allora! Irene è piuttosto schizzinosa in fatto di ragazzi!”
“E allora?” domandò Steven senza scomporsi.
Franco incassò il colpo.
“Beh, buona cena allora. Ciao Irene, sentiamoci qualche volta, ok?”
“Sì, certo…”
Franco se ne andò. Era seduto in un tavolo molto più lontano insieme ad un gruppo di altri ragazzi, tutti della stessa età di Irene.
“Non guardarli.” Lo ammonì Irene.
“Perché? Non mi fanno mica paura!” fece Steven, anche se tornò a sedersi.
“Sì ma… Sono conoscenze che vorrei evitare…”
“In effetti si capiva che quel Franco non ti piaceva.”
Ci fu una pausa tra i due. La pizza ormai era quasi finita e Irene parve concentrarsi sugli ultimi pezzi rimasti.
Steven non fece domande. Capì che era capitato qualcosa che l’aveva molto disturbata.
“Sai…” fece all’improvviso Irene “Prima di andare all’alberghiero, io stavo al classico. Come te. Quelli laggiù sono i miei ex compagni di classe. Andai un anno solo. E mi bastò.”
“Non erano gentili con te?”
“Falsi. Tutti molto falsi. Ai loro occhi sono stata una ‘poveraccia’ ad andare all’alberghiero. Ma forse ero poveraccia già da prima. Quel Franco veniva a scuola con la porsche.”
“Ma che annavi ar privato come me?”
“Macchè, no. Ma era un liceo che vantava un certo tipo di alunni, questo sì.”
“Gente co li sordi eh?”
“Già…”
“Vabbhè nun ce pensà. Mo stiamo qui e stiamo tranquilli noi.”
Irene sorrise a Steven e arrossì leggermente.
“Senti… Stavo a pensà… e se poi annassimo ar mare? A fa quattro passi? A ostia ce sta er lungo mare luminoso, credo ci sia anche qui. Perché non c’annamo?”
“Sì, c’è un bel lungomare qui a Taormina. Dal ristorante possiamo raggiungerlo a piedi.”
“Bene.”
 
Steven lasciò la giusta mancia ai camerieri e offrì una granita da un camioncino di Street Food a Irene per dessert.
Il lungomare era bellissimo: lampioni luminosi, spiaggia ripulita dai rifiuti in modo impressionante.
Alla fine Steven si tolse le scarpe e camminò nella sabbia che al tatto gli risultò nettamente migliore di quella di Ostia.
“Ao! Ma ci credi che siamo qui da giorni e l’unico bagno che ho fatto è quello in piscina all’hotel tuo!? Quer giorno che ci siamo parlati, ricordi?”
“E come me lo scordo?” Tenendo le scarpe in mano, Irene lo aveva seguito “E immagino che tu ti ricordi ancora le mutande verdi…”
Steven arrossì.
“Sai… Io ce sto a pensà dalla granita. Ancora non t’ho chiesto scusa pe quella volta.”
“Lascia stare. Non sei il solo a cui è venuto in mente di tuffarsi negli anni in cui sono stata in servizio.”
“Ah no?”
“Figurati. Comunque è vero. Molti di quelli che vengono al nostro hotel, non vanno mai al mare.”
Camminarono in mezzo alla sabbia in silenzio per un po’.
“Senti Steven, posso chiederti una cosa?”
“Dimme.”
“Quello che hai detto a Franco, era vero?”
Steven arrossì moltissimo e per non farsi vedere si mise a fissare il mare.
“Sì, è vero.” Ammise “Tu mi piaci molto, ma… te stai qui, io sto a Roma, non può funziona… e poi tu ce l’hai già er fidanzato no? Però… armeno una cena.”
Steven si girò e vide che Irene lo fissava intensamente. Lui esitò.
Sapeva che Irene era diversa dalle altre ragazze che aveva frequentato, altrimenti lo avrebbe già baciato oppure schiaffeggiato. Invece, con lei, anche lui doveva muoversi. E con molta cautela.
Si avvicinò al suo viso e vedendo che lei non si allontanava, con delicatezza, le prese la mano. Lei allora chiuse gli occhi e si avvicinò ancora di più.
Lì, sotto la luna, i due giovani si scambiarono un tenero bacio.
 
Tornarono in albergo con il taxi. Lei salì in camera di lui solo per lavarsi i piedi dalla sabbia.
Ma poi si stesero sul letto e continuarono a baciarsi.
Non andarono oltre quell’atto però. Erano stanchi tutti e due e sentivano che per quella sera sarebbe bastato. Si addormentarono abbracciati.
 
Quando Moreno quella sera tornò in camera, sentì il bisogno di parlare con Steven. Sentiva che quell’esperienza avuta quella notte con Blanche, avrebbe dovuto trasmetterla anche a suo figlio.
Però, aprendo la porta della camera, vide Steven steso a letto e abbracciato a Irene.
Non ebbe cuore di svegliarli.
E pensò che forse sarebbe stato proprio suo figlio, il giorno dopo, a insegnargli qualcosa sulle donne.
 
FINE
 

(Cari lettori e lettrici, purtroppo molti dei filmati del film di Verdone sono stati tolti. Avrei voluto inserirli insieme agli altri per spiegare meglio tutti i riferimenti interni alla storia. In ogni caso, vi consiglio vivamente la visione di questo film. Grazie per aver letto fino a qui. Alla prossima!!!)

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=3729941