Due vite, lo stesso cielo

di stormwind19
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1 ***



Capitolo 1
*** prologo ***


Prologo

 
 
Kei è sempre stato fin da bambino considerato un tipo banale, uno di quelli che prova a fare amicizia con tutti, con un sorriso fintamente entusiasta sulle labbra e gli occhi sfuggenti ben nascosti dietro alle lenti degli occhiali. Non si è mai preoccupato di trovare argomenti, semplicemente gli piace ascoltare ciò che gli altri dicono per poi gettare lì qualche battuta ironica e irriverente. Si è crogiolato per una vita in questa condizione di comodo ma ora, all’età di quasi ventitré anni, il suo equilibrio è stato spezzato da qualcuno e Kei sente inspiegabilmente il desiderio di apparire diverso, non banale, ai suoi occhi. Pensa a tutto ciò mentre torna a casa, con le mani infossate dentro alle tasche della spessa giacca blu. Nonostante sia normale il freddo in questo periodo dell’anno  lui mal lo sopporta: non gli piace la rigidità sia nel clima che nelle persone.
Lo squillo del cellulare lo distrae dai suoi pensieri. Lo tira fuori dalla tasca e lancia un’occhiata rapida al nome che lampeggia sul display. Per una frazione di secondo passa il dito sopra alla cornetta rossa, deciso a rifiutare la chiamata, ma poi rinuncia all’idea di farlo ben sapendo che tanto sarebbe inutile.

“Mamma” esclama con un po’ troppa enfasi “Tutto bene?”

Una serie di rimproveri gli si riversa nelle orecchie come una pioggia incessante e martellante, il tutto accompagnato da rumori di sottofondo e voci concitate. Le sue sorelle più piccole stanno evidentemente dando fiato a tutte le loro riserve di energia litigando tra loro.
Kei sospira mentre sua madre continua a rimproverargli il fatto di non essersi più presentato a casa per mesi. E ciò che sta sentendo dimostra che ha fatto bene a tenersi lontano da quella gabbia rumorosa nel quale è rimasto per quasi vent’anni e da cui è scappato non appena ne ha avuto la possibilità. Non gli manca affatto quella casa e, anche a costo di sembrare egoista e insensibile, non gli manca neanche la sua famiglia. Ciò non vuol dire che non gli sia affezionato soltanto che il loro rapporto funziona meglio a distanza.

“Mamma, okey…” prova a dire cercando di tagliare corto “si… lo prometto, a fine mese torno a casa per un week end… saluta tutti ciao!”

Chiude la chiamata e si sente un po’ provato. Non ha il coraggio di dirle che, proprio a fine mese, il suo contratto di lavoro come commesso al Konbini terminerà lasciandolo nella melma. Non ha voglia di pensarci ora e, senza accorgersi, è anche arrivato a casa. Per ora riesce a pagarsi l’affitto in quell’appartamento in centro, niente di pretenzioso, un bilocale in stile tradizionale silenzioso e tranquillo. Si sveste e si butta sul divano letto, le braccia incrociate dietro alla testa e lo sguardo rivolto al soffitto colorato di verde. Non ha fame e, in ogni caso, la sua cena si ridurrebbe agli spaghetti istantanei di cui ormai ha quasi la nausea. Ancora una volta gli torna in mente quella persona, ci sta pensando troppo, quindi decide di alzarsi e cercare il suo taccuino. Sa di averlo lasciato da qualche parte ma non ricorda dove. Gli capita spesso di perdere le cose nel disordine che vige in quella casa, anche se Kei tiene sempre a precisare che non è lui ad essere incasinato ma gli oggetti che tendono ad avere una vita propria e a sparire lasciandolo a brancolare nel buio.
Uno dei mantra che suo padre continua a ripetergli anche ora che lui vive da solo è: ‘Figliolo, se continui con questo stile di vita non troverai mai una ragazza’.

Ma chi la vuole una ragazza, pensa il giovane commesso.

A Kei non manca solo il coraggio di parlare alla sua famiglia della sua situazione con il lavoro, c’è dell’altro che non ha mai detto né a loro né a nessun altro e da cui, lui stesso, fugge costantemente. Del resto non può dire di avere amici fidati a cui fare certe confessioni, solo tante conoscenze più o meno superficiali. Gli è anche passata la voglia di cercare il taccuino quindi apre il frigo, si prende una birra e si avvicina alla finestra.
Il cielo è privo di stelle, un cielo scuro come il suo animo, ma Kei sorride guardando se stesso riflesso nel vetro: un ragazzo come tanti, dagli occhi ambrati, lo sguardo vispo e furbo e le labbra piegate in un lieve ghigno. Nessuno la nota mai quell’ombra di inquietudine che invece gli offusca il volto, è diventato bravo a mascherarla, così bravo che anche a lui sembra di non scorgerla più.


 
***
 
 
Akihito si sistema sulle spalle la sua chitarra. Ha appena finito di esibirsi per un piccolo pubblico formato da un gruppo di ragazzini che se ne stavano a parlottare tra loro in pace. Sceglie sempre i luoghi più frequentati, le vie più affollate, gli angoli in cui sa di riuscire a catturare l’attenzione dei passanti, in modo che la sua musica riesca a raggiungere le loro orecchie e che tocchi le corde dei loro cuori. Non è che una mera aspettativa perché non sempre le cose gli vanno bene. Ci sono giorni in cui chi si ferma ad ascoltarlo si prodiga nel lasciargli complimenti lusinghieri e laute mance nel fodero aperto della chitarra, mentre in altri tutto ciò che ottiene sono degli sguardi interrogativi, scettici e un’alzata di spalle. Come nel caso dei ragazzini che, seppur rimasti incantati nel sentirlo suonare, se ne sono andati senza una parola ma qualche risatina di compatimento. Non può dargli torto, al posto loro anche lui penserebbe di trovarsi di fronte ad un vagabondo che cerca di spillare qualche soldo alla gente.
La realtà però è diversa.
Akihito ha ventiquattro anni, una casa in cui fare ritorno alla sera, una madre affettuosa e amorevole, quando non cade in uno dei suoi periodi bui, e una sorellina a cui dedica tutto se stesso. Lei è una delle ragioni per cui si trova ogni giorno a suonare per strada, per guadagnare qualche soldo extra che gli permette di farle di tanto in tanto qualche regalo. Hana non chiede mai nulla, ma ogni tanto come ogni ragazzina adolescente lascia sfogare la sua frustrazione nel non poter avere ciò che tutte le sue compagne di scuola invece possiedono. Non sono poveri, sua madre ha un buon lavoro che gli permette di non far mai mancare niente di essenziale, tutto sarebbe perfetto se non fosse per quei bastardi vestiti in nero.
Akihito non sa chi sono e che rapporti abbiano con la sua famiglia, tutto ciò che ha visto negli ultimi cinque anni è che vengono quando vogliono, entrano in casa, si prendono parte dei soldi e lo guardano con superiorità e sorrisi maligni in volto.
Ha provato più volte a ribellarsi, quando vede sua madre chinare il capo di fronte a loro o sua sorella piangere per la paura, ma non ha ottenuto altro che parole dure come schiaffi. Lo ha domandato a sua madre, ha chiesto il perché, ma lei risponde soltanto ‘Tranquillo Aki, non c’è bisogno di scomodare la polizia, fidati di me’. E lui nella polizia ci vuole entrare, ama la musica ma ciò che vuole fare nella vita è dare la caccia ai delinquenti, proprio come gli uomini in nero che stanno distruggendo la sua famiglia ogni giorno di più. Ma non sono solo i nobili pensieri a spingerlo in quella direzione. Ha sufficiente intelligenza per capire che non può farsi giustizia da solo, non ha la forza e la tempra necessari, ma con il potere che la polizia potrebbe dargli allora riuscirebbe ad agire dall’interno, con tutte le carte in regola per compiere la sua vendetta personale.
Ma la strada che ha scelto di percorrere non è così semplice.
Akihito è un Kemo, un mutaforma, non un umano qualunque.
Anche se non sa gestire la sua forma animale, non ha nemmeno idea di quale essa sia, sa di essere ‘diverso’ e che la sua diversità può essere un problema. Ci sono altri come lui in città, altri più consapevoli di ciò che sono. Ne ha conosciuti alcuni, hanno creato una loro comunità in una radura di periferia e lo hanno invitato ad unirsi a loro ma a lui non va di lasciare la sua famiglia, non per il momento. Anche con questa sua natura sa di dover fare i conti prima o poi, perché tutto nella vita va affrontato, scappare non serve a niente. Eppure lui continua a farlo, scappa di fronte a quella realtà che un po’ lo spaventa e si nasconde dietro ad una falsa esistenza da essere umano. Una vita fasulla che può trovare il suo riscatto nella vendetta, l’unica motivazione che lo spinge proprio adesso a presentarsi di fronte alla stazione di polizia, esitare un istante guardando il cielo scuro, e poi entrare. Quello è soltanto il primo passo, il primo di un lungo percorso che sa di dover intraprendere.
 
 

 
 
 
Note:
I protagonisti di questa storia sono OC creati da me per una Land di roleplay in fase di avvio, spero quindi di essere riuscita ad innescare un po’ di curiosità nei loro confronti e del mondo nel quale vivono. In caso foste interessati ad unirvi dato che stiamo cercando alpha testers con cui formare un bel gruppo di partenza, non esitate a contattarmi. Grazie per aver letto

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Capitolo 2
*** Capitolo 1 ***


Il tempo è cambiato.
Le temperature rigide ora sono diventate più miti, il gelo dell’inverno ha lasciato il posto alla tiepida aria primaverile.
Anche per Kei il tempo è cambiato.
La rigidità che, fin dall’infanzia, è stato costretto a subire ora si è fatta più leggera e sopportabile, i dubbi hanno lasciato lo spazio alle risposte.
Con lo sguardo sollevato verso l’alto palazzo dal quale è appena uscito, sorride tra sé con l’animo appagato.
La sede del Miraishi News non gli è mai parsa così imponente e maestosa come in quel momento. Dentro a quegli uffici la vita è frenetica ma, soltanto qualche attimo prima, nel ritrovarsi tra la gente che li popola ciò che ha provato è una sensazione di benessere che da tempo non sentiva.
Tra le mani stringe una cartellina blu, recuperata non sa nemmeno lui come in un cassetto della scrivania e  sepolta sotto uno strato di carta straccia che non si era neanche preso la briga di buttare nel cestino dell’immondizia.
Lì dentro sono racchiuse le uniche certezze per una vita diversa.
Il telefono squilla e va immediatamente a scorrere con il dito sullo schermo e leggere il breve messaggio che gli è arrivato.
Non risponde e torna ad infilarsi il cellulare nella tasca dei jeans.
Un ultimo rapido sguardo all’edificio alle sue spalle e poi si incammina lungo le strade di quella città strana che ancora sente di non conoscere a fondo, nonostante ci viva da un paio d’anni ormai.
Del resto, pensa Kei, non si conosce mai veramente niente e nessuno.

Miraishi sembra essersi tinta di rosa.
Ogni angolo, anche nei sobborghi di periferia, è addobbato con decorazioni floreali di quel colore.
La primavera in Giappone è sempre motivo di festa, un simbolo di rinascita, e se ne sente coinvolto in quel periodo particolare della sua vita.
Scuote la testa pensieroso e continua a sorridere mentre il passo si fa più rapido mano a mano che si avvicina alla sua meta.
Il suo turno serale al Konbini sta per iniziare ma, d’un tratto, anche quella prospettiva non gli sembra poi così noiosa e banale tanto, lo sa, quelli saranno gli ultimi giorni in cui dovrà preoccuparsi di badare ai clienti, di riempire scaffali e tenere pulito lo stanzino sul retro.
Magari, prima o poi, finirà anche per rimpiangere ciò che si sta per lasciare alle spalle ma ora non vede l’ora di poter cambiare.

Giunto di fronte alla porta d’ingresso si blocca, lì accanto imbambolato di fronte alla vetrina un ragazzo sta fissando chissà cosa.
Ad attirare la sua attenzione non è il tipo in sé, piuttosto nella norma, ma il suo sguardo che sembra perso nel vuoto più che intento a scegliere qualche prodotto esposto in promozione.
Ha tutta l’aria di essere assorto nei suoi pensieri e ciò non fa che stimolare la sua curiosità e, soprattutto, la sua innata indole nel prendersi gioco delle persone.
Piega dunque la testa da un lato e muove qualche passo nella sua direzione. Ridacchia divertito perché il giovane non si accorge minimamente di lui.

“Trovato qualcosa di interessante?” domanda e solo in quel momento il tizio pare riscuotersi da quello stato di trance.

Volta lo sguardo su di lui con un’espressione confusa e stupita.

“Dici… a me?” chiede a sua volta, titubante, guardandosi attorno e cercando di capire se la domanda sia stata rivolta proprio a lui.

Poi, forse persuaso, solleva gli occhi e lo fissa.
Kei resta interdetto per qualche istante, indugia di fronte a quello sguardo. Il tipo ha gli occhi azzurri e ciò per chiunque può essere un particolare irrilevante ma non per lui. Subito un pensiero prende forma nella sua mente, il pensiero di un qualcuno che va vigorosamente a scacciare per evitare di perdersi in ricordi inopportuni in quel momento.
Uno sguardo, quello che lo sta osservando, che gli risulta tanto intimo quanto importuno.
Kei torna subito in sé. Non è la prima volta che gli capita di vedere ciò che lui vuole vedere e non ciò che realmente è.
L’ultima volta che ha avuto questo genere di ‘visione’ è stata molto meno piacevole di quella che ha in questo istante.
I suoi fantasmi non smettono mai di inseguirlo.
Non riesce ad impedirsi di sorridere però, nonostante abbia già preso una sua decisione a riguardo.

“Sono un commesso del negozio” spiega, indicando con il dito la porta del Konbini “Se ti serve qualcosa vieni dentro” lo invita con fare accomodante.
Tutto gli si può dire ma non che faccia male il suo lavoro.
Il suo capo gli ha insegnato mille modi per abbindolare i clienti che gironzolano nei dintorni e ormai si ritiene un vero esperto in questo.
Il ragazzo lo guarda in silenzio per un po’, perplesso, poi torna a spostare gli occhi sulla vetrina.

“No” risponde con semplicità e noncuranza “non mi serve niente”.

Kei scrolla le spalle con un pizzico di delusione che non gli riesce di nascondere.

“Va bene” rinuncia infine, ora non più particolarmente stimolato “nel caso cambiassi idea…”

Lascia la frase a metà convinto che il tizio non lo stia neanche più ascoltando e gli volta le spalle.

“Magari un’altra volta”

Kei si sposta nuovamente con lo sguardo sul ragazzo nell’udire quelle parole.
L’espressione  sul volto dell’altro è incolore, indecifrabile.

Non sa cosa ribattere a quel punto, non sa come interpretare quel commento.

Il tizio affonda le mani nelle tasche della felpa blu che indossa e se ne va, dopo avergli lanciato un’ultima occhiata vaga.

Lo lascia lì così, disorientato, per una manciata di secondi poi le sue labbra si piegano in un sorriso.
Kei sa che non ci sarà ‘un’altra volta’, non per lui. Se mai quel ragazzo dovesse tornare al Konbini ,un giorno o l’altro, non troverà più lui ad accoglierlo ma qualche giovane apprendista che avrà già occupato il posto lasciato libero.
Scuote il capo con un po’ di amarezza ripensando a quante altre cose ha deciso in quegli ultimi giorni e che non avranno alcuna ‘altra volta’.
Sfila il telefono dalla tasca, ora pronto per rispondere a quel messaggio ricevuto poco prima ma non lo fa, digita invece un numero sulla tastiera perché preferisce dirlo a voce. Lascia suonare a vuoto, nessuno risponde se non la segreteria che parte dopo un po’.
Kei tira un profondo sospiro prima di parlare.

“Papà… sono io”

Un attimo di esitazione e un altro lungo sospiro mentre cerca di far sembrare il tono della sua voce sicuro e deciso.

“Hai vinto… non ci sarà una prossima volta, non illuderti però… non lo faccio perché me lo hai ordinato tu ma perché io penso sia la cosa più giusta per me”.

Non aggiunge altro e chiude la chiamata.

Una persona, un giorno, gli ha detto di aver fame di vivere e anche Kei per un po’ ha pensato di poter lui stesso allungare le mani, raccogliere e sfamarsi a sua volta di quella vita.
Ma non è così semplice come sembra e tutto ciò che può fare, ora come ora, è solo arrendersi.

Con quei pensieri in testa apre la porta del negozio.
Non ha nemmeno il tempo di entrare che sei paia di occhi si sollevano su di lui e lo guardano con curiosità e in attesa di un responso.
Resta in silenzio per qualche attimo, per creare l’enfasi perfetta e recitare la sua ultima scena.
Drizza il busto impettito e sorride impertinente.

“Guardatemi bene ragazzi” ordina loro “perché da domani non sarò più qui con voi, ho appena firmato la mia assunzione”. Lo dice sollevando a mezz’aria la cartellina che ancora tiene stretta tra le mani.

Dopo, è tutto una serie di pacche sulle spalle, qualche abbraccio amichevole e congratulazioni festose.
Ora è pronto per iniziare il suo ultimo giorno come commesso al Konbini per poi, il giorno seguente, trasformarsi in giornalista d’assalto.

Una vittoria che si è sudato da solo, una piccola conquista per un domani migliore.
 
***
 
 
Si trova a Miraishi per la prima volta. Non ci è mai stato e, probabilmente, non avrebbe mai nemmeno pensato di trovarsi a camminare attraverso le sue strade se non fosse per l’audizione a cui deve partecipare. Vi è arrivato soltanto quel mattino, in treno, ed ha subito occupato la stanza d’hotel che gli è stata prenotata dagli organizzatori dell’evento. Ancora non si spiega come abbiano scelto proprio lui, insieme a chissà quanti altri bravi musicisti, per tentare la fortuna.
Il cacciatore di talenti nascosto tra il gruppetto di persone che, di solito, riesce a raccattare negli angoli di Narita gli ha semplicemente messo una mano sulla spalla dicendogli “ragazzo, c’è del potenziale in te” per poi infilargli tra le dita un biglietto da visita malandato e dirgli di chiamarlo la sera stessa.
Il risultato, nonostante le perplessità ed i dubbi, è quello di trovarsi lì ora con l’adrenalina che inizia a salire mano a mano che il tempo passa.
Akihito si è rintanato in camera per qualche ora, ha consumato il pranzo che si è portato dietro da casa e preparato da sua sorella, poi si è steso sul letto cercando di riposare in vista della serata. Ovviamente non è riuscito a farlo. Si è alzato e ha pensato di uscire a fare un giro per smorzare la tensione.
Suona la chitarra da quando è soltanto un ragazzino ma non ha mai pensato di poter intraprendere seriamente quella strada.
Ha fallito il tentativo di entrare in polizia, non ha superato le prove di ammissione, ed ora passa le giornate a leccarsi le ferite scrivendo canzoni che non lo soddisfano più di tanto.
Ma non ha alcuna intenzione di darsi per vinto. Arrendersi sarebbe come consegnare le chiavi della sua vita a qualcuno pronto a schiacciarla e non vuole concedere a nessuno questa soddisfazione.

Cammina ormai da un paio d’ore, con le mani affondate nelle tasche della felpa che indossa, e gli occhi spenti che quasi neanche vedono ciò che gli sta attorno. La chitarra, che di solito porta sulle spalle, l’ha lasciata nella camera d’hotel come a darle modo di riposare prima del duro lavoro che sarà chiamata a fare.

La chitarra è stata la sua prima amica e sarà sempre la migliore che mai avrà.

Solleva lo sguardo sulla vetrina di un negozio, è quasi sera ormai, e il momento di salire sul palco si avvicina.
Prende a fissare la sua immagine riflessa nel vetro.
Occhi azzurri, capelli corvini appiattiti sul volto, espressione assente.

Non si considera malaccio d’aspetto ma sa che quello non sarà sufficiente quando si troverà a suonare di fronte alla gente.
Dentro di sé si fa strada la solita voce, quella che compare maligna ogni volta che un dubbio lo assale.

Aki la smetti di farti ‘ste paranoie? Ti tremano le gambe per l’ansia? Se fai così preparati ad una pessima figura stasera.

Akihito imbroncia il volto e aggrotta la fronte mandando a quel paese quel fastidioso borbottio che gli ronza nelle orecchie, come una zanzara.
Forse è a causa di questo che la voce, reale, che gli sta parlando la sente appena, in maniera vaga e distante.

“…qualcosa che ti interessa?”

Solo allora si riscuote e, perplesso, si volta.

Il ragazzo che ha di fronte ha la testa lievemente inclinata su di un lato e gli sta sorridendo in modo cortese.
Lo studia per un momento, senza comprendere bene ciò che sta accadendo.
Ha capelli castani, medio lunghi  e disordinati in testa, tiene una cartellina tra le mani e non ha la più pallida idea di cosa voglia da lui.

“Dici…a me?” chiede per sicurezza, indicandosi con un dito.

Il sorriso sulle labbra del ragazzo si piega in un quello che ad Akihito sembra più un sogghigno.
Gli spiega che è il commesso del Konbini e lo invita ad entrare se ha bisogno.
In realtà lui non ha bisogno proprio di niente, nemmeno ci ha pensato di poter dare l’impressione di essere in cerca di qualcosa.
Si stava solo specchiando e basta.

Risponde e rifiuta, in maniera educata, tornando a guardare la propria immagine riflessa nel vetro.
Un’occhiata obliqua verso il tizio che ora appare vagamente deluso.

“Magari un’altra volta” esclama poi all’improvviso.
Non sa perché lo ha detto,  gli è sembrato di scorgere negli occhi dell’altro ragazzo la stessa identica scintilla di fallimento che capita di vedere su se stesso ogni volta che qualcosa va storto.
Gli lancia uno sguardo anonimo, poi torna ad infilarsi le mani nelle tasche della felpa e se ne va.

Inizia a sentire il vuoto che la chitarra di solito riempie sulle sue spalle. Ha le mani sudate e l’adrenalina continua a salire anche se, in apparenza, mantiene lo stesso contegno indifferente e annoiato di sempre.

Aki è quasi ora… sei pronto? Ricordati… autocontrollo… respira e…

“Taci” zittisce nervosamente, e a voce un po’ troppo alta, la fastidiosa coscienza che torna a predicare e a dare consigli non richiesti.

Akihito non sa cosa gli riserverà la serata, e nemmeno il futuro, ma se quell’audizione dovesse andare bene qualcosa inevitabilmente cambierà.

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