The Herald from Tevinter

di EliaS_Eliana
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** PROLOGO ***
Capitolo 2: *** CASSANDRA ***
Capitolo 3: *** VISENYA ***



Capitolo 1
*** PROLOGO ***


Fu come svegliarsi dalla realtà per vivere in un sogno. Ma il luogo in cui si trovava era reale, anche se era una realtà totalmente estranea, diversa da quella che conosceva.

Non aveva idea di dove si trovasse. Si guardò intorno per cercare un segno che potesse esserle d’aiuto per orientarsi. L’aria era calda e densa, pesante. Si ritrovava immersa in una sorta di nebbia impenetrabile alla vista. Si accorse in seguito che si trattava di cenere.

Si incamminò lungo quello che sembrava un sentiero, lasciandosi guidare dall’istinto e vincendo la terribile stanchezza che la pervadeva. Non seppe dire quanto tempo passò prima che si ritrovasse davanti una strana altura. Sembrava una scalinata che portava al cielo, qualcosa di soprannaturale. Enormi cristalli verdi spuntavano dal terreno, emanando un’energia indefinita. Si rese conto di essere pervasa da un senso di inquietudine che non le apparteneva. Fu in quel momento che la vide. Una luce così intensa da essere visibile persino in mezzo al fumo oscuro nel quale si trovava, in cima alla scalinata. Sentiva che doveva raggiungerla e iniziò la scalata verso di essa.

Si bloccò a metà. Quel senso di inquietudine non sembrava averla abbandonata, ma al contrario era aumentato. Provò la terribile sensazione di essere osservata, ma non c’era nessuno lì intorno che potesse guardarla. Rimase immobile ad ascoltare, fidandosi di più del suo udito che della sua vista. C’era qualcosa, ne era sicura, ed era sempre più vicino. Scrutò attentamente il vuoto sotto si sé, in cerca di qualunque segno di movimento.

Risaliva verso di lei una strana oscurità, come una massa ombrosa che inghiottiva qualunque luce incontrasse. Il nero più profondo, oscuro ed invitante. Rimase immobile a osservarlo, con i muscoli contratti dal terrore; aveva paura, ma al contempo provava l’assurdo desiderio di immergervisi e di lasciarsi avvolgere da quell’oscurità. Un desiderio terrificante, che la spaventava più dell’oscurità stessa. Delle ombre sembrarono uscire da quel nulla, simili a degli arti che le porgevano le mani. Sembrava quasi che l’avessero raggiunta quando una sfera infuocata le fece diradare. Proveniva dalla luce che aveva visto in cima alle scale e che la risvegliò bruscamente dal quel torpore. Le tenebre si dispersero per un momento, come capita con le ombre che svaniscono sotto il Sole di mezzogiorno. La donna iniziò a correre su per i gradini, mentre altre sfere di fuoco la proteggevano dalle ombre che la seguivano incalzandola. La vide davanti a sé, come una delle fate che popolavano i racconti che la sua nutrice le raccontava quando era bambina. Una fata infuocata che le tendeva la mano. Allungò la propria per afferrarla, la mano sinistra.

 

L’istante dopo cadde esausta in mezzo a delle rovine fumanti. Non avrebbe conservato alcuna memoria di quei momenti.

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Capitolo 2
*** CASSANDRA ***


Il viaggio di ritorno da Kirkwall si rivelò essere più lungo del previsto e decisamente più infruttuoso di quanto Cassandra avesse in mente. Si era recata nei Liberi Confini alla ricerca della Campionessa di Kirkwall per convincerla a tornare con lei nel Ferelden e aiutarli a governare nel caos dilagante nel Thedas Meridionale. Le sue speranze erano state vane: aveva trovato una città in preda al caos e invece della Campionessa tornava indietro con un nano e un templare.
Nessuna notizia nemmeno da Leliana, in viaggio verso Antiva dove per l’ultima volta era stata avvistata Verne Cousland, che dopo aver sconfitto l’ultimo Flagello entrò a far parte dei Corvi di Antiva, seguendo la strada del suo compagno, Zevran. Anche dell’Eroina del Ferelden nessuna traccia. La Divina Justinia stava per ricevere notizie molto amare dalle sue due figlie predilette, forse per la prima volta da quando Cassandra ne aveva memoria. Lei e Leliana non avevano mai fallito nel servire la sovrana del Trono Raggiante da quando si trovavano al suo servizio, ma proprio nel momento più importante entrambe facevano ritorno da lei con nient’altro se non un fallimento.
Non aveva idea che non ci sarebbe stato nessuno a cui fare ritorno.
 
Gli uomini che si recarono al Tempio in soccorso trovarono un solo superstite, una donna. Riferirono che la videro uscire con le proprie gambe dal Tempio ancora in fiamme; dietro di lei una figura femminile, avvolta da una verde luce accecante. Una visione che non aveva niente di reale. Molte furono le ipotesi sulla misteriosa figura che accompagnò la donna fuori dal Tempio, ma si iniziò a diffondere la credenza che si trattasse di Andraste. La donna era uscita dal Tempio, ma non proveniva dal suo interno. Lo spirito verde scomparve, seguito da una sorda esplosione accecante. La donna veniva dall’Oblio.
 
La donna che salvarono al Tempio delle Sacre Ceneri si scoprì essere Visenya Rhaenirys della Casata dei Figli del Sole Anarieli di Qarinus, del circolo di Vyrantium, una maga del Tevinter. Lunghi capelli corvini, alta e slanciata, dal fisico snello e atletico, ma elegante. Occhi di un verde così intenso che sembravano aver catturato il colore delle foreste, che brillavano persino nell’oscurità della prigione. La pelle diafana rifletteva la luce delle torce, una rarità nelle terre del Nord, che indicavano il suo nobile lignaggio e la purezza del suo sangue. Una bellezza austera e terribile che rifletteva la sua indole. Era come osservare il ghiaccio di un lago in un tramonto di inverno. Bellissimo e intangibile. Placido e tranquillo all’apparenza, ma con un turbine che si agitava sotto la superficie, all’apparenza sopito, tanto grande e potente da poter smuovere le montagne.
Cassandra provava un’inspiegabile attrazione per quella donna, qualcosa che la faceva dubitare della sua colpevolezza, ma non avevano altri sospettati se non lei.
Le girava intorno, incapace di guardarla negli occhi: temeva che quello sguardo di acciaio, più incandescente dello stesso Sole, riuscisse a guardare dritto nel profondo dentro di lei e a trovare i segreti sepolti nelle più remote profondità del suo animo. Oltre a ciò, provava una pericolosa fiducia nei confronti della loro prigioniera e temeva che confrontandosi con lei in modo diretto avrebbe finito per mentire a sé stessa se avesse continuato a pensare di ritenerla colpevole, ma al momento non aveva altra scelta. Si sforzò di essere la solita Cassandra, dura e inflessibile, ma questa volta forse ciò non sarebbe stato sufficiente.
 
“Dimmi perché non dovremmo ucciderti subito. Il conclave è stato spazzato via. Tutti i partecipati sono morti. Tranne te”.
La prigioniera restò in silenzio, il suo sguardo fisso su quello di Cassandra si indurì. Non era uno sguardo di sfida, ma era come se fosse rimasta offesa dalla domanda.
Cassandra proseguì. Se anche non fosse stata lei la responsabile comunque avrebbe dovuto sapere qualcosa. La cicatrice che portava sulla mano provava che non era certo rimasta estranea agli eventi
“Spiegami questo”. Chiese afferrando la prigioniera per il polso.
La mano sinistra della prigioniera recava una fresca cicatrice sul palmo interno: la natura della cicatrice non era dovuta a nessun’arma di questo mondo; se la si osservava da vicino sembrava uno squarcio che al suo interno aveva catturato una strana e intensa luce verde. Era pura energia.
Visenya si guardò la mano e anche se non era così era come se avesse viso il marchio su di essa per la prima volta: “Non credo di potere”.
“Cosa significa che non puoi?”. La pazienza di Cassandra era arrivata al limite: lei e Leliana avevano fallito nel loro compito, il Sacro Concilio era stato fatto saltare in aria e con esso tutti i più importanti dignitari del Thedas Meridionale, inclusa la Divina… non aveva neanche avuto l’occasione di congedarsi da lei un’ultima volta… e ora il mondo era pervaso dal caos e lei non aveva certo tempo da perdere in inutili interrogatori. “Stai mentendo!”. Afferrò Visenya e la scosse con forza. Fu subito fermata da Leliana, fino a quel momento rimasta in silenzio nell’ombra. “Lei ci serve Cassandra!”.
Cassandra lasciò andare la prigioniera, che non sembrò particolarmente sconvolta dall’avvenimento.
Leliana si rivolse a Visenya con un atteggiamento quasi materno, il quale instillò nuovi dubbi in Cassandra sulla colpevolezza della loro prigioniera. Leliana non era certo famosa per essere una donna misericordiosa… “Cominciamo dal principio. E’ vero che sei il nostro unico sospettato, ma ci sono elementi che ci fanno dubitare della tua colpevolezza. Se ci aiuterai a capire per te ci sarà una possibilità. Ricordi cosa è accaduto? Come tutto ha avuto inizio?”.
Visenya inspirò, sostenendo senza problemi lo sguardo di Leliana. “Non cercate di addolcirmi la cosa. Di qualunque cosa mi sospettiate è evidente che sia parecchio grave. Non ho bisogno né di essere protetta né di essere intimidita. Sono solita affrontare le conseguenze di ogni mia azione, ma non ho idea di cosa stiate parlando. Davvero non posso spiegare questo” disse accennando alla mano marchiata “né altre cose.  E’ come se mancasse qualcosa nella mia testa, non so cosa sia accaduto”. Vagò con lo sguardo attraverso la prigione nella quale si trovavano. Per la prima volta sembrava essere confusa, smarrita. Ricordare le costava parecchia fatica. “L’ultima cosa che riesco a ricordare chiaramente è il Tempio. Mi trovavo davanti alla statua di Andraste, dove erano custodite le sue Sacre Ceneri. Dopo di allora…”. Si interruppe, incerta su cosa dire, come se non fosse sicura di quello che successe.
Leliana la incoraggiò a proseguire: “Va avanti”.
“E’ come se avessi sognato a lungo, ma sono certa che non si trattasse di un sogno. Ricordo solo che mi ritrovai a scappare da qualcosa in un luogo oscuro e indefinito, il luogo di un incubo, e poi… ricordo una donna”.
“Una donna?”.
“Lei si protese verso di me, tendendomi la mano. Mi protesse da quello che mi stava inseguendo e poi mi spinse via e fu come… risvegliarsi. Dopo di che mi sentii sempre più pesante, sempre più debole. Credo che sia caduta in terra e allora mi addormentai davvero. Mi sono risvegliata in questo luogo”.
Leliana si girò verso Cassandra, il suo sguardo indicava una certa preoccupazione. Negli anni passati al servizio della Divina, Cassandra e Leliana avevano avuto modo di interrogare parecchie persone per conto dell’Altissima, in modo ufficiale o meno. Avevano entrambe esperienza in questo genere di cose, faceva parte delle loro mansioni come Mano Destra e Mano Sinistra della Divina. Sapevano riconoscere la menzogna nelle parole, nei visi e nei corpi delle persone. Entrambe parevano concordare che di essa non vi fosse traccia in Visenya. Se la responsabilità degli avvenimenti al Tempio non era la sua, non avevano idea di quale strada bisognasse percorrere per risolvere il mistero e se la prigioniera non fosse riuscita a ricordare niente la loro situazione sarebbe andata ancora peggiorando…
Stavano perdendo tempo. Cassandra, nonostante fosse dotata di una mente brillante, non amava perdersi in congetture. Era una donna pratica e preferiva le azioni e i fatti alla filosofia. Era necessario fare qualcosa e forse lei sapeva che cosa.
“Vai all’accampamento Leliana. La condurrò allo squarcio”. Visenya aveva passato i giorni seguenti all’esplosione in uno stato di incoscienza, più vicina alla morte che alla vita. Il movimento e l’aria fresca le avrebbero giovato e, inoltre, ripercorrere la strada per il Tempio e vederne ciò che rimaneva l’avrebbero aiutata con la memoria.
Liberò Visenya dalle catene.
“Cosa è accaduto?”.
“Lo vedrai con i tuoi occhi”.
 
Uscirono all’esterno. La forte luce improvvisa privò per qualche istante Visenya dell’uso della vista. Quando fu in grado di aprire gli occhi e vedere, Cassandra vi lesse un sincero stupore misto a sconcerto. Rivolse anch’essa lo sguardo verso la montagna del Tempio.
Il cielo su di essa era squarciato da quello che sembrava un vulcano di luce in eruzione. Una verde spirale simile a un velo mosso dal vento partiva dal punto in cui fino a pochi giorni prima sorgeva il Tempio delle Sacre Ceneri, stagliandosi eretta verso l’apertura nel cielo. Un’enorme cicatrice che pareva inghiottire tutto attorno a sé, da cui sempre più spesso esplodevano scintille di fiamma disperdendosi a distanze sempre più lontane nell’etere.
“Lo chiamano il Varco. Un imponente squarcio nel mondo dei demoni che cresce con il passare delle ore. Non è l’unico squarcio, ma solo il più grande, tutti causati dall’esplosione al Conclave”.
Visenya abbassò per un attimo lo sguardo su Cassandra, per poi riportarlo sul Varco. Nonostante quello che aveva passato negli ultimi giorni e lo stupore causato dalla visione dello squarcio non aveva perso la sua flemma. “E un’esplosione può causare quello?”.
“Questa sì. Se non interveniamo il Varco crescerà fino a divorare il mondo”. Non appena Cassandra finì di pronunciare queste parole un bagliore di luce accecante provenne dal Varco, seguito dal fragore di un’altra esplosione. Il marchio sulla mano di Visenya fece lo stesso. Si lasciò sfuggire un gemito di dolore, portandosi la mano ferita verso il grembo piegandosi a terra.
“Ogni volta che il Varco si allarga il tuo marchio diventa più grande e ti sta uccidendo. Potrebbe essere la chiave di tutto ma non ci resta molto tempo”.
“La chiave di tutto? Per fare cosa?”.
“Chiudere il Varco. Non ci resta che scoprire se la cosa può essere fatta oppure no. E’ la nostra unica speranza. E anche la tua”.
Visenya fissò Cassandra negli occhi, indagando sulle sue intenzioni. “Avete pensato che abbia causato tutto questo? Fatto questo a me stessa?”
Non era il momento per rivelarle che nutrivano forti dubbi sulla sua colpevolezza. Cassandra non desiderava che la prigioniera si sentisse troppo al sicuro da ripercussioni. Il suo giudizio su di lei dipendeva da come avrebbe agito da quel momento in avanti. “Non volontariamente. Qualcosa deve essere andato storto. Se vuoi provare la tua innocenza questo è il tuo unico modo”.
Visenya si lasciò andare a un mezzo sorriso. Sembrava quasi divertita. “Anche se avessi avuto possibilità di scelta non avrei esitato a offrire il mio aiuto”. Guardò verso il Varco. “Non credo sia possibile per nessuno ignorarlo. Farò ciò che devo”.
Cassandra si avvicinò per aiutarla a rimettersi in piedi, ma Visenya la allontanò. “Prima di seguirvi, devo chiedervi una cosa. Si è salvato qualcuno dall’esplosione?”. Era la prima volta che sentiva la sua voce tremare. Cassandra capì a chi si riferiva. “Dal Tempio? Solo tu”. Visenya bloccò il respiro, lottando per mantenere un contegno di dignità. Cassandra stava studiando le sue reazioni, ma non ebbe cuore di continuare troppo a lungo quel tormento. “Ma delle persone che si trovavano nelle vicinanze qualcuno è riuscito a scappare. A tutti è stata offerta la nostra protezione, inclusa Niobe. E’ stato difficile tenerla lontana da te in questi giorni, ma non potevamo rischiare con il nostro unico sospettato”.
Visenya tornò nuovamente a respirare, ansimando.
“Vi sarà permesso di ricongiungervi al nostro ritorno”.
Avevano trovato l’altra donna prima di Visenya, intenta a cercare fra le macerie, insieme a molti altri in cerca di qualche superstite a loro caro. Dovettero intervenire con i soldati per evitare che altre persone rimanessero ferite o uccise nel tentativo di salvataggio, impedendo l’avvicinamento di questi ai resti ancora fumanti del Tempio.
Una di loro vestiva con gli abiti del Tevinter, con i colori vibranti e i tessuti di pregio. I soldati pensarono che facesse parte della delegazione del Tevinter e si avvicinarono per aiutarla. Si trovarono davanti a una donna di cinquanta anni dai tratti del volto raffinati, che non mostrava nessun segno dell’età se non per delle piccole rughe ai lati degli occhi, attenti e scrutatori, che invece di penalizzarla le donavano fierezza. La sua maturità era messa in risalto dalla bocca severa e dal suo portamento nobile. La sua altezza non era particolarmente importante, ma si presentava slanciata e ben proporzionata con un’attitudine tipica di coloro che erano abituati al comando; la sua pelle ancora fresca indicava che non aveva mai dovuto esporsi alla luce del Sole o affrontare lavori pesanti: era ancora tonica e vellutata, con il marchio della padrona ben visibile inciso alla sinistra del petto. Una schiava.
Si era scoperto essere la nutrice di Visenya, ora sua schiava personale. Come da tradizione nelle famiglie nobili le nutrici seguivano le creature la cui custodia era stata loro affidata per tutta la vita, amandole come figlie proprie, quasi più delle loro stesse madri.
Cassandra non aveva mai compreso la fedeltà degli schiavi nei confronti dei loro padroni. Cassandra Pentaghast, figlia della casa reale di Nevarra, settantottesima nella linea di successione al trono nevarriano. Si era unita ai Cercatori della Verità in giovane età, servendo l’ordine fino alla sua scissione dalla Chiesa. In seguito divenne la Mano Destra della Divina, esaudendo infine la sua volontà di riformare l’Inquisizione. Cassandra avrebbe detto che non c’era nient’altro da dire sulla sua vita. Era certo una reale nevarriana, ma aveva la sensazione che mezza Cumberland avrebbe potuto dire altrettanto. La Casa dei Pentaghast era parecchio numerosa e lei aveva più parenti di quanti la sua mente avrebbe mai potuto ricordare. Far parte della famiglia reale per lei non aveva più importanza della stuoia da soldato sulla quale si abbandonava esausta ogni notte. Era un fatto accidentale, quasi fastidioso che nessuno sembrava voler dimenticare. Non faceva mistero del suo nobile lignaggio, ma era ben contenta della vita che si era lasciata alle spalle. Era una vita meritevole di essere abbandonata. Era orgogliosa di aver rinunciato alla sua prigione dorata ed esserne uscita, di aver effettivamente visto e vissuto il regno che prima poteva solo ammirare dal suo palazzo e che da quel palazzo la sua famiglia governava. Non aveva esitato un momento una volta avuta l’occasione per liberarsi dall’oppressione derivante dal suo lignaggio e nei suoi quarant’anni di vita non se n’era mai pentita. Ricordava ancora troppo bene l’infanzia passata a corte sotto la tutela dello zio, un mortalitasi per il quale i morti nelle loro cripte magiche avevano più importanza dei cuori caldi e pulsanti della sua famiglia. Non riusciva proprio a comprendere in che modo gli schiavi amassero i loro padroni, come dei cani che leccano con amore la mano che ora si sporge per offrirgli del cibo, ma che è sempre pronta a impugnare il bastone per punirli se osano liberarsi dalle catene alle quali sono legate.
 
Aiutò Visenya a rimettersi in piedi e la liberò dai lacci che le imprigionavano le mani. La condusse attraverso l’accampamento, brulicante di persone: soldati, mercanti, profughi, clerici, fabbri, di tutti attirarono gli sguardi. In alcuni vi era solo curiosità, in altri diffidenza, in altri ancora, la maggior parte, odio e risentimento.
Visenya sembrò non farci troppo caso. Continuò a camminare eretta nella sua fierezza, restituendo lo sguardo a ciascuno degli astanti. Nessuno di loro riuscì a tenerle testa.
“Hanno già sancito la tua colpevolezza. Ne hanno bisogno. La gente di Haven piange la nostra Santissima Divina Justinia, guida della Chiesa e promotrice del Conclave”. Cassandra non riuscì a dissimulare il dolore della perdita parlando della donna al cui fianco era rimasta per lunghissimi anni. Ma non poteva farsi abbattere dalla sua morte, non adesso che si rivelava necessario agire. Avrebbe pianto la sua morte in tempi più tranquilli, se mai ne avesse avuto l’occasione. Justinia avrebbe capito, aveva sempre saputo qual era la cosa giusta da fare. “Il Conclave era una speranza di pace fra maghi e templari. La Divina era riuscita a riunire tutti i capi di ogni fazione da tutto il Thedas e ora sono morti. Siamo in fermento, come il cielo. Ma dobbiamo pensare in grande, come ci ha insegnato lei, finché il Varco non sarà chiuso”.
Arrivarono al ponte sul lago ghiacciato, sul quale si trovava la porta che conduceva alla strada per arrivare al Tempio. Cassandra si girò verso Visenya: decise di abbandonarsi al desiderio di fidarsi di lei. Ora avrebbe dovuto proteggerla: rappresentava in quel momento la loro unica speranza e non poteva permettere che qualche fanatico cercasse in lei una vendetta troppo cruenta. In fondo Cassandra rappresentava la legge in quel luogo sperduto tra le montagne. “Ci sarà un processo, non posso prometterti altro. Andiamo, non è distante”.
“Dove mi state portando?”.
“Il tuo marchio va messo alla prova con qualcosa di più piccolo del Varco”. Giunsero davanti al cancello. Cassandra si rivolse agli uomini di guardia: “Aprite le porte! Ci stiamo dirigendo verso la valle”.
Sperava solo di non avere da pentirsene…
 

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Capitolo 3
*** VISENYA ***


Lei e Cassandra si ritrovarono a risalire un sentiero liberato dalla neve sul quale, a distanza intermittente, si imbatterono in barricate presidiate dai soldati e da uomini che correvano in direzione opposta alla loro, portando messaggi, soldati o civili feriti e i morti che continuavano a trovare tra le macerie del Tempio e sulla strada.
La neve continuava a cadere morbida, ostacolando i movimenti dei soldati e rallentando le operazioni di soccorso. Il mantello rosso di scaglie di drago  Visenya contrastava nettamente con il biancore della neve. Il freddo intorno a loro era acuto e pungente, ma Visenya non sentiva freddo, nonostante la relativa leggerezza dei suoi abiti. Si diceva, nel Tevinter, che i figli della Casa del Sole fossero semidivini. Il loro sangue non era quello delle genti comuni e possedevano caratteristiche che li distinguevano dai comuni mortali con i quali si erano ritrovati a vivere. Erano solo antiche leggende e miti, creati e messi in giro, probabilmente, dalla sua stessa famiglia secoli prima per aumentare il proprio prestigio e la propria influenza. Non era una cosa inusuale nella sua patria. Visenya non ci aveva mai fatto troppo caso. Considerava la sua ascendenza un privilegio e un fardello allo stesso tempo. Preferiva non cullarsi nell’illusoria beatitudine nella quale giacevano troppi dei suoi connazionali. Il lustro della sua stirpe era certo un suo retaggio, ma non le apparteneva. Non poteva vantare alcun merito per le glorie passate dei suoi antenati. Piuttosto preferiva concentrarsi sul presente e su quello che lei avrebbe potuto lasciare alle generazioni future. Si aspettava di poter lasciare un’eredità migliore di quella lasciata dagli antichi condottieri del Tevinter nel resto del Thedas.
Ci fu una seconda esplosione. Arrivò come una scossa sulla sua mano che le attraversò tutto il corpo come un’onda. Le tolse il respiro e fu costretta a fermarsi, ma riuscì a rimanere in piedi stavolta. Cassandra le si avvicinò per sostenerla, circondandole la spalla con il suo braccio.
“Le pulsazioni si stanno facendo più frequenti. Più il arco si allarga, più squarci compaiono e più demoni giungono nel nostro mondo”.
Meteore di luce verde continuavano a precipitare mentre risalivano insieme il pendio. Ognuna di esse portava demoni dall’Oblio. Con il passare del tempo andavano aumentando. Era necessario chiudere il Varco il più in fretta possibile.
Visenya si rese conto guardandosi la mano ferita che nessuno le aveva ancora detto come avesse fatto a ritrovarsi lì. La sua mente era vuota e debole, non aveva memoria di ciò che era successo.
“Come posso essere sopravvissuta a quell’esplosione?”.
“Dicono di averti vista… uscire da uno squarcio e subito dopo perdere i sensi. Dicono di aver visto una donna nello squarcio alle tue spalle. Nessuno sa chi fosse. Il resto della valle è stato raso al suolo, insieme al Tempio delle Sacre Ceneri. Nessuno sa come tu sia ancora in vita”.
Passavano in quel momento su un ponte di pietra, allestito come uno dei presidi. Una meteora si schiantò davanti a loro, facendo riversare il ponte sul fiume ghiacciato sottostante. Dalla meteora era fuoriuscita un’ombra minore. Cassandra sguainò la spada e andò ad affrontare il mostro, intimandole di restare indietro. Visenya non era abituata a lasciare che altri si prendessero l’onere di difenderla, ma intervenire in quel momento avrebbe significato una mancanza di rispetto nei confronti della Cercatrice, perciò si fece da parte. Subito dopo, però, un altro demone uguale al precedente aveva varcato lo squarcio e puntava dritto verso di lei. Nonostante fosse una maga, Visenya aveva ricevuto un eccellente addestramento al corpo libero e alle armi bianche, in particolare ai pugnali. Li portava nascosti sotto le vesti: erano la sua arma segreta, nessuno al Sud si aspettava che un mago sapesse usare altro se non un bastone. Aveva già constatato che l’avevano perquisita, ma none erano alla ricerca di pugnali e i suoi erano molto ben nascosto. Provò un isto di orgoglio per essere stata come al solito un passo più avanti di tutti, ma pensò anche che se quella era l’unica organizzazione che avrebbe potuto salvare il mondo dalla rovina allora avevano ottime probabilità di fallire… Reagì d’istinto: era leggera e veloce, addestrata al combattimento sin da bambina. Un singolo demone non costituiva alcuna minaccia per lei. Non dovette neanche scomodarsi a usare i suoi poteri.
Si girò per tornare da Cassandra, ma si ritrovò la sua spada fra sé e lei.
“Butta le armi, subito”.
Visenya non si scompose. In tutta tranquillità rispose a Cassandra nell’unico modo in cui avrebbe potuto: dicendole la verità.
“Credete davvero che mi occorrano dei pugnali per essere pericolosa?”. Dicendo questo si fece attraversare da un’unica, leggera, scarica elettrica. Lungo tutto il corpo. Come tutti i maghi, Visenya non aveva bisogno di un bastone per evocare la magia. Il bastone aveva come solo effetto quello di incanalare l’energia spirituale del mago, indirizzandola con maggiore facilità verso il giusto obiettivo. Un guerriero senza spada non cessava di essere pericoloso, così come un mago senza bastone.
Cassandra sembrò sdegnata. “Questo dovrebbe rassicurarmi?”.
“Beh, non Vi ho ancora tramutata in un coniglio”. Disse questo rimanendo assolutamente seria nell’espressione.
Ottenne l’effetto desiderato. Cassandra si lasciò andare in un mezzo sorriso, abbassando l’arma. Se effettivamente Visenya fosse stata colpevole quello sarebbe stato un ottimo momento per uccidere Cassandra e scappare. Fortunatamente per la guerriera, Visenya stava dalla sua parte. “Hai ragione. Io non posso proteggerti. E’ meglio se li tieni. Sarà preferibile anche trovarti un bastone, sempre che sia possibile in mezzo a questo caos. Dovrei tener conto del fatto che mi hai seguita senza opporre resistenza”.
“E’ il bastone a scegliere il mago, Cassandra. Sarà preferibile che mi facciate avere il mio”.
Proseguirono il cammino, dove si imbatterono in altri squarci, dai quali fuoriuscirono altre ombre minori e demoni wraith, dei quali dovettero evitarne il veleno quasi letale che usavano lanciare contro i nemici.
Raggiunsero quasi la fine di una scalinata scolpita nella pietra, che risaliva il versante dal fiume. “Ci stiamo avvicinando al primo squarcio. Sento il clamore della battaglia!”.
“Battaglia? Chi sta combattendo?”.
“Lo vedrai presto. Dobbiamo intervenire subito”.
Le due donne giunsero presso delle rovine fumanti, al cui interno si combattevano fino all’ultimo sangue uomini e demoni. Al centro delle rovine, sollevato da terra, vi era un enorme cristallo verde. Sembrava come vivo. Le protrusioni si muovevano come arti e pareva risucchiare tutta l’energia intorno a sé. Era uno squarcio nel Velo fra questo mondo e il mondo dell’Oblio, un portale interdimensionale attraverso il quale i demoni potevano passare.  
Visenya evocò la tempesta: fulmini violetti ricaddero sui demoni al centro della battaglia. Mentre ancora erano intorpiditi dall’elettricità lei e Cassandra vi si riversarono contro, ponendo fine alle loro esistenze.
“Presto, prima che ne arrivino altri!”. Visenya non fece in tempo neanche a chiedersi a chi appartenesse quella voce che si sentì afferrare la mano sinistra e rivolgerla verso lo squarcio. Fu come un magnete, non seppe neanche lei spiegarsi il come: il marchio sulla sua mano si nutrì dell’energia dello squarcio, fino ad esaurirla del tutto e a richiuderlo, ricucendo il Velo con un’implosione.
 
Si girò verso la voce che le aveva parlato, leggera e fluida come il vento tra le foglie degli alberi. Un sussurro nel mezzo di una foresta. Apparteneva a un elfo, uno strano elfo, diverso dagli altri elfi del Tevinter. Diverso da tutti gli elfi che si potevano incontrare nell’intero Thedas. La guardava in un modo strano che in un certo modo la turbava, ma non sapeva perché. Distolse lo sguardo da quegli occhi così placidi che sembravano riuscire a penetrare in tutti i segreti della sua mente.
Era un mago, come dimostrava il bastone intagliato che portava con sé, di antica fattura elfica, molto antica. Un bastone semplice, come ancora se ne vedevano fra gli elfi silvani. Come lo squarcio che aveva appena richiuso, l’elfo era magnetico, carico di energia sopita.
Visenya riuscì solo a chiedere: “Come?”.
“La magia che ha aperto il Varco nel cielo è la stessa che ha marchiato la tua mano. Ho ipotizzato che il marchio potesse chiudere gli squarci creati con il Varco… e la mia ipotesi si è rivelata corretta”. 
In quel momento intervenne Cassandra, andando dritta al sodo, come sua abitudine: “E per questo riteniamo che potrebbe anche chiudere il Varco”.
“Probabile. Sembri possedere la chiave della nostra salvezza”.
“Buono a sapersi! Temevo che non ci saremmo più liberati di quei demoni”.
Si girarono tutti e tre verso il nano che aveva appena parlato, fino a quel momento rimasto in disparte ad aspettare. “Varric Tethras. Spirito libero, cantastorie e all’occasione compagno di avventure poco gradito”. Pronunciò quest’ultima frase ammiccando in direzione di Cassandra, che si lasciò andare in un’espressione disgustata e infastidita.
Era alto (per essere un nano) e imponente. Dall’abbigliamento e dai modi affabili Visenya lo riconobbe come appartenente alla Gilda dei Mercanti. La sua presenza in quel posto stonava più di quella di chiunque altro. Come lei, era uno straniero, probabilmente veniva dai Liberi Confini a Nord.
“Non ditemelo. Vi siete appena unito alla Chiesa!”
L’elfo scoppiò a ridere, sinceramente divertito. “E’ una domanda seria?”.
Varric rispose abbassando lo sguardo, ma mantenne un certo tono provocatorio nella voce: “Tecnicamente sono un prigioniero, come te”.
Cassandra sembrò particolarmente offesa da questa affermazione: “Vi avevo condotto qui per riferire la vostra storia alla Divina. Ora non è più necessario”
“Eppure eccomi qui. Per vostra fortuna, considerando i recenti sviluppi”.
Calò un silenzio imbarazzante. Era evidente che fra i due ci fosse qualcosa, ma Visenya non era sicura che fosse solo discordia. Interruppe il silenzio rivolta a Varric: “Bella balestra”. Lo era davvero. Di mirabile fattura, sicuramente il lavoro di un Maestro, un corpo snello di legno intagliato e decorato in ottone; nascondeva un segreto che Visenya aveva notato: una baionetta retrattile in una fessura sotto uno dei bulloni frontali, utile durante il combattimento ravvicinato.
Varric sembrò piacevolmente compiaciuto. “Vero? Io e Bianca ne abbiamo passate tante insieme. E ci sarà di nuovo di grande compagnia in questa valle”.
Cassandra intervenne subito per interromperlo: “Non se ne parla! Il vostro aiuto è apprezzato Varric, ma…”.
“Sapete com’è ridotta la valle Cercatrice? I vostri soldati non la controllano più, avete bisogno di me!”.
Cassandra rimase senza parole. Borbottò qualcosa disgustata, ma sapeva Varric aveva ragione, come aveva potuto constatare insieme a Visenya nel breve tratto che avevano percorso insieme per arrivare fino a lì. Dovette accettare la compagnia del nano.
A quel punto si fece avanti l’elfo, che ancora non aveva rivelato la sua identità. “Il mio nome è Solas, comunque. Sono lieto di vederti ancora in vita”.
Varric aggiunse: “Tradotto: ho impedito a quel marchio di ucciderti mentre dormivi”.
Visenya non lo sapeva, ma in seguito al suo ritrovamento da parte dei soldati nelle rovine del Tempio era caduta in uno stato di trance in cui era rimasta per giorni, nei quali la sua mente aveva lottato per recuperare il controllo, incapace di distinguere la realtà dal sogno. Giorni in cui era caduta in un vortice di oscure visioni che lei poteva percepire reali tanto quanto la persona che le era rimasta accanto giorno e notte senza mai riposare, lottando insieme a lei per tenerla in vita. Visenya ricordava solo vagamente la mano che con un panno la lavava con acqua gelida per abbassarle la febbre, la aiutava con pazienza a inghiottire pozioni per attenuarle le visioni. Se avesse chiuso gli occhi in quel momento, concentrandosi poteva ancora sentire una melodia, un canto, in una lingua sconosciuta che l’aveva guidata come un faro nella notte. In quel momento si ricordò chiaramente di Solas. Riconobbe come suo il volto che prima vedeva solo offuscato davanti a sé, cantare una melodia di cui ora era in grado di ricordarsi.
Entulesse, ritorno.
Visenya rimase senza parole. Niente di ciò che avrebbe detto sarebbe stato abbastanza. Solas le aveva salvato la vita con una dedizione e una pazienza eccezionali, senza nemmeno conoscerla, senza nemmeno considerare per un momento che lui era un elfo e lei una maga del Tevinter.
“Grazie”. Non riuscì a dire altro, ma non ce ne fu bisogno. Solas capì e quell’unica parola fu per lui abbastanza. Si portò la mano destra sul petto, come per portarsi quella parola sul cuore.
Visenya guardò la propria mano e la cicatrice luminosa su di essa. La donna del tempio, le visioni, lo squarcio appena chiuso… non era normale.
“Il marchio… non è una magia di questo mondo”.
“No, infatti. Porti su di te i segni dell’Oblio”.
“Come possiamo esserne certi? Conoscete la magia dell’Oblio?”.
“A differenza di te, Solas è un eretico” aggiunse Cassandra, come se questo fatto fosse sufficiente per spiegare ogni cosa.
“Tecnicamente, Cassandra, tutti i maghi sono eretici ora”. Rispose Solas. Si rivolse nuovamente a Visenya: “Nei miei viaggi ho avuto modo di approfondire la conoscenza dell’Oblio, mi hanno permesso di condurre studi molto al di là delle possibilità di qualunque mago di un Circolo. Sono giunto fin qui per fornire tutto l’aiuto di cui sono capace contro il Varco. Qualunque sia la sua origine, se non verrà chiuso sarà tutto perduto”.
“Per parte mia posso dire che la vostra presenza si è già rivelata essenziale. Dovremmo tutti ringraziarvi per aver preso parte a questa missione spontaneamente”.
“Non dovrebbero, è stato piuttosto un gesto razionale, anche se è noto come il buon senso tenda a scarseggiare ultimamente…”. Dicendo questo accennò un sorriso e si rivolse alla Cercatrice: “Cassandra, devi sapere che la magia all’opera qui è di un tipo a me sconosciuto. La tua prigioniera è certo una maga, ma dubito fortemente che un mago qualsiasi possa sprigionare un simile potere”.
“Vedremo di far valere le tue opinioni al nostro ritorno al Consiglio. Ora dobbiamo recarci subito all’accampamento”.
Detto questo si incamminò su per il sentiero, subito seguita da Solas.
“Beh… Bianca non sta nella pelle”. Avevano altissime probabilità di morire e bassissime probabilità di avere successo. Non c’era motivo per dilungare l’attesa. Varric le stava già simpatico.
 
 
 
"Quando nelle lunghe notti gelate levava il muso alle stelle gettando lunghi ululati nello stile dei lupi, erano i suoi antenati morti e ridotti in polvere, che levavano il muso alle stelle e ululavano nei secoli attraverso di lui".
 
Jack London
 

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