I'm not a superhero, it's you. You've always been my superhero.

di Voglioungufo
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** I ***
Capitolo 2: *** II ***
Capitolo 3: *** III ***
Capitolo 4: *** IV ***
Capitolo 5: *** V ***
Capitolo 6: *** VI ***



Capitolo 1
*** I ***


Buon compleanno dobe!
 
In ritardo di ben due giorni, ma che vi devo dire xD
Qualche informazione preliminare: una settimana fa mi sono guardata la trilogia vecchia di Spiderman e ho pensato wow, perché la gente non mi scrive una storia con Sasuke superhero dove succede x, y e z?  Ho mandato il messaggio su facebook, nel mentre che la gente rispondeva mi è venuta la trama e mi sono detta: okay, la scrivo io! Ma a quanto pare ho ispirato anche altra gente, quindi nel caso dovesse esplodere il sito di fan fiction con Sasuke superhero e x,y e z sapete perché hahahaha ho tipo lanciato una challenge lol
 
Seconda cosa: dedico la storia ad Ahyrin che è l’angelo sceso dal cielo che si sorbisce i miei audio infiniti che iniziano sempre per: “Ary, Ary, mi è venuta in mente l’idea per una storia, posso raccontartela?”
Quindi, dopo una settimana di audio a ore improbabili e scleri comuni, gliela dedico con tutto il mio affetto visto che è praticamente nata dalla fusione delle nostre menti.
 
Sarà una long, doveva essere una OS ma non sto nemmeno qui a raccontarvi quanto io sia prolissa e come tutto il sia degenerato xD Sappiate che è stata scritta quasi tutta e a breve la completerò, quindi non ci saranno attese troppo lunghe <3
Spero possa piacervi ^^
 
 
 
 
 
I'm not a superhero, it's you.
You've always been my superhero
 
 
 
 
I
 
 
 
 
 
La prima pagina del giornale spuntava in maniera quasi impertinente tra le mani dell’uomo che lo stava leggendo sulla panchina poco distante. Sasuke, diciassette anni, vans nere e zaino pendente su una spalla sola, la guardò come se fosse la causa di tutti i suoi mali; e non era così lontano dalla verità.
L’orologio da polso segnava il ritardo del suo migliore amico in modo puntiglioso. Più i minuti passavano, più Sasuke diventava nervoso e gli sembrava che la prima pagina del giornale lo indicasse.
Si stropicciò gli occhi assonnati e lanciò uno sguardo alla via quando sentì un girdo chiamarlo per nome. Naruto, il suo migliore amico, gli stava correndo incontro con la giacca infilata solo per metà e lo zaino mezzo aperto.
“Mh, sei in ritardo” lo salutò con un mugugno mentre l’idiota si fermava davanti a lui e si piegava in avanti a prendere fiato.
“La sveglia… anf… non è suonata” spiegò respirando in modo convulso.
Non commentò, visto che succedeva almeno tre volte alla settimana e non poteva biasimarlo: era già un miracolo che suonasse ogni tanto dal momento che era tenuta insieme solo dal nastro adesivo.
“Andiamo, l’autobus è già passato” disse solo sistemandosi meglio lo zaino su entrambe le spalle. Fece per incamminarsi, ma notò che Naruto non lo seguiva.
Era ancora fermo in mezzo al marciapiede, con le mani poggiate sulle ginocchia e lo sguardo rivolto allo stesso signore con il giornale che prima stava guardando Sasuke. Meglio ancora: anche lui aveva notato la prima pagina. Del resto era impossibile il contrario, metà facciata era occupata dal titolo scritto in lettere cubitali.
MILLE FALCHI SVENTA FURTO DI GIOIELLI NELLA TREDICESIMA STRADA.
Il volto di Naruto era raggiante, un sorriso enorme raggiungeva entrambe le orecchie e i suoi occhi azzurri brillavano di ammirazione.
“Oi, scemo…” lo chiamò Sasuke infastidito.
L’amico si riscosse e lo raggiunse, senza però lasciar cadere il sorriso o l’espressione emozionata.
“È proprio forte, vero?” squillò “Ogni volta che c’è un problema lui riesce sempre a risolverlo, è davvero un eroe!”
“Mpf” concesse diplomatico Sasuke, sperando che bastasse quello a spegnere Naruto. Ma ovviamente il suo entusiasmo era inarrestabile, esattamente come la sua capacità di dire trecento parole al minuto. Dovette sopportarlo in silenzio come ogni mattina mentre si sbrodolava in elogi all’eroe mascherato che da più di un anno era comparso in città, scatenando il panico tra i criminali e portando più tranquillità nei quartieri. Dire che Naruto lo adorava era un eufemismo, ne era rimasto ammaliato fin dalla sua prima apparizione e seguiva le sue gesta come il fan più sfegatato. Purtroppo Sasuke, in veste di suo unico e migliore amico, era costretto ad assistere ai suoi sproloqui e alla sua pazzia.
Anche quella mattina non fu diversa: percorsero la strada il più velocemente possibile, Naruto non smise un secondo di parlare di Mille Falchi, delle sue ultime imprese e delle nuove supposizioni circa la sua identità segreta. Ne parlò mentre salivano i gradini della scuola, mentre Sasuke aspettava il proprio caffè amaro alla macchinetta e perfino quando appoggiarono i propri zaini sui banchi.
“Vorrei tanto assistere a una sua impresa” terminò così il suo sproloquio “O almeno conoscerne i dettagli, sapere com’è andata veramente. I giornali sono sempre avari di informazioni” fece una faccia indignata.
Sasuke soffiò sul proprio caffè. “Mah, non sarà stato niente di che” minimizzò.
La reazione di Naruto fu immediata.
“Bastardo! Non parlarne come se ne sapessi qualcosa, mentre tu dormivi al calduccio Mille Falchi vegliava sulla città. Tu non sai proprio niente”.
Roteò gli occhi al cielo e non ribatté, la campanella era suonata e la professoressa aveva fatto il suo ingresso nella classe, non era il caso di mettersi a bisticciare.
Anche se Sasuke in realtà sapeva perfettamente di cosa stava parlando e non poteva essere altrimenti, del resto Mille Falchi era proprio lui.
 
**

Sasuke era il più piccolo di un’importantissima famiglia che fino a nemmeno una decina di anni prima aveva praticamente governato sulla città di Konoha grazie ai loro capitali. Erano dei mecenati che avevano raccolto attorno a sé i migliori scienziati per formare una cooperazione che potesse creare sia avanzati strumenti elettronici per il miglioramento della vita quotidiana, che armi belliche. Soprattutto armi belliche. Del resto l’Uchiha’s company aveva collaborato con il governo militare per molti anni.
L’ultimo dirigente era stato Madara Uchiha che con il suo carisma aveva portato la compagnia alla sua massima espansione, ma anche alla sua rovina. La sua sete di potere lo aveva portato alla pazzia, al punto da non riuscire più a distinguere la dicotomia tra bene e male, tutto era fatto in virtù della scienza, della forza e del potere.
Così, in segreto dal resto del consiglio amministrativo e aiutato da pochi fidati collaboratori, aveva iniziato a fare esperimenti per potenziare le prestazioni umane, modificandone perfino il DNA. Come cavie aveva usato i suoi parenti, ma dopo aver scoperto che la modificazione del DNA deteriorava le cellule degli adulti, si era concentrato solo sui suoi nipoti. Sui bambini.
Sasuke, insieme a suo fratello Itachi e il cugino più grande Obito, era tra loro.
Non aveva nemmeno sei anni, praticamente tutti i ricordi della sua infanzia erano legati ai laboratori, alle punture di anestesia, al dolore dei bisturi, dottori in camici bianche e strane macchine collegate al suo cervello. Erano flash confusi, che faticava a mettere a fuoco con precisione. I momenti felici si limitavano all’interno di una stanza bianca, quando era con dei giocattoli e libero di creare mondi immaginari sui quali nascondersi; oppure quando gli permettevano di stare con suo fratello.
Sasuke era quello che tra le tre cavie era riuscito a rispondere meglio alle sperimentazioni: a quanto sapeva Obito era impazzito nel tentativo di controllarlo, mentre suo fratello aveva perso la vista e il suo fisico si era indebolito sempre di più. Al contrario di Sasuke, che era riuscito ad acuire tutti i sensi e ad avere una forza sopra il comune; da quel momento si concentrarono sempre di più su di lui, finché il suo DNA non era stato definitivamente alterato in modo da dare risultati strabilianti: Sasuke poteva controllare lo spazio e la materia. Riusciva a prendere il posto degli oggetti o scambiarsi con loro e poteva modificare la loro struttura molecolare rendendoli una massa informe da usare a proprio piacimento. Gli avevano fatto fare così tante simulazioni, così tanti test che ormai sapeva usare quei poteri come se ci fosse nato. Non poteva dire lo stesso di Obito, che invece era sempre più instabile.
Il disastro era successo una notte di sei anni prima, quando un’esplosione aveva distrutto il laboratorio segreto e ucciso più della metà degli scienziati presenti. Sasuke era riuscito a salvarsi solo grazie al proprio potere e nel farlo aveva portato con sé Itachi. Lo shock aveva portato il fratello maggiore in un coma, ma prima di addormentarsi gli aveva dato un indirizzo seguito da poche e affrettate parole:
“Trova Shisui, fidati di lui. Ti aiuterà, è l’unico che può farlo”.
Gli aveva anche detto di lasciarlo indietro, cosa che non era stato disposto a fare, perciò il piccolo Sasuke aveva dovuto trascinarsi il suo corpo inerte per ore, teletrasportandosi per brevi distanze fino a raggiungere la periferia di Konoha. Era crollato nel giardino di una casa esausto, sporco di fuliggine e pieno di ferite, dove aveva creduto di morire.
Ma non era morto.
Una settimana dopo si era risvegliato nel letto pulito di una camera confortevole, con una donna dagli strani capelli rosa che si prendeva cura di lui. Portava un camice, questo l’aveva portato a identificarla come uno degli scienziati dei laboratori e perciò aveva tentato di attaccarla, nonostante fosse senza forze. Era quindi entrato un altro uomo dai capelli scuri e ribelli, alto e con un buon fisico che lo aveva bloccato. Sasuke era ancora troppo debole per poter usare i suoi poteri perciò era stato facilmente sovrastato. Ma quegli uomini non erano nemici, come aveva specificato subito la donna. Si chiamava Sakura, mentre l’altro era proprio lo Shisui indicato da Itachi.
Era stato difficile fidarsi di loro, era stato in allerta per la maggior parte del tempo, pronto a reagire alla minima mossa sospetta. Sembrava sapessero già chi fossero lui e Itachi, perché non avevano mai fatto domande e conoscevano i loro nomi. Sakura era una dottoressa di una task force speciale che teneva sotto d’occhio i progetti di Madara; lei, Shisui e un altro collega avevano cercato un modo per fermarlo, ma nel frattempo era successo l’incidente. Itachi sapeva della loro esistenza e dei loro piani, per questo gli aveva detto di cercarli. Loro potevano davvero aiutarli.
Infatti un mese dopo Shisui era tornato con alcuni documenti di identità e altre scartoffie che autorizzavano lui e Sakura come tutori dei due bambini Uchiha. Naturalmente erano falsi, ma non era questo l’importante. Avevano aspettato che le acque si calmassero e l’incidente dell’Uchiha’s company venisse “dimenticato”, Madara era morto e quindi con lui anche quei folli progetti. Ora l’azienda si occupava di produrre frullatori.
Quando la situazione si era presentata sicura, Sakura e Shisui avevano tentato di reinserire Sasuke nella loro società, mandandolo in primo luogo alla scuola pubblica.
Per lui era stato strano ambientarsi in un ambiente così diverso da quello in cui era cresciuto, dove tutti venivano da una famiglia che li amava, dove erano persone normali senza poteri, che non si accorgevano del minimo cambio di temperatura e non venivano infastiditi dai più piccolo rumori. Il primo anno per Sasuke era stato un inferno, ma alla fine grazie all’aiuto di Sakura e Shisui aveva imparato ad ambientarsi. Il suo motto di vita era diventato: mantieni un profilo basso, non farti notare.
Anche se aveva preso il cognome di Shisui e nessuno al mondo sapeva della sua esistenza, era ancora terrorizzato che l’Uchiha’s Company venisse a catturarlo di nuovo. Sapeva che Madara era morto in quell’incidente, ma questo non gli toglieva l’ansia o il panico che provava quando la gente lo fissava.
Mantieni un profilo basso.
Era intelligente, poteva ambire a voti eccellenti ma non lo faceva, perché temeva potesse catturare l’attenzione su di sé. Quando era entrato al liceo aveva fatto in modo di sparire nella fiumana di studenti, di non stringere amicizia con nessuno e di non farsi assolutamente notare. Aveva funzionato, però Sasuke aveva inevitabilmente notato lui.
Naruto Uzumaki, un suo coetaneo dallo sguardo impertinente e capelli biondissimi, imbranato come pochi e con una spiccata capacità di mettersi nei guai da essere ammirevole. Era uno sfigato, veniva costantemente tormentato dai bulli per la sua imbranataggine e per il suo aspetto un po’ cicciotto; in più reagiva sempre e se vedeva che qualcuno subiva un’ingiustizia si gettava in mezzo, cercava sempre di difendere gli altri ma nonostante questo non aveva amici. Nessuno osava avvicinarsi per paura di finire nel mirino dei bulli. Eppure non smetteva mai di sorridere, di provare e nemmeno abbassava la testa, piuttosto rispondeva sempre per le rime.
Sasuke all’inizio lo reputava uno stupido, un’idiota dal quale stare il più lontano possibile. Ma lo ammirava, perché nonostante tutto non aveva mai paura di esporsi ed era coraggioso, tutte doti che a Sasuke mancavano.
Un giorno, alla fine delle lezioni, lo aveva trovato chiuso nel bagno completamente sporco di acqua di scarico e con il viso tumefatto. Aveva tentato di difendere un altro ragazzo dai bulli dell’ultimo anno e quelli avevano gettato il proprio scherno su di lui; l’altro ragazzo aveva tagliato la corda lasciandolo ad affrontarli da solo.
In un primo momento aveva deciso di fare come al solito, lavarsi le mani e andarsene senza degnarlo di un’altra occhiata. Ma poi aveva visto il suo astuccio per terra, con una spilla di Spiderman mezza rotta e le matite spezzate a metà. Lo aveva preso da terra e glielo aveva dato senza guardarlo in faccia.
“Dovresti lasciar perdere, non ha senso impicciarsi” gli aveva detto monocorde.
E Naruto lo aveva guardato con quegli occhi azzurri che lo avevano sempre fregato.
“Ma se non lo faccio io non lo fa nessun altro e non è giusto”.
Aveva pensato che fosse un idiota, ma quell’idiota era diventato da quel momento il suo migliore amico. Ormai avevano quasi finito il liceo, a inizio estate si sarebbero diplomati, e da allora erano diventati inseparabili. Naruto continuava a mettersi nei guai per il suo senso di giustizia esagerato, Sasuke a volte cercava di dissuaderlo, ma era troppo cocciuto. I bulli si erano fatti ancora più agguerriti da quando si era sparsa la voce della sua omosessualità. Naruto era gay, non se ne era mai vergognato e non aveva fatto granché per nasconderlo, anche se quello gli portava continue prese in giro e battutine fastidiose. Però continuava a rispondere a tono e a difendere le matricole; anzi la sua correttezza era cresciuta al punto che ogni volta che vedeva una persona in difficoltà correva per aiutarla, anche se con la sua imbranataggine faceva più danni che altro.
Litigavano spesso per questa faccenda, perché Sasuke continuava restare fedele al suo motto e odiava quando l’amico si metteva così tanto in mostra con le sue idiozie. Invece Naruto dal canto suo rimproverava sempre Sasuke di essere un codardo che abbassava la testa.
“Se abbiamo la possibilità di fare qualcosa, di aiutare qualcuno, dobbiamo sfruttarla”.
Quelle maledette parole si erano conficcate nella sua testa come un tarlo fastidioso che non voleva assolutamente sapere di abbandonarlo. Non capiva il perché, forse l’esasperazione e il bisogno di dimostrare che non era un codardo, ma quei discorsi avevano fatto nascere l’eroe Mille Falchi.
Naruto era una persona normale, piuttosto goffa, ma nonostante questo cercava sempre di aiutare gli altri anche a costo di mettersi nei guai a sua volta; Sasuke invece aveva i superpoteri, da piccolo il corredo genetico gli era stato modificato perché  potesse diventare un’arma bellica, aveva il potere di fare qualcosa di concreto e giusto, ma non lo sfruttava.
Così, da un anno a quella parte, si era creata quella ridicola situazione e ora Sasuke aveva un’identità segreta, un costume attillato e di notte dava la caccia ai criminali per assicurarli alla giustizia. La sua comparsa aveva destato la meraviglia di Konoha, ora tutti volevano sapere chi fosse l’eroe mascherato al quale ormai era stato affibbiato il nome di Mille Falchi. Naruto ne era rimasto stregato come tutti gli altri e da un lato Sasuke non sapeva come prendere quel fatto. La sua ammirazione lo imbarazzava, ma allo stesso tempo era confuso e geloso, perché solo con un costume e il viso coperto riusciva a risvegliare quella reazione nell’amico. Aveva pensato di dirgli la verità, ma quello significava rivelargli anche chi fosse in realtà, renderlo partecipe della sua schifosa infanzia, spiegargli come avesse ricevuto i suoi poteri e tutto il resto. Non voleva, voleva solo che Naruto continuasse a crederlo il suo migliore amico, il ragazzino schivo e un po’ codardo che si era trasferito a Konoha con gli zii. Ma un ragazzino normale.
Mille Falchi era un segreto che non avrebbe mai rivelato, insieme alla confessione di essere in realtà innamorato di Naruto.
 
**

“Vengo a fare i compiti da te?”
Sasuke guardò distrattamente Naruto mentre prendeva le proprie cose dall’armadietto. In quello dell’amico era stato disegnato un fallo con la vernice spray, ma non ne sembrava preoccupato.
Annuì. “E dopo andiamo insieme a karate” propose.
Avevano iniziato quella disciplina insieme, Sasuke la praticava perché gli era utile per scaricare le energie e anche mantenere in autocontrollo i suoi poteri. Naruto lo aveva semplicemente seguito per poter stare insieme anche dopo la scuola. Nessuno dei due era iscritto a qualche club, Naruto ci aveva provato ma il comportamento dei compagni lo aveva sempre spinto ad abbandonarli.
Camminarono spensierati verso la casa chiacchierando, il sole primaverile era abbastanza caldo da permettergli di tenere le giacche aperte. Sasuke guardò di soppiatto le clavicole abbronzate dall’amico che sbucavano dal colletto slabbrato della maglia e deglutì. Crescendo e grazie agli allenamenti aveva perso la maggior parte del grasso in eccesso e il suo fisico si era fatto più asciutto, ma a Sasuke piaceva anche quando aveva un po’ di pancetta. Aveva capito di esserne innamorato lentamente, come quando si scivola piano nel sonno: da sveglia la mente si fa sempre più fiacca e assonnata, finché non si spegne del tutto. Allo stesso modo si era affezionato a lui pian piano, legandosi sempre di più, finché non si era trovato innamorato senza nemmeno accorgersene. Naruto era gay, quindi in un primo momento aveva pensato di dichiararsi, magari poteva far evolvere la loro amicizia, ma… Naruto appunto la considerava solo come un’amicizia. Lo testimoniava come ricalcasse così spesso il fatto che fosse il suo migliore amico, il suo più grande amico, di come fosse felice di essere suo amico, che era un amico importante, che per il suo amico ci sarebbe sempre stato, amico, amico, amico
Solo amico.
Chiaro e cristallino, così aveva lasciato perdere. Già avere la sua amicizia era una bella cosa, anche se a volte gli sarebbe piaciuto essere guardato con la stessa ammirazione con cui guardava Mille Falchi.
Quando entrarono a casa trovarono Sakura in cucina a bere un tè di fronte al telegiornale.
“Bentornato” lo salutò con un sorriso, che allargò nel notare che era accompagnato “Ciao Naruto, ti fermi qui?”
Annuì. “Buon pomeriggio, signorina Sakura”, poi la sua attenzione venne catturata dalla televisione, dove un reporter riferiva dell’ultima missione di Mille Falchi. Sasuke si chiese se quello non fosse un complotto alle sue spalle.
“È davvero fantastico, ha affrontato sei criminali tutto solo” trillò deliziato prendendo posto sul tavolo della cucina.
Sakura fece un sorriso a labbra strette. “Lo è davvero” assicurò e nel dirlo lanciò un’occhiata attenta a Sasuke, dal quale il ragazzo distolse lo sguardo.
Sia Sakura che Shisui conoscevano la verità, anche se nel primo periodo aveva provato a tenerlo nascosto. Ma entrambi erano molto intelligenti e sapevano dei poteri di Sasuke, non avevano impiegato molto tempo a fare due più due e a capire perché il ragazzo sembrasse sempre così stanco di mattina e da dove venissero certi lividi. Apprezzava che non avessero tentato di dissuaderlo, anzi lo aiutavano silenziosamente e ogni volta che tornava a casa con una brutta ferita c’era sempre Sakura pronta a rimetterlo in sesto o a fargli un caffè. Sasuke a volte pensava di non meritare né lei né Shisui, avevano preso in casa propria due ragazzini senza famiglia e con il DNA modificati, eppure si erano sempre comportati come se fossero davvero i loro zii. Non li avrebbe mai ringraziati abbastanza per tutto quello che avevano fatto per lui, ma soprattutto per Itachi.
Naruto fece un sospiro da principessa innamorata. “Mi piacerebbe così tanto incontrarlo, vorrei dirgli di persona quanto lo trovo fantastico”.
“Oh, sono certa che prima o poi se ne presenterà l’occasione” gli assicurò Sakura lanciando una chiara occhiata a Sasuke. La donna sapeva anche della sua cotta per l’amico e gli dava sempre il tormento per quello, secondo lei doveva aprirsi e rivelare la verità a Naruto.
Come no.
Prese il telecomando dal tavolo e spense la televisione stizzito, Naruto fece un verso di disappunto.
“Dobbiamo fare i compiti, scemo” lo riprese.
“Sasuke!” lo richiamò Sakura contrariata, poi aggiunse: “C’è Shisui a casa, dovresti andare a salutarlo. È da lui”.
Annuì prima di fare le scale verso il piano superiore. Non aveva idea di che lavoro facesse Shisui, ma spesso lo teneva lontano da casa molti giorni e quindi non sempre poteva vederlo. Parcheggiò Naruto in camera propria e poi continuò per il corridoio verso la stanza dove riposava suo fratello.
In tutti quegli anni non si era mai svegliato.
“È permesso?” domandò prima di spingere la porta.
Sembrava una stanza di ospedale, molto spoglia e con un grande letto dove dormiva Itachi, aveva dei tubicini su per il naso e infilati nel braccio, un monitor al lato del letto segnava le sue funzioni vitali. Non aveva idea di come avessero potuto procurarsi qualcosa del genere.
Shisui era sulla poltrona e sorrise non appena lo vide.
“Ehi, campione!” gli fece segno di avvicinarsi e subito dopo Sasuke si trovò costretto in uno dei suoi soliti abbraccia spaccaossa. Shisui aveva qualche anno in più di Sakura, ma restava comunque abbastanza giovane e aveva un’indole giocherellona in grado di mettere chiunque a proprio agio.
“Ho sentito della tua ultima impresa” gli disse facendolo imbarazzare. Perché tutti volevano sempre parlare di Mille Falchi?
“Uhm, sì. Niente di che” bofonchiò “C’è Naruto in casa” aggiunse.
Shisui annuì, poi gli passò una mano sul viso e lo guardò attento. “Hai le occhiaie Sasuke, almeno riesci a dormire?”
“Sì, sì” gli garantì, anche se era esausto. Fare il supereroe, lo studente liceale e il brav’amico occupava molto tempo che spesso doveva prendere dal sonno.
Shisui non sembrava convinto dalla sua risposta, anzi il suo sguardo si era fatto strano e sembrava pronto a iniziare un Discorso – uno di quelli con la D maiuscola –, perciò deviò l’argomento su Itachi.
“Come sta?”
Shisui si adombrò. “Come al solito” ammise “Non è migliorato, ma non è nemmeno peggiorato”.
Sasuke guardò indecifrabile il volto pallido del fratello. Ogni volta che lo vedeva su quel letto si sentiva il cuore comprimere e si chiedeva come sarebbero andate le cose se fosse riuscito a evitare tutto quello, se solo fosse stato più veloce con il teletrasporto.
Sentì la mano di Shisui spettinargli i capelli.
“Mi raccomando, Sasuke, non cacciarti troppo nei guai. Quello che stai cercando di fare è fantastico, ma… non farti male, per favore”.
Non gli rispose, non era mai stato troppo bravo con le parole, quindi lo salutò con un mormorio e tornò in camera sua. Naruto si era disteso sul letto e stava leggendo un fumetto della Marvel.
“Ti prego, basta supereroi” sospirò.
“Scusami, ma sono troppo forti” gli fece la linguaccia.
Sasuke si mise alla scrivania. “Dovremmo fare i compiti”.
Sbuffò. “Che noia, non ho voglia” fece una pausa “Secondo te Mille Falchi va a scuola? Quanti anni avrà? Secondo me è un universitario ed è bravissimo”.
Tirò fuori il libro dei compiti per nascondere dietro di esso il sorriso lusingato.
“Smettila di dire idiozie e vieni qui”.
Finalmente lo ascoltò e si sedette sulla sedia accanto.
“Perché odi così tanto Mille Falchi?” si lagnò.
“Non è che lo odio” lo corresse piccato “Sei tu che parli solo di lui, è noioso”.
“Non è noioso” si indignò “È un eroe, ci protegge! Solo perché tu non fai mai niente per aiutare gli altri non significa che non ci siano persone così ammirevoli”.
Stupido, stupido Naruto, lo insultò.
Gli puntò contro il righello. “Hai intenzione di fare i compiti o di parlare di un ridicolo tizio in calzamaglia? No, perché nel caso puoi tornartene a casa e ci vediamo a karate”.
“Tzé, come vuoi tu” lo accontentò con una smorfia “Ma giusto per dire, quella ridicola tuta in calzamaglia gli fa un culo pazzesco”.
Arrossì fin sopra l’attaccatura dei capelli. “E che ne sai tu del suo culo?”
“Dalle riprese e dalle foto” spiegò tranquillamente, lo sguardo sognante “Dio, ogni volta vorrei strizzare quel culetto d’oro”.
Sasuke era certo che fosse umanamente impossibile sentirsi più in imbarazzo di lui in quel momento. Voleva sprofondare sotto terra o essere colpito da un fulmine, qualsiasi cosa pur di non sentire i commenti così schietti di Naruto sul proprio sedere, senza contare che ormai l’idea delle mani dell’amico strette sul suo didietro lo stava facendo eccitare.
“Ti prego, non mi interessa” lo supplicò spiaccicandosi una mano sulla faccia “Sta’ zitto”.
Fortunatamente lo ascoltò e Mille Falchi non fu più tirato in mezzo.
 
**
 
 Con l’avvicinarsi della fine dell’anno si avvicinavano anche i test finali. Sasuke era troppo stanco e impegnato con la sua doppia identità per poter studiare e spesso si addormentava anche in classe. Naruto era convinto che avesse la febbre, mentre Sakura e Shisui si erano fatti nei suoi confronti più apprensivi. Una volta avevano tentato di impedirgli di uscire, ma con il suo potere era stato fin troppo facile scappare alla loro supervisione. Avevano litigato, ma non gli importava. Nonostante la contorta gelosia e l’imbarazzo, lo sguardo ammirato di Naruto davanti a una nuova impresa di Mille Falchi era diventato ormai una droga per lui.
Una di quelle sere si fermarono a mangiarsi un panino, Sasuke era particolarmente stanco, ma sorrideva tranquillo mentre l’amico ripeteva entusiasta come avesse steso il suo avversario nella lezione appena trascorsa. Quel giorno non aveva ancora nominato Mille Falchi, c’era una tiepida aria piacevole, il giorno dopo avevano scuola e il tipo degli hot dog gli aveva fatto uno sconto. Era una serata perfetta e tranquilla da passare con il suo migliore amico, nulla al mondo gliela avrebbe rovinata.
Un’esplosione ferì le loro orecchie e un improvviso scoppio di calore gli investì la faccia.
“AIUTO! IL PALAZZO VA A FUOCO!”
L’edificio che faceva angolo con la strada su cui si trovavano era avvolto dalle fiamme, le finestre erano esplose e una folla di curiosi si era già avvicinata, mentre dalla porta gli abitanti degli appartamenti cercavano velocemente di scappare gridando aiuto.
“Qualcuno chiami i pompieri!”
Naruto e Sasuke si avvicinarono, quest’ultimo particolarmente nervoso. Aveva la tuta dentro la borsa da palestra, era una calzamaglia fatta in un tessuto speciale aderente che si piegava facilmente, perciò poteva portarla sempre ovunque per le evenienze. Ma vicino a lui c’era Naruto, sicuramente avrebbe notato la sua scomparsa e non era poi così stupido da non capire che Mille Falchi fosse proprio lui se fosse comparso all’improvviso. Non poteva intervenire, dovevano solo aspettare l’arrivo dei pompieri.
“Vi prego, aiutatemi” gridò una donna trattenuta dal marito “Nostra figlia, nostra figlia è rimasta bloccata lì dentro!”
I pompieri, i pompieri sarebbero arrivati presto…
Naruto fece cadere la borsa con il cambio e si tolse la giacca, Sasuke spalancò gli occhi intuendo subito le sue intenzioni.
“No, non ci provare…” cercò di bloccarlo, ma Naruto era già schizzato dentro la porta della casa in fiamme.
Spalancò la bocca. C’è un limite all’idiozia. Tutti hanno un istinto di autoconservazione, ma a quanto pare non doveva valere anche per Naruto.
 
Appena Naruto entrò nel pianerottolo il calore lo aggredì, facendogli bruciare la pelle. Lo ignorò e strinse gli occhi cercando di vedere qualcosa attraverso l’aria tremolante, percorse le scale cominciando a chiamare a gran voce.
“Ehi! C’è qualcuno?!”
Sentì il pianto di una bambina e lo seguì, evitando i punti dove le fiamme erano appiccate; il rumore veniva oltre una porta chiusa. Provò a tirarla, ma si rivelò essere bloccata.
“Ehi, va tutto bene!” gridò per tranquillizzare la bambina, il pianto si interruppe “Sono venuto a salvarti, ma devo sfondare la porta. Al mio tre togliti da davanti, va bene?”
Non ottenne risposta, sperò che il suo messaggio fosse arrivato, non potevano sprecare altro tempo. Il calore era insopportabile e gli lacrimavano gli occhi, la gola gli pizzicava per il fumo che stava respirano.
“Allora… uno… due… tre!” si gettò con tutto il proprio peso e fu certo di sentire la propria spalla slogarsi, ma riuscì ad aprire la porta ed entrare nella stanza. Gli mancò il fiato notando quanto fosse messa male, il soffitto sembrava pronto a cadere da un momento all’altro. La bambina era rannicchiata a terra, sporca di fuliggine con il volto pieno di lacrime.
“Va tutto bene” ripeté prendendola in braccio “Ci sono io, adesso torniamo da mamma e papà” fece per rifare la strada al contrario ma si bloccò e con orrore si accorse che una parte delle scale aveva ceduto.
“Uhm, magari non per di qua” borbottò e iniziò a sentire il panico montargli nello stomaco. Ormai la situazione lì dentro era un inferno e non sapeva come uscirne.
“Va tutto bene” ripeté per tranquillizzare soprattutto se stesso. Dovevano solo saltare e raggiungere l’altro pianerottolo. Potevano farcela, in fondo il karate lo aveva reso abbastanza agile e la bambina non era pesante. Non doveva pensare alle fiamme, al vuoto, alla possibilità di morire…
No, devo farcela e uscire da qui. Sasuke deve darmi dell’incosciente, non può di certo farlo sulla mia tomba!
“Adesso saltiamo” avvertì la bambina “Tieniti stretta a me e non mollare mai la presa”.
La sentì annuire contro il petto e quella fiducia gli diede sufficiente coraggio, fece qualche passo indietro per prendere la rincorsa, poi saltò. Per un momento pensò di farcela, ma poi con orrore si accorse di non aver calcolato bene: mentre ancora era a mezz’aria un altro pezzo di pavimento cedette, allargando la voragine.
Cazzo, ebbe appena tempo di pensare prima che la forza di gravità lo spingesse verso il basso, troppo lontano dall’altro lato.
Un rumore acuto, stridente come il verso di un falco, gli ferì le orecchie, mentre avvertiva una scossa elettrica attraversarlo per tutto il corpo, togliendogli il fiato; poi franò sul pavimento, dall’altra parte della voragine, la bambina ancora tra le braccia.
Come…?
“Non ci posso credere ch tu lo abbia fatto sul serio!” sbottò una voce pesante, ovattata “Chi credi di essere, un atleta olimpionico?”
Dolorante si tirò a sedere e spalancò la bocca nel vedere la figura che lo sovrastava, era impossibile non riconoscere quella tuta scura, dalle sinuose linee blu elettrico che correvano lungo il profilo del suo corpo come le diramazioni di una saetta.
Mille Falchi era davanti a lui, un’ombra tra le fiamme, bellissimo come un’apparizione angelica. Aveva una figura magra, slanciata, ogni suo muscolo era messo in rilievo dalla tuta attillata, perfino la testa era coperta da quel tessuto, dove due strisce azzurre disegnavano la forma degli occhi, mentre una maschera in metallo a forma di becco occupava la parte inferiore del volto.
Era così sorpreso di avercelo davanti da non riuscire a dire alcunché. Mille Falchi sbuffò e si protese verso di lui.
“Dammi la bambina, è più sicura con me, testa quadra”.
“Oddio…” esalò, poi si rese conto dell’insulto “Ehi, come ti permetti! L’ho appena salvata!”
Non poteva vederne gli occhi, ma fu abbastanza certo lo stessero fulminando. “Io vi ho salvati, entrambi. E ora aggrappati a me, devo farci uscire da qui”.
Aggrapparsi… a Mille Falchi?
Deglutì guardando meglio quella tuta aderente che non lasciava per nulla spazio all’immaginazione. Cercò di non soffermarsi troppo sul quel pensiero e gli passò la bambina, aveva la gola secca e pensò non fosse solo a causa del calore. Mille Falchi la sistemò sulle proprie spalle, facendola aggrappare a sé come un koala, e le bisbigliò qualche parolina di conforto all’orecchio. La bambina sembrò riacquistare fiducia dopo quelle parole.
Il cuore di Naruto smise definitivamente di battere quando Mille Falchi lo afferrò con uno sbuffo, visto che non si era minimamente mosso, e gli fece allacciare le mani attorno alla propria vita. Riusciva a sentire la forma dei suoi fianchi, il suo bacino contro il proprio, il profilo del becco sfiorargli i ciuffi biondi…
“Ora non urlate, sarà un po’ strano”.
Avvertì una scossa attraversarlo per tutto il corpo e istintivamente aumentò la presa sull’eroe, avvinghiandosi addosso a lui e premendo la testa sul suo collo. Non ebbe nemmeno il tempo di realizzare pienamente quello che stava succedendo che si ritrovò fuori, in mezzo alla strada buia, con l’aria gelida che gli asciugava il sudore per tutto il corpo. Attorno a sé udiva le sirene dei pompieri, voci concitate, urla e pianti, alzando appena lo sguardo vide oltre la spalla di Mille Falchi la casa ormai completamente divorata dalle fiamme. Finalmente realizzò la stupidaggine che aveva fatto gettandosi lì dentro: se il supereroe non fosse intervenuto prontamente lui sarebbe morto. Fu abbastanza certo di essere vicino a un mancamento, le gambe sembravano essersi trasformate in un budino.
“Ehm… testa quadra” borbottò Mille Falchi “Ora puoi anche staccarti”.
“Nah, sto bene qui” balbettò fiacco, non si fidava per nulla delle sue gambe e non voleva cadere con il culo a terra davanti al suo eroe preferito. Eroe che stava abbracciando e che aveva letteralmente premuto contro.
Oh Dio, ti sacrificherei venti confezioni di ramen istantaneo per avermi dato questa opportunità…
“Margareth!”
“Mamma!” la bambina ancora sulle spalle dell’eroe scalciò per la gioia e il piede colpì Naruto al costato, che per la botta mollò la presa e ruzzolò a terra.
“Dio ti benedica, grazie, grazie!” disse la madre in lacrime mentre Mille Falchi le passava la figlioletta in braccio.
“Dovere, signora” disse quello formale, poi si girò verso il ragazzo ancora a terra, gli occhi azzurri lo guardavano increduli e adoranti. Gli tese la mano, per aiutarlo a mettersi in piedi, ma Naruto sorrise a trentadue denti e si tirò in piedi senza accettarla.
“Grazie, mi hai salvato la vita” disse riconoscente “Sei davvero fantastico come credevo”.
Mille Falchi ringraziò di avere la maschera, era certo di avere il volto in fiamme. Essere finalmente guardati direttamente da quegli occhi con quello sguardo gli faceva venire le vertigini allo stomaco. Si chiese se rapirlo e portarlo in un posto inaccessibile per poter fare tutto quello che desiderava con lui lo avrebbe etichettato come criminale.
“Io mi chiamo Naruto, comunque” continuò l’altro “È un piacere conoscerti”.
Guardò la mano che gli aveva teso, non sapendo se afferrarla o meno.
“Mh, sì” mormorò “Evita di fare idiozie del genere la prossima volta, poteva finire davvero male” lo riprese invece burbero.
Naruto gli rivolse uno sguardo imbarazzato. “Me lo dice sempre anche il mio migliore amico” ammise, poi sussultò e si mise a guardare attorno a sé.
Mille Falchi era certo che lo stesse cercando, o meglio: che stesse cercando Sasuke. Era il momento di uscire di scena approfittando del piccolo caos che si era creato.
Guardò la schiena di Naruto, era il momento perfetto visto che era distratto, però… non lo sapeva, forse l’adrenalina lo aveva reso un attimo più impulsivo, ma voleva approfittarne anche solo per poco.
Perciò gli si avvicinò alle spalle, sfiorandogli con la punta del becco l’orecchio. Naruto sussultò e fece per girarsi, ma lo tenne fermo in quella posizione.
“Comunque”, disse quasi in un sussurro “È la prima volta che salvo un ragazzo così carino”.
L’orecchio si accese di un rosso violento mentre il suo proprietario tratteneva il fiato, Mille Falchi ridacchiò prima di sparire, accompagnato da quel suono stridulo simile alle grida di uno stormo di falchetti. Quando Naruto si girò, lui non c’era più, al suo posto trovò sulla strada un vecchio ombrello rotto con cui si era scambiato per teletrasportarsi. Si abbassò sui calcagni per prenderlo, un sorriso enorme sulle labbra, quella era la prova che aveva davvero visto Mille Falchi, che ci aveva parlato e lo aveva pure toccato.
“Oi!”
Qualcuno gli appoggiò una mano sulla spalla e riconobbe subito la voce di Sasuke. Si girò a guardarlo, gli occhi scuri lo fulminavano furiosi e preoccupati insieme.
“Brutto scemo, si può sapere che ti è preso?! Hai idea dello spavento che mi sono preso quando ti sei buttato lì dentro, volevi morire per caso? Evita di farlo con me presente, per l’amor del cielo. Ma io non capisco, la natura con te ha fallito, non c’è altra spiegazione. Quando stava distribuendo l’istinto di sopravvivenza tu eri da qualche parte a mangiare ramen, ne sono certo, deficiente che non sei altro…”
Naruto ascoltò la sequela sconclusionata di Sasuke con un sorriso ebete in faccia, ancora sognante per l’incontro ravvicinato con l’eroe. Non si rese nemmeno conto che l’amico lo aveva trascinato davanti a un’ambulanza. Un infermiere lo fece sedere sul lettino mobile e poi gli diede una mascherina perché potesse liberare i polmoni dal fumo che aveva inalato stando dentro la casa.
“Ho visto Mille Falchi…” riuscì alla fine a interrompere Sasuke, che si zittì di colpo.
“Oh” disse solo, non sapeva come reagire per non lasciarsi tradire “E…”
“È stato fantastico!” gridò “Dal vivo è ancora più bello e quella tuta, dannazione se è stretta…” si piegò in avanti facendo versi indistinguibili. Un camice bianco si avvicinò convinto che stesse male, ma Sasuke lo cacciò via con un gesto della mano.
“Sasuke, avresti dovuto vederlo, un momento prima stavo per morire e poi puff!, me lo trovo davanti che mi dice di aggrapparmi a lui. L’ho abbracciato e lui mi ha abbracciato, te ne rendi conto?”
Sasuke si mise una mano sull’orecchio. “Non urlare, scemo”.
“Ha detto… ha detto che sono il ragazzo più bello che abbia salvato” lo ignorò sognante “Io… Sasuke, secondo te l’ho conquistato? Si è innamorato di me? Oddio” si agitò come una ragazzina di dodici anni al concerto della sua boy band preferita.
Sasuke cominciò pentirsi di avergli detto quella cosa, era stato un incosciente, ma cosa aveva nel cervello? Ora Naruto lo avrebbe perseguitato a vita, la sua vicinanza gli faceva male.
“Ma dai, lo avrà detto per dire…” borbottò per cercare di minimizzare.
“No, Sasuke, tu non lo hai sentito! Per un momento ho pensato mi volesse rapire!”
Be’, il piano era quello, era sorpreso che Naruto se ne fosse accorto.
“Ma dai, che scempiaggine” liquidò il tutto.
Un verso da bestia ferita uscì dalla bocca del biondo e andò subito in panico, forse si era ferito e lui non se n’era accorto e…
“Potevo toccargli il culo! Avevo le mani vicinissime, una strizzatina al suo culo bellissimo…”
Sasuke fu indeciso se sprofondare  sotto terra o uccidere il proprio migliore amico.
“Stavi per morire ed è questo a preoccuparti?”
“Tu non capisci” singhiozzò “Ho sprecato la mia occasione, non mi capiterà mai più una fortuna del genere, mai più”.
Sasuke concordò, Mille Falchi non doveva assolutamente rincontrare Naruto.
 
 
 

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Capitolo 2
*** II ***


 
 
II
 
 
 
Tre giorni dopo, Naruto stava ancora rimuginando sul sedere di Mille Falchi. Sasuke cominciava a non poterne più, era imbarazzante oltre ogni limite. Soprattutto perché i suoi commenti erano troppo sfacciati. Almeno era certo che non sospettasse nulla, altrimenti non avrebbe mai parlato così proprio a lui.
Con quell’argomento lo perseguitava a scuola, in giro, a casa e perfino a karate, come in quel momento.
“Secondo me fa il modello. Solo i modelli hanno un culo del genere” annuì mentre buttava con poca grazia il borsone sulla panca.
Sasuke fu più delicato e lo appoggiò nell’apposito posto.
“Dacci un taglio, scemo” sibilò. “Non a tutti interessa il culo di un idiota in calzamaglia.”
Forse fu troppo brusco, forse Naruto lesse nelle sue parole una frecciatina che non esisteva minimamente, perché distolse lo sguardo imbarazzato.
“Non è un idiota” ci tenne comunque a precisare. Si sedette per togliersi le scarpe e non lo guardò, sul volto una smorfia offesa. “Non capisco perché tu lo odi tanto, che ti ha fatto di male? A volte sembri geloso.”
Il suo cuore sussultò a quelle parole e cominciò a sudare nel panico, perciò disse le prime parole che gli vennero in mente.
“Geloso perché? Perché rischia la sua vita per degli sconosciuti?”
“Geloso perché è ammirato” precisò. “Insomma, tutti almeno una volta hanno voluto essere un eroe acclamato e amato dalla folla.”
Sasuke fece una smorfia. “Non tutti” lo corresse. “Non mi è mai interessato essere un eroe e non ho mai voluto l’ammirazione degli sconosciuti.”
La tua sì però.
Era felice che Naruto non sapesse leggere nella mente, spesso la sua coscienza lo tradiva con pensieri del genere.
“A volte non riesco proprio a capirti!” sbottò Naruto e nel farlo si calò i pantaloni senza un minimo di preavviso.
Nonostante ormai dovesse essere abituato a vederlo nudo, Sasuke sussultò per vederselo all’improvviso con i boxer stretti addosso. Distolse lo sguardo dai fianchi e dalle cosce tese sperando di non essere arrossito.
“Sì, va be’, io vado a cambiarmi” borbottò e si diresse verso il cubicolo del bagno con il kimono di karate piegato fra le mani.
Naruto non commentò, gli rivolse solo un’occhiata neutra e leggermente curiosa. Non aveva mai visto Sasuke nudo, o solamente in biancheria intima o con il costume addosso. Non amava molto la piscina, quindi non ci andava mai e quando succedeva restava sempre vestito. Allo stesso modo, non si era mai spogliato davanti a lui, nemmeno in quei casi quando dovevano cambiarsi per lo sport. Andava ogni volta in bagno a farlo. Era un comportamento che aveva sempre imputato a un esagerato pudore, ma in quel momento ripensò alla frecciatina di poco prima e gli venne il dubbio che in realtà il motivo fosse un altro.
Io sono gay, magari lo mette a disagio l’idea che io possa vederlo nudo.
Quel pensiero lo intristì, perciò andò fin davanti alla porta del cubicolo dietro cui si era nascosto.
“Sasuke…” lo chiamò appoggiandosi con la schiena, “tu lo sai vero che sei il mio migliore amico?”
In realtà trovava Sasuke attraente, era un bel ragazzo e il fatto che lo conoscesse così bene gli aveva fatto venire più di qualche dubbio sulla natura dei suoi sentimenti per lui, ma c’era come qualcosa che mancava, qualcosa che non riusciva a capire bene… un qualcosa che invece provava ogni volta che pensava a Mille Falchi.
In ogni caso, non voleva che Sasuke si sentisse a disagio, la sua amicizia era troppo importante e non voleva perderla per niente al mondo.
“Tu per me sei come un fratello” continuò, “anche se non so esattamente come sia avere un fratello”. Sicuramente non si sognava di fare certe cose strane con un fratello. “Però ormai sei parte della mia famiglia, quindi sei questo per me.”
La porta del bagno si aprì, ne uscì Sasuke con sguardo lugubre e imbronciato.
“Ho già un fratello” borbottò. “E anche se è in coma, non me ne serve un altro.”
Lo superò lasciandolo spiazzato, lo sguardo ferito per quella risposta brusca. A volte Sasuke sapeva essere davvero crudele con le parole, sapeva esattamente come ferirlo. Però sapeva anche come farsi perdonare.
“Non devi per forza essere mio fratello per essere una delle persone più importanti della mia vita, va bene? Quindi smettila con queste cose melense e muoviti, ‘ché siamo in ritardo.”
Riuscì a scorgere del rossore sulle sue guance e quell’ammissione scacciò la sensazione dolorosa che aveva provato.
“Sei sempre il solito bastardo!” lo insultò amichevole. Tirò fuori il kimono e si vestì velocemente sotto il leggero sorriso pigro dell’amico.
 
**
 
Sakura guardava la lettera aperta sul tavolo, mentre Shisui si muoveva nervoso per la stanza scuotendo la testa. Anche lei era nervosa e l’agitarsi dell’altro non faceva altro che aumentare il suo fastidio.
“Questa storia non può continuare” decretò infine lui incrociando le braccia. “Dobbiamo parlargli e dirgli di smetterla.”
Sakura sospirò. “Certo, come l’ultima volta. Non possiamo bloccarlo a casa, non con le sue… capacità.”
Come ogni volta che nominava anche solo vagamente i poteri del ragazzo, Shisui si irrigidì.
“Deve capirlo anche lui, ne va del suo futuro!” le si sedette accanto e afferrò la lettera. “Rischia di non riuscire a diplomarsi, lo capisci vero? Sasuke è un genio, potrebbe avere i voti più alti, capisco che non voglia esporsi, ma… questo non significa fallire i test a pochi passi dal diploma!”
La lettera era arrivata dalla scuola quella mattina, li informava che Sasuke rischiava di non ricevere i crediti necessari per il diploma. Mancava ancora qualche test, la faccenda era recuperabile, ma con la doppia vita che viveva… Sakura era preoccupata, per quanto avesse cercato di incoraggiarlo, ora temeva di non aver fatto la cosa giusta. Sasuke era solo un ragazzino in fondo, non era giusto che si prendesse sulle spalle le preoccupazioni degli adulti, lui doveva solo preoccuparsi per la scuola e la ragazza che amava.
Cioè, il ragazzo, ricordò a sé stessa. Fargli ammettere di essere innamorato di Naruto era stato abbastanza complicato, ma solo uno stupido non si sarebbe accorto del modo in cui lo guardava, lo cercava.
“Recupererà” asserì Sakura cercando di essere più sicura di quanto non fosse.
Shisui si prese la testa fra le mani. “Vorrei avere la tua stessa sicurezza, Sakura” mormorò. Poi aggiunse: “ogni volta che lo vedo, che vedo Itachi… sto facendo un disastro”.
Lo guardò con dolcezza e gli accarezzò i capelli. “Stai facendo del tuo meglio, questo basta.”
“No che non basta, Sakura” disse alzando la voce, “Sasuke mi preoccupa… Se gli succedesse qualcosa sarebbe colpa mia, te ne rendi conto?”
“Non gli succederà niente.”
“Combatte contro i criminali!” sbottò. “E ha diciassette anni, invece di dormire se ne va a spasso a rischiare di beccarsi una pallottola in pancia.”
Era il terrore che attanagliava anche lei, spesso lo aspettava sveglia di notte e si sentiva tranquilla solo quando lo vedeva rincasare.
“Non succederà” ripeté piano, gli prese la mano fra le sue e gli baciò il dorso. “Sa cavarsela.”
“Mi sembra di non star facendo abbastanza” ammise. “Sono un pessimo tutore, come posso crescerlo se a volte non ho nemmeno il coraggio di guardarlo in faccia?”
Sakura capì che il discorso era deviato verso l’argomento tabù, quello che nessuno dei due osava mai tirare fuori. Se era Shisui a farlo significava che era davvero scosso.
“Dovresti parlargliene…”
Fu interrotto da una risata amara. “Come no, mi ammazzerà ancora prima che possa finire.”
“Non è vero, Sasuke ti vuole bene.”
“Credi che me ne vorrà anche quando gli dirò questo?” la guardò scettico. “No, non posso farlo.”
“Prima o poi lo scoprirà e sarà peggio” gli fece presente. “Devi essere tu, devi dirlo a Sasuke.”
“Che cosa deve dirmi?”
Entrambi sussultarono quando sentirono la voce di Sasuke, era all’entrata della cucina e aveva lo zaino ancora sulle spalle. Era appena tornato da scuola e sembrava particolarmente stanco. A Sakura si strinse il cuore a vedere le occhiaie segnate, quel ragazzo dormiva decisamente troppo poco.
“Ehi, campione” Shisui si incollò un perfetto sorriso entusiasta sulle labbra. “Com’è andata oggi a scuola?”
Ma Sasuke non si fece incantare e appoggiò gli occhi sulla lettera ancora sul tavolo, le cose gli si fecero chiare quando vide il logo della scuola.
“Ah, ve lo hanno detto” commentò apatico.
Shisui sospirò e gli fece segno di sedersi sul tavolo con loro. “Parliamo.”
“Mi dispiace, credevo di essermi preparato a sufficienza, la prossima volta rimedierò” disse invece restando sull’entrata.
“Sasuke…” iniziò incerta Sakura, “ce lo dici ogni volta, ma… non sei concentrato sullo studio, è questo il problema”.
“Esatto” annuì Shisui. “Forse dovresti smetterla con questa storia del supereroe mascherato.”
Sakura avrebbe voluto dare una padellata in testa a Shisui, a lui e alla sua totale mancanza di tatto.
“Siamo preoccupati per te, non vogliamo vederti ferito o…” tentò di mitigare, ma Sasuke la fulminò con lo sguardo. Aveva la mascella contratta ed era furioso, poteva dirlo con certezza.
“Non occorre” disse gelido. “So badare a me stesso e sistemerò questa faccenda. Era solo un test…”
“Ma non è l’unico” lo interruppe Shisui. “Non capisci, il diploma è importante, non…”
“Lo capisco, lo so” sbottò. “Ma anche questo è importante. Devo solo trovare un equilibrio e resistere, ma ce la farò. E se non vi dispiace, sono stanco, vorrei andare a dormire.”
“Sasuke, non ho…”
Ma lui si era già teletrasportato, scomparendo dall’entrata e lasciando al suo posto un calzino sporco.
 
**

Dovevi venire, bastardo, invece di fare il solito misantropo.”
“Mh” commentò Sasuke saltando sul tetto dell’edificio successivo. Era una notte serena, la luna illuminava le strade con i suoi raggi, ma Sasuke riusciva a vedere comunque nell’oscurità anche quando era nuvoloso. Stava facendo la ronda saltando di tetto in tetto, allo stesso tempo parlava con Naruto a telefono. Era appena stato a una cena con i loro maestri di karate; Sasuke non ci era andata per poter dormire un po’ prima della sua uscita notturna, con l’amico aveva usato la scusa di Shisui arrabbiato per il test – cosa tra l’altro vera – che non gli permetteva di uscire. La cena era finita in quel momento ed era molto tardi, non gli piaceva l’idea di Naruto che camminava per la città di notte da solo, perciò lo aveva chiamato per assicurarsi che arrivasse a casa sano e salvo. Aveva un brutto presentimento e spesso i suoi presentimenti erano giusti.
“Non ci credo che Shisui sia arrabbiato con te, è sempre così gentile…”
“Solo perché con te è simpatico non significa che non mi tenga il muso” brontolò contrariato facendolo scoppiare a ridere.
“Lo capisco, non deve essere facile avere a che fare con una testa di cazzo come te.”
“Spiegami allora perché tu continui a sopportarmi” gli lanciò la frecciatina, ogni tanto gli faceva domande del genere per vedere che cosa gli rispondesse. Ma ogni volta la spiegazione era sempre la stessa.
“Perché siamo amici, per cosa altrimenti?”
“Sì, giusto” grugnì. “Logico.”
Lo sentì ridere. “A volte sei davvero strano. E cos’è questo rumore?”
Sasuke si era appena teletrasportato, doveva fare qualcosa per lo stridore che lo accompagnava ogni volta che lo faceva. Era stato quello a fargli guadagnare il nome di Mille Falchi.
“Niente, il computer. Sto guardando qualcosa in streaming.”
Ah, sì, cosa?”
“Ehm… Voltron” fu il primo nome che gli venne in mente.
Fantastico! Finalmente hai deciso di iniziarlo” il suo strepito entusiasta lo costrinse ad allontanare l’apparecchio dall’orecchio di qualche centimetro. “E dimmi, chi è il tuo preferito? Chi, chi, chi?”
“Non lo so, devo ancora capire” improvvisò.
Io adoro Keith, è così bello e coraggioso, ne sono totalmente innamorato” fece una pausa nella quale Sasuke alzò gli occhi al cielo. “Sai, secondo me ti assomiglia.
A volte si chiedeva come si potesse essere così scemi.
“Dove sei?” domandò per sviare l’argomento, aveva la faccia in fiamme. Non sapeva davvero cosa pensare, a volte Naruto se ne usciva con frasi del genere che lo mandavano in confusione.
E che palle, sei peggio di mia madre…” borbottò. “Sono all’incrocio del Donut Shop.
“Sei ancora distante” considerò preoccupato.
Eh” si lamentò.
Sasuke si teletrasportò verso il punto indicato da Naruto, finì proprio sull’enorme ciambella in plastica del negozio, si era sostituito con un bullone. Vide Naruto attraversare la strada e lo guardò compiaciuto. Le temperature erano calde, quindi non indossava il giubbotto e si vedeva la camicia bianca fasciargli il petto. Era bello prima, ma crescendo lo era diventato ancora di più. A volte i bulli lo prendevano in giro per i graffi che aveva sul viso, ma lui trovava quel dettaglio molto sexy.
Ma esattamente a che punto sei che c’è tutto questo rumore”.
“Stanno… stanno combattendo.”
In Voltron combattevano, vero?
Hanno già formato Voltron?”
Non capì cosa intendesse, ma confermò: “sì, è appena successo.”
Ah, che figata. Dopo voglio sapere assolutamente che ne pensi.
Si appuntò mentalmente di andare a cercare la trama dettagliata su internet una volta a casa.
“Ci sei?” domandò Sasuke accorgendosi del lungo silenzio. Si spostò in cerca di una postazione migliore, i suoi occhi scandagliarono l’oscurità cercandolo. Quando lo avvistò si accorse che una figura lo stava pedinando a distanza ravvicinata.
Ehm, sì, sì” dal tono nervoso sembrava essersene accorto anche lui.
Cominciò a preoccuparsi, perciò si avvicinò per essere a portata in caso di bisogno.
“Va tutto bene?” domandò.
Lo sentì esitare, ma poi sospirò. “Credo che un tizio mi stia seguendo.”
Lo credeva anche Sasuke. “Accelera il passo.”
Lo fece, anche l’individuo alle sue spalle camminò più veloce. Socchiuse gli occhi quando al primo se ne aggiunse un altro.
Sasuke…” mormorò Naruto preoccupato.
“Sta’ calmo” gli ordinò e bestemmiò internamente. Dovevano finire così tardi quella cena? E perché nessuno si era proposto di accompagnarlo a casa o di andare in un ristorante più vicino? No, a mangiare il sushi in periferia dovevano andare!
Sasuke…” ripeté ancora, “io mi metto a correre, metto giù”.
“No, non farlo, idiota, non attacc-.”
Aveva attaccato.  Imprecò contro lo schermo nero e tornò a guardare Naruto sulla strada: aveva iniziato a correre, ma anche i due uomini lo avevano fatto, presto lo avrebbero raggiunto. Non era abbastanza veloce, al contrario degli altri due. Si infilarono in un vicolo, sparendo alla sua vista.
“Questa te la metto in conto, scemo” mormorò fra sé, poi si teletrasportò.
 
Naruto non era mai stato così tanto spaventato nella sua vita. La strada buia era deserta, casa era ancora lontana e quei due uomini non mollavano la presa. Era senza fiato e le sue gambe stavano rallentando anche se cercava con tutto sé stesso di correre più forte. Inciampò e prima di rendersene conto si trovò a ruzzolare a terra, sbucciandosi i palmi delle mani.
I due uomini lo sovrastarono subito.
Cazzo, cazzo, cazzo…
Ora era ancora più spaventato. Sasuke aveva ragione, avrebbe dovuto farsi accompagnare da qualcuno.
Il pensiero di Sasuke, al quale aveva messo frettolosamente giù al telefono, che si stava guardando Voltron dopo mesi che lo supplicava, gli diede sufficiente forza per alzarsi e cercare di reagire.
“Che volete da me?” domandò guardingo arretrando. Era cintura marrone di karate e, anche se non aveva poi chissà quale forza bruta, poteva tenergli testa.
“Hai dei soldi, ragazzo?” domandò uno di loro. Impallidì quando lo vide tirare fuori un coltellino.
Aveva dei soldi, ma lui non navigava nell’oro, non gli andava di lasciarglieli così senza fare niente. Quelle banconote gli servivano.
Non possono farmi davvero del male…
Scosse la testa. “No, mi dispiace, avevo i soldi contati, non ne ho più.”
“Come no” sputò sprezzante l’altro, poi fece un gesto al suo compare. “Bloccalo e perquisiscilo.”
Provò a reagire, ma fu spinto contro il muro con forza e sbatté la testa; la botta lo annebbiò momentaneamente e l’uomo poté girarlo con la faccia premuta contro la parete. Le sue mani iniziarono a perquisirlo nelle tasche dei pantaloni, anche se gli tremavano le gambe cercò di divincolarsi. Quel criminale era troppo forte.
“Eccolo qui” tirò fuori il portafoglio, lo lanciò all’altro che lo prese al volo. Tirò fuori le banconote, contandole.
“Niente male per uno che era rimasto senza soldi” commentò ghignante.
La presa che lo teneva addossato al muro svanì e lui scivolò a terra in ginocchio. Attaccare briga contro i bulli era un conto, con dei criminali…
Un calcio lo colpì al costato e cadde a terra con uno sbuffo di dolore e sorpresa.
“Che razza di bugiardo” lo insultò il suo aggressore. Serrò gli occhi spaventato, sicuro di star per ricevere un altro colpo, ma poi sentì quel rumore.
Lo stridere di uno stormo di falchi.
Spalancò gli occhi appena in tempo per vedere Mille Falchi atterrare il criminale con un calcio allo stomaco.
“Va tutto bene, testa quadra?” gli domandò. Il suo tono sembrava furioso.
“S-sì” mormorò deglutendo.
Con la bocca spalancata lo vide mentre li metteva fuori combattimento, teletrasportandosi in continuazione e prendendo il posto degli oggetti attorno a loro. Ma poi lo vide usare anche l’altro aspetto del suo potere: la manipolazione della materia. Prese un coperchio della spazzatura e lo plasmò finché non si allungò a formare una sorta di lama, con la quale in pochissime stoccate rese innocuo l’avversario. Fece perdere i sensi a entrambi, poi usò la stessa lastra di metallo come corda per legarli.
“Wow” commentò Naruto folgorato. Lo aveva visto in azione, lo aveva visto combattere davanti ai suoi occhi ed era stato fantastico.
Se lo ritrovò davanti, incredibilmente vicino. Era più alto di lui, perciò dovette alzare la testa.
“Stai bene?” gli domandò ancora, sembrava essere davvero preoccupato. “Ti hanno fatto qualcosa?”
Scosse la testa un attimo confuso. “No, io… sto bene” inarcò un sopracciglio, lo spavento era già passato del tutto. “Mi segui per caso che ti sei precipitato subito qui?”
“Ero nei paraggi” glissò.
“Una fortuna.”
“Già.”
Rimasero in silenzio a fissarsi, Naruto non riusciva a credere di averlo così vicino, voleva aggiungere qualcosa ma non sapeva cosa. Era stato tutto così veloce che faticava a realizzare bene la situazione.
Mille Falchi si allontanò verso i criminali senza aggiungere altro e Naruto si morse il labbro deluso per la fine del momento. Solo lui aveva percepito una certa tensione?
“Ehi te vai di già?” gli domandò.
“Porto questi davanti alla centrale” indicò i due criminali legati. “Non ti muovere da qui, torno subito.”
“Cosa?”
“Ti accompagno a casa. Hai una propensione a metterti nei guai, sei un tale imbranato che è meglio che stia con te.”
Arrossì vistosamente. “È la prima volta che mi succede una cosa del genere!” sbottò oltraggiato.
“Come l’altra volta in mezzo al fuoco.”
“Era un’altra situazione” s’imbronciò. Era tenero con le guance gonfie e gli occhi contrariati.
“Aspettami qui, torno subito” ripeté Mille Falchi. Fu di parola, perché l’eco del primo teletrasporto non si era ancora estinto che era di nuovo al suo fianco. Naruto fece un salto nel percepirlo così vicino.
“Dove abiti?” gli domandò.
Gli diede l’indirizzo. “Devo aggrapparmi ancora a te?” domandò speranzoso.
Annuì. “Sì, ma non mettere le mani in posti strani” precisò ricordando le loro ultime discussioni.
Lo guardò deluso ma ubbidì, allacciò semplicemente le mani attorno al suo collo, lontano dal suo didietro. Ma avvertì comunque un senso di vertigine quando sentì le sue mani sui suoi fianchi, quella presa rese meno spiacevole la scossa elettrica che gli attraversò il corpo. Tempo di un battito di ciglia si trovò al centro della strada che attraversava la sua via, tra i familiari e alti condomini circondati da uno spelacchiato cortiletto.
Naruto abbassò lentamente le mani, fece scivolare le mani lungo le sue spalle e le sue braccia, approfittandone per tastare anche i muscoli nel frattempo, e attese che anche lui togliesse la presa dai suoi fianchi.
Non lo fece.
Aveva la tentazione di togliergli quel becco e vedere qual era la forma delle sue labbra. E poi il resto della maschera per vedere come fosse realmente il suo volto.
“Grazie, anche per l’altra volta” disse giusto per spezzare il silenzio, si era fatto così spesso che si poteva tagliare.
“Ho solo fatto il mio dovere” replicò e finalmente lo lasciò andare.
Naruto rimase a guardarlo con le braccia lungo il busto, temeva il momento in cui lo avrebbe salutato e sarebbe sparito in mezzo allo stridore. Voleva rubargli ancora un po’ di tempo, tutto quello era incredibile e temeva si trattasse di un sogno. Doveva dire qualcosa per trattenerlo ancora un po’.
“Ma mi trovi davvero carino?” domandò. “Non stavi scherzando?”
Era difficile capire come avesse reagito a quella domanda, la maschera impediva di scorgere qualsiasi espressione, sembrava costantemente impassibile.
“Non scherzo mai, l’ho detto perché lo penso.”
Il suo volto si chiazzò di rosso, un particolare che Sasuke trovò adorabile. Sapere di essere stato lui a procurargli quello sguardo lusingato lo faceva stare bene.
“A me piacciono i ragazzi” ammise Naruto. “E credo di essere innamorato di te.”
Rimase di sasso. Amava e odiava la spavalderia di Naruto, la sua capacità di dire sempre tutto quello che pensava senza temere le conseguenze, a volte aveva il potere di mozzargli fiato. Come in quel momento.
Anche se a pensarci meglio gli veniva da ridere: il suo migliore amico, di cui era innamorato da anni, si era innamorato della sua versione supereroica senza sapere che fossero la stessa persona. Cupido era un gran bastardo.
“Lo so che è ridicolo, che è impossibile che io mi sia innamorato di una persona che non ho mai visto e che riceverai continue dichiarazioni d’amore” riprese Naruto, parlò tutto d’un fiato mangiandosi anche le parole “ma… sono innamorato di te, davvero, lo so istintivamente, non posso spiegare perché. Volevo solo lo sapessi”.
Non sapeva come replicare. Cosa doveva fare? Una parte di lui voleva togliersi la maschera e rivelarsi, ma si chiedeva se in quel caso quella sorta di amore sarebbe durato. Naruto amava Mille Falchi, non Sasuke. Sasuke era solo il suo migliore amico. Ma anche nel caso più assurdo che tutto fosse andato bene, non poteva metterlo in pericolo in quel modo. Naruto sarebbe potuto diventare un bersaglio di qualche suo nemico, non poteva permetterlo. Al contrario doveva proteggerlo.
Davanti al suo lungo silenzio, Naruto riprese la parola.
“Scusami, non volevo metterti in questa situazione” abbassò lo sguardo sulle proprie scarpe. “Forse non dovevo dirlo, ma visto che mi trovi carino… no, non so a cosa stessi pensando” ridacchiò grattandosi la testa per mitigare l’imbarazzo.
Sasuke si rendeva conto di dover rispondere, se se ne fosse andato senza dire niente gli avrebbe spezzato il cuore. E poi non voleva andarsene, voleva crogiolarsi in quelle parole anche se non era giusto.
“Non sai chi sono, magari ti potrei deludere” sicuramente lo avrebbe deluso.
Forse le sue parole erano state troppo dure, perché Naruto assunse un’espressione ferita.
“Non potresti mai deludermi. Sei la persona che più ammiro al mondo, sei la mia fonte di ispirazione. Io vorrei essere come te” spiegò affrettato con un po’ di impaccio, ma gli occhi brillavano di determinazione. “Non sto mentendo, questi incontri me lo hanno confermato: c’è qualcosa in te che mi attira, sento che potrebbe esserci una certa chimica fra noi due.”
“E quindi? Cosa vuoi fare? Propormi di uscire?” non voleva risultare così sprezzante, ma quando entrava nel panico non sapeva mai misurare le parole e reagiva male, decisamente male. “Ho dei nemici, non ho tempo per queste cose.”
Ora lo aveva decisamente ferito.
“Lo so, ma…”
“Dovresti lasciar perdere questa cotta infantile e concentrarti su qualcosa più alla tua portata” voleva mordersi la lingua, picchiarsi, ma era più forte di lui. Naruto era uno stupido e anche lui ci era rimasto male. Naruto amava Mille Falchi e non Sasuke, era una situazione di merda. Forse gli avrebbe spezzato il cuore sul momento, ma poi si sarebbe ripreso e non avrebbe perso la sua vita a seguire qualcosa che non poteva avere. Naruto si meritava di essere felice con la persona giusta. Mille Falchi non era la persona giusta, perché Sasuke non era la persona giusta. In più così poteva tenerlo al sicuro.
Naruto lo guardò con gli occhi spalancati, simili a quelli di un cucciolo di labrador appena abbandonato, e si sentì una merda.
“Va bene, scusami di averti infastidito” mormorò con lo sguardo basso. “Grazie per avermi salvato ancora, cercherò di non mettermi più nei guai.”
Dovette fare violenza su sé stesso per non rimangiarsi tutto e agire in modo stupido.
Gli fece solo un cenno rigido con il capo, prima di teletrasportarsi il più lontano possibile da lì e da quegli occhi tristi che lo colpivano come un pugno allo stomaco.
 
**
 
Concentrarsi sui compiti quella settimana fu impossibile. Sasuke continuava a ripensare alla dichiarazione di Naruto e ogni volta si chiedeva se avesse fatto la scelta giusta, ma del resto che altro poteva fare?
Non mi potresti mai deludere.
Tzé, dici così solo perché non sai niente.
No, aveva fatto la scelta giusta, era l’unica soluzione, anche se si sentiva in colpa. Naruto in quei giorni era stato depresso e silenzioso, lui che non era mai silenzioso. Parlava fiacco e stava spesso zitto con uno sguardo pensieroso e bastonato. In qualità di suo migliore amico sapeva quello che era successo; si era aspettato che Naruto insultasse Mille Falchi e facesse qualche battuta del genere: “peggio per lui, non sa quello che si perde”. Invece glielo aveva raccontato con tono sconfitto, quasi biasimandosi per averci sperato, e il suo sguardo continuava a essere avvilito da allora.
Sasuke provava così tanto rimorso che per tirarlo su aveva iniziato davvero a guardare Voltron e ne parlava con lui, anche se quel cartone lo lasciava molto perplesso e c’erano diversi aspetti che non gli erano chiari. Almeno Naruto ne era stato entusiasta ed era riuscito a recuperare in parte il suo buon umore, avrebbe voluto poter fare di più però.
La verità è che come amico faccio davvero schifo.
L’unica cosa che non lo mandava definitivamente in depressione era il fatto che Naruto non avesse smesso di ammirare Mille Falchi. Anche se il suo entusiasmo era più fiacco e il sorriso un po’ triste, continuava a parlarne con amore e adorazione. Considerando quello che gli aveva detto sapeva di non meritarlo, era stato davvero stronzo.
Sussultò quando bussarono alla porta della sua camera e si accorse di aver copiato la stessa riga dell’equazione due volte. Sospirò e permise al suo ospite di entrare.
Era Sakura e reggeva tra le mani un vassoio con tazze e biscotti.
“Pausa tè?” propose con un sorriso.
Annuì grato e le fece spazio.
“Come sta andando?”
“Male” ammise. “Non riesco a risolvere.”
Sakura guardò quella sfilza di numeri scritti in modo ordinato. “Potresti chiedere aiuto a Shisui, è un genio del calcolo.”
Non lo avrebbe fatto, gli piaceva risolvere le cose da solo senza l’aiuto di nessuno.
“In realtà”, continuò la donna, “non mi ferivo ai compiti, ma a te. Come stai?”
La guardò senza capire.
“In questi giorni ci sei sembrato molto triste” spiegò accarezzandogli la frangia. “C’è qualche problema? Naruto? È da tanto che non viene qui.”
Odiava il sesto senso di Sakura, a volte era fin troppo brava a capire il suo umore e a scoprirne lo origini. Non voleva parlarne, ma come sempre capitolò sotto quegli occhi verdi. Aveva bisogno di parlarne e Sakura era l’unica con cui poteva confidarsi.
La tutrice ascoltò in silenzio mentre le spiegava tutto e assunse un’espressione di biasimo quando riferì come avesse risposto a Naruto.
“Non puoi averlo detto sul serio.”
“Cos’altro dovevo fare?” si difese. “Lo so che sono stato brusco, ma si renderà conto anche lui che ho ragione. Anzi, l’ha già capito da solo che era infattibile.”
Gli occhi non smettevano di guardarlo con rimprovero. “Non lo ha capito, Sasuke, se lo ripete solo per convincersi e cercare di proteggersi. Sei stato davvero cattivo con lui.”
“Cattivo ma giusto” borbottò. “L’ho svegliato dalla sua illusione, almeno non crederà più di vivere in una storia d’amore.”
“Tutti abbiamo il diritto di credere nelle storie d’amore” lo contraddisse. “Anche tu ne hai il diritto.”
Capì subito dove voleva portare il discorso.
“Non è innamorato di me.”
“Sì, invece” gli prese la mano. “Tu e Mille Falchi siete la stessa persona e se gli dirai la verità, lui non si tirerà indietro. Anzi, sono certa che il suo amore crescerà.”
“Sono il suo migliore amico, solo questo. Lui è innamorato di un ideale.”
“E che male c’è in questo?” domandò. “Amiamo il concreto, è vero, ma amiamo una persona anche per quello che significa per noi.”
“Davvero? E Shisui allora cosa significa per te?” le ritorse.
Arrossì per quella domanda inaspettata e fu strano, la fece apparire molto più giovane.
“Significa riscatto, un nuovo inizio” disse seria, poi sospirò. “Dici di aver fatto la scelta giusta, ma se fosse davvero così ora non ci rimuggiresti così tanto sopra, non ti renderebbe così triste.”
“Non sono triste!”
“Lo sei” lo guardò quasi divertiva e molto materna. “Sasuke, tu meriti di essere felice e vivere la tua storia d’amore. Hai diciassette anni, devono essere queste le tue prospettive.”
“Ma non posso, è troppo complicato… dovrei spiegare troppe cose.”
“Naruto capirà” gli assicurò. “So che fa paura, ma amare è proprio un salto nel vuoto. Bisogna buttarsi anche se abbiamo paura, altrimenti non sapremo mai cosa si prova.”
Guardò la sua equazione pensieroso. Le parole di Sakura lo avevano convinto, ma non si fidava, non voleva dire la verità a Naruto. Non era semplice paura, era puro terrore.
“Le cose non sono sempre bianche o nere”, aggiunse Sakura, “c’è sempre una tonalità di grigio in mezzo, un compromesso, un punto di contatto tra i due, ricordatelo”.
Fece una smorfia quando si accucciò a baciargli la fronte, ma non si scostò perché tutto sommato ne aveva bisogno. Non ricordava più cosa significasse avere una madre, probabilmente non lo aveva mai saputo, ma Sakura era la figura che più le si avvicinava.
La guardò chiudersi la porta alle spalle, grato che avesse capito che aveva bisogno di un po’ di tempo per pensare.
Un punto di contatto…
Lui era innamorato di Naruto, ma Naruto era innamorato di Mille Falchi.
Però io sono Mille Falchi.
Era quello il punto di contatto?
 
 
 
Ehilà!
Qualche novità in questo grigio lunedì di Ottobre? Io sono circondata dall’acqua alta, la mia casetta è diventata un’isola e un eroe in grado di portarmi alla Coop mi farebbe davvero comodo xD ma non ne ho a portata, quindi finché non scende si mangia pasta in bianco çwç
 
Ma passiamo al capitolo! Vi è piaciuto? Abbiamo avuto un altro incontro tra i due, anche se non è stato dei migliori però c’è sempre Sakura, santa donna, che sa risolvere le situazioni :’) lei e Shisui sono da fare santi, altroché. Giustamente si preoccupano, anche se forse nascondono qualcosa…
Non dico niente :v
 
Un bacio!
Hatta

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Capitolo 3
*** III ***


III
 
Naruto era disteso sul letto a giocare con la Play Station, aveva lo sguardo concentrato sul gioco, in più teneva la musica accesa alta, perciò non lo sentì subito: qualcuno stava picchiettando alla sua finestra. Appena se ne accorse divenne curioso, considerando che occupava con suo zio il quarto piano dell’edificio.
Perplesso si alzò dal letto, andò alla finestra e tirò su le persiane. Quasi gli prese un colpo quando vide Mille Falchi al di là del vetro.
Cosa…?
Aprì la finestra, l’aria fresca della notte lo colpì al viso e un leggero vento gli scompigliò i capelli.
“Ehi” gli fece l’eroe. “Finalmente.”
Era in equilibrio sul balconcino, acquattato come un felino, la tuta nera lo faceva mimetizzare con il cielo notturno alle sue spalle. Naruto era troppo sorpreso e non sapeva nemmeno cosa dire.
“Che cosa ci fai qui?”
Doveva farlo entrare o no? Si sentiva ridicolo per la felicità che aveva provato nel vederlo; nonostante nell’ultimo incontro l’altro fosse stato fin troppo chiaro su cosa pensasse dei suoi sentimenti, lui non era riuscito per nulla ad abbandonarli e in quel momento il suo stomaco stava facendo le capriole.
Mille Falchi si mosse nervoso sul balconcino in ferro.
“Ho ripensato al nostro ultimo incontro” ammise.
Naruto rimase in silenzio, si impose di non leggere nessun senso ambiguo in quelle parole, di non lasciarsi illudere. La sua coscienza aveva la voce di Sasuke e gli diceva di restare con i piedi per terra.
“Sì, scusami di essere stato così impulsivo” balbettò. “Non dovevo dire quelle cose.”
“No”, lo contraddisse, “sono io a dovermi scusare, sono stato insensibile e ti ho ferito, mi dispiace”.
“Ma avevi ragione” abbozzò un sorriso. “Sei carino a venire fin qui solo per scusarti.”
“Non sono qui solo per scusarmi” gli rivelò, la sua voce sembrava nervosa, quasi fosse in imbarazzo.
Naruto lo guardò imbambolato, ormai si era lasciato andate alla speranza.
Mille Falchi si picchiettò il becco. “Toglimelo.”
“Cosa?” ora era confuso.
“Sono in equilibrio, non posso farlo da solo” spiegò. “Mi sbilancerei e cadrei giù.”
Non spiegava tutto, ma lo accontentò. Si protese in avanti e portò le mani alla sua nuca, cercò l’aggancio alla cieca, lo sguardo ipnotizzato sulla maschera. Così vicino riusciva a intravedere gli occhi, sembravano scuri, dalla forma a mandorla. Un click lo informò di essere riuscito nel suo intento, perciò afferrò saldamente la maschera perché non cadesse e la mise al sicuro. Era più leggera di quanto pensasse.
Incapace di resistere alla curiosità, tornò a rivolgere lo sguardo al suo volto per vedere quale fosse la forma della parte inferiore del viso: era particolarmente affilata, con la pelle chiara, il naso dritto e le labbra sottili. Le fissò deglutendo, aveva la gola secca e stava sudando tantissimo.
“Allora?” domandò a bassa voce Mille Falchi. “Non mi baci?”
Si costrinse ad alzare lo sguardo dalla sua bocca, per fissarlo negli occhi. La maschera ne disegnava il contorno rendendoli sottili e allungati come quelli un gatto.
“Non sono così maleducato da fare qualcosa del genere senza permesso” disse deciso, anche se aveva il volto in fiamme. Sentiva il suo fiato infrangersi sul viso, era caldo e piacevole.
“Ma io te lo sto chiedendo” lo informò.
Naruto spalancò la bocca sorpreso, la mente in cortocircuito, perciò fu Mille Falchi a protendere il viso verso il suo. Fece combaciare le loro labbra, socchiudendole appena per invitarlo a ricambiare. Non che ce ne fosse bisogno, perché reagì prontamente, lo fece quasi con troppo entusiasmo. Per entrambi era il primo bacio, perciò si mossero un po’ alla cieca, ma non importava, era perfetto così.
Mille Falchi lo afferrò saldamente per una spalla, poi con la solita scossa li teletrasportò entrambi. Naruto si ritrovò disteso sul proprio letto, senza fiato e con l’eroe su di sé che gli leccava il labbro inferiore. La realizzazione dell’intera situazione lo fece ansimare e nel farlo aprì ancora di più la bocca. Il bacio si approfondì, caotico per la loro inesperienza, ma sempre più bagnato e irresistibile. Naruto aveva iniziato ad eccitarsi già quando le loro labbra si erano incontrare, ma ora nel sentire il corpo di Mille Falchi premuto su di sé e le mani nei suoi capelli era completamente duro.
Quando si staccarono erano rimasti entrambi senza fiato. Naruto aveva artigliato le mani al suo didietro e sentire quelle forme rotonde e dure sotto i palmi gli mandava continue scosse elettriche all’inguine.
“Credevo non avessi tempo per queste cose” inciampò con il respiro incredulo.
Mille Falchi non rispose, affondò solo il viso sotto al suo collo strofinando il naso sulla pelle morbida. Fece scontrare i loro bacini e Naruto credette di morire quando sentì che, sotto la tuta attillata, anche il vigilante era eccitato.
Per me. Oddio, ci siamo baciati. Si è eccitato per me.
Cominciò a temere che quello fosse solo uno dei suoi sogni. Titubante portò le mani sul suo volto, sfiorando con le dita il bordo della maschera, provò a sollevarla per scoprire il resto del viso e poterlo finalmente vedere, ma Mille Falchi lo bloccò subito. Gli afferrò con forza i polsi bloccando il suo movimento.
“No” ordinò deciso. “Questo no.”
Gli sembrò di sentire il proprio cuore precipitare nello stomaco. “Ma…”
“Io voglio questo con te” lo interruppe, si passò la lingua lungo le labbra lucide di saliva “Ma ci devono essere delle condizioni. Non posso rivelarti chi sono.”
“Perché no?” protestò.
“È meglio così” tagliò corto. “È più sicuro per entrambi.”
S’imbronciò. “Voglio sapere chi sei, non lo dirò a nessuno, lo giuro!”
Gli prese la mano e gli baciò l’interno del polso, quel gesto lo fece arrossire.
“Lo so, sei troppo onesto per farlo” disse. “Ma deve fidarti di me. Puoi farlo?”
La voce di Mille Falchi era dura e profonda, un po’ come quella di Sasuke, ma non era secca e tagliante come la sua, era cadenzata e soppesava con lentezza ogni parola. Era sexy.
Voleva protestare, ma era troppo incantato e… be’, il sangue non stava più affluendo al cervello da un pezzo, concentrato tutto sull’inguine.
“Va bene” acconsentì con un sospiro sconfitto, ma poi pretese subito dopo un altro bacio. Aveva preso più confidenza con quei movimenti della bocca e decise di essere più lento, per gustarselo meglio. Mille Falchi si adeguò a quel ritmo e si strusciò sul suo corpo, facendolo impazzire. Tornò ad appoggiare le mani sul suo sedere e lo palpeggiò con gusto, si adattava perfettamente ai suoi palmi.
Queste sono le soddisfazioni della vita.
Mille Falchi spostò le labbra dalla sua bocca e gli baciò la mascella, scese poi a leccare il collo, mordendo piano la pelle delicata. Naruto respirò pesantemente, gli faceva male l’erezione costretta nei pantaloni.
Cominciò a chiedersi fino a dove fosse disposto a spingersi il supereroe, perché in quel momento la sua razionalità era andata a farsi benedire e voleva fare tutto.
Sussultò quando Mille Falchi tirò il colletto della sua maglia del pigiama, scoprendo la clavicola abbronzata e baciandola. Ma usò troppa forza nel tirarlo e il suono di una lacerazione accompagnò il momento in cui la strappò fino all’ombelico.
Naruto sussultò un attimo spaventato, mentre Mille Falchi si lanciò all’indietro, sul bordo del letto.
“Io… mi dispiace” si scusò preoccupato.
Il ragazzo guardò il proprio pigiama distrutto, la pelle del bacino esposta.
“Non importa” rise, perché nonostante tutto era divertito da quell’impazienza, era la stessa che agitava anche lui.
L’eroe non sembrava convinto, lo guardava amareggiato e dispiaciuto, come se avesse fatto un errore madornale.
“Solitamente mi controllo meglio” precisò. “Ho perso un attimo la testa.”
Quella confessione lo lusingò. “Dai non è successo niente. È solo un vecchio pigiama” ridacchiò, colto da un pensiero. “Meno male che mi sono cambiato, se avessi rotto la maglia di Sasuke non mi avrebbe mai perdonato.”
Mille Falchi s’irrigidì e le sue labbra presero una piega strana.
“Ehm, chi?” domandò.
Lo sguardo azzurro si illuminò. “Sasuke, è il mio migliore amico. Be’, anche l’unico in verità, ma non è questo il punto. Ogni volta che non gli restituisco qualcosa si incazza, però a parte il suo carattere scorbutico è fantastico. Gli voglio davvero molto bene”.
Rimase senza parole a sentire quelle parole. Naruto lo considerava fantastico, nonostante gli ripetesse di essere un codardo, in realtà… davvero faceva quello sguardo quando parlava di lui? Sentì la vertigine aggredirgli lo stomaco, come se si stessero baciando ancora.
“Senti, so che sicuramente questo sarà un segreto… ma posso dirlo a Sasuke?” lo distrasse. “Lo manterrà anche lui, non mi ha mai tradito. Potrei pure presentartelo, secondo me andreste d’accordo.”
Quella conversazione stava toccando tasti pericolosi, perciò decise di chiuderla. Gli tornò vicino, sistemandosi fra le sue gambe aperte, appoggiò la mano sul suo stomaco piatto, nonostante conservasse ancora un po’ di morbidezza, e lo ributtò disteso.
“Vuoi davvero parlare di un altro ragazzo o continuare?” domandò a voce bassa.
A Naruto venne la pelle d’oca. “Sei geloso?”
“No” negò impassibile “Ma ho un ragazzo bellissimo davanti e vorrei approfittarmene”.
Riuscì nel suo intento, Naruto si ammutolì, mentre la sua faccia raggiunse ogni gradazione di rosso possibile.
“Naruto, non devi dirlo a nessuno. Nessuno, capito? È una cosa seria, potresti mettere in pericolo te stesso, potrebbero usarti per arrivare a me, per ricattarmi”.
“Non sono uno sprovveduto, so prendermi cura di me” s’indignò “Non preoccuparti, posso cavarmela”.
“Lo spero per te, sarebbe una seccatura doverti salvare di nuovo”.
“Senti, ma…. Nemmeno a Sasuke posso dirlo quindi?” domandò in un broncio “Il fatto è che con lui non ho segreti, non so se ne sarei in grado”.
Si chiese quale fosse la risposta giusta e meno sospetta, ma alla fine scrollò le spalle. “Se ti fidi di lui…”
“Tantissimo.”
“Allora va bene. Ma davvero, non tradirmi.”
“Per chi mi hai preso?” s’indignò. “Non lo farei mai!”
Gli baciò il solco fra le sopracciglia contratte. “Continuiamo?”
Naruto allacciò le braccia attorno al suo collo e se lo tirò contro, annuì felice, ma poi fece un’espressione leggermente esitante.
“Posso spogliarti?”
Si sentì riluttante ad accettare. “Il mio corpo… ha dei difetti.”
Quella risposta lo lasciò perplesso. “Dei difetti, tu?” eppure quello che lasciava intravedere la tuta era a dir poco perfetto.
“Ecco… non mi va di mostrarteli” mormorò.
“Te l’ho già detto, non c’è niente di te che potrebbe deludermi” ripeté deciso l’altro, fece scivolare le mani lungo tutta la sua schiena, poi le spostò in avanti, strofinando il pollice sul gonfiore dell’erezione.
“E poi, se sei vestito, come posso rimediare qui?”
Mille Falchi doveva essere arrossito, perché intravide il rossore sbucare da sotto la maschera. Ma quella argomentazione parve convincerlo.
“Ti prego, non farmi domande in merito.”
 Scese dal letto e cominciò ad armeggiare con il costume fino a sfilarlo. Era di una stoffa sottilissima, che scivolò a terra silenziosa, sembrava acqua.
Naruto capì subito quali fossero i difetti che intendeva: il corpo era pallido, slanciato, atletico anche se non particolarmente muscoloso. Ma a deturpare quella pelle tesa era un reticolo di cicatrici rosate, ormai vecchie e guarite. La parte agghiacciante era che sembravano seguire un disegno preciso, non erano fatte a caso, ma come se fossero state fatte con un bisturi per cercare qualcosa che stava sotto la pelle. Non riuscì a non inorridire davanti a quella visione, il cuore stretto in una morsa.
Si alzò dal letto e allungò un braccio a seguirne una sotto lo sterno, era appena in rilievo rispetto al resto della pelle ma liscia.
“Cosa…”
“Niente domande” gli ricordò afferrandogli la mano.
“Ma…”
“Te ne parlerò”, forse, “ma non adesso”.
Naruto era scosso, aveva mille domande e visioni in testa, si chiese come se le fosse procurate, se c’entrassero con i suoi poteri o se fossero il ricordo di un qualche criminale. Ma Mille Falchi sembrava davvero riluttante a parlarne, probabilmente anche se cicatrizzate quelle ferite dovevano fare ancora male; perciò non insistette.
“La maschera…?” sbatté le ciglia.
“Resta” decretò.
Sbuffò, ci aveva provato, ma non insistette. Poteva farselo bastare per ora, ma in futuro ci avrebbe provato ancora a convincerlo.
Gli sfiorò le labbra in modo casto. “Io sono ancora vestito” gli ricordò innocente.
Gli afferrò il bordo dei pantaloni, accarezzando la linea di pelle un poco arrossata dall’elastico.
“Rimediamo subito, allora”.
 
**
 
Il giorno successivo, quando Sasuke e Naruto si trovarono per andare a scuola, quest’ultimo era distratto e aveva uno sguardo sognante. Sasuke rimase in silenzio e non chiese niente, aspettando che fosse l’amico a parlarne e abbastanza curioso di sapere la sua versione di quella notte.
Per lui era stata semplicemente meravigliosa.
Non erano andati fino in fondo, però avevano fatto altro. Dovette mordersi la guancia per non mettersi anche lui a sorridere come un cretino.
“Ho fatto un pompino a Mille Falchi.”
Eh già.
Sussultò, accorgendosi che Naruto aveva effettivamente parlato e che lui in teoria non doveva sapere niente.
“Cosa?” domandò, cercò di imitare il tono che faceva quando credeva che l’amico avesse sbattuto la testa da qualche parte.
Certo che tra tutti i modi in cui poteva introdurre l’argomento…
Naruto era rosso fino alla radice dei capelli e teneva lo sguardo puntato sul marciapiede, il suo imbarazzo era palpabile, così come la sua felicità.
“Hai sentito bene, bastardo.”
“Intendi che lo hai sognato? Perché non mi interessano i dettagli, che schifo. Tieniteli per te i tuoi sogni da arrapato.”
In realtà aveva fatto tutt’altro che schifo, anche se a un certo punto lo aveva morso. Ma era una cosa che sarebbe migliorata con la pratica e lui era decisamente portato per quel lavoro di bocca.
Naruto lo colpì con una spallata.
“Sei un cretino” lo insultò, ma aveva il sorriso più bello e spensierato che gli avesse visto. “No, dico il vero Mille Falchi. Ieri notte… è venuto in camera mia.”
E gli raccontò tutto il resto, abbassando la voce ogni volta che qualcuno si avvicinava. Non era poi così sprovveduto alla fine.
Sasuke lo guardò scettico e sorpreso, anche se a dirla tutta era davvero compiaciuto di aver fatto un’impressione così bella a Naruto. Ne era sollevato, perché per la maggior parte del tempo si era sentito impacciato e aveva agito d’istinto, non molto certo di ciò che stava facendo.
“Secondo te, Mille Falchi ha già fatto sesso?”
Spalancò gli occhi colto di sorpresa. “Ma che razza di domanda fai?” bofonchiò imbarazzato.
Comunque la risposta era no.
Naruto fece spallucce. “Visto cosa abbiamo fatto ieri sera è probabile che noi… eheheh” ridacchiò con l’espressione di chi è già partito per la luna.
“Secondo me corri troppo.”
Non correva affatto troppo, già non sapeva per quale miracolo divino si fosse trattenuto la sera prima dall’andare oltre. Forse l’ansia, del resto era qualcosa di cui conosceva solo la teoria, la pratica era tutt’altro
Naruto lo ignorò, sembrava pensieroso e un po’ giù di morale. “Secondo me ha già fatto sesso. Ovviamente. È un eroe, avrà una fila di persone disposte a fare sesso con lui.”
“Mah, non saprei” replicò, spaventato che cominciasse a considerarlo un esperto a livello sessuale e si facesse troppe aspettative. “È probabile che non abbia tempo per queste cose, secondo me è vergine” buttò lì.
Ma Naruto ormai si era impuntato. “No, è impossibile, non è mica uno sfigato come noi. E poi ieri sera era troppo sicuro e bravo per essere stata la sua prima volta. Cioè, era proprio… wow.
Cercò di non compiacersi troppo e di mantenere l’espressione distaccata.
“Bah, come vuoi tu.”
“Secondo te Mille Falchi è un top o un bottom?”
Si fermò in mezzo al marciapiede, la faccia in fiamme. “Ma che… la smetti con queste domande?” sbottò.
“No, è importante!” protestò. “Devo capire come comportarmi, insomma… e se vogliamo fare tutti e due la stessa parte?”
“Non voglio parlarne.”
Lo afferrò per il braccio spiaccicandoglisi addosso. “No, dai, ti prego, non c’è nessun altro a cui posso dirlo! E io devo capire, non voglio fare disastri, sembrare un imbranato…”
“Tu sei un imbranato” lo corresse, ma l’altro non lo ascoltò minimamente.
“Sasuke, io tutto quello che so sul sesso lo so per i porno e tra maschi le cose sono diverse che tra uomo e donna, no? Voglio dire, uno dei due dovrà pure prenderlo…”
Avrebbe voluto mandarlo al diavolo, ma le preoccupazioni dell’amico fecero andare anche lui in paranoia. Non ci aveva pensato a quell’incombenza.
“Tu, ehm… tu cosa preferisci? Passivo o attivo?” gli domandò nell’imbarazzo totale.
“È questo il punto: non lo so!” si disperò. “Insomma, la parte passiva è quella che fa più male in teoria, però dover reggere la situazione… io non so come si faccia sesso. E se non lo preparassi abbastanza? Se gli facessi male?”
“Allora lascia a lui quel ruolo” borbottò arginando l’ansia da prestazione che cominciò già a sentire.
“Ma fa male prenderlo in culo!”
Lo disse così forte che una vecchietta, intenta a portare il cane a passeggio dall’altra parte della strada, si voltò a guardarli con aria scandalizzata.
“Non gridare” mormorò sul punto di uccidersi per l’imbarazzo.
“Non voglio che mi faccia male, tu non hai visto quanto è grosso, non può entrare lì dentro. È una parte delicata, e se poi non riesco più a fare bene la cacca?”
Si morse la lingua soddisfatto per l’implicito apprezzamento sulle sue dimensioni.
“E allora fai l’attivo, santo cielo.”
“E se vuole farlo lui?”
Sbuffò. “Chiediglielo, magari te lo lascia fare.”
In realtà l’idea non lo entusiasmava tanto, Naruto aveva la delicatezza di un elefante.
“Ma se faccio un disastro?” domandò infatti l’amico in crisi. “Se mi rendo ridicolo? Se non lo faccio venire? Se vengo prima io? Oddio, se vengo prima io dopo come facciamo?”
Ormai erano quasi arrivati davanti alla scuola e lui voleva che la smettesse di parlare di quella faccenda.
“Magari sono le stesse domande che si sta facendo lui” provò a consolarlo.
Naruto si guardò le scarpe. “Lui è sempre così perfetto, è un eroe…”
“Questo non significa che non abbia dubbi” doveva assolutamente abbassare le sue aspettative, non sarebbe mai riuscito a reggerle. “Sotto la maschera è un ragazzo come te, scommetto che ha le tue stesse preoccupazioni”.
Le ha, adesso per colpa tua le ha.
Ricevette un’occhiata mogia e poi, prima che potesse evitarlo, l’altro ragazzo gli franò addosso in un abbraccio inaspettato.
“Oi” domandò sentendo le ossa scricchiolare per la presa troppo forte, ma finse solamente di allontanarlo, in realtà adorava quando lo abbracciava.
“Grazie, Sasuke! Se non ci fossi tu… sono così felice di essere tuo amico, non immagini quanto ti voglia bene. Grazie per esserci sempre per me.”
“Ehm, sì, anche io” borbottò, gli diede qualche pacca sulla spalla nella speranza che fosse sufficiente. Non sapeva mai come reagire a quelle dichiarazioni, da un lato gli scaldavano il cuore, dall’altro lo facevano sentire frustrato perché non voleva essere solo suo amico.
Finalmente Naruto lo lasciò andare e fece un passo indietro, sembrava imbarazzato. Strano, era solito lanciarsi in certi gesti d’affetto.
“Dopo scuola potresti accompagnarmi a comprare del lubrificante?” domandò grattandosi la guancia.
Arrossì ferocemente. Lo superò deciso a ignorare quella domanda.
“Andiamo in classe.”
“È un sì?”
“Non voglio parlarne.”
“Ma Sasuke… Sasuke! Aspettami almeno, bastardo!”
 
**
 
Alla fine lo aveva accompagnato a comprarlo, sia il lubrificante che un pacco di preservativi. Aveva dovuto anche accompagnarlo davanti alla cassa perché si vergognava ad andare da solo, adesso il farmacista credeva che fossero una coppia.
Be’, non che abbia tutti i torti.
Ma, nonostante fossero passati un po’ di giorni dalla compera, non avevano ancora fatto nulla di concreto. Sasuke aspettava che fosse Naruto a prendere in mano la situazione, Naruto aspettava che fosse Mille Falchi, perciò restavano in quello stallo senza fare nulla.
Non andava a trovarlo ogni sera, solo ogni tanto e prima lo avvertiva con un bigliettino che teletrasportava qualche ora prima in camera sua. Aveva dovuto modificare la propria scrittura per non essere scoperto, ma fin’ora Naruto continuava a non sospettare nulla. Aveva riportato qualche volta la discussione sulla maschera, dove lui era stato irremovibile, o sulle cicatrici, sulle quali continuava a tacere. Pensava di dirglielo prima o poi, perché era qualcosa che voleva confessare da sempre, ma continuava ad avere paura della sua reazione. Era vero, in quel caso non sarebbe stato Sasuke, ma Mille Falchi, però significava comunque esporsi e la cosa non gli piaceva per nulla.
Quella era stata una notte tranquilla, nessuna aveva osato nulla e lui si era limitato a spostarsi da un lato all’altro della città con la testa un po’ sulle nuvole. Verso l’alba decise che poteva tornare a casa, poi si ricordò che era domenica e che quella mattina non ci sarebbe stata scuola. Cambiò idea, invece di teletrasportarsi nella propria camera, andò in quella di Naruto. Atterrò sul pavimento accompagnato dal solito rumore stridulo, ma non bastò quello a svegliare il ragazzo addormentato sul letto.
Naruto aveva uno sguardo pacifico quando dormiva, come se nessun problema potesse scalfirlo. I suoi lineamenti erano rilassati, morbidi, le labbra socchiuse con un piccolo colo di bava. Sapeva di apparire come un maniaco a fissarlo mentre dormiva, ma era una tentazione troppo forte, soprattutto perché era raro vederlo così calmo e silenzioso.
Sorrise da solo per quel pensiero, poi si portò le mani alla nuca per togliere il becco in metallo e lo mise sul comodino vicino alla cornice di una foto di lui e Naruto al suo ultimo compleanno. S’infilò silenzioso e agile sotto le coperte al suo fianco, ben attento a non svegliarlo.
Ma il ragazzo dovette percepire comunque la sua presenza, perché corrugò la fronte e senza aprire gli occhi biascicò: “Sasuke?”
S’irrigidì nel sentire il proprio vero nome e si chiese come agire, il cuore gli batteva fortissimo nelle orecchie.
“Sì?” esitò usando la propria voce e non quella contraffatta che usava di solito.
Naruto non aprì gli occhi, sembrava in uno stato di dormiveglia. Sorrise e basta, poi si spinse in avanti ad abbracciarlo come se fosse un peluche e si riaddormentò con la testa appoggiata alla sua spalla.
Sasuke non si mosse e trattenne il respiro, rimase vigile finché la stanchezza non lo aggredì del tutto e si addormentò a sua volta.
 
La sveglia suonò alle sette facendo saltare Naruto sul letto preso dal panico. Ci mise un poco a capire che a provocare quel baccano era l’oggetto infernale che teneva sul comodino; aveva dimenticato di spegnerla o posticiparla. Allungò una mano per zittirla, ma nella sua missione tastò un corpo caldo accanto al proprio. Quella scoperta lo svegliò del tutto e gridò.
Il corpo sotto le coperte mugugnò, poi dalle lenzuola sbucò la maschera di Mille Falchi. Vederlo lì gli fece schizzare il cuore in gola dalla gioia.
“Che cosa ci fai qui?” gridò.
Lo vide piegare la bocca in una smorfia infastidita. “Non gridare, Dio che ore sono?”
“Le sette”.
“Buonanotte” fece per rimettere la testa sotto le coperte, ma Naruto glielo impedì.
“Quando sei arrivato, perché non mi hai svegliato?”
“Era l’alba, dormivi troppo bene per farlo” borbottò. La sua voce di prima mattina era roca, graffiante.
“Non mi avevi detto che venivi.”
“Cambio di programma all’ultimo.”
“E hai dormito qui?” si sentiva come un bambino la mattina di Natale. Era la prima volta che si svegliava col supereroe al proprio fianco, solitamente restava solo poche ore per poi andarsene.
Mille Falchi non rispose nemmeno e sistemò meglio la faccia sul cuscino, pronto a riprendere il sonno, ma il ragazzo glielo impedì perché lo aggredì per un bacio.
“No, dai, lavati i denti prima, stammi lontano” protestò spiaccicandogli una mano in faccia.
“Bastardo, non mi puzza l’alito” protestò con un broncio, che mantenne solo per pochi secondi, poi tornò a sorridere. Si distese al suo fianco guardandolo come se fosse una magica apparizione divina, gli baciò la guancia e poi strofinò la testa sulla sua spalla.
“Sono così felice di averti qui.”
Mille Falchi sospirò; nonostante il suo corpo gli stesse lanciando continui messaggi sul suo bisogno di recuperare le ore di sonno, ormai la sua mente era sveglia e Naruto addossato a sé non aiutava la situazione.
Avvolse le braccia attorno alla sua schiena e lo abbracciò stretto.
“Niente baci finché non ti lavi i denti” lo informò.
Sbuffò, ma non tentò nessun altro attacco. Rimasero distesi sotto le lenzuola intrecciando le gambe senza dire nulla, avevano il respiro sincronizzato. Sasuke pensò che fosse tutto perfetto, in quel momento non poteva chiedere nient’altro per essere felice, semplicemente non si poteva essere più felice di così.
Il momento di quiete fu interrotto dallo stomaco di Naruto, che gorgogliò per informare il mondo del suo immediato bisogno di cibo. Fu un rumore così inquietante e strano che il suo proprietario arrossì per l’imbarazzo.
“Credo che sia ora di andare” considerò Mille Falchi con un sospiro, ma l’altro non fu d’accordo e si aggrappò a lui con forza.
“No, dai, resta un altro po’.”
“Devo tornare a casa…”
“Un altro pochino, poco poco…” si lagnò. “Non vuoi fare colazione con me?”
Lo guardò come se stesse dicendo una sciocchezza. “Certo, in cucina, dove possono vedermi tutti gli abitanti di questa casa.”
Naruto sussultò a quella risposta e scivolò giù dal letto.
“Aspetta qui, non osare andartene” gli puntò contro un dito, poi uscì dalla camera.
Rimase ad aspettarlo come gli aveva chiesto, non si mosse dal letto e guardò il soffitto. Quanto era stato imprudente? Naruto si sarebbe potuto svegliare senza che lui se ne accorgesse e togliergli la maschera, scoprire tutto.
Fantasticò sulla sua possibile reazione. Si sarebbe incazzato? Sicuramente, ma poi? Sarebbe anche stato disgustato di aver fatto certe cose con il proprio migliore amico? Si sarebbe sentito tradito, lo avrebbe odiato?
Quei pensieri depressi furono spazzati via dal ritorno di Naruto in camera, con un vassoio fra le mani. Sopra c’erano due tazze di latte, un succo, una busta di cerali, un pacco di biscotti e delle banane.
“Scusami, non sapevo con cosa preferissi fare colazione così ho preso un po’ tutto” disse tornando sul letto.
Quell’accortezza gli riscaldò il cuore.
“Mio zio sta ancora dormendo, quindi non preoccuparti. Puoi stare qui quanto vuoi.”
Prese una banana, domandandosi cosa dire. Sasuke sapeva che Naruto viveva solo con lo zio, ma in teoria Mille Falchi no. Sarebbe stato troppo indelicato chiedere, ma quella frase avrebbe fatto incuriosire chiunque, cosa doveva fare?
“Tuo zio?” domandò con fare casuale.
Come si aspettava, Naruto intristì lo sguardo. “Sì, vivo con lui” spiegò, tirò le gambe al petto e appoggiò il mento sulle ginocchia. “I miei genitori sono morti anni fa.”
Lo sapeva già, ma la tristezza nello sguardo azzurro era così palpabile da farlo stare male.
“Mi dispiace” disse. “Non volevo essere indelicato.”
“No, va bene” lo rassicurò con un sorriso malinconico. “Erano dei poliziotti, tutti e due, ed erano i genitori migliori del mondo. Una volta sono rimasti coinvolti in un incidente con dei criminali, c’erano degli ostaggi e hanno provato a salvarli; però nessuno ha salvato loro” fece una smorfia.
“Naruto…”
“Scusami, non volevo metterti in una brutta situazione. Mi mancano, ovviamente, ma sono fiero di loro. Sono stati i miei primi eroi, sono stati loro a insegnarmi di essere leale, onesto e giusto” si toccò il lato sinistro del petto. “Finché io mi comporterò in modo giusto loro continueranno a vivere, porterò io avanti i loro ideali.”
Sasuke era ammutolito, Naruto non gli aveva mai spiegato quella faccenda, ora capì perché si comportava sempre in quel modo avventato.
“Sono sicuramente fieri di te” tentò di dire.
“Mh, chissà, provo a fare del mio meglio” evitò il suo sguardo, prese i cereali per inzupparli nel latte.
“Il tuo meglio… si contano sulle dita le persone disposte a gettarsi in un incendio per salvare una bambina. Tu sei una persona davvero ammirevole.”
Le orecchie si accesero di rosso e faticò a nascondere il sorriso lusingato.
“Credevo di essere uno stupido.”
“Anche” confermò, poi fece un lungo sospiro rassegnato catturandosi un’occhiata confusa.
Naruto si era aperto con lui su un fatto che aveva lasciato una profonda cicatrice in lui, Sasuke sapeva quanto avesse sofferto per la morte dei suoi genitori e quanto faticasse a parlarne. Il fatto che ne avesse parlato con Mille Falchi era quasi incredibile, ne era addirittura così tanto innamorato?
In ogni caso, voleva ricambiare la sua fiducia. Forse quello li avrebbe fatti sentire ancora più vicini, condividere un dolore.
“Queste cicatrici…” iniziò incerto, ma Naruto lo bloccò subito.
“Non dirmelo solo per dovere, solo perché io ti ho detto dei miei genitori” disse serio. “Te l’ho detto non per avere qualcosa in cambio, ma perché lo volevo e basta”.
Era così bello con quello sguardo limpido e determinato che non resistette dal piegarsi in avanti per baciarlo, Naruto rispose subito. Non rovesciarono il latte solo per miracolo.
“Non mi sono ancora lavato i denti…” mormorò.
“Va be’, non è importante” fece una pausa, poi riprese il discorso di prima. “Io non sono nato con i miei poteri, me li hanno imposti modificandomi il DNA.”
Naruto sbatté le palpebre. “Cosa? Davvero?”
Annuì. “Sì, un’azienda tecnologica – non ti dico quale, non fare quella faccia – aveva un programma segreto per potenziare gli esseri umani. Io ero fra le cavie, da quello che posso dire sono nato in quel laboratorio. Le cicatrici sono un ricordo della permanenza, delle operazioni chirurgiche.”
Lo aveva detto con voce pacata, come se stesse discorrendo della sua infanzia in un ambiente un po’ soffocante, come se non lo toccasse più, anche se il tremore delle sue mani rivelava il contrario.
Naruto era sconvolto, lo guardava agghiacciato e con gli occhi sbarrati, l’espressione contratta in una smorfia. Sasuke si era aspettato di vedere pietà, ma c’era solo orrore e rabbia.
“Come si può fare una cosa del genere?” sbottò furioso. “A un bambino!”
“Per una cosa che si chiama potere” cercò di mantenere un tono sarcastico, ma fallì miseramente visto che risultò lugubre.
Nemmeno Naruto pareva intenzionato a buttarla sull’ironia, sembrava volesse dare fuoco a qualcosa.
“Questo è… tremendo” lo guardo con gli occhi spalancati. “Vorrei fare qualcosa.”
Quel modo di fare di Naruto gli metteva tenerezza, doveva sempre essere in prima fila, agire, non poteva stare con le mani in mano. Per lui ignorare un’ingiustizia era impossibile.
“Ormai è passato” lo tranquillizzò. “Quelle persone non ci sono più, non possono più farmi niente.”
“Cos’è successo?”
“Un incidente al laboratorio e io sono riuscito a scappare.”
“E hai deciso di mettere i tuoi poteri al servizio dell’umanità per evitare che potesse succedere ancora qualcosa del genere?”
L’ho fatto perché tu mi hai ispirato e mi hai fatto desiderare di essere una persona migliore.
“Qualcosa del genere” borbottò.
Gli rivolse un sorriso soddisfatto, poi piegò la testa curiosa. “E adesso? Voglio dire, oltre a fare il supereroe che cosa fai?”
S’irrigidì. “Ne parliamo un’altra volta” chiuse l’argomento.
“Vorrei sapere più cose su di te” bofonchiò. “Lo so che lo fai per proteggermi, ma…”
“Appunto, niente ma” lo interruppe “La tua sicurezza è più importante.”
Strinse le labbra in una smorfia e distolse lo sguardo infastidito. Voleva protestare, ma aveva paura di farlo arrabbiare, che scappasse via e non tornasse più. Quel poco che aveva voleva tenerlo stretto, anche se non gli sembrava abbastanza. Quella relazione era davvero difficile.
Se siamo in una relazione…
Non è che il supereroe lo avesse specificato e lui si sentiva abbastanza ridicolo a chiedere.
Fecero il resto della colazione in silenzio, il ronzio del traffico che si faceva più alto man mano che la mattina avanzava.
“Credo sia ora di andare” disse a un certo punto Mille Falchi.
Naruto lo spiò oltre le ciglia bionde. “Quando ti rivedrò?”
“Non lo so” si fece pensieroso. “Te lo farò sapere”, si voltò a guardarlo e gli accarezzò la testa “Non essere arrabbiato con me, lo faccio solo per…”
“Proteggermi” completò per lui. “Lo so, non sono arrabbiato. È solo un po’ frustrante, non so niente di te e vorrei poterti proteggere anche io.”
Quella confessione divertì Sasuke, che fece un sorriso carico di tenerezza. “Non ho bisogno di essere protetto, sono un supereroe io” replicò fingendosi altezzoso.
Naruto baciò le labbra distese. “Il mio supereroe, vero?”
Ricambiò il bacio, pensando che fosse una risposta affermativa più che sufficiente. Si teletrasportò mentre ancora le loro bocche erano premute e Naruto avvertì una leggera scosse sulle labbra quando sparì. Aprendo gli occhi, scoprì che si era scambiato con un dente di leone che ora giaceva con il gambo spezzato tra le coperte. Lo prese in mano e sorrise.
 
 
 
Buon lunedì nuvolette!
Niente di meglio di iniziare la settimana con un po’ di fluff, visto che in questo capitolo ne abbiamo tanto <: ma un po’ di dolcezza ci vuole prima dei drammi.
Spero vi sia piaciuto e che lo scambio di battute tra Naruto e Sasuke vi abbia fatto ridere :D
Un bacio alla nostra super Ahiryn che continua a betare la storia <3
 
A presto!
Hatta
 

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Capitolo 4
*** IV ***




IV



Mille Falchi era disteso sul terrazzo di un condominio, gli occhi socchiusi e il corpo dolorante. Si era teletrasportato lì non appena era riuscito a portare i criminali che aveva catturato davanti alla stazione di polizia. Era una gang che aveva provato a scassinare un negozio di antiquariato con pezzi di grande valore; nonostante fossero in tanti in una situazione normale Sasuke non avrebbe avuto problemi a sconfiggerli. Il problema erano state le pistole e il proiettile che gli avevano sparato.

Lo avevano preso solo di striscio, non era nulla di grave, in più lui guariva molto velocemente per via del suo potenziamento. Però sentiva ugualmente il dolore e in quel momento ne avvertiva così tanto che non riusciva a trovare la concentrazione necessaria per teletrasportarsi a casa. Si era dovuto interrompere a metà viaggio e fermarsi lì a prendere fiato. La sua tuta gocciolava sangue e attorno a lui si stava formando una piccola chiazza; doveva tornare a casa per fasciarsi, prendere un antidolorifico e sperare che né Sakura né Shisui lo beccassero.
Strinse gli occhi e si concentrò sul bicchiere di plastica che aveva lasciato al centro della sua stanza, ormai non mancava troppo all’alba e doveva sbrigarsi. Strinse i denti e si teletrasportò. Atterrò malamente sul tappeto della sua camera a gattoni, lo sforzo lo aveva indebolito al punto che si ritrovò a vomitare.
Cazzo, mi sono spinto al limite.
Provò una fitta di panico, sensazioni del genere le aveva provate solo al laboratorio, quando lo testavano per vedere quali fossero i suoi limiti. Prese lunghi respiri cercando di calmarsi, la vista gli si stava sfocando e faticava anche solo a reggersi a carponi.
La porta della sua camera si aprì.
“Sasuke? Sei tornato adesso? È tard…” la voce assonnata di Shisui si interruppe con un urlo soffocato. Peccato che non riuscisse a vedere la sua espressione, doveva essere comica, ma ormai vedeva solo nero.
“Sakura!” chiamò. “Sakura, vieni subito qui!”
Sentì due mani afferrarlo per il bacino, gemette quando sfiorarono la ferita. La fitta di dolore fu tale che perse definitivamente i sensi.
 
**
 
Naruto chiuse il proprio armadietto pensieroso. Sasuke non era venuto a scuola, né gli aveva mandato un messaggio per avvertirlo; aveva pensato fosse in ritardo per un malfunzionamento della sveglia, ma dopo due ore non si era presentato, cominciava a temere fosse ammalato. Anche se non lo aveva mai visto ammalato in tutta la sua vita.
Era comunque preoccupato, per questo approfittò dell’intervallo per prendere il cellulare, sgattaiolare in giardino e chiamarlo a casa. A rispondere fu Sakura.
“Pronto?”
“Ciao, sono Naruto” disse. “Come mai Sasuke non è a scuola?” domandò diretto.
La sentì esitare. “Ha le febbre” spiegò alla fine. “Starà a casa qualche giorno, finché non passerà”.
Si preoccupò per l’amico, ma sentì anche il cuore cadergli nello stomaco. Qualche giorno a casa. Solo quella mezza giornata senza Sasuke al suo fianco era stata terribile, non solo perché i bulli vedendolo solo si erano fatti più insistenti, ma perché era abituato a condividere con lui ogni minuto. Non poterlo fare era destabilizzante.
“Oh, capisco” mormorò mogio. “Puoi passarmelo?” voleva sentire la sua voce e assicurarsi che non stesse davvero troppo male.
“Mi dispiace, ma sta dormendo. Ma se vuoi dirgli qualcosa dillo a me, glielo riferisco appena si sveglia” gli assicurò.
Quello era imbarazzante, perché non aveva davvero qualcosa da dire. E poi quello che si dicevano era una faccenda fra lui e Sasuke, non gli andava che Sakura potesse saperlo.
“Chiedigli se può chiamarmi appena si sveglia, se sta meglio. E che prenderò appunti anche per lui, ma che gli conviene tornare presto perché non sono il suo schiavo!”
Sakura rise al suo finto tono burbero e assicurò che lo avrebbe fatto, poi lo salutò e mise giù.
Naruto tornò in classe intristito e per il resto delle lezioni lanciò sguardi abbattuti al banco vuoto.
 
**
 
Si svegliò con la sensazione che un treno in corsa fosse passato sul suo corpo inerte più volte a tutta velocità, per poi essere calpestato da una mandria di belve inferocite. Aveva in bocca un gusto orribile e lo stomaco era così sottosopra che se solo non fosse stato desolatamente vuoto avrebbe vomitato seduta stante. Si avvolse meglio nelle coperte rabbrividendo per il freddo e sospirò quando sentì qualcuno passargli una pezza bagnata sulla fronte.
“Sei sveglio, Sasuke?” mormorò la voce di Sakura, ma a lui sembrò che quella domanda gli venisse gridata nelle orecchie, perciò fece una smorfia di dolore che causò un’immediata apprensione in Sakura.
“Ti senti male? Hai bisogno di…”
“Shhh” la interruppe piano, quel semplice sibilo gli grattò la gola e si ritrovò a tossire.
Un bicchiere d’acqua gli fu portato alle labbra e si rese conto di quanta sete avesse, perciò bevve con avidità mentre una mano gli teneva la testa e poi gli puliva il mento dall’acqua che era scivolata.
Finalmente Sasuke si decise ad arrischiare ad aprire gli occhi, lo fece piano sbattendo le palpebre per abituarsi alla luce bianca e accecante, nella quale cominciarono a profilarsi le figure dei mobili della sua camera. Era sul suo letto, avvolto tra le coperte invernali, mentre Sakura era su una sedia al suo lato. Dalla luce dei lampioni fuori dalla finestra sembrava essere notte.
“Quanto ho dormito?” la sua voce aveva la stessa intonazione di un moribondo.
“Per tutta la notte” disse Sakura pianissimo, gli passò una mano sulla fronte e sospirò nel sentirla ancora calda “E hai ancora bisogno di dormire”.
Non si sforzò nemmeno di mentire dicendo che stava bene, perché era evidente il contrario e sì, voleva dormire ancora. Lo voleva tantissimo.
Non disse niente, lasciò che Sakura si prendesse cura di lui sistemando bene le coperte sul suo corpo e gli rinfrescasse la fronte, cullato da quelle premure tornò subito tra le braccia di Morfeo.
 
**

Il Parco Susanoo era stato fondato qualche anno prima come regalo della nuova Uchiha Corps per partecipare a un’iniziativa cittadina ecologica. Era molto grande e in primavera diventava un polmone verde e profumato tra i grattacieli di Konoha. Ci andavano gli sportivi a correre e fare esercizio, si incontravano i ragazzini a passeggiare e le mamme ci portavano i figli a giocare sui prati con le giostre. Era molto frequentato, un progetto che aveva funzionato a regola d’arte.
Al mio contrario.
C’era una bambina dai capelli castani che giocava sull’altalena, si spingeva avanti e indietro con il corpo per andare sempre più in alto. Su e giù, i piedini puntati al cielo.
L’uomo la guardava da un po’ di tempo immobile nella stessa posizione. Era una giornata calda, ma indossava un capotto nero fino ai piedi come se fosse ancora inverno. Aveva freddo.
Come si chiamava quella bambina sull’altalena? Nella sua testa sentiva ripetuto il nome di un’altra bambina, che aveva amato e promesso di proteggere, ma dubitava fosse lo stesso. Ma quelle due bambine si assomigliavano tantissimo, magari erano le stesse? Quanto gli mancava la sua bambina, prenderla fra le braccia e farla girare come una principessa.
La sua bambina, dov’era la sua bambina? Stava giocando anche lei in quel parco? Perché non la vedeva più? La cercò con lo sguardo, ma una fitta alla testa lo costrinse a serrare gli occhi e digrignò i denti.
Soffriva di emicrania, per questo doveva prendere delle pastiglie, ma era uno sbadato e le dimenticava. Per fortuna c’era sua moglie a ricordarglielo, meno male che c’era quell’angelo a vegliare su di lui e a ricordargli che doveva stare bene. Perché quella mattina non lo aveva fatto? Aveva dimenticato la pasticca e ora gli faceva male la testa. Quel sole era troppo forte e gli feriva gli occhi.
La bambina continuava a dondolarsi sull’altalena, era un movimento rilassante e ipnotizzate, riusciva appena a mitigare il suo mal di testa. La sua bambina riusciva sempre a farlo stare meglio, era la sua principessa.
No, lei non è mia figlia… ricordò.
La bambina sull’altalena si diede un’ultima spinta e poi si gettò contro il cielo, imitando il volo di un angelo. Ma fu un volo breve, perché la gravità la spinse prepotente a terra.
Mia figlia è…
La bambina cadde a terra scomposta e rimase inerte sulla terra, gli arti piegati in modo innaturale, il collo spezzato. L’uomo si alzò di scatto dalla panchina e corse verso di lei, ansimando per un attacco di panico improvviso.
“Ehi… ehi…” tentò di chiamarla, ma era senza voce, senza respiro, “ehi!”
Sbatté le palpebre. La bambina era davanti a lui, inginocchiata a terra e con uno sguardo sorpreso, un po’ spaventato. Stava bene. Non era sua figlia.
Si portò una mano al collo, si sentiva soffocare.
“Signore… va tutto bene?” domandò la bambina con una sottile voce preoccupata.
Non andava tutto bene. Dov’era? Perché non era a casa con sua figlia e sua moglie? Dov’era la sua casa?
“Scusi” sussultò quando una voce più adulta, una voce femminile, lo chiamò.
Alzò lo sguardo speranzoso.
Rin?
Non era sua moglie, era un’altra donna dall’’incedere aggressivo. Prese la bambina in braccio e lo guardò bellicosa.
“Le serve qualcosa?” domandò brusca.
Non rispose. Se lei non era sua moglie, lei dov’era? Perché era solo?
Un’altra fitta di dolore gli trapassò il cervello, più forte della prima, e cadde sulle ginocchia con un lamento. Faceva così male, c’era qualcosa che non andava…
Il cappuccio gli scivolò dalla testa e la donna sussultò per lo spavento e l’orrore nel vederlo in viso.
No, non era sua moglie, Rin non aveva mai provato orrore per il suo aspetto, aveva sempre saputo guardare oltre la carne martoriata.
“Oh, Rin…” sussurrò il suo nome, una cantilena mentre la donna continuava chiedergli se gli servisse aiuto.
Voleva sua moglie, sua figlia… ma non poteva più averle. Le aveva perse entrambe ed era colpa sua.
No, è colpa loro.
La rabbia montò dirompente come un uragano, alzò lo sguardo carico d’odio sulla donna che teneva in braccio la bambina. Perché c’erano quelle estranee invece di chi contava veramente?
Le odiava. Odiava tutto quello, odiava quel parco perbenista che nascondeva il marcio di quella città.
Smise di mormorare, risoluto in quello che doveva fare e si rialzò. La donna ora taceva, guardandolo circospetta.
Tutto quello… non aveva senso. Meritava di sparire.
E così successe, con un battito di ciglia, la donna e la bambina smisero di esistere davanti a lui. E anche il resto del parco cominciò ad accartocciarsi su sé stesso, come se una mano invisibile lo comprimesse. Qualcuno gridò. Delle sirene suonarono. Pianti, urla, detriti che sbriciolavano e sparivano inghiottiti nel semplice nulla. Nel giro di un minuto, l’intero parco sembrava essere sopravvissuto all’atterraggio di un meteorite e al centro di quel cratere desolato c’era solo lui, impassibile e vibrante di energia distruttiva.
A Obito Uchiha non faceva più male la testa e se andò, sparendo a sua volta come se non fosse mai stato lì.
 
**
 
Sasuke dormì un altro giorno intero, svegliandosi di tanto in tanto per qualche minuto o per andare in bagno aiutato da Sakura.
La sera di due giorni dopo si sentiva abbastanza riposato da poter scendere in cucina a cenare. Sakura aveva ricucito la ferita e anche se gli faceva ancora male stava guarendo, non aveva più nulla di cui preoccuparsi.
Shisui spense il telegiornale appena arrivò a tavola e puntò gli occhi scuri su di lui, la sua espressione era impassibile come la pietra. Sasuke rabbrividì, c’erano dei piccoli momenti quando Shisui si arrabbiava in cui gli ricordava vagamente il volto di Madara.
Nessuno disse niente per tutto l’inizio della cena, i cucchiai e le forchette tintinnavano contro il tavolo e si sentiva solo il loro deglutire. L’aria era pesante, nervosa, Sasuke si ritrovò a rimpiangere il ronzio della televisione che normalmente detestava. Shisui continuava a guardarlo e a studiare i suoi movimenti. Sakura invece gli lanciava continue occhiate nervose e preoccupate.
Alla fine non riuscì più a trattenersi.
“Se dovete dire qualcosa, ditelo” sbottò gelido facendo cadere la forchetta sul piatto con un rumore frastornante.
Shisui finì di bere con calma, quasi senza dare peso allo scatto del ragazzo, poi lo appoggiò sul tavolo.
“Secondo te, cosa abbiamo da dirti?” gli domandò con voce incolore e controllata. “Ormai sei abbastanza grande da rendertene conto da solo”.
A Sasuke non piaceva quel tono, fece una smorfia infastidita.
“È stato solo un incidente, non…” iniziò, ma Sakura lo bloccò.
“Non ci provare” lo avvertì. “Non è stato solo un incidente”.
Gli occhi verdi lo trafissero sul posto furiosi e Sasuke fu tentato di fare un passo indietro, si rese conto che dei due quella davvero fuori di sé era Sakura.
“Saresti potuto morire” continuò per lei Shisui. “Tu sei forte, Sasuke, molto più di qualsiasi altro uomo, ma non sei invincibile. Un proiettile può ucciderti”.
“E tu l’altra sera te ne sei preso uno” Sakura si appoggiò una mano sulla fronte massaggiandola. “E ti ha quasi fatto dissanguare. Se non fosse stato per le tue capacità rigenerative non ce l’avresti fatta senza una trafusione. Stavo per chiamare l’ambulanza!”
Sobbalzò. “Se lo avessi fatto…”
“Avrebbero scoperto dei tuoi poteri, lo so” lo interruppe. “Ma credi che per mantenere il segreto io sia disposta a vederti morire?!”
Shisui le appoggiò una mano sulla spalla, nonostante cercasse di mostrare calma aveva tutti i muscoli tesi.
“Sasuke, almeno capisci la gravità di quello che è successo?”
Abbassò lo sguardo, odiava quella sensazione da bambino sgridato.
“Sì” disse piano. “Ma sto bene”.
“No, non è vero” lo contraddisse. “Sei debole, ti reggi a malapena in piedi e hai dormito due giorni interi”.
“Naruto ha chiamato preoccupato” s’intromise Sakura con una smorfia. “Pensa almeno a lui, credi che accetterebbe una cosa del genere senza battere ciglio?”
“Sono un vigilante, combatto i criminali, è ovvio che ci siano effetti collaterali” sbottò. “E Naruto non saprà mai niente di tutta questa storia”.
Shisui si alzò in piedi di scatto e la sedia si rovesciò. “Smettila! Tu non sei né un vigilante né un cazzo di supereroe, questo non è un fumetto! Sei un ragazzino che si è buttato in qualcosa di più grande di lui per un capriccio, devi piantarla!” gridò.
“Questo non è un capriccio!” urlò anche lui in risposta. “È importante!”
“La tua vita è più importante” Shisui si portò le mani ai capelli. “Hai idea dell’ansia che ci fai vivere ogni notte? Del terrore che viene a Sakura quando ritardi di qualche minuto? L’altra domenica è quasi impazzita perché non tornavi più”.
L’altra domenica ero da Naruto, avrebbe voluto dire, ma si morse le labbra.
“Ero in giro”.
“Sì, e nel frattempo noi qui preoccupati che ti fosse successo qualcosa” allargò le braccia come a indicare tutta la casa. “Questa storia deve finire, Sasuke”.
La rabbia gli offuscò la vista. “Tu non sei mio padre, non mi dici cosa fare” sibilò.
Sakura sussultò e sbiancò, mentre Shisui strinse le mani a pugno.
“Invece sì” lo contraddisse. “Non sarò tuo padre, ma tu farai quello che ti dico”.
“Non…”
“Questa storia del supereroe finisce qui. Non voglio vederti mai più tornare a casa mezzo morto. Ora la tua priorità è la scuola ed essere un ragazzo normale”.
I bicchieri sulla tavola esplosero in mille schegge.
Sebbene fosse stato lui, lo stesso Sasuke sussultò per quell’esplosione inaspettata: la rabbia lo aveva fatto uscire di testa e perdere il controllo sul suo potere.
Guardò le schegge di vetro con sguardo disperato.
“Come se i ragazzi normali potessero fare questo” sbottò velenoso “O questo”.
Fece per teletrasportarsi in camera, ma era troppo debole e arrivò solo fino all’entrata della cucina contro la quale si accasciò. Ricacciò dietro le lacrime di rabbia, dolore e frustrazione.
“Non sono mai stato un ragazzo normale e mai potrò esserlo. È inutile sforzarmi del contrario” terminò, poi uscì.
 
**

Il clima era uggioso, umido, sembrava aver fatto un passo indietro nell’inverno. Shisui odiava i temporali primaverili, davano un colore grigio a quell’angolo di città e gli gonfiavano i capelli.
Era sul porticato della loro villetta e stava fumando una sigaretta per calmarsi per il litigio appena avvenuto. Sasuke cominciava a spaventarlo, era naturale che alla sua età fosse così indisponente e scontroso, un perfetto adolescente nella fase di ribellione, ma era tutta la faccenda dietro a preoccuparlo; avrebbe dovuto preoccuparsi di vederlo sgattaiolare via la sera per andare alle feste, non a combattere i criminali.
Il vero problema era che non lo considerava davvero una figura autoritaria a cui dover dare ascolto, al massimo provava riconoscenza nei suoi confronti e un bizzarro affetto. Doveva trovare un modo per costringere Sasuke a casa anche una volta ripresosi.
Il cellulare suonò, ma lo lasciò squillare troppo pigro per rispondere, odiava venire disturbato quando si fumava una sigaretta calmante; ma alla fine il suono si fece così insistente che si trovò costretto a rispondere.
“Pronto?”
“Alla buon’ora!”
Riconobbe subito la voce e fece una smorfia: lavoro.
“Ero impegnato.” Mentì. “Cosa vuoi, Orochimaru?”
“Domani ci servi.” Rispose dritto al punto. “Abbiamo una riunione con altri manager e ci serve la tua presenza”.
S’irrigidì. “Non posso, ho da fare”.
Lo sentì imprecare a bassa voce. “È una settimana che non ti fai vedere, le pratiche da firmare si stanno accumulando e così i tuoi impegni. Non sono io a doverti ricordare qual è il tuo ruolo qui”.
“Lo so” strinse il cellulare infastidito. “Non ce n’è bisogno”.
“Allora sai che la tua presenza qui è inderogabile. Sei il nostro capo, prenditi le tue responsabilità”.
“Lo so!” ripeté frustato. “Ma a casa è un pessimo momento, non posso lasciare Sakura a vedersela da sola”.
Ci fu un momento di esitazione dall’altra parte della cornetta.
“Itachi…?”
“No, è Sasuke il problema” sospirò. “Prima devo risolvere qui, domani non può andare Yamato al mio posto?”
Anche Orochimaru sospirò, sentì attraverso l’apparecchio alcuni movimenti di fogli e tasti del computer.
“Vedrò cosa posso fare” concesse alla fine.
Lo ringraziò e mise giù, non fece però in tempo a mettere via il telefono che ricevette un’altra chiamata. Il fastidio sparì appena vide il nome sullo schermo e venne sostituito dall’ansia, non era mai un buon segno quando riceveva una sua chiamata.
“Kakashi.” rispose preoccupato. “Che sorpresa”.
“Shisui!” la voce dell’altro era affrettata. “Hai visto il telegiornale?”
Ripensò al pranzo e fece una smorfia, aveva spento la televisione per potersi concentrare totalmente su Sasuke.
“No, perché?”
Lo sentì imprecare coloritamente. “Perché abbiamo un problema”.
 
**
 
Sasuke continuava a mancare a scuola. Naruto gli aveva mandato qualche messaggio per sapere come stesse, ma non aveva mai ottenuto risposta. Era indeciso se richiamarlo a casa o meno, non voleva risultare troppo ossessivo, ma gli mancava terribilmente e la scuola assomigliava sempre più a una prigione senza di lui.
Senza contare che in quelle notti Mille Falchi non era più tornato; gli stava venendo il dubbio di essersi esposto troppo quell’ultima mattina, di aver messo l’eroe alle strette e per questo non voleva presentarsi più, magari lo aveva forzato.
Almeno quella giornata era finita, poteva tornare a casa e prendere un momento di respiro. Andò verso il suo armadietto per prendere le sue cose, ma vide che c’erano alcuni ragazzi della squadra di football con le bombolette.
Sospirò, quella non era proprio giornata.
“Ehi!” vociò facendo la voce grossa. “Lasciate stare il mio armadietto”.
I bulletti si girarono a guardarlo sfrontati. “To’, è arrivato il frocietto” lo derisero.
Strinse gli occhi e li guardò storto, ma non rispose alla provocazione. Era stanco, era stato interrogato alla lavagna e tutto quello che voleva era potersene tornare a casa per chiamare Sasuke.
“Non è aria” si fece spazio in mezzo a loro per raggiungere il proprio armadietto, ma uno di loro lo afferrò per la spalla.
“Su, non essere così scontroso” allargò un finto sorriso amichevole. “Devi sentirti solo, il tuo amichetto non si fa vedere da un po’”.
Ebbe un fremito nel sentire il riferimento a Sasuke.
“Forse ha capito che non gli conviene farsi vedere con un finocchio come te” considerò uno.
Si morse le labbra costringendosi a non rispondere. Ne aveva la tentazione, ma non poteva cominciare l’ennesima rissa.
“Ehi, checca, stiamo parlando con te” si sentì sbattuto contro l’armadietto con la faccia. Il dolore lo frastornò.
“Cos’è? Ti senti meno coraggioso senza il tuo amichetto?” continuò quello che lo aveva spintonato. “Sai, gli stavamo per disegnare una grande merda nell’armadietto. Perché del resto devi essere proprio una merda umana per frequentare gente come te, eh frocie…”
Non terminò la frase perché Naruto lo colpì con un pugno allo zigomo. Ci mise tutta la forza e la rabbia che aveva in corpo e fu così forte che il ragazzo dovette fare un passo indietro.
“Pezzo di merda!” sbottò portandosi una mano alla guancia. “Sei morto!”
“No, tu” ringhiò Naruto pronto a battersi e a mandare tutto al diavolo. “Non permetterti mai più di chiamare in quel modo Sasuke!”
“Culattone del cazzo” e gli si avventò addosso, seguito dal resto dei compagni.
 
**
 
Sasuke non aveva intenzione di perdersi un’altra ronda, nossignore. Ormai stava bene, la ferita era guarita del tutto e anche i suoi poteri erano tornati abbastanza stabili. Indossò il costume nel silenzio totale, ben attento a non fare un rumore, doveva uscire senza che Sakura e Shisui se ne accorgessero.
Si assicurò di avere tutto, di essere a posto e poi si concentrò, focalizzò il giardinetto alla fine della strada, si sarebbe scambiato con qualche fiore o una foglia. Le scosse elettriche avvolsero il suo corpo, una fitta lo colpì all’ombelico e la familiare pressione lo teletrasportò.
Riaprì gli occhi davanti alla porta d’entrata in corridoio.
Cosa…?
Perché non era uscito? Eppure si era ripreso, sentiva l’energia scorrere nei suoi muscoli.
“Bene, bene”.
Sussultò per la sorpresa e la paura, non si era accorto che seduto sulla sedia a dondolo c’era seduto Shisui, celato dall’oscurità.
“A quanto pare stai ancora troppo male per andare a scuola, ma non abbastanza per farti un giretto di notte”.
“Io…”
“Non puoi uscire” lo interruppe alzandosi e accese la luce, che illuminò il suo volto impassibile e freddo.
Era furioso, poteva dirlo con certezza.
“Non puoi teletrasportarti fuori da questa casa, ho messo un apparecchio che ti impedisce di lasciarla usando i tuoi poteri” spiegò gelido.
Strabuzzò gli occhi, come aveva fatto a trovare qualcosa di così specifico? Sembrava il sistema di sicurezza che usavano nella sua camera quando era ancora ai laboratori, non era di certo qualcosa che poteva ordinare con amazon prime.
“Come…”
Lo interruppe ancora, intuendo la domanda. “Sono bravo con le cose elettroniche, lo sai” gli lanciò un’occhiataccia.
Avrebbe indagato su quella faccenda più tardi, ora aveva altre urgenze.
“Significa che non posso uscire?” domandò rigido.
“Ovvio che no. Puoi uscire aprendo la porta e camminando sulle tue gambe, come le persone normali”.
Lo fulminò con un’occhiataccia. “Bene, allora camminerò!” lo sfidò.
Si diresse a grandi passi verso la porta, rigido come un soldatino, e afferrò la maniglia. Tirò con forza, ma la porta non si aprì di un centimetro, si sforzò ancor di più, ma rimase chiusa.
Si girò a trucidarlo con lo sguardo.
“La porta è chiusa” lo informò impassibile Shisui. “Perché è l’una di notte, le persone normali a quest’ora dormono”.
“Mi hai chiuso dentro casa?” domandò oltraggiato.
“Sì”.
“Non potrò più uscire?!”
“Potrai uscire fra qualche giorno, quando ti sarai ripreso del tutto, per andare a scuola e vedere i tuoi amici come le persone normali”.
“Smettila!” gridò. “Smettila di ripeterlo, ti ho già detto che io non sono normale!”
Non si lasciò incantare. “Invece sì, Sasuke. È vero, hai qualcosa di diverso rispetto gli altri, ma questo non può impedirti di vivere sereno e felice. Ora vai a letto, solo perché riesci a camminare non significa che sei guarito”.
“No” s’impuntò.
Sospirò. “Come vuoi, ma da questa casa non uscirai”.
“Romperò la serratura, modificherò la sua struttura molecolare”.
Lo guardò con sufficienza. “Non puoi, i sensori te lo impediranno” lo superò per raggiungere le scale.
Sasuke era incredulo, tutto quello non poteva essere reale. Non poteva essere imprigionato nella sua stessa casa, non di nuovo.
“Ti odio!” ringhiò con frustrazione, si morse le labbra per resistere alla tentazione di piangere per la rabbia. Chiuso in una gabbia, lo aveva chiuso dentro un’altra gabbia.
Quelle parole bloccarono Shisui.
“È per il tuo bene, Sasuke” disse piano. “Non importa se non capisci, odiami pure. Ma non permetterò che ti venga ancora fatto del male”.
“Stai zitto” tremò. “Tu! Tu adesso mi stai facendo del male, questo non ti rende diverso da quei pazzi nei laboratori. Sei come loro, vuoi tenermi dentro una fottuta gabbia”.
Si teletrasportò in camera propria e questa volta si premurò di essere il più rumoroso possibile con lo stridere delle scosse elettriche.
 
**

Sakura aprì la porta confusa dopo che dallo spioncino aveva riconosciuto la figura di Naruto. Strano che fosse lì a quell’ora, non doveva essere a scuola?
Quasi le prese un infarto nel vedere in che condizioni si trovava.
“Naruto!” esclamò. “Che è successo?”
Aveva lividi violacei attorno agli occhi e sullo zigomo, il labbro spaccato e una cicatrice sul mento.
“Salve signorina Sakura” la salutò, si strinse nelle spalle. “Una rissa a scuola” spiegò semplicemente, poi: “Sasuke sta ancora male?”
Sbatté le palpebre ancora sorpresa di vederlo in quello stato.
“Lui… sì, ma ormai è quasi guarito. Entra pure, non stare fuori”.
La ringraziò ed entrò nel corridoio familiare, fu quasi confortante entrare in quella casa.
“Sasuke è in camera sua.” continuò Sakura, lo guardò più criticamente. “Non dovresti essere a scuola a quest’ora?”
“Sono in punizione.” ammise con una punta di vergogna mentre saliva le scale. “Sono stato sospeso per due giorni”.
“Oh, Naruto…”
“Non sono stato io a iniziare.” la interruppe, sembrava davvero abbattuto. “Ma il preside non mi ha creduto. Almeno gliel’ho fatta vedere a quegli idioti”.
Sakura non disse niente e lo guardò mentre usciva dalla sua visuale.
 
Naruto bussò alla porta della camera di Sasuke, ma poi non attese che rispondesse ed entrò.
Sasuke era a letto e sussultò quando vide che si trattava di lui, spalancò lo sguardo smettendo di essere truce.
“Naruto?”. La sorpresa felice sparì appena lo vide meglio in volto. “Che cosa ti è successo?!”
“Quell’idiota di Hans” disse semplicemente, richiuse la porta alle proprie spalle. “Ho fatto a botte con lui e i loro amici. Sono stato sospeso dalla scuola per due giorni, non sapevo dove andare quindi sono venuto a vedere come stavi” riassunse, evitò di dirgli che si era lasciato provocare perché lo avevano insultato, sapeva che Sasuke non avrebbe gradito scoprire che si era ridotto in quello stato per lui.
L’amico era senza parole.
“Razza d’idiota!” sbottò preoccupato. “Manco qualche giorno e tu ti fai spaccare la faccia, Dio quanto sei idiota” fece per alzarsi, ma una fitta di dolore lo immobilizzò in una smorfia. In quella notte aveva provato molto spesso ad uscire nonostante i sensori, fino allo stremo, Sakura era furiosa con lui per quel motivo.
A Naruto non sfuggì la sua smorfia di dolore.
“Tu tutto bene?” si preoccupò avvicinandosi al letto. “Lo sapevo che ti stavi ammalando, ultimamente eri troppo strano”.
“Già” commentò solo, poi sospirò “Grazie per essere passato”.
“Figurati, questi giorni sono stati una noia senza di te” si sedette sul bordo del letto. “Devo assolutamente raccontarti quello che ti sei perso”.
“Evita, non mi interessa”.
“Sta’ zitto e ascolta.” Lo azzittì. “Be’, innanzitutto sono stato interrogato e…”
Per le successive ore, la stanza di Sasuke smise di essere noiosa e tetra. Era bastata la presenza di Naruto e la sua parlantina a renderla più calda e accogliente, a volte Sasuke avrebbe tanto voluto scoprire il suo segreto.
Naruto lo mise a capo di tutti i nuovi pettegolezzi, gli disse di quello che si era perso con le lezioni e cose stupide o di poco valore. Si sfogò di tutto il silenzio che era stato costretto a sopportare in quei giorni di solitudine. Gli spiegò i paragrafi nuovi di scienze sentendosi davvero importante e intelligente, fecero matematica insieme e guardarono perfino un episodio di Voltron.
Il malumore sparì completamente da Sasuke, rinfrescato dalla presenza dell’amico, e le ore passarono senza che se ne rendesse conto. Quando si fece ora di cena Sakura portò loro il piatto in camera, a quanto pare Sasuke non voleva scendere in cucina. Naruto aveva capito che fosse arrabbiato con Shisui di nuovo, ma appena aveva provato ad accennare alla faccenda Sasuke era sprofondato in un cupo silenzio.
“Ti fermi a dormire da noi, Naruto?” domandò Sakura con fare casuale.
Sia Naruto che Sasuke spalancarono gli occhi, l’uno per la felicità l’altro per l’orrore. Lui e Naruto non condividevano un letto da anni, se non si contavano le volte che si era intrufolato da lui come Mille Falchi. Sarebbe stato troppo strano, soprattutto perché Naruto aveva la brutta abitudine di spiaccicarsi contro qualsiasi fonte di calore umano.
“Posso davvero?” domandò Naruto emozionato.
“Non hai il pigiama dietro…” tentò Sasuke.
“Non importa, puoi prestargli uno dei tuoi” s’intromise Sakura. “Per noi non è affatto un disturbo”.
Certo, perché la sua presenza mi impedirà di tentare di andare via.
Doveva trovare un modo sottile perché Naruto rifiutasse.
“Adesso ci pensa, lasciaci in pace” la mandò via un po’ brusco, guadagnandosi un’occhiataccia di rimprovero.
“Io non ci devo pensare” disse Naruto appena la porta si fu richiusa. “Ho già deciso, resto. È da tanto che non facciamo un pigiama party”.
Odiava dover giocare quella carte, ma l’altro sembrava piuttosto deciso.
“E se questa notte passasse Mille Falchi da te? Non sarebbe strano per lui scoprire che sei nel letto di un altro ragazzo?”
Fu la cosa sbagliata da dire, perché tutta la spensieratezza sparì dal volto di Naruto.
“In realtà è da un po’ che non viene” ammise. “Credo abbia cambiato idea… forse si è stufato di me” tentò una risata amara.
“No!” sbottò Sasuke fin troppo veemente, al punto che si guadagnò un’occhiata perplessa. “Voglio dire, nessuno potrebbe stancarsi mai di te, sei troppo…” non trovò la parola adatta con cui finire la frase, quindi la lasciò sfumare da sola nel silenzio.
Naruto lo guardò con gli occhi spalancati, un leggero rossore sulle guance.
“Grazie… sei un amico” mormorò intimidito. Quelle parole gli avevano capovolto lo stomaco e non capiva nemmeno perché.
Sasuke distolse lo sguardo, anche lui in palese imbarazzato.
“Già, il tuo migliore amico” commentò neutro.
Guardarono un’altra puntata di Voltron mentre mangiavano, poi si spostarono sul letto a guardarlo per stare più comodi.
Dopo quello che aveva appena detto, Naruto si sentiva un po’ a disagio a stare così vicino a Sasuke, aveva le palpitazioni accelerate. Il modo in cui il corpo di Naruto era premuto al suo fianco gli era familiare, ma questo era ovvio visto che si conoscevano da anni; però lo sentiva familiare anche in un altro senso che non riusciva bene a capire, improvvisamente gli era venuto molto più caldo e stava sudando.
Perché si stava agitando così tanto? Era Sasuke, il suo migliore amico, non aveva senso niente di quello; si stava solo lasciando impressionare. S’impose di rilassarsi e nel farlo appoggiò la testa sulla spalla dell’amico, così sentiva il suo profumo in modo molto più intenso, lo stava stordendo appena.
Assomiglia a quello di Mille Falchi…
Si bloccò, sconvolto da quella sua stessa considerazione. Perché stava paragonando l’odore del suo migliore amico a quello del suo amante? Perché li trovava eccitanti allo stesso modo?
Forse l’idea di restare a dormire da lui quella notte non era stata una delle migliori.
Al termine di un episodio, Sasuke spense il computer e lo mise via sul comodino.
“Andiamo a dormire, stai crollando”.
“Non è vero, posso guardarne un altro” s’impose con voce fievole, anche se aveva gli occhi socchiusi.
Sasuke ridacchiò divertito e Naruto si sentì un po’ indispettito, come faceva a essere così calmo e controllato? Non stava provando anche lui le strane emozioni che lo stavano prendendo?
“Andiamo a dormire” ripeté tirando su le coperte sopra le loro teste. Si sistemò meglio sul cuscino e si assicurò di allontanarsi il più possibile da Naruto.
Quello lo guardò perplesso. “Ma che fai? Sei sul bordo!”
“Mi piace avere spazio” si giustificò.
“Ma quale spazio, stai per cadere” sbuffò, allungò una mano ad afferrarlo e se lo tirò contro. “Non fare l’idiota, non ti mangio mica”.
“Non azzardarti a fare il polipo come tuo solito” lo minacciò.
“Non è qualcosa che posso controllare, dormo quando succede!” protestò indignato.
“Come vuoi, ma lasciami dormire” fece per chiudere gli occhi, ma si ritrovò stretto in una morsa, in uno degli abbracci soffocanti di Naruto. L’amico gli si era completamente avvinghiato contro e aveva intrecciato le loro gambe.
“Idiota!” sbottò. “Adesso sei sveglio, lasciamo andare”.
Lo sentì ridere. “Scusa, dai” blaterò stringendolo più forte. Era così familiare abbracciarlo in quel modo, come se il suo corpo si adattasse perfettamente a quello dell’altro, era una sensazione così strana.
“Mi sei mancato, non hai idea di quanto” ammise con la voce un po’ ovatta per il sonno, aumentò la stretta. “Mi sei mancato tantissimo”.
Sasuke trattenne il fiato, quello era un genere di abbraccio che aveva sempre riservato per Mille Falchi, non lo aveva mai abbracciato in quel modo così disperato e totale, che persino le loro gambe erano aggrovigliate. Gli piacevano quegli abbracci ed era incredulo di averne ricevuto uno. Era una brutta persona se ne approfittava un pochino?
Si rilassò contro di lui e alzò anche le sue braccia a ricambiarlo.
“Anche tu” sussurrò. “Buonanotte, scemo”.
 
 
 
Buonasera^^
Questo aggiornamento giunge nel bel mezzo della settimana e succedono cose. Sasuke ferito gravemente tanto per cominciare, che viene chiuso in casa. Naruto che comincia a sentire qualcosa di strano. E poi c’è Obito, eh già. Un Obito un po’ schizzato :> vedremo che cosa combinerà nella storia u.u e abbiamo un indizio sul lavoro di Shisui, qualche idea?? Su, I’m so curious delle vostre elucubrazioni :D
 
Ringraziamo Ahiryn per il betaggio, mentre io ringrazio voi per seguire la storia. Siete super <3
Un bacio,
Hatta
 
 
 
 
 

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Capitolo 5
*** V ***


Chi non muore ci si rivede!
La storia è ferma da più di un anno, lo so, ma avevo perso interesse nello scriverla. Però mi spiace averlo fatto, visto che non era troppo lunga ed era abbastanza leggera. Ho pensato quindi di riprenderla in mano, nonostante il tempo passato! Mi spiace avervi lasciati appesi così a lungo ;__;
Un piccolo promemoria per ricordarci dove eravamo stati lasciati:
Nei panni di Mille Falchi, Sasuke è stato ferito gravemente da dei criminali, costringendolo a restare a casa per riprendersi. Ma Shisui, stanco di vederlo rischiare la vita, ha deciso di costringerlo a smettere con la vita da Supereroe ha installato sensori alla casa che impediscono a Sasuke di uscire usando i suoi poteri. Nel mentre che Sasuke resta bloccato a casa a riprendersi dalla ferita, succedono due cose. La prima: Naruto va a trovarlo a casa e decide di restare a dormire da lui la notte, scoprendo così di non essere del tutto indifferenze al migliore amico. La seconda cosa: compare improvvisamente Obito Uchiha che, mentalmente instabile, distrugge e cancella dall’esistenza un parco cittadino.
Ora vi lascio al nuovo capitolo ^^
 
Oh, ovviamente un enorme ringraziamento ad Ary che ha assecondato questo mio “capriccio” di riprenderla in mano e ha betato il capitolo <3
 
 
 
 
V
 
 
Alcuni giorni dopo Sakura decretò che Sasuke poteva tornare a scuola. La febbre era scesa del tutto e anche la ferita allo stomaco si era rimarginata, andando ad aggiungersi alle altre che segnavano già tutto il suo corpo. Purtroppo non gli fu resistituito il cellulare, nemmeno quando provò a convincerla con la classica scusa “E se succede un incidente come faccio a contattarti?!” Sakura glielo riconsegnò.
Naruto era stato felicissimo di rivederlo, lo aveva frastornato di chiacchiere per l’intera durata della mattinata, senza fermarsi nemmeno durante le spiegazioni dei professori. Sasuke dovette ammettere a se stesso di essere altrettanto felice. La prigionia in casa era stata pesante, era rimasto chiuso in camera per tutto il tempo senza scendere nemmeno ai pasti. Non aveva voluto incontrare Shisui, perché sapeva che se si fossero incrociati avrebbero iniziato a litigare. Almeno Sakura tentava di mantenere le loro scarne conversazioni su un livello civile.
Tornare a scuola aveva anche un altro sapore: usciva dal raggio d’azione dei sensori. Aveva messo nello zaino il costume di Mille Falchi, deciso a indossarlo appena finita la scuola per poter vigilare la città. Sarebbe stato fuori il più tardi possibile, in modo da rimediare a tutto quello che aveva combinato. Doveva essere successo qualcosa, forse un improvviso aumento della criminalità, perché tutti a scuola erano tesi e preoccupati. Aveva tentato di captare qualcosa origliando i sussurri dei professori, ma non aveva capito nulla se non che la polizia stava lavorando a qualcosa di così grosso che forse sarebbero intervenute le forze segrete statali. Doveva assolutamente mettere mano a un giornale e notiziario, in quel momento si pentì di essere rimasto tutto il tempo in camera lontano dal telegiornale locale.
Aveva anche intenzione di fare una capatina nella stanza di Naruto, così da spiegargli la situazione e fare in modo che non si preoccupasse; aveva già ideato la scusa perfetta.
Con quei pensieri, la campanella della fine delle lezioni arrivò lentissima. Come un fulmine ripose tutto nel suo armadietto e si allontanò da Naruto con una scusa.
“Ma abbiamo karate fra qualche ora” provò a fermarlo.
“Mi dispiace, ma salto. Non sto ancora abbastanza bene per tornare” si giustificò.
Ovviamente non tornò a casa, si infilò invece nel primo vicolo vuoto e si nascose dietro una montagna di spazzatura. Indossò il costume, attento che non passasse nessuno, poi nascose lo zaino tra l’immondizia che sembrava essere lì da almeno cent’anni.
Calatosi nel proprio alterego, come prima cosa si teletrasportò vicino a un’edicola per recuperare una copia di giornale mentre il proprietario era distratto. Si premurò di lasciare a terra i soldi per pagarlo, quindi si spostò sulla terrazza di un grattacielo, dove in equilibrio sul cornicione cominciò a leggere le notizie.
Fortunatamente la sua improvvisa scomparsa non era ancora stata segnalata, ma in compenso i criminali avevano ricominciato ad avere un picco di attività. C’erano stati piccoli furti agli sportelli di prelievo e in alcuni ventiquattro ore perlopiù, ma Sasuke era certo che era solo questione di giorni prima che si rendessero conto della sua scomparsa e tentassero colpi più coraggiosi.
Girò pagina e lesse la prima notizia in alto. Congelò di colpo e aumentò la presa sul giornale, stropicciandolo.
Il Parco Susanoo era stato cancellato dalla città.
Che. Cosa.
Rilesse la notizia, scioccato da una simile assurdità. Era successo più di una settimana fa, la data combaciava con uno dei giorni di febbre. Nessuno sapeva cosa fosse davvero successo, come fosse possibile una cosa del genere.
Un momento prima c’era il Parco Susanoo in tutto il suo splendore, l’attimo dopo era sparito e al suo posto c’era un cratere degno di una scena apocalittica. Tutte le persone che lo stavano frequentando: scomparse.
Sbatté le palpebre, cercando di vedere oltre l’incredulità. Non doveva pensare che fosse impossibile, perché era successo e lui… lui era bloccato nella sua fottuta casa da Shisui.
Digrignò i denti e sentì un fiotto di rabbia. Cercò di non crogiolarsi troppo in essa, perché doveva trovare una spiegazione a quel mistero.
La risposta più probabile era una causa naturale, del resto sembrava il cratere di una meteora, ma in quel caso era impossibile che nessuno se ne fosse accorto! Un corpo celeste non colpisce la terra senza che venga previsto dalla NASA o avvistato da qualcuno.
Nemmeno la polizia sembrava volersi muovere verso il versante dell’incidente e stavano cercando un colpevole. Il giornale riportava che, subito dopo il disastro, un testimone aveva visto un uomo al centro del cratere ridere isterico, prima di scomparire a sua volta.
Scomparire. Come faceva lui quando si teletrasportava.
Una piccola consapevolezza cominciò a strisciare nella sua mente, come una vipera velenosa. Iniziò a sentire paura, quel tipo che provava solo quando la mente tornava indietro alla sua infanzia nel laboratorio.
Quello che era successo era pericolosamente simile alle sue abilità e se proprio doveva esserci qualcuno dietro tutto quello… poteva essere solo un individuo al quale era stato modificato il corredo genetico. Quindi qualcuno che era stato studiato nei laboratori Uchiha.
Tremò a quella prospettiva e perse la presa sul giornale, alcune pagine cominciarono a volteggiare verso il basso, ma lui non ci badò.
Si disse che non era possibile. I laboratori erano stati distrutti, ricordava quanto fosse stato ampio l’incendio che aveva distrutto l’edificio, era impossibile si fosse salvato qualcosa. Più della metà degli scienziati erano morti, anche Madara che aveva portato a fondo con sé tutti i progetti segreti. Senza contare che ora l’Uchiha Corps produceva frullatori. Frullatori, santo Dio!
No, no e no. Non c’era possibilità che avessero ripreso a fare esperimenti in segreto sui supersoldati. Era una prospettiva che non doveva nemmeno vagliare, al massimo l’unica cosa che stavano progettando erano dei nuovi super-frullati.
Ma allora…
Si sforzò di pensare, cercando una soluzione. Non aveva nessuna prova che fosse stato causato da un uomo con i superpoteri, ma al momento era la spiegazione più probabile. Qualcun altro aveva iniziato a fare esperimenti sui super soldati? Probabile, ma sarebbe stata una coincidenza troppo sospetta se gli esperimenti riusciti avessero sviluppato gli stessi poteri cercati dai laboratori Uchiha.
C’era solo un’altra spiegazione possibile: lui e Itachi non erano gli unici sopravvissuti. Qualche altro bambino era riuscito a scappare dai laboratori la notte dell’incidente e ora era a piede libero. Probabilmente anche voglioso di vendicarsi, il Parco Susanoo era stato finanziato dalla nuova Uchiha Corps, anche questa poteva essere solo una coincidenza? Stavano cominciando a diventare troppe.
Si stropicciò gli occhi da sopra il costume, cercando di risvegliare i suoi ricordi sugli altri bambini tenuti prigionieri. Erano quasi tutti orfani senza nessuno, bambini che se anche fossero spariti nessuno li avrebbe notati… o parenti diretti di Madara, come lui, Itachi e Obito.
Si fermò, il respiro bloccato in gola e cercò di ricordare meglio il cugino più grande. Erano in stanze vicine, l’essere nipoti del CEO gli aveva dato il privilegio di trovarsi in una zona diversa dei laboratori, lontani delle altre cavie. Su di loro erano anche stati fatti solo gli esperimenti più sicuri, quelli che erano già stati testati sugli altri bambini. Sapeva però che dei tre piccoli Uchiha, solo lui aveva risposto bene alla modifica genetica. Suo fratello era diventato cieco e si era indebolito molto dal momento che il suo organismo aveva cercato di espellere i corpi estranei. Di Obito ricordava solo quello che sussurravano i medici, che era fuori controllo e che tutti i suoi valori vitali erano instabili, sballati. Aveva dato per scontato che fosse morto durante l’incidente, come tutti gli altri bambini.
Ma forse si era sempre sbagliato. Forse Obito era vivo da qualche parte, con i suoi valori instabili e il desiderio di vendetta.
Si tolse il becco dal viso, il pensiero gli aveva fatto mancare l’ossigeno e aveva bisogno di prendere una lunga boccata d’aria. Condivideva il senso di vendetta, frullatori o meno avrebbe voluto cancellare l’Uchiha Corps dalla faccia della terra per sempre. Ma sradicare dall’esistenza un intero parco, coinvolgere civili innocenti che non c’entravano nulla con loro… quello era sbagliato.
Doveva trovarlo e fermarlo, e purtroppo quello era un lavoro solo per supereroi: come negli stupidi fumetti di Naruto, era comparso il supercattivo.
 
**

Naruto cominciava a sospettare di avere la scabbia, o qualsiasi altra malattia altamente contagiosa come la peste bubbonica, perché non era possibile che tutti lo scansassero schifati.
Mogio si allontanò lungo la strada, il borsone che colpiva il suo fianco a ogni passo. Le lezioni di karate senza Sasuke erano sempre un inferno, un po’ come la scuola. Certo in palestra almeno non c’erano i bulli, ma lo avviliva sempre quando si arrivava al momento dei combattimenti in coppia, dove bisognava scegliere un compagno. Ovviamente, come nelle partite di pallavolo, lui rischiava sempre di non essere scelto da nessuno, nemmeno quelli di cintura bianca. Almeno quando c’era Sasuke combatteva con lui, era la sua garanzia e l’unica persona che gli impediva di essere del tutto solo.
Fece un piccolo sorriso a quel pensiero, ma lo scacciò subito per l’imbarazzo. Era da quando avevano dormito insieme quella sera a casa sua che si sentiva strano ogni volta che pensava a lui. Provava un senso di felicità e gratitudine che gli scombussolava lo stomaco, come se avesse inghiottito delle caramelle frizzanti. Lo stare lontani in quella settimana gli aveva fatto capire quanto fosse fondamentale, era diventato la presenza fissa della sua vita. Anche solo poter allungare la mano per toccarlo e sentirlo vicino a lui lo faceva emozionare.
Quei pensieri lo fecero arrossire, si rendeva conto da solo di quanto fossero intimi. Inoltre non poteva negare a se stesso che dormire con lui fosse stato diverso dall’ultima volta che era successo, aveva reagito a quel corpo caldo contro di sé.
Cosa c’è che non va in me?!
In realtà la risposta era molto semplice, annidata da qualche parte nel suo cervello, ma faceva di tutto per non notarla. Sasuke era il suo migliore amico, solo quello, e lui era innamorato di Mille Falchi.
Il pensiero del supereroe lo fece oscurare. Da quanto non lo vedeva? Da quella volta che gli aveva parlato delle cicatrici. Aveva creduto che si fossero avvicinati, invece aveva avuto l’effetto opposto, lo aveva fatto fuggire via.
Con quei pensieri tristi tornò nel suo appartamento, non si stupì di scoprire che Jiraiya non era ancora rientrato dal suo ufficio. Era un giornalista e ultimamente era stato molto impegnato per via della notizia del Parco Susanoo. Se ci pensava gli veniva la pelle d’oca, quello che era successo era al di là di ogni sua comprensione.
A meno che non voglia prendere sul serio l’opzione del supercattivo.
In quel caso Mille Falchi lo avrebbe preso a calci in culo, dattebayo!
Mentre era perso in quei pensieri non si aspettava di trovare proprio Mille Falchi dentro la sua stanza. Quando lo vide rimase così sorpreso che lasciò cadere la borsa dalla spalla.
“Tu…” boccheggiò con la bocca aperta.
“Chiudi la porta a chiave, non vorrei essere visto”.
Scombussolato fece come gli diceva. “Sono solo a casa, comunque”.
Mille Falchi era seduto scomposto sulla sua sedia girevole, appoggiato allo schienale con fare stanco e una gamba alzata verso il petto, il mento appoggiato al ginocchio e una mano aggrappata alla caviglia. Aveva tolto il becco metallico, quindi riusciva a vedere la parte inferiore del suo viso e le labbra piegate in una smorfia triste.
“Stai bene?” chiese preoccupato. Abbandonò la borsa all’entrata e gli si avvicinò. Per qualche motivo, oltre alla felicità di vederlo lì, si sentiva anche in ansia.
Mille Falchi non disse nulla, solo quando gli fu abbastanza vicino si aggrappò con una mano alla sua maglietta e se lo tirò contro in un abbraccio un po’ scomodo.
“Scusa se non sono venuto ultimamente” disse. La sua voce era un po’ distante, fredda, come se continuasse a rimuginare su qualcosa.
Non seppe bene cosa dire e lasciò che lo abbracciasse, stringendosi contro di lui e aggrappandosi alla maglietta. Nebulosamente Naruto pensò che questa era un’altra differenza con Sasuke: Mille Falchi era molto più affettivo e tattile; Sasuke invece ogni volta che lo sfiorava si irrigidiva e lo allontanava, non lo cercava mai. Era una cosa che segretamente lo aveva sempre ferito ed era bello per una volta sentirsi cercato, poter dare conforto fisico a qualcuno.
“Scusami tu” disse spezzando il silenzio. “Vengo da karate e devo puzzare tantissimo”.
“Sì, un pochino” confermò arricciando il naso.
Rise. “Mi aspetti mentre faccio la doccia? Un minuto?”
“Un minuto” concesse.
Naruto non se lo fece ripetere due volte: volò nella doccia, dove si lavò a tempo record e non si fermò nemmeno ad asciugare i capelli. Tornò nella stanza che gocciolava ancora con solo i boxer addosso e scoprì che Mille Falchi era sul suo letto. Lo raggiunse stendendosi al suo fianco, facendo combaciare il loro corpi. Il supereroe alzò subito una mano e gli sfiorò con le dita la pelle morbida della pancia, girando attorno all’ombelico.
“Hai una pelle così bella… mi piace il colore” mormorò.
Si ritrovò ad arrossire. “Oh, ehm… parenti caraibici?” offrì.
Arrossì ancor di più quando, con un sorriso, Mille Falchi si abbassò a baciargli lo stomaco. Quel solo piccolo gesto riaccese Naruto come una fiaccola. Ne fu anche scombussolato perché improvvisamente aveva immaginato che fosse Sasuke a compierlo ed era stato… be’, strano. Non era il caso di pensare al suo migliore amico, doveva bloccare quei pensieri che gli stavano mangiando il cervello come tarme.
Prese quindi il viso del supereroe fra le mani e lo spinse verso l’alto, in modo da poterlo baciare. Appena le loro labbra entrarono in contatto sentì una scossa partire dalla punta dei piedi fino a quella dei capelli. Non sapeva se fosse per via dei suoi superpoteri, ma ogni volta che approfondiva quel contatto gli sembrava di essere colpito da un fulmine.
Mille Falchi reagì subito alla sua proposta implicita, lo afferrò per le spalle e si mise meglio fra le sue gambe divaricate, iniziando a strofinare i loro bacini in modo sempre più concitato. Non smise di baciarlo, né mollo la presa sulla sua pelle e dopo qualche minuto di quella presa febbricitante Naruto cominciò a sentirsi a disagio. Era frastornato dagli input piacevoli dati dalla bocca del supereroe e dallo scontrarsi dei loro inguini, ma cominciava a fare male. La stretta sulle sue spalle era troppo forte, sentiva la pelle pulsare di dolore e le ossa comprimersi per la pressione delle dita e quel che era peggio diventava più forte ogni secondo che passava.
Provò a staccarsi dal bacio. “Mille Fa…”
L’altro sembrava avere la mente totalmente obnubilata, prese a baciargli la gola e mordicchiarlo, senza accorgersi che la sua presa stava diventando troppo forte e dolorosa. Un fiotto di panico si mescolò nel suo stomaco insieme all’eccitazione e cominciò ad avere davvero paura di rompersi. Si agitò ancor di più, dimenandosi alla sua presa che lo inchiodava al letto.
“Mille Falchi!” ansimò con più urgenza.
Ma il supereroe o fraintese o non lo sentì, perché continuò a stuzzicare e stringere, spingendosi sempre di più contro di lui.
Cominciò a sentirsi gli occhi umidi perché stava facendo troppo male, si sentiva davvero spezzare. Faticò a racimolare tutta la sua forza e tentare di spingerlo via, chiamandolo ancora una volta. Ovviamente non riuscì a fare leva neanche di un millimetro, ma Mille Falchi si accorse della forza che tentava di spingerlo e con un sussultò si rese conto di quello che stava succedendo. Più veloce di un battito di ciglia, si catapultò sul fondo del letto, lontano da lui.
Anche se non c’erano più le dita a premere, Naruto continuò a sentire la pelle bruciare. Si portò una mano alle spalle, ma anche il semplice sfiorarsi la pelle gli fece male. Non se ne preoccupò troppo e alzò lo sguardo su Mille Falchi, ora lontano. Aveva la bocca socchiusa in una o perfetta di raggelo, la pelle visibile del volto arrossata furiosamente e sembrava tremare.
“Io… mi dispiace” disse e sembrava sul punto di vomitare. “Scusami, mi dispiace”.
Naruto si sentì in colpa e male per lui, allungò una mano per farlo riavvicinare.
“Non è colpa tua” disse. “Sei solo… troppo forte” e offrì un sorriso divertito.
Ma Mille Falchi non l’accettò, né prese la mano e si avvicinò. Continuò a fissarlo con vergogna e rimpianto.
“Non voglio farti male” mormorò e per un momento Naruto sospettò che non si riferisse solo ai lividi che gli aveva lasciato.
Ma non ebbe il tempo di dire niente che era scomparso dal suo letto, teletrasportandosi da un’altra parte e lasciando al suo posto una tegola scheggiata.
La fissò sentendosi solo e ferito.
 
**

Sasuke non riusciva a smettere di insultarsi mentre saltava tra un tetto e l’altro. Ormai si era fatto molto tardi ed era scesa la notte, sarebbe dovuto tornare già da un pezzo, ma si sentiva troppo agitato. Aveva bisogno di calmarsi, altrimenti una volta a casa Sakura avrebbe capito subito perché fosse così sconvolto.
Sono un idiota.
Lo era dal momento esatto in cui aveva deciso di cedere e iniziare quella patetica cosa con Naruto. Non solo gli stava mentendo spudoratamente, la sua presenza gli faceva male! Non poteva permettersi di perdere il controllo su se stesso e fargli male, non se lo sarebbe mai perdonato, non era colpa sua se non era fatto come le persone normali.
Atterrò malamente sul tetto di una casa e perse la presa sul tegolato, rischiando di cadere. Riuscì prontamente a sostituirsi con qualcosa e tornare sul tetto senza un graffio. Ma una volta lì si sedette e si prese il viso fra le mani.
Perché ormai avrebbe fatto del male a Naruto. Non si trattava solo della sua superforza, ma anche di Obito. Se c’era davvero lui dietro quel disastro, allora c’era una persona che sapeva della sua identità segreta. Obito non poteva essere così stupido, sicuramente aveva già collegato che dietro all’eroe di Konoha si celava uno dei bambini modificati dell’Uchiha Corps e l’unico possibile era lui, Sasuke. Obito sapeva chi fosse e questo era un grave pericolo per tutti quelli che lo conoscevano.
Cominciò a non riuscire più a respirare, nel panico. Obito era impazzito da bambino e ora voleva cancellare l’Uchiha Corps, questo era sicuro. Anzi, voleva cancellare qualsiasi cosa avessero fatto, perfino un innocuo parco cittadino. C’era la possibilità nemmeno troppo remota che questo desiderio di cancellazione coinvolgesse anche lui e Itachi. Anche loro, proprio come quel parco, erano un prodotto dell’Uchiha Corps, che ne testimoniava l’esistenza. Anche se Sasuke l’avesse ignorato, prima o poi sarebbe venuto a cercarlo per completare la sua follia e questo metteva in pericolo tutte le persone che conosceva. Metteva in pericolo Naruto. Non poteva permettere che qualcuno scoprisse il suo legame con il ragazzo, né da Sasuke né da Mille Falchi, per il suo stesso bene. Doveva allontanarlo. Era l’unica azione sicura da fare.
Ignorò quanto quel pensiero gli facesse male, in quel momento Naruto era la persona più importante della sua vita, non era facile. Ma proprio per quello doveva stargli il più lontano possibile.
Con quell’ultima risolutezza, tornò a casa. Si materializzò in giardino, ben attento a non farsi vedere, e si cambiò lì. Una volta rimessi i vestiti borghesi, rientrò in casa pronto a sopportare le accuse di Shisui.
Ma quest’ultimo non c’era. Confuso, arrivò fino alla cucina dove trovò solo Sakura. Era così concentrata dal notiziario da non accorgersi di lui finché questo non si schiarì la gola.
“Sasuke, hai fatto tardi!” considerò distratta.
“Ero con Naruto” mentì. “Ci siamo fermati a prendere un gelato dopo karate”.
“Quindi non hai tanta fame? Ti ho messo comunque da scaldare qualcosa nel microonde”.
“Va bene, magari più tardi. Grazie” mormorò, sorpreso che fosse così remissiva dal suo ritardo e gli prestasse così poca attenzione. I suoi occhi continuavano a saettare sul telegiornale, come se fosse in attesa di una notizia.
“Uhm, Shisui?” chiese.
“A lavoro”.
Annuì, sentendosi a disagio. Tutto sommato era sollevato di non essere stato ripreso, ma quel nervosismo di Sakura gli fece paura. Forse anche loro avevano collegato i puntini su Obito… non sapeva se fosse un bene o meno.
“Vado in camera”.
Sakura non rispose, troppo concentrata sulla televisione.

 

**

 

L’autobus ripartì, lasciando la figura scura in mezzo al nulla. I passeggeri erano stati molto felici di vedere quello strambo tipo, che indossava un cappotto pesante e lungo in quella stagione primaverile, lasciare l’autobus. Però erano rimasti altrettanto perplessi di vederlo scendere in quella fermata in mezzo al nulla, con solo un parcheggio di macchine che in quel momento era completamente vuoto.
L’uomo si guardò attorno, la strada vuota e nessuna anima viva in giro. Si rese conto di aver sbagliato fermata, che quello non era il suo quartiere. Eppure era sicuro di dover scendere lì, perché…?
Con un sospiro, cominciò a camminare al fianco della strada. C’era un forte vento che lo tirava dalla parte opposta, ma non se ne curò. Affondò una mano nelle tasche del cappotto e prese il telefono. Era vecchissimo, quelli senza il touchscreen, lo schermo era rotto, attraversato da profonde crepe, e alcuni tasti mancavano. Ovviamente era spento, ma l’uomo non ci fece nemmeno caso e cominciò a digitare un numero per poi portarselo all’orecchio.
“Ehi, tesoro, sono io. Lo so, mi dispiace. Ma farò tardi anche questa sera, ho sbagliato la fermata dell’autobus. No, non preoccuparti, non occorre che tu venga a prendermi. Lo so, vivo proprio con la testa sulle nuvole, mi dispiace. Iniziate pure a mangiare, vi raggiungerò presto. Sto arrivando…”
Si fermò, era arrivato vicino a una recinzione dove un grosso cartello segnalava la proprietà privata e il divieto di andare sul terreno, quel posto apparteneva all’Uchiha Corps. Socchiudendo gli occhi, riuscì a vedere un casermone e delle ciminiere. Ricordò perché era sceso a quella fermata.
“Ti amo anch’io, tesoro. Ci vediamo dopo” salutò.
Obito Uchiha lasciò cadere il telefono a terra e attraversò la recinzione.

 

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Capitolo 6
*** VI ***


Buon SasuNaru day!
Per l’occasione rispolvero questa fic, sperando che un nuovo capitolo vi faccia piacere. Oltre a questo dovrebbero mancarne due, quindi vediamo se riesco a finirla in tempi brevi.
Un piccolo riassunto: Sasuke si trova ad avere strani poteri a seguito di sperimentazioni sul suo corpo per creare dei superumani. Ancora bambino riesce a scappare insieme al fratello, in coma, e viene ospitato da una coppia (Sakura e Shisui) che lo nasconde, in modo di dargli una vita normale. L’amicizia con Naruto lo spinge a usare i suoi poteri per fare qualcosa di buono e diventa il supereroe Mille Falchi, nei panni del quale inizia una relazione con Naruto. Le cose però peggiorano quando un uomo con dei poteri compare in città distruggendo ogni cosa. Sasuke lo riconosce subito, è uno dei bambini vittimi della sua stessa sperimentazione che vuole vendicarsi…
 
 
 
 
 
 
 
VI
 
 
 
 
 
“Ehi”.
Sasuke sussultò, quasi perdendo la presa sulla mela che stava sgranocchiando, e si voltò con gli occhi sgranati. Non sapeva perché fosse così sorpreso che Naruto lo avesse trovato, dopo tutti quei giorni passati a ignorarlo era ovvio che l’amico venisse a cercarlo. 
Sasuke aveva smesso di parlargli senza una spiegazione, non si sedeva più vicino al suo banco e cercava di evitare ogni interazione. Era evidente dal modo in cui Naruto lo stava guardando in quel momento che fosse ferito dal suo atteggiamento. 
“Ehi” ricambiò mordendosi le labbra, mentre parti contrastanti in lui lottavano tra loro. Doveva cacciarlo, ma gli era mancato così tanto che non riusciva a farlo. 
Erano a scuola, durante la pausa pranzo, anche se lui al momento non si trovava in mensa. Da quando aveva iniziato a ignorare Naruto passava la pausa in un’aula vuota di arte, a guardare fuori dalla finestra e meditare  cupo sui recenti sviluppi. 
Il suo piano di continuare a vegliare nella città senza farsi beccare da Sakura e Shisui stava funzionando, soprattutto perché i due adulti non sembravano dargli attenzione. Era evidente che qualcosa li impensieriva e sapeva che quella cosa era Obito. Qualche giorno prima una delle fabbriche dell’Uchiha Corp era esplosa. Questo dimostrava che l’incidente del parco Susanoo non era un caso isolato, Obito stava portando avanti una vendetta sistematica.
Sasuke doveva proteggere Naruto e non sapeva come altro fare se non tenerlo a distanza
Ignoralo. Fai credere al mondo che non siamo più amici. Così nessuno lo userà contro di te.Questo era stato il suo manta negli ultimi giorni.
In quel momento capì però che Naruto non stava apprezzando la sua scelta, tutt’altro. I suoi occhi azzurri erano feriti, trasparenti come al solito nei propri sentimenti, erano una pugnalata al cuore. 
“Quindi è qui che ti nascondi” rinfacciò.
Sasuke accusò il colpo. “Non mi sto nascondendo”.
Naruto sbuffò e senza chiedere il permesso si sedette al suo fianco. “Mi stai ignorando, non osare negarlo” lo precedette. Fece una pausa, in cui si guardò le mani esitante. “Ho… fatto qualcosa di sbagliato?”
Sasuke era certo che il cuore non potesse fargli più male di così, era come se qualcuno si divertisse a usarlo come puntaspilli. 
“Voglio solo restare solo”.
Era ovvio che Naruto non gli credesse. Del resto voleva sempre restare solo, ma la presenza di Naruto non gli aveva mai dato fastidio. Se ora era così significava che qualcosa era cambiato. 
Ma non posso spiegarti.
Fortunatamente, come un deus ex machina, la campanella che avvertiva la fine della pausa lo salvò dal doversi spiegare. Ignorando lo sguardo deluso dell’amico si alzò. 
“Sasuke, devo parlarti” disse con impeto, alzandosi a propria volta. 
Non si voltò a guardarlo, aveva paura di incontrare il suo sguardo e vedere quegli occhi blu che lo facevano sempre tremare. Doveva ricordarsi che quella decisione, per quanto dolorosa, era fatta per proteggerlo da Obito. Se anche lui era nella sua agenda di vendetta contro l’Uchiha Corps, allora il modo migliore per approcciarlo era prendere in ostaggio Naruto – o peggio, non voleva nemmeno pensarci. 
Al suo silenzio l’amico riprese a parlare. 
“È una cosa importante, ci ho pensato in questi giorni… E tu, be’, sembri aver già deciso di non voler più essere mio amico, quindi tanto vale che te lo dica”.
Quel preambolo non gli piaceva per nulla, cominciò a sentire l’ansia strisciare lungo la sua schiena. 
“La campanella è suonata” fece presente. 
“Te lo dico mentre andiamo in classe”.
“Io… Io vado a casa adesso” mentì. “Ho una visita medica, ho già la giustificazione”.
Era una mezza verità: non aveva nessuna visita, ma aveva sempre con sé delle giustificazioni con la firma falsificata di Sakura per uscire prima per fare i suoi giri da Mille Falchi. Non avrebbe mai pensato che gli sarebbero state utili per scappare da Naruto. 
A quella rivelazione seguì un silenzio abbastanza lungo da farlo azzardare a lanciare un’occhiata alle proprie spalle. Naruto lo stava guardando con l’espressione più triste che gli avesse mai visto, gli occhi quasi liquidi dalla delusione, e quando si accorse si essere fissato distolse lo sguardo. Naruto non aveva mai esitato nel guardarlo dritto negli occhi, quel gesto ferì Sasuke. 
L’ho già deluso così tanto?
È necessario.
“È importante” disse. “Ho bisogno di parlatene, io… non posso nasconderlo e starmene zitto. Devo dirtelo, capisci?”
Sasuke cominciò a temere che avesse scoperto la sua identità segreta.
“Io devo andare” disse, non pronto ad affrontare le conseguenze. 
“Ma possiamo parlarne? Dopo scuola e quando tu hai finito la tua visita? Ci troviamo al bar all’angolo con la sedicesima…”
Quel bar faceva i tramezzini al tonno e pomodoro più buoni della città, Sasuke non aveva mai rifiutato prima e Naruto lo sapeva. Strinse la cinghia sul proprio zaino.
“Naruto…”
“Per favore, devo davvero parlarti. Dopo potrai ignorarmi, anzi…” Fece una risata triste. “È probabile che vorrai farlo”.
Ora era decisamente curioso e masochista si ritrovò a volerlo sapere. Forse, qualsiasi cosa fosse, avrebbe potuto usarla come scusa per troncare i rapporto tra loro, così che nessuno pensasse più che Naruto fosse importante che lui, che Obito non lo pensasse lasciandolo fuori da tutta quella faccenda. 
Deglutì. “Va bene, ci vediamo alle cinque?”
Voleva comunque avere del tempo per fare un giro di perlustrazione nelle vesti di Mille Falchi e poi farsi una doccia prima di vederlo. 
Probabilmente quello sarebbe stato il loro ultimo incontro. 
Con quel pensiero amaro si voltò ancora una volta e questa volta riuscì a uscire dalla stanza senza che Naruto lo fermasse, anche se sentiva il suo sguardo bucargli la nuca. Chissà cosa voleva dirgli di così urgente e che rischiava di mettere a rischio la loro amicizia. 
Andò in segreteria, dove con una faccia assolutamente vuota mostrò il permesso di uscita alla donna al banco. Quella non gli chiese nemmeno di aspettare che arrivasse la tutrice a prenderlo, si limitò a segnare la cosa e dargli l’arrivederci. Meglio così visto che Sakura non sarebbe mai arrivata. 
 Le strade di Konoha erano trafficate come sempre e i suoi abitanti come al solito erano talmente immersi nei propri affari che non badarono all’adolescente che si infilò in un vicolo stretto e nascosto. Dietro a una montagna di immondizia che lo nascondeva dalla strada principale, Sasuke poté indossare il suo costume ed entrare nei panni del supereroe. 
Essendo giorno, comunque, non si ritrovò ad avere molto da fare. Riuscì a sventare qualche shippo, che gli fece guadagnare applausi e molte foto che subito circolarono nell’internet – male, così Sakura e Shisui avrebbero scoperto che aveva saltato scuola e continuava a compiere le sue imprese. 
Tornò a casa nell’orario in cui sarebbe terminata le lezioni, nel caso i suoi tutori fossero lì ad aspettarlo, ma tirò un sospiro di sollievo quando si accorse che non era così. La casa era vuota e questo lo fece rilassare visibilmente, ormai per lui era impossibile stare nella stessa stanza con i due adulti senza litigare. Non ci mise molto a farsi la doccia, per l’appuntamento con Naruto mancava ancora molto tempo. Perciò decise di andare a salutare suo fratello, ultimamente non era stato molto al suo capezzale. Anche se Itachi non poteva rispondergli trovava comunque confortante stargli vicino, a parlargli sconclusionato senza temere una risposta. 
Forse avrebbe potuto raccontargli di quello che stava capitando. 
Forse se Itachi fosse stato sveglio avrebbe potuto dargli una risposta. 
Con un sospiro stanco entrò nella stanza. Lanciò appena un’occhiata ai macchinari che occupavano lo spazio e che permettevano a Itachi di vivere, rinchiuse la porta dietro di sé concentrato solo sul volto impassibile e pallido del fratello. 
Perciò non si accorse dell’altra presenza nella stanza finché non parlò.
“Ciao, cuginetto”.
 
 
**
 
Naruto fece roteare la matita tra le dita, poi la infilò sotto il naso tenuta con il labbro superiore contratto. I suoi occhi si muovevano frenetici per tutta la stanza, completamente estraneo a quello che il professore stava spiegando, la sua voce era solo un suono indefinito nello sfondo. Si fermò quando lo sguardo cadde sul banco libero accanto a lui, il banco che sarebbe stato di Sasuke ma che da giorni restava vuoto. 
Era doloroso. 
Aveva atteso il ritorno in classe di Sasuke con un’impazienza tale che gli sembrava di sgusciare via dalla propria pelle per raggiungerlo, ma quando era effettivamente tornato era stato con lui solo un giorno, per poi sparire per la restante settimana. Lo ignorava come non ci fosse, come facevano tutti gli altri. Ma il fatto che fosse Sasuke a farlo lo rendeva un pugno nello stomaco troppo doloroso da sopportare. 
Perché, Sasuke, perché?
In realtà il perché lo sospettava. Sasuke aveva iniziato a comportarsi in modo strano da quando era tornato a scuola ed era una successo una cosa in particolare: avevano dormito insieme.
Anche se l’intenzione iniziale era stata innocente, Naruto non poteva negare che avesse portato delle conseguenza. Ora non riusciva più a guardare Sasuke senza provare una stretta al petto, una strana euforia che si trasformava in disperazione all’idea di non poterlo toccare, di non essere nemmeno visto dall’altro. Conosceva quella sensazione… non aveva mai pensato di provarla per il suo migliore amico. Quando aveva iniziato a innamorarsi di lui? Non lo sapeva, ma la notte insieme aveva reso chiari i suoi sentimenti in un modo imbarazzante. Anche nell’interazione successiva con Mille Falchi, quell’ultimo bacio… aveva sperato che quelle fossero le labbra di Sasuke. Si era quasi illuso di sentire il suo odore, che quelli fossero i tocchi delle sue mani. Si sentiva un po’ in colpa nei confronti dell’eroe, ma non poteva farci niente; era quasi sollevato che non si fosse più presentato. 
Ma c’era comunque un problema.
Sasuke era intelligente, se n’era sicuramente accorto e doveva essere quello il motivo per cui aveva iniziato a ignorarlo. Lo aveva capito, ne era rimasto disgustato e adesso non voleva vederlo per non incoraggiare quei sentimenti, era chiaro. A questo punto tanto valeva dichiararsi e ammettere come stavano le cose. Naruto non era mai stati bravo a tenersi le cose dentro, soprattutto i suoi sentimenti, aveva bisogno di dirglielo. Era come se una grossa ciambella si fosse incastrata in gola.
“Uzumaki!”
Sussultò, facendo cadere a terra la matita. Tornò a focalizzarsi sulla classe, tutti lo stavano fissando e il professore aveva il gessetto puntato verso di lui, dietro di lui la lavagna era piena di grafici incomprensibili.
“Risolvi tu il problema, visto che questa lezione sembra superflua per te”.
Merda.
Rosso in faccia si alzò, non avendo nemmeno idea dell’argomento e fin troppo consapevole degli sguardi di scherno dei suoi compagni. Non c’era nemmeno Sasuke a suggerirgli.
Quel pensiero gli fece precipitare il cuore nello stomaco. Come avrebbe fatto ad andare avanti senza di lui?
 
 
**
 
Sasuke trattenne il fiato alla voce sconosciuta, consumata come se le corde vocali fossero state bruciate, ma capì subito chi fosse. Solo una persona poteva chiamarlo così.
Con il cuore bloccato in gola si voltò lentamente, trovando sulla sedia a dondolo — la stessa che usava Sakura per vegliare il ragazzo in coma — lo stesso Obito.
Il primo istinto di Sasuke fu quello di intromettersi fra l’uomo e suo fratello.
Indossava un cappotto nero sbrindellato, pieno di toppe e punti scuciti, lungo fino a metà polpaccio, totalmente fuori luogo rispetto al clima mite di quella primavera. Le scarpe sbucavano con la suola che quasi si staccava, il nero graffiati e rovinato. Sembrava un barbone, un disperato. Ma i lineamenti del viso erano eleganti come quelli degli Uchiha, zigomi alti, occhi grandi, un naso dritto e sopracciglia ben disegnate. 
Poi però inclinò il viso, mostrandogli non solo il profilo ma anche l’altro lato del volto. Era sfigurati da cicatrici orribili, che misero i brividi a Sasuke. L’occhio destro era rosso, come pieno di sangue.
Una risata fredda e triste uscì dalle sue labbra quando lo vide proteggere Itachi.
“Che cosa fai?”
“Non ti permetterò di fargli del male” proclamò.
Il lato pulito del suo viso si contrasse in confusione, il lato sfigurato rimase impassibile e morto.
“Non voglio fargli del male. È il mio cuginetto…”
“Vuoi eliminare ogni cosa della Corps”.
L’unico occhio espressivo si illuminò come se fosse un bambino felice di vedere il proprio duro lavoro riconosciuto.
“Sì, sì, esatto!”
“Quindi anche noi”.
La sua espressione felice si congelò. “No, no! Perché anche voi?”
Deglutì, sentiva la tensione salire a ogni battito del cuore di Itachi trasmesso dalla macchina che lo teneva in vita. Da un momento all’altro potevano arrivare Sakura e Shisui, doveva allontanarlo da lì prima ferisse una delle sue persone preziose.
“Perché siamo un loro prodotto” disse, deciso a farlo parlare così da distrarlo e riuscire a far scambiare entrambi con qualcosa fuori dalla casa.
Obito si alzò dalla sedia, guardandolo allibito. Il gesto lo mise ancor più in allarme, ma l’uomo non fece nulla e si limitò a fissarlo.
“No, voi siete come me, siete loro vittime. Siete innocenti, non devo farvi del male…”
“È le persone al Parco Susanoo?” replicò duro, ricordando la notizia. “Loro non erano innocenti?!”
L’occhio nero divenne torbido, come se stesse pensando qualcosa di profondo è odioso.
“Si stavano divertendo su un parco costruito con soldi sporchi di sangue, sangue di bambini!”
Poteva percepire la rabbia e l’odio di Obito, un’energia malata scorreva nel suo corpo e lui poteva percepirla. Non poté fare a meno di chiedersi se fosse un effetto degli esperimenti, se riconoscesse il potere fuori controllo dell’altro.
“Loro non sapevano nulla, non meritavano di sparire così” disse sentendo la frustrazione di non essere riusciti a salvarli bloccargli la gola. Doveva fermare Obito prima che qualcosa del genere succedesse ancora. “La Corps è cambiata, Madara è morto…”
“La sua eredità vive ancora” borbottò lugubre.
“Adesso producono ventilatori” insistette. “Non ha più nulla a che fare con quello che ci hanno fatto. Vendicarsi è inutile”.
Ci aveva pensato, a lungo. Forse lo avrebbe anche fatto se non avesse incontrato Naruto, la rabbia per quello che gli avevano fatto e tolto era troppo. Li avrebbe uccisi tutti. Ma Naruto… Naruto credeva sempre nella cosa giusta, faceva sempre la cosa giusta anche se gli si ritorceva contro.
Sasuke voleva avere il suo stesso coraggio di fare la cosa giusta. E la cosa giusta era fermare Obito.
Fece quindi uno scatto in avanti, l’energia si agitò per tutto il suo corpo rumorosa come al solito e nella sua mente focalizzò l’immagine del cestino dei rifiuti nella via. Era l’unica cosa che gli veniva in mente con cui scambiarsi. Afferrò Obito.
O almeno ci provò, perché le cose non andarono come aveva previsto. Non afferrò Obito, gli passò attraverso e poi si ritrovò solo nella strada, al posto del bidone. Alcuni passanti sussultarono nel vedere dal nulla, allarmati dal rumore, ma Sasuke non ci aveva fatto caso. Perché non aveva toccato Obito? Come aveva fatto ad attraversarlo, come fosse solo un fantasma? C’entravano i suoi poteri? Anche sforzandosi, Sasuke non ricordava che genere di esperimenti avessero fatto su di lui, quale fosse stato il risultato, non ricordava i poteri del cugino.
Si voltò verso la casa e raggelò nel vedere che la porta era aperta, Sakura o Shisui erano entrati in casa e rischiavano di essere feriti. Doveva tornare indietro.
Si scambiò ancora una volta con il bidone, ritornando così nella camera dov’era un attimo prima. Obito non si era mosso e lo fissava meditabondo.
“Giusto, dimenticavo che ti eri dato all’eroismo”.
Non era sorpreso, aveva già tenuto in conto che conoscesse la sua identità segreta. La cosa davvero pericolosa era che i suoi poteri sembravano non avere effetto su di lui. Aprì la bocca per dire qualcosa, ma Obito lo precedette.
“Credi davvero che la Corps abbia chiuso con le ricerche?” Indicò Itachi, le macchine a cui era collegato. “Guarda, ci stanno ancora studiando!”
Era l’ultima cosa che si aspettava di sentire. Tutto il suo discorso sul fare la cosa giusta svanì dalla sua mente, guardò il fratello senza capire.
“Cosa stai dicendo?”
“Possibile che tu non te ne sia davvero accorto? La Corps vi sta ancora controllando”.
“Siamo scappati dalla Corps!” lo contraddisse con una strana inquietudine. Gli tornarono in mente tutti gli esami che aveva fatto con Sakura per la sua salute…
“Voi non siete mai scappati. Non siamo mai scappati”.
“Che cosa stai dicendo?!”
“Va bene, basta così”. 
Sasuke sussultò nel sentire la terza voce, il cuore gli era precipitato nello stomaco. Si voltò, trovando Shisui sull’uscio della porta. Indossava abiti abbastanza eleganti, da lavoro, soprattutto reggeva con le braccia tese una pistola, puntata direttamente su Obito, i suoi occhi erano acuti e decisi, impassibili.
“Obito, non muoverti. Sasuke, dietro di me”.
E Sasuke lo avrebbe fatto, perché si fidava di Shisui, ma la risata fredda di Obito lo immobilizzò.
“Sei proprio come lui, vero? Ti piace dare ordini agli altri”.
Shisui non rispose, i suoi occhi erano illeggibili, la canna della pistola era così lucidata da brillare. Sasuke deglutì.
“Lui chi?”
Obito sorrise, folle.
“Suo padre, Uchiha Madara”.
 
 
 

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