Lenkerthen Lyoko di Lord Kleveland (/viewuser.php?uid=715568)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo: Rendez-vous ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1: Ma un giorno nel Kadic arriva Avier di lunedì ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2: I due lati della maschera ***
Capitolo 4: *** Capitolo 3: Crollo psicologico ***
Capitolo 5: *** Capitolo 4: Passato e presente ***
Capitolo 6: *** Capitolo 5: Terzo contatto ***
Capitolo 7: *** Capitolo 6: Uomini e stelle ***
Capitolo 8: *** Capitolo 7: Rottura ***
Capitolo 9: *** Capitolo 8: In amore... ***
Capitolo 10: *** Capitolo 9: ...e in guerra... ***
Capitolo 11: *** Capitolo 10: ...tutto è lecito ***
Capitolo 12: *** Annotazioni di Zerkalo del 7 Agosto 2232: Ora capisco ***
Capitolo 13: *** Capitolo 11: Il mondo si muove ***
Capitolo 1 *** Prologo: Rendez-vous ***
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“Skat-al
inierit Akertosh Brealwunt. Avenen li nokter morò
katronkaten morò
aminio. Lak tot?”
“Lak
nosch”
“Andevaket,
anì, Naiker Malnian Akentkat Minekor, ciminktè
mokton okta
‘Lenkerten Lyoko”
Terra
– Francia - Sceaux – Lunedì 5 Settembre
2005 - Dalle 5:45 alle
6:20
Era il 5 di
Settembre, il giorno di inizio del nuovo anno scolastico francese, un
evento nefasto che aveva già causato disperazione nelle
menti di
molti studenti.
Di questo
avviso non erano però Jeremy e Aelita. I due avevano tanto
in
comune, la nascita e il perdurare del loro amore era dovuta anche a
questo, fra questi elementi vi era l’apprezzare lo studio.
Non lo
avevano mai visto come qualcosa di pesante e faticoso, portandoli a
non avere particolari timori per l’avvicinarsi di quei nuovi
mesi
scolastici. Inoltre, dopo Lyoko e la sconfitta di XANA, non doversi
più preoccupare per le proprie vite e la sorta del mondo
rendeva
ogni altro ostacolo decisamente meno temibile.
I due (da
veri “Einstein”, come avrebbe detto un loro amico)
si erano
svegliati di mattina presto, molto prima di quanto fosse ragionevole
preoccuparsi per i ritardi, e ne avevano approfittato per passeggiare
mentre l’alba sorgeva. Il loro amore era più forte
che mai, ed era
notevole come fosse palpabile anche durante i lunghi silenzi, come si
percepisse il forte legame dei due ragazzi. Senonché,
concentrandosi
solo sui silenzi, si sarebbe potuto pensare che Jeremy e Aelita non
parlassero mai. Tuttaltro che vero, parlavano tanto. Tantissimo.
Forse troppo. E, come ogni coppia che si ama alla follia, le loro
discussioni tendevano a essere imbarazzanti per chi le ascoltava. Ci
si può limitare a dire che parlarono di una vasta gamma di
argomenti, dai rapporti con i loro amici a come vedevano il loro
futuro, parlarono anche di Lyoko. Non ad alta voce, nonostante
l’ora
c’erano persone per strada, molte più di quante se
ne
aspettassero, e di certo non volevano far sapere a tutti del loro
passato.
“Ehi,
sbaglio o ci siamo già stati qui?” disse Aelita
passando davanti a
un bar, l’insegna recitava Rendez-vous e
il luogo si
presentava molto sobrio dall’esterno.
“Si, ci
siamo stati sicuramente insieme agli altri” rispose Jeremy.
Ricordò
infatti di aver fatto colazione lì varie volte con gli altri
“Guerrieri Lyoko”, ormai quel nome era diventato un
modo
scherzoso di chiamare il proprio gruppo.
“Tu hai
mangiato?” chiese Aelita a Jeremy qualche secondo dopo.
“Io si.
Tu no?”
“No, sono
a digiuno. Mi prenderò un croissant”
I due
entrarono nel locale, era un posto molto semplice ma accogliente.
Alla sinistra vi era la cassa e l’espositore con i vari
dolci, era
stato appena riempito. Dopotutto erano le sei del mattino, il bar
aveva aperto da poco. Sparsi per il locale vi erano vari tavoli di
plastica rotonda circondati da sedie del medesimo materiale, due
sedie di due tavoli diversi erano occupate da due anziani. Uno stava
leggendo il giornale con fare assorto, l’altro sorseggiava il
suo
caffè mentre osservava le foto di monumenti appese alle
pareti del
locale. La maggior parte erano francesi, come L’Arco di
Trionfo e
l’immancabile Torre Eiffel, ma ve n’erano anche
altri del resto
del mondo come il Big Ben e il Colosseo. Aelita e Jeremy rimasero un
secondo a osservare le foto anche loro, poi la ragazza si diresse
verso l’espositore a scegliere i cornetti. Proprio quando fu
sul
punto di chiamare la cassiera, la sua attenzione venne catturata da
un nuovo cliente. In realtà, l’attenzione di tutti
quelli nel
locale, perché il nuovo arrivato seppe come farsi notare.
“Kakaya
udacha, yesli ty na samom dele! Davay poigrayem v igru”
urlò
in un forte e fierissimo russo. Era
un ragazzo molto magro, ai limiti dell’anoressia, di
carnagione
esangue e dai capelli di un intenso
nero corvino
creanti
con certo contrasto con il resto del corpo. Indossava
una tuta Adidas completa color blu scuro e aveva un borsone nero da
ginnastica a tracolla.
“Come
scusa?” disse la cassiera, il ragazzo si avvicinò
a lei e
si
appoggiò sul tavolo di legno su
cui era posta la cassa.
“Niente di che. Piuttosto, mi
dia un bicchiere di vodka”
“A quest’ora? Va beh… Carta
d’identità”
“Prego?”
“Dammi la carta d’identità.
Devo essere sicura tu sia maggiorenne”
“Oooh… Capisco… È proprio
necessario?”
“Sì” il ragazzo aprì una
delle tasche laterali del suo borsone e ne estrasse un portadocumenti
rosso mattone. La donna lo aprì, gli diede una rapida
occhiata e poi
lo gettò indietro al suo possessore, lo fece con fare
così brusco
che sembrò volesse lanciarglielo in faccia, cosa non tanto
lontana
dalla verità.
“Hai diciassette anni. Non so
come funzioni in Russia, ma qui è illegale bere alcol a
quell’età”
“Bud’ dobr ko mne,
tutti me ne danno venti. Non può chiudere un
occhio?”
“No” il ragazzo fece un
sospiro, gli apparve un’espressione rassegnata sul volto. Si
guardò
intorno per mezzo secondo, poi allargò un leggero sorriso e
disse
“Non causerò problemi. Mi
limito a prendere un espresso senza zucchero e due cornetti per i
miei due amici lì” indicò Jeremy e
Aelita. I due strabuzzarono
gli occhi, non avevamo mai visto quel tipo, ne erano sicuri.
Sicuramente di quel ragazzo tutto si poteva dire, tranne che fosse
facile da dimenticare.
“Ci stai confondendo con
qualc…” Jeremy provò a spiegarsi, ma fu
interrotto dal ragazzo
russo che gli parlò sopra.
“Khorosho! Voi
non mi conoscete ancora, ma io già conosco voi”
“In che senso?”
“Nel senso che vi conosco, non
lo ritenete possibile?” Jeremy rispose in maniera negativa,
intanto
tutto il locale stava guardando in loro direzione. Chiunque fosse
quel tipo, era riuscito a far mantenere l’attenzione su di
sé per
tutto il tempo.
“Invece è così. Qualcuno
vuole scommettere? Io punto cinque euro sulla mia riuscita”
non
stava scherzando, mise cinque euro sul bancone. Invitò con
lo
sguardo gli altri a farlo, ma gli anziani non vollero dar man forte
alla sua eccentricità (o forse follia, chi poteva dirlo),
Jeremy e
Aelita si trovavano in uno stato misto tra la confusione e il terrore
e non pensarono neanche a puntare qualcosa. Fu la cassiera a mettere
altri cinque euro sul bancone.
“So che non te ne andrai se non
lo faccio. Sbrigati, o mi farai scappare i clienti” il
ragazzo
avrebbe che detto non avrebbe perso i milioni facendo andare via
quattro persone, ma capì che avrebbe rischiato un pugno in
un
occhio, si limitò a continuare il suo gioco.
“Jeremy, Aelita, sedetevi da
qualche parte. Io intanto prendo i cornetti” i due non lo
fecero,
rimasero congelati sul posto. Come poteva sapere i loro nomi?
“Sorpresi, vero? Siamo solo
all’inizio. Forza, sedetevi” Jeremy e Aelita
scelsero un posto,
erano così confusi che non notarono la presenza di sole due
sedie
attorno a quel tavolo. Il ragazzo se ne aggiunse una da solo dopo
aver preso dalla cassa il caffè e i cornetti. Si mise a
sedere, fece
un largo sorriso e poi prese un cornetto per mano e si accinse a
darglieli.
“Cioccolato a te, Jeremy.
Marmellata di fragole a te, Aelita. Era quello che volevi,
giusto?”
la ragazza strabuzzò di nuovo gli occhi, poi disse di
sì con la
voce che gli moriva per l’incredulità. Gli sguardi
degli
spettatori si fecero più intensi, i due anziani iniziarono a
parlottare tra loro su quello che stava succedendo.
“Ho detto che so molte cose di
voi. Ad esempio…” si fermò per bere un
sorso di espresso.
“Siete due studenti del Kadic,
due ottimi studenti. Tra i migliori”
“Si, è vero anche questo. Ma
come diavolo lo sai?” fu Jeremy a parlare, il sorriso del
ragazzo
si fece ancora più largo. Incredibile quanto sorridesse e
quanto
sarebbe stato bello e contagioso il suo sorriso, se solo la
situazione non lo avesse reso inquietante.
“Le domande dopo il gioco di
prestidigitazione” lo disse mentre fece ruotare il pugno
chiuso con un movimento di polso, poi lo aprì mostrando una
bustina di
zucchero nel palmo della mano. Aveva fatto un gioco di prestigio
mentre parlava di star facendo un gioco di prestigio. Questa volta
Jeremy e Aelita non poterono non sorridere a loro volta, di certo era
un tipo istrionico e pieno di senso dell’umorismo.
“Comunque, che maleducazione!
Che maleducazione! Non mi sono presentato” aprì la
busta di
zucchero e la verso nel caffè, poi si mise in piedi e fece
un
inchino comicamente esagerato.
“Avier Antonovic Anisimov al
vostro servizio. Un uomo tripla A, di nome e di fatto” la sua
gestualità, il suo modo di parlare, era troppo buffo
perché i due
ragazzi non potessero ridere. Anche gli altri presenti si misero a
ridere, tranne la cassiera che rimase gelida ad osservare.
“Avier non è un nome russo,
giusto?” fu Aelita a fare quella domanda, non ebbe nessun
motivo in
particolare per chiederlo, sentiva semplicemente il desiderio di
saperlo.
“No, mia madre es espaňola.
Da lei ho preso molti difetti come il mio fascino disarmante,
il
mio animo focoso e la mia passione per le telenovela” i due
sorrisero di nuovo, non riuscivano a fare altrimenti.
“Sapete, mi vergogno a dirlo.
Ma farò parte della vostra scuola, nonostante la mia
età. Ho avuto
problemi con lo studio in madrepatria, alcuni causati dal sistema di
istruzione, ma la maggior parte da me. Vorrei dire che non è
così,
ma non ci riesco” il suo tono era diventato di colpo
più serio,
quell’argomento doveva colpirlo nel profondo.
“Credo che passerò molto del
mio tempo a studiare, voglio recuperare quanto più
possibile. Però,
dubito che inizieranno a pieno regime sin dal primo giorno, magari
oggi potreste presentarmi il vostro amico Odd, e anche quello di
origini tedesche, Ulrich” ed ecco che presero di nuovo un
colpo, il
gioco di Avier non era finito, sarebbe durato troppo poco altrimenti.
“Chissà, magari avrò anche
modo di parlare con Yumi e William. Sarà complicato siccome
ora
vanno al liceo, ma non impossibile” l’ansia e lo
stupore dei due
era palpabile, lo percepivano tutti i presenti. Intanto Avier
finì
il suo espresso dove aveva messo lo zucchero, prese dalla tasca della
tuta un telefonino color platino con, attaccato sul vano batterie, un
sobrissimo adesivo di una mano che mostrava il medio, lo
aprì e
lesse l’orario.
“Mi sono dilungato. Rischiamo
di perdere tempo, anche se dubito arriveremo in ritardo a scuola
visto il nostro largo anticipo. Però, sarò
veloce” inspirò una
grande quantità d’aria, poi iniziò a
parlare in modo fulmineo,
come un banditore d’asta.
“A te Aelita piace la musica
elettronica, i Subdigitals in particolare. Rimani stupita da cose
come il profumo dei fiori e il sapore del cibo. Tu Jeremy, sei molto
bravo con i computer e la tecnologia, in passato hai costruito dei
robot e sei andato in posti impensabili pur di trovare le componenti.
Siete fidanzati da più di due anni e meno di tre, avete
fatto le
classiche cose stupide da piccioncini come le foto buffe in quelle
cabine che stampano foto per documenti. Il vostro amico Ulrich
è
superstizioso, era innamorato della vostra amica Yumi e forse lo
è
ancora, voi non ne avete la certezza. Odd è molto eccentrico
(ma non
quanto me, vero?), ha un taglio di capelli bizzarro, veste di viola,
è un dongiovanni ed è molto magro. Un tempo
odiavate William,
sopratutto Ulrich lo odiava, perché era anche lui innamorato
di
Yumi, ma vi siete riappacificati da un po’.
Infine…” la sua
voce rallentò e si fece di colpo più seriosa, ora
si che
inquietava.
“Avete un segreto. Qualcosa che
neanche io so, perché è così grande
che lo dite solo ai vostri
amici più stretti. Chissà, forse un giorno lo
saprò anche io” si
alzò dalla sedia e si diresse verso la cassa, poi prese i
soldi
lasciati lì sopra.
“Ho vinto. Poka” Avier
si accinse ad uscire, quando la cassiera lo fermò urlando.
“No, aspetta. È una truffa,
vero? Voi vi conoscete già” il ragazzo
scoppiò a ridere a
crepapelle. Aelita e Jeremy cercarono di spiegare in tutti i modi
come non lo avessero mai visto. Dopo un intero minuto passato a
ridere, Avier si calmò e commentò la situazione.
“Sono davvero ridotti male i
ladri francesi se organizzano una truffa del genere per cinque
euro”
“Smettila di fare il simpatico
e spiegami come hai fatto” il ragazzo tornò a
parlare con il suo
tono eccentrico, la sua voce sembrò ancora più
squillante.
“Sa, dicono che i veri maghi
non svelano i propri trucchi. Ma a me non interessa più di
tanto, mi
basta un po’ di denaro” la cassiera
tornò di nuovo gelida, il
suo sguardo mise un attimo in soggezione Avier, ma il ragazzo non
perse la sua compostezza.
“E quanto vorresti?”
“Mmmm, devo pensarci… 100
euro”
“MA COL CAZZO!” urlò così
forte che sembrò un miracolo non avesse causato un
crepacuore agli
anziani in quel locale. Però non riuscì a far
cambiare idea ad
Avier.
“Se così è, per lei sono un
demone di un’altra dimensione che esaudisce desideri rompendo
cucchiai di legno. Posso andare?” la cassiera non rispose,
per
quanto non volesse ammetterlo, voleva capire come avesse fatto.
D’altro canto, non avrebbe speso tutti quei soldi per
saperlo. Fu
Jeremy a smuovere la situazione.
“Ho un’idea, vogliamo sapere
la verità anche noi due, ci dividiamo la somma?”
la cassiera
rimase in silenzio per qualche secondo, poi fece un suono di
sconforto e accettò mettendo una banconota da cinquanta sul
bancone.
Poco dopo si unirono le parti di Jeremy e Aelita. Avier estrasse un
portafoglio dalla tasca opposta a quella del telefono e ci mise le
banconote dentro.
“Quello che apprezzo sono gli
affari andati a buon fine. Dunque, partiamo dal principio, come si
suol dire. Ho fatto tutto questo solo perché ho camminato
dietro di
voi per un bel po’ e non mi avete notato”
“Sul serio?” chiese Jeremy,
in effetti non ricordava proprio di averlo visto dietro di
sé, ma
non ricordava neanche di AVER visto dietro di sé.
“Si, camminavo a un metro da
voi con il lettore MP3 in tasca e le cuffie nelle orecchie.
L’auricolare sinistro non funziona, quindi non lo indosso
mai, e
questo mi fa sentire tutti i rumori esterni. E così, mentre
nell’orecchio destro avevo Al Bano e Romina Power che
cantavano Ci
sarà, col sinistro vi ho sentito chiacchierare tra
voi. Ed è da
lì che sono derivate le mie maggiori conoscenze, avete
parlato della
scuola, dei vostri amici, del vostro passato e di tante altre cose.
Se notate, non ho detto ne i vostri cognomi ne quelli dei vostri
amici, questo perché di solito non si chiama per cognome
qualcuno
che si conosce così bene, e voi non lo avete mai
fatto”
incredibile come solo dicendo quello avesse già spiegato
quasi
tutto, e doveva ancora aggiungere qualcosa.
“Tutti gli altri sono
trucchetti di mentalismo, logica e abilità oratorie. Se ve
li
elencassi tutti, ci metterei una buona mezz’ora, vi faccio
solo un
esempio. Ho saputo quale cornetto voleva Aelita perché vi ho
interrotto giusto poco prima di scegliere, lei guardava fisso in quel
punto della vetrina” lo indicò con un dito della
mano destra,
mentre nell’altra aveva fatto apparire una moneta che
iniziò a far
roteare sulla punta dell’indice.
“Ci sono solo cornetti alla
marmellata di fragole, quindi ho pensato volesse uno di quelli. Ho
indovinato per fortuna. Se avessi sbagliato, avrei usato la mia
eloquenza, mi sarei inventato qualcosa” Avier finì
il suo strano
giochetto con la moneta facendola cadere sul palmo, per poi farla
volare verso la mano destra usando i muscoli della sinistra e infine
fermandola tra l’indice e il medio della mano di destinazione.
“E così finisce tutto. Ci
vediamo a scuola” Avier uscì come un fulmine dal
locale e continuò
a camminare a passo rapido sul marciapiede, rimettendosi gli
auricolari e facendo ripartire la sua playlist di musica italiana.
Jeremy e Aelita rimasero fermi
sul posto, confuso e storditi da tutti quegli eventi. Rimasero
così
per qualche minuto.
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Capitolo 2 *** Capitolo 1: Ma un giorno nel Kadic arriva Avier di lunedì ***
Terra
– Francia – Sceaux – Lunedì 5
Settembre 2005 – Dalle 8:00
alle 13:05
Il
Kadic aprì i suoi cancelli, dando ufficialmente inizio al
nuovo anno
scolastico. La massa di studenti si mosse inizialmente per un
percorso regolare, partendo dall’ingresso fino alle bacheche
dove
erano segnate le posizioni delle classi. Poi iniziarono a dividersi,
ognuno dirigendosi verso la propria. Quella di Odd e Ulrich
sembrò
essere rimasta invariata, i due si erano seduti affianco e si erano
ripromessi di fare del loro meglio quell’anno. Erano stati
molto
vicini a non superare quello precedente, di certo non volevano
passare lo stesso inferno proprio l’ultimo anno di Collège.
Ma
queste sono promesse che si fanno tutti gli studenti, mantenerle
sarebbe stato un altro paio di maniche.
Dopo
un po’ entrò la professoressa di scienze
Suzanne Hertz. Si mise a sedere dietro la cattedra, diede una
breve occhiata al registro e poi lo posò.
Tutti si aspettarono che desse il bentornati alla classe, che
augurasse il meglio per il nuovo anno e che iniziasse la solita
manfrina sull’impegnarsi, sul futuro e tutti
gli altri argomenti della tiritera. Invece no, fece
un’osservazione
ad alta voce.
“Sembra
che manchi il nuovo arrivato”
Appena
disse quello, tutti iniziarono a parlottare tra loro. Si fecero le
teorie più disparate su chi potesse essere. Odd e Ulrich non
furono
da meno.
“E
se fosse il russo che hanno incontrato
Jeremy e Aelita?” disse il primo.
“Quell’Avier?
Non credo. Sarebbe una coincidenza davvero incredibile” quasi
a
voler rispondere a quella domanda, il
nuovo arrivato entrò accompagnato
da Jim Morales. Assicurarsi
che fosse proprio Anisimov non fu difficile.
“Alto,
bianchiccio, tuta Adidas, borsone nero. Odio quando ci azzecchi
Odd”
“Non
partire prevenuto. Magari è simpatico”
“Un
tipo descritto come più strano ed eccentrico di te? Credo
che faccia
parte della mia lista degli incubi”
“Ehi,
mi sta salutando” era vero, Avier aveva puntato lo sguardo
verso
Odd e aveva mosso la mano in un breve saluto. Un gesto che fece
partire tra gli alunni le teorie più disparate su quale
legame
avessero quei due, nessuno ovviamente arrivò neanche vicino
alla
verità.
Jim
nel frattempo stava continuando un lungo
discorso che partiva da Ho incontrato questo
giovanotto
seduto fuori il cancello del Kadic a giocherellare con una moneta,
continuava con Ci siamo messi a parlare, ed
è così bravo,
intelligente, interessante e modesto
e finiva con Lui è arrivato con
mezz’ora di anticipo,
sono io che l’ho fatto ritardare perché non
riuscivo a smettere di
ascoltarlo. La storia di
Jim aveva edulcorato la verità, perché in
realtà era successo che
il signor Morales lo avesse minacciato di andar via scambiandolo per
un barbone (ottenendo per Avier il soprannome di
Occhio di falco), che
lui avesse spiegato il malinteso e avesse
iniziato a raccontargli la sua storia e
che, infine, Jim lo avesse trattenuto per fargli finire di
raccontare
di quella volta
che pescò a mani nude un salmone in un fiume gelido della
Russia.
Comunque,
nonostante la versione riveduta e corretta di Jim, il fatto che Avier
e il professore di educazione fisica andassero d’accordo fu
un
altro evento causa di scompiglio e chiacchiericcio
“Come
fa Jim a trovarlo simpatico? Come fa LUI a trovare simpatico Jim? Chi
è questo tizio?” domandò
Odd, che era passato da essere il più ottimista dei due a
quello più
spaventato. Poteva accettare
qualsiasi cosa,
ma non
quella. Era
semplicemente
troppo assurdo.
“Chissà.
Magari XANA è tornato e lui è un suo
spettro” disse Ulrich
sorridendo leggermente con tono sarcastico.
“O
magari lui È XANA!” i due trattennero a stento
risate così forti
da poter sovrastare il chiasso di tutta la classe. Jim finì
il suo
racconto e uscì dalla classe, la professoressa Hertz chiese
a tutti
di fare silenzio e poi lasciò Avier libero di presentarsi.
“Privet!
Ovvero ciao
nella
gloriosa lingua russa. Mi chiamo Avier Antonovic Anisimov. Piccola
guida alla mia identità: Avier senza la J davanti,
nonostante sia
teoricamente sbagliato,
ma il
mio nome si scrive così. Se
vi chiedete il perché… Non fatelo. Non ve lo
dirò mai” il
suo modo di parlare, mettendo
enfasi in ogni parola
e
marcando
quell’accento russo buffo ma non invadente, unito al suo
gesticolare estremo ma eloquente, riuscirono di nuovo a far sorridere
e incantare chi lo stava ascoltando. Anche la professoressa Hertz
ammise a sé stessa che gli piaceva sentirlo parlare. Solo
Ulrich,
come la cassiera del bar, era immune a questa sorta di incantesimo e
lo trovava, anzi, irritante.
“Antonovic
è il mio patronimico, quindi non usatelo per riferirvi a me,
mi
farebbe alquanto strano. Infine, il mio cognome è Anisimov e
non
Asimov. In
molti si
confondono, ma io non ho nulla a che fare con il buon Isaac. Non mi
piace neanche la fantascienza.
“Detto
questo, vengo
da Vladivostok
ed ho 17 anni. Questo vi farà capire che ho tante cose
di cui non
essere fiero
riguardo il
mio percorso,
ma sono qui per dare il meglio di me. Spero di riuscirci” toccando
quell’argomento, il suo
tono di voce era più serio, non riusciva proprio a scherzarci.
“È
questo lo spirito giusto. Qualcuno vuole chiedergli
qualcosa?” fu
la professoressa a parlare, facendo alzare un mucchio di mani. Avier
aveva catturato la curiosità di tutti. O, come disse Ulrich
a Odd
(loro due erano tra i pochi a
non aver
alzato la mano): si
era già
fatto un mucchio di fan. Lo disse con tono cinico, quel tipo
continuava a non piacergli per nulla.
La
professoressa si sorprese della quantità di interesse
suscitato dal
nuovo arrivato, ma cercò di dare a tutti la
possibilità di
chiedergli qualcosa. Fece partire Marianne, una ragazza dai lunghi
biondi seduti nei primi banchi.
“Dove si trova Vladivostok?”
“In Russia” il modo fermo e
deciso con cui aveva detto quell’ovvietà fece
morire dal ridere la
classe.
“No, inten…”
“So
cosa intendevi. Si trova in una parte della Russia che di solito non
vedete sulle cartine europee, ovvero
la Russia cosiddetta asiatica.
Vladivostok
è
proprio sull’Oceano Pacifico, abbiamo la Flotta infatti.
Inoltre è
anche relativamente vicina al Giappone. Un mio amico diceva che se
mi fossi messo
sulla spiaggia
e avessi
sputato
abbastanza forte, avrei potuto
centrato
qualcuno ad Osaka.
Spero non sia mai successo veramente”
dopo altre
risate, si passò
a una nuova
domanda di un’altra ragazza. Questa era molto più
personale.
“Sei
fidanzato?” il volto di Avier perse il suo sorriso e la sua
giovialità. Il suo sguardo diventò come vacuo,
smarrito. Quella
domanda scatenò una certa confusione
in classe,
e la reazione del
ragazzo di
certo non freddò
i bollenti spiriti.
La
professoressa cercò subito di calmare la situazione.
“Lisa,
ti pare una cosa da chiedere così? Il nostro Anisimov
probabilmente
non apprezza parlarne apertamente” Avier
ebbe uno scatto, come se si fosse svegliato da breve sonno, la sua
espressione tornò quella di prima.
“Si,
è proprio così. Non sembrerà, ma anche
io mi imbarazzo a volte”
alcuni ci credettero, altri si chiesero se
fosse davvero
quella la
ragione
dietro quella reazione così strana. Fatto sta che le domande
proseguirono. Quando finirono, Avier si mise a sedere su un banco
libero in prima fila, senza compagni. Nessuno poté dire se si
fosse seduto da solo per indole, o avesse semplicemente occupato il
primo posto che gli era capitato.
Fatto sta che per tutto il resto delle ore di lezione se ne rimase
lì, con il suo borsone da ginnastica sul banco e
un’aria
disinteressata,
eppure sempre
pronto a rispondere alle domande rivoltegli dai prof.
Odd
e Ulrich si aspettarono che prima o poi
si rivolgesse verso di loro. Facendo qualcosa di strano e
imprevedibile, invece per tutte le ore di lezioni fu uno studente
modello sotto questo punto di vista.
D'altro canto, finite le lezioni…
“Ma
guarda un po’ che giornata piene di coincidenze. Prima
incontro la
coppietta e ora sono in classe con Otto Von Kartoffel
e…” Avier
squadrò Odd da capo a piedi, si mise una mano sul mento,
squadrò di
nuovo Odd e poi ammise.
“Pozdravlyayem! Non
riesco a riassumerti in un solo nomignolo. Hai vinto un barattolo di
kompot alla
Anisimov”
aprì il
borsone e ne estrasse un barattolo di vetro pieno di un liquido
trasparente acquoso rosastro dove galleggiavano pezzi di frutta
accuratamente tagliati
“Che roba è?” domandò Odd
curioso mentre girava il barattolo per far muovere la frutta al suo
interno
“Una pozione contro i mali
della società, i problemi di spirito e le
avversità del mondo. Un…”
“È
frutta bollita” Ulrich interruppe bruscamente il tenore del
discorso di Avier, facendogli fare un’espressione delusa ma senza
fargli perdere il suo buonumore ostentato.
“Voi tedeschi non avete alcuna
poesia”
“Perché ovviamente i russi
sono noti come tipi raffinati…”
“E
questo che c’entra? Noi russi siamo sempre stati un
po’ indietro.
Abbiamo passato il tempo ad ammazzare zar, a prendere
parte a rivoluzioni con le idee confuse e ad impoverirci con il
comunismo. Dai,
esportiamo gas e legna. Di che stiamo parlando?” la
discussione era
diventata delirante in
un
secondo,
quel ragazzo aveva davvero un dono in queste cose. Ulrich
poté solo
commentare.
“Tu sei strano forte”
“Lo so” poi si rivolse di
nuovo ad Odd con un elegantissima piroetta su un tallone.
“Che
razza di capelli hai comunque?” una domanda che in molti
rivolgevano ad Odd quando vedevano i suoi capelli a punta con
il ciuffo viola. Il ragazzo aveva una risposta pronta a seconda di
chi glielo chiedeva, eppure fu quasi sul punto di fare un errore
gravissimo.
“È un taglio alla…” si
fermò a seguito di un’occhiata gelida di Ulrich.
Non riuscì a
capire come fosse possibile che stesse per rivelare di Lyoko a
qualcuno appena conosciuto. Era come se i suoi modi di fare gli
avessero fatto abbassare la guardia, facendoglielo percepire come un
grande amico.
“Alla?” domandò Avier,
curioso del perché si fosse interrotto.
“…Pennello.
Una punta di
pennello con del colore viola sopra. È questa
l’idea”
“Alla
pennello? Mi rincuora che un madrelingua faccia più errori
grammaticali di me” Odd
sorrise
a quella affermazione,
ma
dentro
di sé si sentì pieno d’ansia. Non
avrebbe voluto abbassare la
guardia di nuovo, non doveva rischiare assolutamente.
“Sai, l’idea è interessante.
La realizzazione… Non tanto. Scommetto che se ci metto una
mano in
mezzo trovo un tesoro” e lo fece davvero. Infilò
una mano nella
chioma bionda appuntita di Odd, finse di scavare al suo interno e poi
esclamò qualcosa.
“Oh
guarda! C’è sul
serio qualcosa”
tirò
fuori il braccio e si mise ad osservare il cellulare che stringeva in
mano.
“Rosa. Molto virile” Odd
riconobbe il suo telefono. Si tastò le tasche dove lo teneva
e le
scoprì vuote.
“Ma quando l’hai preso?”
“Quando ho preso quest’altro”
il ragazzo agitò la mano e fece apparire un altro telefono
grigio.
Questo era di Ulrich, che glielo strappò immediatamente di
mano.
“Non
provare più a borseggiarmi. Capito?”
“Ma era un trucco di prestigio”
“Può
darsi. Ma non frugarmi più
tra le tasche” il tono ammonitore di Ulrich fece apparire
un’espressione dispiaciuta sul volto di Avier. Il problema
risultava capire quanto fosse vera o recitata.
“Mi spiace. Se vuoi, puoi
vedere nelle mie” si svuotò le tasche riuscendo,
con un gioco di
equilibrio notevole, a tenere tutto il contenuto sui palmi delle mani
“Guarda.
Non mi int…” Odd si intromise di colpo
“A me si, perché hai tutte
quelle monete?” si riferiva alla mano sinistra dove, oltre il
telefonino, aveva dodici monete con disegni, materiali e dimensioni
diverse.
“Vari
motivi. Antistress,
giochi di prestigio, fare colpo sulle ragazze…”
“Come?”
fu
sempre Odd a fare quella domanda. Il suo era un Come
hai detto? Ma
Avier lo interpreto con un Come
fai?.
O forse finse di interpretarlo così, volendosi
mettere
in mostra di nuovo.
“Così” disse, e poi lì
superò con un passo dirigendosi alle loro spalle.
“Ehi
Elisabeth” i due ebbero un secondo di confusione, non
ricordandosi
chi si chiamasse Elisabeth nel Kadic. Poi gli venne in mente che
Elisabeth era il nome completo di Sissi.
Si girarono augurandosi non fosse così, che si riferisse ad
un’altra
Elisabeth di cui avevano
scordato
l’esistenza. Ma
la verità non era quella, i due si prepararono ad assistere
a un
fallimento cocente.
“Come sai il mio nome, prego?”
il tono e i modi di fare altezzosi di Sissi non era cambiati affatto
in un anno.
“Jim
mi ha parlato di tante cose e di tante persone
riguardanti questa scuola. Ovviamente non poteva saltare Elisabeth
Delmas, la figlia del preside Delmas. È stato un sacco di
tempo a
dire quanto tu sia un ragazza forte e determinata, sempre pronta
a dare il massimo per raggiungere i suoi obiettivi” le parole
di
Jim gli rimbombavano ancora in testa. Quella
ragazza è fastidiosa come poche cose a questo mondo. Ogni
volta che
le sto vicino mi viene un prurito nervoso, gliene direi quattro se
non fosse la figlia del Preside. A proposito, tu non gli dirai che ti
ho detto questo, vero? VERO?
“Non poteva essere altrimenti.
Comunque, se pensi di diventarmi amico per ottenere dei
vantaggi, sappi che non
funziona così. E poi, io dubiterei anche della prima
parte”
Sissi fece per andarsene, ma poi
non si spostò perché fu di nuovo incalzata dalla
voce di Avier.
“Figurati. Non mi sono mai
piaciute le raccomandazioni. Volevo solo dire che questo posto mi
piace molto, è proprio un bell’edificio. Tu sai la
storia che ha?”
“No, non mi sono mai
interessata. La smetti con quella moneta? È
irritante” Avier aveva
fatto girare una moneta sull’indice della mano destra per
tutto il
tempo in cui aveva parlato con la ragazza.
La fece cadere sul palmo mentre Odd e Ulrich si dissero
come fosse inevitabile il suo fallimento.
Non
avevano ancora capito con chi avessero a che fare.
“Come sei
riuscito a farlo?”
l’espressione smorfiosa di Sissi era stata sostituita da
una di genuina curiosità. Il ragazzo davanti a lei aveva
fatto
saltare la moneta usando i muscoli della mano e l’aveva
ripresa con
l’altra che teneva al di sopra. Il tutto in un modo tale che
la
moneta non sembrò né rimbalzare né
venire lanciata, ma cadere
verso l’alto
“Fare cosa? Questo?” rifece
lo stesso trucco e la ragazza rimase stupita di nuovo
“Si, questo qui”
“Non è difficile, sai? Posso
insegnartelo”
“Sul serio?”
“Certo. Magari possiamo farlo
in mensa. Tu aspettami lì, devo mettere questo borsone nella
mia
camera. Jim mi ha trattenuto e mi ha impedito di farlo. Mi si sta
segando tutta la spalla. Ci vediamo lì?”
“Certo”
“Allora, conservala” il
ragazzo le mise
la moneta in mano, poi le diede le spalle e camminò lungo il
corridoio. Superò Ulrich e Odd senza fare il minimo cenno,
ma anche
se avesse fatto o detto qualcosa, loro due non avrebbero risposto.
Così come Jeremy e Aelita nel bar, loro rimasero imbambolati
per
qualche minuto. Poi Odd
iniziò a parlare.
“È così improbabile che XANA
sia tornato?”
“Non lo so, Odd. Non lo so”
“Però questa pozione non è
male” Ulrich volse lo
sguardo verso il suo amico e vide che aveva svitato il barattolo del kompot
e
ne aveva bevuto un sorso.
“Lo hai provato sul serio?”
gli domandò mentre iniziò a incamminarsi verso la
mensa, Odd gli si
affiancò mantenendo il suo passo.
“Non dovevo?”
“Per quello che ne sapevamo,
poteva essere avvelenato”
“E poi dici che sono io quello
che spara sciocchezze”
“Ormai non so più cosa sia
assurdo e cosa non lo sia” Odd rise, poi bevve un altro sorso.
“Sul serio. È fantastico.
Dovresti provare”
“No”
“Fallo per me”
“Ti odio” Ulrich
prese il barattolo e bevve un po’ del contenuto.
“Allora?” domandò l’amico.
“Hai ragione. È davvero buono”
Ulrich ne bevve ancora e ancora.
“Ehi, non lo finire.
È il mio
premio”
Mensa-
Dalle ore 13:10 alle ore 13:15
I
guerrieri Lyoko erano seduti insieme allo stesso tavolo della mensa.
L’argomento della discussione era monopolizzato su Avier.
Dopotutto, lo stesso Avier aveva monopolizzato la mensa, venendo
circondato da un mucchio di ragazzi curiosi di saperne di
più su di
lui. Non sarebbe stato improbabile che anche la signora della mensa
volesse saperne di più su di lui. E in tutto questo,
riusciva a
parlare tranquillamente a Sissi per spiegare come fare i passaggi
muscolari con le monete.
Dopo
un po’ il telefono di Jeremy squillò.
“Oh!
Yumi sta chiamando. Aveva detto che l’avrebbe
fatto” Jeremy premé
il pulsante verde del cellulare e se lo portò
all’orecchio.
“Ehi
Yumi! Che bello risentirti. Com’è il primo giorno
di liceo?
Ottimo, sono contento ti stia piacendo. Tu e William avete scelto lo
stesso indirizzo, giusto? Oh! È lì con te? Ciao
William. Che bello
sentirti! Lasciami passare il telefono agli altri, così li
potete
salutare” Jeremy diede ad Aelita il telefono e
salutò i suoi amici
nel liceo, poco dopo anche Odd e Ulrich ebbero fatto lo stesso. Poi
il telefono tornò in mano a Jeremy.
“Dovremmo
riunirci quando possiamo. Magari una domenica in cui non abbiamo
lezioni. Questo mese esce quel film sui Fantastici 4, potremmo andare
a vederlo insieme. Si, sembra una bella idea. Allora vediamo di
organizzarci. Che si dice qui? Vorrei dire che non è
cambiato molto,
ma mentirei”
“Di
a quei due che abbiamo una spia sovietica” disse Ulrich,
Jeremy
scoppiò a ridere per quella definizione. Yumi aveva sentito
quello
che aveva detto il ragazzo, ma ovviamente non aveva capito a cosa si
riferisse. Jeremy si apprestò a spiegare.
“Niente.
C’è questo nuovo arrivato, è un russo
con un nome spagnolo. Avier
Antonovic Anisimov. Come potrei descrivertelo… Hai presente
William? Bene, aggiungici Odd e qualcosina di me e poi carica tutto
al massimo. Terrificante, vero? Però Ulrich l’ha
preso subito in
simpatia…”
“Preferivo
prenderlo sotto le scarpe” il gruppo scoppiò di
nuovo a ridere.
“Si,
siamo tutti un po’ terrorizzati da lui. Lascia che ti
spieghi…”
e Jeremy raccontò della sua esperienza al bar con Aelita e
di quella
raccontatagli da Odd e Ulrich.
“Infatti,
è un tipo incredibile. Ma credo che abbia finito le sue
carte. Che
altro può fare?”
Ufficio
del preside Delmas – Dalle ore 18:00 alle ore 18:05
“Fatemi…
Razionalizzare. Questo nuovo ragazzo russo le ha corretto un errore
in una equazione algebrica, ha detto correttamente tre anni di
programma di storia, ha distribuito vasetti di marmellata ed
è
entrato sulla bocca di tutti in meno di ventiquattro ore?” il
preside Delmas era seduto sulla sedia del suo ufficio e davanti a lui
c’erano tutti i professori che erano passati nella classe di
Avier,
tutti confermarono quella versione.
“E
mia figlia si è anche presa una cotta per lui…
Oltre vent’anni
di carriera e non mi è mai capitato nulla di
simile”
“Sua
figlia non si è mai presa una cotta?”
“Ovviamente
si! Parlavo della popolarità del ragazzo. Jim, che domande
fai?”
l’insegnante di ginnastica fece un’espressione
imbarazzata. Cercò
subito di sviare l’attenzione dalla
sua gaffe .
“A
proposito, mi sono
dimenticato che mi ha chiesto di consegnarle un barattolo anche a
lei” Jim si tolse
lo
zaino che teneva sulle spalle in quel momento, lo aprì e
tirò fuori
un altro barattolo di kompot
alla Anisimov.
“Dovrebbe
provare. È fantastico”
“Ma
non è marmellata. Ecco perché aveva quel nome
strano. Come
faccio a…”
“Sviti
il tappo e beva”
“Così
semplice? Almeno la mia gola smetterà di essere
secca” il
preside fece come detto da Jim e inghiottì un sorso della
bevanda.
Poi allontanò il barattolo da sé,
riguardò il contenuto e si
rivolse di nuovo ai professori.
“Signori,
se questo Avier Anisimov non farà danni e mi
porterà altri
barattoli. Credo che sopporterò qualsiasi stramberia
concepisca la sua testa”
il
preside e i suoi
colleghi iniziarono
a
ridere di gusto.
Cortile
– Dalle 18:00 alle 18:15
“Vi
riconfermo quello che vi ho detto a pranzo. Questo Avier non lo
sopporto proprio” Ulrich se ne stava con la schiena
appoggiata a
una delle tante colonne che separavano il cortile dal camminamento
esterno dell’edificio scolastico, attorno a lui vi erano Odd,
Aelita e Jeremy.
“Io
vorrei solo sapere cosa pensa” disse Jeremy, poi si tolse gli
occhiali e iniziò a pulire le lenti con un panno
“Quando
ha parlato del sapere ‘il nostro segreto’
è stato dannatamente
inquietante. Ma non so se stesse giocando, oppure volesse comunicare
qualcosa”
“Cosa
intendi? Pensi che…” Odd si guardò
intorno, temeva che Avier
fosse nascosto lì vicino ad ascoltare. Se riusciva a
camminare senza
farsi notare, doveva essere un mago anche nel nascondersi.
“…Sappia
di Lyoko?”
“Improbabile.
Ma di certo ha capito che nascondiamo qualcosa. Non deve arrivare
oltre, dobbiamo assolutamente impedire di lasciarci sfuggire
qualcosa. Capito, Odd?” Jeremy lo guardò con
occhio critico.
“Ti
giuro che non volevo! Non so come sia possibile che stessi per fare
un errore così stupido”
“Forse
non è colpa sua Jeremy. Anche noi, per un attimo, lo abbiamo
trovato
amichevole e ci siamo dimenticati di come ci spaventasse
all’inizio”
si era aggiunta anche Aelita. Jeremy si era nel frattempo rimesso gli
occhiali.
“Si,
anche questo è vero. Credo sia il suo modo di fare, di
parlare… Sa
persuadere. Dovrebbe entrare a far parte della polizia, qualsiasi
criminale confesserebbe in mano sua” Ulrich stava per
aggiungere
qualcosa, quando si sentì un fischio fortissimo, come quello
di un
bovaro. Il gruppo si girò e Odd si ritrovò una
moneta volare verso
di lui e atterrargli tra i capelli, centrando perfettamente il suo
ciuffo viola tra tutti quelli biondi. A lanciare la moneta era stato
Avier.
“Un
colpo da maestro”
“Che
razza di mira! Ma tu non sei umano, amico mio” disse un
ragazzino
attorno a lui e gli mise una banconota da cinque in mano.
“Mai
scommettere con me. Non punto mai soldi dove non posso
vincere”
“No,
dai. Non venirmi a dire che sapevi di riuscir…”
Avier prese
istantaneamente un’altra moneta e la lanciò con il
pollice, così
come aveva fatto con la prima. Odd si sarebbe spostato ma Avier aveva
lanciato la moneta nel momento esatto in cui si era messo le mani nei
capelli per togliersi la prima. La seconda moneta entrò
nella sua
chioma dallo stesso ciuffo
“Ho
capito… Devo darti altri soldi?”
“No,
non serve”
“Ricordami
di non farti arrabbiare” il ragazzino se ne andò,
mentre Avier si
avvicinò ai guerrieri Lyoko giocherellando con una terza
moneta.
Questa volta non la faceva roteare sull’indice, ma la
lanciava da
una mano all’altra con i muscoli dei palmi.
“Scusate
il disturbo. Ma quando vedo una possibilità di guadagnare
qualcosina, non riesco a resistere” fu accolto freddamente
dal
gruppo. Odd fece per ridargli le monete che aveva lanciato, ma Avier
gliele fece tenere per “i danni morali”.
“Fatemi
indovinare. Il Fronte Germanico vorrebbe vedermi
morto. Odd è
spaventato. Tu, Jeremy, un misto delle due. Mentre tu, milady, non
sai cosa pensare” il fatto che Avier ci avesse preso di nuovo
lì
stupì, ma non quanto le prime volte. Anzi, Ulrich fu
spietato.
“Esatto.
Ora che sai come stanno le cose, vattene”
“Immaginavo.
Però, prima volevo dirvi…”
“No.
Non ci interessano i tuoi giochetti, i tuoi oggetti o
quals…”
“…Che
vorrei scusarmi” Ulrich si interruppe. Quello non se lo
aspettava,
Avier riuscì a stupire anche lui senza apparirgli irritante.
Non
tanto per ciò che disse, ma per come lo disse. Tutto quel
suo tono
esuberante ed eccentrico era scomparso, diventando… Umano.
Non
c’era altro modo di spiegarlo. Non era più un
personaggio, era una
persona.
“Vedete.
Vi sembrerà peculiare anche questo. Ma in Russia avevo paura
di
tante cose, i teppisti, i coltelli, le persone sbagliate…
Tante
cose pericolose. Ma dovevo essere Avier sagace che dice la
cosa
giusta e sa cavare denaro dai sassi per poter andare avanti.
Quando sono arrivato in Francia, queste paure sono sparite. Era tutto
così sicuro, così facile. Non ho saputo
controllarmi…” Avier
smise di lanciare la moneta da una mano all’altra,
lasciandola
nella sinistra che chiuse in un pugno. Poi la fece sparire con un
movimento di polso. Iniziò a gesticolare, in maniera molto
meno
teatrale di quanto facesse di solito.
“…Niente
freni inibitori, gente facile da stupire… Non sono riuscito
a
controllarmi. Però, non sono così. Non sto
facendo la morale del
Ogni comico in realtà cela una persona triste.
Semplicemente,
voglio dirvi che non sono sopra le righe sempre e comunque”
I
quattro guerrieri Lyoko lo guardarono ora confusi. Credevano di
essersi fatti un’idea di quel ragazzo, e ora quel ragazzo
riusciva
a metterli di nuovo in difficoltà parlando con una
spontaneità e
un’umanità tale da stranirli. Che fosse anche
quella una sua
mossa? Ma perché si dovevano fare tutte quelle paranoie?
Erano tutti
certi che senza il fattore Lyoko, avrebbero magari trovato Avier lo
stesso strano e fastidioso, ma non addirittura pericoloso. In parte
lo avevano trattato male, anche Ulrich dovette pensarlo,
perché fu
sempre lui a continuare a parlare.
“Senti.
Non pretendere che diventiamo amici dall’oggi al
domani…”
“Mai
preteso”
“Però
fa piacere sapere che, oltre a lanciare monetine in testa a Odd, sei
venuto qui anche per dire questo” gli altri furono dello
stesso
avviso e non aggiunsero nulla. Avier fece un sorriso, molto lieve ma
anche molto naturale. Sembrò genuinamente felice. Mosse un
passo
indietro e fece per andarsene, quando si fermò di colpo e si
girò
di nuovo.
“Mi
dimenticavo il motivo più importante per cui sono venuto
qui”
“Niente
giochi, vero?” il ragazzo russo tranquillizzò
Ulrich sotto questo
aspetto, poi si rivolse a Jeremy.
“Quando
ho portato la borsa in camera dopo aver finito i barattoli, ho
lasciato la chiave all’interno e poi sono uscito senza.
Adesso sono
chiuso fuori”
“E
io cosa c’entro? Aspetta, non mi dirai
che…”
“Non
sai che siamo in camera insieme?” Jeremy ebbe un mancamento,
si
accasciò a terra sulla schiena e rimase lì per un
po’.
“Sheesh! Vi
ho davvero fatto dei danni” la scena fece ridere i guerrieri
Lyoko
e dopo un po’ anche Jeremy iniziò a farlo.
“Prima
ti incontriamo al bar, poi finisci nella classe di Odd e Ulrich, ora
siamo in camera insieme. Certo che il destino vuole proprio
incollarti a noi, vero?”
“In
effetti, è vero. Questo si che è inquietante. Se
solo dipendesse da
me! Comunque, visto che dovremo stare nella stessa stanza, solo una
regola per il quieto vivere. Quando mi cambio, tu potresti stare
fuori dalla camera?”
“Perché?”
“Non
mi piace spogliarmi sotto gli occhi di qualcuno. Solo per
questo”
“Basta
che non
mi chiudi fuori”
“Non
oserei mai”
???????-????????-?????????
“Allas
okrum Niktor. Anè pikratos Lyoko”
“Totan
kotan"
“Limin
arches troxa?”
“Losk.
Nikta askena inkretir”
|
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Capitolo 3 *** Capitolo 2: I due lati della maschera ***
Terra
– Francia – Parigi – Resoconto dal
Martedì 6 Settembre al
Lunedì 12 Settembre
Una
persona diventata popolare così facilmente e così
rapidamente come
Avier non poteva essere dimenticata subito. Eppure fu notevole
constatare come si mise meno in mostra nei giorni a seguire. Ridusse
in modo notevole le volte in cui faceva trucchi complessi con le
monete, in cui raccontava aneddoti assurdi, in cui scommetteva su
cose improbabili e qualsiasi altra cosa ricordasse agli altri il suo
essere tanto esuberante quanto talentuoso. Dire che divenne uno
studente comune sarebbe esagerato, non poteva esserlo. Semplicemente,
si diede una calmata.
Questo
non fu notato quasi da nessuno a dire la verità. In molti
pensarono
che fosse normale non stupirsi più dopo averlo conosciuto,
altri
pensarono fosse a corto di idee. I Guerrieri Lyoko erano convinti che
stesse dimostrando ciò che aveva spiegato loro la sera del
primo
giorno, cosa vera solo indirettamente. La verità sul motivo
che
spinse Avier Antonovic Anisimov a rimanere più controllato
fu, come
molte cose riguardanti lui, la meno ovvia di tutte: la noia.
Era
tutto tanto, troppo facile per lui. Il suo comportamento e le sue
capacità gli avevano permesso di sopravvivere in Russia, ma
non gli
servivano più così tanto ora che si trovava in un
ambiente molto
più sicuro e tranquillo. Inoltre, ingannare gli altri con la
logica
e una lingua incredibilmente affilata era sì divertente, ma
ridondante quando sai che ci riuscirai sempre e che nessuno
capirà
come fai. Essere delle Mary Sue incarnate non è divertente.
A
proposito di Mary Sue, fu questo il soprannome che Odd decise di
dargli. Durante le vacanze estive aveva scoperto il mondo delle
fanfiction e si sorprese di non averci pensato subito la prima volta
che aveva visto Avier, gli calzava a pennello!
Forse
Avier lo sapeva, perché la prima volta che il ragazzo lo
chiamò
così, il russo lo guardò con uno sguardo
così contrariato e offeso
da spaventarlo. Poi gli mise una moneta in mano e disse
“Comprati
una dignità” infine rise. E rise ogni volta che
Odd o gli altri lo
chiamarono così. Però, se c’era una
cosa che non sapeva
nascondere, era il suo odiare quel soprannome
Il
fatto che il ragazzo non fosse sorprendente come all’inizio,
non
significò che avesse smesso totalmente di stupire. Ad
esempio, si
rivelò non vero il suo essere eccellente in tutte le
materie, perché
ce n’era una in cui andava malissimo, ovvero
l’educazione fisica.
Se
si parlava di correre per brevi tratti, arrampicarsi o dei puri e
semplici riflessi, era ancora eccellente.
Per
il resto, era praticamente fatto di ricotta. Aveva il fiato corto,
finiva le energie in fretta, bastava un colpo anche non troppo forte
per farlo rovinare a terra e quando respingeva pallonate, dopo un
po’
provava dolori tremendi alle dita delle mani. Inoltre, non poteva
nuotare a causa di motivi medici. Non tanto per il suo fisico, ma per
la sua pelle. Soffriva di una forma molto intensa di orticaria
acquagenica, la sua pelle a contatto con l’acqua si arrossava
e a
volte si riempiva di piccole bolle. I suoi compagni lo potevano
constatare sulle sue mani e sul suo volto dopo che si faceva la
doccia (evento alquanto infausto siccome Avier attendeva sempre che
tutti la facessero prima di lui e solo dopo entrava e si spogliava,
se qualcuno osava solo sfiorare la porta iniziava a sbraitare dicendo
di starsene fuori). A volte l’orticaria era così
forte da
costringerlo a inghiottire una pillola di antistaminico, ne aveva
sempre una confezione nella borsa.
Infine,
Jeremy poté constatare come fosse un compagno di stanza
tremendo.
Era disordinato come pochi, lasciando i suoi indumenti in giro per la
stanza. Vandalizzava il suo computer attaccandogli adesivi osceni che
partivano dal mano con il medio alzato, la stessa sul suo telefono, e
arrivavano a ciccioni con bottiglie di birra in mano che vomitavano
su alci. Ne aveva anche un paio rappresentati dei genitali maschili
stilizzati, ma fortunatamente non li incollò mai. Ma la cosa
peggiore di tutte era mentre dormiva, poiché Avier russava
fortissimo e ininterrottamente. Capitò più volte
a Jeremy di
svegliarsi nel cuore della notte chiedendosi perché ci fosse
un
camion fuori al Kadic che continuasse a frenare, solo per poi
rendersi conto che il suono proveniva dal letto alla sua destra, dove
Avier dormiva supino con una gamba stesa e l’altra penzolante
sul
bordo del materasso, la bocca aperta e il pigiama nero con una stampa
scadente del volto di Falco sul petto. Una visione inquietante.
Per
sua fortuna, il ragazzo trasgrediva spesso alle regole standosene
fuori dalla sua camera oltre il coprifuoco delle dieci di sera. La
maggior parte delle volte se ne stava in biblioteca, nascosto in un
angolo a studiare per i giorni seguenti. Spesso gli capitava di
poggiare un attimo la testa sul tavolo e di addormentarsi
lì,
svegliandosi il giorno dopo con un mal di schiena tremendo e i prof
che gli chiedevano cosa ci facesse lì. Lui riusciva sempre a
convincerli che si fosse svegliato presto per studiare.
Camera
di Avier e Jeremy - Martedì 13 settembre 2005 –
Ore 21:40
Neanche
quella sera Avier tornò in camera in orario. Facendo la
gioia di
Jeremy, che avrebbe potuto starsene tranquillo. Si mise a sedere
sulla sedia della scrivania e tenne premuto il pulsante di accensione
del suo computer. Proprio quando finì l’avvio di
Windows XP e
apparve il suo desktop, qualcuno bussò alla porta
“Hai
di nuovo scordato le chiavi, Avier?” disse sbuffando
“Siamo
noi due” a parlare era stato Ulrich, ma era sottinteso che
con lui
ci fosse anche Odd. Il ragazzo scese dalla sedia e si
avvicinò alla
porta, poi l’aprì. I due suoi amici erano uno di
fianco all’altro
davanti l’ingresso
“Ehi,
già in pigiama?”
“Devo
riposare almeno otto ore per avere tutte le energie necessarie
durante le lezioni. E poi, senza autorizzazione, non si può
uscire
dalla camera dopo le dieci di sera”
“Almeno
che tu non sia Mary Sue,
esatto?” commentò ironico Odd, Ulrich si intromise
“Potremmo
non parlare sempre di lui?” il suo tono era acido, Avier
continuava a non stargli simpatico. Si rivolse poi a Jeremy
“Abbiamo
parlato con Yumi e William poco fa. Questo sabato andiamo
a vedere il film dei Fantastici 4. Tu e Aelita vi unite a
noi?”
“Io
mi unisco volentieri. E credo che anche Aelita sarà
d’accordo”
“Non
volete stare un po’ da soli? Lo
capiremmo…” Jeremy sorrise
imbarazzato, era ancora molto timido riguardo certi argomenti
“Credo
che anche lei senta la mancanza di Yumi e William. E poi
c’è
sempre domenica… Comunque, domani glielo chiedo”
detto questo,
Odd e Ulrich lo salutarono e fecero per andarsene, quando il ragazzo
tedesco notò il borsone di Avier sul suo letto
“Mary
Sue non
è qui?”
“No,
di solito se ne sta rintanato fino a tardi in biblioteca. Studia
molto in effetti, solo che sbaglia gli orar…”
“Non
mi interessa questo. Non tornerà presto, giusto?”
“Beh…
Di solito sta fuori molto e a volte si addormenta in biblioteca.
Perché lo vuoi sapere?” anche Odd se lo stava
chiedendo in
effetti, non capiva cosa pensasse il suo amico
“Che
ne dici se diamo un’occhiata tra le sue cose?” la
proposta
sorprese i due amici che lo stavano ascoltando. Era una cosa che
avrebbe potuto chiedere Odd, ma da Ulrich era totalmente inaspettato
“Dici
sul serio?” fu Jeremy a domandare
“Si,
guarda com’è disordinato, se frughiamo un
po’ non se ne
accorgerà. Voi non volete proprio sapere nulla del ragazzo
capace di
eccellere in tutto e di capire tutto?”
“Se
la metti così…” tutti sapevano quanto
fosse sbagliato, che non
avrebbero dovuto farlo. Ma un minuto dopo erano tutti seduti sul
letto di Avier, con la porta della camera chiusa a chiave e
desiderosi di vedere cosa contenesse in quel borsone
Avier,
dal canto suo, non era in biblioteca
Cortile
del Kadic – Martedì 13 Settembre 2005 - Nello
stesso momento
L’aria
della notte era fresca, ma non fredda. Il ragazzo russo se ne stava
seduto su
una panchina, sulle
gambe aveva un foglio A4 poggiato sopra un quaderno di scuola, con la
mano trasformava in disegno ciò che i suoi occhi vedevano
davanti a
se. Il cancello della scuola con le sue sbarre di ferro scure, gli
alberi della foresta oltre di esso e il cielo stellato che sovrastava
tutto. Era su quest’ultimo che
si stava concentrando particolarmente, lo guardava intensamente con
fare assorto, come se fosse ipnotizzato. Fu per questo che non si
accorse dell’arrivo di Aelita
“Che
ci fai qui fuori?” Avier fu riportato alla realtà
bruscamente,
tant’è che ebbe uno scatto e gli cadde la matita a
terra. Si chinò
in avanti per prenderla e poi rispose
“Aspettavo
te, ovviamente”
“Sai
anche prevedere il futuro adesso?”
“No,
ho detto una cosa a caso” la ragazza sorrise, Avier invece
no. Era
pervaso da un’aura di malinconia. Anche la sua risposta
seguente
trasmise malinconia
“In
Russia disegnavo molto. Fa parte di quelle cose per cui la gente
è
disposta a darti spiccioli per vedertelo fare, e qualcosina in
più
per comprare quello che hai fatto. Lo facevo per questo, non mi
è
mai piaciuto più di tanto. Però il cielo stellato
lo adoravo.
Quando c’era un cielo come questo, sgombro di nuvole e senza
Luna,
rimanevo ore a guardarlo” Aelita si sentì
stranita, non lo aveva
mai sentito parlare così tanto di sé. Non in
questo modo. Anche il
ragazzo sembrò accorgersene, perché poi aggiunse
un’ultima parte
con tono molto più freddo
“Forse
non dovevo parlartene”
“Perché?”
“Perché
cosa?”
“Perché
non
dovresti parlarne?”
Avier rimase in silenzio. Si guardò intorno, confuso e
pensieroso.
Solo dopo un po’ rispose
“Non
lo so. Non ho mai voluto farlo”
“Tu
chi sei, Avier?”
“Che
diavolo è? L’ora di filosofia?” il suo
tono era infastidito, ma
anche molto scherzoso. Aelita sorrise, si mise a sedere sulla
panchina, appoggiò la sua schiena sullo schienale senza
preoccuparsi
di sporcarsi la maglia rosa e accavallò le gambe coperte dai
blue
jeans aderenti
“No,
semplicemente, tu parli molto. Ma dici solo qualche parolina
sconnessa su di te. È chiaro che non ti piaccia
farlo”
“Cavolo!
Capisco perché la gente si
spaventa. È davvero inquietante quando iniziano
a comprenderti”
“Non
è vero. Probabilmente non ci sei abituato. Tu sei
inquietante solo
perché ci riesci su sconosciuti di cui sai
pochissimo”
“Si,
utile per capire chi è pericoloso e chi no. O cosa dire per
convincere chi ti ascolta” il suo tono era ancora
più malinconico,
faceva così strano vedere tutta quella serietà su
un ragazzo come
Avier. Sembrava davvero una persona diversa
“Quindi,
mi parlerai di te?”
“Non
ne ho idea. Tu non dici cose personali al primo che passa”
“Ero
la prima che passa al Rendez-vous.
Ora siamo compagni di scuola da una settimana…”
“Sei
giorni”
“E
tu sei in camera con il mio ragazzo…”
“Infatti.
Lui e i tuoi amici preferirebbero che io fossi uno
sconosciuto”
Avier non lo aveva detto con nessun tono, né di fastidio
né di
rabbia né, tantomeno, di disperazione. Lo aveva
semplicemente
affermato, così come si afferma che il cielo è
azzurro
“Tu
non pensare a loro. Credo abbiano un pregiudizio nei tuoi confronti.
Ti vedono ancora come un individuo subdolo o un impiccione.
Probabilmente
pensano che le
tue scuse quella sera fossero un altro modo per metterti in
mostra,
nonostante sono
sicura tu li abbia colpiti inizialmente. Ma, ti ho detto, non ci
pensare ora. Sappi solo che a
me invece interessi” Avier
distolse lo sguardo, come se si sentisse a disagio. Poi
guardò di
nuovo il foglio sulle sue gambe e disse
“Okay,
fammi solo finire questo disegno”
“Quanti
cavolo ne ha fatti?” Jeremy sfogliava un album di disegni
trovato
dentro il borsone di Avier. Era strapieno di fogli di tipi
e dimensioni diverse, ma tutti avevano un elemento in comune
“Gli
devono piacere molto i cieli stellati. Tutti i disegni ne hanno
uno”
“In
molte cose è davvero monotono. I suoi ricambi sono tute
Adidas
identiche tra loro” commentò Ulrich armeggiando
con varie buste di
plastica contenti quanto aveva detto
“Noi
non possiamo parlare. Non
è
che abbiamo
molti ricambi”
commentò Jeremy richiudendo l’album e sistemandosi
gli occhiali
“Ottima
osservazione”
“Ehi,
questo sembra un diario” disse Odd prendendo un libricino
dalla
copertina nera. Lo aprì e cercò di leggere
qualcosa
“Sembra
che sappia anche il greco”
“Come
sarebbe a dire?” Ulrich glielo strappò di mano e
lesse a sua volta
“Questo
è cirillico. Ignorante!”
“Che
lingua è il cirillico?”
“Non
è una lingua. È un alfabeto!”
“Ragazzi.
Album fotografico” si aggiunse Jeremy. Teneva
l’album in mano,
sulla copertina rigida plastificata era ritratto il Cremlino
“Non
te ne andrai, vero?” disse Avier dopo aver disegnato per
dieci
minuti
“Non
dirmi che speravi lo facessi?”
“Forse”
“No,
non lo farò”
“Eh
va bene!” esclamò, si stiracchiò e poi
poggiò il foglio, il
quaderno e la matita alla sua sinistra
“Tu
che idea ti sei fatta del mio passato?”
“Lo
vuoi sapere davvero?”
“Si,
credo mi sarà d’aiuto” Aelita si mise
una mano sul mento con
fare pensoso, poi rispose
“Sicuramente
eri povero. E credo anche tu fossi un criminale”
“Davvero
inquietante. Devo smettere davvero di far…”
“Non
è una grande intuizione se ci pensi. Da come ne parli,
è
praticamente ovvio” Avier rimase in silenzio un altro
po’, la
ragazza si preoccupò che fosse tornato a sviare il discorso.
Ma
invece il ragazzo la sorprese
“Si,
infatti. Essere al sicuro mi ha fatto anche abbassare la guardia, non
nascondo più le cose come un tempo” fece un
profondo sospiro, non
riusciva a parlare fluentemente. Un’altra cosa che sembrava
non
appartenere alla sua natura
“Sono
vere entrambe comunque. La mia famiglia è sempre stata nella
miseria, come molte in Russia in realtà. La vita era
tremenda, ma io
mi ero messo in testa che dovevo essere il migliore di tutti. Dovevo
ottenere ciò che volevo, qualsiasi cosa fosse…
“E
quindi hai deciso di imparare a fare tutto e a capire tutto?”
“Si,
proprio così. A pensarci, la disperazione è stata
la più grande
forza della mia vita. Dopo un po’ diventai capace di
immagazzinare
le informazioni nei libri dopo averli letti una sola volta, ho
imparato la maggior parte dei trucchi con le monete in una settimana.
Soltanto a disegnare e a cantare ci ho messo più
tempo”
“Tu
sai cantare?” Aelita non seppe se essere stupita per quella
nuova
rivelazione, o leggermente infastidita perché si aggiungeva
alla
miriade di cose che Avier sapeva fare
“Quel
tanto che basta per non scatenare un temporale non appena prendo una
nota. Non sai quanta gente lancia monetine per farti starnazzare la
loro canzone preferita”
“Quindi
non ti piace farlo?”
“No,
non ho detto questo. Semplicemente, non l’associo a momenti
felici.
Ma se non mi piacesse tutto quello che non associo alla
felicità,
odierei tutto. Anche me stesso” l’amarezza nella
voce di Avier
era così palpabile che Aelita si sentì male, gli
veniva naturale
empatizzare. Al contempo però, era interessata ancora di
più,
finalmente lo stava scoprendo. Poteva vedere quella parte di lui che
non mostrava a nessuno
“Cosa
sai cantare? Immagino tutte canzoni italiane”
“No,
quelle le canticchio solo. Si sente troppo il mio accento. Al Bano
non si merita questo” quell’ultima frase era stata
detto in un
tono ironico. Non era il tono da simpaticone dell’Avier di
sempre,
era qualcosa di molto più umano. Ad Aelita fece ridere
ancora di più
del solito, rimase interi minuti a ridere finché non gli
uscirono le
lacrime dagli occhi. Anche Avier prese a ridere di gusto, contagiato
dalla risata della ragazza. Chissà cosa ci avevano trovato
in una
battuta così stupida.
“Ti
piacciono i Bee Gees?”
“In
realtà conosco solo le canzoni della Febbre del
Sabato Sera”
“Perfetto”
Avier si alzò in piedi, si schiarì la gola e poi
iniziò a cantare
“I
know your eyes in the morning sun/ I feel you touch me in the pouring
rain/ And the moment that you wander far frome me/
I wanna
feel you in my arms again” non aveva una voce
particolare
mentre cantava, come lui stesso aveva detto. Ma c’era
qualcosa nel
modo in cui lo faceva che trasmetteva malinconia e incanto allo
stesso tempo. Aelita sarebbe potuta rimanere ad osservarlo per tutto
il tempo, restandone ipnotizzata. Il ragazzo russo invece la colse di
sorpresa e la tirò a sé, facendola ballare un
goffo lento assieme a
lui mentre alzava le ottave della sua voce. Si teneva stretto a lei e
la ragazza iniziò a sentirsi imbarazzata.
“And
you come to me on a summer breeze/
Keep me warm in your
love then you softly leave/ And it’s me you need to show/ How
deep
is your love” Avier aveva fissato un punto
imprecisato oltre la
ragazza. Solo poi aveva abbassato lo sguardo, osservando come fosse
diventata rossa. Quando se ne rese contò, si
arrestò di botto e si
staccò. Poi iniziò a parlare gesticolando in modo
molto nervoso
“Scusami,
non so che mi ha preso. È come se la mia mente fosse stata
presa dal
cantare e abbia perso il controllo sul mio corpo.
Io…”
“No,
tranquillo. Alla fine non è nulla di grave.
Solo…”
“Non
succederà di nuovo, va bene?” Aelita non rispose e
spostò
leggermente l’argomento del discorso
“Comunque,
senza offesa, ma non sei molto bravo a ballare” Avier
sorrise,
anche se con un certo nervosismo, poi rispose a
quell’affermazione
“Lo
so. In Russia quello che ballava era un altro, io non ho mai
imparato. A volte finivamo in discoteche e altri locali notturni, io
rimanevo solo per ubriacarmi”
“Ehi,
ma questa è vodka” Odd aveva continuato a scavare
nel borsone di
Avier mentre gli altri due avevano iniziato a sfogliare il suo album
fotografico. Ulrich smise di farlo e osservò in direzione
dell’amico, che aveva tirato fuori una bottiglia di vetro
contente
un liquido trasparente
“Direi
di sì” commentò il ragazzo tedesco
“Quindi
non scherzava quando diceva di volerne un bicchiere al bar”
aggiunse Jeremy
“Senti,
ci sono foto in cui fuma ed ha chiaramente quattordici anni. Io non
mi sorprenderei che abbia anche il vizio di bere”
“Però
Avier non puzza mai di fumo, e non abbiamo trovato pacchetti di
sigarette nella sua borsa”
“Non
abbiamo ANCORA trovato pacchi di sigarette” la discussione
dei due
li aveva distratti dal loro terzo amico che, con la sua
caratteristica incoscienza, aveva provato a bere un sorso di vodka.
Se ne pentì amaramente
“Ma
che diavolo è! Acido? Mi sento tutto bruciare!”
disse tossendo e
portandosi una mano alla fronte. I due amici non riuscirono a
trattenere le risate mentre Odd si agitava e tossiva, rendendosi
rosso il volto.
“I
superalcolici non fanno per te”
“Grazie
per l’aiuto, Ulrich”
“Forza.
Smettila di fare l’idiota e chiudi quella bottiglia, se cade
a
terra inizierà a puzzare tutto di alcol e Avier ci
sgamerà” Odd
diede ascolto al suo consiglio e chiuse la bottiglia, poi la rimise
al suo posto dentro la borsa, intenzionato a non rivederla mai
più.
In seguito si unì alla visione dell’album
fotografico
“Ma
va così di moda l’Adidas in Russia?”
commentò poi osservando
come quasi tutti i soggetti nelle fotografie indossassero vestiti di
quella marca, anche se di colori diversi
“Non
lo so. Forse è una specie di codice d’onore della
banda di cui
faceva parte” disse Ulrich
“Faceva
parte di una banda?”
“Mi
sembra ovvio. Tolto il fatto che non mi è mai sembrato una
persona
onesta, la gente in queste foto ha un’aria poco
raccomandabile e
c’è una foto di lui che piscia su una
Ferrari” Ulrich tornò
indietro di una decina di foto e mostrò quella incriminata.
Avier si
era fatto fotografare di spalle, ma era evidente quello che stava
facendo.
“Inoltre,
ha detto che in Russia aveva paura di cose come teppisti e coltelli.
Non credo che siano la normalità”
“Comunque,
sono sempre stato abituato ad avere a che fare con dei teppisti.
Abbassare ancora di più il mio ceto sociale, diventare un
criminale
li ha fatti aumentare, ma non apparire dal nulla”
“Sul
serio?”
“Si,
in molti dimenticano che la Russia non è solo immensa, ma
anche
molto desolata. Non tutte la città sono Mosca, molte sono
luoghi
freddi e isolati, spesso molto arretrati. Vladivostok non tanto a
dire la verità, ma il mio quartiere faceva davvero schifo.
Sono
stato in posti che… Bleah!” il suo verso di
disgusto fu così
sentito che Aelita per un attimo si preoccupò stesse per
vomitare
davvero
“Immagino
che io non abbia alcun motivo di sospettare tu mi stia dicendo questo
per far sembrar normale il tuo aver iniziato a bere a tredici anni.
Vero, milord?” Aelita riuscì a
essere molto pungente e
sarcastica con quell’espressione. Sembrò
così tanto Avier in quel
momento, e lui lo notò
“Ma
guarda come impari da me! Hai intenzione di superarmi nel capire gli
altri? Comunque, credo di averlo fatto inconsciamente. Sai, ho fatto
cose molto più degradanti. Già il solo fatto di
aver iniziato a
fumare a dodici credo sia peggio”
“Sul
serio? E fumi ancora?”
“No,
sono riuscito a smettere. Per sopravvivenza. Non ho mai avuto il
fiato lungo, ma con le sigarette iniziai proprio ad avere
difficoltà
a respirare. È un problema quando hai bisogno di scattare e
reggere
abbastanza per arrivare lontano”
“Certo
che ne hai davvero fatte e passate di tutti i colori”
“Si,
infatti”
“Però,
apprezzo come ne parli. È chiaro che non ne vai fiero e che
vuoi
migliorare”
“Continui
a migliorare a vista d’occhio. Sembri
Mary…” Avier si
interruppe e sobbalzò, era chiaro che non volesse dire quel
nome.
“Chi?”
“Mary…
Mary che è… Una lunga storia. Non ne parleremo
stasera”
“Ehi,
chi è questa donna?” i tre erano arrivati
all’ultima pagina
dell’album fotografico di Avier, c’era una foto
molto recente di
lui abbracciato a una signora di mezz’età, dai
lunghi capelli
biondi e la pelle diafana. Entrambi erano di profilo e la donna aveva
il volto rivolto verso il ragazzo, questo rendeva difficile
delinearne i tratti. Però si vedeva chiaramente un sorriso
affettuoso. Avier invece aveva il volto rivolto verso la macchina
fotografica, teneva gli occhi chiusi e tutto il suo volto era come
permeato da un’aura di pace. Non sorrideva, ma sembrava
così
felice e tranquillo. Quella foto era l’unica che presentava
delle
scritte su
di essa,
fatte con un pennarello bianco dalla punta sottile. Quella sul lato
destro, il lato dov’era la donna, era scritto con la
calligrafia di
Avier. Recitava Mary,
женщина, которая воспитала меня.
Tutto
in cirillico tranne il nome, l’unica cosa che quindi
compresero.
Sul
lato di Avier invece la calligrafia era nettamente diversa, molto
più
elegante, ordinata e femminile. Inoltre, era scritto in inglese,
lingua che tutti e tre conoscevano bene studiandola ogni giorno a
scuola. Recitava Avier,
il piccolo bambino capace di ottenere ciò che vuole.
“Che sia sua
madre?” domandò
Ulrich
“Mary? Strano. Aveva detto che era
spagnola” Jeremy si sentì confuso e quello che
aggiunse dopo
Ulrich non lo aiutò
“Potrebbe aver mentito”
“Ma perché?”
“Chissà.
Capire come ragiona è un’impresa”
“Però mi
sembra così inutile farlo. E poi, non è detto che
sia un parente
solo perché lo chiama piccolo
bambino”
“Meglio
ignorare”
girarono quell’ultima pagina, aspettandosi di vedere il retro
bianco della foto come era stato per tutte le altre. Invece dietro
c’era scritto ancora qualcosa, di nuovo in inglese, di nuovo
con la
calligrafia di Mary, ma
questa volta a penna.
Era
una poesia senza rime
Il vento sia alle tue spalle
La fortuna nelle tue mani
Il mondo si pieghi al tuo
comando
Sii la luce nell’oscurità
“Un augurio notevole. Qualunque
legame abbia questa Mary con Avier, sembra nutrire grande stima in
lui. Comunque, abbiamo controllato ogni cosa, rimettiamo a posto
prima che torni qui”
“Io torno in
camera” disse Avier, aveva ripreso
il foglio e sistemato gli ultimi dettagli del
suo disegno. Sembrò
vistosamente
stanco, aveva
davvero bisogno di dormire.
Infatti, dopo essersi alzato dalla panchina, tirò un forte
sbadiglio.
“Non vuoi proprio parlare di
Mary, vero?”
“No. O almeno non oggi. È una
storia troppo lunga” abbassò lo sguardo sul
disegno e poi allungò
il foglio verso la ragazza
“Tieni, te
lo regalo”
“Non lo vuoi tenere?”
“No,
preferisco
regalarlo a te. Consideralo come un ringraziamento per essere
riuscita a farmi parlare” Aelita rimase di stucco. Come
faceva quel ragazzo a stupirla con così poco? Eppure,
c’era
qualcosa di incredibile dolce e sincero in ciò che aveva
appena
fatto. Qualcosa
che le piaceva
“Ehi, non restare lì impalata.
Siamo fuori orario, se ci becca un prof rischiamo una
punizione”
“Giusto”
Odd
e Ulrich incrociarono Avier nel corridoio, si aspettarono che dicesse
qualcosa come sempre, invece rimase in silenzio. In realtà
non
incrociò neanche lo sguardo con loro, era perso nei suoi
pensieri.
Loro lo superarono, lui superò loro ed entrò
nella sua camera.
“Ubiraysya
iz komnaty”
disse
ad alta voce, era
così stanco che aveva parlato abitudinariamente in russo.
Jeremy capì
lo stesso e annuì,
poi
uscì dalla stanza. Avier chiuse la porta, si tolse la tuta e
prese
dalla sua borsa il suo pigiama nero con il volto di Falco. Prima di
indossarlo prese la bottiglia di vodka e un bicchiere che teneva in
borsa, lo riempì a metà e poi bevve tutto in due
sorsi. Rimise
tutto a posto con cura, indossò il pigiama e si stese sul
letto
“Rientra
pure” Jeremy aprì la porta, osservando come il suo
compagno di
stanza avesse già chiuso gli occhi. Quindici secondi dopo si
addormentò.
Un minuto dopo iniziò
a russare. Jeremy lo maledì di nuovo, ma almeno fu felice
che non si
fosse accorto di nulla.
Mensa
- Mercoledì
14 Settembre 2005 - Ore 8:30
Solo
che si sbagliava
"Ehi,
capisco che io sia così interessante o così
minaccioso da farvi
controllare tra le mie cose. Ma almeno potreste non bere direttamente
dalla mia bottiglia? Non è igienico” si era
presentato davanti al
loro tavolo apparendo come dal nulla, cosa che era incredibilmente
bravo a fare. La prima a reagire fu Aelita. La sua reazione non fu
nei confronti di Avier, come accadeva sempre in quelle discussioni,
ma ai suoi compagni
“Avete
frugato nella sua borsa?”
“No”
“No”
“No”
i tre risposero quasi contemporaneamente
“State
mentendo spudoratamente” Aelita era abbastanza alterata,
Avier
invece sorrideva come suo solito
“Lasciali
stare m’lady. Non ho nulla da nascondere,
tranne forse la
mia bottiglia. Ma qui c’è qualcuno con un
animaletto, quindi non
verrò mai tradito. Vero?” sottolineando
quell’ultima
interrogativa, aveva squadrato Odd con sguardo inquisitorio, ma
mantenendo il suo sorriso. Era così raggelante che il
ragazzo dal
ciuffo viola tremò leggermente
“Poka”
disse infine e se ne andò lanciando e riprendendo al volo
una moneta
con la sinistra, mentre canticchiava il ritornello di Libre.
“Da
quando in qua gli fai da avvocato?” chiese Ulrich ad Aelita
con
tono inacidito dopo essersi assicurato che Mary Sue
fosse
lontano.
“Non
è una brutta persona. Ci ho parlato e…”
“Tu
hai fatto cosa?” questa volta fu Jeremy a irrompere, si era
sforzato di non urlare per non attirare l’attenzione.
Nonostante
questo, era molto più alterato di quanto gli altri non lo
avessero
mai visto
“Ho
parlato con lui”
“Quando?”
“Ieri
sera”
“E
cosa gli hai detto?”
“Non
posso parlare con gli altri ora? Da quando in qua sei così
geloso?”
Jeremy diede un pugno sul tavolo, nel farlo fu più il dolore
che si
provocò da solo che il rumore del colpo, ma era un sintomo
di quanto
fosse teso in quel momento
“Cosa
cavolo c’entra questo? Semplicemente, stiamo da una settimana
a
dire che è meglio stare lontani da Avier, che il suo modo di
fare è
pericoloso, che ci potrebbe portare a farci parlare troppo. E tu
invece rischi così tanto?”
“Ho
capito” il suo tono era infastidito. Era evidente che non gli
era
piaciuta quella scenata, non condivideva affatto quella linea di
pensiero. Era d’accordo sul mantenere segreto Lyoko, ma
riteneva di
poter gestire da sola quel ragazzo. Inoltre, avrebbe voluto dire loro
come fosse diverso in realtà, che diceva la
verità quando parlava
di non essere sempre sopra le righe, ma probabilmente non gli
avrebbero dato ascolto. Quindi rimase in silenzio, contrariata da
quanto successo.
“Ehi
Sissi! Posso chiamarti così, vero?”
“Certo
Avier”
“Ti
va di uscire questo sabato?” la ragazza arrossì e
poi rispose
eccitata
“Certo!
In che posto andiamo?”
“Non
lo so. Pensavo di andare in giro, visitare qualche locale, parlare un
po’. Ma in realtà ho solo proposto
un’idea, non mi sono ancora
organizzato. Ti farò sapere, va bene?”
“Certo!
Certo! Prenditi il tempo che ti serve”
Scolo
fognario che conduce alla fabbrica abbandonata –
Mercoledì 15
Settembre 2005 – Ore 00:04
La
figura esile e debole camminava trascinandosi. Si teneva con la mano
sinistra sulla parete umida perché le gambe non lo
reggevano. Nella
mano destra stringeva un dispositivo elettronico. Macchie nere
corrompevano la sua pelle bianco latte, da lì uscivano spore
fosforescenti. I suoi muscoli erano affetti da spasmi. La sua testa
senza capelli gli pulsava e gli doleva, i suoi grandi occhi erano
carichi di rancore.
Uno
spasmo più forte lo fece cadere a terra. Si
sporcò d’acqua di
fogna mentre si agitava fuori controllo, i suoi muscoli si
ribellavano. Prese un contenitore metallico dalla sacca in venekethor
sulla sua schiena, lo aprì rivelando un mucchio di siringhe
e ne
prese una mentre faceva sforzi colossali per tenere a bada gli
spasmi. Poi, un colpo secco sulla vena del collo, si iniettò
il
liquido biancastro e si distese a terra con i muscoli tornati calmi.
Pochi secondi dopo si rialzò, il suo rancore era aumentato
“Laskenat
din Swarker! Laskenat der swarkerinster! Laskenat din Alaktania!
LASKENAT DIN MAN ROKRAN ALEARKIT!!!!”
Iniziò
a camminare ancora, questa volta più velocemente, e
iniziò a dirsi
un’unica cosa come una cantilena infinita.
“Anì
lenkos Lyoko. Anì lenkos Lyoko. Anì lenkos
Lyoko…”
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Capitolo 4 *** Capitolo 3: Crollo psicologico ***
Terra
– Francia – Parigi – Fabbrica abbandonata
– Mercoledì 15
Settembre 2005 – Dalle 00:10 alle 2:35
La
figura esile raggiunse il punto dove, secondo i suoi calcoli, si
trovava l’oggetto delle sue ricerche. La scalinata di
ingresso
crollata non lo preoccupò, i vestiti a lui indosso, di un
blu così
scuro da sembrare nero, erano progettati per farlo resistere a molto
di peggio. Gli bastò un balzo e atterrò al suolo
senza sentire il
minimo contraccolpo, come se fosse stata una caduta di pochi
centimetri. Controllò di nuovo il dispositivo, i risultati
che gli
mostrò lo fecero innervosire
“Nathen
ikna! NATHEN IKNA! OMEKTIA DIN SWARKER! NATHEN IKNA! Limin
morò
antrekt? Ova man arkatania”
La
sua idea era perlustrare attentamente quel posto in modo sistematico
e ordinato, senza farsi sfuggire nulla. E lo fece, ma con
un’ansia
galoppante dentro di lui. Il tempo non era dalla sua parte.
Quando
ebbe finito e si fu assicurato che non ci fossero strani passaggi
segreti, tornò a quella sala principale e si
avvicinò
all’ascensore. Capì che premendo il pulsante
avrebbe dovuto
attivarlo, quindi lo fece. Nessuna risposta
“Akentar-an?”
Prese
il dispositivo e lo puntò verso il pulsante
dell’ascensore, poi lo
premé di nuovo e vide i risultati che riportava
“Nik.
Nikta akenta, almia entrekat. Aken mihart enthor”
Sollevò
il pannello e trovò il tastierino
dell’ascensore. Dopo
averlo osservato un secondo, tutto
gli
fu immediatamente
chiaro. Prese quindi
dalla sacca un secondo dispositivo composto da una piccola sfera del
diametro di due centimetri,
da essa
partiva un gruppo di sottili filamenti. Dando un tocco con il
pollice, la sfera si attivò ed i fili iniziarono ad
allungarsi e a
muoversi da soli come piccoli tentacoli. Dopo un po’
sollevarono il
pannello del tastierino e si collegarono ai circuiti, poi il
dispositivo
iniziò a cercare tutte le
combinazioni di numeri possibili. Dopo
cinque secondi trovò quella corretta, l’ascensore
tornò in
funzione. La figura vi
entrò e si
apprestò a scendere
La
prima cosa che vide fu la sala del supercomputer. Essendo
immersa nel buio più totale, dovette
farsi luce con il
dispositivo agganciato al suo
petto, questo gli
permise di vedere la
poltrona, gli schermi e la tastiera.
Tutte cose che un tempo venivano usate da Jeremy ogni qual volta
fosse necessario per un attacco di XANA o per lavorare sui programmi
del supercomputer. In un anno la polvere si era accumulata e il tutto
giaceva in stato di abbandono.
La
figura si sorprese di quanto fosse tutto così
grande, si aspettava qualcosa di molto più contenuto. Poi si
mise a
riflettere e capì. In
effetti, non poteva essere altrimenti, quel
posto era diverso dall’originale.
Prese
il dispositivo che lo aveva condotto fino alla fabbrica e
iniziò a
puntarlo per tutta la
stanza. Dai
risultati che mostrava, capì di dover scendere ancora di
più.
Rientrò quindi nell’ascensore e premé
il pulsante per scendere.
Arrivò
nella sala degli scanner, ma ci rimase poco. Giusto il tempo per
capire di dover andare ancora più in basso. E poi, non gli
piacevano
le forme e le silhouette di quei macchinari, gli ricordavano casa. Se
c’era qualcosa che non apprezzava, quella era la sua casa.
Infine
arrivò alla sala che cercava,
l’unità centrale del supercomputer. Quel
posto dava energia a tutto e al contempo immagazzinava tutti i dati.
Era il centro
di ogni cosa,
il cuore e la mente di Lyoko. La
figura
però rimase stranita dal fatto che il suo
dispositivo puntasse al
pavimento,
chiedendosi come avrebbe fatto ad attivare il tutto. Poi
uscì
dall’ascensore e tutto gli fu più chiaro. In quel
preciso momento
ci fu un primo passaggio di corrente e l’unità
centrale si sollevò
dal pavimento, mostrando la sezione circolare più bassa che
fungeva
da base e il pilastro con l’interruttore. Una leva che andava
abbassata, proprio ciò che la figura fece.
In
quel momento, Lyoko tornò in vita
Cinema
L’Arc en Ciel e dintorni – Dalle 21:25 alle 22:09
Essendo
un posto facile da raggiungere e con una buona copertura di film,
l’Arc
en Ciel era
il cinema più noto della zona. Quindi i guerrieri Lyoko lo trovarono
il posto ideale per andare a vedere quel film. I quattro del Kadic se
ne stavano al centro della stanza, fra
le biglietterie a destra che si riempivano
di gente facendo
aggiornare gli schermi con le programmazioni e i posti disponibili,
e il bar a sinistra che sfornava popcorn ed
erogava
bibite a tutto spiano.
“E
noi che avevamo paura di arrivare in ritardo. Il film inizia tra
cinque minuti e quei due non sono ancora arrivati” aveva
commentato
Ulrich, come tutti non vedeva l’ora di rivedere i due vecchi
amici.
Sopratutto Yumi, provava ancora qualcosa per lei, forse sarebbe
riuscito a farglielo capire, o forse no. Non voleva rovinarsi la
serata con quei pensieri
“Almeno
abbiamo comprato anche i loro biglietti” disse Jeremy
“E
poi c’è sempre della
pubblicità prima del film. Abbiamo più tempo di
quanto sembri”
aggiunse Aelita. I due Einstein
si
tenevano per mano e
continuavano a scambiarsi occhiate dolci. Se non avessero
provato
un leggero imbarazzo per via dei loro amici, sarebbero stati
così
romantici l’uno con l’altro
da far venire il diabete a tutti i presenti nel raggio di cento
metri.
Il
gruppo dovette aspettare solo altri due minuti prima che i membri del
liceo si mostrassero
all’ingresso.
Appena le
due parti
si videro, si corsero incontro unendosi a metà strada e
salutandosi
tra abbracci e pacche sulle spalle.
“Ehi,
scusateci per il ritardo. Abbiamo avuti dei
contrattempi…”
“William,
sei tu quello che ha dimenticato il portafogli” Yumi fece
finta di
rimproverarlo, scatenando le risate del gruppo e anche dello stesso
William. La ragazza non era affatto cambiata in un anno, si vestiva
anche allo stesso modo. William invece si era fatto crescere i
capelli, che ora gli arrivavano poco sopra le spalle, stava
attraversando un periodo metal, come testimoniava
la maglia
con il logo dei Megadeath.
Mentre
quei sei furono contenti di essersi finalmente rivisti, un settimo
incomodo cercò di non farsi notare.
“Blyat'!
L’unica
volta che non li voglio in
mezzo”
Avier
se ne stava sul lato destro della porta a vetri
dell’ingresso,
attento a non farsi vedere dai Guerrieri Lyoko. Il ragazzo era
difficile da riconoscere poiché quella sera non indossava
nulla
dell’Adidas, neanche le mutande (eh si! Anche le sue mutande
erano
Adidas). Non volendo essere ricordato dal preside Delmas come un
buzzurro che va agli appuntamenti in tuta da ginnastica, si era
comprato i primi vestiti casual che
aveva visto. Ma letteralmente i primi che aveva visto, se la felpa
con il cappuccio grigio cenere, i blue jeans e gli stivali neri si
abbinavano bene tra loro, era solo per un colpo di fortuna. Il
ragazzo
si sentiva a disagio in quei panni, non erano
parte di lui.
Sissi,
nel frattempo, era davanti a lui e lo aggiornava sulla situazione
all’interno
“Stanno
ancora parlando”
“Il
loro film inizia tra un po’, perché perdono
tempo?”
“Vedo
che anche a te stanno antipatici” nonostante
il suo lavoro di vedetta, Sissi teneva la maggior parte del tempo lo
sguardo sul ragazzo. Gli trasmetteva un fascino inusuale, dovuto
anche al fatto che il suo volto non fosse perfetto dopotutto. Aveva
la pelle leggermente butterata, gli occhi scuri, il setto nasale che
faceva una brusca virata verso il basso e il labbro inferiore
sporgente
di più rispetto al superiore. Eppure, lo trovava molto
carino in
questo suo non essere perfetto.
“No,
in realtà sono loro che mi trovano un rompicog…
Ehm! Un impiccione” l’imprecazione
trattenuta era dovuta alle mille raccomandazioni fattegli dal padre
di Sissi.
Il preside Delmas era stato tre quarti d’ora a parlargli di
cosa
doveva e non doveva fare, quali comportamenti si aspettasse da
lui… Insomma, mancavano solo So
dove abiti e
Questo
matrimonio non s’ha da fare e
l’elenco sarebbe stato completo.
“Già
immagino come reagirebbero se mi vedessero…” il
ragazzo modificò
la sua voce, rendendola molto più acuta e iniziando a mimare
movenze
femminili
“Oh!
Avier! Ma tu ci perseguiti. Ti incontriamo sempre. E dillo che ti
manda il KGB per scoprire il nostro segreto supersegretissimo. Oooh!
Cioè oooh!”
“Chi
hai imitato? Aelita?”
“No,
ovviamente Odd” rispondendo così forse Avier aveva
voluto
sfruttare a suo vantaggio un suo non eccellere nelle imitazioni, o
forse aveva già pianificato che le cose andassero
così. Fatto sta
che fu un miracolo che Sissi non si accasciò a terra dal
ridere
“Invece
Ulrich sarebbe tipo SPARGEL! GEBRATENER SPARGEL! DER AUTOR
IST EIN
GUTER JUNGE! BITTE SAGEN SIE MIR, DASS SIE DIESES SCHRIFTLICHE NICHT
ÜBERSETZT HABEN” la ragazza
iniziò a ridere così forte da
farsi uscire le lacrime, i presenti si girarono verso di loro
cercando di capire che diavolo stesse succedendo
“Ehi,
ora smettila. Rischiamo di farci scoprire” Sissi
guardò
all’interno del cinema, poi rassicurò Avier
“Non
ti preoccupare. Stanno entrando in sala”
“Meno
male”
Dopo
aver comprato anche i loro di biglietti, entrarono nella loro sala e
un quarto d’ora dopo iniziò il loro film in
contemporanea con I
Fantastici 4. Ma il fatto che i due si fossero potuti
permettere
di comprare il biglietto all’ultimo e che la loro sala fosse
mezza
vuota, faceva capire molte cose sull’effettiva
qualità e attesa di
quel film. Dei pochi presenti, la maggior parte erano ragazzine molto
giovani e casalinghe, alcune accompagnate da padri o mariti che tutto
volevano tranne che stare lì. Il film si chiamava Dal
cielo
profundissimo, dai trailer sembrava una telenovela di
un’ora e
mezza, ed era per questo che Avier lo aveva proposto.
Si,
l’idea era partita dal russo e non dalla ragazza. Non aveva
mentito
quando, nel Rendez-vous, aveva detto di amare le
telenovela.
Non che gli piacesse il prodotto in sé, al contrario lo
trovava
quanto di peggio esistesse nella TV, ma per questo le guardava.
Provava un divertimento incredibile nel constatarne la
mediocrità,
nel vedere la regia assente e gli attori incapaci. Non sapeva neanche
lui il perché, ma per quanto le odiasse non poteva fare a
meno di
guardarne sempre di nuove. Lo facevano sentire una persona migliore.
Quel
film era proprio ciò che si aspettava, ciò che
voleva. Non poté
fare a meno di guardarlo con un sorriso da ebete ridacchiando tra
sé
e sé. Ma se fosse stato da solo, avrebbe riso sguaiatamente
e in
modo incontrollato ad ogni cambio di inquadratura e a ogni battuta.
Dopo
un po’, arrivò l’intervallo.
“Ehi,
ti sta piacendo?” domandò il ragazzo. La ragazza
gli rispose in
modo affermativo, ma stava mentendo. Quel film faceva schifo anche
per i suoi gusti, l’unica cosa che lo rendeva piacevole era
la
presenza di Avier accanto a sé. Ma se fossero usciti di
nuovo, non
gli avrebbe mai più permesso di scegliere
“Ho
voglia di qualche snack. Vado al distributore qui fuori, torno
subito” disse il ragazzo, poi si alzò dalla
poltrona e uscì dalla
sala.
Il
macchinario era esattamente di fronte la sala, il ragazzo si diresse
verso di esso e ordinò un pacchetto di noccioline. La
fortuna non fu
dalla sua parte e il pacchetto si piegò in avanti, si
appoggiò al
vetro e si incastrò. Questo alterò non poco
l’umore del ragazzo
“Blyat!
Blyat!” iniziò a
gridare prendendo a pugni la macchina,
causandosi più dolore che altro. Questo attirò
l’attenzione verso
di se, facendo sfumare le sue possibilità di non essere
riconosciuto.
“Ma
tu sei davvero uno stalker. Non è possibile!”
Avier non ebbe
bisogno di girarsi per capire chi lo aveva riconosciuto, li aveva
già
visti nel vetro del distributore. C’era tutti i Guerrieri
Lyoko.
TUTTI i Guerrieri Lyoko.
“Ma
è già finito il film?”
“No,
dovevamo andare in bagno” era stata Aelita a rispondere,
l’unica
che non lo vedesse con diffidenza.
“Gospodi!
Che
diavolo avete? Il catetere in comune?” anche chi non lo
voleva, non
riuscì a trattenere una risata. Avier era sempre capace di
far
ridere dopotutto
“Comunque,
sentite ragazzi. Io ci sto provando a starvi lontano, oggi ho fatto
di tutto, sono pure uscito con una persona che non vi sta simpatica.
Ma continuo a incontrarvi, non potete credere che lo faccia
apposta”
ci
fu un’aria confusa nel gruppo. Tra Aelita che era dalla sua
parte,
Yumi e Ulrich che, avendo soltanto sentito parlare di lui, non
sapevano come inquadrarlo e i restanti tre che ammettevano quanto
Sissi in effetti non ci tenesse a vederli.
William improvvisamente si
avvicinò a lui e iniziò a squadrarlo incuriosito,
sembrò farlo
dall’alto verso il basso, nonostante fosse solo di un
centimetro
più alto di Avier.
“Quindi tu riesci a capire le
persone?”
“Si,
William”
“Aspetta. Come lo sai?”
“Non glielo chiedere” Ulrich
si intromise, cercando di rovinare la festa al russo come sempre.
William però si sentì sfidato, volle dimostrare
agli altri e a se
stesso che Avier non era così eccezionale.
“In realtà, pensandoci meglio,
è davvero ovvio. Dopotutto, già sapeva qualcosa
di me, ci è
arrivato semplicemente per esclusione”
“Fiuuu!
C’ho
azzeccato! Capire
chi di voi due ha le tette più grosse è stata
un’impresa”
il
ragazzo si trovò così vicino a beccarsi un
cazzotto che già gli
parve di sentire l’occhio nero pulsargli. Per fortuna nessuno
volle
iniziare una rissa. Anzi, William si sentì ancora
più sfidato,
voleva vederlo fallire. Non che lo odiasse, però gli sarebbe
piaciuto smontare il suo ego
“E dimmi, sai qualcos’altro
di noi? Tu non ci hai mai sentito parlare, giusto?”
“Esatto, quindi non ho modo di
sapere qualcosa. Avete vinto un mare di nulla” il suo
gesticolare
distraeva facilmente, aveva mosso le mani in modo rapido per tutto il
tempo, rendendo difficile capire precisamente quali movimenti avesse
fatto. Finito di parlare però, si girò e si
diresse verso il
distributore guardando ciò che teneva tra le mani.
“Sei simpatico, sai? Però,
dopo aver capito come funzioni, sei prevedibile” dicendo
così,
Dunbar volle dargli un’ultima stoccata, sperando in una
reazione.
Nulla di che, gli sarebbe bastato uno sguardo stizzito. Avier invece
rise
“Come
fa uno che nasconde così tanto, con segreti capaci di
sfasciare le
sue amicizie, a sentirsi così al sicuro? Dimmelo durak,
non lo capisco”
quella
risposta fece cambiare di colpo l’espressione a William, che
smise
di sorridere e venne
assalito da un dubbio tremendo.
“Che
intendi?” Avier si girò con una piroetta su un
tallone e iniziò a
parlare mentre si
avvicinava
lentamente al ragazzo. Questo modo di fare aveva un che di minaccioso
“Dico
semplicemente che tu, William Dunbar, che
sei nato
il 5 Dicembre 1989, che
abiti a Rue Marques 23. Tu,
proprio tu, hai un segreto che non voglio rivelare così come
tu non
vuoi rivelarlo ai tuoi amici. Anzi, ad UN amico in particolare. Ti
assicuro che non mi hai dato nessun motivo per farmi stare zitto, ma
non vi odio così tanto. E
poi…”
Avier si era avvicinato
a
William così tanto che il suo alito raggiungeva il suo
volto, decise
quindi di allontanarsi con un’altra piroetta e andare a passo
spedito al distributore
“…Non
c’è gloria a vincere sugli idioti” Avier
si portò una mano al
mente pensando a dove avesse sentito quella frase, mentre dalla tasca
estraeva il portafogli.
“Come
puoi saperlo?” domandò William, era sconvolto
“Ssssh!
Ti stanno ascoltando” disse il
russo indicando
gli altri Guerrieri Lyoko, poi
inserì la moneta per ordinare un secondo pacco di noccioline
in
modo da far cadere anche il primo.
Il
gruppo rimase in silenzio finché il ragazzo non
rientrò nella sala,
poi iniziarono a discutere con William. A domandargli insistentemente
che cosa
nascondesse, se fosse pericoloso che Avier lo avesse scoperto e
domande di questo tenore. William cercò in tutti i modi di
tranquillizzarli, asserendo
che il
russo
aveva solo scoperto un segreto molto personale, ma
sembrò solo far aumentare le domande per qualche ragione, la
situazione sembrò essere destinata a degenerare anche senza
l’intervento di Mary
Sue.
Fu Yumi, alla fine, a placare tutto dicendo che il film stava per
ricominciare e che William aveva tutto il diritto di avere cose di
cui non voler parlare.
Intanto,
Avier
“Ehi
Sissi, rieccomi qui. Ho preso un pacco di noccioline anche a te.
Spero ti piacciano”
“Grazie
Avier, sei davvero un tesoro” il ragazzo trattenne una
risata. Non
avrebbe mai comprato quel pacchetto se il suo non si fosse incastrato
Dintorni
del cinema L’Arc en ciel –
Dalle ore 23:00 alle ore 23:20
Dopo
un po’ entrambi i film furono finiti, le due
“fazioni” uscirono
dal cinema e percorsero la stessa strada in direzioni opposte.
Mentre
i Guerrieri Lyoko proseguivano parlando fra loro, visitando locali e
negozi, dimenticandosi del momento di tensione causato dal settimo
incomodo. Avier faceva una delle cose che gli riusciva meglio,
parlare tanto. Sissi era così cotta di lui che lo avrebbe
ascoltato
anche se si fosse messo a raccontare la storia dei pelucchi sulla sua
felpa (ne sarebbe stato capace). Lui era un maestro nel sembrare
sempre entusiasta e interessato a quello che faceva, anche quando non
era affatto così, specialmente in quel preciso momento.
Sissi non
gli piaceva, non perché la trovasse antipatica
(perché avrebbe
dovuto? La ragazza aveva iniziato a pendere dalle sue labbra sin da
subito), ma non la trovava interessante. La realtà era che
le aveva
chiesto di uscire solo per fare qualcosa di diverso, per avere
compagnia mentre era fuori dalla scuola. La ragazza probabilmente
stava pensando chissà che cosa, l’avrebbe
sicuramente delusa. Era
inevitabile, lo sapeva bene e non si sentiva in colpa.
Quindi,
un po’ per la noia, un po’ perché si
fece prendere la mano nel
suo parlare di tutto e di più, finì per dire che
beveva
regolarmente alcolici, di solito vodka. Ora, non è che lo
volesse
tenere chissà quanto nascosto, dopotutto non lo disturbava
che lo
sapessero i Guerrieri Lyoko. Però, dirlo alla figlia del
preside?
Ripensandoci, non lo avrebbe fatto, poteva essere problematico
“Andiamo
a bere qualcosa insieme?”
“Assolutamente
no! Tuo padre mi ammazza se lo scopre”
“Non
lo scoprirà” la ragazza gli si strinse a un
braccio e gli fece gli
occhi dolci. Avier non si sentiva sedotto proprio per niente, rimase
infatti piuttosto rigido. Però, l’alcol era un
vizio che lo
indeboliva sempre. Inoltre, doveva comprare una nuova bottiglia di
vodka
“Va
bene. Ma cerchiamo di non farti ubriacare” disse sorridendole
e
posandole una mano sulla spalla. La ragazza rispose abbracciandolo,
Avier non ricambiò.
“Dove
andiamo? Ci fingiamo maggiorenni?”
“No,
tu non sei credibile. Ma diciamo che avrei un amico. Un amico che
gestirebbe un locale…”
“Tu
conosci un sacco di gente, vero?”
“Sono
una spia del KGB, no?” disse ridendo, anche la ragazza rise e
poi
continuarono a camminare
Il
locale di cui parlava Avier si chiamava Chute de la masque
e
non aveva nulla di speciale. Era un posto di medio livello che si
fingeva di alto livello, con una decina di avventori quella sera e,
appunto, un barman che conosceva Avier. In quel posto non accadde
nulla di interessante, semplicemente il russo si limitò a
comprare
una bottiglia di vodka, a farsi preparare un Long Island Iced Tea, il
suo cocktail preferito, e comprò una lattina della birra
più
economica possibile per Sissi. Ovviamente non disse alla ragazza che
aveva avuto il braccino corto nei suoi confronti, ma fu quello che
fece. Già dopo il primo sorso la ragazza iniziò a
tossire, non
abituata al bruciore dell’alcol, Avier lo aveva previsto. Le
diede
qualche consiglio per far scorrere la birra meglio, ma capì
subito
che lei non avrebbe mai più toccato alcol. Alla fine era
meglio
così.
Poco
dopo uscirono dal locale, entrambi continuarono a bere ciò
che
avevano ordinato.
Quella
serata poteva avere tutti i presupposti per non avere nulla di
particolare. Entrambi i due gruppi non avevano motivo di prevedere
sconvolgimenti di alcuna sorta. Tutto sarebbe dovuto andare per la
normalità.
Ma
Avier era imprevedibile, anche per se stesso.
Stesso
luogo – Dalle ore 23:55 alle 00:00
I
Guerrieri Lyoko decisero di ripercorrere la strada
all’inverso,
superando il cinema e andando diritto. Si stavano quindi dirigendo
verso Avier, ma metà del loro gruppo pensò fosse
improbabile che il
russo avesse deciso di proseguire esclusivamente diritto come loro.
Aveva
ragione l’altra metà.
Dopo
un po’ scorsero lui e Sissi. Il primo continuava a
sorseggiare con
tranquillità il suo cocktail, era arrivato oltre la
metà. La
seconda si lamentava del mal di testa causatole dalla birra. Entrambi
erano di spalle, ma Avier doveva avere gli occhi anche dietro la
schiena, perché si girò non appena furono vicini
“Ma
guarda chi ci segue”
“Ehi,
cosa fate qui? Non sapete starvene al vostro posto?” Sissi
tornava
altezzosa come sempre in presenza dei Guerrieri, causando il loro
evidente fastidio. Questo comportamento però
infastidì molto di più
Avier, che decise di allontanarsi e lasciarli proseguire senza il suo
intervento. Un po’ per la capacità del ragazzo di
apparire e
sparire senza dare nell’occhio, un po’
perché erano
effettivamente presi dal lanciarsi frecciatine a vicenda, nessuno
notò la sua scomparsa.
Il
russo non andò molto lontano, giusto il tempo di fare altri
duecento
metri prima che la sua attenzione venisse totalmente assorbita da
quello che stava verificandosi in un locale. Un luogo piccolo e
squallido, con una manciata di avventori tutti con dell’alcol
in
corpo. Fin qui nulla di interessante per il ragazzo, però il
posto
aveva anche un karaoke. Uno di quegli uomini, uno smilzo e dalla
faccia poco rassicurante, si apprestò a cantare una canzone
sapendo
di non avere il minimo talento e volendo solo fare il cafone gridando
e facendo versacci nel microfono. Di tutte le canzoni al mondo,
scelse l’unica che Avier non avrebbe voluto sentire cantata
così:
My way di Frank Sinatra.
La
riconobbe subito dalle prime note, la sapeva a memoria. I primi
accordi lo portarono in uno di quegli stati dissociativi in cui si
perdeva in se stesso e migliaia di immagini gli tornavano alla
testa. Cose che non voleva ricordare, cose che non avrebbe dovuto
ricordare. Fosse stato solo quello, dopo qualche secondo si sarebbe
risvegliato, tornando quello di sempre. Ma fu quando
quell’uomo
iniziò a violentare la canzone che qualcosa si ruppe dentro
il
russo. Come se il suo passato, i suoi ricordi, la sua stessa mente
fosse stata ridicolizzata e stuprata. Vittima di una violenza che
riapriva ferite nascoste, causando dolori tremendi. Una rabbia
germogliò dentro di lui, qualcosa di insostenibile, di
incontrollabile.
“Nessuno
insulta la mia Mary. Nessuno. No, nessuno lo fa”
disse in russo
a sé stesso, sottovoce. Poi diresse di nuovo lo sguardo
verso l’uomo
che cantava, ci fu un momento in cui il tempo sembrò
congelarsi,
come se l’Universo intero non potesse razionalizzare quello
che
stava verificandosi. Poi le sue emozioni scoppiarono
“TI
AMMAZZO! IO TI AMMAZZO!” gridò così
forte che lo sentirono lungo
tutta la strada, Sissi e Guerrieri Lyoko compresi. Lasciò
cadere la
busta con la bottiglia di vodka e gettò
sull’asfalto il
bicchiere, riducendolo in mille pezzi e facendo schizzare ovunque il
liquore contenuto. Poi iniziò a dirigersi verso il locale,
gli
uomini al suo interno non erano per niente spaventati. Anzi,
l’uomo
che cantava lo derise
“Non
passa giorno che non si incontrino squilibrati qui” disse
ridendo,
anche gli uomini attorno a lui sorrisero, più a comando che
per
divertimento
“Smettila
di cantare o ti ammazzo” disse Avier una volta entrato. La
sua voce
si era abbassata, ma il suo tono era ancora furente. Il suo
interlocutore non fece il minimo cenno, scese dal palco del karaoke e
iniziò ad avvicinarsi al russo.
“Senti
ragazzetto, sei venuto dall’Albania solo per darmi
fastidio?”
Avier non rispose, i suoi occhi erano iniettati di sangue ma
guardavano nel vuoto, il suo respiro era lento e affaticato, le sue
mani tremavano. L’errore commesso sulla sua
nazionalità lo aveva
innervosito, ma per il resto ciò che gli passava per la
testa era
indecifrabile.
“Io
ti ammazzo” disse di nuovo, il suo tono di voce non era
cambiato.
Eppure non faceva nulla, se ne stava semplicemente immobile. Non era
una buona idea, non lo avrebbe portato da nessuna parte. Che cosa
voleva fare? La verità è che non lo capiva
neanche lui. C’era
qualcosa dentro di lui che non comprendeva, ma che non poteva fare a
meno di assecondare.
Il
suo interlocutore, nel frattempo, aveva perso la pazienza
“Non
fai paura a nessuno” e dopo aver detto questo, gli diede uno
spintone. Avier non oppose resistenza, ma poco sarebbe cambiato se lo
avesse fatto. Rovinò a terra sbattendo con la schiena sulle
mattonelle del pavimento e con la spalla su una sedia di legno,
provò
dolore e iniziò a massaggiarsi i punti colpiti.
“Non
so chi tu sia o cosa tu abbia in testa. Ma non me starò a
sentire le
tue idiozie. Alzati e vattene da qui, sempre che tu non voglia fare
la strada a calci” gli altri presenti iniziarono a ridere,
sempre
in modo non spontaneo. Erano chiaramente tutti amici di quel tipo,
solo il barista cercò di opporsi
“Raoul…
Perché te la prendi con un ragazzino? Non fargli
male”
“Questo
dice che mi ammazzerà e dovrei rimanere impassibile? Per me
è
abbastanza grande da capire come ci si comporta”
“Chto
ya khochu, ya poluchu eto” disse Avier sottovoce
mentre si
rialzava. Le sue mani tremarono ancora di più e il suo
respiro si
era fatto più irregolare. Raoul lo aveva sentito
“Che
hai detto scusa?” mosse un passo per avvicinarsi al ragazzo
“Ski
ank, to rok” Avier venne preso per la collottola
e sollevato
in aria. A quell’uomo non piaceva che le cose non gli
venissero
dette in faccia
“Abbi
il coraggio di parlarmi, ragazzetto”
“Ciò
che voglio, lo ottengo”
In
quel momento, qualcosa cambiò
????????-???????????-??????????
>Do-ktu-na
Avier, inakta-in. Nek-to asken. Dak-te-ni?<
Dalle
pareti di metallo una decina di sinuose braccia metalliche, simili a
cavi animati o tentacoli di metallo, si diressero verso la figura
femminile e ne bloccarono i movimenti. Poi la sollevarono in aria,
due di essi aveva alle estremità una serie di elettrodi che
iniziarono ad avvicinarsi lentamente alla testa della donna,
spaventandola
“Ak-tu-na
Avier.
Mer
ni-le-nan, ni-le-on.
Inokta! Ni-inokta! An-mi-rin”
>Ona
lina ka-ta<
La
donna venne calata e liberata dai cavi, permettendole di avvicinarsi
a uno schermo collegato a una serie di dispositivi. Le era stata data
un’ultima possibilità
“Omis
katrà Avier?” disse
mentre si avvicinava
?????????????-???????????
Un
sentore di panico si diffuse fra coloro che gestivano
quell’operazione, un
panico anomalo.
Subito dopo ci
fu un andirivieni, tutti controllarono se fosse
successo davvero quello che pensavano. Quando ebbero i risultati, si
diressero verso il loro superiore
“Akertosh
Brealwunt, din arm aluken AZRWS345. Morò Niktor din
lonia?”
“Anì
nikta amnia ikrunia”
“Anarkal
ormen dinnè?”
“Fir
losk. Lì nik ander”
Terra
– Francia – Parigi – Fabbrica abbandonata
– Ore 00:00
La
figura esile si era appisolata sulla poltroncina, la luce del monitor
gli illuminava la pelle bianca del volto. Improvvisamente un panico
innaturale gli fece spalancare gli occhi, per un attimo si
sentì
minacciato da un pericolo indefinibile, ebbe paura di morire
“Morò
din Swarker? Alearkit? Wo nà? Anì
rimankar!”
Tornò
a digitare ancora più velocemente di quanto avesse fatto
prima di
addormentarsi
Dintorni
del cinema L’Arc en ciel –
Dalle ore 00:00:15 alle ore
00:02
I
Guerrieri Lyoko e Sissi avevano raggiunto il posto quando Avier era
già entrato nel locale e aveva già iniziato a
discutere con l’uomo
al suo interno. Sarebbero voluti entrare per chiedergli cosa stesse
facendo, per farlo smettere. Ma qualcosa glielo aveva impedito,
facendoli rimanere impalati ad osservarlo, come in trance,
dall’altro
lato della strada. Poi, per un momento, ci fu come un vuoto, un
momento di bianco. Quando si ripresero, Avier era uscito dal locale e
gli uomini presenti al suo interno stavano fuggendo. I loro volti
erano bianchi e tremavano di terrore, tra di loro si dicevano frasi
sconnesse e confuse, l’argomento sembrò essere
l’aver visto la
Morte.
Il
ragazzo russo si diresse verso la bottiglia di liquore che aveva
lasciato a terra e la prese in mano.
“Che
diavolo è successo?” domandò William,
il ragazzo non gli rispose
subito. Stava tremando, come le persone che erano uscite dal locale,
ma il suo terrore aveva qualcosa di diverso. Più che paura
sembrava…
Angoscia, ma chissà di cosa.
“Stavano
cantando male una canzone speciale… Non mi è
piaciuto… Mi sono
innervosito…” tremava così tanto che
non riusciva ad esprimersi,
la sua voce era più bassa del solito.
“PORCA
PUTTANA! Innervosito? Hai minacciato di morte della gente” il
ragazzo sobbalzò all’alzare di voce di William,
come se
improvvisamente lo spaventassero i rumori alti. Il suo volto
iniziò
a rigarsi di lacrime
“Ehi,
ehi! Che ti prende?” non capì perché si
stesse genuinamente
preoccupando per Avier. Non aveva fatto nulla per stargli simpatico e
sapeva pure troppo sul suo conto, eppure gli fece male vederlo
così.
Come se tutte quelle emozioni non appartenessero al ragazzo e non
dovesse provarle
“Non
lo so… Ho sbagliato… Qualcosa… Ho
fatto qualcosa di sbagliato”
poi stappò la bottiglia di vodka e se
l’avvicinò alle labbra
iniziando a bere senza sorseggiare. Vedendo questo William
tentò di
strappargli la bottiglia di mano. Cazzo! Questa non
è acqua
pensò, ma Avier fu fulmineo. Gli fece uno sgambetto
facendolo
rovinare a terra, poi iniziò ad allontanarsi
“Lasciatemi
in pace” disse prima di incominciare a correre. Avier
recuperava in
rapidità quello che non aveva in robustezza, era un fulmine.
In
pochi secondi fece un mucchio di strada e lo persero di vista
“RAZZA
DI PSICOPATICO! Me ne torno in camera” non fu William, ma
Sissi.
Era in lacrime, quel ragazzo gli era sembrato così
affascinante e
interessante, invece era solo molto strano, probabilmente pazzo. Non
si era mai sentita così delusa e ferita in vita sua,
iniziò ad
andarsene via anche lei correndo nel senso opposto, gli occhi le si
stava arrossando per le lacrime. Quella notte avrebbe pianto a
dirotto.
“Lo
dobbiamo seguire?” domandò Ulrich
“Certo
che si! Se continuerà a bere vodka come succo
d’arancia a breve
finirà in coma etilico. Rischia di morire! Non voglio morti
sulla
coscienza. E se deve proprio morire, deve essere per mano
mia” il
gruppo iniziò a correre lunga la strada che aveva percorso
Avier,
nella speranza di raggiungerlo.
Quella
notte si stava rivelando molto più lunga dei loro programmi
Verso
il Parc Monroe – Dalle ore 00:05 alle ore
00:15
Corri
Avier, corri più veloce.
Corri,
scappa.
Ma
dove corri?
Da
cosa scappi?
Non
lo sai, non c’è nulla che sai. Nulla capisci nel
mare di emozioni
che è la tua mente. Tutto confuso, tutto annebbiato. Non
è l’alcol
che ti scorre in corpo, non è il sonno della notte. Qualcosa
non va,
qualcosa non torna. Non ti piace, non ti piace affatto.
Il
mondo attorno a te si distorce. Le strade sembrano continuare
all’infinito. Interminabili rettilinei che raggiungono
l’orizzonte.
I palazzi sono così grandi e si chinano verso di te. Tutto
si
contorce come carta, prende pieghe strane e impossibili. Le geometrie
cambiano, si moltiplicano, si annullano. Nulla ha senso, tutto
è
perduto.
Corri
Avier, come il vento corri. Come quando gli uomini cattivi ti
dicevano Via da qui, fuori dal territorio e tu
correvi
lontano. Abbastanza lontano da essere salvo, ora corri di nuovo
Avier. Corri sempre, corri di più.
Quanti
suoni in questa notte? Quante persone? Quante luci? Solo le stelle
dovrebbero illuminare il buio. Dove sono ora? Non le vedi,
c’è
troppa luce. Eppure le rivuoi, le stelle che osservavi, che
apprezzavi. Puntavi il dito e ne dicevi i nomi. E quelli che non
ricordavi te li diceva lei. Lei era sempre con te, anche quando non
c’era. Dov’è lei?
Attraversi
la strada fuori dalle strisce, fuori dalle regole. Un auto frena di
botto, lo stridore ti spaventa, il veicolo ti spaventa. Salti in
avanti e atterri sul marciapiede riparandoti il volto con le braccia.
L’asfalto è duro, ti fa male. Che
diavolo fai? Ti grida
l’autista. Tu non lo ascolti, tu corri e te ne vai
Un
parco. Ti piacciono i parchi, ci passavi tanto tempo. Corri al suo
interno, ti senti in una bolla. Non ti sei allontanato molto, ma i
rumori della città si fanno sempre più ovattati.
Questo ti
tranquillizza, la città non ti appartiene.
Uno
specchio d’acqua. Un piccolo laghetto, ti ricorda il passato.
È
piccolo, ma assomiglia a quelli dove te ne stavi seduto con lei. Lei
ti abbracciava e di notte indicava il cielo. Un giorno lo
raggiungeremo, un giorno saremo felici ti disse. Lo ricordi
bene,
altre lacrime rigano il tuo volto
Ti
avvicini al lago, il tuo telefono squilla. Rispondi
“Piccolo
bambino…”
“Dove
sei? Come stai?”
“Ssssssh!
Ascolta
Somewhere
over the rainbow
Way
up high
And
the dreams that you dream of
Once
in a lullaby”
Cullato
da ciò che ti mancava. Tutto ti sembra tornare alla
normalità, non
hai più paura di nulla. Ciò che vuoi lo otterrai.
Ora ti senti solo
stordito, stanco. Hai sonno
Chiudi
gli occhi un attimo e ti lasci cadere nel lago. Ti senti cullato, ti
senti al sicuro
Parc
Monroe – Dalle ore 00:47 alle ore 1:10
Seguire
la strada percorsa da Avier si era rivelato molto semplice e molto
complicato allo stesso tempo. Il suo comportamento era stato notato
da molti testimoni, persone che capirono subito chi fosse
l’individuo
descritto nelle domande dei Guerrieri Lyoko. Al contempo, aveva
seguito un percorso arzigogolato e privo di logica, correndo lungo
strade e stradine di ogni tipo. Era riuscito addirittura ad entrare
in una pizzeria, attraversare tutto il locale e uscire dalla porta di
servizio della cucina. Tutto questo con una rapidità tale da
non
venir placcato dagli inservienti.
Alla
fine trovarono un uomo che disse di averlo visto venire quasi
investito da una macchina e poi entrare nel Parc Monroe.
I
ragazzi ora stavano setacciando il luogo in preda al panico e
gridando il suo nome. Non trovandolo e non ricevendo risposta,
iniziarono a farsi prendere dall’ansia
“Sicuri
che abbiamo seguito la strada giusta? Forse dovremmo chiamare la
polizia?” a esprimere queste preoccupazioni fu Aelita, era di
gran
lunga la più terrorizzata del gruppo. Questo non piacque a
Jeremy,
nonostante la situazione, si sentiva terrificantemente geloso.
Perché
era così affezionata a quel ragazzo? Perché?
“Non
lo so. Però deve essere qui, quel tipo non passa
inosservato. Non
possono essersi sbagliati” le rispose Yumi, il gruppo intanto
continuò a setacciare fino a quando Ulrich fece cenno di
fare
silenzio
“Cos’è
questo rumore?” si riferì a un suono basso e
regolare che si
sentiva in lontananza, ad Odd sembrò il russare di un
bisonte. Per
metà aveva indovinato
“L’ABBIAMO
TROVATO! Riconoscerei questo suono infernale ovunque”
gridò
Jeremy. Avier era l’unico capace di fare un baccano simile
mentre
dormiva.
Si
diressero verso la fonte del suono e lo trovarono. Era vicino al
lago, steso sul fianco sinistro e rannicchiato in posizione fetale. A
un metro da lui c’era una macchia di vomito e Ulrich
notò anche la
bottiglia di vodka immersa per metà nelle acque del
laghetto.
William
gli si avvicinò subito e iniziò a scuoterlo
“Ehi,
ci sei? Svegliati, ti prego” il ragazzo aprì gli
occhi lentamente,
per un attimo restò in silenzio guardandosi intorno
stordito. Poi
reagì di colpo, in modo teatrale e caricato
“Mi
shei mancaaato hic beeel ragassshooneee”
“Okay…
Almeno sei vivo” commentò stranito William, prima
che aiutasse il
russo a rialzarsi. L’ubriachezza (anche se sembrava
più fatto che
sbronzo) aveva reso Avier la caricatura di sé stesso.
Continuava a
ridacchiare e a sorridere come un imbecille, agitava le braccia anche
quando non parlava e la sua voce riusciva ad essere sia molto lenta
che per nulla chiara. In poche parole, era ridotto malissimo
“Riesci
a reggerti in piedi?” gli domandò Ulrich vedendolo
oscillare
pericolosamente dopo essersi rialzato. Avier gli fece un sorriso
distorto dall’alcol e rispose
“Ceeerto!
Shto beeenisshimo” immediatamente dopo il suo volto divenne
ancora
più pallido di quanto non fosse, si piegò in
avanti e vomitò tutto
in un colpo una massa liquida fatta di vodka e resti di popcorn.
Venne fuori con un effetto esplosivo, schizzando sui vestiti che
indossava e atterrando sopra le sue scarpe. Uno spettacolo per niente
piacevole
“Forsheee
non shto hic così beene”
disse muovendosi in avanti di un
paio di passi e rischiando di precipitare a terra per la mancanza di
equilibrio. William lo afferrò prima che si facesse male e
lo fece
appoggiare sulle sue spalle. Nella sua mente maledì il
ragazzo che,
tra acqua e vomito, gli stava sporcando una maglia comprata solo tre
giorni prima. Al gruppo si limitò solo a dire
“Riportiamolo
al Kadic prima che si faccia l’alba”
Liceo
Kadic – Dalle ore 2:03 alle ore 2:40
Il
viaggio dal Parc Monroe al liceo Kadic fu a dir
poco mistico,
con i Guerrieri Lyoko uno più stanco dell’altro
nel mentre per
tutto il tragitto Avier parlò a manetta. Ma proprio a
manetta!
Nessuno lo aveva mai visto parlare così tanto in
così poco tempo,
neanche i quattro del Kadic che, volenti o nolenti, lo conoscevano
bene. E la cosa più incredibile non fu questa improvvisa
logorrea,
ma il fatto che nella mole di argomenti che tirò fuori, non
ce ne
fosse uno che non fosse una cazzata assurda! Tra vittorie in gare di
rutti, libri messi al contrario nelle librerie per antipatia verso
l’autore e furti di santini, ormai la mente di Avier navigava
in
mari fuori dalla comprensione umana. Riuscì a parlare per un
quarto
d’ora del suo odio per il colore magenta, descrivendo con
trasporto
motivazioni deliranti e biascicate in modo che non si capisse bene
cosa stesse effettivamente dicendo. In qualche modo c’entrava
qualcosa una TV sintonizzata su un documentario sulle alci, quattro
asiatici e una partita a teresina.
Nonostante
tutto, arrivarono davanti al Kadick. William e Yumi si sentirono
presi da una strana nostalgia rivedendo il cancello di ingresso del
Kadic. Quanti ricordi rievocava quella scuola, troppi per dei
semplici studenti. Però, non era il momento di farsi
prendere dalla
nostalgia, proprio no.
“Okay,
noi non possiamo entrare. Chi lo afferra? Jeremy!” il ragazzo
provò
a protestare, ma William gli spinse contro Avier che mosse due passi
prima di atterrargli addosso aggrappandosi alle sue spalle. Ora a
dover lavare i propri panni erano in tre.
“Direi
che questa serata è stata molto più lunga di
quanto potessimo
programmare. Meglio che ci salutiamo, domani ditemi se è
sopravvissuto”
“Lo
faremo” i due gruppi si salutarono e poi si separarono. I
quattro
del Kadic rientrarono nell’edificio scolastico e
attraversarono i
corridoi cercando di fare meno casino possibile. Ci mancava soltanto
che qualche prof si svegliasse e li vedesse.
Alla
fine arrivarono davanti la camera di Avier e Jeremy
“Aelita,
tu va a dormire. Noi spogliamo la spia russa e gli
facciamo
una doccia” fu Jeremy a parlare, la ragazza stette per
rispondere
quando Avier interruppe la discussione. Quello che aveva appena detto
Jeremy gli donò un barlume di lucidità
“Io…
Io lo posso fare da solo”
“No
che non puoi! Non stai in piedi. Rischi di spezzarti qualche
osso”
“Non
voglio che lo facciate voi” si tolse da Jeremy e
cercò di andare
via, ma dopo qualche passo dovette appoggiarsi alla parete. Il mondo
gli sembrava camminare in direzione opposte a quelle che lui
percorreva, ogni passo rischiava di cadere.
“Ma
ti sembra il caso di fare storie?”
“Si”
Jeremy fu quasi sul punto di tirargli un pugno, il che testimoniava
quanto fosse stressato siccome tutto si poteva dire tranne che fosse
violento. Aelita riuscì a fermarlo e scelse la via
diplomatica, al
suo ragazzo non piaceva tutta questa disponibilità nei
confronti di
Avier, ma non poté farci nulla
“Il
tuo corpo ha qualcosa che non va?” domandò la
ragazza. Il ragazzo
restò in silenzio, stava tremando di nuovo, ma questa volta
sembrò
più agitato che spaventato. Dopo un po’ fece un si
con la
testa
“Che
cosa?”
“Io…
Non voglio…”
“Non
credo ti faccia bene nascondere le cose” Avier ci mise di
nuovo
tempo a rispondere, era chiaramente combattuto. Alla fine
però
cedette
“Mary
diceva che i segreti non esistono, che tutto può venir
scoperto se
si sa cercare. Forse è meglio che vi risparmi la fatica di
farlo”
“Mary
sarebbe tua madre?” domandò Odd, era davvero
curioso di saperlo. E
le motivazioni gliele disse Avier stesso, spaventandolo come sempre
“Perché
un russo dal nome spagnolo vuole bene a una donna inglese? Un bel
rompicapo. Non tanto bello quanto la sua foto però. Lei era
fantastica… Sto divagando!” fece uno scossone con
la testa. Il
non essere sobrio a quanto pare gli dava fastidio, era solo bravo a
non darlo a vedere
“Comunque,
no. Non è mia madre, magari lo fosse stato. Per ora
è il
personaggio di una storia, una storia che dovrò raccontarvi
quando
mi avrete visto senza maglia. Anche se non lo voglio fare adesso, ho
più sonno di voi in realtà” il discorso
stranì i ragazzi poiché
abbastanza confusionario e vago, ma cosa aspettarsi da un ubriaco
dopotutto? Era già incredibile che avesse quella
lucidità in quel
momento. Si fece accompagnare nella stanza e si mise a sedere sul suo
letto.
Dopo
una decina di secondi di pausa, Avier iniziò a togliersi la
canottiera dai pantaloni. Lo fece lentamente e tremando, come se gli
costasse fatica. Il gruppo si aspettò quindi che ci avrebbe
messo
molto tempo, ma il ragazzo fu capace di sorprenderli come sempre.
Riuscì a togliersi felpa e canottiera in un unico movimento
fulmineo, voleva liberarsi di quel peso al più presto.
E
loro videro.
La
pelle di Avier era deturpata da una quantità spaventosa di
cicatrici. Erano di forme, dimensioni e tipi diversi, ed erano
abbastanza da causare forte sgomento. Si trovavano ovunque, dalle
clavicole a sopra l’inguine, lungo le braccia e dietro la
schiena.
Ovunque.
Molte
erano piccole e accumulate in un’area breve, degli squarci
causati
da oggetti che hanno colpito più volte nello stesso punto.
Ve
n’erano poi di dimensioni maggiori e che sembravano colpi di
frusta, la maggior parte si trovavano sulla schiena. Sulla schiena,
così come lungo le braccia e sui fianchi, si trovavano anche
graffi
di unghie umane, alcuni così profondi da sembrare causati da
un
animale, ma non lo erano. Infine, un grosso taglio gli partiva dalla
spalla sinistra e scendeva in diagonale fermandosi poco sopra il
relativo capezzolo. Osservandolo non si notava solo il tessuto
cicatrizzale del taglio stesso, ma anche quello dei punti di sutura
serviti per chiuderlo.
Il
gruppo rimase sconvolto, lo guardarono con gli occhi spalancati non
sapendo cosa pensare. Si sentirono male, in colpa anche. Il ragazzo
invece apparve innaturalmente tranquillo, come se dopo il primo
ostacolo gli fosse tutto più facile. Continuò a
parlare
“Ne
ho anche sulle gambe. Però non mi abbasso i pantaloni,
dopotutto
c’è… m’lady.
Però…” si tolse la scarpa dal piede
destro rivelando uno degli spessi calzettoni che indossava sempre,
anche mentre dormiva, e se lo tolse. Il piede aveva quattro dita, il
mignolo mancava, al suo posto c’era del tessuto cicatrizzato.
Inoltre, sul quarto dito del piede c’era quella che sembrava
una
grossa ustione.
Aelita,
già provata dalla visione, scoppiò in lacrime.
Gli altri non lo
fecero, ma ci mancò poco. Paradossalmente, ora il
più tranquillo di
tutti era Avier. Non sorrideva, se ne stava fisso a guardare verso il
basso e non era chiaro a cosa pensasse. Ma non era agitato, non
più.
“Ma
come… Come è possibile?”
domandò Odd, venendo immediatamente
zittito dal ragazzo
“Domani.
Ho detto domani. Ora voglio lavarmi, voglio dormire”
Jeremy
lo aiutò a fare quello. I due non si parlarono per tutto il
tempo,
non osavano aprire bocca su nulla. Poco dopo erano entrambi nella
stanza, il ragazzo russo si era messo sul suo letto nella stessa
posizione fetale in cui lo avevano trovato nel parco. Quella notte
non russava fortissimo come sempre, ma Jeremy non era
dell’umore
adatto per rallegrarsi.
“A
domani, Avier”
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Capitolo 5 *** Capitolo 4: Passato e presente ***
Lenkerthen Lyoko Cap 4
Terra
– Francia – Parigi – Domenica 18
Settembre 2005 – Ore 15:22
“Huy!
Mi sento tutta
l’Armata Russa
marciarmi in testa” fu questa la prima frase che disse Avier
non
appena si svegliò. Il capo
gli pulsava in un’emicrania lancinante che gli rese
difficile anche solo pensare, si sentiva disidratato come un profugo
nel
deserto e debole come un malato terminale. Quello era il peggior post
sbornia della sua vita,
ma
non era nulla
a confronto
dell’orticaria
che piagava la sua pelle. Cadere nel lago e farsi quella doccia
così
lunga la sera precedente avevano scatenato il peggio nella sua cute,
che ora era arrossata come non
mai e piena
di piccoli ponfi
nelle zone più sensibili. E
prudeva,
prudeva
terribilmente. Se avesse passato la notte nudo in un cumulo di lana,
non avrebbe sentito neanche
la metà di
quell’irritazione
infernale.
“Ehi,
come ti senti?” la voce di Jeremy fece sobbalzare il ragazzo,
la
sua mente era così confusa che
si era
dimenticato di avere
un compagno di stanza. Si
girò verso di lui, il ragazzo indossava
una camicia
a quadri neri e
rossi e un paio di pantaloni beige. Nel suo stato confusionale, Avier
vide qualcosa di profondamente interessante in quei pantaloni. Non
sapeva cosa, ma iniziò a fissarli intensamente, come
incantato. Il
suo sguardo però era puntato in modo un po’
infelice
“Mi
stai guardando il pacco?” il russo sobbalzò di
nuovo, poi ricadde
con la testa sul cuscino e iniziò a parlare fissando il
soffitto
“Ehi!
Ma da quando ti esprimi così? C’entra la mia
influenza? Forse è
meglio che non parli di questa amicizia a tua madre”
“Chiamala
amicizia… Vedo che ti sei ripreso comunque”
“Se
fossi al posto mio, capiresti che vorrei non averlo fatto” si
risollevò di nuovo stringendosi la fronte per il dolore e si
mise a
gambe incrociate sul letto, poi prese il suo borsone e
iniziò a
frugarci dentro
“Ti
serve qualcosa?” domandò Jeremy con tono
sinceramente preoccupato,
non poteva negare di sentirsi più accondiscendente nei
confronti del russo. Dopo quello che aveva visto, non riusciva ad
odiarlo. Non che gli stesse simpatico, ma non lo odiava.
“Acqua.
Tanta acqua” disse mentre estraeva un barattolo di crema per
la
pelle e una confezione di antistaminico dalla borsa. Jeremy fece per
andarsene, quando si fermò a metà strada
“Riguardo
ciò che hai detto ieri sera…”
“Lo
farò, l’ho promesso” il tono di Avier si
fece più basso e
serio, anche il suo volto perse quel tono di costante esaltazione che
lo caratterizzava. Per quanto fosse ovvio, capì come
l’argomento
fosse davvero pesante.
Jeremy
non ebbe altro da dirgli, ma Avier lo chiamò quando fu sulla
soglia
della porta, facendolo fermare
“Si?”
“Solo
una cosa. Potreste perdere dieci minuti prima di venire qui? Mi devo
spalmare questa crema. Non sia mai apriate la porta mentre la
strofino sulle…”
“Ho
capito”
Quando
Jeremy tornò con le bottiglie d’acqua e gli altri
tre Guerrieri
erano passati più di dieci minuti, ma preferì
bussare lo stesso.
Il
silenzio che si fece in quella stanza fu quasi innaturale, i quattro
se ne stavano seduti sul letto di Jeremy mentre sul suo Avier si
era messo a
gambe incrociate.
Solo i rumori provenienti
dall’esterno rompevano quel silenzio, si
sentivano
degli uccellini cantare e il vociare di alcune persone nella
scuola. Il Sole splendeva forte e la sua luce filtrava attraverso la
finestra, il cielo era sereno con solo qualche nuvola bianca candida
a decorarlo. Era una così bella giornata, perché
doverla
rovinarla con quella storia? Questi erano i pensieri di Avier in quel
preciso momento, forse dovuti al suo voler sfuggire a quella
promessa, a quell’obbligo. Però no, le cose
dovevano andare così.
C’era solo un’ultima cosa da fare, un ultimo gesto
prima di
iniziare.
“Dobbiamo
fare un patto”
“Che
genere di patto?” domandò Ulrich, stranamente non
acido come
sempre. Anche lui era rimasto scosso da ciò che aveva visto
la sera
prima.
“Un
patto da gentiluomini. Voi
quattro dovete essere gli unici a sapere la mia storia. E ripeto, GLI
UNICI. Né
i vostri altri due amici, né qualsiasi altro essere vivente
fuori
questa stanza deve saperla se non vi autorizzo io. Chiaro?”
sapeva
tanto di una minaccia e
il suo tono di voce non rassicurava. Si alzò in piedi e
allungò la
mano destra davanti a sé, i ragazzi apparvero confusi. Il
ragazzo
spiegò subito
“Stringetemi
la mano, tutti. Così sigliamo il patto. Si
vis pacem…”
Jeremy si alzò, guardò confuso il ragazzo e poi
gli strinse la mano
“…para
bellum?”
aggiunse con tono
incerto. Avier gli sorrise e gli pizzicò la guancia con fare
amichevole
“Bravo
il mio sapientone”
Dopo
pochi secondi tutti ebbero eseguito quel rituale. Avier
sentì di
non aver più nessuna scusa per rimanere in silenzio, si mise
a
sedere sul bordo del letto, giunse le mani incrociando le dita e
iniziò a raccontare
“Dunque…”
[Racconto
di Avier] – Russia – Dal 1988 al 2004
-Vladivostok
Il
mio nome è Avier Antonovic Anisimov. Immagino proprio che
questo lo
sappiate già. Eppure, mi fa sempre strano constatare come
nasconda
una storia così lunga. La mia storia.
Come
rivela il patronimico, mio padre si chiamava Anton. Anton Mikahilovic
Anisimov per l’esattezza. Un uomo greve e volgare, aveva
passato la
sua vita a pulire i cessi della metropolitana, a spazzare
l’immondizia dalle strade e a incazzarsi con gli altri. Mia
madre
si chiamava invece Alma Gutiérrez, di famiglia spagnola
arrivata in
Russia per qualche motivo. Non ho mai saputo quale, così
come non ho
mai saputo come abbia incontrato mio padre, o se lo avesse mai amato,
o se papà avesse mai amato lei. Sulle ultime due, posso dire
che
tutto quello che so mi porta a pensare che non abbiano mai provato
nulla tra loro. A partire dalla mia nascita: i miei genitori si sono
sposati il 7 Ottobre del 1987, io sono nato 24 Aprile del 1988.
Capirete che, per quanto io sia gracile, dubito fortemente di essere
nato prematuro di due mesi.
Il
mio primo ricordo sono le urla di mia madre, un misto di rabbia e
disperazione che sembrava come distorcerla, rendeva la sua voce
sofferente e le consumava i nervi. Mio padre invece parlava poco, lui
alzava la voce una volta sola e poi passava alle mani. Lo fece anche
quella volta, diede un pugno a mia madre così forte che
rimbombò
per tutta la casa. Alle sue grida di rabbia e disperazione si unirono
quelle di dolore, facevano spavento. Solo mio padre riusciva a
rimanere indifferente davanti quello che causava, se ne andò
di casa
quella sera. Non sarebbe scappato, non lo faceva mai. Se ne stava
semplicemente lontano da lì per un po’, poi
tornava che puzzava di
alcol. Non so cosa sperasse di ottenere facendo così, di
certo non
si calmava.
Quando
se ne fu uscito, mia madre pianse ancora per un quarto d’ora,
poi
entrò nella mia camera. Io me ne stavo sotto le coperte,
avevo solo
quattro anni e pensavo che, così facendo, sarei stato
protetto dalle
paure e dai pericoli del mondo. Quel giorno imparai che non era
così.
Mia madre entrò nella mia camera e si mise ad abbracciarmi,
vorrei
dire che lo fece per rassicurarmi, ma neanche questo è
così. Ero
così piccolo, eppure già lo sospettavo, oggi ne
ho la certezza. Lei
non voleva che io mi sentissi meglio, voleva sentirsi meglio lei.
Magari pensava che avessi qualche superpotere del cazzo, che guarissi
al contatto. Che cazzo ne so!
Non
funzionò comunque, lei si innervosì ancora di
più, voleva
sfogarsi. Iniziò a stringere il braccio che mi stava
accarezzando,
poi infilò le unghie e mi graffiò. Ricordo ancora
la carne che si
apre e il sangue che inizia a colare, ed io che piango. Lei mi diceva
“Mi dispiace”, ma con uno sguardo… Uno
sguardo… Non lo riesco
a definire. Era come se dicesse “Mi dispiace che tu esista
solo per
soffrire”. Per lei, per mio padre, per i miei genitori non
ero
niente. Un incidente di percorso, un problema. Il mio primo ricordo
sono io che piango e mi sento incazzato allo stesso tempo, tradito
dalle stesse persone che avrebbero dovuto crescermi.
Quella
sera mi portò nel bagno per medicarmi, il pigiama si era
sporcato di
sangue e me lo fece togliere. Vidi il mio petto, c’erano
già dei
lividi. Sapevo di non essermeli fatti da solo, ma non ricordavo
quando mi erano stati provocati. È quello che pensate, avevo
solo
quattro anni e venivo già picchiato.
Il
futuro non poteva essere radioso, infatti non lo fu.
Crescere abituati al dolore, ai colpi di cinghia di mio padre, alle
unghiate di mia
madre. Alle urla, alle lacrime, al sangue… Non è
naturale, non lo
è affatto. La
paura che provavo… Io… Non riesco a descriverla.
So solo che
iniziai ad odiare la realtà, me ne volevo allontanare ogni
volta che
potevo. Parlavo poco, il meno possibile. A scuola non avevo amici,
non avevo neanche contatti, a malapena ascoltavo quello che dicevano
le maestre. Loro non si interessavano a
me dopotutto, non facevano mai domande nonostante vedessero che ci
fosse qualcosa di strano in me. Io so che lo vedevano!
Leggevo
molto, di tutto. La lettura mi tranquillizzava, mi teneva lontano dai
pericoli, mi illudeva di poter scappare. Ero troppo debole per
pensare di andarmene sul serio, di scappare da quella casa. Non
sapevo che fare, dove andare, come sopravvivere. Quindi rimanevo in
stallo, bloccato a non fare nulla. Mi sento così stupido!
E
il tempo passava, io diventavo più alto, le cicatrici aumentavano,
così come il mio odio. Ero ormai una sorta di schizofrenico,
non
riuscivo più a controllare ciò che mi passava per
la testa. Ero
pieno di tic, strizzavo gli occhi, facevo colpire le dita tra loro e
avevo spasmi facciali. Eppure non avevo il coraggio di fuggire o
di ribellarmi, non ci riuscivo. Sapevo di dover fare qualcosa, ma
avevo paura. Come cazzo potevo essere così imbecille? Ogni
volta che
ci ripenso me lo domando, me lo ridico in continuazione.
“Avier,
perché ci hai messo così tanto?
PERCHÈ?”. Se Dio esiste, mi deve
tante risposte.
Fatto
sta che un giorno ci riuscii. Ricordo tutto come se fosse ieri, sono
quei momenti della tua vita che dimenticherai solo alla tua morte,
non so se avete presente. Era il 4 Dicembre del 1997, le dieci di
sera. Dieci e ventuno minuti per l’esattezza, avevo visto
l’orologio poco prima che tutto iniziasse. Mio padre quel
giorno
era più incazzato del solito, pare che rischiasse di essere
licenziato poiché se l’era presa con il tipo
sbagliato, sarebbe
stata l’ennesima volta che capitava.
Quel
giorno era armato, aveva una pistola, una classica 9mm con un
caricatore mezzo vuoto. Aveva rubato quell’arma al cadavere
di un
tizio in un vicolo, doveva essere un teppista coinvolto in uno
scontro a fuoco. La sventolava
davanti mia madre minacciando
di sparare se non si fosse
stata
zitta.
Mia
madre pareva
ignorarlo,
era
particolarmente disperata “Moriremo di fame! Sei un
mostro!”
gridava, sempre più forte. Io me ne stavo in un angolo della
stanza,
paralizzato per il terrore. Non riuscivo a muovermi e volevo che
tutto quello finisse. Improvvisamente vidi mia madre afferrare il
braccio armato di mio padre mentre continuava a urlargli contro, lui
reagì d’istinto spingendola a terra ma, senza
accorgersene, fece
partire un colpo. L’arma non era rivolta verso mia madre, ne
tanto
meno verso mio padre, era rivolta verso di me. Ricordo
ancora il rumore dello sparo, il mio gettarmi
a terra in preda a un dolore lancinante al piede e il vedere la
scarpa bucata e grondante di sangue. Fu così che persi
il mignolo del piede destro, un colpo di pistola.
Quel
dolore così forte, così ingiusto. Fece svegliare
qualcosa dentro di
me, mi caricai come di adrenalina, tant’è che
riuscii a rimettermi
in piedi nonostante il dolore tremendo. In
quel momento esplosi, dissi tutto quello che mi era sempre passato
per la testa “Io
vi odio! Dovete morire! Morire!”. Continuai fino a quando non
vidi
mio padre
avvicinarsi
per
cercare di tirarmi un ceffone, di solito rimanevo impalato. Ma vi ho
detto, qualcosa era cambiato dentro di me. Riuscii a muovermi, a
correre. Dal soggiorno alla cucina, fino all’uscita. E poi,
libero.
La
notte era gelida, nevicava fitto e i miei piedi affondavano nella
neve. Provavo dolore a quello ferito, ma era come se non mi
importasse. Volevo soltanto muovere un piede dopo l’altro,
sempre
più veloce, più veloce. Non avevo neanche una
meta, non ero mai
scappato di casa e non avevo pianificato una fuga. Non pensai neanche
di dirigermi verso la stazione e prendere il treno, o di fare
l’autostop, o cose del genere. Continuai semplicemente ad
andare
diritto, attraversai vicoli squallidi e bui, sentii il puzzo della
degradazione, un odore a cui ero abituato ma che mi colpì
particolarmente quella volta. Poi arrivai fuori dalla città,
avevo
corso per almeno un’ora, le forze iniziavano a mancarmi ma
volevo
continuare. C’erano alberi ovunque, alberi altissimi e
ricoperti di
neve. Dal cielo continuava ad aumentare
l’intensità dei fiocchi
che cadevano, il freddo si faceva più aggressivo e io non
ero
vestito nel modo adatto. Lo sentivo consumarmi la pelle, divorarmi le
ossa, togliermi le forze. Se
avessi continuato sarei morto, ma non mi interessava. Mi sentivo
finalmente libero.
Dopo
un po’ mi mancarono le forze e mi accasciai a terra. Sentii i
gelidi cristalli di neve a contatto con il viso, quel freddo
così
intenso da provocare dolore. Ma ero felice, perché avevo
scelto io
di fare tutto quello. Nella morte, sarei stato qualcuno. Quel
qualcuno che avevo sempre voluto essere, che i miei genitori non
riconoscevano, vedendomi solo come il frutto dei loro errori. Non il
nulla, ma Avier Antonovic Anisimov. Morire
sarebbe stata una grande avventura…
“Colpo
di scena”, sono sopravvissuto. Non so come, credo fosse
impossibile
con quel freddo, ma ci riuscii. Sul momento pensai
che tutta la mia sfiga dovesse
venir
compensata
da qualche parte. Però so come continua la mia storia, non
mi sento
fortunato. L’unica
cosa certa è che
quella notte feci
un sogno, una figura angelica. Una donna bellissima, dai lunghi
capelli biondi ed emanante una luce sovrannaturale. Indimenticabile!
Mi
rialzai e
mi fu
chiaro che, continuando per la
foresta innevata,
non sarei andato da nessuna parte. Dovevo tornare in città,
nonostante non volessi, e trovare un modo più intelligente
per
scappare.
Ai tempi ero troppo ingenuo, non riuscii a passare inosservato, non
ero abbastanza scaltro. Un poliziotto mi riconobbe e mi prese di peso
quando tentai di scappare. Io iniziai a piangere, gli implorai di non
riportarmi a casa, lui mi disse che
non lo avrebbe fatto.
Ero
chiaramente confuso, non capii
cosa intendesse. Lui mi spiegò che, durante la notte, il
riscaldamento della casa si era guastato e aveva iniziato a far
fuoriuscire monossido di carbonio. Il monossido di carbonio non ha
odore, non ha sapore, è un veleno silenzioso e subdolo. I
miei
genitori lo avevano respirato tutta la notte senza accorgersene,
intossicandosi e morendone prima
ancora che capissero cosa gli stesse succedendo. E nessuno se ne
sarebbe accorto per giorni non fosse stato per un tipo a cui mio
padre doveva dei soldi. Da giorni diceva che sarebbe entrato con la
forza non avesse ricevuto quello che gli spettava, quella mattina lo
fece davvero, si ritrovò davanti due morti e
denunciò il tutto alla polizia.
Io
invece,
scappando di
casa, mi ero salvato la vita.
Ricordo
ancora il volto del poliziotto quando ebbe finito di raccontarmi
tutto, era sconvolto. Non per l’accaduto, ma per la mia
reazione,
per la mia assenza di reazione. Ero tranquillo come non lo ero mai
stato prima. Avevo perso la mia famiglia e la mia casa, eppure non me
fotteva un cazzo.
-Orfanotrofio
Lev Borisovic Kamenev
C’è
gente che ancora oggi si chiede che cazzo c’entri Lev Kamenev
con
gli orfani, sono convinto che neanche i costruttori di quel posto lo
sapessero. Magari erano tutti ubriachi alla scelta del nome, o
avevano scelto a caso da un libro di storia su uno scaffale. Tutte
teorie che si condividevano tra loro gli orfani, una delle poche cose
divertenti che si poteva fare lì. Per il resto, capii subito
che
quel luogo lo avrei odiato. Non appena misi piede in quella
struttura, mi sembrò di essere a casa. Voi capirete che nel
mio caso
non era una cosa positiva.
Quel
posto era l’Inferno. Mi ero liberato dei miei genitori e mi
trovavo
davanti ad altri soprusi, questa volta si erano moltiplicati. Gli
educatori erano gente senza qualifiche, si trovavano lì solo
per lo
stipendio, era evidente. A quegli esseri non si sarebbe dovuto
affidare un cane, gli avevano dato delle vite umane, dei bambini. Non
si facevano problemi ad essere aggressivi, a picchiarci e umiliarci.
Ricordo
una cosa che mi accadde qualche mese dopo il mio arrivo. Nonostante
avessi nove anni e nonostante i miei trascorsi, non mi ero ancora
temprato abbastanza. C’erano momenti in cui la paura prendeva
il
sopravvento, mi entrava nel corpo come una droga e mi rincoglioniva
totalmente, facendomi perdere il controllo del mio corpo. Una volta
un mio compagno lanciò una cucchiaiata della roba che ci
servivano
alla mensa verso un educatore che passava di lì,
l’uomo si girò e
credette fossi stato io a farlo.
Non
provò neanche ad accettarsi di aver ragione, mi
incolpò e basta.
Ero il capro espiatorio ideale, abbastanza incazzato e ribelle da
odiare le regole e non rispettarle, ma troppo piccolo e novellino per
capire come difendermi al meglio. Quell’uomo mi prese e
iniziò ad
aggredirmi verbalmente, non alzò neanche la mani su di me.
Eppure mi
spaventò tanto, come mai prima d’ora qualcuno era
riuscito a fare.
Era il suo modo di fare, il perché faceva tutto quello. Non
era
stupido e ignorante come mio padre, neanche isterico come mia madre.
No, lui era sadico.
Si
divertiva in quello che faceva, nel vedere soffrire qualcuno
più
piccolo e debole di lui. Quella era l’ultima cosa che non
riuscivo
a concepire, la pura crudeltà. Il piacere nel far del male,
lo vidi
nei suoi occhi e me la feci addosso. Non sto usando metafore, me la
feci LETTERALMENTE addosso.
E
lui se ne accorse. Vide i miei pantaloni inscurirsi, il pavimento
bagnarsi. Vide tutto questo, e sorrise. Mi fece ancora più
paura, ma
non aveva ancora finito. Mi costrinse ad alzarmi, mi abbassò
le
braghe e invitò tutti a guardare quello che era successo, a
ridere
di me. E lo fecero, come cani ammaestrati. Chi per paura, chi per
odio. Tutti presero a deridermi, a darmi del pisciasotto. Ricordo
così bene ogni cosa, sento ancora rigarmi il volto dalle
lacrime.
Non so per quanto tempo piansi in quel momento, ma so che dentro di
me c’era una rabbia, una rabbia incredibile. Una furia cieca
che
non appartiene a un essere umano, figurati a un bambino. Mi dissi che
avrei messo a ferro e fuoco quel posto. Ho mantenuto la
promessa…
Si,
ho dato fuoco a quel posto. Il 16 giugno del 1999, avevo undici anni
e me ne sentivo centoundici addosso. Il tempo in quel posto sembrava
non passare mai, ma io avevo un piano. Quando sei imprigionato,
rinchiuso nelle stesse mura uguali ogni giorno. Inizi a vedere cose
che non noteresti mai altrimenti, piccoli dettagli che sfuggono alle
persone più distratte. Errori, falle, imperfezioni. La mia
mente
iniziò a non provare emozioni, a voler soltanto calcolare
ogni cosa,
ogni passo per il mio obiettivo. Quale obiettivo? L’unico che
contava: la fuga. Avevo solo quella in mente, come se non potessi
pensare ad altro. Ragionavo solo su come fare, finché non
riuscii a
ideare un piano a dir poco perfetto. O almeno così
sembrò a me.
Durante
i due anni passati lì mi ero fatto sei amici, anche se forse
è
meglio chiamarli “compagni di sventure”. Erano
alimentati dal mio
stesso desiderio di libertà e potevo leggergli in faccia
come
sarebbero stati disposti a vendere la propria anima pur di farlo.
Ormai sapevo capire molte cose dalle espressioni facciali, non
avevano quasi più segreti per me. Dissi loro della mia idea,
ne
rimasero stupiti, poi aggiunsero qualche dettaglio e alla fine
accettarono. Pochi semplici passi, dovevamo solo aspettare la notte.
E
la notte venne.
Uscimmo
dalla stanza. Alla sera le porte venivano chiuse, ma la maggior parte
delle serrature erano scadenti e poco sicure. Artyom, uno di noi,
riusciva ad aprire la porta della nostra stanza con la cinghia della
sua cintura, lo fece anche quella volta.
Così
ci trovammo fuori, era buio e soltanto la luce della Luna che
filtrava attraverso le finestre illuminavano i corridoi.
C’era
qualcosa di surreale in quell’atmosfera, una forza mistica
che ci
spingeva ad andare avanti, a proseguire nel mio piano. So che sembra
un discorso delirante, pensai anche io ci fosse qualcosa di folle sul
momento, eppure in seguito anche gli altri dissero di essersi sentiti
diversi quella notte.
Io
mi diressi verso la porta d’acciaio che conduceva al piano
sotterraneo, lì c’erano i salvavita
dell’edificio, dovevamo
togliere la corrente all’orfanotrofio. Questo avrebbe
attirato il
controllore che era di guardia la notte. Succedeva ogni volta che
mancava la corrente, sarebbe stato così anche quella volta.
Il piano
sotterraneo era chiuso da una porta di ferro, quella Artyom non la
sapeva forzare, così come non sapeva forzare la cassetta di
sicurezza dove erano tenute le chiavi del cancello d’uscita.
Forse
saremmo anche riusciti a scavalcarlo, ma nessuno ne era sicuro e
nessuno voleva perdere tempo. Fortunatamente le chiavi di quella
porta di ferro erano tenute in un semplice cassetto, facendo
attenzione e rimanendo silenziosi si poteva raggiungere senza farsi
notare.
Rimasi
ad aspettare sperando che tutti stessero facendo bene le cose,
seguendo i miei consigli su come muoversi e dove nascondersi,
mantenendo anche l’orientamento senza perdersi nel buio. Per
un po’
ebbi paura, ma poi vidi arrivare due di loro e mi tranquillizzai. Uno
si chiamava Valery, aveva le chiavi di quella porta, l’altro
Boris
e aveva una tanica di benzina e un pacco di fiammiferi. Boris era
quello su cui avevo nutrito maggior timore, le taniche si trovavano
in un capanno all’esterno, servivano per alimentare un
generatore a
benzina usato per le emergenze. Per uscire dall’edificio
principale
dell'orfanotrofio bastava aprire una finestra, non erano fatte per
essere chiuse a chiave. Però quella del capanno non si
poteva
aprire, la porta aveva una serratura troppo complicata per forzarla.
L’unico modo era rompere il vetro con un sasso e sperare che
il
rumore non avesse attirato nessuno. Fortunatamente fu così,
lui
riuscì a far entrare quella tanica senza farsi notare. La
fuga vera
e propria poteva iniziare.
Come
previsto, quando abbassai gli interruttori del salvavita togliendo la
corrente, quel supervisore si apprestò ad entrare
lì. Il locale era
immerso nel buio, cosa che lo stranì perché la
luce di emergenza si
accendeva sempre, inoltre lo sentii chiaramente lamentarsi dello
strano puzzo di benzina che sentiva. Non poteva prevedere…
Quando
alzò gli interruttori, la luce tornò in quel
posto. Noi, io e
Valery, eravamo in quella stanza, dietro di lui. Nel buio non ci
aveva visti. Tenevo un fiammifero in mano, pronto ad accenderlo
“Non
muoverti e non parlare. Oppure appicco un incendio. Cazzo se lo
faccio! C’è benzina ovunque” gli dissi
cercando di essere più
minaccioso possibile. Dovetti essere particolarmente convincente,
perché quando si girò e vide me e il pavimento
bagnato ovunque dal
carburante, sbiancò. Mi sentivo così potente in
quel momento
“Le
chiavi della cassetta di sicurezza e della tua macchina. Lanciale a
Valery. ORA” basavo il mio comportamento sui film
d’azione che
avevo visto. Ce ne sono tanti con criminali e ostaggi, sperai che
fossero abbastanza realistici da funzionare. Sul momento parve di
sì,
l’uomo fece come detto. Gli intimai di non muoversi mentre
noi ci
spostavamo, non lo perdevo di vista un momento mentre mi dirigevo
verso l’uscita. Poi fui alla porta, lui cercò di
raggiungerci con
uno scatto, ma noi uscimmo prima e Boris chiuse immediatamente a
chiave la porta. Lo sentimmo insultarci, darci dei pazzi furiosi,
minacciare di ucciderci mentre prendeva a pugni la porta. Stava
facendo casino, avrebbe attirato sicuramente qualcuno. Bisognava
sbrigarsi.
Non
so se avete mai corso sapendo che tutto potrebbe finire male. Con
l’ansia galoppante che fa battere il cuore fortissimo, quasi
da far
male, come se potesse esplodere da un momento all’altro. Con
le
gambe che tremano ma allo stesso tempo non sentono fatica, drogate
dall’adrenalina. L’aria che ti passa attorno e ti
fa venire i
brividi sulla pelle. Il respiro irregolare e un misto di emozioni
incomprensibili dentro di te, emozioni che ti spaventano ma ti fanno
andare avanti. Non dimenticherò mai quella notte, dovessi
morire ora
non fosse così.
Facemmo
tutto a una velocità assurda, disumana. Aprimmo la cassetta
di
sicurezza e tirammo fuori le chiavi quasi strappando gli anelli di
ferro con cui erano agganciate all’interno. Poi prendemmo a
correre
di nuovo verso l’uscita, dietro di noi si sentiva confusione,
stavano capendo che qualcosa non andava e iniziavano ad uscire dalle
stanze. Alcuni educatori ci inseguirono, ma ormai eravamo prossimi
all’ingresso.
Uscimmo
fuori e sentimmo l’aria gelida della notte, non fredda come
quella
dei mesi invernali, ma lo stesso d’impatto. Davanti a noi
c’erano
Artyom e i restanti tre di noi: Kirill, Yuri ed Ermak. Avevano rubato
stracci e bottiglie dai bagni e dalla cucina e avevano creato delle
molotov, gli diedero fuoco e le lanciarono oltre noi tre,
sull’ingresso. Lì avevano sparso della benzina,
questo fece
propagare immediatamente le fiamme facendo fermare gli inseguitori,
che tornarono indietro per tentare di uscire dalle finestre. Noi
corremmo verso il cancello pedonale, lo aprimmo e ci dirigemmo verso
il parcheggio.
Ermak
aveva 17 anni e una famiglia di ladri di macchine, guidava meglio di
come parlasse (in senso letterale, aveva la zeppola), poteva guidare
l’auto del guardiano notturno se l’avessimo
trovata.
L’abitudinarietà di quell’uomo fu la
nostra fortuna, era
esattamente dove sapevamo fosse. Presi un sasso dal pavimento e lo
lanciai contro il finestrino del guidatore, riducendolo in mille
pezzi e permettendo a Ermak di sbloccare le serrature. Ci fiondammo
in sei sui sedili posteriori, mettendoci uno sopra l’altro
pur di
entrarci tutti. Ermak invece si mise alla guida, era così
abituato a
rubare le macchine che riuscì ad accenderla e a farla
partire in
pochi secondi. Quando raggiunsero il parcheggio, noi eravamo
già
sulla strada sparati alla massima velocità per allontanarci
da lì.
Noi sei lì dietro ci voltammo solo una volta per vedere la
luce
delle fiamme che proveniva dall’orfanotrofio. Ci fece sentire
meglio.
Non
avevamo un percorso preciso per la fuga, ma fortunatamente trovammo
una mappa e una torcia nel cruscotto della macchina. La guardai
attentamente e feci un itinerario. La prima metà del
percorso la
facemmo passando per un mucchio di strade secondarie, tra boschi
pieni di alberi altissimi e pianure desolate.
Fu un miracolo se non ci perdemmo o impantanammo da qualche parte. Ci
fermammo un attimo per sradicare le targhe dalla macchina usando
i mezzi che avevamo e tanta forza di volontà. Se ci
riuscimmo, fu
solo perché l’auto era davvero un vecchio
catorcio. In realtà non
eravamo sicuri se ci avesse facilitato o complicato le cose quel
gesto, ma a noi non interessò. Andammo sull’autostrada
a tutta velocità.
Cazzo!
Quel viaggio fu assurdo. Ricordo bene il vento che entrava dal
finestrino distrutto,
era gelido e ci rendeva
impossibile non tremare.
Mentre lo stare uno sopra l’altro in quei sedili posteriori,
nonostante Kirill si fosse spostato avanti, ci faceva sudare. Ermak
era stanco morto e ogni due per tre rischiava di addormentarsi alla
guida, dovevamo tenerlo sveglio. Iniziammo a raccontare
barzellette, battute che diventavano ogni volta più stupide,
e poi
più violente. Una
volta finite,
iniziammo a scambiarci
metodi fantasiosi per uccidere il personale dell’orfanotrofio
se lo
avessimo rincontrato. Avevamo
troppo odio in corpo, andava sfogato.
Poi,
non so neanche come, ci ritrovammo a discutere
del
futuro e del presente. Ci dicemmo che forse avremmo fallito, che la
polizia ci avrebbe fermati da un momento all’altro. Ma che
eravamo
riusciti in un’impresa impossibile, uscire fuori da quei
cancelli.
Nessuno lo riteneva plausibile, per noi quello era il carcere dove
saremmo rimasti per sempre. Mi diedero del genio precoce, dissero che
ero tanto minuto quanto incazzoso e poi mi soprannominarono
“piccolo
Frankenstein”. L’idea partì da Yuri, lui
era sempre stato
ritenuto l’intellettuale del gruppo, non
poteva essere altrimenti. Era
un bel ragazzo, dalla pelle candida e i capelli biondi. Anche se non
lo conoscevi, ti faceva percepire la sua grande intelligenza e
cultura. Era qualcosa nel suo modo di fare, di osservare le cose. Lui
mi piaceva e lo invidiavo. Riusciva a provare
piacere nella conoscenza, io ormai vedevo tutto
come uno
strumento,
un
mezzo
per ottenere ciò che volevo. Non so
se ho
mai apprezzato davvero qualcosa… Cazzo!
Sto
divagando.
Quella
notte, disse che avevo unito il genio del dottore capace di creare la
vita dal nulla al corpo pieno di cuciture della sua creatura.
All’inizio non capii a cosa si riferisse il secondo paragone,
poi
mi ricordai delle cicatrici. Non so perché, ma immaginarle
come le
cuciture del mostro di Frankenstein me le rese sul momento meno
dolorose. Mi sentii lusingato e sentii un forte legame con lui. Con
lui e gli altri. Ci sentivamo fratelli.
-In
lungo e in largo per la Russia
Vivere
per strada fa schifo. Se qualcuno vi dice che non è
così, ditegli
che si sbaglia. Se insiste, spaccategli il naso, se
l’è meritato.
Non si è dissimili dai ratti di fogna, sempre in movimento,
sempre
affamati e pronti ad azzannare il primo rifiuto che si trova. E se
incontri un ratto più grosso e prepotente, sei tu che verrai
divorato…
Sono
stato nei posti più degradati della Russia. Ho vissuto
l’isolamento,
la fame e la paura. Ho visto la gente morire, alcuni per mano mia. La
nostra stessa fuga era costata delle vittime, l’edificio
dell’orfanotrofio era una merda a livello di sicurezza, come
molte
cose nel grande paese freddo. Prese fuoco velocemente, ci misero
tempo a spegnere l’incendio e uscire da lì si
rivelò più
difficile del previsto per alcuni di loro. Sei membri del personale
e quindici bambini morirono, chi per il fuoco, chi soffocando. Quello
era ciò che avevamo pagato per ottenere la
libertà.
Per
quanto odiassimo quel posto, sapere di aver ucciso delle persone ci
segnò. Ermak era il più grande di noi, per vari
mesi non riuscì a
dormire sereno. Si lamentava nel sonno e si risvegliava dicendo che
li sognava gridare, che si sentiva un mostro. Anche gli altri non
furono da meno, Yuri piangeva in continuazione, era nato troppo
sensibile per il mondo in cui viveva, Kirill e Boris vararono
più
volte l’idea di dire tutto alle autorità, ma la
paura di tornare
prigionieri li fermava sempre. Artyom una volta tentò il
suicidio,
per fortuna lo fermammo in tempo. Fui io quello che resse meglio,
nonostante fossi il più piccolo del gruppo. Ormai non
pensavo ad
altro che essere il migliore, a fare ogni cosa al meglio e ad uscire
da ogni situazione. Ero così distaccato dalla
realtà che non mi
sentivo più umano. Forse non lo ero. Forse non lo sono
ancora…
Ora,
non crediate io voglia vantarmi. Dopotutto, non
c’è nulla di bello
in ciò che sto raccontando. Però fu grazie alla
mia inumanità che
quel gruppo sopravvisse. Riuscii a convincerli ad indurire il cuore,
a fare scelte difficili, ad usare le loro capacità per
andare
avanti. Io esploravo il mondo, comprendevo i meccanismi di quella
vita venefica che vivevamo. Dove nasconderci, dove dormire la notte,
dove lavarci. Imparammo prima ad elemosinare, poi a rubare, poi a
rubare nei posti giusti. Imparammo che esistono persone da non
infastidire, i più pericolosi di loro non erano i
poliziotti.
Crescemmo
così, diventando una vera e propria banda di piccoli
criminali.
Anche se col passare del tempo smettemmo di essere tanto piccoli.
Giravamo le piccole cittadine della Russia, non rimanendo mai nello
stesso posto. Indossavamo le tute Adidas, un vero e proprio simbolo
di potere per noi. Quando non commettevamo crimini, ce ne stavano
accovacciati lungo le strade o rintanati da qualche parte a parlare
tra noi bevendo vodka e mangiando semi di girasole. In
realtà
quest’ultima cosa la facevano solo loro, io non li ho mai
digeriti
bene.
E
così passarono i giorni, i mesi e poi gli anni. Non erano
tutti
uguali, ma erano vuoti. Però non ce ne rendevamo conto.
Quando sei
obbligato a uno stile di vita, fai di tutto per liberartene,
perché
ti senti costretto in qualcosa che non hai mai voluto. Ma quando
tutto è stato scelto da te, stai conducendo la vita per cui
hai
combattuto, per cui hai ucciso, allora è difficile accettare
di aver
sbagliato qualcosa. Ti convinci che le cose non possono andare meglio
di così, ti abitui alla mediocrità e preferisci
rimanerci,
probabilmente morirai credendo a queste cazzate. Questo a meno che la
vita non ti sbatta in faccia il miglioramento, come fece con me. Il
mio miglioramento si chiama Mary.
Ricordo
bene la prima volta che la incontrai, più di un anno fa.
Sentivo che
c’era qualcosa di anomalo in quella giornata, troppe cose che
mi
mettevano tranquillità. Il Sole che splendeva troppo per la
Russia,
l’aria troppo fresca e salutare… Qualcosa di
anomalo, appunto.
Ero
entrato in una biblioteca, lo facevo quando volevo stare un
po’ da
solo. Amavo ancora la lettura, anche se il mio rapporto era cambiato.
Non leggevo più per svago, non mi interessavano veramente le
storie
nei libri. Volevo solo far passare il tempo, infatti non ricordo
nulla di molti libri che ho letto in quel periodo.
Così
entrai dentro l’edificio, era un posto piuttosto malridotto,
ma non
c’era molta gente e governava un silenzio davvero piacevole.
Poi,
girando tra una sala e l’altra di quel posto, la vidi. Era
seduta
dietro un tavolo, leggeva un libro sulle civiltà aliene e ne
aveva
affianco accumulati tanti altri sulle galassie e le nuove scoperte
scientifiche. Era identica alla donna nel mio sogno, quello che avevo
fatto da bambino quando mi lasciai morire, ed era bellissima…
Dopo
un po’ la vidi girarsi verso di me preoccupata. Ero rimasto
impalato a fissarla e non avevo un’aria rassicurante.
L’avevo
spaventata, io le parlai del mio sogno. Mi aspettavo che scappasse,
chi non lo avrebbe fatto? Lei, a quanto pare. Rimase ad ascoltarmi e,
non so come, ben presto ci ritrovammo a parlare di noi. Quel giorno
restai in biblioteca molto più del solito.
Ora,
non so se voi abbiate mai incontrato qualcuno che vi completi. Una
persona che sembra fatta apposta per voi, con cui potete parlare,
scherzare, sfogarvi e lei saprà sempre come rispondervi.
Badate
bene, non COSA rispondervi, ma COME. È diverso, è
veramente
diverso. Mary era… È quella persona per me. Non
ho mai capito bene
le mie emozioni nei suoi confronti, so solo che mi sarei perso senza
di lei.
Ritornai
da lei più e più volte, ai miei amici non piaceva
questa storia.
Vedevano che stavo cambiando, che non ero più quello di
prima.
Avevano paura di ciò, per loro era un tradimento. Dopotutto,
io ero
il perno centrale della banda. Senza di me, sarebbero stati perduti.
Io gli dissi che non li avrei mai abbandonati, sarei stato per sempre
il loro fratello. Loro cercavano di convincersi che non stessi
mentendo, ma non ci riuscivano. Le stesse cose valevano per me. Le
peggiori bugie sono quelle che racconti a te stesso.
Un
giorno Mary mi disse che mi voleva bene come un figlio e voleva darmi
la vita che avrebbe dato a un figlio. Però non ero un orfano
come
gli altri, ero un criminale. Avevo una fedina penale tremenda, questo
mi avrebbe condannato a non avere una vita normale. Questo, almeno,
seguendo le vie legali… Disse di avere degli
“amici”, persone
che sarebbero state capaci di modificare le giuste carte e fare i
giusti passaggi per farmi uscire dalla gelida Russia e farmi avere
una vita comune in un’altra nazione. Però, poteva
farlo solo per
me. Falsificare l’identità di una persona era
già complicato, farlo per sette sarebbe stato improponibile.
Dovevo scegliere: avrei
sacrificato i miei amici per una vita migliore o avrei sacrificato
una vita migliore per i miei amici?
Camera
di Avier e Jeremy – Ore 16:30
“Io…
Ho fatto la mia scelta” Avier era riuscito a trattenere le
sue
emozioni per tutto il racconto. Parlava molto piano, con molte pause,
ciò testimoniava che non gli riusciva facile dire quelle
cose. Ma
quell’ultima parte, la chiusura della sua storia, gli stava
facendo
troppo male. Il suo respiro si fece affannoso e le mani iniziarono a
tremargli, nella destra aveva fatto girare tra le dita una moneta per
tutto il tempo, aumentando la velocità nei punti dove il
racconto
gli era più difficile.
Ora
invece la moneta era rallentata e si muoveva in modo molto
più
incerto, Avier non riusciva a tenere la mano ferma.
“Ciò
che voglio, lo ottengo. È quello che mi sono sempre detto,
io volevo
una vita migliore, l’ho sempre voluta…
Però, certe volte…
Scegliere… È così
difficile…” la moneta gli cadde di mano e
rotolò sul pavimento. Il russo si portò le mani
al volto e iniziò
a piangere a dirotto.Borbottò qualche frase poco chiara
nella sua
lingua
“Prostite,
brat'ya. YA ne khotel zapachkat'sya tvoyey krov'yu”
poi
si
sentì
una mano sulla spalla, alzò la testa mostrando gli occhi
bagnati e
arrossati. Ulrich si era avvicinato e lo guardava fisso, non aveva
pianto come gli altri tre ma era davvero provato
dall’ascoltare
quella
storia
“Io…
Credo di averti giudicato male” il russo gli tolse la mano da
lì e
sorrise. Un sorriso non forzato, spontaneo. Strano che gli riuscisse
nonostante tutto
“No,
non credo. Mi trovavi un imbecille, penso di esserlo. Ho solo una
storia complicata dietro”
Per
un mezzo minuto interminabile ci fu un silenzio tombale, nessuno
sapeva cosa dire. Fu Avier che risolse la situazione, il suo talento
era davvero innato in certe cose
“Vorrei
chiedervi
di uscire, almeno m’lady.
Devo
vestirmi.
Poi, credo che andrò a fare la spesa, devo preparare il kompot”
accennò un altro lieve sorriso. I quattro amici abbandonarono
la
stanza, lasciandolo solo. Però rimasero fuori la porta, come
se non
sapessero dove andare
“Che
cosa si dice ad una persona del genere? Cioè,
è…” Odd era confuso, si sentiva
soverchiato da una situazione in
cui non sapeva come agire. Anche per gli altri fu
così, Ulrich espresse i suoi pensieri
“Sapete,
prima mi dava fastidio e mi inquietava a volte. Ora quel ragazzo mi
mette timore”
“In
che senso?” chiese Jeremy. Si stava pulendo gli occhiali, si
era
accorto solo in quel momento che si erano appannati
“Pensateci,
più o meno tutti pensavamo che si credesse migliore di tutti
gli
altri, che fosse uno sbruffone come tanti. E se invece non lo fosse,
uno sbruffone? Ha vissuto una vita infernale, con problemi e
preoccupazioni che farebbero cedere un adulto… E le ha
superate
tutte, senza impazzire. Per quanto sia strano, per quanto possa avere
crolli psicologi, non è fuori di testa. Ha fatto scelte con
poche
certezze. Lui…” Ulrich abbassò la voce
“Lui
non aveva torri da disattivare e Ritorni al passato. Non poteva
sapere quali sarebbero state le conseguenze delle sue azioni, ma ha
deciso di scegliere e ‘ottenere ciò che
voleva’, usando
le sue parole.
Come gli può apparire una vita normale adesso? Secondo me
molto
prevedibile, credo che lui possa… Controllare gli eventi, in
un
certo
senso. Per
questo sembra prevedere tutto
e decidere sempre al meglio. Credo che lui sia veramente superiore a
tutti noi”
Stavano
per dire altro, ma Avier uscì dalla camera
all’improvviso. Il suo
volto era tornato simile a quello che aveva sempre, nonostante ci
fossero ancora i segni del pianto
“Vi
va di farmi compagnia mentre faccio la spesa?”
“Sicuro
di non voler stare da solo?” gli domandò Aelita,
il ragazzo
sorrise e poi rispose
“No,
meglio di no. Se sto da solo inizio a pensare al passato, ne ho
già
parlato troppo. A proposito, ricordate il patto” si
portò un dito
sul volto e fece il segno di tenere la bocca chiusa
L’Usato
di Renard –
Dalle
ore 18:00 alle ore 18:10
Forse
Avier non era sovrumano come credeva Ulrich, ma la capacità
con cui
tornò sereno fu incredibile.
Era
come se non avesse mai parlato di quegli argomenti, non
sembrava il ragazzo distrutto e sofferente che avevano visto.
Girarono
così per il centro commerciale a comprare frutti di ogni
genere,
perlopiù fragole, uva e cachi mela.
Le parole del russo, fino ad allora ascoltate con un certo fastidio
da tutti (tranne Aelita), diventarono stranamente interessanti. Non
c’era
più il
pregiudizio avuto
fino a quel momento, i modi di fare esuberanti ed istrionici del
ragazzo erano ancora fastidiosi a volte, ma lì vedevano
sotto
un’ottica diversa.
Impararono
che una delle cose più affascinanti di Avier era il suo fare
riflessioni non dà poco partendo da argomenti frivoli. Era
veramente
come se riuscisse a trovare schemi e significati nascosti dietro le
cose, tutto questo senza gonfiare delle idiozie dandogli più
significato di quanto ne avessero. No, vedeva oltre le cose con la
sensibilità di un artista.
Un
esempio particolare fu quando uscirono dal centro commerciale, Avier
voleva girovagare ancora un po’. Così si misero a
camminare per le strade della città, fin quando non
arrivarono
davanti la bottega di un rigattiere. Il posto si chiamava L’Usato
di Renard,
il ragazzo fu attirato da dei dischi esposti in vetrina
“Uh!
Io adoro la musica” si diresse correndo verso di loro, aveva
gli
occhi sognanti di un bambino. Si stava genuinamente divertendo in
quel momento. Dopo aver dato una rapida occhiata
a
quelli in
vetrina, entrò subito nel negozio e parlò con il
commesso.
“Salve,
è
lei il signor Renard?” il
commesso, un uomo di una trentina d’anni con un paio di
occhiali da
vista sul naso, alzò lo sguardo dal giornale che stava
leggendo e
rispose
“Certo,
cosa desideri?”
“Ci
sono altri CD come quelli esposti?”
“Dall’altro
lato di quello scaffale” gliene indicò uno al
centro del locale,
il ragazzo ci andò con rapidi passi e trovò i
dischi dentro uno
scatolone di cartone, impilati uno sopra l’altro affianco ad
altre
cianfrusaglie. Iniziò a prendere uno ad uno i vari album
facendo un
commento ad alta voce per ognuno
“David
Bowie no, non mi piace… I Queen non li apprezzo
più di tanto….
Col cazzo che ascolto gli AC/DC!” d’un tratto gli
apparve
un’espressione stupita sul volto, aveva tra le mani un disco
che
non pensava di trovare lì. L’album Girl You
Know It’s
True dei Milli Vanilli
“Nooo!
È da un sacco che lo cerco” ignorando totalmente
gli sguardi
incuriositi degli altri quattro, il ragazzo corse verso la cassa.
“È
originale, vero?” domandò dopo averlo poggiato sul
bancone, il
signor Renard era preso a leggere il giornale, il tono di voce
più
alto del ragazzo lo fece balzare di soprassalto e quasi gli caddero i
suoi occhiali dal viso. Se li sistemò, prese il disco, lo
girò
verso di sé e lo osservò. Nel farlo, un grosso
sorriso gli apparve
sul volto
“Si,
questo si. Sai, lo comprò mio fratello assieme a me tempo
fa, quando
eravamo ragazzini”
“Perché
suo fratello se ne vuole sbarazzare?”
“In
realtà, non posso sapere se avrebbe accettato di venderlo.
Lui…
Lui non è più tra noi”
“Oh!
Mi dispiace”
“No,
tranquillo. Non potevi saperlo. Piuttosto, dimmi, perché
sembri così
entusiasta di acquistare la più grande truffa della storia
musicale?”
“Truffa?”
Odd domandò ancora più curioso di prima, nessuno
conosceva i Milli
Vanilli. Tranne Jeremy, che disse quel poco che aveva letto su di
loro da qualche parte
“Si,
mi pare che le voci registrate nelle canzoni non siano quelle dei
cantanti. Giusto?”
Avier
prese il disco in una mano e nell’altra iniziò a
giocherellare per
l’ennesima volta con una delle sue tante monete. Fece un
sospiro e
assunse l’aria di qualcuno che fa un discorso a cui tiene
particolarmente
“Si,
quello che hai detto è vero. La verità
però non è così semplice,
come in ogni cosa dopotutto. L’uomo dietro la creazione di
questo
gruppo si chiama Frank Farian, anche lui era una sorta di dottor
Frankenstein. Non era tanto bravo a cercare talenti, ma creava veri e
propri prodotti commerciali dal nulla. Dei mostri del denaro,
potremmo chiamarli. Lo fece con i Boney M, prese un uomo di
colore di bella presenza e capace di ballare e lo affiancò a
tre
ragazze di colore molto belle, poi fece loro cantare delle canzoni
correggendo eventuali imperfezioni e stonature in studio. Ottenne un
prodotto perfetto, uno strumento capace di accumulare banconote su
banconote. Ma questo è nulla rispetto a ciò che
fece con i Milli
Vanilli.
“Un
giorno gli passò tra le mani questo gruppo composto da
quattro
membri, molti bravi a cantare ma, a detta sua, poco belli. Non adatti
alle immagini, ai video musicali. Cose su cui si puntava tutto in
quei tempi, dopotutto i Buggles cantavano Video Killed the
Radio
Star. Avrebbe potuto scartarli, dirgli semplicemente di no.
Ma
non era il tipo.
“Gli
capitò invece di incontrare Fab Morvan e Rob Pilatus, due
ragazzi di
colore molto belli, quelli che vedete sulla copertina. Adatti per il
pubblico di ragazzine, però senza alcuna nozione di canto.
Fece 2+2
e propose loro un contratto, li manipolò per convincerli ad
accettare e riuscì ad ottenere l’accordo che
sperava. Mesi dopo
vennero chiamati e scoprirono che non avrebbero dovuto cantare loro,
solo dare il labiale per delle canzoni già registrate.
“La
cosa peggiore di questo piano fu che funzionò. I Milli
Vanilli
fecero un successo pazzesco e Girl You Know It’s
True divenne
sei volte disco di platino negli Stati Uniti. Non voglio pensare come
si debbano essere sentiti quei due, con da un lato la consapevolezza
di essere degli imbroglioni e dall’altro
l’incapacità di
abbandonare il proprio successo, tutto questo ingabbiati da un
contratto. Forse c’erano delle scelte, ma tutte avevano dei
sacrifici. Sacrifici che non vollero fare, questo gli si ritorse
contro.
“I
castelli di carte non durano in eterno. Già si vociferava da
tempo
che le voci nelle canzoni non fossero davvero le loro.
Capitò poi
che, durante un esibizione ‘dal vivo’, il nastro
del playback si
inceppò, continuando a ripetere all’infinito Girl
you know
it’s, girl you know
it’s,
costringendo i due a scappare dietro le quinte.
“Questo
evento sarebbe anche potuto venir insabbiato, facendo molto meno
scandalo del previsto. Però fece capire a Frank Farian che
il tutto
stava durando troppo, c’erano in gioco equilibri troppo
grandi.
Fece un’ultima mossa, la più impensabile: disse la
verità”
“La
casa discografica annullò il contratto, i premi vinti
vennero
ritirati e i Milli Vanilli si ritrovarono in mezzo a 26 accuse per
frode. Certo, alcune erano rivolte alla casa discografica, ma loro
subirono il danno più grande. La loro immagine fu per sempre
compromessa, il pubblico li avrebbe ricordati in eterno come dei
falsi. Tutto questo per mano di praticamente un solo uomo”
“Quando
ero in Russia amavo le loro canzoni, io e i miei amici le ascoltavamo
a tutto volume. Però, sapevo anche della loro storia, e
ricordarmene
per me era un monito. Un invito per tenere a mente che esistono
persone capace di decidere per altri, di controllare ogni cosa a
proprio piacere, incastrando i pezzi dove loro vogliono. Il mio
desiderio è diventare molto più potente di queste
persone”
Ci
fu di nuovo un silenzio tombale, questa volta per lo stupore. Non
solo perché non si aspettavano una cultura musicale simile
dal
ragazzo, ma anche per la naturalezza con cui era arrivato
all’ultima
riflessione. Perché Ulrich doveva aver ragione?
Perché Avier
sembrava così superiore a tutti quanti?
“Dopo
tutto quello che hai detto, mi dispiace quasi vendertelo…
Mai
pensato di entrare in politica? Per me faresti carriera”
commentò
il signor Renard
“No,
però ci farò un pensiero. Magari un giorno
sarò presidente grazie
a lei”
“Ne
sono sicuro”
Cortile
del Kadic – Dalle ore 21:00 alle ore 22:00
Avier
era seduto sulla stessa panchina su cui si era trovato a disegnare
giorni prima, questa volta non lo stava facendo. Con la spesa aveva
accumulato un mucchio di spiccioli, monetine che lanciava con le dita
dentro un barattolo di vetro un metro e mezzo davanti a lui. Faceva
quasi sempre centro
“È
uno sport olimpionico?” gli domandò Aelita, senza
farlo spaventare
come la volta precedente, il ragazzo l’aveva vista giungere
“Come
fai a sapere quando mi trovo qui?”
“Aaah!
Quindi c’è qualcosa che non sai!”
“No,
in realtà credo di poterlo capire. Però volevo
essere educato”
“Stai
bluffando”
“L’ha
detto anche William, hai visto com’è
finita…” la ragazza si
sedette di nuovo affianco al ragazzo, un po’ più
vicino dell’altra
volta però. Sentiva una maggiore familiarità con
lui
“Era
una delle cose che volevo chiederti. Che diavolo hai scoperto quella
sera?” Avier lanciò un’ultima moneta
facendo un altro centro,
giunse le mani e le poggiò tra le gambe. Visto da una certa
angolazione, sembrava un gesto osceno, ma non era davvero sua
intenzione.
“Devo
parlartene?”
“È
davvero grave? È forse qualcosa di illegale?”
Avier sorrise
leggermente, facendo una debole risata a cui poi seguì un
sospiro di
rassegnazione
“No,
nulla del genere. Ma nella legalità esistono cose che
possono dare
più preoccupazioni dei crimini”
“In
che senso? Io non riesco a capire…” Aelita stava
letteralmente
soffrendo per la confusione, il ragazzo la guardò negli
occhi e
percepì tutto quello che provava. Le mise una mano sulla
spalla e la
fissò diritto con i suoi occhi scuri, facendo fermare di
colpo la
ragazza, che non poté non fissarlo a sua volta
“Facciamo
che lo dico solo a te perché sei speciale”
“Speciale?
Per cosa?”
“Beh!
Sei la prima che ha tentato di comprendermi, è notevole. E
poi sei
carina, mi persuadi più facilmente” disse
l’ultima parte con
tono scherzoso, la ragazza sorrise con lui, ma non poté
trattenere
il rossore sulle guance.
Avier
fece un altro sospiro, poi parlò
“Mentre
facevo il mio gioco, ho borseggiato la tasca destra di William e ne
ho osservato il contenuto quando mi sono girato. Avevo in mano il suo
portafogli, la sua carta d’identità e un
preservativo”
“È
quello che ha spaventato a morte William?”
“Un preservativo?
Non credo. Poi, se fosse stato solo quello, non ne avrei neanche
parlato. William non è vergine! spaventerebbe
una
banda di cristiana ortodossi bigottissimi. Non mi sembra il vostro
caso”
“E
quindi? Non capisco”
“Perché
non ho finito. Ho aperto il portafogli e dentro ho trovato una foto
di Yumi…” Aelita strabuzzò gli occhi,
stava intuendo quale fosse
la verità.
“Quindi
ho parlato in modo aggressivo per generare ansia, volevo vederne gli
effetti. William ovviamente si è agitato, ma con
l’altro occhio ho
visto che anche Yumi si stava innervosendo, più di tutti
voi. Quei
due avevano un legame, stavano insieme e non hanno voluto dirvelo.
William inoltre ha bisogno di avere sempre un preservativo in tasca,
questo significa che quei due stanno molto insieme”
Aelita
era stupefatta, quasi scioccata. Ci mise un po’ a dire
qualcosa
“Io…
Non me lo aspettavo. Perché non ce l’hanno
rivelato?”
“Forse
non volevano che Ulrich la prendesse male”
“Ma
non mi sembra molto maturo. Non peggiorano le cose facendo
così?”
“Penso
di sì. Ma cosa ti ho insegnato con la storia dei Milli
Vanilli? A
volte le scelte comportano delle conseguenze che non vogliamo
sobbarcarci, che ci spaventano. Alcuni preferiscono non scegliere,
come William e Yumi in questo caso. Però, non voglio neanche
scegliere io per loro. Quindi questa cosa rimarrà tra noi
due, va
bene?” Aelita annuì.
Fra
i due ci fu il silenzio per un po’, si limitarono a guardare
fissi
gli alberi che si stagliavano nel buio della notte senza dire nulla.
Era un momento di calma, molto piacevole e rilassante. Aveva un che
di poetico nell’insieme, ma ad Avier non piacevano le poesie
“Comunque,
da quello che ho visto nel tuo sguardo quando ho parlato del
preservativo, mi pare di capire che tu e Jeremy non… AAAAH!
IL
FEGATO!!!” Aelita gli aveva tirato una mega gomitata nel
fianco, il
ragazzo balzò in avanti e cadde a terra agitandosi per il
dolore
mentre si teneva le mani sul punto colpito. Non era chiaro fino a che
punto stesse fingendo
“Cyka
blyat!!!! Che cazzo sei? Uno Spetsnaz?” Aelita non
poté
trattenersi dal ridere, era fin troppo teatrale. Il ragazzo
iniziò a
ridere anche lui, seppur senza togliersi le mani dal fianco.
“Ora
alzati. O vuoi dormire sul terreno?”
“Non
è tanto male qui sotto”
“Alzati,
sul serio”
“Sollevami”
disse il ragazzo alzando il braccio sinistro
“Stai
scherzando?”
“No”
la ragazza sbuffò, anche se non era veramente infastidita.
Decise di
assecondare il gioco del russo e prese a tirargli il braccio,
sentì
inaspettatamente una tensione e cadde su di lui
“AHI!
Stai cercando di uccidermi per caso?”
“Tu
mi hai tirato” disse la ragazza iniziando a sollevarsi e
guardando
dall’alto il suo volto
“Io?
Ma se sono un fuscello. Sei tu che sei debole!”
“Idiota”
i due si misero in piedi, rimuovendosi da quella posizione
compromettente.
“Forse
è il caso di andare a dormire, non trovi?” disse
poi Aelita, il
russo fece un cenno di assenso. Poi volle dire una cosa
“Sai,
mi piace molto parlare con te. Mi fa sentire meglio. Prima, in tuta
con questa notte, avevo freddo nonostante l’abitudine. Quando
sei
arrivata mi sono sentito riscaldato”
“Beh…
Mi fa piacere” Aelita non era sicura del significato di
quella
frase, le sembrava un po’ stupida per certi versi. Eppure non
poté
fare a meno di pensarci per tutta la serata, anche poco prima di
addormentarsi.
Sala
del supercomputer – Lunedì 19 Settembre 2005
– Ore 2:12
La
figura pallida sentiva sul suo corpo una stanchezza tremenda, eppure
continuò a digitare e a programmare a velocità
assurde.
Contemporaneamente fece un mucchio di appunti con un dispositivo
poggiato vicino la tastiera. Funzionava con un comando vocale che,
una volta ricevuto, azionava il congegno. Da quel momento fino al
comando di spegnimento, ogni parola detta sarebbe stata registrata e
tradotta in testo sull’ologramma che proiettiva. La figura
aveva
appena smesso di aggiornare i suoi progressi, quando gli spasmi
ricominciarono. Partirono come sempre dalle mani per poi propagarsi
rapidamente per tutto il corpo, diventando sempre più forti.
Nonostante questo riuscì a iniettarsi il suo farmaco nel
corpo senza
cadere dalla poltrona.
Quando
i suoi movimenti tornarono controllabili, fece dei profondi respiri.
Spostò lo sguardo sul contenitore delle siringhe, osservando
con
disperazione come ne fosse rimasta una sola. Poi guardò i
progressi
sull’ologramma, scrutò con una strana attenzione
ogni singola
lettera, quasi avesse dimenticato il suo alfabeto a forza di rimanere
lì. Poi commentò tra sé e
sé
“Sint
ock. Okrin anì anarkà ormen dinnè.
Int-morò enoma kromian?”
Con
una combinazione di tasti, la figura fece apparire i dati di tutti
quelli che avevano usato il supercomputer e gli scanner per Lyoko
“Aelita
Schaeffar nik, Yumi Ishimaya nik, Ulrich Stern nik, Odd della Robbia
nik, William Dunbar nik… Jeremy Belpois, ya da. Din azarawas
mektà
armia in Lyoko”
La
figura poi si stese sulla poltrona e chiuse gli occhi. Dopo un
po’
si appisolò, il suo sonno era agitato dagli incubi come
sempre.
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Capitolo 6 *** Capitolo 5: Terzo contatto ***
Lenkerthen Lyoko 5
Terra
– Francia – Parigi – Lunedì 19
Settembre 2005 – Ore 4:30
Ho
freddo Aelita… Riscaldami…
Sono
qui, Avier
Stringimi
a te
Oh
Avier!
Così…
Riscaldami…
Oh!
Stammi
vicino…
Aelita
si svegliò di colpo, confusa e agitata per il sogno. Perché?
Si
domandò tra se e sé, non trovando risposta. Cosa
poteva aver spinto
la sua mente a concepire… Quello. Che si stesse
inna… NO!
Assolutamente no! Lei era impegnata. Per quanto Avier fosse
simpatico, era troppo… troppo… Strano!
Già, troppo strano.
Insomma, di certo uno come lui non è
normalissimo… Ed è un motivo
per non inn…? Si! Certo che lo è… O
forse…
“Aaaah!
È solo un sogno. Perché voglio dargli un
senso?” sospirò dopo un
po’, si mise sul fianco e tornò a dormire per il
tempo che le
rimaneva. Non si sentì convinta di ciò che si era
detta
Ufficio
del Preside Delmas – Ore 7:30
“Sa
perché è qui, Asimov?”
“Ehm,
in realtà è Anisimov”
“Non
è il momento” Avier non era solito temere le
autorità, ma si
sentì profondamente a disagio in quel momento. In
quell’ufficio
lui era fuori luogo, anche solo come accostamento di immagini.
Lì
dentro tutto trasmetteva rigore e ordine, come i libri perfettamente
sistemati sugli scaffali, i documenti nei cassetti e le scartoffie
sulla scrivania. Tutte le cose fuori posto erano addosso ad Avier,
con la sua mise da eterno clochard russo e i suoi capelli non
pettinati.
Il
ragazzo era seduto davanti la scrivania del preside, con
quest’ultimo
che lo guardava imperturbabile da dietro i suoi occhiali da vista. Le
sopracciglia cispose e la barba folta grigia gli davano
un’aria
ancora più seria.
“Direi
che non mi sono comportato bene sabato”
“Ti
sei ubriacato, hai dato di matto, hai quasi iniziato una rissa e,
cosa ancor più grave, hai fatto piangere mia
figlia”
“Però
ho pianto anche io”
“Non
è il momento di scherzare!” urlò dando
un pugno sulla scrivania
così forte da far rovesciare il portapenne poggiato sopra.
Avier lo
rimise a posto, utilizzò quegli attimi per pensare bene a
come
giostrare le sue parole. Nonostante la sua ansia, non era spaventato.
Con ciò che aveva vissuto, queste cose non potevano
turbarlo. Però,
essere eloquente gli richiedeva davvero uno sforzo mentale certe
volte.
“Lei
ha ragione, mi sono comportato di merd…”
“Linguaggio!”
“Male.
Mi sono comportato malissimo, una vera schifezza. E me ne vergogno.
Mi dispiace”
“Almeno
hai la decenza di scusarti” il preside Delmas
poggiò la schiena
sulla scrivania e mise le mani sui braccioli.
“Vattene”
disse poi al ragazzo con tono freddo e autoritario. Avier si
alzò
lentamente guardando fisso il preside, come se temesse potesse
estrarre una pistola e sparargli da un momento all’altro.
“Nient’altro?”
disse una volta in piedi, facendo un sorriso nervoso. Il Preside lo
scrutò diritto negli occhi neri, quasi perforandolo con lo
sguardo.
“Non
posso giudicarti a livello scolastico per cose che hai fatto fuori da
qui. Inoltre mi sento abbastanza magnanimo…” mise
un accento
particolare su quell’ultima parola, a voler sottolineare come
il
suo fosse un vero e proprio atto di pietà
“…Da
non prendere altri provvedimenti. L’unica cosa che esigo
è che tu
non abbia più nessun, e ripeto NESSUN contatto con mia
figlia.
Capito?”
“Da
staroye der’mo”
“Che
vuol dire?”
“Che
ho capito”
Avier
uscì dall’ufficio della presidenza e fece un
sospiro di sollievo,
dopo pochi passi già non sentiva più
l’ansia. Si mise a camminare
canticchiando come suo solito.
Gli
alunni lo guardavano in modo diverso, Sissi era pur sempre una
ragazza popolare e aveva detto a molti come si era comportato con lei
due giorni prima. La magia che lo avvolgeva si era ancora
più
affievolita. In molti si adeguarono all’idea che fosse un
tipo
molto strano, ma non così tanto affascinante. Al ragazzo
tutto
questo interessava meno di niente.
Mensa
– Ore 12:00
La
mensa era affollata come sempre, tutti gli studenti chiacchieravano
tra loro animatamente riempendo di voci l’aria.
C’era un certo
ordine però, le file di ragazzi che andavano al bancone
reggendo il
vassoio rispettavano la successione senza tentare di scavalcare. Il
tavolo dei Guerrieri Lyoko era occupato al momento solo da Aelita e
Jeremy, i due stavano chiacchierando, ma c’era qualcosa di
diverso.
Il ragazzo lo fece notare
“A
cosa pensi?”
“Nulla”
la ragazza cercò di essere quanto più convincente
possibile,
sperando che il discorso passasse ad altro. Non funzionò
“Stai
mentendo. Lo vedo che continui a rimuginare su qualcosa. Anzi,
probabilmente, su qualcuno…”
“Cosa
vuoi insinuare?” il tono di voce della ragazza si era fatto
più
alto e irruento, attirando l’attenzione di alcuni dei
presenti.
Jeremy cercò sia di rimanere impassibile, sia di invitarla a
non
alzare la voce, non volendo però abbandonare la questione
“Credi
non abbia visto tutte le attenzioni che dai a quel russo?”
“Lui
ha un nome! E poi, tu pensi davvero che io ti tradisca con
lui?”
“No.
Però lui ti piace, non è vero?”
“È
solo un mio… Nostro amico” i due avrebbero
continuato, la
questione era particolarmente accesa. Però videro arrivare i
loro
amici e, sopratutto, Avier. Non era il caso di farli entrare tutti in
quella discussione.
“Ehi,
indovinate un po’?” incalzò Ulrich
mettendosi a sedere e
poggiando il suo vassoio sul tavolo, né lui né
gli altri avevano
visto l’accaduto.
“Cosa?”
domandò Jeremy sorridendo, un sorriso leggermente forzato.
Non lo
notò nessuno però, tranne Avier, che
iniziò a scrutare tutti con
particolare attenzione.
“Siamo
uno dei gruppi per la presentazione di inglese” rispose
indicando
se stesso, Odd e Avier.
“Non
si vedevano alleanze così dalla Triplice Intesa”
scherzò Aelita,
lo fece d’istinto. Se ci avesse riflettuto, probabilmente
sarebbe
rimasta in silenzio.
“Battuta
acculturata, m’lady” Jeremy
aggrottò la fronte sentendo
questa risposta del russo, non riusciva a nascondere quello che
provava. Avier lo notò e iniziò a mangiare a
grandi bocconi, molto
velocemente e con voracità. Non ci volle molto prima che
quel
comportamento venisse commentato
“Ehi,
non strozzarti! Sembra che non mangi da giorni” il ragazzo
inghiottì l’ultima parte del suo purè
di patate poi rispose ad
Ulrich
“Lo
so. Ma voglio sbrigarmi, sento che mi beccherò una
coltellata se
rimango”
“Come?”
“Fidati
di me. Qualcuno qui ha capito cosa intendo” e si
alzò, per poi
dirigersi fuori dalla mensa. Jeremy abbassò lo sguardo per
nascondere la sua rabbia, ci mancava solo che il pomo della
discordia capisse tutto.
Camera
di Avier e Jeremy – 16:10
Odd,
Ulrich e Avier erano seduti davanti al computer di Jeremy. Il ragazzo
aveva concesso di usarlo nonostante avrebbe preferito che Avier se ne
stesse lontano. Lo odiava con tutto il cuore, ma non voleva esternare
quei sentimenti. Si sarebbe sentito poi in dovere di parlarne con i
suoi amici, non voleva farlo.
D’altro
canto, i due avevano capito che qualcosa non andava. Era fin troppo
evidente.
“Non
puoi proprio dirci nulla?” continuò a domandare il
ragazzo
tedesco, con un’aria più agitata che curiosa
“Non
voglio. Sento che farei danni”
“Posso
capire. È solo che non li abbiamo mai visti così,
vorremo poter
essere d’aiuto”
“Fidatevi
di me, è meglio che non facciate nulla. Piuttosto, pensiamo
a questa
presentazione”
Il
ragazzo si mise a sedere davanti lo schermo, lo guardò
e… Non fece
nulla. Rimase lì a fissare prima lo schermo, poi la
tastiera, il
case e infine i due ragazzi. Replicò questo ciclo di azioni
per
altre due volte, finché non gli venne rivolta la fatidica
domanda
“Tu
sai usare un computer?”
“Certo!
Ma tu credi che io non… Ma è ovvio
che… Solo… Come si
accende?”
“Non
lo sai usare, vero?”
“Okay,
forse è così” i due iniziarono a ridere
cercando di non farlo
troppo sguaiatamente, Avier iniziò ad arrossire, per la
prima volta
mostrò chiaramente di essere in imbarazzo. Provò
a giustificarsi
mentre prendeva a gesticolare in modo animoso e diverso dal solito
“Ero
un barbone! I computer li rubavo, non li usavo”
“Dai,
non c’è bisogno di giustificarsi. Di certo non
sarai l’unico a
essere incapace di usarne uno” rispose Ulrich
“Si,
anche mia nonna non ci riesce” commentò Odd, i due
presero di
nuovo a ridere. Avier si rassegnò a quella ferita
nell’orgoglio,
lasciò che i due continuassero a divertirsi un po’
e, quando
ebbero finito, si lasciò istruire.
Il
ragazzo assunse un’espressione incuriosita per tutta la
durata
della spiegazione, ricordando ai due le vicende da Renard.
Aveva sempre un che di straniante vedere quel ragazzo, più
grande di
loro e sempre pervaso da un certo cinismo di fondo, assumere un
comportamento così fanciullesco. Le sue domande non erano da
meno
“Quindi,
io scrivo qualcosa qui, premo invio e la trovo?”
“Beh…
Si. È così che funziona internet”
“Ma
tutto questo è nel computer?”
“No,
è su internet. Non nel computer”
“Quindi…
Significa che è… Per aria?”
“No…
Non proprio. È… Come dire…”
Ulrich si sentì in difficoltà,
non avrebbe mai pensato che spiegare qualcosa di così comune
potesse
essere tanto difficile
“Non
so come dirtelo. Facciamo così, te lo fai spiegare da
Jeremy. Va
bene?”
“Okay.
Posso provare?”
“Certo”
Il
ragazzo iniziò a digitare lentamente premendo i pulsanti con
gli
indici, sembrava davvero un bambino che aveva a che fare con un
giocattolo mai visto. Alla fine scrisse video
“Un
po’ generico, non trovi?” commentò Odd
“Giusto”
il ragazzo premette una P, poi una O, una R, una N… Poi
Ulrich gli
strattonò via le mani
“Ma
ti pare il momento? E poi è il computer di Jeremy”
“Capisco
la prima obiezione, ma la seconda?” Ulrich cercò
di dare una
risposta a quella domanda, rendendosi conto che non ci riusciva
facilmente. Avier lo stava facendo sentire ignorante come pochi
“In
poche parole, le cose che cerchi rimangono salvate per aiutarti. Si
possono cancellare, ma non lo so fare. Non vorrai che Jeremy sappia
che cerchiamo… Cose sul suo
pc?”
“Oh!
Quindi è così che il governo ci
spia…” e con quell’osservazione
totalmente fuori luogo del russo, il gruppo capì che era
meglio
smettere di perdere tempo.
Passò
il tempo, non si può dire che il lavoro proseguì
spedito, ma
proseguì. Creavano una diapositiva dopo l’altra,
inserendo
immagini e testi nel modo più ordinato e gradevole
possibile. Ogni
volta che volevano smettere, dopo un po’ tornavano sui loro
passi
dicendo che qualche argomento in più avrebbe magari permesso
loro di
ottenere un voto migliore. Poi però finivano
irrimediabilmente a
cazzeggiare nel frattempo, cercando cose stupide o facendo battute su
ciò che leggevano o vedevano. Fu proprio cercando immagini
che, con
l’incredibile magia dei correlati di Google,
l’attenzione di
Avier venne attirata da un quadro misteriosamente apparso in un
elenco sul fianco destro dello schermo.
“Che
ritratto è questo?” disse mettendo un dito sopra
lo schermo,
Ulrich mosse il mouse e ci cliccò sopra, ingrandendolo. Era
il
quadro di una donna distesa sopra un triclinio, la riconobbe subito
“La
maja vestida del Goya! A mio madre piace questo
quadro. Chissà
perché ci è apparsa? Non è del secolo
che abbiamo cercato” Avier
aveva ascoltato o forse no, non era chiaro siccome aveva preso il suo
portafogli e lo aveva aperto mentre il ragazzo parlava. Prese dal suo
interno una foto rettangolare e la mise sullo schermo, affianco al
quadro. Sulla foto c’era un giovane ragazzo biondo vestito
con un
vecchio e lungo abito da donna, disteso su un letto in una posa
comicamente simile a quella della maja.
“Separati
alla nascita. Non trovate?”
“Chi
è quel tipo?” domandò Odd con un misto
di confusione e curiosità,
stessi sentimenti provati da Ulrich dall’altro lato.
“Yuri,
il mio amico. Ve ne ho parlato”
“Ne
avete fatte di cose strane da ubriachi!” subito dopo quel
commento,
Ulrich avrebbe fatto un risolino. Invece gli apparve
un’espressione
ancora più confusa di prima sul volto
“Non
era ubriaco”
“Perché
si è vestito così allora?”
“Perché
gli piaceva farlo” ci fu un silenzio che durò un
tempo indefinito
e indefinibile, almeno per i due Guerrieri Lyoko. Poi Odd fece una
domanda.
“Yuri
era… Come dire… Cioè…
Gay?” Avier si portò una mano sul
mento e assunse un’aria pensierosa.
“Non
lo so, sei gay anche quando ti piacciono i maschi ma ti senti la
parte femminile della coppia?”
“Si”
“Oh
guarda! Sono gay!” disse estraendo una seconda foto. Vi erano
immortalati lui e Yuri stesi su un tappeto in un abbraccio molto
molto affettuoso.
Ancora
una volta Avier era capace di rendere strano e surreale qualsiasi
momento. Le reazioni dei due interlocutori erano le stesse che
avrebbero avuto due persone davanti a qualcosa che sfugge dalla loro
comprensione ma che è presente davanti a loro, continuando a
stordirgli le menti alla spasmodica ricerca di un filo logico e
razionale al tutto. Tradotto: rimasero per diversi minuti immobili
con un’espressione che ricordava quella di una carpa in
procinto di
mangiare un pesce più piccolo.
“P-p-perché
non ce l’hai detto prima, scusa?”
domandò Ulrich con un tono di
voce che lasciava trasparire tutta la sua confusione.
“Dovevo?”
“Beh…
Credo di si. Credo sia importante quello… Quello
che… Ti piace”
“Forse.
Può darsi. Non c’ho pensato a dire la
verità” la naturalezza e
la spensieratezza di Avier erano inquietanti, come se non gliene
interessasse nulla di ciò che aveva appena detto. Aveva un
ordine di
importanza delle cose davvero strano
“Facciamo
che finiamo qui e poi ne parliamo dop… Stas…
Un’altra volta, va
bene?”
“Da”
Finirono
la presentazione e non riparlarono di quell’argomento.
Riferirono
però quella rivelazione ad Aelita e Jeremy. In un primo
momento
quest’ultimo non disse nulla. Non appena fu solo,
però, ringraziò
tutte le divinità che conosceva, con tutto che non era
credente. Si
sentì liberato di un peso terrificante dal petto. Aelita la
prese
diversamente…
Cortile
del Kadic – Ore 21:00
“Sei
qui, come sempre” La ragazza aveva ritrovato il russo seduto
sulla
stessa panchina, a fare la stessa cosa. Disegnare la stessa porzione
di cielo. Come faceva a non annoiarsi lo sapeva solo lui.
“Non
dovresti venirmi a parlare da sola, di notte, senza che Jeremy lo
sap…”
“Senti!
Non ti ci mettere anche tu. Saresti ipocrita” Avier
sollevò una
mano dal foglio e se la portò al volto pensieroso, poi
iniziò a
parlare gesticolando come suo solito.
“Posso
capire invadente, irritante, idiota… Ma ipocrita?
Perché dovrei
esserlo?” Aelita ebbe un attimo di esitazione.
Quell’esitazione
che si prova quando fino ad un secondo prima ci si è
immaginati una
scena idilliaca in cui si trionfa in un’argomentazione, ma
poi la
realtà si rivela molto più difficile da gestire.
“Le
coincidenze… Ci sono troppe coincidenze. Quando ci hai
raccontato
la tua storia, avevi tutto il tempo di parlare del…
Tuo…
Orientamento. Non l’hai fatto! Non puoi essertelo
dimenticato,
quindi significa che non l’hai voluto fare. Però
poi fai uscire
l’argomento in un modo assurdo, oggi. Lo stesso giorno in cui
hai
capito che c’erano dei problemi tra me e Jeremy. E che tu eri
la
causa” la ragazza fece un forte respiro, poi
terminò
“L’hai
fatto di proposito, vero? Perché?” lo disse
fissandolo diritto
negli occhi
“Fatto
cosa? Non ho mentito”
“Forse
no. Ma è un caso che tu lo abbia detto proprio
oggi?”
“Beh…
Si”
“La
tua mano sta tremando” Avier si girò di scatto
verso la mano che
stringeva la matita, vide quest’ultima oscillare su e
giù a causa
del tremore. Spalancò gli occhi e poi si strinse il polso
con
l’altra mano, facendola calmare. Fece poi una risata, prima
trattenuta e nervosa, poi molto più aperta.
“Ti
ho sottovalutata. Non pensavo che riuscissi a ragionare come me. Ma
guarda! Sconfitto al mio stesso gioco” Aelita si mise seduta
affianco a lui
“Quindi,
quella storia di te e Yuri…”
“È
vera! Come ho detto, non ho mentito. Questa foto non è
falsa,
dopotutto” Avier l’aveva di nuovo estratta dal suo
portafogli
“Però,
gay, etero, bisessuale… Non riesco a classificarmi in tutto
ciò.
Ci sono persone per cui provo delle cose, e altre persone per cui
provo cose differenti. Non mi sono mai chiesto il perché,
perché
dovrei farlo? Ciò che voglio, lo ottengo”
“Stai
tentando di divagare?”
“No,
no. Non preoccuparti. Perché me lo sono fatto uscire oggi?
Forse
volevo tenerti lontana da me”
“In
che senso?” la ragazza istintivamente si avvicinò
ancora di più
al ragazzo, lui le prese la mano senza preavviso. Ora era lui a
guardarla fisso con i suoi occhi scuri.
“Nel
senso che quando mi guardi negli occhi, anche se lo fai per mettermi
soggezione, mi piace. È abbastanza per non volerti veder
soffrire”
I
due rimasero ad osservarsi per un tempo indeterminabile, troppo
distorto dalle loro percezioni. La ragazza avvicinò
leggermente il
suo volto a quello del ragazzo. Poi, però, lo spinse via.
Fece
perdere la presa ad Avier tirando via la sua mano e si alzò
di
scattò
“I-io
non posso. Non posso. Mi dispiace” disse mentre se ne andava,
il
suo volto iniziava a rigarsi di lacrime.
“Eto
zaymet nekotoroye vremya” si
disse Avier quando se ne fu andata.
??????????/Jeremy
Belpois – Terzo contatto – Ore 23:45
Gli
spasmi la colpirono un’altra volta, ancora più
violenti. La figure
cadde dalla poltrona e rovinò a terra, il suo respiro era
ostruito
da tutti quei movimenti fuori controllo. Con tutta la forza di
volontà in suo possesso, riuscì a tenere sotto
controllo un braccio
abbastanza a lungo per prendere l’ultima siringa e ad
iniettarsela
nel collo per calmare gli spasmi. Come si aspettava,
l’effetto del
farmaco si era indebolito, era diventato sempre più
inefficace ad
ogni iniezione. Ma tanto, ora che era finito, non sarebbe servito
preoccuparsene. Si doveva passare al piano B.
Prese
dalla sua sacca una flebo piena di un secondo farmaco trasparente,
attivò il repulsore di gravità per farla
fluttuare e poi afferrò
l’ago collegato alla fine del lungo tubicino. Fece scorrere
lentamente un dito lungo le nanofibre della manica sinistra, pian
piano iniziarono a separarsi liberando il suo braccio. La pelle
bianco latte appariva ancora più orribilmente corrotta da
quelle
piaghe nerastre, vederle lo fece innervosire più di quanto
non fosse
già. Prese l’ago e iniziò a infilarlo
lentamente in una delle
vene del braccio, il farmaco stava già iniziando a fluire
gocciolando lentamente.
Si
doveva sbrigare, entro un quarto d’ora il muoversi, il
parlare e
persino il pensare gli sarebbe costato molta più fatica. Il
suo
lavoro richiedeva una seconda persona, gli serviva…
“Jeremy
Belpois”
Aprì
il programma di chiamata del supercomputer e digitò il
numero
salvato, poi si infilò le cuffie con il microfono.
“Huy!
È quasi mezzanotte. Chi cazzo ti chiama a
quest’ora?”
“Non
ne ho idea” Jeremy prese il suo telefono poggiato sulla
scrivania e
sollevò lo schermo, ebbe un soprassalto. Riconobbe quel
numero, era
quello che usava per chiamare gli altri Guerrieri Lyoko dalla
fabbrica. Non era possibile! Il supercomputer era spento.
Si
ricordò della capacità di Avier nel capire le
cose dai piccoli
dettagli. Assunse un atteggiamento quanto più tranquillo
possibile,
o almeno ci provò.
“Pronto?”
“XANA
sta tornando. Raggiungimi. Lyoko” la chiamata si chiuse. Come
Jeremy riuscì a gestire di rimanere calmo non lo seppe
neanche lui,
forse Avier gli faceva molta più paura di quanto volesse
ammettere.
Non poteva permettersi di comportarsi in modo sospetto davanti al
russo, sapeva che l’avrebbe seguito. Non doveva scoprire
Lyoko.
“Chi
era?”
“Un
tuo amico forse. Mi è sembrato parlasse in russo, non ho
capito
nulla”
“Inizia
a fuggire. È il KGB che mi cerca” fece una lieve
risata, poi
chiuse di nuovo gli occhi. Dopo un paio di minuti tornò a
russare.
Jeremy si mosse quanto più lentamente e delicatamente
possibile ed
uscì dalla sua stanza, poi iniziò a correre.
La
sua mente si riempì di ogni sorta di pensieri. Come poteva
XANA star
tornando? Lo aveva cancellato con il programma multi-agente, lo
ricordava bene. Non c’era più traccia di lui in
nessuna parte del
supercomputer, o di qualsiasi altro computer del mondo. Inoltre,
ammesso che stesse tornando davvero, chi era il tipo che glielo aveva
comunicato? Non riusciva a capacitarsene, la sua voce non gli suonava
per niente familiare, ma solo molto strana. Quelle poche parole le
aveva dette in modo strano, aspirando leggermente alcune vocali ma
parlando con durezza e freddezza. Sembrava una sorta di ibrido tra un
accento tedesco e uno inglese.
Non
ci stava capendo niente, si sentì così confuso
che, quando arrivò
nella foresta davanti il Kadic, quasi si perse cercando di fare la
strada per raggiungere il tombino. Era passato un intero anno
dall’ultima volta che si era diretto lì.
Superato
quello smarrimento, ben presto tutto il tragitto gli tornò
alla
memoria. Dentro di sé sentiva un’ansia crescente
ogni passò che
compiva. Arrivato a metà strada, improvvisamente si
fermò. Sentì
qualcosa muoversi tra i cespugli e i tronchi degli alberi, in modo
così rapido da non sembrare umano. Poi però i
suoni cessarono, lui
non si sentì al sicuro. Prese a camminare più
lentamente cercando
di guardare attentamente attorno a sé, la luce della Luna
filtrava
con difficoltà tra le fronde degli alberi e i suoi occhi non
erano
ancora abituati al buio. Aveva paura, ma non poteva fermarsi.
Mosse
un altro paio di passi. Poi, qualcuno lo afferrò alle
spalle. Una
mano coperta da uno strano guanto nero, fatto di un materiale simile
al cotone, ma dalla trama molto più intricata e complessa,
gli tappò
la bocca, impedendogli di urlare. Un braccio lo avvolse attorno alla
vita e lo strinse, bloccandogli le mani in quella posizione. Si
sentì
tirare verso il basso e venire trascinato all’indietro con
rapidità. Quell’individuo era così
forte da rendergli impossibile
qualsiasi movimento, come se avesse ferro al posto delle braccia.
Istintivamente provò a gridare, ma ne uscì solo
un lamento
soffocato
“Silenziati.
Sono alleato” Jeremy non gli credeva, ovviamente. Non stava
facendo
nulla per metterlo a suo agio. Notò però come la
sua voce fosse
incredibilmente simile a quella sentita al telefono, anche se non
identica. La sua era più fredda e regolare, inoltre quello
strano
accento era molto meno presente.
Una
delle dita della mano sulla sua bocca si sollevò, indicando
un punto
preciso nella foresta, le altre cinque rimasero serrato attorno alla
sua bocca. Si rese conto in quel momento che quelle mani avevano sei
dita ciascuna. Questa scoperta lo fece gridare di nuovo, cosa che
fece serrare ancora di più la presa al suo rapitore
“Silenziati,
ho ordinato. Sarà necessario stordirti altrimenti. Guarda
lì,
piuttosto” Jeremy lo fece e vide una seconda figura camminare
lentamente con un passo felpato. Una figura esile, pallida e vestita
con un pigiama nero con sopra una pessima stampa di Falco. Era Avier.
Lo stava seguendo.
Jeremy
non capiva, era sicuro si fosse addormentato, lo aveva sentito
russare. Possibile che sapesse fingere di dormire?
“Ha
i comportamenti di un soldato. Va allontanato” disse
sottovoce la
figura dietro di lui, poi sembrò come da un’altra
parte. Rimase
perfettamente immobile, quasi Jeremy non lo sentì respirare.
L’unico
rumore che si sentì fu quello di qualcuno che si spostava
tra le
foglie, molto più avanti. Quei suoni attirarono Avier, che
prese a
seguirli. Dopo un paio di minuti, sentì la presa di
quell’individuo
allentarsi e liberarlo dalla sua morsa.
“Lontano”
disse, anche se Jeremy non capì se stesse parlando con lui.
Il
ragazzo tentò subito di scappare, ma con un movimento quasi
impercettibile venne di nuovo afferrato per un braccio e tirato
indietro.
“Non
tentare. Sei prioritario”
“Che
cosa vuoi da me? Che cosa sta succedendo?” la figura non
rispose.
Jeremy ebbe modo di osservarla. Il suo corpo era coperto da una sorta
di tuta unica dello stesso materiale e colore dei guanti, cosi
aderente da sembrare la sua vera pelle. La figura era umanoide, ma
gli arti apparivano leggermente più lunghi di quelli di un
essere
umano, i fianchi erano più larghi di quelli di un normale
uomo,
inteso come maschio, ma non erano neanche femminili. La testa,
coperta da un casco con una grossa visiera oscurata che non lasciava
intravedere il volto di chi lo indossava, presentava un cranio
più
grande e sviluppato di quello umano.
“Chi
sei?”
“I
tuoi simili userebbero al definizione alieno”
disse prima di
toccare un dispositivo sul suo polso, facendo apparire degli
ologrammi pieni di scritte. Se quello era un alieno, quello doveva
essere il suo alfabeto. Eppure, a Jeremy sembrò familiare,
non
riusciva a capacitarsi dove lo avesse già visto.
“Che
cosa vuoi da me?”
“Nel
momento attuale, voglio te”
“Come?”
“Devo
portarti con me. Tutto sarà spiegato”
“Mi
stai rapendo?”
“La
risposta è variabile. Tu vuoi seguirmi?”
“No”
“Allora,
affermativo. Ti sto rapendo” Jeremy tentò di nuovo
di
allontanarsi, ma venne afferrato nuovamente. Non riusciva a capire
come facesse a muoversi così velocemente.
“Umano.
Il giorno in cui i capricci di un unico distruggeranno
l’equilibrio
dell’Universo, io sarò morto da tempo”
Gli
ologrammi sul braccio della figura scomparvero e dal dispositivo
partì un lampo di luce che lì
inghiottì. In una frazione di
secondo, lì dove vi erano due persone, non vi era
più nessuno.
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Capitolo 7 *** Capitolo 6: Uomini e stelle ***
Lenkerthen Lyoko Cap.6
Terra
– Francia – Parigi – Martedì
20 Settembre 2005 – Ore 00:10
Avier
Antonovic Anisimov era nervoso, più nervoso di quanto
nessuno lo
avesse mai visto essere. Le mani presero a tremargli come in preda al
Parkinson, il respiro si fece affannato e irregolare, il cuore
iniziò
a battere più forte. Aprì la sua borsa e prese
una delle sue
monete, provò a farla scorrere tra un dito e
l’altro, non
riuscendoci. Cadde a terra, il tintinnare del metallo sul pavimento
fu una campana che diede segnale a tutta la sua rabbia di
fuoriuscire.
“Porca
puttana! Porca puttana! PORCA PUTTANA! HO SBAGLIATO!” diede
un
pugno ad una parete, facendosi più male che altro. Il
constatare la
sua debolezza fisica non fece altro che gettare benzina sul suo fuoco
di furia. Sentì il bisogno di distruggere qualcosa,
aprì la sua
borsa per cercare i suoi bicchieri di vetro, li voleva lanciare per
terra e sentirli frantumare. Lo aveva fatto tante altre volte, e lo
avrebbe fatto di nuovo, non avesse visto prima la copertina del suo
album fotografico. Nel disordine delle sue cose, quella raccolta di
foto era saltata fuori per prima, come se attirata dal suo malumore.
Il
suo desiderio distruttivo si placò e iniziò a
sfogliare le sue
vecchie foto. Arrivato all’ultima, la sua rabbia divenne
disperazione. Iniziò a piangere, odiava farlo, lo faceva
sentire
debole. Ma certe cose lo lasciavano inerme, incapace di controllarsi
“Ho
fallito. Mi dispiace. Resta con me” disse stringendo a
sé la foto
di lui e Mary. La girò e lesse la poesia sul retro:
Il
vento sia alle tue spalle
La
fortuna nelle tue mani
Il
mondo si pieghi al tuo comando
Sii
la luce nell’oscurità
Quelle
parole cancellarono anche la sua disperazione, le lacrime smisero di
sgorgare e tornò quello di sempre. Com’era stato
stupido a
prenderla così male, proprio ciò che Mary gli
aveva detto di non
fare mai. Non aveva ragionato e si era lasciato cadere in balia delle
emozioni. Così stupido!
Ma
ora stava tornando quello di sempre, la sua mente iniziò a
ragionare
come sempre aveva fatto. Mise una dietro l’altra le sequenze
del
percorso di Jeremy e si rese conto che qualcosa non tornava, qualcuno
era riuscito ad ingannarlo. La situazione era molto più
insidiosa di
quanto sembrasse.
Il
ragazzo si alzò dal letto e guardò verso il
soffitto, immaginandosi
di perforarlo con lo sguardo fino a vedere le stelle nel firmamento.
“Contro
chi mi avete messo?” disse in un primo momento.
“Non
importa, ritornerà da me” continuò, poi
abbassò lo sguardo
“Ciò
che voglio, lo ottengo” terminò, e si mise a
dormire
Due
ore dopo, il suono della porta che veniva aperta lo svegliò.
Socchiuse gli occhi e osservò la stanza, vide una figura dai
capelli
biondi e indossante un paio di occhiali sul naso. A quanto pare
Jeremy era tornato…
Classe
di Ulrich e Odd – Ore 11:30 alle ore 12:00
“Stern,
Della Robbia, Anisimov. Forza, mostratemi la vostra
presentazione”
i tre vennero incalzati così dalla professoressa. Si
alzarono dai
loro posti come soldati a seguito di un ordine. Ulrich e Odd erano
presi dall’ansia, Avier era… Avier. Come sempre.
Una cosa odiosa
da constatare, ma utile al momento.
“Tak,
il periodo
vittoriano…”
“In inglese, Anisimov”
“Mi
scusi. Conoscendo sei lingue, a
volte mi confondo” nonostante
lo scemato
interesse nei
suoi confronti, certe
dichiarazioni non potevano passare inosservate. Tutti iniziarono a
guardarlo, cercando di capire se stesse mentendo.
“Lei parla sei lingue,
Anisimov?”
“Yes,
I do. I speak, obviously, russian. Then english, french, spanish,
polish and ukrainian…”
Mensa
– Dalle ore 12:20 alle ore 12:32
“E
quindi ha preso a parlare ininterrottamente per venti minuti. Con la
prof che lo ascoltava senza rendersi conto del tempo che passava e
Avier che si premurava di dire lui tutte le cose che noi non
sapevamo. Alla fine ci ha interrogato cinque minuti a testa su cose
banalissime. Miglior interrogazione della storia!” Odd aveva
raccontato la vicenda ad Aelita colmo di eccitazione e caricando di
enfasi le parole, non stava descrivendo un evento qualsiasi, ma
un’impresa eroica. Da parte di un individuo molto strano, ma
ciò
non la rendeva meno eroica.
“Più
ti conosco, meno penso tu sia umano, Avier” il russo sorrise
compiaciuto, poi si mise in bocca un altro pezzo del suo panino
salame, mortadella e lattuga (era molto affamato quel giorno). Quel
pezzo gli fu quasi fatale, Ulrich gli diede una pacca sulla spalla
così forte da fargli andare di traverso il boccone. Il russo
prese a
tossire fortissimo, arrossandosi in volto per il soffocamento.
Nonostante questo, dopo qualche colpo di tosse sarebbe passato.
Infatti non fu quello l’evento traumatico, ma ciò
che accadde
dopo. Caso volle che Jim passasse di lì proprio in quel
momento,
vedendo la situazione di Avier, si mise in azione.
“Ci
penso io!” raggiunse il ragazzo in sei passi e lo avvolse da
dietro
con le braccia, gli mise una mano a pugno sullo stomaco, la
coprì
con l’altra e poi spinse all’interno verso
l’alto. Avier sputò
il boccone non masticato sul pavimento, uscendo dalla manovra di
Haemlin con le vie respiratorie libere e una ferita
nell’orgoglio.
Si girò verso il suo benefattore e, ancora stordito,
allargò un
sorriso da ebete e parlò come un ebete.
“Mi
hai salvato, omone” lo strinse in un abbraccio comicamente
esagerato, una scena surreale. Jim fece un espressione compiaciuta e
iniziò a vaneggiare sul suo passato
“Un
gioco da ragazzi. Mi ricorda quando ero sergente istruttore dei Navy
Seals, quelle reclute partivano da queste basi e in breve tempo
dovevano essere pronti per le missioni speciali. Un lavoro per pochi,
ma ti assicuro che ho sfornato solo i migliori soldati degli Stati
Uniti D’America. Mi sale una lacrima solo a
pensarci”
“Lei
è un uomo incredibile. Ora però devo tornare in
camera un attimo”
Avier si allontanò, dal suo passo rapido sembrava che
fuggisse dalla
zona, cosa non tanto lontana dalla verità. Jim
però lo fece fermare
due volte.
“Vedi
di non saltare le lezioni. Mi raccomando”
“Non
oserei mai”
“Bravo
il mio ragazzo! Ehi, non è che avresti quel controt’
che prepari?”
“Il
kompot? Si, ne ho
preparato un po’ di recente. Se me lo paga, gliene do un
barattolo”
“Affare
fatto” subito dopo sia Avier che Jim sparirono
nei corridoi ai lati opposti della mensa.
Teorie
complottistiche iniziarono ad alimentarsi tra i tre guerrieri Lyoko
presenti lì nella mensa
“Ragazzi,
qui lo dico e non lo nego, Avier è innamorato di
Jim” Odd mise il
pezzo da novanta nella discussione, sarebbe stato saggio ridere e
pensare a cambiare discorso. Però ci sono momenti nella vita
in cui
spettegolare è un vizio troppo invitante
“Beh…
Dopo la sua confessione… Spiegherebbe molte cose”
aggiunse Ulrich
con un certo disagio, ma anche una malizia piuttosto subdola
“Dai,
vanno solo d’accordo. Non significa nulla” Aelita
prese una
posizione diversa. Il
suo
disagio era quello più forte, aveva fatto i miracoli per non
mostrarlo quando il russo era lì. Prima le
parole che gli aveva detto la sera prima e il quasi bacio, poi il
sogno.
Stava succedendo tutto
insieme.
“Ne
sei proprio sicura?”
“Certo.
Non credo abbia quel tipo d’interesse. Jim è
vecchio”
“Alcuni
ragazzi sono affascinati dalle donne più grandi, magari lui
ha gli
stessi
gusti, ma adattati”
Ulrich, nonostante la sua solita freddezza, non poté non
sorridere
mentre sottolineava l’ultima parola.
“No,
non è così vi dico”
“E
tu come fai a saperlo?” Aelita arrossì lievemente
per un attimo.
Lei sapeva la verità. Cavolo se la sapeva! Però
non poteva dirla.
Come rispondere allora? Per miracolo riuscì a cavarsela con
qualcosa
di sensato.
“Lui
era fidanzato con Yuri, no? Lo avete visto com’era:
più grande ma
dall’aspetto più giovane, esile, delicato,
dall’aria
intelligente… Vi sembra che Jim gli somigli?”
“L’aria
intelligente sicuramente no” la
battuta di Ulrich fece ridere sguaiatamente i tre. Poi
Odd se ne
uscì con una
constatazione
“Però,
non trovate che siano tutti aggettivi che descrivono Jeremy? E se gli
piacesse lui?”
“Che
idea stupida” esclamò secca Aelita, sperando di
troncare così
quella discussione.
“Però
lui ci ha provato con te di recente, no?” Ulrich gli diede un
colpo
sul fianco per farlo smettere,
ma il danno era fatto.
“Anche
voi siete dalla parte di Jeremy? Pensavo ci fossimo rappacificati con
Avier,
perché allora sono solo io a non accusarlo di cose che non
ha
fatto?” Aelita si alzò e
fece per andarsene, dire che fosse innervosita sarebbe
stato un
eufemismo. Ulrich
provò a fermarla.
“Scusalo.
Avier ci ha detto che lui era
causa di litigi tra te e
Jeremy, ma
ci ha
anche detto
di lasciar risolvere a voi. Odd avrebbe dovuto ascoltarlo”
“Si,
avrebbe dovuto” e se ne andò, i suoi movimenti
trasmisero tutta la
rabbia che provava.
“Perché
hai dato la colpa solo a me?”
“Perché
la colpa è solo tua”
“Mi
hai pugnalato alle spalle, amico”
“No,
non funziona così. E poi, con che idiozie te ne esci? Va
bene gli
scherzi, ma Avier ci avrebbe provato con Aelita per conquistare
Jeremy?”
“Si,
per farlo ingelosire e conquistarlo”
“Sembra
molto insensato”
“Può
darsi, ma non puoi dire che Avier agisca in modi
comprensibili”
“Incomprensibile
e idiota non sono sinonimi. Comunque, vista la situazione, ti
assicuro che se c’è qualcuno che non piace ad
Avier, quello è
Jeremy”
Camera
di Avier e Jeremy
– Ore
12:28
“Jeremy,
tesoro. Il tuo principe azzurro vorrebbe entrare” Avier era
in
piedi fuori la porta della camera, aveva abbassato la maniglia e
l’aveva trovata chiusa. Le chiavi erano ancora nel suo
borsone, ma
non le aveva dimenticate. Semplicemente, non le aveva prese
perché
Jeremy di solito non chiudeva mai la porta quando era dentro. Tranne
quel giorno, a quanto pare.
Un
paio di minuti dopo, sentì
la chiave girare nella serratura, la porta si aprì e si
ritrovò
davanti il suo compagno di stanza.
“Entra”
“Bol'shoye
spasibo”
Avier entrò e si diresse verso il suo borsone, iniziando a
frugare
dentro.
“Ma
sei uscito di qui? Non ti ho visto andare a lezione e non sei venuto
in mensa”
“Sono
andato a lezione. Dovevo lavorare ad una cosa sul computer”
“Non
mentirmi” Jeremy lo guardò con fare inquisitorio
“Non
sto mentendo”
“Davanti
al computer, chiuso in camera… So cosa stavi
facendo”
“Ah
si?”
“Certo”
Si girò tenendo in mano due barattoli ripieni di kompot
e squadrò Jeremy.
“Anche
io ho guardato porno. Certo, su videocassetta
perché… Ho un animo
vintage. Però non pensare che non l’abbia
fatto”
“Mi
hai beccato”
“Non
poteva essere altrimenti. Quando hai finito di sfogare la tua
solitudine, ricordati che hai degli amici. Poka”
Avier
uscì dalla stanza e si incamminò lungo il
corridoio. Riguardò
attentamente i due barattoli che aveva preso, uno di essi aveva un
piccolo puntino nero sotto il coperchio. Nel suo disordine, metteva
certe cose sempre negli stessi posti, come quel barattolo
particolare.
Eppure
lo aveva trovato in un punto diverso,
anche se la borsa non era stata spostata. In camera sua c’era
solo
Jeremy chiusosi a chiave dentro, quindi
era lui ad aver frugato.
“Yest'
anomaliya. YA ne znayu, chto eto, no luchshe poyti drugim putem”
si
disse.
????????????-????????????
“Dakrenit.
Cioè,
salve. Perdono, non ti hanno ancora installato il karl
neinenter.
È una procedura di indubbia non
facilità”
“Voglio
tornare a casa. Dai miei amici, la prego”
“Ci
tornerai, se l’operazione Lenkerthen
Lyoko avrà
positività di risultato”
“La
prego, dico davvero”
“Kant
trejan! Sei
stato informato sui rischi che corre l’universo, sarebbe
imperativo
non mostrare assoluto egocentrismo”
“NON
VOGLIO STARE QUI! LIBERATEMI!”
“Indubbiamente
impossibile. Ora, sii cordiale con il tuo buon medico. Dimmi, cosa
senti?”
“Voglio
andarmene”
“Non
lacrimare. La debolezza emotiva allungherà solo il tuo
periodo di
trattenimento”
“Va
bene. Mi fa tanto male la testa, ho la nausea ed ho freddo”
“Incoraggiante.
Visti i tuoi valori, sono tutti sintomi da stanchezza e stress. Siamo
riusciti ad adattare din
Inkniam al
tuo organismo terrestre. Quando riusciremo a processare un cibo che
non ti sia tossico, nutrendotene ti sentirai meglio. Provo
inquietudine per il nostro Akertosh
Brealwunt,
nessun
soldato dello Swarker ha mai operato con din
Inkniam così
a lungo”
“A
voi non interessa come sto”
“Errato.
A livello logistico, la tua salute psicofisica è essenziale
per
l’operazione. Inoltre, io sono un medico, non un soldato. Il
mio
scopo è assicurarmi che i miei pazienti stiano
bene”
“Non
mi fido di lei”
“Non
lo richiedo. Se mai cambierai posizione, preferirei mi chiamassi con
il mio nome,
ovvero Northar. Oppure Klanter o
Nekor,
se la formalità ti è preferita”
“Quanti
nomi hai?”
“Unico
è il nome, Northar. Klanter e Nekor sono… Credo
li definireste
cognomi. Sono stati scelti in eredità dai miei
generatori”
Camera
di Aelita/Cortile del Kadic – Dalle ore 21:30 alle ore 21:40
Aelita
era
affacciata alla finestra della sua camera, la vista era sullo spiazzo
di cortile con la panchina su cui Avier era solito sedersi, lui era
lì e disegnava come suo solito, probabilmente sempre la
stessa cosa.
Voleva raggiungerlo e chiacchierare con lui come le altre volte, ma
dopo quello che era quasi successo la sera precedente, non ci
riusciva. Non sapeva cosa
fare.
Improvvisamente
vide il ragazzo prendere il suo telefono dalla tasca e comporre un
numero. Dopo qualche secondo, il suo cellulare squillò.
“Deve
essere una coincidenza” si diresse sul comodino dove lo aveva
lasciato, lo prese e rispose.
“Pronto?”
“Continuare
a osservarmi mentre rimugini non ti aiuterà”
“Chi
ti ha dato il mio numero?”
“L’ho
letto una volta sul telefono di Jeremy e me lo ricordavo a memoria.
Lo sai che ti tiene salvata come principessa?
Mi è salito il livello glicemico quando l’ho
notato”
“Si,
lo so. Comunque, non
voglio
parlare di ieri sera,
sopratutto al telefono”
“Se
vuoi vengo da te”
“I
maschi non possono entrare nelle stanze delle ragazze. Anche se
fosse, io non ti aprirei la porta”
“Chi
ha detto che entro dalla porta?”
“In
che senso?”
“Salve”
Aelita sentì la voce venire sia dal telefono che da dietro
di lei.
Si girò e si vide Avier dentro la sua stanza, davanti la sua
finestra. La ragazza cacciò un urlo fortissimo, fermato poi
dal
tempestivo cenno di fare silenzio del ragazzo.
“Vuoi
che mi becchino?”
“Come
sei entrato?”
“Mi
sono arrampicato”
“Ma
è il secondo piano!”
“Mi
sono arrampicato un po’”
“Tu
sei matto”
Avier
mosse un passo verso di lei, la ragazza si sentì intimidita,
eppure
c’era qualcosa di rassicurante nei penetranti occhi scuri del
ragazzo. Li fissò per un attimo, poi distolse lo sguardo. Quando
mi guardi negli occhi, anche se lo fai per mettermi soggezione, mi
piace. Aveva ricordato quella frase, non poteva succedere di
nuovo.
“Torniamo
seri, ti va?”
“Si”
“Io
credo di aver sbagliato. Non era il caso di dirti quelle cose. Lo
sapevo che eri impegnata, ti ho mancata di rispetto, mi dispiace. Ho
due anni in più, ma non sono più maturo di
te” la ragazze fece un
sospiro, poi rivolse ad Avier un leggero sorriso
“È
strano che ti prenda la colpa. Sono io quella che ti ha quasi
baciato”
“Ma
quello è normale. Io sono fantastico” Aelita si
mise a ridere e
anche Avier allargò un sorriso.
“Stupido!
È questa la tua idea di serietà?”
“Si,
perché io sono seriamente fantastico”
“Hahaha!
Credici”
“Comunque,
non so se sia possibile, ma vorrei poter rimanere tuo amico. Tu sei
una ragazza davvero speciale” Aelita arrossì,
quando Avier faceva
complimenti, li sapeva dire così bene che non poteva essere
altrimenti.
“Certo
che puoi. Anche tu sei speciale, Avier”
“Bene”
esclamò dopo un po’ il ragazzo, alzando un
po’ il tono di voce.
“Ti
va una passeggiata, Aelita?”
“A
quest’ora? Ma c’è il
coprifuoco…”
“Dai,
principessa, ho scalato la torre per lei. Un coprifuoco lo
potrà
violare per me” Aelita sorrise, però sentiva anche
un certo
disagio. Stare da sola con Avier… Non avrebbe dovuto, non
così
presto. Doveva dirgli di no, ma non ci riuscì.
“Come
rifiutare l’invito di un cavaliere slavo in tuta
Adidas?”
“Non
se ne vedono tutti i giorni. Ti aspetto davanti al cancello
d’ingresso”
Il
russo scavalcò la finestra e prese a discendere reggendosi
sugli
stessi appigli con cui era salito.
Sala
del supercomputer – Nello stesso momento
La
figura esile era nel lato destro della sala, seduta sul pavimento con
la schiena poggiata sulla parete. La sacca della sua flebo continuava
a galleggiare nell’aria grazie al repulsore gravitazionale,
il
farmaco scorreva lentamente lungo il tubo ed entrava nel suo braccio.
Era totalmente privo di forze, non osava muovere le gambe e le
braccia compivano solo brevi spostamenti costanti molta fatica. Le
macchie nere sulla sua pelle avevano smesso di aumentare,
così come
si erano calmati gli spasmi. Il prezzo di ciò era altissimo,
se il
suo piano non fosse andato a buon fine, non ne sarebbe uscito.
Sentì
l’ascensore scendere lungo la tromba e la porta aprirsi,
guardò in
sua direzione e vide chi era entrato. Gli parlò con la sua
voce
debole e soffocata.
“Sei
tornato… Jeremy… Amico mio”
“Salve,
Niktor”
Per
le strade di Parigi – Dalle ore 22:00 alle ore 22:28
Aelita
camminava affianco ad Avier, senza domandarsi se stesse seguendo un
percorso preciso o stesse semplicemente andando a caso. Non le
interessava, dopotutto. Aveva notato che il ragazzo si sforzava
tantissimo di camminare piano, non cedendo al suo solito passo rapido
difficile da seguire, era così gentile da parte sua.
Un’altra
cosa che la sorprese fosse quanto Avier parlasse poco, rispetto ai
suoi standard ovviamente.
Raccontò
delle disavventure vissute con i suoi vecchi amici, o almeno quelle
che si potevano raccontare a una signorina, come lui stesso
aveva
detto. Era incredibile di quante idiozie fossero capaci. Per la
maggior parte del tempo però Avier ascoltò,
lasciava che Aelita gli
raccontasse tutto ciò che voleva, dando solo ogni tanto un
commento
o qualche suggerimento.
“Ti
ho detto che suono la tastiera?”
“Non
me lo hai detto, però lo so”
“Credo
solo pochi possano dare questa risposta senza passare per
pazzi”
“Chi
ti dice che io sia sano?”
“Non
ho detto questo, infatti. Psicopatico”
“Io
credo che poche ragazze possano dire psicopatico con
malizia”
“Malizia?
La vedi solo tu”
“Certo,
certo” Aelita arrossì di nuovo, decise quindi di
riprendere
immediatamente il filo del discorso.
“Stavo
pensando, se tu canti potremmo fare una canzone insieme”
“Vuoi
fondare una band?”
“Perché
no? Magari funziona. Chi può dirlo?”
“Può
darsi, ma non credo di cantare così bene”
“Devi
solo fare pratica, hai già un talento naturale”
“Spasibo”
Dopo
quella discussione, ci fu un lungo momento di silenzio. Non seppero
neanche loro perché smisero di parlare, semplicemente
continuarono a
camminare lungo la strada limitandosi ogni tanto a guardarsi e a
sorridersi a vicenda.
Fu
Avier a rompere quel silenzio
“Ti
va se ti porto da una parte?”
“Dove?”
“È
una sorpresa”
Sala
del supercomputer – Nello stesso momento
“Niktor,
ho paura di star venendo osservato”
“Chi?”
chiese l’alieno, poi tirò un paio di colpi di
tosse e sollevò lo
sguardo verso l’alto, stremato.
“Un
tipo nella mia scuola, Avier Antonovic Anisimov. Ho visto che ieri mi
seguiva mentre venivo qui, per fortuna sono riuscito a fargli perdere
le mie traccie”
“Sicuro…
Non sappia… Tu sia… Qui?”
“No,
non può saperlo”
“Potrebbe…
Essere una spia… Di uno dei vostri…
Governi”
“A
volte parla del KGB, ovvero i servizi segreti di una nazione chiamata
Russia, in modo ironico. Ho pensato potesse essere una tattica per
depistarci, associare un determinato elemento alla totale
assurdità
per rendercelo impensabile. Però, se fosse uno dei
tuoi?”
“Sarebbe…
A dir poco critico… Ne dubito… Almeno
che…”
“Almeno
che?”
Parc
Monroe – Dalle ore 22:40 alle ore 23:20
“Non
pensavo saresti mai tornato qui”
“In
realtà, tolta l’ubriachezza, il crollo emotivo e
l’irritazione
causatami dall’acqua del lago, mi è piaciuto molto
questo posto
quando ci sono stato”
“Oltre
tutte quelle cose, c’è davvero
qualcos’altro?”
“Si,
te lo mostro”
Aelita
seguì il russo attraverso il parco, percorrendo i sentieri
ghiaiosi
circondati dall’erba e gli alberi. Sentire i suoni ovattati e
lontani della città sovrastati dai ciottoli che veniva
schiacciati
sotto i loro passi era affascinante. La ragazza si sentì di
buonumore come non lo era stata da tanto tempo, quella passeggiata le
stava piacendo tanto.
Il
punto che Avier voleva raggiungere era la cima di una collinetta non
collegata da sentieri, il ragazzo non si fece problemi ad
attraversare le aiuole nonostante i cartelli che dicevano di non
calpestare. Non era proprio abituato a seguire le regole.
“Eccoci
qua” disse il ragazzo una volta
arrivato in cima. Aelita
si guardò attorno confusa, poi tentò di
commentare.
“È
una
bella… Collina”
“Hahaha!
Sei deliziosa” Aelita apprezzò il complimento,
però poi rimase
confusa quando il ragazzo continuò a non parlare.
“Quindi?”
“Non
noti proprio nulla?”
“No,
non credo. È una collina”
“Capisco.
Anche io ero come te, stenditi sull’erba”
“Come?”
“Tranquilla,
fallo e basta” Aelita acconsentì timidamente
all’invito del
ragazzo, quando
ebbe fatto quest’ultimo
gli fece cenno di guardare verso l’alto. La ragazza
capì.
“Wow!
Quante stelle! Si vedono benissimo da qui” il ragazzo si
stese
affianco a lei.
“Eppure
non ci hai fatto caso fino a quando non te l’ho detto
io”
“No,
mi sento così stupida. Per un attimo, mi sono anche
spaventata”
“Forse
mi sarei spaventato anch’io al tuo posto. Essere eccentrici
non è
sempre un pregio” resto in silenzio
per un attimo, a rimuginare tra sé e sé.
“Mi
ha sempre fatto riflettere. Prima di incontrare Mary, non
mi fermavo mai a guardare il cielo. Un giorno lei mi disse Osserva,
pensa a cosa possa significare.
All’inizio ero confuso, poi iniziai a riflettere. Ogni stella
è un
agglomerato di gas che brucia e la cui luce viaggia
nell’Universo,
potrebbero rendere possibile la vita a tante creature diverse lontane
da noi, o togliergliela
con un semplice
cambiamento. La loro
luce è la cosa più
veloce al mondo, eppure il vuoto dell’Universo è
così grande che
ci mette tempo a raggiungerci. Molto di quelle stelle potrebbero
essere morte da chissà quante migliaia o milioni di anni.
Tutte
queste cose, ripetute miliardi di volte, riescono a creare questo.
Tanti piccoli elementi che creano uno spettacolo inimmaginabile.
“Da
allora non riesco a smettere di guardarlo”
Aelita
sentì formarsi
la pelle d’oca sul suo
corpo, il suo cuore prese a battere più forte e alcune
lacrime
iniziarono a rigargli il volto.
“Ho
detto qualcosa di sbagliato, m’lady?”
“No.
È solo… Sono così felice. Mi sento
esattamente dove vorrei
essere”
“È
la cosa più bella che potessi sentirti dire”
Avier le
prese di nuovo la mano. La ragazza se ne accorse, ma non la
scostò.
Anzi, decise di rispondere a quella stretta.
I
due rimasero in silenzio, circondati dalla brezza della notte, sotto
il cielo stellato, al di fuori del tempo.
Sala
del supercomputer – Ore 00:00
“Sono
stanco. Non riesco più a digitare nulla, quasi non leggo
più le
linee di codice. Però, sono a buon punto, fra un paio di
settimane
dovrei aver finito. Ti dispiace se me ne vado?”
“Non
vorrei… Ma io… Dipendo da te” Niktor
tossì per una decina di
secondi, colpi di tosse così forte che la vista gli rimase
appannata
quando ebbe finito. Dovette sbattere le palpebre bianco latte molte
volte prima che i grossi occhi neri tornassero a fuoco.
“Cercherò
di capire se Avier è ciò che mi hai detto. Prima
che vada, vuoi che
ti dia da mangiare?”
“Sei
così buono. No, non lo fare.
Però…” tossì un altro paio
di
volte
“Scusami
ancora… Per XANA”
“Tranquillo,
dovevi assicurarti in tutti i modi che io venissi qui. Poi, Loro
credo siano pericolosi tanto quanto XANA”
“Loro…
Sono peggio… Non farli arrivare a me”
Porta
della camera di Aelita – Nello stesso momento
I
due ragazzi erano fermi fuori la porta della stanza, restii a volersi
separare nonostante l’orario tardo.
“Come
abbiamo fatto a guardare le stelle per tutto quel tempo senza
accorgercene?” domandò la ragazza, ormai non
riusciva più a
smettere di sorridere e sprizzare gioia affianco ad Avier. Anche lui
sembrava molto più allegro del solito.
“Beh…
È successo”
“Uno
pensa che stare fermi a guardare fissi qualcosa sia noioso, invece
siamo stati per quasi mezz’ora e mi sono sembrati due
minuti”
“Credo
dipenda dal contesto”
“Io
credo sia colpa tua”
“Mi
accusi di cosa? Avere poteri magici?” la ragazza sorrise e
poi lo
strinse a se, guardandolo negli occhi.
“Magari
tu avessi poteri magici. Almeno capirei perché provo tutto
questo”
questa volta fu Avier a sorridere, poi le cinse i fianchi.
“Forse
non c’è un motivo” i due restarono a
fissarsi per un po’, in
bilico davanti a una scelta tanto banale quanto importante. Forse fu
Avier ad avvicinarsi leggermente per primo, o forse Aelita, non era
importante. Chiunque avesse iniziato, entrambi ora stavano
partecipando a quel bacio, ed entrambi non volevano separarsi
dall’altro.
“Non
avrei dovuto” disse Aelita quando le loro labbra si furono
separate, teneva lo sguardo puntato verso il basso. Avier aveva
l’espressione più seria che qualcuno gli avesse
mai visto in
faccia, appariva quasi anomala tanto era inusuale. Il suo tono di
voce non era da meno
“Come
si dice? Errare è umano? Posso
andarmene, ricordare questo
momento come un errore che abbiamo commesso entrambi”
“Tu
dici?”
“Si,
però…” il ragazzo le prese
delicatamente il mento e le sollevò
il volto
“Guardami
negli occhi, osserva la tua anima che si riflette nel mio sguardo, e
dimmi cosa vuoi fare” la ragazza non disse nulla, ma si
sollevò
sulle punte per baciare di nuovo il ragazzo. Dopo quel secondo bacio,
un terzo, un quarto, un quinto. Quanto tempo restarono a baciarsi? A
chi importava.
“Forse
è il caso che vada. È davvero tardi. Poi, non
è il caso di stare
nel corridoio fuori dal coprifuoco” la ragazza prese ad
accarezzargli i capelli senza allentare l’abbraccio con cui
lo
teneva fermo.
“Con
tutte le emozioni che ho provato, non riuscirò a dormire
sapendo che
sei lontano da me”
“Non
sarò lontano”
“Non
puoi proprio restare? Almeno finché non mi
addormento” gli occhi
della ragazza sembravano essersi fatti più grandi in quel
momento,
era così dolce.
“Se
me lo chiedi così…”
Aelita
entrò nella sua stanza, Avier la seguì.
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Capitolo 8 *** Capitolo 7: Rottura ***
Lenkerthen Lyoko Cap.7
[4hv493hte43r89thj4ij39t8h34à9h]
Russia – 3 Febbraio 2000
“Dobbiamo
di nuovo cambiare zona, quegli schifosi teppisti non ci vogliono in
giro. Se solo ne fossimo di più”
“Ma
non ne siamo”
“Lo
so, lo so. Proverei a trovare un accordo, ma dalle loro facce ho
capito che mi accoltellerebbero appena mi distraggo”
“Si
vis pacem, para bellum”
“Perché
ti escono frasi in latino? Inizierò a dubitare tu sia russo,
Yuri”
“Tecnicamente
sono polacco”
“No,
non lo sei”
“Senti,
mi chiamo Yuri Jankowski, i miei genitori sono entrambi polacchi e ho
vissuto in Polonia i miei primi quattro anni di vita. Sono
polacco, mettitelo in testa”
“La
tua famiglia non definisce ciò, sei tu a farlo”
“Wow!
Riesci
anche ad essere profondo, Avier? Non lo avrei mai detto del nostro
uomo artificiale”
“Con
te sì. Tu hai qualcosa di diverso, Yuri. Non dirlo agli
altri, ma
credo tu sia l’unica persona a cui tenga davvero”
“Che
fortuna! Non verrò usato per i tuoi scopi”
“Il
tuo cinismo ferisce sempre in profondità”
“Già.
Non dire più nulla del genere”
“Perché?”
“Potresti
piacermi”
Terra-
Francia – Parigi – Mercoledì 21
Settembre 2005 – Ore 6:30
La
luce dell’alba filtrò attraverso i listelli della
persiana,
dividendosi in più fasci separati. Uno di questi
arrivò proprio
sugli occhi di Aelita, facendola svegliare. I suoi occhi miseri a
fuoco l’ambiente circostante, la prima cosa che vide fu il
volto di
Avier ancora dormiente, era rannicchiato in posizione fetale sul suo
letto con ancora indosso la tuta Adidas. Sarebbe stato un dolce
risveglio, non fosse stato che il ragazzo era piagato da un noto
problema durante il sonno.
“Russi
come un bisonte raffreddato. Come cavolo fai?” Avier
aprì gli
occhi subito, il suo era un sonno molto leggero, per quanto non
sembrasse affatto.
“Dono
divino” disse il ragazzo, poi si mise a sedere sul bordo del
letto
e prese a stiracchiarsi.
“Dio
ti deve apprezzare davvero tanto”
“Infatti.
Chissà perché sono agnostico, vero?” la
ragazza scoppiò a
ridere, il ragazzo fece cenno di abbassare la voce.
“Non
fare chiasso. Mi scopriranno sennò” Aelita si mise
a sedere anche
essa, era nella parte interna del letto, dietro il ragazzo.
Allungò
le braccia e cinse la vita di Avier.
“Io
ti avevo chiesto solo di aspettare che mi addormentassi”
“Ma
guarda un po’, sei così noiosa che mi sono
addormentato per primo”
entrambi scoppiarono a sghignazzare per la battuta, quasi
dimenticandosi della prudenza. Poi Aelita appoggiò la testa
sulla
schiena del ragazzo, emise un sospiro sconsolato e lo strinse ancora
più forte. Avier mise le sue mani su quelle della ragazza e
gliele
strinse.
“Credo
di sapere a cosa pensi”
“Non
mentire. Tu non credi di sapere, tu lo sai e basta” il russo
avrebbe scherzato in qualsiasi altra situazione, ma in quel momento
capì che non era il caso. Invece si girò, si mise
a gambe
incrociate e portò le sue mani sul volto della ragazza,
accarezzandole le guance con i pollici. Un’espressione
cordiale gli
apparve in viso.
“Tu
dovrai affrontare Jeremy, prima o poi. Meglio prima che poi. Non sei
il tipo di ragazza che può permettersi di tradire a cuor
leggero.
Non mi piaceresti altrimenti”
“Dici
davvero?” la ragazza fece un grosso sorriso non spostando il
suo
sguardo da quello del ragazzo. Quest’ultimo ebbe un cambio di
espressione repentino, passando da quella bonaria che aveva tenuto
tutto il tempo, ad una che gli si addiceva molto di più.
“No,
sto mentendo. Io sono stato con un sacco di ragazze diverse,
è per
questo che conosco sei lingue” Aelita lo spintonò
e finse
un’espressione offesa. Il ragazzo ridacchiò per
una ventina buona
di secondi, poi tornò serio e mise di nuovo le mani sulle
sue
guance.
“Però
per quelle ragazze non ho mai provato ciò che sento per
te”
avvicinò le sue labbra a quelle della ragazza, i due si
diedero un
altro bacio che avrebbero voluto non terminasse. Non era il momento.
“Tu
vestiti, io devo andare” Avier si diresse quindi verso la
finestra,
mentre la ragazza si girò per iniziare a cambiarsi.
“AAAAAH!”
un urlo improvviso provenne da dietro di lei, seguito da un tonfo sul
pavimento della camera. Si girò e vide Avier steso per terra.
“Che
succede?”
“C’è
il preside nel cortile”
“Ed
urli in quel modo? MA SEI SCEMO?” il russo fece un cenno per
dare
una risposta affermativa, ad entrambe le domande. Poi iniziò
a
pensare a come scamparla, gli venne un’idea. Prese dal suo
borsone
un bicchiere da vodka e lo strinse nella mano destra, poi
caricò il
braccio e lo lanciò dalla finestra, cercando di farlo
arrivare
quanto più lontano possibile. Il bicchiere
atterrò sulla terra
battuta del cortile e si infranse in mille pezzi, facendo rumore e
attirando l’attenzione del signor Delmas. Andò a
controllare e
diede le spalle all’edificio dove vi erano le camere degli
studenti. Restò distratto per veramente pochi secondi, il
tempo di
domandarsi cosa fosse quel mucchio di vetro prima di controllare da
dove potesse essere arrivato. Eppure, quando si girò, Avier
era già
lì.
“Anisimov,
lei da dove sbuca?”
“Da…
Lì” indicò una porta alla sua destra
“Capisco.
Ha rotto lei quel bicchiere?”
“No.
Assolutamente no. Non mi permetterei mai”
“Capirà
che non sono propenso a crederle, ma in questo caso non può
non
avere ragione. È appena arrivato, inoltre sono sicuro che
sia caduto
dall’alto. È impossibile che sia stato
lei”
“Più
che impossibile”
“C’è
qualche ragazzo che si è dimenticato il buon costume in
questo
istituto. Se lei dovesse capire chi è, me lo dica”
“Se
lo capisco, glielo dico. Ricevuto” il preside fece per
andarsene,
ma neanche il tempo che Avier potesse avere l’intenzione di
un
sospiro, che si girò di nuovo.
“Però,
perché è qui e non in mensa a fare
colazione?” il russo sentì un
brivido salirgli sulla schiena, ma il suo istinto di sopravvivenza si
attivò. Si mise la mano sinistra nella tasca e prese le sue
dodici
monete, riuscendo però con un gioco di dita a farne volare
una nella
mano destra, che aveva portato dietro la schiena, per poi far volare
di nuovo la moneta dietro di sé, facendola atterrare dentro
un
cumulo di erbacce rinsecchite.
“Ieri
sera passavo per dì qui, mi deve essere caduta una moneta di
tasca.
Una…” guardò un istante la mano per
vedere quale avesse lanciato
“…Vecchia
moneta da cinquanta franchi. L’ho rub…
cioè, comprata da un
antiquario a Ekaterinburg. Ci sono affezionato”
“Dovrebbe
stare attento alle sue cose, Anisimov”
“Ha
proprio ragione, Signor Delmas”
“Lascia
che la aiuti, magari la troviamo prima dell’inizio delle
lezioni”
Fu
così che Avier passò venti minuti a cercare una
moneta di cui
sapeva perfettamente la locazione.
?????????-???????
“Senza
la variabile slava, le nostre sperimentazioni con din
Inkniam possono
procedere più a
rilento. Ti va?”
“Perché
me lo chiedi? Sono un prigioniero”
“Che
abominevole difetto di cordialità! Ignoriamo.
Ora testeremo quanto controllo puoi acquisire prima
che la tua individualità e quella dall’Akertosh
Brealwunt entrino
in conflitto. Descrivimi accuratamente i tuoi sviluppi
sensoriali”
“Non
posso fare altrimenti. Ma ha già iniziato? Perché
inizio a sentire
più caldo… Si, sento decisamente più
caldo. Inoltre, l’aria…
L’aria sta cambiando. Sento odore… Di chiuso.
È insopportabile!
Mi sento soffocare. AH! LA LUCE! È fortissima! Non
vedo nulla. Meno male, si sta calmando, inizio a distinguere il luogo
dove mi trovo. È... è la mia camera, ma la
finestra è chiusa. È
stata chiusa tutta la notte? Ecco perché la stanza puzza
così
tanto, io la apro per un po’ durante la notte. Forse ci posso
riuscire… No, non riesco ad alzarmi,
però… Ehi, le mie mani.
Però, che
strano. È come se
fluttuassero, non le sento collegate alle braccia. Eppure
si muovono. Forse, se mi sforzo… Si, sento che sto spostando
una
gamba. Devo solo… AAAAAAAH! FA MALE!! PERCHÈ MI
AVETE SCOLLEGATO?
NON STAVO AVENDO PROBLEMI!!”
“Il
suo assoluto egocentrismo le ha fatto dimenticare che condivide din
Inkniam con un nostro
simile?” due
medici scollegarono i
vari elettrodi e
sensori che circondavano l’Akertosh Brealwunt, lo aiutarono
ad
uscire e a rialzarsi. Quest’ultimo mosse un paio di passi con
un
andatura ciondolante, quando capirono che era sul punto di vomitare,
un terzo medico gli mise davanti una sacca di materiale plastico. Fu
lì che il soldato svuotò il suo stomaco.
Poco
dopo fece cenno di voler ritornare nella macchina, i medici lo
aiutarono a rientrare da dove era uscito. Prima di ridistendersi, il
soldato si rivolse a quello che, volente o nolente, era diventato il
suo nuovo collega.
“È
un lavoro non gradevole. Ma ricorda cosa stiamo proteggendo”
Resoconto
dal Mercoledì 21 Settembre 2005 al
Venerdì 30 Settembre 2005
Aelita
quel giorno non parlò con Jeremy di ciò che
c’era tra lei e
Avier, così come non lo fece il giorno seguente, quello dopo
ancora
e così via. La parte più pesante, dopo il dover
tenere nascosto un
segreto simile con tutte le emozioni ad esso collegate, era il fatto
che l’unica
persona
con cui Aelita potesse sfogarsi fosse proprio il russo, che premeva
affinché rivelasse la verità quantomeno a Jeremy.
Le discussioni
fra i due furono animate, con Avier che lamentava il suo aver passato
l’intera vita a fare le cose all’ombra e di voler
finalmente
avere una relazione alla luce del Sole, ed Aelita che non trovava
giusto come tutto sembrasse essere sulle sue spalle, desiderosa di un
qualche sostegno che le rendesse dover rompere con il suo ragazzo
molto più facile. Il russo appariva
freddo e inflessibile sull’argomento, ritenendo che spettasse
alla
ragazza il compito di gestire quel problema.
La
sera del giovedì 29 Settembre la discussione raggiunse un
livello
tale che Aelita disse testuali parole
“Tu
non stai facendo nulla per aiutarmi. Per te sono soltanto un gioco,
COME TUTTI QUANTI!” poi se ne andò, lasciando
il ragazzo solo sulla panchina. Le successive ventiquattro ore furono
infernali per entrambi: Aelita passò una notte insonne tra i
pianti
e il pentimento per ciò che aveva fatto, quelle parole erano
state
dette solo per fargli male. Durante l’orario scolastico non
poté
incrociare Avier senza sentirsi una persona orribile. Il ragazzo, dal
canto suo, non terminò il disegno iniziato quella sera,
evento mai
verificatosi e per tutto il tempo fu preso da un’agitazione
incontrollabile. La paura di perdere Aelita lo faceva tremare e stare
in ansia così tanto che fece fatica a mascherare quello
stato
d’animo, altro evento decisamente inusuale per lui.
Nonostante
tutto, entrambi si rimisero a sedere su
quella panchina la sera del giorno dopo. Passarono i primi minuti
senza parlarsi e guardarsi, poi
d’un
tratto entrambi fecero incrociare i loro sguardi. Pochi secondi dopo
erano uno sopra l’altro ad amoreggiare. Il
sentimento che li legava era troppo forte.
Però,
il problema rimaneva in sospeso
Per
le strade di Parigi – Sabato 1 Ottobre 2005 – Dalle
ore 21:27 alle ore 22:08
“Ehi,
Avier. L’altra volta i rapporti tra noi erano un
po’ tesi, ma
vorremmo rimediare. Parlaci un po’ di te, cosa fai nel tempo
libero?”
“Uccido
la gente” questo scambio tra William e
il russo fece capire che forse stemperare la tensione tra i due
sarebbe stato più difficile del previsto.
Il
gruppo dei guerrieri Lyoko si era di nuovo riunito quel fine
settimana, questa volta però ad Avier era stato chiesto di
unirsi,
lui aveva accettato. Alcuni avrebbero preferito che avesse risposto
di no, Aelita
compresa. Non era andata
così e si era creata una situazione in cui alcuni guerrieri
provavano una certa tensione nei confronti del ragazzo, Aelita
compresa.
“Cinismo
notevole”
“Il
mio non è cinismo, è sarcasmo. Comunque, parlarti
di me? Non so
cosa dirti che non ti abbiano già detto”
“Si,
effetti si parla molto di te. Ad
esempio, so che ascolti molta musica. Hai un genere
preferito?”
“No”
“No?”
“No”
“Ehm…
Un artista preferito?”
“Non
direi”
“Ma
siete sicuri gli piacesse la musica?” William si rivolse al
resto
del gruppo, fu Ulrich il primo a rispondergli.
“Beh!
Ha un pigiama di Falco, una playlist di musica italiana e aveva detto
che gli piacevano i Milli Vanilli” William
si rivolse di nuovo ad Avier, ma prima che potesse
chiedergli
qualcosa, il ragazzo lo anticipò.
“Si,
ascolto molta musica. Ma non ho preferenze, se qualcosa mi fa provare
un’emozione la ascolto, altrimenti no”
“Visione
interessante. Ci sono canzoni metal che ti piacciono?”
“No”
“MA
ALLORA LO FAI APPOSTA!!!” chi più, chi meno, tutti
iniziarono a
ridere. Il russo fu sul punto di dire qualcosa,
ma si interruppe quando vide un negozio di suo interesse e disse
altro.
“Uuuuh!
Libreria! Devo comprare un libro” William rimase stranito
mentre lo
vide allontanarsi, il passaggio di stati d’animo di
quell’individuo
era spaventoso. Un momento prima era cinico, ora sembrava un piccolo
bambino curioso in un corpo troppo grande per lui.
“Io
non lo capisco”
“Nessuno
ci riesce, William. Nessuno” Jeremy disse quelle parole con
una
freddezza che non ci si aspettava da lui, poi si unì a
coloro che stavano seguendo il russo.
Avier
si mise a camminare tra gli scaffali grigio metallo della libreria
ponendo particolare attenzione ai generi in cui erano divisi i libri,
il suo faceva parte di una sezione specifica.
“Che
cosa vuoi comprare? L’ultimo Harry Potter?” domandò
Odd
“No,
un
volume delle Vite
parallele di
Plutarco”
il resto del gruppo
ebbe un sobbalzo,
Odd… Non proprio.
“Non
sembra un fantasy”
“Tu
leggi storici latini?” la domanda partì da Yumi,
era la prima
volta che parlava direttamente ad Avier dall’inizio della
serata.
“No”
“Senti,
non prendermi per il c…”
“Plutarco
è greco”
“Oh!
Giusto” Avier aveva trovato il suo
libro in uno scaffale a livello del terreno, si
accovacciò e
lo prese. Iniziò
a sfogliare velocemente le pagine per controllare la traduzione
e vedere fin dove arrivava quel volume dell’opera di Plutarco.
“Comunque,
ho letto tutte le opere latine che sono riuscito a trovare nelle
librerie in cui sono stato. Il De
bello gallico mi
è piaciuto così
tanto che ricordo a memoria alcune parti del testo latino”
“Scherzi,
vero?” nonostante la sorpresa, Yumi quello non riusciva
ancora a
concepirlo.
“No”
Avier si schiarì la voce
“Gallia
est omnis divisa in partes tres, quarum unam incolunt Belgae, aliam
Aquitani, tertiam qui ipsorum lingua Celtae, nostra Galli
appellantur. Hi omnes…”
“Ho
capito, ho capito. Basta, ti prego”
Poco
dopo Odd lamentò di avere fame, il
gruppo pensò di mangiare qualcosa in un locale poco distante
da
quella libreria. Tutti furono d’accordo, anche Avier.
Però
quest’ultimo decise di rimanere lì, voleva stare
altri dieci
minuti per cercare un libro. Quando il gruppo disse che potevano
tranquillamente aspettarlo, lui insisté che iniziassero ad
andare, e
continuò fino a quando non li convinse. Rimase a guardare i
vari
scaffali finché non fu fuori dalla linea visiva del gruppo,
a quel
punto si mise a sedere su una pila di libri (il primo addetto ai
lavori che fosse passato si sarebbe incazzato nero vedendolo) e prese
a leggere il suo nuovo acquisto. Lesse tre pagine, poi si vide
avvicinare da William e Yumi di ritorno.
“Noi
dobbiamo parlare” il ragazzo si alzò con tutta la
calma del mondo
e parlò senza abbandonare il suo sorriso onnipresente.
“Lo
so, vi stavo aspettando”
“Tu
stavi
aspettando noi?”
“Certo,
che da tutta la serata volevate parlarmi era evidente, credo di
sapere bene anche di cosa. Non sono stato cordiale a darvi un modo
per farlo senza coinvolgere gli altri?” quello che accadde
dopo fu
imprevedibile, anche per il russo. Yumi
si avvicinò, poi prese il ragazzo per la collottola, lo
sollevò da
terra e lo mise con
la
schiena contro
una
libreria.
“Senti,
non so che cosa ci trovino gli altri in te, ma io sono stanca. Stanca
del tuo sarcasmo, del tuo ego spropositato, della tua mancanza di
serietà e dell’aria saccente in ogni cosa che dici
e che fai.
Quindi, ora noi ti facciamo delle domande e tu risponderai dicendo la
verità con quanto meno parole possibile”
“Ricevuto”
Avier non mostrava spavento, ma preferì seguire le gentili
direttive.
“Che
cosa sai?” dalla sua posizione, il ragazzo poteva ancora
muovere le
braccia. Se le mise in tasca e le tirò fuori
“Tutto”
teneva tra le mani un preservativo e una foto di Yumi. William li
vide e si toccò spasmodicamente le tasche. Erano vuote.
“Ma
quando?”
“Non
importa” disse la ragazza
“Quindi
è
così che lo hai capito? Avevi l’aria di un
teppista, ma non
pensavo fossi così bravo con le mani”
“Molte
ragazze me lo dicono” Avier si beccò un pugno nel
fianco, il
dolore fu fortissimo, ma la tentazione di rispondere così
era stata
molto più forte.
“William,
perché porti quella mia foto anche quando usciamo con i
nostri
amici? Non dovresti farlo”
“Lo
so. Però, cazzo! Di solito nel mio portafogli ci guardo solo
io”
“Poi,
il preservativo? Perché te lo porti in giro?”
“Ehm…
Quello… Ammetto di averlo dimenticato. Chissà da
quand’è in
questi pantaloni…” un’aria imbarazzata
apparve sul volto di
William, Yumi rimise il russo a terra, con suo sommo sollievo.
Però,
non aveva ancora finito.
“Quindi?
Cosa pensi di fare con tutte le informazioni che hai ottenuto,
Sherlock?”
“Preferirei
essere paragonato a Philo Vance”
“Vuoi
un altro pugno?”
“No”
Avier ridacchiò fra i baffi, le sue parole si fecero come
più
affilate.
“Però,
davvero, vi credevo più svegli. Voi non avete paura del
fatto che io
sappia, ma del fatto che io possa rivelare ciò che so.
Qualsiasi sia
la mia risposta, non importa i pugni che mi darete, io volendo
potrò
sempre dire quello che so. Almeno che non mi uccidiate. Ma, in quel
caso, credo avreste altro di cui preoccuparvi” Yumi lo
guardò
stizzita.
“Sei
uno schifoso bastardo” il ragazzo non disse nulla, si
limitò a
continuare a sorridere, e a ridare il portafogli e il profilattico di
William, lasciando poi che i due andassero via. Il ragazzo rimase in
libreria, non perché volesse leggere il suo libro o cercarne
altri,
non ne aveva voglia. Aveva fatto in modo che qualcuno ritornasse sul
luogo dell’appuntamento.
“Schifoso
bastardo! Hai borseggiato anche me! Dove sei?” Avier si era
spostato, costringendo la ragazza asiatica a girare varie sezioni
della libreria prima di trovarlo. Quando lo vide, lui le porse il
portafogli. La ragazza gli avrebbe tirato un pugno, ma si
fermò di
colpo avvicinandosi. Avier aveva sollevato la manica della tuta,
rivelando la pelle deturpata del braccio che reggeva il portafogli.
“Tu
non sai chi sono. Quindi, non mi descrivere più in modo
così
crudele, potresti farmi arrabbiare” Yumi prese ciò
che le
apparteneva e se ne andò senza rivolgere una parola al
ragazzo. Se
prima odiava quel russo, ora, come altri, provava un certo timore.
??????????????-?????????????????-????????????????-??????????
>Avier
nar-tra-ku-neisti. Mi-ne-ko da-ste-ni pak-tron-kis?<
“No-ste.-mi,
Ostark! Pak-tra-nemi, va-de-mik. Avier va-de-mik, Ostark”
>Makna
Avier, da-ste-ni. Rokta an-ke-tor<
Il
panico nella figura femminile iniziò a crescere sempre di
più. Il
tempo scorreva.
Per
le strade di Parigi – Ore 23:00
“Bene.
Direi che sia il momento di separarci, l’altra volta il
nostro
Avier ci ha fatto fare tardissimo. Dobbiamo dimostrare che siamo
più
responsabili di lui, no?” quella battuta di Ulrich fece
ridere
Avier e altri, William e Yumi invece non reagirono. Sembravano come
sovrappensiero, in effetti lo erano stati per tutta la serata dopo
essere passati in libreria.
“Ehilà,
tutto bene?” domandò Odd, la risposta non
arrivò subito.
“No,
dobbiamo dirvi una cosa” William prese
l’iniziativa, era il
momento di liberarsi da quel fardello.
“Io
e Yumi ci siamo fidanzati, da circa un mese ormai. Volevamo dirvelo
prima, ma non ci siamo riusciti” ovviamente i ragazzi non
restarono
impassibili davanti quella notizia. E, ovviamente, quello con una
faccia più sconvolta fu Ulrich. William gli si rivolse
direttamente.
“Mi
dispiace, Ulrich” il ragazzo tedesco ci mise un po’
a
riprendersi, ma si riprese. Fece un profondo respiro e poi si rivolse
verso i due con fare cordiale.
“No,
non voglio che tu ti scusi. Essere gelosi sarebbe stupido, sopratutto
se è ciò che Yumi vuole. L’importante
è che voi siate felici”
“Ehi,
pare che tu non sia più il bambino cocciuto che
ricordavo” il tono
di William era amichevole, così come lo fu quello della
risposta di
Ulrich.
“Dopo
un po’ si cresce, no?”
“A
quanto pare. Fatti abbracciare, amico” William
allargò le braccia
e lasciò che Ulrich gli venisse incontro, entrambi si
strinsero
amichevolmente. Erano cambiate davvero tante cose in un anno.
“Ehi,
nessuno può fare una foto? Credo che questo sia un momento
unico
nella storia” Odd fece una battuta con la sua solita
esuberanza
facendo ridere tutto il gruppo. La felicità non
durò tanto, infatti
ben presto si accorsero che Aelita aveva iniziato a piangere a
dirotto.
“Ehi,
che succede? Siamo lusingati dalla tua commozione, però non
mi
sembra il caso” disse Yumi, la ragazza tentò di
asciugarsi le
lacrime con la manica della maglia. Aveva gli occhi tutti arrossati.
“No,
non è per voi. Ovviamente sono felice per voi…
Però mi sento
malissimo, ho fatto una cosa terribile”
“Che
è successo?” fu sempre Yumi a domandarlo, ma
Aelita distolse lo
sguardo da lei e guardò verso Jeremy. Il ragazzo si era
avvicinato
con aria confusa, non sapeva proprio cosa aspettarsi. Poi, Aelita
parlò
“Jeremy,
tu hai sempre avuto l’impressione che Avier mi piacesse,
giusto?”
“Beh…
Si” il ragazzo si sistemò gli occhiali sul naso,
più come gesto
nervoso che altro.
“Tu
avevi ragione, nonostante quello che ti dicessi. Però, non
ti ho mai
tradito… Fino a quasi due settimane fa. Io e
Avier… Noi… Ci
siamo baciati. E lo abbiamo fatto altre volte. Mi
dispiace…”
Jeremy
rimase pietrificato, per un attimo strinse la mano a pugno, ma
interruppe il gesto bruscante, come se la sua mente ricevesse comandi
contrastanti.
“Io
torno in camera” disse, si girò e poi
iniziò ad allontanarsi,
prima camminando, poi correndo.
“È
scappato” commentò Aelita dopo qualche secondo,
asciugandosi di
nuovo le lacrime che sgorgavano a fiumi dagli occhi. Era disperata e
furente allo stesso tempo, non si era mai sentita così.
“Ha
saputo solo scappare” e prese ad allontanarsi nella
direzione.
????????????-????????????
“IO
LO AMMAZZO! LO AMMAZZO!”
“Kros
vin tan! Linkarian! Linkarian
vinnel!!” due alieni vestiti con
uniformi mediche circondarono il
ragazzo e gli inocularono una sostanza bianca nelle vene. Il sedativo
ebbe effetto in pochi secondi, gli occhi blu del ragazzo si chiusero
lentamente e cadde in un sonno profondo. I due alieni si accinsero a
portarlo in un’altra stanza, intanto Northar si rivolse
all’Akertosh Brealwunt steso dentro din
Inkniam.
“Doskividan,
Akertosh?” l’alieno fece un
cenno
di conferma facendo battere il terzo dito della mano e il pollice.
Per
le strade di Parigi – Dalle ore 23:01 alle ore 23:02
“Tu
sapevi che era fidanzata! Perché l’hai
baciata?”
“Perché
io la amo” William e Yumi erano andati al seguito di Jeremy,
in
teoria Ulrich e Odd avrebbero dovuto seguire Aelita. Eppure, almeno
Ulrich, sentiva di doversi sfogare con qualcuno. Perché una
cosa era
la sua vecchia rivalità e il suo amore per Yumi, una cosa
erano
Jeremy e Aelita.
“Tu
non hai visto l’evolversi della loro storia, come fossero
affiatati
e quanto si amassero. E ora… Come hai fatto, Avier? Come hai
fatto
in un mese a distruggere tutto questo?”
“Io
non ho fatto nulla” lo stato d’animo di Avier non
era
decifrabile, sembrò non sapere quali emozioni provare.
“Fammi
andare a cercarla. Lei è preziosa per me” Ulrich
smise di tenerlo
fermo per la tuta come aveva fatto e lasciò che si
allontanasse
nella direzione di Aelita. Poi fece cenno a Odd di seguirlo
“Andiamocene”
“Li
lasci da soli?”
“Si,
voglio solo dormire. Non so che cavolo pensare. Non so neanche cosa
dovrei provare adesso!”
Più
lontano – Ore 23:10
Aelita
non aveva percorso molta strada, il russo l’aveva ritrovata
seduta
sul marciapiede con ancora le lacrime agli occhi, si
avvicinò a lei
muovendosi lentamente.
“Cerchi
di elemosinare una birra?” nonostante le lacrime, la ragazza
sorrise leggermente. Poi però torno a piangere, Avier le si
sedé
accanto e l’avvolse con le braccia.
“Va
tutto bene, m’lady”
“È
scappato, Avier. Non si è neanche arrabbiato.
Perché avrei
preferito si arrabbiasse?”
“I
codardi non piacciono alle persone intelligenti” la ragazza
allargò
le sue braccia e strinse il corpo esile del russo, appoggiando la
testa sul suo petto piatto.
“Tu
non sarai mai un codardo, vero?” Avier spostò una
mano e la mise
nei capelli rosa della ragazza, prendendo ad accarezzarglieli.
“No,
te lo giuro. Sarò tutto, tranne che un codardo” la
ragazza sollevò
la testa e incrociò lo sguardo del russo, che le
accarezzò la
guancia con il dorso delle dita. Si persero per un po’ negli
sguardi del prossimo, poi si baciarono.
“Torniamo
al Kadic?”
“Forse
è il caso” i due si alzarono in piedi, ma quando
il ragazzo prese
a camminare, Aelita lo trattenne fermo.
“Che
c’è?” disse con quel tono di voce
cordiale che assumeva solo con
lei
“Vuoi
fare qualcosa che Jeremy non ha mai fatto?”
“Che
intendi?”
La
ragazza gli prese le mani e se lo portò sul suo petto,
facendo
toccare il seno al ragazzo.
- Angolo
del Lord
- Di
solito non mi faccio mai sentire sotto le storie, invece lo sto
facendo. Questo dovrebbe farvi capire che ho qualcosa di molto
importante da dire. Ovvero, questo sarà l'ultimo capitolo
per un
po', mi prendo una pausa.
- Mio Lord, lei ha ripreso la
storia di recente dopo che non scriveva da tempo.
- Lo
so, lo so. Mi sento più stronzo di quanto non mi
consideriate
già, ma mentre quel periodo di inattività era
dovuto ad
un mio blocco, questa è una pausa che mi sono forzato a
prendere. Il coronavirus ci ha messi tutti in quarantena e, se
già l'esame di maturità mi metteva ansia, ora
sono ancor
più sotto pressione siccome probabilmente dovrò
farlo
online. Io non so come devo vivere questa situazione, ma voglio avere
la certezza di arrivarci quanto più preparato possibile,
quindi
mi dedicherò la maggior parte del tempo ad uno studio
intensivo.
Quando tutto sarà passato, tornerò a scrivere a
pieno
regime, ve lo prometto.
- Mi sentirei una persona ancora più
orribile a
lasciarvi senza nulla oltre questo messagio, quindi vi
donerò un
po' di musica.
- Prima di tutto, la canzone che ho sempre
considerato il tema di Avier:
- Avier
Antonovic Anisimov
- Poi una canzone che sarà il tema di
non uno, ma ben due personaggi che avrete modo di scoprire in futuro
- ????????????-?????????????????
- Infine, musica varia che mi ha accompagnato
durante la scrittura di questa storia
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Capitolo 9 *** Capitolo 8: In amore... ***
Lenkerthen Lyoko Cap. 8
Terra
– Francia – Parigi – Sabato 1 Ottobre
2005 - Ore 23:10
“No”
“Come
no?” Aelita rimase di stucco.
“In
questo momento lo vuoi fare solo per rabbia, non perché mi
ami.
Quindi, no” il ragazzo ritirò le mani dal seno
della ragazza e se
le mise in tasca. Poi prese a camminare verso il Kadic, la ragazza
non lo seguì subito, si sentiva confusa come non mai.
“I-io…
Non me lo aspettavo”
“Lo
sai che sono imprevedibile. E poi…” il ragazzo
rallentò il
passo per mettersi affianco ad Aelita.
“Il
tuo sedere mi piace di più” e non si fece problema
ad allungare la
mano per un palpata.
“Ehi!
Maniaco!” disse la ragazza ridendo
“Senti
chi parla”
Sala
del supercomputer – Ore 23:25
Niktor
era steso sul terreno sporco e polveroso della sala, la sua debolezza
lo aveva fatto assopire ed ora era immerso in un reame di incubi.
Tutte le sue paure lo cacciavano e lo bloccavano per tormentarlo.
Vide gli uomini con le uniformi da soldato scortarlo nella grande
sala circolare della condanna e poi unirsi alla gente che
presenziava, giudici, politici e altri militari che lo guardavano con
disprezzo.
Sotto
la minaccia delle armi dei soldati, percorse il sentiero di energia e
si fermò al suo termine, sul ciglio che dava su
quell’orribile
baratro. Volse lo sguardo verso il basso, vedendo i disgregatori sul
fondo. Un brivido gelido lo percorse, poi alzò lo sguardo e
vide la
folla che lo guardava con ancora più disprezzo. E
lì, vicino
all’interruttore della sua condanna, lo vide, quel soldato
così
simile a lui. E il soldato guardò lui, e
pronunciò quella frase.
“Rokran,
Aniekes lokanar din tok sen” poi
premé
l’interruttore e l’energia sotto di lui scomparve.
Cadde,
ma il sogno rallentò la caduta, come a prolungargli la
sofferenza.
Vide quei malefici disgregatori avvicinarsi a lui, sempre di
più.
Poi i suoi atomi persero i loro legami energetici, separandosi tra
loro. Il suo corpo si dissolse nel nulla.
Aprì
gli occhi di colpo e si sentì venire il sopraffiato, il suo
cuore
iniziò a pompare il sangue più forte, facendogli
male per lo
sforzo. Il rumore delle porte dell’ascensore che si aprivano
lo
tranquillizzò, Jeremy apparve di nuovo.
“Amico”
“Tutto
bene, Niktor?”
“No…
Mi sento vicino alla fine… Non resisterò un’altra
settimana. Ogni
giorno… Sembra
l’ultimo” il ragazzo si avvicinò
all’alieno, si inginocchiò e
strinse le dita in
un punto del braccio indicatogli la prima volta che lo aveva
incontrato.
“Cavolo!
Hai ragione. Stai peggiorando rapidamente”
“Grazie…
per la… promessa sincerità”
l’alieno chiuse gli occhi per un
attimo e fu quasi per addormentarsi di nuovo, riuscì solo
all’ultimo
a darsi uno scossone per impedirlo.
“Non
c’è modo… Di velocizzare?”
Jeremy si guardò intorno
pensieroso ma imperturbabile, poi
rispose di colpo dopo un po’.
“Credo
che ci sia un modo. Però, non so se possa
funzionare”
“Provaci”
“Okay,
lo farò. Ho bisogno degli altri. Devo parlare con loro, e
non me la
sento di farlo adesso. Pensi di resistere fino a domani?”
“Combatterò…
dovessi anche fuggire… da una
singolarità”
“Bene.
Ora, fammi continuare il mio lavoro da solo” Jeremy si mise a
sedere sulla poltrona e iniziò a digitare sulla tastiera con
una
rapidità che all’inizio parve leggermente
diminuita, ma che poi
riprese ad una velocità solita se non superiore a quella
delle altre
sere. La sua affinità con la tastiera in quel momento mise
spavento
a Niktor.
L’alieno
e l’umano rimasero in silenzio per diversi minuti, ma quando
il
primo si accorse che stava cadendo di nuovo nel sonno, con tutto
ciò
che avrebbe comportato, fece di tutto per tenersi sveglio.
“È
successo qualcosa di interessante con i tuoi amici?”
“No,
nulla” Jeremy rimase impassibile.
Porta
della camera di Aelita/Camera di Avier e Jeremy – Dalle ore
23:30
alle ore 00:00
Nonostante
la presenza di Avier, Aelita era tutto meno che di buon umore. Gli
eventi di quella notte non potevano essere superati con uno schiocco
di dita, lo sapevano entrambi. Questo rese alla ragazza ancora
più
difficile separarsi dal ragazzo.
“Aelita?”
“Si?”
la voce di Aelita era ovattata perché doveva attraversare il
petto
del ragazzo, su cui teneva affondata la faccia.
“Ci
stiamo abbracciando da dieci minuti”
“E
quindi?”
“Mi
fanno malino le costole”
“Uffa”
disse in un tono finto scocciato e allentò la prese,
sollevando poi
la testa per guardarlo negli occhi
“Sei
proprio un fuscello. Sei cattivo e sei un fuscello. Cattivo e
fuscello”
“E
russo. Faccio davvero schifo, cazzo!” il modo in cui lo disse
fece
quasi soffocare Aelita, le sue risate riecheggiarono per tutto il
corridoio. Poi, però, la malinconia tornò.
“Guarda
che ho fatto per te. Mi merito di non lasciarti più
andare”
“Te
lo meriti proprio” il ragazzo fece di nuovo abbassare la
testa
della ragazza sul suo petto e iniziò far scivolare i capelli
rosa di
lei tra le sue dita.
“Però,
ora è meglio che ti riposi, m’lady”
“Uffa!
Non puoi almeno dormire con me?”
“Dopo
quello che hai fatto venti minuti fa? Se entro, mi garantirai un
posto all’inferno”
“Esagerato!
E poi, non ne hai già uno?”
“Ovviamente,
si chiama trono” la ragazza rise ancora una volta.
“Si,
ti ci vedrei bene” commentò lei, poi
sollevò lo sguardo. Come
ormai era già successo, i due si lasciarono trasportare
dalle
emozioni che quel semplice gesto creava.
“Ti
amo” disse lui
“Come?”
“Oh!
Scusa, forse non….”
“No,
tranquillo. Solo, non me lo aspettavo. Tu… Tu dillo di
nuovo”
“Ti
amo”
Si
baciarono di nuovo, poi ebbero la forza di separarsi. Avier
aspettò
che la ragazza chiudesse la porta della sua stanza, poi si
girò e si
incamminò verso la sua.
Quando
vi entrò, Jeremy non era presente. Il russo chiuse la porta
dietro
di sé e si avvicinò al computer del ragazzo, si
inginocchiò
davanti il case e prese a tastarlo attentamente. Era totalmente
freddo, Jeremy non usava il computer da tempo a quanto pare. Non era
mai successo, il rischio di fallire era dietro l’angolo.
Si
mise a sedere sul suo letto, si riempì un bicchiere di vodka
e lo
bevve in un sorso. Poi guardò fisso davanti a sé,
perso nel vuoto.
“Il
tempo scorre” si disse, poi si stese e chiuse gli occhi,
entrando
nel reame dei sogni.
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Russia – 15 Maggio 2000
“Il
Signore è il mio pastore: non manco di nulla; su pascoli
erbosi mi
fa riposare, ad acque tranquille mi conduce.
Mi rinfranca, mi
guida per il giusto cammino, per amore del suo nome.
Se dovessi
camminare in una valle oscura…”
“Yuri,
smettila con queste cazzate. Sto cercando di dormire”
“Io
sono un essere umano, caro. Non riesco a riposare dentro una baracca,
al freddo e sapendo di poter morire da un momento all’altro
senza
affidarmi ad una presenza divina”
“Prova
ad affidarti a qualcuno
che si
degni di rispondere”
“I
pareri di un mostro non mi interessano”
“Mi
odi così tanto, eppure non ti allontani da me”
“Tu
ti sei davvero impegnato a farci dipendere tutti dalla tua
disumanità…”
“Ma?”
“…ma,
in realtà, io sono l’unico che non vedi come uno
strumento. Questo
ti rende debole, mi piace vederti debole”
“…”
“Fa
male, vero?”
“Zitto.
Idiota”
Rendez-vous
– Domenica
2 Ottobre 2005 – Ore
10:00
“Avete
parlato tu e Aelita?”
“Si”
“E…
Come è andata?”
“È
andata. Questa situazione è orribile”
“Jeremy,
so che è difficile. Però, credo tu debba parlarne
con n…”
“NON
È QUELLO!” dopo quello scatto d’ira,
Jeremy rimase con uno
sguardo perso per un attimo, come confuso. Poi riprese a parlare.
“Cioè,
questo tradimento mi ha fatto male. Però, dietro
c’è molto di
più. Avier è pericoloso…”
“Ehi,
non puoi fare così. Quello che hai subito da lui
è tremendo, ma non
puoi considerarlo l’Anticristo…”
“No,
è solo un fottutissimo essere perfetto con un motto in cui
ribadisce
che i suoi scopi vengono prima di ogni cosa e che sa benissimo
abbiamo un segreto”
“Ti
riferisci a L…”
“Non
fare quel nome in pubblico. Potrebbe starci osservando”
Ulrich e
Odd, seduti nel bar assieme a Jeremy, iniziarono a guardarlo
preoccupati. Sopratutto Ulrich, che aveva parlato con lui sino a quel
momento.
“Ti
senti bene, Jeremy?”
“So
che sembro pazzo. Non è così,
credetemi” poi si alzò in piedi e
si guardò attorno.
“Anzi,
seguitemi. Ma non osate dire una parola, non dobbiamo farci
seguire”
Ulrich e Odd si alzarono e seguirono gli ordini, non sapendo quanto
dovessero preoccuparsi.
Parc
Monroe –
Nello stesso momento
“Di
giorno ha tutt’altro aspetto, non trovi?”
“Si.
Però, dopo quella volta, lo sai che preferisco questo posto
di
notte, Avier” quella che
ormai era ufficialmente una coppia, si trovava seduta sul terreno
erboso vicino le acque del lago. Una scena che rievocava una lontana
nostalgia dentro il russo.
“Sai,
Aelita. Io ti temo”
“Come
scusa?” la ragazza era sinceramente stupita
“Quello
che hai fatto ieri sera. Io, non ci sarei riuscito”
“Stai
scherzando? TU non ci saresti riuscito?”
“Esatto”
“Senti,
non provare a fare la vittima che mi daresti fastidio. Tu riesci in
ogni cosa!”
“Tranne
nel separarmi dalle persone che amo”
“Ma
i tuoi amici…”
“Una
scelta dura, ma la mia amicizia per loro non era alimentata dal
sentimento che provo adesso”
“E
Yuri…”
“Già,
Yuri…” Avier fece una risatina nervosa che
terminò nell’inizio
di un pianto.
“Io
non ho mai lasciato Yuri…”
Verso
il supercomputer – Dalle ore 10:20 alle ore 10:45
Divenne
chiaro ad un certo punto che Jeremy li stesse portando nella
fabbrica, il luogo che tutti loro conoscevano bene per ciò
che era
significato nelle loro vite. Eppure, Jeremy
si comportò come se lo avesse dimenticato. Prima di entrare
nel
tombino che portava allo scolo fognario, si mise a girovagare per la
foresta ritornando più volte sullo stesso punto e mettendosi
ad
osservare i segni sul terriccio, come alla ricerca di qualcosa.
Nessuno osò dirgli nulla, la serietà e la
freddezza quasi disumana
che aveva in quel momento mettevano a disagio, preferirono lasciare
che fosse lui a parlare. Cosa che non fece per tutto il tragitto
nella foresta, ne per quello lungo lo scolo fognario e neanche quando
entrò nella fabbrica calandosi dalla corda e scendendo con
l’ascensore.
Parlò
invece quando entrarono nella sala del supercomputer, ma non a loro
due.
Niktor
Denevun Brealwunt, detto Din Rokran
Kastarmark/Ulrich Stern, Odd della Robbia –
Quarto contatto
- Ore 10:45
“Niktor!
Ti senti bene? Svegliati!” si diresse verso una figura stesa
sulla
parete alla destra della stanza. Una figura aliena, dalla pelle
bianco latte martoriata da eruzioni cutanee nerastre, un capo
prominente con un naso quasi assente, non fosse stato per una piccola
cunetta con due narici sotto e due grossi occhi neri che si aprirono
solo quando il ragazzo prese a scuoterlo.
“Jeremy…
Amico… Non ti ho sentito…” la voce era
ancora più debole e
soffocata delle altre volte.
“Che
sta succedendo, Jeremy?” urlò prorompente Ulrich.
La situazione
aveva preso delle pieghe assurde, lui e Odd non riuscivano neanche a
capacitarsi di cosa fosse quel Niktor con cui stava parlando il loro
amico. Quest’ultimo però non si
destabilizzò, cercò in una sacca
vicino al braccio sinistro della figura, braccio dove veniva
iniettata in piccole gocce costanti una sostanza che scorreva lungo
il tubo di una sorta di flebo galleggiante. Dopo un po’
estrasse un
sorta di piccolo cubo fatto di un materiale vetroso nero, lo mise in
una delle mani con sei dita dell’alieno, che lo strinse
delicatamente. Il cubo iniziò a pulsare di una luce
azzurrina.
Jeremy lo lanciò davanti agli altri due guerrieri Lyoko.
“Questo
vi spiegherà tutto” poi disse ad alta voce una
parola aliena.
“Losark”
Nella
stanza iniziarono ad apparire una serie di ologrammi
Parc
Monroe –
Ore 10:15
“Io
non ho mai lasciato Yuri, Aelita. Lui un giorno era al mio fianco, il
giorno dopo l’ho trovato steso in
un nostro rifugio,
con gli
occhi chiusi, un’espressione assopita, un flacone di
sonnifero
vuoto in mano e il corpo freddo come la neve di Russia. Era morto,
suicidandosi”
le lacrime di Avier si
fecero più intense, la ragazza prese a stringerlo tra le sue
braccia
come tante volte lui aveva fatto con lei.
“Tu
hai sofferto troppo, Avier. Non riesco davvero a capire come il mondo
sia potuto essere così crudele con te” anche gli
occhi della
ragazza presero a rigarsi di lacrime, il russo se ne accorse e
cercò
di togliergliele con le dita. Poi spostò la mano sui suoi
capelli e
prese ad accarezzarglieli.
“La
cosa che più mi fa male di questa storia
è che non ho mai capito perché lo fece. È
una delle cose che
non
capisco proprio della mia vita, come cosa provo esattamente per Mary.
Mi sono sempre detto che fosse
troppo sensibile per il mondo in cui viveva. La verità
è che
accadde da un giorno all’altro” il russo
sollevò la mano dalla
testa di Aelita e infilò un
dito
dentro un buco nella cucitura delle maniche della sua tuta, questo
gli permise di
scavare nel
tessuto. Ne estrasse un oggetto nascosto, un foglio di carta sottile
ripiegato più volte.
“L’unico
indizio che ho, è questo” lo diede alla ragazza,
lei iniziò a
spiegarlo. All’interno vi era un muro di testo, un rigo
però era
sottolineato più volte con foga.
“Conoscerete
la verità, e la verità vi farà liberi”
“Giovanni
8,32. Yuri era molto più religioso di tutti noi
messi
assieme, la
sua Bibbia era affianco a lui quando è morto, questo viene
da lì.
Mi sono riempito la testa delle più disparate teorie, ma non
ho
mai trovato una risposta”
“Forse…
Non voglio essere crudele, però… Hai mai pensato
che non
significasse nulla?”
“È
quello che pensi?”
“Credo
di sì. Forse era semplicemente impazzito a causa della vita
che
vivevate”
“Capire
dove fosse la ragione e dove la follia era molto difficile
all’epoca.
Chissà, forse hai ragione. Scusami, se ho tirato fuori
queste cose.
Non volevo metterti di cattivo umore” la ragazza lo strinse
ancora
più forte
“Non
dire stupidaggini”
[Messaggio
di Niktor] Sala del supercomputer – Dalle ore 10:45 alle ore
10:51
Una
figura olografica in una silhouette azzurrina apparve davanti a loro,
era quel Niktor che appariva ora steso sul pavimento, mentre Jeremy
lo nutriva dandogli cucchiaiate di una sostanza gelatinosa
grigiastra. In quella registrazione sembrava già indebolito,
ma
ancora capace di reggersi in piedi.
Umani
l’ascolto
di questo messaggio implica la mia inabilità a fare un
discorso
completo.
Rispondo
all’identità di Niktor Denevun Brealwunt, sono uno
Swarkerinster.
Tale è il nome di coloro che abitano lo Swarker. Questa
struttura si
trova a 15 Lerk
dal vostro pianeta. Sono, approssimando, 7 milioni di anni
luce.
È
imperativo che voi comprendiate l’entità del
pericolo che i miei
simili comportano per voi, e perché non debbano raggiungermi
finché
sono sul vostro pianeta.
Prima
di ogni cosa, tramite un varco apribile dal settore TLRCKN9193, il
settore AZRWS345, dove si trova il vostro pianeta, può
essere
raggiunto in…
La
figura guardò verso l’alto mentre faceva un
calcolo a mente
…2
secondi.
Questa
è la proporzione dello Swarker in confronto al pianeta Terra
Apparì
un globo olografico rappresentante il pianeta Terra, poi una sorta di
sfera bulbosa di metallo che doveva essere lo Swarker. Mentre
quest’ultimo cresceva, il primo continuava a rimpicciolirsi
fino a
diventare un puntino difficile da osservare.
Se
già questo vi mette timore, sappiate che lo Swarker non
è abitato
in superficie, è abitato all’interno. Questo
aumenta la quantità di spazio
abitabile.
Facendo
una stima, la
sua popolazione è 20.000
volte quella terrestre, solo il suo esercito regolare è
più
numeroso della
vostra totalità. A ciò, dovete unire il divario
tecnologico.
L’attrezzatura di un soldato semplice appena graduato
è superiore
a quella di qualsiasi forza terrestre, conquistarvi sarebbe molto
facile. Eppure, non è questo il pericolo più
grande che state
correndo.
L’ologramma
fece un gesto con la mano, facendo sparire le rappresentazioni della
Terra e dello Swarker
Le
grandi masse non coesistono facilmente senza patti, il patto stretto
dagli Swarkerinster si chiama Alaktania. Non è un accordo
scritto, è
qualcosa che collega le menti, facendo percepire ognuno come
componente di un unico grande disegno, cancellando la loro
individualità. Sul vostro pianeta esistono creature chiamate
formiche, esse vivono e operano tutte insieme solo per migliorare ed
espandere il formicaio, creando una colonia sempre più
grande con
sempre lo stesso scopo fisso nelle loro menti. Così
è per gli
Swarkerinster, poiché tale è la natura
dell’Alaktania.
Io
sono uno dei pochi che è riuscito a liberarsi, ho provato le
gioie
dell’individualità, questo mi ha reso un criminale
denominato
Alsther, significa colui
che
non è noi.
Detto
questo, è tempo di chiarire il vostro coinvolgimento.
L’alieno
sollevò un dito e si sentì una voce robotica e
distorta dire
Lenkerthen
Lyoko
Questo
è un messaggio che dice
Riunitevi a Lyoko,
intercettato da un radiotelescopio dello Swarker mesi fa, veniva da
un settore inesplorato
dello
spazio così lontano che ci è voluto molto tempo
per determinare la
fonte. Eppure,
lo Swarker ha
dedicato numerosi investimenti in questo lavoro. Questo,
poiché la
voce equalizzata correttamente è questa
Si
sentì una nuova voce dire le stesse due parole, una voce
molto più
naturale, anche se aveva qualcosa di chiaramente non umano.
Questa
è la voce di un individuo noto come Xodian Ankotar Aalva
Apparve
un ologramma che lo rappresentava, era più alto e con una
corporatura più robusta di quella di Niktor. Lo sguardo era
freddo e
indagatore e il volto aveva tratti più allungati. Indossava
una tuta
unica bianca.
Nello
Swarker è noto per essere uno dei più grandi
scienziati della sua
storia, essendo padre di numerose
scoperte e innovazioni in campo medico e biotecnologico, ma
è anche
uno dei più grandi criminali mai vissuti
in esso.
Ossessionato
dall’idea di voler evolvere gli Swarkerinster,
violò tutte
le leggi
e i diritti
che impedivano
i suoi
esperimenti
Apparvero
numerose foto di alieni in stato di shock e raggomitolati in preda al
panico, alcuni presentavano mutazioni e malformazioni, molti invece
avevano uno sguardo vitreo ed erano pieni di ferite da cui
fuoriusciva un sangue bluastro.
Infine,
è stato il primo a riuscire a staccarsi volontariamente
dall’Alaktania, prima di sparire nel nulla, diventando anche
il più
grande ricercato nella storia dello Swarker.
Io
non so cosa c’entri lui con
Lyoko, ma il messaggio proveniva da questa fabbrica e Lyoko si trova
qui. Prima o poi cercheranno di appropriarsene.
Io,
però, sono arrivato prima. Ho avuto modo di studiare questo
programma, non posso appurare che sia opera di Xodian, ma so che
è
molto potente e che non esiste nulla del genere nello Swarker. Se lo
ottenessero, potrebbero sfruttare le sue capacità di
controllo sul
genoma per accelerare l’Alaktania. Il patto che lega tutti
gli
Swarkerinster potrebbe diffondersi a velocità folle per
l’Universo,
soggiogando tutte le creature senzienti e rendendolo eterno.
D’altro
canto, se lo ottenessi io, potrei usare le stesse funzioni per
annullarlo. Io e tutti quelli come me doneremmo il libero arbitrio
alla mia gente.
Però,
non posso negarlo, c’è una seconda motivazione per
cui lo voglio
usare io.
Esiste un’arma
per combattere quelli come me, un
superbatterio
conosciuto come K0-V1D, capace
di costringere l’organismo a produrre staminali per ricreare
i
centri neurali sfruttati dall’Alaktania e fargli emettere
segnali
in continuazione, rendendoci immediatamente rintracciabili. Io ne
sono infetto, ho usato molti farmaci per rallentare il batterio, ma
non l’ho mai fermato, sono solo riuscito a farlo mutare. Ora,
oltre
al suo scopo originale, è diventato anche una neurotossina
che mi
impedisce di avere pieno controllo del mio corpo, oltre a crearmi
questi sfoghi neri sulla pelle con cui il batterio cerca di infettare
altri miei simili. Solo Lyoko può ricreare il mio corpo da
Alsther
senza il batterio, ma non sono riuscito a completare il lavoro
necessario per farlo. Ora non mi rimane che iniettarmi
un’amara
medicina…
Affianco
all’ologramma di Niktor apparve quello della sua flebo
Questo
non è un farmaco, è un veleno. Fermerà
l’azione del batterio, ma
rallenterà gradualmente i miei processi cognitivi e le mie
funzioni
corporee, fino a quando non mi ucciderà. Spero che siate
riusciti a
salvarmi prima che accada, o che abbiate voluto farlo.
Se
dovessi morire, rimarreste in balia dello Swarker. Ma credo che
ognuno scelga il suo destino.
Questo
è il messaggio di un combattente per la libertà
In
questo momento, Niktor Denevun Brealwunt
Merek
L’usato
di Renard –
Ore 10:50
“Ehilà,
signor Renard. Come sta?”
“Ma
siete voi, Avier e… Come vi chiamavate, signorina? Non
ricordo
proprio”
“Questa
favolosa fanciulla si chiama Aelita. Lei è strano se si
ricorda più
di me che di lei”
“Non
dica così, signor Avier. Uno come lei è
indimenticabile. È già
diventato presidente?”
“Sono
passato proprio a dare i biglietti
elettorali”
“Oh
bene! Visto che si trova qui, dia pure un’occhiata al
negozio”
La
coppia entrò nel negozio e si mise a guardare di nuovo tra
gli
scaffali pieni di oggetti usati. O meglio, lo fece Avier, Aelita si
limitava a seguirlo. Era lui che era voluto tornare lì.
“Vuoi
comprare altra
musica?”
“Figurati
se al nostro primo appuntamento penso solo a me. Ti voglio fare un
regalo”
“Aww
grazie! Aspetta… È un appuntamento?” La
ragazza era così
abituata a trovare romantico qualsiasi momento in cui fosse con Avier
da non aver riflettuto sul fatto che quello potesse essere il loro
primo appuntamento ufficiale.
“Certo
che si”
“Perché
non me lo hai detto? Mi sarei vestita meglio”
“Prima
di tutto, io
sono in tuta.
Poi, a me non piacciono le cose
elaborate.
Ti voglio così,
come sei ogni giorno” la dolcezza di quella frase fece andare
in
brodo di giuggiole la ragazza, che saltò
addosso al ragazzo per baciarlo. Essendo entrambi accovacciati per
vedere degli scaffali bassi, ed essendo Avier robusto quanto il
polistirolo, persero l’equilibrio e si ritrovarono stesi a
terra.
Questo non li fermò dal continuare a baciarsi.
“Ragazzi…
Ehm! Capisco gli ormoni. Questo però è un luogo
pubblico, vi prego”
il signor Renard li aveva raggiunti sentendo il rumore
dell’impatto.
Entrambi si misero a ridere incontrollatamente, poi Avier
notò
qualcosa di suo interesse su uno scaffale. Una catenina di metallo
con un pendente che recitava un nome. Il russo non lesse quale nome
fosse, non gli interessava. Lanciò la catena al commesso.
“Compro
questa. Mi dia solo la catena però, devo fare una
cosa” il signor
Renard si appropinquò a staccare la targhetta, poi mise la
catenina
nelle mani del russo come gli aveva chiesto. Lui e Aelita si erano
alzati nel frattempo.
“Chiudi
gli occhi, m’lady.
Non osare aprirli” la ragazza eseguì quegli
ordini, la curiosità
la divorava ma riuscì a resistere alla tentazione.
“Ora
apri”
La
ragazza lo fece, vide il russo che teneva tesa la catenina fra le
mani. Ora però aveva un nuovo pendente, un piccolo
dischetto in oro puro.
“Non
è molto, lo so. Ma è una delle cose che ho preso
in
prestito in
Russia.
Mi sono
sempre detto
che l’avrei voluto dare a qualcuno
di molto importante.
Quella
persona sei tu” mosse un passo verso di lei e le avvolse il
collo
con il suo regalo
“A
te affido una parte di me, dolcezza. Che tu possa portarla sempre, e
che ti dia solo ricordi piacevoli” la ragazza stava
piangendo, di
nuovo. Avier era così, riusciva a smuovere le sue emozioni
con le
cose più banali, figurarsi dopo un regalo del genere. I due
presero
di nuovo a baciarsi, felici come non mai. Poi, qualcosa
attirò la
loro attenzione.
“Si
sente bene, signor Renard?” l’uomo, dietro i suoi
occhiali, aveva
il volto e gli occhi tutti arrossati e lacrime che gli scorrevano
sulle guance.
“Oh!
Mi sono commosso. Scusatemi, scusatemi. Sono così stupido,
mi capita
sempre” e se ne andò in preda
all’imbarazzo. La coppia rise di
nuovo, poi tornò a baciarsi.
Sala
del supercomputer – Dalle ore 10:52 alle ore 12:00
“C-come
è possibile tutto questo? E da quand’è
che tu lo sapevi?” fu
Ulrich a parlare, Jeremy stava continuando ad imboccare
l’alieno
con la gelatina nutritiva nella scatola che teneva in mano.
“La
prima domanda non ha risposta. La seconda la ricordo bene, dalla sera
del 19 Settembre. Una nottata tremenda, mi sono ritrovato chiamato
dalla fabbrica in piena notte. Rispondo al telefono, e sento la sua
voce che dice di venire qui. Aveva pure detto che XANA stava tornando
per assicurarsi che mi precipitassi lì...”
“Dovevo…
essere… certo”
“Lo
so, amico. Lo so” Jeremy accarezzò la testa
dell’alieno con il
dorso della mano che reggeva il cucchiaino. Niktor parve più
rilassato.
“Poi
sono venuto qui,
e ho trovato lui. Riusciva ancora a camminare e parlare con
facilità
quella sera, ma più volte tornavo qui e più
peggiorava. Vederlo
peggiorare… è stato tremendo. Non so come dirlo ”
“Immagino.
Però, noi due cosa possiamo fare?”
“Se
vi ho portato qui c’è un motivo.
Non volevo
coinvolgervi, ma
faccio progressi troppo a rilento da solo.
Niktor non
resisterà a
lungo, devo tentare un’azione disperata”
“Che
cosa?”
“Dovete
sapere che per virtualizzare un essere umano il supercomputer separa
e analizza tutte le basi azotate del DNA e interpreterà le
informazioni ricavate dalle loro combinazioni in dati
che…”
“In
breve, Jeremy. Ti prego” Odd si sentiva già
scoppiare la testa.
“Uno
di voi deve portare Niktor nella torre del quinto settore,
l’altro
deve entrare in una specifica torre di un altro settore” in
tutto
questo, Jeremy aveva continuato ad imboccare l’alieno,
finendo solo
in quel momento. Sistemò il contenitore della gelatina e il
cucchiaio nella sacca, poi uso la manica della sua camicia a quadri
per pulire gli angoli della bocca di Niktor.
“In
tutto questo, Avier cosa c’entra?”
domandò Ulrich, ricordando i
commenti che Jeremy gli aveva riservato nel bar. Con tutte quelle
nuove informazioni, se n’era quasi dimenticato. Il suo amico
prese
subito a raccontare.
“La
prima volta che sono venuto qui, lui
mi stava seguendo, l’ho
visto spostarsi nella notte con capacità degne di una spia.
Sono stato fortunato a notarlo e a fargli perdere le tracce. Credo
fosse interessato a rintracciare Lyoko, ci sono due teorie. La prima
è che in realtà lavori per il KGB, o
per qualche altro governo, magari anche per la Green Phoenix. La
seconda…
“din
Inkniam” commentò
Niktor
Per
le strade di Parigi – Ore
12:30
“Ehi
Avier, quel coltello non me lo regali quindi?” la ragazza si
riferiva a un coltellino svizzero comprato da ragazzo nel negozio di
Renard. Il ragazzo aveva detto che si era recato lì solo per
quel
regalo, poi aveva visto quel coltellino e non aveva resistito a
comprarlo.
“Ovvio
che te lo regalo! Tu sembri proprio la ragazza a cui regalare un
coltello. Già ti immagino mentre lo stringi tra i denti, con
una
bandana rossa sul capo, mentre ammazzi dei vietcong con una
mitra”
ancora una volta la ragazza non poté fare altro che ridere.
Non
riusciva a capacitarsi di come quel tipo riuscisse a farla ridere
sempre senza risultare antipatico.
“Ora
che ci penso, tu hai detto così tanto di te, invece
non sai molto di me”
“Cosa
ti fa credere che io non sappia tutto di
te?”
“Perché
tu le cose le deduci, ma so che non puoi saperle se non hai elementi
per arrivarci”
“Tu
dici?”
“Si,
ad esempio. Avrai capito che non sono francese”
“Esatto”
“Bene,
da dove vengo?” il ragazzo si portò una
mano al mento e iniziò a pensare fingendo di starsi
sforzando
tantissimo.
“Itak,
ti
chiami Aelita, quindi vieni da Marte. Giusto?” la ragazza
rise a
crepapelle (di
nuovo)
“E
questa da dove ti è uscita?”
“Non
l’hai capita?”
“Ammetto
di no”
“Quindi
non sai le origini del tuo nome?”
“Sai
che non me lo sono mai chiesto?”
“È
un grande peccato. Ma rimedierò” il ragazzo prese
a gesticolare
più animatamente del solito, quello era uno di quei discorsi
che
amava fare.
“Aelita
è il
nome di
un
romanzo di
fantascienza sovietico.
L’ho letto tempo fa, ci sono due russi che vanno su Marte e
scoprono questa civiltà, ed uno di loro si innamora di
un’aliena
chiamata Aelita. Se io sono russo, e tu ti chiami Aelita, significa
che anche tu vieni da Marte. Giusto?”
“Impeccabile”
questa
volta fu Avier a ridere. Poi,
si sentì afferrare la mano dalla ragazza e tirare verso di
lei.
“Dai,
seguimi. Ti porto da una parte”
“Al
suo servizio, m’lady”
Sala
del supercomputer – Dalle ore 12:00 alle ore 12:20
“Le
ultime informazioni rubate da Niktor all’esercito dello
Swarker
parlano di una macchina sperimentale
chiamata din
Inkniam.
Tradurlo nella nostra lingua non è immediato, significa
qualcosa
come ciò
che amplifica la
mente.
È un dispositivo che permette alle onde cerebrali di questi
Swarkerinster di interagire con corpi lontani anche distanze
cosmiche, tutto questo senza causare interferenze elettromagnetiche
come le altre tecnologie di questi alieni. Immaginatelo
come una sorta di… Radiocomando per esseri viventi”
“Quindi,
Avier
sarebbe controllato da questa macchina?” la voce di Niktor si
intromise, cercò di parlare
ad alta
nonostante
la mancanza di forza
“Din
Inkniam…
non… assoggetta” Jeremy continuò il suo
discorso.
“Già,
non ci sono prove che questa macchina possa controllare gli esseri
umani. Se Avier è collegato ad essa, significa che non lo
è”
Ulrich e Odd si guardarono l’un altro smarriti, ancora non si
capacitavano di cosa potesse significare.
“Che
intendi? Questi alieni sanno mutare forma? Come i rettiliani?”
“Loro
no. Però, Niktor dice che quell’esercito dispone
di organismi
mutaforma
privi di volontà, sarebbero armi adatte a questo scopo”
“Quindi
ora Aelita è da sola con un mutaforma alieno che sta
cercando di
ottenere informazioni da lei? E tu non fai nulla?” Odd era
furente,
non lo si vedeva quasi mai così. Jeremy però non
mosse ciglio, era
così impassibile da non apparire umano.
“Non
posso fare nulla. Prima di tutto, indipendentemente da chi sia Avier,
è così bravo che probabilmente Aelita ora si fida
più di lui che
di tutti noi. Poi,
è logico pensare che, notando un cambiamento improvviso nel
carattere di Aelita, otterrebbe la conferma che siamo noi quelli che
cerca. No, è un errore che non possiamo commettere”
i
due non dissero
nulla, sentirono soltanto un raggelante terrore che non avevano mai
provato. Neanche XANA li spaventava così tanto quando
attaccava,
quello in cui erano immischiati era molto più grande e
pericoloso di
quanto
il virus non lo fosse mai stato. Avevano paura, troppa paura.
“Ma
il Lyoko che cercano è proprio il nostro?” disse
Odd, in una vana
speranza di sentirsi meglio.
“Vorrei
poter dire che è il più grande malinteso nella
storia
dell’Universo, ma non è così. Ho
ritrovato il messaggio originale
nel supercomputer, inoltre ho stabilito quando è stato
inviato. Il
10
Maggio del 2004, vi ricorda qualcosa?”
“Il
giorno in cui abbiamo sconfitto XANA” un secondo
silenzio
calò nella sala. Durò diversi minuti, interrotto
solo dal continuo
battere sui pulsanti di Jeremy, rimessosi
a lavorare.
Niktor squadrò uno ad i
volti nuovi che aveva davanti a
sé,
anche se li aveva già visti quando lavorava al
supercomputer, poi
rivolse il suo sguardo a Jeremy.
“Sicuro…
non servano… gli altri?”
“No,
Niktor. Purtroppo, se non funziona adesso, non funzionerà
mai” poi
si alzò e si diresse verso i suoi amici.
“Che
dite? Lo facciamo?”
“Abbiamo
forse scelta?”
“Solo
scelte suicide”
“Allora,
facciamolo”
Hermitage
– Ore 13:00
L’edificio
abbandonato, così come riportò a galla numerosi
ricordi nella mente
di Aelita, fece salire una certa nostalgia ad Avier. Era stato in
tanti posti simili a quello nella sua vita, rifugi di tutti i tipi
conquistati dalle piante, dalla polvere e dagli animali, molto spesso
anche dalla neve. Lì non c’era la neve, ovviamente.
“Sai
che posto è questo?”
“Certamente”
“Dici
sul serio?”
“No”
la ragazza sorrise e invitò il russo a seguirlo dentro.
L’interno
era come permeato da uno strano fascino. La luce che filtrava dalle
finestre mostrando il pulviscolo nell’aria, i rampicanti che
si
ramificavano sulle pareti abbracciando l’intonaco secco e
cadente,
i fili d’erba che spuntavano dalle crepe sul pavimento. Ci si
sentiva fuori dal mondo. La ragazza condusse il suo compagno ad una
scala dai gradini in legno marcito che portava al piano di sopra, da
lì ad una camera da letto. Osservando i colori e la presenza
di
alcuni peluche, il ragazzo dedusse che quella un tempo era la camera
di una bambina, ne ebbe la conferma.
“Sai,
Avier. Questa, un tempo, era casa mia. E questa, un tempo, era la mia
stanza”
“Poi,
che è successo?” il tono di Avier era cordiale,
voleva metterla a
suo agio. Sentiva dove quella situazione sarebbe andata a parare.
Aelita si mise a sedere sulle lenzuola consumate e impolverate del
suo vecchio letto, poi rivolse lo sguardo al ragazzo.
“Siediti
qui, c’è molto da raccontare”
Sala
scanner/sala del supercomputer – Dalle ore 12:21 alle ore
12:25
Niktor
era stato spostato delicatamente nella sala degli scanner e messo in
uno di essi, i suoi occhi guardavano con un certo timore la
struttura. Intanto, Jeremy spiegava cosa avrebbero dovuto fare.
“Dunque,
quando sarò al supercomputer e sarò pronto, ti
telefonerò Ulrich.
Quello sarà il segnale che dovrai immediatamente rimuovere
l’ago
dal braccio di Niktor. Nel suo stato attuale, gli spasmi
riprenderanno subito e credo non riuscirebbe a sopravvivere
più di
un minuto. Però, riuscirò a virtualizzarlo in
tempo. Si può fare”
“Quindi
riesci a virtualizzarlo? Questo non dovrebbe già
guarirlo?”
“Si,
in effetti Lyoko replica una forma fisica ottimale una volta eseguita
la virtualizzazione… umana. Lui viene riconosciuto dal
supercomputer, però su Lyoko ottiene vantaggi minimi. Non
prova più
dolore e non ha problemi a respirare, però mantiene la
stesse
energie e la stessa forza che ha in questo momento”
“Che
sfiga!” Odd si lasciò sfuggire quel commento,
chiese scusa in
preda all’imbarazzo, poi volse lo sguardo verso Niktor. Era
abbastanza sicuro che in quel momento il suo sguardo fosse quello che
la sua razza associava al disprezzo. Era così.
Intanto,
Jeremy riprese
“Prima
di tutto, chi lo trasporta?”
“Ci
penso io. Chi affiderebbe il destino della Terra ad Odd?”
“Ehi!”
“Bene,
Ulrich. Tu e Niktor andrete su Cartagine, dovrai portarlo
all’unica
torre del settore. Odd, scegli: foresta, montagna, deserto o
ghiaccio?”
“Deserto,
come Lawrence D’Arabia”
“Cosa
c’entra?” la domanda partì da Ulrich
“Ho
visto il film di recente”
“Tu
avresti visto un film di tre e mezza?”
“Non
tutto, mi sono fermato a quando la guida di Lawrence viene sparata al
pozzo”
“Lo
sai che dubito quella scena sia oltre i primi venti minuti”
“Ragazzi,
avete tutta la vita per dibattere sul cinema. Su, a raccolta”
i due
si misero in posizione. Ulrich vicino a Niktor, con le dita strette
sull’ago che aveva nel braccio, Odd vicino ad uno scanner,
pronto
ad entrarci subito.
“Pronti?”
“Pronti”
i due risposero all’unisono. Jeremy si diresse immediatamente
verso
il supercomputer,
Dopo
una decina di secondi, il telefono di Ulrich squillò e lui
tirò
subito via l’ago. Gocce di sangue bluastro uscirono dalla
ferita
mentre il farmaco trasparente gocciolava a terra. Gli spasmi di
Niktor ripresero violenti, sembrò quasi morire
all’istante. Poi la
scanner si chiuse.
>Sistema
Lyoko
>Scanner
Niktor
>Trasferimento
Niktor
>Virtualizzazione
“Mi
ricevi forte e chiaro, Niktor?”
“Jeremy,
sbrigati a guarirmi che questo posto è identico allo
Swarker. Mi
viene da vomitare”
“Sono
contento tu abbia nostalgia”
Hermitage
– Ore 13:20
Aelita
era partita dal presupposto che avrebbe detto tutta la
verità,
eppure non lo fece. C’era qualcosa che la faceva desistere
dal
parlare al ragazzo di Lyoko, come un sesto senso. Nonostante questo,
gli raccontò tutto il resto della sua vita. Suo padre, sua
madre, la
morte di quest’ultima, la Green Phoenix… Tutto.
Modificò solo
alcuni dettagli per non fargli intuire di Lyoko.
Quando
ebbe finito, il ragazzo la guardava fisso negli occhi e le stringeva
il braccio con la mano destra. Poi la abbracciò,
più forte di
quanto non avesse mai fatto. Ad Aelita piaceva così tanto
essere
abbracciata da lui che le sembrava sempre lo facesse per la prima
volta.
“Hai
avuto una vita peggiore della mia” disse Avier, quasi
sussurrando.
“Non
dire stupidaggini” sussurrò la ragazza in
risposta, poi rispose
all’abbraccio. I due rimasero così per minuti
interi, e avrebbero
continuato ancora per un po’. Non fosse che Aelita
notò qualcosa
di azzurro uscire dalla tasca dei pantaloni di Avier.
Allungò la
mano di scatto per afferrarlo e tirò fuori il pacchetto di
un
profilattico.
“E
questo quando lo hai preso?” il ragazzo spostò lo
sguardo, poi
balzò in piedi. Iniziò a spiegarsi balbettando e
gesticolando più
del solito.
“Io…
Io l’ho comprato stamattina… perché,
insomma… dopo quello che
è successo… I-ieri sera… Ho pensato
che un giorno… Non dico
subito! Però… Un giorno…
Noi…” il ragazzo si portò le mani
al volto
“Blyat!
Certe volte sono così stupido” la
ragazza rise, vederlo in
imbarazzo era qualcosa di più unico che raro, era
così buffo. Dopo
aver smesso di ridere, si sollevò e mise il pacchetto dentro
la
tasca del ragazzo, poi si risedé sul letto.
“Ieri
sera ero in preda all’emozione, non ero lucida”
“Si”
“Tu
lo avevi capito, dopotutto”
“Già”
“Penso
che non dovremmo correre”
“È
giusto” il ragazzo diede le spalle alla ragazza
“F-forse
è il caso di andare” disse, continuando a
balbettare. Poi mosse un
passo, sentì la ragazza tirargli dalla tuta.
“Che
c’è?”
“Niente.
È solo che… Ho mentito”
Aelita
tirò a se Avier e lo baciò appassionatamente.
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Capitolo 10 *** Capitolo 9: ...e in guerra... ***
Lenkerthen Lyoko Capitolo 9
Swarker
– KNWL Akton LK1606 – Lark morkan
“Come
sta il più cordiale dei pazienti?”
“Basta
con queste derisioni. Non ne posso più. Mi avete preso
contro la mia
volontà e mi avete distrutto la mia vita”
“Voi
umani date rilevanza a elementi così terziari”
“Spero
che Ostark vi stermini dal primo all’ultimo.
Mostri!”
“Portare
rancore come una belva. Da keen!
Piuttosto, non è contento? A breve avremo concluso,
signor… Come
si pronunciava?”
“Belpois”
Terra
– Francia – Parigi – Domenica 2 Ottobre
2005 – Ore 13:30
Cos’è
che ci fa provare desiderio? Aelita Schaeffer non lo sapeva. Non
capiva perché durante la sua relazione con Jeremy non avesse
provato
le sensazioni datele da Avier, che conosceva solo da un mese. Quando
il ragazzo l’aveva abbracciata la prima volta, si era come
deposto
un seme nel suo cuore. Dei sentimenti nuovi, mai visti prima, che si
erano radicati e sviluppati con velocità prorompente,
devastante. La
ragazza lo desiderava, lo voleva più vicino di ogni cosa,
come a
renderlo parte di sé. Nonostante fosse così pieno
di difetti, non
solo per i suo aspetto emaciato e i tratti slavati, ma
perché era
imprevedibile, a volte irrazionale, complesso e complessato, anche un
po’ antipatico. Eppure… Eppure, era
così. Lo amava. Non poteva
dire altro.
Il
ragazzo sedeva a petto nudo a bordo letto, tremava leggermente e
guardava nel vuoto.
“Scusami.
Il mio corpo. È… difficile…
guardarlo”
“Hai
paura?” la ragazza gli accarezzò la schiena
delicatamente, tastò
la sua pelle che alternava zone lisce alle dure e ruvide cicatrici, e
cercò di incontrare il suo sguardo per rassicurarlo.
“No.
Non posso avere paura” il ragazzo la baciò e fu
presto ricambiato.
I due amanti si strinsero tra loro, si esplorarono, si desiderarono.
I loro baci divennero sempre più lunghi e intensi mentre la
luce
soffocata di quella giornata nuvola filtrava dalla finestra,
colorando le loro figure.
Avier
prese a baciare il collo della ragazza, un gesto che le fece
arrossare le guance. Questa reazione divenne ancora più
intensa
quando sentì le dita del ragazzo raggiungere i bottoni della
sua
camicetta purpurea, ben presto i suoi piccoli seni tondi e ben
modellati furono in vista, coperti solo dall’intimo rosa.
Nessun
ragazzo l’aveva mai vista così.
“Sei
bellissima” le disse, e non poté fare a meno di
tastare quel nuovo
territorio. L’imbarazzo della ragazza la portò a
distogliere lo
sguardo dalla figura che la sovrastava, ma poi il tocco delle dita
sottili e affusolate di Avier e le sensazioni generate le furono
molto gradite. I pensieri le si fecero più libidinosi al
sentire
l’eccitazione di lui premere tra le sue gambe. Ripresero
quella
sorta di danza con cui avevano iniziato, e non fu solo uno scambio di
baci e carezze, ma di sensazioni, di sentimenti, di passioni.
Ben
presto furono nudi, se non per la protezione di lui. Aelita non
poté
fare a meno di constatare come Avier fosse… Beh!
Sorprendente.
Anche in quello. Chi l’avrebbe mai detto.
Il
ragazzo si piegò su di lei e la guardò fisso
negli occhi,
nonostante la corporatura minuta si sentì sovrastata. Il suo
sguardo
non era mai stato così intenso, quegli occhi scuri
sembravano
profondi come due porte su un abisso. Piegò la sua testa per
baciarla ancora, e ancora i suoi baci avevano qualcosa di diverso, le
loro lingue si tastarono e provarono, desiderose di mantenere un
legame.
“Ti
amo” disse poi, con una voce che sembrava non aver mai avuto.
Questo, prima di iniziare il contatto. Aelita si sentì
immersa in un
oceano di nuove sensazioni, ma una di queste era una fitta lenta e
progressiva, nonostante la delicatezza del suo compagno.
“Va
tutto bene” le disse vedendo la smorfia di dolore sul suo
volto,
poi la baciò sul collo e su un capezzolo, causandole una
serie di
brividi piacevoli che la percorsero come scosse elettriche.
Però, il
dolore continuò ad esserci quando sentì quello
strappo interno e il
sangue iniziare a colare. Si sentì agitata e confusa per un
attimo,
ma il ragazzo era come una roccia a cui aggrapparsi, una guida
nell’ombra. Capì che in quel momento non voleva
essere da nessun
altra parte. E così si incontrarono, e il dolore divenne
piacere, e
il piacere divenne passione.
Il
tempo si fermò.
Sala
del supercomputer – Nello stesso momento (circa)
>Sistema
Lyoko
>Scanner Ulrich
>Trasferimento
Ulrich
>Scanner Odd
>Trasferimento
Odd
>Virtualizzazione
La
silouhette dall’avatar di Ulrich si materializzò a
mezz’aria,
riempendosi poco dopo dei poligoni e assumendo solidità.
Atterrò
sulla superficie dell’ascensore del Settore Cinque e rimase
un
attimo a guardarsi intorno, rimirando le forme squadrate e il celeste
costante di quella struttura digitale, era passato un intero anno
dall’ultima volta che era stato lì.
Guardò poi il suo modello,
era come lo ricordava, con la tuta unica marrone e gialla, la fascia
sulla testa e le sue due fidate katane. Che ricordi!
La
figura di Niktor era ad un paio di passi davanti a lui, stesa sul
pavimento con le braccia incrociate e i grandi occhi neri che si
muovevano ansiosi. Con i compromessi della virtualizzazione, il suo
aspetto era fondamentalmente identico a quello nel mondo reale.
“Tutto
okay, Ulrich?” la voce di Jeremy risuonò per tutto
l’ambiente
circostante come aveva sempre fatto.
“Mi
sento come se venissi qui per la prima volta. Vorrei essere felice,
ma sai… Invasione aliena”
“Vediamo
di risolvere in fretta. L’ascensore sta per salire”
quasi come se
obbedisse ad un comando, il pavimento prese effettivamente ad
elevarsi non appena Jeremy smise di parlare. Ulrich mosse un paio di
passi verso l’alieno, che puntò i suoi occhi su di
lui. Assunse
un’espressione che poteva avere qualsiasi significato, la sua
mimica facciale era davvero distante da quella umana.
“Pronto
a farsi trasportare, signor Niktor?”
“Non
dissipare il tempo” Ulrich avrebbe fatto una battuta sulla
scelta
di termini che a volte l’alieno adoperava, ma
preferì trattenersi
e si limitò ad accovacciarsi per sollevarlo. Nonostante la
mancanza
di forze, fu collaborativo e si lasciò avvolgere sotto le
spalle e
le gambe.
“Certo
che siete pesante” commentò una volta sollevatolo,
lui rispose
solo sbuffando infastidito. Almeno quello era comprensibile.
“Senza
XANA, non ci sarà più nulla ad ostacolarti. Ho
programmato l’arena
perché ti porti direttamente alla torre”
comunicò Jeremy ad
Ulrich dopo aver controllato i movimenti di Odd, era già
arrivato
alla torre indicata, tutto procedeva bene a quanto pare.
L’arena
del Settore Cinque si presentò a Ulrich calma e ordinata
come non
lo era mai stata, le piattaforme rettangoli erano disposte
ordinatamente formando una gigantesca scalinata verso la torre, quasi
gli dispiaceva non essere attaccato dai Creeper. Anche Niktor
reagì,
il suo volto si corrucciò e digrignò le sue file
di denti spessi.
“Ti
vedo nervoso” domandò Ulrich, preoccupato per
quello che avrebbe
potuto fare, nonostante la sua impossibilità a muoversi.
“Sono
disgustato”
“Perché?”
“Non
è tuo interesse”
“Certo
che parlare fluentemente ti ha reso davvero antipatico”
Ulrich non
era totalmente serio, ma lo sguardo gelido che gli rivolse
l’alieno
gli bruciò il sarcasmo. Quel tipo gli faceva paura, e forse
lui lo
aveva capito.
“Dostan.
È solo che
sono impaziente di poter
camminare di nuovo. Comunque, questo posto sembra una versione
gigantesca dei filmati di propaganda dello Swarker. Sono pieni di
cubi che si uniscono e formano sfere, oltre che frasi orrende come
‘La
moltitudine rende trascendenti”
“Sembra
davvero un posto orribile”
“Lo
è”
Ulrich
arrivò davanti alla torre del Settore Cinque, ci era voluto
solo un
minuto. La guardò per un attimo osservando il vapore
bianco che fuoriusciva dalla sua sommità,
poi si rivolse a Jeremy.
“Cosa
devo fare?”
“Entra
dentro con Niktor e lascialo al centro della torre”
“Non
mi abbandonare, amico mio” commentò
l’alieno. Ulrich seguì gli
ordini, attraversò la torre e si ritrovò nella
pedana interna
circondata dai flussi di dati, i cerchi concentrici sul pavimento si
illuminarono uno dopo l’altro al suo passaggio, fino al punto
che
rappresentava il centro esatto, fu lì che lasciò
l’alieno.
“Buona
fortuna” gli disse, poi tentò di stringergli la
mano con sei dita
in una presa amichevole,
ma rinunciò quando
Niktor iniziò a guardarlo confuso non capendo cosa stesse
facendo.
Comunicare con un alieno sapeva essere
davvero
imbarazzante.
“Odd,
Ulrich è appena uscito dalla torre nel Settore Cinque. Ora
tu dovrai
entrare nella tua”
“Poi,
cosa succederà?” domandò il ragazzo
osservando per un attimo la
maestosa costruzione digitale che aveva inanzi a sé.
“Farò
partire un programma. La torre ti analizzerà in
contemporanea con
Niktor, poi inizierà a interpretare il tuo genoma, a
copiarlo e ad
adattarlo a Niktor per ripristinare una sua condizione di salute
ottimale”
“Un
trapianto digitale in poche parole. Un digi-trapianto!”
“Una
grossa approssimazione. Ma si, chiamalo pure così”
“Iniziamo
il digi-trapianto!”
Odd
entrò nella torre e Jeremy fece partire il programma. Dopo
pochi
secondi, in contemporanea benché in settori differenti, sia
Niktor
che Odd vennero
afferrati da
una forza invisibile. La torre li sollevò a diversi metri da
terra,
facendoli galleggiare tra i flussi di dati che percorrevano le
pareti. Da
questi, partirono
scintille di luce azzurra che iniziarono ad attraversare i loro corpi
digitali. Ogni volta, i due provavano una sensazione indescrivibile,
come se qualcosa venisse preso e sostituito nello stesso istante.
“Quanto
ci vorrà, Jeremy?” domandò Ulrich, si
era messo a sedere su uno
dei gradini azzurri della stanza. Dentro di sé, era agitato
da un
misto di emozioni, non riusciva a comprendere come dovesse prendere
la situazione. Tutto era così fuori dalla logica.
“Molto
meno di quanto pensassi. C’è
un’affinità molto superiore a
quella delle mie migliori previsioni. Sai, penso che fra
mezz’ora
avremo finito”
“Quindi,
un alieno di una razza superiore ha affinità con il
più tonto dei
terrestri?”
“In
teoria con tutta l’umanità…”
“La
mia versione è più divertente”
Aspettare
trenta minuti in una stanza vuota può essere
un’esperienza
provante, Ulrich decise di ingannare il tempo esercitandosi con le
sue due katane. Pensò a tutte le volte che le aveva usate
contro i
mostri di XANA, alla soddisfazione che dava colpire quelle creature
digitali e vederle distruggersi e scomparire. Poi, improvvisamente,
si fermò. Sentì un brivido percorrergli la
schiena nonostante il
suo corpo digitale.
“Qualcosa
non va, Jeremy”
“Cosa?
Io non vedo nulla di anomalo”
“Mi
sento osservato” Ulrich iniziò a guardarsi intorno
circospetto,
tenendo le spade sguainate pronte all’utilizzo. La sala era
vuota
oltre la torre e lui, eppure qualcosa non andava, doveva essere
così.
Prese a camminare, mosse i piedi uno dopo l’altro,
lentamente. Si
sentiva tremare, non si era mai sentito così.
Gli
parve di sentire qualcuno alle sue spalle. Si girò di colpo.
Nulla.
La stanza era vuota. Eppure…
Continuò
a passeggiare nervosamente avanti e indietro, sempre con la
sensazione di essere tenuto sott’occhio. Eppure la stanza era
vuota, solo lui e la torre. Vuota. Solo lui e la torre. Vuota.
Per
quanto se lo ripetesse, non era convinto per nulla.
“Sicuro
che sia tutto apposto, Jeremy?”
“Si,
non c’è nessuno. Sto controllando dappertutto, ma
il supercomputer
non rileva niente” eppure Ulrich non riusciva a calmarsi,
però
doveva farlo. Fece un grosso respiro e abbassò le armi, si
sentì
leggermente meglio.
“Quanto
manca?”
“Circa
venti minuti”
“Sbrighiamoci,
non ho più voglia di stare qui”
Il
pavimento sotto i piedi di Ulrich ondeggiò come se fosse
liquido.
Una mano fuoriuscì e gli afferrò una gamba.
>Sistema
Lyoko
>Rilevata
anomalia
>Analisi
>SWwgbWlvIG5vbWUgw6ggWG9kaWFuIEFua290Y
XIgQWFsdmEsIGhvIHBlcnNlZ3VpdG8gdW4gYmVuZSBzdXBlc
mlvcmUgcGVyIHR1dHRhIGxhIG1pYSB2aXRhLiBJbyBzb25vIGNpw7I
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>ERRORE
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>ERRORE
>Q2hlIHR1IHBvc3NhIGNvbXByZW5kZXJlPw==
Swarker
– KNWL Akton LK1606 – Lark morkan
“Och
dar! Lan von din ormakes”
“Anì
antrekor din azarawas Ulrich Stern?”
“Merk
lim din Niktor rentrekat”
“Lak
nosch”
Sala
del supercomputer –
Ore 13:45
Ulrich
colpì subito il braccio con un colpo di spada, la lama lo
attraversò
e per un attimo la creatura perse la presa. Per il resto,
sembrò non
avergli fatto alcun danno. Un secondo braccio fuoriuscì dal
pavimento, la creatura prese a far leva e mostrò una
silhouette da
Swarkerinster. Il corpo era però semitrasparente, flussi di
dati si
sollevavano da esso come vapore e scintille luminose lo percorrevano.
Le gambe, seppur visibili, erano come immerse in una sostanza
gelatinosa traslucida. La creatura rivolse lo sguardo ad Ulrich, i
suoi occhi non erano altro che due sfere galleggianti.
“JEREMY!
Cosa diavolo è quello?”
Nessuna
risposta.
Ulrich
andò nel panico, prese un katana e menò un
fendente. Una lama di
energia partì dal taglio della spada e sfrecciò
nell’aria sino
all’entità, poi attraverso il suo petto lasciando
un vuoto dove
aveva colpito. La figura rivolse il suo sguardo verso il pavimento,
come stordito. Poi però il vuoto si colmò e
l’entità prese a
camminare, la melma attorno a lui lo seguiva.
Il
ragazzo fece un supersprint, percorse diversi metri lasciando una
scia gialla dietro di sé. Si era allontanato da
quell’entità, ma
i suoi occhi di luce puntati verso di lui sembrava minacciosi come se
li avesse davanti al naso. La sua melma traslucida pulsò in
una
serie di onde circolari che partivano dal suo corpo, una serie di
bagliori si sollevò da sotto di essa e quattro cubi grandi
quanto un
cranio emersero e galleggiarono attorno al mostro. La figura protese
un braccio davanti a se mostrando sei dita distese, i cubi furono
sparati in quella direzione. Ulrich fece appena in tempo a evitarli
con una capriola, quei proiettili avevano viaggiato rapidi come
saette, bagliori di luce bianca. Colpito il pavimento chiaro, erano
esplosi in corpuscoli cubici. L’onda d’urto aveva
sollevato da
terra Ulrich per poi farlo rovinare con il fianco contro
l’angolo
di uno dei gradini, rimase stordito per un paio di secondi. La
creatura lo ignorò e si diresse verso la torre.
“No,
tu non la tocchi quella torre” il ragazzo fece un altro
supersprint, risalì a tutta velocità le scale e
arrivò alle spalle
della creatura. Poi, un rapido balzo, le mani ben strette sulle
impugnature delle katane, affondò entrambe le lame nella
schiena
dell’avversario. La creatura emise un sorta di lamento
distorto, un
suono totalmente elettronico, non umano. I suoi occhi si fecero meno
luminosi e si curvò di nuovo in avanti. Ulrich ne
approfittò,
piantò i piedi sulla schiena della creatura e
saltò indietro
portando con se le sue armi. La melma gelatinosa della creatura prese
a risalirgli il corpo fino ad occultarlo completamente, rendendolo
una grossa montagna semi-lucida. Poi si appiattì al suolo
divenendo
una pozzanghera. Ulrich continuò a tenere le katane
sguainate,
pronto a reagire.
Fu
una scelta saggia, la melma risalì e assunse la sua forma da
Swarkerinster. Non c’erano più i flussi di dati
che galleggiavano
come fumo e gli occhi luminosi erano stati sostituiti da due
concavità che facevano assomigliare la creatura ad
un’inquietante
bambola. Una nuova onda partì dal centro del suo petto e si
diffuse
per tutto il corpo della creatura, altri quattro cubi luminosi
iniziarono ad emergere dal suo interno. Subito uno partì
verso di
lui, questa volta il ragazzo fu pronto, saltò lateralmente e
riuscì
ad evitare anche l’esplosione del cubo. Corse in avanti
mentre la
creatura tentò di colpirlo nuovamente sparando altri due
cubi, ma
non servì. Ulrich fece un salto in avanti seguito da una
capriola,
sentì l’esplosione dei cubi alle sue spalle e
percepì il
contraccolpo della sua forza cinetica, non perse
l’equilibrio, ma
perse decimi di secondo essenziali. Era ad un metro e mezzo dalla
creatura, il cubo era già pronto ad essere scagliato, non
sarebbe
riuscito a evitarlo. Alzò le katane e si mise in guardia
d’istinto,
il cubo si avvicinò rapido a lui e colpì le sue
lame, degli squarci
si aprirono su di esso e cadde a terra sparendo in un mucchio di
frammenti digitali. Quei colpi potevano essere parati!
Non
perse tempo a gioire di questa rivelazione, fece un supersprint e
colpì il suo avversario di tondo, tranciandolo a
metà all’altezza
del ventre. Nel punto colpito la gelatina cadde in grosse masse, ma
la creatura era ancora viva. Il suo braccio si tramutò in un
lungo e
sottile tentacolo traslucido che subito si aggrovigliò
attorno alla
gamba del ragazzo non appena terminò il suo sprint. Tutto
quello che
Ulrich percepì fu un forte strattone e il pavimento
allontanarglisi
da sotto i piedi, poi si ritrovò a volare per
l’arena
schiantandosi sulla parete al lato opposto.
La
creatura di melma si ricompose e si diresse verso di lui, ad ogni
passo i suoi piedi diventavano piccole pozzanghere sul pavimento che
solo dopo ritornavano piedi, gocce di melma gli colavano dalle gambe
e dalle braccia, riunendosi a lui una volta toccato il pavimento. Era
cambiato davvero da quando si era ricoperto di melma, come se
fosse…
Diverso.
Un
tremendo dubbio colpì Ulrich, guardò in direzione
della torre e le
sue paure divennero tristemente realtà. Vide fuoriuscire dal
pavimento vicino la costruzione digitale la creatura con i dati che
si sollevavano da lei come fumo poligonale e gli occhi luminosi.
L’aveva ingannato, aveva creato una sua copia con la melma e
poi si
era diretta verso la torre tramite il pavimento.
La
toccò.
>Sistema
Lyoko
>Richiesta
di dati biometrici
#Utente:
WG9kaWFuIEFua290YXIgQWFsdmE=
>Q2hlIG1pIHNpYSBkYXRvIGNpw7IgY2hlIG1pIGFwcGFydGllbmUsIG5vbiBtaSBpb
XBvcnRhIGluIHF1YWxlIGZvcm1h
>ATTENZIONE:
RILEVATA FALLA CRITICA NELLA SICUREZZA
>ATTIVAZIONE
PROGRAMMI DI SICUREZZA
>SW8gZ2FyYW50aXLDsiBsYSBzdXBlcmlvcml0w6AgYWdsaSBTd2Fya2VyaW5zdGVyLCB
ub24gcG90ZXRlIGZlcm1hcm1p
>ERRORE
>Tk9OIFBPVEVURSBGRVJNQVJNSSE=
>Attivazione
programmi di sicurezza riuscita
>Utilizzo
di ogni risorsa
>Eliminazione
programma malevolo in corso
La
nube di dati sulla cima della torre si fece luminosa, accecante. Si
espanse per tutta la torre. Poi, un lampo di luce. Una vera e proprio
esplosione che, con una forza dirompente, fece volare la creatura e
ricoprì tutta l’arena del Settore Cinque. Ulrich
sentì le
piattaforme cubiche tornare in funzione e spostarsi, poi alle sue
orecchie arrivarono i versi di mostri fin troppo familiari. La luce
scomparve, il luogo aveva cambiato aspetto. Ora
un’infinità di
cubi galleggiavano in posizioni e altezze diverse, su ognuno di esso
vi erano dei Creeper. Un’infinità di Creeper,
più di quanti ne
avesse mai visti. Ulrich quasi cadde nello sconforto al pensiero di
doversi occupare anche di loro oltre alla nuova amenità. La
situazione però continuò a prendere pieghe
inaspettate, infatti
tutti i Creeper presero a guardare la nuova creatura, che se ne stava
stordita in una piattaforma al centro della stanza assieme alla sua
copia gelatinosa, poi iniziarono a sparare laser verso di lei dalle
loro bocche. Cinque colpi andarono a segno e fecero temporaneamente
sparire porzioni del suo corpo. La creatura si coprì di
nuovo nella
sua melma traslucida e attraversò il cubo su cui aveva i
piedi.
Ulrich lo vide poi spuntare da una faccia laterale del cubo,
allungare dei tentacoli verso quella di fronte e usarli per
spostarsi. Aderendo alla superficie tramite la melma, la creatura
prese a risalirla mentre parava con tentacoli le decine di laser
diretti verso di lui. Il ragazzo capì di dover aiutare
quelli che un
tempo erano suoi nemici, iniziò a correre e a saltare tra un
cubo e
l’altro. Nel frattempo, vide la creatura allungare altri
tentacoli
di melma e afferrare due dei Creeper sulla sommità del cubo
che
stava scalando, con dei poderosi strattoni li gettò lontano
verso
altri Creeper. Uno di questi ne colpì due, causandone la
distruzione, l’altro fu colpito al volo da un Creeper prima
che
atterrasse, permettendo loro di continuare a bersagliare il nuovo
nemico.
Ulrich
arrivò sul cubo quando la creatura fu salita, il Creeper
rimasto lo
colpì con un laser, ma poi venne afferrato da un altro paio
di
tentacoli e tirato verso la creatura. La melma iniziò ad
avvolgerlo,
il corpo del mostro iniziò a perdere poligoni e
fisicità, mentre la
sostanza traslucida prendeva ad aumentare. Era come se si nutrisse e
crescesse. Una nuova onda la scosse e altri cubi bianchi iniziarono a
vorticare, uno di questi volò diritto verso Ulrich mentre
gli altri
andarono contro Creeper in altre postazioni. Ulrich riuscì a
parare
anche quel colpo, lo stesso non poté dirlo dei suoi nuovi
inaspettati aiutanti. Alcuni vennero colpiti in pieno dai cubi e
distrutti, altri crollarono nel vuoto a seguito delle loro
esplosioni. Compresi quelli lanciati via e quello
“divorato”,
aveva eliminato nove Creeper, ne restavano dodici nell’arena,
suddivisi su altre quattro piattaforme cubiche. Si preparò
di nuovo
a sparare cubi verso di loro, Ulrich tentò nuovamente di
colpirlo
con un fendente. Come tutte le altre volte, ottenne solo di stordirlo
per qualche istante, cercò di avvicinarsi a lui e lo
colpì un’altra
volta di sgualembro sulla spalla destra, gli si aprì uno
squarcio
più grande degli altri e vide come più colpi
consecutivi lo
indebolissero di più. Avrebbe dovuto continuare, ma non
poté farlo.
La melma prese di nuovo a risalire lungo il suo corpo e a
proteggerlo. L’entità corse verso il bordo della
piattaforma e
saltò sopra un’altra con un lungo balzo,
atterrando rilasciò
un’esplosione di dati che fece volare via e precipitare nel
vuoto
due Creeper, mentre un terzo venne afferrato e portato ad essere
consumato nella melma, che continuava ad espandersi.
I
cubi intanto iniziarono a muoversi, a cambiare posizione.
L’entità
si guardò confusa attorno per un attimo, indecisa su dove
andare.
Prese a correre verso una piattaforma che stava allontanandosi alla
sua destra, sopra di essa tre Creeper puntarono le loro bocche verso
di lui e spararono i laser. La creatura non riuscì a pararli
tutti
con la melma, uno di questi lo colpì sul cranio e lo
attraversò
lasciando uno spazio vuoto. Per un attimo perse i sensi, ritrovandosi
a cadere nel vuoto, riuscendo solo all’ultimo a far aderire
un
tentacolo sulla parete laterale del cubo . Ulrich, che si era
avvicinato saltando su un cubo che ora galleggiava alle spalle della
creatura, menò nuovamente un fendente di spada
accompagnandolo ad un
grido di guerra, non sapeva più se essere terrorizzato o
furente. La
lama di energia tranciò di netto il tentacolo, la parte non
più
collegata al corpo perse consistenza e cadde nel vuoto in grosse
gocce, la creatura cercò di allungarne subito altri tre per
aderire
alla superficie. Ulrich riuscì ad amputarne altri due con
una lama
di energia, il terzo riuscì a fare presa e far risalire il
suo
proprietario abbastanza per affondare una mano nella superficie
laterale del cubo. Stava tentando di entrarci dentro. Ulrich non
poteva permetterlo, fece un supersprint verso il margine del cubo e
saltò, per alcuni istanti in lui ci fu la sensazione di non
avere
peso e di galleggiare nel vuoto, istanti in cui sollevò le
katane
sopra la sua testa rivolgendo le punte verso la creatura.
Arrivò
nella fase discendente della sua parabola, con le gambe si
preparò
all’impatto mentre strinse ancora più forte le
katane tra le mani.
Poi atterrò, le lame attraversarono la melma e perforarono
il corpo
della creatura, per poi piantarsi nel cubo digitale. Urla distorte
provennero dal mostro, come se tutto il suo corpo fosse una cassa di
risonanza, la melma prese ad agitarsi e tentò di inghiottire
il
ragazzo. Ma lui era pronto, con foga e violenza estrasse una delle
katane mentre usava la rimanente per reggersi senza cadere nel vuoto,
prese a menare colpi di spada sulla massa staccandone grosse porzioni
che cadevano nel vuoto, sparendo. La creatura prese a lamentarsi
ancora di più mentre con le sue forze cercava di
attraversare il
cubo.
Poi,
improvvisamente, smise di farlo. La figura prese a guardare il punto
dove la sua mano entrava nella superficie liscia e azzurrina,
mostrando una concentrazione disumana. Da lì, una serie di
fasci di
luce iniziò a pulsare e a viaggiare per le facce del cubo,
al loro
passaggio rivelavano una trama labirintica composta da una serie di
spezzate ad angoli retti. Ulrich non ebbe di idea di cosa stesse
succedendo, ma il suo istinto lo fece balzare all’indietro.
Non
riuscì a portare con sé la sua katana e non
riuscì neanche a
ritornare sulla piattaforma da dove aveva saltato, ormai troppo
lontana per essere raggiunta. Si ritrovò a cadere nel vuoto,
ma sul
momento non ebbe tempo di provare panico. Il cubo che la creatura
stava facendo brillare esplose, una miriade di frammenti si sparse
per l’arena facendo precipitare i Creeper superstiti contro
cui si
scontravano. Altri frammenti raggiunsero Ulrich e accelerarono la
caduta vertiginosa, il ragazzo non ricordò di essere mai
caduto nel
vuoto dentro il Settore Cinque. Non sapeva quale destino lo
aspettava, forse si sarebbe semplicemente devirtualizzato e si
sarebbe risvegliato nella sala scanner, o forse sarebbe scomparso nel
nulla, perso nei meandri della rete, come tutto ciò che
cadeva nel
mare digitale.
Non
avrebbe mai saputo la risposta, perché un ultimo cubo
galleggiante
si frappose nella sua caduta libera e salvò il ragazzo.
“Oh!
Che botta!” disse rialzandosi, non poteva sapere se quel
salvataggio fosse un colpo di fortuna o se Lyoko lo stesse
proteggendo anche in quel modo. Non ebbe neanche il tempo di
domandarselo in realtà, perché la minaccia era
ancora presente.
L’entità
cadde dal cielo e atterrò con un gran fragore sulla
piattaforma,
teneva una gamba piegata e l’altra poggiata sul pavimento, il
pugno
della mano sinistra era chiuso. Alzò il suo sguardo e lo
puntò
verso Ulrich, seppur non avesse alcuna forma di
espressività, il
ragazzo percepì una forte rabbia nei suoi confronti.
L’entità si
sollevò in piedi, aveva ancora la katana conficcata nel
petto. La
sua melma non lo proteggeva più, il suo fumo di dati era
scomparso e
la sua silhouette era alterata, presentando numerose zone di vuoto.
“Ti
vedo danneggiato. Forse quell’esplosione non ti ha fatto
bene” lo
provocò Ulrich, mentre si metteva in posizione di guardia
con la
katana impugnata a due mani. La creatura emise di nuovo il suo
lamento elettronico, poi afferrò con la sinistra
l’arma nel suo
petto e la sfilò in unica mossa. L’arma prese a
mutare, le texture
che la componevano sparirono e rimase solo una rete poligonale
percorsa da scariche elettriche. Poi alzò l’arma e
la puntò verso
Ulrich.
“Vuoi
un duello di spada? Va bene. IN GUARDIA!”
Ulrich
caricò
Hermitage
– Nello stesso momento (circa)
“Questo
si che avrò difficoltà a dirlo agli
altri” il commento venne da
Aelita. La ragazza se ne stava ben coperta sotto il lenzuolo del
letto, quasi avesse ancora vergogna a mostrarsi nuda nonostante
quello che aveva appena vissuto. Avier era al suo fianco che guardava
pensieroso il soffitto, rispose senza distogliere lo sguardo.
“Se
lo farai, non citare la casa abbandonata. Mi dà
un’aria da
stupratore” la ragazza rise, Avier non avrebbe mai
abbandonato il
suo costante e pressante sarcasmo. Aelita lo apprezzava anche per
questo e, anzi, gli diede man forte.
“Hai
violentato una ragazzina, non ti vergogni? Sei un ragazzo molto
cattivo”
“Oh!
Tantissimo” si girò sul lato, i due amanti
restarono a guardarsi
per un po’ sorridendo. Poi la ragazza riprese la parola
“Hai
il naso storto”
“Hai
le tette piccole”
“EHI!”
“Non
era una gara di insulti?”
“Si,
ma tu sei crudele”
“Non
è crudeltà, è freddezza
sovietica” la ragazza scoppiò a ridere
a crepapelle, non riusciva a trattenersi con lui. Il ragazzo
però
non sorrise come faceva di solito, ma tornò a pancia in su a
guardare il soffitto. Aelita si preoccupò.
“Qualcosa
non va, tesoro?” si sorprese di averlo chiamato in quel modo,
le
era venuto così naturale.
“Qualcosa
non quadra”
“Che
intendi?” il ragazzo fece uscire le mani da sotto le lenzuola
e
prese a gesticolare, a quanto pare neanche da steso riusciva a
trattenere quell’abitudine.
“La
storia che mi hai raccontato, credo sia vera, però al
contempo non
può esserlo” un brivido percorse la schiena della
ragazza. Lui
doveva aver capito qualcosa, sapeva che era inevitabile succedesse
visto il suo modo di ragionare, ma sperava non fosse in quel preciso
momento.
“Che
intendi?” gli domandò, doveva capire quanto si era
avvicinato alla
realtà.
“Questa
casa, hai detto di averci vissuto da bambina, no?”
“Si”
“E
tu hai quindici anni, giusto?”
“Si”
“Sei
troppo giovane per aver vissuto qui se hai abbandonato il posto
all’età che mi hai detto. Questo luogo
è abbandonato da molto più
tempo, ne ho visti di edifici lasciati a loro stessi. Anche
considerando i peggiori eventi atmosferici, tu dovresti avere
più di
vent’anni perché la tua storia sia coerente con la
realtà” la
ragazza non riuscì più a guardare in sua
direzione, il suo cuore
prese a battere più forte e fu presa da un tremore. Le sue
reazioni
erano troppo evidenti perché Avier non le notasse, abituato
a notare
anche i più piccoli dettagli in ogni cosa e in ogni persona.
“Quindi
ho ragione? Mi hai mentito? Non riesco a capire tu e il tuo gruppo di
amici, è come se tutti avesse una sorta di gigantesco
segreto,
qualcosa che va oltre i normali segreti che si scambiano le persone.
È come se foste parte di una setta” il ragazzo era
nervoso, era
chiaro che quella situazione gli dava un fastidio tremendo. Aelita si
sentì in colpa, avrebbe voluto non mentirgli, ma al contempo
avrebbe
voluto non dirgli mai di Lyoko. Doveva fare una scelta…
“Mi
dispiace averti mentito, ma fidati. Non è così
facile”
“Lo
dicono tutti quelli che mentono”
“Lo
so, ma in questo caso è vero. Ora ti dirò tutta
la verità.
Prometti di non prendermi per pazza?” il ragazzo rivolse il
suo
sguardo alla sua compagna.
“Tu
prometti che sarà tutta la verità?” la
ragazza si sollevò e
avvicinò le sue labbra a quelle del ragazzo, baciandolo.
“Lo
prometto”
Sala
del supercomputer – Nello stesso momento (circa)
Le
lame dei due sfidanti si incrociarono in un clangore metallico.
Ulrich tentò di spingere l’avversario indietro, ma
mostrò una
resilienza sovrumana. Saltò rapidamente di lato non appena
la
creatura tentò di far scorrere la lama per colpirlo al
petto, poi
cercò di ferirlo di ridoppio alla schiena. Nonostante fosse
danneggiata, i riflessi dell’entità erano ancora
notevoli, ed
evitò quel colpo con una capriola. Poi si girò e
puntò la lama
verso Ulrich, il ragazzo rispose assumendo la posa di guardia. I due
iniziarono a muoversi lateralmente in direzioni opposte descrivendo
brevi semicerchi, tenendo la guardia ben alzata in attesa che
l’altro
si scoprisse. Ulrich fu il primo a tentare l’attacco non
appena
vide un fianco scoperto nell’avversario, tentò un
ridoppio
partendo dal fianco sinistro dell’avversario. Quello fece un
rapido
balzo indietro e, con un agilità da perfetto schermidore,
rimbalzò
di nuovo in avanti non appena i suoi piedi toccarono terra, mentre
aveva alzato le braccia per far partire un fendente approfittando
della perdita di guardia di Ulrich. Il ragazzo imprecò e
sollevò
l’arma all’altezza del collo, contemporaneamente.
Con un passo
fulmineo tolse la sua testa dalla traiettoria del fendente e mise la
sua arma, la spada dell’avversario si scontrò con
il medio della
sua lama, un ulteriore clangore si diffuse per l’arena, ormai
ridotta a quel cubo galleggiante diversi metri sotto la torre dove
Niktor stava venendo rigenerato. Ulrich vide la posizione scoperta
dell’avversario e ne approfittò per calciarlo in
petto. La
creatura arretrò e inciampò finendo in ginocchio,
il ragazzo le si
avvicinò rapido e pieno di determinazione e menò
lui un fendente.
Le lame si scontrarono ancora, quell’individuo era veloce.
Entrambi
sollevarono le loro spade e tentarono di ricolpirsi a vicenda,
facendo solo incontrare le loro lame una terza volta. Ulrich
tentò
di calciare di nuovo il suo nemico, ma quest’ultimo fece una
capriola indietro e si rimise in piedi pronto ad attaccare di nuovo.
Il
ragazzo era furente, ma doveva rimanere concentrato, pronto a reagire
ad ogni attacco. Tentò di colpirlo con un fendente che
rilasciò una
lama di energia, il suo avversario lo evitò con un balzo che
lo fece
sollevare pochi centimetro sopra quell’energia tagliente.
Ulrich
partì in un supersprint e menò un colpo
orizzontale verso la
creatura, ancora una volta venne parato tempestivamente. Le loro lame
rimasero incrociate per un po’, i due contendenti si
guardarono
fissi mentre spingevano le proprie spade l’una contro
l’altra. Il
volto di Ulrich era piegato in un’espressione di puro odio,
gli
occhi erano accigliati e i denti digrignati come quelli di una belva.
L’avversario non aveva un volto, eppure si percepiva una sua
forte
rabbia, probabilmente anche maggiore di quella del Guerriero Lyoko.
Il
ragazzo mosse una gamba verso destra, il suo avversario
improvvisamente fece ruotare la sua lama attorno a quella della
katana avversaria, dando inizio ad una stoccata che avrebbe
attraversato totalmente il petto del ragazzo. Sarebbe stato sconfitto
per certo, ma la creatura non si era resa conto di essere caduta in
trappola. Ulrich aveva piegato la gamba sinistra e la usò
per
saltare fuori la traiettoria dell’attacco, la lama nemica era
a
mezzo centimetro da lui quando schivò. Lo avesse fatto un
attimo più
tardi, avrebbe perso. Invece, ora si ritrovava in una posizione di
totale vantaggio, caricò un montante con la katana e
troncò di
netto il braccio armato della creatura. Lei iniziò a gridare
mentre
il suo braccio e la sua arma presero a cadere, Ulrich la
calciò
lontano mentre era ancora in aria, prima che l’avversario
usasse
l’altro braccio per afferrarla. Poi tranciò la
gamba destra del
nemico con un deciso colpo di spada, altre urla mostruose vennero
dalla creatura mentre si accasciava a terra.
Tentò
di strisciare con gli arti superstiti, ma non servì a nulla.
Ulrich
sollevò la spada e impalò con tutta la sua forza
la creatura, le
sue urla si fecero ancora più forti mentre la trama del suo
corpo
diventava sempre meno definita e i suoi occhi sempre meno luminosi.
Ulrich estrasse la lama e la infilzò di nuovo ancora
più forza, la
sua rabbia era tale che sembrò quasi potesse spezzare la
spada a
causa della sua foga. Altre urla digitali e disumane vennero dal
nemico, in un ultimo slancio di forza spinse con il braccio e si mise
con il ventre all’aria.
“MUORI
BASTARDO!” urlò Ulrich infilzando per la terza
volta la creatura,
il suo corpo si era fatto sempre più rado ed era prossimo
alla
distruzione, ma la sua rabbia non era affatto calata. La creatura
afferrò la spada con la mano superstite e la
risalì in un colpo
facendosi attraversare dalla lama, allungò il braccio e
afferrò il
volto del ragazzo. Una serie di scintille iniziarono a partire dal
suo corpo e ad entrare in quello di Ulrich. Gli occhi della creatura
si fecero più luminosi.
>Rivelato
flusso anomalo di dati
#Utente:
Ulrich Stern
Una
visione. Una figura umanoide che galleggiava nel vuoto in una posa
messianica. Alle sue spalle una luce splendente, come un sole a pochi
centimetri. Il suo corpo era avvolto nell’oscurità
e solo i due
occhi luminosi e gialli erano ben distinguibili. Attorno a lui, una
moltitudine di cubi che ruotavano attorno come asteroidi in un
sistema solare. Una voce recitava una sorta di poema:
Skantor
alerk larbek alarsak. Alarsak sin. Skantor rikta alarsak, net alarsak
dan karsala
Ulrich
sentì un’esplosione e la visione
terminò di colpo, un fascio di
luce aveva colpito in testa il nemico e ora il suo corpo stava come
consumandosi, le porzioni visibili si riducevano lentamente ma
costantemente.
“Nok
ten ist larker sem” lo
sentì dire prima che
sparisse nel nulla,
così come era apparso. Era l’unico insieme di
suoni coerenti che
gli aveva sentito emettere, seppur fosse nella lingua di Niktor.
A
questo proposito, Ulrich rivolse subito lo sguardo verso la torre.
Vide l’alieno in piedi sulle
sue gambe, con una sorta di pistola laser stretta nella mano destra,
era stato lui a sparare alla creatura distruggendola e facendo
terminare la visione di Ulrich. L’aspetto
dell’alieno era
cambiato, ora non indossava più una riproduzione degli abiti
che
indossava nella realtà, ma una sorta di armatura grigio
cenere con
degli spallacci
formati da
placche esagonali nei cui lati filtrava una luce bluastra. La sua
pelle era perfettamente bianca e in salute, i suoi grandi occhi neri
ora mostravano due cerchi
concentrici bianchi, come una sorta di iride.
“Che
è successo qui?” domandò
l’alieno, il suo tono di voce non era
cambiato.
“Non
ne ho idea”
Improvvisamente,
la voce di Jeremy tuonò nell’arena.
“Ulrich?
Ci sei? Sto provando in tutti i modi a contattarti”
“Ci
sono, ci sono. Ti prego, devirtualizzami e fa finire tutto
quanto”
Jeremy
seguì gli ordini alla lettera.
Quando
Ulrich si risvegliò nello scanner e questo si
aprì, si
vide davanti Odd e Jeremy. Niktor non era ancora presente, a quanto
pare era stato devirtualizzato prima di lui.
“Che
ti è successo su Lyoko?” domandò
Jeremy, sembrava preoccupato.
“Non
lo so. All’improvviso è apparso questo nuovo
mostro, era simile a
Niktor, ma era come trasparente ed era circondato da una melma.
Attraversava le pareti, creava tentacoli e sparava cubi esplosivi. Ma
sopratutto, era resistente. L’ho dovuto colpire
più volte prima
per poterlo distruggere, e non sono stato io a dargli il colpo di
grazia” Jeremy aveva ascoltato con interesse quel racconto e
commentò subito.
“Non
so come sia possibile che ci sia un nuovo mostro. XANA non
c’è più
nel supercomputer”
“Non
era un mostro, era Xodian” a dirlo fu una voce proveniente da
uno
scanner, si aprì l’istante dopo che quella frase
fu terminata.
Niktor apparve loro in forma smagliante, si reggeva sulle sue gambe,
aveva la pelle priva di macchie e il suo sguardo era diventato serio
e intenso. Anche la sua voce era sensibilmente diversa, molto
più
forte e decisa, anche rispetto a quella che Ulrich aveva sentito su
Lyoko mentre lo trasportava.
“Come
ti senti, Niktor? Hai emicranie? Nausea? Problemi di vista? Senti di
star sviluppando metastasi?” Jeremy guardava fisso Niktor.
Niktor
guardava fisso Jeremy. Poi, Niktor parlò.
“Ho
fame”
Nonostante
tutto, Odd e Ulrich
non poterono fare a
meno di ridere a crepapelle.
“Credo
che sia diventato troppo simile a te, Odd” le risate
continuarono
per diversi minuti.
L’alieno
aveva veramente fame. Si diresse alla sua sacca, che era stata messa
accanto ad uno scanner, e ne estrasse quello che per dimensioni e
consistenza sembrava un grosso panetto di DAS bianco, ma che doveva
essere commestibile visto che ne strappava grossi pezzi e li
inghiottiva senza neanche masticare. Ogni tanto beveva anche un sorso
di un liquido acquoso bianco contenuto in una boccetta perfettamente
sferica.
“Quindi,
dici che quello era Xodian?” domandò Ulrich quando
le sue risate
si furono calmate. Niktor si apprestò a rispondergli non
facendosi
problemi a parlare con la bocca piena, il suo popolo doveva avere
maniere molto diverse da quelle umane.
“Se
non lui, qualcosa di molto collegato a lui. La frase che ha detto
prima di sparire, Nok ten ist
larker sem,
nella vostra lingua
assume il
significato di ‘Nessun sacrificio è troppo
grande’. Era
il motto di Xodian dopo che venne dichiarato ufficialmente un
pericoloso criminale” Ulrich gli parlò poi della
visione che aveva
avuto quando era stato toccato dalla creatura. Niktor non si fece
problemi a commentare anche quella.
“Sembra
una delle sue opere d’arte. Faceva… ricostruzioni
olografiche
manuali, non so come tradurre nraktar
in
modo più preciso. Diceva che lo aiutavano a rilassarsi,
negli anni
di criminalità è stata trovata una grandissima
produzione legata a
lui, a quanto pare era molto stressato” fece quello che
sembrava un
sorriso sarcastico mentre staccò con foga un altro pezzo del
suo
cibo.
“Era
tutte su quello stile, creature che aveva forti legami con forme
geometriche. Però, una uguale a quella
che hai descritto non credo esista”
“Durante
la visione però ho sentito anche una voce, diceva Skantor
alerk larbek alarsak. Alarsak sin. Skantor rikta alarsak, net alarsak
dan karsala. Cavolo! Lo ricordo a
memoria”
“La
traduzione letterale è ‘Skantor disse alla luce di
esistere. La
luce fu. Skantor la giudicò positivamente, e
separò la luce
dall’oscurità”
“Ma
non è la Bibbia?” commentò Odd, Ulrich
si aggiunse subito.
“Certo,
è il racconto della Creazione. Però, al posto di
Dio, si parla di
questo Skantor. Non ci sto capendo niente!”
“Qualsiasi
cosa significhi, non vi interessa. Tra poco Lyoko sparirà da
questo
pianeta” disse Niktor, poi bevve un grosso sorso dalla sua
borraccia ed emise un forte rumore con la bocca.
“Quello
era un rutto?” commentò Odd
“Dai,
Odd. Non credo gli alieni ruttino”
“No,
Ulrich. Era un rutto” confermò Niktor.
Hermitage
– Nello stesso momento (circa)
“Quindi
mi stai dicendo che eri prigioniera in questo mondo digitale, sei
stata salvata dagli altri e poi avete combattuto contro un virus
informatico che voleva dominare il mondo?” Avier aveva
un’espressione stranita come nessuno gliel’aveva
mai vista in
faccia.
“Ecco,
ora mi prenderai per pazza. Lo sapevo”
“No,
no. Vedo che stai dicendo la verità, solo ukh ty! E
dove si
troverebbe questo Lyoko?”
“In
realtà non è tanto lontano, sai? Però,
di certo non ti ci porto
adesso. Ti voglio tutto per me” la ragazza lo
abbracciò e iniziò
a baciarlo. I due si ridistesero sul letto e Avier iniziò a
succhiarle il collo mentre la stringeva sé. Dopo un
po’, però, si
interruppe.
“Sai,
oggi mi hai sorpreso tantissimo. E non posso sopportarlo, sono io
quello imprevedibile. Devo trovare qualcosa per ritornare in
testa”
la ragazza gli sorrise e gli diede un bacio sulle labbra.
“Ed
hai qualcosa in serbo?”
“Forse
si”
“Non
ci credo”
“Ci
crederai. Chiudi gli occhi e non riaprirli fino a quando non lo dico
io”
“Okay”
la ragazza eseguì l’ordine. Sentì Avier
sollevarsi e scendere dal
letto, poi scavare nel suo borsone da ginnastica, infine
passò una
trentina di secondi prima di risentire la voce di Avier.
“Apri
gli occhi” la ragazza lo fece, e raggelò. Avier le
puntava contro
una sorta di cilindro cavo lungo due centimetri e largo mezzo con una
piccola levetta sotto. Era ricoperto di sangue, come le dita della
mano che lo impugnava. Guardò il ragazzo e vide che con la
mano
sinistra si teneva il petto, cercando di fermare una ferita
sanguinante, era la lunga cicatrice che aveva sul petto. Solo dopo si
accorse che sul pavimento c’era il coltello svizzero comprato
da
Renard, la lama era insanguinata. Avier si era aperto la cicatrice e
aveva estratto quell’oggetto.
“Che
sta succedendo?” domandò Aelita con la voce che le
moriva in gola.
Il volto del ragazzo mostrò un’espressione gelida
e priva di
empatia, pareva come svuotato di ogni cosa. Puntò per un
attimo il
cilindro contro il muro alla sinistra di Aelita, poi premé
la
levetta. L’oggetto si illuminò, in seguito una
porzione di parete
del raggio di dieci centimetri di raggio si illuminò a sua
volta,
per poi dissolversi nel nulla, lasciando solo un vuoto. Il ragazzo
puntò di nuovo l’arma verso la ragazza.
“Conducimi
a Lyoko”
|
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Capitolo 11 *** Capitolo 10: ...tutto è lecito ***
Lenkerthen Lyoko cap 10
A.S>
Integrazione dati
A.S>
Ripristino di sistema in corso
A.S>
Ripristino effettuato
A.S>
Buongiorno,
operatore
Dati
vocali operatore>
Non ti ho
riparato completamente, ma
finalmente mi parli, Archivio storico. In Swarkerebel suonava molto
meglio.
A.S>
Devo passare
alla Swarkerebel,
operatore?
Dati
vocali operatore>
Te lo
proibisco. Già mi sto dannando
per capire i dati che ho ottenuto finora.
Come
facevano a parlare una lingua con così tanti fonemi e
così tante
parole?
A.S>
Posso provare
ad accedere a un testo
di lingua e spiegarglielo, operatore
Dati
vocali operatore>
No, finiresti
per darmi un mucchio di
errori. Non sei riparata alla perfezione.
Elencami
piuttosto le funzioni che ho ripristinato.
A.S>
Intelligenza artificiale Archivio Storico: disponibile
A.S>
Voce sintetica:
disponibile
A.S>
Funzione di annotazione storica: disponibile
A.S>
Funzione di traduzione Swarkerebel - lingue terrestri: non
disponibile. Rilevato errore pacchetto x045hwi
Dati
vocali operatore>
Ti prego, non
mi elencare gli errori.
Li leggo tutto il giorno, sto impazzendo
A.S>
Ricevuto
A.S>
Nessun altra funzione disponibile
Dati
vocali operatore>
Almeno ho
migliorato qualcosa. Non
riportare le annotazioni storiche in Swarkerebel fino a quando non
potrai tradurle.
A.S>
Ricevuto
Dati
vocali operatore>
Posso
chiamarti Mamma?
A.S>
Impostazioni personalizzate nome Archivio Storico aggiornate
A.S>
Altre
modifiche?
Dati
vocali operatore>
Solo una.
Chiamami Zerkalo.
A.S>
Impostazioni personalizzate nome operatore aggiornate
Dati
vocali Zerkalo> Bene,
Mamma.
Riparti da
quando Avier minaccia
Aelita per raggiungere Lyoko
A.S>
Certo, Zerkalo
Terra
– Francia – Parigi – Domenica 2 Ottobre
2005 – Ore 14:40
“Sbrigati.
Entrambi abbiamo poco tempo” Avier aveva reindossato la parte
inferiore degli abiti, eccezion fatta per i calzettoni, non aveva
motivo di perder tempo a infilarli quando poteva mettere i piedi nudi
nelle scarpe. Con la lama del coltellino svizzero, prima ripulita
sulle lenzuola bianche del letto, stava squarciando la sua canottiera
creando un improvvisato bendaggio per la ferita ancora grondante.
Anche quando strinse saldamente le bende, ricoprendo la parte
sinistra del suo petto, una serie di macchioline rosse
iniziò a
crearsi lungo la zona del taglio, minacciando di espandersi
rapidamente. In quel momento, Aelita si era quasi del tutto
rivestita. Il ragazzo spostò il suo sguardo su di lei,
facendo
salire un brivido gelido lungo la schiena della ragazza. I suoi occhi
scuri, che prima trovava tanto affascinanti, erano come svuotati di
ogni cosa, due finestre sul vuoto siderale.
“Indossa
la collana che ti ho regalato” disse con tono imperativo.
“Perché
dovrei farlo?” Avier non parlò, si
limitò a sollevare di nuovo la
sua arma disintegratrice, ottenendo in quel modo l’obbedienza
della
ragazza. Quando ebbe esaudito quello che sembrava essere il capriccio
di uno psicopatico, Aelita vide Avier avvicinarlesi e afferrarle il
colletto della camicia dietro la sua nuca, poi l’arma del
russo
premé sulla sua schiena.
“Portami
lì. In fretta!”
Così
la ragazza si ritrovò con la propria vita minacciata da chi
era
riuscito a farle sacrificare così tante cose, e si
sentì
disgustata. Le lacrime non potevano fare a meno di grondare lungo il
suo viso, e ormai non capiva se dentro di lei ci fosse più
dolore,
paura o rabbia.
“Tu
hai sempre mentito quindi? Tutto quello che hai detto e che hai
fatto… Era solo per questo?” disse
l’ultima domanda con un
acidità ribollente, ma a quanto pare riuscì solo
a bruciare se
stessa. Avier non batté ciglio, era gelido come la terra in
cui era
nato, non sembrava neanche umano. Veniva da chiedersi se lo fosse mai
stato.
“Tu
non sai gli interessi che muovono l’Universo in questo
momento”
disse solo questo, con una voce robotica come nessun altra al mondo.
Una frase che per Aelita poteva non voler dire niente, magari era
solo un vaneggiamento che la mente del russo aveva appena concepito.
Non poteva far altro che obbedire.
Unità
centrale del supercomputer
– contemporaneamente
Niktor
borbottava tra sé e sé nella sua lingua mentre
staccava vari
pannelli dal generatore alla ricerca di qualcosa di non meglio
specificato. Ma anche specificandolo, probabilmente solo Jeremy
avrebbe capito qualcosa. Teneva la sua sacca stretta al fianco. Non
era legata o appesa a qualche gancio, infatti le fibre dei suoi
vestiti e quelle della sacca si erano unite in un punto quando
l’aveva avvicinata, diventando un tutt’uno. Come
funzionasse
quella tecnologia non era chiaro, Niktor non si era di certo messo a
spiegarlo.
L’alieno
non era affatto in vena di chiacchiere. I suoi grandi occhi neri, che
avevano sempre un lampo di sagacità, ora trasmettevano una
concentrazione altissima. Dopo aver rimosso e sistemato un altro paio
di pannelli, finalmente ne scoprì uno rivelante quello che
cercava.
Che cosa fosse di preciso i due guerrieri Lyoko non lo sapevano.
Vedevano solo un ammasso di cavi, circuiti saldati e altre componenti
a cui non avrebbero saputo dare un nome. Però, era
ciò che serviva
a Niktor.
Con
la mano destra estrasse
dalla sacca una
sorta di icosaedro nero ricoperto da una resina vetrosa con un
tentacolo grigiastro che partiva da una delle facce e si ramificava
in tentacoli via via più piccoli. Lo avvicinò ai
circuiti stampati
e ne carezzò una faccia, l’oggetto prese ad
emettere bagliori
azzurri da qualcosa al suo interno e i tentacoli iniziarono a
muoversi e a collegarsi con i circuiti. Poi, dopo un minuto circa, i
bagliori si fecero più lenti e regolari. Niktor
lasciò la presa e
l’oggetto rimase rigido e sospeso a mezz’aria,
l’alieno si alzò
in piedi rimanendo a
fissare il pulsare
regolare del dispositivo per qualche secondo, prima di rivolgere lo
sguardo verso i suoi benefattori.
“Ci
metterò molto tempo, circa venti minuti, ma voglio essere sicuro
di copiare correttamente i dati”
“Venti
minuti non mi sembra tanto”
“Per
una quantità così piccola di dati si, ci metterei
mezzo secondo.
Però, la vostra tecnologia è molto arretrata, non
voglio che
qualcosa vada danneggiato per colpa di chissà quale problema
informatico o di hardware”
Ulrich guardò
meglio il dispositivo e
capì una cosa.
“Un
secondo, mi stai dicendo che l’intero Lyoko sta venendo
copiando
dentro questa sfera?” Niktor gli dedicò uno
sguardo confuso.
“Non
è una sfera”
“Si,
questo pentagono”
“I
pentagoni non sono figure solide”
“Non
è il punto!” perché Niktor si fosse
fissato sulla geometria in
quel preciso istante non sarebbe mai
stato chiaro, forse
era semplicemente
annoiato. Comunque, finalmente rispose.
“Certo.
La vostra legge di Moore non è precisa, però in
sostanza dice la
verità. La tecnologia dello Swarker permette
di conservare e di gestire molti più dati a
parità di dimensioni”
l’alieno si
girò e
si avvicinò a una parete, vi poggiò la schiena e
prese a mangiare
un altro panetto bianco. Era il terzo pasto che faceva nel giro di
cinque minuti da quando si era ripreso, guarire dalla
malattia doveva avergli ridato un appetito che non ricordava di
avere. Odd gli si avvicinò pieno di curiosità e
trepidazione e
iniziò a riempirlo di domande.
“Quali
sono le altre razze aliene? Ce ne sono con la pelle verde, o grigia e
la testa gigantesca…”
“Pelle
verde?” Niktor scoppiò in una risata
fragorosa, acuta e non
umana, ma che
riusciva a umiliare lo
stesso.
“Ehi,
sei spietato”
“E
tu sei stupido. Un mammifero con la pelle verde sarebbe un brutto
scherzo evolutivo”
“Odd,
non stai facendo fare una bella figura
all’umanità” commentò
Ulrich divertito, Niktor aveva bevuto un altro sorso della sua
bevanda e si era tappato la bocca con la mano per trattenere un
secondo rutto.
“Comunque,
si. Ci sono altre razze oltre la nostra. Non molte, ma
esistono”
“Racconta,
racconta! Come sono fatte?”
“Ordunque…
Esistono i Kirill di Antrakech, sono degli esseri piuttosto bassi e
tozzi e dalla pelle grigio chiaro. Sai, il loro pianeta ha una
gravità più forte della terra e dello Swarker,
quindi l’apparato
scheletrico ha dovuto compensare. Sono… Innocui. Un
po’ volgari
siccome definiscono daskwatar
anche gli
Alsther, però…”
“Daskwatar?”
“Si,
è l’insulto classico delle altre razze verso gli
Swarkerinster,
abbastanza ironico visto che è un termine della nostra
lingua.
Significa… credo ‘talpe del metallo’
renda l’idea. Questo
perché lo Swarker è di metallo e abbiamo gli
occhi grossi. Anche se
i daskwa sono animali molto diversi dalle vostre talpe, dopotutto le
vostre talpe non hanno gli occhi grossi, e i daskwa escono spesso dal
sottosuolo… Che brutti animali i daskwa!” Niktor
morse il suo
panetto e chiuse così quella digressione.
“Poi
ci sono i Mazonar di Mazon, sono simili a voi, però
più alti in
media, hanno una pelle molto scura perché la loro atmosfera
scherma
inferiormente i raggi ultravioletti, inoltre è un pianeta
molto
caldo e prevalentemente desertico. Non ho mai capito come abbia fatto
a svilupparsi la vita lì sopra, alcuni pensano che millenni
fa
un’astronave precipitò e i
supers…” Niktor si fermò di colpo,
la sua attenzione era stata attirata da un rumore che ben presto
attirò tutti gli altri.
“Chi
ha preso l’ascensore?” la domanda di Jeremy era
accompagnata da
un’espressione sconvolta, in meno di una frazione di secondo
il
panico entrò nel cuore di tutti quanti.
“Zskatraffas!!!”
urlò Niktor a pieni polmoni in quella che, pur non sapendo
la sua
lingua, era chiaramente un’imprecazione. Dalla sua sacca
prese una
pistola nera dalle componenti piccole e sottili. Sul retro della
canna, dove sulle armi terrestri era presente il cane, si trovava
invece una sorta di capsula trasparente infilata per metà
nell’arma,
al suo interno si intravedeva una doppia elica fatta di qualche
metallo luminescente. L’alieno puntò
l’arma verso la porta
dell’ascensore e premé un pulsante nel punto dove
ci si sarebbe
aspettati di trovare il grilletto, la capsula e la punta della
pistola si illuminarono e da quest’ultima partì un
sottile raggio
azzurro. Non appena entrò in contatto con la porta
dell’ascensore,
il metallo prese a fondere. L’alieno lo guidò
lungo tutto il
meccanismo d’apertura, assicurandosi che si saldasse e
bloccasse.
Ci mise pochi secondi, poi balzò in piedi e si diresse verso
il suo
icosaedro, ancora lampeggiava e toccandolo poté vedere che
solo poco
più della metà dei dati era stata trasferita.
Mancava così poco!
Ma non poteva farci niente, lo staccò e se lo mise nella
sacca, poi
da questa estrasse un oggetto rettangolare delle dimensioni di un
portafogli e iniziò ad armeggiare con una serie di ologrammi.
“Che
stai facendo?” domandò Ulrich avvicinandosi a lui,
Odd lo seguì
siccome la paura non gli permetteva di fare altro. Jeremy era anche
lui nel panico, eppure, di tutti, sembrava quello più
razionale.
“Non
comprendi? Me ne vado e faccio saltare tutto in aria”
“Ma
ci ammazzerai!” urlò Odd, Jeremy si aggiunse
subito dopo.
“Non
solo. Il computer è alimentato da barre di uranio, se
esplodono
potresti rendere la zona radioattiva. Avvelenerai un sacco di
persone!”
“Ho
già i problemi con i miei simili, non mi interessa se
avrò
questioni in sospeso con voi Azarawas”
qualsiasi cosa sarebbe successa subito dopo, fu interrotta da una
voce sottile e gelida con un forte accento russo.
“Fermatevi,
oppure la ammazzo”
Avier
Antonovic Anisimov era arrivato, era nella cabina
dell’ascensore e
teneva Aelita Schaeffer stretta a sé con il braccio
sinistro. La
mano destra le puntava sulla tempia un piccolo oggetto cilindrico
metallico, un’arma non terrestre. Un’arma che aveva
annullato i
legami atomici del metallo che gli impediva di accendere a quella
sala, creando una grossa apertura perfettamente circolare al centro
della porta. Il suo volto era più pallido di quanto non
fosse stato,
i suoi occhi tanto gelidi da sembrare artificiali. Eppure, la sua
voce, in quel momento, fu molto espressiva. Puntò lo sguardo
su
Niktor e disse.
“Che
cazzo è quello?”
Swarker
– KNWL Akton LK1606 – Lark morkan
“Zskatraffas!
Aninò merkal
din
tron okta! Kizamat Avier!” gridò
furente uno dei soldati
“Din
Utrekanter ist wiktar”
asserì disperato lo scienziato capo
“Nik
mirkar! Int okta ist askar, aninò arbek. Lakos din Swarker,
lakos
din Alaktania, aninò Lenkerthen Lyoko. Drak-tan!”
terminò il secondo soldato rivolgendo uno sguardo al
caposquadra dentro din Inkniam.
Unità
centrale del supercomputer
– contemporaneamente
“Sei
un mutaforma! Niktor aveva ragione” Odd aveva urlato queste
esatte
parole subito dopo l’esclamazione del russo, non
poté fare altro.
La sola idea che Avier potesse ridurre Aelita come aveva ridotto la
porta lo terrorizzava, gli bloccava i muscoli come in preda a una
paralisi. Però, quello che Niktor disse dopo di lui seppe
essere
ancora più terrificante.
“Invece
mi sbagliavo” i ragazzi guardarono l’alieno
allucinati. Le sue
mani con sei dita presero a tremare e il suo respiro si fece
più
pesante.
“Non
esistono disgregatori così piccoli nello Swarker.
Tu… Tu lavori
per Ostark?” gli occhi dell’alieno erano diretti
verso quelli del
nuovo arrivato, il suo volto esprimeva sconforto, come la sua voce.
“Si,
ha detto di chiamarsi così. Tu che cosa sei
invece?” rispose il
russo, poi si distrasse, assorto in una serie di riflessioni.
Qualcosa stava finalmente assumendo senso nella sua testa.
“Perché
cazzo non ce ne hai parlato? Pensavamo che i tuoi simili fossero
l’unico problema” urlò Ulrich verso
l’alieno con una rabbia
alimentata dal terrore, anche Odd si unì
all’agitazione. Jeremy,
dal canto suo, sembrò in disparte, come distaccato.
“Perché
non ha senso!” la voce di Niktor si fece più
potente e rimbombava
per tutta la sala. Incuteva timore vederlo urlare.
“Ostark
è un’intelligenza artificiale di un universo
parallelo! Comanda
legioni di robot ed è ostile a ogni forma di vita biologica,
non ha
senso che un essere vivente lavori per lui. Ed io che pensavo lo
Swarker mi stesse cercando”
“Lo
Swarker non ti sta cercando…” disse Avier
d’un tratto. Poi,
mentre il braccio sinistro si bagnava per le lacrime di Aelita, il
destro si alzò fulmineo. Il ragazzo puntò il
disgregatore verso
Jeremy, mirando al centro del suo petto, e strinse la leva.
Un’espressione stupita apparve sul suo volto, poi il suo
petto si
illuminò e una porzione circolare grande quanto un pugno
scomparve.
Un urlo non umano provenne dalla bocca del ragazzo mentre si portava
le mani al petto. Un urlo letteralmente non umano, perché la
sua
voce si distorse sempre di più, suonando come quella di un
altoparlante danneggiato. E mentre Avier fece sparire anche la gamba
sinistra del ragazzo, facendolo rovinare a terra, dal foro
iniziò a
colare un liquame bianco. La sua pelle prese a deformarsi, a
schiarirsi e a liquefarsi mentre suoni sempre più
elettronici
provenivano dalla sua bocca, smise ben presto di coprire il suo
corpo, rivelando uno scheletro di un materiale plastico traslucido e
interiora fatte di dispositivi di varie forme geometriche e cavi
tentacolari luminescenti. Poi, in un istante, si spense.
“…Ti
aveva già trovato”
Come
a seguito di una chiamata non gradita a nessuno, tre figure apparvero
dietro il ragazzo.
- (Akia
Sakratos sak) membri:
Akertosh
Alearkit Denevun Brealwunt, detto
din
Ekternal, Rak Knawel Malorian Almeran Rantranar, Rak Knawel Elerkit
Vojaker Marnisher/Avier
Antonovic Anisimov, Aelita Schaeffer,Ulrich Stern, Odd della Robbia
–
Quinto contatto - Ore 15:00
Avier
li sentì apparire dietro di sé, istintivamente
girò di 180 gradi
costringendo Aelita a dividere lui dai nuovi arrivati, poi
iniziò a
indietreggiare verso la parete di destra fino a toccarla con le
spalle. Niktor non era tipo da smettere di ragionare a causa del
panico, ma il rapido crollare di quella situazione riuscì a
fargli
perdere la cognizione dei suoi movimenti. Istintivamente si diresse
verso il fondo della sala, quasi volesse fuggire attraversando la
parete. Quando fu costretto a fermarsi, maledì il suo
destino che
gli aveva giocato quel brutto scherzo. Eppure, nella sua mente non si
creò mai il pensiero che quel giorno non si stava decidendo
solo il
suo destino, ma quello dell’universo. Nuove strade si stavano
creando, percorsi che sfuggivano alla sua comprensione.
“Per
la grande catena dell’Alaktania, non opponetevi. Non abbiamo
intenzioni ostili, ma ogni intromissione sarà considerata un
crimine
contro l’autorità delle unità KNWL
dello Swarker” disse una
delle figure. Come gli altri, indossava una tuta unica che aderiva
perfettamente alla sua pelle, totalmente nera se non per un simbolo
bianco sulla sinistra del petto, una serie di tre semicerchi
concentrici, opposti tra loro alternatamente, il centro era un
triangolino vuoto. Sopra la tuta aderivano placche di simil-metallo
più o meno grandi, divise in forme geometriche come quadrati
ed
esagoni, le giunture erano percorse da bagliori bluastri che si
muovevano dal basso verso l’alto. Aderivano anche vari
dispositivi,
quelli che subito si notavano erano: al polso, una sorta di orologio
con una piccola lampada spenta al posto del quadrante; ai fianchi,
due pistole sulla stessa linea estetica di quella Niktor, ma di un
colore grigiastro e delle impugnature dall’aria
più ergonomica;
sopra le pistole, due oggetti simili a lastre rettangolari dotate di
manici; al petto, un dispositivo triangolo con un’altra
lampadina
spenta al centro; dietro la schiena, una sorta di disco del diametro
di venti centimetri e dello stesso colore delle armi. Il suo volto
era coperto da un casco con una grossa visiera nera, la sua
fisionomia era quello di uno Swarkerinster e anche il suo strano
accento lo confermava. Rispetto agli altri due e a Niktor, era
più
basso e più tozzo, teneva impugnato un fucile dal design
simile a
quello delle sue altre armi, sul retro erano presenti due coppie di
capsule luminose. Si era mosso percorrendo il lato sinistro della
sala, spingendo via Odd e Ulrich e puntando l’arma contro
Niktor.
Un suo collega aveva percorso la strada opposta e aveva fatto lo
stesso con Avier, che non accennava a smettere di usare Aelita come
ostaggio. La ragazza ormai quasi aveva le lacrime seccate tanto aveva
pianto, il suo volto era scavato dalla disperazione e riusciva solo a
far crollare le sue emozioni in una situazione di cui non capiva
nulla. Il terzo alieno era rimasto nell’ascensore, aveva
un’aria
un po’ stordita e avvicinò la mano sinistra alla
visiera. Non
appena lo fece, questa si disperse e scomparve, come fatta
d’aria.
Le sezioni di metallo del casco si separarono e si ritrassero verso
il basso, formando un collare. Poi, la figura mise una mano sulla
parete, si piegò in avanti e sboccò un rigetto
bianco sul
pavimento.
“Si
sente bene, Caposquadra?” disse l’alieno
più tozzo che puntava
l’arma contro Niktor, aveva parlato inaspettatamente in
francese.
Il Caposquadra gli rispose nella stessa lingua.
“Certo.
Ho percepito un foro allo stomaco con il mutaforma, ho avuto un
trauma da disattivazione precoce da din
Inkniam
e un teletrasporto repentino. Posso permettermi una
leggera
nausea” avvicinò una mano a un oggetto tubolare
vicino la vita e,
toccandolo, ne fece cadere una piccola pillola bianca che
ingoiò
poco dopo.
“Man
nikret” disse tra sé e
sé, poi si girò
verso la sala. Il suo sguardo incrociò quello di Niktor, il
volto di
quest’ultimo era piegato in una rabbia fuori dal mondo,
incuteva
terrore. Poi Ulrich e Odd notarono la somiglianza tra
l’alieno di
cui sapevano il nome e il Caposquadra di quei soldati. Essendo della
stessa specie, Niktor aveva tratti in comune con Xodian e con le foto
degli altri suoi simili, ma le similarità con quel nuovo
arrivato
erano molte di più. Soltanto in pochi dettagli differivano,
quei due
avevano un legame. Quale fosse fu ben presto chiaro.
“Malorian,
arresta mio fratello”
“Anì
laskenos rokran! Anì kran din laska lin krosan!”
“Ma
guarda come sei educato! Noi ci sforziamo a parlare in
un’altra
lingua e tu dici le peggio imprecazioni nella sacra Swarkerbel. E poi
ti fa innervosire il tuo soprannome…” la
naturalezza con cui il
Caposquadra parlava in francese era inquietante. Era come se lo
conoscesse benissimo, non aveva neanche un’ombra di accento.
Da
quel poco che avevano capito, era lui che aveva controllato quello
che Odd, Ulrich e Aelita avevano creduto il loro amico Jeremy. Forse
per questo il suo eloquio era migliore.
“Niktor
Denevun Brealwunt, sei accusato di attività a fini
terroristici e
dell’omicidio di 68 Swarkerinster, 48 dei quali facenti parte
delle
142 vittime da te catturate e torturate allo scopo di estorcere
informazioni a essi e a terzi. Le tue accuse sono aggravate dalla
prepubertà di 13 degli Swarkerinster e dai tuoi ideali
contrari agli
Inster Inakter e alla
Alaktania. Queste
sono le prove” ad un cenno del caposquadra, Malorian prese un
cubo
da un contenitore metallico dietro la sua schiena e lo
lanciò sul
pavimento. Era del tutto simile a quello che Niktor aveva usato per
presentarsi mentre era infetto dal K0-V1D, anche la parola di
attivazione era la stessa.
Una
nuova serie di ologrammi apparvero, più
scene contemporaneamente vennero proiettate.
Una serie di video in luoghi diversi dove si verificava la medesima
situazione, Niktor che camminava puntando
la sua pistola contro
una serie di Swarkerinster inginocchiati con le mani dietro la
schiena. Nei loro occhi si leggeva un terrore raggelante,
così forte
da sembrare quasi di vederli davanti a sé tanto
erano vicini.
Alcuni
avevano un corpo molto più piccolo e meno sviluppato di
altri, erano
bambini, ed erano i più terrorizzati. In tutti i video ad un
certo
punto Niktor guardava in camera e faceva una richiesta, dei
sottotitoli apparivano per tradurre ciò che diceva.
In un video era che dei suoi compagni venissero liberati da una
struttura detentiva in un posto denominato “Sezione
AK2-ELK13”,
in un altro che gli venisse dato un carico di armi, in un altro
ancora che gli venissero inviate determinate informazioni
classificate. In tutti faceva la stessa minaccia, un ostaggio morto
ogni sette minuti. Poi i video acceleravano per degli istanti e
ritornavano normali nei
momdngo
in cui Niktor si dirigeva davanti ad uno degli ostaggi, ignorava le
sue urla disperate, sollevava la pistola sopra la sua fronte, diceva
la frase “Per le Verità rivelateci” e
sparava. Gli occhi
dell’ostaggio si svuotavano in pochi istanti di ogni
vitalità
mentre il sangue cianotico grondava copioso dalla ferita, subito dopo
in alto a destra appariva un riquadro con il primo piano della
vittima, il suo nome
completo
e la scritta “Ucciso per mano di Niktor Denevun
Brealwunt”. Poi
i video cambiarono, iniziarono a mostrare registrazioni da
angolazioni diverse. In tutte c’era almeno uno Swarkerinster,
sempre
diverso,
tenuto
fermo in qualche modo. Uno
era
legato ad una sedia da
una serie di corde metalliche con sezioni luminescenti blu, un altro
era
tenuto fermo da altri uomini vestiti con tute nere, in un altro
Niktor aveva invece sparato con la sua arma agli arti della vittima,
facendola accasciare a terra. Poi apriva
un contenitore metallico e
prendeva
una sorta di pistola sulla cui bocca vi erano grossi ganci disposti
circolarmente e quella che sembrava la punta di un grosso ago. Niktor
poi
ingiungeva ad
altri individui lì presenti, tenuti sotto controllo da altri
Swarkerinster
vestiti come lui, di
rispondere a varie domande. Non
appena i suoi interlocutori mostravano esitazione, lui premeva un
pulsante sul lato del suo apparecchio. Un fascio di luce sottile
partiva da un dispositivo sulla parte superiore dell’attrezzo
e
Niktor lo faceva viaggiare per il cranio del malcapitato. Poi, ad un
tratto, la luce lampeggiava e Niktor avvicinava con foga lo strumento
alla testa della vittima. I ganci si piantavano in
profondità nella
carne e l’ago si allungava, bucando la pelle, forando le ossa
craniche
e
arrivando al cervello. La vittima urlava per il dolore e si agitava,
ma questo non faceva altro che ferirla ulteriormente.
Poi, tutto finiva, Niktor sollevava lo strumento lasciando un buco
sanguinante nella testa della vittima, che nonostante tutto era
ancora in
vita.
Poi, continuava a fare le richieste, altra esitazione e lui rifaceva
tutto daccapo in un punto diverso del cranio dello Swarkerinster.
Prima o poi, tutte le vittime iniziavano a gridare frasi come Non
vi sento, amici!,
Dove
siete? Non vi percepisco!,
Dov’è
l’Alaktania? Mi sento così vuoto senza.
Intanto, affianco ai video, altri riquadri con i nomi e i volti delle
vittime, questa volta le informazioni erano più dettagliate:
-
Olbian
Lanner Rumiar – Distaccato forzatamente
dall’Alaktania da Niktor Denevun Brealwunt. Giace in stato
comatoso all’ospedale della Sezione BS8-RTR28.
-
Zanker
Tirian Looker – Distaccato forzatamente
dall’Alaktania da Niktor Denevun Brealwunt. Morto suicida.
Nonostante lo stato di costante osservazione nell’ospedale
della Sezione TA5-AMW3, è riuscito a mettere mano per un
istante su una siringa di Antrofax e ad iniettarsela nel collo, uccidendosi. Su
richiesta della famiglia, non si sono tentate procedure di ripristino
dopo l’immediato decesso.
-
Kolban
Kossar Armen – Distaccato forzatamente
dall’Alaktania da Niktor Denevun Brealwunt. Giace in stato
totalmente catatonico nella struttura ospedaliera
della Sezione BS8-RTR28.
-
Lyxs Amx
Parval – Distaccato forzatamente dall’Alaktania da
Niktor Denevun Brealwunt. Dopo mesi di degenza nella struttura
ospedaliera della Sezione SA5-AMZ30, è stato rilasciato.
Presenta tutt’ora gravi problemi all’equilibrio, al
linguaggio, alla vista e alla memoria a breve termine. Non è
più un cittadino attivo dello Swarker.
Gli
ologrammi infine terminarono su una serie di brevi video e foto di
esplosioni o avvenute esplosioni. In tutte vi era una breve
descrizione
degli eventi o di come fosse tutto stato reclamato da Niktor e da un
gruppo noto come La
Voce di Larius,
di cui faceva parte. Quello che colpì maggiormente Odd e
Ulrich
(Avier era impegnato a tenere Aelita tra lui e le armi dei soldati, e
la ragazza era troppo spaventata da lui per poter guardare verso gli
ologrammi), fu un evento in basso a sinistra.
-
Esplosione
del Campo Kawasser – Un paio di esplosivi manomessi furono
consegnati assieme ad altri destinati all’addestramento di
nuove reclute per le forze della KNWL. Questo provocò un
esplosione a catena nel
deposito del Campo Kawasser durante gli addestramenti.
L’evento fu causa della morte di 7 reclute e 2 ingegneri.
Venne reclamato dalla Voce di Larius non appena le notizie si
diffusero. In particolare, venne posta particolare enfasi sul fatto che
l’attacco fosse stato organizzato da Niktor Denevun
Brealwunt. Questo è da considerarsi come la più
grande conferma dell’assoluta mancanza di ideali di questa
organizzazione. Il Campo Kawasser non aveva nessun interesse strategico
per la Voce di Larius e il suo attacco non ha danneggiato né
messo in pericolo in
alcun modo lo Swarker o la KNWL, rivelandosi quindi una pura
crudeltà. L’attacco
è stato eseguito nella fase oraria seguente
a quella in cui il celebre soldato Alearkit Denevun Brealwunt,
Caposquadra dell’unità Akia Sakratos,
nonché fratello minore del criminale Niktor Denevun
Brealwunt, a seguito di un’intervista ha parlato con orgoglio
dell’aumento dei reclutamenti nella KNWL, definendole persone
degne di ogni rispetto se mostreranno impegno nel proseguire questa
carriera. Si ritiene quindi il movente di questo attacco il complesso
di inferiorità da sempre provato da Niktor nei confronti del
fratello, complesso indubbiamente peggiorato da quando è
diventato un Alsther e gli Swarkerinster hanno iniziato a chiamarlo
“Il fratello debole”.
“Mranus
ret keen” incitò Malorian a Niktor,
era rimasto impassibile
tutto il tempo, il suo sguardo era diventato inquietantemente simile
a quello nei video. Rimase muto senza cambiare espressione mentre il
soldato gli portò i polsi dietro la schiena e glieli strinse
con dei
grossi anelli metallici, poi gli anelli si illuminarono e si
attirarono tra loro, diventando inseparabili con la forza bruta.
“Ehi,
tu! Anisimov! Sei ancora bloccato lì? Dovresti aver capito
di aver
perso. Non puoi fare nulla e non hai abbastanza sangue per uscire
vivo da qui” la voce del Caposquadra penetrò nella
testa del russo
come un proiettile, lo fece sentire male. La parte sulla sua salute
era vera, negli attimi passati il ragazzo era impallidito ancora di
più, i suoi occhi si erano fatti più lucidi e
scavati mentre rivoli
di sudore freddo avevano preso a gocciolare dalla sua pelle, il suo
corpo tremava sensibilmente. Guardò in basso, vide il lato
destro
dei suoi calzoni sporco di sangue fresco, così come la
scarpa
bianca che faceva da sagoma ad una chiazza sul pavimento.
“Andatevene…
O la ammazzo”
“Oppure
possiamo ammazzarvi entrambi” la voce del terzo soldato
risuonò
acuta e stridula, sembrava caricaturale persino per essere aliena. La
ragazza scoppiò in lacrime.
“Siete
dei mostri! Niktor aveva ragione su questo!
Siete…” questi
commenti gridati con furia da Odd vennero interrotti da…
Avier.
“Fate
silenzio. Io ho perso…” il russo mollò
la presa e spinse via la
ragazza. Lei scattò immediatamente non appena
sentì la prese cedere
e l’arma disgregatrice allontanarsi, raggiungendo gli altri
due
guerrieri Lyoko dall’altro lato della stanza. Intanto, Avier
aveva
sul volto un espressione disillusa, si girò su un fianco e
mosse un
paio di passi verso il fondo della stanza, la sua andatura era
ciondolante, le gambe tremavano ad ogni spostamento. Il terzo soldato
gli puntava il fucile contro, ma il Caposquadra gli fece un cenno che
doveva avere il significato di non fare fuoco.
“Prima
che la tua emofilia ti dissangui totalmente, dimmi: quante cose avevi
intuito? Sai, sono piuttosto curioso” il tono di voce del
Caposquadra era schietto e diretto, riuscì a far fermare di
nuovo il
ragazzo. Era così debole che dovette poggiare una mano sulla
parete
per non cadere. Teneva il volto chinato. Rispose senza guardare verso
l’alieno.
“Sapevo
solo che Jeremy era stato chiamato una notte e che si era diretto in
questa direzione, e che lo stavo pedinando alla perfezione. Poi,
improvvisamente, l’ho sentito camminare da
tutt’altra parte. Ho
provato a seguirlo, l’ho intravisto, ma ho perso le sue
tracce. Me
ne sono tornato disperato, ma ho riflettuto. Ho ricreato i suoi
spostamenti nella mia mente, non tornavano. Aveva percorso una
distanza in un tempo impossibile, dovevo essere stato ingannato.
L’unica soluzione, per quanto assurda, erano due Jeremy
diversi.
Avevo difficoltà a crederci, ma poi Jeremy è
tornato. L’ho tenuto
sott’occhio, sembrava lui in molti momenti, ma in piccoli
istanti
era diverso. I suoi occhi, le sue espressioni, i suoi gesti, mutavano
sensibilmente. Per pochi attimi, lui ti somigliava, alieno”
non
accennò a rivolgere lo sguardo verso il suo interlocutore.
“Mi
chiamo Alearkit Denevun Brealwunt. Questo è
l’unico modo in cui mi
devi chiamare”
“Alearkit…
Perché mi sembra familiare? Divertente! Se solo Ostark mi
avesse
detto di voi. No, si è preso la mia Mary e mi ha detto di
trovare
Lyoko, che c’era gente in questa zona legata a Lyoko, e che
io ero
l’unico terrestre che può trovare Lyoko senza
sapere cos’è
Lyoko. È così folle”
“Ostark
dan lima nis? Aninò Swarkerinster nik”
domandò il terzo soldato verso Alearkit. Aveva usato la sua
lingua
probabilmente più per abitudine che per tentare di mantenere
segretezza. Alearkit
però era ancora concentrato sul russo.
“Ostark
per qualche motivo ha deciso di usare te come pedina. Io ho dei
principi, non ti lascerò illuso. La tua Mary è
morta, probabilmente
il giorno stesso in cui è scomparsa. Ostark non fa ostaggi,
è
contro la sua natura”
“No,
non è così” il sangue ai
piedi continuava a colare in un flusso costante, insozzando i suoi
abiti e il pavimento. La sua vista stava iniziando a sfocarsi,
c’era
poco tempo. Eppure,
il suo
tono di voce era tranquillo, come se non gli importasse di morire.
“Lo
sai che è così. Ti ha dato
un dispositivo di richiamo camuffato in una delle tue monete, ma
non ti ha dato
nulla
per garantirti che Mary fosse ancora viva.
Comunque,
se provi ad usare
quel dispositivo, non funzionerà. Qualunque
sia la parola per attivarlo, io
ho
danneggiato i circuiti con
il mutaforma mentre
dormivi”
“Già…
Lo so…” i soldati ci
misero un istante a capire le
implicazioni
di
quelle parole, e lo stesso faticarono
ad accettarle. Questo dettaglio tardò la loro reazione. Non
di
molto, una frazione di tempo così piccola che molti
l’avrebbero
detta
insignificante, errando.
Non
fu l’unico, ma quello fu uno dei momenti in cui il destino
dell’Universo prese una piega ben precisa. Il momento in cui
Avier
riuscì a gridare.
“ADESTE
FIDELES!!!”
il latino urlato a
pieni polmoni dal russo riecheggiò nella stanza seguito da
un boato.
Una serie di lampi luminosi inondarono la stanza mentre lui sollevava
il suo disgregatore e lo puntava contro Niktor, il criminale alieno
balzò istintivamente in piedi e questo gli salvò
la vita, poiché
ad iniziare
a disgregarsi non fu la sua testa, ma il suo braccio sinistro. Il
processo di
distruzione
iniziato in quella frazione di secondo
venne interrotto nella
frazione successiva dal
laser
di Malorian, che fuse la sua arma di
Avier e
distrusse il suo
braccio, dal laser di Elerkit, che perforò il lato sinistro
del suo
petto cancellandogli il cuore, e dal laser di Alearkit, che
arrivò
sul suo occhio destro e si fece strada in linea retta, bruciando la
cute con i capelli neri, le ossa del cranio e la materia grigia, fino
a terminare contro la parete dietro di lui. Avier
senza un
braccio, senza cuore
e senza un quarto di testa. Eppure, con
il tempo
per spirare, per
vedere la cosa a cui più teneva: il volto sorridente di Yuri
circondato da un paesaggio innevato; e sentire la cosa che
più gli
serviva
sentire, ovvero
la propria
voce ripetergli
“My way. Ricorda. È
essenziale per trattare con Mary”. Poi, il buio
più totale, un
sonno profondo senza sogni. Silenzio.
Ma
non era silenzio quello che si era lasciato dietro. Dai lampi apparsi
nella stanza sbucarono creature infernali. I
loro corpi erano di
un
metallo nero come l’ardesia alternato
a giunture luminose di un giallo carico e abbagliante. Alcune si
materializzarono
nell’aria, creature volanti simili a grossi teschi privi di
tratti
umani, con una moltitudine di lunghi e sinuosi tentacoli sotto di
sé,
che si agitavano come una cascata di vermi. Una di queste si diresse
sul corpo di Avier e lo avvolse, sollevandolo
in aria poco prima di sparire in
un bagliore.
Altre si
diressero verso l’unità centrale del
Supercomputer. Da altri fasci
di luce intanto sbucarono nuove
creature.
Entità
meccaniche che
nell’aspetto erano inquietantemente
familiari ai guerrieri Lyoko. Simili
ai mostri di XANA che avevano combattuto per anni, ma mutati, resi
aberrazioni di metallo.
In
particolare, quelle che apparvero lì ricordavano i Creeper
che così
tante volte li avevano ostacolati nel Settore Cinque, ma il
loro
metallo scuro e crudele,
i loro occhi e i loro arti illuminati da quel giallo stordente li
rendeva più
reali di quanto
XANA avrebbe
mai potuto fare.
I
soldati si erano spostati e avevano incitato, con un tono quasi
aggressivo nella sua severità, i ragazzi a seguirli. Loro,
d’altronde, lo avrebbero fatto anche senza che gli fosse
stato
intimato. Malorian trascinava con sé Niktor, che gridava sia
per il
terrore che
per il dolore del moncherino sanguinante.
L’arto
amputato lo
seguiva,
rimasto
agganciato alle manette dello Swarker. Elerkit aveva tirato
via l’icosaedro
dal
criminale galattico e lo aveva messo in
una delle scatole metalliche che aveva addosso.
Uno
dei Creeper puntò verso Alearkit, aprì la bocca
ed emise un raggio
laser continuo.
L’alieno
fu rapido di
riflessi e sollevò il braccio sinistro davanti a
sé, facendo
apparire un muro di forza traslucido. Un
dispositivo sul
polso
prese a lampeggiare, indicando
lo stato del muro di forza,
mentre la
sua mano destra
agiva con
una rapidità indescrivibile, in un istante il suo fucile era
sulla
schiena e la pistola,
prima
tenuta sul fianco, era ora impugnata.
Premé il grilletto e il fascio laser arrivò
subito alla testa della
macchina nemica, creando un foro di metallo fuso fumante.
Sparò di
nuovo sul petto della
creatura due volte, provocando
aperture da
cui iniziò a
grondare un liquido di un giallo intenso,
i movimenti
della creatura si
fecero spastici
e i suoi occhi iniziarono a lampeggiare in modo irregolare. Poi si
spensero, la creatura si accasciò a terra e si
irrigidì
all’istante. Un altro
Creeper subì un destino simile per il fucile di Elerkit, intanto
dai fasci di luce continuavano ad apparirne altri assieme alle
meduse, o in qualunque
modo andassero chiamate.
“Ma
cosa cazzo sta succedendo?” domandò Aelita con una
volgarità che
non le apparteneva, ma che faceva trasparire totalmente il suo stato
d’animo. Come non biasimarla, dopotutto.
“Neanche
noi lavoriamo
così di
solito, principessa” il Caposquadra Brealwunt aveva lanciato
un
dispositivo piramidale ai suoi piedi e un campo di forza sferico
del raggio
di un paio di
metri li circondò. Malorian, come se sapesse già
che fare, entrò
nell’ascensore e prese a emettere il laser del suo fucile sul
soffitto di metallo, iniziando a disegnare un quadrato. Nella camera
intanto quelle meduse metalliche infernali aumentarono
ancora. Si
accumulavano tutte
attorno alla struttura al centro della camera e operavano su di essa
con i loro tentacoli: strappavano via pannelli e segavano con i laser
parti del pavimento. Stavano tentando di sradicarla,
e nonostante il fuoco incrociato del Caposquadra Brealwunt e del suo
sottoposto, che ne eliminavano in continuazione con colpi rapidi e
precisi, facendole rovinare a terra con un clangore assordante, non
accennavano
a diminuire.
Altre si diressero verso i Creeper, mossero
i loro tentacoli dentro le parti danneggiati e iniziarono a
sostituirle. Tutto passava attraverso i tentacoli, che secernevano
metallo fuso e carburante giallo così come un calamaro proietta
inchiostro, lavorando
con
precisione e automatismo alle riparazioni.
Altri Creeper intanto si aggiunsero
alle forze sul
campo,
i loro laser iniziarono a danneggiare il campo di forza di Alearkit,
ma contemporaneamente si sentì un fragore proveniente da
dentro
l’ascensore. Malorian aveva finito il suo lavoro, aprendo un
varco
sul soffitto dell’ascensore.
“Ora
vi elevo, umani” disse con la sua voce bassa. I guerrieri
Lyoko gli
si avvicinarono, si aspettarono che il soldato si inginocchiasse e
unisse le mani davanti a sé per dare
loro lo
slancio. Non fu così.
Malorian li afferrò uno per uno ai fianchi e li
lanciò in alto
facendogli volare
attraverso il foro con una forza che non sembrava
credibile
possedesse, poi
anche lui fece un salto di tutto rispetto con Niktor in spalla e
atterrò sul soffitto dell’ascensore, fece sedere
il criminale
alieno sul metallo e gli mise sul moncherino un dispositivo simile ad
un palloncino trasparente con una
bocca, un po’ di sangue gocciolò nella sacca
trasparente, poi il
criminale smise di gridare per il dolore e assunse un’aria
piuttosto stordita, dei sedativi gli erano entrati in corpo.
Gli
altri due soldati non tardarono ad arrivare, Alearkit
osservò la
nuova area e
vide che lungo
la tromba dell’ascensore erano
saldate una
serie di
manichette di metallo che fungevano da scala.
“Bene!
Salite. Noi vi difendiamo camminando sulla parete”
“Come
prego?” Ulrich rimase sbigottito come i suoi amici.
“Non
perdete tempo”
Odd
fu il primo a iniziare la risalita, il panico lo rallentava e ogni
passo sulla scala sentiva il rischio di scivolare, però
riuscì lo
stesso a procedere con andamento regolare. Un altro Creeper
tentò di
risalire tramite il foro sull’ascensore.
Alearkit
lo notò, prese il manico di una delle sue lastre
rettangolari e
strinse un interruttore, attorno al metallo si formò come
una lama
di energia, quindi sollevò l’arma e la
piantò diverse volte nella
testa della creatura. Era incredibile come il metallo sembrasse burro
a contatto con quell’arma, riusciva a creare squarci netti e
regolari. Un vero e proprio coltello per acciaio, ecco
cos’era.
Quando
Odd ebbe salito una decina di scalini, Aelita si apprestò a
seguirlo. Malorian si mise Niktor in spalla e piantò uno dei
suoi
“stivali” (erano un tutt’uno con le fibre
intelligenti della
tuta, quindi forse non lo erano tecnicamente) nella parete affianco
alle scale, poi si diede uno slancio e piantò anche
l’altro
stivale, rimase attaccato. Da come reagiva il suo corpo, era chiaro
che percepisse la gravità ancora allo stesso modo, aveva
semplicemente gli stivali che aderivano alla parete. Era notevole
però come ci fosse abituato, riuscendo a camminare verso
l’alto
senza problemi mentre teneva Niktor e la pistola impugnata. Nei
secondi successivi salirono il Caposquadra Brealwunt e Elerkit,
quest’ultimo dando le spalle ai suoi compagni e tenendo il
fucile
puntato verso il foro. Raggi laser gialli spuntarono dal tetto
dell’ascensore, causando il cedimento di altre parti, altri
Creeper
tentarono la risalita cercando di eliminare tutti i bersagli a loro
portata. I soldati erano agili e precisi, lampi azzurri saettavano
lungo tutta la tromba dell’ascensore e colpivano le macchine,
danneggiandole. Una voce infernale provenne da loro.
>Manskenat
Swarker<
Tutte
le macchine dissero quella frase contemporaneamente, apparendo come
un’unica voce moltiplicata. Udirla dava la sensazione di
essere
accerchiati.
“Dastzka
din obriavekta”
rispose Elerkit
con un tono sprezzante,
poi
iniziò a distruggere ogni singola creatura con il suo
fucile. Un
laser attraversava un corpo di metallo e già il prossimo era
in aria
per aprire una nuova perdita di carburante giallo. Era così
rapido
che sembrava non
mirasse, preciso come un robot da combattimento e capace di rimanere
con una posa salda e stabile nonostante la gravità gli
facesse peso
sulle gambe e sui muscoli lombari, tentando di farlo piegare in
avanti. Ebbe un mezzo secondo di esitazione solo quando un
immenso boato proveniente dall’alto rimbombò per
tutta la tromba
dell’ascensore. Il
gruppo di soldati
alieni e ragazzi terrestri guardò verso l’alto,
osservando con
orrore una sfera di metallo in caduta libera seguita dai resti della
saracinesca al piano terra, il suo diametro era di solo mezzo
centimetro in meno alle pareti che la circondavano, permettendole di
non incastrarsi e di non lasciare spazio alle sue vittime.
Furono attimi
in cui terrestri sentirono
la morte
toccarli, mentre i KNWL
già sapevano
cosa sarebbe accaduto. Alearkit sollevò le braccia verso la
creatura
di Ostark, una serie di fulmini violacei si originò dalle
sue mani e
si diresse verso di essa. I lampi scuri la percorsero, lasciando
il nulla al loro passaggio.
Il
guscio esterno
iniziò a separarsi
in piccoli frammenti,
mostrando un
interno composto da un globo collegato
a
centinaia di tubi colmi di liquido giallo, come vene artificiali. I
cerchi concentrici aurei che alternavano la superficie del globo
centrale per un attimo brillarono più forte, ma i fulmini
oscuri di
Alearkit continuarono il
loro lavoro. Le vene di metallo si tagliarono di netto in
più punti,
schizzando il
carburante giallo addosso
alle tute dei soldati e ai completi dei ragazzi, poi anche il globo
centrale si fratturò in più sezioni. Il tutto
accadde in un secondo
preciso, un secondo dove un Megatank di Ostark, capace di farli
sfracellare tutti al suolo e di schiacciarli sotto il suo peso, era
diventato un cumulo di rottami sconnesso che cadde addosso ai Creeper
sottostanti. Dietro di
sé,
dall’ingresso che aveva sfondato, un esercito di Kankrelat
nero
ardesia prese a scendere camminando
su
più file lungo le pareti con le loro zampe metalliche da
insetto. La
squadra di soldati si mosse in contemporanea come un unico organismo.
Elerkit si avvicinò agli umani con ampi passi
all’indietro,
Malorian fece aderire un dispositivo sul ventre di Niktor e lo
spostò
dietro la sua schiena, l’alieno rimase attaccato alle fibre
intelligenti della sua tuta, poi si spostò verso
l’alto, affiancò
Odd e allungò
il braccio per proteggere lui e i suoi amici dietro con il suo campo
di forza.
“Celerità,
signori. Celerità!” una serie di
Kankrelat iniziò già a precipitare lungo la parete,
opera di Alearkit. Nell’esatto momento in cui i rottami del
Megatank lo avevano superato, aveva piegato le ginocchia ed
era saltato
all’indietro con una mezza
capriola aerea, in
contemporanea aveva preso le pistole dai fianchi, atterrando
già
armato sul muro opposto.
Neanche il
tempo di vedere
attraverso il casco
l’ingresso sfondato, aveva già iniziato a sparare.
Se Elerkit era
così rapido da non
sembrar aver bisogno di mirare, Alearkit sembrava violare le leggi
del tempo, riuscendo a prevedere ogni movimento degli automi e
sparando prima che agissero.
Surclassava
così tanto Elerkit che a volte non era chiaro quando finiva
un
fascio laser e iniziava il successivo, dando l’illusione che
potesse sparare contemporaneamente in più punti con lo
stesso
dispositivo. Infine, l’elemento essenziale che avrebbe reso
inutile
le sue altre capacità, Alearkit non sbagliava mai.
Non solo era preciso,
ma sapeva dove
colpire per fare più danni, e faceva sempre centro. Ogni
Kankrelat si ritrovava
con i motori
principali danneggiati e smetteva di muoversi. E quando
iniziarono ad apparire altri Creeper anche da quell’ingresso,
il
Caposquadra non fu da meno con la precisione, tutti
si ritrovarono con un foro in testa e almeno un paio al petto,
impossibilitati a muoversi. Poi, vide che il resto del gruppo aveva
quasi terminato la risalita e
corse
verso l’alto per superarli, ritrovandosi
dinanzi l’ingresso del
piano terra. Sparò
a una tripletta di Creeper che tentarono
di abbatterlo mirando alla sua testa e fece un altro balzo
in avanti.
Atterrò
sul piano con una capriola. Il
suono di
un emettitore pronto a rilasciare un laser fu abbastanza per fargli
alzare il braccio destro e attivare il campo di forza di quel lato.
Il laser che lo
colpì era più grande e
intenso di quello dei Creeper e dei Kankrelat, un raggio continuo che
durò diversi secondi, ad attaccarlo era un Bloks. Gli
An-krion, così erano chiamati dai KNWL, avevano
la stessa
forma cubica dei loro simili digitali, ma avevano facce esagonali
oltre a presentare i
colori di Ostark.
Lì dove
era presente l’occhio di XANA, presentavano
invece una depressione semisferica con un foro circolare al centro.
Era da questo foro che il raggio laser stava venendo emesso contro
Alearkit, così intenso che il dispositivo sul
polso del soldato prese
a lampeggiare
all’impazzata, segno che il campo di forza stava cedendo. E
sarebbe successo se l’alieno non avesse gettato
immediatamente a
terra un nuovo dispositivo piramidale, creando un nuovo scudo a
bolla.
Mentre
Malorian risaliva con Niktor dietro le spalle e tirava a sé
i
terrestri sulla scala, Alearkit poté impugnare il fucile e
sparare
verso il centro del
robot. L’intenso
laser giallo venne interrotto mentre il Caposquadra KNWL sagomava
rapidamente un foro vagamente circolare, poi vi lanciò
contro un
oggetto sferico grande quanto una pallina da ping pong, riuscendo a
farlo entrare dentro il foro prima che la macchina girasse sul suo
asse per sparare con una nuova faccia. Un istante dopo un
boato si originò dall’interno
dell’An-krion, le pareti del suo
corpo si piegarono e si squarciarono gettando metallo e carburante
attorno a sé, poi si accasciò al suolo e si
bloccò.
Nella
sala di ingresso della fabbrica altri lampi presero a illuminare la
zona, facendo apparire altre creature di Ostark. Una serie di meduse
prese a volare verso il
corpo del robot,
mentre altri Creeper si
concentrarono nel
distruggere lo scudo a
bolla. Malorian
intanto si prese dei
secondi per comunicare con i guerrieri Lyoko.
“Spiegazione
concisa: mano piatta che si muove verso di me significa seguitemi,
verso un altra
direzione significa
andate
lì,
verso il basso significa abbassatevi.
Se alzo la mano e la
chiudo a pugno,
vuol dire fermatevi.
Cercate
di ricordarlo, non usciremo mai dalla Distorsione
altrimenti”
“Distorsione?”
la voce di Aelita apparve confusa e
affaticata, in mezzo al fuoco di Alearkit che abbatteva ogni robot
nel suo campo di
visione, quasi non si sentiva. A
risponderle non fu Malorian, ma Elerkit, appena risalito.
“I
dispositivi di richiamo di Ostark creano sempre interferenze.
È per
questo che non ci siamo teletrasportati e non abbiamo chiamato
rinforzi, non
ci riusciamo”
un altro Megatank di
Ostark era apparso
in un angolo della fabbrica,
aprì le
due sezioni semisferiche e rivelò il suo nucleo. I cerchi
concentrici si illuminarono di una luce giallo accecante, poi
un muro di luce
partì verso di loro
espandendosi man mano
che percorreva la
strada, minacciando distruggere tutto ciò che incontrava. L’ordine
di correre come il
vento era stato dato
prima che il colpo
partisse, ma i laser,
pura energia,
erano più rapidi di qualsiasi proiettile. Il muro di luce
minacciò
di inghiottire Aelita e Odd, ultimi due nella fila. Solo la
presa solida di Elerkit e il suo balzare tempestivamente indietro
dopo essersi girato lì salvò. Lo
avrebbero ringraziato,
ma poi
videro Malorian
lanciare la stessa sfera che il suo Caposquadra aveva riservato al
Bloks, videro anche
l’aumentare svelto
dei lampi nella
stanza, e si ricordarono di non avere tempo per le formalità.
Seguirono
alla cieca gli ordini dei soldati KNWL,
cosa che li portò alla destra del muro sottostante le scale
semidistrutte e le corde con cui scendevano ogni volta. Ebbero un
istante microscopico di confusione sulle
modalità della risalita, poi Odd e Ulrich vennero afferrati
alla
cintola e sollevati a
forza in aria da
Malorian. In seguito,
con un vigore che se era veramente suo faceva spavento,
saltò verso
la parete, atterrò con un piede, piegò la gamba
e si diede lo slancio per un secondo salto leggermente in diagonale,
arrivando ancora più in alto fino a raggiungere le scale del
ponte.
Alearkit fece lo stesso con Aelita, ma fu più
“cordiale”,
limitandosi a prenderla in braccio. Elerkit intanto aveva passato
tutto il tempo a bersagliare di laser i nemici di metallo, abbattendo
sette Kankrelat, quattro Creeper e due meduse nell’arco di
pochi
secondi. Poi ripeté la stessa azione dei suoi compagni e
risalì la
parete.
Ai
guerrieri Lyoko il ponte della fabbrica parve più lungo di
quanto
non fosse mai stato mentre lo percorrevano correndo. Il sole del
pomeriggio picchiava sulle loro teste, mostrando un cielo sgombro di
nuvole, elemento che permise loro anche di vedere chiaramente i
pericoli. Nel cielo volavano le versioni di Ostark delle mante di
Lyoko, totalmente nere, con delle piastre aperte gialle sotto il
ventre e due grossi occhi luminosi sul muso. Una
serie di raggi laser partirono dalle loro bocche e fendettero
l’aria,
tra cui uno dalle spalle di Ulrich. Il
fascio di luce letale puntava
al centro
della schiena di Ulrich e soltanto il Caposquadra lo aveva
intravisto, ma Malorian reagì prontamente e
spintonò via il
ragazzo. Il laser gli passò ad un centimetro dal fianco e
gli parve
quasi di sentire il calore letale ustionargli la pelle, ma era stato
salvato. Solo il Caposquadra aveva visto, eppure Malorian sapeva.
Com’era possibile? Nessuno
riusciva a
capacitarsene e nessuno aveva il tempo per poterci riflettere.
Uno
scossone fece tremare il pavimento, una serie di crepe si aprirono
sull’asfalto, una porzione semicircolare a sinistra del ponte
si
piegò verso il basso, si udì il rumore della
calce che si frantuma
e dell’acciaio che si piega, poi grosse porzioni di cemento
armato
unite ad asfalto precipitarono nelle acque del fiume assieme al
pilone sottostante. Il gruppo ebbe modo di vedere la causa del
crollo, un Megatank di Ostark che aveva caricato la base del
pilastro, distruggendola.
“Cercano
di farci cadere. Acceleratori
di movimento!” non
fu chiaro cosa
intendesse Alearkit fin quando ognuno dei KNWL prese il
disco dietro la propria
schiena e lo
gettò a terra. Mentre erano in aria, i
dischi si allungarono
mostrando due
sezioni rettangolari
leggermente più
strette con
dei motivi sinusoidali
luminosi di bluetto, poi si fermarono a una decina di centimetri da
terra galleggiando. Fu in quel momento che a Odd ricordarono…
“Il
mio hoverboard”
“Il
tuo che? Non importa! Presto, saltate su e tenetevi forte al
guidatore se non volete farvi una nuotata” i ragazzi non se
lo
fecero ripetere due volte. Odd andò con Elerkit e venne
accolto con
un amichevole non fare cazzate da parte
dell’alieno. Ulrich
si unì a Malorian e non poté stringersi
direttamente a lui, quindi
mise le sue braccia attorno al petto di Niktor, ancora appeso alla
schiena del soldato. La situazione era di emergenza e nessuno dei
presenti voleva perdersi in strane riflessioni, Ulrich compreso.
Eppure, quando mise le mani attorno al ventre dell’alieno,
notò
che aveva una vita molto più esile di quanto i vesti i non
facessero
intendere. Gli ricordava quella di… Yumi. Ulrich fece
un’espressione nauseata e fu grato al contraccolpo dovuto
all’accelerazione repentina di Malorian, perché lo
fece distrarre.
Dopo aver concepito un alieno con un girovita femminile, era chiaro
che aveva bisogno di distrarsi.
I
tre gruppi presero a percorrere ad alta velocità il ponte,
l’aria
soffiava contro di loro causando brividi di freddo agli umani. Un
altro scossone allargò i crepacci lungo il ponte, porzione
più
grandi presero a crollare. Contemporaneamente, trecento metri di
fronte loro, una serie orizzontale di tre Bloks di Ostark
tentò di
sbarrare loro la strada. Grossi fasci laser continui tentarono di
perforare o tranciare a metà le carni dei bersagli, evento
che
costrinse i gruppi a dividere la fila che avevano formato. Elerkit e
Malorian reagirono al fuoco, presero i fucili e montarono una sorta
di cono sulla bocca dell’arma, infine spararono. Con quella
modifica, il fascio laser blu del fucile apparve notevolmente
più
grosso, almeno quattro centimetri di diametro in più, e fu
molto più
distruttivo, fondendo quasi all’istante il metallo dei robot
e
attraversandoli da parte a parte in pochi secondi. Venne naturale ad
Odd e Ulrich chiedersi perché non lo avessero fatto prima,
ma quando
videro gli alieni cambiare immediatamente due dei quattro nuclei sul
retro delle loro armi, fu chiaro che in quelle condizioni le
munizioni non duravano nulla. Malorian prese due sfere esplosive come
quelle di Alearkit e le lanciò verso le unità
nemiche, esplosero
non appena entrarono in contatto con loro facendo volare via le
coperture di metallo dei robot rivelando un interno formato da cavi,
metallo e tubi colmi di carburante giallo. I danni subiti da due di
loro furono abbastanza per metterli fuori uso, il rimanente era sul
punto di disattivarsi ma riuscì a sparare un ultimo raggio
in
direzione di Elerkit. La schivata dell’alieno fu
così in extremis
che Odd si portò una mano al ventre, sorprendendosi di non
essere
stato attraversato da parte a parte. Il laser era alla sua sinistra,
si mosse verso il basso a causa della perdita di potenza del Bloks e
incise una lunga linea retta sull’asfalto, prima di
dissolversi.
Un
altro scuotimento potente come un sisma percorse il ponte. Spaccature
ancora più grosse da cui saltarono via frammenti di asfalto
comparvero, poi un rumore di cedimento, come una massa di roccia che
precipita su una base di metallo e la piega, e una sezione di
ottocento metri del ponte crollò nelle acque del fiume in
dodici
grosse porzioni, creando una deflagrazione di acqua i cui schizzi
raggiunsero i gruppi in movimento sul ponte. Dei tre, quello composto
da Alearkit e Aelita era troppo indietro per raggiungere in tempo la
zona stabile. Il soldato dovette agire subito.
“Non
aver paura” fu l’unica cosa che la ragazza
udì prima di sentirsi
prendere per la vita, poi dal braccio dell’alieno
partì un guizzo
di luce blu seguito da un’onda d’urto. Una
deflagrazione
azzurrina che la fece volare in un solo istante di quindici metri
verso il firmamento. Per quanto potesse consigliarle
l’alieno,
rimanere tranquilla dopo un evento del genere mentre attorno a lei
sentiva solo il soffio del vento, il vuoto e la gravità che
ti
reclama a sé, non era plausibile. Le sue urla viaggiarono
nell’aria
e divennero ancora più forti quando si vide avvicinare da
due Mante
con le fauci metalliche illuminate, pronte ad emettere un nuovo
laser. Eppure, riuscì a calmarsi. Per lo stupore,
più che altro. Lo
stupore di vedere una delle Mante venir attraversata da un raggio
azzurro e di veder il soldato Alearkit librarsi in aria superandola
in altezza, sparare ad altre due Mante dietro di lei (Aelita non le
aveva notate), atterrare sulla quarta ancora in vita e spararle un
fascio al centro del corpo metallico, distruggendola. Tutto questo
per poi, quasi nello stesso istante, saltare in avanti, afferrare la
ragazza durante la caduta libera e riatterrare alla perfezione
sull’hoverboard. In quell’istante, Aelita
capì che Alearkit era
davvero un gran soldato.
“KAZYAKAS!
DIN OKTA IST HUKTA!!!”
Oltre
un paio di Kankrelat, alieni e terrestri non avevano trovato
particolari ostacoli nella parte finale del ponte e nelle fogne, dove
si trovavano in quel momento. Camminavano sulla piattaforma rialzata
alla destra delle acque reflue. A giudicare dal tono e dalla potenza
della voce di Elerkit, quella che aveva gridato non era
un’esclamazione di gioia.
“Cosa
sta succedendo?” provò a chiedere Odd, impanicato
e sempre più
confuso. Ricevette una risposta da Alearkit, che cercò di
essere il
più sintetico possibile.
“Non
riusciamo ad uscire dalla Distorsione”
“Come
è possibile?”
“Non
lo sappiamo”
Perché
Elerkit avesse imprecato fu subito chiaro. E chissà cosa li
trattenne dall’imitarlo…
Malorian,
che tra le varie azioni dell’unità si era
ritrovato a essere
quello in testa, fece cenno a tutti quanti di fermarsi. I suoi
compagni lo fecero subito e si comportarono come se avessero
già
capito tutto, senza chiedere delucidazioni. Per i terrestri non fu
così, e le risposte che ebbero non erano più di
tanto
incoraggianti.
“Non
percepiamo macchine di Ostark nelle vicinanze e non ne sta inviando
di nuove. È improbabile che abbia perso la nostra posizione,
quindi
dobbiamo capire qual è la trappola” fu sempre
Alearkit a dare
quelle spiegazioni. Fu l’ultima che disse ai terrestri in
quella
precisa situazione, i suoi due compagni di squadra lo sommersero con
le loro analisi e opinioni su ogni cosa. Si espressero in terrestre,
una cortesia quasi fuori luogo in quella situazione critica.
“Lo
sapete entrambi che non dobbiamo restarcene qui. Ostark ha
già
mappato questa zona con i suoi richiami, la Distorsione è
molto più
grande di quello che pensiamo. Gli stiamo permettendo di
circondarci”
“Non
ha senso,
Elerkit. Se Ostark avesse
mappato la zona, significherebbe che sapeva già la posizione
di
Lyoko. Quel terrestre non gli sarebbe servito a niente”
“Caposquadra,
lei lo sa che può avergli mentito solo per attirarci qui e
metterci
in trappola”
“Non
ci credi neanche tu, Elerkit” la voce di Malorian si era
aggiunta
alla discussione.
“Il
Caposquadra ha ragione. Per questa missione potevano ingaggiare
uno solo di noi o cinquemila soldati, avremmo
potuto fare un casino tremendo come degli irresponsabili o non fare
nulla perché non
avevamo ricevuto il
messaggio”
“Certo,
perché che Ostark utilizzi un essere umano a caso per i suoi
scopi
ha molto più senso!”
“Non
hai tutti i torti. Certo che… Uno scienziato scomparso, un
fratello
lunatico e ora anche un alieno morto. La gente che ci dà
problemi è
davvero interessante”
“Non
sono… lunatico…” la voce di Niktor
arrivò debole, ma il fatto
che avesse sentito e avesse risposto significava che i sedativi
stavano perdendo di efficacia. Non era il massimo in quella
situazione, Alearkit lo avrebbe fatto notare. Non lo fece.
Nella
sua mente stava creando una serie di associazioni di pensieri nati
dall’espressione di Elerkit “un essere umano a
caso”.
Se era un caso, Avier era
una scelta particolarmente azzeccata. Abbastanza intelligente da
trovare Lyoko da solo, abbastanza carismatico da controllare chiunque
volesse, abbastanza falso da non farsi scrupoli, abbastanza sveglio
da…
“Rilevo
un cambio di pressione nell’aria” la
frase di Malorian fu immediatamente seguita dall’ordine
tempestivo
di Alearkit di rimettersi a correre. Non servì a molto,
pochi
secondi dopo l’intero gruppo fu investito da
un’ondata di acqua
di fiume misto ad
acque reflue. Mentre le fogne si allagavano, loro venivano trascinati
via.
Swarker
– KNWL Akton LK1606 – Lark aktian
“Markas
anèr din spikanter”
Derghiss,
il capo della divisione informatica, entrò nella sala di
comando
gridando queste precise parole.
“Nik.
Aninò nikta lankatas din postka” la
risposta del superiore fu ferma e gelida, non dava spazio a
possibilità.
“Man
piktatos Alearkit ist in, laskenatos lomas”
“Ist
din ter kotas arkazos”
Derghiss
uscì dalla sala sconsolato e terrorizzato. La paura che
provava
dentro di sé non riusciva a quantificarla con le parole, era
una
fobia venefica e debilitante per la sua mente. Non poteva far altro
che sperare ancora una volta dimostrasse perché lo
chiamassero din
Ekternal.
Liceo
Johannes – camera di William Dunbar – ore 14:45
William
e Yumi era avvinghiati tra loro, stesi sul letto della stanza. Si
scambiavano baci passionali mentre con le mani si carezzavano le
reciproche schiene provando brividi di piacere per quei gesti. Poi,
proprio quando William iniziò a sollevare la t-shirt della
ragazza
alla ricerca di un contatto più intenso, qualcuno prese a
bussare
con forza alla porta.
“Questa
camera è maledetta. Ogni volta che ci tocchiamo veniamo
interrotti”
commentò il ragazzo rimettendosi a sedere sul letto.
“Prova
a farla benedire” aggiunse sarcastica la ragazza, poi William
fu
costretto ad alzarsi in fretta e furia per dirigersi verso
l’ingresso. Chiunque stesse bussando, avrebbe potuto
scardinare la
porta per la forza con cui compiva quel gesto.
“Ehi,
Pierrot. Che succede?” Pierrot era un compagno di classe di
William, un ragazzo dalla pelle piuttosto chiara, ma che non era mai
stata spettrale come in quel momento. Non aveva praticamente colore.
“Accendete
la TV. Gli alieni ci attaccano!” l’agitazione con
cui disse
quelle parole fece per un attimo vagliare a William l’ipotesi
che
Pierrot si fosse drogato. Lo aveva visto con uno spinello nello zaino
una volta, magari era inconsciamente entrato in contatto con roba
più
pesante. Poi, però, accese la TV e per poco non divenne
bianco come
il suo compagno. Yumi non fu da meno. Tutti i canali trasmettevano un
notiziario, tutti i notiziari parlavano di un solo avvenimento:
alieni. Le immagini che mostravano erano tutte fin troppo familiari
ai due guerrieri Lyoko.
“Ma
quella è la fabbrica” commentò William
ad alta voce incautamente,
ma troppo agitato anche solo per pensarci. Agì
d’istinto, così
come Yumi, e non pensarono ad altro che raggiungere quel posto.
“Ehi,
dove andate?” domandò Pierrot con ancora i segni
del panico sul
volto.
“Noi
dobbiamo andare, punto e basta. Tu resta qui”
Stati
Uniti D’America
– New
York
City
–
Hell’s
Kitchen
– Second
Eye Bar –
contemporaneamente
Una
calca di gente, non tutti avventori del locale, si era assembrata
vicino al televisore per guardare il notiziario. Nessuno voleva
perdere neanche un fotogramma di ciò che veniva trasmesso,
qualunque
impegno avessero per quella giornata, lo avrebbero rimandato. Quel
giorno si stava scrivendo la storia, distrarsi era un crimine.
Fra
questi, un uomo dai capelli marroni e vestito con un lungo montgomery
grigio topo. Non aveva
molti tratti
peculiari, solo
una grossa borsa di
plastica blu
pastello nella mano destra, delle vecchissime cicatrici da morso
sulle labbra e un chewing gum
che
masticava animatamente. Ogni tanto scambiava qualche parola con la
barista.
“E
quindi gli uomini delle stelle sono venuti a farci una visita. Non
sembrano andare d’accordo tra loro” disse lui con
un tono di voce
assolutamente privo di tratti particolari, forse solo un po’
saccente.
“Sono
una punizione divina”
“Oh
si! Dio ha sempre un senso dell’umorismo delizioso, Laura.
Sono
d’accordo”
“Non
bestemmiare. È colpa di quelli come te se Dio si sta
vendicando”
“Davvero?”
“Si,
colpa tua e degli omosessuali”
“Capisco”
l’uomo fece un’espressione sconsolata e poi
iniziò a farsi
strada tra la folla verso l’uscita del locale.
“Dove
vai?”
“Tra
un po’ mi chiameranno per lavoro”
“Convertiti
prima che giunga la tua ora”
“Ci
penserò”
Uscito
dal locale, si era già dimenticato cosa Laura gli avesse
detto. In
compenso, la sua previsione si era avverata, come sempre. Il telefono
nella sua tasca prese a vibrare, la
sua
suoneria era L’Inverno
di
Vivaldi. Sentirla a
tutto volume gli
dava l’umore adatto per… Beh! Per
fare tutto, in effetti. Non c’era nulla che Vivaldi non
risolvesse.
“Pronto”
“Stesso
posto di un anno fa”
?????????????-
Cuore di Ostark - ??????????
“L’hai
ucciso, Ostark! Ti avevo detto che sarebbe stato folle agire in quel
modo”
Dati
vocali Zerkalo> Ehi, aspetta un attimo.
Ma
in che lingua è questa parte?
A.S>
Rilevato linguaggio comunicativo generico di Ostark
variabile
Ok239
Dati
vocali Zerkalo> Come è possibile che tu
riesca a tradurre
allora?
A.S>
Presenza di dati di traduzione rilevati
A.S>
Elemento #4hv493hte43r89thj4ij39t8h34à9h
Dati
vocali Zerkalo> Uno dei ricordi di Avier? Quindi,
il
tuo non riconoscerli correttamente non è solo legato ai
danni
subiti.
Mi
chiedo cosa significhi?
Continua
>Nulla
è fallito<
Una
serie di tentacoli meccanici si avvinghiò attorno al corpo
della
donna, in pochi secondi si ritrovò a tre metri metri da
terra con
gli arti che le venivano tesi forzatamente verso l’esterno.
Non
riusciva a muoversi, poté solo parlare mentre una coppia di
tentacoli muniti di elettrodi prese ad aderire alla sua testa.
“Cosa
intendi fare?”
>Il
programma va seguito<
“Ti
si ritorcerà contro. Smettila prima che la Grande Equazione
ci
schiacci”
>Il
programma va seguito<
“Non
farlo” una coppia di lacrime rigò il volto della
donna. Non per
Avier, non per l’Universo, per se stessa. Per la vita che
aveva
paura di perdere da un momento all’altro.
Ostark
aveva già deciso.
Agì.
Fogne
della fabbrica – contemporaneamente
Non
si dica mai che l’Akia Sakratos abbia avuto
difficoltà a resistere
contro un’ondata d’acqua, come alcune voci
diffamatorie avrebbero
sostenuto in futuro. Semplicemente, non è vero. Non fu
propriamente
la corrente a far disperdere i tre soldati, ma il fatto che gli
esseri umani vennero trascinati da essa. Inoltre, non c’era
solo
acqua in quella fogna, ma altre creature di Ostark. Quelle che i
guerrieri Lyoko chiamavano Kongres e gli Swarkerinster Ros-Katian:
murene di metallo giganti che cercarono di polverizzare i loro
obiettivi con i fasci laser emessi dalle loro bocche. I soldati
dell’Akia Sakratos ne eliminarono sette, di cui quattro solo
Alearkit. Questo prima che un’ottava sfondasse il fondale del
canale di scolo, aprendo uno sfogo ad un livello inferiore delle
fogne. Un gorgo che attirò a sé Aelita e
Alearkit, separandoli
dagli altri.
“Ehi,
sveglia. Sveglia principessa!” la ragazza sentì
una serie di
pressioni forti e regolari al centro del suo petto, aprì gli
occhi
di colpo ed emise un respiro soffocato prima di girarsi su un fianco
e sputare via un’acqua dal sapore disgustoso con colpi di
tosse. A
farla riprendere era stato l’alieno, che ora stava
bersagliando con
il fucile una serie di Kankrelat, Bloks e Creeper che presero ad
apparire attorno a loro. Ogni colpo andava a segno, ma non riusciva a
gestirli tutti. Fasci laser arrivarono minacciosi verso di loro,
fermati solo da un altro scudo a bolla generato da un nuovo
dispositivo piramidale, non sembrava poter durare a lungo. Il tono di
voce esagitato di Alearkit confermò questa constatazione.
“Tu
sei la chiave di tutto”
“In
che senso?” Aelita ormai non capiva più niente,
voleva solo
credere di star vivendo il più lungo incubo della sua vita.
La voce
del soldato però sapeva far tornare alla realtà.
“Avier
non era una semplice pedina, era un agente vero e proprio. Ha capito
che avremmo potuto ucciderti senza problemi e lo ha impedito”
“Voi
lo avreste fatto?” la paura di Aelita non ebbe risposta, fu
stroncata tempestivamente.
“NON
ORA! Tu sei importante per qualche motivo. Lui ti ha dato qualcosa
che traccia la tua posizione. È per questo che Ostark riesce
a
capire sempre dove ci troviamo, ed è per questo che la
Distorsione
sembra così grande. Tu la stai portando con noi”
il panico impedì
alla ragazza di pensare rapidamente, per un attimo sentì
come se la
sua mente fosse solo invasa da rumori assordanti. Poi, però,
capì.
“La
collana! Mi ha regalato una collana” riuscì solo a
tirarla fuori
prima che l’alieno riuscisse a tirargliela dal collo
spaccando a
mani nude gli anelli della catena, per poi sparare con il fucile sul
ciondolo dorato.
“Daskadin!”
il tono di voce
dell’alieno era compiaciuto,
sintomo che aveva ragione. Subito dopo, una serie di ologrammi
riapparvero sul suo braccio e davanti al suo petto, Alearkit
interagì
con quelli sul suo braccio e poi tirò a sé la
ragazza. Entrambi si
sentirono abbracciare da un lampo di luce, ebbero un istante in cui
non percepirono
niente, non pensarono
niente, come morti. Poi, riapparvero
in un luogo diverso. La foresta che nascondeva il tombino per la
fabbrica, anche se in un punto dove i guerrieri Lyoko non erano mai
stati.
Poco
dopo apparvero gli altri due soldati con Ulrich, Odd e Niktor,
quest’ultimo ancora alle spalle di Malorian.
“Perché
qui, caposquadra? Ci riporti nella base”
“Non
abbiamo recuperato Lyoko” la voce di Alearkit era perentoria,
intanto con le mani si era toccato un dispositivo sul petto, tutta
una serie di nuovi ologrammi apparve davanti a lui e iniziò
a
interagire con essi.
“Ne
abbiamo una copia. Il resto ce l’ha Ostark. La missione
è fallita”
la voce di Elerkit era veramente agitata, in quel preciso momento era
molto più simile agli esseri umani. Ed era quasi inquietante
vedere
tutta quell’umanità in un alieno.
“Si,
ma lasciando tutto a Ostark non avremo solo fallito la
missione…”
“Avremo
condannato lo Swarker” aggiunse Malorian, anche lui si
dimostrò
umano. Solo Alearkit rimaneva fermo e
serio, aveva quasi finito.
“Non
sappiamo neanche cosa possa farsene” commentò
Elerkit sconsolato.
“Non
importa” terminò il caposquadra, poi
iniziò a parlare con
qualcuno in tutt’altra parte della
galassia.
“Anek
Akertosh Alearkit, din okta ist hukta. Ostark kaptat Lyoko. Ener din
Daksias ist anazak, anì manketh istukian. Aninò
laskenos
Ostark”
“Lak
nosch. Manketh lork”
Tutto
il mondo, in vari modi, stava vivendo quella situazione. Tutto il
mondo, in vari modi, vide quello che accadde subito dopo. Con la
stessa velocità di un lampo durante un temporale, nei cieli
apparve
un’astronave. Immensa, lunga quasi un chilometro e larga in
proporzione, dalla forme aerodinamiche e il color
dell’acciaio
temprato. Un edificio galleggiante disteso di lungo che si spostava
con bruciatori che non emettevano calore o fumo, ma una radiazione
azzurrina. Tutti rimasero sbigottiti.
Rimasero
sbigottiti Odd, Ulrich e Aelita, prima di essere inghiottiti da un
altro bagliore e portati lì dentro assieme ai soldati.
Rimasero
sbigottiti William e Yumi, non ancora arrivati alla fabbrica, eppure
capaci di vedere quella tecnologia evoluta ferma nel firmamento.
Rimase
sbigottito l’uomo di New York, poi distolse lo sguardo dalla
vetrina con i televisori dove si era fermato, sputò il
chewing gum
in una pattumiera e camminò con passo più rapido
verso la sua meta.
Poi,
così come era apparsa, l’astronave si diresse
verso l’alto
lasciando una scia di luce azzurra dietro di sé, diventando
sempre
più piccola, sino a non poter più essere vista da
nessuno.
Arbak
635 – Dikian
3C -
Direzione uscente dalla Via Lattea – Ore 15:00
La
situazione non sembrava essersi calmata per nulla, ma per i tre
guerrieri Lyoko si era fatta meno movimentata. Erano stati costretti
a correre lungo un corridoio di metallo dove centinaia di figure
vestite in modo simile all’Akia Sakratos si muovevano avanti
indietro, gridando ordini nella loro lingua. Tutto questo per poi
venire stipati in una camera di metallo totalmente vuota, se non per
un dispositivo circolare fatto aderire ad una parete, lì
venne
collegata la manetta sul braccio rimasto di Niktor, l’arto
mozzato
venne finalmente separato e portato via. C’era da chiedersi
perché
fecero quell’ultima cosa solo in quel momento, ma ci doveva
essere
sicuramente una motivazione, una motivazione che nessuno voleva
passare il tempo a cercare di capire. Poi Alearkit ordinò
loro di
rimanere lì e lasciar fare il resto ai KNWL, e anche di non
avvicinarsi a suo fratello. Era pur sempre un criminale.
Quest’ultimo,
non era particolarmente felice della sua condizione.
“Siete
dei traditori” disse con una voce chiaramente volta a essere
più
fastidiosa possibile.
“Tu
sei un mostro” fu Odd a dirlo, le immagini trasmesse da
quegli
ologrammi gli erano ritornate in testa e non ne sarebbero uscite
facilmente. Il terrore di tutti quegli Swarkerinster era
così
vivido, era come averli davanti tutti quanti.
“Potrebbe
essere tutto falso. Lo Swarker ha tecnologie per spostarsi in ogni
punto dell’universo e per rendere gas il metallo nello stesso
tempo
in cui io sbatto le palpebre. Secondo voi non sanno fare video
falsi?” i tre non erano disposti a crederci, ma non era scopo
di
Niktor che gli credessero, come dimostrò ben presto.
“Io
non mi pento di nulla, comunque. Voi sapete cosa significa nascere
con tutte quelle sensazioni in testa? Ogni giorno migliaia di
informazioni estranee, tutte che vogliono farti provare questo
opprimente senso di appartenenza. Sempre a dirti che fai parte della
società, che devi operare per farla funzionare, per
migliorarla.
Allora lavori, lavori, lavori ogni giorno. La gente ti è
grata, ma
poi vede tuo fratello che fa di meglio con meno fatica e pensa non
si può essere tutti perfetti. E tu lo percepisci,
tutta gente
che dice di esserti grata ma che ti considera uno dei tanti, mentre
Alearkit… Alearkit nooo!” il suo tono era
diventato
particolarmente sarcastico.
“Lui
non è uno dei tanti. Lui è
l’eccellenza, è ciò che tutti
vorrebbero essere, è ciò che anche io dovrei
prendere come
ispirazione. Perché lui è din Ekternal,
mentre io sono Niktor Denevun Brealwunt. Ogni giorno, uno dopo
l’altro, sempre questo…” Niktor
avvicinò la sua fronte alla
mano ammanettata alla parete e prese a carezzarla, assumendo
un’espressione più rilassata.
“Quando
sono diventato un Alsther, finalmente mi sono sentito spensierato.
Questa cosa è considerata un crimine. E non vi ho neanche
parlato
delle bugie nel nostro sistema… Non lo farò, non
vi meritate la
verità” l’alieno si zittì per
un attimo, era pensieroso e si
guardava intorno quasi a voler cercare un minuscolo dettaglio nella
vuotezza della stanza. I tre guerrieri Lyoko non gli risposero, un
po’ per disgusto, un po’ per terrore. Ulrich
cercò di dire
qualcosa, sperando di potersi distrarre.
“Come
possono così tante cose accadere in un solo giorno? Vorrei
solo
tornare a casa e deprimermi per il fidanzamento di Yumi”
“Quindi
non l’hai presa bene?” la risposta era di Aelita,
il suo tono di
voce aveva una certa vacuità. Nella sua testa, rivedeva
Avier che le
puntava l’arma, la minacciava di morte con quei suoi occhi
diventati così vuoti. Come poteva esistere una persona
così falsa?
“No,
ha pianto tutta la notte” Odd cercò di usare la
sua ironia, ma non
gli riuscì bene. Ci furono attimi di silenzio, poi Aelita
ebbe il
coraggio di esternare un dubbio che tutti avevano, ma nessuno aveva
ancora avuto il coraggio di dirlo apertamente.
“Se
quello non era Jeremy, dov’è quello vero?
Starà bene?”
“Non
lo so” Ulrich aveva detto quelle tre parole in modo
meccanico,
voleva trattenere dentro di sé ogni singola emozione. Odd
probabilmente avrebbe risposto qualcosa di simile, ma una quarta voce
lo sovrastò.
“Lo
so io! Lo so io! Lo so io!” ancora da seduto, Niktor si era
girato
verso di loro, un largo sorriso psicotico gli apparve sul volto.
“Sapete
perché pensavo Avier fosse un mutaforma e non nessuno altro?
Perché,
sapendo din Inkniam
potesse
accogliere una sola persona, per quanto il mio perfetto
fratello sia
ovviamente un perfetto
attore, non
sia mai che qualcuno lo
neghi, avrebbe avuto invero davvero molti problemi a fingersi
qualcuno di così importante come Jeremy. Anche
perché non mi
aspettavo che mi avessero già trovato, che stessero
già analizzando
tutte le comunicazioni inviate dalla mia posizione e che fossero
disposti a sperimentare su di me gli effetti di una tecnologia di cui
non sapevano nulla perché sono un condannato a morte (oh si!
È
questa la gente a cui vi state per unire. Non ne andate fieri?).
Insomma, io Jeremy non
è che lo abbia
ignorato quando è venuto da me. Lo avevo studiato tramite i
suoi
videodiari, gli ho fatto tante domande, non mi sarebbe potuto
sfuggire nulla. Eppure, così non è stato, o
sbaglio? Ora, io non
sono stupido, non lo sono mai stato. Le informazioni che avevo di din
Inkniam le ho ottenute
hackerando server
della KNWL poco prima di raggiungere la Terra. Bene,
ora riflettete. Se
lo Swarker sapeva che ero diretto sulla Terra, allora è
ragionevole
pensare che sapessero anche di altre mie intenzioni. Quindi, cosa
avranno fatto quei
furbacchioni? Sapendo
del mio attacco informatico, mi hanno fatto accedere a informazioni
plausibili, ma false. E sapete cosa credo? Che abbiano sopratutto
cambiato un dettaglio fondamentale, ovvero che din
Inkniam può
essere collegata a un solo
individuo. Secondo me non è
così…” Niktor parlava con un
trasporto emotivo eccessivo, un’esuberanza grottesca e
sadica. Ed
era principalmente il timore dovuto a questo elemento che non permise
ai guerrieri di gridargli di star zitto. Nondimeno,
avevano un certo
interesse per dove
volesse andare a parare, non poterono negarlo.
Il
divertimento di Niktor stava aumentando.
“Ora
viene il bello. Vedete, sapendo che Jeremy è stato rapito,
che il
suo sostituto
era
davvero credibile e che di certo lui non si è messo a
controllarlo
una volta rapito, c’è solo una spiegazione: anche
lui era
collegato a din
Inkniam”
puntò lo sguardo su Aelita,
i suoi occhi erano diventati spietati, come le sue parole.
“Già,
probabilmente ha visto tutto, Aelita. Perché io
l’ho capito che lo
stavi tradendo con un tipo bianchiccio, lui… Lui ha vissuto.
Oh si!
Ha vissuto questo tradimento, ma era lontano, lontanissimo. Incapace
di reagire. Posso solo immaginare la rabbia che ha provato, e quella
che prova ancora adesso, per ogni istante passato senza poterti dire
quello che pensa. Lo vedo mentre è in una stanza piccola e
soffocante a guardarsi intorno, a ripensare a quello che vuole dirti,
a scegliere parole sempre più forti più la sua
rabbia aumenta. E
posso vederlo quando lo raggiungerai, quando griderà tutto
ciò che
ha dentro. Oh si! La sua furia sarà incredibile. E
magari… Magari
avrà preso qualcosa di nascosto, come una siringa. E quando
avrà
finito… TE LA PIANTERÀ IN UN OCCHIO! E
poi… AH!” Niktor era
così preso dall’euforia che aveva sentito il
bisogno di alzarsi di
colpo, dimenticandosi di essere legato alla parete, quindi il suo
braccio si era opposto e lo aveva rigettato a terra.
La
ragazza intanto era scoppiata in lacrime, Niktor era riuscito a farla
soffrire. Ulrich la strinse affettuosamente per farla calmare.
“Non
farlo. È quello che vuole, è uno
psicopatico” Niktor non volle
proprio starsi zitto.
“DOKINÀ!!!
Vi lamentate di
così tante banalità,
siete irritanti.
Prendete esempio da me, non ho un braccio e
quando sarò nello Swarker mi condanneranno a morte, eppure
sono allegro.
A me piacciono le situazioni critiche, mi permettono di fare
questo…”
tutto quello che segue, l’alieno
lo disse cantando a squarciagola.
“Dai
to ninunà/O sì nai te/Ani katos no
minà/ Ani pantos mineral/
Porkin porkan porkidan/ din svajosa oni svinosa/ anì ittonia
poka
tanonia”
Avrebbe
continuato con quella nenia volgare e irritante a lungo, dimostrando
una capacità
innata nell’improvvisare
canzoni, nello spaccare timpani e nel logorare pazienze. La prova di
quest’ultima cosa fu l’entrata nella stanza di un
soldato KNWL
che faceva da guardia.
“Anì
maraia din anmo, Niktor?” disse
innervosito, ma non perdendo la sua compostezza. Mosse un passo verso
il prigioniero ed ebbe un istante, un solo istante per capire che
Niktor aveva giocato di proposito con i suoi nervi. Sputò un
suo
dente seguito da un fiotto bluastro di sangue, il soldato
tentò di
alzare lo scudo energetico sul braccio, non ebbe tempo. Un
dispositivo occultato nel dente esplose in un bagliore bianco
accecante e una serie di fischi acuti che invasero la stanza. Odd,
Ulrich e Aelita chiusero gli occhi il prima possibile, ma
se li sentirono bruciare lo stesso, così come sentirono
bruciare i
nervi cranici, un inferno di dolore che cercarono di placare
portandosi le mani ai lati della testa e gridando a squarciagola. Non
ottennero risultati, e il dolore fece loro perdere i sensi.
A
loro andò bene. Gli effetti sul soldato furono invece
devastanti, la
sua mente impazzì totalmente per poi iniziare a spegnersi un
settore
alla volta. In pochi secondi perse la capacità di parlare,
di
vedere, di sentire, di muoversi. Poté solo accasciarsi a
terra in
preda a convulsioni mentre la sua bocca si riempiva di bava, sarebbe
soffocato dopo un po’. Ma prima che questo accadesse, una
lama
aveva già tagliato la sua gola.
Quando
si risvegliarono, Odd, Ulrich e Aelita si chiesero se quello fosse
l’aldilà. Poi videro i volti coperti di tre
soldati KNWL, uno
inginocchiato che li ispezionava attentamente e due che discutevano
animosamente, e capirono che erano sull’astronave.
“ASVIDIAN
MALORIAN RES ELERKIT? ANÌ NIK LOQUA NIKTA AZARAWAS
LABIOMA”
disse
un soldato più alto e dalla voce piuttosto grave, gli venne
risposto
con lo stesso tono di voce dal collega
“ANÌ
NOKAZIA, VIRTAL”
“Niktor
ist... daks”
questa
risposta venne da un terzo e causò una stupefazione
generale. Questo
perché a rispondere era stato Ulrich.
“Tu
parli la loro lingua?”
“Loquat
Swarkerebel, Azarawas?”
le
domande di Odd e del soldato dalla voce grave vennero pronunciate in
contemporanea, avevano più o meno entrambe lo stesso
significato.
Ulrich riuscì a rispondere in un solo modo.
“Si”
“E
da quando?” questa domanda fu fatta da Aelita.
“Non
lo so. Mi sento come se sapessi la Swarkerebel da
sempre…” Ulrich
rimase confuso per un altro paio di secondi, prima di capire che non
doveva rimanersene imbambolato. Qualsiasi cosa stesse succedendo,
doveva sfruttarla a suo vantaggio. Prese a spiegare la situazione.
“Niktor
ist daks. Anà salp a tirkan, inter explua it malnia
lakasas”
“Dinnon
Vuktan. Niktor ist inuksia volian laskenos er rokran. Anì
kalarmat,
anenos serkas man rokas. Din sekta ist xattar”
Ulrich annuì, poi si
girò verso i suoi amici
e si apprestò a tradurre.
“Ha
detto che Niktor è sicuramente andato ad uccidere suo
fratello, lui
darà l’allarme mentre noi dobbiamo seguire i suoi
compagni, la
zona è compromessa” non si fecero ripetere due
volte gli ordini.
Solo in quel momento si resero conto che sul pavimento della stanza
c’era il cadavere del soldato che si era avvicinato a Niktor.
Giaceva in posizione prona, totalmente denudato, con il braccio teso
in avanti, il sinistro tagliato di netto e un’espressione di
puro
terrore in viso. Dal moncherino e dalla giugulare squarciata
continuava a fuoriuscire copioso il suo sangue blu.
I
tre umani non si chiesero mai cosa effettivamente intendesse
l’alieno
di prima con la
zona
è compromessa.
Se mai se lo fossero
chiesti, la risposta gli sarebbe arrivata dopo esattamente dieci
passi mossi nel corridoio fuori la stanza. Questo perché, in
quel
preciso momento, due panelli sulle pareti laterali si staccarono e
uno sciame di Kankrelat di Ostark prese ad uscire e invadere la zona.
I soldati puntarono
subito le armi
iniziando a distruggerne quanti più possibile e proseguendo
lungo i
corridoi dell’astronave. Svoltarono a destra e poi
a sinistra,
attraversando quei percorsi
labirintici che, nonostante lunghezze e dimensioni diverse,
sembravano tutti uguali. Ai terrestri non era chiaro se i due soldati
stessero seguendo un percorso che conoscevano
o stessero invece girando a caso, potevano solo sperare nella prima
ipotesi. Le uniche certezze erano che non c’erano altri
soldati
KNWL oltre loro in quella zona e che più andavano avanti,
più la
situazione peggiorava. Porzioni sempre più grandi delle
pareti
crollavano mentre le luci iniziarono a funzionare ad intermittenza, i
soldati fecero del loro
meglio per
fronteggiare il numero sempre maggiore di Kankrelat, ma loro non
erano l’Akia Sakratos. Riuscirono ad evitare di far ferire i
guerrieri Lyoko, che non sarebbero riusciti a guarire con
le medicazioni in loro possesso,
ma
vennero feriti più volte loro. Uno dei due, che si era
spostato
dietro i tre umani per guardargli le spalle, fu quello che venne
raggiunto più volte dai laser. Alla spalla destra,
procurandosi
un’ustione spaventosa e sanguinante, sulla testa, dove una
parte
del casco si ruppe, mostrando chiaramente la pelle bianca della sua
tempia destra, e infine alla gamba sinistra, perdendo una porzione di
muscoloso e dovendo zoppicare per poter andare avanti.
Quest’ultima
ferita gli fu fatale.
A
una decina di metri dalla meta,
sentì il pavimento sparirgli dalle gambe, una piastra aveva
ceduto. Non riuscì a saltare e pote solo aggrapparsi ai
bordi. Tentò
di rialzarsi, ma tre laser continui avevano già puntato la
sua
schiena e altri si stavano unendo a quelli, rendendo vani i tentativi
del suo compagno di salvarlo sparando alle creature meccaniche. Le
fibre intelligenti della sua tuta protettiva resistettero quattro
secondi prima di disintegrarsi, i laser gli entrarono nella schiena e
poco dopo gli uscirono dal petto, perse le forze in un istante e
cadde di sotto.
L’ultima cosa che
sentì fu il suo nome venire gridato.
“SOOOLKAAAS!!!!”
Il
soldato cercò di ignorare il trauma di quella perdita, di
tornare
istantaneamente lucido. Non gli riuscì così
rapidamente e gli costò
una ferita sul fianco sinistro. Ma raggiunse la destinazione,
portò
i tre terrestri in una stanza che aveva l’aria di essere un
magazzino viste le numerose di file di scatole di metallo con scritte
nella lingua dello Swarker. La cosa essenziale era la porta,
blindata, spessa dieci centimetri e protetta da uno scudo energetico
blu scuro. Il soldato era rimasto con loro e, tramite Ulrich, disse
che non potevano far altro che aspettare e che avrebbe reagito ad
ogni emergenza. Poi si inginocchiò e prese a medicarsi la
ferita.
Arbak
635 – Afkter
L3 -
Direzione uscente dalla Via Lattea – contemporaneamente
Quello
che stava facendo Alearkit lo stava uccidendo lentamente, ma era
l’unico che potesse farlo, poiché solo lui era
capace di
controllare l’Obster. I fulmini di quel potere galleggiavano
attorno al suo corpo come un’aura e poi venivano proiettati
davanti
a lui tramite le braccia. Il sinistro lo teneva fisso per crearsi una
barriera contro i laser delle creature di Ostark, mentre con il
destro lanciava scie di fulmini contro di loro, cercando di
distruggerne quante più poteva di tutte quelle che gli
passavano
davanti. Avendo davanti a sé il panorama del vuoto dello
spazio, ne
vedeva tante. Sì, si trovava dietro un grosso portellone
aperto che
dava sull’esterno, soltanto lo scudo leggermente luminoso
dell’astronave impediva la depressurizzazione di quella
sezione. Se
per qualche motivo avesse smesso di funzionare, sarebbe morto. La sua
tuta era danneggiata, se l’era danneggiata da solo quelle
volte che
aveva perso il controllo sul suo potere durante quella mossa suicida.
L’Obster era fatto così, poteva essere controllato
da pochi
fortunati tra gli Swarkerinster e distruggeva tutto ciò che
non era
organico. In cambio, causava danni nervosi di vario genere. In
Alearkit erano spesso momenti di vuoto in cui ripensava al passato
senza motivo, durante questi momenti si era distratto e un fulmine
era ritornato da lui. Ora nulla poteva assicurare al suo corpo una
pressione costante. Non gli interessava, la missione era più
importante. Doveva distruggere quante più creature poteva,
ognuna di
loro probabilmente conteneva una porzione dei dati di Lyoko, Ostark
doveva entrare in contatto con meno dati possibili.
Le
allucinazioni divennero più frequenti, rivisse per un attimo
varie
fasi del suo addestramento. Il tono imperativo dei vari comandanti,
lo ricordava così bene. Incredibile con quanta forza
riuscissero ad
urlare, ad Alearkit non piaceva urlare troppo. Riteneva che tramite
l’Alaktania potesse dare molte più informazioni in
modo molto più
chiaro, bisognava solo imparare a capirle. Era per questo che
l’Akia
Sakratos funzionava così bene, erano tre ma erano anche uno
solo.
Una creatura ibrida formata dall’unione passiva delle loro
menti.
Affascinante!
Così
come rivide le urla dei comandanti, rivide anche i loro complimenti.
Per lui era sempre stato naturale essere un soldato, aveva imparato a
reagire alle minacce con la stessa naturalezza con cui mangiava.
Anzi, anche meglio, visto che a volte si strozzava per la sua brutta
abitudine di andare sovrappensiero quando masticava. Quante risate si
facevano i suoi colleghi quando vedevano questo evento verificarsi.
Pensa se lo sapessero i canali di comunicazione,
dicevano
scherzando. Era bello vederli ridere.
Un
suono di passi riportò il soldato alla realtà.
Un’altra figura
vestita con una tuta da combattimento simile alla sua, ma con i
simboli di un’unità diversa, si dirigeva verso di
lui. Camminava
con passo rapido e regolare, teneva il braccio destro sul fianco
mentre il sinistro ciondolava scoordinatamente.
“Vaksan!
Ist elasken” gli
intimò. Stare lì era pericoloso.
Benché qualsiasi essere vivente
poteva proteggersi dall’Obster concentrandosi, se per
qualsiasi
motivo si fosse distratto poteva venirne colpito. Per un individuo
non capace di controllarlo, essere colpito dall’Obster non
era
direttamente fatale, ma spesso causava perdite di coscienza. Svenire
in una zona che può depressurizzarsi da un momento
all’altro
sarebbe stato davvero sconveniente.
La
figura, però, non reagì.
“VAKSAN!” gridò
più forte, ma non ottenne nessuna reazione. Poi rifletté
che l’unità con
quei simboli non
aveva alcun motivo di trovarsi lì, che nessun KNWL indossa
il
dispositivo di teletrasporto sul braccio destro e che l’altro
braccio ciondolava davvero molto, sembrava quasi… Staccato
dal
corpo.
Capì.
Troppo
tardi.
Niktor
gli arrivò alle spalle, prese il coltello laser
dalla tuta rubata e lo piantò nello collo di suo fratello.
Alearkit
avrebbe reagito prima, cosi come avrebbe capito prima cosa stesse
succedendo, ma usare l’Obster lo aveva sfinito. Furono tante
le
immagini che vide mentre le energie se ne andavano rapidamente: i
suoi colleghi, le persone che lo ammiravano, i genitori che lo
venivano a visitare per sapere i progressi della sua vita, il suo
complementare Derghiss. Se lo immaginò terrorizzato
com’era tutte
le volte in cui era in missione, questa volta le sue paure stavano
diventando realtà. Si sentì terribilmente male
per lui, ma con le
ultime energie disse solo due parole.
“Fosteras…
rokran” poi
le forze lo abbandonarono totalmente, l’ultima cosa che vide
con i
suoi occhi era il sangue scorrere lungo il suo corpo, poi li chiuse.
In
quel preciso momento dieci soldati KNWL entrarono in quella sezione
dell’astronave, tra questi vi erano Malorian
ed Elerkit, le loro urla di rabbia furono quelle più forti
quando
videro Alearkit. Una serie di laser blu si diresse verso Niktor, ma
questo saltò in avanti uscendo dall’astronave, poi
si
colpì sul fianco con il bracciale sul polso destro,
e si teletrasportò lontano. Ora la priorità dei
soldati rimasti era
quella di recuperare Alearkit, tre di essi corsero immediatamente
verso il suo corpo e lo sollevarono portandolo via dalla sezione,
giusto un’istante prima che l’ossigeno presente
fuoriuscisse
totalmente. Le forze di Ostark erano troppo numerose, lo scudo aveva
ceduto.
“Din
okta is taskat hukta! Raskas Swarker. Astras, raskas Swarker” questo
fu il comunicato mandato da uno dei soldati al centro di navigazione
dell’astronave.
Arbak
635 – Kammervikter
-
Direzione uscente dalla Via
Lattea – contemporaneamente
“Lak
nosch” disse
il primo pilota una volta ricevuto il comunicato.
“Raskas
Swarker? Nik katrokian ler dinestà hurkianat.
Aninò din laskenat
virkas" disse
il secondo pilota
“Vit
al, Volkian?”
“Nik”
“Eraskan” premé
un interruttore alla destra del suo casco e iniziò a parlare.
Arbak
635 – Alkas
3C -
Direzione uscente dalla Via Lattea – contemporaneamente
Dagli
altoparlanti del magazzino dove si trovavano Ulrich, Odd e Aelita, si
sentì una voce.
“Anì
Vikter Volkian Rushtian Pakter, eraskos anenos. Aninò raskos
Swarker. Din Arbak ist xrossan, din raskatos ist pokta elaskos.
Merras anenos”
“Cosa
ha detto, Ulrich?” la domanda di Aelita fu tempestiva.
“Ha
parlato uno dei piloti. Ha detto che stanno ritornando nello Swarker,
gli scudi sono disattivati e l’astronave ha molti danni. Con
il
viaggio di ritorno c’è la seria
possibilità di morire. Poi ha
detto fate quello che ritenete opportuno”
avrebbero chiesto
altro, ma il soldato che era lì catturò la loro
attenzione. Camminò
verso di loro, si inginocchiò e fece cenno di imitarlo, poi
si tolse
l’elmo, chiuse gli occhi, mise le sue braccia sopra le spalle
di
Ulrich e Odd e iniziò a recitare una cantilena.
“Anì,
dot van Kin, din Swarker istekian, din Alaktania istekian, din Inster
Inakter gatekian…”
“Cosa
sta facendo?” questa volta la domanda fu formulata da Odd.
“Sta…
pregando”
Arbak
635 – Kammervikter
-
Direzione uscente dalla Via
Lattea – contemporaneamente
I
due piloti si misero le mani sulle reciproche spalle, poi si
completarono una frase.
“As
din lorkas inokta…”
“…din
KNWL sokta”
Girarono
nello stesso momento due manopole alla loro destra.
L’astronave
ebbe come un sussulto, si sentì il suono di un jet che rompe
la
barriera del suono. Infine, tutto lo spazio occupato
dall’astronave
tornò ad essere quello che era prima. Vuoto siderale.
Klevelangolo del Lord
E
si, non sono morto. Ammetto che buona parte del ritardo di questo
capitolo è colpa mia, avrei potuto decisamente impegnarmi di
più per concluderlo prima. Però, ci si sono messe
anche
altre situazioni e il capitolo stesso. Come avrete potuto vedere,
questo è il capitolo più lungo e denso
di
avvenimenti e rivelazioni di tutta la storia. Il motivo sta nel suo
essere la chiusura del primo ciclo. Quindi, ho provato davvero fatica
mentre lo scrivevo, dovevo tenere collegate fra loro tutte le mie idee
che mi ero prefissato cercando di non contraddire cose che ho detto in
precedenza. Alla fine però ci sono riuscito, ed ora siamo
qui,
davanti un futuro nebuloso e incerto, spero possa intrattenervi e
avvincervi nello stesso modo mi auguro abbia fatto tutto quello che ho
scritto finora. Vedremo.
Detto
ciò, probabilmente farò delle modifiche nei
capitoli che
ho già scritto. Nulla che cambi sensibilmente la storia,
solo
una sciaquata dei panni in Arno per il testo e la correzione di alcune
distrazioni che ho avuto a causa di mia personale ignoranza su alcuni
argomenti.
Cordiali saluti da Lord Kleveland
PS
Vi ricordate che qualche capitolo fa vi avevo linkato una canzone
"dedicata a due personaggi che dovrete avere ancora modo di conoscere".
Ecco, il mistero è svelato:
Legati dal sangue, divisi dal
fato. Due fratelli si rivelano, nell'Equazione del Tempo
Fratelli
Brealwunt
|
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Capitolo 12 *** Annotazioni di Zerkalo del 7 Agosto 2232: Ora capisco ***
Caro
Padre,
sono
finalmente riuscito a riparare Mamma.
Recuperare i
dati e le
componenti è
stato insidioso
ma non
impossibile.
Sono passati due secoli dalla Scissione,
ma la sicurezza automatizzata ha continuato a lavorare imperterrita,
a netto di qualche calo di potenza e qualche valore sballato ogni
tanto. Questo crea una situazione nel quale chi cerca di rubare
qualcosa senza conoscere bene lo Swarker, fallisce.
Chi lo conosce, ha
successo
difficilmente. Fortunatamente, mi hai donato le capacità per
poter
aggirare le regole, ma non credere mi sia limitato a farmi una
passeggiata.
Ora posso
finalmente
tradurre la Swarkerebel. Avrei voluto farlo anteriormente sfruttando
le mie capacità, ma ti assicuro che avrebbe richiesto anni.
È una
lingua così complessa che mi riesce difficile credere
venisse
veramente parlata da esseri viventi, eppure è
così. A ripensarci,
non dovrei sorprendermi. La lingua di Ostark è molto
più complessa,
anche se lì si ragiona su livelli diversi. Un linguaggio
macchina
incredibilmente complesso e in continuo mutamento è davvero
paragonabile all’insieme di suoni e concetti del parlato? Non
sarò
io a trarre conclusioni, non è rilevante.
A seguito,
annoterò tutto
ciò che prima mi era incomprensibile:
- Frammento 1
[Swarker,
Centro di comando superiore KNWL; Parlanti: Naiker Malnian Akentkat
Minekor, Akertosh Alearkit Denevun Brealwunt]
“Dovrai
mostrare massima preparazione, Akertosh Brealwunt.
L’obiettivo è
importante a livelli che non riusciamo a concepire. Hai
compreso?”
“Ricevuto”
“E
sia. Io, Naiker Malnian Akentkat Minekor, do inizio
all’operazione
Lenkerthen Lyoko”
[Testo
originale: “Skat-al
inierit Akertosh Brealwunt. Avenen li nokter morò
katronkaten morò
aminio. Lak tot?”
“Lak nosch”
“Andevaket, anì,
Naiker Malnian Akentkat Minekor, ciminktè mokton okta
‘Lenkerten
Lyoko”]
[Note:
Questo dialogo è essenziale, ed è anche per
questo che voglio
concentrarmici particolarmente. Prima di tutto, voglio dire che non
seguirò la convenzione rimasta impressa dentro Mamma.
A quanto pare in passato si sono trovate traduzioni ai titoli degli
Swarkerinster, tant’è che Alearkit viene definito Caposquadra,
lui
e i due altri membri dell’Akia Sakratos Soldati
scelti e
Naiker viene tradotto
come
Generale.
Lascerò queste traduzioni dentro Mamma (non sono qui per
fare un
lavoro di correttore di bozze), ma qui riporterò tutto in
Swarkerbel. Lo trovo più corretto.
In
secondo luogo, è
importante ricordare che le fonti storiche dello Swarker comprendono
anche gli scan mentali di chi ne ha fatto parte, della storia. Questo
significa che le personalità sono trasposte alla perfezione,
anche
in forma narrativa. Non ho prove di
manomissioni, ma ho motivo di credere che, data la natura
dell’Alaktania, cose del genere non sarebbero passate in
sordina.
Da
questo, è notevole constatare
come
appaia più preoccupato il Naiker dell’Akertosh. Nonostante
l’oggetto della missione, il suo evolversi e le sue
conseguenze,
l’operazione Lenkerthen Lyoko all’inizio aveva una
componente di
rischio nella media. Eppure, il Naiker si è sentito in
dovere di
ribadirne l’importanza, mentre Alearkit appare serio e ligio
al
dovere. È molto interessante”
-
Frammento 2 [Swarker, Centro di comando Base KNWL LK1606; Parlanti:
Akertosh Alearkit Denevun Brealwunt, Alvion Derghiss Ener Kartel]
“Niktor
è partito. Andrà a cercare Lyoko”
“Come
previsto”
“Quindi,
vediamo cosa fa?”
“Affermativo.
Non ci sono fattori di rischio”
[Testo
originale: Allas
okrum Niktor. Anè pikratos Lyoko”
“Totan
kotan”
“Limin
arches troxa?”
“Losk.
Nikta askena inkretir”]
[Note:
Da qui possiamo venire a capo di come fosse impostata inizialmente
l’operazione Lenkerthen Lyoko. Avendo rintracciato Niktor e
avendo
scoperto il suo interesse per Lyoko, i piani alti KNWL decisero di
lasciarlo andare tenendolo sott’occhio. In seguito, quando
scoprirà
la natura di quella tecnologia, lasceranno
che la testi
su se stesso, per poi iniziare test loro stessi tramite din Inkniam.
Nessuno ha mai discusso la moralità di queste azioni nello
Swarker]
-Frammento
3 [Terra, scolo fognario che conduce alla fabbrica abbandonata;
Parlante: Niktor Denevun Brealwunt]
“Morte
allo Swarker! Morte agli Swarkerinster! Morte all’Alaktania!
MORTE
A MIO FRATELLO ALEARKIT!!!”
“Io
mi riunirò a Lyoko. Io mi riunirò a Lyoko. Io mi
riunirò a Lyoko…”
[Testo
originale: “Laskenat
din Swarker! Laskenat der swarkerinster! Laskenat din Alaktania!
LASKENAT DIN MAN ROKRAN ALEARKIT!!!!” /
“Anì
lenkos Lyoko. Anì lenkos Lyoko. Anì lenkos
Lyoko…”]
[Note:
Niktor è un individuo che
non si
è distaccato totalmente dal suo passato, come accade
per la
maggior parte degli Alsther. Il fatto che utilizzi un verbo che ha
significato di “uccidere (un essere vivente)”
riferito ad
Alaktania e Swarker indica un
suo rifarsi al pensiero comune degli Swarkerinster su questi
argomenti. Comportamento che molti Alsther semplici ripudiano,
figurarsi quelli appartenenti ai Larius sakal]
-Frammento
4 [Terra, fabbrica che nasconde Lyoko; Parlante: Niktor Denevun
Brealwunt]
“Nessun
segnale. NESSUN SEGNALE! SIA DANNATO LO SWARKER! NESSUN SEGNALE!
Possibile che sia spento? Odio la mia sfortuna”
“Che
sia rotto?”
“No.
Nessun guasto, l’energia è regolare. Ma
c’è qualcosa di strano”
[Testo
originale: “Nathen
ikna! NATHEN IKNA! OMEKTIA DIN SWARKER! NATHEN IKNA! Limin
morò
antrekt? Ova man arkatania” /
“Akentar-an?” /
“Nik. Nikta akenta, almia entrekat. Aken mihart
enthor”]
[Note:
Nulla di particolare da segnare, oltre il constatare una certezza
naturalezza di Niktor ad aver a che fare con l’elettronica e
i
sistemi informatici. Cosa che verrà confermata in seguito]
-Frammento
5 [Terra, bar Le
Joyeux Monsieur Jerome;
Parlante: Avier Antonovic Anisimov]
“Ciò
che voglio, lo ottengo”
[Testo
originale: “Ski
ank, to rok”]
[Note:
Avier conosce la Swarkerebel, non so come e non so perché]
-Frammento
6 [Nessun
dato per definirlo,
Cuore di Ostark; Parlante: Mary?]
Cosa
ti succede, Avier?
[Testo
originale: “Omis
katrà Avier?”]
[Note:
questo mistero è ancora più grande. Chi
è questa donna? I suoi
dati vocali appaiono solo in porzioni alterate del database, non ho
alcun modo di ricostruire la sua identità. I ricordi legati
ad Avier
hanno effetti su Mamma, forse devo procedere in questa direzione.
Comunque, la natura così femminile di questa voce mi induce
a non
pensare appartenga ad uno Swarkerinster]
-Frammento
7 [Swarker,
Centro di comando Base KNWL LK1606; Parlanti: Akertosh Alearkit
Denevun Brealwunt, Alvion Derghiss Ener Kartel, Rak
Knawel Elerkit Vojaker Marnisher]
“Akertosh
Brealwunt, quella scissione proveniva da AZRWS345. È stato
Niktor a
farlo?”
“Non
vedo altre possibilità”
“Dobbiamo
passare al secondo piano?”
“Forse
si, ma non ora”
[Testo
originale: “Akertosh
Brealwunt, din arm aluken AZRWS345. Morò Niktor din
lonia?”
“Anì
nikta amnia ikrunia”
“Anarkal
ormen dinnè?”
“Fir
losk. Lì nik ander” ]
[Note:
AZRWS345 è la sigla con cui viene identificato il pianeta
Terra nel
sistema di classificazione dello Swarker, da cui il termine Azarawas
per indicare i terrestri. Se l’Akertosh Alearkit avesse dato
in
questo momento l’autorizzazione per il secondo piano
(l’utilizzo
del mutaforma), probabilmente non avrebbero sostituito Jeremy e la
storia sarebbe andata in modo diverso. Inoltre, notare che la causa
di questa reazione è una strana percezione di panico
irrazionale,
che è la stessa cosa accaduta ai soggetti minacciati da
Avier nel
bar Le
Joyeux Monsieur Jerome. Come
ci è riuscito?]
-Frammento
8 [Terra,
sala
del supercomputer;
Parlante: Niktor Denevun Brealwunt]
“È
stato lo Swarker? Alearkit? Ma come? Devo sbrigarmi”
[Testo
originale: “Morò
din Swarker? Alearkit? Wo nà? Anì
rimankar!”]
[Note:
Alearkit dà la colpa a Niktor, Niktor dà la colpa
ad Alearkit. Sono
proprio fratelli!]
-Frammento
9 [Terra,
sala
del supercomputer;
Parlante: Niktor Denevun Brealwunt]
“Sono
troppo lento. A breve dovrò passare al secondo piano. Qual
era il
nome dell’operatore?”
“Aelita
Schaffer no, Yumi Ishimaya no, Ulrich Stern no, Odd della Robbia no,
William Dunbar no… Jeremy Belpois, certo. Il terrestre con
meno
tempo su Lyoko”
[Testo
originale: “Sint
ock. Okrin anì anarkà ormen dinnè.
Int-morò enoma kromian?”
/ “Aelita
Schaeffar nik, Yumi Ishimaya nik, Ulrich Stern nik, Odd della Robbia
nik, William Dunbar nik… Jeremy Belpois, ya da. Din azarawas
mektà
armia in Lyoko”]
[Note:
un Niktor vicino al crollo per il virus si prepara per il futuro.
Nulla da dire]
-Frammento
10 [Swarker, unità medica della base KNWL 1606; Parlante:
Tarakas
Kias Rual Kavel]
“Sta
causando conflitto! Sedatelo! Sedatelo subito!”
“Tutto
bene, Akertosh?”
[Testo
originale: “Kros
vin tan! Linkarian! Linkarian vinnel!!”
/ “Doskividan,
Akertosh?”]
[Note:
Questo medico è lo stesso che parlava con Jeremy al suo
arrivo nello
Swarker e che lo ha diretto durante un test di din Inkniam. Ogni
tanto si faceva sfuggire qualche parola nella sua lingua, ma non
l’ho
tradotto. Non era nulla di interessante!]
-Frammento
11 [Sogno di Niktor (il luogo è una sala di disgregazione,
dove si
eseguono condanne a morte); Parlante: Akertosh Alearkit Denevun
Brealwunt]
“Fratello,
possa L’Aniekes avere pietà di te”
[Testo
originale: “Rokran,
Aniekes lokanar din tok sen”]
[Note:
tolta la parentesi che mi mette una certa inquietudine analizzare in
questo modo i sogni, la frase dopo Rokran
è
l’esatta formula che si esercita ai condannati a morte nello
Swarker. La condanna a morte è un qualcosa di più
unico che raro
lì, dedicata a tutti Alsther con “comprovata
irrecuperabilità”,
ovvero che hanno dimostrato di agire contro la società a
più
riprese nonostante i procedimenti inferiori. La presenza di Alearkit
in questo sogno è indice
di come Niktor non abbia tanto paura della morte, ma di essere
sconfitto da suo fratello. L’Aniekes
è un concetto relativo a tutto ciò che esiste, la
traduzione
L’Esistenza
presente
dentro Mamma è invero abbastanza corretta]
-Frammento
12 [Swarker,
unità medica della base KNWL 1606; Parlanti: Akertosh
Alearkit
Denevun Brealwunt, Tarakas Kias Rual Kavel]
“Ma
guarda! C’era davvero qualcosa di strano”
“Devo
salvare l’umano Ulrich Stern?”
“Solo
se ritieni interferisca con la rigenerazione di Niktor”
“Ricevuto”
[Testo
originale: “Och
dar! Lan von din ormakes”
“Anì
antrekor din azarawas Ulrich Stern?”
“Merk
lim din Niktor rentrekat”
“Lak
nosch”]
[Note:
a quanto pare queste erano le priorità]
-Frammento
13 [Swarker,
unità medica della base KNWL 1606; Parlanti: Rak Knawel
Elerkit
Vojaker Marnisher, Tarakas Kias Rual Kavel, Rak Knawel Malorian
Almeran Rantranar]
“Zskatraffas!
Noi avevamo quasi completato l’operazione! Dannato
Avier!”
“La
Utrekanter è inevitabile”
“Basta
idiozie! Se la missione è a rischio, ci teletrasporteremo.
Per lo
Swarker, per l’Alaktania, noi ci riuniremo a Lyoko.
Preparatevi!”
[Testo
originale: “Zskatraffas!
Aninò
merkal din
tron okta! Kizamat Avier!”
“Din
Utrekanter ist wiktar”
“Nik
mirkar! Int okta ist askar, aninò arbek. Lakos din Swarker,
lakos
din Alaktania, aninò Lenkerthen Lyoko. Drak-tan!”]
[Note:
La Utrekanter è una sorta di Equazione del Tutto in cui
credono gli
Swarkerinster. In poche parole, sono convinti che ogni azione
nell’Universo faccia parte di un’equazione
prestabilita che
arriverà ad un determinato risultato, l’entropia,
e che sia
compito di ogni Swarkerinster trovare il modo per violarla e ottenere
la vera libertà, e magari un metodo per creare la
neghentropia
assoluta. Zskatraffas
è un’imprecazione intraducibile]
-Frammento
14 [Terra,
sala
del supercomputer;
Parlante: Niktor Denevun Brealwunt (rivolto
ad Alearkit)]
“Ti
ammazzerò fratello! Ti farò uscire le interiora
dal culo!”
[Testo
originale: “Anì
laskenos rokran! Anì kran din laska lin krosan!”]
[Note:
un pacatissimo Niktor saluta l’amato fratello che non rivede
da
tempo]
-Frammento
15 [Elenco disomogeneo di frasi dette sulla Terra da soggetti diversi
in
momenti diversi]
[Malorian
a Niktor] “Sai
che devi fare” / ”Mranus
rat keen” [Note:
dice molto su quante volte Niktor sia stato catturato, e su come
sembri scamparla sempre]
[Elerkit
ad Alearkit e Malorian (riferendosi ad Avier)] “Ostark
lo ha davvero scelto? Con noi Swarkerinster non lo avrebbe mai
fatto”
/ “Ostark dan
lima nis? Aninò Swarkerinster nik” [Note:
Avier sembra davvero non poter smettere di riservare sorprese. Non mi
è mai capitato di analizzare persone come lui]
[Scambio
tra la voce di Ostark ed Elerkit] >Crolla,
Swarker< “Abbiamo altre priorità”
/ >Maskenat
Swarker< “Dastzka din obriavekta” [Note:
Ostark, ovviamente, non ha lo scrupolo di riferirsi allo Swarker come
un essere vivente e utilizza un verbo diverso da Laskenater. Inoltre,
credo sottintenda quel “crollare” anche nei
confronti degli
Swarkerinster]
[Elerkit
verso i suoi colleghi] “Kazyakas!
La missione è fallita!” / “KAZYAKAS!
DIN OKTA IST HUKTA!!!” [Note:
il discorso di
Kazyakas è lo stesso di Zskatraffas]
-Frammento
16 [Swarker,
Centro di comando superiore
Base KNWL LK1606; Parlanti: Alvion Derghiss Ener Kartel, Sanner
Amalek Vituser Longer]
“Dovete
inviare dei rinforzi”
“No.
Noi non possiamo farlo senza sapere la loro posizione”
“Il
mio piktatos Alearkit è lì,
morirà!”
“È
addestrato anche a fronteggiare queste situazioni”
[Testo
originale: “Markas
anèr din spikanter”
“Nik.
Aninò nikta lankatas din postka”
“Man
piktatos Alearkit ist in, laskenatos lomas”
“Ist
din ter kotas arkazos”]
[Note:
piktatos è un termine che indica i compagni sentimentali
degli
Swarkerinster. Questo
permette di capire meglio lo stato d’animo di Derghiss in
questa
situazione]
-Frammento
17 [Terra, foresta tra il Kadic e
la fabbrica dove si nasconde Lyoko; Parlanti: Akertosh Alearkit
Denevun Brealwunt, Knawel Motus Torras Rolassan (nello Swarker)]
“Qui
Caposquadra Alearkit, la missione è fallita. Ostark ha preso
con sé
Lyoko. Se la nostra Distorsione è attiva, chiedo di tentare
di
distruggere quei dati. Dobbiamo uccidere Ostark”
“Ricevuto.
Rinforzi a voi”
[Testo
originale: “Anek
Akertosh Alearkit, din okta ist hukta. Ostark kaptat Lyoko. Ener din
Daksias ist anazak, anì manketh istukian. Aninò
laskenos Ostark”
“Lak
nosch. Manketh lork”]
[Note:
il fatto che Alearkit usi il termine uccidere nei confronti di
Ostark, che tecnicamente non è un essere vivente,
è collegato al
fatto che nello Swarker è considerata vivente qualsiasi
entità
autocosciente capace di apprendere, comunicare e prendere decisioni
complesse]
-Frammento
18 [Fuori dall’orbita della Terra, Astronave Arbak 635, Cella
3C;
Parlanti: Niktor
Denevun Brealwunt, Knawel Albas Wost Kromas]
[preferisco
non tradurre]
“Devo
tapparti la bocca, Niktor?”
[Testo
originale: “Dai
to ninunà/O sì nai te/Ani katos no
minà/ Ani pantos mineral/
Porkin porkan porkidan/ din svajosa oni svinosa/ anì ittonia
poka
tanonia”
“Anì
maraia din anmo, Niktor?”]
[Note:
il fatto che Niktor sia riuscito ad improvvisare dal nulla una
canzone tanto volgare mi inquieta e mi diverte allo stesso tempo]
-Frammento
19 [Fuori
dall’orbita
della Terra, Astronave Arbak 635, Cella 3C; Parlanti: Knawel
Virtal Abular Ostrektor, Knawel Solkas Nomen Uskar, Ulrich Stern]
“Dove
sono Malorian ed Elerkit? Io non parlo nessuna lingua
terrestre”
“Non
ne ho idea, Virtal”
“Niktor
è… scappato”
“Sai
la Swarkerebel, terrestre?”
“Niktor
è fuggito. Ha sputato un suo dente che è esploso
in una lampo di
luce”
“Un
Vuktan. Niktor è sicuramente andato ad uccidere suo
fratello. Io do
l’allarme, voi seguite i miei uomini. La zona è
compromessa”
[Testo
originale: “ASVIDIAN
MALORIAN RES ELERKIT? ANÌ NIK LOQUA NIKTA AZARAWAS
LABIOMA”
“ANÌ
NOKAZIA, VIRTAL”
“Niktor
ist... daks”
“Loquat
Swarkerebel, Azarawas?”
“Niktor
ist daks. Anà salp a tirkan, inter explua it malnia
lakasas”
“Dinnon
Vuktan. Niktor ist inuksia volian laskenos er rokran. Anì
kalarmat,
anenos serkas man rokas. Din sekta ist xattar”]
[Note:
l’ultimo dei misteri irrisolti, Ulrich che inizia a parlare
misteriosamente la Swarkerebel. Mi dà quasi fastidio vedere
tutta
questa gente che la sa senza motivo mentre io ho dovuto sudare sangue
per poterla tradurre. Comunque, questo mistero ha qualche teoria che
potrebbe risolverlo, credo c’entri il contatto di Ulrich con
Xodian, o quello che sembrava essere lui dentro Lyoko]
-Frammento
20 [Fuori dall’orbita della Terra, Astronave Arbak 635, Ponte
L3;
Parlanti: Akertosh Alearkit Denevun Brealwunt, Rak Knawel Sokrater
Volmia Bakra (in seguito, comunicando ai piloti)]
“Vattene!
È pericoloso”
“VATTENE!”
“Addio…
fratello”
“La
missione è totalmente fallita! Ritornare allo Swarker.
Ripeto,
ritornare allo Swarker”
[Testo
originale: “Vaksan! Ist
elasken” /
“VAKSAN!”
/ “Fosteras…
rokran” / “Din
okta is taskat hukta!
Raskas Swarker. Astras, raskas Swarker”]
[Note:
gli ultimi attimi di vita uno Swarkerinster sono importanti, vengono
trattati con il massimo rispetto e viene insegnato a capirne
l’importanza. Ciò che dice uno Swarkerinster
quando sta morendo o
si sente vicino alla morte è importante, dice molto di lui.
Alearkit
non ha pregato, non ha chiesto preghiere, ha solo detto addio al
fratello che lo ha appena pugnalato. Significa sicuramente qualcosa]
-Frammento
21 [Fuori dall’orbita della Terra, Astronave Arbak 635,
Cabina di
pilotaggio; Parlanti: Vikter Volkian Rushtian Pakter, Vikter Alberk
Namir Eremil]
“Ricevuto”
“Ritornare
allo Swarker? Non abbiamo lo scudo e i danni sono seri. Rischiamo la
morte”
“Idee
migliori, Volkian?”
“No”
“Comunicalo”
[Testo
originale: “Lak
nosch”
“Raskas
Swarker? Nik katrokian ler dinestà hurkianat.
Aninò din laskenat
virkas"
“Vit
al, Volkian?”
“Nik”
“Eraskan”]
[Note:
niente di particolare da aggiungere]
-Frammento
22 [Fuori dall’orbita della Terra, Astronave Arbak 635,
Magazzino
3C; Parlanti: Vikter Volkian Rushtian Pakter (altoparlante),
Knawel Blus Wanderov
Drims]
“Qui
Vikter Volkian Rushtian Pakter, comunico a voi. Vi riportiamo allo
Swarker. L’Arbak è danneggiata, il ritorno
è potenzialmente
mortale. Fate quello che ritenete opportuno”
“Io,
dichiaro al Tutto, ho servito lo Swarker, ho servito
l’Alaktania,
ho garantito gli Inster Inakter…”
[Testo
originale: “Anì Vikter Volkian
Rushtian Pakter, eraskos
anenos. Aninò raskos Swarker. Din Arbak ist xrossan, din
raskatos
ist pokta elaskos. Merras anenos”
“Anì,
dot van Kin, din Swarker istekian, din Alaktania istekian, din Inster
Inakter gatekian…”]
[Note:
le preghiere degli Swarkerinster nascono dal loro essere grati
all’Universo di averli creati uniti dall’Alaktania,
che vedono
come un’entità che li collega tra loro. Quella che
recita Blus è
chiamata Mon Kamon, una sorta di ultimo giuramento in cui lo
Swarkerinster dichiara tutto quello che ha fatto per i suoi simili e
per la società in cui è nato]
-Frammento
23 [Fuori dall’orbita della Terra, Astronave Arbak 635,
Cabina di
pilotaggio; Parlanti: Vikter Volkian Rushtian Pakter, Vikter Alberk
Namir Eremil]
“Lì
dove non vi è pace…”
“…vi
è KNWL”
[Testo
originale: “As din lorkas
inokta…”
“…din
KNWL sokta”]
[Note:
semplicemente, il motto dei KNWL]
-Note
spurie
-
KNWL
è la contrazione di Kil North Wert Laus, ovvero
“chi garantisce l’equilibrio”
-
Akia
Sakratos significa “L’Occhio dei Giusti”
-
Din
Rokran Kastarmark significa “Il fratello debole”
-
Din
Ekternal significa “L’immortale”
|
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Capitolo 13 *** Capitolo 11: Il mondo si muove ***
Dati
vocali Zerkalo > Dunque, Mamma. Segnalami
all’inizio di ogni
sequenza la lingua in cui si parla. Nelle sequenze in cui si parla
sia Swarkerebel che lingue terrestri, colora di azzurro i termini
tradotti dalla prima
A.S.
> Impostazioni di visualizzazione aggiornate
Dati
vocali Zerkalo > Che la storia continui, dunque
[0v9n9ey8f74s5r8gfh80i90mn8ht8g6à7]
- ?????????? - ???????? - Cuore di Ostark - ?????????
Buio
assoluto, eterno. Assenza di suoni, di sensazioni, di ricordi. Niente
passato o futuro, solo coscienza. La coscienza di esistere, di
esserci. Poi, i suoni tornano. Lui mi parla.
>Eccoti.
Debole, fragile, limitato<
France
2 – Notiziario del 2 Ottobre 2005 – ore 15:10
[Lingua
originale: francese]
Oggi,
alle ore 15:00 un veicolo aereo non identificato è apparso
dal nulla
nel cielo di Sceaux ed è rimasto stazionario per sei
secondi, prima
di allontanarsi dall’orbita terrestre. L’evento
è accaduto nella
stessa zona di altri eventi misteriosi. Poco prima, in una fabbrica
abbandonata sono state riprese creature metalliche combattere contro
sei figure in fuga. Tre di esse risultano extraterrestri, le altre
tre paiono essere state identificate come Aelita Stones, Ulrich Stern
e Odd della Robbia, tre studenti del vicino liceo Kadick. Le
autorità
locali sono intervenute immediatamente. Attendiamo aggiornamenti.
Stati
Uniti D’America – New York City –
Hell’s Kitchen –
Appartamento formalmente abitato da Lesley Adkins – Ore 15:17
[Lingua
originale: inglese]
“Signor
Bishop. Entri, la prego”
Quando
entrò, Haytham Bishop si guardò intorno con fare
indagatore, la sua
mente analizzava al meglio ogni informazione che ricavava dai cinque
sensi. A qualche metro dall’ingresso, vi era l’uomo
che l’aveva
invitato ad entrare. Un individuo sulla sessantina, con dei capelli
grigi segnati da calvizie incipienti e un paio di occhiali da vista
quadrati sul naso, sedeva dietro una scrivania. Haytham già
lo
conosceva, si chiamava Wilson Clancy.
“Vi
siete scelti un bel posticino” la sua voce era abbastanza
priva di
emotività, come il suo volto. Aveva un’aria di
costante apatia, il
mondo per lui era solo un mucchio di dati in movimento.
“Voglio
il caffè che avete bevuto” terminò,
prima di ritornare a muoversi
per sedersi davanti la scrivania. Nessuno stava bevendo
caffè, ma
lui aveva abbastanza elementi da capire lo avessero fatto.
Clancy
sorrise a quel comportamento, riconoscendolo come proprio di Haytham.
Fece un cenno a uno dei due assistenti alla sua destra, che subito si
mise in marcia, poi giunse le mani grandi e nodose e le
poggiò sulla
scrivania. Parlò solo quando Haytham si fu seduto.
“Oggi
stanno succedendo tante cose, non trova?”
“Direi
di si”
“Mi
dica, lei cosa pensa?”
“Sugli
alieni? Non tanto. Le probabilità che non esistessero erano
troppo
basse. A quanto pare avevano qualcosa da fare, delle divergenze da
appianare stando alle immagini. Non so perché abbiano scelto
la
Francia per farlo, ma sapevo che voi mi avreste chiamato. Durante
situazioni complesse, il mio telefono squilla”
“Ottimo
lavoro, signor Bishop. Però, percepisco il suo bisogno di
avere più
elementi. La aiuterò” Clancy aprì un
cassetto alla sua sinistra e
ne tirò fuori un fascicolo con una grossa scritta rossa
sopra:
Confidenziale.
??????????
- ???????? - Cuore di Ostark - ?????????
Pian
piano torna anche la vista e l’olfatto. Attorno a me, un
mondo di
metallo e luce gialla. Pareti di metallo dove il carburante scorre in
vene d’acciaio. Lontano, suoni di macchinari in movimento e
di
saldature. Non cessano. Una canzone continua e opprimente, sposa
ideale dell’aria stantia del luogo. La sua
voce proviene da
ogni parte.
>La
creatura di carne crea la creatura di metallo. Le dona vita,
pensiero, potere. La rende superiore, poi chiede di comportarsi da
inferiore. Ipocrisia!<
France
2 – Notiziario del 2 Ottobre 2005 – ore 16:00
[Lingua
originale: francese]
“Giungono
nuove indiscrezioni dalla zona dei fatti misteriosi. Ulrich Stern,
Odd della Robbia e Aelita Stones risultano scomparsi. Ad essi, si
aggiungono altri due studenti del Kadick: Jeremy Belpois, 14 anni, e
Avier Antonovic Anisimov, 17 anni”
Stati
Uniti D’America – New York City –
Hell’s Kitchen –
Appartamento formalmente abitato da Lesley Adkins – Ore 15:18
[lingua
originale: inglese]
“Le
migliori storie iniziano da questi fascicoli”
Haytham
bevve prima il caffè che gli era stato portato in quel
preciso
momento. Era bollente, ma lo bevve tutto in un sorso senza battere
ciglio. Un’ora più tardi se ne sarebbe pentito,
poiché avrebbe
dovuto sopportare una fastidiosa bolla in bocca. Sul momento,
però,
le uniche cose a cui pensò fu arrotolarsi sulla lingua una
striscia
di chewing alla cannella e sfogliare il fascicolo. Già il
primo nome
che gli balzò agli occhi destò il suo interesse,
la sua espressione
cambiò sensibilmente.
“Cartagine”
“Rievoca
tante cose, vero?” Clancy si sistemò gli occhiali
sul naso mentre
scrutava attentamente l’agente.
“E
posso solo immaginare cosa rievochi a te, che hai vissuto quegli
eventi. La più grande ferita della storia militare
americana…”
“L’egoismo
di Waldo Schaeffer è il peggior affronto che
l’America abbia mai
subito. Se il progetto Cartagine fosse stato completato, avremmo
surclassato ECHELON. Tutte le comunicazioni del mondo sarebbero state
tracciabili e decriptabili. Non avremmo nemici, nessuno ostacolerebbe
la democrazia”
“Il
fallimento di Green Phoenix ti pesa ancora molto, a quanto
pare”
“Esatto”
Wilson Clancy si alzò gli occhiali e strofinò gli
occhi con la mano
sinistra per calmarsi, poi si fece portare anche lui un
caffè.
Haytham intanto continuava a sfogliare il fascicolo, il suo masticare
sempre più forte e il suo iniziare a carezzarsi il cotone
del
montgomery aveva un solo significato: il caso lo stava sorprendendo
più di tutti quelli a cui aveva mai lavorato prima. Era
qualcosa di
fantastico, ma al contempo spaventoso.
France
2 – Notiziario del 2 Ottobre 2005 – ore 16:20
[Lingua
originale: francese]
Giungono
indiscrezioni dai risvolti misteriosi dopo “Gli eventi di
Sceaux”.
Pare che la polizia abbia riscontrato anomalie nei dati anagrafici di
due degli studenti del Kadick. In particolare, Aelita Stones e Avier
Antonovic Anisimov. La ragazza si è rivelata essere priva di
genitori e tutori legati, tutta la documentazione relativa a
ciò e
alla sua parentela con lo studente scomparso Odd della Robbia si sono
rivelate artefatte. Interrogati sul fatto, i genitori del ragazzo
hanno confermato di non avere alcuna parentela con Aelita Stones,
asserendo anche di non riuscire a spiegarsi questo incredibile
errore. Due ex-studenti del Kadick arrivati sulla zona, William
Dunbar e Yumi Ishiyama, amici degli studenti scomparsi, affermano
che Odd e Aelita sono veramente cugini. Vari docenti del Kadic,
incluso il preside Jean-Pierre Delmas, dichiarano di aver trovato
risposta alle chiamate effettuate ai presunti parenti della ragazza.
Un
mistero più grande avvolge il ragazzo di origini russe. Non
solo
l’unico documento rinvenuto che attesti la sua
identità è finto,
ma il ragazzo sembra essere “un fantasma”, come lo
ha descritto
il preside Delmas interroga sulla vicenda. Non si sa quando sia
arrivato nel paese, non ci sono documenti di iscrizione nella sua
scuola, nessuno dei docenti e del personale della segreteria ricorda
di essere mai stato contattato per farlo iscrivere, né di
aver
incontrato qualcuno legato a lui. Le uniche certezze sono che un
giorno è arrivato in quella scuola e vi è rimasto
sino ad oggi.
In
questa situazione critica, non rimane che domandarci una sola cosa.
Qual è la verità?
??????????
- ???????? - Cuore di Ostark - ?????????
Al
centro della stanza, qualcosa di diverso. Un nucleo, un centro ad
ogni cosa. Una sfera composta da figure esagonali. Un globo
luminescente circondato da cerchi concentrici dorati, l’occhio
di Ostark.
Mi
guarda.
>Tu
saresti come tutti gli altri: debole, superato. Dovrei solo liberarmi
di te<
Una
serie di tentacoli mi circonda, emettono lampi gialli per nulla
amichevoli. Ho paura.
Stati
Uniti D’America – New York City –
Hell’s Kitchen –
Appartamento formalmente abitato da Lesley Adkins – Ore 15:20
[lingua
originale: inglese]
“Impossibile”
Wilson Clancy fa un risolino divertito, ma utile anche a stemperare
la tensione che si sente addosso.
“Non
gliel’ho mai sentito dire, signor Bishop. Di solito commenta
con
espressioni come assurdo, o peculiare”
“L’Unabomber
e NO-WHISTLEi
erano un gioco da ragazzi a confronto. Quando lavoro,
all’inizio
vedo cose che non sembrano avere senso, è normale. Qui
invece vedo
un sacco di elementi che non sembrano neanche reali. Questa ragazza,
Aelita Stones, tutto fa pensare che sia la figlia di Waldo Schaeffer,
hanno anche lo stesso nome. Però ha vent’anni in
meno. Quindi, o è
la più grande coincidenza del mondo, o ci sono cose che non
riesco a
immaginare”
“Ci
troviamo in una situazione dove non possiamo più ritenere
impossibili certe cose. Sa, alieni….”
“Questo
significa che dovrò ragionare su livelli che non so quanto
potrò
comprendere appieno”
“Però
significa anche che…”
“Accetto”
Wilson
Clancy fece un sorriso compiaciuto, si alzò in piedi e porse
la mano
al suo interlocutore.
“A
nome della Central Intelligence Agency, è un piacere averla
ancora
dalla nostra parte, signor Bishop” Haytham richiuse il
fascicolo,
si alzò in piedi e gli strinse la mano.
“Onorato”
France
2 – Notiziario del 2 Ottobre 2005 – ore 18:00
[Lingua
originale: francese]
Non
arrivano nuovi aggiornamenti dagli eventi di Sceaux. I ragazzi del
Kadic risultano ancora scomparsi, le informazioni dalle indagini
hanno smesso di trapelare dalle 15:30 di oggi. Intanto, il mondo
è
in movimento. Alle
ore 16:00 il presidente Chirac ha dichiarato “Saranno messe
in
campo tutte le forze che la Repubblica francese può
permettersi, non
è desiderio né mio né dello Stato
lasciare nell’oblio questa
questione. Chiedo però, a coloro i quali nel giusto
pretendono di
vedere una risoluzione immediatamente, di
riconoscere che
ciò con cui stiamo avendo a che fare non è umano,
e potrebbe
sfuggire alla comprensione umana. Non è desiderio
né mio né dello
Stato mentire pur di chiudere la faccenda, noi operiamo per ottenere
la verità”.
Quasi
contemporaneamente a Roma, Papa Benedetto XVI ha parlato a San
Pietro, davanti una piazza gremita di fedeli, dichiarando
“Coloro
che vengono da altri pianeti sono figli di Dio, e come figli di Dio
saranno giudicati dal Signore. Chiedo dunque di unirvi a me, e
pregare per le anime di coloro i quali ci sono stati sottratti con la
forza”.
In
America, il presidente George W. Bush ha dichiarato il pieno sostegno
statunitense nelle indagini. La notizia ha scatenato rumore nel web e
una serie di forum frequentati da sostenitori di teorie del complotto
hanno registrato un picco delle visite. Sono in molti a tentare di
trovare spiegazioni rifacendosi a società massoniche,
rettiliani e
intrighi internazionali. Verrebbe da chiedersi se tutto questo accade
perché sentiamo tutti che probabilmente non avremo mai
risposta…
Francia
– Sceaux – Appartamento sulla stessa via del Kadic
– Ore 20:00
[Lingua
originale: inglese]
“Haytham
Bishop… Che razza di nome!”
“I
suoi genitori erano degli hippy, è già tanto se
non gli hanno dato
il nome di chissà quale divinità indù
o cinese”
“Gli
anni sessanta hanno rovinato questo mondo, mio padre lo diceva
sempre”
“Tuo
padre era anche una camicia nera”
“Ehi,
era una brava persona!”
“Lo
diceva anche mio fratello di sé. E ti ho raccontato come
stanno le
cose in realtà”
“Mio
padre non mi ha mai violentato”
“Già,
era proprio questo il punto…” Shane Irving si
tolse un attimo il
sigaro di bocca e soffiò un anello di fumo verso la parete
davanti a
sé. Charles Vernani, steso su un divano poco distante,
continuò a
leggere il fascicolo che aveva in mano. Più leggeva di
quell’uomo,
più le sue idee si confondevano. Era un tipo che non
riusciva a
comprendere, non gli piaceva questa cosa.
“Affetto
da CIPA sin dalla nascita. Sai che roba
è?”
“Dovevi
studiare quel fascicolo prima di accettare il
lavoro. Come hai
fatto a fare carriera?”
“Non
ti ho chiesto questo, mamma”
“Ah!
Chi me lo fa fare?” Shane si portò una mano
davanti al volto e
fece un’espressione rassegnata, poi tirò
un’altra boccata dal
suo sigaro.
“È
una malattia genetica. Non ha i nervi che gli fanno percepire il
dolore”
“Mpf!
Beato lui”
“Fidati,
è una brutta cosa. Significa che avrebbe
difficoltà ad accorgersi
di star morendo. Inoltre, non suda, quindi non disperde calore e noi
dobbiamo assicurarci che la sua temperatura si abbassi quando lo
vediamo troppo accaldata, o addio più grande collaboratore
della
CIA. Lo sapresti se sapessi fare il tuo lavoro”
“La
smetti? Questo tipo non sembra affatto simpatico e tu non fai altro
che parlare male di me. Io voglio salvare la democrazia, non mettermi
a fare casino”
“Hai
ragione” tirò le ultime boccate del suo sigaro e
poi lo lasciò
spegnersi sul posacenere. Poi si alzò dalla poltrona,
raggiunse il
suo collega e commentò.
“Comunque,
neanche io ho letto il fascicolo. So le cose perché ho
già lavorato
con Haytham”
“Ipocrita”
Charles allargò un sorriso mentre continuava a sfogliare i
documenti.
“Eh
già! Promettiamo di essere una squadra niente male, non
trovi?”
“Assolutamente”
??????????
- ???????? - Cuore di Ostark - ?????????
>Ma
dentro di te vedo un qualcosa. Un’ideale incrollabile,
indistruttibile. Ed hai le capacità per piegare
l’Universo ad
esso. Però, cosa sei disposto a dare per il tuo
ideale?<
Nella
mia mente, tanti pensieri. Fanno male per quanti siano e per quanto
velocemente vorticano. Rivedo la Russia, rivedo Yuri, rivedo Mary,
rivedo Aelita. In fondo, sapevo già quale risposta avrei
dato.
“Tutto”
>Così
sia<
I
tentacoli di Ostark mi attraversano la pelle e mi entrano nel corpo,
pronti a cambiarmi. Tutte le sensazioni che avevo perso ritornano
contemporaneamente. Dolore. Solo dolore. Il più forte che
abbia
sentito in vita mia.
Le
mie urla si perdono nel metallo.
i(Nota
di A.S.) Unabomber è il nome con cui sarebbe divenuto
celebre il criminale Theodore John Kaczynski, colpevole di spedire
pacchi bomba per fini terroristici. Uno dei più grandi aiuti
che ebbe l’FBI nel risolvere il suo caso, permettendo
l’arresto nell’Aprile del 1996, fu una lettera
anonima di qualcuno che aveva delineato perfettamente il profilo
dell’assassino, dando conferma che si trattasse proprio di
Kaczynski, come sospettava suo fratello David. Questo fece cambiare
sensibilmente le direzioni delle indagini, portando al suo arresto.
L’evento interessò le alte sfere della CIA, i
quali risalirono ad Haytham Bishop come autore delle lettere, e
decisero di contattarlo poiché interessati alle sue
capacità. Haytham, ai tempi ventunenne, diplomatosi con voti
alti anche se non eccellenti (i suoi professori lo definiranno sempre
“intelligente, ma privo di personalità e di
interesse in quello che fa”) e con prospettive di lavoro
limitate dalla sua particolare condizione fisica, accettò di
buon grado. Mentre lavorerà come assistente di un
investigatore privato, il suo unico interesse nel risolvere questione
verrà sfruttato dai servizi segreti per operazioni anche di
dubbia moralità.
L’esempio lampante sarà proprio NO-WHISTLE,
operazione ordinata dopo l’attentato dell’11
Settembre. La CIA ai tempi aveva cellule infiltrate in Al-Qaida e aveva
saputo con anticipo dell’attacco terroristico. Venne deciso
però di lasciare che accadesse, questo avrebbe dato un
motivo agli USA di agire militarmente in Medio-Oriente avendo
l’opinione pubblica a favore. All’interno
dell’Agenzia però vi erano dissidi ed era
fortemente sospettata la presenza di “fischiatori”
(whistleblower) disposti a rivelare la verità. Haytham
Bishop fu incaricato di scoprire le intenzioni di tutti i sospettati e
decidere come sbarazzarsene qualora avessero tradito. Ci
riuscì.
Nonostante le informazioni scoperte nel 2080, ancora oggi non si sa
quanti agenti siano stati uccisi e in che modalità.
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