Tug on his Heartstrings

di ChiiCat92
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** La Source ***
Capitolo 2: *** Légende ***
Capitolo 3: *** Fantasie for Flute and Harp ***



Capitolo 1
*** La Source ***


Da accompagnare alla lettura del capitolo: https://www.youtube.com/watch?v=RIYA69AAo6k

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La
Source, opera 44, Alphonse Hasselmans, 1898. 

Fa maggiore, sei ottavi. 

Forte, piano, pianissimo crescendo, forte diminuendo, ritardato e…

Andantino a tempo, piano, con moto e delicatezza. 

Nella stanza il suono lieve delle dita sulle corde riempiva l’aria, satura e calda. Lui inspirava ed espirava ogni sei, mentre il cuore batteva due contro la cassa dell’arpa.

Il viso concentrato sul movimento delle mani, le braccia sollevate parallele alle spalle. Di tanto in tanto gli occhi nocciola chiaro saltavano alla sua sinistra, sul leggio con lo spartito diventato più un conforto visivo che un reale aiuto: conosceva il brano a memoria, braccia, mani, dita, gambe, piedi, tutto il corpo si muoveva consapevole preciso come un orologio.

Forte, sdrucciolando, Re bequadro, poco ritardando.

Un respiro più profondo, per raccogliere i pensieri dispersi nell’etere in migliaia di particelle d’acqua di fonte. 

Tempo I°, ripresa del tema iniziale. 

Il fruscio della carta che viene girata sul leggio non lo distrasse e l’impeccabile infallibilità delle sue dita lo portarono volando verso l’ultimo accordo, alla fine dello spartito, il punto fermo di una frase lunga undici pagine.

Lasciò vibrare la corda di Fa finché il suono non divenne così sottile da non poter essere udito, sebbene il movimento della grossa corda di metallo nera fosse ancora visibile. 

Andò quindi a fermare le corde più gravi poggiandovi sopra il palmo aperto della mano sinistra, e lo stesso fece con quelle più acute, ma con la mano destra, ammutolendo così l’arpa con un solo deciso movimento.

L’incantesimo che aveva evocato, la fonte d’acqua limpida che si era come materializzata nell’aria mentre suonava con cristallina precisione ogni nota del brano, si spezzò. 

Non si trovava più alla fonte di un fiume sciabordante e sereno, ma nell’aula nr.2, seduto su uno sgabello sgangherato, di fronte al nuovo acquisto del Conservatorio: un’arpa Aurora, marca Salvi, di noce opaco, con la tavola rotonda. Lo strumento profumava ancora di smalto fresco, le corde di metallo scintillavano sotto le luci al neon anche nelle giornate plumbee. A non tutti gli studenti era permesso usare quell’arpa per studiare e il Direttore del Conservatorio si era accertato che non venisse inclusa nell’organico degli strumenti da trasferta: troppo preziosa per lasciare l’istituto. 

In ogni caso, alcune di quelle restrizioni non valevano per Lan Zhan. 

Con la cautela insita in chi conosce fin troppo bene il valore di ciò che ha tra le mani, poggiò lo strumento a terra, accompagnandolo finché i quattro piedini che reggevano i trentanove chili non furono ben saldi sul pavimento. 

Solo allora si volse con il busto verso l’insegnante. Il professor Jackson, docente di arpa del Conservatorio, era uno dei motivi per cui l’istituto poteva vantare musicisti come Lan Zhan, provenienti da ogni dall’altra parte del mondo per imparare da lui. 

« Bellissimo. » disse, dopo un silenzio madido di aspettative. Lan Zhan sentì il corpo rilassarsi appena. 

Studiare lontano da casa, in un paese dove non si parlava la sua lingua madre, non era stato un problema. Suo zio aveva fatto in modo che l’inglese fosse una parte importante della sua istruzione sin da bambino, così che non fosse tagliato fuori dal mondo accademico, dai concorsi internazionali, dalla possibilità di raggiungere la vetta. 

E lui l’aveva raggiunta, o meglio, era ad un buon punto della scalata, perché si trovava a New York, in un campus universitario con una borsa di studio integrale, ad inseguire i suoi sogni. 

« Bellissimo, davvero. » ripeté il professore. Lan Zhan annuì, le mani adagiate con grazia in grembo. Lunghe, leggere, ogni dito era stato creato per quello scopo e quello soltanto. O almeno, era l’unico che il ragazzo conoscesse. « Ma… » gli occhi nocciola di Lan Zhan si sollevarono verso l’uomo, frementi, mentre le labbra si tendevano in una linea di neutrale stupore. « ...sei freddo. Sei ancora terribilmente freddo. »

« Mh. » fu l’unica cosa che lasciò le labbra semichiuse di Lan Zhan. Le mani ebbero solo un fremito, minacciando di serrarsi in un frustrato pugno. 

« Questo non vuol dire che tu non sia bravo, anzi, sei il migliore. » precisò il professore, chiedendosi se fosse il caso di poggiare una mano sulla spalla di quel giovane arpista per fargli sentire la sua presenza, il suo supporto, o se la distanza culturale tra l’America e la Cina fosse superiore a quella fisica e che li rendesse impossibilitati dal creare un effettivo legame empatico. « Però sento ancora una...mancanza di sentimento. Vedo la fonte. » disse, indicando il titolo del brano. La Source, la fonte. « Vedo l’acqua, ma non riesco a sentirla, capisci cosa intendo? » 

Lan Zhan annuì, greve. Lo capiva fin troppo bene. All’improvviso l’arpa che aveva davanti, la più bella e scintillante tra le cinque accostate al muro, gli sembrò un inutile pezzo di legno: questo era senza un’anima, e lui non era poi tanto diverso, no? 

« Come vanno le altre materie? » 

Il ragazzo si raddrizzò sullo sgabello, a disagio. 

« Bene. » 

E non era una menzogna. Anche in quelle teoriche, dove la lingua avrebbe potuto costituire il problema principale se non l’unico problema, brillava per intelligenza e preparazione. Aveva ottenuto ottimi risultati sia nella classe di Composizione sia in Storia della Musica. 

« Hai già cominciato musica da camera? » 

« No, non ancora. » decise subito che avrebbe taciuto sul fatto che il suo insegnante aveva avuto problemi a trovargli un compagno, o più d’uno, che fosse al suo stesso livello e che non avesse paura di suonare con lui. 

« Avete già deciso un organico? » 

Difficile deciderlo quando i pochi pretendenti diventavano incapaci di tirar fuori un suono decente in sua presenza. « Forse arpa e violino. » rispose però, tenendo per sé i vaghi pensieri. 

« Che ne pensi di arpa e flauto? Conosco qualcuno che potrebbe fare al caso tuo. Posso parlare io con l’insegnante. » 

« Va bene. » una scrollata di spalla era insita nelle sue parole. Lan Zhan era molto simile allo strumento che suonava: incredibilmente bello e affascinante a vedersi, capace di produrre meravigliose melodie se toccato da mani competenti, ma irraggiungibile e misterioso. Veniva da un passato lontano fatto di lunghi abiti e cerimoniose abitudini, di musica nell’aria a rallegrare i saloni, di apparenze troppo belle per essere vere, più adatto ad adornare una stanza come parte del mobilio. Troppo difficile da comprendere.

« D’accordo allora. » sorrise l’insegnante, senza aspettarsi che il ragazzo ricambiasse. « Puoi andare, qui abbiamo finito. Ti farò avere gli spartiti entro la settimana e gli daremo un’occhiata insieme la prossima lezione. » l’occhiata liquida, sorpresa, che Lan Zhan gli rivolse con quegli occhi nocciola fu chiara più che se avesse usato le parole. « Sì hai capito bene, non ti lascio niente da studiare, puoi prenderti un po’ di riposo. »

Lan Zhan annuì, di nuovo, mentre il cuore accelerava i battiti. Pensava già a come impegnare quel tempo libero. Avrebbe potuto portarsi avanti con il progetto di Composizione, o studiare un capitolo extra di Pedagogia Musicale. 

Prese lo spartito della Source dal leggio, lo sistemò con cura nella borsa e salutò l’insegnante con un cenno del capo.

Conosceva il repertorio per arpa e flauto, ma non conosceva nessun flautista dell’istituto.  

Forse avrebbe potuto sfruttare quel tempo per scoprire chi il professor Jackson avesse in mente.

 

*

 

All’ora di pranzo Lan Zhan andò a mangiare in mensa, da solo, come sempre. La confusione irritava i suoi nervi e le urla stridule dei colleghi lo faceva sentire come se quello fosse un campo estivo e non un rispettabile istituto di alta formazione musicale. 

Avrebbe di gran lunga preferito mangiare i baozi ripieni di cavolo di Xichen, ma in America non c’era un solo ristorante decente dove mangiarli, e men che meno li poteva pretendere dalla mensa.

In momenti come quelli, mentre mangiava con attenzione pollo ai ferri e verdure grigliate, sentiva la mancanza di casa. 

Non era tipo da lasciarsi andare alla nostalgia o alla tristezza, ed era pronto ad affrontare la vita lontano da casa. Eppure, per qualche ragione, la parte più bassa del cuore pungeva fastidiosamente, tanto che lui dovette massaggiarsi il petto per placare il dolore.  

Approfittò del momento di calma per tirare fuori gli spartiti che aveva preso prima di pranzo dalla biblioteca e cominciare a dargli una rapida lettura. La musica danzava davanti ai suoi occhi trasformandosi in melodia nella sua mente. La voce che sentiva risuonare era quella di un’arpa mentre le note scorrevano sul pentagramma.

Nonostante fosse concentrato sullo spartito con la coda dell’occhio notò il movimento alla sua sinistra. 

Finse di essere troppo impegnato, cosa che in fondo era, per preoccuparsi di chi si stava avvicinando al suo tavolo. 

Almeno finché quel qualcuno non esclamò con voce querula un: « Ciao! » 

Lan Zhan sollevò, stupito e infastidito, lo sguardo dagli spartiti, non senza prima mettere un segnalibro tra le pagine per evitare di perdere il segno. 

Il Conservatorio non aveva un dress code né obbligava gli studenti a portare una divisa, ma lo scompigliato e sciatto modo in cui era vestito il ragazzo di fronte a lui fece tremare pericolosamente un sopracciglio verso l’alto: il massimo di espressione sdegnata a cui Lan Zhan si lasciasse andare.

Jeans strappati, scarpe da ginnastica, una maglia rossa scolorita che aveva visto giorni migliori, una giacca di pelle leggera, la custodia di un flauto a tracolla.

Il pensiero dell’arpista scivolò verso un abisso di negazione. 

Il ragazzo era cinese. Ovviamente era cinese, perché mai affiancargli un occidentale? Gli americani sapevano essere così razzisti. Come se Lan Zhan facesse distinzione di razza, come se non li trovasse tutti ugualmente incompetenti.

Dal momento che non aveva ricevuto risposta, il ragazzo lanciò verso di lui la mano destra, un sorriso largo e amichevole sulle labbra.

« Sono Wei WuXian. » la mano rimase sospesa tra loro per un minuto buono prima che il ragazzo la ritraesse, scontento ma non abbattuto. « Il prof Jackson mi ha detto che ti serve un compagno per musica da camera. » gli mostrò la custodia del flauto come se fosse stupido o cieco e non l’avesse notata fino a quel momento. Il suo accento e il fluido parlare suggerì a Lan Zhan che dovesse essere cresciuto in America. « E quindi...beh, sono io. Sono il tuo compagno per musica da camera. » senza che gli avesse dato il permesso, e comunque senza chiederlo, Wei WuXian sedette vicino a lui. 

Poggiò con cura il fodero del flauto sul tavolo e gli rivolse il più spiazzante e idiota dei sorrisi. 

Con lui? Avrebbe dovuto suonare con lui

Lan Zhan fu svelto a prendere gli spartiti e infilarli nella borsa, a prendere il vassoio con il pranzo che non aveva più intenzione di mangiare e ad alzarsi.

« Ehi! » Wei WuXian saltò in piedi, rapido come un coniglio. « Aspetta! » lo afferrò per la manica della camicia.

Lo sguardo di vetro di Lan Zhan era tagliente quanto freddo, le iridi nocciola irradiavano gelide sferzate di neve. « Scusa. » lo lasciò andare immediatamente.

Lan Zhan non aggiunse altro a quell’occhiata, gli volse le spalle e se ne andò. 

« Te l’avevo detto, amico. » Troy, trombonista, portò un braccio intorno alle spalle di Wei WuXian. Doveva essersi avvicinato a lui nell’infinito, dilatato momento che aveva passato a fissare il vuoto dopo che Lan Zhan se n’era andato. « Quel tipo ha un palo in culo. Non poteva capitarti di peggio. Fai prima a dire a Jackson che non vuoi suonare con lui, è una perdita di tempo. » 

Wei WuXian si scrollò l’amico di dosso, con uno sbuffo infastidito.

« Lo vedremo. » presa la custodia del flauto, si lanciò all’inseguimento dell’arpista. 

 

Wei WuXian rotolò fuori dalla mensa, guardò frettolosamente a destra e a sinistra, poi il fulgore bianco che avvolgeva Lan Zhan sotto il sole caldo di quella giornata catturò la sua attenzione. Si precipitò nella sua direzione.

Bisognava aver vissuto sotto un sasso per non conoscere la reputazione di Lan Zhan, il mistico, ascetico arpista venuto dalla Cina. E bisognava essere stupidi come una zappa per ignorare le frecciatine degli amici occidentali che tendevano ad associare lui e l’arpista in un’unica sentenza. 

“Perché non sei come lui? Eppure vi somigliate!”

“Pensavo che tutti i cinesi fossero uguali!”

Ah, ah, ah, da morir dal ridere. 

Wei WuXian era americano, come teneva spesso a ricordare ai compagni, al di là del nome e festeggiare il Capodanno Cinese lui la Cina non l’aveva mai vista. Okay, forse viveva vicino a China Town, ma per ragioni che non avevano niente a che fare con la cultura. 

Erano tutti dei razzisti di merda, ecco cosa. 

L’arrivo di Lan Zhan non aveva reso più facile né più piacevole il suo già faticoso percorso di studi. Quel ragazzo era così bravo, brillante, perfetto che la gente cominciava a chiedersi se non dovesse essere così un vero cinese. Il cinese che viene cresciuto seduto alla scrivania per eccellere in ogni cosa e che viene punito con il frustino quando fallisce. Il genere di cinese che si vede nei film, lo stereotipo dalla strana parlata, che possibilmente mangia i cani.

Wei WuXian era stato messo a paragone con Lan Zhan troppe volte per non essere arrabbiato con lui.

Non si erano mai parlati, si erano a malapena visti di sfuggita da quando lui era arrivato, eppure a causa delle loro origini, degli occhi a mandorla, dei capelli nero inchiostro, erano stati gettati nella stessa arena. 

Nel giro di soli sei mesi Lan Zhan aveva sconvolto l’equilibrio che tanto faticosamente Wei WuXian aveva costruito con il suo giro di colleghi, scrollandosi di dosso una volta per tutte certe sottili insinuazioni. 

L’avrebbe ignorato se il professor Jackson non fosse andato da lui in cerca di aiuto.

Tralasciando il fatto che il suo patetico discorso si era fin troppo fissato sui toni da quel-povero-cinesino-non-sa-farsi-degli-amici-tu-puoi-capirlo-di-certo, a far scattare la molla dentro Wei WuXian era stata l’altra parte, quella in cui saltava fuori che Lan Zhan non era in grado di lavorare in gruppo e che avrebbe potuto essere bocciato all’esame di musica da camera.

Che disdetta che per essere musicisti bisognasse suonare con altri musicisti! 

« Ehi! Lan Zhan! » Wei WuXian raggiunse il ragazzo correndo. Finse di non vedere il modo in cui la mano di lui si strinse intorno alla tracolla della borsa e invece gli rivolse un sorriso. L’ennesimo. « Non possiamo almeno parlarne? Guarda che sei tu ad aver bisogno di un compagno per musica da camera, io quell’esame l’ho già fatto la scorsa sessione. » 

Lan Zhan aveva occhi spaventosamente chiari, come ghiaccio sottile illuminato dal sole d’autunno, e del ghiaccio avevano la stessa freddezza. Come potevano occhi così belli contenere tanto risentimento senza andare in frantumi? 

« Troverò qualcun’altro. » disse, senza crederci davvero. Prima o poi avrebbe dovuto affrontare quella materia, nonché la sua incapacità di lavorare con qualcuno che non fosse se stesso. Prima o poi, certo.

« Puoi...fermarti…? » dal momento che Lan Zhan continuava a camminare spedito, Wei WuXian lo afferrò nuovamente per la camicia. Nonostante l’occhiataccia riuscì a farlo fermare, così da riprendere fiato. Platealmente, prendendo grandi boccate, alzando il viso verso l’alto come se avesse appena corso la maratona. « Lan Zhan. » Wei WuXian unì le mani in preghiera, accennò persino un inchino. « Non ho mai lavorato con un arpista, ti piacerebbe suonare con me? » 

« Ridicolo. » Lan Zhan fece per voltare la schiena di nuovo, imbarazzato oltre il consentito dall’atteggiamento di Wei WuXian. Pensava che adularlo sarebbe servito a qualcosa? 

Un gruppetto di ragazzi si era persino fermato a guardarli. 

« Lan Zhan! » chiamò ancora il ragazzo. Lan Zhan odiava già la sua voce, come di certo avrebbe odiato quella del suo flauto. « Ti sto facendo un favore. Nessuno vuole suonare con te. »

Lan Zhan, però, non gli rispose. 

Stavolta, quando gli volse le spalle per andarsene a passo svelto, Wei WuXian non lo seguì.

Rimase per un po’ a fissare quella schiena dritta e orgogliosa mentre si allontanava. 

Sorrise, l’esca era stata lanciata. Ora doveva aspettare che il pesce abboccasse.

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1 musica da camera: tra le materie obbligatorie da frequentare nel corso di studi in Conservatorio ce ne sono alcune di gruppo. Lo studente viene affiancato ad uno o più ragazzi dall’insegnante che sceglie il repertorio da eseguire. Tra i criteri di giudizio dell’esame vi è anche la capacità di suonare insieme, lo studente viene giudicato non per la sua performance ma per quella dell’intero gruppo.

2 organico: l’insieme dei componenti di una compagnia d’arte drammatica; in musica, il complesso degli strumentisti e, eventualmente, delle voci, necessarî per l’esecuzione di una determinata composizione vocale, strumentale o mista.

 

 

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Capitolo 2
*** Légende ***


Per ascoltare il brano suonato da Wei WuXian: https://www.youtube.com/watch?v=AKrO7lzx-nk&t=6s
Il brano suonato da Lan Zhan: https://www.youtube.com/watch?v=hts59KMyXKE

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Lan Zhan si alzava presto al mattino, e non solo perché rimanere nella minuscola stanza del campus troppo a lungo scatenava in lui un’insana claustrofobia, ma anche perché doveva approfittare delle prime ore del giorno per studiare. 

Doveva sfruttare l’arpa del conservatorio e non era l’unico studente ad averne bisogno.

Alle otto meno un quarto aveva già fatto colazione, si era lavato e cambiato, e si dirigeva a passo marziale verso l’istituto, che non avrebbe aperto prima delle otto. 

La giornata appena sorta era candida e avvolta dalla luce calda del sole. Era una primavera estremamente piacevole, l’aria era frizzante e tenera come i boccioli dei fiori che, timidi, si schiudevano per la prima volta.

A quell’ora il campus non era congestionato dal via vai di studenti, si sentivano cinguettare sugli alberi gli uccellini.

Lan Zhan prese una profonda boccata d’aria, riempiendo i polmoni fino a farli tracimare.

Poi lo sentì, e più si avvicinava all’ingresso più lo sentiva.  

Inconfondibili, vivaci, saltellanti, cristalline: le note di Mozart avevano un timbro particolare che l’orecchio più attento sapeva riconoscere in mezzo alle altre, così come si riconosce lo stile letterario del proprio scrittore preferito. 

Concerto per flauto nr.2 in Re Maggiore. 

Le piccole note agili, i trilli, gli svolazzi come il frullare d’ali di un uccello, risuonavano nel silenzio riempiendo l’aria tutto intorno.  

Lan Zhan si fermò di colpo, congelato sul posto. 

Wei WuXian era lì, il flauto alle labbra, e la melodia di Mozart saltellava gioiosa fuori dallo strumento come fosse un incantesimo. 

Il ragazzo sollevò gli occhi solo per trovarsi a fissare Lan Zhan. Il sorriso che nacque spontaneo sulle sue labbra quasi gli impedì di terminare la frase musicale, ma non una nota venne maltrattata, fin quando, preso fiato, Wei WuXian smise di suonare. 

« Lan Zhan, buongiorno. » come se non l’avesse visto, il ragazzo aggiunse a quel saluto lo spropositato agitare di una mano. Poi gli andò incontro, il flauto stretto tra le mani come fosse un tesoro, mentre le sue cose (la giacca e lo zaino) rimanevano appoggiate sul muretto. 

« Mozart? » domandò Lan Zhan, ancora stupito, ancora sconvolto, pur conoscendo perfettamente la risposta. Non voleva chiedere se quello fosse Mozart, ma perché lui fosse in grado di suonare Mozart.

Wei WuXian gli rivolse un sorriso, lo stesso, soddisfatto, che aveva lasciato in sospeso mentre suonava. « Hai un buon orecchio, Lan Zhan. Sì, è Mozart. Ti è piaciuta la mia interpretazione? » 

. Ma non potendo rispondere per orgoglio e non essendo abituato a mentire, Lan Zhan tacque. 

Wei WuXian prese il suo silenzio come una vittoria. 

Il flauto che usava per suonare non sembrava costoso né speciale, anzi, sembrava un vecchio flauto d’argento di una certa età, eppure il suono che ne usciva era perfetto. 

« Ho qualcosa per te, Lan Zhan. » Wei WuXian non si azzardò a prendere sottobraccio l’arpista, cosa che con una persona normale probabilmente avrebbe fatto. C’era qualcosa che voleva dimostrare a Lan Zhan, qualcosa che andava oltre la sua stessa comprensione. Per prima cosa smontò il flauto per riporlo nella sua custodia, dopo averlo pulito con cura con un panno di velluto, poi frugò nello zaino e, preso un fascio di fogli, lo porse a Lan Zhan, che calamitato da una curiosità inespressa dal suo viso si era avvicinato a lui in silenzio. 

Lan Zhan prese il pacco di fogli. Una rapida occhiata bastò per vedere che si trattava di uno spartito.

« Saint-Saëns. » disse Wei WuXian, picchiettando con un dito sul foglio per indicargli il nome del compositore. Si era fatto così vicino che le loro spalle quasi si toccavano. Lan Zhan provò la dolorosa necessità di allontanarsi ma rimase invece immobile, pietrificato da quel contatto leggero ma indesiderato. « Ho cercato tutta la sera su internet. L’ho ascoltato su Youtube, è una forza. » il flautista sollevò lo sguardo su Lan Zhan.

Non era tanto più alto di lui, forse un paio di centimetri, ma non si era mai avvicinato così tanto a lui. Emanava un leggero quanto penetrante odore di legno di sandalo, la grana della sua pelle candida era sottile e vellutata come una pietra lavorata. Wei WuXian si trovò all’improvviso a deglutire a fatica con la gola secca.

Scosse impercettibilmente la testa e mosse un passo indietro, rivalità ora accesa nel suo sguardo.

« So che non mi ritieni alla tua altezza, ma sono un bravo musicista. » era forse una giustificazione per tutta quella sceneggiata? Il farsi trovare all’alba di fronte alle porte dell’istituto suonando Mozart, l’avere già pronta una partitura per arpa e flauto da proporgli? 

Lan Zhan non ebbe un fremito né cambiò espressione, si limitò a tenere gli occhi nocciola fissi su Wei WuXian.  

« Allora? » chiese il flautista senza perdere il sorriso. Era parte integrante del suo abbigliamento, del suo essere, e spesso diventava irritante. 

« No. » Lan Zhan lo superò in tre decise falcate, lasciandolo a bocca aperta e a mani vuote. 

Ma prima mise con cura gli spartiti della Fantasie di Saint-Saëns nella borsa. Forse tutto sommato Lan Zhan aveva appena abboccato all’amo.


Corone di timo e maggiorana,

gli Elfi giocano danzando sulla pianura. 

 

Dal familiare sentiero dei daini, 

Su un cavallo nero, esce un Cavaliere.  

Il suo sperone dorato brilla nella notte oscura;  

E quando attraversa un raggio di luna, 

Vediamo un elmetto d'argento che brilla,

Con un riflesso mutevole sui suoi capelli.

 

Corone di timo e maggiorana,

gli Elfi giocano danzando sulla pianura. 

 

Sol bemolle, Sol bequadro. Le corde dell’arpa vibrarono spiacevolmente. Lan Zhan si trattenne dall’emettere un verso stordito e infastidito. Lui non sbagliava, non sbagliava mai.

Quella mattina, però, per quanto provasse e riprovasse, le dita non scivolavano con la normale tranquillità di sempre sulle corde, né collaboravano l’un l’altra con la solita intesa.

Dentro l’aula l’aria era viziata, calda come una cappa, e il ragazzo sentiva il sudore appiccicare la camicia sulla schiena.

Quando scostò gli occhi dalla cordiera dell’arpa per controllare l’orario si trovò anchilosato a constatare che era passato mezzogiorno. Suonava senza interruzione da quattro ore. Braccia, collo e schiena cominciavano a risentire della posizione forzata, gli occhi bruciavano per lo sforzo. E lo spartito di “Légende” appariva oscuro e sfocato alla sua comprensione.

Le ventidue pagine del brano erano la sfida che si era posto di affrontare, e vincere, entro la fine dell’anno. Ma non era ancora riuscito ad andare oltre la sesta pagina e per quanto dubitava di non essere in grado di decifrare il complesso fraseggio armonico, ora come ora si sentiva esausto. 

I grappoli di note sullo spartito sembravano insetti pronti a scivolare fuori dal pentagramma per coglierlo in fallo, farlo sbagliare, farlo impazzire. Non si era mai sentito così frustrato suonando.

E tutto per colpa di Wei WuXian.

Per tutta la mattina, invadente, il pensiero del ragazzo e del suono cristallino del suo flauto, aveva messo a dura prova la sua concentrazione altrimenti ferrea. 

Perché il professor Jackson voleva punirlo così? Avrebbe di certo trovato qualcuno per musica da camera. Ma perché proprio lui

Se tutto si limitava ad una questione razziale avrebbe potuto benissimo affiancargli Kaoru, o Xu Feng. Perché tra tutti gli studenti orientali la sua scelta era ricaduta su Wei WuXian? 

Il più rumoroso, il più distratto, il più perditempo di tutti? 

Wei WuXian era ingenuo se pensava che Lan Zhan non si ricordasse di lui e di quella volta che, durante le prove dell’orchestra del conservatorio, era stato buttato fuori perché disturbava tutta la sezione dei legni, o quando alla lezione di Storia della Musica aveva corretto l’insegnante con tanta insolenza che per poco non si era beccato un libro in testa. E i libri di storia della musica erano corposi. 

Frequentava l’istituto solo da un anno, ma la presunzione di Wei WuXian gli era ben nota. Non ci voleva un genio per capire che lavorare con lui sarebbe stata una perdita di tempo. Il suo di tempo, poi, era particolarmente prezioso. 

Sospirò, profondamente, anche se nella stanza non c’era più aria buona da respirare.

Si alzò per aprire la finestra, un piccolo rettangolo incassato nel muro che dava sul cortile interno.

Il chiacchiericcio degli strumenti riempiva tutto lo spazio sonoro disponibile, saturandolo. Dalle aule di fronte provenivano squilli acuti di trombe (di cui una stonata, constatò Lan Zhan); di fianco una soprano gorgheggiava i versi di un’aria di Verdi; nel cortile due chitarristi e un clarinetto tentavano un improbabile trio, forse scritto dall’insegnante di uno di loro. 

Tutto era musica.

Lan Zhan rimase qualche istante di troppo alla finestra, perché da giù arrivò il solito, querulo richiamo.

« Lan Zhan! » 

Quando spostò lo sguardo verso il basso non si stupì di vedere Wei WuXian che, in mezzo al suo gruppetto di fastidiosi amici, si sbracciava per salutarlo. 

Con uno sbuffò, Lan Zhan si ritrasse, quasi sbattendo la finestra per chiuderla. 

« Ti odia. » commentò Troy, masticando una gomma in modo rumoroso.

Wei WuXian rimase a fissare la finestra chiusa per un po’, un broncio sulle labbra. « Tanto alla fine suoneremo insieme. » 

« Perché ci tieni così tanto? » Flinn. Aveva l’abitudine di tenere il laccio del sassofono sempre intorno al collo, come se potesse estrarre lo strumento dalla custodia da un momento all’altro per una jam session (che nessuno gli chiedeva e nessuno gli avrebbe mai chiesto). « Intendo, a suonare con lui. » 

« Se ne va in giro tutto ampolloso come se fosse chissà chi. » sbuffò Wei WuXian, gli occhi scuri ancora fissi alla finestra, certo che Lan Zhan lo stesse guardando da dietro la tenda. Poteva quasi immaginarlo, con il suo sguardo di presupponenza e superiorità. « Non è più bravo di me. Non è più bravo di nessuno di noi. » 

« Quindi lo stai punzecchiando per dimostrare che non è tutto questo genio come si dice in giro? » 

« Una specie. » dopo aver rivolto una linguaccia verso la finestra, Wei WuXian tornò ad abbassare lo sguardo. Gli amici lo guardavano con un misto di biasimo e pietà. « Beh? Che c’è? » 

« Niente. » risposero entrambi, all’unisono. 

Wei WuXian gli rivolse una smorfia infastidita. « Devo andare. » 

« Dai, rimani a pranzare con noi. » 

« Non è ancora ora di pranzo. » rispose lui, esasperato. Non intendeva sopportare le loro prese in giro. Aveva di meglio da fare. « Ci vediamo più tardi. » 

Raccolse le sue cose e gettatosi lo zaino in spalla corse via, mentre Troy e Flinn lo pregavano di rimanere, ma non con così tanto fervore. 

Wei WuXian salì a due a due i gradini per raggiungere l’aula di arpa. Quando si trovò davanti alla porta bussò, ma non aspettò di ricevere il permesso di entrare per farlo.

« Lan Zhaaan! » l’arpista si voltò con tanto stupore che per una volta Wei WuXian colse sul suo volto un’espressione diversa dallo statico disinteresse. « Hai già letto gli spartiti che ti ho dato? Possiamo fare una prova prima di pranzo! » 

Corredò quei nonsensi con una profusione di sorrisi, e già stava tirando fuori il flauto dalla custodia per montarlo. Non che non avesse visto sul leggio gli spartiti di Légende che Lan Zhan stava di certo studiando, ma fingersi ingenuo e completamente estraneo al mondo gli rendeva più semplice essere fastidioso. 

« Avevo altro da studiare. » commentò infatti Lan Zhan, anche se non era proprio la prima cosa che avrebbe voluto dirgli. Le opzioni “cosa ci fai qui?” e “perché non mi lasci in pace?” erano altrettanto valide. 

« Owwww. » commentò il flautista, spingendo verso il basso le labbra in un’espressione tanto triste quanto artefatta. « Credevo che avremmo potuto già suonare insieme! »

« Non suonerò con te. » come se non fosse già abbastanza chiaro.

Lan Zhan cominciava a sentire un mal di testa furioso montare intorno alle tempie, come se qualcuno gli stesse stringendo intorno un laccio.

« Perché? Non ti piace il brano? Posso trovare qualcos’altro. Preferisci forse qualcosa di Rossini? O Spohr? La scelta è veramente… » 

« Vattene. »

Gli occhi di Lan Zhan emanavano saette, brucianti raggi di disapprovazione, esasperazione, irritazione. Wei WuXian trovò insostenibile il desiderio di farlo arrabbiare di più

Le labbra si sollevarono in un sorriso sornione. « Comincio a pensare che tu non sia poi così bravo. È per questo che non vuoi lavorare con nessuno? Ti nascondi? Sei tutto fumo e niente arrosto, Lan Zhan? Hai paura del confronto? » 

« Io non ho paura di niente. » rispose a denti stretti Lan Zhan dopo qualche istante di collerico silenzio.  

Oh, Wei WuXian aveva trovato il suo punto debole: l’orgoglio. Troppi bravi musicisti soffrivano di quella debolezza, e troppe brave persone avevano perso la pazienza perché Wei WuXian invece ne era privo. Sapere di essere il migliore, nella sua classe e forse nell’istituto, lo rendeva immune a qualsiasi insulto o provocazione, cosa che assurdamente faceva infuriare tutti. Chissà come mai gli artisti avevano l’ego fragile.

« Beh, perché non me lo dimostri allora? » sussurrò Wei WuXian, lascivo. Fece scattare le cerniere della custodia del flauto, lo tirò fuori e, senza staccare gli occhi da Lan Zhan montò ogni sezione dello strumento, sicuro che le mani non l’avrebbero tradito: erano anni che le dita percorrevano la lunghezza del flauto traverso come fosse il corpo del suo amato, conosceva ogni suo anfratto, ogni sua caratteristica. Chiunque dicesse il contrario non l’aveva mai visto fare sul serio. 

Lan Zhan strinse i denti e suo malgrado accettò la sfida. Non si sarebbe tirato indietro quando in gioco c’era il suo buon nome, esattamente come aveva ipotizzato Wei WuXian.

Prese lo spartito di Saint-Saëns e lo portò con cura sul leggio. Non aveva voluto leggerlo prima né considerarne l’esistenza nella sua borsa, e adesso avrebbe dovuto non solo leggerlo ma anche suonarlo a prima vista. E Wei WuXian avrebbe approfittato di ogni errore per conficcare il pugnale più a fondo nella ferita del suo orgoglio.

Lan Zhan prese un respiro. Dedicò l’istante in cui sollevò le mani per poggiare candidamente le dita sulle corde per leggere le prime battute dello spartito, mentre il cuore mandava brevi, singhiozzanti colpi contro la cassa dello strumento.

Le note si alzarono morbide dall’arpa, cantando, e Wei WuXian rispose a quel canto con il suo flauto. 

C’era qualcosa che il flautista aveva evitato di dire a Lan Zhan, qualcosa che in un certo senso lo portava in una posizione di vantaggio.

Era vero che aveva passato tutta la sera a spulciare le biblioteche online alla ricerca di spartiti per arpa e flauto, ma era anche vero che, una volta trovato qualcosa che solleticava il suo interesse musicale, aveva cominciato subito a studiarlo.

Conosceva già il brano, mentre Lan Zhan faticava non poco per stargli dietro.

Si era in qualche modo dimenticato di dirglielo, ma d’altronde lui non l’aveva neanche chiesto. 

Wei WuXian suonava con un sorriso a piegare le labbra sull’imboccatura del flauto, dando un timbro cinguettante come una risata alla sua musica, mentre Lan Zhan, meravigliosamente meccanico e puntuale come un orologio, suonava una cascata di note dopo l’altra. 

Wei WuXian aggiunse calore e morbidezza al brano, soffiando piano, con un filo d’aria, costringendo Lan Zhan a pizzicare con altrettanta delicatezza sulle corde dell’arpa per non coprire la sua voce.

Era un gioco di equilibrio e potere che passava ora al flauto ora all’arpa, con uno scampanellio di piccole note pizzicate e gorgheggi intricati.

Per la prima volta in quella mattina Lan Zhan sentì l’oppressione al petto scemare, il peso sulle spalle sparire. Si stava divertendo. 

Fu con orrore che realizzò di non ricordare l’ultima volta in cui aveva sentito tanta leggerezza, sia nel corpo che nella mente, l’ultima volta in cui le dita avevano volato tra le corde senza alcun pensiero se non quello della musica. 

Il dialogo tra i due strumenti era di certo più pacato ed armonioso di quello tra i due ragazzi, ma lasciata vibrare l’ultima nota l’incantesimo sembrò svanire. 

Wei WuXian lo guardò con un moto di soddisfazione che costrinse Lan Zhan ad abbassare lo sguardo, infastidito quanto imbarazzato.

« Ah, allora Lan Zhan è veramente bravo come dicevano. » commentò, dondolando il peso del corpo sulle punte dei piedi come un bambino che ha appena ricevuto una ricompensa del tutto immeritata. 

« Hai mentito. » soffiò Lan Zhan. Le braccia tornarono a tremare per lo sforzo (d’altronde aveva suonato tutta la mattina e Wei WuXian l’aveva costretto a rinunciare alla sua pausa) e la tensione gli fece stringere i pugni in una morsa.

« Mentito? Perché avrei mentito? » 

« Conoscevi già il brano. »

Ah, allora oltre ad essere bravo come dicevano era anche sveglio e intelligente. Forse era stato un po’ ingenuo da parte di Wei WuXian mettersi a suonare senza neanche fingere di leggere lo spartito di un brano che, in teoria, non doveva mai aver visto prima di allora.

« Beh, potrei averci dato un’occhiata ieri sera prima di andare a dormire. » canticchiò fuori Wei WuXian, delicato a mentire quanto a dire la verità. 

Lan Zhan si alzò di scatto dallo sgabello, con tanto fervore che per un attimo il flautista pensò che gli volesse saltare addosso. Invece si limitò a sbattere lo spartito sulla cattedra (avrebbe potuto lanciarlo in aria, gettarlo nella pattumiera, accartocciarlo, ma il rispetto che provava nei confronti della musica era superiore ad ogni cosa), poi con gesti gelidi che riflettevano la sua rabbia bruciante sistemò l’arpa e fece per uscire dall’aula. 

« Dai, su. » Wei WuXian riuscì in qualche modo a frapporsi tra Lan Zhan e la porta, così che dovesse spingerlo via per uscire, e sapeva perfettamente che non l’avrebbe toccato. 

« Volevo solo metterti alla prova. E comunque, ad essere onesto, non ho scelto neanche un brano troppo difficile, sapevo che saresti riuscito a suonarlo. »

Wei WuXian avrebbe volentieri dato un braccio per poter avere un udito migliore di quello che aveva e sentire il sibilo irritato del respiro di Lan Zhan bruciargli le narici, sentire lo scrocchiare delle agili dita mentre si stringevano fino a sbiancare.

« Spostati. » sibilò Lan Zhan, offeso, e allibito di essere caduto così nel suo becero tranello. 

Wei WuXian, soddisfatto, si scostò di lato con un inchino e un gesto del braccio, così da lasciare passare Lan Zhan.

Il ragazzo lasciò l’aula come turbine, percorse il corridoio in fretta ma senza fare rumore, come una barca dalla forma affilata che taglia l’acqua velocemente, con eleganza.

Wei WuXian lo guardò, di nuovo, mentre si allontanava, poi ripose con cura il flauto nella custodia e prima di lasciare l’aula prese gli spartiti che Lan Zhan aveva lasciato sulla cattedra. Gli sarebbero serviti ancora, poco ma sicuro. 

 

 

« Basta, basta. Fermati. » 

Lan Zhan sollevò le dita dalla cordiera, sentendo la vergogna riempire ogni fibra del suo essere. Non aveva mai suonato tanto male, né con così poco desiderio.

Il professore lo guardò con espressione confusa, non irritata, non delusa, solo...confusa. 

« Cos’è successo questa settimana? » gli chiese, invece di chiedergli per quale motivo avesse suonato senza amore, senza anima, e senza alcuna concentrazione, portando la sua esibizione ad un mediocre “da capo a fondo”. 

« Niente. » rispose Lan Zhan. 

Non era una bugia, dal momento che lui ci credeva davvero.

Non era successo niente. Wei WuXian non aveva turbato il suo equilibrio, non si era infilato nella trama delle sue giornate come un fischio acuto e fastidioso all’orecchio. 

Non aveva prenotato ogni giorno l’aula di fianco a quella di arpa solo per infastidirlo suonando con la finestra aperta in modo che la precisa voce del suo flauto fosse udibile, non aveva lasciato spartiti, i più svariati, di brani per arpa e flauto ovunque perché lui li trovasse, non lo fermava in giro per il campus urlando il suo nome a pieni polmoni ogni qualvolta lo vedeva passare, non aveva reso la permanenza alla mensa il momento più atroce delle sue giornate. 

Non aveva fatto niente di tutto questo, quindi non era successo niente, quindi il motivo per cui fosse così deconcentrato era da cercarsi altrove. Assolutamente.  

Jackson sospirò, le braccia incrociate al petto. « Di solito sei sempre concentrato. Pensavo che una settimana di riposo sarebbe stata utile per la tua resa, invece hai suonato ancora più freddamente dell’ultima volta. » 

Lan Zhan annuì. Aveva ragione e non poteva negarlo. Aveva cercato di lavorare sul sentimento con tutte le sue forze, ma con il continuo ciarlare del flauto di Wei WuXian era riuscito solo a tagliare fuori ogni emozione, diventando una macchina da musica imperfetta. « Ascolta, tu sei un ottimo musicista, ma non sarai mai grande se non impari a lasciarti andare. Tu ti trattieni, ti tieni tutto dentro, e questo influenza la tua voce. » il professore diede una pacca leggera sulla cassa dell’arpa. « L’arpa è la tua voce. E tu vuoi che sia repressa, fredda e indulgente? Tu vuoi essere represso, freddo e indulgente? » 

Lan Zhan non seppe cosa e come rispondere, se non chiudendosi in un silenzio imbarazzato e abbassare la testa. 

Non era mai stato sgridato, persino quand’era a casa suo zio non usava mai parole severe nei suoi confronti. Non perché non fosse severo, ma perché non gli aveva mai dato ragione di esserlo. 

« Sai perché ho deciso di farti suonare con Wei WuXian? » ah, quindi sapeva tutto, quindi sapeva che dietro quel “niente” si nascondeva qualcosa di più profondo. 

Lui scosse la testa, diligente, perché gli avevano insegnato a rispondere con educazione anche se non conosceva la risposta. 

« Immagino che tu abbia pensato che sia perché anche lui è cinese. » colto in fallo, Lan Zhan dovette annuire, anche se timidamente. « Beh, non è così. Ci sarai arrivato da solo che ci sono molti altri orientali in istituto che avrebbero fatto al caso tuo. La ragione è che Wei WuXian è senza controllo, mentre tu ne hai fin troppo. Siete entrambi tra i migliori, ma nonostante questo nessuno dei due riesce a lavorare in gruppo. Wei WuXian non ha passato l’esame di musica da camera perché nessuno ha voluto suonare con lui. » 

Lan Zhan sollevò la testa di scatto. Questo non era quello che lui gli aveva detto. Non aveva forse parlato di “fargli un favore” suonando con lui? E non era forse circondato sempre da colleghi, amici, musicisti? Com’era possibile che non avesse trovato un compagno?

Il professore non sapeva decifrare l’espressione muta di Lan Zhan, ma capì di avergli dato qualcosa su cui pensare, quantomeno. 

« Se non impari a lavorare con gli altri non avrai una carriera in questo mondo. » continuò quindi, spietato ma gentile, esattamente come ogni musicista deve essere. « Troverai sempre un Wei WuXian che ti indispettisce con cui sarai costretto a lavorare, troverai sempre un direttore d’orchestra che non ti sopporta, un collega che non studia abbastanza, un concerto per cui prepararsi con poco preavviso. » 

Il ragazzo rimase in silenzio. All’improvviso vedeva l’insistenza di Wei WuXian sotto un’altra luce. Era ancora arrabbiato, e pensava ancora che fosse un idiota nullafacente, ma forse, per la prima volta in quella settimana, aveva un’arma contro di lui. Avevano le stesse carte in mano da giocare adesso. 

« Capisci che cosa voglio dirti? » chiese l’insegnante.

Lan Zhan annuì, di nuovo, ma stavolta con più convinzione. Sì, sì che aveva capito. 

« Puoi andare, su. Abbiamo finito. »

« Saint-Saëns. » disse il ragazzo, mentre sistemava la borsa. « La Fantaisie opera centoventiquattro, per arpa e flauto. Va bene? » 

Jackson non riuscì a nascondere un sorriso a quella domanda. Era evidente che le sue parole avevano colpito il segno. « Sì, va benissimo. Vuoi che la guardiamo insieme? » 

« No, no. Posso farlo da solo. Arrivederci. » con urgenza, Lan Zhan raggiunse la porta. Rivolse un cenno di saluto all’insegnante con il capo e uscì. 

Era una giornata frenetica. Il concerto dell’orchestra fiati sarebbe stato nel fine settimana seguente e gli studenti cercavano di destreggiarsi tra lezioni, prove, e vita reale, che andava lentamente cadendo verso l’oblio. Qualcuno si ricordava come fosse respirare senza avere alla bocca un’ancia? 

Lan Zhan sapeva perfettamente dove trovare Wei WuXian. Percorse i corridoi svelto e solerte, evitando i gruppetti di ragazzi che correvano tra un’aula e l’altra con gli strumenti ancora in braccio.

Salì al terzo piano e si fermò di fronte all’aula di flauto. Rimase in ascolto per qualche secondo, accertandosi di sentire o la voce del ragazzo o quella del suo strumento, e quando fu certo di non sbagliare bussò.

Attese che qualcuno gli urlasse un “avanti!” ed entrò in aula. 

Il gruppetto di flautisti sistemati in semicerchio avevano tutti la stessa espressione: totale disorientamento e disperazione.  

Al centro, Wei WuXian, con il suo flauto e i capelli neri tirati indietro con una fascia. 

Solo a vedere Lan Zhan il sorriso tornò a colorargli il volto. Scattò subito in piedi, quasi facendo cadere a terra il leggio, e si lanciò verso di lui.

« Lan Zhan! Che sorpresa! » 

« Possiamo parlare? » Lan Zhan evitò di soffermarsi sulle occhiatine degli altri strumentisti, e così fece Wei WuXian, che senza pensarci due volte lo prese sottobraccio e lo spinse fuori dall’aula, chiudendosi la porta alle spalle.

Quel contatto, ancora una volta, di nuovo, indesiderato fecero gelare l’arpista, che si sentì immediatamente meglio quando lui lo lasciò andare.

« Okay, di che vuoi parlarmi? » 

« Non voglio suonare con te. » a giudicare dall’espressione delusa di Wei WuXian non era quello che voleva sentirsi dire, ma prima che lui potesse rispondere, Lan Zhan lo zittì con un gesto secco della mano. « Ma ho bisogno di suonare con te. E così anche tu. Non hai superato l’esame, hai mentito. Di nuovo. » 

Wei WuXian si sentì all’improvviso piccolo sotto quello sguardo chiaro e limpido. Non solo perché Lan Zhan aveva scoperto la sua menzogna in così poco tempo, ma anche perché ne aveva approfittato e l’aveva colto alla sprovvista. Non era pronto a doversi difendere, non da lui, non quando per tutta la settimana aveva condotto l’attacco.

Fu rapido però a riprendersi, con una risatina, le mani ai fianchi, l’aria di chi non vedeva l’ora di essere scoperto. 

« Beh, Lan Zhan, non ti si può nascondere niente troppo a lungo. Sei un gran detective. È vero, potrei aver circa mentito sull’esame, e potrei aver circa bisogno di qualcuno con cui farlo. »

Lan Zhan lo guardò a lungo, in un silenzio pensieroso. « Domani mattina. » si costrinse a dire, per quanto non volesse, per quanto desiderasse essere lontano un miglio da quel ragazzo che lo irritava solo nel modo di respirare. « Alle otto. Proveremo per due ore. » 

Wei WuXian non avrebbe potuto dirgli di no neanche se avesse voluto. Era ovvio che quello fosse un ultimatum più che un appuntamento di studio, e che non gli importava se lui aveva le prove dell’orchestra fiati per il concerto o le lezioni, doveva dimostrargli di volere quella collaborazione e di impegnarsi per farla funzionare. L’avrebbe perso se non avesse accettato, e onestamente tutta la situazione era troppo ghiotta per rinunciarci.

« D’accordo, domani mattina allora. »

« Non tardare. » 

Fu l’ultima cosa che disse, già voltandosi sui tacchi per andarsene. Riteneva quella discussione una piccola vittoria. 

Non avrebbe permesso a qualcuno come Wei WuXian di bloccargli la scalata verso il successo. In più...forse il suo insegnante aveva ragione. Essere musicista richiedeva scendere a compromessi, alcuni sopportabili, altri…

« Lan Zhaaaaaan! » 

Altri meno. 

Si volse, Wei WuXian gli corse incontro con il flauto ancora in mano.

« Porto la colazione domani mattina. Ti piace il cappuccino? » 

« No. Caffè, lungo. Senza zucchero. Non tardare. » 

Ci precisò a ribadirlo, nel caso avesse scambiato quell’appuntamento per qualcosa di diverso da quello che era.  

« Sta’ tranquillo! » gli strillò dietro Wei WuXian. Più di una persona si voltò a guardare la scena. 

Solo per l’esame di musica da camera, dopo di che Lan Zhan avrebbe chiuso quel capitolo per sempre. 

Preso un profondo respiro, camminò oltre la soglia dell’imbarazzo, giù per le scale, verso la biblioteca. Lontano da Wei WuXian.


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3 “Légende d'après les Elfes de Leconte de Lisle” è una composizione per arpa scritta da Henriette Renié nel 1904. Sulla prima pagina riporta una sorta di componimento poetico, scritto da Leconte de Lisle, che accompagna una storia alla melodia. Il componimento originale è in francese.

Esistono diversi tipi di orchestra, l’orchestra fiati è, per definizione, composta solo da strumenti a fiato come ottoni (tromba, trombone, corno ecc), legni (flauti, clarinetti, oboi ecco) e percussioni. Gli strumenti ad arco (violino, viola ecc) non sono previsti in questo genere di orchestra. 

 

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Capitolo 3
*** Fantasie for Flute and Harp ***


Per ascoltare il duetto arpa e flauto che suonano insieme Lan Zhan e Wei WuXian: https://www.youtube.com/watch?v=HvP7q-OZ218
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Alle otto meno un quarto Wei WuXian era seduto sul muretto di fronte all’ingresso del conservatorio. Sbadigliava a bocca spalancata e teneva tra le braccia come fosse un tesoro il cartone con i due caffè e il sacchetto dei muffins. Svegliarsi così presto non solo non era nel suo stile ma faceva
male alla sua salute. La testa ciondolava verso il basso, desiderando solo tornare a poggiarsi sul cuscino.

Se solo pensava alla giornata che aveva davanti gli veniva da piangere. 

Prima le prove con Lan Zhan, poi quelle dell’orchestra, la lezione di metodologia dell’insegnamento strumentale, pranzo, e ancora prove, prove, prove. Sarebbe tornato a casa per cena, e già si sentiva stanco.

Però era lì, puntuale come aveva promesso che sarebbe stato, per dimostrare chissà cosa a Mister Perfezione. Ora come ora aveva la mente avvolta dalla nebbia del sonno, non ricordava bene perché aveva cominciato a punzecchiarlo, e se ne pentiva più di tutti i suoi peccati. 

Lan Zhan apparve in fondo al viale d’ingresso come se fosse uscito dalle pieghe del tempo e dello spazio. Alto, snello, ordinato, la camicia perfettamente stirata, i corti capelli color ebano pettinati con cura, gli occhi chiari come due fessure di ghiaccio fissi dinanzi a sé. Sembrava ignorare il bisogno di riposo, il concetto di sonno, come un asceta appena sceso dalla montagna dopo una lunga meditazione era immune ad ogni umana frizolezza.

« Buongiorno. » lo salutò, non cordiale ma semplicemente educato, avvicinandosi a lui.

Wei WuXian si rese conto di essere sciatto e pigro se messo a confronto con Lan Zhan. Se lui fosse stato uno qualsiasi dei suoi colleghi tanto per cominciare non si sarebbero mai visti così presto al mattino, ma di certo avrebbero perso un’ora o più per fare colazione, facendo slittare ulteriormente la produttività dell’incontro. 

Qualcosa diceva al flautista che non un solo minuto sarebbe andato sprecato in quella mattina, e già avvertiva un mugolio di sofferenza nascergli in gola. 

« Caffè? » gli disse, sperando che l’offerta del bicchiere di carta avrebbe potuto ritardare il momento in cui avrebbe dovuto tirare fuori il flauto.

Lan Zhan diede un’occhiata alla porta d’ingresso, ancora chiusa. Nonostante la sua aria severa e sdegnosa non intendeva rinunciare al caffè, anzi, aveva appositamente evitato di fare colazione perché confidava nella promessa di Wei WuXian.

Quindi annuì, prese il bicchiere e gli si sedetta a fianco, abbastanza lontano da non rischiare di toccarlo o essere toccato, abbastanza vicino da apparire ad occhi esterni come due ragazzi che si rilassano insieme. 

Wei WuXian era stato attento e il caffè era lungo, senza zucchero, e forte come l’aveva chiesto lui. Lan Zhan evitò di guardarlo mentre lo sorseggiava, ma era stupito che fosse riuscito a concludere qualcosa di buono. 

Il silenzio tra loro più che imbarazzato era statico. Non c’era niente che valesse la pena dire, almeno dal punto di vista di Lan Zhan, e niente che fosse necessario dire, quindi perché sprecare fiato in parole inutili? 

Wei WuXian racimolò qualche energia dal cappuccino, e dalle quattro bustine di zucchero che aveva sciolto al suo interno, e dopo l’ultimo sorso si sentì già meglio. Era ancora troppo presto per essere pienamente funzionante, ma la scarica di zuccheri nel sangue aiutava non poco. E presto l’avrebbe mandata alle stelle mangiando il muffin al cioccolato. 

« Ne ho preso uno anche per te. » disse porgendo il secondo dolcetto a Lan Zhan. « Ho pensato che alla vaniglia ti sarebbe piaciuto di più, scusa se non ti ho chiesto quale fosse il tuo preferito. » 

Lan Zhan si ritrovò a battere le palpebre, lentamente, sorpreso. Wei WuXian aveva davvero perso del tempo per scegliere un muffin per lui...e aveva persino indovinato sul sapore. 

Evidentemente rimase troppo tempo a fissare il tortino con occhi sbarrati perché Wei WuXian lo guardò aggrottando le sopracciglia, la domanda “tutto okay?” già sulle labbra.

Lui prese il muffin sussurrando un “grazie” per la prima volta profuso di qualcosa. Reale gratitudine, apprezzamento, sollievo. 

I rapporti umani gli causavano da sempre qualche problema, non che non fosse una piacevole compagnia, non che non fosse educato, brillante e sempre pronto a rispondere quando gli si poneva una domanda, ma da quando era in America non aveva stretto amicizia con nessuno. Non avendo bisogno di appunti o di aiuto con gli studi non aveva neanche ritenuto necessario tessere fili leggeri di ragnatela tra sé e i compagni di classe, quel genere di rapporti che durano il tempo necessario per copiare i compiti l’un l’altro e per imparare a salutarsi nei corridoi. E di contro, anche se avrebbe potuto aiutare gli altri, le sue apparenze di gelida giada l’avevano reso inavvicinabile.

Wei WuXian era il primo che gli rivolgeva un gesto di amicizia. Era abbastanza per sentirsi andare in frantumi il cuore.

Lan Zhan mangiò in silenzio, cercando di mandare giù ad ogni boccone anche l’amara sensazione di isolamento che gli pizzicava i nervi. 

« Posso chiederti una cosa? » mormorò Wei WuXian dopo un po’, quando il suo muffin era ormai un ammasso di briciole sul pirottino di carta e lui si era reso conto di non poterne mangiare più di così. Lan Zhan annuì seccamente, lo sguardo fisso sulle foglie verdi dell’albero di fronte a lui. Alto e nodoso doveva essere lì da ancora prima che fosse costruito il conservatorio. « Qual è il tuo altro nome…? Non so bene come funzioni la tradizione cinese, ma so che hai un altro nome. » 

« Sì. » 

Wei WuXian si fece in qualche modo più vicino a quella risposta. Un semplice monosillabo, ma era per lui come uno spiraglio aperto nell’armatura di Lan Zhan. 

« Wei Ying. » disse lui, toccandosi il petto neanche loro due fossero Tarzan e Jane. « I miei zii non sono proprio...il massimo quando si tratta di tradizione, sai vivono in America praticamente da sempre, ma qualcosa la seguiamo ancora. » 

Lan Zhan si agitò sul posto, all’improvviso nervoso. Era per lui come spogliarsi di un abito esterno, un mantello che fino a quel momento lo aveva protetto. E non era ancora completamente sicuro di potersi fidare di Wei...Ying. 

Il portone d’ingresso del conservatorio venne aperto con uno clack. Il bidello rivolse un cenno di saluto nella loro direzione, poi tornò a fare il suo dovere. Da qualche parte, nel campus, risuonarono i rintocchi di una campana: erano le otto. 

« Lan WanJi. » disse, saltando giù dal muretto. Come al solito aveva un modo di camminare rapido, adatto a quelle gambe snelle e lunghe.

Wei WuXian gli andò dietro come un cagnolino, trattenendosi dall’aggiungere ulteriori commenti. 

Sonno e stanchezza erano svanite, era sicuro che quelle due ore in compagnia di Lan Zhan sarebbero state particolarmente piacevoli. 


Lan Zhan era seduto da solo, in un angolo della mensa, come sempre lontano dal fracasso ma, per la prima volta, parte di esso. 

Sovrappensiero accarezzava con il pollice la vescica spuntata sul polpastrello del terzo dito della mano sinistra. A furia di suonarci sopra la pelle altrimenti bianca delle sue dita si era arrossata per l’attrito, e come risultato era indolenzito e sensibile. In più, era spuntata una vescica. 

Non faceva più male delle altre e non era che un fastidio passeggero, ma non poteva fare a meno di accarezzarla mentre con la mano destra sbocconcellava il sandwich. 

Wei WuXian era seduto sul tavolo con i piedi sulla panca ed era il centro di un’animata discussione. Raccontava aneddoti che Lan Zhan non era sicuro di riuscire a capire. 

Da dov’era seduto la sua voce lo raggiungeva a tratti, sommersa da rumore di stoviglie, chiacchiere superflue, schiamazzi di ogni genere. Ma le risate di chi gli stava attorno e pendeva dalle sue labbra le sentiva chiaramente, così come la sua di risata. Cristallina e trillante come il suono del suo flauto. 

Per due intense ore era stato solo suo, chiusi insieme in aula, uniti da una strana, forse irripetibile sintonia. 

Il Wei WuXian che gesticolava e imprecava ad alta voce era lo stesso che era riuscito a produrre quei soffusi, leggeri suoni che avevano reso l’aria brulicante di vita. Il suo entusiasmo, la sua energia, condensati in sessantasette centimetri di argento.

Come faceva ad essere la stessa persona? 

Ad un tratto il flautista sollevò lo sguardo. Lan Zhan si sentì folgorare dalla consapevolezza di essere stato sorpreso a fissarlo.

Wei WuXian gli rivolse un sorriso e lo salutò agitando una mano, come faceva sempre, entusiasta.

Lan Zhan si limitò ad abbassare lo sguardo sulle proprie mani. 

Represso, freddo, indulgente. 

Smise di accarezzare la vescicola, finì di mangiare il sandwich in grossi bocconi irritati, e si alzò. 

Era appena uscito dalla mensa quando il solito, trillante richiamo lo fece voltare.

Lan Zhan, Lan Zhan, Lan Zhan. 

Si fermò perché Wei WuXian lo potesse raggiungere. 

« Verrai al concerto sabato? » prima che Lan Zhan potesse rispondere, Wei WuXian lo sommerse con il fiume delle sue giustificazioni. Tutti validi motivi per cui, secondo lui, avrebbe dovuto esserci. 

Lan Zhan lo zittì con un’occhiata fintamente scocciata. « Avevo già intenzione di venire. » 

« Davvero?! » come un bambino, Wei WuXian batté le mani. Okay, forse si era divertito a suonare con Lan Zhan, forse non era così male come aveva pensato, forse lo stava rivalutando. Forse, però. « Beh, perfetto direi. » in realtà l’aveva rincorso fuori dalla mensa più per disturbarlo che per ottenere un’effettiva conferma, ma era felice di averla ottenuta, in ogni caso. « Vieni un po’ prima, abbiamo un’ora di pausa tra la prova generale e il concerto. Potremmo mangiare qualcosa insieme. » 

« Vedremo. » 

Wei WuXian piegò di lato la testa, un sorriso sbieco sulle labbra, un sopracciglio sollevato e insinuante. « È un sì, per caso? » 

« È un “vedremo”. » 

« Ah, Lan Zhan, l’uomo indecifrabile. Vedremo, dunque! » fece un passo indietro, indeciso, le dita che tamburellavano sulla bretella dello zaino. Non voleva ancora lasciarlo andare, ma non aveva modo di trattenerlo. Poi scosse la testa, come liberandosi da un pensiero molesto. « Sono un po’ impegnato con le prove in questi giorni. Ma da lunedì possiamo ricominciare a vederci per suonare insieme. »

« Alle otto? » chiese, rapido, Lan Zhan, come il fendente di una spada di ghiaccio trasparente.

Wei WuXian sospirò più di quanto fosse consentito, fingendo che quelle parole gli avessero trapassato l’anima. « Mi chiedi di fare uno sforzo enorme. » ancora in attesa di una risposta, Lan Zhan lo fissava con sguardo serio, come se dalle sue successive parole dipendesse l’integrità del loro rapporto di lavoro. 

Wei WuXian emise un tiepido lamento, alzando gli occhi al cielo. « Va bene, va bene. Alle otto. Ma stavolta il caffè lo porti tu. » 

Lan Zhan non rispose, né in negativo né in positivo, ma sentì suo malgrado gli angoli delle labbra sollevarsi in un sorriso. 

Si volse appena in tempo perché Wei WuXian non lo vedesse.

Incredibile come si convinse della cosa, come credette possibile che lui non notasse quel sorriso, per quanto accennato, perché fu più preciso di una freccia nel colpire il cuore di Wei WuXian. 

 

*

 

Wei WuXian riusciva a malapena a respirare.

C’erano poche cose che odiava al mondo come il doversi vestire in giacca e cravatta per i concerti. Aveva come l’impressione di non prendere abbastanza aria, come se i polmoni non si riempissero fino in fondo. Non che fosse in ansia per il concerto, anzi, l’adrenalina e il batticuore che ne derivavano erano lontanissimi dalla paura. 

Era solo il dover stare vestito come un pinguino per tutta la sera il problema.

Da dietro le quinte sbirciò la sala illuminata con luci gialle che spandevano tutto intorno un calore soffuso. Il velluto rosso delle poltrone, delle tende, del sipario sembravano accendere il teatro con fiamme immobili, i piedi sul parquet facevano rumore a malapena.

I teatri e le chiese erano forse tra i luoghi più silenziosi del pianeta, a prescindere da quante persone fossero presenti.

Dal momento che mancava ancora un po’ all’inizio del concerto c’era un certo via vai agitato eppure quieto. I tecnici delle luci, in alto alla loro console, provavano e riprovavano i faretti puntati sul palco, qualche musicista sistemava con ansia gli spartiti sul leggio con mollette o graffette in modo che non si spostassero, da dietro le quinte proveniva il classico, nasale suono di corni e oboi che provavano ancora qualche nota, quelle di cui erano meno sicuri.

Dal fondo della sala arrivò un richiamo sottile e Wei WuXian sollevò lo sguardo in quella direzione.

Un sorriso dolce nacque spontaneo sulle sua labbra.

Jiang Cheng e Jiang YanLi erano arrivati. Se il fratello appariva scocciato e insofferente, la sorella invece era un fiore fresco di ciliegio, sorridente e leggera nell’abitino rosa chiaro che aveva scelto per la serata. 

Wei WuXian si sbracciò per salutarli cosa che fece rotolare verso l’alto gli occhi scuri di Jiang Cheng. 

Il flautista saltò giù dal palco, frettolosamente, spettinandosi tutto, la camicia volò fuori dai pantaloni ma non sembrò farci attenzione.

Quasi si gettò tra le braccia della sorella.

« Aaaaah, siete venuti! » trillò, sottovoce, per non disturbare il silenzio religioso del teatro.

« Certo che siamo venuti, rompi con questo concerto da un mese. » brontolò Jiang Cheng. Se Wei WuXian odiava vestire elegante, lui non era da meno, ma la sua insofferenza era in qualche modo più difficile da sopportare. Anche se in realtà Wei WuXian la trovava confortante: almeno non era l’unico a odiare le cravatte. 

« A-Xian...ma come sei conciato. » ridacchiò Jiang Yanli. Subito andò a sistemargli la camicia e abbottonare in modo corretto la giacca. Quando si era vestito, Wei WuXian aveva saltato un bottone senza neanche accorgersene. 

« Gli zii verranno? » chiese, adesso più nervoso, Wei WuXian.

Fratello e sorella si scambiarono un’occhiata leggera, percettibile solo agli occhi più attenti.

Sebbene Wei WuXian fosse cresciuto considerando di due ragazzi come veri fratelli, non c’erano legami di sangue tra loro: che lui lo volesse o no era solo un trovatello preso dalla strada come un cane randagio, e il fatto che si fosse abituato a chiamare i genitori di Jiang Cheng e Jiang YanLi “zia” e “zio” e non “mamma” e “papà” ne era una prova.

Questo non gli impediva, però, di parlare dei due ragazzi come dei suoi fratelli.

Nonostante Jiang FengMian non gli facesse mancare affetto, dedizione, incoraggiamento, per lui e la moglie Wei WuXian rimaneva un gradino sotto i figli legittimi.

Jiang FengMian aveva cura che lui seguisse le sue passioni, che studiasse e si realizzasse, e per questo non aveva esitato un attimo a fargli intraprendere gli studi musicali, ma talvolta l’infastidita consorte metteva becco nelle sue decisioni, il che portava a situazioni come quella: Wei WuXian vestito di tutto punto per un concerto, pronto a dimostrare di valere la pena, la spesa e le sofferenze, i fratelli lì a sostenerlo, e gli zii assenti.

Il sorriso però non morì sulle labbra del flautista, anzi, se possibile divenne ancora più luminoso. 

« Meno male. » sospirò, fingendo di tergersi il sudore dalla fronte. « La prova generale è andata uno schifo. Se suoniamo come abbiamo suonato alle prove sarà un concerto orribile, meglio che gli zii non sentano, sennò mi spaccherebbero il flauto. »

Negli occhi dei fratelli passò un leggero velo di compassione, subito sciolto nel dissenso di Jiang Cheng e nella dolcezza di Jiang YanLi. Erano diversi come il giorno e la notte, e Wei WuXian amava entrambi allo stesso modo. 

Dopo aver strizzato Jiang YanLi in un rapido abbraccio, che gli costò un’occhiataccia dal fratello, Wei WuXian si congedò e tornò dietro le quinte, dove tutti si aspettavano di trovarlo. 

La tensione nell’aria, come piccoli, pungenti aghi, rendeva difficile focalizzarsi su qualcosa che non fosse la musica. 

Chi poteva aveva lo strumento in mano e di tanto in tanto, come preso da un’illuminazione, tastava a vuoto le chiavette provando questo o quel passaggio.

Wei WuXian, però, aveva ben altro in mente. Anche se l’assenza degli zii aveva aggiunto una punta di amarezza alle sue aspettative, non era quello che lo preoccupava maggiormente.

Dov’era Lan Zhan? 

Con un broncio infastidito uscì dal teatro sfruttando l’uscita posteriore dedicata agli artisti. Un gruppetto di ragazzi fumavano una sigaretta per scaricare la tensione, chiacchierando ovviamente di musica. Era difficile, con quell’aria densa e pesante di polvere antica, riuscire a trovare altri argomenti di conversazione che non fossero incentrati sul concerto. 

I musicisti sapevano essere parecchio noiosi, specialmente quand’erano in procinto di esibirsi. 

Wei WuXian ficcò le mani nelle tasche della giacca. Non poteva allontanarsi troppo, non aveva davvero un posto dove andare, ma non voleva neanche stare lì.

Un mugolio di frustrazione infantile gli sfuggì dalle labbra altrimenti sigillate e si ritrovò a battere un piede a terra. 

Al diavolo, aveva ancora un po’ di tempo prima del concerto, e anche se Lan Zhan non era venuto poteva comunque andare a mangiare qualcosa per conto suo. 

Prima che potesse anche solo attraversare la strada venne colpito da un abbagliante apparizione.

Lan Zhan era sempre elegante e compito nel vestire, Wei WuXian non l’aveva mai visto indossare jeans o felpe o qualcosa di diverso da una camicia. Ma vestito di tutto punto per il concerto sembrava una divinità che per qualche ragione aveva trovato interessante scendere sulla Terra.

Indossava un completo azzurro chiaro con cravatta abbinata, una camicia bianca stirata alla perfezione e mocassini color cammello. Non si era accorto di Wei WuXian che spiava il suo incedere a lunghe falcate con gli occhi sbarrati. 

Nonostante quello sguardo nocciola sicuro e stabile aveva un’aria leggermente smarrita, come se non fosse certo di essere nel posto giusto, di stare facendo la cosa giusta, di essere lui giusto. Wei WuXian lo vide controllare l’ora sull’orologio da polso e indugiare di fronte all’ingresso del teatro.

Lui controllò l’orario sul proprio telefono e non poté evitare di scoppiare a ridere: un’ora prima del concerto, perfettamente puntuale, come gli aveva detto.

Impossibile resistere alla tentazione di prenderlo alla sprovvista. Wei WuXian lo aggirò su un lato, nascondendosi dietro un muretto, e gli sgattaiolò alle spalle. Non appena gli fu abbastanza vicino gli si gettò al collo da dietro, aggrappandosi con le gambe sollevate e urlando un acutissimo:

« Lan Zhan sei qui! » 

Il ragazzo per poco non perse l’equilibrio mentre il cuore gli esplodeva in petto per la paura. Fu solo per pura forza di volontà che riuscì a tenersi dritto e non cedere sotto il suo peso.

Pentimento e orrore si accesero negli occhi chiari di Lan Zhan mentre cercava di scrollarsi di dosso quel koala umano di Wei WuXian. 

Il sorriso felino sulle sue labbra, sornione e panciuto, diceva più di quanto avrebbe potuto a parole. 

« Stavo cominciando a pensare che non saresti venuto. » cinguettò Wei WuXian, sempre aggrappato a lui, sempre molesto, sempre appiccicoso come una gomma da masticare. Lan Zhan non aveva il coraggio di allontanarlo, rimanendo semplicemente rigido come un pezzo di legno tra le sue braccia. « Non ci saranno neanche i miei zii stasera, non sai quanto ero triste prima di vederti. » 

« Puoi...lasciarmi? » sibilò Lan Zhan, già sul punto di perdere la pazienza. 

Wei WuXian si scusò, con tono falso, e sciolse l’abbraccio. Strano trovarsi a pensare che gli era piaciuto, e che aveva provato reale conforto in quel contatto. 

« Sarei morto di fame. » continuò Wei WuXian. « Perché mi avevi promesso che avremmo mangiato insieme e non ho portato con me neanche un pacchetto di crackers. Capisci? Avrei suonato digiuno! Riesci a immaginarlo?! »

Come se fosse una cosa grave e irrimediabile. 

Lan Zhan emise un sospiro esasperato. « Non ti ho promesso niente. » 

« Sei un uomo che si rimangia la parola data? » l’espressione triste, il labbro inferiore sporto all’infuori: quel Wei WuXian era ancora diverso da quello che irretiva i compagni con le sue storie, e quello che era in grado di produrre suoni sublimi con il flauto alle labbra. 

« No. Semplicemente non ti ho promesso niente. » ripeté Lan Zhan, anche se era del tutto inutile. 

Wei WuXian lo prese a braccetto. « Mi offrirai la cena. Mangeremo pizza. » 

Lan Zhan non poté dire niente né opporsi perché il ragazzo lo trascinò con sé. 

Dall’altro lato della strada c’era una piccola rosticceria che serviva pizza al taglio, con un paio di tavolini per sedersi a mangiare. Non troppo lontano dal teatro, non troppo pretenzioso, e il profumo era ottimo.

Wei WuXian ordinò per sé e per lui, indovinando per sesto senso, evidentemente, cosa volesse mangiare.

Alla fine, come sotto un incantesimo, Lan Zhan tirò fuori dieci dollari e pagò per entrambi. 

Prima di poter dire una sola parola si ritrovò seduto al tavolino traballante, con un trancio di pizza margherita fumante tra le mani, un bicchiere di carta pieno di Sprite e Wei WuXian di fronte a lui. 

L’abito elegante non lo rendeva più credibile, anzi, il completo sembrava cadergli largo sulle spalle, come fosse di seconda mano, e la camicia non era propriamente stirata

Mentre lo guardava mangiare il suo trancio di pizza al salame piccante, Lan Zhan realizzò che era la prima volta che passava del tempo con qualcuno all’infuori del conservatorio. 

Quietamente cominciò a mangiare anche lui, un piccolo morso alla volta per non rischiare di sporcarsi, o di far sparire quella sensazione di calore in fondo allo stomaco. 

« Perché i tuoi zii non verranno? » riuscì a chiedere Lan Zhan dopo un po’.

Wei WuXian stava aggredendo le patatine al chili e sembrò sobbalzare alla domanda come se l’avesse punto con un ago incandescente. 

« Non era poi così importante. » si strinse nelle spalle, gli occhi fissi sulla crosta della pizza che aveva avanzato e che all’improvviso non sembrava più così affascinante. « Ci sono i miei fratelli, e tu, quindi va bene. » 

« E i tuoi genitori? » 

Wei WuXian scosse la testa con un mezzo sorriso. « Zio Jiang mi ha preso con sé quando mia madre è morta. Ricordo qualcosa di lei ma di mio padre nulla. Erano amici, intendo lo zio e mia madre, per questo si è sentito obbligato ad adottarmi. La zia non l’ha...presa molto bene. Ma è una storia noiosa, dai, non parliamone. » 

Lan Zhan annuì soltanto, in silenzio. 

Ad ogni battito di ciglia l’idea che si era fatto di Wei WuXian cambiava, manipolata dalle sue parole.

« E tu, invece? » Wei WuXian si leccò anche le dita dalla polvere di chili. Doveva essere piccante perché le labbra erano diventate rosso intenso. « Ti mancano i tuoi genitori? Saranno fieri di te. » 

« Mio zio lo è. » rispose Lan Zhan, sottovoce quasi. Non c’era niente da mettere in ordine, eppure si mise a raddrizzare la cannuccia nel bicchiere, a ripiegare i tovaglioli puliti e accantonare quelli sporchi, intenzionato ad allontanare il più possibile la necessità di parlare. 

« È stato lui a crescere me e mio fratello. Mio padre è sempre via per lavoro. Mia madre… » 

« Hai un fratello, Lan Zhan? » Wei WuXian lo guardò con occhi comprensivi. Non c’è bisogno, dicevano quegli occhi, Non devi raccontarmi di questo dolore. 

« Xichen. » era un sorriso quello che minacciava di sollevare le labbra di Lan Zhan? Wei WuXian fece finta di non vederlo. « Lui mi manca più di tutti. » 

Quando Lan Zhan si accorse dello sguardo liquido di Wei WuXian scivolare su di lui, puro e irriverente come acqua di fonte, si schiarì la gola come per ricomporsi e si passò una mano tra i capelli. In quel momento gli tornò in mente, abbagliante, la Source di Hasselmans. È così che dovrebbe essere una fonte d’acqua. « È tardi, dovremmo andare. » 

« Già, che peccato. » Wei WuXian si alzò, le braccia gettate in aria per stiracchiarsi. Perché non riusciva a scollare gli occhi da Lan Zhan? Era troppo brillante, come guardare il sole, faceva male, ma desiderava quel dolore. « Grazie per avermi fatto compagnia. E beh, per avermi offerto la pizza. » 

Lan Zhan avrebbe potuto dirgli che, tecnicamente, l’aveva costretto ad offrirgliela, però si limitò a muovere il capo in cenno d’assenso. 

Camminarono insieme, vicini, fino all’ingresso posteriore del teatro. Gli altri ragazzi dovevano essere già dentro.

Wei WuXian sentì il corpo formicolare per l’adrenalina, il cuore balzargli in gola. Si volse verso Lan Zhan e gli afferrò una mano, stringendola tra le sue calde per l’emozione. 

« Lan Zhan! Augurami buona fortuna! » 

« Buona fortu… » 

Lan Zhan non riuscì a terminare la frase. Lo slancio, insopportabile, insopprimibile, spinse la molla di Wei WuXian verso di lui, verso le sue labbra. Il bacio si depositò, però, sull’angolo, rovente come un marchio d’acciaio eppure appena accennato. 

« Grazie. A...a più tardi. » Wei WuXian non lo guardò, imbarazzato corse dentro il teatro a testa bassa, rosso in volto e gelido nelle vene. 

Stavolta fu Lan Zhan a fissare immobile la schiena di Wei WuXian, due dita poggiate sull’angolo delle labbra, lì dove lui aveva lasciato l’obolo alla sua solitudine. 

 

*

 

Lunedì mattina, alle otto meno un quarto, il vapore caldo che usciva dai bicchieri di carta di Starbucks si condensava in piccole nuvolette.

Lan Zhan teneva il suo tra le mani per scaldarle. 

Il sole era di certo sorto quella mattina, ma era difficile dirlo per via della coltre di nuvole scure che si era appropriata del cielo. 

Wei WuXian si trascinò fino a lui con gli occhi semichiusi, mugolando un incomprensibile “buongiorno” e facendo subito cadere la testa sulla spalla di Lan Zhan. 

Con gentilezza, Lan Zhan prese il bicchiere e lo pose tra le mani a coppa di Wei WuXian che rispose con un lamento grato prima di portarselo alle labbra per bere.

Cappuccino, con una spolverata di cacao sopra e mai troppo zucchero dentro.

Ad ogni sorso Wei WuXian si sentiva più sveglio. 

Non ricordava neanche quand’era stata l’ultima volta che qualcuno l’aveva costretto ad alzarsi così presto al mattino. Forse quando andava a scuola, un ricordo che la vita accademica aveva lentamente rimosso dalla sua memoria. 

Finito il cappuccino Lan Zhan gli mise tra le mani il muffin al cioccolato che lui, senza ancora aprire gli occhi, cominciò a mangiucchiare.

L’aria fredda di quella mattina lo costrinse ad avvicinarsi di più a lui. Le loro gambe si toccarono e Lan Zhan non si ritrasse. 

Fecero colazione in silenzio, ascoltando i rombi lontani dei tuoni, come una minaccia sulle loro teste. Probabilmente di lì a poco sarebbe scoppiato un brutto temporale. 

Il bidello aprì il portone alle otto in punto, salutandoli com’era suo solito. Lan Zhan ricambiò il saluto, ma non si azzardò a muoversi: Wei WuXian pesava sulla sua spalla come un grosso gatto pigro. Il suo calore era confortante, e nascose persino a se stesso il piacere di quel contatto.

Finito il muffin il flautista sembrò tornare in sé. Finalmente fu in grado di aprire gli occhi e mettere a fuoco il mondo intorno a lui. Jiang Cheng chiamava “modalità zombie” quella sua capacità di fare le cose nello stato di torpore che lo avvolgeva nelle prime ore del mattino. Era persino in grado di conversare se lo si costringeva a farlo, certo si trattava di parlare con qualcuno con il quoziente intellettivo e le facoltà di un bambino di cinque anni, ma era comunque un’abilità lodevole. 

« È già ora di andare, vero? » si lamentò, strusciandosi appena contro la spalla di Lan Zhan. Un gatto, e proprio come un gatto Lan Zhan provava l’irrefrenabile desiderio di accarezzargli la testa.  

« Sì. » rispose lui, invece, secco. Si alzò di scatto rischiando di far cadere il povero Wei WuXian, senza aggiungere altro se non un’occhiata spazientita.

« Va bene, va bene. » mormorò il flautista. Si esibì in un enorme sbadiglio, portò le braccia verso l’alto per stiracchiarsi e finalmente riuscì ad alzarsi, più sveglio e cosciente.  

Trotterellò dietro Lan Zhan dentro l’istituto, su per le rampe di scale, verso l’aula di arpa, senza riuscire a staccare gli occhi dalla sua austera figura. 

Il baluginio del bacio era ai suoi occhi come il riflesso di un oggetto lucente, lo torturava e incuriosiva insieme.

Dopo il concerto non si erano visti, perché Wei WuXian aveva dovuto intrattenere finte conversazioni con colleghi e professori, e poi era andato via con i fratelli. Per quanto si fosse allungato sollevandosi sulla punta dei piedi non era riuscito a scorgere Lan Zhan tra la folla.

Forse l’aveva offeso, o sconvolto, e comportarsi come se nulla fosse gli era sembrata la strategia migliore. In più, poteva sempre improvvisare una scusa. Quel bacio poteva essergli scappato nella foga di salutarlo.

E poi, soprattutto, se non ne avesse parlato non gli avrebbe dato importanza, e se non gli dava importanza non era importante

In ogni caso Wei WuXian non aveva intenzione di parlarne e non ne avrebbe parlato. Per fortuna Lan Zhan non era un tipo logorroico e il silenzio tra loro più che essere imbarazzato era stranamente normale.

L’aula di arpa aveva ancora le imposte chiuse. Lan Zhan si occupò di aprire la finestra e far entrare la plumbea luce del giorno mentre Wei WuXian montava il flauto, un lento pezzo alla volta. 

Con la coda dell’occhio, però, seguiva i movimenti di Lan Zhan. 

Ebbe cura nel togliere la cappa all’arpa come fosse un rituale, le sue dita scivolarono lungo la colonna scolpita per un attimo prima che realizzasse, forse, di essersi distratto. Spostò lo strumento al centro della stanza, sistemò lo sgabello, sedette con grazia. 

Ogni gesto era un equilibrio tra rispetto e amore. 

Wei WuXian si perse nell’ammirare le mani che percorrevano la cordiera pizzicando le corde una ad una, come le carezze di un tenero amante. 

Bruscamente scosse la testa, sentendo il cuore partire al galoppo e le dita irrigidirsi intorno al flauto. 

Cercò di concentrarsi mentre lo montava ma non riusciva a vedere altro se non l’attenta cura di Lan Zhan nel suonare il suo strumento, la dedizione, la passione, l’amore infinito. 

« Da quanto...da quanto tempo suoni? » una domanda come un’altra per scacciare l’imbarazzo.

Wei WuXian, imbarazzato. E dire che suo fratello lo rimproverava spesso per essere uno svergognato senza pudore. Il ghiaccio secco nello sguardo di Lan Zhan lo faceva sentire più nudo di quanto pensasse. 

« Dodici anni. » rispose lui, quasi sognante, le dita ancora tra le corde. Forse si rese conto del tono languido che aveva usato come se avesse parlato di una lunga relazione, l’unione tra due anime gemelle. Wei WuXian si sentì all’improvviso assurdamente geloso di quel pezzo di legno e metallo. 

« Wow, un sacco di tempo. » commentò, forse più infastidito di quanto avrebbe dovuto.

« Tutta la vita. » 

Wei WuXian tamburellò con le dita sulle chiavette del flauto, cercando con tutte le forze di non guardare Lan Zhan, di non lasciare che il chiarore d’alba del suo sguardo gli entrasse dentro. 

« Credo che mio padre suonasse il flauto. Dico credo, perché non ho molti ricordi di lui. » non sapeva neanche perché stava dicendo quelle cose, ma all’improvviso la lingua si era mossa e...non aveva potuto impedire alle labbra di schiudersi. « Il suono mi è sempre sembrato familiare, rassicurante. » poi scrollò le spalle e la testa, sentendosi enormemente stupido. « Scusa, è una stupidaggine. » 

« No, non lo è. » 

Wei WuXian si ritrovò a sollevare la testa di scatto a sentire quelle parole e un sorriso nacque automatico sulle labbra. 

« Quindi Lan Zhan ha un cuore, dopo tutto. » lo canzonò. Era impossibile non menare un fendente verso la sua serietà quando apriva così tanto le difese. 

L’arpista sbuffò dal naso e, alzati gli occhi al cielo, prese a sistemare gli spartiti sul leggio come se Wei WuXian neanche esistesse. 

« Cominciamo. » disse solo, irritato a tal punto che le note sullo spartito sfarfallavano di rosso. 

Wei WuXian finì con calma di montare il flauto e poi si affiancò all’arpa, la spalla che sfiorava quella di Lan Zhan.

« C’è un passaggio che mi ha fatto venire un dubbio. » tanto vicino, lui profumava sempre di legno di sandalo, un odore così orientale ed esotico che lo faceva impazzire. « Qui quando cambia tempo e passa in due mezzi potremmo…potremmo… » 

Perché Lan Zhan lo guardava in quel modo? 

E perché la tentazione di riempire lo spazio tra le loro labbra si era trasformata in una fame insaziabile, un prurito insostenibile? 

Fallo, fallo, fallo.

Fallofallofallofallofallofallofallofallo. 

Wei WuXian trattenne il respiro e si spinse verso Lan Zhan, gli occhi socchiusi come per sopportare l’onda d’urto di un’esplosione. 

Le labbra di Lan Zhan erano fredde eppure morbide, come neve raccolta da tenere foglie. Il suo respiro sapeva ancora di caffè. Wei WuXian sentì nelle orecchie un fischio, le vertigini quasi gli fecero perdere l’equilibrio. A impedirgli di cadere c’era, però, il braccio di Lan Zhan, improvvisamente avvolto intorno alla sua vita. 

Qualsiasi pensiero sensato venne avvolto dal ghiaccio rovente dell’abbraccio di Lan Zhan, bruciato ed estinto come la tiepida fiamma di una candela. 

Wei WuXian emise un versetto eccitato e sorpreso insieme quando Lan Zhan lo morse sul collo. Aveva appena schiuso le labbra per canzonarlo, dirgli che non avrebbe mai immaginato che dietro quelle apparenze da frigido si nascondesse una tale passione, ma lui riempì lo spazio riservato alle parole con la lingua, che scivolò nella sua bocca impedendogli di emettere un fiato. 

Percorso da una scarica di adrenalina simile ad una pioggia di spilli, Wei WuXian si artigliò alle sue spalle con una mano sola, consapevole del fatto di avere ancora il flauto nell’altra. 

Giocò con la lingua di Lan Zhan, caricando tutto il peso del corpo su di lui, trovandosi cavalcioni sullo sgabello dell’arpa senza sapere come ci fosse arrivato. 

Sempre più caldo, sempre più freddo, tremava senza requie, sperando che Lan Zhan fosse delicato abbastanza da non mandarlo in frantumi. 

« Posalo. » mormorò Lan Zhan, separandosi da lui solo per un istante prima di tornare a baciarlo.

Di cosa parlava? Perché? Wei WuXian gorgogliò un verso capriccioso, lasciando che le labbra di lui bruciassero le proprie, prima mordendolo poi leccandolo per guarire la ferita. 

Il flauto, posa il flauto. 

Giunta la realizzazione fu a malincuore che sollevò la mano stretta ad artiglio intorno al corpo del flauto. Mandò una risatina imbarazzata e schizzò in piedi. 

Poggiò il flauto sulla custodia e tornò a fiondarsi tra le braccia di Lan Zhan. Era un rifugio sicuro e non poteva più rinunciarci. 

« Ci scopriranno. » disse dopo un po’ Wei WuXian, la testa così leggera da sembrare piena d’elio. Non riusciva a smettere di baciarlo, il suo viso, le sue labbra, le sue dita, quelle meravigliose grandi, forti mani. 

Vorrei che mi suonasse come suona la sua arpa. 

« Ho chiuso la porta a chiave. » fu la candida, forse divertita, risposta di Lan Zhan. Difficile dirlo quando la sua espressione rimaneva stolidamente scolpita nel ghiaccio. Solo sui lobi delle orecchie e sul collo un diffuso rossore manifestava il suo imbarazzo. 

« Quando…? » 

« Ti interessa davvero? » 

Wei WuXian sorrise. Aveva capito che lasciare scivolare la lingua tra le labbra di Lan Zhan gli provocava una scossa elettrica dal collo fino all’inguine, che sentiva tirare e pulsare dolorosamente. Più lo baciava più sentiva quell’elettricità far frizzare i nervi, tutti, tesi come corde, mentre le mani di Lan Zhan gli accarezzavano la schiena. 

Avrebbe emesso qualsiasi suono per lui, rispondendo al suo tocco. Era sicuro, la sicurezza di chi ha perso coscienza di sé, che Lan Zhan avrebbe saputo toccare le corde dentro di lui, arrivando fino al cuore.

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The Corner 

In teoria questa doveva essere una oneshot ma alla fine ho scritto...26 pagine, quindi su consiglio della mia Musa l'ho divisa in tre capitolini. 
Spero di non aver deluso nessuno con questo finale, ma sentivo che doveva concludersi così! 
Questo esperimento mi è servito per cominciare a muovere i primi passi in questo fandom, sicuramente scriverò ancora.

Chii

 

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