Of hot chocolate and red sweaters

di ImDoinMe_Mir
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prima Parte ***
Capitolo 2: *** Seconda Parte ***



Capitolo 1
*** Prima Parte ***


Dedica
 

Penso di poter dedicare questa storia ad una sola persona, e lui sa chi è.

Solo... grazie.
Grazie di aver sopportato le mie migliaia di versioni, grazie di avermi fatto venire mal di testa assurdi
per quante volte mi hai tormentato affinché continuassi a scrivere,
grazie perché nove mesi fa ti inviai le primissime righe di tutto questo e da allora mi hai sostenuta come nessun altro.

Grazie per fare il tifo per me.

A tutti voi chiedo soltanto di commentare, di esprimere ciò che pensate
e magari di lasciarmi scritto se vi ho trasmesso qualcosa, e quale messaggio è passato.
Questa è la mia prima Larry, quindi non saprei cosa aspettarmi.

Grazie a tutti e buona lettura.

 




 

 


 

Of Hot Chocolate and Red Sweaters - Prima Parte

«Va tutto bene, amore. Stiamo migliorando. Possiamo farcela.»
 
Of hot chocolate cups and red sweaters

 
 

"Sei bellissimo, zio Haz!" ripete la bambina dall'altro lato dello schermo, per quella che Harry crede sia la quindicesima volta. Ancora una volta, ride di gusto, mostrando le fossette e scuotendo piano la testa, come se la piccola Ginny gli avesse raccontato l'ennesima delle sue assurde barzellette. Quella reazione non la deve divertire molto, però, dato che sbuffa portando gli occhi al cielo e gonfiando le guance morbide e rosee. Non fa altro che ripetergli "Quanto sei bello, zio Haz!" da quando l'ha chiamato un'oretta prima e l'ha visto con i capelli liberi da qualsiasi tipo di cosmetico.

Harry la guarda, estasiato, per qualche minuto. La guarda mentre si accomoda su una poltrona che lui, per le poche volte su cui ci è stato seduto, reputa davvero scomoda, e la guarda esitare e mordersi un labbro.

"Tutto bene, babycakes?" le chiede, piegandosi per raccogliere una camicia maculata, tipica del suo abbigliamento eccentrico, che probabilmente gli è sfuggita quando, poco prima, ha tentato di coordinare la mano che reggeva il cellulare con quella che portava una quantità disumana di indumenti. La piega con precisione millimetrica, come suo solito, e la ripone sul letto. Non sa ancora se vuole portarla con sé, insomma, è pur sempre dicembre e Holmes Chapel non è di certo Los Angeles.

La forza di quel pensiero lo colpisce con la stessa esatta intensità della sera prima. Sospira, strofinandosi una mano su un ginocchio e imponendosi di non lasciarsi andare ai propri pensieri, quindi dedica la sua totale attenzione a Ginny.  "Devo dirti una cosa, zio Haz" confessa la piccola guardandosi le gambe fasciate da un leggins porpora. A Harry mancano subito quei due pozzi verde scuro che sono gli occhi ingenui e perennemente entusiasti della bambina.

"Dimmi, tesoro" la sprona dolce quando vede che non si decide a parlare. Passano ancora dei minuti ed Harry, preoccupato, domanda: "E' tutto okay, vero? Non è mica successo qualcosa di male?" le punta gli occhi addosso.

La piccola scuote la testa, negando, e con voce sottile chiede: "Non mi guardare mentre lo dico, okay? Fa' il tuo borsone" e okay, Harry inizia a preoccuparsi seriamente. La solita Ginny lo direbbe come scherzo, con tono autoritario, poi avrebbe riso un po' e avrebbe sputato il rospo. Non necessitano di tutti questi misteri, loro due. Perché questa è Ginny, la nipote di Harry che a soli sette anni è uno dei fuochi della sua orbita, e questa cosa è assolutamente incredibile. Ginny è l'unica figlia di Cassandra, cugina di Harry. Marshan, infatti, la madre di Cass, è la sorella di Anne. Ginny è un sole, un uragano, linfa vitale nell'esistenza di tutta la sua famiglia che, sette anni prima, l'aveva vista come una luce capace di calmare le acque burrascose che al tempo scorrevano tra Cassandra e l'attuale ex marito.

"Ginny? Dio, tesoro, non farmi preoccupare" le raccomanda Harry, serio, "sta bene la mamma? E Andrew?". Andrew è un simpatico ragazzo newyorkese con il quale Cassy si era sposata due anni dopo la nascita della figlia.

"Zio Haz" mormora quindi Ginny. Sembra sul punto di scoppiare a piangere. Harry interrompe subito il trafficare di maglioni per guardarla, notando i suoi occhi quasi impauriti già puntati su di lui dall'altra parte dello schermo. C'è qualcosa, nella voce della bambina, che gli toglie il fiato e quindi non riesce neanche a dire "Sì?" per farla continuare. Ma fortunatamente lei prosegue lo stesso. "Sono molto felice che passi il Natale con noi, zio Haz. Anche zia Gemma lo è. E la mamma" lo sussurra, ma è come se lo avesse urlato.

Harry si concede solo cinque secondi per chiudere gli occhi e sentire fino in fondo il dolore che quella pugnalata, seppur inferta inconsapevolmente, gli ha provocato. Poi si accovaccia davanti al cellulare e sorride, con tanto di fossette, e mentirebbe se dicesse che sta fingendo. Perché quando Ginny Smith ti sorride è impossibile non ricambiare. "Anch'io lo sono" le assicura piano, quasi per non sentire la sua stessa voce.

E no, non è una bugia, ma non è neanche una piena verità. Perché, dannazione, da anni a questa parte la vigilia di Natale ha acquisito un significato totalmente diverso, per Harry. La vigilia di Natale non è più solamente un momento da passare in famiglia, ma anche con un'altra persona. Un momento per baci caldi mentre fuori nevica, per abbracci morbidi tra le lenzuola e regali scambiati in silenzio quando il mondo fuori corrompe i timpani con il suo chiasso impossibile. Per questo si impedisce di pensarci e sorride, ancora, alla bambina ora allegra che gli sta davanti virtualmente. "Scusami, zio Haz," inizia, mordendosi un sorriso "ma ora ho lezione di ballo. La mamma mi comprerà una cioccolata calda al ritorno" ed è così bello ridere con lei, lei che non sente la necessità di riferire a nessuno ciò che Harry le confida, lei che non venderebbe mai quel sorriso tutto fossette al primo paparazzo che incontra. Ed Harry è così grato di averla nella sua vita. "Ah, zio Haz!" ricorda improvvisamente prima di attaccare la chiamata "ricorda di portare calzini pesanti per andare a pattinare!" e, detto ciò, attacca, con un sorriso enorme ad occupare tutto il suo volto infantile.

Per qualche secondo, o forse per un minuto intero, Harry guarda lo schermo spento del cellulare sorridendo. Poi lo prende e, mentre fa per appoggiarlo sul comodino disordinato della sua camera da letto, spalanca gli occhi, preda di un'improvvisa realizzazione.

Ginny ha attaccato. Ora è solo. Deve fare le valigie.

Prende un grosso respiro per calmare quell'improvvisa sensazione di insofferenza che sta prendendo potere nel suo stomaco. È da circa un anno che, quando ha da preparare le valigie, telefona qualcuno. Ha sempre rifilato a se stesso e agli altri la scusa di trovarlo comodo come maniera di ottimizzare il tempo, ma in fondo conosce la vera ragione di quell'abitudine.

Parlando con qualcuno, una persona qualsiasi, di un argomento qualsiasi, è facile trascurare il fatto di star preparando valigie per partire, ancora e ancora. Ha iniziato quando era a metà del tour e non ha più smesso, e lui in fondo lo sa il perché. Lo sa.

Sono esattamente le cinque e diciassette di una giornata qualunque quando, nel suo stupendo attico a Los Angeles, Harry Styles si permette dopo mesi di abbandonarsi a un ricordo.




 

'Harry si inginocchiò davanti al borsone aperto e vuoto, malinconico. Era così triste dover preparare le valigie senza nessuno con cui parlare... senza lui con cui parlare. Ma in fondo avevano litigato - di nuovo - ed Harry era decisamente troppo stanco per continuare a urlarsi contro. Mentre iniziava a piegare la maglietta, però, rifletté, rendendosi conto che per Louis avrebbe urlato anche a vita, ma non era giusto.

La loro paura di venire allo scoperto, non era giusta.

Quelli del management che vietavano loro di sedersi vicino e imponevano regole rigide e impossibili da rispettare, non erano giusti. Quella storia d'amore fatta di baci di nascosto e ricordi rubati dietro le porte, non era giusta. Louis che piangeva di nascosto tutte le sere e Harry che doveva trattenersi dall'urlare, non era giusto. Eppure il loro amore era la cosa più autentica e giusta che Harry avesse provato in ventuno anni di vita.

Stavano per partire, di nuovo. A causa del tour, da una città all'altra. E Harry non sarebbe salito sull'aereo con Louis, di nuovo, perché "Staranno come ossessi con le telecamere, ragazzi, vi registrerebbero. La situazione non farebbe che peggiorare, come potete non capirlo?".

Ed Harry non voleva smettere, davvero. Era bellissimo. Era bellissimo anche in quattro. Il tour, i concerti, le fan in lacrime che facevano venire voglia di piangere anche a lui. I suoi migliori amici. Le canzoni, le urla, le risate. Harry sarebbe stato in tour per sempre, se fosse dipeso da lui. Ma non così.

Non nascondendosi dalle telecamere onnipresenti, non costretto a stare lontano dalla persona che amava con tutto se stesso, non dovendo mentire alle fan e, ultimamente, anche agli amici e alla sua famiglia. Lui non poteva. Non ce l'avrebbe fatta.

Perso com'era nei suoi pensieri, non realizzò quando qualcuno entrò nella stanza chiudendo piano la porta. Un ragazzo più basso di lui si inginocchiò poco distante. Harry avrebbe riconosciuto ovunque quelle caviglie fin troppo sottili. Con calma alzò lo sguardo, facendolo scontrare con quello azzurrissimo dell'altro.

"Louis" biascicò, a mo' di saluto, prima di tornare a guardare cocciutamente la t-shirt bianca spiegazzata che giaceva scompostamente sul fondo del borsone che finse di star preparando.

Louis dovette impiegare tutte le forze che possedeva per non lasciarsi scappare una piccola risata. Ma l'altro lo conosceva meglio di chiunque quindi, voltandosi e fulminandolo con lo sguardo, lo riprese indispettito: "Cos'è così buffo, Mr. Fingo-Di-Non-Averti-Sbraitato-Contro-Fino-A-Tre-Minuti-Fa?".

Il maggiore non poté fare a meno di sollevare un angolo della bocca, perché era dannatamente consapevole di quanto fosse capace di spedire Harry dritto al limite. Il riccio, in effetti, non si comportava con nessun altro in modo così infantile.

"Molto maturo il tuo comportamento invece, Mr. Ragazzina-Mestruata, non è così?" bisbigliò, e il suo accento si insidiò così prepotentemente tra quelle poche parole che Harry non poté evitare di alzare lo sguardo e fissarlo sul ragazzo dello Yorkshire. Un mezzo sorriso piegò le sue labbra e, mentre accantonava momentaneamente l'ira verso il maggiore, "Lo so io e lo sai anche tu che la ragazzina mestruata della coppia sei tu da sempre, Lou" gli ricordò, per poi aggiungere un frettoloso "-is".

L'altro rise, senza trovare argomentazioni con cui obbiettare se non un ironico "La principessa e la ragazzina mestruata, wow. Una coppia che scoppia, in poche parole". Fissò il suo sguardo ceruleo in quello smeraldo del suo compagno, in una tacita domanda.

Harry voleva parlare della discussione? Ne avrebbero parlato. Harry preferiva rimandare l'argomento, come era solito fare Louis, da buon procrastinatore qual era? Avrebbero evitato di parlarne.

Si capirono con uno sguardo, come al solito. Louis sospirò triste. Poi però si avvicinò al più piccolo e, tendendo le braccia, intimò con voce intrisa di dolcezza: "Passami quelle camice oscene, hipster che non sei altro".

Sorrisero contemporaneamente, e rimasero su quel pavimento freddo per le due ore successive, a fingere di preparare un borsone che Liam avrebbe concluso, mentre parlavano di qualsiasi cosa passasse nelle loro menti.

E Louis avrebbe dovuto chiamare sua mamma e le sue sorelle, avrebbe dovuto preparare a sua volta la valigia, avrebbe dovuto rasarsi e magari lavarsi i capelli prima di partire. Ma rimase lì, con Harry. Harry che aveva una paura enorme delle emozioni che lo attanagliavano quando preparava i bagagli. E Louis non li faceva al posto suo, no. Li faceva con lui. Sostenendolo mentre affrontava la sua paura più grande.

Perché qualunque fosse il timore più grande di Harry Styles, Louis Tomlinson era lì per sconfiggerlo insieme a lui.'


 

E sono esattamente le cinque e cinquantotto di una giornata qualunque quando, dopo aver piegato decine di indumenti e aver pianto centinaia di lacrime, Harry Styles si concede di dire quelle tre paroline dopo mesi, mentre tra le mani stringe un'infantile e scolorita t-shirt blu con il simbolo di Superman imperlata di incontabili gocce di dolore.

"Lo amo" confessa, a voce bassa e roca, occhi rossi e stanchi, cuore straziato. Lo confessa al tempo, a quelle quattro pareti, lo confessa alla musica che avrebbe voluto ascoltare ma che in quel momento non potrebbe sostituire un po' di sano - e distruttivo - silenzio.

E lo ricorda a se stesso. Ancora.















 

Let me be the same

I'm just like you

Even though my problems look nothing like yours do

Yeah I get sad, too

And when I'm down I need somebody to talk to

- Louis, 'Just Like You'

Ad Harry non ha mai dato fastidio la folla. Anzi, fino ad un certo punto gli fa anche piacere essere circondato da gente, persone che vivono, ridono e soffrono, proprio come lui, nonostante nessuno sembri accorgersi che lui respira come tutti gli altri esseri umani viventi. Per questo è rimasto perplesso quando ha realizzato quanto fastidio gli procuri il caos che regna fuori dall'aeroporto londinese questa mattina. In fondo ci è abituato, ma in questo momento c'è qualcosa che lo turba in modo particolare, ed Harry è quasi sicuro di non riuscire a nasconderlo come vorrebbe. Gli indizi ci sono, basta saperli notare.
C'è un indizio in Jeffrey, che decide di salutarlo senza fargli domande assillanti come suo solito, e gli passa una torta al cioccolato facendogli l'occhiolino "Per ingraziartele", ha soffiato ammiccante. E Harry ci ha provato a ridere, sapendo che l'uomo si riferiva ad Anne e Gemma, ancora indispettite con lui per qualcosa che aveva fatto e non ricordava, ma non ci è proprio riuscito.
C'è un indizio in Gemma che, quando lo abbraccia stretto e sorride raggiante nonostante lo abbia aspettato circa quaranta minuti nel parcheggio dell'aeroporto - preso in assalto da delle fan pazze e terrificanti, come se il freddo di Londra non fosse abbastanza-, non attacca a parlare di quanto sia bello vivere assieme al suo fidanzato, o di quanto la faccia felice il suo lavoro. Gemma che, quando sono in macchina avvolti da un silenzio assordante, non lo rimprovera per quanto raramente si sia fatto sentire negli ultimi tempi, né gli fa notare quanto siano rossi i suoi occhi - si è dovuto trattenere, durante il volo, per non versare neanche una lacrima; ma se il risultato è questo, Harry non è più sicuro di volersi trattenere.

Gemma che... ohGemma.

Harry sembra realizzare solo in questo momento che quella che ha di fianco è sua sorella, la sua Gemma, la stessa che non vede da più di sei mesi è che gli è mancata da morire. La stessa che non chiama da una settimana, troppo preso a fingere di essere entusiasta per la partenza.

Gemma.

E, alla ripetizione in loop di quel nome per l'ennesima volta, Harry si volta e le avvolge impulsivamente le braccia attorno al collo pallido, facendola spaventare a morte. Fortunatamente sono davanti un semaforo rosso, altrimenti avrebbero fatto un terrificante incidente e 'addio, fantastiche vacanze a Holmes Chapel'. Una volta tranquilla, la Styles maggiore si lascia andare ad una risata che presto contagia anche il fratello, seppur non quanto dovrebbe.
La ragazza inarca un sopracciglio definito, indagatrice. Prima che possa commentare, però, un sospiro di Harry la interrompe: "Ti voglio bene, Gems. Lo sai questo, vero? Lo devi sapere" strizza gli occhi, e lei li rotea perché Harry Styles è davvero troppo adorabile per gli standard di un comune essere umano. "Anche quando ci sarà un oceano intero a dividerci, io ci sarò, sarò con te. Non te lo dimenticare. Sei una delle mie persone preferite. Non te lo dimenticare.".

"E tu lo sai che non siamo in una delle tue canzoni da miliardi di dollari, vero?" ribatte Gemma scherzosa, ricambiando la stretta soffocante, per poi bisbigliare un "Certo che lo so, Harold. Sono consapevole di quanto sia impossibile non amarmi. Non è umano. E poi, a dirti la verità, anch'io ti voglio un pochino bene, sai?". Quando non riceve risposta, inizia a preoccuparsi. Perché Harry è ancora lì, a stringerla e ripetere contro la sua pelle una litania di "Non te lo dimenticare" che suonano più come dei disperati "Non dimenticarti di me", e a Gemma viene da ridere.

Perché Gemma lo sa, lo sa che Harry è assolutamente inconsapevole dell'effetto che ha sulla vita delle persone che gli stanno attorno. Perché il ricciolino sa di avere un certo fascino, ovviamente, glielo hanno ripetuto in molti, e sa anche che può avere una certa reazione nelle persone quando si presenta e semplicemente si comporta da Harry, ma non sa quanto sia bello averlo nella propria vita.
Non sa quanto sia bello ascoltare le sue canzoni e riconoscerci il dolore, le risate con le lacrime, le vaschette di gelato consumate a parlare di ragazzi e ragazze e amici e cuori spezzati e provini a X-Factor e un certo paio di occhi azzurri che hanno occupato le loro chiacchiere per un numero considerevole di anni. E normalmente Gemma non glielo avrebbe confessato, perché il loro rapporto da sempre si basa su cose taciute o al massimo bisbigliate pelle contro pelle, in quelle notti a bere o semplicemente a fingere di essere due fratelli normali con una vita normale e dei segreti normali da confessarsi. Ma la ragazza ha capito che questo non è un momento "normale" - come se con Harry potesse essere possibile viverne uno - e quindi decide di confidarglielo. Prende fiato e, una frazione di secondo dopo, corruga la fronte rendendosi conto di non sapere cosa dire. In effetti Gemma non è mai stata pratica con le parole e quindi si appropria di quelle di Harry, dedicandogliele: "Sweet creature, had another talk about where's going wrong" canticchia a bassa voce. Harry si scosta e la guarda, stupito, come non fosse stato lui a infondere anima a quelle parole, con il suo talento ammaliante.

Nel mentre, qualche persona maleducata o semplicemente frettolosa, suona il clacson contro di loro per fargli notare il semaforo che concede loro il permesso di proseguire. Harry si ritira definitivamente per sedersi composto, ma il suo profumo agrodolce le rimane addosso, e Gemma se lo gode mentre riprende a guidare, la mano che non lascia quella del fratello. Solo a quel punto Harry la stringe e, mantenendo un tono di voce fin troppo basso, continua il piccolo verso: "But we're still young... we don't know where we're going, but..." in quel momento, la sua voce indescrivibile smette di vibrare.
Gemma non si volta, consapevole che lo imbarazzerebbe solo di più, si limita a completare: "...we know where we belong". Quello che non si aspetta è la voce del fratello che conclude piano: "Wherever I go, you bring me home.".

E se per qualsiasi altra persona il silenzio confortante che li culla fino a casa è stravagante, beh, allora quella qualsiasi persona non ha mai conosciuto il rapporto tra Gemma e Harry Styles, che di comune ha ben poco.
















 

Le vacanze a casa Styles non sono mai state fuori dalla norma - sempre che in quella casa qualcosa possa definirsi 'ordinario'. Ad Harry, Gemma ed Anne piace rimanere tradizionali nonostante gli anni passino e il tempo sembri velocizzarsi, e Robin, a suo tempo, si era adattato velocemente alle loro abitudini anche in quello.

Robin.

Harry non smette di pensarci da quando ha varcato la soglia della villetta, trovandosi accolto dalle braccia calde di Anne, che ancora adesso profuma di brownies nonostante li abbia infornati da più di due ore. Fortunatamente al suo arrivo non ha trovato strane intrusioni a casa: niente parenti indiscreti e con l'improvvisa voglia di far loro visita, niente fan leggermente sopra dalle righe e niente curiosi invadenti; solo la sua mamma ad aspettarlo a braccia aperte con un sorriso raggiante a illuminarle il viso. Viso che potrebbe anche venire solcato dalle rughe più profonde esistenti, ma Anne rimarrà sempre la donna più bella del mondo, per Harry. Anne sa di casa, di un'infanzia spensierata nonostante priva di una figura paterna. Profuma di dolci leccornie quando potrebbero permettersi la migliore delle domestiche, e profuma di lavanda, perennemente. Ora, Harry è sicuro di detestare quegli odori troppo dolci e stucchevoli, ma addosso a sua madre stanno perfettamente, quindi non può fare altro che sorridere per la rassicurante familiarità di quell'aroma. 
E Harry, tormentato dal ricordo di lui, non può fare a meno di chiedersi come sua madre riesca a sorridere, a respirare, a vivere. Lui è ben consapevole che Robin è stato il grande amore di sua madre, e non Des, suo padre; proprio per questo avevano divorziato, e in fondo Harry e Des hanno ancora rapporti quasi normali e piuttosto regolari. Forse non confidenziali come quelli con sua madre, ma meglio di niente, no?


 

Per questo, qualche ora dopo, quando entrambi si trovano fuori a guardare le stelle, con Gemma da qualche parte a ricongiungersi con vecchie amicizie, Harry si volta e le chiede: "Ti manca?".
Anne sorride piano, senza bisogno di sentirsi specificare l'oggetto della domanda. "Sì" soffia piano, inclinando il capo lateralmente. Harry allunga prontamente le dita affusolate e le carezza delicatamente lo zigomo olivastro, accompagnando il gesto con un sospiro stanco.
Perché è così che si sente. Stanco.

Non della carriera, della musica, dei concerti estenuanti o delle fan e dei paparazzi. Stanco di tutta quella situazione che gli grava sulle spalle da troppi anni. Stanco di sentirsi privato della propria identità da un mondo che lui continua a voler aiutare, nonostante tutto ciò che gli è successo.
La donna intercetta il suo sguardo e lo inchioda, fermo nel proprio. "L'amore vero, Haz, lo provi tante volte. Ma quando la tua persona va via... è insostituibile" spiega. Trascina la sedia dietro i suoi movimenti, avvicinandosi al figlio che la fissa come se possedesse i segreti più effimeri dell'universo. "Io ho amato anche tuo padre, Harry" assicura, passandogli lentamente una mano curata sul viso, e odora ancora vagamente di detersivo per stoviglie, nota Harry. "L'amore con Robin era semplicemente... diverso. L'amore che provavo per tuo padre era vero, posso giurarlo, ma non era il mio grande amore, capisci?" lo scruta attenta, cercando una risposta.

Harry annuisce piano, pensando ad un'altra persona che sarebbe scettica al riguardo. Lui probabilmente arcuerebbe un sopracciglio fino per sbuffare "Oh, che cavolate da commedia romantica..". Ma Harry è fatto così, un Ulisse romantico e perso nel mare di sentimenti che prova costantemente a ritrovare casa tramite la propria musica.
Ma Harry è anche consapevole che casa non può trovarla, se prima non trova - ritrova - lui. Perché lui è casa.

"Come ci riesci?" chiede, timoroso. Poi, quando le braccia della madre gli cingono la vita con forza, sputa fuori: "No, perché io non ci riesco. Senza di lui, sono tipo... uhm, impossibilitato. Non posso, mamma. Lui è... dappertutto. Me lo trovo nella musica che scrivo, involontariamente, in quello che mangio al mattino e sbuca anche nei miei pensieri ingarbugliati quando rimango troppo sotto la doccia. Lo vedo in ogni persona che incontro, ma allo stesso tempo non lo vedo, perché nessuno è come lui. Nessuno. Forse questa è la cosa più esasperante" prende fiato, lacrime indesiderate a pizzicargli gli occhi smeraldo. "N-nessuno è come lui, nessuno mi fa sentire come lui fa, e non so perché.".
"Perché tu vuoi lui, tesoro" suggerisce Anne, sicura. Ha il tono di chi sta annunciando la cosa più ovvia e allo stesso tempo più inestimabile che si possa trovare in giro. "Tu lo-"
"Mamma" la interrompe lui, disperato. Da quand'è che non piange con qualcuno che non sia sua sorella? Dio, così tanto tempo. Lascia comunque che le lacrime gli scivolino copiosamente sul viso, rifugiandosi contro il collo della madre per sopprimere un singhiozzo rumoroso, che in ogni caso gli scuote le spalle.

"Va tutto bene, amore. Stiamo migliorando. Possiamo farcela."
I sussurri piccoli e disperati si infrangono contro la pelle e hanno vita breve: l'unico scopo è tranquillizzare, calmare, confortare. Anne è sempre stata brava in questo.

Harry lo sa, l'ha imparato, che a trattenere i pianti per troppo tempo, quando poi cedi, il risultato è disastroso.

Ma con sua madre vicino, stretta in un groviglio di capelli ricci e lisci e lacrime di entrambi che si mescolano, il mondo sembra un po' meno catastrofico, perlomeno.

E sembra meno catastrofico il "So di amarlo" che viene sussurrato da Haz ad un certo punto, e la stretta soffocante in cui Anne lo imprigiona subito dopo è la cosa più confortante che Harry abbia mai ricevuto in venticinque anni di vita.

















 

Maybe I was lying when I told you:

"Everything is great, everything is fucking great"

- Louis, Miss you

Se il buongiorno si vede dal mattino, Harry al momento non è completamente sicuro di volersi alzare dal letto privandosi, inoltre, del piacevolissimo torpore che avvolge tutto il suo corpo. Troppo piacevole per lasciarlo andare così, davvero. In realtà non è successo nulla di particolarmente eclatante, se si bypassa Gemma che canta - o urla, a seconda dei punti di vista - tutto il nuovo album di Ed. E Harry adora il nuovo album, sia chiaro, semplicemente non crede di essere psicologicamente pronto a sentirselo sbraitare nelle orecchie quando sente di avere i postumi di sbornia nonostante ieri non abbia toccato nulla tranne tè bollente accompagnato dalla squisita (e costosa) torta gentilmente donatagli da Jeff.
Fatto sta che Harry, rotolandosi svogliatamente tra le lenzuola, non sta migliorando di molto la situazione. Sente uno strano torpore in tutto il corpo, e non ha ancora capito se lo trova piacevole o no. Controlla l'ora dal cellulare - c'è un messaggio di Mitch che dice "La mia chitarra profuma" (Harry ha un serio bisogno di amici mentalmente sani) e poi subito dopo "Oggi il corriere ti consegnerà qualcosa di interessante" con una faccina pensierosa al seguito. Ed è bello il modo in cui tutto questo fa ridere Harry, senza pretese. - e si stupisce perché, wow, sono le undici e sua mamma non ha ancora fatto irruzione nella sua camera per scaraventarlo via dal letto, nel senso letterale della parola. Decide di fare lo sforzo immane di alzarsi, indossare qualcosa di stropicciato e scolorito dal numero assurdo di lavaggi subiti - Anne è leggermente pignola sull'igiene, Harry potrebbe o meno aver ereditato questa piccola paranoia da lei - e raggiungere il piano di sotto con passo lento e strascicato. E' quasi rassicurante il sottile rumore dei suoi piedi scalzi che incontrano il familiare legno delle scale.

Il salotto è pregno di un odore dolcissimo che Harry conosce fin troppo bene, per questo strilla "Pancake!" come un bambino di cinque anni. Non perché effettivamente lo è, macché. La risata di Anne arriva alle sue orecchie dalla cucina, e quando entra la trova di spalle, intenta a occuparsi di suddetti dolci con i fianchi che ondeggiano al ritmo di una canzone anni ottanta, che riempie il piccolo spazio fuoriuscendo da una minuscola radiolina che Harry ha provato a sostituire circa un centinaio di volte, senza successo.
Il fatto è- è tutto così dannatamente tranquillo. E così familiare.

Ed è strano, dovrebbe essere strano, come le risate dei due si somiglino e siano armoniose insieme, perché... no, non c'è un perché in realtà. Forse è tutto troppo vicino a prima che la fama stravolgesse tutto, o a prima che Harry lasciasse che quel tutto venisse stravolto (sono due cose ben diverse e ne è consapevole). Harry è solo- così spaventato. Non vuole perdere il meraviglioso rapporto con sua madre, non vuole, perché è lei la sua migliore amica ed è come una parte di anima pronta ad amalgamarsi di nuovo con l'originale ogni volta che ce n'è necessità. Ovviamente, Harry conosce la canzone, e ovviamente, inizia a canticchiarla replicando quelle bizzarre mosse di ballo che fanno tanto divertire le fan quando le usa sul palco. Poi, in occasione di un acuto particolarmente alto, Harry emette un gridolino virile quanto i suoi venticinque anni e si accascia sulle ginocchia, dimostrando al mondo quanto sappia essere poco drammatico. Anne lo osserva, fintamente scettica, e alzando un sopracciglio commenta: "Harry Styles, lo chiamavano. Bah, io non capirò mai. Un mucchio di glitter, drama, e tanta confusione".

Harry abbraccia sua mamma da dietro, appoggiando la testa sulla spalla e facendole una linguaccia. "Molto maturo, Styles" lo canzona infatti lei, una scintilla di divertimento e affetto a riscaldarle gli occhi scuri e confortanti. Harry è sicuro potrebbe scrivere odi, poemi e canzoni sugli occhi di sua madre. Ci trova il mondo. 
Impertinente, affonda un dito nell'impasto dei pancake e se lo porta alle labbra, una fossetta a scavargli profondamente la guancia sinistra. Anne aggrotta le sopracciglia, rimproverandolo: "Avresti potuto scottarti!" grida, prima di voltarsi tra le sue braccia e stringerlo. L'abbraccio è decisamente troppo diverso a quello della sera prima, dove Anne cercava di triplicare la propria massa per avvolgere del tutto Harry. Ora, infatti, Harry la ingloba, sorpreso da quanto la sua mamma possa risultare piccola, in questo modo. I lenti respiri della donna si infrangono sul petto del ragazzo, e restano così per una quantità non misurabile di tempo, ascoltando Gemma che al piano di sopra è tornata indietro ai tempi di Perfect, e di tanto in tanto ridono per il solo piacere di farlo.

E mentre Gemma passa in rassegna qualsiasi tipo di musica Ed Sheeran abbia realizzato in vita sua, mangiano i pancake in silenzio, le ginocchia a toccarsi e un sole timido e tranquillo a illuminare la piccola stanzetta.

Non c'è bisogno di saperlo se, ad un certo punto, senza sapere come, la mano di Harry scivola tra quelle accoglienti della madre, fino ad arrivare in una posizione grazie alla quale Anne sembra una di quelle amanti di gatti che in tv vanno tanto di moda, e Harry sembra uno di quelli - magari uno imbranato e con il pelo arruffato, dato che ha il viso impiastricciato per la crema e i ricci completamente fuori controllo -. Infatti è rannicchiato sulla sedia, il capo sul grembo della donna, mentre si gode le carezze che lei regala alle sue ciocche morbide color cioccolato.
Harry si è sempre sentito un po' un gatto, in fondo.

E non c'è davvero bisogno di saperlo se, ad un certo punto, senza sapere come, una sola lacrima cristallina e silenziosa solca il viso di Harry. In effetti è una lacrima bella pesante, intrisa di significato e silenzi, e vetri rotti, e sangue e altre sue gemelle versate negli anni.

Ma in fondo, se nessuno si prende il disturbo di giustificarla, non c'è davvero bisogno di precisare che quella lacrima sia caduta.
















 

L'odore delle delizie sfornate nella panetteria in cui Harry aveva lavorato da ragazzino non cambia mai. E questo è dannatamente rassicurante e assurdo al tempo stesso.

Non ci sono mai stati posti a sedere nel piccolo locale, ma Harry Styles è Harry Styles e per questo se vuole sedersi con la sua piccola nipotina, si siederà. Lui e Ginny infatti, da circa mezz'ora sono nella panetteria per aspettare Cassandra, ed è inutile specificare che hanno provocato un attacco di cuore a tutte le ragazze che sono entrate nel frattempo, tra un panino dolce e una crostata al cioccolato, perché insomma, anche ad Holmes Chapel è insolito trovarsi Harry Styles davanti quando stai letteralmente andando a comprare il pane.

Quando era arrivato il corriere, quella mattina, Harry era ancora in tuta. Un ragazzo biondo dagli occhi scuri aveva bussato timidamente alla porta - nonostante fosse uno dei suoi primi giri da corriere, era impossibile non conoscere la tanto chiacchierata villetta Styles - e aveva consegnato a Gemma una piccola scatola marrone con un adesivo che recitava "Holmes Chapel, arrivo 12.21", neutra e impersonale, che aveva fatto aggrottare le sopracciglia del cantante. Dopo aver firmato un autografo al ragazzo - Jason - e aver fatto un video dove augurava un felice Natale alla sua ragazza e alla numerosa prole della madre, Harry aveva scartato con dita trepidanti il piccolo contenitore. All'interno ci aveva trovato un piccolo plettro di legno, leggerissimo e piacevole al tatto, con su inciso "The Rolling Stones" in caratteri chiari e leggibili; poi la gente ha persino il coraggio di chiedergli perché Mitch fosse il musicista della band con il quale ha legato di più.

Loro semplicemente... funzionano. Se Harry vuole una variante all'interno di una canzone e come al solito non riesce a esprimersi a parole, afferra la prima chitarra acustica e suona un giro di accordi, con Mitch a venirgli subito dietro. Se Mitch non ha fame e non gli andava di mangiare con il resto della crew, Harry gli fa compagnia e insieme parlano di cretinate, mangiano frutta e lavorano a qualche pezzo, perché sono entrambi enormemente perfezionisti. In quelle occasioni anche i polmoni di Mitch ringraziano Harry in verità, dato che in presenza del riccio il chitarrista evita sempre di consumare più di una sigaretta al giorno. Il che significa che, tornati dal tour, placare l'astinenza era stato difficile, dato che quei due vivevano praticamente in simbiosi, ormai.
Legare tramite la musica è così facile.

Harry inoltre ha ricevuto una mail da Ed con dei nuovi abbozzi di testi - "Aspetto i tuoi, attore dei mie stivali" (evidentemente deve ancora essere perdonato per non avergli procurato un biglietto per la prima, due anni fa) - e Jeff lo ha chiamato da Los Angeles per avvertirlo di alcune consegne importanti da ritirare, da parte di Kendall, Niall, Liam e James.

Non aveva neanche avuto il tempo di concludere suddetta telefonata che una furia era entrata in salotto: "Zio Haz!" aveva strillato la piccola Ginny allargando la vocale, "Che bello che sei qui" aveva mormorato poi, contro il suo maglione caldo, quando lui l'aveva stretta in un abbraccio morbido e tenero. Harry si era poi dovuto alzare per stringere la mano di Andrew e, sistemando i boccoli castani della bambina in trecce disordinate, si era ritrovato a parlare con lui del più e del meno. E' bello, semplice, il modo in cui Andrew si rivolge a lui, lamentandosi della difficoltà nello scegliere lo shampoo giusto per la cute delicata di Ginny, perché di solito è sua moglie ad occuparsene.
E da lì non si sa come il suo "Potrei accompagnarla io a sceglierlo" sia diventato un "Quindi andremo a comprare l'albero, zio Haz, l'hai promesso!", davvero, si è solo proposto di andare incontro a Cassandra e Gemma per un caffè e per tenere impegnata Ginny mentre le compravano un regalo.

Così ora è lì, nella panetteria che era stata scenario di almeno due dei suoi primi flirt, a cercare di tenere occupata la bambina mentre la madre con Gemma tornano dal piccolo negozio di articoli per bambini in cui avevano acquistato un fermacapelli artigianale e un giocattolo per lei. Fortunatamente tutti i regali che Harry ha già anche confezionato sono nel fondo di una delle sue valigie, ben nascosti da strati e strati di vestiti.

Quando Gemma entra nel negozio, la prima cosa che Harry nota è il suo cipiglio preoccupato. Solo qualche ora prima l'ha sentita litigare al cellulare con Jacques, il famoso fidanzato francese che ha conosciuto a uno degli eventi a cui adora partecipare e con cui ora condivide un piccolo appartamento a Londra. Harry freme dalla voglia di conoscerlo e, nonostante non abbia mai amato recitare la parte del fratello protettivo se non per gioco, sente l'impellente bisogno di vederci chiaro in tutta questa situazione.

Cassandra si avvicina al loro tavolo già sbadigliando, ma appena si piazza di fronte ad Harry spalanca le braccia pronunciando il suo nome a voce molto alta. Lo stringe forte e Harry realizza solo in quel momento di aver davvero dimenticato cosa significhi vivere la propria famiglia senza riferirsi soltanto a sua madre e sua sorella. Ricorda che con Cassandra ha sempre avuto un rapporto particolare; non erano mai stati reali confidenti: lei ha qualche anno in più e da più piccoli la distanza era significativa quindi, non avendo una relazione stretta come quella tra lui e Gemma, spesso non le raccontava tutto ciò che succedeva. Amava ascoltare le chiacchiere di Cassandra quand'erano bambini, che si faceva grande davanti ai suoi occhi, gonfiando il petto e gesticolando in modo esagerato. Da adolescenti e poi da adulti avevano smesso di sentirsi costantemente, più volte avevano quasi dimenticato l'esistenza dell'altro, per quanto possa essere triste da dire. Ma in fondo Cass è sempre stata una seconda sorella maggiore e la sua sola presenza è rilassante in maniera assurda.
I condotti lacrimali di Harry sono pericolosamente vicini ad un'inopportuna inondazione quando la cugina accarezza tutta la sua schiena, alzandosi sulle punte per raggiungere il suo orecchio, e bisbiglia: "Sono molto felice che tu sia qua, Haz. Siamo felici.". 

Il venticinquenne, dall'alto dei suoi quindici centimetri d'altezza in più, si piega totalmente verso di lei, assumendo una posizione piuttosto scomoda: "Stiamo bene" la rassicura, interrogandosi anche leggermente irritato con se stesso. Perché Dio, è davvero un libro così aperto?

Non che la sua famiglia non sappia che la sua vita non è tutta rose e fiori, ma Harry non ha mai parlato con loro di tutto lo schifo che le luci e le telecamere celano. Degli accordi, dei baci di nascosto e dei contratti firmati controvoglia.
Ci sono diversi argomenti tabù tra di loro, in effetti.
















 

"Voglio un albero così grande da toccare il cielo!" annuncia Ginny saltellando euforica, indicando con una manina infagottata da un guanto rossiccio ogni vetrina che le capita sotto gli occhi. L'altra è stretta in quella di Harry, resa un po' fredda dagli anelli che non toglie mai, il quale è tanto ammaliato dalle luci di Manchester quanto la piccola bambina che ora sorride persino ai passanti sconosciuti.
Harry è fermamente convinto che, altro che business internazionali o cose del genere, è quel sorriso indicibilmente luminoso a mandare avanti il mondo. Come farebbe la Terra a girare, altrimenti?

Ginny, dopo aver fatto un lungo riposino nell'auto di Gemma, sprizza energia e spirito natalizio da tutti i pori. Harry è molto felice di poter dire lo stesso di sé; a quanto pare, l'entusiasmo delle bambine sotto i dieci anni è molto contagioso. Anche se, pensandoci, a lui piace condividere gli stati d'animo di tutti - positivi, s'intende. Gemma ridacchia osservando un enorme pasticcino che troneggia maestosamente di fronte a loro, in una vetrina piena di neve sintetica. Sembra più tranquilla da quando sono arrivati a Manchester, e quando Harry le ha chiesto di Jacques ha risposto con un semplice "Poi te lo presento" e una scrollata di spalle. Non una parola in più.
Forse tra qualche giorno, complice una giornata di freddo e qualche film strappalacrime, deciderà di confessare. Magari davanti a una cioccolata calda o un tè fumante, dirà la verità su ciò che la turba.

Harry, comunque, non ha insistito, limitandosi a farle notare che è di pessimo gusto andare in giro totalmente vestita di nero in un periodo così gioioso (forse c'entra anche il fatto che lui sia a conoscenza della collezione di maglioni decisamente colorati che la ragazza si ostina a nascondere). Lei gli ha solo riservato una linguaccia dispettosa - dall'alto dei suoi ventinove anni compiuti da poco, che le hanno ovviamente conferito una maturità tutta nuova -, senza precisare che anche lui indossasse un maglioncino scuro.
Ginny li trascina in diversi vicoli, ed è affascinante come sia attratta dalle stradine più piccole e diramate, che non sono poi tante in una città come Manchester. Esclama a voce alta strattonando il braccio di Harry in questa o quell'altra direzione, con gli occhi che scintillano - seriamente, il ragazzo non crede sia umano che due sole pupille posseggano tanta lucentezza - e un sorriso indelebile ad abbellirle il viso grazioso e paffutello.
È quando Harry e Ginny stanno girando attorno a un grande pino verde scuro, che a lui squilla il cellulare. Dà un'occhiata a Gemma, che parlotta con uno dei commessi della fiera all'aperto per ricevere più informazioni sull'albero che sembra aver ammaliato Ginevra, e si avvia verso un muretto con la bambina al seguito. Risponde alla chiamata prendendola per le ascelle, con lo scopo di sistemarla seduta, ma quando un "Finalmente, amico!" viene esclamato da una voce fin troppo conosciuta, rischia di farla cadere. 
La piccola gli sorride, rassicurandolo, prima di iniziare a guardarsi in giro mormorando distrattamente le parole di una sigla di cartoni animati, come a volergli dare la sua privacy. Harry non si accorge di aver sgranato gli occhi per la sua perspicacia, e in fretta torna a concentrarsi sulla chiamata, incredulo.
"Niall!" grida, per poi guardarsi attorno e pregare affinché non ci sia nessun fan nelle vicinanze; "Dio, da quando non ci sentiamo? Come vanno le cose?".

"Da quando non ci sentiamo" lo imita Niall, in un pessimo tentativo di replicare il suo accento britannico. "Harreh, se tu non ti dessi alla reclusione nel tempo libero sono sicuro che saremmo riusciti a vederci molto più spesso quest'anno". Niall lo dice bonariamente, è palese, eppure quella nota di rimprovero presente nella sua voce calda soffoca Harry e lo fa sentire tremendamente in colpa, all'improvviso consapevole di aver fatto preoccupare fin troppe persone con il suo atteggiamento schivo.

"Mi dispiace tanto, Niall, io..."

"Niente rancore, Haz. Quello che intendevo è che, metti quella volta che eravamo entrambi in Italia, se me l'avessi detto io sarei partito prima, per vederti. Non c'era neanche bisogno che mi raggiungessi a Milano, avrei potuto prendere una camera in un hotel qualsiasi dov'eri tu..." sospira. Poi nota il silenzio dall'altro capo del telefono e, siccome si parla di Niall Horan che è basicamente una delle persone più buone mai esistite, l'irlandese riprende a parlare. "Ma, insomma, possiamo sempre rifarci, no? Ho una cosa da dirti a proposito di questo".
Harry sorride, perché Niall è sempre così adorabile che meriterebbe il mondo intero, e mentre lui parla Gemma si avvicina a Ginny annunciandole compiaciuta che potranno comprare l'albero tanto desiderato. "C'è Gemma lì con te?" chiede infatti Niall, e riceve in risposta un "Ciao ex biondo tinto, come te la passi?" urlato da Gemma a voce alta, che dopo anni non è ancora riuscita a superare i capelli castani di Niall.
Harry ride con loro prima di allontanarsi leggermente e: "Allora, Neil? Cos'hai da dirmi?" chiede.

La risata solare del ragazzo è forte e lunga, prima che finalmente si decida a rispondere. "Sei una star, Haz, dovresti aprirlo Instagram ogni tanto, sai?".
"In che senso?" aggrotta le sopracciglia Harry, confuso dall'ilarità di Niall.
"Nel senso che, se avessi visto almeno una delle mie stories, invece di limitarti a ossessionare noi privilegiati con le tue foto da blogger" inizia, calcando in modo buffo l'ultima parola ,"sapresti che sono a Londra, proprio ora". Chi ha rubato tutta l'aria dai polmoni di Harry? E chi, allo stesso tempo, gli ha iniettato quel calore familiare nelle vene, come reazione a questa stupenda notizia? "E un uccellino mi ha detto che anche tu sei in Inghilterra, dato che tu non ti sei degnato di informarmi. Ma, comunque, ringrazia Sheeran da fare qualcosa tipo spia quando non parla di ragazzine innamorate, così possiamo vederci!" grida eccitato.
Harry esita. Niall è una persona adorabile e vuole davvero vederlo ma, sinceramente, ha paura di venire sopraffatto nuovamente. Si prende qualche secondo per respirare e si sforza di suonare tanto entusiasta quanto il suo amico: "Ma è stupendo! Se mi dai qualche minuto ne parlo con Gemma, perché siamo in giro con mia nipote, ti richiamo io".

"Oh" si lascia scappare Niall e Harry ha bisogno di strizzare un attimo gli occhi quando percepisce la delusione dell'altro, che però è veloce a ricomporsi e raccomandargli di non farlo aspettare troppo, con tono leggero. Anche se leggero Harry non si sente affatto.

Si avvicina ai volti sorridenti delle altre e, circondando le spalle esili di Ginny, racconta a Gemma della sua telefonata con Niall. Osserva con attenzione il suo sorriso crescere e, in seguito, le sue sopracciglia crucciarsi quando nota la sua insicurezza. "Cosa c'è che non va, Haz?" gli chiede infatti, due secondi dopo. "Andiamo, è di Niall che stiamo parlando! Secondo me dovresti andarci" continua a ripetergli, mentre percorrono a ritroso la strada che li ha condotti lì, dopo essersi assicurati che gli indirizzi dati ai commessi siano giusti.
Gemma sa essere molto persuasiva. Harry lo capisce quando tutti i suoi dubbi si dissolvono come neve al sole, e si tocca i capelli portandosi Ginny più vicino, per impedirle di correre troppo lontano, mentre estrae dalla tasca le chiavi della sua auto; "Non posso andare ora, Gem, arriverò nel tardo pomeriggio e poi tornare qua..." mormora, insicuro.
La ragazza alza gli occhi al cielo e, irritata, gli lancia un mazzo di chiavi che Harry non ha mai visto. "Sono del mio appartamento con J. Non andare in camera nostra," elenca, portando il conto con le dita e le unghie laccate di rosso "non rompere niente e, soprattutto, divertiti." gli fa l'occhiolino.
Harry la guarda con un misto tra l'incredulità e la gratitudine, prima di tentare "Non ho un cambio di vest-" ma poi Gemma apre una portiera indicando un borsone gettato nel fondo. L'ha tradito? l'ha tradito! "Gem, sapevi tutto!" esclama Harry, con lo sconcerto scritto negli occhi chiari.
La sorella sbuffa divertita e "Grazie, capitan ovvio. Ora vai, Styles, io ho chiamato mamma. Se ritorni prima di due giorni ti faccio diseredare e non avrai nessuna cena di Natale, intesi?" minaccia, facendolo annuire lentamente. "Bene, ora saluta la piccola".

Ginny si avvicina a lui aspettando che si inginocchi, per poi regalargli un dolce bacio sulla guancia, proprio dove solitamente fa sfoggio la sua fossetta, e gli chiede "Dove vai, zio Haz?".
Lui le stringe i fianchi e la avvicina: "Da un mio amico, il suo nome è Niall" le spiega, vedendola annuire con espressione assurdamente seria.
"Ed è buono, questo signor Niel? Ti tratta bene?" domanda ancora con cipiglio preoccupato, sbagliando il nome e facendo ridere piano Gemma alle loro spalle, che li guarda intenerita.
"Il più buono" le assicura Harry, ignorando il "Niall passione gusto di gelato" sussurrato non-così-a-bassa-voce da sua sorella, che poi tira via dolcemente la bambina, ricordandole che è tardi e lo zio deve partire. Il ragazzo le guarda andare via, prima di prendere un respiro profondo e affrettarsi a entrare nell'auto.

Quando, pochi minuti dopo, chiama l'irlandese dicendogli "Niall? Sì, sto partendo, non farti trovare in pigiama, eh", è un vero peccato non possa vedere il sorriso radioso e commosso che nasce sul viso dell'amico.

Forse le cose non sono così irrecuperabili come sembrano.

 


 

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Capitolo 2
*** Seconda Parte ***


Of Hot Chocolate and Red Sweaters - Prima Parte

«Anche tu vai benissimo, sempre. Benone. Il migliore di tutti.»
 
 
 
 
 

"Senti, Lottie, alla mia età penso di sapere come vada addobbato un albero di Natale, e grazie tante!" ripete Louis per quella che sembra la decima volta del pomeriggio.

Se ci fosse chiunque al posto di sua sorella, il malcapitato glisserebbe seccatamente sul suo tono polemico e lo aiuterebbe a disporre le decorazioni natalizie sul grazioso abete che entrambi hanno trasportato nel salotto qualche ora fa - per la cronaca, no, l'età e l'esperienza di Louis non gli conferiscono le abilità necessarie a concludere la "missione", come l'aveva denominata: sta facendo un disastro. Lottie invece, che oltre agli occhi blu ha ereditato da lui anche la vena litigiosa, si siede con aria pretenziosa sul divanetto di pelle di fronte al fratello e incrocia le gambe fasciate da un pantalone caldo e comodo, sfidandolo con le sopracciglia inarcate. 
Louis ricambia l'espressione e per poco non si fa cadere addosso il puntale a forma di stella cometa. La ragazza a stento trattiene una risata e si alza per andare a controllare che nel patio il vento non abbia soffiato via la neve artificiale. Bella idea quella di spargerla all'inizio, grazie Louis.

La verità è che entrambi sono molto nervosi. Decorare la casa dai Tomlinson è sempre stata una cosa da fare tutti assieme, un momento per chiudere fuori la porta lo stress e la pressione e ritrovarsi tutti davanti a tazze fumanti e ridicoli pigiami di colori improponibili. Quest'anno, però, è andata diversamente. Louis è stato impegnato fino all'ultimo con la promo per Walls, Lottie ha lavorato sodo per la nuova collaborazione e le gemelle sono state sommerse dallo studio. Probabilmente però, la ragione più sincera - e meno discussa - è l'assenza di Fizzy, il dolce e perfetto collante per i loro caratteri contrastanti.

Per farsi perdonare, i due fratelli maggiori hanno organizzato alle gemelle e a Ernie e Dottie delle giornate divertimento con i rispettivi padri e hanno comprato l'intero reparto decorazioni di un negozio vicino casa di Louis, per far loro una sorpresa quando sarebbero tornati lì per cena. In realtà c'era anche in ballo il regalo anticipato che Louis aveva preparato, una giornata tutta per loro in una pista di pattinaggio che aveva affittato interamente, così che la tensione si allentasse e la paura delle foto diventasse paura di cadere con il viso sul ghiaccio.

Lottie, dal giardino, inizia a cantare Jingle Bells a squarciagola, e Louis ride mentre si unisce a lei ondeggiando maldestramente i fianchi. Lei ride forte; è bello sapere di essere una di quelle poche e fortunate persone che riescono ancora a vedere la sua natura infantile ed esuberante sotto la sottile barba incolta e la facciata da uomo tutto d'un pezzo - o cattivo ragazzo, a seconda di come il giornalista di gossip del giorno provi a fare scalpore -. Continuano a cantare finché le loro gole non bruciano, e Louis con molto piacere si allontana da quell'abbozzo di albero per preparare del tè ad entrambi.

Sperano davvero tanto che vada tutto bene.


 

Quando Lottie torna in salotto per misurare i danni del tornado che suo fratello di fatto è, si trova sorpresa nel guardare un pavimento completamente sgombro e il tavolo ripieno di cibo dall'aspetto squisito. Subito un'espressione sospettosa si fa largo sul suo viso abbronzato, perché si può decisamente dire che Louis non abbia la più pallida idea neanche di dove si trovi la cucina.

Il suddetto fa il suo ingresso con il cellulare all'orecchio e la sua solita parlantina dall'accento marcato mentre evidentemente chiacchiera amichevolmente con Stan. Strano. Lottie era convinta avessero litigato, in realtà, siccome non vedeva il ragazzo in giro da parecchi mesi. Più volte aveva provato a parlarne con il fratello, il quale però era sempre riuscito ad evitare l'argomento, e lei dopo un po' aveva smesso di insistere. Ora però la sua curiosità si è di nuovo accesa, vivida come le lucine dell'albero che brilla tranquillamente con una canzone di Michael Bublè di sottofondo.

Qualche minuto dopo, Louis conclude la chiamata promettendo a Stan che si sarebbero visti presto. Lottie sa che quella, come tante altre, è una promessa vacua. Il ragazzo non lo fa di proposito, davvero, è sempre il primo ad offrire sostegno ed ha sempre avuto consapevolezza del valore del tempo speso con chi si ama, ma non sta vivendo uno dei suoi periodi migliori - nessuno di loro lo sta facendo, in realtà - e in genere tende a chiudersi a riccio in queste situazioni. Ostinatamente, si convince di dover risolvere i propri problemi per conto suo, e inizia a isolarsi dal mondo; sbatte le porte in faccia a chi cerca di aiutarlo e inventa mille scuse, una meno credibile di un'altra, per vedere il meno possibile chi lo circonda.

Tutti gli vogliono un gran bene, eppure nessuno è mai riuscito a contrastare il suo modo di fare. Tranne forse un paio di persone. Ed entrambe non sono lì.
Riflettendo, però, anche Fizzy ci riusciva, oltre alla mamma e ad Harry.

Fizzy era insistente, petulante: insomma, i geni di Louis avevano preso il sopravvento in lei fin da quando era una bambina piccola e decisa, con gli occhi di chi vuole conquistare il mondo. E invece il mondo aveva avuto la meglio su di lei.
Fizzy era capace di minacciare Louis, dicendogli che avrebbe dormito al freddo fuori la sua porta finché non le avrebbe aperto; in questo modo, dopo pochi minuti, si trovava suo fratello davanti, avvolto da una felpa e con un paio d'occhiaie infinite.

Scuotendo la testa come se questo aiuti a scacciare via i ricordi, Lottie punta gli occhioni azzurri sulla figura del fratello, ora impegnato a escogitare comicamente un modo per posizionare il puntale al suo posto. Louis ha tante belle virtù, sicuramente, ma ecco- l'altezza non è proprio tra quelle. Infatti saltella in maniera ridicola, cercando in tutti i modi di arrivare alla punta dell'abete, per poi arrendersi e borbottare un "Lo metterà Dan quando arriva con le ragazze". Lottie ridacchia nella sua mano coperta dal maglione, e gli porge una tazza di tè - è la terza del pomeriggio? Louis è abbastanza sicuro lo sia. Il tè è peggio dell'alcohol.

"Allora" prova la ragazza, incrociando le gambe e portando un plaid a coprirle. Non continua a parlare e Louis con calma gira il liquido ambra, senza zuccherarlo. Prova ad accostarlo alle labbra, ma è troppo caldo e gli si scotta la lingua. Mentre fa un tentativo di rinfrescarsela boccheggiando in modo ambiguo, rivolge alla sorella un'occhiata confusa, per esortarla a finire la frase. "Dico. Te e Stan".
Louis annuisce con le sopracciglia corrugate. "Me e Stan cosa, precisamente?"
"Ah, non so, pensavo me lo dicessi tu". Lottie usa un asso nella manica, che le ha insegnato Anne qualche anno fa. Inizia a prendere, il più disinvoltamente possibile, lo zucchero dal barattolo colorato e ne riempie un cucchiaino, per poi riversarlo nella sua tazza. Anne diceva sempre che meno fissi la persona che vuoi si apra, meno quella si sentirà sotto interrogatorio. Lottie ha sempre pensato funzionasse, almeno finché il fratello non le prende un polso per fermare i suoi movimenti e le chiede di spiegarsi meglio. "E dai," sbuffa leggermente "sono mesi che non vi sentite decentemente. Non parliamo di vedervi, poi. Lui è venuto al funerale e poi poof, scomparso nel nulla. Ha qualche problema?".
"Non può essere che, semplicemente, abbiamo deciso di allontanarci un po'?"
"Era il tuo migliore amico, Lou. Stiamo parlando di Stanley!"

Louis sembra in difficoltà. Continua a passare nervosamente le dita tra i ciuffi castani che gli incorniciano il viso stanco - il suo viso è sempre stanco, ormai - e evita in tutti i modi di guardarla direttamente. Sembra voglia aprirsi, comunque, quando rilassa impercettibilmente le spalle contro lo schienale della poltrona di pelle e assume un atteggiamento quasi accondiscendente. "Lui non-" inizia "Lui non è fatto per questa vita, Lots. A lui pesava starmi dietro, in un certo senso, e io non riuscivo a reggerlo. Abbiamo solo deciso di vedere come sarebbe stato se ci fossimo allontanati un po'."

"Uno schifo" sentenzia Lottie a bassa voce. Lei non è ceca, lei vede. Vede le occhiaie, le notti insonni, le tazze sporche nel lavandino e le bottiglie vuote fuori il balcone. I loro portacenere sono sempre vuoti, ma solo perché Louis ha quella strana mania di disfarsi il più velocemente possibile del mozzicone di ogni sigaretta che consuma. Ripudia vederli tutti insieme. Gli ricorda quanto sia debole.

"Uno schifo" conferma lui, prima che un silenzio strano cada su di loro come la neve sui prati più rigogliosi.

Forse è proprio così. Forse tutti loro, tutti i Tomlinson, sono bellissimi fiori colorati e pieni di vita, che però stanno appassendo a causa della troppa neve precipitatagli addosso.
Se nessuno la porta via, se nessun sole si accende per scioglierla, la neve uccide tutto. Tutti i fiori.
















 

I primi ad arrivare sono Mark e le gemelle, che entrano in casa con i nasi arrossati per il freddo ma tre sorrisi identici e bellissimi sui loro volti - Louis non ricorda l'ultima volta che ha visto Daisy e Phoebe struccate, comunque, e gli piacerebbe se si sentissero più libere di non rispecchiare l'immagine di celebrità ideale.
Tutti i fratelli Tomlinson assomigliano in modo impressionante alla loro mamma, Jay, eppure nelle gemelle c'è sempre stato qualcosa che porta inevitabilmente a pensare al loro padre. Forse la forma degli occhi, la mitezza all'interno di essi, ma qualcosa definitivamente c'è.

Daisy ride forte alla vista dei dolci che Louis e Lottie hanno disposto artisticamente - non è vero, è una disposizione piuttosto casuale, ma perché precisarlo? -, e c'è una luce nuova a colorare il blu delle sue iridi, mentre Phoebe si accascia drammaticamente sul pavimento gridando: "E tutto questo è per noi, cari fratelli? Quanta è la vostra generosità!", scatenando così l'ilarità generale.

Entrambe rubano qualche pasticcino quando pensano di non essere notate, con lo stesso sguardo furbo di quando credevano di rubare pacchetti di caramelle dal Tesco sotto casa a Doncaster. Johannah in realtà spendeva tre sterline ogni volta, ma si limitava a guardarle con un sorriso in volto, un po' affettuoso e un po' divertito dalla loro assoluta certezza di essere ladre pericolosissime. Le gemelle Tomlinson: il terrore di tutti i supermercati poco costosi. Lottie poi le accompagna di sopra per far sì che si cambino con vestiti asciutti; sono state infatti infradiciate da una replica del diluvio universale.

Louis si accorge con qualche minuto di ritardo di essere rimasto solo con Mark. Si schiarisce nervosamente la gola e fa un sorrisetto imbarazzato; già per questo l'uomo dovrebbe vincere un premio o qualcosa del genere, perché mettere a disagio Louis è così difficile che le persone a conoscenza di quella sua espressione possono essere contate sulle dita di una mano.

"Allora, Louis" comincia Mark con una luce speranzosa negli occhi, "come vanno le cose? La promo dell'album è già organizzata?" chiede mentre finge di occuparsi dei piatti.
Il quasi trentenne sorride all'impacciato tentativo di comunicazione e decide di assecondare il suo (primo) patrigno: "Certo, Mark. A te, invece? Tutto ok con il lavoro?".
"Sì, grazie per avermelo chiesto"
"Ma di nulla"

Un silenzio a dir poco imbarazzato appesantisce l'atmosfera, il cervello di Louis lavora freneticamente alla ricerca di un argomento sicuro di conversazione sul quale ripiegare. Proprio mentre uno dei neuroni propone di buttarsi sulla cena con un commento casuale - o buttarsi direttamente dal piano di sopra-, Mark mormora: "Penso che potrebbe esserci utile parlare un po'.".
"Parlare di..." lascia in sospeso il ragazzo. Non crede che sia una buona idea. Già aprirsi con Lottie è parecchio difficile, se poi ora ci si mette anche lui a volerlo psicanalizzare Louis è sicuro: scoppierà presto.
"Ascolta, Lou" Mark si siede sul divano, protendendo però il busto nella sua direzione. Cattura con pacatezza gli occhi nei suoi, infondendogli una calma che da troppo tempo non prova. Respira profondamente e sembra voglia iniziare un lungo discorso, che sfocia poi in un inaspettato "Ti voglio bene". E, ok.

Louis respira lentamente; è tanto tempo che non se lo sente dire da qualcuno diverso da Lottie o dalle gemelle. Alza gli occhi azzurri e contempla il viso dell'uomo che l'ha cresciuto con affetto inimitabile, l'uomo che ha sopportato i suoi capricci e le sue pretese da bambino di cinque anni che voleva un padre supereroe. Ripensa a tutto ciò che quel coraggioso uomo ha fatto per lui e sente con chiarezza il ringraziamento che combatte furiosamente per uscire. Stringe le mani tra loro e butta fuori quelle piccole paroline, che valgono come l'universo: "Ti voglio bene anch'io". Un sorriso timido gli piega le guance incavate, dalle quali sgorga una risata bonaria quando Mark si sporge e lo avvolge in un abbraccio più che impacciato.

Louis si concede qualche minuto di tregua, tra quelle braccia calde e forti. Un tempo erano anche familiari, ora non possono più essere definite tali, ma potrebbero tornare ad esserlo. Rilassa la linea tesa delle spalle, come quando espira una boccata di fumo dalle sue preziose sigarette, lascia uscire l'aria trattenuta male nei polmoni e ne espira di fresca. I riscaldamenti la saturano un po' ma è carino sentirsi avvolti dal torpore e dall'atmosfera natalizia. Il ragazzo non può vederlo, ma stretto a lui Mark si è sciolto in un sorriso tenero, che gli addolcisce con naturalezza le piccole rughe sparse per il volto.

Da dietro di loro, Lottie li guarda con gli occhi chiari pieni di affetto. Si abbraccia lo stomaco e batte silenziosamente un piede a terra, come faceva Jay, per evitare che le piccole perline accumulatesi sotto le iridi scivolino liberamente lacerando la maschera fatta di fondotinta che la protegge dal resto del mondo. Sente che se dovesse crollare ora, non riuscirebbe più a raccogliere i pezzi. Alza lo sguardo e ringrazia tacitamente sua madre, per averle donato la famiglia più strana e stupenda che chiunque abbia mai avuto. Ringrazia sua sorella per averle insegnato come guardare la vita da diversi punti di vista, e allo stesso tempo il suo cuore emette un grido straziante e inudibile perché avrebbe preferito rimanere ignaro ma avere il bene più prezioso accanto: sua sorella.
Lottie ha imparato che, per non cadere in pezzi ma allo stesso tempo non vivere con il tabù della mamma e di Fizzy, a dedicar loro quei piccoli momenti della giornata. Quando era fuori per delle compere e le veniva in mente di dover chiamare la sorella perché "la nuova collezione ti starebbe benissimo", "ho visto quel gelato che ti piaceva", oppure "ti ho preso una cosa che mi ricordava te" - quella è la preferita di Louis -, ricordando improvvisamente di non poter chiamare nessuno, si ferma. Si prende del tempo per riflettere e si oppone all'impulso di piangere, dedicando quel momento della giornata alla sua adorata Fizzy.

Il campanello suona, interrompendo il flusso pericolante dei suoi pensieri, e come se fosse appena arrivata dal piano di sopra "Vado io!" esclama saltellando. Fa appena in tempo ad asciugarsi un paio di lacrime sfuggite al suo controllo prima che un paio di testoline chiare le si attacchino alle gambe con un grido entusiasta, mentre un Dan sfinito le si presenta davanti agli occhi canticchiando un "Buonasera Gente!". Le si accosta poi all'orecchio, sussurrando "Ora te li accolli tu, Lots, io sono esausto"; si precipita in casa al caldo gettando la sciarpa in un angolo casuale del salotto, e apre le braccia in direzione di Daisy che gli sta correndo incontro. Si abbracciano e sfrecciano in cucina, sicuramente per rubare qualche snack e raccontarsi la proprio giornata.

Fanno sempre così, quando si vedono, e se non riescono a farlo si chiamano ogni paio di giorni e parlano per ore. Sono entrambi molto rumorosi e hanno una personalità ingombrante, difficile da ignorare, sebbene Daisy sia leggermente più timida e introversa della sua gemella, molto simile a Louis.

Mark inizia ad apparecchiare la tavola mentre Louis invece si reca sul retro con la scusa di controllare la neve artificiale. Per la prima volta da tipo- mesi, si concede di pensare alla relazione tra Mark e Johannah e, guardando i suoi modi dalla finestra, ricorda perché lei l'aveva scelto. Mark non è ingombrante.
Lui sa darti i tuoi spazi, sa quando è il momento di sigillare le labbra e lasciare a tutti la libertà che si meritano. Nelle discussioni è sempre quello più pacato, e Louis è abbastanza sicuro riuscirebbe a calmare anche un neonato se volesse.
Spesso si era domandato perché la mamma avesse dovuto passare attraverso così tanto dolore prima di trovare l'amore della sua vita in Dan, ma ora che osserva la sua stupenda famiglia allargata dall'esterno, si dice che forse è semplicemente così che doveva andare. Forse l'aveva deciso un'entità superiore o il dio in cui Jay credeva o il fato o altre cavolate simili. Può darsi.

Senza che se ne accorga, un piccolo sorriso gli increspa le labbra e si ritrova a sorridere al cielo come un povero idiota, stringendosi nella felpa.

Non sa bene come succeda, in realtà, ma il suo piccolo sorriso si trasforma in lacrime. I suoi pensieri viaggiano dalla mamma a Fizzy, a Harry, alla sua famiglia, all'album e al tour dell'anno che sta per iniziare. E lui è felice, davvero sta bene.
Solo che non è così. Solo che ora piange, forte, rannicchiato contro una parete - ah divertente - di casa sua con una mano sulla bocca per non farsi sentire e i singhiozzi a scuotergli violentemente la schiena, il corpo che già tremava per il freddo.
Lui sta bene, ma piange. Lui è felice, ma ora sente come se un vuoto gli stesse divorando l'anima.

E all'improvviso una risata dal sapore amaro gli squarcia le corde vocali, perché seriamente, come può sopportarsi?

Perché questo è Louis. Un piccolo grande casino che in qualche modo straordinario e sconosciuto era riuscito a sfuggire dalla tranquilla monotonia della piccola Doncaster.

Era un diciottenne con la risata contagiosa che era entrato a x-Factor con gli occhi blu pieni di speranza e ne era uscito con tre fratelli e l'amore della sua vita. 
Era un ventenne che era entrato in un mondo disgustoso troppo presto e sentiva tutte le responsabilità sulle proprie spalle, ma comunque era disposto a donare gioia al mondo con il suo dolcissimo sorriso.
Era un ventiduenne che teneva per mano una sconosciuta per strada e veniva continuamente accecato dai flash dei paparazzi affamati di scatti, quando voleva che l'unica luce ad inondargli il viso fosse quella di due occhi verdi come la speranza.
Era un venticinquenne che agli occhi del mondo stava fremendo per avere un bambino, quando invece il bambino era lui, che piangeva ogni notte di nascosto soffrendo la mancanza di sua madre.
È un ventisettenne scomparso dai social, che cerca di occuparsi della propria famiglia in modo imbarazzante quando Dio, il cielo o qualsiasi altra entità superiore gli ha strappato Fizzy dalle braccia.

Louis è questo. 
Un cantante insicuro in modo assurdo e che ci ha impiegato anni a comprendere di poter raggiungere i propri obbiettivi. 
Un uomo che non ha la più pallida idea di cosa voglia.
O meglio, ovviamente lo sa, ma non può averlo.

Louis è un casino, davvero. Ma è un casino sempre sorridente, che odia il contatto fisico ma è sempre pronto a dare un abbraccio a chi ne ha bisogno. È un disastro con troppi maglioni macchiati dai pennarelli di Ernie e Dottie e ha tutti i colori nei suoi occhi, anche se sembrano soltanto blu.
È un piccolo girasole in un mondo di finte orchidee, è il sole e la luna e le stelle e una persona stupenda e piena di difetti.

È Louis.

















 

I see it's written, it's all over his face

Comfortable silence is so overrated

Why won't you ever say what you want to say?

Even my phone misses your call, by the way

- Harry, "From The Dining Table"
 

La cena va meglio di come Louis e Lottie si aspettassero. Hanno mangiato letteralmente tutto ciò che il primogenito aveva ordinato - quindi i loro corpi sono sul punto di esplodere - e hanno parlato tutto il tempo. È stato incredibilmente piacevole trascorrere una serata tutti insieme senza che calasse alcun silenzio imbarazzante o che il gelo si stendesse come un velo pietoso e intoccabile, come sempre più spesso succede tra i fratelli Tomlinson.
La verità è che Louis semplicemente non sa più come rapportarsi con la propria famiglia, a volte. Dopo tutto ciò che è successo non si capacita del motivo per cui i suoi fratelli, soprattutto Lottie e le gemelle, possano ancora guardarlo con gli stessi occhi di qualche anno fa. I loro occhi brillano, quando si posano su di lui: è il loro eroe, la loro stella guida, è sempre stato così.

Solo che, da un po', Louis è seriamente convinto di non meritare tutta quel'ammirazione, non da loro che conoscono tutte le sue fragilità, i difetti, gli spifferi di debolezza che la corazza lascia intravedere.

Il piano di Louis e Lottie per farsi perdonare, comunque, è stato un successo. Dopo qualche ora Dan saluta tutti quanti dicendo di avere un'importante riunione di lavoro l'indomani e di dovere quindi urgentemente andare a letto. Ernie e Doris lo seguono, salutando prima tutti i loro fratelli con un sonoro bacio sulla guancia. Prima di varcare la soglia d'ingresso, Dottie grida a voce alta: "Chiunque parli con Babbo Natale, gli dica che ho bisogno di una nuova bambola!". Lottie ride forte e sale le scale per rispondere alla telefonata della sua migliore amica.

Le gemelle e Mark aiutano Louis a sparecchiare, in silenzio. Le spalle del ragazzo non sono troppo tese, dopo lo sfogo prima di cena sente solo l'impellente necessità di raggomitolarsi tra le coperte e guardare un film, magari, o addormentarsi direttamente.
"Allora rimanete qui?" chiede a Phoebe e Daisy il padre per la decima volta, e loro ridendo gli ripetono che sì, si comporteranno bene e domani studieranno, come promesso. "Be', allora ciao, piccole" le saluta affettuosamente, prima di avvicinarsi titubante a Louis. "Buonanotte, ragazzo" lo abbraccia, inaspettatamente. Louis si sente avvolto dal calore del maglione di Mark e dalla sua colonia, mischiata all'odore del vino e del freddo che ricopre Londra - il freddo ha un odore? Louis si è ubriacato senza accorgersene?

Mark sorride ancora, provando a non apparire troppo commosso e fallendo miseramente. Quando è fuori casa e Louis sta controllando uno dei mille tasti della lavastoviglie - ce l'ha da qualcosa come due anni e ancora non sa come farla funzionare, per la cronaca -, Phoebe fa rumore con la sedia strisciandola sul pavimento.

"Hai bisogno di qualcosa, Phee?" chiede dandole ancora le spalle.
"Grazie per aver notato con tanta attenzione la mia presenza, fratello" lo deride Daisy.
Una specie di buffo fuoriesce dalla bocca di Louis, mentre "Lascialo in pace, è il peso degli anni che avanza" le da man forte Phoebe.
"Siete rimaste qui per deridere me? Volete seriamente rendere il vostro miserabile fratello vittima di tali angherie? Siete degli esseri spregevoli!" si getta sulle gemelle, raggiungendo con le dita dove riesce, torturandole con il solletico. La sua peggiore arma.
"Metti fine a-" Daisy urla, senza riuscire a completare la frase per colpa delle risate. Espira e continua: "-questo massacro!".
Louis sale su una sedia, poggiandosi un pugno sul fianco. "Super Tommo è qui!" grida a pieni polmoni. Subito dopo prova ad adottare una di quelle pose fighe che gli eroi assumono sempre al cinema, ma nel tendere il braccio colpisce il naso di Phoebe, che si accascia a terra dolorante battendo la testa sulla tavola.

"Smettetela di fare casino!" giunge l'urlo esasperato - ma, in fondo, un po' divertito - di Lottie dal piano di sopra.

Louis si piega verso la sorella, allungandosi per abbracciarla e aiutarla a sedersi. "Tutto bene, tesoro? Esce del sangue?" domanda, toccando piano il naso della ragazza. Lei ha qualche lacrima sulle guance e geme dal dolore, ma è evidente non si sia fatta nulla di troppo grave. "Daisy, per favore, prendi un po' di ghiaccio".
La ragazza esegue, porgendogli la confezione e scrutando preoccupata la gemella. Le si siede accanto e chiede: "Ti fa tanto male?".
"Secondo te?" risponde lei, ma non c'è malizia né acidità nella sua voce. Al che Daisy controbatte: "Oh cielo, è ancora tra di noi, questo sarcasmo potrebbe sopravvivere a qualsiasi cosa".

Louis mormora qualcosa sul fatto che il ghiaccio non è necessario. Si alza per riporlo nel freezer e, nel farlo, non si accorge dello sguardo d'intesa che le due gemelle si scambiano. "Allora, Lou" inizia Phoebe, e quando è sicura di avere la sua attenzione, continua "c'è un concerto a Manchester, il prossimo anno; dovrebbe essere verso aprile se ricordo bene. Suona questa band indie e, davvero, dovresti ascoltarli, sono stupendi!". Daisy annuisce in assenso.
"Vi piacerebbe andarci? Chiamo qualcuno e prenoto i biglietti, ok? Non c'è alcun problema, lo sapete che quando è possibile fare qualcosa io sono sempre disponibile, non abbiate paura di-" attacca Louis, parlando a macchinetta in modo così veloce da non distinguere le parole.
Divertita, Daisy lo interrompe: "Certo, Lou, lo sappiamo, grazie di tutto. Il punto è un altro". Guarda Phoebe, e oh, c'è decisamente qualcosa che non va, perché quello è lo sguardo da ora-parli-tu-io-ho-già-detto-abbastanza.
Titubante, l'altra gemella conclude la richiesta: "Ecco, ci piacerebbe se ci accompagnassi tu, Lou".

Silenzio.

Ci piacerebbe se ci accompagnassi tu, Lou.

Diamine, come ha fatto ad essere così stupido? Come ha potuto anche solo lontanamente pensare che alle sue sorelle sarebbe bastata qualche coccola occasionale e tanti regali?
Loro hanno bisogno di lui come persona, e la parte peggiore è che lui ne è anche perfettamente consapevole. Ha soltanto preferito archiviarlo, come un'informazione di poco conto, per fingere di non sapere quale fosse il modo migliore di far sentire la propria vicinanza.

Con un groppo in gola, abbozza un sorriso che ha l'aspetto decisamente stanco, e le rassicura - ha passato una vita a farlo, sicuramente può riuscirci anche ora, seppure senta che ogni minima certezza gli stia precipitando addosso : "Certo ragazze. Domani datemi i dettagli, così prenoto tre biglietti e mi tengo libero per quel giorno". Facendo come se dovesse mettere in ordine le stoviglie, consiglia loro di andare a letto e augura la buona notte ad entrambe baciando i loro capelli, che sono morbidi e profumano di una strana combinazione di cocco e marshmallows.

Appena sono fuori, si aggrappa al piano cottura come se ne andasse della propria vita, e sospira profondamente. "Te la sei cavata bene" gli assicura la voce di Lottie, entrata in cucina avvolta da un pigiama di pail molto invitante.
"Mi sono comportato da coglione, non é così?" chiede Louis e un po' fa male la familiaritá della sensazione che prova nel farlo. Succede sempre, commette sempre gli stessi errori. É sempre stato incorregibile, fin da ragazzino, ma sente che crescendo non se lo può più permettere.
"Nessuno puó incolparti, Lou." Lottie sembra obiettiva, ora. Il suo scopo non é tanto confortarlo, quanto fargli capire come stanno le cose. "Abbiamo sofferto tutti a modo nostro, e per natura ci siamo lasciati liberi a vicenda di affrontare la cosa come meglio credevamo. Ma va bene, Lou, sul serio. Ti amano e lo sanno che le ami anche tu. Lo sappiamo. C'é un motivo se per loro sei un eroe-".
Louis la interrompe, bruscamente, ancora di spalle con la schiena tesa. "Che cazzo stai dicendo..." il tono è duro, non ammette repliche; il ragazzo si volta, implorandola con gli occhi di non proseguire. La consapevolezza di non meritare quelle parole fa più male di qualsiasi altra cosa.

Può quasi percepire i frantumi della propria autostima scricchiolare sotto i piedi. Lottie ci danza sopra, cauta, la voce dolcissima che accompagna calma il suo volteggiare su quelle scheggie acuminate e pericolose.
"Lou" chiama, avvolgendogli le guance con le mani perfettamente curate. Lui quasi si scosta, raggelato dal terrore puro di affrontare quella conversazione. "Lou, non-".

No.
No, Lottie non può- non può piangere, dio.
Lei non può assistere al crollo di Louis e piangere, nel frattempo, perché ció non deve avere influenza sulla sua vita.

Ma Lottie piange. Gli sta davanti in tutta la sua forza mentre pesanti lacrime calde le scottano gli zigomi, finalmente liberi da ogni cosmetico, e sembra fiera. Di se stessa, della propria sofferenza, di quella cicatrice aperta il cui bruciore ogni tanto fa lacrimare gli occhi.
Lottie piange, però continua a lottare. Litiga furiosamente i singhiozzi per riuscire ad accozzare qualche parola insieme. "Tu- tu non hai la minima idea di quanto tu mi inspiri, ogni dannato giorno della mia vita. E" si ferma, respira e riprende "e tu non, cioè non credo che tu sappia come ti vediamo noi, sai? Perché sei così forte, e vai avanti nonostante tutto, e per noi sei così importante- per me lo sei. Ma tu non lo vedi, continui a non vederlo e non so cosa darei per farlo entrare nella tua testa-" non si capisce più cosa sta cercando di dire.

Louis è solo sbalordito davanti al fiume di lacrime e parole scollegate della sorella, che ora non sembra più tanto aperta riguardo il proprio dolore. Chiude le spalle e si porta le mani al viso, un pianto disperato prorompe dalla sua anima in fuga. Louis ce l'ha un'anima almeno?

"E- e il tuo talento, dovresti vederti quando canti sul palco, tu-" continua a farfugliare confusamente, ma sembra una bambina. É quello che é.
Una piccola creatura con troppo peso sulle spalle.

Louis la avvolge in un abbraccio disordinato, stringendo al limite del possibile. Sente il tremolio del respiro della ragazza infrangersi contro la sua felpa nonostante lei non voglia, e inizia ad accarezzarle piano i capelli quando i singhiozzi non accennano a diminuire. Un singulto gli scuote il corpo intero e rimane intrappolato in gola dove, con la nausea a bussare fastidiosamente, Louis lo ricaccia indietro a forza.
Rimangono così per diverso tempo. Le gemelle al piano di sopra sono terribilmente silenziose, e sebbene la grandezza della casa di Louis faccia sperare che non si siano accorte di nulla e siano semplicemente andate a dormire, un piccolo dubbio sguscia nella mente del ragazzo.

"Tesoro" mormora Louis, appoggiando con tenerezza le labbra sulla tempia di lei, muovendo le dita in larghi cerchi sui suoi fianchi. "Ti amo, Lots. Ok? Vi amo, on smetterò mai di farlo", perché sarebbe come smettere di respirare.
Non lo dice, ma le parole sono lì sulla punta della sua lingua.
Lottie tira su con il naso, esausta: "Anch'io ti amo, Lou.". Strofina lentamente il naso nella piega del suo collo. "Mi dispiace se a volte sono aggressiva, o distante. Ma è il mio modo di andare avanti, non è semplice per me, tu lo sai com'è...". Parla con lentezza, il sonno ad appesantirle le palpebre, la voce impastata.
"Lo so, tesoro. Va bene così. Nessuno ti chiede di più, stai andando benissimo"
"Anche tu" annuisce lei. Onestamente è adorabile, con quell'aria spaesata e infantile che la fa apparire un po' ubriaca. "Anche tu vai benissimo, sempre. Benone. Il migliore di tutti.".
Louis ridacchia sulla sua spalla, poi si stacca gentilmente. "Ora, signorina, il migliore di tutti le chiede di andare a dormire e sognare tante cose belle.".
"Ok, Lou. Notte" Lottie si avvicina, gli lascia un bacio veloce sulla guancia e, quando si allontana, lo guarda intensamente negli occhi.

È meravigliosa. La forza risplende nel blu dei suoi occhi e Louis sa che potranno farcela.
Ce la fanno sempre.

















 

"Quando devi andare da Niall?" chiede Lottie, farcendo il pancake con della cioccolata spalmabile. Lo passa a Daisy, accasciata sul tavolo della cucina a occhi chiusi.
"Ricordami perché ci siamo svegliati tutti così presto?" mormora la ragazza, guardando con occhi golosi la propria colazione. Louis le porge anche un po' di latte caldo, prima di immergere il filtro di tè nero nell'acqua della tazza che ha davanti.
"Io e Lots dobbiamo uscire e tu e tua sorella avete promesso a Mark che studierete" le ricorda, allungando le braccia per recuperare una confezione di biscotti al cioccolato dall'ultimo ripiano. Ne mordicchia uno mentre risponde a Lottie: "L'appuntamento è per domani pomeriggio, tesoro.".
"Ok" sospira lei, stropicciandosi velocemente gli occhi chiari contornati da occhiaie poco profonde. A quanto pare neanche lei ha dormito granché la notte scorsa. "Ma Phoebe?" indaga confusa, mentre impila maldestramente i pancake uno sull'altro e li pone al centro della tavola. "Vado a chiamarla" annuncia, trascinandosi svogliatamente su per le scale e gridando: "Pheebs! Scendi, dai, c'è tanto da fare oggi!".

Louis si siede ridacchiando, evita accuratamente il barattolo dello zucchero e comincia a sorseggiare il suo tè con tranquillità. Daisy giocherella annoiata con l'elastico che ha al polso e mangia con lentezza, sbadigliando di tanto in tanto.

"Sono contenta che tu ti veda con Niall" esordisce la ragazzina ad un certo punto, portando con cautela gli occhi sul fratello.
Lui la guarda intenerito, balbettando un' "Anch'io" a bassa voce.

Subito dopo una Phoebe agitata fa il proprio ingresso in cucina, fiondandosi verso la sorella per sventolarle il cellulare sotto al naso.
Daisy sgrana gli occhi, un rossore le colora le guance e un suono indefinito le lascia le labbra.
Guarda scioccata la gemella, che invece ha un ghigno divertito sulla bocca e un'espressione dolce e entusiasta negli occhi.

La complicità invade i volti di entrambe e Daisy scatta in piedi, scusandosi con il fratello. "Ora dobbiamo andare!" esclamano a voce alta.

"La colazione!" grida loro dietro Louis, ricevendo un "Dopo!" sincronizzato come risposta.

Lottie, che li aveva raggiunto pochi minuti prima, lo guarda con quella che sembra compassione mista a qualcos'altro. Lo sta deridendo?
"Cos'hanno?" Louis è curioso, lo ammette. Corruga le sopracciglia mentre invece la ragazza si apre in una risata.
"Sinceramente non saprei, Lou, sarà successo qualcosa con quel ragazzo che piace a Day".
"Ragazzo?" il maggiore è scioccato. Non riesce a immaginare le sue bambine con un individuo di sesso maschile. "Ma hanno quindic'anni!" protesta vivacemente.
"Eh, Lou. Tu cosa facevi a quindici anni?" controbatte la sorella, e ciò sembra dare a Louis da riflettere perché non dà più segno di voler continuare la conversazione.



















 

La folla di Londra è rassicurante, sinceramente quasi in modo ridicolo. È assurdo come un'improbabile e fittizia familiarità dipinga e amalgami i visi di chiunque Louis incontri per quelle vie impossibili da percorrere.

Lui e Lottie sono in giro da qualche ora, in cerca del regalo perfetto per le gemelle ed Ernie e Dottie. Hanno visitato diversi negozi di giocattoli e cosmetici, senza successo però, e ora Lottie sembra quasi assorbita dalla frenesia delle compere e dei regali che ha da fare per le sue migliori amiche. Louis è abbastanza sicuro che ad un certo punto semplicemente lo abbandonerà ad un angolo qualsiasi, come un cagnolino sperduto, e continuerà il proprio giro tranquillamente. Quell'ipotesi, in realtà, non è neanche tanto improbabile dato l'enorme numero di persone che ha avuto la loro stessa brillante idea di uscire quella mattina.
Il sole pare intenzionato a riscaldare i loro cuori per un po', infatti nessuna nube incombe dall'orizzonte - oops, ora sicuramente verrà a piovere, vero? Louis è un asso nel chiamarsi le sfortune da solo.

Lottie lo prende per il polso, per evitare di confondersi tra le persone ammucchiate e irritate - c'è un traffico snervante - e lo trascina a forza dentro un negozietto particolare, caratteristico.
Gli scaffali sono stracolmi di libri, ma non sembra una libreria vera e propria, perché i tomi sono quasi consumati. Risentono del tempo e della polvere, forse anche di tutte le mani frettolose, attente, interessate che li hanno sfogliati e hanno adocchiato le loro pagine.

C'è una magia nei libri usati, Louis l'ha sempre pensato. Forse è affascinante anche soltanto il pensiero che abbiano avuto una sorta di vita precedente, tra le mani di un'altra persona così diversa dal prossimo possessore.

A stonare con l'ambiente pittoresco e con i mandala le cui piume svolazzano qua e là, c'è un uomo sulla trentina, alla cassa, con una sigaretta in bocca e due profonde occhiaie attorno agli occhi. Mormora un saluto e non stacca gli occhi dal libro che sta leggendo, stracciato e senza copertina.
Sgattaiolando verso un angolo, Louis osserva rapito la singolare disposizione dei piccoli volumi di filosofia e arte.
Non è mai stato un grande lettore, soprattutto di queste materie, ma deve ammettere che è ammaliante starsene lì, di fronte a quella forma di vita, con una musica terribilmente hippie in sottofondo. L'unica cosa giusta suggerita dall'atmosfera sembra essere arraffare il primo libricino che gli capita sotto gli occhi e leggerlo con attenzione.

E Louis lo fa.

Non è mai stato accompagnato dalla dea bendata più di tanto, - certo, se escludiamo la sua fama mondiale -, quindi il primo autore a toccargli è Murakami. Ah-ah, divertente.

Lui però mantiene la promessa e si appoggia ad un mobiletto scricchiolante. "La fine del mondo e il paese delle meraviglie" recita il titolo. Louis prende un respiro, cerca un briciolo di coraggio tra le pieghe del suo cuore e inizia a sfogliare piano le pagine. I fogli producono un suono terribilmente rilassante che sembra soffiare in modo delicate nel cervello di Louis, cancellando ogni pensiero, coerente o meno. Finalmente si ferma su una pagina, accarezzandone la fine con i polpastrelli.
 

Avrei voluto mettermi a piangere forte ma non potevo. Non avevo più l'età per versare lacrime, avevo fatto troppe esperienze. Esiste anche questo al mondo, la tristezza di non poter piangere a calde lacrime. E' una di quelle cose che non si può spiegare a nessuno, e anche se si potesse, nessuno la capirebbe. E' una tristezza che non può prendere forma, si accumula quietamente nel cuore come la neve in una notte senza vento.
 

Le parole colpiscono Louis, insinuandosi nell'inchiostro dei suoi splendidi tatuaggi e penetrando sottopelle. Un brivido freddo gli percorre la colonna vertebrale, e i suoi occhi continuano a divorare righe dopo righe, affamati, quasi frenetici.
 

La realtà era qualcosa di molle e pesante come la sabbia, chiuso in una scatola di cartone, impossibile da afferrare.
 

Le spalle minute iniziano a tremare. Forse questa è semplicemente l'agonia che precede la morte, quella condizione di perdita di controllo su se stessi e sull'ambiente circostante che manda ogni neurone in panico.

Chiude di scatto il libro, come se fosse bollente, e con un solo movimento lo rificca prepotentemente nello scaffale da cui l'aveva altrettanto velocemente estratto. Da qualche parte nel suo cervello la voce di Lottie riecheggia, chiamando il suo nome a ripetizione, e Louis si risveglia dal suo bizzarro strato di trance. Afferra il libro accanto al volume che conteneva le frasi responsabili del suo momento e, senza neanche avere il tempo di mettere bene a fuoco "1Q84" lo consegna al trentenne ambiguo alla cassa, la cui sigaretta ormai consumata giace da qualche parte ai suoi piedi.
A questo punto dovrebbero essere abbastanza per quel giorno le coincidenze difficilmente interpretabili, e invece dal retrobottega esce una vecchina avvolta in un ampio scialle glitterato, con un cipiglio scuro che si scioglie appena intravede Louis. L'anziana signora occhieggia con un piccolo ghigno - i denti giallognoli quasi stridono tra loro, e a Louis dispiace di cuore dirlo, ma quell'espressione è ripugnante - e prende il suo polso quando fa per pagare. La sua bocca rugosa si piega nuovamente in un macabro sorriso che fa rizzare i capelli al ragazzo, mentre si rifiuta di accettare i suoi soldi. Non dice nulla, si limita a emettere strani suoni dalla gola e scuotere la testa con foga.

Alla fine, il cassiere-trentenne si stufa dell'intero teatrino e sbotta con acidità: "Ascolta, amico, non ti lascerà pagare, quindi o posi il libro oppure te ne vai. Grazie e arrivederci.".

Indignato, Louis raggiunge la sorella sulla soglia del negozietto. Lottie sta inviando messaggi a qualcuno riguardo uno sconto natalizio della sua collezione di trucchi, ma solleva ugualmente lo sguardo preoccupato sui suoi occhi provati. Forse il maggiore dovrebbe riprendere lezioni di recitazione, gli tornerebbero sicuramente utili.
La ragazza propone di tornare a casa perché si sta avvicinando l'ora di pranzo, e suggerisce come regalo alle gemelle uno spettacolo teatrale. L'unica cosa che Louis riesce a fare è annuire apaticamente e, se Lottie conosce bene suo fratello, sa di aver fatto una scelta saggia nel non commentare.


















 

Il pranzo trascorre tranquillamente. Mangiano qualcosa di veloce e subito Daisy e Phoebe salutano i propri fratelli accampando la scusa dello studio, mentre in realtà salgono le scale ridacchiando e sicuramente chiameranno qualche amica una volta arrivate al piano di sopra.

"Siete sicure di non volervi farvi accompagnare? Guarda che non è un disturbo, basta semplicemente partire un po' prima e chiamare Niall per posticipare di poco l'appuntamento" ricorda Louis alla sorella, intenta a caricare la lavastoviglie, di ultima generazione. Nel diverso tempo che Louis ha abitato quest'appartamento, non ha usato granché i fornelli, per essere onesti; quando ospita la propria famiglia però, Lottie provvede affinché si cibino di cose quantomeno apparentemente salutari.
La ragazza lo ringrazia sorridendo: "Grazie, Lou, ma non preoccuparti. Ci fermiamo da Ronnie per strada, te la ricordi? Così faccio una pausa e torno a guidare riposata.".
"Il nonno sarà felice di vederti" commenta lui con un pizzico di nostalgia a velargli la limpidezza degli occhi azzurri. Quasi non riesce a sentire il piccolo "Lo so" sussurrato malinconicamente da Lottie. 

Dieci minuti dopo, Louis si trova stravaccato sul suo materasso morbido e matrimoniale. Rotola per un po' tra le lenzuola fresche - fin troppo, considerato il gelo che riveste Londra dal centro ai vicoli più stretti e periferici - canticchiando una vecchia canzone nel retro della gola, la testa leggera.
Poi, però, ricorda il piccolo volume che giace sulla sua scrivania, chiuso. In maniera infantile, quando si precipita a recuperarlo, si giustifica dicendosi che se fosse rimasto lì anche soltanto qualche ora in più non l'avrebbe più ritrovato, siccome sarebbe stato sicuramente sommerso dalle montagne di vestiti e cianfrusaglie ammucchiate in disordine. La camera di Louis è un disastro, fra parentesi, yup.

Incrocia le gambe e, come incantato, tiene fra di esse il libro. Non lo sfoglia, né legge l'introduzione. Semplicemente se ne sta lì, immobile, a contemplarlo analizzandone ogni dettaglio. Nota che la copertina ha una graziosa orecchia - graziosa? Le orecchie delle pagine sono irritanti! - in basso a sinistra, e ci sono diversi segni di penna nera e matita cancellata frettolosamente.
Di nuovo, apre una pagina a caso, questa volta però senza tuffarsi nel fiume di parole. Si immerge tra le righe fitte con lentezza, tastando il territorio, come a voler misurare il dolore che gli sarà inflitto di lì a poco.
 

La maggior parte delle persone non cerca verità che si possono dimostrare. La verità, in molti casi, come ha detto lei, comporta sofferenza. E quasi nessuno vuole soffrire. Quello di cui le persone hanno bisogno è una storia bella e piacevole, che renda la loro esistenza almeno un po' più significativa.
 

Eccola. La prima coltellata gli affonda nel petto. Piano piano il pugnale affonda, punta a raggiungere il cuore, ma la sua corazza è ancora lì, sfilacciata e con parecchie crepe, ma resiste, coprendo coraggiosamente il suo punto più vulnerabile.
 

 Amare qualcuno dal profondo del cuore è comunque una grande consolazione.
Anche se si è soli e non si riesce a stare con quella persona.

 

Eppure non sembrava così. A volte mancava persino l'aria, quando quella persona era lontana. A volte il mondo sembrava infetto, malato; le cose belle si macchiavano dell'oscurità che il mondo senza Harry assicurava.
 

Anche se uno riesce a da una gabbia, non finirà col ritrovarsi in un'altra, solo più grande?
 

Le mura si sgretolano, il cuore sanguina e il sangue sono le lacrime calde - e allo stesso tempo gelide - che gli solcano le guance come se fossero un pericoloso acido che vuole incidere cicatrici sul suo viso. 

Il cuore sembra pulsare dal dolore e, a meno che non stia avendo un infarto, è biologicamente impossibile. 

Si rifugia sotto le coperte, premendo con troppa violenta i polpastrelli contro la bocca, allo scopo di soffocare i singhiozzi prepotenti che gli stanno dilaniando lentamente l'anima e ogni briciolo di razionalità rimasta.

È in momenti come questo che desidera ardentemente che sua mamma sia ancora qui. Vorrebbe solo un abbraccio, uno di quelli che sono così forti da far sembrare che ti stiano spaccando la cassa toracica.

Il vago pensiero dell'appuntamento con Niall lo sfiora ma, al momento, è troppo occupato. Piange ancora, asciugandosi freneticamente le lacrime, e si raggomitola su se stesso. Si impone di non perdere il controllo.

Può farcela. Andrà tutto bene.

 







 

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