Un colpo dopo l'altro....Senza Tregua

di Strekon
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** La leggenda di Virginia e il Drago (Senza Tregua 0.5) ***
Capitolo 2: *** Un'estate al mare...(Senza Tregua 1.1) ***
Capitolo 3: *** Perchè sorridi ancora? (Senza Tregua 2.1) ***
Capitolo 4: *** Almeno credo, Parte I (ST 2.8) ***
Capitolo 5: *** Almeno credo, Parte II (ST 2.8) ***



Capitolo 1
*** La leggenda di Virginia e il Drago (Senza Tregua 0.5) ***


“Mi dispiace” Draco strinse Ginny con freddezza

“Mi dispiace” Draco strinse Ginny con freddezza. La avvolse involontariamente con il suo lungo mantello invernale. La neve sferzava la faccia di tutti i presenti. Loro erano gli unici a non correre, a non agitarsi inutilmente. Lui, freddo come quella candida tempesta invernale. I suoi occhi si confondevano fra i fiocchi cangianti. Neanche la fissarono quando si allontanò da lei così come si era avvicinato. Silenzioso, freddo e impassibile.

Ginny ancora doveva rendersi conto di cosa era successo. Aveva ancora il volto rigato dalle lacrime ormai non più calde. La neve si posava sulle sue spalle e cominciava ad accumularsi. Il vento le sferzava i capelli sul volto. Come era possibile tutto ciò? Cosa era successo. Hogwarts vista da lì fuori era inquietante. Vedeva chiaramente una patina scura coprire l’antico castello. Vedeva decine di persone andare in cerca di superstiti per il lago e per il parco. Inutili speranze. Pallide bugie che presto sarebbero state spazzate via dallo stesso vento. Perse di vista il giovane dai capelli color del platino e subito si guardò intorno per trovarlo. Solo ora si era accorta di essere stata abbracciata e consolata da Draco Malfoy. Un brivido la pervase. Forse per il freddo. Forse perché quel verme seguace di Voldemort l’aveva sfiorata. Altre braccia l’avvolsero in un caldo abbraccio.

“Ginny vieni via. Qui prenderai solo freddo” gli disse amorevolmente Percy in un attimo di pausa dal suo continuo va e vieni dal bosco. Insieme a molti altri era arrivato subito dopo l’esplosione magica. Le macchine del ministero avevano registrato uno squilibrio tale di energia magica che avrebbe potuto spazzare via mezza Londra. Decisero di intervenire. E subito. Numerosi si immergevano, con particolari incantesimi protettivi, in acqua per cercare altri sopravvissuti. Sopravvissuti… Quella parola dava i brividi a Ginny. Il pensiero che Harry… no. Non poteva pensarlo neanche lontanamente. Lui e suo fratello se la cavavano sempre. Loro ed Hermione. Nulla li fermava quei tre.

“Andiamo Ginny. Vieni con me. Ti accompagno al coperto” propose il fratello. Ginny annuì con il capo e seguì Percy fin verso le baracche allestite in fretta e furia per ospitare i primi soccorsi.

Fred li raggiunse e gli corse incontro.

“Ginny! Percy! E’ un casino! Un vero casino!” dalla voce strozzata si sentiva che qualche cosa non andava.

“Avanti Fred, calmati” gli disse Percy accennando a Ginny con il capo. Era meglio non metterla sotto ulteriori stress per quella sera. Fred cadde in ginocchio e cominciò a ciondolare la testa da destra a sinistra. Singhiozzava rumorosamente. Ginny non ce la fece a vederlo così. Non avrebbe mai pensato di vedere uno dei gemelli piangere per la disperazione. Si chinò a terra con lui e lo abbracciò con tutto il cuore. Con tutta l’anima. Fred parlò.

“George… Non ce l’ha fatta. L’ho visto dentro…è…è...non può essere…”

Percy trattenne a stento un’imprecazione. Altre orribili notizie non era quello che serviva in quel momento. A stento lui cercava di trattenersi e non lasciarsi andare alle emozioni. Ora che suo padre era impegnato altrove per conto del ministero era compito suo preservare e proteggere la famiglia. Era sicuro che Charlie e Bill sarebbero arrivati al massimo il giorno dopo. Aveva bisogno anche di loro.

Si chinò sui due pregandoli di alzarsi dal terreno fangoso e di raggiungere un posto coperto. Finalmente si alzarono e li condusse al riparo in una tenda vuota. Li affidò alle cure di un’infermiera pregandola di dare loro qualcosa per calmarsi e dormire. L’infermiera, cupa in volto, annuì.

Percy tornò nella tempesta. Quel vortice di neve sembrava fatto apposta per peggiorare le loro ricerche. La notte era appena iniziata e fino al mattino sarebbe stato difficile trovare altri superstiti. Più il tempo passava più le speranze si assottigliavano. Senza contare quella barriera che copriva a cupola tutta Hogwarts. Era impenetrabile. Assolutamente impenetrabile. Avrebbero potuto aiutare solo quelli all’esterno, per ora.

Si unì di corsa ad un gruppetto di maghi che stavano trascinando dei corpi fuori dal lago. Afferrò una cima e tirò con tutte le sue forze. Purtroppo riconobbe il corpo appena lo vide.

“Ron!” grido fra il vento sferzante. Si avvicinò al ragazzo. Se non era morto in quel momento non lo sarebbe stato mai più. A parte il fatto di essere completamente bagnato, una ferita, più simile ad uno squarcio, era ben visibile sulla sua spalla.

“Presto, è anche ferito! Portatelo subito in una baracca!” urlò contro il vento furioso. Gli altri annuirono e lo trascinarono verso il posto coperto più vicino.

Non poteva farcela. Non era il suo lavoro trascinare cadaveri. Tantomeno quello di suo fratello. Non poteva reggere ancora. Le ginocchia cedettero e piombò a terra in preda ad una nera disperazione.

Se il campo provvisorio attorno ad Hogwarts era nella confusione più completa, l’ospedale magico di S.Mungo era l’essenza stessa del caos. La confusione era tale che sembrava più il mondiale di una qualche partita di quidditch che un luogo di ricovero. Ginny quasi rischiò di essere investita da una barella che trasportava di corsa uno dei ragazzi in stato comatoso appena giunti da Hogwarts. Si schiacciò contro la parete. La gente parlava urlava. Le madri gridavano cercando notizie dei figli. I bambini piangevano. I medici urlavano ordini a destra e a manca. Qualcuno inciampava in quella calca di persone e spesso rischiava di essere schiacciato dalla furia di chi non vedeva nulla. Solo la propria preoccupazione.

Un bambino scivolò a terra mentre rincorreva la madre fra quella calca di persone. Lei neanche se ne accorse. Ginny lo trascinò via da quella bolgia dell’inferno e lo mise a sedere su una barella sistemata lungo il corridoio. Chi era steso su di essa sembrava troppo occupato a sopravvivere per protestare. Il piccolo era in lacrime. I singulti gli sconquassavano il corpo e grossi lacrimoni correvano dai suoi occhi e per tutto il bel volto. Ginny gli scompigliò dolcemente i capelli neri e ribelli. Farlo le riportò alla mente Harry. Non era questo il momento per pensarci. Non ora e nemmeno fra molto.

Sollevo la testa del bimbo e incrociò il suo sguardo dolce con gli occhi lucidi del piccolo.

“Ehi, che succede? Stai attento, qui stasera sono tutti matti” sorrise con incredibile sforzo Ginny. Se si lasciava prendere dalla tristezza lei non avrebbe certo sollevato il morale del bambino. Lui tirò su col naso un paio di volte e singhiozzò rumorosamente.

“La mamma mi ha portato qui. Dice che Kirk sta male. Dice che non è niente, ma io non ci credo perché lei piangeva” tirò ancora su col naso “Lei dice che io non devo piangere perché sono grande, ma io ha paura. Io voglio bene a Kirk…” cominciò a singhiozzare e abbassò ancora la testa sulle sue gambe. Ginny gliela risollevò dolcemente con la mano e mantenne tutto il sangue freddo che poté.

“Sono sicura che Kirk sta benissimo. E’ tuo fratello vero?” il bimbo annuì con la testa.

“Sì, e ci voglio bene anche se mi fa arrabbiare ogni tanto… Non voglio che sta male…Non voglio che la mamma sta male”

“Ehi, avanti, non hai detto che sei grande? Quanti anni hai?” cercò di risollevarlo Ginny più preoccupata di lui. Almeno lui era inconsapevole. Lei sapeva benissimo cosa era successo. Sapeva benissimo che l’unica cosa che si poteva provare era paura. Probabilmente quel bambino era più umano di lei.

“Ce ne ho sette e mezzo. Papà mi ha regalato la bicicletta per il compleanno. Dice che sono grande per avere la bicicletta così me l’ha regalata. Ci ho scritto sopra il mio nome con i colori magici. Ci ho scritto “Lucas” in rosso e poi ci ho messo anche il disegno di un drago. Però ce l’ha fatto Kirk, io non sono capace di farlo…”

“Lucas è un bel nome sai?” incalzò Ginny per distrarlo il più possibile “Sai cosa ti dico? Adesso io e te andiamo a prendere una cioccolata calda, che ne dici?”

“Davvero?” sorrise Lucas asciugandosi gli occhi con la manica del maglione. Ma il suo buon umore sparì tutto d’un tratto.

“Non posso. Mi sono già lavato i denti stasera. La mamma si arrabbia se mangio la cioccolata” Ginny lo sollevò da sotto le braccia e lo mise a terra. Gli sistemò il maglione stropicciato e lo prese per mano.

“Non preoccuparti. Glielo dico io alla tua mamma. Sgriderà me” e gli fece l’occhiolino. Lucas rispose al suo ammiccamento con un altro sorriso, e insieme si diressero verso la sala d’aspetto.

Presero la cioccolata calda in una tazza e la bevvero a lunghi sorsi. Anche Ginny si compiaceva di quel momento di pausa, sperando nell’arrivo di buone notizie da parte di Percy. Gli aveva promesso di aspettare in ospedale. Con questo tempo era da pazzi restare nelle tende di soccorso attorno ad Hogwarts. Se ne era andata subito seguita da Fred, che però preferì tornare alla tana a riposare un po’. Ginny non lo aveva mai visto ridotto così. Né lui ne George.

Finirono la cioccolata e ne presero un’altra tazza da portare alla mamma di Lucas. La trovarono in una camera fitta di persone seduta accanto al letto dove Ginny pensò si trovasse il fratello del piccolo. Fortunatamente Kirk si trovava fuori dal castello al momento del disastro. Era cosciente ed aveva solo una brutta ferita ad un braccio che un medimago gli stava già medicando. La signora corse verso il figlio più piccolo abbracciandolo con le lacrime agli occhi. Il bimbo non capiva molto quella reazione, si limitò ad offrire alla madre la tazza di cioccolata.

“Io ne ho bevuta solo un po’ mamma. Ci avevo detto che non potevo, ma Ginny ha detto che poi sgridavi lei e non me, allora l’ho bevuta” la signora mise a terra Lucas che si avvicinò al fratello ormai bendato e a riposo a letto. Kirk gli strapazzò i capelli e lo tirò sul letto accanto a se.

“Io non so cosa mi è preso… ero fuori di testa… dimenticare Lucas” disse la madre rivolta a Ginny.

“Non si preoccupi. Credo che sia normale in queste situazioni avere simili comportamenti… e poi mi ha fatto bene conoscere Lucas”

La madre del bambino la ringraziò ancora per poi salutarla appena Ginny lasciò la stanza. Girovagò un po’ in quel reparto dell’ospedale che sembrava essere più tranquillo del resto dell’edificio. Sicura di essere sola, o di non essere notata, si appoggiò al muro e si lasciò scivolare a terra. Quando tocco il pavimento chiuse la testa fra le gambe e si concesse di piangere.

Piangere. Non lo aveva ancora fatto realmente. Era troppo pressa da capire che cosa stava succedendo per sfogarsi e piangere come una bambina. Anche se a lei, dopotutto, poteva ancora essere concesso di piangere, non voleva farlo. Si era trattenuta. Non poteva sfogare ogni sua frustrazione con il pianto. I sentimenti erano potenti in lei. Le emozioni gli sconquassavano l’animo dal profondo. Il cuore sembrava impazzito ora. Tutta quella paura, tutta quella frustrazione stava uscendo dal guscio che la avvolgeva. Doveva cacciarla via, lo sapeva. Era l’unico modo per stare meglio, per sopravvivere un altro po’. Il modo migliore per espellere quelle spiacevoli sensazioni erano le lacrime. Lacrime che scioglievano come acido le catene dei demoni dentro di lei. Lacrime che spegnevano, come una pioggia improvvisa, quel fuoco mortale che le bruciava l’anima. Lacrime che risvegliavano i suoi sensi e la spingevano a reagire. Lacrime e solo lacrime. Spregevoli lacrime cariche di odio, rabbia, paura. Scorrevano sul suo volto. Bagnavano la sua pelle. Nulla più. Erano fuori e non sarebbero più rientrate a farla soffrire. Anche questa volta si era salvata. Il suo cuore stava tornando vuoto, libero dalle emozioni che lo strapazzavano come il sacco di un pugile.

Lentamente risollevò la testa dalle ginocchia in cui era rinchiusa. Sentiva gli occhi pesanti, la bocca secca. Quanto tempo era passato? Minuti? Ore? Giorni? Che importava. Quel che era successo non sarebbe potuto sparire tanto facilmente, anche se ora riusciva ad analizzare il tutto in maniera più razionale. A mente fresca e libera si ragionava sicuramente meglio. Un primo pallido raggio di sole illumino il cielo terso. Segno che la mattina stava per tornare anche quel giorno. Per un attimo Ginny sperò che il giorno non tornasse più. Solo la notte era adatta ad esprimere la tragicità di quel momento.

Senza voglia si sollevo da terra. Sbatté con una mano la lunga veste, inutilmente, per togliere dello sporco che non se ne sarebbe più andato via. Scosse la testa e sistemò i capelli all’indietro, così che non gli dessero fastidio, davanti agli occhi. C’era silenzio. Tanto silenzio. Un silenzio avvolgente che Ginny si godeva dal più profondo del cuore. L’emergenza sembrava finita. Quando passò vicino alle scale non sentiva più rumore. Nulla. Silenzio. Percorse il corridoio fino in fondo, ma sembrava non avere mai fine. Ora iniziava a preoccuparsi. Dove erano tutti? Infermieri, dottori, medimaghi, dove erano? Cominciò a correre e i suoi passi divennero l’unica cosa presente lì assieme a lei. Si fermò a riprendere fiato. Non era abituata agli sforzi fisici e aveva già il fiato corto. Respirava debolmente. Solo allora lo sentì. Un altro respiro, altri passi. Davanti a lei. Vedeva un ombra allungarsi sempre di più e sbucare dall’oscurità del corridoio. Dai suoi passi capiva che era zoppo. Erano passi irregolari e affannati. Forse era ferito. Ginny non attese e gli andò incontro. Il cuore le si fermò. Harry era davanti a lei, piegato in due, completamente coperto di sangue. Non aveva gli occhiali e il volto era una maschera di dolore e risentimento. Alzò gli occhi ridotti a due malefici puntini ed incrociò lo sguardo di Ginny.

“Tu mi hai ucciso”

Ginny arretrò. Troppo spaventata per parlare.

“Mi hai ucciso Ginny. E’ colpa tua. Sono morto per colpa tua” continuava Harry con voce ferita.

“Perché mi hai ucciso Ginny? Cosa ti ho fatto? Io ti amo…”

Ginny arretrò ancora. Cadde a terra inciampando nella veste sgualcita. I suoi occhi fissavano ancora il ragazzo morente.

“Tu… tu sei vivo, Harry. Sei qui… non ti ho ucciso…”

“Perché mi hai ucciso Ginny? Perché? Io ti ho sempre amato…”

“Non puoi essere morto. Sei qui e cammini Harry!”

“Ti ho sempre amato. Perché l’hai fatto? Ginny…”

Harry si fece sempre più vicino. La sua presenza la avvolgeva. Le faceva paura in quel momento. I suoi minuscoli occhi verdi. Così pungenti. Così intensi. Così accusatori. Non poteva crederlo.

“No!”

“Ginny sveglia. Avanti calmati” Percy la teneva per una spalla. La ragazza era tremante e aveva pianto molto prima di addormentarsi. Anche adesso aveva gli occhi lucidi. Quell’incubo l’aveva colpita profondamente. Disse la prima cosa che realizzò dopo essersi stropicciata gli occhi con le mani.

“Allora, Harry? E Ron? E gli altri?”

Percy abbassò lievemente il capo. Con sforzo la risollevo da terra e la circondò con il braccio.

“Seguimi, per di qua” Percy fece strada e raggiunsero una stanza dello stesso piano.

Ginny vide il fratello, Ron, steso su un letto. Aveva le spalle ustionate e ferite. Era un brutto colpo. Un incantesimo lo aveva colpito in pieno. Era addormentato e parecchi tubi ed aghi lo collegavano ad altrettante macchine che pulsavano e trillavano insistenti. Un infermiera gli stava cambiando la fasciatura e medicando la spalla. Ron non sembrava reagire. Più che addormentato pareva morto. Ma non poteva esserlo. Non si sarebbe trovato in ospedale se era morto.

“E’…” cominciò Ginny.

“E’ in coma Gin. Non sappiamo come si sia fatto la ferita, ma ora è in coma, come la maggior parte dei ragazzi che abbiamo recuperato. Anche Hermione. Li abbiamo trovati nel lago, vicini. Probabilmente erano assieme quando è successo” Ginny si voltò ad osservare il fratello. Con voce rotta si rivolse a lui.

“Cosa è successo?” Percy scosse la testa e guardò altrove.

“Non lo sappiamo ancora, Gin. Ma per certo si sa che centra Colui-che-non-deve-essere-nominato. Solo lui avrebbe potuto architettare un simile piano”

Ginny si avvicinò al letto. L’infermiera se ne andò sorridendo debolmente per confortarla. Ebbe poco successo. Passarono minuti scanditi solo dallo sbuffo regolare del respiratore artificiale di Ron.

Percy si girò verso l’uscita.

“Ti lascio sola. Mamma arriverà fra poco. Non volevo farla venire subito e poi…”

“Dov’è Harry?” chiese d’un tratto Ginny.

Altro silenzio.

Troppo silenzio, pensò Ginny.

“Mi dispiace Gin, non ce l’ha fatta”

A Percy sembrò quasi di sentire la sorella smettere di respirare, anche perché fu quello che fece.

“Lo ha comunicato da poco il ministro Caramel. Ha verificato lui stesso riconoscendo la salma. Non era ancora certo nulla, ma ora…” Ginny gli passò accanto e lo sfiorò appena.

“Gin io…”

“Lasciami in pace Percy!” gridò la ragazza e corse fuori dalla stanza. Lungo il corridoio quasi buttò a terra un medimago che si appiattì al muro per schivarla.

Dolore. Sempre e solo dolore. Perché doveva soffrire sempre? Credeva di essersi liberata piangendo. Inutile. Una libertà dalle ali di pietra. Dolore. Ancora dolore. Lei ci aveva sperato. Fino all’ultimo aveva sperato che il suo incubo fosse solo tale. Un brutto sogno. Una sensazione sgradevole che se chiudi gli occhi sparisce. Ma a volte la realtà non è altro che la nostra ansia, le nostre paure che diventano realtà. Dolore. Sempre più forte.

“Signorina stia attenta! Via da qui!” gridò una voce. Ginny si voltò verso quella voce. Un medico. Fece appena in tempo a tirarsi indietro per far passare una barella in tutta corsa spinta dal medico che l’aveva chiamata. Attorno al lettino stavano un paio di infermiere intente a ossigenare il paziente con un respiratore e a reggergli una flebo.

Fu un attimo. Sentì il medico gridare ancora mentre correva davanti a lei, superandola. Fu un attimo, ma avrebbe riconosciuto quel ragazzo fra altri mille. Draco Malfoy.

Il suo volto era segnato da una profonda ferita. Quasi un taglio. Solo a vederla Ginny provò dolore. Ancora dolore.

Lo squarcio correva per tutta la tempia e, probabilmente, anche sull’occhio. Una ferita così orribile poteva essere stata causata solo da un incantesimo. E ben mirato, per giunta. Draco aveva combattuto. Eppure poche ore prima lo aveva visto illeso, ad Hogwarts. Cosa poteva essergli capitato?

La barella era già lontana quando Ginny decise di seguirla. Si ritrovò a sbattere contro una doppia porta con una luce rossa, brillante, accesa. Era sotto intervento. Quindi era abbastanza grave, come aveva supposto. Che avesse combattuto contro Harry?

Era storico, ormai, l’odio fra i due. E poi Malfoy era figlio di un grande mangiamorte “pentito” se così si può dire. Poteva essersi scontrato con Draco subito fuori Hogwarts. Il biondo era scomparso così misteriosamente. Che fosse così? Che fosse realmente andata così? Solo Draco poteva darle una risposta.

Gola secca. Mal di testa da primato. Bene, era vivo. Mentre suo padre era bello che andato. Si era ribellato. Ce l’aveva fatta. Ma a quale prezzo.

Gli sembrava di avere un buco in fronte. Quella terribile sensazione gli dava la nausea. Aveva entrambi gli occhi bendati. Una benda un po’ stretta, a dire il vero. Ricordava vagamente quello che successe dopo lo scontro. Lucius lo aveva colpito e lui aveva perso i sensi. Da quel momento in poi gli sembrò di vivere in un libro a cui mancavano delle pagine. Le voci intorno a lui. Una luce blu, pesante. Gente che urlava intorno a lui. Poi, il buio. Un letto, le lenzuola pulite sopra di se. E quella sgradevole sensazione di tamburi che gli suonano in testa.

Si mosse lievemente, stiracchiandosi i muscoli delle spalle. Pessima mossa. Emise un gemito di dolore. Anche solo muoversi gli procurava dolori lancinanti alla tempia. Forse suo padre non lo aveva ucciso subito. Forse sarebbe morto in quel letto d’ospedale. Lentamente, come i vigliacchi e i perdenti.

“Non ti devi muovere. Stai fermo” disse una voce femminile alla sua sinistra. Draco spostò lo sguardo verso quella direzione, poi si accorse dell’inutilità del suo movimento. Un sorrisetto gli increspò le labbra. Era proprio uno straccio. Sarebbe stato mille volte meglio morire, a quel punto.

“Me la cavo benissimo da solo, grazie” disse freddamente rivolto alla fantomatica persona al suo fianco. Restò un po’ in silenzio, poi la ragazza si mosse sulla sedia provocando un forte stridio. Draco chiuse gli occhi sotto le bende maledicendola.

“Non ha nient’altro da fare che spaccarmi i timpani? Se ne può anche andare adesso, grazie” più che un invito sembrava un ordine perentorio. Draco si allungò sul comodino per cercare dell’acqua. Ammesso e non concesso che quegli idioti del ospedale gliela avessero lasciata. Agito un po’ la mano con attenzione a non farla cadere a terra, se mai ci fosse stata.

“Aspetta. Faccio io” disse la voce. Draco si sentì afferrare la mano ed allontanarla. Con uno scatto un po’ troppo brutale la ritirò ficcandola sotto le coperte.

“No, non importa. Non ho sete” nonostante questo sentì la bottiglia aprirsi e versarne il fresco contenuto dentro un bicchiere. Poteva sentirne la freschezza anche solo ascoltando il rumore cristallino delle gocce che scendevano dal collo della bottiglia. Non era vero che non aveva sete, ma non si sarebbe fatto servire come un disabile. Non ne aveva bisogno.

“Peccato, è bella fresca. Ti dispiace se la bevo io?” Draco si girò verso dove presumeva si trovasse la ragazza e allungò la mano sinistra.

“Non ci provi, è la mia acqua. Ma lei è un infermiera o cosa?” chiese stizzito cercando di afferrare il bicchiere che lei gli passava. Strinse la sua mano intorno a quella del ragazzo. Draco sentì prima il gelo del bicchiere colmo d’acqua, poi il tepore di quelle mani morbide. Mai era stato sfiorato da mani più morbide e calde. Ringraziò di essere bendato e di non poter far vedere il suo volto. Sarebbe stato parecchio imbambolato, e non voleva fare la parte del poveretto in quella situazione.

Trangugiò la sua acqua fresca in un batter d’occhio. Non si ricordò di aver mai bevuto in vita sua tanto volentieri anche solo un bicchiere d’acqua. Concluse il tutto con un sospiro soddisfatto, umettandosi le labbra. Allungò il bicchiere alla sua sinistra e subito venne afferrato dalle mani della ragazza. Draco si ritrasse subito onde evitare di sfiorarla ancora una volta. Non che non le piacesse, ma non la trovava una buona cosa. Gli dava fastidio, ecco.

“Non si ringrazia?” chiese la voce. Draco si stese con la schiena sul letto nuovamente.

“E di cosa? Non è il suo lavoro? Anzi, ora può tornare a farlo senza che si disturbi e mi disturbi ancora. Con tutta quella confusione ad Hogwarts avrà sicuramente da fare, credo”

“Non sono un infermiera” disse la voce. Draco risollevò la testa e strinse i denti per il dolore lancinante appena provato. Aveva l’impressione che l’aria fredda gli attraversasse la fronte e uscisse dalla nuca.

“Non è un infermiera? E allora che ci fa lei qui?”

“Cerco risposte, signor Malfoy. Risposte che solo tu puoi darmi”

“Allora sa chi sono” sorrise Draco “Questo non la turba? Draco Malfoy, il figlio del grande mangiamorte. Dovrebbe avere paura”

“Malfoy sei cieco ferito e pieno di acciacchi. Non potrei avere paura di te neanche se volessi” Draco non la vide, ma era sicuro che avesse una faccia strafottente, in quel momento, la ragazza. A quel pensiero si girò da un lato dando la schiena alla sua misteriosa interlocutrice.

“Grazie ma ora non ho voglia di parlare. Può andarsene. Dica ad una vera infermiera che ho bisogno di parlarle” Draco sentì ancora la sedia strisciare. Probabilmente la ragazza si era alzata di scatto. Infatti, alzando la voce si rivolse a lui.

“No, adesso tu mi ascolterai e mi risponderai signor Malfoy. Ti ho dato l’acqua, ti ho aiutato, ed ora tu aiuterai me!”

Draco strinse gli occhi. Tutto quel rumore non faceva che aumentare il suo mal di testa.

“Nessuno le ha chiesto aiuto. E la smetta di urlare, aumenta il mio mal di testa tutto questo rumore”

La ragazza sembrò zittirsi tutto d’un tratto. Sollevò la sedia e si sedette nuovamente.

“Ti prego Malfoy, ascoltami. Ho bisogno che mi rispondi” la sua voce era quasi supplichevole e questo piacque molto a Draco che sorrise, dando ancora le spalle alla ragazza. Il fatto di essere stato supplicato gli dava ancora qualche punto a favore. Incuteva ancora timore e aveva ancora il rispetto degli altri. Molto lentamente si mise ancora di lato, ma stavolta girato verso la sua sinistra, verso la ragazza.

“D’accordo, ma non ne posso più di darle del lei. Le darò del tu se mi dice il suo nome. Siccome sa chi sono vorrei essere al pari con lei” nessuno dei due disse nulla per un po’, poi la ragazza parlò.

“Virginia”

“E’ il tuo nome? Virginia? Che nome stupido” commentò pungente Draco.

“Invece il tuo è molto meglio. Draco, che razza di nome” Draco parve stizzito al commento sul suo nome. Nessuno si era mai permesso di criticarlo.

“E’ latino, stupida! Vuol dire drago”

“Siamo passati dal darmi del lei allo “stupida”?” Draco abbozzò un sorriso che assomigliava più alla reazione che si ha quando si inghiotte una medicina amara.

“D’accordo, Virginia, lasciamo stare il discorso dei nomi. Siccome sai già tutto di me, potrei sapere io qualche cosa di te?”

Cadde ancora silenzio. Fu Virginia a romperlo.

“Che vuoi sapere?”

“Quanti anni hai?” chiese Draco.

“Anni? Io… bè, non credo possa interessarti” Draco si rigirò dandogli le spalle.

“Va bene, chiamami l’infermiera quando esci”

Virginia sbuffò stizzita.

“E va bene… diciotto, compiuti da poco…” lo afferrò per la spalla e lo girò ancora verso di lei.

“Non mi toccare!” gridò Draco. La colpì con forza al braccio. Virginia spaventata arretrò e prese contro alla bottiglia d’acqua che si frantumò sul pavimento.

“Non mi devi toccare! Mai!” Virginia arretrò di qualche passo ancora. Poi Draco sentì i suoi piedi veloci correre via da quella stanza.

Con il capo ancora pulsante per il forte dolore, Draco piombò sul letto, stringendo i denti.

Due giorni che era lì fermo a letto. A lui sembravano essere un eternità. Non era abituato a fare l’infermo e il disabile. Draco era di un’altra stoffa. Forse più che una stoffa era un metallo duro e spesso. L’acciaio, ad esempio. Si sarebbe spezzato, ma non piegato tanto facilmente. Draco dal cuore tenero. Sciocchezze. Erano due giorni che se lo ripeteva. Mentalmente rivedeva quello che aveva fatto e non lo capiva. L’istinto aveva forse avuto la meglio? Che cosa lo aveva spinto?

Era appena comparso nel giardino di Hogwarts con una passaporta di suo padre. Era il caos più completo. Quello schifoso di Voldemort aveva distrutto uno dei luoghi che preferiva più in assoluto. Perché lo preferiva? Non lo sapeva. Perché era la sua scuola. Perché non era il maniero Malfoy, perché non c’era suo padre per ben nove mesi a dirgli cosa doveva fare. Perché da lì tutto il mondo schifoso attorno sembrava scomparire. Forse era per quello che amava Hogwarts.

Potter e gli altri erano un simpatico passatempo. Nulla di più nulla di meno. Quasi tutti un simpatico passatempo. Bè, Potter lo detestava perché era Potter. La Granger perché riusciva sempre a prendere voti migliori dei suoi. Weasley, spalla-di-Potter, perché era un mago puro e si riduceva in quel modo. Tutta la famiglia Weasley era così. Schifosi filobabbani sempre senza un soldo. E allora perché lo aveva fatto?

Inconsapevolmente aveva abbracciato al sorella di Weasley. Non sapeva come e perché. Vederla in lacrime, silenziosa, nella bufera che si schiantava su Hogwarts gli aveva stretto il cuore. Ma forse non era la prima volta che il suo cuore si stringeva per la giovane Weasley.

Ma che cavolo dici Draco?! Quella è soltanto una ragazzina che non merita neanche il nome di mago!

Si girò furiosamente sul letto da un lato all’altro annodando le coperte attorno a lui. Maledicendo il suo stato di infermo si scoprì completamente e si riassettò il letto come meglio poté. La porta della sua stanza si aprì e, contemporaneamente sentì un rumore alla sua destra, verso la finestra.

“Chi c’è?” chiese d’impulso guardando verso la fonte di quel rumore. Passi veloci partirono ed uscirono dalla stanza. Altri passi più pesanti e lenti si avvicinarono al suo letto.

“Allora signor Malfoy, come sta oggi?” gli chiese quella che sembrava essere un infermiera. Draco si rigirò verso di lei a bocca spalancata.

“Chi c’era qui dentro?” chiese con voce ferma. L’infermiera lo infilzò con una nuova flebo e boffonchiò qualcosa di incomprensibile. Draco gli avrebbe gettato addosso uno sguardo di ghiaccio se solo i suoi occhi fossero stati liberi dalle bende.

“Non ho capito nulla, può parlare senza mangiarsi le parole? Ma venite pagati per qualche cosa qui dentro o no?” domando con arroganza Draco. L’infermiera si irrigidì e rispose a tono.

“Ho detto che se la sua ragazza viene qua a farle visita non c’è problema, e che farò finta di nulla!”

La sua ragazza?

“Io non ho ragazze. Chi è uscito da qua? Com’era fatta?” chiese Draco quasi alzandosi dal letto e saltando addosso alla donna.

“Mah non ho guardato bene. Sembrava una sua coetanea. Aveva un mantello con il cappuccio. Non so altro”

Nascondersi? Che fosse Virginia, la ragazza della prima sera? No, lei era più grande di lui. E se gli avesse mentito. Non sa perché, ma gli sembrava l’ipotesi più probabile.

L’infermiera se ne andò e lui si stese ancora sul letto ad elaborare un buon piano per smascherare la misteriosa visitatrice.

Draco se ne stava steso sul letto con le coperte fin sopra la testa. Virginia aprì lentamente la porta della stanza e con passi felpati camminò fino alla finestra alla destra del letto.

Perché era tornata lì? Erano giorni che non tornava a visitare la stanza di Draco, da quando l’aveva quasi scoperta. Aveva paura capitasse di nuovo. E lei non voleva farsi scoprire mentre lo osservava, silenziosa. Le bastava fissarlo. I capelli biondi scompigliati che cadevano in ciuffi sulla fascia. Quella sua candida pelle. Così bianca. Ma che le prendeva?

Venire in ospedale solo per osservare Draco Malfoy nel suo letto mentre dormiva? E si muoveva come un bambino nel letto in cerca di qualcosa. Più di una volta aveva pensato di tranquillizzare i suoi incubi con una carezza, un gesto d’affetto. Ma ogni volta che lo pensava le tornava alla mente quel suo ultimo gesto con cui l’aveva scacciata. Lo aveva appena sfiorato, ma aveva reagito in modo così brusco. E lei non capiva perché. Ma allora perché tornava lì?

Era per Harry. Certo, lei voleva solo sapere se era stato lui ad uccidere Harry. Se così fosse stato sarebbe finito dritto ad Azkaban, questo è certo. Lei era lì solo per capire se si era scontrato con Harry. Certo, solo per quello.

Osservava le coperte che coprivano completamente il corpo del ragazzo. Peccato, le piaceva vedere i suoi capelli biondi arruffati. Ma che pensava?! Lei era lì solo per Harry. Se lo ripeteva continuamente come per darsi un buon motivo per cui entrare di soppiatto nella stanza di un ragazzo ricoverato e spiarlo senza il suo consenso.

Si appiattì fino a raggiungere la finestra e si sedette sulla sedia lì accanto. Fece più silenzio che poté. E il suo sguardo era fisso sulle lenzuola. Certo che…come pretendeva di scoprire qualcosa se veniva a visitarlo solo di notte? E soprattutto senza parlargli. Ma che le era preso?

Sigillum!” tuonò la voce di Draco da dietro la porta di ingresso. Con un colpo secco si chiuse sigillandosi magicamente. Virginia fissò impaurita prima il letto, poi Draco in piedi, poi ancora il letto. Le aveva teso una trappola!

“Bene bene” rise Draco afferrando una sedia e mettendola davanti all’uscita “Il topo è in trappola. A meno che tu non voglia volare dalla finestra dovrai passare da qui…” la sua aria strafottente era un incentivo per la rabbia di Virginia.

“Naturalmente puoi anche rivelarti e allora non ci saranno problemi di sorta” si sedette tastando bene il sedile della sedia di metallo “Nessuno la fa a Draco Malfoy” ghignò trionfante.

La pazienza di Virginia raggiunse il limite.

“E va bene signor Malfoy” carico molto quest’ultima parola “Sei contento? Mi hai preso in trappola e adesso?”

A dire il vero a questo Draco non aveva pensato. Non pensava che si sarebbe arresa così facilmente. Pensava sarebbe stata una cosa lunga da cui, infine, avrebbe tratto profonda soddisfazione a vederla sconfitta. Invece la sua gioia per quel piano perfetto non solo non c’era, ma non aveva neanche provato ad esserci! E adesso?

“Bè…stai ferma lì mentre raggiungo il letto” Draco si alzò camminando a tentoni per raggiungere la branda. Virginia lo guardò volgendo gli occhi al cielo. Draco sentì i suoi passi avvicinarsi decisi.

“No! Ce la faccio da solo! No voglio assolutamente il tu…” Virginia tese il braccio e lo costrinse ad appoggiarsi con l’altra mano. Draco si ritrasse subito con uno scatto talmente violento da perdere l’equilibrio e finire disteso per terra.

“Sei proprio scemo” lo ammonì lei. Eh sì. Draco si sentiva proprio scemo in quel momento. Non tanto per quello che aveva fatto, forse un po’ anche per quello, ma per la situazione in cui si trovava. Per terra, cieco, con una ragazza sconosciuta nella camera. E poi, forse era solo una sua impressione, ma probabilmente aveva anche il pigiama mezzo sfilato…

“Senti il…il mio pigiama…è…?” chiese a testa bassa imbarazzato.

“Le tue grazie sono coperte Malfoy” ridacchio Virginia “E’ l’ultima cosa che mi interessa di uno come te”

Quella fu una batosta niente male per il giovane e affascinante Draco Malfoy. Lui che credeva di vere dietro la bava di qualsiasi ragazza, trovarsi ignorato proprio da questa ragazza che cominciava ad odiare con tutto il cuore, gli diede un gran fastidio.

“Al diavolo…” cercò sempre a tentoni di rimettersi in piedi inutilmente. Virginia gli si avvicinò e lui lo avvertì.

“Posso?” chiese questa volta prima di permettersi di agire. Draco bofonchiò qualcosa.

“Come?” chiese ancora la ragazza.

“S-sì…”

“Come si dice piccolo Draco?” lo prese in giro ancora Virginia. Draco andò su tutte le furie e strillò.

“Ora te ne stai approfittando sciocca ragazza!”

“Come vuoi” fece per allontanarsi facendo sentire bene i passi.

“Oh, al diavolo!…Per-favore!” Virginia sorrise. O almeno immaginò Draco. Si sentì afferrare per la spalla destra, intanto anche lui si aggrappò al suo braccio così da reggersi meglio. Una volta in piedi Virginia lo condusse fino al letto. Scostò i cuscini che volevano simulare il corpo del ragazzo e lo mise a sedere. Draco si sdraiò e si coprì con lenzuolo e panno.

“Prego non c’è di che” lo punzecchiò ancora Virginia che sperava, inutilmente, in un “grazie”

“Non montarti troppo la testa ora…” la riprese serio in volto Draco. Virginia poté scommettere che i suoi occhi l’avrebbero perforata se fossero stati scoperti.

“E poi sei tu che mi devi dare spiegazioni: che ci fai a notte fonda in camera mia?” Draco constatò il silenzio che si era venuto a creare. Probabilmente l’aveva messa in imbarazzo. Ottimo. Proprio quello che voleva. Il silenzio si prolungò parecchio.

“Mi manda Harry” disse d’un tratto Virginia con un nodo alla gola. Draco smise di gongolarsi nel suo piacere e si rizzò di scatto sulla schiena. La testa prese questo gesto come una sfida e prese a suonare un ritmo incalzante e rockeggiante udibile solo da lui. Si strinse le tempie con la mano.

“Potter?” strinse i denti per il dolore alla testa. Virginia pensò di aiutarlo, ma ci ripensò subito. Quello era un probabile assassino.

“Che vuole Potter da me?” chiese dopo un momento di pausa. Quella fu per Virginia la prova che Draco non aveva ucciso Harry.

“Niente…” continuò “Harry è…lui non c’è più…” rispose con voce spezzata e in un qualche modo Draco se ne accorse. E oltre a quello si accorse di ciò che gli era stato appena rivelato. Harry Potter era morto. Inconsapevolmente provò una sorta di…nausea alla base dello stomaco. Non era la solita nausea che aveva quando lo vedeva a scuola. Era qualcosa di incolmabile a pensieri…forse…dispiacere?

Per Potter? Assurdo! Si buttò sui cuscini con la testa e ridacchiò.

“Se lo è meritato…babbanofilo del caz…” la sua frase fu interrotta da un dolore acuto alla guancia sinistra. Senza preavviso Virginia lo aveva colpito con uno schiaffo da guinnes. Draco non ricordava di aver mai provato nulla di simile. I tamburi ripresero a suonare ritmati nella sua testa.

“Ma che cazzo ti prende!” le urlò contro tenendosi la guancia offesa. Fermandosi per un secondo la sentì chiaramente singhiozzare nel silenzio della stanza. Virginia si alzò di scatto allontanandosi.

Alohomora” disse, probabilmente puntando la porta con la bacchetta, pensò Draco. Ma, come ben sapeva, l’incantesimo non si sciolse.

“Toglilo…” disse lei con voce spezzata. Draco non sapeva bene che fare. Poteva toglierlo e lasciarla andare, che gli importava? E invece qualcosa gli importava. Voleva parlare e aveva paura che non l’avrebbe sentita mai più.

“Senti Virginia, scusami…” dire questo costò a Draco Malfoy una fatica superiore all’immaginabile. Ci vollero una decina di secondi prima che continuasse.

“Siediti, ti prego. Finiamo di parlare…” sotto le bende lo sguardo di Draco era supplichevole. Ma tanto lei non l’avrebbe mai saputo. Una parte d’onore era salvo. Virginia ritornò sui suoi passi e Draco la sentì sedersi ancora sulla sedia accanto al letto. Draco se la immaginò imbronciata e con le gambe accavallate con profonda ira. Sì, se la vedeva proprio così.

“Scusami” disse di nuovo lui, questa volta con più facilità, ci stava prendendo la mano.

“D’accordo…tanto ti conosco Malfoy. Non cercare di fregarmi”

“Mi conosci? Allora non hai diciotto anni se eri ad Hogwarts…” concluse sibillino lui. Virginia capì di aver fatto un passo falso e neanche provò a rimediare disse solo.

“Bravo. Uno a zero per te. Contento?” c’era dell’astio nella sua voce. Draco capì al volo il problema.

“Senti…a quanto ho capito eri una sostenitrice di Potter” e qui fece una smorfia “Va bene, ok…solo che…”

“Solo che cosa Malfoy?” continuò lei fredda come l’inverno.

“Solo che…non volevo che andassi via” Draco lo disse tutto d’un fiato sperando che Virginia non avesse capito le sue parole. Ma Virginia aveva capito benissimo.

“C-Come?” tentennò curiosa davanti a quella sconcertante affermazione.

“Non lo nego. Ti detesto. Detesto i tuoi modi, i tuoi metodi, e il modo altezzoso con cui mi tratti…però…” Draco esitò cercando di captare, invano, qualche suono proveniente dalla ragazza.

“Però…mi, mi dispiacerebbe non sentirti più” Draco cadde in un profondo senso di disagio. Non sapeva che fosse, ma così, d’acchito, non gli piaceva granché. Passarono almeno due minuti in completo silenzio che per Draco sembrarono durare un eternità.

“Ok…” disse solo lei, ma con un tono tutt’altro che aggressivo, forse commosso, sorpreso, fuori luogo..non lo sapeva con precisione. E non lo sapeva bene neanche lei.

“Amici?” domandò Virginia poggiando una mano sulla sinistra del ragazzo che stava poco fuori dal lenzuolo. Draco si ritrasse appena da quel tocco. Non voleva essere toccato eppure…

Sollevò la sua mano libera e la mise su quella di lei.

“Amici…”

“Toc toc, si può?” Virginia entrò di corsa. La gioia sprigionava dalla sua voce e questo a Draco piaceva davvero molto.

“Buon primo giorno di primavera Draco. Ti ho portato qualcosa di commestibile da casa invece che la solita roba del S.Mungo” poggiò un cestino che Draco immaginò di vimini ai piedi del letto e lo aprì iniziando a distribuire varie scatole e scatoline sulla coperta di cotone.

“Grazie Virginia…lo apprezzo” la ragazza si fermò di scatto e Draco lo intuì dal bloccarsi dei rumori tipici della carta.

“Che c’è?” chiese lui preoccupato. Spesso diceva cose senza volerlo. E a volte litigavano per un non nulla. Sperava di non aver detto nulla di sgradevole, anche perché non se ne era accorto ad essere sincero.

“Non viziarmi Draco Malfoy!” disse lei col sorriso nella voce e riprese a aprire e spacchettare.

“Ah, mi prendi in giro! Lascia che ti prenda…” allungò le mani in avanti cercando di rintracciarla, ma Virginia lo schivò e lo colpì con un cricco sul naso.

Beep, beccato!” rise lei mentre lui cercava di afferrarle al volo la mano che lo aveva colpito al naso.

“Non vale! Solo perché sono ancora bendato!” ridacchiò lui scoprendosi completamente e cercando di afferrarla ancora. Virginia lo aggirò di nuovo e lo ricolpì nello stesso punto.

Beep! Fuori due!” ridacchiò ancora salendo sul letto e accucciandosi nell’angolo in fondo. Draco continuò a tentoni a cercarla lamentandosi che si approfittava della sua cecità, quando, involontariamente, prese contro alla bottiglia del succo di frutta appena estratto da Virginia e cascò di peso in avanti. Ora l’aveva trovata visto che ci era proprio finito sopra di peso.

Sentire il calore di lei su tutto il suo corpo fu la sensazione migliore che avesse mai provato. Inconsapevolmente le passò una mano fra i capelli mossi accarezzandoglieli per tutta la lunghezza. Aprì un po’ la bocca a metà fra la sorpresa di trovarsi in quella situazione e l’estasi del momento. Pesca. I suoi capelli profumavano di pesca matura. Un profumo così intenso che Draco rischiò di perdersi.

D’altro canto, anche virginia non fece molto per impedire a Draco di accarezzarle i lunghi capelli o di annusare il suo profumo fruttato. Si rese conto un attimo più tardi, dopo essersi risvegliata dal quel piacevole torpore che erano in una situazione alquanto imbarazzante.

“Draco…scusa…” disse lei con voce piccola. In quel momento si svegliò anche Draco che si alzò subito da sopra di lei s tornò a sedersi sul letto.

“No scusami tu…” seguì un silenzio imbarazzate per cui non si parlarono per quasi tutto il pranzo.

Le loro discussioni, di solito, erano lunghe e variegate. Parlavano di tutto. Vestiti, sport, roba da mangiare. A volte di Hogwarts, ma se c’era qualcosa di cui non avevano mai parlato era Virginia. Draco non sapeva nulla di lei se non che aveva, forse, sui diciotto anni, che era ad Hogwarts e che i suoi capelli profumavano di pesca. Ma quella era un informazione recente. Quando lui si lamentava che non sapeva nulla della sua famiglia e della sua vita al contrario di lei, Virginia rispondeva “Tanto sono qui, che altro vorresti sapere?” E a Draco, in effetti, quello bastava eccome.

Solo al dolce uno dei due azzardò.

“Allora…ehm…cosa ti hanno detto i medici?” chiese lei per iniziare il discorso e cercare di far scordare ad entrambi l’accaduto. Almeno per il momento.

“Eh? Ah, grandi notizie! Mi tolgono la benda, dicono che il recupero della vista all’occhio destro è stato completo, al sinistro più di sette decimi…non male eh?” disse Draco.

“Come ti tolgono la benda? Quando?” Virginia sembrava allarmata da quella notizia. Draco non capì bene il perché ma le rispose.

“Fra un paio di giorni…perché sei così allarmata?” le domandò intimorito. Non sapeva perché essere intimorito…una specie di sesto senso. Virginia tacque per un po’.

“Io…Draco…non…non posso più venire a trovarti, mi dispiace” disse lei risentita incominciando ad impacchettare le sue cose nel cestino da pic-nic. Draco non voleva credere alle sue orecchie. Scostò il piatto con la fetta di torta a metà e le afferrò il braccio. Più per istinto e fortuna che per altro.

“Cosa? Perché?”

“Perché…perché…Oh, Draco non potresti capire!”

“Cosa non potrei capire!” lui stava lentamente andando su di giri.

“Io…Draco tu non…non voglio darti una delusione”

“Delusione?” disse Draco “Delusione di cosa? Cosa c’è che non va Virginia?” le scosse il braccio forse con un po’ troppa violenza. Lei si liberò con uno strappo dalla sua presa. La sua voce era rotta dal pianto.

“Scusami, scusami tanto… non avrei mai dovuto…” la frenesia con cui il cestino si riempiva degli avanzi del pranzo era aumentata drasticamente. Draco cercò di fermarla.

“Aspetta! No, ferma, non andare…no!” era arrabbiato, era fuori di se! Era…dispiaciuto, ferito…sentiva la solitudine avvolgerlo come già temeva lo avrebbe avvolto senza di lei.

“Io…Io ho bisogno di te…” disse senza rabbia ma con grande tristezza. Lei scostò il cestino A Draco parve di vederla di nuovo. Sorridere con gli occhi lucidi dal pianto.

“No, tu hai bisogno di Virginia” gli si avvicinò e gli diede un bacio sulla fronte. Fece scivolare le labbra sulla benda e lungo il naso fino a poggiare la sua fronte contro quella di lui.

“Ma Virginia non esiste. Addio Draco, è stato bello” Virginia si staccò da lui come un frutto si stacca dal ramo per non tornare mai più. Sentì solo chiudersi la porta della stanza e la benda che lentamente si stava inzuppando delle sue lacrime.

“Ecco signor Malfoy…allora, come andiamo?”

Draco sbatté gli occhi numerosi volte. Le palpebre gli dolevano e la luce, seppur fioca luce della sera, gli bruciava terribilmente gli occhi sensibili. Scosse la testa per darsi una svegliata e finalmente annuì con la testa.

“Io…ci vedo, sì vedo…” ma non vedeva quello che voleva vedere. Virginia.

“Eccellente, ancora qualche controllo e poi sarà libero di andare signor Malfoy” disse entusiasta il medico che prese a esaminargli le pupille e puntargli entrambi gli occhi con la bacchetta la quale emetteva luci particolari.

Draco si lasciava fare tutto come una bambola di pezza. Aveva paura di essere solo? Bene, ora lo era veramente. Virginia aveva mantenuto la sua parola e né il giorno dopo né quello successivo, cioè quel giorno, era venuta a fargli visita. Perché se ne era andata? Quel suo discorso alla fine. Su di lei che non era lei. Che significava? Che…aveva forse paura del suo aspetto? Ma andiamo! Lui aveva uno sfregio permanente che non gli avrebbe senz’altro giovato a notorietà. Cosa poteva avere di strano lei?

Draco non se lo spiegava. Non riusciva a darsi una risposta, purtroppo. E tutto ciò lo avviliva ancora di più. Non sapeva dove trovarla, o come rintracciarla. D’accordo che la magia semplifica di molto le cose, ma con quei pochi dati su di lei che aveva non sarebbe riuscito a fare una ricerca come si deve.

“Tanto sono qui, che altro vorresti sapere?”

La tua vera età, il tuo cognome, la tua vita, tutto!

Niente da fare era proprio solo.

Se ne uscì dalla sua camera di sei mesi raccogliendo quei pochi stracci, lavati e riparati dalle sapienti mani di Virginia durante il suo ricovero. La divisa di Hogwarts gli stava eccessivamente stretta e appena un po’ corta. Anche se non sembrava in quei mesi era cresciuto. Poco male. Si sarebbe cambiato a casa…appena avesse avuto una casa stabile.

Percorse i corridoi e, senza saperlo, si ritrovò a passare davanti alle stanze delle vittime di Hogwarts. Forse era solo una sua impressione, ma quei pochi che lo vedevano, fra genitori e studenti, lo fissavano male, come se fosse una macchia di muffa sulla parete. No, non c’era posto per nessun Malfoy lì in quel momento. Sia fosse colpevole, sia non lo fosse.

Sospirò e girò l’angolo. E chi non doveva trovare fuori dalla stanza del pidocchioso fratello? La giovane Weasley. Tutta stretta nel suo mantello di seconda scelta. Si teneva le ginocchia con le mani e aveva la testa appoggiata sulle gambe. Seduta lì su quella branda lungo il corridoio a compiangere se stessa. Non che lui fosse messo meglio in quel momento, ma quello che per i Weasley era la norma per lui era un eccezione. Una delle peggiori, in effetti.

Si avvicinò facendo gonfiare il mantello e con il ghigno dipinto sul volto. Lei alzò lo sguardo, ma appena lo vide spalancò gli occhi come terrorizzata.

Cavoli, questa cicatrice deve essere davvero orribile…vediamo di farla fruttare un po’…

A meno di un metro il suo sguardo divenne di ghiaccio e inspirò a fondo per iniziare la sua preparata sequenza di insulti.

“Ehi Weasley se…” un odore già conosciuto stravolse i suoi sensi. Era un profumo. Un profumo dolce, non uno qualunque. Un profumo che aveva già sentito, a cui non voleva rinunciare e non avrebbe rinunciato se non se ne fosse andato egli stesso. Il suo ghigno si trasformò in un’espressione attonita, mentre il suo passo veloce e rapido rallentò quasi fino a fermarsi. Gli occhi sottili di Malfoy venero gli occhi grandi di Draco e la sua bocca, preparata al peggiore turpiloquio, disse solo una parola.

“Pesca…” fece scivolare le mani sottili fra i suoi capelli mossi e rossicci. Chiuse gli occhi e tutto gli ricordò la situazione di un paio di giorni prima. Strinse dolcemente il viso lacrimante di lei fra le mani e lo avvicinò al proprio. Incrociò le sue sottili labbra con quelle carnose di lei e prese a baciarla. Si staccò quasi subito prima di rituffarsi nel suo dolce volto e succhiargli dolcemente il labbro superiore. Solo per un attimo, piano.

Affondò ancora le labbra e questa volta anche Ginny rispose al bacio giocando con la lingua del suo amante e avvicinandosi a lui quasi inconsapevolmente. Si ritrovò seduta al limite della branda, mentre le sue mani lo afferravano per le spalle e lo tiravano a se. Passò le mani dalle spalle ai capelli, mente il bacio non cessava di essere consumato con sempre maggiore voracità e passione.

Dopo un tempo che sembrò ad entrambi troppo breve, si lasciarono e si guardarono negli occhi.

“Scusami…” disse lei commossa. Le lacrime avevano bagnato il volto di Draco. E comunque lui era fin troppo orgoglioso per ammettere di aver pianto.

“Stupida…”la riprese lui amorevolmente sollevandole la testa che puntava verso il basso e passando ancora le labbra sulle sue in un ennesimo bacio. Fu lei a lasciare quell’unione per prima e guardarlo ancora negli occhi.

“Ti hanno conciato proprio male eh?” rise nervosamente ancora con gli occhi pieni di lacrime.

“Eh sì…” rispose lui ridacchiando a sua volta. Le massaggiò i capelli crespi come se non dovesse mai più accarezzarli in tutta la sua vita.

“Cosa facciamo?” chiese lei asciugandosi le lacrime con la manica del vestito. Draco scosse la testa.

“Non lo so…mi faccio vivo io fra qualche giorno…il tempo di sistemarmi un attimo e…” non riuscì a concludere e la baciò di nuovo. Ginny di certo non si tirò indietro. Fu un bacio prolungato seppur così improvviso.

“Ok…fra qualche giorno…ti aspetterò qui…” disse Ginny riprendendo fiato dall’ultimo bacio.

“D’accordo…” concluse Draco annuendo con la testa “D’accordo, fra qualche giorno…ok” la baciò di nuovo, velocemente, senza darle il tempo di replicare. Sciolse malvolentieri l’abbraccio e si diresse verso le scale per il piano terra.

Ginny rimase fissa con lo sguardo all’angolo che Draco aveva appena girato. Era pazzesco era incredibile! Lei e Draco Malfoy! Le sembrava impossibile solo pensarlo eppure…eppure l’amore e cieco…e Draco non era come lo si dipingeva la maggior parte della gente. Tutti quei mesi per conoscerlo erano serviti.

Scosse la testa coprendosi gli occhi e sorridendo come una pazza. Scuoteva tutte le gambe e la testa per l’agitazione.

Due mani le afferrarono le sue e le scostarono dagli occhi. Draco le stringeva i polsi e aveva il fiatone di chi aveva corso parecchio, probabilmente facendosi anche qualche piano di scale.

Appoggiò ancora le labbra sulle sue e, quello che era iniziato come un altro bacio veloce, si concluse solo dopo parecchi secondi.

“Ti amo Virginia” ridacchiò lui prima di sparire ancora dietro l’angolo del corridoio senza dare il tempo a Ginny di rispondergli, ma lasciandole una piacevole sensazione addosso.

Allora che ne dite? È una cosuccia fatta per spiegare un po’ la storia fra questi due “besughi”. Che dite è un po’ più chiara? Bè fatemi sapere con un commentino!! Non fate come a solito, leggo e non scrivo! Dai per favore ç ç

Ciao raga!!!

See you again!!!

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Capitolo 2
*** Un'estate al mare...(Senza Tregua 1.1) ***


“Spiegami ancora perché siamo qui” Ron aveva l’aria seccata, alla guida di una decappottabile d’epoca

Salve! Questa one shot è di una comicità (se così si può dire) un po’ diversa dal solito. Non è demenziale, è più black. Ovvero, a vedere cosa succede a sta povera gente ti viene più da ridere perché più sfigati di così non si può essere. Non so neanche se si può definire comico…diciamo commedia, con qualche sorriso ^ ^. Vi chiederete, perché hai inventato una storia dove sono così sfigati. E la risposta è….nessuna invenzione, è tratta da una STORIA VERA….buona lettura! (naturalmente della mia famiglia. Il bambino sono io^__-)

Ah, dedicata a tutti quelli che sono al mare ad abbronzarsi o che presto ci saranno (beati voi…ç__ç)

“Spiegami ancora perché siamo qui” Ron aveva l’aria seccata, alla guida di una decappottabile anni ’60. Rosso brillante con cerchioni lucidi argentati. Hermione si alzò dal sedile accanto e si guardò intorno. Fermi nel traffico. Sbuffò col sorriso prima di rivolgersi a Ron.

“Perché mi ami e faresti tutto per me” sorrise ancora, radiosa. Ron inarcò un sopracciglio e abbassò il capo.

“Già…mi sa che è così” le schioccò un bacio sulle labbra prima di riappoggiarsi sul volante in simil radica. Hermione ignorò un paio di clacson troppo rumorosi e tirò le ginocchia verso di se, coi piedi sul sedile.

“Allora, che ne pensi delle vacanze babbane?” il venticello lieve le scompigliava i capelli. Ron alzò gli occhiali da sole sulla fronte.

“I babbani sono dannatamente stupidi per quanto riguarda a vacanze, scusami, ma è così” Hermione parve offesa da quel commento, ma probabilmente lo faceva solo per scherzare un po’.

“Ehi io ho sempre fatto vacanze babbane fin da quando ero piccola!” replicò Hermione “E poi è un’esperienza esaltante per un mago, no?”

Ron alzò le braccia al cielo e abbassò il capo.

“Yuppie…” disse fingendo un aria profondamente afflitta. Hermione lo colpì al fianco minacciandolo col terribile solletico e subito lui si chiuse a riccio, contro lo sportello, proteggendosi con le mani.

“No, il solletico no, ti prego…” ridacchiava mentre lo diceva e cercava di proteggersi dalle dita di Hermione che in qualsiasi modo cercavano di passare la sua difesa. Ridacchiava anche lei e tentò di punzecchiarlo un paio di volte, mentre Ron si lasciava andare ad una serie di risi nervosi.

“Ok, ok basta…adesso smetto…” si rassegnò Hermione rimettendosi seduta nel suo sedile. Anche Ron tornò composto e respirò a lungo, ridendo ancora, per riprendersi. Hermione fece un ultimo scatto verso di lui, senza reale intenzioni, e lui subito si ritrasse ridendo sguaiatamente. Hermione ridacchiò alla reazione.

“No, dai…bastarda…” Ron rise ancora “Ti prego, devo guidare…dai” Hermione mosse il naso come un furetto emettendo anche un verso simile ad un miagolio. Poi rassegnata tornò la solita Hermione.

“D’accordo, d’accordo”si aggiustò i capelli “Per ora basta…” Ron era rosso peperone. Per il caldo, per il solletico, per molte cose, insomma. Era molto intonato con l’auto che guidava.

Mise una mano in tasca per afferrare la bacchetta, e si accorse di non averla con se. Rimase perplesso un attimo, poi si ricordò il discorsetto con Hermione, qualche giorno prima.

“Vacanze babbane, ergo, niente magia. E niente bacchetta!”

Alzò gli occhi al cielo e sospirò.

“Tesoro, però questa storia della bacchetta…”

“Oh andiamo, i babbani ce la fanno benissimo. Ce la farai anche tu” gli schioccò un bacio sulla guancia e accese l’autoradio. Un rumore gracchiante e sinistro uscì dagli altoparlanti finché Hermione non ruotò la manovella di sinistra. E poi regolò il volume con quella di destra. Una canzone pop cominciò ad invadere l’aria.

“Ma che roba è?” sbottò Ron dopo pochi secondi del brano. Hermione lo guardò scotendo la testa.

“Robbie Williams, un babbano con una gran voce. Bella no?”

“Bella? Ma hai sentito che cavolo dice?” Hermione sembrò contrariata.

“Ron, lasciamelo dire, i maghi ne conoscono un sacco di cose in più dei babbani, ma per la musica sono proprio negati” e concluse con enfasi la frase arricchendo con un grazioso e secco gesto della mano.

“Ma scusa e le grandi Sorelle Stravagarie?”

“Ron, è da trent’anni che ci sono solo le Sorelle Stravagarie…” rimasero in silenzio un altro po’, poi fu Ron a sbottare ancora.

“Ma senti!…Io non voglio morire, ma neanche vivere…E’ suonato, non è un cantante!” Hermione perse la pazienza.

“Ascoltami bene, Robbie Williams è un grande cantante, e lo è ancora! Questa canzone è dell’anno scorso ed è ancora in vetta alle classifiche, quindi” e qui si avvicinò al visto di Ron che parve sudato più per la paura che per il caldo “Se hai altri commenti su di lui vedi prima di farti una cultura musicale oltre le Sorelle Stravagarie” e si sedette seccata al suo posto.

“Ok, scusa! Scusami, vediamo di non morderci già il primo giorno di vacanza, ok?” le si avvicinò e le diede un bacio dietro l’orecchio. Lei ancora non lo guardava, guardava la strada ancora intasata. Ma il traffico stava cominciando a defluire.

“D’accordo, scuse accettate” si voltò Hermione per guardarlo negli occhi, ma vide solo due lenti nere degli occhiali da sole. Glieli tolse incastrandoli dietro le orecchie e sulla testa. Gli occhi azzurri di Ron sorrisero insieme alle sue labbra.

“Bacio?”

“Bacio” rispose lei e gli schioccò l’ennesimo bacio a fior di labbra. Ron si rimise composto e avanzò di una decina di metri. Ormai la coda stava scomparendo, al contrario del sole che sembrava sempre più caldo. Un lamento acuto li fece voltare entrambi verso il sedile posteriore.

“Chris, amore!” gli sorrise Hermione “Sei sveglio, tu” Chris si stropicciò gli occhi, ben seduto e bloccato con la cintura, nel suo seggiolone. Poi sorrise ai suoi genitori con un vagito felice.

“Ciao campione, ci vuole ancora un po’ per il mare” Ron gli si avvicinò facendo finta di parlargli all’orecchio, ma in realtà tenne la voce alta così che sentisse anche Hermione.

“E’ colpa della mamma. Altrimenti bastava un colpo di bacchetta…pop!” fece un suono simile ad un palloncino che esplode con le labbra chiuse che fece ridere come un matto il piccolo Chris. Batté le manine contento e sghignazzò.

“Oh, finalmente la strada è libera!” un paio di clacson suonarono alle spalle della decappottabile.

“Sì, sì, andiamo!” Ron si rivolse ad Hermione “Ma i babbani sono sempre così agitati o è l’estate?” Hermione gli sorrise mandandogli in bacio a labbra chiuse e inforcò gli occhiali sul naso. Anche Ron li rimise davanti agli occhi. E Chris, nel suo piccolo, prese i suoi grandi occhialini da sole blu elettrico e se li mise tutti storti sul naso.

“Partenza!”

La porta si aprì di scatto e Ron quasi rovesciò le valige sul pavimento della loro camera. Era una bella stanza, in effetti. Molto decorata, con parecchi confort. Non avevano badato molto alle spese. E poi potevano permetterselo.

Hermione entrò subito dopo con Chris in braccio e il borsone con tutto l’occorrente per il bebè a tracolla. Chiuse la porta con un piede e raggiunse Ron che prendeva fiato spalmato sulle valige.

“Bella, che ne dici?” Ron respirò forte e si guardò intorno.

“Eh!…Sì, belli…lissima!” rispose fra gli affanni. Si rimise in piedi e lasciò le borse. Era incredibilmente sudato. La camicia blu elettrico era appiccicata a lui come una seconda pelle. Si passò una mano fra i capelli e sbuffò accaldato.

“Miseria…si può fare qualcosa per questo caldo terrificante?” chiese Ron ad alta voce. Hermione era già nel bagno a dare un occhiata e a sciacquare il faccino di Chris.

“L’aria condizionata. Ci dovrebbe essere un telecomando in giro”

“Un telecosa?” Ron sentì chiaramente Hermione sbuffare e poi ridacchiare prima di rispondergli.

“Una specie di parallelepipedo con dei pulsanti colorati” Ron si guardò in giro. Cercava quel dannato parallelepipedo in ogni mobile, comodino, tavolo. E poi lo vide.

“Trovato”

“Bene, puntalo alla scatola bianca vicino alla finestra, ora. Poi accendilo. Il pulsante rosso, di solito” Ron prese il telecomando in mano se lo girò un po’ fra le dita dubbioso. Era molto più complicato da usare che una bacchetta. Almeno per lui.

Vide la scatola bianca attaccata alla parete vicino alla finestra e gli si avvicino con fare perplesso. Guardò la scatola. Poi il telecomando. Poi ancora la scatola. Le parole ReFresh stampigliate promettevano la tanta agognata frescura.

“Dunque…presumo agitare a colpire” impugnò il telecomando in maniera ridicola per un babbano. Ma non più di tanto per un mago. Mosse come una frusta la mano e puntò il condizionatore.

“Là!” disse premendo il pulsante rosso. E non successe nulla. Almeno in un primo momento. Sentì una suadente voce femminile alle sue spalle. Si girò di scatto e vide una minuscola donna in abiti succinti, praticamente nuda, dentro una scatola grande poco meno di mezzo metro.

…fresca e dissetante. Prova il gusto intenso di SunJuice. Non potrai più farne a meno…” Ron piegò la testa di lato per osservare meglio quella donna. I babbani facevano cose strane davvero. Fra cui rinchiudere donne sexy dentro delle scatole negli alberghi.

“Ron sei riuscito a…” Hermione rientrò nella stanza principale e subito Ron si girò di scatto spaventato.

“Non la stavo guardando!” gridò subito e lasciò cadere il telecomando per terra. Hermione guardò il televisore acceso e poi guardò Ron. E si mise a ridere. Lasciò che Chris scendesse a terra a camminare da solo e raccolse il telecomando di Ron. Spense la televisione.

Telecomando della Televisione” disse indicando prima uno poi l’altro. Lo lasciò sul tavolo lì accanto e prese un altro telecomando bianco, dall’altro lato del tavolo.

Telecomando del Condizionatore” ed indicò ancora entrambi. Ron seguì la sua spiegazione con gli occhi e la bocca semi aperta.

“Ma perché i babbani hanno bacchette per qualsiasi cosa…” disse voltandosi di scatto. Chris gli corse fra le gambe facendolo quasi inciampare. Rideva camminando in giro per la stanza.

“Ehi, mi ammazzi campione!” gli disse Ron e lo prese al volo per i fianchi. Chris volò in alto fin davanti alla faccia del padre. Sorrideva mostrando la boccuccia sdentata. Ron gli sorrise e gli fece una linguaccia. E Chris gliene fece un’altra in risposta.

“Ah sì? E allora…” lo fece volare per aria e lo riafferrò al volo. Chris strillò entusiasta.

“Antola!” rise il piccolino. Hermione scosse la testa sorridendo e andò in terrazzo. La vista era splendida. Si poteva vedere l’orizzonte scomparire e quasi fondersi con il mare. Sicuramente il tramonto sarebbe stato uno spettacolo magnifico. Si lasciò cullare dal venticello che aveva preso a spirare e chiuse gli occhi. Sentiva solo il parlare confuso di qualche passante, tre piani più sotto. E gli “Hoooop!” di Ron mentre faceva volare Chris. E naturalmente le risate del piccolo e i suoi “Antola!” sdentati.

“Che facciamo? Ormai è tardi. Una passeggiata al mare prima di cena?” propose Ron sbucando dalla porta del terrazzo. Hermione gli annuì, voltata di spalle.

“Sì, perché no. Io e papà la facevamo sempre” si voltò per vedere sorridere Ron. Lui si avvicinò e le sfiorò le labbra in un bacio leggero, che minacciava di diventare qualcosa di più.

“Papààààààà! Antola vola-vola!” Chris strattonò i pantaloni di Ron, appeso come una scimmia all’albero. Ron smise di baciare Hermione e si strinse nelle spalle con un sorriso, come per scusarsi.

“Vola- vola!” gridò d’un tratto, alzando le braccia. Chris ridacchiò divertito e scappò nella camera, rincorso da Ron che lo inseguiva giocando come un bambino.

“D’accordo, allora io mi cambio e andiamo, va bene?” chiese Hermione dal terrazzo.

“Sicuro…Hoooop!” le rispose Ron, seguito dal solito vagito divertito. Hermione sentì un altro “Hoooop!” e attese il risolino del bambino. Invano. Invece lo sentì piangere. Con uno scatto attraversò la porta e trovò Ron in ginocchio che teneva stretto Chris. E Chris piangeva dei lacrimoni disperati.

“Che ha? Che è successo?!” Hermione si inginocchiò assieme a loro. Ron era bianco dalla paura.

“Non lo so…l’ho preso e ha cominciato a piangere” gli tastò le braccia e le spalle, anche Hermione lo fece, ma il piangere di Chris rendeva tutto più complicato.

“Non è rotto, ma si deve essere slogato il braccio. Oppure la spalla” anche Hermione cominciò ad assumere una tonalità bianco latte.

“D’accordo, con calma. Andiamo all’ospedale”

“Ospedale babbano?!” chiese uno stralunato Ron.

“E’ una slogatura, la sistemano in un attimo anche i babbani” e il pianto di Chris si fece più forte. Ron lo cullò un poco e gli poggiò la fronte sul capo.

“Tranquillo, piccolo. Adesso la sistemiamo” diede il bambino in braccio ad Hermione con delicatezza.

“Vado a prendere la macchina, tu prendi quello che ci serve e scendi subito!”

Ron correva per le strade larghe della cittadina di mare. Per fortuna per strada c’era pochissima gente. Era ancora tempo di mare per chi se lo poteva permettere. Svoltò una curva o due un po’ troppo velocemente, ma Hermione non glielo fece notare, era già abbastanza agitato per conto suo.

In compenso le coccole della mamma avevano fatto un po’ effetto e Chris piangeva meno. Strizzava solo gli occhi e si stringeva il petto della madre ripetendo “Ahi, ahi, ahi…”. Hermione lo cullava dolcemente come poteva. Non voleva causare più danni di quanti già ce ne fossero.

Ultime due curve e Ron imboccò il viale davanti all’ospedale.

“Dove ora?” chiese febbricitante. Hermione gli indicò la strada per il pronto soccorso. Non era un grande ospedale. E Hermione ne fu contenta. Meno gente, meno fila, meno attesa.

Ron sterzò di scatto e frenò. Hermione sobbalzò sul sedile. In un lampo Ron aprì la sua portiera, scivolò sul cofano, e aprì quella della moglie.

“Dai andiamo!” la incitò Ron. Hermione scese e Ron gli fu subito dietro.

Hermione si guardò attorno, poi vide l’entrata del pronto soccorso. Raggiunse la porta che Ron aprì preventivamente. In un attimo superano il corridoio e furono al bancone dell’accettazione.

“Salve, è per mio figlio. Credo che sia una slogatura” parlò subito Hermione. L’infermiera al di là del vetro alzò gli occhi annoiata. Probabilmente lavorare in pieno agosto rendeva le persone così.

“Compili il modulo e aspetti il suo turno di chiamata” Ron lanciò un’occhiata all’infinito modulo da compilare. Poi guardò alle sue spalle. La sala d’aspetto era completamente vuota, deserta. Non si sarebbe sorpreso a vedere anche una carcassa di montone e uno di quei cespugli tipici dei deserti dell’ovest.

“Senta! Non c’è nessuno e mio figlio sta male, ORA!” sbatté la mano sul tavolo Ron. L’infermiera non mosse un muscolo del volto. L’espressione rimase immutabile. Sbuffò seccata e uscì dalla guardiola dell’accettazione. Si avvicinò ad Hermione e a Chris.

“Dia qua…” prese il faccino di Chris fra le mani. Lo girò da un lato, poi dall’altro. Due righe di lacrimoni gli sporcavano le guanciotte paffutelle, e gli occhi erano lucidi e arrossati.

“Allora, cosa ha fatto?” chiese l’infermiera continuando a visitare sommariamente il bambino. Sembrò che un fulmine avesse colpito Hermione da quanto rimase scioccata e sorpresa. Glielo aveva appena detto! Aprì la bocca per parlarle con molta calma, ma Ron la anticipò.

“UNA SLOGATURA! MIA MOGLIE L’HA APPENA DETTO!” urlò con rabbia in faccia all’infermiera. E questa volta lei aprì appena gli occhi.

“Oh, sicuro, slogatura. Allora non possiamo aiutarvi”

“Come?”

“Come non potete?”

“Non c’è nessun reparto di ortopedia in questo ospedale. Dovrete tornare verso le città più all’interno…Shampton dovrebbe averne uno” Hermione non seppe cosa dire e boccheggiò a vuoto. Ron strinse gli occhi a fessura e le orecchie cominciarono a diventargli rosse fuoco.

“Senta, io non posso credere che in questo…ospedale” pronunciò con disgusto l’ultima parola “non si riesca a curare un bambino con un braccio slogato!”

“Non ho detto che non vogliamo” ripeté l’infermiera “Ho detto che non possiamo”

“E che diavolo significa?” urlò ancora Ron. L’infermiera tornò nella sua guardiola incurante di dare le spalle al rosso. Assunse la solita espressione annoiata.

“Significa che non siamo autorizzati. Se capita un controllo dovremmo pagare una multa salatissima”

“Ascolti attentamente!” Ron sbatté ancora la mano sul tavolino dell’accettazione che minacciò seriamente di cedere al suo secondo colpo “Lei mi sta dicendo che non può curare mio figlio per una cazzutissima legge babbana!” colpì ancora il tavolo e quello cedette impercettibilmente. La gamba più esterna scalzò di un poco e piegò il piano in obliquo. L’infermiera non lo notò. O fece finta di non notarlo.

“Esattamente” sorrise melliflua. La rabbia di Ron stava per scoppiare definitivamente, ma fu solo il tocco di Hermione a placargli qualsiasi ira.

“Andiamo, lascia perdere. Chris si sta agitando…” Ron rivolse un ultima furente occhiata all’infermiera e seguì Hermione nel parcheggio, sbattendo violentemente la porta.

“E adesso?”

“Shampton due chilometri” annunciò Ron ritrovando un po’ di tranquillità “Come sta?” Hermione accarezzò una guanciotta di Chris che dormiva, ma singhiozzava nel sonno ogni tanto.

“Dorme. Probabilmente lo spavento gli è passato” Ron annuì guardando la strada. Un chilometro. Orami erano arrivati. Sbatté la mano sul volante con rabbia.

“Che sia dannato io e quel cazzo di vola-vola!” strillò a denti stretti. Hermione lo sfiorò con la sola mano libera, smettendo di carezzare Chris.

“Dai, non l’hai fatto apposta. A Chris piaceva” Ron annuì poco convinto e finalmente vide il cartello: Benvenuti a Shampton. Ringraziò mentalmente qualsiasi forza nell’universo per essere infine arrivati. Il sole stava calando dietro l’orizzonte proprio in quel momento.

Per una volta la fortuna fu dalla loro e videro subito i cartelli per l’ospedale. In una decina di minuti e di curve, fin troppo azzardate per Hermione, raggiunsero il secondo pronto soccorso della giornata. Scesero e in un lampo attraversano l’ampia porta della sala d’attesa. Ad Hermione saltò in cuore in gola. A Ron semplicemente scappò una bestemmia.

La sala era colma, anzi, stracolma, di persone. Non le aveva contate ma a Ron parvero almeno una cinquantina. E sperò di essersi sbagliato vivamente e fossero meno. L’aria era irrespirabile e il tanfo di sudore e umidità copriva anche quell’odore di disinfettante tipico degli ospedali babbani. Non senza difficoltà raggiunsero la guardiola dell’accettazione. Solo due persone davanti a loro. Almeno quello.

Ron ascoltò vagamente il discorso di due vecchiette sedute vicino a lui, in piedi per la coda. Parlavano dei loro mariti, morti. E poi anche di altri parenti. Morti anche quelli, naturalmente. E sembravano fare a gara a chi conosceva il parente morto nella maniera più originale. Sembrò spuntarla quella vestita in grigio topo, un suo cugino di secondo grado si era schiantato contro una vetrina con l’automobile, ma dopo esserne uscito solo con qualche graffio, in ospedale gli diagnosticarono un tumore e morì un mese più tardi.

“Ma che allegria…” sussurrò Ron. Hermione non capì di cosa parlasse, non stava ascoltando. Ma finalmente venne il suo turno. Ron le fu subito accanto.

“Ditemi, signori” un’infermiera dai boccoli rossi mise via subito un modulo compilato per prenderne uno pulito.

“Il bambino, credo sia una slogatura” Hermione mostrò il piccolo Chris addormentato fra le sue braccia. Ogni tanto sussultava per un singhiozzo e piangeva qualche lacrima solitaria che gli annaffiava il faccino.

“Oh, buon Dio, povero piccolo!” sussultò l’infermiera e assunse un cipiglio dispiaciuto “Ma quando è successo?” chiese, poi, guardando Hermione. Lei incrociò lo sguardo con Ron per cercare una risposta.

“Saranno state…le cinque, credo. Cinque e mezza, al massimo” rispose Ron per lei cercando di ricordare l’orario di arrivo in albergo. L’infermiera scosse la testa sconsolata. Li guardò entrambi. Due genitori stanchi, preoccupati e che avranno avuto poco più di vent’anni. E quel piccolo frugoletto tutto piangente.

“Sentite” disse avvicinandosi al vetro della guardiola “Facciamo una cosa. Adesso mi date i vostri dati e poi…” guardò la pila di richieste. Hermione emise un verso di rassegnazione. Ron si nascose il volto fra le mani e sbuffò.

“…vi faccio passare. Non potete stare tutta sera e forse anche notte qui ad aspettare” Hermione alzò lo sguardo per guardare l’infermiera e le sorrise.

“Oh, grazie…grazie mille davvero! Grazie” stava quasi piangendo per la contentezza. Ron sospirò soddisfatto e increspò le labbra in un sorriso che gli distese il volto.

“Grazi, signora. Grazie davvero…” l’infermiera gli sorrise contenta e un poco imbarazzata da tanta sincerità in quei ringraziamenti. Compilò il modulo con i loro dati (usarono quelli di Hermione, lei era registrata nel mondo dei babbani) e l’infermiera, senza farsi notare, lo mise in cima a tutti gli altri. Uscì dalla guardiola.

“Adesso vi chiameranno subito. Ma da dove venite?” chiese curiosa.

“Dal mare. Rawcoast, è verso sud…” rispose Hermione. Le parole le uscivano come un fiume dalla bocca. Era più rilassata e parlava volentieri. Ron le prese dalle braccia il piccolo e lo cullò un po’ lui. Si mise contro una parete e prendere fiato. Finalmente quell’incubo stava finendo.

Hermione salutò l’infermiera che scomparve dietro ad una porta per il personale e tornò da Ron.

“Come sta? Dorme ancora?” Ron annuì senza guardarla.

“Sì, è cotto, poverino” Hermione diede una bacio leggero al figlio, e poi ne schioccò uno a Ron.

“Siamo dei bravi genitori?” gli chiese come se temesse già la sua risposta. Somigliava ad una domanda retorica.

“Facciamo del nostro meglio…e ci viene benissimo” le rispose un Ron più rilassato e sicuro.

Finalmente il medico arrivò e prese il pacco di moduli dalla scrivania della guardiola. Hermione e Ron si avvicinarono, con calma, sicuri di essere subito chiamati. Solo Hermione alzò gli occhi e quasi si strozzò da quello che vide. Il medico prese il plico…e lo girò, capovolto. Erano appena finiti in fondo all’elenco.

“Oh, no…” mormorò Hermione “Non può essere…” i suoi occhi presero a lacrimare per la disperazione. Ron non capì il perché, poi guardò il medico e i moduli e subito comprese la situazione.

“No, no, no!” strillò Ron a bassa voce. Con passo rapido, e Chris ancora in braccio, si avvicinò al tizio in camice bianco e al tavolo dove stavano poggiati i moduli. Il medico alzò gli occhi e chiamò “Susan Tratton”, poi li spalancò vedendo Ron così vicino a lui.

“Prego, dica pure…” lo incalzò il medico.

“Senta, c’è stato uno sbaglio, noi eravamo in cima alla lista” disse con quanta più calma possedesse, Ron. Quindi davvero poca. Hermione gli fu subito accanto e prese di nuovo in braccio Chris. Ormai il piccolo era addormentato e non si sarebbe svegliato neanche a cannonate.

“Davvero? Controlliamo subito…signor?”

“Weasley”

“Granger!” corresse in fretta Hermione. Ron annuì distogliendo la testa.

“Sì, Granger, mi scusi” il medico sfogliò i moduli e trovò per ultimo proprio il loro. Lo sventolò soddisfatto con un orrido sorriso dipinto sul volto. O almeno, a Ron parve orrido e crudele.

“Eccolo, mi spiace ma siete ultimi…siete arrivati ora, giusto?” né lui né Hermione riuscirono a negare “Allora è normale. Non si preoccupi ci sbrigheremo” sorrise affabile il medico.

Erano già le nove passate e la coda non era neanche a metà. Ron ed Hermione stavano seduti su delle scomode sedie in legno lungo la parete. Chris si svegliava ogni tanto solo per piangere disperato, ma una bella dose di coccole lo calmava immediatamente. Grazie al cielo, si trovò a pensare Hermione.

“Credo che abbia fame” disse guardando Chris mentre si ciucciava il dito. Ron annuì con lo sguardo perso nella parete di fronte.

“Non è il solo…” si scosse e si alzò in piedi “Cerco del latte. Poi mangeremo meglio da un’altra parte” Hermione annuì più per la stanchezza che per altro. Ron si avvicinò al solito tavolo dove ora stavano anche due infermiere. Una gli sorrise affabile. Era sudata e la fronte era imperlata di piccole gocce.

“Mi dica”

“Scusi, ma siamo qui da parecchio, e mio figlio avrebbe bisogno di mangiare qualcosa…un biberon con del latte. Dice che si può avere?” lei sorrise annuendo.

“Certo, me lo faccio mandare dal reparto maternità. Solo qualche minuto” Ron la ringraziò esausto e attese il ritorno dell’infermiera.

Ci vollero una decina di minuti, ma tanto di tempo ne avevano finche volevano. Ringraziò ancora l’infermiera e afferrò il biberon. Entrambe chiamarono, poi, l’ennesima persona in attesa e sparirono oltre la porta del pronto soccorso.

Ron raggiunse di nuovo Hermione. Chris, per fortuna, non si era svegliato di nuovo. Il rosso le sorrise e mostrò soddisfatto il biberon. Lo agitò un poco. Hermione gli sorrise di rimando.

“Bravissimo…” gli disse stancamente. Lui le si avvicinò e si scambiarono un bacio per darsi forza e coraggio. Poi Ron si rese conto di agitare un biberon. Un biberon di latte…freddo.

“Ma che testa di cazzo!” strillò a denti stretti un minuto dopo, seduto accanto ad Hermione.

“Cioè, ci vuole un genio per scaldare il latte di un bambino? Non va dato freddo, cazzo!” sbuffò ed alzò un po’ troppo la voce, tanto che una signora accanto a lui lo guardò sconcertata e gli diede, poi, le spalle.

“E ora? Non ci sono neanche più le due signorine” stridette nel pronunciare l’ultima parola, per prenderle in giro. Ron ridacchiò sentendo Hermione parlare in quel modo. Non era possibile immaginare una giornata più incasinata di quella.

“Non lo so…” disse sbadigliando “Non lo so propr…” poi gli venne un idea.

“L’auto!”

“Cosa?”

“La macchina, Herm. Lo scaldò con quella!” schizzò fuori dalla sala d’aspetto, verso il parcheggio. Hermione non ebbe il tempo di dire, capire o controbattere nulla.

Ron tornò dopo una mezz’ora. Arrivò di corsa col biberon in mano. Chris si era appena svegliato e stava piangendo disperato. Inutilmente Hermione cercava di calmarlo, quella volta non ne voleva sapere di addormentarsi di nuovo.

“Ecco!” disse Ron fermandosi di scatto, si inginocchiò davanti ad Hermione e Chris “Eccolo il latte. E’ buono, vero campione?” Chris afferrò subito il biberon e se lo portò alla bocca. Gli occhietti piangevano ancora lacrime, ma sembrava essersi calmato. Ron si rimise seduto accanto a Hermione e sbuffò con la testa a ciondoloni all’indietro.

“Ma che bravo…” gli sussurrò Hermione “E come hai fatto?”

“Sul motore”

“Hai scaldato il latte di Chris sul motore dell’auto?!” chiese d’un tratto Hermione. Chris si lamentò. Non voleva tutta quella confusione. Hermione si zittì subito e parlò a voce più bassa, ripetendo la domanda.

“Sì…stai tranquilla. E’ pulito, speriamo che l’auto non si fermi sulla strada del ritorno, ecco tutto” Hermione non aveva né voglia né energia per controbattere. Annuì con la testa e la appoggiò a quella di Ron. Si reggevano a vicenda. Come avevano fatto fino a quel momento, dopotutto.

“Speriamo che duri ancora poco”

Tre ore più tardi, finalmente, chiamarono il loro nome. L’ultimo della lista. Entrarono tutti e tre nell’ambulatorio, dove uno stanchissimo medico spalmò una pomata e preparò un cartonato per il braccio destro di Chris. Il piccolo Weasley neanche si svegliò. Ogni tanto si agitava nel sonno con qualche lamento, ma nulla di più.

“Niente gesso?” chiese Hermione. Si aspettava un piccola ingessatura sul braccio destro del figlio. Il medico negò col capo.

“No, il cartone irrigidito basta. Lo tolga fra un paio di giorni e metta questa pomata per almeno altrettanti” Hermione lo ringraziò. Ron anche, più per inerzia che altro. Prese in braccio il bambino addormentato e, finalmente, uscirono all’aria aperta.

Raggiunsero l’automobile nel più totale silenzio. Il cicalare fra l’erba faceva loro da colonna sonora. Hermione mise Chris steso sul suo seggiolone. Lo piegò un po’ all’indietro per farlo dormire meglio. Chris non si accorse di nulla e continuò a dormire. Ron lo coprì con la sua camicia rimanendo a petto nudo.

“Che facciamo ora?” chiese Hermione mentre si spalmava sul cofano dell’auto. Ron si stese accanto a lei.

“Non lo so, io sono un po’ stanco…a dire il vero…” Hermione ridacchiò per spezzare quel silenzio. Ron la seguì a ruota e si ritrovarono a ridere come due ragazzini. Dopo un minuto di risa ininterrotte, Ron riprese il controllo e si asciugò le lacrime. Ancora ridacchiava.

“Siamo un disastro…” Hermione scoppiò in un’altra fragorosa risata. Poi annuì e sospirò fra i singulti, divertita.

“Eh già…” si tenne la pancia con le mani “…io…non ci posso…posso credere…” Ron mise la faccia sul cofano e continuò a ridere. Prese un respiro cercando di ritrovare il controllo.

“Come torniamo a casa…?” domandò cercando di essere più serio. Hermione negò col capo, ancora scossa da singulti. Poi entrambi sentirono un pop, proprio davanti a loro. Alzarono la testa entrambi per vedersi di fronte Arthur Weasley. Ron alzò il braccio e ridacchiò ancora.

“Ciao papà…”

“Ciao Arthur…” Hermione ormai rideva soltanto. Il signor Weasley incrinò le labbra in un sorriso. Non si aspettava di trovarli a ridere sul cofano della macchina in piena notte.

“Ragazzi…ma che succede? Non abbiamo ricevuto gufi e poi abbiamo felefonato all’albergo e ci hanno detto dell’incidente…ma state bene?” domandò poco convinto Arthur. Ron annuì con la testa senza smettere di ridere.

“Papà…non puoi immaginare cosa ci è successo oggi…”

Arthur li smaterializzò fino davanti a casa. Non avevano l’auto. Neanche le valige, ma almeno erano a casa. Li salutò dicendo che sarebbe passato l’indomani con Molly. Si smaterializzò, ancora, con un pop.

“Casa dolce casa…” sbadigliò Ron. Si incamminò verso la porta e sfilò la bacchetta dai pantaloni…la bacchetta?

“Cacchio la bacchetta!” esclamò voltandosi di scatto verso Hermione “Come la apro la porta?” la porta della loro casa aveva uno speciale antifurto. Solo il proprietario con la bacchetta poteva aprirlo. Quindi solo lui o Hermione.

“Non ci posso credere…” scosse la testa Hermione. Chris stava aggrappato con le braccia attorno al collo della madre. Dormiva dalla grossa. Ron alzò gli occhi al cielo esausto, poi si guardò intorno. Ringraziò un Dio qualsiasi quando vide un passante camminare lungo il marciapiede davanti alla loro casa.

“Ehi, senta, mi scusi!” lo richiamò Ron correndogli incontro “Senta, mi sono scordato la bacchetta in casa. Mi potrebbe prestare la sua un attimo. Solo per aprire la porta” il signore, un po’ ingobbito e con gli occhi fuori dalle orbite, lo guardò da capo a piedi. A Ron ricordò vagamente Malocchio Moody.

“E chi me lo dice che è casa tua? Potresti essere un ladro!” e anche nel parlare sembrava molto il vecchio Malocchio. Ron sorrise di circostanza.

“Andiamo, guardi. C’è anche mia moglie, e mio figlio…non siamo ladri, è casa nostra” ma il signore negò seccamente.

“No, non mi fido. Poi la colpa ricadrebbe su di me” e si voltò per andarsene. Ron lo afferrò per la spalla.

“Andiamo…guardi, sono Ronald Weasley, ha presente? Auror del ministero…Eroe dei sogni, qualche anno fa. Compaio sui giornali ogni tanto”

“Mi spiace, non leggo i giornali” sputò secco quello e si incamminò di nuovo lungo il marciapiede, per la sua strada.

Con un sasso Ron ruppe il vetro della finestra del salotto. Si graffiò la mano ma riuscì ad aprirla ed ad entrare senza troppi problemi. Si incamminò verso l’entrata e aprì la porta.

“Bentornata a casa!” disse con finto entusiasmo e facendo un inchino ad Hermione che attraversò la soglia esausta. Portò subito a letto Chris e Ron la seguì per darle una mano. Gli tolsero i vestiti inzuppati di sudore, facendo attenzione al braccio cartonato. Chris si lamentò soltanto un paio di volte, ma non si svegliò.

“Ecco il pigiama” allungo Ron ad Hermione.

“No, Ron”

“Come no? E’ il pigiama” lo riprese indietro per guardarlo meglio. Era proprio il pigiamino di Chris con gli elefantini azzurri.

“Dicevo, no, non possiamo metterlo a letto così. E’ sudato marcio. Si prederà qualcosa, oltre che dormire malissimo” spiegò Hermione. Ron gettò il pigiama sul loro letto. Chris dormiva ancora beato sulle coperte del loro letto.

“Quindi che proponi?”

“Tienigli su la testa, mi raccomando” Hermione passava la spugna su tutto il corpicino di Chris immerso nella vaschetta per il bagno. Ron gli teneva sollevata la testa e il braccio cartonato. E intanto il piccolo dormiva, ancora.

“Cavoli, proprio il bagno dovevamo fargli?”

“Era l’unica scelta, Ron” spiegò Hermione che passò la spugna sulla testa di Chris pulendogli l’appiccicaticcio del sudore. Chris si mosse per un attimo e entrambi si immobilizzarono, trattennero il respiro per fare meno rumore possibile. Solo le gocce che cadevano dalla spugna alla piccola vasca da bagno interrompevano quel silenzio. Chris si rimise a dormire. Entrambi tirano un sospiro di sollievo.

“Sposta la mano che gli lavo il collo” disse Hermione. Ron la spostò cercando sempre di reggere la testa per non farlo finire sott’acqua. Poi la mano gli scivolò, non quella della testa, quella del braccio. Il cartonato si immerse nell’acqua.

Hermione lanciò un occhiataccia a Ron.

“Che cavolo fai!” gridò in un sussurro. Ron riprese subito fuori il braccio avvolto nel cartone inzuppato.

“Ops…”

Finirono di fare il bagno a Chris, ed Hermione, con un incantesimo prosciugante, asciugò al meglio la protesi di cartone. Ron gli spalmò la pomata nuovamente e insieme rimisero il cartonato incastrato, alla bene e meglio, attorno al braccio. Finalmente lo infilarono sotto le coperte nella sua culla.

Ron guardò l’orologio. Le due e un quarto. Si buttò di schiena sul letto, subito seguito da Hermione. Stettero a guardare il soffitto per un po’.

“Herm…ma siamo dei bravi genitori noi?” Hermione continuò a guardare il soffitto e si strinse nelle spalle.

“Bè…ci proviamo” altro silenzio.

“Mi dispiace, se fossi stato più attento…”

“Oh, Ron, non dire sciocchezze. Poteva capitare in un qualsiasi momento” fece un pausa in cui sbadigliò “Povera infermiera…lei che pensava di averci fatto un favore” sorrise e scosse il capo sconsolata.

“Bè, ci ha provato…è stata gentile, in effetti” cadde ancora silenzio. Si sentì un fruscio di lenzuola. Chris si agitò nella sua culla per poi calmarsi subito.

“A quando la prossima vacanza babbana?” chiese con un sorriso Ron. Hermione sollevò stancamente il braccio, afferrò un cuscino e glielo spiaccicò in faccia.

“Ahi…” disse lui per nulla convinto. Anzi rideva mentre lo diceva. E Hermione rise assieme a lui.

Fine

Che dire? E’ una ff che parla di sfortuna nera…se volete commentare mi fate un piacere! ^__- Ciao alla prossima!

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Capitolo 3
*** Perchè sorridi ancora? (Senza Tregua 2.1) ***


“In carrozza

Questa Fan fic è dedicata alle ragazze speciali speciali che mi hanno tenuto compagnia durante l’ultimo raduno di Harry Potter a Soave, domenica scorsa. E’ stata una giornata fantastica e grazie a loro lo è stata al quadrato! Quindi questa One shot è anche merito vostro! ^ ^

E ora buona lettura….

 

 

 

Perché sorridi ancora?

 

1.

 

“In carrozza! Signori in carrozza!” l’ultimo richiamo del capostazione rincorse Ginny che per un pelo riuscì a salire sul vagone. La valigia che si trascinava dietro la appesantì facendola scivolare di poco all’indietro, ma l’uomo inforcò la paletta sotto il braccio e le diede una mano ad issarla all’interno con un sorriso e un incitamento.

“Grazie mille” gli sorrise Ginny. Si rimise in ordine il collo del cappotto che per la gran corsa stava tutto appiattito sulle sue spalle. Sbuffò soddisfatta e accaldata e si infilò lungo il corridoio del treno lucido come l’argento.

Ne aveva sentito parlare più volte di quel treno. Opera babbana, naturalmente. I maghi utilizzavano i treni da un paio di secoli, come i babbani. Anche Hogwarts era raggiungibile soltanto tramite l’omonimo l’Espresso.

Quel particolare treno però, dal colore accattivante e brillante, avrebbe attraversato il canale di mare fra la Francia e la terra natia di Ginny, ovvero la vecchia Gran Bretagna. Tunnel della Manica, lo chiamavano. O Eurotunnel.

Ginny era emozionata di viaggiare su qualcosa di così affascinante. Sarebbe passata attraverso una galleria scavata al di sotto del fondale marino. E ci avrebbe messo soltanto poche ore. Niente magia, solo tecnologia.

Sorrise pensando a come suo padre avesse reagito alla notizia della costruzione di quel canale. Arthur non poteva credere possibile una cosa del genere senza l’uso di qualche incantesimo. Ginny ricordava come fosse eccitato all’idea. Non riuscì mai ad andarlo a vedere, però. Troppo impegnato, troppo indaffarato. E poi non voleva mai stare via troppo tempo dalla sua casa. Dalla sua famiglia.

Famiglia. Ginny si fece d’un tratto tutta seria. Aveva perso una parte della sua famiglia con la morte di suo padre. Arthur se ne era andato e con lui i Weasley avevano perso…bè, si poteva dire che avevano perso il cardine. Si sentì un vuoto dentro quando scomparve. E poco dopo quel vuoto tornò, più forte di prima. Un altro cardine se ne era andato, e questo Ginny non riuscì a reggerlo.

La morte di Draco fu il colpo di grazia per il già più che provato sistema nervoso di Ginny. Ad un passo dalla pazzia.

 

“Gin, ti prego, mangia qualcosa…” Ron cercava di avvicinare il cucchiaio di zuppa calda alle labbra di sua sorella. Ma le labbra di Ginny, un tempo rosee ora screpolate da sembrare morte, restavano ben chiuse, incapaci di reagire allo stimolo di Ron.

Sospirò l’ex auror. Sospirò e poggiò il piatto fumante sul comodino.

“La lascio qui, se ti viene fame…” rimase a guardarla un attimo, immersa in un letto scomposto, così come scomposto era il suo animo. Le accarezzò i capelli sperando di vedere il suo sguardo cadere sui di se. Niente. Gli occhi sbarrati di Ginny fissavano un punto imprecisato attraverso la finestra per metà occultata da una tenda bianca e triste. La luce marcescente di un’altra giornata filtrava attraverso il vetro sporcando di una tonalità malata tutta la stanza.

Ron sospirò. Sollevò di nuovo la mano sulla testolina fragile di sua sorella.

“Gin…devi reagire. Ti prego, devi reagire…” le baciò la fronte dolcemente. Ginny si limitò a sbattere lentamente le palpebre. Gli occhi erano lucidi.

Ron si ritirò dal letto della sorella. Poi dalla stanza. La porta si serrò alle sue spalle. C’era Hermione ad attenderlo, appoggiata contro il muro, accanto alla porta. Non ebbe bisogno di chiedere nulla. La faccia di Ron era già una risposta per lei. Lo afferrò per una mano e stancamente lo trascinò di sotto.

“Credo sia venuto il momento di fare qualcosa”

 

 

2.

 

Ginny trovò finalmente uno scompartimento libero. O almeno così credette. Solo dopo che ebbe aperto la porta vide una scalcinata mandria di ragazzini intenti a fare quanta più confusione possibile, mentre una donna, forse la madre di uno dei bambini, cercava invano di farli calmare.

No, non era certo lo scompartimento tranquillo che cercava. Chiuse la porta in un lampo e sperò che non la avessero nemmeno notata.

Superò un altro paio di porte fino ad arrivare ad una zona apparentemente tranquilla. Sbirciò dentro lo scompartimento e notò con piacere che era completamente vuoto.

“Oh, bene…” sorrise soddisfatta e vi si trascinò dentro. Fece scorrere la valigia fin contro al finestrino e si sedette stancamente su uno dei sei posti disponibili. Chiuse gli occhi e si godette il silenzioso nulla che la circondava. Ora era sola, ma quanto aveva sofferto per solitudine…non poteva fare a meno di non pensarci.

 

Andiamo, svegliati! Non…” la voce di Ron scuoteva Ginny, così come le sue forti braccia.

“Lasciami lasciami lasciami…” Ginny si agitava ad occhi chiusi. Sbatteva le gambe contro il comodino. Ormai il lenzuolo era una palla assieme al resto delle coperte. Ron ricevette un paio di calci allo stomaco e le unghie di Ginny gli graffiarono i polsi. Poco male. Ignorò la cosa e la scosse con più forza.

“Non farti prendere. Non farti prendere Gin!” Ginny scosse il capo con tanta violenza da sbatterlo più volte sul pavimento.

“No! Gin, basta, ferma!” Ron cercava di farla smettere, ma non poteva staccare le mani dai suoi polsi. Doveva tenerla inchiodata a terra.

Poi Ginny gridò. Un grido a denti stretti che le fece vibrare il petto. Ron cercò di trattenerla mente i suoi muscoli cominciarono ad intorpidirsi.

Ginny crollò al suolo, sfinita. Cominciò a mugugnare con gli occhi chiusi inzuppati di sudore e lacrime.

“Gin?” una voce la chiamava? Non ne era sicura. Ron allentò la presa e riprese fiato. Almeno per il momento.

“Gin? Ehi Gin? Andiamo…apri gli occhi…” aprì gli occhi e davanti alla nebbia che gli appannava la vista le sembrò di riconoscere suo fratello…Ron?

“Ron?” chiese senza rendersi conto di aver spiccicato parola.

“Sì, sono io Gin” si sentì afferrare e mettere seduta con le spalle contro la parete. La nebbia scompariva pian piano, e cominciava a vedere il resto della stanza. Non erano soli.

“Gin …come stai? Ti prego…ehi Gin?” ma Ginny era troppo concentrata a scrutare quella nebbia alle spalle di suo fratello. Una nebbia luminosa e verde.

Improvvisamente gli occhi le si fecero pesanti e per un attimo li chiuse. Forse suo fratello la chiamava ancora, ma ormai non le importava più. Nemmeno lo sentiva bene. Forse non stava chiamando lei. Forse non stava chiamando nessuno.

E quella nebbia si fece sempre più antropomorfa, sempre più umana e familiare.

“Virginia…”

“Draco…”

 

“Oh, ho una compagna di viaggio sembra” Ginny aprì gli occhi di scatto e alzò la testa dal comodo guanciale della poltroncina dove quasi si era addormentata.

Un uomo entrò nello scompartimento e chiuse subito la porta dietro di se. Si sedette di fronte a lei con un sorriso entusiasta.

“Spero di non averla svegliata…o spaventata” sorrise ancora. Ginny scosse la testa negativamente.

“No, mi ero solo…rilassata un attimo” piegò le labbra all’insù cercando di essere più naturale possibile. Non che la disturbasse la presenza di un altro viaggiatore, ma sperava di poter viaggiare da sola per almeno un paio d’ore. Cercò di non pensarci.

“In effetti ha gli occhi parecchio stanchi…vacanza?”

“Qualcosa del genere” rispose vaga.

“Ah già, piacere, io sono Rupert Poe” allungò la mano. Ginny ricambiò presentandosi a sua volta.

“Virginia Weasley, ma tutti mi chiamano Ginny”

“Ginny…un nome delizioso” e ancora sorrise. Ginny pensò che avesse una specie di paresi. Oppure doveva essere davvero contento per sorridere a quel modo e con tanta insistenza.

“E così sta tornando a Londra” Ginny lo guardò con tanto d’occhi.

“Sì, in effetti sì, ma lei come…”

“Il tagliando alla valigia. Ha preso un aereo da Londra a Lione circa un mese fa”  lanciò un occhiata al manico e anche Ginny lo fece.

“Che osservatore…”

“Mi piace la gente. Amo osservarla e capire quante più cose possibili da loro” spiegò Rupert alzando le spalle. Ginny lo guardò incuriosita. Incredibile a dirlo ma le sorrise ancora.

Afferrò il laccio che aveva al polso e si annodo i capelli in una coda crespa.

“E di me cosa ha scoperto a parte questo?” gli sorrise in tono di sfida. Voleva vedere se quello strano tipo diceva il vero oppure no.

Rupert si appoggiò allo schienale e intrecciò le mani all’altezza del ventre. E rimase così per qualche secondo, gettando occhiate a Ginny e ad ogni suo più piccolo movimento.

Lei dovette voltare lo sguardo più volte verso l’alto. Quell’uomo non aveva pudore. Si sentiva terribilmente imbarazzata da quello sguardo indagatore. Si pentì di aver iniziato quello strano gioco.

“Vive nel nord, forse in Scozia. E’ madre, ma non è sposata. Oppure non lo è più. Non è figlia unica, ma è l’unica femmina” Rupert strinse gli occhi e si passò un dito sulle labbra.

“Non ha passato un bel periodo recentemente” lo disse con tono pacato, meno entusiasta “Ma credo che ora si sia ripresa”

Seguì un lungo momento di silenzio in cui Ginny non poté trattenere lo stupore. Spalancò gli occhi e cercò di dire qualche parola inutilmente.

“M-ma è…impressionante” e Ginny lo credeva davvero.

“Grazie, non so quanto sia andato vicino alla verità, ma di solito non sbaglio di molto” Rupert le sorrise di nuovo. A Ginny cominciò a piacere quel sorriso improvviso. Era come un fulmine caduto all’improvviso. Gli apriva il volto in modo affascinante.

“Come ha fatto? Voglio dire, come…cosa le ha fatto dire…tutto quello?”

“Ah, un mago non rivela mai i suoi trucchi” Ginny pensò a quanto fosse assurda quell’affermazione detta proprio a lei. Le scappò un sorriso mentre un fischio acuto e prolungato annunciava la partenza del treno che infatti iniziò immediatamente a muoversi lungo i binari.

“No, d’accordo, posso dirle qualcosa…” si corresse subito Rupert schermandosi con le mani “Ho capito che vive al nord dall’accento. Ha l’accento tipico di quella zona. Deve averlo acquisito vivendoci”

“In effetti vivo da pochi anni ad Hogsm…” Ginny si strozzò cercando di fermarsi. Parlare ai babbani di Hogsmeade non era comunque una buona idea. Si morse la lingua e si maledì mentalmente almeno un paio di volte.

“Hogs? Un paese che non ho mai sentito” Rupert si fece dubbioso.

“Davvero?”

“Già”

“Strano, è anche sulla strada per Edimburgo, di poco ad est, proprio a due passi” Ginny parlò a mitraglia cercando di essere più convincente possibile.

“Bè, comunque il resto da cosa l’ha capito?” Ginny cercò di cambiare argomento. Rupert sorrise.

“Ha il segno tipico della fede matrimoniale attorno all’anulare. Per lasciare quell’incavo devono essere passati almeno sei o sette anni”

Ginny si sfiorò l’anulare con le dita sottili e avverti il lieve segno calcato alla base. Rupert continuò.

“Il suo cappotto è da uomo. Quindi non ha sorelle, altrimenti gliene avrebbero prestato uno da donna. Può essere di suo padre, ma credo più probabile che sia stato suo fratello a darglielo”

“Sulla valigia è stato attaccato un adesivo con un nome: Eveline. Data la calligrafia parecchio infantile ho supposto che potesse essere sua figlia”

Ginny guardò il lato della valigia rivolto verso il suo compagno di viaggio. Si era scordata che Eve avesse usato quella valigia anni fa per andare al mare con gli altri.

“E poi i segni sugli avambracci” disse, infine, Rupert, facendosi d’un tratto serio “Non deve essere stato un bel periodo, vero? Ma sembrano in via di guarigione”

Ginny alzò il braccio destro e vide i tagli cicatrizzati e i lividi. Recenti, eppure così lontani.

 

Ginny sollevò la bottiglia di pozione tranquillante da sopra il suo comodino. La picchiò con forza sull’angolo del letto finché non si spaccò, rovesciando il suo contenuto sulle lenzuola sudate.

Raccolse un coccio di vetro, troppo affilato per non tagliarsi. Troppo, per non incidere la pelle fragile delle sue dita.

Il sangue imbrattava il guanciale e istintivamente Ginny ebbe paura. Tremo, ferendosi ancora lungo i polsi. Impaurita cacciò un grido rauco e gettò il vetro acuminato contro l’armadio di fronte al letto.

Si mescolò i capelli, impastandoli col suo stesso plasma. Sapeva di piangere, ma non avvertiva le lacrime. Solo la tristezza. E la paura. E la solitudine.

Rialzò la testa di scatto e afferrò i resti della bottiglia, impugnandola dal collo. La punta acuminata brillava ancora di un liquido denso e celeste. Ginny alzò quella punta sul suo petto.

Fu in quel momento che la porta si spalancò e Ron entrò come una furia. E fu in quel momento che Ginny vide il terrore nei suoi occhi. Terrore che subito mutò in fredda e spietata rabbia.

“Che cazzo fai!” Ron strappo la bottiglia scheggiata dalle mani sanguinolenti di Ginny.

“Ti prego, scusa, mi dispiace…” lo supplicò lei cercando di coprirsi i tagli profondi lungo le braccia. Ron gettò via la bottiglia che si infranse definitivamente sul comò.

“Hermione!” chiamò gridando verso la porta spalancata.

“Gin…merda!” afferrò la sorella e la stese sul pavimento. Ginny era troppo stordita per poter reagire in qualsiasi modo. Il sangue le imbrattava la camicia da notte sgualcita e il lenzuolo era lordo come una spugna. Passi veloci raggiunsero la soglia della stanza.

“Papà, mamma è…oh cazzo!” Chris si strozzò in gola la frase e quasi perse l’equilibrio quando li vide.

“Portami le bende, e la casetta…corri maledizione!” Chris scattò, al galoppo incespicando nei suoi passi.

Ron tornò a stringere le ferite di sua sorella.

“Gin…ti prego, no…” la strinse fra le braccia con troppa forza forse, perché Ginny si lamento, piangendo in mezzo a quel sangue.

“Mi dispiace…mi dispiace tanto…”

“Stai tranquilla” Ron la baciò affettuosamente sulla fronte e cercò di pulirle le guance, col risultato di spalmare di più il sangue sul suo volto.

“Stai tranquilla, tesoro…” Chris tornò di corsa, come era partito e si inginocchiò accanto a suo padre, con la cassetta fra le mani.

“Ok campione, dovrai darmi una mano con questo”

 

 

3.

 

“Forse ho toccato un brutto tasto…” si scusò Rupert. Ginny smise di sognare ad occhi aperti e negò subito.

“No, no, davvero. Non mi da fastidio parlarne. Ora va molto meglio, davvero” gli sorrise fiduciosa.

“Ah, bene. Odio diventare fastidioso” Rupert scosse la testa “A volte non me ne rendo davvero conto, ma gli altri si seccano ad ascoltarmi”

“Eppure lei parla bene”

“Grazie”

“Prego. Però…” Ginny strinse le labbra come se fosse in dubbio se parlare o meno “Posso chiederle un favore?”

“Certo, se posso la aiuterò” rispose affabile Rupert.

“Può darmi del tu? Il lei è così freddo…”

Rupert scoppiò in una risata nervosa “Infinitamente sì, non sa quanto stavo odiando questo modo di parlare” Anche Ginny rise scaricando la tensione che si stava creando.

Ginny era uno spirito semplice, non da ambienti formali e sofisticati. Il parlare ad una persona non doveva mai essere un sacrificio. La gente è bella, e viva. Trattarla come se ci facesse paura confrontarsi equivaleva ad ucciderla. Ginny la pensava così.

“Naturalmente anche tu mi darai del tu”

“Certo Rupert” gli sorrise Ginny smettendo di ridacchiare e tornando a concentrarsi sul suo compagno di viaggio. Ora che le presentazioni erano state fatte Ginny lo guardò con occhi diversi. Rupert era un uomo maturo, probabilmente vicino ai cinquanta, eppure sprigionava una giovinezza rara a vedersi, anche in persone più giovani di lui.

 “Allora, ti va di raccontarmi dove sei stata in vacanza?”

 

“Parti? Cosa vuol dire che parti?” Ron parve più sconcertato che contento di quella decisione. Hermione cercò di farlo tacere con un occhiata, che naturalmente il rosso ignorò, più o meno volutamente.

“Vuol dire che non me la sento di stare ancora qui…” Ginny scosse la testa sconsolata e si appoggiò stanca al bracciolo del divano beige. Il fuoco scoppietto frizzante per una radice troppo fitta.

“Voglio cambiare un po’ aria, Ron”

“Credo che non sia proprio il caso” replicò secco lui.

Hermione sospirò rassegnata e si sedette accanto a Ginny “Io invece credo che le farebbe bene”

“Farebbe bene? Scusa, tesoro, ma Gin non può andare in giro da sola conciata com’è!” Ron alzò troppo la voce.

“Ehi, io sono qui, eh? Si parla di me, quindi puoi parlarmi direttamente, non ho bisogno di interpreti” si seccò Ginny. Ron strinse le labbra nervoso. Insofferente pensò per un attimo a cosa dire.

“Gin, ragiona, proprio ora che ti stai riprendendo….stare da sola forse non è il meglio, no?”

“Non da sola” Ginny sospirò stanca “Io voglio solo staccarmi per un po’ dalla mia vita. Ho bisogno di pensare un po’ per conto mio…”

“Qui tutto la distrae. La casa, i ragazzi, noi” Hermione si mise seduta in punta “Io credo che sia una buona idea”

“Gin, hai tentato di ammazzati” disse Ron con calma, ma in tono raggelante “Cosa mi fa credere che non ci riproverai?”

 

 

4.

 

“Così poi sono scesa a sud, ho attraversato parte dell’Italia, poi con il traghetto ho raggiunto Barcellona e sono risalita fino a Lione, fermandomi di tanto in tanto”

“Però, un bel viaggio….da quanto tempo sei via?”

“Un po’ più di un mese” rispose subito Ginny “Mi manca un po’ casa…però mi è servito” sorrise soddisfatta.

“Caffè o succo d’arancia?”

“Prego?”

In quella la porta dello scompartimento si aprì e una cortese ragazza in divisa azzurra e blu si affacciò nello scompartimento.

“Il treno sta per attraversare il canale della manica. Prima dell’attraversamento gradite qualche cosa da bere?” disse la ragazza con un sorriso cordiale.

“Ginny, gradisci qualcosa?”

Ginny balbettò un momento indecisa “Sì…direi un succo di frutta”

“Purtroppo abbiamo soltanto succo d’arancia, i rifornimenti hanno tardato e siamo partiti prima del loro arrivo. Le va bene o preferisce del caffè?”

Ginny lanciò un’occhiata a Rupert che sorrise soddisfatto, celando subito le labbra col dorso della mano.

“D’accordo, va bene d’arancia”.

Rupert declinò l’offerta e dopo poco furono di nuovo soli. Ginny agitò la cannuccia nel suo bicchiere di succo di frutta.

“Come facevi a sapere che sarebbe entrata proprio ora e che aveva solo succo d’arancia?” Rupert le sorrise ancora.

“Un mago non rivela mai i suoi trucchi, mi pare di avertelo già detto, no?” le strizzò l’occhio divertito, mentre Ginny era ormai convinta di aver incontrato il babbano più strano e divertente di tutta la sua vita.

“Devi averla sentita parlare prima mentre passavi in corridoio” sentenziò Ginny bevendo un sorso dal bicchiere.

“Forse” Rupert stette sul vago, ma neppure negò.

Il treno rallentò e il paesaggio costiero fu bruscamente interrotto dall’inizio della galleria.

“Guarda Ginny, se non lo hai mai visto ti conviene non perderti lo spettacolo. Rupert spense le piccole luci da lettura del suo sedile e gettò lo sguardo al finestrino. Ginny fece altrettanto.

Sentì il treno piegarsi prima una volta, poi di nuovo. Ed infine inclinarsi leggermente, ma in maniera costante. Pareti di metallo passavano velocemente davanti ai loro occhi interrotte ogni tanto da bagliori di luce simili a comete nel cielo. Sentiva il costante correre del treno sui binari farsi più cupo e profondo.

Le orecchie le si tapparono per il rapido cambio di dislivello. Dovette deglutire un paio di volte.

“Di quanto siamo sotto ormai?”

“Non saprei dirlo con precisione. Una cinquantina di piedi?”

“Incredibile…” Ginny sospirò emozionata.

“Fra un po’ il treno dovrebbe invertire l’inclinazione. Ma ci vuole ancora del tempo”

“E’ davvero impressionante. Non trovi?”

Rupert sospirò “E’ straordinario. Solo pochi decenni fa un progetto del genere sarebbe risultato impossibile, forse anche ridicolo”

“Mio padre ammirava gli oggetti ingegnosi. Sai, cose semplici come un cavatappi o anche più complesse, come questo tunnel. Restava estasiato davanti a certe cose, come un ragazzino davanti ad una favola” piegò le labbra indecisa se sorridere o meno.

“E’ lui la persona che se ne è andata da poco?” chiese a bruciapelo Rupert. Aveva intuito che il dolore che provava lei fosse legato a qualcuno che ormai non c’era più.

Ginny sospirò e annuì, con lo sguardo perso.

“Ma non è l’unico…”

 

“Draco…Draco!” Ginny si butto fra le braccia di Draco. Ma il Draco che vedeva era solo una mera illusione del suo subconscio. La sua mente gli mostrava il nebbioso spirito della morte in quella perfida forma.

“Virginia…no, ti prego…” la implorava quel fantoccio dalle forme così simile a quelle del ragazzo biondo che Ginny tanto aveva amato, e amava ancora.

La ragazza attraversò il fumoso Draco per cadere sul pavimento freddo.

“Non lasciarmi…non lasciarmi sola” lo implorò Ginny con la faccia a terra. Lo spirito si chinò, ma non poté aiutarla ad alzarsi. Cercò il suo sguardo fra le lacrime che rigavano il viso della ragazza. Non era il suo compito. Non era sua abitudine farlo. Lui era un spirito della morte. Solo quello sapeva fare. Non provava sentimenti. Non sapeva neanche da dove iniziare.

“Virginia…ti prego, guardami…” Ginny non si mosse. Teneva la guancia appoggiata sul pavimento, mentre tutta la stanza cominciava a farsi scura e buia. Crepe di blu e viola brillarono confondendosi col resto.

“Ti prego…” lo spirito non sapeva cos’altro dire. Fortunatamente quello bastò. Ginny alzò la testa dal pavimento e guardò il volto indistinto dello spirito. Sorrise e chiuse gli occhi.

“Non lasciarmi…resta qui”

Lo spirito vortico in una nebbia sempre più fitta. Avvolse Ginny e riprese forma antropomorfa. La figura verdastra e brillante di Draco la avvolgeva in un abbraccio che in realtà non esisteva.

La accarezzò sulla nuca senza in realtà toccarla. Soffiava il suo fumo sulla sua pelle delicata. Era l’unica cosa che poteva fare. Era l’unica cosa.

Uno strano piacere fulminò lo spirito della morte, sempre più avvolto da quella stanza scura e crepata da saette brillanti dai colori sgargianti.

Cos’era? Cos’era quella voglia di parlare, ma senza avere nulla da dire? Cos’era quella voglia di poter fermare il tempo per sempre?

 

 

5.

 

“Devo raggiungere Liverpool. La mia famiglia abita poco fuori città ed ogni tanto vado a trovarli”

“Ogni tanto?” domandò Ginny “Viaggi per lavoro forse?”

“Qualcosa del genere. Dove c’è bisogno di me, vado” sorrise affabile “Ma ultimamente non ho molto impegni, così torno a casa”

“Sarà contenta tua moglie”

“A dire il vero… con famiglia, intendevo mia madre e mio padre” Rupert si gratto il pizzetto.

“Ah…certo, cioè…” Ginny rimase un momento un confusione “Davvero non sei sposato?”

“Desolato, non fa per me” sorrise lui. Ginny fece un lieve cenno con la testa, in un lungo silenzio interrotto soltanto dalla cantilena dei binari, sempre più chiara.

“Sei forse…uhm, bè, sei forse gay?”

Rupert sbarrò gli occhi e esplose in una sonora risata “Cosa? No, no…intendevo che non ho mai pensato a stare con qualcuno per la vita. Sai, due cuori e una capanna non è il mio detto preferito”

“Ma non c’è proprio nessuna?” chiese ancora Ginny. Non che le interessasse, in effetti, ma ormai il discorso sembrava aver preso una strana piega.

Rupert si grattò la fronte ed evitò di incrociar lo sguardo con Ginny “Direi proprio di no. Perché?”

Solo in quel momento Ginny si rese conto in che imbarazzante situazione si fosse cacciata.

“Ah, no no! Non è come sembra!” disse con troppo entusiasmo “Cioè, non è per te. Sei anche un bell’uomo…ma non per me…cioè” Ginny sbuffò e Rupert si mise a ridacchiare del suo imbarazzo.

“Sei rossa come un peperone. Bevi un po’ che ti rinfreschi” la prese in giro Rupert. Ginny ascoltò il consiglio e bevve un lungo sorso di succo di frutta.

Che razza di figuraccia! Sentiva l’imbarazzo scaldargli le gote e farle spuntare le lentiggini come papaveri in un campo. Finì l’intero bicchiere piegando la testa all’indietro.

“Perché non per te?” Ginny appoggiò il bicchiere, ma non comprese subito la domanda. Rupert dovette ripetere.

“Dicevo, perché non sarei adatto a te?” Ginny, se possibile sprofondò ancora di più nell’imbarazzo. Evitò il suo sguardo finché non le venne in mente una buona risposta da dargli.

“Ecco, non in senso assoluto. Ora come ora tu non saresti adatto a me…come chiunque altro” Ginny prese fiato mentre una sirena distante annunciava l’imminente sbocco verso l’aria aperta. Il treno fischiò.

“Sei ancora molto innamorata di lui, vero?” gli chiese Rupert. Ginny annuì guardando in basso. Si carezzava le dita l’una con l’altra.

“Sì…” disse in un soffio.

La luce del sole invase la cabina d’improvviso. Accecò Rupert che per un momento non vide più nulla, ma sentì soltanto la voce di Ginny.

“Non saperlo accanto mi distrugge. Ogni volta che ci penso, mi scoppia il petto. Mi prende voglia di piangere” Ginny tirò su col naso mentre la voce si spezzava in gola.

“E più mi trattengo, più mi sento triste” fece una pausa “Pensi che sia una vita questa?”

Rupert sbatté gli occhi un paio di volte per eliminare quelle chiazze di luce da davanti agli occhi.

“Non lo è. Non c’è ragione per continuare a viverla. Però…però mi guardo intorno e vedo Ron ed Hermione che hanno fatto di tutto per aiutarmi” Ginny sorrise e finalmente rialzò lo sguardo.

“E tutta la mia famiglia…e poi vedo Eve e Vin. E vedo che sono più tristi di me. Non posso permettermi di essere distrutta dal dolore. Non posso semplicemente rinunciare a vivere la mia vita e lasciare tutti gli altri infognati nella sofferenza”

Rupert riuscì, finalmente, a riacquistare la vista. La nebbia luminosa si diradò e gli comparve davanti una Ginny sorridente, nonostante gli occhi velati di lacrime.La luce di tre quarti le faceva brillare la coda di cavallo gettando sul suo volto un gioco di luce e ombre che la faceva sembrare una creatura di un libro di favole. Una fata, o magari uno spiritello dei boschi.

“Quando sono triste, ora, mi guardo intorno. Guardo chi mi sta accanto. E per loro trovo il coraggio di sorridere. Ogni volta”

 

Rupert scese dal treno con la sua valigia ben stretta nella mano destra. La appoggiò subito sulla banchina e trascinò quella di Ginny accanto alla sua. Allungò la mano e la aiutò a scendere dal vagone. Lei gli sorrise.

“Grazie”

“E di che?” con un ultimo saltello Ginny gli atterrò davanti. Non si era accorta di quanto fosse alto finché non gli fu di fronte. Dovette piegare all’indietro la testa per riuscire a scambiare uno sguardo con lui. Uno sguardo che si fece intenso, silenzioso ma soprattutto malinconico.

“Bè, è stato un bel viaggio” esordì Rupert. Si piegò per sfiorarle la guancia con un leggero bacio di commiato. Ginny non si ritrasse e ammirò la sua audacia. Ricambiò il gesto con un sorriso.

“Lo è stato” disse lei, ma senza dare cenno di volersi allontanare.

Continuarono a stare uno di fronte all’altro. In alcuni momenti sembrava quasi che uno dei due volesse dire qualcosa, ma che all’ultimo ci ripensasse e lasciasse perdere. Rupert piegò la testa di lato e diede un’occhiata all’orologio. Ginny fece oscillare il piede sul tacco, rimirandosi la punta consunta. Un treno fischiò la sua partenza. La voce meccanizzata dell’altoparlante diede ad entrambi una tregua da quell’imbarazzante silenzio.

“Bè…” cercò di parlare Ginny, ma senza nessuna conclusione.

“Già…” la apostrofò Rupert annuendo col capo. Il treno da cui erano appena scesi si mosse per far spazio ad altri mezzi in arrivo imminente. I binari piansero sotto il peso dei vagoni. Rupert si grattò il pizzetto con indice e pollice. Ginny si morse lievemente il labbro inferiore.

“Oh, ma andiamo, siamo abbastanza adulti per evitare tutto questo, no?” sbottò Rupert all’improvviso. Ginny ridacchiò e tornò a guardarlo negli occhi.

“In effetti è strano…non pensavo che mi sarei comportata così…ancora” rise ancora coprendosi le labbra con la mano.

“Pazzesco…meglio che vada. Potrei perdere la coincidenza per Liverpool” Rupert si piegò per salutarla di nuovo. E di nuovo con un leggero sfiorare di labbra sulla guancia. Questa volta a sinistra.

“Allora ciao…” lo salutò Ginny, ma senza baciarlo di nuovo. Rupert si allontanò dandole le spalle, con la valigia di pelle nere stretta nella mano destra. Fece pochi passi, non più di una decina, quando la voce di Ginny lo richiamò.

“Rupert, sei spesso a Londra?”

Rupert increspò la bocca in un sorriso, ma Ginny non lo vide e nemmeno lo immaginò.

“Almeno una volta al mese…sai, il lavoro”

“E ci possiamo vedere?” incalzò Ginny tradendo il suo finto disinteresse. Rupert si fermò. Piegò il capo verso destra, poi verso sinistra, ma non si voltò verso Ginny.

“Prima o poi ci rivedremo. Su questo non ci sono dubbi” riprese a camminare fino a raggiungere la porta d’ingresso per il salone principale della stazione di King Cross.

“Ma quando?” chiese ancora Ginny che non aveva ancora mosso un passo sulla banchina. Rupert non si fermò di nuovo. Girò l’angolo e soltanto la sua voce raggiunse l’orecchio di Ginny.

“Un giorno. Ora muoviti, il binario 9 ¾ è dall’altra parte della stazione”

Ginny spalancò la bocca sconcertata ed ebbe appena il tempo di sbarrare gli occhi.

“Ehi Gin!” la voce di Ron la fece voltare dal lato opposto.

“Ron? Ma che ci fai tu qui?”

“Vengo a recuperare la mia sorellina” le diede un affettuoso bacio sulla guancia. Gin lo abbracciò, ma con la coda dell’occhio continuava a guardare alle sue spalle. Ron se ne accorse.

“Tutto bene? Ti vedo un po’…scossa?”

“Tutto…bene. Sì, tutto ok…” si morse il labbro nervosa gettando occhiate verso l’angolo dove Rupert era scomparso.

“Quel farabutto…”

“Come?” chiese Ron sollevando la valigia di sua sorella.

“No niente” negò subito lei “Proprio niente”

“Dai andiamo. I ragazzi non vedono l’ora di rivederti”

 

 

6.

 

Rupert attese, appoggiato al muro, proprio dietro l’angolo che aveva appena voltato. Sentì la voce di Ginny e di suo fratello allontanarsi lungo la banchina per raggiungere i binari 9 e 10.

Si risollevò di scatto con il volta aperto in un sorriso.

“Virginia Weasley” disse fra se e se. Scosse la testa divertito “E chi lo avrebbe mai detto”

Voltò a destra e scomparve, avvolto dal tiepido sole invernale.

 

FINE

 

Ok, è finita ed è solo l’inizio di qualcosa di molto più grande. La storia, per la cronaca, è ambientata a metà primavera dell’anno successivo a quello della fine di ITCC. Della fine, non dell’epilogo, eh!

E ora un annuncio serio: ogni anno milioni di giovani autori si struggono in attesa di una recensione. Struggendosi provocano in innalzamento vertiginoso della loro temperatura basale che neppure la scienza medica babbana riesce a spiegarsi, originando nauseabonde nuvole di sudore che li circondano permanentemente. Con l’arrivo dell’estate questo fenomeno aumenta rendendo invivibili le loro camere da letto, con sommo disgusto delle loro fidanzate. Se non vuoi partecipare a questo inutile massacro, fai come me: lascia una recensione. Per te è un attimo, ma per le fidanzate è la vita (E’ vero! ^ ^ NdMisteriosa fidanzata)

 

Grazie per l’attenzione ^__-

 

 

 

 

See you again!!!!!!!!!!!!!!

 

 

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Capitolo 4
*** Almeno credo, Parte I (ST 2.8) ***


Almeno credo

Almeno credo

 

 

 

“Credo che ci voglia un dio ed anche un bar
Credo che stanotte ti verrò a trovare per dirci tutto

Quello che dobbiamo dire

O almeno credo

 

                                   Almeno Credo, Luciano Ligabue

 

 

1.

Chris si infilò in biblioteca senza neanche salutare Madame Pince. Trascinava il suo stracolmo borsone di cuoio rattoppato in più punti. Avrebbe dovuto comprare una tracolla nuova per il prossimo e ultimo anno ad Hogwarts.

Sbatté il pesante carico sul primo tavolo libero. Un Corvonero all’ultimo anno seduto dall’altro capo del tavolo lo guardò il malo modo. Chris non aveva mai preso sul serio quell’aria da saputelli fastidiosi della casata Corvonero. Sì, certo, anche lui quando ci si metteva era un rompiscatole saccentone di tutto rispetto, ma ultimamente stava “migliorando molto”, come amava dire Eve. Nell’ultimo compito di Pozioni era riuscito a prendere un Eccezionale invece che il solito Oltre Ogni Previsione. Eve sosteneva che lo rendeva molto più umano sbagliare ogni tanto.

Sfilò il laccio dalla fibbia consunta e fece uscire un paio di grossi tomi dalla copertina scura e rovinata. Aprì il primo ad una pagina già preparata da un segnalibro, mentre appoggiò il secondo accanto, ancora chiuso. Il Corvonero gli lanciò un'altra occhiata. Chris lo ignorò e si alzò per andare a cercare qualche altro libro.

Ne trovo solo un paio che gli interessassero: Tempo da perdere di Cubert Lock e I secondi sono primi di Simon Watch. Senza farsi vedere da nessuno sfilò dalla tasca il sottile ciondolo rotondo con al centro una piccola clessidra di vetro. Soddisfatto se la rigirò fra le dita.

Era stata una fortuna riuscire a procurarsi un po’ di polvere temporale e un ciondolo con cui usarla. Quel ciondolo gli faceva tornare in mente ricordi sgradevoli. Prima che ne divenisse il proprietario era passato per le mani di uno spietato assassino. Un mezzodrago addestrato ad uccidere suo zio, Percy, allora ministro della magia. Dopo una rocambolesca e spaventosa lotta, suo padre era riuscito a sconfiggerlo, e soprattutto a salvare sia lui che se stesso. Soltanto la sera, sprofondato fra le coperte di un letto del San Mungo, Chris si accorse di avere il ciondolo incastrato fra le fibre del maglione di lana, completamente sfatto.

Sapeva che avrebbe dovuto consegnarlo agli auror. Sapeva che non poteva rubare un artefatto di quella potenza. Giocare col tempo non portava mai nulla di buono. Però l’occasione era troppo ghiotta. Trasformò il rubare in conservare e promise solennemente di studiare bene la cosa prima di usare i poteri di quella polvere. Se mai li avesse usati

Negli anni Chris aveva già capito molte cose su quell’oggetto. La magia stava nella sabbia della clessidra. La sabbia era in grado di piegare il tempo. Farlo scorrere in avanti o all’indietro. O addirittura, come in quel caso, a fermarlo. L’oggetto, il ciondolo senza la sabbia, in se, era privo di valore. L’unico valore pratico che aveva era quello di poter conservarla intatta. Una specie di protezione dagli agenti esterni. Difatti la sabbia del tempo non aveva potere illimitato. Doveva essere trattata con cura, conservata, lavorata. Nulla di semplice, soprattutto per un mago adolescente impegnato con quidditch, studio, ragazze e famiglia. Non necessariamente in questo ordine, ovviamente.

Tornò al tavolo e notò con piacere che lo studente di Corvonero se ne era andato. Appoggiò i libri e nascose il ciondolo sotto la copertina di quello già aperto. Era metà pomeriggio e si era già portato avanti con lo studio. Aveva già scritto a Grace e non sarebbe tornato a casa se non per il fine settimana. Il quidditch era ormai finito, e purtroppo non avevano vinto loro quest’anno. Un decoroso secondo posto dopo i Tassorosso. Aveva tutto il tempo per studiare un po’ il suo prezioso artefatto.

 

“Ehi...Ehi!” Tom chiamò a gran voce trascinandosi la veste sulle spalle. Raggiunse Eve e la fermò per le spalle obbligandola a voltarsi verso di lui. Si prese un colpo a vedere quella faccia contrariata.

“Che vuoi ancora?” chiese lei secca e dura come un muro di pietra.

“Mi spieghi qual è il tuo problema?”

“Il mio problema!” urlò lei “Il mio…” sbuffò infastidita e scattò di nuovo in avanti. Tom alzò gli occhi al cielo e la inseguì di nuovo.

“Dai, dimmi che ti ho fatto stavolta!” urlò Tom esasperato. Eve strinse a se i libri che reggeva fra le braccia e puntò lo sguardo sul pavimento, proprio ai suoi piedi.

“Sai una cosa? Hai la delicatezza e la percezione di un nargillo!” girò l’angolo del porticato scomparendo dietro una fila di colonne.

“Un nargillo…?” sussurrò Tom fra se e se “Ma che diavolo è un nargillo?”

“Leggiti Il cavillo” replicò la voce di Eve già lontana. Tom emise un lamento sofferto ma non alzò gli occhi al cielo. Inseguì la ragazza evitando un paio di studenti e una ragazza giovane che da quell’anno insegnava incantesimi al posto dell’ormai pensionato profossor Vitious. Tom la salutò con un cenno del capo e si volto, correndo per un tratto all’indietro. Le sorrise nel momento steso in cui lei girò il capo. E anche lei gli fece un mezzo sorriso. Per essere una professoressa era davvero molto attraente, oltre che giovane.

Di colpo Tom si ritrovò steso a terra di schiena. Inconvenienti di correre all’indietro, pensò, e registrò di cancellare dalla sua memoria quella figuraccia con la professoressa carina.

La faccia torva di Eve gli si presentò capovolta davanti agli occhi. Non disse nulla, si limitò ad osservarlo, tant’è che Tom aprì le braccia sorpreso.

“Che ho fatto ora?” Eve strinse le labbra fino a farle scomparire. Afferrò uno dei libri che aveva fra le braccia e lo tirò addosso a Tom, mancando di poco l’inguine.

“Ohi, ma sei matta!” si lamentò il ragazzo, piegandosi e rialzandosi di scatto. Afferrò il libro e notò che era un manuale di trasfigurazione. Un libro supplementare per approfondire gli studi.

“Hai perso questo” Tom le allungò il libro e glielo rimise fra le braccia. Eve non fece una piega, prese il libro ma non rallentò la sua marcia. Tom faticava a starle dietro.

“Vuoi parlarmi o no?” gridò lui ormai al limite della sopportazione.

“No!” fu la risposta telegrafica e secca di Eve, che riprese a marciare e oltrepassò l’arco della zona est. Tom sbatté le palpebre una paio di volte, a bocca spalancata.

“Come no…?” riprese a correrle dietro, ma fu presto fermato da una rossa studentessa di Grifondoro.

“Tommy!” lo salutò lei abbracciandolo stretto. Tom cercò di divincolarsi.

“Britney, senti, sto…”

“Non hai un po’ di tempo per me?” gli schioccò un bacio sulla guancia che Tom difficilmente poté prevedere o evitare. Eve si fermò di scatto in fondo al corridoio e lanciò un’occhiata nella sua direzione. Fece una smorfia e si imbucò nel corridoio di destra.

“Tommy, senti…”

“Non chiamarmi Tommy”

“Eddai, non fare il difficile…” Britney gli sconvolse i capelli con una mano, mentre lo lasciava un po’ più libero dal suo abbraccio.

“Ora devo proprio andare, scusa eh” Tom si divincolò e corse verso il fondo del corridoio. La voce di Britney gli gridò dietro qualcosa che Tom non capì molto chiaramente, ma che comunque decise di ignorare.

Corse lungo il corridoio fino a raggiungere un altro bivio. Da un lato si rientrava nel complesso grande del castello, dall’altra parte c’era la biblioteca e la torre di astronomia. Probabilmente Eve era andata in biblioteca a restituire qualcuno di quei libri, pensò il ragazzo. Con la speranza di averci visto giusto si infilò a sinistra e corse fino al portone spalancato.

Madame Pince lo sgridò appena iniziò a correre fra le mura della biblioteca. Tom frenò di scatto, chiese scusa, e continuò a passo veloce. Superava uno scaffale dopo l’altro, a destra e a sinistra. Niente, nulla, nemmeno. Forse si era sbagliato. Poi eccola, in fondo ad un corridoio di librerie.

“Eve!” chiamò a voce, forse un po’ troppo alta. Una studentessa di Tassorosso alzò gli occhi dal suo libro con aria seccata e lo ammonì con lo sguardo, o almeno, quella era l’intenzione, ma dovette addolcirsi subito vedendo gli occhi di Tom. Bishop. Tom rispose allo sguardo con un sorriso e un cenno di mano tanto rapido quanto involontario. Le fece un veloce occhiolino e riprese a correre verso la bionda Grifondoro che ormai si stava allontanando. Tom non si rese conto di aver sconvolto la giornata, forse l’intera settimana, di quella povera ragazza.

Scivolò lungo l’ultima alta libreria e raggiunse un corto tavolo dove Eve aveva già poggiato i suoi libri ed estraeva inchiostro e carta. Chris, dall’altra parte del tavolo, lo salutò senza alzare gli occhi dal libro che leggeva.

“Che le hai fatto stavolta?” chiese Chris aggiustandosi gli occhiali da lettura sul naso. Tom aprì le braccia e spalancò gli occhi.

“Non ne ho idea” boccheggiò in modo che soltanto l’amico lo sentisse. Si sedette accanto ad Eve, sulla stessa panca, in modo da poter parlare.

“Ehi? Ehi bionda? Dai non fare così…” le passò un braccio attorno alle spalle, ma Eve lo scostò brutalmente. Chris rise. Tom sbuffò e gli lanciò un’occhiataccia.

“Non credo di aver fatto nulla di male, quindi o mi dici che hai oppure io ci rinuncio!” sbottò Tom ormai oltre il limite della sopportazione. Eve sbatté il libro sul tavolo facendo sobbalzare anche Chris che smise di leggere.

“Tu…tu…” Eve strinse le labbra “Tu non ti rendi conto di quello che fai, ecco!”

“Io cosa? Io mi rendo conto di…ma cosa centra questo?”

“Prima sei caduto come un salame per fare gli occhi dolci alla Whiller!” sbottò Eve. Chris spalancò la bocca sogghignando.

“Vuoi sedurre la professoressa Whiller?” chiese il brillante Grifondoro nascondendo meglio il ciondolo sotto la copertina spessa del libro.

“Io non…grazie, eh. Grazie tante per l’aiuto” disse Tom all’amico, poi si rivolse di nuovo ad Eve “Senti, io non ho fatto nulla di tutto ciò, e nel caso non l’ho fatto apposta!”

“Allora lo hai fatto!” lo accusò Eve. Tom spalancò la bocca. Non sapeva davvero come rispondere.

“Io…no! Ma mi spieghi perché hai sta idea?”

“E Britney?” rincarò Eve. Tom si alzò in piedi.

“Ma Britney non sa neanche di stare al mondo!” gridò. Eve si alzò subito in piedi, di fronte a lui. Si mise le mani sui fianchi e per un attimo Chris rivede nonna Weasley in versione giovane e bionda.

“E Sarah?”

“Sarah è sol…chi è Sarah?” Tom stava scusandosi per qualcuno che neanche sapeva chi fosse.

“La Tassorosso di cinque secondi fa!” strillò Eve. Tom strillò più forte.

“Ma non le ho fatto niente!”

“Hai fatto quello stupido occhiolino!” Tom strinse a pugno la mano destra.

“Ma scusa, e a te che importa?” Eve tremò leggermente e non diede risposta. Scostò lo sguardo dagli occhi bruni di Tom e cercò l’aiuto di Chris.

“Dì qualcosa!” gli ordinò la cugina vibrante di rabbia, e ormai già di tonalità rosata.

“Che devo dire?” allargò le braccia Chris “Che se urlate un altro po’ Madame Pince vi ammazza?” Tom strattonò Eve per una manica della camicia bianca che indossava.

“E comunque non mi sembra motivo per trattarmi così!” Eve strattonò la manica fino a farsi lasciare. Poi lo afferrò per la cravatta e lo tirò verso il basso. Tom emise un sibilo soffocato e tossì violentemente.

“Se ragioni con quello che ti ritrovi in mezzo alle gambe invece che con il cervello, posso farti quello che mi pare” sputò fuori lei suscitando un certo stupore anche in Chris. Eve non era mai stata più esplicita di così riguardo i suoi sentimenti. Era un chiaro attacco di gelosia nei confronti di Tom. La cosa poteva evolversi in modo interessante.

Tom si allentò la cravatta e afferrò uno dei libri di Eve, I fondatori di Hogwarts.

“Io non…cioè, ora non posso più salutare gli altri studenti? O i professori?” Eve gli strappò di mano il libro, prese un bel respiro, trattenne una manciata di lacrime.

“Tom…” disse calma, gli si avvicinò e per un momento Tom pensò si fosse calmata. Nulla di più falso. Sollevò il libro e glielo sbatté in testa, poi con disinvoltura lo lasciò cadere dall’altra parte del tavolo verso Chris.

Il tomo schiacciò la copertina del libro aperto davanti al giovane Weasley, che soltanto un attimo dopo si rese conto di quel crack attutito dal tavolo. Spalancò la bocca in un attimo e vide una volatile nuvola di polvere sbuffare da sotto il tomo schiacciato e gettarsi contro i due litiganti.

Tom alzò il braccio per coprirsi la testa mentre Eve si mise a braccia incrociate.

E poi scomparvero davanti agli occhi di Chris.

 

 

“Credo proprio che non sia già tutto qui

E certi giorni invece credo sia così

Credo al tuo odore e al modo in cui mi fai sentire
A questo credo”

 

Almeno Credo, Luciano Ligabue

 

2.

 

“Ma sei scema! E’ il secondo libro che mi colpisce oggi, e entrambi sono tuoi!”

“Se sei stupido non è colpa di nessuno!” Eve urlò ancora una volta, poi si fermò. C’era qualcosa di strano. Si sentiva come osservata. Alzò lo sguardo e le venne naturale spalancare gli occhi.

La biblioteca era piena di studenti. Studenti di diversa età che li fissavano come se avessero visto un fantasma. O meglio, come se lo avessero visto per la prima volta. Anche Tom smise di litigare e si guardò intorno. Le librerie si erano mosse. Erano orientate verso la parete a nord e c’erano un sacco di tavoli più piccoli del solito. Tutti gremiti di studenti nonostante la bella stagione. E non era solo quello a renderli strani. Avevano delle curiose tuniche scure, ma di taglio completamente diverso rispetto alle loro. Erano più lunghe e decorate dei colori delle casate intorno alle maniche (troppo lunghe) e al cappuccio (troppo largo). Le ragazze, poi, avevano tutte una strana crocchia che fermava i capelli dietro la testa. Delle castigate gonne lunghe e nere avvolgevano il loro corpo dal bacino in giù. I ragazzi, invece, notò Eve, indossavano delle camicie strette e piene di bottoni con soltanto un sottile cravattino, un laccio, attorno al colletto.

Alcuni studenti cominciarono a bisbigliare fra di loro e alcuni li indicavano come animali in gabbia.

“Ma che…” si chiese Eve guardandosi ancora attorno e accorgendosi di non avere più il tavolo coi suoi libri di fronte. Tom camminò verso uno dei tavoli, lentamente e senza far rumore. Improvvisamente si sentì profondamente a disagio. Allungo la testa verso una studentessa che subito abbassò lo sguardo. Quella si alzò e fece un breve inchino. Tom non si aspettava certo un simile gesto. Le afferrò il braccio con la mano.

“Non importa che…” il bisbiglio intorno a lui aumentò appena la sfiorò. Lei si ritrasse imbarazzata e non alzò più lo sguardo.

“Ma che diavolo succede…? E’ uno scherzo tuo?” chiese Eve avvicinandosi a Tom. Tom alzò le spalle innocente. Un ragazzo si alzò da un tavolo vicino e si avvicinò ai due.

“Sarei grato a voi, signori, se mi diceste come siete giunti qua e come mai avete queste…cose addosso” li indicò come si indica un animale infetto. Tom si accigliò.

“Senti piccolo lord, mi sto stancando di questo scherzo del cazzo, quindi sarebbe meglio darci un taglio subito!” un veloce mormorio sbalordito si sparse per il corridoio della biblioteca.

“Lei mi disgusta!” sibilò il ragazzo stringendo le mani attorno alla pettorina della giacca “Che razza di modi da villico!”

Eve sbatté le palpebre e scambiò un occhiata con Tom. Anche lui era in completa confusione. Senza troppo pensare tranquillizzò Eve con un veloce colpetto sulla spalla e si schiarì la voce.

“Scusate, c’è qualcuno con cui parlare chiaramente a parte questo idiota?” una serie di risolini sconvolsero la quiete silenziosa della biblioteca. Il ragazzo, imbarazzato, boccheggiò un paio di volte prima di allontanarsi a grandi passi. Tom notò che pareva avere una scopa infilata lungo la schiena da come camminava.

“Signore, io, se volete” si inchinò ancora la ragazza di poco prima. Tom non fece lo stesso errore.

“Senti, non chinarti ogni volta, ti verrà la gobba prima dei vent’anni” qualcuno rise, la ragazza sorrise e tornò diritta. Con forte imbarazzo guardò negli occhi Tom.

“Vorremo sapere come siete arrivati qui, se potete dircelo” chiese la ragazza, quieta. Tom guardò Eve che prese la parola e rispose.

“Qui? Qui ad Hogwarts? Bè, come tutti gli altri, credo. O a piedi, o col treno”

“Treno?” domandò la ragazza dubbiosa “Cos’è treno?”

“Forse una nuova idea di mastro Grifondoro” disse a bassa voce un ragazzo lì accanto, ancora seduto. Eve lo sentì e fece due passi veloci per raggiungerlo.

“Chi, scusa?” il ragazzo sobbalzò e guardò Eve con poco interesse.

“Non credo che una femmina dovrebbe parlare con così tanta impudenza con un uomo” spiegò quello con fierezza di tono. Peccato che quello non aveva mai incontrato una come Eve. Lo afferrò per il laccio e lo tirò faccia a faccia con lei. Quello spalancò gli occhi, per paura e per stupore.

“Cosa hai detto scusa?” sibilò Eve davanti al suo volto. Il ragazzo deglutì e balbettò qualcosa di incomprensibile.

“Si può sapere cosa sta succedendo?” una voce profonda e fiera fece scattare tutti in piedi col capo chino verso l’uomo appena giunto. Tutti tranne Eve e Tom. Un uomo dall’aspetto anziano, ma ancora agile, si incamminò attraverso le due file di tavoli in cui gli studenti ora stavano a capo chino, guardando il pavimento. I passi dell’uomo erano irregolari e da sotto la lunga tunica nera e smeraldo estrasse un sottile bastone da passeggio con cui sorreggersi. Degli ondulati capelli neri e setosi gli cadevano ai lati delle lunghe orecchie vagamente a punta.

Camminò fino di fronte ai due Grifondoro e solo da quella distanza Eve e Tom poterono notare il volto segnato da parecchie macchie e l’incisione a forma di serpente sul pomello del bastone.

“Chi sono questi ragazzi?” chiese a voce alta l’uomo, guardansi intorno. Nessuno rispose. Si rivolse ai due. Il naso adunco quasi li sfiorò.

“Allora, chi siete e come siete entrati nella nostra scuola?”

Tom boccheggio e Eve istintivamente si attaccò al suo braccio. Per quanto spavaldi fossero quell’uomo era davvero spaventoso. Avevano come una vena di paura che gli attraversava il corpo. Soltanto Tom riuscì ad ignorarla.

“Noi…ecco mi chiamo Thomas Bishop. Lei è Eveline Malfoy e…e francamente siamo molto confusi, signore”

L’uomo li fissò attentamente e si rigirò le lunghe dita sul mento, pensieroso. E ad un tratto spalancò la bocca, soddisfatto. Indicò prima uno, poi l’altro.

“Voi avete le stesse vesti di mastro Weasley!” disse entusiasta l’anziano uomo “Prego, seguitemi, è un piacere avere nuovi visitatori qui”

L’uomo ritornò sui propri passi e dopo un attimo di indecisione, Eve e Tom lo seguirono fino ad uscire dalla biblioteca.

 

 

3.

 

“Mastro Weasley?” chiese Eve a mezza voce, così che la sentisse solo Tom. Il ragazzo alzò le spalle e fece cenno all’amica di afferrare la bacchetta. La cosa gli piaceva sempre di meno e aveva la chiara sensazione di essere in pericolo. Eve strinse la stecca di legno e seguì i passi di Tom, subito dietro di lui.

Attraversarono il familiare corridoio e proseguirono verso il complesso maggiore del castello. Forse era solo un impressione, ma a Tom parve tutto molto più pulito e ordinato. C’era qualcosa di diverso rispetto al solito.

“Ma gli elfi domestici puliscono anche durante la settimana?” Eve alzò le spalle e continuò a guardarsi intorno. Attraversarono il lungo corridoio e giunsero nell’ampio salone di ingresso. I drappi erano completamente diversi dal solito. Brillavano di quattro colori, principalmente: il rosso, il giallo, il verde e il nero. E fra i drappi lunghi fin dal blasone del soffitto, troneggiavano, appesi al muro, quattro grandi quadri rappresentati quattro maghi dall’aspetto famigliare.

Uno era quello che li accompagnava. Era senza bastone nel dipinto e aveva un aria un po’ più giovane. Si muoveva poco e il cielo alle sue spalle brillava di lampi, segno di una tempesta in arrivo.

Subito accanto svettava una strega slanciata dallo sguardo penetrante. I suoi lunghi capelli neri le danzavano a coda di cavallo attorno al volto. Reggeva nella mano destra una sfera di cristallo, tempestata di luci in continuo movimento. Un corvo gracchiava sulla sua spalla.

“Io conosco quella donna…credo” sussurrò Tom. Eve lo colpì con una gomitata. Possibile che lui conoscesse soltanto donne bellissime?

“Ahi, fai male! Dico sul serio, l’ho già vista…” Eve lanciò un’occhiata al dipinto, e dovette ammettere di avere anche lei l’impressione di conoscerla. Fece vagare lo sguardo al dipinto successivo. Un mago sorridente con una vaga barba brizzolata si aggiustava il cappello consunto su uno sfondo roccioso. Il cielo era terso e le nuvole danzavano attorno al sole. Eve fu fulminata da un terribile dubbio. Dovette osservare il quarto e ultimo ritratto per assicurarsene.

Una pasciuta maga con i capelli insaccati in una rete bordeaux faceva volteggiare una serie di piccoli oggetti agitando la bacchetta. Non era molto alta, ma lo guardo era vispo, quasi fosse ancora una bambina.

“Corvonero!” gridò Tom “E’ Priscilla Corvonero! La fondatrice di Hogwarts!” Eve gli afferrò il braccio e deglutì.

“Vuoi dire che lui è…” puntò lo sguardo alle spalle del mago che li stava precedendo. Improvvisamente si fermò, si girò e fece un breve inchino, sostenuto dal bastone.

“Salazar Serpeverde, per servirvi” Tom boccheggiò ad occhi sbarrati. Eve li chiuse e svenne.

 

 

4.

 

“Aspettate, si sta riprendendo” Eve sentì una voce nel buio più completo. Sgranò meglio l’immagine davanti agli occhi e si accorse di aver tenuto le palpebre abbassate fino a quel momento. La maga dall’aspetto contento e paffuto gli comparve davanti leggermente sfocata.

“Buongiorno” salutò quella. Eve si alzò e vide il salotto in cui stava. Stesa sul divano si guardò attorno. L’altra maga magrolina stava seduta al tavolo rotondo lì vicino. Fra le mani aveva una tazza di the fumante. Tom era seduto accanto a lei e discuteva di qualcosa con l’altro mago del ritratto, quello sorridente dal buffo cappello. Tom si alzò di scatto dalla sedia e raggiunse Eve appena la vide sveglia.

“Ehi bionda!” le si avvicinò e Tosca Tassorosso si fece da parte “Come stai?” Eve non rispose e si mise seduta meglio. Riguardò quei tre maghi che prima aveva riconosciuto nei ritratti all’ingresso. Ed ora erano lì, in carne e ossa.

“Cosa…cosa diavolo è successo?” riuscì a chiedere tenendosi la testa. Tom le si sedette accanto.

“Credo…credo sia meglio lo raccontino loro…” fece un cenno, come se aspettasse qualcuno che continuasse il suo discorso. Il mago sorridente si alzò in piedi e oscillò attorno al tavolo. Si sfilò il cappello mostrando una fluente chioma ancora castana.

“Madame Malfoy, benvenuta ad Hogwarts. Anno 1047 del calendario babbano. Messere Bishop mi ha detto che tenete il conto con quello babbano nel vostro tempo”

“Il nostro tempo?” Eve scosse la testa “Siamo…siamo davvero nel passato?” guardò Tom supplichevole che non poté fare altro che stringersi nelle spalle, non esattamente entusiasta.

“Temo di sì” spiegò sintetica la maga dai capelli neri. Sorseggiò un po’ di the e tornò ad ignorarli. Il mago castano si rimise il cappello.

“Avete avuto un piccolo disguido con la Polvere del Tempo, direi. Salazar sta studiando la cosa in base alle poche informazione cha abbiamo. Oh, quasi dimenticavo” fece un mezzo inchino “Io sono Godric Grifondoro, ma sembra che la fama ci preceda tutti” sorrise soddisfatto e diede un’occhiata allo stemma sulla cravatta di Eve. Si voltò verso la maga pasciuta.

“Sono due Grifondoro, proprio come mastro Weasley”

“Bè, significa che il cappello funziona ancora bene, nonostante tutto il tempo che passerà” rispose Tosca allargando le spalle. Priscilla Coronerò sbuffò e sorseggiò ancora il suo the. Godric sfiorò la tesa consunta del vecchio cappello.

“Sentito? Sei un cappello perfetto!” il cappello non si mosse e non fece una piega. Godric lo lasciò perdere e tornò a concentrarsi sui loro improvvisi ospiti.

“Allora, sarete un po’ scombussolati, stanchi. Abbiamo qualche stanza libera?” chiese a voce alta.

“I Corvonero sono al completo, purtroppo” sibilò Priscilla senza scomporsi più di tanto. Ormai il the stava finendo. Tosca materializzò una pergamena e si mise a consultarla.

“Temo che siamo davvero al completo tutti . Potrebbero alloggiare al villaggio”

“Giusto, li accompagnerò io e…”

“Non sono giunti fino a qui per caso” Priscilla parlò a voce alta concentrando gli occhi di tutti su di se. Tom, zitto fino a quel momento occupato soltanto a controllare come stesse Eve, si schiarì la voce.

“Che vuol dire?” chiese leggermente turbato “Da quello che mi ha spiegato il signor Grifondoro è stato un incidente”

“Nulla accade per caso…” sibilò nebulosa Priscilla “Il destino muove la ruota della storia. E la storia non può essere cambiata” Godric si grattò una tempia.

“E’ una delle tue divinazioni, Priscilla? Sapete, Priscilla ha un occhio interiore molto sviluppato e…”

“Silenzio!” lo zittì subito Corvonero “Non è bene parlare troppo del dono. Non è cosa da sbandierare ai quattro venti, Godric, e lo sai bene” finalmente la strega si alzò in piedi e strisciando la sua lunga veste raggiunse il divano dove sedevano Eve e Tom. Aprì la mano e passò il palmo davanti ai loro volti. Prima Eve, poi Tom. Spalancò gli occhi di scatto.

“Giovane Bishop…” sussurrò ad occhi sbarrati “Tu sapevi di questo viaggio…”

Tom sbatté gli occhi un paio di volte. Eve gli lanciò un occhiata senza accusarlo. Lui sapeva?

“Io…no, non sapevo un bel niente, a dire il vero”

“Hai sognato la notte scorsa” continuò Priscilla, ignorando le sue parole “E hai visto…qualcosa” chiuse di nuovo le palpebre e fece danzare le dita di fronte agli occhi di Tom. Tom cominciò ad agitare la gamba, molleggiandola sul pavimento. Eve non poté fare a meno di notarlo.

“Era solo un sogno e non credo che…”

“Non sottovalutare il tuo dono, Bishop di Grifondoro” lo ammonì Priscilla “Molte cose possono cambiare grazie al tue terzo occhio” fece oscillare ancora le dita, poi d’un tratto si fermò.

“Credo sia meglio raggiungano il villaggio, il loro viaggio non sarà né breve e né semplice. Arrivederci, miei cari” e con questo Priscilla Corvonero lasciò la stanza. Tosca la seguì alzando gli occhi al cielo.

Godric aprì la porta accanto.

“Andiamo, non vi preoccupate, Priscilla fa speso così” alzò le spalle “Non prendetela troppo seriamente”

 

 

Qua nessuno c'ha il libretto d'istruzioni

Credo che ognuno si faccia il giro

Come viene, a suo modo

Qua non c'è mai stato solo un mondo solo

Credo a quel tale che dice in giro che l'amore porta amore credo

Se ti serve, chiamami scemo ma io almeno credo

Se ti basta chiamami scemo che io almeno”

 

Almeno Credo, Luciano Ligabue

 

5.

 

Godric accompagnò i due ragazzi fino al nativo villaggio di Hogsmeade, un villaggio con, come scoprirono presto Eve e Tom, sia maghi che babbani, conviventi senza troppi problemi.

“Ma loro sanno della magia?” chiese Eve ad un tratto. Godric si girò per osservarla, incuriosito.

“Ma certo, perché non dovrebbero?” rise il mago, aggiustandosi ancora il cappello sulla testa. Tom notò fra le pieghe della veste ambrata una sottile spada luccicante.

La questione non fu risollevata, così il discorso cadde. Tom e Eve si accorsero solo in quel momento di come la stagione fosse assai diversa dalla loro. Sembrava a metà fra l’autunno e l’inverno, probabilmente il freddo doveva ancora spazzare quell’angolo di Scozia.

Entrarono in una piccola locanda fatta di pietre poggiate l’una all’altra e tavole di legno. L’ambiente era caldo e sporco come pochi altri Eve aveva visto in vita sua. Un fuoco scoppiettava al centro della sala e pelli di animali ne adornavano le pareti e il pavimento. Godric salutò subito l’oste e gli spiegò la situazione, omettendo viaggi nel tempo e simili.

“Ma certo amico mio!” esclamò d’un tratto l’omaccione, pulendo un vecchio e sbeccato boccale “I tuoi ragazzi sono sempre i benvenuti”

“Vi lascio alle cure di Herlec, per qualsiasi cosa, non esitate a chiedere a lui. Mi farò risentire presto” li salutò con un veloce inchino e si diresse verso l’uscita.

“Aspetta! Ehi, aspetta un dannato minuto!” scattò Eve lasciando il braccio destro di Tom per la prima volta da quando si era risvegliata. Puntò i piedi a terra e le braccia ai fianchi.

“Ci avete trascinato qui, siamo chissà dove, lontano da casa nostra, non sappiamo cosa fare e fa freddo!” sbottò Eve “E poi che cavolo vuol dire “mastro Weasley”!”

Godric si sorprese e tentennò un momento. Non era abituato a vedere delle fanciulle così sboccate e arroganti.

“Ecco, io…” lanciò un occhiata a Tom che si avvicinò subito “Dunque, presumiamo che vogliate tornare a casa, e Salazar sta già cercando il modo migliore. Intanto non potete fare altro che attendere, direi” si grattò la nuca sotto il cappello “Non mi viene in mente altro…”

“Chi diavolo è mastro Weasley!” strillò ancora Eve, e Tom la afferrò per le spalle per timore che saltasse addosso a Godric Grifondoro.

“Mastro Weasley? Oh, Christopher Weasley, un giovanotto simpatico. Anche lui ha viaggiato nel tempo e vestiva proprio come voi” indicò le moderne divise scolastiche. Eve spalancò la bocca. Tom si limitò ad inarcare i sopraccigli

“Lui ha…cosa!?” Eve gridò ancora e questa volta Tom la afferrò stretta in modo che si fermasse. Godric ne approfittò per uscire, salutandoli in un’ultima volta. Eve si calmò, o almeno si zittì, ma tenne un maestoso broncio e le braccia incrociate. Herlec, l’oste, diede loro una stanzetta, arredata né più né meno che come il resto della locanda. Tom chiuse la porta, ringraziando per l’ospitalità e si girò verso la stanza.

“Che diavolo vuol dire sta storia!” gli gridò Eve in faccia senza dargli tempo di prepararsi alla cosa. Eve avanzò e Tom finì con la schiena contro la porta di legno scuro. Aveva un vago odore di bagnato e bruciato.

“Ehi, senti, ne so quanto te, ok?” cercò di calmarla “Chris non ci ha detto qualcosa e ci faremo spiegare tutto quando torneremo”

Se torneremo, vorrai dire” sibilò Eve “E’ colpa sua se siamo qui, scommetto. Eravamo in biblioteca tutti e tre e come mai lui non c’è, qui a Zozzolandia?”

“E’ Hogsmeade, è solo un pochino più rurale” ridacchiò Tom, cercando di sdrammatizzare. Senza troppo successo, a dire il vero.

Eve arretrò e scrutò con aria critica la stanza. Un ampia saletta con il camino acceso e un mucchio di legna di riserva. Proprio accanto vi era un massiccio letto pieno di coperte di lana e pelli. Due guanciali erano stesi ai piedi del letto. Ancora accanto un tavolo robusto reggeva una boccetta di inchiostro e una bottiglia quasi vuota di quello che sembrava Whisky.

Rurale? La definirei lercia, sporca, brutta, ma mai, e dico mai, rurale” Tom le scivolò accanto e si buttò sul letto che trovò più morbido di quanto pensasse.

“Andiamo, non è così male” appoggiò i gomiti e la vide sorridere “Ecco, non arrabbiarti. Quando sorridi sei più carina”

“Non pensare che dormiremo nello stesso letto perché non sarà così” disse secca Eve, ignorando l’apprezzamento. Tom neanche ci aveva pensato, ma per un attimo la sua mente prese a fantasticare e viaggiare verso lidi lontani in cui lui diventava l’essere più virile della terra e lei era una verginale ragazza indifesa.

“E dove dovrei dormire, scusa. Per terra?” Eve gli sorrise piegando la testa in modo cattivo.

“E’ un idea”

 

 

6.

 

Il fuoco scoppiettava a fiamma bassa. Fortunatamente potevano fare incantesimi liberamente senza rischiare di essere puniti dalla legge del posto. Non esisteva nessuna istituzione magica in quel tempo. E comunque non era così organizzata come la loro. Anche se, si trovò a pensare Tom, rispetto a Lestrange sarebbe stato meglio qualsiasi cosa.

Si rigirò avvolto da una pesante coperta di lana. Nonostante dormisse sul duro pavimento non sentiva troppo freddo. Le pelli isolavano e le coperte facevano spessore. Senza pensarci sospirò a voce alta.

“Sei sveglio?” gli chiese Eve dal buio, mezzo metro più in alto di lui.

“Sì” rispose Tom e si mise a guardare il soffitto. O almeno, pensò ci fosse il soffitto in mezzo a quella oscurità.

“A che pensi?” domandò ancora Eve.

“A niente…”

“Eddai, a che pensi?” incalzò la ragazza. Tom sospirò ancora.

“Penso che stasera c’era l’arrosto ai mirtilli e che me lo sono perso” Eve rise e Tom la sentì muoversi fra le coperte.

“Bè, tecnicamente deve ancora capitare”

“Giusto, me lo segnerò sull’agenda” scherzò Tom e ridacchiarono insieme. Poi cadde di nuovo il silenzio. Quel silenzio di quando non si sa che dire, ma non si vuole dormire.

“Io ho paura” disse Eve con voce piccola e flebile. Tom si poggiò sul gomito sinistro e si voltò verso quella chiazza nel buio che doveva essere il letto.

“Davvero?”

“Sì…tu no?”

Tom ci pensò su un paio di secondi e si torturò un ciuffo dei capelli medio lunghi.

“Forse…sì, un po’. Però cerco di non pensarci. Ma perché hai paura?” chiese sperando di ricevere una risposta.

“E’ tutta la situazione. Oggi non riuscivo a pensare con calma, ma in effetti è come se ci fossimo persi. Anzi, è peggio” non riuscì a trattenere un sottile lamento alla fine della frase, e Ton non riuscì a non notarlo.

“Ehi, bionda” si alzò dalla sua tana provvisoria sul pavimento e si appoggiò al bordo del letto. Allungò una mano in cerca di Eve e le sfiorò quella che gli parve la testa. Riconobbe i capelli e con dolcezza la accarezzò.

“Stai tranquilla. I quattro più grandi maghi d’Inghilterra stanno studiando la cosa. Si risolverà vedrai” Eve tirò su col naso e si accoccolò alla mano di Tom. Lui la sentì stringere i denti, come se trattenesse un forte spavento.

“Pensi davvero che torneremo a casa?”

“Certo!” mentì lui. In effetti non ne era sicuro, ma sarebbe stato inutile preoccuparsi per ora. Se Eve aveva bisogno di sicurezza gliene avrebbe data lui. La sentì ancora trattenere il respiro. Le accarezzò piano una guancia.

“Stai bene? Ti sento un po’ tesa…” indagò Tom rendendosi conto solo in quel momento di trovarsi al buio con una mano che scorreva lenta sopra il corpo di Eveline Malfoy. Improvvisante gli venne un gran caldo.

“Sto bene, sì, è…” sembrava sul punto di dire qualcosa. Tom si sporse un po’ più in avanti.

“E’ cosa?”

“Niente, non importa” Eve si rigirò e diede le spalle a Tom. Lui ritirò la mano un po’ deluso e si accasciò fra le sue coperte da pavimento.

“Come vuoi” ma non fece in tempo a mettersi sdraiato che la sentì di nuovo trattenere il respiro e irrigidirsi. Fece finta di niente, ma tenne le orecchie ben aperte. E dopo pochissimo capitò di nuovo.

“Bionda?”

“Che vuoi?”

“Che cos’hai?”

Silenzio.

“Allora?” insistette Tom sgranchendo le braccia all’aria.

“E’ una cosa un po’…intima”

Tom si rimise a sedere e si appoggiò di nuovo al bordo del letto.

“Bè, non voglio fare l’arrogante, ma non siamo amici da poco, anzi”

“Sì, ma non ne parlo con uno come te, di solito” insistette Eve. Tom rifletté sulle sue parole. Significava che condivideva quel segreto con qualcun altro che non era lui? Non che fosse offeso, ma un po’ gli dispiaceva. No, stronzate perbeniste, era offeso!

“Qua ci sono io. Non sarò come qualcun altro, ma se vuoi…” la mente di Tom prese a vagare fra tutte le persone che poteva conoscere Eve e a cui avrebbe potuto dire qualcosa di così importante che a lui non poteva dire. Ben Gloswon? Improbabile. A parte che era fidanzato con quella strana Tassorosso, ma poi non avevano mai legato molto. Daniel Keen sicuramente no. In tutti quegli anni Tom non lo aveva visto dare più confidenza necessaria di quella per chiedere i compiti di una materia. Joe “Jappo” Seer? In effetti ronzava spesso attorno alle ragazze di Grifondoro. Tom non era sempre lì a controllare.

Oppure era di un’altra casata. Ragazzi di altre casate che frequentassero Eve. Davvero non gli veniva in mente molto. E se fosse stato Chris? No, e poi era suo cugino. Ma quale ragazzo osava avere più confidenza di lui con Eve?

“Tom? Ci sei ancora?” Eve risvegliò il moro dai suoi viaggi mentali in cui cercava il colpevole da punire. Imbronciato rispose rapidamente.

“Sì, sì, ci sono”

“Senti, normalmente non te lo direi” e qui le budella di Tom si contorsero e presero fuoco per la rabbia “Ma dato che la situazione non è delle più normali…” Eve fece una pausa e Tom attese. Attese, ancora. Poi la pausa si tramutò in silenzio.

“Allora?”

“Ecco…ehm, sai, capita ogni tanto a…alle ragazze che hanno certi momenti…ehm…più sensibili di altri”

Tom rimase in silenzio un momento cercando di estrapolare una frase compiuta dai balbettii di Eve. La stanchezza rendeva il tutto molto più complicato.

“Quindi mi stai dicendo che ora sei più sensibile?”

“In un certo senso…” mormorò piano Eve. Tom scosse la testa.

“Ma cosa intendi con sen…oh!” e di colpo gli divenne tutto più chiaro “Quei giorni, intendi”

“Già” disse piano Eve. Tom ridacchiò.

“Dai non essere imbarazzata. E’ normale che succeda” Eve non disse nulla e Tom si alzò e si sedette sul letto. Eve non protestò.

“Fa molto male?” chiese il moro perdendo quell’aria allegra.

“Sì…più del solito”

“Forse è il cambiamento. Ho letto in una rivista che con il tempo, intendo quello atmosferico, può capitare. Forse centra anche il tempo temporale” Tom sentì Eve ridere.

“E da quand’è che leggi queste cose tu?” Eve rise ancora e Tom si rese conto solo in quel momento di avere detto qualcosa di compromettente.

“Eh? No, cioè, è…era una rivista nell’ambulatorio di mio padre…davvero! E smettila di ridere!” Eve ormai rideva come una matta e Tom si mise a ridere con lei. Sentì una mano avvicinarsi a lui, gli afferrò il braccio e lo tenne stretto. Il cervello di Tom si scollegò per un attimo. Eve si voltò verso di lui, anche nel buio poteva vedere il suo profilo più chiaro. Stava ancora ridendo.

Tom allungò l’altro braccio, prese una delle sue coperte di lana e sfilò la bacchetta dalla tasca dei pantaloni.

Ignarda” recitò puntando la bacchetta fra le fibre della coperta e la allungò alla ragazza.

“Tieni, farà caldo. Puoi metterla dove senti dolore” Tom non lo notò chiaramente, ma gli sembrò di vederla sorridere. Eve prese la coperta e se la sistemò sul ventre.

“Grazie” sussurrò e poi strisciò verso di lui. Tom la vide spuntare dalle tenebre, bionda, sorridente, bellissima. Gli si avvicinò lasciando pochissimo spazio fra di loro.

“Ehi che..che fai?” si agitò Tom sentendo sbattere quel dannato muscolo cardiaco ovunque tranne che nel petto. La gola era una melassa unica, compatta come la confettura che servivano la mattina ad Hogwarts.

“Prendo i miei spazi” disse lei a mezza voce, e con un spintone rovesciò Tom per terra fra le sue coperte. Tornò a ridere come una matta mentre lui si esprimeva in una serie di preziose scurrilità.

“Ma sei scema! Potevo farmi male!” esplose Tom, un po’ deluso, un po’amareggiato.

“Buona notte Bishop. E grazie” Eve si mosse sul letto fino a avvolgersi di nuovo fra le coperte. Tom si tastò la nuca dove aveva battuto. Con la testa ancora annebbiata e il cuore ancora a zonzo, ma ormai sulla via della calma, si rimise fra le coperte e poggiò la testa sul guanciale.

“Buona notte bionda” e subito il sonno lo raggiunse.

 

 

7.

 

Il camino esplose in una fiammata verdognola. Tom si svegliò di soprassalto lanciando un grido. Sbatté la testa sul letto dietro di lui e finì di nuovo accasciato sulle coperte.

“Buongiorno, miei cari” la voce di Priscilla Corvonero raggiunse le orecchie di Tom che finalmente aprì gli occhi. Assieme a lei vi era anche Godric. Tom ringraziò il cielo che non fosse venuta sola. Si alzò in piedi e si accorse di avere ancora la divisa scolastica addosso. I vestiti erano stropicciati e madidi di sudore. Aveva bisogno di un bagno e qualcosa con cui cambiarsi.

“Che ore sono?” chiese sbadigliando. Godric puntò la finestra mezza sbarrata da una pesante tavola di legno e quella svanì all’istante. Un raggio di sole potente accecò Tom che dovette ripararsi con la mani.

“L’ora di pranzo è ormai passata” spiegò “Ma dov’è la sua amica messere Bishop?” chiese Grifondoro. Tom si guardò intorno. Il letto era sfatto, ma non vedeva Eve. Non si era accorto che se ne fosse andata.

“Non…non lo so a dire il vero “ sbadigliò di nuovo “Forse è in giro”

“Inopportuno” disse semplicemente Priscilla “Non dovrebbe girovagare sola” si sporse dalla finestra, probabilmente per cercarne traccia.

“Chiederemo a Herlec, Priscilla. Piuttosto…” insistette Godric facendosi vicino a Tom “Abbiamo importanti novità. Salazar ha scoperto qualcosa. Trovi la sua amica, Bishop. Vi aspetteremo al castello” estrasse un sacchetto di pelle molto simile all’intestino di un bovino.

“Questi sono per le spese. Qualche pietra di valore è bene accetta dai commercianti di qua. Arrivederci messere Bishop” fece un veloce inchino e svolazzò il cappello consunto sulla testa. Prese una manciata di polvere da una tasca della veste e scomparve nel camino, avvolto da una fiammata verde.

“Siete fortunato, messere Bishop” intervenne melliflua Corvonero. Si scostò dalla finestra avvicinandosi a Tom. I suoi occhi lo scrutarono a lungo e Tom non ebbe la forza di dire nulla. Si sentiva come svuotato da ogni pensiero e privo di ogni protezione davanti a quella donna.

“Perché dite questo?” domandò Tom incuriosito. Priscilla gli sorrise.

“Nonostante foste stato avvertito dal vostro sogno, avete preferito ignorarlo. E ora siete qui, inconsapevole se tornerete o no alla vostra casa”

“Torneremo a casa!” mentì ancora Tom, mostrando davvero poca insicurezza “E’ solo questione di tempo”

“Tempo. Ha detto bene, Bishop. Il tempo è ciò che cambia tutto” Priscilla passò una mano sul suo volto e Tom sentì immediatamente un forte calore invadergli la faccia. Istantaneamente chiuse gli occhi.

“Avete un grande dono, messere Bishop. Non nascondetelo, non privatene il mondo. Siete destinato a grandi cose, lo sento, e credo di vederlo” Tom cercò di muoversi, ma riuscì soltanto a capitolare sul letto di schiena. L’affascinante strega in nero fece scorrere la mano a pochi centimetri dalla pelle di Tom.

“Non fate il sciocco errore di trattenervi. Siete dotato di un profondo occhio interiore tutto da sviluppare, l’ho visto” passò la mano sul petto di Tom, sempre e solo sorvolandolo.

“E’ questo che sceglierà come usare il vostro dono. Il cuore sarà l’ago della bilancia” Priscilla si alzò di scatto lasciando Tom imbarazzato e confuso.

“Non temete, non dirò a nessuno di voi. Sarete voi a scegliere, il destino è scritto, nulla può cambiare” infilò la mano nella polvere volante e Tom non riuscì a trattenerla. Sparì in una vampata di fuoco verde appena entrò nel camino.

Tom crollò di nuovo di schiena sul letto. Chiuse gli occhi e sbuffò al soffitto. Come aveva fatto quella strega a vedere il suo sogno? E Come sapeva delle sue visioni…dell’occhio interiore che gli bruciava dentro. Fin dal terzo anno aveva iniziato divinazione e, con stupore, aveva notato quanto gli fosse facile leggere fondi di te, stelle e scrutare sfere di cristallo. Così facile da fargli paura. Pian piano, dopo pochi mesi, decise di smetter di fare affidamento su quel suo particolare dono, come lo chiamavano la maggior parte dei maghi. Anche la Cooman, che tanto lo apprezzava all’inizio, prese a schernirlo, come suo solito, con fare melodrammatico.

Non gli importava. Non voleva sapere di più di quella sua dote. Lo spaventava e lo faceva tremare di stupore e paura. Quello che vedeva, quello che sentiva. No, il terzo occhio quella volta aveva davvero sbagliato ad affidarsi a quello strano figlio di babbani.

Eppure Corvonero sapeva. E sapeva più di quanto dicesse.

La porta si aprì ed Eve entrò carica di roba. Sacchetti e stoffe impacchettati uno sull’altro.

“Tom, dammi una mano…” lo implorò lei, vacillando sulle gambe. Tom si mise subito in piedi e afferrò quel mucchio di roba. A vederlo sembrava meno pesante.

“Grazie” disse Eve “Sono tutti piuttosto gentili con i forestieri, qui” sorrise Eve mentre si spazzava le maniche del suo nuovo abito. Un corpetto di pelle scura avvolgeva una maglia, simile ad una camicia ma con dei lacci al posto dei più comuni bottoni. Un paio di pantaloni di cuoio le fasciavano le gambe fino ad infilarsi negli stivali alti, sempre dello stesso colore. Un cinghia dalla fibbia lucida e dorata sosteneva un sottile fodero per bacchetta nero. Così come nero era il laccio che stringeva in una coda i ricciuti e biondissimi capelli di Eve.

“Carino…” commentò Tom scaricando di peso il mucchio di cose sul letto “Dove sei stata?”

“In giro, a guardare Hogsmeade. Sai, non si chiama ancora Hogsmeade. Pare che non abbia neanche un nome”

“Come hai pagato questa roba?” Tom sciolse il nodo di una delle pelli chiuse in quattro. C’erano un paio di abiti dall’aspetto più pulito di quanto si aspettasse.

“Non l’ho fatto”

“Non l’hai fatto? L’hai rubata?”

“Certo che no!” rispose subito la bionda offesa “Te l’ho detto che sono gentili…”

“Ma non mi hai detto come hai pagato” insistette Tom, dato che Eve evitava di rispondergli. La ragazza si aggiustò la coda dietro la schiena e ignorò Tom, almeno per un po’.

“Ho…promesso…che avresti dato…una mano…”

“Che!?” Tom schizzò impazzito. In quella entrò l’oste, Herlec, ancora alle prese con un sudicio strofinaccio e un bicchiere. Adocchiò subito Tom e lo indicò severo.

“Avanti, ho bisogno di una mano, muoviti” Eve fece finta di nulla, mentre Tom le lanciò un occhiataccia. Afferrò la borsa che gli aveva dato Godric e prese una generosa manciata di pietre preziose.

“Ecco, tenete. Per tutte le spese e per qualche pasto” Herlec fissò con avido stupore le gemme. Chiuse il pugno sui brillanti cristalli e, come se non fosse mai entrato, sparì con un veloce inchino oltre la porta.

E ci fu uno strano silenzio, interrotto soltanto da Eve che sistemava i vari pacchetti.

“Tu mi hai venduto!” gridò Tom facendola sobbalzare.

“Ho solo chiesto un prestito ad Herlec!”

“Con me come cauzione! Ma che cacchio hai in testa!” Eve si bloccò di scatto e puntò i piedi.

“Non trattarmi così!”

“E come ti devo trattare! Tu mi tratti come uno zerbino sempre!” strillò Tom, e per un momento vide Eve incupirsi in volto. Le aveva fatto male. Non per questo si fermò o si trattenne, anzi.

“Mi faccio fare quello che vuoi, faccio come pare a te sempre! E che pensi ci guadagno?” le corse praticamente incontro, continuando ad urlare “Tu non mi rispetti, ecco cos’è. Anche in questa dannata schifosa situazione non pensi che per caso anche io possa star male, o avere problemi, o qualsiasi altra cazzata!”

“Sei una dannata egoista, ecco il problema!” sbottò Tom dopo un breve momento di silenzio, a mezza bocca aperta, come a pensare cosa dire ancora. Si girò su se stesso, ignorando Eve e la sua testa bassa. Probabilmente piangeva. Aprì la porta.

“Tom…” biascicò Eve, chiaramente sull’orlo delle lacrime. Ma Tom aveva deciso di essere spietato quella volta.

“Ci aspettano al castello. Muoviti” e si sbatté la porta alle spalle.

 

 

8.

 

Eve percorse l’ultimo tratto di cortile del castello di Hogwarts. Non si sentiva molto bene. Aveva gli occhi ancora gonfi, colpa del freddo. E delle lacrime. Forse solo delle lacrime. Vide un paio di studenti attraversare il cortile e lanciarle un’occhiata strana. Probabilmente il loro arrivo in biblioteca aveva già fatto il giro della scuola, di bocca in bocca. Hogwarts era così anche all’inizio, pensò Eve. Nessuno poteva avere segreti ad Hogwarts.

Entrò nel salone principale e Godric Grifondoro allontanò in fretta una studentessa di Tassorosso per correrle incontro, sorridente.

“Madame Malfoy” si inchinò Godric, e non poté fare a meno di notare il suo sguardo incupito “Vi sentite bene?”

“Sì” mentì Eve, cercando di sorridere, ma riuscendo soltanto a piegare le labbra in una strana smorfia “Tom è già qui?”

“Messere Bishop è già qui” sorrise Godric e le indicò un corridoio da seguire. La precedette e camminarono fino al secondo piano, in silenzio.

Godric si fermò davanti ad una porta cesellata e ne spinse l’anta.

“Madame Malfoy è arrivata” annunciò Godric contento. Nella stanza vi erano sia Salazar che Priscilla. E naturalmente Tom, concentrato sul fuoco e sul suo bicchiere di liquido ambrato.

“Finalmente, ora potrò spiegare ad entrambi…” sillabò seccato Serpeverde. Si alzò in piedi sostenuto dal bastone e raggiunse il caminetto. Lo puntò con la bacchetta e una sottile scia di fiamme avvolse il suo legno.

“Quello che vedrete è colui che dovete cercare” le fiamme esplosero sulla bacchetta illuminando il soffitto grezzo della stanza. Si formò un cerchio di fiamme in cui comparve un volto, un immagine chiara di un uomo calvo. Sembrava essere molto alto, dalle larghe spalle e dalla stazza. Aveva le braccia incrociate e un cipiglio per nulla amichevole.

“Chi è?” chiese Tom poggiando il suo bicchiere e sedendosi nella sedia lasciata libera da Salazar.

“Sir William Hielant” rispose Priscilla, alle spalle di Tom “Serpeverde, naturalmente”

Grazie Priscilla” commentò secco Salazar lanciandole un’occhiataccia. Le fiamme si agitarono al movimento della bacchetta e l’immagine di William scomparve per far posto ad un castello arroccato su un colle roccioso.

“Quella e la Rocca Hielant. E’ lì che risiede”

“E’ un mago, vero?” chiese Eve, senza muoversi da accanto alla porta, ormai chiusa. Godric annuì ad occhi chiusi.

“Precisamente” e di colpo si fece cupo e scuro in volto “E’ un mago nato da babbani, ed ha imparato ad usare la sua magia qui, ad Hogwarts” Salazar agitò la bacchetta e le fiamme si mischiarono di nuovo. Godric continuò.

“Purtroppo non ha avuto la disciplina necessaria per capire che quello che ha ricevuto è un dono, non un’arma. Ha creato potenti incantesimi, ha cercato antichi oggetti oscuri ed ha…bè, ha ucciso tutti. Tutta la sua famiglia”

Tom sbarrò gli occhi. Eve deglutì.

“E noi dovremmo cercare questo pazzo?” esclamò Tom sconvolto “State scherzando, spero”

“Mi piacerebbe scherzare, messere Bishop” commentò Serpeverde agitando ancora la bacchetta “Ma non sono abituato a farlo. William Hielant ha un oggetto che vi serve per tornare alla vostra casa” le fiamme vorticarono e Salazar fece guizzare la bacchetta dall’alto verso il basso. Fra le spire rosse e gialle comparve una nuova immagine. Una sfera di vetro con un lungo becco che si avvolgeva attorno alla stessa fino a diventare una specie di base su cui appoggiarla. All’interno della sfera vi era una finissima sabbia di colore giallo brillante.

“Quella è Sabbia del Tempo. Ed è l’unica di cui sappiamo la locazione” terminò Serpeverde. Godric camminò fino al centro della stanza.

“Il vostro obiettivo è raggiungere la Rocca, infiltrarvi nel villaggio e riuscire a penetrare le sue mura. Lì dovrete trovare la sabbia e riportarla qui. Al resto ci penseremo noi”

“Aspettate solo un secondo” disse Eve improvvisamente “Noi dovremmo…no, ma perché noi? Non voglio sembrare ingrata o che altro, ma non siamo i più adatti ad affrontare un mago oscuro. Perché non andate voi?”

“Giusto!” le diede man forte Tom “Siete i maghi più potenti di queste terre!” Eve fu contenta di vedere Tom dalla sua parte.

“Potenti, sì. Anche noti…” commentò vago Grifondoro “Ecco, lui ci conosce, e sa che siamo pericolosi per lui. Ci scoprirebbe subito e farebbe qualche follia per distruggerci”

“E poi a dire il vero non ho voglia di farmi distruggere per due ragazzini” aggiunse Serpeverde facendo scomparire tutte le fiamme sul soffitto. Priscilla sorrise dietro il dorso della mano.

“Ah…” Tom non riuscì a dire nulla “Ma…e noi come diavolo possiamo farcela, allora?”

“Andrete in incognito. Vi fingerete babbani in viaggio e troverete un modo per entrare. Meno magia userete, meglio è” spiegò Godric aggiustandosi il cappello “E comunque non dovete certo affrontarlo. Dovete solo recuperare la Sabbia del Tempo”

“Che situazione…” disse piano Eve. Tom sbuffò infastidito.

“Che c’è?” gli chiese lei non capendo la sua reazione scocciata. Tom sbuffò ancora e si rivolse a lei, arrogante.

“C’è che non sei capace di reagire, solo lamentarti”

“Ah, scusa se penso che suicidarsi contro un mago oscuro sia da folli!” rispose animatamente lei.

“Sì, ma non abbiamo scelta!” gli strillò Tom in faccia. Eve strinse le labbra arrabbiata.

“Potrebbe farlo qualcuno di più preparato!”

“Potresti muovere il culo tu, ogni tanto, invece di far fare tutto agli altri!” urlò più forte Tom. Eve lo spinse dalle spalle e lui ciondolò all’indietro.

“Ma vaffanculo!”

“No, vaffanculo tu!”

“Signori…signori, per favore!” Godric intervenne per calmarli, si mise in mezzo e li distanziò con le mani “Non credo che litigare sia la soluzione migliore”

“Scurrile…” commentò Priscilla facendo materializzare una vassoio con teiera e tazze “Una ragazza non dovrebbe…” ma non ebbe il tempo di finire la frase.

Stupeficium!” gridò Eve puntando la bacchetta verso il tavolo. La teiera esplose in un centinaio di frammenti, assieme a tazze e vassoio. Priscilla si schermò il viso come meglio poté, e fortunatamente l’acqua bollente non la colpì.

“Ma sei impazzita, ragazzina!” scattò in piedi la maga estraendo la bacchetta.

“Questo non lo avevi previsto miss “Occhio Interiore”?” la canzonò ancora Eve, senza abbassare la bacchetta. Priscilla storpiò le labbra in un violento sorriso rabbioso. Alzò la bacchetta e la puntò verso Eve.

“No! Priscilla, per favore” Godric le fermò il braccio e l’incantesimo morì sulle labbra della strega. Salazar non mosse un muscolo, si limitò a sorridere.

“Dovete partire al più presto. Più rimanete in questo tempo e più sarà difficile per voi tornare a casa” disse Grifondoro calmando Priscilla con un cenno della mano.

 

 

9.

 

Tom diede un frustata lieve agitando le redini. Il cavallo brontolò e accelerò il passo trainandosi il carretto sul dorso. Superò un collinetta, ma un'altra si presentò ai suoi occhi. Frustrato, Tom accasciò le spalle.

“Ci fermiamo. Ormai fa notte” avvisò, piegando la testa un po’ all’indietro. Eve stava seduta nel carretto, coperta da un lungo mantello. Più che lungo era abbondante. Non disse nulla e non diede nemmeno cenno di aver capito.

“Ohi, ci fermiamo, va bene?” disse di nuovo Tom, questa volta ponendo una domanda, e sperando di ricevere una risposta. Eve non disse nulla, di nuovo. Si alzò in piedi e, traballante, saltò giù dal carretto lento. Tom tirò le redini di scatto vedendola correre sul prato, alla sua sinistra.

“Eve!” chiamò a gran voce, ma la ragazza non diede cenno di averlo sentito. Oppure lo ignorò. Tom ritenne possibile questa seconda ipotesi.

“Me guarda te…” disse a mezza voce. Fermò il carretto e legò le redini ad un alberò lì vicino, senza perdere di vista quella pazza scatenata. Le corse dietro appena fissati i lacci del cavallo. Corse fino a raggiungerla, un centinaio di metri più avanti. Le afferrò una spalla.

“Eve, dove diavolo corri” ma la ragazza non gli rispose. Solo in quel momento vide il piccolo gruppo di case, nascosto dalla boscaglia.

“Mi sembrava ci fossero delle case. Prendi il cavallo, cerco un riparo per la notte” gli disse semplicemente Eve, scendendo lungo il tortuoso sentiero dalla cima della collina mangiata dal bosco.

Tom fece più in fretta che poté. Liberò le redini e trascinò il carretto fino al villaggio. Non fu un sentiero facile da percorrere, soprattutto con un cavallo per nulla propenso alla collaborazione.

“Andiamo, stupida bestia…” cercò, invano, di trascinarlo, ma l’animale era ben impuntato e non avrebbe mollato facilmente. Tom sbuffò e lasciò perdere. Guardò le nubi all’orizzonte e sentì il vento aumentare il suo ritmo già veloce. Gli spazzava la faccia e gli sciabordava i capelli. Le nuvole scure di pioggia e di notte, ormai alle porte, si stavano spandendo sulla sua testa e fin oltre all’orizzonte. Nere, come nero era il suo umore.

Afferrò le redini e fu ben contento di sentire il cavallo collaborare, questa volta. Guidò il carretto lungo il sentiero, senza smettere di pensare a quello che aveva fatto quella mattina.

Non voleva trattarla così male. Cioè, voleva, ma non avrebbe voluto. Non si pentiva certo di quello che aveva fatto, solo che vederla così triste, e sapere che era anche colpa sua, non lo faceva star meglio. Forse avrebbe dovuto parlarle.

Raggiunse il centro del gruppo di case, vicino al pozzo di sasso. Legò le redini al palo di legno e si guardò intorno. Non c’era anima viva da quelle parti. Era come un covo di fantasmi.

“Eve?” la voce risuono fra le pareti di legno, tarlate.

“Ehi bionda? Dove sei?” Si incamminò verso la casa più vicina. Aveva la porta aperta, ma stranamente, il comignolo non fumava. Tom sentì un specie di pericolo imminente avvicinarsi. Estrasse la bacchetta e deglutì, passo dopo passo, verso la casa.

Il cavallo nitrì e quasi Tom si prese un colpo. Si girò di scatto per maledirlo, ma quel che vede gli fece gelare il sangue. Un manto nero e sbrindellato svolazzava fuori dal pozzo. Era uno spettro nero come la notte, freddo e spietato. Era un dissennatore.

Allungò l’artiglio sul cavallo e quello cercò, invano, di allontanarsi. La pelle dell’animale si gelò fino a diventare pallida, bianca e ghiacciata. Il dissennatore gli succhiò l’anima e l’animale vacillò un attimo, prima di stramazzare a terra. Voltò il suo capo coperto di veli neri verso Tom, e fluttuò nella sua direzione.

Tom rabbrividì e sentì la speranza scivolargli fra le dita. Non avrebbe mai potuto affrontarlo, non sarebbe mai tornato a casa. La sua testa gli bombardava sensazioni di tristezza. Era spacciato. La voce nella sua testa glielo urlava.

No. Sapeva come agivano quei mostri. Era solo una questione di concentrazione. Era…era…era spacciato.

Senza rendersene conto si inginocchiò, boccheggiante e infreddolito. La bacchetta era più pesante di un tronco d’albero e aveva sempre più l’impressione di avere un bisonte sulla schiena, invece che un mantello. Respirò a fondò e, fra i denti che battevano sospirò un incantesimo.

Ex..Expecto Patronus...us...” una scia argentata scivolò dalla sua bacchetta fino ad avvolgere il dissennatore che subito la risucchiò come fosse uno spaghetto. Tom si maledì per non aver reagito prima.

“Tom!” la voce di Eve lo risvegliò e gli fece aprire gli occhi. Non ricordava nemmeno di averli chiusi. Sentì passi veloci e uno svolazzo di mantello.

Expecto Patronus!” e poi più niente, solo il cuore dell’inverno.

 

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Capitolo 5
*** Almeno credo, Parte II (ST 2.8) ***


Almeno credo

Almeno credo

(Parte II)

 

 

 “Credo nel rumore di chi sa tacere

Che quando smetti di sperare inizi un pò a morire

Credo al tuo amore e a quello che mi tira fuori

O almeno credo”

 

                                   Almeno Credo, Luciano Ligabue

 

10.

 

Tom non aveva mai provato qualcosa del genere. La pelle era fredda e si sentiva congelare fino alle ossa. Non riusciva a sollevare neanche quelle stupide palpebre. Con lentezza e fatica, però, riuscì a digrignare i denti ed emettere qualche verso.

Sentì un po’ di movimento finché qualcuno non gli fu accanto.

“Per Merlino…sei sveglio!” la voce era squillante e per nulla gioiosa. Si poteva definire quasi preoccupata. Si sentì scuotere finché, con sua grande sorpresa, sentì il duro pavimento percuotergli la testa.

“Ahi…” tremò fra le labbra “…la testa…”

“Ti fa male la testa?”

“…il pavimento…” si sentì mollare di scatto, e ancora una volta batté il capo al suolo. Non ebbe forza per lamentarsi di nuovo.

“Oddio, scusa. Aspetta” un vago rumore di trafficare gli diede tempo per ragionare un momento. Il freddo stava pian piano passando. Con uno sforzo ulteriore concentrò tutte le sue energie sugli occhi. Come neanche un sollevatore di pesi, aprì di poco le palpebre e intravide la sfocata figura di Eve dargli le spalle. Lui era steso al suolo, coperto di pelli e pellicce come una mummia. E nonostante questo tremava ancora per il freddo. Solo un attimo più tardi notò il fuoco scoppiettante neanche a mezzo metro da lui. Il camino era acceso e fumante. Sulla fiamma intravide una macchia più scura che soltanto un attimo dopo riconobbe come una pentola.

Nonostante le fiamme, però, Tom non avvertiva neanche un po’ di calore.

“Ecco” la sua testa fu sollevata di nuovo e poggiata su un qualcosa di morbido, probabilmente piegato in due. Ora poteva vedere Eve, e da quel che osservava non aveva un aspetto bellissimo. Era pallida e col volto segnato lungo gli occhi, come se non dormisse da tempo.

“Bionda…” sospiro lentamente Tom “…che hai fatto…?” Eve si limitò a sorridere un momento poi non si trattenne. Scoppiò in lacrime e il singhiozzo gli spezzò il lamento che usciva dalle labbra.

“Mi hai spaventato…non ti svegliavi più…non avevo neanche un po’ di cioccolata o roba dolce…non ti riprendevi” Eve spezzava le parole e Tom faticava ad ascoltarla in alcuni punti, ma capì bene cosa fosse successo. Ebbe un tremito, ma non fu il freddo. Fu il cuore ad accelerare per un attimo i suoi battiti. Provò tenerezza per quella ragazza che aveva tentato tutto il possibile per salvarlo.

“Ehi…ehi, bionda” Tom strinse gli occhi e cercò di recuperare la poca lucidità rimastagli “I pantaloni…”

“Eh?” Eve si sfregò gli occhi con la mano destra stretta a pugno “Che pantaloni?” Tom allungò una mano da sotto la coperta. Fece spuntare le dita e le mosse lentamente. Trovò piacevole sentire il polveroso pavimento sui polpastrelli.

“I miei pantaloni…”

“Ma che…Tom che cosa stai dicendo?” Eve si riprese subito dalle lacrime. Prese una vaga tonalità violacea, ma non osò arrabbiarsi oltre. Per ora era solo molto imbarazzata.

“Cioccolata…nei pantaloni…”

Eve sbarrò gli occhi. Con cautela scostò la coperta da Tom e raggiunse i suoi pantaloni, all’altezza delle tasche. Vi infilò una mano non senza imbarazzo. Spostò istintivamente lo sguardo altrove e tastò alla ricerca della cioccolata. Sentì come il corpo di Tom fosse ancora freddo, nonostante le coperte e il fuoco acceso. Finalmente la trovò. Sfilò la barretta di cioccolato fondente e ricoprì il ragazzo con cura. La spezzò con carta e tutto e scartò un abbondante pezzo, nero e profumato. Allungò il dolciume davanti alla bocca di Tom.

“Avanti, mangialo” lo pregò lei. Il ragazzo aprì la bocca e accettò di buon grado il confortante gusto di cacao. Quasi fosse una panacea, sentì il corpo farsi più molle e il fuoco scaldarlo a dovere.

“Molto meglio” sussurrò ad occhi chiusi, rivolto al soffitto. Eve gli allungò un altro pezzo e lui mangiò anche quello. Il sapore di cioccolato gli riempiva anima e corpo. Il freddo del dissennatore era ormai un ricordo o poco più.

Piegò le gambe e le braccia e con calma riuscì ad alzarsi e mettersi seduto. Eve lo aiutò sollevando le coperte e scostandole di lato. Solo in quel momento Tom vide meglio l’ambiente dove si trovava.

Una veccia casa di legno e pietra. Spoglia, ma ora molto calda. La loro roba era ammucchiata in un angolo e la pentola sul fuoco spandeva nell’aria fresca un deciso odore di carne.

“C’era della legna. Questo villaggio sembra abbandonato, forse proprio per i dissennatori” spiegò Eve mentre Tom si guardava intorno “Ho protetto la casa con un incantesimo, credo che se tornerà da solo non ci disturberà”

Tom guardò dalla finestra. Fra le crepe degli scuri poté vedere il buio della notte.

“Ma quanto ho dormito?” chiese d’un tratto. Eve tenne la testa bassa e la scosse.

“Non lo so. Credo sia quasi mattina”

“Quasi mattina?” chiese incredulo lui “ E tu…per tutta notte…?” Eve evitò il suo sguardo. Poteva forse essere un residuo del suo stato vegetale, ma gli sembrò di vederla arrossire.

“Per forza, almeno uno doveva stare sveglio…” disse lei con poca voce. Il fuoco scoppiettò La zuppa di carne sobbollì. Tom strisciò verso la ragazza, avvolto in parte con le coperte di lana. Le prese una mano fra le sue e lei istantaneamente alzò la testa per guardarlo. Era strano come non si fosse mai accorta quanto, in realtà, tenesse a quel ragazzo.

“Grazie…” disse lui semplicemente,  sorridendo con gli occhi oltre che con la bocca. Eve tremò leggermente. Guardarlo negli occhi, da così vicino. Con quei capelli neri e gli occhi scuri. Quelle labbra quasi disegnate sul volto semplice e perfetto. Forse non si accorse di arrossire.

“Ma sei gelata” commentò Tom stringendo di più le mani sulla sua. Si sfilò una larga coperta e la passò sulle spalle di lei.

“Ma no, sei tu quello infreddolito”

“Non se ne parla” e le allungò l’altra coperta. Poi si spostò un po’ e le fece spazio vicino a lui e al fuoco. Tom ora era coperto solo dai suoi vestiti, la sua divisa di Hogwarts. Un po’ sporca, un po’ lacera e consunta, ormai. Stretto con le ginocchia sul petto, di fronte al fuoco. Eve si allungò vicino a lui. Tom cercò di non farci caso. Cercò di non pensare a quella ragazza, così vicina. Ma poi lei si appoggiò alla sua spalla e respirò lentamente.

“Grazie…” gli disse prima di avvolgerlo con entrambe le loro coperte. Tom passò il braccio dietro la schiena della ragazza e magicamente si ritrovarono uno avvolto dall’altro.

Improvvisamente Tom sentì un gran caldo. Un caldo quasi infernale che, paragonato al gelo che provava soltanto un minuto prima, gli sembrò impossibile. Quasi incredibile.

Con estrema lentezza Eve scivolò pesantemente sulla sua spalla, fino a crollare addormentata. Tom la sostenne appena in tempo. Con cura si stese a terra facendo attenzione che non scivolasse via.

E si addormentarono. Avvolti uno dal calore dell’altro in un piccolo tugurio di un angolo della Scozia.

 

 

11.

 

Era come se quello spazio personale che ognuno possiede fosse stato tutto ad un tratto annullato. Di solito la gente rimane sulle sue e non invade quell’area che circonda gli altri. E’ una sorta di stanzetta privata, un anticamera, in cui si accolgono solo le persone con cui siamo molto legate, come i familiari o gli amici intimi. Tom fu sorpreso di come quell’area fosse sparita nei confronti di Eve.

Marciavano sotto il sole fresco di una mattina che prometteva sicuramente bene. Eve gli stava particolarmente vicino e spesso lo urtava o lo prendeva a braccetto. Era serena e lo si vedeva lontano un miglio. Tom cercò di capire il perché di quel repentino cambiamento. C’erano molti perché che lo assillavano in quel momento, ma dopo un inutile perdersi in pensieri vaghi e sfumati, lasciò perdere. Era solo contento che Eve fosse così…così viva, ora.

“Guarda là!” Eve indicò la boscaglia ai piedi della collina appena superata. Tom spinse lo sguardo oltre la boscaglia e vide il fiume di cui gli avevano parlato Grifondoro e gli altri.

“Quello deve essere il fiume. Da lì inizia il territorio di William”

“D’accordo, ripassiamo le regole: niente bacchette o atteggiamenti strani. Niente cose che possono dare nell’occhio e soprattutto evitare i riferimenti alla Rocca degli Hielant”

“Esatto” Tom annuì “Inoltre credo sia meglio che ci troviamo una storia da raccontare su di noi”

“Perché?”

“Nel caso facciano domande. Meglio stare sicuri”

“D’accordo, che ci inventiamo?” Eve fece qualche passo avanti e si chinò a stringere il laccio di uno stivale.

“Non saprei…una buona scusante per due ragazzi che viaggiano da soli…”

“Potremmo essere fidanzati” squittì Eve. A Tom si materializzò un macigno all’ingresso dell’esofago. Non poté fare a meno di tossire.

“Sì…vero…è una…una buona idea”

“Oh, andiamo. Non dirmi che avresti difficoltà, con tutte le tue donne dovresti essere un esperto, ormai” questo era una chiaro tentativo di punzecchiatura da parte di Eve. Condito da un acidissimo tono. E Tom lo notò.

“A parte che non credo ti debba interessare”

“A parte che tanto lo sanno tutti che te la fai con la metà di Hogwarts”

“Cosa?” Tom esplose “Non è vero è…” Eve lo guardò in cagnesco. E Tom si zittì di colpo. Forse qualche storia l’aveva anche avuta, ma mai nulla di troppo serio. Era abbastanza naturale per lui provare a sedurre le ragazze, e loro ci cascavano quasi sempre. “Cascare” era il verbo giusto per quello che faceva Tom Bishop.

“Andiamo, playboy” Eve si incamminò verso il fiume e Tom le corse subito dietro. La afferrò per una spalla e la voltò di scatto.

“Non sono quello che dici!”

“Dico cosa?”

“Quello!” insistette Tom. Eve sorrise e incrociò le braccia al petto.

“Un playboy?” Tom sgranò gli occhi e spalancò le mani, come per dire, “esattamente!”

“Facciamo un po’ di conti…” disse Eve cominciando a contare con le dita “C’è Kim, Lara, Vera, Lysa…”

Tom non poté fare a meno di chiudere gli occhi ad ogni nome pronunciato dalla ragazza. Si grattò la testa indifferente e cercò di guardare altrove. Il cielo era blu, la foresta era verde. E Eve continuava a contare e elencare.

“…Gwen, Melanie e poi…ho dimenticato qualcuna?” chiese ironica in faccia al ragazzo. Tom sospirò affranto.

“Yuna, Corvonero. Ma comunque la metà ci ha provato con me, e non il contrario!”

“Oh, e il tuo cavallo dei pantaloni non ha potuto fare a meno di non accoglierle. Sei davvero un eroe”

“Senti, a parte che non credo che dovresti seguire tutto quel che faccio, e non capisco come lo sai”

“Chiacchiere da bagno” si difese subito Eve con simulata indifferenza. 

“Comunque, non ho fatto nulla!” urlò Tom. Eve gli rise in faccia.

“Certo, come no. A te basta baciartele un po’ e ottieni quello che vuoi, poi…”

“Non è vero un cazzo!” Tom spaccò in due la frecciatina di Eve che saltò all’indietro per lo spavento.

“Se pensi che…che io possa baciare così come viene…bè, non è così!”

“Non è così?” chiese Eve. Tom spalancò le braccia

“Esatto!”

“Bene. Baciami”

“Cosa?” Tom sentì tremargli la voce, ma pregò di non avere altre strane reazioni “Io non posso baciarti!”

“Ah, è così?” Eve fece un passo avanti. Gli arrivava poco sotto il mento. Lo guardò negli occhi un momento e, proprio un attimo prima che agisse, Tom si rese conto di cosa stava per accadere.

Eve lo afferrò per la cravatta rossa e oro, e gli trascinò la testa verso il basso. Chiuse le labbra e gli occhi e si sciolse in un puro bacio con Tom Bishop.

Tom non reagì. Non fece nulla. Rimase in apnea con gli occhi spalancati e le mani lontane il più possibile da quella ragazza. Sentì lei spingere fino a schiudergli le labbra, veloce. E un attimo dopo fu tutto finito. Eve gli mollò la cravatta e lui rimase lì, impalato. Incapace di dire e fare qualcosa.

Eve gli diede le spalle e riprese a scendere per il prato. Solo dopo un lungo attimo Tom sbatté le palpebre e si rese contò di tutto quello che era appena accaduto.Un bacio. Un bacio con Eveline. Quell’Eveline che aveva aspettato e sognato per tanto tempo.

Borbottò qualcosa prima di riuscire a mettere in fila le sillabe in modo corretto.

“Perché lo hai fatto?” chiese rincorrendo la ragazza. Eve non si fermò e lui insistette.

“Ehi, ferma. Perché mi hai baciato?” glielo disse ad un passo da lei, sempre alle sue spalle. Eve si fermo, di nuovo. Lentamente si voltò e alzò le spalle, vaga. Sorrise appena fra il rossore delle guance. Fu consolante per Tom vederla almeno un po’ in imbarazzo, credeva di essere l’unico a sentirsi così.

“Perché tu non l’hai mai fatto” rispose semplicemente lei. Sempre sorridendo, ma senza guardarlo negli occhi. Il coraggio di un attimo prima era del tutto sparito.

Sentì Tom avvicinarsi e prenderle la mano nella sua in una stretta dolce ma decisa.

“Andiamo” le disse sorridendole. Scesero insieme lungo il pendio fino a raggiungere l’argine del fiume.

 

 

“Credo che ci sia qualcosa chiuso a chiave

E che ogni verità può fare bene o fare male

Credo che adesso mi devi far sentir le mani

Che a quelle credo”

 

                                   Almeno Credo, Luciano Ligabue

 

12.

 

“Sai qual è il problema di questo posto? E’ incredibilmente maschilista” Eve si sollevò di scatto dal fieno e si ritrovò a ciondolare le gambe, seduta su un carretto. Tom si passò un lungo filo d’erba da un lato all’altro della bocca con un veloce gioco della lingua sul palato. Strinse fino a farlo crocchiare fra i denti.

“Tu dici? No, non credo”

“Non credi?!” Eve sembrò scandalizzata “Hai visto come mi ha guardato quello studente quando ho provato a parlare, l’altro giorno?” fece una smorfia con la faccia fino ad assumere una buffa espressione “Non credo che una ragazza dovrebbe parlare così  con un uomo” disse con voce nasale. Tom rise a sentirla imitare quel ragazzetto con la puzza sotto il naso.

“Cerca di capire, è un altro tempo. Le abitudini sono diverse”

“Ecco, è quello! Le abitudine sono tali perché qualcuno le ha decise, no? Voglio dire, ci deve essere stato un inizio di un’abitudine da qualche parte, nel passato, no?”

“Credo di sì” annuì Tom giocherellando ancora con la pagliuzza in bocca.

“E i lavori? Hai visto una donna fare altri mestieri a parte servire ai tavoli e tenere dietro alla casa? Guarda” Eve indicò una ragazza, molto giovane, intenta a pelare una secchio di verdura verde marcio. Il ventre ampio faceva ben intendere che fosse in dolce attesa ormai da tempo.

“Bè, è una mamma casalinga”

“E credi che voglia esserlo?”

“Probabilmente sì…ora come ora sì. Eddai Eve, non guardarmi così! Le cose verranno col tempo, lo sai anche tu che fra mille anni sarà tutto diverso!”

“Sì, sì, certo…” Eve si stese di nuovo sulla paglia del carretto e si lasciò cullare dal suo dolce ondeggiare.

Avevano trovato un passaggio fino al piccolo villaggio di Hielant, alla base della rocca omonima. Li avevano avvertiti che non era un gran bel posto dove vivere, ma loro fecero orecchie da mercante finché non trovarono un carrettiere che ci sarebbe dovuto passare. Una volta lì avrebbero studiato il da farsi.

Tom si stese accanto a lei, con il gomito a sostenere la testa. Giocò ancora con il suo lungo filo d’erba secca e lo fece vibrare sul viso di Eveline. Lei ridacchiò e cercò di scostarlo, invano. Tom continuò quella sua tortura finché fu lei, con un gesto improvviso, a strappargli di bocca la pagliuzza. E fu improvviso anche il bacio che il giovane Tom gli rubò subito dopo.

Era il secondo bacio. Il secondo dopo quello di molte ore prima. Fu un bacio più lento, quasi ponderato. Lui era più rilassato, mentre lei si fece prendere dal panico dell’essere baciata senza saperlo. Un panico che durò solo per pochi secondi. Cinse le sue spalle con le braccia prima di aprire la bocca sulle labbra di lui.

Tom le scivolò sopra fino ad imprigionarla col suo corpo. Il secondo bacio si trasformò presto nel terzo, seguito poi dal quarto e da una serie infinita di effusioni.

Il carro si fermò di scatto facendoli scivolare all’indietro. Tom si ritrovò infilato con la testa nella paglia.

“Ma che diavolo…”

“Tutto bene?” chiese Eve aiutandolo a liberarsi da quella trappola. Il proprietario del carretto li invitò a scendere con un gesto.

“Ecco, è lì avanti. Oltre non vado” disse oscillando la testa negativamente. Tom si mise in piedi.

“Avevamo un accordo”

“Mi dispiace, ma non è proprio aria” l’uomo accennò davanti a se con un movimento della testa. Fu in quel momento che anche Eve si mise in piedi e non poté credere ai proprio occhi, spalancati. Tirò Tom per una manica per costringerlo ad alzare lo sguardo.

“Che c’è?” chiese lui seccato, ma subito si zittì, e non servì risposta. Il cielo.

Il cielo era nero. Di un nero opprimente di nubi cariche di pioggia, ma troppo innaturali per essere vere. Vorticavano in cerchio, in un enorme spirale buia e tenebrosa. Si illuminavano, qua e là, segnate dai lampi e ascoltate dai tuoni.

Nella piana, coperta dalle nubi, si ergeva la sagoma della Rocca di Hielant, incastonata su una collina di rocce e circondata da un tappeto di piccole casette di pietra e legno. Il villaggio, seppur muto, dava segnali di vita. Fumo e luci soffuse chiazzavano l’area dandole un aspetto ancora più spettrale.

“Scendete, io torno indietro” insistette l’uomo. I due ragazzi scesero e il carretto tornò sui suoi passi. E subito furono soli.

“Comincio a temere che sia stata una cazzata venir fin qui” sospirò Tom a bassa voce. Un tuono gli ruppe la frase a metà e Eve ebbe difficoltà a sentire tutte le sue parole. Gli strinse la mano e intrecciò le dita con le sue.

“Stiamo attenti e ricorda, niente magia”

Tom annuì con il capo e insieme si incamminarono verso le casupole. Più si avvicinavano e più la rocca si faceva incombente, quasi asfissiante. Eve vide solo due persone fuori dalle case mentre attraversarono quella che sembrava la via principale, ovvero il sentiero più battuto fra tutti.

Raggiunsero un edificio più grande degli altri, e anche più robusto. Dalla luce e dall’odore sembrava una locanda per viaggiatori. I due ragazzi si scambiarono un’occhiata e aprirono la porta.

L’ambiente era umido e particolarmente buio. Il fuoco era un ricordo, vi erano solo delle braci deboli e ormai spente. Poche persone stavano sedute ai tre tavoli presenti e un oste pallido stava appoggiato dietro al bancone, tracannando da una bottiglia un liquido nero.

“Chi siete?” chiese burbero e chiaramente alticcio. Tom si fece avanti e tenne Eve dietro di se con fare protettivo.

“Solo viaggiatori. Volevamo restare per la notte”

“Viaggiatori” l’oste sputò al suo fianco, sul pavimento “Siete stupidi, non viaggiatori. Nessun viaggiatore si fermerebbe alla rocca di William” l’uomo bevve un altro breve sorso di alcol e tossì pesantemente. Oltre che ubriaco era anche malato.

“Perché dite questo?” Tom fece un passo avanti, ma non lasciò la mano di Eve. La voleva sentire vicino a se, al sicuro. Per quel poco che poteva fare per proteggerla, perlomeno.

“Questo posto è morto. Morto come tutto il resto della regione. Noi restiamo soltanto perché per Hielant siamo meno che niente…i maghi sono un pustola del mondo” tracannò ancora, questa volta un sorso lungo e abbondante che fece riversare un bel po’ di liquore fuori dalla sua bocca.

“Morto…?” Tom deglutì e sentì Eve stringergli la mano. L’oste lasciò andare la bottiglia.

“Sì, morto” l’uomo si alzò e si trascinò verso il camino ormai spento. Camminava zoppo e con una strana cadenza nei passi. Soltanto quando uscì da dietro il bancone Tom ed Eve capirono il perché. Era senza gamba sinistra, e una parte della faccia era stata come mangiata. Il bulbo oculare ballava viscido in tutte le direzioni, e il cranio sfondato oscillava con un rumore simile allo sciacquio di un panno bagnato sbattuto sulle rocce. Nessun essere umano sarebbe potuto sopravvivere con un buco del genere in testa.

“Morto…” ripeté l’oste trascinandosi fin davanti alle braci “Come tutti noi” scostò un vecchio steso su un tavolo e quello si ribaltò sulla schiena. Eve trattenne un grido e quasi stritolò la mano di Tom quando vide la cassa toracica come esplosa e le costole spuntare dalla carne ormai marcescente.

Il vecchio, però, si alzò senza problemi e si stese sotto il tavolo, poggiato ad una delle gambe.

“Andiamocene…andiamocene, ti prego” piagnucolò Eve, pallida come la morte.

Tom le strinse istintivamente la mano. Aveva una strana sensazione di freddo lungo la spina dorsale. Una sensazione che ricordava bene.

“Dissennatori” disse che un tremito nella voce. Eve si guardò in giro, ma non vide nulla. Solo un attimo dopo notò le bottiglie sui tavoli farsi d’un tratto fredde e coprirsi di brina. Il liquidò congelato spezzò il vetro con inquietanti scricchiolii.

Tom ciondolò un poco e cadde in ginocchio. Eve gli fu subito accanto. Aveva subito un attacco del genere da troppo poco tempo per poter resistere.

“Tom, prendi la bacchetta”

“No…” tremò reggendosi appena in piedi “Niente incantesimi…niente…” dalla finestra entrarono le lamentevoli voci ululanti dei dissennatori. Gli scuri si aprirono facendo entrare, lentamente, la figura fluttuante di uno di essi. Il dissennatore fluttuò verso i due ragazzi, danzando al ritmo dei loro cuori terrorizzati.

Eve si mise di scatto davanti a Tom. Puntò la bacchetta e si concentrò al massimo. Un patrono corporeo era ancora difficile per lei. C’era riuscita soltanto due volte. Due misere volte nonostante tutto l’allenamento durante l’anno. Chiuse gli occhi e sperò, nonostante il dissennatore.

Expecto Patronum!” la voce di Eve fece vibrare le deboli braci che, come d’incanto, presero vita e si accesero di un fuoco innaturale. Bianco, brillante, come una stella. Dalla sua bacchetta scivolò fuori una spessa striscia d’argento che in un guizzo prese forma. Una eccitata anatra dal piumaggio splendente.

“Evvai!” esultò Eve prima di dirigere, con un cenno deciso della bacchetta, la creatura d’argento verso il mostro fluttuante. Il dissennatore emise un stridio soffocato prima di sparire velocemente da dove era apparso. L’intera locanda brillò di luce accecando gli zombi che la abitavano, oltre che Tom.

L’anatra d’argento volò per aria a grandi cerchi. Sfiorò tutti gli zombi che immediatamente smisero di agitarsi e crollarono a terra, morti. Questa volta realmente. E dopo una manciata di secondi la luce si dissolse e la locanda tornò buia, illuminata solo dalle fiamme calde che ora scoppiettavano nel camino. Tom smise di sentire freddo e, lentamente, si rimise in piedi.

“Tu…tu sei…magnifica!” strinse Eve forte fra le braccia e la baciò teneramente sulle labbra. Eve accettò quel bacio con un sorriso e chiuse le braccia attorno alle sue spalle.

“Ma come…come hai fatto?” continuò Tom, ancora incredulo davanti a tutto quell’incredibile esplosione di potere magico. Eve si strinse nelle spalle.

“Mi è riuscito, meglio così, no?” gettò uno sguardo ai cadaveri che ora infestavano quel luogo “E poi l’incantesimo ha rotto anche la maledizioni che li teneva ancora in vita”

“Dobbiamo allontanarci da qui” riprese subito Tom, dando un occhiata fuori dalla finestra “Usare incantesimi ci farà scoprire” Eve gli diede retta e insieme schizzarono fuori dalla taverna. Corsero per la stradina polverosa fino ad incrociare una donna spaesata e spaventata. Aveva il volto incavato e i capelli grigi e secchi come paglia. Afferrò una manica del vestito di Eve e la strattonò a terra.

“Tu ci farai uccidere! Ci farai uccidere!” le strillò addosso “Tu hai rovinato la maledizione di William! William ci maledirà tutti! Ci ucciderà!” lanciò un grido e poi si gettò di corsa in un vicolo buio.

Tom aiutò Eve ad alzarsi. Non avevano tempo per pensarci su, ripresero a correre sempre più convinti che qualcuno, o qualcosa, gli fosse oramai addosso. E in effetti fu così.

Non riuscirono ad allontanarsi dal paese. Un omaccione nero vestito di stracci e pelli di bestia grigi gli bloccò la strada. Davanti a lui troneggiava un enorme spadone che teneva saldamente a due mani, con la lama ben ficcata nella nuda terra. I capelli, forse una volta biondi, svolazzavano, trasportati dalla brezza che faceva roteare come pazze le nubi in cielo.

Tom si fermò di scatto e tenne Eve dietro di se. La sentì insistere per farsi avanti, ma ora Tom non era più privo di forze per i dissennatori, e non si sarebbe piegato facilmente.

Il grosso uomo indicò i due con un dito che poteva sembrare grande quanto una radice, e li puntò con i suoi occhi vacui.

“Qualcuno di voi ha poteri magici. Chiunque sia deve venire con me” disse con voce imperiosa e terribilmente cupa. Tom deglutì profondamente e si concentrò su un incantesimo decente.

“Hai sbagliato persone, temo” rispose Tom, prendendo tempo. Eve gli fu più vicino che mai.

“Se non verrete con le buone” l’uomo impugnò stretta l’elsa della spada e la sfilò dalla terra con un rumore sordo “Lo farete con le cattive. O tu o la ragazzina verrete con me”

“Tu non torcerai un capello ad Eve, è chiaro?” Tom parlò risoluto. Forse non fu lui a parlare quanto il suo cuore, ma l’effetto fu notevole e fece ammutolire i pensieri di Eve.

L’uomo ruggì e partì in carica verso i due. Tom Sfilò la bacchetta da sotto il mantello e la alzò davanti agli occhi. Doveva recitare l’incantesimo al momento giusto. Né un secondo prima, né un secondo dopo. Lo spadone si abbassò su di loro. Eve chiuse gli occhi.

Electro Scutum!” ci fu un esplosione, un tuono e una luce abbagliante. I due ragazzi schizzarono all’indietro sbattuti via dalla forte onda d’urto. Tom rotolò un paio di volte nel fango prima di fermarsi e sbattere la testa contro il muro di pietra di una casa.

Stordito, vide Eve accovacciata e priva di sensi. E vide anche il grosso guerriero, ad almeno venti metri di distanza, rialzarsi in piedi aiutato dalla spada. Tom si maledì mentalmente. Perché non aveva funzionato? Forse quel tizio era semplicemente un osso più duro di quanto credesse.

Pensò ad almeno una decina di cose da fare per fermarlo, ma nessuna lo faceva smuovere da quella sua scomoda posizione. Solo quando il guerriero raggiunse Eve, Tom si rese conto di essere senza forze. Un attimo dopo perse i sensi.

 

 

13.

…sensibilmente freddo, sulla pelle gelata. Gelo, morte, ombre…

…l’uomo calvo. L’uomo calvo avanza e gli stritola il collo. Stringe e quasi…

…sporche di sangue fino ai polsi. Trema prima di gridare il suo terrore…

Aprì gli occhi di scatto e si ricordò perfettamente l’omaccione allungare le mani su Eve. Lanciò un gemito soffocato e si alzò con un balzo su quello che sembrava un pagliericcio. Una voce femminile emise un urlo stridulo.

“Cielo, mi avete spaventato” Tom strinse gli occhi per scrutare nella stanza buia in cui si trovava. Una ragazza, giovane, lo osservava dall’altro capo della stanza.

“Chi sei?” chiese scostando il suo mantello, in cerca della bacchetta.

“Vi ho portato via prima che vi prendesse Loun”

“Loun?”

“L’uomo con la spada…ha preso la vostra amica”

“Eve? Ha preso Eve? E dove l’ha portata?” saltò in piedi e si catapultò addosso alla giovane “Dimmelo!”

La ragazza si ritrasse spaventata. Si coprì il volto con le braccia e chiuse gli occhi intimorita.

“Io…non lo so. Alla rocca di William, ma è un posto grande. Nessun uomo è mai tornato dalla rocca di William Hielant”

Tom sbiancò. Eve, era stata presa. E tutto per colpa sua. Per ben due volte lei era riuscito a proteggerlo. Due volte dai dissennatori! E lui neanche una volta l’aveva fatta giusta. Ruggì di rabbia e sbatté a terra con forza una sedia di legno che scricchiolò pericolosamente.

“Maledizione!” urlò fra le quattro mura umide di quella casa di pietra. Scattò verso la finestra, ma ad attenderlo c’era il solito paesaggio nero e cupo. La rocca si stagliava, illuminata da una luce solare innaturale, filtrata dalla numerose nubi fino a renderla di una tonalità sbiadita e cadaverica.

Se anche si fosse infilato nella rocca avrebbe avuto poche possibilità di trovarla. Ammesso e non concesso che qualunque cosa fosse di guardia alla fortezza non trovasse lui per primo. Doveva trovarla e doveva farlo immediatamente.

Tastò inutilmente la tasca con la bacchetta. L’aveva persa nell’ultimo scontro e cercarla si sarebbe rivelato inutile. Solo, disarmato e con poche speranza a fargli da sostegno. La situazione stava facendosi sempre più nera.

“Scusatemi…signore?” Tom si voltò di scatto. La ragazza aveva rimesso in piedi la sedia e si era seduta.

“Cosa vuoi?” chiese forse un po’ troppo brutalmente. La ragazza non disse nulla. Chinò il capo imbarazzata. Fu in quel momento che Tom notò un vaso di terracotta sul davanzale vicino al fuoco. Il vaso, in sé, non era nulla di speciale. Sbeccato e mal formato, ma era il contenuto a rendere incredulo Tom.

“Quella…è una piuma di grifone?” Tom incespicò sul pavimento sporco fino al vaso con la piuma. La afferrò fra le dita e quasi non ebbe bisogno della conferma.

“Sì, è un vecchio dono che…”

“Posso usarla?” Tom si pentì di quello che aveva appena chiesto. Ricordava un insolito incantesimo di divinazione in cui non serviva bacchetta. Bastava l’occhio interiore, a patto che fosse abbastanza potente. Non voleva usare la divinazione, soprattutto senza essere controllato, ma non aveva scelta.

“Usarla? Sì…” acconsentì perplessa la ragazza. Tom fece spazio sul tavolo sbilenco e si guardò intorno. Qualcosa che riconducesse ad Eve poteva aiutarlo con la focalizzazione. Nulla, nulla di utile. Tranne, forse…

Prese una manciata abbondante di cenere da sotto i ciocchi di legno in fiamme. Eve gli aveva raccontato di come avesse eliminato suo nonno, Lucius. La cenere, forse, poteva aiutarlo. In caso contrario non sarebbe cambiato nulla, tanto valeva tentare.

La sparse sul piano di legno e fece cenno alla ragazza di farsi indietro. Stese la piuma sul tavolo, in mezzo alla cenere, poi chiuse gli occhi. Unì le mani davanti alla fronte e si concentrò.

“Signore, scu…”

“Fai silenzio!” la zittì Tom, con una certa rabbia e tensione nella voce. Smise di ascoltarla e si concentrò nuovamente. Il fuoco scoppiettava, ma lui avrebbe dovuto ignorarlo. L’ultima volta che aveva tentato di concentrarsi sul suo occhio interiore, le porcellane della Cooman erano esplose come petardi. La professoressa lo aveva congedato con un motto di paura e invidia allo stesso tempo. Fu dura fingere con i suoi compagni che in realtà non aveva colpa di quanto era accaduto. Fu dura mentire a tutti. Soprattutto a se stesso.

Zittì i suoi pensieri e subito cominciò a provare un vago senso di astrazione. Il fuoco era ormai un ricordo. Non sentiva più il vento ululare o il tavolo scricchiolare. Sentiva un sottile sibilo. Un sibilo sempre più simile ad un rullo di tamburo. Tam. Tam. Tam. Tamburi che divengono d’un tratto cupi, sordi, chiusi, in una gabbia di carne e ossa. Un cuore batteva nel petto. Un cuore agitato, impaurito, ma soprattutto solo.

Eve…

E nel buio della mente di Tom comparve l’esile figura della ragazza bionda. Era in ginocchio, chinata su un fianco e aveva il respiro pesante. Brillava, traslucida, quasi come un fantasma.

Dove sei…dove sei, ti prego dimmelo…

La figura di Eve si guardò intorno spaesata, poi alzò lo sguardo verso l’alto.

“Tom?” chiese debolmente al nulla sopra la sua testa. Iniziò a piangere e, chinata nel suo grembo sussurrò ancora poche parole.

“Tom…ti prego…aiutami…”

“Eve!”

Tom aprì gli occhi di scatto. La testa gli scoppiava e gli occhi gli bruciavano come se fossero fatti di braci. Sentì l’urlo terrorizzato della ragazza, ma non gli diede peso. Immerse la mani nella cenere e quella prese a vorticare come impazzita, alzando un gran polverone. La piuma di grifone si librò nell’aria assieme a tutto il resto fino a posarsi, coperta di cenere, sul palmo di Tom

“Dove?” chiese Tom a mezza voce. La piuma oscillò placidamente verso il basso fino a impuntarsi sul suo dito medio. Segnava una direzione.

“Sei un mago…” sibilò terrorizzata la ragazza. Crollò al suolo, strisciando contro la parete della casupola.

“Lo sono” rispose semplicemente Tom “E ora scusami, ma devo proprio andare” Tom si sollevò silenziosamente e con passo composto uscì dalla casa.

Sapeva dov’era. Ora avrebbe dovuto raggiungerla.

 

 

“Qua nessuno c'ha il libretto d'istruzioni

Credo che ognuno si faccia il giro

Come viene, a suo modo

Qua non c'è mai stato un mondo solo

Credo a quel tale che dice in giro che l'amore chiama amore”

 

                                   Almeno Credo, Luciano Ligabue

 

14.

 

“Tom? Sei tu?” Eve non sapeva perché, ma aveva come l’impressione di aver sentito la voce di Tom chiamarla. Tornò a poggiare la testa sul ginocchio, a sparger lacrime sul pavimento lercio di quella specie di prigione.

“Ti prego, aiutami…ho paura” sussurrò ancora, fra se e se. La sussurrò per ore, o almeno, ad Eve sembrarono tali. Un po’ per darsi coraggio, un po’ perché sperava che quella sua impressione non fosse soltanto tale.

Quando si era svegliata si era trovata in quella stretta cella. Senza bacchetta, ma soprattutto sola. Non aveva mai sentito il bisogno di avere qualcuno vicino come in quel momento. A dire il vero, non qualcuno. Aveva voglia di Tom, lo voleva vicino, stretto a se. Sentire le sue mani, il suo respiro, le sue labbra.

“Eve…” la sua voce. Le sembrava di sentirla di nuovo.

“Eve, sei qui?” un momento. Era la voce di Tom.

“Tom!” si lanciò sulla porta di legno e sbatté i pugni con tutta la forza che disponeva.

“Eve…aspetta, ora ti tiro fuori” la voce giungeva ovattata alle orecchie di Eve. Si spostò di lato quando sentì battere sulla porta. Un colpo. Poi un altro.

“Si può sapere che stai facendo?” sibilò Eve a voce bassissima, ma molto vicino ai cardini del portone.

“Che vuoi che stia facendo, scusa. Cerco di liberarti!”

“Usa la magia!”

“Sono senza bacchetta, ok?” replicò stizzito Tom. Eve alzò gli occhi al cielo.

“Ma sei senza cervello!? Senza bacchetta chiuso qui dentro? E come usciamo?”

“Ehi senti, io ho solo due mani e tanta buona volontà” si sentì un altro colpo e la porta tremò visibilmente. Eve si fece indietro.

“E…fra l’altro…sarebbe carino…che…mi…aiutassi!” un altro colpo più forte fece tuonare la porta nella cella. Eve si fece ancora più indietro.

“Stai indietro, ci siamo!” l’ennesimo colpo schiantò la porta, questa volta distruggendo la vecchia serratura di ferro. La porta ciondolò un poco, per poi venire aperta definitivamente da un calcione di Tom.

“Ahi! Cazzo…cazzo, cazzo, cazzo!” si tenne la gamba che aveva calciato con le mani e saltellò sulla sinistra, fino ad appoggiarsi al muro. Eve ciondolò la testa sconsolata.

“Sei proprio stupido…fammi vedere” gli si avvicinò e gli prese la gamba fra le mani, pericolosamente vicino all’inguine.

“Uhm…Eve, senti, non serve, sto bene” borbottò imbarazzato, ma le mani di Eve scivolarono lungo il ginocchio e Tom sentì un improvviso forte calore. Lo stava curando. Eve stava usando il suo dono per curargli la ferita alla gamba. E in un attimo Tom fu libero di piegarla di nuovo.

“Ehi, grazie” piegò il ginocchio e constatò soddisfatto di non provare più nessun dolore. Eve alzò le spalle.

“Non è niente, era soltanto una botta. Posso sistemarla facilmente” si incamminò verso la porta sfondata e superò i rimasugli di legno. Vide un grosso pezzo di armatura, probabilmente un elmo corazzato, legato ad una corda e penzolante da una trave incastrata sul soffitto muffoso. Ora capiva quei colpi che sentiva. Tom la seguì a ruota.

“Dobbiamo andarcene prima che ci scoprano” si passo una mano sotto le narici e tirò su col naso.

“Geniale. Idee?” Tom oscillò la testa e prese a camminar veloce per un corridoio. Eve lo seguì, sperando si ricordasse la strada che aveva fatto. Aveva una strana sicurezza nel correre. Sembrava conoscere quel posto come il palmo della sua mano.

“Non ci siamo persi, vero?” chiese Eve prima di una brusca curva che sembrava risalire un po’ dal buio delle segrete. Tom non si fermò, giusto rallentò un poco. Si sfregò ancora la mano sotto il naso.

“No, va bene di qua…” disse, con uno strano scatto della testa. Proseguì lungo il corridoio con Eve incollata alla sua ombra, e finalmente incontrarono una ripida scala che risaliva quel pozzo in cui sembravano essersi persi.

“Ecco di qua” disse Tom voltandosi verso Eve. La ragazza trattenne malamente un grido.

“Tom, che diavolo…il naso…” lui la guardò stranito. Si passò ancora la mano sotto il naso e vide il sangue imbrattargli le dita. Ciondolò un poco prima di appoggiarsi con le spalle ad una parete.

“Sto bene, davvero...solo un momento…” Eve gli fu subito accanto e cercò di mantenerlo in piedi. La testa gli vacillava senza equilibrio e gli occhi sembravano volersi rovesciare all’indietro da un momento all’altro.

“Tom...che hai fatto? Ehi? Mi senti?” Eve gli scuoteva le spalle nella speranza di rimetterlo in forze. Avvicinò le mani al suo volto e chiuse gli occhi concentrandosi. Avrebbe dovuto usare il suo potere per guarirlo, ma non aveva ancora l’abilità necessaria a curare una ferita di quel genere, tant’è che non sapeva neppure che ferita fosse!

Tom, steso a terra, sembrava avere delle strane convulsioni che gli scuotevano il collo e le spalle. Due righe di sangue gli tracciavano il volto dalle narici e intorno alle labbra, fin sotto il mento. Eve passò le mani lungo tutta la testa, ma non riuscì a vedere nulla. Altre volte aveva usato il suo potere curativo, ma la situazione e l’alto tasso di agitazione che aveva rendevano la cosa, già di per sé complicata, praticamente impossibile. Soltanto quando passò le mani sulla fronte del ragazzo Eve notò uno strano calore. Ma non erano le sue mani, era Tom.

Era febbre, o qualcosa di molto simile. Sentiva il calore di quella fronte agitarsi e rivoltarsi come un petardo impazzito.

“Tom rispondimi. Tom, ci sei? Ehi? Andiamo…” ma il giovane Bishop non sembrava aver voglia di aprire gli occhi e svegliarsi. Ora stringeva i pugni nervosamente e agitava anche la gamba destra, colpendo Eve quando la abbassava.

Rinunciò. Non era quel sangue il problema. Quello era solo una conseguenza di qualcos’altro. Tom tremava davanti ai suoi occhi. Gli afferrò le mani fino a imbrattarsi i polsi di sangue e le strinse.

“Ti prego…Tom!” gridò, ma senza risultato. Si rimise in piedi e cercò di sollevarlo, ma il ragazzo cominciava ad essere troppo pesante per lei, ormai. Eve si ritrovò a maledirlo mentalmente per quei suoi dannati allenamenti mattutini. Ma fu proprio mentre lo rimetteva a terra che notò la strana piuma spuntargli dalla tasca. Ad Eve sembrò subito una piuma di grifone. La sfilò dalla sua tasca e avvertì il calore di quell’oggetto, caldo, come se stesse per prendere fuoco. Fu istintivo, ma lo fece comunque. Spezzò la piuma in due con un crocchio leggero.

Tom lanciò un grido. Si rimise in piedi, grattando contro il muro e rintanandosi in un angolo. Eve lo inseguì subito.

“Tom, tranquillo! Sono io, sono Eve!” Tom smise di agitare la mani davanti a se e guardò la ragazza, con gli occhi sbarrati e il respiro corto.

“Eve…grazie…” disse solo questo prima di abbracciarla stretta a tal punto da non farla più muovere. Ma lei non si ritrasse, anzi strinse anche lei il ragazzo.

“Che avevi? Sembravi come impazzito, e poi…”

“Niente…ti spiegherò quando saremo in salvo. Vieni” la prese per mano e la portò con se lungo le scale. Gradino dopo gradino, insieme. Raggiunsero e attraversarono la botola nel pavimento. Il brullo cortile della rocca di Hielant si presentò ai loro occhi. Incerti resti di quello che una volta era un lussureggiante giardino si mostravano in tutto il loro crudele orrore. La follia aveva rovinato quel luogo. Una follia morbosa e malata.

“Non possiamo andare via” si fermò Eve “La sabbia del tempo, senza quella non torniamo a casa”

“Eve, dobbiamo rimanere vivi per prendere quella sabbia” le spiegò Tom telegrafico “Usciamo di qui. Ritorneremo in seguito”

“Ritornare? Dobbiamo trovarla e andare via ora! Tornare sarebbe da folli!” strillò Eve. Tom perse la pazienza.

“Hai per caso notato che un gorilla alto come Hagrid ti ha trascinato qui dentro a forza? Questa non è la mia idea di un piano ben riuscito, tesoro” disse Tom. Eve sbatté gli occhi.

Tesoro? Mi sembra di averti salvato la vita un attimo fa, dolcezza

“Era tutto sotto controllo” sillabò Tom.

“Ah davvero?”

“Già, davvero. Senza contare che sono riuscito a liberarti senza che mi fermassero”

“Ecco, su questo avrei qualcosa da ridire” una voce acuta e spietata interruppe il battibecco fra i due. William Hielant li squadrava dall’alto del bastione del muro più vicino. La veste lo avvolgeva come una seconda pelle, con lunghi strascichi, e delle spalle a punta che lo facevano sembrare ancora più imponente di quanto già non fosse.

“Non ha liberato nessuno, giovane divinatore” si rivolse a Tom con arroganza “E tanto meno lo farà”

Con un saltello superò il muro della balaustra e planò fin nel cortile, a pochi passi dai due ragazzi. Allungò una mano e un curvo bastone comparve fra le sue dita. Il legno era sormontato da un elegante opale nero. Un opale che pareva vorticare fra le spire del legno che lo avvolgevano.

“Ma ammetto che ero curioso di conoscere una strega così abile da sciogliere la mia maledizione sulla gente nella locanda” e allungò lo sguardo verso Eve che non mosse un muscolo “E un divinatore così sciocco da entrare nella mia dimora. Ma soprattutto, ero curioso di sapere cosa potevano mai farci due giovani maghi come voi qui, nel mio regno”

Hielant sorrise morbidamente, lasciando un vago sentore di terrore nell’aria. La pelle liscia del suo cranio sembrava riflettere la luce delle poche torce appese lungo le pareti.

“Grande piano, mio salvatore!” sbottò Eve spingendo in malo modo Tom in avanti. Il ragazzo per poco non cadde a terra, ma subito si riprese.

“Cosa potevo saperne io!”

“E senza bacchetta! Per questo hai fatto una divinazione…e dire che avevi lasciato il corso della Cooman!”

“Senti, è complicato, ok?” si arrabbiò Tom “E la prossima volta se vuoi ti lascio piangere in quella cella!”

“Ah! Io piangere? Sarei uscita comunque!” forse Eve questa volta l’aveva sparata un po’ grossa. E Tom se ne accorse.

“Ma certo! Pensavi di stordirli a cazzate come questa?”

“Scusate!” urlò William Hielant, sbattendo il bastone a terra “Come vi permett…”

“Tu sta zitto!” lo misero a tacere entrambi immediatamente urlandogli addosso la stessa identica frase. Il mago oscuro sobbalzò al suo posto. Come si permettevano questi due marmocchi di invadere il suo regno e zittirlo a loro piacimento?!

“E comunque, sapevo che ce l’avrei fatta!” continuò Tom, mettendosi a braccia incrociate.

“Ah sì? E come?” rincarò Eve, sicura di coglierlo in fallo.

“Io l’ho visto nel sogno. E poi l’ho rivisto poco fa”

“Allora hai sognato! Allora…ma tu hai il dono?” ora, Eve, più che arrabbiata sembrava perplessa. Tom era davvero dotato del terzo occhio?

“Io…senti, ti ho detto che è complicato, ok?” sbottò Tom, senza notare Hielant che lo puntò con il bastone. Tom si sollevò di scatto da terra, come se fosse appeso per il collo. Lanciò un grido soffocato e si mise le mani sulla gola nel vano tentativo di prendere aria. Eve arretrò di scatto.

“Lascialo andare!” gridò in faccia a William, ma il mago oscuro non si lasciò impressionare delle urla di quella ragazzina. Avanzò verso Tom, sempre con il bastone teso e continuando a stritolargli il sottile collo.

“Come immaginavo siete soltanto patetici rag…” William interruppe il suo parlare. Una grossa pietra lo aveva appena colpito alla tempia facendolo vacillare di lato. Il bastone si staccò dalle sue mani e Tom crollò al suolo, libero di respirare. Eve prese subito un altro sasso, questa volta più grande, e lo sollevò sopra la testa.

“Prendi questo!” lanciò in malo modo il pietrone troppo pesante per lei che rotolò a mezzo metro da Hielant, ancora sorpreso dal tiro precedente. Tom corse in avanti, prima su quattro zampe, poi alzandosi in piedi di scatto. Raccolse in tempo il bastone prima che le grinfie del mago oscuro lo facessero nuovamente suo.

Alzò la punta con l’opale verso William e quello si fece indietro, spaventato.

“Non ti muovere!” gli gridò addosso Tom “Non ti muovere a giuro che ti ammazzo!”

Hielant si fece indietro e mise le mani per aria, inerme. Come avevano potuto giocarlo con una stupida pietra lanciatagli addosso? Guardò Tom con un ghigno per nulla amichevole e pensò ad un piano per uscire da quella spiacevole situazione.

“E adesso dicci dove hai la sabbia del tempo!” Tom continuava a gridare come se l’adrenalina che aveva in corpo fosse troppa per lui. Eve notò gli occhi sbarrati e la strana tendenza a scattare in maniera nevrastenica.

“Ehi, calmati, lo abbiamo in pugno. Sarà uno scherzo con lui disarmato e noi col suo bastone” si voltò poi verso William “Allora? Dov’è la sabbia?”

William li squadrò per un attimo entrambi. Per ora li avrebbe assecondati. Non era il momento di agire.

“Seguitemi” disse semplicemente.

“Fai strada” gli intimò Tom, ancora con il bastone puntato verso di lui.

Salirono una scala esterna alla rocca e raggiunsero una porta di ferro battuto. Il cielo illuminava cupamente il fianco dell’edificio rendendolo tenebroso quel tanto che bastava per spaventare Eve. La ragazza, infatti, marciò compatta accanto a Tom.

William Hielant fece un cenno con la mano e la porta si aprì cigolando. La stanza al suo interno era buia e soltanto quando entrarono le torce alle pareti si accesero di fiamme vivaci e violacee.

Il salone era rovinato e addobbato da drappi di una ricchezza lontana e di un benessere ormai morto. Accatastati e impilati in giro per la stanza vi erano una serie di oggetti dall’aria curiosa, oltre che parecchie ricchezze in gemme, oro, e orpelli preziosi. Tom fischiò di approvazione.

“Sant’Anacleto!” sbottò Eve decisamente dimentica della paura di poco prima. Lo spettacolo del tesoro di William Hielant era davvero da mozzare il fiato.

“La sabbia del tempo, grazie” disse semplicemente Tom puntando le spalle di William. Il mago oscuro marciò vero un tavolo e allungò la mano. Un istante dopo si girò verso Tom e lanciò un piccolo sassolino rosso rubino che prese fuoco e sibilò verso il giovane mago.

Tom lanciò un urlo, mentre Eve si accorse appena di cosa stesse accadendo. Il ragazzo alzò il bastone in segno di difesa, e fortuna volle che la pietra centrasse in pieno l’opale incastonato fra i rami. Ci fu una vampata di fuoco e uno sfrigolante lampo di scintille, poi Tom riaprì gli occhi e si rese conto di essere sopravvissuto.

“No!” tuonò William, forse più dispiaciuto per aver distrutto il suo bastone che per aver mancato il bersaglio. Si lanciò in avanti, praticamente levitando sul terreno. Tom alzò il legno in sua direzione, ignorando le continue scintille che spruzzava la punta.

“Ti avevo avvertito!” gridò e si concentrò sul bastone. Ci fu un lampo velocissimo, ma William raggiunse comunque il suo prezioso bastone. Solo quando Tom cercò di non farsi strappare dalle mani la loro unica arma, notò che i capelli del mago oscuro erano miracolosamente ricresciuti. Anzi, a guardarli meglio non erano capelli, erano begonie!

“Lascialo maledetto stupido!” ci fu un altro lampo ed Eve ne approfittò per dare man forte all’amico. Strinse il bastone e tirò nella sua direzione. Si accorse in quel momento delle strane orecchie d’asino che Tom aveva al posto delle sue.

“Ma che…” disse soltanto, prima di resistere ad un altro strattone del mago. Tom tirò con tutte le sue forze e incitò Eve.

“Coragg-iihoo! Damm-.ihoo o-una mano!” ragliò, letteralmente, Tom. Ma non ebbe il tempo per sorprendersi di se stesso. Dal polso di Eve spuntò un’altra inquietante mano che strinse con forza il bastone e tirò nella loro direzione. Per quanto fosse orribile, era sicuramente utile.

“Cosa state facendo...il mio prezioso bastone!” gridò William, ormai col volto completamente circondato dalle begonie che non volevano smetterla di crescere. I due giovani stregoni tirarono. Il vecchio mago oscuro puntò i piedi con tutte le sue forze.

“Lasc-iihaa-lo!” verseggiò ancora Tom. Eve cercò di non guardare la sua squallida mano e di resistere alla forza del loro avversario. Con un sforzo gridò anche lei.

“Mollalo!” e l’ennesimo lampo di luce accecò tutti e tre per poi mostrare un William Hielant ciondolante sul pavimento con, al posto dei piedi, due robusti fili di ferro attorcigliati a vite. Si molleggiava avanti e indietro, dando ben misera resistenza rispetto ad un attimo prima.

Hielant gridò e continuò a dondolare in avanti e indietro, mentre Eve e Tom continuavano a tenere ben salda la presa sul bastone. E infine l’ebbero vinta. Con un ultimo sforzò strapparono il bastone dalle mani del mago oscuro e caddero all’indietro, uno sull’altra. Tom si ritrovò la mano di troppo di Eve proprio sulla faccia.

“T-oo- glila!” gridò schifato, prima di rimettersi in piedi. Eve si sollevò facilmente con una mano in più, ma nascose il braccio sinistro dietro la sua schiena. Il solo vederla le faceva troppa impressione.

“Ma cosa è successo?” chiese Eve puntando lo sguardo verso Hielant, ancora intento ad oscillare avanti e indietro, come la testa di un clown di un Jack-in.the-box. Tom si alzò in piedi e tenne ben saldo il bastone fra le mani, puntandolo verso l’urlante e dondolante mago oscuro.

“La punt-haa è scopp­-iihaa-ta…” disse Tom, con voce asinina, ma tanto bastò per far spruzzare un'altra manciata di scintille dal bastone. Istantaneamente la testa di William Hielant scoppiò come un palloncino e sparse il suo disgustoso contenuto per la stanza. Oltre che un buon numero di begonie. Eve lanciò un grido per lo spavento. Tom alzò gli occhi e vide il cadavere del mago molleggiare ancora avanti e indietro. Poi guardò il bastone e di nuovo il mago.

“Oh cazzo…!” esclamò chiaramente sorpreso. Neanche un secondo dopo il cadavere del mago oscuro saltò nuovamente per aria, questa volta all’altezza dell’inguine. Inutile dire che la quantità di sangue aumentò drasticamente e pitturò il pavimento della sala di orribili budella.

“Oh, ca…” Tom si fermò in tempo, questa volta. Lanciò il bastone a terra e lo lasciò sfrigolare lontano da lui. Spruzzava ancora scintille, ma sembrava decisamente più innocuo.

 

 

15.

 

Tom si appoggiò pigramente al tronco di un giovane albero lungo il lago. Non ricordava questo alberello nella sua epoca, probabilmente perché era stato sradicato in più di mille anni. Si asciugò il naso che ancora colava un po’ di sangue e piegò la testa all’indietro. Fu contento di sentire che le sue orecchie non erano più né pelose né lunghe quanto un braccio. Così come fu contento del viaggio di ritorno, molto meno movimentato e molto più semplice del precedente. Dopo la morte di William, la rocca di Hielant si liberò dalla maledizione e in pochi minuti il cielo cupo e gli zombi del villaggio sparirono per lasciare spazio alla brillante luce del sole.

La stessa cosa non si poteva dire dei nuovi orpelli di Tom ed Eve. Le orecchie da asino e la mano mostruosa rimanevano solidamente attaccati ai loro corpi. Fortunatamente dopo pochi minuti li raggiunse Godric, materializzandosi. Fu sorpreso di scoprire che William fosse davvero morto per merito loro, e fu doppiamente sorpreso di vederli così conciati. Aveva avvertito il rompersi della maledizione di Hielant, ma gli sembrò impossibile da credere senza venire a controllare.

Dopo una breve ricerca per trovare la sabbia del tempo, tornarono tutti e tre al castello di Hogwarts dove Tosca Tassorosso sistemò i loro originali nuovi gadget corporali.

Il sole stava ormai tramontando quando Tom chinò ancora la testa per far passare quel dannato sangue al naso. E fu in quel momento che vide Eve, capovolta sottosopra, a neanche una manciata di metri di distanza. All’inizio non disse nulla, anche perché lei non si mosse né disse niente.

“Ciao” salutò lui semplicemente. Eve si avvicinò e gli si sedette accanto. La luce del sole riflessa dal pelo dell’acqua era uno spettacolo ancor più mozzafiato della sala del tesoro di William.

“Hai ancora bisogno di una… mano?” la prese in girò Tom, sempre con la testa piegata all’indietro. Sorrise e le lanciò un’occhiata.

“No…asino!” lo rimbeccò lei mettendosi a ridere. Rise anche Tom, tornando con la testa piegata in avanti. Controllò il naso passando un paio di volte la benda intrisa di rosso, ma sembrava aver smesso definitivamente.

“Allora…ti va di…” cominciò Eve, tentando di trovare le parole giuste. Tom comprese subito dove volesse andare a parare. O almeno, credette di averlo intuito.

“Cosa vuoi sapere?” le chiese Tom tirando su con il naso. Eve guardò il terreno e scalciò l’erba umida del lago. Fare domande era difficile.

“Sì, sono bravo in divinazione, e no, non voglio frequentare le lezioni della Cooman” la anticipò Tom, rispondendo a due possibili domande. Eve alzò lo sguardo.

“Perché?”

“Non lo so. Ma mi spaventa, capisci? Già la magia è innaturale per chi è figlio di babbani, figurati avere l’occhio interiore” pronunciò le ultime parole con finta reverenza.

“E il sangue al naso?” chiese Eve, indicando con un cenno il fazzoletto intriso di poche strisce di sangue. Tom se lo infilò in tasca.

“Càpita, l’ho letto sul manuale. Ma capita solo se si fanno sforzi sopra la propria portata”

“E tu…”

“Per trovarti. L’ho fatto…per sapere dov’eri…” Tom si grattò la testa imbarazzato e spostò lo sguardo sul lago “L’avevo già tentato una volta, all’ultima lezione di divinazione che feci. Le porcellane della Cooman sembravano impazzite!” rise Tom, ricordando quel momento.

“E il naso, sanguinava?”

“Eh? No, mi aveva chiesto di divinare in quale mano nascondeva la zolletta di zucchero!” ridacchiò e Eve con lui. Calò uno strano silenzio in cui soltanto il sole si muoveva, fino a morire dietro i monti.

“Senti, non dire nulla agli altri” disse Tom, a mezza voce. Eve lo guardò in silenzio e per un attimo si rivide, quattro anni prima, sulle rive del laghetto ghiacciato a confidarsi con il suo migliore amico.

“D’accordo” gli sorrise e lui la ricambiò con un leggero bacio sulla guancia, che Eve parve scostare dolcemente.

“Ah, già, senti…c’è anche questa cosa…” sibilò Eve, senza guardarlo negli occhi. Tom ebbe la strana sensazione di sentire il cuore all’altezza del pomo d’Adamo.

“Cosa?” ebbe il coraggio di chiedere con la bocca improvvisamente secca.

“Ecco, noi due, a dire il vero” spiegò Eve, togliendo ogni dubbio dalla testa del ragazzo “Credo si debba far finta di nulla…che ne dici?”

Far finta di nulla. Quelle quattro parole risuonarono nella testa, svuotata da ogni pensiero, di Tom. Far finta di nulla. Era un chiaro messaggio che stava a significare: quel bacio non era stato niente. E neanche i successivi. Era stata una cosa del momento dettata dalla situazione. Far finta di nulla. Difficile, impossibile. Ma l’alternativa era perderla per sempre.

“Sicuro...certo!” sorrise Tom, ricacciando sul fondo dello stomaco tutti quei magoni che cercavano disperatamente di esplodergli in bocca e negli occhi. Sorrise alla luce ormai morente dietro le montagne innevate e si alzò in piedi.

“Torniamo al castello? Ormai saranno pronti”

 

 

16.

 

“E mi raccomando, dovrete fare finta di nulla. Secondo i calcoli di Salazar vi rispediremo nel momento esatto in cui siete stati catapultati qui, quindi è come se non vi foste mai mossi dalla vostra Hogwarts, è chiaro?”

“Si, abbiamo capito” rispose Eve, ancora intenta a sistemarsi la sua divisa, rammendata e pulita dagli elfi domestici. Tutto doveva essere come quando erano arrivati.

“E non parlatene con nessuno! Soprattutto con mastro Weasley. Dai nostri conti dovrebbe compiere il suo viaggio soltanto fra qualche tempo”

“Quindi Chris non ha ancora viaggiato?” chiese Tom, allacciandosi la cravatta. Godric gli sorrise e gli passò in mantello.

“Precisamente. Non capirebbe di cosa parlate” si fece indietro e affiancò Salazar, ancora intento a dosare la sabbia del tempo su una piccola bilancia di cristallo. La biblioteca a quell’ora era completamente vuota e buia, se si escludevano le candele. Priscilla se ne stava in disparte ad osservare i preparativi per il viaggio. Tasca Tassorosso, invece, stava controllando che tutto fosse in ordine per Eve e Tom. Vestiti e tutto il resto dovevano essere gli stessi.

“Cosa stavate facendo prima di viaggiare fino a noi?” chiese Tosca spolverando un poco le spalle di Tom. Il ragazzo incrociò lo sguardo con Eve.

“Ecco, stavamo discutendo, a dire il vero…”

“Ma che strano…” sibilò Priscilla dall’ombra. Eve ebbe la decenza di trattenersi e di prepararsi per il viaggio.

“Ah, quasi dimenticavo!” Tosca estrasse due bacchette nuovissime del tutto simili alle loro bacchette originali “Le ho fatte preparare da Ollivander, direi che vanno bene, che dite?” Tom la osservò meravigliato. Non era una bella bacchetta, era fantastica, ancor migliore di come la ricordasse.

“Credevo che il cartello del negozio servisse solo per attirare i clienti” disse Eve, piacevolmente sorpresa “A quanto pare le fa davvero da parecchio, allora”

“Tutti pronti!” urlò Salazar. Tosca si fece indietro e Godric diede una mano a Serpeverde con la bilancia. Sollevò con un colpo di bacchetta una piccola vaschetta di cristallo e la fece levitare fin sulla testa dei due ragazzi.

“La sabbia è ben calibrata. Dovrebbe andare tutto bene” spiegò Salazar porgendo le mani verso la sabbia del tempo.

“Dovrebbe?” sillabò Eve. Tom non poté fare a meno di sorridere. Quella ragazza non perdeva mai la voglia di punzecchiare le persone. Forse era quello. O quella sua sicurezza arrogante che ostentava anche con uno dei più importanti maghi che avesse mai conosciuto. O forse quella sua diabolica voglia di prendere tutto di petto. Quel suo voler aver sempre il controllo della situazione. O forse era l’insieme delle cose. Forse sì. Era questo che le piaceva in quella ragazza. Che fosse Eveline Malfoy. Chiunque altro non sarebbe stato lo stesso.

“Che hai da sorridere?” gli chiese Eve, vedendolo perso fra le nuvole. Tom alzò le spalle.

“Nulla. Pensavo che è stato bello, bionda”

Eve non ebbe il tempo di pensare. La sabbia piovve su di loro e sentì uno strappo all’altezza dell’ombelico, simile a quello delle passaporta.

E la notte divenne giorno. E la biblioteca si trasformò. I tavoli furono di nuovo in mezzo alla sala. Gli scaffali riempirono i buchi in giro per la sala della biblioteca. E in un attimo fu di nuovo Hogwarts. La loro Hogwarts.

“Ma sei scema! E’ il secondo libro che mi colpisce oggi, e entrambi sono tuoi!”

“Se sei stupido non è colpa di nessuno!” urlò Eve, ancora una volta.

 

 

“Qua nessuno c'ha il libretto d'istruzioni

Credo che ognuno si faccia il giro

Come viene, a suo modo

Qua non c'è mai stato un mondo solo

Credo a quel tale che dice in giro che l'amore porta amore credo

Se ti serve chiamami scemo ma io almeno credo

Se ti basta chiamami scemo che io almeno...”

 

                                   Almeno Credo, Luciano Ligabue

 

17.

 

Erano passate quasi due settimane dal loro ritorno a casa. Chris non si accorse di nulla, o almeno così parve a loro. La scuola finì e dopo una estenuante sessione di esami finali in cui Tom sorprese se stesso ottenendo un Eccezionale in Difesa Contro le Arti Oscure e un Oltre Ogni Previsione in Trasfigurazione. Inutile dire che Chris sbaragliò qualsiasi altro studente del suo anno negli esami, mentre Eve, seppur con molto lavoro e studio, ottenne buoni voti che vacillarono intorno all’Eccezionale. Un risultato fuori dal comune se paragonato a quello di suo fratello che sembrava avere una naturale predisposizione per lavorare sottopressione. Vincent, infatti, non deludeva mai durante esami e test e quella volta non fu da meno.

Le vacanze trascinarono gli studenti verso le famiglie, lasciandogli sbollire un intenso anno scolastico di lavoro e studio. Chi andava ad Hogsmeade, dove viveva con la famiglia. Chi tornava a casa col treno, ancora in balia del regime Lestrange.

Tom, naturalmente, approfittò della gentilezza della famiglia Weasley che un letto non glielo avrebbero mai fatto mancare. Forse fu solo un impressione, ma a Chris parve che Tom avesse una strana aura di tristezza sulle spalle, come un mulo caricato con troppo peso.

“Senti, va tutto bene?” gli chiese un pomeriggio Chris, vedendolo più giù del solito. Tom alzò la testa dal letto e si guardò intorno.

“Eh? Sì, sì, tutto bene…”

“A me non sembra…problemi?” Tom rimase in silenzio per un po’.

“Giusto un po’ di malinconia. Passerà” spiegò Tom, girandosi dall’altro lato del letto. Chris non indagò oltre, anche se era ormai ovvio che il suo amico avesse un problema. Decise di fare un giro e lasciò Tom solo con i suoi pensieri, anche se  non rimase tale per troppo tempo.

Un gufo dal piumaggio grigio becchettò il vetro della stanza di Tom. Riconobbe la civetta di Eve, Nebbia. Con uno scatto fu in piedi e aprì la finestra per farla entrare. Quella planò fin sul suo braccio e lasciò una pergamena arrotolata che teneva stretta nel becco.

Srotolò il sottile pezzo di carta e fece danzare gli occhi avanti e indietro. Al fine di tutto gli sembrava che volesse vederlo. Voleva vederlo, alla caffetteria Regò’s fra circa mezz’ora. Era forse un appuntamento? Improvvisamente sentì il pavimento farsi fango e le gambe farsi gelatina. Voleva vederlo, d’accordo, era un buon segno, ma nulla di più.

Cerco di convincersi che non era nulla, e si impegnò a togliersi quel sorriso da beota dalla faccia, così come la voglia di saltellare fino al piano di sotto. Si diede un’occhiata allo specchio. I jeans potevano anche andare bene, le scarpe erano anche in tono. Ma la maglia…no, serviva qualcosa di diverso. Cercò fra le sue cose nel baule. Nonostante fosse lì ormai da giorni, non aveva ancora svuotato i bagagli.

Passò fra le mani parecchie maglie e t-shirt finché non capitò sulla camicia a scacchi blu. Blu, quello è il colore del primo appuntamento. Dannazione! Quello non era un appuntamento, se lo doveva mettere in testa. Sfilò la maglietta per infilarsi la camicia. Mancava soltanto un ultimo tocco. Il cappello da baseball blu e argento. Dopotutto il blu…no, doveva smettere di pensarci, e soprattutto di sorridere come un idiota!

Scese le scale di corsa ed urlò che usciva per un po’, senza badare se ci fosse qualcuno in casa ad ascoltarlo. Corse per le viuzze di Hogsmeade affollate da un inusuale folla. Dopotutto la gente ora era per più tempo a casa. Senza contare che quel giorno ci sarebbe stata l’inaugurazione del piccolo mercato estivo della città. Svoltò un paio di angoli e si lasciò indietro la folla. Preferiva girare per vie più libere e meno intasate.

Arrivò da Regò’s con circa dieci minuti di anticipo, e fu sorpreso di vedere come Eve, stranamente, fosse già lì ad aspettarlo.

Si fermò una manciata di metri prima per riprendere il fiato. Eve gli sorrise a vederlo e gli si avventò ad abbracciarlo, stretto. Un abbraccio simile a quello che aveva ricevuto quasi mille anni prima.

“Bè…ciao” la salutò lui grattandosi una barbetta un po’ troppo lunga. Cercava di sembrare più naturale possibile, ma con scarsi risultati. Eve lo lasciò andare e fece uno dei suoi sorrisi.

“Ciao…come, come stai?”

“Non c’è male…un po’ di vacanza…tu?”

“Oh” Eve annuì convinta “Bene, sì, bè, mamma e Vin sono via per un paio di giorni così posso godermi un po’ di tranquillità” ridacchiò, e Tom con lei. Accennarono qualche passo, e, improvvisamente, si ritrovarono a camminare e chiacchierare, molto più normalmente di quanto Tom avesse mai pensato o sperato.

“Dove sono andati?”

“Da nonna, aveva bisogno per sistemare la cantina, alla Tana”

“Giusto” sottolineo Tom.

“Già…senti, ti va un gelato?” chiese Eve, passando di fronte ad una gelateria che Florian Fortebraccio aveva aperto dopo essersene andato da Diagon Alley. Tom inarcò le spalle all’insù.

“Perché no” entrarono e si sedettero ad un tavolo a gustare una deliziosa coppa di gelato. E furono chiacchiere e risate, e commenti su tutto ciò che avevano in mente. Parlarono di un po’ di tutto. Cibo, scuola, dei loro compagni e anche di quidditch. Le ore volarono, veloci, molto più veloci di quanto avessero mai immaginato entrambi. E fu strano, per un momento, tornare a guardarsi negli occhi in un silenzio dettato soltanto dalle coppe di vetro vuote e dai cucchiaini sporchi di crema e cioccolato.

“Non ho mai capito come fanno a tenere il cucchiaino attaccato al naso” parlò Eve, all’improvviso, rompendo un silenzio deliziosamente imbarazzato. Tom prese il piccolo cucchiaio e ci alito sopra un paio di volte.

“E’ un trucco babbano, probabilmente i maghi lo farebbero levitare per riuscirci” lo avvicino alla punta del naso e con pochi tentativi riuscì a farlo rimanere attaccato. Piegò la testa all’indietro per mantenerlo in equilibrio e questo fece sorridere Eve.

“Ma come fai…aspetta, devo alitarci sopra?”

“Sì, ma poco, giusto per…ecco, brava, poi avvicinalo al naso” spiegò Tom. Eve appoggiò con scarsi risultati il cucchiaino al naso, che subito cadde sul tavolo, tintinnando contro il vetro della coppa. Tom si mise a ridere e per questa sua distrazione anche il suo cadde, però a terra.

“No!” si lamentò cercando di afferrarlo al volo, invano. Eve si mise a ridere a crepapelle, e Tom la guardò stranito.

“Che hai da ridere?” chiese con un mezzo sorriso. Qualsiasi cosa fosse doveva essere divertente. Eve gli indicò il centro della sua faccia.

“Gelato…sembri un orso con il miele…!” continuò a ridere finché Tom non si passò la mano sul naso. Probabilmente il cucchiaino era ancora sporco.

“Ma sei simpatica, sai?” fece finta di essersi offeso e si pulì la mano con un fazzoletto. Eve ne prese un altro e lo avvicinò alla guancia di Tom.

“Aspetta, lo hai sparso per la faccia” gli pulì la guancia e non poté fare a meno di ricascare nella trappola degli occhi e del silenzio imbarazzato. Così come ci cascò anche Tom.

“Grazie…” questa volta fu lui ad interrompere il silenzio, e lanciò un’occhiata al cielo ormai blu scuro. Doveva essere già abbastanza tardi. Eve si alzò in piedi e recuperò la sua giacchetta leggera di jeans.

“Andiamo?” chiese lei cercando di non considerare quello che era appena successo. Tom si alzò immediatamente.

“Ti accompagno a casa” forse questo era un po’ troppo per un uscita a chiacchierare davanti ad un gelato. Ma incredibilmente Eve rispose con una singola parola.

“Ok…”

Pagarono e passeggiarono per una Hogsmeade decisamente più calma e tranquilla rispetto al pomeriggio. Soltanto qualche gruppo di ragazzi o delle coppie occupavano le strade della cittadina. La luce delle lanterne illuminava le vie e allungava le loro ombre. Tom, con le mani in tasca e il cappello ben piantato sulla testa, aveva lo sguardo puntato sul selciato. Stava in silenzio, come del resto Eve, che non trovava un buon punto dove cacciare i suoi occhi.

Arrivarono a casa di lei, forse fin troppo in fretta. Ora avrebbero dovuto parlarsi, dire qualcosa. Non potevano continuare quell’innaturale silenzio. Tom decise di interrompere il suo mutismo per primo.

“Bè, allora ci vediamo”

“Ti va di entrare?”

La domanda di Eve crepò la fragile mente di Tom, così come un fulmine crepa le nubi durante un temporale. Non rispose subito, anzi, proprio non rispose. Fece un paio di passi lungo il vialetto, fino a raggiungerla. E poi alzò le spalle.

“Va bene” cercò di sembrare il più naturale possibile, come se fosse del tutto normale quello che stava facendo. Come se non lo toccasse né gli importasse in particolar modo. Una delle cose più difficili di questo mondo, si ritrovò a pensare Tom.

Entrarono in casa e sembrò ad entrambi di isolarsi completamente dal resto del mondo, anche se quel fastidioso silenzio non voleva saperne di sparire. Tom tentò invano di trovare un qualche argomento di discussione ma il sangue gli faceva shakerare il cervello.

“Eve, senti…io…” nulla da fare. Nessun valido argomento. Fu Eve a farsi più vicino a lui. Ad alzarsi un poco sulle punte e a poggiare il suo respiro sulle labbra di lui. Schiudendosi come un fiore che, timidamente, ha trovato il suo sole.

Fu un bacio, non c’è che dire. Una perfetta carezza all’animo di Tom che si fece torturare da quel dolce attimo. Eve gli passò le mani dietro la nuca, sotto il collo e cercò di avvinghiarsi a lui. Fu in quell’attimo che Tom si accorse di superare una leggera linea che non pensava certo di scavalcare.

“Aspetta, aspetta un attimo…” si staccò da lei e respirò un momento “Cosa…cosa stiamo facendo?”

“Era un bacio…” rispose piano Eve. Tom scosse la testa.

“No, no. Quell’altra cosa…sai benissimo di che parlo!” disse schietto Tom. Eve abbassò lo sguardo.

“Tom, senti, tu vuoi…insomma, mi piaci. Ho capito che mi piaci e poi…”

“Aspetta” Tom prese fiato di nuovo “Tu vuoi…con me?” chiese allusivo Tom. Eve si strinse nelle spalle. Un silenzio che equivaleva ad una risposta affermativa.

“Se non vu…” ma la frase di Eve fu presto interrotta dall’irruenza del bacio di Tom che le strappò l’aria dai polmoni, la strinse a se e la spinse fin contro i gradini più bassi delle scale. Gradini che fecero quasi di corsa, senza staccare le loro bocche desiderose l’uno dell’altro. Fino a rovesciarsi sul letto di Eve. Affannati, eccitati e con una incredibile agitazione in corpo. Eve strappò il cappello dalla testa di Tom e lo lanciò lontano. Lo baciò ancora prima di gettare la mani fra i suoi capelli e lasciarsi avvolgere dalla passione.

 

 

FINE

 

Uff ed eccoci alla fine! Ammetto che per essere una one shot è un po’ lunga, ma altrimenti non veniva bene. Sono abbastanza soddisfatto del risultato, e spero lo siate anche voi. Ah, se lo siete, lasciatemi un commentino, eh, che ci tengo! Grazie in anticipo fidati lettori! ^____^

Come vedete si scoprono un po’ di cose oltre che sui due piccioncini, anche su Chris e il ciondolo…oltre che su Hielant. Qualcuno ha voglia di leggere il primo chap e ITCC? Secondo me scopre qualcosa di interessante! ^________-

 

Ah, ringrazio le due recensioni di Ransie86 (grazie mille mia cara ^__^) e Dorothea (mi inchino a cotanti complimenti. Il combattimento grottesco l’ho fatto pensando un po’ anche alla tua mitica “HP e il mistero della panna montata” ^__-)

 

Ciao bimbi belli, alla prossima

 

See you again!!!!

 

PS: il bottoncino magico è qui sotto…^___-

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V

 

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