Almeno
credo
(Parte II)
“Credo
nel rumore di chi sa tacere
Che quando smetti di sperare inizi un pò a
morire
Credo al tuo amore e a quello che mi tira
fuori
O almeno credo”
Almeno
Credo, Luciano Ligabue
10.
Tom non aveva
mai provato qualcosa del genere. La pelle era fredda e si sentiva congelare
fino alle ossa. Non riusciva a sollevare neanche quelle stupide palpebre. Con
lentezza e fatica, però, riuscì a digrignare i denti ed emettere qualche verso.
Sentì un po’ di
movimento finché qualcuno non gli fu accanto.
“Per Merlino…sei
sveglio!” la voce era squillante e per nulla gioiosa. Si poteva definire quasi
preoccupata. Si sentì scuotere finché, con sua grande sorpresa, sentì il duro
pavimento percuotergli la testa.
“Ahi…” tremò fra
le labbra “…la testa…”
“Ti fa male la
testa?”
“…il pavimento…”
si sentì mollare di scatto, e ancora una volta batté il capo al suolo. Non ebbe
forza per lamentarsi di nuovo.
“Oddio, scusa.
Aspetta” un vago rumore di trafficare gli diede tempo per ragionare un momento.
Il freddo stava pian piano passando. Con uno sforzo ulteriore concentrò tutte
le sue energie sugli occhi. Come neanche un sollevatore di pesi, aprì di poco
le palpebre e intravide la sfocata figura di Eve dargli le spalle. Lui era
steso al suolo, coperto di pelli e pellicce come una mummia. E nonostante
questo tremava ancora per il freddo. Solo un attimo più tardi notò il fuoco
scoppiettante neanche a mezzo metro da lui. Il camino era acceso e fumante.
Sulla fiamma intravide una macchia più scura che soltanto un attimo dopo
riconobbe come una pentola.
Nonostante le
fiamme, però, Tom non avvertiva neanche un po’ di calore.
“Ecco” la sua
testa fu sollevata di nuovo e poggiata su un qualcosa di morbido, probabilmente
piegato in due. Ora poteva vedere Eve, e da quel che osservava non aveva un
aspetto bellissimo. Era pallida e col volto segnato lungo gli occhi, come se
non dormisse da tempo.
“Bionda…”
sospiro lentamente Tom “…che hai fatto…?” Eve si limitò a sorridere un momento
poi non si trattenne. Scoppiò in lacrime e il singhiozzo gli spezzò il lamento
che usciva dalle labbra.
“Mi hai
spaventato…non ti svegliavi più…non avevo neanche un po’ di cioccolata o roba
dolce…non ti riprendevi” Eve spezzava le parole e Tom faticava ad ascoltarla in
alcuni punti, ma capì bene cosa fosse successo. Ebbe un tremito, ma non fu il
freddo. Fu il cuore ad accelerare per un attimo i suoi battiti. Provò tenerezza
per quella ragazza che aveva tentato tutto il possibile per salvarlo.
“Ehi…ehi,
bionda” Tom strinse gli occhi e cercò di recuperare la poca lucidità rimastagli
“I pantaloni…”
“Eh?” Eve si
sfregò gli occhi con la mano destra stretta a pugno “Che pantaloni?” Tom
allungò una mano da sotto la coperta. Fece spuntare le dita e le mosse
lentamente. Trovò piacevole sentire il polveroso pavimento sui polpastrelli.
“I miei
pantaloni…”
“Ma che…Tom che
cosa stai dicendo?” Eve si riprese subito dalle lacrime. Prese una vaga
tonalità violacea, ma non osò arrabbiarsi oltre. Per ora era solo molto
imbarazzata.
“Cioccolata…nei
pantaloni…”
Eve sbarrò gli
occhi. Con cautela scostò la coperta da Tom e raggiunse i suoi pantaloni,
all’altezza delle tasche. Vi infilò una mano non senza imbarazzo. Spostò
istintivamente lo sguardo altrove e tastò alla ricerca della cioccolata. Sentì
come il corpo di Tom fosse ancora freddo, nonostante le coperte e il fuoco
acceso. Finalmente la trovò. Sfilò la barretta di cioccolato fondente e ricoprì
il ragazzo con cura. La spezzò con carta e tutto e scartò un abbondante pezzo,
nero e profumato. Allungò il dolciume davanti alla bocca di Tom.
“Avanti,
mangialo” lo pregò lei. Il ragazzo aprì la bocca e accettò di buon grado il
confortante gusto di cacao. Quasi fosse una panacea, sentì il corpo farsi più
molle e il fuoco scaldarlo a dovere.
“Molto meglio”
sussurrò ad occhi chiusi, rivolto al soffitto. Eve gli allungò un altro pezzo e
lui mangiò anche quello. Il sapore di cioccolato gli riempiva anima e corpo. Il
freddo del dissennatore era ormai un ricordo o poco più.
Piegò le gambe e
le braccia e con calma riuscì ad alzarsi e mettersi seduto. Eve lo aiutò
sollevando le coperte e scostandole di lato. Solo in quel momento Tom vide
meglio l’ambiente dove si trovava.
Una veccia casa di legno e pietra. Spoglia, ma ora molto
calda. La loro roba era ammucchiata in un angolo e la pentola sul fuoco
spandeva nell’aria fresca un deciso odore di carne.
“C’era della
legna. Questo villaggio sembra abbandonato, forse proprio per i dissennatori”
spiegò Eve mentre Tom si guardava intorno “Ho protetto la casa con un
incantesimo, credo che se tornerà da solo non ci disturberà”
Tom guardò dalla
finestra. Fra le crepe degli scuri poté vedere il buio della notte.
“Ma quanto ho
dormito?” chiese d’un tratto. Eve tenne la testa bassa e la scosse.
“Non lo so.
Credo sia quasi mattina”
“Quasi mattina?”
chiese incredulo lui “ E tu…per tutta notte…?” Eve evitò il suo sguardo. Poteva
forse essere un residuo del suo stato vegetale, ma gli sembrò di vederla
arrossire.
“Per forza,
almeno uno doveva stare sveglio…” disse lei con poca voce. Il fuoco scoppiettò
La zuppa di carne sobbollì. Tom strisciò verso la ragazza, avvolto in parte con
le coperte di lana. Le prese una mano fra le sue e lei istantaneamente alzò la
testa per guardarlo. Era strano come non si fosse mai accorta quanto, in
realtà, tenesse a quel ragazzo.
“Grazie…” disse
lui semplicemente, sorridendo con gli
occhi oltre che con la bocca. Eve tremò leggermente. Guardarlo negli occhi, da
così vicino. Con quei capelli neri e gli occhi scuri. Quelle labbra quasi
disegnate sul volto semplice e perfetto. Forse non si accorse di arrossire.
“Ma sei gelata”
commentò Tom stringendo di più le mani sulla sua. Si sfilò una larga coperta e
la passò sulle spalle di lei.
“Ma no, sei tu
quello infreddolito”
“Non se ne
parla” e le allungò l’altra coperta. Poi si spostò un po’ e le fece spazio
vicino a lui e al fuoco. Tom ora era coperto solo dai suoi vestiti, la sua
divisa di Hogwarts. Un po’ sporca, un po’ lacera e consunta, ormai. Stretto con
le ginocchia sul petto, di fronte al fuoco. Eve si allungò vicino a lui. Tom
cercò di non farci caso. Cercò di non pensare a quella ragazza, così vicina. Ma
poi lei si appoggiò alla sua spalla e respirò lentamente.
“Grazie…” gli
disse prima di avvolgerlo con entrambe le loro coperte. Tom passò il braccio
dietro la schiena della ragazza e magicamente si ritrovarono uno avvolto
dall’altro.
Improvvisamente
Tom sentì un gran caldo. Un caldo quasi infernale che, paragonato al gelo che
provava soltanto un minuto prima, gli sembrò impossibile. Quasi incredibile.
Con estrema lentezza
Eve scivolò pesantemente sulla sua spalla, fino a crollare addormentata. Tom la
sostenne appena in tempo. Con cura si stese a terra facendo attenzione che non
scivolasse via.
E si
addormentarono. Avvolti uno dal calore dell’altro in un piccolo tugurio di un
angolo della Scozia.
11.
Era come se
quello spazio personale che ognuno possiede fosse stato tutto ad un tratto
annullato. Di solito la gente rimane sulle sue e non invade quell’area che
circonda gli altri. E’ una sorta di stanzetta privata, un anticamera, in cui si
accolgono solo le persone con cui siamo molto legate, come i familiari o gli
amici intimi. Tom fu sorpreso di come quell’area fosse sparita nei confronti di
Eve.
Marciavano sotto
il sole fresco di una mattina che prometteva sicuramente bene. Eve gli stava
particolarmente vicino e spesso lo urtava o lo prendeva a braccetto. Era serena
e lo si vedeva lontano un miglio. Tom cercò di capire il perché di quel
repentino cambiamento. C’erano molti perché che lo assillavano in quel momento,
ma dopo un inutile perdersi in pensieri vaghi e sfumati, lasciò perdere. Era
solo contento che Eve fosse così…così viva, ora.
“Guarda là!” Eve
indicò la boscaglia ai piedi della collina appena superata. Tom spinse lo
sguardo oltre la boscaglia e vide il fiume di cui gli avevano parlato
Grifondoro e gli altri.
“Quello deve
essere il fiume. Da lì inizia il territorio di William”
“D’accordo,
ripassiamo le regole: niente bacchette o atteggiamenti strani. Niente cose che
possono dare nell’occhio e soprattutto evitare i riferimenti alla Rocca degli
Hielant”
“Esatto” Tom
annuì “Inoltre credo sia meglio che ci troviamo una storia da raccontare su di
noi”
“Perché?”
“Nel caso
facciano domande. Meglio stare sicuri”
“D’accordo, che
ci inventiamo?” Eve fece qualche passo avanti e si chinò a stringere il laccio
di uno stivale.
“Non saprei…una
buona scusante per due ragazzi che viaggiano da soli…”
“Potremmo essere
fidanzati” squittì Eve. A Tom si materializzò un macigno all’ingresso
dell’esofago. Non poté fare a meno di tossire.
“Sì…vero…è
una…una buona idea”
“Oh, andiamo.
Non dirmi che avresti difficoltà, con tutte le tue donne dovresti essere un
esperto, ormai” questo era una chiaro tentativo di punzecchiatura da parte di
Eve. Condito da un acidissimo tono. E Tom lo notò.
“A parte che non
credo ti debba interessare”
“A parte che
tanto lo sanno tutti che te la fai con la metà di Hogwarts”
“Cosa?” Tom
esplose “Non è vero è…” Eve lo guardò in cagnesco. E Tom si zittì di colpo.
Forse qualche storia l’aveva anche avuta, ma mai nulla di troppo serio. Era
abbastanza naturale per lui provare a sedurre le ragazze, e loro ci cascavano
quasi sempre. “Cascare” era il verbo giusto per quello che faceva Tom Bishop.
“Andiamo,
playboy” Eve si incamminò verso il fiume e Tom le corse subito dietro. La
afferrò per una spalla e la voltò di scatto.
“Non sono quello
che dici!”
“Dico cosa?”
“Quello!”
insistette Tom. Eve sorrise e incrociò le braccia al petto.
“Un playboy?”
Tom sgranò gli occhi e spalancò le mani, come per dire, “esattamente!”
“Facciamo un po’
di conti…” disse Eve cominciando a contare con le dita “C’è Kim, Lara, Vera,
Lysa…”
Tom non poté
fare a meno di chiudere gli occhi ad ogni nome pronunciato dalla ragazza. Si
grattò la testa indifferente e cercò di guardare altrove. Il cielo era blu, la
foresta era verde. E Eve continuava a contare e elencare.
“…Gwen, Melanie
e poi…ho dimenticato qualcuna?” chiese ironica in faccia al ragazzo. Tom
sospirò affranto.
“Yuna,
Corvonero. Ma comunque la metà ci ha provato con me, e non il contrario!”
“Oh, e il tuo
cavallo dei pantaloni non ha potuto fare a meno di non accoglierle. Sei davvero
un eroe”
“Senti, a parte
che non credo che dovresti seguire tutto quel che faccio, e non capisco come lo
sai”
“Chiacchiere da
bagno” si difese subito Eve con simulata indifferenza.
“Comunque, non
ho fatto nulla!” urlò Tom. Eve gli rise in faccia.
“Certo, come no.
A te basta baciartele un po’ e ottieni quello che vuoi, poi…”
“Non è vero un
cazzo!” Tom spaccò in due la frecciatina di Eve che saltò all’indietro per lo
spavento.
“Se pensi
che…che io possa baciare così come viene…bè, non è così!”
“Non è così?”
chiese Eve. Tom spalancò le braccia
“Esatto!”
“Bene. Baciami”
“Cosa?” Tom
sentì tremargli la voce, ma pregò di non avere altre strane reazioni “Io non
posso baciarti!”
“Ah, è così?”
Eve fece un passo avanti. Gli arrivava poco sotto il mento. Lo guardò negli
occhi un momento e, proprio un attimo prima che agisse, Tom si rese conto di
cosa stava per accadere.
Eve lo afferrò
per la cravatta rossa e oro, e gli trascinò la testa verso il basso. Chiuse le
labbra e gli occhi e si sciolse in un puro bacio con Tom Bishop.
Tom non reagì.
Non fece nulla. Rimase in apnea con gli occhi spalancati e le mani lontane il
più possibile da quella ragazza. Sentì lei spingere fino a schiudergli le
labbra, veloce. E un attimo dopo fu tutto finito. Eve gli mollò la cravatta e
lui rimase lì, impalato. Incapace di dire e fare qualcosa.
Eve gli diede le
spalle e riprese a scendere per il prato. Solo dopo un lungo attimo Tom sbatté
le palpebre e si rese contò di tutto quello che era appena accaduto.Un bacio.
Un bacio con Eveline. Quell’Eveline che aveva aspettato e sognato per tanto
tempo.
Borbottò
qualcosa prima di riuscire a mettere in fila le sillabe in modo corretto.
“Perché lo hai fatto?”
chiese rincorrendo la ragazza. Eve non si fermò e lui insistette.
“Ehi, ferma.
Perché mi hai baciato?” glielo disse ad un passo da lei, sempre alle sue
spalle. Eve si fermo, di nuovo. Lentamente si voltò e alzò le spalle, vaga.
Sorrise appena fra il rossore delle guance. Fu consolante per Tom vederla
almeno un po’ in imbarazzo, credeva di essere l’unico a sentirsi così.
“Perché tu non
l’hai mai fatto” rispose semplicemente lei. Sempre sorridendo, ma senza
guardarlo negli occhi. Il coraggio di un attimo prima era del tutto sparito.
Sentì Tom
avvicinarsi e prenderle la mano nella sua in una stretta dolce ma decisa.
“Andiamo” le
disse sorridendole. Scesero insieme lungo il pendio fino a raggiungere l’argine
del fiume.
“Credo che ci sia qualcosa chiuso a chiave
E che ogni verità può fare bene o fare male
Credo che adesso mi devi far sentir le mani
Che a quelle credo”
Almeno
Credo, Luciano Ligabue
12.
“Sai qual è il
problema di questo posto? E’ incredibilmente maschilista” Eve si sollevò di
scatto dal fieno e si ritrovò a ciondolare le gambe, seduta su un carretto. Tom
si passò un lungo filo d’erba da un lato all’altro della bocca con un veloce
gioco della lingua sul palato. Strinse fino a farlo crocchiare fra i denti.
“Tu dici? No,
non credo”
“Non credi?!”
Eve sembrò scandalizzata “Hai visto come mi ha guardato quello studente quando
ho provato a parlare, l’altro giorno?” fece una smorfia con la faccia fino ad
assumere una buffa espressione “Non credo che una ragazza dovrebbe parlare
così con un uomo” disse con voce
nasale. Tom rise a sentirla imitare quel ragazzetto con la puzza sotto il naso.
“Cerca di
capire, è un altro tempo. Le abitudini sono diverse”
“Ecco, è quello!
Le abitudine sono tali perché qualcuno le ha decise, no? Voglio dire, ci deve
essere stato un inizio di un’abitudine da qualche parte, nel passato, no?”
“Credo di sì”
annuì Tom giocherellando ancora con la pagliuzza in bocca.
“E i lavori? Hai
visto una donna fare altri mestieri a parte servire ai tavoli e tenere dietro
alla casa? Guarda” Eve indicò una ragazza, molto giovane, intenta a pelare una
secchio di verdura verde marcio. Il ventre ampio faceva ben intendere che fosse
in dolce attesa ormai da tempo.
“Bè, è una mamma
casalinga”
“E credi che
voglia esserlo?”
“Probabilmente
sì…ora come ora sì. Eddai Eve, non guardarmi così! Le cose verranno col tempo,
lo sai anche tu che fra mille anni sarà tutto diverso!”
“Sì, sì, certo…”
Eve si stese di nuovo sulla paglia del carretto e si lasciò cullare dal suo
dolce ondeggiare.
Avevano trovato
un passaggio fino al piccolo villaggio di Hielant, alla base della rocca
omonima. Li avevano avvertiti che non era un gran bel posto dove vivere, ma
loro fecero orecchie da mercante finché non trovarono un carrettiere che ci
sarebbe dovuto passare. Una volta lì avrebbero studiato il da farsi.
Tom si stese
accanto a lei, con il gomito a sostenere la testa. Giocò ancora con il suo
lungo filo d’erba secca e lo fece vibrare sul viso di Eveline. Lei ridacchiò e
cercò di scostarlo, invano. Tom continuò quella sua tortura finché fu lei, con
un gesto improvviso, a strappargli di bocca la pagliuzza. E fu improvviso anche
il bacio che il giovane Tom gli rubò subito dopo.
Era il secondo
bacio. Il secondo dopo quello di molte ore prima. Fu un bacio più lento, quasi
ponderato. Lui era più rilassato, mentre lei si fece prendere dal panico
dell’essere baciata senza saperlo. Un panico che durò solo per pochi secondi.
Cinse le sue spalle con le braccia prima di aprire la bocca sulle labbra di
lui.
Tom le scivolò
sopra fino ad imprigionarla col suo corpo. Il secondo bacio si trasformò presto
nel terzo, seguito poi dal quarto e da una serie infinita di effusioni.
Il carro si
fermò di scatto facendoli scivolare all’indietro. Tom si ritrovò infilato con
la testa nella paglia.
“Ma che
diavolo…”
“Tutto bene?”
chiese Eve aiutandolo a liberarsi da quella trappola. Il proprietario del
carretto li invitò a scendere con un gesto.
“Ecco, è lì
avanti. Oltre non vado” disse oscillando la testa negativamente. Tom si mise in
piedi.
“Avevamo un
accordo”
“Mi dispiace, ma
non è proprio aria” l’uomo accennò davanti a se con un movimento della testa.
Fu in quel momento che anche Eve si mise in piedi e non poté credere ai proprio
occhi, spalancati. Tirò Tom per una manica per costringerlo ad alzare lo
sguardo.
“Che c’è?”
chiese lui seccato, ma subito si zittì, e non servì risposta. Il cielo.
Il cielo era
nero. Di un nero opprimente di nubi cariche di pioggia, ma troppo innaturali
per essere vere. Vorticavano in cerchio, in un enorme spirale buia e tenebrosa.
Si illuminavano, qua e là, segnate dai lampi e ascoltate dai tuoni.
Nella piana,
coperta dalle nubi, si ergeva la sagoma della Rocca di Hielant, incastonata su
una collina di rocce e circondata da un tappeto di piccole casette di pietra e
legno. Il villaggio, seppur muto, dava segnali di vita. Fumo e luci soffuse
chiazzavano l’area dandole un aspetto ancora più spettrale.
“Scendete, io
torno indietro” insistette l’uomo. I due ragazzi scesero e il carretto tornò
sui suoi passi. E subito furono soli.
“Comincio a
temere che sia stata una cazzata venir fin qui” sospirò Tom a bassa voce. Un
tuono gli ruppe la frase a metà e Eve ebbe difficoltà a sentire tutte le sue
parole. Gli strinse la mano e intrecciò le dita con le sue.
“Stiamo attenti
e ricorda, niente magia”
Tom annuì con il
capo e insieme si incamminarono verso le casupole. Più si avvicinavano e più la
rocca si faceva incombente, quasi asfissiante. Eve vide solo due persone fuori
dalle case mentre attraversarono quella che sembrava la via principale, ovvero
il sentiero più battuto fra tutti.
Raggiunsero un
edificio più grande degli altri, e anche più robusto. Dalla luce e dall’odore
sembrava una locanda per viaggiatori. I due ragazzi si scambiarono un’occhiata
e aprirono la porta.
L’ambiente era
umido e particolarmente buio. Il fuoco era un ricordo, vi erano solo delle
braci deboli e ormai spente. Poche persone stavano sedute ai tre tavoli
presenti e un oste pallido stava appoggiato dietro al bancone, tracannando da
una bottiglia un liquido nero.
“Chi siete?”
chiese burbero e chiaramente alticcio. Tom si fece avanti e tenne Eve dietro di
se con fare protettivo.
“Solo
viaggiatori. Volevamo restare per la notte”
“Viaggiatori”
l’oste sputò al suo fianco, sul pavimento “Siete stupidi, non viaggiatori.
Nessun viaggiatore si fermerebbe alla rocca di William” l’uomo bevve un altro
breve sorso di alcol e tossì pesantemente. Oltre che ubriaco era anche malato.
“Perché dite
questo?” Tom fece un passo avanti, ma non lasciò la mano di Eve. La voleva
sentire vicino a se, al sicuro. Per quel poco che poteva fare per proteggerla,
perlomeno.
“Questo posto è
morto. Morto come tutto il resto della regione. Noi restiamo soltanto perché
per Hielant siamo meno che niente…i maghi sono un pustola del mondo” tracannò
ancora, questa volta un sorso lungo e abbondante che fece riversare un bel po’
di liquore fuori dalla sua bocca.
“Morto…?” Tom
deglutì e sentì Eve stringergli la mano. L’oste lasciò andare la bottiglia.
“Sì, morto” l’uomo si alzò e si trascinò verso il camino
ormai spento. Camminava zoppo e con una strana cadenza nei passi. Soltanto
quando uscì da dietro il bancone Tom ed Eve capirono il perché. Era senza gamba
sinistra, e una parte della faccia era stata come mangiata. Il bulbo oculare
ballava viscido in tutte le direzioni, e il cranio sfondato oscillava con un
rumore simile allo sciacquio di un panno bagnato sbattuto sulle rocce. Nessun
essere umano sarebbe potuto sopravvivere con un buco del genere in testa.
“Morto…” ripeté
l’oste trascinandosi fin davanti alle braci “Come tutti noi” scostò un vecchio
steso su un tavolo e quello si ribaltò sulla schiena. Eve trattenne un grido e
quasi stritolò la mano di Tom quando vide la cassa toracica come esplosa e le
costole spuntare dalla carne ormai marcescente.
Il vecchio,
però, si alzò senza problemi e si stese sotto il tavolo, poggiato ad una delle
gambe.
“Andiamocene…andiamocene,
ti prego” piagnucolò Eve, pallida come la morte.
Tom le strinse
istintivamente la mano. Aveva una strana sensazione di freddo lungo la spina
dorsale. Una sensazione che ricordava bene.
“Dissennatori”
disse che un tremito nella voce. Eve si guardò in giro, ma non vide nulla. Solo
un attimo dopo notò le bottiglie sui tavoli farsi d’un tratto fredde e coprirsi
di brina. Il liquidò congelato spezzò il vetro con inquietanti scricchiolii.
Tom ciondolò un
poco e cadde in ginocchio. Eve gli fu subito accanto. Aveva subito un attacco
del genere da troppo poco tempo per poter resistere.
“Tom, prendi la
bacchetta”
“No…” tremò
reggendosi appena in piedi “Niente incantesimi…niente…” dalla finestra
entrarono le lamentevoli voci ululanti dei dissennatori. Gli scuri si aprirono
facendo entrare, lentamente, la figura fluttuante di uno di essi. Il
dissennatore fluttuò verso i due ragazzi, danzando al ritmo dei loro cuori
terrorizzati.
Eve si mise di
scatto davanti a Tom. Puntò la bacchetta e si concentrò al massimo. Un patrono
corporeo era ancora difficile per lei. C’era riuscita soltanto due volte. Due
misere volte nonostante tutto l’allenamento durante l’anno. Chiuse gli occhi e
sperò, nonostante il dissennatore.
“Expecto
Patronum!” la voce di Eve fece vibrare le deboli braci che, come d’incanto,
presero vita e si accesero di un fuoco innaturale. Bianco, brillante, come una
stella. Dalla sua bacchetta scivolò fuori una spessa striscia d’argento che in
un guizzo prese forma. Una eccitata anatra dal piumaggio splendente.
“Evvai!” esultò
Eve prima di dirigere, con un cenno deciso della bacchetta, la creatura
d’argento verso il mostro fluttuante. Il dissennatore emise un stridio
soffocato prima di sparire velocemente da dove era apparso. L’intera locanda
brillò di luce accecando gli zombi che la abitavano, oltre che Tom.
L’anatra
d’argento volò per aria a grandi cerchi. Sfiorò tutti gli zombi che
immediatamente smisero di agitarsi e crollarono a terra, morti. Questa volta
realmente. E dopo una manciata di secondi la luce si dissolse e la locanda
tornò buia, illuminata solo dalle fiamme calde che ora scoppiettavano nel
camino. Tom smise di sentire freddo e, lentamente, si rimise in piedi.
“Tu…tu
sei…magnifica!” strinse Eve forte fra le braccia e la baciò teneramente sulle
labbra. Eve accettò quel bacio con un sorriso e chiuse le braccia attorno alle
sue spalle.
“Ma come…come
hai fatto?” continuò Tom, ancora incredulo davanti a tutto quell’incredibile
esplosione di potere magico. Eve si strinse nelle spalle.
“Mi è riuscito,
meglio così, no?” gettò uno sguardo ai cadaveri che ora infestavano quel luogo
“E poi l’incantesimo ha rotto anche la maledizioni che li teneva ancora in
vita”
“Dobbiamo
allontanarci da qui” riprese subito Tom, dando un occhiata fuori dalla finestra
“Usare incantesimi ci farà scoprire” Eve gli diede retta e insieme schizzarono
fuori dalla taverna. Corsero per la stradina polverosa fino ad incrociare una
donna spaesata e spaventata. Aveva il volto incavato e i capelli grigi e secchi
come paglia. Afferrò una manica del vestito di Eve e la strattonò a terra.
“Tu ci farai
uccidere! Ci farai uccidere!” le strillò addosso “Tu hai rovinato la
maledizione di William! William ci maledirà tutti! Ci ucciderà!” lanciò un
grido e poi si gettò di corsa in un vicolo buio.
Tom aiutò Eve ad
alzarsi. Non avevano tempo per pensarci su, ripresero a correre sempre più
convinti che qualcuno, o qualcosa, gli fosse oramai addosso. E in effetti fu
così.
Non riuscirono
ad allontanarsi dal paese. Un omaccione nero vestito di stracci e pelli di
bestia grigi gli bloccò la strada. Davanti a lui troneggiava un enorme spadone
che teneva saldamente a due mani, con la lama ben ficcata nella nuda terra. I
capelli, forse una volta biondi, svolazzavano, trasportati dalla brezza che
faceva roteare come pazze le nubi in cielo.
Tom si fermò di
scatto e tenne Eve dietro di se. La sentì insistere per farsi avanti, ma ora
Tom non era più privo di forze per i dissennatori, e non si sarebbe piegato
facilmente.
Il grosso uomo
indicò i due con un dito che poteva sembrare grande quanto una radice, e li
puntò con i suoi occhi vacui.
“Qualcuno di voi
ha poteri magici. Chiunque sia deve venire con me” disse con voce imperiosa e
terribilmente cupa. Tom deglutì profondamente e si concentrò su un incantesimo
decente.
“Hai sbagliato
persone, temo” rispose Tom, prendendo tempo. Eve gli fu più vicino che mai.
“Se non verrete
con le buone” l’uomo impugnò stretta l’elsa della spada e la sfilò dalla terra
con un rumore sordo “Lo farete con le cattive. O tu o la ragazzina verrete con
me”
“Tu non torcerai
un capello ad Eve, è chiaro?” Tom parlò risoluto. Forse non fu lui a parlare
quanto il suo cuore, ma l’effetto fu notevole e fece ammutolire i pensieri di
Eve.
L’uomo ruggì e
partì in carica verso i due. Tom Sfilò la bacchetta da sotto il mantello e la
alzò davanti agli occhi. Doveva recitare l’incantesimo al momento giusto. Né un
secondo prima, né un secondo dopo. Lo spadone si abbassò su di loro. Eve chiuse
gli occhi.
“Electro
Scutum!” ci fu un esplosione, un tuono e una luce abbagliante. I due
ragazzi schizzarono all’indietro sbattuti via dalla forte onda d’urto. Tom
rotolò un paio di volte nel fango prima di fermarsi e sbattere la testa contro
il muro di pietra di una casa.
Stordito, vide
Eve accovacciata e priva di sensi. E vide anche il grosso guerriero, ad almeno
venti metri di distanza, rialzarsi in piedi aiutato dalla spada. Tom si maledì
mentalmente. Perché non aveva funzionato? Forse quel tizio era semplicemente un
osso più duro di quanto credesse.
Pensò ad almeno
una decina di cose da fare per fermarlo, ma nessuna lo faceva smuovere da
quella sua scomoda posizione. Solo quando il guerriero raggiunse Eve, Tom si
rese conto di essere senza forze. Un attimo dopo perse i sensi.
13.
…sensibilmente freddo, sulla
pelle gelata. Gelo, morte, ombre…
…l’uomo calvo. L’uomo calvo
avanza e gli stritola il collo. Stringe e quasi…
…sporche di sangue fino ai
polsi. Trema prima di gridare il suo terrore…
Aprì gli occhi
di scatto e si ricordò perfettamente l’omaccione allungare le mani su Eve.
Lanciò un gemito soffocato e si alzò con un balzo su quello che sembrava un
pagliericcio. Una voce femminile emise un urlo stridulo.
“Cielo, mi avete
spaventato” Tom strinse gli occhi per scrutare nella stanza buia in cui si
trovava. Una ragazza, giovane, lo osservava dall’altro capo della stanza.
“Chi sei?”
chiese scostando il suo mantello, in cerca della bacchetta.
“Vi ho portato
via prima che vi prendesse Loun”
“Loun?”
“L’uomo con la
spada…ha preso la vostra amica”
“Eve? Ha preso
Eve? E dove l’ha portata?” saltò in piedi e si catapultò addosso alla giovane
“Dimmelo!”
La ragazza si
ritrasse spaventata. Si coprì il volto con le braccia e chiuse gli occhi
intimorita.
“Io…non lo so.
Alla rocca di William, ma è un posto grande. Nessun uomo è mai tornato dalla
rocca di William Hielant”
Tom sbiancò.
Eve, era stata presa. E tutto per colpa sua. Per ben due volte lei era riuscito
a proteggerlo. Due volte dai dissennatori! E lui neanche una volta l’aveva
fatta giusta. Ruggì di rabbia e sbatté a terra con forza una sedia di legno che
scricchiolò pericolosamente.
“Maledizione!”
urlò fra le quattro mura umide di quella casa di pietra. Scattò verso la
finestra, ma ad attenderlo c’era il solito paesaggio nero e cupo. La rocca si
stagliava, illuminata da una luce solare innaturale, filtrata dalla numerose
nubi fino a renderla di una tonalità sbiadita e cadaverica.
Se anche si
fosse infilato nella rocca avrebbe avuto poche possibilità di trovarla. Ammesso
e non concesso che qualunque cosa fosse di guardia alla fortezza non trovasse
lui per primo. Doveva trovarla e doveva farlo immediatamente.
Tastò
inutilmente la tasca con la bacchetta. L’aveva persa nell’ultimo scontro e
cercarla si sarebbe rivelato inutile. Solo, disarmato e con poche speranza a
fargli da sostegno. La situazione stava facendosi sempre più nera.
“Scusatemi…signore?”
Tom si voltò di scatto. La ragazza aveva rimesso in piedi la sedia e si era
seduta.
“Cosa vuoi?”
chiese forse un po’ troppo brutalmente. La ragazza non disse nulla. Chinò il
capo imbarazzata. Fu in quel momento che Tom notò un vaso di terracotta sul
davanzale vicino al fuoco. Il vaso, in sé, non era nulla di speciale. Sbeccato
e mal formato, ma era il contenuto a rendere incredulo Tom.
“Quella…è una
piuma di grifone?” Tom incespicò sul pavimento sporco fino al vaso con la
piuma. La afferrò fra le dita e quasi non ebbe bisogno della conferma.
“Sì, è un
vecchio dono che…”
“Posso usarla?”
Tom si pentì di quello che aveva appena chiesto. Ricordava un insolito
incantesimo di divinazione in cui non serviva bacchetta. Bastava l’occhio
interiore, a patto che fosse abbastanza potente. Non voleva usare la
divinazione, soprattutto senza essere controllato, ma non aveva scelta.
“Usarla? Sì…”
acconsentì perplessa la ragazza. Tom fece spazio sul tavolo sbilenco e si
guardò intorno. Qualcosa che riconducesse ad Eve poteva aiutarlo con la
focalizzazione. Nulla, nulla di utile. Tranne, forse…
Prese una
manciata abbondante di cenere da sotto i ciocchi di legno in fiamme. Eve gli
aveva raccontato di come avesse eliminato suo nonno, Lucius. La cenere, forse,
poteva aiutarlo. In caso contrario non sarebbe cambiato nulla, tanto valeva
tentare.
La sparse sul
piano di legno e fece cenno alla ragazza di farsi indietro. Stese la piuma sul
tavolo, in mezzo alla cenere, poi chiuse gli occhi. Unì le mani davanti alla
fronte e si concentrò.
“Signore, scu…”
“Fai silenzio!” la
zittì Tom, con una certa rabbia e tensione nella voce. Smise di ascoltarla e si
concentrò nuovamente. Il fuoco scoppiettava, ma lui avrebbe dovuto ignorarlo.
L’ultima volta che aveva tentato di concentrarsi sul suo occhio interiore, le
porcellane della Cooman erano esplose come petardi. La professoressa lo aveva
congedato con un motto di paura e invidia allo stesso tempo. Fu dura fingere
con i suoi compagni che in realtà non aveva colpa di quanto era accaduto. Fu
dura mentire a tutti. Soprattutto a se stesso.
Zittì i suoi
pensieri e subito cominciò a provare un vago senso di astrazione. Il fuoco era
ormai un ricordo. Non sentiva più il vento ululare o il tavolo scricchiolare.
Sentiva un sottile sibilo. Un sibilo sempre più simile ad un rullo di tamburo.
Tam. Tam. Tam. Tamburi che divengono d’un tratto cupi, sordi, chiusi, in una
gabbia di carne e ossa. Un cuore batteva nel petto. Un cuore agitato,
impaurito, ma soprattutto solo.
Eve…
E nel buio della
mente di Tom comparve l’esile figura della ragazza bionda. Era in ginocchio,
chinata su un fianco e aveva il respiro pesante. Brillava, traslucida, quasi
come un fantasma.
Dove sei…dove sei, ti prego
dimmelo…
La figura di Eve
si guardò intorno spaesata, poi alzò lo sguardo verso l’alto.
“Tom?” chiese
debolmente al nulla sopra la sua testa. Iniziò a piangere e, chinata nel suo
grembo sussurrò ancora poche parole.
“Tom…ti
prego…aiutami…”
“Eve!”
Tom aprì gli occhi di scatto. La testa gli scoppiava e
gli occhi gli bruciavano come se fossero fatti di braci. Sentì l’urlo
terrorizzato della ragazza, ma non gli diede peso. Immerse la mani nella cenere
e quella prese a vorticare come impazzita, alzando un gran polverone. La piuma
di grifone si librò nell’aria assieme a tutto il resto fino a posarsi, coperta
di cenere, sul palmo di Tom
“Dove?” chiese
Tom a mezza voce. La piuma oscillò placidamente verso il basso fino a
impuntarsi sul suo dito medio. Segnava una direzione.
“Sei un mago…”
sibilò terrorizzata la ragazza. Crollò al suolo, strisciando contro la parete
della casupola.
“Lo sono”
rispose semplicemente Tom “E ora scusami, ma devo proprio andare” Tom si
sollevò silenziosamente e con passo composto uscì dalla casa.
Sapeva dov’era.
Ora avrebbe dovuto raggiungerla.
“Qua nessuno c'ha il libretto d'istruzioni
Credo che ognuno si faccia il giro
Come viene, a suo modo
Qua non c'è mai stato un mondo solo
Credo a quel tale che dice in giro che l'amore
chiama amore”
Almeno
Credo, Luciano Ligabue
14.
“Tom? Sei tu?”
Eve non sapeva perché, ma aveva come l’impressione di aver sentito la voce di
Tom chiamarla. Tornò a poggiare la testa sul ginocchio, a sparger lacrime sul
pavimento lercio di quella specie di prigione.
“Ti prego,
aiutami…ho paura” sussurrò ancora, fra se e se. La sussurrò per ore, o almeno,
ad Eve sembrarono tali. Un po’ per darsi coraggio, un po’ perché sperava che
quella sua impressione non fosse soltanto tale.
Quando si era
svegliata si era trovata in quella stretta cella. Senza bacchetta, ma
soprattutto sola. Non aveva mai sentito il bisogno di avere qualcuno vicino
come in quel momento. A dire il vero, non qualcuno. Aveva voglia di Tom, lo
voleva vicino, stretto a se. Sentire le sue mani, il suo respiro, le sue
labbra.
“Eve…” la sua
voce. Le sembrava di sentirla di nuovo.
“Eve, sei qui?”
un momento. Era la voce di Tom.
“Tom!” si lanciò
sulla porta di legno e sbatté i pugni con tutta la forza che disponeva.
“Eve…aspetta,
ora ti tiro fuori” la voce giungeva ovattata alle orecchie di Eve. Si spostò di
lato quando sentì battere sulla porta. Un colpo. Poi un altro.
“Si può sapere
che stai facendo?” sibilò Eve a voce bassissima, ma molto vicino ai cardini del
portone.
“Che vuoi che
stia facendo, scusa. Cerco di liberarti!”
“Usa la magia!”
“Sono senza
bacchetta, ok?” replicò stizzito Tom. Eve alzò gli occhi al cielo.
“Ma sei senza
cervello!? Senza bacchetta chiuso qui dentro? E come usciamo?”
“Ehi senti, io
ho solo due mani e tanta buona volontà” si sentì un altro colpo e la porta
tremò visibilmente. Eve si fece indietro.
“E…fra
l’altro…sarebbe carino…che…mi…aiutassi!” un altro colpo più forte fece tuonare
la porta nella cella. Eve si fece ancora più indietro.
“Stai indietro,
ci siamo!” l’ennesimo colpo schiantò la porta, questa volta distruggendo la
vecchia serratura di ferro. La porta ciondolò un poco, per poi venire aperta
definitivamente da un calcione di Tom.
“Ahi!
Cazzo…cazzo, cazzo, cazzo!” si tenne la gamba che aveva calciato con le mani e
saltellò sulla sinistra, fino ad appoggiarsi al muro. Eve ciondolò la testa
sconsolata.
“Sei proprio
stupido…fammi vedere” gli si avvicinò e gli prese la gamba fra le mani,
pericolosamente vicino all’inguine.
“Uhm…Eve, senti,
non serve, sto bene” borbottò imbarazzato, ma le mani di Eve scivolarono lungo
il ginocchio e Tom sentì un improvviso forte calore. Lo stava curando. Eve
stava usando il suo dono per curargli la ferita alla gamba. E in un attimo Tom
fu libero di piegarla di nuovo.
“Ehi, grazie”
piegò il ginocchio e constatò soddisfatto di non provare più nessun dolore. Eve
alzò le spalle.
“Non è niente,
era soltanto una botta. Posso sistemarla facilmente” si incamminò verso la
porta sfondata e superò i rimasugli di legno. Vide un grosso pezzo di armatura,
probabilmente un elmo corazzato, legato ad una corda e penzolante da una trave
incastrata sul soffitto muffoso. Ora capiva quei colpi che sentiva. Tom la
seguì a ruota.
“Dobbiamo
andarcene prima che ci scoprano” si passo una mano sotto le narici e tirò su
col naso.
“Geniale. Idee?”
Tom oscillò la testa e prese a camminar veloce per un corridoio. Eve lo seguì,
sperando si ricordasse la strada che aveva fatto. Aveva una strana sicurezza
nel correre. Sembrava conoscere quel posto come il palmo della sua mano.
“Non ci siamo
persi, vero?” chiese Eve prima di una brusca curva che sembrava risalire un po’
dal buio delle segrete. Tom non si fermò, giusto rallentò un poco. Si sfregò
ancora la mano sotto il naso.
“No, va bene di
qua…” disse, con uno strano scatto della testa. Proseguì lungo il corridoio con
Eve incollata alla sua ombra, e finalmente incontrarono una ripida scala che
risaliva quel pozzo in cui sembravano essersi persi.
“Ecco di qua”
disse Tom voltandosi verso Eve. La ragazza trattenne malamente un grido.
“Tom, che
diavolo…il naso…” lui la guardò stranito. Si passò ancora la mano sotto il naso
e vide il sangue imbrattargli le dita. Ciondolò un poco prima di appoggiarsi
con le spalle ad una parete.
“Sto bene,
davvero...solo un momento…” Eve gli fu subito accanto e cercò di mantenerlo in
piedi. La testa gli vacillava senza equilibrio e gli occhi sembravano volersi
rovesciare all’indietro da un momento all’altro.
“Tom...che hai
fatto? Ehi? Mi senti?” Eve gli scuoteva le spalle nella speranza di rimetterlo
in forze. Avvicinò le mani al suo volto e chiuse gli occhi concentrandosi.
Avrebbe dovuto usare il suo potere per guarirlo, ma non aveva ancora l’abilità
necessaria a curare una ferita di quel genere, tant’è che non sapeva neppure
che ferita fosse!
Tom, steso a
terra, sembrava avere delle strane convulsioni che gli scuotevano il collo e le
spalle. Due righe di sangue gli tracciavano il volto dalle narici e intorno
alle labbra, fin sotto il mento. Eve passò le mani lungo tutta la testa, ma non
riuscì a vedere nulla. Altre volte aveva usato il suo potere curativo, ma la
situazione e l’alto tasso di agitazione che aveva rendevano la cosa, già di per
sé complicata, praticamente impossibile. Soltanto quando passò le mani sulla
fronte del ragazzo Eve notò uno strano calore. Ma non erano le sue mani, era
Tom.
Era febbre, o
qualcosa di molto simile. Sentiva il calore di quella fronte agitarsi e
rivoltarsi come un petardo impazzito.
“Tom rispondimi.
Tom, ci sei? Ehi? Andiamo…” ma il giovane Bishop non sembrava aver voglia di
aprire gli occhi e svegliarsi. Ora stringeva i pugni nervosamente e agitava
anche la gamba destra, colpendo Eve quando la abbassava.
Rinunciò. Non
era quel sangue il problema. Quello era solo una conseguenza di qualcos’altro.
Tom tremava davanti ai suoi occhi. Gli afferrò le mani fino a imbrattarsi i
polsi di sangue e le strinse.
“Ti prego…Tom!” gridò,
ma senza risultato. Si rimise in piedi e cercò di sollevarlo, ma il ragazzo
cominciava ad essere troppo pesante per lei, ormai. Eve si ritrovò a maledirlo
mentalmente per quei suoi dannati allenamenti mattutini. Ma fu proprio mentre
lo rimetteva a terra che notò la strana piuma spuntargli dalla tasca. Ad Eve
sembrò subito una piuma di grifone. La sfilò dalla sua tasca e avvertì il
calore di quell’oggetto, caldo, come se stesse per prendere fuoco. Fu
istintivo, ma lo fece comunque. Spezzò la piuma in due con un crocchio leggero.
Tom lanciò un
grido. Si rimise in piedi, grattando contro il muro e rintanandosi in un
angolo. Eve lo inseguì subito.
“Tom,
tranquillo! Sono io, sono Eve!” Tom smise di agitare la mani davanti a se e
guardò la ragazza, con gli occhi sbarrati e il respiro corto.
“Eve…grazie…”
disse solo questo prima di abbracciarla stretta a tal punto da non farla più
muovere. Ma lei non si ritrasse, anzi strinse anche lei il ragazzo.
“Che avevi?
Sembravi come impazzito, e poi…”
“Niente…ti spiegherò
quando saremo in salvo. Vieni” la prese per mano e la portò con se lungo le
scale. Gradino dopo gradino, insieme. Raggiunsero e attraversarono la botola
nel pavimento. Il brullo cortile della rocca di Hielant si presentò ai loro
occhi. Incerti resti di quello che una volta era un lussureggiante giardino si
mostravano in tutto il loro crudele orrore. La follia aveva rovinato quel
luogo. Una follia morbosa e malata.
“Non possiamo
andare via” si fermò Eve “La sabbia del tempo, senza quella non torniamo a
casa”
“Eve, dobbiamo
rimanere vivi per prendere quella sabbia” le spiegò Tom telegrafico “Usciamo di
qui. Ritorneremo in seguito”
“Ritornare?
Dobbiamo trovarla e andare via ora! Tornare sarebbe da folli!” strillò Eve. Tom
perse la pazienza.
“Hai per caso
notato che un gorilla alto come Hagrid ti ha trascinato qui dentro a forza?
Questa non è la mia idea di un piano ben riuscito, tesoro” disse Tom.
Eve sbatté gli occhi.
“Tesoro?
Mi sembra di averti salvato la vita un attimo fa, dolcezza”
“Era tutto sotto
controllo” sillabò Tom.
“Ah davvero?”
“Già, davvero.
Senza contare che sono riuscito a liberarti senza che mi fermassero”
“Ecco, su questo
avrei qualcosa da ridire” una voce acuta e spietata interruppe il battibecco
fra i due. William Hielant li squadrava dall’alto del bastione del muro più
vicino. La veste lo avvolgeva come una seconda pelle, con lunghi strascichi, e
delle spalle a punta che lo facevano sembrare ancora più imponente di quanto
già non fosse.
“Non ha liberato
nessuno, giovane divinatore” si rivolse a Tom con arroganza “E tanto meno lo
farà”
Con un saltello
superò il muro della balaustra e planò fin nel cortile, a pochi passi dai due
ragazzi. Allungò una mano e un curvo bastone comparve fra le sue dita. Il legno
era sormontato da un elegante opale nero. Un opale che pareva vorticare fra le
spire del legno che lo avvolgevano.
“Ma ammetto che
ero curioso di conoscere una strega così abile da sciogliere la mia maledizione
sulla gente nella locanda” e allungò lo sguardo verso Eve che non mosse un muscolo
“E un divinatore così sciocco da entrare nella mia dimora. Ma soprattutto, ero
curioso di sapere cosa potevano mai farci due giovani maghi come voi qui, nel
mio regno”
Hielant sorrise
morbidamente, lasciando un vago sentore di terrore nell’aria. La pelle liscia
del suo cranio sembrava riflettere la luce delle poche torce appese lungo le
pareti.
“Grande piano,
mio salvatore!” sbottò Eve spingendo in malo modo Tom in avanti. Il ragazzo per
poco non cadde a terra, ma subito si riprese.
“Cosa potevo saperne
io!”
“E senza
bacchetta! Per questo hai fatto una divinazione…e dire che avevi lasciato il
corso della Cooman!”
“Senti, è
complicato, ok?” si arrabbiò Tom “E la prossima volta se vuoi ti lascio
piangere in quella cella!”
“Ah! Io
piangere? Sarei uscita comunque!” forse Eve questa volta l’aveva sparata un po’
grossa. E Tom se ne accorse.
“Ma certo!
Pensavi di stordirli a cazzate come questa?”
“Scusate!” urlò
William Hielant, sbattendo il bastone a terra “Come vi permett…”
“Tu sta zitto!”
lo misero a tacere entrambi immediatamente urlandogli addosso la stessa
identica frase. Il mago oscuro sobbalzò al suo posto. Come si permettevano
questi due marmocchi di invadere il suo regno e zittirlo a loro piacimento?!
“E comunque,
sapevo che ce l’avrei fatta!” continuò Tom, mettendosi a braccia incrociate.
“Ah sì? E come?”
rincarò Eve, sicura di coglierlo in fallo.
“Io l’ho visto
nel sogno. E poi l’ho rivisto poco fa”
“Allora hai
sognato! Allora…ma tu hai il dono?” ora, Eve, più che arrabbiata
sembrava perplessa. Tom era davvero dotato del terzo occhio?
“Io…senti, ti ho
detto che è complicato, ok?” sbottò Tom, senza notare Hielant che lo puntò con
il bastone. Tom si sollevò di scatto da terra, come se fosse appeso per il
collo. Lanciò un grido soffocato e si mise le mani sulla gola nel vano
tentativo di prendere aria. Eve arretrò di scatto.
“Lascialo
andare!” gridò in faccia a William, ma il mago oscuro non si lasciò
impressionare delle urla di quella ragazzina. Avanzò verso Tom, sempre con il
bastone teso e continuando a stritolargli il sottile collo.
“Come immaginavo
siete soltanto patetici rag…” William interruppe il suo parlare. Una grossa
pietra lo aveva appena colpito alla tempia facendolo vacillare di lato. Il
bastone si staccò dalle sue mani e Tom crollò al suolo, libero di respirare.
Eve prese subito un altro sasso, questa volta più grande, e lo sollevò sopra la
testa.
“Prendi questo!”
lanciò in malo modo il pietrone troppo pesante per lei che rotolò a mezzo metro
da Hielant, ancora sorpreso dal tiro precedente. Tom corse in avanti, prima su
quattro zampe, poi alzandosi in piedi di scatto. Raccolse in tempo il bastone
prima che le grinfie del mago oscuro lo facessero nuovamente suo.
Alzò la punta
con l’opale verso William e quello si fece indietro, spaventato.
“Non ti
muovere!” gli gridò addosso Tom “Non ti muovere a giuro che ti ammazzo!”
Hielant si fece
indietro e mise le mani per aria, inerme. Come avevano potuto giocarlo con una
stupida pietra lanciatagli addosso? Guardò Tom con un ghigno per nulla amichevole
e pensò ad un piano per uscire da quella spiacevole situazione.
“E adesso dicci
dove hai la sabbia del tempo!” Tom continuava a gridare come se l’adrenalina
che aveva in corpo fosse troppa per lui. Eve notò gli occhi sbarrati e la
strana tendenza a scattare in maniera nevrastenica.
“Ehi, calmati,
lo abbiamo in pugno. Sarà uno scherzo con lui disarmato e noi col suo bastone”
si voltò poi verso William “Allora? Dov’è la sabbia?”
William li
squadrò per un attimo entrambi. Per ora li avrebbe assecondati. Non era il
momento di agire.
“Seguitemi”
disse semplicemente.
“Fai strada” gli
intimò Tom, ancora con il bastone puntato verso di lui.
Salirono una
scala esterna alla rocca e raggiunsero una porta di ferro battuto. Il cielo
illuminava cupamente il fianco dell’edificio rendendolo tenebroso quel tanto
che bastava per spaventare Eve. La ragazza, infatti, marciò compatta accanto a
Tom.
William Hielant
fece un cenno con la mano e la porta si aprì cigolando. La stanza al suo
interno era buia e soltanto quando entrarono le torce alle pareti si accesero
di fiamme vivaci e violacee.
Il salone era
rovinato e addobbato da drappi di una ricchezza lontana e di un benessere ormai
morto. Accatastati e impilati in giro per la stanza vi erano una serie di
oggetti dall’aria curiosa, oltre che parecchie ricchezze in gemme, oro, e
orpelli preziosi. Tom fischiò di approvazione.
“Sant’Anacleto!”
sbottò Eve decisamente dimentica della paura di poco prima. Lo spettacolo del
tesoro di William Hielant era davvero da mozzare il fiato.
“La sabbia del
tempo, grazie” disse semplicemente Tom puntando le spalle di William. Il mago
oscuro marciò vero un tavolo e allungò la mano. Un istante dopo si girò verso
Tom e lanciò un piccolo sassolino rosso rubino che prese fuoco e sibilò verso
il giovane mago.
Tom lanciò un
urlo, mentre Eve si accorse appena di cosa stesse accadendo. Il ragazzo alzò il
bastone in segno di difesa, e fortuna volle che la pietra centrasse in pieno
l’opale incastonato fra i rami. Ci fu una vampata di fuoco e uno sfrigolante
lampo di scintille, poi Tom riaprì gli occhi e si rese conto di essere
sopravvissuto.
“No!” tuonò
William, forse più dispiaciuto per aver distrutto il suo bastone che per aver
mancato il bersaglio. Si lanciò in avanti, praticamente levitando sul terreno.
Tom alzò il legno in sua direzione, ignorando le continue scintille che
spruzzava la punta.
“Ti avevo
avvertito!” gridò e si concentrò sul bastone. Ci fu un lampo velocissimo, ma
William raggiunse comunque il suo prezioso bastone. Solo quando Tom cercò di
non farsi strappare dalle mani la loro unica arma, notò che i capelli del mago
oscuro erano miracolosamente ricresciuti. Anzi, a guardarli meglio non erano
capelli, erano begonie!
“Lascialo
maledetto stupido!” ci fu un altro lampo ed Eve ne approfittò per dare man
forte all’amico. Strinse il bastone e tirò nella sua direzione. Si accorse in
quel momento delle strane orecchie d’asino che Tom aveva al posto delle sue.
“Ma che…” disse
soltanto, prima di resistere ad un altro strattone del mago. Tom tirò con tutte
le sue forze e incitò Eve.
“Coragg-iihoo!
Damm-.ihoo o-una mano!” ragliò, letteralmente, Tom. Ma non ebbe il tempo
per sorprendersi di se stesso. Dal polso di Eve spuntò un’altra inquietante
mano che strinse con forza il bastone e tirò nella loro direzione. Per quanto
fosse orribile, era sicuramente utile.
“Cosa state
facendo...il mio prezioso bastone!” gridò William, ormai col volto
completamente circondato dalle begonie che non volevano smetterla di crescere.
I due giovani stregoni tirarono. Il vecchio mago oscuro puntò i piedi con tutte
le sue forze.
“Lasc-iihaa-lo!”
verseggiò ancora Tom. Eve cercò di non guardare la sua squallida mano e di
resistere alla forza del loro avversario. Con un sforzo gridò anche lei.
“Mollalo!” e
l’ennesimo lampo di luce accecò tutti e tre per poi mostrare un William Hielant
ciondolante sul pavimento con, al posto dei piedi, due robusti fili di ferro
attorcigliati a vite. Si molleggiava avanti e indietro, dando ben misera
resistenza rispetto ad un attimo prima.
Hielant gridò e
continuò a dondolare in avanti e indietro, mentre Eve e Tom continuavano a
tenere ben salda la presa sul bastone. E infine l’ebbero vinta. Con un ultimo
sforzò strapparono il bastone dalle mani del mago oscuro e caddero
all’indietro, uno sull’altra. Tom si ritrovò la mano di troppo di Eve proprio
sulla faccia.
“T-oo-
glila!” gridò schifato, prima di rimettersi in piedi. Eve si sollevò facilmente
con una mano in più, ma nascose il braccio sinistro dietro la sua schiena. Il
solo vederla le faceva troppa impressione.
“Ma cosa è
successo?” chiese Eve puntando lo sguardo verso Hielant, ancora intento ad
oscillare avanti e indietro, come la testa di un clown di un Jack-in.the-box.
Tom si alzò in piedi e tenne ben saldo il bastone fra le mani, puntandolo verso
l’urlante e dondolante mago oscuro.
“La punt-haa
è scopp-iihaa-ta…” disse Tom, con voce asinina, ma tanto bastò per far
spruzzare un'altra manciata di scintille dal bastone. Istantaneamente la testa
di William Hielant scoppiò come un palloncino e sparse il suo disgustoso
contenuto per la stanza. Oltre che un buon numero di begonie. Eve lanciò un
grido per lo spavento. Tom alzò gli occhi e vide il cadavere del mago
molleggiare ancora avanti e indietro. Poi guardò il bastone e di nuovo il mago.
“Oh cazzo…!”
esclamò chiaramente sorpreso. Neanche un secondo dopo il cadavere del mago
oscuro saltò nuovamente per aria, questa volta all’altezza dell’inguine.
Inutile dire che la quantità di sangue aumentò drasticamente e pitturò il
pavimento della sala di orribili budella.
“Oh, ca…” Tom si
fermò in tempo, questa volta. Lanciò il bastone a terra e lo lasciò sfrigolare
lontano da lui. Spruzzava ancora scintille, ma sembrava decisamente più
innocuo.
15.
Tom si appoggiò
pigramente al tronco di un giovane albero lungo il lago. Non ricordava questo
alberello nella sua epoca, probabilmente perché era stato sradicato in più di
mille anni. Si asciugò il naso che ancora colava un po’ di sangue e piegò la
testa all’indietro. Fu contento di sentire che le sue orecchie non erano più né
pelose né lunghe quanto un braccio. Così come fu contento del viaggio di
ritorno, molto meno movimentato e molto più semplice del precedente. Dopo la
morte di William, la rocca di Hielant si liberò dalla maledizione e in pochi
minuti il cielo cupo e gli zombi del villaggio sparirono per lasciare spazio
alla brillante luce del sole.
La stessa cosa
non si poteva dire dei nuovi orpelli di Tom ed Eve. Le orecchie da asino e la
mano mostruosa rimanevano solidamente attaccati ai loro corpi. Fortunatamente
dopo pochi minuti li raggiunse Godric, materializzandosi. Fu sorpreso di
scoprire che William fosse davvero morto per merito loro, e fu doppiamente
sorpreso di vederli così conciati. Aveva avvertito il rompersi della
maledizione di Hielant, ma gli sembrò impossibile da credere senza venire a
controllare.
Dopo una breve
ricerca per trovare la sabbia del tempo, tornarono tutti e tre al castello di
Hogwarts dove Tosca Tassorosso sistemò i loro originali nuovi gadget corporali.
Il sole stava ormai
tramontando quando Tom chinò ancora la testa per far passare quel dannato
sangue al naso. E fu in quel momento che vide Eve, capovolta sottosopra, a
neanche una manciata di metri di distanza. All’inizio non disse nulla, anche
perché lei non si mosse né disse niente.
“Ciao” salutò
lui semplicemente. Eve si avvicinò e gli si sedette accanto. La luce del sole
riflessa dal pelo dell’acqua era uno spettacolo ancor più mozzafiato della sala
del tesoro di William.
“Hai ancora
bisogno di una… mano?” la prese in girò Tom, sempre con la testa piegata
all’indietro. Sorrise e le lanciò un’occhiata.
“No…asino!”
lo rimbeccò lei mettendosi a ridere. Rise anche Tom, tornando con la testa
piegata in avanti. Controllò il naso passando un paio di volte la benda intrisa
di rosso, ma sembrava aver smesso definitivamente.
“Allora…ti va
di…” cominciò Eve, tentando di trovare le parole giuste. Tom comprese subito
dove volesse andare a parare. O almeno, credette di averlo intuito.
“Cosa vuoi
sapere?” le chiese Tom tirando su con il naso. Eve guardò il terreno e scalciò
l’erba umida del lago. Fare domande era difficile.
“Sì, sono bravo
in divinazione, e no, non voglio frequentare le lezioni della Cooman” la
anticipò Tom, rispondendo a due possibili domande. Eve alzò lo sguardo.
“Perché?”
“Non lo so. Ma
mi spaventa, capisci? Già la magia è innaturale per chi è figlio di babbani,
figurati avere l’occhio interiore” pronunciò le ultime parole con finta
reverenza.
“E il sangue al
naso?” chiese Eve, indicando con un cenno il fazzoletto intriso di poche
strisce di sangue. Tom se lo infilò in tasca.
“Càpita, l’ho
letto sul manuale. Ma capita solo se si fanno sforzi sopra la propria portata”
“E tu…”
“Per trovarti.
L’ho fatto…per sapere dov’eri…” Tom si grattò la testa imbarazzato e spostò lo
sguardo sul lago “L’avevo già tentato una volta, all’ultima lezione di
divinazione che feci. Le porcellane della Cooman sembravano impazzite!” rise
Tom, ricordando quel momento.
“E il naso,
sanguinava?”
“Eh? No, mi
aveva chiesto di divinare in quale mano nascondeva la zolletta di zucchero!”
ridacchiò e Eve con lui. Calò uno strano silenzio in cui soltanto il sole si
muoveva, fino a morire dietro i monti.
“Senti, non dire
nulla agli altri” disse Tom, a mezza voce. Eve lo guardò in silenzio e per un
attimo si rivide, quattro anni prima, sulle rive del laghetto ghiacciato a
confidarsi con il suo migliore amico.
“D’accordo” gli
sorrise e lui la ricambiò con un leggero bacio sulla guancia, che Eve parve
scostare dolcemente.
“Ah, già,
senti…c’è anche questa cosa…” sibilò Eve, senza guardarlo negli occhi. Tom ebbe
la strana sensazione di sentire il cuore all’altezza del pomo d’Adamo.
“Cosa?” ebbe il
coraggio di chiedere con la bocca improvvisamente secca.
“Ecco, noi due,
a dire il vero” spiegò Eve, togliendo ogni dubbio dalla testa del ragazzo
“Credo si debba far finta di nulla…che ne dici?”
Far finta di
nulla. Quelle quattro parole risuonarono nella testa, svuotata da ogni
pensiero, di Tom. Far finta di nulla. Era un chiaro messaggio che stava a
significare: quel bacio non era stato niente. E neanche i successivi. Era stata
una cosa del momento dettata dalla situazione. Far finta di nulla. Difficile,
impossibile. Ma l’alternativa era perderla per sempre.
“Sicuro...certo!”
sorrise Tom, ricacciando sul fondo dello stomaco tutti quei magoni che
cercavano disperatamente di esplodergli in bocca e negli occhi. Sorrise alla
luce ormai morente dietro le montagne innevate e si alzò in piedi.
“Torniamo al
castello? Ormai saranno pronti”
16.
“E mi
raccomando, dovrete fare finta di nulla. Secondo i calcoli di Salazar vi
rispediremo nel momento esatto in cui siete stati catapultati qui, quindi è
come se non vi foste mai mossi dalla vostra Hogwarts, è chiaro?”
“Si, abbiamo
capito” rispose Eve, ancora intenta a sistemarsi la sua divisa, rammendata e
pulita dagli elfi domestici. Tutto doveva essere come quando erano arrivati.
“E non parlatene
con nessuno! Soprattutto con mastro Weasley. Dai nostri conti dovrebbe compiere
il suo viaggio soltanto fra qualche tempo”
“Quindi Chris
non ha ancora viaggiato?” chiese Tom, allacciandosi la cravatta. Godric gli
sorrise e gli passò in mantello.
“Precisamente.
Non capirebbe di cosa parlate” si fece indietro e affiancò Salazar, ancora
intento a dosare la sabbia del tempo su una piccola bilancia di cristallo. La
biblioteca a quell’ora era completamente vuota e buia, se si escludevano le
candele. Priscilla se ne stava in disparte ad osservare i preparativi per il
viaggio. Tasca Tassorosso, invece, stava controllando che tutto fosse in ordine
per Eve e Tom. Vestiti e tutto il resto dovevano essere gli stessi.
“Cosa stavate
facendo prima di viaggiare fino a noi?” chiese Tosca spolverando un poco le
spalle di Tom. Il ragazzo incrociò lo sguardo con Eve.
“Ecco, stavamo
discutendo, a dire il vero…”
“Ma che strano…”
sibilò Priscilla dall’ombra. Eve ebbe la decenza di trattenersi e di prepararsi
per il viaggio.
“Ah, quasi
dimenticavo!” Tosca estrasse due bacchette nuovissime del tutto simili alle
loro bacchette originali “Le ho fatte preparare da Ollivander, direi che vanno
bene, che dite?” Tom la osservò meravigliato. Non era una bella bacchetta, era
fantastica, ancor migliore di come la ricordasse.
“Credevo che il
cartello del negozio servisse solo per attirare i clienti” disse Eve,
piacevolmente sorpresa “A quanto pare le fa davvero da parecchio, allora”
“Tutti pronti!”
urlò Salazar. Tosca si fece indietro e Godric diede una mano a Serpeverde con
la bilancia. Sollevò con un colpo di bacchetta una piccola vaschetta di
cristallo e la fece levitare fin sulla testa dei due ragazzi.
“La sabbia è ben
calibrata. Dovrebbe andare tutto bene” spiegò Salazar porgendo le mani verso la
sabbia del tempo.
“Dovrebbe?” sillabò Eve. Tom non poté fare a meno di
sorridere. Quella ragazza non perdeva mai la voglia di punzecchiare le persone.
Forse era quello. O quella sua sicurezza arrogante che ostentava anche con uno
dei più importanti maghi che avesse mai conosciuto. O forse quella sua
diabolica voglia di prendere tutto di petto. Quel suo voler aver sempre il controllo
della situazione. O forse era l’insieme delle cose. Forse sì. Era questo che le
piaceva in quella ragazza. Che fosse Eveline Malfoy. Chiunque altro non sarebbe
stato lo stesso.
“Che hai da
sorridere?” gli chiese Eve, vedendolo perso fra le nuvole. Tom alzò le spalle.
“Nulla. Pensavo
che è stato bello, bionda”
Eve non ebbe il
tempo di pensare. La sabbia piovve su di loro e sentì uno strappo all’altezza
dell’ombelico, simile a quello delle passaporta.
E la notte
divenne giorno. E la biblioteca si trasformò. I tavoli furono di nuovo in mezzo
alla sala. Gli scaffali riempirono i buchi in giro per la sala della
biblioteca. E in un attimo fu di nuovo Hogwarts. La loro Hogwarts.
“Ma sei scema!
E’ il secondo libro che mi colpisce oggi, e entrambi sono tuoi!”
“Se sei stupido
non è colpa di nessuno!” urlò Eve, ancora una volta.
“Qua nessuno c'ha il libretto d'istruzioni
Credo che ognuno si faccia il giro
Come viene, a suo modo
Qua non c'è mai stato un mondo solo
Credo a quel tale che dice in giro che l'amore
porta amore credo
Se ti serve chiamami scemo ma io almeno credo
Se ti basta chiamami scemo che io almeno...”
Almeno
Credo, Luciano Ligabue
17.
Erano passate
quasi due settimane dal loro ritorno a casa. Chris non si accorse di nulla, o
almeno così parve a loro. La scuola finì e dopo una estenuante sessione di
esami finali in cui Tom sorprese se stesso ottenendo un Eccezionale in Difesa
Contro le Arti Oscure e un Oltre Ogni Previsione in Trasfigurazione. Inutile
dire che Chris sbaragliò qualsiasi altro studente del suo anno negli esami,
mentre Eve, seppur con molto lavoro e studio, ottenne buoni voti che
vacillarono intorno all’Eccezionale. Un risultato fuori dal comune se
paragonato a quello di suo fratello che sembrava avere una naturale predisposizione
per lavorare sottopressione. Vincent, infatti, non deludeva mai durante esami e
test e quella volta non fu da meno.
Le vacanze
trascinarono gli studenti verso le famiglie, lasciandogli sbollire un intenso
anno scolastico di lavoro e studio. Chi andava ad Hogsmeade, dove viveva con la
famiglia. Chi tornava a casa col treno, ancora in balia del regime Lestrange.
Tom,
naturalmente, approfittò della gentilezza della famiglia Weasley che un letto
non glielo avrebbero mai fatto mancare. Forse fu solo un impressione, ma a
Chris parve che Tom avesse una strana aura di tristezza sulle spalle, come un
mulo caricato con troppo peso.
“Senti, va tutto
bene?” gli chiese un pomeriggio Chris, vedendolo più giù del solito. Tom alzò
la testa dal letto e si guardò intorno.
“Eh? Sì, sì,
tutto bene…”
“A me non
sembra…problemi?” Tom rimase in silenzio per un po’.
“Giusto un po’
di malinconia. Passerà” spiegò Tom, girandosi dall’altro lato del letto. Chris
non indagò oltre, anche se era ormai ovvio che il suo amico avesse un problema.
Decise di fare un giro e lasciò Tom solo con i suoi pensieri, anche se non rimase tale per troppo tempo.
Un gufo dal
piumaggio grigio becchettò il vetro della stanza di Tom. Riconobbe la civetta
di Eve, Nebbia. Con uno scatto fu in piedi e aprì la finestra per farla
entrare. Quella planò fin sul suo braccio e lasciò una pergamena arrotolata che
teneva stretta nel becco.
Srotolò il
sottile pezzo di carta e fece danzare gli occhi avanti e indietro. Al fine di
tutto gli sembrava che volesse vederlo. Voleva vederlo, alla caffetteria Regò’s
fra circa mezz’ora. Era forse un appuntamento? Improvvisamente sentì il
pavimento farsi fango e le gambe farsi gelatina. Voleva vederlo, d’accordo, era
un buon segno, ma nulla di più.
Cerco di
convincersi che non era nulla, e si impegnò a togliersi quel sorriso da beota
dalla faccia, così come la voglia di saltellare fino al piano di sotto. Si
diede un’occhiata allo specchio. I jeans potevano anche andare bene, le scarpe
erano anche in tono. Ma la maglia…no, serviva qualcosa di diverso. Cercò fra le
sue cose nel baule. Nonostante fosse lì ormai da giorni, non aveva ancora
svuotato i bagagli.
Passò fra le
mani parecchie maglie e t-shirt finché non capitò sulla camicia a scacchi blu.
Blu, quello è il colore del primo appuntamento. Dannazione! Quello non era un
appuntamento, se lo doveva mettere in testa. Sfilò la maglietta per infilarsi
la camicia. Mancava soltanto un ultimo tocco. Il cappello da baseball blu e
argento. Dopotutto il blu…no, doveva smettere di pensarci, e soprattutto di
sorridere come un idiota!
Scese le scale
di corsa ed urlò che usciva per un po’, senza badare se ci fosse qualcuno in
casa ad ascoltarlo. Corse per le viuzze di Hogsmeade affollate da un inusuale
folla. Dopotutto la gente ora era per più tempo a casa. Senza contare che quel
giorno ci sarebbe stata l’inaugurazione del piccolo mercato estivo della città.
Svoltò un paio di angoli e si lasciò indietro la folla. Preferiva girare per
vie più libere e meno intasate.
Arrivò da Regò’s
con circa dieci minuti di anticipo, e fu sorpreso di vedere come Eve,
stranamente, fosse già lì ad aspettarlo.
Si fermò una
manciata di metri prima per riprendere il fiato. Eve gli sorrise a vederlo e
gli si avventò ad abbracciarlo, stretto. Un abbraccio simile a quello che aveva
ricevuto quasi mille anni prima.
“Bè…ciao” la
salutò lui grattandosi una barbetta un po’ troppo lunga. Cercava di sembrare
più naturale possibile, ma con scarsi risultati. Eve lo lasciò andare e fece
uno dei suoi sorrisi.
“Ciao…come, come
stai?”
“Non c’è male…un
po’ di vacanza…tu?”
“Oh” Eve annuì
convinta “Bene, sì, bè, mamma e Vin sono via per un paio di giorni così posso
godermi un po’ di tranquillità” ridacchiò, e Tom con lei. Accennarono qualche
passo, e, improvvisamente, si ritrovarono a camminare e chiacchierare, molto
più normalmente di quanto Tom avesse mai pensato o sperato.
“Dove sono
andati?”
“Da nonna, aveva
bisogno per sistemare la cantina, alla Tana”
“Giusto”
sottolineo Tom.
“Già…senti, ti
va un gelato?” chiese Eve, passando di fronte ad una gelateria che Florian
Fortebraccio aveva aperto dopo essersene andato da Diagon Alley. Tom inarcò le
spalle all’insù.
“Perché no”
entrarono e si sedettero ad un tavolo a gustare una deliziosa coppa di gelato.
E furono chiacchiere e risate, e commenti su tutto ciò che avevano in mente.
Parlarono di un po’ di tutto. Cibo, scuola, dei loro compagni e anche di
quidditch. Le ore volarono, veloci, molto più veloci di quanto avessero mai
immaginato entrambi. E fu strano, per un momento, tornare a guardarsi negli
occhi in un silenzio dettato soltanto dalle coppe di vetro vuote e dai
cucchiaini sporchi di crema e cioccolato.
“Non ho mai
capito come fanno a tenere il cucchiaino attaccato al naso” parlò Eve,
all’improvviso, rompendo un silenzio deliziosamente imbarazzato. Tom prese il
piccolo cucchiaio e ci alito sopra un paio di volte.
“E’ un trucco
babbano, probabilmente i maghi lo farebbero levitare per riuscirci” lo avvicino
alla punta del naso e con pochi tentativi riuscì a farlo rimanere attaccato.
Piegò la testa all’indietro per mantenerlo in equilibrio e questo fece
sorridere Eve.
“Ma come
fai…aspetta, devo alitarci sopra?”
“Sì, ma poco,
giusto per…ecco, brava, poi avvicinalo al naso” spiegò Tom. Eve appoggiò con
scarsi risultati il cucchiaino al naso, che subito cadde sul tavolo,
tintinnando contro il vetro della coppa. Tom si mise a ridere e per questa sua
distrazione anche il suo cadde, però a terra.
“No!” si lamentò
cercando di afferrarlo al volo, invano. Eve si mise a ridere a crepapelle, e
Tom la guardò stranito.
“Che hai da
ridere?” chiese con un mezzo sorriso. Qualsiasi cosa fosse doveva essere
divertente. Eve gli indicò il centro della sua faccia.
“Gelato…sembri
un orso con il miele…!” continuò a ridere finché Tom non si passò la mano sul
naso. Probabilmente il cucchiaino era ancora sporco.
“Ma sei
simpatica, sai?” fece finta di essersi offeso e si pulì la mano con un
fazzoletto. Eve ne prese un altro e lo avvicinò alla guancia di Tom.
“Aspetta, lo hai
sparso per la faccia” gli pulì la guancia e non poté fare a meno di ricascare
nella trappola degli occhi e del silenzio imbarazzato. Così come ci cascò anche
Tom.
“Grazie…” questa
volta fu lui ad interrompere il silenzio, e lanciò un’occhiata al cielo ormai
blu scuro. Doveva essere già abbastanza tardi. Eve si alzò in piedi e recuperò
la sua giacchetta leggera di jeans.
“Andiamo?”
chiese lei cercando di non considerare quello che era appena successo. Tom si
alzò immediatamente.
“Ti accompagno a
casa” forse questo era un po’ troppo per un uscita a chiacchierare davanti ad
un gelato. Ma incredibilmente Eve rispose con una singola parola.
“Ok…”
Pagarono e
passeggiarono per una Hogsmeade decisamente più calma e tranquilla rispetto al
pomeriggio. Soltanto qualche gruppo di ragazzi o delle coppie occupavano le
strade della cittadina. La luce delle lanterne illuminava le vie e allungava le
loro ombre. Tom, con le mani in tasca e il cappello ben piantato sulla testa,
aveva lo sguardo puntato sul selciato. Stava in silenzio, come del resto Eve,
che non trovava un buon punto dove cacciare i suoi occhi.
Arrivarono a
casa di lei, forse fin troppo in fretta. Ora avrebbero dovuto parlarsi, dire
qualcosa. Non potevano continuare quell’innaturale silenzio. Tom decise di
interrompere il suo mutismo per primo.
“Bè, allora ci
vediamo”
“Ti va di
entrare?”
La domanda di
Eve crepò la fragile mente di Tom, così come un fulmine crepa le nubi durante
un temporale. Non rispose subito, anzi, proprio non rispose. Fece un paio di
passi lungo il vialetto, fino a raggiungerla. E poi alzò le spalle.
“Va bene” cercò
di sembrare il più naturale possibile, come se fosse del tutto normale quello
che stava facendo. Come se non lo toccasse né gli importasse in particolar
modo. Una delle cose più difficili di questo mondo, si ritrovò a pensare Tom.
Entrarono in
casa e sembrò ad entrambi di isolarsi completamente dal resto del mondo, anche
se quel fastidioso silenzio non voleva saperne di sparire. Tom tentò invano di
trovare un qualche argomento di discussione ma il sangue gli faceva shakerare
il cervello.
“Eve, senti…io…”
nulla da fare. Nessun valido argomento. Fu Eve a farsi più vicino a lui. Ad
alzarsi un poco sulle punte e a poggiare il suo respiro sulle labbra di lui.
Schiudendosi come un fiore che, timidamente, ha trovato il suo sole.
Fu un bacio, non
c’è che dire. Una perfetta carezza all’animo di Tom che si fece torturare da
quel dolce attimo. Eve gli passò le mani dietro la nuca, sotto il collo e cercò
di avvinghiarsi a lui. Fu in quell’attimo che Tom si accorse di superare una
leggera linea che non pensava certo di scavalcare.
“Aspetta,
aspetta un attimo…” si staccò da lei e respirò un momento “Cosa…cosa stiamo
facendo?”
“Era un bacio…”
rispose piano Eve. Tom scosse la testa.
“No, no.
Quell’altra cosa…sai benissimo di che parlo!” disse schietto Tom. Eve abbassò
lo sguardo.
“Tom, senti, tu
vuoi…insomma, mi piaci. Ho capito che mi piaci e poi…”
“Aspetta” Tom
prese fiato di nuovo “Tu vuoi…con me?” chiese allusivo Tom. Eve si strinse
nelle spalle. Un silenzio che equivaleva ad una risposta affermativa.
“Se non vu…” ma
la frase di Eve fu presto interrotta dall’irruenza del bacio di Tom che le
strappò l’aria dai polmoni, la strinse a se e la spinse fin contro i gradini
più bassi delle scale. Gradini che fecero quasi di corsa, senza staccare le
loro bocche desiderose l’uno dell’altro. Fino a rovesciarsi sul letto di Eve.
Affannati, eccitati e con una incredibile agitazione in corpo. Eve strappò il
cappello dalla testa di Tom e lo lanciò lontano. Lo baciò ancora prima di
gettare la mani fra i suoi capelli e lasciarsi avvolgere dalla passione.
FINE
Uff ed eccoci alla fine! Ammetto che per essere una one shot
è un po’ lunga, ma altrimenti non veniva bene. Sono abbastanza soddisfatto del
risultato, e spero lo siate anche voi. Ah, se lo siete, lasciatemi un
commentino, eh, che ci tengo! Grazie in anticipo fidati lettori! ^____^
Come vedete si scoprono un po’ di cose oltre che sui due
piccioncini, anche su Chris e il ciondolo…oltre che su Hielant. Qualcuno ha
voglia di leggere il primo chap e ITCC? Secondo me scopre qualcosa di
interessante! ^________-
Ah, ringrazio le due recensioni di Ransie86 (grazie
mille mia cara ^__^) e Dorothea (mi inchino a cotanti complimenti. Il
combattimento grottesco l’ho fatto pensando un po’ anche alla tua mitica “HP e
il mistero della panna montata” ^__-)
Ciao bimbi belli, alla prossima
See you again!!!!
PS: il bottoncino magico è qui sotto…^___-
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