Muggle Studies

di breezeblock
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Sweet Ruin ***
Capitolo 2: *** Christmas Chocolate Pudding ***
Capitolo 3: *** Haunted House ***
Capitolo 4: *** Regrets ***
Capitolo 5: *** Threads of Thoughts and Time ***
Capitolo 6: *** The New Guy ***
Capitolo 7: *** Speak of the Devil ***
Capitolo 8: *** Scomode Verità ***
Capitolo 9: *** Basta Giocare ***
Capitolo 10: *** Le Rune della Strega ***
Capitolo 11: *** Il Lago Nero ***
Capitolo 12: *** La Differenza ***
Capitolo 13: *** Muggle Studies ***



Capitolo 1
*** Sweet Ruin ***


Muggle Studies 
 
 

1.
I DONT' KNOW WHY I DO IT
CAUSE IT MAKES ME FEEL ROUGH
BABY I AM JUST A RUIN 

AND I AM RUINOUS 
 


Se non fosse stato per Pozioni e il Quidditch, in cui persino le antichissime mura di Hogwarts avrebbero riconosciuto la sua incontrastata bravura, Draco Malfoy si sarebbe sentito uno studente qualunque, probabilmente coi riflessi lenti e senza senso della misura. Ciò nonostante gli era apparso sempre un po’ liberatorio constatare come di fronte all’eroe Grifondoro per eccellenza, il mancato erede di Serperverde fosse effettivamente uno studente qualunque. Non gli dispiaceva a volte starsene in disparte senza dare nell’occhio o senza essere incolpato per crimini che non sarebbe mai riuscito a commettere. 
Lui veniva sempre messo in mezzo al momento sbagliato; d’altronde, con un mangiamorte come padre non poteva aspettarsi trattamento diverso. 
 
Malfoy era tristemente famoso per i successi e i fallimenti a lui antecedenti, di cui però aveva ereditato le conseguenze come si eredita un vecchio libro di famiglia o un dipinto raro sopravvissuto agli eventi naturali e passato di generazione in generazione. Tutto in Draco Malfoy ricordava un sangue di cui le sue mani non si erano mai macchiate ma che comunque sporcava ad ogni passo, come una macchia indelebile sotto la suola delle scarpe.
Così, c’erano giorni in cui si allontanava dal chiacchiericcio indistinto degli studenti, e se ne andava a bighellonare per conto proprio senza che Blaise o Tiger gli facessero da ombra. Ultimamente avvertiva un desiderio crescente di agire, pensare, respirare, senza che ci fosse qualcun altro a scegliere e a respirare per lui.  Desiderava avere la possibilità di sbagliare, di disporre di tutte le eventualità possibili e poter decidere quale assecondare, pescare dal mazzo di carte ad occhi chiusi ma con la sua mano pronta ad estrarre quella desiderata. 
Si ritrovò a pensare a questo e ad altro, aspirando avidamente una sigaretta nel giardino interno di Hogwarts. I professori erano nella Sala Grande, attenti che nessuno oltrepassasse i limiti della decenza durante le danze del secondo Ballo del Ceppo. Una volta uscitone indenne al quarto anno credeva che non sarebbe stata un'esperienza che avrebbe ripetuto tanto presto, eppure, a guerra finita sembrava che ogni scusa fosse buona per riunire la comunità magica. 
Gazza e qualche altra guardia sguinzagliata da Karkaroff erano stati messi a sorvegliare le carrozze e la nave di Durmstrang attraccata al molo, perciò Draco poteva anche non preoccuparsi di venir colto in fragrante tra una boccata e l’altra.
La ragazza che sua madre le aveva scelto per farlo da accompagnatrice,  l’aveva lasciata a ballare in compagnia delle sue amiche francesi chissà dove, dileguandosi con una pessima scusa che tanto era sicuro la ragazza non avesse capito perché il suo francese era pessimo e l’inglese di lei ancora di più. Non gli dispiacque affatto, perché a differenza dei suoi compagni di dormitorio, soprattutto a differenza di Blaise, Draco non aveva intenzione di passare la sera a ballare e tentare invano di sedurre ragazze. La sigaretta era l’amante più soddisfacente che quella sera poteva soddisfarlo.
La sua verginità l’aveva persa in un modo squallido l’estate prima del suo quarto anno ad Hogwarts con una ragazzina sua coetanea, appartenente a una famiglia purosangue che a pensarci non ricordava neanche più il nome. Era venuta a far visita ai Malfoy dall’America, durante una delle ennesime feste tra famiglie Purosangue organizzate nelle ville più buie e oscure d’Inghilterra. Quell’anno era toccato alla Malfoy Manor. 
Non sapeva cosa fare la maggior parte del tempo, forse perché la serra era effettivamente un luogo un po’ scomodo per i dilettanti, quindi si era semplicemente limitato a baciare senza trasporto, a toccare con poca convinzione (non avrebbe mai ammesso si trattava di timore), a muoversi meccanico e impacciato, con nessun senso del ritmo e con nessuna vera consapevolezza della presenza dell’altra persona, che comunque era esperta la metà di lui, e per questo infine non fu un granché per nessuno dei due. Si congedarono alla fine dell’estate con un fulmineo bacio sulla guancia e un segno di assenso, segretamente trionfanti nel loro imbarazzante saluto, e soddisfatti di aver fatto un’esperienza in più rispetto a molti altri loro coetanei. Si sarebbero vantati in sere qualunque nei dormitori, arricchendo la storia di particolari sconci palesemente inventati per celare l’inesperienza.
Con Pansy Parkinson aveva avuto il modo di migliorare, a detta di lui. La piccola Serpeverde non gli parlò mai della sua prima volta, ma quando la conobbe carnalmente sembrava già abbastanza navigata. Dall’inizio del quarto anno Draco aveva imparato più cose sul piacere femminile di quante ne sapeva solo due mesi prima. Se c’era una cosa che aveva capito di Pansy era che conosceva bene sé stessa e sapeva quel che voleva. Il che gli semplificò molte cose. 
 
 
Ripensando meglio alla sua prima volta, Draco constatò che nemmeno in quel caso aveva tradito la fiducia di suo padre e l’immagine che Lucius aveva disegnato per lui: era andato con una purosangue, e per giunta membro di una famiglia vicina alla propria, un inizio perfetto per qualsiasi matrimonio tra maghi puri. 
Rabbrividì al solo pensiero, e poi rise di sé stesso, immaginandosi come quelle donne del Settecento costrette a sposarsi per volere di un padre padrone oppure chiuse in un convento. Avrebbe di gran lunga scelto un convento, disse tra sé e sé, ma poi osservando la Granger schizzare fuori dal portone principale singhiozzando, pensò che forse il convento non era proprio posto per lui.
In un momento di lucidità si chiese come mai la vista della Granger avesse indotto quel simile pensiero: da qualche tempo a quella parte, le domande che avevano la Granger come incognita non lo stupivano più, né lo facevano adirare poi così tanto con sé stesso. Questo accadeva già da un po’, fin da quando dal quarto anno cominciò ad osservarla più attentamente, mentre incedeva con passo fiero per i corridoi della scuola insieme a quei due mastini sbavanti.  
Per molto tempo questo pensiero lo fece vergognare di sé stesso, incoraggiato com'era all’odio più puro e incondizionato, ma era arrivato a un punto in cui non poteva più fermarsi, e pensare a lei era fin troppo facile.
Era come soffermarsi a immaginare qualsiasi altra studentessa e inventare chissà quali scenari indecenti. Figurarsi se una ragazza di origine babbana e tutte le proibizioni del caso non erano un presupposto magnifico per le sue fantasie erotiche impossibili. E poi non poteva negare che la Granger fosse bella, insopportabile come le maledizioni senza perdono, certo, ma comunque bella. 
Le lezioni di Difesa contro le Arti Oscure erano diventate le sue preferite, perché il suo banco era proprio davanti a quello di Draco. Granger portava i capelli sempre sciolti il giovedì, e quei ricci indomabili finivano anche sul suo banco, la piuma d’oca vi si imbatteva di tanto in tanto nel prendere appunti e l'inchiostro finiva per sporcarle qualche ciuffo. E così, a circa metà lezione sprofondava sempre nello stesso sogno, immaginando come sarebbe stato sfiorarla, farle sollevare il collo quel tanto che bastasse per esporlo alla sua bocca, e con questa tracciare il contorno delle spalle. 
«Che ci fai tu qui?» 
«Cacchio Granger, non sai che è pericolosissimo sbucare all’improvviso vicino a una persona assorta nei suoi pensieri?» Draco sobbalzò un pochino e lasciò cadere a terra la sigaretta ormai arrivata al filtro. 
Incredibile come persino quando aveva i suoi problemi, il fiuto della ragazza nello scovare oggetti maledetti e persone colpevoli era infallibile. Doveva averlo intravisto la sua ombra appena uscita, ed essendo un’inguaribile ficca naso doveva aver seguito l’origine del fumo. 
La Grifondoro sorrise impercettibilmente per la reazione di Malfoy, una reazione che risultò strana a entrambi. Doveva aver preso un gran palo, si convinse il ragazzo, per avere avuto quella reazione così spontanea davanti a lui ed essersi dimenticata di sfoderare la solita maschera di gelo e indifferenza abitualmente riservatagli.
«Scusami, la prossima volta mi farò annunciare con le trombe» gli rispose vagamente divertita. La Granger che faceva una battuta e per giunta rivolta a lui! Forse aveva bevuto troppo. 
Più la osservava, più lo divertiva pensare che la Granger stesse concentrando tutti i suoi anni migliori dietro ai libri per sperare di eguagliare e superare quelli nati da famiglie di maghi, quelli come lui. Lo trovava divertente, si, ma anche tenero. No, non tenero, buffo! Lei era una ragazza buffa, e quel suo disperato tentativo di piacere, di sentirsi accettata in un mondo in cui non era nata lo faceva sentire speciale, uno di quelli da invidiare, di nuovo al centro di quei riflettori che non aveva mai desiderato. Nonostante la sua millantata bravura, Granger non era riuscita a nascondere la sua crepa più profonda a lui, che per arrivarci aveva solo dovuto osservarla parecchio, ai limiti dell’ossessione durante le ore perse in biblioteca nel corso degli anni. Alla fine però c'era arrivato e lei era diventata il suo puzzle preferito. 
Quello che comprese dopo attente e scrupolose osservazioni, era che  Granger non aveva molta autostima, al contrario, era una grande attrice, perché riusciva a darla da bere a tutti con quella sua finta aria da snob e da sottuttoio
«Noi maghi non diamo mai troppa importanza a babbanologia» finì poi per concludere.
«Scusa, come?» Hermione lo guardò visibilmente confusa.
«Niente, ragionavo ad alta voce»
«Quindi te ne stavi qui fuori a fumare e a pensare al mondo dei babbani?»
In un certo senso era la verità, ma si limitò a scrollare le spalle e ad accendersi un’altra sigaretta. Non le avrebbe dato la soddisfazione di aver centrato il punto ancora una volta. 
«Ne vuoi una?» 
La ragazza lo osservò accendersi la sigaretta con dei gesti che ormai gli venivano automatici. Quell’intrusa, calda e seducente se ne stava appollaiata in un angolo della sua bocca carnosa a farle gola.
Due eterni nemici in una sera in cui si respirava tregua.
Hermione pensò a lungo al modo accattivante in cui Malfoy compì quei gesti a lui così naturali, e rispose solo dopo che il Serpeverde fece due intense boccate. Si guardò intorno per assicurarsi non ci fosse nessuno, si sedette nello spazio di due colonne e infine assentì. 
Draco le offrì la sua sigaretta arrivata già a metà e poi ci fu silenzio, frammenti di tempo in cui nessuno disse nulla. Draco temeva le sue reazioni, in quel momento più incontrollate che mai a quanto pareva, e non voleva fare scenate. Perciò mise da parte le provocazioni, anche perché la ragazza gli sembrava già abbastanza messa male senza che lui ficcasse il naso nei suoi affari. Lo avrebbe volentieri messo nell’incavo del suo seno, straordinariamente visibile e stretto in quel vestito color indaco. Draco pensò alla parola straordinario perché effettivamente tutto di lei in quel momento, persino la loro conversazione, non aveva nulla delle ordinarie sembianze che avevano di solito. Scosse la testa a quel pensiero, sforzandosi di conservare quelle fantasie da adolescente infiammato a quando sarebbe stato nuovamente solo. Granger interpretò quel gesto come impazienza perciò nonostante fosse leggermente contrariata di dover condividere quella sigaretta mezza usata, la prese e se la portò alle labbra. Draco se ne riaccese un’altra in pochi secondi, ed entrambi rimasero assorti nei loro pensieri per qualche minuto. 
«Quindi me lo dici perché sei qui?» Hermione lo pressò di nuovo, e se Draco non avesse subito capito che lo aveva fatto soltanto per parlare e seppellire quel silenzio imbarazzante, probabilmente l’avrebbe spedita in infermeria con una fattura. Odiava essere incalzato, non sopportava doversi adeguare ai tempi degli altri.
«La festa è noiosa e dentro non si può fumare».
«Sei stato...scaricato?»
«No Granger, volevo solo fumare, e tu?» si pentì subito dopo aver pronunciato quelle parole. Evidentemente però il modo cauto in cui le aveva posto la domanda non la agitò come succedeva quando si scambiavano qualsiasi parola o sguardo truce. Quindi, dopo un colpo di tosse dovuto a quella che Draco aveva intuito fosse la prima volta in cui fumava (il pensiero lo fece inspiegabilmente sorridere), l’orgogliosa Grifondoro, dimentica del suo orgoglio, si decise a parlare. 
«Ho litigato con Ron e Krum preferisce bere e divertirsi con i suoi vecchi amici piuttosto che con me» 
Krum era un completo idiota; non solo era riuscito ad invitare Hermione Granger al Ballo del Ceppo, ma ci era riuscito per la seconda volta! E nonostante questo, preferiva divertirsi con i Serpeverde, come aveva lui stesso sperimentato una delle scorse sere in cui il bulgaro aveva fatto irruzione nel loro dormitorio e creato scompiglio tutta la notte.
Ciò nonostante non credeva che una come Hermione Granger sentisse il bisogno di bere e divertirsti come ogni essere umano. Quelle erano due attività che fino a quel momento Draco non avrebbe di certo messo insieme ad Hermione Granger nella stessa frase.
Lo sguardo della Grifondoro lo incitava a dirle qualcosa perciò non divagò ulteriormente su quelle considerazioni e cercò di mettere in fila parole di senso compiuto. Non era bravo a sollevare il morale delle persone, primo perché non gliene era mai importato un fico secco e secondo perché era sicuro che se ci avesse provato avrebbe fallito miseramente. Non era bravo con le parole, era bravo solo a fare pozioni e a prendere boccini d’oro in assenza dello Sfregiato, che quando c’era si fregava tutta la gloria con quella sua fortuna innata del sopravvissuto.
«Chi ha detto che non puoi divertirti da sola? Cioè, non che devi farlo per forza da sola ma a volte è necessario sai quando non hai qualcuno per...cioè voglio dire...»
Ecco perché non era l’erede di Serpeverde.
«Ho capito Malfoy, grazie…credo». Gli rispose a bassa voce, spegnendo la sigaretta con il tacco della scarpa. Draco imitò quel gesto e poi si mise le mani in tasca, cercando di riacquistare quel briciolo di dignità che si era fumato insieme alla sigaretta. 
«Beh, per fortuna ho preso questa mentre uscivo, ma sembra che non debba scolarmela tutta da sola». 
Alla vista della bottiglia di Gin fino ad ora nascosta dietro il corpo della Grifondoro, Draco realizzò che c’erano ancora molte cose che delle ragazze gli rimanevano oscure. O meglio, c’erano ancora cose della Granger, a rimanergli oscure. 
La bottiglia di Gin era ancora piena, e Granger la stringeva nelle mani come se stesse proteggendo un tesoro, o forse quella sua apprensione era più dovuta al fatto che fosse consapevole di star trasgredendo tantissime regole. 
«Se mi stai offrendo un goccio lo bevo volentieri» a lui delle regole della scuola non era mai importato molto.
«Come mai non sei andata al ballo con il tuo…con Weasley?» ponendole quella domanda scomoda, Draco si accomodò per terra, nascondendosi così dietro il muretto su cui lei rimase seduta ancora pochi secondi prima di fare lo stesso. La sicurezza era la prima cosa, non avrebbe di certo rischiato di farsi beccare l’unica volta in cui prendeva decisioni senza usare la testa. 

A quanto ne sapeva, tramite voci di corridoio, Granger e Weasley si erano finalmente dichiarati amore reciproco all’inizio di quell’anno, dopo una vita passata ad offendersi l’un l’altro. Draco ancora non riusciva a capire come potesse nascere qualsiasi sentimento che si avvicinasse all'amore partendo da umiliazioni e fraintendimenti. Un ragazzino che fin dagli undici anni scherniva una ragazzina perché le piaceva parlare forse un po’ troppo, lo faceva perché in realtà l'amava? Non aveva il minimo senso.
I sentimenti di Draco verso di lei avevano sempre avuto una sola interpretazione. Perché di offese si che ce n’erano state, pugni in faccia anche, ma il loro significato non era mai stato travisato o abbellito di contorni fantasiosi. Così Malfoy e Granger passarono quei sei anni a dovuta distanza, tollerandosi a malapena, fino ad arrivare quasi a rispettarsi, da nobili nemici. 
Fu dopo la battaglia di Hogwarts, che il Serpeverde raggiunse questa consapevolezza. Per questo aveva iniziato una seconda, silenziosa e lenta battaglia contro sé stesso e contro ciò in cui la sua famiglia credeva. Da qui il suo desiderio di essere uno qualunque, che per i corridoi e le classi di Hogwarts si traduceva in un comportamento più civile nei confronti delle altre case (cosa che insospettì ancora di più il prescelto). Divenne sempre più silenzioso ma stavolta non per cercare di reggere un peso più grande di lui, non per delle schiaccianti, terribili responsabilità. Parlava poco perché aveva scoperto che gli piaceva osservare, meditare, persino studiare. E poi rideva di più, si ubriacava con i suoi amici, era felice, per quanto un mangiamorte riuscisse ad esserlo.
Non sapeva spiegarsi come, ma questo cambiamento fece un certo effetto sulle ragazze. Quella sua nuova, inspiegabile andatura sicura gli portava grandi soddisfazioni anche a letto. Tuttavia, ciò non gli montò del tutto la testa; da ragazzo ancora un po’ impacciato con le ragazze qual era, si dileguava dalle loro camere e non si faceva vedere fino a quando il messaggio non arrivava forte e chiaro anche alle orecchie della più ostinata. A sua difesa poteva testimoniare mettendo la mano sul fuoco che prima di fare qualunque cosa con loro specificava il più chiaramente possibile che non intendeva fare coppia fissa.
«Avevamo litigato e credevo che portando Krum al ballo si sarebbe ingelosito»
A quella risposta un po' mesta, Draco pensò subito che la Grifondoro avrebbe potuto sicuramente fare di meglio, di certo non riesumando il passato e spiattellarlo in faccia al suo ragazzo. Tuttavia, Malfoy in fatto di relazioni aveva meno esperienza di un criceto in gabbia con un altro criceto, sapeva solo che a furia di stare insieme si sarebbero divorati l’un l’altro. Ecco, in fatto di amore era l’ultimo a poter parlare, perciò nonostante avesse comunque delle opinioni sulla situazione scomoda della ragazza, non le disse nulla. Si limitò a rispondere un secco “capisco” e fece comparire due bicchierini di vetro davanti a loro così che la bottiglia cominciasse a versarvi il contenuto infuocato. Non capiva perché dopo una litigata uno avesse il bisogno di far ingelosire l’altro e quindi di provocare altre liti, ma non erano affari suoi. E d’altronde, l’insicurezza della Grifondoro gli era ormai nota, così come i suoi vani e ingenui tentativi per dissimularla. Se solo Weasley non avesse avuto gli occhi e le orecchie ricoperte da quei capelli rossi così folti avrebbe visto, avrebbe capito. Ma non intendeva svelare l’arcano al suo posto, si sarebbe goduto ancora un po’ la vista di quei due annegare nel loro stesso brodo. 
Cambiato si, ma restava pur sempre un Serpeverde.
«Questa situazione mi sa tanto di déjà-vu» sospirò lui, tentando invano di nascondere un sorriso sghembo che però la Granger colse immediatamente. Draco buttò giù il primo shot di Gin e diede un colpo di bacchetta ordinando alla bottiglia di versarne ancora. Poi guardò il bicchierino della Granger e fece capire alla ragazza che doveva mantenere il suo passo altrimenti l’unico ad ubriacarsi sarebbe stato lui e dopodiché chissà di che pessime figure la Grifondoro sarebbe stata spettatrice.
D'altrocanto, lei era così stanca e triste da non riuscire a ribattere piccata come avrebbe fatto in un’altra situazione, le sembrava che quello in cui si trovavano fosse uno spazio fuori dalle solite cornici che si erano creati fino ad allora, sembrava un posto in cui potevano per un momento abbandonare quell’insensata, antica ostilità da bambini. 
«E tu come fai a saperlo?»  gli domandò curiosa lei, poi imitò il suo gesto di poco prima e ingoiò il gin a fatica.  
Draco la osservò curioso ancora più di lei, se questo potesse mai essere possibile; la goffaggine di quella ragazza non aveva proprio limiti. Riusciva a sembrare una gazzella elegantissima sfoggiando autorità e mistero per i corridoi, ma era un vero e proprio casino nelle situazioni più comuni. 
La domanda della Granger lo riportò a qualche anno prima, quando durante il loro primo Ballo del Ceppo lei e Weasley litigarono così platealmente che pur non volendo lo notò. Ricordò di come la osservò alquanto disinteressato piangere sulle scale che portavano alle sale comuni, di come passò accanto a lei tenendo per mano l’ennesima ragazza di Beauxbatons con cui rimase sveglio tutta la notte ad esplorarsi nei vicoli cieci della scuola. Una cosa però la ricordava bene, ed era la sua schiena nuda e il ricciolo di capelli che ben curato gliela sfiorava, assecondando i suoi movimenti. 
Il ragazzo cercò di non far trapelare quel ricordo nella sua voce, perciò se la schiarì e buttò giù il secondo bicchiere.
«Beh, diciamo che non avete proprio discusso a bassa voce, hai pianto seduta sulle scale e il giorno dopo sei entrata in Sala Grande con delle occhiaie enormi».
Draco parlò con un tono il più piatto possibile, senza nessuna vena derisoria, senza nessuna intenzione di ferirla. Semplicemente stava riportando i fatti così come li ricordava, così come erano accaduti. Hermione rimase colpita da quanto lo ricordasse bene, e in ogni caso, aveva ragione quando diceva che lei e Ron litigassero troppo ad alta voce. 
«Non ti sfugge niente eh» gli rispose sarcasticamente, buttando giù il secondo bicchiere e versando il terzo a entrambi. Draco sorrise, cercando di frenare tutto sé stesso e non risponderle come avrebbe tanto voluto. 
Si osservavo molto, come faccio adesso, come faccio con te dal quarto anno e la guancia mi brucia ancora dal giorno del tuo schiaffo.
Sarebbe stata un’uscita da maniaco, o peggio, lei magari gli avrebbe fatto altre domande poco innocenti chiedendogli dei momenti in cui l’aveva osservata e da lì non ne sarebbero più usciti.
«No» si morse il labbro inferiore. Prese un’altra sigaretta, stavolta le porse direttamente il pacchetto e lasciò che lei ne sfilasse una. Se l’accese con la sua bacchetta e poi, in un gesto del tutto straordinario per la Granger, lo invitò ad accendere la sua sporgendo la bacchetta illuminata nella sua direzione. Draco per un millesimo di secondo ne rimase sorpreso, e poi si inclinò verso di lei per raggiungere la bacchetta tesa. Per un momento la guardò tra la cenere e il fumo, dando un tiro alla sigaretta per accenderla. La Granger sostenne il suo sguardo e non lo mollò per un attimo, finché Draco non fece un sorriso lascivo e non espirò il primo fumo inondandole il viso. Hermione lo fece dileguare con la mano e sorrise lievemente.
«Hey!» 
Draco non rispose, ritornò al suo posto e fece un’intensa boccata. Ci fu silenzio per qualche minuto, la Granger si asciugò definitamente il viso e si grattò gli occhi, ricordandosi solo dopo di essere ancora truccata. 
«Oh no!»  esclamò lei.
Draco allora si voltò verso di lei dapprima preoccupato che qualcuno li avesse scoperti a bere alcolici di nascosto, ma poi la guardò meglio e sogghignò.
«Così lo farai scappare definitivamente» scherzò, ridacchiando ancora. 
La Granger fece eco alla sua risata sommessa e poi tossì per via di tutto quel fuoco che stavano ingerendo. Sentiva le guance più rosse, simili a quelle del suo improbabile compagno di bevute. Draco la guardava con gli occhi lucidi, sembrava stessero per sciogliersi. 
«Sono un disastro» ammise poi alla fine, scuotendo la testa come per allontanare quel sorriso che non si decideva ad andarsene e bevendo il quarto, forse il quinto bicchiere. Il Serpeverde la imitò stavolta mandando giù un gin doppio, e finì per tossire anche lui per l’eccessiva irruenza con cui alzò il bicchiere.
«Evidentemente lo sono anche io» e continuò a ridere di sé stesso perché non la finiva di tossire. Allora si accasciò facendo finta di star morendo per soffocamento e la Granger fece per seguirlo ma la testa le girava vorticosamente e temette sul serio di rigettare tutto quanto davanti a lui, se avesse anche solo provato a starsene sdraiata. Allora si accasciò con la schiena al muretto, allungò le gambe dopo essersi tolta i tacchi.
Draco era sdraiato con le gambe verso il muretto, che giacevano a peso morto accanto a lei. Mise le braccia sotto la testa e maledisse il soffitto che copriva la vista del cielo.
Quel dettaglio, insieme alle voci indistinte che udì in lontananza, lo fecero sollevare di scatto, la Granger nel frattempo stava cercando di ricordare quale incantesimo facesse ritornare la bottiglia piena ma non appena avvertì il movimento di Malfoy, distolse lo sguardo dal gin.
«Ti va di andartene da qui?»

Era come se fossero tornati bambini, come quando da piccoli si invita a giocare qualcuno per la prima volta e poi si diventa inseparabili. La sua compagna di giochi non ci pensò un secondo, annuì velocemente e fece per alzarsi. Arrancarono entrambi mentre cercavano di rimettersi in piedi, non facevano che ridere della goffaggine che stavolta avevano in comune; una volta stabilita una parvenza di equilibrio, si allontanarono da lì.
La Granger continuava a tenere la bottiglia in mano ma dimenticò le scarpe. Ci pensò Draco, che mossosi dopo di lei, si accorse di quella dimenticanza e le prese, convinto che prima o poi la Grifondoro le avrebbe ritenute indispensabili. Era accaldato, la giacca ormai era di intralcio, perciò mentre percorrevano il ponte, la lanciò via, suscitando le risate scomposte di Hermione. Lui mimò un ciao con la mano rivolto alla giacca che lentamente spariva nella nebbia. 
Draco le fece eco e bisbigliò qualcosa su quanto avesse caldo e la Granger non poté che dargli ragione, lei che dopotutto non aveva nemmeno le scarpe ai piedi o uno scialle. Solo allora il Serpeverde fece caso a cosa indossava.
La ragazza continuava a camminare davanti a lui, o meglio, cercava di camminare, più che altro faceva piccoli saltelli a destra e sinistra, seguendo un ritmo di una canzone che canticchiava fra sé e sé e che Draco in quel momento stentava a riconoscere. Il vestito che indossava terminava alle ginocchia, e svolazzava leggero seguendo le pieghe del vento. I capelli che fino a poco tempo fa erano raccolti in una coda leggera si erano completamente sciolti perciò nascondevano la schiena nuda, mentre lo spacco sulla gamba destra si fermava proprio sulla parte alta della coscia. Le braccia erano libere da qualsiasi vincolo, le maniche corte in seta leggera si muovevano sinuose assecondando i movimenti della padrona, che seppur ubriaca a Draco le sembrò la ragazza più elegante e per niente goffa che avesse mai visto. Doveva essere ubriaco forte.
Solo allora si rese conto che avevano dimenticato i bicchieri.
Superato il ponte Draco la raggiunse velocemente e le prese la bottiglia dalle mani.
«Non vorrai lasciarmi a secco» la provocò. 
Stava forse flirtando? Con la Granger? Anni orsono avrebbe pensato di aver toccato il fondo, invece, stranamente, Draco sapeva di trovarsi esattamente dove doveva essere, e più che in basso si sentiva librare nell’aria.
«Le mie scarpe!» esclamò Hermione con il tono di chi non aveva mai visto un paio di scarpe.
«Le mie scarpe!» la imitò ridacchiando, e si portò le scarpe dietro la schiena. Ormai non c’era proprio più con la testa, quindi perché non divertirsi un po’? D’altronde aveva sempre amato provocarla e scatenare in lei una qualsiasi reazione. Si sarebbe ripreso un pugno in faccia se avesse significato ristabilire un minimo di sobrietà in quella conversazione. 
La Grifondoro però era forse più andata di lui, tanto che stette al gioco e lo seguì cercando di recuperare quelle amatissime scarpe di cui si era totalmente dimenticata fino a qualche momento prima. Draco camminava all’indietro con poco equilibrio, con una mano nascondendo le scarpe, con l’altra alzando la bottiglia di gin dove Hermione non avrebbe potuto raggiungerla. 
In lontananza una coppia del terzo anno li guardava divertiti, senza però riuscire a intravedere a chi corrispondessero le voci. I due del settimo anno fecero subito terra bruciata intorno, come due uragani che avevano disturbato tanti posticini romantici in cui le coppie erano andate rifugiandosi per sfuggire ai professori. 
C’erano solo loro. 
Il ragazzo avrebbe volentieri fumato una sigaretta ma per come stava messo non riusciva a prenderla e non l’avrebbe mai data vinta alla Granger, che intanto gli si stava avvicinando con finto fare di sfida. Era poco credibile, visto il modo in cui barcollava. Si sbilanciò infatti verso di lui, cercando di raggiungere prima la bottiglia di gin appendendosi alla sua camicia, poi si ricordò delle scarpe, perciò avvolse entrambe le braccia intorno alla sua vita dandogli poche possibilità di aggiudicarsi la vittoria. 
Draco non si scompose nemmeno per un secondo, vedere il suo seno appoggiato totalmente sul petto avrebbe potuto ubriacarlo ancora di più di qualche bicchiere di gin liscio. Era più bassa di quello che ricordava, di certo più bassa di quello che aveva immaginato tante volte distraendosi dalla lezione di Difesa Contro Le Arti Oscure. 
«Facciamo un patto» propose. La Granger non ribatté, sorrise flebilmente restando in attesa che lui continuasse a parlare, osservandolo dal basso verso l'alto, pericolosamente vicina. 
«Tu mi accendi una sigaretta e io ti rido le scarpe»
«E il gin»
«Quello lo dividiamo»
«Andata»
La ragazza iniziò a tastare le gambe del Serpeverde con totale innocenza alla ricerca delle sigarette e Draco buttò la testa indietro ridendo, perché per poco non impazziva.
«Sono in quella posteriore, a destra»
«E perché non lo hai detto subito?» rispose lei piccata, ma con un velo di malizia. 
Draco le sorrise di sbieco e finse di gemere mormorando un «oh, si!« divertito nel momento in cui Hermione mise la mano nella tasca giusta per estrarre il pacchetto.
«Scemo» commentò lei abbassando il tono della voce, visibilmente imbarazzata. Scosse la testa e si staccò dal suo corpo per aprire il pacchetto. Sembrava una battaglia impossibile, quasi ci vedeva doppio. 

Uscita vittoriosa dalla terribile impresa, la Granger ne estrasse una e la prese con due dita, se la mise alla bocca e l’accese.
«Hey!» esclamò Draco divertito. Non smetteva di essere divertito più o meno da mezz’ora. Dopo il primo tiro, che Hermione gustò a fondo solo per farlo indispettire, la ragazza prese nuovamente la sigaretta con due dita e le avvicinò alla bocca di lui, che vi lasciò sopra un breve bacio come per ringraziarla, seguitando un occhiolino e un sorriso sornione.
Le consegnò le scarpe simulando un mezzo inchino con ancora la sigaretta in bocca e il gin nella mano destra. Hermione le prese e le buttò per terra, riuscendo velocemente a sottrargli il gin dalle mani, dopodiché ricambiò l’inchino e rise.
Le sue dita scottavano ancora per quel tocco a sorpresa; senza nemmeno accorgersene, Hermione le distese e contrasse un paio di volte come per appurare che fosse realmente successo, imprimendo quel tocco nella sua memoria muscolare. Draco invece, appariva del tutto rilassato; dopo una finta smorfia di sorpresa nel constatare quanto lestamente la Granger gli aveva sottratto il gin, si era messo a sedere perché la testa girava troppo. Aspirava quella sigaretta in modo così sensuale, che Hermione si sentì quasi di troppo. Le maniche della camicia erano sollevate su entrambi gli avanbracci, lasciando così scoperto il marchio nero, il cui inchiostro sembrava ancora fresco.
«Allora…» riprese poco dopo lui, lasciando andare in avanti le gambe e appoggiando i gomiti a terra così da rimanere un po’ sollevato ed evitare di vomitare l’anima davanti a lei.
«Non è che il tuo ragazzo si è messo a cercarti?» 
«Ne dubito» Hermione si mise a sedere alla sua destra nell’erba fresca, sostenendosi con il braccio sinistro e piegando le gambe una sopra all’altra, lasciando esposto lo spacco vertiginoso senza nemmeno farlo apposta.
In ogni caso, Draco aveva intenzione di godersela tutta, quella vista, non fece nemmeno finta di far cadere l’occhio per sbaglio. 
Il loro rapporto era sempre stato cristallino.
«Come vuoi, ma ti avverto, ci tengo al mio naso, non voglio altri pugni in faccia dai Grifondoro» prese la bottiglia dalle mani della ragazza colta alla sprovvista, e diede un sorso. 
Hermione lo osservò inclinare leggermente il collo verso l’alto, nell’accogliere quel liquido trasparente, e sorrise lievemente nel notare come una goccia gli scivolò dalla bocca, ritornando però più seria quando la stessa goccia seguì il contorno del pomo d’Adamo. Il Serpeverde raggiunse la scia infuocata sul collo e la pulì con il dorso della mano, con fare distratto. 
«Scusami per quella volta»  Hermione riprese la bottiglia in mano e continuò a bere. 
«Ah, figurati, è il passato, come lo sono molte cose» e mentre parlò, Draco sfiorò innocentemente la cicatrice sul suo braccio. La Grifondoro rabbrividì per un momento, seguendo il movimento ipnotico del Serpeverde.
Forse quello era il suo modo per scusarsi. Hermione sapeva che Malfoy era un tipo di poche parole, nonostante quello strano exploit che stavano vivendo grazie all’alcool, pertanto accettò le sue scuse altrettanto silenziosamente.

La Grifondoro ricordò poi l’incantesimo che prima aveva sulla punta della lingua e riempì la bottiglia con del nuovo gin.
«Sembri diverso» Hermione ruppe nuovamente il silenzio. 
«Spero in senso cattivo» le rispose malizioso lui. La mano nel frattempo era tornata al suo posto a torturare qualche ciuffo d’erba. La Granger non rispose, scosse lievemente la testa e sorrise, poi spostò lo sguardo sul ciuffo d’erba venire torturato.
«Forse hai bevuto un po’ troppo e ti sembro un’altra persona, ti prego non scambiarmi per Weasley però» la punzecchiò.
«Sarebbe così male?» rispose allora lei con un tono che Draco non riuscì a decifrare. La Granger lo guardava dritto negli occhi, e lui non voleva sostenerla perciò vagò prima dalle sue mani alla coscia esposta, soffermandocisi forse più del dovuto, poi spostò lo sguardo sui suoi capelli e per finire sul suo viso. Non capiva proprio il perché di quella domanda e se non fosse stata la Granger avrebbe giurato ci stesse provando con lui. Ma era la Granger, appunto, perciò continuava a non capire.
«Si, lo sarebbe» concluse lui con una serietà che la fece desistere dal chiedergli altro. Hermione interpretò la sua risposta come se non volesse in alcun modo essere paragonato ad un Weasley, il che coincideva con la l’eterna antipatia dell’uno verso l’altro. Eppure, non poté fare a meno di pensare che la sua risposta riguardasse anche lei, in qualche modo. 
Draco prese di nuovo la bottiglia, questa volta toccandole la mano. La presa di Hermione si allentò subito, spostò la mano casualmente dalla bottiglia ai suoi capelli, mettendoseli di lato e lasciando che l’aria fresca le refrigerasse il collo accaldato.
«Sa essere davvero seccante a volte», riprese lei, iniziando a raccontargli quanto accaduto tra loro senza che Draco glielo chiedesse.
Il Serpeverde le offrì un'altra sigaretta, risparmiandola dall’incombenza di accenderla. Hermione lo ringraziò sorridendo con gli occhi, per poi prendere la sigaretta con l’indice e il pollice e portarsela alla bocca. Draco registrava quei suoi piccoli movimenti attentamente, soffocando i galoppi agitati del suo cuore con delle grandi inalazioni e delle altrettanto lunghe esalazioni di fumo. 
«Dovevamo andare al ballo insieme, finalmente come una coppia, non che il Ballo avrebbe reso la cosa ufficiale, persino i muri della nostra relazione, solo che quando gli ho fatto vedere il vestito in anteprima qualche giorno fa, sperando sortisse altri effetti..»
«Ti prego, risparmiami almeno questi particolari, Granger» la interruppe lui buttando il collo indietro in modo plateale soffocando il suo nervosismo in una grossa risata. Sarebbe morto prima della fine della serata, ormai se lo sentiva.
«Si, certo, scusami!» La Granger soffocò una risata e poi continuò: «Insomma, indosso questo vestito e l’unica cosa che riesce a dirmi è – iniziò ad imitare la voce di Weasley- “ma cosa ti sei messa addosso? Non pensi sia un po’ troppo per te?»
Draco si stizzì improvvisamente, il gin gli andò di traverso e dovette sollevare il busto per tossire e riprendersi. 
«Troppo per te in che senso?» le chiese poi, aspettando la sua risposta prima di saltare a conclusioni affrettate, come sicuramente avrebbe fatto in un altro momento, in un altro tempo.
«Gli ho fatto la stessa domanda e mi ha risposto che secondo lui questo vestito tradiva un po’ la mia essenza, che non mi rispecchiava ecco, che lasciava poco all’immaginazione. Poi ha continuato dicendo che mi conosceva in un modo diverso, che in questo vestito non sembravo io. E lo so che ha detto queste cose perché lui è un tipo timido e cercava di farmi capire che anche solo l’idea che qualcun altro mi vedesse con questo vestito lo avrebbe fatto morire di gelosia, ma il fatto è che lui, come Harry, hanno questa idea di me come di una ragazza perfetta, brillante, certo, ma che proprio per questo è completamente immune agli sbagli e anche incapace di osare, di provocare un po’, di avere diritto di badare anche a qualche “sciocchezza”, (così la chiamano) come farsi bella ogni tanto. Sono dei ragazzini e alla fine il vestito l’ho messo lo stesso e al ballo sono venuta con qualcun altro»
«E hai avuto anche il coraggio di chiedermi se sarebbe così male scambiarmi per Weasley?» Draco tracannò altro gin ed Hermione rise di gusto, con qualche lacrima che, incontrollata, fece capolino agli angoli degli occhi. La questione con Ron l'aveva ferita più di quanto avesse creduto. 
«Scusami»
«Smettila di scusarti, Hermione» Draco si attaccò alla bottiglia, sperando con tutto sé stesso che lei non avesse notato quel piccolo particolare scomodo che era stato il chiamarla per nome. Speranza inutile, perché Hermione lo aveva notato eccome e poteva leggerglielo chiaramente su quelle guance arrossate, certo che non solo il gin fosse il responsabile. 
La ragazza però non accennò minimamente al fatto, anzi lo lasciò cadere.
«Adesso dacci un taglio però» lo intimò bonariamente, cercando di sottrargli la bottiglia dalle mani. Draco glielo acconsentì senza fare resistenza, e continuò a fissare l’erba in mezzo ai suoi pantaloni. Hermione mandò giù qualche sorso.
«A volte vorrei poter fare le mie scelte senza che nessuno rimanga sorpreso, senza che dicano “oh, Hermione, da te non me lo aspettavo”, a volte si comportano più da genitori che da amici, persino a letto non mi spingo mai troppo in là per paura di venir giudicata male, o di essere giudicata e basta, di fare qualche passo falso. Ad Hermione Granger non è consentito vivere, a quanto pare»
Draco si portò la mano sul viso ed emise un “Dio mio” soffocato che Hermione parve non sentire. Non sapeva cosa le fosse preso, il perché parlasse liberamente di cose così intime con lui, con cui non aveva mai intrattenuto una conversazione così lunga in sette anni di conoscenza e di precaria tolleranza. 
«Okay, frena un secondo» Draco si voltò verso di lei con poca grazia, rischiando più volte di cadere di lato. Hermione rimase nella posizione di prima, stavolta guardandolo attentamente. Il ragazzo portò le mani congiunte sul petto, e riprese a parlare.
«Hai tutto il diritto di sbagliare, non sei perfetta nonostante ti piaccia fare un po’ la so tutto io e magari questo a Weasley piace, non lo so e non ci tengo a saperlo, però non puoi di certo soffocare i tuoi…istinti (provò ad immaginare gli istinti della Granger), per paura che questi vengano capiti male o peggio giudicati. Se stai insieme ad una persona si presuppone che tu possa essere te stessa senza briglie o vincoli di nessun genere. È chiaro che Weasel è ancora in fasce e si aspetta di trovare a letto sua madre»
Hermione sogghignò, pose a terra il gin, perché osservandolo parlare si era resa conto di quanto fossero entrambi ubriachi fradici, e che forse era meglio fermarsi. Draco a stento riusciva a guardarla negli occhi. «Detto questo, e credimi mi sto sforzando davvero tanto nel fare questo discorso -che stavo dicendo?- Ah, si, detto questo, non permettere a sfregiato e a lenticchia o a qualsiasi altra persona di decidere chi sei. Smettiamola di vivere per gli altri Granger, abbiamo diciassette anni, a quest’età si deve rischiare, farsi un’idea e poi cambiarla e ricambiarla di nuovo, si deve…»

La Granger lo stava baciando.
Gli si era letteralmente lanciata addosso, facendogli perdere rovinosamente l’equilibrio. Finì a terra ma nonostante il gemito di dolore causatogli da una pietra conficcatasi dietro alla schiena, non staccò nemmeno per un secondo le labbra da lei, che si rispalmò su di lui come aveva fatto durante i preliminari di quel gioco che solo in quel momento sembrava essere arrivato al culmine. 
Le labbra e la lingua della Granger sapevano di alcool e fumo, i suoi capelli erano morbidi come li aveva immaginati. Le gambe riposavano accanto ai suoi fianchi, Draco spostò una mano dalla sua schiena alla gamba scoperta, che strinse vigorosamente. Lo spacco si era ulteriormente allargato per via della posizione a cavallo del suo corpo. Le mani della Granger si alternavano toccando prima la camicia dopo averla sbottonata un po’, poi stringendo i capelli dorati e poi di nuovo la camicia, da dove si insinuarono per toccare il petto e sentirlo più vicino.
Draco era però arrivato al limite della sopportazione, perciò senza allontanare la ragazza si sollevò rimettendosi a sedere e ricominciò a respirare senza che quella pietra lo tenesse in ostaggio. Il Serpeverde sembrava non rispondere più di sé stesso, perché in un momento di mancata lucidità (e ce n’erano stati molti durante la serata), lasciò solo per un breve istante le labbra della ragazza per svicolare lungo il suo collo e arrivare a sfiorare con la lingua l’incavo del seno. La Granger rimase seduta su di lui, la gamba destra ormai totalmente nuda. I capelli selvaggi sulla schiena si intrecciavano intorno alle mani di lui, che presero a scendere fino a posarsi sui suoi glutei. Hermione colse quel gesto come un invito a muoversi e così cominciò ad ondeggiare su e giù sull’intimità di lui, che nonostante fosse inibita per via di tutto quell’alcool non ci mise molto a risvegliarsi dal dolce torpore. Sospirarono entrambi pesantemente avvertendo quel cambiamento repentino, ed Hermione iniziò ad avvertire un dolore piacevolissimo partire dal basso ventre ed echeggiare in ogni restante fibra del suo corpo. 
«No..ferma...Herm..»
La ragazza lo interruppe riprendendo a baciarlo con foga, la lingua trovò la sua e cominciò a danzare con lei come se non avessero mai fatto altro e non si stessero conoscendo lì, per la prima volta.
Solo dopo averlo nuovamente ammansito con quel bacio Hermione si spostò sul suo collo, cercando di aprire del tutto la camicia con le mani tremanti.
«Hermione» ripeté lui, stavolta più chiaramente con la bocca libera dal dolce assalto di poco prima. 
«Draco» sorrise lei, sussurrando il suo nome all’orecchio e ancorandosi ancora più saldamente alle sue spalle. Il Serpeverde dovette chiudere gli occhi e adoperare tutte le forze che possedeva per non cedere. Mancava davvero poco che soccombesse del tutto e non avrebbe più risposto di sé. Fermò quell’ondeggiare di fianchi bloccandole il movimento con forza, e il fastidio che lei sentì gli arrivò chiaro e tondo con un gemito soffocato nell’orecchio, dove le sue labbra si erano posate per succhiargli il lobo. Poi cambiarono di nuovo rotta e ritornarono sul collo dove cominciarono a lasciargli dei baci umidi. Draco la forzò a guardarlo inclinando il viso laddove sentiva le sue labbra, costringendola così a sollevare lo sguardo verso il suo. 
«Non puoi»
«Posso»
«Potremmo, ma te ne pentiresti» insistette, che comunque era in collera con sé stesso per essersi fermato per primo e sorpreso per quel suo scoperto comportamento da cavaliere da romanzo che pensava di non possedere. 

La verità era che non intendeva prendere e lasciarsi prendere da Hermione lì, al buio e al freddo, buttati nell’erba, ubriachi e con il continuo timore di essere scoperti. Non che non avesse mai fatto bravate di quel genere ma solitamente le ragazze in questione erano libere da qualsiasi rapporto o si trovavano in relazioni aperte in cui era facile e lecito mettersi in mezzo a scombinare un po’ le carte. Quella situazione invece era completamente diversa. Primo perché la Grifondoro era fidanzata, e di questa colpa Draco non poteva farsene un peso, le scelte della Granger appartenevano alla Granger. Secondo perché erano ubriachi, e probabilmente se lo sarebbero dimenticato o peggio, conoscendola lei lo avrebbe negato fino alla morte oppure se ne sarebbe pentita. Draco al contrario, aveva immaginato così tante volte quello e diversi altri scenari, che avere la Grifondoro spalmata sui suoi pantaloni in quel momento sembrava quasi un sogno. Di certo non se ne sarebbe pentito, ma non voleva rischiare di esporsi e vedere dispiegarsi davanti ai suoi occhi una delle reazioni che pensava sarebbero scaturite dalla Granger il giorno dopo.
Non intendeva vederla ignorarlo per i corridoi come sempre, non dopo essersi perso dentro di lei ed essere sopravvissuto per raccontarlo, o meglio, riviverlo. Perché raccontarlo no, quello non lo avrebbe fatto mai, e non perché avrebbe voluto rimanesse un segreto, ma perché in cuor suo sapeva che fare sesso con la Grifondoro non sarebbe stato uguale a tutte le altre volte. Si era abituato a questa differenza, l’aveva accolta ancora prima che l’evento si verificasse, fin da quando si convinse che non era un male pensare più del dovuto alla sua gonna e ai suoi capelli, alla faccia delle lezioni impartitagli sul Sanguepuro e a tutte quelle marinate di Babbanologia. Era così e basta.
«Te ne pentiresti» le ripeté questa volta più dolcemente. Si preoccupò di toglierle dei ciuffi ribelli dal viso e sistemarli dietro le orecchie. La mano indugiò sul viso, andando a ripulirle quei solchi neri che si era creata da sola strofinandosi gli occhi. Doveva essere passato molto più tempo, pensandoci, perché la musica che prima udiva distrattamente provenire dalla Sala Grande era scomparsa del tutto. 
Hermione gli prese la mano che se ne stava ancora sul suo viso e la allontanò lentamente. Non lo guardò negli occhi, ma si limitò a sorridere debolmente e a sollevarsi, allontanandosi dal suo corpo. 
«Hai ragione»
Forse non se ne sarebbe pentita, ma era vero che non riusciva a pensare lucidamente per capirlo. 
Draco si tirò più, dimentico della camicia sgualcita e sbottonata. Hermione cercava invano di coprire lo spacco sulla gamba, ma era diventato un vero e proprio squarcio per via dell’accaduto, perciò si diede per vinta quasi subito.
Scese un silenzio imbarazzante che nessuno dei due sapeva come colmare. Il ragazzo si accese una sigaretta e le offrì il pacchetto per incoraggiarla a prenderne un’altra. Era quasi finito. 
«No, ti ringrazio» Draco la osservò mordersi un labbro e a strofinarsi le braccia.
«Ti avrei offerto la mia giacca, ma…»
Entrambi risero al ricordo di quanto accaduto poco prima; forse quella giacca non l’avrebbe trovata più nessuno, sarebbe diventata uno dei tanti oggetti persi ad Hogwarts e mai ritrovati.
«È meglio rientrare, non credo ci sia più qualcuno in giro» Draco guardò in lontananza espellendo il fumo dalla bocca. Avevano il via libera per rientrare e non essere visti, il che gli avrebbe risparmiato tante domande inquisitorie e i gossip del giorno dopo a colazione.
«Si» La ragazza si era fatta di poche parole e Draco poteva immaginare il perché. Questo significava che lo voleva? Che non era stato un semplice errore dovuto al troppo alcool? Non glielo avrebbe chiesto, almeno non quella sera.
Camminavano l’una a fianco all’altro, Draco si era concesso di portarle le scarpe visto che la Granger se le stava quasi per dimenticare di nuovo, però aveva recuperato la bottiglia di Gin ormai vuota, così da sgomberare il prato da qualsiasi prova li avrebbe vincolati il giorno dopo.
Di tanto in tanto le braccia nude di lei sfioravano la camicia ancora male arrotolata di lui ma nessuno dei due sembrava volersi allontanare e interrompere quel contatto.
Arrivarono alla soglia del portone d’ingresso e in silenzio si mossero verso le scale che li avrebbero separati. 
«Ti accompagno, non sia mai le scale dovessero cambiare e ti perderesti per sempre visto quanto sei ubriaca»
Hermione rise sguaiatamente, per poi tapparsi la bocca in men che non si dica timorosa di venir scoperta. Annuì in risposta, effettivamente lui non aveva tutti i torti. 
Accompagnare le ragazze al dormitorio era un lusso che non concedeva mai a nessuna e che non concedeva nemmeno a sé stesso, specie perché le ragazze in questione si trovavano già nel loro dormitorio e questo gli dava un vantaggio non indifferente sulla fuga del giorno dopo, potendo alzarsi e dileguarsi come se nulla fosse successo senza aspettare che  si svegliassero e ragionassero sul da farsi con cui Draco non aveva la minima intenzione di avere a che fare. Quell’evento era come ciò che li aveva riguardati durante tutta la sera, totalmente fuori dall’ordinario.
Salirono le scale stando attenti ai loro cambiamenti repentini e facendo attenzione a non creare eccessivo disturbo ai personaggi dei quadri beatamente ronfanti. 
Come qualche ora prima, la Granger camminava di fronte a lui, Draco qualche gradino indietro con in mano ancora le sue scarpe.
Arrivarono al ritratto della Signora Grassa prima di quanto la Grifondoro avesse previsto. Sperò vivamente che non ci fosse Ronald ad aspettarla nella Sala Comune. Non aveva alcuna voglia di discutere, non dopo la notte inaspettatamente più bella della sua vita.
«È ora di rientrare, Cenerentola»
«Conosci la fiaba?» le chiese sorpresa. 
«L’unica cosa che ho memorizzato durante le poche lezioni di Babbanologia che ho frequentato: le fiabe del mondo babbano. Non è stata così male, per certi versi sono simili alle nostre» rispose sincero lui. Mentre parlava, come se fosse del tutto normale, si inchinò di fronte a lei e le mise le scarpe ai piedi. Le sollevò un piede alla volta e nel farlo si soffermò forse più del dovuto a toccarle le caviglie. Ma erano ancora ubriachi, probabilmente si sarebbero dimenticati questo particolare già alle luci del primo mattino.
Hermione arrossì violentemente, ancora poco lucida per via della colossale sbornia presa. Draco Malfoy aveva questa naturalezza innata nei modi e nei suoi motivi, che faceva sembrare ogni minuscolo movimento una cosa normale, familiare, registrata nella sua memoria muscolare. Persino parlare con lei, sembrava gli venisse facile. E dopo sette anni di scuola uno penserebbe che sarebbe anche normale e giusto, ma giusto lo sarebbe stato se si fosse trattato di due amici. La Granger e Malfoy non erano mai stati amici, impegnati com’erano a seguire i copioni di qualcun’altro. Hermione non gli rispose, concentrata a catturare anche l’ultimo insignificante dettaglio dei suoi movimenti e di quel momento.
Quando Draco si sollevò, le era molto più vicino di quanto fosse prima. 
«Allora buonanotte» 
Con i tacchi indosso, la fronte della Granger poteva sfiorargli il mento. Sorrise. 
«Buonanotte e…Malfoy? Scusami per prima, io…non so cosa mi sia preso» Hermione inclinò lievemente la testa e spostò lo sguardo ai loro piedi, mentre si giustificava. Erano talmente vicini che i suoi ricci si erano posati sul suo petto appena appena in vista per via di quei bottoni che proprio lei gli aveva aperto con foga qualche momento prima. 
«Smettila di scusarti, Granger, non mi è dispiaciuto affatto» le confessò. La sua espressione era neutra.
«Sul serio?» alzò lo sguardo e gli sfiorò il mento.
Draco realizzò che forse la Granger non se l’era mai sentito dire abbastanza. 
«Lo sai che mi è piaciuto» continuò lui, che nel pronunciare quelle parole si leccò veloce le labbra ma non abbastanza velocemente perché Hermione non lo notasse. Il riferimento poco velato alla reazione che la ragazza gli aveva scatenato standosene appollaiata su di lui fu il colpo di grazia.
La Grifondoro, rossissima in volto, distolse lo sguardo, solo per poi allontanarsi da lui, ancora, e guardarlo di nuovo.
«Allora buonanotte”» ripeté.
«Notte” le rispose, poi cominciò a scendere in fretta le scale un po’ per timore che queste cambiassero un po’ perché non sopportava più il suo sguardo. 
Prima di rientrare Hermione si affacciò nuovamente sulla tromba delle scale, e intravide il corpo snello e agile di lui che faceva i gradini a due a due per evitare che cambiassero strada e gli impedissero di raggiungere il suo dormitorio. Arrivato alla fine, poco prima di prendere la strada per il sotterraneo, Draco si sporse imitandola e sorrisero nell’incontrarsi nuovamente in quel modo bizzarro, consapevoli di essersi appena smascherati. 
Il ragazzo sorrise di un sorriso che forse Hermione non sarebbe riuscita a intravedere, e infine sparì nel sotterraneo buio. 
Draco Malfoy ci mise il tempo di raggiungere il suo dormitorio a capire che si era appena trovato la sua maledizione personale. E aveva tutta l’intenzione di rimanerne vittima ancora per un po’.

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Capitolo 2
*** Christmas Chocolate Pudding ***


Muggle Studies
 
2.
 
I AM SURPRISED THAT YOU'VE NEVER BEING TOLD BEFORE
THAT SOMEBODY WANTS YOU
 
 
 

Se in una giorno qualunque, in un universo parallelo, gli avessero detto che avrebbe fatto cose sconce con la Granger di notte, ubriachi e buttati sul prato nei pressi di casa di Hagrid, Draco non ci avrebbe creduto. Non avrebbe creduto possibile che una delle sue più intense fantasie proibite avesse avuto il tempo di un respiro nel mondo reale. Anche perché da come si erano evolute le cose – o meglio, non evolute- la Granger sembrava del tutto ignara di essere stata una dei soggetti agenti quella sera.  
Era stata lei ad aver fatto la prima mossa, lei aveva preso l'iniziativa con tanta passione. E invece, la cocciuta e ostinata Grifondoro sembrava aver dimenticato ogni particolare. Draco però se lo aspettava, se non ci avesse pensato l’alcool a sradicare dalla memoria tutti quei folli gesti il mattino dopo, ci avrebbe sicuramente pensato da sola, forse intenta a nascondere persino a sé stessa la prova vivente di quanto si fosse lasciata andare con lui.
Il mondo aveva iniziato davvero a girare al contrario. 
Il Serpeverde non intendeva starle dietro e cercare di farle ammettere quello che entrambi avevano quasi provato quella notte, anche perché secondo lui non c’era nulla di più rispetto a quello che era successo, era ancora convinto che se non l’avesse fermata avrebbero creato più problemi che altro. Conoscendola, a quell’ora si stava mordendo le mani al pensiero di aver tradito il suo ragazzo, quindi lui non voleva interferire confondendo ancora di più le sue convinzioni già abbastanza precarie. 
Pensandoci bene non c’era molto da confondere. Di sentimenti, nei gesti di quella notte, non ce n’erano stati, perciò non avevano nulla da dichiararsi.
Quindi, Draco ritornò alla sua vita di sempre, riprese ad osservarla passare distratta nei corridoi, specie quando di pomeriggio il cortile interno si riempiva di quella luce dorata che le accendeva i riflessi sui capelli. Il vento, che si infiltrava tra le colonne dove aveva preso a crescere l’edera, gli alzava la gonna quel tanto che bastava per fargli ricordare che quelle gambe le aveva toccate non solo nelle sue fantasie. Oh, quello si che era il momento migliore della giornata.


Ciò che c'era stato era molto di più di quanto potesse mai sperare comunque, anzi molto più di quanto alla fine si fosse mai permesso di immaginare. La speranza era già qualcosa di diverso dall’immaginazione, un qualcosa di più in cui Draco non si riconosceva; essere speranzoso avrebbe voluto dire ancorarsi invano ad un ottimismo da sognatore, avrebbe significato che infondo un po’ ci teneva che succedesse. Le sue erano fantasie basse, istintive, primitive, niente a che vedere con il coraggioso, impavido sentimento d’amore e sacrificio che avrebbe forse accreditato a un Grifondoro. 
La situazione con Granger era piuttosto una delicata spina nel fianco che a volte lo lasciava respirare, altre invece lo punzecchiava o lo provocava e lui stava semplicemente al gioco. Solo che di quel gioco, aveva potuto godere per poco: in effetti, la Granger aveva fatto di tutto pur di incontrarlo solo lo stretto necessario, il che significava vederlo solo durante le lezioni che avevano in comune in cui peraltro, se gli faceva un cenno di saluto sbrigativo era già troppo. Quando la lezione Difesa Contro le Arti Oscure terminava lei scattava sull’attenti e fuggiva via ancor prima che gli altri riuscissero a infilare il libro nella borsa. Draco sorrideva sempre di fronte a quel goffo tentativo di evitarlo; non capiva perché la ragazza inventasse tutti quegli espedienti per non rivolgergli la parola. Il fatto che non stesse trattando l’accaduto come una cosa normale arrivò quasi ad offenderlo un po’. Andava bene voler passare oltre, ma addirittura negare che qualcosa fosse accaduto, questo no. 
Perciò, quando finalmente un giorno la colse da sola in biblioteca, le si avvicinò con una scusa pietosa, deciso a parlarle. Draco era si, uno di poche parole, ma quando aveva qualcosa da dire difficilmente teneva la bocca chiusa. . La ragazza se ne stava seduta su una panca rivolta verso una grande vetrata da cui filtrava la luce perfetta per studiare. La raggiunse e si sedette sulla panca accanto a lei, con il corpo di spalle alla finestra e la schiena appoggiata al tavolo. Allargò le braccia per appoggiarvisi e inclinò la testa per cercare di capire cosa stesse leggendo. La Granger, che nel frattempo lo aveva seguito osservandolo di sottecchi oltre le pagine di un libro, si voltò piano verso di lui con un sopracciglio alzato, dubbiosa, forse un po' incuriosita. 

«L’hai presa tu l’unica copia di Infusi e Pozioni Magiche del ‘94?»

«No, perché cerchi proprio quella versione?»
«Perché è l’unica edizione che non è stata ritoccata da editor timorati del Signore Oscuro, voglio esercitarmi con roba forte». Nel dire “roba forte” Draco cambiò intonazione, abbassando la voce e scandendo lentamente quelle due parole che sortirono nella Granger l’effetto sperato. Sapeva essere proprio un pesce lesso a volte. 
La ragazza, che chiaramente abboccò all’amo, sollevò gli occhi dal libro e li indirizzò su un punto indefinito davanti a sé scioccata, poi si voltò lentamente verso di lui, come se il minimo movimento potesse creare disturbo in quella sala del castello a lei così cara. 
Lo osservò sorridere lievemente e mordersi le labbra di cui ricordava ancora il sapore di fumo e di gin, poi gli rispose a bassissima voce, cercando di soffocare un sorriso che intorno a lui sembrava far capolino spontaneamente e che sembrava altrettanto impossibile da frenare. 

«Io non lo so dov’è, chiedi a Seamus, sta facendo crediti extra in biblioteca. E poi ti serve davvero? Sei abbastanza bravo in pozioni, a quanto si dice in giro»
«Ah, si? E cos’altro si dice in giro?» Draco si avvicinò di più, inclinando la testa verso di lei. 
Indossava un maglioncino blu notte di cashmere, senza lo stemma della sua casa stampato sul cuore. D’’altronde era domenica, l’unico giorno della settimana in cui gli studenti potevano scegliere di non indossare la divisa. Il ragazzo le sorrise, alludendo non troppo poco velatamente alla notte di un mese prima. 

«Niente di scandaloso, spero» la Granger gli stava implicitamente chiedendo se avesse rivelato a qualcuno quello che avevano fatto. Il dubbio era lecito, visto che alla fine lei non lo conosceva così bene e ignorava quanto potesse essere discreto nei fatti che lo riguardavano. 
«Questo mai» rispose neutro lui.

Quella risposta fu ciò che lei voleva sentire, velata però da una pessima bugia, perché Hermione conosceva le voci di corridoio che riguardavano Malfoy, non che se le andasse a cercare, certo, ma  lui era così popolare - forse più nel male che nel bene - che le giungevano quando il fatto in questione non aveva compiuto nemmeno due ore di vita. Conosceva per sentito dire quasi tutte le ragazze con cui era andato a letto e -purtroppo per le sue orecchie- anche qualche particolare piccante, che ignorava perà se fosse stato ritoccato o  se invece corrispondesse a verità. 
La Grifondoro sapeva come andava li ad Hogwarts, un segreto non era mai un segreto e a svelarlo ci pensava sempre il gruppetto delle Tassorosso del quinto anno, che si era fatto una nomea più grande persino di quella di Potter. Quelle reginette – così le aveva soprannominate una volta, memore di qualche film babbano per adolescenti- avevano occhi e orecchie dappertutto e sapevano sempre come organizzare grandi feste senza di fatto invitare nessuno. La voce si spargeva solo tra i più fortunati da loro scelti e da lì, ecco che iniziava l’andirivieni losco in piena notte in cui alcune volte era stata trascinata anche lei. 
Non sapeva quale simpatia avesse mai potuto suscitare in quelle ragazze, ma ad Hermione piacevano e forse loro sapevano anche questo e ciò bastava per farle ottenere sempre l’invito d’onore che le giungeva persino da una del loro esclusivo club. “Porta anche Potter, ovviamente” era sempre la frase conclusiva dopo la quale sparivano nel nulla cosmico. Chissà quale incantesimo svanitore usavano per fare quelle entrate e uscite di scena così teatrali.

La Grifondoro gli sorrise amichevolmente e annuì come per registrare ciò che il ragazzo le aveva appena detto. 

«Chiederò a Seamus allora, sempre che non l’abbia già fatto esplodere» commentò sarcasticamente.
Hermione rise a voce più alta e incontrollata, ma si mise subito una mano davanti alla bocca sperando che non l’avesse sentita nessuno. 
Draco allora si alzò e si strofinò le mani sui pantaloni neri, però prima di girare i tacchi e andarsene si appoggiò di fronte a lei con entrambe le braccia sul tavolo. Le coprì temporaneamente la luce, che si era rimodellata seguendo i contorni della sua figura longilinea. Si chinò un po’ di più verso di lei e le abbassò il libro che la ragazza un secondo prima tentò goffamente di sollevare per frapporlo tra loro. 

«Non ignorarmi, Granger»
 
Sperava avesse messo in chiaro che potevano comportarsi civilmente senza snobbarsi come un tempo e che anche se la Granger se ne fosse pentita, perché ne era sicuro, cercò di farle capire che non aveva senso far finta che non fosse successo nulla, anzi, quel comportamento non avrebbe fatto altro che ingigantire la cosa e dal canto di Draco non c’era niente da ingigantire.
La lasciò con la testa sui libri e le guance arrossate. Quanto al suo cuore, lo seguì galoppando oltre la biblioteca.

Il lunedì seguente a lezione di Pozioni, Hermione lo salutò come avrebbe salutato chiunque, sembrava più a suo agio rispetto a quanto accaduto tra loro. 
Nonostante il cambiamento impercettibile nelle azioni e negli occhi di lei, Draco Malfoy continuava a non capire nulla della testa della Grifondoro, o meglio, c’erano momenti in cui poteva leggerle dentro e capirla come se stesse lavorando su una pozione che poteva seguire anche ad occhi chiusi, poi ce n’erano altri, come quelli che a malapena condividevano da un mese, in cui proprio stentava a comprendere cosa le passasse in testa.
Questo perché lui per primo non chiedeva nulla, e non perché non fosse interessato, ma perché dopo quella notte non sapeva ancora come muoversi. Se fosse stata libera, di certo ci sarebbe finito a letto e la questione sarebbe stata risolta. Di sicuro una notte con lei non avrebbe estinto tutte le fantasie che si era costruito durante le lezioni condivise, ma poteva essere comunque un buon inizio. C’era però quel Weasley di mezzo, e lui non avrebbe fatto il terzo incomodo, neppure se alla fine avesse scelto lui. E poi, non voleva condurla a fare una scelta, tanto per cominciare. Draco stava imparando a scegliere le sue battaglie con cautela ed era certo che quella fosse una causa in cui non avrebbe trovato nulla di buono. La Granger sembrava proprio una che non riusciva ad avere rapporti occasionali, tolto l’episodio condiviso, in cui era convinto le sue azioni fossero state dettate più dal gin e dalla sua voglia di uscire dagli schemi in cui era stata confinata, piuttosto che da lei stessa. Dubitava seriamente che alla luce del sole Hermione Granger potesse essere quel tipo di ragazza, e non c'era niente di male in questo; semplicemente, erano su due pianeti diversi.
Che era stato bello era fuor d’ogni dubbio. Ma infondo, era stato meglio non essersi spinti oltre; continuava a ripetersi di averla protetta da uno sbaglio colossale. La Granger aveva appena iniziato a porsi delle domande su chi voleva essere, e quell’errore l’avrebbe solo confusa di più. 
Sì ma lui? Lui cosa voleva? Era a quel tipo di domande che non aveva ancora trovato risposta.
Di sicuro era più vicino alla soluzione di quanto lo fosse mai stato il vecchio sé. Sarebbe stata questione di tempo, ne era sicuro.
Era arrivato a tutte queste digressioni per ammettere che quindi non sapeva cosa avrebbe fatto Hermione con Weasley. E questa difficoltà a leggere i suoi piani lo lasciava sempre un po’ stizzito, rimuginandoci sopra arrivava alla fine del pacchetto di sigarette prima del solito e doveva aspettare che il suo gufo tornasse con altre scorte, rimanendo anche due giorni interi senza fumare.
Questo poi, lo stizziva più di qualsiasi altra cosa. 

 

Era marzo e la primavera era alle porte. Hermione adorava la primavera. Specie perché per gli standard inglesi faceva già molto caldo e poteva uscire senza portarsi dietro il mantello. Gli alberi erano in fiore e persino quell’odioso, aggressivo platano picchiatore diventava più carino; le sue parvenze lo facevano apparire più docile, come se con quei fiori addosso si rifiutasse di colpire persino una mosca per non perdere i petali. S
ui prati compariva qualche margherita e gli studenti si sdraiavano nell’erba fresca tra una lezione e l’altra, facendo sì che ci fosse sempre quel vocio indistinto ed eccitato nell’aria, risate limpide e giovani.
Per questo adorava le lezioni all’aperto di Hagrid, che presentava ai suoi studenti qualche strana creatura con cui dover interagire anche se non se n’era letto mai nulla. Persino lei a volte veniva colta impreparata, e questo senso di inconsapevolezza le piaceva sempre di più. Ultimamente non faceva altro che farsi cogliere di sorpresa da tutti, si stava sforzando di non anticipare i passi, i pensieri, lo studio, e vivere alla giornata. 
All’inizio fu davvero faticoso, perché doveva sempre giustificare la sua mancata preparazione ai suoi compagni.
Ginny aveva preso ad osservarla più attentamente, ma non le diceva nulla, segretamente divertita da quell’improvviso atto di ribellione. Voleva vedere come andava a finire, perciò era l’unica che in presenza di Harry e Ron riusciva a stemperare quell’aria inquisitoria distraendoli con qualche strategia di gioco che avrebbero messo a punto nella prossima partita di Quidditch.  
Il mattino dopo la notte del Ballo del Ceppo Ron le chiese dove fosse finita perché “ti ho cercata dappertutto” le aveva detto, ma “forse non volevi trovarmi” aveva risposto lei, comunque grata del fatto che non vi riuscì.
Non sapeva cosa avrebbe fatto, in caso contrario. L’ultima cosa che voleva era che il suo ragazzo la cogliesse in fragrante mentre si strusciava sui pantaloni di un suo acerrimo nemico, e per giunta di un Serpeverde. 

Solo che, quando lo coglieva di sfuggita nel parco, disteso nella stessa posizione di qualche mese fa, ridendo a crepapelle con i suoi amici, la camicia bianca scomposta e la cravatta verde e argento abbandonata senza un nodo sul suo torace, Hermione pensava che contasse più quello che non aveva fatto, con quel Serpeverde.
Per qualche tempo dopo la vicenda, si era detta che l’impeto che la colse fosse stato dettato solamente dal troppo bere e da tutto quel fumo che le aveva annebbiato il cervello. Per qualche giorno si sentì in colpa nei confronti di Ron, che nonostante la discussione di quella sera era riuscito a farsi perdonare con ogni mezzo di cui disponeva. Le aveva dedicato persino l’ultima partita vinta contro i Corvonero. E non che questo non le piacesse, ma man mano che i giorni si tramutavano in notti e poi le notti in nuovi giorni, Hermione arrivò alla consapevolezza che si sentiva più in colpa per non aver baciato Malfoy alla buonanotte.
Non faceva che ripensare a quelle ultime parole che si erano scambiati, e ciò nonostante continuava ad evitarlo con tutte le sue forze. Non voleva che trapelasse nemmeno il minimo sospetto tra chi aveva intorno, specialmente data la sua vicinanza alle ragazze più popolari della scuola. Senza contare Ivy Locket e Gracie Boots dei Corvonero, con le quali aveva preso ad uscire ad Hogsmeade molto di frequente. Nella battaglia di Hogwarts la Locket l’aveva salvata da un attacco alle sue spalle e da allora erano come legate da un filo invisibile di stima e affetto reciproco, la stessa intima connessione che si instaura tra i sopravvissuti. Gracie era la compagnia di avventure della Locket fin dal primo anno. Quella scoperta la fece sorridere, perché da bambina, presa dai guai in cui il trio l’aveva sempre coinvolta, era come assente da qualsiasi altra dinamica venutasi a creare ad Hogwarts; scoprire che come per lei si erano create tante altre amicizie forgiate da altrettante avventure le mise addosso una strana adrenalina. 
Le due ragazze erano estremamente intelligenti e intuitive, non a caso erano state smistate tra i Corvonero, e nonostante si fidasse ciecamente di loro, non riusciva ancora ad aprire bocca sulla vicenda. Sapeva benissimo che più manteneva il silenzio più quella cosa dentro di lei cresceva e avrebbe chiesto più importanza del dovuto, ma un po’ si crogiolava nell’idea che solo loro due fossero a conoscenza di quello che avevano condiviso. Custodiva gelosamente quella notte perché per lei ebbe più significato di quanto Malfoy avrebbe creduto. E non perché era con lui che l’aveva condivisa, per Malfoy non provava nient’altro che attrazione fisica, e come non avrebbe potuto, insomma, era il tipo più ambito della scuola e lei non era estranea ai turbamenti e ai piaceri del corpo, contrariamente a quanto i suoi due migliori amici si ostinassero a pensare. Quella notte ebbe un significato in più perché fu la prima in cui Hermione smise di essere la strega più brillante della sua età e iniziò ad essere solamente Hermione. 
Era intenzionata a vivere i giorni così come quella notte, ma poteva anche farlo con Ron, giusto? 
Queste e altre domande affollavano la sua mente, mentre lassù, in quel dormitorio maschile dietro il ritratto della Signora Grassa al settimo piano, Hermione Granger stava perpetuando un dolce assalto alle labbra di Weasley. Era a cavalcioni su di lui e lo invitava a muoversi seguendo il ritmo dei suoi fianchi. Le mani del ragazzo erano cautamente posate sulle sue cosce scoperte, mentre si lasciava slacciare la cravatta rossa e oro con una velocità a cui non era abituato. 

«Herm..siamo in pieno pomeriggio» 
«Ha importanza?»
«No..cioè..se qualcuno entrasse e ci vedesse così..?»
«Sarebbe così imbarazzato da chiudersi la porta alle spalle e lasciarci in pace» ammise lei, leggermente contrariata da quelle interruzioni e insicurezze continue. 

Conosceva bene Ron, fino a poco tempo prima era solo uno dei suoi migliori amici, ma a volte era proprio questo il problema. Hermione si chiese se dopo tutto ciò che avevano condiviso finire l’una nelle braccia dell’altro fosse stato inevitabile e se, in altre circostanze, non avrebbero semplicemente continuato la loro vita di sempre, uno accanto all’altra certo, ma da semplici amici. Esperienze traumatiche come quelle lasciavano il segno e legavano in un modo che forse non era possibile capire ad un semplice essere umano, ma quanto di quei momenti aveva infierito nei loro sentimenti, distorcendoli e accrescendone la portata e allontanandoli dalla più pura verità?
Possibile che solo una serata di ribellione l’aveva portata a mettere in questione i suoi sentimenti?
Ron insistette dolcemente e riuscì a liberarsi dalla stretta di Hermione che, ormai sconfitta, dovette ripiegare e allontanarsi. Aveva tentato invano di farlo desistere scendendo lungo i pantaloni e iniziando a toccarlo, ma quel gesto inibì ancora di più il ragazzo, che con uno scatto non proprio aggraziato le prese le mani e le posò un dolce bacio sulle labbra per poi scusarsi di quella brusca reazione.
Lo avevano fatto altre volte, ma essendo comunque tra le prime, i due ragazzi erano ancora arrugginiti, forse inibiti dalle aspettative e da quello che ritenevano fosse giusto fare; i loro incontri, o meglio dire goffi scontri, consistevano sempre in una processione a tentoni sui corpi affannati e vibranti di un desiderio che non erano mai riusciti a soddisfare del tutto per via della poca esperienza. Prima di lui, Hermione non aveva neanche mai dato un bacio, figuriamoci essersi spinta più in là. E Ronald con Lavanda non si era mai spinto oltre, aveva soltanto tastato qua e là senza un vero e proprio scopo. 
Quello che stavano condividendo era perciò la prima esperienza, quella nella quale si finisce sempre per venirne delusi in un modo o nell’altro.
Dopo essersi congedata in fretta e ricomposta il minimo necessario (non che Ron l’avesse scombinata tanto, dopotutto), Hermione decise di prendere una boccata d’aria nel corridoio. 

Al terzo giro del settimo piano su cui vagava ormai senza meta insieme a Nick quasi senza testa che le parlava nemmeno lei sapeva di cosa, si imbatté in Malfoy proprio di fronte all’arazzo di Barnaba il Babbeo bastonato dai Troll. 

«...Granger mi stai ascoltando? Oh, buonasera Malfoy»
«Salve Nick» Draco rispose cordialmente, non staccando gli occhi dalla Granger, visibilmente colta di sorpresa. Pensandoci bene non le piaceva più così tanto l’inaspettato.
Alla fine, esasperato, il fantasma si dileguò contrariato dalla compagnia poco loquace, e borbottando qualcosa che i due ragazzi non riuscirono a intercettare. 

«Ciao»
«Ciao»
Fu impossibile stabilire chi avesse salutato per primo chi. Draco teneva una mano in tasca e nell’altra un paio di libri appoggiati al suo fianco. Hermione si rese conto solo grazie allo sguardo poco allusivo del ragazzo sulla sua scollatura, che la camicia della divisa era più sbottonata rispetto alle norme consentite da Hogwarts. 
Il Serpeverde sembrava non rispondere più di sé stesso, perché in un momento di mancata lucidità (e ce n’erano stati molti durante la serata), lasciò solo per un breve istante le labbra della ragazza per svicolare lungo il suo collo e arrivare a sfiorare con la lingua l’incavo del seno.
Improvvisamente, senza neanche il minimo rumore, la Stanza delle Necessità accanto a loro cominciò lentamente ad emergere dalla parete. Hermione guardò quello strano, inaspettato fenomeno e poi guardò di nuovo lui, altrettanto sorpreso e vagamente divertito. 
Si chiesero entrambi a cosa stesse pensando l’altro. 
Dal nulla sbucò poi un bigliettino con le alette dorate che si piazzò di fronte allo sguardo imbarazzato della Granger. 
Salvata proprio in calcio d’angolo.
La piccola pergamena leggeva “Corri! Siamo in giardino, Melton Hazel ha fatto un incantesimo alla sua rana e gli si è ritorto contro”. La Grifondoro mugugnò qualcosa che Draco non riuscì a capire, e poi la vide prendere le scale in fretta e furia. 
La ragazza raggiunse Ivy e Gracie in giardino, dove per un po’ non pensò a niente se non alla scena esilarante che aveva davanti: Hazel, studente Tassorosso del quarto anno, aveva fatto un incantesimo alla rana dal quale si aspettava cominciasse a parlare, invece l’esito fu che lui si trasformò in rana e si, l’incantesimo era in un certo senso riuscito perché continuava a parlare come un umano. 
L’unica cosa ad infastidirla era l’intenso odore di cioccolato che la inondò quando prese a fare le scale lasciandosi alle spalle Malfoy. Era così impregnante che una volta raggiunte le ragazze in giardino queste lo notarono subito e Gracie le chiese se si fosse fatta un bagno con quei sali che avevano comprato al negozio dei fratelli Weasley.

«Come sono? Li devo assolutamente provare!»
Non se ne liberò fino a che quella sera non si fece un bagno lungo due ore.
Al settimo piano Draco si chiese perché la Stanza delle Necessità fosse comparsa così all’improvviso. Aveva fame, questo si, ma non sapeva con esattezza di che fame si trattasse. Si decise ad aprire la porta, curioso di vedere che scenario la stanza avesse preparato per loro.
Rimase dubbioso nel constatare dentro non ci fosse nulla di particolare se non le solite sporche vetrate e un vassoio d’argento con quella che aveva tutta l’aria di essere una torta al cioccolato. Solo dopo averne preso un pezzo Draco constatò che la fame non si era placata per niente. Uscì dalla stanza e tornò alla sua quotidianità con un enorme buco nello stomaco.
 
 

La professoressa Myrtle Reynards stava passando tra i banchi con la bacchetta dietro la schiena e gli occhiali da vista che le scivolavano continuamente lungo il naso. Doveva sempre rimetterli a posto con un dito, ormai quel gesto era diventato più un tic che una questione di necessità. 

«La prossima settimana c’è l’esonero ragazzi e questa è l’ultima volta che ve lo ricordo. La prova sarà pratica e questo mi permetterà di valutare se avete le competenze teoriche necessarie per superare i GUFO ed aspirare ai MAGO»
La nuova professoressa di Babbanologia stava ricordando il programma dell’esonero primaverile alla ventina di studenti del settimo anno presenti. Tra questi c’era anche Malfoy, che da un mese a quella parte aveva preso la questione di Babbanologia seriamente. In un certo senso si sentiva un po’ in dovere, dopo aver assistito all’uccisione di Chastity Burbage morta davanti ai suoi occhi sul tavolo di Malfoy Manor. 
La professoressa Burbage non aveva mai fatto nulla di male, se non fare propaganda – a detta di Voldemort- sul potenziale dei babbani e sulla possibilità di vivere pacificamente con loro. Draco non aveva mai avuto niente contro di lei, anzi, dopo la sua morte si pentì di aver frequentato solo le lezioni necessarie per superare gli esami finali. Tornando indietro, avrebbe agito diversamente. Ma questo ormai gli era chiaro. Perciò all’inizio di quell’anno scolastico, Malfoy aveva deciso di provare a diventare un frequentatore abituale della disciplina.
Dopotutto, ottenere i MAGO in qualche materia in più non faceva male alla sua media già eccellente, e avrebbe avuto qualche possibilità di carriera in più una volta fuori dalla scuola. Non che volesse occupare i più alti gradi del Ministero della Magia, ma superare a pieni voti quella materia avrebbe aumentato la distanza tra lui e il suo passato, perciò voleva provarci.
Non nascondeva a sé stesso che uno degli interessi principali che lo legavano a quella materia era proprio la Granger. E questo più per scopi accademici che per altro, nonostante avesse avuto modo di studiare il suo corpo per pochi minuti in quella ormai lontana sera di febbraio. 
Voleva capire il suo mondo, capire lei, solo per scopi accademici, si ripeteva. E poi averla come conoscente (amica?) gli sarebbe tornato utile per superare gli esami. Lei, essendo una maga nata babbana, non era tenuta a frequentare la disciplina, con immensa sfortuna per il Serpeverde, che doveva condividere le lezioni solamente con Neville e altri suoi amichetti Grifondoro. 

«Mi scusi professoressa, esercitarsi con la pratica sui babbani non è illegale?»
In effetti poteva consolarsi anche con quell'idiota di Seamus. 
«Signor Finnigan non intendevo questo. Il vostro esame consisterà in una prova di cucina babbana senza utilizzare la magia»
«Forse erano meglio le maledizioni» commentò Seamus a bassa voce, suscitando però l’ilarità degli studenti a lui vicini. Anche Malfoy fece una smorfia divertita.
L’idea di cucinare non lo allettava per niente, ma se questa era la strada per i MAGO allora avrebbe impugnato fruste e mattarello.
Alla fine della lezione gli studenti estrassero a sorte la ricetta che avrebbero dovuto preparare il giorno dell’esonero.
Gli capitò il pudding di Natale al cioccolato. 
La Stanza delle Necessità. L’odore nei capelli di Hermione.
 
 

«Qual è lo scopo di un esame di cucina in cui non puoi nemmeno usare la magia?»
I capelli bruni di Astoria erano sciolti sparsamente sul petto di Draco, assorto nei suoi pensieri. La ragazza si sollevò sui gomiti e gli diede qualche morso innocente sul petto per cercare di attirare la sua attenzione. Draco sorrise per il leggero solletico dei capelli sulla sua pelle e la guardò. 
«È proprio questo lo scopo, cucinare senza la magia, come dei babbani»
«Continuo a non capirne l’utilità» ribatté lei stavolta imitandolo e mettendosi a sedere appoggiata allo schienale del letto. Si accese una sigaretta e poi cominciò a rivestirsi. Draco non glielo impedì. Astoria era praticamente identica a lui, e avevano lo stesso scopo, ovvero divertirsi senza creare legami. 
Se non vedeva un profitto, per lei non aveva significato fare nulla. Perciò le sembrava insensata la prova che Malfoy doveva affrontare, insensata e inutile, perché tanto non avrebbe mai vissuto a contatto con il mondo babbano. Per Astoria le discipline scolastiche avevano lo scopo di prepararla alla vita vera e non solo ad alzare la media, e di conseguenza, Babbanologia non era una cosa necessaria alla vita vera. 
Con quella secca conclusione la ragazza si apprestò ad uscire dal suo dormitorio, non prima di avergli piazzato un bacio distratto e fugace sul braccio. Fuori era buio, la cena sarebbe stata servita a momenti.

«Dove vai?”
«Mi vedo con Gorgon»
«Ancora? Non starà mica diventando ufficiale, la cosa» commentò lui senza guardarla. Era assorto nell’osservare la sigaretta che lentamente si prosciugava tra le dita e a notare come forse aveva un piede più lungo rispetto all’altro.
«Potrebbe, non lo so, è un Grifondoro, con loro niente è mai certo»
«Capisco». Era quasi un esperto in materia.
«Non fumare troppo, ci vediamo più tardi»
«Si»
 le rispose lui flebilmente. Ma Astoria era già volata via perché potesse sentirlo.
 
 
Hermione non si presentò a cena quella sera. Ron le aveva annunciato senza troppi dettagli che avrebbero cenato fuori, con il lasciapassare di Hagrid, in una specie di picnic all’aperto. Fortunatamente le giornate avevano cominciato ad allungarsi, e comunque con qualche stratagemma magico non avrebbero lasciato che finissero per mangiare al buio. Pensandoci bene, la sera del Ballo del Ceppo lei e Draco non modificarono il corso degli astri con qualche luce artificiale. Nessuno dei due ci aveva pensato e forse fu meglio così. Al buio si erano lasciati andare come forse con un po’ più di luce non avrebbero mai fatto. D’altronde si sa, la notte è il lasciapassare per creature misteriose e anche per istinti che di giorno riposano nascosti nelle viscere. 
Draco notò subito i posti vuoti accanto a Potter e alla Weasley. Avvertì un crampo allo stomaco che quasi lo fece vomitare. 
Non desiderava farsi scegliere dalla Granger, voleva solo che la smettesse di fare la ragazzina.
Lasciò la Sala Grande a metà pasti, senza dare spiegazioni a un Blaise accigliato. Daphne Greengrass gli fece spallucce come per fargli sapere che non aveva idea di quello che stesse succedendo e Astoria, forse l’unica che avrebbe potuto capire, era troppo occupata ad imboccare Leo Gorgon al tavolo dei Grifondoro con una fragola per fare caso ai disturbi ormonali di Malfoy.
La Stanza delle Necessità gli offrì un rifugio e anche una cucina. Draco non credeva proprio di aver bisogno di quello ma forse esercitarsi per l’esonero di Babbanologia lo avrebbe distratto da quel nonsoché che lo aveva infastidito. Si sentì immensamente piccolo.

Dopo due intense ore di tentativi mal riusciti in cui aveva bruciato praticamente tutto, persino gli strumenti da lavoro, Draco si diede per vinto. Aveva buttato la cravatta da un angolo, si era sbottonato la camicia e alzato le maniche fin su i gomiti per avere la libertà necessaria nei movimenti. Stava lentamente capendo che la cucina senza una bacchetta era davvero un’arte che forse possedevano in pochi. Non riusciva proprio a capire come potessero riuscirci i babbani senza la magia. Nonostante il mescolare, lavorare gli ingredienti e assemblarli erano pratiche molto simili alle pozioni, Draco dovette ricredersi.
Forse doveva ricredersi di molte cose, ma ci arrivò più tardi, quando sentì la porta della stanza aprirsi e vide la Grifondoro entrare. Indossava un paio di jeans a vita alta che scendevano a dritti lungo le gambe. Erano stretti e accentuavano la sua figura sottile e longilinea. Il paio di scarpe da tennis ai piedi erano di una marca che non conosceva, sicuramente babbana anche quella. Aveva un maglione blu scuro un po’ vecchio e slabbrato che le pendeva da una spalla e si rimodellava solo in vita dove entrava malamente nei pantaloni. I capelli erano raccolti in una crocchia alta. 

«Granger» esclamò sorpreso, dell’inflessione un po’ stizzita se ne pentì subito dopo.
«Buonasera a te Malfoy» gli fece eco lei, con un tono sarcastico. 
Aveva sentito odore di bruciato nel corridoio ed essendo una gran ficcanaso aveva propinato a Ron una scusa per indagare. Assurdo come preferisse andarsene all’avventura piuttosto che amoreggiare con il suo ragazzo. Ma Ronald, che nelle passioni di Hermione non osava frapporsi anche quando doveva, la lasciò fare e le comunicò che avrebbe raggiunto Harry in Sala Grande per il dolce. 
Seguì l’odore fino all’arazzo di Barnaba il Babbeo bastonato dai Troll ed ecco che le si ripresentò la Stanza delle Necessità. 

«Perché sei qui?»
Hermione si rifiutò di dirgli dell’odore in corridoio, primo perché non capiva ancora per quale strano fenomeno riuscì ad avvertirlo, dato che la Stanza delle Necessità era famosa proprio perché non faceva trapelare nulla del suo interno a prescindere dall’aspetto che assumesse, secondo perché visto lo sguardo sconvolto e stressato del Serpeverde comunicargli che ciò che si sentiva era solo odore di bruciato avrebbe potuto offenderlo e da lì magari si sarebbero persi in insulti reciproci.
«Avevo fame» riuscì solo a dire. 
Avrebbe potuto inventare qualcosa di meno scontato, pensandoci su.
«Non hai cenato?» chiese lui con espressione di nuovo neutra. La camicia presentava qualche macchia di cioccolato sul davanti. I capelli, di solito perfettamente in ordine, adesso erano scomposti. 
Con quella domanda sperava che Hermione gli avrebbe rivelato il motivo della sua assenza a cena nella Sala Grande. 

«No...cioè si, ma avevo voglia di qualcosa di dolce» Si stava scavando la fossa da sola.
Draco decise di sorvolare sul quel doppio senso spiattellatogli in faccia e sbuffò stancamente, appoggiandosi su un ripiano di quella cucina improvvisata.

«Se vuoi un po’ di questa poltiglia bruciata fa pure» 
«Stavi...cucinando?»
«Però, che occhio»
«Perché?» chiese lei leggermente divertita e sorvolando sul suo piccato sarcasmo. Faticava a nascondere il sorriso, specie perché vedere Draco Malfoy affaticato e disordinato come se avesse combattuto contro un Minotauro non si vedeva tutti i giorni. 
La Grifondoro nel frattempo si fece avanti, tenendo le mani in tasca e stringendosi nelle spalle. Esitava.

«Mi sto preparando per il primo esame di Babbanologia, dobbiamo cucinare una ricetta babbana senza magia»
«Adesso capisco» rispose lei ancora più divertita, mentre con una mano cercò di sollevare un mestolo che si era magicamente appiccicato ad una ciotola contenente quello che sembrava fango denso.
«Sai, forse ti converrebbe esercitarti alla luce del giorno e non di sera, avresti la mente più fresca, sembra proprio un’impresa impossibile» Lo stava prendendo in giro, esattamente come quella sera in giardino.
«Pensi di saper fare di meglio?» Draco la guardò con un sopracciglio alzato, una parvenza di sorriso si fece strada tra le sue labbra ed Hermione constatò che con la luce della luna che filtrava dalle vetrate, la sua pelle diafana sembrava risplendervi come un riflesso.
«Pronto? Stai sconfinando nel mio mondo, non c’è cosa che non riesca a fare a casa mia» la ragazza gli rispose senza guardarlo, cominciando a studiare il piano di lavoro e agitando la bacchetta per pulire tutto quel disordine. Aveva quell’espressione presuntuosa che il Serpeverde aveva imparato ormai a conoscere (e ad accettare) fin dal primo anno lì ad Hogwarts, quella attraverso cui la poteva scovare anche tra mille senza doversi aiutare con un Lumos.
«Sei proprio una Grifondoro sotuttoio» scosse la testa e sogghignò divertito, come se quella con lei fosse una battaglia persa. 
Mai mettersi contro un Grifondoro dopotutto, riusciva a trovare anche una sola briciola di qualcosa per cui combattere e scontrarsi, finanche ad inciampare sui suoi passi per via del peso del suo stesso coraggio. 
Nel dir questo, il Serpeverde le sfiorò il viso con un dito ancora infarinato, sporcandola un po’ sulla guancia. Hermione lo guardò più intensamente, tutt’altro che divertita. Smise di agitare la bacchetta con il risultato che alcune ciotole caddero malamente su un tagliere. Lui le sorrise lievemente, poi, notando la sua reazione inaspettata, lasciò spegnere quella piccola intromissione di tenerezza prendendo una delle ciotole sul tagliere.

«Allora» si schiarì la voce «mi è toccato fare un pudding di natale al cioccolato, che ha una quantità di ingredienti e passaggi spaventosi, perciò ci metteremo un po’, sicura di volermi aiutare?» Il ragazzo la guardò inclinando il viso verso il basso, i capelli raccolti della Grifondoro sfioravano il suo mento. La vicinanza dei loro corpi sembrava una cosa normale, completamente ordinaria e familiare. Il braccio di lei coperto dal maglione combaciava con quello nudo di lui. 
Un’ affinità insolita ma giusta. 

«Aiutarti? Credevo ci stessi riuscendo benissimo da solo, non era una sfida quella che volevi?»
Draco comprese che la ragazza voleva chiedesse il suo aiuto esplicitamente, una cosa che non faceva mai, primo perché Draco Malfoy non si metteva mai in una situazione in cui doveva dipendere dall’aiuto degli altri, secondo perché il suo orgoglio poteva benissimo fronteggiare quello ostinato e spavaldo di un Grifondoro. 
Eppure, giacché si trovavano nella Stanza delle Necessità e in un’altra situazione fuori dall’ordinario, Draco lo ammise.

«Aiutami Granger»
Sembrava piuttosto un ordine che una richiesta. Ma il tono di voce carezzevole con cui pronunciò quelle due parole non le destarono alcun sentimento di contrasto. 
Cominciarono a leggere attentamente la ricetta, ogni tanto Draco la interrompeva facendole notare come avesse seguito il passaggio alla lettera e che puntualmente era la cucina ad essere contro di lui.

«Se c’è una cosa che mia nonna dice sempre è che bisogna iniziare a cucinare con serenità, altrimenti tutta l’energia negativa con cui vi ci approcciamo riuscirebbe a rovinare persino i sapori»
«Lo dici come se ci credessi davvero. È solo cucina»
«E qui ti sbagli Malfoy, la cucina, almeno nel mondo dei babbani, è tutta questione di chimica e non solo quella degli ingredienti»
Il Serpeverde ebbe la sensazione che da quell’esperienza ne sarebbe uscito con qualche pezzo in meno.
Messe le bacchette da parte, si misero all’opera.
Draco tritava la mollica del pane, le mandorle e il cioccolato, mentre Hermione si occupava di far sciogliere il burro e montare i tuorli con lo zucchero. 
In tanti momenti si smascheravano a vicenda mentre rubavano qualche pezzetto di cioccolato dal tagliere, ma nessuno diceva niente, Draco si limitava a sorridere quando coglieva in fallo la Grifondoro, mentre lei alzava gli occhi al cielo, segretamente divertita quanto lui. 

«Allora…me lo dici dov’eri a cena?»
«Non ti sfugge niente, eh?»
Draco sorrise ricordandosi della stessa scena la sera del Ballo del Ceppo. 
«No». Cominciò a tritare i chiodi di garofano e il finocchio nel mortaio. 
«Ron aveva organizzato una specie di picnic all’aperto, vicino casa di Hagrid, lui ci ha coperti» La Grifondoro grattugiava la scorza di limone. 
«Ovviamente»
Per un attimo lei non rischiò di grattugiarsi anche un dito.
«Come è andata?»
«Come doveva andare? Bene, suppongo» Hermione iniziò ad occuparsi degli albumi.
«Ne parli con la stessa intensità con cui racconteresti di un incontro in banca» Lui unì gli ingredienti tritati alla crema ottenuta con il burro fuso e i tuorli zuccherati. 
La Grifondoro interruppe per un momento quello che stava facendo per lanciargli un’occhiataccia. 

«Hermione, non puoi fermarti mentre monti gli albumi altrimenti non si montano, lo hai detto tu prima» Draco, che aveva spiato quella sua espressione dalla coda dell’occhio, la provocò ulteriormente senza nemmeno guardarla, continuando a mescolare il composto che aveva unito poco prima. Sarebbe potuto esplodere in una risata da un momento all’altro. 
Hermione al momento si trovava su un’altalena di emozioni che lottavano tra di loro per avere il primato. L’aveva provocata non troppo velatamente riguardo al suo appuntamento con Ron e stentava a comprenderne il motivo, visto che non si era mai permesso prima di esprimere anche velatamente una sua opinione a riguardo. L’aveva poi chiamata Hermione e presa in giro nella stessa frase. L’unica cosa che non la fece esplodere fu il modo vellutato con cui la chiamò per nome. Forse si stava immedesimando troppo in quella spuma di albumi soffice come la neve. 
Draco, notando che non arrivò nessuna reazione a scombinargli le carte, parlò di nuovo.

«Okay, alleggeriamo un po’ questa atmosfera lugubre, cosa ne dici?» si allontanò per un momento dal ripiano della cucina e riprese la bacchetta. Agitandola, questa iniziò a produrre una leggera musica natalizia.
«Malfoy, in caso non lo avessi notato siamo quasi in primavera»
«Granger, in caso non lo avessi notato questa ricetta si chiama pudding di natale al cioccolato, non semplicemente pudding al cioccolato, quindi ci vuole un’atmosfera natalizia altrimenti il dolce non viene su, lo hai detto tu stessa» Stavolta il Serpeverde le sorrise apertamente, consapevole che quella musica non fosse adatta ma risoluto nel trovare dei modi che potessero farla innervosire. Evidentemente adorava sentirsi rimbeccato, e il modo tutto suo che aveva di puntualizzare cose per lui ovvie. 
«Veramente io non…ah, come vuoi». Hermione, che invece aveva preso più seriamente la cosa, cominciò a versare gli albumi nel composto che Malfoy aveva creato stando attenta a non smontare l’effetto nuvola. Nel far questo, si ritrovarono nuovamente vicini. Per due volte le mani di lei gli sfiorarono le braccia, ferme sulla ciotola. L’espressione concentrata della Grifondoro era impagabile. Draco si leccò le labbra dando la colpa di quel gesto all’invitante miscela che avevano creato -e senza l’aiuto della magia!
Il Serpeverde si spostò a preparare l’occorrente per la cottura e la Granger finì di mescolare il tutto, in ultimo versando il contenuto nella forma a ciambella. 

«Adesso dovrebbe cuocere per una quarantina di minuti a bagnomaria»
«Cos’è un bagnomaria?»  chiese curioso lui. Osservava la Grifondoro passare il composto nella formina e poi metterlo in forno. 
«Un tipo di cottura»
«Certo che i babbani sono strani»
«Mai quanto i maghi» esclamò lei chiudendo il forno con un gesto sicuro. 
Rimasero in silenzio per qualche minuto. Draco procedette a ripulire tutto con la bacchetta, la musica continuava ad aleggiare per la stanza e le candele erano quasi arrivate alla fine della cera.
La Grifondoro si era fatta taciturna, la sua espressione non lasciava trapelare niente, si mordeva il labbro inferiore con insistenza. 

«Perché sei qui, veramente?»
«Te l’ho detto, avevo fame»
«Il picnic non ti è bastato?»
«No»
«Lui lo sa?»
«Perché ferirlo? Dovrei dirglielo?»
«Dovresti fare solo quello che senti. Se vuoi dirglielo fa pure, se non vuoi, non farlo»
«Cambierebbe qualcosa per te?» un’ammissione di troppo.
«No…e poi, sei qui comunque» Draco glielo disse all’orecchio, sfiorando la porzione di pelle scoperta dal maglione. 
Nel frattempo, i loro corpi si erano fatti più vicini, assecondando la musica distrattamente, involontariamente. 

«Io non sono così, io non...ho mai tradito»
«Eri ubriaca Hermione, non abbiamo fatto nulla di male, non ha significato niente»
In lei, qualcosa a cui non aveva ancora dato nome e volto, si incrinò leggermente.
«E adesso?»
«Adesso stai solo ballando»
Non stavano veramente ballando. Erano quasi fermi nella posizione in cui erano stati interrotti. Le mani che si sfioravano, si intrecciavano e si inseguivano, dall’altra la mano libera di lei appoggiata alla spalla, quella di lui che la teneva stretta dietro la schiena mentre esercitava una leggera pressione. Il mento le sfiorava la fronte.
«Non ti sto offrendo una scelta Granger, lo capisco quando il tuo cervello va al galoppo cercando soluzioni. Questo non è un problema da risolvere, io non sono compreso nella vostra equazione»
Hermione si risentì improvvisamente. Non che avesse mai considerato l’idea di Malfoy come qualcosa di lontanamente simile ad un fidanzato, non lo aveva mai considerato nemmeno come amico, ma lui si stava discolpando di un affare in cui pur non volendo era entrato e non poteva sostenere di non essere la causa di tutti i suoi dubbi.
Poi però la ragazza realizzò che il Serpeverde non poteva sapere cosa gli stesse passando per la testa, lui ignorava la sua difficoltà nel cercare un’intesa con Ronald, ignorava la preoccupazione che l'assaliva ogni volta che constatava che l’intesa tra loro era molto più forte di quella che aveva con il suo stesso ragazzo.

«Non ho intenzione di fare una scelta, infatti»
Hermione si dileguò da quello strano abbraccio e si volse a dare un’occhiata al dolce. La sensazione provata quella sera, quando erano avvinghiati, ubriachi, la abbandonò.
Draco si sentì di nuovo scoperto. Che si era innervosita, gli era perfettamente chiaro. E la sua ultima affermazione ne era una prova ulteriore. Solo che sentirsi esplicitamente escluso lo urtò in un modo a cui non era preparato. 


«Questo è strano»
«Cosa?» Draco le si rivolse preoccupato, guardando il dolce con apprensione. Era cresciuto velocemente, come per magia, sembrava quasi cotto.
Si guardarono dubbiosi.

«Io non c’entro niente»
«Io non ho fatto niente» dissero all’unisono.
La ragazza estrasse il dolce dal forno, e dopo qualche minuto lasciato a farlo raffreddare, constatarono che si, era pronto.

«Però non è male» disse lui a bocca piena.
«Non mi spiego come abbia potuto cuocere in dieci minuti»
«Questione di chimica, magari», rispose naturalmente lui. 
«Adesso mi dirai anche che il dolce ha una ragione che la logica non conosce?»
«Anticipi anche le mie battute, Granger, ma che brava!»
Esplosero in una grande risata.
Dopo qualche minuto in silenzio passato ad assaggiare il dolce, la Granger si ricordò improvvisamente che aveva lasciato Ron ed Harry in Sala Grande e che ormai a quell’ora avrebbero dovuto essere già in Sala Comune. 

«Allora io...andrei» decretò infine. 
Draco, aveva ancora con la bocca piena, annuì lentamente, procedendo a raccogliere le sue cose intenzionato a fare lo stesso.
Hermione recuperò la sua bacchetta e strofinatasi le mani sui pantaloni per togliere i residui di briciole fece per voltarsi in direzione dell’uscita. La musica era lentamente andata spegnendosi e Draco imitò tutti i suoi gesti, prese la bacchetta, cerco di sistemarsi la camicia ormai indelebilmente macchiata di cioccolato e si passò una mano tra i capelli disordinati. 

«Granger, aspetta» la richiamò, bloccandola dolcemente con la mano sul polso.
Hermione si voltò e solo allora sollevò lo sguardo. Non disse nulla. Dopo brevissimi istanti Draco le sorrise (gli veniva naturale più del necessario, sorriderle), e le passò il pollice sulla guancia, facendo poca pressione per pulire qualche residuo di farina e cioccolato. Si stava offrendo lui stesso di coprire le tracce di quell’incontro, per nulla intenzionato a creare scandalo o a metterla in una posizione compromettente con Weasley. Non desiderava sollevare un polverone, aveva già i suoi problemi, i suoi giri a cui dare corda. Come aveva cercato di farle capire, non voleva essere il problema e nemmeno la soluzione.

«Ora puoi andare»
Interruppero il contatto un’ultima volta. Avevano silenziosamente optato per uscire separatamente, così da evitare qualsiasi possibile spiacevole sorpresa una volta fuori. 

  
Il giorno dell’esame Draco Malfoy cucinò con una tale scioltezza e semplicità da stupire tutti in classe, persino la professoressa Reynards, che senza pensarci due volte gli fece superare l’esame e lo congedò con un ampio sorriso. Quando uscì dall’aula si sentiva leggero, più sé stesso.
Trovò la Granger seduta sul prato nel cortile d’ingresso, insieme alle sue due amiche Corvonero di cui non ricordava i nomi. Era insolito vederla in un trio che non includesse anche il Prescelto.
Si avvicinò a passi spediti e sicuri, mentre le sue amiche, che lo notarono già a metri di distanza, avevano un’espressione sconvolta, simile a quella che assumevano di fronte a una delle strane creature che gli presentava Hagrid a lezione.

«Ma quello è veramente…?»
«Sta venendo qui! Hermione, sta venendo qui!»
«Che cosa vorrà mai?»
In quel dialogo fatto solo di esclamazioni sorprese e agitate, Hermione si era autoesclusa. Mentre le sue amiche erano in preda al panico lei osservava il ragazzo avvicinarsi. Si alzò spontaneamente, con un sorriso stampato in faccia che Ivy e Gracie stentavano a capire. Notò che in mano portava un tovagliolo piegato su sé stesso.
«Buon pomeriggio Granger»
«Come è andata?»
«A meraviglia. La Reynards mi ha congedato con un Eccezionale e l’accesso diretto al prossimo esame»
Hermione lo guardò con un sorriso vittorioso, come se parte di quel voto fosse suo. In un certo senso lo era.
«Volevo solo darti questo» Nel consegnarle il contenuto del tovagliolo le prese la mano e la toccò. Con naturalezza, alla piena luce del sole, nel cortile della scuola. Draco le appoggiò il tovagliolo sulla mano e questo si aprì, rivelando un pezzo di pudding che era avanzato dalla lezione. Hermione comprese che quello era il suo modo per ringraziarla e non avrebbe chiesto di più. Non quel giorno.
«Ci si vede» sussurrò piano. Poi spostò lo sguardo dietro alle spalle di Hermione. Fece un cenno con la testa e «Ragazze...» si congedò, facendo un cenno con la testa a mo' di saluto.
Hermione non riuscì ad assaggiare di dolce perché le amiche gli si avventarono sopra credendolo avvelenato. Dopo il lascia passare della Grifondoro, lo assaggiarono e come se avessero assistito all’evento di qualche giorno prima nella Stanza delle Necessità, cominciarono ad arrossire. 
Ivy e Gracie si lanciarono uno sguardo complice e capirono che il pudding aveva lo stesso odore che avevano sentito sui capelli di Hermione quel giorno in giardino.

«Da quant’è che tu e Malfoy vi cimentate in esperimenti culinari?» Ivy avrebbe voluto farle una domanda più esplicita, ma la mente brillante di Hermione colse comunque la sua vera curiosità. 
Non li avrebbe proprio definiti esperimenti culinari, quanto piuttosto esercizi di accettazione.
Cosa c’era da ammettere però, non le era ancora troppo chiaro.

«Da un po» ammise infine, rimettendosi a sedere in mezzo a loro. Da quel momento in poi fu seppellita di domande a cui non diede risposta, cominciò a ridere cercando di eludere le insistenze delle sue amiche, propinando scuse e piccole bugie bianche. Non era ancora arrivato il momento in cui gli avrebbe rivelato quanto successo tra lei e Draco.
Nel frattempo, il Serpeverde stava circumnavigando il cortile per raggiungere la prossima lezione. L’eco della sua risata gli arrivò dritta al cuore. 


 
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Ivy Locket, Gracie Boots, Leo Gorgon, Melton Hazel e Myrtle Reynards sono personaggi inventati.

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Capitolo 3
*** Haunted House ***


Muggle Studies

3.
 
HO POCHE PAROLE PER QUEL CHE VUOI TU
NON TE LO DEVO RACCONTARE
NON SO PIÙ NIENTE DI ME
Generic Animal - Sorry 

 
 
I Black danzavano da sempre sull’orlo di un baratro che affacciava sulla follia. A quanto ne sapeva l’unica ad esserci proprio caduta con tutti e due i piedi era stata sua zia Bellatrix Lestrange. A volte pensava di aver preso da lei, che si sarebbe rovinato dietro a battaglie vuote a perdere, inseguendo utopie ed ideali non praticabili in nessun mondo, in nessun tempo.
C'erano volte in cui si sentiva abbastanza sicuro nella sua incertezza da potersi sporgere ogni tanto, poter scorgere il suo riflesso nel lago nero e pensare di inseguirlo oltre quelle acque profonde. Chissà chi avrebbe trovato sul fondo. Poi però rifletteva sul fatto che quei pensieri sconnessi non avevano il minimo senso e forse si, erano una prova sufficiente della sua pazzia. 
Non conosceva bene i Black, nemmeno sua madre, che forse era l’unica stella ancora non morta in quella famiglia. Il fatto che il Prescelto fosse così unito a quel Sirius, gli dava più fastidio di quanto credesse. Di nuovo che Potter occupava i suoi spazi, contaminando ogni angolo con quella cicatrice e i suoi occhiali mezzi rotti. Sembrava che l’unica cosa in comune che Draco avesse con i membri della sua famiglia materna fosse il nome di costellazioni, e come tali sarebbero tutti quanti implosi in immensi buchi neri. I Black inghiottivano qualsiasi cosa e chiunque intralciasse il loro cammino nel firmamento.
Draco però del suo destino non ne voleva sapere, stava iniziando a godere dell’incertezza e dell’ignoto, senza seguire passi già compiuti prima di lui. Al tempo stesso però, il sottile filo che ancora lo teneva legato al suo destino lo teneva ancora fermo dov'era, a tormentarsi nella sua sete di conoscenza.
Amava e odiava i Black. Era quando li amava, il problema.

 
Noi ci saremo quando vorrai tornare.

Draco girava e rigirava la piccola pergamena tra le mani, osservandola come se stesse valutando una prova di un crimine. Non aveva ancora risposto al messaggio di sua madre, ed erano mesi che non metteva piede a Malfoy Manor.  I tempi in cui riceveva dolci squisiti dalla madre erano finiti. Negli anni precedenti tornava almeno una volta ogni due settimane durante i weekend e per le feste. Anche se in quegli spazi bui e angusti difficilmente si respirava aria di festa.
Era un posto lugubre, buio, umido, sembrava un’immensa prigione e gli mancava sempre l’aria, ma ultimamente più del solito. L’ultima sfuriata contro il padre non aveva fatto in modo di evitarla, al contrario, l’aveva proprio provocata, scagliandovisi contro senza nemmeno la bacchetta, direttamente con i pugni tesi. 
Non sopportava più la sua vista. Era un uomo patetico, ridottosi quasi ad un vegetale e questo solo perché non era riuscito a compiacere l’uomo che per primo aveva contribuito alla loro rovina. Lucius Malfoy non aveva mai considerato il bene di nessun altro essere umano se non di sé stesso. Non lavorava per il Signore Oscuro con l’obiettivo di garantire una vita migliore alla sua famiglia. Loro avevano già qualsiasi cosa avessero potuto desiderare. Lo faceva solo per sé stesso, per soddisfare quel piacere malato che traeva dalle torture, dalle maledizioni, dalle ingiustizie inferte agli altri. Non importava neanche più il sangue. 
Narcissa era tutta un’altra storia.
Una storia che non aveva mai capito del tutto.


I fine settimana ad Hogwarts erano diventati noiosi, senza più nessuna creatura maligna da tenere fuori dalle mura, gli studenti erano sempre svogliati e stravaccati sull’erba o nelle sale comuni ad oziare senza uno scopo. E non che Draco desiderasse il pericolo, quei tempi erano finiti e ne era sollevato, ma a volte necessitava di spazi non solcati da studenti in preda ai bollori di filtri d’amore e scherzi firmati Weasley. 
Era la quarta sera che passava a Grimmauld Place. Praticava la smaterializzazione dalla torre di astronomia, pur sapendo di star infrangendo un'infinità di regole, ma ormai era diventato un gioco da ragazzi. 
Non erano le prime volte che metteva piede a Grimmauld Place; a seguito della battaglia, lui e i suoi genitori si erano rifugiati lì per qualche giorno, in attesa di scoprire quale fosse il loro destino. Non sapeva come, ma riuscirono a cavarsela anche quella volta. Lucius evitò di finire ad Azkaban perché ormai definito quasi incapace di intendere e di volere. Se erano fuori dai guai lo dovevano solo a sua madre e alla sua incontrastata bravura nella legilimanzia. Si era infiltrata nei pensieri più oscuri di uno dei nuovi funzionari del Ministero e aveva scoperto chissà quale segreto che usò per ricattarlo. 
I corridoi sapevano di malinconia. Kreacher continuava a spolverare i quadri e i comodini come se stesse aspettando chissà quali ospiti, e non si risparmiava dall’insultarlo a bassa voce quando lo incrociava per i corridoi. Quell’elfo aveva la capacità di avvertire il tradimento ovunque, pertanto doveva esserci abituato. Draco non sapeva spiegarsi il perché quella creatura gli serbasse così tanto odio, visto che a prova contraria rimaneva pur sempre un mangiamorte. In quelle notti passate lì rasentò la paranoia nel tentare di scoprire cosa sapesse quel dannato elfo sul suo conto. Non che avesse chissà che da nascondere, dopotutto. 
Anche se, pensandoci bene qualcosa c’era. 

 
La sua stanza preferita era quella che raffigurava l’albero genealogico della famiglia Black. Passava delle ore seduto per terra di fronte a quell’affresco. Si ricopriva sempre i pantaloni di una polvere così spessa che a stento riusciva a pulirla, perché quello era l’unico posto che Kreacher lasciava sempre intoccato durante le ore di pulizia. Non metteva mai i piedi lì e dopo qualche vano tentativo di far spaventare Draco e indurlo a fare altrettanto, si diede per vinto non senza sussurrargli qualche maledizione dietro le spalle. Draco faceva finta di non sentire e chiudeva la porta dietro di sé, bloccando anche le voci che provenivano da quelle figure all’interno con lui. Gli piaceva poi, passare le dita sulle immagini, era come se potesse arrivare a conoscere ancora di più le persone dietro quei dipinti, come se potesse rivivere la loro storia, sentirla pulsare nelle sue vene. Si soffermava sempre di più sul dipinto bruciato di Sirius e di sua zia Andromeda. 
Sua madre non gli aveva mai parlato di loro. Scoprì da Bellatrix stessa che era morto perché una volta tornata a Malfoy Manor con il Signore Oscuro dopo l’accaduto, non faceva altro che raccontare i dettagli della morte. Per Draco non significò nulla, eppure poté percepire un sussulto appena udibile da Narcissa, che nonostante questo la guardò calma, sorridendo lievemente, così come si fa con un pazzo che non si vuole far agitare ancora di più. 
La morte di Sirius non ebbe alcun effetto sulla sua vita, eppure, sfiorando con le dita la piccola pergamena che una volta raffigurava il suo nome, sentì per la prima volta un senso di appartenenza diverso, per niente familiare.
Il sangue non c’entrava nulla.

 
Hermione Granger non ci mise molto a capire che Draco Malfoy stava di nuovo tramando qualcosa. Avevano smesso di parlarsi. Quando si incrociavano per i corridoi lui la osservava per qualche secondo, passando poi oltre come se si fosse trattato di un quadro della cui presenza era abituato e non serviva soffermarvisi a lungo.
La Grifondoro si sentiva parzialmente offesa da quel suo trattamento, ma optò per non chiedere spiegazioni che l'avrebbero sicuramente fatta pentire dei suoi propositi.
Tuttavia, non poteva non notare che ci fosse qualcosa di diverso. Quel ragazzo stonava con i colori gioiosi e caldi della primavera, sembrava trovarsi in un eterno inverno, al punto che sentiva sempre freddo quando lo incrociava per i corridoi o lo vedeva a lezione. Riusciva sempre ad eccellere però, anche se sembrava avere la testa altrove. Un lusso questo, che la Granger pensava di non potersi permettere, quantomeno a lezione. 
Durante i giorni liberi si dileguava come fumo, di questo era ormai sicura perché sembrava non esserci più traccia di lui. Ivy e Gracie non avevano più fatto domande, anche perché non più incoraggiate, visto che Malfoy aveva smesso di ronzare attorno alla Granger come se lei fosse miele e lui un’ape regina. Dopo qualche battuta sulle ricette babbane, che però non sortirono alcun effetto sulla diretta interessata, capirono che quella storia non era nemmeno una storia, tanto per cominciare. Le due Corvonero però continuavano segretamente a sperare ci sarebbe stato altro a coinvolgere quei due, qualsiasi cosa pur di risollevare la scuola dal mortorio in cui era sprofondata dopo la battaglia contro Voldemort. 
Fortunatamente per loro, l’istinto della Grifondoro per i guai non aveva eguali, anche se non sapeva nemmeno da quando Malfoy era diventato il suo guaio, aveva l’impressione lo fosse sempre stato.
L'attimo perfetto arrivò una sera a cena; lo osservò attentamente, cercando di risultare il meno impacciata possibile, e nel frattempo sgranocchiava qualcosa per non far insospettire i suoi compagni. Draco le appariva tranquillo, sorrideva alle battute di Blaise continuando a fissare il suo piatto.

All’improvviso il ragazzo si alzò, salutò i compagni e si avviò a passi lenti verso il portone. Hermione trovò una scusa qualunque, salutò Ron e gli altri inventando una scusa su due piedi e rassicurandoli sul fatto che si sarebbero visti più tardi in Sala Comune. Quindi, senza destare sospetti, si avviò verso l’uscita e cominciò a seguire il Serpeverde a dovuta distanza. 
Ivy, che nel frattempo aveva osservato tutto dal tavolo dei Corvonero, sorrise compiaciuta, pensando che forse l’anno migliore ad Hogwarts doveva ancora cominciare.

 
Il ragazzo raggiunse la torre di astronomia, si guardò attorno per assicurarsi che fosse solo e poi si smaterializzò. Nei brevi istanti che seguirono, nessuno dei due capì cosa stesse succedendo. Hermione fece un balzo da felino avventandosi sulla camicia del Serpeverde, il quale era ormai in fase di smaterializzazione, e senza che riuscì a dire niente trascinò anche la Grifondoro con sé, nel corridoio principale di casa Black. 
«Cazzo, Granger…ma che ti è saltato in mente?» Il ragazzo aveva la manica destra della camicia scucita per l’irruenza della smaterializzazione, Hermione perse il suo mantello e si accasciò un secondo per prendere fiato.

«Dove siamo?»
«No, la domanda giusta sarebbe che ci fai tu qui! Mi stavi pedinando, per caso?»
«Volevo vedere…cosa stessi tramando» Hermione si tirò su facendo leva sulle ginocchia scoperte. 
«Possibile che per voi un Serpeverde taciturno stia sempre tramando qualcosa? Guarda che tramare non è lo scopo della mia vita»
«Ma questo è l’Ordine» affermò lei senza soffermarsi un secondo di più alla risposta di Draco. Sapeva che il Serpeverde aveva ragione, era ormai abituata a vedere trame losche ovunque e non abbassava la guardia quando invece avrebbe solo potuto farsi gli affari suoi. La sua curiosità però prendeva il sopravvento sul buon senso la maggior parte delle volte. 
«Veramente è casa nos…mia, prima di ogni cosa»
«Perché sei venuto qui?»
Non avrebbe potuto mentirle, anche se ci avesse provato. Draco non aveva intenzione di rimanere sul ciglio della porta a subire il suo terzo grado, avrebbe dovuto fare bene ad accettare quella condizione già che erano lì insieme.
«Ultimamente vengo spesso qui, non mi dispiace a volte il silenzio» nel dirle questo, il ragazzo abbassò lo sguardo verso la ragazza, sorrise malizioso come a voler rimarcare la battuta poco velata appena fatta. Hermione non rispose.
Percorsero il corridoio, Draco prese le scale e lei, non sapendo cos’altro fare, lo seguì.

«Quindi è qui che vieni ogni sera»
«Non proprio ogni sera, ma si. Adesso mi spii anche, Granger?»
«Non ti ho spiato, è facile notarti, tutto qui» si pentì subito dopo aver pronunciato quelle parole. Per poco non inciampò. Avrebbe preferito precipitare da quelle scale piuttosto che confrontarsi con i suoi occhi. Eppure, lui non si girò, le rispose ancora di spalle.
«Così non te la cavi meglio» ribattè piccato. Hermione poteva chiaramente vedere quel sorrisetto impertinente stampato sulla faccia del Serpeverde pur osservandolo di spalle.
Arrivarono in cucina. La ragazza conosceva bene quella casa, era lì che il trio si era nascosto prima della battaglia finale, spendendo notti e giorni in totale solitudine e apprensione.
Trovarsi lì con Draco era come ripercorrere le vecchie vie del passato ma con uno sguardo nuovo, inaspettato, diverso.

«Hai fame?»
«No, ti ringrazio. Posso anche andarmene, d’altronde è casa tua»
«Se avessi voluto, a quest’ora ti avrei fatto smaterializzare a forza, Granger»
Il Serpeverde le fece levitare una tazza di tè bollente davanti e lei la prese. 
Si dileguò al piano di sopra, dicendole che voleva buttare la camicia ormai inutilizzabile e lei annuì, sorridendo appena, un po’ mortificata per l’accaduto di poco fa.
La curiosità innata di quella Grifondoro però la vinse ancor prima di tentare di resistere contro sé stessa, non esitò neanche un momento. Così, iniziò subito a guardarsi intorno, voleva vedere se ci fosse stato qualche cambiamento dall’ultima volta che era stata lì.
Quel posto era infestato di ricordi.
Arrivò alla stanza dell’affresco, guidata da quella che la sua razionalità spiegò subito come illusione uditiva. Lungo il corridoio, voci degli antenati Black sussurravano parole indecifrabili, come bisbigli che si perdevano fra la polvere. 
Tra un sorso di tè e un altro, osservava attentamente le figure della famiglia Black osservarla di rimando dalla vecchia parete, finché non posò gli occhi sul ritratto di Narcissa Malfoy, sul suo sguardo tagliente, sul viso altezzoso. Passata oltre quello sguardo giudicante, la giovane posò gli occhi sul volto di un giovane Draco, il volto furbo, un sopracciglio alzato in segno di sdegno e un grugno a storpiargli i lineamenti. 

«Ci avrei scommesso tutto il mio oro che eri qui» cantilenò il ragazzo, appoggiatosi alla parete con le braccia conserte davanti a sé. Hermione sussultò e per poco non si versò del tè addosso colta alla sprovvista.
Nel frattempo, Draco si era cambiato con una semplice maglietta bianca a maniche corte e un paio di jeans che ricadevano leggermente larghi sulle sue gambe toniche. I capelli scompigliati scendevano sulla fronte.
Era stranissimo vederlo in quelle vesti. Senza marchio nero sarebbe sembrato un ragazzo qualunque.

«Non sapevo che fare in cucina» 
«Non sai stare un attimo ferma, ecco cosa»
Hermione distolse lo sguardo dopo averlo sollevato al cielo in segno di dissenso, segretamente divertita da quel solito battibecco che da qualche tempo a quella parte distingueva tutte le loro conversazioni. 
«Hai seguito le voci?»
Lei annuì, non capendo il motivo di quella domanda. Draco accolse l’informazione ad annuì di rimando, concentrandosi sulle sue scarpe mentre rifletteva su qualcosa che la Granger non riuscì a decifrare.
«Perché vieni qui, Draco?» Non riusciva a capire perché imporsi una sofferenza che se fosse stata in lui avrebbe invece lottato per lasciarsela alle spalle.
Il Serpeverde sollevò nuovamente lo sguardo su di lei, stupito nel sentirsi chiamare in quel modo proprio dalla giovane.
Erano passate alcune settimane da quando si erano trovati soli l’ultima volta. Forse molto più tempo da quando lo aveva chiamato per nome la prima volta. 
I mesi passavano ma loro sembravano appesi in un limbo da cui non riuscivano a liberarsi, forse Draco nemmeno lo voleva. Dopotutto -pensò- il limbo era sempre meglio dell’inferno.
Si staccò dalla porta e fece alcuni passi verso di lei. Si rivolse alla parete, standole di fianco. Le braccia sempre conserte. Hermione invece era rivolta con le spalle verso di lui e lo guardava, in attesa di una risposta. 

«Cercavo...ah, no, non ha importanza» scosse le spalle cercando di togliersi quel pensiero di dosso.
Cos’è che cercava esattamente? Risposte? 
Si incantò ad osservare il ritratto bruciato di Sirius davanti a lui, ed Hermione seguì il suo sguardo. Le mancava la sua saggezza e la sua ironia. Era stato lui a darle quella conferma di cui forse non aveva bisogno ma che comunque aveva apprezzato. “Sei davvero, la strega più brillante della tua età”. Una definizione in cui Hermione si riconosceva, certo, ma che non era l’unica che voleva. Sentiva di avere più spessore di quello che gli altri notavano.

«Sai, avete più cose in comune di quanto sembri»
Draco spostò lo sguardo su di lei, accigliato, in attesa di una spiegazione che rendesse più chiaro quel contorto e assurdo ragionamento.
«Sei diverso» riprese lei, avendo notato la sua espressione confusa. «E se anche l’ultima volta che te l’ho detto ero ubriaca, ero comunque sincera» La Granger sogghignò impacciata dopo quell’affermazione e diede un lungo sorso di tè per celare l’imbarazzo.
«Perché sei qui Granger? Voglio la verità, stavolta» Gli sembrava  che dietro le azioni della Grifondoro ci fosse sempre uno scopo chiaro e definito, e siccome lui stentava a riconoscerlo, chiedeva a lei delle conferme. Se solo lui avesse saputo della mancata chiarezza negli scopi della Granger da qualche mese a quella parte, probabilmente avrebbe smesso di porsi quella domanda.
«Perché è così che ho scelto» 
Non c’era altro modo di descrivere qualcosa di cui non conosceva ancora la natura. Tutte le sue azioni, persino quelle in cui appariva meno lucida, erano frutto di una scelta. E se ancora ne ignorava la ragione, non poteva fare a meno di prendere sempre la stessa strada. E quella strada si incrociava con la sua.
Nessuno era più lo stesso dopo l’ultima battaglia. E forse avevano iniziato a cambiare già da tempo ma erano così impegnati a proseguire sul tracciato di altri che non si erano posti alcune domande fondamentali su chi veramente volessero essere. 
Draco sapeva la metà di lei quello che stava succedendo, e non era uno che prima di allora si era fatto molte domande. 
Le accarezzò una guancia, spostandole qualche ciuffo riccio ribelle dietro l’orecchio ed Hermione glielo lasciò fare senza opporsi, senza aggiungere altre parole.

«Vorrei baciarti»
Glielo sussurrò a pochi centimetri da lei. Non voleva che prendesse più di quanto lei volesse dargli. 
«Puoi»
Disse lo stesso quando al Ballo del Ceppo lei si muoveva su di lui invitandolo a seguirla. Draco se lo ricordò e le sorrise sulla bocca appena schiusa.
In pochi secondi, la tazza del tè cadde e si frantumò, generando un rumore sordo, fuori dall’ordinario per quella casa dominata da spiriti. Draco sapeva che da lì a momenti sarebbe arrivato quell’odioso elfo domestico a lamentarsi chissà per cosa e non aveva intenzione di sopportare le sue lamentele, specialmente in quel momento. 
Perciò, senza staccarsi un centimetro da lei, Draco si smaterializzò in un’altra stanza, allontanandoli dal luogo del misfatto e lasciando così Kraecher a bocca asciutta. Una volta arrivato sul luogo del delitto però mise in fila una serie di maledizioni infinite che continuarono a profanare le orecchie degli altri quadri della casa fino a tarda notte e solo per del thé rovesciato.
Erano finiti nella vecchia stanza di Regulus Black, lei c’era già stata. In un altro tempo e spazio.
I movimenti erano frenetici, le bocche si esploravano staccandosi solo per pochi attimi e prendere fiato e poi riprendevano. In quegli istanti di tregua si occupavano di altre porzioni di pelle, accompagnate dalle mani, che altrettanto frenetiche procedevano al tenero assalto muovendosi come se sapessero già dove andare, come muoversi, come scatenare reazioni. Draco teneva una mano tra i suoi capelli, a volte li tirava leggermente facendole inarcare il collo,  una posizione favorevole alle sue labbra, che potevano così continuare indisturbate a mordicchiare e leccare quella parte di pelle chiara e sensibile.
Lo stesso faceva Hermione, che senza farsi sopraffare sapeva stabilire una certa tensione tra i loro corpi frementi, si appoggiava con tutto il corpo su di lui, infiltrando le mani sotto la maglietta e sulla schiena, percorrendone ogni centimetro che riuscisse a raggiungere.
Altrettanto freneticamente i vestiti caddero a terra.
Draco la sollevò e se la portò in braccio mentre si sdraiava sul letto con movimenti scattanti. I respiri erano affannati, le bocche arrossate, i corpi aggrovigliati in una morsa i cui effetti si sarebbero rivelati il giorno dopo, ma nessuno dei due voleva pensare alle conseguenze. 
I baci sul collo di Hermione erano una tortura a cui si sarebbe sottoposto fino a morire, e forse sarebbero bastati solo quelli a farlo precipitare nel baratro della pazzia. Avrebbe fatto volentieri compagnia a sua zia Bellatrix in quell’inferno di fuoco e Sanguepuro, se vi fosse stato spedito per mano di Hermione in persona.
Lei era la sua tortura e la sua appartenenza.
Il sangue non c’entrava. Non più.
Si persero e si ritrovarono l’uno dentro l’altro, diversi, uguali.
 
 
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Ho cambiato alcune cose riguardo alla casa di Grimmauld Place. In realtà è passata ad Harry come da testamento e non ai Malfoy.
 

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Capitolo 4
*** Regrets ***


Muggle Studies

4.
 
TE LI RICORDI BENE 
QUEI CRAMPI ALLO STOMACO?
-Coma_Cose, Guerre Fredde- 


 
 
«Devo assolutamente recuperare in Trasfigurazione»
«Potresti chiedere aiuto a Morgan Leon, dicono sia un genio in Trasfigurazione
»
«E non solo in quello, a quanto si dice» Hermione commentò distrattamente con la testa persa tra le nuvole. Il sole era alto in cielo, l’ora libera stava giungendo al termine, ma il calore sulle gambe scoperte e la luce del sole sul viso le proibivano di alzarsi e riprendere le sue attività quotidiane. Durante la primavera la professoressa McGranitt lasciava che gli studenti pranzassero fuori; quel tepore scongelava anche il più pigro dei maghi e ormai la professoressa sapeva, dopo anni e anni passati a cercare di insegnare l’ordine e la disciplina con scarsi successi, che con l’arrivo della primavera poteva anche permettersi di allentare un po’ la cintura, perché non c’era proprio incantesimo che tenesse a freno gli spiriti rinsaviti dopo tanta neve e pioggia.
Gracie era sdraiata accanto ad Hermione, con entrambe le braccia dietro la testa e il volto ad osservare il cielo terso. 
Ivy giocherellava con qualche fiorellino e nel frattempo cercava di provocare Gracie mettendo in mezzo quel povero ignaro Morgan Leon che sedeva a qualche metro da loro e parlava con altri Corvonero.
La ragazza era completamente cotta di lui.
Mentre Ivy quindi continuava ad insistere cercando di farle capire che valeva la pena di rischiare una figura perché ormai dava per scontato che anche Morgan ricambiasse i suoi sentimenti (non ne era del tutto certa ma avrebbe dato qualsiasi cosa pur di vedere la sua amica rischiare per quello che voleva e provare ad essere felice), Hermione continuava a sbuffare e a pensare alla sera di una settimana prima, ai capelli di Draco in mezzo alle sue gambe. Non le era ancora chiaro se sbuffava per l’insistenza di quel pensiero o se fosse perché le mancava quella sensazione.
 
Nella settimana successiva al fatto, Hermione fece esperienza di emozioni contrastanti che non fecero altro che combattersi tra loro, fino a che non raggiunsero una specie di tregua in cui a prevalere non era stato il senso di colpa, contrariamente a quanto si aspettava. Non provava nemmeno vergogna, perché quello che era successo era come una conseguenza naturale dell’essere Draco e Hermione insieme.
Era una sensazione difficile da spiegare, che nemmeno una mente brillante come la sua sapeva districare. E da un lato ne era felice, finalmente poteva permettersi di provare qualcosa che fosse lontanissima dal pericolo e dal dolore, e godere dell’impossibilità di comprenderla. C’era un passaggio che la giovane Grifondoro aveva sempre bypassato nella gestione delle emozioni. Quando si trovava di fronte alla morte non c’era il momento di provare terrore, adrenalina, niente di tutto ciò. C’era solo il momento di agire prima che la morte avesse il sopravvento. Ora che il pericolo era passato, poteva godersi quella giovinezza che le era mancata e insieme a quella, anche la scoperta di sensazioni che non aveva avuto il tempo di provare, di emozioni che non aveva avuto il tempo di vivere, prima di capirle.
Nel frattempo gli sguardi di Gracie e Morgan si incrociarono distrattamente. 
«Sono andata a letto con Malfoy
» Hermione confessò l’accaduto con una naturalezza che lasciò le sue compagne doppiamente basite dalla sua affermazione. La Grifondoro chiuse gli occhi e non per la luce intensa che si abbatteva sul suo viso, ma per prepararsi mentalmente alla reazione spropositata delle sue amiche. Dirglielo a quel punto forse l’avrebbe aiutata a capire cosa fare. 
Gracie ruppe il contatto visivo con il Corvonero, che le sorrise solo quando lei non lo guardava più.

«Cosa?» esplosero in una risata altisonante.
«Oh, Hermione! Non finisci mai di stupirmi» Ivy fu la prima a commentare, sorridendo caldamente verso la Grifondoro. Le mise una mano sulla spalla e strinse la presa appena. Voleva farle capire che si, probabilmente avrebbero messo lei e Malfoy sulla gogna ogni volta che da quel momento in poi si sarebbero incrociati tra i corridoi, ma infondo, poteva sempre contare sul loro appoggio. Hermione era divertita quanto loro, non sentiva alcun giudizio pioverle sulle spalle. Si sentiva leggera, e forse un po' imbarazzata.
«Scommetto che questo lo abbia detto anche Malfoy»
«Gracie!» Hermione e Ivy le risposero in coro con tono canzonatorio e divertito al tempo stesso. La Grifondoro, che per richiamare l’amica si era sollevata con la schiena, soffocò un sorriso e si lasciò cadere nuovamente a terra con un sospiro. 
«Devo dirlo a Ron, non posso continuare a far finta di nulla»
«Aspetta, quindi la questione è davvero così seria?» le domandò Ivy. I capelli corvini risplendevano alla luce del sole, i suoi occhi sembravano ancora più intensi del normale, con quelle loro sfumature violacee.
Hermione sentiva che nonostante stessero insieme solo da pochi mesi, doveva dirglielo perché prima di ogni cosa era uno dei suoi migliori amici, avevano condiviso così tanto insieme, che non dirglielo avrebbe voluto dire tradirlo due volte, la prima forse in modo più deleterio e devastante della seconda. 

«È prima di tutto un mio amico» rispose piano, forse più a sé stessa che alle sue compagne.
«Ha ragione, non può far finta di nulla, lo ha pur sempre tradito, e non conta se continuerà a nascondersi con Malfoy nella torre di astronomia o no» Gracie parlò sinceramente, e con un'espressione molto concentrata mentre giocherellava con l’erba sotto di lei.
«Non ho intenzione di raccontargli quel particolare, lo distruggerebbe solamente, specie se sapesse con chi l’ho tradito, ma non posso continuare a stare con lui, questo è evidente»
«Che non dovevate mettervi insieme a noi era già chiaro, ma la cosa più importante è: tu come ti senti?» Gracie le domandò incuriosita, spostandole una ciocca di capelli dalla fronte. Hermione si tirò su con i gomiti e guardò le sue gambe che riposavano nude sull’erba fresca.
«A volte mi sento in colpa, ma non così tanto da pentirmene. Sono una persona orribile»
«Non sei orribile Herm, sei solo umana. Certo sei stata un po’ stronza, questo si, ma Ron capirà, è uno dei tuoi migliori amici la riprese Ivy.
«Beh, probabilmente non ti parlerà per un bel po’ ma sono cose che passano Gracie aveva preso a giocherellare con un fiore.
«Altra domanda importantissima: che è stato diverso è sicuro quindi non fare la vaga, perciò…com’è stato?»
«Ivy!»
Gracie ed Hermione risero forte, ma nonostante quel momento di ilarità, la ragazza Grifondoro perse alcune lacrime che lentamente caddero e inumidirono l’erba. 
In quel momento si rese conto che forse avrebbe perso Ron per sempre, così come Harry e Ginny. Quella però era l’ennesima perdita che non era pronta a subire, non dopo aver detto addio ai suoi genitori a causa di un destino che l’aveva risucchiata nel vortice del sopravvissuto senza lasciarle scampo, senza lasciarle spazio per sé.
All’epoca fece la cosa giusta e adesso ne aveva fatta una sbagliata.
Eppure, non si era mai sentita così sé stessa come in quel momento.
 
«Ragazzi per la prossima settimana voglio sulla cattedra una relazione sulle diverse interpretazioni che i babbani propongono della magia in almeno due film» Myrtle Reynards squadrò ogni studente dall’alto della sua cattedra, soffermandosi in particolar modo su Paciock, che aveva bruciato il suo dolce il giorno dell’esonero e che da allora non ne aveva combinata una giusta. Draco non capiva perché con una sapientona mezzosangue come la Granger nella sua stessa casa non le aveva ancora chiesto aiuto, come aveva fatto lui.
Più o meno.
Quel compito lo affascinava molto, primo perché non aveva mai visto nessun film babbano per ovvie ragioni, secondo perché lo incuriosiva sapere cosa pensassero della magia. Era una prospettiva a cui non aveva mai pensato, preso com’era dal seguire dei pazzi fanatici sull’onda del loro odio condiviso per un mondo che nemmeno conoscevano. Tutto ciò che gli era sempre stato dato sapere era il modo in cui i maghi vedevano i babbani e non viceversa, nessun mago si sprecava molto a sentenziare uno nato senza poteri magici; dall’alto della loro presunzione, era facile pensare che i babbani non potessero nascondere nessuna attrattiva senza la magia. 
L’unica cosa che gli era sempre venuta facile ad Hogwarts era stato esprimere gli stessi pesanti giudizi non solo sui babbani ma praticamente su tutti. 
Finità la lezione uscì a passi svelti dall'aula. Faceva troppo caldo per portare il mantello indossò, così lo lasciò ciondolare dalla spalla tenendolo svogliatamente con la mano. Non portava mai nessuna borsa con sé, si limitava a prendere solo lo stretto necessario e cioè i libri del giorno che poteva reggere facilmente.
La sua andatura elegante e leggera non era difficile da notare, così come i suoi occhi grigi che con la luce che filtrava dal chiostro sembravano due piccoli ghiacciai trasparenti. Anche i capelli sembravano aver rubato un po’ di quella luce.

Si diresse in biblioteca approfittando dell’ora di buco, per cercare di trovare qualche manuale che contenesse indicazioni sulla tradizione filmica babbana. Il suo primo pensiero fu chiedere alla Granger, anche se era sicuro le sarebbe parsa una pessima scusa, però poi cambiò idea, primo perché sembrava essersi smaterializzata chissà dove, era tutto il giorno che non la vedeva e non voleva perdere tempo a cercarla, secondo perché dopo quello che era successo le stava dando lo spazio che era sicuro lei volesse per riflettere su quanto avevano fatto. La conosceva così bene, che poteva immaginarla perdere la testa a cercare ogni ragione dietro lo slancio e la passione di cui erano stati complici quella sera. Sicuramente si stava pentendo o peggio, stava cercando il modo più “da Grifondoro” possibile per dirlo a Weasley. E lui si sarebbe beccato l’ennesimo pugno in faccia. Anche se non poteva mettere la mano sul fuoco sulle altre possibilità, di quest’ultima ne era più che certo. 
Lui non pensava fosse stato uno sbaglio, e seppure lo fosse stato lo avrebbe rifatto altre mille volte. Agli sbagli lui c’era abituato, ma era abituato anche alla perdita e ai fallimenti, ecco perché non si caricò di aspettative in quella settimana che seguì, al contrario, continuò a vivere la sua vita come se non fosse successo, o meglio, ammettendo che fosse successo e passando oltre. L’unica cosa che non riusciva a lasciare andare era quel vago sorriso che rispuntava sulle labbra quando gli capitava di ripensare a quella notte. 
Il pentimento aveva ceduto il passo alla curiosità già da molto tempo.
Una volta in biblioteca si diresse verso la sezione di Babbanologia, in cui i pochi presenti lo squadrarono incuriositi e intimoriti al tempo stesso. Draco, leggermente imbarazzato, mosse la testa in cenno di saluto, ma nessuno dei presenti gli rispose. Anzi, a mano mano la sezione si svuotò, e lui rimase da solo. 

Quando la Granger fece il suo ingresso in Biblioteca lui era occupato a leggere un libro sulle divertentissime – a detta di lui- interpretazioni dei babbani su Merlino e Morgana. La notò solamente quando alzò gli occhi dal libro per stiracchiarsi. 
La ragazza era ancora accaldata per tutto quel sole preso a pranzo, i capelli cadevano sciolti e selvaggi lungo la schiena, la camicetta era sgualcita e la gonna a ventaglio le lasciava le gambe scoperte. I calzini, che di solito arrivavano fin su al ginocchio erano abbassati sulle caviglie. Era entrata con Gracie Boots e dopo aver preso un libro dalla sezione di Trasfigurazione si mise a sedere con lei.
Forse la Granger si accorse del suo sguardo insistente, perché qualche minuto dopo la sua entrata sollevò il viso proprio nella sua direzione incontrando quei fari grigi che aveva al posto degli occhi. Draco le fece un cenno di saluto e un sorriso accennato, che lei ricambiò, un po' più incerta. Senza indugiare troppo su di lei, Draco riprese a consultare il libro e a prendere appunti fino al tramonto. 

All'ultima luce del tramonto, Gracie salutò Hermione promettendosi di incontrarsi dopo cena; la sua compagna invece, si dilungò ancora qualche minuto, prima di prendere le sue cose e uscire. Aveva raccolto i capelli in una treccia per evitare che qualche ciuffo ribelle le cadesse sui libri e aveva indossato il maglioncino che teneva sempre nella borsa proprio per contrastare la frescura che scendeva in Biblioteca a quell’ora. 
«
Granger!»
La Grifondoro si voltò di scatto.
Draco la raggiunse con una piccola corsetta, i capelli erano del tutto smessi, e si muovevano seguendo i movimenti del corpo. Erano cresciuti dalla battaglia, i ciuffi più lunghi gli cadevano ai lati della fronte e la riga era sempre scomposta. 

«Ciao» le disse lui piano. Era vicino abbastanza da dover leggermente piegare il viso verso il basso per guardarla. 
«Cosa vuoi?» chiese educata, eppure il tono incalzante la tradì.
Draco aggrottò le sopracciglia, sorpreso per quella strana reazione a un semplice saluto. 

«Luna Storta? Stasera c’è la cena al LumaClub, pensavo fossi diretta lì anche tu» era una pessima scusa e lei lo aveva capito, però ciò che aveva detto non era del tutto falso. Aveva completamente dimenticato la cena di Lumacorno, alla quale avrebbero partecipato anche Harry e Ginny in quanto membri del club esclusivo. Non aveva ancora escogitato il modo di dirlo a Ron senza creare un affare di stato ma era sicura che Ginny avrebbe capito tutto al volo come al suo solito. 
«Il LumaClub! Mi ero completamente dimenticata» esclamò Hermione innervosita per quella sua dimenticanza. Senza aggiungere altro si diressero silenziosamente verso lo studio di Lumacorno. Erano già in ritardo e la ragazza era sicura che avrebbe già trovato tutti a squadrarli dall’alto in basso mentre facevano il loro ingresso insieme. La Grifondoro tralasciò il tentativo pessimo di Malfoy di attaccare bottone, ma sotto sotto le piacque e la divertì. I due camminavano fianco a fianco, Draco stringeva il mantello in una mano e i libri nell’altra, mentre Hermione arrancava con la sua borsa piena. La sera era scesa senza che se ne accorgesse, come al solito perdeva la cognizione del tempo ogni volta che studiava in biblioteca. 
Il Serpeverde si guardava intorno mentre camminava al suo fianco, non voleva parlare perché non ce n’era bisogno, entrambi si muovevano a passi lenti, godendosi l’ultima luce del sole che stava per soccombere alla luna. 

«Tieni, me lo riprenderò dopo» Draco gli porse il mantello perché la senti rabbrividire, Hermione accettò a malincuore, pentendosi ancora e ancora per aver seguito Gracie in biblioteca dimenticandosi dei suoi programmi. Il mantello era decisamente troppo lungo e largo, ma era abbastanza e anche di più per coprirla dal leggero vento che filtrava dalle colonne che circondavano il chiostro. Draco sghignazzò e lei lo seguì, era strano vederle qualcosa targato Serpeverde addosso.
Il ragazzo si ritrovò a pensare che effettivamente quella non era la prima volta che qualcosa di Serpeverde le stava addosso, ed inspirò profondamente, cercando di togliersi dalla testa l'immagine dei loro corpi avvinghiati. Ripresero a camminare, stavolta a passo più svelto. Quando presero le scale verso l’ufficio di Lumacorno, queste iniziarono a muoversi, facendo imprecare prima l’uno e poi l’altra. Sembrava che tutta Hogwarts si stesse impegnando per ritardare il loro arrivo.
Aspettando che queste tornassero al loro posto originario, rimasero uno di fronte all’altra.

«Va tutto bene?»
«Si, perché me lo chiedi?»
“Perché sono stanco di camminare in silenzio, persino io» il silenzio lo conosceva benissimo, ma quello tra lui e la Granger non prometteva niente di buono. 
«Sembra che abbia visto risorgere un morto o qualcosa del genere…Granger se è per quello che è successo...»
«Non ti devi scusare»
Scusarsi?
«Non voglio scusarmi, eravamo in due, mi pare» gli rispose vagamente innervosito. Era chiaro che la Granger lo stesse provocando per farlo parlare, ma lui non aveva niente da confessare, tantomeno che da scusarsi.
«Non girare la frittata, se te ne sei pentita puoi tenertelo per te, a me non interessa» ecco che l’orgoglio Serpeverde le si mostrava in tutto il suo splendore. Hermione sospirò innervosita, non capiva perché stavano per precipitare in una discussione, che tra l’altro aveva sollevato lei senza apparente motivo. Voleva solo che le dicesse la verità, ne aveva bisogno.
«Io» la scala si mosse di nuovo facendoli sobbalzare. Draco imprecò a bassa voce attaccandosi al cornicione e alzando gli occhi.
«Io» riprese lei «non mi sono pentita» 
Secondo piano.

«Okay» si limitò a rispondere lui.
Hermione prese a camminare spedita, Draco le stava dietro, intuì di averla fatta innervosire di più con quell’ultima osservazione e anche se questo segretamente lo divertiva, non c’era niente da dire secondo lui, ma sembrava che la Grifondoro fosse di tutt’altro avviso. Poteva immaginare come si stava sentendo, quello che avevano fatto la stava tormentando ma non nel modo in cui stava tormentando lui, ormai era evidente. 

«Sembra il contrario» riprese lei affannata. Le scale si mossero nella direzione sbagliata, ancora.
«Porca miseria!» esclamò nuovamente lei, rivolta a quelle dannate scale. Poi si voltò verso Draco che stava qualche gradino sotto di lei appoggiato con un braccio sula scala e con una gamba piegata in avanti appoggiata al gradino più in alto. 
«Cosa ti fa pensare che mi sia pentito?» la osservò attentamente. La scala nel frattempo si fermò nuovamente, e alcuni studenti approfittarono per scendere nella direzione opposta ai due. Per un momento, iniziarono a guardarli incuriositi, fino a che lo sguardo penetrante di Draco, visibilmente innervosito dalla discussione, non li fece scendere più in fretta. Il Serpeverde spostò di nuovo lo sguardo su di lei: Hermione aveva le labbra socchiuse e il respiro affannato, la treccia leggermente sciolta alle punte perché non legata da nessun elastico. 
Era bella, dannazione. Come quella notte, la sua maledizione.

«Per il dipinto» alla fine ci arrivò da solo, distolse lo sguardo da lei e lo rivolse alle scale che avevano ripreso il loro meccanico movimento verso la loro originaria direzione.
Non credeva che sarebbe riuscita a scoprirlo, quella doveva rimanere una cosa privata, o comunque glielo avrebbe detto con i suoi tempi, a modo suo. Era stata una cosa che aveva fatto senza pensare, il giorno dopo la loro prima volta a Grimmauld Place. Sentiva solo che era la cosa giusta da fare. 
Draco la osservò di nuovo, aveva gli occhi lucidi, carichi di un’emozione che non riusciva a decifrare. Lei ci teneva. Teneva a quella notte più di quanto avesse immaginato. Evidentemente non la conosceva così bene come pensava, perché ogni volta che lui interpretava un suo gesto o una parola, ultimamente rimaneva sempre sorpreso dalla piega che prendevano i passi di quell’ostinata Grifondoro. Quell’affermazione fu come un macigno per entrambi, una carta in più svelata sul loro tavolo da gioco che balzò fuori senza che nessuno dei due avesse avuto modo di pensare alla strategia successiva. Un passo falso di cui caddero vittima entrambi.
L’istinto di Draco fu subito quello di farsi indietro, non aveva mai pensato all’eventualità che la Granger avesse pensato a quella notte in un modo che non includesse il ribrezzo e il pentimento. E poi c’erano i maghi Purosangue che credevano che i babbani non avessero delle attrattive al di fuori della magia. Lei possedeva entrambe quelle qualità e questo lo faceva impazzire.  
Terzo piano.

«Come hai fatto a notarlo?»
«Si sentiva l'odore di bruciato dal corridoio»
«Non l’ho bruciato per vergogna» Draco riprese a parlare qualche minuto dopo, ancora dietro di lei salendo quelle scale che ormai sembravano una montagna insormontabile.
«Stavo pensando di farlo già da tempo, tu hai solo fatto accelerare le cose»
Hermione si voltò di scatto, senza preavviso, Draco annullò le distanze salendo sul gradino subito prima del suo. Erano troppo vicini, alla stessa altezza. L’espressione della Grifondoro gli fece capire che voleva altre spiegazioni, Draco respirò sul suo viso, poi la guardò negli occhi.
«L’ho fatto perché credevo fosse giusto farlo. Non mi costa perdere quello che mi lascio indietro»
A quel punto Hermione capì. Batté le palpebre un paio di volte, piacevolmente colpita dalla sua scelta coraggiosa. Il cambiamento che lei aveva solo intravisto glielo aveva confermato in quel momento. Lei non c’entrava nulla, forse aveva acceso la miccia che era già pronta ad esplodere. Ma il percorso era solo di Draco e lei capì la differenza. 
Hermione gli sorrise fugacemente, sperando di riuscire a scusarsi per quella discussione che in un certo senso era comunque stata utile, forse troppo, poiché li aveva esposti al punto di non ritorno.

«Vorrei che fosse lo stesso per me» Draco aggrottò le sopracciglia, ancora visibilmente confuso.
Quarto piano.
Lungo il corridoio Draco le prese la mano libera dal peso dei libri e la obbligò a fermarsi di nuovo.

«Che intendi?»
Ormai erano in ballo, e non potevano ritirarsi dalle danze. Questa eccessiva curiosità non era da lui, che di solito aspettava che le cose gli capitassero quando era il momento, e non era neanche una qualità che prima di allora Hermione pensava di possedere; lei sospirò guardandosi le scarpe.
«Non ho ancora sciolto dall’Oblivion i miei genitori»
Draco sgranò gli occhi. Non si aspettò minimamente quella confessione, era convinto stessero ancora parlando di loro due.
«Non riesco a trovare il suo controincantesimo, ma non mi pento di averlo fatto, dovevo proteggerli in qualche modo, solo che non riesco a lasciarli andare»
«Non devi»
Si guardarono per un momento che parse a entrambi l’eternità. La ragazza asciugò sbrigativa piccole gocce di lacrime, separandosi solo in quel momento dal contatto con la sua mano. 
Draco non disse più nulla, fino a che non arrivarono di fronte alla porta dell’ufficio di Lumacorno, dalla quale proveniva un rumore indistinto di piatti e posate.

«Hermione, aspetta»
La Grifondoro si voltò nuovamente e Draco le sfilò il mantello dalle spalle.
«Avrei tanto voluto vedere le facce di tutti nel vederti entrare con questo addosso, ma stasera farò meno il Serpeverde»
Hermione rise a quella battuta e lui la seguì. Il ragazzo recuperò il suo mantello e fece per entrare.
«Draco»
«Si?»
Draco.
Forse potresti comportarti un po’ da Serpeverde, sai?
»
Draco colse in quell'affermazione la sua volontà di mantenere segreto tutto ciò che riguardava quell’insolita complicità, la notte passata insieme.
«Agli ordini, Mezzosangue» Draco le fece un occhiolino veloce ed entrambi risero sommessamente.
Il ragazzo entrò per primo, in pieno spirito cavalleresco da Serpeverde, ed Hermione lo seguì. 
Non aveva mai pensato che quel termine dispregiativo potesse suonare così dolce, un giorno.

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Capitolo 5
*** Threads of Thoughts and Time ***


Muggle Studies 


5.
 
LIKE SHE PULLS ON THE SEA 
-Gregory Alan Isakov, That Moon Song-
 
 

Angeline Barrow aveva un bel corpo e un bel carattere, ed erano accomunati dallo stesso spirito libertino il cui unico manifesto leggeva di non fare coppia fissa. Si stavano frequentando da un po', anche se quelle suddette frequentazioni non avevano nulla di serio. Forse per la prima volta nella storia delle relazioni finite male di Draco Malfoy - o meglio, mai cominciate-  la ragazza del settimo anno Tassorosso era seduta a cavalcioni su di lui, nel suo letto, nel suo dormitorio. Quello era un lusso che non concedeva mai a nessuna, tanomeno a se stesso, se non fosse per qualche eccezione che comprendeva ispezioni in piena notte da parte dei professori nei rispettivi dormitori delle sue scappatelle.
La ragazza gli stava lasciando piccoli segni umidi sul collo, mentre Draco procedeva spedito a slacciarle i bottoni della camicia, quando ad un tratto il suo sguardo fu catturato dal mantello nero abbondonato sulla sedia in pelle poco più in là del letto. 
La sua mente vagò lontana da lì e ritornò a due sere prima, quando diede il mantello alla Granger sulla strada del LumaClub. 

«Mi sono ricordato che ho ancora dei compiti da fare per Difesa contro le Arti Oscure» Draco interruppe bruscamente ciò che stava per accadere, fin troppo distratto per continuare.
«A quest’ora? E poi Voldemort è morto, quella materia non serve praticamente più» La ragazza gli sfilò la camicia con un sorriso impertinente stampato in volto.
«Mai dire mai, non credi? Infondo è tornato due volte» Draco cercò di fermarle i polsi senza troppa pressione, e si sollevò quel che bastasse per farla scivolare dalle sue ginocchia e alzarsi. 
«Vediamoci domani, ti va?»
«Nei tuoi sogni»
Angeline Barrow prese in fretta le sue cose, riabbottonò gli unici due bottoni che Draco era riuscito a slacciare e girò i tacchi senza nemmeno più guardarlo.


Il ragazzo sprofondò nuovamente nel letto sospirando, convinto che il fascino di quel tatuaggio avrebbe comunque fatto effetto ancora. Il fatto che fosse un Mangiamorte invece che allontanare le ragazze da lui le avvicinava, curiose di scoprire se quel tatuaggio esistesse veramente o meno. Draco si chiedeva spesso se le ragazze con cui usciva fossero realmente interessate a lui o al suo retaggio, ma non disperava mai nel constatare come il più delle volte il suo fascino fosse dovuto più al secondo caso che al primo. Alla fine, anche lui otteneva quel che voleva.
Con la Granger invece era diverso, e lo era sempre stato, ancor prima che combinassero qualcosa.
Fare qualsiasi cosa con lei sarebbe stato diverso, e così in effetti era stato. Si era ormai abituato a quella differenza, l’aveva accolta senza darci troppo peso, convinto che una possibilità del genere non si sarebbe mai presentata.
Eppure, ripensando a qella sera a Grimmauld Place, non riusciva ancora a capire cosa gli fosse preso. Non voleva metterla in una posizione compromettente, anche perché nessuno dei due vi avrebbe giovato, motivo per cui non fece nulla durante la sera del ballo. E non voleva nemmeno rischiare di finire coinvolto in un triangolo da cui ne sarebbe uscito sicuramente perdente. Non era nei suoi interessi diventare qualcosa per la Granger, ma non voleva nemmeno vederla consumarsi in drammi e tragedie greche a causa sua.
Ciò nonostante, starle lontano era difficile, e lei non gli facilitava le cose, al contrario, sembrava essere stata risucchiata nella sua stessa orbita senza neanche saperlo. Ovunque lui fosse, c’era anche lei, ovunque lei andasse, lui la seguiva, e non era come era sempre stato fin dal primo anno, quando proprio perché parte della stessa annualità, dovevano sopportarsi a vicenda. Quella vicinanza aveva tutt’altro colore, tutt’altro sapore. Era cominciata con del gin, poi con un pudding al cioccolato, ed era finita con del the al limone sparso sul pavimento.

Il fatto che non si fosse pentita poi, non gli abbandonava la mente per un secondo. Glielo aveva detto lei stessa per le scale, e si vedeva che quell’ammissione le era costata una certa fatica, così come a lui costò dirle la verità riguardo al dipinto. Draco non amava spiegare il perché dietro ogni suo gesto, le sue motivazioni restavano sue, ma la Granger aveva quel modo di fare così intrusivo che non gli lasciava scampo; entrava a gamba tesa in qualsiasi situazione, occupava ogni centimetro di spazio e lo prosciugava con la sua sete di conoscenza.
Ecco, l’immagine di lei era più simile a quella di un Dissennatore ultimamente, e
lui era la preda. 
Una cosa però rimaneva certa, non voleva che Hermione lasciasse Weasley per colpa sua; se era questo ciò che la lei voleva (ammesso che lo avrebbe fatto), doveva farlo per suo conto e non perché avevano fatto quel che avevano fatto. 


Andare a letto con la Granger era stato solo un errore di valutazione, una deviazione dalla linea del suo corretto agire. Se pure lei gli avesse dato quella ulteriore spinta nel fare qualcosa che aveva già premeditato di fare, e cioè bruciare quel dipinto, avrebbe continuato quel cammino da solo. Avrebbe solamente continuato ad usarla per i compiti di Babbanologia e lui in cambio aveva deciso di aiutarla con la questione dei suoi genitori. Di questo, la Granger non era a conoscenza, Draco preferiva dirle tutto a cose fatte, una volta trovata la soluzione, così da non farle credere di aver speso tantissimo tempo a fare qualcosa che lo avesse allontanato dai suoi impegni e dal suo studio. D’altronde non le doveva niente e la Granger non doveva nulla a lui, ma se Draco glielo avesse detto lei si sarebbe sicuramente sentita in colpa. E poi non era detto che sarebbe stata d’accordo, orgogliosa com’era.

Pensava e ripensava a ciò che si erano confessati quel giorno, e non riusciva a capire com’era possibile che persino Hermione Granger non riusciva ad annullare un suo incantesimo. Ignorava persino che quell’Oblivion si fosse rivelato necessario, ma di certo arrivò a comprenderne le ragioni. Già da troppi anni Voldemort vagava libero uccidendo i genitori e parenti di molti dei suoi compagni di scuola. Quelli che sopravvivevano si ritrovavano al San Mungo una volta dichiarati fuori di senno e quella forse era una sorte peggiore della morte. 
La Granger aveva fatto la scelta giusta per motivi altrettanto giusti. Non era da biasimare, ma capì anche perché ce l’avesse a morte con sé stessa. 

Cercare di allievare quel suo peso fu per lui una cosa naturale. Infondo con gli incantesimi se la cavava, ne avrebbe fatta una questione personale, celando a sé stesso il vero motivo per cui si era deciso ad aiutarla. A pensarci bene, non c’era un vero e proprio motivo, era solo questione di accettazione, doveva solo accettare che le cose stavano in quel modo, anche se non ci sarebbe stato mai nulla tra loro. Avrebbe continuato a spiarla di tanto in tanto tra un corridoio e un altro, avrebbe continuato a respirare l’odore dei suoi capelli durante la lezione di Difesa contro le arti oscure, avrebbe sfiorato il suo mantello fuori in giardino, cenato con lei durante gli incontri del Lumaclub. 
Non poteva esserci nient’altro che quello. Non voleva che ci fosse nient’altro che quello.
Si sarebbe cibato di quello che c’era stato fino a quel momento, avrebbe solamente immaginato -come aveva sempre fatto con lei- quello che c’era stato, fino a metterne in discussione la veridicità. I capelli leonini della Granger sparsi sul suo petto, le bocche ansanti, le mani che si cercavano tra le lenzuola, il sudore sul suo collo e sul petto, la sua totale essenza che si perdeva nella sua fino a confondercisi. 
 
 
 
Andarci a letto non era stato un errore. 
Ormai ne era convinta. 
Non che volesse da quel momento in poi pensare a Malfoy come qualcosa anche di lontanamente simile a un fidanzato, questo no, e lo aveva già appurato. Ma era convinta che dietro quel suo gesto, anzi, quei loro gesti, doveva esserci un motivo scatenante che forse proveniva da qualcosa di inconscio, come se fosse un bisogno di liberarsi dalle tante catene che si sentiva premere alle caviglie. Era sempre stata una ragazza in gamba, autonoma, e fare quella sua piccola ribellione con Malfoy come strumento, era stato come deviare temporaneamente da un sentiero già tracciato. Probabilmente da sola non avrebbe mai raggiunto quella consapevolezza, alla fine dei conti ad ogni azione corrisponde una reazione uguale o contraria e senza un secondo soggetto agente forse non avrebbe mai acceso quella miccia nella sua testa che le continuava a ripetere di scappare.  
In ogni caso, la cena del Lumaclub non era andata così male, erano tornati i soliti “Sta zitto Malfoy” e “Granger” di sempre, e non poteva negare di essersi anche un po’ divertita. 

Non era sua intenzione rivelargli quel segreto che teneva nascosto ormai da alcuni mesi, eppure farne parola davanti a lui, fu come riconoscerlo anche a sé stessa, ammettere la presenza di un dolore che non voleva accettare, che aveva tenuto sepolto fino a quel momento con tanti falsi sorrisi. Non poteva dire con certezza il motivo per cui non lo aveva mai confessato ad Harry, Ron o Ginny, in un certo senso era stanca di condividere con loro solo momenti di dolore e perdita, eppure sembrava che per la maggior parte della sua infanzia trascorsa ad Hogwarts, non avessero fatto altro. 

La cena del Lumaclub non aveva fatto nascere alcun sospetto in Harry, e nemmeno in Ginny, che forse tra i due era la più pericolosa. Probabilmente l’avrebbe completamente cancellata dalla faccia della terra se solo avesse saputo del male inferto a Ron. Anche se di solito per le questioni di cuore la sua amica Grifondoro aveva sempre dimostrato di possedere una massiccia dose di cinismo, non credeva che le avrebbe lasciato passare questo terribile inciampo. 
Eppure, lì nell’ufficio di Lumacorno non sospettarono niente, nemmeno del sussulto che fece non appena entrarono notando le due sedie vuote vicine. Ricordava benissimo di aver sentito Draco sospirare, come se quella vicinanza li avrebbe messi ulteriormente alla prova. Ricordò di come Harry le diede un’occhiata inquisitoria, come per controllare che andasse tutto bene, lei gli sorrise per rassicurarlo, e si sedette accanto a Draco, il quale le rivolse una fugace occhiata sprezzante. 
Si era già totalmente calato nella parte. 
Mangiarono quel che gli altri avevano lasciato e cioè parte del secondo e l’ottimo dolce al cioccolato che Lumacorno rifilava in ogni serata. Era un tipo piuttosto abitudinario. Ad una certa ora, come da copione, si accese un sigaro e si fece un bicchierino di brandy mentre conversava con alcuni eletti del club. 
McLaggen continuava a starle dietro di tanto in tanto, aveva rinunciato a farle una corte sfrontata solo perché aveva saputo di lei e Weasley, ma quella sera si comportò in modo decisamente strano, come quando aveva cercato di sedurla al sesto anno con tentativi abbastanza viscidi. 
Insomma, quella sera si era addirittura fatto avanti, anzi, praticamente le era finito addosso poco elegantemente intromettendosi tra lei e Ginny e chiedendole se volesse ballare. La Weasley ridacchiò e “è tutta tua” gli disse. Ricordò anche di aver pensato che probabilmente si stesse già vendicando ancora prima che le avesse confessato la verità. O forse stava semplicemente diventando ancora più paranoica di quanto già non fosse.
Hermione non fece in tempo a dirgli di no che già le sue mani erano intorno alla vita e l’avevano trascinata in mezzo ad altre due coppie che avevano iniziato a ballare una danza lenta, forse vecchia quanto Lumacorno, perché questi sorrideva come se lui stesso gli avesse insegnato i passi. 
Era così orgoglioso dei suoi alunni, nessuno faceva una piega in quel disegno di gloria e perfezione che lui solo gli stava cucendo addosso. Forse l’unico a fare qualche piega era Malfoy. Il giovane serpeverde, notando la vicinanza scomoda e insolita della Granger e McLaggen, non resistette, e con un gesto furtivo della mano spinse a terra la tanto amata clessidra di Lumacorno appena la coppia di ballerini era abbastanza vicino da sembrare gli unici colpevoli dell'accadduto. 
I due ragazzi raggelarono al tonfo sordo dell'oggetto e il professore esclamò qualcosa di incomprensibile mentre si avvicinava a passi svelti a raccogliere ciò che era rimasto della sua amata clessidra.
Il tempo, che in quella clessidra sembrava si fosse completamente fermato, riprese a scorrere veloce. Hermione si precipitò a terra vicino a Lumacorno in un istante, silenziosamente grata che quel trambusto avesse rotto gli equilibri e spezzato quel terribile abbraccio in cui era finita senza il suo volere. Si scusò e riscusò con il professore, che nel frattempo pareva essersi bloccato insieme alla sabbia della clessidra, balbettando e mugugnando tristemente. Gli studenti si dileguarono in men che non si dica, persino Harry e Ginny decisero non fosse il caso di intromettersi, conoscevano Hermione e se c’era una cosa che quella strega ostinata odiava era che qualcun altro sistemasse i suoi disastri al suo posto. McLaggen, che comunque era complice di quel disastro quanto lei, almeno secondo Lumacorno, seguì i suoi compagni fuori dall’ufficio, dileguandosi mentre si toccava la nuca con la mano visibilmente imbarazzato.
L’unico che rimase a fare compagnia alla Granger e ad osservare il “suo” disastro fu Malfoy, che se ne stava qualche passo indietro rispetto all’incidente, vigile come una serpe che osservava la sua preda. Era segretamente divertito da quella scenetta che aveva causato, e appariva piuttosto tranquillo di fronte agli altri due maghi piegati su sé stessi. In quel trambusto e per via dell’immenso imbarazzo, la genialità di Hermione parve essersi spenta.

«Professore, non è il caso di agitarsi, Reparo!»
«Signorino Malfoy se fosse così semplice non starei riversato sul pavimento a contare ogni granello di sabbia perso!»
Draco sgranò gli occhi, a quel punto visibilmente preoccupato. La clessidra non si ricompose come credeva avrebbe fatto. Hermione si sollevò in piedi e lo guardò con un’occhiata che avrebbe congelato persino il più temerario dei maghi. Draco però sembrò immune.
«Che c’è?» le chiese a bassa voce, inclinando il viso più in basso verso di lei. 
«C’entri tu in questa storia? Io non l’ho nemmeno sfiorata»
“Sarà stato il culo di McLaggen allora» un sorriso gli increspò le labbra. Hermione alzò gli occhi al cielo, palesemente infastidita di non avere sufficienti prove per incolparlo o scagionarlo. Nel frattempo, Lumacorno aveva ripulito il pavimento con un incantesimo e teneva in mano alcuni pezzi del serpente in vetro che circondava la clessidra.
«Era un regalo» confessò mestamente, parlando piano. 
Draco cominciava a sentirsi un po’ scomodo e imbarazzato.

«Potete andare ragazzi, ci vediamo a lezione»
«Professore io...mi dispiace veramente molto», dopo essersi scusata tante altre volte, Hermione uscì dalla stanza a testa bassa, seguita da Malfoy che procedette con le mani in tasca.
«Sei stato tu?»
«Perché dovrei essere stato io? Eri tu che ballavi con McLaggen»
«Eravamo lontani, noi...»
«Se avessi fatto più attenzione, forse…». Il tono di Malfoy era basso, come se non volesse svegliare nessun quadro con i loro soliti litigi. Quando si parlava di antagonismo secolare…
«Ti giuro che se scopro che sei stato tu io…»
«Tu cosa? La Clessidra non si può riparare, a quanto pare» Erano pericolosamente vicini, tutto quello che riguardava loro era ormai un pericolo. 
«Non se ti trasformo io, in una clessidra, saresti perfetto nella stanza di Lumacorno a sorbirti tutte quelle chiacchiere» 
Terzo piano.

«Nah, ti mancherei» Draco la superò sulle scale, il mantello stavolta sulle spalle e le mani sempre in tasca.
Hermione arrossì.

«Ah e...Hermione, sbaglio o la tua sala comune è al settimo piano? La Signora Grassa lo è troppo per riuscire a spostarsi, dico bene?» Draco, che per provocarla si voltò verso di lei ancora immobile qualche gradino più in su, inarcò un sopracciglio divertito.
La ragazza sbuffò e invertì la sua direzione, cominciando a risalire le scale. 

«
Avevi detto Serpeverde» alzò di poco la voce affinché l’ultima stoccata le arrivasse forte e chiara. 
Hermione si sporse dalle scale e  
«Allora vai a strisciare da un’altra parte!» gli rispose piccata.
Draco rise di gusto, e come succedeva spesso dal Ballo del Ceppo, Hermione rimase qualche secondo immobile a guardarlo mentre il giovane procedeva a grandi falcate verso l'oscurità.
 
 
 
Ormai la biblioteca era diventata il suo secondo dormitorio. Draco a volte ci dormiva letteralmente, al punto che Seamus spuntava sempre dietro le sue spalle per dargli una botta in testa con un libro per farlo svegliare. Un giorno Draco era così assorto che gli ci volle tutto il resto della giornata per scovare Seamus e vendicarsi per quel sopruso e alla fine lo trasformò in un accendino.
Mentre Ivy e Gracie ci trovarono tantissima poesia dietro quella trasformazione, Hermione si limitò solamente ad effettuare il contro incantesimo.
Il Serpeverde aveva temporaneamente sospeso le sue ricerche per il compito di Babbanologia e aveva iniziato a cercare la storia dell’Oblivion, le sue controindicazioni e -sperava- anche i suoi rimedi. Eppure, la ricerca si rivelò più difficile del previsto. Dimenticò due appuntamenti e un festino nella sala comune Serpeverde, tanto che Astoria e Daphne Greengrass cominciarono ad insospettirsi; l’unico a non trovarci nulla di strano era Blaise, che alle stramberie dei Malfoy era ormai abituato.
Fu solo lui che persuase le ragazze a non indagare, Draco gli aveva riferito la natura delle sue ricerche ma non aveva fornito molti dettagli riguardo al perché tali studi si fossero rivelati necessari. Il compagno però, che non era dotato di particolare curiosità al di fuori delle questioni amorose, lo lasciò fare senza indagare oltre e riuscì a distogliere da tale intento anche le sue colleghe. 
Fortuna che il disinteressamento nelle questioni altrui era una caratteristica che accomunava quasi tutti in quella casa. 
Aprile stava quasi per giungere al termine, il caldo cominciava a farsi più denso e ad appannare le vetrate delle aule, i mantelli non erano più necessari e così anche i maglioncini e le felpe. Solo al pensiero che la scuola avrebbe continuato con le sue attività fino a ottobre per recuperare i mesi persi durante la guerra contro Voldemort, Draco non sapeva quanto avrebbe potuto resistere ancora. L’ultimo anno ad Hogwarts si era rivelato essere il più arduo e non per colpa del Signore Oscuro. 
In un momento di lucidità forse dovuto all’esasperazione per non aver trovato nulla fino a quel momento, Draco rivolse uno sguardo alla sezione proibita sporgendosi dalla panca su cui era seduto. 
Prese i pochi appunti che era riuscito a ricavare fino a quel momento, poi rivolse il suo sguardo alla bibliotecaria e a quell’idiota di Seamus ed uscì dalla biblioteca mentre cominciava a pensare ad un piano per entrare nell’ala proibita senza venire scoperto. 
 
 
 

Hermione Granger percorreva l’immenso corridoio della Sala Grande in silenzio, a testa bassa, e si sentiva a malapena respirare. Ivy, che la teneva sottobraccio non le disse nulla, si limitava a guidare i loro passi senza che questi subissero brusche interruzioni da altri studenti. Arrivate oltre la sponda del ponte, si fermarono e l’amica Corvonero rimase in attesa di un suo cenno, di una sua qualche parola. Hermione faceva respiri profondi e guardava in lontananza, oltre il tramonto di quella giornata primaverile giunta ormai al termine.

«Come ti senti?»
Ormai sentirsi fare quella domanda era diventata un’abitudine e le dispiaceva un po’, non voleva apparire perennemente infelice agli occhi degli altri, sembrare indifesa e incapace di rialzarsi. 
«Sto bene»
«Sicura? Guarda che non dobbiamo sempre stare bene a tutti i costi, Herm…»
«Lo so, ma stavolta è diverso, sto davvero bene Ivy, non sento più quel peso addosso, so di aver fatto la scelta giusta»
Ron l’aveva presa piuttosto male all’inizio, poi, andando avanti con la conversazione, aveva assunto un atteggiamento quasi da filosofo, e le continuava a ripetere fosse tutto okay, che aveva avvertito un cambiamento e che forse avevano fatto il passo più lungo della gamba seguendo più l’adrenalina dei momenti condivisi sul filo del rasoio, che l’amore.
Forse le aveva detto tutto questo perché effettivamente era sotto shock e non sapeva cosa dire, forse voleva solo proteggersi da quel trauma appena subito, Hermione questo, non poteva saperlo né avrebbe chiesto spiegazioni, convinta che Ron avrebbe avuto bisogno del suo tempo per elaborare il tutto e farsi una sua idea delle cose. Ma sperava davvero che avrebbero potuto tornare ad essere amici.

«Loro come l’hanno presa?»
Curioso il fatto che Ivy avesse parlato al plurale e che riguardo alla situazione che infondo riguardava solo lei e Ron, l’amica avesse automaticamente incluso anche Harry e Ginny, i due più vicini a loro, i suoi migliori amici. D’altronde era inevitabile renderli partecipi di qualcosa in cui erano sempre stati gli attori principali. 
«Sono rimasti un po’ basiti, ovviamente non se lo aspettavano, ma sono anche miei amici, non solo di Ron, sono sicura che la sapranno gestire»
«E tu? La saprai gestire? Adesso che farai?»
La Grifondoro si voltò verso di lei, che se ne stava appoggiata dall’altra parte del ponte. Le sorrise.
«Adesso sarò semplicemente Hermione»
Ivy le sorrise ed annuì, la raggiunse e le si mise al fianco, appoggiandole la testa sulla spalla. Non le chiese di Draco, perché come aveva detto lui, era fuori dall’equazione, ed Ivy era intuitiva abbastanza da aver capito che quel percorso era di Hermione soltanto. 
«Comincerò da zero» 
«Insieme», concluse Ivy.
 
 
 

Riprendere in mano una scopa dopo tanto tempo fu per lui una gioia immensa, era come se si sentisse rinvigorito dall’unione simbiotica con quel pezzo di legno. Essere uscito dalla squadra al quinto anno fu per lui uno dei suoi rimorsi più grandi, insieme ad una lunga lista di tormenti a cui aveva iniziato a scrivere la parola fine. Dovette cambiare la divisa e ordinarne una più grande, come sempre il numero sette dietro la schiena gli dava una responsabilità dalla quale però non voleva tirarsi indietro. Essere il cercatore della squadra era da sempre stato un motivo di orgoglio personale, se spogliato da quello del padre che così a lungo aveva desiderato avere suo figlio nella squadra. Adesso quel piccolo trionfo era solo suo.
Era diretto al campo, quando fu distratto dalla vista di Lumacorno che rincorreva la Granger – anche lei diretta lì- con un passo scoordinato e goffo. 

«Voi andate avanti, vi raggiungo subito» disse al resto della squadra, che lasciò sul sentiero battuto. 
«Signorina Granger, volevo ringraziarla per la clessidra, non so proprio come ci sia riuscita!». Lumacorno aveva il fiatone e si mise le mani sulle ginocchia per riprendersi. Hermione lo guardava apprensiva e dubbiosa, perché non aveva la minima idea di che cosa stesse parlando.
«Herm noi ti aspettiamo al campo» Gracie aveva scorto in lontananza la figura di Malfoy venire verso di loro. Ivy le sorrise e dopo essersi congedate dal professore ripresero a camminare a passi svelti per raggiungere il resto dei compagni. In lontananza, cominciavano a librarsi in aria i canti delle squadre e gli schiamazzi degli studenti eccitati.
«Professore, sta bene? Di quale clessidra parla?»
«Suvvia non faccia la modesta, l’ho vista sulla mia scrivania stamattina bella e splendente come prima! Come ha fatto?»
«Io non…»
«Ah, professore anche lei qui! Si vuole godere la partita?» Draco irruppe nella conversazione e si mise accanto alla Granger, che nel frattempo gli stava rivolgendo un’occhiata inquisitoria.
«Certo Malfoy, sono pur sempre un Serpeverde anche io, si sente carico per oggi?»
«Mai stato meglio, signore» il Serpeverde gli sorrise, aveva il sole in faccia. Hermione continuava a torturarsi le mani e non sapeva cosa ci facesse ancora lì immobile, sembrava che fossero comparse radici dall’erba e che la vincolassero lì in quella posizione precaria tra Draco e Lumacorno.
«Non ho potuto fare a meno di sentire che ha riavuto la sua clessidra! Davvero una fortuna non trova?»
«Esattamente! Stavo giusto ringraziando la Granger, che come al solito non vuole prendersi il merito. Spirito da Grifondoro eh, Malfoy?»
«Già…» Draco allora la guardò e sorrise sghembo. Hermione ricambiò il suo sguardo vagamente imbarazzata, specialmente data la presenza di Lumacorno che continuava a scrutarla come in attesa di chissà quale rivelazione.
«Beh, tutto è bene quel che finisce bene giusto? Adesso dobbiamo andare professore, ci vediamo dopo la partita!»
«Oh, si si, faresti meglio ad andare Malfoy, buona fortuna! E signorina Granger…la ringrazio di nuovo… ci vediamo a lezione!»
I due ragazzi si dileguarono in fretta, lasciandosi un arrancante Lumacorno alle spalle che nel frattempo procedeva lentamente stando attento a non inciampare in discesa. 
«Che cosa hai combinato? Come hai…»
Il braccio della Granger sfiorava la sua tuta da Quidditch mentre camminavano, nessuno dei due ci diede troppo peso. Draco la guardò inclinando il volto verso il basso. La mano sinistra portava la scopa mentre quella destra scivolava libera avanti e indietro seguendo i movimenti delle gambe e scontrandosi, di tanto in tanto con quella della Granger. Aveva la maglietta rossa e oro con lo stemma dei Grifondoro e un paio di jeans chiari strappati alle ginocchia. 
«Potrei aver casualmente scambiato il mio anello con una copia della clessidra da Magie Sinister lo scorso sabato»
«Malfoy!» Hermione lo bloccò per il braccio libero, costringendolo a voltarsi. La ragazza sollevò il collo per poterlo guardare negli occhi. Sarà stato il dislivello del prato, perché sembrava molto più alto del solito.
«Granger ti prego, niente drammi, non mi è costato chissà quanto, potrei comprarmi tanti altri anelli ogni volta che voglio»
«Okay ma...perché lo hai fatto?»
«Potrei aver casualmente fatto cadere la clessidra quella sera al Lumaclub»,nel confessarle la verità, Draco non la guardò negli occhi, spostò lo sguardo in lontananza ma non riusciva a smettere di sorridere, consapevole della reazione che sarebbe seguita a quell’ ammissione di colpa.
«Tu..sei...» le guance della Grifondoro si fecero rosse in un istante e la colpa non era del sole di mezzogiorno alto in cielo. Il Serpeverde rise di gusto e «andiamo, non dirmi che la faccia di McLaggen non era divertente»Ripresero a camminare.
La Granger, seppur sotto sotto onestamente divertita dalla reazione del suo compagno Grifondoro sorvolò su quella battuta e gli rispose piccata. 

«Spero sinceramente che tu perda.»
«Nah, non è vero» Prenderla in giro era davvero più forte di lui, un istinto contro cui non voleva più lottare.
Tuttavia, dovette con tutte le sue forze reprimere il desiderio che aveva di spostarle quei capelli ribelli dal viso e magari di darle un buffetto su quelle guance accaldate (dello stesso colore intenso di quella notte). Perciò per evitare di cadere ancora in quella trappola mortale che era la Grifondoro, si mise a cavallo sulla scopa e raggiunse il campo in volo.
Lei lo guardò allontanarsi, il numero sette color argento sparire e confondersi nella luce intensa.

«Oh, Signorina Granger è ancora qui! Le dispiace darmi una mano?» Lumacorno era visibilmente accaldato, e come se non bastasse la divisa con la quale si ostinava ad uscire persino con quel caldo lo lasciava perennemente sudato e affaticato.
«Certo Signore»
E così, la Granger e Lumacorno si avviarono sottobraccio verso gli spalti.

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Capitolo 6
*** The New Guy ***


Muggle Studies

6.


 
NEI TUOI OCCHI C'È UN LUNGO SALUTO
SENTO IL CUORE IN GOLA
-Piero Pelù, Occhi-
 
 


«Ho chiesto a Morgan se stasera avremmo potuto andare alla festa delle Tassorosso insieme»
Ivy, che stava distrattamente mettendo qualche fiore tra i capelli di Hermione, s'interruppe bruscamente e sollevò lo sguardo sorpreso verso l'amica;  Hermione fu colta dallo stesso stupore, si sollevò sulla panca quel tanto che bastasse per osservare meglio la compagna.
Erano sugli spalti del campo di Quidditch, l’allenamento dei Corvonero stava per iniziare e le ragazze avevano un’ora di buco.

«E?» La Grifondoro non era mai stata così impaziente, il tono era concitato, come se fosse pronta ad urlare a squarciagola dall’emozione ed Ivy era dello stesso avviso.
«E ha detto si, ovviamente. Che altro poteva dire ad una come me?» Gracie si impettì mostrando un’aria sicura e scoppiò a ridere subito dopo, seguita dalle ragazze che le fecero eco per l'immensa felicità. 
«Finalmente si è deciso!» esclamò Ivy, che nel frattempo riprese a intrecciare i capelli di Hermione.
«Veramente mi sono decisa prima io, ma non ha importanza, stasera non ci sono per nessuno, vi ho avvisate!» Gracie non la smetteva di sorridere. I capelli biondi erano sciolti e superavano ormai le spalle, gli intensi occhi verdi erano lucidi e il tanto sole preso negli ultimi giorni aveva fatto comparire alcune lentiggini sul viso. Era splendida e sicuramente quel Morgan lo aveva finalmente capito.
«Poverino, dovrà prepararsi ad una schiacciante vittoria dei Serpeverde nella prossima partita, potresti consolarlo in anticipo» Ivy ridacchiò ed Hermione la seguì, mentre Gracie, fintamente offesa, le diede una gomitata sul braccio.
I Grifondoro avevano inaspettatamente perso la partita precedente contro i Serpeverde e la prossima avrebbe visto questi ultimi contro i Corvonero. Morgan Leon era il cercatore della squadra e a quanto Hermione aveva sentito dire se la cavava piuttosto bene sulla scopa. Tuttavia, forse non così bene come Malfoy, ma questo non lo disse ad alta voce. Ricordava ancora molto bene quella partita, perché Ron era del tutto fuori fase, per colpa sua. Harry però era in piena forma ma ciò nonostante Draco aveva catturato il boccino prima di lui. Era successo solo una volta nella storia di Harry Potter e Draco Malfoy. Ricordava bene anche il volto del Serpeverde intriso di gioia e soddisfazione, e di come non guardò di striscio Potter quando la squadra aveva cominciato ad osannarlo. Harry era arrabbiato, ma mai quanto Ronald, che se ne stette lì a fluttuare nel vuoto tra le porte ancora un po’, furioso, prima di scendere e raggiungere gli spogliatoi. Hermione preferì non fare parola di quello a cui aveva assistito per non aggravare la situazione, al contrario, si limitò a seguire i suoi vecchi amici allontanandosi dal campo da gioco, e lasciandosi un Malfoy vittorioso alle spalle. 
Il suo sorriso sfidò il sole, quel giorno. 

Ginny non aveva fatto troppe domande riguardo all’accaduto tra lei e Ronald, a differenza di Harry, che ancora non riusciva a farsene una ragione. Secondo lei non c’era molto da dire, conosceva bene Hermione e sapeva che non avrebbe mai fatto qualcosa solo per capriccio; la giovane Grifondoro fu grata di non aver perso la sua amicizia, anche se per forze che lei non poteva chiaramente percepire, era chiaro si stessero allontanando. 


«Sta’ zitta Ivy! A proposito, Hermione hai più parlato con Malfoy? Deve avere ancora la testa tra le nuvole per la vittoria schiacciante della scorsa settimana»
«Non abbiamo nulla da dirci» commentò la Grifondoro. Forse risultò poco convinta perché le ragazze continuarono a guardarla dubbiose. 
«Sentite, non c’è stato niente se non quello che vi ho raccontato»
«E non vuoi che accada nient’altro?» chiese curiosa Gracie.
«No, ho lasciato Ron solo da una settimana, voglio restare da sola» nel dire questo Hermione mise le mani dietro la nuca e si lasciò cadere sulle gambe di Ivy, sorrideva convinta delle sue stesse parole per almeno una volta da quando era iniziato quel tira e molla con Malfoy. 
Le gambe giacevano abbandonate sulla panca e la gonna a pieghe svolazzava leggermente seguendo le onde calde del vento dei primi giorni di maggio. 

«Parli del diavolo…»
Lo sguardo di Ivy cadde in lontananza, Hermione lo seguì e spostò lo sguardo sul campo di Quidditch dove Draco Malfoy avanzava sicuro con in mano la sua scopa e dava qualche pacca amichevole ai membri della squadra Corvonero. 
Indossava gli stessi jeans neri che aveva indossato nella casa dei Black e una maglietta a maniche corte grigia. Vederlo in quelle vesti le faceva un certo effetto, perché sembrava un normalissimo ragazzo, più leggero e sbarazzino di quanto non sembrasse con la divisa o con abiti neri addosso.
Nessuno si sconvolse nel vedere il suo tatuaggio ben visibile e lui non faceva niente per nasconderlo, era ciò che era.

«Anche lui qui? Ma non era l’allenamento dei Corvonero, questo?»
«A volte si allena con loro, ha sempre corso buon sangue tra le nostre case» dietro le parole di Gracie non c’era nessun filo di malizia, solo la pura e semplice verità, di fronte alla quale Hermione arrossì lievemente.
«Herm, vieni con noi alla festa, non voglio che tu venga da sola» Ivy ridestò l’attenzione della Grifondoro. In ogni caso, lei non aveva intenzione di starsene nella sala comune, non dopo che, come al solito, aveva ricevuto l’invito da una ragazza del club delle Tassorosso in persona. 
«Certo che vengo con voi, Ivy. Tu non hai invitato nessuno?»
Ivy spostò lo sguardo altrove, un po’ imbarazzata e presa alla sprovvista.
«Lo vedrete alla festa» sentenziò poi. 
«Quanto mistero», Gracie sorrise scuotendo la testa in segno di resa.
Hermione sogghignò, per poi venir nuovamente distratta dal vociare che proveniva dal campo di Quidditch. I capelli argentei di Draco si notavano anche a miglia di distanza, era come se proprio per via della loro chiarezza, illuminassero quel campo di una luce che poteva fare invidia alla luna. 
Ricordò improvvisamente come era stato baciarlo a casa dei Black, le mani di lui che la stringevano forte dietro la schiena come se stessero reggendo entrambi dallo sbilanciamento dovuto dalla troppa pressione sulle labbra. Ricordò come lo sentì vicino la prima volta che entrò in lei, quanto fosse terrorizzata all’idea all’inizio e di come lentamente si lasciò andare, ricordò di quanto fosse insolita quella vicinanza, quell’esplorazione che potevano condurre anche alla cieca, perché era come se già sapessero tutto l’uno dell’altra. Ricordò l’ultimo bacio che Draco le posò sulla cicatrice che l’aveva fino ad allora confinata in uno stato di natura che credeva fosse indelebile.
Ricordò poi l’ultimo bacio della notte, quello che se avesse saputo sarebbe stato l’ultimo l’avrebbe fatto durare più a lungo.
Non voleva che ciò che avevano provato sconfinasse in qualcosa di più che li avrebbe costretti a ridefinire i termini del loro bizzarro rapporto, ma Hermione avrebbe fatto di tutto pur di rivivere quelle sensazioni. Non era pronta a nient’altro di diverso. Non voleva niente di diverso. E forse avrebbe potuto cercarle lontano da Malfoy, forse non era lui il comun denominatore di quelle emozioni.

«Hermione? Ci sei?»
«Cosa?» distolse lo sguardo dall’allenamento e batté più volte le palpebre per ridestarsi da quei pensieri aggrovigliati. 
«Stavamo dicendo che ci è giunta voce che Malfoy non ha consegnato un compito di Babbanologia e adesso ne ha da fare il doppio», le comunicò Ivy.
«Chissà cosa gli passa in quella testa platinata, forse potresti aiutarlo, ho davvero tanta voglia di un buon dolce» Gracie e Ivy risero di gusto ed Hermione sorrise, leggermente imbarazzata.
«Avete finito? Malfoy avrà pure…»
Un boato improvviso le distrasse. Hermione scattò in piedi per lo spavento, seguita da Gracie, che cominciò ad ispezionare il cielo in cerca di Morgan.
«Andiamo» Ivy fece strada alle altre e insieme si precipitarono nel campo, dove un ragazzo della squadra Corvonero era a terra dolorante.
«Alister! Che è successo?» Ivy riconobbe il compagno steso a terra, dolorante. Hermione si ricordò di chi fosse solo grazie ai racconti delle sue amiche. Il padre di Alister, Josh Woodwork, era un babbano e sua madre una strega, era il battitore della squadra Corvonero ed eccelleva in Trasfigurazione. Si diceva addirittura fosse riuscito a diventare un animagus. 
Draco era ancora in piedi, appoggiato al manico della sua scopa. Guardava apprensivo il luogo del misfatto in cerca di capire cosa fosse successo, visto che prima per impegnato con Morgan alla ricerca del boccino e non aveva assistito all'incidente.

«Un bolide gli è piombato in testa ed è caduto dalla scopa», disse un loro compagno di squadra..
«Nessuno ha cercato di fermarlo mentre cadeva?» per Hermione era parlare di ovvietà. Si fece strada tra le due squadre riunite e si inginocchiò vicino a Woodwork.
«Ciao Alister, posso controllare la ferita?» 
Il ragazzo la guardò confuso, e annuì piano. Hermione aveva imparato qualche incantesimo guaritore costretta dai tempi duri della battaglia; era riuscita a guarire l’enorme squarcio sul braccio di Ron dopo che si erano smaterializzati dal Ministero. E in generale aveva salvato la vita ai suoi amici innumerevoli volte.
Spostando i capelli bruni del ragazzo riuscì a scorgere un piccolo taglio sulla testa.

«Non è niente di grave, è più stordito per la caduta che per la ferita. Epismendo»
Il taglio si rimarginò immediatamente al tocco della bacchetta di Hermione e il ragazzo riuscì ad aprire gli occhi.
«Che botta», fu la prima cosa che riuscì a dire. I ragazzi li presenti tirarono un sospiro di sollievo, mentre alcuni aiutarono il ragazzo a rialzarsi. 
«Ringrazia la Granger Alister, senza di lei probabilmente i Serpeverde avrebbero vinto la partita a tavolino» commentò sgembo Morgan, anche lui sollevato nel rivedere il suo amico in piedi. 
Alister rivolse ad Hermione un timido cenno con la testa e un sorriso per ringraziarla, mentre ancora parzialmente stordito, accarezzava il punto in cui poco prima la ferita era ben visibile. 

«Grazie Granger»
«Non è niente, poteva farlo chiunque» rispose lei, modesta come sempre.
«Adesso possiamo finire di battere questi Serpeverde» riprese Alister, il sorriso sghembo per provocare gli altri suoi compagni.
Draco, che nel frattempo aveva assistito alle cure prodigiose della Grifondoro, non reagì alla provocazione, rimase fermo dov’era e alzò di poco la voce per rispondere ai Corvonero che nel frattempo stavano lasciando il campo per una pausa. 

«Questo lo vedremo!» rideva.
Gracie e Ivy cominciarono a camminare seguendo i compagni Corvonero, Alister si rivolse a Ivy mormorandole qualcosa che da quella distanza Hermione non colse. Stava per seguirle, quando Draco la raggiunse. Gli altri Serpeverde colsero l’occasione della pausa dall’allenamento per distrarsi un po’ e cominciarono a tirare qualche calcio alle pluffe sparse in campo. 

«Ricordami di venire a cercarti Granger, se perderemo». Era stranamente di buon umore, il solito piccolo broncio che gli spuntava sempre sul viso quando era assorto sembrava essere del tutto sparito. 
«Non lo intendi sul serio» commentò lei, il tono divertito. Non poteva sinceramente essere contento dell’incidente.
«No, in realtà no, Alister è un ragazzo apposto»
«Suppongo di si» rispose lei cortese. 
Si erano fermati nel campo istintivamente. Ogni loro conversazione avveniva in una particolare condizione di stasi in cui a muoversi selvaggiamente erano solo i loro cuori.
La maglietta grigia del Serpeverde lasciava intravedere il corpo tonico al di sotto della stoffa, i muscoli delle braccia erano in tensione, ma il resto del corpo, compreso il suo viso, sembrava rilassato. Gli intensi occhi grigi ricambiavano il suo sguardo confondendosi in quel mare di cioccolato.

«Ivy mi ha detto che non hai consegnato un compito di Babbanologia» non riusciva prorpio a rimanere fuori dai suoi affari.
«Ma come ha fatto a.… comunque si, è vero. Non ho avuto molto tempo ultimamente»
«Potrei aiutarti...infondo, hai sostituito la clessidra di Lumacorno e mi hai salvata da una pessima figura»
«L’avevo rotta io, ricordi?»
«Si, ma non te ne sei preso il merito»
«Non l’ho fatto? Cavolo, sarà stato sicuramente uno scivolone, non accadrà più, ti avverto»
Effettivamente, se la Granger non glielo avesse fatto notare, il ragazzo non avrebbe mai realizzato che quella era stata una delle rarissime volte in cui non scavalcava qualcuno per i suoi interessi personali. La vicinanza alla Granger quasi gli addormentava quei suoi istinti viscidi che lo avevano sempre contraddistinto. Era come una perdita interiore che lo lasciava scoperto e alla mercé di prede fameliche. Tipo lei.
«Potresti semplicemente accettarlo e fartene una ragione, sai», Hermione riprese poi a camminare, tutta quell’elettricità l’avrebbe consumata. Ignorò la sua provocazione e gliene servì un’altra su quel piatto d’argento sul quale i Serpeverde servivano spesso le loro insolenze. Lei aveva imparato a ricambiarli della stessa moneta e nel frattempo a divertirsene. 
«Farmi una ragione su cosa?» gli chiese lui di poco alzando la voce per sopperire alla distanza venutasi a creare tra i loro corpi. Erano già troppe, le ragioni che si era fatto fino ad allora. 
«Che sei una schiappa in Babbanologia», rispose lei senza voltarsi. 
Draco poté giurare che la ragazza stesse sorridendo, perché aveva già sentito quella sfumatura nella sua voce prima, faceva capolino ogni volta che sorrideva. Si morse il labbro, accettando la sconfitta di quel breve scontro.
Non rispose, la guardò allontanarsi come ogni volta che si separavano, come ogni volta che ad andarsene era lui e lei rimaneva immobile a guardarlo fino a che non scompariva dalla sua vista. 
Un lungo arrivederci che si nutriva degli istanti trascorsi insieme.
Poi il suo sguardo fu attirato da un piccolo fiore scivolato dai capelli della Grifondoro. Nel momento in cui si chinò per prenderlo questo evaporò nelle sue mani, come la maledizione più potente di tutte, quella inafferrabile, ingestibile. 

«Alle tre in biblioteca!»
Riuscì a sentire solo questo, prima di librarsi sulla sua scopa e riprendere il gioco.
 
 
 
Quel pomeriggio in biblioteca, c’era quiete. Il sole che filtrava dalle vetrate creava una cappa di calore che si poteva affettare con un coltello. Appena entrato, Draco sciolse il nodo alla sua cravatta, che lasciò libera sul petto e si sistemò meglio le maniche sollevandole oltre i gomiti. Quel poco di gel che aveva messo sui capelli dopo una sbrigativa doccia negli spogliatoi del Quidditch si era completamente sciolto, vanificando gli sforzi del ragazzo nell’evitare che questi gli scendessero sulla fronte.
La Granger era già lì, ovviamente. La trovò dopo qualche giro a vuoto tra le varie sezioni; aveva scelto un posto più appartato, che in quel periodo dell’anno equivaleva a dire più fresco, perché lontano da tutta quella luce intensa che filtrava dalle finestre. 
Era nella sezione di Pozioni. 

«Cominciavo a credere che fossi sprofondata in un buco nero, Granger»
«Ciao anche a te» La Grifondoro era in procinto di legarsi i capelli in una crocchia alta. Era dal quarto anno che non glielo vedeva fare, quella era la pettinatura da studio, e Draco si morse la lingua, incredulo di fronte alla sua stessa capacità di ricordare così tanti dettagli.
«Iniziamo?» lo incalzò.
L’unica cosa che iniziava a capire era che la maledizione se l’era scelta fin troppo bene.

«Si» Il ragazzo prese posto accanto a lei.
Passarono il resto del pomeriggio a commentare i film babbani in cui veniva fatto ampio uso della magia sotto diverse forme. La Granger gli spiegò che la magia era vista dai babbani come una potente qualità e che chi la possedeva fosse in un certo senso più speciale di altri. Secondo Draco questo non era molto diverso dal loro mondo, esistevano gerarchie anche tra chi possedeva poteri; lo Sfregiato ad esempio, era praticamente in cima alla catena alimentare del mondo della magia senza neanche sapere come ci fosse finito. Questo però non glielo disse, perché voleva sinceramente evitare inutili discussioni, specie quando c’era di mezzo la possibilità di ricevere un voto basso e quindi di rovinare la media. Non era poi così diverso dalla Granger, in ciò che riguardava le questioni accademiche.
Dopo molteplici esempi, così tanti che il cervello del Serpeverde cominciava ad avere dei blackout, optarono per una saga -che come disse la Granger- “è a dir poco epica”, e che ovviamente Draco, e molti altri maghi come lui, non aveva visto. Star Wars era in sostanza una storia su una famiglia che – a detta di Draco – “non aveva fatto altro che scombinare la galassia seminando il panico”.
La magia che possedevano poteva essere strumentalizzata sia per il bene che per il male e lì veniva chiamata “Forza”.

«Niente di così tanto originale, comunque», commentò lui a un certo punto, interrompendo il flusso di parole infinito che usciva dalle labbra di Hermione. Vederla così animata per i film del suo mondo lo catturò. Era come se quella ragazza riuscisse ad infondergli l'adrenalina e concitazione per spade laser e guerre stellari, cose che ovviamente non avevano fondamento scientifico nemmeno nel suo mondo, ma sembrò dimenticarlo per un momento. 
«La Reynards ha detto di parlare almeno di due film, se non sbaglio» commentò concentrata la Grifondoro.
«Esattamente» Draco era sfinito, poggiò la testa sul tavolo, mentre Hermione spostava lo sguardo prima da una parte poi dall’altra, toccandosi il mento con due dita, come se quel rito potesse suggerirle la risposta.
«Ho letto qualcosa sulle interpretazioni dei babbani su Merlino, magari potrebbe...»
«Certo! Perché non ci ho pensato prima» Hermione si alzò e scomparve per qualche secondo in cerca del libro in questione e quando ricomparve sbatté il libro sul tavolo ridestando il Serpeverde.
«Granger! Puoi darti una calmata?» istintivamente Draco le posò una mano sul braccio, sperando che potesse servire a placarla. Hermione lo guardò leggermente meravigliata e tornò a sedersi. Draco aveva sollevato la testa e la stava guardando con gli occhi un po’ assonnati. 
«Capisco il tuo entusiasmo...almeno credo…ma siamo da ore seduti qui, possiamo stringere? Stasera c’è la festa ed ho un appuntamento.» La sua mano scivolò lentamente dal braccio della Grifondoro, soffermandosi solo per pochi secondi sulla cicatrice che aveva baciato e ribaciato durante la notte a Grimmauld Place. Si morse il labbro istintivamente, come per cancellare quello che aveva appena detto.
Lei lo guardò un po’ stupita, non curante di quella carezza sbadata. Doveva immaginare che anche lui sarebbe andato alla festa delle Tassorosso, dato che forse era uno dei pochi, insieme a lei, che riceveva l’invito direttamente da un membro del club organizzatore. 

«Oh, cavolo si…scusami mi sono lasciata un po’ prendere»
«Tranquilla», le rispose lui, che cominciò ad alzarsi e a sistemarsi la camicia sgualcita. La sensazione scomoda scaturita da quella confessione riguardo al suo appuntamento svanì immediatamente. D’altronde, lui e lei erano qualcosa di acerbo e indefinito, un rapporto che non poteva vantare pretese sull’altro né sensi di colpa.
«Beh credo che possiamo anche finire qui, se avevi già controllato il libro hai tutto quello che ti serve per il saggio»
«Oh..si, suppongo di si»
La ragazza cominciò a riordinare le cose.
«Ci vediamo alla festa, vero?»
Draco recuperò gli unici due libri che aveva portato con sé e un quaderno.
Gli pareva che dietro le azioni della Grifondoro ci fosse sempre uno scopo chiaro e definito, e siccome lui stentava a riconoscerlo, chiedeva conferme a lei. Se solo lui avesse saputo della mancata chiarezza negli scopi della Granger da qualche mese a quella parte...

«Si, ci vediamo lì»
Draco fece per voltarsi verso l’uscita, poi però la guardò di nuovo mentre era assorta a recuperare gli appunti di qualche lezione.
«Ah e…grazie, Hermione»
«Figurati» Lo guardò appena. Hermione era troppo presa dal sembrare disinteressata dal notare che il ragazzo le aveva esplicitamente detto grazie per la prima volta, risultando perfettamente naturale, come se lo avesse sempre fatto, come se tra loro fosse sempre corso buon sangue. 
Come se.
Draco le sorrise fugacemente anche se lei non poté vederlo perché ancora presa dal riordinare le sue cose. 
Cominciò il loro lungo arrivederci, Hermione sollevò lo sguardo sul Serpeverde appena questo si voltò ma vi rimase per poco, perché fu presa alla sprovvista da Alister Woodwork che sbucò da chissà dove all’improvviso.

«Per Merlino! Alister mi hai spaventata»
«Scusami! Davvero, non volevo» il ragazzo sogghignò divertito dall’espressione della Granger. 
«Ho visto Draco andarsene e pensavo stessi uscendo anche tu»
«Si, infatti, stavo prendendo le mie cose»
Il ragazzo Corvonero era alto quanto Draco, senza la tuta da Quidditch addosso si distingueva chiaramente la sua imponenza, aveva le spalle larghe, la linea delle mascelle ben definita, i capelli di un nero intenso e gli occhi color miele che risplendevano alla luce soffusa della prima sera. 
«Cosa volevi dirmi?»
«Oh, già..ecco, so che vai anche tu alla festa»
«Si, con Ivy e Gracie»
«So anche questo» le rispose lui pacato, con un ampio sorriso.
«Okay, inizi a spaventarmi» sogghignò lei. Era strano vedere un ragazzo all’apparenza forte e inscalfibile (tranne dai bolidi furfanti a quanto sembrava) essere così goffo. Era tenero.
«Beh Ivy e Gracie sono le mie compagne di casa e le voci girano»
«Che vuoi dire?»
«Okay taglio corto, ho saputo di te e Weasley e mi chiedevo se ti andasse di venire alla festa con me, da amici intendo, insieme ad Ivy e Gracie, ci sarà anche Morgan con lei»
Hermione si sporse leggermente oltre le spalle del ragazzo, Draco era sparito. 
«Sempre che tu non sia già impegnata con Malfoy», il suo dubbio era più che lecito giacché li aveva visti studiare insieme. 
«No, va bene, dove ci vediamo?»
«Davanti all’accesso della mia casa?»
«Perfetto»
«Grande»
«Ci vediamo dopo, Alister»
Il ragazzo le fece un cenno con la testa e uscì dalla biblioteca, ormai in via di chiusura.
Non era proprio un appuntamento, quello a cui aveva detto sì, d’altronde ufficialmente andava al party insieme alle ragazze, in gruppo. 
Sarebbe stata una cosa divertente, o almeno sperava.
La Grifondoro ultimò di chiudere tutti i libri nella borsa, sforzandosi di farli entrare senza rimedio magico. Diede un ultimo sguardo al tavolo da studio per verificare che avesse preso tutto, quando la sua attenzione fu catturata da un paio di fogli per terra. Li raccolse e notò che recitavano degli appunti che non le appartenevano, c’erano frammenti di incantesimi, di alcuni pezzi di storia ed effetti sull’Oblivion e poi un grande punto interrogativo alla voce “Cura”.
La scrittura sottile e inclinata.
Draco.
 
 
 
Aveva fatto una doccia veloce e usato un incantesimo per asciugare i capelli ed evitare di metterci ore, come succedeva spesso a casa, con i suoi genitori, quando non aveva scoperto di avere poteri e non era ancora la strega più brillante della sua età. Sua madre si offriva sempre volontaria di asciugarli, perché lei era impaziente e li lasciava sempre mezzi umidi. “Ti prenderai il raffreddore” le diceva la madre, e poi con dolcezza la riportava in bagno, dove la sistemava sulle sue gambe e cominciava ad asciugarle sul serio quei capelli selvaggi, mentre una raccontava all’altra com’era andata la giornata.
Guardandosi allo specchio, quel ricordo irruppe con qualche lacrima che le solcò il viso non ancora truccato. Si asciugò in fretta, volgendo poi lo sguardo agli appunti mal messi nella borsa buttata in un angolo della stanza. 
Infilò un paio di orecchini dorati e spessi, che le incorniciavano quel viso spento, illuminandoglielo un po’. Non aveva ancora pensato a cosa dire a Draco una volta rivisto. Non immaginava neanche lontanamente che tutto quel tempo in biblioteca fosse dovuto alla ricerca di una cura dall’Oblivion, anche quando persino lei si era data per vinta e aveva ormai abbandonato l’idea di salvare i suoi. Quegli appunti le infusero una speranza che non desiderava più, e come se non bastasse le fece ulteriormente male scoprire che forse Draco era vicino a trovare una soluzione. Cosa sarebbe successo se non l’avesse trovata? Lei dopotutto, aveva valutato qualsiasi cosa, cercato tra la miriade di appunti presi durante gli anni scolastici, letto tantissimi libri riconosciuti dal Ministero. Sentiva di aver fatto tutto il possibile, perciò cos’era che le era sfuggito? Perché Draco si comportava in quel modo? Perché le voleva causare ulteriore dolore scaldandogli il cuore con false speranze? Perché agire alle sue spalle?

«Herm…ci sei?»
«Si, entra pure»
Ginny si fece avanti, già vestita e truccata. Indossava un tubino nero attillato e scollato sul davanti, i capelli erano raccolti in una crocchia alta e portava un paio di tacchi. La classicità di Ginny riusciva a non perdere l’allure sexy e fiera che la contraddistingueva. 
«Posso darti una mano se vuoi»
 «Si, certo», la Grifondoro le mostrò un fugace sorriso. Si voltò verso Ginny, che cominciò a coprirle le occhiaie e prepararla all’eyeliner. Non che truccarsi fosse un problema per Hermione, ma durante il tempo passato ad Hogwarts c’era sempre qualcosa da fare e sembrava che per truccarsi non c’era mai tempo. Inoltre, per la maggior parte della sua infanzia non portò praticamente nulla sul viso. Ginny le fece scoprire qualche trucchetto per sembrare sempre sveglia e fresca, l’aveva iniziata alla sottile arte del trucco, anche se tra le due era la più piccola. Quel momento si caricò di note dolci e intense, in ricordo delle serate passate nel dormitorio a sparlare di ragazzi mentre si mettevano lo smalto a vicenda. Sono piccole cose capaci di creare legami indissolubili, alla pari di una battaglia per la sopravvivenza; il momento del trucco era come una specie di rito sacro, sconosciuto ai più che ammiravano solo il risultato finale.
«Stai benissimo» le confidò Ginny dandole una fuggevole occhiata mentre procedeva ad evidenziarle gli occhi con la matita nera. Indossava un abito bianco leggero, che lasciava la schiena scoperta. Il vestito era sorretto da sottili spalline che si intrecciavano solo una volta dietro la schiena creando una trama intrigante. Arrivava fino al polpaccio e sul lato destro aveva uno spacco che lasciava intravedere una porzione di gamba. La seta le si modellava perfettamente sul corpo, evidenziandone i fianchi e il petto, dove lo scollo a V era più pronunciato dei vestiti che indossava di solito. 
«Troppo buona, come al solito» rispose lei ad occhi chiusi.
«Non buona, sincera …e a proposito di sincerità...»
Hermione sentì suonare solo per lei la campana del giudizio in lontananza. Fece un respiro profondo, sperando che l’amica non lo notasse. 
«Come stai?»
«Bene, come sta Ron? Non lo vedo da una settimana eppure siamo nella stessa casa»
«Ti sta evitando, non verrà alla festa stasera»
«Digli che può anche evitare di nascondersi, non ce n’è bisogno, sono sempre sua amica»
«Questo lo sa, ma ancora non è pronto». Ginny aveva finito di truccare un occhio e passò all’altro.
«Capisco»
«Ho saputo che hai sistemato la clessidra di Lumacorno, come ci sei riuscita?»
Il fatto che fossero così vicine e nel bel mezzo di una pratica che richiedeva accortezza e precisione, non lasciò ad Hermione la possibilità di battere ciglio, e in quello stato far trapelare una debolezza era molto più facile, perché aveva temporaneamente perso il controllo del suo viso, al momento in mano alle sapienti mani della compagna. 
Era inutile mentirle, anche i muri di Hogwarts avevano orecchie, perciò optò per la verità, era stanca di tutte quelle bugie bianche.

«In realtà è stato Malfoy, l’aveva fatta cadere lui»
«Malfoy? Te lo ha detto lui?»
«Si, prima della partita scorsa»
«E come mai tutti sanno che l’hai riparata tu? Lumacorno non fa che lodarti», la ragazza sogghignò.
«Non lo so, forse Malfoy non ha detto a tutti la verità per non fare la figura dell’idiota», davvero pessima scusa. Si morse un labbro.
«Possibile, e comunque riesce a sembrare idiota senza neanche sforzarsi», Ginny cercò in lei una spalla che reagisse alla sua battuta e forse Hermione rise un po’ troppo fintamente perché Ginny continuò ad infierire.
«Non fa altro che guardarti ultimamente»
«Lumacorno?» Hermione aprì un secondo gli occhi fingendo di non capire.
«No, scema, Malfoy»
«Beh lo sappiamo che per lanciare maledizioni serve fissare la vittima”, era diventata bravissima a mentire, a quanto sembrava.
«Sarà, in ogni caso non penso sia alla ricerca di guai, sembra piuttosto tranquillo, quasi non sembra lui». Ginny ultimò la sua operazione spostandosi alle labbra della Grifondoro, che decorò con un rosso intenso. Hermione non rispose, con la scusa di avere le labbra impegnate dal passaggio del rossetto, così le ragazze lasciarono cadere il discorso.
«Pronta», dichiarò la Weasley, che si allontanò quel poco che bastava per controllare il suo operato. «Perfetta» 
Hermione si voltò verso lo specchio e sorrise compiaciuta di ciò che stava vedendo. L’amica sapeva valorizzare qualsiasi punto forte nascosto persino a lei stessa.

«Ti prego, non ringraziarmi, non c’è n’è bisogno», la incalzò Ginny ironicamente, cominciando a prendere la borsetta e controllando di non star dimenticando niente.
«Okay, non lo farò», la provocò Hermione. 
L’eco delle loro risate rallegrò la casa Grifondoro mezza vuota. 
Prima di uscire, la giovane infilò gli appunti di Draco nella borsetta, poi scese frettolosamente le scale del dormitorio, lasciandosi Ginny alle spalle.

«Ci vediamo dopo?», l'amica fece in tempo a chiederle solo questo prima di vederla sparire dietro al ritratto della Signora Grassa.
«Si, a dopo!» la voce squillante di Hermione echeggiò nella Sala Comune.

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Capitolo 7
*** Speak of the Devil ***


Muggle Studies

7.

 
I AM GOING OUT
I AM GOING TO DRINK MYSELF TO DEATH
AND IN THE CROWD I SEE YOU WITH SOMEONE ELSE
I BRACE MYSELF 'CAUSE I KNOW IT'S GOING TO HURT

- Hurricane Drunk, Florence + The Machine - 

 

Le ragazze più in della scuola organizzavano questi party soltanto poche volte all’anno, vista la loro inspiegabile capacità di prosciugare le energie persino del più incallito frequentatore di feste. Spesso cominciavano a tarda serata, quando ormai i professori si erano ritirati nelle rispettive stanze, sicuri nella consapevolezza – del tutto apparente - che i fantasmi del castello si sarebbero occupati di punire qualsiasi trasgressione. 
Solitamente, le Tassorosso addobbavano la Sala Comune di ogni minimo dettaglio: la tavola all’ingresso era adibita a snack e ad alcool, la selezione musicale comprendeva brani del mondo magico e canzoni appartenenti al mondo babbano, con l’obiettivo di accontentare tutti i presenti ed evitare di far finire la festa in una grandissima rissa di gruppo. Avevano anche adottato un ingegnoso stratagemma per far sì che la musica, ovviamente a un volume insopportabile per i personaggi dei quadri, non oltrepassasse i muri della Sala Comune. Oltre a quell’incantesimo, le ragazze Tassorosso erano poi riuscite a corrompere tutti i quadri dei Tassorosso e quelli nelle più limitrofe vicinanze a non rivelare nessuna informazione sullo strano andirivieni che si sarebbe venuto a creare a un certo punto della sera. Le Tassorosso sapevano essere molto persuasive, e a favore della loro causa c’era che era una delle quattro case più insospettabili, poiché fin dagli albori della storia di Hogwarts era da sempre stata mal giudicata come quella più tranquilla e meno combina guai delle quattro. 

Hermione aveva fatto le scale in fretta, stando attenta a non inciampare sui tacchi, dirigendosi verso la torre opposta a quella dei Grifondoro. Raggiunse la porta nera blindata che apriva alla Sala comune dei Corvonero e aspettò lì, senza badare all’indovinello che questa gli pose per aprirsi. Probabilmente sarebbe riuscita a risolverlo, ma quella sera decise di non voler sfidare la sorte, anche ben conscia che l’ingegno impareggiabile dei Corvonero poteva quindi superare persino il suo in certe circostanze. 
Appoggiatasi al muro, rimase in attesa che uscissero i suoi amici. Si stirò il vestito di seta con le mani, un po’ nervosamente, come a voler verificare che fosse tutto in ordine. Mentre la Grifondoro procedeva con quel rito, fecero finalmente la loro comparsa Gracie al fianco di Morgan, ridendo a una battuta scambiatasi un momento prima, Ivy e Alister a seguire. 
Il ragazzo indossava una camicia azzurra, con jeans e scarpe scure. Hermione poté giurare fossero un paio di Oxford. Nel suo immaginario (forse nell’immaginario di tutti gli studenti) i ragazzi Corvonero avevano un gusto nel vestire che equiparava persino quello dei Serpeverde. Ad Hermione ricordavano i ragazzi di un vecchio film babbano membri di una società segreta di poesia e letteratura*, una specie di proseliti dell’estetica accademica un po’ malinconica che sembravano camminare sempre a due centimetri dal suolo. 
Soffermandosi sul look di Alister, il pensiero di Hermione virò bruscamente su Malfoy, e la sua mente si trovò a ragionare sul fatto che i suoi passi invece erano di quel tipo che faceva scricchiolare le foglie d’autunno ad ogni passo, un tipo di andatura che parevaprendere l’energia dalla terra stessa, per poi restituirla ad ogni respiro soffiato dalle labbra. Il suo modo di stare al mondo era simbiotico con quello dell’intero universo e lui sembrava esserne consapevole, questo forse perché in tempo di guerra aveva suo malgrado esplorato l’essenza del dolore scavando dentro sé stesso e nelle viscere del suolo insieme, proprio come un serpente che sa chiamare casa sia l’eden che l’inferno. 
«Stai benissimo» la voce bassa di Alister la ridestò dalle sue osservazioni. 


La Sala Comune dei Tassorosso, vicina a quella dei Serpeverde, era una delle più protette e più accoglienti, rispetto a quanto si potesse pensare all’apparenza. Hermione c’era stata solo un paio di volte e sempre per lo stesso motivo: loro si che sapevano dare feste come si conveniva. 
Una volta superato l’uscio, fiaccole agganciate alle pareti si accesero, mostrando loro il percorso da seguire per entrare effettivamente nella Sala Comune. 
Morgan e Gracie camminavano più avanti rispetto agli altri, scambiandosi qualche sguardo complice di tanto in tanto; Ivy camminava accanto ad Hermione e ad Alister, stranamente taciturna; aiutata dalla parziale oscurità, continuava a torturarsi le mani per cercare di placare il nervosismo, ma inconsapevolmente incoraggiandolo. 
La Grifondoro non l’aveva mai vista così tesa eppure così bella: il colore dei suoi occhi accentuato dai profondi contorni della matita, il rossetto color ciliegia evidenziava il candore del suo viso, i capelli bruni erano raccolti in una treccia morbida. Indossava un abito color indaco, simile a quello sfoggiato da Hermione al Ballo del Ceppo. 


Una volta arrivati lì, quasi non riuscivano ad udire la loro stessa voce, affossata dal volume altissimo della musica che mangiavaqualsiasi altro suono o movimento, se non quello dei corpi concitati immersi nelle danze.
Alister si avvicinò al suo orecchio e solo dopo due tentativi Hermione capì che sarebbe andato in cerca di qualcosa da bere. Ivy, nel frattempo si guardò intorno, poi mugugnò qualcosa alla Grifondoro, che lei non capì, e si dileguò un secondo dopo. Hermione la seguì con lo sguardo, fino a che i suoi occhi non distinsero più chiaramente la figura longilinea di Pepper Elms dei Grifondoro. Le due si scambiarono un lungo bacio prima di allontanarsi da occhi indiscreti, e fu proprio in quel bacio che Hermione comprese la ragione del nervosismo di Ivy, era semplicemente innamorata. Pepper era una Grifondoro del settimo anno che Hermione conobbe attraverso Ron alla fine di uno dei loro allenamenti. Apprese presto da voci di corridoio in Sala Comune che era incredibilmente brava in Incantesimi, oltre a distinguersi come grande battitrice nella squadra dei rosso e oro. 
Sorrise di cuore, Hermione, assistendo alla scena, e capì anche il motivo di tutto quel segreto da parte dell’amica. Fu per questo che non si offese, nel constatare di quanto fosse all’oscuro della sua vita privata, capiva benissimo l’importanza della riservatezza e di quanto sia infinitamente più piacevole e soddisfacente non sparlare dei propri sentimenti, specialmente all’inizio di una relazione ancora acerba. Ivy doveva comprendere lei per prima cosa stesse succedendo, e solo dopo Hermione e Gracie sarebbero state lì per lei a condividere anche solo le briciole di quella – al momento indicibile e discreta - felicità. 
Ivy si voltò verso il gruppo di amici, di cui ormai poteva scorgere solo Hermione, e le sorrise. Non c’era poi bisogno di dire o fare molto altro. La Grifondoro ricambiò calorosamente il sorriso e poi la vide allontanarsi con Pepper e sparire tra la folla. 


La Sala Comune, che era da sempre una delle più accoglienti di tutte le case di Hogwarts grazie all’accuratezza dei dettagli e del mobilio, spesso decorato con qualche pianta o pezzo di antiquariato da collezione, era affollatissima. Il fumo delle sigarette aveva creato una cappa sul soffitto e aumentato il calore già scaturito dalla presenza di tantissime persone. 
Alister tornò da Hermione dopo qualche minuto passato a barcamenarsi tra saluti e altri convenevoli, con in mano due bicchieri di birra belli pieni. Fecero un cin cin per niente rumoroso, perché coperto dagli altri suoni sovrastanti e poi buttarono giù il contenuto del boccale a grandi sorsi. Hermione era di buono umore, nonostante stesse mentalmente preparandosi ad affrontare una discussione, sicuramente ubriaca, con Malfoy. 
Desiderava ardentemente quel confronto, primo perché la pazienza non era una delle sue molte virtù, e questo ormai lo sapeva bene anche il Serpeverde, secondo perché l’idea di essere stata presa in giro, o che comunque Draco avesse messo il naso in affari che non gli riguardavano lasciandola all’oscuro la stava facendo impazzire. Tuttavia, pensò bene di svagarsi un po’ con Alister prima di affrontare quel confronto ormai non più rimandabile.
Il Corvonero non si trovava per niente a disagio a stare in mezzo alle persone, una caratteristica che invece a Hermione era sempre mancata, le ci voleva un po’ prima di lasciarsi andare del tutto e dimenticare chi la circondava per potersi realmente divertire senza sentirsi giudicata da sé stessa. 


Draco arrivò insieme ad Astoria e Blaise, accompagnato da una ragazza Serpeverde del sesto anno di cui Draco non ricordava mai il nome e che puntualmente scambiava per l’ex ragazza del suo compagno, forse inconsapevolmente, forse per farlo infuriare, a Blaise non era mai chiaro.
Draco si accese una sigaretta. Lì dentro faceva caldissimo perciò si alzò subito le maniche della camicia. Blaise si allontanò con l’altra Serpeverde, mentre Astoria comparve al fianco di Draco dopo qualche secondo di assenza, con in mano due bicchieri di vino rosso. Il fumo e tutto quel calore gli arrivò subito agli occhi, che cominciarono a pizzicare e a macchiarsi dello stesso rosso del vino. Astoria distinse Leo Gorgon tra la folla, parlava con alcuni suoi compagni Grifondoro.
«Balliamo?»
«No»
«Dai, solo un ballo, me lo avevi promesso, ricordi?»
Draco non si faceva mai i fatti suoi, ultimamente. Aveva accettato di andare al ballo con Astoria per aiutarla ad ingelosirlo, la Serpeverde convintissima che questo lo avrebbe fatto tornare da lei strisciando. Un Grifondoro che striscia è cosa rara, le aveva dettolui, ma Astoria non ascoltava nessuno se non il suo cuore selvaggio e sconsiderato.
Vinto dal vincolo di quella promessa fatta a denti stretti, il Serpeverde alzò gli occhi al cielo rassegnato, e cominciò a danzare con lei svogliatamente, muovendosi senza aver chiaro in mente cosa fare, a quello ci pensavano le mani di Astoria su di lui. 
Chissà dov’era la Granger.
Il bicchiere di vino continuava a riempirsi senza sosta appena veniva trangugiato, e ciò gli impediva di ballare con l’efficacia sperata da Astoria. Draco, incurante dei processi mentali della compagnia, continuò a fumare la sigaretta stretta tra le labbra fino a che questa non arrivò al filtro.
 
Mentre Astoria si dileguò nuovamente per cambiare qualità del vino, lui ne accese subito un’altra e rimase fermo sul posto più svogliato che mai. Cominciò a guardarsi intorno, inconsciamente in cerca della Granger e con sua enorme sorpresa, non dovette cercare a lungo. 
Stava parlando con Alister Woodwork sorseggiando birra e muovendosi fuori tempo. 
Il vino gli andò di traverso.
«Perché la Granger sta ballando con Alister?» aspettò che Astoria tornasse e mettesse a fuoco la stessa scena che stava osservando lui, mentre tra un colpo di tosse e un altro cercava di ricomporsi.
«Draco, lo sanno persino tutti i quadri di Hogwarts che la santarellina Grifondoro ha lasciato Weasley».
Tutti i quadri di Hogwarts. E lui? Che ne sapeva lui?
Non notando nessuna sua particolare reazione, Astoria sbuffò e riprese a dedicarsi al suo bicchiere.


Era finalmente riuscito a confessare a sé stesso che ciò che era successo fosse stato un errore di valutazione, un errore che si, avrebbe fatto mille volte, ma che ciò nonostante non voleva che si ripetesse ancora. D’altronde era stato lui a dirle che a diciassette anni c’era il tempo di sbagliare, di provare e riprovare e sbagliare ancora. Tra i due però, non riusciva a capire chi stesse sbagliando di più, se la Granger avvinghiata a quel Corvonero o lui che continuava a guardarla senza fare niente, o meglio, che aveva deciso di non sfiorarla più con un dito per motivi anche a lui stesso sconosciuti, mentre le rimaneva vicino aiutandola a salvare i suoi genitori, che per lui non erano niente. 
Non poteva essersi complicato la vita più di così. Perché non poteva semplicemente lasciarla andare? Farle fare ciò voleva, lasciare che i suoi genitori continuassero ad ignorare la sua esistenza, una battaglia che lei stessa aveva forse abbandonato per sempre. Gli pareva di essersi aggrovigliato fra mille rovi spinosi nel mezzo di una foresta oscura e che adesso faticasse ad uscirne vivo e vegeto. E ciò nonostante voleva ancora aiutarla dove persino lei non voleva aiutare sé stessa. 
Lei, che nemmeno gli aveva detto che aveva rotto con Weasley. Non che volesse saperlo poi, anche perché lui stesso le aveva detto di non voler essere messo in mezzo, di non voler essere la soluzione ad un loro problema, ma che forse voleva essere un qualcosa, anche se di indefinito. Lui che aveva avuto sempre chiari gli scopi dietro le sue motivazioni, che non agiva mai d’impulso ma solo dopo tante e dettagliate calcolazioni che avrebbero giustificato lo sforzo di qualsiasi passo. Lui che adesso agiva senza nemmeno sapere il perché, lui che voleva ignorare qualsiasi motivo e per una volta agire senza pensarci troppo, lui che comunque rimase immobile a guardarla senza fare niente.
Senza dire niente.
Si allontanò a fumare, agognando una boccata d’aria fresca, con i passi serrati di Astoria dietro di lui a fargli eco.

 
 
Hermione lo aveva visto arrivare. Astoria Greengrass era di una bellezza cruda, mozzafiato. Quell’abito nero scendeva lungo ed elegante modellandole il corpo sottile al punto giusto, i capelli corvini erano selvaggi proprio quanto lei, una maestosità a cui era impossibile avvicinarsi.
Hermione era arrivata a un numero ingiustificabile di birre e la testa le girava. Vide Malfoy fare le scale verso un balconcino con Astoria al suo fianco. Non osò nemmeno per un secondo fare confronti con lei, conosceva sé stessa – o almeno credeva- e conosceva Astoria per sentito dire. Fare confronti irrazionali o speculazioni insensate sul perché a Draco piacesse lei e non un’altra persona, erano pensieri controproducenti che avrebbero solo minato alla sua autostima già abbastanza ballerina. Per un momento durato qualche secondo, decise di farsi scivolare quel dettaglio addosso e di concentrarsi sugli occhi di Alister su di lei, e su quanto effettivamente si stesse divertendo.
Tuttavia, la curiosità era arrivata ad un limite così impossibile da controllare, che tutto il suo corpo la spronò a muoversi. Malfoy le doveva delle spiegazioni o non se ne sarebbe andata da quella sala comune.
«Ho bisogno di un po’ d’aria» Alister annuì dicendole che l’avrebbe raggiunta più tardi e che avrebbe cercato Morgan e Gracie, finiti chissà dove.
Hermione fece le scale in fretta, il sudore le aveva attaccato l’abito addosso, i capelli ricci si erano un po’ sgonfiati per via del caldo e del sudore. 
Non appena si affacciò fuori, Hermione lo trovò appoggiato con uno dei suoi stivaletti chelsea alla ringhiera del balconcino, entrambe le mani in tasca e leggermente chinato verso il viso di Astoria, che aveva le mani appoggiate al suo petto. Quel bacio durò poco, il sussulto di Hermione doveva averlo sentito anche Astoria, che si staccò subito da lui voltandosi verso la sua direzione, un sorriso libero da qualsiasi falsità, come se la situazione fosse completamente normale. Tuttavia, l’espressione le morà sul viso non appena scorse la figura di Leo dietro l’ombra di Hermione. La piccola serpeverde si precipitò in fretta giù per le scale prima di confondersi tra la folla.
«Leo, aspetta!»
Nel frattempo, Draco non si era spostato dalla posizione in cui era prima, le mani in tasca, un po’ impettito, i capelli che seguivano le onde del vento impertinente di maggio. 
«Ci consoliamo in fretta eh, Granger?»
Hermione, avvicinatasi, sgranò gli occhi al sentire quella provocazione. Sapeva a cosa si stesse riferendo, e avrebbe voluto dirgli che la sua separazione da Ron non fosse una cosa su cui tenerlo all’oscuro. Nonostante ci fosse una parte di lei che glielo avrebbe detto come si fa con un amico, dall’altra l’ambiguità delle situazioni non le quali spesso si cacciavano le impediva di parlare. E non parlandone, ne aumentava inconsapevolmente l’importanza, fino a che dopo giorni di silenzio la scelta migliore era diventata tacere. 
Evidentemente lo stupore sul suo volto non accennava a diminuire, Draco parlò poco dopo e
«Scusami...battuta poco felice», disse, mosso da un senso di colpa sollecitato più dalla sua espressione che dalle parole velenose che le aveva rivolto un momento prima. 
«Sai cos’altro sembra uno scherzo poco felice, Malfoy? Puoi spiegarmi questo?” Hermione estrasse i suoi appunti dalla borsa, facendo cadere completamente il discorso di lei e Ronald, di lei ed Alister.
Draco notò gli appunti e sgranò gli occhi, poi guardò in basso alle sue scarpe e si mosse un labbro, maledicendosi per quella svista.
«Come hai fatto a trovarli?» chiese quasi bisbigliando, con tono colpevole.
«Li hai dimenticati oggi in biblioteca».
«Puoi spiegare?» lo incalzò.
«Senti, non volevo dirtelo, io...» Draco si voltò verso di lei, tolse le mani dalle tasche e si accese una sigaretta. 
«Perché stai facendo questo?»
Dopo un’intensa boccata di tabacco, il ragazzo provò a mettere in ordine i pensieri nella sua mente e a dargli voce.
«Non lo so, credimi. All’inizio ho cominciato a cercare qualche informazione sull’incantesimo un po’ per gioco, un po’ per noia, scegli tu. Poi ci sono caduto dentro con entrambe le scarpe e ho perso la cognizione del tempo, non mi rendevo conto dei giorni passati sui libri, gli appunti aumentavano e la curiosità anche.»
«Quindi lo hai preso come un normale compito di Incantesimi? Si tratta dei miei genitori, Malfoy!»
«E pensi che non lo sappia? Senti, anche io ho cercato di proteggere i miei durante la guerra, pensi sia stato facile convivere con Voldemort in casa mia, vederlo appropriarsi di oggetti da maledire, persone da condannare, senza sbattere ciglio per la paura di essere ucciso, o peggio, di veder assassinati tuo padre e tua madre davanti ai tuoi occhi? Abbiamo cercato di fare la stessa cosa, proteggerli, seppur in modi diversi. Sto solo cercando di fare ammenda, ma tu non me lo rendi facile». 
«Perché non me lo hai detto?» Hermione era sconvolta. Parlò dopo qualche minuto passato in totale silenzio, nel quale cercò di mettere insieme tutti i pezzi che continuavano a sfuggirle. Si stava offrendo di aiutarla, senza che lei glielo chiedesse. 
«Perché ero sicuro che ti saresti risentita».
Teneva la bocca socchiusa come se stesse per parlare ma poi non usciva niente. Il fuoco dei loro sguardi avrebbe incendiato anche la neve.
«Infatti è così»
«E perché me lo hai confidato, allora?»
Draco non ottenne risposta. 
«E comunque non sono arrivato a niente, sarei presto andato nella Sezione Proibita, per capire se potesse esserci dell’altro che non viene detto alla luce del sole».
«Ma è proibi... »
«Andiamo Granger, vuoi dirmi che durante la guerra hai rispettato le regole?»
Hermione fece un respiro profondo, spostò i capelli che le finivano puntualmente davanti al viso per via del vento, e poi lo guardò nuovamente. Draco fissava un punto indefinito in lontananza, mentre tirava qualche boccata di fumo. 
«Sezione Proibita sia, ma mi viene davvero difficile pensare che tu lo stia facendo senza soddisfare un interesse personale»
«Beh, mi aiuti in Babbanologia, quindi suppongo che un mio interesse sia stato soddisfatto» il suo tono si alleggerì d’un tratto, ricomparve nella sfumatura della voce una vena ironica, così come sul suo viso il tipico pallore della sua pelle era stavolta stemperato da un leggero rossore appena visibile, ma abbastanza perché Hermione riuscisse a notare la differenza.
La Grifondoro sospirò, perché sostenere il suo sguardo stava diventando sempre più difficile, lui continuava a incalzarla lasciando intravedere mille altre interpretazioni dietro le sue risposte e non sapeva cosa pensare.
«D’accordo. Potrei prendere il mantello dell’invisibilità di Harry, così da non venire scoperti, ma se glielo chiedessi si insospettirebbe,perciò credo che dovrò prenderlo di nascosto»
«Intendi rubarglielo? Riesci a sorprendermi continuamente Granger» 
«Non è proprio rubare se intendi restituirlo, e comunque ho fatto questo ed altro in battaglia, ci sono molte cose che non sai di me»
«Oh, questo lo so»
Con sole poche battute, la tensione si sciolse un poco. Hermione cominciò a convincersi che quella fu l’unica cosa, oltre al suo strano desiderio di aiutarla, che potesse mai esserci tra loro. 
 
Ginny Weasley, che aveva seguito con lo sguardo Hermione verso il balcone, li vide sorridersi. Era affacciata da un dormitorio, concentrata sulla sigaretta e sul bicchiere di vino che aveva in mano. Harry si era momentaneamente allontanato per prendere qualche snack, lasciandola a contemplare la bellezza della sera primaverile, fino a che il suo sguardo non fu catturato da quei due ragazzi, la cui vicinanza e i sorrisi solo accennati non le assicurarono per niente che si stessero lanciando maledizioni contro. 
«Allora, siamo d’accordo» 
«Domani sera nella sezione proibita» le fece eco lui.
Hermione annuì e si voltò per ritornare alla festa. Draco finì la sigaretta, si soffermò per un attimo sulla schiena della Grifondoro, poi tornò a fissare le sue scarpe.
Hermione era quasi arrivata alla porticina da cui era entrata ma si fermò all’improvviso, si voltò verso di lui e riprese a parlare.
Quasi tutti gli studenti presenti prima sembravano essere svaniti, nessuno fece caso al loro discorso, o perché lontani o perché palesemente troppo ubriachi per assistere all’ennesimo incontro scontro tra Malfoy e la Granger. 
«Non so perché non te l’ho detto»
Draco sollevò nuovamente lo sguardo, e fu come se lei avesse iniziato a rispondere ad una domanda che lui stesso si era posto. 
«Quella sera, al Ballo del Ceppo, mi avevi detto che non avrebbe fatto differenza, e più volte mi hai ripetuto che non eri parte della nostra equazione, e in un certo senso ti sono grata per avermelo detto, perché ho potuto fare la mia scelta non influenzata da quello che avevamo fatto»
Draco capì e annuì, mordendosi comunque le labbra e pentendosi solo per un secondo di aver rifiutato la possibilità di essere anche solo un rimpiazzo. 
«Quello che hai visto prima...Astoria stava cercando di fare ingelosire Gorgon»
Hermione batté le palpebre, stupita da quella rivelazione ma anche inconsciamente sollevata. 
Ridacchiò. «Penso ci sia riuscita»
Draco non le chiese cosa volesse realmente dire con quell’affermazione. Non spettava a lui chiedere, non voleva. Quella discussione aveva fatto emergere già fin troppe cose 
«Quindi…siamo amici, vero?»
«Se gli amici sono soliti cercare rimedi ad incantesimi, di nascosto, nel cuore della notte, si…siamo amici» sentenziò lui. 
Sorrisero per quella scomoda, inconsueta parola che mai era stata utilizzata per definirli.
 «Allora, a domani Malfoy e…grazie»
«A domani, Granger».
 
 
La festa andò avanti per quasi tutta la notte, Draco non incrociò più la Granger, forse più per scelta che per caso, e lei fece lo stesso. Il Serpeverde si ubriacò malamente insieme ai suoi compagni di casa, Astoria scomparve con Gorgon, e Ivy e Pepper ballarono insieme quasi ininterrottamente. In quanto ad Alister ed Hermione, loro fecero la stessa fine di molti loro compagni. Fumò qualche sigaretta scroccata da non si ricordava più chi, e ogni tanto le capitava di gettare l’occhio su Malfoy, che invece non la guardò più dalla conversazione in balcone, come se lei fosse Medusa e lui una povera vittima che rischiava di venire pietrificato. La evitò per tutto il resto della serata, fino a quando, una volta usciti dalla sala comune dei Tassorosso alle prime luce dell’alba, la intravide fare le scale con Alister, arrancando e sogghignando per un motivo a lui forzatamente oscuro.
Giunti al quadro della Signora Grassa, beatamente addormentata, Hermione non lasciò il tempo ad Alister di dire nulla, si appoggiò al suo petto e gli lasciò un lungo, intenso bacio sulle labbra, dal quale si staccarono solo qualche minuto dopo.
Baciare Alister era diverso, e non solo perché era completamente ubriaca. 
Si salutarono qualche momento dopo che la Grifondoro, seppur poco lucida, cercò di spiegare il motivo dietro quel gesto avventato.
«Non cerco niente di serio», gli aveva detto.
«Nemmeno io», aveva risposto lui, come se potesse chiaramente leggergli nella mente. Nonostante fosse ugualmente sbronzo, Alister riusciva ancora a pensare lucidamente al fatto che la Grifondoro avesse rotto con Weasley solo da una settimana e che proprio per questo non voleva affrettare i tempi. Lui, d’altro canto, non ne aveva alcuna intenzione. 
«Voglio solo...divertirmi», continuò lei, con la testa appoggiata al suo petto, ciondolando mentre si guardava i piedi nudi. 
Alister aveva entrambe le mani bene aperte sulla sua schiena e il mento appoggiato sulla testa riccia della Grifondoro. 
«Assolutamente», le aveva risposto, ormai stava perdendo il filo.
«Allora, ciao Alister” gli lasciò un bacio leggero sul collo, poi con l’ultimo slancio che le era rimasto si staccò da lui e scomparve dietro al quadro della Signora Grassa.
 
 
Il giorno dopo a lezione Draco si sentiva uno zombie. Non era riuscito a fare colazione per via dell’acidità di stomaco dovuta al troppo alcool, la testa gli pulsava in modo assordante e non aveva capito nulla degli argomenti spiegati in nessuna delle lezioni frequentate. 
Riuscì comunque a trascinarsi a Babbanologia, durante la cui ora, la professoressa non faceva che squadrarlo da capo a piedi più volte cercando di capire se effettivamente respirasse ancora o meno. Non che gli altri studenti fossero messi in condizioni migliori, comunque. Seamus aveva tutta l’aria di essersi perso in un trip allucinogeno e Neville aveva la testa sul banco e l’umore sotto le scarpe.
«Sono molto soddisfatta dei progressi che avete fatto ragazzi, da alcuni di voi non me lo sarei mai aspettato»
Draco si sistemò meglio sulla sedia.
«Ad ogni modo, la preside McGranitt mi ha informato del programma estivo, di certo non vogliamo sovraccaricare le vostre menti più del necessario, ecco perché crediamo fortemente che un periodo di pausa di due settimane possa farvi rinsavire e tornare con spirito più…» la professoressa non sapeva come continuare. Aveva davanti a lei degli ebeti che non facevano altro che cadere con la testa sui banchi e sbuffare. «Attivo e determinato a completare gli studi a ottobre». 
La Reynards credeva che al suono della frase “due settimane di pausa estiva” avrebbe suscitato ilarità ma si dovette ricredere. Sembrava che un vampiro avesse succhiato oltre al sangue anche l’energia vitale di tutti i presenti. 
«Voglio solo ricordarvi che in queste due settimane di pausa, che si terranno verso la metà di giugno, potrete allontanarvi brevemente dai libri, ma io e la preside abbiamo ideato un piano molto interessante che potrà farvi continuare gli studi di Babbanologia in modo più...pratico»
Gli studenti sollevarono le teste, Draco spostò lo sguardo dalla finestra alla professoressa con espressione preoccupata. Corrucciò le sopracciglia e «in che senso più pratico, professoressa?» domandò.
«Abbiamo intenzione di farvi ospitare dalle case di alcuni vostri compagni nati babbani così che possiate conoscere le loro usanze da vicino. Signor Finnigan, per lei che ha un genitore babbano ci saranno due saggi da scrivere». Dopo quella sentenza, Seamus, che sperava di essersela cavata, sbuffò apertamente.
Assurdo.
Inconcepibile.
Inaudito.
«E perché gli studenti che non frequentano Babbanologia possono godersi le vacanze senza studiare?» la voce arrivò dal fondo della classe, anche se a giudicare dal tono lugubre dello studente sembrava provenire dall’oltretomba. 
«Signor Gorgon non si preoccupi, gli altri professori avranno sicuramente pensato a qualcosa per sopperire a questa differenza, non vogliamo che ci siano disparità. Detto questo, siete liberi di scegliervi il compagno che dovrà sopportarvi per due settimane» Alla fine di questa sentenza, la professoressa dichiarò la fine della lezione. Un attimo prima che Draco uscì dalla stanza a passi pesanti, la Reynards riuscì a congratularsi per l’eccellenza del saggio svolto.
Era talmente in sovrappensiero per le notizie apprese che quasi non fece caso alle lodi e si limitò a ringraziarla un po’ confuso, prima di sparire dall’aula a passi pesanti.
 
 
La sera arrivò in men che non si dica, praticamente era come se Hermione non avesse vissuto, in quella giornata. Riuscì a stento a parlare con Ivy e Gracie, che avevano lezioni diverse dalle sue e che comunque non erano molto loquaci data la serata sfrenata della sera prima. Gracie e Morgan avevano fatto passi decisamente in avanti e questa si promise di raccontare tutto alle ragazze non appena fosse tornata in sé. Quando la giornata di lezioni arrivò al termine, Hermione tornò in Sala Comune per cambiarsi e prepararsi per la cena. Riuscì a sottrarre il mantello dell’Invisibilità quando ormai tutti erano usciti dai dormitori.
Riuscì a malapena a mangiare, un po’ per il disturbo dovuto alla notte precedente, un po’ per il nervosismo e l’adrenalina di quello che stava per fare che le ricordò i vecchi tempi persi a girovagare per il castello di notte in cerca di prove e indizi.
Non vide Draco a cena, ma come da accordo, lo trovò poco dopo la mezzanotte ad aspettarla vicino all’entrata della sua Sala Comune nei sotterranei. Indossò il mantello per fare le scale, consapevole che non fosse ancora un orario in cui la scuola era deserta.
«Hai un aspetto orribile» commentò lei ridacchiando, appena lo vide varcare la soglia della sua Casa. 
Il Serpeverde indossava un paio di jeans blu e delle sneakers prese in prestito da Blaise, la maglietta bianca aveva gli stava abbastanza larga. Quel look così sbarazzino era davvero insolito per lui, ma nonostante il terribile aspetto dovuto alla sbornia che non voleva saperne di andarsene.
Draco uscì dall’oscurità della sua casa sbadigliando e mostrandole il dito medio in risposta alla sua battuta. Dietro quello sbadiglio sorrideva svogliato.
«Buonasera anche a te, Granger».
La guardò oltre gli occhi assonnati. La ragazza aveva due profonde occhiaie, i capelli sciolti che cadevano lunghi sulla schiena. I jeans e la maglietta nera attillata la facevano sembrare più magra del solito. 
«Anche tu non stai così male» commentò lui ironicamente.
«Da quando porti gli occhiali?» gli chiese lei. 
Dovette sinceramente ammettere in silenzio che non stava affatto male.
«Li porto per riposare la vista, e poi perché data la situazione pensavo ti facesse piacere avere un quattr’occhi accanto per questa missione» 
«Andiamo? » la incalzò.
«Si» il tono di Hermione ilare e leggero. 


 
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*Il film è Dead Poets Society


 

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Capitolo 8
*** Scomode Verità ***


Muggle Studies


8.


 
All of my friends fell out with me 
because I kept your company
I tell them all to hold their tongues
 
 
 
Superata la mezzanotte, ad Hogwarts regnava il silenzio. Probabilmente la festa delle Tassorosso c’entrava qualcosa, perché non c’era traccia di nessuno, persino del solito gruppetto di studenti che puntualmente veniva beccato a bighellonare per il castello, quella notte non se ne intravide nemmeno l’ombra. Sicuramente erano tutti a letto a recuperare le ore di sonno perdute, cosa che avrebbero dovuto fare anche Draco ed Hermione ma avevano pensato diversamente. La notte era d’altronde una potente alleata per cercare incantesimi proibiti in reparti proibiti, la notte e il mantello dell’invisibilità, che secondo la leggenda aveva eluso persino la morte.
Il fatto che fosse un pezzo di tessuto del suo mantello poi, rendeva il tutto ancora più macabro a Draco, che aveva partecipato ad assurdi discorsi declamati da un convintissimo Mangiamorte quale suo padre, secondo il quale insieme a Voldemort sarebbero riusciti a sconfiggere la morte stessa. In quegli istanti sotto a quel mantello, ci riuscì davvero e gli venne da ridere al pensiero.
La Granger gli camminava davanti perché più bassa, lui sorreggeva il mantello per entrambi, tenendolo con entrambe le braccia sollevate così da avere abbastanza spazio per camminare senza inciamparsi continuamente addosso. Anche se alcune volte fu inevitabile e capitò che lui le togliesse le scarpe dal tallone o che lei, indietreggiando per il sospetto di aver visto sbucare qualcuno all’improvviso, saliva sui suoi piedi e Draco squittiva dal dolore e si mordeva le labbra per non farsi sentire al di fuori da quella protezione invisibile.
Raggiunsero la biblioteca dopo alcuni di questi imprevisti e subito arrivarono al Reparto Proibito. Hermione allungò una mano per sollevare la catenina di metallo che separava quella sezione dal resto della biblioteca ed entrarono. Una volta giunti lì, Draco sollevò il mantello e uscirono allo scoperto. Si separarono per controllare più velocemente la miriade di libri che avevano davanti, erano tutti polverosi e ammuffiti, emanavano un odore sgradevole, che quasi scoraggiava il più temerario ad avvicinarglisi e ad aprirli. Hermione si diresse verso la sezione di Pozioni, mentre Draco si spinse fino a quella dedicata agli artefatti magici e agli amuleti. Dopo alcuni minuti di ricerca inconcludente, il Serpeverde udì un rumore improvviso che attirò la sua attenzione. Si sporse solo con il busto oltre lo scaffale che stava esaminando e intravide il gatto di Gazza avvicinarsi alla sezione proibita.
“Cazzo”.
Prese in fretta il libro che stava consultando, anche se aveva ancora letto poco del suo contenuto. Trovò la Granger dopo alcuni vani tentativi, era assorta nella lettura di un libro sulle pozioni vaporose. 
La Grifondoro emise un gemito di sorpresa perché Draco apparì dietro la sua schiena e le mise una mano sulla bocca per non farla parlare. La ragazza sobbalzò dalla sorpresa ma riconobbe l’anello liscio d’argento della sua mano sinistra e si placò subito. Pose le mani sul suo braccio sinistro istintivamente. Il Serpeverde aprì il mantello con una mano e li coprì giusto in tempo per l’arrivo di Mrs. Norris. Il gatto iniziò ad annusare l’aria con il musetto verso l’alto, in quella semi oscurità si scorgevano solo i suoi terrificanti occhi. A mano a mano che questo avanzava, forse perché aveva sentito il loro odore, i ragazzi indietreggiavano piano. Hermione era come sempre davanti a lui, il ragazzo aveva lasciato scorrere la mano dalla sua bocca allo stomaco, da dove la teneva per farla indietreggiare insieme a lui in un movimento unico, così da non inciampare sui loro stessi piedi e ripetere lo stesso teatrino di poco prima, e rischiare di venire sorpresi. 
Hermione abbassò solo per un attimo la testa verso la presa del Serpeverde, il marchio sul braccio sinistro la teneva in ostaggio per la pressione del braccio sul suo addome. Sotto quel mantello era due volte sotto scacco della morte, seppur in diverse forme.
Draco si accorse in tempo dello scaffale dietro di lui e si fermò poco prima di urtarlo con la schiena. 
Il gatto rimase davanti a loro per qualche secondo che gli sembrò interminabile, fino a che non fu richiamato dalla voce gracchiante di Gazza in qualche sezione più lontana da loro.
I ragazzi rimasero immobili e in silenzio fino a che non riuscirono a sentire i passi di Gazza allontanarsi e la porta della biblioteca chiudersi alle sue spalle. Riuscirono a capire la sua distanza da loro grazie alla luce della lanterna del guardiano, che divenne sempre più fioca fino a sparire del tutto.
Tirarono un sospiro di sollievo ancora sotto al mantello e nel farlo Hermione abbandonò la testa sul petto di Draco, che la imitò lasciandosi andare sullo scaffale. 
Il braccio del ragazzo indugiò ancora un po’ sull’addome di lei, e allo stesso modo le mani di Hermione sul suo braccio. Il terrore di venire scoperti e di spiegare il motivo della loro presenza nel Reparto Proibito non la allettava per niente, specie perché di fronte ai professori non riusciva a mentire e ciò avrebbe comportato rivelare alla preside il segreto sui suoi genitori. Quell’immobilità era proprio dovuta all’incertezza di essere effettivamente soli.
“Homenum Revelio” sussurrò poi, spostando leggermente il mantello e agitando la sua bacchetta al di fuori.
“Siamo soli” concluse il Serpeverde alle sue spalle. I capelli di Hermione gli sfioravano il mento, procurandogli un po’ di solletico. Sciolse quello mezzo abbraccio non appena fece quella constatazione, ed Hermione avvertì una sensazione di freddo improvvisa allo stomaco.
Draco sollevò nuovamente il mantello e si sedette all’angolo di un banco, cominciando a sfogliare il libro che aveva portato con sé per nascondersi. Lo stesso fece Hermione, seduta sulla sedia di fronte al banco. La luce delle bacchette era l’unica cosa ad illuminare quel posto lugubre avvolto nel silenzio. 
Dopo diversi minuti passati a sfogliare pagine su pagine, Draco ruppe la quiete, una cosa inusuale per lui, ma che stava diventando sempre più frequente quando si trovava con la Granger. 
“Allora…Alister, eh?”
“Che vuoi dire?” Hermione sollevò stancamente gli occhi dal libro.
“Beh, non è proprio un tipo raccomandabile”, Draco non distolse lo sguardo da quello che stava leggendo.
“Stiamo parlando dello stesso ragazzo che hai definito solo ieri “un tipo apposto?”. A quell’affermazione il Serpeverde sollevò il viso, in difficoltà. Aveva giurato a sé stesso che non si sarebbe immischiato negli affari della Granger, e tantomeno da qualche altra parte che avrebbe completamente fatto saltare le loro buone intenzioni. La definizione di amici gli stava già scomoda. Non conosceva le regole di quella categoria, specie se il soggetto in questione era una persona con cui era andato a letto insieme e che per altro, era stata l’ultima. Non che non avrebbe potuto averne l’occasione, semplicemente non le aveva più create, le occasioni. Solo che ignorava il modo in cui doveva comportarsi con lei, se fosse sbagliato fare quel genere di battute, se sarebbero state prese per tentativi poco velati di flirt, o se invece l’avrebbero solo fatta innervosire. E comunque il fatto che non aveva mangiato quasi nulla durante il giorno era un aggravante, perché non aveva assorbito per niente l’alcool, di cui ancora sentiva gli strascichi. 
Non avrebbe continuato a fare l’idiota, però.
“Lo è”, le rispose poi, il tono rassegnato, ma sincero. Lei era libera di scegliere qualsiasi cosa la facesse sentire più sé stessa. 
 “Per quanto possano esserlo i Corvonero”, continuò a scherzare ed Hermione rise con lo sguardo sul libro.
“I Serpeverde sarebbero meglio?”, sollevò gli occhi e incontrò i suoi, rideva.
“Questo dovresti dirmelo tu”, si morse il labbro inferiore subito dopo. Non sapeva proprio come frenare quella lingua biforcuta.
Hermione arrossì, ma l’imbarazzo durò poco perché gli restituì la sua stessa moneta, più piccata. 
“Quando avrò prove sufficienti, te lo farò sapere”. Draco rise e scosse la testa. Si sarebbe scagliato una maledizione senza perdono addosso da solo, se solo fosse servito a terminare quella conversazione. Sperava che tra i due fosse la Grifondoro ad essere quella più coscienziosa e a finirla per entrambi, e invece alimentava le fiamme della sua curiosità, rispondendo ironica e sostenendo il suo stesso gioco. Cominciò a pensare che il cappello parlante avesse sbagliato su tutta la linea con lei.
“Voi non avete...?”, si parlava di curiosità, appunto.
“No, ero ubriaca, ma non così tanto”. A quella risposta, Draco decise di non vederci nulla di più che quello che aveva detto. Tuttavia, gli fu difficile non ritornare alla sera in cui lo avevano fatto, perfettamente sobri, perfettamente consapevoli delle conseguenze, e nonostante tutto esser finiti a farlo comunque. Era impreparato all’eventualità che ci fosse una differenza tra lui e Alister, che però la Granger gli aveva appena confessato, consapevolmente o meno. 
Basta con le domande.
“Forse ho trovato qualcosa”, le disse lui, ritornando al pesante libro che aveva sulle ginocchia. La Granger tornò subito seria e si alzò, si mise al fianco di lui, che rimase seduto sul banco. Hermione si chinò leggermente verso il libro, così da poter vederci chiaro.
“È un rito antico, molto pericoloso e si rischia molto se fatto male. Qui dice che si devono usare delle rune, disegnare un cerchio intorno a chi si vuole curare, pronunciare una formula ma…Granger, questa è roba oscura, potremmo continuare a cercare”.
“Tu che faresti?”
“Che vuoi dire?”
“Che faresti, se fossi al posto mio e questa fosse l’unica possibilità?”
Erano vicini. Nel farle quella domanda Hermione sollevò lo sguardo verso di lui, che stando seduto sul banco raggiungeva la sua stessa altezza. Qualche ciuffo di capelli era finito sopra gli occhiali, e la luce scarna del loro lumos non era abbastanza perché riuscisse a distinguere i dettagli dei suoi occhi color cioccolato.
“Non è l’unica possibilità, Hermione. Sicuramente ci sarà altro che...”
Draco, siamo riusciti a trovare solo due libri in tutto il Reparto Proibito che citano incantesimi curativi della portata di cui abbiamo bisogno, e le pozioni che ho controllato richiedono davvero troppo tempo e ingredienti che neanche si trovano in Inghilterra”. 
La Granger interpretò il suo silenzio come una disapprovazione. Ma la verità era che lei non aspettava nemmeno un secondo, la decisione era ovvia, non c’era bisogno di ponderare di fronte all’ovvietà. La ragazza risoluta, prese il libro dalle gambe del Serpeverde e se lo portò al petto.
“Andiamo?”
“Si”.
Fecero il percorso a ritroso, in silenzio, sempre con il mantello a coprirli, fino a che non arrivarono al settimo piano. Una volta giunti di fronte al quadro della Signora Grassa, Draco sollevò il mantello dell’invisibilità e glielo porse.
La Grifondoro, nel prendere il mantello, fece attenzione a non sfiorare le mani del ragazzo. Poi lo salutò frettolosamente e si voltò verso il quadro che si aprì dopo aver dato un’occhiata sospetta a Malfoy.
“Lo farei”.
La voce di Malfoy la distrasse e la riportò indietro, faccia a faccia.
“Se fossi in te e fosse l’unica possibilità, ci proverei.”
Hermione sorrise.
“Ma avrei anche una paura fottuta di sbagliare e probabilmente chiederei a qualcuno di aiutarmi, anche se sai quanto mi costerebbe”. Draco mise le mani in tasca sul retro dei jeans.
“Perché so che costerebbe anche a te allo stesso modo”, disse infine.
La Grifondoro alzò gli occhi al cielo e sospirò.
“Perché non me lo hai detto prima?”
“Perché tu non hai un briciolo di pazienza, per voi Grifondoro è tutto e subito, ma sai, a volte è meglio pensare prima di agire”.
“Tu invece pensi troppo”.
“Questo è sicuro”, rise un po’ amaramente “ma in casi come questi è una cosa positiva perché posso pensare per entrambi”.
“Vuoi dire che mi aiuterai?”
“Se la smettessi di pensare che ti voglia sempre ostacolare e si ti fidassi di me, potrei anche decidere di farlo, anche se sei troppo orgogliosa per chiedermelo”.
La Signora Grassa sbuffò sonoramente e chiuse il passaggio, notando che la Grifondoro non si decideva ad entrare.
“Ma io mi fido di te”, rispose prontamente, come se per lei fosse ovvio. E altrettanto prontamente glissò sull’appellativo “orgogliosa”, che comunque era perfettamente azzeccato, e lo sapeva, per questo non disse nulla.
“Se non mi fossi fidata forse non ti avrei detto dei miei e non avrei…” si fermò, indecisa se continuare. Sollevò la testa e lo guardò, sicura che lui avrebbe capito a cosa si stesse riferendo.
Ogni rivelazione in più da parte della Granger lo metteva sempre più in un angolo.
Glissò su quell’affermazione.
“E comunque”, si schiarì la voce prima di continuare, “oggi la Reynards ci ha detto a lezione che dovremo passare due settimane a casa di un mago nato da babbani, così da imparare da vicino le loro usanze e sperimentarle senza bacchetta alla mano”.
Si stava praticamente autoinvitando a casa sua.
“Dovevo capirlo che c’era un secondo fine”, concluse lei sorridendogli apertamente.
“Beh, è come prendere un piccione con una fava, anche se non ho idea di cosa significhi”. I modi di dire babbani lo lasciavano sempre un po’ dubbioso, non capiva perché bisognasse esprimersi con tutte quelle metafore.
“Veramente sono due i piccioni, ma lasciamo stare”, gli rispose divertita.
“Allora è deciso?”
“D’accordo, ma dovremmo esercitarci prima di questo...mini break estivo, non possiamo essere impreparati”.
“Concordo, la Stanza delle Necessità?”.
“Si, andrà più che bene”, concluse lei. 
Cominciarono a salutarsi con gli occhi, Draco aveva tolto le mani dalle tasche e cominciò a grattarsi i capelli. 
“Ah, forse è meglio che questo lo tenga io, sono cose che un Serpeverde potrebbe leggere senza creare troppi sospetti”.
Aveva ragione, Hermione annuì e gli porse quel libro polveroso. 
“Allora, buonanotte”.
La Signora Grassa riaprì il passaggio sbuffando, “che sia la buonanotte definitiva signorina Granger, il mio sonno di bellezza non si fa mica da solo!”, commentò.
Draco la guardò dubbioso e poi “sarà meglio che tu vada”.
“Già, buonanotte”. 
 
 
 
Nelle settimane che seguirono, i loro incontri si moltiplicarono, per Hermione fu difficile mantenere il segreto anche ad Ivy e Gracie, ma non le voleva coinvolgere, come d’altronde non voleva coinvolgere nessun altro se non Malfoy. Primo perché lui era già a conoscenza di tutto, e questo le risparmiava del tempo che avrebbe perso a spiegare tutti i dettagli ad un’altra persona, secondo perché era sicura che se lo avesse confidato anche alle sue amiche, come a Ginny o ad Harry e Ron, avrebbero sicuramente voluto partecipare e poi sarebbero arrivati i soliti litigi e incomprensioni, soprattutto perché nessuno di loro era a conoscenza della nuova intesa stabilita tra lei e il Serpeverde, che era sicura avrebbe fatto storcere il naso a più di una persona, soprattutto a Ron, il quale probabilmente avrebbe capito e conoscendolo sarebbe esploso in una rabbia cieca.
In quelle settimane prima dell’avvento della breve pausa estiva, Hermione scoprì molte più cose su Draco di quante non avesse scoperte in sette anni di scuola. Questo fu possibile perché ovviamente i loro incontri nella Stanza delle Necessità dovevano pur passare in qualche modo e a volte il Serpeverde le imponeva una pausa che lei non voleva concedersi e quindi riempivano il silenzio con qualche aneddoto che riguardava un passato che non avevano condiviso.
Venne a sapere delle prime volte imbarazzanti, di cosa provò quando salì sulla sua prima scopa, dei litigi intensificati con suo padre che lo facevano scappare per qualche giorno a casa Black, e così tante altre cose che prima non avrebbe mai immaginato. Anche Malfoy venne a conoscenza di cose che ignorava di lei, come della prima volta che scoprì di avere poteri, in cui incendiò per sbaglio -così si ostinava a ripetere dopo le prese in giro del Serpeverde- il giardino di rose della vicina, dello straniamento dei suoi genitori alla notizia, e di come poi l’avevano comunque accolta tra le braccia non pensando che fosse una maledizione ma una cosa speciale, da coltivare. Sorvolò sul raccontargli cosa la spinse tra le braccia di Ronald. Pensandoci bene, non lo aveva mai capito, era stata una risposta istintiva, come rifugiarsi in un porto sicuro dopo mille peripezie. 
Un rifugio che però non durò a lungo.
Nessuno dei due tornò sul discorso Alister, che per altro Hermione vedeva così poco durante il giorno, che a volte si dimenticava persino di lui. Non stavano insieme, a volte si vedevano di notte insieme ad altri suoi amici Corvonero e Gracie ed Ivy, passavano belle serate in compagnia, e si scambiavano qualche bacio aiutati dall’oscurità e alimentati dal brivido di essere scoperti.
Né Hermione gli chiese se si stesse vedendo con qualcuno, anche se moriva dalla voglia di scoprirlo. Su questo, e tante altre cose però, Draco era molto riservato, non lasciava trapelare nulla che lui non volesse dire, né però alimentava la sua curiosità stuzzicandola. Diciamo che non la faceva soffrire in attesa di una confessione sulle sue scappatelle. 
Ogni giorno dopo cena la Stanza delle Necessità si apriva per soddisfare la loro sete di conoscenza. Il rito consisteva nel disegnare sul pavimento delle rune, ognuna contenente un diverso significato. Il cerchio dentro al quale disegnavano però non bastava a proteggerli, e se ne resero conto un giorno in cui pronunciando la formula Hermione fece alzare una grossa polvere e delle piccole esplosioni che fecero scaraventare in un angolo Draco, che era in piedi vicino al cerchio. Solo dopo trovarono una piccola nota all’incantesimo che avrebbe risolto quel problema. Era scritta con un inchiostro ormai flebile, forse andatosi a sbiadire con gli anni. Non sapevano a chi appartenesse quell’appunto ma decisero di non indagare oltre per non perdere tempo. La nota diceva di disegnare le stesse rune sul pavimento anche sul palmo delle mani dei presenti, così da proteggerli dalle ripercussioni dell’incantesimo; la nota terminava con una raccomandazione che preoccupò Hermione. Diceva che chi doveva sottoporsi a quell’incantesimo doveva entrare di sua spontanea volontà nel cerchio disegnato. Come avrebbe convinto i suoi genitori che ovviamente ignoravano l’esistenza della magia e nemmeno l’avrebbero riconosciuta? 
Anche Draco era perplesso, ma cercò di rassicurarla suggerendole che avrebbero comunque trovato un modo, con il tempo.
“Non ne abbiamo molto, di tempo”.
“Ma quello che abbiamo è comunque prezioso, mancano ancora dieci giorni prima di partire, ci sarà sicuramente un modo”, dopo quelle parole il Serpeverde si accese una sigaretta e si spostò i capelli dalla fronte. La camicia della scuola era stropicciata e arrotolata sui gomiti, le mani ancora sporche di inchiostro per i disegni delle rune sui palmi. La Grifondoro se ne stava seduta a terra vicino al cerchio bianco, la gonna della divisa era leggermente sollevata per via della posizione semi reclinata della ragazza, le gambe si incrociavano alle caviglie. Non appena sentì le sue parole fece un sospiro di esclamazione.
“Dieci giorni? Ah, già! Oggi è...”
“Il cinque giugno, si”.
La Grifondoro si alzò di scattò e recuperò la sua borsa buttata in un angolo, estrasse una piccola busta sigillata con il sigillo della sua casa. Non aveva trovato altro con cui chiuderla.
Si diresse verso Draco, che era appoggiato con una spalla alla parete vetrata, a braccia conserte con la sigaretta che pendeva dalle labbra.
“Che cos’è?”
“Buon compleanno!” non era imbarazzata, di più.
“Come sai che oggi è il mio compleanno?”, Draco si era lentamente spalmato su tutta la vetrata, come per allontanarsi dalla busta che la Granger teneva tra le mani. Quel momento era così insolito che non riusciva a connettere più neanche un neurone se non quello che gli diceva di scappare subito via da lì.
“Ho anche io i miei segreti”, gli rispose la Grifondoro, alludendo neanche troppo velatamente a tutto quel fitto mistero che era il ragazzo.
Draco non volle spingersi oltre con la sua mente a cercare il motivo per cui la Granger conoscesse il giorno del suo compleanno, e per di più quel giorno era stata la seconda persona dopo i suoi compagni di casa e sua madre (che non faceva testo) a ricordarsi che compiva finalmente diciotto anni.
Prese con la punta delle dita la busta e la guardò divertito per un secondo, prima di aprirla.
“Non dovevi, Granger…”
“Oh, smettila, davvero non è niente di che”.
Aprì la lettera spezzando a metà il sigillo Grifondoro.
Era un biglietto.
“Che cos’è?” chiese il ragazzo mentre lo estraeva, cominciando esaminarlo perplesso.
“È un abbonamento dei mezzi di Londra, ho pensato che ti servirà qualora dovessimo fare degli spostamenti, pensavo potessimo passare da mia nonna a chiedere se ha notizie dei miei. L’ultima volta che li ho visti li avevo convinti ad andare in Australia, ma ecco…magari si sono spostati e dovremmo cercarli da un’altra parte e…”.
“Granger, frena”.
La Grifondoro si ammutolì subito, il rossore sulle guance era sempre più visibile.
“Questo era...inaspettato…grazie”.
“Beh di certo non possiamo muoverci con le scope o la smaterializzazione, tu non devi usare la magia per due settimane”.
“Non ricordarmelo”, sospirò eclatante, facendola ridere.
Draco era assorto a guardare quello strano cartoncino colorato che non aveva mai posseduto fino ad allora, non che ne avesse avuto bisogno, d’altronde.
Era quasi elettrizzato all’idea di usarlo per la prima volta. 
“Adesso devo andare”, la voce distante della Grifondoro che era già andata a recuperare le sue cose lo distrasse da quei pensieri.
“Si, anche io...stasera Blaise ha organizzato una piccola festa sul Lago Nero, sai vergini da sacrificare, un po’ di riti oscuri, solite cose”.
La Grifondoro sorrise scuotendo la testa. 
Si avviarono all’uscita.
“Suona bene!”
“Tu che piani hai?”, chiese a bassa voce.
“Mi vedo con Alister e gli altri, niente di che”, non lo guardò mentre rispondeva.
“Allora, ci vediamo in giro” concluse il Serpeverde una volta usciti dalla stanza.
“Si”.
La Grifondoro cominciò ad allontanarsi a passi spediti.
“Ah e Granger?”, alzò un po’ la voce perché potesse sentirlo.
“Si?” chiese lei, voltandosi. 
“Hai dell’inchiostro sulla faccia”.
Hermione si pulì in fretta imbarazzata e poi riprese a camminare, dandogli le spalle.
“Anche tu!” gli urlò poi.
Draco ebbe la stessa reazione.
 
 
Era quasi pronta, stava ultimando gli ultimi ritocchi ai capelli, che aveva deciso di legare con una mezza coda alta. La salopette di jeans che indossava era di sua madre, era ancora impregnata del suo profumo. 
“Esci?”
“Si, Alister e gli altri mi stanno aspettando”.
Ginny comparve all’improvviso, Hermione vide il suo riflesso allo specchio, e nonostante lo spavento per quella voce inaspettata, non si voltò né sussultò. La guardò dallo specchio e le sorrise, senza rispondere.
“Vi ho visti”.
Raggelò.
“Che vuoi dire?”
“Tu e Malfoy, parlare alla festa delle Tassorosso, e oggi, quando siete usciti dalla Stanza delle Necessità”.
Il suo peggiore incubo aveva iniziato a prendere forma. Cominciò a sudare freddo, perché credeva fosse stata attenta, era convinta che nessuno avrebbe mai sospettato, ma Ginny Weasley forse aveva il fiuto dei guai quasi quanto lei. Si chiese perché aspettò fino a quel momento per parlarle. Poi però rifletté sul fatto che lei non creasse più occasioni in cui fosse possibile parlarle, aveva sempre la testa altrove.
Si voltò lentamente verso di lei.
“Vuoi spiegarmi che succede? Ti sta per caso ricattando? Perché se è così giuro che io...”
“No! Niente di tutto ciò, Ginny, ti prego non ti agitare”. Hermione fece qualche passo per raggiungerla ma l’espressione dell’amica le lasciò intendere che doveva prima spiegarsi e in fretta.
“Allora puoi spiegarmi, per favore?”
“Mi sta aiutando con una faccenda”.
“Che faccenda?”
“Non voglio parlarne, e poi davvero, non è importante che tu lo sappia, se lo fosse sai bene che te lo direi”.
“Beh, stento un po’ a crederci visto che sembra mi nascondi molte cose ultimamente, se pensi che io ce l’abbia con te perché hai lasciato Ron tu non…”
“No! Non è assolutamente per quello, e fidati di me Ginny, sono sempre io, se fosse davvero importante che tu lo sappia, te lo direi”.
“E allora perché Malfoy? Questo almeno me lo puoi dire?”. Fortunatamente c’erano solo loro nel dormitorio, altrimenti avrebbero fatto sicuramente una scenata e presto tutta la scuola avrebbe scoperto di loro. Hermione quasi tremava, come se fosse stata trovata colpevole di un crimine imperdonabile. Ma in realtà sentiva che non aveva nulla di cui scusarsi.
“Ultimamente ci siamo avvicinati, stiamo parlando di più”.
“Oh mio dio...”
“Non è come pensi! Sul serio non c’è niente, e poi anche se ci fosse non devo scusarmene con te”.
“Non voglio che ti scusi, voglio solo sapere la verità, voglio solo sapere perché lui può parlare con te quando tu non parli nemmeno più con i tuoi amici!”. 
Avevano alzato la voce di qualche tono, e Ginny stava mostrando per la prima volta molta più preoccupazione di quanta ne avesse mostrata in battaglia, quando non c’era spazio per le emozioni. Hermione la vide per la prima volta come una ragazza qualunque, fragile e con dei sentimenti per nulla da biasimare. Era ovviamente triste per l’allontanamento che aveva avvertito anche l’altra, e glielo stava dicendo chiaramente. La presenza di Malfoy in quel discorso c’entrava e non c’entrava, se Hermione l’avesse conosciuta almeno un po’ avrebbe giurato che quella fosse gelosia. 
“Ginny, io non…non è successo apposta, okay? E non credo che se potessi tornare indietro cambierei una sola cosa”.
“Vuoi dire che..state insieme?”, il tono era quasi disgustato.
“No, niente di lontanamente simile a quello, siamo solo amici”.
“Amici”, le fece eco lei, poco convinta.
“Ascolta, sono stanca di combattere Ginny. È quello che abbiamo sempre fatto fin quando siamo arrivati qui. Sono stanca di combattere persino con lui, contro qualcosa che ormai è scomparso.”
“Si, ma Malfoy è..”, Ginny stava gesticolando. Lo faceva sempre quando si inalberava.
“Era! Senti, so che sembra assurdo, okay? Io fatico ancora a trovare un senso dietro tutto questo, ma è diverso”
“Un Mangiamorte non smette mai di esserlo!”.
“È un Mangiamorte almeno quanto lo era Piton!” Hermione alzò la voce e a stento si riconobbe. Era accaldata per via del discorso scomodo e concentrata a non lasciarsi sfuggire un solo dettaglio che potesse metterla all’angolo. Ma nonostante le sue parole erano estremamente calcolate per la situazione, intendeva sul serio quello che stava dicendo. Ci credeva.
“Credi davvero di conoscerlo?”
“Sicuramente più di tutti voi!”
A quell’esclamazione Ginny sgranò gli occhi e trattenne il fiato. Poi fece una lunga pausa, teneva lo sguardo basso, come se stesse cercando di mettere insieme i pezzi e fare un ragionamento sensato. Poi guardò la sua compagna, Hermione non aveva staccato gli occhi da lei un secondo. Ginny la studiò attentamente.
“Deve esserci dell’altro”, disse poi, con un tono più sommesso. “Non scherzavo quando ti ho detto che ti guarda sempre e che sembra diverso proprio per questo motivo.” Fece una pausa, come per farsi forza e continuare. “Voi..siete andati a letto insieme, non è vero?”.
Eccolo lì, il suo incubo in carne ossa. Era stata una sciocca a credere che nessuno lo avrebbe mai scoperto, una sciocca a pensare che Ginny Weasley non avrebbe capito. 
Non aveva più senso fingere, anche se avesse dichiarato il contrario dei fatti, il suo volto l’avrebbe smascherata comunque. Era un libro aperto per lei.
“Non voglio sapere se hai tradito Ron, dimmi solo questo”.
“Si”.
Per alcuni minuti nessuna delle due disse nulla. Dopo la sua affermazione Ginny sospirò, sorpresa. 
“Tu..lui non ti ha costretta, è così?”
“No, è stata una mia scelta, fin dall’inizio. E so che sono una persona orribile e che non ho scuse per quello che ho fatto. Puoi offendermi, urlarmi contro, puoi dirmi qualsiasi cosa e io ti direi che hai ragione, che sono stata una sciocca e che probabilmente lui mi ha usata per i suoi secondi fini”.
Le stava praticamente confessando il suo tradimento, non poteva più fingere.
“E non è così?”, rispose Jinny, stranamente più pacata rispetto a prima.
“Non lo so, ascolta…non ho idea di che cosa gli passi per la testa perché non parliamo mai di quello. Te l’ho detto, non siamo una coppia né tantomeno vogliamo esserlo, e non so cosa ha significato per lui, io so solo che non mi sono mai sentita più viva”. 
Ginny sospirò.
“E lo so, che secondo te sto solo dicendo una marea di stronzate e so anche che Ronald è tuo fratello e che l’ho ferito e non credo riuscirò mai a perdonarmi per questo, perché è il mio migliore amico, da sempre, per sempre. Ma...mi sono resa conto che è sempre stato il mio migliore amico, mai qualcosa di più, e so che questa non è una scusa per ciò che ho fatto, ma è così che l’ho sempre vissuto, e non importa il fatto che siamo andati a letto insieme e se per tre mesi ci siamo tenuti per mano nei corridoi.”
“Lo capisco, e probabilmente avrei fatto lo stesso. E so anche che non sei una sprovveduta, ma che sei in grado di difenderti da sola e capire se qualcuno si stia prendendo gioco di te”, le sfumature della sua voce erano indecifrabili, sembravano non lasciare intravedere nessuna emozione. 
“Ma non posso stare qui a guardarti mentre fai...qualsiasi cosa tu stia facendo con Malfoy. Per me non cambierà ciò che ha fatto, ciò che ha rappresentato per me e la mia famiglia, e fai bene a non dirlo a Ron, non lo farò nemmeno io”.
“Lo capisco.”
“Mi dispiace Hermione, ma non posso”, continuò, la sua voce era così flebile che sembrava ripeterselo più a sé stessa che alla sua compagna.
“Voglio solo dirti che..so bene cosa è successo alla tua famiglia, e credimi quando ti dico che non intendevo in alcun modo mancarvi di rispetto”.
“Lo so, hai solo seguito il tuo cuore e te l’ho detto, io avrei fatto lo stesso, ma non posso stare a guardare, anche se voglio che tu sia felice”.
“Ginny, tra me e lui le cose non sono così serie”.
La sua compagna era di spalle, stava per andarsene, ma si voltò un’ultima volta verso di lei prima di uscire dal dormitorio.
“A volte non guardi a un centimetro dal tuo naso, Hermione”.
 
 
Quella sera non raggiunse Alister, né parlò con Gracie o Ivy, rimase seduta alla finestra, a ripensare a ciò che aveva perso e a ciò che stava per riavere.
 
 
 
Le due settimane di vacanza arrivarono in men che non si dica. Tutti i professori si raccomandarono con gli studenti e diedero alcuni compiti e letture da fare, tutte cose che Hermione avrebbe fatto sul treno di ritorno per Londra, giusto per avvantaggiarsi e potersi dedicare senza distrazioni al suo vero obiettivo. 
Draco notò subito che c’era qualcosa che non andava perché in quegli ultimi giorni era un po’ assente, ma non le chiese nulla, incerto se sarebbe servito a qualcosa di costruttivo, dal momento che era lei la prima a non voler lasciar intendere molto. 
Impararono a memoria ogni runa possibile, Draco recuperò tutte le lezioni di Rune Antiche che non aveva mai seguito durante gli anni perché sempre alla stessa ora di Divinazione.
Dire che Hermione fosse nervosa era poco. Nervosa e distrutta per la discussione che ancora non riusciva a togliersi dalla testa. Ormai rileggeva tutta la sua conversazione con Ginny nella mente come un disco rotto. Sul treno di ritorno per Londra, si sedette accanto ad Alister ed Ivy, ma riuscì a salutare Ron ed Harry con un lungo, intenso abbraccio. Persino Ron non si dimostrò così scostante come gli ultimi tempi. Si promisero di scriversi ogni tanto, Harry si comportò con lei come se niente fosse, come se non sapesse, ma Hermione poté giurare per un secondo che il suo sguardo fosse leggermente diverso.
Superato quel problema dei suoi che vedeva come uno scoglio, avrebbe cercato di sistemare le cose, di far tornare tutto come prima.
Solo che, appena il treno arrivò, scese sulla banchina del binario 9 e ¾ e il suo sguardo intercettò quello di Draco, che ricambiò la sua occhiata come se stesse aspettando solo lei per cominciare quell’avventura, Hermione capì che non sarebbe potuto tornare tutto come prima.

 



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Ho appena riaggiornato il layout, tornando a quello predefinito del sito
così da evitare che abbiate problemi con la lettura sul telefono.
Ringrazio nuovamente lumamo64 per la segnalazione.
A presto.

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Capitolo 9
*** Basta Giocare ***


Muggle Studies


9

 

 
And though he had a false start
There's a promise of truth in his eyes
 
 
 

Draco portò con sé solo uno zaino nero, aveva utilizzato un incantesimo per far stare tutte le sue cose in un unico posto, alla fine sarebbero stati via solo due settimane e non gli serviva granché per sopravvivere. Il weekend prima della partenza era tornato a casa solo per salutare la madre e avvisarla dei suoi piani. Non le rivelò il perché desiderasse tornare a Londra e rimanere lì due settimane (ammesso che la Granger non avesse scoperto che la destinazione dei genitori fosse cambiata), né le disse con chi sarebbe partito. La Granger era per la sua famiglia la stessa cosa che Voldemort fu per il resto del mondo magico, un po’ Colei Che Non Deve Essere Nominata, un po’, ancora, la mezzosangue di cui sempre si parlava nelle riunioni tra Mangiamorte perché mandava sempre all’aria qualche piano insieme al prescelto. 
Narcissa, che non si era mai capito se fosse a tutti gli effetti un Mangiamorte come suo marito, come gran parte della sua famiglia natale, comunque non avrebbe capito, anche se di natura più comprensiva rispetto al resto dei Malfoy e dei Black. E poi, se solo Draco si fosse fatto sfuggire un qualsiasi dettaglio su di lei, alla madre non sarebbe servita nemmeno l’occlumanzia per scoprire il resto. E comunque, già da tempo sospettava che il figlio fosse coinvolto in faccende sentimentali, perché aveva sempre la testa tra le nuvole, non tornava a casa ormai da mesi, e ogni suo messaggio arrivatole tramite il suo gufo diceva a malapena tre parole in fila, come se fosse troppo impegnato o troppo distratto per rispondere con sentenze compiute e logiche. Lei non avrebbe mai fatto domande, lui non avrebbe comunque mai risposto, ma Narcissa sospettava che in ogni caso, qualsiasi cosa suo figlio le avesse detto, a loro non sarebbe mai piaciuta.
Dopo la guerra contro le forze del male, contro di loro, Draco ne aveva iniziata una tutta sua contro tutto ciò che era, e questo avrebbe inevitabilmente comportato una perdita da entrambe le parti, di cui forse la sofferenza più grande l’avrebbe patita lei, ma c’è sempre un momento, a prescindere dalle guerre dei padri, in cui i figli devono farne una da soli, ed è quella definitiva, il bene e il male non c’entrano.
Narcissa questo lo sapeva bene, perciò non disse nulla quando vide Draco allontanarsi da Malfoy Manor con lo zaino sulle spalle. 
 
 
 
 
La casa di Josephine Granger si trovava a nord di Londra, l’aveva ereditata da una lontana parente di cui lei non aveva mai parlato, il che infittiva ancora di più il mistero che era la nonna di Hermione. Era una donna grintosa, di spirito gioviale e sereno, capace di sorridere sempre di fronte alle insidie che la vita le poneva sul suo percorso, così straordinariamente ironica che la nipote pensava sempre di trovarsi in un romanzo di Jane Austen ogni volta che andava a trovarla. 
Dopo un breve viaggio in metropolitana, il primo di Draco, fecero qualche minuto a piedi verso casa sua. 
Il Serpeverde aveva sfiorato la soglia del ridicolo poco prima ed Hermione continuava a prendersi gioco di lui mimando la faccia stupita che il ragazzo fece non appena riuscì finalmente a passare il suo abbonamento sullo scanner all’entrata della metro. Una volta riuscito nell’impresa, aveva poi constatato quanto fossero ingegnose le scale mobili e ne parlava con tale trasporto che sembrava essere appena uscito da un manicomio perché vittima di un male incurabile. In metro poi, non faceva altro che osservare ai limiti del morboso le persone presenti nel vagone. C’era chi leggeva, chi parlava, chi ascoltava musica da “strani apparecchi” (“sono cuffiette, Draco” gli aveva detto) e chi invece lo osservava di rimando, specie i bambini, che forse si accorgono più degli adulti quando si è in presenza della magia. La Granger non faceva altro che ridere di gusto, ammirata dalla reazione così genuina e spontanea del ragazzo, espressioni che non gli aveva mai visto in volto prima di allora. 
Non credeva che un mago potesse essere così affascinato dal mondo non magico, e tantomeno Draco, che era cresciuto con tutti altri precetti. 
Erano appena usciti dalla metropolitana, il cielo era sereno e la luce del sole li abbagliava. Si distingueva chiaramente il canto degli uccelli sugli alberi in fiore e una leggera brezza gli scompigliava i capelli. 
“Non vedo mia nonna da mesi”, esordì Hermione. Camminava a testa bassa.
Lui non sapeva cosa dirle, si voltò a guardarla mentre continuavano a camminare. Dopo qualche minuto però, riuscì comunque a mugugnare qualcosa che potesse continuare quella conversazione casuale.
“Se può aiutarti, nemmeno io vedo la mia da tempo.”
“Dove vive?”
“In Francia, insieme al resto dei parenti Malfoy che forse avrò visto una volta in vita mia”.
“E non ti mancano?”
Lui si voltò verso di lei di nuovo e la guardò con aria scioccata.
“Secondo te?”
Hermione rise.
Draco era un fascio di nervi. Continuava, tra un’espressione meravigliata e un’altra, prima a pentirsi della scelta di aver seguito la Granger (anzi, di essersi praticamente autoinvitato a casa sua), poi a convincersi che forse era stata la scelta migliore, consapevole che non c’era altra persona da cui avrebbe voluto essere ospitato, e visto che una scelta la aveva avuta, voleva per una volta fare quella giusta. Tuttavia, giunti di fronte al giardinetto che apriva la strada alla casa di sua nonna, un brivido di terrore gli corse lungo la schiena, e dovette sopprimere con tutte le sue forze l’istinto di fuggire il più lontano possibile da lì.
Quando Josephine Granger aprì la porta rimase come folgorata, emise un lungo sospiro di sorpresa e corse ad abbracciare la nipote, che se ne stava un po’ timida poco più lontana dall’entrata.
“Hermione! Sei tu!”
Seguì un lungo abbraccio. Hermione non la ricordava così bassa. I capelli di un bianco purissimo erano avvolti in una crocchia elegante, gli occhiali che di solito l’accompagnavano sempre erano appoggiati intorno al collo sostenuti da una catenina d’argento. La camicetta bianca a maniche corte che indossava le davano un tocco sbarazzino in più, ma mai quanto la salopette blu di cui le bretelle poggiavano sui fianchi. 
“Nonna Jo”, rispose affettuosamente Hermione, dopo che la nonna la slegò da quel forte abbraccio.
Josephine fece un ampio sorriso e poi spostò l’attenzione sul Serpeverde, gli occhi incuriositi. 
“Ah già, nonna, questo è…”
“Ma non aveva i capelli rossi?” le chiese rivolgendo di nuovo lo sguardo ad Hermione.
“No signora, non sono Ronald.” Il ragazzo fece il sorriso più affabile che riuscì a trovare, poi continuò porgendole la mano da stringere.
“Sono Draco, è un piacere conoscerla.”
Lui si che sapeva come comportarsi con gli sconosciuti, ad essere educato e cordiale. Hermione quasi non lo riconosceva. Era arrossita visibilmente perché la nonna lo guardò ancora per qualche secondo molto incuriosita, squadrandolo dalla testa ai piedi, ma Draco non sembrava per nulla imbarazzato per quella intromissione visiva, non mosse un muscolo e rimase con la mano tesa verso di lei.
“Il piacere è mio…Draco, chiamami pure Jo”. La nonna fece una pausa dopo aver pronunciato il suo nome, cercando con gli occhi la conferma del ragazzo, come per essere sicura di averlo detto bene e poi con uno dei suoi caldi sorrisi li fece accomodare in casa, non prima di aver dato un’occhiata eloquente alla nipote, che però fece finta di non essersene accorta.
La casa di Jo era straordinariamente ordinaria. Tutto era al suo posto, la carta da parati era antica, con qualche disegno di fiori e spazi aperti, luminosa al punto giusto grazie alle finestre a vetro che circondavano tutta la casa. Il pavimento in parquet scricchiolava, dando una prima segnalazione di quanto fosse effettivamente vecchia quella dimora che però odorava di tutt’altro, di fiori freschi e di erba appena tagliata. L’abitazione si estendeva anche al secondo piano, adibita alle stanze da letto, la cucina al primo piano era piccola ma aveva tutto quello che serviva ad una signora anziana che viveva da sola e a cui piaceva dilettarsi in cucina di tanto in tanto. Draco constatò che forse la nipote aveva ereditato da lei l’amore per i libri, perché il soggiorno era letteralmente sepolto da manoscritti, romanzi e vecchi giornali. Sempre in soggiorno ma in un piccolo angolo vicino alla finestra che affacciava in giardino, c’era l’occorrente per realizzare vasi in ceramica e qualche modello mal riuscito poggiato a terra lì accanto. Il ragazzo sorrise distrattamente, non sapeva perché ma aveva sempre immaginato la casa di un babbano piena di cose inutili e inappetibili, tristi, prive di quello scintillio tipico delle case di un mago, in cui tutto funziona meccanicamente senza che nessuno dovesse muovere un muscolo.  Dovette ricredersi, come al solito, quando si trattava di qualcosa che avesse a che fare con la Granger.
 


La nonna mise a fare una tazza di thè, perché era primo pomeriggio e lei era una donna abbastanza abitudinaria. Lasciò che Hermione indicasse a Draco dove sistemare le sue cose dopo averle dato una fugace indicazione facendo riferimento al secondo piano. Si stupì del fatto che avevano portato solamente uno zaino a testa, ma suppose subito dopo che probabilmente ci fosse dietro uno dei “loro trucchetti”, come amava definirli.
Le stanze al secondo piano erano molto piccole e ce n’erano solo due, perché la nonna di rado riceveva ospiti che indugiavano lì per una notte e perché lei viveva da sola, da quando il marito era venuto a mancare qualche anno prima.
Hermione fece strada a Draco, che la seguiva mentre dava qualche occhiata curiosa alla casa.
Avevano posato le loro cose nella stanza degli ospiti, senza far riferimento al letto matrimoniale, che tra l’altro, Hermione constatò quando Draco era andato a rinfrescarsi nel bagno accanto, non era nemmeno separabile. In quel momento capì il motivo dell’occhiata della nonna sulla soglia di casa.
È carina”, disse lui quando rientrò nella stanza, appoggiando la spalla allo stipite della porta in legno.
“Grazie..e scusami per prima, lei non sa di me e Ron”.
“Non ti preoccupare, è stato divertente”, e non mentiva. L’espressione della nonna quando lo vide fu quasi esilarante, e lui era abituato agli sguardi scioccati che era in grado di suscitare solo con la sua presenza.
Hermione non rispose, gli sorrise fugacemente e uscì dalla stanza, cercando di non fargli notare ciò che aveva appena scoperto del letto. Draco la seguì senza fare domande.
Una volta tornati dalla nonna, questa le offrì del tè che Draco non poteva di certo rifiutare, come invece fece Hermione, che si accomodò sulla sedia e si diede un’occhiata intorno come per cercare di ricordare i dettagli della casa in cui aveva passato gran parte della sua infanzia, lontana dai genitori perché spesso impegnati in orari di lavoro estenuanti.
“Non ti sei fatta sentire, non una lettera o una telefonata”, esordì poi Jo, una volta accomodatasi di fronte a Draco, che soffocò il suo imbarazzo quasi immergendosi tutto nella tazza del tè.
Hermione sapeva che prima o poi sarebbe arrivato il momento in cui la nonna si sarebbe lamentata del suo pessimo comportamento, e aveva tutte le ragioni.
Lei rimase ignara della sua battaglia contro Voldemort, ne ignorava l’esistenza, perché lei non si era mai pronunciata con la nonna sui continui attacchi del Signore Oscuro alla scuola che dovette affrontare fin dal primo anno. Forse fu meglio così, perché non aveva dovuto nemmeno obliviarla, come invece aveva fatto con i suoi. Voldemort non sapeva della sua esistenza, e questo grazie al fatto che lei non aveva mai pronunciato il suo nome, nemmeno alla presenza di Ron e Harry, il quale era spesso soggetto alle incursioni mentali di Riddle che gli avrebbero fornito facilmente informazioni che potevano minare la loro già compromessa vulnerabilità.
“Lo so Jo, mi dispiace molto, ma questi ultimi mesi ad Hogwarts sono stati…abbastanza impegnativi”.
“Oh posso immaginare”, rispose ironicamente lei, dando un’occhiata sospetta a Draco. 
Il ragazzo sprofondò sulla sedia come colpito e affondato da quello sguardo inquisitorio e continuò a sorseggiare il suo tè. 
“Mi dispiace moltissimo, ma adesso sono qui”, continuò Hermione, che nel frattempo passeggiava in soggiorno toccando alcuni vasi dalla ceramica un po’ fresca. 
Josephine Granger non era però una sciocca, e nonostante le continue omissioni della nipote, aveva capito che fosse successo qualcosa di terribile a cui fortunatamente Hermione era sopravvissuta. Aveva letto del crollo del Millennium Bridge appena uscì la notizia, e ricordò il gelo che sentì dietro la schiena, quando dopo alcune considerazioni arrivò alla consapevolezza che quello non poteva essere stato un attacco terroristico. C’entrava sicuramente la magia, aveva imparato a riconoscerla negli anni, grazie alla nipote ma anche per la nipote. Quando in famiglia avevano scoperto fosse una strega, era rimasta sconvolta e terrorizzata, ma anche un po’ divertita per la fine che Hermione aveva fatto fare al giardino di rose della sua vicina, che per altro lei detestava. 
Non voleva perderla, non voleva che la magia le allontanasse definitivamente, perciò iniziò a cercare con lei i libri di cui aveva bisogno per imparare tutto, e seppur lei non fosse dotata dei suoi stessi poteri, leggeva qualcosa con lei ogni tanto, giusto per sentirla vicina.
Quando sentì i suoi genitori dopo l’incidente del Millenium Bridge, pronunciò il nome della nipote al telefono chiedendo se sapessero che fine avesse fatto e perché non rispondeva ai suoi messaggi. Josephine capì che fosse successo qualcosa, perché questi le chiesero chi fosse Hermione, e le ripeterono più volte che non avevano una figlia, che lei, Josephine, avrebbe dovuto saperlo meglio di loro, che lei, Josephine, stava dando di matto.
Li lasciò partire per l’Australia senza battere ciglio, convinta che ci fosse lo zampino della nipote dietro quell’assurda decisione, così l’incidente in pieno centro di Londra prese ancora più senso. Le si spezzò il cuore quando raggiunse la consapevolezza che fosse successo qualcosa di così orribile e che Hermione potesse essere in pericolo, ma capì anche che la sua decisione di tenerla all’oscuro fosse importante, e che probabilmente avrebbe avuto bisogno del suo aiuto, un giorno, che il suo silenzio fosse dovuto al tentativo di proteggerla da qualcosa di più grande di lei, che forse non avrebbe potuto capire, che non stava scritto in nessuno dei libri che aveva comprato con lei tanto tempo prima.
E ora che aveva bisogno del suo aiuto, Josephine avrebbe fatto di tutto.
“So perché sei qui”, disse poi, dopo alcuni minuti passati in silenzio in cui Draco ebbe davvero l’impellente bisogno di uscire a fumare una sigaretta. Cosa che fece, lasciandole tranquille a parlare.
Josephine lo seguì con lo sguardo, stavolta addolcito, perché grata per quella sua accortezza.
“Davvero?”
“Hey non sarò una strega ma so capire quando mia nipote ha bisogno del mio aiuto”.
Hermione sorrise e la raggiunse e le prese le mani. 
“Non li troverai qui Londra”.
“Sono ancora in Australia?”
“No, sono tornati qualche settimana dopo. Dicevano di voler cambiare vita, ma che l’Australia fosse stata una scelta sbagliata, così sono partiti per la Scozia. Credimi Hermione, sono del tutto usciti fuori di senno.”
La Grifondoro sgranò gli occhi e cominciò a respirare in fretta, irrequieta.
“È tutta colpa mia. Li ho mandati io lì, credendo che l’incantesimo li avrebbe protetti. E adesso sono finiti in Scozia, chiaramente qualcosa è andato storto”.
“Mia cara l’importante è che sono vivi e vegeti, li ho sentiti due giorni fa, sembrano felici”.
“Dobbiamo partire subito”, Hermione si separò dalla nonna e cominciò a camminare confusamente avanti e indietro.
“Hermione Jean Granger! Cerca di respirare e calmati adesso, vedrai che si sistemerà tutto. Ormai è tardi, partirete domani”.
Josephine cominciò a versarle del tè, sicura che tutto si sarebbe risolto grazie al suo innato ottimismo. Hermione fece un respiro profondo e guardò alla finestra, Draco era ormai arrivato al filtro, ma stava facendo avanti e indietro per il giardino, dando un’occhiata distratta ai fiori.
“Piuttosto”, sua nonna tossicchiò e la distrasse dalla finestra.
“C’è qualcos’altro che devi dirmi? Che fine ha fatto Ronald? Sta bene, vero?”
Hermione la raggiunse al tavolo del soggiorno e si sedette accanto a lei, cominciando a sorseggiare il tè.
“Sta bene nonna, avrei voluto parlartene prima ma non c’è stato tempo”.
“C’entra per caso quel biondino li fuori?”
“Cosa? No, no…mi sta solo aiutando e poi è qui per un compito di scuola.” Josephine la guardava scettica, aspettando che continuasse.
Hermione posò la tazza sul tavolo, incerta su come proseguire.
“Ci siamo lasciati...io e Ron intendo, non avrebbe funzionato, comunque”.
“E lui cosa ci fa qui?”
“Te l’ho detto, mi sta dando una mano a far tornare indietro i miei, è del mio stesso anno”.
“Non me ne hai mai parlato, è della tua..come si chiama? Casa?”
“Si e..no, lui è un Serpeverde”.
“Il nome non promette bene, non credi? E poi..è sempre così serio?” nel dirle questo la nonna si sporse un po’ oltre Hermione, con lo sguardo alla finestra. Draco si era acceso un’altra sigaretta, era di spalle rispetto a loro, la mano destra nella tasca posteriore dei jeans.
Hermione sorrise per quell’affermazione. Erano lì solo da qualche ora e la nonna sembrava averlo già inquadrato.
“La casa Serpeverde è una casa come le altre, un mio professore di Pozioni era un Serpeverde, era davvero brillante.”
La nonna non smetteva di fissare Draco incuriosita.
“E comunque no..non è sempre così serio”. Si ricordò dei momenti che aveva condiviso con lui negli ultimi mesi, di quanto lo avesse visto sorridere e scherzare. Il suo viso si illuminò ai ricordi.
“Se lo dici tu”, concluse lei con uno strano sorriso. 
“È qui per imparare qualcosa sui babbani, per il corso che sta seguendo”.
“Babb..? Ah, si…questa parola mi ha sempre fatto sentire stupida”.
Hermione rise apertamente, di un sorriso che la nonna non le vedeva fare da tanto.
“Mi sei mancata”, le disse poi.
La nonna la guardò amorevolmente.
“Stasera ti farò il pasticcio di pollo, ti va?”
Draco rientrò, avendo notato sporgendosi alla finestra che stavano sorseggiando tranquille il tè rimasto. Le interruppe nel momento di un abbraccio e si sentì di nuovo di troppo.
“Va tutto bene?”, chiese poi. Prima aveva notato l’irrequietezza della Granger dal giardino, aveva preso a camminare avanti e indietro toccandosi nervosamente le mani.
“A meraviglia caro! Ti va di aiutarmi a preparare la cena? Hermione mi ha raccontato del tuo corso, sarà divertente vedrai!”
Draco impallidì, mentre la nonna sparì in cucina continuando a borbottare qualcosa che nessuno dei due ragazzi poté distinguere.
Il Serpeverde diede un’occhiataccia ad Hermione, che scoppiò in una grande risata notando il visibilissimo rossore del ragazzo sulle guance.
“Draco? Puoi venire ad aiutarmi un secondo? Non arrivo a prendere una pentola, non so neanche come è finita così in alto!”, la voce di Josephine li raggiunse dalla cucina.
“A te penserò più tardi”, le disse. Aveva tutta l’aria di chi avrebbe cercato vendetta da lì a momenti. Hermione non gli rispose, continuava a sorridergli. Non riusciva a parlare, fu presa da una strana sensazione di pienezza e di gioia, come non ricordava da tempo. Sapeva che quello che li aspettava sarebbe stato difficile, ma in quel momento, era felice.
Il ragazzo scomparve in cucina, lei tornò in camera a sistemare le sue cose.
 
 
 
La cena andò sorprendentemente bene, Josephine non aveva smesso di fargli domande fin da quando avevano iniziato a cucinare. Draco l’aveva aiutata a tagliare le verdure e a pulire il pollo, mentre lei pensò alla frolla con cui rivestire il pasticcio. Si incuriosì del tatuaggio sul braccio, gli chiese perché mai si era tatuato un disegno così spaventoso e che cosa significasse. Glielo chiese con il suo solito tono ironico e sorridente al quale era impossibile resistere. Draco infatti non si sentì per niente minacciato da quelle continue curiosità, le rispondeva con un vago sorriso sulle labbra, ironico anch’egli, Josephine era divertita.
“Errore di gioventù”, si limitò a rispondere lui, il che non era proprio falso.
“Oh, se ne fanno così tanti, e ne farai ancora ragazzo mio!”, le disse lei scherzando. C’era però un filo di verità. 
“Sei anche tu allo stesso anno di Hermione, così mi ha detto”, affermò poi lei, un momento prima che cominciasse ad impastare.
“È esatto”. Draco stava sminuzzando le verdure.
“Non mi ha mai parlato di te”.
Draco rise.
“Non mi stupisce”.
“Perché?”
“Non andavamo d’accordo, da piccoli”. 
“E perché?” 
“Diciamo che sua nipote sa essere odiosamente saccente”. Josephine le sembrava avesse un bel caratterino, tanto valeva essere sincero riguardo al suo, di carattere. 
(Il loro rapporto era sempre stato cristallino).
“Oh, non me lo dire, non me lo dire! È identica al padre! Anche lui era molto saputello a volte, ma sai, non ho mai smesso di prenderlo in giro, velatamente è ovvio, così che si ricordasse di tenere i piedi piantati per terra”.
“Oh, anche io la prendevo in giro, forse un po’ troppo seriamente, a volte”.
(“Nessuno ha chiesto il tuo parere, sporca Mezzosangue”)
“Ci è cascata, eh?”
Draco non sapeva più se stessero parlando del passato.
“Non le stavo molto simpatico”.
“Ah, quanti errori si fanno in gioventù! Non è così?”
“Già”.
 

 
Hermione aveva preparato la tavola in loro assenza, aiutandosi con la bacchetta. Aveva fatto aprire la credenza con la magia, i piatti uscirono da soli e si disposero sul tavolo assecondando il suo disegno.
Aveva poi preso alcuni fiori dal giardino della nonna e li aveva messi al centro della tavola.
La cena fu così imbarazzante per Hermione, che non faceva altro che arrossire per i ricordi di infanzia che la nonna tirava fuori così senza prima avvertire. Vedendola così in difficoltà, Draco pensò di aver ottenuto la sua vendetta, così non infierì più tardi, una volta aiutata la nonna a mettere tutto al suo posto. 
La stanza da letto cominciò a starle stretta, nessuno dei due commentò sulle proporzioni del letto. Draco aveva cambiato la sua maglietta, e rimase solamente in boxer, perché si era reso conto di non aver portato nessun pantalone della tuta o del pigiama con sé. Hermione rientrò in camera dopo essersi cambiata. Indossava una maglietta vecchia, le stava un po’ corta, ma almeno non si era dimenticata i pantaloni, pensò Draco nell’osservarla.
Dopo una sigaretta fumata al balcone della camera, il Serpeverde si accomodò a letto, la Granger era già sotto le coperte, lo sguardo al soffitto.
Quella non era la prima volta che dormivano insieme, eppure dai loro modi imbarazzati sembrava non avessero mai dormito con nessuno prima d’ora.
Hermione si voltò verso di lui non appena Draco si sdraiò del tutto.
“Sono in Scozia”.
“In Scozia? E che ci fanno lì?”
“Non ne ho idea, partiamo domani, se tu sei d’accordo”.
“Si, per me va bene, ma non abbiamo le scope”.
“Infatti andremo in treno”.
“In treno?”
Nessuno dei due sapeva perché stessero bisbigliando, sembravano due bambini che si stavano confidando un segreto nascosti sotto le coperte. 
“Non è molto lontana, e abbiamo ancora tutte e due le settimane a disposizione, se non vuoi venire puoi…”
“Hermione non sto dicendo questo, volevo solo fare più in fretta, ma poi chi la sente la Reynards, quindi che treno sia”.
Hermione sorrise lievemente, poi annuì.
Si diedero la buonanotte, poi caddero entrambi in un sonno profondo.
 
 


Il giorno dopo, Hermione si svegliò di buon mattino, si accorse appena aprì gli occhi di essere pericolosamente vicina al ragazzo, ancora profondamente addormentato. La sua mano era vicino al petto di lui, che si alzava e si abbassava tranquillo, secondo il ritmo del suo respiro. 
La ragazza si allontanò e quel poco che bastasse per non far sembrare il tutto più sconveniente di quello che già non fosse.
Poi lo svegliò, e una volta pronti scesero per le scale, da dove videro la tavola apparecchiata per la colazione. Il caffè era ancora caldo.
“Partite oggi?” disse poi, quando fu certa che tutti e due fossero svegli abbastanza da riuscire a capire l’inglese.
Draco stava finendo di bere il suo caffè, Hermione annuì.
“Prima andiamo e prima potremo risolvere”.
“Senti Hermione, qualsiasi cosa stiate per fare, stai attenta, ok?”
“Certo Jo”.
“Riportali a casa se puoi, mi mancano”. Disse Jo con sincerità.
La nonna si alzò allontanandosi dalla tavola. Era già vestita, lavata ed acconciata, sembrava fosse in piedi da un bel po’, aveva le mani sporche della terra del giardino.
 
 


Josephine Granger non si era mai abituata ai saluti e alle partenze, nonostante alla sua età di partenze e addii ne aveva sperimentati fin troppi. Perciò non indugiò molto nel vederli di nuovo con lo zaino in spalla, sul ciglio della porta.
“Tornerò presto”, cercò di rassicurarla Hermione.
“Ragazzina, forse è meglio che tu la smetta di fare promesse che non puoi mantenere”, le rispose ironica lei. Anche se quella volta sperò con tutta sé stessa che Hermione riuscisse a tenere fede a quel voto.
La ragazza, che aveva preso dalla nonna e che quindi odiava gli addii quasi quanto lei, si voltò e uscì in fretta dal vialetto.
Draco rimase ancora qualche secondo ad accomiatarsi come la sua educazione gli aveva sempre imposto.
“La ringrazio per l’ospitalità signora Granger”.
“Draco ti prego, cosa ti ho detto ieri?”
“Oh, ma certo, scusi…grazie Jo”, era comunque troppo imbarazzato per la confidenza che la donna gli aveva richiesto. 
Draco si voltò e fece per raggiungere Hermione, ma Josephine lo fermò per un altro momento.
“Dalle un occhio, intesi? E a volte, se puoi, riportala con i piedi a terra” sentenziò con il suo inconfondibile tono divertito.
“Lo farò”, rispose lui, complice del suo stesso sorriso. 
 
 
   
 

“Ginny sa di noi”, disse all’improvviso Hermione. 
Erano in treno, Draco stava leggendo un libro di pozioni che non poteva consultare a scuola perché molto avanzato. Era così concentrato che per un momento si isolò da tutto il resto. Hermione invece, presa dall’ansia di dover incontrare i suoi, non riusciva a stare ferma né con la testa né con il corpo. Gli disse la prima cosa che le venne in mente, incurante della reazione che il ragazzo avrebbe mostrato, forse per distrarsi dai pensieri angoscianti che la stavano assalendo senza lasciarla respirare. 
Pensandoci meglio, forse Draco aveva il diritto di saperlo, così che una volta tornati ad Hogwarts entrambi avrebbero saputo come comportarsi, si sarebbero evitati ogni volta che Ginny Weasley sarebbe passata nei loro paraggi per caso. 
Hermione non sapeva più cosa pensare, se non che stesse diventando paranoica.
“Perché glielo hai detto?” lui rispose calmissimo, sollevando gli occhi dal libro ancora aperto davanti a lui.
“Non gliel’ho detto io, lo ha capito da sola, ci ha visti alla festa delle Tassorosso e poi uscire insieme dalla Stanza delle Necessità”.
“Capisco”.
“Non ti sembra preoccupante?”
“E perché? In nessuno di quei momenti stavamo facendo cose compromettenti”.
“Si, ma…” non sapeva più cosa dire. Draco non le sembrava per niente toccato da quella sua confessione.
“Sento di averla persa, non era per niente contenta e.…”
“E quindi? Era ovvio che non lo fosse, mio padre ha cercato di ucciderla al suo primo anno e se Potter non l’avesse salvata ci sarebbe riuscito”.
Hermione lo guardò malissimo.
“Non dico che se lo meritasse, sto solo dicendo che è normale che si senta tradita o sia incazzata, visto che sei andata a letto con me”. Quella era la prima volta che Draco non girava intorno al fatto, aveva scandito quelle parole come se fosse normale. 
Non riuscì a capire il motivo sulle prime, ma quel discorso lo stava facendo innervosire.
“Tu pensi che lei abbia ragione? A non parlarmi più, intendo?”
“Non lo so, Granger”.
Non lo sapeva davvero. Era seccato per tutta quella storia, era contrariato perché sentiva di averla messa alle strette dopo ciò che avevano fatto, era incazzato con i suoi amici che non volevano saperne di lasciare indietro il passato. Era incazzato anche con sé stesso, perché non riusciva a lasciare andare lei.
Risponderle in modo scorbutico fu l’unica sua difesa.
Hermione si pentì di averglielo confidato. Sentiva di aver parlato troppo, rendendolo partecipe di una questione che solo lei doveva risolvere. Aveva ripetuto più volte a lui e più volte a sé stessa che quello che avevano fatto non sarebbe più accaduto, che c’era stato e che non potevano cancellarlo, ma che avrebbero potuto accettarlo e lasciarlo andare, ma nessuno dei due, a quanto pareva, era stato molto bravo a farlo.
Hermione sentì di essersi spinta troppo in là, la reazione di Jinny glielo aveva confermato, così come lo straniamento di Harry al binario. Forse era stato davvero uno sbaglio.
“Perché non cerchi semplicemente di capire quello che vuoi tu e lasci perdere quello che ti dicono gli altri?” esordì nuovamente lui. Il libro lo aveva lasciato sul sedile accanto. Nella cabina c’erano solo loro.
“Come faccio a lasciar perdere! Lei è una mia amica, la sua opinione conta!”
Hermione non gli disse che quella sera lo aveva difeso, non sapeva perché lo aveva fatto, forse per difendere anche un po’ sé stessa e giustificare la scelta di essersi lasciata andare così tanto con lui. 
“E allora che ci faccio qui?! Perché non hai chiesto aiuto ad altri, perché non Alister?”
Lo aveva veramente detto.
“Senti non so perché ti ho parlato dei miei, vuoi smetterla di chiedermelo? E Alister non sa nulla di questa storia e non lo conosco così bene da poterlo coinvolgere”. Si morse le labbra, era finita nella sua trappola con tutti e due i piedi.
“Vuoi dire che mi conosci così bene da potermi coinvolgere? È chiaro che però non sai nulla di me, visto che fino a qualche mese fa non facevi altro che dire quanto fossi spregevole insieme alla tua amichetta Grifondoro, e visto che ancora ti rifiuti di capire!”.
I toni si erano un po’ alzati ed Hermione era rossa in viso dalla rabbia. 
“Evidentemente non faccio altro che sbagliare con te!”.
Draco sgranò gli occhi, respirò forte e serrò la mascella. 
Hermione aveva praticamente ammesso di essersi pentita, nonostante altre volte gli avesse detto il contrario, era bastato il parere della Weasley a girare le carte in tavola. Draco lesse vergogna nei suoi occhi, e di nuovo quel sapore di rimorso che tutti e due avevano scongiurato ma che forse solo lui non aveva provato davvero. 
Lui si che la conosceva bene, la Granger, e non si era sbagliato quando la prima volta dopo aver fatto sesso, lui pensava che si fosse pentita e fosse piena di disgusto.
Era così facile smascherarla e lui che pensava per la prima volta di essersi sbagliato sul suo conto, tanto da esserne quasi felice
“È un bene allora che ci sia io a ricordarti di smetterla di fare altre cazzate”.
(“Con me, con Alister, con te stessa”).
“Ho smesso di stare al tuo gioco, qualsiasi esso sia”, concluse lui, prima di uscire dalla cabina.
Hermione non voleva giocare con nessuno, tantomeno con lui.
Non sapeva cosa volesse. Lo attraeva e lo respingeva di continuo, con frasi poco chiare, contorte, con azioni altrettanto confuse.
Il senso di colpa per quello che aveva detto la colpì dal momento in cui lui si allontanò dalla cabina. Non l’abbandonò nemmeno quando lui tornò, non si allievò durante il resto del viaggio e nemmeno durante la strada verso casa dei suoi, quella che avevano percorso in religioso silenzio. 
La nonna le aveva fornito l’indirizzo e la sera prima aveva contattato la madre avvertendola che la nipote di una sua amica avrebbe avuto bisogno di essere ospitata perché in cerca di un posto in Scozia in cui trasferirsi per gli studi. 
Arrivarono alla porta, e la ragazza dovette fare due respiri profondi. Non riusciva a suonare il campanello.
Draco notò la sua agitazione, e nonostante fosse incazzato, deluso, triste, premette il campanello al posto suo, e poi fece un passo indietro rispetto a lei.
Non staccò la mano dalla sua schiena per un attimo.
Nemmeno quando la porta si aprì, Hermione rivide sua madre e sembrò sul punto di svenire.






 
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Eccomi di nuovo! Spero che il capitolo vi sia piaciuto.
Il prossimo è praticamente scritto nella mia testa, devo solo trascriverlo :)
Vi lascio con una piccola playlist di canzoni
che sto ascoltando durante la stesura e che potete vedere come una piccola soundtrack della storia
visto che le frasi che vedete all'inizio dei capitoli sono prese proprio da alcune di queste.
Approfitto di questo spazio per ringraziare tutte le persone che stanno seguendo la storia, chi commenta
e chi legge solamente. State diventando tanti!
Grazie a tutti e a presto! 


Muggle Studies Soundtrack


1. Queen Bee - Johnny Flynn
2. The Water - Johnny Flynn
3. Einstein’s Idea - Johnny Flynn
4. Mumuration - Johnny Flynn
5. Anche a Piedi -Piero Pelù
6. Presto - Generic Animal
7. Opening - Far From the Madding Crowd Soundtrack 
8. I’m on fire - Bruce Springsteen
9. Human Touch - Bruce Springsteen
10. Orpheus - Shawn James
11. The Curse of the Fold - Shawn James 
12. The Witch’s Rune - SJ Tucker 
13. Song of the Witches - S J Tucker 
14. This City - Sam Fischer 
15. Beltaine - Beltaine
16. The Sea of Irish Dream - Beltaine 
17. Wicked Game - Ramin Djwadi 
18. Just for a moment - Olivia Rodrigo & Joshua Bassett
19. The Willow Maid - Erutan
20. Will o’ the Wisp - Erutan
21. Raindancer - Erutan


 

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Capitolo 10
*** Le Rune della Strega ***


Eccomi di nuovo qui! 
Il capitolo è molto lungo, spero non annoi e che possa risolvere un paio di dubbi che si saranno sicuramente accumulati nel percorso (specie i dubbi di Hermione). Ci tenevo a dire che la storia terminerà con il capitolo 12 e poi ci sarà un breve epilogo, quindi mancano 2 capitoli e poi la chiusura finale. Le parole in corsivo che vedrete a un certo punto nel capitolo  sono prese da una delle canzoni che vi ho indicato nel capitolo precedente, quindi non appartengono a me, ho solo pensato che potessero essere perfette per il momento che leggerete.
Vi auguro una buona lettura e a presto!


 
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Muggle Studies

10. 

 
Come let’s be gentle, be soft in my arms
The twilight is keeping us close to the stars
 
 
 

Non sapeva dire con esattezza quando si era perso. Sta di fatto che adesso faticava a ritrovarsi, tra quei ricci ribelli e morbidi, tra i lembi di stoffa del suo vestito color indaco, nell’incavo del collo che il suo maglione largo lasciava scoperto, nella sua bocca che sapeva di tè al limone. Si era perso tra quelle radici degli alberi che fuoriuscivano dalla terra e che lo facevano inciampare continuamente, si era perso in quel labirinto che sapeva di lei, c’era scivolato dentro e adesso annaspava per trovare una via d’uscita. 
La notte passata dalla nonna fu per lui tremenda. Si svegliò più volte così sudato e ansimante che temeva la Granger potesse sentirlo respirare così pesantemente e svegliarsi. Lei però dormiva tranquilla, persa in chissà quale sogno lontano, uno in cui molto probabilmente lui non faceva parte. Aveva la bocca semichiusa, i ricci sparsi sul cuscino, gli stessi in cui aveva affondato le mani più volte durante la loro prima e unica notte passata davvero insieme. Dovette sforzarsi con tutto sé stesso per non far notare la sua agitazione nello stare di nuovo accanto a lei, per altro seminudo, per colpa della sua dimenticanza che probabilmente alla Granger sarà risultato l’ennesimo squallido tentativo di sedurla. Uscì a fumare sul balconcino e si calmò un po’ nel sentire l’aria ormai estiva riscaldargli le mani congelate, ma nemmeno una sigaretta gli bastò per placare il galoppo del suo cuore imbizzarrito. Non riusciva a capire come la Granger fosse capace di trattenersi così bene, come riuscisse a sembrare totalmente disinteressata al calore del suo corpo, cosa che aveva imparato non esserle completamente indifferente. D’altronde glielo aveva dimostrato molte volte, non solo quella notte a casa Black, ma anche nel Reparto Proibito, quando un po’ per la paura, gli si era praticamente spalmata addosso spargendo i suoi folti ricci sul petto, riusciva a distinguere chiaramente quel desiderio che puntualmente rimaneva insoddisfatto perché mai pronunciato dalle sue labbra carnose. Quello non poteva essere un sogno, non poteva essersi immaginato tutto, la tensione dei loro corpi la conosceva così bene che avrebbe potuto perdersi in quello della Granger e ritrovarci le sue stesse ossa. 
E se pure lei non lo avesse mai ammesso, forse nemmeno a sé stessa, Draco lo sentiva, e poté constatarlo l’ennesima volta quella mattina presto, quando si svegliò per primo e la vide vicina a lui, le mani quasi gli sfioravano il tessuto della maglietta, i piedi nascosti sotto alle lenzuola che si sfioravano. Lui non si scompose di un millimetro, fece finta di essere ancora addormentato quando capì che la Granger stava per svegliarsi, e lasciò che lei si rendesse conto di quella vicinanza tutt’altro che insolita. E ovviamente, per l’ennesima volta, lei non gli diede alcuna soddisfazione. Si allontanò da lui e poi lo svegliò con una mano sulla spalla, scuotendolo con delicatezza e chiamandolo per nome, con quel nome che aveva assunto tutt’altra definizione da quando lo aveva pronunciato per la prima volta.
Draco.
La Granger alimentava i suoi desideri con i fiammiferi e poi li estingueva con secchiate di acqua gelida, tutto con la stessa bocca carnosa maledetta di cui lui si era accorto del potere mortale fin dalla sera del Ballo del Ceppo, quando ciò nonostante decise volontariamente di esserne vittima. Non poteva biasimarla quindi, quando in treno cominciò a raccontarle della sua ennesima insicurezza, dell’ennesima voce fuori dal coro che però si frapponeva tra lei e lui, pensando di sapere cosa c’era stato, vantando pretese sull’intelligenza e il buon senso della Granger. Non poteva essere così sciocca da far prevalere il pensiero di altri al suo, specie quando si trattava di questioni così personali. Eppure, quella sera in giardino lei glielo aveva detto, era ubriaca certo, ma gli aveva detto la verità. Tutti vedevano solo quello che di lei ammiravano di più, la lealtà, l’intelligenza, il coraggio, l’assennatezza, solo lui aveva visto anche altro, quello che probabilmente gli altri avrebbero disprezzato perché “non troppo da lei”, perché scomodo e odioso, eppure era proprio a lui che lei continuava a negarsi, manifestando mille insicurezze e indecisioni, dubbi che forse non appartenevano davvero a lei. Ma questo lui non poteva saperlo né affermarlo con certezza, ed era stanco. Non voleva più cercare di capirla o farle capire, lui per primo faticava a comprendere cosa volesse da lei, l’unica cosa che gli era chiara era che voleva smettesse si comportasse da ragazzina, ma comunque, glielo aveva detto lui, che a diciassette anni era concesso sbagliare, tentare e tentare, quindi forse era stato solo uno strumento temporaneo che lei aveva posseduto solo per brevi istanti, ma stentava ancora a capire perché non potessero sbagliare insieme, ammesso che lei fosse uno sbaglio per lui, una cosa di cui non era più tanto certo.
Sarebbe finito al San Mungo entro la fine dell’anno, questo era ormai certo.
 
 
 
Arrivarono ad Edimburgo nel primo pomeriggio. La strada per la casa dei suoi era su una collinetta in salita, un po’ più lontana dal centro, infatti avevano dovuto prendere un autobus che li spinse fino in piena campagna. Draco realizzò a sue spese che l’abbonamento che gli aveva regalato Hermione non valeva per tutta l’Inghilterra e nel momento in cui il controllore gli chiese il biglietto riuscì a scampare una multa perché Hermione fece svelta un incantesimo che modificò il suo abbonamento in un biglietto della zona. 
La casa affacciava su una grande scogliera che scendeva a picco sul mare agitato. Era circondata da una serie di villette identiche, lontano dal piccolo villaggio con i negozi e la piazzetta per il ritrovo e l’incontro. 
Non parlarono per tutto il resto del viaggio. Draco non sapeva più cosa dirle ed Hermione era troppo occupata a cercare di respirare e restare viva fino alla fine della salita per poter pensare ad altro, se non al momento in cui avrebbe finalmente rivisto i suoi dopo mesi di silenzio assoluto.
Il tempo non era dei migliori, una pioggerillina sottile finì per bagnarli completamente, l’aria era decisamente più fredda e pungente di quella di Londra e i lampi in lontananza non prospettavano di certo un miglioramento.
Hermione gli fu silenziosamente grata quando sentì la sua mano dietro la schiena, e quando premette il campanello al suo posto. Si voltò a guardarlo per ringraziarlo anche solo con gli occhi, ma Draco fece finta di nulla, rimanendo con la testa bassa e la mano immobile dietro la sua schiena. 
Quando la porta si aprì, Hermione sentì mancare la terra sotto i piedi, l’unica che la centrava nuovamente a terra era Draco, la sua gravità.
“Oh, siete arrivati! Hermione e..Draco, giusto?”, la madre era bella come non mai. I capelli li portava sciolti sulle spalle, erano cresciuti dall’ultima volta che li aveva visti e leggermente schiariti sulle punte. Gli occhi azzurri le brillavano, sembrava felice.
“Buonasera signora, la ringraziamo per la disponibilità”, Draco parlò per primo, vedendo che la Granger non si decideva a rispondere. 
Vederla di nuovo da vicino, sentire la sua voce, constatare che non era cambiata per niente, che anzi, sembrava ringiovanita, la ammutolì.
“Figurati! Chiamatemi pure Monica, mi dispiace che mio marito non sia in casa al momento, spero che riusciate a vederlo per cena, sapete, lavora in un ospedale qui vicino ed oggi il turno è toccato a lui”. Monica Wilkins, quello era il cognome che Hermione gli aveva suggerito subito dopo aver effettuato l’incantesimo, adorava ricevere ospiti. Questa era una cosa di lei che sua figlia non cambiò e non seppe dire con certezza come fosse stato possibile, visto che l’incantesimo, se riuscito bene, era in grado di estrapolare qualsiasi ricordo della persona, fino a modificarne la personalità. Eppure, mentre Monica parlava e nel frattempo li aveva fatti accomodare, Hermione riconobbe sua madre in tutto e per tutto. 
“Allora...” continuò poi lei una volta fatti accomodare sul divanetto nel piccolo soggiorno.
“Josephine, la madre di mio marito, mi ha telefonato ieri, mi ha detto che cercavate un appartamento per questo autunno, sono certa che studiare qui in Scozia vi piacerà”.
Draco le sorrise cordiale, e bevve un sorso d’acqua che Monica gli aveva offerto appena entrati. Hermione continuava a fissarla senza dire nulla. 
“Avete già scelto il corso di laurea?”, la Wilkins cercava di riempire il silenzio mai risultando scortese. A quella domanda il Serpeverde raggelò, perché non aveva la minima idea di cosa fosse un corso di laurea e già il nome annunciava sicuramente qualcosa di troppo noioso.
“Io studierò legge, lui invece letteratura”, la voce di Hermione, ancora flebile e timida irruppe nella conversazione salvando il ragazzo, che annuì per darle manforte. Gli studi di legge le sarebbero sicuramente stati a pennello, pensò.
“Oh, interessante! Due materie diversissime ma molto molto utili”, rispose convinta lei. anche quando Monica non sapeva esattamente cosa dire riusciva sempre a cavarsela con frasi di circostanza che sembravano tutt’altro che studiate, anzi, la facevano sembrare onnisciente anche quando non lo era affatto. Quella era una dote che aveva trasmesso anche ad Hermione, che però preferiva colmare qualsiasi lacuna in ogni ambito piuttosto che rischiare di farsi cogliere impreparata.
Entrambi i suoi genitori avevano studiato medicina ed erano diventati dentisti, una professione che non aveva niente a che vedere con il mondo strampalato e senza logica in cui viveva la figlia e che però avevano imparato ad accettare.
Ritornò il silenzio, ma Hermione, ripresasi un po’ dallo shock di poco prima, parlò quasi subito.
“È veramente una bella casa, signora Monica”, disse, guardandosi intorno.
La casa si ergeva su due piani, era molto luminosa e completamente tinta di bianco. I mobili erano in legno chiaro, che ben si adattavano al chiarore dei muri, sui quali erano appesi tantissimi quadri, foto e disegni solo abbozzati ma che davano tutta l’idea di essere opere d’arte. 
Il padre adorava disegnare nei suoi giorni liberi e il pensiero la fece quasi piangere.
Anche le scale che portavano al secondo piano erano in legno e le camere da letto erano così finemente curate che sembravano essere uscite da una casa delle bambole.
“Grazie cara, ma ti prego, non chiamarmi signora, mi fa sentire vecchia!” scherzò lei, suscitando una risatina tra i presenti.
“Beh, suppongo che il viaggio sia stato un po’ stancante, perciò vi lascio sistemare, domattina avrò la mattinata libera e se volete potrei aiutarvi a fare qualche ricerca tra le case libere in zona!”
“Sarebbe fantastico”, rispose Draco, per nulla desideroso di camminare avanti e indietro per quella contea a visitare case che non avrebbe comunque mai abitato.
Ma ormai c’era dentro, perciò avrebbe continuato a fingere, stava diventando bravo a farlo, con lei e per lei.
 
 
 
Da quando avevano lasciato Hogwarts era passata una settimana. Erano ospiti dei suoi da circa sei giorni ed Hermione non era neanche lontanamente vicina a guadagnare la loro fiducia a tal punto da riuscire a farli entrare nel cerchio magico. Lei e Draco erano riusciti ad eludere sia Monica che Wendell, il quale difficilmente si faceva imbrogliare, perché di solito capiva tutto al volo; eppure i due ragazzi riuscivano a cavarsela sempre con scuse ben studiate e quindi finivano per dire di no a qualsiasi casa o appartamento che visitassero. Il padre di Hermione ne aveva fatta ormai una questione personale, e gli proponeva un appartamento da vedere almeno due volte al giorno, perché ormai in quel paesino lo conoscevano tutti e non c’era nessuno che si rifiutasse di aiutarlo. Insomma, nel giro di sei giorni tutto il paese era venuto a conoscenza della situazione di Draco ed Hermione. Draco nel frattempo continuava con il suo saggio sui babbani, facendosi aiutare dal padre, che aveva cominciato a seguire durante le sue passeggiate nei giorni liberi, quando usciva fuori a dipingere paesaggi. Hermione invece aiutava Monica in casa, parlava dei suoi ricordi, comunque consapevole che lei non avrebbe capito nulla, e questo le diede più libertà nel raccontarle la sua visione delle cose, quello che l’aveva resa felice, quello che da piccola proprio non sopportava, e di quanto facesse penare i suoi genitori perché c’era stata una fase della sua crescita in cui si rifiutava di mangiare verdure.
“E chi non la ha quella fase?” le aveva risposto lei, divertita dal modo di narrare di Hermione e da quei piccoli dettagli nei suoi modi di fare che a volte le ricordavano sé stessa.
Quasi ogni sera da quando erano lì, bevevano qualcosa al bar del paese, l’unico bar del paese, e fecero conoscenza con i suoi abitanti. Draco aveva preso a scrivere più frequentemente del solito, annotandosi qualsiasi piccolezza che riusciva a cogliere nel loro strambo comportamento. Hermione fece di tutto per non ritornare al discorso che li aveva fatti infuriare in treno, e lui fece lo stesso, stabilendo una specie di tregua, l’ennesima, da quando si conoscevano. 
Le piaceva osservalo mentre scriveva. Assumeva un’espressione dolce, le labbra si corrucciavano in una piega concentrata, gli occhi fissi sul quaderno assumevano tutt’altra sfumatura e i capelli gli ricadevano sulla fronte perché eccessivamente chinato sul suo taccuino. Era come in meditazione, per quanto era concentrato, ed Hermione arrivò persino a pensare che forse quegli studi gli stessero piacendo. Draco Malfoy non faceva mai nulla che non gli andasse, dopotutto. 
 
 
Tutto cambiò in quella fresca sera di fine giugno. 
Draco ed Hermione stavano ripassando il rito, ancora una volta, su indicazione della Grifondoro. Draco l’accontentò solo per non discutere ancora. Cominciò a disegnarle le rune sulle braccia, per proteggerla dall’incantesimo. Compirono quel rito in silenzio, mentre si disegnavano quei simboli antichi sul corpo come se lo avessero sempre fatto, toccandosi come se lo facessero da una vita.
A fine rito, Draco le disse che sarebbe andato a letto perché quella mattina Wendell lo aveva portato per boschi chiedendogli se gli potesse portare l’attrezzatura per dipingere e non poteva rifiutarsi, ma adesso era distrutto. 
Lei era rimasta sola sul pavimento del salotto, i suoi genitori erano fuori per una cena tra colleghi e amici, probabilmente avrebbero tardato, perciò procedette a disfare tutto con calma. Chiuse il libro, raccolse le rune sparse sul pavimento. Aveva quasi pulito tutto, quando sentì scattare la serratura della porta d’ingresso. Sobbalzò dallo spavento, ma si rilassò subito quando vide sua madre. Il soggiorno era completamente avvolto nell’oscurità, che l’incantesimo diceva fosse propizia per una buona riuscita, perciò Hermione intravide solo la sua sagoma scura farsi avanti.
“Oh, sei qui”, le disse Monica, il tono di voce sommesso.
“Ciao ma…Monica, tutto bene? Com’è andata la cena?”
“Me ne sono andata un po’ prima, ho detto a Wendell che non mi sentivo bene ma di non preoccuparsi, non volevo che questo gli rovinasse la cena”.
“È tutto ok?”, le richiese Hermione, che nel frattempo accese la luce della lampada da lettura sul comodino accanto al divano.
La madre non si era mossa dalla porta.
“Si, volevo solo trovare un momento per parlarti”.
Hermione cominciava a sentirsi pericolosamente a disagio.
Fortunamente, con quella luce così scarna, la madre non si accorse che c'era ancora del gesso sul pavimento.
“Ma certo, ascolto”. Si sedette sul divano, a quel punto la madre fece qualche passo avanti e si sedette sulla poltrona di fronte a lei. Dopo intensi attimi di silenzio che ad Hermione parvero durare un’eternità, la madre finalmente parlò.
“So perché siete qui, Jo mi ha detto tutto”.
Hermione si congelò.
“Cosa?”
Monica rimase impassibile di fronte alla reazione della ragazza, e continuò a parlare.
“Sono mesi che non fa altro che dirmi che questa ragazza, Hermione, di cui io non so nulla, sarebbe stata la chiave per tornare come un tempo. Sulle prime non sapevamo cosa intendesse, mio marito ha persino pensato fosse completamente uscita di senno, ma poi sei arrivata, e non so nemmeno perché vi abbiamo accolto è stato…”
“Istinto”, finì la sua frase per lei.
“Si..ma non ho voluto dirti subito la verità, ero terrorizzata da quello che avresti potuto fare se solo ti avessi dato più fiducia. Josephine mi ha detto che sei una strega, che vieni da un posto di nome Hogwarts, ci ha dato tutte le prove, così accurate da sembrare vere. Sembrava così disperata all’idea che non ti riconoscessi, che non avrei mai potuto incontrarti.”
“Ti ho mentito dicendoti che Jo mi aveva chiamato perché cercavi una casa prima di iniziare l’università, solo perché volevo...conoscerti, capire com’eri, cercare di scoprire se era veramente come diceva lei, che mi aveva detto saresti venuta”.
“E che hai scoperto?”
“Solo che abbiamo stranamente così tante cose in comune, che a volte mi sembra di rivedere me stessa quando avevo la tua età. Ho così tanti ricordi confusi che io…non so cosa pensare. Non ho mai avuto una figlia ma tu in solo una settimana mi hai fatto quasi credere che quella figlia potessi essere tu.”
Hermione non sapeva più cosa dire.
“Non ti ho detto subito la verità perché..non lo so neanche io il perché, so solo che non voglio perdere quello che ho, e tu dai racconti di Josephine mi sei sempre sembrata quella che mi avrebbe portato via tutto, invece che aiutarmi per non so bene quale motivo.”
“Io non..farei mai niente che possa ferirti. Credimi, sono venuta qui per risolvere una questione lasciata in sospeso”.
“Cosa, esattamente? Faccio una vita dignitosa, io e Wendell ce la caviamo”. Le mani quasi le tremavano.
“Non voglio toglierti ciò che hai, voglio solo restituirti una cosa che ti ho portato via, devi solo avere fiducia in me…ti prego”.
“Come faccio a sapere che Jo dice la verità, come..come può anche solo pensare che tu sia una strega? È assurdo”. Monica si era schiacciata sulla poltrona, terrorizzata da chi aveva davanti.
Hermione voleva solo scappare, ormai sicura fosse una causa persa.
“Non può”, disse il Serpeverde. La sua voce roca fece trasalire Monica, che si alzò di scatto voltandosi verso di lui. 
Draco, che nel frattempo non era riuscito ad addormentarsi, aveva sentito la conversazione dalle scale, e si mostrò a loro una volta raggiunte in salotto.
“Non può saperlo con certezza.” Continuò poi, con la voce ferma. Hermione gli fu silenziosamente grata per essere venuto in suo aiuto in quella questione così delicata, non avrebbe fatto una scelta diversa da lui, se fosse tornata indietro.
“Ma lo ha detto lei stessa, la decisione di farci venire qui è stata dettata dal suo istinto, da quello di suo marito. Avete preso questa decisione insieme, spinti dalla curiosità, dal rispetto che avete per Jo, che infondo sapete che non potrebbe mai mentirvi. Ci avete accolto in casa vostra, nonostante tutte le voci poco convincenti sul nostro conto, nonostante il fatto che siamo dei maghi e questo non può che non suscitare timore in chi non possiede questo dono”. 
Draco si stava avvicinando a lei, che in tutta risposta continuava a farsi indietro, spingendosi sempre di più verso il cerchio disegnato sul pavimento con del vecchio che gesso che avevano trovato tra i pennelli del padre. Hermione capì solo in quel momento cosa avesse intenzione di fare.
“Non può sapere con certezza cosa succederà, quello che può fare è...fidarsi”.
Monica Granger era esattamente finita nel cerchio a sua insaputa, non aveva detto nulla, paralizzata un po’ dalla paura dell’ignoto, un po’ da quel sentimento nascosto nelle sue viscere che la stava supplicando di ascoltare il suo cuore. Rimase in silenzio, mentre abbassava lo sguardo ai suoi piedi.
“Adesso”, disse Draco rivolto ad Hermione, uscendo velocemente dal tracciato.
Hermione non se lo fece ripetere due volte. Draco era riuscito a rendere spontanea, a sua insaputa, la volontà di sua madre nel posizionarsi all’interno del cerchio. Non c’era stata forzatura, solamente qualche passo in più. Draco era sicuro che non lo avrebbe mai fatto se non si fosse distratta, gli era parsa così terrorizzata che forse se presa dal verso sbagliato, li avrebbe cacciati di casa in un secondo.
Hermione cominciò a ripetere alcune frasi che sembravano all’apparenza senza alcun senso. Draco allungò il braccio verso la lampada, e la spense.
Mamma, abbi fiducia in me, guarda me. Andrà tutto bene”.
Delle lacrime cominciarono a scendere sul viso di Monica, che però non si scompose, rimase dentro al cerchio a testa bassa, piangendo di un dolore che da tempo era stato sepolto e che stava riemergendo, insieme a quell’altro sentimento, all’amore che premeva in direzione di Hermione.
 
 
By earth and water, air and fire,  
by blade and bowl and circle round,  
we come to you with our desire:  
let all that is hidden now be found!
By all the light of moon and sun,
by all the might of land and sea,
chant the rune and it is done.
As we will, so mote it be!
 
 
Un grande fascio di luce li avvolse, illuminando ogni angolo buio della casa. Non si udì niente da Monica, che rimase in silenzio ad occhi chiusi mentre quei fasci di luce sembravano attraversarla.
L’effetto durò pochissimo, in un attimo tutto tornò normale. Draco, che nel frattempo si era inginocchiato accanto ad Hermione, cominciò a guardarsi intorno cercando di capire se avesse funzionato. 
Tutte le foto sui mobili gli dissero di si. Hermione era ritornata da loro, attraverso il tempo e lo spazio, con solo quelle parole e quattro rune.
Era davvero la strega più brillante della sua età. 
La sua Hermione.
“Hermione?”.
Il suo sguardo alle foto fu dirottato dalla voce rotta della madre, che giaceva in ginocchio ancora nel cerchio. Hermione si avvicinò a lei con gli occhi pieni di lacrime.
“Mamma, sei qui”.
“Non sono mai andata via”.
Il lungo abbraccio che seguì fu solo interrotto dal rumore delle chiavi che giravano nella serratura della porta d’ingresso. Wendell entrò e li vide in penombra, Hermione accovacciata su sua moglie piangente.
“Che sta succedendo?”, chiese in preda al panico. Aveva bevuto un po’ con i suoi colleghi e pensò di essere finito in uno strano sogno.
“Tesoro...” disse Monica Granger, facendogli cenno di avvicinarsi a lei.
Draco aveva capito cosa avesse intenzione di fare.
Il marito la raggiunse senza protestare. Chiese solo “cosa sta succedendo qui?”, notando gli amuleti per terra e il grande cerchio bianco. 
“Vieni da me”, disse lei.
Hermione ripeté il rito una volta che la madre saltò fuori dal cerchio.
Quella sera ritrovò anche suo padre.
 
 
 
Erano quasi giunti alla fine delle due settimane di meritata libertà. Mancavano tre giorni e sarebbe tornata tra i banchi di scuola per l’ultima volta, prima di uscire sul mondo e cercare la sua strada. Quegli ultimi giorni passati di nuovo con i suoi genitori le diedero una forza che non sapeva più di avere, una fiducia e speranza che l’avevano rigenerata. Si sentiva pronta ad affrontare quegli ultimi mesi di scuola al meglio che poteva, e non pensava solo alle lezioni. Avrebbe trascorso ogni momento sentendosi veramente parte di un qui ed ora che non aveva mai considerato prima, perché sempre proiettata ad un futuro incerto che l’aveva sempre derubata di qualche pezzo. Qualche giorno prima quei pezzi se li era ripresi. Si sentiva più completa.
Hermione si sarebbe lasciata trasportare dal vento, se avesse potuto. I folti capelli ondeggiavano seguendo il movimento dell’aria impetuosa e il suo cuore batteva al ritmo di quel mare agitato che sbatteva sulla costa rigogliosa. 
Draco era stato fondamentale nella riuscita dell’incantesimo, non immaginava nemmeno lei quanto sarebbe stato d’aiuto e di certo non pensava che avrebbe giocato un ruolo determinante. Era convinta che una volta trovatasi di fronte ai suoi, avrebbe saputo come gestirli, ma la verità era che non lo sapeva affatto, e in quel momento la presenza del ragazzo l’aveva salvata da un fallimento quasi certo. La sera in cui fece tornare al presente i suoi genitori, rimase con loro tutta la notte a parlare di tutto quello che era successo; Hermione spiegò per filo e per segno ciò che aveva passato. Draco preferì lasciarli soli ed uscì a fare una passeggiata. Aveva perso il sonno in ogni caso, ed era convinto che una camminata nell’aria gelida lo avrebbe rinsavito per bene da tutta quella giostra di emozioni a cui era stato partecipe. 
Lo aveva ringraziato il giorno dopo a colazione, mentre i suoi erano a lavoro. Rimasero soli tutto il giorno eppure non parlarono molto, perché Draco aveva preso a scrivere ossessivamente, forse usando carta e penna per nascondersi da lei. Gli disse solo questo: grazie, al quale lui rispose con un vago sorriso. 
Eppure, lei sentiva che qualsiasi grazie non sarebbe mai stato abbastanza. Lui l’aveva seguita, si era offerto di aiutarla, seppur con i suoi modi strampalati di offrire aiuto, aveva rischiato la sospensione nel reparto proibito, aveva fatto questa e tante altre cose che forse lei non aveva nemmeno notato perché troppo concentrata a pensare ai suoi difetti, che credeva insormontabili, troppo impegnata a pensare a quello che le dicevano gli altri.
 
Quel silenzio tra loro la stava facendo impazzire, e il bello era che lei aveva spaventosamente torto. Le piaceva e la turbava il fatto che lui sapesse capirla e sembrasse essere capace di leggerle nella mente senza nemmeno praticare incantesimi. La verità era che lei non aveva mai spesso di pensare, mai smesso di rincorrersi nella sua mente affaticata e in costante movimento. C’era stato un attimo, anzi, degli attimi sparsi nel tempo che avevano condiviso, in cui era riuscita a spegnere quella parte di lei costantemente rabbiosa, quella parte che lottava per uscire e dimostrare chissà cosa, quel grifone che era necessario solo in alcuni casi, ma che non aveva mai saputo farlo tacere per almeno un giorno intero.
Con lui le era venuto quasi facile, naturale, come se fosse effettivamente una cosa possibile, per una come lei, lasciar per il momento perdere il movimento degli astri e il passaggio del tempo al quale strenuamente si opponeva pensando di poterlo controllare.
Con Draco quella smania di controllo svaniva nel nulla, era come se non ci fosse mai stata, e poteva tornare a pensare al suo corpo, ai suoi movimenti, al modo in cui la sua pelle reagiva e si preparava al suo tocco, poteva semplicemente riprendere ad esistere senza che. 
Si voltò verso la casa e si decise a rientrare. Nonostante l’aria estiva, a quell’altura aleggiava un’aria fresca che la fece rabbrividire.
Rientrando, si fermò giusto per qualche secondo perché intravide Draco alla finestra, intento a leggere con una sigaretta che gli pendeva dalle labbra. I muscoli in tensione erano ben visibili perché non indossava la maglietta. Non riusciva a capire come facesse a non rabbrividire dal freddo.
I suoi avevano ripetuto quella cena che era stata bruscamente interrotta dalla loro prematura dipartita. 
Avrebbe voluto passare più tempo con loro, ma quella partenza non avrebbe significato un addio, non quella volta.
Fece un respiro profondo ed entrò, fece le scale in fretta, stando però attenta a non farsi sentire; non voleva interromperlo.
Una volta entrata in camera, lui era ancora di spalle, voltò la testa quel poco che bastasse per suggerirle che si era accorto della sua presenza, ma non disse nulla.
Hermione fece l’ennesimo respiro profondo e stavolta lo trattenne nei polmoni, cominciò a fare piccoli passi verso di lui, fino a che non riuscì a toccare con la punta delle dita la sua schiena fredda e liscia.
Deglutì pesantemente, come se volesse buttare un giù un enorme groppo in gola che la opprimeva. Era stanca di fingere, stanca di ragionare su cose che non potevano comprendersi razionalmente, almeno fino a un certo punto. Doveva lasciar spazio a qualcos’altro, a qualcosa che si era sempre rifiutata categoricamente di accogliere ma che sempre scalpitava dentro le sue costole desiderosa di uscire fuori. Non riusciva più a controllarla con la mente, perché per una volta il cervello non poteva immischiarsi.
“Mi perdonerai mai?”, la sua voce era rotta per un’emozione sconosciuta.
“Non c’è niente da perdonare, hai solo detto ciò che pensi”, rispose lui dopo un intenso sospiro. Sembrava abbattuto. Era rimasto di spalle, ma non si era scostato al suo tocco. La mano di Hermione continuava ad indugiare piena dietro la sua schiena. Quei muscoli in tensione che aveva intravisto dalla finestra adesso li poteva sentire sotto le sue dita.
“Beh, non esattamente.” Ammise poi lei. “Non intendevo veramente dire che continuo a sbagliare con te e non è vero che non ti conosco, almeno credo. Sento che ho imparato così tanto di te e di me stessa in questi ultimi mesi, mi dispiace se ti ho ferito”.
Quella che parlava non poteva essere Hermione Granger, pensò il Serpeverde. C’era del tremore nella sua voce, ma anche una convinzione che non aveva mai riconosciuto prima in lei.
Tuttavia, lui non volle sembrarle più ferito di quanto non fosse, e non voleva nemmeno ferirla più di quanto non avessero già fatto in passato. Si voltò verso di lei, e si appoggiò con la schiena alla finestra. La mano di Hermione scivolò dalla sua schiena e il braccio tornò accanto al corpo sottile. La ragazza non si allontanò di un centimetro vedendolo girarsi, né lui pretese più spazio per sé di quanto gliene servisse per respirare. Insomma, erano vicini, come tante volte prima di quel momento erano stati. 
“Ero solo incazzato. Mi fai incazzare così tanto…”, glielo disse in un sussurro, piegando la testa verso di lei.
(Mi spezzi il cuore, così tanto).
“Mi fai impazzire anche tu”, rispose lei e Draco si ritrovò a pensare alla curiosa scelta di parole. “Ma forse questo è il punto, mi sento me stessa quando sono con te e quindi forse sono pazza sul serio”.
“Finalmente lo hai capito”, scherzò lui, riuscendo a strapparle un sorriso. Hermione piegò la testa verso il basso, e cominciò ad osservare il resto del suo corpo, fino ad incontrare i piedi che le sudavano per quanto era nervosa.
“Quello che voglio dire è che...”, fece una pausa, incerta se continuare o meno, ma comunque sicura di volergli dire la verità, e volerla comunicare anche a sé stessa, ad alta voce, così che finalmente prendesse forma.
Un altro respiro profondo.
“Sono più me stessa quando sono da sola e quando sono con te ed è infinitamente meglio stare con te che da sola, a volte”. 
Draco era scioccato. La sua espressione non le lasciava molto all’immaginazione ma in quel momento non riuscì a mettersi addosso la sua maschera di freddezza e indifferenza. Gli brillavano gli occhi e non sapeva cosa dire. Aveva bisogno di tempo per riflettere e riuscire a mettere due parole in fila senza risultare uno scemo, doveva trovare le parole giuste.
Ma Hermione aspettava una risposta, era stata così brutalmente onesta con sé stessa e con lui, si era esposta così tanto. E lei non aveva mai pazienza. 
Quindi parlò di nuovo, come a voler spingere nel dimenticatoio le ultime cose che aveva detto senza troppo pensare. Cercò di stemperare la serietà di quella mezza confessione. Era sicura lo avesse spaventato, dopo tutto lui non era mai stato tipo da coppia fissa, e perché avrebbe dovuto proprio cominciare con lei?
Una Grifondoro, una Mezzosangue.  
“Solo per stanotte”, disse quindi e gli occhi di Draco si spensero di nuovo, tornarono scuri, di nuovo. 
Che cosa voleva dire con “solo per stanotte”? Non poteva sul serio suggerire di fare sesso lì, a casa dei suoi. 
Intendeva dire solo questo? tutte quelle parole solo per…
“Stanotte?”, chiese lui, sperando di aver capito male. Sembrava così diversa un momento prima e poi...
“Si”, rispose lei confusa, balbettava in cerca delle parole giuste, il rossore sulle guance dovuto all’eccessiva esposizione di prima la stava mettendo in serie difficoltà, doveva cercare riparo dietro parole ragionate, non poteva lasciare che lui se ne andasse via spaventato dalla sua sincerità.
“Non voglio rimanere da sola, stanotte”. 
(Non lasciarmi mai).
“Ti ricordi quando ho detto che non voglio più giocare? Mi riferivo proprio a questo”, rispose lui, brutale. Hermione lo guardava con occhi lucidi, accesi di un desiderio che non si sarebbe mai potuto estinguere in sola una notte.
“Non giocare con me, Granger, non...prenderti gioco di me”, ripeté sconfitto. 
Hermione non sapeva più cosa pensare. Aveva veramente gettato la spugna con lei? eppure avrebbe potuto giurare che a lui piacesse, almeno fisicamente, e se lui non avesse potuto amarla interamente, come per altro aveva dimostrato con il suo silenzio di poco prima, lei pensò che potesse amare il suo corpo, almeno per una notte. Ma la sua voce gli arrivò così ferma e decisa, che iniziò persino a dubitare del suo stesso fascino.
Draco lo sapeva, ci aveva messo le mani sul fuoco e ne ebbe la conferma adesso, dopo quello che lei gli aveva detto, che era in cerca di un’esperienza da una notte sola. Mesi prima sarebbe stato felice di dargli quello che adesso lei gli stava chiedendo, perché non cercava niente di più, ma prima, guardandola negli occhi, osservando il suo viso parzialmente coperto dal suo corpo e parzialmente illuminato dalla luce di quel sole morente, aveva davvero iniziato a pensare che lei gli avesse dichiarato i suoi veri sentimenti, senza più fingere, a lui, a sé stessa.
Ma Draco era ormai perso, soggiogato dal suo incantesimo mortale e in quel momento lo realizzò davvero. Capì di essere completamente, inesorabilmente perso in lei, così tanto che le avrebbe dato ciò che lei chiedeva senza aspettarsi niente in cambio. Il serpente cambia la sua muta e all’improvviso non è più serpente.
L’amava, dopotutto.
Quindi la baciò, facendo esclamare dalla sorpresa Hermione, deciso a perdersi completamente nel calore di quei baci che non avrebbero significato niente di più che il desiderio di una notte sola, ma che erano pur sempre meglio dell’assenza.
Continuava a risentire le sue mani dietro la schiena, che aveva iniziato quasi a bruciare per l’assenza del suo tocco. Quindi non la lasciò nemmeno prendere fiato, le avrebbe buttato addosso tutta l’irruenza che il suo cuore non riusciva a sopportare. La sollevò ed Hermione intrecciò istintivamente le gambe dietro la schiena, le mani nei suoi capelli. L’appoggiò alla parete e cominciò a baciarle il collo, a succhiare i lobi delle orecchie, a leccare il mento, le labbra, il petto, mentre stringeva possessivamente le gambe per sostenerla. Si schiacciò completamente su di lei, le morse le labbra più volte, lasciandogliele arrossate. Con le gambe della Granger intorno al corpo poté liberare una mano da lì e spostarla in alto, nei suoi capelli, che tirò lievemente e strinse tra le dita. 
Poi Hermione sciolse quella morsa e lui le fece rimettere i piedi a terra, si spogliò da sola, mentre senza neanche guardarla Draco procedette a sbottonare i jeans. La Grifondoro approfittò di quel momento di riacquistata libertà e cominciò a spingerlo verso il letto, avvolgendo le sue braccia intorno al collo e camminando in punta di piedi. 
Lei di nuovo su di lui inerme. 
Hermione non ci pensò due volte, finì di spogliarlo di fronte a lei già nuda e si inginocchiò davanti a lui che trasalì per un secondo prima di accasciarsi completamente tra le lenzuola e cominciare a respirare pesantemente, gemendo di piacere misto a quel dolore che non voleva sapere di andarsene. 
Dopo qualche minuto, che gli parve una vita, la chiamò per nome e si sollevò quel tanto che bastasse per trarla a sé prendendola dalle braccia e portarla sopra di lui. 
“Stringimi” gli rispose lei, a cavalcioni su di lui con le mani abbandonate sul suo stomaco. Gli occhi lucidi dal piacere incontrarono i suoi, malinconici ed eccitati al tempo stesso. Con un gesto lesto Draco la portò sotto di lui, Hermione aprì le gambe istintivamente e lui, altrettanto istintivamente, si abbassò su di lei fino a che i loro corpi non furono nuovamente uniti. Quella vicinanza Hermione l’aveva sognata fin dalla loro prima volta, fin da quando una volta scioltisi i loro corpi avvinghiati, aveva sentito una mancanza pungente che era rimasta con lei fino a quel momento. Ritrovarsi così era tutto ciò che segretamente aveva agognato. Sospirarono entrambi e rimasero per alcuni secondi immobili, godendosi quel ritrovato contatto così intimo che avrebbe potuto demolire qualsiasi ostacolo nelle loro menti. 
Draco la guardò, sosteneva il suo peso appoggiato sul cuscino sotto di lei, mentre Hermione premeva le sue mani sulla schiena per averlo più vicino. Fu quando Draco si abbandonò completamente sul suo corpo e iniziò a muoversi dentro di lei, che Hermione chiuse gli occhi e riprese a baciarlo ovunque la sua bocca capitasse. Draco si sentiva scoperto ogni volta che la lingua della ragazza abbandonava una porzione di pelle per dedicarsi a un altro punto.
La ragazza sentiva il respiro del Serpeverde sul suo collo, e la sua mano sui glutei che lo incitavano ad un’ulteriore vicinanza, per quanto fosse possibile, assecondando il ritmo delle sue spinte. 
“Così?” le chiese, desideroso di darle ciò che voleva, nel modo in cui lo voleva. La stringeva abbastanza? Con che misura poi definire “abbastanza”?
“Si”, gli rispose lei, buttando la testa indietro. 
Le loro mani non riuscivano a stare ferme, si intrecciavano e si separavano, partendo alla scoperta di quei corpi che non si sarebbero mai conosciuti abbastanza, tornavano ad intrecciarsi sui capelli sciolti di Hermione sul cuscino, per poi ricominciare tutto daccapo.
Si lasciarono sfuggire un sorriso quando iniziarono a sentire le molle del letto scricchiolare, Draco sorrideva di un sorriso pieno, non pensando minimamente a fermarsi, mentre le sfiorava la fronte con i capelli che scivolavano davanti agli occhi.
Hermione non pensò al fatto che quella era la prima volta che si amavano senza fare caso alle dovute precauzioni, e a quanto sembrava nemmeno Draco, che si abbandonò dentro di lei non appena la avvertì gemere più forte. Sentirla serrare ancora di più le gambe intorno a lui e stringergli le membra e le ossa, fu davvero troppo. Nonostante quella consapevolezza nessuno dei due ci pensò troppo, consapevoli che al mattino avrebbero rimediato, rimettendo apposto i pezzi di quel puzzle che erano i loro corpi, in quel momento mescolati e avvinghiati così perfettamente da dimenticare dove iniziava e finiva lui e dove lei.
 
 
 
Hermione si alzò prestissimo quella mattina, cercando di non svegliare Draco che giaceva ancora beatamente addormentato al suo fianco. Si vestì in fretta e scese le scale, sperando che i suoi fossero ancora a letto. Uscì di corsa e raggiunse il villaggio lì vicino, entrò in farmacia e chiese un rimedio anticoncezionale. Era così di fretta che sorvolò sullo sguardo corrucciato e inquisitorio della farmacista, poi entrò in un bar e chiese un bicchiere d’acqua, con il quale buttò giù quella pillolina. 
Non era particolarmente preoccupata degli effetti collaterali, anzi, Ginny, che pur essendo una strega si affidava a rimedi supportati dalla scienza, gliene aveva parlato una volta e non le sembrò un rimedio così infausto. E comunque, era sempre figlia dei suoi genitori, la scienza era da sempre stata sua amica.
Una volta buttata giù, Hermione si allontanò dal bancone e salutò cordialmente il proprietario, poi fece la strada a ritroso. Dalla fretta non si era acconciata i capelli né lavata il viso, aveva indossato i vestiti del giorno prima, che aveva ritrovato quella mattina ancora sul pavimento dove li avevano lasciati. Solo sulla strada del ritorno si accorse che stava indossando la sua maglietta, che doveva essersi confusa tra i vestiti che si erano tolti una volta insieme. 
Hermione respirò il suo odore, che si confuse con l’aria salmastra del villaggio e con l’odore dei fiori di campo sparsi sulla collina.
Quando rientrò, trovò la tavola pronta per la colazione, i suoi genitori immersi nella lettura rispettivamente di un libro e del giornale del giorno, e Draco che fumava una sigaretta mentre litigava con il tostapane.
Era tutto quasi perfetto.
Nessuno dei due accennò al discorso della sera prima, troppo timorosi di constatare che effettivamente il tutto si era esaurito lì, ma era chiaro che i loro corpi la pensavano diversamente, perché non fecero altro che sfiorarsi le mani sotto al tavolo per tutta la durata della colazione.
 
 
 
Hermione rispettò la scelta dei suoi di rimanere in Scozia. Erano felici, e adesso anche di più dal momento che si erano ritrovati. Infondo a lei non dispiaceva quella casa, era confortevole, accogliente, calda. Si era poi innamorata delle scogliere, del vento all’apparenza ostile e selvaggio che ben si confaceva ad un animo così ribelle come il suo e alle emozioni palpitanti che non l’abbandonavano dal giorno prima. 
Sentiva che c’era ancora qualcosa che dovevano chiarire, ma era troppo felice e piena di quei momenti condivisi con lui e di quelli condivisi con i suoi, per poter pensare a una cosa che l’avrebbe sicuramente intristita.
Lui non voleva più avere a che fare con lei, ormai lo aveva capito, non voleva pensarci più del dovuto.
Percorsero la strada a ritroso, Draco rimase in silenzio ancora scosso da tutta quell’esperienza e dall’altalena di emozioni che stava vivendo dentro.
“Torna a trovarci quando vuoi Draco, sei sempre il benvenuto qui”, gli disse il padre di Hermione, con ancora la figlia tra le sue braccia.
La madre gli sussurrò piano un “grazie” che forse non avrebbe mai dimenticato. 
Quel grazie lo scagionava da tutte le scelte sbagliato che aveva fatto prima d’ora; forse l’unica scelta sbagliata che rimaneva era al suo fianco, in attesa che arrivasse il treno mentre sbuffava impaziente.
Come sempre.
“Puoi essere triste, sai?”
Prima di salutarsi definitivamente, Draco si era allontanato un po’ dal ciglio della porta, lasciando che la ragazza avesse un momento da sola con loro prima di partire. Immaginava dovesse essere stato straziante, specie dopo mesi di totale assenza.
“Come dici?” Hermione si voltò verso la sua direzione, dopo alcuni minuti passati a fare avanti e indietro sulla banchina del treno.
“Che puoi essere triste”, ripeté lui, stavolta a voce più bassa, come se fosse pronto a condividere la stessa tristezza che assalì anche lui.
“Lo so”, rispose lei, sorridendogli distrattamente.
In quel momento Draco capì che il modo che la Grifondoro aveva di essere triste era completamente diverso da quello a cui di solito era abituato lui, che spesso rimaneva fermo in un punto solo a fissare il vuoto e a versare qualche lacrima silenziosa. Hermione si muoveva, doveva scaricare l’adrenalina del suo corpo in qualche modo, persino quando era triste. Si lasciò sfuggire qualche lacrima sul viso, ma la pulì prontamente. Solo dopo che fece un respiro profondo si placò e ritornò al suo fianco in silenzio, tirando su con il naso.
“Non era un addio”, cercò di rassicurarla.
“Lo so”.
 
 
Hermione aveva promesso che sarebbe passata di nuovo da Jo prima di tornare ad Hogwarts per la ripresa delle lezioni, anche se da casa dei suoi la scuola era più vicina. Stavolta il percorso fino a casa sua non fu così imbarazzante come il primo; Draco riuscì subito a passare ai tornelli della metro, non fece alcun commento alle scale mobili, anche se rischiò di cadere un paio di volte perché si ostinava a sostare sulla scala con la schiena rivolta verso la discesa. In metro poi, aveva ripreso a leggere il libro che si era portato dietro, forse per evitare di iniziare conversazioni sgradevoli, pensò lei. Fu quasi carino, giusto, vederlo in quel contesto senza che si meravigliasse di qualsiasi cosa, come se lo avesse sempre fatto. Per un momento Hermione lo sentì affine, come se venissero entrambi dallo stesso mondo, come se non fossero separati da sciocche regole di sangue e pesanti eredità.
Però quell’incanto durò poco, così come la loro tregua dalle parole.
Raggiunto il vialetto che portava a casa di Josephine Granger, i due ragazzi videro Alister con in mano uno skate che sembrava li stesse aspettando.
“Alister?”
Draco sbiancò, come se fosse stato appena colto a commettere un crimine.
“Che ci fai qui?” il tono di voce di Hermione era scioccato almeno quanto il viso del Serpeverde accanto a lei.
“Ciao Herm!” il ragazzo fece una piccola corsetta per raggiungerli, poi piantò un bacio sulle labbra di Hermione, che non fece in tempo a reagire perché colta di sorpresa. Draco si irrigidì, serrò la mascella.
“Hey Draco”, Alister lo salutò con la solita calma e naturalezza che lo contraddistingueva. Il Serpeverde ricambiò con il sorriso più falso che riuscì a trovare e sollevando la testa in cenno di saluto.
“Che ci fai qui?” Hermione ruppe quel silenzio imbarazzante riponendo la stessa domanda che prima era stata ignorata.
“Ginny mi ha detto che saresti passata da tua nonna uno di questi giorni, mi ha dato l’indirizzo, così ho pensato di venire a trovarti, io abito qui vicino”.
“È il tuo giorno fortunato”, mugugnò Draco ancora più stravolto per la fortuna sfacciata che aveva avuto il Corvonero nel riuscire a beccare Hermione proprio quel giorno, a meno che non avesse tentato nei giorni precedenti, il che lo rendeva ancora più patetico e fastidioso. Ignorava in che termini fossero rimasti, se facessero seriamente o meno, il che lo portò a riconsiderare l’evento della sera prima sotto una luce diversa. Non credeva di essere simile a Weasley in nessun modo fino ad allora.
Hermione non sapeva cosa pensare, se non che mai avrebbe portato un altro ragazzo in casa di sua nonna, specie Alister, che al di là di qualche bacio non aveva mai significato niente di più ed era sicura che per lui fosse lo stesso. 
Non avrebbe retto lo sguardo di Jo mentre passava in rassegna a notare quanto Alister fosse diverso da Draco e ad interrogarla sul perché si mostrava con un ragazzo diverso ogni volta che suonava il campanello. Di sicuro l’avrebbe riempita di battute più che giudizi, ma non era di certo in vena di scherzare.
“Stavo proprio tornando da lei in effetti, ma perché non facciamo un giro nei paraggi prima?” chiese lei, visibilmente in difficoltà e sperando di allontanarlo dalla casa di Jo. Draco la guardò corrucciato, incazzato, triste, come la maggior parte delle volte quando era con lei. 
Solo per una notte. 
Quella ne era l’ennesima prova.
“Tu invece che ci fai da queste parti? Sbaglio o sei molto lontano da casa?” domandò Alister ad un biondino ulteriormente seccato dalla sua aria innocente e per niente gelosa. Si comportava come se lui non fosse per niente una minaccia. Eppure, Draco non disse nulla che avrebbe potuto svelare quello che c’era stato. Non avrebbe potuto metterla in imbarazzo in quel modo, anche se probabilmente un altro giorno in un’altra vita, in quella prima di conoscerla come la conosceva ora, lo avrebbe sicuramente fatto.
“Passavo di qui, devo fare un compito di Babbanologia e mi servivano delle testimonianze”. Praticamente niente di più vero.
“Stavo giusto per andare via, comunque”, concluse poi.
“Come?”, la voce di Hermione era flebile, quasi inudibile. Lui però la sentì e scelse di non risponderle. Non la guardò in viso quando le disse “Salutami Jo”. Poi cominciò ad allontanarsi.
“Ci vediamo a scuola!” gli disse Alister alzando la voce per raggiungerlo un’ultima volta.
Hermione non riuscì a dire nulla.
Non appena fu sicuro di non avere babbani intorno, Draco si smaterializzò direttamente nelle stanze Serpeverde.
Diede calci ripetuti a una sedia che aveva intralciato il suo cammino nervoso, poi si buttò a terra con poca grazia e rimase a fissare il soffitto con il braccio sulla fronte.
“Chi è Jo?” le domandò Alister.
Hermione guardava in lontananza al punto dove si era smaterializzato.
Mentì.
“Solo un amico”.

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Capitolo 11
*** Il Lago Nero ***


Eccomi di nuovo! Mi scuso per il ritardo, è stata una settimana di fuoco.  Capitolo un po' di passaggio, me ne rendo conto, ma era necessario per risolvere alcune cose lasciate in sospeso nei capitoli precedenti. Molte cose che erano destinate a questo capitolo sono nel precedente, ecco il motivo della lunghezza diversa, ma per una ragione di filo narrativo ho preferito spezzare i capitoli in questo modo. Ricordo che il prossimo è quello conclusivo, e poi ci sarà un breve epilogo. 
Ringrazio di nuovo le persone che seguono Muggle Studies, chi si è aggiunto da poco e chi invece la segue fin dall'inizio. Siete davvero tantissimi. Grazie. Spero che questo piccolo pensiero vi piaccia!



 
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Muggle Studies

11
 

There's things I wanna say to you, 
but I'll just let you live
You make me mad, on fire again
 
 


Una volta tornata ad Hogwarts, Hermione fu praticamente placcata dalle sue amiche dopo la prima cena nella Sala Grande che aveva inaugurato il rientro degli studenti. Avevano saputo da Alister che era stata insieme a Draco, ma ignoravano i dettagli, perché comunque nemmeno Alister li conosceva. Quel pomeriggio in cui si ritrovarono vicino al vialetto della nonna, Hermione lo obbligò senza troppe cerimonie a fare un giro in centro, con la speranza di allontanarlo da lì. Alister non faceva molte domande, prendeva le cose così come arrivavano, a prescindere se fossero negative o positive. Ad Hermione piaceva quel suo spirito, ma quel pomeriggio si accorse che non era abbastanza. E avrebbe tanto voluto lo fosse.
Perciò, una volta che furono sole nel dormitorio delle Corvonero, Hermione raccontò tutto, sembrava un fiume in piena. Ivy e Gracie non dissero nulla per tutta la durata del racconto perché desideravano ardentemente cogliere ogni dettaglio che riuscisse a mettere ordine a quel disordinato puzzle che erano lei e Draco.
“Ed è successo tutto questo in due settimane?”
“Perché non ci avevi detto dei tuoi?”
“Avremmo potuto aiutarti”
“Quindi con Malfoy cosa succederà?”
Hermione fu letteralmente travolta da una lunghissima serie di domande a cui non riusciva effettivamente a dare una solida risposta. Non aveva idea di cosa sarebbe successo, Draco non le aveva minimamente rivolto uno sguardo in Sala Grande, e nemmeno durante i giorni successivi, quando si incontrarono per sbaglio nei corridoi o durante le lezioni che avevano in comune. Aveva sentito dire da voci di corridoio che il suo compito su Babbanologia aveva lasciato la professoressa Reynards esterrefatta, ma ne ignorava le motivazioni e il contenuto del suo report. Era sicura però che non aveva minimamente fatto cenno alla situazione con i suoi genitori, infondo poteva dire di conoscerlo almeno un minimo e lui, il Draco che conosceva, non le avrebbe mai fatto una cosa del genere, né avrebbe reso pubblica una cosa così privata e intima come quella che aveva vissuto una settimana prima.
I contatti con i suoi genitori non erano mancati, praticamente li telefonava quasi ogni sera prima di scendere a cena, e poi portava i segni di quella felicità sul viso anche le ore successive. Praticamente su quei corridoi non metteva più piede, perché si sentiva come se camminasse su un filo d’aria invisibile che la sollevava da terra. 
In ogni caso, anche se la Grifondoro non seppe come rispondere a tutte quelle domande, Ivy e Gracie le giurarono non avrebbero detto nulla ad Alister, anche perché non poteva trattarsi di un tradimento, dal momento che entrambi i ragazzi avevano concordato sulla scioltezza di quella specie di relazione che forse poteva anche non definirsi tale.
Tenere il segreto infatti, non riguardava il fatto di proteggere Alister dalla verità, quanto piuttosto l’amicizia che le legava e il supporto eterno che lei avrebbe potuto trovare in loro.
Così, mentre la scuola si preparava ad affrontare gli ultimi mesi degli studenti del settimo anno, le tre amiche ripresero le lezioni e le attività quotidiane e non tornarono più sull’argomento, consapevoli, Ivy e Gracie, che la Grifondoro aveva bisogno dei suoi tempi per arrivare alla soluzione che loro stavano iniziando a scorgere in lontananza.
 
 


Era un caldo primo pomeriggio di metà luglio quando Hermione si stava dirigendo di corsa al campo di Quidditch stando attenta a mettere un piede davanti all’altro senza inciampare tra le buche nel terreno. Ivy e Gracie erano ancora a lezione di Pozioni e per la prima volta la Grifondoro aveva propinato una scusa a Lumacorno per uscire prima, perché sapeva che in quel momento c’erano gli allenamenti della sua casa e non doveva assolutamente perderli. E comunque, Lumacorno la teneva ancora sul suo personale altarino d’oro degli studenti più brillanti di Hogwarts, specie dopo la questione della clessidra, per la quale comunque era stata tutta colpa di e tutto grazie a Draco se poteva godere di quelle lodi e di quei benefici. A lezione lui non c’era proprio andato. Lei ovviamente ignorava il perché, dal momento che i motivi di un Serpeverde erano e restavano di un Serpeverde grazie alla loro capacità di agire senza che nessuno si accorgesse di qualcosa e quindi che facesse domande. Ma nonostante la sua curiosità innata, decise di non indagare oltre. 
Non intendeva darsi da pensare ulteriormente a una cosa che la faceva stare male. In quei giorni passati in totale silenzio e indifferenza, gli sembrò di aver fatto un balzo nel passato a qualche anno prima, quando non erano ancora quello che sono poi diventati, uno stato d’essere che rimaneva comunque poco chiaro.
Tutti questi dubbi però, non le stavano impedendo di invertire la rotta lontano dal campo di Quidditch, d’altronde, la Grifondoro aveva ancora qualche conto in sospeso da sistemare. 
Una volta giunta al campo, vide Harry e Ginny sospesi in aria poco più in alto rispetto al terreno, sorridevano e scherzavano da una scopa all’altra. Ron invece era vicino alle porte e conversava con altri membri della squadra.
Quando la Grifondoro fece gli ultimi passi che la separavano da loro, i due ragazzi scesero giù dalle scope dopo una veloce occhiata complice. Avevano cambiato completamente espressione. La ragazza pregò mentalmente che Ginny non avesse raccontato nulla al suo migliore amico.
Ginny però non disse nulla, in quel momento lì davanti a lei. Harry fece qualche passo avanti e la salutò con un cenno del capo.
“Facciamo quattro passi, ti va?”
Hermione era incapace di dar voce alle sue parole tanta era l’agitazione, perciò annuì e cominciò a seguirlo, allontanandosi da Jinny e dirigendosi verso gli spalti.
“Come sono andate le vacanze?”, Harry ruppe il silenzio.
“Bene, ho rivisto i miei genitori”, rispose lei sincera. Gli occhi chiari di Harry si illuminarono per un secondo. Sapeva che la sua compagna aveva dovuto allontanarli dalla battaglia in qualche modo, ma lei non volle mai parlarne troppo e lui non chiese più spiegazioni di quelle che lei voleva concedere. Sapere che si erano finalmente ritrovati gli infuse gioia.
“Ascoltami Harry io non...”
“So tutto”, la interruppe lui.
“Che vuoi dire?” Hermione sbiancò, e lo guardò in cerca di risposte. Ginny gliene aveva parlato?
“Ginny ti ha...”
“No, l’ho capito da solo”. Harry si sedette accanto a lei, posando la scopa al suo fianco. 
Il sole splendeva ancora alto e gli illuminava i volti pallidi.
“Prima delle vacanze a stento ci rivolgevi la parola, poi da quando hai rotto con Ron sei diventata ancora più strana, non era raro sorprenderti in corridoio con Malfoy e poi a lezione di Pozioni e alla cena del Lumaclub. Eravate… strani”.
Hermione quasi sorrise a quell’affermazione. Il modo che Harry aveva di definire comportamenti più intimi con la parola “strano”, gli ricordava il timido ma coraggioso ragazzino che aveva conosciuto il primo anno ad Hogwarts. Non aveva perso quell’aura da ragazzino sensibile e attento a quello che lo circondava. Era rimasto puro.
“Mi odi, non è così?”, nel porgergli quella domanda Hermione abbassò lo sguardo alle sue sneakers.
“Certo che no, Herm”, rispose prontamente lui, mettendole una mano sulla spalla. 
Ci fu qualche secondo di silenzio in cui forse entrambi stavano pensando a come continuare quel discorso abbastanza complicato.
Poi la Grifondoro emise un lungo sospiro e si decise a rompere quel silenzio assordante.
“Prima della guerra avevo obliviato i miei…”
“Herm..”
“Dopo la vittoria non sono riuscita a riportarli com’erano. Dra..Malfoy mi ha aiutato a cercare una cura”
“Malfoy?”
“Si, è stato con me durante le vacanze, abbiamo riportato indietro i miei e adesso stanno bene”.
Harry non sapeva cosa dire, né cosa pensare. Dopo qualche minuto, passato a fissare la sua scopa, riprese il discorso.
“Perché non ce l’hai detto? Avremmo potuto aiutarti”.
Hermione iniziò a riflettere meglio su quell’affermazione. In effetti, oltre alla realizzazione di sentirsi effettivamente “al sicuro” nel confidare i suoi segreti più intimi a Malfoy, non aveva mai riflettuto sul perché non avesse voluto coinvolgere i suoi più vecchi amici. 
Il fatto era che raramente Hermione, se non costretta dalla mortalità della situazione, reagiva d’istinto. Ma tutto quello che l’aveva portata faccia a faccia con Draco raramente includeva la logica. E questo per lei era stato un bene, i cui effetti li stava riconoscendo lentamente. Il fatto di non averglielo detto era più o meno dovuto alla sua esigenza di libertà da vecchie costrizioni e dinamiche che aveva scelto, certo, ma che ultimamente le stavano scomode. Ma in nessun modo voleva ferirli. Eppure sembrava che avesse fatto solo questo.
Quella realizzazione la centrò in pieno petto.
“Non ve l’ho detto per un motivo in particolare. È solo che...”
“Ti sei fidata di lui, lo capisco”.
“Davvero?”
“Si, Hermione, quello che non capisco è perché non ci hai detto niente”.
“Credevo non avreste capito”.
“Beh, in effetti non capisco…state insieme o...?”
“No! Non stiamo insieme...è complicato”
“Allora è peggio di quanto credevo”, scosse la testa e sorrise di fronte all’evidenza che la sua migliore amica si ostinava a negare.
“Ti sei fidata di lui, Herm, e non dico che non sia una buona cosa, sapevamo che non era completamente passato dalla parte della sua famiglia, e ci vuole coraggio a virare così tanto dalla parte opposta. Lo rispetto.”
“Stai bene?”, scherzò leggermente Hermione, riuscendo a strappargli un sorriso e a stemperare quel tono solenne.
“Si, scema. Volevo solo dire che lo rispetto, ma non per questo potremmo diventare grandi amici”
“Non pretendo questo, infatti”. Mentì, le sarebbe piaciuto che anche gli altri abbassassero le difese e abbracciassero il cambiamento che lei e Draco avevano iniziato a portare tra quelle mura antichissime, fatte di leggi e tradizioni ormai non più praticabili.
“Bene”.
Il silenzio scese di nuovo, ma solo per qualche secondo. Harry si alzò e riprese la scopa.
“Ti ha perdonata, sai? Ginny, intendo”.
Hermione sorrise e guardò in lontananza verso il campo di allenamento.
“Come sta Ron?”
“Al solito, sempre con la testa per aria”, concluse Harry.
Hermione si alzò con lui e tornarono insieme sul campo. Dopo un breve sguardo di intesa si salutarono. Harry si mise a cavallo della scopa e riprese l’allenamento.
Si sentiva più leggero. Una volta raggiunto Ron tra i due pali, questi gli si avvicinò.
“È felice?” gli chiese, un po’ timidamente.
Harry guardava la sua amica allontanarsi dal campo di Quidditch e riprendere la salita che riportava al ponte.
“Sai com’è fatta”, rispose lui con una scrollata di spalle, “non ha mai avuto tempo per esserlo, e come possiamo biasimarla... ma penso lo sia, si. Adesso è felice”, decretò alla fine il sopravvissuto.
Gli unici a non vederlo erano loro due.
 
 


I Serpeverde avevano tardato con l’allenamento, perché volevano aspettare che i Grifondoro uscissero dal campo e allenarsi da soli. Quella sarebbe stata l’ultima partita della stagione, e perciò la più importante e non volevano spie intorno. Draco perciò percorreva il sotterraneo a tarda ora, ancora vestito con la tuta della squadra, ma era troppo pigro per rientrare nel suo dormitorio e cambiarsi. D’altronde, partecipare a quella specie di falò sul lago nero in onore della quasi chiusura dell’anno non lo allettava per niente. Aveva passato quelle settimane quasi in totale isolamento. Ogni parola lo disturbava, se non quelle delle lezioni, alle quali doveva per forza prestare attenzione. Ma tutto il resto era superfluo. Era ancora accecato dalla rabbia per poter riprendere a vivere come se niente fosse e chiudere quel capitolo che vedeva la Grifondoro come assoluta, incontrastata protagonista. 
A pensarci bene, più che di rabbia si trattava di delusione, accompagnata da una profonda tristezza, così profonda che era riuscito a fare piazza pulita di tutti i fantasmi con cui parlava volentieri ad Hogwarts; persino Mirtilla Malcontenta, con cui aveva legato durante il sesto anno, gli disse che era triste e lamentoso persino più di lei. Comunque, una festa poteva sempre fargli comodo per svagarsi un po’, o almeno avrebbe tentato.
Stava percorrendo il corridoio buio di un sotterraneo che lo avrebbe portato direttamente sulla riva del lago, quando sentì un rumore sospetto provenire alle sue spalle. Il corridoio era talmente buio che aveva dovuto utilizzare un lumos che gli indicasse la via, così, con ancora la bacchetta illuminata si voltò di scatto e scorse la Granger nella sua stessa posizione, con la bacchetta spiegata in avanti.
Sobbalzarono entrambi per quella vicinanza improvvisa, che nessuno dei due, per la prima volta aveva cercato. 
Draco avrebbe giurato di aver sentito delle voci lungo quell’immenso tunnel buio, alcuni schiamazzi e risate tra chi aveva preferito fare il percorso a divertirsi e a fare scherzi approfittando dell’oscurità. Lui invece camminava da solo e a giudicare da quella presenza accanto a lui, la Grifondoro aveva deciso lo stesso.
Dopo quel sussulto sorpreso, Draco abbassò leggermente la bacchetta ed Hermione fece altrettanto.
Non dissero nulla, lui riprese a camminare lasciandosela alle sue spalle, ma i suoi passi poteva riconoscerli tra mille. Aveva iniziato a stargli dietro per non perdere la luce che emanava la bacchetta del Serpeverde.
“Non è successo niente..con Alister”, disse Hermione, e non sapeva nemmeno perché sentisse il bisogno di dirglielo.
(“È successo tutto con te”).
“Non ti devi mica scusare, non ne voglio sapere”, gli rispose lui, camminando senza voltarsi un attimo verso di lei, che nel frattempo lo aveva raggiunto con grandi passi e adesso stava camminando accanto a lui. 
“Non mi sto scusando, volevo solo dirtelo”.
A quel punto Draco si fermò di colpo, spostò la bacchetta verso il suo viso, illuminandoglielo. Hermione si fermò assecondando i suoi movimenti e rimase a guardarlo, nonostante quella luce le pizzicasse leggermente gli occhi.
“Okay”, le rispose poi, senza aggiungere altro. 
Erano vicini all’uscita del tunnel, da lì si intravedevano le luci del falò e gli schiamazzi degli studenti erano più squillanti e vicini.
Draco abbassò la bacchetta e la spense, poi si allontanò svelto da lei senza aggiungere altro. 
Hermione pensò che quella sarebbe stata una notte lunga. Riprese a camminare dopo che lo sentì abbastanza lontano, e raggiunse gli altri intorno a uno dei fuochi posizionati sulla riva.
 
 
 

Aveva salutato distrattamente Ginny vedendola arrivare, era rimasta tutto il tempo con Ivy e Gracie, che però erano concentrate rispettivamente su Pepper e Morgan e perciò non erano molto di compagnia. Buttò giù una quantità significativa di alcool mentre rimase seduta vicino al fuoco e osservava ballare alcuni studenti lì vicino che in quel momento non riusciva ad identificare perché parzialmente ubriaca.
Di Draco neanche l’ombra. Dopo quella constatazione si diede dell’idiota. Lo aveva cercato con lo sguardo numerose volte senza nemmeno accorgersene. 
I falò sulla riva erano tanti d’altronde, e probabilmente lui si era nascosto per bene alla sua vista. Ma poi, cosa pensava? Perché doveva nascondersi? E lui sinceramente non le sembrava tipo che si potesse nascondere. Non aveva niente di cui vergognarsi, comunque. Era lei quella da biasimare, che lo attirava e lo respingeva in base a come soffiava il vento. Doveva smetterla.
“Dobbiamo smetterla”, disse poi a bassa voce. 
Si sollevò con poco equilibrio, ed avanzò verso la riva con le gambe che le tremavano leggermente per l’eccessivo alcool.
Tutto sembrava sfuocato intorno a lei. I suoi jeans si bagnarono alle caviglie quando entrò in acqua; il suo top e i suoi capelli ricevettero qualche schizzo da alcuni ragazzi che giocavano lì vicino. Sentiva che tutta quella felicità intorno a lei non le appartenesse del tutto.
“Hey Herm, tutto ok?” Alister gli si avvicinò con una corsetta. Era sempre sorridente. La Grifondoro era sicura non c’entrasse l’alcool, in quel sorriso. Lui era fatto così.
Hermione si voltò, lui era già accanto a lei e guardava quei ragazzi bagnarsi dalla testa ai piedi.
“Dici che dovremmo entrare anche noi?” gli propose guardando alcuni studenti che si erano appena gettati in acqua e avevano cominciato a schizzarsi e a fare immersioni in quelle profonde acque nere.
Hermione lo guardò ma non gli rispose.
Alister allora si voltò verso di lei.
“Ti senti bene?”
“Si, io..senti Alister non so se tu..”
“Se sono ubriaco? Si, decisamente. Ma sono ancora in grado di capire cosa succede”. Quell'affermazione la lasciò basita.
“Mi dispiace”, disse poi, dopo alcuni secondi spesi a guardarsi in cui entrambi misero meglio a fuoco la situazione.
“A me no. Insomma, è stato forte, no?”
Hermione ci pensò bene ed in effetti Alister rappresentava la prima cosa bella in cui si era tuffata perché lo voleva, senza subire pressioni.
Aveva ragione, era stato forte.
“Decisamente”, concordò lei.
“Allora, che dici..ci buttiamo?”
“Si”.
Entrarono in acqua che erano qualcosa di indefinito, ne uscirono da amici.

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Capitolo 12
*** La Differenza ***


Eccomi qui con l'ultimo capitolo! Il prossimo sarà l'epilogo e arriverà davvero la fine!
Non so davvero cosa dire, se non che sono felicissima di essere arrivata fino a qui e che spero questa storia vi abbia tenuto compagnia come l'ha tenuta a me scrivendola. Un pezzo che leggerete durante il capitolo verrà forse chiarito meglio in una one shot che scrissi un po' di anni fa e che sto adattando alla storia perché senza accorgermene avevo creato alcune situazioni che qui si sono dispiegate completamente.
BUONA LETTURA.



 
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Muggle Studies 


12.
 
 
Used to talk about where we'd be 
and where we'd go
Now we know
Is it safe to just be who we are?
 
 
 
Poteva sentire il fumo della sigaretta bruciargli gola e polmoni. Aveva perso il conto di quante ne aveva fumate ma ormai era certo il numero fosse oltre a quello solito, che comunque era tanto. Era seduto al falò insieme a qualche suo compagno Serpeverde, ma non il solito gruppetto con cui bighellonava ogni tanto; Astoria era completamente presa da Leo, facendogli intuire che quelle due settimane di vacanza avessero giovato a entrambi. Blaise si era da poco fidanzato “ufficialmente”, così diceva, il che significava aver fatto disperare la metà delle ragazze di Hogwarts. Comunque Draco non avrebbe scommesso nemmeno un galeone in suo favore, era sicuro che nel giro di un mese tutto sarebbe tornato normale. Questa speranza però non l’aveva per sé stesso. 
Era uscito da quel tunnel in fretta e furia perché non sapeva cosa dirle, perché non voleva risponderle e perché infondo non voleva ricascare ai piedi di quegli occhioni color cioccolato. Scappare era praticamente l’unica soluzione plausibile, ormai aveva toccato il fondo. Ma quell’antico senso di vergogna che lo aveva così tanto perseguitato qualche anno prima, era del tutto scomparso. Non provava ribrezzo per come si era ridotto, né voleva disonorare i suoi sentimenti ancora a lungo, aveva finito con il crocifiggersi da solo. Da lì in poi avrebbe semplicemente preso atto del fatto che quella condizione, l’innamoramento, sarebbe stata una cosa passeggera se non alimentata. E come poteva esserlo, visto che l’unico soggetto di quell’amore era così lontano da lui e neanche era a conoscenza di ciò che provava. 
Infondo, seppur cambiato, un briciolo di orgoglio gli era pur sempre rimasto, non si sarebbe mai esposto al rischio, ormai molto probabile, di non essere ricambiato. Perché prendere un due di picche quando poteva semplicemente evitare di giocare? È quello che avrebbe fatto, sarebbe stato lontano dai giochi, tanto ormai gli unici modi impliciti attraverso cui si era espresso con lei, non erano stati colti positivamente. Draco Malfoy aveva perso la sua partita per l'ennesima volta. 
Divertente la coincidenza che si mostrò ai suoi occhi non appena finì di pensare alle battaglie perse. Il prescelto gli stava venendo incontro e praticamente in confronto a lui Draco era un perdente e uno sfigato nato, accecato dalla luce che il sopravvissuto emanava. Essere un antieroe faceva schifo. 
Draco si alzò barcollando un po’. Prese una bottiglia di non sapeva cosa e iniziò a seguire Harry, che nel frattempo aveva superato il suo falò e sembrava dirigersi verso un punto indefinito in disparte.  
“Che vuoi?” fu lui il primo a parlare. Non aveva idea del motivo per cui adesso gli ronzavano intorno così tanti Grifondoro, dal momento che l'unica Grifondoro che voleva non c'era.
“Si può sapere che stai combinando?”, Harry aveva tutta l’aria di uno che aveva bevuto e che adesso voleva provocare.
“Ma di che cosa stai parlando?” Draco buttò giù un sorso di quello che apprese fosse weaskey. Non andava nemmeno matto per quel tipo di alcolico ma in quel momento avrebbe preferito bere persino fuoco piuttosto che continuare a parlare con lui, che più che altro invece che parlare aveva già iniziato ad accusarlo di chissà cosa.
“Senti, giuro che se anche provassi a farle del male questa è la volta buona che ti ammazzo”.
Senti, non ho idea di che cosa cazzo tu stia parlando e smettila di puntarmi la bacchetta addosso, non sei nemmeno lucido, rischi seriamente di cavare l’occhio a qualcuno”, lo schernì Draco.
“Non sai di cosa parlo? Allora spiegami, quello cos’è?”, Harry indicò con la bacchetta un punto non molto lontano in cui Hermione Granger era bagnata dalla testa ai piedi, completamente vestita, rideva e scherzava con alcuni studenti di Corvonero, ed era vicinissima ad Alister. Una vicinanza che ovviamente Potter trovò insolita. 
“Vallo a chiedere a lei, a me sembra sia solo ubriaca, come te”. 
“Malfoy ti avverto, se scopro che lo sta facendo per farti incazzare e poi è l’unica che soffre ti giuro che io...”
“Stanno insieme, pezzo di idiota”, chiarì subito il Serpeverde interrompendolo. Buttò giù un altro sorso perché quella conversazione era veramente assurda. 
“Cosa?”
“Già”.
“Vuoi dire che tu e lei non…?”
“No, cazzo, no! Abbassi questa bacchetta adesso? Altrimenti giuro che la spezzo e la butto nel lago”. 
Harry abbassò la bacchetta, ma aveva le idee più confuse di prima. Hermione non gli aveva parlato del ragazzo con cui adesso sembrava se la stesse spassando a suon di risate e bevute. Non l’avrebbe mai capita del tutto, quella ragazza. E non avrebbe mai capito Malfoy, che era rimasto in attesa che lui dicesse qualcosa. Sembrava avesse voglia di creare scompiglio, e per quanto lo riguardava, lui era così ubriaco che probabilmente avrebbe ceduto alle provocazioni del Serpeverde come mai aveva fatto prima d’ora.
“Siete davvero impossibili”, decretò poi, con la tipica solennità da sopravvissuto.
“Cosa? lei ti ha detto...?”
“Mi ha solo detto che l’hai aiutata con una faccenda privata, ma il resto si capisce da solo, andiamo guardatevi”.
Draco si sentì offeso. Cosa c’era da guardare? La sua follia era ormai nota a tutti? Quella faccenda avrebbe finito per metterlo sicuramente in ridicolo e lui non stava impedendo che succedesse, il che era l’ennesima prova di quanto effettivamente fosse cambiato e di quanto poco teneva all’opinione degli altri. Questo però pensandoci meglio, era sempre stato un suo pregio, perché mai dall’alto della sua superiorità si era preoccupato dell’opinione altrui. I suoi sentimenti e la sua forza interiore che aveva dimostrato negli ultimi mesi non avevano fatto altro che accrescere questa distanza tra lui e le malelingue, che era sicuro ci sarebbero sempre state e che quindi non avrebbe potuto comunque ostacolarle. Tanto valeva essere semplicemente sé stesso. 
“Cosa ci sarebbe da guardare? È con lui che scopa, in ogni caso”.
“Malfoy! Ti prego, non scendere in questi particolari, è della mia migliore amica che stai parlando”.
“Già, sto pur sempre parlando con un Grifondoro, che cosa pensavo?”, rispose lui ironicamente. Harry gli rivolse un’occhiataccia che però Draco finse di non cogliere, poi sprofondarono in un religioso silenzio.
“Senti, non so cosa sia mai successo tra voi, né ci tengo a saperlo, ma mi sembra felice”.
“Ci credo, guardala, è così sbronza che non mi stupirei se svenisse adesso”, nel dirgli questo Draco non distolse nemmeno per un secondo lo sguardo dalla Granger. A quel gruppetto si erano aggiunti anche Ginny, Astoria e Leo. 
“Non parlo di com’è in questo momento, idiota”.
Draco era incerto se continuare. Rimase un momento in silenzio, ma poi, vinto dalla curiosità e visto che ormai lo sfregiato sembrava fosse a conoscenza di tutto, si morse un labbro e poi parlò.
“Ti ha..ti ha detto qualcosa? Di me intendo?”. Non credeva che un giorno avrebbe mai fatto questa domanda a qualcuno, lui che delle sue questioni sentimentali se la sbrigava da solo. E soprattutto non c’erano mai questioni sentimentali, solo puramente fisiche. Era proprio arrivato alla frutta.
“Tu si che ci sai fare con le ragazze, eh Malfoy?”, Harry gli rispose ironicamente, perché quello che aveva davanti non poteva essere sul serio quel Malfoy di cui quasi tutte le ragazze a scuola bisbigliavano sottovoce il nome ridacchiando e arrossendo.
Notando che non ricevette alcun insulto dal Serpeverde, continuò.
“Non mi ha detto nulla, te l’ho detto, mi ha solo parlato di quello che hai fatto per i suoi genitori, ma era..strana, capisci che intendo?”
“No, non capisco Potter”, ed era la verità. Ignorava cosa IL Grifondoro per eccellenza volesse dire con “strana”.
“Quel tipo di strano lì, Malfoy. Lo sei anche tu proprio in questo momento, avete la testa altrove, gli occhi che vi brillano, sembrate due scemi”. 
Alla faccia della sincerità, pensò Draco.
“Anzi, per la verità lo scemo mi sembro io che sto qui a parlare con te di queste cose”, continuò poi.
“È felice, Malfoy. A giudicare da questa scena non so dire se sia felice per te o per quell’altro tipo, come hai detto che si chiama?”
“Alister, Potter. Lo conosci da sette anni”.
“Ah, già. Mi sembra un bel tipo”.
“Insomma che ci fai ancora qui?”, era ormai fin troppo ubriaco e spazientito per poter continuare quella specie di conversazione con lui. La prima pacifica conversazione che ci fosse mai stata tra loro.
“Solo a controllare che non fossi stato il motivo per cui si è sbronzata così malamente ed è in braccia sbagliate”, Harry gli disse tutto questo in modo serissimo, non sembrava più nemmeno così ubriaco come quando aveva iniziato quel discorso apparentemente privo di logica.
“Ma chi sei la posta del cuore? Fila via”, Draco lo mandò via senza nemmeno voltarsi. Lo guardò solamente quando lui cominciò a fare dietro front ed era ormai di spalle.
Odiava ammettere che qualcun altro avesse ragione e lui torto, ma quello che forse odiava di più era che fosse proprio il sopravvissuto ad avere ragione.
Tornò con lo sguardo su Hermione e si accese una sigaretta. Non aveva mai pensato all’eventualità che Alister fosse solo un ripiego. Ma d’altronde perché avrebbe dovuto pensarlo? Nessuno dei due si era tecnicamente fatto avanti e nessuno dei due aveva tecnicamente rivelato i propri sentimenti.
La cosa che adesso lo faceva sorridere amaramente era che all’inizio di tutta quella storia, il loro rapporto era sempre stato cristallino. Gli insulti e i sospetti e i pugni in faccia non erano mai velati, al contrario, sempre esplicitamente palesati. Così come erano stati sinceri la sera del Ballo del Ceppo, e quelle a seguire. Non gli era chiaro da che momento in poi avevano smesso di essere totalmente sinceri e cristallini l’uno con l’altro. Che Alister fosse il risultato di quel nebuloso rapporto e di quella mancata chiarezza? 
Non poteva saperlo con certezza e mai avrebbe indagato. Era stanco, la Granger era libera di fare ciò che voleva, se la faceva stare bene. D’altronde, fu proprio quello che lui le disse la sera del loro primo bacio, quello che Draco quasi subì come un attacco e una sorpresa, quello che meno si aspettava ma che più agognava.
Di fronte a quella consapevolezza, arrivò alla fine del filtro della sigaretta, e si rese conto che seppure lei fosse felice e seppure quella felicità non fosse dovuta a lui, Draco non avrebbe mai potuto avercela con lei, anche nonostante tutte le scelte sbagliate che lei aveva preso, anche se la scelta più sbagliata di tutte fosse stata proprio lui.
 
 
 

Ormai mancavano solo alcune settimane prima della fine delle lezioni di Rune Antiche, alle quali sarebbero seguiti gli esami finali, ed Hermione, che in quella disciplina (e non solo) era la prima della classe, non voleva assolutamente perdersi nemmeno l’ultima delle nozioni che aveva da divulgare la professoressa Babbling. La verità era che per quanto il suo spirito da perfetta e puntuale studentessa non tardasse mai a palesarsi quando si trattava di studiare, concentrarsi sulle lezioni era l’unico modo che aveva per non pensare all’unica cosa che ultimamente le occupava prepotentemente i pensieri. Non aveva più parlato con Draco dall’ultimo incontro nel tunnel, quella volta in cui pur di parlargli gli aveva detto la prima cosa che le era venuta in mente. Quel silenzio la torturava lentamente e le lasciava sempre la gola secca. 
Tornò a concentrarsi sulle rune, cercando di non volgere lo sguardo alla finestra e alla bella giornata che si proiettava sulle vetrate. L’esercizio del giorno consisteva nell’estrarre cinque rune, ognuna delle quali rappresentava una fase di un percorso. All’inizio dell’estrazione, ogni studente doveva tenere a mente un percorso in particolare, sia uno appena terminato, sia uno appena cominciato o in corso. Dopo l’estrazione sarebbe avvenuta la lettura e l’interpretazione. I pensieri di Hermione arrivarono a un giorno lontano. Pioveva, e nonostante l’acqua scrosciante che si abbatteva sui muri aveva deciso comunque di uscire. Era l’ora di cena, tutti erano in Sala Grande. Ginny l’aveva spronata a scendere con lei, ma optò per rimanere nella sala comune, fino a che quel pensiero irruento non le suggerì di uscire.
Si spinse oltre il ponte, e si fermò poco prima della casa di Hagrid, sull’altura circondata da quei massi di pietre altissime che poi l’anno successivo furono rimosse perché dichiarate pericolanti.
Era il quarto anno ed Hermione aveva quattordici anni e le idee un po’ confuse. Ripensando a quell’anno, ricordava distintamente i sentimenti ancora indefiniti ma pur sempre profondi che iniziavano a tessere un filo sottile verso il cuore di Ronald. Ricordava il dolore provato al suo primo Ballo del Ceppo, le lacrime versate in cima alle scale, lo sguardo colmo di imbarazzo e di sdegno di Malfoy.
Ripensò a Malfoy. 
Nonostante la giovane età, sembrava un fiore che aveva appena finito di spiegare i suoi petali chiari e algidi. I lineamenti del viso erano ancora leggermente arrotondati ma era già molto alto e longilineo, le braccia toniche, le spalle larghe e salde, non ancora gravate dal dolore. Entrambi conoscevano i fronti su cui si sarebbero un giorno schierati. Erano l’uno contro l’altro da un po’ di tempo, l’anno prima gli aveva persino piazzato un pugno in pieno viso facendolo sbattere contro una di quelle grandi pietre ora inscurite dalla pioggia fitta. Eppure, era da un po’ di tempo che non la chiamava mezzosangue, quel nome spregevole che l’aveva definita e confinata in una posizione scomoda, in un posto buio e freddo dove dimorava la sua paura di non essere mai abbastanza, di essere per sempre bloccata nel suo stato di natura. Nel fango. 
Lui però aveva smesso e lei era tornata invisibile. Solo che lui invisibile non lo era per niente. Hermione diciassettenne si ricordò della prima volta in cui si accorse della differenza. Erano a lezione di volo e le posizioni sulle quale si stavano esercitando richiedevano perfetto equilibrio ma anche velocità e destrezza. Se avesse chiuso gli occhi avrebbe potuto chiaramente rivederlo in quella giornata assolata. La maglietta grigia a maniche corte aveva sostituto la solita camicia con lo stemma per il troppo caldo e i muscoli delle braccia crescevano più solidi a mano a mano che la sua presa sulla scopa si faceva più salda. Se avesse chiuso gli occhi avrebbe potuto chiaramente rivederlo sulle rive del lago nero insieme ai suoi amici, ridere e fumare durante una pausa dalle lezioni. Era inverno, lei Ron e Harry erano seduti poco più lontano, alle prese con i libri. Krum si stava allenando proprio lì vicino e qualsiasi passo o movimento compisse generava i lunghi e profondi sospiri di alcune studentesse che erano lì solo per vederlo allenarsi. 
Draco e i suoi compagni erano del tutto estranei a quella dinamica imbarazzante, alla quale invece assisteva Ronald, con lo sguardo contrito e con l’aria di chi non avrebbe avuto alcuna speranza con le ragazze.
Hermione guardava in direzione di Krum, ma in realtà osservava chi c’era dietro. Draco aveva questo modo di fumare che seppur solo quattordicenne, emanava un fascino magnetico e paralizzante. Il modo che aveva di sollevare il collo mentre rideva, esponendo la giugulare e il pomo, con i capelli d’argento che gli ricadevano indietro, la mano con la sigaretta appoggiata svogliatamente sulle gambe piegate. 
Eccola la differenza.
Lì fuori al freddo si bagnò in due secondi. Rimase immobile a contemplare gli attimi che scorrevano sotto forma di pioggia sul suo viso, ad occhi chiusi. Non aveva indossato il mantello per la fretta di uscire e nemmeno il maglione. Le calze le si erano appiccicate alle gambe e così i suoi capelli sul viso e la camicia al petto. La velocità con cui si svestì e si tolse il pigiama, le fece dimenticare persino il reggiseno, ma i suoi seni non erano ancora sbocciati, perciò non rimase eccessivamente imbarazzata da quella dimenticanza. Ricordava ancora il freddo, era come se gli si fosse impresso nelle ossa da quel giorno, ma in quel momento non la infastidiva, non c’era nessun istinto a suggerirle di tornare dentro a riscaldarsi. La Hermione quattordicenne era combattuta. Tutto il suo corpo le diceva di correre verso Ron, se solo lui fosse stato più pronto ad accoglierla a braccia aperte, invece di complicare le vite di entrambi con le sue gelosie e scenate. Lo avrebbe fatto sul serio. Aspettava ardentemente quel suo invito al ballo e sperò tutta la sera che lui si convincesse ad invitarla. Non lo aveva ancora fatto nessuno. C’era qualcosa in lui, sepolto dalle lentiggini e dai capelli color del fuoco che era capace di smorzare i suoi angoli più appuntiti. Le piaceva quella sensazione di tranquillità che emanava. Era tutto il contrario delle sensazioni che le provocava Malfoy. A volte, distrattamente, capitava che di notte prima di addormentarsi ripensava al giorno appena trascorso, rivedeva le scene nella sua mente e poi deviava sui dettagli della sua pelle, delle labbra sempre corrucciate come di chi ce l’ha con il mondo, di chi urla, e che puntualmente è inascoltato. In lui c’era quell’irrequietezza che poteva associare all’adolescenza, ma era anche dovuta ad altro, e se lo avesse saputo (se lo avessero ascoltato), forse avrebbe capito. Il modo in cui camminava fiero per quei corridoi come se la sua sola presenza fosse un regalo per tutti gli altri, per l’intera scuola. La maschera di indifferenza e di gelo che indossava ogni volta che si scontravano per i corridoi. Tutt’altro rispetto alla tranquillità e i silenzi accoglienti di Ronald. Lui era un mare in tempesta, i cui movimenti incessanti non facevano altro che tirarla giù. A volte, sempre di notte, quando l'oscurità era un'alleata che mascherava per bene le sue emozioni, pensava che non le sarebbe dispiaciuto perdersi solo per una volta in quelle profondità. La Hermione quasi diciottenne ritornò a quel giorno di pioggia, al momento in cui si era convinta di essere arrivata ad un punto di non ritorno, quello in cui quei pensieri puramente terreni l’avevano vincolata al segreto, al senso di colpa, alla vergogna e all’eccitazione. Ricordava il momento in cui lo vide comparire in lontananza, lo stupore che provò nel trovarlo lì sotto la pioggia e le domande che si pose sul perché mai fosse lì anche lui, e a cui mai trovarono risposta. Ma ricordò anche il senso di profondo imbarazzo che prima di allora non aveva mai conosciuto perché fin troppo giovane. Draco era stato il primo a farle rendere conto che non era più una bambina. 
Anche lui realizzò la differenza, quando si avvicinò a lei, in direzione del ponte. Doveva rientrare e lei gli intralciava il cammino. La camicia targata Serpeverde sul corpo asciutto, alcuni ciuffi di capelli sulla fronte, le mani quasi congelate. Rimase a fissarla per alcuni secondi che a lei parvero un’eternità. Eccolo l’imbarazzo, solo a ricordarlo le guance le si stavano diventando di quel rosso acceso che sfoggiò anche quella notte. Lo sguardo di Draco si era posato in basso, su quei boccioli che aveva al posto dei seni, chiaramente visibili al di sotto della camicia bagnata. Poi tornò sui suoi occhi. Hermione non tentò nemmeno di coprirsi perché era sicura che quel serpente avrebbe comunque letto quello che disperatamente lei avrebbe cercato di nascondere. Il suo respiro pesante sollevava e abbassava il suo petto giovane, pieno di vita. L’aveva praticamente vista nuda.
“Sarà meglio andare, non ci tengo a farmi espellere”, le aveva detto una cosa del genere, con un tono un po’ diverso da quello che usava di solito contro di lei. Aspettò che lei compisse i primi passi verso il ponte e poi si incamminò dietro di lei. 
Lui era la mela e lei, di notte, quando ripensava al giorno appena trascorso, quella mela l’avrebbe morsa senza indugio, e poi si sarebbe vergognata, e probabilmente si sarebbe coperta nel modo in cui non fece di fronte a lui sotto la pioggia. 
Vergogna, pentimento, repulsione. Ecco perché da quel giorno in poi ingoiò quel groppo che aveva in gola e lo buttò giù senza più pensarci. Aveva lottato con tutte le sue forze per opporsi a quei pensieri da adolescente che scopriva la sua intimità per la prima volta. Lo soppresse così bene che alla fine credette al suo stesso tranello. Quindi chi era il vero serpente tra lui e lei?
Krum la invitò al ballo, lei finì comunque con Ronald e adesso aveva pescato quelle rune senza nemmeno sapere cosa stesse facendo.
“Signorina Granger, vuole cominciare lei?”
“Cosa?”, sollevò il viso distrattamente, senza capire cosa la professoressa le stesse chiedendo.
“L’interpretazione, signorina Granger”, ripeté lei cordialmente.
Hermione guardò le rune ma non riusciva a formulare una frase di senso compiuto. L’imbarazzo le si leggeva in viso, la professoressa si avvicinò e le lesse per lei, ma non le disse nulla, si limitò ad annuire compiaciuta e poi passò oltre.
La giovane Grifondoro rimise le rune nel sacchetto di velluto e attese la fine della lezione. Poi si alzò per prima e con uno scatto felino uscì dalla sala, i libri stretti a quel petto che alla fine lui aveva visto e toccato, veramente.
 
 
 

L’ultima partita di Quidditch della stagione sarebbe stata il classico match Grifondoro-Serpeverde. In quell’ultimo mese dalla festa sul Lago Nero, gli allenamenti delle due squadre si erano fatti più frequenti e intensi. Quella partita non solo avrebbe segnato la fine della stagione estiva e l’inizio dell’autunno, ma anche l’ultima partita che gli studenti del settimo anno avrebbero giocato ad Hogwarts. Vincere era quindi doppiamente importante. 
Draco era nervoso ma anche eccitato. Non vedeva l’ora di scendere in campo e affrontare Potter per l’ultima volta, dopodiché sperava con tutto il cuore di non rivederlo più in vita sua.
In quegli ultimi giorni aveva avuto modo di pensare ai passi successivi una volta finita la scuola, e non poteva negare di essere stato un po’ incoraggiato dalla professoressa Reynards, in quell’idea che aveva cominciato a ronzargli in testa già da un po’ e a cui però non aveva ancora dato voce. 
Dopo che la professoressa lesse il suo report volle incontrarlo in privato nel suo studio. Era davvero soddisfatta dei progressi fatti e non gli nascose che all’inizio era un po’ contrariata alla sua presenza in aula, data la sua notissima fama da giovane Mangiamorte quasi entrato a tutti gli effetti nei ranghi di Voldemort. La Reynards temeva fosse lì solo per prendersi gioco di lei e dei suoi studi o peggio, di tramare qualcosa alle sue spalle che le avrebbe fatto rimettere le penne. 
Eppure, dovette ricredersi, e glielo disse senza troppi indugi né imbarazzi. L’imbarazzo invece, era tutto di Draco, che se ne stava seduto sulla sedia di fronte alla sua cattedra non facendo altro che annuire e arrossire per tutti quei complimenti. Non erano da lui quelle reazioni da ragazzino, ma chissà bene come (perché persino a lui era poco chiaro) in quei mesi il suo rispetto per la Reynards era cresciuto. Il suo metodo di insegnamento era eccellente e la materia non era poi così male.
“Lo stile di questo report è molto diverso da una normale ricerca accademica. Lo ha scritto quasi come se fosse un romanzo, è tutto vero quello che c’è dentro?”, gli aveva detto. 
“Assolutamente. Ho solo descritto le cose come le ho vissute”, aveva risposto lui.
Non aveva citato nemmeno una volta il nome di Hermione e nemmeno quello di sua nonna e dei suoi genitori. Li aveva inventati, facendo delle ricerche su alcuni tipici nomi da babbano. Non aveva fatto cenno a quello che avevano fatto con Hermione, ma fu molto dettagliato sugli usi e costumi dei babbani, citando anche la ricetta che preparò insieme a Jo; descrisse le loro case, i loro hobby, i giochi di società e i costumi che si usavano durante i loro incontri, fece persino un accenno ai loro abiti, sicuramente molto diversi da quelli dei maghi, e per finire accennò alla difficoltà di guidare una macchina non volante e con le marce. 
“Ha mai pensato a scrivere, signor Malfoy?”, gli aveva chiesto poi.
“Lo faccio già, in verità. È un bel passatempo”, aveva risposto lui, un po’ esitante. Non capiva dove volesse andare a parare.
“Non come passatempo, proprio come un lavoro. Scrive bene, sicuramente potrebbe dare il tuo contributo alla mondo della letteratura dei maghi”, concluse la Reynards, il tono fiero di una professoressa che deve raccomandare il suo alunno migliore a qualcuno di importante.
“Un lavoro? No, a dire la verità non ci avevo mai pensato…”.
“Ci pensi, e adesso vada, ha una partita da vincere, se non sbaglio”. La Reynards si alzò dalla cattedra e gli strinse la mano per congedarlo. Lui si alzò ancora un po’ impacciato e con la testa altrove. Pensava alle ultime parole che le aveva detto.
“S..si, già, arrivederci”.
“Arrivederci Draco, mi mandi un gufo quando avrà preso una decisione. Posso parlare di lei ad un paio di editori. Potrebbe cominciare come recensore di manoscritti, cosa ne pensa?”
Draco non sapeva cosa dire. La possibilità di andare via da Malfoy Manor si faceva più chiara.
“Ci penserò assolutamente, grazie professoressa”.
Da quell’ultima conversazione con lei non smise di pensarci un secondo. Infondo l’idea non gli dispiaceva, e la Reynards gli aveva confermato che scrivesse bene, perciò perché non provare?  La professione di scrittore, secondo i suoi, non si addiceva a un Malfoy, ovviamente. Non sapeva perché, ma loro avevano sempre associato la scrittura allo spirito bohémienne di un fannullone, che si arricchiva con delle bugie scritte bene e che poi scialacquava il suo denaro con uno squallido bicchiere di weaskey. Quella carriera era di sicuro una delle meno frequenti nel mondo magico. Esistevano i giornalisti, certo, ma era raro trovarne di seri, solitamente quelli più affidabili erano tutti vecchi, o comunque con un’età un po’ indefinibile, come quella di Silente. Più spesso, tutti iniziavano a lavorare al ministero, uno sbocco piuttosto semplice, perché quasi tutti i maghi finivano lì e poi venivano smistati nelle diverse mansioni. La carriera diplomatica però non gli si addiceva. Era proprio quello che si sarebbero aspettati da lui.
Perché non deluderli ancora?
 
 
 
 
La Sala Grande era gremita di studenti vestiti con i simboli e i colori delle loro rispettive case, o meglio squadre. La partita era ormai alle porte e i giocatori erano gli unici a distinguersi tra quella folla oro e rossa e verde e argento, perché indossavano la divisa ufficiale della propria squadra. Persino Gracie e Ivy, che non facevano parte di nessuna delle due case, si erano colorate la faccia con i colori di Grifondoro e Serpeverde, in segno di solidarietà. Pepper era un po’ contrariata, infatti aveva insistito per mettersi a sedere accanto ad Ivy dal lato della guancia Grifondoro, e tutti al tavolo, scoppiarono in una grossa risata. Alister sedeva al tavolo dei Grifondoro con loro quel giorno, insieme a Morgan, entrambi si erano disegnati i colori verdi e argento sulle guance e obbligarono Hermione a fare lo stesso. “A patto che non mi imbrattiate la faccia di verde e argento”, gli aveva detto, prima di lasciarsi truccare dalle sapienti mani di una Gracie ridacchiante ed eccitata.
Nell’aria si respirava una strana atmosfera. Era come se quel momento segnasse la fine di un’epoca, ed effettivamente, per alcuni di loro era proprio così. Da quel giorno in poi qualsiasi cosa sarebbe stata l’ultima che avrebbero fatto ad Hogwarts. C’era chi era felicissimo all’idea di non dover più riscaldare le sedie dei banchi di scuola, chi invece era un po’ nostalgico anche se non lo diceva ad alta voce. Hermione aveva intenzione di godersi fino all’ultimo di quei momenti, consapevole che forse un giorno li avrebbe rivissuti da un’altra prospettiva ma che comunque non sarebbe più stato lo stesso.
Draco era al tavolo Serpeverde con i suoi compagni di squadra. Sembrava che Astoria, Daphne e Pansy avessero avuto la stessa idea per il trucco, ma c’erano solo due colori ad ornare i loro lineamenti austeri. Leo, seppur avversario in quell’occasione, era al tavolo con loro, seduto accanto ad Astoria. 
Hermione continuava a guardarlo, superando i volti delle due compagne che aveva davanti e che avevano già capito a cosa stesse mirando. Rimasero perciò in silenzio, complici. 
La Grifondoro non riusciva a stare ferma sulla panca, doveva assolutamente parlargli. Durante quel mese si videro a stento, se non fosse stato per le lezioni in comune probabilmente non si sarebbero mai visti. Draco la stava evitando proprio come aveva cominciato a fare dal quarto anno in poi. Era tornata invisibile, ma non aveva intenzione di rimanere ancora a lungo nell’ombra. Non avrebbe fatto più lo stesso errore.
Perciò quando lo vide alzarsi per uscire dalla sala Grande con i suoi compagni di squadra si alzò di scatto e senza dire nulla ai presenti lo seguì all’uscita.
Ivy e Gracie si voltarono incuriosite. Harry, Ginny e Ron erano alle prese con le ultime tattiche da gioco da definire. 
“Draco!”, lo chiamò lei ad alta voce.
Lui era di spalle, aveva oltrepassato le grandi porte della Sala Grande quando udì il suo nome chiaramente scandito da quella voce. Sgranò gli occhi e si fermò di colpo, guardandosi intorno per verificare, invano, che lo avesse sentito solo lui. 
Non lo aveva mai chiamato per nome in pubblico e non capiva perché doveva iniziare proprio adesso.
Si voltò lentamente, gli altri compagni di squadra proseguirono con un cenno di Blaise, che prevedeva fuoco e fiamme, come al solito, quando si trattava di loro.
Hermione lo raggiunse con una corsetta leggera, i capelli sciolti si agitavano sulle sue spalle seguendo i suoi movimenti. Sembrava una cheerleader della squadra Grifondoro, con quella maglietta rosso scuro e il simbolo della sua casa in alto a sinistra cucito con fili d’oro. La gonna nera scopriva molte più gambe di quanto Draco ricordasse. In effetti, non avendo mai svolto lezioni d’estate, gli studenti non avevano mai necessitato di una divisa estiva e i professori accettarono gli indumenti personali dato l’evento straordinario. Le guance colorate le davano un tocco decisamente più sbarazzino di quello a cui era abituato lui. Faceva quasi sorridere.
Quasi. Era bravo a mascherare qualsiasi emozione, se lo voleva.
“Ho una partita da giocare, Granger”, le disse neutro, una volta che lo raggiunse. 
Hermione si sentiva come quando aveva quattordici anni, lo stomaco aggrovigliato e le mani sudate. Lui aveva gli stessi occhi di quel giorno di pioggia, quando la sorprese nel prato, bagnata dalla testa ai piedi, la stessa espressione corrucciata. Erano passati tre anni e lui era cambiato, oh, eccome se lo era. Aveva davanti un ragazzo più irrobustito, il viso più scarno, gli occhi vigili e così chiari che ci si sarebbe potuta specchiare dentro e vedersi, forse per la prima volta, come lui la vedeva. 
Solo che non era sicura del modo in cui la vedeva ora, sentiva dal tono della sua voce che qualcosa si era incrinato, e lei non aveva fatto niente per impedirlo, anzi ne era stata la causa.
“Lo so, non ti toglierò molto tempo”.
Draco fece un respiro profondo, aveva smesso di guardarsi intorno, ormai qualsiasi cosa gli altri avessero pensato sarebbe stata forse la verità.
“Cosa c’è?”.
Osservò Hermione fare un intenso respiro e mordersi il labbro nervosamente.
“È finita. Con Alister, è finita”, disse lei tutto d’un fiato.
Draco sgranò gli occhi dalla sorpresa ma solo per qualche secondo, poi tornò composto come prima, una statua greca, distante e fredda.
“Oh...”
Hermione lo guardò per la prima volta con speranza.
“Mi dispiace”, disse solo questo.
L’espressione della Grifondoro mutò in un istante, sprofondando nel nero più immenso. 
“Oh, non è niente. Lo abbiamo deciso insieme”, rispose lei, guardandosi le scarpe.
Draco continuava a guardarla guardarsi i piedi, i capelli le erano scivolati sul viso, le mani si torturavano a vicenda. Lui invece non muoveva un muscolo. Solo il respiro lo tradiva un po’, ma la ragazza di fronte a lui sembrava non essersene accorta.
“Beh..ci si vede”.
Draco concluse la conversazione repentinamente. Fece qualche passo indietro da lei e poi si voltò definitivamente. 
Ivy e Gracie le comparvero subito al suo fianco.
“Herm, vieni alla partita con noi?”, chiese quest’ultima. 
A quel punto Hermione sollevò lo sguardo sulle sue amiche e sorrise fintamente. 
“Io...ho lasciato una cosa nel dormitorio. Vi raggiungo”. Mentì.
Le due la guardarono allontanarsi in fretta e prendere le scale. Sospirarono e poi scorsero Malfoy in lontananza. Procedeva a passi veloci verso il ponte.
Non era riuscito a dire nulla perché non sapeva effettivamente cosa dire. Da quelle vacanze ne era uscito distrutto, fisicamente e mentalmente, e di certo non voleva rischiare ulteriormente la pelle. Lui che i rischi li evitava sempre a monte dei problemi e che invece si era completamente fiondato tra quei lunghi capelli bruni senza pensarci due volte. Anzi, erano troppe le volte che ci aveva pensato, ai suoi capelli, a lei nei corridoi, sotto la pioggia, tra le lenzuola, nel suo cuore. Aveva iniziato ad occupare spazio, ad allargarsi nella sua anima giorno dopo giorno, fino a che di lui non era rimasto che una piccola parte. Il resto si era confuso con lei. Ma di fronte a quelle parole si era trovato inerme. La possibilità che ci fosse veramente, una possibilità lo aveva paralizzato. Non aveva mai pensato all’eventualità che quel giorno sarebbe arrivato. Si era abituato alla costante insoddisfazione, lei sarebbe stata la parola sulla punta della lingua che non avrebbe mai ricordato, un sassolino nella scarpa che lo avrebbe tormentato fino a che non l’avrebbe dimenticata. In quei giorni passati in totale solitudine si era persino convinto che sarebbe riuscito a dimenticarla, bastava ignorarla, evitarla, allontanarla. 
“Ma che sto facendo…”
Si bloccò di colpo, aveva appena superato il ponte con i ragazzi.
“Blaise, reggimela, torno subito”. Draco lanciò la sua scopa al compagno.
“Ma che stai dicendo, abbiamo pochissimo tempo per allenarci prima della partita! Draco! Dove cazzo vai?”.
Ma il Serpeverde era già lontano.
Sulla strada incontrò Ivy e Gracie.
“Dov’è?” chiese lui sopraggiungendo di corsa. Non si fermò nemmeno quando ottenne una risposta da Ivy.
“Nella sala comune dei Grifondoro!” dovette urlare per raggiungerlo.
Gracie si voltò verso la sua amica e iniziarono a ridacchiare per l’emozione improvvisa. 
 
 
Hermione era arrivata al settimo piano trascinandosi sulle scale a passi pesanti e lenti. La Signora Grassa non la finiva di parlare di quanto avesse bisogno di una messa in piega mentre lei desiderava solo entrare e piangere a dirotto. Non era riuscita nemmeno in quel momento a dirgli la verità. La sua indifferenza l’aveva paralizzata esattamente come quella volta di cui si era ricordata a lezione. 
Però doveva dirgli qualcosa, anche se non sarebbe servito a nulla, doveva. Lui le era stato accanto per tutto quel tempo, a volte senza che neanche lei se ne accorgesse. Era entrato con lei nella sezione proibita rischiando forse l’espulsione, l’aveva coperta al Lumaclub, l’aveva aiutata con i suoi, e non aveva mai chiesto niente, se non il suo aiuto nelle lezioni di Babbanologia. Il perché si era iscritto a quel corso lo vedeva solo adesso. Voleva però avere delle conferme, non poteva esistere tutto solamente nella sua testa.
Si voltò di scatto e lasciò la signora grassa a parlare da sola, mentre riprese in fretta le scale per scendere. Nessuno le intralciava il percorso, il castello si era svuotato proprio per via della partita imminente.
Draco stava facendo le scale a due a due per il timore che queste cambiassero strada e ostacolassero il suo intento. Il mantello della tuta lo intralciava un po’ nei movimenti, e ogni tanto aveva rischiato seriamente di inciampare, ma l’adrenalina era così tanta che non lo avrebbero fermato di certo quei piccoli intoppi.
Secondo piano.
Terzo piano.
Quarto piano.
Si fermò all’improvviso quando scorse Hermione da un piano più in alto. Lei fece lo stesso e il suo volto si illuminò. Proprio quando il Serpeverde stava per riprendere la corsa però, le sue scale procedettero verso la direzione opposta. 
“No”, mormorò contrariato.
Hermione nel frattempo continuò a scendere fino a che non fu costretta a fermarsi proprio per l’assenza delle scale su cui si era bloccato lui, che adesso si erano fermate attaccandosi ad un altro pezzo sospeso nel vuoto.
Tuttavia, a quella distanza potevano vedersi chiaramente e sembrava non ci fosse nessuno nei paraggi che avrebbe potuto sorprenderli. Erano stanchi dei sotterfugi, comunque.
Draco si fermò sul ciglio delle scale aspettando che si muovessero di nuovo.
“Scusa se ci ho messo un po’”, gli disse lui, alzando la voce in modo che lei riuscisse a sentire.
Hermione sorrise.
“Forse siamo entrambi un po’ in ritardo”, gli rispose lei. La voce le tremava. Non credeva possibile quello che stava succedendo. Tra i due quella che più aveva sepolto quelle sensazioni era stata lei. Era stata così brava a fingere che non significasse nulla, così vittima delle opinioni altrui e della poca considerazione verso sé stessa, che non aveva mai realizzato davvero quello che stavano facendo.
Le scale ricominciarono a muoversi di nuovo, ma con una lentezza che entrambi trovarono esasperante. Draco riprese a salire gli ultimi gradini e fece un salto quando le scale erano vicine. Hermione non si mosse di un millimetro, se lo ritrovò davanti in un batter di ciglia e posò timidamente le mani sul suo petto.
“Non lo siamo”, decretò alla fine lui. Le circondò la vita e la strinse a sé. Per la prima volta, senza nascondersi, senza far finta che quello fosse altro rispetto alla verità.
“Sei così ostinata…” le disse lui, mentre si chinava verso di lei e poggiò la fronte alla sua. 
Hermione non gli rispose, si sollevò sulle punte sbilanciandosi in avanti e lo baciò aggrappandosi al collo. Draco fu preso leggermente alla sprovvista, ma poi sorrise sulle sue labbra e la sollevò di poco da terra, stringendola più forte. 
La sosteneva dalla schiena, le mani erano scese sotto la maglietta rossa cercando la sua pelle fresca. Più tardi avrebbe fatto dei commenti maliziosi su quella gonna cortissima, le avrebbe fatto notare che il rosso e l’oro sul suo viso gli erano finiti in faccia, mentre lei avrebbe commentato sul fatto che i colori della sua casa non gli stavano poi così male e avrebbe continuato a prenderlo in giro bonariamente. Ma in quel momento non c’era nulla da dire. Rimasero incollati per una quantità di tempo che sembrava infinita, a volte sospirando profondamente, ormai al sicuro da qualsiasi malinteso e liberi dagli sguardi degli studenti. Gli unici sguardi che dovettero sorbirsi furono quelli dei quadri, che forse avevano assistito a tutto fin dall’inizio e avevano capito più di quanto loro si erano permessi di capire in tutti quegli anni.
Ripresero le scale solo quando Hermione toccò di nuovo terra ricordandogli della partita.
Fecero le scale con così tanta velocità che gli sembrava stessero letteralmente camminando sull’aria. 
Le mani si sfioravano non proprio accidentalmente ogni tanto, e gli capitò durante il percorso di scambiarsi qualche bacio fuggevole alla luce del sole. Specie quando furono al ponte e si ricordarono della terribile sbronza che presero insieme quel lontano febbraio, e di quanto fossero stati stupidi a non dirsi niente prima. Ma forse doveva andare così.
Erano ormai giunti in prossimità del campo. Draco si voltò improvvisamente verso di lei, che approfittò di quella posizione per baciarlo ancora e ancora.
“Mi terresti questo, durante la partita?”, riuscì a chiederle, tra un bacio e un altro.
Draco si tolse l’anello d’argento che aveva sull’indice e glielo porse. Hermione si rese conto che quello era l’anello che indossava quella notte nel reparto proibito, quello con cui aveva imparato a riconoscerlo e che le piaceva perché era perfettamente liscio e tondo, senza sfumature né simboli antichi e lontani che non gli appartenevano più.
Annuì e lo prese in mano, poi il ragazzo che ormai andava di fretta le lasciò un bacio fugace sulla fronte e si smaterializzò negli spogliatoi, consapevole di aver infranto la regola di Hogwarts che vietava la smaterializzazione all’interno della scuola, ma di regole, ormai con lei, ne avevano infrante così tante che una in più non avrebbe fatto male.
Hermione indossò l'anello sul pollice, l'unico posto in cui le stava meglio perché abbastanza largo e poi si precipitò al campo di corsa. 
Harry rivide Draco in campo con un’espressione che non gli aveva mai visto prima. 
“Finalmente ce l’hai fatta!”, gli disse, lasciando il Serpeverde a chidersi se intendesse che ce l’avesse fatta a presentarsi alla partita o se invece alludesse a qualcos’altro. Harry sorrideva di sbieco, un po’ complice, con un'intesa mai prima d’ora considerata con lui.
Draco lo guardò dall’altra parte del campo. Aspettava solo il lancio della pluffa.
“Pensa al boccino, Potter”, gli rispose sornione lui, fluttuando dall’altra parte del campo. Il ragazzo che era sopravvissuto sorrise al ragazzo che non aveva avuto altra scelta.
La prima vera scelta della sua vita se ne stava sugli spalti a tifare per la squadra a lui avversaria.
Come la piccola ostinata Grifondoro che era e sempre sarebbe stata.
Il boccino si sollevò in aria e si perse tra le pieghe della luce del sole che splendeva alto in cielo.

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Capitolo 13
*** Muggle Studies ***


Eccoci qui, alla fine di questa piccola avventura. Ringrazio tutti quelli che hanno seguito, silenziosamente e non. Grazie davvero di cuore, sono felice che "il mio" Draco vi abbia fatto ridere, intristire, gioire, commuovere e tutto il resto. Ad Hermione sarà dedicata la prossima one shot che pubblicherò tra qualche giorno. Un personaggio (capirete chi) è inventato, come lo sono Gracie, Ivy, Alister, Morgan, Leo e Josephine. Riporto qui alla fine della storia l'immagine che ha acceso tutte le lampadine possibili nella mia testa e che mi ha fatto venire in mente questa storia. Il disegno non è mio, ma di cuteflullydino
Buona lettura e a presto!
 
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Muggle Studies 


Epilogo





I'll speak love's truth with oak and ash for you
Sing through April's tears
I will weave the bonny flowers of spring for you
I will walk for years
My queen bee

 


 
Era il 15 agosto e Londra era sommersa da un rumorosissimo temporale estivo. I lampi illuminavano la casa e il vento si abbatteva impetuoso sulle finestre. Tutto quel chiasso però sembrava non disturbarlo. 
Era seduto alla scrivania in mogano (un regalo dei genitori per il suo venticinquesimo compleanno), e batteva i tasti del computer con entusiasmo.
Draco aveva ventotto anni e stava ultimando il suo primo libro. Era riuscito a scambiare il turno alla casa editrice con un suo collega e stava approfittando di alcuni minuti liberi per buttare giù le ultime idee a cui aveva pensato. Aveva perso il conto delle sigarette che aveva fumato, come al solito, quando era concentrato su qualcosa.
Nel salone intanto, il vociare di persone cresceva e lo obbligava implicitamente ad ultimare quanto stava facendo. Hermione però non era ancora comparsa sulla porta a chiamarlo, perciò gli restava ancora qualche minuto di autonomia.
La voce di Jo, anche se fattasi più roca con il passare degli anni, non aveva mutato il volume, era sempre chiassosa come al solito. Le sue risate echeggiavano per tutta la casa. 
“Amore, hai visto Scorpius?”
Draco mugugnò qualcosa con una matita in bocca ma Hermione non capì.
Il bambino, che era accovacciato sulle sue gambe gli sfilò la matita dalle labbra con solo la forza del pensiero e iniziò a giocarci agitando le sue manine e facendola roteare su sé stessa nell’aria.
“È qui”, disse poi, più chiaramente.
Scorpius era nato due anni prima e quello era il giorno del suo compleanno. Avevano scoperto i suoi poteri magici solo un anno fa a casa della nonna di Hermione, quando per sbaglio aveva fatto cadere per terra il composto di una torta che Josephine stava per infornare. I suoi genitori scoppiarono a ridere e iniziarono a riferirsi al bambino con versetti e frasi di senso non troppo chiaro. Josephine invece era disperata per l’accaduto ed era rimasta a fissare la torta per terra per qualche minuto, fino a che Draco non l’aiutò a pulire, aiutandosi con la magia. “Non mi abituerò mai a tutto questo” aveva decretato, fintamente contrariata, per poi dare un buffetto sulle guance di suo nipote.
Hermione si avvicinò e circondò le spalle di Draco da dietro, e cominciò a fare delle facce buffe al bambino, che notando la madre si era distratto e aveva fatto cadere la matita per terra.
“Ne hai ancora per molto?”, chiese dolcemente lei, sbirciando qualche parola.
Il tatuaggio di Draco era leggermente sbiadito con gli anni, fino ad assumere una sfumatura grigiastra. Scorpius ogni tanto ne tracciava i contorni con le piccole dita, con uno sguardo che faceva trasparire curiosità ma nessun giudizio. Il padre glielo lasciava fare senza dirgli nulla, accarezzandogli i capelli biondissimi che aveva ereditato da lui. Da Hermione, avevano preso la loro natura ondulata e un po’ selvaggia. 
“Finito”, sentenziò il ragazzo, non appena mise un punto all’ultima frase. 
“Prima o poi ti deciderai a rivelarmi il titolo?”
Draco si voltò verso di lei ancora seduto e le diede un bacio lento, sorridendo sulle sue labbra. Non le rispose.
“È una sorpresa”.
Scorpius iniziò a reclamare la sua attenzione dandogli dei buffetti sulle gambe e il padre si alzò tenendolo sempre in braccio.
I capelli erano decisamente cresciuti rispetto a qualche anno prima, ormai doveva per forza legarli alla bell’e meglio, ogni tanto Hermione ci giocava facendogli acconciature assurde solo per farlo contrariare. 
Un filo di barba chiarissimo sulle guance gli dava un’aria molto più vissuta. 
“Andiamo, altrimenti nonna chi la sente”, riprese la sua Grifondoro, che non aveva perso la passione per le tempistiche e le regole.
La madre di Hermione li aspettava nel salone insieme a Josephine, ad Ivy e Gracie. Morgan teneva in braccio la bambina di tre anni avuta con la sua compagna Corvonero. I genitori di Draco erano assenti. 
La mattina precedente, quando il giorno per Hermione non era ancora iniziato e stava oziando a letto intorpidita dal sonno, Draco, che si era svegliato prima per scrivere un po’, aveva appreso la notizia da un gufo che gli portò la posta. Il messaggio era molto secco. In breve, diceva che per il compleanno del nipote non ce l’avrebbero fatta neanche stavolta. Lucius e Narcissa vivevano ancora a Malfoy Manor e non avevano digerito molto bene la notizia della loro relazione. Credettero, un po’ per consolarsi, che sarebbe durata giusto fino alla fine dell’anno dopo la scuola, invece la relazione continuò e si protrasse per dieci anni. Durante quell’enorme lasso di tempo le riunioni di famiglia si erano drasticamente ridotte. Draco aveva stabilito chiaramente con i suoi che non avrebbero vissuto nemmeno per sogno nelle vicinanze. Avevano optato per una casa babbana vicino al centro di Londra, era spaziosa, a due piani e aveva tutto quello che gli potesse servire. Hermione era rimasta scioccata di fronte alla decisione del suo ragazzo di vivere una vita per quanto possibile normale, così lontana dalla magia. Avevano raggiunto quello che soleva chiamarsi un compromesso. La casa era provvista di quadri che si muovevano, certo, come di tante altre piccole cose magiche di cui Hermione non poteva più fare a meno, perché d’altronde quella era la sua vita. Ma dovette presto ammettere che non le dispiaceva trovarsi in equilibrio tra due mondi e si accorse che anche a Draco non dispiaceva affatto.  
Si trovavano poi a qualche fermata di metro dalla casa di Harry e Jinny pertanto riuscivano ad incontrarsi praticamente quasi ogni giorno. Draco ed Harry avevano per così dire raggiunto uno stato di neutralità che quasi poteva definirsi amicizia, ma nessuno dei due lo avrebbe mai ammesso. Quando nacque il suo primo figlio, Ginny chiese ad Hermione di essere la madrina e quel sodalizio estirpò qualsiasi vecchia ferita che potesse mai essersi aperta tra loro. Quel legame aveva vincolato anche Draco a frequentare i Potter più di quanto avrebbe mai creduto.
Il suo primo anno di vita, Scorpius lo festeggiò insieme al suo coetaneo e secondogenito di Harry, Albus. E così vennero a crearsi altri legami che forse sarebbero sbocciati nel corso degli anni. 
Hermione aveva saputo dai Potter che lo stesso anno era nata la primogenita di Ron, avuta con una loro compagna Grifondoro con cui lui si avvicinò durante l’ultimo anno, dopo la sua rottura con Hermione. Fu felice di sapere la notizia e spedì un gufo al suo migliore amico con le congratulazioni, che non tardarono ad arrivare nemmeno per la nascita di Scorpius. 
Insomma, ciò che doveva succedere era successo in modo naturale, ed Hermione era felice. 
Quell’anno Scorpius sorprese tutti spegnendo le candeline prima del tempo con una semplice strizzata di occhi. 
Il cielo tornò sereno.
 
Quella stessa sera, Hermione mise Scorpius a letto nella stanzetta vicino alla loro, il bambino sprofondò in un sonno pesantissimo, evidentemente stanco dopo aver percepito così tanta adrenalina per il suo compleanno. Di solito era il primo a svegliarsi e pretendeva subito che qualcuno venisse a prenderlo in braccio. Da poco invece aveva iniziato ad abbassare da solo un lato della culla così che scivolando piano riuscisse ad uscire senza aspettare nessuno. Per la sua tenerissima età quel bambino era già pericolosamente autonomo e combina guai. Di fronte a qualche disastro di cui lui era sicuramente colpevole, Draco smorzava la situazione prendendo in giro Hermione e dicendole che all’incidente doveva rimediare lei perché tutta quell’animosità il bambino non l’aveva certo presa da lui. Dalla parte di Scorpius c’era da dire che era anche estremamente riflessivo se voleva. C’erano intere giornate in cui non faceva altro che sfogliare libricini per bambini, ovviamente senza capirne il senso, o ad ammirare le vecchie carte delle cioccorane dei genitori aspettando che il personaggio in questione comparisse per poi ridacchiare dolcemente.
“Stanca?” chiese Draco una volta che Hermione lo raggiunse in camera da letto. La ragazza fece no con la testa mentre sbadigliava. Cominciò a svestirsi lentamente, un po’ sovrappensiero.
“Dici che gli è piaciuto?”
“Cosa?” chiese lui di rimando, cominciando ad osservare i suoi movimenti accidentalmente poco innocenti.
“Il compleanno, a Scorpius”.
“Amore, probabilmente nemmeno lo ricorderà tra una settimana”, sorrise lui, sfilando le coperte leggere. Si sedette sul letto a gambe incrociate.
“Si, forse hai ragione”. 
Era rimasta in biancheria. In quei dieci anni passati insieme, Draco l’aveva vista sotto ogni luce possibile. L’aveva vista imprecare quando le cose al ministero andavano male, l’aveva vista disperarsi per la morte improvvisa del padre, l’aveva vista furiosa con Lucius Malfoy quando si rifiutò di riconoscere Scorpius come suo nipote, l’aveva vista felice come mai prima d’allora alla notizia della sua gravidanza, l’aveva vista nuda così tante volte che ormai poteva chiudere gli occhi e ricreare ogni minimo dettaglio della sua pelle nella mente. Ma la cosa che continuava a stupirlo, giorno dopo giorno, era che non ne era mai sazio. 
Erano ancora nel fiore degli anni dopotutto, ma per restare insieme così tanto tempo ci era voluto comunque impegno. E non che non c’erano state, di liti pesanti o di crisi serie a tal punto da farli pensare che fosse finita. Ma ogni volta si rincontravano in quella camera da letto come rinati dalle loro stesse ceneri, ogni volta un passo più vicino all’altro. Separarsi era per loro impossibile, anche quando le gelosie prima di uno poi dell’altra, minavano gli equilibri raggiunti. Ci sarebbe voluto molto altro per distruggerli.
Draco, che nel frattempo era rimasto seduto osservandola spogliarsi, decise di fare la sua parte. Si alzò dal letto e procedette a passi sicuri verso di lei, che segretamente aspettava una sua mossa da un po’.
“Sei sicura di essere stanca?”, richiese lui, adesso di fronte a lei. Finì di svestirla.
“Non proprio...e tu?”, Hermione sorrise maliziosa e gli sfilò i pantaloni della tuta.
Draco non le rispose perché la stava già sollevando da terra e baciando forte. L’eco della risata di Hermione si disperse nella casa.
 
 
 

“Scorp andiamo togliti da lì, quello è il mio posto”.
“Non cambia nulla se stai dall’altra parte, il finestrino c’è su entrambi i lati, lo sapevi?”
“Lo sapevi di essere un gran rompiscatole?”
“Stai zitta Murphy”.
“Solo se cominci tu e non chiamarmi Murphy”.
“Qualcuno mi sa dire se ci sono treni notturni per Hogwarts? Potrei partire anche subito”, Scorpius si sporse appoggiandosi ai due sedili davanti. Draco aveva preso la patente ormai da molto tempo e non gli dispiaceva zigzagare per il traffico di Londra, anche con il tempo più avverso. Questo sollevava Hermione di una grande incombenza, visto che ogni volta che si metteva alla guida si trasformava in un basilisco capace di uccidere anche solo con lo sguardo chi si frapponeva tra lei e la strada. Quasi preferiva la scopa.
Era pensierosa. Non aveva fatto il minimo caso a quel bisticcio tra fratelli che andava avanti fin da quando sua figlia Josephine aveva imparato a parlare e ad usare la magia. 
Aveva solo due anni in meno rispetto a Scorpius ma, per Merlino, se aveva un bel caratterino. Draco era l’unico a prenderla sempre con lo scherzo, ad Hermione sembrava quasi che i due avessero una specie di linguaggio segreto con il quale riuscivano a capirsi solo con uno sguardo. Era stato lui a proporle il nome la sera in cui era nata.  
Il rapporto madre-figlia però, era un po’ più complesso, e lei lo stava imparando proprio in quegli anni. 
Osservava la pioggia scendere lungo il finestrino con aria malinconica. Il giorno dopo Scorpius e Albus sarebbero partiti per Hogwarts per la prima volta e per festeggiare l’avvenimento i Potter avevano pensato bene di organizzare una cena a casa loro. 
Draco sembrava più preoccupato per la cena che per la partenza del primogenito. Scorpius si era preparato a lungo insieme al padre; praticamente lui gli aveva insegnato quasi tutto quello che doveva sapere al suo primo anno, insieme avevano persino cominciato ad esercitarsi in qualche tecnica di pozioni. 
Capitava che tornata a casa dal lavoro, Hermione li trovasse ancora nel loro studio a sperimentare incantesimi. Durante quelle esercitazioni parlavano solo lo stretto necessario, guardarli era per Hermione come affacciarsi al firmamento e riconoscere le costellazioni di cui portavano il nome. 
La natura riflessiva di Scorpius cominciava ad emergere sempre di più, specie perché doveva bilanciare quella spumeggiante della sorella. Il giovane non vedeva l’ora di allontanarsi da casa, sentiva l’esigenza di trovare nuovi spazi in cui saper esistere senza le eccessive premure della madre e le continue bighellonate della sorella. Non aveva proprio idea da chi avesse preso, tanto che a volte chiedeva ai suoi genitori se l’avessero adottata solo per fargli dispetto. Da quando poi se ne era uscito con quel nomignolo, Murphy, ispirato a quella legge dei paradossi, tutto era andato sempre peggio.
Sia per Draco che per Hermione, entrambi figli unici, era la prima volta che assistevano alla crescita del rapporto fratello-sorella, perciò sulle prime si trovarono del tutto impreparati. Jo, che fisicamente aveva preso il nome dalla nonna e tutto il resto da Hermione se non per gli occhi grigi-azzurri del padre, aveva tutte le caratteristiche di una Grifondoro sotuttoio irritante. Scorpius era sicuro sarebbe finita senz’altro nella casa di Godric e sperava sinceramente di non doverla incontrare anche nella sala comune. “Tutto ma non Grifondoro”, ripeteva ultimamente per i corridoi di casa, sicurissimo del destino della sorella.
Draco, notando con la coda degli occhi lo strano silenzio della ragazza cercò di disinnescare quelle due bombe ad orologeria che sedevano dietro.
“No Scorpius, non c’è nessun treno a quest’ora.  Jo, piantala”, il tono dolce. 
Scorpius rivolse un’occhiata di sfida alla sorella, appena zittita dal padre. Le sorrise un po’ strafottente e lei sbuffò sonoramente. Prima di ritirarsi nella sua sconfitta gli assestò una gomitata sul fianco. Scorpius la incenerì con lo sguardo ma non rispose alla sua provocazione. Era fin troppo grande per quelle stupidaggini. 
Arrivarono sani e salvi, i due ragazzi furono i primi ad uscire dalla macchina e ad entrare nel vialetto che precedeva la casa di Harry.
“Tutto bene?”, le chiese Draco sfiorandole la mano. Erano ancora seduti in macchina. Hermione indossava dei jeans con uno strappo leggero sulle ginocchia, un paio di sneakers e un maglioncino azzurro. I capelli erano raccolti in una treccia morbida. Sfiorava distrattamente l’anello d’argento al dito, quello che diciannove anni prima lui le aveva chiesto di tenere durante la partita e che poi non aveva più reclamato. 
Era settembre ed Hermione compiva 29 anni, Scorpius ne aveva tre e Josephine appena uno. Draco tornò sull’argomento prendendolo un po’ alla lontana. Hermione aveva capito dove volesse andare a parare gli disse che si, lo avrebbe sposato. Quell’anello infondo era diventato suo fin da quel giorno.
“Scusa se ci ho messo un po’” le disse lui tra un bacio e un altro, citando il sé stesso di dodici anni prima. 
“È il momento perfetto”, gli rispose lei rassicurandolo. 
“Si, è solo che domani Scorp partirà, non credevo sarebbe stato così difficile”.
“Herm, Hogwarts è al sicuro da così tanti anni..è un ragazzo in gamba, se la caverà”.
Hermione fece un respiro profondo.
“Non mi preoccupo per lui...Jo si annoierà”, scherzò poi, ripresasi un po’ con le sue rassicurazioni. Draco rise di gusto.
A 37 anni, Draco Malfoy aveva raggiunto la fama internazionale grazie ai suoi libri. Il fisico era prestante, alcuni capelli bianchi avevano fatto la loro comparsa ma si confondevano bene in quel biondo fitto, la barba era più folta, le mani leggermente screpolate. Secondo Hermione il look da scrittore gli si addiceva. Lei invece a 37 anni sembrava ancora diciassettenne. La pelle non aveva perso l’elasticità e la morbidezza. Dopo due gravidanze si era mantenuta tonica grazie ai continui viaggi che doveva fare per conto del ministero. 
La sua carriera aveva spiccato il volo, come tutti si aspettavano. Era a capo del dipartimento di protezione delle creature magiche, perciò viaggiava molto a seguito delle segnalazioni anonime che riceveva. A volte Draco viaggiava con lei, portandosi dietro sempre un quaderno degli appunti per annotare ciò a cui assisteva. Il trasporto di animali fantastici non era sempre sicuro, capitavano intoppi e avventure per cui Hermione era nata e lui a volte prendeva l’ispirazione per qualche capitolo su cui stava lavorando. 
A 37 anni suonati erano davvero una bella coppia.
Uscirono dalla macchina e si apprestarono a raggiungere gli altri.
“Questo è sicuro”, sentenziò il marito.
 
Una ragazzina di appena nove anni aprì la porta e salutò i suoi amici. Abbracciò Murphy per prima, e diede solo un’occhiata veloce a suo fratello.
“Ciao Scorp”, gli disse.
“Lily”, rispose educatamente lui, sorridendole appena.
“Passata una buona estate?” chiese timida lei.
Scorpius però non le rispose, perché proprio in quel momento gli si fiondò addosso Albus. 
“Hey amico!” Il biondino cominciò a strofinargli la testa calorosamente. 
“I maschi…”, commentò distrattamente Josephine allontanandosi dalla soglia di casa.
“Già”, replicò poco convinta Lily Potter.
 
 
 
 
“Andiamo, davvero devo studiare Babbanologia come tutti gli altri? So tutto sull’argomento”.
Draco diede un’occhiata fugace alla moglie, perché ricordava perfettamente tutte le volte in cui la sua piccola Grifondoro aveva pronunciato quella frase alzando la mano in classe. Hermione fece finta di nulla, cercando di nascondere invano il sorriso.
“Non mi interessa signorina, dovrai fare come fanno tutti. Cerca di non far sentire a disagio i tuoi compagni”, Hermione cercava sempre di smorzare il significato severo delle sue parole con un tono dolce, di cui solo a volte, i suoi figli ne approfittavano. 
Josephine rivolse un’occhiata interrogativa al padre, per chiedere conferme. Draco le sorrise e le fece un occhiolino, poi bisbigliò: “solo un pochino”. Lei cercò di nascondere la risata imminente con dei colpi di tosse. 
Diagon Alley era piena di giovani maghi in preda alle spese autunnali per l’inizio della scuola. Albus e Scorpius erano gli unici assenti. I due Serpeverde del terzo anno si erano dileguati dagli altri con la scusa di dover aiutare Hagrid a sbrigare una faccenda alla Gringott.
Anche Lily sarebbe partita quell’anno. Si scoprì essere una Grifondoro davvero in gamba, perché divenne cercatrice della squadra di Quidditch proprio lo stesso anno. Non poteva seguire le orme del padre meglio di così. Inutile dire invece che Albus, che già si sentiva fuori posto essendo l’unico Serpeverde della famiglia, ne fu sconvolto.
Rimase piacevolmente sconvolto anche Scorpius, il cercatore della sua squadra. Però non disse nulla, si limitò solo a sorridere pacatamente alla notizia e a fare da contrappeso ad un Albus indignato.
Josephine invece non smise mai di sorprendere. Fu smistata tra i Corvonero, notizia che Draco ed Hermione presero molto bene. 
La madre si aspettava sarebbe finita con suo fratello in Serpeverde, ma effettivamente tutta quell’astuzia e ingegno sarebbero serviti di gran lunga a una casa come quella dei Corvonero.
Jo sembrava essere il compromesso vivente dei giovani Serpeverde e Grifondoro che erano stati. Scorpius invece, lui era un’altra storia. Enigmatico e riflessivo come Draco, all’apparenza sembrava non avere niente di Hermione, da cui però aveva ereditato l’innata curiosità, l’orgoglio e l’ostinazione. 
A quasi 40 anni, Draco ed Hermione capirono che era iniziata un’altra fase della loro vita, una in cui i figli ne avrebbero fatto parte solo ogni tanto, perché un giorno anche loro avrebbero preso strade diverse. 
Ma non aveva senso proiettarsi così avanti nel futuro. Erano lì, ancora insieme e questa era l’unica cosa che contava. Draco avrebbe continuato a lavorare al suo ennesimo libro seguendo Hermione nei suoi viaggi internazionali. Lei avrebbe assunto la carica di viceministro continuando a salvaguardare la vita delle creature magiche. A tempo perso avrebbero apportato modifiche qua e là alla casa, sarebbero andati dalla madre di Hermione in Scozia a rilassarsi un po’, avrebbero ricucito i rapporti con i genitori di Draco, risollevatesi un po’ dopo la nascita di Jo e anche grazie al suo caratterino frizzante. 
Gli anni sarebbero passati.
 
Una volta tornati sul vialetto di casa dopo la partenza del treno, Draco ed Hermione si trovarono da soli, per la prima volta dopo tanti anni.
“Stasera cucino io”, disse lui una volta rientrati a casa. Aveva notato le lacrime silenziose di Hermione dopo la partenza dei figli. 
Sua moglie si tolse le scarpe all’entrata, poi raggiunse Draco che aveva iniziato a sfogliare il libro di cucina che nonna Josephine gli aveva lasciato nel testamento. Lo abbracciò da dietro e gli diede un bacio sulla schiena.
“Ti amo”.
“Ti amo”, rispose calmo lui. 
 
 
 

Lily Luna Potter, per gli amici solo “Lu”, stava scendendo di corsa le scale. Era in ritardo per la sua prima lezione di Babbanologia e la professoressa Reynards ormai quasi cieca, aveva affinato un particolare udito, ed era capace di distinguere ognuno dei suoi studenti. Sentiva puzza di ritardo sempre e comunque. 
I lunghi capelli rossi erano raccolti in una morbida treccia e le sfioravano ormai la schiena. Procedeva a passo svelto, la gonna svolazzante e le gambe sicure.
Le mancava solo un angolo da svoltare e sarebbe arrivata. 
Lily viveva strenuamente nel presente, non pensava mai a ciò che era successo, né a quello che sarebbe seguito, in quel momento però nel suo presente le sfuggì un particolare. 
Quel particolare le finì addosso una volta che girò l’angolo e fece cadere i suoi libri a terra.
“Oh! Scusami”. Scorpius Malfoy si era piegato per raccogliere ciò che era caduto. Lily lo riconobbe subito, lui invece solo quando sollevò lo sguardo su di lei, ugualmente rannicchiata a raccogliere gli appunti sfuggiti tra i quaderni.
“Lily, sei tu! Non ti avevo vista”, le disse distrattamente.
“Questo è perché non guardi mai a un centimetro dal tuo naso”, le rispose piccata lei, innervosita per quell’ulteriore ritardo.
Scorpius le porse l’ultimo libro e si sollevarono dal pavimento. Lily, visibilmente arrossita, riprese a camminare velocemente, non considerando minimamente suo fratello, che se ne stava accanto a Malfoy.
“Ha un caratterino, eh?” disse all’amico. Sorrise di sfuggita mentre la guardava allontanarsi.
“Che vuoi che ti dica, chi la capisce”, rispose svogliato Albus.
Il rossore sul volto di Lily permanse fino a che non raggiunse la classe. Si scusò con la professoressa per il ritardo, poi si mise a sedere accanto a Josephine, che le tenne il posto per tutto il tempo.
“Ma dove eri finita?”
“Ho avuto un contrattempo”.
Mise sul banco il libro per la lezione. 
Era la seconda edizione di “Muggle Studies” di Draco Malfoy.


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