Missione Regina

di fujitoid
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Sinossi ***
Capitolo 2: *** 1° capitolo Una lettera misteriosa (Ferrara settembre 2017) ***
Capitolo 3: *** 2° capitolo Benvenuti a New York (Ferrara-New York settembre 2017) ***
Capitolo 4: *** 3° capitolo Un ritrovamento misterioso (New York settembre 2017-Bologna luglio 1365) ***
Capitolo 5: *** 4° capitolo Un giorno in biblioteca (Ferrara-New York ottobre 2017) ***
Capitolo 6: *** 5° capitolo Il progetto “Missione Regina” (New York ottobre 2017) ***
Capitolo 7: *** 6° Capitolo La ragazza misteriosa (Bologna agosto 1365-New York ottobre 2017) ***
Capitolo 8: *** 7° Capitolo Troppe curiosità (New York ottobre 2017) ***
Capitolo 9: *** 8° Capitolo Un arrivo inaspettato (New York ottobre 2017) ***
Capitolo 10: *** 9° Capitolo Ricordi passati (New York novembre 2017-Ferrara agosto 2008) ***
Capitolo 11: *** 10° Capitolo Un diario da leggere 1ª parte-Un amore proibito (New York novembre 2017-Bologna dicembre 1365) ***
Capitolo 12: *** 11° Capitolo Un diario da leggere 2ª parte-Addio Grimilde (New York novembre 2017-Bologna dicembre 1365) ***
Capitolo 13: *** 12° Capitolo La presentazione del progetto-Fidarsi è bene ma… (New York novembre 2017) ***



Capitolo 1
*** Sinossi ***


Sinossi
Annamaria Venturi è una ragazza italiana di 23 anni, bolognese di nascita, nata in una bella nottata primaverile del 25 aprile del 1994; con genitori divorziati ma benestanti. Francesco, il padre di 50 anni laureato in scienze politiche ed ex politico con la professione di commerciante; titolare di una concessionaria di automobili sia antiche che moderne. La madre Arianna, una donna di 48 anni eletta alla Camera dei Deputati durante le elezioni politiche del 2013 ma di professione avvocato; diventata successivamente sottosegretaria del Ministero degli Esteri per il nuovo governo appena formatosi.
Con un passato pieno di relazioni sentimentali molto turbolenti durante i 5 anni scolastici e per scelta personale single, si diplomò al liceo classico. Successivamente s’iscrisse all’università di storia dell’arte di Ferrara dove si laureò. Solo dopo aver finito tutti gli studi avrebbe pensato all’amore e crearsi una famiglia tutta sua. Purtroppo era controcorrente, lo fu sempre; la sua passione non era compresa da molti. Le davano della pazza, lottava per valorizzare e tenere alto il nome d’una famiglia che rischiava da anni d’essere messa in cattiva luce.
A nessuno più interessava la storia misteriosa della cultura romagnola risalente a migliaia d’anni fa. Tutti si affannavano a studiare e cercare di capire com'era la città di Bologna dopo la catastrofe del terremoto del 25 luglio 1365. Purtroppo il terremoto distrusse molte cose e case, provocò alcuni morti e quello che rimase vollero eliminarlo. Motivo per cui, ciò che esisteva anni fa si poteva sapere solo attraverso i testimoni oculari sopravvissuti a quella catastrofe che tramandavano ai posteri l’accaduto quello che successe successivamente per poter rialzare nuovamente la testa. Gli stessi li tramandavano ai figli fino ai giorni nostri. Non sapeva perché avessero deciso d’eliminare la memoria di quegli anni, forse per coprire la vergogna di ciò che erano. Perché avevano paura, una cosa era sicura; cambiarono molte cose da allora ma questa sicuramente no. Il governo di quel tempo faceva il suo interesse, se stavano messi male era solo perché faceva comodo anche a loro.
Tutti volevano sapere cosa c'era anni fa, secondo lei la cultura medioevale era la più affascinate; poi se vollero nascondere ciò ch’era, forse, era brutto davvero. In televisione si sentiva parlare di alcuni scienziati riusciti nell’intento ad inventare una macchina del tempo; sembrava che entro la fine dell'anno il metodo sarebbe stato sicuro e testato. Il progetto sarebbe stato di dominio pubblico, anche s’era fermamente convinta che sarebbe stata una cosa da usare con cautela e in modo controllato.
Per alcuni sarebbe stato un guaio se fosse finita nelle mani sbagliate; però anche se si vergognasse a dirlo aveva un sogno nel cassetto. Forse non sarebbe mai stata così vicina a realizzare il suo sogno; visitare il medioevo e conoscere le sue culture. Un giorno forse l’avrebbe fatto.
Suo nonno Alberto era un appassionato di storia medioevale, quando era in vita veniva pagato dall’Inps e stipendiato privatamente per i lavori che svolgeva come agricolo. Lavorava solo quattro ore al giorno, ma non era per soldi o bisogno ma per pura passione ereditata dai suoi genitori; come quella della cultura antica medioevale.
Questa passione Annamaria la prese proprio da lui, nonostante non l’avesse mai conosciuto. Diceva e ripeteva ai suoi amici che pochi uomini potevano affermare di aver raggiunto i propri scopi. Cercò di sviluppare maggiori informazioni sul 1300 e 1400, specialmente cosa successe veramente dopo il terremoto che colpì la loro città nel 1365; essendo molto dubbiosa su cosa riportavano i libri di storia e le enciclopedie.
Annamaria, come già detto, non conobbe mai suo nonno. Morto nel 1980 all’età di 42 anni a causa d’un infarto che lo colse all’improvviso. Di lui, tramite il padre, sapeva molte cose o quanto meno pensava così per come glielo descriveva sempre.
Una volta conseguita la laurea, Annamaria, volle entrare nel progetto di questa invenzione trasferendosi a New York. A spingerla in questo viaggio una scoperta che fece per puro caso a casa sua.
In qualche modo, l’invenzione della macchina del tempo e suo nonno c’entravano qualcosa e voleva sapere come. In modo da realizzare il suo sogno; magari incontrarlo ed avere la possibilità di conoscerlo e parlare con lui. Questo poteva avere conseguenze sul futuro, quindi, era un desiderio da valutare ma preferiva andare piano con i suoi progetti.

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Capitolo 2
*** 1° capitolo Una lettera misteriosa (Ferrara settembre 2017) ***


1° capitolo Una lettera misteriosa
(Ferrara settembre 2017)
Tutto cominciò all’università di Ferrara, il 18 settembre 2017, dove si consegnava una laurea in storia dell’arte con il voto di 110 e lode ad una ragazza di 23 anni Annamaria Venturi. Organizzò una cena, per festeggiare l’evento, la sera stessa in un noto ristorante elegante della città di Bologna; i divertimenti finirono in tarda notte verso le 2.30 di notte.
A causa di questo la mattina dopo del 19, Annamaria si trovò a casa a dormire fino a metà mattinata, in un appartamento indipendente sita su due piani, al cento della città.
La sveglia suonò alle 8.30, inserita da lei stessa appena tornò a casa pensando di svegliarsi a quell’orario ma il sonno ebbe il sopravvento facendola alzare alle 10.30.
Ancora un po' stordita, s’alzò dal letto, andò a farsi una doccia in modo di ricollegarsi con il mondo reale. Finito di lavarsi, indossò un bel accappatoio rosa, si asciugò i capelli e si vestì; recandosi in soffitta prima di raggiungere la cucina dove ad attenderla c’era il padre di nome Francesco.
Classe 1967 proprietario di una concessionaria di automobili, era seduto a tavola con il PC davanti a valutare alcune automobili pronte ad arrivare in consegna nei prossimi giorni. Sorseggiava il caffè con accanto un piatto con le rimanenze di alcuni biscotti dopo aver bevuto il caffè.
Immerso nei suoi pensieri, vide comparire come dal nulla una piccola busta bianca senza scritta sulla superficie ma stranamente sigillata da un sigillo in cera lacca nera e con uno stemma strano ma antico. L’apri e il biglietto recitava "Ovunque tu sarai io ti troverò sempre a me Non servono macchine del tempo. Quindi stai attento che prima o poi tornerò a cercarti. E da quel momento in poi sarò la tua seconda ombra. Per te e per le tue generazioni Avvenire.” La lettera era firmata solo con una grande e semplice “X”.
Dopo aver letto questo biglietto impallidì, abbassò lo schermo del PC portatile riflettendo; perché, improvvisamente, si ricordò di un particolare. Dopo la morte di suo padre queste buste cominciarono a comparire spesso dal nulla sempre con la stessa frase e sudò freddo quando rivide quella firma, quella grande “X” color sangue.
Dopo la nascita di sua figlia, quelle lettere smisero all’improvviso di fare la loro comparsa, fino a quel giorno. Ricordò che suo padre fu trovato con una grande “X” in mezzo al volto privo di sensi ma alla moglie Arianna non disse mai la verità su questo particolare non raccontando la versione dei fatti, bensì un’altra. Anche dopo la nascita di sua figlia, volle evitare di menzionare la verità forse per proteggerla o per preoccupazione personale.
Intanto, sentì i passi provenire dal soffitto stava scendendo sua figlia, andata a curiosare come ogni tanto faceva, così si ricompose e nascose la lettera, nella tasca dei pantaloni facendo finta di nulla risollevando lo schermo del PC.
Appena scesa la salutò – Ciao Annamaria! Ben svegliata, hai dormito bene? – Le domandò riposando la tazzina nel piattino. Annamaria prese un pacco di fette biscottate da uno stipetto, si sedette di fronte a lui e cominciò ad assaggiarne uno – Buongiorno “vecchio”, si ho dormito bene. Pensavo di alzarmi alle 8.30 ma purtroppo non ho sentito la sveglia. – Continuò a mangiare guardandolo con una certa curiosità. Il padre non si scompose più di tanto – Lo credo bene! Sei rincasata alle 2.45, come pensavi di svegliarti per quell’orario? A proposito ha telefonato tua madre voleva parlare con te. – Nemmeno la guardava concentrato com’era nel lavorare al computer portatile – Voleva che la chiamassi appena ti svegliassi, penso si tratti di quel viaggio che vuoi fare in America. – Sapeva benissimo che entrare nel progetto di quell’invenzione, per lui tanto assurda, non sarebbe stato affatto facile.
Con le conoscenze della moglie grazie alla sua posizione lavorativa, forse qualche speranza c’era.
La figlia continuò la colazione, seduta a tavola di fronte a lui – Papà, la mia idea la sai benissimo, capire cosa successe veramente dopo quel 25 luglio del 1365. – Disse cercando di convincerlo. Il padre smise per un attimo di lavorare – Posso capire acculturarsi, leggere libri e tante altre cose; ma tu hai intenzione di viaggiare nel tempo per vederlo con i tuoi occhi. Solo un pazzo potrebbe pensare una cosa del genere. – Cercò di respingere quella sua idea ma senza alcun esito. La ragazza, oltre ad essere testarda, era imperterrita.
Sarebbe andata lo stesso avanti con il suo progetto – Ho già parlato con la mamma ed è d’accordo di mandarmi in America. Solo lì potrò andare avanti con quest’idea se dovessi rimanere in Italia non concluderei niente. – Si fermò un attimo a parlare per ingoiare la fetta biscottata che stava mangiando – E poi sei stato tu a parlarmi di un progetto che il nonno stava portando avanti. Purtroppo è morto giovane ed io voglio continuare il suo lavoro. – Concluse guardandolo fisso negl’occhi. Francesco messo di lato il PC, ancora aperto, le rispose – Ma era solo una favola per farti addormentare la notte, secondo te può veramente esistere una macchina del tempo capace di viaggiare in qualsiasi epoca? Quello che senti alla televisione è solo fantascienza per pubblicizzare un film. – Così si difese, inventandosi la prima cosa che gli venne in mente, per poter zittire la figlia ritornando a lavorare al computer.
Annamaria, allungò la mano per prendere la bottiglia d’acqua posta leggermente distante da lei e bevve un sorso riempiendo un bicchiere già presente nel tavolo.
Disse solo brevemente – Va bene, “vecchio”! Come vuoi tu. Ora chiamo la mamma e vediamo che vuole, speriamo in buone notizie. – Abbandonò la cucina per andare a telefonare dall’ufficio del padre.
Non voleva usare il cellulare preferiva usarlo per altri motivi e contattare chi volesse lei.
Mentre parlava al telefono con la madre, frugò tra i documenti del padre trovando alcuni disegni ed abbozzi fatti da suo nonno, con tanto di firma, che parlavano di una capsula del tempo capace di viaggiare nel tempo descritta nei minimi dettagli su come si potesse costruire ed usare.
Concluse la chiamata come se nulla fosse, ma Annamaria ebbe dei forti dubbi – Questi disegni sono benfatti, risalgono al 1956 precisamente al 12 novembre. – Continuò a leggere fino a quando lesse un appunto di suo nonno – Qui c’è scritto: “Per poter viaggiare nell’epoca desiderata collegare un monitor dotato di tastiera, naturalmente non troppo grande ai circuiti del tempo ed inserire l’orario, il giorno, il mese e l’anno…” – Smise di leggere invasa da un pensiero che solo lei sapeva – Qui c’è un disegno di un orologio sembrano quelli d’epoca della fine dell’800. Magari c’entra qualcosa con questa capsula! Chissà perché il nonno stava progettando questa macchina, c’è tanto di disegno. - In quel mentre pensava a tante cose anche al suo futuro, interrompendo la lettura di quegli appunti.
Sapeva della grande decisione che prese all’età di 10 anni; quando era poco più di una bambina decise di diventare una brava ricercatrice d’opere d’arte ed anche insegnante. Per lei prima di tutto, però, arrivava la famiglia; cominciò a diventare una brava studentessa per imparare cosa volesse dire realizzare i propri desideri anche per un futuro mestiere, aiutata naturalmente dal padre che lei, affettuosamente chiamava “Il suo vecchio”.
Dopo la telefonata con la madre e saputa la notizia che tanto aspettava, le venne in mente il racconto che suo papà Francesco, ripeteva alla figlia. Ormai lo sapeva a memoria per quante volte lo sentiva.
Il pensiero di Annamaria era questo.
<Alberto, al figlio quando era bambino diceva sempre questa parole - Ciccio, ricordati che la vita è fatta d’ostacoli, quando pensi di averli superati e che puoi camminare tranquillamente c’è sempre uno davanti a fermarti e sbarrarti la strada. Tocca a te saperlo superare e ti consiglio di farlo da solo perché non sai mai di chi ti puoi fidare quando cercherai aiuto. - Amava ripetere il discorso al figlio tante volte, poteva sembrare ripetitivo ma non voleva che crescesse ad aspettare il prossimo per andare avanti. Il piccolo Francesco gli rispondeva sempre annoiato - Si, papà me lo ripeti in continuazione, oramai la so a memoria questa frase. Ho capito benissimo quello che vuoi dire. - Essendo un ragazzino, il tono di voce era avvolte annoiato.
Stanco di farsi sentire le solite frasi, allo stesso tempo dentro di sé sentiva che quelle parole erano vere e sincere e doveva seguire quei consigli.
Suo nonno nacque l’8 dicembre 1938, nello stesso giorno dell’anniversario della prima frequenza radio inventata da Guglielmo Marconi, in una casa posta nella periferia di Ferrara e gli fu dato il nome di Alberto.
Lavorò fin da quando era bambino, dovette superare non solo l’ostacolo della II Guerra Mondiale ma anche quelle personali. 
Frequentò puntuale la scuola ma l’abbandonò subito dopo la prima media nel 1949, appena un bambino che si stava affacciando alla vita adolescenziale si mise ad aiutare suo padre Giuseppe Venturi; la cui professione era commerciante delle prime auto di quel periodo.
All’età di 11 anni andò a lavorare insieme al padre Giuseppe, cominciando dai lavori umili come aiuto contadino e cameriere per poi insegnargli quello di commerciante; gli insegnò come trattare con i clienti e comportarsi come vero uomo d’affari.
I genitori di Alberto, dopo l’affermazione di Benito Mussolini al governo divennero affermati oppositori del governo fascista, iscritti al partito comunista di una sezione cittadina ma a lui non importava molto della politica.
All’età di 18 anni, nel 1956, dopo l’anniversario della fine della Prima Guerra Mondiale che rievocava i festeggiamenti dell’Italia insieme ai suoi alleati Gran Bretagna, Francia e Stati Uniti per la vittoria contro la Germania, l’Austria ed Ungheria, ricominciò a studiare come disse lui “Spinto da una ragazza misteriosa” frequentando corsi serali di storia e storia dell’arte.
Con lei ci fu una bella storia d’amore e insieme coltivarono l’interesse per la scienza e la storia.
Questa avendo poi fatto studi scientifici e di ingegneria meccanica gli trasmise la passione di queste materie tanto da cominciare in segreto degli esperimenti. Durante uno di questi, nel 1958, nello scantinato della casa di questa ragazza, una vecchia casetta posta nelle montagne romagnole, qualcosa andò storto; ci fu una violenta esplosione lui fece in tempo a salvarsi mentre lei rimase intrappolata all’interno dello scantinato coinvolta, così, nell’esplosione e non fece in tempo ad uscire. Le fiamme, causate da un apparente corto circuito la travolsero e dopo questo incidente sembrò essere diventata cenere infatti non venne trovata alcuna sua traccia.
Da quel momento in poi lui non si diede per vinto, voleva costruire una macchina del tempo per impedire tutto questo e sapere cosa gli fosse successo veramente.
La sua idea venne, prendendo spunto da qualche vecchio libro di quel periodo il cui tema era proprio questo, “Il viaggio nel tempo”.
Un mese prima il compimento del suo venticinquesimo compleanno, nel 1963, verso novembre conobbe la sua futura moglie. I genitori di lei non possedevano niente; neanche un terreno, la casa in cui abitavano era popolare donata dal Re agl’italiani, durante il ventennio fascista, che non avevano possibilità di acquistarne una. La nonna di Annamaria conobbe il nonno quando lei aveva 24 anni, in una calda giornata d’aprile.
Lei, una ragazzina molto timida con i suoi capelli castani lunghi fino a metà schiena, con un fiocco rosa in testa e con un vestito rosso fuoco lungo tenuto da una cintura marrone alla vita passeggiava lungo il corso principale della città, facendo attenzione agl’autobus che passavano di lì.
Stava raggiungendo il negozio dove lavorava sua madre come sarta per prendere un vestito lasciato distrattamente il giorno prima, situato a metà vicino l’attuale Piazza Ariostea.
Vide un ragazzo andare dalla parte opposta che correva veloce dove ad attenderlo c’erano alcuni amici vicino alla Cattedrale di San Giorgio Martire sita in Piazza delle Cattedrale. Andava di fretta da non accorgersi di questa ragazza scontrandosi, cadendo entrambi a terra.
Il ragazzino Alberto era sconfortato con voce vergognosa, rialzandosi e pulendosi velocemente il pantalone le disse - Scusami, andavo di fretta e non t’ho visto. - L’aiutò ad alzarsi tirandola su dalla mano destra. Luciana, il nome della nonna di Annamaria, imbarazzata e con un’espressione misto alla rabbia ed allo stupore appena incrociò i suoi occhi verdi gli rispose - Devi stare attento ma a chi pensi quando corri? Voi ragazzi siete sempre distratti. - Fece un profondo respiro per gustarsi il momento, di quell’incontro-scontro.
S’era innamorata a prima vista. Non sapeva ancora chi fosse ed a quale famiglia appartenesse ma una di una cosa era sicura doveva sapere dove abitasse. Il colpo di fulmine colpì anche lei, come folgorata da una forte scossa.
Alberto avvicinò lentamente la mano ancora una volta verso il suo viso - Mi chiamo Alberto Verduci adesso devo andare ho degl’amici che mi aspettano. Ah proposito se vuoi sapere dove abito basta che domandi di Giuseppe, ha un negozio di automobili proprio qui in città, vicino Piazza Ariostea. Io Invece abito qualche traversa più sopra. Ciao ragazza misteriosa. - Le comunicò queste parole mentre correva via, vide le dita attorcigliarsi bramose per poi metterle in tasca. Luciana si sentì nel cuore una strana luce irrompere nel cuore e ne fu completamente travolta - Io mi chiamo Luciana Zucchini ma tutti mi chiamano Lucy. Ciao Alberto e vedi di correre con gl’occhi aperti. - Lo salutò con la mano destra per poi riprendere la camminata al negozio di sartoria, girandosi di volta in volta fino a perderlo di vista.
Frequentandosi dopo qualche mese, si fidanzarono e due anni dopo il loro primo incontro si sposarono; era il 1965, ma dopo la nascita dei loro primi figli, due gemelli Francesco e Ramona il padre di Annamaria, Lucy vide che il suo Alberto nonostante il loro rapporto si rafforzasse, oltre alla felicità in lui aumentava la preoccupazione.
Lui si giustifico dicendo ch’era causata dall’apparizione di lettere dal nulla sigillate con cera lacca nera in cui era inciso uno strano simbolo ma tutte erano sempre con lo stesso messaggio.
Il biglietto recitava “Ovunque tu sarai io ti troverò sempre a me Non servono macchine del tempo. Quindi stai attento che prima o poi tornerò a cercarti. E da quel momento in poi sarò la tua seconda ombra. Per te e per le tue generazioni Avvenire.” Firmato solo con un grande X.
La loro preoccupazione più grande, più che queste continue lettere, era data dai loro rispettivi genitori che non andavano d'accordo. Dopo, la loro conoscenza iniziarono i problemi per Lucia, appena saputo degl’incontri furtivi della figlia con un ragazzo membro di una famiglia di socialisti convertitisi all’idea comunista, non amavano quella unione opponendosi vivamente. Nemmeno il matrimonio riuscì a far riappacificare le due famiglie, forse solo la nascita del nipote Francesco ma solo in parte.>>
Fine 1° capitolo

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Capitolo 3
*** 2° capitolo Benvenuti a New York (Ferrara-New York settembre 2017) ***


2° capitolo Benvenuti a New York
(Ferrara-New York settembre 2017)
Un giovedì del 21 settembre, la madre di Annamaria, decise di andare a trovare la figlia ed il suo ex marito per consegnarle la lettera già comunicatele per telefono due giorni prima. Nonostante i dissapori con il marito, lo saluto cordialmente con un semplice bacio nella guancia; al contrario fece con la figlia salutata con tanto amore ed affetto.
Era ora di pranzo, era di tradizione mangiare nella sala da pranzo; la madre Arianna durante la lettura della lettera fece segno alla figlia che non era nemmeno più intenzionata a mangiare, tanto che Annamaria lo capì al volo mettendo nel forno quello ch’era rimasto in caso si sarebbe mangiato la sera stessa.
La lettera parlava, del viaggio che la figlia avrebbe dovuto affrontare il primo giorno del mese di ottobre dello stesso anno in America, sarebbe atterrata il giorno seguente all’aeroporto di New York ed una volta lì sarebbe dovuta andare in un alloggio di proprietà di parenti residenti in zona al centro della città. Il giorno successivo si sarebbe dovuta recare in un grande grattacielo di appartenenza di una nota azienda di ricerche scientifiche ed antiche per parlare di quest’invenzione che tanto circolava da giorni nelle televisioni di tutto il mondo: Una macchina del tempo capace di viaggiare in qualsiasi epoca; il resto l’avrebbe scoperto soltanto stando lì.
Un litigio fra i suoi genitori fece scattare un campanello d’allarme in lei.
Suo padre non era d’accordo e glielo ripeté a sua moglie in un modo non tanto bello – Ma stai scherzando? Far trasferire nostra figlia da sola in una città come New York, la notte è pure pericolosa. – Disse sbraitando, sbattendo il giornale delle notizie nel tavolo del salone. La madre gli sapeva tenere testa benissimo – Sentì nostra figlia è grande e vaccinata. Le mie conoscenze, la porteranno lontano. Fidati per una volta di me e dei miei progetti. – Se lui gridava forte lei, invece sapeva mantenere la calma anche in quelle situazioni parlando con molta serenità e positività. Annamaria non voleva intromettersi in quei discorsi da grande ma in quel momento si sentì dentro di sé di dire qualcosa – Papà, mamma! Non litigate sempre, non fate altro in questo periodo. Cercate di fare pace e tornare insieme. Eravamo felici ed ora sembrate dei nemici. – Rimase, poi, zitta continuando a svolgere i lavori di casalinga mentre i suoi genitori la guardavano ma mai le sarebbe capitato di pensare che da quel momento la sua vita sarebbe cambiata.
Francesco avrebbe potuto tenere i soldi, del viaggio spedite alla figlia tramite assegno e gettare nell’immondizia la lettera, ma qualcosa lo aveva convinto a far accettare alla figlia quel viaggio ancora misterioso.
Forse la consapevolezza che i soldi nella busta non sarebbero bastati a pagare i debiti con alcuni imprenditori o con i suoi ex affaristi più pericolosi; da cui prendeva mazzette quando non riusciva a comprare egli stesso le automobili, per questo criticato più volte dalla moglie stessa per non essere del tutto soddisfatto dal suo lavoro.
Forse fu la promessa di ricevere altro denaro a far condurre il primo ottobre la figlia all’aeroporto di Bologna o le sue parole a convincere sé stesso a farla salire sull’aereo o forse furono le minacce passate dei suoi commercianti di lavoro, non esattamente persone raccomandabili. Voleva tanto partire con lei ma i suoi impegni lavorativi glielo impedivano così fu sua madre a seguirla per un breve tempo in questa nuova avventura.
Arrivò il giorno della partenza era pomeriggio, alle 17:20 sarebbe partito l’aereo, il viaggio prevedeva uno scalo a Casablanca in Marocco con arrivo alle 20.35 e poi dopo una notte in albergo da lì un altro volo con la partenza prevista alle 16:15 per New York ed arrivo nella città americana per le 18:30.
Durante il percorso che l’avrebbe condotta all’aeroporto di Bologna chiuse gl’occhi abbassando lo sguardo i suoi genitori non le dissero niente, la guardavano dagli specchietti retrovisori capendo come si sentiva, era da sola che doveva affrontare le sue paure ed i suoi desideri; più volte in passato cercarono di aiutarla per fortuna con successo.
La lontananza dei suoi genitori per lei era diventata un incubo, ma per loro fu un successo se così si potesse chiamare. Fu quello a convincerla che spesso volte per realizzare i propri sogni si deve andare lontano, usando metodi semplici che solo i genitori conoscevano.
Il tragitto fu quasi del tutto silenzioso se non fosse per il vento che tirava colpendo il viso del padre scompigliandogli i capelli quasi bianchi una volta di quel colore castano che tanto amava la madre accarezzare nei momenti più belli della loro intimità.
La madre, invece, teneva il finestrino chiuso assorta nei suoi pensieri, pensando ancora a quella lettera tenuta all’interno della borsa.
Annamaria era pensierosa si domandava a cosa stesse andando incontro, quella nuova esperienza che stava per fare l’avrebbe ricordata per sempre, non sapeva quale sarebbe stato il suo ruolo ma qualcosa ipotizzò forse qualcosa che riguardava i suoi studi essendo laureata in storia dell’arte; molto probabilmente si trattava di qualcosa del genere.
Guardava fuori dal finestrino, ammirando gl’alberi romagnoli, i raggi del sole le colpivano il viso; faceva caldo ma era sopportabile, l’incrocio con altre macchine che sopraggiungevano dalla direzione opposta la facevano sorridere.
Arrivati all’aeroporto, Francesco salutò la figlia con un grande abbraccio – Mi raccomando figlia mia abbi cura di te. – Poi rivolgendosi alla moglie le disse – Mi fido di Arianna, sono d’accordo con nostra figlia dobbiamo cercare di andare più d’accordo. – Le sorrise, non fece altro sciogliendo l’abbraccio verso la figlia. Arianna gli rispose – Stai tranquillo che sarà un successo, poi lo vedrai tu stesso. – Era molto orgogliosa lei, anche se dentro di lei sentiva di amarlo ancora non gliel’avrebbe fatto mai capire. Annamaria emise un timido sorriso verso il padre – Mio caro “vecchio” vedrai che tua figlia sarà così famosa da sentirla nominare in televisione ogni giorno. – Detto questo lo salutarono e raggiunsero l’uscita aeroportuale interessata per poter salire sull’aereo.
Il viaggio fu al quanto tormentato per Annamaria, aveva sempre un pensiero in testa ed era come tormentata da qualcosa che nemmeno lei sapeva.
Durante il pernottamento in albergo di Casablanca venne assalita da un incubo: sognò d’essere perseguitata da una strana creatura femminile che le disse di non usare nessuna macchina del tempo o se ne sarebbe pentita.
Il mattino dopo s’alzò molto turbata ma non lo fece notare alla madre.
I pasti vennero consumati normalmente anche se la madre domandava sempre – Che hai figlia mia? Ti vedo strana, non hai dormito bene? Annamaria rispondeva tranquillamente – Tutto apposto mamma, è solo questo viaggio che mi ha scombussolato un po'; ma sto bene, stai tranquilla. - Così si giustificava, evitando di menzionare la verità sul sogno fatto la notte prima.
Il padre di Annamaria era taciturno e sorseggia il suo caffè osservava il vuoto immerso nei suoi pensieri. Nel piattino vuoto comparve di nuovo una lettera uguale a quella dei giorni precedenti e la nascose subito nella giacca. Si rimise a osservare nuovamente il vuoto più precisamente il muro della cucina, ma anche se avesse capito che qualcosa in sua figlia non andasse si stette zitto.
In Marocco, la colazione venne consumata normalmente anche se la madre domandava sempre – Si può sapere che hai? Sei strana, non si tratta di aver dormito bene! C’è altro secondo me. Annamaria continuò a risponderle vagamente ed in modo sereno – Te l’ho detto mamma è tutto apposto mamma, non sono abituata a fare viaggi così lunghi che mi confondono la testa; ma sto bene, te l’ho già detto di stare tranquilla. – La sua giustificazione era sempre questa, secondo un suo parere non era momento di farla preoccupare per un semplice sogno.
Nel pomeriggio, verso le 15:30, come se niente fosse salutarono il direttore dell’albergo, raggiunsero l’aeroporto ed all’orario previsto partirono.
Arrivarono a destinazione puntuali: alle 18:30 davanti ai loro occhi si poteva vedere l’immensa città americana illuminata di ogni luce, dato l’orario serale, fino a quel momento vista solo in televisione o in qualche fotografia di varie riviste di viaggi. Per fortuna entrambe le donne conoscevano benissimo la lingua inglese, quindi, non ebbero problemi a passare i controlli del Check-in e chiamare un taxi, una volta usciti dall’aeroporto, per farsi condurre alla casa designata per la figlia. La confusione era tanta per quanta gente c’era.
Una volta arrivati all’indirizzo segnato nella lettera s’accorsero che in realtà la casa era una villa grande, anche troppo per una sola persona.
Dall’esterno si poteva intravedere il giardino ben curato. Attaccato al muro c’era un cartello con su scritto il nome di quell’abitazione “Villa Arianna” chiamata proprio con il nome della madre di Annamaria.
La villa aveva una superficie lorda di 1.100 mq circa, disposti su quattro piani fuori terra e su una zona cantine al piano seminterrato e poi sotto ancora i sotterranei. Intorno alla villa si estendeva un ampio giardino all'italiana raggiungibile dal cancello principale percorrendo un viale alberato di circa 400 metri.
In prossimità della facciata principale erano collocati due garage, in uno di questi c’era una vecchia auto degl’anni ’60 stile elegante di proprietà della nonna di Annamaria trasferitasi in America dopo la sua morte.
Adiacenti alla villa padronale si trovava, inoltre, un fabbricato a parziale destinazione abitativa, della superfice lorda di circa 400 mq con tettoie parzialmente chiuse, destinate alla rimessa attrezzi e macchinari, la posizione era panoramica, con una suggestiva vista sulle montagne e sulla Nazionale.
Gli spazi all’interno della villa padronale erano così divisi: al piano terra l’ingresso, un ampio salone, 6 camere, la cucina, lo studio ovale, lo studio nero uno sgabuzzino e un bagno. Al piano primo sei camere, i servizi, la loggia e un ampio terrazzo di 50 mq circa, al secondo piano un ampio disimpegno, tre camere, un cucinino, i servizi e due ampi terrazzi (di circa 50 e 90 mq) posti ai lati opposti della villa, nel piano sottotetto dei locali con soffitte, al piano interrato le cantine, un infernot e un locale tecnico e sotto i sotterranei. Inoltre, nell'interno dell’edificio c'erano vasti cameroni per la famiglia Rossi/Bernardi, archivi, cortili, cantine e forni; insomma tutto quello che occorreva alla vita di una potente, ricca famiglia. Gli appartamenti interni consistevano più che altro in stanze vastissime come la sala da pranzo, da ricevimento, da conversazione, da lavoro e da letto. Le sue pareti erano ornate di pitture, come le travi del soffitto. Le finestre avevano imposte esterne con vetri piccoli e mal connessi ed interne di tela incerata, pergamena o carta oleata. Le tende alle finestre erano di vivi colori proteggevano dalle correnti d' aria, dal freddo, dal sole e dall' umidità dei muri. I pavimenti erano di quadrelli smaltati o verniciati. Ai lati del camino, si potevano vedere creazioni del XIV secolo, era grande abbastanza da potervi far bruciare travi e tronchi di una certa lunghezza; c'erano grandi sedie attorno ai tavoli ed all’esterno larghi marciapiedi in legno su cui si raccoglieva la famiglia a giocare a scacchi e dadi, a ricamare, cantare, sentire musica nei momenti di svago.
La madre suonò il citofono della cancellata ad aprire fu la sorella di suo marito Francesco. Si chiamava Ramona Venturi, di 50 anni, ormai lì da 9 anni – Ciao cognata, che bello rivederti. – Le disse tutta felice attraverso l’apparecchio. Annamaria rispose – Ciao zia, aprici così entriamo. – Seguita poi dalla madre – Nemmeno all’aeroporto sei venuta a prenderci non cambi mai. – Il cancello s’aprì all’improvviso e le due donne percorsi i tanti metri davanti a loro raggiunsero la casa.
Sembrava una reggia più che una normale abitazione e posto nel salotto un orologio d’epoca, purtroppo non funzionante, fermo ad un orario preciso del 5 novembre 1975 essendoci anche la data. La strana sensazione che ebbero Annamaria e la madre fu quella che non si trattasse di un orologio comune; alla figlia glielo faceva stringere con una certa febbricitante curiosità ma non aveva ancora capito come farlo funzionare o come aprirlo. Il coperchio era saldato al bordo ma dalla piccola finestrella in vetro posizionata al centro di esso si potevano chiaramente vedere il quadrante e le lancette, posizionate ad indicare un’ora precisa: le tre e un quarto.
La zia Ramona Li fece accomodare nel divano del salone – Scusate se non sono potuto venire ma sono stata impegnata, sapevo del vostro arrivo ma non ho fatto in tempo. – Andò in cucina a preparare del caffè non avendo personale di servitù per sua scelta personale. La sorella le rispose – Chissà che impegni avrai avuto. Da quando vi siete trasferiti qui con tuo marito vi siete persi anche telefonicamente. – Tra loro non c’era molta simpatia per vari motivi e non mancavano i momenti che questi distanze venivano sottolineate. Annamaria subito s’intromise senza far rispondere la zia – Ma lo zio dov’è? Volevo vedere quella splendida macchina d’epoca ch’era di nonno Alberto.Era solo un modo per non far litigare le due sorelle, a cercare di mettere pace era bravissima. La zia le disse portando in un vassoio i caffè – La macchina è parcheggiata fuori dal garage se vai fuori la vedi. – Non perse tempo Annamaria che si precipitò a vederla.
Era, infatti, parcheggiata di fronte al garage, cominciò a sognare ad occhi aperti come se lei fosse la proprietaria di tutto anche di quell’autovettura in attesa d’essere prelevata dall’autista e un silenzioso conducente munito di cilindro e uniforme color pece gl’aveva fatto segno d’avvicinarsi, per poi scortarla fino al mezzo reggendo un ombrello dall’impugnatura argentata per ripararla dal sole. 
Fine 2° capitolo

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Capitolo 4
*** 3° capitolo Un ritrovamento misterioso (New York settembre 2017-Bologna luglio 1365) ***


3° capitolo Un ritrovamento misterioso
(New York settembre 2017-Bologna luglio 1365)
Finita la cena e rimaste da sole, nella camera a loro assegnata toccò ad Annamaria andare in bagno per sistemarsi facendo una bella doccia rilassante, una volta finito toccò alla madre Arianna. Annamaria, si sentì rilassata dopo essersi data una bella lavata, notò la madre uscire dal bagno dopo una ventina di minuti con l’accappatoio, camminare per la stanza. La seguiva a passo per poi farle cenno di fermarsi davanti la finestra che dava nel cortile fuori. Vide la zia Ramona parlare con suo figlio Alessandro, altro ragazzo interessato al progetto della macchina del tempo. Fu chiamato dall’Italia dalla stessa azienda che convocò la cugina Annamaria, per esporgli l’idea della creazione d’una capsula del tempo in quanto ingegnere spaziale.
Il finanziatore di questo progetto uno scienziato americano Charles Johnson, sui 60 anni d’età, molto conosciuto dalla Nasa. Erano amici da molti anni con la famiglia di sua zia; si fidava di loro essendo il dottor Maurizio Rossi, marito di sua zia un uomo sui 55 anni, un famoso geologo e ricercatore di arte antica ed appassionato d’invenzioni d’ogni tipo e la moglie la signora Ramona una nota insegnante universitaria. Ancora erano tante le cose che doveva scoprire Annamaria.
La ragazza, mentre osservava sua zia parlare con il cugino disse alla madre – Mamma ma tu pensi veramente che questa idea di viaggiare nel tempo sia una cosa sensata? – Il suo era solo un modo di capire se quel viaggio affrontato anche da lei fosse d’interesse o solo curiosità. Arianna la guardò, non rispose subito e dopo aver deglutito accennò – Si secondo me si, sarà una bella esperienza per te. – Guardava attraverso il vetro della finestra, domandosi più che altro cosa si stessero dicendo la sorella ed il nipote. Annamaria s’avvicinò alla finestra – Cosa mai si staranno dicendo per discutere così? – Si domandava, pensando a qualsiasi ipotesi.
Quel dialogo si stava scaldando troppo e scese giù in giardino a calmare gli animi tra i due. Non fu facile ma dopo qualche minuto ci riuscì ponendo fine alla discussione.
La madre di Annamaria, li raggiunse poco dopo, disse felice - Oh, finalmente niente litigi, si può sapere perché stavate litigando. - Non sembrava ma voleva cercare di capire cosa stesse succedendo.
Alessandro, si rilassò sedendosi su una sedia da giardino allungando le gambe per potersi risposare - Ora statevi zitte tutte, voglio riposare quanto basta. A noi toccano altre 4 ore di viaggio per il ritorno. - Li richiamò, inoltre, con il suo modo severo quando voleva farsi ascoltare.
Nel frattempo Annamaria, ritornata in casa, diventò molto pensierosa anche perché osservava suo zio rincasato da poco in casa. Lo vedeva comportarsi in modo strano, infatti anche lui era riflessivo, seduto in disparte a leggersi il giornale.
Lei voleva scoprire il perché, allora s’avvicinò a suo zio - Zio tutto bene? – Domandò perplessa. Lui fece un sorriso e le disse - Si cara…! Perché lo domandi? – La guardava come nulla fosse ma si vedeva lontano un chilometro che nascondeva qualcosa. Lei ricambiò il sorriso, ma non era convinta e disse a sé stessa - Troverò il motivo. - Dopo questi pensieri lasciò il salone e si recò nel garage.
Una volta dentro la macchina del nonno si mise a perquisirla in tutti i posti anche sotto i sedili, qui trovò un vano nascosto; con dentro un grande diario di pelle nera, vare carte e una penna d’oro. Aprì il diario e sulla prima pagina c’era una dedica; la lesse “Al mio compagno disse studi e di vita, così potrai scrivere i tuoi appunti, le tue e nostre giornate più belle senza più dimenticarle.” Firmata “La tua R.” Sconvolta chiuse il diario e lo nascose al suo posto e tornò da sua madre ed i suoi zii un po’ scossa.
Nello stesso tempo, mentre Annamaria, cercava di capire chi mai fosse quella misteriosa ragazza le cui iniziali era la “R”, in un'altra epoca nel lontano 1365, in piena estate, qualche giorno dopo il terremoto nella Bologna del XIV secolo presso una via della città passeggiava a cavallo un giovane, forse un antenato del nonno di Annamaria oppure lui stesso recatosi con una macchina del tempo, vestito con un abito strano richiamò l’attenzione di una ragazza.
La città doveva riprendersi dal forte terremoto che la colpì, molte case erano crollate e gli sfollati erano parecchi, a resistere in qualche modo furono i castelli nonostante qualche piccolo crollo di alcune parti e purtroppo qualche morto. Finite le scosse dovevano iniziare i lavori, di ricostruzione per le case crollate agl’abitanti. I poveri erano tanti e da una parte molto meglio che successe in estate, al momento si dovevano accontentare a stare, chi poteva, in alcuni alloggi a pagamento o da parenti per chi non lo se lo poteva permettere.
Una giovane dama, lo fermò - Scusi, mi sono persa, potrebbe indicarmi la strada per raggiungere il mercato dei mestieri? – Disse, forse per attaccar discorso o per pura verità di non sapere il luogo da lei interessato.
Questo giovanotto, fermò il cavallo tirando le redini, rimanendo di sasso alla vista di questa splendida ragazza.
Era vestita con un abito in seta rossa che le cingeva perfettamente il suo corpo statuario aveva dei capelli biondi raccolti sotto il vistoso cappello nero e gli occhi blu come due zaffiri. Le guardò le scarpe anche queste di pelle nera, ma si soffermò così tanto a guardarla, ammaliato dalla sua bellezza che non s’accorse che per cinque minuti fu in silenzio.
Una volta accortosi arrossì e le rispose - Sì, vada sempre dritto al quarto isolato svolti a destra. Ma stia attenta non so se fanno entrare, è in fase di ricostruzione. – Le rispose sorridendo ammirando la sua bellezza. La misteriosa dama ricambiò quel sorriso rivolto a lei – Grazie mille! Ma di dove sei non sembri di qui. Sei uno straniero? Che mestiere fai? – Domandò cercando di capire chi mai fosse non avendolo mai visto prima. 
L’osservò anche con curiosità, notando il suo imbarazzo e lo sguardo timido e ne fu felice.
Quest’uomo non voleva dire la verità da dove venisse veramente e disse la prima cosa che le venne in mente - Sono un menestrello! Al momento, però non lavoro da nessuna parte. – Replicò mentendo spudoratamente. Questa ragazza forse fece finta di credergli aggiungendo - Io sono una dama di compagnia, il mio Signore, ne sta cercando una per sua figlia, è stata rifiutata dal suo promesso sposo ed ora sta cadendo in depressione. – Molto probabilmente anche lei mentiva sulla sua presentazione ma in fin dei conti non era tenuta a dire la verità, proprio come faceva lui. Lui commentò brevemente – Sei una bella ragazza! Le fece questo complimento tanto per dire qualcosa tanto era imbarazzato - Quanti anni hai? Sempre se posso domandare – Domandò tenendo stretto le redini strette. Lei continuò dicendo – Grazie! È un piacere ricambiare la sua gentilezza, mi chiamo Regina, ho 24 anni. – Gli strinse la mano, allungandola verso di lui, con molta gentilezza. Lui ricambiò, chinandosi leggermente per raggiungerla - Io sono Alberto. Ho 30 anni. - Fu l’unica verità che disse in mezzo a quelle tante bugie - Dopo il terremoto ho perso il lavoro ed ora sto cercando altrove qualche occupazione. – La sua onestà s’era già conclusa con quelle parole. Regina s’accorse che si stava facendo tardi - Alberto diamoci del tu… - Subito lui rispose - Regina, va bene. – La donna finì di parlare - …Vieni a trovarmi a palazzo, si trova in città, il mio signore sarà lieto di conoscerti, è molto magnanimo. – Detto questo andò via, con un sorriso sarcastico. Alberto poté rispondere solo con una parola – Grazie! – La vide andare ed anche lui riprese il suo cammino, sbattendo i calzari nel dorso del cavallo, il quale ricominciò a camminare.
Si separarono, lei andò al mercato delle spezie e lui andò da una famiglia di sua conoscenza a fare loro visita.
Regina, arrivata a casa si recò in cucina dove ad attenderla c’era la madre - Madre, penso di andare a stare presso quel signore della città di cui parlavo. Ho la conferma che posso stare con lui. – Prese una sacca dove poter mettere le sue cose, ed alcune strane boccette e libri regalati dalla madre. La signora le rispose mentre preparava il pranzo usando un grosso pentolone posto dentro il camino - Sono felice, figlia mia. Mi raccomando stai attenta, avverto una presenza strana in città che potrebbe interferire con i nostri piani. – Usava un grosso mestolo per mescolare le pietanze, usando entrambe le mani. Regina si sedette a tavola osservando una volta finito di prepagare la sacca - Grazie, madre, credo che la presenza di cui parlate l’abbia già incontrata. Comunque vi darò una parte dei miei guadagni. Questo ricco nobile che mi corteggia, sicuramente mi darà qualcosa. – Le rispose, fissandola con uno sguardo con cui solo loro si capivano. Il sorriso beffardo di entrambe le donne descriveva perfettamente le loro intenzioni di sfruttamento.
Non si sapeva cosa avessero in mente madre e figlia con questo nobile ma una cosa era sicura si occupavano di magia sia nera che bianca.
La madre all’udire quelle parole posò il mestolo sedendosi di scatto accanto alla figlia – Veramente? E dove l’hai visto? Era come te l’ho descritto io? – Porgeva queste domande una dietro l’altra, con fare veloce tenendole entrambi i polsi e fissandola negl’occhi. Regina la guardò maliziosamente – Si Madre! Si chiama Alberto e m’ha detto pure l’età ha 30 anni, Credo che mi abbia detto la verità, avvertivo sincerità in questo. – Accarezzò le mani della madre, per restare in silenzio per parecchi minuti.
Nel presente, invece, Annamaria cercava di interpretare quella lettera. Una cosa era sicura, secondo un suo pensiero aveva a che fare con il viaggio nel tempo e solo ritornando indietro nel tempo avrebbe trovato nelle risposte ma prima doveva sapere la data giusta e capire in che secolo suo nonno conobbe quella misteriosa ragazza e magari seguire i movimenti di entrambi.
Fine 3° capitolo

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Capitolo 5
*** 4° capitolo Un giorno in biblioteca (Ferrara-New York ottobre 2017) ***


4° capitolo Un giorno in biblioteca
(Ferrara-New York ottobre 2017)
Quel lunedì mattina del 2 ottobre, il padre di Annamaria dopo la partenza dell’ex moglie e della figlia, divenne sempre più nervoso.
Era da giorni che non apparivano più lettere misteriose; l’ultima fu quella ricevuta prima della partenza delle due donne.
Questo invece di rincuorarlo e calmarlo lo agitava sempre di più. Non si capacitava e non si dava pace di aver detto di sì alla partenza delle due donne.
Decise di recarsi in una libreria di arte e storia antica di Ferrara, per cercare qualche risposta alle sue domande sperando di trovare anche qualche riferimento che potesse raffigurare qualche figura di sua conoscenza.
Dopo aver percorso con la macchina chilometri e chilometri per le vie della città; attraverso una costante coltre di caldo che s’era alzata all’improvviso rendendo il paesaggio un forno aperto, arrivò a destinazione.
Non era tanto per il fatto di non conoscere la strada aver percorso tanta strada, forse inutilmente, ma tanto per riflettere d’essere tormentato non solo da lettere misteriose ma anche per il fatto su cosa avesse portato suo padre ad intraprendere questa fissazione per i viaggi nel tempo.
Appena entrato in biblioteca e salutata la commessa, cominciò a girare incuriosito per i corridoi. Circondato da tanti libri di ogni genere si sentì confuso, ognuno poteva essere quello giusto, ma anche quello sbagliato.
Doveva scegliere bene quale trovare e leggere doveva girare per parecchi minuti prima di trovare quello che gl’interessava; camminava lentamente e nel silenzio che lo circondava solo il passo di tacchi da scarpe da uomo rompeva quel momento idilliaco e di silenzio per gli appassionati di letteratura.
Era un uomo, dall’aspetto molto elegante in compagnia della moglie o quanto meno Francesco questo pensò; di una cosa era sicuro si doveva trattare di un medico.
Non tanto per il tipo di borsa in pelle che portava nella mano destra, tipico dei dottori, ma perché la donna a sfottò continuava a chiamarlo “Dottore mio!”. Poteva essere anche una presa in giro, ma il modo di fare dell’uomo e quello di parlare lo spingeva ad autoconvincersi che si trattasse proprio di un medico, sicuramente uno dei più bravi.
Solo Lui riusciva a oltrepassare con lo sguardo attraverso i libri avendo sopportato il frenetico traballare della, presupposta, moglie che non appariva più gradevole quanto poteva sembrare all’inizio di una loro iniziale conversazione.
Il presunto medico, si trovava nella stessa corsia di Francesco. I due si guardavano nel mentre osservavano i libri di storia del medioevo risalenti al 300; di vari autori ed artisti ognuno dicevano la loro su quel periodo e su come potessero essere andate le cose dopo il terremoto che sconvolse Bologna, nel lontano 1365. Ne prese uno a caso, contava più sulla fortuna che sulla bravura a trovare quello che cercava. Nel leggere quel libro, cominciò finalmente a vedere la luce alla fine del tunnel sulla situazione in cui si trovava.
Il libro scelto parlava non solo della Bologna pre-terremoto ma anche del dopo. Una cosa che attirò la sua attenzione fu il disegno di un uomo che teneva per mano una ragazza, intenti a sposarsi.
L’uomo assomigliava molto a suo padre – Incredibile, questo tizio ha una certa assomiglianza con mio padre. Che sia lui? – Si domandò fra sé continuando a sfogliare il libro più volte, anche rileggendo quello che già aveva letto.
Per lui il padre non era solo una figura paterna da seguire e sentire consigli ma anche amico avendo lavorato insieme per parecchi anni. L’uomo, posto vicino a lui, parlava con la donna a bassa voce; di cosa non si sapeva forse su quale libro portare a casa. S’era solo capito che ne cercava qualcuno sulla medicina di quel periodo e sul modo di operare i pazienti durante il medioevo.
Francesco, intanto, era concentrato a leggere altri libri, quando decise di andare via, inserì il libro dentro una busta data dalla commessa, agganciò l’estremo della busta alla mano e dopo aver sporto la mano al di fuori della stanza la ritrasse e se la passò sulla testa, tirandosi indietro i capelli, per poi rinfilarsi la mano in tasca e prepararsi ad uscire. All’improvviso ebbe un mancamento; dopo essersi appoggiato al portone d’uscita della biblioteca svenne a terra attirando l’attenzione di tutti i presenti che chiamarono la ragazza addetta al controllo.
Il medico corse per soccorrerlo immediatamente – Sono un medico! Fate largo. Spero sia solo una mancanza di zuccheri. – Disse brevemente, chinandosi per visitarlo.
Per sicurezza venne trasportato all’ospedale con l’autoambulanza chiamata dalla commessa. Il medico era più giovane di Francesco di qualche anno; non avrebbe mai immaginato che sarebbe stato proprio lui a visitarlo. Dalla finestra della stanza posta alla sua destra si notava in lontananza un debole baluginio, che ad ogni colpo di luce del sole che cercava di penetrare attraverso le tendine, si faceva sempre più grande e intenso.
Francesco si riprese dopo qualche ora, stordito e confuso – Dove mi trovo? Stavo leggendo un libro in biblioteca e poi non ricordo più niente. – Aveva una voce fioca e debole ed a stento riuscì a sollevarsi da letto. Il medico, vicino a lui insieme ad un’infermiera che ogni tanto controllava la flebo, finalmente si presentò – Mi chiamo Luigi Mantovani, sono il medico di questo reparto, mi occupo di medicina generale ma sono anche chirurgo. Se si ricorda ci siamo incrociati alla biblioteca. – Gli ripeté controllando i suoi movimenti. Francesco lo guardò attentamente – Si mi ricordo di lei! Ma cos’è successo? Dov’è il libro che stavo leggendo ora chi lo ritroverà più. Non mi ricordo nemmeno il titolo in questo momento. – Era quasi sconvolto come se fosse molto importante quel libro per lui. Il dottor Mantovani lo calmò facendolo sdraiare nel letto – Si calmi è svenuto all’improvviso mentre era intento a leggerlo all’uscita della biblioteca. Si tranquillizzi l’ho preso io quel libro. Ho intuito che fosse importante per lei. La vedevo così assorto, m’è sembrato di vedere la mia persona. Anche a me piace leggere e riconosco chi è appassionato di questo genere.  – Fece segno all’infermiera di uscire dalla stanza e lei ubbidì subito lasciandoli i due uomini da soli. Il padre di Annamaria, si tranquillizzò sorridendo al medico – Oh grazie dottore! Nessuno l’avrebbe fatto ora non le posso spiegare è troppo lungo il fatto. Ma per quanto ne avrò ancora? – Il suo sguardo andò di sfuggita verso la finestra dove un uccellino si appollaiò godendosi il sole caldo ma non troppo per l’animale.
Si perse per un attimo come se a guardarlo gli ricordasse qualcosa che lo fece sorridere. Il dottore gli consegnò il libro tenuto dentro la sua borsa e Francesco lo aprì, ringraziandolo con un timido “Grazie!. Ne seguì quella del trovarvi all’interno un biglietto. Non ci aveva fatto caso, alla biblioteca, forse perché non l’aveva finito di leggerlo completamente. Estraendolo e posizionandolo al di sotto della luce delle lampade, lesse a bassa voce una parola elegantemente trascritta su di esso con un inchiostro non risalente al presente: “Mia regina, presto un giorno ci sposeremo e realizzeremo il nostro sogno di stare insieme. Il tuo Alby!”.
Intanto il medico uscì dalla stanza chiamato per una piccola urgenza, lasciò il paziente intento nella lettura non disturbandolo. Non rispose volutamente alla domanda fatta da Francesco, ancora non era arrivato il momento di dimetterlo.
In America era notte fonda ancora e tutta la brava gente dormiva nelle proprie abitazioni, anche Annamaria dormiva.
Il suo sonno era, però disturbato, facevi spesso sogni che la facevano agitare; cosa sognasse solo lei lo sapeva spesse volte nemmeno ricordava o era confusa al raccontare ogni qualvolta si sveglia la mattina dopo.
Da quando scoprì quegl’incartamenti dentro l’autovettura il suo pensiero era sempre lì.
La mattina americana del giorno seguente, si diede il benvenuto ad una leggera pioggia autunnale, il freddo cominciava a farsi sentire anche se non in modo eccessivo; chi l’avesse a disposizione accendeva il camino, altrimenti bastavano i riscaldamenti messi ovunque anche nei pavimenti.
Annamaria dopo essersi alzata e andata in bagno, si recò in cucina per iniziare la colazione, ma quella italiana non americana a cui non era abituata.
La madre la seguì poco dopo, con indosso una vestaglia rosa per coprire la camicia da notte.
La zia, ormai, sveglia da un pezzo e già vestita come di tradizione faceva sempre, nel salotto accese la televisione per sentire le notizie del giorno.
All’improvviso, da fuori, si sentirono le campane della chiesa vicina che suonavano lente e tristi; dalla casa di fronte di un defunto uscirono una lunga schiera di persone seguendo a passo di lumaca il carro funebre che trasportava la bara per il funerale e ad un tratto si mise a piovere molto forte. La pioggerellina era diventata una vera e propria pioggia torrenziale cogliendo di sorpresa i parenti e gl’amici a seguito del corteo funebre.
La zia Ramona aveva completamente dimenticato quel funerale, si vestì di fretta senza nemmeno truccarsi e scusandosi con gli ospiti uscì di casa prendendo, al volo, un ombrello.
Raggiunse il corteo arrivando a destinazione, la messa durò più o meno un’ora e dopo il licenziamento delle condoglianze i parenti più stretti si recarono al cimitero per murare la bara e successivamente alla propria abitazione per le rituali condoglianze all’interno della casa da parte degl’abitanti del paese ed altri conoscenti.
Fine 4° capitolo

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Capitolo 6
*** 5° capitolo Il progetto “Missione Regina” (New York ottobre 2017) ***


5° capitolo Il progetto Missione Regina
(New York ottobre 2017-Bologna agosto 1365)
Il 9 ottobre un pomeriggio nuvoloso di lunedì, Annamaria e la madre accompagnati dal cugino Alessandro si presentarono allo studio privato dello scienziato americano Charles Johnson, prossimo alla pensione; aveva steso lui la relazione sul progetto della macchina del tempo. Suocera e nipote del defunto Alberto avevano il dovere di continuare il progetto ancora in corso chiamato “Missione Regina”. Il compito dello scienziato, prima di cominciare con loro il progetto in atto aveva il dovere di leggere un testamento spedito molti anni addietro dal padre di Annamaria. In esso, lasciato dal nonno Alberto c’erano scritti tutti i nomi di chi doveva essere assunto nei vari ruoli non solo degli scienziati ma anche dei collaboratori tra i quali c’era anche il nome della nipote Annamaria.
Il dottor Johnson, si presentò alle donne con un sorriso smagliante – Nice to meet you! Miss Annamaria and Mrs Arianna. Il mio italiano non è perfetto. – Si scusò con un certo imbarazzo. Annamaria, sorrise - Don't worry about it! I’m… - Venne interrotta all’improvviso. S’intromise la madre fermando subito quella loro conversazione - I would say to start reading this will, which you told us about on the phone. – Si sedette in una delle due poltrone vicino la scrivania, con Alessandro dietro le sue spalle in piedi.
Il ragazzo si limitò solo a presentarsi appena arrivato poi non disse più una parola.
Lo scienziato americano Charles Johnson prima di leggerlo fece una premessa – Voglio avvertirvi che c’è una duplice copia di questo testamento, in doppia lingua, firmato da un notaio italiano ed uno inglese. – Successivamente lesse il testamento in italiano - Io sottoscritto Venturi Alberto nato a Ferrara l’8 dicembre 1938… Lascio, in caso di mia morte improvvisa, a mia moglie Zucchini Luciana e mio figlio Francesco quasi tutte le mie proprietà. La prima posta vicino la zona montana di Ferrara, con la seguente descrizione… In oltre, a mia moglie e mio figlio, lascio anche altri relativi beni di vario genere, anche mobili, a me intestati. Affido ai miei cari e ad un futuro nipote, maschio o femmina che sia, il progetto “Missione Regina” da me iniziato per la realizzazione d’una macchina del tempo, già in atto di avanzamento e costruzione; con l’assunzione dei seguenti nominativi…! Comunico inoltre che il nome della nascitura in caso dovesse essere una femmina dovrà essere “Annamaria” in caso contrario lascio libera scelta… - Finito di leggere il testamento lo scienziato Johnson richiuse il foglio dentro una busta per poi custodirlo in una cassaforte a muro. Tutti i presenti ascoltarono zitti senza dire una parola. La signora Arianna, disse la sua su questo testamento – Quindi non ho capito, l’unica che può saperne di più di questo progetto è mia figlia nemmeno io che sola suocera del signor Alberto? – Domandò al quanto stizzita.
Johnson la guardò molto seriamente.
In tutto ciò Alex era pietrificato dopo aver sentito quelle parole; ancora di più, non le accettava, si mise a guardare malissimo la cugina con i suoi occhi cerulei, pensando a ciò che le diceva sua madre.
Mentre lui la guardava con odio sul foglio apparvero delle frasi - Al mio Amato nipote Alex lasciò il progetto e la mia villa di New York denominata “Villa Arianna”. Tutti gl’altri parenti potranno aiutarlo sotto la loro volontà ma soltanto lui è il capo del suddetto progetto. - Dopo che il notaio lesse queste frasi a tutti e allibito come non mai, bianco in volto rispose alla signora – Yes, Mrs! I have no right and duty to tell you. She is not present in the will. In theory it could not even be here. –Concluse alzandosi dalla sedia, poi invitò le donne ad uscire.
Arianna era una tipa di poche parole non obbiettò, ma di certo non sarebbe finita lì, aspettò nella salta d’attesa per parecchio tempo e con Annamaria erano scioccati da quella postilla. Calò un silenzio tombale mentre aspettavano Alex e una volta finite le ultime pratiche sul progetto e sull’eredità andarono via, raggiungendo gli altri.
Al ritorno Alex non volle guidare, si sedette nei sedili posteriori e fece guidare sua cugina. Dalla giacca elegante tirò fuori il diario del nonno Alberto, preso dalla macchina per precauzione avendo notato che lei aprì la sua macchina e si mise a leggere da dove aveva lasciato l’ultima volta, mentre la madre di Annamaria lo osservava in tutta la sua freddezza e imponenza infatti nessuno interruppe quel silenzio sino a casa.
Nella bologna del 1365 la vita era tornata normale, le ricostruzioni delle case e delle strade andavano avanti, anche se a rilento. La gente povera tentava, in qualche modo a non pensare più al terremoto, la vita doveva continuare.
Era arrivato agosto, Regina aveva accennato ad Alberto della presenza di alcune ville o come si usava dire in quel periodo corti, localizzate nella parte centrale della città, nelle zone più umide dove l’acqua defluiva maggiormente e causava l’allagamento; ma ciò che si aspettava era molto più simile a qualche edificio squadrato un tempo abitato dai venditori di tessuti della regione.
Alle spalle di esse vi erano solo campi e montagne che si diramavano per chilometri.
Con lui aveva stretto amicizia e lui piano piano si stava innamorando di quella dolce fanciulla ma che nascondeva tanti segreti ancora oscuri per lui. Era da settimane che Regina, lo vedeva, ma dalla madre aveva saputo che sarebbe ritornato presto e quindi attendeva pazientemente.
L’alba del primo giorno di agosto era giunto; l’ora migliore per gli spostamenti poiché le anime cattive tornavano nelle tane e le brave persone erano ancora immersi nel sonno.
In piazza era intenta una condanna a morte al rogo di una ragazza accusata di stregoneria.
Capelli biondo cenere, lunghi, lisci, fluidi. E quegli occhi, grandi, d'un azzurro intenso, spalancati, brillanti, come enormi catarifrangenti che riflettono la luce che li circonda.
La figura slanciata di un corpo esile, tonico, nonostante l'età, era piantato immobile su in piedistallo di ramoscelli.
E poi le mani, quelle mani giovani, e senza rughe, con le dita pulite e la pelle liscia e vellutata, penzolavano lungo il corpo di quella donna tanto bella quanto odiosa e terrificante per le persone che gridavano alla morte di lei.
Uno dei vescovi gridava - Guardate il suo sorriso, fermo, freddo, agghiacciante, furioso e folle, il sorriso di chi ormai ha perso il senno per non si sa quale ragione ed è furioso, pieno di cattiveria e affamato di vendetta. – Le puntava il dito contro risedendosi poi su un piccolo trono molto elegante. Il popolo era furioso - La strega! La strega! A morte - Gridavano tutti, giovani e adulti.
Il campanile suonò 8 volte: era l'ora.
Uno dei giovani fece un cenno col capo e la fiaccola fu poggiata sul legno secco di quel piedistallo di rametti su cui erano poggiati i suoi piedi nudi e macchiati dal terreno, lacerati dai ciottoli della strada. Intanto il fuoco si dilagava su tutto il ligneo piedistallo, raggiungendo il tronco su cui teneva poggiata la schiena, stretta da corde.
La folla urlava, acclamando i giustizieri, esultando per la fine di quella tortura: esultavano la fine della vita della strega.
Il fuoco divampava velocemente, alimentata dal vento che soffiava forte, e ululava come un lupo in una notte di luna piena.
Pochi secondi, il tempo di uno sguardo gelido un ultimo sorriso paralizzante e fu inghiottita dalle fiamme. Almeno così credevano tutti i presenti, lasciando il luogo immerso in una tetra e raggelante risata, che continuò a riecheggiare nelle menti dei presenti.
Regina assisteva al tutto inorridita, sapeva che se fosse stata scoperta anche lei avrebbe fatto la stessa fine, così approfittando del fumo generato si mise il cappuccio nero e una maschera che teneva nascosta e slegò la ragazza e le fece indossare il suo mantello che aveva una tasca in cui mise un biglietto.
Una volta finito il tumulto le bisbiglio - Non tornare a casa tua vieni nella mia la riconoscerai dalle altre - Quando il fuoco si spense rimasero solo ceneri, secondo il parere del popolo. Poi la ragazza sconosciuta le sorrise e le rispose - Lo farò Regina. Grazie per avermi salvata! - Poi si tolse la maschera e velocemente andò via da lì, una volta finito il tutto.
Quello suo era un mondo ostile in cui, per sopravvivere o freghi il prossimo o vivi onestamente ma continui a fare il povero. Lei preferiva vivere disonestamente, le piacevano molto le scorciatoie.
Raggiunse uno dei luoghi più ostili della città che avesse mai visitato, tra i bassi canali verdastri circondati dalle piante palustri e dagli alberi marci e inarcati ricoperti di muschio; raggiungibile grazie ad un’unica strada lastricata di rocce e solcate dalle ruote dei carri di oltre tre secoli e di viavai costante. Si vedeva una mastodontica villa formata da tre edifici separati dove, da una delle camere, brillava una luce nell’oscurità della casa.
Regina bussò al portone in attesa che qualcuno le aprisse per poter entrare. Doveva vedersi con una persona molto particolare: era una vecchia signora, amica della madre anche lei esperta di riti magici e pozioni vari pronti per essere usati per qualsiasi occasione.
Una donna della servitù, una volta fatta entrare le consigliò di aspettare lì vicino al portone in attesa che venisse la signora; poi andò via.
La ragazza, si guardava attorno, sembrava spaesata solo l’ingresso era enorme.
Poteva notare la presenza della semisfera di un osservatorio posto sul tetto del blocco principale. L’edificio, la cui facciata era ricoperta di arcate e colonnine in marmo, incorniciavano decine di finestrelle in ferro battuto e il cui spettacolare ingresso era formato da una scalinata bianca che conduceva ad una spaziosa sala aperta sul cortile frontale.
Le due grosse porte in legno massiccio erano spalancate e mostravano l’interno d’essa, uno sfolgorante e movimentato ammasso di servitori intenti a trasportare vassoi di antipasti e coppe di champagne per accogliere gli ospiti, che dovevano parlare con la vecchia proprietaria.
Chi andava da lei era per chiedere aiuto su riti di qualsiasi genere da quelli benigni a quelli maligni. Ma Regina non era lì per chiedere pozioni o genere simile, l’aveva mandata la madre, per capire bene quali fossero le intenzioni di questo ragazzo Alberto arrivato da lontano. Ecco questo era l’obbiettivo, che annunciava la madre di Regina.
C’erano le candele e venivano sfruttate senza ritegno.
Il blocco di destra era più modesto, probabilmente la casa dei servitori e quello di sinistra restava un mistero ma appariva come una gigantesca serra dai vetri appannati e dall’interno buio.
Sporgendo un po’ la testa si poteva notare l’angolo di un giardino di sempreverdi che sbucava dal retro quasi per caso, facendosi intravedere tra gli spiragli di archi e tettoie metalliche che circondavano l’abitazione.
La vecchia signora, ritornò dentro casa proveniente dal giardino. Si concentrò sulla sua pelle, marroncina per via del terreno, prese dell’acqua pulendosi il viso, si specchiò di nuovo notando il reale colore della pelle, che era molto pallido, quasi bianco.
Poi andò dalla sua ospite – Accomodati, Regina! Tua madre mi ha riferito della tua visita, con una lettera. Sei più bella di quanto pensassi! – Esclamò avvicinandosi a lei.
La fece accomodare in quello che doveva essere il salotto, arredato con nobile stile ed eleganza con una pulizia infinita.
La signora continuò dicendo - Accomodati Regina, complimenti la tua bellezza si fa notare sempre di più. – Era una molto falsa e manipolatrice ma forse non aveva capito o meglio aveva sottovalutato la ragazza che aveva davanti. Regina rispose brevemente – Grazie! – Con un timido sorriso, ma era solo apparenza non voleva che le leggesse nella mente. La vecchia si preparò per il consulto - Allora dimmi! – Replicò molto diretta senza aggiungere altro.
Regina, cominciò a raccontare tutto senza tralasciare niente.
La signora si mise, così, a guardare nella sfera di vetro posta al centro del tavolo e poi disse - Non è come ha detto tua madre. Lui è di questa epoca. - Non la guardo nemmeno negl’occhi mentre lo diceva. A quel punto Regina s’alzò e la guardò così male che le fece venire un mal di testa fortissimo poi arrabbia gridò – La prossima volta non osare mentirmi megera. - Poi mise una moneta d’oro sul tavolo e dopo aver dato una moneta d’argento alla servitù salutò – Arrivederci a tutti! - Si fece accompagnare al cancello e poi andò verso casa sua pensierosa.
Fine 5° capitolo

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Capitolo 7
*** 6° Capitolo La ragazza misteriosa (Bologna agosto 1365-New York ottobre 2017) ***


6° Capitolo La ragazza misteriosa
(Bologna agosto 1365-New York ottobre 2017)
Era giunta a casa sua, una casa molto antica dove lei era cresciuta con suo fratello gemello e con i suoi genitori sin dal suo primo gemito in quanto anche nati lì.
L’abitazione, fu edificata tra il 1350 e il 1360 ma un brutto incendio distrusse una piccola parte. La fetta maggiore rimase dell'epoca come le cantine ed i sotterranei.
Con la struttura architettonica della tipica casa romagnola, aveva una superficie coperta di circa 400 mq lordi e si sviluppava su due livelli: al piano terra una grande sala da pranzo, un magazzino, una camera, la cucina ed un’ampia zona porticata; al primo piano cinque camere, un bagno, un ripostiglio, un magazzino ed un ampio porticato. Al secondo piano invece si trovavano altre stanze del tutto misteriose riservate alla famiglia dove i servitori non potevano entrare, salvo qualche varia eccezione. Si presentava un edificio a tozze arcate a sesto acuto con cornici di terracotta a fogliami. L’interno era delimitato da un fregio in cotto con finestre ogivali e ricca decorazione. L'intonaco era ornato da graffiti romagnoli.
La parte sinistra della costruzione ospitava la stalla per gli animali, quella destra invece un loggiato, normalmente chiuso da una cancellata, che permette l'accesso, mediante una scala interna, alla rampa sospesa che conduceva all'ingresso del di un altro casolare.
Infine c’erano adiacenti un albero secolare con una casa sull’albero che fece costruire il suo trisnonno per i gemelli e una serra con tutte le piante del mondo anche le più velenose.
La casa sull’albero era solo dei gemelli, era molto spaziosa e bene arredata nella sua piccolezza era completa.
Qui i gemelli mettevano tutte le cose più importanti e nessuno poteva accedervi perché la serratura della porta aveva doppia chiave e queste le avevano loro due solamente.
Invece la serra fu sempre li miracolosamente si salvò dall’incendio; al suo interno si potevano trovare le piante e gli ortaggi più comuni destinate alla cucina, ma in un’altra sezione separate solo da un cancello nero c’erano altre due sezioni.
Le piante e fiori rari da una parte, dall’altra piante e fiori velenosi.
La chiave del cancello l’aveva solo la padrona di casa. Ai gemelli era vietato l’accesso.
Finito di osservare casa sua nei dettagli busso al portone.
Dopo aver bussato uscirono il maggiordomo e la sua dama di compagnia; lui aprì il cancello e andò via mentre la ragazza l’attendeva alla porta osservandola per svariati secondi. Regina sé ne accorge e le domandò - Osi guardarmi così? Che hai da guardare con quella faccia da stupida? – Una cosa che odiava era proprio questo, essere osservata insistentemente. La ragazza esclamò dispiaciuta - Ma signorina la sua mano la sua mezza stella è diventata nera! cosa è successo? – Era al quanto meravigliata e lo si vedeva benissimo. Regina le rispose al quanto sgarbata – Nulla! Non sono affari tuoi. - La guardò e poi i suoi occhi da azzurri diventarono neri come la pece.
Mormorò alcune parole che fecero svenire la signorina poi i suoi occhi subito dopo diventarono grigi.
Vide che il maggiordomo stava tornando allora si mise a urlare - vieni subito! Camilla è svenuta. – Fece finta di soccorrerla, chinandosi vicino alla svenuta.  
Lui la prese in braccio e poco dopo la fece rinvenire in cucina.
Nel frattempo lei si mise a osservare la sua mezza stella, indossò dei guanti neri di pelle e rientrò a casa.
Il suo gemello si sentì bruciare la mano destra la sua stella diventò nera.
Corse dalla sua gemella preoccupata la vide con i guanti e le sorrise, l’abbraccio senza dire una parola lui sapeva come era fatta la sorella. Teneva molto a lei, la osannava segretamente.
L’amava, così le sfilò i guanti e disse - dobbiamo metterli solo quando ci sono persone a me non devi nascondere nulla lo sai. – Le strinse la mano guardandosi reciprocamente negl’occhi.
Lei se li fece togliere e sorrise. Raccontò al fratello il fatto della piazza.
Lui sorrise e disse dolcemente - Hai fatto bene sorellina, avrei fatto lo stesso, ora vai da mamma ti aspetta in soffitta, papà è al lavoro. – Ritornò a quello che stava facendo senza dire altro.
Così Regina salì le scale di corsa e andò dalla madre.
La madre la saluto freddamente e poi aggiunse - Dimmi tutto Alexander mi ha detto che volevi parlarmi. – Impegnata com’era nel leggere le carte dei tarocchi. Regina le si sedette di fronte - Si esatto il giorno è giunto! - Prese una scatola e dentro c’era un grande ciondolo a forma di stella in pro nero riccamente decorato da pietre preziose. Nel frattempo Alexander salì ed entrò nella stanza - Sai non voglio lasciarti da sola con lei l’ultima volta ti ha fatto del male. – Si riferì alla sorella guardando in modo guardingo la madre.
Ella allora spezzò la stella e la diede ai due gemelli la metà sinistra a Regina e la destra a Alexander
Poi fissandoli attentamente negl’occhi disse - Una volta io e la mia gemella li indossavamo; poi lei Morì e non aveva più senso che l’indossavo così lo misi in questa scatola attendendo il giorno adatto. Mi raccomando non perdeteli mai e per la vostra futura generazione, al momento giusto tramandateli. – Quella stella era dotata di enormi poteri anche viaggiare in qualsiasi epoca, la madre questo lo sapeva bene.
Allora i due gemelli indossarono al collo la mezza stella ed i loro occhi diventarono rossi e poi tornarono cerulei Alex poi prese la scatola e prese Regina e scesero, raggiungendo le altre stanze, dopo aver ringraziato la madre.
Usando il linguaggio dei gemelli le domando - Come stai? Cosa pensi di questo? – Lei rispose - Sto meglio di prima tu? – La contro risposta arrivò nell’immediatezza - Molto bene! - Sorrise al gemello ed aggiunse - Penso che sia un regalo ben gradito che ci aiuterà nei nostri progetti. – Ci un silenzio tra di loro dopo queste ultime parole.
Dopo aver parlato e finito di scendere le scale, andò nelle sue stanze e si vestì per la sera.
Alexander andò nel suo studio e nascose la scatola in un posto che sapevano solo loro due e nessun altro e poi si mise a scrivere il diario.
Scrivendo minuziosamente questa giornata con un inchiostro particolare che mostrava solo a chi doveva queste frasi.
All’improvviso si sentì bussare al portone, il maggiordomo aprendo la porta vide una ragazza coperta solo da una mantella nera e con i capelli scalzi il volto coperto di cenere e sporca. Le disse - Salve signorina chi cerca? – La guardava con una certa diffidenza, non l’aveva mai vista prima.
Con lo sguardo basso rispose – Lei! La ragazza di nome Regina. -  La ragazza dagli occhi cerulei, non lo degnava nemmeno di uno sguardo. Il maggiordomo la fece accomodare - Va bene ma prima di incontrarla l’accompagno in bagno. Si deve lavare e vestire decorosamente, così la posso accompagnare. – Camminava a passo lento verso la zona privé dei bagni avanti alla ragazza.
La misteriosa in poco tempo si lavò e si vestì con degl’abiti presi dalla camera degl’ospiti.
Il maggiordomo chiamò la padrona e la figlia Regina, mentre Alex allertato dal gatto Cesar andò in salotto notando questa ragazza. Si sedette accanto alla gemella.
Il maggiordomo fece le presentazioni, mentre la ragazza guardava sbigottita la somiglianza dei gemelli.
Ammirando la loro bellezza e rimanendo in silenzio disse – Piacere, io sono Grimilde, Regina mi ha salvato oggi e sono debitrice con lei a vita. – Rimase immobile davanti ai padroni di casa. In coro i due gemelli esclamarono - Lo sappiamo! – Usarono un tono molto severo e duro. Successivamente a Regina scappò un sorriso e l’abbracciò supplicando - Madre può restare? La casa è grande e poi Alex deve cercare una sposa è abbastanza grande. – La madre era una donna molto severa su questo punto di vista - Solo come amicizia! Per voi sarà solo un’amica. Non darei mai mio figlio ad una plebea. – Rispose duramente fissandola male. Alex rispose – Benvenuta! Tu mi devi chiamare signorino Alessandro, come la servitù. Chiaro? Non sono mia sorella, a lei la chiami come vuoi, detto ciò buona notte - Se ne andò in camera sua senza aggiungere altro. Il maggiordomo mostrò la stanza a Grimilde - Per le otto dovete essere già tutti a tavola. Va bene? – La madre dei gemelli amava la puntualità e non tollerava ritardi quando si doveva mangiare. Grimilde osservando la stanza rispose - Certo. Non Ritarderò! Stia pure tranquillo. Non è da me ritardare in casa di altri. – Una volta rimasta sola perquisì la stanza, più che altro per curiosità, sperando di trovare qualcosa di utile per lei.
Quella ragazza sarebbe stata utile per i gemelli, dopo la cena andarono tuti a letto. La giornata si concluse in quel modo, con una nuova ospite in quella casa tutta da scoprire.
Nella Ferrara del presente, intanto, le due donne ed il cugino arrivarono alla villa. Alex chiuso il diario sussurrò ad Annamaria - Prossima volta che tocchi le mie cose ti faccio vedere quanto sono cattivo, d’altronde ricordi da piccola me lo dicevi sempre, non dire una parola a tua madre o alla mia sennò potrebbero diventare due le tue cicatrici. – Era molto geloso delle sue cose e non amava che qualcuno le toccasse. Poi freddamente si scostò, ed Annamaria divenne pallida parcheggiò la macchina e quando furono dentro casa disse - Mamma non ho fame, devo riflettere su molte cose. - Si diresse di soppiatto nel garage andando a vedere sé in macchina c’era ancora il diario, ma niente. 
Capi a cosa si riferiva Alex dopo sé ne andò in camera sua e pianse. Si mise a riflettere, successivamente chiamò il padre e gli raccontò tutto.
Lui sentendo la voce affranta non le disse nulla dell’ospedale si limitò a dire altro - Sai che il nonno per Alex stravedeva? D’altronde per il suo carattere era il solo che poteva seguire le sue orme, pensa che la sua gemella è andata a studiare all’estero senza dare spiegazioni. Un giorno partì e lascio la casa. Ora si sentono solo con le lettere ogni tanto qualche telefonata. Io non la vedo da quando ha finito le medie, poi fecero il liceo assieme all’estero; Alex finita la scuola tornò qui mentre Alice decise di rimanere in quella città a me sconosciuta. – Era ancora all’ospedale e la sua voce era abbastanza affaticata. La figlia l’ascoltava con attenzione senza fermarlo - Tu “vecchio” stai bene? – Gli domandò senza nemmeno interessarsi di quel discorso. Francesco mentì - Certo pulcina! – Rispose molto brevemente. Il sorriso di lei era sincero - Sono contenta che il nonno mi ha lasciato queste cose. – Nel frattempo si sedette nel letto. Il padre continuò con le frasi e le domande brevi - Mamma come sta? – Il suo era vero interesse, non faceva altro che pensare a lei. Annamaria si trattenne dal piangere di nuovo - Bene al solito! Papà appena puoi cerca di venire qui, mi manchi molto. Francesco la rassicurò o almeno ci provava - Si verrò! – Esclamò. Annamaria voleva togliersi un pensiero - Ma posso domandarti un’ultima cosa? – Domandò molto incuriosita. Cosa mai voleva sapere la figlia si domandava il padre - Si dimmi! – Magari voleva sapere qualcosa del nonno, pensò. Invece la domanda fu un’altra - Ma tu e zia siete gemelli? – Attese la risposta del padre - Perché questa domanda? Comunque sì. – Non capiva il senso di questa domanda. Annamaria aveva la conferma dei suoi dubbi - Sai che sono curiosa. – Non fece in tempo a continuare la conversazione che si sentì chiamare dalla madre.
Forse era così o era solo la sua immaginazione e chiuse il telefono, senza salutare il padre.
Alla fine s’accorse che la persona chiamata non era lei, ma la zia.
Annamaria si mise a scrivere il suo diario mentre i pensieri la divorano - Ma perché il nonno ha lasciato quelle cose ad Alex? E non a me. - Si domandava.
Mentre scriveva piangeva.
Finito di aver scritto il diario indossò il pigiama ed abbracciò il suo inseparabile Teddy il peluche del nonno s’addormentò.
Nel frattempo Alex aveva cenato regolarmente mentre fissava la madre di Annamaria e la sua. Non dissero una parola per tutta la cena.
Posò le posate - Vado a chiamare papà e poi Alice. Non voglio il dolce poi fatto da lei. - Disse alzandosi e guardando con disprezzo sua zia.
Si diresse in camera sua, dopo il lavaggio dei denti, chiamò il padre e successivamente Alice la quale gli disse che presto sarebbe tornata per conoscere Annamaria, “Non vedo l’ora sorellina” questo disse. Presi Cesar il gatto persiano nero con gli occhi bicromi (uno blu e l’altro rossiccio).
Lo abbraccio e gli disse - Mi raccomando fai la guardia. - Allora il gatto si mise a svegliarlo tutta la notte come faceva con i suoi padroni precedenti.
Intanto in cucina, la madre di Alex ed Alice, Ramona mangiò il dolce e poi si congedò dal tavolo, recandosi in camera sua.
Una volta in camera, Ramona, chiamo Alice che le disse la buona notizia - Verrai quando lo diremo io e papà. Tu non vieni a trovarmi? Per ora no. Domani arriva anche papà e ho molte cose da preparare, - La riprese molto severamente. Alice poté solo ubbidire - Ok mamma! - Chiuse il telefono.
La notte passò e sorgeva l’alba di un nuovo giorno.
Fine 6° Capitolo

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Capitolo 8
*** 7° Capitolo Troppe curiosità (New York ottobre 2017) ***


7° Capitolo Troppe curiosità
(New York ottobre 2017)
A villa “Arianna” era sorto un nuovo giorno, ottobre era arrivato a metà mese. La zia Ramona si alzava alle prime luci dell’alba subito dopo la mamma Arianna e la figlia che facevano colazione in prima mattinata.
Quella mattina furono preparate latte e pancake - Dormito bene? - Disse sorridendo la mamma di Alex. Il tavolo era apparecchiato con molta eleganza - No non ho dormito quasi per nulla. Sentivo strani rumori. - Rispose la mamma di Annamaria. Ramona sorrise e le rispose in modo sarcastico – Eh! Cosa ti aspettavi? Questa casa è molto antica – Sorrise finendo con calma la colazione. Invece Arianna andò a svegliare sua figlia senza controbattere. Mentre succedeva ciò, Cesar miagolò svegliando Alex - Va bene ora mi sveglio, sembra che oggi cominci bene la giornata – Pensò dopo aver sentito agitazione nell’aria.
Venne assunto un maggiordomo da pochi giorni.
Lo chiamò con il campanello che gli portò i vestiti puliti e stirati perfettamente: erano una felpa nera e dei jeans tutti decorati e le scarpe anch’esse delle scarpe da ginnastica di pelle nera. Tolse il diario dalla giacca del giorno prima e lo spostò nella tasca della felpa; poi andò nel suo bagno privato e l’indossò.
Domandò all’uomo - Come sto? Mi stanno bene? – Si girò su sé stesso per mostrarsi meglio. Il maggiordomo rispose senza scomporsi - Stupendamente bene la sua bellezza si fa notare sempre di più. – La sua serietà nel comportarsi era famosa, anche per questo venne assunto. Alex amava i complimenti - Grazie mille! – Non dava soddisfazione se fosse stata una donna avrebbe risposto con altre domande. Dopo aver accennato un sorriso continuò dicendo - Oggi giornata skate non ci sono per nessuno. - Ordinò per poi mettersi uno dei suoi cappelli da collezione scendendo a fare colazione.
Nel frattempo sua mamma, in una stanza adibita ad ufficio, si mise a scrivere una lettera su carta da lettera rossa e busta rossa.
Alex la osservava pensando fra sé “Brutto segno”, dopo un po' le disse – Ho appena finito di mangiare mamma. Oggi non ci sono per nessuno intesi? Ci vediamo per l’ora di pranzo. Forse! - Dopo di che uscì dal vialetto in skateboard accompagnato dal suo gatto. La madre gli rispose solo dopo che s’allontanò - Va bene! – Fu molto breve e gli diede retta poco prima che uscisse.
Ramona era troppo impegnata a scrivere la lettera a suo fratello Francesco: <<Caro fratellino sono ormai una settimana che tua moglie è qui e tu non ci sei ancora. Siccome non mi va a genio! Per favore datevi il cambio. ok? Tu come stai? Hai ancora gl’incubi? Tua figlia Annamaria ti somiglia moto, invece caratterialmente mi ricorda molto papà sai? Alex non ha preso bene la morte di suo nonno Alberto; è sempre più solo e si isola sempre di più. È impegnato nei suoi progetti. Mio marito?! Che dire? Sai bene che non c’è quasi mai. Alice sta bene ma ancora non ha terminato gli studi. Per finire, il tuo Cesar sta bene; sembra che per lui il tempo non passi mai. Mi ricordo ancora quando papà ci raccontò che lo prese il suo trisnonno e nel corso degli anni è uguale. Che strano! Comunque anche lui vorrebbe che tornassi, poi qui per il tuo lavoro t’ho trovato una buona offerta. Tornando a lui! S’è molto affezionato ad Alex, infatti è diventato la sua ombra. Mentre le tue donne non sono viste di buon occhio da lui. Ti devo raccontare molte cose Gemello. La tua gemellina.>> Chiuse la lettera e la mise dentro la busta.
Intanto Annamaria si svegliò e dopo essersi vestita scese in cucina mentre sua madre era al piano superiore, in camera sua. Aveva da poco finito di sistemare il letto, si sentì colpire la spalla con violenza ma quando si girò non c’era nessuno e si sentì sussurrare “Vai!”.
Mantenne il sangue freddo senza farci caso, si recò in biblioteca credendo fosse tutta la sua immaginazione.
Annamaria invece osservava la zia Ramona scrivere ma lesse solo l’ultima parte perché appena se ne accorse lei girò il foglio per poi continuare a scrivere.
Le domandò infastidita - Cosa guardi? - La zia dopo aver sigillato la lettera la consegnò al maggiordomo. L’affidò ad Ambrogio ordinandogli - Vai oggi stesso alla posta e dì loro “Massima priorità”. Deve arrivare al massimo in 6 giorni. – Per lei era abbastanza urgente, doveva riceverla al più presto. La nipote le rispose con un sorriso - Salve zia ti osservavo scrivere sono molto curiosa. – non la guardando nemmeno negl’occhi. Non era molto convinta la zia – HO capito! - Fece finta di crederla - Orsù smettila ora di fissarmi e preparati la colazione. – Si stava davvero irritando, non sopportava quel suo comportamento. Annamaria ubbidì senza dire altro recandosi in cucina.
Appena finita la colazione ritornò da lei - Alex dov’è? – Domandò. La risposta fu istantanea – Boh! Da qualche parte con il gatto. – Rispose guardandola dall’alto in basso, io vado nella mia serra, in caso sai dove cercarmi. - Finito di parlare si diresse verso quella zona. La nipote voleva curiosare ovunque, ma questo poteva essere anche un male - Serra? Posso venire con te a vedere zia? – Domandò, sperando accettasse. La zia tirò un sospirò - Va bene! Però non toccare nulla. - Chiamò la giardiniera, la quale la seguì. Andarono nella serra - Ecco qui! - Disse mostrando alla nipote varie sezioni senza farla entrare dal cancello principale - Sono nelle sezioni comune le piante rare, introvabili e le velenose. La prima è accessibile solo a me e alla servitù le altre solo a me chiaro? – La guardò negl’occhi con una certa severità. Annamaria era a disagio – Chiaro! - Esclamò mentre osservava tutto. Ramona impartì altri ordini alla giardiniera - Carmen raccogli le cose per il pranzo e poi tornate su. - Disse guardandola con gl’occhi azzurri ghiaccio. La ragazza poteva solo tenere la testa bassa - Eseguo signora! – Andò via ubbidendo agl’ordini impartitele.
Una volta finito la giardiniera e Annamaria tornarono in casa, mentre Ramona rimase lì.
Annamaria era felice di aver scoperto un angolo così bello. Mentre camminavano fermò il passo - Ma quella casetta sulla quercia? – Domandò a Carmen. Rispose con gentilezza ma molta diffidenza - È la casa sull’albero dei gemelli, da molto tempo non giocano più. Da anni non si apre. – Proseguì a camminare girandosi velocemente. Annamaria era molto dubbiosa – Capisco! – Disse.
Poi corse verso la villa.
Raggiunta ed entrata in camera sua chiamò suo padre – Vecchio devi venire subito qui, in America. Oggi ho visto la serra e la casa sull’albero. Inoltre la zia ti ha inviato una lettera rossa. – Lo voleva lì con la sua compagnia si sarebbe sentita più al sicuro e coraggiosa. Francesco le rispose - Tra qualche giorno sarò lì. Attendo questa lettera e poi parto. Tu stai bene? – Concluse domandando di lei – Certo! Tranquillo vecchio. – Disse lei felice - Ma mamma è triste non si trova bene qui. - Eh lo so! La zia ha un brutto carattere e poi sarà pure gelosa di lei, perché tua madre s’è sposata con me. Sai tra gemelli c’è un amore particolare, un affetto unico e quando si separano perché si sposano; in noi scatta questo sentimento reciproco. Già! Pure io non sopporto suo marito. – Concluse con una risata - Capito papà! - Disse con voce sorpresa - Ti aspetto! – Esclamò con benevolenza. La salutò dicendole brevemente - Va bene piccola mia. - Chiuse il telefono.
Passarono giorni e la lettera finalmente arrivò a destinazione Francesco, di corsa, fece le valigie, la lettera scarlatta significava il peggio per lui, poi chiamo a lavoro comunicando di prendersi delle ferie, infine mise in ordine la casa.
Chiamò sua moglie dicendole - Cara tieni duro e comunque tra noi è finita da molto tempo quindi è bene che tu torni, io voglio stare con mia figlia. - Lei si mise a piangere e poi disse in lacrime - Lo sapevo già da tempo che era finita ma lo facevo per Annamaria. – Continuò a dire. Francesco annuì – Anch’io! - Disse lui e poi aggiunse - Tutto però ha una fine e un inizio è inutile continuare ti auguro una buona giornata. - Chiuse il telefono e sì dedico a quello che rimaneva da fare mentre pensava a ciò che le disse sua figlia. Nel frattempo Annamaria andò a cercare sua mamma, la trovò in lacrime in biblioteca - Mamma! Che succede? – Domandò abbracciandola. Arianna alzò la testa -  Pulcina tra me e papà è finita per sempre. - Disse con una voce rotta dal dolore e dal pianto.
Per lo shock Marianna svenne sul pavimento sbattendo la testa la mamma disperata gridò aiuto.
Accorsero i domestici, la trovano con in braccio la figlia e del sangue sul pavimento. Uno dei domestici disse - Ci pensiamo noi signora. - Ambrogio la prese e la mise sul divano della biblioteca.
Con l’antico telefono fisso della parete chiamò un dottore che venne tempestivamente. Una volta arrivato lo fecero accomodare. Visitando la ragazza annunciò la diagnosi - Trauma cranico grave ora è in coma, è tra la vita è la morte. Ha subito un forte shock? - Disse mentre la medicava e le fasciava la ferita, infine mise una garza con il cerotto - Faccia cambiare la medicazione 2 volte al giorno dall’infermiera o una persona competente in questo ambito. – Richiuse la sua borsa da lavoro, rimettendo dentro le garze ed il resto. Ancora incredula e tra il dolore a stentò rispose – Sì! - In lacrime la madre si sedette in una sedia. Il medicò concluse dicendo - In futuro non faccia più prenderle tali preoccupazioni. La può portare nel suo letto e non perdete la speranza; ma non può portarla in ospedale. Non cambierebbe nulla in questa situazione signora. – Detto questo si preparò per andare via.
Così Ambrogio la prese e la mise nel suo letto con vicino Teddy. Sua madre straziata dal dolore pagò il dottore e lo fece accompagnare alla porta e andò in camera della figlia.
Nel mentre pochi minuti dopo arriva Alex con i suoi amici; suonò il campanello. Ambrogio andò ad aprire la porta ma si dimenticò di pulirsi bene la mano con cui teneva la testa della ragazza
Aprì il cancello ed Alex se ne accorse, poi gli fece segnale come per dire “Dopo mi racconti”.
Nel mentre i suoi amici tentavano di accarezzare Cesar che non apprezzò graffiandoli tornando vicino ad Alex che sorrise.
Disse accarezzando il gatto - Scusate non è socievole come gatto, ma entrare e fate merenda con me. Gli skate lasciateli all’ingresso. Andiamo a fare merenda. - In sala da pranzo era già pronta la merenda per Alex.
C’erano cibarie e dolci di tutti i tipi, pronti per essere assaggiati e bevande varie.
Fine 7° Capitolo

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Capitolo 9
*** 8° Capitolo Un arrivo inaspettato (New York ottobre 2017) ***


8° Capitolo Un arrivo inaspettato
(New York ottobre 2017)
Carmen s’accorse dei suoi amici e preparò loro i posti pure - Datemi i giubbotti e dopo accomodatevi, in sala da pranzo. - Disse sorridente.
Non se lo fecero ripetere due volte. Alex cominciò a parlare delle sue prodezze fatte con lo skate prendendo una fetta di crostata alla nutella.
Con la bocca in parte piena invitò gli amici a mangiare - Prendete ciò che volete. - Disse dopo che si fece mettere la fetta di crostata.
Si abbuffarono e non dissero una parola. Alex a stento assaggiò la fetta, disgustato da come mangiavano in malo modo. I suoi rozzi amici erano così; di questo gruppo si salvavano solo i due gemelli solo perché erano altolocati come, lui gli altri tutti borghesi.
Uno di loro disse - Non mangi altro? -  Disse un suo amico con ancora la bocca piena. L’altro rispose - Mangio ciò che voglio! - Disse guardandolo male e procurandogli un forte male alla testa. Successivamente i suoi occhi cambiarono colore e afferrò una sua mano - Calmati, non ne vale la pena. - Dissero i gemelli con una freddezza tombale mentre gli altri erano terrorizzati. Alex si infastidì - Avete ragione con un soggetto così immondo non ne vale la pena. Carmen fallo accomodare fuori. – Ordinò in modo autoritario. La ragazza porse il giubbotto del ragazzo e bisbigliò - Fai come dice lui e subito. – Tutto questo successe senza che Alex se ne accorgesse. Prima di farlo andare via aggiunse – Ah! un’altra cosa non dovrai più frequentarci né venire mai più qui intesi? – Non lo volle guardare nemmeno mentre usciva. Il ragazzo era dispiaciuto - Sì Alessandro. - Disse tremante. Era girato di spalle quando pronunciò l’ultima parola – Bene! - Esclamò Alex.
I due ragazzi andarono via.
Alex cercò di spezzare quel momento triste - Suvvia non fate così non ho fatto nulla. - Disse sorridendo - Prendete qualche caramella. - Indicò il tavolo delle caramelle. I suoi amici all’istante accettarono – Certo! – Dissero.
Le andarono a prendere tranne i gemelli, stettero al loro posto limitandosi a domandare di Alice.
Rispose molto brevemente Alex - Alice è ancora lì. - Usò un tono glaciale e severo.
I gemelli annuirono solamente.
Rientrò la madre all’improvviso – Bene! Ora tornate a casa che si è fatto tardi - Disse sua madre una volta tornata dalla serra.
Subito tutti ubbidirono - Si signora! - Esclamarono in coro mentre i domestici porsero i giubbotti.
Dopo aver preso gli skate salutarono Alex e sua madre e andarono a casa loro.
Intanto Ambrogio dopo aver spolverato andò a salutare la padrona e di nuovo il figlio che approfittando del momento chiese perché quell'unghia insanguinata.
Il maggiordomo rispose - Tua cugina è caduta e ha una brutta ferita alla testa ed è entrata in coma. – Piegò la testa come segno di dispiacere. Rimasero esterrefatti – Oddio! - Esclamarono contemporaneamente ma freddamente, come al solito.
Andarono a vedere di corsa raggiungendo la camera.
Una volta visitata la cugina guardò la zia - Mi spiace zia! - Disse Alex che poi andò in camera sua. Al contrario Ramona rimase lì – Ch’è successo? - Domandò la mamma di Alex. Seduta vicino al letto della figlia rispose - Tuo fratello mi ha detto che è finita per sempre tra di noi. – Teneva stretto la mano di Annamaria. La cognata non era per niente meravigliata - Lo sapevi già che sarebbe andata a finire così tu non sei come noi. – Obbiettò senza alcun sentimento. Non la guardava nemmeno - Lo so… - Disse bloccandosi arrabbiata e rattristata ancor di più la mamma di Annamaria. - Ora lasciaci sole per favore! – Ordinò severamente. La cognata non amava questo suo modo di fare, non ebbero mai un buon rapporto - Va bene! Ma non osare più darmi ordini a casa mia. - Disse mentre sé ne andò replicò - Tranquilla avverto io Francesco della bella notizia. - Freddamente e con tono sarcastico la lasciò sola.
Arianna, rispose con un timido “Va bene!” per poi continuare a vegliare la figlia.
Ramona andò nel suo studio a chiamare il fratello <<Salve fratellino ho una brutta notizia da darti mi dispiace. - Dimmi tutto! - Annamaria è in coma per colpa di tua moglie. Le ha detto sicuramente, con poco zelo che era finita tra voi due. È entrata in coma per lo shock capisci? Mi spiace molto e vorrei abbracciarti e consolarti. Sai che non sono brava con le parole.Oddio! La mia bambina. - Urlò disperato - Calmati e agisci. Vieni oggi stesso con il primo volo e ti consiglio di far partire la tua ormai ex moglie. - Hai ragione!  - Disse scioccato – Entro la serata, orario americano, sarò da voi. - A presto! – Concluse la sorella e chiuse il telefono.>>
Dopo un po' suonò il campanello, Ramona, ordinò ad Ambrogio di andare ad aprire. Il maggiordomo si precipitò ad aprire il cancello. Ramona si vide lui l’amore della sua vita in tutta la sua bellezza ed eleganza.
Gli corse vicino e l’abbracciò, dandogli un bacio appassionato e poi disse - Finalmente sei qui, mi sei mancato tanto. – Era Maurizio suo marito ritornato a casa dopo tanto tempo. Il marito ricambiò l’abbraccio, stando in silenzio. La moglie lo teneva stretto - Basta missioni per questo mese me lo prometti? – Domandò speranzosa. Maurizio rispose - Va bene! Vedo sé si può fare amore mio, domani mattina chiamo – Lo fece accomodare nel salotto senza mollarlo un secondo - Raccontami tutto. - Disse prendendolo per mano. Una volta dentro salutò tutti - Salve anche a voi! - Disse sorridendo mentre salutava con garbo gli inservienti, che sistemarono subito le sue valigie in camera loro. Non vedeva il figlio e domandò di lui - Alex dov’è? – La moglie rispose - In camera sua. – Lo accarezzava nel viso come una ragazzina. Maurizio, ricambio con un sorriso – Bene! Gli farò una sorpresa gli ho portato un sacco di regali dal Giappone. - Prese la sua busta enorme e corse a bussare alla porta della camera di Alex. Non voleva essere disturbato - Chi è? - Disse innervosito il ragazzo - Leggeva un faldone di documenti del nonno sul progetto “Regina”.
La risposta non si fece attendere - Papà! - A quelle parole smise di leggere. Aprì la porta e gli si buttò in braccio - Che bella sorpresa papà! - Ma Cesar gli morse le caviglie per dispetto.
Il padre non ci fece caso, sapeva della gelosia del gatto.
Poi si mise vicino ad Alex che per fortuna cadendo non si fece nulla.
Tutto quello che conteneva il sacco grande era per Alex, con oggetti di vario tipo: katana, coltelli, shuriken e infine una maschera antica con sembianze feline la sua era nera con gli occhi bianchi.
Il figlio rimase meravigliato - Non mi dire che era originale dei ninja! - Domandò saltellando per la stanza. Il padre rispose - Si lo è. Alex non controllava la sua gioia – Wow! Papà sei il top! Grazie! - Disse indossandola poi andò nei sotterranei.
Corse con questi oggetti seguito da suo padre e dopo averli sistemati simulò un agguato.
Alex vinse puntando il Kunai al collo del padre dicendo - Ti arrendi? – Da tanto non giocava con il padre e lo si capiva benissimo. Maurizio stette al gioco - Sì certo! – Esclamò sorridendo. Alex continuò a ringraziarlo - Grazie ancora papà mi hai reso felice comunque sopra sé vuoi salutarla ci sono Annamaria e sua madre. Sai che ha avuto un brutto incidente? Io rimango a giocare qui tu fai quello che vuoi, - Il padre lo lasciò a giocare con un bambino - Vado a vedere e poi devo salutarla quella donna sfortunata. – Pensava a tante cose mentre lo osservava, la sua mancanza in quella casa fu anche troppa. Alex intento a guardare i regali nemmeno lo guardò - Io ti aspetto qui! – Aggiunse.
Il padre chiuse il portone di bronzo con violenza.
Lui subito dopo uscito andò nell’ala est e salutò garbatamente sua cognata e poi le diede un abbraccio.
Arianna era concentrata a guardare la figlia che fece un balzo - Sei tu? Maurizio. - Dice con voce incredula. Lui staccò l’abbraccio - Sì sono io. – Rispose sedendosi vicino a lei. Si rincuorò vedendo suo cognato - Mi sei mancato molto, sai? – Non credeva ancora ai suoi occhi nonostante l’avesse lì davanti. Le strinse le mani per rincuorarla - Lo so! Noi siamo amici sin dalle elementari ricordi? - Disse sorridendole e accarezzandole i capelli lunghi e biondi. Accarezzò la mano del cognato ricambiando con un sorriso - Si ricordò sin dal primo liceo eravamo fidanzati. - Disse ridacchiando. Lui proseguì il discorso - Poi quell’anno arrivarono nella nostra scuola i gemelli. Riuscirono a separarci e dopo un mese tu stavi con lui e io con la sua gemella - Disse con freddezza e dispiacere. Già! Me lo ricordo benissimo, purtroppo. - Disse la mamma di Annamaria.
Poi si mise a leggere il libro preferito della figlia “Il giro del mondo in ottanta giorni".
Maurizio la guardò - Lo saprai a memoria. - Disse Lui. Lo sfogliava accarezzando le pagine molto delicatamente - Lo so! Ma mi ricorda un momento felice e sé ricordi è anche il mio libro preferito. ­– La conversazione però venne bloccata all’improvviso, da qualcuno che li osservava.
Ramona l’aveva osservati sin dall’inizio silenziosamente.
Il marito notando questa cosa la fece uscire allo scoperto - Esci da lì gelosona. Disse Maurizio - Ho sentito il tuo respiro dietro la porta. – Aggiunse.
Così lei uscì da dietro la porta e lo baciò appassionatamente. Rimase di sasso a quel gesto - Sei fuori luogo! - Disse freddamente Maurizio. Senza scomporsi fece una proposta – Capito! allora andiamo da un’altra parte? – Lo tirò ma senza risultato. Lui restò fermo senza fare un passo - Non ancora prima fammi dare i pensierini. Apritele. Annamaria lo farà appena si sveglierà. - Porse una scatola più grande a sua moglie e poi due scatole più piccole per loro due.
In quella della moglie c’erano degli orecchini in giada verde scolpita a forma di tigre e dipinti.
Era tutta felice la moglie - Ma sono bellissimi - Disse indossandoli.
In quella della mamma di Annamaria c’era in braccialetto in oro con il corallo cinese.
Lei, a differenza della cognata fu sintetica - Bello grazie Maurizio. – Disse. – Lui la guardò - Prego cara. - Rispose il cognato.
Alex¸ invece aveva cambiato idea ritornò ai suoi compiti, abbandonando quei regali. Era nel suo studio a leggere quei documenti ed a scrivere sulla lavagna delle formule disegnando dei progetti.
Ramona e suo marito andarono via dalla stanza lasciandole sole. Andarono nello studio nero a farsi le coccole sul divano, così la sera passava e veniva ora di cena e si diressero tutti a tavola.
Nell’altra parte del mondo Francesco aveva preso da molte ore l’aereo per andare a New York e stava per raggiungere l’aeroporto. Una volta atterrato dopo aver preso i bagagli, prese un taxi e si fece accompagnare subito alla villa. Arrivato a destinazione pagò il tassista e suonò il campanello.
Una voce femminile ordinò - Andate ad aprire per favore! - Aprirono il cancello e poco dopo entrò in casa Francesco.
La sua gemella era così tanto felice che lo abbracciò salutandolo - Sei arrivato in tempo per cena. - Dopo lo salutarono anche gl’altri commensali.
Ricambiò l’abbraccio ma dalla sua espressione si vide tristezza - Non posso cenare! Scusate. - Disse e corse nella stanza della figlia dove c’era Arianna.
Non la salutò nemmeno - Vattene via disse a sua moglie! – Cacciandola in molto modo.
Lei non disse nulla ma vide che un occhio gli diventò rosso e allora senza dire una parola.
Continuò gridando. - È Colpa tua. Fatti le valigie non ti voglio più vedere né sentire - Urlò e poi chiuse la porta violentemente. La moglie si accomodò fuori la porta e pianse.
Una volta solo si mise a piangere di rabbia - Bambina mia! - Disse piangendo.
Mentre una lacrima le tirava il bel viso e l’occhio torno normale. Le accarezzò i capelli, - Io me lo sentivo! Non dovevo mandarti con lei, ma orami è troppo tardi. Tu sei forte bambina mia lo sei sempre stata e poi devi svegliarti perché devi avverare i tuoi sogni e quelli del nonno – L’accarezza nel viso e poi si sedette nella poltrona vicino al suo letto vegliandola.
Dopo diversi minuti per la stanchezza si addormentò. Gl’altri dopo cena erano andati a letto nelle loro camere tranne la mamma di Annamaria.
Dopo aver salutato tutti se ne tornò in Italia con il primo volo e di lei non si seppe più nulla.
8° Capitolo

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Capitolo 10
*** 9° Capitolo Ricordi passati (New York novembre 2017-Ferrara agosto 2008) ***


9° Capitolo Ricordi passati
(New York novembre 2017-Ferrara agosto 2008)
Il sole sorgeva, per l’inizio di un nuovo giorno, su villa “Arianna”; era arrivato novembre ed il freddo si faceva sentire. Già Maurizio era in piedi da 3 ore, dormiva molto poco ma a lui bastavano. Dopo aver messo la vestaglia scese a preparare la colazione e la mise sul comodino di Ramona con un biglietto vicino “Buongiorno bella addormentata. Io sono a correre! Trovi la colazione sul comodino; a dopo. Un bacio M." l’appoggiò sul vassoio e poi indossò la sua tuta uscendo per andare a correre.
Subito dopo si svegliò la servitù che fece colazione in cucina per poi preparare la tavola aspettando i padroni.
Dopo di loro Cesar tentò di svegliare Alex che dormiente gli aprì la porta e tornò a letto brontolando.
Allora Cesar andò da Francesco e si mise su di lui, il gatto cominciò a fare le fusa.
Lo svegliando dolcemente - Cesar vecchio mio! - Disse svegliandosi e sorridendo accarezzandolo - Quanto tempo – Aggiunse.
Poi lo prese e lo mise a terra, si recò in bagno a vestirsi e lavarsi mentre lui tornò da Alex.
Successivamente si sveglio Ramona e poi infine Alex una volta alzati e vestiti dopo essersi lavati e vestiti si diressero in cucina per la colazione.
Mentre Alex, osservava tutti con i suoi occhioni grandi glaciali, gli altri parlavano di lavoro; infatti, dopo, Maurizio e Ramona avrebbero accompagnato Francesco nel negozio d’auto che avevano in società con un loro amico Johan.
Il padre domandò al figlio - Vuoi venire con noi Alessandro? – Era più preparato più ad un no, che ad una risposta positiva.
Il ragazzo si mise a pensare ed era tentato nel venire con i genitori e lo zio ma poi si ricordò di quel Johan; quel borghese buzzurro.
Rispose del tutto contrariato - Assolutamente no, deduco che ci sarà Johan con voi al salone. – Non aveva per niente buoni rapporti con lui e lo si deduceva dal tono di voce al quanto infastidito. Entrambi i genitori risposero insieme – Esatto! – Convincerlo non serviva a nulla aveva la testa dura.  Non finì nemmeno la colazione - Allora vi siete risposti da soli e non insistete per favore. Io vado nel mio studio. – S’alzò pensando alla sua gemella Alice.
Le mancava erano anni che non si vedevano, così prese una carta da lettere antica macchina da scrivere e cominciò a scrivere.
12-11-2017 New York.
Cara gemella mia mi manchi molto. Oggi mi sono svegliato in camera mia per ultimo come al solito. Ma oggi a sorpresa è arrivata la neve tutto bianco il nostro giardino il tetto della casa e persino Cesar che uscito di buon mattino è tornato tutto bagnato e con della neve sulla testa. L’ho dovuto asciugare ora è più bello di prima. Per me le giornate passano tra vecchi documenti del nonno e sistemarmi le mie e le tue collezioni. Da quel giorno nella nostra ala della villa non entra più nessuno nemmeno mamma e la servitù. Saremmo con la neve scesi a fare palle di neve a giocare con il nostro slittino a berci la cioccolata calda e mangiarci i marshmallow e stare sotto le coperte dietro la finestra del nostro salone. Mi manca pettinarti i capelli e poi accarezzati la tua pelle di luna, mi manca abbracciarti. Scusami ancora per ciò che ho fatto non volevo lo sai.
Io tuo gemellino, Alex
Finito di scrivere la lettera mise il suo sigillo in cera lacca nera con lo stemma di famiglia e poi incaricò Ambrogio di spedire la lettera con priorità urgente.
Intanto pensava a quel triste giorno d’estate del mese di agosto in cui erano ragazzini di 13 anni. In quel periodo abitavano in Italia a Ferrara, correva l’anno 2008. Ancora Non sapevano che appena finita la scuola si sarebbero trasferiti in America.
Frequentavano l’ultimo anno di scuola media.
Quel giorno i suoi genitori non c’erano e la servitù era impegnata nelle faccende di casa.
La piccola Alice disse - Andiamo a giocare a fare i cuochi? Come quelli in tv dai! Io la squadra rossa e tu la blu dato che adori questo colore. – Si trovava in camera ma si annoiava. Il fratello le teneva compagnia - Va bene - Rispose Alex, sorridendo allora si misero i grembiuli di diverso colore. Si recarono in cucina - Bene ora dobbiamo fate il menù per Mamma e Papà uno ciascuno. – Diceva Alice prendendo padelle e pentole insieme ad altra roba varia.
Dopo aver scelto le pietanze da cucinare si misero ai fornelli mentre attendevano che l’olio si riscaldasse per friggere il pollo per gli antipasti.
Il telefono di Alice squillo era Ruben il loro compagno di classe che aveva una cotta per lei.
La ragazzina nemmeno se lo calcolava - Non voglio rispondere disse imbarazzata. - Sapeva che con suo fratello non andavano d’accordo e chiuse il telefono.
Lui richiamò di nuovo e Alex rubò il telefono alla sorella e rispose. La telefona si sussegui in questo modo: <<Alice sono Ruben. Perché la prima volta non mi hai risposto? Sei con il tuo gemello? Lo stralunato della classe? Mister intelligenza?>>
Finì di dire quella parola ed Alex chiuse il telefono.
I suoi occhi diventarono da cerulei a rossi come il fuoco - Così ti frequenti con lui? Dopo quello che mi dice? – Le disse guardandola male e mormorando parole in una strana lingua.
Lei svenne urtando la padella con l’olio che gli arriva ad Alice sulla mano destra e la ustionata sinistra all’avambraccio, mentre ad Alex gli cadde sul piede colpendo la caviglia.
Carmen, intanto rientrata in cucina trovò alice a terra su Alex svenuta.
Lui non aveva paura, non provava alcun dolore - chiama il Dottor Geraldo Bonora, io metto Alice sul divano del nostro salotto. – Nonostante l’ustione corse verso il divano adagiandola delicatamente. Carmen chiamò il dottore e poi si mette a pulire l’olio; intanto arrivò il dottore, purtroppo in contemporanea arrivano i loro genitori. Vedendo il medico dopo averlo salutato domandarono che fosse successo.
Il medico era intento a raggiungere la ragazza - Sono qui per i gemelli non so cosa sia successo. – Camminava senza nemmeno fermarsi.
Corsero per le lunghe scale e arrivarono dai gemelli, entrarono nel salotto e trovarono Alice svenuta ancora su Alex che gli accarezzava i capelli e la confortava non curandosi del piede.
Appena vide i loro genitori li salutò - Se volete vado tanto non ho nulla. – La mossa per andarsene la fece ma venne bloccato. IL medico lo fermò solo con le parole - Assolutamente no! Disse il dottore - Hai un un’ustione di quinto grado su tutto il piede fino alla caviglia come fai a non sentire alcun dolore? – Si meravigliava di questo, di norma chiunque sarebbe rimasto a terra dal dolore. Alex veramente non sentiva dolore - Non lo sento e basta mai sentito, per prima curi la mia gemella. – Forse anche lui si domandava il perché ma in quel momento era l’ultimo dei suoi pensieri. Il dottor Bonora controllo la mano di Alice Ustioni di quarto grado e terzo grado dalla mano in poi devo disinfettare, ricucire dove sarà possibile e infine medicare le ustioni, come è successo? - Domando il dottore. Guardava la sorella ancora svenuta - Olio bollente! – Rispose prontamente Alex. Finì di medicarla come possibile – Capisco! V’avviso che rimarrete sfregiati a vita. Lei sulla mano e tu su tutto il piede. Mi raccomando signori. – Si rivolse ai genitori - Medicate i gemelli tutti i giorni e mettete questa pomata 3 volte al giorno che le do. Queste cose in cucina possono capitare lei sì riprenderà tra qualche minuto. Non vi preoccupate!  - La madre a questo punto ubbidì al medico - Dottore l’accompagno. - Disse Ramona.
Dopo averlo pagato l’accompagnò alla porta, lo saluta ed andò in biblioteca, mentre Maurizio rimase a parlare con Alex.
Era abbastanza irritato - Alessandro cosa combini? Ti lascio qualche ora da solo con Alice e tu ci fai del male? – Voleva tanto rimproverarlo severamente ma capiva ch’era stato un incidente. Il figlio invece non la prese bene - Non è colpa mia! - Urlò Alex mentre i suoi occhi gli diventarono neri come la pece. Il padre lo bloccò subito prima che potesse fare qualche gesto insano - Alex calmati non lo fare! - Disse tremando sapeva di cos’era capace il figlio. Lo teneva stretto ben saldo - Pensa a lei ma non lo fare mai più. La prossima volta che le fai qualche danno ti giuro che vi separo a vita. – A quel punto lo mollò quasi del tutto, ormai s’era calmato. Alex rimase fermo per qualche istante - Basta! – Esclamò tra la calma e la rabbia.
Il padre lo lasciò completamente, ma non lo perdeva di vista un attimo, era da tenere d’occhio.
Lo sguardo ritornò sulla sorella, dormiente nel divano ancora all’insaputa di cose fosse successo - E va bene! Ora vai via voglio stare solo con lei! - Disse mentre una lacrima scese giù e gl’occhi diventarono di nuovo grigi. Il padre stava per andare via dal salotto - Ok vado ma ti ho avvertito e riferirò a mamma che poi verrà a parlare con te - Nel frattempo Cesar si fiondò sul padre e gli graffio il viso.
Lui per difendersi lo butto all’aria, ma ricadde in piedi.
Il gemello glielo ripeté di nuovo - Per favore esci! - Disse Alex.
Maurizio andò a cercare Ramona e una volta trovata le riferì il tutto. Lei fu d’accordo su tutto e poi andò a parlare con il figlio. Ramona non doveva avere paura di lui altrimenti sarebbe stato peggio - Sai che papà mi ha detto tutto e sono d’accordo vero? Ti rendi conto? Hai rischiato di ucciderla! – Lo fissava molto severamente. Alex sapeva tenergli testa - Stai zitta tu! - Disse rabbioso e con un occhio diventato rosso - Allo zio Francesco chissà che ci avrai fatto cattiva come sei. – Era immobile non muoveva un muscolo fermo al centro del salotto.
La madre, rimase pietrificata.
Alice s’era svegliata, disse – Cosa sono tutte queste urla? Ho mal di testa. – tentò di sollevarsi dal divano. La madre corse da lei - Tranquilla bimba mia! – Disse accarezzandole i capelli biondi come l’oro. Lei ancora stordita domandò - Papà? – Fu il primo pensiero ch’ebbe appena si svegliò. La madre la baciava nella guancia – Era qui prima di me, ma già ha parlato con Alex. Lo abbiamo rimproverato. – Cercava di consolarla come poteva alro non poteva fare. Poi lei si guardò la mano e il braccio con le bende e disse - Si toglierà tutto vero?  - La madre rispose solo con un “Forse”.
Dopo qualche ora, appena si sentì meglio Alice s’alzò, si diresse in giardino, nel roseto ed Alex la seguì. Lei non aveva rancori verso di lui - Ti perdono ma devi tenere a bada la tua ira sai? - Disse sorridendo.
Alex le diede un abbraccio e un bacio sulla guancia per la felicità che l’aveva perdonato e prese le cesoie.
Le porse una rosa bianca - Ecco la tua preferita. - Disse e Alessandro sé la mise in bocca e imitò un tango argentino mettendosi a ballare.
Intanto si erano fatte le 20, così andarono a cenare infine a letto e finì quella giornata molto movimentata.
I gemelli rimasero sfregiati a vita dopo quell’episodio. Da quel momento in poi presero una decisione. Una volta finita la scuola seppero del cambiamento di città e di nazione; trasferendosi in America, insieme a tutti i loro mobili. Decisero di non fecero entrare più nessuno nell’ala nord del secondo piano dedicata a loro. C’erano troppo ricordi e non potevano dimenticare.
Fine 9° Capitolo

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Capitolo 11
*** 10° Capitolo Un diario da leggere 1ª parte-Un amore proibito (New York novembre 2017-Bologna dicembre 1365) ***


10° Capitolo Un diario da leggere 1ª parte-Un amore proibito
(New York novembre 2017-Bologna dicembre 1365)
Era un giorno di una domenica autunnale di novembre, Alex si trovava in camera sua. S’era perso per due ore nei suoi pensieri si mise subito a studiare i progetti del nonno e svilupparli. Cominciò a creare i disegni nelle lavagne per poi sentire l’antico orologio del nonno ritoccare l’ora.
Erano le 13, così, si diresse a pranzo; ancora non erano arrivati gl’altri così aspettò 10 minuti e dopo mangiò da solo con Cesar vicino.
Finì il pasto e s’alzò da tavola e disse ad Ambrogio - Sono in camera mia e non voglio essere disturbato da nessuno. – Lasciò la cucina per incamminarsi verso la sua camera. Il maggiordomo ubbidì - Si signorino. – Lo vide salire le scale con molti pensieri per la testa.
Alex si chiuse a chiava nella stanza e si mise a leggere il diario misterioso aprendolo comparirono delle frasi, scritte in inchiostro scarlatto.
12-12-1365:
<Grimilde? Bene sono passati 12 giorni che è a casa mia e si sta affezionando molto a me. Dall’altra parte io non provo alcun sentimento per lei, come al solito, tu sai, per, chi li provo.
Alexander vedo che la tratta molto male ed è molto geloso di me soprattutto quando c’ha viste mentre lei mi spazzolava i capelli in camera mia e poi mi ha fatto delle trecce; inoltre oggi dopo questo episodio mattutino, dopo aver fatto colazione siamo andati a giocare sulla neve tutti e tre a tirarci palle di neve, ma Alex le ha fatto molto male con una palla.
Gliela tirata sull’occhio, lei nemmeno ha reagito ma si vedeva che provava dolore; io l’ho rimproverato e l’ho portata ad asciugarsi; mentre eravamo nel bagno lei mi sorrise e mi disse “Non preoccuparti, so che tuo fratello è un ragazzo particolare; il bene che ti vuole, farebbe di tutto per te e si vede, l’ha fatto apposta per allontanarci.”Non è così, il mio gemello mi adora e non lo farebbe mai hai capito.” Disse Regina arrabbiata
Va bene signorina!” “Bene! Ora raccontami di te. In tutto questo tempo non mi hai detto nulla sul tuo conto. Direi che ho aspettato anche troppo.
Intanto Alexander andò a cercare Regina e le trovò dentro il bagno a parlare mentre Grimilde si asciugava. Allora si mise ad origliare dietro la porta.
Io sono Grimilde e vengo da una famiglia borghese. Sin da piccola si vedeva che ero diversa dalle altre bambine; crescendo i miei poteri aumentavano sempre di più e un giorno per un attacco d’ira ho ferito gravemente mia madre. I miei genitori mi misero in disparte e persero la fiducia nei miei confronti per sempre. Mi guardavano male tutti i giorni e mi trattavano come un mostro ma io ho proseguito i miei studi esoterici di nascosto. Mi sono specializzata aumentando sempre di più il mio potere e le mie conoscenze; ammetto che non sono una strega buona, anzi i miei alleati sono quelli di giù e i morti mi chiamarono negromante al processo.” “E come ti sei fatta arrestare?
Tutto cominciò quando i miei genitori nel giorno del mio compleanno non mi hanno fatto nemmeno una torta, un regalo, un pasto particolare; anzi mi ricordarono di quanto fossi una vergogna per loro e un fallimento. Così mi arrabbiai così tanto e invocai un demone che dopo averli posseduti bruciò tutta la casa. Io mi salvai ma i vicini vedendomi sana e salva, uscita dalla casa, gridarono strega; mi presero portandomi dall’inquisitore. Mi torturano con varie macchine tra cui la ruota e dopo mi fecero il processo. Inutile dirti che mi accusarono di stregoneria e quindi colpevole. Poi mi condannarono al rogo e menomale che sei arrivata tu a salvarmi sennò non sarei qui a raccontarti. Per questo motivo ti sarò debitrice a vita e ti difenderò con ogni mezzo e da tutti. Farò la qualunque cosa tu mi ordini” “Giurami che al mio gemello non gli farai mai del male sennò io ti ucciderò capito?” “Va bene lo giuro.” Disse Grimilde ma non la guardò negli occhi e Regina sé né accorse.
Il suo sguardo divenne glaciale, ma non le disse nulla.
Invece Alexander aprì la porta del bagno e fece un applauso sarcastico e sarcasticamente pronunciò queste parole “Che bella storia commuovente poverella, vuoi un altro applauso? Io non credo alle tue parole. A me non fai effetto con le tue storie tristi, ma una cosa te lo dico: non osare fare del male alla mia gemella, sennò poi io te ne farei molto di più capito?
Finì di parlare e prese Regina per mano e l’abbracciò sorridendo, tu sei solo mia aggiunse
Grimilde si stese zitta mentre osservava i due gemelli, quel legame così forte che c’era tra i due si vedeva bene.
Vado in camera mia.” Disse rompendo quel silenzio glaciale. “Noi andiamo nel roseto e poi ci vediamo a cena” dissero i gemelli.
Ma la verità era un’altra, non andammo nel roseto infatti subito dopo appena usciti Alexander mi fece l’occhiolino; mi prese per mani e mi mostro la sua collana con la chiave d’oro rosso quella che apriva la nostra casa sull’albero. Io gli mostrai la mia che compiuti 5 anni. Fu il nostro regalo di compleanno quell’anno.
Ma non ci andammo mai da piccoli e solo alle medie mettemmo piede per la prima volta. Durante la nevicata record dell’anno, infatti, con la neve alta molti locali erano chiusi. Dopo esserci vestiti e aver fatto colazione Alex disse che dovevamo andare in giardino ma non fu così eravamo andati per la prima volta nella nostra casa dopo aver aperto la porta con le nostre chiavi.
Appena entrati guardai con occhi pieni di felicità quella casetta arredata con mobili rustici che aveva solo tre stanze c’era un salottino con caminetto una piccola cucina e una camera da letto con un letto a baldacchino poi tolsi il cappotto e i guanti e lui fece lo stesso.
Mi preparò una cioccolata calda nella piccola cucina e me la ha portò con il vassoio e sé la bevve anche lui.
Ci bevemmo la cioccolata seduti sul divano, lui disse “Principessa ti sei sporcata.”
Prese un tovagliolo e pulì le mie labbra sorridendo, in quel momento rimasi pietrificata e il mio cuore batteva come non mai. Mi sentivo viva e felice, stavamo bene soprattutto quando eravamo soli.
Poi lui mi disse di mettermi in braccio sulle sue gambe, e io gli chiesi il perché?
Così ti acconcio i capelli principessa” rispose.
Mi misi su di lui, mentre mi intrecciava i capelli sentivo un brivido salirmi per la schiena, mi fece una treccia a spiga. Finite mi disse “Ecco fatto ora sei ancora più bella.
Io mi girai parzialmente e mi distesi le gambe rimanendo su di lui mentre gli accarezzavo la sua chioma ramata e ondulata che gli arrivava alle spalle.
Alex mi sorrise e disse “Vorrei che in questo momento il tempo si fermasse.” “Anche io.” risposi.
Ma poi tutti i momenti belli devono finire infatti il vecchio orologio si mise a suonare i suoi rintocchi.
Erano le 13 e si doveva andare a mangiare così scesi ma lui mi prese in braccio e mi diede un bacio sulla guancia.
Disse “Per una volta non fa niente sé non rispettiamo le regole no?” “Assolutamente sì, non voglio andare in punizione” Saltai a terra e mi misi il soprabito.
Lui invece prese i miei guanti e me li fece indossare con il sorriso stampato in viso.
Grazie!” Esclamai ma mi si raggelò il cuore perché capii che in quel momento lì sarebbe iniziato il nostro amore malato quell’amore che non doveva esistere, che era vietato, bandito dalla legge.
Io non ebbi alcuna reazione per quei gesti lì ma sorrisi solamente ma i miei occhi parlavano.
Mio fratello lo capì “Non c’è bisogno che parli, tanto i tuoi occhi lo fanno per te e ora andiamo a mangiare” Disse Alexander mettendosi il soprabito e i guanti.
Mi prese per mano e uscimmo dalla porta, una volta chiusa andammo a casa i nostri genitori. Appena entrati ci venne in contro nostra madre facendoci mille domande ma noi non rispondemmo nulla e dopo aver dato i soprabiti e i guanti alla servitù corremmo in cucina. Ci sedemmo a tavola, nostra madre venne e si sedette con noi a tavola.
Ci disse “Siete sempre i soliti, ma ora mangiamo poi dopo pranzo parliamo.” 
Ma noi una volta finito il pasto c’è né scappammo nei sotterranei a giocare a guardia e ladri per tutto il pomeriggio fino all’ora di cena. Dopo aver cenato andammo a scrivere il nostro diario e successivamente a dormire. Così finì quella nostra giornata stupenda, sicuramente indimenticabile per entrambi.>>
Fine 10° Capitolo

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Capitolo 12
*** 11° Capitolo Un diario da leggere 2ª parte-Addio Grimilde (New York novembre 2017-Bologna dicembre 1365) ***


11° Capitolo Un diario da leggere 2ª parte-Addio Grimilde
(New York novembre 2017-Bologna dicembre 1365)
Alessandro continuava a leggere attentamente ed in silenzio, sfogliando le pagine con molta delicatezza.
13-12-1365:
<< “Oggi si stava per ripetere la stessa giornata?” Pensai senza dire una parola ma Alexander mi prese la mano e mi disse “Una volta mostrata la chiave, sai dove voglio portarti principessa?” “Può essere mio principe.” Dissi ridacchiando e mostrando la mia chiave nera.
Mi prese in braccio portanomi davanti la porta della nostra casa, aprimmo la porta con le nostre chiavi e poi la chiudemmo internamente, per non essere disturbati. Dopo avermi tolto la mantella e lui la sua mi misi a leggere un libro sul tappeto di pelliccia; lui fece lo stesso per un po’.
Poi mi tirò il libro addosso dicendo “Non abbiamo letto abbastanza?” Io gli sorrido tirandogli il mio “Può essere!”. Allora lui s’avvicinò iniziando a farmi il solletico, sforzandomi il seno io arrossì.
Mio fratello smise immediatamente, contrariata domandai “Ma che fai?” Lui sorrise e continuò, a quel punto io mi arrabbiai lo sbattei al muro. Lui al posto di arrabbiarsi mi diede un bacio sulla guancia stavolta però sforzandomi le labbra.
Io ricambiai allo stesso modo arrossendo e accarezzandogli i capelli e poi il suo viso stupendo. Lui fece lo stesso e con le dita mi accarezzò le labbra; io gli morsi il dito e arrossii ancora di più allontanandomi da lui.
Ma che fai pezzo di selvaggia!” “Faccio ciò che voglio e ora me ne vado! Tu piuttosto che fai, sai che è sbagliato.” “Lo so ma non farlo mi risulta sempre più difficile. Resistere alla tua folgorante bellezza, è difficile; per me sei una dea, perfetta in tutto, ecco perché non riesco ad amare alle altre persone, perché amo te.” “Sai che è sbagliato.” 
Ma i suoi occhi parlavano per lei e il suo gemello sapeva che pensava lo stesso così si avvicinò e mi abbracciò con passione. Mi strinse a sé, era un abbraccio diverso provavo piacere e felicità in quell’abbraccio; così ricambiai l’abbraccio, gli accarezzai il collo e sorrisi.
Poi spostandomi mi presi di nuovo il mio libro, mi misi a leggere. Lui sorrise e fece lo stesso.
All’improvviso si sentì bussare, era Grimilde che voleva entrare; così Alexander andò ad aprire ma non la fece nemmeno entrare.
Vattene via tu non sei come noi!” Le Disse. “Sono diversa ma voglio stare anche io con Regina.” “Assolutamente no! E ora vattene.” Ordinò nervoso Alexander dibattendo. “No! Non mi muovo da qui prima o poi dovrete uscire.” Ribatté Grimilde. “Si certo!” Disse ridendo.
Le chiuse la porta in faccia, ma io non potevo sopportare questa ingiustizia allora mi misi la mantella e i guanti.
Gli dissi contrariata “Vado anch’io non c’è bisogno che la tratti così sai?” “Ti fa pena vero?” “Esatto, a differenza tua io li ho ancora i sentimenti.
Quelle parole ad Alex lo fecero sbiancare, i suoi occhi diventarono quasi bianchi e non disse una parola. Indossò il mantello e i guanti ed uscì dalla porta dando uno spintone a Grimilde facendola cadere a terra.
La guardò malissimo aspettando Regina che uscisse così dopo chiusero la porta con le chiavi.
Regina sai dove trovarmi. Tu invece meticcia, non ti azzardare nemmeno a venire nelle mie stanze o nei miei sotterranei sei degna solo di stare con la servitù nel rustico. Come già d’altronde fai.
Appena finito di parlare sé ne andò via.
Invece, io e Grimilde andammo a giocare sull’albero secolare ma mentre giocavamo un ramo nel cui giocavamo si spezzò. Io riuscì ad aggrapparmi ad un altro ramo nella caduta e mi salvai.
Lei invece mi afferrò il piede ma poi non c’è la fece e disse prima di mollare la presa “Sarai sempre nel mio cuore amica mia, ti vorrò sempre bene; finalmente rivedrò i miei genitori sì contenta per me e non ti sentire in colpa.
Poi subito dopo si sentì un tonfo e lei perse i sensi una volta scesa dall’albero chiamai i domestici che chiamarono il dottor Zeno.
Nel giro di dieci minuti accorse visitandola subito, ma lei non rispondeva agli stimoli. Io la vedevo diventare sempre più nera, la toccavo ed era sempre più fredda così mi misi ad abbracciarla per l’ultima volta.
In quel momento capii molte cose, mi sentivo in colpa; il dottore dopo aver preso la collana con il medaglione di Grimilde me la porse, me la misi al collo.
Il medico mi disse “Questa tienila tu, ora lei deve andare.
Dopo mi prese in braccio mentre i domestici allontanavano la salma portandola fuori la villa nell'attesa che passassero chi di dovere a ritirarla e a metterla nel loro carro di legno in quanto non essendo della nostra famiglia non poteva essere seppellita nel cimitero riservato a loro.
Il dottore mi abbracciò consolandomi e mi porse una caramella presa dalla sua borsa.
Caramella alla carruba sbaglio o è la vostra preferita? Su mangiala ti farà stare meglio.
Io la mangiai e subito dopo con lo sguardo mi misi a cercare Alexander che era dietro la finestra della nostra camera.
Aveva visto tutta la scena e così una volta incrociati gli sguardi scese.
Dopo aver salutato il dottore disse - Mettila giù per favore ci sono io ora. - Io arrossii ed annuii, così l’appoggiai a terra. Continuò dicendo - Ora andiamo in villa e aspettiamo i miei genitori. - Concluse Alex. La sorella azzardò un invito - Magari! Le va un thè? – Gli Disse sorridendo al medico. Non si fece sfuggire quell’occasione - Sì ottimo! - Rispose.
Così andarono in sala da pranzo e Camilla in lacrime servì il thè mentre mio fratello non ne aveva versato nemmeno una, come sé niente fosse successo.
Dopo il thè, il medico decise di andare via. Nel frattempo, si sentì l’urlo straziato di mio padre dei gemelli era tornato dal lavoro e trovandosi uno spettacolo così atroce si mise ad urlare ed a piangere.
Si asciugò le lacrime con il suo fazzoletto di seta blu e sé ne tornò a casa. Lo accogliemmo con molta gioia, ma finì presto questo momento.
Quando arrivò nostra madre, una volta raggiunti, dopo aver salutato tutti, domandò al dottore cosa fosse successo. Lui le raccontò tutto; ma lei non credette alla sua versione e mi guardò in un brutto modo con i suoi occhi neri.
Presa dalla rabbia sbattei un pugno sul tavolo - Non c’entro niente!” - Dissi alzandosi, correndo nella sua stanza. Alex mi difese - È vero! - Disse suo fratello.
Dopo aver salutato i presenti mio fratello mi seguì.
Una volta in camera mi consolò asciugandomi le lacrime e abbracciandola.
Cercò di prendersi la colpa - Colpa mia vero? Sé non avessimo giocato sull’albero, sarebbe stata ancora viva. Fatalità!” - Disse Alexander e la strinse a sé baciandomi all’improvviso nelle labbra.
Non ci accorgemmo che Camilla aveva seguito Alexander per farli calmare ma vista la porta chiusa origliò dalla serratura. Aveva visto tutto e poi senza dire una parola tornò in punta di piedi al piano di sotto. Sconvolta non sapeva cosa fare ma ci aveva in pugno e al momento giusto ci avrebbe tradito.
La giornata finì davvero triste, arrivò la sera e come di consuetudine dopo cena ci recammo in camera, indossando il pigiama e dopo aver scritto il loro diario ci addormentammo nello stesso letto.>
Quel giorno era stato stravolto con uno dei lutti che la cambiò per tutta la vita. Il medaglione di Grimilde, in sé, racchiudeva il potere di comunicare con le presenze dell’aldilà e non solo. Quell’oggetto cambiava le persone e ancora Regina questo non lo sapeva.
Alex finito di leggere, rimase in silenzio. Voleva capire come suo nonno era riuscito ad impossessarsi di questo diario vecchio di 652 anni. Oltretutto era pure originale e non una copia o un falso.
Se l’avesse venduto avrebbe ricavato così tanti soldi da potersi costruire una vita anche da solo, magari in un altro luogo o nazione. Ma questo non era nei suoi pensieri, sapeva che quel diario era legato a questo progetto del viaggio del tempo; già qualche ipotesi l’aveva azzardata, ma preferì tenerseli per sé.
Questo inizio di lettura, l’aveva di più spinto ad andare avanti con quest’idea, così tanto assurda per molte persone.
Fine 11° Capitolo

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Capitolo 13
*** 12° Capitolo La presentazione del progetto-Fidarsi è bene ma… (New York novembre 2017) ***


12° Capitolo La presentazione del progetto-Fidarsi è bene ma… (New York novembre 2017)
Qualche giorno dopo della lettura del diario, i due gemelli dovettero recarsi presso gli uffici della Nasa.
Era mattina presto per fortuna non pioveva, l’orologio scoccava le 8.30, Annamaria ed Alex si recarono presso gl’uffici della nasa dove attenderli c’era lo scienziato Charles Johnson. La madre non li accompagnò, su imposizione della figlia stessa e del nipote. Non essendo menzionata nel testamento di nonno Alberto, non aveva il diritto ad assistere alla creazione del progetto.
Una volta arrivati e presi l’ascensore salirono fino al 42° piano dell’edificio della Nasa, arrivati raggiunsero l’ufficio interessato, bussando alla porta.
Johnson si trovava all’in piedi con accanto alla sua sinistra, seduto alla scrivania un altro collega ed anche progettista – Come in! – Si sentì da dentro la stanza.
Questo suo collega era leggermente più vecchio di qualche anno di Johnson, aveva l’aria e l’espressione burbera.
Si presentava come il classico tipo mai sorridente, che non amava scherzare con il prossimo. Amava prendere seriamente il suo lavoro, ufficialmente in pensione decise di continuare lo stesso a stare accanto a tutti i suoi colleghi. Percependo la pensione non aveva diritto a nessuna retribuzione dallo stato o dalla Nasa direttamente; ma a lui non interessava.
Se ne stava eretto con le mani unite e lo sguardo di un generale dell’esercito pronto ad una ramanzina verso un soldato.
Johnson li accolse con un sorriso smagliante – Oh! Good Morning! We were expecting you! You are very punctual. It is something we admire very much. Please, come closer! – L’invitò con un semplice gesto della mano indicando le poltrone pronte per loro. Il collega s’aggiusto gl’occhiali riponendo le mani verso gl’ospiti – Good morning! Welcome to the offices of the American NASA. I am Dr. James Williams. Take a seat! – Si presentò alzandosi per qualche secondo dalla poltrona in pelle marrone.
Salutò educatamente Annamaria con il bacio mano ed il fratello con una semplice stretta di mano per poi risedersi nuovamente. Alex fu il primo a presentarsi ricambiando il saluto – I’m Alessandro Rossi. This is my sister: Annamaria. Nice too meet you, Dr. Williams!Si sedette in una delle due poltrone avvicinandosi alla scrivania. Stessa cosa fece la sorella, rimase per quel saluto tanto cordiale – Good Morning! You're very kind. – Rispondendo molto imbarazzata.
Il dr. Williams andò subito al dunque era famoso anche per questo, non tirarla troppo per lunghe raggiungendo subito l’argomento interessato.
Si schiari la voce prendendo il fascicolo con su scritto il titolo “Progetto Regina” - In this booklet, you can see the entire project invented by Mr. Venturi Alberto. – Sfogliando il fascicolo indico il disegno di una macchina del tempo - This is the plan. – Beccò con lo sguardo, i visi stupiti dei due gemelli. Non dicevano niente ascoltando attentamente
In effetti era a tutti gli effetti un’automobile trasformata in qualcosa di particolare. Annamaria guardava, leggermente chinata, quel disegno come se vedesse un quadro di qualche pittore famoso visto per la prima volta di persona. Al contrario Alex non batté ciglio rimanendo eretto nella sua posizione.
Johnson continuò - As you can see! Mr. Venturi wanted to create something that could have the ability to travel through time. -Mentre parlava, il dottore sfogliava le pagine, ritornando più volte al disegno - Once completed, go back over the years and study the medieval era… – Dovette smettere di parlare, bloccato dal collega - A lot of money was, spent on creating this project. Mr. Venturi was financed by the American state; as interested in this realization of the magnificent time machine, they accepted the idea. Thus giving authorization to the start. – Uno dei motivi che lo convinse a rimanere a lavorare anche dopo la pensione fu anche per questo motivo. A Questo punto Alex volle togliersi una curiosità che lo tormentava da tanto tempo - You have been clear enough. But did I want to ask some questions? What does "Queen Project" mean? Why "Regina"?  - Questo nome lo incuriosiva parecchio.
Era uguale a quello della ragazza riportata sul diario; che si trattasse d’una coincidenza o c’era qualche riferimento in particolare? Queste domande se le poneva anche la sorella, non solo lui. Era da chiarire il perché venne scelto quel nome per quest’invenzione.
L’unica risposta che ricevettero fu - We don’t know! We do not know! We never knew why the name was chosen. – Esclamò il dr. Williams; molto probabilmente mentiva.
Annamaria cercava di leggere all’incontrario tutto quello che riusciva a capire non voleva dare conto ma quel fascicolo era pieno di appunti alcuni scritti a mano altri al computer. Riconosceva la grafia di suo nonno e quei suoi appunti non erano scritti in inglese ma in Italiano e non le venne difficile interpretare la sua scrittura.
Nel mentre domandò - I wanted to ask: Has this time machine already been built? has it been used before? I catch a glimpse of the dates on the notes. – Con questa domanda avrebbe capito se si potesse fidare o no di quel tizio.
A primo impatto non gli ispirò molta fiducia.
Il dr. Williams per un attimo la guardò non rispose subito come se si dovesse preparare una risposta si tolse gl’occhiali per poi rimetterli – No, fino ad ora mai! – Incredibilmente le rispose in italiano; questo voleva dire che la loro lingua la capiva perfettamente anche se la parlava molto poco e con qualche difetto.
Quella risposta breve e data al rallentatore non convinse molto la ragazza la quale guardò il fratello. I due si capirono al volo.
Dovevano vedere al più presto, dal vivo, la macchina del tempo ma non era il momento prima doveva leggere con attenzione quegl’appunti.
Alex chiuse il discorso – Dottor Williams! Le parlo in italiano. Questo fascicolo lo prendiamo noi. Tanto voi avrete sicuramente una copia. Ne abbiamo il diritto. – Continuò la sorella – Non credo che sarete tanto sciocchi da mostrarci l’originale? Anche se fosse non cambierebbe niente. – Tirò un sospiro alzandosi dalla poltrona.
Il fratello prese il fascicolo e senza dare il tempo di far rispondere i due colleghi salutò seguito dalla sorella. Uscirono richiudendo la porta dietro di loro, mentre i due scienziati li guardavano.
I gemelli avevano intuito che c’era qualcosa di nascosto e se loro stessi avevano evitato di menzionare una determinata cosa un motivo c’era e presto l’avrebbero scoperto.
Una volta andati via il dr. Williams ordinò a Johnson – Johnson engineer! Those two guys are very smart; they must not understand that this machine will be used for other purposes. Soon they will find out that their grandfather has already used that car, but that doesn't matter. – Era abbastanza preoccupato sotto quel progetto c’era altro e ben presto si sarebbe creata una guerra diplomatica se fosse venuto a galla. Johnson lo tranquillizzò – Calm down doctor! He will see that they will never know the truth. At the moment they have other things on their mind. I assure you. ­– Gli mise una mano sulla spalla ed i due si guardarono negl’occhi.
Altri problemi sarebbero venuti fuori, gente che voleva guadagnare con i progetti degli altri. Questo i due gemelli ancora non lo sospettavano ma i dubbi c’erano.   
Comunque una cosa era certa, il mondo non era così prima e le varie rovine ed i libri n’erano la prova. Sarebbe davvero bello sapere cosa portava l’uomo a prendersi tutto, il motivo per la quale tutti gl’esseri umani si facevano la guerra.
Annamaria lungo il tragitto verso casa era al quanto pensierosa - Forse se fosse come nei libri e nelle favole il nonno sarebbe stato con me ed i miei genitori, non sarebbe morto ed ancora al mio fianco per proteggermi. Sono sicura che mi guarderebbe ancora con i suoi occhi pieni di apprensione. – Questo pensava, appoggiata con il braccio al bordo del finestrino della macchina.
Alex la guardava senza dire, la lasciò sommersa nei suoi pensieri ma anche lui pensava a tante cose ma non era dato sapere. Era molto misterioso, ma si poteva solo immaginare. Anche a lui quella risposta non piacque, di sicuro nascondevano qualcosa e testa dura com’era prima o poi l’avrebbe scoperto.
Alla Nasa, proseguivano i lavori per la sistemazione del veicolo scelto molti anni addietro per il viaggio nel tempo ed all’interno scienziati ed ingegneri proseguivano come se niente fosse. Le ultime riparazioni dovevano essere rimesse a nuovo al più presto perché l’autovettura doveva tornare operativa al più presto non potevano ancora ritardare. Dall’ultimo viaggio i danni alla macchina furono parecchi e dalla morte di Alberto non fu più usata; solo recentemente, il progetto era ricominciato e senza nemmeno l’autorizzazione dei familiari. 
Il dr. Williams, era impegnato a visionare i dipendenti intenti in un delicato intervento all’automobile, visionato dalla presenza del ingegner Johnson, ogni tanto amava assistere a queste operazioni anche per vedere se i meccanici assunti fossero all’altezza del loro compito. L’intervento consisteva nel sistemare i circuiti del tempo seriamente danneggiati.
Mentre osservavano i due colleghi parlavano fra loro - Doctor Williams! How far are your house renovations going? - Accanto a Johnson lui una laureata in ingegneria aerospaziale.
Una ragazza giovane sui 28 anni con i capelli ricci castani e due occhi neri come la notte che indirizzava agl’operai le attrezzature da usare per aggiustare il pezzo rimanendo per tutto il tempo molto attenta, indossava nel viso una mascherina. Il dr. Williams guardava l’andamento dell’intervento notando la sua bravura - They go on but slowly, dear Johnson! But, we are friends; there must be no distances between colleagues. I must remember me to notify the other colleagues too. The fire created some problems in the rooms facing the garden. We were forced to buy new furniture and equipment. - Gli rispose in modo molto educato e gentile.
Il dr. Williams, grande uomo e luminare della scienza, quando cominciò con questo progetto, all’epoca aveva 23 anni.
Classe 1952, amante della scienza fin da ragazzino, sposò la signora Mary di due anni più piccola all’età di 22 anni - But did you manage to discover the criminals of this damage? What does the police say? - Conosceva Williams da molto tempo laureati entrambi con il massimo dei voti lo conobbe tramite il padre di lui quando prese servizio alla Nasa di New York. Williams controllava gli operai, stesi sotto la macchina intenti a lavorare - Not yet! But I personally have my suspicions. I don't have proof and therefore I don't want to name. - I nomi nella sua mente era tanti ma erano poche le persone che si sarebbero azzardate a fare tanto e lui un nome in particolare l’aveva scolpito nella mente.
Annamaria era a casa, con una amica di suo fratello più giovane di lei di 10 anni. Si trovavano nella sua stanza a parlare. Sua madre in quel momento non c’era con una scusa di distrarsi la mente, andò a cercare sua cognata.
Passarono le ore e divenne sera. I gemelli si buttarono esausti sul letto dopo 4 ore di lavoro per cercare di decifrare quegli appunti sembrate però 8 per quanto lavoro c’era.
La loro amica era rimasta per cena, conclusa dopo qualche minuto andò via anche la nuova amica si addormentò subito in camera appena ritornata a casa dei suoi zii. I capelli neri di questa donna coprivano l’intero cuscino fino a farli risaltare. Sembrava stare molto comoda, non doveva mai aver dormito su un letto estraneo o se l’avesse fatto era da tanto che non lo succedeva. La madre Arianna ci mise un po’ prima d’addormentarsi, provò a non farlo voleva sistemare la stanza ma quando appoggiò la testa sul cuscino del letto matrimoniale il sonno prese il sopravvento.
Fine 12° capitolo

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