La fisica dell'attrazione - Special

di Sapphire_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1 ***
Capitolo 2: *** 2 ***
Capitolo 3: *** 3 ***



Capitolo 1
*** 1 ***


Come avevo già promesso, ecco qui la raccolta di capitoli speciali sui personaggi de “La fisica dell’attrazione”.
Premetto subito: non ho un numero di capitoli che prevedo, potranno essere tre come dieci o più, seguirò l’ispirazione seguendo le idee. Se ci sono dei capitoli che vi piacerebbe leggere (una scena in particolare che non ho esplicitato nella storia, un evento dal punto di vista di un altro personaggio…) ditemi pure, se potrò accontentarvi lo farò più che volentieri!
Spero che questo vi piaccia, l’ho scritto più di un anno fa e spero che non ci siano grandi errori di sorta!
Buona lettura!

~Sapphire_
 
 
 
 
 
 
~La fisica dell’attrazione
 


~Special
 
 
 
 
 
Non aveva la minima idea di quanto avesse bevuto, e in qualche modo preferiva così.
O, almeno, preferiva così mentre stava mezzo coricato sul divanetto in pelle nera del locale scelto da Sebastiano per l’addio al celibato.
Alessandro Angelis non era mai stato un tipo che si dava all’alcol per superare i problemi, eppure quella sera ne aveva assurdamente bisogno.
«Bastarda…» si lasciò sfuggire a mezze labbra mentre sorseggiava l’ennesimo Invisible della serata.
Come se fosse stato richiamato, Emanuele, il suo migliore amico, si voltò verso di lui.
«Chi, la tua studentessa?» chiese a bruciapelo.
Strano che non l’avesse ancora nominata! Ormai sembrava essere diventata il chiodo fisso di quell’idiota dalla volta che aveva finito per parlargliene a un’insulsa cena di ex alunni, mentre aveva troppo vino in testa e poco cibo sullo stomaco.
«Perché finisci sempre per nominarla?» bofonchiò l’uomo chiudendo gli occhi – troppe luci stroboscopiche lì dentro.
L’idiota rise, anche lui annebbiato dall’alcol.
«Perché adoro vederti comportare come un dodicenne alla prima cotta.»
«Fottiti.»
«Ah ah.» mugugnò l’altro poco toccato, poi gli lanciò un’occhiata seria «Senti, so che stai pensando ad Eleonora, ma almeno cerca di togliertela dalla testa, ok?» borbottò l’altro uomo passandosi una mano sui capelli mossi biondo cenere, per poi decidere più pragmaticamente di legarseli.
Alessandro fece una smorfia.
«Esattamente, spiegami come dovrei fare, dato che ho ancora stampata in testa l’immagine di lei a letto con Marco.» sibilò.
Non sarebbe riuscito a scordarla, lo sapeva.
La cosa più strana era che, in fondo, sapeva già che la loro relazione stava già tragicamente affondando senza possibilità di recupero, eppure era rimasto stupito nel vederla tradirlo così platealmente. Con Marco poi, che le aveva presentato lui stesso!
Almeno quel bastardo si era beccato un bel pugno in faccia – sorrise perfido al pensiero ed Emanuele dovette capirlo al volo.
«Dai, gli hai già spaccato la faccia a quell’idiota, che ti importa ormai?»
Alessandro lo guardò con un sopracciglio inarcato.
«L’orgoglio, forse?» fece sarcastico terminando di bere in un sorso il proprio drink per poi versarsi della vodka liscia in un nuovo bicchiere – evviva la cirrosi epatica precoce!
Emanuele lo imitò, per poi voltarsi completamente verso di lui e ignorare tutto il resto del gruppo impegnato a uno strano giochetto con l’alcol per il povero futuro sposo.
«Ok, posso capire l’orgoglio e ci sta. Ma puoi farci qualcosa? No, quindi ok, bevi fino a distruggerti stasera e poi da domani volta pagina.» ordinò categorico. Dopo poco si illuminò in un sorriso inquietante «Puoi sempre concentrarti sulla tua cara Amelia.» sogghignò perfido.
Alessandro, che aveva appena preso un sorso, si ritrovò a tossire come un dannato.
«Come cazzo fai a sapere il suo nome?» sibilò irato. L’altro assunse un’aria innocente.
«Ho parlato con i tuoi, risalendo al cognome dei loro amici, poi ho spiato tra i compiti in classe che c’erano a casa tua l’altro giorno.» ammise con finta dolcezza, privo di alcuno pudore.
Il moro fece l’ennesima smorfia.
«Ma farti i cazzi tuoi ti fa schifo?»
«Con quella boccuccia di rosa spieghi ai tuoi studenti?» lo prese in giro il biondo.
«Adorati un cazzo. Sono tutti delle seghe, quell’Amelia compresa.» berciò l’uomo ormai partito per la tangente – quel discorso già lo sfiancava.
«Eppure, sa risponderti da quello che mi dici.»
«Infatti la boccerò.» rispose mellifluo, l’alcol alla testa che aveva iniziato a fargli sentire sempre più caldo.
«Questo è abuso di potere.»
«Tanto una scusa la trovo.»
Emanuele la squadrò con calma, tanto che il “che vuoi” gli partì in automatico.
«Mi hai detto che è sexy.» disse l’altro serio.
Alessandro arrossì pateticamente, trattenendo una rispostaccia e prendendo un altro sorso.
«Mi hai detto che è intelligente, anche se con le tue materie fa schifo.»
«Dove vuoi arrivare?» lo interruppe il moro – sapeva già che si era esibito in un quanto mai imbarazzante elogio a quella ragazzina, voleva evitare di ripetere l’esperienza.
Emanuele continuò a fissarlo in silenzio, per poi decidere di parlare.
«Se ormai ti sei mollato con Eleonora, perché non ci provi con questa?»
Se gli avesse preposto di uccidere i suoi genitori avrebbe avuto un’espressione meno scioccata.
«Stai scherzando.» no, non era una domanda.
«No, perché dovrei?»
Alessandro fece un verso a metà tra l’esasperato e l’incredulo.
«Allora, sarò breve: ha diciotto anni, è figlia di cari amici di famiglia e, forse te lo sei scordato, ma è una mia studentessa.» quasi sibilò le ultime due parole, per poi finire in grande stile incollandosi al bicchiere.
«E allora? È pure maggiorenne!»
Alessandro lo fissò ancora più stupito.
«Non posso provarci con una studentessa, è illegale!» praticamente strillò – per fortuna la musica era troppo alta per far sentire qualcosa a qualcuno.
«Ma se lei è d’accordo…»
«Non è d’accordo!»
«Mi hai detto che le piaci.» puntualizzò l’altro – il moro maledì in fretta la propria lingua lunga.
«La attraggo come potrebbe capitare a una diciottenne con un professore come me, punto.» tagliò corto, non provando nemmeno a negare di essere bello – tanto era la verità, che senso aveva?
Emanuele ghignò.
«Appunto, approfittane.» ripeté divertito.
Alessandro gli lanciò uno sguardo seccato.
«Dio, quanto sei molesto.»
«Ma ti piace.»
«Ok, potrei essere vagamente attratto da lei, ma prima anche solo di sfiorarla mi lancio da un ponte.» terminò ironico.
La questione era molto semplice anche se Emanuele non pareva volerla capire: Amelia era una sua studentessa, non poteva portarsela a letto come se nulla fosse!
C’era anche da dire che lo attirava come poche volte una ragazza fosse riuscito a fare e quando lo fissava con quegli occhioni scuri gli faceva venire voglia di sbatterla sulla prima superficie piana che trovasse a disposizione – verticale od orizzontale poco importava – ma aveva dei principi lui. Era pure appena maggiorenne, lui aveva ben nove anni in più.
Si morse un labbro mentre finiva per pensare a quella volta che gli era finita in camera da letto: per un attimo aveva seriamente pensato di trascinarla addosso a sé e dal suo sguardo sapeva alla perfezione che lei non si sarebbe tirata indietro.
Quella era la parte peggiore: lei gli avrebbe detto di .
Sospirò depresso. Era tutto troppo faticoso. Da quando la sua vita era diventata così? Non ne poteva più, chi gliel’aveva fatto fare a diventare un insegnante?
«Che aria tormentata.» commentò Emanuele – proprio non voleva mollare l’osso, quel bastardo.
Alessandro gli lanciò un’occhiata acida.
«Ne hai ancora per molto?» bofonchiò infastidito.
«Alex, amico mio, lo sai che io voglio solo aiutarti. In questo momento ti sto facendo pure una seduta psicologica gratuitamente.» cinguettò l’uomo.
«Grazie ma non te l’ho chiesta.» fu la replica acida.
«Allora, cerchiamo di capire dove sta il problema.» iniziò Emanuele che in quel momento si stava divertendo un mondo – non come Alessandro, pronto a strozzarsi con la cravatta che aveva già tolto da tempo.
«Non c’è nessun problema.»
«Sì, se ti piace ma non te la fai.»
«Ok, allora il problema è che lei è una studentessa diciottenne.» rispose esausto Alessandro, abbeverandosi di vodka come un morto di sete nel deserto.
«Allora dovrebbe essere all’ultimo anno, giusto?»
Il moro gli lanciò un’occhiata confusa, non capendo dove volesse arrivare l’altro – aveva decisamente bevuto troppo.
«Sì.»
«Perfetto, allora zero problemi: lei si diplomerà quest’anno e quindi potrai sbattertela quante vuoi!» chiocciò allegro l’uomo. Alessandro si lasciò andare a un lamento.
«Ti prego, ha nove anni in meno di me.»
«L’età è solo un numero.» rispose spiccio il biondo.
«E il carcere solo una stanza.» ironizzò sarcastico il moro, per poi bere di volata l’ultimo bicchiere di vodka ed alzarsi – molto ciondolante, ma ce la fece.
«Io vado a prendere un po’ d’aria.» tagliò corto – anche perché, com’è che faceva così caldo lì dentro?
«Dove?»
«Dove mi pare! Fatti i cazzi tuoi!» berciò nervoso Alessandro, prendendo giacca e telefono e iniziare e andarsene per i fatti propri.
«Ricorda i preservativi!»
La risposta più eloquente fu il dito medio alzato del moro, ma il biondo non se la prese e iniziò a ridere mentre si voltava dagli amici.
Il professore, nel frattempo, cercava di districarsi tra la massa di gente che ballava e finiva per strusciarglisi addosso – aveva sentito anche un preoccupante pacco sul suo sedere e non era ancora pronto a solcare nuovi mari, quindi si affrettò a uscire fuori dal locale.
All’esterno l’aria era gelida e gli diede il colpo necessario per riprendersi – non troppo però, dato che il suo sangue era già sostituito con l’alcol da un bel pezzo.
Fece una smorfia e si lasciò andare in un gemito al muro, chiudendo gli occhi mentre sentiva la testa pulsare a causa della musica che l’aveva stravolto. Non andava pazzo per le discoteche, ma ogni tanto era un bel modo per staccare – solo non quando si stava ancora leccando le ferite per il tradimento e la sua testa (e non solo quella) si concentrava su quella ragazzina molesta.
Dio santo, non ho più l’età per queste cose, pensò depresso.
Non aveva più l’età per bere come un cammello così come non aveva più l’età per provarci con le diciottenni.
Le parole di Emanuele l’avevano tentato in maniera vergognosa e gli facevano venire voglia di insultarsi da solo. Come poteva passargli per la testa di provarci con una ragazzina, che aveva praticamente dieci anni in meno di lui? Era una sua studentessa poi! E i suoi genitori – oddio, se l’avessero saputo…
Si stropicciò gli occhi mentre sentiva di nuovo la necessità di bere e allontanare quei pensieri molesti, ma nel buio della sua testa la ricordò quella sera a cena, con quel semplice ma grazioso vestito blu scuro.
Avrebbe dovuto trascinarla a letto.
La cosa peggiore fu che, quando riaprì gli occhi deciso a ritornare dentro, fu peggio di una scarica elettrica.
Oddio, ho le visioni.
E invece non c’era nessuna visione, perché quella ragazza stretta in un favoloso vestito rosso scuro, tacchi che le snellivano ancora di più le gambe e una massa di ricci neri era senza alcun dubbio Amelia.
Non si rese nemmeno conto di aver leggermente dischiuso le labbra in un’espressione di muto stupore, si limitò a osservarla mentre la ragazza si accendeva con gesti rigidi dal freddo una sigaretta per poi portarsela alle labbra.
Non ci credo.
Amelia era lì di fronte a lui, come se fosse stata appena evocata.
Mai avrebbe pensato di trovarla lì, quella sera, proprio mentre c’era anche lui. Ubriaco fradicio.
E fu proprio a causa di quell’alcol che gli venne più che spontaneo rivolgerle la parola, facendola praticamente saltare sul posto.
«Ma guardate un po’… Amelia Moretti che fuma! Sai che fa male alla salute?»
Ovviamente per non smentirsi la prendeva in giro – certe cose non cambiavano, anche se era completamente ubriaco.
Vide il corpo della ragazza irrigidirsi e, di spalle, gli occhi del professore caddero proprio dove sarebbe stato più ovvio. Riprese a parlare nell’immediato, riportando lo sguardo su quella massa di capelli ricci e cercando di scacciare pensieri inopportuni.
«Potrei doverlo dire a Davide e Serena.» ma sì, infiliamoci pure i suoi genitori, tanto chi ha il cervello non annebbiato dall’alcol?
Alessandro si lasciò andare in un ghigno molto poco rassicurante vedendola girarsi con lentezza, ghigno che si fece ancora più pungente osservano il volto terreo della mora, la sigaretta quasi dimenticata a fumarsi da sola – non aveva la minima idea che la ragazza fumasse, ma d’altronde lui stesso aveva avuto quel vizio alla sua età, quindi chi era per giudicare? Certo, questo non gli impediva di fare il molesto – anche perché, avendola lì a disposizione, non sarebbe stato in grado di non tormentarla.
«P-professore?»
La sentì balbettare e lasciar scivolare lo sguardo su tutto il suo corpo. Alessandro era abbastanza conscio che si notasse il suo essere ubriaco, ma in quel momento non gli importava – non si era reso conto che si stesse mostrando sbronzo a una sua studentessa, anche perché la studentessa era colei che moriva dalla voglia di piegare.
Quel “professore” però lo irritò – perché doveva tormentarlo con quell’etichetta fastidiosa? Sapeva benissimo cosa li separava e non aveva per niente voglia di ricordarselo.
«Siamo fuori dalla scuola, Amelia, non farmi ripetere quello che sai già.» il tono sprezzante gli uscì in automatico, solo per voler cacciare via quel promemoria irritante.
La ragazza sembrò riprendere il controllo di sé in quel momento e la vide assottigliare lo sguardo mentre lo fissava quasi dubbiosa – era sempre stata così sexy?
«Che ci fai qui?»
La domanda lo fece sorridere ironicamente – che domanda ovvia, non sapeva fare nulla di meglio? Forse anche lei non era propriamente lucida, come lui.
«Festa di addio al celibato.» spiegò semplicemente.
Gli venne spontaneo darle un altro sguardo intenso, percorrendo con gli occhi tutto il suo corpo.
Dio, aveva voglia di morderla – ma no, non poteva sfiorarla neanche con un dito, doveva riprendere il controllo, anche se era dannatamente difficile pensare almeno un attimo in maniera lucida con tutto quello che aveva bevuto.
Si costrinse a prendere un’espressione indifferente ma non era sicuro di esserci riuscito.
«E tu?» fece a sua volta – non voleva far morire la conversazione, che cosa imbarazzante.
Amelia prese un tiro dalla sigaretta e Alessandro si concentrò per un attimo sulle labbra lucide, pensando che sarebbe stato piacevole passarci sopra la lingua – la vedeva già rabbrividire sotto il proprio tocco.
«Sono con una mia amica, volevamo fare qualcosa di diverso.» borbottò la giovane e il moro percepì il suo disagio in quelle parole – evidentemente era più lucida di lui e si rendeva conto dell’assurdità della situazione.
Guardarla stava iniziando a fargli male. Ricordava ancora com’era vestita la sera della cena a casa coi suoi e ora, con quel vestito rosso dallo scollo all’americana, le curve messe in evidenza, gli occhi intensi cerchiati di trucco e l’aria indecisa…
«Questa è la seconda volta che ti vedo in vestito.» commentò infine – non aggiunse che sperava di vederla anche senza, non credeva sarebbe stato consigliabile. Anche perché tanto quell’immagine lo tormentava comunque. Si lasciò andare in un ghigno perfido vedendola irrigidirsi, e nonostante la poca luce notò che si arrossava al volto.
«Questa è la seconda volta che ti vedo ubriaco.»
Touché, pensò il professore per nulla impressionato – conosceva benissimo le sue frecciatine e da un lato risultavano anche divertenti. Ma anche lui non era tipo da tacere, ovviamente.
«Beh, non mi sembri particolarmente lucida nemmeno tu.»
Assolutamente. Ora ne era sicuro: era troppo arrossata e sciolta per non essere un po’ brilla, e la cosa lo divertì. Sarebbe stato anche più semplice attirarla a sé, in una situazione del genere.
Sono uno stronzo.
«Dovrebbe tornare dai suoi amici.» rispose Amelia con tono acido – Alessandro si rese conto di avere esagerato troppo tardi.
La osservò spegnere la cicca con la scarpa e voltarsi, pronta a tornare dentro – a fuggire da lui – ma lui non ne aveva abbastanza. La voleva, ancora… Di più.
«Bevi qualcosa con me?»
La domanda con un vago tono di preghiera gli uscì prima che potesse controllarsi – molto probabilmente non l’avrebbe fatto comunque per quanto era ubriaco, ma almeno rifletterci un attimo per fare la stronzata consapevolmente…
«Cosa?»
Devo essere impazzito, pensò sconvolto lui stesso.
Era così facile chiederglielo, perché non riusciva a essere facile anche tutto il resto?
Si rese conto di come si fosse lasciato andare un attimo di troppo, di aver mostrato le proprie emozioni in un modo che non avrebbe dovuto fare con una come lei. Peccato l’avesse già fatto.
«Ti ho chiesto se vuoi bere qualcosa con me. Non voglio tornare subito dai miei amici, loro…» iniziò a parlare quasi cercando di giustificarsi – anzi, senza il quasi.
Quello però era vero: non voleva tornare dagli altri; tutti erano venuti a conoscenza del tradimento di Eleonora e lo guardavano come un povero disperato – vaffanculo, se veniva tradito uno come lui, loro potevano solo pregare in un miracolo! Stronzi.
La ragazza era stata così tanto zitta che si sentì un completo idiota in poco tempo.
Che cazzo ho chiesto…
Si spostò dal muro in cui era appoggiato come se fosse rimasto scottato da esso e traballò molto poco dignitosamente – era completamente ubriaco.
«Lascia stare, era un’idea stupida.»
Era un’idea di merda, si corresse nella sua testa.
La superò in pochi passi e la tentazione di allungare un braccio e afferrarla era tanta, ma riuscì a ignorarla – non sapeva da dove riuscisse a trovare quell’autocontrollo, doveva ringraziare Dio.
«Va bene. Ma devo sbrigarmi, c’è la mia amica che mi aspetta.»
Si bloccò di scatto a quelle parole, quasi spaventato. Si voltò e la vide controllare il telefono.
«Sicura?» sussurrò.
Devo essere impazzito, era il suo unico pensiero. Si sentiva un fascio di nervi, stava già iniziando a pentirsi di quella proposta assurda, però gli aveva detto di sì e…
«Sì.»
…era sì.
La fissò temendo potesse ancora cambiare idea, poi si autoimpose di riprendere il controllo di sé – e fu sempre per qualche assurdo motivo che riuscì a stamparsi in volto la solita espressione fredda che lo rendeva il terribile professore; si lasciò infine andare in un sorrisetto sarcastico, perché prenderla in giro era più facile che mostrarsi in difficoltà, e le fece un cenno con la mano per farla passare per prima.
E non mi si dica che non sono un gentiluomo.
All’interno la seguì mentre si dirigeva verso il bancone – fu assurdamente spontaneo sfiorarle la schiena per condurla e avvicinarsi per spostare coloro che intralciavano il passaggio. Sentire la stoffa morbida del vestito e pensare che ci fosse solo quel sottile strato a separarlo dalla pelle nuda lo fece soffrire più di quanto non sarebbe successo da lucido e dovette fare appello al suo totale autocontrollo per non afferrarla del tutto lì in mezzo alla sala. Nessuno li avrebbe considerati in fondo, sarebbero stati solo una coppia come un’altra in quel marasma.
Raggiunsero il bancone troppo presto e lui si appoggiò ad esso come con una scialuppa in mezzo al mare – una scialuppa che lo salvava dal mare di merda in cui era tragicamente caduto da quando l’aveva vista in quel vestito.
«Cosa vuoi?» chiese.
«Scusa, cosa hai detto?» urlò la ragazza – evidentemente la musica era troppo alta e la sua voce troppo bassa per farsi sentire.
Avrebbe potuto urlare a sua volta, sovrastare la musica con la voce.
Ma così è troppo facile cedere.
Si chinò su di lei, all’orecchio, così vicino da sfiorarle i capelli con la bocca, da sentire il profumo che era quasi intossicante e tremendamente eccitante. Così vicino che gli sarebbe bastato pochissimo per baciarla e farla gemere. Così vicino che lo mandava via di testa.
«Cosa vuoi?» ripeté.
La vide mordersi un labbro e fu come morire.
«Quello che vuoi tu!»
La risposta arrivò terribile e salvatrice al tempo stesso: l’allontanava da quella meraviglia ma lo salvava dal casino che c’era nella sua testa.
Mentre richiamava l’attenzione del barman si concentrò su cosa ordinare per lei – la vedeva come una da drink dolci, non sapeva perché. La risposta in quel modo arrivò prima che potesse rifletterci troppo.
«Un Invisible e un White Russian.» disse al barman che si era proteso verso di lui per ascoltare l’ordine. Non sapeva quanto fosse una buona idea bere un altro di quei cosi, un insieme di vodka, rum bianco, gin e tequila dal sapore amaro che l’aveva accompagnato per buona parte della serata, ma aveva voglia di farsi del male.
Lasciò i soldi sul bancone e dopo poco i drink furono pronti; prese il proprio e l’altro lo diede alla ragazza che subito lo assaggiò incuriosita.
Notando come un giovane lanciasse uno sguardo di troppo ad Amelia, Alessandro si infastidì e fu automatico prenderla per un polso e trascinarla via da lì, al riparo dagli occhi indiscreti, per godere solo lui della sua voce e della sua figura sinuosa e affascinante.
Finirono ai divanetti e si abbandonò sopra di uno di essi sentendosi la testa pesante – la lasciò andare indietro e per un attimo raggiunse il paradiso.
«Che cos’è?»
La voce di Amelia lo raggiunse con una nota di curiosità, facendolo riprendere. La fissò mentre prendeva un sorso del proprio drink e poi ricordò cosa contenesse in effetti il White Russian: tantissima vodka, liquore al caffè e panna. Forse era troppo alcolico per una come lei, a momenti troppo magra.
«White Russian. Ho pensato ti piacessero le cose dolci, ma ora che ci penso forse è un po’ troppo forte per te.» borbottò poco convinto – le parole iniziavano ad attorcigliarsi sulla lingua, legata da tutto quello che aveva bevuto.
La frase successiva però non se l’aspettava.
«Hai intenzione di farmi ubriacare?»
La domanda aveva un tono chiaramente scherzoso, ma il significato presupponeva qualcosa che non era ammissibile tra un prof e una studentessa.
Era inevitabile che nella sua testa passassero mille idee, tutte frutto di quelle parole.
Riuscì a mantenere un’espressione impassibile, almeno in un primo momento, poi l’alcol gli fece piegare la bocca in un sorriso che, se anche era nato come poco convinto, si fece ironico e insinuante. Ormai l’argine era stato rotto e non era colpa sua. Anche se avrebbe continuato a mettere benzina sul fuoco, ovviamente.
«Non ho bisogno di farti ubriacare.» soffiò appena, ma sapeva che Amelia aveva sentito.
E sapeva anche che il significato di quella frase fosse perfettamente chiaro a entrambi – anche perché non c’erano molti altri modi per interpretarla, soprattutto se si stavano guardando in quella maniera.
Gli venne automatico accentuare il sorriso e socchiudere gli occhi per fissarla.
Sotto le basse luci del locale, i capelli corvini assumevano sfumature di vario colore e nella pelle in quel momento arrossata erano proiettate le lunghe ciglia che rendevano il suo sguardo ancora più intenso.
Per un attimo la sua mente immaginò l’espressione della ragazza mentre…
«Non ne sarei così sicura, cosa te lo fa pensare?»
La replica non fu troppo veloce, segno che anche lei si fosse lasciata andare in altri pensieri, e Alessandro la vide prendere un sorso del drink, il gesto così meccanico da risultare rigido come l’intera figura.
Vederla in difficoltà lo fece fremere di divertimento e fu istintivo per lui sporgersi verso di lei, poggiando il gomito sulla gamba fasciata dai jeans scuri e il mento sul palmo. Non erano esageratamente vicini, però già quella minor distanza accorciò ulteriormente lo spazio tra loro e il limite imposto dai ruoli che coprivano.
Sarebbe bastato poco – pochissimo – per superarlo.
La fissò e sapeva perfettamente che dentro di lei fosse agitata. Lo capiva da come teneva stretto il bicchiere, tanto da rendere le nocche bianche, da come il labbro era ripetutamente morso, da come il piede ticchettava sul pavimento producendo un suono non percepibile a causa della musica.
«È solo una sensazione. Potrei sempre sbagliarmi.» anche questa frase venne detta in un sussurro, e anche in quel caso sapeva di essere stato comunque sentito.
La guardava negli occhi e vedeva tutto il tumulto interiore della giovane ed era una delizia sapere di poterla rendere così. Gli faceva chiedere come avrebbe reagito se avesse osato di più.
«Potrebbe esserci la sua fidanzata da qualche parte qua in giro.»
Fu come se fosse appena esplosa una bomba.
Alessandro sentì il proprio sangue gelarsi e non poté impedirsi di chiudersi in un’espressione di puro gelo – il ricordo che stava cercando di relegare in un angolo per tutta la sera riemerse prepotente e bastò per farlo di nuovo incazzare.
Prese un sorso dal proprio bicchiere – usare l’alcol come anestetico era sempre un’ottima idea – ma non riuscì a cancellare la rabbia che riemergeva in lui prepotente.
Poi però parlò e non seppe neanche darsi una spiegazione al perché disse proprio quella frase.
«Non c’è nessuna fidanzata. Ci siamo mollati.»
Sentì la propria voce risuonare gelida ma non gli importò granché – la sua testa era più impegnata a cercare il motivo della stessa.
Perché glielo diceva? Forse perché il suo tono gli era sembrato altrettanto irritato? O forse per un vano desiderio di chiarimento?
Vide però Amelia strabuzzare gli occhi sorpresa e fu così buffo che non poté impedirsi di ridere – ma fu una risata fredda e acida, priva di reale divertimento.
«Mi dispiace, io…»
La salvò da quel patetico tentativo di scuse o “mi dispiace” vari, non aveva la minima voglia di ascoltarli.
«Tranquilla, avevo già in testa di farlo da un po’ di tempo. Scoprire che andava a letto con un altro è stata solo la spinta di cui avevo bisogno.» spiegò gelido.
Ma perché glielo sto dicendo?
Cioè, magari dirle che si erano mollati poteva anche andare, ma raccontarle anche del tradimento…
Era l’alcol a parlare, o forse solo la rabbia.
Il bicchiere era ancora mezzo pieno quando lo terminò tutto d’un fiato e la gola gli bruciò al contatto con l’alcol, stordendolo in un attimo più di quanto non fosse successo nell’ultima mezzora.
Si sentì caldo e ovattato – una sensazione piacevole, tutto sommato – e la musica parve farsi più ronzante mentre i contorni di Amelia un poco più sfocati. In pochi minuti anche il proprio pensiero si fece rallentato ma vagava comunque in una bolla di confusione che lo rese più leggero.
Perché era così arrabbiato? In fondo che importava? Aveva lei davanti.
«Mi dispiace. Non so bene come ti senti in questo momento, mi è capitata una cosa simile ma beh, essere traditi così… Non so cosa dovrei dirti per farti sentire meglio, però questa tipa ha fatto una stronzata – ok, so che sembra una frase costruita apposta, però lo penso davvero, insomma…» la ragazza si interruppe brutalmente e così Alessandro ebbe il tempo di comprendere fino in fondo il senso di quelle parole.
Lo stava… consolando?
Ma subito Amelia riprese e le sue labbra si muovevano in maniera così ipnotica che non riuscì proprio a spostare lo sguardo da esse.
Lei era una calamita e lui un misero magnete.
«…io credo che tu sia davvero una brava persona. Ok, ti reputo uno stronzo e a momenti ti odio, ma sei il mio professore, credo che sia più che normale farlo! Però per le poche volte che ti ho visto fuori da scuola mi sei sembrata una persona interessante, brava – come il giorno che non mi hai interrogata perché mi hai vista giù, ecco! Io sono convinta che lei sia stata una grandissima stupida a tradirti perché tu mi sembri una persona degna di fiducia e-»
Basta.
Fu quello il suo unico pensiero.
Non basta per le parole, non basta per i tentativi di conforto.
Basta a quel limite che si era autoimposto per una differenza di status che li rendeva inavvicinabili. Nulla era importante in quel momento, nulla sarebbe valso a distrarlo da quello che il suo corpo e la sua mente avevano intenzione di fare dalla prima volta che l’avevano vista in quella serata.
Sporgersi verso di lei fu veloce quanto un battito di ciglia.
Baciarla? Beh, anche meno.
Sentire finalmente quelle labbra sulle proprie fu infernale e paradisiaco allo stesso tempo.
Era rovente e la mano corse automaticamente al suo fianco, costretto in quella stoffa che avrebbe tanto voluto non esistesse. Quella curva era così sinuosa e invitante che per istinto la strinse ancora di più e in un attimo sentì la giovane che lo attirava di più a sé, le mani tra i capelli scuri in una carezza che stava per farlo gemere.
Quando schiuse la bocca lei rispose a sua volta e fu anche peggio.
Forse era il gusto del proibito, forse era l’alcol.
Forse era semplicemente lei.
Ma avrebbe voluto non staccarsi mai più da quelle labbra. Avrebbe voluto affogare in quel corpo, ignorando tutto ciò che si era autoimposto mediante la ragione.
Con la lingua le percorse le labbra e le sentì morbide, percepì il leggerissimo gemito di lei che sembrava chiedergli di più, ancora di più, di più ancora.
Fu con sofferenza che si staccò da lei per necessità di ossigeno.
E finalmente poté vederla da vicino. Gli occhi scuri, allargati per la sorpresa, le labbra tumide e rosse.
Si sentiva in una fantastica nuvola lontana da tutto e da tutti – ma con lei straordinariamente vicina e calda e morbida.
Solo ancora un attimo, solo ancora un bacio…
Ma lei si alzò di scatto in un movimento tale che si ritrovò sbalzato via – c’era freddo, ora.
«Io…» iniziò la giovane, interrompendosi.
Non lo guardava negli occhi, quasi tremava ma non era abbastanza concentrato da creare una frase giusta per quell’occasione. Troppo alcol nelle vene e quel bacio era stato peggio della droga.
«Io devo andare, c’è la mia amica che mi aspetta.»
Non ci fu il tempo materiale di dire qualcosa: Amelia fuggì come se il diavolo in persona la stesse inseguendo e si perse in un secondo tra la folla.
Cosa è successo?
Era stato tutto così veloce e così intenso che Alessandro ancora faticava a capire.
Quando si alzò dal divanetto era stordito e ancora più traballante, ma riuscì a raggiungere il proprio gruppo di amici – tutti erano ormai totalmente ubriachi, tutti tranne Emanuele che quando lo vide gli lanciò un’occhiata confusa.
«Dov’eri finito? Mi stavo quasi per preoccupare.» gli disse.
Alessandro però non rispose, lasciandosi andare in quei divanetti mentre tutto riprendeva a girare in maniera piacevole. Non rispose.
«Tutto bene?»
Andava tutto bene?
No, per niente.
Aveva appena baciato Amelia. Aveva appena baciato una sua studentessa. Che cazzo aveva in testa?
Devo essere impazzito.
Con quell’unico pensiero afferrò di volata un bicchiere e si versò dentro abbondante vodka, prendendone un lungo sorso sotto lo sguardo spiazzato di Emanuele.
«Che è successo?» insistette l’amico.
«Amelia…» bisbigliò lui, quasi in preda a una trance.
«Amelia? La tua alunna?»
Il moro ebbe solo la forza di annuire. L’amico lo fissò sospettoso.
«Che è successo? È qui?»
Altre domande, altre energie da sprecare per rispondere. Annuì di nuovo.
Emanuele parve scioccarsi.
«Oddio… L’hai vista?»
Annuì.
«Lei ti ha visto?»
Annuì ancora.
«E…?»
Silenzio.
«Lascia stare.»
Non voleva parlarne, voleva eliminare quell’idea che gli era saltata in testa. Era solo un idiota.
Emanuele parve capire qualcosa e tacque.
«Vuoi tornare a casa?»
Alessandro a quel puntò alzò lo sguardo e lo osservò.
«Sai cosa voglio?» sussurrò. L’amico lo fissò in attesa.
«Bere.»
Bere. Bere fino a dimenticarsi di quanto fosse stupido. Bere fino a poter credere di non averlo fatto. Bere fino a entrare in un sogno in cui continuava a baciarla.
Perché non posso?
Perché lei?
E prese il primo shot di quella che sarebbe stata una lunga e terribile notte.
 


 
[Nell'amore il piacere e il dolore sono sempre in lotta.
Publilio Siro]

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Capitolo 2
*** 2 ***


Ecco il secondo speciale che avevo in serbo per voi!
In questo capitolo potrete leggere del primo incontro tra i nostri cari Amelia e Alessandro, spero possa divertirvi leggerlo almeno la metà di quanto mi sono divertita io a scriverlo. E voi, come ve lo eravate immaginate il loro primo incontro?
Chiedo scusa in anticipo per eventuali errori di battitura.
Buona lettura e alla prossima!

~Sapphire_
 




 
 
 
 
 
~La fisica dell’attrazione
 

~Special
 
 
 
 
 
Si sa, il primo giorno di scuola è il giorno in cui non si fa un cazzo per eccellenza e di solito è anche divertente – rivedi i tuoi compagni di classe, racconti che hai fatto durante l’estate, ti rallegri perché manca sempre meno alla fine di quella tortura chiamata “percorso scolastico” ecc. – ma per Amelia era sempre stato la ripresa dell’inferno.
E quell’anno, giusto per cambiare, era arrivata in ritardo come suo solito.
In ritardo, sudata, ed è pure lunedì. Che schifo.
Questi erano i suoi pensieri mentre si affrettava dopo essere scesa dall’autobus e, con la camicetta chiara appiccicata addosso, si affretta a scrivere a Daniele per sapere se fossero già tutti in classe.
Il fatto che non le rispondesse subito la fece per un attimo preoccupare ma ignorò in fretta il fatto e cominciò a correre ancora di più mentre sentiva la borsa a tracolla – il primo giorno non si porta nulla! – sbatacchiare lungo i pantaloni di tela che aveva indossato il giorno, uniti ai sandali che mostravano la pedicure appena fatta.
Con sollievo notò di non essere la sola a essere in ritardo ma questo non la fece rallentare, anzi: iniziò a correre ancora di più per le scale dopo aver letto quale sarebbe stata la sua nuova aula.
Ebbe la certezza che sarebbe stata una giornata di merda quando, voltando l’angolo e rappresentando uno dei più penosi cliché di qualsiasi libro o film romantico, si scontrò con qualcuno e fece un molto poco dignitoso volo per terra che la fece imprecare.
«Merda!»
Non si era fatta granché male, per fortuna, ma l’imbarazzo della figura di merda la fece arrossire soprattutto quando constatò che era l’unica ad essere caduta mentre l’uomo di fronte a lei era rimasto più stoicamente in piedi.
Peccato che la guardasse con così profonda irritazione che l’imbarazzo scomparve in fretta, sostituito dal fastidio.
«Potresti anche aiutarmi, eh.» frecciò acida mentre guardava il giovane che non aveva mai visto.
Era alto, con capelli scuri e occhi chiari e – doveva assolutamente ammetterlo – parecchio figo. Se non fosse stata irritata per il comportamento avrebbe cercato di flirtare spudoratamente.
«Potresti anche stare più attenta, eh.» le fece il verso il giovane, lasciando che la ragazza si sollevasse da sola.
Amelia lo squadrò senza problemi, notando le vesti informali e nessun particolare che potesse farle capire chi fosse.
«Non ti ho mai visto.» si ritrovò a dire – a chi importava il ritardo quando c’era una così bella visione di fronte a lei? Oltretutto non doveva avere che pochi anni in più, magari era un ripetente o una cosa simile. Magari era del quinto e lei, essendo del quarto, era a un piano diverso e non aveva mai avuto occasione di notarlo – anche se le sembrava strano comunque.
Il giovane la squadrò a sua volta, la bocca storta in una smorfia.
«Siete sempre così diretti, qui?» chiese gelido.
Amelia alzò le mani.
«Scusa, non volevo ferire il tuo pudore.» frecciò ironica mentre la sua famosa lingua lunga prendeva il sopravvento.
Il giovane inarcò un sopracciglio.
«Pensi di avermi ferito?»
«Non so, tesoro, ma ritira pure gli artigli.» commentò con un sorriso sardonico la ragazza.
Il giovane però stirò un sorriso affilato.
«Oh, tranquilla, tesoro» la imitò ancora, quasi divertito da quella situazione «non hai ancora visto i miei artigli.» terminò ironico. Amelia continuò a squadrarlo.
«Oddio, sei uno di quelli “stronzi e misteriosi”?» schernì a sua volta.
«Prego?»
Amelia scrollò le spalle.
«Ma sì… Quelli “sono bellissimo e me ne rendo conto, per questo vi userò e vi tratterrò come mi pare”.» spiegò per nulla scalfita «Uno stronzo, ecco.»
Il giovane parve piuttosto scioccato a quelle parole, perché tacque per vari secondi.
«Non sei in ritardo?» chiese infine – evidentemente era deciso a ignorare quell’ultima uscita della ragazza che sembrava non avere nemmeno un pelo sulla lingua.
Nonostante tutto, quella domanda scosse il campanello d’allarme interno della mora che, all’improvviso, si ricordò di che ora fosse.
«Cazzo.» si lasciò sfuggire per poi fare un frettoloso sorriso «Beh, ci si vede.» disse solo prima di correre via verso la sua classe, pregando che il prof della prima ora fosse magnanimo con lei – era solo il primo giorno, in fondo.
Purtroppo, non sapeva che avrebbe dovuto preoccuparsi di ben altro, in realtà…
 
 
«A che ora usciamo, oggi?»
La domanda venne fatta da Amelia in maniera distratta mentre, al cambio tra la seconda e la terza ora, guardava distrattamente Instagram e le ultime foto pubblicate.
«A mezzogiorno. Ma da domani si riprende il solito orario.» rispose Daniele preso come lei a controllare il cellulare.
Amelia annuì sempre distratta.
«Comunque abbiamo un nuovo prof di matematica e fisica, sai?» le disse l’amico, attirando finalmente la sua attenzione. La ragazza alzò lo sguardo verso di lui e lo guardò curiosa.
«Davvero? E la Madaro?»
Daniele scrollò le spalle.
«In pensione anticipata. Non so bene perché, pare abbia avuto un esaurimento nervoso o qualcosa di simile.» spiegò.
Amelia scoppiò a ridere in maniera molto poco gentile.
«Oddio, povera donna!» continuò a ridere mentre lo diceva e Daniele ridacchiò insieme a lei, bastardo come al solito «Sai chi è questo?» chiese poi.
In quel caso però l’amico scosse la testa.
«No, non so nemmeno il cognome a dire il vero. È stata una cosa dell’ultimo momento.»
Amelia lo guardò incuriosita.
«E come hai tutte queste informazioni?»
«Me le ha dette Marina.» rispose semplicemente il ragazzo, facendo riferimento alla bidella del primo piano che si considerava un po’ la seconda mamma di tutti – spesso, quando Amelia non aveva voglia di seguire la lezione, fingeva di stare male e finiva sempre a bere tè e biscotti con lei mentre le raccontava dei gossip sui prof. Era divertente.
Amelia si limitò a sorridere e ad annuire.
«Dovremmo averlo adesso, sai?»
Quella frase però la lasciò piuttosto spiazzata.
«Ora?» ripeté.
«Sì, speriamo sia decente. La Madaro era fuori come un balcone.» bofonchiò il ragazzo.
Nemmeno a farlo apposta, la porta della classe si aprì all’improvviso e tutta la classe si zittì come spaventata mentre un giovane uomo entrava con in mano una borsa di pelle, i vestiti piuttosto casual e l’aria un po’ indolente.
Un giovane moro, con gli occhi chiari e assolutamente figo.
«Buongiorno a tutti, io sono Alessandro Angelis.» disse mentre poggiava la borsa sulla cattedra e squadrava l’intera classe.
Il suo sguardo si posò infine su Amelia che si era gelata sul posto. Il giovane stese un ghigno assolutamente poco rassicurante.
No, non dirmi che lui è…
«Sono il vostro nuovo professore di matematica e fisica.»
Oh, cazzo.
«No. No. Ti prego no.» iniziò a bisbigliare la ragazza presa dal terrore. Questo attirò subito l’attenzione di Daniele che le rivolse un’occhiata confusa.
«Che ti prende?» le sussurrò mente il professore si metteva comodo e apriva il nuovo registro, sfogliandolo distrattamente.
«Hai presente il tipo su cui sono andata addosso?» bisbigliò ancora la ragazza.
«Sì?»
Amelia si girò con la morte negli occhi.
«Beh, è lui.»
Daniele si voltò rapido verso il professore, ancora intento ai fatti suoi mentre l’intera classe (soprattutto le ragazze) commentavano sul suo arrivo.
«Dai, non preoccuparti, ci sei solamente andata addosso. Può capitare a tutti.» la tranquillizzò.
Amelia però lo artigliò per un braccio mentre scuoteva la testa terrorizzata.
«No. Non è solo questo. Potrei avergli risposto…» si bloccò per fare una smorfia «Ecco, in maniera non troppo educata.» terminò.
Daniele impallidì a quelle parole – conosceva bene la ragazza per capire cosa intendesse con “non troppo educata”.
«Cosa gli hai detto esattamente?» chiese comunque.
«Che è uno stronzo.»
«Bene.»
La voce del professore interruppe di nuovo tutti i bisbigli. Si rialzò da davanti la cattedra, tra le mani il registro aperto, e si pose di fronte a essa con ancora un sorriso perfido in volto.
«Prima di fare l’appello e conoscervi meglio, credo sia d’obbligo presentarmi per primo, no?» e la sua era una domanda retorica, perché non attese che nessuno rispondesse prima di riprendere a parlare indisturbato – e chi lo disturbava, uno del genere?
«Come vi ho detto, mi chiamo Alessandro Angelis e sono il vostro nuovo professore di matematica e fisica. Ho saputo che la vostra vecchia prof ha avuto alcuni problemi di salute, per questo non è più qui, ma appunto ci sono io al suo posto.» si interruppe, lanciando una vasta occhiata a tutti e anche in quel caso i suoi occhi si soffermarono un attimo di troppo su Amelia.
«Allora, presentarmi…» fece con tono vago, quasi una finta indecisione che fece capire a tutti che aria sarebbe tirata «Non vi interessano i dettagli della mia vita privata e mai devono interessarvi. Sono affari miei quanti anni ho, come mai insegno anche se sono così giovane, se ho la ragazza…» e dicendo questo si soffermò con lo sguardo verso un gruppo di tre ragazze, le cosiddette “oche della classe”, che avevano espresso i propri dubbi a voce non troppo bassa poco prima «…e non sono vostro amico. La mia giovane età non vi permette di essere informali con me così come io non sarò informale con voi.» disse con un finto sorriso splendente.
Un demonio travestito da angelo, ecco cosa era.
«Pretendo il massimo da tutti voi, il fatto che questo sia un liceo linguistico non implica un vostro scarso impegno nelle materie scientifiche, non accetto chiacchiere, cibo o telefoni durante le mie ore. Al primo richiamo una nota, al secondo vi spedisco dal preside, al terzo c’è l’ammonizione.» fece un sorriso ancora più angelico «Sono stato chiaro?»
Certo, se per chiaro intendeva di essersi mostrato come il nuovo Fürer scolastico.
Vedendo come nessuno intendesse parlare, l’espressione cambiò e si fece gelida.
«Perfetto. Iniziamo con l’appello.»
E iniziamo con l’inferno.
 
«Uccidimi.»
«Dai, Ame, non farla tragica. Non è successo nulla…»
«Non è successo nulla?» tono isterico e disperato da degna protagonista di tragedia greca «Ho solo dato dello stronzo a un prof, e non uno qualunque, ma il nostro demonio personale di matematica e fisica, che sono le materie in cui vado peggio!» con l’ultima parola si esibì in uno strillo di qualche ottava degno di un soprano lirico e Daniele fece una smorfia.
«Ti prego, non strillare, mi uccidi i timpani.» borbottò, poi vide il volto terreo dell’amica, pronta a fumarsi l’ennesima sigaretta al riparo dalla luce sotto un albero – il primo giorno era finito e tutti si trovavano ancora in cortile.
«Senti, capisco quello che dici ma disperarsi non ti aiuterà. Alla fine, ti sei rivolta in questo modo con lui soltanto perché non sapevi chi fosse, lui se ne rende conto.» disse paziente.
Amelia sembrò illuminarsi debolmente.
«Tu dici?» borbottò poco convinta.
«Certo!» fu la risposta, ma il tono era così insicuro e traballante che Amelia impallidì ancora di più.
«Oddio, la mia morte è vicina.»
«Dai, non morirai per questo!» tentò ancora il riccio.
Il viso di Amelia si tinse ancora più di isterismo.
«E invece sì. Perché lui ora mi odierà, non riuscirò mai a raggiungere la sufficienza, verrò bocciata e i miei mi ammazzeranno. E tutto questo perché ho dato dello stronzo al prof!»
Daniele le lanciò un’occhiata di sottecchi.
«O forse perché non studi matematica e fisica?»
Amelia ignorò l’ultima domanda – palesemente retorica – e si infilò le mani tra i ricci ormai disordinati.
«Daniele…» sussurrò disperata «Che faccio?»
Il ragazzo sospirò e si lasciò andare contro il tronco dell’albero, massaggiandosi la base del naso con aria stanca.
«E se provassi a chiedergli scusa?» propose.
Amelia si illuminò.
«Tu dici?»
«Beh, se vai e gli chiedi scusa per stamattina, dicendogli che non è il tuo solito modo di trattare i prof, non credo lui possa prendersela. In fondo capita a tutti di sbagliarsi, no?» spiegò il ragazzo.
Amelia buttò la cicca per terra e la calpestò.
«La tua idea è fantastica!» strillò entusiasta – il fatto che potesse pensarci da subito anche lei non la sfiorò, era troppo presa dell’isteria mista all’euforia per pensare ad altro.
«Vado subito, spero sia ancora a scuola!» dicendo questo si avvicinò a Daniele per schioccargli un sonoro bacio sulla guancia, prese la propria borsa abbandonata per terra e si diresse di corsa verso l’entrata.
«Se vuoi inizia ad andare senza di me!» urlò in direzione del giovane, ma non controllò se il ragazzo l’avesse effettivamente sentita o meno, era già dentro e si era già precipitata dalla bidella.
«Marina, cara!» tubò allegra.
«Amelia, tesoro!»
Si lasciò strapazzare dalla donna per qualche secondo, rispondendo rapida ai classici “come stai”, “che hai fatto queste vacanze”, “ma come sei bella”…
«Dimmi, Marina, per caso sai se il nuovo professore, quell’Angelis, è ancora a scuola?» chiese con aria innocente.
La donna però assunse subito un sorriso divertito.
«Oddio, Amelia, anche tu sei caduta vittima di quello?» disse, poi all’occhiata confusa della ragazza spiegò «Saranno venute qui altre cinque o sei ragazze a chiedermi di lui.»
Amelia proprio non riuscì a trattenersi da fare un gemito disgustato.
«Oddio, ma sei seria?» sbottò. Si allontanò di qualche passo dalla donna, mettendo le mani in avanti come in difesa «Potrà essere figo quanto vuoi ma è uno stronzo assoluto, col cazzo che mi interesso a un tipo del genere – è anche il mio prof, quindi non c’è pericolo, ma con quel carattere dispotico che ha piuttosto che andare con lui mi faccio suora.» esclamò presa dalla foga.
La bidella però aveva assunto un’aria corrucciata.
«Amelia…»
«Cioè, entra in classe e si crede Dio, ma che vuole? “Non sono vostro amico”» lo scimmiottò «ma chi vuole esserti amica, può anche andarsene a fanculo.» continuò sarcastica.
«Grazie, me lo appunterò nell’agenda.»
Silenzio.
Totale, agghiacciante, imbarazzante silenzio.
«Dimmi che ho avuto un’allucinazione uditiva e non è dietro di me.» piagnucolò Amelia in direzione di Marina che, però, si limitò a fare un sorriso imbarazzato.
«Sarebbe come mentire, lo sa?»
Altra frase detta con distaccata ironia e Amelia fu costretta a girarsi e a ritrovarsi davanti Angelis che la fissava con un sorriso da iena.
Ancora un po’ e si sarebbe sfregato le mani dalla soddisfazione.
«Professore…» bisbigliò per poi deglutire.
«Moretti, giusto?» la ragazza annuì – non che potesse fare altro, d’altronde «Mi fa sempre piacere sapere cosa gli altri pensino di me, lo trovo illuminante.» fece l’uomo con sempre il solito sorriso.
Amelia impallidì.
«Ecco, a proposito di questo, io…»
«Non credo ci sia bisogno che aggiunga altro, non pensa anche lei?» la bloccò il giovane.
Amelia si dovette costringere a non urlargli in faccia: prese un profondo respiro, sorrise cortese e puntò gli occhi scuri verso quelli grigi dell’altro – un grigio che, in quel momento, era di freddo divertimento.
«Salve professore. Volevo chiederle scusa per questa mattina, non sapevo chi fosse quando l’ho incontrata. Devo esserle sembrata poco educata.» disse con tono affettato – assolutamente cortese, ma affettato. E Angelis dovette accorgersene perché sorrise ancora di più.
«E quello di prima che è stato, invece? Un elogio mal riuscito?»
Amelia si morse la lingua.
«Ho espresso solo una mia prima impressione in maniera un po’ troppo focosa, temo.» formulò.
Angelis inarcò un sopracciglio.
«“Prima impressione in maniera un po’ troppo focosa”.» ripeté «Quindi non mi ha dato per la seconda volta dello stronzo, per poi suggerirmi di andare a fanculo, giusto?» commentò.
La mora non poté trattenersi dall’arrossire.
«Era una conversazione privata.» le sfuggì a denti stretti.
Angelis però sorrise ancora di più.
«Oh, peccato che io abbia sentito, allora.» fece soave, poi volse uno sguardo verso la bidella che aveva assistito a tutta la scena in silenzio «Buona giornata, Marina.» le disse come se la conoscesse da tanto e infine lanciò un’occhiata alla ragazza che teneva la testa parzialmente china.
«Buona giornata anche a lei, Moretti. Si assicuri di non insultare un professore quando esso è dietro di lei. Potrebbe essere pericoloso per la sua carriera scolastica.»
E con questa frase che suonava insieme come minaccia e sentenza di morte per la ragazza, il caro e nuovo professor Angelis prese il volo, lasciando la giovane in silenzio nell’atrio della scuola.
Buon inizio anno scolastico, Amelia.
 
 
 
«Così oggi era il tuo primo giorno…»
«Perché non eviti giri di parole inutili e non mi chiedi direttamente cosa vuoi sapere?»
Emanuele a quelle parole scoppiò a ridere ed Alessandro alzò gli occhi al cielo, abituato al comportamento evasivo dell’amico, poi si prese un sorso di birra.
«E se io volessi soltanto sapere com’è andata?» continuò il giovane mentre per un attimo il suo sguardo veniva attirato da una ragazza appena entrata nel locale.
«Penserei ti abbiano rapito per sostituirti con qualcun altro.» rispose schietto il moro «Avanti, dimmi cosa c’è.»
Emanuele ghignò divertito mentre prendeva a sua volta un sorso di birra.
«Ci sono ragazze carine?»
Alessandro gemette disgustato.
«Dio santo, Ema! Cazzo, avranno meno di diciotto anni!» berciò con un brivido.
Il biondo però non sembrava particolarmente toccato dalla frase.
«Non tutte. Ci saranno quelle di quinta, e anche qualcuna di quarta.» obiettò convinto «E poi ho solo chiesto se ci sono belle ragazze.»
«No, sono tutte delle oche a quell’età.» fu la placida risposta.
Emanuele però inarcò un sopracciglio scettico.
«Esagerato. Anche noi eravamo dei cazzoni a quell’epoca, sai?»
«Può darsi.» rispose solo il moro scrollando le spalle in maniera disinteressata – proprio perché, in effetti, non era per niente interessato a quel discorso. Soprattutto considerando che ricordava gli anni liceali come un periodo non troppo piacevole, ecco.
«Ma non ce n’è neanche una che ti ha colpito?» insistette l’amico «Dai, deve essercene almeno una!»
Alessandro gli lanciò un’occhiata.
«“Deve”?» gli fece eco indifferente. La sua mente però fu traditrice perché nella sua testa comparve il viso di una ragazza dai vaporosi ricci neri che lo guardava con aria di sfida.
Il ghignò che ne scaturì valse come mille rispose per Emanuele.
«Ecco!» esclamò l’amico puntandogli l’indice contro «Sapevo ci fosse qualcuna. Avanti, racconta.» lo spronò.
Alessandro cercò di dissimulare il tutto con una smorfia ma non servì a nulla: Emanuele non mollò l’osso – e che osso gli aveva fornito, considerando il suo interesse per le ragazze e per le situazioni pericolose.
«Non è nulla.»
«Non ci credo.»
«Sai quanto mi importa.»
«Sei noioso.»
«Possibile.»
Emanuele lo guardò truce.
«Dimmelo.» ordinò, per poi assumere un sorriso poco rassicurante «O potrei essere molto molesto stasera.»
Fu quella minaccia a costringere Alessandro a parlare – questo perché sapeva per esperienza quanto l’amico potesse essere fastidioso quando ci si metteva. Ed era anche il lato che meno sopportava di lui.
«Niente di che, oggi alla prima ora mi sono scontrato con una ragazza…»
«Banale.» lo interruppe Emanuele.
«Mi vuoi far finire o devi commentare ogni frase?» frecciò infastidito il moro. L’amico sorrise angelico.
«Scusa, continua.» tubò.
«Dicevo. Lei è caduta a terra e mi ha risposto – non credeva fossi un professore, evidentemente, dato che mi ha dato dello stronzo.» commentò con un piccolo ghigno divertito.
La situazione lo divertiva più del lecito, doveva ammettere.
Emanuele colse il suo divertimento.
«Oddio. Ti ha dato dello stronzo. È una pazza suicida.» commentò schietto il biondo.
«Può darsi. Ma glielo avrei anche perdonato dato che non sapeva chi io fossi davvero…»
«Sei serio?» lo interruppe di nuovo Emanuele stupito.
«Non credo.» ammise senza vergogna, poi però sorrise ancora più divertito «Ma non c’è bisogno di pensare ai “se”, dato quello che è successo dopo.»
Emanuele sembrava di fronte alla propria serie tv preferita per come quasi si distese sul tavolo preso dal racconto.
«Che è successo?»
Alessandro si esibì in uno dei suoi peggiori ghigni perfidi e anche l’amico si ritrovò a rabbrividire vedendolo.
«Immagino volesse venire a scusarsi, ma poi si è lanciata in una sequela di insulti nei miei confronti con la bidella – cose tipo “è uno stronzo”, “chi si crede di essere”, “sarà figo ma che vada a fanculo”.» spiegò ridendo bastardo «Peccato che io fossi dietro di lei.»
Emanuele impallidì – si doveva essere immedesimato parecchio nel racconto.
«Oh, cazzo. Poveretta.»
«Direi di sì.» commentò poco interessato il moro, ma poi si fece più corrucciato «Però mi ha risposto.» borbottò con fastidio.
Quella fu la frase che più sconvolse il biondo, dato che quasi saltò sulla sedia.
«Ti ha risposto?» ripeté scioccato.
«Non ha detto niente di ché, solo che non ha chinato la testa come dovrebbe.» frecciò ancora perfido.
«Oh, immagino come vorresti chinasse la testa…»
«Ti prego, Emanuele. È comunque una mia studentessa.» lo riprese Alessandro.
«E allora?» continuò ignorandolo «Almeno è bella?»
A quel punto il moro tacque.
Era bella?
Non sapeva dirlo. Certo era che aveva dei ricci fantastici e gli occhi grandi che sembravano volerlo uccidere avevano un ché di eccitante.
«Niente di ché.» commentò.
Sì, non era nulla di che. Una come lei non gli avrebbe mai fatto effetto.
Ne era sicuro.

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Capitolo 3
*** 3 ***


Ci vediamo giù, buona lettura!
 
 
 
 

 
 
 
~La fisica dell’attrazione
 


~Special
 
 
 
 
 
 
Il locale era affollato tanto quel che bastava da creare un allegro chiacchiericcio soffuso, ma non così tanto da coprire la musica in filodiffusione di sottofondo, ed era meglio così dato che Alessandro era sicuro di avere un principio di emicrania che se fosse andato avanti in quel modo si sarebbe trasformato in un mal di testa vero e proprio.
Lanciò un’occhiata al proprio orologio e fece una smorfia.
Idiota ritardatario.
Ovviamente non c’erano tante altre persone da meritarsi parole del genere oltre il caro Emanuele, che forse stava pensando di tirargli un bidone dato che erano passati venti minuti e ancora non si era fatto vedere.
Il fatto che non rispondesse né ai messaggi né al cellulare stava ulteriormente indispettendo il moro – ma gliel’avrebbe fatta pagare, quello era certo. Non sapeva ancora come, ma avrebbe trovato un modo.
La radio passò l’ennesima canzoncina di Natale e il moro sbuffò in automatico.
Gli piaceva il Natale, davvero, in fondo l’atmosfera natalizia era piacevole e non era uno di quegli uomini che odiavano le feste, la famiglia e tutto il resto, ma da un paio di giorni l’unica cosa che gli veniva in mente, pensando al Natale, era la strana giornata al centro commerciale vissuta con Amelia.
«Vuole qualcos’altro da bere?»
La domanda della cameriera gli fece alzare di scatto la testa e vide la giovane donna che lo fissava sorridente in attesa. Abbassò lo sguardo sul proprio bicchiere di birra rossa e notò solo in quel momento che era finita.
«Un’altra, grazie.» borbottò solo – sì, meglio bere ancora un po’ per affogare quel non-sapeva-cosa sul nascere.
La cameriera si allontanò rapida per eseguire la comanda, lasciando così l’uomo nei suoi pensieri che in fretta si concentrarono su quell’ammasso di capelli ricci, sarcasmo e ironia che costituiva Amelia Moretti, la studentessa che da troppo tempo a quella parte si affacciava nella sua testa.
«Merda.» bofonchiò massaggiandosi le tempie.
Devo smetterla di pensarci. Dio santo, non sono più un ragazzino.
Era vero, non era più un ragazzino, eppure i sintomi che si affacciavano in lui erano quelli di una cotta adolescenziale che lo facevano vergognare come un ladro.
Se poi finiva per pensare a quella infausta – o almeno era così che si ostinava a definirla – serata in discoteca, tutti i ricordi annebbiati si riaffacciavano nella sua mente cercando di ricostruire gli eventi che terminavano in scene fumose che non riusciva a distinguere dalla realtà.
Aveva provato a chiederle cosa fosse effettivamente successo, ma da quello che diceva Amelia non c’era stato nulla di ché.
Allora, quel ricordo… Perché…
I suoi pensieri vennero interrotti da un bicchiere che si poggiava sul tavolo.
«Grazie.»
La parola gli uscì spontanea prima di notare quale bicchiere fosse stato effettivamente posato sul tavolo.
E di sicuro quel Martini Dry con due olive non era la sua birra rossa.
«Ciao, Ale.»
Non gli serviva guardare la persona per capire chi fosse. La conosceva bene, in fondo era stata la compagna giornaliera di un paio di anni.
Eppure, sollevare lo sguardo e vedere Eleonora che lo fissava con un sorriso pacato sul volto fu comunque una sorpresa – e non troppo piacevole, a dirla tutta.
«Ciao.» ricambiò il saluto con un tono che poteva essere definito soltanto ghiacciato, ma non scalfì l’espressione tranquilla della donna che, senza aspettare un invito, si sedette nella sedia opposta all’uomo.
«Scusa, mi sono perso il momento in cui ti ho detto che potevi sederti.»
La frecciatina uscì spontanea e Alessandro non tentò minimamente di trattenersi. Dopo pochi secondi, la cameriera giunse con la sua birra e dopo un secondo sorriso brillante volò via, lasciando soli i due adulti che si fissavano.
«Perdonami, aspettavi qualcuno?»
La domanda fu posta serena e conciliante ma Alessandro la conosceva abbastanza da cogliere la nota insinuante nel tono della donna.
«Non penso ti interessi.» fu la sua risposta secca.
Prese poi il suo bicchiere e, senza accennare un cin, ne prese un sorso.
La osservò di sottecchi mentre prendeva un sorso del suo ­solito Martini Dry – non aveva cambiato i suoi gusti, notò.
Non era tanto cambiata, Eleonora. Aveva i capelli più corti, ma la sua eleganza, i suoi occhi celesti e il suo sorriso gentile non erano mutati di una virgola.
Ma non gli faceva più lo stesso effetto da tempo, ormai.
«Cosa vuoi?»
Era stato brusco nella sua domanda, ne era consapevole, eppure non chiese scusa né accennò un’espressione dispiaciuta per il tono. Ormai quella non si meritava più nulla da lui.
Eleonora rise – la stessa risata musicale che lo aveva fatto innamorare più volte.
«Come sei sgarbato, Ale. Ti ho visto qui tutto solo e ho pensato di venire a salutarti, è una cosa tanto brutta?»
Il moro prese un sorso dal proprio bicchiere prima di appoggiarsi allo schienale della sedia e incrociare le braccia.
«Mi sembrava di essere stato chiaro quando ti ho detto di non farti più vedere. O non hai capito che per me sei solo un ricordo ormai?» replicò tagliente.
L’immagine di lei nuda tra le braccia di Marco era ancora impressa tra i suoi ricordi. Quella scena lo aveva tormentato per settimane, anche quando era brillo e si chiedeva cosa fosse successo tra di loro da portare a quella situazione – non lo aveva mai capito davvero.
Vide il bel volto della donna piegarsi in un’espressione ferita, ma fu solo un istante prima che il sorriso sereno si ridipingesse impeccabile come prima.
«Credo che tu fossi annebbiato dalla rabbia del momento.»
Eh?
Quello fu il suo primo pensiero, ma la seconda reazione spontanea fu uno scoppio di risa incontrollato che suonò parecchio sarcastico.
Non si accorse degli altri astanti che si erano voltati a osservare la scena, né della tensione e del diffuso rossore sul volto di Eleonora. Si mise a ridere perché quella frase era suonata così tanto ridicola che non poté trattenersi.
«Rabbia del momento?» sibilò dopo che aver ripreso il controllo – gli occhi però erano ancora lucidi dalle risate.
«Ma dico, ti ascolti quando parli?» tacque un attimo per osservare una sua reazione «Perché sai, non credo proprio fosse una “rabbia del momento”, credo fosse più una rabbia da “la mia ragazza si è scopata un mio amico”.»
La frase grondante di sarcasmo attirò le orecchie anche dei due tavoli vicini che, chiaramente, ascoltavano curiosi la scena. Distrattamente notò la cameriera gironzolare nei paraggi, come per cercare di capire che stesse succedendo.
Eleonora era diventata una statua di sale – ma non gliene importava nulla. Quella fedifraga si meritava di peggio, doveva solo ringraziare che era un signore.
«Non ti sei nemmeno chiesto come mai io lo abbia fatto?»
La domanda venne fatta con fastidio, ma Alessandro non traballò di una virgola e la sua bocca si schiuse nel sorriso sprezzante e pungente che era solito usare con i suoi studenti. Quello che usava per le interrogazioni a sorpresa, per intenderci. O anche quello che usava con…
«Non mi interessa il perché. Non sono idiota, sapevo bene che c’erano dei problemi tra di noi. Eppure, non mi sembra di essere andato a letto con un’altra.»
Eleonora prese un sorso dal suo bicchiere – forse per prendere tempo più che per reale sete, o forse per cercare qualche beneficio nell’alcol, anche perché quasi lo terminò in un singolo sorso.
«Non sapevo che te la facessi con quelle più giovani.»
Il brusco cambio di argomento per un attimo lo lasciò incapace di replicare – ma fu solo un’istante, solo un momento in cui la sua mente si era persa nei ricordi di quel piacevole pomeriggio con…
«Non sapevo che te la facessi con i miei amici.» la sua risposta fu rapida e tagliente e godette nel vedere la donna che stringeva i pugni sul tavolo, il viso che si irrigidiva ancora di più.
«Sei sicuro che sia maggiorenne?»
«Quando hai deciso di scopartelo? Il giorno che te l’ho presentato?»
«Pensavo ti piacessero più aggraziate.»
Era un dialogo tra sordi, quello. Ma l’ultima frase lo fece tremare dalla rabbia – perché considerare Amelia in quel modo… Non si doveva permettere nemmeno di nominarla.
«Sai come mi piacciono?» era una domanda retorica, non attese una sua risposta «Mi piacciono che quando ci sono dei problemi ne parlino faccia a faccia, in maniera matura, cercando di risolvere i problemi. Mi piacciono che non se la facciano con i miei amici, per settimane, alle mie spalle, per poi coglierle sul fatto solo perché sono tornato prima dalla palestra. Mi piacciono che non incolpino me del tradimento, quando l’unico errore che ho fatto è stato non mollarti prima.»
Sputò quelle parole con rabbia e provò uno strano piacere nel farlo, eppure non era la prima volta che le diceva cose simili. Non si era risparmiato quando c’era stata l’occasione – e ancora godeva del pugno mollato a Marco, che aveva osato dirgli “dai, amico, possiamo risolvere la cosa”.
Risolvere la cosa. Per lui erano entrambi morti – e i suoi amici erano stati dalla sua parte, per fortuna.
Eleonora lo fissava, gli occhi celesti illuminati dal trucco erano lucidi. Le labbra rosse venivano mordicchiate dalla tensione e notò il respiro accelerato.
«Spero di essere stato più chiaro, oggi. Quindi, ti do un consiglio: la prossima volta che mi vedi per caso, in strada o in un locale, non mi importa, gira al largo.» sibilò e il sorriso cattivo gli sorse spontaneo sul volto.
La donna era una statua di ghiaccio. Non accennava a muoversi mentre Alessandro continuava a guardarla con odio implacabile.
«Toh, non credevo che facessero entrare cani e porci, qui.»
La voce cinguettante e di finto stupore di Emanuele fece sobbalzare Eleonora. Alessandro si voltò verso l’amico che si era appena avvicinato al tavolo, un sorriso innocente stampato sul volto e la massa di capelli lasciata sciolta sulle spalle.
Il giovane puntava la donna con bieco divertimento.
«Forse non hai colto la mia frase, cara Ele: ti stavo suggerendo di levarti dalle palle.» precisò l’uomo.
Uno scatto e la sedia strisciò sul pavimento – per un attimo parve che il vociare del locale si abbassasse ulteriormente, quasi in ascolto delle vicende tra i tre.
«Buona serata.» un vago balbettio quello della donna, gli occhi bassi dall’imbarazzo.
«Vorrei poterti augurare la stessa cosa.» replicò sarcastico Emanuele. Alessandro tacque, senza nemmeno guardarla, e prese un sorso dal proprio bicchiere.
Eleonora sparì in pochi passi, forse fuggendo da qualche parte a leccarsi le ferite.
Non che gli importasse realmente.
«Faccio giusto qualche minuto di ritardo e già ti ritrovo alle prese con l’ex.»
Il tono ironico del biondo voleva suonare giocoso, ma Alessandro era troppo nervoso per lasciarsi andare alle battute.
«Qualche minuto? Hai praticamente mezz’ora di ritardo.» il tono irritato fece capire a Emanuele che, forse, non era il caso di tirare troppo la corda – se in altri casi lo avrebbe preso in giro e torturato, vederlo con quell’odio negli occhi gli fece capire che sarebbe stato meglio lasciar stare, per quella volta.
«Scusa, a dire il vero mi è passata l’ora mentre giocavo alla play, poi ho trovato traffico.» ammise senza la minima traccia di pudore. Non era mai stato il tipo da tentare scuse per nascondere la verità.
Alessandro non rispose e terminò in pochi sorsi la sua birra.
«Andiamo, non ho più voglia di stare qui.»
La voce suonò bassa e fredda – no, non era proprio giornata quella.
L’amico non disse nulla e accettò in silenzio la decisione dell’altro, limitandosi ad alzarsi e a seguirlo verso la cassa per pagare il conto.
Alessandro ascoltò con un solo orecchio la cameriera che gli diceva l’importo, porse i soldi con aria assente mentre si estraniava dalla realtà come a sfuggire da quel senso di rabbia e fastidio che vedere la sua ex gli aveva appena provocato.
Stava seguendo Emanuele che era uscito per primo, era proprio dietro di lui mentre l’aria gelida di dicembre già lo investiva – e fu in quell’istante che riconobbe una voce allegra e squillante che proveniva dall’altra porta del locale.
Si voltò appena in tempo per riconoscere dei ricci familiari e quella figura ormai piacevole coperta da un cappotto rosso vivo.
Forse, per un attimo, incrociarono gli sguardi.
Oltrepassò l’uscio e si chiuse la porta alle spalle, inoltrandosi nel gelo privo di spirito natalizio, lasciando tutti i ricordi più caldi e piacevoli dentro il locale.
Insieme alla persona che li costellava.
 

 
 
···
 
 

 
«Amelia, tutto a posto?»
La voce di Nicole la richiamò poco più avanti, già più vicina al tavolino che alla porta, ma lo sguardo della mora era ancora fisso sull’altra porta del locale, sul punto in cui le era sembrato di vedere lui.
«Sì, sì.» borbottò e andò dall’amica che la osservava confusa.
Lanciò soltanto un ultimo sguardo alla porta, lì dove il protagonista dei suoi pensieri le era quasi apparso.
Ma poi scosse la testa, decisa a lasciare indietro ciò che le era sembrato di vedere – pensava troppo spesso a lui, ultimamente, doveva smetterla.
Volse uno sguardo verso Nicole e sorrise.
«Stavamo dicendo?»
Avrò di sicuro visto male.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Ed ecco a voi il terzo capitolo speciale!
Sì, domani mi aspetta un esame e dovrei ripassare invece di “perdere tempo” qui, ma ho pensato che sarebbe stato bello staccare un po’ la testa e terminare il capitolo che avevo in serbo da un po’.
Sinceramente, prima di finire questo capitolo ne ho iniziato altri due “speciali” che però non ho finito, non so come mai, avevo più voglia di scrivere questo – come avrete notato, non ho il solito tono scherzoso e ironico che mi caratterizza, ma ho preferito essere più seria, diciamo così, per quest’argomento.
È ricomparsa Eleonora, eh? Cos’è, credevate che fosse scomparsa così facilmente a suo tempo? No, no! Ha cercato di riavvicinarsi ma il nostro Alessandro è stato più stronzo e sprezzante e l’ha mandata a quel posto!
Ora vi lascio, spero che vi sia piaciuto e, se vi va, lasciate un commentino e ditemi che ne pensate, mi farebbe tanto piacere!
Un abbraccio e alla prossima!
 

~Sapphire_

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