Chi scegliamo di essere

di Sky_7
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 9 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 10 ***
Capitolo 11: *** Capitolo 11 ***
Capitolo 12: *** Capitolo 12 ***
Capitolo 13: *** Capitolo 13 ***
Capitolo 14: *** Capitolo 14 ***
Capitolo 15: *** Capitolo 15 ***
Capitolo 16: *** Capitolo 16 ***
Capitolo 17: *** Capitolo 17 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***





Capitolo 1

Perché qualcuno sceglierebbe mai di essere il cattivo di una storia? Da che esiste la divisione tra bene e male, nessuno si è mai definito cattivo, esistono solo due schieramenti dovuti a due opinioni contrastanti. è sufficiente questo a definire chi è il cattivo e chi il buono? E chi lo decide? Perché, da che mondo è mondo, sono i vincitori a scrivere la storia, che siano buoni o cattivi.  
Se non fosse mai stato capitan Hook il cattivo? Se fosse solo stato una vittima delle circostanze, reso folle dai pensieri che non gli fanno trascorrere notti serene, dalla ricerca di quella vendetta contro un demone immortale che gli ha portato via non solo la mano destra ma anche la vita. Perché è questo che si considera Hook, un morto che cammina.
L’amore dà, l’amore toglie e a James era stato tolto tanto, troppo. E adesso era stanco. Perché continuare a lottare se quello che ne riceveva in cambio non era che un pugno di niente. Anzi, neppure quello, un pugno in pieno stomaco, di quelli che tolgono il respiro. Ma in quel momento a togliergli il respiro erano litri e litri d’acqua che premevano sui suoi polmoni brucianti per lo sforzo di non cedere, di non farvi entrare più acqua salata di quella che già non avrebbe dovuto essere lì. Ne aveva viste di tempeste nella sua vita, era stata una tempesta a farlo entrare a far parte della ciurma di Barbanera. Lo ricordava bene quel giorno, forse era una delle poche cose che ricordava della sua vita passata perché, quando i giorni diventano tutti uguali, ci si aggrappa con le unghie e con i denti a tutto ciò che ti convince ad andare avanti, nel caso del capitano Hook la rabbia, il desiderio di vendetta e il ricordo del suo passato, di ciò che sarebbe potuto diventare e che gli è stato strappato via.
Non avrebbe mai immaginato che si sarebbe trovato a fare la vita per mare, non James M. Turner, il ragazzo che amava la sua vita ad Eton, la poesia, la musica e la letteratura. Tutto sparito in una nube di fumo quando era stato portato via con la forza da tutto ciò che amava e portato in un mondo sconosciuto, un’isola nei cieli in cui il tempo scorreva in modo diverso, in cui un giorno lì sarebbe stato tre o più nel mondo reale.
Non capiva James, non capiva perché qualcuno potesse desiderare di non crescere mai, del resto da dove veniva lui l’opinione dei bambini non contava nulla. Né i bambini in sé, a dirla tutta, a meno che non si pensava di rapirli e venderli come schiavi che poi sarebbero stati imbarcati per le Americhe. Almeno per quanto riguarda questo punto di vista, James era stato fortunato. Aveva vissuto una vita mediocre, forse troppo semplice per lui, ma era servita a creare in lui delle idee ben chiare su ciò che voleva: andare a Eton e poi al college, diventare qualcuno che potesse cambiare il mondo. Più avanti si imbatterà nelle parole riportate da un pirata ben più grande di lui che diceva “coloro che vogliono cambiare il mondo si trovano prima o poi a fare i conti con un unico grande ostacolo: il resto del mondo”. Quanta verità in parole forse pronunciate nei deliri dell’alcool.
Era stato arruolato come mozzo per colpo di fortuna su una nave mercantile, il loro mozzo era morto di cancrena per l'amputazione su una gamba e il vecchio che gli era rimasto a bordo, un tale che chiamavano Spugna, non ce la faceva da solo a star dietro alla necessità della nave. James faceva al caso loro: era giovane e in forze, sembrava sveglio e sicuramente non aveva abbastanza esperienza per mare per sapere se lo stessero fregando. Di per sé la vita a bordo non era molto pesante seppure faticosa, la parte peggiore erano però le angherie dei soldati inglesi che erano stati stanziati sulla nave per proteggerla da eventuali assalti da parte di pirati. Individui inutili più che altro il cui maggior passatempo era fare i dispetti a chiunque si trovasse a tiro. Inutile dire che James,un tipo tutt’altro che mansueto, era la loro vittima preferita e in un solo mese di traversata erano state già due le sere che si era ritrovato ad andare a letto senza cena come punizione per aver provocato una rissa. In quelle occasioni era Spugna che provava a calmare l’animo tormentato di quel ragazzo con gli occhi color nontiscordardime, spesso anche portandogli di nascosto un pezzo di pane o di formaggio. James, però, non aveva mai accettato quel cibo, lui rispettava il valore che si dava alle regole perché se esistevano c’era una ragione. Sapeva che le volte in cui andava a letto senza cena era perché si era meritato quella punizione e gli andava bene. Si faceva bastare la consapevolezza di aver fatto più male a loro di quanto ne avessero fatto a lui, i crampi allo stomaco erano solo un fastidioso effetto collaterale che non sarebbe bastato a fargli piegare la testa.
Come detto, James rispettava il valore delle regole e delle punizioni ma non quando queste ultime erano immotivate. Quello fu l'ultimo sgarro che i soldati ebbero verso James, lo accusarono di aver rubato nelle cucine e fu condannato a venti frustate. Le contò tutte ma mai diede la soddisfazione di urlare dal dolore e, per un attimo, Spugna fu certo di aver visto un bagliore cremisi negli occhi del ragazzo. Quel giorno stesso furono abbordati da quella che i marinai terrorizzati chiamarono Queen Anne’s Revenge. Non ci fu molto da fare, alla sola vista della bandiera nera tutto andò come i pirati avevano previsto: il panico si dilagò a macchia d’olio e i pirati presero il controllo della nave senza neppure sparare un solo colpo di avvertimento.
Inginocchiato sul ponte di quella nave insieme ai suoi compagni, con i pirati che li esaminavano uno per uno, quasi gli veniva da ridere. Avrebbe volentieri riso davanti a quegli uomini fatti e finiti che piangevano come donnicciole, spaventati anche solo per sollevare lo sguardo. James invece guardava davanti a sé, studiando con la coda dell'occhio la figura di quello che doveva essere il capitano Teach, Barbanera. Fu sempre con la coda dell’occhio che, notando una tempesta in avvicinamento, credette di vedere la morte in faccia.
Pochi minuti e fu il delirio. L'acqua di mare che attraversava la stoffa della camicia e delle bende bruciava sulle ferite aperte che gli attraversavano la schiena e dopo quante volte vi aveva sbattuto su stupiva di come riuscisse ancora a reggersi in piedi.  
In quel delirio, senza neppure sapere come, si trovò appeso alla rete di corsa, spezzata, che prima portava dal ponte alla cima dell’albero maestro. Poco distante da lui, un uomo totalmente vestito di nero, grande e grosso sicuramente il doppio di James che mai era stato un tipo massiccio. Si fece forza con le braccia fino a issarsi sul ponte inclinato di quella che doveva essere la nave mercantile e afferrata al volo una fune ne lanciò un capo all’uomo che urlava ordini come un ossesso.
“AFFERRA LA FUNE!” la sua voce riuscì a superare il fragore della tempesta il minimo necessario per essere udita dall’uomo che non ci rifletté prima si fare quanto detto. James aveva legato la sua cima all’albero ma non per questo l’aveva lasciata lì, bensì continuava a fare forza sulle braccia per tirare su il malcapitato. Ci fu un attimo di silenzio, un attimo dopo il giovane comprese che fosse dovuto alle acque dell’oceano che si ritiravano per dare vita a una nuova e gigantesca onda. In quel momento di silenzio James riconobbe il suono di una pistola a cui viene tolta la sicura, accanto a lui uno dei soldati della marina inglese puntava la sua arma sull’uomo che stava faticosamente arrampicandosi sul fianco della nave. James agì d’istinto tirando una spallata al soldato che gli fece perdere l’equilibrio e cadere la pistola dalle mani.
“TURNER! TI HA DATO DI VOLTA IL CERVELLO! HAI LA MINIMA IDEA DI CHI SIA QUELLO CHE STAI AIUTANDO? QUESTO È TRADIMENTO”
“CHIUNQUE SIA NESSUNO MERITA DI MORIRE COSÌ. DAMMI UNA MANO PIUTTOSTO” James non sapeva cosa avrebbe fatto il soldato e non lo seppe mai, perché, pronunciate quelle parole, l’onda arrivò con tutta la sua forza distruttiva. Il ragazzo, che aveva ben pensato di avvolgersi la fune intorno al polso per avere più presa, sentì un dolore lancinante all’arto destro, ma era rimasto con i piedi per terra, il soldato non fu così fortunato, infatti fu sbalzato in avanti e sarebbe finito in mare se non fosse stato per l’intervento del mozzo. Quel soldato, Lion probabilmente, era alto e massiccio e James lo reggeva faticosamente con la sola mano sinistra stretta sul colletto della giacca dell’uniforme, l’altra mano era ancora stretta intorno alla fune a cui era aggrappato Barbanera. D allora non rivide più Lion, l’onda successiva se lo portò via lasciandogli in mano solo la sua giacca rossa. Ma non c’era tempo per piangere la caduta di un deficiente. Tenendo la stoffa tra i denti, James sciolse il nodo che avvolgeva il polso destro per poi avvolgerlo nella giacca e afferrare di nuovo la fune, tirò e continuò a tirare finché il capitano pirata non fu con i piedi sul ponte traballante della nave mercantile che, rotta in più punti, stava velocemente cedendo alla furia dell’oceano.
“Ben fatto ragazzo, ora corri e vedi di metterti in salvo” non un grazie di qualsiasi genere, ma in punto di morte nessuno bada a queste cose. Teach corse verso il lato opposto per saltare sulla sua nave e James era sul punto di seguirlo a ruota, ma si bloccò alla vista di un berretto rosso non molto distante da lì. Incastrato tra una scialuppa e l’albero caduto, non era difficile intuire che Spugna sarebbe presto annegato se non fosse intervenuto il moro che una volta liberato lo trascinò quasi di peso nella direzione presa da Teach. I pirati stavano per sganciarsi dal reietto che li appesantiva e questo significava una cosa ben chiara a entrambi: se non si fossero sbrigati nulla di quello che avevano fatto finora sarebbe servito, sarebbero morti lì e di una morte atroce. No, James non sarebbe morto così, aveva troppo da fare prima. attese un’onda che, fortunatamente, era abbastanza vicina e che li sollevò. Approfittando dello slancio i due saltarono cadendo rovinosamente sul ponte di prua della nave pirata, poi gli arrivò alle orecchie la voce profonda di Teach che ordinava al suo nostromo di portarli il più lontano possibile dalla tempesta.
“Capitano! Abbiamo dei clandestini a bordo” Barbanera ghignò alla frase del suo sottoposto, ma  si portò con tutta la sua mole davanti ai due.
“Vedo che alla fine sei riuscito a saltare, ti credevo morto prima. come ti chiami ragazzo?”
“James Turner, capitano”
“Mastro Hands, trovate un paio di letti per James Turner e il suo amico. Benvenuti sulla Queen Anne’s Revenge” detto ciò fece per allontanarsi ma si fermò girandosi a tre quarti un ultima volta “Bella giacca”
La giaccia. James abbassò lo sguardo provando la sua mano destra avvolta nella stoffa rossa. Era la giacca della marina inglese, ma poteva dirlo solo perché l’aveva vista da integra. La furia della tempesta l’aveva resa irriconoscibili: dei gradi non c’era più traccia, era strappata in più punti e mancavano alcuni bottoni; ma da allora quella fu la sua giacca. L’aveva scelta perché era rossa e nel linguaggio dei pirati il rosso voleva dire un ordine in grado di far accapponare la pelle: niente prigionieri.
Questa come quella dei suo ricordo era una tempesta con gli attributi, la differenza era che questa volta non c’era una nave a cui aggrapparsi, a dire il vero non c’era neanche una scialuppa. C’era acqua, solo acqua. E mentre le onde rendevano sempre più difficile salire in superficie, altre parole del capitano Flinth gli tornarono in mente:
Non c’è alcun retaggio in questa vita, c’è solo acqua. Prima ci sfama, poi ci reclama. Ci toglie ogni cosa, come se non fossimo mai esistiti.
 
 
Emily aveva preso una sana abitudine in quei giorni, da quando era finita su quell’isola deserta, ogni mattina, appena sveglia, camminava in riva al mare, a godersi i primi raggi del sole camminando a piedi nudi sulla sabbia umida, respirando il profumo dell’aria salmastra. Amava da sempre il mare, adorava sentirne la brezza sulla pelle e a muoverle i lunghi capelli neri, nella disgrazia del suo matrimonio l’unica cosa bella era stato il viaggio dall’Inghilterra a New Providence e la prospettiva di un futuro su una di quelle incantevoli isole, circondata dall’oceano. Ma a Nassau, la sua meta, non c’era mai arrivata, non in modo ufficiale per lo meno. Lo fecero passare per un assalto da parte dei pirati ma altro non era che un’imboscata tesa dagli uomini della marina britannica al solo scopo di liberare il governatore Woodes Rogers dal peso di una moglie che aveva sposato solo per la dote e il prestigio.
Scosse il capo, la donna. Il suo amore per il mare era direttamente proporzionato all’odio per il suo passato, per ciò che aveva vissuto.
Non aveva idea di come fosse arrivata laggiù, i suoi ricordi erano molto confusi.
Camminava con lo sguardo perso davanti a sé, senza però vedere nulla realmente, finché non si imbatté in quello che sembrava un mucchio d’alghe ricce, di quelle che si trovano in profondità e scure a causa della poca luce che le raggiunge. Man mano che si avvicinava però, il mucchio cambiava forma, o meglio si delineavano i dettagli:  una giacca rossa, simile alle uniformi dei soldati inglesi; non rami o tronchi marci per l’acqua, bensì stivali neri; quella che sembrava una mezzaluna di metallo, lucente a causa dei raggi che la illuminarono, poco distante da quello che, ora, riconobbe essere un volto umano incorniciato di capelli ricci e scuri. No, senza dubbio non era un mucchio d’alghe portato a riva.
Lo raggiunse quasi di corsa, a quel punto, fino a inginocchiarsi accanto. Respirava, anche se impercettibilmente respirava ancora. Si alzò e percorse la strada fino a lì correndo
“CHARLES! CORRETE PRESTO!” 
 
Fu il dolore a svegliarlo, un dolore indistinto e acuto che lo avvolgeva per interno. Essenzialmente non c’era un solo punto del suo corpo che non dolesse, bruciasse o che, semplicemente, riuscisse a muovere senza che arrivasse al cervello l’impulso di stare fermo.
“La ferita deve essere chiusa”
Quale ferita? Ne aveva tante. Forse si riferiva morso al polpaccio, il suo sangue, come il migliore degli afrodisiaci, aveva attirato il coccodrillo che aveva affondato le zanne nella sua gamba, perforando lo spesso cuoio dello stivale, e da lì lo aveva trascinato verso il fondale. Giusto, il sangue... Quello era fuoriuscito dalla ferita al fianco, in cui Pan aveva affondato la lama colpendolo alle spalle, come il più vile dei codardi. Mistero come avesse potuto dimenticare quella ferita. Se era fortunato, la lama non aveva preso organi troppo importanti ma dal dolore lancinante avrebbe giurato che avesse strisciato sull’osso del bacino.
“Non ho niente con cui cucirla... Perché sanguina così tanto!”
“Continua a premere qui” NO! Non premere. Fa fottutamente male!
Seguì un suono metallico, il suono di una lava non troppo lunga ma ben affilata sguainata dal suo fodero, un suono agghiacciante che conosceva bene. Poi odore di fuoco, quel caldo odore che, come per il freddo, non possiede una vera essenza ma è qualcosa che si riconosce e basta. Voleva dire una sola cosa
“No. Non posso”
“Devi” e quello sì che fu doloroso. Una mano tremante poggiò la lama incandescente sulla ferita aperta e mentre il nauseabondo odore di carne bruciata si diffuse nell’aria, il capitano si tirò ad occhi spalancati urlando dal dolore. Cosa vide, poi, non seppe dirlo con certezza, non vi badò più di tanto. Era in una stanza interamente in legno; il braccio che lo teneva steso non era stato abbastanza forte da resistere a quel riflesso o forse lo aveva solo colto di sorpresa. Due occhi azzurri come il cielo d’estate ma imperscrutabili gli si pararono davanti
“Scusa capitano” e prima che potesse realmente capire cosa stesse succedendo, perse i sensi a causa del dolore e del pugno in faccia ricevuto.
 
 
 
“Perché devi rovinare tutto? Io ti ho insegnato a combattere e a volare, cosa si può voler di più?!”
“Tantissimo altro Peter” ad ogni parola del ragazzo, Wendy sentiva il cuore incrinarsi dal dolore
“Cos’altro si può essere di più?”
“Io non lo so... Penso lo si capisco quando si diventa adulti-”
“IO NON VOGLIO DIVENTARE ADULTO” la ragazza sussultò a quelle parole urlate con odio, ma Peter sembrò non farci caso oppure, al contrario, lo notò eccome e cavalcando quell’onda di paura le si avvicinò con un salto fermandosi a mezz’aria a pochi centimetri dal suo viso
“Ti bandirò come ho fatto con Trilli”
“IO NON MI FARÒ BANDIRE”
“Allora vattene! Va a casa e portati via i tuoi sentimenti” e volò via chiudendo il discorso
“PETER! PETER TORNA QUI! PETEEEER!” la sua voce si perse nel silenzio innaturale dell’isola, inudita o ignorata da tutti meno che dal capitano pirata che, poco distante aveva assistito alla lite. Poi corse via, Wendy, con le lacrime agli occhi e nelle orecchie ancora rimbombanti le parole che Pan aveva pronunciato con tanto odio.
Era il momento propizio che il capitano stava aspettando. Durante la note fece trasportare la casetta in cui Wendy dormiva a bordo della Jolly Roger.
Appena sveglia Wendy si guardò attorno confusa, ma non un’ombra di paura attraversò i suoi occhi chiari, arrossati dalle lacrime. Camminò a bordo con curiosità osservando ciò che aveva intorno e seguendo quella che sembrava la voce di un uomo che cantava. Sulla porta di quella che doveva essere la cabina del capitano, trovò Spugna che vi guardava all’interno e, dopo che le ebbe fatto spazio, lo affiancò. Hook stava seduto sullo sgabello del clavicembalo cantando una canzone che aveva davvero del raccapricciante, eppure Wendy non vi fece caso, piuttosto pensò che se non avesse perso la mano probabilmente sarebbe potuto inventare un compositore.
“Wendy Darling” il tono mellifluo di chi un attore sul palcoscenico, iniziava la recita.
Non c’era che dire, James Hook sapeva usare le parole e soprattutto sapeva adattarsi al suo interlocutore, facendo scomparire la facciata del pirata brutale e crudele, lasciando il posto a un uomo accondiscendente che sa esattamente cosa dire per convincere qualcuno. Wendy non avrebbe potuto rendersene conto.
“Crescere è una faccenda oltremodo barbara, non credi? Piena di inconvenienti e di brufoli... E poi cominciano i guai, arrivano i sentimenti. Peter Pan è molto fortunato a non esserne afflitto”
Era tutto calcolato, non un dettaglio era stato lasciato al caso eppure, quando vide gli occhi della bambina traboccanti di lacrime, Hook sentì come una morsa stringergli il cuore. Perché? E fu istintivo, una volta mandato via Spugna, avvicinarsi e asciugare quelle lacrime.
“Su su, non deve essere così per forza. Non hai mai desiderato essere un pirata?” finalmente Wendy si lasciò andare a un sorriso, seppur contornato dai residui di lacrime
“Beh una volta ho anche pensato di chiamarmi... Jackie mano rossa... Quando... Quando mia madre aveva ancora il tempo di giocare con me, quando John era ancora piccolo” lo sguardo della bambina si incupì, generando un moto di curiosità nel capitano “Dopo la nascita di Michael non ebbe più tempo per giocare con me e raccontarmi le storie dei pirati, credo sia stato allora che ho iniziato a raccontare io le storie di Peter Pan”
“Tua madre ti raccontava storie sui pirati? E che cosa ti diceva?” non riuscì, o forse neppure volle provarci, a mascherare la curiosità. Non si perse neppure un istante del cambiamento nello sguardo di Wendy.
“Mi raccontava di Barbanera, il terrore dei mari e di come assaltava le navi con i micce accese tra i capelli, infilate sotto il cappello. Del Jolie Rouge la bandiera pirata rossa che significa niente prigionieri. Di James Turner e Charles Vane, gli eredi di Teach destinati a scrivere la storia della pirateria” si interruppe abbassando lo sguardo “non ho mai saputo come andò a finire la loro storia” Hook sorrise, questa volta per davvero
“Posso raccontartela io” Wendy lo guardò negli occhi, come per accertarsi che dicesse il vero e non lesse menzogna in quegli occhi chiari “E, se ti unirai alla mia ciurma, ti chiameremo come hai scelto, Jackie mano rossa”
Jackie mano rossa... Wendy una piratessa? Chissà come l’avrebbe presa sua madre. Poi il suo sorriso si spense di nuovo
“Cosa c’è?” e di nuovo James Hook di accovacciò accanto a lei
“Mia madre... Non capisco, io non mi ricordo di lei. Ricordo le sue storie, i suoi racconti della buonanotte ma non ricordo com’è lei” sul finire della frase le parole vennero coperte dai singhiozzi e questa volta fu lo sguardo di Hook ad incupirsi.
“È questo che succede quando passi troppo tempo sull’isola: ti dimentichi della tua famiglia, dei tuoi amici. E poi anche loro si dimenticheranno di te e quando tornerai, se mai tornerai, sarà tutto diverso perché il mondo sarà andato avanti senza di te... Poi non resta che attaccarsi con le unghie e con i denti ai ricordi, tutto ciò che resta di un passato glorioso” parole senza un timbro vero e proprio, pronunciate mentre il capitano si dirigeva nuovamente verso il clavicembalo, dove si accomodò a suonare un brano di musica barocca di un qualche compositore di cui ormai aveva dimenticato il nome.
“È quello che è successo a voi, capitano?” annuì amaramente Hook, e senza spostare lo guardo dai tasti d’avorio indicò alla ragazzina di accomodarsi accanto a lui.
“Ero poco più grande di te quando giunsi qui la prima volta, con me c’erano altri due ragazzini più o meno della mia età. Ora non ci sono più” spostò l’uncino dalla tastiera per scarabocchiare quattro lettere sul legno del clavicembalo, per quanto era affilato non aveva bisogno di poggiare con forza la punta. Wendy osservò le lettere che una dopo l’altra venivano disegnate: P, J, O e M. le furono familiari.
“Queste lettere... In questo stesso ordine sono incise dietro il trono di Peter. Perché? A chi appartengono quelle iniziali?” Hook sorrise amaramente al ricordo
“Peter Pan trovava divertente che i primi abitanti dell’isola lasciassero un loro segno... Ma è una storia molto lunga e per raccontarla ci vuole tempo. Potrò raccontartela in futuro se dovessi scegliere di entrare nella mia ciurma”
“Ma... Cosa potrò fare? Non volete che mi dia saccheggio?”
“Mh vediamo un po’” esordì il capitano portandosi l’uncino alle labbra con fare pensieroso “Hai detto che racconti le favole, giusto?”
Chiese del tempo per pensarci, tempo che le fu concesso e in quel tempo pensò molto. Cosa ne avrebbe pensato la mamma se fosse diventata un pirata? Ma più Wendy pensava a sua madre meno riusciva a ricordarla. Perché? E pure ricordava ancora tutte le sue storie sui pirati e i giochi che inventava solo per lei. Il filo dei suoi pensieri si spezzò con l’arrivo di Peter nel covo in cui lei e i bimbi sperduti stavano cenando.
“C’è una nuova pirata a bordo della Jolly Roger. Le sirene dicono che si chiama Jackie mano rossa” esclamò con enfasi sguainando due spade, una per mano. Wendy non riuscì a nascondere un sorriso soddisfatto, forse non era una cattiva idea
“Jackie mano rossa? Sembra un tipo spaventevole”
Spaventevole?” questa volta il tono di Peter era di scherno, ma i bambini sembravano non farci caso, troppo impegnati a prendere le proprie armi “È solo una racconta favole” il suo tono questa volta era derisorio e fece scomparire il sorriso dalle labbra di Wendy. Solo una racconta favole? Era lo stesso ruolo che, essenzialmente, aveva accanto a Peter eppure per il folletto, per chissà quale ragione, sembrava non essere così.
“Jackie mano rossa sa essere un impavido spadaccino” lo sdegno per come era stata etichettata batté la voglia di mantenere un profilo basso, e la ragazza si trovò quasi a urlare quelle parole sbattendo le mani sulla tavola.
“Che sia impavida o no, dovrà assaggiare la mia lama” urla di giubilo si alzarono dai bambini che ancora circondavano Pan, andando a fomentare la rabbia di Wendy. Nessuno fece caso a lei quando sguainò a sua volta una spada, ma rimasero di sasso nell’udire le sue parole successive
“E allora mettiti in guardia, Peter Pan, perché sono io Jackie mano rossa” qualunque cosa Peter vide negli occhi di Wendy non gli piacque per niente e questa volta fu lui a perdere il sorriso.
“Ma mamma... Capitan Hook è un demonio, un libertino” Wendy non fece caso a chi avesse parlato, non voleva interrompere il contatto visivo con Peter. Era con lui che stava avendo la vera conversazione
“Al contrario, io trovo James Hook un tipo pieno di sentimenti” colpo basso per il folletto che la attaccò senza preavviso, disarmandola e puntandole la lama della spada alla gola.
“Signore, lei è poco galante e manchevole”
“In cosa sono manchevole?” non era più un gioco, non per Wendy i cui occhi si riempirono di delusione. Chissà perché, poi, aveva sperato in una diversa reazione di Pan
“Sei solo un bambino”
“Davvero vuoi diventare una pirata, mamma?” Michael sussurrò quelle parole quasi con timore che la furia dei genitori potesse ritorcersi contro di lui. Ma la rabbia di Wendy era già scomparsa, sostituita da un opprimente senso di tristezza
“No” una sillaba che riaccese il sorriso di Peter ma che lo fece nuovamente scomparire con la frase successiva “ma ovunque è meglio di qui” non aggiunse altro, era stanca anche solo di continuare a parlare. Non prese niente con sé, nulla di ciò che era in quella stanza poteva servirle dove stava andando e, conscia del carattere troppo orgoglioso di Peter, lasciò il covo indisturbata, ignorando le urla dei suoi fratelli che provarono a seguirla.
“Chiunque le andrà dietro non si faccia più rivedere qui” Wendy udì nitidamente la voce minacciosa di Peter nonostante fosse ormai fuori dal rifugio e, come volevasi dimostrare, nessuno le corse dietro. Con le lacrime agli occhi, percorse a ritroso la strada verso la spiaggia, conscia che quella che avrebbe vissuto d’ora in avanti non avrebbe avuto nulla a che vedere con a vita che conosceva. Iniziava una nuova era e, seppur con il cuore spezzato, Wendy era pronta a crescere.
James Hook aveva previsto due possibili scenari che avrebbero fatto da seguito al suo colloquio con Wendy Darling. Il primo e più desiderato, che vedeva Pan solo e vulnerabile nel suo rifugio, si era pietosamente arenato, lasciando il posto a un secondo con il medesimo fine ma dall’attuazione più lunga e complessa. La ragazza che giunse sulla spiaggia quella notte non aveva nulla della Wendy caparbia, anche se delusa, che aveva conosciuto Hook aveva conosciuto poco prima. Wendy sembrava l’ombra di sé stessa,
“Va tutto bene, Jackie?” per quanto Hook negli anni a venire proverà a negarlo, non era preparato a quanto lo avrebbe scosso vedere gli occhi azzurri della bambina cerchiati di rosso per le troppe lacrime.
Le si sedette accanto e non c’era compassione nello sguardo che le rivolse. Wendy si strinse maggiormente le ginocchia al petto asciugandosi le guance umide con una manica della camicia da notte non più bianco candido.
“No, ma adesso mi passa” voleva fare la forte, sembrare più adulta di quella che non fosse, ma non riuscì a chiedere al capitano di lasciarla sola, aveva paura di rimanere sola ma, allo stesso tempo, non voleva essere consolata. E Hook non la consolò, capiva il suo stato d’animo ed essere compassionevole non era nella sua natura. L’unica cosa che fece fu metterle qualcosa sulle spalle, era la giacca di un’uniforme inglese del ‘700, chiaramente maschile e decisamente di molte taglie più grande di quelle che Wendy era abituata a portare.
“Ora che sei un pirata avrai bisogno di un nuovo guardaroba, non vorrai rimanere in tenuta da notte per sempre, mi auguro” quella frase, per quanto imperiosa, fece sorridere la ragazzina. Aveva ragione, era un pirata adesso e doveva incominciare a vestirne i panni, tuttavia decise di concedersi quell’ultima notte come Wendy Darling, un’ultima notte da bambina per piangere tutte le sue lacrime e lasciarsi il dolore alle spalle.

 


Dunque, ciurma di EFP, approfitto di questo spazio per presentarmi e darvi qualche punto di partenza di partenza per capire la storia che ho deciso di pubblicare.
Come molti di voi approdati su questo fandom, sono cresciuta guardando Peter Pan e oggi, alla veneranda età di 22 anni, mi trovo dopo aver letto "James Hook - il pirata che navigò in cielo" (se è pubblicità mi scuso) a scrivere questa fanfiction. Mi piace considerare questa storia una sorta di rivalsa per il capitano pirata più conosciuto di tutti i tempi, ma lunghi da me il voler discutere il lavoro di Sir James Matthew Barrie. Semplicemente mi sono trovata a vedere Capitan Uncino sotto un'altra luce, che lo vede non come spietato assassino e antagonista, non solo almeno, ma come un uomo che nella sua vita ha sofferto tanto, troppo, per il capriccio di un ragazzino.
Se vi fa piacere datemi un parere, ma anche ringrazione anche chi di voi leggerà e basta dopo così tanti anni dall'uscita del film (mi stupirebbe anche solo sapere che c'è qualcuno oltre me che nel 2020 si trova a cercare fanfiction su Peter Pan ... Pardon, su Capitan Hook

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


Capitolo 2

Fu il dolore a ridestarlo e fu lo stesso dolore ad obbligarlo in quella fastidiosa condizione di vaglia immobile. Non aveva la forza di muovere un muscolo, neppure di aprire gli occhi, eppure aveva la percezione di tutto
“Accidenti!”
“Cosa?”
“Ha come una ferita di morso alla gamba... Di qualunque animale sia sono sicura che è andata in cancrena”
“Dobbiamo tagliarla!” NO! In nome di qualsiasi divinità in cui credessero questi selvaggi che l’avevano salvato, non avrebbero dovuto neppure provare ad avvicinarsi alla sua gamba
“NO, santo Iddio no. Non credo riuscirei a fare una cosa del genere... La gamba resta dov’è ma la ferita va pulita a dovere” tirò mentalmente un sospiro di sollievo alle parole di quella che aveva capito essere una donna che parlava in quello che, poi, aveva riconosciuto essere inglese. Una mano fredda si posò sulla sua fronte e dopo essersi sentito attraversato dai brividi per il contrasto con la sua pelle bollente si trovò a sospirare quasi di piacere.
“Ha la febbre alta e non andrà migliorando dopo aver pulito l’infezione” era ancora la donna a parlare e il suo tono questa volta era tra il preoccupato e l’addolorato “Chi mai renderebbe qualcuno in queste condizioni?! Con tutte le cicatrici che ha, avrà sofferto da cani”
“Ti sfugge, donna, che tra noi pirati si combatte per tutto. Non siamo donnicciole che si dilettano al ricamo, la maggior parte delle cose qualcuno di noi abbia mai cucito è stata la pelle umana” eccome se aveva ragione, a James ancora si accapponava la pelle al ricordo di quando Cecco aveva cucito il moncherino del polso.
Non si stupiva che la temperatura fosse salita al punto da preoccupare i suoi salvatori. Quando fu la volta della mano destra l’infezione fu così brutta che furono costretti a, letteralmente, grattarla via dal polso. La febbre, già di per sé alta, aumentò ulteriormente a causa di quel dolore lancinante. Rimase bloccato a letto, più morto che vivo, tormentato da sogni e ricordi.
“Spero non si svegli ora, farà male” e aveva ragione. Fece un male cane

James, Owen e Mary si erano conosciuti da bambini. Il primo era un ragazzo qualunque, cresciuto in una famiglia qualunque. Non erano benestanti, ma non se la cavavano neppure male, avevano un piccolo appezzamento di terra che gli permetteva di vivere e anche mettere da parte qualcosa vendendo le eccedenze.
Owen e Mary erano orfani, alcuni come tanti scappati dall’orfanotrofio di zona. Ladruncoli da quattro soldi che rubavano il necessario per sopravvivere. Owen aveva conosciuto James una mattina al mercato, il biondino si era intascato una mela sotto il naso del venditore, James aveva visto tutta la scena, aveva affiancato Owen e, dopo avergli fatto notare il gesto, acquistò due mele, prendendone solo una che gli consegnò una volta allontanatisi. James ancora adesso non era in grado di spiegare come divennero amici, anzi proprio fratelli, e fu proprio Owen a presentargli anche la piccola Mary, una bambina dai capelli biondi e gli occhi marroni che dal primo sorriso di James si innamorò di lui.
Furono i due orfani ad essere trovati per primi da Pan, che li stregò con il racconto di Neverland, dell’isola magica in cui i bambini non crescono mai. Accettarono immediatamente di seguire quell’insolito ragazzino in calzamaglia e stavano per volare via quando il ragazzino biondo lasciò la presa e guardò gli altri due ad occhi sgranati
“E James?”
“Chi?”
“James. Mio fratello. Non verrò da nessuna parte senza mio fratello” e così erano andati a prendere il ragazzo che chiuso nel suo alloggio a Eton, nonostante l’ora tarda, era immerso nella lettura di un libro di poesie preso in biblioteca quel pomeriggio.
Neverland era il sogno di ogni bambino, un’isola magica dove nessun bambino sarebbe mai cresciuto, dove non esistevano le responsabilità, dove avrebbero potuto sempre giocare. Come detto, un sogno, per tutti meno che per James. James che aveva già scritto il suo futuro, James che sognava di completare i suoi studi a Eton e andare poi al college. James che fu strappato da tutto ciò che lo rendeva felice.
James non era più felice a Neverland, restare un bambino non gli interessava, non a lui che voleva diventare adulto e far conoscere il suo nome al mondo. Per questo cominciò a pensare alla sua fuga, ma come si fugge da un’isola che si trova nei cieli?
Mentre Peter era sempre più stizzito e irritabile dal comportamento di James, Owen fu l’unico a decidere di indagare e James decise di confidarsi con colui che considerava suo fratello. Owen amava Neverland, amava la bella vita, il non dover lottare per un tozzo di pane, non andare a dormire con i crampi allo stomaco, ma James era suo fratello e così lo aiutò a ideare un piano di fuga. Pan li scoprì e decise di punire quella ribellione, sarebbe stato facile colpire James che ormai non aveva più nulla da perdere, meglio lasciarlo in vita con la colpa di aver condannato il suo migliore amico.
“Jimmy perché non sei felice qui? Non dobbiamo rubare per avere da mangiare, né andare a dormire con i crampi allo stomaco per il digiuno. Nessuno ti obbliga ad andare a scuola, né ti fa stare senza cena quando i tuoi voti non sono buoni. Niente frustate...”
“Owen ma io ero felice lì. Non mi pesava non mangiare per una o due sere, né prendermi le punizioni per aver fatto tardi a lezione. Mi piaceva passare le notti a leggere e imparare cose nuove... Ma non mi aspetto che tu capisca Owen, né che tu mi appoggi, ma io devo andare via” detto ciò caricò su quella zattera arrangiata anche un paio di remi ricavati dagli steli di palma, Owen abbassò lo sguardo e rimase in silenzio alcuni secondi prima di avvicinarsi all’amico per aiutarlo a caricare le scorte sulla zattera.
“Hai ragione, non capisco, ma non ti impedirò neanche di andartene... Sei mio fratello, James, e non vorrò mai il tuo male” si bloccarono entrambi, il maggiore sorpreso, il minore per imitare il primo, ma ancora non lo guardava in faccia, preferendo giocherellare con il ciondolo che portava al collo. Senza perdere altro tempo, se lo tolse e lo chiuse nella mano del suo migliore amico “Promettimi solo che, quando sarai cresciuto, non ti dimenticherai di me, Jimmy. Altrimenti te la faccio pagare cara”
“Non potrei mai dimenticarmi di un rompiscatole come te”
Avrebbero voluto abbracciarsi, dirsi addio con qualcosa di più che parole al vento, ma il tempo era poco. Purtroppo James non fece in tempo a fare niente che una voce li anticipò.
“Che scena toccante” i due ragazzini sobbalzarono voltandosi di scatto alla loro destra. Peter Pan se ne stava in piedi sulla zattera di James, anche se in realtà le piante dei piedi non la toccavano, e le braccia incrociate al petto, sul viso un’espressione che non prometteva nulla di buono.
“Vai da qualche parte James? Senza avvisarmi per giunta? Lo sai che nessuno lascia l’isola che non c’è se non sono io a volerlo”
“Io non volevo venire qui e non ho intenzione di restarci. Levati di torno Pan!” James non era di certo un tipo pacato, tutto il contrario: era irruento, istintivo eppure, paradossalmente, un abile stratega. La sua mente era una perenne partita a scacchi in cui cercava di prevedere tutte le possibili mosse dell’avversario. Era scontato che Peter avrebbe provato a fermarlo, ma sperava di avere più tempo per allontanarsi dall’isola.
“Ah è così?” Peter si alzò in volo, togliendosi del tutto da sopra la zattera su cui la sua ombra si proiettò ingigantendosi, fino ad avvolgerla completamente poi fu tutto troppo veloce per capire cosa fosse successo: semplicemente la zattera si sollevò di poco dalla superficie dell’acqua e si schiantò sugli scogli, distruggendosi.
“NOOO! Che cosa hai fatto!” James avrebbe voluto correre su quei resti, quanto meno per evitare che la marea li portasse via, nella vana speranza che fossero in qualche maniera recuperabili, ma non riuscì neppure in questo. Sempre restando collegata al suo proprietario, l’ombra di Pan lo travolse obbligandolo, tramite una mano premuta sulla gola, con la schiena contro il tronco di un albero. James non riusciva a respirare e Owen in preda alla paura si mordeva convulsamente la punta del pollice, come faceva sempre quando era nervoso. Solo allora il folletto sembrò notare la presenza dell’altro bambino con il cappuccio a forma di testa di coccodrillo, che se ne stava in dispare esattamente a metà strada tra i due litiganti.
“E tu l’avresti aiutato a fuggire? Ma che razza di amico sei?!” ghignò seraficamente, il piccolo despota, voltandosi di nuovo verso il ragazzo dagli occhi chiari
“Adesso vedrai cosa succede quando mi arrabbio sul serio” l’ombra, come obbedendo a un ordine che solo lei poteva sentire, si staccò da James e si fiondò su Owen, avvolgendolo ma passandogli attraverso. Adesso era James con gli occhi piedi di orrore alla vista del suo amico contorcersi e urlare dal dolore. Non ebbe bisogno di pensarci prima di fiondarsi su di lui per aiutarlo, o quantomeno capire cosa gli stesse succedendo, ma il suo corpo stava cambiando e in poco tempo di Owen non rimase niente. Al suo posto vi era un coccodrillo con la pelle squamosa e gli occhi di ambra che, sibilando, si fiondò su James come se si trattasse del più prelibato dei pasti.
“Owen! Owen smettila! Sono io, sono James” nessuna risposta se non quel continuo sibilo. James, camminando, quasi saltando o talvolta strisciando all’indietro, riuscì ad allontanarsi quanto basta per far desistere il coccodrillo dal suo intento. Il grosso rettile infatti si andò ad immergere nelle acque scure dell’oceano sprofondando nei suoi abissi, non prima però di aver distrutto con un colpo di coda tutto ciò che fosse ancora recuperabile dalla zattera del suo amico.
“Che ti serva da lezione, James. Sulla mia isola non succede nulla senza il mio consenso. Hai visto di cosa sono capace ma voglio darti un’ultima possibilità: con me o contro di me. Pensaci bene” non gli serviva aspettare una risposta, per questo volò semplicemente via, lasciando James con il viso rigato di lacrime e gli occhi rivolti verso il punto in cui il suo amico, tramutato in grosso rettile, era scomparso.
“Owen”
Quella fu la prima volta che vide le fate. Non seppe dire in quante erano, sicuramente tante perché si trovò circondato. In un primo momento pensò che si potesse trattare di lucciole, poi una di esse si avvicinò al suo viso abbastanza da essere vista per intero in ogni suo dettaglio. James si stropicciò gli occhi più di una volta credendo di star sognando, dimentico che a Neverland tutto era possibile. La fata aprì la bocca e scandì qualche parola ma non produsse alcun suono, la sua voce James la sentì nella sua mente.

“Non irrigidire quel braccio, per Nettuno non stai strangolando qualcuno!”
“Se non tengo il braccio teso la spada mi cade di mano” per un perfezionista come James Hook vedere un tale disastroso tentativo di tenere una lezione di scherma era un pugno in un occhio, ma con Wendy aveva trovato pane per i suoi denti. La ragazzina, infatti, non tremava terrorizzata ogni qualvolta alzava la voce, al contrario si inviperiva di più sostenendo che il capitano pretendesse la perfezione senza spiegare come raggiungerla. Non c’era dubbio che Hook fosse colpito da questo temperamento e come lui molti membri della ciurma che più di una volta si erano presi un rimprovero dal capitano per avere interrotto il loro lavoro e, soprattutto, essersi fatti beccare ad osservarli.
“Questo perché è pesante per te, la tua massa muscolare basta a malapena per tenerti in piedi” era tutta la mattina che i due erano in quella situazione: Hook non sapeva come avesse fatto a lasciarsi convincere ad insegnarle a combattere sul serio, forse il colpo di grazia fu, per il capitano, il voler dimostrare di essere un insegnante migliore di Pan che le aveva semplicemente messo in mano una spada e le aveva detto di combattere. Beh, se l’intento era quello James Hook stava facendo un clamoroso buco nell’acqua. Si portò la mano a stringere le tempie e sbuffò sonoramente.
“Ricominciamo d’accapo. Ripeti la sequenza che ti ho spiegato prima e non fermarti” pazientemente, Wendy replicò con precisione gli affondi che aveva appena imparato, in apparenza molto semplici.
“Trova il baricentro prima di affondare. Se non sei in equilibrio ora che il mare è calmo, non potrai mai sperare di trovarlo in un duello in pieno abbordaggio” lo sguardo ceruleo del capitano non perdeva di vista neppure un movimento della ragazza finché, non la fermò nel mezzo di un affondo
“Sai perché ti trema il braccio?”
“No”
“Sei troppo rigida e di conseguenza esegui l’esercizio in modo troppo meccanico... La scherma è un arte e come tutte le arti ha una propria armonia” spiegò il capitano con tono paziente, un tono che nessuno gli aveva mai sentito usare e che, quindi, attirò l’attenzione di tutto l’equipaggio che si fermò a guardare. Sotto gli occhi stupefatti del suo pubblico, James sguainò la propria spada e si pose di fronte a Wendy in posizione di base: schiena dritta, posto a tre quarti, un piede dietro l’altro adeguatamente distanziati e l’altro braccio dietro la schiena
“Immagina la scherma come se fosse una danza in cui ogni posizione è studiata a dovere per assicurare l’equilibrio. Il braccio sinistro che ti ostini a tenere con la mano sul fianco non dovrebbe stare lì durante un affondo, bensì teso nella direzione opposta a quella della lama. Il suo scopo è permetterti di trovare il baricentro esattamente al centro del tuo corpo e, logicamente, di impedirti di sbilanciarti in avanti per il peso della lama” Wendy lo ascoltava come incantata, memorizzando le sue parole e tutto ciò che le stava insegnando.
“Ora mettiti in posizione” la bambina eseguì l’ordine e con mosse lente studiate, fatte di affondi e parate, iniziarono una sorta di duello che, come aveva detto Hook, sembrava davvero una danza accompagnata dal suono delle lame che si scontrano.
“Questo non è qualcosa che vedrai mai durante un abbordaggio, ma è un ottimo modo di confondere l’avversario. Impara la tecnica e, ti garantisco, non ci sarà nessuno in questa ciurma che riuscirà a tenerti testa. Adesso concentrati” in un certo senso Hook cambiò lo stile del duello. Per spiegarlo la ragazzina rifletté che erano passati da un valzer studiato e prevedibile a una danza più personale. James sembrava riuscire a prevedere quello che avrebbe fatto prima ancora che ci pensasse lei.
“Non è stregoneria, né so cosa farai perché sono io il tuo insegnante. Con il tempo e tanto esercizio imparerai un’altra importante tecnica non solo della scherma ma di qualsiasi tipo di lotta: prevedere le mosse dell’avversario prima che lui anche solo la contempli. Appreso questo, sarà una passeggiata pilotare le sue decisioni per fargli fare esattamente quello che vuoi”
Wendy lasciò cadere la spada con un tonfo quando sentì quella del suo avversario spostarle i capelli un po’ troppo vicino al suo collo, la lama di Hook a quel punto la recuperò passando nell’elsa e scendendo in discesa fino a far scontrare le due impugnature. Solo allora Wendy lo guardò di nuovo negli occhi, due tonalità d’azzurro simili ma diverse fisse l’una nell’altra
“Funziona con tutti”
“Meno che con Peter Pan” lo disse senza rifletterci e non le sfuggì il cambio di espressione del capitano che da tranquillo si fece cupo e, probabilmente, arrabbiato.
“Solo per il momento” le fece scivolare la spada davanti ai piedi e rinfoderò la sua “La lezione è finita per oggi, continua pure ad allenarti se ti va oppure fa quel che ti pare. Voi altri tornate a lavoro, avete perso abbastanza tempo per oggi” di nuovo era tornato a galla il severo capitano alle cui parole scattarono tutti i suoi sottoposti, meno che Wendy.
Continuò quegli esercizi per oltre un’ora finché, esausta, non decise di tornare nella cabina che il capitano le aveva assegnato per riposare un po’ prima di pranzo. Era rimasta non poco sorpresa quando Spugna, che l’aveva accompagnata, le disse che sarebbe stata la sua cabina personale.
“Credevo che sulle navi solo il capitano e i gli ufficiali più importanti avessero una cabina personale” contrariamente alle aspettative, non fu il nostromo a rispondere bensì lo stesso capitano che li seguiva silenziosamente a qualche metro di distanza.
“Credevi forse ti sarebbe toccato dormire sul ponte? Oppure con la ciurma?” Wendy sgranò gli occhi per lo spavento e Hook fece fatica a non ridacchiare “Per Nettuno ragazza, siamo pirati non barbari e da che mondo è mondo mi sono sempre considerato un gentiluomo. Avrai una tua cabina in cui stare per conto tuo e rifugiarti ogni volta lo riterrai necessario”
Non era chissà quanto spaziosa o ordinata ma agli occhi di Wendy sembrò perfetta. Era situata sotto il ponte di poppa, sullo stesso livello in cui si trovava la cabina del capitano; Wendy non ci avrebbe mai pensato ma quella era un’ulteriore assicurazione di protezione per la ragazza: nemmeno il più folle degli uomini si sarebbe mai sognato di avvicinarsi alla ragazzina che dormiva a un uomo con il sonno leggero come il capitano James Hook. Il colore predominane era il verde acqua per via della coperta di broccato, il tappeto e il velluto della sedia imbottita posta davanti allo scrittoio. Il mobilio era essenziale, come detto c’era un letto, uno scrittoio, la sedia e un armadio, c’era una sola finestra che si affacciava sul fianco della nave.
“Non capisco capitano. Mi era parso di capire che il piano fosse alimentare i dubbi della ragazza, farci portare al nascondiglio di Peter Pan e-”
“Il piano è cambiato, Spugna, e non devo giustificarmi con te”
“Ma capitano, la ciurma fa domande”
“Che facessero tutte le domande che vogliono! Non mi interessa e non sono costretto rispondere a nulla. Nessuno, e ripeto nessuno, deve provare ad alzare un solo dito su di lei o, parola mia, arriveranno a desiderare la morte”
“Ri-riferirò capitano. Nessuno si sognerebbe mai di darvi contro”
“Bene” Wendy sapeva che non stava bene origliare, eppure non riuscì a impedirselo. Col senno di poi, si disse, non è origliare se il tono della conversazione era perfettamente udibile dalla sua camera. Nel corridoio, intanto, il capitano era sul punto di entrare nella sua cabina e lasciarsi il discorso alle spalle, ma la voce di Spugna lo fermò dal suo intento.
“Sono stati i suoi occhi, non è vero capitano?” Hook deglutì chiudendo gli occhi per qualche secondo.
“Non ho mai visto occhi così, Spugna, se non quando mi guardo allo specchio”
“Ma potrebbe essere solo un caso. Sono passati anni e non è detto che possa essere sua figlia”
“Mia o no, resta la figlia di Mary e ucciderò chiunque osi torcerle un solo capello”
Wendy sentì il sangue gelarsi nelle vene.

Non aveva battuto ciglio quando Hook aveva fatto rapire i bimbi sperduti, i suoi fratelli compresi, e fatti portare sulla Jolly Roger. Almeno in apparenza, Wendy non aveva battuto ciglio, dentro di sé, invece, cominciò a crescere la paura. Era stata lei l’esca, i bimbi sperduti si erano avventurati fin lì, in pieno territorio dei pirati, per convincerla a tornare, cadendo nella trappola come allocchi. Non voleva che gli fosse fatto del male, ed era stata la sua unica richiesta al capitano non appena finirono i bambini furono tutti legati. Hook aveva acconsentito, lei non poteva saperlo ma lui era certo che non sarebbe mai stato in grado di negarle qualcosa. Aveva quindi ribadito che Pan era il suo unico obiettivo, degli altri non gli importava, così Wendy era riuscita a strappargli una promessa: una volta attuata la sua vendetta avrebbe riportato i suoi fratelli a Londra, dai loro genitori. Non incluse sé stessa in questa richiesta, James le stava insegnando a diventare una pirata ma, soprattutto, un’adulta e la prima cosa che aveva imparato era il valore dato alla parola data. Wendy aveva accettato di diventare una piratessa e ne aveva accettato gli annessi e connessi, non sarebbe venuta a mancare a quella promessa.
Peter era accorso, con Trilli al seguito, e Wendy non interferì nel combattimento con il capitano, si limitò ad assistervi con il resto della ciurma, trattenendo il fiato ad uno o l’altro affondo di lama.
Quando si diventa ufficialmente adulti? Quando il proprio aspetto cambia, abbandonando le fattezze infantili per lasciare il posto a nuove? Wendy non lo sapeva, perché il giorno in cui divenne adulta aveva ancora l’aspetto di una bambina. Capì di non essere la stessa quella notte a bordo della Jolly Roger, quando le risate dei bimbi sperduti per le sorti dello scontro che si volgevano a favore di Pan le chiusero lo stomaco in una morsa. L’amore e l’odio erano sentimenti da adulti, troppo complessi perché un bambino potesse capirli, ma allo stesso tempo solo i bambini riuscivano a scinderli. Wendy era certa di aver già conosciuto l’amore, era ciò che le illuminava quei pezzi di cielo che aveva negli occhi ogni qualvolta si posavano su Peter. E aveva viso anche l’odio, era quello che accendeva di rosso gli occhi di Capitan Hook al solo pensiero di Peter Pan. Wendy aveva raccontato decine di volte quella storia ai suoi fratelli, storia in cui Hook era il cattivo indiscusso, ma quante volte si era soffermata a riflettere sul perché di tanto odio? Mai, ma ci stava pensando ora.
L’ultima volta che avevano combattuto, alla roccia del teschio, Hook lottava con la forza di dieci uomini, animato da quella rabbia che lo faceva sopravvivere. Pan, invece, rideva, si prendeva gioco di lui in tutto. Persino davanti alla minaccia dell’imminente vendetta del capitano per la mano che gli aveva tagliato, il folletto aveva risposto, con uno sguardo strafottente, “Pronto a perdere l’altra?”. Per lui era solo un gioco, per quanto pericoloso, un gioco in cui era lui a decidere per la vita o la morte del suo avversario.
Sentì una rabbia cieca montarle da dentro, nel giro di un paio di secondi la persona a cui poco prima aveva dichiarato amore era diventata destinatario del suo odio.
Cos’è l’odio se non un eccesso di amore? La vera punizione non è l’odio, ma l’indifferenza.
Hook era ormai in prossimità dell’asse di legno, le urla dei bambini la riportarono alla realtà e si stupì di avere gli occhi pieni di lacrime.
“Vecchio. Solo. Defunto.” Ogni ripetizione era un passo indietro per il capitano e uno in avanti per Peter. “NO!” Wendy agì d’istinto. Si asciugò le lacrime con la manica della giacca troppo grande per lei che ancora indossava e si pose tra Hook e la lama della spada che Peter gli aveva sottratto. I suoi occhi infuriati fissarono quelli verdi e confusi di Peter. Le voci che li circondavano cessarono immediatamente
“No” ripeté questa volta con voce ferma e delusa.
“Fatti da pare Wendy. È mio” cercava di fare la voce grossa Peter, troppo orgoglioso per farsi vedere debole davanti al comportamento della ragazza che non riusciva più a confondere.
“Perché tu possa prendere la vita di qualcuno che vuole la tua testa solo per una vendetta giusta e meritata? No, dovrai passare sul mio cadavere” come Peter, neppure Hook si capacitava di un tale cambio di schieramento. Perché lo difendeva? Lui che l’ha usata come esca per catturare il suo nemico giurato...
“Apri gli occhi Peter. Questo non è più un gioco! Non lo è mai stato. Non puoi giocare con la vita altrui, non puoi sguinzagliare un coccodrillo contro qualcuno con l’ordine di divorarlo. Questo non è giusto” ma a Peter non interessava ciò che era giusto e ciò che non lo era, lo sapeva Wendy e, meglio di lei, lo sapeva Hook.
Nel frattempo, però, stava accadendo qualcosa dall’altra parte del ponte, qualcosa che Peter non poteva prevedere.
Starkey, il primo ufficiale della Jolly Roger, non visto nelle retrovie, aveva caricato la sua pistola e la stava puntando verso Pan. Hook sgranò impercettibilmente gli occhi, stando ben attento a non far rendere conto a nessun altro di ciò che accadeva, sia che Starkey avesse premuto il grilletto sia che Pan o chi per lui li avesse scoperti non sarebbe finita bene. In qualsiasi altra circostanza si sarebbe fidato del primo ufficiale che era stato il suo maestro d’armi a bordo della Queen Anne’s Revenge, ma non in quella circostanza, non con Wendy a qualche passo di distanza da Pan. Non era un colpo facile; una distrazione, un movimento del braccio o della nave avrebbe potuto cambiare l’esito della vicenda e il proiettile destinato al folletto avrebbe potuto colpire Wendy. Anche Hook agì d’istinto, afferrando Wendy per un braccio con la mano e puntandole l’uncino alla gola. Stranamente Wendy non reagì in nessun modo mentre Pan e i suoi trattennero il fiato.
“Giù dalla mia nave, Pan, tu e i tuoi mocciosi o il prossimo pasto della bestia sarà questa bella bambolina a cui sembri tenere molto. Scendete e lei vi raggiungerà sana e salva sulle sue gambe” la sua voce glaciale gelò il sangue nelle vene degli altri due Darling
“WENDY!” “NO!”
“Nz-nz” mormorò il capitano “Io non lo farei”
“Come posso essere certo che non appena mi sarò voltato non le farai del male?” quando Pan riprese la parola, attirando di nuovo l’attenzione del capitano, la sua voce tremò leggermente. Centro.
“Sono un uomo di parola, moscerino, non credo che tu possa dire lo stesso” Peter stava per ribattere, sempre più arrabbiato e a questo punto fu Wendy a intervenire
“Per una volta Peter, una sola volta nella tua vita, fa come ti viene detto” esordì con voce ferma e lo sguardo di chi non ammetteva repliche
“Non ti lascio qui”
“Devi, perché io non voglio venire con te” tutti i presenti trattennero il respiro “Ma non sempre si può fare ciò che si desidera, è una cosa che sanno tanto i bambini quanto gli adulti. Verrò con te, non perché lo desideri, ma solo perché è la cosa giusta da fare. Il fine giustifica i mezzi e il mio fine è che tu vada via da qui, adesso” Hook non la teneva più in ostaggio, il suo braccio era tornato lungo il busto, in un tacito accordo con Wendy.
“Come desideri. Ti aspetto giù e ti riporterò a casa insieme ai tuoi fratelli” il tono di un bambino offeso, di un bambino cui viene negato un nuovo giocattolo e a cui viene chiesto di comportarsi da ometto. Era così che ora Peter appariva ai suoi occhi, come un bambino che fingeva una maturità da adulto ma che nel complesso lo faceva sembrare più infantile. Non appena il folletto sparì dal loro campo visivo, Wendy si voltò verso il capitano. Gli occhi lucidi accesi d’ira.
“Perché hai detto ai tuoi di non farmi del male. Perché sei convinto di essere mio padre?” Hook spalancò gli occhi a quella rivelazione. Lei sapeva? Com’era potuto succedere...
“È una storia lunga, Jackie, e noi non abbiamo molto tempo. Scendi adesso”
“Ma io voglio sapere!” Hook sorrise amaramente
“Come hai detto prima, non sempre si può avere tutto ciò che si vuole” fece in tempo solo a lasciarle in mano un fischietto d’argento fino ad allora tenuto sotto il polsino destro tra la sua pelle e la struttura che reggeva la protesi di ferro. Il progetto iniziare era di darglielo per localizzare la posizione del rifugio di Pan, ma vi aveva rinunciato subito.
“Questo me lo diedero le fate, tanti anni fa... Non solo Pan ha il potere di portare qui gli altri, ci sono le fate. L’ultima parola sarà sempre la loro... Se mai vorrai tornare, soffia in questo fischietto e desideralo con tutta te stessa. Loro ti sentiranno ovunque tu sia. Adesso vai” Wendy camminò all’indietro stringendo l’oggetto d’argento nel pungo destro, ma dopo qualche passo decise di dargli le spalle, più per non fargli notare le sue lacrime che per paura di inciampare
“Noi ci rivedremo, e quando ci rivedremo mi racconterai quest’altra parte della storia”
“Certo che ci rivedremo, gli addii non sono mai per sempre”

Quella fu l’ultima frase pronunciata da James Hook che udì, poi si privò della giacca rossa, che lasciò sul corrimano della scala che portava all’altura su cui si trovava in timone, e scese.
Una volta tornata a casa abbracciò stretti i suoi genitori, inspirò a pieni polmoni il profumo della sua camera, ma non guardò mai una volta in faccia i suoi fratelli. Poi, una volta che le luci furono spente e fu certe che John e Michael si fossero addormentati, pianse tutte le sue lacrime.
Fu un’insolita sorpresa per i signori Darling quando la primogenita comunicò loro il desiderio di voler una stanza tutta per sé, ma accolsero la notizia con gioia. A sua volta, la ragazza si era fermata più di una volta a guardare di sottecchi suo padre. Perché solo ora notava quell’assurda somiglianza con il capitano? Aveva trascorso quegli ultimi due giorni sull’isola accanto a lui, le aveva insegnato a tirare di scherma, avevano parlato tanto, eppure Wendy non aveva mai associato, prima d’ora, i due volti che sembravano due facce di una stessa medaglia.
Quel pomeriggio di metà aprile, Wendy dipingeva nella sua camera, un nuovo passatempo che aveva scoperto piacerle molto da quanto era tornata. I soggetti di per sé erano sempre gli stessi, ma quel giorno sembrava essere finalmente riuscita a mettere su carta quella che era l’immagine che aveva in mente.
Un lieve bussare le fece spostare lo sguardo sulla porta, dove suo padre stava con un braccio poggiato allo stipite, in una posa molto più simile a quelle di James Hook che nello stile di George Darling
“Posso?”
“Certo, entra pure”
“Vedo che ti piace tanto dipingere, mi fa piacere”
“Sì, è rilassante”
“Sono davvero belli” Wendy sorrise teneramente guardando suo padre, che a sua volta guardava i vari disegni fatti in periodi diversi sparsi per la camera, tutti più o meno simili poiché ritraevano luoghi diversi di Neverland che aveva visto.
“Vieni a vedere questo, così mi fai un parere” il signor Darling non se lo fece ripeter due volte. Si posizionò dietro le spalle di sua figlia e spostò lo sguardo sulla tela. Sgranò gli occhi e avanzò di un passo, come se si trovasse davanti a una delle più belle meraviglie del mondo.
“Che ne dici papà? Ti piace?” la tela, che Wendy considerava quasi il suo capolavoro fino a quel momento, ritraeva la Jolly Roger ormeggiata nella laguna, avvolta dalla foschia tipica dell’alba.
“I-io... Credo di aver già visto quel vascello, tanti anni fa... Quando ero un ragazzo” la ragazzina guardò suo padre con un’espressione stupita e confusa allo stesso tempo mentre l’uomo continuava a guardare la tela in cui era ritratta la Jolly Roger che volava nel cielo notturno, circondata da nuvole e stelle.
Wendy non poteva sapere che il pensiero del signor Darling era andato a un vascello pirata dalle vele bianche sostenute da tre alberi, due file di cannoni per lato per un totale di quaranta bocche; il timone di mogano intarsiato; e una bandiera nera con il teschio e le tibie incrociate. E soprattutto, pensò al capitano di quel vascello, troppo giovane per essere a capo di un equipaggio, troppo impulsivo e cocciuto per essere agli ordini altrui; all’epoca aveva da poco superato i vent’anni sebbene ne dimostrasse di più e, se ne stupì, non aveva altri ricordi di quel’uomo se non quello che lo vedeva febbricitante, con gli occhi stretti per il dolore al polso dovuto all’irruenta amputazione; solo la manica sinistra della giacca a reggere l’indumento sulle spalle. Nonostante tutto, però, era in piedi a reggere con tutte le sue forze il timone della sua nave in una traversata quasi disperata nei cieli.

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


Capitolo 3

Spalancò gli occhi, svegliato dal suo stesso urlo, ma davanti a sé non vide altro che oscurità. Bruciava come se andasse in fiamme ma quando la mano sinistra andò a toccargli il collo trovò la pelle cosparsa da tante piccole gocce di sudore. Allo stesso tempo si sentiva soffocare, come se le tonnellate d’acqua da cui era stato schiacciato prima fossero ancora lì, tutte concentrate sul suo torace per impedirgli di immagazzinare l’aria che gli serviva. Anche i polmoni bruciavano, come se fosse in apnea.
Non capiva dove fosse, così come non capiva le parole pronunciate dalla persona che gli era accanto.
“No no no. Resta sdraiato, non alzarti” era una voce di donna, la stessa che gli aveva parlato altre volte nella sua incoscienza, ma questa volta aveva la voce angosciata e quasi terrorizzata.
“No... Devo... Devo andare via. Devo andare da lei. È in pericolo”
“Non andrai da nessuna parte se non ti reggi in piedi. E non sarai d’aiuto a lei se morirai” rispose cercando di sembrare tranquilla tamponandogli la fronte con un panno umido e freddo che non fece che aumentare i suoi brividi.
“Come sta?” un’altra voce, maschile questa volta, che Hook dedusse apparteneva al vigliacco che l’aveva steso con un pugno. Quanto tempo prima era successo?
“Non bene. Ha la febbre alta e i punti sulla spalla si sono tirati di nuovo” le loro voci, che Hook smise di ascoltare, andarono a sovrapporsi a frammenti di ricordi confusi. Pan che lo aggrediva alle spalle pugnalandolo al fianco, i denti del coccodrillo che gli laceravano la carne della gamba mentre lo trascinava giù negli abissi, la spada del folletto puntata alla gola di Wendy.
“No... Non la toccare... Lascia andare Wendy” mormorò stringendo gli occhi per il dolore prima di spalancarli di nuovo e mostrare ai suoi salvatori delle innaturali iridi rosso sangue
“Sogna”
“No, delira” rispose la donna correggendo il suo compare “Continua a chiamare questa Wendy”
“Wendy... È la tua donna, capitano?” sarà stato il tono sprezzante e sarcastico, ma al contrario delle parole della donna riscontrò un qualche effetto: Hook girò il capo nella sua direzione, sebbene la vista offuscata gli facesse distinguere solo vaghi contorni della sua figura grazie alla luce di alcune candele sparpagliate per la stanza.
“No, non lo è” era cosciente, così il suo salvatore continuò a parlargli nella speranza di ricevere una risposta
“Situazione complicata?”
“È mia figlia” quella risposta appena sussurrata ebbe il potere di far tornare in sé il capitano, i cui occhi di rimando tornarono azzurri “E io devo tornare da lei”
 
Una splendida giovane donna era intenta a pettinare i lunghi capelli biondo rame mentre i suoi occhi azzurri e lucenti erano fermi sullo specchio della toletta. Per l’occasione aveva deciso di legarli per metà e tenere quindi i morbidi boccoli che ricadevano sulle spalle, aveva già lievemente truccato il viso con un po’ di cipria e un filo di rossetto. Sui gioielli non aveva avuto dubbi: un girocollo di perle, regalatole da James Hook quando era entrata a far parte del suo equipaggio, insieme al fischietto d’argento l’unico oggetto che le ricordava che non era stato frutto della sua immaginazione. Dal fischietto non si separava mai, lo teneva sempre nascosto in una manica o, come in quel caso, intorno al collo, legato a una catenina d’argento che culminava dentro il corsetto.
I suoi genitori non le avevano dato molte indicazioni su quella cena a cui avrebbero dovuto partecipare. Sapeva che era una festa cui era invitata tutta l’alta società londinese, un modo per fare nuove amicizie e, per gli uomini, parlare d’affari in modo meno impegnativo, per altri un modo come un altro per sfoggiare la propria ricchezza.
“Wendy sei pronta?” la voce che arrivò dall’altro lato della porta fu accompagnata da un lieve bussare.
“Scendo subito Michael” la ragazza si specchiò un’ultima volta ammirando la sua figura per intero. Poteva definirsi soddisfatta. Il vestito color acqua marina non eccessivamente scollato la avvolgeva alla perfezione, le manche a quarti arrivavano al gomito e si aprivano poi a calice in più strati di pizzo; la gonna ampia finiva un centimetro prima di toccare terra, in modo che non vi inciampasse camminando. Dopo aver eseguito una giravolta, si avviò fuori dalla sua camera e poi al pian terreno, dove la attendeva il resto della sua famiglia, per indossare il mantello.
“Sei splendida, bambina mia”
“Grazie papà, ma non sono più una bambina” rispose la ragazza avvolgendosi nel mantello di velluto nero che la zia Millicent le aveva porto.
“Ah no? E cosa saresti?” le chiese sempre suo padre celando un sorriso. Wendy gli rispose sollevando il mento per guardarlo negli occhi con fare orgoglioso
“Una donna” suo padre sorrise più apertamente negando con il capo, poi le si avvinò e, tenendole il capo con le mani, le lasciò un bacio sulla fronte
“No, non ancora” era solo un sussurro il suo, ma Wendy lo udì e, forse si sbagliava, ma le sembrava fosse carico di rimpianto. Suo padre era la persona a cui più si era più legata in quegli anni dopo Neverland, non seppe dire se per la sua somiglianza con un certo capitano, se per ciò che aveva scoperto oppure, ancora, per il cambiamento del signor Darling. L’uomo che si era così tanto accusato della fuga dei suoi figli, aveva chiesto più volte il perdono di Wendy, anche dopo averlo ottenuto, e i due cominciarono a trascorrere più tempo insieme, conoscendosi meglio.
“Su su, non vorrete fare tardi. Andiamo” fu l’anziana zia a riportare l’ordine con fare da generale, come sempre, ma infondo aveva ragione. Quella sarebbe stata una serata importante per Wendy, la prima festa ufficiale cui avrebbe partecipato e che per lei e altre giovani sue coetanee avrebbe rappresentato il debutto in società.
La sala da ballo di quel palazzo era addobbato a festa con ghirlande di fiori e bouquet di mille colori sparsi ovunque insieme alle candele che contribuivano a creare un ambiente quasi magico. In mezzo a quelle luci, la primogenita dei Darling sembrava splendere di luce propria.
Bella oltre ogni dire, ben istruita, elegante e portata per le arti, agli occhi del genere maschile Wendy Angela Moira Darling era un ottimo partito, inoltre suo padre lavorava in banca, così come sarebbe presto toccato ai suoi fratelli, un fattore che nessuno avrebbe ignorato. Eppure, allo stesso tempo, per tutti quei gentiluomini Wendy era naturalmente inarrivabile. In un mondo in cui una donna istruita è un insulto alla società, avere per moglie una donna capace di zittire suo marito con poche parole ben studiate era un rischio che nessuno voleva correre. E di questo Wendy faceva la sua arma più potente. A volte avrebbe voluto anche ridere per quanto le veniva facile mettere in ginocchio quei rampolli arroganti, ma si tratteneva per rispetto, se non per i suoi spasimanti, per i suoi genitori. Era cresciuta, Wendy, e non solo nell’aspetto quanto di mente e più il tempo passava più aveva l’impressione, dopo la libertà assaporata prima a Neverland e poi sulla Jolly Roger, di vivere in una gabbia dorata.
“Posso avere l’onore di questo ballo?” la domanda fu posta da un ragazzo alla destra di Wendy. La ragazza lo osservò velocemente: occhi verdi, capelli biondo cenere portati all’indietro, pelle chiara e poco più alto di lei. Nell’insieme aveva un aspetto gradevole e apparentemente solo una pecca: Wendy odiava ballare e lo avrebbe evitato con tutta se stessa. Ciononostante, suo padre le rivolse uno sguardo incoraggiante e non poté sottrarsi a quell’invito. Ballarono un valzer che fu per entrambi una vera agonia: per Wendy perché era più concentrata a non pestare i piedi del suo interlocutore che alle sue chiacchiere, per lui per la poca confidenza ricevuta. La giovane Darling non se ne curò più di tanto. Era annoiata.
Conclusa la danza i due si inchinarono come di rito, dopodiché, poco distante, la signora Darling e la zia Millicent fecero loro segno di avvicinarsi. Wendy notò che suo padre teneva lo sguardo ostinatamente fisso sui suoi piedi e non ne capì il motivo, al contrario John strinse calorosamente la mano del giovane che l’aveva accompagnata nel valzer, evidentemente si conoscevano.
“Oh Wendy cara, vedo che hai fatto la conoscenza del rampollo dei Withmore, il barone Patrick Jasper Withmore, per la precisione” probabilmente il giovane, che lei nella sua mente continuava a etichettare così, si era anche presentato ma l’attenzione che gli aveva dedicato era stata così misera da averlo rimosso. L’anziana zia, invece, sembrava ricordarlo bene e non aveva perso occasione di pronunciarlo per intero con un fare civettuolo che Wendy etichettò come imbarazzante per una donna della sua età. La parte più razionale di lei, e fortunatamente quella prevalente, la obbligò a sorridere solo anziché rispondere in qualche maniera che avrebbe fatto sghignazzare un pirata ma impallidire tutti i presenti perché, ovviamente, avrebbe cominciato con il rimproverare la zia.
“Ma guardateli. Mary, Olga non siete d’accordo con me nel dire che sembrino una splendida coppia?” coppia?!
“Assolutamente sì, cara Millicent. Sicuramente la coppia più bella della sala” questa volta le parole della donna che aveva dedotto essere la madre del giovane non potevano essere fraintese e la parte più indomita di lei, quella che le lezioni di etichetta e di buone maniere non erano mai riuscite a domare, decise di intervenire.
“Avete detto bene, cara zia” esclamò con tono piccato, enfatizzando molto sull’appellativo con cui si rivolse alla donna “Sembriamo una bella coppia, ma mi sembra inopportuno e fuori luogo parlare di coppia quando le due persone che vanno a comporla conoscono a stento i nomi l’uno dell’altra. Tanto più sapendo che non ho alcuna intenzione di sposarmi con un completo sconosciuto” i suoi fratelli si guardarono preoccupati riconoscendo lo sguardo furente della maggiore, uno sguardo che poche volte le avevano visto e, più che altro, quando da bambini giocavano ai pirati.
“Oh tesoro, non c’è niente di male” si sentiva morire Mary Darling mentre si accingeva a ripetere a memoria il discorso che si era preparata nel caso in cui sua figlia avesse avuto una tale reazione. Non era nelle sue intenzioni farle sapere in questa maniera cosa sarebbe successo da lì in avanti e solo Dio sapeva quando desiderò in quel momento di aver avuto più tempo per prepararla. Ma, ahimè, il destino ti aspetta sulla strada che hai scelto per evitarlo
“Tanto più se i due in questione non sono affatto degli estranei o almeno non lo saranno ancora per molto” esclamò Millicent
“Non credo di capire” fece tutto ciò che era in suo potere per impedire che la voce le tremasse, ma evidentemente non era abbastanza forte. Il risultato fu una voce sì ferma ma decisamente più acuta del normale, sembrava quasi un singhiozzo mal celato.
“Semplice ragazza mia, voi siete fidanzati... E a tal proposito cara Olga, che ne diresti di fissare il matrimonio per la prossima estate?” Wendy non ascoltò nient’altro dei loro successivi frivoli discorsi. Osservò uno ad uno i presenti: le donne parlavano di fiori, merletti e chissà cos’altro; i suoi fratelli invece si intrattenevano in chiacchiere con il giovane Withmore; per ultimo Wendy guardò suo padre. Di tutti, solo quest’ultimo incontrò i suoi occhi chiari velati di lacrime e delusione. Avrebbe voluto urlare, ma non lo fece. Scosse il capo mentre le prime lacrime sfuggirono al suo controllo e prima che suo padre, o chiunque altro potesse fermarla, si allontanò. Dapprima camminando, poi i passi si fecero sempre più veloci finché non si trovò a correre via senza una meta e senza sentire le voci dei suoi familiari che provarono a seguirla.
“Papà tu credi che io sia carina?”
“Certo che sì, Wendy. Che domande!”
“E pensi che, perciò, che tra non molto potrei iniziare a ricevere delle proposte di matrimonio” continuò con tono apatico. Aveva deciso di prendere quell’argomento, così spinoso che le chiudeva lo stomaco al solo pensiero, durante una passeggiata da sola con suo padre nel parco vicino la loro abitazione. Voleva parlare con lui da soli perché sapeva che fosse più facile farlo ragionare senza la presenza di sua madre o, peggio, dell’invadente zia Millicent. Suo padre, del resto, era un uomo buono ma con un carattere troppo debole per avere il coraggio di mantenere una propria posizione.
“Suppongo di sì. Perché Wendy?” fu suo padre a interrompere la loro passeggiata e girarsi per guardare in faccia sua figlia. Wendy ebbe bisogno di qualche secondo in più per fare altrettanto e non prima di aver preso un profondo respiro, come se l’attendesse una lunga apnea
“Io non voglio ancora sposarmi e non voglio che, quando sarà il momento, sia qualcun altro a scegliere per me. Io voglio essere libera di scegliere da me chi e quando sposarmi. Quando tornai a casa mi dicesti che non avresti mai più permesso che venissi obbligata a fare qualcosa che non volessi, ora ti chiedo di promettermelo. Promettimi che nessuno mi obbligherà a sposare un uomo che non amo”
“Va bene, bambina mia” sussurrò lasciandole un bacio sulla fronte “Te lo prometto”
Glielo aveva promesso ma aveva appena rotto la promessa. I singhiozzi che le mozzavano il respiro, così come la vista offuscata dalle lacrime, la obbligarono a fermare la sua corsa, era finita nel parco cittadino. Sempre scossa dai singhiozzi, si lasciò scivolare con la schiena contro il tronco di un albero e il suo sguardo ceruleo si perse nel vuoto per un tempo che le parve infinito. A ridestarla furono i rintocchi del Big Bang, di cui poteva vedere la sagoma. Le dieci di sera, assurdo quanto il tempo fosse trascorso velocemente. Fortunatamente nessuno l’aveva ancora trovata, perché aveva bisogno di rimanere da sola. Poi un pensiero le balenò in mente facendole sgranare gli occhi. Esisteva un posto dove non l’avrebbero mai trovata, un posto in cui il tempo non scorreva e dove nessuno l’avrebbe più obbligata a fare qualcosa contro la sua volontà, un posto dove per qualcuno la parola data era legge, un posto che, nel sui sogni, chiamava casa. Con la mano sinistra andò a sfilare la catenina d’argento per poi stringere con forza il fischietto
“Portami via, portami a Neverland... Portami a casa” sulla Jolly Rogers non lo aggiunse, ma non fu necessario. Seguì il suono appena udibile del fischietto. Nel giro di pochi secondi la ragazza fu circondata da una innaturale luce gialla e argento, una luce che videro fin ai cancelli del parco, e in un battito di ciglia Wendy scomparve mentre il fischietto d’argento cadde senza produrre alcun suono sul manto erboso ordinatamente tagliato e umido di rugiada.

Il volo, esattamente come la prima volta che giunse a Neverland aggrappata al piede di Peter Pan, durò meno di un minuto, ma l’atterraggio fu molto diverso da come aveva immaginato. Se la prima volta si erano fermati appollaiati su una nuvola a spiare i pirati della Jolly Rogers, questa volta si trovò a rotolare giù per una collina a causa di una storta al piene non appena si trovò a terra. La collina in questione, con la sua erba alta e i sassi sparpagliati qua e là, non era di certo adatta alle scampagnate e non trattenne un’imprecazione quando posò la mano sul fianco che le doleva a causa del passaggio su un sasso particolarmente appuntito, sicuramente le sarebbe venuto un livido. Non ci volle molto perché questo pensiero fu spazzato via quando le giunsero alle orecchie delle voci familiari.
“Jukes sei sicuro che sia caduta da queste parti quella stella?”
“Credi che stia mentendo?”
“No, ma sarebbe potuta finire dall’altra parte della montagna, non è che con quella benda ci vedi poi così bene”
“E di chi sarebbe la colpa del mio occhio pesto, Cecco?”
Wendy aveva gli occhi illuminati di una gioia che credeva di aver dimenticato, mentre piano raggiungeva la spiaggia illuminata dalla luce del sole che riusciva già a vedere anche dal folto della boscaglia.
“Su su, non perdete tempo e andate a controllare in giro” a quella terza voce Wendy accelerò il passo, oltrepassando l’agognato traguardo rappresentato da due cespugli particolarmente vicini
“Signor Spugna!” se il vecchio nostromo non ebbe un infarto in quel momento, nel sentirsi chiamare con quel tono da una voce alta, acuta e chiaramente femminile, ci mancò davvero poco. Si limitò quindi a sobbalzare dallo spavento, perdendo la presa sul suo piccolo pugnale
“Dei del cielo” Wendy non era certa che l’avesse riconosciuta ma tanta era la gioia di essere di nuovo su quell’atollo che sarebbe corsa ad abbracciarlo ignorando le dolorose scarpe con il tacco, ma una quarta voce, austera e roca, attirò l’attenzione di Wendy e degli uomini sulla spiaggia
“FINITELA DI BATTERE LA FIACCA, CANI ROGNOSI!” il capitano James Hook se ne stava in piedi sulla scialuppa che aveva usato per raggiungere la terraferma, in perfetto equilibrio nonostante l’inclinazione dell’imbarcazione arenata e, come sempre, imponente nel suo completo rosso e nero. Seguendo lo sguardo dei suoi uomini, i suoi occhi si posarono sulla figura della giovane donna con indosso un abito da sera verde acqua che sembrava così fuori posto su quella spiaggia.
“Wendy” lo sussurrò solo, perché il suo inconscio l’aveva riconosciuta prima di lui e, prima che se ne accorgesse, lo aveva già spinto a scendere dalla scialuppa per andarle incontro. La ragazza non disse nulla, lacrime di gioia le avevano chiuso la gola, ma le sue labbra si aprirono in un ampio sorriso che le fece quasi male agli zigomi. Un attimo dopo si ritrovò a correre nella direzione del capitano e quasi volare tra le sue braccia che l’afferrarono al volo. Solo allora entrambi sentirono sciogliersi un macigno che neppure sapevano di avere sul cuore. Quanto avevano sentito la mancanza l’uno dell’altra.

“Non pensavo mi sarebbe mancato così tanto questo posto” esclamò la ragazza facendo il suo ingresso negli appartamenti del capitano, dove quest’ultimo la stava aspettando con un calice di moscato nella mano
“Penso che se avessi tenuto quel corsetto un altro secondo sarei morta soffocata” sì, perché la prima cosa che fece giunta sulla Jolly Roger fu chiedere di potersi cambiare d’abito. Non indagò sul dove avessero trovato i pantaloni che indossava, dal momento che sembravano troppo piccoli per appartenere a uno qualsiasi degli uomini dell’equipaggio, così come gli stivali; sopra il corsetto che aveva tenuto, sebbene più allentato, aveva indossato una camicia bianca; infine c’era la giacca rossa con i bordi verdi che Hook le aveva donato quando decise di entrare a far parte della ciurma.
“Ti dona l’abbigliamento da pirata, ma vedremo di procurarci al più presto degli abiti adatti a te” sorrise allegra in direzione di Hook per poi eseguire una piroetta che le mosse i lunghi capelli ondulati e ramati lasciati sciolti sulle spalle.
“Non c’è fretta. Mi piace questo stile, è unico”
“Qualcosa da bere, miss?” esordì Spugna accanto al mobiletto di liquori della collezione privata del capitano
Miss? Signor Spugna sono sempre io, solo un po’ più alta. In ogni caso, volentieri. Scegli tu” il capitano neanche provò a trattenere un ghigno che divenne risa quando l’espressione della ragazza si fece disgustata dopo aver assaggiato il rum per la prima volta. Una risata che, si trovò a riflettere Wendy, non aveva nulla di maligno, solo sinceramente divertita.
“Sembra trascorsa una vita dall’ultima volta che sono stata qui, eppure voi siete identici a quando sono partita. Dimmi capitano, cosa è successo in questo tempo”
“Credevo lo avessi imparato ormai, Jackie, il tempo scorre diversamente a Neverland. Più lento ma non di certo più magnanimo della terraferma... Per il resto non è successo nulla di più di quello che puoi immaginare” fu la lapidaria risposta del capitano, con un tono dettato più dall’abitudine che da un vero astio. Essenzialmente si poteva dire che lo sguardo arcigno e quel tono da superiore fossero parte integrante di lui e del suo carattere, Wendy aveva avuto modo di scoprirlo durante la permanenza sull’isola e, ancor di più, sulla Jolly Roger. Wendy non se la prese per quella ritrovata freddezza che sembrava voler negare il loro abbraccio di poco prima, una parte di lei sembrava conoscerlo come nessun altro.
“Parlami di te piuttosto... Guardati, sei diventata una donna ormai! Non dovresti neppure ricordare questo posto”
“Non avrei mai potuto dimenticare, seppure i miei fratelli l’abbiano fatto. Per loro non resta che una storia da bambini, un gioco... Io ricordo tutto, invece. Ricordo l’isola così come ricordo i giorni trascorsi qui sul vascello...” James non si perse neppure un movimento, una parola o un silenzio di Wendy, non batteva neppure le palpebre per paura di non notare qualcosa che sarebbe potuta essere importante. E sicuramente aveva ragione perché nell’espressione cupa di Wendy lesse un’indicibile tristezza
“Non so perché, ma da quando sono tornata a casa è stato come se recitassi il copione di una recita. Ho fatto ciò che mi veniva chiesto, ho accettato di diventare adulta con tutti gli annessi e connessi, ma fortunatamente alcune libertà in più. Seppur solo nei ricordi, questo era il posto sicuro in cui mi rifugiavo quando qualcosa andava male” rise amaramente mentre faceva oscillare il contenuto del suo bicchiere “Ironico che mi consideri al sicuro sulla nave pirata che al mio arrivo consideravo una sorta di inferno, senza offesa”
“Nessuna offesa, mi sono impegnato sul serio a renderla tale” una battuta infelice che fece ridacchiare entrambi, prima che la ragazza riprendesse a parlare
“E poi quando il mondo mi è crollato addosso non mi è venuto in mente nessun altro posto in cui sarei potuta andare”
“Cosa è successo Wendy? Tu sei impulsiva, ma non di certo al punto di voler fuggire di nuovo da casa”
“Non ora, capitano. Te ne parlerò, ma non ora che la ferita fa ancora male” perché è così che si sentiva, ferita nell’orgoglio ma soprattutto nella fiducia che riponeva in suo padre e non era certa di poterci passare sopra questa volta. Rimasero in silenzio per un po’, lei immersa nei suoi pensieri e lui a guardarla, memorizzando nella sua memoria il suo nuovo aspetto.
“Ma tornando a noi” esclamò di punto in bianco non solo cambiando discorso ma anche atteggiamento. La ragazza, infatti, si sporse in avanti verso il capitano con un sorriso birichino a sollevarle gli angoli della bocca
“Mi hai promesso una storia, capitano, e mi pare di ricordare che mantieni sempre la parola data”
“E tu invece hai sempre un'ottima memoria. Dunque aiutami a ricordare... Dove eravamo rimasti?”
“A quando incontrasti le fate per la prima volta” Hook mascherò un ghigno con il bicchiere di Moscato che si portò alle labbra
“No, non io. James Turner” la corresse con il medesimo sorriso e sguardo
“Giusto, James Turner”
Nessuno aveva mai detto che la vita a bordo di una nave pirata fosse facile, ma altrettanto vero è che James non era e mai sarebbe stato preparato a ciò che l’aspettava a bordo di quella nave pirata. Sebbene i compiti e le mansioni fossero essenzialmente uguali sul mercantile e sulla nave pirata, in quest’ultima mancava ogni qualsivoglia forma di ordine. Come logico, l’organizzazione era di tipo piramidale: c’era il capitano, Edward “Barbanera” Teach; poi c’erano il primo ufficiale, Israel Hands; e il nostromo, Gregor Lasky. Tutti gli altri non erano per James che dei volti senza nome, seppur decisamente poco raccomandabili, mentre lui e Spugna erano gli ultimi arrivati di cui nessuno si fidava, almeno per il momento.
Le ferite non ancora guarite delle frustate bruciavano come il fuoco ad ogni movimento, ma James non si tirava indietro davanti a nessun incarico che gli venisse assegnato, per quanto faticoso fosse. Il risultato era che ogni sera il vecchio Spugna si trovava a dover cambiargli cambiare le fasciature, maledicendo la testardaggine di quel ragazzo.
Nella monotonia, James teneva la mente impegnata appuntandosi nella memoria ogni dettaglio che distingueva la nave e l’equipaggio da quelli su con cui aveva preso il mare, e non erano pochi. Il suo destino era di ritornare a Neverland e ottenere la sua vendetta contro Pan, dopodiché avrebbe liberato Owen e Mary e li avrebbe riportati a casa. Aveva il suo fine, ma era ancora troppo lontano e non possedeva ancora un mezzo per raggiungerlo.
Trascorsero quattro giorni prima che Barbanera lo chiamasse nella sua cabina per un colloquio in seguito al quale lui e spugna divennero a tutti gli effetti membri della ciurma della Queen Anne’s Revenge.
Sfortunatamente James non sapeva molto di navi, se non quel poco che aveva imparato sul mercantile, e Teach decise quindi, senza dare giustificazioni a nessuno, di affiancarlo al suo nostromo. Era un tipo strano Barbanera, un tipo che James non riusciva a inquadrare. Fisicamente era senza dubbio possente, più alto e decisamente più massiccio di James, in larghezza, notò il ragazzo, era quasi il suo doppio; i capelli lunghi e disordinati gli circondavano il viso, la barba ancor più disordinata nei capelli copriva dagli zigomi i giù e nell’insieme del suo viso si vedevano solo gli occhi, piccoli e scuri, e il naso pronunciato, poco per identificare una persona. James rifletté che sarebbe stato facile per un tipo come lui sparire nel nulla e fingere la sua morte: avrebbe potuto far passare chiunque per sé perché sicuramente da anni nessuno vedeva da anni cosa ci fosse sotto quella massa in colta di peli. Vestiva di colori scuri, tendenti al nero, e nonostante fosse al coperto indossava ancora il cappello, probabilmente non se ne separava mai.
Quello trascorso a bordo della Queen Anne’s Revenge fu un anno particolare e pesante per Turner, in accumulò tanta di quelle esperienze che, diceva, gli sarebbero bastate per tutta la vita. Sparkey gli aveva insegnato le basi della scherma, ma imparò a combattere sotto la severa lama di Israel Hands, che più di una volta stava per tagliargli “qualche pezzo di troppo” e sempre Hands gli aveva messo per la prima volta una pistola in mano. Quella giacca rossa da ufficiale inglese era diventato il suo tratto distintivo, si assicurava sempre di averla durante gli abbordaggi e, per distinguersi da coloro che passava a filo di lama, la teneva sempre aperta. James Turner era cresciuto tanto in quell’anno, dimostrando molti più dei suoi diciassette anni, una cosa che aveva già scoperto al suo ritorno da Neverland. Apparentemente sembrava un giovane uomo di vent’anni su per giù, rendendosene conto non aveva mai dichiarato la sua vera età.
“VELE! VELE A EST CAPITANO!” rispondendo al richiamo della vedetta, Teach si fiondò fuori dalla sua cabina e, agguantato un cannocchiale, lo puntò nella direzione indicatagli. James, poco distante, salì metà delle funi che portavano all’albero maestro per avere la visuale migliore possibile per compensare l’assenza di uno strumento che gli agevolasse il compito. Concentrato com’era nel suo intento, rischio di perdere l’equilibrio quando si sentì chiamare
“RAGAZZO! SCENDI DA QUELL’ALBERO E VIENI QUI!” non se lo fece ripetere due volte e riuscì faticosamente a nascondere la sorpresa quando il capitano gli lasciò in mano il cannocchiale, senza mai spostare lo sguardo dalle vele che si vedevano all’orizzonte. James si portò lo strumento sull’occhio sinistro e attese un nuovo ordine che sapeva sarebbe arrivato
“Cosa vedi?”
“Uno sloop a tre alberi, vele quadre. È un vecchio modello... Credo sia una nave schiavile che viaggia solo tra queste isole. Non più di dodici cannoni” Teach annuì senza neppure provare a mascherare il ghigno che gli increspò le labbra sotto quella massa di barba nera come la pece.
“Non credo sia un buon affare. Potrebbe essere di ritorno dopo una consegna e rivelarsi un buco nell’acqua” esordì abbassando il cannocchiale
“Guarda di nuovo ragazzo” anche se poco convinto, James eseguì l’ordine e dovette trattenere un’imprecazione. L’occhio attento e decisamente più allenato di Teach aveva visto giusto
“Movimento capitano, e non è causato dall’avvistamento della Queen... Non capisco, capitano” disse spostando velocemente lo sguardo dal cannocchiale come per paura che potesse in qualche modo ingannare la sua vista. Fu lo stesso capitano a impadronirsi di nuovo dello strumento e puntarlo a sua volta nella direzione della nave.
“Un ammutinamento” disse con la sua voce rauca e possente sorridendo a denti scoperti
“SPIEGATE LE VELE CANI ROGNOSI E PUNTATE AD EST. PRENDETE TUTTI GLI SCHIAVI E LE MERCI CHE OSPITA”
Lo scontro fu quello che gli altri definirono una passeggiata. L’intuito di Teach non aveva sbagliato, non del tutto, ma quello non era un ammutinamento bensì molto scompiglio creato da un unico schiavo che aveva visto nella nave pirata all’orizzonte la possibilità di una nuova vita. Lo schiavo non era che un ragazzo, troppo giovane perché un solo accenno di barba fosse già apparso sulle sue guance, indomiti occhi azzurri che non erano in grado di provare paura. Teach non disse a nessuno ciò che gli passò per la mente guardando quel ragazzo arrabbiato con il mondo intero; Hands, colui che lo conosceva meglio di chiunque altro, direbbe che aveva la stessa espressione di quando vide James Hook saltare sulla Queen Anne’s Revenge durante quella tempesta di un anno e mezzo prima.
“Dimmi un po’, moccioso...” iniziò Teach girando a torno a quel ragazzino come un avvoltoio che scruta la sua preda “Qual è il tuo nome?”
“Vane. Charles Vane, capitano Barbanera” il capitano ghignò sarcastico e gongolante nel sentir pronunciare il suo soprannome dal ragazzino appena conosciuto
“Bene, Charles Vane. Da oggi sarai parte della mia ciurma” decise, perché Barbanera se ne infischiava del parere altrui. Non lo fece rispondere, certo della sua risposta e, quando ormai era di spalle, aggiunse “Per qualsiasi cosa fai riferimento a Turner, sarà lui a istruirti”
James divenne una statua di marmo a quell’ordine implicito, ma era certo di averlo nascosto bene. Per chissà quale ragione, il ragazzino posò lo sguardo su di lui, con la certezza che fosse lui il Turner nominato da Barbanera.


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Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


Capitolo 4

Aprire gli occhi richiese uno sforzo immane, paragonabile quasi alla scalata del monte Everest. Sforzo inutile, pensò Hook in un primo momento. Non vedeva niente. Dovette stringere le palpebre più e più volte prima di riuscire a distinguere più di qualche chiazza di colore. Era in una stanza dal soffitto in legno, e questo già lo sapeva, quello che notò questa volta, senza neppure muovere la testa, era che si trovava su un letto.
Faticosamente, mosse di poco la testa per guardarsi intorno: si trovava nella cabina di una nave, ne riconosceva una quanto la vedeva. Il mobilio fissato alle assi del pavimento non lasciava molte altre opzioni, così come le carte nautiche sullo scrittoio e le finestre, tre ad arco stretto.
Provò allora a sollevare la testa, anche se di poco, ma fu presto costretto a ricadere sul cuscino sopprimendo un gemito di dolore. La testa gli doleva come se fosse stata stretta in una morsa, solo allora riapparve il dolore anche a tutto il resto del corpo, come appena ridestatosi. Sicuramente si sbagliava, sicuramente il dolore è sempre stato presente ma lui, troppo inebetito e, in un certo senso, abituato non vi aveva fatto caso. Ci riprovò, prese un profondo respiro e si sollevò sui gomiti, poi ignorando il capogiro che lo colse si guardò di nuovo attorno. Non vide molto perché subito dopo la porta della cabina si aprì e, circondata dalla luce del giorno, si fermò sulla soglia una figura femminile.
“Siete sveglio, grazie a Dio” quella voce dolce gli era familiare e la identificò subito come la voce che più di una volta aveva sentito parlare nella sua incoscienza, felice in cuor suo di poter associarle finalmente associare un volto.
Con un altro sforzo non da poco, provò a mettersi seduto per poi pentirsene un attimo dopo quando sentì tirare la pelle del fianco, avvolta in bende bianche.
“Oh no no no, non siate cocciuto e ritornate giù. Avete passato quattro giorni nella piena incoscienza e in preda alle convulsioni, sinceramene non mi aspettavo neanche che vi sareste svegliato, non così presto almeno” la donna gli si avvicinò ignorando il suo sguardo inceneritore e con tocco gentile gli posò una mano sulla fronte. Solo allora, tra lo sconcertato per la totale assenza di timore da parte della donna che gli stava accanto e la curiosità, si fermò a guardarla
“La febbre sembra essere un po’ scesa, ma è ancora presto per cantare vittoria” che fosse bella era indubbio, forse la donna più bella che James avesse mai visto in tutta la sua vita. Aveva un viso armonioso circondato da una cascata di capelli color mogano; gli occhi erano marrone scuro, profondi e caldi; il naso leggermene all’insù e labbra rosse e carnose che spiccavano sulla sua pelle olivastra. Parlava in inglese ma non aveva l’aspetto di qualcuno originario di quelle terre fredde e umide.
“Dove sono e chi sei tu?” la sua voce risultò più rauca e tremante di quella che avrebbe voluto e pregò che la donna non l’avesse notato. Era già abbastanza umiliante per un uomo come lui farsi vedere in quelle condizioni.
“Ve lo dirò a patto che torniate a stendervi”
“Non osare ricattarmi” in risposta quella donna senza nome buffò sonoramente, alimentando in Hook l’ipotesi che non fosse in tipo di donna che sottostà agli ordini altrui. In altre parole quella donna gli avrebbe dato filo da torcere.
“Non lo chiamerei ricatto, bensì compromesso. Avrei anche potuto semplicemente ignorare le vostre domande e porvi le mie. Non me lo vieterebbe nessuno, meno che le regole della buona educazione” James digrignò i denti dal fastidio e gli occhi scuri della donna si posarono sul braccio che aveva più vicino, tremava segno che non avrebbe retto ancora per molto il peso del suo orgoglioso proprietario che non ne voleva sapere di rimettersi comodo
“Esigo delle risposte”
“Come potrei esigerle anche io, ma esistono delle cose chiamate priorità” 
“Se proprio non volete sdraiarvi, lasciatevi aiutare a mettervi seduto. Nel caso ve lo stesse domandando non ho voglia di dovervi di nuovo ricucire, o peggio cauterizzare, una ferita” compromesso. Nel momento in cui si vide costretto a cedere alla volontà di quella donna sconosciuta, James scoprì di odiare questa parola.
Si fece aiutare a mettersi seduto e poggiò le spalle ai cuscini che la donna aveva posto in verticale in modo che la pelle nuda non toccasse le assi di legno, un’accortezza che Hook non aveva mai visto essergli rivolta.
“Chi sei” ripeté ancora, con un tono che non ammetteva repliche. Al che la donna volse gli occhi al cielo con fare esasperato.
“Vi risponderò, ma voi farete altrettanto”
“Non permetterti donna! Tu non hai idea di chi ti stai mettendo contro!”
“Esatto” fece lei con uno sguardo e un tono risoluto, accomodandosi elegantemente sulla sedia posta accanto al letto “Io non ho la più pallida idea di chi voi siate e la cosa è reciproca” se gli occhi avessero potuto lanciare fiamme, per come Hook la fissava avrebbe potuto morire di autocombustione in quel preciso istante, ma non se ne curò continuando a fronteggiare orgogliosamente il suo sguardo.
“Fortunatamente ad almeno una di noi due sono familiari le lezioni di buone maniere, così inizierò io: il mio nome è Emily Catherine Rogers e in questo momento vi trovate su un qualche atollo non ben identificato delle isole inglesi dell’America meridionale” isole inglesi? Si trovava alle Bahamas!
“Devo andarmene da qui”
“Non vi azzardate a muovervi. Adesso sono io che esigo delle risposte, signore, e non la lascerò andare finché non le avrò ottenute” ignorando ancora il dolore alla testa, alla schiena e, soprattutto, al fianco, il pirata riuscì a mettersi in piedi e sovrastare la donna con la sua altezza. Lei, Emily, nonostante gli arrivasse appena al mento, non sembrò affatto intimorita, anzi continuò a sfidarlo. Hook si chinò leggermente in avanti per essere più vicino alla sua altezza e così guardarla negli occhi
“Prova a fermarmi” parole dette con tono sprezzane e sarcastico che accesero gli occhi della sconosciuta, bloccando quelli di ghiaccio del capitano in quei suoi tizzoni ardenti. La conversazione continuò tra di loro anche se nessuno poté sentirla, fu un discorso fatto di sguardi, domande e risposte che si scambiarono senza dire più neanche una parola.
Ad interromperli fu una nuova voce, più roca, dell’uomo che decise di ridacchiare.
“Vedo che neanche l’essere a un passo dalla morte basta a renderti più accondiscendente” con uno scatto di cui si pentì intimamente immediatamente dopo, Hook si voltò nella direzione della porta, imitato con meno enfasi dalla donna. A braccia conserte e appoggiato con la spalla destra alla parente c’era un uomo dai lunghi capelli castani legati alla ben e meglio quanto basta per evitare che gli finiscano davanti agli occhi; occhi cerulei, penetranti e socchiusi quasi come fosse infastidito dalla luce del sole; barba corta ma curata.
“Chi non muore si rivede, James Turner”
“Potrei dire lo stesso, Charles Vane” le labbra di entrambi si curvarono in un sorriso che arrivò a illuminare gli occhi di entrambi. Dopo un tempo che a entrambi parve infinito, i due eredi di Barbanera erano di nuovo a fronteggiarsi, uno di fronte all’altro. Tante erano le cose che volevano dirsi, tanti i pugni che avrebbero voluto darsi, ma in quel momento rimasero semplicemente in silenzio. Ci sarebbe stato tempo per tutto il resto.
Il suono delle lame che si scontravano era l’unico suono udibile a bordo del vascello, James e Charles combattevano senza esclusione di colpi dando il meglio di loro stessi, incuranti di avere addosso lo sguardo attento e imperscrutabile del capitano Teach. L’uomo li osservava meravigliato, quanto c’era voluto perché i due ragazzini che, a distanza di un anno l’uno dall’altro, aveva accolto sulla sua nave lasciassero il posto a due uomini? Relativamente poco, così come fu breve il tempo che James impiegò a trasformare quello schiavo dallo sguardo furente in un abile spadaccino. Trasformato, sì, perché Barbanera non poteva giustificare una cosa del genere se non sostenendo che Turner avesse fatto qualche tipo di magia. James, di rimando, ammetteva che una magia c’era stata ma non del tipo che il capitano credeva: la sua magia non aveva avuto a che fare con fate o megere, era un potere insito nelle sue parole che Charles ascoltava come oro colato.
“Attento a dove metti i piedi moccioso” ghignò il maggiore con sarcasmo “Oppure farai la fine di un maiale allo spiedo sulla mia spada”
“Pensa per te! Perché sei così lento? Già stanco, vecchio mio?” quello era il miglior talento di Charles, oltre al saper togliere la vita ai suoi avversari senza inutili rimorsi di coscienza: esasperare l’avversario dal punto di vista mentale. In altre parole Charles Vane sapeva come far saltare i nervi a chiunque, a volte anche solo con lo sguardo, e sapeva bene quanto delicato fosse per James l’argomento età. Purtroppo per lui, James Turner, per quanto avventato, ponderava bene ogni sua mossa che era studiata al solo scopo di ottenere il massimo risultato con il minimo sforzo. In quel momento, infatti, non impiegò molto a tendere una corda che si trovava tra i piedi del minore, il quale inciampò e cadde rovinosamente diventando un bersaglio fin troppo facile. Il loro era un duello che vedeva fondersi con straordinaria armonia le regole della scherma e la lotta bruta dei pirati in cui tutto era lecito: la loro unica regola durante questi allenamenti: fino alla resa.
A guardarli non si riusciva a non restarne incantati, ne sapevano qualcosa le donne di malaffare di Nassau. James dimostrava ora circa venticinque anni, portava i capelli neri e ondulati sulle spalle che odiava legare, in completo contrasto il viso è perennemente liscio e curato, non si è più separato da quella giacca rossa, puntualmente tenuta aperta. Charles, invece, adesso aveva vent’anni, anche lui portava i capelli lunghi in una sorta di imitazione di quello che considerava suo fratello maggiore, ma al contrario suo li legava in modo che non andassero davanti agli occhi, inoltre portava la barba, seppur corta e perfettamente curata.
Il risultato, seppur scontato, colse comunque impreparato il minore dei due che non riuscì a sopprimere uno sbuffo frustrato quando sentì la spada del suo avversario solleticargli il collo poco sotto l’orecchio sinistro.
“Sei bravo, moccioso, ma tu combatti solo con il corpo e non con la mente”
“Che vorresti dire?!” chiese scontroso mentre rinfoderava la spada.
“Voglio dire che per quanto tu possa essere bravo non riuscirai ad avere la meglio in uno scontro alla pari, non finché non avrai una tua spada nel cuore”
“Vuoi che mi ammazzi? Ti sei bevuto il cervello?!”
“No idiota! Una spada nel cuore è il motivo che ti spinge a impugnare una spada e togliere una vita”
“Allora dimmelo tu”
“Non posso, non è così che funziona. Devi trovare da solo il motivo che ti convinca a combattere perché deve essere il cuore a muovere la tua spada e non solo il braccio” Charles si poggiò con la schiena al parapetto della nave e guardò l’altro a braccia conserte
“Ti ascolto James, ma non sempre ti capisco. Ti fermi mai a pensare che, magari, la vita non è così complicata come ti ostini a descriverla?”
“Evidentemente ho vissuto un’altra vita che nessuno può comprendere” fu quello il momento in cui James Turner si fermò per la prima volta dopo sei lunghi anni al suo passato abbandonato su un’isola magica nascosta nei cieli. Era arrivato il momento di tornare e, per quanto facesse male, d’ora in avanti il ragazzo che aveva davanti avrebbe dovuto cavarsela senza di lui.  Furono questi pensieri a spingerlo, quel giorno stesso, a chiedere di conferire in privato con il capitano. Barbanera lo attese nella stanza attigua alla sua cabina, stravaccato sulla sedia e con i piedi incrociati sul grande tavolo, incurante delle carte che stropicciavano.
“E così, vorresti una nave tua?” esordì con tono di scherno quando James concluse il suo discorso, riassumendo il tutto con quattro parole in croce “E, sentiamo, perché?”
“Non ti ho mai detto che avrei trascorso qui la mia vita, la prima volta che parlammo della proposta di entrare a far parte della tua ciurma ti dissi chiaro e tondo che sarebbe stato a tempo determinato. Per quanto mi riguarda, ho rimandato questo momento fin troppo. Ho imparato tanto in questi sei anni, sono il miglior spadaccino che la Queen Anne’s Revenge abbia mai visto, anche con le armi da fuoco sono migliorato considerevolmente e mi sono fatto un nome, come tu hai insistito che facessi, non esiste uomo a Nassau e in tutta l’isola di New Providence che non si guardi bene alle spalle prima di pronunciare il nome di James Turner”
“TUTTO QUELLO CHE SEI LO DEVI A ME!” James non batté ciglio alle urla di quello che era ancora il suo capitano, era abbastanza abituato a quegli scatti iracondi e non li temeva
“E adesso credi di poter lasciare la mia nave e il mio equipaggio senza conseguenze? Come se nulla fosse?” rise, una risata piena di scherno e sarcasmo “Una mia parola e nessuno a New Providence o in qualsiasi altra isola di pirati sarà disposto a seguirti. NESSUNO ANDRÀ CONTRO IL CAPITANO BARBANERA” si alzarono entrambi, fronteggiandosi a pochissimi centimetri di altezza di differenza, occhi azzurri contro occhi scuri di un colore non ben identificato. 
Lo sguardo di James si accese di un qualcosa che non fece che aumentare la furia del capitano, ma James lo anticipò dal dire qualunque altra cosa. Si tirò dritto con la schiena, assumendo quell’atteggiamento nobile, quasi regale, che sapeva dare molto fastidio al capitano
“Dove io andrò a nessuno importa del tuo parere. Dove andrò non esiste nessun capitano Barbanera” e uscì dalla stanza, consapevole di aver avuto l’ultima parola, ridendo quando udì il rimbombo di uno sparo e il proiettile bucare la parete alla sua sinistra.
Aveva fatto ciò che riteneva giusto, aveva reso partecipe il capitano Teach dei suoi piani il che costituiva anche l’ultimo tassello che avrebbe portato buona parte degli uomini dalla sua parte. Per gli uomini era una grande prova perché aveva dimostrato di non temere Barbanera, qualcosa che per molti era a dir poco impossibile. Ora mancava la nave, ma se la sarebbe procurata. Il prossimo abbordaggio, non importava quanto sarebbe stata grande o piccola.
“Metti su un tuo equipaggio e progetti di andartene senza dirmi nulla? Da te non me lo sarei mai aspettato Turner”  il tono di Charles Vane mascherava appena il fastidio che il giovane provava. James rimase di spalle per essere sicuro di non tradirsi con lo sguardo o qualche espressione.
“Questa non è la tua battaglia, Charlie”
“NON CHIAMARMI CHARLIE!” solo allora James, dopo aver indossato la sua maschera di freddezza che aveva faticosamente forgiato in anni e anni, si voltò nella direzione della seconda persona che in tutta la sua vita avrebbe mai potuto chiamare fratello.
“Non sono obbligato a renderti partecipe dei miei progetti, Charlie. Quella che mi attende è la mia battaglia e la cosa non ti riguarda”
“Quindi te ne vai e basta? E io che cazzo dovrei fare?!”
“Non ho più nulla da insegnarti. Il mio ultimo precetto te l’ho impartito questa mattina, trova la tua motivazione che giustifichi le gesta della tua spada. Non ho altro da aggiungere, buona fortuna ragazzo”
Da qualche parte, James aveva letto o sentito dire, non ricordava, che il destino mischia le carte e gli uomini giocano. L’urlo che seguì quello scambio di battute fu un’ulteriore conferma di aver fatto le scelte giuste. 
“VELE A SUD!”
La nave che requisirono alla marina inglese era un imponente vascello con tre alberi a vele quadrate e quaranta cannoni, la regina delle navi da guerra agli occhi di James che se ne innamorò all’istante. Venti pirati tra gli equipaggi della Queen Anne’s Revenge e la Margaret lo seguirono, altri venti li reclutò tra i soldati che chiesero pietà per le loro vite, poi, come era usanza tra i pirati, la ciurma elesse il loro capitano.
Non vi furono parole d’addio tra James e Charles, il primo per non ammettere a sé stesso che mai più avrebbe visto il ragazzino, il secondo troppo orgoglioso per mostrarsi debole nel vedere il suo migliore amico partire verso una meta a lui sconosciuta.
Quando furono abbastanza lontani dalle altre due navi, James estrasse il fischietto d’argento dalla tasca. Quello che chiese tacitamente ai suoi uomini in quel momento, mentre soffiava nel fischietto esprimendo il suo desiderio, fu una grande e, diciamocelo, folle prova di fiducia, ma non ne rimasero delusi. La nave fu circondata da quelle che sembravano le luci di centinaia e poi migliaia di lucciole, erano fate. Migliaia di fate che sollevarono la nave dalla superficie dell’oceano e poi, spediti, verso la rotta che solo il giovane capitano tra i presenti di quella nave conosceva: seconda stella a destra e poi dritti fino al mattino.
 
“Parlami della mamma, è lei la Mary del tuo racconto. Vero?” Hook guardò la ragazza, osservandone incantato i lineamenti dolci e non ancora perfettamente adulti, così simile a sua madre
“Sì Wendy, è lei”
 
Incontrò Mary il giorno stesso del suo ritorno, al tramonto. La bambina non poteva avere più di dodici anni, per lei non erano trascorsi che pochi giorni da quando era giunta a Neverland,  lui invece un uomo fatto e finito. Non riusciva a capire, Mary, come fosse possibile: il tempo non scorreva a Neverland ma uno dei suoi amici era cresciuto e l’altro scomparso nel nulla.
 
“Sentimento strano l’amore... Un qualsiasi uomo potrebbe trascorrere una vita intera senza di esso, senza riconoscerlo e non averne bisogno, pur sentendosi incompleti. Le donne, invece, riconoscono l’amore al primo sguardo. Loro ci cedono davvero, lo alimentano, arrivano a farci credere anche al più cieco degli uomini e lo condannano a una vita di sofferenze nel momento in cui non ci credono più” sorrise il capitano al ricordo del momento in cui vide una Mary quasi adulta andargli incontro su quella spiaggia innevata di Neverland.
 
Successe tutto nel giro di una notte. Mary si svegliò quella mattina che non era più una bambina, ma una giovane donna di circa vent’anni, l’età che avrebbe avuto se non avesse lasciato il mondo reale. Colei che James si vide venire incontro era una bellissima donna dai capelli scuri lunghi e spettinati sulle spalle, con indosso una camicia da notte troppo corta e un po’ stretta che le arrivava appena a metà coscia. Neppure lei seppe spiegare cosa era successo, come fosse possibile che fosse diventata adulta nel giro di una notte e James lo attribuì a una sorta di effetto collaterale della magia di Neverlad che aveva provato sulla sua pelle: quando aveva lasciato l’isola dimostrava più anni di quelli che aveva e invecchiava a una velocità superiore. Era possibile che lui, per chissà quale ragione, aveva aperto gli occhi ed era cresciuta. Mary era l’unica distrazione di James, l’unica in grado di distrarlo dalle sue mappe e dai suoi progetti di vendetta, l’unica che riusciva a farlo tornare a sorridere. Non seppe mai dire cosa lo fece innamorare di lei, se era un motivo particolare o, semplicemente, se perché era l’unica persona dell’altro sesso a cui si fosse mai realmente legato venendo anche ricambiato. Purtroppo James sembrava l’unico tra i due a vedere quanto tra loro due non potesse esserci nulla. Sebbene fosse cresciuta nell’aspetto, il più delle volte Mary si comportava ancora come quella bambina che amava ammirarsi allo specchio, e l’amicizia con le sirene non aveva che peggiorato questa sua indole. L’altro errore lo fece il capitano in persona, era stato lui a insegnarle a leggere e l’aveva fatto con un romanzo che aveva trovato lì sulla sua nave. Un libro che conteneva molte parole nuove di cui la ragazza chiedeva i significati, tra questi ci fu anche la parola amore.
Mary gli disse di amarlo una mattina mentre lo osservava scarabocchiare su delle carte e per poco non rischiò di versare l’inchiostro su tutto ciò che aveva davanti. In un primo momento, e nei giorni seguenti, cercò di convincerla che quello non era amore.
“PERCHÉ NON TI PIACCIO JIMMY?! PERCHÉ NON MI AMI?” urlò furiosamente battendo i pugni sul suo petto per poi distruggerlo definitivamente quando sollevò lo sguardo e lo fissò con gli occhi scuri traboccanti di lacrime “Non sono abbastanza carina?”
Non abbastanza carina? Mary era bellissima. Qualsiasi cosa indossasse non risultava mai volgare e poi quel sorriso, quello che illuminava il viso, lo ammaliava più del canto delle sirene. Ma si morse la lingua per non pronunciare quelle parole. Mary era una creatura incantevole e meritava un futuro degli di lei: meritava di diventare una donna, di innamorarsi, di stringere tra le braccia i figli che avrebbe avuto e invecchiare circondata dall’amore dei suoi nipoti. Tutte cose che lui, corrotto dal desiderio di vendetta che lo obbligava a vivere, non avrebbe mai potuto darle.
Ma James era anche un uomo egoista e avventato e per questo si chinò su di lei e la baciò. Quella che si concessero fu un’unica notte di passione e la mattina dopo, senza essere riuscita a chiudere occhio, prese la decisione che lo avrebbe dilaniato non solo nello spirito ma anche nel fisico: Mary doveva tornare a casa.
 
“La mattina dopo andai a cercare le fate con un manipolo dei miei uomini e sulla strada di ritorno ci imbattemmo in Pan. Combattemmo e fu in quell’occasione che persi la mano destra che, ovviamente, fu divorata dal coccodrillo. Quella notte stessa partimmo per Londra e da allora non rividi più Mary” Wendy ascoltò in silenzio il finale della storia, osservando il capitano che, nonostante gli anni trascorsi, sembrava percepire ancora sulla pelle il grande dolore provato quella notte. Di rimando, James aveva lo sguardo fisso in un punto indefinito, gli occhi chiari di tanto in tanto attraversati da lampi rossi.
“Io non capisco... Noi, io e te, abbiamo lasciato Neverland. Perché non l’abbiamo dimenticata?” quella domanda ridestò Hook che sollevò lo sguardo sulla ragazza, l’espressione di Wendy dimostrava apertamente il suo stato confusionale e la curiosità mista al fastidio di non riuscire a fare un collegamento che, era certa, sarebbe stato banale.
“Non lo so” sgranò gli occhi alla risposta, decisamente inaspettata del capitano. Di rimando lui ghignò davanti a quello stupore, fortunatamente aveva altro da aggiungere “Mi piace pensare che sia una sorta di faccenda in sospeso lasciata qui, una faccenda che se non risolta non è capace di farti andare avanti. La mia è Pan, ma tu? Cosa ti ha spinto a tornare Wendy Darling?”
“Tu... E questa storia lasciata a metà, suppongo” rispose la giovane chinando il capo
“Onorato milady, ma non darmi meriti che non ho. Ma non è importante adesso, bentornata a casa ragazza”  

 
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Capitolo 5
*** Capitolo 5 ***


Capitolo 5

Il mare era calmo quella mattina, nonostante il vento che tirava. James lo osservava sperando in un segno dal cielo che gli dicesse come fosse finito laggiù, in un tempo passato ma che ancora gli era caro, e soprattutto che gli dicesse come andarsene. Quanto tempo era trascorso a Neverland da quando era finito laggiù? Dov’era Wendy? L’avrebbe trovata ancora in vita al suo ritorno? Se le fosse accaduto qualcosa avrebbe fatto sicuramente a pezzi Pan nella maniera più dolora possibile.
“E così, hai letteralmente spiccato il volo verso un’isola nei cieli e sei rimasto lì per anni, progettando vendetta contro il folletto che ti ha rapito e portato laggiù da ragazzino” il tono di Charles era molto scettico mentre riepilogava il racconto del maggiore, per quanto ci stesse provando e nonostante lui stesso avesse visto James volare a bordo della sua nave, faticava davvero a credere a quella storia.
“Riassunto molto approssimato, ma sì”
“Ma se questo moccioso che ti ha tagliato la mano e vuole ucciderti, perché vuoi tornare laggiù?!”
“Perché non lascio le cose a metà, perché un capitano non abbandona la sua ciurma nel mezzo della battaglia e perché finché non mi sarò liberato di Pan non dormirò sonni tranquilli”
“E in tutto questo c’entra anche tua figlia? È anche per lei, Wendy, che vuoi tornare laggiù” si irrigidì impercettibilmente, prima di ricordare la conversazione avuta con l’altro nei deliri della febbre.
“Lei è la ragione principale” 
 

Erano stati colti di sorpresa dall’assalto da parte di Pan e dei bimbi sperduti. Hook era salito sul ponte in un secondo momento, rispondendo ai richiami sarcastici di Pan, non prima di aver chiesto a Wendy di rimanere nascosta.
“Andiamo capitano, sai quanto detesto aspettare!”
“Se fossi più maturo sapresti che la pazienza è la virtù dei forti” lo disse spuntando fuori dalla porta a spada sguainata. Wendy attese un po’, silenziosamente tornò nella sua cabina da cui recuperò la spada e poi sempre con passo felpato tornò nel corridoio, aspettando di sentire i passi allontanarsi per poter uscire.
Nel delirio che dominava sul ponte, nessuno fece caso a un nuovo marinaio saltato fuori da qualche angolo e grazie al berretto acciuffato da un corrimano che celava i suoi capelli sperava sarebbe stato quasi impossibile rendersi conto che fosse una ragazza, quantomeno però le permetteva di vedere meglio e andava bene così. Impiegò un po’ a trovare James e Pan che combattevano sul ponte di prua. Nei movimenti dei duellanti Wendy rivide quelle lezioni di scherma impartitele dal capitano: anche ai suoi occhi poco allenati era percepibile che ci fosse una strategia nella lotta di James; Peter invece combatteva senza criterio, istigando il suo avversario che già di suo non brillava per pazienza. Era fin troppo facile che il ragazzino volante fosse in grado di avere la meglio con pochissimo sforzo, saltellava di qua e di là come una fastidiosissima mosca, come il capitano l’aveva più volte soprannominato. Nessuno dei membri dell’equipaggio si sarebbe neppure sognato di intervenire in quel duello, una guerra iniziata tantissimi anni prima. Nella sua totale assenza di tecnica, nel suo giocare Pan sapeva bene come mettere in difficoltà l’orgoglioso capitano.
Bloccato con solo il mare alle sue spalle, James Hook non aveva vie di fuga mentre Pan con il suo solito ghigno e la spada sguainata avanzava verso di lui, armato solo del suo uncino. Nessuno dei suoi uomini poteva intromettersi quando combatteva contro il folletto, era la prima regola posta dall’orgoglioso capitano che più di una volta se ne era pentito. Una persona però, l’unica non a conoscenza della legge e forse l’unica che l’avrebbe consapevolmente violata, li distrasse in un modo alquanto particolare: sparò un colpo, uno solo, che ferì Pan di striscio sulla mano armata che, ovviamente, di riflesso fece cadere la spada con un tonfo metallico. Wendy se ne stava a qualche metro di distanza, girata di tre quarti e con la pistola ancora alta, una visione che bloccò Peter il tempo necessario da consentire a Hook di prendere al volo la spada che gli lanciò uno dei marinai.
“Sorpreso di vedermi Peter? E dire che avevi promesso che non saresti mai stato in grado di dimenticarmi” nel togliersi il cappello la sua lunga chioma biondo rame si mosse al vento. 
“Wendy? Sei invecchiata” la ragazza strinse i denti
“Sono cresciuta”
“Che inutile perdita di tempo” Wendy strinse i denti e anche la presa sull’arma si fece più forte. Si trattava di una pistola a due canne e si caricava con due pallottole alla volta, prima sparava la canna destra e poi la sinistra. La ragazza non poteva essere certa che fosse ancora carica ma non si pentì di aver premuto il grilletto per la seconda volta, Pan, però, non si fece trovare impreparato e si scansò rimanendo quasi sconvolto quando vide il proiettile colpire la botte alle sue spalle. Quando sollevò di nuovo lo sguardo sulla ragazza i suoi occhi erano iniettati di sangue e rabbia che lo spinsero a sguainare il pugnale che portava alla cintola.
“Grave errore ragazzina” con un salto le fu addosso in picchiata e Wendy dovette muoversi velocemente per evitare l’affondo di spada, un attimo dopo però, seppur con movimenti rigidi, incominciò a combattere contro il folletto che era un avversario ostico.
“Sei migliorata, non c’è che dire, ma non abbastanza” Wendy digrignò i denti quando Peter la ferì con il pugnale alla gola, al contrario, il capitano ci vide rosso, quasi non si rese conto di aver afferrato il braccio di Pan con l’uncino quando questo fu sul punto di colpire di nuovo Wendy, la spada invece andò a puntargli la gola.
“Complimenti capitano, questa volta hai vinto tu”
“Sparisci dalla mia vista moccioso e osa avvicinarti un’altra volta a Wendy e ti uccido nella maniera più lenta e atroce che conosco, arriveresti a rimpiangere il coccodrillo che mi hai messo alle calcagna” Peter Pan era furioso, solo due volte era stato veramente così vicino alla spada di Hook, a un passo dalla morte, in entrambe le vicende c’era Wendy di mezzo e in entrambe le vicende Wendy non era schierata dalla sua parte. Ci fu una muta conversazione tra i due rivali e non appena la spada fu di nuovo abbandonata lungo il fianco Pan si librò sopra di loro.
“Questo sarà il primo e ultimo avvertimento Wendy, lascia la mia isola o te ne pentirai amaramente” dopodiché volò via veloce come il vento.
James Hook era terrorizzato, nessuno lo aveva mai visto in quelle condizioni tanto più perché forse per la prima volta stava anteponendo la vita di qualcun altro alla propria. Quando fu accanto alla ragazza le sollevò il viso con l'uncino per tamponare la ferita sul collo, fortunatamente solo un graffio, con un fazzoletto di stoffa che cominciò a tingersi di rosso.
“Che non ti salti mai in più in mente di fare una cosa del genere. Questa volta sei viva per un semplice colpo di fortuna, solo perché Pan non era preparato a trovarti qui! Wendy?” la ragazza sollevò lo sguardo sull’uomo, specchiandosi in quegli occhi azzurri come i suoi ma spaventosamente preoccupati.
“Promettimi che non proverai mai più a salvarmi la vita”
“Non so se posso farlo. Tu non hai esitato a metterti di mezzo”
“Tu non capisci Wendy. Se ti accadesse qualcosa io ne morirei” si era scoperto tanto con quelle parole dettate dal cuore che non era riuscito a frenare, ma impiegò il tempo di un battito di ciglia, il capitano, per recuperare la sua aria regale. Con un cenno le indicò di continuare da sé a tamponare la ferita
“Questa guerra non ti riguarda e non dimenticare che Pan è mio”
“Richiesta egoista, ma se è ciò che vuoi posso fare uno sforzo” disse sbuffando, ma non ebbe il tempo di riflettere su nulla perché il capitano ebbe un altro dei suoi sbalzi d’umore
“E poi chi diavolo è il pazzo che ti ha dato una pistola?!” sebbene fosse rivolto alla ragazza, il capitano l’aveva urlato alla sua intera ciurma, un modo come un altro per sfogare il panico causato dalla strage mancata.  
Wendy sbuffò scocciata prima di sgranare gli occhi e seguire il capitano che si stava allontanando.
“Capitano mi è venuta in mente una cosa!”
“Cosa c’è ancora?”
“Nel vostro racconto Mary è bionda, mia madre invece è mora. Anche tu hai i capelli neri ma io da bambina ero bionda mentre ora sono più o meno rossiccia, per quanto detesti ammetterlo. Non ci sto capendo niente” James la guardò con un sopracciglio inarcato, confuso e quasi sconcertato come se si trovasse davanti un qualcosa di inspiegabile per l’uomo, il ché era tutto dire dal momento che l’uomo aveva trascorso quasi tutta la sua vita su un’isola da qualche parte nel cielo. Poi abbassò lo sguardo e i suoi occhi si accesero di una luce diversa.
“Vieni con me Wendy, conosco qualcuno che risponderà alle nostre domande”
“Chi?”
“Le fate”


Percorsero da soli la strada che li separava dalla spiaggia al rifugio delle fate, Hook aveva ordinato ai suoi uomini di non disturbarli, rassicurandoli sul fatto che non avrebbero avuto bisogno del loro aiuto. Wendy era già stata nella valle, era stata la notte in cui litigò con Peter e fu portata per la prima volta a bordo della Jolly Roger, ma quell’angolo di foresta sembrava totalmente diverso da quell’unica volta, forse a causa della luce del sole che rimbalzava sulle foglie creando uno strano effetto: le foglie di quell’albero magico sembravano fatte d’oro.
“Credevo che solo Pan conoscesse questo posto, quando mi ha portato qui poi ero anche così disorientata da non capire dove andassi”
“A Pan non piace condividere ciò che è suo, forse quasi quanto odi essere contraddetto” la risata con cui James accompagnò queste parole era rauca ma non per questo le mise i brividi.
Le fate vivevano in un albero, il più grande che esistesse su tutta l’isola e che, per loro volere, poteva raggiungere solo qualcuno che vi era già stato, da sola Wendy non l’avrebbe mai trovato. Nel vedere il tronco della quercia costellato di buchi da cui fuoriusciva una luce bianca e gialla Wendy pensò ai grandi palazzi di Londra che di notte facevano un effetto simile ma che non l’avrebbe mai raggiunto per bellezza e meraviglia. Le fate volavano da una parte all’altra lasciando scie di polvere luminosa al loro passaggio e riempiendo l’aria del ronzio delle loro ali. Al centro dello spiazzo in cui molte erano riunite, a mezz’aria volava una fata con un abito sontuoso fatto di petali di fiori che accolse James andandogli incontro con un luminoso sorriso che, forse, brillava più di lei stessa. Quando la fatina aprì le labbra, però, tutto ciò che Wendy udì fu il trillo di campanelli e, spaesata, posò gli occhi chiari in quelli del capitano.
“Dice che si ricorda di te e di quella notte che venisti qui con Peter”
“Tu comprendi ciò che dicono? Io non sento nulla” Hook sorrise amaramente
“Non so spiegare come sia possibile, io sento le loro voci nella testa ma è come se le sentissi davvero parlare. In realtà pochi sono in grado di comprendere la voce delle fate” la creaturina lo guardò amorevolmente con un sorriso al incresparle le labbra e una luce negli occhi che sapeva quasi di materno, un qualcosa che James non poteva riconoscere.
“È bello rivederti Wendy, sei bellissima. Già guardandoti intuisco il motivo che ti ha portato fin qui e non sono sorpresa di questo cambiamento nel tuo aspetto che mi stai mostrando, non è una novità. Neverland lascia sempre un segno in chi la visita, in alcuni visibile e in altri, magari, è solo un pensiero, un cambiamento mentale. Guarda Peter Pan, su di lui forse l’isola ha avuto l’effetto più evidente: lui non crescerà mai. Neverland cambia nel profondo chiunque vi metta piede anche solo una volta: i bimbi sperduti hanno dimenticato cosa c’è oltre le acque nel cielo e anche i pirati stanno dimenticando, ma grazie a ciò che hanno visto e vissuto accade più lentamente. Su di te, Mary e James vedo un altro effetto ancora, voi siete cambiati nell’aspetto” Wendy era confusa, per quanto si sforzasse non riusciva a capire il flusso dei pensieri della regina delle fate, anche se non lo dava a vedere James era nella sua stessa condizione, fu quindi la fata a riprendere il suo discorso tradotto dal capitano parola per parola.
“Hai sempre visto qualcosa di più degli altri, hai sempre creduto che esistesse qualcosa oltre il mondo reale, tu eri destinata a Neverland, era scritto che tu giungesti qui... Noi fate non siamo sagge, tutto al contrario, anzi credo che non esista la saggezza a Neverland. Credevo che saresti stata il punto debole di Pan, la persona giusta che l’avrebbe fatto tornare sui suoi passi proprio perché, in quanto figlia di James, avevi in te la magia necessaria, ma anche noi fate sbagliamo e purtroppo succede spesso”
“E allora perché sono qui? Perché non ho dimenticato Neverland come hanno fatto i miei fratelli?” il discorso andava avanti solo tra Wendy e Mab, James si limitava a dar voce alla regina delle fate traducendo le parole che solo lui era in grado di comprendere, la sua mente però era ben più attiva di quella che sembrava: come sua figlia, anche lui cercava una possibile risposta a quelle innumerevoli domande.
“Credo che, secondo Neverland, il tuo ruolo sulla scena non sia ancora finito” l’espressione di Mab era pensierosa, fissa in chissà quale pensiero. Non disse altro, come James sapeva, Mab era fatta così: quando sapeva di non aver altro da aggiungere, semplicemente si congedava con la solita grazia che la contraddistingueva e volando via quasi a ritmo di musica. Ai due non rimase altro da fare che abbandonare quel luogo sacro che faceva loro perdere la cognizione del tempo. Giunsero alla spiaggia in silenzio, ognuno immerso nei propri pensieri finché James non decise di prendere la parola
“Non hanno tutti i torti”
“A che ti riferisci?”
“In sole due occasioni sono riuscito ad avere la meglio su Pan, entrambe le volte hanno una cosa in comune. Lo stesso qualcosa per cui non ho bagnato la mia spada del suo sangue quando ne avevo la possibilità” Wendy si fermò sollevando il capo per guardare in faccia il capitano. Sfumature di uno stesso sguardo si confrontavano in una muta sfida, confusione contro quella che sembrava determinazione.
“In entrambe le occasioni c’eri tu accanto a me. In entrambe le occasioni Peter abbassò la guardia il tempo necessario affinché riuscissi a sopraffarlo ma, in entrambe le occasioni, l’ho lasciato andare. Ho ragioni di credere che tu sia davvero un punto debole” Wendy abbassò lo sguardo sotto il peso di quelle parole, riuscendo solo a sussurrare la sua risposta
“Non solo di Peter ma anche tuo, giusto?”
“Per motivi diversi, naturalmente” disse annuendo “e non escludo che anche Pan se ne renderà presto conto”
“Cosa proponi di fare?”
“Mi sembra ovvio” Wendy trattenne il fiato davanti al tono serio del moro che camminava davanti a lei “Devi imparare a difenderti come si deve. Non deve assolutamente ripetersi che debba stare con il timore che possa accaderti qualcosa o peggio che mi veda costretto ad intervenire per salvarti la vita. Questa volta ci è andata bene, ma fossi in te non tirerei troppo la corda” ad ogni parola gli occhi di Wendy si illuminavano di una luce nuova e, prima che il capitano potesse rendersi conto di ciò che stava succedendo, la ragazza aveva accelerato il passo per andargli incontro e abbracciarlo con forza, con il viso sprofondato nella stoffa della giacca.
“Grazie grazie grazie! Ti giuro che non te ne pentirai” James era bloccato, decisamente impreparato a un abbraccio, più abituato a reazioni violente o disinteressate. Decisamente quell’abbraccio lo disarmò più di qualunque minaccia.
“Su, andiamo” esordì con una dolce carezza sulle mani della ragazza “E vedi di far in modo che questi eccessi affettivi non capitino a bordo. Ho una reputazione da mantenere” si riempì le orecchie della lieve ridata di Wendy mentre scioglieva l’abbraccio per portarsi davanti a lui. James era alto, apparentemente molto più di suo padre George, e Wendy doveva inclinare il capo per guardarlo negli occhi e rimanere come sempre incantata davanti a quell’azzurro mozzafiato che lei stessa aveva ereditato.
“Non te lo posso promettere”
“Ci sono un po’ troppe cose che non puoi promettermi signorinella, forse dimentichi chi è il capitano qui tra noi due”
“Vorrà dire che ce ne faremo una ragione” James rimase bloccato sul posto a quella risposta così irriverente, mentre lei, tranquilla come nessuno prima al suo cospetto, riprese il passo camminando davanti a lui per raggiungere la scialuppa.
“Ma tu guarda un po’... Che mi tocca sentire”  

 
SPAZIO AUTRICE
Dunque, eccomi di ritorno dopo tanto tempo. Essendo questo il mio secondo profilo su EFP non lo controllo poi molto e se non fosse per una recensione che ho notato di recente non avrei ripreso questa storia. Premetto che non le mie non sono manie di protagonismo, non sono il tipo che scrive "pubblicherò a un tot di recensioni" (non so neanche se alcuni lo fanno ancora, parlo di episodi accaduti quando mi sono iscritta con il primo profilo 7 anni fa). No, sono del parere che prima di tutto scrivo perchè mi piace.
Questa storia mi ha appassionato dal primo momento e, sebbene la trama sia ancora confusa nella mia testa, la porterò avanti. Sarà stato l'aver riaperto il documento word dopo mesi, ma mi sento nuovamente ispirata e le idee fanno a gara per essere riportate su carta.
Mi scuso per eventuali errori che sicuramente ci saranno e anche per la lunghezza che non può competere con gli altri capitoli... Se riuscirò a ritagliarmi un po' di tempo per scrivere (e soprattutto scrivere qualcosa che abbia un senso) potrei riuscire a pubblicare di nuovo fra una o due settimane. Non mi aspetto che ci sia ancora qualcuno che attenda gli aggioramenti, in caso mi sia sbagliata spero di non deludervi
A presto
Sky
 

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Capitolo 6
*** Capitolo 6 ***




Capitolo 6

“Per tutti i galeoni dei Caraibi! Donna finirai con l’uccidermi se continui con questa delicatezza da macellaio! Per la barba di Nettuno... Ho conosciuto pirati con la mano più leggera della tua” Emily evidentemente annoiata dalle continue lamentele del convalescente molto poco paziente, girò gli occhi al cielo davanti all’ennesima esclamazione lamentosa, ma apprezzò la fantasia.
“Per l’ultima volta, fino a pochi giorni fa le uniche volte che ho dovuto cucire avevo sotto mano un pezzo di tela, non pelle umana. Ora, per una buona volta, state fermo o posso giurarle che farò il tutto così lentamente da farvi rimpiangere la velocità dei morsi di quel suo fantomatico coccodrillo” James spalancò gi occhi davanti a tutta quella determinazione, ma soprattutto fu la sorpresa che fece sì che non replicasse ancora. Non era abituato a tanta irriverenza nei suoi confronti, Wendy non faceva testo e Charles era sempre stato un tipo indisciplinato, ma questa donna che aveva tutta l’aria di essere una Lady lo spiazzava non poco. Emily tirò di nuovo il filo in un ultimo punto prima di fare un nodo, purtroppo tirando un po’ troppo la pelle già fin troppo tesa e provocando altre lamentele da James
“Per tutti i pescecani, adesso basta!”
“Finito! E basta lo dico io, voi siete il peggior ferito con cui si può avere a che fare!” Charles seduto al contrario su una sedia ridacchiava seraficamente senza preoccuparsi di nascondersi dietro le braccia incrociate sullo schienale della sedia, beh fino a quando Emily non lo incenerì con gli occhi
“E tu... La prossima volta che ti salta in mente di farmi fare da infermiera a qualche tuo compare morente, ti spedirò a fargli compagnia nell’aldilà. Ora, con il vostro permesso” ovviamene non cercava davvero permesso di nessuno, perché se ne andò di gran carriera sbattendo la porta.
“Vorrei poterti dire che le sue sono solo parole al vento, ma temo mentirei spudoratamente” esordì Charles ridacchiando ancora “La verità è che non credo di aver ancora inquadrato quella donna”
“Donna solo in apparenza, mi sembra. Credo che quella farebbe filare dritto anche Teach” la risata che seguì si portò via anche gli strascichi del dolore di James per il trattamento subito, ma riportò anche la serietà tra i due.
“Qualche idea su come tu sia finito quaggiù? O come andartene?”
“Credo che innanzitutto dovrei scoprire dove sia questo quaggiù” Charles si portò il sigaro alle labbra senza distogliere lo sguardo dal maggiore che invece si era spostato dinanzi alla finestra per osservare le onde infrangersi sulla spiaggia
“E ne hai una vaga idea?”
“Qualcuna, di cui non ti renderò partecipe finché non smetterai di porre domande idiote con quell’odioso tono sarcastico che odio più di quel ridicolo codino in cui leghi i capelli” Charles non si curò del tono del moro, non gliele importava poi molto. Non si era mai abbassato a fare come voleva suo fratello, perché mai avrebbe dovuto cominciare adesso?
“Dunque?”
“Credo si tratti di un altro atollo di Neverland, solo più legato al mio passato. Da quanto tempo siete qui tu e la iena?”
“Poco, così mi verrebbe da dirti per istinto. Da un paio di giorni prima di te probabilmente, ma direi più un paio di secoli, dopo la nostra chiacchierata” non si era mai fermato veramente a pensare a cosa ci facessero lì, o come tutto ciò fosse possibile
“Cosa ricordi della tua vita di prima?” una domanda semplice che paralizzò il minore dei due.
“Non è di prima. Sono sempre io
“No ragazzino, tu non sei più quella parola e non potrai più tornare ad esserlo. E ora dimmelo, prima scenderai a patti con la verità prima potrai capire come agire. Qual è l’ultima cosa che ricordi”

“Insegnami a usare una pistola”
“Le spari giù grosse a parole, non ti metterò un’arma da fuoco in mano” James le rispose senza neppure spostare lo sguardo dal libro di poesie che stava leggendo comodamente sdraiato sul sofà nella sala di comando. In oltre un secolo lo aveva letto centinaia di volte, aveva consumato le pagine a furia di sfogliarlo, ma non se ne sarebbe mai stancato.
“Mi hai messo in mano una spada quando non avevo che dodici anni”
“Non è esatto, io ho solo rimediato ai danni che avresti potuto provocare data la tua totale assenza di preparazione nell’uso di armi” Wendy sbuffò poggiandosi contro lo schienale della poltrona
“Vorrà dire che chiederò a Sparky di insegnarmi, se non erro è stato il tuo maestro d’armi da ragazzo”
“Sparky è il mio nostromo, non andrebbe mai contro il mio volere, esattamente come chiunque fa parte di questa ciurma” il capitano sollevò lo sguardo nell’udire lo sbuffo della ragazza, i loro occhi cerulei si incontrarono “Ergo, non imparerai a sparare”
“Lo sai che sei uno stronzo?” chiese a quel punto la ragazza imbronciata con le braccia incrociate
“E fiero di esserlo... E chi diavolo ti ha insegnato a parlare così a un tuo superiore?!” il lato positivo fu che il capitano aveva definitivamente perso interesse per il libro e ora il suo sguardo anziché ghignante si era fatto quasi sconvolto.
“Cosa c’è di strano? Non siamo di certo alla corte della regina che devo avere un linguaggio da signora di buone maniere, no?”
“È qui che ti sbagli mia cara, perché sono questi dettagli che ci rendono differenti da qualsiasi altro buzzurro tagliagole” Wendy sbuffò sonoramente
“Non ti capisco... Accidenti! Hai detto che avrei dovuto imparare a difendermi perché non vuoi dover correre in mio soccorso, però non vuoi insegnarmi a sparare né lasci che sia chiunque altro ad insegnarmi” questa volta fu il turno di James di sbuffare, anche se solo per riempire il silenzio che da solo sarebbe bastato a darle ragione
“Certo che voglio che tu impari a difenderti, ma voglio anche tutelarmi. Non conosciamo ancora cosa ha spinto Peter a portarti fin qui la prima volta, né perché Neverland non abbia ancora finito con te”
“Il che è di vitale importanza”
“Il tuo sarcasmo è davvero fuori luogo signorina”
“Te l’ho già detto il perché, Peter ascoltava le storie che raccontavo ai miei fratelli. Una sera loro decisero che sarei dovuta crescere, avrei lasciato la stanza dei bambini e non avrei più raccontato storie, l’idea non piacque a Peter che mi propose di venire a Neverland, un posto dove nessun bambino crescerà mai e ho accettato” James, che aveva sollevato lo sguardo dal libro, osservava la ragazza, intenta com’era nel riassumere brevemente la parte della storia che conosceva tanto bene, non si era resa conto dello sguardo indagatore del capitano.
“Eppure hai deciso di tua spontanea volontà di voler crescere. Perché?”
“Rideresti”
“Tu dimmelo lo stesso” con lo sguardo basso sulle sue mani, Wendy cercava le parole adatte a esprimere quel pensiero per lei così scomodo ma, purtroppo, non c’era un modo per indorare la pillola.
“Mi ero innamorata di Peter” stranamente il capitano non fece una piega così lei continuò “ma a lui non importava, anzi si arrabbiò con me perché il nostro era solo un gioco. Mi ha spezzato il cuore, indipendentemente dal fatto che fossi solo una bambina, mi ha portato ad aprire gli occhi e, sì, anche a voler crescere” silenziosamente il capitano aveva riposto il libro chiuso sullo scrittoio e aveva lasciato la sua comoda seduta per osservare i movimenti dei marinai sul ponte
“Siamo portati a credere che l’amore sia una faccenda da adulti, quanta superbia! L’amore, quello vero, è quello dei bambini che crescendo viene dimenticato. Loro perdonano sempre e sanno che basta un giuramento con il mignolo per dimenticare qualsiasi torto ed essere felici... Se gli adulti ricordassero com’era essere felice senza una ragione, probabilmente il mondo sarebbe un posto migliore. I bambini sanno qualcosa che la maggior parte delle gente ha dimenticato” ora era il suo turno di avere lo sguardo perso nell’oblio, inseguendo un ricordo troppo lontano per essere raggiunto. Wendy si rammaricò di non riuscire a leggere nulla negli occhi chiari dell’uomo.
“Cosa c’entra tutto questo con me?”
“Perché tu sei una donna, Wendy” non ancora! Un pensiero improvviso come un fulmine nella mente della ragazza che però si morse la guancia per tacere “E in quanto tale ti sono chiare cose che, ahimè, a noi uomini non basterebbe una vita per capire... Creature straordinarie le donne: fragili nell’attimo, ma indistruttibili nel tempo”
“Argh! Odio quando parli per enigmi” con un gesto stizzito la giovane si lasciò cadere sul sofà ma non si risparmiò dall’incenerire il suo interlocutore quando questi cominciò a ridacchiare
“Temo che questo sia colpa dei geni che, tuo malgrado, hai ereditato da me” le si avvicinò con calma andando ad appoggiarsi allo schienale dei divano, sovrastando la giovane e facendo in modo che si guardassero in faccia “C’è una ragione per cui solo due donne misero piede sull’Isola che non c’è ed entrambe trovarono il modo di mettere in difficoltà qualcuno che si credeva superiore a loro. Le donne si preoccupano sempre per le cose che gli uomini dimenticano; gli uomini si preoccupano sempre per le cose che le donne ricordano” l’angolo delle labbra si sollevò andando a formare quel ghigno agghiacciante e sadico che aveva ormai reso il suo marchio, ma Wendy non ne ebbe paura, perché mai avrebbe dovuto? “Lui ti teme Wendy e questo e un punto a nostro favore che non possiamo permetterci di ignorare. Ora il punto è: perché? Lui ti ha mostrato il suo punto debole e ha paura che una tua prossima mossa possa di nuovo spingerlo in un tranello” lo sguardo della ragazza si oscurò per un attimo, talmente breve che James, se non fosse stato così attento, avrebbe potuto pensare di averlo immaginato
“Che idiozia” si alzò dal sofà con uno scatto, come se avesse appena ricevuto un rimprovero per la postura che non si confà a una signorina di alta società, forse le era stato ripetuto così tante volte da avere ormai una voce nella testa che le ricordava come comportarsi
“Se non ti dispiace vado nella mia stanza fino all’ora di cena. Probabilmente impiegherò il tempo allenandomi un po’ di scherma” James le rispose solo con un cenno che dovette bastarle perché lo lasciò da solo.
Quando ognuno dei due fu nella propria cabina, lui con un sigaro e lei davanti a una tazza di thé, uno stesso pensiero vorticava nelle loro menti. Era davvero tutto qui? E, in tal caso, perché aleggiava intorno a loro la certezza di star ignorando qualcosa di molto importante?

Wendy non rimase molto nella sua cabina, troppo sveglia per riposare e troppo stanca per continuare ad allenarsi. Era scesa dalla nave, aveva bisogno di camminare e schiarirsi le idee. Dopo qualche metro percorso su quella spiaggia bianca, maledicendo l’ingombro della spada che aveva deciso di portarsi dietro su consiglio di Spugna, aveva le mani piene di conchiglie. Riflettendoci, nonostante tutto il tempo che la prima volta aveva trascorso a Neverland, non aveva mai passato il suo tempo così, ma c’era da dire che quando finalmente puoi fare tutto ciò che desideri senza genitori che ti stanno addosso ricordandoti come devi comportarti, raccogliere conchiglie sulla spiaggia non è esattamente un qualcosa che ti verrebbe in mente di fare. Farlo adesso, come una qualsiasi bambina nonostante i suoi sedici anni, la faceva tornare piccola, la bimba sperduta che ancora si considerava, i cui panni sentiva di non aver mai smesso di vestire. Si può essere bimbi sperduti anche senza necessariamente raggiungere l’Isola che non c’è, lo capì il giorno in cui comprese il vero legame che la univa a James Hook perché il giorno in cui disse addio a suo padre, senza la certezza di rivederlo, fu il vero motivo che fece perdere Wendy. I suoi fratelli crebbero e velocemente dimenticarono la loro avventura che le loro menti tradussero come l’ultima favola che gli raccontò la loro sorella maggiore. Wendy sapeva perché lei avesse ricordato, lei voleva che ciò accadesse, non voleva dimenticarsi del padre che, per proteggerla, accantonò il suo stesso desiderio di vendetta.
Allora Wendy era troppo piccola per comprendere le strane e talvolta dure controversie della magia, non sapeva della sua tendenza a prendere molto più di ciò che dà, né del debito che l’Isola aveva nei suoi confronti.
“Credevo ti fossi persa. Stavo già per mandare qualcuno a cercarti”
“Hook sarò anche mancata da questo posto per diversi anni, ma, che tu ci creda o meno, lo conosco ancora abbastanza bene da non perdermi su una spiaggia deserta. Di più, ti sarebbe bastato salire sulla coffa dell’albero maestro per vedermi lì sul limitare del golfo” se già osservare qualsiasi genitore che attende il rientro del proprio figlio affacciato alla finestra potrebbe apparire terrificante al bambino in questione rientrato quando il sole è ormai tramontato, se il genitore è il sanguinario capitan Hook con un’espressione che non preannuncia nulla di buono decisamente basterebbe il pensiero perché qualche infante abbia incubi per diverse sere. Per chissà quale ragione, quest’aura di terrore che avvolgeva il capitano sembrava dissolversi nella foschia quando la sua interlocutrice era Wendy Darling, l’indisponente giovane donna che, con un sorriso birichino, riversò tutte le conchiglie che era riuscita a fare entrare nelle tasche tra i piatti della loro cena già da un pezzo lasciati sul tavolo.
“Hai saltato la cena per raccogliere conchiglie? Mi prendi per i fondelli?”
“Che volgarità capitano” esclamò con tanto di occhiataccia che era la copia sputata di una delle migliori espressioni tranquille di Hook.
“Vedi il lato romantico, ne farò un acchiappasogni da tenere nella mia cabina. Hai del materiale che posso usare? Spago, anelli di metallo...” il capitano lasciò uno sguardo al suo nostromo a metà tra l’esasperazione e una quasi disperazione.
“E tu saresti in grado di costruire un acchiappasogni?”
“No, ma posso provarci” disinteressata a tutto ciò che accadeva intorno a lei, Wendy osservava una ad una le sue conchiglie immaginando il risultato finale del suo operato.
“Vuoi mangiare mentre guardi le tue cianfrusaglie?”
“No grazie, sto bene così”
“Mh pensieri?”
“Dubbi” il capitano non rispose, limitandosi ad aspirare alcune volte dal suo sigaro, lo sguardo ceruleo fisso sulla ragazza senza vederla però realmente.
“Basta pensare. Andiamo sul ponte, è una bella serata e sarebbe un peccato sprecarla chiusi dentro” stranamente la giovane non ebbe da replicare e decise di seguirlo sul cassero, come il capitano aveva predetto il cielo era limpido e illuminato da migliaia di stelle.
“Ho qui una cosa per te” senza che Wendy lo avesse notato, Hook si era fatto passare un oggetto dal nostromo, dopodiché lo porse alla giovane.
“Mi hai fatto un regalo? Come mai?”
“Mi sono reso conto di non aver festeggiato la tua entrata nella ciurma”
“Non dirmi che hai fatto un regalo a ogni membro del tuo equipaggio” ridacchiò la giovane sciogliendo i vari nodi che impedivano alla stoffa colorata di far riconoscere il vero aspetto del dono.
“Gli ho risparmiato la vita anche quando non meritavano altro che l’asse di legno. E comunque è diverso. Tanto per cominciare sei l’unica donna del mio equipaggio, e spero ultima, e in secondo luogo sei anche l’unica ad esserne divenuta parte solo in seguito. Tutti loro sono vecchie conoscenze di un passato di cui ti ho raccontato” la ragazza gli sorrise raggiante, dopodiché aprì finalmente la scatola finemente decorata intagliata e dipinta con colori perlati.
Il carillon suonava un dolce valzer che Hook ascoltò ad occhi chiusi.
“Una melodia più adatta a una sala da ballo che una nave piena di ladri e taglia gole, ma spero che comunque sia un dono apprezzato”
“Molto, grazie. E per quanto mi riguarda non c’è posto migliore in cui ascoltarlo. Tanto non so ballare quindi non fa molta differenza” sul finire non poté fare a meno di ridere al ricordo di tutte le volte che
aveva pestato i piedi ai suoi fratelli durante le lezioni
“Sciocchezze, tutti sanno ballare” esordì il capitano con quel tono superbo che tanto dava fastidio a Wendy che, quindi, smise immediatamente di ridere.
“Beh io no” fece risentita “E odio ballare”
“Che idiozia” sbottò alzandosi e dirigendosi verso il parapetto della nave. Hook non era un tipo paziente e, per di più, odiava quando quelli che definiva suoi pari avevano idee contrastanti con le sue, non era raro che fosse sufficiente una situazione come quella per farselo nemico. Fortunatamente cercava di essere più flessibile con Wendy, altrimenti con i caratteri che si ritrovavano si sarebbero ridotti a spararsi contro un giorno sì e l'altro pure “Ballare è la prima cosa che un uomo fa con sua figlia quando la tiene tra le braccia. Per Nettuno, ragazza! Tuo padre non ti ha mai fatto ballare un valzer tenendoti con i piedi sui suoi?!” dal modo in cui Wendy abbassò lo sguardo e dalla sua espressione delusa il capitano si trovò a riflettere che forse quello che lui dava per scontato non fosse tale per altri. Mortificato, ma troppo orgoglioso per scusarsi, si voltò verso l'oceano che li circondava. Ritornò sui suoi passi quando sentì girare di nuovo la chiave del carillon per riprodurre di nuovo il brano, poi Wendy gli andò incontro con un'espressione tesa.
“Puoi sempre farlo adesso” dopo un attimo di smarrimento, James le sorrise amorevolmente porgendole la mano
“Sarà un vero onore”
Diversamente dalle altre volte in cui le insegnava qualcosa, questa volta non ebbe bisogno di darle direttive. Rimasero quindi così sul cassero a dondolarsi da un piede all’altro ma rimanendo pressoché nella stessa posizione: la mano e l'uncino a reggerle la vita, le mani di Wendy aggrappate alle spalle del capitano, l'orecchio contro il suo ampio petto, i piedi della ragazza su quelli di suo padre.



SPAZIO AUTRICE
Per la serie "Chi non muore si rivede" e io davvero mi faccio sentire moooolto raramente. Purtroppo per me, non avevo preso in considerazione, quando ho iniziato a pubblicare, che fosse meglio scrivere per intero la storia, soprottutto considerando che non avrei avuto sempre occasioni per riaprire questo documento Word che sta lì a prendere polvere. Ora come ora, avendo solo la trama su cui articolare tutti gli altri capitoli, sono curiosa anche io di sapere come si evolverà la cosa.
Posso annunciavi che nel prossimo capitolo, se tutto va come vorrei, finiremo questa divisione tra presente e passato (per poi provabilmente iniziarne a breve una di qualche altro tipo).
Beh, per il momento allego solo un'altra fanart di Wendy e Hook, che poi sarà strana io ma non mi riesce da immaginarli come una coppia... Sarà anche "colpa" del fatto che Hook e il signor Darling sono interpretati entrambi da Jason Isaacs...


Captain Hook and Jill by Evningstar0 on DeviantArt

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Capitolo 7
*** Capitolo 7 ***


Capitolo 7

Ci sono alcuni giorni in cui sai che accadrà qualcosa. Ti svegli come al solito, osservi il cielo limpido oltre la tua finestra, neanche una nuvola intacca quel meraviglioso azzurro e anche il mare è calmo come una tavola. Tutto è assolutamente normale.
Il risveglio di capitan Hook quella mattina fu più traumatico del solito, fitte acute e dolorosissime gli attanagliavano il polso destro, quella vecchia cicatrice bruciava come se la ferita gli fosse stata appena inflitta. Quella era una cosa strana e di certo sarebbe bastata a rovinagli non solo quella giornata ma, a causa del suo pessimo carattere, anche tutte le successive. Sicuramente un tempo non troppo lontano sarebbe stato così, ma non quel giorno.
“Buongiorno capitano” Wendy, pimpante e allegra come solo lei poteva essere, entrò nel salottino della cabina senza annunciarsi o anche solo bussare, un’azione che eseguita da chiunque altro avrebbe provocato una reazione sicuramente esagerata nel capitano, ma non se a farla era la fanciulla. Hook la raggiunse in pantaloni e veste da camera, aveva i capelli spettinati, non indossava gli stivali e neanche l’uncino, sembrava avesse appena lasciato il letto nonostante fosse già mattina inoltrata. Al contrario Wendy era vestita di tutto punto, beh per come si potesse essere vestiti di tutto punto su una nave pirata. La sua tenuta del giorno consisteva in un lungo abito di pregiata stoffa gialla che le arrivava alle caviglie, un altro dei tanti tesori sperduti arenati sulle spiagge di Neverland, era un po’ largo e scollato per lei e per questo, nonostante le temperature elevate, vi teneva la vecchia giacca rossa che le era stata restituita al suo arrivo. Per comodità vi aveva abbinato gli stivali che per stare sulla nave erano sicuramente più comodi delle scarpe da ballo con cui era giunta sull’isola, probabilmente erano un pugno in un occhio affiancati a quel vestito un po’ grande per lei e decisamente lontano dalla moda del suo tempo, ma qui entrava in gioco un altro dei punti a favore del trovarsi su una nave pirata: nessuno avrebbe avuto da ridire su questo abbigliamento fuori moda. Alt, in realtà solo il capitano avrebbe potuto parlare, più per il gusto di farlo che per reale interesse verso la moda femminile , ma da uomo, e soprattutto da padre, teneva per sé i suoi commenti. Era inoltre lecito aggiungere che non avrebbe esitato neppure a decimare la sua stessa ciurma se qualcuno si fosse azzardato a fare commenti di qualsiasi genere su sua figlia.
“Spero che tu non abbia esagerato con il rum dopo che ti ho lasciato ieri sera” proprio come farebbe una donna con diversi anni più di lei, Wendy gli si rivolse con le mani sui fianchi, una posa molto marziale e un atteggiamento             quasi da madre, forse un lascito anche di quella prima esperienza sull’isola insieme ai bimbi sperduti che l’avevano investita di tale ruolo.
“Non si esagera mai con il rum” e in aggiunta il capitano, adocchiata una bottiglia chissà come finita sotto la scrivania, se ne versò un nuovo bicchiere proprio sotto lo sguardo ceruleo della giovane.
“Vuoi davvero attaccarti alla bottiglia di prima mattina? James andiamo, non sta bene”
“Tralasciando che il sole è alto già da un pezzo, non è neanche mai troppo presto per il rum” non le diede altro tempo per replicare perché, sorridendole sarcasticamente, bevve il bicchiere tutto d’un fiato. La sua intenzione non era di certo quella di infastidire l’irascibile ragazza, quanto invece intontirsi abbastanza da alleviare almeno un po’ il dolore al braccio. Non voleva che Wendy se ne accorgesse e, da abile bugiardo quale era, sarebbe riuscito a tenere quel segreto, ma se poteva anche unire a ciò un po’ di divertimento che ben venga.
“Mh volevo ringraziarti”
“Per?”
“Spugna stamattina mi ha portato il materiale di cui parlavo ieri per il mio acchiappasogni, oltre allo spago anche pezzi di stoffa e delle perline di legno levigato e altre di vetro. Non ne avevo mai viste, sono splendide” poi le si illuminarono gli occhi, fuggì fuori dalla cabina per ritornare subito dopo con qualcosa tra le mani.
“Che ne pensi? È la prima volta che ne faccio uno, ma mi ritengo soddisfatta” e detto ciò gli mise in mano l’acchiappasogni. C’era un ben lavoro dietro e si vedeva, riconobbe una delle stecche del corsetto per fare il cerchio che fungeva da base per gli intrecci di fili bianchi, infine c’erano le conchiglie e le perline.
“Per fortuna non ci sono sonagli o altra roba del genere, farebbe un baccano infernale durante una tempesta” Wendy scoppiò in una risata argentina, probabilmente immaginando cosa sarebbe potuto accadere.
“Sì, forse hai ragione... Oggi ci alleniamo un po’ con la scherma?” Hook si prese qualche secondo per riflettere mentre, allontanatosi da lei, si apprestava ad indossare il supporto dell’uncino.
“Va bene, ma non sarò io oggi il tuo avversario” senza bisogno che le chiedesse nulla, non che si sarebbe mai abbassato a farlo, Wendy gli si avvicinò per aiutarlo ad allacciare le cinghie, un paio di volte lo aveva visto fare a Spugna ed era certa di riuscire ad aiutarlo
“Cosa? Perché?”
“Voglio vedere il tuo miglioramento contro un vero avversario, o meglio contro qualcuno con una tecnica meno raffinata della mia” le rispose con un cenno del capo quando gli porse la camicia, non tanto per non interrompere il discorso quanto per il maledettissimo orgoglio. A Wendy comunque andava bene così.
“Se mi accorgerò di qualche tua carenza saprò immediatamente come intervenire per migliorarla”
“C’è dell’altro sotto, vero? E non tentare di prendermi in giro” il capitano ghignò come era solito fare, soprattutto quando non aveva la minima intenzione di rispondere a una sua qualche domanda scomoda.
“Vai a vestirti decentemente, non ho intenzione di minacciare qualcuno di morte perché ti si sono viste le caviglie”
“Antipatico” Wendy gli fece una linguaccia, ma eseguì comunque quanto detto. Quando lo raggiunse sul tetto, Hook stava controllando la sua spada che Sparky aveva appena finito di affilare, osservò la ragazza, quindi, solo di sfuggita. Giunse sul ponte quasi saltando allegra, ma strizzava gli occhi probabilmente a causa del sole cocente. James sorrise a mezza bocca mentre il pensiero di procurarle un cappello si affacciava nella sua mente.
“Dunque, chi sarà il mio avversario quest’oggi?” un sorrisetto dispettoso le increspava le labbra e sembrava intenzionata a dare filo da torcere al povero disgraziato che avrebbe incrociato la spada con lei. Non aveva dimenticato il rifiuto di James Hook di insegnare a sparare, ma non si dava per vinta, avrebbe dimostrato di meritarlo. E poi che razza di pirata sarebbe mai stata se non sapeva sparare?
“Comincia con Cecco, poi vediamo come te la cavi”
Inutile dire che, contro lo stile sofisticato impartitole da James, i poveri marinai avevano ben poche possibilità di spuntarla, finendo inevitabilmente a tappeto e gonfiando l’ego della giovane.
“Sai, è un vero peccato che io non abbia una pistola. Ti consiglierei di ripensarci, come vedi con la spada me la cavo già molto bene”
“Non insistere Wendy. Non ti metterò mai in mano una pistola” replicò ignorando palesemente lo sbuffo della fanciulla. Il braccio faceva ancora molto male e neanche tutto l’alcol ingerito bastò a intorpidirlo abbastanza da non fargli sentire dolore. E questo non era un buon segno, perché era ormai prassi che quando il dolore al braccio lo attanagliava senza una ragione il folletto si era svegliato con la luna storta.
“CAPITAAAM HOOOOK” la sua voce petulante giunse alle loro orecchie prima della sua figura svolazzante. Anni di esperienza valsero la Hook la capacità di individuare il punto preciso da cui il suo nemico sarebbe giunto ben prima del suo arrivo, i suoi occhi erano già tinti di color cremisi.
“TUTTI AI PROPRI POSTI CANI ROGNOSI. CHE NESSUNO SI FACCIA TROVARE IMPREPARATO” cominciò immediatamente ad abbaiare ordini cercando di muoversi velocemente sul ponte affollato e disordinato e l’equipaggio si affrettò ad eseguire, Wendy vide persino caricare i cannoni con strane munizioni che sembravano tagliate.
“Wendy, tu va sotto coperta”
“Neanche per sogno, io resto qui”
“Questo è un ordine, ragazzina. Non te lo sto chiedendo” ma Wendy non indietreggiò davanti a quegli occhi infuocati, bensì lo fronteggiò a testa alta.
“Questo non è un gioco, Wendy”
“Non lo è mai stato, James. E io non sono più una bambina che va protetta dai mali del mondo” Hook strinse i denti, se solo avesse avuto il tempo non avrebbe esitato a caricarla in spalla e chiuderla nella sua cabina dove sarebbe stata al sicuro, ma Pan palesò il proprio arrivo scoccando una freccia che si conficcò sul ponte esattamente ai suoi piedi.
“La tua mira è peggiorata mostriciattolo. Un tempo mi avresti centrato un piede” esclamò voltandosi di scatto, ma con molta attenzione per continuare a nascondere Wendy dietro di sé, finché avesse potuto nasconderla sarebbe stato meglio.
“E finirla così velocemente azzoppandoti? Decisamente più divertente obbligarti a supplicare per aver salva la vita” con movimento scenografico volto solo a nascondere la figura di Wendy, Hook partì all’attacco tanto con la spada quanto con l’uncino. Wendy nel frattempo fu caricata di peso due marinai che si preoccuparono di tapparle anche la bocca perché non urlasse.
Lo scontro non era durato molto, ma come da tradizione nessuno era intervenuto nello scontro d’onore tra il capitano e la sua nemesi. Wendy, chiusa nella sua stanza, impiegò quasi lo stesso tempo a scassinare la serratura con un tagliacarte e un cavatappi, sebbene molto probabilmente se avesse dovuto replicarlo non ci sarebbe riuscita, e corse immediatamente sul ponte in tempo per vedere la lama del pugnale brillare alla luce del sole troppo vicino alla gola di Hook.
“PETER” bastò urlare il suo nome perché anche il tempo smettesse di scorrere, lo stesso folletto era bloccato e si girò lentamente verso sinistra. Già la voce gli era familiare, ma quando la vide mancò poco che gli occhi rotolassero fuori dalle orbite per quanto stava sgranando gli occhi.
“Non mi dai il ben tornata, magari a filo di spada?” come Peter, anche James aveva gli occhi sgranati maledicendo e bestemmiando dentro di sé in ogni lingua che conosceva. Cosa cazzo c’era da difficile da capire nell’ordine va sotto coperta?!
“Mi sembrava di averti detto di non tornare!” la voce di Peter trasudava rabbia, non aveva dimenticato gli ultimi trascorsi con la sua ex amica e questa volta nessuno gli avrebbe impedito di imporle la lezione che meritava.
“E ti sembra male” rispose Wendy senza scomporsi “Mi hai solo invitato ad andarmene quando non ho più fatto ciò che tu volevi” la giovane se ne stava dritta in posa di difesa con la spada davanti a se e il braccio sinistro dietro la schiena, come le era stato insegnato. Dal canto suo, poco distante, Hook sembrava invece pronto all’attacco e nervoso alla vista del folletto fin troppo vicino a Wendy.
“Fa lo stesso”
Fa lo stesso” ripeté facendogli il verso “I capricci sono una caratteristica dei bambini. Avevo quasi dimenticato quanto i tuoi fossero particolarmente fastidiosi” Peter Pan partì immediatamente all’attacco, ma Wendy fu rapida a reagire intercettando l’affondo e respingendolo. Sotto gli occhi attenti del’equipaggio e quelli sconvolti dei bimbi sperduti, Wendy rispondeva con maestria agli attacchi di un avversario con molta più esperienza di lei, ad ogni colpo evitato o parato Peter si infuriava sempre di più. Dal canto suo, Wendy teneva gli occhi aperti e studiava il suo nemico, per secoli non aveva avuto che James come unico avversario degno di nota e questo aveva avuto delle conseguenze impossibili da non notare per qualcuno che s’intende dell’arte della scherma: i suoi colpi erano adatti ad un combattimento con un mancino, il fatto che Wendy usasse la mano destra lo destabilizzava. Intanto un ricordo apparve brevemente davanti agli occhi di Wendy, il giorno in cui lei e Peter raggiunsero le rovine del castello per salvare John e Michael, fu il folletto a darle per la prima volta in mano una spada e insegnarle come usarla, insegnamenti soppiantati giorni dopo da quelli più tecnici di James. Quell’occasione era stata anche la prima volta in cui vide il capitano da vicino, rimanendo incantata davanti ai suoi occhi.
Ogni affondo di spada era una pugnalata in pieno stomaco per Hook che si risanava ma lasciava il dolore quando invece Wendy evitava o parava il colpo. Ogni volta che le lame si incrociavano un moto d’orgoglio gonfiava il petto di Wendy che spesso e volentieri si lasciò andare, come faceva con il capitano, a ghigni soddisfatti; d’altro canto per Peter erano l’ennesimo affronto che alimentava la sua rabbia cieca e omicida. Come alimentato dalla sua stessa rabbia, il tempo cominciò a cambiare, una tempesta si preparava a scatenarsi.
“Dobbiamo fare qualcosa. Non riuscirà a tenerlo a bada ancora a lungo, lui è troppo potente perché possa batterlo da sola” non appena pronunciate queste parole al proprio fidato primo ufficiale, Hook si trovò trascinato in alto da qualcosa di immateriale che lo fissava con i suoi vuoti occhi neri.
“Ben fatto ombra. Vediamo cosa farai adesso senza lui a guardarti le spalle, Wendy” sarà stata la paura per le sorti del suo mentore, l’adrenalina o, più semplicemente, magia, ma un bagliore sinistro lampeggiò negli occhi di Wendy. Fu breve e quasi invisibile per gli altri che correvano loro incontro, ma sufficiente a distrarre Pan che, colto alla sprovvista, si trovò ad urlare di dolore quando la spada della giovane lo ferì con un affondo sulla sua spalla. Sfortunatamente fu solo una ferita superficiale perché il folletto indietreggiò di un passo appena in tempo, ma quel dolore fu abbastanza perché l’ombra perdesse la presa sul capitano e concentrasse la sua attenzione su Wendy.
“Signorina!” Wendy si trovò appena in tempo ad afferrare una torcia lanciatele da un marinaio, perché un momento dopo si trovò a puntarla sull’ombra che le vorticò vicino. Con spada alla mano e torcia nell’altra sembrava pronta a combattere ancora, ma la verità è che la stanchezza cominciava a farsi sentire e il buio e il vento cominciavano a destabilizzarla. In realtà, solo in quel momento si rese conto degli uomini che cercavano disperatamente di ammainare le vele per salvarle dalla furia della tempesta sempre più vicina. Poi arrivarono le onde e quello che solo quella mattina era un dolce dondolio, divenne ora un giro di giostra mortale. Il fuoco scoppiettava piegandosi alla volontà del vento quando agitava la torcia davanti a sé ogni volta che l’ombra le si faceva più vicina, il suo istinto le diceva che non avrebbe dovuto farsi toccare e non era intenzionata a scoprirne il perché.
“Non saresti dovuta tornare Wendy. Hai dimenticato che qui comando io, io decido chi resta e chi va, chi vive e chi muore” Peter Pan avanzò di alcuni passi, incurante della lama ancora macchiata del suo sangue che Wendy gli puntava contro “Mi piace avere a che fare con un nemico alla volta e sarà qualcun altro a pagare la tua insubordinazione al mio volere”
“WENDY TIENITI FORTE!” con lo stomaco chiuso dalla paura la ragazza voltò la testa nella direzione opposta in tempo per vedere un’onda di dimensioni mastodontiche abbattersi con forza sul vascello e si sentì trascinare dalla corrente.
Nel caos riuscì ad afferrare una cima che colpì il viso mossa dalla corrente e vi si aggrappò con tutte le sue forze finché non emerse fuori dall’acqua. In superficie era l’inferno e sebbene non vedesse molto, sentiva il rumore del legno che scricchiolava e si spezzava sotto l’irruenza del mare, i tuoni sempre più vicini tra loro e le urla.
“UOMO IN MARE!”
“GETTATE L’ANCORA. DOBBIAMO FERMARCI!”
“LANCIATE UNA CIMA AL CAPITANO!”
Con tutte le forze che riuscì ad accumulare, Wendy arrancò fino al parapetto e si sporse oltre, sempre tenendo stretta la cima fissata alla ruota dell’ancora, alla ricerca di una familiare giacca rossa che le permettesse di identificare la posizione del capitano. Non vide l’uomo lottare contro la corrente per tornare a galla, ma identificò un’altra immagine altrettanto spaventosa: il coccodrillo su uno scoglio che scuoteva la testa agitando come una bandiera il cappello rosso con la piuma del capitano tra le fauci. Lasciò la cima e si preparò a saltare, ma due paia di braccia le si avvolsero intorno.
“NO! NO, METTEMI GIÚ. DEVO ANDARE DA LUI!”
“Wendy no! Il capitano non ci perdonerebbe mai se ti accadesse qualcosa”
“HA BISOGNO DI AIUTO!”
 
Le onde erano troppo forti, troppo alte. Nessun uomo avrebbe mai potuto avere la meglio sul mare e in quel momento, mentre l’acqua di mare bruciava nei polmoni e nelle ferite aperte, mentre il freddo gli stringeva le membra, seppe con assoluta certezza che era così. Prima di perdere i sensi e sprofondare nella fredda oscurità, sentì solo un’altra parola che sarebbe rimasta marchiata a fuoco nella sua memoria
“PAPÀÀÀ!”
 

Ancora una volta Peter Pan era sfuggito a una sua trappola mortale, portando con sé gli ostaggi. Ma, per una volta, a Capitan Hook sembrò non importare.
“Io sono...”
“PETER ATTENTO”
“Un ricordo”  
Non ci aveva fatto caso lì per lì, ma una volta solo con i propri pensieri quella voce di bambina le tornò alla mente insieme al dolce viso che aveva visto seppur per troppo poco tempo.
Non poteva credere ai suoi occhi, ma dal primo istante fu certo dell’impressione avuta. Wendy. Ripeteva quel nome da quasi un’ora, talvolta mentalmente e altre volte in un sussurro, assaporando ogni lettera. Assomigliava tanto a Mary, la stessa forma del viso, lo stesso sorriso, gli stessi capelli chiari. Ma gli occhi, quegli occhi color di nontiscordardime, li aveva presi da lui. Non c’erano dubbi, non avrebbero mai potuto essercene. Wendy era sua figlia.

SPAZIO AUTRICE
Beh, ho deciso che seppur con i miei tempi, finirò questa storia. Proprio oggi ho finito di scrivere il capitolo appena pubblicato, ho qualche idea sul prossimo ma non so quanto ci vorrà per pubblicarlo. Nel frattempo sto correggendo gli errori dei capitoli precedenti, modificando dettagli poco coerenti con la nuova piega che voglio dare alla storia e inserendo delle immagini. Creare dei fotomontaggi da me mi prende un po' di tempo, ma sono molto d'aiuto per descrivere le scene che ho in mente, non avete idea di quanto mi piacerebbe saper disegnare in questi momenti...
Credo di aver finito il "confessionale" di oggi, spero che il capitolo vi sia piaciuto

 

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Capitolo 8
*** Capitolo 8 ***


Capitolo 8

Nel tempo che trascorsero sull’isola, né Emily né Charles si erano spinti oltre la piccola spiaggia su cui si affacciava l’abitazione. Complice il vivere sempre la stessa noiosa giornata, non era passato loro per la testa di potersi spostare. Il tempo su quell’atollo ricominciò a scorrere nel momento in cui James Hook fu trovato sulla spiaggia più morto che vivo, quasi come se lo stesso tempo stesse aspettando il suo arrivo per far finalmente scorrere la sabbia nella clessidra.
Quando, superata la collina, i due capitani si trovarono davanti i campi di canna da zucchero dei contadini di New Providence una familiare sensazione di dejavu partì dallo stomaco.
Ci vollero diversi giorni per ideare il giusto piano: dovevano arrivare a Nassau senza essere riconosciuti, e lì arruolare nuovi marinai per l’equipaggio e procurarsi una nave. Per quest’ultimo punto Vane sembrava sapere come muoversi.
“Qual è la tua nave qui in mezzo?”
“Quella laggiù” Hook seguì la direzione indicatagli da Vane. Storse il naso quando si trovò sotto gli occhi una grande nave da guerra spagnola, maestosa e imponente.
“No”
“Sei impazzito? Che accidenti ha che non va?”
“Vedila così, pivello, una grande nave è come una bella donna: da nell’occhio e richiederà sempre più attenzioni di quelle che tu sarai mai disposto a concederle. Spero di essere stato chiaro” Charles Vane lo fulminò con gli occhi, ma Hook finse di non vederlo. A rigor di logica, il maggiore aveva ragione. Sicuramente quella nave aveva una potenza senza eguali, ma richiedeva un equipaggio numeroso e che, soprattutto, in grado di fare il proprio dovere, fin troppo numeroso perché due capitani costretti ad agire nell’ombra potessero riuscire a procurarsi senza fregature. Con uno sbuffo che neanche provò a celare, Vane spostò lo sguardo sulle altre navi ormeggiate. Trasalì e si trovò a trattenere il respiro quando notò qualcosa che non avrebbe dovuto essere lì.
“Qual è l’ultima cosa che ricordi?”
“Ricordo... Ricordo la fune corta intorno al collo, ero appeso e stavo soffocando. Alcuni dei miei uomini erano tra la folla, armati e pronti a una rivolta ma non glielo permisi... Quella era solo una battaglia persa, ma avrebbe alimentato il fuoco della rivolta... Io... Io sono morto” il fiato gli si mozzò e a quel punto si voltò verso Hook che, al contrario suo, era la personificazione della calma mentre fumava il suo sigaro “Ma se sono morto allora perché sono qui?”
“Evidentemente qualcuno quaggiù riteneva non fosse ancora la tua ora... Ti è stata data un’altra occasione pivello, vedi di non sprecarla di nuovo”
Se quelle parole valevano per lui, allora non aveva motivi per non credere che valessero anche per qualcun altro. Anzi, per qualcos’altro: davanti ai suoi occhi c’era la sua nave, la Ranger, ormeggiata poco distante da tutte le altre, immersa nel buio.
“Prendiamo quella” la indicò con un solo cenno del capo che Hook intercettò. Avvolta dalle tenebre, solo grazie al chiarore della luna piena riuscì a notare la sagoma di un brigantino a tre alberi e circa trenta cannoni. Anonima ai suoi occhi, ma abbastanza importante da illuminare quelli del suo allievo.
“Qual è il suo nome?”
“Ranger”

Quindici uomini andarono a formare il nuovo equipaggio della Ranger. Quindici uomini tra i più assortiti tagliagole, galeotti, ufficiali decaduti dalla sconfitta in battaglia e anche un altro capitano che neppure provò a mettersi sullo stesso piano delle due leggende da cui era stato reclutato. Il progetto di tenere la guardia bassa si rivelò ben presto un fallimento: come si fa a tenere nascosto che due fantasmi stessero radunando un nuovo equipaggio? Perché, effettivamente, loro erano questo, fantasmi, o almeno lo era Vane che molti avevano visto morire con una fune intorno al collo. Di Turner si sapeva solo ciò che la ciurma di Barbanera aveva dichiarato: era volato via.
“Signor Hands, fate spiegare le vele, prendiamo velocità finché abbiamo il vento a favore” il vecchio pirata eseguì l’ordine senza, però, mai spostare lo sguardo dal capitano Hook dietro il timone che reggeva solo con l’uncino. Era, probabilmente, l’unico volto amico per James in mezzo all’equipaggio, era stato il primo ufficiale di Barbanera, lo aveva visto compiere i suoi primi passi nel mondo dei pirati e gli aveva ceduto la sua nave perché potesse compiere la sua vendetta. Questa volta non ci pensò due volte per decidere di affiancarlo in questa nuova avventura, cedendo alla promessa di dare una drizzata al secondo capitano, Charles Vane, che, sebbene anch’egli cresciuto nell’ombra di Teach, era un po’ troppo irruento per i gusti di Hook.
Riuscirono a prendere il largo indisturbati, ma non riuscirono a evitare di trovarsi davanti al più cruento spettacolo che potessero immaginare: la Queen Anne’s Revenge era stata sconfitta dalle navi della Royal Navy e il governatore, quell’imparruccato di Woodes Rogers, aveva condannato Teach al giro di chiglia. Tanto James quanto Charles sentirono la nausea chiudergli la gola e una furia cieca montare a quello spettacolo. Del temibile capitano Edward “Barbanera” Teach non rimaneva che un mucchio informe di carne grondante di sangue e acqua di mare, ma, Hook lo sapeva, ormai non avrebbero potuto fare nulla. Si trovavano nell’immagine sbiadita di un glorioso tempo passato, un tempo in cui il mondo tremava al solo nominare i pirati dei mari del sud, un tempo di cui non restava che il ricordo.
Barbanera vantava due figli che erano il suo più grande orgoglio, seppur non fossero quelli biologici di cui non gli interessava il nome e figuriamoci le sorti. Una volta, guardando i ragazzi allenarsi nella scherma sul ponte, Teach disse a Israel Hands, il suo braccio destro, “i miei figli hanno il mare negli occhi e nell'anima”. Era risaputo che la mente di Teach stesse perdendo colpi e Hands non gli diede peso, in seguito, col senno di poi, si trovò a riflettere che quel vecchio pazzo avesse ragione. Non c'erano parole per descrivere quei due ragazzi se non dicendo che fossero alimentati dallo stesso oceano che aveva dato il colore ai loro occhi: indomabili, imprevedibili e, insieme, inarrestabili.
“Avevi ragione vecchio lupo di mare! Eccoli i tuoi figli pronti a combattere l'uno accanto all'altro contro un nemico comune” non lo disse, Israel Hands ma Barbanera, dall'altro sloot, lo sentì comunque e in risposta ghigno soddisfatto per poi sputare un paio di denti e sangue nei piedi di Woodes Rogers.
“Vorrei proprio vedere come spiegherete ai vostri superiori di aver visto il fantasma di Vane, che voi stesso avete giustiziato, volare via con un’intera nave insieme a un altro capitano con un uncino al posto di una mano... Sì, lo vorrei proprio vedere” il suo ghigno non sparì quando un proiettile, sparato a sorpresa, gli attraversò il cranio.

Quando aprì gli occhi vide solo il cielo azzurro e limpido com’era sempre stato e, a giudicare dai toni di indaco e rosa, il sole non era ancora sorto. In un primo momento, godendo del calore dei pallidi raggi del sole sulla sua pelle piena di graffi, Wendy non comprese perché si trovasse lì stesa sulla spiaggia, né se lo domandò. Voleva continuare a respirare l’aria salvastra e umida del mattino, ma, come una secchiata d’acqua gelida, gli eventi del giorno prima le piovvero addosso quando il suono di un’onda un po’ più forte le giungesse alle orecchie. La tempesta, il coccodrillo, il duello con Peter Pan, l’ombra che la fissava con i suoi occhi vuoti.
Wendy si mise seduta sulla sabbia e si passò le mani tra i capelli, cercando di riordinare i pensieri. Quanti dell’equipaggio si erano salvati? C’erano feriti gravi? E James? Si augurò che stesse bene, che fossero tutti sani e salvi ma, guardando i pezzi di legno tra gli scogli che la circondavano, quella speranza perse di consistenza.
Ricordava di aver provato a tuffarsi alla ricerca del capitano dopo aver visto il coccodrillo sugli scogli fin troppo vicini, ma qualcuno glielo aveva impedito tirandola al centro del ponte. Poi nuove onde e si trovo a precipitare nell’acqua fredda e agitata, il resto erano solo frammenti confusi. Con un sospiro sollevò lo sguardo, quel che restava della Jolly Roger galleggiava inclinata sulle acque calme come un relitto abbandonato al suo destino, faceva male pensare che solo la mattina prima era nella cabina del capitano a chiacchierare con James.
Tese le orecchie quando le giunse l’eco di un suono diverso da quelli uditi fino a quel momento
“SIGNORINA WENDY?”
“SIGNORINA DOV’È?!”
Si alzò immediatamente, sperando di avere una visuale migliore di quella che aveva da seduta, ma non aveva fatto i conti con la debolezza e la gamba sinistra che decise di ricordare le conseguenze dell’impatto del ginocchio su uno scoglio. Prima che se ne rendesse conto si trovò di nuovo a terra trattenendo a stento un urlo di dolore.
“SIGNORINA RISPONDA! PER L’AMOR DEL CIELO” la giovane non ebbe dubbi nel riconoscere la voce esageratamente preoccupata del nostromo e, con uno sforzo sovrumano data la debolezza negli arti inferiori, si rialzò aiutandosi un ramo abbastanza spesso.
“So-sono qui” la voce le uscì come un lieve gracidio e ora anche la gola doleva, chissà se per l’acqua di mare ingerita di forza, le urla del giorno precedente o la disidratazione, magari tutte e tre le cose insieme.
“Oh signorina. CORRETE! L’HO TROVATA!” Stan, uno dei marinai più giovani che dimostrava circa trent’anni, apparve da dietro gli scogli e si precipitò immediatamente dalla fanciulla, seguito a ruota dagli altri.
“Signorina Wendy, è ferita? Vi prego ditemi che non siete ferita” esordì Spugna arrancando sulla spiaggia verso di lei, Wendy notò che una lente dei suoi occhiali era rotta.
“Sto bene, signor Spugna. Solo un po’ ammaccata. E voi? Ci sono feriti gravi? Ci siete tutti?” Spugna abbassò lo sguardo, incapace di sostenere quello ceruleo e indagatore della ragazza. Nonostante volesse negarlo con tutta se stessa, quella era già una risposta sufficiente.
“Spugna? Ti ho fatto una domanda”
“Abbiamo lasciato alcuni degli uomini alle rovine del castello per riprendersi dalle ferite” iniziò con voce tremante e un tono molto simile a quello che utilizzava con il capitano, del resto quei glaciali occhi azzurri erano gli stessi
“Colt è morto” intervenne Cecco prima di essere interrotto da un’occhiata di Sparky
“Come?” si scambiarono tutti un’altra occhiata, ma di fronte all’espressione decisa di Wendy il marinaio continuò
“L’abbiamo trovato a faccia in una delle piscine naturali con la testa spaccata” Wendy annuì controvoglia ingoiando il nodo alla gola, aveva imparato ad andare d’accordo con tutti gli uomini dell’equipaggio e nonostante tutto si era affezionata ad ognuno di loro.
“C’è altro?” gli uomini si guardarono di nuovo l’un latro, con ancora meno voglia di parlare. Fu Spugna, dopo un sospiro profondo, a prendersi l’onere di questo ingrato compito
“Purtroppo, il capitano...” gli occhi di Wendy si sgranarono e in qualche maniera l’uomo trovò il modo di continuare “Non riusciamo a trovarlo... È sparito nel nulla, come inghiottito dal mare” Wendy scosse il capo con sempre più forza mentre gli occhi cominciarono a farsi lucidi.
“No.” disse ingoiando le lacrime che le stavano chiudendo la gola
“Signorina, per favore non faccia così” provò Stan “Non c’è più niente che possiamo fare”
“No no no e ancora no” sbottò allontanandosi di qualche passo con l’aiuto del bastone per reggersi in piedi, la gamba faceva male ogni volta che provava a poggiare il piede a terra ma il dolore che si stava propagando dal centro del petto era anche peggiore.
“Non è morto, che nessuno osi dire che è morto” le lacrime scendevano ormai a fiumi dai suoi occhi e a nulla valsero i tentativi di scacciarle, continuavano a bagnarle il viso.
“Non è morto. Non gli permetterò di essere morto” disse ancora con voce rotta “Sono tornata per te, se mi abbandoni non ti perdonerò mai” sussurrò a se stessa per quanto le permettessero i singhiozzi che le spezzavano il respiro.

Correva a perdi fiato nella folta vegetazione che circondava la baia dei cannibali, sorprendendosi di quanto fosse diventato facile resistere sempre di più alla fatica. In realtà aveva l’affanno, ma non avrebbe di certo arrestato la sua corsa per un motivo così futile. No, la resa non era nelle sue opzioni, la morte era a questo punto un’opzione più allettante che, però, non avrebbe comunque potuto tenere in considerazione. Non avrebbe potuto lasciare questo mondo con il cuore in pace sapendo quante persone contavano su di lei, per questo e solo per questo Wendy non avrebbe ceduto. Approfittando dello slancio dato dalla corsa, spiccò un salto e si aggrappò a un grosso ramo che si trovava sul suo cammino, dopodiché lanciò su un altro l’uncino che aveva fissato all’imbracatura che aveva costruito con l’aiuto di Mark, che un tempo era stato un carpentiere. I bimbi sperduti che la inseguivano passarono oltre, inconsapevoli di quanto fosse in realtà vicina e quanto sarebbe potuta essere pericolosa. Più volte nel corso di queste sue rocambolesche fughe aveva pensato a quanto sarebbe stato facile saltare giù, avrebbe potuto ucciderne uno trapassandolo con la spada dall’alto e almeno un altro sfruttando l’effetto sorpresa dato dal proprio versamento di sangue, ma scacciò sempre questi pensieri. Non sarebbe diventata un’assassina e soprattutto non avrebbe ucciso dei bambini la cui unica colpa era stata fidarsi della persona sbagliata. Anche James, del resto, non aveva mai fatto volutamente del male ai bimbi sperduti.
Con un sospiro stanco, sciolse il gancio dal ramo e passò da un albero all’altro per uscire dal sentiero tracciato nella fuga e inseguimento. Era diventato tutto più difficile da quando avevano dovuto lasciare le rovine del castello. Il giorno in cui Peter si presentò lì, Wendy era in ricognizione sulla spiaggia e i pirati si trovarono con le spalle al muro. Peter li attaccò, ma nessuno era all’altezza dei suoi ultimi due avversari e quando li lasciò a curarsi le ferite era ancor più arrabbiato di quando era arrivato. Wendy sapeva in cuor suo di essere la causa di quella rabbia: per il folletto sfidare James, il suo eterno rivale, era un gioco, qualcosa che portava avanti per il puro divertimento sapendo di avere il coltello dalla parte del manico; ma con Wendy era diverso, lei si faceva desiderare e non si comportava mai come Peter pensava.
La giovane aveva adottato la strategia dello sfinimento, certa che se avesse continuato a negarsi e a sfuggirgli, Peter avrebbe commesso un errore e lei sarebbe stata lì, pronta ad affondare la lama.
“Non dirmi che pensavi davvero di sfuggirmi, Wendy” il respiro le si mozzò in gola, decisamente quella mossa aveva le potenzialità per essere uno scacco.
“Non mi permetterei mai, Peter Pan. Anzi, a dire il vero mi ero quasi dimenticata che ci fossi anche tu” rispose voltandosi mentre ostentava un’espressione annoiata che sperava non tradisse la sua vera ansia. Doveva essere diventata molto più brava a nascondere ciò che le passava per la mente e assaporò, seppur per un breve momento, l’espressione beffarda di Peter trasformarsi in una furiosa. Ed eccolo lì il passo falso, Peter Pan aveva finalmente scoperto il fianco.
“Saresti dovuta morire nella tempesta”
“E privarmi del piacere di continuare a sabotare i tuoi progetti? Mh, senza offesa ma quest’altra opzione mi piace di più” forse provocare il suo nemico già furioso non sarebbe stata una mossa tanto intelligente, ma quando tutto manca... Aveva constatato nell’ultimo periodo quanto fosse di risposta rapida se lasciata a briglia sciolta anziché costretta in rigidi confini, questo le permetteva di continuare lo scambio di battute anche mentre rifletteva sul da farsi. Dunque, aveva la spada, una pistola carica per ogni evenienza che, però, non aveva mai usato, un’imbracatura di fortuna attaccata ad un uncino tramite due metri di fune e, sebbene l’ambiente circostante non favorisse il volo, non era esattamente quello che avrebbe scelto per un duello all’ultimo sangue.
“Devo ammetterlo, sei un osso duro, Wendy. Peccato che non avrai altre occasioni per mostrarmi di cosa potresti essere capace”
“Ti conviene? Scommetto che ti annoieresti senza nessuno a ostacolarti. È per questo che ti diverte tanto infastidire i pirati, sfidarli ogni tanto senza un motivo apparente ma solo per spezzare la noia. È per questo che hai tenuto James in vita per tutto questo tempo” sentì una fitta al cuore al solo nominare il capitano scomparso, ma riuscì ad evitare che la tristezza prendesse il sopravvento.
“Ho commesso un errore, ma ti assicuro che non accadrà una seconda volta” lo sguardo di Peter si incattivì e si rivolse quindi all’ombra che lo affiancava come un inquietante braccio destro “Attacca!” la figura non se lo fece ripetere due volte e gonfiandosi come una vela nera si lanciò sulla giovane disarmata. Wendy agì d’istinto portando le mani avanti
“STA LONTANO DA ME!” un lampo di paura attraversò gli occhi dell’ombra che inspiegabilmente indietreggiò verso il suo padrone. Wendy non rimase ferma a indagare su quanto successo, approfittando del momento di confusione generale si voltò e iniziò di nuovo a correre cambiando direzione di continuo e inciampando nelle radici esposte. Corse, corse a più non posso finché il fiato non cominciò a venirle meno e il fianco a dolere per lo sforzo, ma dietro di se sentiva ancora i ruggiti inarticolati dell’ombra che la inseguiva. Però, quello non era l’unico suono che le giunse alle orecchie: seppur coperto dal battito impazzito del proprio cuore, sentì lo scrosciare dell’acqua, era il fiume del coccodrillo e ci si stava dirigendo molto velocemente. Poteva farcela, per quanto pericoloso era un salto che aveva già fatto, ce l’avrebbe fatta anche questa volta. Continuò a ripeterselo quando vide la fine della terra che diventava uno strapiombo con il letto del fiume a un paio di metri sotto di lei e, prima che potesse ripensarci spiccò il salto. Come detto, aveva già superato quell’ostacolo, ma molto più a monte di dove si trovava in quel momento e laggiù il fiume era molto più ampio, troppo per essere superato senza difficoltà ma impossibile se nel momento del salto si mette un piede in fallo su una zolla instabile. I polmoni le si svuotarono dalla paura e non ebbe neanche il fiato per urlare quando si trovò a precipitare nell’acqua fredda, il coccodrillo, sdraiato al sole sulla riva, aveva visto la scena e si affrettò a raggiungerla accompagnato dal costante ticchettio che lo caratterizzava


SPAZIO AUTRICE
Dopo non essermi fatta viva per così tanto tempo mi sembra giusto approfittare di questa giornata così produttiva per pubblicare anche il capitolo successivo appena scritto. La prima parte in realtà è stata scritto qualche anno fa, forse poco dopo aver inziato la stesura della fanfiction (ho l'abitudine di scrivere le scene salienti così come mi vengono e poi inserirse nei capitoli integrando con le parti necessarie, motivo per cui capita, se i pezzi sono scritti a grande distanza l'uno dall'altro che si noti, uno stile un po' differente).
Wendy e Hook si riuniranno nel prossimo capitolo, ma è probabile che manterrò questo stile di narrazione spezzata e alternata a dei flashback di tutto ciò che mi sembra importante, del resto ci sono comunque ancora argomenti passati da trattare che non mi sembrava il caso di inserire nel testo vero e proprio, sia per mancanza di ispirazione sia perché poco coerenti con il resto.
Detto ciò, spero di non sparire per altri mesi (anni) e di non essermi appena portata sfortuna da sola con questa frase

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Capitolo 9
*** Capitolo 9 ***


Capitolo 9

Albeggiava quando raggiunsero il punto d’incontro dove il nuovo equipaggio li avrebbe raggiunti. Per ragioni di sicurezza sono James ed Emily si sarebbero fatti trovare al pozzo mentre Charles era rimasto nascosto nell’ombra di una casa diroccata, pronto a togliere di mezzo chiunque avrebbe identificato come una minaccia.
“Siete ancora in tempo a tirarvi indietro, signora” esordì James lasciando di stucco la donna, non solo perché non si erano rivolti la parola da quando Charles si era allontanato ma anche per il tono gentile e genuinamente preoccupato con le si stava rivolgendo
“Quella in cui vi sto trascinando è una guerra alla pari di qualsiasi altra, anche se il nemico è uno solo”
“Non preoccupatevi per me, capitano. Non mi trascinate da nessuna parte se io vi sto seguendo di mia spontanea volontà” replicò di rimando con tono gentile, approfittando per guardare il profilo dell’uomo che invece non toglieva gli occhi dalla strada “Ma vi ringrazio per la premura di avermelo chiesto”
“Mi domandavo... Com’è finita una nobildonna come te in un inferno in terra come può essere solo Nassau?” l’espressione di Emily s’incupì e, persa nei pensieri, si trovò a spostare lo sguardo su un punto indistinto dei campi
“Credo di essere morta, capitano” fu il turno di James di voltarsi e osservare il profilo della sua interlocutrice.
“Mi sembra una follia, ma è l’unica cosa che abbia un senso... Mio marito era stato nominato governatore di New Providence, io avrei dovuto raggiungerlo dopo qualche mese. C’erano dei problemi, il nostro era stato un matrimonio d’amore, ma mio padre non l’aveva mai approvato. Arrivò anche ad opporsi alla sua nomina a governatore e, poi, a impedirmi di seguire mio marito ai Caraibi. Ricordo di aver ricevuto una strana lettera da una mia dama di compagnia che avevo incaricato di partire insieme a mio marito e forse se l’avessi letta prima non sarei mai partita” abbassò lo sguardo sulle sue mani tremanti.
“In pieno oceano, il capitano della nave giustiziò i miei servi gettandoli in mare con le mani legate e mi fece rinchiudere nella stiva, chiesi spiegazioni tante volte ma non ottenni mai nessuna risposta. Non so neanche quanto tempo trascorsi chiusa lì dentro e quando ne uscì fu solo per essere trasferita su una nave da guerra, non so neanche quale” il respiro le si spezzò, ma comunque continuò quella storia tornatale alla mente negli ultimi giorni e che fino ad allora non aveva mai rivelato a nessuno
“Lì sono stata violentata a turno da tutti i soldati che vi viaggiavano, il primo fu il capitano” era sorpresa di essere riuscita a dirlo senza far tremare la voce, ma quando percepì James irrigidirsi al suo fianco si pentì di aver parlato. Per un po’ non aggiunse altro, pentendosi di aver parlato.
“Vi prego, fate finta che non abbia detto niente” James prese un respiro profondo mentre la guardava torturarsi le dita e quando parlò la lasciò di stucco
“Cosa è successo dopo?”
“Non volete saperlo, capitano”
“Insisto”
“Il capitano disse che avrebbero dovuto uccidermi, ma il suo secondo ufficiale si oppose. Disse che se una donna muore in mezzo al mare l’equipaggio della nave su cui viaggiava è maledetto per sempre. Così fui venduta a un altro equipaggio, pirati” si strinse le braccia al petto quando si rese conto di star tremando. Non aveva realizzato fino a quel momento quanto il ricordo facesse ancora male, né aveva notato di aver sempre evitato il contatto fisico con ogni volta in cui non fosse stato necessario con entrambi gli uomini, in effetti le uniche volte in cui aveva toccato James era stato per medicare le sue ferite.
“Sono morta poco dopo essere giunti in porto. Ho urlato per chiedere aiuto quando ho sentito delle voci diverse, ma uno dei miei carcerieri è venuto a tapparmi la bocca e continuò finché non smisi di lottare... Ho sentito la vita scivolare via e ho chiuso gli occhi. Poi ricordo di essermi svegliata nel letto di quella capanna sulla spiaggia” rimasero in silenzio per un tempo che a Emily parve infinito e quando James parlò, lei rimase stupita del suo tono solenne.
“Voi mi avete salvato la vita, milady, sono un uomo d’onore e non dimentico” iniziò con un tono formale e rispettoso che non aveva mai avuto con lei prima d’allora “Mi metto al vostro servizio, se mai vorrete vendetta o di qualsiasi cosa possiate avere bisogno, non esitate a chiedere. Smuoverò mari e monti e, posso assicurarvelo, non sono un uomo che si arrende” Emily, dopo un attimo di smarrimento, storse la bocca
“Non vi ho salvato per ricevere qualcosa in cambio”
“Ma io non amo lasciare debiti”
Da soli o in coppie, degli uomini cominciarono ad avvicinarsi lungo la strada. Avevano scelto quel posto proprio per questa ragione: c’era un’unica strada da percorrere per raggiungerlo e sarebbero inevitabilmente passati davanti a Charles che, pistola alla mano, era pronto a eliminare qualsiasi problema. Non lo avrebbe mai ammesso, ma sperava che Jack ed Anne non si facessero vivi.
Una discreta folla si venne a creare intorno a James ed Emily, molti erano confusi nel vedere una coppia così strana – era insolito vedere un pirata così ben vestito, ancor più strano se affiancato a una donna che non fosse una prostituta – ma tutti, nessuno escluso, avevano notato l’uncino che sostituiva la mano destra. Un uomo in particolare, che non era sfuggito agli occhi di falco di Charles, sembrava aver perso dieci anni di vita. Charles gli si avvicinò con passo felpato.
“Fa una certa impressione, non trovi?” Israel Hands si voltò di scatto a quella voce che non sentiva da anni, Charles Vane se ne stava in disparte con il capo nascosto da un cappuccio e il solito sorrisino beffardo che era il suo marchio.
“Vederlo lassù ancora una volta ad ispirare pirati a seguirlo in un nuovo mondo” continuò osservando l’amico parlare ai marinai.
“Andrai con lui questa volta?” Charles annuì una volta e il movimento mostrò all’altro ciò che restava del segno del cappio sul suo collo.
“Non ho più niente a tenermi qui. Ho già dato tutto per la nostra causa, compresa la mia vita. Qui ho finito”
 
Si avvolse meglio nella giacca rossa tirando su il colletto quando si sentì attraversare da un brivido di freddo. Stan e Cecco si erano proposti di fare loro il turno di guardia ma Wendy si era opposta, tutti facevano già ben più della loro parte e non voleva essere da meno accollandosi agli uomini come un peso inutile, tanto più se nessuno si sarebbe mai azzardato a farglielo notare. Volse lo sguardo al cielo stellato sopra di lei, dal punto in cui si trovava la raggiungeva solo il pallido alone della luna che non bastava rendere visibile la propria figura accovacciata a terra. Era da poco passata la mezzanotte, iniziava una nuova giornata senza avere notizie di James e mai come in quel momento avrebbe voluto averlo accanto, non avrebbe voluto trascorrere da sola quel giorno.
“Tanti auguri a te. Tanti auguri a te” persa nei suoi pensieri sobbalzò per la sorpresa quando il silenzio della notte venne spezzato da voci che sussurravano. Voltatasi di scatto, riconobbe quasi subito la ciurma che camminava verso di lei grazie a una candela che ne illuminava i lineamenti del viso con la sua luce tremolante.
“Tanti auguri, signorina Wendy. Tanti auguri a te” erano ormai arrivati davanti a lei, la luce della candela portata da Sparky illuminò gli occhi lucidi della giovane mentre Spugna, accanto a lui, reggeva quello che sembrava un pacchetto di stoffa.
“Ragazzi, non dovevate. Con tutti quello a cui avete da pensare...”
“È comunque il suo compleanno, signorina” esordì l’anziano nostromo “Esprima un desiderio e soffi sulla candela. Anche il capitano avrebbe voluto che fosse un giorno speciale”
“È stato proprio lui a dircelo, sa?” disse Cecco poco più indietro. Wendy gli rivolse uno sguardo di gratitudine per poi chiudere un momento gli occhi e soffiare sulla candela, anche al buio riuscì a vedere i sorrisi degli uomini.
“Le prometto, signorina, che appena la nave sarà pronta festeggeremo il suo compleanno con la grande festa che merita, ma per il momento può aprire i regali” le guance di Spugna arrossirono come pomodori nel pronunciare queste parole che, però, trovarono l’approvazione degli altri.
“Cos-” ma davanti agli occhi speranzosi del gruppo che la circondava si sentì chiudere la gola, trovando solo la forza di annuire. Si trattava per la maggior parte di oggetti smarriti cui era stata data una nuova vita, ma Wendy li accettò e ammirò come fossero stati il suo tesoro più prezioso, e lo sarebbero diventati davvero. Ricevette un orecchino ad anello tipico dei pirati che indossò immediatamente con orgoglio, un cappello a tricorno su cui avevano cucito delle penne colorate, una collana con di piccole perline, conchiglie e un dente di squalo, infine un quaderno dalle pagine sbiadite e un pennino da calamaio con l’impugnatura in osso di balena.
“È arrivato con la scatola nell’ultima mareggiata” spiegò Jukes indicando il contenitore con su intagliate delle decorazioni e ghirigori dall’aspetto indiano “Crediamo fosse un libro mastro, ma l’acqua di mare ha cancellato l’inchiostro e ora è quasi come nuovo” si grattò la nuca in imbarazzo, ma Wendy lo tranquillizzò immediatamente con un dolce sorriso che le illuminò gli occhi. Aperta la prima pagina del libro lesse una frase scritta con caratteri incerti, aveva insegnato loro a scrivere nei giorni sulla nave:
Con l’affatto l’affetto della ciurma
“Abbiamo pensato che non deve essere facile per lei stare qui sempre circondata da uomini che non capiscono molto delle sue faccende. Magari scrivere un diario potrebbe essere d’aiuto”
“È un regalo meraviglioso Jukes. Lo sono tutti e non so come ringraziarvi, li custodirò come un tesoro” tutti, chi più chi meno, arrossirono a quell’affermazione
“Beh è il caso che andiamo a dormire. Vada anche lei, signorina, il suo turno è finito e le possiamo dare il cambio” Wendy annuì ancora e, prese le sue cose, si avviò verso l’ala del castello diroccato e mezzo distrutto in cui aveva scelto di alloggiare. Stanca e con le membra doloranti per la posizione scomoda tenuta fino a poco prima, si stese sulla pelliccia che usava come letto e strinse al petto il proprio nuovo diario.
“Ti prego papà, non essere morto” 
La mattina dopo arrivarono alla spiaggia di buon’ora e con una scialuppa raggiunsero il resto dell’equipaggio che era rimasto a bordo della Jolly Roger dopo le riparazioni.
“Buongiorno signorina Wendy. E buon compleanno” a turno ripeterono tutti queste parole alla giovane che, seppur per poco tempo, da bambina era stata la loro mascotte. Era cambiata molto Wendy, e non per gli anni che rimase a casa, era cambiata in quegli ultimi giorni. Mentre camminava per il ponte con la schiena dritta e l’aria signorile molti si trovarono a constatare la grande somiglianza con il suo scomparso padre. James aveva fatto un gran lavoro con lei ma, ahimè, lo aveva lasciato a metà.
“Com’è la situazione nella stiva e nelle camerate?” domandò mentre passava delicatamente le dita sul legno scheggiato del timone.
“I cannoni erano tutti fissati signorina, grazie al cielo non hanno fatto danni”
“Già, se anche uno solo di loro fosse stato sciolto o se una fune si fosse spezzata la nave non sarebbe sotto i nostri piedi ma sotto quintali d’acqua” Wendy annuì alle parole dei due, poi si voltò verso un gruppo.
“Le superfici più danneggiate andranno trattate e levigate. E c’è da controllare le carte nautiche e le mappe, sperando che la tempesta non abbia fatto troppi danni anche lì” voltò il capo verso l’anziano nostromo “Spugna, occupati tu delle carte, sei il nostromo e quartiermastro e sicuramente saprai meglio di me se è tutto in ordine. Io guiderò un gruppo nella foresta per procurarci linfa e legname. Va bene per tutti?” gli uomini si scambiarono strani sguardi che Wendy non notò, poi, con il cappello di lana rossa tra le mani, fu Spugna a prendere la parola.
“Sì, va bene il programma. Ma ci sarebbe un’altra cosa da definire prima, signorina” la ragazza spostò lo sguardo su di lui, sorprendendosi di come non fosse in grado di reggere il suo sguardo, inoltre stava nervosamente torturando il cappello che teneva tra le mani.
“Ditemi, non mi sembra di aver mai ostacolato la comunicazione” il nostromo fece un respiro profondo per farsi coraggio e, sempre con lo sguardo basso, cominciò a parlare.
“Come ben sa, signorina Wendy, sulle navi pirata il capitano detiene il potere, è vero, ma le decisioni vengono prese da tutto l’equipaggio a maggioranza, è un modo per non rendere il capitano troppo potente al punto da considerarsi indispensabile” Wendy annuì per non interromperlo “Tutte le decisioni più importanti vengono votate a maggioranza, compresa la scelta di un nuovo capitano” Wendy si irrigidì ma non osò spostare lo sguardo, tenendolo ostinatamente fisso sul timone “E noi abbiamo votato tutti insieme ieri” chiuse gli occhi per un momento, mandando giù il groppo che le si era formato in gola.
“Capisco” sussurrò “E avete fatto bene, per quanto mi faccia male dirlo. Una nave e un equipaggio necessitano di un capitano, di qualcuno che li guidi. Sono certa che la persona che avete scelto sarà un buon capitano” sollevò lo sguardo notando alcuni marinai annuire così spostò di nuovo lo sguardo su Spugna che, sebbene non si fosse ancora rimesso il cappello in testa quantomeno aveva smesso di martoriarlo.
“Del resto sei stato il fidato braccio destro di mio padre per tantissimi anni, signor Spugna. Te la caverai alla grande” l’uomo sgranò gli occhi che furono ancor più ingigantiti dalle lenti degli occhiali, ma Wendy non gli diede il tempo di replicare perché stava già indietreggiando lungo il ponte.
“Ma signorina!”
“Aspetti signorina Wendy” Stan, che era il più giovane dell’equipaggio, bloccò la sua fuga spalancando le braccia, abbassò però lo sguardo quando la ragazza inarcò un sopracciglio nella sua direzione. Sebbene la sovrastasse di parecchi centimetri, Stan, così come ogni membro dell’equipaggio, le si rivolgeva sempre con una certa riverenza.
“Non ci ha capiti, signorina” esordì Sparky affiancandola e ponendole una mano sulla spalla per spingerla a voltarsi verso l’equipaggio riunito sul ponte.
“Nessuno di noi prenderà il posto di capitano, non c’è nessuna promozione in vista” ridacchiò. Wendy, sempre più confusa, non ci stava capendo più niente, ma l’uomo non aggiunse altro, raggiungendo i compagni nel gruppo e cedendo la parola al loro portavoce.
“Quello che intendevo è che... Abbiamo parlato tutti insieme e ci siano trovati d’accordo sulla nostra decisione: vogliamo che sia lei il nuovo capitano” il suo viso perse colore tutto d’un colpo.
“Io? È pura follia!” esclamò scuotendo la testa “Io non so nulla di navigazione, a stento so i ruoli di ciascuno di voi a bordo, non so neanche usare un sestante, per la barba di Nettuno!” nella fisica ad ogni azione equivale una reazione uguale e contraria, in quella situazione alla preoccupazione crescente di Wendy i sorrisi dei marinai si facevano più ampi. Era dolce vedere quegli uomini terrificanti e spietati sorridere teneramente per l’agitazione di una ragazzina, ma la figlia del capitano non era di certo una persona qualsiasi.
“Imparerà, signorina” esclamò Cecco “O forse ha dimenticato di essere la figlia di Hook?” continuò facendole l’occhiolino. Wendy si fermò dal camminare avanti e indietro e strinse il ponte del naso tra due dita, la ciurma abituata agli scatti d’ira e i comportamenti da folle di James Hook, non ci prestò molta attenzione.
“Non mi chiamerete mai capitano, e per l’amor del cielo smettetela anche con questo signorina. Mi chiamo Wendy e preferisco essere chiamata così”
“Mi pare di ricordare che il tuo nome pirata fosse Jackie Redhand, signorina” la fanciulla si bloccò di nuovo mentre una nuova e strana espressione si faceva strada sul suo viso.
“Jackie Redhand, avevo quasi dimenticato quel nome...”
“Noi crediamo, signorina, che questo potrebbe essere un nuovo inizio” iniziò Cecco con il suo marcato accento veneziano per poi lasciare la parola a Jukes
“E chissà, magari lei riuscirà a vendicare il capitano Hook e mettere fine alla vita di Pan” Wendy chinò il capo, faceva ancora male pensare che non avrebbe più rivisto l’uomo che al suo ritorno a Neverland l’aveva accolta a braccia aperte.
“Datemi un po’ di tempo, un mese. Se James non sarà tornato per allora accetterò la carica, fino ad allora sarò il sostituto capitano. E se riuscite evitate di chiamarmi così, non voglio abituarmicci” un mormorio generale fu l’unica risposta che ricevette, dopodiché sollevò lo sguardo sugli uomini
“Ora, un paio di volontari che vengano con me a procurare legname. Spugna va a controllare le carte. Tutti gli altri avete le vostre mansioni, in caso contrario chiedete al quartiermastro”
 

Era il tramonto, sebbene alla loro partenza fosse mattina inoltrata. Avevano volato nei cieli solo per qualche ora, ma, come Hook spiegò ai suoi ospiti, a Neverland il tempo scorre diversamente. L’equipaggio si guardava attorno, se non avessero vissuto sulla loro stessa pelle l’esperienza del volo, quella terra che si vedeva all’orizzonte sarebbe sembrata una qualsiasi isola.
“Virate a sinistra, attraccheremo nella baia dei cannibali, dove il nostro arrivo passerà inosservato. Tenete gli occhi aperti, qui tutto è diverso da quello che siete abituati a conoscere, a partire dall’acqua” le labbra gli si stesero un ghigno “Creature infide, le sirene”
L’attracco fu più problematico di quello che l’equipaggio esperto si immaginava, tutto erano più concentrati a guardarsi attorno, in attesa che apparisse qualcosa a loro sconosciuta. 
“Dove si trova la Jolly Roger?” chiese Vane quando finalmente scesero a terra lasciando a bordo solo un manipolo di marinai a fare da guardia alla nave.
“L’ultima volta che l’ho vista era a nord, vicino alla skull rock. Ma non voglio illudermi che sia ancora lì”
Nel buio che calava molto velocemente, Charles notò come James voltasse spesso gli occhi sul delta del fiume che sfociava nella baia, era inoltre attento ai rumori molto più del solito, scattando per tutto ciò che gli sembrava strano o diverso.
“Pensi che il folletto possa saltar fuori da un momento all’altro?” James scosse lievemente il capo, indicando con un cenno la neve che cadeva su di loro
“Non si è ancora ammassata sulla spiaggia e sugli alberi, quel demonio ha da poco lasciato l’isola”
“Lui controlla il tempo qui?” chiese Emily, di cui i due capitani si erano quasi dimenticati la presenza. Nonostante la figura decisamente evidente, Emily sembrava essersi mischiata bene tra l’equipaggio passandovi inosservata in messo, i figli di Barbanera si scambiarono un’occhiata di sottecchi domandandosi tacitamente da quanto tempo fosse lì accanto a loro.
“Essenzialmente. Il tempo scorre lento quando lui non è qui, tutto sembra congelato in un rigido inverno. Al contrario, quando fa ritorno sboccia la primavera che passa veloce per lasciare il posto all’autunno”
“Temete che possa tornare presto? Per questo vi guardate attorno?” domandò ancora
“No, lasciare l’isola richiede tempo e altrettanto per tornarci. Neppure Pan può volare così velocemente. No, non è lui che temo al momento, fate solo attenzione e se doveste cominciare a sentire il ticchettio di una sveglia allontanatevi immediatamente dall’acqua” nel pronunciare queste raccomandazioni, il pensiero corse subito a Wendy. Era riuscita a sfuggire a Pan o anche lei era stata presa nella tempesta? Era al sicuro adesso? Era sola o qualcuno della ciurma era riuscito a raggiungerla per proteggerla in sua assenza?
“Una sveglia?” Charles ed Emily si scambiarono uno sguardo confuso “Perché una sveglia?”
“Perché è ciò che quella bestia di coccodrillo ha inghiottito quando si è mangiato la mia mano destra. Diciamo che sono fortunato e il rumore anticipa il suo arrivo” continuarono a camminare spingendosi nell’entroterra, sempre più lontano dal mare.
“Dove stiamo andando adesso?”
“A cercare Wendy. Se è riuscita a sfuggire a Pan e alla tempesta si sarà rifugiata nella giungla, ma questo non la renderebbe immune ai rischi. Queste terre sono popolate da indiani e cannibali, oltre naturalmente alla banda di mocciosi”
“Sembri molto preoccupato. Facciamo in modo che questa tua ragazzina stia a una certa distanza da me, odio avere a che fare con i piantagrane” Charles pronunciò queste parole con tono sprezzante, ma non riuscì a sentire la risposta di James perché, prima che potesse accadere qualsiasi cosa, mise un piede in fallo e la suola liscia dello stivale perse l’appiglio sul terreno bagnato. Si trovò a scivolare per un paio di metri nella palude poco più giù del sentiero, separandosi dal gruppo. Mentre gli altri si affrettarono a raggiungerlo senza fare la sua stessa fine, Charles emerse dal fango imprecando come uno scaricatore di porto.
“Pare che qualcuno qui debba ricordarsi la vita prima del mare, pivello” Israel Hands non perse tempo a sbeffeggiare l’uomo che aveva conosciuto quando era poco più che un bambino, Charles era pronto a rispondere, ma fu interrotto da un suono a lui molto familiare: il cane di una pistola che veniva tirato indietro. Con la coda dell’occhio, grazie alla luce della luna che trapelava tra le chiome degli alberi, vide una pistola a leva e, con un po’ più di attenzione, riuscì a mettere a fuoco la figura che la impugnava. La figura era nascosta e mimetizzata nell’ombra, ma notò che era minuta con un abbigliamento difficile da identificare e una fascia sulla parte inferiore del viso, in testa portava un cappello a tricorno che con l’ombra proiettata nascondeva il resto del viso. 
“Non credo di aver il piacere di conoscere il suo nome, signore. E io conosco ogni adulto civilizzato che abbia messo piede su quest’isola” la voce era acuta come quella di un giovane non ancora divenuto uomo, oppure di una fanciulla.
“Beh, le presentazioni sono migliori quando non c’è una pistola puntata alla tempia di mezzo. Così mi dicono, ho sempre evitato il dubbio premendo direttamente il grilletto”
“Abbassa la pistola” la voce tonante di James Hook interruppe la loro conversazione, attirando su di sé l’attenzione del bandito che ebbe un fremito al braccio che reggeva la pistola “Non ti avrò insegnato a sparare ma è praticamente impossibile mancare il bersaglio da quella distanza. E sarebbe fastidioso vedere decimati i rinforzi proprio da te, Jackie” il bandito lo raggiunse in un paio di falcate veloci, incurante delle armi che gli altri sconosciuti le puntavano contro. Shockando non poco il capitano Vane, le sue intenzioni erano tutt’altro che belligeranti: lo sconosciuto si lanciò tra le braccia del capitano che avvolse velocemente le braccia intorno alla sua vita sottile, non prima di aver fatto un cenno con l’uncino a tutti gli altri perché abbassassero le pistole.
“Oddio! Stai bene, sei qui... Ho avuto così tanta paura che non ti avrei mai più rivisto”
“Ci vuole più di una tempesta o un coccodrillo assetato di sangue per mettermi fuori gioco, credevo che ormai lo sapessi” replicò con un tono che Charles riconobbe, non senza inarcare un sopracciglio, come rassicurante. James lo ignorò, ignorò tutti concentrando la sua attenzione sul giovane che, ora di fronte a lui, stava riponendo la pistola nella fascia che portava alla vita.
“Si può sapere il perché di tutti questi stracci?” il bandito rise e quel dolce suono riecheggiò nella giungla che li circondava.
“Di questi tempi la sicurezza non è mai troppa quando qualcuno ti crede morto. E non è mai un bene per una ragazza girare da sola e disarmata” ciò detto, abbassò il foulard che le copriva la bocca e una volta tolto il cappello una cascata di boccoli biondo rame scese sulle spalle e fin oltre metà schiena. Decisamente non era un ragazzo, si ritrovò a pensare Charles Vane.

“Non è il luogo né il momento adatto ai convenevoli, a dire il vero faremmo meglio a toglierci dal territorio di caccia. Ho un posto sicuro poco lontano da qui, se volete seguirmi. Da lì contatterò gli altri” James annuì per tutti e la giovane fece loro strada nel cuore della vegetazione.
“Fate attenzione a dove mettete i piedi, anzi cercate di seguire me. Qui è tutto disseminato di trappole, ma sono riuscita a segnarne molte” James sentì un brivido attraversargli la schiena e il tarlo del dubbio insinuarsi nella sua mente.
“Wendy, quanto tempo è passato da quando sono sparito?” nonostante il buio che li circondava, vide le spalle della giovane curvarsi leggermente
“Un mese” un pugno allo stomaco forse avrebbe fatto meno male al capitano e anche Emily e Charles si irrigidirono, se c’erano ancora dubbi sulla veridicità delle parole di Hook ora erano del tutto scomparsi.
“Molti della ciurma credevano che fossi morto e cominciavano a credermi per pazza” continuò la giovane girando il capo verso degli uomini che camminavano dietro di lei “Ma io ero certa che si sbagliassero” nell’incrociare il suo sguardo, però, Hook la trovò diversa, in quelle iridi azzurre in cui era possibile leggere qualsiasi emozione questa volta vide anche altro: c’era qualcosa in più, una maturità data dall’esperienza che era totalmente assente l’ultima volta che si erano visti. Avrebbe indagato su tutto ciò che era successo in questo tempo separati una volta al sicuro.
La giovane si muoveva con naturalezza tra quegli alberi come fossero stati vicoli tutti uguali di una città che conosceva come le sue tasche, poi finalmente arrivarono davanti ad un grande albero dove si fermò.
“Il tempo di salire e vi lancio una scala, la uso più che altro quando la ciurma si spinge fino a qui” James annuì e la osservò mentre si arrampicava abilmente destreggiandosi tra rami e liane, al contrario Charles e il signor Hands si guardavano attorno con le armi in pugno, non conoscendo la giovane era possibile che li stesse portando in una trappola, timore che andò aumentando nei minuti che trascorsero dal momento in cui la persero di vista a quello in cui una scala a pioli scese lungo il tronco dell’albero più massiccio.
“Ti fidi davvero di lei James?”
“Ciecamente” Charles annuì poco convinto, poi spostò lo sguardo su Emily e la lunga gonna del suo abito, James dovette pensare la stessa cosa.
“Pivello sali per primo, tu” disse indicando la donna “stagli dietro. Voi altri, guai a chi oserà alzare lo sguardo finché non vi sarà ordinato” davanti all’espressione sgomenta di Emily, il capitano replicò con un’occhiata illeggibile. Sono sempre un gentiluomo, disse una volta quando riuscirono a salire a bordo della Ranger, Emily risentì quella frase nella sua mente come se l’avesse appena pronunciata. L’arrampicata fortunatamente non durò che alcuni minuti e, mentre il capitano Vane, dopo averla tirata su quasi di peso, dava il segnale agli altri per raggiungerli, la mora si guardò attorno. In particolare osservò quella giovane donna che aveva capito essere la figlia di Hook: si era definitivamente tolta il capello e il foulard e lasciato le sue armi, due pistole e un pugnale, su una sorta di mensola poco distante.
“Hai detto che contatterai gli altri? Intendi l’equipaggio?” Wendy si voltò con il capo inclinato e un’espressione curiosa. 
“Mh sì, dovrebbe esserci qualcuno sveglio per la guardia anche ora. Dirò loro di incontrarci domani alle piscine naturali sulla spiaggia, ci sono molti nascondigli in mezzo a tutti quegli scogli e passeremo inosservati” 
“Sono molto distanti da qui? I tuoi uomini, intendo”
“Un po’, per questo abbiamo sistemato anche due uomini che si danno il cambio per la guardia in un punto a metà strada. Ho già trasmesso a lui il messaggio, dovrebbe comunicarlo agli altri e poi inviarmi la risposta. Sempre che abbiano capito” la giovane scosse il capo, scacciando probabilmente un pensiero che le vorticava in mente, e di nuovo rivolse il suo interesse ad Emily, osservandola con la stessa curiosità con cui guarderebbe qualcosa di molto strano.
“E come fai a comunicare da qui?”
“Segnali luminosi” indicò quindi la lanterna che illuminava l’ambiente, doveva averlo fatto mentre lei e Charles salivano le scale o prima perché notò di non aver fatto caso a una luce che appariva e scompariva “ma anche con quello” questa volta indicò un barattolo di metallo con uno spago teso che usciva dal fondo “è un telefono acustico: il filo trasmette le vibrazioni e il barattolo permette di comprendere il suono anche se un po’ distorto”
“Incredibile” tacque per alcuni secondi guardandosi attorno e quando spostò di nuovo lo sguardo su Wendy la trovò a fissarla, per poi arrossire quando si vide scoperta
“Chiedo scusa per la mia insolenza. Non si vedono molte donne civilizzate da queste parti, credo che io e mia madre siamo state le uniche a mettere piede qui oltre le native, con le quali non ho esattamente avuto una bella esperienza” Emily sorrise con dolcezza.
“Oh no, anzi la maleducata sono io, non mi sono neanche presentata” le porse la mano come facevano gli uomini e Wendy rispose con una stretta decisa
“Il mio nome è Emily Rogers, incantata di fare la tua conoscenza”
“Jackie Redhand, è il nome che ho scelto. Ma tutti continuano a chiamarmi Wendy”
“Ti sei sistemata bene quassù” James fu tra gli ultimi a raggiungere la casa sull’albero e, presa com’era dalla sua conversazione con Wendy, Emily neanche notò che i pirati si stavano aggirando per la piccola stanza guardandosi attorno con curiosità, Charles invece, restio a fidarsi, se ne stava in un angolo e non toglieva gli occhi di dosso alla loro ospite.
“Hai fatto tutto tu?” Wendy scosse il capo
“Prima stavo alle rovine del castello , la ciurma mi ha raggiunta lì. Poi abbiamo cercato nuove sistemazioni e mi hanno aiutata a fissare il pavimento e il tetto. Tu invece? Dove sei stato per tutto questo tempo?” James si grattò la nuca, la stanchezza gli curvò le spalle tutta d’un colpo, adesso che Wendy era davanti a lui poteva permettersi di abbassare la guardia.
“Ironicamente, per me tutto questo tempo non è stato che un paio di settimane” colse con la coda dell’occhio una luce nel folto della giungla e con lui la vide anche Wendy che subito si affacciò al davanzale della finestra con il cannocchiale in mano.
“I cannibali sono a caccia, ma... Accidenti!” non aggiunse altro, nel silenzio della notte un familiare ticchettio si fece sempre più vicino. Hook pose istintivamente la mano sull’elsa della spada che portava sul fianco e molti pirati lo imitarono impugnando pistole e sciabole, Wendy, invece, si limitò a posare il cannocchiale.  Poi una figura slanciata saltò sulla piattaforma da un albero vicino, aveva i capelli biondi e arruffati, occhi neri e beffardi, indossava dei pantaloni consunti corti fino al ginocchio  e una camicia lasciata aperta, come se l’avesse indossata più per decenza che per bisogno. Non si vedevano da anni e al loro ultimo incontro erano poco più che ragazzini
“Mi pare di aver dato ordine che nessuno si muovesse stanotte” lo sconosciuto stirò l’ampia bocca in un ghigno alle parole scontrose di Wendy che sapeva essere al suo fianco, ma non si mosse, continuando a guardare la faccia conosciuta che era a qualche metro da lui. Come fece anche Wendy nella giungla, non batté ciglio alle armi che lo puntavano minacciosamente.
“Dovevo assicurarmi di non aver fatto fuori il mio migliore amico, ma vedo che hai sempre la pellaccia dura Jimmy”
“Owen”



SPAZIO AUTRICE
Colpo di scena! A chi era mancato il personaggio di Owen?
🤔 Non che vi abbia dato reali motivi per sentirne la mancana, è apparso per pochissimo tempo e ha avuto anche un destinio crudele...
Riepilogando: James è tornato a Neverland, Charles Vane ha preso uno scivolone - in senso letterale - finendo ai piedi di Wendy che gli punta una pistola alla testa; l'ex bimba sperduta appare ancora più adulta di quanto Hook ricordasse e, anche se per breve tempo, è stata capitano (chissà se in futuro arriverà ad avere una nave tutta sua...
🙄); Owen è tornato nel mondo degli esseri umani!
Ho approfittato subito per pubblicare perché non so quanto durerà questa botta di ispirazione, sto scrivendo a manetta tutto ciò che mi passa per la testa e intanto cazzeggio con il photoshop e Faceapp per creare Wendy come la immagino, che ormai ha poco a che fare con la bambina ingenua che era nel film. Mi scuso per i pessimi risultati che vedrete pubblicati qui, ma a volte sono molto d'aiuto per farsi venire in mente qualche idea...
Detto ciò, a presto
😜
 

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Capitolo 10
*** Capitolo 10 ***



Capitolo 10

“Come... Cosa... Che cazzo sta succedendo qui?!” lo shock era palesemente leggibile sul volto di James Hook e per chi era abituato a vederlo sempre apatico e imperscrutabile come uniche alternative all’arrabbiato, faceva un certo effetto. Per non alterare ancora il suo al momento fragile stato, Owen era andato ad acciambellarsi su di un ramo, lasciando a Wendy l’incombenza delle giustificazioni. O, per lo meno, questo era il tacito ordine impartitogli da Miss Hook, come l’aveva bonariamente ribattezzata, peccato che lui non fosse proprio in grado di farsi gli affari suoi.
“Tua figlia è magica, Jimmy. Mary non è mai stata così, credo abbia preso da te, su di voi c’è l’odore della stessa magia”
“Owen, per una buona volta, taci! Non credi di aver già fatto abbastanza danni?” sebbene dimostrasse l’aspetto di un uomo di circa quarant’anni, Owen non aveva peso il proprio atteggiamento infantile, di cui dava prova anche in quel momento dondolandosi pericolosamente sul ramo. Non conoscendo i precedenti, i nuovi arrivati erano confusi nel vedere la ragazzina atteggiarsi a generale nei confronti di un uomo che, sebbene potesse essere suo padre come età, si comportava invece come un bambino dispettoso. Wendy si trovò a sospirare e andò a sedersi sul davanzale della finestra, dando le spalle a Owen.
“È successo qualche giorno dopo la tempesta, stavo correndo nella giungla e sono caduta nel fiume, la corrente era molto forte” iniziò saltando ovviamente buona parte della storia, non era il caso di far preoccupare James e soprattutto non aveva intenzione di farsi vedere debole davanti a tutti quegli sconosciuti “Il coccodrillo arrivò immediatamente, prima di allora non lo avevo mai visto da così vicino, se di vedere si può parlare. Lo sentivo muoversi intorno a me, mentre annaspavo nell’acqua alta. Ricordo di aver visto delle lucciole volare sul fiume, avrei voluto chiamare il tuo nome, ma invece ne pronunciai un altro”
“Ha chiamato me” intervenne Owen, fattosi immediatamente serio “e io sono tornato”
“Come?”
“È difficile da spiegare, non siamo ancora riusciti a trovare una vera risposta. Io l’ho solo chiamato, il coccodrillo si è quindi illuminato di una luce dorata e quando è tornato in superficie era una persona” nel frattempo tutti gli altri si erano sistemati, chi sul davanzale delle finestre e chi sul pavimento, si preannunciava una lunga notte in cui nessuno avrebbe dormito.
“Che altro è successo?” con un sospiro stanco, Wendy si lasciò andare al racconto non troppo dettagliato di quell’ultimo mese, bloccandosi e imponendo il silenzio di tanto in tanto quando Owen sentiva i passi in avvicinamento dei cannibali sotto di loro.
“Il vascello era messo male, è quasi un miracolo che la tempesta non l’abbia mandata alla deriva o non si sia sfracellata sugli scogli. Fortunatamente anche gli alberi erano intatti e abbiamo già sistemato i danni maggiori alla chiglia dopo averla trascinata in spiaggia” si bloccò e sollevò lo sguardo incontrando gli occhi di James, ma non aggiunse più nulla. In qualche modo, il capitano comprese da solo che c’erano molte cose che gli stava nascondendo.
“Mi dispiace, ma lo spazio qui è piccolo. C’è da stringersi per stare un po’ più comodi, altrimenti...” si interruppe con una risata amara per scuotere il capo “stavo per dire che potrei accompagnare alcuni di voi in un altro rifugio, persino alla nave, ma non vi fidate e ne avete tutte le ragioni... Mettetevi comodi per come potete, dormite o restate svegli, non mi interessa poi molto” volse lo sguardo a Charles che per tutto il tempo era rimasto in un angolo con le spalle al muro e arrossì quando incontrò i suoi occhi. Aveva tolto un po’ del fango dal viso con la manica della camicia ma la situazione non era ancora delle migliori.
“Laggiù c’è un secchio d’acqua pulita, se volete darvi una ripulita. Mi scuso per non averlo detto prima” si morse il labbro inferiore profondamente a disagio sotto quegli occhi chiari, ciononostante trovò il coraggio di avvicinarsi e porgergli una borsa di tela “qui invece c’è una camicia pulita, è maschile e abbastanza larga, non è un granché ma sicuramente meglio di nulla” Charles inarcò un sopracciglio e Wendy, vedendo che non fece nulla per prenderla, lasciò la sacca su un gancio accanto a lui, dopodiché tornò a voltargli le spalle ancor più rossa in viso quando lo vide sfilarsi la camicia di dosso.
“Sicura che non ci sia altro che vuoi dirmi Wendy?” la giovane sospirò.
“Non è né il luogo né il momento, capitano. Tutto a tempo debito” era così formale da sembrare fuori posto anche nei suoi stessi abiti maschili, figuriamoci in mezzo a uomini che non sapevano nulla neppure di buona educazione “È giusto che sia anche l’equipaggio a raccontarti cosa è successo fino ad ora... Posso anticiparti ciò che riguarda Peter” così, seduti scomodamente sulle assi grezze del pavimento, gli ospiti ascoltarono le ultime novità Wendy raccontò delle fughe nella foresta, nel marchingegno costruito con Mark, disse di aver imparato a sparare e che secondo Sparky aveva un talento naturale. Prima che se ne accorgessero videro il sole sorgere sulla giungla e risplendere sulla neve caduta durante la notte.
“Fate attenzione a dove mettete i piedi, siamo lontani dal territorio di caccia, ma il terreno è comunque scosceso e con la neve è un vero basta un piede in fallo per scivolare fino a valle” si morse il labbro imbarazzata quando scorse con la coda dell’occhio l’uomo di cui ancora non conosceva il nome cui aveva puntato la pistola la sera prima. La camicia che gli aveva procurato gli calzava bene, non se ne sorprese dato quanto stava larga a lei, e vedendolo adesso alla luce del sole e senza il fango sul viso si sorprese di quanto fosse bello.
“James hai detto che siete arrivati in nave”
“Sì, è esatto”
“Non è sicuro lasciarla nella baia. Scendete dal sentiero e dite all’equipaggio di attraccare dall’altra parte, alla Skull Rock. Mi farò trovare lì” James parve rifletterci un momento osservando gli uomini che lo avevano accompagnato lì, poi annuì voltandosi verso la direzione opposta.
“Le trappole sono visibili alla luce del giorno, ma comunque ho segnato gli alberi con un’incisione a mezza luna. Non avrai problemi a notarle”
“Mi sembra sensato. Uomini state dietro di me e cercate di tenere il passo, non ho intenzione di venirvi a cercare” esclamò dirigendosi con sicurezza per il sentiero poco visibile tra gli alberi, prima di essere bloccato da una voce.
“Un momento!” sbottò il capitano Vane.
“Cosa c’è adesso?”
“Appurato che sembri essere l’unico a fidarti di lei, non sono del tuo stesso parere” disse squadrando la giovane da testa a piedi
“E cosa stai proponendo Charles? Solo io e lei sapremmo farvi da guida in questo posto e lei deve incontrarsi con il mio equipaggio. Vuoi fare da balia a mia figlia?” il capitano Vane strinse i denti e assottigliò gli occhi alle parole di James, ma, sorprendentemente, fu Wendy a intervenire.
“Mi sta bene” iniziò per poi voltarsi verso l’uomo “Non che mi facciate da balia, ma potete venire con me. La strada non è delle più semplici ma sicuramente ci muovemmo più velocemente di come faremmo se dovessi portare tutti loro” fu il turno di Charles di annuire e con un cenno del capo la invitò a fargli strada. Camminarono a passo svelto nella fitta vegetazione, senza dirsi una parola per diversi minuti, poi, quando gli alberi cominciarono a farsi più radi, Wendy ruppe il silenzio.
“Volevo farvi le mie scuse per il mio comportamento di ieri sera” Vane la guardò di sottecchi con la coda dell’occhio notando che anche lei non spostò lo sguardo dal pavimento di radici ed erbacce, però si stava torcendo le dita.
“Diciamo che da queste parti vedere facce nuove non è sempre un buon segno, ma non è comunque una giustificazione per avervi puntato la pistola alla testa. Ho approfittato di un momento di debolezza e non avrei dovuto, mi sento molto in colpa per questo” l’uomo inarcò un sopracciglio. Quella ragazzina si sentiva in colpa per aver sfruttato un momento di debolezza, da dove accidenti veniva fuori una stronzata del genere?! Non rispose, non dandole così modo di capire se fosse ancora arrabbiato o solo indifferente alle sue parole, ma tra sé e sé Charles si chiese anche quanto potesse essere vero che quella ragazzina fosse la figlia di James. Poi, di punto in bianco, la vide fermarsi e voltarsi verso di lui con la mano destra tesa nella sua direzione.
“Mi chiamo Wendy, ma il mio nome pirata è Jackie Redhand. E anche questo avrei dovuto farlo ieri notte” Charles ghignò facendosi sfuggire uno sbuffo che neanche provò a mascherare e la ignorò, riprendendo a camminare verso la spiaggia che si intravedeva tra gli alberi. Wendy strinse gli occhi per quella più che evidente mancanza di rispetto, ma si affrettò a corrergli dietro.
“Aspetti! È pericoloso. Gli uomini potrebbero sparare se vedessero qualcuno che-” uno forte boato la interruppe, seguito a ruota dall’impatto di una palla di cannone sul gruppo di alberi da cui erano appena usciti. Charles si buttò a terra imprecando come uno scaricatore di porto per poi volgere immediatamente lo guardo verso il mare, Wendy, al contrario, si alzò quasi subito, si tolse il capello e sventolò la propria bandana blu come fosse una bandiera.
“Accidenti a te e alla tua miccia facile Sparky!” borbottò tra sé e sé “Eppure gli ho detto decine di volte di guardare con il binocolo prima di sparare” in risposta al proprio segnale fu issato sul pennone quello che più che una bandiera era un fazzoletto giallo, dopodiché cominciarono a vedere maggiore movimento e una scialuppa fu calata dal fianco.
Alzatosi a sua volta, Charles ammirò la Jolly Roger che galleggiava imponente sull’acqua chiara.
“Tz alla faccia delle troppe attenzioni” mormorò a un tono troppo alto per passare inascoltato ma non abbastanza per essere compreso.
“Come? Avete detto qualcosa?”
“Nulla di importante. Ma farò presente a Hook che i suoi uomini hanno tentato di farmi fuori a colpi di cannone”
“In tal caso mi toccherà difenderli e assumermi tutte le colpe. E non sarà un problema”
“Perché prendersi la colpa per l’azione di qualcun altro?”
“Non è un qualcun altro qualsiasi, ma uno del mio stesso equipaggio e me ne sento responsabile” Charles si andò a sedere vicino a lei sulla spiaggia in attesa di essere raggiunti.
“SIGNORINA WENDY! Oh grazie al cielo sta bene” Spugna non aveva l’aspetto del pirata, poteva somigliare più facilmente a un oste con quel naso sempre arrossato oppure un bottegaio, del resto era immediatamente corso incontro a Wendy senza pensare che l’uomo al suo fianco, sempre a patto che l’abbia visto, potesse essere una minaccia. Gli altri due che lo accompagnavano rimasero indietro con le pistole cariche tra le mani e Charles non fu da meno sguainando la sciabola e la pistola che portava ai fianchi. Wendy, che stava raggiungendo Spugna a metà strada si fermò poco prima ponendosi di fronte al proprio equipaggio e dando le spalle a Charles con le mani alzate, chissà se per un eccesso di fiducia o semplicemente idiozia.
“Sparky e Mark mettete giù le armi”
“Ma-ma... C-capitano?” Vane, non visto da Wendy, inarcò un sopracciglio, di rimando però non neppure lui vide la reazione di Wendy che assottigliò lo sguardo verso i sottoposti.
“Siete sicura signorina? Non dovreste fidarvi così alla cieca, potrebbe essere pericoloso” seppur riluttante, l’uomo che aveva appena parlato riportò al suo posto il cane della pistola dopodiché la ripose nella cintola
“Il vostro capitano si fida di lui, quindi gli concederò la stessa fiducia” voltò leggermente il capo per guardare negli occhi l’uomo ancora armato alle sue spalle per poi aggiungere con tono sarcastico
“Chiunque egli sia” Charles ripose le armi e le rivolse un sorriso storto con cui, seppur tacitamente, le concesse la vittoria in quella piccola scaramuccia. Nei minuti successivi Wendy diede disposizioni perché la Jolly Roger si preparasse ad accogliere il capitano ed essere affiancata, per non dire quasi abbordata, da una seconda nave che sarebbe giunta a minuti.
“Non male, per una ragazzina”
“Preferirei essere denigrata perché sono donna e non per la mia età, non che possa in qualche modo porre rimedio seduta stante anche solo a una delle due cose”
“Non c’è nulla di male in una donna pirata. Ti sorprenderebbe sapere quanto siano capaci molte di loro”
“Sarà, come dite voi” che non fosse convinta era evidente e neanche provò a nasconderlo.
“Assurdo, appena ieri mi hai puntato una pistola alla testa ed eri pronta a sparare”
“E vi ho chiesto scusa per quello” sbottò interrompendolo ma mantenendo comunque un tono educato e formale “mi sono messa in gioco per voi davanti al mio stesso equipaggio e non ho neanche idea di chi voi siate, signore. Mi auguro solo di non pentirmene” Charles si piegò sulle ginocchia per essere più vicino alla sua altezza
“Sei sempre così fastidiosamente formale con chi non conosci o è un atteggiamento che riservi a chi non sopporti?”
“Non ho mai detto di non sopportarvi, signore, non l’ho mai neanche pensato. Avrete modo di vedere come mi rapporto con chi la cui sola esistenza urta la mia persona” rispose con il tono più altisonante che riuscì a trovare nel proprio repertorio ma, anziché far arrabbiare lo sconosciuto, lo fece solo ridacchiare. Offesa decise di spostarsi sugli scoglie e attendere da lì l’arrivo della nave.
“Il mio nome è Vane. Capitano Charles Vane, della Ranger” Wendy si immobilizzò sgranando gli occhi poco prima di voltarsi di scatto verso di lui che ora se ne stava appoggiato con le spalle a un tronco d’albero poco distante, la sua stessa postura urlava potere e sicurezza.
“Il pirata?” un nuovo ghigno si fece strada sul viso del capitano, sinceramente felice della reazione della giovane. Charles inarcò le sopracciglia verso di lei a mo di saluto cui però non ricevette risposta perché Wendy, arrossita fino alle orecchie, continuò per a sua strada lungo il ponte di scogli dove avrebbe atteso l’arrivo della nave. 
 
James Hook camminava per la propria cabina sfiorando delicatamente con le punte delle dita ogni superficie. Tutto era in ordine come probabilmente non era mai stato, anche se molte cose non erano dove le avrebbe riposte lui. Alcune delle bottiglie di cristallo erano andate distrutte durante la tempesta e quindi sostituite con normali bottiglie di vetro verde scuro e i bicchieri con altri di metallo.
“Quasi non ci speravo più di rivederti qui dentro” Hook sorrise dolcemente alle parole di Wendy che entrò titubante nella cabina con indosso i suoi nuovi abiti, il capitano annuì a quella vista.
“Come te lo senti addosso? Speravo non fosse troppo grande, ho immaginato ti fosse stancata di abiti troppo larghi” Wendy fece una giravolta nel suo nuovo vestito rosso particolarmente appariscente. Era un abito elegante e decisamente non adatto a una nave, ancor meno se di pirati.
“Lo adoro, anche se probabilmente non avrò molte occasioni di indossarlo qui. Mi intralcerebbe molto in combattimento, ma soprattutto rischierei di rovinarlo” rispose lisciando delle pieghe invisibili sulla gonna
“Me ne frego se si rovina, Wendy. Indossalo ogni volta che vuoi” sorrise anche lui nel vederla così felice, subito dopo, però, così com’era arrivata l’ilarità scomparve e Wendy si accomodò davanti la scrivania
“Allora, qual è il piano?” domandò chinandosi in avanti verso di lui
“Il piano?”  l’uomo inarcò un sopracciglio
“Devi pur avere un piano... Un progetto. Anche solo un’idea... James sei stato spedito in un limbo, forse addirittura in un altro tempo, e ne sei tornato con al seguito una donna e inquietanti tipi decisamente poco raccomandabili”
“Hai paura di loro?” fu il turno di Wendy di inarcare un sopracciglio
“Assolutamente no” per un momento le tornarono alla mente i volti sfregiati dal sole e dalle cicatrici che aveva incontrato poco prima, ma non avrebbe di certo dato loro qualche soddisfazione.
“E se anche avessi un piano, cosa ti fa credere che te lo rivelerei. Magari non sei neanche inclusa”
“Sono stata io a tenere testa a Peter in questo ultimo mese e sono arrabbiata quasi quanto te. Se mi escludessi mi vedrei costretta ad agire di conseguenza a modo mio e questo potrebbe diventare un problema anche per te”
“Cosa è successo alla ragazza spensierata che ho lasciato qui un mese fa?” chiese in un sussurro più a se stesso che a lei, ma Wendy gli rispose comunque
“Era stanca di piangere e avere paura” la conversazione si interruppe quando la porta della cabina fu spalancata e la figura di un uomo alto svettò sulla soglia
“Toc-toc” Charles Vane non attese un permesso per entrare con passo spavaldo e lasciarsi cadere sulla sedia libera accanto a Wendy. Come era accaduto più volte nel corso di quelle ore, in sua presenza Wendy si tese come una corda di violino, Charles, che lo notò, non si preoccupò di nascondere un ghigno soddisfatto mentre Emily scosse il capo.
“Non sono un esperto” esordì Owen accomodandosi scomodamente sul bracciolo della sedia di Wendy “ma credevo si dovesse bussare prima di irrompere in una stanza privata”
“Quando vorrò la tua opinione te la chiederò, lucertola” un ringhio animalesco vibrò nella gola dell’uomo ma si interruppe quasi subito, non appena la ragazza gli pose una mano sul braccio. Sebbene fosse tornato umano, alcuni tratti dovuti ai tanti anni in forma animale erano rimasti, la sua pelle, ad esempio, era fredda, non batteva quasi mai le palpebre e se provocato, ringhiava. Anche il ticchettio dell’orologio era rimasto, ma non più forte ed echeggiante come prima.
“Rifletti su ciò che ti ho detto, James. Posso esserti più utile come alleata che come ostacolo. E comunque la vendetta sarebbe la tua, non ho nessuna intenzione di togliere una vita, neppure quella di Peter” lasciò la stanza senza chiedere alcun congedo o permesso, l’ampia gonna ondeggiò ad ogni passo finché non sparì dalla loro vista chiudendosi la porta alle spalle.

“È il caso che vada anch’io” esordì Owen stendendo le braccia sopra la testa, non era più abituato a questi ritmi da umano, a quest’ora da coccodrillo dormirebbe già – o ancora, dipende dai punti di vista.
“E dove vorresti andare?”
“Le vado dietro, è divertente infastidirla da arrabbiata e poi a me non interessa quello che vi dovete dire” parlando aveva già dato loro le spalle e si era diretto alla porta, ma si fermò sulla soglia per voltarsi di nuovo “Ti mando il ciccione col capello, così ti spiegherà meglio ciò che è successo. Ma, per quanto può valere, rifletti bene sul ruolo di Wendy: la ciurma le è affezionata e potrebbero dividersi nel vedervi in disaccordo. Lei, comunque, farà di tutto perché nessuno lo noti ed è proprio questo che devi tenere a mente, le emozioni hanno sempre conseguenze qui a Neverand e a magia nasce dove meno te l’aspetti”
Nessuno parlò per diversi minuti dopo che Owen lasciò la stanza, avevano poche informazioni per dare una propria opinione e la situazione era abbastanza spinosa, nessuno sano di mente si sarebbe messo contro Hook parlando male della sua strana figlia. Un leggero bussare interruppe i pensieri generali e Spugna entrò dopo aver ricevuto il permesso.
“Mi ha fatto chiamare capitano?”
“Wendy sostiene che dovesse essere la ciurma a farmi un resoconto di ciò che è successo. Ebbene, Spugna, ti ascolto” il nostromo annuì dopodiché cominciò la dettagliata esposizione degli eventi, senza escludere nulla e partendo proprio dalla tempesta. Disse di averle impedito di lanciarsi in mare quando scorse il coccodrillo tra le onde con il cappello del capitano tra le fauci, che la trovarono il giorno dopo e come da subito si accertò delle condizioni dell’equipaggio e dei danni riportati alla nave. Disse che si era presa cura dei feriti e aggiunse, ridacchiando, che avesse imparato a cucire le ferite. Aveva fatto la sua parte nel riparare a nave, imparando tutto ciò che le veniva insegnato sul ruolo di ciascun componente dell’equipaggio ma anche sulla pesca e la navigazione a vela, in cambio aveva insegnato loro a leggere e scrivere. Raccontò del tempo trascorso alle rovine del castello nero e della decisione di Wendy di spostarsi altrove da sola per mandare fuori strada i bimbi sperduti che si divertivano a inseguirli. Finché non raccontò anche della corsa disperata nella giungla con l’ombra alle calcagna fino al tuffo imprevisto nel fiume del coccodrillo. In quell’occasione, tra le rapide, si procurò una ferite, fortunatamente lieve, alla spalla e si ruppe due dita, tornando da loro il giorno dopo molto intontita e insieme a Owen. Infine raccontò della votazione per eleggerla capitano il giorno del suo compleanno e di come avesse chiesto un mese per dare a James il tempo di tornare da loro prima di accettare veramente il ruolo. James Hook era senza parole.
“È cambiata molto in questo periodo. È come se... si fosse indurita. Ha indossato la sua stessa corazza, capitano... Quasi non speravamo più di vederla di nuovo sorridere come oggi, o che potesse tornare a raccontare le favole” poco distante Israel Hands sbuffò una risata per niente divertita
“Una femmina per capitano. Si vede che qui funziona tutto al contrario” Spugna ingoiò la rispostaccia che gli avrebbe rifilato, aspettando invece la reazione del proprio capitano. James, dal canto suo, aveva lo sguardo perso nel vuoto e mille pensieri ad affollargli la mente.
“Tutti fuori” chi velocemente e chi meno convinto, tutti eseguirono l’ordine. Tutti meno che Charles.
“A cosa pensi Charles?” il capitano Vane non aveva cambiato posizione, rimanendo per tutto il tempo semi sdraiato sulla sedia con le braccia incrociate al petto.
“Il fatto che sia una femmina mi lascia alquanto indifferente, anche Anne Bonnie è una donna eppure è una dei migliori pirati che abbia mai conosciuto. A quanto dice lui, i rispetto se l’è guadagnato con il tempo e non solo perché è tua figlia. Quindi non puoi escluderla, ti si ritorcerebbe contro e l’unica alternativa che hai è rinchiuderla da qualche parte” James mandò giù d’un fiato il bicchiere di porto che si era riempito.
“Ma che ne vuoi sapere tu di come si fa i padre?!”
“E tu lo sai? Che io sappia abbiamo avuto lo stesso esempio di merda sulla Queen Anne’s Ravange... Ti stai comportando esattamente all’opposto di Teach: lui ci mandava in prima linea e tu la tieni nascosta”
“Non voglio rovinarle la vita” Vane sbuffò
“Se è vero ciò che mi hai detto, che è nata a Londra addirittura in un’altra epoca, la sua vita è rovinata dal giorno in cui ha conosciuto i mostriciattolo che governa in questo inferno! Ormai è una battaglia personale anche tra di loro, credi che non la cercherà lui stesso se non a trovasse sul campo?” anche se in un modo molto rozzo e arrogante aveva esposto tutti le maggiori preoccupazioni di Hook che, non sapendo come replicare, si limitò a lanciargli un’occhiataccia.
Un nuovo bussare interruppe la loro conversazione già arenata ed Emily entrò nella cabina con un sorriso divertito in faccia.
“Wendy dice che la cena e pronta e il nostromo con il nome strano invece ha detto che se preferite può farvi portare qui i piatti. Personalmente vi consiglierei di non perdervi lo spettacolo, manca poco che Wendy lanci fuoribordo qualcuno con tutte le stupidate che stanno dicendo” proprio in quel momento arrivarono alle loro orecchie schiamazzi e l’inconfondibile suono di spade. Più per curiosità che preoccupazione, i tre raggiunsero il ponte trovando uno spettacolo davvero singolare: Jeremia Hitt, con le guance arrossate per i troppo vino o per la magra figura, aveva la spada di Wendy puntata alla gola, di rimando la giovane aveva uno sguardo che da solo avrebbe congelato l’oceano anche all’equatore.
“Mettiamo ben in chiaro una cosa, signore” esordì con quel tono formale che tanto la caratterizzava, incurante del silenzio tombale che avrebbe reso a tutti udibile il suo discorso “Voi non mi darete ordini perché non sono la sguattera di nessuno e se vi permetterete un’altra volta a palparmi vedremo quanto sono brava a fare i maiale allo spiedo” la punta della spada scese lungo l’addome sfiorando la camicia e arrivò a puntargli lo stomaco
“Spero di essere stata abbastanza chiara” l’uomo annuì con convinzione, la risposta dovette soddisfare abbastanza Wendy che rinfoderò la spada e si voltò ignorando l’uomo appena minacciato per tornare a dedicare la propria attenzione a Stan.
“Credo ci siano ancora da riparare alcuni punti della vela maestra. È il caso di spostarci sulla spiaggia o si può fare anche a bordo?” sorprendentemente riprese il discorso come se niente fosse, dal suo atteggiamento non sembrava che avesse appena minacciato di morte un uomo con il doppio dei suoi anni ed esperienza, per lei il gesto aveva avuto lo stesso valore dell’aver scacciato una mosca fastidiosa con la mano. Si concesse solo una breve occhiata ai due capitani rimasti a distanza, offrendo loro nient’altro che un piccolo scorcio della donna che la notte prima li aveva sotto scacco.
“E tu vuoi ancora tenerla indietro?”

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Capitolo 11
*** Capitolo 11 ***




Capitolo 11

Aveva ripreso le lezioni di scherma e, contro le precedenti disposizioni di James, aveva dimostrato il proprio talento anche con la pistola. Il capitano osservò il suo allenamento sul ponte dal cassero, rimanendo sorpreso di quanto fosse migliorata in quelle settimane di assenza.
“Sembrerebbe che l’apprendimento su campo ti abbia fatto bene”
“Certo” replicò Wendy rimettendosi in posizione per eseguire un affondo al suo avversario invisibile “Ma solo perché avevo le nozioni di base”
“Non andrai lontano combattendo così” sbottò invece la voce burbera e annoiata del capitano Vane dal ponte della seconda nave, sebbene Wendy si sentì un po’ in soggezione a causa dei suoi occhi addosso cercò di non darlo a vedere, continuando i suoi esercizi
“Ragazzina sei un pirata o una ballerina?” la ragazza ebbe un fremito nel braccio destro e il lieve tremore non sfuggì all’esperto capitano
“Si può essere un pirata anche mantenendo uno stile di combattimento più sofisticato”
“Sicuramente sarai molto sofisticata quando una spada ti attraverserà da parte a parte da un angolo cieco”
“È una fortuna, allora, che a Neverland funzioni tutto a modo proprio. Del resto, l’unico avversario degno di nota è un folletto infantile e arrogante. E ho imparato a mie spese che gi uomini hanno problemi a mantenere a calma davanti a un avversario arrogante” rispose per poi pentirsene un attimo dopo. Non conosceva il capitano Vane, non sapeva come avrebbe potuto reagire alle provocazioni, sebbene lo immaginasse a causa della sua fama. Mordendosi il labbro si trovò a pensare che avrebbe dovuto imparare a tenere a freno la lingua.
“Ti auguro di non prendere mai parte a un abbordaggio, ragazzina. Con i tuoi passi di danza avresti vita breve” Wendy gonfiò le guance per trattenersi dal rispondere, l’arrabbiatura fece sì che si accorgesse in ritardo del movimento alla sua sinistra, scostandosi solo un momento prima che un pugnale lanciato nella sua direzione la colpisse ad una gamba.
“Capita l’antifona, ballerina?” Wendy si irrigidì sentendosi invadere da una rabbia incontrollata e strinse maggiormente la presa sull’elsa della spada. James stava per avvicinarsi a lei, ma qualcosa lo fece desistere: delle piccole e strane luci bianche brillarono lievi per alcuni secondi intorno alla sua figura e i suoi occhi, di solito di un limpido azzurro cielo, furono attraversati da un bagliore rosso. Così come apparve lo strano fenomeno sparì quando la giovane fu affiancata da un uomo basso e tarchiato con il naso aquilino.
“Gli altri stanno per sbarcare, signorina. Tu scendi?” Wendy ripose la spada e rivolse un sorriso educato al marinaio che faticò a non arrossire.
“Li raggiungo subito, grazie Phineas” quando i due si allontanarono, James si voltò ad osservare Charles che invece teneva ancora lo sguardo confuso sul pugnale da lui stesso lanciato e ora conficcato nel legno del ponte. Nessuno dei due seppe spiegare cosa avessero appena visto. Con uno scatto fulmineo, Charles si rivolse al proprio braccio destro
“Jack fai calare una lancia. Scendo anch’io” seppur confuso, Jack Rackam fece segno ai loro uomini di eseguire l’ordine e un piccolo gruppo salì sulla piccola imbarcazione per scendere. Quando raggiunse la spiaggia, Wendy stava dando disposizioni di qualche genere ai suoi uomini e solo una volta avvicinatosi riuscì a percepirne qualche scorcio.
“Non addentratevi troppo nell’entroterra e siate discreti, Pan avrà fatto ritorno dal proprio viaggio e non è il caso di attirarci addosso le sue ire. Nessuno deve sapere le ultime novità”
“Sì signorina”
“Faremo attenzione”
“Bene” annuì la giovane “Io vado al castello nero. Non aspettatemi in giro, tornerò prima di sera”
                                                                                                               
Sulla Jolly Roger, James si portò la mano sulla nuca reprimendo con tutto se stesso l’istinto di correre dietro a Wendy e indagare su quanto successo. Era capitano altre volte che la magia si manifestasse in quella maniera così evidente? Lei sapeva ciò che era accaduto? Al contrario suo, Charles non si fece remore ad andarle dietro, raggiungendola sulla spiaggia in poche falcate.
“Io mi preoccuperei più per il capitano Vane che per Wendy” la voce di Emily lo fece irrigidire nella sua posizione, non si aspettava di essere visto da qualcuno in quello stato. Emily sorrise andando ad affiancarlo alla balaustra
“Sembra il genere di persona che sa il fatto suo e sono sicura sarebbe in grado di mettere in difficoltà anche lui, almeno a parole”
“Charles non è un tipo tranquillo. E lei è poco più che una bambina”
“Oh capitano. Le ragazze resteranno sempre bambine agli occhi dei loro padri, ma arriva per tutte il momento di diventare donne. Wendy si è già affacciata al mondo degli adulti e lo sta facendo egregiamente” James la guardò di sottecchi, scoprendo che lei non guardava più la spiaggia bensì era rivolta verso di lui con un dolce sorriso sul viso.
“Datele fiducia, vi ha mai deluso fin’ora?”
 
“Portare uno sconosciuto in giro su di un’isola in cui tutti conoscono tutti non è esattamente il modo migliore per passare inosservati. Capitano Vane”
“Ed è più sicuro che una ragazzina se ne vada da sola in giro per un’isola popolata da pericoli?”
“Sì, se la ragazzina in questione conosce l’isola meglio del suo autonominato accompagnatore. Vi conviene restare da queste parti, io so cavarmela da sola”
“Ho i miei dubbi in merito” la vide stringere i pugni e respirare profondamente per calmarsi, dopodiché gli diede semplicemente le spalle e si inoltrò nel cuore della giungla. Seguendola, Charles rimase un po’ deluso per quella reazione così controllata, quasi sperava di veder tornare a galla la tigre che la sera prima aveva minacciato uno dei suoi uomini, ma Wendy non gli diede alcuna soddisfazione continuando a camminare a passo di marcia tra quella vegetazione di sottobosco come l’avesse fatto ogni giorno.
“Dove stiamo andando?”
Io sto andando il più lontano possibile da qui. E da voi, capitano. Il mio consiglio spassionato e di tornare alla vostra nave prima che cacciarvi nei guai”
“Potrei dirti la stessa cosa”
“Potreste, se ci trovassimo sulla vostra isola, ma qui siamo a casa mia”
“Ragazzina non cambierò idea, quindi mettiti l’anima in pace” nel silenzio della camminata successiva, il capitano Vane notò che si trovarono a percorrere un tratto di bosco incontaminato per poi sfociare in un altro che, al contrario, vedeva decine di sentieri incrociarsi in più punti. Wendy sembrava sapere esattamente dove stava andando. Arrivarono in uno spiazzo stranamente abbastanza libero dalla vegetazione al cui margine, su un lato che forse era a sud, c’era una piccolissima capanna che neppure lo raggiungeva in altezza.
“Cos’è quest’affare?”
“Cosa? Ma per favore abbassate la voce, non voglio attirare l’attenzione” sussurrò Wendy guardandosi attorno, Charles attese che si voltasse per indicare la struttura al suo fianco. Lo sguardo della ragazza s’incupì un poco.
“È stata la mia casa personale per il tempo che trascorsi qui a Neverland da bambina” non soddisfatto della risposta Charles inarcò un sopracciglio e Wendy, con uno sbuffo, continuò
“Stavo raggiungendo il rifugio volando quando uno dei bimbi sperduti scagliò una freccia che mi prese in pieno petto. Non che mi avesse centrato per davvero, aveva colpito una ghianda che portavo al collo come ciondolo” intanto aveva aperto la piccola porta ed entrando nella casupola col braccio ne estrasse la collana con la ghianda bucata “Era il bacio di Peter” si morse il labbro in soggezione sotto lo sguardo indagatore del capitano “Una sciocchezza da bambini. Comunque, persi i sensi, forse per lo spavento o per la caduta non so, e anziché spostarmi di peso e portarmi al rifugio, Peter ordinò ai bimbi sperduti di costruirmi una casa intorno, che avesse un tetto, la porta e le finestre. Le cose tendono a non cambiare a Neverland e nonostante siano passati ormai cinque anni la casetta è ancora qui come se fosse stata appena costruita” s’infilò la ghianda in tasca e richiuse la porta pronta ad allontanarsi.
“E non è strano che il folletto non l’abbia distrutta? Mi è parso di capire che ti odi”
“A volte è impossibile comprendere cosa spinga i bambini a certi comportamenti, lo so per esperienza”
“Sei stata una bimba sperduta anche tu”
“Sì capitano” non che servisse davvero che lo confermasse
“Allora cosa ti ha spinto a voler crescere?”
“Suppongo il fatto stesso di essere una femmina. In fondo credo di aver sempre saputo che il tempo dei giochi non potesse durare per sempre e una volta sulla nave ho capito che Peter si aspettava da me qualcosa che non sarei mai stata in grado di fare: considerare anche la vita o la morte come altrui un gioco” non aggiunse altro e Charles non fece più domande. Percorsero il resto della strada in silenzio, con Wendy che camminava davanti sicura di sé tra quei sentieri più o meno battuti, finché dei rumori non giunsero alle loro orecchie amplificati nel silenzio della giungla. Sembravano urla e versi di animali, sebbene il capitano non riuscisse a identificare di che animali potesse trattarsi, Wendy invece non sembrava impressionata o preoccupata. Man mano che si avvicinavano i versi divennero parole.
“No no e no! Non puoi essere tu il capo Orsetto!”
“Sta zitto Svicolo! Io sono il più grande e quando Peter non c’è dovete fare quello che vi dico. Punto e basta!”
“Non è vero che sei il più grande. Io sono arrivato prima di te”
“NON M’IMPORTA!” Charles accelerò il passo, facendo sempre attenzione a non fare rumore, affiancando Wendy in poche falcate. Erano arrivati a Neverlan volando con la sua nave, lo sapeva e ne aveva avuto fisicamente le prove che non poteva essere stato solo nella sua testa, eppure più volte dallo sbarco aveva messo in dubbio tutto ciò che James gli aveva raccontato, altrettante volte era stato smentito senza che neanche aprisse bocca. Ne era un esempio il loro primo incontro con Wendy e la sua capacità di cambiare atteggiamento con la velocità di uno schiocco di dita di fronte a determinati comportamenti o conversazioni, oppure il ticchettio meccanico che proveniva dallo stomaco di Owen che terrorizzava James al solo sentirlo quando meno se lo aspettava. Cominciava a chiedersi quando avrebbe visto gli altri abitanti dell’isola.
Bloccarono la loro avanzata dietro una tenda di liane, lì Wendy si appoggiò con una spalla a un tronco e rimase in ascolto guardando attentamente quei piccoli scorci di vita che si intravedevano tra le liane. Non successe nulla, i bambini giocarono e litigarono come Charles suppose facessero i bambini, totalmente ignari dei due estranei a pochi passi da loro. Non rimasero molto e quando la ragazza si ritenne soddisfatta gli indicò con il capo la strada da cui erano arrivati e iniziarono a percorrerla fianco a fianco. Molte domande affollavano la mente del capitano che, però, non sapeva neanche da quale cominciare. Fortunatamente Wendy lo comprese da sola.
“L’albero dell’impiccato è il rifugio di Peter Pan e i bimbi sperduti. In tutto il tempo che trascorse qui James non lo scoprì mai, fui io a rivelargli la posizione alcuni anni fa e lui ci si recò con la ciurma con l’intenzione di avvelenare il suo avversario, nella mia ingenuità di bambina gli avevo anche detto come fare. Fallì e d’allora l’isola è cambiata, si è adattata: più volte ho percorso questi sentieri con la ciurma, ma ora la strada per raggiungere l’albero muta continuamente e solo i bambini sembrano essere in grado di trovarlo. Beh, loro ed io, per chissà quale ragione” camminava guardando i suoi piedi e con le braccia avvolte intorno al torace come avesse freddo.
“Quando Peter non c’è” continuò “la mente dei bimbi sperduti è bloccata, non pensano che potrebbero trovarsi in pericolo da un momento all’altro né provano a cacciarsi nei guai. L’assenza di Peter, durasse anche settimane, per loro non è che di poche ore. Ma non lo temono, so che lui potrebbe ucciderli per un capriccio e loro non batterebbero ciglio nel caso in cui sapessero di meritarlo come punizione per un comportamento... Io stessa mi sono vista puntare la spada alla gola molte volte, ma al contrario loro non potevo evitare che un fremito mi attraversasse”
“La paura della morte è una scelta” replicò Charles ricordando, come se lo avesse appena pronunciato, ogni parola del discorso fatto ai pirati poco prima di essere impiccato. La mano destra andò in automatico a tastare la gola su cui sapeva non esserci più alcun segno del cappio, Wendy non notò il gesto.
“Solo uno stolto non ha paura, che sia della morte o di qualsiasi altra cosa. La paura ci fa tenere la guardia alta e gli occhi aperti, un avversario che ha paura è più pericoloso perché è imprevedibile. E poi, prima o poi tutti dobbiamo morire, semplicemente alcuni scelgono se farlo da vecchi in un letto o finire i propri giorni con un’arma in mano”
“I pirati non invecchiano” borbottò più per avere qualcosa da dire che per reale convinzione. Riflettendoci ora, con il senno di poi, non aveva mai immaginato la sua vita lontano dal mare, non si è mai immaginato mentre invecchiava...
“Avete ragione” Wendy si fermò per voltarsi verso di lui, che la imitò immediatamente “I pirati non invecchiano. Loro vivono nelle leggende perché muoiono giovani o in modo violento” Charles si sentì attraversato da un brivido e, di fronte a quei suoi occhi chiari, non seppe come replicare. Non ricevendo risposta Wendy ricominciò a camminare senza più voltasi, certa che lui la seguisse a qualche passo di distanza. 
 
La sua reputazione descriveva Charles Vane come una bestia, un animale selvatico che è meglio evitare come la peste. A vederlo camminare avanti e indietro nella sua cabina sembrava proprio un animale in gabbia. Respirava profondamente ma aveva l’impressione che i polmoni non si riempissero mai veramente, annaspava alla ricerca d’aria come quando morì per impiccagione. Le mani tremavano furiosamente, non capitava da quando prendeva oppiacei così forti da vedere lo schiavista che lo aveva comprato da ragazzino anche fuori dai suoi incubi.
Si trovava in quelle condizioni dal suo ritorno dalla passeggiata con Wendy, non aveva aperto bocca e neanche Jack era riuscito a farlo uscire da quello stato d’ansia. Non capiva perché le parole di Wendy lo avessero sconvolto così tanto, lui che non aveva mai saputo neanche cosa fosse l’ansia.  
“So che lui potrebbe ucciderli per un capriccio e loro non batterebbero ciglio”
Chiuse gli occhi.
“Solo uno stolto non ha paura, che sia della morte o di qualsiasi altra cosa. La paura ci fa tenere la guardia alta e gli occhi aperti, un avversario che ha paura è più pericoloso perché è imprevedibile”
Trasse un respiro profondo.
“I pirati non invecchiano. Loro vivono nelle leggende perché muoiono giovani o in modo violento”
E scagliò un pugno con forza contro la parete di legno massiccio e urlò con tutto il fiato che aveva, anche se, forse, sarebbe stato più giusto dire che ruggì.
“Come va pivello?” si voltò di scatto verso la porta che non aveva neanche sentito aprire, James Hook se ne stava con una spalla poggiata al telaio e mentre tracciava linee leggere sul legno con l’uncino.
“Io... Io non so cosa...” tento di prendere più aria, ma persino il respiro gli uscì tremante “non riesco a... respirare”
“Va tutto bene Charles” James gli si avvicinò con passo lento e tenendo le braccia ben in vista, come se avesse dovuto avvicinarsi a un animale selvatico “chiudi gli occhi e prendi un respiro profondo, poi trattieni il fiato per un po’ ed espira” Charles eseguì con il respiro e le mani ancora tremanti “Ecco, di nuovo”
Ci vollero alcuni minuti perché riuscisse a calmarsi e mettere a fuoco l’amico di vecchia data seduto davanti a lui dall’altro lato della scrivania.
“Perché...?” James scosse il capo
“È Neverland” disse semplicemente versando due bicchieri di rhum “A volte ti sembra grande e altre volte soffocante” Charles mandò giù il liquore tutto d’un fiato, al contrario il maggiore lo assaporò osservando il suo vecchio amico
“Wendy mi ha raccontato della vostra conversazione. Credeva di essere stata troppo schietta e voleva venire a scusarsi con te quando il tuo braccio destro è venuto a chiamarmi. Come minimo mi riempirà di domande quando tornerò sulla Jolly e poi si sentirà in colpa per averti sconvolto” Charles gli rifilò un’occhiata raggelante “So tenere i segreti, Charlie. Non devi proprio preoccuparti di questo. Hai problemi ben più gravi”
“Non so di cosa parli”
“Povero illuso. Scendi a patti con il tuo passato, moccioso, altrimenti tutto ciò che hai vissuto nella tua vita non servirà a niente quaggiù. Neverland può diventare un inferno decisamente peggiore di ciò che tu credi di aver vissuto”
“Tu non c’eri” sbottò il più giovane con gli occhi fiammeggianti di rabbia “Non puoi sapere com'è stato” James non se la prese per quel comportamento infantile da bambino offeso, sapeva bene cosa lo stava causando e se anche lui a suo tempo avesse avuto qualcuno che glielo spiegasse probabilmente sarebbe stato un po’ più facile sopportare.
“Allora raccontami cosa è successo dopo che sono andato via”
E Vane lo fece, raccontò tutto ciò che gli veniva in mente. Disse di come Guthrie prese il comando dell’isola di New Providence; della sua relazione con Eleonor e che per lei voltò le spalle a Teach, che fu esiliato da quel mondo che aveva contribuito a creare. Raccontò di Flint, di come sia venuto fuori dal niente e avesse cominciato a collezionare consensi e nemici in egual misura; raccontò del suo bando e la successiva vendetta contro lo schiavista che popolava i suoi incubi. Parlò anche della Urca de Lima, il più grande tesoro spagnolo su cui un pirata avesse mai messo le mani, fino ad arrivare alla sua stessa esecuzione di cui avrebbe per sempre portato i segni, seppur non visibili. 
“La verità è che, se ci fossi stato, molte cose non sarebbero successe”
“Devo darti ragione, non ti avrei mai permesso di voltare le spalle alla tua famiglia per una sgualdrina qualsiasi che ti apriva le gambe”
“Sei sempre stato molto più saggio di me. Tu hai imparato il meglio dei grandi del nostro mondo, Teach, Flint, Morgan... Io ho solo provato a imitare e fare mio quello che vedevo fare a te” sussurrò, quasi per paura che se pronunciato a voce più alta quel discorso avrebbe avuto meno valore.
“Mi stavi attaccato come un pulcino alla madre, eri ridicolo”
“E ancora non mi spiego dove hai trovato la pazienza per non buttarmi in mare, tu non sei mai stato un tipo paziente”
“Oh la voglia c’era. Diciamo che mi sei servito per fare pratica e preparami a Wendy” un sorriso nacque spontaneo sul viso di James che, poiché gli dava le spalle, non notò un’espressione molto simile sul viso dell’altro capitano.
 
Più tardi, quella stessa sera, James aveva invitato i suoi ospiti sulla Jolly Roger e lì, sul ponte, aveva loro indicato le stelle e costellazioni. Il cielo dell’Isola che non c’è non era come quello a cui loro erano abituati, e stelle sembravano brillare con più intensità ed erano centinaia, anzi no migliaia, tutte visibili ad occhio nudo con le loro sfumature diverse, per la maggiore il rosa, il giallo ed il verde. La brezza leggera e profumata di salsedine scompigliava i capelli e Wendy ridacchiava ogni volta che suo padre si trovava a scacciare malamente le ciocche che gli finivano davanti agli occhi. Ben presto Emily si ritirò nella propria cabina, accompagnata da Hook che era e restava un gentiluomo. Charles e Wendy rimasero soli sul ponte della Jolly Roger. Rimasero in silenzio per diverso tempo, il capitano poggiato alla balaustra ad osservare il mare scuro come la notte che li circondava e Wendy ancora seduta al tavolo che gli uomini avevano posizionato sul ponte per permettere ai quattro di cenare con la dovuta privacy. Aveva portato con sé il proprio diario e vi stava disegnando sopra un ritratto di James.
“Capitano Vane posso farvi una domanda?”
“Ti prego smettila di parlarmi così e dammi del tu, mi sembra una presa per il culo, e mi fanno incazzare da morire le prese per il culo” Wendy storse il naso per il linguaggio del capitano – che forse era ancora arrabbiato per la chiacchierata i quel pomeriggio –, fortunatamente l’uomo girato di spalle non la vide. Per un brevissimo istante pensò che evidentemente con lui James non dovesse essersi impegnato molto per fargli apprendere la forma corretta, o forse non gli importava poi molto.
Per chissà quale ragione, alla ragazza dava fastidio quella distanza che li separava, motivo per cui prese coraggio e lo affiancò vicino alla balaustra e lo imitò poggiandosi con gli avambracci sul bordo, stando però ben attenta a non sfiorarlo neanche, non sapeva come il furente capitano avrebbe potuto reagire all’invasione del proprio spazio personale.
“Il capitano Teach e mio padre sono conosciuti con dei soprannomi, Barbanera e Capitan Uncino. Invece lei” si morse il labbro interrompendo il discorso per un attimo “tu... Sei conosciuto in tutto il mondo con nome e cognome. Come mai?” lo sguardo limpido del capitano che di solito trasmetteva spavalderia e disinteresse s’incupì un attimo e Wendy si morse di nuovo il labbro, pronta a rimangiarsi la domanda nonostante la forte curiosità, ma Charles la precedette.
“Il nome e l’identità assumono un valore diverso quando trascorri buona parte della tua vita in una condizione di schiavitù, quando non sei altro che uno dei tanti. Il mio nome era tutto ciò che avessi in mio possesso fino all’età di quindici anni e non volevo che venisse dimenticato... Non ho mai permesso a nessuno di storpiarlo, meno che a James”
“Dovete essere molto legati” lo disse senza rifletterci con lo sguardo perso sul mare che in quel momento aveva la stessa tonalità degli occhi di suo padre, una frase appena sussurrata che però attirò l’attenzione del capitano che si voltò  guardarla. Sentendosi quasi giudizio davanti a quelle iridi imperscrutabili, Wendy arrossì vistosamente e il capitano fece fatica a non ridacchiare
“Da cosa lo dici?”
“Non ha importanza”
“Questo lascialo giudicare a me... Da cosa lo dici?” Wendy distolse lo sguardo, incapace di sostenere quello ceruleo del capitano che rimase non poco incuriosito da quel comportamento, ma non fece domande perché la ragazza cominciò a parlare
“Vi comprendete senza dire neanche una parola, sembra quasi che sappiate esattamente cosa pensa l’altro e vi basta uno sguardo per fare intere conversazioni che nessun’altro può capire. Il tuo stile di combattimento poi è molto simile a quello di James anche se più aggressivo, imprevedibile per chiunque meno che per lui che nelle poche volte in cui vi ho visto combattere è riuscito a metterti in difficoltà” Charles ghignò divertito e per chissà quale ragione decise di darle delle spiegazioni per tutte le cose che aveva notato
“È stato tuo padre ad insegnarmi a combattere, quando sono entrato a far parte della ciurma della Queen Anne’s Revenge Barbanera mi affidò a lui che non ne era molto felice. Dati i nostri differenti caratteri fu difficile andare d’accordo all’inizio e ancor di più per me sopportare il fatto che fosse così abile nel combattimento facendomi fare la figura dell’idiota davanti alla ciurma. Per anni ho osservato ogni suo movimento imitandolo come meglio potevo e quando partecipai al mio primo abbordaggio rimasi davvero sconvolto nel notare che mi guardava le spalle, proteggendomi da attacchi che non vedevo. È stato allora che è cambiato tutto e questa intesa che hai notato anche tu si è affermata con il tempo” era la prima volta in giorni che lo sentiva pronunciare un discorso così lungo direttamente a lei e ascoltò con attenzione non solo le parole pronunciate ma anche ciò che non veniva detto, come quella muta gratitudine verso James e il capitano Teach che mai sarebbe stata veramente pronunciata.



SPAZIO AUTRICE
Dunque, i capitoli di passaggio purtroppo servono. Questo in particolare l'ho scritto di getto decidendo in fase di stesura di inserirlo. Diviene sempre più evidente in questi capitoli tutti al presente la comparsa di una Wendy diversa da quella che era all'inizio, la cosa è voluta e verrà spiegata più avanti in un capitolo che è già pronto - la parte difficile sarà scrivere gli altri fino ad arrivarvi!!!!
Parliamo ora del capitano Vane che è molto OOC rispetto alla serie Black Sales da cui l'ho preso in prestito, mi piace pensare che abbia un minimo di rispetto in più per la persona che considera un fratello e quindi eviti di comportarsi come avrebbe fatto in condizioni normali, poi ricordiamoci l'esperienza dell'esecuzione, perché il capitano Vane è effettivamente morto, salvo poi svegliarsi in una realtà ben peggiore dell'inferno cui era destinato.
Non ho resistito in questo capitolo ad inserire almeno un pezzo della citazione dell'episodio 3x09, in aggiunta a quel pensiero personale pronunciato da Wendy che ha tanto sconvolto il pirata.
Ormai non manca molto alla resa dei conti, non ne prossimo capitolo ma potrebbe accadere fra due (potrei anche pubblicare un mega capitolo se solo trovassi il tempo per scriverlo).
Beh non ho altro da aggiungere per il momento, ma mi riservo il diritto di apportare modifiche future

 

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Capitolo 12
*** Capitolo 12 ***



 

Capitolo 12

“I pirati combattono con la pistola nella mano dominante e la spada nell’altra. Parti avvantaggiata perché hai già visto combattere uno spadaccino mancino ma ora devi imparare a sparare con solo pochi secondi per prendere la mira. Mi segui fin qui?” erano in piedi dall’alba a duellare con la spada, il capitano Vane si era dimostrato un avversario cocciuto ma capace che le stava dando filo da torcere e cominciava ad accusare la stanchezza.
“È rischioso. Potrei colpire chiunque e le pistole hanno bisogno di tempo per essere ricaricate”
“Per questo è utile averne almeno due addosso”
Sul cassero di poppa James osservava il loro allenamento, totalmente diverso da quello della mattina precedente in cui Wendy si allenava da sola negli affondi. Charles stava mantenendo la calma, per quanto glielo permettesse quel suo brutto caratteraccio, e soprattutto stava portando molta pazienza nello spiegarle i movimenti e rispondendo alle sue domande. Emily poco dietro di lui osservava la stessa scena. 

“Non sembra neanche la stessa persona scontrosa di ieri” esordì affiancandolo “Sembrano quasi più affiatati. Tu sai cos’è successo ieri?” James la guardò di sottecchi e, avendo imparato a conoscere la natura schiva del capitano, si affrettò a spiegare
“Sembrava infastidito, anche se forse non è la parola più adatta, e anche Wendy si comportava in modo strano. Mi ha raccontato della loro conversazione e del luogo in cui l’ha portato”
“Mh sembra che siate parecchio affiatate anche voi due” era evidente il tentativo di James di cambiare argomento e, anche se controvoglia, Emily lo assecondò, almeno in un primo momento.
“È così formale, così seria e in continua richiesta di approvazione... Mi ha raccontato del fidanzamento combinato con un tale Whit-qualcosa, e di essere fuggita per tornare qui a Neverland. Ha fatto tutto ciò che era in suo potere per non dimenticare questo posto ed è riuscita a tornare. È perché tu sei suo padre?”
“In verità non lo so. Mab, la regina delle fare, dice che Neverland non ha ancora finito con lei, ma non ci credo. Penso che abbia omesso qualcosa”
“E per ciò che ha detto Owen, ha detto che Wendy è magica. Che cosa significa?”
“Penso che al momento giusto Wendy potrebbe sorprenderci tutti” Emily lo guardò di sfuggita incontrando lo sguardo ceruleo di James che ebbe la medesima idea. Si sorrisero in lieve imbarazzo poco prima che il capitano prendesse in mano le redini della situazione avvicinandosi a lei fino a farla poggiare contro il suo petto e le lasciò un bacio sulla tempia.
 
 
Emily amava guardare le stelle e ancora di più l’aveva amato durante il viaggio in nave dall’Inghilterra ai Caraibi, guardare le stelle dal piccolo oblò della stanza che era la sua prigione era la sua unica via di fuga. Dal suo risveglio sull’isola sperduta nel tempo, nelle notti di insonnia, prese l’abitudine di camminare sotto la luce della luna e delle stelle. Anche quella notte in cui il sonno tardava a raggiungerla si trovò a camminare sul ponte silenzioso della nave ammirano quel meraviglioso cielo così diverso da quello a cui era abituata. Meravigliata, ripercorse a memoria le costellazioni che James le aveva indicato qualche ora prima sorridendo tra sé e sé quando le ricordò tutte, una parte di lei però rimpianse di non avere il telescopio regalatole da suo padre. Per un momento il suo sguardo s’incupì, quanto le mancava suo padre. Sir Malcom Gilbert aveva sempre avuto un sesto senso fuori dal comune, diceva di essere in grado di fiutare un mascalzone a miglia di distanza e il più delle volte non sbagliava, compreso Woodes Rogers. Con una stretta al cuore Emily si chiese come avesse reagito il suo anziano padre alla notizia della sua prematura morte. Chissà poi che gli avessero detto: che era morta per una qualche malattia o scomparsa durante una tempesta? Dubitava avessero detto di un rapimento da parte dei pirati, Malcom l’avrebbe cercata anche in capo al mondo, ma Woodes avrebbe invece potuto usare questa idea per costruirsi chissà quale storia strappalacrime. Si stinse maggiormente nella vestaglia azzurra, più per consolazione che per freddo e tornò a camminare immersa nei suoi pensieri, ignara degli occhi azzurri che da un angolo particolarmente buio non l’avevano mai persa di vista.
Nonostante vestisse ancora i suoi panni aristocratici, sembrava a suo agio sulla nave pirata come vi avesse sempre vissuto. Camminando immersa nei suoi pensieri finì quasi per scontrarsi con James che invece se ne stava in un angolo buio a fumare il sigaro.
“Insonnia, signora Rogers?” la donna sgranò gli occhi e sicuramente il suo cuore saltò un battito per quell’apparizione improvvisa, James approfittò dell’oscurità che lo circondava per sorridere divertito.
“Gilbert” esordì con l’affanno e una mano sul petto nella speranza di calmare il battito infuriato “se proprio volete chiamarmi signora, capitano. Altrimenti solo Emily, per cortesia” James ghignò ancora lasciando uno sbuffo di fumo prima di avvicinarsi a lei.
“Soffrite d’insonnia, Emily?” la donna si avvolse meglio nella vestaglia azzurra e lo osservò con quegli imperscrutabili occhi scuri.

“Non proprio, a volte mi faccio prendere dai brutti pensieri. Mi sorprende che ancora riesca a stare a bordo di una nave senza sentirmi soffocare”
“Non sono sorpreso, ma ognuno affronta i traumi a modo proprio. Voi siete una donna straordinariamente forte e coraggiosa” incoraggiata da quelle parole, Emily gli si avvicinò fronteggiandolo sicura di sé come era stata una vita fa.
“Abbastanza da essere notata da te, capitano?” senza distogliere lo sguardo dagli occhi scuri di Emily, James aveva ormai perso l’interesse per il sigaro che spense strofinando la miccia sulla struttura della protesi a uncino.
“Abbastanza, sì” evidentemente ciò che vide in quelle iridi gli piacque abbastanza da fargli chinare il capo nella sua direzione ed Emily già pronta ad accoglierlo. Le loro labbra s’incontrarono in un bacio irruento e focoso, con le mani delle donna strette al bavero della giacca del capitano per tirarlo a sé e prima di rendersene conto James stava guidando entrambi sotto coperta.
Stranamente, tra i due non vi era imbarazzo. L’equipaggio della Jolly Roger era profondamente addormentato e, silenziosamente, i due si diressero verso la cabina del capitano. James le faceva strada tenendola per mano e camminando all’indietro su quei ponti che conosceva meglio di chiunque altro, non voleva interrompere il contatto visivo con lei, né tantomeno smettere di baciarla. Risero in silenzio come due ragazzini quando si trovarono a percorrere il corridoio che separava l’accesso al primo livello del sottocoperta alla cabina del capitano, cercando di essere meno rumorosi possibile ben sapendo che Wendy alloggiava nella camera di fronte.
La risata nata spontanea sulle labbra di Emily non appena si chiusero la porta alle spalle fu bloccata in principio dalle labbra di Hook che si posarono sulle sue arrossate. Le scarpe che la donna indossava calzavano un po’ grandi e caddero sul tappeto, una dopo l’altra,  con un tonfo sordo quando il capitano la sollevò tra le braccia, di rimando Emily aveva allacciato le braccia intorno al suo collo e le gambe ai suoi fianchi. Senza smettere di baciarla per un solo secondo, James avanzò fino al grande tavolo su cui era sparpagliata roba di ogni genere, molta della quale finì rovinosamente a terra, concentrati in attività decisamente più piacevoli, i due amanti non ci fecero caso.
Mentre per il loro primo bacio fu il capitano a prendere l’iniziativa, questa volta fu il turno di Emily, che gli passò le mani sulle spalle per privarlo della giacca. James si staccò da quelle labbra solo il tempo necessario si sfilare l’indumento, dopodiché si fiondò sul collo della donna che baciò e morse, ubriacandosi dei gemiti e i sospiri che Emily cercava invano di trattenere. I lacci del bustino che la donna indossava furono ben presto lacerati dalla protesi metallica e affilata del capitano mentre la mano, esperta, andò a rimuovere definitivamente l’indumento, Emily rabbrividì di piacere quando le dita del capitano le sfiorarono il seno da sopra la camicia. La donna gli sfilò quindi la giacca che raggiunse velocemente il resto dei vestiti per terra.
“Non fare il gentiluomo” esordì con voce arrochita per la passione mentre gli slacciava i pantaloni “Non ti fermare” Hook ghignò come solo lui sapeva fare e con uno scatto lacerò la biancheria della donna.
“Non ne ho la minima intenzione” 
 
 
In quel momento la non tanto dolce voce di Wendy interruppe la loro conversazione attirando su di sé la loro attenzione.
“Porca di quella... misera!” Emily sgranò gli occhi mentre James trattenne un ringhio.
“Beh questo giorno non è oggi. WENDY! QUANTE VOLTE TE LO DEVO DIRE CHE NON VOGLIO SENTIRE CERTI TERMINI DA TE?!”
Wendy sbuffò senza voltare il viso, più concentrata sulla spada di Vane ancora puntata al suo petto, Charles ridacchiava.
“Mi sono anche trattenuta, con tutto ciò che sento qui ogni giorno avrei potuto dire molto di peggio. E basta adesso con questa spada!” con uno scatto arrabbiato scacciò la lama con le nocche come fosse stato un insetto, trattenendo un lamento di dolore, non si ferì ma la sua espressione non sfuggì al capitano che le afferrò la mano con uno scatto rapido.
“Dobbiamo procurarti delle polsiere rinforzate, se proprio vuoi scacciare una lama in questa maniera devi essere protetta” Wendy arrossì mentre la sua piccola mano era stretta in quella più grande e callosa dell’uomo.
“Credi che sia necessario?”
“Naturalmente, se vuoi continuare a fare certi azzardi”
“Oh andiamo, non essere melodrammatico” e sfuggita alla sua presa corse su per le scale verso James ed Emily.
“È stato divertente vedermi fallire così miseramente?”
“Sciocchezze, sei stata davvero brava Wendy. E poi devi tener conto che il tuo avversario non è uno sprovveduto, bensì un pirata che sa il fatto suo. Forse solo James riuscirebbe ancora oggi a metterlo in difficoltà” Wendy sorrise al complimento di Emily, ma cercò di evitare lo sguardo di Charles che l’affiancava con naturalezza, inconsapevole delle sensazioni che la sua sola vicinanza provocava nella giovane.
“Sinceramente non so se sarò mai in grado di combattere in quella maniera. E poi neanche mi servirà qui, c’è un solo avversario veramente pericoloso. Vero papà?” un sorriso nacque spontaneo sulle labbra di James che si sentiva sempre scaldare il cuore le volte in cui Wendy lo chiamava papà.
“Esattamente. E Pan è un mio problema, non gli permetterò di avvicinarsi a te... Ma per quanto riguarda le polsiere sicuramente potranno tornare utili”
Esattamente come il giorno in cui James finì nel limbo, era una giornata che Wendy avrebbe definito elettrica, un aggettivo che, sapeva, i suoi compagni di viaggio non avrebbero potuto comprendere senza le dovute spiegazioni. Ma James sembrava tranquillo, così come Emily e Charles. Comprendendo di essere l’unica a sentirsi nervosa e senza apparente ragione, Wendy rinfoderò la spada nella cintura.
“Io scendo a terra per qualche ora” esordì avvicinandosi alle scialuppe
“A fare?” Wendy volse gli occhi al cielo, era ovvio che suo padre avrebbe avuto da ridire, forse era una caratteristica tipica dei genitori.
“Due passi? Smaltire la sconfitta? Non lo so, troverò qualcosa da fare”
“Wendy non mi vanno bene queste scampagnate sull’isola. È estate, Pan è qui e potrebbe attaccarti”
“Peter sa volare, potrebbe attaccare le navi in qualsiasi momento solo per il gusto di farlo. È molto più probabile che attacchi voi che siete un bersaglio fermo piuttosto che me mentre corro per la giungla. Sa che posso dargli filo da torcere lì in mezzo alla vegetazione” intanto aveva indossato intorno al busto la cinghia di cuoio contenente la pistola che ora era adagiata contro le sue costole. Si trattava di uno dei consigli che Charles le aveva dato per tutta la mattina: pistola nella mano dominante e spada nell’altra; più di una pistola addosso ma senza necessariamente sfociare negli eccessi di Barbanera; coltello nello stivale.
“Non mi sembra comunque un motivo valido per andare a zonzo da sola”
“Owen è sceso a nuoto all’alba. Lo raggiungerò e mi accompagnerà lui” se prima era apparentemente tranquillo, davanti alla prospettiva che Wendy sparisse dal suo campo visivo sembrava aver ora un diavolo per capello. Ed era più che pronto a iniziare quella che sarebbe stata una sanguinosa battaglia verbale con sua figlia, se la voce di Emily non lo avesse preceduto.
“Mi sembra una splendida idea, Wendy. Posso venire con te?” Wendy che, d’altro canto, stava a sua volta affilando gli artigli, spostò immediatamente lo sguardo sulla bellissima donna che le sorrideva gentilmente.
“Certo” un sorriso le si aprì in volto “Mi farebbe molto piacere”
“Allora mi preparo e vengo con te” inutile dire che qualsiasi cosa i due capitani avessero da ridire fu totalmente ignorata dalle donne che, chiacchierando di discorsi futili, si fecero accompagnare con la scialuppa sulla terraferma.
“Spero che tu sappia in cosa stai andando a cacciarti” James si voltò con un’espressione annoiata verso Charles, seduto con le gambe penzoloni nel vuoto su una balaustra “Una donna con le palle così puoi gestirla, ma due?” il maggior sospirò chiudendo gli occhi per un attimo.
“Acqua in bocca con Wendy. Prima o poi lo saprà, ma non voglio che lo scopra per una tua indiscrezione”
 
“Sai, credo di essere scesa a terra l’unica volta solo per venire a cercarti. Non avevo notato quanto questo posto fosse bello questo posto” Wendy sorrise a sua volta nel vedere Emily così felice, trovandosi però presto ad abbassare lo sguardo in imbarazzo. Ogni volta che la guardava non riusciva a capacitarsi di quanto fosse bella e non per il trucco sul viso, i capelli acconciati o per un abito all’ultima moda che indossava. No, decisamente aveva poco a che fare con la bellezza delle donne inglesi del suo tempo a cui era abituata. Emily era genuina e per questo incantevole.
“Non abbassare lo sguardo” come se le avesse letto nel pensiero, la donna le sollevò il viso con due dita sul suo mento “E chiedi pure se hai domande, non mi offendo”
“Scusami” già da qualche giorno avevano preso a darsi del tu, del resto i due equipaggi erano i soli adulti civilizzati sull’isola e mantenere quelle apparenze di un mondo che non gli apparteneva più sembrava una presa in giro, per non essere volgari come lo era stato il capitano Vane solo la sera precedente.
“È solo che fa un certo effetto vedere una donna elegante come te da queste parti. E in realtà mi fa strano anche solo chiacchierare con un’altra donna qui a Neverland”
“Non ne avevi mai incontrate altre?”
“A meno che non contino del donne della tribù indiana o le sirene, ma nessuna di loro cambia fisicamente con lo scorrere del tempo e non si poteva tenere una qualche conversazione. Se avessi voluto sottostare ai comandi di un uomo sarei rimasta a Londra, non sarei di certo andata a una festa di nativi americani”
“Eppure fai parte di un equipaggio di pirati, sotto un capitano”
“È diverso. Alla fine dei conti, neanche da bambina James mi ha trattata in modo diverso da quello che vedi ora. È esigente, ma mi tratta come voglio essere trattata. Il giorno in cui da bambina tornai a casa mi usò come scudo umano per convincere Peter a lasciarci in pace” rise dell’espressione sconvolta della sua interlocutrice.
“Non che mi avrebbe davvero fatto del male, era una messinscena perché Pan non sapeva che James fosse in realtà mio padre”
“Beh, possiamo dire che ti piace il rischio, Wendy Hook” passeggiarono per un po’ senza dire nulla finché la maggiore non ruppe il silenzio.
“Perché hai lasciato Londra? Non so molto di questo posto, ma sembra che arrivarci sia più complicato di ciò che sembra” Wendy sospirò.
“Per l’esperienza avuta dai miei fratelli, so che una volta cresciuti i bambini dimenticano Neverland, accantonandolo il ricordo come un gioco dell’infanzia o un racconto della buonanotte. Io invece ho continuato a ricordare e senza il minimo sforzo. Non avevo bisogno di impegnarmi per ricordare il rifugio, le fate, le acque cristalline della baia del medesimo colore degli occhi di James, né la nostra ultima conversazione... Prima di salutarci mi aveva donato un fischietto d’argento, era l’oggetto con cui le fate lo avevano riportato a Neverlad quando fosse stato pronto per affrontare Pan. Mi disse che se avessi avuto bisogno di lui, soffiare in quel fischietto ci avrebbe riportati l’uno dall’altra e così feci la notte in cui tornai qui. I miei genitori avevano deciso che avrei sposato il figlio di un uomo che lavorava in banca con mio padre e a sua volta avrebbe avuto un brillante futuro nell’ambiente. Mi sentì tradita come mai nella mia vita, perché George, il nome dell’uomo che mi ha fatto da padre a Londra, mi aveva promesso che non sarei stata obbligata a fare qualcosa che non volessi, incluso il matrimonio. Sono corsa fuori dalla sala da ballo e per le strade della città, probabilmente sarà diventato uno scandalo, e una volta raggiunto il parco semplicemente soffiai nel fischietto. Tutto qui, ho aperto gli occhi ed ero sdraiata tra i cespugli qui vicino che circondano la spiaggia” Emily annuì pensierosa.
“E cosa immagini nel tuo futuro, se non il matrimonio? Vuoi restare a Neverland per sempre?” Wendy storse la bocca in una smorfia.
“Ci ho pensato spesso. Mi basterebbe solo avere più tempo” cogliendo la muta domanda negli occhi della mora, si prese qualche secondo prima di continuare “Più tempo con mio padre, anche se ora che so tutta la storia non credo sarò più capace di dirgli addio. Più tempo per riflettere, per capire come agire. Più tempo per innamorarmi e conoscere davvero l’uomo che dovrei sposare e non perché qualcuno l’ha scelto per me”
“E stai già pensando a qualcuno?” Wendy arrossì ma non rispose “Il capitano Vane, magari?”
“Impossibile” replicò interrompendola e accelerando il passo così che non potesse vedere le sue gote farsi ancora più rosse.
“Perché mai?”
“Non fa altro che farmi notare le mie mancanze, il mio essere troppo giovane. Ha da ridire su tutto”
“Però ti piace”
“Irrilevante”
“Oh Wendy! Gli uomini sono tutti un po’ bambini: parlano senza riflettere per poi pentirsene e sminuiscono ciò che non possono avere, mentre hanno un occhio di riguardo per ciò a cui invece tengono. Charles Vane non è diverso dagli altri uomini” con il viso ormai rosso come i suoi capelli per l’imbarazzo, Wendy rifletté velocemente trovando il modo di tirarsi fuori da quella scomoda conversazione con un semplice strategia militare: la miglior difesa è l’attacco.
“E tu, Emily?” domandò voltandosi di nuovo verso la sua interlocutrice.
“Io cosa?” colta di sorpresa Emily non si rese conto di esser caduta nella trappola.
“Provi interesse per qualcuno. James Hook, magari?” fu il turno della maggiore di sgranare gli occhi e schiudere le labbra sorpresa “Gli uomini fanno attenzione a ciò a cui tengono e James non ti toglie gli occhi di dosso” improvvisò.
“Non stavamo parlando di me, mi pare”
“D’accordo. Ma, per quel che vale, formereste una bella coppia” questa volta fu il turno di Emily di arrossire.
“Discorso chiuso, signorina” esclamò Wendy a un certo punto Emily l’affiancò prendendola a braccetto “Colore preferito?” Wendy rise, ammirando lo stile con cui la donna cambiò discorso senza neppure mascherare le sue intenzioni.
“Il blu. Il tuo?”
“Rosso”
 
 
Correvano a perdi fiato, Emily mandata avanti da Wendy che non faceva che voltarsi indietro, la pistola nella mano dominante e la spada nell’altra come le era stato insegnato dal capitano Vane. Non c’era nessuno dietro di loro, eppure correvano come se avessero avuto il diavolo in persona alle calcagna, nel caso si fosse trattato di Peter Pan la descrizione non sarebbe andata di molto più lontana dalla realtà.
“Wendy. Wendy dobbiamo rallentare” la giovane aveva accelerato il passo, riuscendo ad affiancare Emily che era più rallentata a causa delle gonne ingombranti, fortunatamente gli stivali erano abbastanza comodi.
“No. Continua a correre. Portiamoli lontano dalla spiaggia” e così fecero, corsero fino a perdere il respiro e ciononostante continuarono comunque, finché non giunsero nei pressi del castello nero.
“Weeendy” esordì una voce cantilenante che a causa dell’eco rimbalzava sulle pareti di pietra del castello in rovina.
“Weeendy. Vieni fuori ovunque tu sia” la giovane non si muoveva e anche i respiri erano ridotti al minimo, continuava a guardarsi attorno voltando solo gli occhi da una parte all’altra. Le due donne si erano nascoste in una nicchia nella parete, nascosta dietro un arazzo mezzo distrutto che da lì dentro permetteva di vedere attraverso la trama, lo stesso non era possibile dall’altro lato a causa dell’oscurità che le circondava in quel rifugio.
“Non puoi nasconderti in eterno Wendy. O forse dovrei chiamarti capitano Jackie Redhand? Ho sentito di un’elezione che si tenne proprio qui” il respiro di Wendy si fece più pesante così la giovane decise di trattenere il fiato, la mano che stringeva la pistola tremava un poco.
“Ho una sorpresa per te Wendy. Non dirmi che non vuoi il mio regalo” ancora non risposero, Peter si faceva sempre più nervoso. In qualche corridoio indistinto sentirono un forte frastuono, come di qualcosa che veniva scaraventato contro le pareti.
“ALLORA SCAPPA WENDY! Ma non puoi sfuggirmi per sempre, non qui dove comando io. SOLO IO, È CHIARO?!”  
 
Il sole era ormai tramontato e i colori caldi del tramonto erano stati velocemente soppiantati dai toni molto più freddi della sera. Ogni minuto che passava James Hook si sentiva più inquieto.
“Dove cazzo sono andate a cacciarsi quelle due?! Una passeggiata sull’isola. Certo, così imparo a non credere alle solo scuse campate per aria. Come minimo si sono messe nei guai, giuro sul cielo che appena tornano nessuno le salverà da una bella lezione. Sissignore, quanto è vero che mi chiamo James Hook”
“Credevo ti chiamassi Turner” Hook lasciò un’occhiataccia al più giovane che non si era mosso di un passo dai sacchi su cui era sdraiato, incurante del suo fare avanti e indietro.
“E poi devi essere davvero sconvolto se imprechi come un volgare marinaio qualsiasi”
“Tu taci. Che ce n’è anche per te. Mi chiedo come fai ad essere così tranquillo”
“Perché dovrei agitarmi?”
“Oh non saprei, ormai corri dietro a Wendy come fossi un cane in cerca di affetto. Ma, ti prego, correggimi se sbaglio” fu il turno di Charles si fulminarlo con lo sguardo ma, stranamente, la cosa non fece sentire meglio il maggiore che riprese a camminare, se avesse continuato così non dubitava che sarebbe finito con lo scavarci un solco.  Avrebbe continuato in questa maniera fino al ritorno delle due donne, se Charles, seccato da quell’andirivieni, non gli avesse lanciato contro qualcosa trovata lì accanto. Caso volle che si trattasse del diario di Wendy che, cadendo, si aprì su un paio di ritratti fatti dalla ragazza.

“Ha talento la ragazzina, riesce quasi a farti sembrare meno bestia di quel che sei” Charles alzò lo sguardo, sorpreso dal tono non più ansioso usato dall’amico, dopodiché lo raggiunse osservando insieme a lui le due immagini. Ebbero il buonsenso di non leggere i pensieri appuntati su quelle pagine, ma non si vietarono di sfogliare il diario e osservare gli altri ritratti, erano per lo più scene quotidiane: membri dell’equipaggio intenti a svolgere mansioni sul ponte, il veliero visto dalla spiaggia, la casa sull’albero, Emily che leggeva un libro e il castello delle fate esattamente come era quel giorno in cui, da bambina, cominciò a vedere il mondo con occhi diversi.
“Ho un brutto presentimento” Charles distolse lo sguardo dalle pagine per rivolgerlo all’amico. James gli occhi vuoti e la mandibola contratta “Sta per accadere qualcosa”
“Ca-capitano” Spugna li raggiunse paonazzo in viso e con gli occhi sgranati. I due uomini si ricomposero prima di voltarsi nella sua direzione.
“Cosa succede Spugna?” chiese James riponendo il diario su un ripiano con una tranquillità che decisamente non gli apparteneva.
“C’è qu-qualcuno sull’isola”
“Pan è tornato? E Wendy?”
“No no, capitano. Nessuno dei due. Sono altre persone, altri adulti” James sgranò gli occhi a sua volta e si corse a prua dove un marinaio di cui Charles non ricordava il nome gli porse un cannocchiale, un altro fece altrettanto con il capitano Vane quando si avvicinò.
Quattro figure stavano avanzando sulla spiaggia, una delle quali, una donna, si trovava in grande difficoltà a causa della lunga gonna che indossava. La mano di James prese a tremare vistosamente.
“Hook. Quello... Non può essere”
“PREPARATE UNA SCIALUPPA! Quattro di voi con me, ben armati” Charles li seguì a ruota dopo essersi assicurato che le pistole che aveva addosso fossero cariche. Nel mentre, sulla spiaggia, Wendy apparve dalla vegetazione con la spada sguainata e la pistola nell’altra.  
“Wendy per l’amor del cielo!”
“Oh mio Dio! Abbassa quell’arma!” Wendy non reagì, gli occhi fissi in quelli cerulei dell’uomo più grande e ben vestito che era davanti a lei e che stava facendo da scudo al resto della sua famiglia. Era identico a l’ultima volta che l’aveva visto – quanto tempo era passato: un mese? Un anno?
“Wendy, bambina mia. Abbassa l’arma, ti prego”
“Wendy che sta succedendo?!” a quel punto lo sconosciuto fece la cosa più stupida che avrebbe potuto fare: sottovalutò il pericolo rappresentato dalla ragazza e voltò il capo nella direzione opposta verso gli uomini armati fino ai denti che avanzavano nella loro direzione. Fu quindi la mano di capitan Hook a vacillare.
“Li vedi anche tu o sta succedendo nella mia testa?” Wendy non aveva scostato lo sguardo dai nuovi arrivati che invece non sapevano dove guardare, alternando lo sguardo da una persona armata all’altra. Charles si avvicinò a Wendy fino ad affiancarla e, con una delicatezza di cui non si credeva capace, la convinse con la pressione della sua mano ad abbassare la pistola.
“Va bene ragazzina. Ora ce la vediamo noi” ma il suo sussurro all’orecchio della giovane fu coperto da altre voci che penetrarono nella testa di Wendy come un proiettile. 
“Che ci fai qui Mary?”
“Oh mio Dio, James!”

 
SPAZIO AUTRICE
Sì, un altro capitolo di passaggio e mi rendo conto che molti dei personaggi stanno cadendo in comportamenti OOC, soprattutto per quanto riguarda il capitano Vane.
Emily è un personaggio inedito che mi sembrava perfetta da affiancare a Hook, ovviamente andando vedendo perché essendo una storia ancora in fase di scrittura tutto può cambiare.
Il prossimo capitolo è quasi pronto e, purtroppo, credo mi farò odiare per ciò che vi ho raccontato, sto solo decidendo su quando concluderlo e se spezzarlo.
E vabbé, direi che posso fermarmi qui perché non ho molto da spiegare. Fin qui non ho neanche dovuto inventare chissà che cosa, al contrario di scene future già pronte.
A presto

 

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Capitolo 13
*** Capitolo 13 ***


Capitolo 13

“Wendy! Per quale sacrosanta ragione hai in mano un’arma? Posala immediatamente, non sta bene che una donna sappia usarle” la giovane donna contava anche i propri battiti di ciglia per non perdere di vista l’altra donna che considerava in quel momento la propria maggiore nemica. Mary indossava un abito da giorno blu oltremare, con il corpetto stretto e il colletto alto con il pizzo bianco sul bordo. Aveva i capelli spettinati probabilmente a causa del viaggio in volo fin lì e in generale sembrava molto provata dal viaggio, sicuramente non era più abituata a tali avventure. Suo marito accanto a lei aveva anche lui i capelli spettinati, la giacca chiusa male e gli occhiali da vista storti. Per la prima volta si era comportato da uomo, facendo da scudo alla sua famiglia, ma Mary lo affiancò immediatamente non appena riconobbe James Hook. Gli ultimi due, John e Michael, si davano le spalle a vicenda, osservando le persone che un po’ alla volta li stavano circondando. 
Anche Wendy aveva avuto quell’aspetto al suo arrivo a Neverland? Forse, magari a primo impatto, ma ricordava che le guance le facevano male per quanto stesse sorridendo. Mary, invece, non sorrideva, raramente l’aveva vista arrabbiata e in quel momento le parve addirittura furiosa mentre alternava lo sguardo da sua figlia al capitano pirata al suo fianco. James non si era mosso di un solo passo e, più che Mary, osservava quell’uomo che era la sua copia e che aveva un’espressione smarrita.
Incurante della richiesta della donna, Wendy mantenne la presa ferma su pistola e spada, non le sfuggì come i presenti fossero decisamente più concentrati sulla prima, inconsapevoli di quanto invece fosse diventata abile con le armi bianche. Hook, al contrario, lo sapeva bene, motivo per cui agganciò il braccio di Wendy con l’uncino e tirò fino a farle abbassare la spada, il braccio con la pistola seguì il medesimo esempio poco dopo.
“Che cazzo ci fate qui?!” sbottò poi stringendo convulsamente i pugni ormai vuoti, sentendo immediatamente la mancanza delle armi che le davano tanta sicurezza.
“Wendy Angela Moira Darling, modera il linguaggio” replicò George con occhi furenti “Non è così che ti abbiamo educata” una scarica di rabbia mai sperimentata prima attraversò a giovane, dischiuse le labbra per rispondere a torno, ma il colpo di grazia doveva ancora venire.
“Giuro, Wendy, io non ti riconosco più” esordì Mary con tono greve “Hai fatto una scenata a un ballo in società, sei scappata di casa sparendo nel nulla per mesi, sei tornata qui, a Neverland e in ultimo ti ritrovo vestita di stracci e parte di una ciurma di pirati” lottò con tutta se stessa per non abbassare lo sguardo davanti a quelle accuse. Dal suo punto di vista, non aveva fatto nulla di male ma, ciononostante, non poté evitarsi di sentirsi come una bambina rimproverata. Era la prima volta che sua madre la rimproverava, solitamente era suo padre ad aver da ridire sul suo comportamento e, comunque, le divergenze si erano appianate dopo la prima lunga assenza quando erano bambini. Contro sua madre la risposta che sarebbe stata ormai naturale le si bloccò in gola, lasciandola con le labbra dischiuse e gli occhi sgranati. 
“Tanto meglio. Altrimenti a quest’ora l’avreste fatta sposare a uno di quei giovinastri di buona famiglia coi capelli impomatati, no? Erano queste le vostre intenzioni quando Wendy è tornata qui” c’erano dei piccoli dettagli che aiutavano a capire quando James Hook era arrabbiato. Innanzitutto la tendenza ad alzare la voce, che in sé non era così strana su una nave in cui per farsi ascoltare devi per forza di cose urlare; i lunghi capelli ricci sembravano avere vita propria svolazzandosi sulle e dietro le spalle come un mantello a ogni movimento, appena scoperta la loro parentela Wendy non ebbe dubbi sull’averlo ereditato da lui; infine e soprattutto, il punto focale della rabbia cieca ed omicida restavano gli occhi rossi come il sangue che era pronto a versare. In quel momento coesistevano tutti e tre gli elementi.
Mary ebbe un sussulto e dopo una fugace occhiata si affrettò a distogliere lo sguardo da quegli occhi, concentrandosi sui propri piedi e sul fastidio che le stava provocando la sabbia entrata nelle scarpe.
“Signore non le permetto di intromettersi in faccende di famiglia che non la riguardano” Wendy inarcò un sopracciglio davanti a tutto questo coraggio che George stava dimostrando, coraggio o idiozia era ancora in dubbio.
“Mi riguarda più di quanto mai potrebbe riguardare te, stupido idiota” nell’incontrare direttamente quelle iridi George si sentì attraversare da un brivido di terrore, ma nonostante tremasse come una foglia sembrava più che pronto a continuare. Delle parole che si urlarono contro poco dopo, Wendy non comprese che poche sillabe sconnesse.
“Basta così” sbottò la giovane sovrastando le altre voci con la propria innaturalmente più alta “Non ho intenzione di starvi a sentire, nessuno di voi. Sono solo io a decidere della mia vita e la vostra opinione non è richiesta, soprattutto qui” voltò il capo verso il capitano della Jolly Roger “Non dargli tutto questo potere, James, abbiamo problemi più gravi a cui pensare. È stato Peter a portarli qui e sarà Peter ad occuparsene. Come non è un nostro problema” spostò quindi lo sguardo sui quattro che erano la sua famiglia “Voi non siete un mio problema” infine, dopo un’occhiata che raggelò l’intero gruppo, si allontanò verso la boscaglia, probabilmente diretta alla casa sull’albero in cui si era sistemata durante il mese di assenza del capitano. James la osservò allontanarsi, ma non si azzardò a seguirla, nervoso com’era sarebbero finiti a litigare. Al contrario suo, qualcun altro non si fece il problema, Charles infatti le corse dietro senza pensarci due volte, incuriosito dal cambio di atteggiamento di quella ragazzina che sapeva diventare focosa con una spada in mano ma arrossiva quando lui le si avvicinava un po’ di più. Mentre Owen ridacchiò lievemente, il capitano scosse il capo sconsolato: di tutte le cose che si sarebbe aspettato, vedere Charles correre dietro a una ragazzina non era decisamente nella lista.
Wendy camminava a passo svelto persa nei suoi pensieri. Pensava al racconto di James, al suo passato e i suoi trascorsi con Mary, persino alla sua stessa nascita. Perché non sentiva nulla nel trovarsi davanti coloro che erano la sua famiglia? Non li vedeva da tanto tempo ormai, eppure non aveva sentito la loro mancanza, ai suoi occhi erano poco più di sconosciuti dall’aspetto familiare.
Dall’altra parte del golfo, capitan Hook se ne stava seduto sul sofà della propria cabina. Nella mano sinistra un bicchiere di qualche liquore che non aveva ancora toccato, lo sguardo fisso sulle assi del soffitto ma la mente persa in lontani ricordi.
C’era una parte della sua storia che James non le aveva raccontato, una parte apparentemente così insignificante che aveva preferito tacerle ma che in realtà era per lui il ricordo più prezioso. In tutta la sua vita, due volte James ricorse alla magia delle fate per tornare al mondo reale, ma solo una volta fu per un desiderio che risvegliava la sua natura egoistica e provocava lo stesso opprimente dolore ogni volta che lo riportava alla memoria.
 
***
 
Acquisì consistenza un po’ alla volta e ci vollero alcuni secondi affinché gli occhi chiari si adattassero al buio della camera. Era in una stanza per bambini troppo grande per un solo ospite, numerosi pupazzi di ogni genere erano sparpagliati sui mobili, una sedia a dondolo era davanti alla finestra da cui, grazie alla luce della luna piena più che dei lampioni, i fiocchi di neve della dolce nevicata in atto proiettavano la loro ombra sul pavimento,sulla parete e sull’intruso la cui figura stonava con la delicatezza dell’ambiente. James guardò quei dettagli non disinteresse, finché gli occhi cerulei non si posarono su ciò che stava realmente cercando: una culla bianca avvolta da leggere tende di chiffon di un pallido rosa che, con la luce lunare, poteva sembrare bianco. L’angolo delle labbra si sollevò in automatico in un piccolo sorriso che non riuscì a trattenere mentre, camminando quasi in punta di piedi, cominciò ad avanzare.

Si accorse di tremare solo nel momento in cui con il braccio uncinato, provò a scostare le soffici tendine della culla. Era terrorizzato e non si capacitava del perché, si rese conto che non aveva mai avuto questo timore quando davanti a lui c’era Pan. Quasi gli venne da ridere a quel pensiero: James Hook, il pirata più temuto dei sette mari, terrorizzato da una bambina che, in quel momento lo guardava negli occhi senza timore alcuno. Non seppe perché decise di sporgersi e prenderla in braccio, lui che mai aveva anche solo pensato di tenere in braccio un bambino, anzi lui che i bambini li detestava. Ma lei non era di certo una mocciosa qualsiasi.
“Tu sei l’amore della mia vita e tutto quello che io ho... Tutto quello che io sono, ti appartiene... Per sempre*1” quasi stentò a riconoscere la propria voce, rotta da un’emozione che non credeva avrebbe mai potuto provare. Gli occhi erano lucidi e il cuore gonfio di tutte le lacrime che inghiottiva*2, la bambina era tranquilla tra le sue braccia come se lì si sentisse al sicuro.
“Papà ti ama, mia piccola Wendy” si fermò un’altra volta per inghiottire un altro singhiozzo. Papà, era la prima volta che pronunciava questa parola relativa a se stesso.
 “Ti amo più della mia stessa vita” con una delicatezza che non gli apparteneva, rimise la piccola nella culla ma, evidentemente, lei non doveva essere d’accordo perché fu sul punto di cominciare a piangere.
“No piccola non fare così” non sapeva cosa fare, James, non sapeva quanto le fate gli avrebbero permesso di restare e se qualcuno lo avesse trovato sarebbe stata la fine. Come spiegare che ci fa un pirata di oltre duecento anni e armato fino ai denti nella camera di una neonata? Oh sicuramente sarebbe stato divertente, quasi quanto spiegare come avesse fatto a salire fino al terzo piano dell’edificio senza farsi vedere da nessuno e con porte e finestre chiuse dall’interno.
Non si rese conto di ciò che stava facendo finché non si trovò a canticchiare una melodia*3 che parve calmare la bambina.
As the moon kindles the night
As the wind kindles the fire
As the rain fills every ocean
And the sun the earth
With your heart, kindle my heart
Non ricordava dove l’avesse sentita, probabilmente era una memoria che non gli apparteneva neppure, ma sembrava funzionare e per questo non ci pensò su molto.
Take my heart
Take my heart
Kindle it with your heart
Chissà se, crescendo, Wendy gli avrebbe somigliato un po’. Chissà, magari avrebbe avuto i suoi occhi
And my heart
Cannot be
Kindled without you
With your heart, kindle my heart
La melodia finì e Wendy dormiva beata stringendo nel piccolo pugno un dito di James. Dal canto suo, il capitano si riempiva gli occhi di tutta quella bellezza, certo che mai avrebbe visto qualcosa che potesse anche solo pensare di avvicinarsi a quella della sua piccola. Sua figlia, la sua bambina che mai avrebbe saputo della sua esistenza. 
Per tutta la notte rimase a vegliare il sonno della bambina che non si svegliò altre volte nonostante i sussurri dell’uomo che le raccontava di isole nei cieli, uomini coraggiosi, di un ragazzo trasformato in coccodrillo e bambini volanti.
Poi, quando i primi raggi di sole illuminarono la camera dalle parenti rosa antico, James, semplicemente, scomparve.
 

“È solo che con capisco perché si comporti così! Un attimo prima mi abbraccia dicendomi che gli sono mancata e che non mi lascerà mai più, poi rivede mia madre e torna ad essere l’uomo spregevole che ho conosciuto al mio primo viaggio a Neverland. Come può una persona sola avere così tante personalità?! È più bipolare di una donna in quel periodo del mese!” da quel poco che Charles aveva conosciuto di Wendy, l’aveva inquadrata come una giovane donna elegante e posata, con un’istruzione decisamente superiore a quella delle donne con cui lui avesse avuto a che fare. In breve aveva capito in quei pochi giorni trascorsi insieme che se quella donna arrivava a urlare così contro qualcuno doveva sicuramente avere tutte le buone ragioni di questo mondo. In aggiunta, conosceva James Hook – perché guai a chiamarlo ancora Turner – abbastanza bene da sapere che meritava ogni singola imprecazione che la giovane gli avrebbe riservato.
“Perché quel tale somiglia tanto a Hook?” Wendy si voltò di scatto nella sua direzione, quasi avesse notato solo in quel momento la sua presenza e fino ad allora si fosse sfogata urlando solo contro il vento.
“Non lo so... Non me lo sono mai chiesto” rispose con voce lieve per poi lasciarsi scivolare a terra con le spalle contro la parete “Quando tornai a Londra dopo il mio primo viaggio qui cominciai a dipingere, volevo ricordare il più possibile di questo posto e uno dei miei soggetti preferiti era la Jolly Roger. George, guardando un dipinto in particolare, disse di riconoscere il vascello, ma non ho mai approfondito la cosa. Immagino che abbiano i loro trascorsi, eppure non credevo che anche George fosse stato a Neverland” 
 
 
“Mi sembra una pessima idea”
“Lo so, l’hai già detto”
“Sì. Ma mi sembra davvero davvero una pessima idea” James volse gli occhi al cielo, sicuramente aveva sentito la mancanza di Owen in tutti quegli anni, ma non del suo comportamento infantile. Si domandava, a questo punto, perché fosse fisicamente cresciuto se era ancora lo stesso bambino lamentoso e privo di ogni senso della misura.
“Me lo sento nella pancia Jimmy”
“E cosa senti Owen?” perché lo stesse incoraggiando a continuare non lo avrebbe saputo dire, ma si trovò a fare appello a tutta la pazienza di cui era dotato, esattamente come quando erano bambini. Forse era proprio questa la risposta: quando parlava con Owen veniva fuori il bambino che era stato oltre un secolo prima e che, evidentemente, era scomparso insieme al suo amico.
“Non lo so. È come quando l’orologio sta per suonare” mormorò massaggiandosi lo stomaco. Il capitano si trovò a ridacchiare.
“Paragone interessante, ma stupido Owen. Quella sveglia suona sempre alle quattro, l’avevo impostata io stesso e dopo che l’hai ingoiata non l’ha più toccata nessuno”
“Non mi piace Jimmy”
“Lo so”
Wendy seguiva Spugna nella fila, che era subito dopo James e Owen. A dire il vero aveva anche dovuto insistere parecchio per unirsi alla spedizione, non era arrivata a fare i capricci da bambina ma aveva più volte minacciato di abbandonare qualcuno nella baia dei cannibali per poi sparire dalla circolazione e non farsi mai più vedere. Alla fine avevano raggiunto un compromesso.
“Ai miei tempi col cazzo che sarebbe stato così paziente” come si sul dire: parli del diavolo e spunta il capitano Vane. Stanco dei battibecchi tra padre e figlia, soprattutto stanco delle occhiate che riceveva dal damerino con i capelli impomatati, si era fatto avanti nella discussione proponendo la soluzione con una semplice opzione: sarebbe stato lui stesso al fianco di Wendy in quella spedizione oppure l’avrebbe aiutata ad occultare quattro cadaveri. La reputazione di Vane era divenuta leggenda dall’altra parte del mondo e non fu una sorpresa vedere George Darling essere attraversato da un brivido lungo la spina dorsale, chissà se per quelle parole o per la naturalezza e la confidenza con cui si rapportava a Wendy.
Sarebbero andati dalle fate, un’altra volta, sperando di ricevere qualche informazione in più su tutti questi nuovi arrivi sull’isola. In realtà il piano di Wendy era di allontanarsi poi per conto proprio diretta all’albero dell’impiccato e sentire se i bimbi sperduti si sarebbero lasciati scappare qualche dettaglio sul piano di Peter, ma dovette desistere dal momento che sarebbe stato molto più difficile con il capitano Vane alle calcagna.
“Credo che sia diverso a priori con Owen, forse è per via dell’infanzia trascorsa insieme. Vedi, loro si conoscevano già da quando erano bambini”
“Non riesco a immaginarmi James da bambino”
Chissà poi se le fate gli sarebbero state utili? Su questo Wendy dava ragione a Owen: era decisamente una pessima idea. Perché poi servisse tutto questo seguito non lo capiva. D’altro canto la seconda tappa era la baia delle sirene, quelle pazze odiavano Wendy ma allo stesso tempo essendo una donna non avrebbe ceduto al loro canto, come del resto James e Owen. Certo, sarebbe stato divertente vedere la reazione di Charles alla vista di quelle donne pesce di cui forse non aveva mai sentito parlare. Col senno di poi  avrebbe volentieri vissuto senza il bisogno di soddisfare quella curiosità. Sfortunatamente nessuno di loro arrivò all’albero delle fate perché la strada gli fu sbarrata da un’ombra che si stagliò davanti a loro diventando sempre più grande, sempre più scura. Pan era proprio al centro di quella sagoma che lo circondava come un’aura malvagia.
“Quante volte ancora dovrò ucciderti capitan Uncino?” poi il suo sguardo si spostò sul secondo, qualcuno che non sarebbe mai dovuto diventare uomo, e i suoi occhi si fecero spietati.
“Ma guarda un po’. Mi chiedevo che fine avessi fatto, coccodrillo” Owen batteva i denti e deglutì rumorosamente alla vista del folletto. Lo riconosceva, non solo perché il suo aspetto non era mai cambiato in tutto quel tempo, ma anche per tutte le volte in cui aveva aizzato il coccodrillo contro James. A quel punto Peter scoppiò in una risata isterica.
“Non preoccuparti capitano, non ti ucciderò oggi. Anzi, a dire il vero mi sei mancato e ho grandi progetti per te. Non oggi, però. Oggi voglio rivangare i vecchi tempi” 
Una caratteristica di Pan era che la sua ombra non so seguisse mai come faceva con la gente normale, erano cucite insieme, era stata Wendy stessa a riunirle, la quella figura scura aveva mantenuto la capacità di allontanarsi a suo piacimento. Chi conosceva questo dettaglio, come James e Wendy, sapeva di dover tenere gli occhi aperti, ma non sempre bastava.
L’ombra, che si era ritirata come assorbita dal terreno quando Peter cominciò a parlare, apparve dal nulla passò attraverso il corpo della sua vittima ridendo in un modo che fece accapponare la pelle dei presenti e Owen cadde a terra urlando dal dolore. Immediatamente il suo aspetto iniziò a mutare: le unghie si fecero più lunghe, gli occhi più grandi e coperti come da una seconda palpebra trasparente, tipica dei rettili, i capelli, sempre più radi, erano sostituiti da scaglie sempre più evidenti, i denti acuminati.
“Owen!” il capitano fu l’unico a correre in soccorso del suo amico che sollevò da terra stringendolo a sé “Va tutto bene Owen, stai tranquillo”
“OWEN!” urlò Wendy facendo qualche svelto passo nella loro direzione, ma bastò un’occhiata di suo padre perché Charles la bloccasse mettendosi davanti a lei.  
“Non voglio Jimmy! Sto tornando come prima e non voglio! Fa male” la voce si faceva meno riconoscibile a causa della lingua che, un po’ alla volta, si stava attaccando alla mandibola “Se tornerò come prima tu morirai Jimmy, non ho il controllo su quel mostro... Uccidimi!”
“COSA? Mai, te lo puoi scordare”
“NON VOGLIO FARTI DEL MALE!”
“E IO NON POSSO VIVERE SAPENDO DI AVERE UCCISO MIO FRATELLO!” si urlavano contro come se potesse servire a qualcosa, perdendo tempo prezioso, poi un sibilo animalesco uscì dalle labbra sempre più secche dell’uomo dai capelli biondi, provocando un brivido di terrore lungo la spina dorsale del capitano.
“Lasciami andare Charles! Devo andare da lui, devo aiutarlo”
“Come?” la domanda uscì più brusca di quanto avesse voluto quindi Vane diede le spalle alla scena voltandosi nella direzione di Wendy che lottava tra le sue braccia con il viso inondato di lacrime.
“NON LO SO!” l’uomo non si lasciò intimidire dalla sua rabbia mista a disperazione, non allentò mai la presa sulle sue braccia neanche quando lei smise di lottare, stringendo convulsamente la sua camicia nei pugni chiusi. 
“Ti prego James, fa troppo male” entrambi strinsero gli occhi quando la spada del capitano vestito di rosso attraversò lo stomaco dell’altro, come se il dolore lo sentissero entrambi, eppure, nonostante questo dolore lancinante, Owen sorrise con la fronte poggiata sulla spalla del suo amico. Entrambi caddero sulle ginocchia, come se il loro peso fosse aumentato tutto in una volta.
“JIMMY! Jimmy guarda cos’ho trovato! È il dente di un coccodrillo marino!” esaltato più che mai, il ragazzino dai capelli biondi raggiunse il suo migliore amico che, invece, era intento a leggere sul bagnasciuga.
“Non dire idiozie Owen, sarà un sasso particolarmente levigato dalle onde”
“Oppure è un dente di coccodrillo marino, staccatosi dalla carcassa o perso durante una lotta e trasportato fin qui” James distolse lo sguardo dal libro per fissarlo sul suo migliore amico, il color di nontiscordardime nel nero più profondo.
“Non ci sono coccodrilli marini nell’oceano atlantico e anche se mi sbagliassi di sicuro non si troverebbero vicino alle coste inglesi”
“Solo perché non ne hai mai visto uno non significa che non ci sono” era un sorriso strano quello di Owen, il sorriso di chi la sapeva lunga e che, James lo sapeva, usava solo quando voleva convincere qualcuno della veridicità di qualunque frottola stesse raccontando
“Comunque, mi ci farò una collana e la terrò finché non dimostrerò di avere ragione. Un giorno vedremo un coccodrillo marino” James sbuffò, ancora una volta il suo amico si era rigirato la situazione a proprio vantaggio, perché James negava la presenza dei coccodrilli marini sulle coste inglesi, non la loro esistenza. Decise di passarci sopra con uno sbuffo e gli lanciò una mela che teneva nella borsa di scuola, sarebbe dovuta essere la sua merenda ma aveva deciso di saltare il pasto per quella mattina per dividerla nel pomeriggio con il suo amico.
“Inizia pure la mela, intanto finisco questa pagina” Owen non se lo fece ripeter due volte e in un paio di morsi aveva già fatto fuori più della metà del frutto in questione, che porse di nuovo al moro.
“Owen ti avevo detto di iniziare la mela non finirtela! Ma che razza di morso hai?”
“Come un coccodrillo” fu la risposta ridente e ancora con la bocca piena del ragazzo con i capelli biondo cenere

Owen e James non avevano mai avuto bisogno di parlare per capirsi al volo, la maggior parte delle volte i loro pensieri erano sulla stessa lunghezza d’onda e si limitavano a scambiarsi un’occhiata che valeva più di mille parole. Quella volta non ebbero neppure bisogno di guardarsi
“Come un coccodrillo” quella fu l’ultima frase che pronunciò Owen con le labbra increspate in un sorriso tirato, da un angolo scendeva un rivolo di sangue diluito dalle lacrime che come fiumi sgorgavano dagli occhi. Non vi fu risposta dal capitano che si limitò a reggere il corpo di Owen con il braccio uncinato, mentre la mano sinistra era ancorata sull’elsa della spada. Non erano trascorsi che pochi secondi da quando il cuore del neopirata si era fermato, che il corpo perse di consistenza dissolvendosi nell’aria con una nube di cenere e polvere. Al suo posto, con un tonfo sordo, una vecchia sveglia ferma e con il vetro incrinato cadde tra l’erba davanti alle ginocchia di James il cui braccio che reggeva la spada era caduto lungo il busto, come privo di energie. Alla fine il desiderio di Owen si era avverato: sarebbe rimasto a Neverland per sempre.
 
 

*1 frase pronunciata da Barney Stinson nell’ultima puntata di How I met your mother
*2 citazione di Victor Hugo trovata online
*3 canzone/colonna sonora nel film La piccola principessa

 
 
SPAZIO AUTRICE
Siamo al 13° capitolo e, secondo la mia scaletta mentale, non dovrebbe mancare molto alla fine (sui cinque capitoli se voglio tirarla per le lunghe o se mi vengono in mente altre scene da aggiungere).
Per fare il punto della situazione: sono un mostro al pari di Peter Pan in persona (o in spirito o qualsiasi altra cosa fosse lui). Diciamocelo, mi sono accanita su questo povero personaggio di Owen come solo la Rowling si è accanita con Sirius, ironico dal momento che in Harry Potter lui era il mio personaggio preferito. Owen è un personaggio venuto fuori dall'oggi al domani, semplicemente mi sono detta "e se non fosse stato solo un coccodrillo, in quel caso ce ne sarebbero stati altri sull'isola", così ho ideato il personaggio di Owen che oggi abbiamo perso (definitivamente?, non lo so ancora). Si accettano pareri.
Scopriamo qualcosa in più sul passato di Wendy, qualcosa che approfondirò più avanti in un capitolo decisivo.
E visto che complicarmi la vita è nella mia natura, stavo addirittura pensando di scrivere un sequel ambientato nel fandom di "C'era una volta". Purtroppo lì sarebbe molta improvvisazione perché non ho modo di rivedere gli epidodi. Questo però mi permetterebbe di rendere il pesonaggio di Wendy un po' più dinamico e non solo a parole, perchè qui comunque l'ho descritta come una ragazzina di diciassette anni che sta imparando a fare il pirata.
Il prossimo capitolo potrebbe avere bisogno di tempi più lunghi per la preparazione, nel frattempo mi auguro che questo sia piaciuto.
A presto

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Capitolo 14
*** Capitolo 14 ***




Capitolo 14

Qualche giorno prima
 
Wendy aveva preso l’abitudine di trascorrere sempre più tempo sulla Ranger in compagnia di Charles che la aiutò non solo a migliorare nel duello, ma anche solo per chiacchierare come vecchi amici. In quegli incontri, talvolta in compagnia anche degli altri e altre da soli, si scoprirono come persone molto diverse da come si erano inquadrati.
Quella sera Wendy e il capitano Vane si trovarono negli appartamenti di quest’ultimo sulla Ranger a giocare a scacchi, su richiesta della giovane, ancora abituata all’etichetta del suo tempo, tennero la porta aperta. Erano anni che l’uomo non vi giocava, ricordava che era stato proprio James ad insegnargli con una vecchia scacchiera dai pezzi di legno di cui era entrato in possesso dopo l’abbordaggio di un mercantile.
“Scacco” ghignò vittorioso già immaginandosi l’espressione delusa della sua avversaria vedendo la sua tragica sconfitta. Ma la ragazza lo sorprese, e anziché disperarsi sorrise con ironia nella sua direzione
Au contraire... Ha scoperto il suo alfiere capitano, un boccone prelibato per la mia regina” così dicendo eseguì la mossa togliendo il pezzo sconfitto dalla scacchiera e fermando la regina bianca a due caselle di distanza dal re nero “Scacco matto” il tono che usò si dimostrò molto più provocante di quello che avrebbe mai immaginato e non fece che alimentare la verve fin troppo maliziosa del capitano
“Ho scoperto l’alfiere che è stato mangiato dalla tua regina, che cosa imbarazzante ed erotica allo stesso tempo” Wendy arrossì fino alla punta delle orecchie ma non per questo spostò lo sguardo da quello di Charles, sarebbe stato come ammettere una sconfitta
“Non c’è niente di... Quella parola, nel mio discorso, capitano Vane. Ed è deplorevole che lei debba ricorrere a questi mezzucci per non essere in grado di accettare una sconfitta” 
Quella parola? In questi momenti mi rendo veramente conto di avere davanti una verginella inesperta, miss Hook, riesci a rigirarti chiunque con una spada in mano ma quando ci si avvicina a un argomento riguardante la sfera sessuale arrossisci come un frutto maturo” Wendy distolse lo sguardo, tesa come una corda di violino e imbarazzata oltre ogni dire. Charles non si scompose e continuò a guardarla mentre aspirava una boccata di fumo dal suo sigaro, la ragazza si sentì studiare a fondo da quei glaciali occhi azzurri, così simili e allo stesso tempo diversi dai propri e da quelli di suo padre. I suoi occhi erano la prima cosa che Wendy notò nel capitano Vane, così limpidi nel colore e illeggibili nelle emozioni.
“Cosa sai di quell’aspetto? Che tipo di esperienze hai avuto?”
“Capitano Vane non mi sembrano discorsi adatti al luogo e-” come fosse stata seduta su spilli, Wendy quasi saltò nell’alzarsi dal suo posto puntando immediatamente la porta. Se non fosse per Charles che l’anticipò chiudendo la porta con una mano poco prima che riuscisse a imboccarla per uscire. 
“E mi sembra avessimo già deciso che mi dessi del tu”
“Qu-questo è del tutto inappropriato ed io dovrei proprio tornare a bordo della Jolly Roger” nonostante la voce tremante e le spalle al muro, Wendy non aveva paura, le sue guance erano rosse come pesche mature e gli occhi lucidi per l’eccitazione. Perché era innegabile che, forse per il trovarsi da sola con un uomo o più per l’aspetto dell’uomo in questione, la situazione fosse eccitante.

“Non mi hai risposto” Charles era ormai a un soffio di distanza da lei e la sovrastava con la sua imponente altezza mentre, con una delicatezza disarmante, le sfiorò una ciocca di capelli con le dita per riportarla dietro l’orecchio.
“I-io... No-non ho mai...” quasi non batteva le palpebre per non perdersi neanche un dettaglio di quegli occhi chiari in cui non voleva perdersi nessuna sfumatura. Più li guardava più si sentiva che avrebbe potuto perdercisi.
“Non hai mai, cosa? Non sei mai stata con un uomo?” Wendy scosse la testa, inspiegabilmente incapace di parlare, il capitano continuò a passarle le dita tra i morbidi ricci biondo fragola. L’altra mano era poggiata sulla superficie della porta e le bloccava le vie di fuga.
“E sei mai stata da sola con un uomo?”
Scosse di nuovo il capo, Charles rimase nella sua posizione con gli occhi chiari imperscrutabili che non lasciavano trasparire ciò che gli passava per la mente.
“E...” si chinò maggiormente su di lei “sei mai stata baciata?” se possibile Wendy arrossì ancora di più. Per un breve momento la sua mente si soffermò sul lontano ricordo di un lento ballato volando circondati da fate piccole e brillanti. Era solo una bambina allora, ma era pronta a dare a Peter il suo primo bacio, non immaginando come tutto sarebbe andato allo scatafascio solo pochi minuti dopo.
“No, capitano” la voce le uscì come un sussurro ma data la poca distanza che c’era tra di loro Charles non fece nessuna fatica a sentirla. Un attimo dopo si era chinato su di lei facendo combaciare le loro labbra. Il primo bacio di Wendy non fu dolce come lo immaginava da bambina sognando il principe azzurro, quel bacio superò ogni sua aspettativa. Charles Vane era un uomo di mondo, un uomo che sapeva ciò che voleva e se lo prendeva senza chiedere il permesso e lo dimostrò con quel bacio irruento e passionale. La mano destra non si mosse dalla porta, quasi temesse che giovane potesse sfuggirgli da un momento all’altro, ben lontano da quelle che erano le intenzioni di Wendy che non sarebbe scappata, neanche senza la mano sinistra del capitano sulla sua nuca per spingerla più vicina a sé. Chiuse gli occhi quando la lingua dell’uomo fece irruzione tra le sue labbra e lo assecondò timidamente andandogli incontro.
Dopo i primi momenti di esitazione, Wendy aveva affondato le dita incerte nei capelli di Charles, sorprendendosi di trovarli lisci sotto i polpastrelli e non ispidi. Quando si separarono Wendy aveva il respiro affannato e gli occhi ancora chiusi, Charles approfittò del momento per osservarla. Se possibile sembrava ancora più bella così con le guance arrossate e le labbra schiuse e gonfie che invitavano a essere baciate ancora e ancora, poi aprì gli occhi e l’uomo si perse in quelle pozze liquide e limpide come l’acqua. Era spacciato! La baciò un’altra volta anche se con meno irruenza, questa volta voleva gustarsi il bacio in ogni dettaglio e le carezzò persino la guancia con il pollice.
Wendy ricambiò il bacio aggrappandosi con le mani alla sua camicia, perdendo la cognizione del tempo e del numero dei baci che si scambiarono.
“Credo sia il caso che io vada adesso” disse in un sussurro senza spostare gli occhi da quelli del capitano che, tra sé e sé, ne ammirò il coraggio, molte delle persone che lo avevano sfidato anche solo guardandolo negli occhi non avevano avuto poi occasione di raccontarlo. La luce arancio del tramonto entrava da una finestra infuocando l’ambiente con i suoi colori caldi, i capelli di Wendy ne catturavano la maggior parte conferendole come un’aura rossa intorno al viso bianco.
“Buonanotte capitano” Charles non rispose, ma lasciò la presa sulla porta per lasciarla uscire. Mentre camminava sul ponte diretta alla passerella per la Jolly Roger, si domandò “cosa succederà adesso?”
“Bentornata signorina Wendy” lei ricambiò con un cenno della mano il saluto del marinaio quasi senza badarvi, la mente ancora ferma a qualche minuto prima e una volta sottocoperta fece fatica a non portarsi le dita alle labbra, fortunatamente si trattenne
“Sei stata via molto” esordì James palesando la sua presenza affacciato alla soglia della sua cabina, Wendy, diretta nella propria, gli sorrise sperando che sul suo viso non fosse leggibile tutto ciò che pensava in quel momento.
“Una partita a scacchi parecchio impegnativa” beh, tecnicamente non era una bugia.
“Chi ha vinto?”
“Ovviamente io” James ghignò
“Vane non sa accettare la sconfitta. Spero non ti abbia importunata” Wendy scosse il capo
“Mh-mh... E poi so gestire i prepotenti, non preoccuparti. Ti raggiungo tra poco per la cena” e riprese il proprio cammino verso la cabina, o forse sarebbe stato meglio dire che fuggì, chiudendosi la porta alle spalle. Una volta al sicuro si concesse di chiudere gli occhi e, portandosi le dita sulle labbra ancora gonfie e sorridenti, ripensò a poco prima. 

 

Agli altri due non servì vedere per sapere cosa fosse successo, di certo non servì a Wendy che, persa nel suo pianto disperato, sarebbe caduta sulle ginocchia se Charles non l’avesse stretta a sé, quasi a volerla inglobare in quell’abbraccio. Nessuno seppe dire quando Pan fosse andato via, né come poco dopo tornarono alla nave totalmente dimentichi del motivo per cui erano scesi sulla terraferma.
“È tutta colpa mia”
“Non è vero. Come potrebbe esserlo?” dal loro ritorno, Charles non aveva lasciato una sola volta la presa su Wendy, portandola persino sulla Ranger, nella propria cabina con sé. Per quanto riguardava la ragazza, invero dubitava persino che si fosse accorta di essere stata portata quasi di peso sull’altra nave. Allo stesso modo dubitava che anche James fosse consapevole di ciò che gli accadesse intorno, ma c’era Emily con lui quindi il capitano Vane poteva stare tranquillo su quel fronte.
“Sono stata io a far tornare Owen un uomo”
“E l’hai anche ritrasformato in una bestia?”
“No. Ma se fossi intervenuta, in qualche modo”
“Dei se e dei ma sono piene le tombe, Wendy Hook. Non puoi salvare tutti, ma questo non significa che lo dimenticherai” quantomeno aveva smesso di piangere, per chissà quale ragione vederla così sconvolta, così distrutta dagli eventi, fece un certo effetto sul capitano. Le lacrime non avevano mai suscitato in lui nessuna reazione, forse Wendy faceva eccezione perché era la figlia di Hook, quindi non una qualsiasi. Sì, era sicuramente per questo. Che altra spiegazione poteva dare al fatto che fossero ancora sdraiati sul suo letto, Wendy stretta tra le sue braccia e ancora entrambi con tutti i vestiti addosso? Evidentemente anche la ragazza doveva essersi accorta che non si trovavano più nel folto della giungla.
“Oddio! Mi dispiace” esordì sciogliendo il loro abbraccio, il viso rosso come i suoi capelli, e si spinse all’indietro finché non toccò con la schiena la parete su cui il letto era addossato. Letteralmente in trappola.
“Non importa” replicò l’uomo stendendosi comodamente sul materasso ignorando il senso di vuoto che si fece strada nel suo petto nel momento in cui la ragazza si staccò da lui come scottata. Per cosa le dispiaceva poi: di essersi fatta vedere piangere? Per il fatto che l’avesse tenuta tra le braccia fino a quel momento? O per il trovarsi con lui sul suo letto?
“I-io credo dovrei... Mio padre... Devo-” vedere questo suo ennesimo cambio di atteggiamento lo lasciò, come sempre confuso. Indubbiamente preferiva la ragazzina che gli rispondeva a tono, quella che il primo giorno gli aveva puntato la pistola alla testa per intenderci, la versione che aveva davanti, l’adolescente di buona famiglia che arrossiva e balbettava, non era in grado di gestirla.
“Emily sa che sei qui con me, sarà sicuramente con Hook in questo momento. Fa pure se vuoi andare anche tu. Sul ponte dì agli altri di issare l’asse e puoi passare sulla Jolly Roger” non ottenendo risposta, aprì gli occhi e osservò la sua interlocutrice, Wendy si era seduta sui talloni e aveva lo sguardo fisso sulle proprie mani.
“Ci siamo imbattute in Pan questa mattina” Vane sgranò gli occhi ma non replicò, preferì attendere che fosse lei da sola a continuare il discorso, anche perché sicuramente non sarebbe stato gentile nei modi in cui le si sarebbe rivolto e questo l’avrebbe sicuramente portata a chiudersi ulteriormente.
“Non ci ha viste. Abbiamo cominciato a correre finché non ci siamo nascoste al castello nero. L’avrei detto a papà se non ci fossimo trovati quelli davanti e mi è passato di mente... Peter sapeva che c’erano altre persone sull’isola, lui sa tutto ciò che vi succede, ma non capisce come siate arrivati e questo lo indispettisce... È colpa mia quello che è successo perché se non lo avessi fatto arrabbiare sfuggendogli questa mattina, magari non sarebbe stato in giro in quel momento e Owen... Owen non-” un singhiozzo soffocò il resto della frase, gli occhi erano di nuovo carichi di lacrime, ma non sembrava intenzionata a dargliela vinta.
“Non è stata colpa tua” per la seconda volta in tutta la sua vita, per di più nello stesso giorno, Charles Vane provò a consolare una persona, improvvisando come meglio poteva.
“Conosci Pan meglio di me, pensi che si sarebbe lasciato sfuggire l’occasione di dare filo da torcere a James? O di punire Owen per non essere più nelle sue file? Perché è questo ciò che è successo: quello che riteneva un alleato gli si è rivoltato contro e quindi doveva pagare, che fosse con la sua vita o con la sua morte. Non avresti potuto impedirlo”
“La pagherà” disse tra i denti con lo sguardo perso nel vuoto, al contrario gli occhi del capitano erano fermi sulle mani della giovane che erano di nuovo circondate da piccole scintille bianche quasi invisibili.
“Fosse l’ultima cosa che faccio”
“No, non lo farai” la interruppe coprendole entrambe le mani con la propria, erano così piccole a confronto che ci riuscì senza alcun problema “Sarai anche una ragazzina coraggiosa e indipendente, come ti descrive James. Sarai diventata una pirata per non stare alle regole che chiunque si sente in diritto di darti. Ma non sei un’assassina e mi assicurerò che resti tale”
“Perché? Che t’importa?” Charles storse la bocca, se anche avesse voluto non sarebbe comunque stato in grado di rispondere a quella domanda.
“Togliere la vita a qualcuno non è una cosa facile, Wendy Hook. Se ti può essere d’aiuto poniti una domanda: non chiederti chi stai uccidendo ma a chi stai consentendo di vivere”
 

Non era la prima volta che toglieva una vita e di certo non sarebbe stata l’ultima. La prima volta che vide qualcuno morire davanti ai suoi occhi fu durante quella famosa tempesta che segnò la fine della sua vita da mozzo e l’inizio di quella da pirata, per quanto avesse provato a tenere la presa su quel soldato la sua vita gli scivolò tra le dita lasciandogli solo quella vecchia giacca rossa da ufficiale. Ma le morti così per mare non erano una novità, fu totalmente diverso quando si macchiò veramente le mani di sangue e fu durante un abbordaggio. Si sorprese di quanto poco fosse durato il senso di colpa, complice probabilmente la pacca sulla schiena che ricevette da Barbanera per quel colpo sparato a una distanza decisamente degna di nota. Da lì era stata una strada in discesa in cui ha visto uomini cadere come insetti sotto la sua spada, come se le loro vite non avessero alcun valore. Ecco, di tutto quello che aveva vissuto in oltre un secolo di vita sembrava non ricordare nulla e allo stesso tempo percepiva sulle spalle il peso di tutte quelle vite strappate, quando ancora gli sembrava di sentire sulla propria pelle il contatto con il corpo di Owen. Non aveva avuto vita facile quel ragazzino, nato e cresciuto nei bassifondi inglesi, eppure quella sua bocca larga era sempre aperta in un sorriso. Owen non era in grado di serbare rancore o essere veramente arrabbiato con qualcuno che considerava un suo amico. Era bello pensare che nonostante il suo aspetto da adulto dentro fosse ancora quel bambino, ma ciò non faceva che aumentare il dolore per la sua perdita.
James si guardò la mano sinistra: non era imbrattata di sangue, sebbene ne avesse sentito il calore mentre sgorgava dalla ferita e lungo l’elsa della spada, neanche la lama era sporca ma se si osservava attentamente si potevano ancora scorgere piccoli granelli di polvere brillante incastonata nelle piede del ferro o negli anelli che portava alle dita.
“Lo conoscevo fin da quando eravamo bambini” esordì dopo quelle che parvero ore di silenzio “ma abbiamo trascorso la maggior parte delle nostre vite a tentare di ucciderci a vicenda... Non gli ho mai detto che non ero arrabbiato con lui per la questione della mano” Emily che era rimasta in silenzio in un angolo fino a quel momento, avanzo fino a poggiare con delicatezza le mani sulle sue spalle. James non trasalì, sebbene non si fossero detti nulla aveva percepito la silenziosa presenza della donna nella cabina.
“Mi dispiace tanto, James” disse lei stringendo lievemente la presa sulle sue spalle, probabilmente avrebbe voluto poter fare di più ma si trattenne non sapendo fin dove avrebbe potuto spingersi con lui. Fu quindi il capitano a compiere la mossa successiva: le prese una mano e la spinse a girargli intorno fino a farla sedere sulle sue ginocchia, dopodiché adagiò la fronte sulla sua spalla, con gli occhi chiusi e vulnerabile. Quello non era un atteggiamento da capitano pirata perché neanche il più tranquillo o stolto si sarebbe azzardato a commettere tanti errori – dava le spalle alla porta, non aveva armi con se all’infuori dell’uncino che sostituiva la mano destra e non aveva controllato che la donna che teneva tra le braccia fosse disarmata. Probabilmente il capitano Barbanera si sarebbe contorto nella sua tomba d’acqua a quella vista, ma il pensiero non sfiorò James che si concesse quel momento di debolezza e, allo stesso tempo, di fiducia in un’altra persona.
“Aveva paura” continuò “sapeva cosa l’aspettava, che fosse nella vita o nella morte, e temeva più la vita” il braccio destro si abbatté con forza sulla superficie di legno della scrivania, facendo sobbalzare Emily, ma le successive parole furono ciò che la fece veramente trasalire.
“Avrei dovuto proteggerlo, maledizione!” disse battendo di nuovo il lato dell’uncino sulla scrivania “Avrei dovuto starlo a sentire e invece è stato di nuovo lui a pagare per la mia idiozia! Se non sono stato in grado di proteggerlo come posso riuscirci co- Dov’è Wendy?!” il tono cambiò velocemente da distrutto ad allarmato e ad occhi sgranati passò in rassegna la stanza, come se la ragazza si fosse trovata lì a sua insaputa.
“Con Charles sulla Ranger. Non se l’è sentita di lasciarla da sola. Non preoccuparti di lei adesso... Che cosa è successo?” neanche l’ombra di una lacrima gli inumidì gli occhi durante il racconto e non se ne sorprese, al contrario il respiro si mozzò nel petto di Emily.
“Oh James... Non è stata colpa tua. Non pensarlo neanche per un momento”
“No, infatti” replicò James con tono secco, di nuovo con il viso sprofondato tra il collo e la spalla di Emily “È colpa di Pan. E ti assicuro che pagherà per questo e tutto il resto”
“Hai altro a cui pensare adesso, James”
“È lo stesso. Tutto ciò che succede qui è legato a Pan e ai suoi giochi del cazzo!” con uno sbuffo infastidito, si spostò dalla sua posizione comoda e si appoggiò allo schienale, la mano andò ad accarezzare i capelli neri e ondulati di Emily, ancora seduta sulle sue ginocchia.
“Come sta Wendy? Cazzo... Sarà stata distrutta e io non le ho prestato la minima attenzione”
“Era un po’ scossa” nel vederlo strofinarsi il viso la donna pesò le parole, come tante volte aveva fatto nel corso della sua vecchia vita, questa volta non per paura di qualche punizione bensì per non sconvolgere ulteriormente l’uomo altrettanto distrutto da quella perdita.
“Mi odierà, non è così?”
“No, James. Non riuscirebbe mai a odiarti”
Emily aveva l’aveva curato e accudito da quando lo trovarono sulla spiaggia più morto che vivo, eppure anche mentre giaceva inerme nel letto preda ai deliri della febbre non gli era parso così distrutto e ferito come in quel momento.
“Sono successe troppe cose, James. Cose che non potevi prevedere e su cui non avevi nessun controllo” 
 

Dopo la morte di Owen, Wendy era cambiata ancora. Era più distante, spesso imbronciata e la voglia di chiacchierare era sempre meno. L’equipaggio della Jolly Roger era già abituata a questo comportamento, sapevano come intervenire e, soprattutto, come non intervenire e quindi risparmiarsi gli sbalzi d’umore tipici di James Hook nei suoi giorni peggiori. Ma, tanto per James quanto Charles, era peggio vederla sola e persa nei suoi pensieri, perché i suoi occhi erano tristi e lucidi. Tutto lo stress di questi ultimi eventi la stavano distruggendo.
Charles si trovò ad osservarla da lontano, camminava in mare con la gonna sollevata e l’acqua che le arrivava a metà polpaccio, ogni tanto si abbassava a raccogliere qualcosa in mare.

Non sapeva molto del futuro da cui lei proveniva, ma sentiva che era questo ciò che avrebbe dovuto fare una ragazzina di diciassette anni, indossare abiti dalle lunghe gonne, raccogliere conchiglie e ballare, non combattere contro bambini mai cresciuti e con manie di grandezza.
Osservandola in quel momento, spensierata e inconsapevole degli occhi che non la perdevano di vista, Charles Vane seppe con assoluta certezza di essere spacciato.
Se ne stava lì, immerso nei suoi pensieri quando Wendy, forse sentendosi osservata, si voltò e un sorriso le illuminò il viso quando lo scorse vicino alla vegetazione, del resto non che avesse fatto chissà che per nascondersi.
“Charles?!” a causa degli eventi appena trascorsi non avevano mai parlato dei baci scambiati nella sua cabina, ma da allora aveva preso abbastanza coraggio e confidenza da chiamarlo per nome. Ogni volta che ciò accadeva, il capitano sentiva una sorta di calore ormai familiare invadergli il petto. Le si avvicinò quasi come se attendesse solo il permesso per farlo, anche se con il solito atteggiamento annoiato di chi vorrebbe essere da tutt’altra parte, sia mai che la giovane capisse il grande potere che aveva su di lui. Quando furono vicini, Wendy dovette sollevare il viso per guardarlo e si trovò anche a strizzare gli occhi a causa del sole.
“Come hai deciso di perdere tempo questa mattina?” la ragazza gli rivolse un sorriso birichino che avrebbe potuto sciogliere i ghiacciai e indicò con il capo la gonna che teneva sollevata. A una sola occhiata il capitano comprese perché quindi la parte posteriore fosse invece tranquillamente immersa nell’acqua di mare.
“Molluschi. Ma laggiù c’è un granchio che non riesco a prendere se devo anche reggere la gonna” non aggiunse altro, limitandosi ad arrossire sulle guance mentre un nuovo sorriso più imbarazzato si fece spazio sul suo viso. In realtà, poi, neanche serviva che aggiungesse altro, e dopo aver girato gli occhi al cielo, l’uomo si inginocchio nell’acqua per recuperare l’animale tra gli scogli. Sì, era decisamente spacciato.  
I signori Darling erano stati altre volte nei pressi della spiaggia e Wendy mai una volta aveva voluto incontrarli. D’altro canto James era stato più coraggioso, o forse più stupido, accettando di incontrare Mary il giorno in cui si presentò da sola lì.
“Non dovresti essere qui, Mary. Nessuno di voi dovrebbe essere qui”
“Neanche Wendy. Non sarebbe dovuta tornare. Non avrebbe dovuto ricordare questo posto e tu non avresti dovuto permetterle di restare” Mary era così diversa da come James la ricordava, ma, del resto, era trascorso così tanto tempo da quando l’aveva vista per l’ultima volta. All’epoca era una bambina viziata con l’aspetto di una bellissima e giovane donna. Oggi era ancora bellissima, ma aveva perso la magia che illuminava il suo sguardo quando erano bambini.
“Wendy è anche mia figlia. E ha iniziato la sua esistenza qui, questo posto le appartiene molto più di quanto sia mai appartenuto a noi”
“Non puoi credere davvero a queste scemenze”
“Guardati intorno Mary” esclamò James bloccandosi e allargando le braccia come per avvolgere tutto ciò che lo circondava “Wendy ha incominciato a vivere solo nel momento in cui è arrivata qui per la prima volta. Non ti domandi perché una giovane donna continuasse a portare il ricordo di un mondo che poteva aver solo sognato? Perché invece tu e quell’altro o anche i tuoi figli avete invece dimenticato?”
“Sei incoerente!” sbottò la donna ignorandolo e sorpassandolo “Sei stato tu a volere che me ne andassi, che tornassi nel mondo reale e non hai idea di cosa ho passato laggiù per molti anni. ora invece sostieni che Wendy sia nata per essere parte di Neverland? E che altro? Farne il nuovo Peter Pan o il nuovo capitan Uncino quando uno di voi due ci avrà lasciato la pelle?” se avesse posseduto la magia, gli occhi di Mary avrebbero potuto lanciare fiamme per quanto erano infuocati di rabbia, ma James non se ne curò. Conosceva quell’emozione come fosse per lui la più cara e vecchia delle amiche, non lo spostava minimamente quando qualcun altro lo rivolgeva a lui. Era in grado di far rimangiare quelle parole a chiunque le avesse pronunciate con tanto di interessi, in rispetto di una vecchia amicizia e per quell’amico da poco perso decise di soprassedere, per questa volta.
“Tu con questo posto non hai niente da spartire” disse con un tono glaciale che fu in grado di immobilizzare la donna “E ne ho avuto la prova quando ti è bastato vedermi una sola volta appena tornato qui per desiderare di essere abbastanza grande da farti notare da me. E l’ho fatto, era questo che volevi del resto. E il risultato è che Wendy è stata concepita qui, per quanto ti piacerebbe negarlo” adesso, però, era Hook che si stava arrabbiando e a nulla valse il tentativo di calmarsi voltando le spalle a Mary.
“Credi sia un caso che tra tanti mocciosi di Londra, dell’Inghilterra o del mondo, Pan sia stato attratto proprio da lei?!” sbottò alzando la voce, alle sue spalle Mary sussultò per lo spavento.
“Ha acconsentito a portare qui anche gli altri tuoi figli solo perché era stata Wendy a chiederglielo! C’è voluto un po’ perché anche lui capisse quanto fosse facile per lei ottenere ciò che voleva e ancora oggi questo lo fa arrabbiare! Wendy qui è l’unica oltre me capace di fare infuriare Pan”
Per qualche minuto tra i due calò il silenzio, da parte di James per cercare di calmarsi e Mary perché, semplicemente, non sapeva che altro dire.
“Questo posto non è adatto a voi, prima lo capirete e meglio sarà. In ogni caso Wendy non ha intenzione di avere a che fare con voi e se dovesse accaderle qualcosa a causa vostra, direttamente o indirettamente che sia, vi farò pentire di essere nati” puntò quindi i suoi glaciali occhi azzurri sulla donna che rimase congelata sul posto “Parola di James Matthew Hook”




SPAZIO AUTRICE
Ooooookaaaaayyy... Finalmente sono riuscita a portare il capitolo 14 e credetemi sulla parola quando dico che collegare le parti pronte è stato anche più difficile che scrivere quelle importanti. Questa volta sono stata così gentile e magnanima da addirittura far baciare quelle due anime in pena, ovviamente serve un briciolo di vita normale tra un dramma e l'altro che vivono questi due. Mi dispiace che forse sembrerà stupido e affrettata come cosa, del resto forse non hanno avuto molti momenti tra di loro per giustificare un avvicinamento di questo tipo, ma mi piace immaginare il capitano Vane come uno che si prende ciò che vuole e con Wendy ha aspettato anche troppo prima di farlo.
Tanto per cambiare sono di nuovo bloccata, purtroppo i combattimenti e le rese dei conti sono il mio tallone di Achille. Ho solo una vaga idea di ciò che voglio che accada prima e dopo, pochissimi pezzi già pronti e un grosso punto interrogativo per tutto ciò che riguarda il mezzo del prossimo capitolo. Riuscirò a scriverlo prima che l'interesse per questa storia finisca del tutto? Non lo so, ma già riuscire a finire questa storia iniziata due anni fa sarebbe un gran successo per me.
Ringrazio tutti voi lettori silenziosi e spero che la storia non vi stia annoiando troppo.
A presto

PS
Ma sono l'unica che non riesce ancora a realizzare che Carlo stia per essere incoronato re????

 

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Capitolo 15
*** Capitolo 15 ***


Capitolo 15

“Dobbiamo elaborare una strategia, non possiamo più permettere che sia Pan a trovarci e attaccare per primo. Fin’ora ha sempre vinto perché ha sempre avuto il coltello dalla parte del manico, l’isola risponde a lui e lo asseconda: lo nasconde fornendogli protezione e allo stesso tempo anche il potere per vincere ogni scontro” da quando si era svegliata quella stessa mattina, l’espressione risoluta che indossava con vanto non aveva mai abbandonato il viso di Wendy. di buon’ora aveva convocato l’equipaggio e invitato anche la ciurma della Ranger a unirsi a loro per fare il punto della situazione. Sulle navi pirata le decisioni erano presi a votazione e quindi con il benestare dei due capitani, la giovane aveva iniziato a esporre il progetto a cui aveva pensato per tutta la notte, forse addirittura da giorni.
“Tanti anni fa c’è stata di nuovo la possibilità di cambiare le sorti di questa guerra che dura da secoli, avete avuto l’opportunità di entrare nel nascondiglio di Pan e possiamo fare lo stesso questa volta”
“Abbiamo già provato a cercarlo signorina” esordì Sparky attirando l’attenzione dei presenti su di sé “L’Isola è cambiata. Come hai detto tu, nasconde Pan e il suo covo”
“È vero, i sentieri cambiano ogni giorno e per qualsiasi adulto, a quanto pare, è impossibile identificare la giusta strada che i bimbi sperduti riescono a trovare istantaneamente. Ma si da il caso che io sia in grado di trovare ancora l’albero dell’impiccato” lo shock generale comparve sui volti di tutti gli uomini, tranne Charles che c’era già stato con lei e aveva mantenuto il segreto.
“Per qualche ragione Neverland non è in grado di confondermi e da mesi attraverso quell’intricato labirinto di sentieri battuti che per me invece appare come una strada dritta verso quel posto. Sono mesi che li tengo d’occhio” continuò imperterrita “So tutto ciò di cui hanno anche solo parlato per tutto questo tempo e, soprattutto, sono in grado di portare lì altre persone” un lampo di comprensione attraversò gli occhi di Hook che si voltò di scatto verso Charles, appoggiato a un albero della nave qualche metro lontano da lui.
“Fin’ora non abbiamo mai avuto la vera possibilità di vincere perché Peter cambia le regole a gioco iniziato. Beh, questa volta saremo noi a scrivere queste regole”
“E come, signorina?”
“Cambiando abitudini. Scegliendo un campo di battaglia che non ci appartiene”
“La terraferma?” Wendy ghignò alla domanda di Phineas.
“Esattamente” esordì chinandosi un po’ in avanti, con i palmi delle mani poggiate sulla ringhiera che divideva il ponte di poppa da quello centrale.
“Disseminiamo trappole, molte ci sono già e se riusciamo a confonderli abbastanza non ci vorrà molto a spuntarla” e Charles Vane si trovò a sorridere orgoglioso.
“Possiamo farcela”
“Qual è la tua idea?” fu Hook a domandare questa volta.
“Allontanare i bimbi sperduti con un pretesto, lasciarlo da solo. Poi io farò da esca per attirare Peter in trappola, sempre disseminando trappole che posso attivare correndo nella giungla” Hook storse la bocca, ma Wendy non lo notò.
“Come si raggiunge l’albero dell’impiccato” Wendy si lasciò sfuggire un breve sospiro.
“Solo i bimbi sperduti riescono a trovare il rifugio di Peter Pan, se anche vi indicassi la strada non riuscireste a vederla e finireste col fare  un ennesimo viaggio a vuoto... Ma ho una condizione” una vena iniziò a pulsare furiosamente sulla tempia di James, segno di quanto l’idea non gli piacesse.
“Ossia?”
“Non voglio essere lasciata indietro. Mi sono guadagnata il posto in questo equipaggio, parteciperò alla battaglia insieme a voi” 
“E così sia, allora”
 

Il piano era semplice e, come da sua abitudine, l’aveva schematizzato ripetendolo almeno otto volte da quella mattina, dividendolo in poche semplici fasi.
Numero uno: raggiungere l’albero dell’impiccato senza essere vista → fatto.
Numero due: assicurarsi dell’assenza di Pan → fatto.
Numero tre: sperare che la ciurma l’attendesse come da accordi prima di fare qualche scemenza → fatto e rifatto.
Numero quattro: irrompere, attaccare, rapire → ci stava lavorando.
Estrasse le pistole dalle fodere e tirò indietro il cane.
“O la va o la spacca” superò a passo svelto la tenda di liane da cui non sarebbe passata anche per la strada di ritorno, se tutto fosse andato secondo i piani le sorti di quella faida si sarebbero rivolte a loro favore e non avrebbe avuto più bisogno di quel passaggio segreto, ma prevenire era meglio che curare.
I bimbi sperduti stavano in gruppetti o ognuno per conto proprio a giocare, non fecero caso alla sua presenza finché non sparò in aria un colpo d’avvertimento.
“Fine dei giochi, bambini”
“JECKIE REDHAND!!”
“COME SEI ARRIVATA QUI?!” come c’era da aspettarsi, loro non si ricordavano di lei. Aveva già avuto modo di constatarlo, da quando era tornata in veste di adulta per i bimbi sperduti era solo la piratessa dal nome ridicolo che si era scelta. Nonostante l’iniziale sorpresa, fu rapida a reagire e non diede a nessuno il tempo di impugnare le proprie armi rudimentali, anche se comunque c’era ben poco che una fionda potesse fare contro una pistola carica.
“Non pensarci neanche, Orsetto” esordì per poi voltarsi nella direzione del bambino che aveva visto avvicinarsi con la coda dell’occhio. Il bambino rimase paralizzato davanti a quegli occhi chiari, quasi incapace di muoversi all’infuori di tremiti di paura, ironico perché non ricordava di aver mai avuto paura in vita sua.
“Ora vi offro due opzioni: potete fare i bravi e collaborare legandovi da soli le mani con una corda e seguirmi, oppure potete essere farmi arrabbiare, obbligarmi a diventare cattiva e costringervi a seguirmi con la forza o la magia. Ma devo avvisarvi, non sono tanto brava a controllarmi” espose camminando tra di loro con tono mellifluo, ripensandoci ora stava usando le stesse movenze e gli stessi toni di James quando le parlò per la prima volta da soli quando era una bambina. La differenza era che lei non tremava davanti a lui e non pendeva dalle sue labbra come invece facevano ora quei ragazzini. In un attimo di distrazione si chiese se fosse ancora la paura o la curiosità per la prima donna che incontravano all’infuori delle indiane. 
“Su su. Non fatemi perdere tempo. In fila per uno e i nodi ben stretti, mi raccomando” come ipnotizzati, i bambini eseguirono l’ordine lanciando di tanto in tanto un’occhiata alla loro rapitrice che se ne stava in disparte. Aveva riposto le pistole nei foderi, ma con la mano sinistra sfiorava l’elsa della spada legata sul fianco, per qualche ragione che i bimbi sperduti non riuscivano a capire si era imposta su di loro con naturalezza esercitando un potere che neanche Pan era in grado di gestire.
“Bravi bambini” esordì tastando personalmente i nodi dopo aver legato personalmente l’ultimo ragazzino “E poiché avete collaborato, vi assicuro che non vi sarà torto un solo capello. E io mantengo la parola data”
“Cosa farai di noi adesso?” chiese Svicolo, nello spostare lo sguardo su di lui Wendy si soffermò per un attimo sui gemelli. Le era stato raccontato da James che Pan li avesse rapiti perché incuriosito dal loro essere identici, ma non era quello che la incuriosiva in questo momento. Non ricordava di averli mai sentiti parlare e iniziava a pensare che forse non avessero mai imparato.
“Peter ci salverà!” esordì invece Orsetto prima che lei potesse rispondere, ma nel voltarsi verso di lui Wendy cambiò espressione, da tranquilla divenne quasi malefica, rendendola più simile a Hook di quanto non fosse mai stata. Il vago pensiero che non fosse la cosa più intelligente da dire si fece strada nella giovane mente del biondino.
“Oh ragazzino, è quello che spero” 
Il castello nero era la scelta migliore, erano nel loro territorio e ne conoscevano ogni angolo. Come da accordi, Emily e Charles insieme ad altri della sua ciurma la stavano aspettando e si occuparono di sistemare i bambini tutti insieme in una stanza nascosta, si trattava dell’anticamera di quella che consideravano la stanza del tesoro il cui ingresso era nascosto e l’eco rendeva impossibile la localizzazione dei prigionieri.
“Perché lo fai? Cos’hai da spartire con questi?!” sbottò Svicolo attirando l’attenzione di Wendy. la giovane gli si accucciò di fronte per essere più vicina alla sua altezza.
“Vi siete mai chiesti se Peter fosse davvero l’eroe della storia? Un eroe non si comporta così: non minaccia di uccidere i suoi stessi compagni, non taglia la mano di qualcuno per divertimento e non condanna un amico a una vita di sofferenza sotto forma di un animale con lo scopo di dare la caccia a qualcuno che prima considerava un fratello” ancora una volta i bimbi sperduti ascoltarono le sue parole come fossero la più dolce delle melodie, ma non era detto che avessero capito. Wendy quindi tirò fuori dalla camicia un laccio che portava al collo.
“Sono stata anche io una bimba sperduta, la differenza è che io sono riuscita a vedere la mia vita anche da un’altra prospettiva. Io sono libera da quel giorno” lasciò quindi il ciondolo nelle mani legate del ragazzino che sgranò gli occhi. Si trattava di una ghianda bucata che, ricordò, essere stata centrata con una freccia.
“Wendy” lo sguardo della giovane si addolcì per un momento.
“Presto sarete liberi anche voi” e, dopo aver lasciato una carezza sulla testa di Svicolo, lasciò la stanza insieme ai suoi compagni.
Altra parte integrante del piano era di attraversare il territorio degli indiani durante il viaggio di ritorno. La segretezza non era un’opzione a Neverland, fin’ora tutti i piani di Hook erano falliti proprio per questo: c’era sempre qualcuno che andava a fare la spia a Pan. L’idea di Wendy era quindi quella di usare una strategia inversa: fare in modo che le informazioni che sarebbero giunte a Pan fossero così tante e diversificate da confonderlo. Proprio in quel momento, infatti, mentre lei ed Emily attraversavano il territorio indiano, Charles e alcuni dei suoi trasportavano dei fantocci nei pressi del castello delle fate, altri ancora dei vari equipaggi trascinavano altri fantocci o piazzavano finte trappole in giro per tutta l’isola.
“Stai bene tesoro?”
“Continuo a ripetermi che è la cosa giusta da fare. È per il loro bene che ho insistito su questa parte del piano. Non voglio che sia loro fatto del male”
“Non significa che a te non faccia male vederli in quelle condizioni” replicò la maggiore ravvivandole una ciocca di capelli dietro l’orecchio.
“Grazie Emily”
“Di cosa?”
“Quando sono stata qui da bambina il mio compito era fare da mamma ai bimbi sperduti. Le mie esperienze con le donne indiane non sono un granché e in qualche modo quando sono qui il mio cervello è ancora convinto che non posso fare affidamento su una qualche altra figura femminile. In realtà apprezzo molto la tua presenza e il tuo aiuto, anche se non lo do abbastanza a vedere” le stavano seguendo, riuscivano quasi a sentire il peso di tutti quegli occhi addosso e per questo cercano di essere naturali.
“Appena Peter sarà morto tutto tornerà alla normalità”
 

Il punto di ritrovo non era la spiaggia, troppo in vista, e neanche una delle navi perché troppo ovvio e in caso di attacco a sorpresa sarebbero stati in trappola. Avevano proposto di spostare le navi nelle grotte dello Skull Rock, ma Wendy fece desistere ben presto raccontando di come lei e Pan rimasero diverso tempo accucciati in un angolo ad osservare ogni loro movimento. Lì sul confine tra la spiaggia e la giungla, abbastanza nascosti dalla vegetazione, avevano lasciato alcuni uomini a controllare che nessuno si avvicinasse e discutevano sulle prossime mosse.
“I ragazzi sono nascosti, non credo che proveranno a fuggire, ma in ogni caso abbiamo lasciato due uomini di guardia al castello”
“Bene, avete fatto bene. Non ho intenzione di fidarmi di un branco di mocciosi”
“Ora dobbiamo solo andare” Wendy annuì alle parole di Charles e i due si scambiarono un’occhiata complice. Avevano progettato il piano nei minimi dettagli e ora erano pronti ad attuarlo.
“No” esordì James bloccandoli sul posto.
“Come?” chiese Wendy, confusa.
Noi non faremo proprio niente” lentamente si voltò alla sua sinistra fino ad essere di fronte a Charles.
“Questa cosa non ti riguarda Charles. Fatti da parte”
“Ti ho seguito fin qui, non ho intenzione di darmela a gambe prima che inizi il divertimento. Dovresti conoscermi ormai” con uno scatto fulmineo che non diede tempo a nessuno di prevederlo, James estrasse la pistola e la punto dritta sul viso del più giovane. Poco distante Wendy trattenne uno strillo di terrore, alcuni marinai imprecarono indietreggiando, Charles invece non mosse un muscolo.
“Fatti da parte”
“Spara” replicò quindi il capitano Vane avanzando di un passo “Se ne hai le palle”
“Questo non è un gioco, pivello. Non importa a nessuno se sei già morto. Se muori anche qui, sei spacciato”
“Correrò il rischio” disse Charles avanzando di un passo, gli occhi fissi su quelli del capitano e per nulla incurante della pistola che lo minacciava come la spada di Democle.
James gli rivolse un ghigno agghiacciante prima di premere il grilletto... Non successe nulla, l’arma era scarica.
“A volte sei proprio una spina nel fianco. Andiamo, prima che cambi idea” Wendy si trovò a riprendere fiato dopo quei secondi di apnea, poi sorridendo si avviò al loro fianco.
“Non tu, Wendy. Tu resterai qui”
“Cosa? Stai scherzando, spero” chiese tesa come una corda di violino. Che accidenti stava succedendo?!
“Affatto. Non ho mai detto che tu avresti preso parte alla mia vendetta, oltre quanto hai già fatto. Tu resterai qui e questo è un ordine” persino Charles si rivolse a James con un’espressione confusa, Wendy aveva portato a termine la sua parte di accordo, non aveva motivo di mancare alla parola data ora. Non era questo il James che lui conosceva.
“MI HAI PROMESSO CHE NON MI AVRESTI LASCIATO INDIETRO!” per la prima volta da quando lo conosceva, Wendy si trovò davanti quelle innaturali iridi rosso sangue dirette su di sé, ma più che quello furono le sue parole a farle male. 
“IO NON TI HO PROMESSO PROPRIO NIENTE!” i due si fronteggiavano sebbene Wendy sembrasse molto più rigida e a disagio di come non fosse mai stata davanti a suo padre.
“Hai detto di voler essere parte di questo equipaggio, beh allora impara ad eseguire gli ordini. Questa non è la tua battaglia e tu non vi parteciperai. Se ti azzardi a disubbidirmi non scomodarti a tornare sulla mia nave” così dicendo la superò dirigendosi verso il folto della giungla, incurante della ragazza ancora immobile come l’aveva lasciata e con lo sguardo vuoto rivolto verso il mare.
 

Camminò per la giungla mossa dalla furia, colpendo e tranciando con la spada qualsiasi ramo provasse a intralciarle il cammino su quel sentieri inesistente che stava percorrendo a passo di marcia. L’avevano lasciata indietro, aveva promesso che non l’avrebbe fatto. La ragione l’aveva abbandonata, niente e nessuno avrebbe potuto farle cambiare idea. Non importava più nulla. Non le interessavano le ragioni che avessero spinto James a fare quello che ha fatto, né lei poteva sapere quanto lui si sentisse stringere il cuore al pensiero di tutte le volte in cui era stata in pericolo. Era stata esclusa e solo questo riusciva a vedere.
La camminata non era servita a calmarla, infatti, ormai le mani tremavano furiosamente e gli occhi erano traboccanti di lacrime. Resistette stringendo anche i denti finché non ne poté più e si lasciò andare in un urlo disumano. Cadde sulle ginocchia sul suolo umido con la testa reclinata all’indietro e calde lacrime che le striarono le guance, dopodiché cadde esausta tra la vegetazione. Quando riaprì gli occhi era sorpresa di essersi addormentata e non aveva idea di quanto tempo fosse rimasta lì, anzi, guardandosi attorno, si rese conto di non conoscere neanche quel luogo così strano e suggestivo. Una cascata che sembrava sgorgare direttamente dalla roccia e l’acqua sembrava brillare d’argento mentre cadeva dall’alto fino a raggiungere il lago sottostante. Non era molto grande, si trattava quasi di una piscina naturale la cui superficie raggiungeva appena quella del cassero di poppa della Jolly Roger, in parole povere abbastanza piccola e privata per essere alimentato da una cascata di quella portata e senza altre uscite per l’acqua. Eppure Wendy non pensò a questo né si domandava dove potesse trovarsi, no, il quesito che si aggirava nella sua brillante mente era un altro: perché nessuno le aveva mai parlato di quel posto?
“Vieni avanti” si guardò per un attimo attorno per poi cambiare idea e porgere di nuovo la sua attenzione alle acque del lago che in quel momento avevano lo stesso colore dei suoi occhi.
“Sta tranquilla mia cara, non ti farò del male” la voce era solo un sussurro e non sembrava neppure udibile. Quelle parole raggiunsero direttamente la sua mente come James le aveva raccontato che facessero le fate, ma non c’erano luci magiche intorno a lei a testimoniare la presenza di quelle piccole creature. A dire il vero, notò sollevando lo sguardo, neanche i raggi del sole riuscivano a penetrare tra la folta vegetazione, la luce argentea veniva direttamente dalla cascata.
Wendy avanzò con passo incerto mentre alcune parole pronunciate da James Hook le vorticavano nella mente annebbiata.
 
“Dovrai tenere gli occhi aperti, piccola Wendy. Neverland è infida e scostante: un attimo puoi essere il suo prescelto, un favorito, e un attimo dopo non esiterebbe a lasciarti sprofondare negli abissi guardando mentre la vita ti viene strappata”
 
La voce era ancora nella sua mente quando, davanti ai suoi occhi, un pilastro di pietra bianca si innalzò dalla terra come un altare su cui era posto un solo oggetto: un pugnale nero ricurvo con la lama damascata e l’impugnatura di ebano e madreperla. Era bellissimo. Bastò sfiorarlo perché Wendy comprendesse il suo utilizzo, i irrigidì istantaneamente e la voce non si fece attendere.
“Il sangue è vita, piccola Wendy, lui ci definisce, ci lega e ci maledice. Ed è il tributo più apprezzato”
Wendy annuì, ma era come divisa a metà: una parte di lei sembrava d’accordo con quelle parole, era giusto che pagasse il prezzo di qualunque cosa avesse ottenuto, l’altra parte inorridì e urlò dentro di sé per il dolore lancinante quando la punta della lama affondò nel suo avambraccio sinistro. Prigioniera del suo stesso corpo, non poté far altro che guardare il sangue rosso e denso scendere sulla sua pelle diafana e sporcare l’abito che indossava, seppur con la mente annebbiata ricordò che non fossero gli stessi indumenti che indossava poco prima. Non ci volle molto perché l’abbondante perdita di sangue le provocasse le vertigini.

 
Quel luogo inquietante e meraviglioso l’attirava a sé come un magnete e Wendy, stanca di combattere, l’assecondò. In breve si trovò a camminare verso l’acqua fino ad entrarvi, ma non si fermò qui. Man mano che avanzava la gonna dell’abito bianco si gonfiava intorno ai suoi fianchi ma la giovane non ci faceva caso, la sua mente immersa in un dolce tepore non percepiva più niente, né all’acqua fredda saliva velocemente né alla ferita sul braccio che sanguinava sempre più copiosamente.
“Va tutto bene, bambina mia. Vieni da me” affidandosi a quella voce e lasciandosi guidare, Wendy si stese nell’acqua e chiuse gli occhi, il lieve dondolio la cullò finché non cadde in un sonno profondo mentre tutto intorno a lei il sangue colorava di rosso le limpide acque del lago.
L’aria profumava di sole e di fiori di campo, senza neanche bisogno di aprire gli occhi era certa di trovarsi al sole stesa tra l’erba che le sfiorava la pelle facendole il solletico. Aprì gli occhi pigramente gustandosi gli ultimi residui di sonno che si congedavano e osservò il limpido cielo lilla su cui spiccava il sole ma anche le sagome opalescenti di lune e pianeti. Ricordò di aver letto qualcosa a riguardo una volta e seppe distinguerne alcuni: Saturno con i suoi anelli, Venere dai toni del verde e Giove che era il più grande e striato di arancione. Poi si trovò a sgranare gli occhi fin quasi a farli uscire dalle orbite quando riconobbe delle forme in cui era diviso il pianeta azzurro, erano le forme dei continenti che aveva visto raffigurati sull’atlante della Terra. Immediatamente si alzò dal letto di foglie su cui era stesa e si guardò attorno, era davvero circondata dai fiori ma nessuno di questi le era familiare, così come gli alberi circostanti dalle chiome gialle e viola. Abbassò quindi lo sguardo, anche il vestito era diverso, seppur fosse bianco era molto più leggero e vaporoso di quello che indossava prima e, infine, la ferita sul braccio che sarebbe dovuta essere ancora lì, profonda e sanguinante, era ridotta a una cicatrice vecchia di molti anni.
“Ma cosa sta succedendo?”
“Ben arrivata, cara” Wendy si voltò alla ricerca della proprietaria di quella voce che ora era certa di aver sentito veramente, ma era da sola “Ti chiedo scusa per i miei metodi di persuasione, ma per un momento ho temuto non ce l’avresti fatta e sarebbe stato un peccato sprecare l’allineamento degli astri. Accade solo ogni cinquemila anni, sai?” purtroppo quelle parole che volevano essere tranquillizzanti non fecero altro che accrescere l’ansia e la rabbia della ragazza che continuava a guardarsi intorno in modo frenetico.
“Chi sei? Fatti vedere!”
“Oh mia cara, purtroppo questo non è possibile. Se mi mostrassi a te, tu non potresti più tornare indietro” la voce non aveva alcuna intonazione, era semplicemente e mortalmente apatica.
“E, ahimè, il mio nome non può essere pronunciato dai comuni mortali. Ma noi siamo vecchie amiche, mia piccola Wendy” il tono si fece più dolce, materno “e tu stessa di desti un nome preso da un’opera teatrale, dicesti che era perfetto per una creatura eterea che non appartiene al tuo mondo”
“Imogen” quello di Wendy fu solo un sussurro pronunciato ad occhi sgranati e labbra socchiuse “Credevo che fossi solo nei miei sogni” per chissà quale ragione, quando Imogen parlò di nuovo era certa che stesse sorridendo
“Mi sembra di sentir parlare tuo padre, sempre così serio e... adulto. Non ho mai parlato con lui, sai? Ma lui ti ha sognato così tante volte dopo averti vista appena nata”
“Cosa stai dicendo? Ho conosciuto mio padre James quando sono arrivata su Neverland da bambina” ma Imogen continuò il suo discorso come se non l’avesse ascoltata
“Stava per crollare quella volta... Aveva perso il suo migliore amico, ridotto a un mostro assetato di sangue alle sue calcagna, Mary era tornata a Londra e una parte di James era rimasta con lei, non aveva più la forza di andare avanti. Così ho deciso di intervenire, non era mai accaduto... Diedi parte del mio potere a un essere umano e lui lo cedette a sua figlia senza neanche sapere di averlo mai posseduto” uno zampillo d’acqua sgorgò dal nulla vicino ai suoi piedi accumulandosi velocemente in una piccola possa limpida. Stava per scostarsi se delle immagini non avessero cominciato a prendere forma come un riflesso sulla superficie dell’acqua. Vide ciò che Imogen le stava raccontando e, nel vedersi tra neonata tra le braccia di suo padre, si fece strada in lei un lontano ricordo che non sapeva di avere.
“Ti cantò una ninnananna, una melodia che tu continui a ripeterti fin da bambina senza sapere come sia arrivata a te” ricordava la melodia che cantava tra sé e sé ogni sera spazzolandosi i capelli, non l’aveva più cantata dal primo viaggio a Neverland ma lei era ancora viva nella sua memoria.
“Cosa significa tutto questo?”
“Oh cara, non hai capito?” l’acqua smise di scorrere e fu immediatamente assorbita dalla terra da cui sbocciò un fiore simile a un giglio i cui petali sembravano ali
“Non ti sei mai chiesta perché Neverland ti accolto nonostante fossi una femmina già pronta a lasciare la stanza dei bambini? Perché Peter tra tutte le storie ascoltasse proprio le tue, perché ti vorticasse intorno come la luna con la Terra? Non ti sei chiesta perché ora ti odi così tanto?” le parve di sentire un sospiro e il tono si fece rammaricato “Credo che in parte sia colpa mia e della mia magia che vive e cresce in te. Tu sei stata l’unica bambina che non ha potuto plagiare e ora che sei cresciuta lui ha paura di te perché sa di avere a pochi passi l’unico avversario che non può sconfiggere. E quando qualcuno ha paura è ancora più pericoloso perché diventa imprevedibile”
“E quindi attacca i miei punti deboli: James, l’equipaggio e ora anche la mia famiglia... Come si è arrivati a tutto questo, perché Imogen?” la voce sospirò ancora una volta, sconsolata e abbattuta.
“Lui non era d’accordo sull’equilibrio. Voleva caos e l’ha ottenuto”
“Lui, intendi Peter?”
“No, cara. Peter è una pedina in un gioco né più né meno di quanto lo siete tu e tuo padre. Lui è l’ombra, la mia metà... Lui ha paura di te, ti teme perché mentre il suo potere nasce dall’odio, il tuo nasce dal troppo amore”
“Balle! Tutte le volte in cui si è scatenata la magia è stato quando ero arrabbiata!”
“E da cosa era provocata questa rabbia, se non dall’amore. Tutte quelle volte non hai mai attaccato per tua volontà, solo per proteggere” Wendy rifletté su quelle parole: la volta sulla nave o al castello nero si era trovata faccia a faccia con l’ombra ricordò di aver avuto paura, una paura viscerale che se fosse stata tolta di mezzo nessuno avrebbe protetto i suoi uomini dalla furia di Peter.
“Le creature magiche rispondono al tuo potere, per questo quando chiamasti Owen per nome lui tornò umano... Gli abitanti di Neverland obbediscono alla tua voce. Penso che non ci sia nessuno più di te meritevole del mio dono, piccola Wendy... La magia di Neverland scorre in te e non ne hai mai approfittato per puro egoismo, neanche involontariamente” Wendy abbassò il capo e una ciocca di capelli le scivolò davanti al viso.
“E la magia cambia le persone? È per questo che ho i capelli rossi adesso?”
“È così cara, la magia cambia le persone. Tua madre quando giunse qui aveva i capelli color dell’oro, ma un volta cresciuta, quando comprese di volere di più e che non avrebbe mai potuto ottenerlo restando una bambina, la magia di Neverland scivolò via insieme a quel colore dorato... Il rosso invece è un colore molto potente, è il colore del sangue e il tuo è la tua più grande forza. La tua magia non può abbandonarti perché ora fa parte di te” Wendy non replicò, il suo sguardo si posò su tutto ciò che la circondava senza vederlo realmente. A ridestarla fu un soffio di vento profumato di pane e miele.  
“Cosa devo fare?”
“Combattere. Sfruttare tutta quella disciplina che ti ha insegnato James e usarla con astuzia contro un avversario arrabbiato e impulsivo. Salvare l’isola che non c’è, è un posto incantevole e per troppo tempo è stata sotto il giogo di un despota bambino” Wendy si passò le dita tra i capelli, arruffandoli, e trattenendo a stento un lamento che probabilmente avrebbe somigliato a un ringhio. Molte domande le affollarono la mente in quei secondi che trascorse in silenzio, ma quella che pronunciò non aveva niente a che fare con tutta quella situazione
“Cos’è l’isola che non c’è?”
“È il mondo creato dai sogni dei bambini. Un luogo magico e segreto in cui rifugiarsi nei sogni, in cui per arrivarci basta addormentarsi. C’è un’isola che non c’è per ogni bambino, e sono tutti differenti.*1 Lì nessuno comanda, nessuno decide di può entrare e chi no e i bambini ne sono gli ospiti e i padroni di casa. Non è un male se un bambino vuole essere pirata, ho odiato vederli diventare i cattivi” tutte quelle informazioni, le scoperte fatte le provocarono un capogiro e Wendy finì seduta di nuovo per terra con la gonna che le aveva fatto un cerchio intorno, le tempie pulsavano per un mal di testa imminente.
“Cosa accadrà, sia che decida di combattere sia che mi astenga? Tu lo sai?”
“Peter sarà immortale finché sarà legato all’ombra e dal momento che sei stata tu a cucirli insieme, sancendo un legame lasciato aperto per secoli, solo tu puoi spezzarlo. Se sconfiggerai l’ombra, Peter Pan tornerà mortale e tuo padre potrà compiere la sua vendetta, ma non angustiarti, non si tratterebbe di uccidere un bambino disarmato. Peter è solo una marionetta senza anima, il corpo ospite che permette all’ombra di muoversi nel mondo dei vivi... Se invece scegliessi di non combattere, sarebbero tutti spacciati e loro continuerebbero a comandare quella piccola isola fuori dal mondo a loro piacimento”
“C’è dell’altro, non è vero? C’è anche un’altra soluzione che mi stai tacendo”
“Se dovessi essere sconfitta dall’ombra nella condizione in cui ti trovi saranno tutti spacciati e tu resterai per l’eternità costretta a rivedere e rivivere la morte di ogni persona cara senza possibilità di uscirne” Wendy fu attraversata da un brivido, stava tremando e non per il freddo.
“Come so se posso fidarmi di te. Come posso essere sicura che non mi stai spingendo verso un’altra trappola?”
“Domanda interessante, la cui risposta immagino sia il libero arbitrio... Non ci sono certezze nella vita, piccola Wendy, e quando fai una scelta devi immaginare che avrà delle conseguenze” Wendy mandò giù il nodo che le si era formato in gola e annuì, aveva fatto la sua scelta.
“Invece questo posto che cos’è?” chiese asciugandosi una lacrima sfuggita al suo controllo
“È l’annullamento del tempo e dello spazio. Il punto zero da cui comincia l’infinito”
 
*1 tratto dal libro Peter Pan di J.M. Barrie
 

SPAZIO AUTRICE
E dopo questo quasi prefetto collage di scene (come nel mio stile) eccomi a fare i conti con una verità universalmente riconosciuta: non sono in grado di scrivere decentemente le scene di combattimenti
🤦🏻‍♀️ e no, non mi stancherò di ripeterlo. Avevo pensato di pubblicare il mese prossimo questo capitolo, ma con gli esami e la linea WIFi è sempre tutto un'incognita, quindi eccolo qui e con la scusa spero di avere un po' più tempo per scrivere il capitolo 16 di cui non ho pronto niente!!
Con la speranza che il capitolo sia di vostro gradimento, nonostante tutta la suspance con cui vi lascio, mi accingo a riprendere a studiare per l'esame di domani. Incrociate le dita per me!

 

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Capitolo 16
*** Capitolo 16 ***


Capitolo 16

Non parlarono tra di loro di quel piccolo diverbio, c’erano altre cose a cui pensare e indagare sui motivi per cui James era stato tanto brusco con sua figlia non era nelle priorità di Charles, sebbene avesse in mente di aprire il discorso una volta che tutto fosse stato più tranquillo. Camminarono quindi in silenzio ognuno perso nei propri pensieri, ma capitan Hook era nervoso. Charles lo vedeva dalla rigidità delle spalle fasciate nella giacca rossa e dal fatto che più e più volte aveva controllato che l’uncino fosse ben avvitato nell’apposito spazio della protesi. Non faticava a credere che dovesse anche fargli male il polso mutilato e, come aveva avuto modo di capire, non era mai di buon auspicio.
“Dov’è Wendy?” esordì Israel Hands, l’uomo che avevano messo a capo dell’operazione che era la prima parte del pano, raggiungendoli a passo svelto.
“Non qui” fu la secca risposta del capitano. Hands storse la bocca, ma si trattenne dal rispondergli come avrebbe voluto, optando invece per cambiare argomento. Era sì un uomo del suo tempo, ma era del parere che se una donna si fa valere come un uomo dovrebbe poterne frequentare l’ambiente. Conosceva James Hook abbastanza bene da sapere quanto fosse dura la sua testaccia, non sarebbe riuscito a fargli cambiare idea. 
“I due ragazzi di Londra hanno provato a seguirci, li abbiamo seminati nella giungla ma non credo che abbiano desistito. Potrebbero essere un problema”
“Direi più un intralcio” intervene Charles, leggermente in dispare con le braccia incrociate al petto “A me non importa, ma Wendy avrebbe da ridire se gli uccidessimo o mutilassimo i fratelli”
“Soprattutto dopo aver tolto di mezzo i mocciosi per evitare che gli venisse fatto del male durante il combattimento” replicò il suo braccio destro poco lontano. Charles intanto aveva cominciato a guardarsi intorno con la fastidiosa sensazione di essere osservato, se avesse dovuto descriverla avrebbe detto che fosse come uno spillo che lo punzecchiava sulla nuca.
“E non sono solo loro sulle nostre tracce, vero?” chiese capitan Hook ignorando la conversazione, Hands si limitò a sollevare le spalle con disinteresse intercettando il suo sguardo, non servì che dicessero altro. Hook aveva trascorso tanto tempo a Neverland, troppo a dire il vero, non ricordava più come fosse la vita nel mondo reale. Era successo così tante volte: i Bimbi Sperduti erano sulle tracce di Peter, i pirati erano sulle tracce dei Bimbi Sperduti, i pellerossa erano sulle tracce dei pirati e le belve erano sulle tracce dei pellerossa. Continuavano a girare in tondo per l’isola, ma non si incontravano mai perché andavano tutti alla stessa velocità. Questa volta, con l’intervento di Wendy, avevano eliminato una voce dall’equazione e cambiato le carte in tavola. Di questo avrebbe dovuto dare atto alla ragazza, rifletté James, se non fosse tornata non sarebbe mai cambiato niente.
“Pan è mio. Di tutti gli altri non m’importa, agite come meglio credete” e su quelle parole i suoi occhi da color non di scorar di me, si tinsero di rosso, il colore del sangue che era pronto a versare. Era il momento di mettere fine a quella faida una volta per tutte, solo uno di loro sarebbe sopravvissuto.
Erano preparati alla battaglia che sarebbe iniziata da lì a breve, Wendy aveva detto loro che in casi normali Peter e i bimbi sperduti sarebbero arrivati alla carica in volo e per questo aveva scelto di combattere a poche miglia dalla sua casa sull’albero, in un’area vuota circondata da quello che sembrava un campo minato di trappole che i loro nemici avanzando a terra sarebbero stati contretti ad attraversare. Aveva sussultato al pensiero di qualcuno che sarebbe inevitabilmente caduto in una delle fosse riempite di lance di legno, ma dissimulò in fretta quel momento di debolezza.
“Pan è in buoni rapporti con gli indiani, non escludo che potrebbero affiancarlo in questa battaglia in assenza di altri alleati”
“Chi altro abita l’isola?” chiese in signor Hands. Wendy non dovette pensarci molto
“I cannibali, le sirene e il coccodrillo, almeno finora. Le sirene non saranno un problema, non possono muoversi dalla loro baia, ma se dovessero capitarvi davanti tenetevi ben alla larga”
Come la giovane aveva previsto, gli indiani avevano affiancato Peter Pan, ma erano stati i cannibali a correre in prima linea e cadere per primi nelle trappole. L’inferno si scatenò nel giro di pochi minuti, le urla penetravano nel cervello e il sangue scorreva a fiumi, nulla a cui i pirati non fossero già abituati. Il folletto, invece, ignorava tutto, volando sopra gli uomini evitando i rami degli alberi e diretto verso l’unico uomo che in quel momento non stava combattendo: James Hook. 
 
Il capitano Vane era solito dire, quantomeno a se stesso,che niente avrebbe potuto sorprenderlo, un’affermazione che dal giorno della propria morte si trovò spesso a rinnegare. Da allora, infatti, era stato recluso in un limbo privato con la sola compagnia della moglie di Woodes Rogers, il governatore che firmò la sua condanna; aveva ritrovato una persona a lui così cara da essere arrivato un tempo a chiamare Fratello; quella stessa persona lo ha poi portato su un’isola in cielo raggiungibile solo seguendo una rotta tra le stelle. Dimentichiamo qualcosa? Oh sì, naturalmente raggiunse Neverland volando sulla propria fottutissima nave persa molto tempo prima. Se non era morto, sicuramente era impazzito e fin dopo il suo arrivo sull’isola non avrebbe saputo dire quale fosse l’opzione migliore. Questo finché non incontro lei, quella giovane donna dalla sorpresa continua che con il proprio caos interiore riuscì a mettere in ordine la vita del capitano. A quel punto, morto o impazzito che fosse, gli andava bene comunque a patto che avesse potuto continuare a vedere la luce che alimentava gli occhi chiari di Wendy Hook. E doveva dargliene atto: quella ragazzina era scaltra! In poco tempo aveva ideato un piano per incastrare Pan e l’aveva messo in atto, mentre combatteva contro un uomo molto poco vestito e con i denti appuntiti non poteva fare a meno di pensare che l’avrebbe volentieri voluta avere a combattere al proprio fianco.  Senza i bimbi sperduti tra i piedi, il capitano non doveva fare troppa attenzione a chi uccideva, del resto non che vi avesse mai davvero fatto caso. I cannibali e gli indiani combattevano con tecniche diverse: i primi prediligevano il corpo a corpo che li metteva a portata di spada, gli indiani restavano per la maggior parte a distanza preferendo scagliare frecce, chi invece combatteva in prima linea lo faceva con rudimentali lance e asce. Più volte Charles aveva sentito le frecce fendere l’aria intorno a sé, ma aveva cercato di non distrarsi, neanche quando una di queste gli si piantò nella coscia.
Hook, distante da quel campo di battaglia, combatteva la propria guerra con il suo demone personale, il folletto che gli aveva rovinato la vita. Ogni volta che volgeva lo sguardo nella sua direzione, Charles aveva l’impressione che Hook fosse in difficoltà, sperava di sbagliarsi ma aveva i suoi dubbi che fosse stata una buona idea escludere Wendy. Ci aveva riflettuto molto negli ultimi giorni ed era arrivato a pensare che non fosse un caso che solo ora, solo con la giovane dalla sua parte, James Hook riuscisse ad avere la meglio contro la sua nemesi. La stessa strategia che avevano adottato poteva definirsi banale, il piano di bambini che giocano a fare la guerra escogitando i metodi più fantasiosi per spuntarla. Sapeva che già una volta Hook aveva deciso di rapire i bimbi sperduti per mettere in trappola Pan, scegliendo però come campo di battaglia la Jolly Roger che sicuramente era un ambiente conosciuto ai pirati, ma sopra di se aveva solo il cielo aperto. Ma non era questa, ora, la parte importante. Anche in quella prima occasione Hook era riuscito ad avere la meglio perché Wendy era dalla sua parte ed era stata sempre lei ad impedire che quella guerra secolare finisse con risultati ben diversi. Eppure c’era qualcosa che gli sfuggiva, ma che cosa?!
Il capitano Vane con le sue elucubrazioni non si era discostato molto dalla realtà, almeno con le informazioni in suo possesso.  Quel lontano giorno in cui per la prima volta le posizioni si ribaltarono, qualcosa era cambiato, qualcosa di forse troppo impercettibile per essere notato sul momento ma che cominciò a cambiare tutto. Nei termini odierni potremmo definire quello che è successo come l’effetto farfalla: piccole variazioni nelle condizioni iniziali producano grandi variazioni nel comportamento a lungo termine. Quel giorno Wendy, la bambina che più di tutti Peter aveva voluto con se su Neverland, si ribellò a lui schierandosi sul fronte opposto. Per prima volta Wendy vide Peter Pan per quello che fosse davvero e d’ora in avanti quella frattura non fece che ingigantirsi. Wendy cominciò a cambiare e la manifestazione di magia in lei non fu che la punta dell’iceberg di questo cambiamento radicale. Al contrario di Hook, Pan aveva notato tutto e, seppur in primo momento inconsapevolmente, trovò in lei un nuovo nemico.
“Questa volta non c’è la tua nuova balia? Paura di essere battuto di fronte a lei?” esordì Peter attaccando con un affondo di sciabola evitato da James che allontanò la lama agganciandola con l’uncino.
“Questa cosa riguarda me e te. Wendy non c’entra niente” tra gli alberi era difficile per Pan voltare come avrebbe fatto combattendo sul ponte della Jolly Roger, i rami erano decisamente più fitti dei pali e le vele degli alberi di una nave.
“Ti sbagli, uncino. Ormai c’è dentro fino al collo” un attimo di distrazione fece sì che la lama della spada lacerasse la stoffa della giacca sulla manica del capitano, imbrattando il ferro di un sottile rivolo di sangue che entrambi osservarono. James fu il primo a distogliere lo sguardo e spostarlo sul suo avversario, il cui volto non aveva più niente di umano: le orecchie si erano allungate di un paio di centimetri, gli occhi spalancati erano totalmente neri senza alcuna traccia del verde che colorava le sue iridi, la bocca era distorta in un ghigno malvagio e per niente divertito. L’ombra l’avvolgeva creando una sagoma molto più grande di un uomo adulto e nel momento in cui proferì di nuovo parola sembrò che più voci si sovrapponessero in un verso gutturale.
“E quando avrò finito con te sarà il suo turno!”  
 

L’isola che non c’è era ciò di più unico avesse e avrebbe mai visto in vita sua, lo pensò dal primo istante in cui vi mise piede. Eppure in quel momento le appariva diversa. Il verde del fogliame aveva sempre avuto tutte quelle sfumature? La luce del sole filtrava tra i rami rimbalzando sulle superfici e permettendole di vedere minuscole particelle di polvere portate dalla brezza che attraversavano i coni di luce. L’aria profumava di fiori e salsedine ma non vedeva né petali né il mare lì vicino. Si sentiva così leggera che avrebbe potuto volare e, lo notò solo ora, non sentiva il suolo sotto i suoi piedi.  Solo allora abbassò lo sguardo, indossava gli stivali e i pantaloni, sembravano essere quasi trasparenti, lei sembrava essere trasparente. Sgranò gli occhi mentre il respiro le si mozzava in gola ricordando ciò che era successo, dopodiché i rumori della battaglia le giunsero alle orecchie come se fossero dall’altra parte di una fila d’alberi.
“Il tempo ti è nemico, Wendy”  la voce di Imogen le entrò nella testa come fosse un ricordo o un pensiero “Il potere che l’ombra esercita sull’isola è forte ed è ovunque, io non potrò aiutarti laggiù. Fidati del tuo istinto, di tutto ciò che hai imparato, di ciò che hai visto e vissuto. Forse non lo ricordi, ma tu sei già in possesso di tutto ciò che serve per batterlo”  
Non aveva tempo da perdere e iniziò a correre passando attraverso gli alberi e talmente veloce da non distinguere ciò che aveva intorno. Quando si fermò, una singola ciocca di capelli più rossi che mai le svolazzò davanti agli occhi, ma non vi badò, come di tutto il resto neanche di questi sentiva il peso. La sua attenzione, invece, slittò immediatamente su due figure familiari poco distanti in linea d’aria, ma a separarli c’era un muro di uomini che combattevano. Vi passò in mezzo senza badarvi ma loro, per qualche strana ragione, si interrompevano il tempo necessario per lasciarla passare. Lo stesso Charles, coperto di fango e sangue, non avrebbe saputo dire se fosse suo o meno, volse brevemente lo sguardo nella sua direzione, ma non sembrava averla vista. Sembrava fosse in un sogno, o forse un incubo era più credibile, uno di quelli in cui vedi manifestarsi la paura di essere invisibile agli occhi delle persone care. Wendy fermò il proprio intercedere quando notò il capitano rischiare di cadere a causa della gamba destra che aveva ceduto, su una di queste infatti c’era una ferita aperta da cui fuoriusciva una freccia spezzata. L’arma era conficcata nel muscolo e sebbene evitasse un’emorragia, doveva fare molto male. Così si trovò ad agire prima ancora di pensarci bene: tese una mano nella direzione del capitano con le dita ben tese circondate da una miriade di scintille rosse e bianche e dopo il tempo di un battito di ciglia la punta della sfreccia saettò nella sua mano, lasciando alle sue spalle una ferita ormai vecchia e rimarginata che Charles avrebbe notato solo dopo diverse ore. Distrattamente ripose la punta di pietra in tasca e ricominciò ad avanzare verso i due duellanti in disparte senza sapere il perché ma percependo solo la necessità di raggiungerli, di fare qualcosa.  Eppure, una volta giunta a qualche metro da loro, per qualche ragione si ferma. C’è qualcosa che non va, qualcosa di diverso che non riesce a spiegarsi. Strizza gli occhi e di nuovo analizza il campo di battaglia, i due schieramenti e persino i morti nelle trappole e i feriti che strisciano per allontanarsi. Osservò tutto con attenzione, quasi si trattasse di un’opera d’arte da analizzare alla ricerca di un significato. Poi finalmente lo vide. Il signor Hands combatteva contro un indiano con un braccio tagliato di netto da metà dell’omero, conosceva la fama del vecchio pirata costruita in anni di abbordaggi al fianco di Barbanera e non faticava a intuire che doveva aver tagliato quell’arto senza il minimo scrupolo. Ma perché questi continuava a brandire l’ascia? Come fosse un prolungamento del braccio mancante, un fumoso tentacolo nero avvolgeva l’arma che lanciava fendenti sempre più difficili da evitare per il pirata che cominciava ad accusare la stanchezza.  
“Lui non era d’accordo sull’equilibrio. Voleva caos e l’ha ottenuto”
Ma certo, l’equilibrio! La storia è scritta dai vincitori e perché ciò avvenga una fazione deve prevalere sull’altra, quindi un disquilibrio. Ma questo non era normale, come potrebbero dei guerrieri indigeni avere la meglio contro pirati armati e abituati alla lotta? Al che Wendy aprì ancora di più gli occhi, come fosse nel buio assoluto con la convinzione di poter vedere meglio e in qualche modo ci riuscì, richiamò il proprio potere e vide meglio. Lo scenario cambiò sotto il suo sguardo che scorreva rapido da un punto all’altro: laddove prima vedeva semplicemente uomini combattere ora c’era auree grandi e scure intorno ai loro nemici che li animava di nuova e continua forza. Era uno scontro impari, la rottura dell’equilibrio che genera il caos.  
Di scatto, come se qualcuno avesse urlato il suo nome, sollevò lo sguardo di nuovo verso i duellanti che, come tutti gli altri, non avevano notato la sua presenza, qualcun altro invece se ne accorse. Un gigantesca ombra nera avvolgeva Peter Pan, un essere scheletrico e ricurvo come avesse la gobba con le braccia lunghe e sottili, così come le dita aperte, protese verso i due combattenti. La bocca era una mezzaluna vuota contornata di denti appuntiti e gli occhi e i suoi occhi, grandi e gialli, erano rivolti verso la giovane.  
Lui ha paura di te, ti teme perché mentre il suo potere nasce dall’odio, il tuo nasce dal troppo amore
Guardandolo, Wendy avrebbe giurato di avergli visto cambiare espressione, a patto che le ombre avessero una faccia su cui poter cambiare espressione. Fatto sta che, da spavaldi, i suoi occhi si fecero terrorizzati.
“Lascialo” la voce di Wendy vibrava di un tono di comando a cui l’essere non poté sottrarsi, trovandosi a ritrarre le dita ossute che erano ormai a poca distanza dal capitano. Intanto la rabbia e la magia sprigionavano con sempre maggior forza dal fragile corpo di Wendy, ad ogni clangore di spada.
Tutte le volte in cui si è scatenata la magia è stato quando ero arrabbiata!
E da cosa era provocata questa rabbia, se non dall’amore. Tutte quelle volte non hai mai attaccato per tua volontà, solo per proteggere
In qualche modo, tutto sembrava aver senso. Quella creatura avrebbe potuto essere uscita dai suoi incubi peggiori eppure non aveva paura, invero da molto aveva smesso di avere paura di Peter. Chiamatela follia se volete, ma la prospettiva di perdere le persone a lei care, in primis suo padre ma anche Emily, Charles, Spugna, Spanky e tutti gli altri membri dell’equipaggio che erano diventati la sua famiglia, faceva molto più paura di quell’essere frutto dell’immaginazione dei bambini.
Non ti sei mai chiesta perché Neverland ti accolto nonostante fossi una femmina già pronta a lasciare la stanza dei bambini? Perché Peter tra tutte le storie ascoltasse proprio le tue, perché ti vorticasse intorno come la luna con la Terra? Non ti sei chiesta perché ora ti odi così tanto?
...
Cosa devo fare?
Combattere. Sfruttare tutta quella disciplina che ti ha insegnato James e usarla con astuzia contro un avversario arrabbiato e impulsivo. Salvare l’isola che non c’è, è un posto incantevole e per troppo tempo è stata sotto il giogo di un despota bambino
 Le sembrò di essere rimasta lì ferma per ore, quando invece non trascorse che il tempo di un battito di ciglia. Sfoderò quindi la propria spada che per qualche ragione portava legata in vita anche in quella forma aurica.
“Loro non ti riguardano. Combatti con me” l’ombra non se lo fece ripetere e le si avventò contro brandendo una lama di fumo che si scontrò con forza contro quella della giovane, invece, circondata di luce e magia.
 
Peter Pan sgranò gli occhi e per un momento sentì le forze venirgli meno quando percepì l’ombra lasciare il suo corpo. Continuando a combattere si guardò discretamente attorno a cercarla, ma sembrava sparita.
“Perso qualcosa, moccioso?”
“Oltre all’interesse per questo scontro, intendi?” fortunatamente, o sfortunatamente, la spavalderia era un suo tratto caratteristico, alimentato da secoli di vittorie schiaccianti contro quello stesso avversario. Il clangore delle spade gli riempiva le orecchie, seppur ovattato dal battito forsennato del proprio cuore. Era strano, non ricordava l’ultima volta che l’aveva sentito battere così forte, né ricordava l’ultima volta in cui si era trovato a combattere senza l’ombra attaccata a sé, ma accantonò velocemente il pensiero. Ignorando che se ci avesse pensato meglio si sarebbe reso conto che non fosse mai accaduto nella sua lunga esistenza. Perché l’ombra si era allontanata? Più il tempo passava più si trovava a cercarla distraendosi dal duello e provocandosi sempre più ferite superficiali. D’altro canto, James Hook sembrava diventare più forte a ogni graffio che riusciva a procurare al suo avversario.
 
I minuti passavano lenti durante quello scontro tra esseri ultraterreni, più lento che per tutti gli altri combattenti presenti in quella giungla. Per le due entità gli alberi e le trappole non erano un ostacolo, vi passavano attraverso scontrandosi solo tra di loro. Ogni minuto che passava l’ombra si faceva meno spavalda, costretta a dover ricorrere più spesso ai pezzi di sé che aveva sparpagliato tra le fila delle proprie pedine, sempre più avversari si arrendevano nello scontro per aver salva la vita, rimanendo confusi e spossati quando quella rabbiosa energia estranea abbandonava i proprio corpo, incapaci di capire anche solo come fossero finiti lì o perché stessero combattendo. Come da richiesta di Wendy, nessun pirata aveva tolto la vita a un avversario che si era arreso, anche in sua assenza nessuno di loro aveva intenzione di deluderla.
Wendy combatteva spavalda e sicura si sé, inebriata e sempre più elettrizzata da quello scontro avvincente. Avrebbe dovuto pensarci che non fosse mai un bene cedere alla superbia.
“Hai intenzione di arrenderti? Non mi sembra che tu sia molto in forze, Ombra” dalle fauci del suo avversario proruppe un  ruggito bestiale che fece tremare la terra. La gente intorno a loro perdeva l’equilibrio e alcuni cominciarono a urlare quando il terreno si aprì sotto i loro piedi. Sembrò che l’isola si spaccasse a metà, attraversata da un canyon a cui centro c’era solo un atollo, come un’isola nell’isola, e lì c’erano James e Peter ancora intenti a cercare di uccidersi a vicenda. Non era facile per il capitano mantenere l’equilibrio su quella terra che continuava a ballare e il rischio che quella struttura di roccia cedesse era molto alto, se così fosse stato James non avrebbe avuto modo di salvarsi, precipitando tra macerie di pietra e coperto di terra. Che brutto modo di morire per un marinaio, così lontano dal mare che aveva e la propria nave, l’unica donna a cui fosse mai stato fedele. Eppure a James Hook non importava, se fosse morto così, allora avrebbe portato con sé quel demonio dalle fattezze infantili, non gli avrebbe permesso di averla vinta. A Wendy bastò guardarlo negli occhi per capire l’esatta linea dei suoi pensieri e quando si voltò di nuovo verso l’ombra i suoi occhi erano di un rosso vivo e brillante.
“Non oserai”
“Impediscimelo” la risposta dell’ombra fu un sussurro che le diede la stessa sensazione del respiro freddo sul collo. La furia continuò a montare e le mani tremavano così forte da farle quasi perdere la presa sulla spada. Chiuse gli occhi sperando di calmarsi, cosa assai difficile con il battito del proprio cuore che martellava forsennato nelle orecchie.
“Sei in gamba ragazzina, hai talento” aveva esordito Charles allontanando la spada dal proprio petto con la mano, incurante del rischio di tagliarsi.
“Ma non fare troppo la spaccona”
“Perché rischio di ferire il tuo fragile ego?” chiese Wendy non quel tono tra lo spavaldo e lo strafottente di chi sa di avere le spalle coperte.
“Va bene sfiancare l’avversario, ma non quando questi ha più esperienza di te. Potresti vincere, è vero, ma non vale la pena quando non sei più in grado di reggerti in piedi” Wendy quindi sbuffò rinfoderando la spada.
“Hai vinto questa volta, ma hai ignorato troppi dettagli che avrebbero potuto farti perdere. Ti concentri solo sull’avversario senza avere una visione d’insieme”
“Perché vincere se non posso gongolare almeno un po’? Tu e papà trovate sempre il modo di farne venir fuori una lezione di vita!” e così dicendo si diresse sottocoperta con le mani intrecciate dietro la nuca.
“Non capisco!” sbottò tra sé e sé stringendo i denti “Cos’altro c’è?!” e a quel punto, finalmente, lo vide. Come fu per il tentacolo che usciva dal braccio di quell’uomo, vide anche quel piccolo insignificante dettaglio. Un sottile filo dorato legava Peter all’ombra, Wendy aveva dimenticato questa cosa ma era stata proprio lei a cucirli insieme. I ricordi la illuminarono come un lampo nell’oscurità: rivide Peter nella propria stanza dell’infanzia, l’ombra nascosta nel cassetto tra le cose dei cucito come fosse un vecchio straccio inanimato e che riprese vita solo dopo che riuscì a riunire le due parti. L’ombra alimentava l’energia di Peter, ma allo stesso tempo si nutriva della sua forza vitale. Un’altra volta, raccogliendo tutte le energie che le erano rimaste, si lanciò sul proprio avversario, ma era una finta: all’ultimo secondo si scostò per passargli solo accanto e con un salto umanamente impossibile atterrò sullo scoglio su cui combattevano Pan e Hook. Il capitano era a terra ma, nonostante la preoccupazione, Wendy non si lasciò distrasse. Con un calcio all’elsa della spada che l’uomo aveva perso gliela fece arrivare a portata di braccio, dopodiché, mentre l’ombra la caricava come un toro infuriato, recise il filo. L’esplosione luminosa che ne scaturì l’accecò per un attimo, ma ciò che la fece invece tremare fu il boato di un tuono vicino. Un tonfo vicino le fece però voltare il capo verso il capitano che, esausto e ferito, aveva lasciato cadere il braccio sul manto erboso.
“Papà”
 
 
Indietreggiò finché poté, ma a un certo punto inciampò, probabilmente nei suoi stessi piedi tanto era concentrato sull’avversario che aveva davanti. Nel cadere all’indietro vide nero per un momento quando batté la testa contro una radice.
“Abbiamo finito qui, Hook” lanciando il pugnale lo riprese al volo con la lama verso il basso, pronto ad affondarlo nel corpo del suo avversario e non esitò buttandosi su di lui. Accadde molto velocemente, al punto che Hook non seppe come la spada persa poco prima si trovasse abbastanza vicino da essere afferrata e sollevata. Peter Pan si trafisse da solo sulla sciabola del capitano, il sangue iniziò immediatamente ad inondargli le vie aeree e presto si trovò un rivolo di sangue a scivolargli sul mento, nel mentre il boato di un tuono fece tremare di nuovo la terra.
“Tu sei finito” fino all’ultimo secondo osservò gli occhi di Pan mentre si faceva sempre più evidente la consapevolezza di esser stato sconfitto. Raggi di luce argentata partì dalla ferita e in pochi secondi il corpo del folletto si dissolse in una manciata di polvere che si disperse nel vento. Il braccio armato gli ricadde sul terreno erboso e, esausto, chiuse gli occhi. 
Ci era riuscito, aveva ucciso Peter Pan, aveva compiuto la sua vendetta, ma a che prezzo... La ferita al fianco gli fece stringere gli occhi dal dolore e la pressione del sangue nelle orecchie gli impedì di sentire persino le urla di giubilo della sua ciurma. Era stanco, ma la sua non era solo la stanchezza per la lotta all’ultimo sangue. Quanti anni aveva perso dando la caccia a una fastidiosa mosca che gli aveva rovinato la vita? Ora, semplicemente, si sentiva svuotato e la cosa più logica che gli venne in mente di fare fu cadere sulle ginocchia, poiché le gambe non sembravano più in grado di reggerlo.
“Capitano!” “James!” “Papà” tre voci preoccupate, preoccupate per lui, che gli arrivarono alle orecchie come coperte da un fastidioso ronzio? Forse era caduto vicino a un alveare, o era la pressione sanguigna oppure ancora era solo morto e tutto il resto era stato un sogno. I morti sognano? Concluse che no, non era morto altrimenti non avrebbe continuato a sentire così tanto dolore. Respirò profondamente per poi pentirsene un attimo dopo, dal dolore alle costole che sentiva in quel momento molte dovevano essere incrinate se non rotte del tutto, in quest’ultimo caso sarebbe stato tutto più faticoso.
Ricapitolando: era vivo mentre Peter Pan era morto dissolvendosi in una nube di polvere nera. Era vivo e bloccato dall’altro lato di una fottuto dirupo e aveva avuto la brillante idea di tagliare le liane che ancora legavano le due zolle di terra per non essere raggiunto ed evitare l’arrivo dei rinforzi del suo avversario. Era vivo, ferito gravemente e bloccato su uno scoglio in mezzo alla foresta. Bello schifo, ma almeno era vivo. Perché l’essere vivo era un bene, vero?
Facendo appello a tutte le sue forze, riuscì a rimettersi in piedi e poggiarsi con la schiena contro il tronco più vicino, fisicamente era a pezzi ma la sua mente era vigile più che mai.
“Wendy. Wendy” inizialmente fu solo un sussurro ma fece accrescere la sua consapevolezza man mano che lo ripeteva, fino a diventare un vero urlo
“Dov’è Wendy?” Charles e il signor Hands, dall’altra parte, si scambiarono un’occhiata
“Non è con noi, Hook. Le hai ordinato di tornare sulla nave. Non ti ricordi?” il maggiore scosse il capo, ma non per rispondere alla sua domanda.
“Era qui, era una sagoma di luce che combatteva contro l’ombra” spiegò guardandosi attorno, ma entrambi erano scomparsi.
“Cerca di stare fermo lì, potresti aver sbattuto la testa. Io vengo a prenderti” potrebbe avere ragione, era caduto all’indietro e la nuca aveva impattato contro le radici di un albero. Tastandosi il punto leso constatò di sentirsi confuso, ma non abbastanza da non riconoscere sua figlia. Non prestò attenzione neanche a Charles che in qualche maniera era riuscito a raggiungerlo e lo stava aiutando a sollevarsi e reggersi in piedi, poi una cosetta lucente poco più lunga di quanto potrebbe esserlo la mano di un bambino, ma dalla figura longilinea. Fin dal suo arrivo a Neverland, il capitano Vane non aveva mai visto una fata e quando questa gli si piazzò davanti agli occhi chiari ci mancò poco perché perdesse la presa su Hook che sarebbe potuto cadere faccia a terra.
“Che cazzo è quest’affare?!”
“Regina Mab?” alle orecchie dei presenti giunse solo un suono di campanellini, solo Hook comprendeva le parole nascoste dietro quella musica e non poté evitarsi di sgranare gli occhi e impallidire paurosamente.
“Dov’è? Che cosa è successo?” lo shock e l’adrenalina gli diedero nuovo vigore e nonostante le ferite si erse in piedi in tutta la sua altezza camminando più velocemente che poteva.
“Hook che succede?” un brutto presentimento si fece strada nell’animo del più giovane che accelerò il passo per stare dietro al capitano.
“Wendy è al lago delle anime. È proibito! Chi vi entra ne paga il prezzo con la vita” ogni parola che pronunciava traducendo il discorso della regina delle fate era una pugnalata al cuore dei due uomini che presero a correre dietro le fate che gli facevano strada illuminando il sentiero.
Scesero dalla montagna più velocemente che poterono, a causa della stanchezza e le ferite procurate nello scontro, Charles lo superava di diversi metri. Raggiunta la riva James sgranò gli occhi e perse tutto il colore dal viso alla vista di quella chiazza rossa fin troppo estesa che circondava Wendy. Scosse il capo, quasi avesse la vana speranza che negare l’evidenza l’avrebbe resa meno reale, Charles, invece, non perse tempo: si tuffò, la raggiunse in poche bracciate e la trasse a riva, senza nessuna intenzione di mollare la presa. Il viso della ragazza era pallido, le labbra quasi blu a causa dell’acqua gelida in cui era rimasta immersa per chissà quanto tempo.
“Respira, ma è molto fredda” disse Charles sedendosi per terra e posizionando il corpo della giovane in modo che fosse con la schiena contro il suo petto, in questo modo poteva frizionare le mani sulle sue braccia nella speranza di infonderle calore più velocemente. Intanto James esaminò con occhi attenti tutta la superficie di pelle visibile per trovare la ferita da cui era uscito così tanto sangue, ma trovò solo una cicatrice obliqua sul braccio sinistro che, era certo, non aveva quella mattina. Appurato ciò, si tolse la giacca e la usò per coprire la giovane che, già dal momento in cui il suo corpo aveva lasciato le acque del lago, stava riprendendo velocemente colore.
“Wendy?” esordì con voce tremante toccandole il viso, spaventato alla vista di tutta quell’immobilità.
“Capitano faccio portare una barella. Dobbiamo portarla via da qui” il capitano non reagì e Vane rispose al suo posto.
“Non occorre. La porto io” ciò detto si alzò in piedi reggendo la giovane tra le braccia “Non pesa per niente” James annuì, lo sapeva bene perché lui stesso pochi giorni prima l’aveva portata in braccio fin nella sua camera dopo aver trascorso la serata a chiacchierare nella propria cabina. 
“Andiamo ragazzina. Ti riportiamo a casa”
Il viaggio fino alla nave fu lento, gli uomini erano stanchi ciononostante Charles non volle per nessuna ragione cedere a qualcuno il compito di portare Wendy, se anche avesse avuto le forze per portarla non l’avrebbe lasciata neppure a James.
Sulla spiaggia, Emily corse loro incontro trafelata blaterando di fulmini, degli uomini venuti da Londra e di Wendy sparita, ma s’interruppe quando riconobbe la giovane dai capelli rossi tra le braccia di Vane. Solo allora, controvoglia, i due uomini si costrinsero a lasciarla andare e, per quanto poco importasse al loro spropositato ego, dovevano farsi medicare anche loro.
“Venga capitano” esordì Spugna, ma James gli rivolse solo uno sguardo assente “Quelle ferite vanno ricucite” mogi i due seguirono il nostromo senza emettere un fiato finché non furono sul ponte della Jolly Roger, solo allora Hook riuscì a sussurrare
“Non posso perderla, Charles. Non con quelle parole come le ultime che le abbia rivolto” Charles non rispose, non avrebbe neanche saputo cosa dirgli. Il suo sguardo sulla giovane inerme che due mariani stavano portando via seguita da Emily, dal suo viso non traspariva nessuna emozione e sembrava stesse semplicemente dormendo.
 
Si diedero il cambio anche con Emily per non lasciare mai Wendy da sola, quasi sperando che la loro presenza bastasse per svegliarla. Il medico che avevano portato da Nassau l’aveva visitata ma non trovò in lei nulla di strano, persino la ferita sul braccio era ormai magicamente rimarginata. Hook quindi aveva chiesto consiglio alla regina Mab,rimasta appollaiata sulla sua spalla fino a quel momento, ma il suo verdetto piacque ben poco ai due uomini di mare. Disse che il lago delle anime era una porta per un mondo di esseri ultraterreni che non poteva essere raggiunto dai mortali o anche dalle fate, le sorti di Wendy erano quindi alla volontà degli spiriti.
In quel momento era Charles a stare seduto su quella scomoda sedia in stile barocco che era più decorativa che utile. Si era dato una ripulita dopo la battaglia e aveva ancora i capelli umidi sulle spalle e la polvere di fata sparsa sulle ferite per farle guarire in fretta. Le teneva la mano, così piccola e delicata rispetto alle proprie grandi e piene di calli e cicatrici.
“Non sono una brava persona, Wendy. Sono ambizioso, feroce e spietato, ho ucciso e non ho paura di rifarlo, non c’è niente in grado di impedirmi di ottenere ciò che voglio... Non ho idea di cosa tu mi abbia fatto, forse semplicemente aveva ragione il coccodrillo quando diceva che eri magica, sta di fatto che tutto questo, tutto ciò che sono, perde d’importanza quando di mezzo ci sei tu... Ti ho detto che il mio nome per molto tempo è stato tutto ciò che possedessi, che ne diresti di farlo diventare anche il tuo? Per te sono disposto a rinunciare a tutto, ma devi svegliarti per dirmi di sì”


SPAZIO AUTRICE
Ok, questo capitolo è stato un parto e lo so che lo dico quasi a ogni capitolo. Inizialmente avevo deciso di prendermi ottobre come pausa per studiare e scrivere il capitolo con calma, data la mia incapacità di scrivere scene di combattimento. Quindi sicuramente non solo è venuto un disastro da capogiro, ma ho anche ritardato la pubblicazione di UN ALTRO MESE INTERNO!!!!! Infatti mi scuso infinitamente per questo disagio.
Beh, ho deciso che il prossimo capitolo sarà l'ultimo, alla fine dei conti ho scritto già il finale il giorno in cui ho steso anche il prologo e va bene così. Non è mai un bene scrivere una storia in un tempo così esteso perchè lo stile cambia, il disegno della trama cambia nella mente dell'autore e il risultato finale non sarà mai come quello che si pensava all'inizio. Comunque, finito questo pippone che non interessa a nessuno, spero che il capitolo vi sia piaciuto, che questa versione di Wendy "combattiva" sia all'altezza delle aspettative.
Al prossimo capitolo

 

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Capitolo 17
*** Capitolo 17 ***


Capitolo 17

Quando aprì gli occhi i raggi del sole filtravano dalla finestra coperta da un sottile strato d’organza, doveva essere mattina. Batté le palpebre un paio di volte per mettere a fuoco l’ambiente che la circondava e riconobbe la propria cabina. Aveva addosso una coperta azzurra ricamata nonostante fino al giorno prima era certa fosse estate e scoprendosi il busto scoprì di indossare la propria camicia da notte, stranamente non ricordava di essere andata a dormire, anzi a dire il vero neanche di essere tornata sulla Jolly Roger. Scrollando le spalle decise di accantonare momentaneamente il pensiero e una volta alzatasi dal letto indossò l’abito giallo e, a piedi nudi, lasciò la propria cabina. Sul ponte c’era il solito momento, come aveva avuto modo di apprendere c’è sempre qualcosa da fare su una nave. Ciononostante arrivò al ponte senza che nessuno la fermasse e una volta giunta fuori respirò a pieni polmoni, tirava una leggera brezza che le muoveva spostava i capelli e sorridere le fu automatico. Rimase lì a perdere tempo e godersi il sole per ancora qualche minuto, invero finché il suo stomaco non cominciò a brontolare e, ridacchiando per l’imbarazzo, scese di nuovo sottocoperta diretta in cucina. Nel mese in cui James fu assente vi aveva trascorso molto tempo insieme a Cecco che le aveva insegnato a cucinare qualche piatto facile più facile, ma nell’ultimo periodo, con l’arrivo anche dell’altra nave e il suo equipaggio, questo tempo si era drasticamente ridotto. Le sembrava di non entrarci da mesi e mesi, chissà che faccia avrebbe fatto il cuoco trovandosela ora davanti.
Trovò la porta aperta come al solito, dall’interno provenivano rumori di stoviglie e borbotti e affacciandosi sull’uscio vide due marinai intenti a preparare quella che sembrava una qualche zuppa.
“È troppo sperare nella colazione a quest’ora?” alla sua domanda i due uomini sobbalzarono per la sorpresa, sopprimendo a stento urla di spavento che fecero sorridere la giovane “Qualunque ora sia, effettivamente”
“Signorina Wendy?! Si è svegliata!”
“Beh sì, è quello che fa di solito la gente di mattina... Allora, c’è qualcosa che posso spiluccare?”
“Oh sì certo, signorina Wendy. Le preparo subito del tea” esordì Cecco rivolgendo un cenno a Phineas che lo interpreto come una scusa per fuggire fuori dalla cucina come avesse il diavolo alle calcagna. Wendy lo vide di sfuggita, ma scrollò le spalle con momentaneo disinteresse, prima la colazione e poi avrebbe potuto indagare anche sulla fine del mondo.
“In realtà se hai già pronto del caffè sarebbe l’ideale” di nuovo l’uomo annuì e, dopo averla invitata a sedersi, imbandì la tavola davanti a lei con il caffè richiesto, pane, formaggio, insomma tutto ciò che di solito mette a disposizione per la colazione e anche di più. Si avventò su una fetta di pane come se non mangiasse da giorni contemporaneamente con l’altra mano si verso una tazza di caffè.
Si sentiva attraversata da una strana familiare euforia, di quella che provano i bambini la mattina di Natale quando non vedono l’ora di giovare con i nuovi giochi ricevuti. Non c’erano regali da scartare quella mattina la luce del sole che la scaldava dall’oblò aperto decisamente non era tipica di dicembre, ma andava benissimo così. Le piaceva quel calore sulla pelle, soprattutto dopo quel bagno gelido nelle acque del lago era piacevole la luce del sole.
“Wendy!” esordì la donna entrando nella piccola cucina della nave e Wendy sentì un certo sollievo scoprendo che fosse la prima persona a incontrare dal suo risveglio.
“Buongiorno Emily. Come va?” impegnata a sorseggiare il proprio caffè non fece troppo caso all’espressione e il pallore di Emily che, cogliendo l’occasione, si affrettò a ricomporsi.
“Caffè? Davvero?”
“Ho pensato di aver bisogno di qualcosa di forte per svegliarmi a dovere. Anche se in realtà, è strano, ma mi sento più riposata che mai” prese un biscotto e lo inzuppò nella tazza di caffè.
“Non riesco a ricordare come sono arrivata qui. Ricordo il lago” si scoprì il braccio per osservare la ferita che ormai era solo una vecchia cicatrice “ricordo di essermi procurata questa ferita che mi sono procurata con una lama damascata e il manico di mogano e madreperla. Ma il resto?” Emily trasse un respiro profondo per trovare le parole da usare.
“Le fate hanno parlato con tuo padre, non so cosa gli abbiano detto di preciso, ma erano molto spaventate facendo ovviamente preoccupare anche lui. L’hanno chiamato lago delle anime, ed è un luogo proibito, in realtà non si può neppure trovare se quella valle non vuole essere trovata”
“La valle è viva, come Neverland, e decide lei con chi condividere il segreto della sua esistenza, in pratica”
“Immagino di sì”
“E poi?”
“James, Charles e tutti gli altri che non erano feriti troppo gravemente ti hanno portato qui e hai dormito” Wendy sembrava stranamente tranquilla facendo colazione, solo per un piccolo dettaglio sembrava diversa dalla persona che era prima di quegli eventi che le sembravano essere accaduti un mese prima: il tormento che si leggeva nei suoi occhi era scomparso e dopo tanto tempo era di nuovo una spensierata ragazzina di sedici anni.
“Mh non è andata troppo male allora”
“Tesoro, hai rischiato di morire. Abbiamo creduto che fossi spacciata”
“Davvero?” chiese la giovane sgranando gli occhi, alcuni dei vaghi ricordi con cui si era svegliata quella mattina si stavano facendo più nitidi, tutto era ben definito nella sua testa tranne un piccolissimo e insignificante dettaglio
“Quanto ho dormito?”
“Un giorno e due notti” alle parole della donna, Wendy abbassò lo sguardo sulle proprie mani.
“Beh, non ho nulla da invidiare alla bella addormentata”
“Chi?”
“Oh nulla” replicò la minore con un gesto della mano “Una favola per bambini che ti racconterò presto” un gran trambusto proveniente dal corridoio fuori dalla porta mise fine alla loro conversazione e non ci volle molto perché James e Charles facessero irruzione tentando di scavalcarsi e sorpassarsi a vicenda senza timore di poter inciampare l’uno sull’altro. Charles fu il primo a superare la soglia per appena un secondo e ci mancò poco che non capitolasse sul pavimento quando James lo spinse da parte.
“Wendy!” esordì correndole incontro e inginocchiandosi al suo fianco per poi tastarle con la mano il viso e le spalle, gli occhi sgranati alla ricerca di ferite o qualche segnale che dimostrasse che fosse reale.
“Tutto bene ragazzina? Niente di rotto o effetti collaterali?” un’espressione confusa si fece strada sul viso della giovane che scivolò dalla sua presa.
“Sto bene, ma, chiedo scusa signore. Chi siete voi?” il calore scomparve velocemente dal viso del capitano che nel giro di un battito di ciglia divenne bianco come un lenzuolo.
“Co-come?” anche Charles alle sue spalle si irrigidì come una statua di sale e il respiro gli si mozzò in gola. Spostando lo sguardo su di lui, Wendy non riuscì più a restare seria e scoppiò in una risata argentina che mise fine alla sua sceneggiata.
“Oh mio Dio, dovreste vedere le vostre facce! Degne di un ritratto” esordì quando le risate le diedero un attimo di respiro, ma ci vollero ancora alcuni secondi prima di ricomporsi abbastanza da riuscire a parlare come si deve, seppure ancora con le gote arrossite e il sorriso ancora sulle labbra.
“Lo so, è stato uno scherzo di pessimo gusto, ma non ho proprio saputo resistere. Avevate delle facce così preoccupate che me l’avete servito su un piatto d’argento” con un broncio degno dei bambini, James si sedette accanto a lei al tavolo della cucina, Charles invece rimase in piedi con le spalle contro la parete.
“Sto bene. Un po’ confusa e indolenzita, probabilmente a causa dell’immobilità. Penso di ricordare quasi tutto ciò che è successo dal momento in cui sono entrata nella valle fino alla sconfitta di Peter. Ma non ricordo come ne sono uscita. Che cosa è successo?”
“Veramente è quello che vorremmo sapere noi” esordì Charles avvicinandosi al tavolo
“Come fai a sapere quello che è successo lì e al mostriciattolo?”
“Lo so perché ero lì” rispose con ovvietà alternando lo sguardo tra i due capitani “Ho lottato contro l’ombra e grazie al potere di Imogen sono riuscita a recidere il suo legame con il corpo di Peter Pan, mio padre altrimenti non sarebbe stato in grado di sconfiggerlo. Senza niente da togliere alla sua abilità in combattimento” 
“Aspetta un momento. Imogen?” chiese Emily, l’unica tra i presenti che non prese parte alla battaglia. Così Wendy, armata del proprio caffè, raccontò tutto ciò che le successe dal momento in cui James le vietò di combattere: del sacrificio di sangue richiesto per entrare raggiungere quel limbo, dei pianeti che aveva visto e la certezza di aver lasciato il mondo da tutti conosciuto, di Imogen e l’Ombra, infine dell’equilibrio. Al momento di aprire un ultimo argomento spinoso, Wendy sollevò una mano e agitando lentamente le dita queste furono circondate da piccole luci bianche e rosse.
“Ha detto che la magia di Nevernand mi scorre nelle vene e che sei stato tu a darmela papà, cedendomi il potere che Imogen ti aveva donato per riportare l’equilibrio. Adesso capisco perché durò così tanto la guerra tra te e Pan, lui non percepiva questo potere in te e quindi non era interessato a sopprimere la minaccia che tu costituivi” poste entrambe le mani sul proprio grembo e vi puntò lo sguardo, incapace di guardare in faccia suo padre.
“Non credo che lui sapesse già quando ero bambina di quello che mi portavo dietro, non credo altrimenti che mi avrebbe mai portato qui. Lo capì solo quando sono tornata. Sono stata io a cucirgli l’ombra addosso solo io potevo spezzare quel legame e la mia presenza qui era scomoda e rischiosa per lui”
“Che cosa succederà ora? Dovrai restituire questo potere?”  
“Bella domanda” replicò lasciandosi andare sul tavolo fino a poggiarvi la fronte, per poi alzarsi con un sorriso e spostando lo sguardo tra i tre.
“Dunque, che mi sono persa durante la mia assenza?”
 
L’aria profumava di dolce e di cannella, un odore tanto familiare quanto diverso da ciò che aveva invece sentito nelle ultime settimane. Fu proprio questo profumo a ridestarla, o meglio fu la consapevolezza di dove si trovasse poiché si trattava del posto in cui, aveva giurato, non avrebbe più rimesso piede.
Era sdraiata su quello che un tempo era stato il suo letto e che sapeva fosse stato tolto quando lasciò la stanza dei bambini, il suo corpo infatti non era più comodo su quel materasso troppo corto e le gambe sporgevano da un lato.
Si mise seduta per guardarsi attorno, la stessa stanza dei bambini non le era mai sembrava così piccola e vuota, spoglia di tutti i giochi che un tempo ospitava. Poi si alzò con passo lento e camminò verso la finestra, la stessa da cui era fuggita e poi tornava verso e dall’isola che non c’è.
“Cosa stai cercando di dirmi Imogen? Non vorrai... Significa che devo tornare?” non ottenne risposta, ma una serie di piccole lucciole blu e viola la scortarono ad uno specchio in cui poteva vedere la sua immagine per intero. Non si scompose più di tanto nel vedere la sua immagine, sebbene l’abbigliamento da pirata con cui era ritratta era ben diverso dalla semplice e leggera camicia da notte che indossava. Non riusciva a capire, non solo ciò che tutto questo potesse significare, ma anche come fosse entrata in quella dimensione, del resto un attimo prima chiacchierava abbracciata a Charles.
“In ogni essere umano, piccola Wendy, il bene e il male vivono in equilibrio” nonostante la voce avesse cominciato a parlare senza alcun preavviso la giovane non ebbe nessuna reazione di paura, se lo aspettava “In te invece albergano gli estremi che influiscono maggiormente sul tuo comportamento, sul stesso carattere, facendoti comportare come non credevi avresti mai potuto fare. Così come James e Peter... Quella di questa notte sarà la tua ultima possibilità di scelta: dovrai decidere se tornare definitivamente a Londra con la tua famiglia e dimenticare tutto ciò che è legato all’isola che non c’è, oppure restare con tuo padre, con quell’altro pirata che tanto ti piace e non rivedrai mai più Mary e George, così come John e Michael che se ti dovessero incontrare non saprebbero chi tu sia” nessuna emozione trasparì dal viso di Wendy ma, del resto, non stava provando letteralmente nulla. Sembrava come se Imogen le parlasse della vita di qualcun altro perché i suoi pensieri erano altri, come il fatto che avrebbe davvero voluto avere quella giacca e il cappello con le piume, appariscenti ma l’avrebbero distinta tra gli altri ancor più dei lunghi ricci rossi.
“Per essere un’entità superiore che non ama intromettersi nella vita degli uomini sembri essere diventata una chiacchierona” eccolo quel cambiamento di carattere di cui Imogen parlava, spesso e volentieri Wendy soprattutto nell’ultimo periodo tendeva a rilasciare risposte molto simili a quelle sprezzanti di suo padre, ma chi faceva parte di quel loro stesso ambiente non ci faceva molto caso. Scuotendo il capo, la giovane abbandonò lo specchio per guardarsi intorno nella stanza che era stata sua per tutta l’infanzia. 
“Hai detto che il mio potere appartiene solo a me. Cosa accadrebbe se tornassi a Londra?”
“Non può essere reindirizzato, ti apparterrebbe per tutta la vita e morirebbe con te, indipendentemente dalla vita che sceglierai. In una vita umana e normale, ovviamente, non potresti usufruirne e si presenterà a te sotto forma di fortunate coincidenze. A Neverland potrai invece approfondirlo e controllarlo ma vivrai sotto le regole della magia che, ricorda, ha sempre un prezzo” 
“Quindi devo rinunciare a una parte di me che non riavrò più indietro. Come ha fatto mio padre il giorno in cui si separò da quella pallida imitazione che divenne George Darling. È corretto?”
“Sei una ragazza intelligente e coraggiosa, farai la scelta giusta. Ancora più facile quando non c’è una scelta giusta” trattenne a stento uno sbuffo, ancora enigmi...

Batté semplicemente le palpebre e si trovò in un’altra stanza buia che sebbene familiare non era la propria. Era infatti la cabina del capitano sulla Ranger, dove ricordava di trovarsi quando non ricordava di essersi addormentata, insomma prima di svegliarsi nella stanza dei bambini nella casa di Londra. Aveva la guancia poggiata si qualcosa di duro coperto di stoffa, aveva l’odore del mare e quella fragranza tipica della pelle di Charles. L’uomo infatti era semi sdraiato sulla sua stessa panca, assopito, e la sua spalla le faceva da cuscino. Sull’altro lato, invece, Wendy trovò il pesante pastrano di pelle che il capitano doveva averle messo addosso per coprirla. Dopo aver tranquillizzato James, il capitano Vane l’aveva trascinata quasi di peso fin lì. Cosa volesse da lei in quel momento non lo sapeva neppure lui, forse chiarire la loro posizione dopo quel bacio che, per chissà quale ragione, non si era più tolto dalla testa, complice la paura di rischiare di perderla. Su questo aspetto James aveva gestito la cosa molto meglio del più giovane, ma Charles immaginò fosse normale quando si ha a che fare con la magia da decisamente molto più tempo. Non era successo niente di che nella cabina, nel momento in cui rimasero da soli il palpabile imbarazzo che li avvolgeva fino a poco prima scomparve istantaneamente e riuscirono a sedere vicini, parlare, progettare e, sì, anche baciarsi come due adolescenti innamorati, anche se effettivamente Wendy lo era davvero.
Si alzò lentamente dalla sua posizione, fuori era già calata la sera e si avvicinava il momento di partire. Charles non si mosse, continuando a dormire tranquillo, Wendy immaginò che dovesse esserci di mezzo la magia perché sapeva quanto il capitano avesse il sonno leggero e la sua capacità di impugnare la pistola e prendere la mira ancor prima di aprire gli occhi. Drappeggiò quindi il cappotto sul suo corpo e lasciò la cabina e poi la nave silenziosamente.
James l’aspettava sul ponte della Jolly Roger con gli occhi infuocati di rabbia e la mano che a intermittenza si stringeva intorno all’elsa della spada e poi rilassava la presa. Gli ospiti, chi a disagio e chi più sicuro di sé, se ne stavano a un lato della nave l’uno accanto all’altro.
“Spero di non essere in ritardo” esordì annunciando la propria presenza, immediatamente molte paia di occhi si posarono su di lei. Aveva abbandonato la nave passando sulla Ranger quasi nel medesimo istante in cui loro erano saliti a bordo della Jolly Roger, lasciando a James ed Emily l’ingrato compito di trattare con gli ospiti. Wendy odiava passare per codarda, ma proprio non aveva avuto la voglia e la forza per affrontarli, anche se non sarebbero stati che una nuvola di fastidiosi moscerini in confronto a quanto avevano affrontato solo due giorni prima – accidenti, era passato davvero così poco tempo?!
“No, ti stavamo aspettando” James Hook in particolare la scrutava attentamente alla ricerca del più piccolo segnale che manifestasse le sue intenzioni. Non si erano detti nulla sul da farsi prima e ora era nervoso, in verità spaventato. Se solo Wendy gli avesse concesso un minimo cenno per comunicargli le sue intenzioni... e se anche gli avesse chiesto di trucidarli tutti avrebbe eseguito l’ordine seduta stante e senza rimpianti, purché non si fosse trovato a dover di nuovo dirle addio. No, piuttosto l’avrebbe riportata di peso con sé sulla Jolly Roger, non sarebbe stato di nuovo da solo, anche senza nessuna garanzia sul non perderla ancora.
Ci volle più tempo del previsto per organizzare la partenza, la regina Mab mise a disposizione tutte le fate che servissero per far volare la nave, più che disponibile a rendersi utile.
Per quel poco che Wendy aveva potuto constatare da lontano, dal momento che da quando si era svegliata non aveva messo piede sulla terraferma, l’Isola sembrava diversa. Tanto per cominciare era estate, cosa che solitamente capitava solo quando Pan vi faceva ritorno dai suoi viaggi; uccelli di ogni colore volavano tra gli alberi emettendo i loro versi e aveva visto con il cannocchiale anche alcuni piccoli animali che si erano spinti coraggiosamente fino alla spiaggia.
Non degnò di una sola occhiata la sua famiglia, ancora non si sentiva pronta ad affrontarli, o forse voleva solo rimandare ancora un po’ l’inevitabile.
Stendendosi a peso morto sul proprio letto si sorprese di trovarlo scomodo rispetto al petto marmoreo del capitano, di cui, se chiudeva gli occhi, sentiva ancora il tipico odore di cuoio, salsedine e rum. Purtroppo non riuscì a godersi il (non tanto) meritato riposo a causa delle urla che provennero dal ponte, anche se più che urla avrebbe giurato fossero schiamazzi femminili.
“Che ho fatto di male?!” esordì esasperata, ma un attimo dopo era già in piedi e si preparò a tornare di sopra in pieno assetto da guerra perché era il caso di presentarsi preparate davanti alla famiglia e poi, diciamolo, meglio fare bella figura. Nei mesi trascorsi a Neverland aveva creato il proprio personaggio, Jeckie Redhand sembrava uscita dalla favola che lei stessa aveva creato e mise più cura del solito a prepararsi per quello che sarebbe potuto essere l’ultimo viaggio di Wendy Darling: la camicia bianca profumava di bucato appena fatto, scelse un corsetto nero di cuoio che stavano perfettamente con i pantaloni neri che culminavano negli stivali alti fin sopra il ginocchio, la giacca rossa di suo padre e ovviamente le armi che non erano mai abbastanza, giusto la spada al fianco, la pistola nella fascia sul torace e il pugnale nello stivale. Un respiro profondo ed era pronta ad affrontare l’inferno che l’attendeva sul ponte.
 
“HAI PERMESSO A MIA FIGLIA DI COMBATTERE?! SEI DEL TUTTO IMPAZZITO?!”
“Donna fatti gli affaracci tuoi. Tu non c’eri e manchi da questo posto da troppo tempo per avere voce in capitolo o nella vita di Wendy. Ha scelto da sola tutto ciò che la riguarda, magari sapresti anche qualcosa di lei se almeno una volta l’avessi ascoltata”
“Non ti permetto James! Non avrei mai volto niente del genere per mia figlia, non avrebbe mai dovuto sapere niente di questo posto e di te... Come ho potuto essere così stupida da credere di essere innamorata di te?!”
“HAI FATTO TUTTO TU MARY! Hai scelto tu di voler crescere, è stata una tua decisione quella di stare con me quel giorno, ma quello che ci ha rimesso tra di noi sono stato solo io! Non avrei mai saputo di avere una figlia se una qualche entità non avesse deciso di concedermi il privilegio di conoscerla. Ma il problema qui non è Wendy, sei tu” sbottò con gli occhi rossi di furia, probabilmente Mary non li aveva mai visti così e si trovò a indietreggiare con espressione terrorizzata.
“Ho rinunciato a una parte della mia anima, ho rinunciato alla capacità di amare per non lasciarti sola, per non abbandonarti al tuo destino. Ho scelto di dividere la mia anima per te e ti sono stato accanto. Che grave errore” lo sguardo ceruleo di Hook si pose ora su colui che era la sua esatta metà, la versione migliore di lui, la versione che aveva deciso di amare e andare avanti insieme a Mary, la versione di sé che era fatta su misura per Mary “Che grave errore” ripeté rivolto a lui “Rinunciare alla mia anima mortale per un codardo, un inetto, un incapace che non è in grado di prendere una posizione neppure contro sua moglie se non è il suo orgoglio ad essere colpito” ogni insulto era un passo intorno al gentiluomo che si sentiva come nell’occhio del ciclone “Il solo pensiero di come ti sia ridotto mi fa vomitare. Non mi sorprende che mia figlia abbia deciso di tornare qui, di venire a cercarmi”
“Basta” vedere sua figlia avvicinarsi a loro con passo marziale illuminò gli occhi di Mary, un solo momento che sfumò quando oltre a notare il suo abbigliamento la vide avvicinarsi al capitano e poggiare una mano, delicatamente, sul braccio.
“Può bastare” disse a voce bassa ma non abbastanza perché non fosse udita anche dagli altri a causa del silenzio interrotto solo dal suono delle onde “Riportiamoli a Londra e basta, abbiamo cose ben più importanti a cui pensare” 
Le piccole fate circondarono la nave in poco tempo e ben presto la chiglia si sollevò dall’acqua, sempre più in alto e sempre più velocemente. Era buffo vedere la reazione dei Darling che si tenevano con tutte le loro forze quasi avessero paura di essere spazzati via da una folata di vento, al contrario James dietro il timone non era troppo diverso da quando navigava nell’oceano. Arrampicata sulla scala di corda a metà strada tra il ponte e la coffa di vedetta, Wendy osservava il capitano e l’equipaggio eseguire le manovre di navigazione, decisamente più difficili in volo rispetto all’acqua, senza intralciarli. James, ovviamente, non la perdeva di vista, la giovane invece dalla sua posizione riusciva a vedere Emily nell’ufficio del capitano che camminava avanti e indietro davanti alla vetrata. Riusciva a vedere le sue labbra muoversi ma non poteva sentire neanche una parola del discorso che la donna stava dicendo all’altra piccola ospite della nave. Dolo la morte di Peter Pan, Trilly non era più stata la stessa. Stava bene, fisicamente, ma sembrava si stesse lasciando morire. Strane creature le fate, troppo piccole per provare più di un’emozione alla volta e più complesse di quelle basilari – gioia, tristezza e rabbia –; si dice che le fate nascano dalla prima risata di un bambino, ma non sono solite affezionarsi troppo agli altri, soprattutto i mortali. Peter e Trilli erano l’eccezione, avevano trascorso molto tempo insieme, secoli, a dire il vero, in cui erano stati solo loro due. Poi era arrivata Wendy e qualcosa si era spezzato, perché la bambina fu la prima creatura a riuscire a mettersi tra loro due. Wendy non era mai riuscita a instaurare nessun genere di legame con Trilly e si sentiva una persona orribile nel non aver provato rimorso nello scoprire che la fatina aveva bevuto il veleno che era stato destinato a Peter.
Trovarono Trilly mentre Wendy era ancora addormentata e, in seguito al rifiuto della regina Mab di riprenderla con loro, Emily decise di prendersene cura. Wendy non intervenne in nessuna maniera, anche la sua piccola nemesi aveva bisogno di una seconda possibilità.
“Uomini virate a dritta e tenetevi forte, si ballerà un po’” a quel comando Wendy scese dalle scale, ma rimase comunque lì vicino dove si legò una corda in vita per avere maggiore stabilità e si trovò a ringraziare per quell’accortezza perché sebbene fosse in totale il suo quarto viaggio – di cui il secondo il nave – vedere le stesse e i satelliti da così vicino e la velocità le fecero perdere per più di un momento la presa sulla fune. Era un peccato che Charles non fosse con lei, ma James le aveva accennato qualcosa sul vomito a fontana durante il suo primo volo, sostenendo che fosse un magico spettacolo da non rivedere mai più.
Le strilla acute della signora Darling che si reggeva con forza alle funi lasciate per la sicurezza dell’equipaggio provocarono le risa di Wendy che andarono a fondersi con esse e al vento che le sconvolgeva i lunghi capelli. Spostando lo sguardo al timone incontrò lo sguardo di suo padre, i suoi capelli erano in situazioni molto simili a quelle della giovane e, per quanto cercasse di mantenersi serio, gli sfuggì un sorriso incontrando i suoi occhi allegri.
Non appena Wendy scostò di nuovo lo sguardo il capitano si trovò a storcere la bocca mentre virava verso destra, in lontananza riusciva a vedere la torre del Big Bang. Gli uomini si muovevano operosi sul ponte della nave, gli parve di vedere Sparky e Phineas chiedere a Wendy se avesse bisogno di qualcosa.
Spugna aveva ragione! Quanto detestava ammetterlo.
“Capitano non vorrà davvero lasciarla andare via, vero?”
“Non è una mia decisione, Spugna”
“Ma capitano! Wendy è praticamente il suo vice, ha fatto le veci di capitano durante la sua assenza e vorranno avere voce in capitolo in qualsiasi decisione”
“Deve essere Wendy a scegliere, Spugna. La ciurma non dovrà per nessuna ragione forzarla”
“Tempo addietro le avete promesso che vi sareste rivisti, che gli addii non sono mai per sempre. Adesso invece siete disposto a rinunciare a lei? No, non credo capitano”
La ciurma rispettava Wendy perché si era guadagnata il loro rispetto e lei rispettava l’equipaggio a sua volta. Sarebbe mai stata capace di vivere nella monotona e noiosa Londra dopo aver combattuto contro Pan? Avrebbe sopportato gonne ampie e scarpette col tacco dopo aver provato la comodità degli stivali con la punta rinforzata? Oppure avrebbe tollerato l’idea di sposarsi ed essere una buona moglie dopo aver provato il brivido dato dal potere di comandare a bacchetta un intero equipaggio di uomini?
La giovane si sporse con slancio dal parapetto della nave quando gli edifici cominciarono ad apparire sotto le nuvole sempre presenti nel cielo di Londra, man mano che si abbassavano il paesaggio si faceva più nitido. C’era una legge implicita e non scritta a Neverland – non solo perché la maggior parte dei suoi abitanti non sapeva leggere e scrivere – che imponeva il compiere viaggi tra i mondi solo di notte, quando la gente comune non avrebbe visto il loro arrivo. Nonostante si trovassero alti quanto un palazzo di sei piani, Wendy avrebbe saputo indicare anche da lì la strada per casa Darling, sorprendendosi di non percepirla come casa.
“Ci siamo” esordì arrivando sul cassero di poppa affianco al capitano che ancora stava dietro il timone “da qui continuiamo dritti su Piccadilly e poi a sinistra. A questa velocità arriveremo a breve” il capitano si limitò ad annuire, incapace di guardarla quanto di parlarle.
“Credo che questo sia il momento in cui dovresti chiederle che cosa ha deciso”
“Charles! Ma cosa... Che ci fai qui?” Wendy non credeva ai suoi occhi e andò incontro al capitano che strinse in un forte abbraccio “Dicevi che non saresti mai più salito su una nave volante neanche se ne fosse valso della tua stessa vita”
“Mi assicuro che tu non faccia cazzate e, fidati, questa prospettiva è peggiore anche dell'idea di volare” sebbene avesse pronunciato quelle parole, per lui così difficili, con il viso sprofondato nei capelli della ragazza, Hook poco distante da loro sentì ogni parola e fu come ricevere un pugno in pieno stomaco.
“Sarei tornata, Charles, e avremmo parlato con calma”
“Non mi piace lasciare le cose a metà, Wendy Hook, non sono un tipo paziente e che io sia dannato per non averti detto prima come la penso. Non potevi davvero illuderti che ti avrei semplicemente aspettata senza la certezza che ti avrei rivista” sciolsero il loro abbraccio e Charles, con tutta la delicatezza di cui era capace, le scostò delle ciocche di capelli dal viso ravvivandoli dietro le orecchie, un mezzo sorriso a stirargli le labbra mentre osservava il bel viso della giovane.
“Hai trascorso giorni ad attendere una parola da James che ti convincesse a restare, lui ha atteso altrettanto tempo che tu gli dicessi che non saresti andata via. Beh se voi due non siate in grado di comunicare, ora parlo io. Non andare Wendy Hook, perché ci sarai anche nata ma tu non sei mai stata parte di quel mondo. Il tuo posto è con la tua famiglia, fatta di pirati, criminali e tagliagole, persone che non giudicheranno mai un tuo sbaglio e ti difenderanno a spada tratta perché ti sei già guadagnata il loro rispetto. Accanto a tuo padre, che è tornato dalla morte solo per te che sei l'unica persona per la quale darebbe la sua stessa vita” a ogni frase indicò prima l'equipaggio, chi annuiva e chi abbassava lo sguardo con rispetto erano tutti d'accordo. Poi su Hook, che non disse niente ma annuì leggermente senza staccare gli occhi da quelli di sua figlia. Poco distante i Darling erano pietrificati, ma Charles non aveva ancora finito.
“E con me” disse con tono più basso così che solo lei potesse sentirlo e nel frattempo cominciò ad accarezzarle una guancia con dolcezza.
“Perché senza di te insieme a me il mondo smette di girare... Non andare, Wendy. Non rinunciare a tutto questo”

Scesero a terra, per precisare sul tetto del palazzo in cui viveva la famiglia Darling, a bordo della Jolly Roger rimase solo l’equipaggio su preciso ordine del capitano.
Wendy si sentiva soffocare e l’aria che odorava di fumo dei caminetti le faceva girare la testa. Charles non sembrava intenzionato a lasciare la sua mano, quasi avesse paura, il ché era assurdo per lui, che Wendy potesse rimangiarsi la parola data e scegliesse si restare laggiù. Quello che il capitano Vane non sapeva era che tutte paure che tormentavano Wendy, paure che temeva si sarebbero manifestate nel momento in cui sarebbe tornata a casa, erano scemate nel preciso istante in cui i suoi piedi avevano toccato terra. Delle sensazioni che temeva di provare non v’era traccia. Non le aveva fatto nessun effetto vedere la città che le aveva dato i natali, né alla vista della casa in cui era cresciuta. Non sapeva spiegarsi il perché ma, guardandola, l’unico ricordo che si affacciava nella sua mente era di quel bacio sulla fronte da parte di suo padre e le sue parole, non ancora, quando si era definita una donna. In quel momento seppe esattamente cosa doveva fare e sapeva che per alcuni non sarebbe stato piacevole.
Sciolse la stretta con la mano di Charles e si diresse verso i suoi genitori, che le rivolsero espressioni differenti: sua madre era i ritratto della felicità, pronta ad abbracciare sua figlia e tenerla stretta; suo padre, invece appariva confuso. Una parte di lui avrebbe voluto credere, come sua moglie, che Wendy sarebbe rimasta, ma l’altra parte, quella razionale, continuò a guardarla negli occhi, nel colore simili ai suoi, forse questo era l’unico dettaglio che ancora la legava alla bambina che era stata prima di giungere  Neverland, quella stessa bambina a cui lui aveva imposto di crescere e diventare adulta. In un certo senso, Wendy aveva obbedito al suo ordine, ma questo l’aveva resa una persona diversa, una persona più pirata che bimba smarrita, ergo: una persona che sapeva quello che voleva.
“È ora che le nostre strade si dividano e credo che dopo oggi non ci rivedremo mai più” lentamente le braccia della signora Darling scesero di nuovo lungo il busto e il sorriso fu soppiantato dagli occhi lucidi già prossimi alle lacrime
“Sono orgogliosa di essere stata vostra figlia, ma mi trovo ora ad ammettere di non essere solo questo. Per tutta la vita mi sono sentita come due persone totalmente diverse costrette in un solo corpo e, temo, non sia una cosa recente. È tutto più facile quando si è bambini, crescere ha i suoi effetti collaterali”sollevò lo sguardo per osservare per l’ultima volta i suoi genitori. Com’era bella sua madre, il tempo era stato magnanimo con lei che nonostante l’età era rimasta bella e perfetta, anche se ora i suoi occhi erano arrossati e le guance rigate dalle lacrime. Poi dovette inclinare il capo per guardare suo padre. I capelli si erano ingrigiti e un po’ brizzolati ma quello sembrava l’unica cosa che manifestava su di lui lo scorrere del tempo; gli occhi erano rimasti gli stessi, imperscrutabili come sempre dietro quelle lenti da vista di cui ora non poteva più fare a meno.
“Questo non è il mio posto, se prima che partissi lo fosse non credo lo sapremo mai, ma ora...” si fermò a causa di un singhiozzo che le mozzò il fiato mentre una lacrima solitaria le solcava la guancia “Mi mancherete, mi mancherete da morire, ma io non posso restare. Voi avete l’un l’altra, ma laggiù c’è qualcuno che ha bisogno di me” non aggiunse altro e si allontanò a capo chino. Fu suo fratello a fermarla, mettendosi tra lei e i due pirati che la attendevano accanto alla fune che mirava a tenere ferma la nave. 
“Fatti da parte John, io ho già fatto la mia scelta”
“No! Wendy tu sei nostra sorella, una famiglia ce l’hai. Ripensaci” indispettita da quelle parole, Wendy estrasse la pistola dal fodero e la puntò alla fronte di suo fratello minore, proprio in mezzo agli occhi. Il ragazzo sbiancò e iniziò a tremare ma non per questo si spostò da lì, solo l’urlo strozzato di Mary ruppe il silenzio irreale che si era venuto a creare.
“Spostati John”
“Spareresti davvero a tuo fratello?”
“Sta a te scoprirlo” rimasero così per secondi interminabili, durante i quali la ragazza tolse la sicura alla sua arma, senza mai spostare gli occhi da quelli di suo fratello, non batteva le palpebre. Fu John a cedere, abbassò lo sguardo e si fece da parte di un passo quindi Wendy rivolse la canna al cielo e premette il grilletto, ma l’unico suono che scaturì fu un leggero click. Scuotendo il capo ripose la sua arma, che non era mai stata carica. Era la stessa messinscena che avevano messo su James e Charles, il capitano Vane non si era fatto abbattere dalla minaccia di un proiettile in fronte e aveva seguito suo fratello in quella missione suicida. Evidentemente lei non era così importante per John.
“No, non avrei mai sparato a mio fratello ma a questo punto non ha più importanza. La tua reazione è l’ulteriore conferma, John. Sarete sempre i miei fratelli, ma non vi fidate di me e questo non può essere ignorato” sotto lo sguardo mortificato del mezzano la ragazza si incamminò di nuovo verso il vascello.
“Wendy ti prego! Possiamo tornare quelli di prima, possiamo ricominciare tutto d’accapo!” questa volta fu Michael a richiamarla urlando a squarciagola poiché impossibilitato, dalla presa di John, a raggiungere la sorella.
“Non credo Michael, una volta assaporata la libertà non puoi tornare a vivere in una gabbia. È inumano oltre che crudele” Wendy si sentì morire a vedere gli occhi di suo fratello colmi di lacrime ma non per questo ritornò sui suoi passi. Aveva preso la sua decisione e non se ne sarebbe mai pentita. Michael in quel momento le apparve come il ragazzino che ancora era, in lacrime tra le braccia di sua madre. John cercava di mantenere un certo contegno, come suo padre gli aveva insegnato. Quest’ultimo invece era anch’egli con le lacrime agli occhi ma comunque impeccabile nella forma perfetta che la sua posizione sociale gli imponeva.
“Qualunque sia la tua scelta, sappi che avrai sempre una famiglia quaggiù e che ti aspetteremo sempre”
“Grazie, lo apprezzo molto ma ho preso la mia decisione e non ho intenzione di cambiare idea” solo in quel momento guardò in faccia quello che per tutta la sua vita era stato suo padre, il perfetto alter ego del capitano perché, in fondo, tutti gli adulti sono un po’ pirati. Fu l’uomo a spostare lo sguardo e fissarlo alle spalle della ragazza.
“Abbi cura di lei, è pur sempre anche mia figlia” capitan Hook osservò il tipo ben vestito di sfuggita.
“Non c’era bisogno di chiedere. Ma, se ti fa stare tranquillo, hai la mia parola” il signor Darling annuì, certo di potersi fidare. Del resto non esisteva nessuno al mondo di cui si fidasse più di lui, sé stesso. Perché a Neverland tutto era possibile e lo era stato anche per Hook che si era diviso in due personalità, Hook e il signor Darling, uno che avrebbe portato avanti la sua vendetta e l’altro che si sarebbe preso cura di quella ragazza che hanno tanto amato.
Fu un addio e da allora Wendy non rivide più coloro che per diciassette anni della sua vita erano stati la sua famiglia, ma George Darling rivide sua figlia. Era appena uscito dalla banca e si trovò a percorrere un’altra strada per tornare a casa, attraversando una via costellata di negozi. Da una bottega come tante che scoprì essere una libreria vide uscire una bellissima giovane donna dai lunghi capelli biondo rame acconciati in morbidi boccoli e retti da fiocchi. Aveva un sorriso incantevole a illuminarle il viso e gli occhi incantati rivolti a qualcuno che ancora non aveva attraversato la soglia del negozio. George era certo di aver avuto un’allucinazione, seppure quella giovane somigliasse tantissimo alla sua bambina. Voleva togliersi ogni dubbio e stava per raggiungerla, ma si bloccò dopo aver visto la figura fasciata in una giacca rossa che la affiancò per prima. James Hook a una prima occhiata era uguale all’ultima volta che l’aveva visto, ma ad una seconda analisi comprese quanto si fosse sbagliato. Le differenze non stavano però nell’aspetto curato, bensì nello sguardo ceruleo che rivolse a Wendy prima di avvicinarsi ad alzarle il cappuccio della mantella con entrambe le mani. Lo sguardo di un padre innamorato perso di sua figlia
“Sta per nevicare, bambina. Mi auguro che tu non voglia prendere freddo e ammalarti proprio ora che ho acconsentito a portarti con me in viaggio”
“Dopo quanto ho faticato per convincerti? Assolutamente no, non ti libererai di me tanto facilmente papà”
Una parola, quattro lettere, due sillabe uguali ripetute. Bastò questo a bloccare ogni intento del signor Darling. Rimase lì fermo, sotto un lampione, osservando i due che, ignari della sua presenza, si allontanarono a braccetto nella direzione opposta chiacchierando tra di loro.
 
FINE
 
 
“Il motivo per cui gli uccelli, a differenza degli esseri umani sono in grado di volare, risiede nella loro fede incrollabile, perché avere fede vuol dire avere le ali.”
 
 

SPAZIO AUTRICE
Ci siamo, ecco finalmente il gran finale e, credetemi, è stato un parto!!! Avrei dovuto scrivere questo capitolo moooolto tempo fa, ma ho sempre altro per la testa. Come sempre, anche in questo capitolo trovetere pezzi che si noterà essere stati scritti in momenti diversi, come molte altre scene anche il capitolo finale aveva parti pronte già da tantissimo tempo. Al contrario la locandina è nuova, tipo creata proprio ieri.
Ora sto riflettendo se vale la pena o no di lavorare a un sequel crossover con Once Unpo A Time, le idee ci sono ma credo sarà difficile creare i legami. Comunque, è solo un'idea a cui penserò con il tempo, per il momento mi auguro che questa fanfiction sia stata di vostro interesse.
Alla prossima avventura
Baci

 

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