Tendono alla chiarità le cose oscure

di FleurL
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo. Le fiabe non sono per questo mondo ***
Capitolo 2: *** 1. Portami il girasole ch'io lo trapianti / nel mio terreno bruciato dal salino ***



Capitolo 1
*** Prologo. Le fiabe non sono per questo mondo ***


Prologo. Le fiabe non sono per questo mondo


 

Cammina attraverso infinite scintille.

Non ci sono colori al di fuori di quelli pastello della sua stanzetta, e le luci led mako, così fredde e intermittenti, sono appena sufficienti a disegnare un cammino. Ma lei vede cose che solo i bambini vedono, e tutto, nel desolante palazzo Shinra, con i suoi tubi e i suoi pilastri d'acciaio, le parla di magia. Il pianeta canta dolcemente nella sua testa, e dietro ogni porta c'è un segreto.

Le fiabe non sono per questo mondo, Aerith.

Come?, era stato tutto ciò che aveva chiesto. Gast non aveva avuto cuore di concludere la sua ammonizione, e si era deciso per un semplice sorriso, sperando di smorzare la sua curiosità in qualche altro modo. "Ricorda soltanto, amore mio", si era alzato, e aveva chiuso la porta scorrevole. Quella conduceva all'interno del corridoio del laboratorio principale; aveva indicato la porta sul muro opposto. Hojo era stato così gentile da consentirle di avere un "cortile" - non c'era vero sole, ma c'era dell'acqua e giocattoli di legno. "Questo mondo è grande e terribile. Ma finché starai con noi, e non incontrerai estranei, sarai al sicuro". 

Ma ora, lei non incontra nessuno. Si sente felice, ed eccitata, e d'improvviso, d'istinto, inizia a correre, quasi inciampando coi piedi nudi sulla lunga camicetta bianca. La mamma dorme da un po'; ma lei non ci riesce, e un canto pieno di nostalgia e di parole che non conosce le risuona nelle orecchie.
Va tutto bene, papà, non vedi? Non ci sono estranei.
Non ha preso la porta del cortile.

Salta un gradino. Non è una lunga caduta, ma il braccialetto di controlla urta la ringhiera di metallo, facendola tintinnare mentre cerca di aggrapparvisi. Il rumore è sufficiente ad attirare dei passi ed Aerith, il visino premuto contro il pavimento, ha i brividi. Non importa quanto ci provi, non riesce a respirare.

"Chi sei?"

Questa non è la voce dell'uomo cattivo, pensa Aerith. L'uomo cattivo è alto come il papà. Questo non è un uomo. 

Lui la gira con una mano, la sinistra. Lei si copre gli occhi.

"Ma sei solo una bambina". Sembra che stia valutando quanto può essere una minaccia. "Non hai più di sette anni". 

Lei apre un occhio e vede i suoi. Vi risplende un bagliore straordinario, e tutto attorno a lui sembra perdere i propri contorni, come se avesse evocato il bosco fatato dei suoi libri. D'un tratto, non ha più paura.

"Io mi chiamo Aerith e questa è la strada che viene dalla porta di casa mia".

Il suo sguardo è quasi gentile. Si è inginocchiato e riesce a vederlo completamente ora, è proprio come lei - be', no, pensa, non proprio come lei, ma neanche come papà e l'uomo cattivo. Dev'essere qualcosa in mezzo, non un bambino, non un uomo, ragiona mentre lui la studia. Ma il suo sguardo è gentile e i suoi capelli argentati, come le creature d'aria dei racconti della mamma. 

"Quindi vivi là in fondo, Aerith?". Le tende una mano, lei la prende. Tutto attorno a loro, le luci al neon colano in fiotti verdi. 

"Andiamo", dice, tenendole sempre la mano e guardando dritto davanti a sé, fiero come se conducesse un esercito. "Ti riporto a casa".

Le fiabe sono per questo mondo, pensa lei. 

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Stavolta viene guidata: Ifalna corre attraverso i corridoi bui dei laboratori. All'improvviso c'è ovunque una luce accecante, e rumore, un terribile rumore che arriva a ondate come la voce dentro la sua testa. Aerith è folle di paura. Vuole piangere ma non c'è tempo, le seguono veloci con passi pesanti e urla e non tiene il passo, inciampa, cade. La mamma si china, il suo viso bianco come non l'ha mai visto - la prende in braccio e ricomincia a correre, ansimando. Aerith nasconde il viso nell'incavo del suo collo mentre la sala finisce. Ifalna riesce già a vederli, lassù nella cabina trasparente dell'ascensore che scende verso li loro, e si getta verso le scale. Sente qualcosa attraversare l'aria sibilando e dei colpi improvvisi, assordanti, che la fanno sussultare. Ora il respiro di Ifalna esce a scatti, rauco, come se stesse affogando in qualcosa di denso. Il Pianeta le urla nella testa. 

Sono alla fine della scalinata. E' una specie di magazzino sotterraneo, e quando la mamma chiude la porta tutto si fa nero. Una sottile, esile lama di luce filtra da una crepa nella sezione superiore del muro. Le sembra di vedere qualcosa di piccolo ed effimero che ci danza dentro. 

"Mamma, per favore, non piangere. Vengono a salvarci". Ifalna singhiozza e la stringe così forte che non riesce a respirare.
"Ti prego, mamma, stanno arrivando". 

Aerith non l'ha mai vista così devastata, così priva di speranza. Le fa male, distrugge qualcosa dentro di lei, così prega di nuovo alla gentile musica del Pianeta. 

"Chi, amore mio, chi sta arrivando?" E' un sussurro. 
"Le creature dei racconti, mamma. Le ho incontrate". 

E' quanto basta per distruggere il sottile anello di speranza cui Ifalna si era aggrappata. La vede gettare la testa indietro e afferrarsi i capelli mentre le lacrime le solcano il viso etereo. Quando la porta si apre, non prova neanche più a scappare - stringe la sua bambina al petto e dice "ti prego", senza guardare. 

Aerith riesce appena a vedere attraverso i capelli e la manica della veste di seta verde della madre. Lontano nel corridoio, una sirena continua a suonare. Coglie un guizzo argentato. 

"Ti prego non ucciderla, te ne prego. Ti ha mandato Hojo, non è vero? Ti prego, lasciala vivere". La voce di Ifalna è rotta e Aerith sente qualcosa di caldo e umido colarle fra le dita che le stringono il petto. 

"Ti prego-"

"Silenzio, donna, abbassa la voce. Ci sentiranno". 

Conosce quella voce. E' così calma. Ora la mamma l'ha lasciata andare un poco, i suoi occhi sono colmi di paura, confusione e qualcos'altro cui non riesce a dare un nome. In due lunghe falcate lui le raggiunge, e Aerith cerca di fissare nella mente le gemme chiare dei suoi occhi, attraverso le lacrime che riempiono i propri. E' più alto, e vestito in modo che non riesce a riconoscere, un'uniforme blu con qualcosa di pesante sulle spalle. Il suo viso sembra ancora stranamente sereno e distante, come se la stesse guardando da un posto molto lontano. 

"Ciao, Aerith".

Le fiabe sono per questo mondo, perché questo mondo è fatto di fiabe. 


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Nota dell'autrice

Questa doveva essere una one-shot, ma è diventata una storia a capitoli. Ho sempre amato questi due personaggi e il modo in cui sembrano vivere in un mondo lontano da tutti gli altri. Così ho pensato di provare a raccontarli attraverso delle variazioni sul tema della luce, che nella mia testa li rappresenta molto bene. 

Il titolo e le citazioni dei prossimi capitoli sono tratti da una celebre poesia di Montale, Portami il girasole, che si trova in Ossi di seppia.

 

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Capitolo 2
*** 1. Portami il girasole ch'io lo trapianti / nel mio terreno bruciato dal salino ***


1. Portami il girasole 



Elmyra non fa domande e si prende cura di lei. Da quel momento alla stazione sa che le stelle, per una volta, sono state gentili con lei, perché questa bambina le riporta alla mente cose bellissime che credeva perdute. Così, da quel giorno veglia su questa piccola vita, sentendola preziosa e sperando di lavare via il timore che ha negli occhi. Per la sua gioia, svanisce presto assieme alla figura della donna triste sdraita davanti al treno. 

Elmyra ne ha viste tante, e come tutti quelli che sono nati negli slums sa che ogni cosa ha un prezzo, che deve farsi sempre gli affari suoi, che il cielo non è per lei e che la vita assomiglia alla salita estenuante sul dorso sabbioso e secco di una collina. Ci possono essere momenti di riposo, ma dopo ci saranno solo altre pietre che ti scivolano sotto i piedi. Un piccolo errore significa cadere giù e colpire forte il suolo deserto. Non c'è acqua fresca sul sentiero per quelli come lei. E di certo non ci sono fiori. 

Elmyra viene dagli slums, non fa domande e non crede nei miracoli. 

E' per questo che oggi quasi inciampa e rovescia il modesto contenuto del cestino proveniente dal mercatino domenicale del Settore Cinque. C'è una strada piuttosto lunga da lì a casa sua - ne ha scelto una appartata, lontana dalle stradine affollate, perché una donna sola e una bambina lì non sarebbero durate a lungo - , e con i pacchi pesanti in mano non riesce bene a guardare davanti a sé. Quando alla fine ci riesce le sembra di perdere l'equilibrio e all'improvviso ha paura di avere le visioni, di stare impazzendo, perché i miracoli non esistono - ma la sua casa oggi quasi non si vede in mezzo a cascate di fiori che splendono. 

La sua casa, la sua vecchia casa dei bassifondi è costruita su un terreno solido, arido e rosso. Lo sa per certo. Non può sbagliarsi, le hanno anche abbassato l'affitto per questo (donna matta, chi vorrebbe mai andare a vivere in una catapecchia in mezzo al deserto?"). Ma la sua casa è proprio lì e tutto attorno un giardino radioso di tulipani e dalie brilla di luce. 

Dandole le spalle, la ragazza sta, come in sogno, là in mezzo. 

"Aerith", riesce a dire dopo un po', la voce ancora incredula, "ti avevo detto di non uscire quando non sono a casa..."

"Sei qui! Mamma!" Ha quattordici anni adesso. Il suo viso inizia a perdere i connotati infantili e sembra come se qualcuno più saggio, più maturo, si muova sotto di esso. 

"Ti sei allontanata troppo, Aerith, devi fare attenzione", dice Elmyra, inginocchiandosi mentre stende una mano a carezzare i petali, come per assicurarsi che siano reali. 

"Ho fatto un sogno bellissimo, mamma", sussurra Aerith nell'abbracciarla. La piccola valle risuona di grilli e per un momento le sembra di sentire un canto debole e struggente in lontananza.

"Uno stormo di tordi era arrivato alla mia finestra. Volevano un girasole per la loro regina, ma non riuscivano a trovarlo. Ma io sapevo dov'era! Glielo dicevo, e mi prendevano a cavalcioni sulle loro ali, e volavamo insieme alti verso il cielo, e non era più d'acciaio, era verde!"

"Aerith, il cielo non è verde", ma sorride mentre lo dice. 

"E abbiamo trovato il girasole, proprio lassù".

La sua bambina è improvvisamente seria, come se stesse raccontando la più naturale delle cose. Elmyra la ama così tanto che fa male, e ha paura che un giorno svanirà in un soffio di vento, proprio come sono apparsi i suoi tulipani. Sì, pensa, mentre la tiene stretta, sarebbe andata in qualche posto molto, molto lontano, qualche terra promessa cui apparteneva più che a questa. E con lei se ne sarebbero andati i campi di fiori, il profumo d'erba, e i miracoli che gettavano scintille di luce sulla sua vita gretta. 
Ma ora la sua bambina è qui e sospira di contentezza, mormorando qualcosa ai prati bianchi. 

Elmyra non fa domande, perché sa che le cose come Aerith esistono solo nella luce incerta della sera, e non durano a lungo. 



portami il girasole ch'io lo trapianti /

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"Ciao, Elmyra. Come va il lavoro? Stai un po' meglio oggi", dice Stan nel prendere il suo filtro ed esaminarlo con mani esperte. Fuori è freddo e umido, e probabilmente sopra la piattaforma piove. 

Lei gli offre un piccolo sorriso. "Non mi lamento. Inverno significa più maglioni e sciarpe e guanti, e Aerith mi dà una mano".

"Ah, la piccolina. Sai, mi chiedevo proprio se non abbia usato uno dei suoi trucchi magici su di te. Sembri così serena ultimamente".

"Sì, un trucco magico", dice, e le parole hanno unaa sfumatura agrodolce mentre le sente risuonare nel piccolo negozio coperto di metallo. "Dev'essere così, perche tutto va bene, e lei è così felice. Alle volte penso che..." le mancano le parole e vacilla. 

"Va' avanti, non ti preoccupare. Ne ho sentite di storie strane".

"E' come se", prende un respiro, "è come se il mondo stesso con tutto ciò che c'è gioisse perché lei è viva".





/ nel mio terreno bruciato dal salino.


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