Can You Fight The Fate?

di Katie88
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** When Dreams Come True ***
Capitolo 2: *** My Daily Routine ***
Capitolo 3: *** Welcome Home Sunshine! ***
Capitolo 4: *** Molly ***
Capitolo 5: *** Good News? ***
Capitolo 6: *** We Are Family ***
Capitolo 7: *** Back To The Past ***
Capitolo 8: *** Regrets ***
Capitolo 9: *** The Exhibit (Part 1) ***
Capitolo 10: *** The Exhibit (Part 2) ***
Capitolo 11: *** Sometimes They Come Back ***
Capitolo 12: *** Countdown ***
Capitolo 13: *** The Wedding ***
Capitolo 14: *** Showdown (Part 1) ***
Capitolo 15: *** Showdown (Part 2) ***
Capitolo 16: *** The Importance Of Being A Dad (Part 1) ***
Capitolo 17: *** The Importance Of Being A Dad (Part 2) ***
Capitolo 18: *** Problems... ***
Capitolo 19: *** … and Resolutions ***
Capitolo 20: *** Trouble In Paradise? ***
Capitolo 21: *** Let's Go Back To The Start ***
Capitolo 22: *** Without You Again ***
Capitolo 23: *** Love Is In The Air ***
Capitolo 24: *** New York City Boys ***
Capitolo 25: *** Changes ***
Capitolo 26: *** Decisions ***
Capitolo 27: *** Breathless ***
Capitolo 28: *** Downfall ***
Capitolo 29: *** Is This The End? ***
Capitolo 30: *** Are You There God? It's Me, Gus ***
Capitolo 31: *** Side Effects ***
Capitolo 32: *** Welcome Back, Goodbye ***
Capitolo 33: *** Wanna Talk About It? ***
Capitolo 34: *** All Is Well That Ends Well ***
Capitolo 35: *** Can You Fight The Fate? ***
Capitolo 36: *** No One Else Like You ***
Capitolo 37: *** This Is Home ***
Capitolo 38: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** When Dreams Come True ***


Questa è la mia prima fanfiction su Queer As Folk, non ho idea di come sia uscita o di come io abbia avuto la malsana idea di pubblicarla, fatto sta che ho scritto il primo capitolo quasi di getto. Non è altro che una continuazione della serie, una specie di sesta stagione (in attesa che venga davvero realizzata ç_ç), curiosa e ansiosa di descrivere le vite dei nostri amati dopo la 5x13. Inutile dire che ci sono spoiler e che accetto ogni tipo di critica e consiglio, spero solo che vi piaccia e che io riesca a rendere perfettamente giustizia a questo meraviglioso telefilm che mi ha davvero cambiato la vita.

 

 

 

 

1. When Dreams Come True

 

 

 

“Mi lasci esprimere la mia piena ammirazione e stima al grande artista che ha incantato Toronto.” Justin sorrise imbarazzato abbassando lo sguardo.

“E non mi dica che sono il primo! Non riesco a credere che qualcuno col suo talento non sia abituato ai complimenti!”

“Justin è sempre molto modesto.” Scherzò Steve lanciando un’occhiata divertita al suo amico. “Non ama molto trovarsi al centro dell’attenzione.”

Il signor Summers scoppiò in una fragorosa risata. “Allora credo proprio che abbia sbagliato mestiere!”

Steve cercò di non ridere, ma si beccò ugualmente un’occhiataccia di Justin. “Sono lieto che apprezzi il mio lavoro, signor Summers. La sua approvazione è un onore.”

L’uomo di mezza età davanti a lui fece un cenno col capo. “Mia figlia è rimasta totalmente rapita dai suoi capolavori. Meredith è una studentessa d’arte.” Spiegò orgoglioso. “Anzi, in tutta sincerità è stata sua l’idea di trascinarmi qui. Era così elettrizzata di assistere alla mostra del nuovo genio dell’arte contemporanea!”

Justin arrossì appena. “Ringrazi tanto anche lei allora. È merito suo se il famoso Edmund Summers ha trovato del tempo da dedicarmi.”

Summers rise di nuovo. “Oh, Taylor! Devo proprio ammetterlo! Lei ci sa fare!”

Steve sorrise soddisfatto: avere uno come Summers tra i sostenitori non poteva che essere un bene per la carriera di Justin; se poi anche sua figlia era una sua ammiratrice era meglio ancora! Le ragazze avevano un debole per la sua aria da bravo ragazzo.

“Per Justin sarebbe un piacere conoscere sua figlia.” Suggerì candidamente.

Justin inarcò un sopracciglio e fece per ribattere, ma Summers lo anticipò. “Vado subito a cercarla. Dev’essere qui da qualche parte.”

Steve annuì appena. “Non vediamo l’ora.”

L’uomo sorrise un’ultima volta ai due ragazzi e si allontanò con passo traballante verso il centro della sala, il quarto bicchiere di champagne ancora saldamente stretto nella mano destra.

Justin aspettò che l’uomo fosse fuori portata d’orecchi prima di voltarsi furioso verso Steve. “Si può sapere che cazzo vuoi fare?”

Steve estrasse il suo palmare. “Mi occupo della tua carriera, Justin. Non è per questo che mi hai assunto?”

“Appunto! Devi occuparti della mia carriera, non della mia situazione sentimentale!”

“Nessuno sta cercando di accasarti, Justin. Rilassati.” Steve afferrò al volo una delle tartine ai gamberi che i camerieri portavano qua e là e gli sorrise tranquillo. “Se riesci ad accaparrarti il favore di uno come Summers, sei a posto. È lui che detta legge qui a Toronto!”

“Già.” Justin lo guardò scettico. “Ma voglio che Summers mi apprezzi per i miei quadri e per il mio talento, non perché me la faccio con sua figlia!”

“Non devi fartela davvero con sua figlia! Cerca solo di essere… gentile.”

Justin incrociò le braccia al petto visibilmente scocciato. “Gentile?”

“Si, gentile, Justin; falle qualche complimento, offrile un drink, regalale una delle opere, fai quello che vuoi… Basta che quella ragazza stasera esca di qui innamorata pazza di te.”

Justin scosse la testa e voltò le spalle al suo amico; Steve lo seguì. “Sai che non lo farò; mi conosci ormai.”

Steve sbuffò. “Hai idea delle possibilità che avremmo qui grazie alla raccomandazione di Summers? Tutte le più famose gallerie di Toronto sarebbero disposte ad uccidere per avere una tua mostra!”

“Non ho bisogno della raccomandazione di nessuno, io!” Scattò nervoso, cercando di mantenere bassa la voce. “Sono arrivato fin qui con le mie sole forze, senza l’aiuto di nessuno. E continuerà così; se le cose andranno male, vuol dire che me ne tornerò a New York!”

Steve lo afferrò per un braccio. “Justin, ascolta. So quanto tu sia eticamente corretto.” Fece una mezza smorfia di disgusto che nonostante tutto fece sorridere Justin. “Però so quanto talento hai; e se Summers può aiutarti, almeno all’inizio,” si affrettò a precisare davanti all’espressione omicida del suo cliente “a farti conoscere, perché non approfittarne?”

Justin roteò gli occhi. “Perché lo dico io! E io sono quello che paga il tuo stipendio, Steve! Quindi chiudi il becco!”

Steve alzò le mani in segno di resa. “Come vuoi, sei tu il capo. Cercavo solo di renderti ricco e famoso; ma se vuoi tornare a disegnare fumetti in una squallido negozietto di Pittsburgh, fai pure. Tua madre sarà felice di riaverti a casa.”

“Hai finito?” Chiese Justin spazientito, trangugiando in un sorso un bicchiere di champagne.

“E sono sicuro che anche la tua ragazza ne sarà entusiasta.”

Justin sorrise gentile a due signori dall’aria distinta che gli fecero i complimenti e continuò a camminare. “Daphne è la mia più vecchia amica; è come una sorella per me.”

“Se io avessi una sorella del genere, sarei sicuramente a favore dell’incesto, credimi.”

“Cazzo se sei disgustoso, Steve.”

Steve ghignò divertito. “Ma dimenticavo che tu non apprezzi il fascino femminile come me.”

“Come una maniaco sessuale, intendi?” Lo stuzzicò Justin.

“Signor Taylor!”

Justin e Steve si voltarono verso il curatore della mostra che camminava affannato verso di loro.

“Signor Taylor, quasi non la trovavo in questa bolgia.”

Justin sorrise all’uomo. “Tutto bene? È successo qualcosa? La vedo agitato.”

L’uomo sorrise scuotendo la testa. “Volevo chiederle se fosse disponibile ad incontrare una mia cara amica, anche lei curatrice di mostre; ne sarebbe davvero onorata.”

“Mi dispiace.” S’intromise immediatamente Steve. “Sa che Justin, per contratto, non è più disponibile per altre gallerie.”

“Ma…” Balbettò l’uomo. “Lei mi ha… mi ha detto che la conosce già.”

“Davvero?” Chiese Steve scettico. “Non credo davvero sia possibile.”

“Si chiama Petersen, Lindsay Petersen.”

Steve scosse le spalle. “Spiacente, non conosciamo nessun Peterson.”

“Linz?” Domandò Justin spalancando gli occhi. “Linz è qui?”

Steve si voltò stupito verso di lui mentre l’uomo sorrideva allegro. “Ha sentito che era in città e si è precipitata alla sua mostra.”

“Non posso crederci!” Disse Justin incredulo. “Dov’è?”

Il vecchio curatore fece per parlare, ma una voce ben nota a Justin lo anticipò.

“Ehi grande artista!” Lo chiamò la voce divertita di Melanie. “Hai un minuto per due vecchie amiche?”

Justin sorrise raggiante correndo incontro alle sue amiche e abbracciandole con slancio. “Ragazze! Che bella sorpresa!”

Melanie schioccò un bacio sulle guancia di Justin mentre Lindsay continuava a stritolarlo nel suo abbraccio. “Come stai? Dio, ma quanto tempo è passato?”

Justin si staccò finalmente dalle due ragazze sfoderando uno dei suoi soliti sorrisi contagiosi. “Quasi due anni. Dall’ultima volta che ci siamo visti a Pittsburgh.”

Melanie gli scompigliò i capelli, un po’ lunghi sulle orecchie come li aveva già portati in passato. “Sei diventato ancora più bello.”

Justin scosse la testa. “Mi sembra di sentire mia madre.”

Lindsay gli sorrise affettuosa. “A proposito di mamme… “ Si guardò intorno “Mel dove sono finiti i bambini?”

Melanie indicò le poltroncine in un angolo della sala e sorrise a sua moglie. “Erano stanchi di girare qua e là e si sono seduti laggiù.”

“Ci sono anche i bambini?” Chiese Justin sorpreso.

Lindsay annuì. “La babysitter ci ha bidonato all’ultimo momento.”

“Ti andrebbe di rivederli?” Gli chiese Melanie.

Justin esitò per un istante, incerto su quello che avrebbe dovuto fare.

Certamente aveva una voglia smisurata di rincontrare Gus e Jenny Rebecca, di vedere quanto fossero cresciuti, di capire se si ricordassero ancora di lui, di quello strano tizio che anni prima li aveva riempiti di regali.

Eppure non era certo di averne il coraggio.

Con Jenny Rebecca era stato amore a prima vista fin dalla prima volta che l’aveva tenuta tra le braccia, così morbida e profumata, così dolcemente innocente; ormai avrebbe dovuto essere una bella signorina di quasi tre anni, con gli occhi scuri di Michael e i capelli ramati di Mel. Quante volte mentre vagava di notte per le vie illuminate di New York aveva pensato a lei?

Porca puttana, certo che gli andava di rivederla, ma il vero problema era un altro.

Perché per quanto amasse incondizionatamente Jenny Rebecca, che tuttavia conosceva ben poco, era Gus che non vedeva l’ora di rincontrare.

Gus, quel piccolo bambino dallo sguardo sveglio e dal sorriso contagioso che aveva visto nascere. Nel vero senso della parola.

Se ripensava a quella notte in cui era andato in ospedale per la sua nascita, il cuore iniziava quasi a fare male tanto batteva forte; la stessa notte in cui tutta la sua vita era cambiata.

O iniziata, dipendeva dai punti di vista.

Avrebbe avuto il coraggio di rivedere quel meraviglioso bambino che gli ricordava la sua vecchia vita? Quella fatta di nottate al Babylon, pranzi domenicali da Debbie e giornate passate al Diner? Lo stesso bambino che, anno dopo anno, diventava sempre più uguale a suo padre?

Sospirò piano e cercò di sorridere.

Il suo bellissimo papà.

Scosse la testa e cercò di scacciare quei pensieri troppo dolorosi. Pensare a lui era troppo doloroso. “Sarei felicissimo di rivedere i bambini.” Cercò di suonare il più convincente possibile.

Mel e Linz gli sorrisero radiose. “Hai da fare dopo la mostra, grande artista?”

 

 

 

 

 

“Dio, avevo dimenticato quanto eravate brave in cucina!” Justin trangugiò un boccone di arrosto, leccandosi le labbra. “Davvero ottimo!”

Linz sorrise, accomodandosi a tavola. “Sono contenta che ti piaccia, tesoro.”

“E scommetto che non mangi qualcosa di sano e fatto in casa da almeno un mese.” Mel gli lanciò un’occhiata di traverso.

Justin sorrise. “Due, veramente. Dall’ultima volta che mia madre è venuta a trovarmi.”

Le due donne si scambiarono uno sguardo. “Una volta ti piaceva cucinare.” Gli ricordò Mel.

“Adesso sono un’artista, Mel.” Justin cercò di assumere pose da grand’uomo facendo scoppiare a ridere entrambe.

“Giusto, Mel.” Linz gli diede scherzosamente manforte. “Il piccolo Justin non ha tempo per cucinare. È un artista adesso.”

“Oh ma smettila di darti tutte queste arie!” Mel gli lanciò un tovagliolo beccandolo in faccia. “Per me rimarrai sempre il ragazzino timido e sorridente che si presentò in ospedale alla nascita di Gus!”

Justin scoppiò a ridere. “Oddio, se penso che sono già passati sette anni mi sento improvvisamente vecchio!”

Linz ridacchiò. “Se ti senti vecchio tu, noi dovremmo essere due cariatidi!”

“Ehi! Parla per te!” Si risentì Mel, ridendo.

“Mamma, Gus ruba la mia bambola!” Jenny Rebecca entrò di corsa in salotto strillando a squarciagola, seguita da suo fratello.

“Zitta, spiona!” La sgridò Gus rincorrendola.

La bambina si gettò in grembo a Linz mentre Gus corse di filato da Melanie. “Mamma, Gus è un prepotente!”

“E tu sei una mocciosa petulante!”

“Cattivo!”

“Viziata!”

“Adesso basta!” Gridò Mel cercando di sovrastare le loro urla; i bambini parvero calmarsi, ma rimasero a guardarsi in cagnesco. “Gus, restituisci la bambola a tua sorella!”

“Ma, mamma…”

“Subito, Gus.” Ribadì Lindsay.

Il ragazzino sbuffò contrariato e lanciò la povera bambola ai piedi della sorellina che gli fece una linguaccia prima di agguantarla e metterla al sicuro tra le sue braccia.

“Si può sapere che ti è preso?” Domandò Mel al suo primogenito. “Non è da te comportarti così.”

Gus incrociò le braccia al petto e mise il broncio. “Papà dice che devo farmi rispettare da Jenny perché lei è una femmina e l’ha sempre vinta. Anche nonna Debbie le dà sempre ragione.”

“E quindi devi fare il prepotente e romperle tutti i giochi?”

Lui scosse le spalle. “Papà ha detto di trovare il punto debole del nemico e di sfruttarlo. Solo così si vince.”

Mel inarcò un sopracciglio e guardò sua moglie di traverso. “Io sono sempre stata contraria alle visite dei bambini a Pittsburgh.” Indicò Gus. “E forse avevo ragione.”

“Io voglio andare da papà.” Confessò placida Jenny Rebecca, lo sguardo ancora fisso sulla sua bambola ritrovata.
Linz le accarezzò i capelli sorridendole appena. “Lo so, amore. E prometto che presto torneremo a trovare papà e Ben.”

“E Hunter?” Chiese Gus preoccupato.

Linz annuì. “Promesso. E anche zio Emmett, zio Ted e i nonni.” Lanciò un’occhiata significativa a Mel. “Vero, mammina?”

Sua moglie sbuffò contrariata, roteando gli occhi. “Io ci rinuncio.”

Justin ridacchiò inforcando una patata arrosto. “Mi mancava tutto questo.”

Jenny Rebecca si precipitò di nuovo su per le scale seguita a ruota da suo fratello che ancora le gridava contro. Linz si sporse verso la scalinata e gridò al suo primogenito di lasciare in pace la piccola.

“Cosa?” Chiese Mel sorseggiando il suo viso. “Le grida, le liti, la confusione…?”

“Si.” Justin sorrise. “E anche voi due. E Gus. E Jenny Rebecca.”

Linz tornò a tavola e gli scompigliò i capelli. “Anche tu ci sei mancato, Topino.”

“Oddio!” Justin scoppiò a ridere strozzandosi quasi con l’acqua. “Erano anni che non sentivo quel nomignolo!”

Le due donne risero. “Noi invece lo sentiamo spesso.”

“Si, praticamente tutte le volte che andiamo da Debbie.” Specificò Mel. “Chiede sempre di te.”

“Se qualcuno ti ha sentito, ti ha visto…”

“… se mangi abbastanza…”

“… se sei felice…”

“… se qualcuno ti tratta male…”

Justin abbozzò un sorriso. “Tipico di Debbie.”

Mel annuì. “Si è sempre preoccupata per te; sei sempre stato il più giovane nella nostra… strana famiglia.”

“Ma anche il più forte e tenace.” Linz gli offrì un’altra porzione di pasticcio. “Sei riuscita a realizzare tutti i tuoi sogni.”

Justin sorrise. “Direi di sì.”

“E a proposito di sogni.” Mel gli rivolse un’occhiata furbesca. “Chi era quel bel ragazzo con cui passeggiavi alla mostra?”

Linz trattenne a stento un sorriso. “È davvero un bel bocconcino.”

“Oh, per favore!” Justin roteò gli occhi non credendo alle sue orecchie. “Steve è solo un amico.”

“Si, certo…” Fece Mel accondiscendente. “Un amico carino.” 

“Si, Mel, un amico carino, gentile ed etero.”

Linz ridacchiò. “Bè, mai dire mai, tesoro.”

“È il mio manager. Si occupa della mia carriera e nient’altro.”

“Potrebbe anche espandere i suoi orizzonti.”

Justin scosse la testa. “Credetemi, Steve è la cosa più etero che abbia mai messo piede su questa terra.”

Linz sospirò. “È un vero peccato, comunque.”

“Io credo di no. Steve non è la persona più affidabile del mondo.” Si strinse nelle spalle. “E nemmeno la più fedele.”

Mel gli sorrise. “E tu puoi avere di meglio; anzi devi avere di meglio. Sei una persona meravigliosa, e tu lo sai.”

“Grazie.” Disse Justin arrossendo. Si asciugò la bocca col tovagliolo color crema e ricambiò il sorriso. “Allora, che si dice di nuovo a Pittsburgh? Ci sono novità? Altri amici che si apprestano a percorrere la navata?”

Linz rise. “No, per il momento Michael e Ben sono stati gli unici.”

“E credo lo rimarranno.” Precisò Mel. “Non ci sono più i gay romantici di una volta.”

“Come stanno?” Chiese Justin rilassandosi contro lo schienale della sua sedia.

Mel si alzò e iniziò a raccogliere i piatti. “Tutti bene; sai come sono. Sempre in giro a divertirsi e a fare baldoria.”

“Anche se un po’ meno che in passato.” Linz ridacchiò. “Non sono più dei giovanotti.”

“Se ti sentissero…” Justin sorrise immaginandosi le loro facce.

“Comunque Linz ha ragione.” Mel si riaccomodò a tavola. “Michael e Ben sono sempre più innamorati…”

“… alle volte fanno venire la carie persino a noi!” Sussurrò Linz scioccata.

“… Hunter non è più scappato, per la loro sanità mentale, Ted e Blake sembrano ancora due piccioncini in luna di miele e Emmett… bè, Emmett è il solito Emmett! Sempre stravagante e sopra le righe.”

Justin incrociò le braccia al petto. “Sono contento che almeno lì le cose siano sempre le stesse. In qualche modo mi sento rassicurato.”

Mel e Linz gli sorrisero, prima di scambiarsi un rapido sguardo pieno di imbarazzo; Justin le liberò dall’impiccio, sapendo benissimo quale argomento avevano paura di intavolare con lui. Si schiarì la voce. “Volete dirmi come sta oppure avete paura che possa dare di matto e uccidervi tutti?”

Linz si morse il labbro nervosa torturandosi le mani. “Non… non sapevamo se…”

“… potevate nominare l’Innominabile?”

Mel annuì. “Temevamo che non avresti apprezzato.”

Justin posò le mani sulle loro braccia per rassicurale. “È solo una relazione che è finita male; una storia come tante nel mondo. Non dovete preoccuparvi.” Mentì, ben consapevole di farlo. Ormai era diventato bravo a ripetersi quel mantra; peccato che non lo avesse mai aiutato.

“Sai che non è così.” Lo contraddisse Lindsay.

Mel guardò seria Justin e gli strinse la mano. “La vostra non è una storia normale. Non lo è mai stata.”

Justin deglutì a fatica e provò a sorridere, nonostante l’ormai familiare e lancinante dolore al petto. “Già.”

Lindsay si alzò e prese una delle foto sistemate con cura sul mobile scuro alle sue spalle; era posata dietro tutte le altre, quasi completamente nascosta. Justin si chiese se fosse finita là dietro a causa della sua visita di quella sera. Gliela porse sorridendo. “Non è cambiato molto.”

“È sempre lo stesso coglione cinico e egocentrico.” Puntualizzò Mel beccandosi un’occhiataccia di Lindsay.

“Sono lieto di sentirlo.” Disse sincero Justin, ammirando la foto stretta tra le sue mani.

“L’ultimo compleanno di Gus. “ Spiegò Linz.

C’era Gus in primo piano che soffiava le candeline mentre un Brian dall’aria scocciata gli teneva le mani sulle spalle. Sorrise; come al solito stava cercando di non far vedere quanto fosse diventato sentimentale e quanto in realtà amasse suo figlio. Lui era Brian Kinney! Non avrebbe mai potuto mostrare l’affetto sconfinato che provava come qualunque altro genitore normale. Non sarebbe mai stato patetico, avrebbe chiarito se fosse stato lì con loro. “Probabilmente stava dando di matto contando le candeline sulla torta…”

Mel ridacchiò. “Soprattutto quando si è reso conto che se Gus aveva sette anni lui era già arrivato a quota trentasei.”

“Dev’essere stato uno shock per lui.” Scherzò Justin, senza staccare gli occhi dalla foto. Col pollice sfiorò appena il volto di Brian mentre un groppo fastidiosamente noto gli si formava in gola. Possibile che fosse diventato anche più bello in quei due anni?

Linz lo guardò intenerita; forse non era stata una buona idea mostrargli quella foto. “Ti va un po’ di dolce?” Chiese per cercare di alleggerire l’atmosfera.

Justin annuì, restituendole la foto. “Volentieri, grazie.”

La donna si alzò e si diresse verso la cucina, risistemando la cornice al suo posto. Mel si voltò verso sua moglie sorridendole appena, prima che questa sparisse nell’altra stanza; poi rivolse un’occhiata affettuosa a Justin. “Tutto okay?”

Il ragazzo le sorrise incerto. “È che… è successo tutto in fretta, non me l’aspettavo.”

“Intendi noi?”

“Intendo tutto.” Appoggiò la schiena contro la sedia. “Prima Toronto, poi voi, Gus, Jenny, la foto…”

Mel gli prese una mano. “Mi dispiace.”

“No, sono contento. Sorpreso, ma contento. Avevo voglia di rivedervi, mi ha fatto bene… Ci sono momenti in cui tutto diventa difficile, in cui non faccio altro che maledirmi per essermene andato, per aver cambiato le carte in tavola…”

“E oggi è uno di quei momenti?”

Justin gli sorrise allegro. “Lo era.”

Mel si alzò dal suo posto e si accomodò accanto a lui. Gli accarezzò i capelli. “Sai che per me sei sempre stato speciale, Sunshine. E non so dirti quanto io sia contenta di averti rivisto oggi.”

“Anche io sono felice, Mel.” L’abbracciò stretta. “Sai ho sempre invidiato l’amicizia tra Brian e Linz… era così naturale, così spontanea, non avevano bisogno di parlare per capirsi, bastava uno sguardo.”

“Ho sempre avuto l’impressione che Brian sia sempre stato il grande amore di Linz.” Sorrise tra sé. “Se lei non fosse stata lesbica.”

“E lui gay.” Justin sorrise. “Sarebbe stato divertente vederli.”

“Terrificante, vuoi dire.”

“Comunque si sono sempre sostenuti, non si sono mai giudicati o criticati; semplicemente erano lì, l’uno per l’altro.” Le prese la mano. “E poi un giorno ho capito che anch’io avevo un’amica speciale.”

Mel sorrise. “Daphne?” Scherzò.

“Daphne è più una sorella. È lei che mi fa le ramanzine e le lavate di capo quando faccio qualche cazzata, è lei che mi riporta sulla retta via ed è lei che mi sprona a non piangermi addosso e a cacciare fuori le palle.”

“Ho sempre pensato che fosse una tosta.”

Justin annuì. “E lo è. Però ho anche te.” Mel arrossì. “La mia amica Melanie-vi-prendo-a-calci-nel-culo-Marcus. La persona migliore del mondo che ha cercato sempre cercato di difendermi da tutto e tutti.”

“Principalmente dal tutti.” Gli sorrise. “Il mio piccolo Sunshine.”

“Alle volte quando sono particolarmente giù di morale da non riuscire nemmeno a dipingere, esco dal mio appartamento nell’East Village e cammino per la città: di notte, di giorno, con la pioggia o col sole, cammino e immagino. Immagino voi, te e Linz e la vostra vita. I bambini da portare a scuola, i vestiti in lavanderia da ritirare, il lavoro, la spesa da fare e la cena da preparare…”
”Una noia, insomma…” Mel sorrise.

“Mi tranquillizza. Pensare a voi mi calma e mi rende felice. Non hai idea di quante volte mi abbiate salvato dal manicomio.”

“Bè, nemmeno la tua vita può essere tanto male. Linz mi ha fatto leggere alcune recensioni sulle mostre che hai tenuto a New York.”

Justin abbozzò un sorriso. “Sono felice per come vanno le cose e non vorrei sembrare un ingrato…”

“Non è facile stare lontano dalla tua famiglia, è comprensibile…”

“… e solo che alle volte mi fermo e penso se sia stata la scelta giusta.”

“E lo è stata?”

Justin si strinse nelle spalle. “Chiedo l’aiuto del pubblico.”

Mel lo guardò seria. “Ascoltami bene: tu sei diventato un grande artista, hai realizzato i tuoi sogni e hai combattuto per tutta la tua fottuta vita per arrivare dove sei adesso. I rimpianti fanno parte del gioco, così come gli ostacoli, le vittorie e le sconfitte, ma tu ce l’hai fatta, Justin. Ce l’hai fatta, cazzo! Fai quello che hai sempre sognato di fare, dipingere, dare vita alle tue emozioni più profonde e nascoste attraverso la tua arte, attraverso i colori, i pennelli, i chiaroscuro… è quello che fai. Ed è quello che noi, tutti noi, abbiamo sempre voluto per te.” Justin annuì appena. “I momenti di sconforto ci saranno sempre, siamo essere umani, perennemente insoddisfatti e costantemente spaventati dal fallimento.”

“E se tutto questo dovesse finire? Se tutto quello che mi sono lasciato dietro fosse stato sacrificato per nulla? Se…”
”Sono un po’ troppi se, mi pare.” Mel gli prese la mano. “Goditi questo momento fantastico, tesoro, goditi i tuoi successi e i tuoi meriti; sei ancora troppo giovane per avere una crisi di mezza età e rimettere in discussione tutta la tua vita.” Gli fece un occhiolino. “Aspetta almeno di avere trentanove anni.”

Justin abbozzò un sorriso. “Hai ragione.” Mel annuì soddisfatta. “E io sono un coglione.”

“Più o meno, ma sei giovane e possiamo perdonarti per questa volta. Ricordati però di non dubitare mai di te stesso e delle tue scelte; sei una persona straordinaria di cui siamo tutti fieri, di cui chiunque sarebbe fiero, e avere dei dubbi non ti rende un ingrato, ti rende solo adulto, adulto e consapevole del fatto che non sei infallibile, ma che come tutto il mondo puoi sbagliare e avere delle incertezze. L’importante è non farsi buttare giù, non arrendersi mai e difendere con le unghia e con i denti quello che si è tanto faticosamente conquistato.”

“Non sono il tipo che si arrende, lo sai.” La rassicurò Justin sorridente.

Mel l’abbracciò di nuovo. “Certo che lo so. Sei sempre stato il più forte.” Gli sussurrò all’orecchio. “Il più forte di tutti noi.”

 

 

 

 

 

Justin aprì la porta della sua camera d’albergo e si sfilò il giubbino di pelle, gettandolo sulla poltrona, poi si gettò a peso morto sul letto.

Un leggero picchiettare alla porta lo riscosse poco prima che si addormentasse; si alzò dal letto.

“Allora, sei tornato!” Gli chiese Steve, entrando in camera e sdraiandosi comodamente sul letto.

Justin chiuse la porta mentre gli faceva teatralmente cenno di accomodarsi. “Fai pure come fossi a casa tua, Steve.”

Il ragazzo gli sorrise. “Divertito con le tue amiche?”

“Si.” Justin tornò verso il letto, buttandosi sul materasso a pancia in giù. “È stata una bella serata.”

“Anche le tue amiche non erano niente male.” Justin sollevò la testa dal cuscino e inarcò un sopracciglio. “Che c’è? Ho solo detto che sono dei tipi… interessanti!”

“Ho per caso omesso il piccolo particolare che sono tutte e due sposate? Tra loro?”

Steve spalancò la bocca sbalordito. “Sono lesbiche?” Justin annuì, sprofondando di nuovo nel cuscino. “Cristo santo, Justin! Ma conosci qualche etero?”

Il ragazzo ridacchiò. “Conosco te.”

“E io con chi dovrei farmela? Se aspetto per te…”

“Abituati a fare da solo…” Lo prese in giro, un sorriso nascosto dal cotone leggero del guanciale. “Prendi in mano la situazione…”

“Ah ah ah, quanto sei spiritoso, Taylor.”

“Potrei presentarti la mia amica Daphne. È carina, sai?”

Steve si sollevò sui gomiti. “Guarda che non mi freghi! Ogni volta che la tua amica viene in città, tu fai di tutto per tenermi lontano! Finora sono riuscito a vederla solo in foto, il che mi fa quasi pensare che tu mi abbia rifilato la foto di qualche bella sconosciuta e che la tua cara Daphne sia una specie di cesso ambulante!”

Justin lo colpì forte al braccio, senza nemmeno alzare la testa. “Vaffanculo! Daphne è una bellissima ragazza! E dopo quello che hai detto, sono sempre più convinto a non fartela conoscere!”

“Geloso?” Lo punzecchiò.

“No, solo preoccupato che la mia migliore amica finisca con un idiota etero della peggior specie.”

Steve si sollevò di scatto a sedere. “Daphne è etero, vero?”

Justin si girò su un fianco e lo guardò con la fronte aggrottata. “Non posso credere che tu me lo stia chiedendo davvero.”

“Quindi è un sì o un no?”

“Certo che è etero, coglione che non sei altro! Ma come cazzo fai ad uscirtene così?”

Steve scosse le spalle. “Tu conosci solo gay!”

“Io non conosco solo gay! Conosco un sacco di gente etero!”

“Ok, fammi tre nomi.”

“Cosa?” Justin spalancò gli occhi.

“Fammi i nomi di tre persone che conosci che non siano gay.”

Justin si mise seduto e si appoggiò alla spalliera del letto, stringendo il cuscino le braccia. “Che idiozia!”

“Tre nomi, Justin, sto aspettando.”

Justin lo guardò contrariato. “Daphne.”

“Non vale.”

“Perché no? È una ragazza etero ed è mia amica.”

Steve sbuffò. “Ok, per stavolta la accetto. Va’ avanti.”

Justin alzò lo sguardo e prese a fissare il soffitto pensieroso. “Debbie.” Borbottò a mezza voce, imbarazzato.

“Debbie?” Steve inarcò un sopracciglio. “Che sarebbe?”

Justin scosse le spalle. “Un’amica.”

“Non me ne hai mai parlato.”

“Invece sì! Sono certo di averla nominata qualche volta.”

Steve scosse la testa. “Non mi pare…. Aspetta!” Guardò Justin con espressione risentita. “Non era Debbie la tipa che lavorava con te in quella bettola di Pittsburgh?”

Justin scivolò con la schiena sul materasso senza replicare, improvvisamente interessato alla finestra di fronte a lui.

“È lei!” Gridò Steve colpendolo forte al braccio.

“Ahia!”

“Mi stai prendendo per il culo!”

Justin gli lanciò un’occhiata contrariata. “Cos’ha lei che non va? È una donna, è etero ed è mia amica.”

Steve socchiuse gli occhi studiando la sua espressione. “C’è qualcosa che non mi dici.”

“Del tipo?” Justin cercò di sembrare naturale.

“Debbie, Debbie… non era solo una tua collega…” Steve si tamburellò il mento pensieroso. “Non aveva lo stesso nome anche…” Lo guardò di nuovo male prima di colpirlo un’altra volta al braccio.

“Ahia! E adesso che ho fatto?” Justin si massaggiò il braccio dolorante; sicuramente il giorno dopo avrebbe avuto un livido grosso come una casa. “E per favore, la vuoi smettere di picchiarmi?”

“Michael!” Gridò Steve indignato.

Justin roteò gli occhi, capendo al volo di essere stato scoperto. “Che c’entra Michael?”

“Debbie è sua madre!”

“Si, e allora?”

“Allora non vale! Non cercare di fare il furbo con me, Taylor!”

“E due! Hai detto la stessa cosa per Daphne!”

Steve incrociò le braccia la petto. “Le mamme non contano, voglio nomi di amici, Justin. Amici giovani, etero e possibilmente che non abbiano ancora bisogno del pannolone.”

Justin lo colpì in faccia col cuscino. “Uno: né Debbie né nessuno dei miei amici ha bisogno del pannolone…”

“… ancora per poco…”

“… due: questo cazzo di gioco comincia a stancarmi…”

“… finché imbrogli…”

Justin continuò ad ignorarlo. “… e tre: ok, hai ragione, non conosco molte persone etero…”

“Ma usciamo con un sacco di gente a New York!” Steve lo fissò incredulo.

“E io dovrei considerare amici quei quattro sfigati con cui tu mi obblighi ad uscire? Ti prego! Li conosco a malapena!”

“Questo perché tu sei un asociale…”

Justin sorrise. “Non è la prima volta che lo sento, ma la cosa non mi sfiora. Considero mio amico solo chi è davvero mio amico e con chi esce con me solo per ubriacarsi gratis e per entrare nei locali più in della Grande Mela.”

“L’amicizia in questo campo non esiste, Justin. Tutti vogliono qualcosa da te, cosi come tu vuoi qualcosa da loro; è sempre un do ut des, nessuno fa niente per niente. Credevo l’avessi capito dopo due anni.”

“Bè, per me non è così.” Justin si alzò dal letto e iniziò a frugare nelle sue valige. “So cosa vuol dire avere dei veri amici, amici su cui puoi contare, che ci sono quando chiedi il loro aiuto… e anche quando non lo chiedi.”

Steve sbuffò scettico. “Justin Taylor che chiede aiuto? Non ci crederei nemmeno se lo vedessi.”

Justin estrasse una delle sue vecchie magliette dal groviglio di indumenti ammonticchiati nel bagaglio. “Un uomo sa quando accettare un aiuto.”

“E questa dove l’hai sentita?” Steve gli gettò i vecchi pantaloni di felpa grigia su cui era comodamente seduto. “Cerchi questi?”

Justin li afferrò al volo. “Grazie.”

“Scommetto che è stata la vecchia e saggia Debbie a darti questo consiglio. Già me la immagino: una dolce e premurosa mammina preoccupata per il suo pupillo.”

Justin sorrise divertito. “Oh, non potresti essere più lontano dalla realtà. Se solo la vedessi…”

“Allora chi?” Steve ci pensò su. “Il tizio con cui hai realizzato il fumetto, Michael giusto?”

Justin annuì e si sfilò la maglia. “Si, ma non è lui.”

“Qualche altro amico gay?” Incalzò mentre Justin finiva di spogliarsi e si infilava i vestiti per dormire.

“Più o meno.”

“Oh oh.” Steve gli sorrise sadico. “Ho capito.”

“Ne dubito.” Justin tornò verso il letto e si sdraiò di nuovo. “E poi perché la nostra discussione sugli etero è finita sui miei amici gay?”

“Proprio perché gli amici etero non ci sono!”

Justin chiuse gli occhi, massaggiandosi le tempie. “E…?”

“Ed è triste, Justin! Incredibilmente triste!” Steve si girò verso di lui, poggiando la guancia sulla mano.

Justin sorrise appena. “Mi è appena venuto in mente il terzo etero.”

Steve lo guardò dubbioso. “Davvero?”

“Si.” Justin riaprì gli occhi. “Tu!”

“Lo sapevo! Hai imbrogliato anche col terzo!” Steve si sdraiò di nuovo, mentre Justin rideva del suo disappunto.

“Così impari a voler darmi lezioni!”

Steve sbuffò, rivolgendo le spalle al suo amico. “Me ne ricorderò.”

“Ora vorrei dormire.” Justin si allungò per arrivare all’interruttore. “Ti dispiace sloggiare?”

Steve sprofondò di più nel cuscino e si sfilò le scarpe. “Ti dispiace chiudere il becco e spegnere quella cazzo di luce? Ho un sonno pazzesco.”

Justin roteò gli occhi e spinse l’interruttore. “Mi domando come mai hai prenotato la stanza se poi rompi le palle a me!”

“Notte, grande artista.” Steve sorrise nel buio.

“Buonanotte, stronzo.”

 

 

 

 

 

 

Ed ecco il primo capitolo! Allora ho voluto incentrarlo più su Justin (anzi tutto su Justin dato che degli altri non c’è ombra, ma non temete…) perché è lui quello che se n’è andato e che adesso ha una nuova vita lontana da Pittsburgh, dalla famiglia, dagli amici (soprattutto gay, come qualcuno gli ha gentilmente fatto notare XD) e soprattutto dall’uomo più bello, sexy e dolce del mondo ossia Brian Kinney! Ho voluto mostrare almeno un po’ il suo rapporto con Lindsay e soprattutto quello con Melanie: fin dalle prime puntate ho amato il riguardo e l’affetto che Mel, sempre così tosta, ha mostrato nei riguardi di Justin. Ogni volta che gli succedeva qualcosa, era sempre da Melanie che lui andava cosi come Brian correva da Lindsay. Ho voluto quindi creare una specie di parallelismo tra i due rapporti, perché è così che io li ho sempre visti.

Nel prossimo capitolo vedremo un po’ com’è la sua vita a New York e come se l’è passata negli ultimi due anni, prima di tornare nella gloriosa Pittsburgh e ritrovare tutti gli altri. Allora, che dire? Steve è un personaggio di mia invenzione, come avrete capito, che rimarrà abbastanza presente, così come lo rimarranno Linz, Mel, Gus e JR… che sesta stagione sarebbe senza di loro, sennò?

Dopo questo sproloquio senza senso vi lascio, sperando che abbiate voglia di lasciarmi una recensione e dirmi cosa ne pensate e soprattutto se valga la pena continuare oppure dovrei buttarmi giù da un ponte con tutte le mie idee!

Grazie in anticipo a tutti e a presto!

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Capitolo 2
*** My Daily Routine ***


2. My Daily Routine

 

 

 

Justin frugò freneticamente nella tracolla in cerca del suo cellulare. “Ma dove cazzo è finito?” Sibilò tra i denti, beccandosi un’occhiataccia di rimprovero da un’anziana signora lì vicino. Le restituì lo sguardo e affrettò il passo, la mano ancora nella tracolla.

“Oh, finalmente!” Estrasse il telefono. “Pronto?”

“Ciao, migliore amico!”

Justin sorrise immediatamente. “Ciao, Daph.”

“Che fai di bello?”

“Niente di che. Passeggio.”

Sentì Daphne sbuffare dall’altro capo. “Oh si, ci credo! New York è una città così noiosa! Non c’è mai nulla da fare e quindi non ti resta altro che vagare senza una meta tutto il giorno.”

Justin scoppiò a ridere. “Veramente sono sulla 5th Avenue… avevo voglia di fare shopping.”

“E io avrei voglia di ucciderti in questo preciso istante.” Replicò secco la ragazza. “Se penso che tu sei a fare shopping in una delle vie più belle del mondo mentre io…”

“… stai andando a lezione perché vuoi diventare il miglior medico del mondo e salvare tante vite?”

Daphne brontolò seccata. “Comunque quello che fai tu sembra sempre più allettante.”

“Si, ma io ho già compiuto il mio dovere.” Justin attraversò la strada, correndo. “E visto che le mostre a Toronto sono andate bene, ho deciso di farmi qualche bel regalo.”

“Anch’io ho fatto il mio dovere. Anzi, ad essere precisi, lo faccio tutti i santi giorni. E non vengo nemmeno pagata profumatamente per due scarabocchi su una tela!”

Justin scoppiò a ridere e si passò il telefono sull’altra spalla; si fermò davanti ad una delle tante vetrine e scorse velocemente la merce esposta. “Sarai contenta di sapere che quegli scarabocchi presto saranno esposti anche a Vancouver e Montreal, mia cara!”

“Oh mio Dio!” Esclamò Daphne eccitata. “Dici davvero?”

Justin annuì come se lei potesse vederlo. “Me l’hanno comunicato stamattina; ti ricordi di Edmund Summers?”

“Il critico che secondo Steve avrebbe dovuto diventare il tuo futuro suocero?” Gli domandò ancora palesemente divertita dall’idea del suo manager.

“Si è adoperato molto per avere altre rassegne che comprendessero alcuni dei miei ultimi quadri, insieme a qualche altra opera proveniente dalla mia galleria d’arte… magari quella di qualche esordiente.”

“Cazzo, Justin! È grandioso! Alla Austen Gallery devono essere al settimo cielo!”

“Oh, lo sono. Sono riusciti a piazzare due artisti in una sola mostra! E all’estero, per di più!”

Daphne gli schioccò un bacio attraverso il microfono. “Bravo il mio Andy Warhol! La mamma è molto fiera di te!”

Justin rise divertito, contagiato dal buonumore della sua migliore amica. Lasciò la 5th Avenue troppo affollata a quell’ora del mattino e s’infilò in un piccolo parco lì vicino. “Bè, Vancouver e Montreal non saranno grandi come Toronto, però almeno mi faccio conoscere al di fuori degli Stati Uniti.” Si avvicinò al chiosco degli hotdog e ne ordinò uno con maionese e ketchup. Pagò rapido e si diresse verso una delle panchine.

“Invece è fantastico, Justin! E poi non sono piccole! Praticamente contano dieci volte gli abitanti di Pittsburgh!”

“Si, e più o meno la metà di Toronto, ma tranquilla!” La interruppe prima che Daphne iniziasse a insultarlo. “Sono felice comunque! E poi la mostra di Toronto è stata un successone, quindi non potrei chiedere di più!”

“Bene.” Ribatté secca Daphne. “Perché stavo già per rovesciarti addosso le parole più volgari e oscene del mio dizionario.”

“Lo immaginavo.”

“E smettila di sminuire il lavoro fantastico che hai fatto; Cristo, sei un artista, Justin! Dovresti camminare per Rodeo Drive a tre metri da terra tanto è grande il tuo ego!”

Justin ridacchiò. “Rodeo Drive si trova a Los Angeles, non a New York, Daph.”

“Non importa dove cazzo si trovi Rodeo Drive, il succo non cambia! Dovresti uscire e spaccare il culo a tutti e non rinchiuderti in quel parchetto a mangiare hotdog da solo, come se fossi un mediocre come tanti!”

L’hotdog si fermò a metà strada, la bocca di Justin ancora aperta; si guardò velocemente intorno, aspettandosi quasi di avvistare la sua amica spuntare da dietro un cespuglio. “Ma come cazzo…” Brontolò tra i denti.

“… ad indovinare?” Scoppiò a ridere. “Ti conosco da quasi dieci anni ormai, Justin Taylor. E so esattamente cosa ti passa per la testa in ogni singolo istante, ora o giorno.”

“In pratica sei una stalker a distanza.” La prese in giro.

“Meglio, sono la tua fata madrina.” Justin rise. “Mi assicuro che mangi, che dorma a sufficienza…”

“Ah, quindi come mia madre…”

“… e che non ti monti la testa come tutti quei newyorkesi di successo con la puzza sotto al naso!”

La risata spensierata di Justin fece sorridere Daphne che si strinse di più nel cappotto. “Cazzo, oggi fa un freddo cane!”

Justin diede un altro morso al panino e deglutì rumorosamente. “Allora, raccontami qualche novità… Com’è andato poi l’appuntamento con quel tizio del college?”

Daphne sbuffò scocciata. “Lasciamo perdere. Un incubo!”

“È stato così terribile?”

“Per usare un eufemismo! Non ho mai incontrato qualcuno così arrogante, maleducato e pieno di sé! Ci mancava solo che mi facesse un rutto in faccia e mi palpeggiasse il culo per rendere la serata davvero indimenticabile!”

“Bè, almeno non l’ha fatto.” Sorrise appena, cercando di consolarla.

“L’avrei ammazzato in quel caso!”

“E io avrei dovuto farti visita in carcere.” Ci rifletté su un attimo. “Però sarebbe stata una bella pubblicità per me. Giovane artista emergente impegnato nella beneficenza: visita le detenute della prigione di stato. ‘È una causa a cui tengo molto.’ Ha dichiarato il diretto interessato. ‘Una mia cara amica è qui reclusa e ci tengo ad esprimerle il mio supporto e la mia amicizia’.

“Hai finito di fare lo spiritoso?” Borbottò Daphne contrariata. “E comunque sappi che se fossi stata arrestata, avrei dichiarato che eri mio complice.”

“Mentre ero in un altro stato?”

Daphne scosse le spalle. “Era tutta una tua idea.”

“E perché mai avrei architettato una cosa del genere?”

“Perché sei profondamente, pazzamente e sinceramente innamorato di me!”

Justin alzò gli occhi al cielo e sorrise. “Ovviamente. L’avevo dimenticato.”

“Bè, ci sono io a ricordartelo.”

“Ed io non potrei essertene più grato.”

Daphne rise. “Piuttosto, tu che hai combinato ieri sera? Mi hai accennato che saresti uscito.”

“Si, con Steve. Siamo andati a prendere una cosa e poi in un locale, niente di che.”

“Nessun bel ragazzone?” Gli chiese interessata.

“Niente che valga la pena segnalare.”

Daphne sospirò rassegnata. “Sei il solito incontentabile. Dovresti divertirti qualche volta.”

“Lo so.” Justin si stiracchiò le braccia e le gambe. “Ma preferisco concentrarmi sulla mia carriera che almeno mi dà qualche soddisfazione.”

“Alla galleria che dicono? Sono soddisfatti di come è andata a Toronto?”

“Entusiasti.” Ribatté Justin con un sorriso. “Non si immaginavano un successo del genere; adesso aspettano di vedere le altre mostre in Canada e poi decideranno se è il caso o meno di organizzarne altre. Nel frattempo, sono lieto di comunicarti che altre quattro gallerie hanno richiesto i miei lavori.”

“Ma è grandioso! Dove?”

Justin sporse il labbro, sforzandosi di ricordare. “Una a L.A., poi Denver, Seattle e Austin.”

“Wow! Ti stai allontanando parecchio!”

“Già…”

“Hai dei nuovi pezzi?”

“Ultimamente non posso lamentarmi.” Justin giocò con tovagliolino in cui era avvolto l’hotdog. “Sono una specie di vulcano, non faccio che creare nuovi quadri; delle volte ho quasi paura di esaurire tutta l’ispirazione e di non averne più in futuro.”

“Cazzate!” Lo rimproverò Daphne. “Tu pensa a dipingere e non preoccuparti di quello che succederà domani.”

“Si, mamma.” Justin sorrise.

“Oh, sai che ieri ho incontrato tua sorella? Faceva shopping con delle amiche in centro.”

“Come l’hai trovata? È un po’ che non la sento.” Chiese Justin curioso. Da un paio di giorni non faceva una bella chiacchierata con Molly e ogni volta che chiamava a casa, sua sorella o era fuori o era occupata.

Daphne si strinse nelle spalle. “Tua madre mi ha detto che è eccitatissima per il saggio di fine anno alla St. James e per il ballo; ieri stava cercando un bell’abito. Da quello che ho capito esce con un figo pazzesco, o almeno è quello che diceva.”

Justin storse il naso contrariato. “Credo sia il capitano della squadra di lacrosse; mia madre mi ha assicurato che è uno a posto, ma non mi fido. Sarà sicuramente un idiota.”

“Spero proprio di no.” Daphne si sedette sulle scale all’ingresso del facoltà di medicina e tirò fuori il suo panino. “Ti spiace se mangio mentre chiacchieriamo?” Chiese con la bocca già piena.

Justin sorrise. “Fai pure, l’ho fatto anch’io, no?”

Daphne deglutì e bevve un sorso d’acqua. “Dicevo che spero proprio che non sia così, dato il cervello che ha Molly! Tua madre mi ha detto che è stata ammessa a Yale! Non è fantastico?”

Justin si sdraiò sulla panchina, piegando le ginocchia. “Ho saputo. Mio padre mi ha telefonato apposta per darmi la lieta notizia.”

Sentì Daphne strozzarsi quasi col suo panino e tossire vigorosamente. “Tutto ok?” Le domandò con gli occhi chiusi.

Tuo padre?” La voce di un’ottava più alta del normale. “Tuo padre ti ha chiamato?”

“Già. Ieri.”

“E perché cazzo non me l’hai detto?”

Justin sospirò piano. “Ha chiamato poco dopo cena e dato che avevamo appena parlato, ho pensato di dirtelo oggi quando sicuramente mi avresti richiamato.”

Daphne fece una smorfia. “Certo che ti avrei richiamato, non voglio che tu ti trovi un’altra migliore amica e mi dimentichi. E soprattutto non voglio che tu pensi che io non abbia tempo per te e riesca a tagliarmi fuori come hai fatto con tutti gli altri.”

“Daph…” Justin si massaggiò stancamente gli occhi.

“E non dire che non ti va di parlarne, perché me ne frego! Non puoi far finta che tu non abbia mai avuto una vita qui!”

“Possiamo non parlarne adesso almeno? Sono già abbastanza incasinato con mio padre e tutto il resto.”

Daphne sospirò e annuì, persuasa anche dal tono stanco del suo miglior amico. “D’accordo.” Si arrese. “Ma sappi che non ho intenzione di mollare la presa.”

“Ne sono perfettamente consapevole, Daph.”

“Allora? Che ti ha detto quel coglione di tuo padre?”

Justin non trattenne un sorrisino. “Ha parlato con mia madre e le ha chiesto se poteva darmi lui la bella notizia su Molly, così avrebbe potuto sentirmi.”

“E non crede che sia abbastanza triste che un padre abbia bisogno di una scusa tanto patetica per fare una telefonata al proprio figlio?” Gli domandò piccata.

“Evidentemente sì, è stato lui il primo ad ammetterlo.”

Daphne fece un verso scocciato. “Perlomeno è onesto.”

“Perlomeno…”

“E che diavolo voleva?”

Justin aprì gli occhi e prese a fissare il cielo plumbeo sopra di lui. “Ha detto che è fiero di me, che gli dispiace per come sono le cose tra noi, per le incomprensioni…”

“Tipo quando ti ha fatto arrestare?”

“Credo di sì. E mi ha chiesto se poteva venire a trovarmi di tanto in tanto, senza forzature, solo un pranzo insieme, due chiacchiere.”

“E tu?”

“Gli ho detto che al momento sono molto occupato e che non so se avrò tempo da dedicargli.”

Daphne appoggiò la testa al muretto accanto a lei. “Hai fatto bene; non dovresti dargli questa opportunità.”

“Sarebbe cosa? La decimillesima?”

“Più o meno. E lui non ne ha colta nemmeno una. Che cazzo crede? Che ora che sei lontano da Pittsburgh tornerai ad essere il ragazzino quindicenne che passava i pomeriggi con lui a giocare a baseball in giardino?”

Justin scosse la testa. “Non ho idea di quello che voglia. E nemmeno mi interessa.”

“Probabilmente pensa che ora che non frequenti più Liberty Avenue e i suoi locali equivoci, il suo ingrato figlio finocchio possa tornare ad essere normale.” Fece una smorfia disgustata.

“Non era Liberty Avenue il problema, lo sai.”

Rimasero un attimo in silenzio, mentre un nome, quel nome, balenava nella mente di entrambi.

“Se devo essere sincera,” continuò Daphne “non ho mai capito perché tuo padre desse tutto questo credito a… Brian.” Sussurrò con cautela il suo nome. “Sembra quasi che lo ritenga responsabile del vostro rapporto difficile.”

“Ed è così infatti: mio padre è convinto che sia stato Brian a traviare il suo dolce bambino e a portarlo sulla via della perdizione dei froci; crede sia colpa sua se io sono gay, se mia madre l’ha lasciato e ha chiesto il divorzio e se la sua vita fa schifo.”

Daphne annuì. “Quindi adesso che sei a New York, lontano dai tuoi amici, da tua madre che può influenzarti e da…”

“…dall’orco che si è approfittato di me fin da quando avevo solo diciassette anni, ha la convinzione che possa aggiustarsi tutto tra noi.”

“Patetico coglione. Senza offesa, Justin.”

“Figurati, io stesso ne ho dette e pensate di peggio. E credo che nel profondo, mio padre nutra ancora la speranza che io…”

“… possa ravvederti e tornare all’ovile come una piccola pecorella smarrita?” Finì Daphne per lui facendolo ridere.

“E chiedere perdono per i miei terribili e innumerevoli peccati.”

Daphne lo imitò scoppiando in una fragorosa risata. “Oddio, scusa Justin, ma non ti ci vedo proprio a fare l’etero!”

“E tu che ne sai? Potrei trovarmi una bella ragazza, sposarla e fare tanti bei bambini! Una ragazza che non abbia una lingua pungente come quella di qualcuno di mia conoscenza!”

“Antipatico!” Si difese la ragazza ancora ridendo.

“Sei solo gelosa, perché in realtà sei tu quella profondamente, pazzamente e sinceramente innamorata di me!”

Daphne continuò a ridere. “Va bene, va bene, lo ammetto! Ti amo da morire, Justin! Il mio amore è più profondo di un oceano, più sterminato del cielo e più bruciante del fuoco!”

Justin fece una smorfia disgustata. “Oddio, è questa dove l’hai sentita? È terribile, Daph, dico davvero!”

“Che ingrato! Io sono qui, col cuore in mano che ti confesso i miei sentimenti e tu…?”

“Bè, ti ringrazio per l’interessamento, ma non ho mai sentito una dichiarazione d’amore peggiore! L’hai letta nei carte dei cioccolatini? O nei biscotti della fortuna?”

“Justin Taylor, ti avverto che sto per riattaccare e tu sei un vero cafone!”

Justin scoppiò di nuovo a ridere, tenendosi la pancia con una mano. “Dio, Daph, come farei senza di te?”

Daphne sorrise. “Davvero non lo so, Justin; probabilmente saresti già impazzito!”

“Senza la mia fata madrina.”

“Esatto.” Daphne strinse di più il telefono e sospirò piano. Quanto fosse vero il contrario lui non poteva nemmeno immaginarlo.

“Ehi, ci sei?” Le chiese Justin premuroso; dal tono con cui aveva parlato, Daphne capì che stava ancora sorridendo. Spostò lo sguardo verso la folla di studenti che si accalcava sulle scale e si rattristò all’istante. “Devo andare.” Disse solo.

Justin sospirò piano e si alzò a sedere. “Ok.”

“Mi dispiace.”

“Per cosa? Per avermi rallegrato la giornata con le tue insulse chiacchiere?”

“Scemo!”

Justin sorrise appena. “Vai a lezione, ci sentiamo più tardi.”

“Mi chiami tu?” Gli chiese speranzosa. La maggior parte delle volte che parlavano era perché era lei a telefonargli, senza preoccuparsi di dove, come, quando e con chi Justin potesse essere. Se aveva voglia di parlare col suo migliore amico, lei prendeva il cellulare e componeva  il numero. Punto.

Justin non era della stessa idea; aveva sempre il timore che potesse disturbare, scocciare o beccarla in un brutto momento; quindi non chiamava affatto. Daphne l’aveva rimproverato milioni di volte per quella sua sciocca idea.

“Dopo cena ci sei?”

Daphne sorrise raggiante. “Sarò tutta tua, amore.

“Ok allora, amore. Ci sentiamo stasera.”

“A stasera.”

Daphne stava quasi per chiudere la comunicazione quando Justin la richiamò. “Si?”

“Mi manchi.”

Daphne sospirò malinconica. “Anche tu, Justin, non sai quanto.”

 

 

 

 

 

Un’ora più tardi, Justin rientrava nel suo piccolo appartamento dell’East Village, la tracolla dondolante su un fianco, una busta con qualche schifezza stretta nella mano destra. Posò tutto sgraziatamente sul tavolo al centro del monolocale in cui viveva e si liberò del giubbino di pelle lanciandolo sul divano.

Si sfilò le scarpe e si diresse verso la segreteria telefonica: due messaggi.

“Justin, amore, sono la mamma… ma dove sei? Ho provato a chiamarti anche al cellulare.” Justin si maledisse mentalmente per non aver alzato il volume della suoneria. “Volevo solo sentire come stavi, papà mi ha detto di averti chiamato. Com’è andata? È stato sgarbato?” La voce di sua madre fece una pausa e dopo un attimo la sentì distintamente prendere fiato. “E poi ci sarebbe…” Si schiarì la gola. “Ci sarebbe una cosa di cui vorrei parlarti, possibilmente senza segreterie di mezzo. Richiamami appena senti il messaggio, ok?” Udì la voce di Molly gridare da lontano. “Ah si, tua sorella ti manda un bacio e ti chiamerà presto per raccontarti alcune novità. Un bacio, tesoro, ti voglio bene.” Justin aggrottò la fronte; che cosa aveva di così urgente da dirgli sua madre da non poter nemmeno accennargli qualcosa? Era forse successo qualcosa? Scacciò immediatamente quel pensiero: di sicuro Daphne glielo avrebbe detto e invece lei era stata assolutamente normale. Forse era qualcosa che riguardava Molly o suo padre…

“Cazzo…” Borbottò nervoso. Era inutile arrovellarsi il cervello: avrebbe ascoltato il secondo messaggio e poi avrebbe richiamato sua madre per sapere che succedeva.

“Ciao Justin!” Lo salutò allegramente la voce di Vanessa Austen, la comproprietaria della galleria d’arte per cui lavorava. “Senti qui, grande artista! Novità in vista! Prima cosa: mio padre mi ha appena dato la conferma delle mostre di Austin e Denver, se domani passi te le comunico; due: abbiamo scelto l’esordiente che ti affiancherà nelle rassegne ed è… attenzione, un po’ di suspense! Hayley Campbell! Congratulazioni, ottimo suggerimento, Jus!” Justin alzò le braccia in segno di vittoria; era felicissimo che Hayley avesse quell’opportunità. “Tre: il mio vecchio ha ricevuto molte offerte per i tuoi lavori, scusa se non ti ho informato stamattina quando sei passato, ma volevamo prima avere le conferme! Sono molto fiera di te, ragazzino! Proprio per questa ragione mio padre ha acconsentito a lasciarti qualche giorno di… riposo, che tradotto vuol dire…”

Justin sorrise. “Rinchiudermi nel mio appartamento a creare altre diecimila opere…”

“… che rimarrai chiuso a casa e produrrai i migliori quadri di sempre!” Vanessa rise allegra. “Contento?”

Justin scosse la testa, contagiato dal buonumore del suo capo. “Come una Pasqua, Nes…”

“Bene, credo di aver sproloquiato anche troppo, quindi adesso ti lascio alla tranquilla quiete del tuo focolare domestico e abbasso questa dannata cornetta prima che la segreteria vado fuori uso! Ci vediamo domani!”

Cancellò i messaggi e tornò al tavolo, in cerca del suo cellulare; compose il numero di Steve ma scoprì che era irraggiungibile. Guardò l’orologio: le otto e mezza, sicuramente si sarebbe presentato da un momento all’altro per scroccare la cena. Digitò il numero di casa sua, ma non ricevette alcuna risposta; tentò con quella di sua madre e dopo qualche squillo la voce di Jennifer Taylor lo invitò a lasciare un messaggio.

“Ma dove cazzo sono finiti tutti?”

Gettò il telefono sul tavolo e si sfilò la felpa, rimanendo con la maglietta a mezza maniche; afferrò pennelli e colori e cercò una nuova tela. La sistemò sul tavolo addossato al muro che usava come postazione di creazione, definizione coniata da Steve, e lasciò che le emozioni si riversassero con impeto sul tessuto immacolato. Felicità, rabbia, euforia, tristezza, nostalgia, vitalità furono riversate senza controllo; pennelli, spugne, impronte delle sue mani e forme strane e inusuali ricoprirono ben presto quasi tutta la superficie, dando finalmente voce a tutti i sentimenti contrastanti che lo possedevano in quel momento, cosi come accadeva ogni volta che si trovava da solo nel suo studio; in quel piccolo spazio esistevano solo lui, la sua arte e la valanga di emozioni che lo sopraffaceva e che, in uno specie di stato di trance, cercava di portare a galla e rappresentare affinché anche uno spettatore esterno potesse carpirne e scandagliarne la profondità e l’intimità.

Da quando era arrivato a New York, due anni prima, si era sempre sentito un po’… fuori posto in quella grande, caotica e frenetica città: certo, ormai era casa sua più di quanto non lo fosse Pittsburgh, ma c’era ancora qualcosa, nell’aria forse, o nelle persone o nell’atmosfera che lo rendeva un visitatore, come un… turista di passaggio più che un vero e proprio abitante della Grande Mela.

Ricordava ancora il giorno in cui era arrivato, spaesato e determinato a farsi valere, spinto anche dalla fiducia che tutti avevano in lui e nel suo talento; per i primi tempi era rimasto dagli amici di Daphne mentre cercava un posto tutto per sé e qualcuno che non gli lanciasse contro i propri lavori. Fin dal principio aveva scartato le grandi gallerie che non l’avrebbero nemmeno degnato di uno sguardo e si era concentrato su quelle più piccole; si era quasi dato per vinto – chiaramente per modo di dire, non si sarebbe di certo arreso così presto – quando una piccola galleria del centro si era mostrata interessata ai suoi lavori. Vanessa Austen, ventiseienne rampante newyorkese con un bel visino e un invidiabile fiuto per gli affari gli aveva chiesto di poter esporre alcuni dei suoi quadri dopo che aver letto la critica entusiastica che Lindsay aveva mostrato anche a lui e a Brian.

Aveva convinto suo padre, ancora restio alla presenza di un ragazzo così giovane e pressoché sconosciuto, e in tre settimane aveva pianificato una delle rassegne più belle che Justin avesse mai visto. E le sue opere erano inserite qua e là, a tradimento, in mezzo a quelle più celebri ed ammirate di artisti sicuramente più famosi. Quella serata fu un successone; successone che convinse in maniera definitiva il signor Clayton Austen delle sue doti. Alla galleria poi, Vanessa l’aveva aiutato a trovarsi un posto tutto suo dove avrebbe potuto lavorare in santa pace e, circa un anno prima, gli aveva presentato un tale Steve Whitman, giovane manager in ascesa, che si sarebbe occupato della sua neonata carriera: in pratica erano due esordienti sconosciuti che avevano, insieme, la possibilità di diventare qualcuno. Justin capì al primo sguardo che Steve sarebbe stato sicuramente vantaggioso per la sua carriera; per quel motivo non si stupì quando, dopo solo un mese di lavoro con lui, Steve riuscì a procurargli ottime occasioni di visibilità in alcune gallerie della città. Nel frattempo, però Vanessa si era assicurata, da donna previdente e accorta qual era, di avere l’esclusiva di tutti i suoi lavori, per i successivi quattro anni. “Questa è la mia dimostrazione di fiducia, Justin.” Gli aveva detto mentre Justin firmava entusiasta in contratto per la Austen Gallery.

E l’aveva avuta, altrochè se l’aveva avuta! Steve e Vanessa insieme erano una specie di macchina da guerra: avevano fatto di tutto, Justin temeva quasi fosse ricorsi alle minacce verbali e fisiche, per far uscire le sue opere dai confini di New York, ma alla fine ci erano riusciti e lui aveva iniziato ad esporre le sue mostre anche al di fuori della città, allontanandosi sempre più, fino al Canada e a Toronto.

Afferrò uno dei pennelli puliti e lanciò lontano quello che aveva appena finito di utilizzare; lo immerse in uno dei barattoli e lo mosse verso la tela, prima di ripensarci e cambiare idea. Immerse le mani nella tintura e prese a tracciare lunghe linee sinuose per tutta la grandezza del quadro.

Preso com’era dal suo lavoro, non si accorse di Steve che, senza nemmeno bussare, era entrato nel monolocale con un sorriso radioso e una busta del ristorante cinese all’angolo. “Ehi, uomo solitario!” Lo chiamò scherzosamente.

Dandogli ancora le spalle, Justin alzò una mano per farlo tacere e, dopo aver dato una nuova spruzzata di blu nell’angolo destra della tela, si voltò verso di lui con un sorriso allegro. “Ciao, Steve.”

Il giovane dai capelli scuri gli si avvicinò, scrutando attentamente la sua nuova creazione. “È bello…” Osservò ammirato. “Molto…”

Justin si pulì le mani con il solvente e gli sorrise. “L’ho appena iniziato… praticamente non c’è nulla.”

Steve sfiorò appena la superficie increspata dei colori. “Questo lo dici tu. Io vedo che c’è qualcosa, qualcosa di molto bello e molto intenso, quasi… intimo… personale.” Gli lanciò un’occhiata di sbieco. “Finirà nascosto come i tuoi migliori lavori o mi permetterai di portarla a Nessa?”

Justin si strinse nelle spalle e si voltò, iniziando a frugare nelle buste con la cena. “Ci devo pensare; non so ancora come è uscito fuori…”
”Hai parlato con Daphne…” Constatò serio.

Justin gli rivolse uno sguardo incuriosito. “E tu che ne sai?”

“È qui.” Indicò la tela mezza incompleta. “Guarda.” Seguì una delle onde violetto che abbracciava la parte inferiore del quadro e dava vita a forme ed intrecci quasi arabeggianti. “Questa è Daphne.”

Justin sorrise colpito. “Però… Non ti facevo così sveglio, Steve.”

“Poi c’è Molly…” Continuò Steve con la sua spiegazione, accennando ad una spirale che andava dall’arancione al dorato. “Molly e la sua impetuosa irruenza adolescenziale.”

“Disse l’uomo saggio…” Justin si sedette su uno degli sgabelli e rimase ad ascoltare l’interpretazione del suo amico con un sorriso sulle labbra.

“New York… eccola qui.” Seguì con un dito una specie di linea a zigzag grigio scuro che si schiariva pian piano fino a diventare bianco sporco. “E poi il blu. Il misterioso blu ormai diventato un tuo tratto distintivo…” Sorrise. “Tra qualche anno ci sarà il Blu Taylor.”

“Come il rosso Tiziano.” Gli fece notare Justin. “Potrei diventare una celebrità.”

“C’è in quasi tutti i tuoi quadri: è come se fosse così intrinsecamente parte di te da non poter più riuscire a scindere la tua persona, la tua arte, la tua essenza da quel tipo di colore, quel tipo di tonalità, quel tipo di riflesso. È un po’ la tua firma.”

Justin abbozzò un sorriso. “Bene, dottor Freud, adesso che ha terminato l’analisi, le andrebbe di mangiare qualcosa? Perché io sto morendo di fame.”

Steve gli lanciò la pezza sporca di pittura appoggiata lì accanto. “Per essere un artista sei un po’ troppo insensibile, sai? Io ti parlo di arte e tu pensi al cibo?” Justin rise. “Arido.”

“Scusa, non volevo urtare la tua sensibilità. Ora perché invece di borbottare come una pentola di fagioli non inizia a preparare?”

“Tu dove vai?” Gli chiese Steve sospettoso. “Te la svigni, eh?”

“Devo solo chiamare Daphne; e cercare di rintracciare mia madre, ha detto che deve parlarmi.”

Steve sbuffò e gli fece cenno di andare. “Vedi di muoverti, almeno.”

Justin annuì e si diresse verso l’angolo del monolocale che aveva adibito a sua camera da letto: lui e Steve erano riusciti a trovare una specie di paravento in legno che la separava dal resto dell’abitazione, così da avere almeno un po’ di privacy quando Steve si fermava a dormire, il che praticamente accadeva un paio di volte la settimana.

Superò il letto e fece un paio di passi verso l’armadio in cui teneva i colori e tutti gli altri attrezzi da lavoro; diede una rapida occhiata verso la cucina e sentì i movimenti di Steve. Aprì piano una delle ante e tirò fuori un paio di quadri, di diverse grandezze, sistemandoli sul materasso, in ordine uno accanto all’altro. Quando ebbe finito, un sorriso triste gli comparve in volto.

Sul letto, dieci tele di un blu cupo si mostravano fiere agli occhi del loro creatore mentre il viso serio ed indimenticato di Brian troneggiava su quasi tutte le tele, orgoglioso e bellissimo come era stato e come sempre sarebbe rimasto. Si chinò appena per sfiorare in punta di dita il pezzo più grande, al centro del materasso, il preferito tra tutti i suoi quadri: due sagome avvolte nell’oscurità, in un loft fin troppo noto, in un tempo ora troppo lontano, si amavano appassionate e fiduciose, l’una nella braccia dell’altra.

 

 

 

 

 

Justin chiuse la porta di casa e sospirò esausto: l’euforia e l’entusiasmo di Steve avevano il potere di sfinirlo. Raccolse controvoglia i contenitori e le buste vuote della cena e li gettò nel cestino. Avrebbe sistemato il giorno seguente, ora voleva solo fiondarsi a letto e dormire. Ah no, prima dove richiamare sua madre per la quinta volta.

Sbuffò contrariato e spense tutte le luci dirigendosi verso la camera; sfiorò leggermente l’armadio che custodiva i suoi tesori – ormai era diventato una specie di vizio, non si accorgeva più nemmeno di farlo – e sprofondò nel materasso. Cercò a tentoni il cellulare e compose il numero di casa sua.

“Pronto?” Si sentì rispondere dopo qualche squillo.

“Molly, finalmente!” Esclamò Justin sollevato. Aveva quasi iniziato a spaventarsi. “È tutto il giorno che vi chiamo? Dove cazzo eravate?”

“Non dire le parolacce, grande artista.” Lo rimproverò sua sorella.

Justin roteò gli occhi contrariato: odiava quando la sua sorellina minore si comportava come fosse la maggiore. “Allora mi dici che fine avevate fatto?”

Molly se ne uscì con un risolino eccitato. “Non posso dirtelo! È un segreto tra me e mamma e lei mi ha fatto promettere di non dire nulla!”

“Quindi perché mi ha chiesto di richiamarla urgentemente se non aveva intenzione di dirmi nulla del vostro misterioso segreto?”

Molly ridacchiò. “Non ho mai detto che non vuole dirti nulla, fratello.”

“Ti dispiacerebbe passarmela allora?”

“Non così in fretta! Perché prima non mi racconti che hai combinato oggi? Fantastico shopping nella Grande Mela?”

Justin abbandonò la testa sui cuscini e chiuse gli occhi. “Una cosa del genere; galleria, Daphne, shopping, poi un po’ di lavoro e ora vorrei solo andare a dormire se la mia adorabile sorellina me lo permette.”

“Quanto la fai lunga…”

“Tu invece che hai fatto di bello? Daphne mi ha detto di averti incontrata in centro.”

Molly fece un urletto isterico. “Sono andata con Natalie e Janie a comprare il vestito per il ballo! Oddio, Justin, dovresti vederlo! È F-A-N-T-A-S-T-I-C-O!”

Justin sorrise. “Me lo immagino: sembrerai una meringa ripiena coperta di tulle e… altre cose svolazzanti!”

“Non ci sono tulle nel mio BELLISSIMO vestito, idiota!” Replicò sua sorella con tono offeso. “Non vedo l’ora che Bradley lo veda!”

“Ok, adesso dimmi che non esci davvero con qualcuno che si chiama Bradley…”

Molly socchiuse gli occhi. “E questo che vorrebbe dire?”

Justin rise. “Scusa, non volevo prenderti in giro, ma… Bradley? No, davvero… Molly, per favore ritrova la ragione!”

“Bradley è un bellissimo nome! Allora che nome sarebbe Justin? È bruttissimo!”

“Ehi!” Justin scattò a sedere offeso. “Il mio è un nome bellissimo invece! Di sicuro più di Bradley!”

“Mammaaaaa!” Molly non si allontanò neppure dal ricevitore strillando a pieni polmoni nelle orecchie di suo fratello.

“Cazzo, Molly!” Si lamentò Justin staccandosi dalla cornetta.

“Quell’idiota di tuo figlio sta prendendo in giro il mio Bradley!”

Justin roteò gli occhi. “Il mio Bradley…” Borbottò sottovoce. “Vomito…”

“Mamma dice che devi smetterla oppure la prossima volta che torni a Pittsburgh ti farà dormire in giardino insieme al cane.”

“Bè, allora forse potrei non tornare più e risolvere il problema.” La minacciò con un sorrisetto sadico che scomparve appena rianalizzò la frase di sua sorella. “Aspetta… da quando abbiamo un cane?”

Molly scoppiò a ridere. “Mamma non te l’ha detto?”

“Che avete preso un cane? No che non l’ha fatto! Io mi sarei opposto!”

“E avrebbe contato qualcosa se avessi vissuto qui con noi, ma, guarda un po’, non ci sei! Quindi la cosa non ti riguarda affatto!”

Justin spalancò la bocca indignato. “E quando torno? Dovrò dividere casa mia con un cane, oltre che con te?”

“Ma tu hai già deciso che non tornerai a casa quindi non vedo quale sia il problema.”

“Nel caso non te ne fossi accorta non mi sto divertendo, Molly!”

Sua sorella rise. “Io sì, molto!”

“Passami mamma! All’istante!”

“Mamma!” Chiamò lei tra le risate. “La prima donna è in piena crisi isterica! Ti vuole parlare!” Justin sbuffò. “Ha saputo di Tinkerbell!”

“Hai chiamato quella povera bestia Tinkerbell?”

Sentì sua madre rimproverare Molly per avergli detto del cane. Che si aspettava? Che non lo avrebbe mai saputo? D’accordo, al momento non aveva alcun programma di tornare a casa, ma quella era comunque casa sua, Cristo Santo! Avrebbero dovuto chiederglielo prima! O perlomeno fargli sapere che avevano preso in considerazione l’idea di un cane!

“Non gli hai detto altro, spero…” Sussurrò sua madre piccata.

Justin inarcò un sopracciglio: che diavolo poteva esserci peggio di un cane? “Mamma?”

Jennifer prese il telefono e sospirò. “Ciao, tesoro. Come stai?”

“Un cane?!”

“Si, a questo proposito Justin…”
”Avete preso un cane?! E avevate in progetto di dirmelo prima o poi?”

“Ok, adesso calmati…” Lo tranquillizzò sua madre. “Non è per Tinkerbell che ti ho chiamato stamattina…”

“E poi perché gli avete dato quel nome assurdo, poverino?”

Jennifer si strinse nelle spalle. “È stata Molly a sceglierlo. Sai che Peter Pan è sempre stato il suo cartone preferito*.”

Justin alzò le mani in segno di resa. “Va bene, mi arrendo, tanto con voi è inutile.”

“Grazie, tesoro.”

“Allora che c’è che volermi dirmi di così scioccante da non poter accennare niente nel messaggio e da intimare a Molly di tenere il segreto?” Chiese tornando a sdraiarsi e sperando che il peggio fosse passato. Dopotutto, che cosa poteva esserci di più terribile dell’immagine di un quadrupede che irrompeva in camera sua azzannando i suoi preziosi disegni?

“Bè, ecco…” Sua madre riprese a balbettare proprio come aveva fatto nel messaggio in segretaria. “È una cosa… sciocca… cioè non è sciocca nel senso di frivola, perché in realtà è importante… però è inaspettata e tu potresti forse non… sebbene Molly abbia reagito molto bene, anche meglio di quanto mi aspettassi, anche se lei magari, vivendo qui con me e con Tuck può essersi in qualche modo…”

Justin si passò stancamente una mano sul volto. “Mamma, ti prego, non c’ho capito niente… che cazzo stai dicendo?”

La donna si schiarì la gola e rise nervosa. “Non è che ti andrebbe di fare una visita a tua madre e tua sorella?”

“Quando?”

“Quando vuoi, Justin; per esempio la prossima settimana?”

Justin scoppiò a ridere. “Non ho in programma di tornare a Pittsburgh entro una settimana, mamma! E nemmeno entro un mese!”

“Ma se…” Jennifer lanciò un’occhiata disperata a Molly che si morse un labbro nervosa vedendo sua madre torturarsi le mani. “Se te lo chiedessi io?”

“Mamma, adesso non posso.” Ribatté Justin paziente. “Alla galleria i miei lavori vanno alla grande e Nessa dice che devo dedicarmi al lavoro per le prossime mostre.”

Jennifer abbozzò un sorriso. “Capisco.” Molly alzò gli occhi al cielo. Per essere un genio, suo fratello alle volte era proprio ottuso. “Ma non torneresti nemmeno per una cosa importante? Veramente importante?”

“Tipo? Un funerale?” Scherzò Justin.

“No, tipo il matrimonio di tua madre.”

 

 

 

 

 

* per chi non lo sapesse Tinkerbell non è altro che il nome di Campanellino, la fatina di Peter Pan, in inglese. Ho preferito utilizzarlo così perché mi piaceva di più.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ed eccoci qua con il secondo capitolo! Abbiamo visto un po’ la vita del nostro Sunshine (spero non vi dispiaccia se non uso Raggio di Sole, ma da come avrete capito sono una fan sfegatata della lingua inglese) e ho iniziato a dare anche qualche accenno del suo rapporto con Molly: mi è sempre dispiaciuto il fatto che nella serie le abbiano dato così poco spazio nonostante il chiaro affetto di Justin per la sua sorellina, così ho deciso di rimediare io! Poi cosa c’è? Ah, si! Daphne! Bè, ormai dovreste saperlo dove c’è Justin c’è Daphne (sembra quasi lo spot della Barilla!) e non potevo non inserire anche lei! Abbiamo rivisto anche Jennifer (santa donna!) e intravisto il coglione per eccellenza di Queer As Folk, aka Craig Taylor che presto tornerà sugli schermi… e infine TA DAH! colpo di scena! Jennifer si sposa! Sì sì, proprio con quel figaccione di Tuck che abbiamo già conosciuto e che era tanto simpatico a Justin! Comunque ci saranno sviluppi interessanti (o almeno lo spero, dato che sto scrivendo la storia totalmente di getto!) e dal prossimo capitolo si entrerà nel vivo!

Ora però spazio ai ringraziamenti:

 

 

Alygreen: prima recensione di questa mia nuova storia! Grazie mille per i complimenti e il fatto che la storia possa risultare reale come una vera continuazione del telefilm non può che farmi piacere! Spero con tutto il cuore che apprezzerai anche questo secondo capitolo!

 

Kyelenia: a chi lo dici!! Anche io soffro per la lontananza dei miei amatissimi Britin e, per quanto abbia amato il finale, è stato davvero straziante vedere Brian tutto solo in quel letto e poi al Babylon senza il suo Sunshine! Nei prossimi capitoli comunque spiegherò come sono andate realmente le cose tra loro dopo la partenza di Justin… Sapere che trovi credibile la mia storia è per me il miglior complimento che potessi farmi! Il mio terrore è di risultare sempre OOC, quindi grazie davvero!

 

Mia85: bè, che dire? Dopo i tuoi complimenti sono arrossita come una dodicenne! GRAZIE DAVVERO! Come ho già detto, cerco sempre di rimanere IC il più possibile e vedere che le mie storie vengono apprezzate non può che rendermi onorata! Di Justin abbiamo saputo qualcosa in questo capitolo e sapremo di più nei prossimi (soprattutto di come è davvero andata con Brian) mentre di Mr Kinney avremo notizie moooooooooooolto presto, promesso! Per la frase che  ti ha lasciato spiazzata ti spiego subito: Justin non intendeva finita male perché loro hanno litigato, si sono traditi o si sono lasciati malamente, tutt’altro! Come abbiamo visto nel telefilm i nostri adorati si lasciano perché si amano, si amano davvero e preferiscono sacrificare questo sentimento per la felicità reciproca. Quindi Justin la definisce così perché non sono insieme, nonostante il forte legame, loro due non hanno e non hanno avuto la possibilità comunque di godere di tale amore. E da come si è capito in questo capitolo, Justin ama ancora moltissimo Brian. Spero di essere stata chiara! Altrimenti chiedi pure! Grazie ancora per tutte le belle cose che hai scritto!

 

Elysenda: come già detto, adoro il fatto che apprezziate le mie storie, non me lo sarei mai aspettato, davvero! Anche io adoro Gus, ma del resto, chi non lo adora? Fin dalla prima puntata e l’unico che riesce a far spuntare un lato assolutamente sconosciuto di Brian e questo non può che far sciogliere! Grazie dei complimenti e spero che ti piaccia anche questo capitolo!

 

Dany23: mi fa piacere sapere che non sono l’unica ad amare l’interazione tra Mel e Justin e soprattutto è un onore ricevere complimenti da una così accanita fan di QaF (quando ho aperto la tua pagina sono saltata dalla sedia… ma ti sembra il caso di piazzare una foto di Brian così, senza nemmeno avvertire del pericolo? Vuoi farci morire d’infarto? XD) come me, ormai totalmente ossessionata! Ho letto anche alcune tua ff su FreeFans Forum (Kyra Kinney, giusto?) e non posso che contraccambiare i complimenti! Come già suggerito dal titolo e da te, Brian e Justin non rimarranno separati tanto a lungo… loro non sono una coppia come tante, loro sono LA COPPIA! E io non posso che cercare di rendere giustizia alla storia d’amore più bella della storia della tv! Spero che continuerai a seguire il seguito!

 

E ora, torno allo studio e al mio esame di storia di lunedì! Un bacio a tutte e grazie per i complimenti e il sostegno! Un ringraziamento anche a chi legge soltanto e trova un po’ di tempo per la mia storia! 

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Capitolo 3
*** Welcome Home Sunshine! ***


3. Welcome Home Sunshine!

 

 

 

Justin estrasse il cellulare dalla tasca posteriore dei pantaloni e finalmente poté riaccederlo; strinse la manica della valigia e si avviò a passo lento verso l’uscita, ascoltando i messaggi minatori che Vanessa gli aveva lasciato in segreteria.

“Questa non dovevi farmelo, Justin! Che diavolo ti è preso? Prendere un aereo per Pittsburgh da un giorno all’altro! E soprattutto avvertirmi quando tu e Steve eravate già all’aeroporto!”

Justin deglutì preoccupato: stavolta l’avrebbe ucciso.

“Lascia perdere Vanessa e le sue minacce, amico.” Lo rassicurò Steve dietro di lui, trascinandosi dietro la sua valigia. “Sai quanto è esagerata.”

“Io invece inizio a temere per la mia vita.” Confessò Justin riponendo il telefono. “È incazzata come una iena.”

Steve si strinse nelle spalle. “Quindi tutto nella norma.”

“Tu dici?”

“Justin.” Gli posò una mano sulla spalla proprio mentre varcavano le porte della zona recupero bagagli. “Dammi retta, ormai siamo qui, no? Goditi la visita alla tua città, rivedi gli amici e scopati i vecchi amori; quando tutto sarà finito, torneremo a New York e Nessa sarà al settimo cielo.”

Justin lo guardò scettico. “Se non mi ammazza prima.”

“Finché siamo qui, sei al sicuro.”

“JUSTIN!”

Steve e Justin si voltarono verso la donna bionda che si sbracciava nella loro direzione; velocemente la raggiunsero, ma Justin non fece neppure in tempo a mollare la valigia che un piccolo folletto dai capelli ramati gli si gettò al collo. “Fratello! Sei tornato veramente! Lo sai che non ci speravamo?”

Justin strinse forte sua sorella, scompigliandole i capelli. “Neanch’io a dirla tutta…”

Molly si separò da lui e gli sorrise radiosa. “Nonostante tutto mi sei quasi mancato, Jus…”

“Nonostante tutto anche tu, piccola peste…” Justin le pizzicò una guancia.

“Ehi, Molly! Ne lasci un po’ anche per noi?”

Justin sorrise alla voce della sua migliore amica. “Ehi, Daph.” Disse solo, prima che anche lei gli saltasse addosso, circondandogli i fianchi con le gambe e facendolo quasi cadere.

“Ferma Daph… no, aspet… così cadiamo! Aiuto!”

Daphne scoppiò a ridere posando di nuovo i piedi a terra. “Sono così contenta di rivederti!”

“Si, me n’ero accorto!”

Jennifer si avvicinò a suo figlio con un sorriso radioso. “Se avessi saputo che ci voleva così poco per farti tornare…” Abbracciò stretto Justin e gli baciò la testa.

“Bè, di certo non puoi sposarti tutti i mesi, mamma.” Tutti risero. “Almeno spero di no! Non c’è già papà che collezione matrimoni? Io credo che basti…”

Jennifer accarezzò i capelli di Justin. “Lo credo anch’io, tesoro. È solo che sono così… così…”

“Felice?” Suggerì Molly divertita.

“Sopraffatta.”

“Bè, sono un bel po’ di novità.” Le fece notare Daphne.

Justin prese la mano di sua madre. “Daphne ha ragione. Ed è normale sentirsi strani.”

“E se ora avete finito con le smancerie, io vorrei andare a casa!” Si lamentò Molly afferrando la valigia di suo fratello e iniziando a trascinarsela dietro in direzione dell’uscita.

“Tua sorella è una forza…” Osservò Steve sorridendo. “Mentre la tua amica è…”

“Ah già.” Justin lo fissò poco convinto e sospirò. “Daph, questo è Steve; Steve, la mia amica Daphne.”

Daphne gli sorrise gentile e gli porse la mano. “Ciao.”

“Finalmente conosco la famosa Daphne!” Steve ricambiò il sorriso. “Justin non fa che parlare di te!”

“Non ci credo per niente…” Justin lo colpì alla testa prima di passare un braccio sulle spalle della ragazza e seguire Molly.

Una volta usciti dall’aeroporto, Jennifer li guidò verso l’auto e, dopo che i ragazzi ebbero caricato le loro valige, salì al posto di guida; suo figlio fece per sedersi accanto a lei, ma Daphne e Molly spinsero malamente il povero Steve verso il sedile del passeggero e trascinarono Justin su quelli posteriori, piazzandosi una a destra e l’altra a sinistra.

Jennifer mise in moto mentre un sorriso sereno faceva capolino sulle sue labbra.

“Quindi adesso sarei sequestrato?” Domandò Justin cercando di liberarsi dagli abbracci tentacolari delle due ragazze.

“Precisamente.” Confermò Molly. “Da oggi fino a…”

Daphne le rivolse un’occhiata. “Quanto hai detto che rimani?”

“Bè, se fosse dipeso da Vanessa, non sarebbe neppure partito.” Disse Steve con un sorriso.

Jennifer guardò suo figlio dallo specchietto retrovisore. “Non le hai detto nulla?”

Justin scosse la testa. “Non mi avrebbe lasciato venire.”

“E non potresti passare dei guai?” Chiese Daphne preoccupata.

“Nah… Nel mio contratto non c’è scritto da nessuna parte che non posso fare un viaggio per andare a trovare la mia famiglia.”

Molly inarcò un sopracciglio. “Hai controllato le postille? Sono infide, sai?”

Justin scoppiò a ridere. “Tranquilla, Molly Pocket, sono certo che avrò ancora un lavoro quando tornerò a New York.” Accarezzò la spalla di Jennifer. “Dico davvero. E poi, che cazzo! Mia madre si sposa! Quante volte succede nella vita?”

Steve si schiarì la gola. “Dipende; io ho mollato quando la mia è arrivata a quota tre.”

Quattro paio di occhi si voltarono a guardarlo scioccati, ma lui si limitò a scuotere le spalle. “Non le piace la solitudine.”

Scoppiarono a ridere quasi contemporaneamente e il resto del viaggio proseguì tranquillo: Molly e Daphne volevano sapere com’erano lo shopping, i vestiti, i ragazzi, i locali e costrinsero Justin ad accettare la loro decisione di andare insieme a New York a di averlo come chaperon per tutto il tempo del soggiorno. “Sperando che non rimaniate più di tre giorni! Sopportarvi insieme sarebbe un’impresa anche per un santo!” Borbottò contrariato beccandosi un pugno sul braccio destro e un pizzico sulla coscia sinistra.

Justin raccontò nel dettaglio com’era andata a Toronto e porse a sua madre i saluti di Mel e Linz.

“Come stanno?” Chiese Jennifer premurosa. “I bambini devono essere dei giganti ormai.”

Justin annuì con un sorriso. “Oh, dovresti vederli! A momenti non riconoscevo Gus!”

Molly inarcò un sopracciglio. “Chi è Gus?”

Jennifer si schiarì la gola, mentre Justin si scambiava un’occhiata incerta con Daphne. “È il figlio di due amiche di tuo fratello. Due belle amiche, direi.” Rispose Steve.

Justin scosse la testa incredulo.

“Davvero?” Chiese Molly entusiasta, saltellando sul sedile. “Mi piacciono i bambini!” Si aggrappò al sedile di sua madre e si sporse verso di lei. “Perché non le invitiamo a cena qualche volta? Così posso vederli!”

“Abitano in Canada, Molly.” Gli fece notare cauta Daphne, togliendo dall’impiccio Justin.

“Bè, ma torneranno qualche volta, no? Non hanno una famiglia, degli amici qui?” Guardò Daphne e sorrise. “Scommetto che quella buffa signora con i capelli rossi le conosce.”

Jennifer rise. “Debbie conosce chiunque, tesoro.”

“E tu come fai a conoscere Debbie?” Justin si voltò verso sua sorella con aria perplessa.

Molly scosse le spalle. “Viene di tanto in tanto a casa. È simpatica, sai?”

“Oh si, che lo so.”

Daphne scoppiò a ridere. “Mi ricordo quando vivevi da lei! Tutte quelle stupide regole!” Justin sorrise nostalgico. “Fortuna che con me non ha mai fatto storie!”

“Sapeva che non eri tu il maggior pericolo per lui.” Le fece notare Jennifer allegra e lanciando un’occhiata di traverso a suo figlio.

“Mamma.” Molly saltò su di nuovo con aria assorta.

“Dimmi, tesoro.”

Justin guardò incuriosito sua sorella; quando parlava con quel tono non si preannunciava niente di buono.

“Tu e Tuck avete intenzione di avere altri bambini?”

Jennifer sgranò gli occhi scioccata e dovette fare del suo meglio per non finire fuori strada, mentre Justin rischiò quasi di strozzarsi con la sua stessa saliva. “Ma che cazzo dici?!” Le gridò contro. “Come ti vengono certe idee?!”

Molly si strinse nelle spalle, rivolgendogli un’occhiata indulgente. “Potrebbe sostituire il figlio idiota che ha chiari difetti di fabbricazione.”

“O rimpiazzare la petulante ragazzina che esce con…”

“Non ti azzardare a parlare male di Bradley altrimenti io…”

“Cosa? Mi butti dal finestrino?”

“L’idea mi aveva sfiorata!”

“E come pensi di fare, nanerottola?”

“Oh si, sentitelo il gigante di Pittsburgh! Ma per favore!”

“Adesso basta!” Gridò Jennifer cercando di farsi sentire dai suoi figli. “Smettetela immediatamente o vi mollo qui in mezzo alla strada!”

“Sei solo uno sciocco ragazzino che si è montato la testa e…”

“Meglio che essere un’adolescente che crede di sapere tutto dalla vita quando invece…”

“HO DETTO SILENZIO!”

L’urlo inaspettato di Jennifer fece sobbalzare tutti i presenti e riuscì nell’intento di far tacere entrambi i Taylor, che guardarono la loro madre con gli occhi sgranati ed espressioni scioccate. “Wow…” Molly rivolse un sorrisetto a suo fratello. “Ci hai quasi spaventati, mamma…”

Jennifer sbuffò scuotendo la testa. “Spero che non facciate così per tutto il tempo, altrimenti Justin può benissimo prendere il prossimo aereo e tornarsene a New York seduta stante.”

“Grazie per la comprensione!” Si risentì il diretto interessato mentre sua sorella scoppiava a ridere.

Jennifer inarcò un sopracciglio. “Non voglio più sentire grida da terza elementare, d’accordo?”

“La cuccia di Tinkerbell si avvicina sempre più, JusJus…” Mormorò Molly all’orecchio di suo fratello e ben attenta che Jennifer non udisse. Justin grugnì contrariato; incrociò le braccia al petto e si zittì offeso.

Venti minuti più tardi, l’auto arrivò finalmente a destinazione; i ragazzi scesero e, dopo aver scaricato i bagagli, entrarono in casa. Justin si diresse immediatamente al piano superiore, verso la sua stanza, mentre Molly scortava Steve alla camera degli ospiti. Quando finalmente si furono sistemati, si ritrovarono tutti nel soggiorno dove rimasero a chiacchierare per gran parte del pomeriggio; Tuck non era in casa, dato che si era recato per qualche giorno a Scranton dalla sua famiglia; Jennifer avrebbe dovuto accompagnarlo, ma l’arrivo inaspettato di Justin aveva scombussolato i piani e così Tuck era partito da solo, convinto anche che la sua fidanzata avrebbe gradito stare un po’ da sola con i suoi figli, date le novità che erano piombate improvvisamente nelle loro vite.

Cenarono tutti assieme – a Jennifer non sembrava quasi vero di poter cucinare di nuovo per tutta la famiglia – ed erano ormai le undici passate quando Daphne salutò gli altri e lasciò casa Taylor; Molly, Steve e Justin augurarono la buonanotte a Jennifer e salirono nelle loro stanze.

Justin si spogliò rapido e s’infilò a letto, sfiancato da quella giornata.

Cristo Santo, gli sembrava passato un secolo da quando sua madre gli aveva dato la notizia! E invece erano passate a malapena ventiquattro ore!

Ed adesso eccolo lì, di ritorno nella vecchia e cara Pittsburgh… Non poteva crederci… anzi no, non voleva crederci…

Si rigirò nervoso cercando una migliore posizione, ripensando a come nel giro di un paio di settimane sarebbe cambiata la sua vita… Anche se forse la cosa non lo riguardava così da vicino dopotutto; lui avrebbe continuato a vivere a New York e avrebbe rivisto Molly, Jennifer e Tuck solo sporadicamente come succedeva adesso: Natale, Pasqua, feste comandate, qualche weekend e niente di più…

Eppure l’idea che sua madre… Dio, sua madre stava per risposarsi! Faceva così soap opera!

Sorrise nel buio della sua stanza. Effettivamente da quando aveva ricevuto la notizia non si era mai davvero soffermato su quel fatto, cioè sua madre stava per diventare la moglie di Tuck! Chissà se avrebbe perso il cognome Taylor dopo il matrimonio…

Si passò nervosamente una mano tra i capelli e si massaggiò con vigore le tempie. Probabilmente sarebbe impazzito molto prima del lieto evento.

Scalciò via le coperte e scese dal letto, infastidito dal fatto che pur essendo così stanco e desideroso di staccare la spina del suo cervello non riuscisse davvero a rilassarsi.

Silenziosamente uscì dalla sua stanza e scese al piano inferiore; forse un bicchiere di latte l’avrebbe aiutato. Arrivato però all’ultimo gradino, notò l’abatjour accesa in salotto: sua madre stava seduta sul divano, le gambe strette al petto e una tazza fumante tra le mani.

“Ehi.” La chiamò.

Lei si voltò e gli sorrise. “Spero di non averti svegliato.”

Justin scosse la testa avvicinandosi a lei e gettandosi sgraziatamente sul divano. “Non riesco a dormire.”

“Capisco.”

“Mi hai colto di sorpresa, sai?” Justin sorrise nella semioscurità del salotto. “Con il matrimonio. Davvero non me lo aspettavo.”

Jennifer soffiò sulla sua tazza. “Mi… dispiace; non volevo turbarti.”

“Non sono più un ragazzino, mamma.” Si voltò a guardarla. “E non mi getterò sotto un camion, se è di questo che hai paura.”

Sua madre rise sommessamente. “So che non sei più un ragazzino, ormai sei uomo, sei indipendente, forte… testardo…”

“Tutto merito tuo.”

“… però voglio…” Jennifer piegò la testa di lato e guardò il suo primogenito negli occhi. “… voglio essere sicura che per te sia tutto okay.”

“Il matrimonio intendi?”

La donna annuì, muovendosi impercettibilmente verso Justin. “Tesoro, Tuck mi rende felice come non credevo più di poter essere, ma tu e Molly rimanete comunque la mia priorità.” Suo figlio appoggiò la testa sullo schienale del divano e lasciò che continuasse. “Voglio che tu sappia che qualunque decisione io prenda siete voi il mio primo pensiero, non farei mai nulla se avessi anche il minimo sentore che i miei figli non approvino. Ed è così anche in questo caso. Non abbiamo avuto occasione per discuterne con calma e voglio che tu mi dica sinceramente cosa ne pensi di tutta questa storia.”

Justin sospirò. “Vuoi avere la mia opinione o la mia approvazione?”

“Quello che vuoi, tesoro. Però voglio che mi parli, che tu ne discuta con me e se c’è qualcosa che ti… disturba, ti prego dimmelo.”

“Non dovresti preoccuparti per noi, mamma. Se sei felice, vai avanti e fregatene di quello che pensano gli altri.”

“Justin.” Jennifer gli prese una mano sorridendogli dolcemente. “Voi non siete gli altri, voi siete la mia vita. Mai niente e nessuno potrà prendere il vostro posto e soprattutto nessuno potrà mai venire prima di voi.”

“Forse dovrebbe.” Jennifer lo guardò confuso. “Forse e dico forse, per una volta nella tua vita, dovresti essere un po’ egoista e tirare dritta per la tua strada, senza tener conto di quello che io o Molly potremmo pensare; dovresti sposarti anche se noi ti dicessimo che non ti parleremmo mai più, che non verremmo più a festeggiare il Natale qui o che non ti porteremmo più i nipotini il pomeriggio.”

Jennifer cercò di non sorridere. “Sei sempre stato un po’ melodrammatico. E per mia fortuna, sono ancora troppo giovane per avere dei nipotini.”

Justin alzò gli occhi al cielo. “Quello che sto cercando di dirti è che magari dovresti iniziare a pensare un po’ di più a te, e non a mettere me e Molly in cima alla lista delle tue costanti preoccupazioni.”

“Come si vede che non hai dei figli, tesoro mio.” Jennifer abbracciò Justin, facendogli posare la testa sul suo petto, esattamente come faceva quando da piccolo aveva l’influenza e non riusciva a dormire; Justin strinse la vita di sua madre. “Nel momento preciso in cui vedi nascere tuo figlio, hai la certezza che quell’esserino fragile e indifeso sarà per sempre la tua unica ragione di vita; non ci sarà mai nessun altro che potrà prendere il suo posto, mai.”

“È ingiusto.” Sussurrò Justin afflitto.

“È amore.” Gli accarezzò piano i capelli biondi e gli baciò la testa. “La forma più pura di amore; e quando ami qualcuno così tanto e così profondamente non puoi fare a meno di volerlo vedere felice, anche se ciò comporta la tua infelicità.”

“Questa mi sembra di averla già sentita.”

“E proprio per questo, voglio che tu sia assolutamente sincero.”

Justin si schiarì la gola e si sollevò, tornando a guardare sua madre negli occhi. “So che all’inizio non vedevo di buon occhio Tuck…”

“Per usare un eufemismo…” Lo prese in giro Jennifer sorridendo.

Justin roteò gli occhi, non riuscendo a nascondere un sorrisetto. “Ok, sono stato un vero stronzo con lui…”

“Ecco, adesso ci siamo quasi…”

“… però…” Justin sollevò un dito con fare da saputello “… voglio che tu sappia che sono molto felice per voi.”

“Davvero?” Chiese Jennifer inarcando un sopracciglio.

“Parola di scout.”

“Non sei mai stato negli scout.”

“Si, ero troppo impegnato a far venire i capelli bianchi alla mia povera mamma.”

Justin scoppiò a ridere quando Jennifer lo colpì al braccio. “Io non ho i capelli bianchi, Justin!”

“Solo perché poi mi sono calmato.”

“Oh si, me ne ricordo come ti sei calmato! In giro per i bar fino a notte fonda senza avere la minima idea di dove fossi con tuo padre che mi faceva diventare matta!”

Justin continuò a ridacchiare. “Però alla fine sono diventato un bravo ragazzo, no?”

Jennifer lo guardò orgogliosa e annuì. “Il migliore.”

“Mi dispiace di non averlo detto prima, ma…” Justin ispirò piano e sorrise “… sono felice per te. E per Tuck. E voglio che sia felice anche tu e che smetta di preoccuparti per me, okay? Sono cresciuto, ormai.”

“Non credo che potrò mai farlo…”

“Allora continua a stare in ansia per Molly con quel suo fidanzato sportivo!”

Jennifer scoppiò a ridere e lo abbracciò di slancio. “Ammetterai mai che sei geloso di tua sorella?”

“Macchè geloso!” S’indignò Justin.

“Smettila, timidone!” Lo prese in giro sua madre scompigliandogli i capelli.

“Mamma! Smettila immediatamente!” Justin cercò inutilmente di divincolarsi dalla sua presa, ma Jennifer sembrava non avere nessuna intenzione di lasciarlo andare. “Non sono più un bambino!”

“Scommettiamo?”

“Assolutamente no!”

“Dai, Justin! Fammi godere questi ultimi momenti col mio bambino!”

“Io non sono un bambino!”

Finalmente Jennifer si fermò e sorrise grata a suo figlio. “Anche perché dai prossimi giorni sarò molto impegnata.”

“Ah si?” Domandò Justin imbronciato cercando di risistemarsi i capelli.

“Ora che le persone più importanti della mia vita mi hanno dato l’okay, ho un matrimonio da organizzare.”

 

 

 

 

 

“Prima o poi avrai intenzione di dirmi cove cazzo stiamo andando oppure no?”

Daphne ridacchiò continuando però a ignorare il suo miglior amico. “Quindi, Steve, precisamente di cos’è che ti occupi?”

Steve le sorrise sornione. “Cerco di far fare a Justin soldi a palate.”

“Bene! E pensi che potrei assumerti anch’io per un paio di mesi?”

Il ragazzo rise. “Dovrei parlarne col mio capo prima.” Scherzò.

“Oh, tranquillo.” Daphne gli fece un occhiolino. “Io so come prenderlo.”

“Vorrei farvi notare che io sono qui, comunque.” S’intromise Justin seccato.

“E come potremmo dimenticarcene? Hai brontolato per tutto il tempo!”

“Bè, scusa se sono nervoso, Daph, ma sono stato praticamente rapito da casa mia, costretto a mettermi tutto in tiro e trascinato da una pazza non so nemmeno dove!”

“Ecco, brontolone, siamo arrivati!” Annunciò Daphne con aria radiosa.

Steve fissò perplesso la via di villette a schiera davanti a loro. “Hai comprato una casa?” Tentò.

Justin s’irrigidì all’istante e guardò furioso la sua amica. “Che cazzo ci facciamo qui?”

“Ma come?” Daphne gli rivolse un’occhiata innocente. “Non lo sai che oggi qui si festeggia un compleanno?”

“Ma davvero?” Justin girò i tacchi e tornò sui suoi passi.

“Steve, aiutami a fermarlo!” Gridò saltandogli sulle spalle. “Dobbiamo arrivare al 1263!”

“No, Daphne! Io non vengo!”

“Perché non puoi accompagnarmi? Io sono stata invitata!”

“Bè, io no!”

“Sono certa che nessuno ti caccerà, Sunshine!”

Steve li guardò divertiti. “Dio, sembrate una coppia di vecchi sposi!”

Daphne continuò a guardare Justin con aria risoluta. “Puoi venire con le buone o con le cattive. Sai di cosa sono capace se mi metto in testa qualcosa.”

Justin sospirò rassegnato. “Non credo di essere pronto.”

“Si, ma se aspettiamo che tu sia pronto diventeremo tutti vecchi!” Lo afferrò per un braccio e lo trascinò lungo la strada.

Arrivati al 1263, Daphne si sistemò impettita davanti alla porta, tirò Steve accanto a lei e spinse Justin proprio accanto alla porta, in modo che chiunque avesse aperto non sarebbe riuscito a scorgerlo, poi suonò il campanello. Si udirono dei passi al di là della porta un attimo prima che questa si spalancasse.

“Iniziate a versare lo champagne, io arrivo tra un…” Debbie Novotny sgranò gli occhi sorpresa, la mano ancora bloccata sulla maniglia. “Daphne! Tesoro, come sono contenta che tu ce l’abbia fatta!” L’abbracciò di slancio e le baciò le guance. “E hai portato qualcuno!” Le fece un occhiolino. “Ciao!” Disse allegra rivolgendosi a Steve. “Io sono Debbie, lieta di conoscerti, dolcezza!”

Steve le sorrise imbarazzato e le porse la mano. “Il piacere è tutto mio, signora.”

“Venire, entrate! Siamo tutti dentro!” Rientrò nell’atrio e gridò di nuovo. “Ehi ragazzi, siete presentabili? Abbiamo ospiti di riguardo!” Si trascinò dietro i due ragazzi, ma Daphne fece cenno a Steve di non chiudere del tutto la porta.

“Daphne!” Emmett scattò in piedi e corse ad abbracciarla. “Tesoro, come stai?”

Ted lo seguì. “È un pezzo che non ti fai vedere a Liberty Avenue!”

Daphne si strinse nelle spalle. “L’università non mi dà un attimo di pace.” Salutò in ordine Michael, Ben, Blake, Hunter e Carl prima di gettare un’ultima occhiata alla stanza. Era una sua impressione oppure mancava qualcuno?

“Vieni, tesoro! Siediti qui!” Debbie le sorrise indicandole la sedia accanto a lei. “E porta anche il tuo ragazzo!”

Daphne e Steve si guardarono imbarazzati. “Ah già, questo è Steve. È un…”

“… amico.” Steve sorrise a tutti. “Lieto di conoscervi.”

“Bene, adesso mettetevi comodi.” Li invitò Michael.

“Un attimo solo.” Daphne sorrise radiosa. “Prima il mio regalo per la festeggiata.” Debbie scattò in piedi. “Ti prego di rimanere lì, ferma e calma, e di non compiere gesti inconsulti.”

Debbie aggrottò la fronte. “Non so nemmeno che cosa cazzo vuol dire!”

Tutti scoppiarono a ridere.

“Rimani solo ferma.” Tagliò corto Daphne prima di tornare verso la porta; l’aprì di nuovo e prese Justin per un braccio che si divincolò imbronciato.

“Bene!” Daphne si presentò di nuovo ai suoi amici e indicò la porta. “Signori e signore, sono lieta di annunciare un grande, inaspettato ritorno!” Si voltò verso Justin e gli fece cenno di avvicinarsi, ma lui negò con la testa. “Smettila di fare l’idiota!” Borbottò irritata, mentre tutti i presenti si guardavano perplessi. “Porca puttana, Justin! Vuoi deciderti a portare qui il tuo culo?”

“Justin?!” Domandarono all’unisono gli altri.

Debbie corse verso l’ingresso. “Sunshine?”

Emmett, Ted e Michael si scambiarono uno sguardo sconvolto.

“SUNSHINE!” Gridò Debbie trovandosi finalmente davanti a Justin. Si precipitò ad abbracciarlo e quasi lo soffocò tanto era lo slancio. “Quando sei tornato?!”

“Justin!” Tutti gli altri seguirono Debbie e corsero a salutarlo.

“Ciao ragazzi!” Justin sorrise a disagio da tanto calore. “Em! Come stai? Ted, Blake, ancora fate i piccioncini, eh?”

“Ehi, ragazzino!” Michael gli diede una pacca sulla spalla. “Bentornato a casa.”

Justin lo abbracciò riconoscente, prima di salutare anche Ben e Hunter.

“Che fai lì impalato, Sunshine?” Debbie lo trascinò finalmente in salotto e lo spinse su una delle poltrone; Daphne e Steve lo seguirono, accomodandosi accanto a lui.

“Coraggio, prendete un bicchiere!” Emmett era al settimo cielo. “Non credevo che avremmo festeggiato tutti insieme quest’anno! È FA-VO-LO-SO!”

Tutti risero. “Si, adesso cerca di non farti venire una crisi isterica, signorina Honeycutt!” Lo prese in giro Ted. Emmett rispose con una smorfia.

Debbie sorrise e si voltò di nuovo verso Justin. “Sono felice che tu sia passato.”

“Ringrazia Daphne; è lei che mi ha trascinato qui.” Justin abbassò lo sguardo. “Io non credevo fosse una buona idea.”

“Stronzate!” Debbie gli stampò un bacio rosso fiammante su una guancia. “Daphne ha avuto un’ottima idea!”

“Lo so , grazie.” Rispose la diretta interessata, mentre Hunter gli passava un bicchiere. “Ma sappiamo quanto possa essere testone.”

Debbie si strinse nelle spalle. “Sono uomini, splendore. Che vuoi farci?”

Michael si alzò in piedi e si schiarì la gola. “Vorrei dire solo due parole.”

“Michael, per favore, non è il compleanno del presidente!” Si lamentò sua madre. “Quindi puoi anche…”

Il suono del campanello pose fine alla predica di Debbie, che si alzò sbuffando e andò alla porta. “Bè, finalmente ti sei degnato di arrivare!” Brontolò una volta aperto.

“Se è così che inizia questa cazzo di serata, me ne vado all’istante!” Justin scattò in piedi appena quella voce così familiare gli giunse alle orecchie; Daphne si morse un labbro nervosa e gli sfiorò la mano, mentre tutti gli altri rimasero in silenzio, in attesa della bomba.

“Sarebbe davvero da te!” Lo rimbeccò Debbie, chiudendo la porta.

“E poi io ho un lavoro, al contrario di tutti voi che non avete mai un cazzo da…” Brian entrò in salotto e si ghiacciò all’istante mentre il pacchetto che stringeva tra le mani cadeva a terra con un tonfo sordo.

Justin…

Nello stesso momento, Justin inspirò a fondo e alzò finalmente lo sguardo su di lui.

Brian…

Steve guardò Daphne con espressione interrogativa. “Che cosa succede?” Domandò sottovoce, senza ricevere alcuna risposta.

Dio, se solo sapessi quanto mi sei mancato…

Debbie si schiarì la voce e guardò tutti i presenti, sperando che qualcuno si decidesse ad aprire bocca e ad allentare quell’assurda atmosfera; a sorpresa fu proprio Brian a riprendersi per primo. Sbatté gli occhi, come per essere sicuro che stava davvero vedendo quello che stava vedendo e sorrise a Justin. “Ciao, Sunshine.”

Justin riprese a respirare normalmente prima di muovere qualche passo verso l’uomo che amava disperatamente e sprofondare nel suo abbraccio; Brian lo strinse così vigorosamente che per un attimo ebbe quasi paura di fargli male.

“Ciao.”

Daphne si portò le mani al cuore e sospirò commossa; Debbie scompigliò i capelli di Justin, ancora tra le braccia di Brian e tornò verso il centro del salotto. “Allora, siamo pronti o no per questo brindisi? Ora che anche Sua Maestà si è unito a noi…”

Brian sbuffò, staccandosi finalmente da Justin e le lanciò un’occhiataccia fugace. “Ma nemmeno il giorno del tuo compleanno riesci ad essere più buona?” Domandò senza staccare gli occhi da quelli di Justin.

Debbie lo prese per un braccio e gli sfilò il giubbino di pelle. “E che cazzo c’entra? Mica è Natale!”

Tutti risero, mentre Justin tornava a sedersi tra Steve e Daphne e Brian veniva sadicamente trascinato lontano dal suo Sunshine da Emmett e Ted; lo spinsero a sedere sulla poltrona tra loro, esattamente di fronte Justin, che continuava a sorridere, senza riuscire a distogliere lo sguardo da lui.

Finalmente riuscirono a fare il brindisi e Debbie soffiò la candelina sulla sua torta – “Non è carino per una signora mostrare l’età!” Aveva spiegato Emmett quando tutti avevano notato quell’unica candelina –, prima che fosse divorata dagli invitati; si passò poi all’apertura dei regali.

“Questo è da parte mia, di Blake e di Emmett.” Disse Ted, porgendole un pacco rosso fuoco.

Debbie l’aprì e tutti scoppiarono a ridere. “Un paio di manette?!”

Justin si accasciò sulla poltrona piegato in due dalle risate. “Di certo è originale.”

“Lasciate che vi spieghi.” S’intromise Emmett. “Dopo la sua promozione, Carl avrà meno tempo da trascorrere con Debbie.”

Carl confermò. “Ha ragione.”

“Quindi è meglio che quel poco tempo, venga sfruttato al massimo, no?”

“Oddio!” Michael si coprì le orecchie. “Ma come ti vengono certe idee? È di mia madre che stai parlando, cazzo!”

“Lo so perfettamente, Michael, ma questo non vuol dire che tua madre non faccia sesso come il resto…”

“Smettila! Ho detto che non voglio sentire!” Gridò Michael indignato, scatenando di nuovo le risate generali.

Emmett sospirò rassegnato. “C’è anche un buono dentro la scatola.”

“Un buono?”

Ted ridacchiò. “Per un sexyshop. È il preferito di Emmett.”

“È il migliore della città.” Fece un occhiolino a Carl. “Rimarrai sicuramente soddisfatto.”

Debbie posò la scatola a terra ancora un po’ sconvolta. “Il prossimo.”

“Ecco qua.” Si fece avanti Brian, porgendole una scatolina.

“Bè, spero proprio che tu non abbia rotto niente quando l’hai fatto cadere. Avevi una faccia da stoccafisso.” Lo punzecchiò con un sorrisino. Brian la ignorò, puntando di nuovo lo sguardo su Justin e umettandosi le labbra con un mezzo sorriso; Justin inarcò un sopracciglio e gli lanciò un’occhiata eloquente.

“Smettila di fissarlo così, oppure ti verrà un orgasmo.” Mormorò Daphne sorridendo

all’orecchio del suo miglior amico.

“Due biglietti per Toronto!” Debbie abbracciò Brian.

“Quelli sono da parte di Mel e Linz…”

Steve si avvicinò a Justin. “Le amiche lesbiche?” Justin ridacchiò e annuì.

“… mentre questi sono da parte mia: due settimane in uno degli alberghi più belli di Toronto, così la smetterai di lamentarti del fatto che non vedi mai i bambini e noi potremmo riposarci senza sentire di continuo le tue inutili chiacchiere.” Concluse con tono scocciato.

Debbie si alzò e gli stampò un bacio su una guancia. “Sei sempre il solito.”

Brian si pulì il viso. “Spero che non mi abbia lasciato il timbro. Forse non te ne sei accorta, ma io non sono Mickey.”

Michael lo colpì al braccio. “Stronzo!”

Ben porse alla festeggiata un pacchetto. “Brian ci ha quasi rubato l’idea, ma non importa.”

“Mamma, non hai sempre detto che ami l’acqua?”

Debbie sgranò gli occhi. “Non mi dire che mi hai prenotato un viaggio per Miami?”

“Miami?” Michael scosse la testa dispiaciuto. “No, mi dispiace, Miami non era disponibile, ma che ne dici di…”

“Venezia?” Carl spalancò occhi e bocca mentre Debbie si metteva una mano sul cuore.

“Venezia? Come vi è venuto in mente?”

Michael abbracciò sua madre. “Hai sempre detto che ti sarebbe piaciuto tornare in Italia.”

“Oh Cristo Santo! Venezia, Carl!” Guardò incredula il suo fidanzato.

“Siamo lieti che ti piaccia.” Ben le sorrise gentile.

“Certo che mi piace! Venite qui!” E riprese a baciare tutti almeno un paio di volte.

Brian roteò gli occhi e appoggiò la testa su una mano. “Possiamo andare avanti o questa scenetta patetica andrà avanti ancora a lungo?” Debbie gli diede uno schiaffo sulla nuca, continuando a baciare suo figlio, suo genero e suo nipote.

Justin si chinò verso Daphne. “E il nostro regalo?”

“Io l’ho portato!” Esclamò lei indignata. “Vero, Debbie, che il mio regalo è il più bello?”

Debbie si voltò verso di loro. “Senza offesa per gli altri, ma Sunshine è stato il migliore!”

Justin sorrise imbarazzato, abbassando lo sguardo. “Prometto che la prossima volta che ci vediamo, ti porterò qualcosa anche io.”

“Tu l’hai già fatto, tesoro.” Justin aggrottò la fronte. “Hai riportato il tuo culetto a Pittsburgh! E non potevi farmi regalo più grande!”

“Non mi sembra poi un grande regalo.”

Debbie lanciò uno sguardo fugace verso Brian. “Oh lo è, dolcezza. E credimi, non sono l’unica a pensarlo.”

Justin arrossì e si morse l’interno della guancia; fece per replicare qualcosa, ma il suo cellulare lo interruppe. Lo estrasse dalla tasca e spalancò gli occhi terrorizzato; diede una gomitata a Steve, seduto sul bracciolo della sua poltrona. “Oh oh.” Disse solo.

“Che succede?” Chiese Daphne.

Steve guardò Justin con espressione risoluta. “Vuoi che ci parli io?” Posò una mano sulla spalla di Justin. Istintivamente il sopracciglio di Brian si inarcò.

“Non credo sia una buona idea.” Spostò la sguardo su Debbie. “Scusate, ma devo proprio rispondere. Dove posso…?”

“Vai pure di sopra, Sunshine.” Debbie gli sorrise. “Non ti lascerò andare fuori con questo freddo.”

“Grazie.” Si alzò dalla poltrona insieme a Steve e salirono al piano superiore.

Tutti li seguirono con lo sguardo tranne Daphne, troppo impegnata a sgranocchiare patatine e noccioline; quando scomparvero, si voltarono a fissare la ragazza che continuava a mangiare.

“Bè?” Domandò Emmett.

Daphne deglutì confusa. “Bè cosa?”

Ted indicò le scale.

“Non so chi l’abbia chiamato.” Daphne si strinse nelle spalle.

Brian roteò gli occhi, sbuffando. “Quello che tutti qui di stanno chiedendo, Daph, è se quei due scopano!” Debbie gli mollò un altro scappellotto. “Ahio.”

Daphne aggrottò la fronte e guardò ad uno per uno i suoi amici, poi si voltò a fissare le scale, poi di nuovo gli altri. “Chi? Justin e Steve?” Scoppiò a ridere spalmandosi sul divano. “Oddio, questa devo proprio raccontargliela! A Steve verrà un infarto!”

Tutti si scambiarono un’occhiata a metà tra il perplesso e l’allarmato.

“Che abbiamo detto di tanto scioccante?” Emmett sembrava quasi offeso dalla sua reazione.

Daphne cercò di ricomporsi. “No, vi posso assicurare che non vanno a letto insieme.” Proruppe in un’altra risata incontrollata.

Ted si sporse sulla poltrona. “E la certezza ti viene da…”

“… mmm, fammi pensare… forse dal fatto che Steve è… aspetta, com’è quel termine?” Si tamburellò il mento con un dito mentre tutti pendevano dalle sue labbra. “Ah si! Etero!”

I suoi amici si voltarono di nuovo a guardare le scale. “Ma sei sicura?”

“Oh mio Dio, certo che sono sicura! Justin mi ha detto che a Toronto ci ha quasi provato con Mel e Linz!”

Versi di disgusto riempirono la stanza proprio mentre Justin e Steve tornavano in salotto. “Che succede?” Chiese Justin. “Avete mangiato qualcosa di scaduto?”

“Peggio…” Borbottò Michael.

“Oh, Justin!” Daphne fece cenno al suo amico di avvicinarsi. “Puoi per favore dire a tutti che non te la fai con Steve?”

Steve sgranò gli occhi. “Io cosa?”

Daphne annuì. “Tutti hanno pensato che voi due… bè, avete capito, no?”

“NO!” Esclamarono i due ragazzi all’unisono facendoli sorridere nonostante tutto.

“Senza offesa, ma io…” Steve cercò di essere il più delicato possibile. “… ho altri… gusti.”

“Bè, meno male!” Esclamò Carl sollevato, scambiandosi un cinque con Hunter. “Ragazzo, stiamo recuperando!”

“Ne dovete fare ancora di strada, mio caro.” Gli fece notare Debbie. “Rimanete comunque tre contro… cinque, sei… sette. Siete ancora in svantaggio.”

Steve si avvicinò all’orecchio di Justin. “Ma allora è vero che conosci solo gay!”

Justin lo colpì al braccio senza neppure guardarlo.

“Ti consiglio di non stare troppo vicino a Justin.” Gli suggerì Daphne sottovoce.

“Come mai?”

Daphne sorrise. “Lo vedi quello seduto di fronte a te?”

“Quello che mi guarda male da quando è arrivato? Tardi, tra l’altro?”

“Precisamente.”

“Che vuole?”

“Probabilmente che tu metta almeno tre metri di distanza tra il tuo corpo e quello del nostro Justin. Sempre se vuoi conservare tutti i tuoi organi intatti.”

“Avete finito di bisbigliare dei cazzi miei?” Si lamentò Justin prendendo posto tra di loro e separandoli. 

Steve si sporse dietro la sua schiena e continuò il discorso con Daphne. “Quindi cos’è? Uno spasimante?”

“Oh no! Brian è lo spasimante! Nessuno è mai stato al suo livello.”

“E allora com’è che non s’è mai visto a New York?”

Daphne si strinse nelle spalle. “Perché sono due cazzoni.”

“Ok, basta così!” Justin scattò in piedi e prese Steve per un braccio. “Ben, per favore, potresti cambiare di posto col mio amico? Credo che lui e Daphne stiano socializzando un po’ troppo!”

“Rompipalle!” Daphne gli schiaffeggiò una coscia. “Sto dicendo solo la verità!”

“Si, benissimo, ma io non voglio sentirla, dottor Freud!”

“Questo è perché ho ragione io! Sei un cazzone, Justin!”

“E tu sei una stronza impicciona!”

“Quindi sarei impicciona solo perché dico la mia? Steve mi ha fatto una domanda, io ho risposto, tutto qui!”

“E adesso parlerai da sola!”

Gli altri continuarono a spostare allibiti lo sguardo tra i due, assolutamente ignari del motivo della lite, mentre Steve si sedette rapido accanto a Michael.

“Ehm… ragazzi…” Emmett si schiarì la gola. “Va tutto… bene?”

“Alla grande!” Risposero Justin e Daphne in coro prima di tornare a sedersi imbronciati e con le braccia incrociate.

Dopo l’apertura dei regali, si passò alle foto e al brindisi, poi un ad un altro e… ad un altro ancora. Quando alla fine, a mezzanotte passata, Hunter iniziò ad addormentarsi sul divano, Ben e Michael si alzarono e si infilarono i cappotti, imitati poi da tutti gli altri. Debbie e Carl li ringraziarono per i regali e per la bella serata e, dieci minuti più tardi, erano tutti in strada, infagottati con sciarpe e guanti.

“Bene, Steve, ti va di fare una passeggiata?” Domandò Daphne, lanciando un’occhiataccia a Justin.

Il ragazzo la guardò stranito, mentre Emmett gli tirava una gomitata. “Dì di sì, tesoro! Che aspetti?”

“Bè, io… certo, perché no?”

“E io nel frattempo dovrei fare da chauffeur?” Il tono di  Justin aveva un che di risentito.

Michael e Ben si congedarono dal gruppo e si avviarono lungo il viale con Hunter che ciondolava stanco morto; Ted e Blake furono i successivi: come due sposini, si presero per mano, avviandosi verso la macchina di Ted.

Daphne prese sotto braccio Steve e si strinse nelle spalle. “Io veramente non pensavo che avremmo avuto un terzo incomodo.”

“Terzo incomodo?” Le sopracciglia di Justin scomparvero sotto la frangia bionda.

Emmett trattenne a stento un sorrisino. “Mi piacerebbe rimanere qui, ma domani devo alzarmi presto, per cui…” Baciò Daphne e Justin e assunse un’espressione risentita quando Brian lo fulminò con lo sguardo, temendo che rivolgesse anche a lui quelle smancerie. “Buonanotte!” Disse prima di stringersi di più nella sciarpa verde acido e avviarsi per la strada illuminata a mento alto.

“Ci vediamo domani, Justin.” Daphne voltò alle spalle ai due ragazzi e s’incamminò con Steve in direzione di casa sua. Justin rimase fermo come uno baccalà sul marciapiede.

Brian, alle sue spalle, si schiarì la voce. “A quanto pare sei stato mollato dalla tua ragazza.” Justin capì senza neppure voltarsi che stava sorridendo.

“Ti giuro che a volte non la capisco proprio.” Aggrottò la fronte. “Credi che ce l’avesse ancora con me per prima?”

“Nah…” Gli si affiancò e nel preciso momento in cui il giubbotto di pelle di Brian sfiorò il suo cappotto, Justin respirò di nuovo quel profumo familiare e seducente che aveva il potere di farlo uscire fuori di testa. “Di sicuro non è stata molto sottile.”

Justin si voltò a guardarlo, sforzandosi di sembrare tranquillo. Certo era che rimanere tranquillo con Brian e il suo maledetto profumo a distanza pericolosamente ravvicinata si presentava una missione piuttosto ardua. “Cioè?”

Brian inarcò un sopracciglio, avvicinandosi impercettibilmente a lui. “Se calcoli che ero rimasto solo io qui, e che lei aveva improvvisamente tutta questa voglia di squagliarsela col tuo amico…”

Justin aprì la bocca, arrivando finalmente al punto; si voltò verso il punto in cui Daphne e Steve erano spariti e scosse la testa. “Stronza…”

“Secondo me c’ha pensato tutta la sera.” Brian affondò le mani nelle tasche del giubbino. “E chi siamo noi per deluderla?” Rivolse a Justin un’occhiata maliziosa e gli sorrise in quel suo tipico modo così… così da Brian che il povero cuore di Justin ebbe un sussulto e sembrò quasi volergli schizzare fuori dal petto. “Ti va una birra?”

 

 

 

 

 

Quando Justin entrò nel loft, un sorriso spontaneo gli comparve sul volto mentre si sfilava la sciarpa. “Dio, non è cambiato proprio nulla qui…”

Brian gettò il giubbino sul divano e si diresse verso il frigo. “Lo sai che sono abitudinario.” Sentenziò stringendosi nelle spalle e afferrando due bottiglie di birra. Ne offrì una al suo ospite. “Allora? Come va nella Grande Mela?”

Justin abbassò lo sguardo imbarazzato mentre prendeva posto all’isola della cucina, proprio di fronte a lui. Vicino, ma a distanza di sicurezza nel caso i suoi ormoni avessero preso il sopravvento; e con Brian nei paraggi i rischi c’erano eccome.

“Tutto bene.” Sorseggiò la sua birra. “Ho iniziato a fare mostre in giro e me la cavo bene… non mi lamento.” Sorrise allegro. “Tu che mi dici, invece? Con la Kinnetic?”

Brian si strinse nelle spalle. “Sono il migliore, come sempre.”

Justin non si sforzò neppure di nascondere un sogghigno. “Già, come sempre.”

Rimasero in silenzio per alcuni istanti, come per studiare la situazione: il predatore in attesa della mossa della preda designata… peccato che nessuno dei due in quel momento sapesse chi era il predatore e chi la povera preda che sarebbe stata sopraffatta.

Poi successe qualcosa; quasi si fossero letti nella mente, quasi si fossero accordati in silenzio soltanto con gli sguardi, Justin si alzò dallo sgabello mentre Brian si staccava dal frigo e si muoveva rapido verso di lui.

Un istante era bastato per tornare a sospirare l’uno per l’altro.

Uno sguardo era stato sufficiente perché entrambi capissero quanto si erano mancati.

Un istante e uno sguardo ed ora, finalmente, dopo due anni d’inferno, eccoli di nuovo lì, esattamente dove tutto era iniziato.

Quando le labbra di Brian si avventarono fameliche sulle sue, a Justin sfuggì un gemito sofferente, la sofferenza che aveva provato standogli lontano, convincendosi che stava facendo la cosa giusta e mentendo a sé stesso ogni santo giorno quando si raccontava che Brian non gli mancava, che non gli mancavano le sue mani sul suo corpo, le sue labbra sul suo viso, le sue carezze tra i suoi capelli, il suo corpo su di lui, con lui, in lui.

“Dio, se mi sei mancato, Sunshine…” Mormorò prima di tornare a mordere e baciare quelle labbra tanto sospirate.

Justin inclinò il capo e prese a baciargli il collo, inebriandosi del suo odore, quell’odore che sentiva suo da quando a diciassette anni era entrato per la prima volta in quel loft con un eccitante sconosciuto. “Anche tu mi sei mancato…”

Le mani di Brian passarono rapide e bramose dalle sue spalle all’ingombrante e fastidioso maglione e lo sfilarono, subito seguito dalla camicia; Justin si lasciò spogliare prima di ricambiare il favore e scoprire lentamente il corpo di Brian, forte e prestante come lo ricordava.

Si fermarono per un attimo guardandosi di nuovo negli occhi, prima che Brian gli accarezzasse teneramente una guancia, facendo scoppiare nuovamente le scintille tra loro.

Camminando all’indietro, Brian prese a trascinarlo verso la camera da letto che, da troppo tempo, sentiva la mancanza di Sunshine; esattamente come il suo cervello, il suo corpo e ovviamente il suo cuore.

Che alla fine, dopo due anni, aveva ripreso a battere.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Finito anche il terzo! Premetto che non sono granché soddisfatta, volevo che l’incontro tra Brian e Justin esprimesse desiderio, passione, nostalgia, invece è venuto fuori questo coso… non so… forse avrei potuto fare di meglio, ma il signor Kinney tende a mandarmi in pappa il cervello quindi sappiate che se c’è di mezzo lui, non posso fare meglio di questo.

All’inizio non era convinta a dar vita ai loro ormoni già nel primo capitolo, ma poi mi sono convinta che loro avrebbero fatto così (ok, ok. Io avrei voluto così!)… voi che pensate?

La scena d’amore (o almeno l’inizio) spero non risulti ridicola perché è la prima volta che mi cimento in una storia slash e non so davvero come possa essere uscita; mi auguro solo di essere riuscita a rendere giustizia a questi due fantastici personaggi che adoro (se ancora non fosse chiaro il concetto!) e non preoccupatevi perché di scene diciamo “calde” ne prevedo ancora… dopotutto sono o non sono Brian e Justin? E sappiamo quanto questi due non riescano mai a tenere le mani a posto!

Per il resto che dire? Finalmente abbiamo rivisto anche tutti gli altri che ho cercato di rendere il più verosimile possibile e ho voluto dare anche un po’ di spazio al rapporto tra Justin e sua madre.

In conclusione, spero che apprezziate questo capitolo come avete apprezzato gli altri due.

Ora passiamo ai ringraziamenti:

 

 

Dany23: Si, anche io sono su FreeFans, anche se scrivo poco; il mio nick è Amelia88. sono contenta che non abbia sospettato subito della notizia del matrimonio… mi dispiacerebbe diventare già prevedibile! Come ho già detto, in questo capitolo abbiamo iniziato con i fuochi d’artificio, ma ne vedremo delle belle anche prossimamente! Grazie ancora per i complimenti e alla prossima!

 

BritinLover: allora prima di tutto amo il tuo nick! Espressione del nostro amore per i Britin! Comunque grazie mille dei complimenti e non posso che contraccambiare e dirti che anche io ho letto la tua storia (il finale è epico… dico davvero! Originale, spiazzante e proprio da QaF!) e l’ho A-M-A-T-A! spero con tutto il cuore che anche questo nuovo capitolo ti piaccia!

 

Kyelenia: premetto che, per quanto lo ami, anche io avrei ucciso Justin alla fine della 5x13! Lasciare il mio povero Brian tutto solo dopo quella meraviglia di dichiarazione??!! Ok, io sono pazzamente innamorata di Brian e non faccio testo, ma come si può? ç_ç Cercherò di sviluppare e spiegare anche questo al meglio delle mie possibilità e proverò a mostrare che in realtà loro non sono affatto tornati indietro come i gamberi… nella mia testa sono solo due testoni! Li ammazzerei a volte! Spero che continuerai a seguirmi! Un bacio e grazie!

 

Mia85: allora che te ne pare dell’entrata in scena di Brian? Spero ti abbia soddisfatto e mi fa piacere sapere che anche qualcun altro è rimasto male per l’assenza di Molly nel telefilm, ma non temere! Qui rimarrà mooooolto presente fidati! Mi ha fatto piacere rispondere alla tua domanda e se per caso non dovessi essere chiara, ti prego di farmelo notare… mi piace discutere con altre fan! Lo trovo molto costruttivo! Come sempre, grazie mille per i complimenti! Mi fai arrossire ogni volta!! Un bacione!

 

Jen78: Wow, che complimentone! Nella prossima recensione dovrai dirmi che faccio schifo, altrimenti rischio di montarmi la testa!! no, scherzi a parte, sono lieta che ti piaccia e spero che continuerai a leggerla! Grazie davvero!

 

Tsubychan1984: Steve è adorabile, concordo… mi diverto un sacco a scrivere di lui! È una specie di pazzo! E Daphne e Jennifer, che io ho sempre adorato, si dimostrano ancora una volta le donne forti che sono… Justin è fortunate ad averle! E sappi che presto si aggiungerà una terza donna nella vita del nostro giovane biondo! Una piccola Taylor dai capelli ramati! Ho molte cose in serbo per Molly Pocket! Il nome del cane non so da dove sia uscito, ma mi sembrava abbastanza strano e mi è piaciuto un sacco, per cui… ecco Tinkerbell! Per quanto riguarda Craig Taylor puoi fare quello che vuoi, cara! Io non ho intenzione di fermarti se per puro caso tu dovessi spaccargli il muso! Anzi se ti serve una mano, fai un fischio… Grazie per i complimenti e alla prossima!

 

 

Un bacione a tutti e grazie ancora per i complimenti! Non credo di meritarli, ma fanno ugualmente piacere!!  GRAZIE!!!

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Capitolo 4
*** Molly ***


4. Molly

 

 

 

 

Non sapeva con certezza cosa lo avesse svegliato; se la luce del sole che filtrava dalle finestre, il braccio ormai intorpidito che penzolava fuori da letto, oppure il corpo caldo e familiare che gli stava praticamente addosso.

Un fastidioso ronzio gli arrivò nelle orecchie.

Ah, ecco che cos’è…

Si costrinse ad aprire gli occhi; Brian, accanto a lui, mugolò contrariato quando Justin si alzò dal letto. Ancora barcollante, frugò tra i suoi vestiti, buttati alla rinfusa sul pavimento e afferrò il cellulare che vibrava insistente nella tasca dei suoi pantaloni.

“Pronto?” Rispose con voce ancora rauca dal sonno.

“Buongiorno, Sunshine!” Lo salutò allegra la voce di Daphne.

Justin lanciò una rapida occhiata a Brian, beatamente addormentato a pancia sotto, e si spostò verso la cucina per non svegliarlo. “Buongiorno… Ti sembra l’ora di chiamare?”  Justin abbandonò la testa sul piano della cucina.

“Sono le nove, Justin. A New York a quest’ora sei già in attività da un bel pezzo!” Osservò lei con tono offeso.

Certo, aveva ragione, ma a New York non c’era nessuno che lo tenesse sveglio fino all’alba per scopare. O, meglio ancora, a New York non c’era quel qualcuno che lo tenesse sveglio.

“Quindi perché hai chiamato?” Justin si stiracchiò la schiena. Cristo, gli faceva male tutto! Era davvero fuori allenamento…

Daphne sorrise. “Volevo solo sapere com’era andata la serata.”

“Mi pare ci fossi anche tu.”

“Oh, ma io parlo del dopo.”

“Dopo cosa?”

“Smettila di fare lo stronzo e sputa il rospo!”

“Quale rospo?” Justin ghignò divertito.

“Justin, stai mettendo a dura prova la mia pazienza…”

“Che paura…”

“Ok, allora. Mi toccherà andare direttamente alla fonte.”

Justin sospirò. “Cioè?”

“Attaccherò e chiamerò Brian per farmi raccontare tutto.”

“Non credo abbia niente da raccontarti.”

Daphne sbuffò scettica. “Si, come no. Com’era il numero?”

“Daph…”

La sentì frugare nella borsa. “Ah, eccolo! Brian ‘Dio del Sesso’ Kinney! Chissà se è ancora lo stesso? Vabbè, intanto provo…”

“Ok, ok, ha vinto!” Justin cercò di parlare piano per non svegliare Brian. “Che vuoi sapere?”

Daphne rise allegra. “Tutto! Dall’inizio alla fine!”

“Va bene, non c’è molto da dire: mi ha invitato a casa sua per una birra, abbiamo chiacchierato, poi sono tornato a casa. Fine della storia, ciao Daph!”

“Non.Provare.A.Riattaccare.Se.Non.Vuoi.Morire.” Sibilò minacciosa. “E soprattutto non raccontarmi stronzate, Justin Taylor! Ho chiamato a casa tua stamattina e Molly mi ha detto che stamattina sei uscito presto e non ti ha visto.”

“Avevo dei giri da fare…” Rispose vago Justin con un sorrisetto. Amava far incazzare Daphne. Era una di quelle cose che gli rallegravano la giornata.

“E tua madre ha puntualizzato che non ti ha sentito rientrare, quindi suppone che fosse molto tardi.”

“Infatti.”

“Eppure io ho un’altra teoria.”

Justin alzò gli occhi al cielo. “Sentiamo, Sherlock.”

“Molto semplice, consideriamo i fatti: tu, Brian, il suo loft e un’infinità di superfici piane e comode.”

“E…?”

“E la vostra totale mancanza di resistenza quando si tratta di saltarvi addosso come due allupati e strapparvi tutti i vestiti di dosso.”

“Interessante teoria, Daph, e mi piacerebbe stare qui a discuterne con te, ma ho sonno e non ne ho la forza. Ci sentiamo dopo, ok?”

Daphne borbottò contrariata. “Che devo dire a tua mamma se mi chiede qualcosa?”

“Che sono molto impegnato.” Justin si alzò dallo sgabello. “Che non tornerò per pranzo.” Salì i gradini della camera da letto. “E che appena posso la chiamerò io.” Sussurrò coprendosi la bocca con la mano. “Grazie! Ciao, Daph!” E riattaccò senza nemmeno aspettare la risposta della sua amica. Gettò il cellulare sul groviglio di vestiti ai suoi piedi e si stese di nuovo sul letto.

Brian parve percepire di nuovo la sua presenza, perché si avvicinò a lui, passandogli un braccio attorno alla vita e affondando il viso nell’incavo del suo collo. Justin sorrise rilassato, chiudendo gli occhi. Posò la mano sul suo braccio e inclinò il capo, inspirando a fondo l’odore di Brian e della sua pelle. Gli baciò piano la spalla.

“La tua ragazza voleva essere messa al corrente delle novità?” Lo prese in giro con un sorriso, gli occhi ancora chiusi in un’espressione beata.

Justin si girò da un alto e gli circondò la schiena, sfregando il naso contro il suo collo; lo sentì sospirare. “La conosci. È un’impicciona.”

“Non mi offendere Daphne. Oppure sarò costretto a cacciarti.”

Justin sorrise, mordicchiandogli la mascella. “Non ne avresti mai il coraggio.”

Finalmente Brian aprì gli occhi e Justin, esattamente com’era successo in altre milioni e milioni di occasioni e come probabilmente sarebbe sempre accaduto, si perse in quelle iridi verde scuro che tante volte avevano popolato i suoi sogni di notte e i suoi pensieri di giorno.

“Ciao.” Gli sussurrò solo con un sorriso spensierato.

Justin si avvicinò di più. “Ciao.” Mormorò prima di baciarlo teneramente.

Brian non si fece pregare; lo spinse di nuovo verso il materasso e si sdraiò su lui, continuando a dedicarsi meticolosamente alle sue labbra. Le leccò, le succhiò e le accarezzò mentre le sue mani vagavano bramose ed impazienti sul corpo di Justin; il biondo accolse volentieri le attenzioni dell’uomo e prese a ricambiare con altrettanto ardore, accarezzandogli con movimenti lenti e controllati tutta la spina dorsale fino ai glutei, prima di risalire e ripetere l’operazione. Sorrise contro le labbra di Brian quando sentì che la situazione nei piani bassi iniziava a scaldarsi; con una spinta, lo mandò con la schiena contro il materasso e salì sopra di lui, avventandosi nuovamente sulle sue labbra, già rosse. Brian affondò immediatamente la mano dei suoi capelli biondi e lo attirò a sé il più possibile, facendo aderire i loro corpi perfettamente e cingendogli i fianchi nudi con le cosce. Quando entrambi rimasero senza fiato, Justin si staccò da lui accasciandosi sul suo corpo, la fronte appoggiata sulla sua spalla. “Anche questo mi era mancato.”

Brian gli morse il lobo dell’orecchio, facendolo gemere. “Cosa? La mia innata capacità a rimanere in apnea?”

“No.” Trattenne il fiato quando gli leccò sensuale la porzione di pelle sotto l’orecchio. “La tua lingua.” Affondò le unghia nei suoi fianchi e boccheggiò, inarcandosi contro il suo corpo. “Sei sempre stato bravo a farmi impazzire.”

Brian scese lentamente lungo il collo, mentre la sua mano sfiorava il fianco di Justin. “Non credere, sai? Anche tu non sei da meno…”

Justin sorrise contro la sua pelle. “Bè, al momento non sei tu quello che ansima vergognosamente e… ah!” Brian gli morse una spalla facendolo sussultare.

“Stavi dicendo?” Gli chiese con un ghigno.

Justin insinuò una mano tra i loro corpi, sfiorando delicatamente i suoi addominali. “Pensavo che forse potrei ricambiare.”

Brian chiuse gli occhi e si leccò le labbra, tornando a sdraiarsi e posando la testa sul cuscino, la bocca distesa un sorriso beato. “Sai quanto sono altruista e non ti negherei mai qualcosa che ti rende felice.”

Justin ridacchiò mentre prendeva a baciargli il petto scendendo poi verso il ventre e l’ombelico; Brian sospirò pesantemente, accarezzando la gamba del ragazzo con la mano fino ai fianchi.

Era anche per questo che Justin gli era mancato così tanto: no, non per il sesso… ok, anche per quello, ma in fondo non era colpa sua se quel maledetto ragazzino sembrava essere nato per farlo impazzire di piacere e, Cristo Santo, se ci sapeva fare…

Non era sicuro di averglielo mai detto apertamente, ma era certo di una cosa: nessuno, nessuno in tutta la sua cazzo di vita l’aveva fatto sospirare, gemere, gridare o eccitare come Justin; e non era solo questione di anni e anni di… allenamento. Era sempre stato un talento naturale: anche la prima volta – oddio, erano davvero passati sette anni? – aveva provato qualcosa di diverso, un brivido, una sensazione, non sapeva bene, ma comunque qualcosa lo aveva colpito di quel ragazzino spaurito e logorroico, tanto da convincerlo a passare con lui più di una sola notte, come invece era sempre accaduto con chiunque altro, e ad infrangere così le sue ferree regole.

All’inizio non si era reso conto che trasgredirle avrebbe messo in discussione non solo la sua libertà, ma anche la sua capacità di giudizio, il suo tanto rinomato egoismo e soprattutto il suo sprezzante e totale rifiuto ad amare; quel dannato ragazzino – l’aveva capito solo molto tempo dopo – gli era entrato dentro come un virus, come una maledizione, insinuandosi sotto la sua pelle, sotto la sua corazza e soprattutto sotto tutte le sue convinzioni, i suoi principi e le sue sicurezze distruggendole in un nanosecondo.

Soltanto con quegli occhi da cucciolo spaventato e quel sorriso fastidiosamente luminoso.

Dannato, Sunshine…si ritrovò a pensare un attimo prima di venire, gemendo, mentre Justin crollava su di lui, ancora ansimante.

“Stavolta mi sono superato…” Gli sussurrò sensuale sebbene fosse senza fiato, accarezzandogli la mascella con la punta del naso.

Brian annuì contro la sua spalla. “Ti va una bella doccia?” Chiese con un sorriso malizioso.

Justin ridacchiò incredulo mentre si alzava dal letto, afferrandolo per un braccio e trascinandolo verso il bagno; aprì l’acqua nella doccia e spinse Brian dentro, senza tante cerimonie. L’uomo gli si posizionò di fronte e lo tirò sotto il getto d’acqua calda, spostandogli i capelli chiari all’indietro per vedere meglio il suo viso; prese il bagnoschiuma e iniziò a massaggiargli le spalle con dolcezza e riguardo, gli occhi verdi sempre puntati in quelli blu di Justin. Dalle spalle passò alle braccia, poi al petto e al ventre, prima di risalire verso le spalle e il collo. Mosse un passo verso di lui e gli sfiorò teneramente le labbra, un bacio lento e calmo, totalmente diverso da quelli che si erano scambiati tutta la notte tra le lenzuola scure del suo letto fino ad un attimo prima; entrambi tennero gli occhi aperti, mentre le loro lingue si accarezzavano senza fretta, come se gli sguardi dovessero parlare più del bacio stesso. Tutti e due sapevano a cosa stavano pensando, a cosa avevano pensato mentre facevano l’amore e si sorridevano nel buio della camera da letto; parlavano della loro storia, di come si erano presi e lasciati, di come erano cambiati l’uno grazie all’altro, di quanto si erano amati e e feriti e di come, nonostante l’amore, si erano divisi per il bene reciproco; si raccontarono dei momenti trascorsi separati, degli uomini che c’erano stati al posto loro che non erano riusciti a colmare il vuoto dei loro cuori e di quanto non riuscissero a fare a meno l’uno dell’altro, ogni giorno, ogni minuto, ogni secondo…

Justin si staccò dolcemente da Brian e gli sorrise incerto, accarezzandogli i capelli bagnati. “Forse dovremmo parlare…”

Brian posò il naso contro la sua guancia e la sfiorò piano, in quel gesto così tipicamente suo che a Justin venne la pelle d’oca, quasi si rendesse conto solo in quel momento che era finalmente tra le braccia dell’unico compagno che avrebbe mai potuto avere. E voluto avere. “Quanto tempo rimarrai?”

Justin gli circondò i fianchi. “Almeno un paio di settimane.”

“Così tanto?” Brian cercò di sembrare il più naturale possibile, ma Justin capì dal tono che era felice. Non se lo aspettava.

Annuì. “Mia madre si sposa.”

Brian si staccò improvvisamente da lui e lo guardò ad occhi sgranati. “Cosa?”

“Già. Incredibile, eh?”

“Immagino quanto possa farti contento imparentarti con Tuck.” Lo prese in giro, tornando ad abbracciarlo.

Justin immerse di nuovo il viso nella spalla di Brian. “Ho iniziato ad abituarmi all’idea. E poi è una brava persona e rende felice mia mamma. Solo questo è l’importante.”

“Che discorso maturo, signor Taylor.”

“Sono sempre stato più maturo della mia età, mio caro.”

Brian ridacchiò contro i suoi capelli. “Oh si, ne ho un vago ricordo!” Gli baciò la testa e sorrise. “Allora, abbiamo tempo per parlare.”

Justin lo strinse di più a sé. “Speravo lo dicessi.”

“Speravo lo volessi.”

“L’unica cosa che voglio al momento sei tu.” Gli posò un bacio sul collo, leccandolo sensuale.

Brian massaggiò con vigore le sue spalle. “Le tre volte di stanotte non contano?” Lo schernì con un sorriso.

“Quattro se conti il mio modesto contributo di poco fa.”

“Io non direi poi tanto modesto…”

Le mani di Justin scesero impazienti sui fianchi di Brian, spingendo il suo bacino contro quello dell’uomo, che gemette fremente. “Allora? Ti va di battere ogni nostro record?”

Brian lo guardò con un mezzo sorriso, mordendosi il labbro inferiore. “Mi conosci: sono sempre pronto a migliorarmi.”

Justin lo spinse contro la parete trasparente della doccia e gli leccò le labbra, sorridendo. “Lieto di sentirlo, signor Kinney.”

Brian lo strinse forte tra le braccia prima di avventarsi di nuovo sulle sue labbra.

Fortuna che aveva una scatola di preservativi di emergenza; eppure, chissà perché, aveva la netta sensazione che con l’inaspettato ritorno di Justin presto sarebbero finiti anche quelli…

 

 

 

 

 

Daphne, Jennifer e Molly camminavano tranquille per Liberty Avenue; Jennifer era al telefono con Tuck per raccontargli quanto Justin avesse accolto bene la notizia del matrimonio mentre Molly e Daphne si fermavano di tanto in tanto ad osservare qualche vetrina tra un pettegolezzo e l’altro.

“Ora stiamo andando da Debbie.” Disse infine Jennifer. “Daphne ha avuto una brillante idea sull’organizzatore del mio matrimonio. Spero solo che accetti.”

Tuck le augurò buona fortuna e le disse che sarebbe tornato presto; mandò anche un saluto ai ragazzi.

“Insomma, mi volete dire o no chi è quest’uomo misterioso che dobbiamo incontrare?” Si lamentò Molly mentre la tavola calda fece capolino all’angolo della strada.

“Lo vedrai, tesoro.” Jennifer la prese sottobraccio e con Daphne attraversarono l’incrocio fino al Liberty Diner; Daphne entrò con un sorriso mentre Molly fu bloccata da una voce che gridava il suo nome. “Emily!” La ragazzina salutò la sua compagna abbracciandola. Poi si voltò verso sua madre. “Entra pure, vengo tra un attimo.”

Jennifer le sorrise e seguì Daphne nel ristorante.

“Jen!” L’accolse allegra Debbie servendo ai tavoli. “Come stai?” Lasciò il conto ad uno dei clienti e corse ad abbracciare la sua amica. “È un po’ che non ti si vede da queste parti!”

Jennifer le sorrise. “Sai, con Molly, la casa, Tuck, il ritorno di Justin…”

“Oh si! Ieri sera Daphne è riuscito a trascinarlo a casa mia! Che sorpresa! Siamo rimasti tutti senza parole!” La trascinò verso il bancone dove si era seduta Daphne, intenta a chiacchierare con Emmett che pranzava al tavolo lì di fronte con Michael e Ted.

“Ciao, ragazzi.” Jennifer si sedette accanto a Daphne.

“Stavo raccontando a Jennifer della sorpresa di Sunshine di ieri sera!”

Emmett saltò su ancora esaltato. “Oddio, sono quasi morto di felicità! È stato così bello ritrovarsi tutti insieme! Erano secoli che non succedeva!”

“E abbiamo conosciuto anche il ragazzo di Daphne!” Scherzò Michael facendole l’occhiolino.

Jennifer la guardò perplessa. “Ragazzo?”

“Steve.” Tagliò corto la ragazza. “E vi ho già detto che non stiamo insieme, è solo un amico di Justin.”

“Però è carino.” Ted sorseggiò il suo tè freddo. “Sareste una bella coppia.”

“Sareste bellissimi insieme.” Emmett la guardò implorante. “Ti prego, fallo per me!”

Daphne scoppiò a ridere. “Non chiederò a Steve di diventare il mio ragazzo solo per farti un piacere!”

“E a proposito di ragazzo…” Jennifer si morse il labbro preoccupata. “C’era anche Brian ieri sera?”

Ted, Emmett e Michael si scambiarono un’occhiata incerta con Debbie che prese la parola. “Ad essere sinceri, è andata bene, Jen; meglio di quanto ci aspettassimo conoscendo le tendenze melodrammatiche di Sunshine e le reazioni spropositate del super uomo.” Si strinse nelle spalle. “Si sono visti, si sono salutati e si sono comportati in maniera assolutamente civile.”

“Anche troppo…” Osservò Ted.

“Sono un po’ preoccupata.” Jennifer si sfilò l’elegante cappotto beige. “Non l’ho ancora visto; stamattina è uscito prestissimo.”

Daphne afferrò al volo uno dei menù e ci si nascose dietro.

“E non l’hai ancora sentito?” Michael guardò l’orologio. “È l’una e mezza passata; magari è a casa per pranzo.”

Jennifer scosse la testa. “Steve aveva del lavoro da fare ed è rimasto lì; ha promesso che mi avrebbe chiamato se fosse tornato.”

“Da chi andrebbe o a chi telefonerebbe se fosse confuso? Con chi si confiderebbe?”

Cinque visi si voltarono automaticamente verso Daphne che sorrise un po’ troppo convinta. “Debbie mi porteresti un cheeseburger?”

“Daphne!” La rimproverò Jennifer. “Non dirmi che l’hai sentito! Perché non mi hai detto nulla?”

La ragazza alzò un dito con fare da maestrina. “Non ho detto di aver parlato con Justin…”

“Per favore…” Sbuffò scettico Emmett.

“… però nel caso l’avessi fatto, lui avrebbe potuto dirmi che stava bene.”

“E dov’è?”

“Non lo so.” Mentì, arrossendo come un peperone. Maledetto Justin! Lo sapeva che sarebbe finita così!

“Chissà perché non riesca a crederci…” Debbie si mise le mani sui fianchi e le puntò un dito contro. “Forza, sputa il rospo, ragazzina! Tu sai qualcosa!”

“No, davvero! Io non so…”

“Eccomi, mamma…” Molly entrò trafelata nel locale e sorrise a tutti i presenti. “Salve a tutti. Ciao Debbie.”

“Oh mio Dio!” Emmett scattò a sedere e corse verso di lei. “Jen! E questo splendore chi sarebbe?”

Jennifer sorrise orgogliosa mentre Molly si sfilava il giubbino imbarazzata. “Ragazzi, questa è Molly, la mia bambina; Molly, questi sono Ted, Emmett e Michael.”

“Piacere, siete gli amici di Justin, giusto?”

“Giusto, tesoro!” Debbie l’abbracciò, baciandole una guancia. “Ed ecco qui la sorellina di Sunshine!”

“Sunshine?” Molly ridacchiò.

“Ah, giusto.” Debbie si tamburellò il mento con l’indice. “Adesso serve un soprannome anche a te.”

“Io credo che Ginger sarebbe perfetto.” Suggerì Emmett accarezzandole i capelli.

Jennifer rise. “Molto appropriato. Rossa e dal gusto pungente.”

“Mi piace!” Approvò Molly, scoppiando a ridere.

“Ehi, che succede qui? C’è una festa?” Chiese la voce divertita di Justin alle loro spalle. Tutti i presenti si voltarono verso di lui e sgranarono gli occhi quando si accorsero di Brian che lo seguiva con un sorrisetto.

“Ecco spiegato il mistero della scomparsa di Justin…” Sussurrò Ted.

Justin baciò sua sorella e le sorrise. “Allora, Molly Pocket? Sempre a fare casino? Guarda che questo è il mio territorio.”

“JusJus!” Molly colpì suo fratello al braccio. “Dove diavolo eri?”

“Si, Justin.” Daphne lo guardò furente. “Dov’eri?” Scandì bene, lanciando un’occhiata verso Brian.

Il ragazzo aprì la bocca per ribattere, ma la richiuse non sapendo bene cosa dire; non era sicuro che Brian volesse dire ai suoi amici quello che era successo, ma fu proprio quest’ultimo a trarlo d’impiccio. Lo circondò con le braccia, abbracciandolo da dietro e mise su la sua solita faccia da schiaffi. “Era esattamente dove voi, piccoli impiccioni pettegoli, pensavate che fosse. A sc…” Justin gli pizzicò piano la mano. “Ehm… a divertirsi.”

“Mi dispiace non averti chiamato, mamma. Non volevo stessi in pensiero.”

Emmett ridacchiò. “Adesso che ha scoperto con chi eri, lo sarà ancora di più, dolcezza.” Fece divertito spettinandogli i capelli e tornando a sedersi.

Molly si voltò incuriosita verso suo fratello e sorrise all’uomo affascinante dietro di lui; Brian spalancò gli occhi agghiacciato: era come trovarsi di nuovo di fronte un piccolo Sunshine diciassettenne, solo che questo aveva i capelli rossi e le tette.

Oh, Cristo Santo…

“Molly, questo è Brian; Brian, lei è mia sorella Molly.”

Brian le porse la mano, ancora perplesso. “C…ciao, Molly.”

Molly gli sorrise maliziosa, inarcando un sopracciglio. “Finalmente conosco il famoso Brian.”

Justin alzò gli occhi al cielo mentre gli altri presero a ridacchiare. “Molly, dacci un taglio…”

“Perché?”

Brian le sorrise divertito. “Famoso?”

Molly annuì. “A casa mia ormai, sei diventato una specie di fantasma; un nome che tutti conoscono, ma che nessuno osa pronunciare. Pensa che mio padre dà di matto solo a nominarti.”

“Chissà come mai…” Borbottò Brian all’orecchio di Justin facendolo ridere.

Molly iniziò a girargli intorno come un avvoltoio, studiandolo ed esaminandolo attentamente. “Ti immaginavo diverso, sai?”

Brian roteò gli occhi. “Lasciami indovinare… più giovane? Più prestante? Più…?”

“… brutto.” Affermò sicura la ragazzina.

“Prego?” Fece Brian aggrottando la fronte.

“Sì, brutto. Sai, persona dall’aspetto sgradevole…”

“Conosco la definizione dell’aggettivo brutto, grazie.”

“E conoscendo i gusti di JusJus… bè, mi aspettavo una specie di rospo rugoso…”

Ted le sorrise. “Per le rughe, ti basterà aspettare qualche mese, Molly…”

Brian gli lanciò uno dei tovagliolini che stavano sopra al bancone. “Non dovresti essere al lavoro, Theodore?”

Ted sollevò il piatto verso di lui. “Si chiama pausa pranzo, Brian. E poi finché anche il mio capo è qui, sono in orario.”

“Già, ma forse io non ho intenzione di lavorare oggi dato che è sabato e, come tu ci hai appena gentilmente ricordato, io sono il tuo capo.”

“E da quando non lavori il sabato?” Chiese Michael voltandosi verso di lui, con la bocca piena. “A volte dobbiamo tirarti fuori a forza da quel dannato ufficio!”

Brian gli lanciò un’occhiataccia e lo ignorò. “Allora, Jennifer, come mai da queste parti?” Michael e Ted sorrisero vittoriosi; non era da tutti riuscire a zittire Brian Kinney.

Jennifer prese un bel respiro e guardò i suoi figli. Sorrise. “Ho una notizia da darvi e, dato che certe news vanno date di persona alla famiglia…”

Emmett, Debbie, Michael e Ted si scambiarono occhiate confuse; Brian sorrise, tornando ad abbracciare Justin. “Che cazzo c’è, Jennifer?” Domandò Debbie ansiosa.

“Niente di… allarmante, solo che…” Molly le sorrise rassicurante, prendendole una mano. “Io e Tuck ci sposiamo!”

Tutti sgranarono gli occhi sorpresi. Emmett e Debbie furono i primi a riprendersi dallo shock: si precipitarono a congratularsi con la futura sposa mentre Ted e Michael si guardavano ancora stupiti; poi abbracciarono Jennifer complimentandosi anche con Molly e Justin.

“Non mi sembri granché stupito.” Osservò Ted lanciando un’occhiata a Brian.

Si strinse nelle spalle. “Ho avuto la notizia di prima mano.”

“Sì, e sappiamo benissimo quale.” Lo punzecchiò Michael abbracciando Justin.

“Ci sarebbe un’altra cosa.” Jennifer si voltò speranzosa verso Emmett e gli prese una mano. “So che sei molto impegnato e che la tua lista d’attesa è chilometrica, ma… mi faresti il grande onore di organizzare il mio matrimonio?”

Emmett rimase colpito e sbarrò gli occhi; li sbatté un paio di volte e si guardò intorno come per assicurarsi che avesse sentito bene. “Io… vuoi che organizzi le tue nozze?”

Jennifer annuì. “Ti prego.”

Emmett si grattò una guancia non sapendo cosa dire. “Forse potrei… ehm, potrei spostare una cosa o due…”

“Oh si, potresti?”

“Io credo che…” Sospirò piano e sorrise a Jennifer. “Sì. Mi occuperò delle tue nozze, Jennifer.” La donna si gettò tra le sue braccia entusiasta. “Dopotutto, se non si fa per la famiglia, per chi dovrei incasinare la mia fittissima agenda?”

“Grazie davvero!” Esclamò Molly, abbracciandolo.

Emmett le scompigliò i capelli. “Di niente, Ginger!”

“Ginger?” Justin rise, appoggiandosi al braccio di Brian. “E questo da dove esce?” Poi spostò lo sguardo su Debbie. “Ok, ho capito.”

Debbie indicò prima lui, poi sua sorella. “Sunshine, Ginger.”

“Che carini…” Li prese in giro Brian beccandosi una gomitata nelle costole.

Emmett si sedette di nuovo al tavolo. “Però voglio avvertirti, Jen, che non potrò fare niente prima di tre settimane; dopo l’anniversario dei Richardson sarò tutto tuo, ma prima mi è davvero impossibile.”

Jennifer annuì comprensiva. “Lo capisco. Per me non è un problema, aspetterò. Ho aspettato tre anni, che vuoi che differenza facciano tre settimane?”

“Oh, però JusJus…” Molly si voltò di scatto verso suo fratello. “Tu rimarrai, vero?”

Justin fu colto di sorpresa. “Io… io non…”

“Non dirmi che hai già intenzione di andartene! Sei appena arrivato! Cazzo, Justin!”

“Molly!” La rimproverò sua madre.

“Scusa, mamma, ma tuo figlio è un vero coglione e fa emergere il mio lato camionista!”

Tutti i presenti nascosero un sorrisetto divertito e, nonostante le cattive notizie, anche Brian abbozzò un sorriso all’uscita della piccola Taylor.

“Allora?”

“Non lo so, Molly!” Si difese Justin. “Dovrei parlarne con Vanessa prima!”

Brian si irrigidì al suo fianco; Justin se ne accorse e gli prese la mano, intrecciando le loro dita. L’uomo non parve comunque rilassarsi.

“Non puoi chiedere delle ferie? È solo un mese!”

“Molly, smettila di fare i capricci…” Jennifer le mise una mano sulla spalla. “Justin lavora.”

“Tua madre si sposa, piccolo egoista! Perché per una volta non provi a pensare al male che fai agli altri?” Afferrò furiosa il suo giubbino e uscì con due falcate dal Diner.

Justin fece per seguirla, ma Brian lo trattenne per la mano e scosse la testa. “Non servirebbe a nulla; non ti ascolterebbe in ogni caso.”

“E che dovrei fare? Lasciarla andare via incazzata nera?”

“Se l’aiuta a calmarsi, sì. Fidati, ne so qualcosa delle crisi isteriche dei Taylor e starle addosso non farebbe che peggiorare le cose.”

Justin guardò un’ultima volta verso la porta e annuì.

“Credo che adesso sia ora di andare.” Jennifer s’infilò il cappotto. “Io e Daphne abbiamo alcune commissioni da fare.”

“Cose da donne.” Sussurrò Daphne con aria cospiratrice.

Emmett batté le mani entusiasta. “Se vi serve una mano, chiamatemi!”

Ted e Michael si alzarono insieme. “Ora di tornare a lavoro.”

“Altrimenti chi lo sente il mio capo…”

Brian lasciò la mano di Justin e gli sorrise brevemente. “Aspetta, Ted, vengo anch’io.”

Michael inarcò un sopracciglio. “Ma non avevi detto che…?” Si zittì immediatamente e finì di infilarsi il giubbotto.

Un attimo dopo, lui, Brian e Ted uscivano dal Diner.

Jennifer accarezzò piano la spalla di suo figlio. “Credo che per lui sia perfino più difficile di quanto lo sia per me e Molly.”

Justin sospirò afflitto. “Lo è anche per me, mamma.”

“Lo so.”

Daphne salutò Debbie ed Emmett e precedette Jennifer verso l’uscita; fece un occhiolino a Justin e uscì in strada, dove il suo amico la vide accendersi una sigaretta.

“Vieni con noi?” Gli chiese Jennifer.

Suo figlio scosse la testa. “Mangio qualcosa poi vado a casa.”

“Ci vediamo più tardi.”

“Magari potrei chiamare Vanessa.” Se ne uscì a sorpresa mentre sua madre si avviava già verso l’uscita. La donna si voltò di nuovo verso di lui, abbottonandosi bene il cappotto. “Per farle sapere che potrei avere delle... complicazioni familiari.”

Sua madre gli sorrise. “Sì, magari potresti…”

 

 

 

 

 

Erano ormai le otto passate quando Brian lasciò la Kinnetic; salutò i pochi impiegati rimasti e uscì nel freddo inverno – anche se ormai avrebbe dovuto essere già primavera – di Pittsburgh. Camminò rapido verso la sua auto, quando qualcosa di strano attirò la sua attenzione.

Su una delle panchine del parco, proprio di fronte al suo ufficio, dove lui e Justin in passato avevano spesso mangiato, stava una figurina tutta rannicchiata: le cuffie dell’I-Pod nelle orecchie, i guanti blu elettrico alle mani e i lunghi capelli rossi svolazzanti nella fredda aria di marzo.

Lasciò la sua ventiquattrore in macchina e si avviò verso di lei.

Sorrise quando si accorse di aver avuto ragione: sulla panchina, seduta proprio sotto un lampione, stava la piccola Molly Taylor. Si avvicinò cauto a lei per non spaventarla e le fece un cenno con la mano per segnalarle la sua presenza.

Molly sobbalzò sorpresa e sfilò le cuffie. “Ciao.” Disse solo con voce roca.

Brian immaginò che avesse pianto fino a poco tempo prima. “Ehi, tutto bene?”

La ragazzina annuì poco convinta.

“Sicura?”

Ci fu un momento di silenzio: Molly inspirò profondamente e si spostò da un lato, facendogli posto. “Quando sono triste vengo qui.”

Brian si sedette accanto a lei. “Come mai?”

Molly scrollò le spalle. “Mia madre mi ci portava spesso quando ero piccola; è vicino ad uno dei primi posti che ha venduto.” Indicò la Kinnetic. “È quello laggiù.”

“Sì, lo so. È mio.”

“Davvero?” Molly alzò lo sguardo verso di lui.

Brian annuì. “A casa saranno in pensiero. È tardi.”

“Al diavolo! Tanto quell’egoista partirebbe anche se io finissi in fondo ad un burrone!”

Non ci fu nemmeno bisogno di chiedere a chi si riferisse; Brian allungò le gambe davanti a lui e alzò gli occhi verso il cielo scuro. “Mi ha parlato spesso di te.” Molly emise un verso scettico. “Davvero.”

“Me lo immagino. La piccola sorellina petulante.”

“Sì, un po’. Mi raccontava che entravi di nascosto nella sua camera e rubavi le sue cose; disegni, colori…”

“Aveva un sacco di cose belle quando eravamo piccoli… Papà era fiero del fatto che fosse così bravo nel disegno e quindi gli comprava le cose migliori.” Abbozzò un sorriso a quei ricordi. “Ero così invidiosa.”

Brian le lanciò un’occhiata di traverso. “Nonostante non facesse che lamentarsi come una femminuccia della sua insopportabile sorellina, si capiva benissimo che ti voleva bene. Aveva sempre uno sguardo strano quando ti nominava. Quasi… triste.”

Molly sospirò piano. “Non ci vedevamo molto all’epoca.”

“Oggi aveva lo stesso identico sguardo. Quando hai fatto quella sparata.” Spiegò.

“È tutta colpa sua. È solo un egoista.”

“Fa quello che sa fare: crea e vende la sua arte. Che c’è di sbagliato in questo?”

“Che per farlo, è scappato da me, dalla nostra famiglia, dalla nostra casa… da te!”

 Brian scosse la testa. “Non è scappato. Ha solo capito che per realizzare i suoi sogni doveva sacrificare qualcosa. Ed io l’ho sempre sostenuto in questo.”

“Bè, allora siete in due ad essere idioti!” Replicò Molly diretta.

Brian ridacchiò. “Gli somigli molto, lo sai?”

“A Justin?”

L’uomo annuì. “Sei testarda, indisponente e non senti ragioni se non le tue. Precisamente come tuo fratello.”

“Io però sono più bella.”

“Su questo sono d’accordo.” Brian le scompigliò i capelli.

Molly riportò lo sguardo davanti a sé, stringendosi forte le gambe al petto. “Non voglio che parta. Non di nuovo. Non adesso.”

“Non puoi fermarlo; deve vivere la sua vita. Un giorno anche tu vorrai farlo, e sono certo che tuo fratello non te lo impedirebbe.”

Molly poggiò il mento sulle ginocchia. “In certi momenti mi sembra che non gli importi niente di me, che ogni volta che torna a casa in realtà non veda l’ora di tornarsene a New York in quel buco di monolocale che ha.”

Brian sospirò in difficoltà. “Sai, piccola Taylor, io non sono proprio la persona più adatta a fare discorsi di incoraggiamento; anzi a dirla tutta faccio piuttosto schifo.”

“L’ho sentito dire. E mi è stato detto anche che sei uno stronzo egoista senza cuore.”

Brian ghignò. “Descrizione piuttosto fedele.”

“Ma mamma dice che sei la persona che più di tutti ha aiutato Justin, in tutta la sua vita: quando ha litigato con papà e lo ha cacciato di casa, quando è stato…” Molly chiuse gli occhi e prese un bel respiro. “… quando quel figlio di puttana lo ha quasi ammazzato.” Brian istintivamente irrigidì la mascella, serrando i pugni sulle gambe. “Quando non voleva più disegnare, quando i miei hanno divorziato…”

“Sì, ne abbiamo passate un po’ insieme.” Brian unì le mani.

“Tu lo ami?” Gli chiese a bruciapelo.

Brian inarcò un sopracciglio e la fissò con un’espressione vagamente minacciosa che avrebbe intimidito chiunque; ma Molly Taylor – Brian lo capì in quel momento – non era chiunque.

Esattamente come quel tuo dannatissimo fratello, ragazzina…

“Non credo siano affari tuoi, piccola Taylor.”

Molly gli lanciò un’occhiata esasperata. “Non voglio impicciarmi delle vostre… complicate faccende gay, Mr. Segretezza. Voglio solo capire perché cazzo, se stavate insieme e vi amavate così tanto, tu l’abbia lasciato andare senza dire una parola! Perché non l’hai fermato?”

Brian posò un braccio sulla panchina e si voltò di tre quarti verso di lei. “Perché non sarebbe stato felice.”

“Ma sarebbe rimasto con te che, a detta di tutti, sei il suo ‘unico e grande amore’.” Gesticolò con le mani per dare più enfasi alla definizione che aveva sentito una volta uscire dalle labbra di Debbie.

Brian scosse la testa con un sorrisetto. “Sei troppo giovane.”

“Guarda che il mio quoziente intellettivo è di parecchio superiore alla media…”

“Di sicuro la tua lingua lo è.”

“… quindi credo di poter arrivare ad una semplice spiegazione del perché il mio stupido fratello abbia lasciato la famiglia, gli amici e un figo come te per andare ad imbrattare due tele nella Grande Mela!”

Brian sospirò rassegnato. “Ok, hai vinto.”

“Grazie.”

“Come te lo spiego?” Borbottò tra sé. “Vediamo… tu vuoi bene a tua madre, giusto?” La ragazzina annuì. “E faresti di tutto perché lei sia felice, no?” Molly annuì di nuovo. “Ok, adesso poniamo il caso che mamma Taylor si sposi con qualcuno che a te non piace, un uomo dolce ed affettuoso che però non ti va giù.”

“Potrei sopportarlo…”

“Per tutta la vita? Tua madre è giovane: dovresti vedere il suo nuovo marito per molto tempo.”

“Se lei è felice, chi sono io per impedirle di vivere la sua vita?”

Brian fece un cenno col capo. “Ma sei lei ti dicesse che non lo sposerebbe per non fare torto a te? Che faresti?”

Molly ci pensò su. “Le direi di sposarlo comunque e di non pensare a me, che la sua felicità vale molto più della mia per me. Le augurerei di essere felice.”

“Esatto.”

Molly inclinò il capo da un lato. “È questo che hai fatto con Justin? Gli hai detto che la sua felicità valeva più della tua?”

“Qualcosa del genere.” La ragazzina aggrottò la fronte perplessa. “Stavamo cambiando; per rendere felice l’altro, stavamo cambiando ciò che eravamo, ciò che amavamo…”

“Ma non potete!” Saltò su Molly indignata. “Il tuo esempio fa schifo! Mia madre ed io abbiamo un rapporto diverso da quello che avevate, anzi no, che avete tu e Justin! Voi siete innamorati! Voi dovreste essere felici insieme!”

Brian scrollò le spalle. “Non sempre si ha quello che si vuole.”

“L’amore sì! L’amore vince sempre! Su tutto e tutti!” Molly gli lanciò un’occhiata di disapprovazione. “Anche sui coglioni come voi!”

“Quello succede nei film, piccola Taylor; mi dispiace per te, ma la vita è un’altra cosa.”

Molly sospirò afflitta, sgonfiandosi come un palloncino. “Che tristezza…”

“Ascolta.” Brian gli posò le mani sulle spalle. “Non dico che non bisogna… Dio, non ci credo di stare per dirlo davvero… che non bisogna credere all’amore perché non è così. Io l’ho fatto per tutta una vita e credimi non aiuta. È sempre meglio sperare in qualcosa, anche se questo qualcosa non ti soddisfa al cento per cento.”

“Quindi bisogna accontentarsi di quel poco che si riceve.”

Brian scosse la testa. “Non ho detto questo; accontentarsi è per i perdenti, Molly, e tu non lo sei. Devi solo… cercare di approfittare di quello che la vita di offre, senza rimpianti e senza rimorsi; pretendi il meglio e non rinunciare a ciò che vuoi solo perché è difficile da raggiungere, tira fuori le unghia e combatti. E nel frattempo apprezza ogni singolo istante di quello che fai, bello o brutto che sia, perché sono quei momenti, quei gesti e quei comportamenti che ti renderanno la persona che sarai.”

“Ma ho sempre pensato che l’amore risolvesse le cose, non che le complicasse!” Esclamò offesa, facendo ridere Brian.

“Credi che le cose tra me e Justin sarebbero più facili se lui vivesse qui?” Molly annuì incerta. “Non puoi saperlo, e nemmeno io.”

“Bè, dovresti! Sei tu l’adulto tra noi! Dovresti rassicurami, non terrorizzarmi!”

Brian sorrise. “Non voglio spaventarti, ma voglio che tu sia…”

“… cinica? Grazie lo sono già abbastanza, a detta di tutti.”

“Bene, è un’ottima qualità: ti aiuta a rimanere con i piedi per terra.”

Molly scosse la testa incredula. “Fa bene sognare, a volte.”

“Sognare sì, mentire a sé stessi no.”

“Quindi che dovrei fare? Godermi mio fratello finché è qui e smetterla di lagnarmi?”

“Una cosa del genere.”

Molly tornò a guardare l’altalena di fronte a lei, sospirando pensierosa. “E tu che farai?”

“Quello che faccio sempre. Mi ubriacherò così tanto da non ricordarmi nemmeno il mio nome.”

Molly lo fissò con espressione incuriosita. “Sei davvero strano, Brian Kinney, te l’hanno mai detto?”

Brian le sorrise. “Andiamo, ti porto a casa. Tua madre starà dando di matto.”

“Spero che Justin sia preoccupato da morire… quello stronzo.”

Brian le prese la borsa e la guidò verso la Corvette. “Che cosa abbiamo appena detto?”

“Sembri Maestro Yoda… sei inquietante, dico davvero.”

Brian le pizzicò un braccio. “Bene, allora Obi-Wan, infilati in macchina e tieni la bocca chiusa fino a casa; mi sono scocciato della tua vocina petulante.”

Molly inarcò un sopracciglio con aria strafottente. “Altrimenti?”

“Altrimenti Obi-Wan ha ottime possibilità di tornare a casa a piedi stasera, quindi chiudi il becco e sali in macchina.”

 

 

 

 

 

 

 

 

Nuovo capitolo scritto a tempo di record (o almeno lo è per i miei standard) dato che ho aggiunto l’ultimo capitolo tre giorni fa… mi sono ripromessa di portarmi avanti con i capitoli (invece di studiare per il mio esame di diritto) così da poter avere le idee più chiare per le situazioni future.

Ok, nuovo capitolo, nuove interazioni e finalmente tutti hanno conosciuto Molly (che Emmett ha amato particolarmente; inizialmente non avevo pensato ad una loro possibile amicizia, ma adesso ammetto che ci sono parecchie cosette che mi frullano in testa…) o Ginger, come è stata già soprannominata (a proposito, spero vi piaccia!), e Jen ha condiviso con la famiglia la lieta novella… Brian ovviamente ne era già a conoscenza e ho cercato di far apparire il più naturali e credibili possibili le battute tra lui, Ted, Emmett e Michael, provando a mantenere intatte le personalità dei vari personaggi. Andando avanti ho intenzione di sviluppare le storyline degli altri, ma per il momento concedetemi il lusso di dedicarmi ai miei tesori (è necessario dire i loro nomi?) e all’evolversi della situazione attorno a loro.

Ho provato a descriverli così come li amati in QaF e mi auguro che la scena iniziale non sia stata troppo stucchevole o OOC e non uccidetemi per non averli immediatamente fatti chiarire; credo che sia meglio aspettare un po’ e poi spiegare tutto il casino in cui si trovano (e lo faranno, non temete!)

Ho amato in particolare la scena Brian/Molly: inizialmente non l’avevo prevista, è come se fosse uscita da sola dalla tastiera, senza nessuna mia intenzione e, devo ammettere che quando l’ho riletta, l’ho trovata abbastanza in linea col resto della storia e ho deciso di lasciarla. Spero non l’abbiate trovato fuori luogo; è vero che in pratica non si conoscono affatto, dato che hanno parlato mezza volta, ma penso che Molly e Brian abbiamo parecchie cose in comune (il carattere cinico, come prima cosa) e un’infinità di differenze che potrebbe rendere interessante la loro interazione; e poi credo che Brian sarebbe stato adorabile con la “piccola Taylor”.

Detto questo, adesso mi dedico a voi!

 

 

Jen78: anche questa volta non posso che ringraziare e arrossire! Mi fa piacere che la storia continui a piacerti e che Steve abbia così tante fan… davvero non me l’aspettavo! Ho voluto approfondire un po’ il rapporto tra Justin e Jennifer perché sappiamo che lui non ha sempre apprezzato Tuck e mi sembrava giusto che sua madre mettesse le cose in chiaro! Come ho detto, non ero sicura di come impostare l’incontro tra B/J ma a quanto pare avete apprezzato e la cosa mi fa piacere! Grazie ancora!

 

Dany23: posso confessare che mentre lo scrivevo mi sentivo su di giri anche io? Non mi era mai successo prima con nessuna storia, ma mentre scrivevo pensavo davvero ad  una possibile sesta serie e mi veniva quasi da saltellare sul divano! Justin è convinto di tornare a New York perché è quella ormai la sua vita e, ad essere del tutto sinceri, credo abbia anche un po’ di paura e mettere di nuovo tutto in discussione e cambiare ancora una volta tutta la sua esistenza; certo è che la presenza di Brian dato il loro grande amore non semplifica certo le cose! Mi diverto sempre un sacco a scrivere di Daphne e alle volte mi sembra quasi di darle troppo spazio rispetto agli altri personaggi… però anche io l’adoro! Sono contenta d sapere che per un attimo ti ho fatta sospirare in attesa di Brian: il fatto che temessi non arrivasse mi rassicura sul fatto di essere prevedibile! Grazie mille per tutti i complimenti!

 

BritinLover: grazie per i complimenti e sono contenta che la scena finale sia piaciuta: non volevo mettere troppa carne al fuoco già dal primo incontro, ma da come hai visto, anche in questo capitolo la situazione si… anima un po’. :D

 

Mia85: ed ecco la mia sostenitrice numero 1! Devo dire che ogni volta che ogni volta che vedo le tue recensioni chilometriche salto dalla gioia! Che dire? Grazie ancora dei complimenti, mi fa piacere che l’incontro B/J ti sia piaciuto; la penso come te, loro hanno un rapporto così profondo, così viscerale, così assolutamente inusuale che non servono parole, basta uno sguardo. Loro sono AMORE. Punto.

Per quanto riguarda il regalo, anche io preferirei avere Brian che Sunshine (scusa Justin!), ma anche Gale mi andrebbe benissimo! Sono una che si accontenta! Steve all’inizio doveva essere solo di contorno però magari, visto che è così apprezzato, potrei farmi venire in mente qualcosa…

 

 

13_forever: la mia più grande paura è di diventare prevedibile o peggio ancora di rovinare la natura di personaggi che adoro; se mai succederà vi imploro di farmelo sapere! quindi non può che farmi piacere la tua recensione! Già da questo capitolo si risponde un po’ alla tua domanda, ma ne sapremo di più nel prossimo (anche perché ad essere sincera, ho i mente solo la trama in generale e moltissime cose cambiano durante la scrittura…)

 

Elysenda: grazie davvero! Come hai detto Britin regna, ma loro regnano sempre e comunque! Non per niente sono Brian e Justin, la migliore coppia di sempre! Sono felice di sapere che ti piace come descrivo i personaggi! Continua a leggere mi raccomando!

 

Kyelenia: sono felice che non abbia trovato affrettata la scena di sesso, ma mi sarebbe sembrato troppo strano farli rimanere lì a chiacchierare come due estranei: loro sono B e J, cavolo! E come hai detto, tra loro il sesso non è mai solo sesso! Mai lo è stato, mai lo sarà. Daphne, come ho già detto, è un mito ed è un personaggio che adoro fin dalla prima serie, spero di riuscire a descriverla in modo appropriato!

 

 

Grazie a chi ha letto, inserito la mia storia nei preferiti o nelle seguite! È un vero onore sapere che qualcuno mi dedica del tempo! Grazie!

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Capitolo 5
*** Good News? ***


5. Good News?

 

 

 

 

Justin salì gli ultimi due gradini e oltrepassò la doppia porta trasparente prima di trovarsi davanti una donna perfettamente truccata; le sorrise avvicinandosi alla sua scrivania.

“Buongiorno!” Lo accolse quella con tono allegro. “Posso aiutarla?”

Justin annuì. “Vorrei parlare con il signor Kinney.”

“Certamente. Ha un appuntamento?”

“Ehm… no, a dir la verità.”

La donna guardò qualcosa sul suo computer. “Il signor Kinney sapeva che sarebbe passato?” Justin negò di nuovo col capo. “Mi dispiace, ma non credo di poterla accontentare in questo caso.”

“Senta, può solo dire al suo capo che c’è Justin Taylor e che vorrei vederlo?”

La donna lo guardò costernata. “Sono spiacente, ma proprio…”

“Lauren, hai confermato quei tre appuntamenti con la… Justin?”

Justin sorrise allegro, sprofondando le mani nelle tasche del cappotto. “Ciao, Cynthia. È bello rivederti.”

Cynthia sgranò gli occhi e lanciò le cartelline che aveva in mano alla povera segretaria prima di correre ad abbracciarlo. “Justin! Quando sei tornato?” Gli baciò affettuosamente i capelli e scosse la testa. “Ecco spiegato l'insolito buonumore.” Osservò poi accennando verso la vetrata che dava sull’ufficio di Brian.

“Se puoi consolarti, non credo che durerà ancora a lungo.” Disse tetro Justin.

“Quanto ti fermi?”

Justin scosse la testa. “È questo il problema.” Fece una pausa. “Lui c’è?”

La donna annuì. “Vieni.”

“Ma non ha un appuntamento!”

Cynthia fulminò la povera Lauren con uno sguardo. “Se lavorassi alla Casa Bianca, pretenderesti che anche Michelle avesse un appuntamento per parlare con suo marito?” La donna scosse incerta la testa. “Appunto! Adesso torna al tuo lavoro!”

Prese Justin per un braccio e lo guidò verso la marea di impiegati che correvano come impazziti qua e là per la sede. “Mi dispiace, non volevo causare guai.”

“Sciocchezze! Lauren non ti conosce, tutto qua.” Bussò all’ufficio di Brian e infilò dentro la testa. “Ehi, capo, hai da fare?”

“Sì, ti ho detto che non volevo essere…”

“Ho una sorpresa per te, brontolone!” Tagliò corto Cynthia, entrando nell’ufficio con Justin al seguito.

Brian abbozzò un sorriso appena lo vide. “Hanno chiamato quelli della SydeCosmetics; hanno inviato l’assegno con un piccolo bonus per l’ottimo lavoro svolto.”

Cynthia ridacchiò. “Diciamo piuttosto che la titolare aveva un debole per te; ti si sarebbe fatta volentieri.”

Brian digitò qualcosa sul pc. “Spiacente, non sono interessato.”

“Chissà come mai…” La donna fece un occhiolino a Justin. “Ora vado a dire due cosette a Lauren. A dopo!”

“No!” Cercò di fermarla Justin. “Non… non è stata colpa sua.”

Cynthia gli lanciò un bacio volante e uscì rapida dall’ufficio.

“Che c’entra Lauren?” Chiese Brian con un sorrisetto.

Justin si strinse nelle spalle, muovendo un passo verso di lui; si bloccò quando pensò che forse Brian non avrebbe gradito, e si appoggiò ad una delle sedie lì davanti. L’uomo inarcò un sopracciglio e gli fece cenno di avvicinarsi. “Vieni qui.”

Justin trattenne un sorriso e fece il giro della scrivania, appoggiandosi ad essa mentre Brian si avvicinava a lui con la sedia. “Allora? Lauren?”

“Niente di che. Non voleva farmi passare senza appuntamento e Cynthia se l’è quasi mangiata viva.”

“Credo che non avrai più problemi ad entrare qui senza appuntamento.” Gli fece notare sporgendosi verso il ragazzo.

“Sono i vantaggi di andare a letto col capo.” Justin si abbassò verso il suo viso e lo baciò; Brian lo prese per il maglione, attirandolo maggiormente a sé, e rispose al bacio muovendo la sedia verso il corpo di Justin.

Un attimo dopo, si ritrovò seduto a cavalcioni su di lui, mentre Brian sorrideva sornione contro le sue labbra, le mani già al di sotto della maglia.

“Brian…” Lo rimproverò poco convinto. “Sei al lavoro e là fuori è pieno di gente.”

Brian percorse con la lingua le labbra di Justin prima di mordere quello inferiore. “Che guardino pure; me ne frego.”

Justin gemette, posando la fronte contro la sua spalla, mentre una mano di Brian scendeva verso la cintura dei pantaloni; si strinse forte al suo collo e gli baciò i capelli, la fronte, una guancia prima di andare a mordicchiare il lobo dell’orecchio.

L’inopportuno suono del telefono li fece sobbalzare entrambi; Brian sbuffò contrariato. “Fanculo…”

“Non rispondi?” Chiese Justin senza fiato.

Brian scosse la testa. “Al momento ho di meglio da fare.” E tornò a baciare famelico le labbra del ragazzo. Justin si tirò indietro un attimo dopo e alzò la cornetta. “Pronto?” Rispose, beccandosi un’occhiataccia di Brian. “Sì, un attimo.” Gli passò la cornetta. “È Lauren.”

Brian afferrò il ricevitore contrariato. “Cynthia ha ragione, devo licenziarla...” Borbottò.

Justin sorrise scuotendo la testa, mentre Brian parlava con la segretaria; si sedette di nuovo a cavalcioni sulle sue gambe e riprese esattamente da dove aveva interrotto: l’orecchio.

Vide Brian chiudere gli occhi, cercando di parlare normalmente al telefono, e sorrise compiaciuto quando si accorse del familiare tono di voce da pre-orgasmo. Fece scivolare le mani sul petto, sull’addome, sulla cintura e si fermò in prossimità del cavallo dei pantaloni.

Brian gemette e liquidò in due parole la sua segretaria; posò la cornetta e afferrò bruscamente le mani di Justin. “Ti sei divertito?” Domandò.

Justin gli sorrise avvicinandosi a lui e arrivando ad un millimetro dalla sua bocca. “Molto.”

“L’avevo notato.”

“Sì, anch’io.” Lo stuzzicò Justin, muovendosi sul suo bacino e facendogli socchiudere gli occhi per l’eccitazione.

“Sei sempre il solito.” Disse con un sorrisino.

Justin soffiò contro il suo orecchio. “Non mi sembra ti sia mai lamentato.”

Brian ghignò. “Infatti.” Spinse indietro Justin, trovandosi di nuovo il suo viso di fronte. “Allora.” Iniziò giocando con i suoi capelli biondi. “A che cosa dove il piacere di questa visita?” Justin inarcò un sopracciglio con fare malizioso. “Oltre a quello.”

“Volevo ringraziarti per aver riportato Molly a casa ieri sera.”

Brian scosse le spalle. “Figurati; l’ho trovata tutti infreddolita da queste parti e le ho dato un passaggio.”

“Ti ha… detto qualcosa?”

Brian inclinò il capo. “Sì.”

“Come sta? Ce l’ha ancora con me, vero?”

“Non ti parla ancora.” Era un’affermazione.

Justin annuì con un sospiro. “Si è infilata in camera senza una parole e stamattina a colazione quando le ho chiesto di passarmi la marmellata mi ha quasi ucciso lanciandomi il vasetto.”

Nonostante la situazione, Brian ridacchiò. “Tua sorella è una forza.”

“Grazie del sostegno.”

“Justin, è solo arrabbiata. Ti ricordi com’eri a diciotto anni?”

“Incazzato col mondo.” Justin circondò il collo di Brian.

“E chi non lo è a quell’età? È delusa, triste e incazzata.” Sfregò il naso contro la guancia di Justin. “Le passerà, vedrai.”

“Stavolta la vedo dura.”

Brian sospirò al piccolo movimento di Justin su di lui. “A chi lo dici…” Se ne uscì, lanciando un’occhiata ai piani bassi e facendolo ridere.

“Sei sempre il solito…”

Brian gli baciò teneramente le labbra. “Non mi sembra ti sia mai lamentato.” Ripeté le stesse parole con cui l’aveva provocato poco prima.

“E mai lo farò.”

“Allora.” Brian lo guardò serio. “Ci sono… novità?”

Justin non dovette neppure chiedere a cosa si stesse riferendo. “Ho chiamato Vanessa, la responsabile della galleria…”

“E…?”

Scosse la testa. “Non era in sede. Riproverò più tardi.”

“Quante possibilità ci sono che ti permetta di restare?”

Justin sbuffò scettico. “Meno di zero; tra poco più di due settimane ho una mostra a New York e non avevo previsto che sarei rimasto tanto a lungo. Nessa mi ha già chiesto di presenziare.”

“Quindi saresti comunque rientrato.”

Justin annuì mesto. “Credevo che la situazione si risolvesse prima.”

“Non è colpa di tua madre se la principessa Honeycutt è molto richiesta.”

“Lo so, lo so, ma…” Sprofondò nell’abbraccio di Brian che lo strinse forte a sé. “Non so che fare…”

“Ehi, è tutto ok; abbiamo un patto ricordi? Conquistare il mondo degli etero e farlo cadere ai nostri piedi per farli incazzare di brutto.”

Justin annuì contro il suo collo. “Mi dispiace…”

“Adesso non iniziare con le tue patetiche scuse! Non siamo una coppia di lesbiche sentimentali!”

“Di sicuro sarebbe tutto più facile se lo fossimo…”

Brian gli sfiorò i capelli. “Non contare su di me.”

Justin sospirò un’ultima volta prima si staccarsi da Brian e rimettersi in piedi; si appoggiò si nuovo col sedere alla scrivania, continuando a tenere le dita intrecciate a quelle di Brian. “Spero solo che Molly non ci rimanga troppo male.”

Brian lo guardò serio. “Andrà tutto bene.”

“Brian, scusa, ti ricordi per caso… Oddio! Mi ero dimenticata che eri impegnato!” Cynthia arrossì fino alla punta dei capelli, voltando le spalle.

“Tranquilla, Cynthia.” Justin strinse un’ultima volta la mano di Brian e gli sorrise. “Tanto stavo andando via.”

La donna lo guardò desolata. “Mi dispiace, non…”

Justin le accarezzò una spalla. “Non preoccuparti.” Ribadì con un sorriso. Si voltò verso Brian. “Ci vediamo più tardi?”

L’uomo annuì. “Ti chiamo quando finisco qui.”

“Ok.”

Baciò Cynthia su una guancia e lasciò l’ufficio; la donna lo seguì con lo sguardo. “Quando è tornato? Perché non mi ha detto niente?” Domandò risentita avvicinandosi alla scrivania del suo capo.

“Forse perché non erano cazzi tuoi.” Tagliò corto Brian con un sorriso acido.

Cynthia non ci fece neppure caso, continuando a guardare Justin che camminava verso l’uscita. “Incredibile a dirsi, è diventato ancora più bello. Quanti anni ha adesso?”

Brian prese a frugare nei cassetti in cerca della cartella del suo ultimo cliente. “Ventiquattro.”

“E come mai è tornato?”

“Mamma Taylor si sposa.”

Cynthia sgranò gli occhi sorpresa. “Davvero? Che meraviglia!”

Brian alzò gli occhi al cielo. “Davvero non capisco perché voi donne vi agitiate tanto alla parola matrimonio; sembra quasi che vi abbiano detto di aver vinto alla lotteria.”

“Proprio perché siamo donne, Brian.”

”Avresti dovuto vedere Debbie ed Emmett quando hanno saputo la notizia: sembravano due foche ammaestrate! Tutti presi a gongolare e a battere le mani! Davvero patetico!”

“… disse l’uomo arrivato ad un passo dall’altare.” Lo punzecchiò Cynthia.

Brian la fulminò con lo sguardo. “C’è altro che devi chiedermi?”

“Quando resterà?” Lo incalzò, facendo finta che Brian non la stesse praticamente buttando fuori dall’ufficio.

Lo sentì sospirare alle sue spalle. “Ecco una domanda da un milione di dollari…”

 

 

 

 

 

“E quindi si sposa?” Ben sgranò gli occhi mentre sistemava i piatti a tavola.

“CHI È CHE SI SPOSA?” Gridò la voce di Hunter dalla cucina.

Michael raddrizzò la tovaglia e annuì. “Hunter, prendi anche i bicchieri!” Poi si voltò verso suo marito. “Ce l’hanno detto ieri al Diner; Jennifer era eccitatissima.”

“Lo immagino…”

“E hanno chiesto ad Emmett di organizzare l’evento.”

Hunter entrò in sala da pranzo con bicchieri e posate in mano. “Ancora a parlare di Jennifer?” Sbuffò annoiato. “Credevo fosse storia vecchia ormai.”

“No, dato che Ben non lo sapeva ancora.” Lo rimbeccò Michael.

“Ah già, non c’eri a cena ieri sera.”

Ben abbozzò un sorriso. “Avevo dei test da correggere e sono rimasto in facoltà.”

“Sei tornato tardi. E stamattina non ti ho nemmeno sentito uscire, a dir la verità.”

“Sono andato a correre e poi all’università: avevo appuntamento con alcuni studenti per dei chiarimenti.”

Si sedettero tutti a tavola. “E Justin e sua sorella come hanno preso la notizia?”

Michael scosse le spalle. “Piuttosto bene, mi è sembrato. Molly è molto simpatica, era più felice di sua madre e Justin… bè, Justin era con Brian.”

“Quindi avrebbero potuto dargli qualunque notizia, anche la più scioccante, e lui avrebbe continuato a sorridere come un ebete per tutto il giorno.”

Hunter si versò dell’acqua. “Non ci hai ancora detto quando sarà il lieto evento, comunque.”

“Guarda che non nasce mica nessuno.” Lo prese in giro Ben.

Michael assaggiò la pasta che Debbie gli aveva portato. “Non si sa; Emmett è impegnato per le prossime settimane e bisogna aspettare, ma Justin non può rimanere a lungo.”

“Potrebbe ripartire e poi tornare per il matrimonio.” Suggerì Hunter.

“E lo dici tu a sua sorella?” Michael scosse la testa. “Ieri ha dato praticamente di matto quando Justin ha solo accennato all’ipotesi di tornare a New York.”

Ben annuì. “È comprensibile. Credeva che sarebbe rimasto e adesso…”

“Anche se al momento, non è lei che mi preoccupa.”

“Brian?”

Michael annuì. “È appena tornato e, come da previsioni, non sono riusciti a tenere le mani a posto nemmeno per un minuto; ora però che succederà? Tornerà tutto come prima?”

“Sono adulti, Michael. Non puoi decidere tu per loro.”

“Lo so! Ma mi viene una rabbia!”

“Magari non partirà.” Propose Ben, prendendo la mano di suo marito. “Potrebbe rimanere fino al matrimonio e poi ripartire.”

“Ma non cambierebbe nulla; sarebbe come rimandare l’inevitabile.”

“Ci penserai a tempo debito; se e quando Brian avrà bisogno di te, tu ci sarai. È inutile fasciarsi la testa prima di rompersela.”

Hunter guardò i suoi genitori con aria perplessa. “Sembrate una di quelle vecchie coppie di checche che si vedono in tv, tipo Gay As Blazers.” Rabbrividì. “Mi fate venire la pelle d’oca.”

Michael e Ben sorrisero. “Tu invece? Non avevi detto che oggi avreste conosciuto il nuovo professore di architettura?”

Hunter annuì, deglutendo un enorme boccone che stava per soffocarlo e sorrise. “Oh mio Dio! È fortissimo! È un vecchietto di ottant’anni…”

“Ma non dovrebbe essere già in pensione?” Gli fece notare Michael.

“Ok, forse non ha ottant’anni, ma di sicuro li dimostra tutti. Comunque” Ben scosse la testa “è un pazzo furioso! È entrato in aula con la sigaretta accesa, tutto zoppicante, maledicendo il college e tutte le sue stupide regole di comportamento e morale!” Il ragazzo scoppiò a ridere. “E ha anche detto che se a qualcuno di noi andava di fumare, potevamo farlo tranquillamente durante le sue lezioni!”

“Un pazzo…” Osservò Michael ad occhi sgranati. “E questo dovrebbe educarvi?”

“Ma che pazzo! È un mito d’uomo! Fossero tutti così, invece che noiosi e salutisti come…” Spostò lo sguardo su Ben. “… non importa. La cosa importante è che credo che le sue lezioni mi piaceranno un casino!”

Michael sbuffò incredulo. “Perché vi permette di fumare erba in classe?”

“No, signorina Rottermaier! Perché ci tratta come esseri umani, e non come organismi monocellulari e microcefali come tutti gli altri!”

“Facendovi fumare! Ben, ti prego, vuoi far capire a tuo figlio che sta dicendo delle stronzate?”

“Io non sto dicendo delle stronzate!”

Ben sorseggiò la sua acqua e annuì. “Forse Hunter ha ragione.”

Michael e Hunter si voltarono increduli verso di lui. “Davvero?” Chiesero all'unisono.

L’uomo annuì. “Sì. È un bene che ci sia una persona che i ragazzi ammirano; può essere un esempio per loro, un modello.”

“Bè, io non voglio che sia un modello per Hunter! È già abbastanza problematico anche senza gente così che gli sta intorno!”

“Ehi! A chi hai detto problematico?”

Ben cercò di spiegarsi. “Invece è bello che si ponga sullo stesso piano dei suoi studenti invece che in cattedra. Anche io lo faccio a volte e i risultati sono assolutamente positivi.”

“Incredibile…” Borbottò Michael.

Hunter alzò gli occhi al cielo. “La prossima volta non vi dico niente; saremo una di quelle famiglia normali che non parlano mai e che passano tutto il pranzo a guardare il telegiornale e a grugnirsi addosso. Non mi piace questa cosa della comunicazione.”

Ben ridacchiò, addentando il suo tofu. “Oggi ho visto Callie, a proposito.”

Hunter abbassò lo sguardo sul piatto, concentrandosi più del dovuto per tagliare una polpetta di carne. “Mh?”

“Frequenta la mia facoltà, ricordi?” Michael si scambiò uno sguardo divertito con Ben.

“Sì sì, lo so.”

“Mi ha chiesto come stavi, è un po’ che non ti vede e voleva sapere che fine avessi fatto.”

Hunter sospirò piano. “Che le hai detto?”

“Le solite cose; il college tutto ok, hai un sacco di amici, gli allenamenti per la gara ti prendono parecchio tempo…”

 “Le hai detto della gara?”

Ben lo guardò confuso. “S…Sì…”

“Quella della prossima settimana?”

“Ce ne sono forse altre?” Gli domandò Michael.

“Hai detto a Callie della mia gara?”

Ben roteò gli occhi. “Hunter, sei forse diventato sordo?”

“Ma come cazzo ti è venuto in mente?!”

“Credevo ti avrebbe fatto piacere…”

Hunter sbuffò incredulo. “Ti ricordi che cosa è successo l’ultima volta che è venuta ad una mia gara?”

“Non essere sciocco! Sono passati anni! E la colpa non è stata di Callie, ma dei suoi genitori!”

Michael annuì. “Lei si è anche scusata.”

“Non importa. Non ce la voglio.”

“Hunter…”

“No.” Ribatté deciso. “Non voglio che venga.”

“E che dovrei fare? Rimangiarmi l’invito?” Ben lo guardò allucinato.

“Non me ne frega niente di come farai! Tu l’hai invitata, tu le dirai che non è la benvenuta!” Hunter scattò in piedi ed uscì dalla stanza, sbattendo i piedi.

“E adesso dove vai?” Gli gridò dietro Michael.

“Al lavoro!” Gli rispose il ragazzo, afferrando il giubbino e sbattendosi la porta alle spalle.

Ben sospirò piano. “Credevo gli avrebbe fatto piacere rivederla.”

“È solo spaventato. L’ultima volta non è andata molto bene.”

“Lo capisco, ma Callie non c’entra.” Si voltò verso la porta da cui Hunter era uscito. “Avevo l’impressione che gli piacesse ancora…”

Michael abbozzò un sorriso. “Perché pensi abbia reagito così?”

 

 

 

 

 

Justin scoppiò a ridere quando la frittata di Daphne finì sul tavolo invece che tornare dentro la padella.

“Non è divertente, Justin!” Si offese la ragazza, lanciandogli uno dei canovacci della cucina. “Adesso spiegami perché a te riesce e a me no! Forza!”

Justin le si affiancò e prese la padella riposizionandola sui fornelli. “È tutto un movimento di polso, Daph. Guarda: uno, due e…” L’omelette volteggiò in aria e ricadde precisa nella pentola. “… voilà!”

“Sì, sì…” Daphne borbottò contrariata tornando in possesso della padella. “Dai qua, Julia Child!”

“Invidiosa…”

Daphne sbuffò. “Io invece non sarei così fiero delle tue capacità culinarie… qualcuno potrebbe pensare che tu sia gay!” Scoppiò a ridere davanti alla faccia minacciosa di Justin.

“Ehi, ragazzi!” Jennifer entrò dalla porta sul retro seguita da Molly. “Che fate di bello?”

“Daphne litiga con un’omelette e io rido alle sue spalle.”

“A me non sembra che lo faccia alle mie spalle…”

“Bè, per una volta hai il coraggio di fare qualcosa a viso aperto…” Lo provocò Molly, posando le buste della spesa sul tavolo.

Justin roteò gli occhi. “Andrà avanti ancora per molto questa guerra fredda?”

Daphne lasciò stare la padella e abbracciò Molly da dietro. “Ehi, Molly Pocket, ti va di vedere cosa mi sono comprata oggi? Ho trovato un negozietto fantastico!”

Molly lanciò un’occhiataccia a suo fratello e annuì appena. “Sì, grazie.”

“Bene!” Daphne le sorrise e la trascinò fuori dalla cucina, facendo un occhiolino a Justin che le sorrise grato.

Jennifer ripose il latte e l’insalata nel frigo. “Abbi un po’ di pazienza. È triste.”

“Sì, e io sono arrabbiato!” Justin sbatté il canovaccio sul tavolo. “Non è colpa mia! Non dipende da me! Ho un contratto con la galleria!”

“Lo so, Justin.” Sua madre lo guardò implorante. “Ma le manchi. Più di quanto tu possa immaginare.”

“Dice sempre di essere un’adulta ormai! Perché diavolo invece di lagnarsi non inizia a comportarsi come tale?” Gridò sperando che Molly, dall'altra stanza, sentisse.

“Justin…” Lo richiamò sua madre.

“Mamma, ti prego, ne abbiamo già parlato… queste persone hanno rischiato per farmi arrivare dove sono.”

Jennifer sospirò. “So quanto Vanessa e suo padre hanno fatto per te.”

“Nessuno l’aveva fatto; se non fosse stato per loro, sarei tornato a Pittsburgh dopo un mese. Invece loro hanno avuto fiducia in me e nella mia arte, fiducia che io per primo stavo perdendo.” Si passò nervosamente una mano tra i capelli. “E adesso non posso mandare tutta all’aria perché Molly si sente ferita! Mi dispiace, le voglio bene più che a chiunque altro, ma non posso. Ho preso degli impegni e intendo rispettarli.”

“E io ne sono fiera, Justin. Ciò che tua sorella vuole è solo passare del tempo con te. E credeva che finalmente avrebbe potuto farlo.”

“Anch’io lo speravo, ma non…” Justin sospirò frustrato. “Vorrei davvero rimanere qui, ma non posso rischiare di perdere quest'occasione.”

“Non voglio che tu venga licenziato.” Sussurrò Molly con una vocina afflitta da dietro la porta, gli occhi azzurri pieni di lacrime. “Non voglio danneggiarti, JusJus.”

Justin la guardò triste e allargò le braccia. “Vieni qui.”

Molly lo raggiunse con due falcate e si strinse al suo petto. “Pensavo che avremmo potuto stare un po’ insieme.”

“Lo so, Molly Pocket, e lo vorrei anch’io. Davvero.”

Rimasero un attimo in silenzio, mentre Jennifer guardava i suoi figli con un sorriso. Fu Molly a parlare di nuovo. “Hai già chiamato Vanessa?”

Justin scosse la testa. “Oggi non c’era. Riproverò domani.”

“C’è qualche possibilità che ti faccia rimanere fino al matrimonio?”

“Non sei la prima che mi fa questa domanda oggi.” Fece Justin con un sorriso amaro.

E me l’hanno fatta proprio le due persone per cui vorrei restare…

“E la risposta è?”

“Credo proprio di no.”

Molly si lagnò contro la sua maglia. “Ma perché?”

“Perché ho firmato un contratto e quel contratto prevede che sia io a disposizione della galleria e non il contrario.”

“Ma forse Vanessa potrebbe cambiare idea se glielo chiedessi io…”

Justin sorrise. “Non credo che si farebbe intenerire.”

“Oh, tu non sai quanto io possa essere convincente, JusJus…”

“Ne ho un vago ricordo e la cosa mi terrorizza!”

Molly scoppiò a ridere mentre una lacrima scivolava giù per una guancia lattea. “Stupido!” Lo colpì al braccio, asciugandosi in fretta il viso.

“EHI, GENTE!” Steve entrò in cucina con aria trionfante. “Ringraziatemi fino alla fine dei vostri giorni!” Fece una specie di piroetta al centro della cucina e si mostrò in tutta la sua bellezza. “Tu soprattutto ragazzo!” Esclamò indicando Justin.

Daphne roteò gli occhi. “Hai intenzione di dirci che hai da urlare oppure passi tutta la sera a farti i complimenti?”

Steve sorrise a trentadue denti. “Ho appena parlato con Vanessa.”

Tutti si voltarono immediatamente verso di lui, ora più attenti che mai. “Che ha detto?” Chiese Molly ansiosa.

“Sono appena riuscito a farti avere altre… pronti? Non una, non due, bensì tre e dico tre mostre per il prossimo mese!”

Alzò le braccia al cielo in segno di vittoria, ululando elettrizzato.

Molly si afflosciò come un soufflè sul pavimento, mentre Justin, Jennifer e Daphne si scambiavano occhiate rassegnate.

“Bè, non vi esaltate troppo.” Fece Steve risentito quando si accorse di essere l’unico a saltellare per la cucina.

“Nient’altro?” Domandò Justin pensieroso. “Nessa non ha detto altro?”

Steve scosse la testa confuso. “Che avrebbe dovuto dire?”

“Lascia perdere.” Si sforzò di sorridergli. “Bel lavoro, Steve. Grazie mille.”

“Sì, grazie mille…” Borbottò contrariata Molly seduta ancora sul pavimento.

Steve sbuffò offeso. “Ok, adesso che mi dite che cazzo avete tutti. Scusi per le parolacce, signora Taylor.”

Jennifer scosse le spalle. “Figurati, tesoro.”

“Oggi ho chiamato Vanessa per dirle che il matrimonio era stato spostato.”

“Ok, continua.” Steve incrociò le braccia al petto.

“Ma mi hanno detto che non era alla galleria.”

“Rientrava stasera da Boston. Mi ha telefonato che era ancora per strada.”

Justin si spazientì. “E possibile che non ti sia venuto in mente di chiederle se potevo restare fino al matrimonio?! Cazzo, Steve, alle volte non ci arrivi proprio!”

Steve dilatò gli occhi che diventarono grossi come due palline da tennis. “Prego?!”

“Quando cazzo dobbiamo ripartire?”

“Per andare dove?” Steve spostò la sguardo da Justin a sua madre, poi tornò al suo amico. “Sono io, oppure qui ci sfugge qualcosa?”

“Ma non dobbiamo tornare a New York?”

“A fare che?”

Molly alzò lo sguardo speranzosa. “Non dovete andarvene?”

Steve scosse le spalle. “Non finché tua madre non ci caccia.” Inarcò un sopracciglio. “Che mi sono perso?”

Justin alzò le mani. “Fammi capire, hai parlato con Vanessa che ti ha dato altre tre date per delle mostre…”

“Esatto.”

“E per il soggiorno… forzato a Pittsburgh? Non ha detto nulla?”

“Solo che aveva un’idea strana e che tu l’avresti aiutata.”

Justin lo guardò sospettoso. “Che idea?”

“Non lo so, conosci Vanessa. Non ha spiccicato parola.”

“Ok, ok, credo di essermi persa.” Daphne si passò le mani sul viso e guardò di nuovo i due ragazzi. “Quindi voi rimanete?”

Steve la fissò come se fosse pazza. “Questo mi sembrava chiaro, ormai.”

Molly scattò in piedi. “Davvero?”

Steve aggrottò la fronte. “Non… non te l’avevo detto?”

“NO!” Gridarono all’unisono Jennifer, Justin, Molly e Daphne.

Steve spalancò la bocca. “Oh.”

Oh?” Justin inarcò un sopracciglio. “Oh è tutto quello che hai da dire?”

“Ehm… mi dispiace?”

Molly gli saltò sopra facendolo cadere a terra e colpendolo sullo stomaco più forte che poteva. “Ahio! Molly, no! Ahi, ferma! Justin, aiuto! MOLLY!”

“Hai quello che ti meriti.” Rincarò Daphne.

“Ma credevo fosse ovvio che saremmo rimasti! È la prima cosa che ho chiesto a Nessa!” Cercò di ripararsi almeno la testa e il viso per evitare danni permanenti. “Credevo che Molly ci tenesse!”

“Ed è così infatti!” Ringhiò Molly continuando a picchiarlo. “Brutto idiota!”

“Invece di ringraziarmi!”

“Molly, tesoro, basta così.” Jennifer si fece avanti per interrompere la pubblica fustigazione del povero Steve.

Justin scosse la testa, le braccia incrociate al petto. “Lasciala fare per almeno altri dieci minuti.”

“Ma che ho fatto?” Chiese disperato Steve, mentre Jennifer gli toglieva Molly di dosso.

“Avresti dovuto dirlo prima invece di gettarci nella disperazione più nera, cretino!” Molly era furiosa.

“La prossima volta lascerò che la sbrighi da sola, signorina!”

Daphne abbozzò un sorriso. “Sono felice che si sia risolto tutto; Justin può restare, noi siamo felici e in più hai altre tre mostre!” Corse ad abbracciare il suo miglior amico. “Sono così fiera di te!”

Justin le sorrise brevemente. “E che avresti promesso a Nessa in cambio di questa piccola vacanza?”

“Te l’ho detto! Aveva in mente non so che progetto e gli ho detto che tu l’avresti aiutata!”

“Quando?” Steve sbuffò annoiato. “Quando, Steve?”

“Non lo so! Credo presto! Forse prima del matrimonio!”

Molly affilò lo sguardo, incrociando le braccia al petto con espressione minacciosa. “Quindi non restate fino alle nozze!”

“SI!” Esclamò Steve sull’orlo di una crisi di nervi. “Sentite, Nessa mi ha assicurato che avresti potuto aiutarla benissimo da Pittsburgh!”

“Come?”

“NON LO SO! Non me l’ha detto, ok? Pensavo che il vostro primo problema fosse di rimanere qui!”

“Infatti!”

“E quindi ho risolto tutto, come al solito.”

Justin lo guardò ancora poco convinto, ma non ebbe il tempo di ribattere che il telefono di casa squillò.

“Vado io.” Jennifer si diresse verso l’ingresso, lasciando i ragazzi liberi di continuare a discutere.

Steve fissò Justin con sguardo interrogativo. “Sei convinto?”

“No. Ma comunque hai trovato una soluzione… È più di quanto mi aspettassi.”

“Grazie della fiducia.”

“Quindi posso comprarmi lo smoking?”

Steve roteò gli occhi. “Sì, simpaticone. Ma sappi che devi continuare a dipingere.” Gli puntò un dito contro. “Nessa me l’ha fatto promettere.”

“Affare fatto.”

“Evviva!” Molly saltò in braccio a suo fratello e lo ricoprì di baci. “JusJus rimane, JusJus rimane!” Cantilenò beccandosi un’occhiataccia di Steve.

“A lui i baci e a me le botte, eh? Moooooolto giusto!”

Jennifer rientrò in cucina con un sorriso radioso. “Siete pronti per un’altra bella notizia?”

Tutti si voltarono verso di lei. “Che è successo?” Chiese Justin allarmato.

“Era Emmett.” Sorrise emozionata. “Ha la data delle nozze. Il quindici aprile a quest’ora sarò di nuovo una donna sposata!”

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Et voilà, quinto capitolo online! Scusate l'assenza prolungata, ma ho avuto mille cose da fare ultimamente... Allora, nuovo capitolo: abbiamo rivisto Cynthia (ok, io l'adoro davvero, dalla prima puntata! Credo sia l'unica che riesca davvero a tenere testa a Brian, almeno sul lavoro!), siamo riusciti a capire più o meno quanto tempo rimarrà Justin (per la felicità di Molly e Brian) e ho iniziato finalmente ad introdurre anche le storyline degli altri personaggi. I primi sono stati i Bruckner-Novotny e la loro tranquilla quiete familiare: Hunter mi è sempre piaciuto come personaggio, un pò meno quando ci provava con Brian, ma sorvoliamo. Per la descrizione del professore, lasciatemi dire che non è assolutamente inventata: uno dei miei professori dell'università ha fatto esattamente la stessa cosa il primo giorno di lezione, lasciandoci totalmente allibiti. Un vero personaggio! 

Come avrete capito, ho intenzione di far tornare Callie, ma non sarà l'unico personaggio vicino ad Hunter... comunque lo vedrete presto! Spero che la sua reazione non sia sembrata troppo inverosimile, ma ho immaginato che dopo la rottura e il nuovo fidanzato di Callie, Hunter provasse almeno un pò di risentimento verso di lei. Comunque ditemi voi!

E ora, i ringraziamenti!


jen78: Grazie mille e mi fa piacere che la scena Molly/Brian ti sia piaciuta e che la loro interazione sia stata convincente! Anche io come te ho pensato che tra loro avrebbe potuto esserci un bella amicizia... e credo proprio che ci sarà! La parte iniziale mi ha terrorizzato, perché per quanto ami visceralmente Brian e Justin avevo paura di scadere nel ridicolo o nel volgare... Lieta che non sia stato così!


elysenda: Vedere che questo capitolo sia stato apprezzato non può che farmi piacere! E sono contenta che ti abbia fatto ridere, era proprio quello che volevo, perchè esattamente come in QaF, ci sono i drammi, i problemi, ma anche le battute e le risate sono necessarie! Grazie mille per i complimenti!


kyelenia: allora, innanzitutto ti ringrazio per le tue precisazioni. Come ho già detto, vi prego sempre di farmi sapere se la storia o i personaggi o qualunque altra cosa non vi convincono, esattamente come hai fatto tu! Allora, devo dire che la Molly nella mia mente è cinica, sarcastica e dissacrante (caratteristiche che, confesso, ci accomunano!) e magari in questi primi capitoli non sono riuscita davvero a far emergere la sua ironia e il suo cinismo, per cui grazie per avermelo fatto notare! Hai perfettamente ragione e l'immagine che io mi sono creata di lei non è ancora forse evidente per chi legge! Prometto che nei prossimi capitoli, cercherò di rendere più... evidenti tali qualità! Grazie davvero per tutto quello che hai scritto e spero che questo capitolo ti piaccia! Un bacio!


Mia85: ed ecco la mia preferita!!! che dire?? grazie mille per i complimenti, sei sempre troppo buona! E sono contenta che anche questo capitolo ti sia piaciuto! Come ho già detto, la scena iniziale mi preoccupava un pò, sebbene sia venuta fuori quasi di getto e vedere che è stata apprezzata non può che farmi piacere (da te soprattutto!)... Per quanto riguarda Vanessa, come hai visto, non ha combinato grandi guai e quindi potremmo anche "non eliminarla" al momento, comunque anche lei farà presto la sua comparsa e porterà al crearsi di situazioni... un pò ambigue! Vedrai, vedrai, mia cara! Aspetto con ansia un tuo commento per questo capitolo! Baci!


13_forever: grazie mille per i complimenti! Sapere che ti piace la mia storia e che l'hai letta già 6 volte mi lascia senza parole! Grazie davvero! Sono felice che abbia trovato IC i personaggi e che apprezzi la caratterizzazione di Molly: come hai detto tu, è un personaggio che mi permette di fare un pò come mi pare, non essendo una vera protagonista del telefilm, e mi fa piacere vedere che sia molto apprezzata! Non me l'aspettavo davvero! Per la richiesta di betare i miei capitoli, ne sarei onorata, ma non sono molto esperta quindi in pratica che dovrei fare? Scusa l'ignoranza, ma gradirei molto il tuo aiuto! :D


Come al solito un grazie anche a chi legge senza recensire! Ne sono davvero onorata! 


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Capitolo 6
*** We Are Family ***


Piccola, minuscola premessa. Questo capitolo è dedicato alla mia fantastica beta, 13_foreverGrazie, Lisa!

 

 

 

6. We Are Family

 

 

 

 

 

Jennifer entrò in sala da pranzo tenendo tra le mani la torta alle fragole che Debbie aveva portato; fu accolta con un applauso.

“Ecco qua!” Esclamò posandola sul tavolo. “Debbie, a te l’onore.” E le passò il coltello.

Aveva invitato a cena tutti i suoi amici: Debbie, Emmett, Ted, Michael, Brian ovviamente, e Carl per iniziare a mettere insieme qualche idea per la cerimonia; Justin le aveva suggerito di ascoltare i consigli di tutti e poi decidere.

La padrona di casa si sedette di nuovo accanto ad Emmett che continuava a scribacchiare sul foglio davanti a lui. “Quindi, tesoro, sei assolutamente certa di non volere un matrimonio stile Grace Kelly? Tulle, volants, calle bianche dappertutto?”

Brian, Michael e Ted si scambiarono uno sguardo esasperato. “No, Em, mi pare che Jennifer abbia già chiarito che non vuole sposarsi in un circo.” Fece Ted, assaggiando il suo pezzo di torta.

Emmett si strinse nelle spalle. “Peccato.” Cancellò uno o due righe e proseguì. “Stavo pensando, per il ricevimento hai bisogno di un posto molto ampio?”

“Penso di no; la famiglia di Tuck è numerosa, ma non credo verranno tutti… è gente all’antica a cui non piace molto spostarsi mentre la mia…” allargò le braccia e sorrise “bè, la mia è più o meno tutta qui dentro.”

“A proposito del più o meno…” Justin guardò l’orologio. “Sono quasi le undici: Molly dov’è? Cos’è il coprifuoco valeva solo per me?”

“Perché? Tu avevi un coprifuoco?” Domandò Ted a bocca piena.

Michael rise. “E qual era? Le cinque del mattino?”

“Ottimo punto, ragazzi.” Osservò Jennifer guardando male suo figlio. “E Molly è una ragazza responsabile che ha sempre rispettato le mie regole, al contrario di qualcun altro.”

Brian massaggiò piano le spalle di Justin. “Ti stai ficcando in un gran bel casino…” Gli sussurrò all’orecchio.

“Io sono un maschio!” Sbottò Justin.

Jennifer inarcò un sopracciglio, subito imitata da Debbie. “Quindi è solo una questione di sesso?”

“È sempre una questione di sesso, mamma Taylor.” Se ne uscì Brian con un sorrisino divertito.

Justin scosse l’indice davanti al naso di sua madre. “È pericoloso per una ragazzina andare in giro di notte da sola.”

“C’è Bradley con lei.”

“Peggio ancora! Chi lo conosce questo tizio?”

Brian alzò gli occhi al cielo. “Sono sicuro che non ucciderà tua sorella.”

“Potrebbe farle del male! Aggredirla, violentarla!”

“E Molly gli stamperebbe cinque dita in faccia e una ginocchiata nelle palle in un batter d’occhio!”

Justin si voltò verso di lui con aria afflitta. “Non sei divertente.” Disse prima di alzarsi da tavola e prendere la pila di piatti sporchi davanti a lui per portarli in cucina.

Jennifer si mosse per seguirlo, ma Brian l’anticipò. “Lascia, vado io.”

Lo raggiunse nell’altra stanza e si appoggiò al lavandino, guardandolo con un sopracciglio inarcato. “Mi dici che hai o devo tirare a indovinare?”

Justin continuò a sistemare i piatti all’interno della lavastoviglie. “Non ho nulla.”

Brian sospirò alzando gli occhi al cielo; si mosse verso di lui e lo prese per un braccio interrompendo il suo lavoro. Lo costrinse ad alzare lo sguardo verso di lui. “Justin…”

“Credo che mia madre sia troppo permissiva con Molly. È ancora una ragazzina, ma esce la sera fino a tardi, ha un ragazzo…”

“Spero che non avrai mai dei figli…” Gli sorrise divertito. “Oppure finiranno tutti in convento. O dallo strizzacervelli.”

Justin ricambiò appena il sorriso. “È per questo che avranno anche un papà permissivo. Per bilanciare.”

“Oooh…” L’uomo fece un sorrisino. “E hai già in mente qualcuno?”

“Non lo so, sto vagliando alcuni candidati.” Justin gli si avvicinò. “Alcuni non sono niente male.”

Brian fece un cenno del capo. “Buono a sapersi.” Sussurrò sensuale prima di baciarlo appassionato come era solito fare e lasciarlo senza fiato.

Justin lo spinse contro il frigo e gli leccò con impazienza le labbra, poi insinuò la lingua nella bocca di Brian assaporando vorace il suo familiare sapore; Brian lo strinse forte per i fianchi, mandando a cozzare i loro bacini e facendoli sospirare. “Ti rendi conto che di là c’è mia madre e che io vorrei comunque scoparti sul pavimento?”

Brian gli morse il labbro inferiore. “Potremmo essere molto silenziosi.” Suggerì con gli occhi incupiti dal desiderio.

Possibile che dopo tutto quel tempo, tutte le scopate e tutte le notti passate insieme, Justin avesse ancora il potere di fargli perdere il controllo a quel modo? Esattamente come la prima notte?

Aveva letto da qualche parte – forse in una di quelle stupide riviste che piacevano tanto a Cynthia – che con gli anni, il desiderio sessuale di una coppia si affievolisce fino a scomparire, lasciando il posto ad una relazione più profonda e matura, non più basata solo sulla passione e gli istinti.

Tutte cazzate!

Lui sapeva che quando si trattava di loro due, non c’erano regole o statistiche che tenessero; loro due – ne era certo – avrebbero scopato come ricci fino a novant’anni. Per una semplice e normalissima ragione: era sufficiente che uno dei due percepisse anche lontanamente la presenza dell’altro e non riuscivano più a tenerlo nei pantaloni.

Era così adesso, era stato così in passato e sarebbe stato così in futuro.

Succeda quel che succeda, sarà sempre così tra noi… vero Sunshine?

“Dio, Brian, ti voglio…”

L’uomo sorrise, posandogli un umido bacio sulla guancia. “Non mi provocare…”

La mano di Justin scese lentamente fino al cavallo dei pantaloni facendo gemere entrambi nello stesso momento. “Magari se riusciamo a salire in camera mia con una scusa…”

“E sicuramente tutti ci crederebbero. Facciamo prima a dirgli che saliamo a scopare e che saremo di ritorno presto.” Brian sfregò il naso contro il suo viso.

Justin sospirò piano, posandogli un bacio sul collo; la sua mano tornò sul petto di Brian. “Quindi sarà meglio tornare di là?”

Brian annuì. “Sarà meglio. Anche perché se aspettiamo un altro po’ non rispondo più di me.”

Justin gli sorrise compiaciuto, staccandosi da lui e prendendolo per mano.

“Oh, ecco i piccioncini!” Li prese in giro Emmett quando rientrarono in sala da pranzo, ancora mano nella mano; entrambi rimasero sorpresi quando videro Molly accanto a sua madre leggere gli appunti di Emmett.

“Molly!” Justin si sedette al tavolo, seguito da Brian. “Quando sei tornata?”

Sua sorella alzò lo sguardo verso di lui e gli sorrise ammiccante. “Un minuto fa. Sono passata anche davanti alla cucina, veramente.”

Brian posò il braccio sulla sedia di Justin. “Non ce ne siamo accorti; eravamo… piuttosto presi da una discussione.”

“Oh sì, l’ho vista la vostra discussione!” Molly scoppiò a ridere. “Spero solo che non abbiate danneggiato il frigorifero!”

“Magari potresti imparare qualcosa, piccola Taylor.” La provocò Brian con un sorrisetto.

Justin gli pizzicò la mano. “Non dargli idee, per favore.”

“A proposito.” Molly si voltò verso sua madre. “Bradley ti porge i suoi saluti.”

Emmett lanciò un’occhiata divertita a Ted che si sforzò di non ridere. “Le porge i suoi saluti? Ma da dove viene? Dalla Parigi del 1600?”

Molly addentò un pezzo di torta. “È molto educato.” Disse a bocca piena.

“Al contrario di qualcun altro.” Jennifer le lanciò un’occhiataccia.

Sua figlia scosse le spalle. “Ma non dovevano esserci persone che non conoscevo?” Si guardò intorno. “Qui ci sono le solite facce, a parte…” Squadrò Carl. “Tu chi sei?”

“Molly!” La richiamò sua madre. “Che modi sono?”

Carl rise. “Ciao, Molly, io sono Carl. Il compagno di Debbie.” 

“Il papà di Michael?”

L’uomo scosse la testa. “È un po’ più complicato.”

“Come sempre.” Inforcò una fragola coperta di panna. “Justin e i suoi amici sono sempre stati un po’ incasinati. Papà diventava rosso come un peperone quando gli chiedevo qualcosa.”

“Questo perché papà è un coglione.” Affermò Justin con un sorriso.

Molly annuì. “E non hai visto la sua nuova dolce metà!” Scosse la testa. “Comunque, chi altro doveva esserci?”

“Mio marito.” Rispose Michael. “E nostro figlio.”

“Oh, che bello! Un bimbo!” Molly si strinse le mani al petto. “Perché non l’hai portato?”

Justin ridacchiò mentre tutti guardavano straniti sua sorella. “Molly, Hunter non è un neonato, è uno studente del college.”

“Ma…” Si voltò verso sua madre. “E allora chi cazzo sono i bambini di cui parlavate in macchina l’altro giorno?”

Jennifer le diede uno scappellotto sulla testa. “Non mi piace quando dici le parolacce; con tuo fratello era una causa persa, ma con te non mollo.”

“Scusa…”

“I bambini sono i figli delle mie amiche che vivono a Toronto.” Le spiegò Justin per la millesima volta.

“Ah già, quelle sposate.” Molly annuì.

Brian si voltò verso Justin sorpreso. “Ha conosciuto Gus?”

Justin scosse la testa. “Gliene ho parlato io.”

“Tu le conosci?” Gli chiese Molly.

Brian annuì. “Gus è mio figlio.” Disse orgoglioso.

“E Jenny Rebecca è mia figlia.” Continuò Michael.

Molly aggrottò la fronte, spostando lo sguardo da Justin a Brian a Michael. “Non credo di aver capito.”

Justin sospirò esasperato. “Lindsay e Melanie sono le mie amiche.”

“Ok, fin qui c’ero.”

“Decidono di avere un figlio: come si fa?”

“Se la fan…” Intercettò lo sguardo di sua madre e si corresse al volo. “Chiedono il gentile contributo di un uomo?”

“Esatto.” Confermò Brian, allargando le braccia. “Ed eccomi qui!”

Molly lo indicò confusa. “Ma non eri gay? Perché in cucina eravate di sicuro molto gay!”

Justin roteò gli occhi. “Mai sentito parlare di donazione di sperma?”

“Oh, quindi tu…”

Debbie posò una mano sulla spalla di Molly. “Tesoro, Linz e Mel volevano dei figli e hanno chiesto a Michael e Brian di… prestargli un paio dei loro girini nuotatori.”

“Campioni olimpici…” Si vantò Brian. “Per lo meno i miei.”

Michael gli lanciò uno dei tovaglioli. “Che vorresti dire, stronzo?” Gli chiese fingendosi arrabbiato.

“E ci saranno anche loro al matrimonio?”

“Oh, è vero!” Jennifer si voltò verso Emmett. “Naturalmente gli inviti anche per loro.”

Emmett annuì. “Ho già fatto la tua lista degli invitati.”

“Di già?” Jennifer sgranò gli occhi sorpresa. “Ti ho chiesto di aiutarmi due giorni fa!”

“Io non perdo tempo.” Le sorrise frivolo.

Molly si sporse sul tavolo. “E chi c’è dalla nostra parte?”

Emmett scorse la lista. “Bè, noi, qualche amica del lavoro, un paio di ex compagne del college…”

Justin lanciò uno sguardo di puro panico a Molly. “Serena…” Gli sillabò. Molly rabbrividì.

“… non credo che il tuo ex marito sia benvenuto…”

Jennifer scosse la testa. “Devo ancora dirgli che mi sposo.”

“… e infine alcune cugine e mi devi dare ancora i nomi di alcuni zii.”

“Davvero?”

Emmett annuì. “Anzi, potresti farlo adesso? Così avrò almeno concluso la tua lista; per quella di Tuck posso aspettare qualche giorno.”

“Bè, vediamo…” Jennifer si tamburellò il mento con un dito. “Nella mia famiglia non hanno preso molto bene il mio divorzio quindi non ci sono problemi.”

Molly guardò suo fratello e accennò col capo verso sua madre; Justin scosse il capo con forza. Brian, Debbie e Ted, seduti più vicino a loro, si scambiarono occhiate confuse.

“Che cazzo vi prende?” Sussurrò Brian.

Justin scosse la testa. “Niente, Molly vuole morire.”

“Mamma!” Gridò a sorpresa la ragazzina facendoli sobbalzare. “JusJus vuole sapere se…”

“Io non voglio sapere niente!” Scattò in piedi lui.

“Sì, invece!”

“No, invece!”

Jennifer alzò gli occhi al cielo. “Datemi un solo, valido motivo per cui non dovrei mettervi in punizione in questo stesso istante e gettare via le chiavi delle vostre camere!”

I suoi figli la guardarono offesi. “Non oseresti!” La rimbrottò il suo primogenito.

“Scommetti?” Molly la guardò preoccupata. “Vi comportate come due undicenni! Per favore, smettetela!”

“Ok…” Si arrese Justin.

“Ora, che volevate sapere?”

Molly e Justin si guardarono seri. “Inviti anche zia Lorraine?”

Jennifer annuì. “Certo! È l’unica parente normale che ho!”

“E…” Molly temporeggiò mentre suo fratello la incitava in silenzio. “E… zia Rose?”

“Probabilmente…” Jennifer sospirò afflitta. “Sono sorelle; non posso invitarne solo una.”

Justin le rivolse uno sguardo implorante. “No, ti prego…”

“Justin, tesoro…”

“Mamma…” Molly guardò sua madre con gli occhi pieni di lacrime. “Non farla venire…”

Jennifer scosse la testa. “Mi dispiace, non posso evitarlo.”

“Oh, ma dai!” Sbottò Justin. “L’ultima volta che mi ha visto ha cercato di farmi fidanzare con la figlia del suo vicino di casa! Te la ricordi quella bambina che mi perseguitava?”

Tutti iniziarono a ridacchiare, immaginandosi un piccolo Sunshine che tentava di scappare da una nanerottola appiccicosa.

“E ti lamenti?” Molly sgranò gli occhi. “Ci siamo dimenticati di Phil-alito-mefitico-West? Quello schifoso ha cercato di baciarmi per un’estate intera! Sono rimasta chiusa a casa per settimane con la paura di incontrarlo!”

“Mamma, per favore! Non puoi farci questo!”

“Justin, smettila di fare il melodrammatico!” Jennifer scrisse i nomi delle due zie sul foglio. “Di certo non si porteranno i vicini al matrimonio!”

Molly sbuffò scettica. “Io non ne sarei così sicura!”

“Io non la reggo! E non voglio sopportarla per una giornata intera!”

“Bene, perché probabilmente alloggerà qualche giorno qui da noi.” Sentenziò Jennifer con tono risoluto. “Sai che sono persone anziane e si stancano facilmente.”

“COSA?” I due Taylor si voltarono verso di lei.

“Avete capito perfettamente.”

“Brian, io vengo a stare da te!”

Brian si strinse nelle spalle. “Io di certo non mi lamento.”

“No, no e no!” Si lagnò Molly. “Non puoi mollarmi qui da sola!”

“E allora trovati qualcuno che ti ospiti!”

“Sì, perché tutti abbiamo un fidanzato bello, ricco e con una casa da paura! Sei un egoista, Justin!”

Justin scosse le spalle. “Dì quello che vuoi! Io me ne tiro fuori!”

“Brian!” Molly si voltò con gli imploranti verso l’uomo. “Posso stare anche io da te?”

“Non se ne parla!” Justin guardò male sua sorella.

“Non l’ho chiesto a te!”

“Io nemmeno!”

“Ok, ok, avete dato abbastanza spettacolo!” Jennifer intimò ai suoi figli di mettersi seduti. “Nessuno va da nessuna parte! Justin, tu rimani in camera tua e tu, Molly, farai lo stesso!”

Debbie batté un pugno sul tavolo. “Ben detto, Jennifer! E voi due dovreste aiutare vostra madre, adesso! Non farla impazzire!”

Justin grugnì, incrociando le braccia al petto. “Ne riparleremo quando incontrerai zia Rose…”

Brian si morse un labbro per non ridere e gli passò una mano attorno alle spalle. “Per ogni evenienza, il mio loft rimane a disposizione.” Gli sussurrò all’orecchio, mentre Molly continuava a discutere con Debbie e Jennifer.

Justin abbozzò un sorriso, nonostante tutto. “Buono a sapersi.”

“Credo sia ora di andare.” Emmett si alzò in piedi. “Domani devo alzarmi presto per un appuntamento.”

Jennifer gli sorrise. “Alle dieci, allora?”

“Perfetto.” Le baciò una guancia.

“Aspetta, tesoro, veniamo anche noi.” Debbie lo imitò, seguita da tutti gli altri. “Domani si lavora.”

“Grazie mille per la cena.” Ringraziò Ted mentre si avviavano verso la porta.

Jennifer lo abbracciò. “Figurati. Buonanotte.”

Uscirono sulla veranda e si diressero ognuno verso la propria macchina; Brian scese un paio di gradini e poi si voltò a fronteggiare Justin. “Sei sicuro di non voler tornare con me?” Chiese con un sorriso malizioso.

Justin sospirò, circondandogli il collo con le braccia. “Credi davvero che preferisca fare shopping con Emmett e mia madre piuttosto che stare da te?” Brian scosse le spalle. “Ci vediamo domani?”

“A pranzo?”

Justin annuì, sfiorando il suo naso col proprio. “Vieni a salvarmi?”

“Come sempre, Sunshine.” Ribatté Brian con un sorriso, baciandogli delicatamente le labbra.

“Ehi, Giulietta!” La voce di Molly li interruppe. “Non fare il furbo! Guarda che c’è la sala da pranzo da sistemare e non ho nessuna intenzione di fare anche la tua parte!”

“Credi ancora che mia sorella sia una forza?”

Brian lo baciò di nuovo, sorridendo contro le sue labbra; Justin afferrò il giubbino e lo tirò verso di sé.

“Ci vediamo domani.” Gli disse infine quando si separarono.

Justin sfregò il naso contro la sua guancia e annuì. “A domani.”

“Ciao, piccola Taylor!” Molly gli sorrise radiosa. “Cerca di non stancare troppo tuo fratello!” Si voltò verso Justin e gli rifilò un sorrisino eloquente. “Domani sera mi servirà ben riposato.”

Justin lo spinse piano giù per le scale e lo vide salire in macchina; aspettò che uscisse dal vialetto finché scomparve lungo la strada, poi tornò da sua sorella.

“E adesso?” Le chiese lei con tono ansioso.

Justin le passò un braccio sulle spalle. “Adesso, abbiamo poco più di un mese per escogitare un piano che ci faccia sfuggire dalle grinfie di Rose-zilla!”

 

 

 

 

 

Emmett finì di controllare un preventivo e lo ripose nello schedario alle sue spalle; guardò l’orologio: le nove e un quarto. Bene, aveva ancora un po’ di tempo prima dell’appuntamento con Jennifer e Justin.

Si alzò e uscì dall’ufficio; Nadine, la sua assistente gli venne incontro correndo. “Em!”

L’uomo aggrottò le sopracciglia. “Che succede?”

Nadine annaspò senza fiato. “Ti ricordi l’appuntamento con le nuove aziende di catering?” Lui annuì. “La segretaria ha fatto un casino: sono già tutti qui!”

“Come qui?” Emmett sgranò gli occhi.

“Hanno confuso gli orari e si sono presentati tutti insieme. Ora.

“Ma che cazzo!”

“È esattamente quello che ho detto io.” Gli assicurò Nadine. “Ti stanno aspettando.”

Emmett guardò di nuovo l’orologio. “Vediamo di sbrigarci.” Si avviò lungo il corridoio. “Se fra mezz’ora non sono uscito di qui, chiama Jennifer Taylor e dille che potrei fare un po’ di ritardo!”

“Ok, capo!”

Emmett entrò nella sala più grande dell’agenzia che aveva rilevato appena un anno prima e che veniva usata principalmente per le riunioni con lo staff: cioè lui, Nadine e gli addetti al catering e agli addobbi.

“Buongiorno e scusate l’inconveniente.” Strinse le mani delle tre persone sedute davanti a lui. “Molto lieto, sono Emmett Honeycutt e sono il titolare.”

I tre fecero un cenno del capo verso di lui.

Prese un foglio poggiato sopra la scrivania e lesse i loro nomi. “Allora, voi siete Margareth Brown, John Mason e Trevor Dean.”

“Questa è la mia presentazione.” Disse la prima, la donna dai capelli biondi.

L’uomo più vecchio parlò subito dopo. “E questa è la mia.”

Emmett sorrise gentile e prese le due cartelline e annuì. “Bene.”

“Anche io avrei portato qualcosa.” Il terzo uomo abbozzò un sorriso e tirò fuori dal borsone che portava una serie di ciotoline sigillate. “Pensavo che, dato che deve scegliere chi cucinerà agli eventi da lei organizzati, avrebbe gradito assaggiare qualcosa.”

Emmett inarcò un sopracciglio, piacevolmente colpito. “Ottima idea.” Convenne, mentre gli altri due candidati lo guardavano in cagnesco.

Dispose i quattro recipienti davanti ad Emmett. “Il primo è un antipasto semplicissimo con pane tostato, burro e tartufo bianco, poi abbiamo mini soufflè agli asparagi e formaggio piccante, trionfo di peperoni e infine mousse limone e panna.”  

“Sembra tutto ottimo.” Osservò Emmett scrutando con attenzione i piatti.

L’uomo estrasse quattro forchette e sorrise. “Non resta che averne la conferma.” Porse due posate ai suoi contendenti e li invitò ad assaggiare.

Emmett non si fece pregare; attaccò immediatamente l’antipasto e lo gustò con attenzione. Per essere sicuro fece il bis e poi passò al soufflè, al contorno e al dolce.

Aveva visto giusto: era tutto squisito, anzi no, più che squisito. Quell’uomo avrebbe potuto tranquillamente dare del filo da torcere anche al povero Vic. “Sono colpito, devo ammetterlo.” Confessò guardando il giovane uomo. “Mi scusi, signor…?”

“John, mi chiami solo John, per favore.”

Emmett sorrise. “John… lei ha per caso dei cuochi esperti che lavorano per lei?”

“A dir la verità…” l’uomo distolse lo sguardo “… sono io che preparo tutto.”

“Lei?” Emmett aggrottò la fronte. “Ma lei non è il titolare? Di solito non funziona proprio…”

“Lo so, so che è strano, so che dovrei svolgere altri compiti e so che dovrei avere dei professionisti che lavorino per me, ma non li ho.” Quando si accorse che nessuno voleva interromperlo e cacciarlo a pedate, John continuò. “Ho aperto da poco la mia azienda e sono consapevole che siamo ancora una piccola ditta, ma anche la sua lo è.”

“Davvero?” Emmett inarcò un sopracciglio.

“Oh, non mi fraintenda. Le aziende più modeste sono in realtà le migliori in fatto di qualità, competenza ed affidabilità, è dimostrato. E quindi dato che anche la mia lo è, pensavo che lei più di chiunque altro avrebbe potuto apprezzare il valore della mia impresa di catering.”

Emmett abbozzò un sorriso, scuotendo la testa. “Ha mai pensato di lavorare in pubblicità? Farebbe soldi a palate.”

L’uomo scosse la testa. “La cucina è sempre stato il mio grande amore; ho studiato da chef e mi sono diplomato col massimo dei voti. So quello che faccio; so quanto valgo.”

“E lo vedo.” Confermò Emmett. “Purtroppo quello di cui io e la mia attività abbiamo bisogno è qualcuno di affidabile, qualcuno che riesca a tenere il passo con matrimoni, anniversari, bar mitzvah e quant’altro; e a volte risultano anche molto numerosi.”

“Ne sono perfettamente consapevole, signor Honeycutt, ma se le assicuro che posso farcela, è così.”

“Cosa glielo fa pensare?”

“Ho uno staff preparato, serio e qualificato; abbiamo presenziato e rifornito anche grandi eventi. Sappiamo cosa comporta lavorare per nozze e compleanni, mi creda.”
Emmett annuì. “Capisco.” Guardò gli altri due candidati che erano rimasti in silenzio per tutto il tempo e scosse le spalle. “Purtroppo devo andare.” Afferrò i cataloghi dei primi due e si alzò in piedi. “Grazie mille per essere venuti.” Strinse le mani a tutti e tre. “Mi scuso ancora per il piccolo inconveniente e vi assicuro che, nel caso fossimo interessati, verrete contattati al più presto dalla mia segretaria.”

I primi due fecero un cenno del capo, mentre John raccoglieva le sue cose. Poi in silenzio, si alzarono e uscirono dalla stanza. Emmett sorrise a John proprio prima che lasciasse la stanza. Nadine entrò un istante dopo. “Come mai così presto?”

Emmett si strinse nelle spalle. “Hai già chiamato Jennifer?”

“Stavo per farlo.”

“Bene, lascia perdere. Sarò puntuale.”

Si avviò verso la ragazza al telefono lì vicino e le passò le due cartelline. “Tienile in archivio, possono sempre servire.”

“Quindi non ti hanno convinto?”

“Loro no.” Guardò Nadine con un sorriso. “Aspetta un paio di giorni poi richiama John Mason.”

Nadine sorrise. “È il nostro vincitore?”

“L’hai detto, tesoro!” Afferrò al volo il cappotto arancione e lo indossò. “Dovrei tornare per pranzo. Intanto chiama Tony e Raymond e dì loro che la squadra è di nuovo al completo!”

“Sono ancora l’unica etero?” Lo prese in giro Nadine.

Emmett le rivolse un’occhiata furbesca. “Devo ancora capirlo…”

“Si è guastato il gay radar?”

“Ero troppo impegnato a guardare gli occhi blu e i pettorali scolpiti.”

“Allora, speriamo che tu rimanga deluso per una volta!”

“Non contarci, dolcezza! Ci vediamo dopo!”

 

 

 

 

 

Jennifer si bloccò davanti all’ennesima vetrina e sbuffò. “Non mi piace nemmeno questo.”

“Mamma, sono sicuro che troverai l’abito adatto.” Justin la prese sottobraccio. “Emmett ha detto che entro domani ti manderà i nomi di una decina di negozi per abiti da sposa e avrai l’imbarazzo della scelta.”

“Speriamo sia così. È che sono tutti talmente…”

“Costosi? Esagerati? Esageratamente costosi?”

“Impersonali.”

Justin le sorrise. “Sono sicuro che troverai ciò che cerchi. Come hai fatto la prima volta?”

Jennifer si strinse nelle spalle. “Il vestito era di tua nonna. Indossato da tutte le donne della gloriosa famiglia Taylor.”

“Bè, potresti chiederle di prestartelo di nuovo.” La prese in giro.

“Piuttosto si impiccherebbe. E poi chiamerebbe tuo padre.”

“Non gli hai ancora detto nulla?” Sua madre scosse la testa. “Glielo dirai?”

Jennifer lo guardò scioccata. “Certo che glielo dirò, Justin! Sarà anche un grandissimo stronzo, ma rimane il padre dei miei figli ed è giusto metterlo al corrente.”

“Potrei farlo io.” Justin le sorrise divertito. “Potrei presentarmi a casa sua e dirgli che finalmente mia madre ha trovato un vero uomo.”

“Justin…”

“O meglio ancora potrei andare nel suo ufficio e portare anche Brian…”

“Probabilmente ti farebbe arrestare di nuovo.”

Justin rise. “Sarebbe divertente!”

“Jenny!”

Justin e Jennifer si voltarono verso la donna bionda e truccata che ondeggiava su tacchi vertiginosi nella loro direzione. “Jenny, tesoro!” Arrivò finalmente davanti a loro e l’abbracciò.

“Serena, che sorpresa!” Jennifer le sorrise. “Ti ricordi di Justin?”

Justin sfoggiò un sorriso forzatissimo. Lui di sicuro sì: quella donna, con i suoi capelli troppo tinti, le labbra troppo rosse e il profumo troppo pesante, lo aveva sempre terrorizzato.

“Oh mio Dio! Justin, tesoro, sei proprio tu!” Abbracciò anche lui.

Il ragazzo gli sorrise. “Ne è passato di tempo…” Disse poco convinto, ben consapevole del fatto che non erano passati nemmeno due anni dall’ultima volta che si erano visti e che quindi sapeva benissimo chi fosse.

“Se ti avessi incontrato, non ti avrei mai riconosciuto.”

“Buon per me…” Sussurrò sorridente, beccandosi un’occhiataccia di sua madre.

“Allora!” Jennifer sobbalzò spaventata. “Come sta la sposina?”

La donna sorrise. “Ho appena iniziato ad organizzare e sono già esausta.”

“Se ti serve una mano, sappi che…”

“Ti ringrazio, ma un amico mi sta aiutando.”

“Comunque per qualunque cosa…”

Justin ringraziò il cielo quando il suo cellulare squillò. “Scusate, ma devo rispondere.” Si allontanò di un paio di passi, conscio che quella poca distanza non avrebbe impedito all’implacabile Serena di origliare tutto. “Pronto?”

“Ok, adesso dimmi chi è quella specie di drag queen che parla con tua madre.” Esordì la voce di Brian.

Justin rise. “Dove sei? Non avresti dovuto salvarmi già da un pezzo?”

“Da quella lì? Non ci sono speranze che io mi avvicini.”

Justin si guardò intorno e sorrise felice quando lo individuò dall’altro lato della strada: cappotto scuro, occhiali da sole e passo sicuro, bello come non mai. Sospirò quando lo vide passarsi distrattamente una mano tra i capelli mentre attraversava.

“Se solo sapessi i pensieri che sto facendo adesso…” Lo stuzzicò e, anche da quella distanza, poté scorgere il suo sorriso malizioso mentre si inumidiva le labbra.

“Più o meno quelli che ho fatto io stanotte tutto solo nel mio grande letto vuoto.”

“Che fai? Provi con i sensi di colpa?”

“Oddio, da vicino quella tipa è anche peggio!”

Justin lanciò un’occhiata fugace verso Serena. “E aspetta di sentirla parlare.”

“Dammi un secondo.” Riattaccò mentre si incamminava sul marciapiede verso di loro.

Justin tornò dalle due donne. “Scusatemi.”

Serena gli fece un occhiolino complice. “Tesoro, non imbarazzarti! È normale avere una ragazza alla tua età!”

Justin fece per ribattere, ma richiuse la bocca senza dire nulla. “Già.” Disse solo.

“Eccomi!” Brian arrivò finalmente dal piccolo gruppo. “Scusate il ritardo.” Abbracciò Jennifer che gli sorrise.

“Oh santo cielo!” Gridò Serena prima che Brian avesse il tempo di salutare Justin. “Jenny, ragazzaccia!” Le diede un buffetto sul braccio. “Mi avevi detto che Tuck era più giovane, ma avevi tralasciato il fatto che fosse uno schianto!”

Brian sgranò gli occhi mentre Justin scoppiava a ridere e Jennifer spalancava la bocca, senza parole.

“Piacere, io sono Serena. Io e la tua futura mogliettina andavamo insieme al college.”

Jennifer provò a ribattere, ma si bloccò quando sentì il braccio di Brian cingergli le spalle. “Molto lieto, Serena. Io sono… Tuck.” Baciò Jennifer su una guancia e le rivolse un sorriso dolce come lo zucchero. “Tesoro, ma eravate tutte modelle al college? Prima tu, ora la tua amica…”

Serena scoppiò a ridere lusingata. “Per favore! Jenny, ma è adorabile!”

Jennifer abbozzò un sorriso poco convinta. “Si, eh?”

“E scommetto che i ragazzi lo adorano!” Si voltò verso Justin. “Che ne dici del compagno della mamma, dolcezza?”

Justin sorrise angelico. “Sono contento che mia madre abbia trovato un uomo così…”

“Oh, Justin!” Fece Brian con una smorfia di finta modestia. Guardò Serena. “Questo ragazzo mi adora! Non è tenero?”

Serena lì guardò commossa. “Si vede che tra voi c’è un bel rapporto.”

“Molto profondo.” Disse Brian serio.

“Alle volte sembra quasi leggermi dentro.” Le confessò candido Justin mentre sua madre alzava gli occhi al cielo. “Riesce a penetrarmi la mente.”

“Sono così contenta!” Serena li guardò adorante e prese una mano di Jennifer. “Tesoro, ora devo andare, ma ti chiamo presto così mi racconti tutto con calma, ok?” Fece un occhiolino a Brian. “E mi raccomando, trattamela bene questa donna!”

Brian si mise una mano sul cuore. “Parola di boy scout!”

“Bene!” Baciò di nuovo Jennifer e pizzicò le guance di Justin nemmeno fosse stato un poppante di quattro anni. Poi si allontanò, ondeggiando di nuovo pericolosamente.

Quando fu lontana, Jennifer schiaffeggiò entrambi sulle braccia. “Siete due cretini!” Li apostrofò mentre Brian e Justin scoppiavano a ridere. “Non posso credere che lo abbiate fatto davvero!”

Justin circondò la vita di Brian con un braccio e si voltò verso sua madre. “E io non posso credere che lei ci sia cascata! Quanto può essere oca?”

Brian gli baciò teneramente una guancia. “Però mi sono divertito a fare papà Taylor per una volta!” Scoppiò a ridere davanti alla faccia ancora incredula di Jennifer. “Tranquilla, era solo uno scherzo!”

“E cosa le dirò il giorno del matrimonio quando mi vedrà con un altro uomo e il mio fidanzato siederà in prima fila con mio figlio?”

Brian cercò di tornare serio. “Che anche se la nostra storia si è conclusa, io sono rimasto in ottimi rapporti con i tuoi figli.” Baciò Justin. “Soprattutto con uno.”

Jennifer alzò gli occhi al cielo. “È inutile con voi.” I due risero di nuovo. “Va bene, io torno a casa perché Tuck” lanciò un’occhiataccia a Brian “starà per arrivare. Justin ti ricordo che ti aspetto per cena stasera.” Justin fece per parlare, ma lei lo anticipò. “Non mi importa dove vai dopo, ma per cena sei a casa con noi. Sai che ci tengo. Brian, naturalmente, tu sei invitato.”

Brian le sorrise. “Credo che passerò; una cena in famiglia a settimana è più che sufficiente.”

Jennifer annuì. “A stasera, allora.” Abbracciò Brian e baciò suo figlio prima di incamminarsi verso la sua auto.

“Potresti venire da noi.” Gli propose di nuovo Justin.

Brian scosse le spalle mentre riprendevano a camminare. “Credo che farò tardi alla Kinnetic.”

“Ti porto qualcosa per cena?”

“Stasera, dopo una notte di astinenza, non sarò interessato alla cena, ma al dopocena.” Gli sussurrò malizioso. “Quindi preparati.”

Justin inarcò un sopracciglio. “Non vedo l’ora.”

 

 

 

 

 

Tuck si sistemò rilassato sul divano e prese a fare zapping. “E quindi ha davvero creduto che Brian fosse me?”

“Altrochè se c’ha creduto!” Gridò Jennifer dalla cucina, mentre Molly si accomodava sul divano con il suo patrigno.

“Il giorno che hanno distribuito i cervelli, Serena era a fare shopping.” Fece Justin, seduto al tavolo del soggiorno a scarabocchiare qualcosa sul suo blocco.

Jennifer entrò finalmente in salotto e lo guardò male mentre si sedeva accanto a Tuck. “Justin, non essere maleducato.”

Molly rise, sdraiandosi sul divano. “Questa era forte, JusJus!”

Justin le sorrise fiero. “Grazie.”

“Scusa, Jen, ma stavolta i ragazzi hanno ragione.” Tuck si scambiò un’occhiata divertita con i suoi figliastri. “Serena non è la persona più sveglia del mondo.”

Jennifer alzò gli occhi al cielo esasperata. “Io ci rinuncio…” Si alzò e si sedette di fronte a Justin, prendendo la pila di riviste di abiti da sposa che aveva comprato.

“Trovato niente?” Le chiese Molly interessata.

Sua madre scosse il capo. “Macchè! Di questo passo, ti avverto,” si voltò verso Tuck “mi sposerò in jeans e maglietta.”

Tuck la guardò malizioso; Justin e Molly intercettarono l’occhiata e rabbrividirono disgustati.

“E che vorrei qualcosa di non… eccessivo! Ma sembra che il must di quest’anno sia di essere il più ridicola possibile!” Girò disgustata una pagina. “Dio, chi si metterebbe una cosa del genere?” Borbottò tra sé.

Tuck riportò la sua attenzione sul televisore, continuando a cambiare canale. “Oh, fermo qui!” Gli gridò Molly. “Lascia, lascia, questo film mi piace!”

“No, Molly, ti prego.” Tuck la guardò implorante. “La settimana scorsa ci siamo sorbiti un altro noiosissimo film con lo stesso incapacissimo attore.”

“Ma che incapace?!” Molly lo guardò offesa. “È bravissimo!”

Justin alzò lo sguardo verso la tv e inarcò un sopracciglio. “Chi, quell’ameba? Per favore, Molly…”

Tuck scoppiò a ridere. “A quanto pare qualcuno è d’accordo con me…”

“Questo perché voi non capite niente.”

“So riconoscere un bravo attore e questo non lo è.”

Justin annuì. “Non è nemmeno bello.”

“Ma che dici?” Molly si voltò di nuovo verso il televisore per essere sicura che stessero parlando della stessa persona. “Lui è bellissimo! Hai visto quanto è sexy?”

“E che ha di sexy quell’idiota tutto muscoli? Ha anche la testa piccola!”

Molly lanciò un cuscino a suo fratello. “Tu sei cieco!”

“Guarda qua.” Justin si alzò e andò a sedersi ai piedi di Tuck, poggiando il blocco sul tavolino da caffé. “Questo è il tuo attore.” Disegnò uno schizzo di un corpo grande e grosso e completò l’opera con una testolina piccola come una noce. La mostro a Tuck ed entrambi scoppiarono a ridere, mentre Molly gli sfilava il blocco dalle mani e spalancava la bocca indignata. “Justin!” Lo sgridò, colpendolo in testa col libretto. “Non sei affatto divertente!”

“Io invece lo trovo molto divertente, Molly! E anche molto somigliante!” Gli assicurò Tuck e si protese verso Justin. “Aggiungi anche i bicipiti pompati e il monosopracciglio!” Gi indicò il viso del suo schizzo.

Justin lo fece immediatamente. “E non dimenticarti i piedi da clown e le gambe storte.” E di nuovo giù a ridere come pazzi.

Molly incrociò le braccia al petto e sbuffò.

Jennifer si voltò verso di loro e sorrise; Justin e Tuck continuavano ad aggiungere particolari al disegno mentre sua figlia cercava di correggerli con un pennarello rosso, sbracciandosi per arrivare al foglio, dato che i due glielo impedivano.

In quel preciso momento, per la prima volta, Jennifer Taylor capì che forse non era un’egoista a volere quel matrimonio; per la prima volta sentì che magari quella strana ed inusuale quiete familiare avrebbe potuto funzionare e che i suoi figli avrebbero potuto vedere Tuck come una figura di riferimento, non un padre certo, non lo pretendeva, ma forse un amico, un adulto a cui chiedere aiuto o consiglio.

Vedendoli giocare e scherzare sul divano tutti e tre assieme, per un attimo sperò che tutto rimanesse così; con i suoi figli che si divertivano con quel compagno che amava tanto e con lei lì, seduta su quella sedia, a guardarli.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ed ecco finalmente il sesto capitolo! Scusate, ma non ho davvero avuto un attimo per metterlo online... naturalmente covo la segreta speranza che siate tutti impazienti di leggere i nuovi capitoli (seeeee, come no!! povera illusa!! :D)... Anyway, nel sesto abbiamo respirato un po' di aria "familiare", un po' di tranquillità, senza drammi e ansie e devo ammettere che mi sono divertita un sacco a scriverlo. Ho notato che parecchi di voi erano curiosi di vedere la reazione di Brian e confesso che l'idea mi era passata per la testa, ma alla fine ho deciso di tralasciare quella parte; premesso questo non voglio però dire che non troverò interessante aggiungerlo più avanti, magari con un bel flashback! Devo solo capire bene dove vuole andare la mia storia... comunque c'è la possibilità che quel momento venga inserito!

Come sempre, spero di aver mantenuto le caratteristiche dei personaggi, soprattutto all'inizio e con la parte riguardante Emmett: esattamente come nello scorso capitolo, ho continuato con la descrizione degli altri protagonisti e delle loro vite (e proseguirò anche nei prossimi). Oggi è toccato al mio adorato Emmett (lo amo, non c'è niente da fare! Dopo Brian, è il mio personaggio preferito!) e alla sua fruttuosa agenzia di "event planner" (ok, forse me lo sono inventato sto termine!). Vi avverto che prossimamente la situazione si farà interessante anche per lui! 

Il momento di... coccole tra Brian e Justin all'inizio non era programmato, ma come al solito, loro due hanno il potere di prendere vita da soli senza che io possa fare nulla per fermarli. Spero non sia sembrato troppo smielato o inappropriato.

Mi sono divertita come una pazza a scrivere la parte dell'equivoco con Brian/Tuck immaginandomi la faccia sconvolta della povera Jennifer e quelle divertite dei due idioti! E non temete, Serena farà presto ritorno!

Per la parte finale, mi sembrava il momento di far tornare il povero Tuck e farlo anche interagire con i suoi futuri figli e ho pensato a come Jennifer si potesse sentire riguardo alle sue nozze, a come la sua vita e quella delle persone che ama sarebbe cambiata. Spero sia quantomeno verosimile!

Bene, mi pare di aver detto tutto!

Ora largo ai ringraziamenti, e in particolar modo ad una persona speciale che mi ha aiutato un sacco! Sì, Lisa (13_forever) parlo proprio con te! Non potevo inserire una minuscola nota a fondo pagina per dimostrarti la mia gratitudine e quindi... eccomi qua! Grazie davvero. Grazie per i consigli, per le correzioni e soprattutto per la tua infinita pazienza! Questo capitolo è tutto dedicato a te!


elysenda: sono onorata che tu abbia deciso di inserirla tra i preferiti, grazie davvero! Cynthia è sempre un mito e stai pure tranquilla per la povera Lauren, non credo che possa essere licenziata per una sciocchezza del genere XD Sono contenta che la scena Britin ti sia piaciuta, la verità è che scrivere di loro, immaginarli davanti a me, creare le loro battute e i loro gesti mi riesce incredibilmente facile. Non mi era mai successo prima, dev'essere la magia di QaF! Per il progetto dovrai aspettare solo fino al prossimo capitolo! Tutto verrà svelato! Grazie mille per i complimenti, davvero non li merito! Un bacio!


13_forever: ed eccoti qui, cara!! nonostante ti abbia già ringraziato, dovevo dedicarti anche uno spazio solo per te! Per il suggerimento sulle ricette, le ho trovate su uno dei libri di cucina di mia madre quindi niente link, ma tutti e ribadisco tutti i tuoi consigli sono stati messi in pratica! Sono lieta che tu abbia trovato credibile la reazione di Hunter (anche perchè io avrei dato davvero di matto nella sua situazione!) e concordo con te quando dici che Cynthia è l'unica che riesce a sopportare Brian e i suoi sbalzi d'umore! Grazie infinite per i complimenti e alla prossima revisione! Un bacio, tesoro!

 

kyelenia: come ti ho già detto sono apertissima alle critiche (purché siano costruttive come le tue) e credo che anzi gli autori debbano tenere in considerazione ciò che il lettore pensa altrimenti si finisce per non rendere giustizia ai personaggi ed è una cosa che non voglio assolutamente, né per quelli "reali" né per quelli creati da me (Molly fra tutti) quindi grazie ancora e stai tranquilla, non sei affatto una mestrina antipatica! Come ho già detto, Hunter mi piace e spero di renderlo al meglio (avrà più spazio nel prossimo capitolo!) quindi se hai qualunque altra perplessità o dubbio, non esitare a farmelo sapere! E grazie davvero!


BritinLover: Felicissima che ti siano piaciuti questo e lo scorso capitolo! Grazie mille! 


EmmaAlicia79: Ed ecco qui il nuovo capitolo! Spero che ti piaccia come gli altri e che continuerai a seguirmi in questa mia personalissima e modesta sesta stagione! Grazie mille per aver inserito la storia nei preferiti! Un bacione!


Mia85: Carissima!! Come al solito, ho amato la tua chilometrica recensione! Rendi davvero migliori le mie giornate :D Cynthia è un vero mito e anche Lauren è carina, povera non è colpa sua se non conosce Justin! Del progetto di Vanessa saprai qualcosa di più già nel prossimo capitolo ma comunque voglio tranquillizzarti... non ci sarà niente di grave (non voglio soffrire come mi hanno fatto soffrire nel telefilm!) Anche qui abbiamo una nuova parte su Emmett (e prossimamente vedremo Ted, Blake e via via tutti gli altri) e spero che ti sia piaciuta! Come hai giustamente notato, il nostro ZenBen è un po' assente, ma... vedrai vedrai! Nel frattempo, grazie e un bacio!


jen78: anche a me piace molto Steve (non voglio sembrare presuntuosa, ma mi fa davvero ridere) anche se lo avrei volentieri strozzato (ok, alla fine di questa ff avrò bisogno dello psichiatra per separare la mia vita vera da quella dei miei personaggi XD) Hunter tornerà anche nel prossimo capitolo con un nuovo personaggio (questa è un'anteprima assoluta, ti avverto!) e spero che ti piaccia come ti è piaciuto nello scorso! Come al solito sono sempre preoccupata per le scene BriTin perché è come scrivere di qualcosa di assolutamente sacro (no, non sono pazza!) per cui sono al settimo cielo sapendo che è stata apprezzata! A presto!

 

 

Grazie anche a tutti quelli che hanno solo letto, o inserito la storia nelle seguite o nei preferiti! 

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Capitolo 7
*** Back To The Past ***


7. Back To The Past

 

 

 

 

 

Justin si appoggiò al bancone coi gomiti e salutò Emmett seduto lì accanto. Poi sorrise guardando la donna davanti a lui.

“Cosa ti porto, Sunshine?” Chiese Debbie, accarezzandogli una guancia.

“Due caffé e…” scorse rapidamente il menù “… dei pancakes. Con tanta panna. E un muffin.” Ci pensò su un attimo. “Facciamo due.”

Emmett ridacchiò sorseggiando il sue tè. “Dovrai passare in palestra il resto del tuo soggiorno a Pittsburgh per smaltire tutta quella roba.”

Justin si strinse nelle spalle. “Ho un metabolismo perfettamente funzionante.”

“Per tua fortuna, altrimenti a quest’ora peseresti una tonnellata.”

“Ecco qui, tesoro.” Debbie gli porse il piatto con la sua ordinazione e i due caffé. “Mangia tutto. Ultimamente sei un po’ deperito.”

Emmett guardò prima la montagna di calorie davanti a Justin e poi Debbie, assumendo un’espressione piuttosto scettica. “Tu dici?”

Debbie annuì. “Guardalo! È più magro di quando è arrivato dieci giorni fa! E ha anche una faccia pallidissima!” Si rivolse con sguardo preoccupato al più giovane. “Da quant’è che non ti fai una bella dormita?” 

Justin le sorrise rassicurante. “Sto bene, Debbie. È che sono molto impegnato: il matrimonio, i quadri, Molly e Daphne che fanno a gara per passare del tempo con me…”

“Sì, come no…” Emmett e Debbie si scambiarono uno sguardo eloquente. “E il fatto che tua madre chieda a me dove sei finito quando ci vediamo non lo trovi strano?”

Justin ghignò malizioso. “Come ho già detto, sono molto impegnato.”

“Oh, guarda.” Emmett indicò l’ingresso del Diner. “Il tuo primo impegno è appena entrato dalla porta.”

“Buongiorno.” Disse Brian con un sorriso, abbracciando Justin da dietro e poggiando il mento sulla sua spalla.

Justin gli accarezzò la guancia. “Pensavo ti fossi perso.”

L’uomo lo strinse a sé. “Sembra che stamattina tutta Pittsburgh abbia deciso di fare colazione qui. Non c’è un parcheggio nemmeno a pagarlo oro.”

“Il caffé.” Justin gli porse la tazza.

Brian la prese e si avviò verso il tavolo più vicino, tirandosi dietro Justin che accennò un sorriso di scuse a Debbie ed Emmett.

Emmett inarcò un sopracciglio. “Sono abbastanza inquietanti, vero?”

“Sono così raggianti che potrebbero illuminare un cazzo di stadio.” Fece Debbie appoggiandosi al bancone.

“Però sono teneri!”

“Non ricordo da quanto tempo Brian non sorrideva così.”

Emmett si strinse nelle spalle. “Io sì.” E rivolse alla donna uno sguardo significativo.

“Spero solo che duri. Voglio dire, amo quei due ragazzi come fossero figli miei, ma ho paura che si stiano dimenticando qualcosa di molto importante.”

“Già.” Emmett lanciò un’occhiata dispiaciuta ai suoi amici. “New York attende il suo grande artista tra meno di un mese.”

“E non credo che Mr-fatevi-i-cazzi-vostri-io-sto-benissimo abbia ben compreso che cosa voglia dire.”

Brian sorseggiò il suo caffé. “Credo che stiano per mettersi a piangere.”

Justin lanciò un’occhiata fugace verso Emmett e Debbie che distolsero immediatamente lo sguardo. “Ti è mai passato per quella tua testa bacata che magari la tua famiglia potrebbe essere preoccupata per te?”

“Io sto benissimo.” Rispose l’uomo sorridendogli.

“Lo so. Tutto il mondo lo sa dato che non fai che ripeterlo.”

“Bene.” Brian staccò un pezzo del muffin di Justin e se lo portò alla bocca. “Forse se continuo a ripeterlo, vi convincerete prima o poi.”

Justin inarcò un sopracciglio. “Quello che li preoccupa è se ne sei convinto tu, mio caro.”

“Come ho già detto, sto bene, tesoro.”

Justin roteò gli occhi. “E poi, da quando mangi muffin a colazione? Non hai paura che ti facciano ingrassare?”

Brian sorrise malizioso. “Si da il caso che ultimamente io stia facendo parecchia attività fisica, quindi posso anche permettermelo.”

Justin alzò le mani in segno di resa. “Guarda che io lo dico per te, per la tua salute. Alla tua età devi stare attento.”

Brian gli lanciò una briciola del suo muffin facendolo scoppiare a ridere. “Dillo di nuovo, piccolo stronzo, e stanotte mamma Taylor avrà il grande onore di riaverti a casa a dormire.”

Justin rise. “Non riusciresti a starmi lontano per una notte intera.”

“Credo che tu ti stia sopravvalutando, Taylor.”

“Io invece credo che tu stia sottovalutando il graaaande amore che provi per me.”

Brian sbuffò scettico, non riuscendo però a trattenere un sorrisetto. “Sei sempre stato così teneramente patetico.”

“È inutile che fai lo scontroso.” Justin si allungò verso di lui e lo baciò a fior di labbra. “Ti ho già detto che con me non attacca.”

Brian sorrise contro la sua bocca. “Me ne sono accorto.” Lo prese per la maglia quando il ragazzo fece per tornare al suo posto. “Dove credi di andare? Questo è tutto quello che mi merito per la notte indimenticabile che ti ho regalato?”

Justin lo baciò di nuovo, stavolta in modo più appassionato, e sospirò quando Brian gli morse il labbro inferiore. “Devo dedurre che per stanotte ho ancora un letto?” Gli chiese senza fiato.

“Mah… non saprei…” Brian inarcò un sopracciglio premendo la lingua contro l’interno della guancia. “Forse dovresti essere un po’ più convincente. Non sono ancora del tutto persuaso.”

Justin scosse la testa. “Ok, adesso te ne stai approfittando.”

L’uomo scosse la spalle. “Non so di cosa tu stia parlando.”

“Ok.” Justin si alzò in piedi e tornò al bancone dove pagò la colazione.

“Ve ne andate di già, dolcezza?” Gli chiese Debbie premurosa.

Justin annuì lanciando un’occhiatina a Brian. “Brian vuole mostrami un nuovo progetto su cui stanno lavorando alla Kinnetic.” Prese il resto e tornò al tavolo.

“Ma davvero?” Gli chiese l’uomo con un ghigno malizioso.

Justin gli sfregò il naso contro la guancia. “L’hai detto tu che a quest’ora non c’è ancora nessuno in ufficio.”

Brian spalancò gli occhi con espressione finta a metà tra lo stupito e lo scandalizzato. “Justin Taylor, è per caso una proposta indecente?” Gli sussurrò all’orecchio, facendolo rabbrividire.

Justin sorrise. “L’hai detto, Mr Kinney.” 

Salutarono velocemente i loro amici e si avviarono verso l’uscita del Diner, ancora ridacchianti e con le dita intrecciate.

 

 

 

 

 

Steve rallentò appena e cercò di individuare la strada che Jennifer gli aveva detto di imboccare; si fermò al semaforo e la scorse ad un paio di metri di distanza sulla destra. Si voltò verso la persona che occupava il sedile accanto a lui. “Quindi mi dici come mai sei piombata qui all’improvviso?”

Vanessa Austen, occhi nocciola, caschetto scuro e tailleur elegante accennò un sorriso enigmatico. “Non posso dirtelo, Steve.”

Il semaforo diventò verde e l’auto ripartì. “Almeno dimmi perché sono stato costretto a chiedere la macchina alla signora Taylor, correre da te in aeroporto, non dire nulla a Justin e portarti al Pittsburgh Institute of Fine Arts prima ancora di passare in albergo a posare le valige!”

“Ho un appuntamento importante e avremmo rischiato di fare tardi.” Guardò l’orologio. “Anzi, sbrigati.”

Steve roteò gli occhi. “Eccoci, siamo arrivati, tiranna.”

Entrarono nel cortile della scuola d’arte e parcheggiarono in uno dei posti più vicini all’entrata; poi si avviarono a passo spedito verso l’edificio. Vanessa si mise avanti e guidò Steve esattamente verso l’ufficio del preside.

“Come facevi a sapere che era da questa parte?” Le chiese Steve che si sarebbe di sicuro perso senza di lei.

Vanessa si strinse nelle spalle. “Intuito.” Sorrise alla segretaria e le passò il suo biglietto da visita. “Vanessa Austen della Austen Gallery. Ho un appuntamento col preside Carson.”

L’anziana donna le sorrise. “La stava aspettando.”

Steve fece per seguirla, ma Vanessa lo bloccò. “Aspettami qui, faccio in fretta.”

“Ma…”

Non lo ascoltò neppure; prima ancora che avesse il tempo di opporsi, Vanessa si era già chiusa la porta alle spalle.

Steve si sedette nella sala d’attesa e sospirò paziente. Aspettò per venti minuti, poi vide Vanessa uscire di nuovo dall’ufficio seguita da un signore dall’aria distinta che le porse la mano con un sorriso.

“È stato un piacere, Miss Austen; e spero vivamente di riuscire ad aiutarla.”

Vanessa gli sorrise affascinante, esattamente come era solita fare quando a New York cercava di convincere ricchi e pedanti uomini d’affari ad investire nella sua galleria.

Inutile dire che ci sapeva fare…

“Sono certa che la nostra collaborazione sarà fruttuosa per entrambi, signor Carson.”

“La prego.” L’uomo le baciò la mano con fare galante. “Le ho già detto di chiamarmi Hugh.”

Vanessa assunse una posa da finta lusingata. “D’accordo, Hugh.”

“La chiamerò il più presto possibile.”

“Gliene sarei molto grata. Non rimango molto in città.”

L’uomo sorrise. “Promesso.”

Vanessa si ravvivò i capelli e si avviò verso Steve che assisteva divertito alla scena; salutò la segretaria e uscì dall’edificio.

“Certo che l’hai rimbecillito per bene quel poveraccio!” Steve ridacchiò, aprendole galantemente la portiera.

Vanessa si strinse nelle spalle. “Agli uomini basta poco per rimbecillirsi.” Steve fece il giro dell’auto e si mise al volante. “Non ho fatto altro che essere gentile.”

“E come al solito la tua gentilezza aveva una seria motivazione.”

“Ovviamente.”

“Che sarebbe?”

“Un progetto importante.”

“Non potresti essere un po’ più precisa?”

“No.” Tagliò corto lei.

“C’entra Justin?”

“Forse.”

“Io sono il suo manager, e sai che non puoi decidere nulla senza mettermi a conoscenza.”

Vanessa arricciò il naso, abbassando il parasole e controllandosi il trucco. “Justin ha un contratto con me, non con te, quindi sono io che decido come, quando e con chi lavora.”

Steve svoltò ad un incrocio e lasciò perdere. “Allora? Ti porto in hotel o preferisci venire dai Taylor?”

Vanessa ci pensò su. “Passiamo prima da loro, voglio ringraziare sua madre per la macchina.”
Steve sorrise. “E così puoi anche controllare i nuovi lavori di Justin.”

“Anche.” Vanessa gli sorrise. “Inizi a conoscermi un po’ troppo bene, Steve.”

“L’ho notato. E la cosa mi terrorizza.”

 

 

 

 

 

“Quindi credono che il test sarà sullo sviluppo urbanistico del ‘700?”

Hunter si strinse nelle spalle. “Così dicevano Paul e Howie…”

La ragazza dai capelli biondi si passò stancamente una mano sugli occhi. “Non posso credere di dover passare il weekend a studiare l’unica e ribadisco l’unica parte del programma che non so.”

Hunter le spettinò i capelli approfittando della bassa statura della sua amica. “Eh dai, Lane!” La ragazza lo spinse via con una gomitata. “Non puoi stare chiusa in casa per tre giorni!”

Lane lo fulminò con un’occhiataccia, sistemandosi i capelli. “Se voglio passare il questionario…”

“E non vieni alla mia gara?”

Lane spalancò la bocca. “Oddio, è domenica, giusto?” Il ragazzo annuì. “Ma come faccio? Hunter, davvero non so nulla!”

“Dai!” Hunter prese a strattonarla piano per un braccio, rivolgendole un sorriso da cucciolo. “Paul e Howie vengono! E anche loro devono studiare!”

Lane inarcò un sopracciglio. “Questo perché i tuoi migliori amici sono due idioti.”

“Ma anche tu sei la mia migliore amica.” Le passò un braccio attorno alle spalle. “Anzi, sei la mia unica migliore amica.”

“Evviva…” Mugugnò sarcastica la ragazza, circondandogli i fianchi con il braccio sinistro.

“Quindi?”

Lane sospirò. “Ci penserò…”

“Lane…”

“Forse…”

“Laneyyy…”

“Uffa!” La ragazza alzò gli occhi al cielo. “Smettila di fare il ruffiano con me!”

“Ti pregooo…”

Lane scosse la testa. “Non posso credere che lo sto dicendo davvero…” Sospirò. “A che ora è la gara?”

Hunter le sorrise radioso. “Alle quattro, puoi andare coi miei se non hai il passaggio.”

“Non voglio disturbare.”
”Michael e Ben ti adorano, saranno felicissimi di portarti.”

Lane annuì. “Ok. Mi metterò la felpa dell’università e mi farò prestare i pon pon da mia sorella. Sarò la tua cheerleader personale, Bruckner!”

“Per favore, evita.”

“Cosa?” Lane lo fissò offesa. “Prima hai rotto per un’ora per farmi venire e adesso non mi permetti di fare il tifo per te?”

“Fare il tifo, sì. Mettermi in imbarazzo davanti a mezzo college, no.”

“Ingrato!” Lo colpì con un pugno sul braccio.

“Nanetta!”

Lane accennò un sorriso e scosse la testa. “Piuttosto, non starai esagerando con tutti questi allenamenti?”

“Solo perché ho una gara.”

“Oh sì, perché invece gli altri giorni te la prendi proprio con calma!” Gli fece notare sarcastica.

Hunter alzò gli occhi al cielo. “Laney…”

“E non dire Laney con quel tono, James!”

“Non è mai un buon segno quando mi chiami James.”

“Sono preoccupata, testone.” Lane lo guardò seria. “Hai preso le tue medicine dopo pranzo?”

“Sì, mamma.”

“Sei sicuro? E hai mangiato anche la frutta? Sai che quella della mensa fa schifo.”

Hunter le sorrise. “Laney, sono sieropositivo. Non sarà di certo la frutta a farmi guarire.”

Lane si strinse nelle spalle. “Male non può farti.”

Ad Hunter sfuggì una risatina e la strinse più forte. “La mia Miss Vitamina.”

“Le vitamine sono importanti!” Lo rimbeccò la ragazza offesa.

“Lo so, Lane.” Le baciò affettuosamente una guancia. “E grazie.”

Lane accennò un sorriso storto. “Di niente.”

“Quindi niente divisa da cheerleader?”

“Cosa?” Lo colpì di nuovo al braccio. “Tutte queste moine per farmi desistere dall’idea dei pon pon! Sei veramente pessimo!”

Hunter scoppiò a ridere senza ritegno divertito dalla sua – come al solito – reazione esagerata. “Io lo faccio per te! Che figura ci fai?”

“Ciao, Hunter.”

I due ragazzi si interruppero, voltandosi verso la persona alle loro spalle che aveva parlato; Hunter s’irrigidì all’istante. “Ciao, Callie.”

La ragazza gli sorrise imbarazzata. “Come va? È un po’ che non ci vediamo.”

“Già.” Si grattò la nuca a disagio. “Io sto bene, grazie. E tu come te la passi?”

Callie scosse le spalle. “Tutto bene, un po’ presa con le lezioni, ma… ehi, chi non lo è?”

Lane si schiarì la gola per segnalare al suo miglior amico che, mentre lui regrediva allo stadio invertebrato, lei non era stata inghiottita da nessuna supernova impazzita e che quindi era ancora lì. Hunter si riprese al volo. “Ah si, Callie, lei è Lane. Laney, questa è Callie.”

Callie le porse una mano e la bionda le sorrise gentile. “Ciao.”

“Anche tu studi qui?”

Lane annuì. “Architettura con Hunter.”

“Capisco.” Tornò a guardare il ragazzo. “Tuo padre mi ha accennato della gara.”

“Sì, me l’ha detto.”

“Ti… ti darebbe fastidio se venissi?”

Hunter la guardò incerta, rimanendo in silenzio. Lane si fece immediatamente avanti. “Ci andrò anch’io. Se vuoi possiamo vederci lì.” Le propose allegra.

Hunter sgranò gli occhi e guardò la sua migliore amica con espressione omicida.

Non aveva passato l’ultima mezz’ora di lezione a parlare con Lane di quanto suo padre fosse stato assolutamente inopportuno ad invitare Callie alla gara? E lei gli aveva dato ragione!

E ora? Lo pugnalava alle spalle?

Piccola stronza doppiogiochista!

Callie le sorrise. “Davvero? Sarebbe grandioso!”

“Perfetto, allora!” Guardò il suo amico. “Così eviterai il problema cheerleader.” Lo punzecchiò con un ghigno.

“Cheerleader?” Callie spostò lo sguardo tra loro, confusa.

“Lascia perdere.” Tagliò corto Hunter. “Allora, a domenica.”

La ragazza annuì. “A domenica.” E si allontanò, tornando verso la facoltà.

“Quindi è lei?” Gli domandò Lane, continuando ad osservarla.

Hunter annuì. “Come cazzo ti è venuto in mente di invitarla a guardare la gara con te?”

“Perché non avrei dovuto? Lei ti piace, tu le piaci, ed io sono la bellissima, simpatica ed altruista amica che si preoccupa per te!”

“Lei non mi piace.”

Lane sbuffò scettica. “Oh sì, si vede dalla bava che esce dalla tua bocca.”

“Io non… sbavo! Ma come te ne esci?”

“Ti divorava con gli occhi, sai?” Gli lanciò un’occhiatina maliziosa. “Avrebbe voluto mangiarti.”

“Oddio, Lane, smettila!” Hunter si coprì le orecchie, mentre riprendeva a camminare. “Non posso credere che tu l’abbia detto davvero!”

Lane lo seguì ridacchiando. “Perché no? Che c’è, solo i tuoi amici idioti possono fare allusioni sessuali?”

“Basta! Non voglio sentirti!”

“Potrei darti qualche idea per qualche giochino erotico da fare quando vi rimetterete insieme!”

Hunter accelerò il passo cercando di seminarla, ma la ragazza non aveva intenzione di demordere. “Fermo, James!”

“Prendimi se ci riesci, gambe corte!”

Lane mise il broncio e prese a correre; quando finalmente lo raggiunse, gli saltò sulla schiena come faceva sempre, circondandogli il collo con le braccia. “Adesso, per farti perdonare, mi porterai a casa in braccio!” Gli pizzicò una guancia.

Hunter scoppiò a ridere. “Agli ordini, Miss Vitamina!”

 

 

 

 

 

Justin chiuse la porta di casa e posò le chiavi sul mobiletto lì vicino, un sorrisino ebete faceva ancora capolino sul suo viso. Sospirò, scuotendo sollevato il capo.

Quella volta c’era mancato davvero poco.

Ma come gli era venuto in mente di fare sesso, anzi no, solo di accennare vagamente alla possibilità di fare sesso nell’ufficio di Brian prima che arrivassero gli impiegati, con la vana speranza che Mr Kinney si appellasse al suo buon senso e rifiutasse l’offerta?

Ovviamente lui aveva colto la palla al balzo.

Risultato? Erano quasi stati beccati da due dipendenti particolarmente diligenti e dediti al lavoro che si erano presentati con mezz’ora di anticipo.

Non che quel piccolo inconveniente avesse reso meno bollente il loro… incontro.

Tutt’altro.

Sorrise di nuovo e affacciò la testa in cucina. “Mamma?” Chiamò.

“In salotto, tesoro.” Gli rispose la voce di Jennifer. “Abbiamo ospiti.”

Ti prego, fa’ che non inizi già la sfilata di parenti e conoscenti perché potrei suicidarmi…

Con passo da condannato a morte, entrò in salotto e strabuzzò gli occhi, bloccandosi sulla soglia. “Nessa?” Domandò con tono stupito, sgranando gli occhi.

Vanessa gli sorrise. “Ciao, Justin.”

“Che…” Mosse qualche passo verso Jennifer, Nessa e Steve. “Che ci fai qui? Quando sei arrivata?”

“Stamattina.” Rispose Steve per lei.

Justin si sedette accanto a sua madre. “Come mai questa improvvisata?” Chiese, mentre il cuore gli sprofondava in fondo ai piedi.

E se fosse venuta a raccattarlo per riportarlo a New York? Se il signor Austen avesse fatto storie per la faccenda del matrimonio e avesse mandato Nessa a convincerlo a tornare?

Non era pronto a partire, non così all’improvviso, non senza un preavviso, non ora che…

Deglutì a fatica.

“Ho grandi notizie, amico mio.” La donna gli sorrise raggiante.

Jennifer accennò un mezzo sorriso, guardando apprensiva Vanessa. “Cioè?”

“Ho in mente di organizzare una mostra con i tuoi lavori.”

Justin inarcò un sopracciglio. “E quale sarebbe la novità? Non lo fai da quasi due anni?”

“Oh, ma questa volta sarà speciale!” Si sporse verso Justin. “È per questo che sono venuta fin qui. Dovevo controllare la situazione di persona.”

“Situazione?” Jennifer la guardò confusa. “Mi scusi, signorina Austen, ma… non credo di aver capito.”

“È molto semplice, signora Taylor: ho pensato che, adesso che sta acquistando popolarità nell’ambiente, Justin avrebbe potuto tenere una rassegna dei suoi lavori, a partire da quelli che faceva a scuola fino alle ultime creazioni.”

“Non sono un po’ giovane per una retrospettiva? Voglio dire, non dovrei essere… famoso?”

“Ma l’evento non sarà incentrato solo su di te.”

Steve, Jennifer e Justin aggrottarono la fronte.

“Ok, adesso mi sono perso.”

Vanessa sollevò le mani. “Pensa ad una serata tutta incentrata sui nuovi talenti, non solo della pittura, ma anche della scultura, della musica, della fotografia…”

Jennifer annuì. “E questo cosa c’entra con mio figlio?”

“Potremmo dare spazio alle nuove stelle dell’arte, quelle stesse stelle che domani saranno esposte nei musei di tutto il mondo, ma che oggi frequentano scuole per affinare le loro arti.”

“Il Pittsburgh Institute of Fine Arts!” Esclamò Steve, collegando finalmente i vari tasselli. “Ecco perché siamo andati lì stamattina!”

“Siete andati alla mia vecchia scuola?”

“Cercavi talenti!”

Vanessa sorrise. “Cercavo vincenti, Steve. Vincenti che un giorno riusciranno a sfondare.”

“Ecco perché l’incontro col preside!”

Jennifer si scambiò un’occhiata perplessa con suo figlio. “Ancora non capisco…”

“Ok, vuoi fare una mostra.” Ricapitolò Justin. “E sei andata a vedere se c’erano artisti da sponsorizzare.”

“Sì, in pratica l’idea era quella di allestire una mostra con vari padiglioni, uno per ciascuna disciplina: un artista per ogni diversa forma d’arte.” Tirò fuori alcune cartelline e le porse a Justin. “Il tuo preside mi ha già dato un paio di nomi che potrebbero essere interessati ad un evento del genere.”

“Li conosci?” Chiese Steve.

Justin scosse la testa. “Alcuni. Questo, ad esempio, era nella mia classe di anatomia. E quest’altro mi sembra di averlo sentito.”

“Ottimo!” Esultò Vanessa. “Così potrai darmi una mano a sceglierli.”

“Quindi ora?” Jennifer riportò l’attenzione sulla mostra. “Justin dovrà tornare a New York?”

Vanessa annuì. “Mio padre ha chiesto ad un amico di poter utilizzare il Palace e io l’ho trovata un’ottima idea. Un evento di classe per cui l’alta società newyorkese ucciderebbe.”

“Grandioso…” Borbottò Justin tra i denti.

“Ma poi, ho avuto una folgorazione!” Alzò le mani e fissò lo sguardo in aria.

Steve la guardò come se fosse pazza. “Cos’è? Entrerai in convento?”

“Meglio ancora! Quando stamattina sono entrata al PIFA, ho capito che sarebbe stato un avvenimento ben più sensazionale se voi, ex studenti che si affacciano per la prima volta alla popolarità, foste tornati qui, nella cara, vecchia Pittsburgh per ritrovare le vostre radici!”

Justin inarcò un sopracciglio. “E…?”

“E ne ho parlato con mio padre e lui la trova un’idea grandiosa! Da dove tutto è partito, ecco i futuri Picasso, Michelangelo, Mozart, Warhol…”

“Non ti sembra di esagerare un tantino?” La ridimensionò Steve.

“Tu non capisci niente, Steve. Tu non cogli quanto questa situazione sia capitata a proposito! Sarà una serata grandiosa! Esporremo i tuoi primi quadri, i primi lavori di un adolescente tormentato, in continuo conflitto con la famiglia e la società che non ne comprendono appieno la genialità e l’estro creativo.” Jennifer la guardò contrariata, ma Vanessa, presa com’era dall’entusiasmo non se ne accorse neppure. “Poi continueremo con i lavori successivi, possiamo inserire anche qualche bozza di quella specie di fumetto che hai fatto… com’è che si chiamava? Ah sì, Furia!”

“Furore…” La corresse Justin.

“E infine le opere della maturità! Malinconiche, cupe e complesse! Oh mio Dio, potremmo persino dipingere le varie sale a tono con le tue tele!” Scattò in piedi. “Devo assolutamente chiamare Hugh e sapere quanti locali avremo a disposizione.”

Hugh ha detto che chiamerà lui, ricordi?” Le rammentò Steve.

“Ah, è vero.” Vanessa si sedette di nuovo, lo sguardo perso a mille miglia di distanza.

Jennifer si voltò allucinata verso suo figlio che gli fece cenno di lasciar perdere: quando Vanessa era presa dall’ebbrezza dell’arte era inutile parlarle.

“Già mi vedo la scena: tutti vorranno essere presenti a quello che potrebbe diventare la fucina degli artisti di domani!”

“Vola basso, Nessa…”

Vanessa ignorò il commento disfattista di Steve e guardò Justin ad occhi sgranati. “Dimmi che tieni ancora i disegni che hai fatto nel periodo subito dopo la tua aggressione, quando non riuscivi più a disegnare!”

Lo sguardo di Justin s’indurì. “Non mi va che le mie vicende personali vengano sfruttate per fare pubblicità ai miei quadri.”

“Ma non capisci!” Sbottò Vanessa. “Sono proprio le tue vicende personali ad averti reso l’artista complesso ed originale che sei! Tutto ciò che hai passato, le vessazioni a scuola, l’ostilità di persone meno dotate di te che chiaramente erano invidiose del tuo talento e della tua forte personalità, l’omertà di chi ti stava intorno…”

Jennifer incrociò le braccia al petto, sentendosi chiamata in causa. “Mi scusi, signorina Austen, ma Justin non ha vissuto in una discarica, abbandonato a sé stesso senza nessuno che si occupasse di lui.”

“Ma ha incontrato parecchie difficoltà…”

“Che ho superato grazie all’affetto delle persone che avevo accanto, mia madre fra tutti.” Il tono di Justin fu duro.

Vanessa se ne accorse e affilò lo sguardo. “Che stai cercando di dirmi?”

“Che non fingerò di essere stato un povero ragazzino spaurito e vessato da tutti solo per creare una storia triste e pietosa!”

“L’aggressione c’è stata, però…”

“E non ho intenzione di esporre i miei disegni di quel periodo.”

“Perché no?”

Justin scosse la testa. “Sono… privati, intimi. Non voglio mettere in piazza i cazzi miei.”

“Ma, Justin, cerca di riflettere…”

“No, Nessa, non cambierò idea.” Justin considerò conclusa la questione.

Vanessa si appoggiò alla schienale della poltrona e tamburellò nervosa con le dita mentre il suo sguardo si spostava qua e là per la stanza. “Potremmo fare in modo che…” Prese a borbottare tra sé. “Ci sono!” Gli altri sobbalzarono. “Sistemeremo i tuoi disegni comunque in ordine cronologico e faremo in modo di evidenziare la tua evoluzione artistica come una conseguenza della tua ricerca di un nuovo linguaggio visivo! Un tentativo di esprimere le tue più recondite ed inconfessate paure di anima tormentata!” Batté le mani eccitata al solo pensiero. “Sì, funzionerà di sicuro! Sono un genio!”

Nonostante fosse ancora alterato con lei, Justin non poté trattenere un sorrisino; Vanessa era sempre così assolutamente bizzarra ed imprevedibile.

“Devo chiamare subito…”

Steve alzò gli occhi al cielo. “Hugh ti chiamerà domani.”

“Ah, già.” Si voltò verso il ragazzo moro. “Me l’avevi detto, vero?”

Steve annuì.

“Me lo ricordavo.” Assicurò.

“Sì, sì, ho visto.”

Jennifer guardò perplessa la ragazza, incerta se ridere o avere paura. “Quindi è tutto sistemato?”

Vanessa si voltò verso di lei. “In che senso?”

“Justin può rimanere qui? Voglio dire, se la mostra sarà qui, non c’è ragione che lui…”

“Oh, ma certo!” La ragazza scoppiò a ridere. “Non si preoccupi, signora Taylor, non le ruberò suo figlio.”

Jennifer le sorrise riconoscente. “Grazie.”

“E la mostra alla quale dovevo presenziare a nome delle galleria?” Chiese Justin a braccia incrociate. Conosceva Vanessa e i suoi trucchetti e sapeva che era meglio mettere in chiaro le cose fin da subito.

Vanessa fece un gesto con la mano. “Lascia perdere la mostra. Papà troverà qualcuno per rimpiazzarti.”

“Quindi è tutto vero? Posso restare?”

“Fino al matrimonio; erano questi i patti, no?”

Justin annuì incerto. “Ne sei sicura?”

Vanessa alzò gli occhi al cielo. “Justin, so di non essere propriamente una persona di parola, ma questa volta sì, sono sicura.”

“Te l’avevo detto.” Fece Steve compiaciuto.

“Non vorremmo mica che tua madre si sposi senza i suoi pargoli, no?”

Justin si arrese e scosse il capo. “Ok, allora.”

Vanessa sorrise raggiante. “Bene!” Gridò, scattando in piedi e facendo sobbalzare tutti. “E ora, voglio vedere le tue nuove creazioni, grande artista!” Si diresse a passo spedito verso il corridoio. “Dov’è il tuo studio, Justin?” Urlò dalle scale.

Jennifer si voltò sconvolta verso suo figlio. “Ma è sempre così?”

Steve annuì. “Crediamo che soffra di bipolarismo. Mentre la sbadataggine… bè, quella viene fuori quando è molto euforica.”

“Justiiiiiiiiiiin?”

Justin si alzò dal divano e scosse la testa. “Eccomi, eccomi!”

Era ormai arrivato alla porta quando si voltò a guardare Steve. “Ha prenotato l’albergo, vero?”

Steve annuì. “Puoi continuare a dormire tranquillo.”

“Grazie al cielo.” Sospirò sollevato prima di tirare fuori Vanessa dallo sgabuzzino e guidarla verso la sua stanza.

 

 

 

 

 

Brian mise giù il ricevitore e si massaggiò stancamente gli occhi.

Dio, non vedo l’ora di andare a casa…

Sorrise quando pensò che magari Justin avrebbe potuto sganciarsi da quella specie di sanguisuga di New York e fare un salto al loft dopo cena, per replicare la piacevole mattinata che avevano avuto.

I suoi pensieri – diventati improvvisamente tutt’altro che casti – furono interrotti da Cynthia.

“Brian, scusa, ci sarebbe una persona per te.”

L’uomo aprì gli occhi. “Chi cazzo è a quest’ora?”

“Una ragazzina, a dir la verità.”

“Fammi indovinare.” Brian si stiracchiò le spalle. “Capelli rossi, nasino all’insù e lingua tagliente?”

Cynthia lo guardò incerta. “Dice di essere la sorella di Justin.”

“Falla passare.”

La donna annuì; un minuto dopo, Molly faceva irruzione nell’ufficio di Brian.

“Però!” Diede un’occhiata in giro. “Te la passi bene, Kinney!” Si avvicinò a lui e si sedette sulla scrivania come fosse di sua proprietà, sfoderando un sorriso a trentadue denti. “Che combini?”

Brian inarcò un sopracciglio. “Lavoro. Al contrario di te, piccola Taylor.”

Molly prese ad osservare l’ampio soffitto, per nulla toccata dalla frecciatina di Brian. “E di preciso che cavolo fai qui dentro?”

Brian inclinò il capo. “Ma non hai nessun’altro da tormentare?”

“Tu sei diventato il mio bersaglio preferito.” Si strinse nelle spalle. “Quello cos’è?”

“Cosa?” Chiese Brian esasperato.

“Quello.” Scese dalla scrivania con un saltello e corse in fondo all’ufficio. “Wow! Un tappeto elastico!” Gli rivolse un’occhiata saccente. “E così che lavori, grand’uomo?”

“È per lavoro. Devo preparare una campagna pubblicitaria per quei cosi.” La informò Brian, alzandosi dalla poltrona. “E non ti azzardare a salirc…”
”Che forza!” Gridò eccitata iniziando a rimbalzare su e giù. “Guarda! Meglio di una pallina da tennis!”

“Molly?” L’uomo incrociò le braccia al petto. “Mi ripeti la tua età?”

Molly gli fece una linguaccia. “Diciotto anni appena compiuti.”

“E non hai di meglio da fare che saltellare su un tappeto?”

“Mi diverto a tormentare te!”

Brian roteò gli occhi. “Sì, a parte quello.”

“Che dovrei fare?” Chiese, facendo una piroetta in aria.

“Quello che fanno gli adolescenti! Esci, bevi, fuma, scopa!”

Molly sbuffò annoiata. “E al tuo noiosissimo e iperprotettivo fidanzato glielo spieghi tu?”

Brian ci pensò su. “Buon argomento.”

“Aspetta!” Molly si bloccò di colpo.

“Cosa?”

“Potresti farlo!”

Brian sbuffò seccato, aprendo la sua bottiglia d’acqua e bevendone un sorso. “Fare cosa, piccola Taylor?”

“Dire a Justin che deve lasciarmi fare sesso!” Molly vide Brian diventare tutto rosso mentre tossiva furiosamente, sputando acqua da tutte le parti.

“Tutto ok?”

Brian le lanciò un’occhiataccia; piccola stronza, non si era neppure mossa di un centimetro! Lui avrebbe potuto morire soffocato a causa sua e lei non ne sembrava minimamente toccata. “Io dovrei dire a Justin, che con te si comporta come una specie di carceriere, che deve lasciarti fare sesso?” Molly annuì. “Tu sei matta.”

“Andiamo!” Scese dal tappeto e si avvicinò a lui scalza. “Mi hanno sempre detto che tu eri il peggior bastardo di questo mondo, che ti scopavi qualunque cosa si muovesse, senza preoccuparti di stronzate come i rimpianti o i sensi di colpa!”

“Credo che dovresti rivedere il tuo forbito dizionario, Molly, se non vuoi che tua madre ti metta in punizione fino alla pensione.”

“Fanculo la pensione! E fanculo le punizioni!” Sbottò lei e Brian non poté fare a meno di sorridere; mai come in quel momento, Molly gli aveva ricordato un ragazzino biondo che tanti anni prima aveva sentito mandare a fanculo sua madre e lo strizzacervelli da cui lei lo aveva portato.

“Tu riusciresti a convincerlo che Bradley è quello giusto!”

Brian inarcò un sopracciglio. “E lo è?”

“Per favore…” Molly sbuffò rumorosamente. “Adesso non iniziare con le stronzate da la prima volta deve essere speciale, è importante essere innamorati e bla bla bla perché ne ho sentite anche troppe!”

“Non sono proprio il tipo.”

“Mi fa piacere saperlo.”

Brian incrociò le braccia al petto e la fissò. “Quindi sei convinta.”

Molly annuì. “Voglio dire, ho un ragazzo carino, gentile, che tiene a me. A che serve aspettare?”

“Magari potresti incontrare qualcuno che ti piaccia di più.” Scosse le spalle. “Dalla tua descrizione non mi sembra che ci siano scintille di quel genere tra voi.”

“Che vuoi dire?”

“Che con carino e gentile descrivo il commesso che mi aiuta a scegliere una camicia, non il mio ragazzo.”

“E che dovrei volere?” Molly si lasciò cadere sul divano. “L’incontro con il principe azzurro sul cavallo bianco?”

Brian sorrise. “Proprio come nelle fiabe. Non è quello che sognano tutte le ragazze?”

“Certo, ma mentre la dodicenne che è in me aspetta, la diciottenne ha deciso di fare sesso.”

“E se la dodicenne non fosse d’accordo?”

Molly scosse le spalle. “Che vada al diavolo.”

“Di cosa hai paura, Molly?” Brian inclinò il capo, scrutandola a fondo. “Avrai tempo per tutto, sei giovane.”

Molly sospirò, appoggiando le gambe sul tavolinetto davanti a lei. “Ma forse certe esperienze andrebbero fatte a questa età.”

“E chi lo dice? Non c’è mica una regola.”

“Quanti anni avevi quando hai perso la verginità?”

Brian roteò gli occhi. “Non c’entra niente. Io sono sempre stato un po’… precoce.

“Ok.” Molly lo guardò con un sorrisino. “Altro esempio. Sai quanti anni aveva Justin quando ha fatto sesso per la prima volta?” Si colpì la fronte con una mano. “Oh, ma che sbadata! Certo che lo sai! Era con te!” Concluse pungente.

Brian scosse la testa con un sorriso. “Bel colpo, te lo concedo.”

“E anche Daphne…”

“Oh, ma per favore!” Le si avvicinò serio. “Lascia perdere me, Justin, Daphne o chiunque altro. Tu non sei noi, tu sei Molly. E nessuno può dirti come vivere la tua vita.”

“Io non voglio…” Molly si morse un labbro imbarazzata, abbassando lo sguardo. “Non voglio essere noiosa; voglio godere di tutto quello che la vita può offrirmi e ho paura che se mi perdo queste esperienze potrei rimpiangerlo! Ho paura di rimanere per sempre la brava ragazza, quella che non rischia, quella affidabile, quella sempre responsabile! Voglio… avere i brividi! Per una volta nella mia vita, vorrei davvero provare qualcosa di vero, di nuovo.”

“Quindi è tutto qui? Ti spaventa la noia?”

Lei annuì. “Una ragazza noiosa. Voglio dire, guardami! Una ragazza noiosa che si confida con un noioso uomo di mezza età.”

“Ehi!” Si risentì Brian. “Io ho trentasei anni!”

Molly alzò le mani in segno di resa. “Guarda che non è mica una critica!”

“Mezza età…” Borbottò l’uomo ancora scioccato.

Molly si passò una mano sul viso e scosse la testa, sfoderando di nuovo il suo solito sorriso. “Ok, adesso basta piagnistei. Non mi piace sentire la gente che si lagna e, a maggior ragione, odio quando lo faccio io. Quindi consideriamo chiuso questo discorso, ok?”

“Era ora… Non sono uno psicologo, io.”

“Giusto!” Batté le mani eccitata. “E sai cosa sarebbe assolutamente non noioso?”

“Buttarti fuori dal mio ufficio?”

Molly non raccolse. “No! Questo!” Corse verso di lui e lo prese per un braccio, trascinandolo sul tappeto elastico e iniziando di nuovo a saltellare come una bambina di cinque anni; Brian la guardò perplesso.

“Credi davvero che mi metterò a saltellare come un cazzo di coniglio?”

Molly annuì. “Dai! Non farti pregare! Aiuta a scaricarsi! Guarda me! Sto già meglio!”

“Non ci penso proprio!” Voltò le spalle alla ragazza che, prima di trovarsi fuori dalla sua portata, gli saltò sulle spalle, facendolo sbilanciare all’indietro. Caddero entrambi sul tappeto.

“Cazzo, Molly!” Si mise seduto e la guardò preoccupato. “Ti sei fatta male?”

Molly lo guardò a occhi sgranati prima di scoppiare a ridere, tendendosi la pancia. “Oddio, è stato fantastico!”

Brian scosse la testa, rigettandosi sul tappeto senza parole. “Parola mia, piccola Taylor, non ho mai incontrato qualcuno più matto di te.”

Molly cambiò posizione; si sistemò con le gambe fuori dal tappeto, proprio dalla parte opposta a dove si trovava Brian, e posizionò il viso alla stessa altezza di quello dell’uomo. “Ed è un bene o un male?”

“Non l’ho ancora capito. Passi da una crisi all’altra senza nemmeno rendertene conto.”

Rimasero in silenzio per un po’ a guardare il soffitto color crema.

“Brian?” Parlò di nuovo Molly dopo un paio di minuti, temendo che si fosse addormentato.

“Mh?”

“Se ti chiedessi di dirmi la verità, lo faresti?”

“Certo.”

Molly si morse un labbro; sollevò il busto e si allungò per arrivare alla tracolla gettata a terra; ci frugò dentro e ne estrasse alcuni fogli. Poi si sdraiò di nuovo. Brian la sentì sospirare. “Tutto ok?”

“Ho fatto dei… disegni.”

Brian si sollevò su un gomito e si voltò a guardarla. “E…?”

“Vorrei che mi dicessi che cosa ne pensi.”

“Io?”

Molly annuì. “Ti prego.”

Brian alzò scocciato gli occhi al cielo. “Dai qua.” Iniziò a sfogliare le pagine. “Che poi perché io? Potevi chiedere a Justin!”

“Perché non ti conosco bene. Sono quasi una sconosciuta per te, e se fanno schifo non avrai problemi a dirmelo visto che tutti non fanno che ripetermi quanto tu sia schietto e diretto. E se fanno schifo, non dovrò subire l’umiliazione che qualcuno della mia famiglia li abbia visti.”

“Ottimo ragionamento.” Aggrottò le sopracciglia e si girò verso Molly. “Ma questi sono…?”

La ragazza annuì. “Sono degli schizzi, però volevo un parere che non fosse il mio…”

“Bè, Molly, io non me ne intendo, ma…” Continuò a sfogliare. “… per me sono buoni.”

Molly sorrise incerta. “Davvero?”

Brian annuì. “Dovresti mostrarli a qualcuno, a tua madre magari.”

“Assolutamente no.”

“Bè…” Si sdraiò di nuovo posando i disegni accanto a lui. “Questa è di sicuro una cosa che non ci si aspetta da una ragazza noiosa.”

Molly si strinse nelle spalle, guardando il lampadario. “Vorrà dire che troverò qualche altro modo per diventare interessante.”

“Spero che l’omicidio non sia un’opzione.”

“Chi può dirlo?” Molly sorrise.

Nonostante non lo conoscesse bene, si sentiva a suo agio a parlare con Brian.

Non era prevedibile, non si sforzava di essere sempre l’adulto che deve dispensare consigli alla povera adolescente confusa, non si poneva come esempio di virtù; era sincero, franco e onesto. Ciò che pensava, diceva, senza remore o preoccupazioni.

E di sicuro non amava i giri di parole.

Era quasi come chiacchierare come un ragazzino intrappolato nel corpo di un trentaseienne; era incredibilmente liberatorio non sentirsi giudicati, non sentirsi sminuiti… parlare con lui era… semplice.

Sorrise.

Forse era quello che aveva fatto completamente rimbecillire Justin?

 

 

 

 

 

 

 

Ok, piccola premessa! Questo capitolo fa schifo!! Lo so da sola, non è necessario lasciare insulti e minacce nelle recensioni :D, soprattutto dopo il sesto che è finora il mio preferito e che credo sia il miglior capitolo che io abbia scritto.

Quindi vi prego di avere pietà!

Allora, qualcosa da segnalare? Ah sì! Finalmente abbiamo conosciuto Vanessa, la dispotica e pazzoide gallerista di Justin; ok, magari è un po’ sopra le righe ma era esattamente così che la immaginavo. Bella e inarrestabile. Che ve ne pare dell’idea della mostra? Ho voluto inserirla per poterla alternare alla questione matrimonio e non diventare così troppo noiosa.

La scena dei nostri Britin non era in programma ed è stata aggiunta dietro prezioso suggerimento! Spero che non sembri troppo... non lo so come deve sembrare, spero solo che vi piaccia! :D

Poi ci sono Hunter e Lane: Lane è un altro personaggio che non avrebbe dovuto esistere, ma che ha preso vita senza che me ne accorgessi. Ho pensato che ad Hunter avrebbe fatto bene avere una donna di polso accanto, che lo faccia ragionare ogni tanto e che, perché no? Si prenda cura di lui. Amo molto la loro amicizia perché è naturale, semplice, senza drammi o problemi… questo però non vuol dire che rimarrà tale, o che non lo rimarrà! Come vi ho detto la storia prende forma poco alla volta e anche se ho uno schema generale in mente, alle volte la mia testolina bacata va da tutt’altra parte!

E infine Molly e Bri di nuovo! Sì, so che state pensando! Ancora??? Ok, lo so, lo so! Sono stata ripetitiva, ma avevo bisogno di questo passaggio per qualcosa che avverrà in seguito (capirete piano piano) e ho dovuto necessariamente inserirlo qui, altrimenti mi avrebbe modificato i piani generali.

Detto questo, però continuo a non essere convinta di quella parte… comunque il giudizio finale spetta a voi! Vi prego di essere clementi, ricordatevi che vi voglio bene e che sono facilmente impressionabile :D

 

Ora i ringraziamenti!!

 

 

Jen78:  Bè, che dire?? Dopo tutti questi complimenti non posso che ringraziarti immensamente. Sono felice che il capitolo ti sia sembrato verosimile e devo confessarti una cosa: la scena di Brian che attraversa la strada non doveva esserci, lui doveva solo arrivare e fare confusione con Serena, ma poi mentre scrivevo ho visto la scena proprio davanti a me e non ho potuto non inserirla! Molly mi piace un sacco, anche perché è quella con cui più mi posso esprimere dato che è un mio personaggio e mi diverto a scrivere di lei.

Mi fa piacere vedere che tu abbia percepito l’atmosfera calda e familiare… il mio intento era proprio quello di scrivere qualcosa di tranquillo e rassicurante, dato che QaF è anche questo: famiglia.

 

Elysenda: assillarmi??? Ma quando mai!! Ti giuro che leggere i vostri commenti mi diverte un mondo quindi puoi tranquillamente “assillarmi” quando e come vuoi! La scena del frigo, lo ammetto, è una delle mie preferite finora perché non avendola programmata è uscita fuori dal nulla e trovo che sia molto IC (scusa la modestia XD) e comunque è così, quei due sono proprio due calamite! Ma io li adoro!! Sono felicissima di essere riuscita a descrivere come volevo il rapporto tra Molly Pocket e JusJus e spero che ci saranno altri momenti come questo!! Per Emmett non ti resta che aspettare, ma ti posso anticipare che qualcosa succederà anche a lui (non posso lasciare il mio adorato solo soletto.) Grazie davvero per tutti i complimenti! Un bacio!

 

Kyelenia: non parliamo di astinenza da QaF perché non rispondo di me! Io sto rivedendo tutta la seconda stagione in inglese (perché per quanto ami il doppiatore di Brian, la voce del mio bellissimo, meraviglioso e bravissimo Gale non ha eguali!) e ti giuro che ci sono scene che ormai so a memoria in cui scoppio a ridere, o piango o rimango in attesa di vedere quello che succederà! Sono completamente pazza! Grazie mille per i chiarimenti sui termini (ad essere sincera non avevo voglia di controllare su dizionari vari quindi thank you!) e per quanto riguarda i momenti dei nostri piccioncini nel prossimo ci sarà qualcosa, ma ti prometto che andando avanti mi dedicherò a loro con più attenzione! Grazie mille ancora per tutti i complimenti… sapere che una storia di cui esistono centinaia di versioni e visioni vi appassiona così mi fa andare fuori di testa! GRAZIEEEEEE!!

 

13_forever: come vedi, mia cara, i tuoi preziosi consigli sono stati attuati con successo! Grazie ancora! Sentire i tuoi complimenti mi fa un immenso piacere, e vedere che riesco attraverso le mie parole a rendere reale, o comunque verosimile, una storia inventata mi fa arrossire fino ai capelli! Per quanto riguarda la tua domanda, anche io ho amiche del liceo che non sono propriamente simpatiche, ma con cui comunque conservo rapporti abbastanza civili… Serena non è una cattiva persona… è solo… leggermente eccentrica! Un bacio e al prossimo capitolo!

 

BritinLover: mi fa piacere che ti sia divertita a leggere questo capitolo… in effetti il mio intento era quello, alleggerire un po’ l’atmosfera e rallegrare la storia con qualche momento di quiete familiare. Grazie mille per i complimenti e al prossimo aggiornamento!

 

Mia85: anche io adoro Emmett, trovo che sia un personaggio come pochi e mi dispiace che nell’ultima stagione non abbia avuto il suo lieto fine (ma del resto chi cavolo l’ha avuto, porca miseria?!); proprio per questo ho voluto renderlo un uomo in carriera, che al momento, e ribadisco AL MOMENTO, non è interessato all’amore… ma chi può dire cosa succederà? :D io no, dato che ancora non so dove andare bene a parare con lui! Lieta che ti sia piaciuta la scena iniziale e sì, sono d’accordo quando dici che forse Justin trascura un po’ il mio amatissimo, ma non volevo sembrare troppo monotematica e scrivere solo di loro (sebbene ne sarei capace, scriverei pagine e pagine solo su B e J e sui loro incontri di fuoco al loft! E in palestra, e alla Kinnetic, e a casa di Justin e… vabbè, hai capito, no? XD), comunque come ho già detto, con un po’ di pazienza mi dedicherò anche a loro (e questa volta come si deve, perché diciamolo francamente loro SONO QaF!)

Grazie mille per tutti i meravigliosi complimenti e credimi quando ti dico che siete tu e i tuoi commenti a rendere migliori le mie giornate, e non il contrario! Grazie davvero!

 

Tsubychan1984: ti chiedo umilmente scusa per non averti citato nello scorso capitolo, ma non mi ero accorta che avevi commentato, dato che la tua recensione era tra quelle del primo capitolo! Perdono! Per scusarmi ti do un succoso spoiler… per sapere cosa farà Justin dovrai aspettare solo il prossimo capitolo dove tutto sarà svelato! :D E sono felice che ti siano piaciute le scene tra i nostri meravigliosi B/J e quella a casa Bruckner/Novotny!! Grazie e spero che continuerai a leggere la mia storia!

 

EmmaAlicia79: Innanzitutto grazie mille per i meravigliosi complimenti, davvero non li merito! Secondo, sono felice che il capitolo ti sia piaciuto (e spero che apprezzerai anche questo!)... Per quanto riguarda la tua domanda, qui ho iniziato già a spiegare cosa ha in mente Vanessa, ma sono sicura che un vulcano come lei non si fermerà qui! Chissà quante altre cose ha in serbo per Justin! Mel e Linz, voglio tranquillizzarti, torneranno presto! Rimarranno?? Tutto da vedere! Nel frattempo, continua a seguirmi!! Grazie ancora!

 

Grazie come sempre a tutti quelli che dedicano un parte del loro tempo a leggere la mia storia, ne sono davvero onorata!

A presto!

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Capitolo 8
*** Regrets ***


8. Regrets

 

 

 

 

 

Brian si stiracchiò, alzandosi dal letto; si passò una mano tra i capelli arruffati e, ancora mezzo addormentato, si diresse verso il salotto.

“Sì, mamma… certo, ho capito… una vera tragedia, sì…” Justin, voltato di spalle, parlava al telefono con sua madre, senza in realtà prestarle alcuna attenzione. Teneva il cordless incastrato tra la spalla e l’orecchio, mentre continuava tranquillamente a disegnare, chinato sul tavolinetto davanti al divano. “… ma non sei riuscita a rintracciarlo, ho capito… me l’hai già detto.” Fece una pausa, scuotendo la testa; Brian immaginò che avesse alzato gli occhi al cielo. “Sì, mamma, sono sicuro… tre volte.”

Brian andò verso la cucina senza fare rumore e si attaccò al cartone del succo d’arancia posato sul tavolo, poi tornò al centro del salotto e rimase a fissare Justin in silenzio.

Possibile che si sentisse così tranquillo solo a vederlo lì, tra le sue cose?

Possibile che il semplice fatto che borbottasse annoiato al telefono potesse fargli quasi scoppiare il cuore di gioia?

Scosse la testa con un sorrisino.

Fanculo, Sunshine… mi hai davvero fatto diventare patetico…

“Va bene, ti prometto che me ne occuperò io… certo al più presto… ok, ti faccio sapere domani… sì, domani mattina. Va bene, buonanotte mamma.” Concluse con tono esasperato. Posò la cornetta sul tavolo e riprese finalmente a disegnare. Un istante dopo, sollevò di nuovo la testa. “Posso sapere anch’io cos’è che ti fa sorridere?” Chiese, senza neppure voltarsi.

Brian inarcò un sopracciglio, muovendo un passo verso di lui. “E chi ti dice che stessi sorridendo?”

Justin si girò a guardarlo. “Te ne stai lì da un’ora a fissarmi come un maniaco.”

“Ascoltavo l’interessante conversazione tra te e tua madre.” Oltrepassò il divano e ci si abbandonò sopra. “Hai capito almeno mezza parola di quello che ha detto?”

Justin si strinse nelle spalle. “Ho fatto attenzione ai primi cinque minuti; i restanti venticinque sono stati solo una ripetizione.”

“E qual è il problema?” Lo abbracciò da dietro baciandogli una guancia. Lo sentì sospirare beato e sfregare il viso contro il suo.

“L’hotel in cui dovevano fare il ricevimento è pieno.”

“Mmm… bel casino.”

“Già. E Emmett non le risponde quindi crisi acuta.”

Brian affondò il viso nella sua spalla inspirando a fondo il suo odore. “Che hai intenzione di fare?”

Justin gli accarezzò i capelli. “Assolutamente nulla. Più tardi chiamerò Emmett e lui risolverà il problema.”

“Non mi sembri molto toccato.”

“Mia madre esagera. È solo un matrimonio.”

Brian gli mordicchiò il lobo dell’orecchio, facendolo sospirare pesantemente. “Vorrei ricordarti le gardenie dorate che Emmett fece arrivare da non so quale cazzo di paese solo perché qualcuno le voleva al suo, di matrimonio.”

Justin si voltò piano verso di lui e abbandonò la matita sul tavolo; con un sorriso, lo spinse sul divano e si sdraiò su di lui, prendendo a baciargli sensualmente la mascella. “Ma io sposavo Brian Kinney, non un Tuck qualunque.”

Brian chiuse gli occhi, abbandonando la testa sui cuscini bianchi con un sorrisino. “Credevo avessi detto che ti piaceva Tuck.”

“No.” Justin scese ad accarezzargli il collo con la lingua. “Ho detto che rendeva felice mia madre e che per me andava bene, ma non mi abituerò mai a vedere qualcuno con lei. Penso che nessuno sia alla sua altezza.”

“Jennifer è una donna intelligente e se ha scelto lui un motivo ci sarà; ho sempre ammirato il fatto che avesse più palle lei di molti uomini che conosco.”

Justin si staccò da lui e lo guardò con un sorriso stupito. “E da quando sei diventato un così accanito fan di mia madre?”

Brian scosse le spalle. “A parte le… incomprensioni iniziali, mi pare che io e lei siamo sempre andati d’accordo.”

“Lo so, ma credevo che da quando…” si morse un labbro incerto “… insomma con New York e tutto il resto, voi due…”

L’uomo lo attirò di nuovo a sé, facendogli posare la testa sul suo petto e prendendo ad accarezzargli i capelli. “Mentre eri… via, ci siamo visti qualche volta.” Confessò.

Justin chiuse gli occhi, rilassandosi contro il corpo muscoloso di Brian. “Non me l’avevi detto.”

“Non me l’avevi chiesto.”

Il ragazzo sospirò sorridendo. Era inutile provare a vincere con lui. “E che vi siete detti?”

Lo sentì stringersi nelle spalle. “Niente di che; abbiamo parlato del suo lavoro, del mio, di Molly e della scuola… era curiosa di sapere come me la passavo.”

“E come te la passavi?”

“Alla grande.” Brian lo strinse di più a sé. “Soprattutto da quando il mio stalker personale si era trasferito in un’altra città, lasciandomi finalmente in pace dopo cinque anni.” Justin lo colpì allo stomaco.

“Ahia!” Protestò.

“Io invece ho sentito dire che è tornato in città.”

Brian trattenne il fiato fingendosi spaventato. “Oh no, adesso non potrò più uscire di casa.” Sorrise sfregando il naso contro i capelli di Justin. “Sai, quel ragazzino aveva una vera e propria adorazione per me. Sebbene fosse comprensibile…”

Justin stette al gioco. “Io invece non lo comprendo affatto; voglio dire, era bello, giovane, avrebbe potuto avere chiunque, ma lui continuava ad intestardirsi con…”

“… il migliore, mio caro.”

“Avevo pensato ad un trentenne narcisista e vanitoso, ma posso anche accettare il tuo suggerimento.” Gli baciò la mascella.

“E comunque ero un ventottenne.” Lo corresse Brian, accarezzandogli la schiena.

“Ventinovenne.” Justin ridacchiò. “Mi stupisce ancora come tu possa essere così preoccupato dalla tua età. Non lo sai che i migliori restano sempre tali?”

Brian sorrise. “L’ho sentito dire.”

Justin sollevò la testa e tornò a sovrastarlo, la mano destra immersa nei suoi capelli scuri. Sorrise. “E comunque sono felice che quel ragazzino assillante non si sia arreso al primo rifiuto.” Lo baciò appassionato.

Brian lo strinse forte, accarezzandogli sensualmente le labbra con la lingua. “Se vuoi la verità, anche io.” Vide Justin sorridere. “E ti dirò di più. Potrei anche abituarmi a vedere la tua testolina bionda che spunta da dietro il divano, tutta concentrata mentre disegna.”

“Déjà-vu?”

“Puoi dirlo forte.”

Justin scese a baciargli il collo. “Sarò sincero anch’io.” Insinuò una mano sotto la stoffa bianca della maglietta di Brian e gli accarezzò l’addome facendolo sospirare. “Anche io potrei riabituarmi a stare qui.” Sbottonò il primo bottone dei jeans. “Con te.”

Brian si passò la lingua sulla labbra, faticando parecchio a restare concentrato; non era facile con le mani di Justin che arrivavano ai suoi boxer. “Meglio di no.”

“Perché no?” Justin gli baciò il mento.

Un gemito soffocato sfuggì dalle labbra di Brian. “Non sarebbe una buona idea.”

“Io credo di sì.” Le carezze del ragazzo si fecero più decise e profonde.

“Non ho intenzione di… mmm…” si morse un labbro, socchiudendo gli occhi “…di affrontare di nuovo questo discorso.”

Justin mosse sadicamente il bacino contro il corpo di Brian. “Io invece sì.”

Brian riaprì gli occhi, sforzandosi per ritrovare la lucidità e bloccò la mano del ragazzo, per metà ancora nei suoi pantaloni. “Justin…” Sussurrò con voce roca, ma fissandolo serio.

Justin roteò gli occhi e sospirò annoiato. “Cosa?”

“Sai come la penso.”

“Sì, lo so.” Sfilò la mano dai jeans e la posò sul petto di Brian, guardandolo dritto negli occhi. “Ma hai appena detto che forse potresti riabituarti a…”

“Stavo solo scherzando.” Tagliò corto.

“Bè, io no.”

Brian si strinse nelle spalle. “È un tuo problema.”

“Veramente il mio problema qui sei tu.” Gli batté l’indice sul petto. “E la tua cocciutaggine.”

“Senti da che pulpito…” Borbottò Brian.

“È sempre la solita storia, Brian. Devi sempre essere tu quello al comando, quello che ha il controllo…”

“E mi sembra che finora le cose sia andate bene così.”

Justin lo guardò male. “Nel caso non te ne fossi accorto, non sto ridendo.”

“Ma non era una battuta, Sunshine.”

“Che male ci sarebbe?” Justin lo fissò con aria interrogativa. “Non dico di tornare a vivere a Pittsburgh in pianta stabile e lasciar perdere New York…”

“Sono lieto di sentirlo.” Brian inarcò un sopracciglio. “Perché sarebbe una vera cazzata.”

“… però potrei… che so, iniziare col tornare durante i weekend, o le festività o…”

“E cosa cambierebbe?”

“Cambierebbe che potremmo stare insieme.” Justin gli accarezzò una guancia e sospirò.

Brian chiuse gli occhi, inspirando piano.

Sapeva che sarebbe finita così, l’aveva previsto fin dalla prima volta che l’aveva rincontrato nel salotto di Debbie: sapeva che sarebbero finiti di nuovo a letto insieme quella sera stessa, sapeva che avrebbero ripreso la loro storia esattamente da dove l’avevano interrotta e sapeva anche che Justin avrebbe intavolato quel discorso con lui. Ormai lo conosceva bene. Forse meglio di quanto conoscesse se stesso.

E la cosa peggiore era che sapeva benissimo anche come sarebbe andata a finire: Justin che torna per il fine settimana, felice come un bambino il giorno di Natale, Justin che riparte la domenica sera con aria afflitta, Justin che inizia a fargli sorprese tornando prima del previsto o rimanendo più a lungo del dovuto finché New York e la sua carriera non diventeranno altro che un effetto collaterale, una realtà dolorosa dalla quale fuggire, la prigione che lo tiene lontano da Pittsburgh… e da lui.

Non importava quanto si sentisse completo e in pace con lui accanto, non importava che il suo cuore si fosse quasi fermato quando l’aveva stretto di nuovo tra le braccia, non importava che quando Justin aveva espresso il suo desiderio di tornare da lui, per un attimo, c’aveva quasi sperato e dentro di sé aveva quasi sorriso, immaginandolo di nuovo al suo fianco, ogni giorno e ogni momento.

Non poteva chiedergli un sacrificio del genere, non aveva voluto in passato e non avrebbe accettato nemmeno adesso.

Non poteva e non voleva.

Per il bene di Justin.

Per il bene della persona più importante della sua vita.

“Non credo sia una buona idea.”

Justin aggrottò la fronte. “Perché no?”

Brian si passò una mano sugli occhi. “Perché non erano questi i patti.”

“Me ne frego dei patti!” Sbottò il ragazzo frustrato. “Non ce la faccio più, Brian! Mi sembra che ogni giorno sia senza senso! Credevo che tornare qui mi avrebbe fatto capire che avevo fatto la scelta giusta, che avrei dovuto essere grato per quello che ho a New York!”

Brian gli passò una mano tra i capelli chiari. “E invece?”

Justin scosse la testa con un groppo in gola. “Invece è tutto uno schifo.” Sussurrò piano. “Invece mi sento uno stronzo ingrato che anziché ringraziare il cielo per quello che ha e per quello che è, non fa altro che tormentarsi pensando a ciò che la sua vita avrebbe potuto essere rimanendo…”

“… incastrato qui?”

“… accanto alla persona che ama di più al mondo.” Sospirò e poggiò stancamente la testa sul petto di Brian, annegando nel suo profumo.

Brian lo strinse con entrambe le braccia e gli baciò i capelli. “Lo so.” Disse solo.

Il silenzio calò pesante tra loro, finché Brian non parlò di nuovo.

“Aspettiamo, ok?” Suggerì incerto, quasi timoroso. “Rimandiamo tutto a dopo il matrimonio.”

Justin sospirò contro la sua maglietta. “E cosa cambierebbe?”

“Forse tutto, forse niente.” Gli massaggiò dolcemente una spalla.

“Non mi stancherò di starti attorno, lo sai vero?” Justin sorrise e, senza nemmeno alzare il capo, seppe che anche Brian lo stava facendo.

“Magari potrei stancarmi io di te.” Lo punzecchiò.

Justin sbuffò scettico. “Per favore, saresti perso senza di me.”

“Se per perso intendi libero e felice allora sì, sarei davvero perso.”

Justin lo colpì di nuovo alla pancia, facendolo lamentare. “È inutile che fai il brontolone, ti conosco meglio delle mie tasche.”

“O forse credi di conoscermi, Sunshine.” Brian trattenne a stento un sorrisetto. “Magari in questi due anni, potrei essere diventato un maniaco serial killer.”

“Bè, maniaco lo sei sempre stato.” Justin gli posò un bacio leggero sul collo.

Brian sorrise, immergendo le dita nei suoi capelli e sentendolo sospirare. “Non raccolgo le provocazioni.” Gli sfiorò il mento con la mano libera. “Allora, discorso rimandato?”

Justin ci pensò un attimo, poi annuì, sfregando il viso sul petto di Brian. “Ok.” Cedette ancora poco convinto. “Ma solo fino al matrimonio.”

“Affare fatto.”

“Brian.” Sollevò il viso e fissò serio negli occhi l’uomo che amava. “Non credere che mi arrenda così facilmente.”

“Non l’ho mai pensato.” Osservò Brian contrariato.

“Bene, perché non ne ho nessuna intenzione. E voglio che tu sappia che il quindici aprile, quando mia madre e Tuck saliranno in macchina per andare in aeroporto, tu ed io avremo un bel discorso da fare.”

Brian roteò gli occhi. “Va bene, Justin, ho capito.”

“Volevo solo mettere in chiaro le cose.” Posò di nuovo il capo sul suo petto. “E inoltre…”

Lo squillo del telefono pose fine alle lamentele del ragazzo, facendo sospirare sollevato Brian; si alzò dal divano e si diresse verso il bancone della cucina. “Salvato in corner…” Lo canzonò.

La testa di Justin emerse da dietro la spalliera del divano; inarcò un sopracciglio e scosse il capo.

Brian afferrò il telefono, riavvicinandosi al divano, e schioccò un rapido bacio sulle labbra di Justin prima di rispondere. Il suo sorriso si allargò quando udì la voce allegra che lo salutava dall’altro capo. “Ehi, figliolo.” Accarezzò i capelli di Justin e si sedette di nuovo accanto a lui. Il ragazzo appoggiò la testa contro la sua spalla e intrecciò le dita con quelle di Brian.

“No, non stavo dormendo.” Sbuffò, alzando gli occhi al cielo. “Bè, puoi dire a mamma Mel che non sono ancora così vecchio da andare a dormire alle otto e mezza.”

Justin ridacchiò contro il suo collo.

“Allora, che si dice di bello a Toronto?”

Brian sorrise, sistemandosi meglio sul divano e passando un braccio attorno alla vita di Justin, mentre suo figlio iniziava il resoconto dettagliato della sua stressantissima settimana di studente e fratello maggiore. Abbozzò un sorriso quanto udì la piccola Jenny Rebecca gridargli contro qualcosa di indefinito poco prima che Gus le intimasse senza troppi giri di parole di chiudere il becco e levarsi di torno.

“E con quella tua amichetta come va?” Justin inarcò un sopracciglio e guardò Brian con un sorriso divertito. “Ah sì, Holly.” L’uomo rise alla risposta indignata di Gus. “Devi abituarti, figliolo. Non sarebbero ragazze se non fossero strane.”

“Bell’insegnamento…” Sussurrò Justin.

Brian gli sorrise fiero. “No, per favore, non ascoltare quello che dicono le mamme. Chiedi sempre a tuo padre.”

Justin ridacchiò. “E tu che ne sai di donne?”

Brian gli mordicchiò l’orecchio. “Non distrarmi quando insegno, Sunshine.”

Gus continuò a parlare per un’altra mezz’ora, finché Linz non fece irruzione nella sua stanza, rubandogli il telefono e ordinandogli di mettersi il pigiama e filare a letto; il ragazzino sbuffò contrariato. “Ma mamma! Devo raccontare ancora un sacco di cose a papà!”

Linz inarcò un sopracciglio. “Ti prometto che domani continuerete. Adesso a nanna!”

“Mami, ti prego…”

La donna sospirò e tese una mano per avere il telefono. “Va’ a lavarti, mettiti il pigiama e prepara lo zaino. Quando hai finito, ti faccio salutare papà, ok?”

Gus annuì afflitto. “Uffa…” Lo sentì borbottare sua madre mentre si avviava verso il bagno.

Linz scosse la testa. “Diventa ogni giorno più testardo.” Si lamentò alla cornetta. “E indovina di chi è la colpa?”

“Anche io sono felice di sentirti, Peterson.” Brian sorrise. “Come stai?”

Justin si alzò dal divano e si diresse a passo lento verso il bagno, immaginando che Brian e Lindsay volessero chiacchierare un po’ senza terzi incomodi ad impicciarsi. “Vado a farmi una doccia.”  Sussurrò all’uomo che annuì appena. “Ok.”

“Ok, cosa?” Chiese Lindsay confusa.

“No, scusa, non dicevo a te.” Brian si sdraiò di nuovo sul divano.

Linz sorrise, sedendosi sul letto di Gus. “Allora le voci sono vere!” Rise allegra. “La Bella è tornata finalmente dalla Bestia.”

Brian grugnì. “Non so di cosa tu stia parlando.”

“Lui come sta? L’ho visto qui a Toronto poco tempo fa.”

“Sì, me l’ha detto. E mi ha anche detto che gli è quasi venuto un colpo quando ha visto Gus.” L’uomo sorrise appena.

“Ci credo! È diventato praticamente la tua fotocopia!”

“Sarà contenta Melanie…” La stuzzicò.

Lindsay rise. “Tu piuttosto come stai, uomo d’acciaio?” La donna cercò di utilizzare un tono di voce scherzoso, ma era certa che il suo migliore amico avesse chiaramente percepito la sua apprensione. Brian la conosceva troppo bene e da troppo tempo.

Ed era inutile fingere che non fosse preoccupata per lui.

Il ritorno di Justin doveva averlo… destabilizzato, o quantomeno colto di sorpresa.

“Sto bene, Linz.” Disse solo. “Non sono un bambino per cui devi stare in ansia. Per quello c’è Gus.”

“Che mi dà il suo bel daffare, non credere sai?” Si passò una mano sugli occhi.

“Mi ha parlato di questa ragazzina, Holly.”

Linz sorrise, cogliendo al volo il cambio di argomento; tuttavia preferì non insistere. “È una sua compagna di classe. Educata, gentile, è venuta anche a pranzo da noi qualche giorno fa.”

Brian inarcò un sopracciglio. “Davvero? Allora è una cosa seria.”

“Scemo.” Linz si alzò dal letto e andò verso la porta. “Gus, ti avverto che SE non sei qui entro cinque minuti, saluto papà da sola!”

“Cazzo!” Brian staccò l’orecchio dal ricevitore. “Ma sei matta?”

“Tuo figlio è quasi più vanitoso di te, lo sai?”

Brian sbuffò. “Quindi se è vanitoso e cocciuto come me, dalla sua dolce mamma cosa avrebbe preso?”

“L’intelligenza, la bellezza e la creatività!” Rispose prontamente Lindsay.

“Ovviamente…”

“Oh, a proposito… ringrazia ancora Justin per il suo bellissimo regalo. Gus lo adora!”

“Che regalo?”

“Prima che tornasse a New York, ha portato qualcosa ai bambini e Gus si è guadagnato un bel set di colori, pennelli e matite, molto simile a quello che avevamo regalato io e Mel a lui.”

Brian roteò gli occhi. “Mi mancava un altro artista con cui avere a che fare. Siamo già a quota tre.”

“Ma smettila, antipatico!” Linz scosse la testa. “Comunque volevo comunicarti che presto verremo a trovarti.”

“Davvero?” Brian aggrottò la fronte, poi si ricordò. “Ah, l’invito è già arrivato?”

“Stamattina. Ma davvero Jen si sposa?” Linz sembrava leggermente incredula. “Justin come l’ha presa?”
Brian lanciò un’occhiata rapida verso il bagno. “Sorprendentemente bene. Credevo avrebbe dato di matto e invece…”

“È inutile.” Fece Lindsay quasi delusa. “Rimane sempre il più maturo fra tutti noi, incredibile.”

Brian sospirò senza dire nulla. “Quindi quando dovreste arrivare?”

“Ancora non lo sappiamo… voglio dire, il matrimonio è ancora abbastanza lontano, però ci piacerebbe tornare prima approfittando delle vacanze di primavera, così Gus non perderà giorni di scuola.”

“E quando inizierebbero le vacanze?”

“Alla fine della prossima settimana.”

“Quindi ci stareste anche coi tempi. Perfetto, no?” Linz annuì. “Dove starete?”

“Non so, forse in hotel, dobbiamo ancora decidere.”

Brian alzò gli occhi al cielo. “Veramente la mia domanda era se starete da Michael, da Debbie o da me.”

Lindsay rise. “E dove dovremmo metterci tutti e quattro nel tuo loft?”

“Troveremmo un modo, ma sono certo che supernonna non vi lascerebbe mai venire nell’antro della perdizione.”

“E nemmeno Michael e Ben, se è per questo.”

“Ah già, dimenticavo le due mogliettine apprensive.”

“Brian…” Lo rimproverò scherzosamente la donna. “I bambini non vedono l’ora di tornare, soprattutto Gus.”

“Già.” Brian sospirò. “Mi dispiace che a Natale io sia potuto rimanere così poco. Avrei voluto passare più tempo con lui.”

“Recupererete quando torneremo a Pittsburgh, papà.”

“Non vedo l’ora, mamma.”

Linz abbozzò un sorriso. “Mi manchi, lo sai, Bri?”

Brian chiuse gli occhi e poggiò la testa contro la spalliera del divano. “So che sono difficile da dimenticare.” Scherzò. “È per questo che Mel è così gelosa.”

“Forse hai ragione.” Rise divertita. “Ma Gus non è l’unico felice di tornare.”

Brian sorrise. “Fammi sapere la data, vengo io all’aeroporto.”

“Grazie.” Schioccò un bacio attraverso la cornetta. “Come farei senza di te?”

“Davvero non lo so, Linz.”

“Oh, finalmente!” Esclamò Lindsay ad alta voce. “Papà stava per andare a letto.”

Gus rientrò in camera con aria imbronciata. “Jenny mi ha fatto perdere tempo.”

Sua madre scosse la testa. “Bri, buonanotte, ti voglio bene.”

“Smettila con queste smancerie davanti a mio figlio e passamelo.” Ribatté l’uomo con tono scocciato.

Linz passò la cornetta a Gus. “Saluta papà e poi di filato a letto. Non voglio ripeterlo.” Disse ferma. “Tra cinque minuti devi essere sotto le coperte.”

Gus sbuffò, alzando gli occhi al cielo; Linz si sforzò per non sorridere, trovandosi davanti la tipica espressione annoiata dei Kinney.

“Se n’è andata?” Gli domandò Brian quando la donna uscì.

“Sì, finalmente.” Rispose Gus, infilandosi a letto e spegnendo la luce. “Mamma ti ha detto che veniamo a Pittsburgh?”

Brian annuì. “Sì, proprio adesso. Sei contento?”

Il bambino sorrise nella penombra della sua cameretta. “Speriamo che zio Michael insista per tenersi Jenny così non starà sempre tra i piedi.”

“Sicuramente lo farà, conosci zio Michael.”

“E poi non andrò a scuola.”

“Buon per te, figliolo.”

“Ma la cosa più bella è che posso stare con te, papà.”

Brian rimase spiazzato per un attimo. “Anche io non vedo l’ora, Gus.”

“Davvero?” Chiese il bambino felice.

“Certo. Così passeremo un po’ di tempo tra uomini, che ne dici?”

“Che vorrei già che fossero le vacanze.”

Brian sorrise. “Arriveranno presto, vedrai. Ora, però vai a nanna prima che torni il grande capo.”

Gus rise. “Buonanotte, papà. Ti voglio bene.”

“Ti voglio bene anche io, Gus.” Abbassò la voce. “Ma non dirlo alla mamma, altrimenti diventa gelosa.”

Lo sentì ridere. “Ok, sarà un segreto tra noi.”

“Bravo il mio ragazzo. Notte, Gus.”

“Notte, papà.”

La comunicazione si interruppe e Brian posò il telefono sul tavolino davanti a lui.

“Quando parli con tuo figlio, sembri quasi un’altra persona.”

Brian si voltò a guardare Justin. “Da quanto sei lì?”

Il ragazzo scosse le spalle. “Da un po’. Non crederai di essere l’unico a poter fare il maniaco guardone.” Si avvicinò al divano, addosso solo l’accappatoio rosso di Brian.

“Sta molto meglio a te.” Gli fece notare l’uomo, accennando all’indumento.

Justin si sedette accanto a lui e lo baciò. “Non ci credo.”

La mano di Brian s’insinuò rapida sotto la cintura. “Resti qui stanotte?”

“Se vuoi…” Gli sussurrò malizioso. “Se non hai altri programmi…”

“Oh, Sunshine, ho molti programmi per stasera.” Mormorò sensuale contro il collo di Justin, mentre le carezze al di sotto dell’accappatoio si facevano più ardite. “E, sfortunatamente per te, ti riguardano tutti in prima persona.”

Justin sorrise, socchiudendo gli occhi. “Un vero peccato…”

“Già.” La bocca di Brian si avventò famelica sul suo petto; Justin, di riflesso, avviluppò le gambe attorno alla vita dell’uomo, attirandolo più vicino.

L’accappatoio finì ben presto sul pavimento, immediatamente seguito dai jeans e dalla maglietta di Brian; quando l’uomo prese a tracciare una scia di baci umidi sulla sua pelle, Justin ebbe come l’impressione di stare dimenticando qualcosa di importante.

C’era qualcosa che doveva fare o si sbagliava?

Cos’è che aveva promesso a sua madre?

Sospirò pesantemente nell’istante in cui le labbra di Brian superarono l’ombelico e si diressero più in basso. “Oddio…” Mugugnò con gli occhi chiusi, mentre scosse di piacere gli attraversavano il corpo. S’inarcò istintivamente verso Brian e si morse un labbro.

Ogni pensiero razionale scomparve dalla sua testa, così come l’importante promessa fatta a Jennifer.

 

 

 

 

 

Pieno? Come cazzo sarebbe a dire pieno?” Gridò Emmett, seduto al solito tavolo del Liberty Diner; Justin, seduto di fronte a lui, si strinse nelle spalle.

“Mia madre ha chiamato e le hanno detto che non hanno posti liberi fino a giugno.”

“Giugno?!” Emmett lo fissò allibito, voltandosi poi verso Ted, accanto a lui. “Giugno! Sono senza parole!”

Justin addentò il suo pancake. “Non so che dirti, Em.”

“È una tragedia! Una tra-ge-dia!” L’uomo si portò le mani alla bocca e assunse un’espressione allarmata. “Dovevate avvertirmi subito!”

“Ehi, calma principessa!” Lo rimbrottò Brian, seduto al bancone, di fronte a Debbie. “Noi l’abbiamo saputo solo ieri sera.”

Emmett inarcò un sopracciglio e incrociò le braccia. “Ieri sera? Voi l’avete saputo ieri sera e non avete pensato che avreste dovuto avvertirmi all’istante? Che cazzo avevate di meglio da fare?” Justin e Brian si scambiarono un’occhiata maliziosa e un sorrisino.

Ted si voltò verso il suo migliore amico. “Non posso credere che tu l’abbia chiesto davvero, Em. Ti serve forse un disegnino?”

Emmett si alzò dal tavolo, sfilando il giornale da sotto il naso del povero Ted che protestò con un debole “Ehi.” Arrotolò il quotidiano e colpì forte la testa di Brian che alzò lo sguardo e lo fissò come se fosse pazzo.

“Ma che cazzo di problema hai?”

“Il mio problema, mio caro, sei tu! Non avresti potuto per una volta, e dico una volta nella tua fottutissima vita, tenertelo nei pantaloni per il tempo di una telefonata? Sei sempre il solito egoista!”

“Brian non c’entra.” S’intromise subito Justin. “La colpa è mia, sono io che l’ho… dimenticato.”

Brian sogghignò. “Per parecchie volte, mi pare.” Il ragazzo lo fulminò con lo sguardo prima che Emmett lo colpisse di nuovo.

“Adesso te la sei cercata.” Gli disse Justin.

Brian si massaggiò la testa e guardò Emmett. “Quindi adesso che hai intenzione di fare, Fata Smemorina?”

Emmett grugnì contrariato e si voltò verso Debbie. “Debbie, non è che per caso conosci qualcuno che potrebbe avere una casa abbastanza grande per ospitare cinquanta persone e un matrimonio?”

Debbie lo fissò dispiaciuta. “Credo proprio che stavolta non saremo fortunati come per il matrimonio di Mel e Linz.”

“Calma, calma.” Lo rassicurò Ted prima che Emmett scoppiasse a piangere. “Ragioniamo: cos’è che ti serve esattamente? Di hotel ce ne sono parecchi a Pittsburgh.”

“Giusto, Ted ha ragione.” Justin sorrise ad Emmett. “Non hai altri posti che usi solitamente?”

“Certo che ce li ho, ma niente è adatto!” Strepitò isterico. “Non per il matrimonio di tua madre!”

Brian roteò gli occhi. “Ok, allora dicci esattamente cosa cerchi. Magari posso vedere se i clienti della Kinnetic sono…”

“Un posto grande.” Lo interruppe bruscamente Emmett facendolo sbuffare. “Per cinquanta persone, luminoso, elegante, spazioso. Non guasterebbe se avesse anche un grande giardino, nel caso volessimo sistemarci all’aperto.”

“Nient’altro?” Chiese sarcastico Ted.

“Una piscina sarebbe benvenuta.”

“Oh, certo! Come dimenticare la piscina?” Ted scosse la testa. “E le stalle e i campi da tennis dove li hai lasciati?”

Brian e Justin alzarono la testa di scatto e si guardarono ad occhi sgranati. “Britin!” Esclamarono all’unisono, facendo sobbalzare Emmett, Debbie e Ted.

“Chi?” Chiese la donna confusa.

“Sarebbe grandioso!” Justin scattò in piedi e corse da Brian che annuì concorde.

“Sarebbe perfetto. E tua madre potrebbe fare come vuole.”

Justin gli sorrise. “Per te è un problema?”

“Justin, è anche casa tua.” Lo rassicurò Brian. “L’ho comprata per noi.”

“Scusate!” Emmett li guardò scocciato. “Ci rendete partecipi di questo tenero siparietto?”

“Grazie.” Justin lo ignorò e diede un bacio appassionato a Brian, gettandogli le braccia al collo. Poi si voltò verso i suoi amici. “C’è un posto che devi vedere!”

“Che posto?” Chiese Ted curioso.

Justin s’infilò rapido il cappotto, mentre Brian si frugava nelle tasche; estrasse un mazzo di chiavi e ne stacco due. “Ecco qui.” Le passò a Justin e lo baciò di nuovo; il ragazzo gli accarezzò i capelli, sorridendogli raggiante.

“Ok, adesso basta smancerie! Che cazzo succede?”

Justin afferrò Emmett per un braccio e iniziò a trascinarlo verso l’uscita; quello, di riflesso, si attaccò al povero Ted, portandoselo dietro. “Fermo, Em! Io devo andare a lavoro!”

“Sciocchezze!” Si liberò dalla presa di Justin e si coprì la bocca con una mano per non essere udito dal diretto interessato. “Io non vado da nessuna parte con Justin in questo stato.” Sussurrò spaventato. “Chissà che robaccia gli avrà dato Brian per ridurlo così!”

“Em, non posso…”
Brian sbuffò nel suo caffé. “Sappi che ti detrarrò questa giornata dallo stipendio, Theodore.”

Emmett sorrise radioso. “Grazie mille, Brian!”

E senza dire altro, uscirono tutti e tre dal Diner, dirigendosi verso la macchina di Ted.

Fermata successiva: Britin.

 

 

 

 

 

Ted imboccò il viale costeggiato dai piccoli lampioncini di ghisa e proseguì fino alla villetta su due livelli che si scorgeva in lontananza; posteggiò l’auto davanti al portico in legno scuro e fissò ad occhi sgranati l’entrata della casa. Emise un lungo fischio. “Però! Questo sì che è un bel posto per vivere.”

Justin gli sorrise brevemente prima di aprire lo sportello e scendere dall’auto. I suoi amici lo imitarono.

“E quindi tu dici che possiamo usare questa reggia per il matrimonio?” Chiese Emmett ancora poco convinto. Justin non aveva voluto dir loro nulla riguardo il luogo in cui li stava portando; era rimasto muto come una tomba per tutto il viaggio, evitando la raffica di domande di Emmett.

Justin annuì. “Assolutamente.” Estrasse le chiavi e aprì la porta d’ingresso, precedendoli nel grande atrio principale.

Sulla parete in fondo una lunga scala di rovere scuro conduceva ad un balconcino sopraelevato attraverso cui si accedeva al piano superiore, a destra un elegante arco permetteva l’accesso a quello che sembrava il salone principale e a sinistra una doppia porta scorrevole si affacciava probabilmente sulla cucina – un grande bancone a mattoncini chiari proprio al centro della stanza diede ad Emmett la conferma delle sue supposizioni. Justin fece cenno ai due uomini di seguirlo nel salone sulla destra arrivando in una grande stanza luminosa con le pareti di legno ed un enorme camino, i mobili ancora coperti da teli bianchi. “Questo è il primo piano.” Spiegò Justin con un sorriso, allargando le braccia. “Attraverso la porta che sta sotto le scale si accede ad un salone più grande e al bagno padronale, mentre di là” indicò di fronte a loro “c’è la cucina, come avrete capito.”

Ted si guardò in giro con gli occhi sgranati. “Wow… L’interno è persino meglio.”

“È meravigliosa, dolcezza.” Emmett accarezzò la testa di Justin sorridendogli. Estrasse il suo Blackberry dalla tasca e iniziò a scrivere frenetico. “E sei sicuro che possiamo usarla per il matrimonio?”

Justin annuì, avvicinandosi ad uno dei divani e togliendo il telo che lo ricopriva. “Sicurissimo.”

Emmett fece un cenno col capo, gli occhi ancora fissi sullo schermo del cellulare. “E per il costo? Non vorrei che il preventivo che ho fatto a tua madre…”

“È gratis.” Chiarì immediatamente il ragazzo.

Emmett sgranò gli occhi. “Gratis?”

“Completamente.”

Ted si schiarì la gola. “E il proprietario che ne pensa?”

Justin sorrise. “L’hai visto prima, no?” Si strinse nelle spalle. “Mi sembrava d’accordo.”

Emmett e Ted si guardarono confusi per un attimo prima che Emmett trattenesse il respiro portandosi le mani al cuore e il suo prezioso Blackberry cadesse a terra con un tonfo sordo. “Cazzo…” Si lamentò raccogliendolo e tornando a fissare Ted con espressione allucinata. “Teddy! È la Casa Del Mistero!”

Ted spalancò la bocca. “No!”

Emmett allargò le braccia. “Per quale altro motivo Brian avrebbe dovuto acquistare una casa del genere quando aveva già il loft?”

Il suo amico lo guardò ancora poco convinto e mosse un passo verso il camino, iniziando poi ad osservare la stanza con attenzione. “Non avrei mai immaginato che la Casa Del Mistero fosse La Reggia Del Mistero!”

Emmett annuì concorde. “È impressionante…”

Justin ridacchiò. “Mi dite di che cazzo state parlando? Che cos’è la…”

“… Casa Del Mistero?” Gli chiese Emmett con un sorriso e scambiandosi un’occhiata divertita con Ted, ora davanti alla grande vetrata che affacciava ad est.

Justin annuì. “Sembra il titolo di un film horror.”

Ted rise. “Più o meno.” Si voltò a guardare il ragazzo. “Quando abbiamo ricevuto l’invito al vostro matrimonio, io, Em e Michael ci siamo riuniti per discutere della faccenda.”

“Addirittura?” Justin non trattenne una risatina.

Emmett gli sorrise. “Bè, Brian Kinney che si sposa è un evento che non capita tutti i giorni.”

“Comunque…” riprese Ted “… mentre chiacchieravamo su come avessi fatto a convincere Brian a fare una cosa del genere, quali droghe o torture sconosciute avessi usato, Michael se ne uscì dicendo che il caro Kinney aveva perfino comprato una nuova dimora.”

“Naturalmente eravamo tutti curiosi come degli undicenni di vedere questa misteriosa casa…”

Justin aprì la bocca, arrivando al punto. “La Casa Del Mistero.”

Ted annuì. “Precisamente.”

“Anche se, bisogna ammetterlo, questa meraviglia va al di là di ogni nostra previsione.”

“Fammi indovinare.” Emmett lanciò un’occhiata maliziosa a Justin. “È un premio per aver detto di sì alla proposta?” Il cellulare emise un bip, monopolizzando di nuovo la sua attenzione.

“A dir la verità…” Il ragazzo sorrise. “L’ha comprata per cercare di convincermi dopo che avevo risposto picche la prima volta.”

Il Blackberry precipitò di nuovo a terra, seguito ancora una volta da un’imprecazione poco ortodossa del suo proprietario. 

“Cosa?” Chiese Ted sgranando gli occhi. “Gli hai detto di no?”

Justin si strinse nelle spalle. “Potete biasimarmi?”

I suoi amici si scambiarono un’occhiata accondiscendente. “Effettivamente…”

“Avevo paura che me l’avesse chiesto per lo spavento che si era preso con l’esplosione al Babylon e con Michael in quelle condizioni…”

“Pensavi potesse ripensarci quando fosse tornato in sé.” Concluse Emmett, controllando scrupolosamente che il suo cellulare non avesse danni permanenti.

Il ragazzo annuì. “Non volevo forzarlo a fare qualcosa che non si sentiva di affrontare.”

“È comprensibile.” Convenne Ted. “Ma ammetterai che è stato un bel passo per Brian.”

“Lo so, lo so!” Chiarì immediatamente Justin. “E non credo di averlo mai amato come in quel momento, ma non volevo che prendesse una decisione del genere solo per rendere felice me, invece che se stesso.”

Emmett si morse un labbro. “È questo il motivo per cui avete annullato tutto?” Si scambiò un’occhiata di sottecchi con Ted, parlando con tono cauto e timoroso.

Tutti avevano sempre saputo che il matrimonio del secolo non aveva avuto luogo, nonostante la preparazione e l’entusiasmo dei diretti interessati, perché Justin aveva afferrato al volo la grande occasione di andare a New York e avviare la sua fruttuosa e remunerativa attività d’artista. Brian, da compagno premuroso quale era sempre stato – nonostante avesse cercato di negarlo in tutti i modi – aveva appoggiato la sua decisione, fiero ed orgoglioso di Justin e del suo coraggio.

Quella era la prima volta in due anni che Ted ed Emmett si trovavano ad affrontare il discorso con uno dei protagonisti principali della strana soap opera in cui vivevano, dato che con Brian l’argomento era totalmente off limits.

Nemmeno Michael, o almeno così lui aveva assicurato, era stato messo al corrente di ciò che era davvero successo prima della famigerata ed ormai indimenticabile cena di prova.

Justin sorrise triste. “Stava cambiando. Per causa mia.”

Ted gli si avvicinò premuroso. “Ma anche tu stavi rinunciando a qualcosa.” Gli fece notare. “Lui rinnegava il sesso selvaggio e diventava monogamo per amor tuo e tu rimanevi qui con lui, rifiutando la proposta di New York.”

“Non era lo stesso.” Justin si passò frustrato una mano tra i capelli. “Avrei rinunciato a tutto per lui. Non sarebbe stato un grande sacrificio.”

“Perché allora non hai permesso a lui di fare lo stesso?” Emmett lo guardò serio, provando, per una volta nella sua vita, a mettersi nei panni di Brian. Quanto dolore aveva dovuto provare il suo vecchio amico quando aveva detto al suo grande amore di partire e andarsene a seicento chilometri di distanza? “Nessuno l’ha obbligato a cambiare, l’ha fatto di sua spontanea volontà. Per te.”

Justin scosse il capo. “Non doveva.” Deglutì piano. “Non doveva e non deve.”

“Quindi era questo il patto?” Domandò Ted curioso. “Tu a New York a diventare famoso e lui qui a rimanere… Brian?”

Il ragazzo annuì. “Più o meno.” Sorrise. “Abbiamo promesso di conquistare il mondo degli etero.”

“Bè, ci siete quasi, no?” Emmett gli spettinò i capelli. “E poi adesso sei qui, no? È tutto quello che importa.”

Justin sospirò. “Brian non è del tuo stesso parere. Non vede l’ora che me ne torni a New York.”

Emmett e Ted sollevarono contemporaneamente le sopracciglia, lo scetticismo chiaramente dipinto sui loro volti. Justin sorrise, alzando le mani. “Mi… sono espresso male.” Si morse un labbro incerto. “Ha paura che possa abbandonare tutto per tornare qui.”

“E lo faresti?” Emmett lo guardò con un sorrisetto.

Justin sogghignò. “Anche domani.”

Ted gli fece cenno di lasciar perdere. “Dagli tempo, lo conosci. È sempre il solito testardo.”

“Teddy ha ragione, baby. Quanto tempo hai impiegato per fargli capire che aveva bisogno di te?”

Justin ridacchiò. “Ammetto che Brian non è la persona più sveglia di Pittsburgh quando si tratta di sentimenti.”

“Sii sincero. È un vero coglione!” Esclamò Emmett con enfasi. “Ma è un coglione completamente ed irrimediabilmente innamorato di te e sono sicuro che questa volta le cose andranno in maniera diversa.”

Justin sorrise poco convinto. “Lo spero proprio, Em.”

Il suo telefono squillò in quel preciso momento. Sorrise radioso. “Pronto?” Scoppiò a ridere, guardando Emmett e Ted. “No, non hanno ancora dato di matto.”

“Brian…” Borbottarono i due all’unisono.

“Ma non hai da lavorare?” Justin alzò gli occhi al cielo. “Che vuol dire ‘c’è sempre tempo per il sesso telefonico’?”

Emmett scosse la testa, dirigendosi verso l’atrio principale. “Sempre il solito ninfomane assatanato.” Bisbigliò a Ted che lo seguì con un sorriso.

Si avviò verso quella che Justin aveva definito la ‘sala più grande’ e rimase a bocca aperta. “Porca puttana ladra!” Esclamò, stavolta stringendo forte il cellulare tra le mani. “Ma questo è un auditorium, non un salone!”

“Ci sarà qualcosa di normale in questa casa? Mi accontento di poco, purché non mi faccia sentire uno schifoso fallito che vive in un buco di cinquanta metri quadri!” Ribatté Ted scocciato.

Emmett annuì avvilito. “Magari se cerchiamo bene, troviamo qualche infiltrazione, un po’ di muffa, piastrelle scheggiate…”

“Qualunque cosa andrebbe bene…” Ted si guardò intorno e indicò il salone. “Tu vai di là, io penso alla cucina.”

Emmett si avviò verso la porta sotto la scala mentre Ted attraversava le porte di vetro della cucina. Sospirò amareggiato quando, già alla prima sommaria occhiata, notò la perfezione che aleggiava anche in quella stanza, nonostante la polvere, i teli di plastica che coprivano i pochi mobili e i fili elettrici che pendevano dal soffitto.

“Sto pensando seriamente al suicidio!” Gli gridò Emmett dall’altra stanza. “Questa cazzo di casa sembra uscita da una rivista di arredamento per interni!”

“Quante possibilità ci sono di avere fortuna col bagno?”

Sentì il suo amico lagnarsi contrariato. “Ho infilato un attimo la testa ed è più grande della cucina che avevo nel vecchio appartamento che dividevo con Michael!”

Ted sbuffò e sollevò uno dei teli, sbirciando un po’ in giro. Depresso, si avviò verso l’ampia finestra che dava sul giardino retrostante. Alzò gli occhi, ringraziando il cielo: almeno c’erano le erbacce! Aveva quasi iniziato a pensare che ci fossero presenze sovrannaturali in quella reggia!

“Em! Forse ho trovato qualcosa!”

Emmett lo raggiunse in due secondi. “Davvero?” Chiese speranzoso.

Ted lo guardò con un sorriso, prima di tornare a voltarsi verso la finestra. “Là fuori sembra una giungla.”

“Dio, ti ringrazio!” Emmett si avvicinò a lui. “La mia autostima sta lentamente risalendo.”

Ted ridacchiò, spalancando le vetrate e sporgendosi per osservare meglio il giardino. “Oh oh…” Disse solo, ritraendosi.

Emmett inarcò un sopracciglio. “Cosa?”

Ted gli prese le mani e strinse forte il suo Blackberry. “Se cade di nuovo, si frantuma…”

“Oddio, che altro c’è?”

Il suo amico sospirò. “La piscina.”

“Sì.” Emmett annuì. “Sapevamo che c’era.”

“Ma noi ci immaginavamo una…” gesticolò nervoso “… specie di pozzanghera, non la sede di allenamento della nazionale olimpica di nuoto!”

Emmett piegò le spalle in avanti e fece una smorfia. “Che palle!”

“Ehi, ragazzi, tutto ok?” Justin entrò in cucina con un sorriso radioso. Emmett e Ted lo fulminarono all’istante. “Che c’è?” Chiese preoccupato. “Non va bene per il matrimonio?”

“Anche troppo…” Emmett lo fissò minaccioso, quasi risentito. “Dimmi che questo posto ha qualche difetto.”

Justin ridacchiò, stringendosi nelle spalle. “Conosci Brian da più tempo di me. Non conosce mezze misure.”

Ted annuì. “Ce ne siamo accorti.”

Justin indicò la scala. “Vogliamo salire al piano di sopra? Così poi possiamo passare al giardino…”

“… al parco…” Lo corresse Emmett.

“… alla piscina…” Justin continuò senza commentare.

Ted sorrise acido. “… nota anche come vasca olimpionica…”

Justin si avviò verso l’atrio, facendo cenno ai suoi ospiti di seguirlo. “… e infine alle scuderie e al campo da tennis.”

Il terzo tonfo sordo segnalò di nuovo la presenza del Blackberry di Emmett sul pavimento di granito. “Adesso l’ho davvero rotto.” Constatò mestamente senza avere il coraggio di guardare a terra.

Ted annuì concorde. “Ho paura di sì, Em.”

Emmett incrociò le braccia al petto con fare offeso. “Bene, allora tornerò ai metodi tradizionali. Teddy, prendi nota!”

Justin e Ted si guardarono confusi. “Nota di che?” Chiese il contabile.

“Cinquecento dollari da addebitare al signor Brian Kinney.”

“Per cosa?” Domandò Justin trattenendosi a stento dal ridere.

Emmett sollevò il suo cellulare. “Mi deve un telefono nuovo di zecca. Fanculo lui e la sua cazzo di casa…”

 

 

 

 

 

“Ci sono le stalle?” Blake sgranò gli occhi scioccato.

Ted annuì, sdraiandosi sul letto. “E la piscina. E un campo da tennis.”

Blake emise un lungo fischio. “Certo che Brian è uno che non bada a spese.”

“Non quando si tratta di Justin.”

Blake piegò un’altra maglietta e la infilò nella valigia. “Mi dispiace partire proprio adesso.”

Ted gli sorrise, alzandosi dal letto. “Vai tranquillo.” Lo baciò teneramente. “E poi sono solo una decina di giorni.”

“Nove.” Precisò Blake. “Ma credo che sopravviverai.”

“Ci proverò.” Ted cercò di assumere un’aria angosciata, ma la sua smorfia ebbe solo il potere di far scoppiare a ridere il suo compagno.

“Prometto che ti manderò una cartolina.”

Ted rise. “Da San Francisco?”

“È il meglio che posso fare.” Blake sorrise, accarezzandogli una guancia.

“Credi davvero che sposteranno il tuo centro?”

Blake si strinse nelle spalle; afferrò i jeans posati sul letto e li piegò. “Non si sa ancora nulla.”

“Carol che ne pensa?” Ted aggrottò la fronte. Non poteva davvero credere che la direttrice del centro di recupero presso cui Blake lavorava da più di quattro anni, non sapesse nulla del possibile trasferimento della struttura.

“Mistero assoluto.”

“E tu le credi?”

Blake abbozzò un sorriso. “Per quanto tu possa trovarla irritante…”

“… e intimidatoria. Ed inquietante. E pericolosa.”

“Ok, ok, ho afferrato.” Il più giovane ridacchiò, chiudendo la valigia. “Comunque ce lo direbbe se rischiassimo di rimanere senza lavoro. E lei ci ha assicurato che tutti, tutti verranno mantenuti alle loro mansioni.”

“E allora perché il viaggio?”

“Te l’ho già spiegato. Stanno pensando di creare un centro che faccia riferimento al nostro a San Francisco e così vogliono che Carol e un paio dei suoi più affidabili collaboratori diano loro una mano con le operazioni preliminari.”

Ted sbuffò triste. “Sapevo che eri troppo bravo in quello che facevi. Adesso come minimo ti manderanno a curare i poveri disperati della West Coast.” Abbracciò Blake da dietro. “Ma quelli della East Coast come faranno senza di te?”

Blake ricambiò la stretta e posò un bacio sulla mano di Ted. “Nessuno verrà trasferito. Facciamo solo delle consulenze, tutto qui.”

L’uomo annuì poco convinto. “Ok.”

“Dico davvero.” Si voltò per guardarlo in viso e gli prese il volto tra le mani. “Non vado da nessuna parte. Sono già scappato altro volte da te e non ho intenzione di farlo di nuovo.”

Ted abbozzò un sorriso. “D’accordo.”

“D’accordo? Sicuro?”

“Sì, d’accordo.”

Blake sorrise. “Bene. E adesso raccontami di questa mega villa. Ho voglia di essere un po’ invidioso.”

“Oddio, avresti dovuto vederla! È enorme!” Ted sembrava ancora scioccato. “Emmett non credeva ai suoi occhi. Ha maledetto Brian e Justin per un’ora per avergli tenuto nascosto una reggia del genere.”

“Ma…” Blake aggrottò le sopracciglia “… quando l’avrebbero comprata? Voglio dire, Justin non tornava qui da due anni.”

Ted sorrise. “Brian l’ha usata per convincere Justin ad accettare la sua proposta di matrimonio.”

“Oh, adesso capisco.”

“E chi avrebbe avuto il coraggio di rifiutare se è Brian Kinney a proporsi?”

“E, soprattutto, se porta in dote Buckingham Palace?”

Ted rise. “Ma credo che Justin avrebbe accettato anche se Brian glielo avesse chiesto nella darkroom del Babylon.”

“Di sicuro sarebbe stato in linea con la loro storia.”

“Assolutamente.” Ted scosse la testa. “Anche se devo ammettere che quel ragazzino ha cambiato davvero il nostro caro Brian.”

“Già.” Blake sorrise. “Chi l’avrebbe mai detto? Mi ricordo che quando lo vedevo al Babylon non faceva altro che seguire Brian dappertutto. Pendeva letteralmente dalle sue labbra.”

“Nessuno ci avrebbe scommesso un dollaro, eppure…”

“Buon per loro. Non ricordo di aver visto Brian così felice da… non so nemmeno io da quanto.”

“Te lo dico io.” Ted lo baciò. “Da due anni.”

Blake annuì. “Speriamo solo che stavolta abbiano più fortuna.”

“Glielo auguro davvero. E poi Brian si ammorbidisce quando Justin è nei paraggi.” Sorrise sornione. “Oggi mi ha addirittura dato la giornata libera.”

“Wow.” Blake sgranò gli occhi. “Allora, deve assolutamente rimanere.”

Ted rise. “Lo spero proprio. Magari potrei chiedergli anche un aumento!”

 

 

 

 

 

Jennifer aprì la porta e s’irrigidì di fronte al suo ex marito. “Craig.” Disse solo.

L’uomo abbozzò un sorriso stiracchiato e le stese un borsone. “Molly mi aveva chiesto di riportarle questa roba che aveva lasciato da me.”

“Grazie.” La donna prese il borsone.

“Allora ciao.” Craig si voltò verso la sua auto e mosse un passo verso il vialetto.

Jennifer inspirò profondamente. “Aspetta!” L’uomo la guardò sorpreso. “Ti… ti va di entrare? Avrei bisogno di parlarti.”

Craig aggrottò la fronte, ma annuì. Entrò in casa mentre la sua ex moglie lo precedeva in salotto; si accomodarono lui sul divano, lei sulla poltrona di fronte e gli servì uno scotch, per sicurezza lo fece doppio: doveva prepararlo alla notizia.

“Che c’è, Jen?” Sorseggiò il suo drink. “Sembri preoccupata.”

“Mi sposo.” Buttò fuori senza preavviso, facendogli sgranare gli occhi. “Io e Tuck ci sposiamo. Tra meno di un mese.”

Craig rimase spiazzato per un istante; diede un lungo sorso al suo scotch e sospirò. “Bè… congratulazioni.”

Jennifer accennò un sorriso. “Grazie.”

“Io non… non so davvero che dire, solo che hai… la mia benedizione… credo.”

Jennifer gli sorrise. “Non ti sto chiedendo il permesso, Craig. Volevo solo che il padre dei miei figli sapesse che sto per risposarmi. Mi sembrava corretto fartelo sapere di persona.”

“I ragazzi lo sanno già?”

“Certo. E ne sono felici.”

Craig inarcò un sopracciglio. “Anche Justin?”

“Anche Justin.” Confermò Jennifer. “Da quando è tornato le cose vanno molto…”

“Justin è tornato? A Pittsburgh?”

Jennifer annuì. “Già da un po’ ormai. Lui e Molly mi stanno aiutando molto coi preparativi.”

“Avresti potuto farmelo sapere che non era più a New York.”

“Non è colpa mia se nostro figlio non parla con te, Craig.”

Craig incassò il colpo senza ribattere.

“E comunque, se devo dirla tutta, io non ho insistito affinché lo facesse.”

“Come al solito.” Borbottò l’uomo. “Sai, se la smettessi di mettermelo continuamente contro, forse io e Justin…”

Mettertelo contro?” Jennifer sgranò gli occhi non credendo alle sue orecchie. “Così adesso sarebbe colpa mia se sei un pessimo padre?”

“Non osare, Jen! Non provare a cambiare le carte in tavola!”

“Io non cambio proprio nulla, Craig! È solo colpa tua se Justin è così rancoroso nei tuoi confronti!”

“Bè, di certo vivere con te non l’ha aiutato a perdonarmi!”

“Perdonare cosa?” Jennifer lo guardò minacciosa. “Il fatto che invece di rassicurarlo e dirgli che sarebbe andato tutto bene, lo chiamavi frocio? Che per tutta la sua vita gli hai chiesto di negare se stesso cosicché tu non ti sentissi in imbarazzo? Che ti… vergogni di lui?”

“Di sicuro meglio di una madre che lo asseconda in tutto! In ogni sua… pazzia!”

Jennifer aprì la bocca per ribattere, ma il trillo del suo cellulare la interruppe; lanciò un’occhiataccia al suo ex prima di afferrare il telefono. “Pronto?” Chiese con tono duro.

Craig si alzò dal divano e prese a camminare per la stanza; era evidente che non considerava affatto conclusa la discussione.

Jennifer sospirò. “No, scusa, non ce l’avevo con te. Sono solo un po’ agitata.” Sorrise. “Sì, davvero, Brian, stai tranquillo.”

A quel nome, Craig si voltò di scatto verso la donna e la guardò con espressione a metà tra l’incredulo e il furioso.

No, non poteva essere…

Aveva forse detto…?

Scosse la testa. No, era impossibile.

“L’abito? Il mio abito?” Continuò Jennifer, totalmente ignara dell’ira del suo ospite. “No, ancora niente. Perché me lo domandi?”

Craig afferrò una delle foto sistemate su una mensola: erano Justin e Molly, seduti sui gradini di una veranda, probabilmente quella sul retro.

Un moto di rabbia gli montò dentro osservando attentamente il sorriso felice e disteso di suo figlio; sorriso che ormai da anni non era più rivolto a lui. Guardò astioso Jennifer.

È tutto per colpa di…

“Va bene, allora, ci vediamo dopo.” Jen sorrise. “No, te l’ho detto. Molly è rimasta da un’amica.”

Craig tornò verso il divano, sedendosi di nuovo e iniziando a muovere nervosamente la gamba. Non riusciva a stare fermo, tanto era furioso.

“Ok, a più tardi. Ciao, Brian.”

Jennifer chiuse la telefonata. “Scusami.” Disse con tono duro.

Brian?!” Scattò incredulo l’uomo. “Ti prego, Jen, dimmi che non è lo stesso Brian!”

Jennifer incrociò le braccia al petto, fissandolo con aria di sfida.

Non aveva mai sopportato la prepotenza e la superiorità con cui il suo ex era solito parlarle, ma aveva sempre cercato, almeno in apparenza, di essere civile; purtroppo, aveva l’impressione che quel giorno, la civiltà e l’educazione sarebbero state i suoi ultimi pensieri.

“Come prego?”

Craig si alzò per fronteggiarla. “Jen! Come puoi permettergli di…?”

Permettergli?” Jen era incredula. “Brian è un uomo adulto, esattamente come Justin! Non sta di certo a me permettergli o no di fare qualcosa! E tu, tu come osi? Venire in casa mia e iniziare a gridare come un pazzo? E soprattutto offendere me e insinuare che sia stata io a metterti contro tuo figlio, quando è solo colpa tua?”

“La colpa è di quel… quel maniaco pervertito! Quel molestatore, quel…” 

Jennifer lo raggiunse con due falcate e gli colpì forte il petto con l’indice. “Un’altra parola e ti sbatto fuori a calci!”

“Per l’amor di Dio, Jen! Cerca di ritrovare il senno! È tutta colpa di quell’uomo se Justin è…”

“… gay?” Finì la donna per lui. Craig rimase in silenzio. “Bè, voglio dirti una cosa, grand’uomo. Magari tu fossi stato anche solo la metà dell’uomo che è Brian! Dovresti baciare la terra su cui cammina, perché se hai ancora un figlio è solo merito suo!”

“Ed è colpa sua se l’abbiamo quasi perso, quel figlio!”

Jennifer scosse la testa incredula. “Tu non c’eri, Craig. Tu non hai idea di come fosse ridotto Justin quando è uscito dall’ospedale. Non era più lui e ammetto che in un primo momento anch’io ho incolpato Brian, ma alla fine è stato solo merito suo se Justin è riuscito a combattere le sue paure.” Sospirò esausta, passandosi una mano tra i capelli. “Non hai visto lo sguardo terrorizzato di Brian quando sono arrivata in ospedale, non c’eri tu accanto a me ad aspettare ore per sapere se avrei rivisto mio figlio, non sei stato tu a precipitarti terrorizzato in un edificio pericolante solo per Justin.” Alzò lo sguardo verso l’uomo e lo fissò duramente. “Sai una cosa, Craig? Tu non sai proprio nulla.”

“Solo grazie a te. E a lui.”

Jennifer scosse la testa con un sorrisino. “Non cambierai mai idea, vero? Brian è una brava persona. E ama sinceramente Justin. Credo sia l’unico che lo ami quanto noi. E Justin non vivrebbe senza di lui. Perché non lo capisci una buona volta?”

“Mi dispiace, Jen. Non accetterò mai questa… cosa.” Craig si infilò di nuovo il cappotto e si diresse verso l’ingresso.

“Questa cosa, come la chiami tu, è tutto per tuo figlio.” Ribatté secca la donna appoggiandosi allo stipite della porta del salotto. “E se davvero non vuoi perderlo per sempre, sarà meglio che ti abitui.”

Craig uscì sulla soglia e si voltò a guardarla. “Non lo farò mai.”

Jennifer scosse la testa con espressione sconfitta. “Non dire che non ti avevo avvertito.” Craig s’incamminò lungo il vialetto. “Justin ha già scelto una volta tra te e Brian, Craig.” L’uomo la guardò pensieroso. “E so per certo che nemmeno questa volta ne uscirai vincitore.”

 

 

 

 

 

 

 

 

Capitolo 8 finalmente finito!

Allora, piccola premessa, questo capitolo è stato uno dei più tragici da scrivere: all’inizio mi sono bloccata circa mille milioni di volte, spaventata dall’idea di rendere i miei adorati troppo stucchevoli, dolci, assolutamente OOC, quindi abbiate pietà. Poi fortunatamente il resto è andato da solo, e rileggendo la prima scena non l’ho trovata nemmeno tanto scadente anche se mai riuscirò a rendere DAVVERO giustizia a Brian e Justin (solo i CowLip possono!).

Abbiamo finalmente avuto notizie da Toronto e ho amato da morire scrivere la scena tra Gus e Brian perché, nonostante quello che pensano tutti (ebbene sì, anche il dolce Sunshine) io ho sempre creduto che Brian sarebbe stato un perfetto padre a tempo pieno, altro che guest star nella vita di Gus! Un piccolo accenno di Linz/Brian che mi hanno fatto innamorare già nella prima puntata nella scena dell’ospedale! Se non ci fosse stato Justin li avrei quasi shipperati! La discussione “New York” come avete visto è rimandata a tempi più favorevoli, anche perché è quasi ora che questi due poverelli abbiano un po’ di pace, senza drammi, o no?

Ho cercato anche di mostrare un po’ il rapporto di amicizia tra i ragazzi, soprattutto al Diner, mentre per la scena a Britin dovete ringraziare 13_forever, perché senza di lei non esisterebbe, e il medico di mia nonna che è particolarmente lento e mi ha permesso di immaginare la scena mentre mi annoiavo in sala d’aspetto!

Poi cos’altro? Ah sì, piccolo e rapido riassunto del distacco B/J alla fine della quinta serie, spiegato a Ted ed Em: ho immaginato che Brian e Justin avessero tenuto per loro i reali motivi dell’annullamento del matrimonio, nascondendosi un po’ dietro New York.

Piccolo accenno Ted/Blake perché, come ho già detto, voglio portare avanti le altre storyline e alla fine grande ritorno! Signori e signore… Craig Taylor! Ebbene sì, lo stronzo per eccellenza è tornato! Rientra a pieno titolo nella mia hit list dei più odiati del telefilm (probabilmente solo dopo Ethan e Saint Joan, ma solo perché loro due hanno ferito Brian, e nessuno, NESSUNO può permettersi di ferire Brian! Non finché ci sono io, almeno!) e continua ad essere il padre amorevole ed affettuoso di sempre, avete notato? Volevo descrivere al meglio il contrasto tra lui e Jen, l’essere, come sempre, i due opposti, così assolutamente inconciliabili nei ruoli che ricoprono verso i loro figli e agli antipodi nelle loro idee su Justin e sulla sua vita… spero di esserci riuscita!

Ok, ora basta, sennò il commento viene più lungo del capitolo! Aspetto con ansia i vostri commenti e nel frattempo rispondo a quelli dello scorso capitolo:

 

 

Elysenda: sono felice che questo capitolo non sia stata poi così male, e leggere il tuo commento mi ha fatto nascere un sorriso spontaneo, quindi grazie. Molly mi piace e mi piace scrivere di lei, ma ammetto che anche Lane e il suo rapporto di mamma/amica con Hunter mi intriga, quindi credo che presto anche quest’altra signorina tutto pepe darà filo da torcere a tutti i nostri uomini! Per quanto riguarda la mostra… chi può dirlo? Bisogna aspettare… Intanto, grazie mille per aver commentato! A presto!

 

13_forever: ormai scrivere grazie a te è diventata un’abitudine, quindi eviterò. Come ti o già detto nella mail, mi piace che tu riesca a rimanere obiettiva e a “riprendermi” se pensi che qualcosa sia da ridefinire. Lane e Hunter? Sono ancora un mistero… Prima ho tutte le intenzioni di far risolvere tutti i casini vari con Callie, ma come tu ben sai, le mie mani vanno per conto loro in questa storia quindi potrebbe succedere qualcosa che non ho ancora pensato. Per quanto riguarda Steve e Nessa al momento non ho idee per il loro futuro e una coppia sarebbe… quantomeno curiosa. Aspettiamo e vediamo. Intanto ribadisco che ti sono eternamente grata, per tutto. Un bacio, tesoro!

 

Jen78: Anche io adoro i momenti Bri/Molly e mi fa piacere vedere che questa mia propensione per loro due si avverta nel capitolo, anche se a dir la verità loro fanno morire dalle risate anche me. Alle volte rido da sola in camera mentre scrivo o solo penso le loro scene e mio fratello sta seriamente pensando di chiamare il manicomio! L’associazione musica viene chiaramente spontanea, era proprio quello che volevo, ma non posso dire altro. Sorry! :D

 

EmmaAlicia79: ok, ammetto che quando ho iniziato a leggere la tua recensione ho fatto più o meno questa faccia O_O e ho pensato “e adesso che cavolo di stronzata ho scritto?” e per poco non sono tornata indietro a rileggermi il capitolo! Poi per fortuna ho continuato a leggere e ho tirato un respiro di sollievo! Che posso dire? Grazie mille, anche se davvero non ero convinta di questo capitolo (ma forse ero l’unica dato i complimenti che mi avete fatto!). Per quanto riguarda la mostra, come ho già detto, volevo punzecchiarvi con la parola “musica” e a quanto pare tutte ve ne siete accorte. Beh, voglio solo dirti che la storia si farà pareeeecchio interessante nei prossimi capitoli! Io sceneggiatrice??? Ma magari!! Dio, non potrei immaginare un lavoro più bello! È il mio desiderio più grande, lo sai? Ovvio, dopo quello di sposare il mio adorato Gale, ma una cosa non esclude l’altra, no? :D

 

Tsubychan1984: anche io volevo che Justin si opponesse alla proposta di Nessa che, per quanto fosse interessata alla sua carriera, non capisce quanto quella parte di passato di Justin possa essere privata e dolorosa. Quindi da qui la sua reazione, e anche quella di mamma Taylor che è sempre stata una donna con, scusami il termine, “le palle quadrate”, fin dalla prima serie (avrei preso Justin a badilate quando la trattava malissimo subito dopo il coming out!) per quanto riguarda il violinista che ti sta sulle scatole, io dico di peggio e cioè che l’ho odiato con tutte le mie forze dalla prima all’ultima scena (Dio ti ringraziamo per la puntata 3x08) e gli riconosco solo una minuscola cosa: il suo unico contributo è stato quello di far capire a Justin chi era il suo grande amore, altro che picnic, serenate e anelli del cavolo! Ethan, sparisci!!

 

Kyelenia: lieta di aver trovato un’alleata nell’abbondanza di scene Britin, allora non sono l’unica! Il fatto che vi faccia rimanere un po’ col dubbio sulla permanenza di Justin mi piace (sì, lo so, sono sadica, ma significa che non sono così palesemente scontata come credevo!) e sono d’accordo con te sul “tutto fumo e niente arrosto” per descrivere Brian, ma ormai lo sappiamo, il superuomo non dà mai segni di cedimento! Lui sta sempre bene, seeeeee come no! Vanessa l’hai centrata perfettamente, non è una cattiva persona, ma fa quello che sa fare meglio, vende l’arte senza farsi troppi scrupoli, Kinney docet! Per quanto riguarda un piccolo ritorno del caro, amatissimo Ian… pardon, Ethan, aspetta e vedrai! Un bacio!

 

BlackBaby: guarda per la sesta serie, sfondi una porta già aperta! Ho pregato con tutte le mie forze che la facessero, ma niente! A quanto pare gli attori sono abbastanza decisi in questo e credo sia un vero peccato… anche perché io non mi sarei stancata di QaF e dei suoi protagonisti nemmeno arrivati alla decima serie! Mi fa piacere che la storia ti piaccia e che tu l’abbia letta tutta d’un fiato! Allora non fa poi così schifo come pensavo XD e spero che continuerai a leggerla! Un bacio e grazie per tutti i complimenti!

 

Daphne90: ma quanti complimenti! Sicura di non aver sbagliato storia?? O_O Grazie mille davvero! Sono onorata! È bello sapere che la storia ti piaccia e che trovi i personaggi IC… come ho già detto, la mia paura più grande è quella di stravolgerli senza volerlo (anche perché li adoro troppo per farlo volontariamente!) e vedere che anche le new entry riscuotono successo non può che riempirmi di gioia! Per quanto riguarda le storyline di Emmett e Hunter… chissà cosa succederà? No, davvero non lo so neppure io dato che cambio idea circa ogni quattro secondi, quindi non posso anticiparti nulla, sorry!! Spero che continuerai comunque a leggere la mia storia! Un abbraccio!

 

Mia85: ed eccola qui! La mia recensione chilometrica della settimana! Mi stavo quasi preoccupando, sai? No, scherzo, so che può essere noioso recensire tutti i capitoli (nemmeno io lo faccio sempre!), ma tu non mi deludi mai! Grazie mille! Hai fatto bene a spiegare meglio il tuo commento dell’altra volta perché come al solito non c’avevo capito niente! :D Adesso ho afferrato che intendevi e spero che questo capitolo abbia, almeno in parte, risposto alla tua domanda. Sto cercando di farli andare con calma (Brian e Justin che vanno con calma??? E dove s’è visto mai??!!) e fare in modo che le cose vengano chiarite piano piano anche perché sennò nei prossimi capitoli di che scrivo?? XD no, vabbè però vorrei dare più o meno lo stesso spazio a tutti (ho detto più o meno, i B/J sono sempre i miei prediletti!) e non trascurare anche le situazioni di Em, Ted, Mickey & Co. Per Hunter e Lane sono d’accordo con te, e neanche a me faceva impazzire l’idea di vederlo di nuovo con Callie, ma alla fine ho deciso di intraprendere una certa strada… poi vedrai! Ok, stavolta anche io sono stata molto prolissa! Spero non ti dispiaccia! Al prossimo romanzo!! XD

 

P.S. sono contenta che il tuo esame sia andato bene!

 

Come al solito, grazie a chi letto, inserito tra le seguite o tra le preferite! Non so davvero che dire se non GRAZIE!

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Capitolo 9
*** The Exhibit (Part 1) ***


 

9. The Exhibit (Part 1)
“Ecco, papà, ecco papà!” Gus lasciò bruscamente la mano di Mel e corse verso l’uomo bruno che lo aspettava con un sorriso davanti alle porte scorrevoli; Linz strinse più forte Jenny Rebecca che tentava di seguire suo fratello mentre il suo primogenito si gettava tra le braccia di Brian.
“Ehi, campione!” Lo accolse Brian, spettinandogli i capelli. “Finalmente siete arrivati! Zio Michael mi ha già chiamato quattro volte.”
Mel e Linz arrivarono esauste davanti a loro. “L’aereo ha fatto ritardo.” Spiegò la bionda, mollando la valigia. “E i nostri bagagli sono stati gli ultimi ad essere scaricati.” Abbracciò il suo migliore amico baciandolo rapidamente. “Aspetti da tanto?”
Brian accarezzò la testa di Jenny e si strinse nelle spalle. “No, tranquilla. È Mamma Orsa che è diventata apprensiva.” Si voltò verso Mel, inarcando un sopracciglio. I due si studiarono per un istante, prima di abbracciarsi uno più riluttante dell’altra. Si separarono quasi immediatamente.
“Intanto, però, ho preso questo.” E indicò il carrello su cui iniziò a caricare le valige.
“Grazie al cielo…” Sospirò Linz sollevata.
Gus si aggrappò alla gamba di Brian. “Papà, sei venuto con la Corvette?”
Brian gli sorrise pizzicandogli una guancia. “No, campione, mi dispiace.” Il bambino arricciò il naso. “Non ci saremmo stati tutti sulla Corvette. Ho portato la Jeep.”
Mel sistemò il trolley sul carrello e prese Jenny dalle braccia di sua moglie, che le sorrise riconoscente. 
“Che poi un giorno mi spiegherai che te ne fai di due macchine, Bri.” Osservò la bionda, prendendo la mano a Gus e iniziando a camminare verso l’uscita. 
Brian le rivolse un sorriso sbieco. “Per ricordarmi ogni giorno di quanto io sia fottutamente ricco.”
“Come se il tuo perfetto completo Armani non fosse sufficiente.” Lo rimbeccò Mel seccata.
Brian ridacchiò spingendo il carrello attraverso l’uscita e poi verso la sua auto, parcheggiata lì vicino. Caricò i bagagli e si mise al volante, Linz seduta accanto a lui, Mel dietro coi bambini.
“Credevamo portassi anche Justin.” Disse la mora, lanciando un’occhiata ammonitrice a Jenny che continuava a divincolarsi cercando di arrivare al sedile di Lindsay.
Sua moglie guardò Brian con un sorriso. “Che c’è? Si è già stancato di te?” Lo prese in giro.
L’uomo le rivolse una smorfia. “Che simpatica…” Le due donne risero di gusto. “Aveva un impegno con quella pazza della sua gallerista.”
“La tipa di New York?” Chiese Mel.
Brian annuì. “Vanessa Austen.” Fece con tono pomposo. “Una vera stronza.”
Mel abbozzò un sorriso. “Avete qualcosa in comune, allora.”
“Mamma, papà ha detto una parolaccia?” 
Mel si voltò verso suo figlio e gli accarezzò una guancia. “Certo che no, tesoro. Papà non lo farebbe mai.” Ribatté, lanciando un’eloquente e minacciosa occhiata a Brian.
Brian sbuffò, uscendo dall’autostrada e immergendosi nel caotico traffico dell’ora di punta. 
“Come mai è venuta qui?” Chiese Linz curiosa. “Non avevi detto che Justin sarebbe rimasto fino al matrimonio?”
L’uomo annuì. “Pare che avesse un progetto tra le mani.” Inchiodò di colpo, dando un colpo di clacson e mordendosi il labbro per evitare di mandare a fanculo un idiota che gli aveva tagliato la strada. “Coglione…” Borbottò sottovoce, beccandosi comunque un pizzico sul braccio da Mel.
Linz sorrise. “Che progetto?”
“La grande manager ha avuto l’idea di organizzare una serata per gli ex alunni del PIFA e ha incastrato Justin per darle una mano.”
“Ma è grandioso!” Esultò Linz. “Justin dev’essere al settimo cielo! Una mostra su di lui proprio qui, a Pittsburgh!”
Mel sorrise fiera. “Così magari questa città si renderà conto di che razza di geniaccio è quel ragazzo.”
Brian sbuffò. “Sarà… ma comunque per colpa di quell’arpia, Justin non l’ho visto nemmeno col binocolo in questi giorni…”
“Oooh…” Linz guardò intenerita Brian e gli scompigliò i capelli neanche fosse stato un bambino di tre anni. “Il povero, dolce Brian si sente trascurato…” Si voltò verso sua moglie. “Non è tenero, Mel?”
“Io non mi sento un caz… un bel niente!” Si riprese al volo, cercando di sistemarsi i capelli. “E smettila di spettinarmi!”
Linz ridacchiò. “Allora, a quando la grande serata?”
Brian svoltò verso destra ed entrò nel tranquillo e familiare quartiere in cui viveva Michael. “Grazie al cielo, domani sera. Ancora un giorno e mezzo e tutto tornerà alla normalità: la iena tornerà nella savana e lascerà finalmente in pace Justin.” Lanciò un’occhiataccia a Linz che aveva aperto la bocca per ribattere, ma che lasciò immediatamente perdere continuando comunque a sogghignare.
“Eccoci qua.” Si fermò davanti al vialetto dei Bruckner-Novotny. “Ora tutti fuori.” Scese dall’auto e raggiunse il bagagliaio, iniziando a scaricare le valige. La porta d’ingresso si aprì e Hunter e Lane ne uscirono tutti sorridenti.
“Ehi, ragazzi.” Li salutò Brian. “Dove diavolo è tuo padre?” Chiese poi ad Hunter.
Il ragazzo scosse le spalle. “In cucina.”
Brian alzò gli occhi al cielo. “Oh, poveri noi…”
Lane ridacchiò e baciò Hunter su una guancia. “Allora, ci vediamo domani.”
“Lane!” La chiamò allegra la vocina di Jenny. La bambina scese di corsa dall’auto e si gettò tra le braccia della bionda. 
“Ciao, tesoro.” Lane l’abbracciò stretta, baciandole i capelli castani.
“Non te ne andare!” La pregò Jenny. “Devi giocare con me!”
Lane le sorrise. “Mi dispiace, piccola, ma mi aspettano a casa.”
“Nooooo…”
“Ti prometto che domani torno a trovarvi, ok?”
Hunter prese in braccio la bambina. “Jenny, dai, non fare i capricci.” Jenny si accoccolò contro suo fratello. “Giocherai domani con Lane, ok?”
La bambina scosse la testa. Mel le si avvicinò. “Smettila, Jenny Rebecca, altrimenti Lane non vorrà più tornare.”
Jenny sollevò il viso e guardò la ragazza. “Davvero torni domani?”
Lane annuì e si alzò sulle punte per baciarle la fronte. “Promesso.”
“Nanetta…” La prese in giro Hunter, beccandosi un pugno sul braccio.
La ragazza si voltò poi verso le due donne. “Arrivederci, signora Marcus, signora Peterson.” Guardò Brian, arrossendo un po’. “Signor Kinney.”
Brian le sorrise brevemente posando l’ultima valigia sul marciapiede. “Ciao, Lane.”
Salutò con la mano Hunter e Jenny e si avviò lungo la strada, facendo ondeggiare la coda di cavallo.
Linz prese Jenny Rebecca tra le braccia e lanciò un’occhiatina maliziosa a Hunter. “A noi piace molto Lane, te l’abbiamo mai detto?”
Hunter alzò gli occhi al cielo. “Ogni volta che venite.”
“E ogni volta si fa più carina.” Rincarò Mel spingendo Gus verso l’entrata.
“Sì sì, va bene…”
“Ehi, Novotny! Ma dove cazzo sei?” Sbraitò Brian, una volta che Gus entrò in casa. “Queste valige non si portano dentro da sole! E se pensi che farò tutto io, non hai davvero capito un cazzo!”
Michael uscì in quel momento, tutto trafelato, con addosso ancora il grembiule da cucina. “Ma che hai da urlare? Sembri un matto!”
“Finalmente!” Brian gli lanciò una delle borse più leggere prima ancora che l’uomo oltrepassasse il cancello. “Hai finito di fare Nonna Papera?”
Michael fece una smorfia. “Che ridere…”
“Sei sempre il solito scansafatiche! Io non ho intenzione di fare anche la tua parte!”
“E chi cazzo te lo chiede? Sei stato tu a voler andare all’aeroporto!” Michael lo spintonò prendendo una delle valige e iniziando a salire le scale verso la casa, seguito da Brian.
“Appunto! Ad andare all’aeroporto, non a fare il facchino perché tu eri troppo impegnato a preparare tè e biscotti!”
“Vaffanculo, Brian!”
“Solo dopo di te, Mickey.” Ribatté l’amico con un sorrisetto.
Hunter li sorpassò scuotendo la testa. “La smetterete mai di battibeccare come due checche isteriche?”
Michael gli rifilò uno scappellotto sulla nuca. “Zitto tu! E fa’ vedere a Mel e Linz le loro stanze invece di fare lo spiritoso!”
Brian guardò colpito il suo amico. “Bel metodo educativo, Mickey. La dolce metà che ne pensa?”
L’uomo lo guardò minaccioso senza ribattere. “Mia madre si è autoinvitata a cena.” Disse, rivolgendosi poi a Mel. “Spero non vi dispiaccia. Le ho detto che avreste potuto essere stanche per il viaggio, ma…”
Mel gli sorrise. “Conosciamo tua madre, Michael, non preoccuparti. I bambini saranno felici di rivedere i nonni.”
Michael si voltò verso Brian. “Tu e Justin venite?”
“Non credo proprio.” Ribatté Brian con un sorriso.
“A Mel e Linz farebbe piacere rivedere Justin.”
“E a me farebbe piacere stare a casa con Justin, che tra parentesi non vedo da quasi due giorni, senza che nessuno rompa le palle.”
Michael ridacchiò. “La newyorkese vip quando riparte?”
“Spero presto.” Guardò l’orologio. “Cazzo, devo andare. Ted mi aspetta.” Indicò a Hunter le due valige ai sui piedi e gli fece segno di portarle di sopra. 
“Che palle…” Sbuffò il ragazzo.
“Muoviti…” Lo rimbeccò suo padre.
Brian salutò suo figlio che gli aggrappò alle spalle e gli strappò la promessa di passare con lui il sabato successivo. “Ok, Sonnyboy.” Gli accarezzò i capelli, poi si voltò verso Michael. “Ci vediamo domani sera alla mostra.” Lo baciò sulle labbra.
“Ci puoi contare.”
“Brian, aspetta!” Lo richiamò la voce di Lindsay. “Vengo anch’io!”
Brian inarcò un sopracciglio. “Alla Kinnetic?”
“Certo che no!” Gli schiaffeggiò una spalla. “Devi portarmi al PIFA!”
“A fare che?”
Lindsay incrociò le braccia al petto. “Voglio vedere Justin!”
“E non puoi aspettare domani?”
“Smettila ed inizia ad uscire!” Salutò i suoi figli, Mel e Michael e spinse Brian verso la porta.
“Ma che ci vai a fare?”
“Voglio solo vedere come se la cava.”
Salirono entrambi in macchina. “Alla grande, come sempre.”
“Potrei anche aiutarlo, sai? Dargli qualche consiglio.” La donna sorrise. “Non ti dimenticare che sono stata io a scoprirlo.”
Brian grugnì. “Non me lo ricordare…”
Dieci minuti più tardi, la Jeep scura di Brian si fermò davanti all’istituto d’arte; Linz si slacciò la cintura e si sistemò meglio il cappotto grigio. “Tu non vieni?”
Brian scosse la testa. “Quale parte di ho un appuntamento di lavoro non ti è chiara?” Chiese con un sorrisino sprezzante.
Linz sbuffò. “Quanto la fai lunga… a Justin farebbe piacere.”
“Justin sta lavorando e non deve essere distratto.” Inarcò un sopracciglio. “Chiaro?”
La donna annuì. “Sì, certo.”
“Passo a prendervi più tardi.” Concluse in fretta Brian mentre lo sportello si chiudeva.
“A dopo.” Gli mandò un bacio e si avviò verso la scuola.
Entrò nell’atrio affollato di operai e si diresse verso quella che sapeva essere la sala più grande: sicuramente la mostra sarebbe stata lì. Evitò per un pelo di essere colpita da un uomo che trasportava una scala e inciampò quasi sui cavi delle luci.
“Grande…” Borbottò. “Altri dieci minuti e sarò morta.”
Avanzò cauta verso il centro della stanza e sorrise quando, a una decina di metri di distanza, una testolina bionda fece capolino da dietro un paravento.
“Ehi, grande artista.” Lo chiamò allegra. “Ti disturbo?”
Justin si voltò verso di lei con un sorriso radioso. “Sei arrivata!” Disse correndo ad abbracciarla. 
“Spero non ti dispiaccia se sono venuta ad impicciarmi.”
Il ragazzo scosse la testa. “Al contrario! Mi farebbero comodo i tuoi consigli.”
La donna si guardò intorno con sguardo perplesso. “Brian mi ha detto che la mostra è domani sera.” Justin annuì. “E non siete un po’ indietro col programma? Voglio dire, qui manca tutto.”
“Abbiamo avuto dei problemi. La mia gallerista sta dando di matto. E anche io.”
Linz gli accarezzò i capelli. “Andrà tutto bene.” Lo rassicurò.
“È che…” Justin prese un bel respiro. “È la prima mostra che tengo a Pittsburgh e lo so che non è solo per me, che ci saranno anche i lavori di molte altre persone, che non sarà come a Toronto o New York, ma…” Si passò nervosamente una mano tra i capelli. “… voglio, anzi no, pretendo che tutto sia perfetto. Tutto. Voglio rendere orgogliosi tutti quelli che credono in me. Ma qui la situazione va in malora.”
Lindsay lo abbracciò. “Brian è già fiero di te.” Si staccò leggermente e gli sorrise. “Esattamente come lo era alla tua prima mostra al Centro Gay e Lesbiche. Avresti dovuto sentirlo in macchina: ‘Non distrarlo, fallo lavorare in pace…’! Gli si leggeva in faccia! E avrebbe voluto essere qui se non avesse saputo che la sua presenza ti avrebbe distolto dal tuo lavoro.”
Justin sospirò. “Sarà la prima mostra seria in cui lui sarà al mio fianco.” Abbozzò un sorriso. “E sono un po’ agitato.”
“Anche lui lo è, credimi.” Lo rassicurò.
“Davvero?”
Linz annuì. “Ora, però, devi tornare a concentrarti e pensare…” lo superò e prese una delle tele che stava studiando fino ad un attimo prima “… dove vuoi mettere questa meraviglia. Dio, è bellissimo, Justin.”
Justin le sorrise. “Grazie, è uno dei miei preferiti. Da quando sono tornato sono sempre così… ispirato, non faccio altro che chiudermi in camera e…”
“Bè, se questo è il risultato, l’aria di Pittsburgh ti fa sicuramente bene.”
“Anche la mia gallerista è d’accordo.”
“A proposito.” Linz si guardò intorno. “Sono proprio curiosa di conoscere quest’arpia che ha avuto il potere di far scendere Mel al secondo posto nella personale classifica di Brian delle donne più odiose del pianeta.”
Justin ridacchiò. “Oh, quando la vedrai non potrai che dare ragione a Brian…”
“Sul serio?”
“CHE COSA DOVREBBE ESSERE QUESTA COSA?” 
La voce furibonda di Vanessa risuonò in tutta la stanza facendo sobbalzare tutti i presenti.
“Signorina Austen, io…”
“Silenzio!” Vanessa zittì immediatamente il povero malcapitato che aveva osato interromperla. “È tutto sbagliato! Tutto! Questa parete! Questa avrebbe dovuto essere blu! Non verde acqua! Conoscete la differenza oppure devo prendere un bambino delle elementari per aiutarvi nell’identificazione dei colori?” Voltò le spalle all’uomo e si diresse a passo spedito verso Justin, finendo quasi col sedere a terra quando le sue scarpe firmate con tacco dodici si impigliarono nei fili che avevano quasi ucciso Lindsay. “E che cosa diavolo ci fanno questi fili ancora scoperti?” La sua voce si alzò di un’ottava mentre controllava che le sue preziose Jimmy Choo non avessero subito danni. “Voglio che prima di stasera sia tutto a posto, sono stata chiara? Oppure scordatevi pure di essere pagati!”
In due passi raggiunse Justin, ignorando completamente Lindsay. “Hai deciso la collocazione?” Si massaggiò con decisione le tempie. “Dimmi di sì o potrei anche ucciderti seduta stante.”
Justin la guardò perplesso, incerto se ridere o scappare il più lontano possibile da lei.
“Se può sollevarla, anche io stavo per inciampare su quei cavi.” Disse Linz con un sorriso. “Anche se le mie scarpe non sono di sicuro costose come le sue.”
Vanessa inarcò un sopracciglio e si voltò verso di lei, come se si fosse appena accorta della sua presenza. “Mi scusi, ci conosciamo?”
Lindsay le sorrise, porgendole una mano. “Lindsay Peterson. Sono… un’amica di Justin.”
“Lei è stata la mia talent scout, sai?” Confessò Justin lanciandole un’occhiata divertita.
Vanessa la studiò per un istante, poi le sorrise. “Era anche a Toronto, giusto?” Linz annuì. “Steve mi ha parlato di lei. L’amica artista.”
“Sono un’insegnante d’arte.” La corresse.
Justin la guardò male. “E anche un’artista bravissima. È stata lei la prima ad organizzare una mostra coi miei lavori.”
Vanessa inarcò un sopracciglio, improvvisamente interessata. “Davvero? Credevo avesse solo spinto Justin verso l’arte.”
“È così. Non ho fatto nulla di più che comprargli colori e pennelli.”
Justin scosse la testa. “Cazzate! Lei e sua moglie mi hanno convinto ad esporre i miei lavori. Io non avrei mai avuto il coraggio.”
“Peterson…” Vanessa si tamburellò il mento con un dito. “Dove ho già sentito il suo nome?”
Lindsay si strinse nelle spalle. “Probabilmente è un caso di omonimia. Dubito che conosca il mio nom…”
“Sam Auerbach!” Linz e Justin s’irrigidirono all’istante. “Sì, è stato Sam a nominarla!”
“Conosce il signor Auerbach?” Domandò Lindsay con tono incerto.
Vanessa annuì. “Un vecchio amico di mio padre. Una volta l’ho sentito parlare della mostra che aveva tenuto qui e non ha fatto che lodare il suo lavoro e il suo incredibile talento, signora Peterson.”
Linz fece un sorriso forzato. “La ringrazio.”
“Le andrebbe di darci una mano?” Chiese a bruciapelo la ragazza, cogliendo di sorpresa i suoi interlocutori. “Una persona con la sua esperienza ci sarebbe di grande aiuto.” Allargò le braccia indicando la sala che sembrava ancora un cantiere aperto. “E qui, mi creda, ne abbiamo davvero bisogno.”
Lindsay la guardò sorpresa. “Io non… l’offerta è allettante, ma non saprei proprio se…”
“Naturalmente verrebbe pagata.” 
“Non è quello in problema. Vede, da quando vivo a Toronto sono tornata ad insegnare e non sono sicura di essere in grado di…”
“La prego, signora Peterson, lo faccia per Justin.”
Lindsay sospirò voltandosi verso il ragazzo. “Tu che ne pensi?”
Justin sorrise. “Sarebbe un onore se allestissi la mia mostra, Linz. Dopotutto, non sarebbe la prima volta, no? E insieme abbiamo sempre fatto grandi cose.”
“Spero solo di non rovinare tutto.” Alzò gli occhi al cielo e prese un bel respiro. “Al diavolo!” Si sfilò il cappotto posandolo su una delle casse lì vicino. “Dove sono i progetti?”
Vanessa batté le mani entusiasta mentre Justin l’abbracciava di slancio. “Grazie, signora Peterson! Grazie davvero!”
“Un’ultima cosa.” Linz richiamò indietro Vanessa che era già partita in quarta verso uno degli uffici.
“Sì?”
Lindsay sorrise. “Chiamami Linz.”
Justin sprofondò sul divano porpora e abbandonò la testa all’indietro, chiudendo gli occhi. Inspirò ed espirò un paio di volte, cercando di tranquillizzarsi. 
Era in uno degli uffici del PIFA; sotto di lui, al primo piano, la sua mostra era iniziata da poco più di un’ora e le cose non andavano affatto bene.
Quando, venti minuti prima, si era scusato con Vanessa e con una scusa aveva imboccato le scale, aveva fatto persino fatica a camminare, tanto era pesante il macigno che aveva sullo stomaco.
Nonostante la sua gallerista cercasse di calmarlo, lui non era proprio riuscito a rimanere in quella stanza: poca, pochissima gente si era presentata, la sala non era stata sistemata a dovere – o meglio, gli operai non avevano avuto il tempo per sistemarla come avrebbero dovuto – , e i quadri che aveva scelto il giorno prima con Linz gli sembravano uno più brutto dell’altro.
Ciliegina sulla torta: Brian non era ancora arrivato.
E lui stava per impazzire.
Si alzò di scatto dal divano, dirigendosi verso il tavolino dei liquori e si versò del whisky, trangugiandolo in un sorso. Ripeté di nuovo l’operazione prima di tornare a sedersi sul divano.
Poggiò i gomiti sulle ginocchia e si coprì il viso con entrambe le mani.
Come cazzo gli era venuto in mente?
Come aveva fatto a dare retta a Vanessa, credendo che quella mostra avrebbe potuto avere successo?
Dopotutto, non era che una serata, senza vip e senza ricconi, dedicata ad una manciata di artisti sconosciuti di cui lui, nolente o dolente, faceva parte.
Sei un coglione, Justin!
Alzò lo sguardo, fissandolo sul muro verde pallido davanti a lui, e scosse la testa, cercando di scacciare quei pensieri disfattisti. Inutile dire che fallì miseramente.
Rimase in quella posizione per un tempo infinito, finché si ritrovò a sobbalzare spaventato al rintocco della pendola, posizionata dietro di lui. Si voltò a guardare l’ora e deglutì piano.
Era rimasto lì più di mezz’ora.
Adesso era ora di scendere e fronteggiare il suo fallimento.
Passò davanti ad uno specchio e si sistemò il maglione azzurro che portava, poi imboccò l’uscita e raggiunse a passi lenti il piano inferiore.
Il suo cuore parve risollevarsi un po’ quando udì il vivace chiacchiericcio provenire dalla sala della mostra.
Se non altro ci saranno almeno trenta persone… è molto più di quanto mi aspettassi... 
Prese un bel respiro ed entrò.
Un sorriso gli spuntò in volto quando vide parecchie persone, parecchie parecchie. Riprese a respirare liberamente quando notò Vanessa, dall’altro lato della stanza, sorridergli radiosa e fargli un occhiolino soddisfatto. Forse non andava tutto così male.
Mosse un paio di passi verso il bar: il bicchierino che si era fatto di sopra non era bastato, ma si bloccò ridacchiando quando si accorse che il bar era già stato preso d’assedio.
Dai suoi amici.
Attorno al bancone, Emmett, Michael, Brian, Daphne e Mel stavano facendo impazzire il povero addetto al rinfresco.
La sua migliore amica lo notò all’istante e gli restituì il sorriso, alzando un pollice in segno di vittoria; poi tirò una gomitata a Brian, accanto a lei, beccandosi un’occhiataccia, e gli indicò Justin col capo.
Brian si voltò rapido verso di lui. Abbandonò immediatamente il suo bicchiere ancora pieno e si avviò a passo rapido nella sua direzione, un sorriso orgoglioso e bellissimo gli incurvava le labbra sottili.
“Ehi.” Disse solo quando lo strinse tra le braccia.
Justin si rifugiò in quell’abbraccio che aveva sempre avuto il potere di tranquillizzarlo. “Ehi.”
Brian gli strofinò con vigore la schiena e gli baciò la tempia. “Va tutto alla grande quindi puoi smetterla di preoccuparti e riprendere a respirare.” Il ragazzo strinse i pugni sulla camicia scura dell’uomo. “Persino quella iena di Vanessa è entusiasta! Pensa che prima mi ha quasi rivolto un sorriso!” Si staccò da lui per guardarlo in volto. “Michael ed Emmett dicono che è stata più una smorfia, ma non me ne frega un cazzo.”
Justin sorrise scuotendo la testa.
“La cosa importante è che, come al solito, le tue mostre attirano sempre un sacco di bei giovanotti aitanti.”
“Ne hai già adocchiato qualcuno?”
Brian si strinse nelle spalle. “Un paio.” Gli baciò teneramente le labbra. “Però sono tutti invitati e tu sai bene che io ho un debole per gli artisti.” Piegò le labbra all’interno della bocca in quel gesto così maliziosamente suo che Justin non poté fare a meno di baciarlo di nuovo.
“Stavo per impazzire. Credevo non venissi.”
Brian gli passò un braccio intorno alle spalle e lo guidò verso i suoi amici. “E perdermi così il tuo grande trionfo? Mai.”
Justin sfregò il naso contro la sua spalla. “E se non…”
“Te l’ho già detto.” Lo interruppe stringendogli di più le spalle. “Non voglio sentire cazzate.”
Justin sorrise. 
Ormai dopo tutti quegli anni insieme, sapeva perfettamente come prendere Brian e come interpretare i suoi gesti e le sue parole; quando faceva il burbero scontroso era solo perché in realtà non riusciva ad esprimere in altro modo l’orgoglio che provava per lui. 
Esattamente come in quel caso.
I suoi amici lo accolsero con un applauso quando arrivò in prossimità del bar, il braccio di Brian sempre stretto attorno a sé. Sorrise loro riconoscente. “Grazie per essere venuti.”
Mel gli si avvicinò immediatamente, gli baciò le labbra e gli sorrise. “Non saremmo mai mancati, lo sai.”
“Non potevamo perderci il tuo trionfo!” Esclamò allegro Emmett battendo le mani eccitato. Lo abbracciò di slancio. “E dai, Brian!” Scacciò il suo vecchio amico in malo modo. “Lasciacelo coccolare un po’!”
“Vuoi qualcosa da coccolare? Comprati un cane!” Ribatté Brian pungente, abbracciando di nuovo Justin.
Michael rise avvicinandosi. “Complimenti, Justin, è tutto grandioso.”
“Grazie, Michael. E comunque ci sei anche tu esposto, lo sai?”
L’uomo strabuzzò gli occhi. “Cosa?”
Justin annuì. “Vanessa ha insistito per esporre le prime tavole di Furore.” Indicò la parete blu in fondo alla stanza. “Quella è tutta dedicata al nostro fumetto.”
Michael si voltò di scatto nella direzione che gli era stata indicata e sbiancò. “Oddio! Qualcuno vedrà le mie storie?”
Mel lo guardò perplessa. “Michael, non vorrei turbarti, ma le tue storie sono già famose. Tutti le conosciamo.”
“Ma qui è diverso!” L’uomo si fece aria con una mano e bevve il suo drink tutto in un sorso. “Questa è gente di un certo livello! Non parliamo dei ragazzini che vengono al mio negozio!”
“Ora non fare l’isterico, Mickey.” Brian gli posò una mano sulla spalla. “E andiamo a vedere questi benedetti disegni, ok?” Si voltò verso Justin. “Torno subito.” Gli sussurrò prima di baciarlo.
Il ragazzo annuì. “Intanto mi do all’alcol.” 
Brian gli fece un sorrisetto. “Sono fiero di te.”
“Allora? Andiamo o no?” Sbraitò Michael.
Brian alzò gli occhi al cielo. “Eccomi…”
“Non posso credere che ci siano le mie storie…” Justin lo sentì dire a Brian mentre si avviavano verso il fondo della stanza.
“Posso dare un bacio al protagonista indiscusso della mostra?”
Justin sorrise e abbracciò la sua migliore amica. “Sono contento che ce l’abbia fatta.”
“Scusa se sono sparita ultimamente, ma abbiamo gli esami di fine trimestre.”
“Tranquilla.” Justin le tirò una ciocca di capelli. “So che sei impegnata a salvare il mondo.”
“Puoi dirlo forte, spiritosone!” Lo rimbeccò la ragazza offesa.
Justin le passò un braccio attorno alle spalle e la condusse verso il centro della sala, iniziando così a dare un’occhiata anche ai lavori degli altri artisti.
“Visto niente che ti piace?” Domandò alla sua amica.
Daphne scosse la testa. “Sono appena arrivata. Anzi, a dir la verità, nessuno di noi ha visto niente. Aspettavamo tutti te.”
“E nel frattempo avete dato l’assalto al bar?”
La ragazza scoppiò a ridere. “Ci conosci. Non siamo adatti a stare in mezzo alle persone. Possiamo essere piuttosto imbarazzanti.”
Justin la strinse a sé. “Ed io sono felice che siate venuti ad imbarazzarmi.”
“Per favore! Non vedevamo l’ora!” Gli pizzicò amichevolmente un braccio. “Alcolici e prelibatezze gratis! Quando ci ricapita?”
Justin rise. “Grazie comunque.”
Jennifer, Molly e Tuck attraversarono in quel momento l’entrata; sua sorella corse verso di lui raggiante, facendo svolazzare il vestito rosso in perfetta sintonia coi capelli ramati. “JusJus!” Gridò abbracciandolo di slancio. “È fantastico qui!”
Justin la strinse forte. “C’era ancora parecchio da fare, ma poteva andare peggio.”
“Andrà tutto benissimo.” Lo rassicurò sua madre, baciandogli una guancia. “Abbiamo intravisto Vanessa e mi sembrava abbastanza soddisfatta.”
Tuck abbracciò Justin. “Complimenti, Justin.”
Il ragazzo gli sorrise. “Grazie. Però adesso cercate di dare un’occhiata anche ai lavori degli altri. Non sono l’unico protagonista stasera.”
Molly scosse le spalle. “Me ne frego. Io sono venuta solo per il mio bellissimo e talentuosissimo fratello.”
Justin le lanciò un’occhiata di gratitudine. 
“Laggiù c’è il bar.” Disse Daphne. “Vedete se riuscite a scavalcare Mel e Emmett e la loro gara di margaritas. Potreste essere fortunati.”
Jennifer sospirò sollevata. “Grazie al cielo. Ho davvero bisogno di bere.”
Tuck le porse un braccio ed entrambi si avviarono verso il bancone; Molly prese il braccio libero del fratello e seguì Justin e Daphne nella loro esplorazione della sala. Attraversarono tutta la mostra dedicata alla pittura – quella di Justin –, per poi passare a quella della scultura e infine a quella della fotografia.
Si soffermarono colpiti su un’istantanea in bianco e nero che ritraeva Pittsburgh dall’alto e notarono quanto l’artista fosse stato capace di catturare, nonostante l’assenza di colore, le luci e la magia della città. Un ragazzo poco più che ventenne si avvicinò a loro con un sorriso, facendo i complimenti a Justin per le sue opere e si presentò come l’artefice della fotografia che tanto li aveva impressionati. Rimasero a chiacchierare con Alex – questo il nome dell’affascinante ragazzo dai capelli castani e gli occhi azzurri – per qualche minuto, prima che si congedassero per passare alla parte che riguardava la musica.
Appena varcarono la soglia della sala adiacente, udirono una meravigliosa sinfonia di pianoforte e violini; mossero qualche passo in direzione della folla. Quella sezione era stata strutturata in maniera diversa dalle altre: al centro troneggiava un soppalco su cui si alternavano tutti i giovani artisti, dai pianisti, ai violoncellisti, agli arpisti. Tutti incredibilmente bravi e di talento.
Dopo circa venti minuti passati a bighellonare per i vari padiglioni vennero intercettati e bloccati da Vanessa. “Finalmente! Ti stavo cercando!” Sorrise cordiale alle due ragazze. “C’è una persona che ha chiesto di te.”
Justin inarcò un sopracciglio. “Davvero?” La donna annuì. “Un compratore?” Provò lui con un sorriso.
“Meglio, mio caro. Un vecchio amico.”
“Devo preoccuparmi?”
Vanessa lo prese per la mano e lo trascinò di nuovo verso la sala in cui erano esposti i suoi lavori. “Eccolo lì!”
Justin spalancò gli occhi sorpreso. 
Alla faccia della sorpresa…
“Justin!” Lo salutò cordiale l’uomo di mezza età davanti a lui, porgendogli una mano. “Come sta?”
Il ragazzo gli strinse la mano abbozzando un sorriso. “Signor Summers, è un onore averla qui.”
Edmund Summers scoppiò in una fragorosa risata. “La smetta di fare il modesto, Justin! Ero da queste parti per affari e ho sentito per caso” lanciò un’occhiata a Vanessa “che c’era un’interessante mostra.”
“Lieto che sia venuto.”
Molly sorrise guardando suo fratello. “Sicuramente non è stata una perdita di tempo.”
“Molly!” La richiamò Justin.
Summers rise. “E tu signorina chi saresti?”
La ragazza gli porse una mano. “Molly Taylor, piacere di conoscerla.”
L’uomo guardò Justin curioso. “Suppongo lei sia troppo giovane per avere già una moglie o mi sbaglio?”
Justin annuì. “Molly è mia sorella. E la mia fan numero uno.”
“L’avevo notato.” Summers sorrise alla ragazza. “Fai bene a sostenere tuo fratello. Un giorno ti renderà ricca, mia cara.”
“È per questo che devo fargli pubblicità.” Scherzò Molly, facendo ridere di nuovo l’uomo.
“Sua sorella è una vera forza, Justin.”
Il ragazzo annuì. “Mi permetta di presentarle anche la mia amica Daphne.” La ragazza gli porse la mano. 
“Miss Daphne.”
“Signor Summers è un onore conoscerla. Justin la ritiene uno dei più illustri critici degli ultimi cinquant’anni.”
L’uomo sorrise. “Credo sia un tantino esagerato.”
“Mi creda, conosco Justin da quando avevamo quattordici anni e lui non è il tipo che esagera.”
Summers rivolse un’occhiata furba a Justin. “Lo sa che queste due deliziose signorine le hanno fatto guadagnate parecchi punti stasera?”
Justin rise. “È per questo che le ho invitate.”
“È davvero un bel tipo, Justin.” Guardò Vanessa che gli sillabò qualcosa e annuì. “Oh si, vogliate scusarmi, ma sono obbligato a prestare attenzione anche agli altri artisti.” I tre ragazzi annuirono con un sorriso. “A più tardi. Signor Taylor, miss Daphne, miss Molly.” E seguì Vanessa nell’analisi degli altri quadri e degli altri settori.
“È fantastico che sia venuto!” Esclamò Justin su di giri.
Molly gli sorrise. “Tu gli piaci!” 
“E anche tanto! Hai sentito che ha detto?”
Justin scosse le spalle. “Può dire quello che vuole, l’importante è che abbia ritenuto questa rassegna degna della sua attenzione. È già la mia seconda mostra! È fantastico!”
Daphne lo abbracciò. “Sono così felice per te!”
“Devo dirlo subito a Brian!” Justin si guardò in giro in cerca del suo fidanzato. “L’avete visto?”
“Sarà con Michael.” Suggerì Daphne. “Io controllo al bar, voi andate di là.”
Justin annuì. “Vieni, Molly Pocket.”
Sua sorella gli prese il braccio e lo seguì per la sala. Arrivarono davanti alle tavole di Furore e diedero un’occhiata intorno: di Brian e Michael neppure l’ombra.
“Saranno in giro per la mostra.” Osservò, alzandosi sulle punte per controllare meglio. “Non possono mica passare tutta la serata al bar a bere.”
Justin ridacchiò. “Si vede che non sei mai stata al Babylon. Dovrei portartici una sera.”
Molly inarcò un sopracciglio. “Dove?”
“Lascia perdere.” Il ragazzo si strinse nelle spalle. “Quando compirai ventun’anni chiederò a Brian di farti festeggiare lì.”
“Non ho idea di che razza di posto sia, ma l’idea mi piace.”
“Eccovi!” Daphne arrivò alle loro spalle seguita da Brian. L’uomo baciò Molly sulla guancia e abbracciò Justin. 
“Mi cercavi?”
Justin annuì. “C’è anche Edmund Summers!” Esclamò eccitato.
“Il critico di cui mi hai parlato?”
“Non riesco a credere che sia qui!”
Brian gli sorrise fiero e lo baciò. “Te l’avevo detto di stare tranquillo. Sei sempre il solito megalomane perfezionista e pessimista.”
Justin si strinse a lui. “Credevo andasse tutto male e invece… invece no! Va tutto alla grande!”
Daphne scosse la testa divertita. “Tu eri l’unico che non ne era convinto. Guarda noi! Eravamo totalmente fiduciosi!”
“Allora?” Chiese Brian ancora sorridendo. “Dov’è? Sono proprio curioso di vedere questo grand’uomo che ha il potere di terrorizzarti.”
Justin diede un’occhiata in giro. “Là.” Indicò alla loro sinistra. “Lo vedi l’uomo che parla con Nessa?”
Brian inarcò un sopracciglio. “Quel vecchio decrepito?”
Molly scoppiò a ridere mentre Justin gli rifilava una gomitata. “Ma che vecchio! Non avrà nemmeno sessant’anni!”
“Appunto! È un vecchio!” 
“Un vecchio che però potrebbe distruggere la mia carriera, quindi comportati bene.” 
“Ehi.” Molly si fece improvvisamente seria. “Ma quello io lo conosco!”
Brian, Justin e Daphne si voltarono verso di lei. “Chi?” Chiese suo fratello.
Molly indicò di nuovo il critico. “Il ragazzo dietro Summers. Lo vedete? Mi sembra di averlo già visto da qualche parte.”
I tre guardarono nella direzione suggerita dalla ragazza. “Dove?” Domandò Brian.
Daphne spalancò gli occhi agghiacciata. “Oh, cazzo…”
Molly la guardò. “Hai visto?”
Brian e Justin si scambiarono un’occhiata confusa: nessuno dei due vedeva ciò che aveva tanto sconvolto le ragazze.
“Ma dove?” Justin si alzò sulle punte.
“Ma sì, dai!” Molly scosse suo fratello per un braccio. “Era quel tuo amico… o ragazzo, o quello che era.” Brian inarcò un sopracciglio contrariato. “Dai, Justin! Il tortura gatti!” Aggrottò la fronte. “Evan?” Tentò incerta.
Brian mollò all’istante Justin e avanzò di qualche passo con sguardo minaccioso. “Ian?”
Justin lo raggiunse con sguardo terrorizzato, seguito immediatamente da Molly e Daphne. “Non può essere…” Deglutì sonoramente e strabuzzò gli occhi, per essere sicuro di non essere impazzito. “Ethan?”

9. The Exhibit (Part 1)






“Ecco, papà, ecco papà!” Gus lasciò bruscamente la mano di Mel e corse verso l’uomo bruno che lo aspettava con un sorriso davanti alle porte scorrevoli; Linz strinse più forte Jenny Rebecca che tentava di seguire suo fratello mentre il suo primogenito si gettava tra le braccia di Brian.

“Ehi, campione!” Lo accolse Brian, spettinandogli i capelli. “Finalmente siete arrivati! Zio Michael mi ha già chiamato quattro volte.”

Mel e Linz arrivarono esauste davanti a loro. “L’aereo ha fatto ritardo.” Spiegò la bionda, mollando la valigia. “E i nostri bagagli sono stati gli ultimi ad essere scaricati.” Abbracciò il suo migliore amico baciandolo rapidamente. “Aspetti da tanto?”

Brian accarezzò la testa di Jenny e si strinse nelle spalle. “No, tranquilla. È Mamma Orsa che è diventata apprensiva.” Si voltò verso Mel, inarcando un sopracciglio. I due si studiarono per un istante, prima di abbracciarsi uno più riluttante dell’altra. Si separarono quasi immediatamente.

“Intanto, però, ho preso questo.” E indicò il carrello su cui iniziò a caricare le valige.

“Grazie al cielo…” Sospirò Linz sollevata.

Gus si aggrappò alla gamba di Brian. “Papà, sei venuto con la Corvette?”

Brian gli sorrise pizzicandogli una guancia. “No, campione, mi dispiace.” Il bambino arricciò il naso. “Non ci saremmo stati tutti sulla Corvette. Ho portato la Jeep.”

Mel sistemò il trolley sul carrello e prese Jenny dalle braccia di sua moglie, che le sorrise riconoscente. 

“Che poi un giorno mi spiegherai che te ne fai di due macchine, Bri.” Osservò la bionda, prendendo la mano a Gus e iniziando a camminare verso l’uscita. 

Brian le rivolse un sorriso sbieco. “Per ricordarmi ogni giorno di quanto io sia fottutamente ricco.”

“Come se il tuo perfetto completo Armani non fosse sufficiente.” Lo rimbeccò Mel seccata.

Brian ridacchiò spingendo il carrello attraverso l’uscita e poi verso la sua auto, parcheggiata lì vicino. Caricò i bagagli e si mise al volante, Linz seduta accanto a lui, Mel dietro coi bambini.

“Credevamo portassi anche Justin.” Disse la mora, lanciando un’occhiata ammonitrice a Jenny che continuava a divincolarsi cercando di arrivare al sedile di Lindsay.

Sua moglie guardò Brian con un sorriso. “Che c’è? Si è già stancato di te?” Lo prese in giro.

L’uomo le rivolse una smorfia. “Che simpatica…” Le due donne risero di gusto. “Aveva un impegno con quella pazza della sua gallerista.”

“La tipa di New York?” Chiese Mel.

Brian annuì. “Vanessa Austen.” Fece con tono pomposo. “Una vera stronza.”

Mel abbozzò un sorriso. “Avete qualcosa in comune, allora.”

“Mamma, papà ha detto una parolaccia?” 

Mel si voltò verso suo figlio e gli accarezzò una guancia. “Certo che no, tesoro. Papà non lo farebbe mai.” Ribatté, lanciando un’eloquente e minacciosa occhiata a Brian.

Brian sbuffò, uscendo dall’autostrada e immergendosi nel caotico traffico dell’ora di punta. 

“Come mai è venuta qui?” Chiese Linz curiosa. “Non avevi detto che Justin sarebbe rimasto fino al matrimonio?”

L’uomo annuì. “Pare che avesse un progetto tra le mani.” Inchiodò di colpo, dando un colpo di clacson e mordendosi il labbro per evitare di mandare a fanculo un idiota che gli aveva tagliato la strada. “Coglione…” Borbottò sottovoce, beccandosi comunque un pizzico sul braccio da Mel.

Linz sorrise. “Che progetto?”

“La grande manager ha avuto l’idea di organizzare una serata per gli ex alunni del PIFA e ha incastrato Justin per darle una mano.”

“Ma è grandioso!” Esultò Linz. “Justin dev’essere al settimo cielo! Una mostra su di lui proprio qui, a Pittsburgh!”

Mel sorrise fiera. “Così magari questa città si renderà conto di che razza di geniaccio è quel ragazzo.”

Brian sbuffò. “Sarà… ma comunque per colpa di quell’arpia, Justin non l’ho visto nemmeno col binocolo in questi giorni…”

“Oooh…” Linz guardò intenerita Brian e gli scompigliò i capelli neanche fosse stato un bambino di tre anni. “Il povero, dolce Brian si sente trascurato…” Si voltò verso sua moglie. “Non è tenero, Mel?”

“Io non mi sento un caz… un bel niente!” Si riprese al volo, cercando di sistemarsi i capelli. “E smettila di spettinarmi!”

Linz ridacchiò. “Allora, a quando la grande serata?”

Brian svoltò verso destra ed entrò nel tranquillo e familiare quartiere in cui viveva Michael. “Grazie al cielo, domani sera. Ancora un giorno e mezzo e tutto tornerà alla normalità: la iena tornerà nella savana e lascerà finalmente in pace Justin.” Lanciò un’occhiataccia a Linz che aveva aperto la bocca per ribattere, ma che lasciò immediatamente perdere continuando comunque a sogghignare.

“Eccoci qua.” Si fermò davanti al vialetto dei Bruckner-Novotny. “Ora tutti fuori.” Scese dall’auto e raggiunse il bagagliaio, iniziando a scaricare le valige. La porta d’ingresso si aprì e Hunter e Lane ne uscirono tutti sorridenti.

“Ehi, ragazzi.” Li salutò Brian. “Dove diavolo è tuo padre?” Chiese poi ad Hunter.

Il ragazzo scosse le spalle. “In cucina.”

Brian alzò gli occhi al cielo. “Oh, poveri noi…”

Lane ridacchiò e baciò Hunter su una guancia. “Allora, ci vediamo domani.”

“Lane!” La chiamò allegra la vocina di Jenny. La bambina scese di corsa dall’auto e si gettò tra le braccia della bionda. 

“Ciao, tesoro.” Lane l’abbracciò stretta, baciandole i capelli castani.

“Non te ne andare!” La pregò Jenny. “Devi giocare con me!”

Lane le sorrise. “Mi dispiace, piccola, ma mi aspettano a casa.”

“Nooooo…”

“Ti prometto che domani torno a trovarvi, ok?”

Hunter prese in braccio la bambina. “Jenny, dai, non fare i capricci.” Jenny si accoccolò contro suo fratello. “Giocherai domani con Lane, ok?”

La bambina scosse la testa. Mel le si avvicinò. “Smettila, Jenny Rebecca, altrimenti Lane non vorrà più tornare.”

Jenny sollevò il viso e guardò la ragazza. “Davvero torni domani?”

Lane annuì e si alzò sulle punte per baciarle la fronte. “Promesso.”

“Nanetta…” La prese in giro Hunter, beccandosi un pugno sul braccio.

La ragazza si voltò poi verso le due donne. “Arrivederci, signora Marcus, signora Peterson.” Guardò Brian, arrossendo un po’. “Signor Kinney.”

Brian le sorrise brevemente posando l’ultima valigia sul marciapiede. “Ciao, Lane.”

Salutò con la mano Hunter e Jenny e si avviò lungo la strada, facendo ondeggiare la coda di cavallo.

Linz prese Jenny Rebecca tra le braccia e lanciò un’occhiatina maliziosa a Hunter. “A noi piace molto Lane, te l’abbiamo mai detto?”

Hunter alzò gli occhi al cielo. “Ogni volta che venite.”

“E ogni volta si fa più carina.” Rincarò Mel spingendo Gus verso l’entrata.

“Sì sì, va bene…”

“Ehi, Novotny! Ma dove cazzo sei?” Sbraitò Brian, una volta che Gus entrò in casa. “Queste valige non si portano dentro da sole! E se pensi che farò tutto io, non hai davvero capito un cazzo!”

Michael uscì in quel momento, tutto trafelato, con addosso ancora il grembiule da cucina. “Ma che hai da urlare? Sembri un matto!”

“Finalmente!” Brian gli lanciò una delle borse più leggere prima ancora che l’uomo oltrepassasse il cancello. “Hai finito di fare Nonna Papera?”

Michael fece una smorfia. “Che ridere…”

“Sei sempre il solito scansafatiche! Io non ho intenzione di fare anche la tua parte!”

“E chi cazzo te lo chiede? Sei stato tu a voler andare all’aeroporto!” Michael lo spintonò prendendo una delle valige e iniziando a salire le scale verso la casa, seguito da Brian.

“Appunto! Ad andare all’aeroporto, non a fare il facchino perché tu eri troppo impegnato a preparare tè e biscotti!”

“Vaffanculo, Brian!”

“Solo dopo di te, Mickey.” Ribatté l’amico con un sorrisetto.

Hunter li sorpassò scuotendo la testa. “La smetterete mai di battibeccare come due checche isteriche?”

Michael gli rifilò uno scappellotto sulla nuca. “Zitto tu! E fa’ vedere a Mel e Linz le loro stanze invece di fare lo spiritoso!”

Brian guardò colpito il suo amico. “Bel metodo educativo, Mickey. La dolce metà che ne pensa?”

L’uomo lo guardò minaccioso senza ribattere. “Mia madre si è autoinvitata a cena.” Disse, rivolgendosi poi a Mel. “Spero non vi dispiaccia. Le ho detto che avreste potuto essere stanche per il viaggio, ma…”

Mel gli sorrise. “Conosciamo tua madre, Michael, non preoccuparti. I bambini saranno felici di rivedere i nonni.”

Michael si voltò verso Brian. “Tu e Justin venite?”

“Non credo proprio.” Ribatté Brian con un sorriso.

“A Mel e Linz farebbe piacere rivedere Justin.”

“E a me farebbe piacere stare a casa con Justin, che tra parentesi non vedo da quasi due giorni, senza che nessuno rompa le palle.”

Michael ridacchiò. “La newyorkese vip quando riparte?”

“Spero presto.” Guardò l’orologio. “Cazzo, devo andare. Ted mi aspetta.” Indicò a Hunter le due valige ai sui piedi e gli fece segno di portarle di sopra. 

“Che palle…” Sbuffò il ragazzo.

“Muoviti…” Lo rimbeccò suo padre.

Brian salutò suo figlio che gli aggrappò alle spalle e gli strappò la promessa di passare con lui il sabato successivo. “Ok, Sonnyboy.” Gli accarezzò i capelli, poi si voltò verso Michael. “Ci vediamo domani sera alla mostra.” Lo baciò sulle labbra.

“Ci puoi contare.”

“Brian, aspetta!” Lo richiamò la voce di Lindsay. “Vengo anch’io!”

Brian inarcò un sopracciglio. “Alla Kinnetic?”

“Certo che no!” Gli schiaffeggiò una spalla. “Devi portarmi al PIFA!”

“A fare che?”

Lindsay incrociò le braccia al petto. “Voglio vedere Justin!”

“E non puoi aspettare domani?”

“Smettila ed inizia ad uscire!” Salutò i suoi figli, Mel e Michael e spinse Brian verso la porta.

“Ma che ci vai a fare?”

“Voglio solo vedere come se la cava.”

Salirono entrambi in macchina. “Alla grande, come sempre.”

“Potrei anche aiutarlo, sai? Dargli qualche consiglio.” La donna sorrise. “Non ti dimenticare che sono stata io a scoprirlo.”

Brian grugnì. “Non me lo ricordare…”

Dieci minuti più tardi, la Jeep scura di Brian si fermò davanti all’istituto d’arte; Linz si slacciò la cintura e si sistemò meglio il cappotto grigio. “Tu non vieni?”

Brian scosse la testa. “Quale parte di ho un appuntamento di lavoro non ti è chiara?” Chiese con un sorrisino sprezzante.

Linz sbuffò. “Quanto la fai lunga… a Justin farebbe piacere.”

“Justin sta lavorando e non deve essere distratto.” Inarcò un sopracciglio. “Chiaro?”

La donna annuì. “Sì, certo.”

“Passo a prendervi più tardi.” Concluse in fretta Brian mentre lo sportello si chiudeva.

“A dopo.” Gli mandò un bacio e si avviò verso la scuola.

Entrò nell’atrio affollato di operai e si diresse verso quella che sapeva essere la sala più grande: sicuramente la mostra sarebbe stata lì. Evitò per un pelo di essere colpita da un uomo che trasportava una scala e inciampò quasi sui cavi delle luci.

“Grande…” Borbottò. “Altri dieci minuti e sarò morta.”

Avanzò cauta verso il centro della stanza e sorrise quando, a una decina di metri di distanza, una testolina bionda fece capolino da dietro un paravento.

“Ehi, grande artista.” Lo chiamò allegra. “Ti disturbo?”

Justin si voltò verso di lei con un sorriso radioso. “Sei arrivata!” Disse correndo ad abbracciarla. 

“Spero non ti dispiaccia se sono venuta ad impicciarmi.”

Il ragazzo scosse la testa. “Al contrario! Mi farebbero comodo i tuoi consigli.”

La donna si guardò intorno con sguardo perplesso. “Brian mi ha detto che la mostra è domani sera.” Justin annuì. “E non siete un po’ indietro col programma? Voglio dire, qui manca tutto.”

“Abbiamo avuto dei problemi. La mia gallerista sta dando di matto. E anche io.”

Linz gli accarezzò i capelli. “Andrà tutto bene.” Lo rassicurò.

“È che…” Justin prese un bel respiro. “È la prima mostra che tengo a Pittsburgh e lo so che non è solo per me, che ci saranno anche i lavori di molte altre persone, che non sarà come a Toronto o New York, ma…” Si passò nervosamente una mano tra i capelli. “… voglio, anzi no, pretendo che tutto sia perfetto. Tutto. Voglio rendere orgogliosi tutti quelli che credono in me. Ma qui la situazione va in malora.”

Lindsay lo abbracciò. “Brian è già fiero di te.” Si staccò leggermente e gli sorrise. “Esattamente come lo era alla tua prima mostra al Centro Gay e Lesbiche. Avresti dovuto sentirlo in macchina: ‘Non distrarlo, fallo lavorare in pace…’! Gli si leggeva in faccia! E avrebbe voluto essere qui se non avesse saputo che la sua presenza ti avrebbe distolto dal tuo lavoro.”

Justin sospirò. “Sarà la prima mostra seria in cui lui sarà al mio fianco.” Abbozzò un sorriso. “E sono un po’ agitato.”

“Anche lui lo è, credimi.” Lo rassicurò.

“Davvero?”

Linz annuì. “Ora, però, devi tornare a concentrarti e pensare…” lo superò e prese una delle tele che stava studiando fino ad un attimo prima “… dove vuoi mettere questa meraviglia. Dio, è bellissimo, Justin.”

Justin le sorrise. “Grazie, è uno dei miei preferiti. Da quando sono tornato sono sempre così… ispirato, non faccio altro che chiudermi in camera e…”

“Bè, se questo è il risultato, l’aria di Pittsburgh ti fa sicuramente bene.”

“Anche la mia gallerista è d’accordo.”

“A proposito.” Linz si guardò intorno. “Sono proprio curiosa di conoscere quest’arpia che ha avuto il potere di far scendere Mel al secondo posto nella personale classifica di Brian delle donne più odiose del pianeta.”

Justin ridacchiò. “Oh, quando la vedrai non potrai che dare ragione a Brian…”

“Sul serio?”

“CHE COSA DOVREBBE ESSERE QUESTA COSA?” 

La voce furibonda di Vanessa risuonò in tutta la stanza facendo sobbalzare tutti i presenti.

“Signorina Austen, io…”

“Silenzio!” Vanessa zittì immediatamente il povero malcapitato che aveva osato interromperla. “È tutto sbagliato! Tutto! Questa parete! Questa avrebbe dovuto essere blu! Non verde acqua! Conoscete la differenza oppure devo prendere un bambino delle elementari per aiutarvi nell’identificazione dei colori?” Voltò le spalle all’uomo e si diresse a passo spedito verso Justin, finendo quasi col sedere a terra quando le sue scarpe firmate con tacco dodici si impigliarono nei fili che avevano quasi ucciso Lindsay. “E che cosa diavolo ci fanno questi fili ancora scoperti?” La sua voce si alzò di un’ottava mentre controllava che le sue preziose Jimmy Choo non avessero subito danni. “Voglio che prima di stasera sia tutto a posto, sono stata chiara? Oppure scordatevi pure di essere pagati!”

In due passi raggiunse Justin, ignorando completamente Lindsay. “Hai deciso la collocazione?” Si massaggiò con decisione le tempie. “Dimmi di sì o potrei anche ucciderti seduta stante.”

Justin la guardò perplesso, incerto se ridere o scappare il più lontano possibile da lei.

“Se può sollevarla, anche io stavo per inciampare su quei cavi.” Disse Linz con un sorriso. “Anche se le mie scarpe non sono di sicuro costose come le sue.”

Vanessa inarcò un sopracciglio e si voltò verso di lei, come se si fosse appena accorta della sua presenza. “Mi scusi, ci conosciamo?”

Lindsay le sorrise, porgendole una mano. “Lindsay Peterson. Sono… un’amica di Justin.”

“Lei è stata la mia talent scout, sai?” Confessò Justin lanciandole un’occhiata divertita.

Vanessa la studiò per un istante, poi le sorrise. “Era anche a Toronto, giusto?” Linz annuì. “Steve mi ha parlato di lei. L’amica artista.”

“Sono un’insegnante d’arte.” La corresse.

Justin la guardò male. “E anche un’artista bravissima. È stata lei la prima ad organizzare una mostra coi miei lavori.”

Vanessa inarcò un sopracciglio, improvvisamente interessata. “Davvero? Credevo avesse solo spinto Justin verso l’arte.”

“È così. Non ho fatto nulla di più che comprargli colori e pennelli.”

Justin scosse la testa. “Cazzate! Lei e sua moglie mi hanno convinto ad esporre i miei lavori. Io non avrei mai avuto il coraggio.”

“Peterson…” Vanessa si tamburellò il mento con un dito. “Dove ho già sentito il suo nome?”

Lindsay si strinse nelle spalle. “Probabilmente è un caso di omonimia. Dubito che conosca il mio nom…”

“Sam Auerbach!” Linz e Justin s’irrigidirono all’istante. “Sì, è stato Sam a nominarla!”

“Conosce il signor Auerbach?” Domandò Lindsay con tono incerto.

Vanessa annuì. “Un vecchio amico di mio padre. Una volta l’ho sentito parlare della mostra che aveva tenuto qui e non ha fatto che lodare il suo lavoro e il suo incredibile talento, signora Peterson.”

Linz fece un sorriso forzato. “La ringrazio.”

“Le andrebbe di darci una mano?” Chiese a bruciapelo la ragazza, cogliendo di sorpresa i suoi interlocutori. “Una persona con la sua esperienza ci sarebbe di grande aiuto.” Allargò le braccia indicando la sala che sembrava ancora un cantiere aperto. “E qui, mi creda, ne abbiamo davvero bisogno.”

Lindsay la guardò sorpresa. “Io non… l’offerta è allettante, ma non saprei proprio se…”

“Naturalmente verrebbe pagata.” 

“Non è quello in problema. Vede, da quando vivo a Toronto sono tornata ad insegnare e non sono sicura di essere in grado di…”

“La prego, signora Peterson, lo faccia per Justin.”

Lindsay sospirò voltandosi verso il ragazzo. “Tu che ne pensi?”

Justin sorrise. “Sarebbe un onore se allestissi la mia mostra, Linz. Dopotutto, non sarebbe la prima volta, no? E insieme abbiamo sempre fatto grandi cose.”

“Spero solo di non rovinare tutto.” Alzò gli occhi al cielo e prese un bel respiro. “Al diavolo!” Si sfilò il cappotto posandolo su una delle casse lì vicino. “Dove sono i progetti?”

Vanessa batté le mani entusiasta mentre Justin l’abbracciava di slancio. “Grazie, signora Peterson! Grazie davvero!”

“Un’ultima cosa.” Linz richiamò indietro Vanessa che era già partita in quarta verso uno degli uffici.

“Sì?”

Lindsay sorrise. “Chiamami Linz.”






Justin sprofondò sul divano porpora e abbandonò la testa all’indietro, chiudendo gli occhi. Inspirò ed espirò un paio di volte, cercando di tranquillizzarsi. 

Era in uno degli uffici del PIFA; sotto di lui, al primo piano, la sua mostra era iniziata da poco più di un’ora e le cose non andavano affatto bene.

Quando, venti minuti prima, si era scusato con Vanessa e con una scusa aveva imboccato le scale, aveva fatto persino fatica a camminare, tanto era pesante il macigno che aveva sullo stomaco.

Nonostante la sua gallerista cercasse di calmarlo, lui non era proprio riuscito a rimanere in quella stanza: poca, pochissima gente si era presentata, la sala non era stata sistemata a dovere – o meglio, gli operai non avevano avuto il tempo per sistemarla come avrebbero dovuto – , e i quadri che aveva scelto il giorno prima con Linz gli sembravano uno più brutto dell’altro.

Ciliegina sulla torta: Brian non era ancora arrivato.

E lui stava per impazzire.

Si alzò di scatto dal divano, dirigendosi verso il tavolino dei liquori e si versò del whisky, trangugiandolo in un sorso. Ripeté di nuovo l’operazione prima di tornare a sedersi sul divano.

Poggiò i gomiti sulle ginocchia e si coprì il viso con entrambe le mani.

Come cazzo gli era venuto in mente?

Come aveva fatto a dare retta a Vanessa, credendo che quella mostra avrebbe potuto avere successo?

Dopotutto, non era che una serata, senza vip e senza ricconi, dedicata ad una manciata di artisti sconosciuti di cui lui, nolente o dolente, faceva parte.

Sei un coglione, Justin!

Alzò lo sguardo, fissandolo sul muro verde pallido davanti a lui, e scosse la testa, cercando di scacciare quei pensieri disfattisti. Inutile dire che fallì miseramente.

Rimase in quella posizione per un tempo infinito, finché si ritrovò a sobbalzare spaventato al rintocco della pendola, posizionata dietro di lui. Si voltò a guardare l’ora e deglutì piano.

Era rimasto lì più di mezz’ora.

Adesso era ora di scendere e fronteggiare il suo fallimento.

Passò davanti ad uno specchio e si sistemò il maglione azzurro che portava, poi imboccò l’uscita e raggiunse a passi lenti il piano inferiore.

Il suo cuore parve risollevarsi un po’ quando udì il vivace chiacchiericcio provenire dalla sala della mostra.

Se non altro ci saranno almeno trenta persone… è molto più di quanto mi aspettassi... 

Prese un bel respiro ed entrò.

Un sorriso gli spuntò in volto quando vide parecchie persone, parecchie parecchie. Riprese a respirare liberamente quando notò Vanessa, dall’altro lato della stanza, sorridergli radiosa e fargli un occhiolino soddisfatto. Forse non andava tutto così male.

Mosse un paio di passi verso il bar: il bicchierino che si era fatto di sopra non era bastato, ma si bloccò ridacchiando quando si accorse che il bar era già stato preso d’assedio.

Dai suoi amici.

Attorno al bancone, Emmett, Michael, Brian, Daphne e Mel stavano facendo impazzire il povero addetto al rinfresco.

La sua migliore amica lo notò all’istante e gli restituì il sorriso, alzando un pollice in segno di vittoria; poi tirò una gomitata a Brian, accanto a lei, beccandosi un’occhiataccia, e gli indicò Justin col capo.

Brian si voltò rapido verso di lui. Abbandonò immediatamente il suo bicchiere ancora pieno e si avviò a passo rapido nella sua direzione, un sorriso orgoglioso e bellissimo gli incurvava le labbra sottili.

“Ehi.” Disse solo quando lo strinse tra le braccia.

Justin si rifugiò in quell’abbraccio che aveva sempre avuto il potere di tranquillizzarlo. “Ehi.”

Brian gli strofinò con vigore la schiena e gli baciò la tempia. “Va tutto alla grande quindi puoi smetterla di preoccuparti e riprendere a respirare.” Il ragazzo strinse i pugni sulla camicia scura dell’uomo. “Persino quella iena di Vanessa è entusiasta! Pensa che prima mi ha quasi rivolto un sorriso!” Si staccò da lui per guardarlo in volto. “Michael ed Emmett dicono che è stata più una smorfia, ma non me ne frega un cazzo.”

Justin sorrise scuotendo la testa.

“La cosa importante è che, come al solito, le tue mostre attirano sempre un sacco di bei giovanotti aitanti.”

“Ne hai già adocchiato qualcuno?”

Brian si strinse nelle spalle. “Un paio.” Gli baciò teneramente le labbra. “Però sono tutti invitati e tu sai bene che io ho un debole per gli artisti.” Piegò le labbra all’interno della bocca in quel gesto così maliziosamente suo che Justin non poté fare a meno di baciarlo di nuovo.

“Stavo per impazzire. Credevo non venissi.”

Brian gli passò un braccio intorno alle spalle e lo guidò verso i suoi amici. “E perdermi così il tuo grande trionfo? Mai.”

Justin sfregò il naso contro la sua spalla. “E se non…”

“Te l’ho già detto.” Lo interruppe stringendogli di più le spalle. “Non voglio sentire cazzate.”

Justin sorrise. 

Ormai dopo tutti quegli anni insieme, sapeva perfettamente come prendere Brian e come interpretare i suoi gesti e le sue parole; quando faceva il burbero scontroso era solo perché in realtà non riusciva ad esprimere in altro modo l’orgoglio che provava per lui. 

Esattamente come in quel caso.

I suoi amici lo accolsero con un applauso quando arrivò in prossimità del bar, il braccio di Brian sempre stretto attorno a sé. Sorrise loro riconoscente. “Grazie per essere venuti.”

Mel gli si avvicinò immediatamente, gli baciò le labbra e gli sorrise. “Non saremmo mai mancati, lo sai.”

“Non potevamo perderci il tuo trionfo!” Esclamò allegro Emmett battendo le mani eccitato. Lo abbracciò di slancio. “E dai, Brian!” Scacciò il suo vecchio amico in malo modo. “Lasciacelo coccolare un po’!”

“Vuoi qualcosa da coccolare? Comprati un cane!” Ribatté Brian pungente, abbracciando di nuovo Justin.

Michael rise avvicinandosi. “Complimenti, Justin, è tutto grandioso.”

“Grazie, Michael. E comunque ci sei anche tu esposto, lo sai?”

L’uomo strabuzzò gli occhi. “Cosa?”

Justin annuì. “Vanessa ha insistito per esporre le prime tavole di Furore.” Indicò la parete blu in fondo alla stanza. “Quella è tutta dedicata al nostro fumetto.”

Michael si voltò di scatto nella direzione che gli era stata indicata e sbiancò. “Oddio! Qualcuno vedrà le mie storie?”

Mel lo guardò perplessa. “Michael, non vorrei turbarti, ma le tue storie sono già famose. Tutti le conosciamo.”

“Ma qui è diverso!” L’uomo si fece aria con una mano e bevve il suo drink tutto in un sorso. “Questa è gente di un certo livello! Non parliamo dei ragazzini che vengono al mio negozio!”

“Ora non fare l’isterico, Mickey.” Brian gli posò una mano sulla spalla. “E andiamo a vedere questi benedetti disegni, ok?” Si voltò verso Justin. “Torno subito.” Gli sussurrò prima di baciarlo.

Il ragazzo annuì. “Intanto mi do all’alcol.” 

Brian gli fece un sorrisetto. “Sono fiero di te.”

“Allora? Andiamo o no?” Sbraitò Michael.

Brian alzò gli occhi al cielo. “Eccomi…”

“Non posso credere che ci siano le mie storie…” Justin lo sentì dire a Brian mentre si avviavano verso il fondo della stanza.

“Posso dare un bacio al protagonista indiscusso della mostra?”

Justin sorrise e abbracciò la sua migliore amica. “Sono contento che ce l’abbia fatta.”

“Scusa se sono sparita ultimamente, ma abbiamo gli esami di fine trimestre.”

“Tranquilla.” Justin le tirò una ciocca di capelli. “So che sei impegnata a salvare il mondo.”

“Puoi dirlo forte, spiritosone!” Lo rimbeccò la ragazza offesa.

Justin le passò un braccio attorno alle spalle e la condusse verso il centro della sala, iniziando così a dare un’occhiata anche ai lavori degli altri artisti.

“Visto niente che ti piace?” Domandò alla sua amica.

Daphne scosse la testa. “Sono appena arrivata. Anzi, a dir la verità, nessuno di noi ha visto niente. Aspettavamo tutti te.”

“E nel frattempo avete dato l’assalto al bar?”

La ragazza scoppiò a ridere. “Ci conosci. Non siamo adatti a stare in mezzo alle persone. Possiamo essere piuttosto imbarazzanti.”

Justin la strinse a sé. “Ed io sono felice che siate venuti ad imbarazzarmi.”

“Per favore! Non vedevamo l’ora!” Gli pizzicò amichevolmente un braccio. “Alcolici e prelibatezze gratis! Quando ci ricapita?”

Justin rise. “Grazie comunque.”

Jennifer, Molly e Tuck attraversarono in quel momento l’entrata; sua sorella corse verso di lui raggiante, facendo svolazzare il vestito rosso in perfetta sintonia coi capelli ramati. “JusJus!” Gridò abbracciandolo di slancio. “È fantastico qui!”

Justin la strinse forte. “C’era ancora parecchio da fare, ma poteva andare peggio.”

“Andrà tutto benissimo.” Lo rassicurò sua madre, baciandogli una guancia. “Abbiamo intravisto Vanessa e mi sembrava abbastanza soddisfatta.”

Tuck abbracciò Justin. “Complimenti, Justin.”

Il ragazzo gli sorrise. “Grazie. Però adesso cercate di dare un’occhiata anche ai lavori degli altri. Non sono l’unico protagonista stasera.”

Molly scosse le spalle. “Me ne frego. Io sono venuta solo per il mio bellissimo e talentuosissimo fratello.”

Justin le lanciò un’occhiata di gratitudine. 

“Laggiù c’è il bar.” Disse Daphne. “Vedete se riuscite a scavalcare Mel e Emmett e la loro gara di margaritas. Potreste essere fortunati.”

Jennifer sospirò sollevata. “Grazie al cielo. Ho davvero bisogno di bere.”

Tuck le porse un braccio ed entrambi si avviarono verso il bancone; Molly prese il braccio libero del fratello e seguì Justin e Daphne nella loro esplorazione della sala. Attraversarono tutta la mostra dedicata alla pittura – quella di Justin –, per poi passare a quella della scultura e infine a quella della fotografia.

Si soffermarono colpiti su un’istantanea in bianco e nero che ritraeva Pittsburgh dall’alto e notarono quanto l’artista fosse stato capace di catturare, nonostante l’assenza di colore, le luci e la magia della città. Un ragazzo poco più che ventenne si avvicinò a loro con un sorriso, facendo i complimenti a Justin per le sue opere e si presentò come l’artefice della fotografia che tanto li aveva impressionati. Rimasero a chiacchierare con Alex – questo il nome dell’affascinante ragazzo dai capelli castani e gli occhi azzurri – per qualche minuto, prima che si congedassero per passare alla parte che riguardava la musica.

Appena varcarono la soglia della sala adiacente, udirono una meravigliosa sinfonia di pianoforte e violini; mossero qualche passo in direzione della folla. Quella sezione era stata strutturata in maniera diversa dalle altre: al centro troneggiava un soppalco su cui si alternavano tutti i giovani artisti, dai pianisti, ai violoncellisti, agli arpisti. Tutti incredibilmente bravi e di talento.

Dopo circa venti minuti passati a bighellonare per i vari padiglioni vennero intercettati e bloccati da Vanessa. “Finalmente! Ti stavo cercando!” Sorrise cordiale alle due ragazze. “C’è una persona che ha chiesto di te.”

Justin inarcò un sopracciglio. “Davvero?” La donna annuì. “Un compratore?” Provò lui con un sorriso.

“Meglio, mio caro. Un vecchio amico.”

“Devo preoccuparmi?”

Vanessa lo prese per la mano e lo trascinò di nuovo verso la sala in cui erano esposti i suoi lavori. “Eccolo lì!”

Justin spalancò gli occhi sorpreso. 

Alla faccia della sorpresa…

“Justin!” Lo salutò cordiale l’uomo di mezza età davanti a lui, porgendogli una mano. “Come sta?”

Il ragazzo gli strinse la mano abbozzando un sorriso. “Signor Summers, è un onore averla qui.”

Edmund Summers scoppiò in una fragorosa risata. “La smetta di fare il modesto, Justin! Ero da queste parti per affari e ho sentito per caso” lanciò un’occhiata a Vanessa “che c’era un’interessante mostra.”

“Lieto che sia venuto.”

Molly sorrise guardando suo fratello. “Sicuramente non è stata una perdita di tempo.”

“Molly!” La richiamò Justin.

Summers rise. “E tu signorina chi saresti?”

La ragazza gli porse una mano. “Molly Taylor, piacere di conoscerla.”

L’uomo guardò Justin curioso. “Suppongo lei sia troppo giovane per avere già una moglie o mi sbaglio?”

Justin annuì. “Molly è mia sorella. E la mia fan numero uno.”

“L’avevo notato.” Summers sorrise alla ragazza. “Fai bene a sostenere tuo fratello. Un giorno ti renderà ricca, mia cara.”

“È per questo che devo fargli pubblicità.” Scherzò Molly, facendo ridere di nuovo l’uomo.

“Sua sorella è una vera forza, Justin.”

Il ragazzo annuì. “Mi permetta di presentarle anche la mia amica Daphne.” La ragazza gli porse la mano. 

“Miss Daphne.”

“Signor Summers è un onore conoscerla. Justin la ritiene uno dei più illustri critici degli ultimi cinquant’anni.”

L’uomo sorrise. “Credo sia un tantino esagerato.”

“Mi creda, conosco Justin da quando avevamo otto anni e lui non è il tipo che esagera.”

Summers rivolse un’occhiata furba a Justin. “Lo sa che queste due deliziose signorine le hanno fatto guadagnate parecchi punti stasera?”

Justin rise. “È per questo che le ho invitate.”

“È davvero un bel tipo, Justin.” Guardò Vanessa che gli sillabò qualcosa e annuì. “Oh si, vogliate scusarmi, ma sono obbligato a prestare attenzione anche agli altri artisti.” I tre ragazzi annuirono con un sorriso. “A più tardi. Signor Taylor, miss Daphne, miss Molly.” E seguì Vanessa nell’analisi degli altri quadri e degli altri settori.

“È fantastico che sia venuto!” Esclamò Justin su di giri.

Molly gli sorrise. “Tu gli piaci!” 

“E anche tanto! Hai sentito che ha detto?”

Justin scosse le spalle. “Può dire quello che vuole, l’importante è che abbia ritenuto questa rassegna degna della sua attenzione. È già la mia seconda mostra! È fantastico!”

Daphne lo abbracciò. “Sono così felice per te!”

“Devo dirlo subito a Brian!” Justin si guardò in giro in cerca del suo fidanzato. “L’avete visto?”

“Sarà con Michael.” Suggerì Daphne. “Io controllo al bar, voi andate di là.”

Justin annuì. “Vieni, Molly Pocket.”

Sua sorella gli prese il braccio e lo seguì per la sala. Arrivarono davanti alle tavole di Furore e diedero un’occhiata intorno: di Brian e Michael neppure l’ombra.

“Saranno in giro per la mostra.” Osservò, alzandosi sulle punte per controllare meglio. “Non possono mica passare tutta la serata al bar a bere.”

Justin ridacchiò. “Si vede che non sei mai stata al Babylon. Dovrei portartici una sera.”

Molly inarcò un sopracciglio. “Dove?”

“Lascia perdere.” Il ragazzo si strinse nelle spalle. “Quando compirai ventun’anni chiederò a Brian di farti festeggiare lì.”

“Non ho idea di che razza di posto sia, ma l’idea mi piace.”

“Eccovi!” Daphne arrivò alle loro spalle seguita da Brian. L’uomo baciò Molly sulla guancia e abbracciò Justin. 

“Mi cercavi?”

Justin annuì. “C’è anche Edmund Summers!” Esclamò eccitato.

“Il critico di cui mi hai parlato?”

“Non riesco a credere che sia qui!”

Brian gli sorrise fiero e lo baciò. “Te l’avevo detto di stare tranquillo. Sei sempre il solito megalomane perfezionista e pessimista.”

Justin si strinse a lui. “Credevo andasse tutto male e invece… invece no! Va tutto alla grande!”

Daphne scosse la testa divertita. “Tu eri l’unico che non ne era convinto. Guarda noi! Eravamo totalmente fiduciosi!”

“Allora?” Chiese Brian ancora sorridendo. “Dov’è? Sono proprio curioso di vedere questo grand’uomo che ha il potere di terrorizzarti.”

Justin diede un’occhiata in giro. “Là.” Indicò alla loro sinistra. “Lo vedi l’uomo che parla con Nessa?”

Brian inarcò un sopracciglio. “Quel vecchio decrepito?”

Molly scoppiò a ridere mentre Justin gli rifilava una gomitata. “Ma che vecchio! Non avrà nemmeno sessant’anni!”

“Appunto! È un vecchio!” 

“Un vecchio che però potrebbe distruggere la mia carriera, quindi comportati bene.” 

“Ehi.” Molly si fece improvvisamente seria. “Ma quello io lo conosco!”

Brian, Justin e Daphne si voltarono verso di lei. “Chi?” Chiese suo fratello.

Molly indicò di nuovo il critico. “Il ragazzo dietro Summers. Lo vedete? Mi sembra di averlo già visto da qualche parte.”

I tre guardarono nella direzione suggerita dalla ragazza. “Dove?” Domandò Brian.

Daphne spalancò gli occhi agghiacciata. “Oh, cazzo…”

Molly la guardò. “Hai visto?”

Brian e Justin si scambiarono un’occhiata confusa: nessuno dei due vedeva ciò che aveva tanto sconvolto le ragazze.

“Ma dove?” Justin si alzò sulle punte.

“Ma sì, dai!” Molly scosse suo fratello per un braccio. “Era quel tuo amico… o ragazzo, o quello che era.” Brian inarcò un sopracciglio contrariato. “Dai, Justin! Il tortura gatti!” Aggrottò la fronte. “Evan?” Tentò incerta.

Brian mollò all’istante Justin e avanzò di qualche passo con sguardo minaccioso. “Ian?”

Justin lo raggiunse con sguardo terrorizzato, seguito immediatamente da Molly e Daphne. “Non può essere…” Deglutì sonoramente e strabuzzò gli occhi, per essere sicuro di non essere impazzito. “Ethan?”

 

 

 

 

 

 

 

Ta-daaaaaah! Colpo di scena! È tornato il vostro (e il mio) personaggio preferito! Sì, sì, proprio lui Ethan Gold aka Ian o come lo chiama Molly “Evan” (anche se io preferisco tortura gatti!).

Non volevo essere sadica, questo capitolo sulla mostra avrebbe dovuto essere tutto insieme, ma come al solito mi sono lasciata prendere la mano e quindi ho dovuto dividerlo per evitare di farvi addormentare tutti davanti al pc! Vi rassicuro dicendo però che la seconda parte arriverà prima del solito dato che è già scritta e soprattutto non voglio farvi disperare troppo!

Spero che non vi siate annoiati, lo so che non succede niente di rilevante (finale a parte), ma volevo che Justin si godesse (almeno per un po’) i frutti del suo lavoro.

Ora, che ne pensate?

Cosa farà Brian adesso che è tornato Paganini Jr? 

Gli spaccherà finalmente la faccia, facendo così aumentare il mio già smisurato ed infinito amore per lui oppure farà finta di nulla come l’ultima volta? 

È chiaro che questa è una domanda retorica, anche se farei volentieri massacrare Ethan dal mio amore, fosse solo per vendicarmi di quelle insostenibili e massacranti prime puntate della terza serie in cui lui era fin troppo presente!

Comunque, basta sproloqui e basta inveire contro il violinista (non è vero, non basta mai!) e via coi ringraziamenti!


Elysenda: addirittura una lista con le cose che ti sono piaciute??? Non merito tanto!! È un onore, davvero!! Felice che tu abbia apprezzato che scene B/J e Bri/Gus e ovviamente qualche punzecchiatura a Mel ci stava tutta, altrimenti non sarebbe stato Brian! Di Emmett e del suo Blackberry avremo presto notizie XD (già mi pregusto la faccia di Bri quando gli arriverà la fattura!) e anche del caro Craig, non temere! Brian e Justin masochisti?? Ma davvero?? Nooo, non se n’era accorto nessuno! Alle volte li prenderei a badilate in testa (tutti e due! Sono cocciuti peggio di due muli!) e ovviamente ci saranno nuovi scontri su questo argomento, voglio metterci tutto l’impegno possibile per trattarlo al meglio! Grazie ancora per i complimenti e per il “genio”, mi fai commuovere! Un bacio!


Daphne90: meno male! Avevo paura di aver esagerato nelle “coccole” (Brian mi ucciderebbe per aver usato questo termine) però ho sempre pensato che Bri con Justin fosse una persona diversa. Mi spiego meglio: noi abbiamo conosciuto il suo caustico, sarcastico e realista, ma con Sunshine è come se si sciogliesse un po’, sa di poter essere un po’ meno rigido con se stesso, sa che Justin lo amerebbe e capirebbe sempre e comunque. Quindi ho pensato di mostrare un po’ di più quel lato del loro rapporto. E continuerò a farlo. Le parti con tutta la gang mi divertono da matti, soprattutto con Bri e Em che adoro, sono così assolutamente diversi ed opposti che danno sempre luogo a situazioni esilaranti. E Jen… bè, lei è Jen! Rimane una tosta, degna amica di Debbie! Ho sempre amato il fatto che, nonostante sia un telefilm con protagonisti maschili per la maggior parte, le donne siano delle vere dure, fiere e degne di ammirazione, al contrario di altri – leggasi Craig. Per le prossime recensioni, scrivi pure quanto vuoi, non mi sembra vero che troviate la mia storia degna di essere letta e soprattutto apprezzata! Grazie davvero!


Blackbaby: chi? Loro cocciuti? Ma certo che no! XD Credo che sul dizionario sotto la voce testardaggine ci sia una foto loro! E presto li vedremo, come hai già immaginato, scontrarsi sull’argomento, date le divergenze di opinioni. Emmett, credo di averlo già detto, è il mio secondo personaggio preferito (DioBrian non ha eguali!) e mai lo lascerei tutto solo soletto, fidati! Anche perché, porca miseria, sono tutti felicemente accoppiati e lui è rimasto l’unico pollo! Non posso assolutamente accettarlo! Il rapporto tra Bri e Gus è meraviglioso: ne ho dato un assaggio qui e continuerò nei prossimi, fino al matrimonio. Grazie mille per i complimenti! Non so davvero che dire se non GRAZIEEEEEEEE!!


Tsubychan1984: ok, diciamocelo francamente, come si fa a non adorare uno come Brian? Come padre, compagno, amico o figlio! Per me potrebbe stare tutto il tempo, seduto sul divano con quel suo sexy di dietro, e non proferire parole che lo amerei comunque alla follia! Jen ne ha dette finalmente quattro al suo simpaticissimo ex e finalmente! Non vedevo l’ora di scrivere questo pezzo per sfogarmi un po’ su questo grandissimo stronzo, scusa il termine! Grazie mille per i complimenti e al prossimo aggiornamento! Un bacio!


Jen78: addirittura la prima nei preferiti?? Che onore!! Grazie mille e grazie anche per i complimenti: la verità è che l’amore per la scrittura è una cosa venuta fuori abbastanza tardi, soprattutto come valvola di sfogo, e quando ho iniziato ad immaginarmi nella mia testa questa storia non sapevo assolutamente dove mi avrebbe portato, e se sarei stata capace di rendere giustizia a un telefilm che, senza esagerazioni, mi ha cambiato la vita, quindi leggere che il mio amore sconfinato per Bri&Co riesce ad arrivare a voi lettori, che voi riusciate a “vedere”, come dici tu, le scene mi tocca profondamente. Grazie davvero. Un abbraccio forte.


Kyelenia: anche io sono d’accordo con te riguardo l’evoluzione stravolta dei personaggi nelle ultime puntate: guardavo Brian e non lo riconoscevo! Ok, va bene il “ti amo” che aspettavamo tutti, ma ho come avuto l’impressione che abbiano voluto affrettare la conclusione e questo mi ha dato molto fastidio. E sulle seste stagioni, la penso come te. Per quanto abbia amato alcune storie che ho letto, non riuscivo ad entrarci davvero, forse per questo ho deciso di scriverne una mia! E per la loro evoluzione, ormai abbiamo capito che Brian ama Justin e io cerco – anche se non sono certa di riuscirci sempre – di renderlo credibile il più possibile, avendo come riferimento il vero Brian. Come ho già detto mille volte, dirmi che i miei personaggi sono IC è il complimento più bello che possiate farmi, quindi ti amo solo per questo XD Grazie davvero per tutte le bellissime parole e alla prossima! Un bacio!

 

EmmaAlicia78: Sono d'accordo con te quando dici che QaF è un telefilm corale, ed è per questo che voglio, o almeno provo, a portare avanti più storyline contemporaneamente in modo da dare più o meno lo stesso spazio a tutti; sono felice che ti sia piaciuto il capitolo e devo confessare che ho amato particolarmente scrivere la parte con Gus e Brian, li adoro insieme! Ted ed Emmett sono sempre i migliori per i tempi comici, credo che siano una coppia inarrivabile, e se poi ci aggiungiamo anche il mitico Blackberry... Il signor Taylor farà presto la sua ricomparsa e posso assicurarti che ne vedrai delle belle! Grazie davvero per tutti i meravigliosi complimenti! Un bacio!

 

fritty: Fa sempre piacere avere nuovi lettori, quindi ti ringrazio per i complimenti! Sono lieta che la storia ti piaccia e che sia piacevole da seguire. E come ho già detto, definire il mio modo di scrivere "televisivo" è il complimento più bello che mi si possa fare! Grazie davvero e spero che continuerai a seguire la mia storia! A presto!

 

Un grazie a tutti coloro che hanno solo letto... vedere più di 200 letture mi fa scoppiare il cuore di gioia! Grazie!

 

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Capitolo 10
*** The Exhibit (Part 2) ***


10. The Exhibit Part 2

 

 

 

 

 

Vanessa, Vanessa… Doveva assolutamente trovare Vanessa…

Justin camminò a passo spedito verso il padiglione della scultura in cerca della sua gallerista, un’espressione furiosa dipinta sul suo volto; Brian alle sue spalle, cercava solo di non rompersi tutti i denti tanto era serrata la sua mascella.

“Nessa!” Chiamò ad alta voce quando finalmente la trovò.

La donna si scusò con due signori con cui stava parlando e si avvicinò a loro. “Ehi, Justin, come mai quella faccia?”

“Che cazzo hai combinato?”

Vanessa inarcò un sopracciglio, smettendo all’istante di sorridere. “Che cazzo di problema hai?”

“Non avevi detto che mi avresti fatto sapere i nomi di tutti i partecipanti a questa mostra?”

“Infatti.”

Justin sorrise appena. “Bene, sono sicuro che c’è almeno un nome che non ha ricevuto la mia approvazione. Ethan Gold.”

Vanessa incrociò le braccia al petto, lanciando un’occhiata astiosa a Brian, ancora alle spalle di Justin. “Uno: vedi di stare molto calmo, Taylor. Non sono una tua dipendente, semmai il contrario. Due: non ho bisogno della tua approvazione per organizzare alcunché; questa è la mia mostra. E tre: forse sarebbe il caso di discutere certi argomenti tra noi, senza estranei.”

Justin la guardò minaccioso. “Brian non è un estraneo, è il mio compagno. Puoi dire davanti a lui tutto quello che diresti davanti a me.”

Vanessa sbuffò scocciata. “Bene, come vuoi. Allora sappi che il signor Gold è stato aggiunto per sua iniziativa e richiesta. Ha saputo dell’evento e ha personalmente telefonato al Preside del PIFA chiedendo di poter partecipare. Hugh ha chiesto un mio parere, io ho dato l’ok. Fine della storia.”

“E che motivazione ha dato?” Justin la guardò furioso. “Per quale diavolo di motivo è venuto qui?”

Vanessa si portò una ciocca di capelli castani dietro l’orecchio. “C’è bisogno di un motivo?”

“Sì.”

“Non per me. Lui ha chiesto, io ho acconsentito.”

“Senza parlarne prima con me.”

Brian sospirò frustrato. “Andiamo, lascia perdere. Non poteva saperlo. Non è colpa sua.”

Vanessa inarcò un sopracciglio. “Non ho idea di che cazzo stiate parlando e non mi interessa neppure.” Spinse Justin da un lato e lo superò. “Però vedi di darti una calmata, ok?”

E senza neppure aspettare una risposta, marciò con passo deciso verso uno degli artisti che l’aveva chiamata.

Brian abbracciò Justin da dietro e gli baciò un orecchio. “Calma, respira o ti verrà un infarto.”

“Io la uccido.”

“Ed io non avrei problemi al riguardo, ma sono certo che la divisa arancione non ti donerebbe.”

Nonostante la situazione, Justin sorrise. “Come puoi scherzare? Credevo che tu…”

“Avrei dato di matto?”

“Se fosse successo il contrario, io l’avrei fatto.”

Brian lo strinse appena e lo tirò verso i divanetti dove i loro amici si erano seduti. “Guarda che sono ancora in tempo.”

Justin guardò dispiaciuto l’uomo. “Non so davvero che dire.”

“Ehi.” Brian gli prese il volto tra le mani. “Non è colpa tua.”

“Sì, invece. Avrei dovuto immaginare che…”

“Lascia… lascia perdere, ok?” Justin sospirò incerto. “Lui è di là, noi siamo qui. Fine della storia.”

Il ragazzo si alzò sulle punte e lo baciò con trasporto. “Ok.”

Brian gli sorrise. “Bene. Ora, vuoi qualcosa da bere?”

Justin si sedette accanto a Ted, mentre Daphne e Molly di fronte a lui, continuavano a guardarlo ansiose. “Qualcosa di forte.”

“Torno subito. Nel frattempo cerca di non uccidere Vanessa.”

Justin abbozzò un sorriso e lo vide avviarsi a passo sicuro verso il bancone del bar, fermandosi accanto a Michael che sbraitava nervoso al cellulare.

“Ehi, tutto ok?” Gli chiese Brian quando il suo migliore amico chiuse di scatto il telefono.

“Alla grande!” Ringhiò Michael.

“Si vede.”

Michael sbuffò. “Che vuoi? Non hai qualcun altro da tormentare?”

Brian inarcò un sopracciglio. “Ehi, Mickey, che hai?”

L’uomo sospirò afflitto passandosi una mano tra i capelli. “Scusa, non volevo essere maleducato.”

Brian lo guardò preoccupato. “Mi dici che succede?”

“Ben…” Sussurrò solo Michael dopo qualche secondo di silenzio.

“Che ha combinato il professore?”

“Lui… lui non c’è!”

“Magari aveva da fare, sai com’è avere a che fare con adolescenti problematici.” Fece le sue ordinazioni al tipo del bar che gli lanciò un’occhiata maliziosa. Brian lo ignorò, tornando a guardare il suo amico.

“Non è per stasera. È che ultimamente lui non c’è mai! A casa, agli allenamenti di Hunter, alle sue gare… è sempre preso da qualche altra cosa! Ora gli esami, ora le tesi, ora i compiti! E intanto io non lo vedo da giorni!”

Brian lo guardò serio. “Hai provato a parlargli?”

Michael annuì. “Secondo lui m’immagino tutto! Sono anche diventato visionario, lo sapevi?” Brian abbozzò un sorrisino. “Dice che è impegnato come al solito e che io esagero!”

“Magari è così.”

“Non lo è.”

“Dico solo che…” Brian gli posò una mano sulla spalla. “Quando tieni a qualcuno tendi ad essere un po’…” Si sforzò di trovare una parola non troppo offensiva.

“Preoccupato?”

“Appiccicoso.”

“Cosa?” Michael lo colpì al braccio. “Io non sono appiccicoso!”

“Ok, ok, ho sbagliato termine! Un po’ petulante?”

Michael spalancò la bocca indignato. “Petulante? Bè, grazie tante! Bell’amico del cazzo che mi ritrovo!”

Brian non riuscì a trattenere un sorrisino. “Ascolta, Mickey, non dico che sia un male, è così che tu dimostri affetto ed io lo capisco, però magari Ben è davvero impegnato e la tua ansia lo… inquieta un po’.”

“Quindi sarei anche inquietante? Nient’altro?”

Brian roteò gli occhi. “Michael, dagli tregua! Se ti dice che non è niente, sarà così! Cristo Santo, ma hai mai visto uno più responsabile, sincero ed onesto di ZenBen? Non riuscirebbe a mentire nemmeno se volesse!”

Michael sorseggiò il suo cocktail. “E se avesse un altro? Magari uno più giovane? Uno studente! Oddio, come potrei competere con un ventenne?”

“Michael, credi davvero che Ben se la farebbe con qualcuno che ha l’età di vostro figlio?”

L’uomo annuì appena. “Hai ragione, potrebbe persino essere un amico di Hunter, no no, è da escludere.” Trattenne il respiro.

“Cosa?” Chiese Brian con tono annoiato, alzando gli occhi al cielo.

“E se fosse una vecchia fiamma? Qualcuno del suo passato? Qualcuno con cui ha condiviso momenti importanti e…” Deglutì piano e diede un altro lungo sorso.

“Lasciamo perdere il tasto delle vecchie fiamme.” Borbottò Brian.  

Michael lo guardò stranito. “Che hai?”

Brian fece un sorrisino tirato. “Indovina chi abbiamo appena visto nell’altra sala?”

“Con quella faccia? Tua madre?”

“Paganini Jr.”

Il sorriso di Michael svanì all’istante. “Cosa?”

Brian annuì. “Mi è venuto un mezzo infarto. Ero combattuto tra la voglia di spaccargli la faccia e quella di…” Ci pensò su un attimo. “No, ad essere sincero volevo solo spaccargli la faccia.”

Michael si guardò in giro, quasi si aspettasse di veder sbucare fuori Ethan da dietro una delle poltroncine. “Quel piccolo stronzo!”

“Già.” Disse Brian con tono scocciato.

“Justin dov’è?”

“Di là con gli altri.”

“Non dovresti…” Michael accennò con la testa verso i loro amici.

“Cosa? Controllarlo a vista?”

“No, ma il tipo potrebbe… lo sai… tornare all’attacco.”

Brian scosse le spalle. “Non oserebbe.”

“Sa che ci sei anche tu?” Il suo amico inarcò un sopracciglio. “Appunto.” Mise in mano a Brian i due bicchieri e lo spinse via dal bancone. “Vai a difendere il tuo territorio.”

Brian tornò incerto verso i divani e trovò Justin impegnato in una discussione con Ted, Blake ed Emmett sull’importanza delle noccioline sugli aerei di linea.

“Secondo me fanno solo ingrassare.” Osservò Emmett, poggiando il mento sul dorso della mano e accavallando le gambe. “Poi ti viene sete, ti compri qualche schifezza gassata e la settimana di addominali fatta in palestra finisce nel cesso senza tanti complimenti.”

Justin ridacchiò mentre Ted guardava perplesso il suo amico. “Non ti sembra di esagerare, Em?”

Emmett scosse il capo. “Assolutamente.”

Brian si sedette accanto a Justin e gli passò il bicchiere, alzando il suo in aria. “Al successo di questa mostra.” Brindò.

Tutti quanti lo imitarono. “E alle molte altre che verranno.” Mel gli fece un occhiolino.

Bevvero tutti alla salute di Justin, poi ognuno tornò alla propria discussione. Brian prese i due bicchieri vuoti e li porse ad uno dei camerieri che camminavano su e giù per la sala.

“Meglio?” Chiese Justin accarezzandogli la mano e guardandolo con un sorriso incerto.

L’uomo annuì. “Decisamente.”

Justin sospirò profondamente. “Mi dispiace per tutto questo casino.”

“Justin…”

“No, aspetta, fammi finire…”

“Non voglio sentire altro.” Brian gli strinse impercettibilmente le dita e gli sorrise. “Non è colpa tua, non puoi farci niente e, anche se avrei voglia di prenderlo a calci seduta stante, non puoi mica cacciarlo! È la sua mostra, tanto quanto è la tua.”

Justin intrecciò le dita con quelle di Brian. “Non volevo farti sentire a disagio, credimi. E non voglio riportare a galla ricordi spiacevoli.”

“Non importa. Tutto quello che devo fare è rimanere in questa stanza, con te e con i nostri amici, evitando di visitare la parte dedicata alla musica classica, che comunque, sempre grazie a lui, non avrei mai visitato.”

Justin ridacchiò, poggiando il volto contro il suo collo. “Ok.”

“Ok?”

Justin annuì. “Sì.”

“Bene.” Brian lasciò delicatamente la sua mano e si alzò. “Adesso ho davvero bisogno di una sigaretta.”

Mel scattò in piedi, subito seguita da Michael. “Vengo anch’io.” Rispose subito l’uomo.

Brian sorrise malizioso. “Mickey, Mickey… chi l’avrebbe detto? Che cosa direbbe il professore se ti vedesse?”

Michael borbottò qualcosa di indefinito e si avviò a passo spedito verso l’uscita, mentre tutti gli altri lo guardavano confusi.

“Ma che gli prende?” Chiese Debbie.

Ted si strinse nelle spalle. “Magari è solo un po’ nervoso.”

Linz si schiarì la gola in imbarazzo. “Sono certa che non è niente di grave.”

Debbie si voltò immediatamente verso di lei e la guardò sospettosa. “Ok, che cosa sai?”

“Che intendi?” Chiese Lindsay mordendosi un labbro.

Emmett roteò gli occhi. “Oh per favore! Vivi in casa sua, cucini per lui, cresci sua figlia e adesso vuoi farci credere che non hai notato niente di strano?”

Ted le sorrise appena. “Michael è un po’ strano ultimamente. Siamo solo preoccupati e Brian come al solito è una tomba.”

“I ragazzi hanno ragione.” Proseguì Debbie. “Non vogliamo impicciarci.” Si voltarono tutti a guardarla con espressione perplessa. “Io non…” La donna si mise le mani sui fianchi e guardò male i suoi ragazzi. “Non sono un’impicciona! Mi conoscete!”

Justin e Emmett cercarono di trattenersi dal ridere mentre Ted finse di sorseggiare il suo drink; Debbie li guardò indignata. “Piccoli ingrati! Ed io che vi ho anche dato asilo!” Inarcò un sopracciglio. “Sì, parlo proprio con voi!” Disse, indicando Emmett e Justin.

“Debbie, calma.” Tentò Ted con un sorriso. “E poi non si parlava di Michael?”

La donna sbuffò indignata e tornò a rivolgersi a Lindsay.

“Justin?”

La voce di Vanessa lo fece voltare. “Sì?”

La ragazza gli sorrise, avvicinandosi. “Scusate, ragazzi, vi dispiace se ve lo rubo un attimo? Torniamo subito.”

Justin roteò gli occhi e si alzò, praticamente trascinato via da Vanessa. “Nessa, che c’è?” Le chiese scocciato. “Dove andiamo?”

Vanessa sorrise. “Ci sono dei giornalisti che vogliono parlare con te!” Esclamò eccitata.

“Grande.” Disse Justin con tono piatto. Arrivarono dall’altra parte della sala e raggiunsero un gruppetto di persone. “Eccolo qui!” Vanessa lo spinse avanti.

“Finalmente!” Esclamò una donna pesantemente truccata con un sorriso stucchevole. “Ed ecco gli artisti di domani.”

Justin sollevò appena i lati della bocca, ma il sorriso si bloccò nel momento in cui si accorse della persona accanto a lui.

“Signor Taylor, conosce già il signor Gold?”

Ethan gli sorrise. “Ciao, Justin.”

Il ragazzo serrò la mascella. “Ethan.”

“Oh, già!” La donna si colpì teatralmente la fronte con la mano. “Avete frequentato il PIFA negli stessi anni, giusto?”

Ethan annuì. “Esatto. Io e Justin eravamo… molto amici.” Guardò Justin con un sorrisino compiaciuto. “Vero?”

Justin fece un sorriso tirato. “Sì, lo eravamo. Tanti anni fa.”

“Bene! Mi piacerebbe molto scrivere qualcosa su di voi per il mio giornale, vi dispiace?”

Nessuno dei due si oppose quindi la donna lo prese per un assenso. “Signor Taylor, come è nata l’idea della mostra?”

Justin si schiarì la gola. “Il… il merito va tutto alla signorina Austen. È stata una sua idea.”

“Davvero?”

Vanessa annuì. “Justin si trovava qui in vacanza. Ho solo unito l’utile al dilettevole.”

La donna sorrise. “E lei, signor Gold? Come ha saputo di questo evento?”

Ethan si passò una mano tra i capelli. “Amici. Ho sentito pettegolezzi che parlavano di una grande serata al PIFA ed io non potevo mancare.”

“Certo che no.” Convenne la giornalista.

Le domande continuarono per altri quindici minuti e, ad ogni risposta, Justin lanciava occhiatacce ad Ethan alternati a sguardi preoccupati verso l’angolo in cui si trovavano i suoi amici. Non voleva che nessuno… fraintendesse. Non quella sera, non con Brian lì.

Quando la donna ripose il registratore nella borsetta firmata e si congedò dai due ragazzi, Justin voltò rapidamente le spalle e marciò a passo spedito nella direzione opposta.

“Justin!” Lo richiamò la voce di Ethan, esattamente secondo le sue previsioni.

Era sempre stata una persona abbastanza prevedibile.

Forse era quello che lo aveva attirato, il fatto che non potesse coglierlo di sorpresa, sconvolgerlo e turbarlo come faceva Brian.

“Justin, aspetta!”

“Che vuoi?” Ringhiò lui voltandosi.

“Vorrei solo scusarmi.”

Justin sbuffò scettico. “Per cosa? Per avermi teso un’imboscata? O per aver supplicato la mia gallerista di ammetterti alla mostra?”

Ethan sospirò. “Mi dispiace, non volevo turbarti.”

“Non mi hai turbato, Ethan! Mi hai solo… irritato a morte!”

“Sono spiacente. Davvero.”

“Ok, scuse accettate.” Justin incrociò le braccia al petto. “C’è altro?”

Ethan annuì. “Volevo rivederti.” Justin alzò gli occhi al cielo. “Non per quello a cui pensi tu!” Si affrettò ad aggiungere il violinista.

“Ah no?” Justin inarcò un sopracciglio.

“No. Ho un ragazzo adesso.” Lo tranquillizzò.

Justin parve rassicurato da quella notizia e abbassò la guardia. “Sono felice per te.”

Ethan gli sorrise. “Grazie. E tu come stai? È un po’ che non ci vediamo.”

Justin annuì. “Vivo a New York adesso.”

“Hai lasciato Pittsburgh?”

“Già, da due anni ormai.”

“Wow! Gran bel passo.”

“E tu? Come… te la passi?” Chiese Justin a disagio.

Gli sembrava di parlare con un estraneo.

Non era passato tanto tempo da quando l’aveva visto l’ultima volta, ma era come trovarsi davanti una persona totalmente sconosciuta; nonostante avessero condiviso tanto, trascorso insieme momenti belli per entrambi, aveva l’impressione che l’Ethan Gold che aveva conosciuto fosse scomparso.

“Non mi lamento.” Ethan scosse le spalle. “Io e Chris viviamo a Boston adesso. Chris è il mio compagno.”

Justin accennò un sorriso. “L’avevo capito.”

“E tu? C’è qualche nuovo amore nella vita spericolata di Justin Taylor?”

“Qualcuno c’è.” Justin sorrise mentre il volto di Brian si affacciava nella sua mente. “Ma non si può proprio definire nuovo.” E rivolse lo sguardo verso il bancone del bar dove Brian rideva divertito guardando Michael che si ubriacava come un quindicenne.

“Ah.” Ethan si fece scuro in volto. “Brian.”

Justin annuì. “Brian.” Ripeté.

Ethan si schiarì la gola. “Non… non sapevo foste tornati insieme.”

“Già.” Disse solo.

Non gli doveva nessuna spiegazione.

Era stato lui a tradire, lui a concludere la loro storia.

E grazie al cielo… sussurrò una vocina impertinente nella sua testa.

“Ora, scusami, ma i miei amici mi aspettano.”

Ethan annuì. “Certo, certo. A presto, allora.”

“Sicuro.” Justin gli sorrise un’ultima volta e si avviò di nuovo verso Debbie e gli altri. Si era appena seduto davanti ad Emmett quando la voce di Ethan gli arrivò alle spalle.

“Scusami.” Disse educato sorridendo a tutti i presenti. “La giornalista di prima mi ha dato questo per te.” E gli allungò un biglietto da visita. “E mi ha chiesto di riferirti che l’articolo verrà pubblicato in un paio di giorni.”

Justin annuì. “Grazie.”

Ethan gli sorrise e parve incerto sul da farsi. Justin roteò gli occhi scocciato. “Ragazzi, vi ricordate di Ethan?”

Ted, Blake e Debbie abbozzarono un sorriso, Emmett, Lindsay, Mel e Molly non ci provarono neppure.

“Come va?” Gli chiese qualcuno.

Ethan ricambiò il saluto. “Oddio, ma non mi dire che tu sei Molly! L’ultima volta che ti ho visto eri una bambina!”

Molly si sforzò di sorridere, ma quello che ne uscì fu solo una specie di smorfia.

“Ti ricordi di me?”

La ragazza assunse un’aria addolorata. “Scusa, ma proprio no. Sei un amico di Justin?”

Tutti cercarono di non ridere, dato che fino ad un attimo prima la minore dei Taylor aveva allietato il gruppo con una poco lusinghiera descrizione di Ethan e di come fosse totalmente inappropriato per suo fratello.

Al contrario di Brian, ovviamente.

Tutto nella sua espressione, posa o sguardo gridava TEAM KINNEY.

“Sì, ci siamo conosciuti qualche anno fa.”

Molly scosse la testa. “Mi dispiace.”

Ethan si strinse nelle spalle. “Non importa.” Tornò a guardare Justin. “Ora sarà meglio che vada. Chris mi starà cercando.”

Justin annuì concorde. “Sicuramente.”

“A presto. Ragazzi.”

Molly affilò lo sguardo minacciosa mentre quello si allontanava. “Non so voi, ma io sto con Brian.”

“E non si era capito, Ginger!” La rassicurò Emmett scoppiando a ridere, seguito da tutti gli altri.

“Dio, JusJus, non capisco come abbia fatto a mollare uno come Brian per quello lì!”

Justin alzò gli occhi al cielo. “Ti passerà mai questa cotta spropositata per il mio ragazzo?”

Molly agguantò al volo un bicchiere di champagne da uno dei vassoi e scosse le spalle. “Era solo una domanda.”

“Ehi, che mi sono perso?” Brian arrivò alle loro spalle e abbracciò Debbie e Molly da dietro.

“Ehi, Justin, siamo una bella coppia?” Sussurrò sua sorella accennando maliziosa a lei e Brian. Justin la ignorò.

“Niente di che.” Rispose Emmett rubando il biglietto che Justin aveva tra le mani. “Lo sai che il tuo ragazzo finirà sul giornale? Sono così invidioso!”

Brian lo guardò colpito. “Davvero?”

Justin annuì. “Mi hanno fatto solo un paio di domande, niente di che.”

“Ok.” Si voltò verso Debbie. “Sentite, vi dispiace se me la svigno? Mickey non è in condizioni di guidare…” Accennò alle sue spalle, dove Michael veniva tenuto in piedi da uno scocciatissimo Hunter. “E il ragazzino mi ha chiesto di riportarli a casa, così da poter lasciare la macchina a Mel e Linz.”

“Te ne vai?” Chiese Justin allarmato.

Brian gli sorrise appena. “Ti dispiace?”

Linz lanciò un’occhiataccia al suo migliore amico, chiedendosi se fosse meglio prenderlo a calci o solo a sediate in testa.

Justin scosse il capo, con un sorriso incerto. “No, vai pure. Tranquillo.”

“Grazie.” Fece un cenno verso Ted, Blake ed Emmett e girò i tacchi, tornando da Michael e Hunter.

Molly guardò triste suo fratello. “Jus…”

Justin provò a sorridere. “Scusate, vado a cercare Vanessa.”

E senza aggiungere altro, sparì tra la folla. Nello stesso momento, Brian e Hunter trascinavano Michael verso l’uscita.

 

 

 

 

 

Justin infilò incerto la chiave nella serratura e aprì la porta del loft. Come aveva previsto, Brian era ancora in piedi, la schiena curva davanti al computer.

“Ehi.” Disse per attirare la sua attenzione.

“Ehi.” Rispose quello senza staccare gli occhi dal monitor.

Justin si schiarì la gola e si sfilò il cappotto poggiandolo sul divano bianco.

“Sei tornato presto.” Osservò Brian.

“La mostra era finita e gli altri erano andati tutti via.”

Brian annuì, digitando qualcosa sulla tastiera.

Justin prese un bel respiro e si fece coraggio. “Che hai?”

“Che intendi?”

“Esattamente quello che ho detto: che cazzo hai?”

Brian inarcò un sopracciglio e si voltò a guardarlo. “Sto lavorando, Justin.”

“Sì, esattamente quello che stavo facendo io fino a mezz’ora fa.” Gli fece notare il ragazzo.

L’uomo alzò gli occhi al cielo e afferrò il pacchetto di sigarette. Se ne accese una. “Senti, mi dispiace di non essere rimasto, Mickey era…”

“… ubriaco, sì, l’hai già detto.”

Brian inspirò profondamente. “Già.”

Quando capì che non avrebbe detto altro, Justin fece un passo verso di lui. “Allora? Ti è piaciuta la mostra?”

Brian annuì. “Era fantastica.” Disse con tono piatto, tornando a guardare il pc.

“Hai avuto tempo per dare un’occhiata anche al resto? Quella della fotografia era spettacolare!” Justin cercò di sembrare il più entusiasta possibile, sperando con tutte le sue forse di riuscire ad allentare la tensione insostenibile. “E anche quella della musica.”

Brian fece un sorrisino. “Hai sempre amato la musica classica.”

Justin si bloccò all’istante, rimanendo senza fiato, bocca e occhi spalancati, nemmeno Brian gli avesse conficcato un coltello nella pancia.

L’uomo capì al volo che quella non era stata affatto un’uscita felice e chiuse gli occhi, maledicendosi con tutte le sue forze. “Era…” Si voltò finalmente verso Justin. “Stavo solo scherzando.”

Justin rimase immobile. “Non sto ridendo.”

Brian si passò una mano tra i capelli con un gesto nervoso e spense la sigaretta, ancora intera per metà. “Non intendevo dire… ciò che ho detto.”

“Ma l’hai fatto.”

“Sì, e mi dispiace.”

Justin voltò le spalle e si diresse verso il divano per prendere il cappotto. “È evidente che non è serata, quindi sarà meglio che me ne vada.”

Brian si massaggiò vigorosamente gli occhi. “Justin…”

“Buonanotte, Brian. Spero che domani potremo parlare da persone civili.” Si avviò verso la porta e l’aprì, ma la mano di Brian coprì rabbiosamente la sua e la richiuse con un tonfo sordo.

“Brian, sono stanco e non ho nessuna voglia di discutere.”

“Bene, nemmeno io.”

“A me non sembrava.”

Brian sospirò prendendogli il volto tra le mani e avventandosi famelico sulle sue labbra, impedendogli di aggiungere altro. Nonostante il malumore e la rabbia, Justin rispose immediatamente al bacio, circondando la schiena di Brian mentre questo gli sfilava di nuovo il cappotto.

“Questo non ti serve più per stasera.” Sussurrò contro la bocca di Justin prima di tornare a baciarlo.

Justin lo tirò per la camicia verso il centro della stanza in direzione della camera da letto, ma Brian non sembrava affatto intenzionato a collaborare. Con un solo movimento, lo spinse sul pavimento e si sistemò su di lui. “Era tutta la sera che avevo voglia di farlo.” Disse con voce roca, scendendo a baciargli il collo e insinuando una mano sotto il maglione di Justin.

Justin gli sbottonò rapido i bottoni della camicia e gli sfilò la cintura, passando le mani su e giù lungo il suo petto. Aveva bisogno di sentirlo vicino, quella sera più che mai. Voleva sentire la sua lingua sul proprio corpo, la pelle sotto le sue dita, le carezze impazienti di Brian sul suo viso, nei suoi capelli, su di lui…

Quella sera era andato tutto male: prima la sua paura di fallire, poi l’arrivo di Ethan, Michael che si ubriaca, la discussione che avevano avuto…

“Brian…” Sussurrò con voce bassa, mentre gli sfilava i pantaloni e prendeva ad accarezzargli il sedere da sopra la stoffa dei boxer.

Brian si liberò del maglione di Justin, lanciandolo lontano, e tornò a baciargli il collo, scendendo poi sul petto e sul ventre e sentendolo inarcarsi contro di lui. La voglia di lui crebbe ancora di più.

Lo sapeva. Sapeva di essere stato un vero stronzo con Justin quella sera, ma alle volte non poteva farne a meno. Era lui, col suo carattere e la sua dannata testa dura. Aveva finto che non gli importasse nulla di Ian, non voleva turbare Justin più di quanto non fosse già e soprattutto non voleva rovinare la sua grande serata. Eppure, nonostante tutti i buoni propositi, non ce l’aveva fatta.

Quando aveva visto Justin chiacchierare con lui, il sangue, che solitamente nel suo corpo affluiva verso il basso, era improvvisamente andato tutto al cervello. E non c’aveva visto più. Da lì era capitata a proposito la scusa di accompagnare Michael a casa e di lasciare il più velocemente possibile quella fottutissima scuola e quel cazzo di violinista dei poveri.

Non riusciva a sopportarlo. Non se pensava che aveva avuto Justin, esattamente come l’aveva avuto lui tante e tante volte. E per lo stesso motivo, gli era sfuggita dalle labbra quella inopportuna frase sulla musica classica. Aveva voluto punirlo per qualcosa che era successo cinque anni prima e che era sicuro si fosse lasciato alle spalle.

Sentì Justin sospirare contro la sua spalla, mentre con una mano gli sfilava i boxer.

“Ti voglio…” Sussurrò contro i suoi capelli biondi. Justin sorrise tirandolo su di lui e baciandolo con passione.

Lui non se lo meritava. Quella avrebbe dovuto essere una serata speciale, si era ripromesso che avrebbe fatto di tutto per far capire a Justin quanto fosse orgoglioso, e invece, come da manuale Kinney, aveva mandato tutto a puttane.

Come sempre, Brian, complimenti…

Sospirò quando finalmente anche Justin fu completamente nudo sotto di lui. Sollevò il capo e lo guardò negli occhi per un lungo istante, prima di baciargli languidamente le labbra, sperando che capisse dai suoi occhi tutto quello che avrebbe voluto dirgli.

Mi dispiace.

Sono un coglione.

Ero geloso marcio.

Gli avrei spaccato volentieri la testa con quel suo cazzo di violino.

Con un unico, flessuoso movimento entrò in lui, delicato e dolce, nonostante la passione che li aveva dominati fino ad un attimo prima; Justin chiuse gli occhi, stringendo di più le gambe contro i suoi fianchi e gettando la testa all’indietro.

Brian diede un’altra spinta e lo sentì gemere mentre le sue mani si aggrappavano disperate alla sua schiena, affondando nella carne.

“Brian…” Boccheggiò di nuovo. “Brian, non… non ti fermare…”

L’uomo esaudì il desiderio del suo compagno, e anche il suo, e spinse di nuovo. “Mi dispiace per stasera…” Sussurrò pianissimo, quasi spaventato che Justin lo udisse davvero.

Il ragazzo sorrise e lo strinse più forte. “Non importa.”

Brian affondò il viso nell’incavo del suo collo e inspirò a pieni polmoni l’odore di Justin.

Lo strinse a sé disperato, quasi avesse paura che scomparisse davanti ai suoi occhi. Proprio come era successo la notte della sua partenza per New York, quando si era svegliato solo nel suo letto. In quel momento capì quanto gli fosse mancato in quei due anni e quanto gli sarebbe stato difficile separarsi di nuovo da lui dopo il matrimonio. Quanto la sua fastidiosa presenza fosse diventata una dipendenza alla quale non esisteva cura, quanto gli fosse mancato il suono dei suoi gemiti sotto le sue spinte, quanto aveva bisogno di lui, più di qualunque altra cosa.

Quanto era stato inutile andare con altri uomini incontrati per caso al Babylon in quegli anni? Nessuno sarebbe mai stato come lui, nessuno avrebbe mai preso il posto di Justin.

Né nel suo cuore, né nel suo letto.

Gli baciò teneramente una spalla un attimo prima di venire e di accasciarsi senza fiato su di lui.

Avrebbe voluto dire tante altre cose per cercare di fargli capire cosa gli fosse passato per la testa quella sera, ma sapeva benissimo che sarebbe stato inutile.

Lui era Justin.

Sapeva come si sentiva, capiva cosa provava e comprendeva le sue azioni meglio di chiunque altro; perciò si limitò soltanto ad un sussurro. “Ti amo.” Gli soffiò delicatamente all’orecchio.

Justin sorrise contro il suo collo. “Ti amo anch’io.”

Rimasero abbracciati finché non ritrovarono la forza e la lucidità per separarsi e tornare a pensare razionalmente.

Brian si sdraiò sulla schiena trascinando Justin sul suo petto; il ragazzo chiuse gli occhi rilassandosi al rumore rassicurante del respiro di Brian.

Brian pensò quasi che si fosse addormentato quando, a sorpresa, lo sentì ridacchiare.

“Cos’è che ti diverte tanto?”

Justin sfregò il naso contro il suo petto. “Non siamo riusciti nemmeno ad arrivare al letto. Questo è un record anche per noi.”

“Bisogna sempre migliorare.”

“Siamo davvero pessimi.”

Brian gli baciò il capo. “Forse hai ragione.”

Justin chiuse di nuovo gli occhi e passò un braccio sul ventre di Brian. “Mi dispiace davvero per stasera.”

Brian sbuffò. “Perchè cazzo ti stai scusando?”

“Perché stasera è stato un casino e io…”

“Justin.” Lo interruppe serio, intrecciando le loro mani. “È tutto ok. Chiudiamo il discorso.”

Il ragazzo annuì. “D’accordo.”

Brian sorrise giocherellando con le dita di Justin. “Sai, se stasera non fossi stato così preso a calmare le tue crisi isteriche, avrei rimorchiato un sacco di ragazzi.”

Justin scoppiò a ridere. “Ma smettila! Gli occhi erano tutti per me!”

“Ah sì?” Brian inarcò un sopracciglio e lo guardò malizioso. “E che mi dici del barista?” Justin fece una smorfia. “Non mi ha mollato un attimo.”

“Sapevo che c’era un motivo se quel tipo non mi piaceva.”

Brian rise. “Non è colpa sua se non sa resistere al mio fascino.”

Justin gli pizzicò un fianco.

“Ahia!”

“Così la smetterai!”

“Ma sentitelo! Il suo grande amore torna a sorpresa in città ed è lui quello geloso!” Justin inarcò un sopracciglio. “Non crede di essere un po’ ipocrita, signor Taylor?”

Il ragazzo sorrise e scosse la testa. “È inutile con te.”

Brian annuì. “L’hai detto.”

Justin posò di nuovo la testa sul suo petto. “E comunque avevo promesso.”

“Promesso cosa?” Chiese Brian curioso. “Che non avresti più discusso con me?”

Lo sentì scuotere la testa. “No. Ti avevo promesso che avrei lasciato perdere i violini, no?”

Brian sorrise nella penombra del loft. “L’avevo scordato.”

“Io no.”

“Lieto di sentirlo.” Sussurrò prima di baciargli i capelli e tornare ad intrecciare le dita con quelle dell’uomo che amava più di se stesso.

 

 

 

 

 

 

Ed eccoci qui! Come avevo preannunciato, il ritorno di Ian ha scaldato gli animi, ma non come immaginavate – o temevate – tutte voi! Ma io l’avevo detto! Non avevo nessuna intenzione di creare guai e il caro violinista stavolta vi prometto avrà pane per i suoi denti! Vai, Bri!

Spero che la scena finale sia stata decente, sia per il rating sia per la scrittura perché era molto indecisa… Come al solito è venuta fuori da non si da dove, ma ho deciso comunque di lasciarla sperando che l’abbiate apprezzata!

Immagino che abbiate notato che il tanto sospirato “Ti amo” è arrivato solo al decimo capitolo, e questa era una cosa totalmente voluta, perché per quanto Brian abbia ormai ammesso i suoi sentimenti per Justin, rimane comunque quello “spaventato” da quello che prova; nonostante abbia capito che Justin è l’amore, rimane una persona profondamente insicura in campo amoroso.

Per il resto, nulla di particolarmente scioccante da segnalare: Michael si è confidato col suo migliore amico sullo strano comportamento di Ben ed era quasi ora! Adoro le scene Bri/Michael (solo come amici, sia chiaro!) e mi sembrava giusto che dedicassi anche a loro un po’ di tempo (sperando di riuscire a rendere al meglio il loro rapporto). So di aver un po’ trascurato la loro amicizia, ma prometto che recupererò nei prossimi capitoli (anche se PARE che la montagna di momenti Britin non vi dispiaccia)!

Mi diverto sempre a creare scene di gruppo, come quella della mostra, anche perché QaF non è ovviamente solo Brian e Justin, per quanto li ami alla follia!

Ok, adesso basta, la smetto qui! Grazie mille a tutti e grazie per le magnifiche recensioni dello scorso capitolo, un bacio a tutte!

 

P.S. Piccola curiosità: Qualcuno sa o si ricorda se viene mai nominato il cognome di Tuck nel telefilm? Perché per le scene del matrimonio (che si sta avvicinando, probabilmente capitolo 13) mi dovrebbe servire.

 

P.S2. Il prossimo capitolo è uscito mostruosamente lungo, al di là di ogni mia aspettativa e volevo chiedervi: preferite che lo separi come ho fatto con questo e il nono o che lo posti tutto assieme? Non vorrei annoiarvi con capitoli troppo lunghi!

 

Ok, adesso ho finito davvero!

Notte e a presto!

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Capitolo 11
*** Sometimes They Come Back ***


11. Sometimes They Come Back

 

 

 

 

 

 

Justin posizionò meticolosamente il bricco del caffé e premette il tasto ON. Mentre la caffettiera si riscaldava, andò verso il frigo e tirò fuori latte e succo d’arancia, sistemandoli accuratamente sul bancone della cucina, proprio accanto alle due tazze vuote.

“Che poi mi spiegherai perché hai insistito per fare colazione qui invece che al Diner.” Fece Brian scendendo dalla camera da letto con addosso solo i vecchi pantaloni della tuta.

Justin gli rivolse un sorriso smagliante. “Non mi andava di stare in mezzo al casino.” Mosse qualche passo verso il suo compagno. “Volevo stare solo con te.”

Brian roteò gli occhi, passandogli le braccia attorno al collo. “Però se fossimo andati ti saresti goduto i tuoi dieci minuti di celebrità.” Gli baciò teneramente le labbra. “Emmett e Debbie saranno completamente in estasi.”

“Al diavolo la celebrità e i giornali.” Justin gli circondò i fianchi.

Brian lo abbracciò, posandogli il mento sulla testa. “Smettila di pensarci.”

Justin chiuse gli occhi e inspirò piano contro il petto di Brian. “Ci sto provando.”

“E soprattutto, ti assicuro che non c’è niente di cui devi farti perdonare.” Lo spinse delicatamente indietro per guardarlo in viso. “Non è stata colpa tua.”

“Lo so, ma…”

“Justin.” Lo sguardo di Brian si fece improvvisamente serio. “È stato lui a voler partecipare alla mostra a tutti i costi. Cosa potevi fare tu? Non ne sapevi niente.” Inarcò sospettoso un sopracciglio. “Tu non ne sapevi niente, giusto?”

Justin si sforzò invano di non sorridere. “No, non sapevo che Ethan sarebbe stato lì.”

“Bene.” Brian lo tirò di nuovo a sé. “Dio, ma quanto può suonare odioso quel nome?” Justin ridacchiò tra le sue braccia. “Dico davvero! Esiste un nome più insulso?”

Il ragazzo gli baciò il petto. “Smettila di straparlare e va’ a farti la doccia. Ho fame e voglio mangiare.”

Brian gli posò un bacio sui capelli e si staccò da lui. “Faccio presto.”

Justin annuì. “Sarà meglio, altrimenti inizio senza di te.”

L’uomo salì i gradini della camera da letto con aria risentita e si chiuse in bagno, mentre Justin tornava ad occuparsi del caffé. Lo squillo del suo cellulare lo costrinse ad abbandonare i fornelli.

“Buongiorno, migliore amico!” Lo salutò allegra come sempre la voce di Daphne.

“Ciao, Daph.” Rispose lui con un sorriso, sedendosi su uno degli sgabelli.

“Che combini?”

Justin prese il giornale posato sul tavolo e lo aprì, prendendo a sfogliarlo distrattamente. “Preparo la colazione.”

Daphne rimase in silenzio per qualche istante. “Ma dove sei?”

“Da Brian.”

“Credevo tornassi a casa tua ieri sera.”

Justin si strinse nelle spalle. “Alla fine ho cambiato idea. So per esperienza che con Brian è meglio non lasciare le cose in sospeso.” Prese a giocare con uno dei cucchiaini. “E comunque non sarei riuscito a chiudere occhio, dopo quello che era successo, quindi sono venuto al loft.”

“E…?”

“Tutto ok.” Justin sorrise. “Come al solito ha fatto finta di niente, all’inizio.”

“Cioè era incazzato nero.”

“Precisamente.”

Daphne sospirò. “Mi dispiace dirlo, ma credo che stavolta ne avesse tutte le ragioni.”

Justin si morse un labbro. “Io non ne sapevo nulla, Daph. Lo giuro.”

“Lo so, lo so!” Lo rassicurò immediatamente la ragazza. “Non sto dicendo che tu… No, oddio, no! Sarei pazza solo a pensarlo!”

“Ti ringrazio.”

“Ma il solo fatto che abbia avuto il coraggio di mostrare quella sua brutta faccia alla mostra, sapendo che ci saresti stato anche tu… È stato davvero… vergognoso!”

Justin ridacchiò. “Puoi anche stare tranquilla, sono certo che non era lì per me.”

Daphne sbuffò scettica. “Sì come no…”

“Dico davvero. Ha un ragazzo adesso e vivono insieme a Boston.”

“Stronzate!” Soffiò acida la ragazza. “Scommetto venti dollari che entro un paio di giorni tornerà strisciando ai tuoi piedi.”

“Sono sicuro di no.” Sentì la sua amica iniziare a ribattere. “Ma, nel caso dovesse capitare, so bene come comportarmi adesso. Non ho più diciannove anni.”

Daphne sospirò poco convinta. “Spero per te che sia così.” Ci pensò su un attimo. “Anzi no, spero che si faccia di nuovo avanti, così Brian avrà finalmente l’occasione di spaccargli la faccia! E anche le gambe, già che c’è! Digli che se ha bisogno di una mano, io sono disponibile…”

Justin rise, alzandosi in piedi. “E mentre tu e Rocky fate a pezzi mezza Pittsburgh, io mi occupo del caffé.”

“Allora ci sentiamo più tardi. Oh, sai che oggi pomeriggio io e Molly siamo state reclutate da Emmett?”

“Davvero?”

Daphne annuì. “Gli daremo una mano con gli addobbi nella mega villa che il tuo meraviglioso e sexy fidanzato ha comprato per te. A proposito, non avevi mai menzionato il fatto che avesse le scuderie!”

Justin alzò gli occhi al cielo. “Ciao, Daph.”

“Le scuderie, Justin! Le scuderie!”

Justin scosse la testa prima di interrompere la comunicazione. Fece il giro del bancone e spense il caffé, lanciando un’occhiata verso la porta del bagno: all’interno sentiva ancora lo scrosciare dell’acqua.

Prese di nuovo il giornale, gettando una rapida occhiata alla prima pagina, ma fu costretto a lasciar perdere quando il suo telefono suonò di nuovo. Sospirò con un sorriso. “Che c’è, Daph?”

“Ciao, Justin.”

Justin sgranò gli occhi, trattenendo il respiro. “E… Ethan?”

“Sembri sorpreso.”

Il ragazzo guardò di sottecchi verso il bagno. “Non dovrei?” Chiese con tono diffidente. “Chi ti ha dato il mio numero?”

“Ho i miei agganci, anche se credevo che la tua amica Vanessa sarebbe stata più collaborativa.”

Justin sbuffò scettico appoggiando la schiena contro il lavandino. “Mi sembra che lo sia stata anche troppo.” 

Ethan rise. “Non essere duro con lei. Ieri sera mi sono anche beccato una ramanzina coi fiocchi per non averle detto che ti conoscevo.”

“Davvero?” Chiese Justin perplesso.

“Ha detto che non le piace essere presa in giro e che se capiterà di nuovo me ne pentirò amaramente.”

“E puoi crederle, stanne certo. È una che mantiene le promesse.”

Ethan sorrise contro il ricevitore. “Mi sei mancato, Justin.” Gli disse a bruciapelo. “Mi manchi. Ogni giorno.”

Justin s’irrigidì, serrando la mascella. “Ethan, per favore.”

“È la verità. Da quando ci siamo lasciati, non è passato un giorno che non abbia pensato a te.”

“Vuoi dire dal giorno che mi hai tradito e io me ne sono andato?”

“Sì.” Ammise sincero. “E maledico ancora con tutto me stesso quello stupido errore.”

Justin non trattenne una risatina scettica. “Ma ti senti, Ethan? Per favore, io ti conosco per cui puoi anche smetterla con tutte queste frasi poetiche. Sai benissimo che non possono cambiare niente.”

“Ho fatto un errore, ok? Lo so, ma tu non ne hai mai fatti?” Chiese con tono duro. “Non hai mai preso decisioni sbagliate?”

“Certo.” Confermò Justin. “Lasciare la scuola è stato un errore, escludere mia madre dalla mia vita dopo che mio padre mi aveva cacciato di casa è stato un errore.” Fece una pausa e accennò un sorriso. “Lasciare Brian è stato un errore.”

Ethan accusò il colpo. “Lo credi davvero?”

Justin chiuse gli occhi. “Mi dispiace, Ethan, io ti ho amato, dico davvero, e con te ho creduto davvero di poter essere felice, di poter…” Sospirò piano “… di poter vivere senza Brian, ma anche quando stavamo insieme, non c’è stato giorno che io non abbia pensato a lui.”

“A quanto pare non sono stato l’unico a tradire, dopotutto.”

“Adesso sei ingiusto. Io non ti ho mai tradito.” Justin strinse convulsamente i pugni. “Pensavo realmente che avremmo potuto essere felici, che avrei avuto quello che avevo sempre sognato e che Brian non poteva… non voleva darmi.”

“E l’ho fatto! Ti ho amato con tutto me stesso, Justin. E ti amo ancora come prima. Più di prima.”

Justin sorrise appena. “Non è vero, Ethan, tu non mi ami. Tu ami il ricordo che hai di me, del ragazzino che ti idolatrava, che ti ammirava e che mentiva per te.”

“Non è così…”

“Tu non mi conosci, Ethan. Non sai nulla della persona che sono diventata in questi anni.”

“E lui lo sa?” Chiese sprezzante. “Lui che ti mentiva, ti illudeva, ti tradiva con chiunque?”

“Vuoi dire come hai fatto tu?”

“Io…” Justin lo sentì sospirare frustrato. “È successo una sola volta, te lo giuro.”

“Ma sarebbe successo altre volte.” Affermò Justin con tono piatto. “Lo so io e lo sai tu.”

“Forse no.”

Justin sbuffò. “Ti prego, non raccontarmi cazzate. Io ti conosco, so come sei fatto.”

“Magari anche io sono cambiato. Cos’è? Ti risulta difficile credere che chi ha tradito una volta possa non ripetere l’errore?”

“Non ho detto questo.”

“Perché altrimenti il discorso varrebbe anche per te.”

Justin chiuse gli occhi, deglutendo piano. “Non so perché Brian mi abbia perdonato, perché mi abbia permesso di tornare nella sua vita, quand’è stato esattamente che ha capito che mi voleva di nuovo nonostante quello che gli avevo fatto. È una cosa che mi chiedo tutti i santi giorni, ma l’unica cosa che so per certo è che non posso far altro che ringraziare il cielo per questa sua decisione perché senza di lui non sarei niente.” Abbozzò un sorriso, immaginandosi l’espressione annoiata di Brian se fosse stato lì ad ascoltare quella sviolinata… ops, discorso smielato. “Lui mi ha aiutato, mi ha protetto, mi ha spronato quando tutto faceva schifo, mi ha amato anche quando io l’ho lasciato. E quando sono tornato da lui, mi ha riaccolto senza fare domande, senza pretese, senza false promesse, senza pretendere delle scuse. Lui è tornato ad amarmi come se nulla fosse stato. E ancora oggi, a volte, ho il terrore che possa pentirsene.”

“Quindi non sei sicuro del suo amore, è questo che mi stai dicendo?”

Justin scosse la testa con un sorriso. “Sono sicuro del suo amore, così come sono sicuro del mio. Brian è il mio compagno. Non è perfetto, ma del resto Dio solo sa quanto sia imperfetto io.”

Ethan rimase in silenzio per alcuni istanti, poi parlò di nuovo. “Sei felice con lui come quando eri con me? Riesce a farti sorridere come facevo io?”

“La vera domanda, Ethan, è se tu riuscivi a darmi quello che mi dava lui, se tu riuscivi a farmi ridere come lui, se tu mi amavi come lui mi amava e mi ama tuttora.”

“E la risposta qual è?”

Justin sorrise felice. “No, non ci sei mai riuscito. Brian è sempre stato l’unico.”

“È riuscito a cambiarti, Justin. Quasi non ti riconosco.”

Il ragazzo prese la caffettiera e verso il liquido scuro e bollente nelle tazze davanti a lui. “Sai cosa sto facendo adesso, Ethan?”

“Menti a te stesso dicendo di essere felice?”

Justin ridacchiò scuotendo la testa. “Sto preparando la colazione per me e il mio compagno.”

“Vuoi dire il tuo padrone?” Ribatté quello pungente.

“Voglio dire l’amore della mia vita.” Sorrise lanciando un’occhiata verso la porta del bagno. “Ti ricordi quando la preparavo anche per noi?”

Ethan sospirò con un mezzo sorriso. “Certo che me lo ricordo.”

“Quindi come vedi, non sono cambiato poi così tanto. Amo sempre le stesse cose, sono sempre la stessa persona. Sono solo cresciuto. E crescendo ho capito, ho capito quello che volevo dalla mia vita, quello di cui avevo bisogno per essere felice.”

“Cioè Brian?” Chiese Ethan con tono sprezzante.

“Cioè la mia arte, la mia libertà, la mia indipendenza, la consapevolezza di potercela fare da solo e la certezza che, nel caso non ce la facessi, avrei comunque persone che mi amano a sostenermi. Brian è una di quelle persone.” Fece una pausa. “Brian è la prima di quelle persone.”

“Lo sai che non potrà mai amarti come ti amo io? Non potrà mai darti quello che cerchi. Una famiglia, la fedeltà, la monogamia.”

Justin sorrise contro il suo telefono. “Tu non sai proprio niente, Ethan. Non sai più niente di me e sicuramente non hai mai saputo niente di Brian. Quindi smettila di dire cazzate e di parlare come se avessi il dono della scienza infusa.”

“Non mi arrendo, Justin.” Lo spiazzò Ethan. “Non ho intenzione di andarmene da Pittsburgh tanto presto.”

Justin prese un bel respiro. “Ascoltami bene. Se rimani in città per te, perché è quello che vuoi, ok, per me non ci sono problemi. È la tua vita, la decisione spetta a te. Ma se pensi che ci sia anche una minima speranza per noi due, allora puoi anche salire sul primo aereo e tornartene a Boston. Il mio posto è accanto a Brian. È lui che voglio, è lui che ho sempre voluto.” Si umettò il labbro. “Non c’è mai stato nessun’altro, mi dispiace.”

Ethan accusò il colpo e si schiarì la gola. “D’accordo, Justin, se è questo che pensi mi sta bene. Ma ricordati che non sono uno che si arrende. Ti ho già sentito parlare così una volta e mi pare che non sia finita esattamente con voi due come coppia dell’anno.”

“Adesso è diverso.” Affermò sicuro Justin. “Lui mi ha permesso di tornare nella sua vita e io non sprecherò un’occasione come questa. Come ti ho detto, non ho più diciannove anni. Non mi lascio più incantare da picnic sul pavimento, serenate romantiche e colazioni a letto. Ho tutto quello che voglio esattamente qui. Non mi serve altro.”

Ethan prese un bel respiro. “E, come ti ho detto io, non ho intenzione di arrendermi tanto facilmente.”

Justin si strinse nelle spalle. “Fa’ come vuoi. La cosa non mi riguarda. Addio, Ethan.”

“Arrivederci, Justin.” Ribatté l’altro, prima di interrompere la comunicazione.

Justin posò il cellulare sul tavolo e sorrise.

Non credeva sarebbe stato così facile chiudere definitivamente con Ethan. Dopotutto si erano amati, aveva lasciato Brian per lui e aveva davvero creduto che avrebbe potuto essere felice.

Quanto si sbagliava…

Come aveva solo potuto pensare di essere felice senza Brian?

Per lui la felicità era Brian!

Come gli era venuto in mente di separarsi da lui?

Scosse la testa dandosi dello stupido per l’ennesima volta. Prese i biscotti e i cereali che aveva trovato nella cucina e li poggiò sul bancone, posizionando le due tazza di caffé davanti a lui.

“Allora? Ti sei mangiato tutto?” Gli chiese la voce divertita di Brian dalla camera da letto.

Justin lo guardò e inarcò un sopracciglio, quando si accorse che indossava solo un asciugamano attorno ai fianchi. “Non ancora, ma ci sto pensando.”

L’uomo lo raggiunse in due passi. “Eccomi in tutta la mia bellezza.” Si avvicinò a Justin e si avventò sulle sue labbra, baciandolo e lasciandolo senza fiato.

“E questo per che cos’è?” Boccheggiò il ragazzo sorpreso.

Brian si strinse nelle spalle. “Per aver preparato la colazione, naturalmente.”

Justin sogghignò. “Se questo è il ringraziamento, te la preparo tutte le mattine.”

Brian gli puntò un dito contro. “Adesso non te ne approfittare.” Prese posto davanti a lui e gli sfilò il giornale da sotto gli occhi. “Allora, programmi per oggi?”

Justin sorrise, sorseggiando il suo caffé.

Avrebbe passato ogni giorno della sua vita in quel modo: svegliarsi accanto a Brian – che ovviamente sarebbe stato nudo – , riprendere il discorso che avevano lasciato in sospeso la notte prima quando si erano addormentati esausti, fare colazione insieme e parlare della giornata che li aspettava.

Senza complicazioni, senza paure, e soprattutto senza i seicento chilometri che separavano le loro vite.

Non avrebbe chiesto niente di più.

Solo lui.

“Credo che passerò da Vanessa.” Disse con tono neutrale. “Per vedere come è andata la mostra.”

Brian sorrise, lo sguardo ancora fisso sul quotidiano. “È andata alla grande, ne sono sicuro. Era la tua, no?”

Justin sorrise imbarazzato. “Ho imparato dal migliore ad essere un vincente.” Brian sollevò un sopracciglio e gli lanciò un sorriso sbieco. “Ah, e poi devo anche vedere Daphne.”

“Come mai? Emergenza matrimonio?” Chiese con aria fintamente terrorizzata, alzando le mani.

Il ragazzo scosse la testa. “Le devo venti dollari.”

 

 

 

 

 

Emmett sorrise a Raymond passandogli il prospetto che aveva preparato. L’uomo con i capelli ricci gli sorrise. “Ok, capo. Me ne occupo io.”

“Bene. Passalo anche a Tony e assicurati di seguire le istruzioni alla lettera.”

“E per il catering?”

Emmett posò lo sguardo sulla cartellina che aveva in mano. “Non preoccuparti per quello. Voi due pensate solo agli addobbi, ai fiori, ai centrotavola…”

Raymond rise. “Giusto un paio di cosette…”

“Vai.” Emmett gli indicò i camion che stavano scaricando i tavoli nel grande giardino. “E ricordati: tutto deve essere…”

“… perfetto. Sì lo so, non fai altro che ripeterlo.” Raymond scosse la testa. “Abbiamo capito che è una tua cara amica, Em…” 

Emmett fece cenno di no con l’indice. “Jennifer non è solo un’amica. Lei è una di famiglia.”

Raymond sorrise e annuì. “Come vuoi, capo. Prometto che tutto sarà più che perfetto. Meglio dei matrimoni reali.”

“Così va meglio.”

L’uomo rise di nuovo e fece per allontanarsi, ma si bloccò, guardando Emmett con un sopracciglio inarcato. “La ragazzina che problemi ha?”

Emmett lo guardò confuso prima di voltarsi nella direzione che il suo dipendente stava indicando. Sorrise, scuotendo la testa.

Molly e Daphne se ne stavano, ancora visibilmente colpite, col naso all’insù a fissare senza parole la villa immensa che avevano davanti. La più grande si avvicinò ad Emmett con gli occhi sgranati. “Wow, la tua descrizione non gli rendeva affatto giustizia…”

Emmett ridacchiò. “Impressionante, vero?”

“Puoi dirlo.” Daphne tornò a guardare il portico d’ingresso. “Se penso a quel tugurio in cui vive Justin a New York…”

Raymond si schiarì la gola. “Ma siete sicuri che stia bene? Sono cinque minuti buoni che non si muove.” Osservò preoccupato accennando di nuovo a Molly.

Daphne ed Emmett si scambiarono uno sguardo divertito.

“Molly?” La chiamò la ragazza. “Tutto ok, tesoro?”

Molly riprese a sbattere le palpebre e chiuse la bocca, deglutendo sonoramente. “Questa…” Indicò la casa e assunse un’espressione allucinata.

“Sì, Molly.” Daphne le sorrise. “Ti piace?”

La ragazza tornò a guardare la casa e annuì appena. “Io… io…”

“Sì, ti capisco.” Fece Emmett con aria comprensiva. “Io e Teddy abbiamo avuto più o meno la stessa reazione quando tuo fratello ci ha portato qui la prima volta.”

Molly mosse un passo incerto verso di loro, lo sguardo ancora incollato alla facciata di legno e mattoncini; si grattò confusa la testa e fissò Daphne disperata. “Dimmi che Justin non ha mai visto questa casa e che quella meraviglia con cui il mio decerebrato fratello dorme ogni notte l’ha comprata a sua insaputa.”

Daphne si strinse nelle spalle. “Mi dispiace deluderti.”

Emmett ridacchiò, avvicinandosi a Molly con aria cospiratrice. “Leggenda narra, mia piccola Ginger, che il principe abbia comprato il castello per convincere la sua bionda principessa a sposarlo.”

Molly storse il naso. “E la principessa che cazzo di problemi ha? Perché io dico che bisogna essere proprio scemi per rifiutare una cosa del genere.” E, come se non fosse stata abbastanza chiara, indicò di nuovo la casa con un gesto secco.

“Molly…” La riprese Daphne, non riuscendo però a trattenere un sorriso.

Emmett la prese per mano. “VieniGinger, ti prometto che potrai uccidere tuo fratello alla prima occasione, ma ora siamo qui per tua madre.”

“Em ha ragione.” Daphne sorrise alla sua amica. “E poi dobbiamo ancora vedere la piscina!”

Molly strabuzzò gli occhi. “Piscina?”

Daphne guardò preoccupata Emmett. “Forse non avrei dovuto dirlo.”

L’uomo le sorrise. “Meglio prima che dopo. Come diceva sempre la mia prozia Lula via il dente via il dolore!”

Piscina?” Ripeté di nuovo Molly.

Emmett la tirò per un braccio, guidando lei e Daphne all’interno della casa.

“Wow…” Esordì la bruna appena entrati nell’ingresso.

“Bellissima, vero?” Emmett saltellò eccitato sul posto. “E non avete ancora visto il piano superiore! È di-vi-no!”

Molly gettò una rapida occhiata alla cucina sulla sinistra e al salone a destra e spalancò la bocca. “Voglio vivere anch’io qui!”

Daphne scoppiò a ridere mentre Emmett le circondava le spalle con un braccio. “Benvenuta nel club, Ginger.”

“Che cosa fanno?” Chiese Daphne curiosa, indicando gli uomini che affollavano la cucina e che correvano qua e là dal giardino all’interno della casa.

Emmett le sorrise, muovendo un passo verso le scale. “Ho pensato che sarebbe stato molto più comodo preparare tutto qui invece che trasportarlo dalla città. Senza contare che qualcosa potrebbe rovinarsi durante gli spostamenti e rimarremmo comunque senza i fantastici piatti che ho scelto per il banchetto.”

“Quindi cucinerete qui?” Molly gli sorrise. “Mi sembra una grande idea. È un vero peccato che questa casa sia abbandonata.”

Emmett annuì. “Ed è per questo che vi ho chiamato oggi, mie care.” Daphne e Molly si scambiarono un’occhiata perplessa. “Vogliate seguirmi per cortesia.” E s’incamminò su per la scalinata.

Arrivato in cima, si bloccò sul balconcino e guardò le sue amiche con aria sorpresa. “Forza! Che ci fate ancora lì? Dovete vedere… FERMATI IMMEDIATAMENTE!” Le ragazze sobbalzarono voltandosi verso il povero operaio che stava trascinando fuori una delle poltroncine color crema del salotto. “Dove credi di andare con quella?” Chiese Emmett irritato, portandosi le mani sui fianchi.

L’uomo lo guardò incerto. “Mi hanno detto che dovevamo sgomberare la stanza per sistemare i…”

“Non ho mai detto nulla del genere! Ora riporta quella poltrona dove l’hai presa e chiedi di Ray o Tony. Ti spiegheranno loro cosa fare.”

L’uomo annuì e fece come gli era stato ordinato. Lo sguardo di Emmett si spostò da lui a Molly e Daphne che, ancora spaventate dal suo precedente scatto, corsero rapidamente su per le scale, raggiungendolo in due secondi.

“Bene.” Emmett le precedette alla scoperta del secondo piano. “Questo sarà ancora più spettacolare… siete pronte?” Assicurò, aprendo la porta finestra che si trovava sulla sinistra e che dava sul giardino.
Molly e Daphne si scambiarono un’occhiata divertita iniziando a camminare lungo l’ampio corridoio su cui si affacciavano sei porte più una in fondo; sbirciarono velocemente nelle stanze, tutte luminose e spaziose, mentre la loro guida si bloccava di tanto in tanto per aprire le altre finestre. “È un delitto che una casa così rimanga sempre al buio.”

“Wow…” Molly entrò nella prima stanza sulla sinistra e assunse un’espressione stupita. “Credo di aver trovato la mia futura stanza!” Esclamò allegra.

Daphne rise. “Ma davvero?”

“Certo! Guarda qua! Sono due stanze comunicanti più il bagno. Perfetta per un’adolescente. Qui metterò il letto e l’armadio, mentre l’altra la utilizzerò come studio.” Sorrise elettrizzata. “E poi si affaccia anche sulla piscina! Non si potrebbe chiedere di meglio!”

Emmett le sorrise prendendola per un braccio. “Ok, lo faremo sapere a Brian e Justin, ora proseguiamo.”

Osservarono attentamente altre due stanze – “Quella più grande sarebbe perfetta per lo studio di JusJus!” – e il bagno, arrivando finalmente all’ultima camera. Emmett aprì la porta e le ragazze trattennero il respiro, colpite.

“Accidenti…” Sussurrò Daphne, muovendo un passo verso il centro.

Tutta la parete di fronte a loro era composta da un’unica vetrata, da cui si scorgeva una terrazza assolata che permetteva ai raggi solari di illuminare la stanza, inondandola di un piacevole tepore. A destra, in fondo, si scorgeva la porta del bagno, tutto in granito scuro.

“Bella, eh?” Chiese Emmett elettrizzato. “Avevo pensato che Jennifer potrebbe prepararsi qui il giorno del matrimonio.” Studiò con attenzione il soffitto e annuì. “Dopotutto è un peccato avere a disposizione una casa del genere e non sfruttarla, no?”

Molly si avvicinò alla porta finestra e la spalancò, lasciando che la tiepida brezza di aprile invadesse la stanza. “È proprio una bella idea.”

“Per questo vi ho chiamato.” Confessò l’uomo con un sorriso. “Voi siete due donne e conoscete bene Jennifer… quantomeno più di me. Potreste sistemare voi il piano superiore.”

“Noi?” Le sopracciglia di Daphne scomparvero dietro la frangia bruna.

Emmett annuì. “Non intendo tutta la casa. A quello penseranno gli sposini… No, io mi riferisco a questa stanza in particolare, a quella che vorrete utilizzare voi per prepararvi…”

“Possiamo scegliere noi quale?” Domandò Molly eccitata.

“Certo, Ginger.”

Daphne incrociò le braccia e inarcò un sopracciglio. “Nient’altro?”

“Occupandovi anche dell’arredamento dei bagni, questo e quello del piano di sotto, mi fareste un grosso, grosso favore.”

“E basta?”

“E basta.” La rassicurò Emmett. “Mi sareste di grande aiuto. E non saprei proprio a chi chiedere.”

Daphne e Molly si scambiarono una rapida occhiata e gli sorrisero. “Ok.” Acconsentì la più grande. “Affare fatto.”

Emmett sgranò gli occhi. “Davvero?”

“Non dirmi che ci stai già ripensando!” Lo prese in giro Molly, pizzicandogli i fianchi.

“Certo che no! È che non credevo sarebbe stato così facile!”

Daphne si strinse nelle spalle. “Sei stato fortunato.”

“Quindi affare fatto?”

Molly scoppiò a ridere prendendo Daphne a braccetto. “Stai tranquillo, Em. Babbo Natale ha trovato i suoi due insostituibili aiutanti!”

 

 

 

 

 

Ethan si sistemò meglio la tracolla e varcò i cancelli del PIFA. Il suo cellulare vibrò nella tasca; lo estrasse e fece una smorfia quando lesse il messaggio di buona giornata che gli aveva inviato Chris. Sospirò avvilito.

Che cosa si era aspettato? Justin?

Sì, doveva ammetterlo, per un attimo c’aveva sperato.

Nonostante la conversazione che avevano avuto solo poche ore prima, in cui il suo ex amante aveva espresso a chiare lettere che per loro non c’era speranza, quando il telefono aveva vibrato, per un breve, brevissimo istante, l’aveva davvero creduto.

Chiuse gli occhi e prese un bel respiro.

Cazzo, Ethan, reagisci! Non è tutto perduto…

Sorrise appena. Certo che non era tutto perduto. Non lo sarebbe mai stato, non con Justin, perché lui non si sarebbe arreso tanto facilmente. L’ultima volta era stato un vero codardo a lasciarlo andare, a pensare che non fosse giusto continuare a farlo stare male, a non essere quello che Justin aveva sperato. Ma ora era diverso: ora era cresciuto, maturato e finalmente aveva compreso che non voleva più stare senza di lui. Era bastato un attimo per capirlo, era stato sufficiente rivederlo alla mostra, con i suoi profondi occhi azzurri, i morbidi capelli biondi e quel sorriso diventato ancora più bello, per dimenticare gli anni senza di lui.

Se lo sarebbe ripreso, lo sapeva. E non importava quanto Justin si opponesse, quanto sbandierasse la sua ritrovata unione con… com’è che aveva detto? Ah sì, il grande amore della sua vita!

Cazzate!

Ethan lo sapeva. E lo sapeva anche Justin. Così come lo aveva saputo anni prima quando aveva scelto lui invece del grande e onnipotente Brian Kinney. L’uomo più egoista, narcisista e bastardo che avesse mai conosciuto.

No, ne era certo.

Presto Justin sarebbe tornato da lui. Al suo posto, dove avrebbe sempre dovuto stare la sua anima gemella: al suo fianco. E fanculo a tutto! Fanculo a Boston, a Chris, ma soprattutto fanculo a quel grandissimo figlio di puttana di Brian K… 

“Ciao, Ian.”

Ethan sgranò gli occhi, sul volto un’espressione a metà tra lo scioccato e il terrorizzato.

Che cazzo ci faceva lui lì?

Deglutì piano, affilando lo sguardo.

“Beh, non si usa più rispondere ai saluti?” Gli chiese l’uomo di fronte a lui, braccia incrociate, occhiali da sole e completo scuro da duemila dollari. “L’educazione è diventata un’optional?”

Ethan serrò la mascella. “Che vuoi? Che sei venuto a fare qui?”

Brian accennò un sorriso, sfilandosi gli occhiali scuri. “Credo che tu sappia bene perché sono qui.”

Il ragazzo scosse le spalle. “Non so di cosa tu stia parlando.”

L’uomo si umettò il labbro fissandolo serio. “Justin.”

Ethan affondò le mani nelle tasche e cercò di trattenere un sorriso.

Quindi l’aveva già perso di vista?

Erano passate quante… tre ore da quando aveva parlato con Justin e il leggendario Brian Kinney già non aveva più tracce del suo fedelissimo compagno? Forse non sarebbe stato difficile come pensava separarli di nuovo.

“Io non l’ho visto.” Rispose Ethan con tono soddisfatto.

Brian sogghignò. “Oh, ma lo so.” Ethan aggrottò la fronte. “So che non è con te perché era con me fino a qualche minuto fa. E sarà con me anche fra un’ora, un giorno o una settimana.”

“E la cosa come potrebbe riguardarmi?” Ethan incrociò le braccia al petto e lo fissò con aria di sfida.

Brian scosse le spalle. “Beh, vista la dichiarazione d’amore che gli hai fatto stamattina al telefono, credo che la cosa ti riguardi eccome.” Il ragazzo si morse un labbro, ma rimase in silenzio, in attesa della mossa del suo interlocutore. “Quindi volevo mettere le cose in chiaro fin dall’inizio. Non ti caccerò a pedate da questo stato perché potrei rovinarmi le scarpe e non lo ritengo un sacrificio necessario.”

“Perché ho l’impressione che sia un’offesa?”

Brian sorrise. “Dopotutto non sei così coglione come credevo, Ian. Te lo concedo.”

“Quindi cosa sarebbe questa?” Ethan inarcò un sopracciglio, le mani strette convulsamente attorno alla cinta della tracolla. “Una minaccia?”

Brian si sistemò meglio il cappotto scuro e sollevò un angolo della bocca. “Ci puoi giurare, ragazzino.”

“Non sei nessuno per dirmi quello che posso o non posso fare. Non sono uno di quei poveri disperati che ti venerano come un dio. Per me sei solo un fastidioso effetto collaterale, un danno che vedrò al più presto di risolvere.”

Brian sollevò le sopracciglia e lo fissò visibilmente colpito. “Ma davvero?” Scoppiò a ridere davanti all’espressione minacciosa del ragazzo.

“Smetterai di fare lo sbruffone quando ti lascerà di nuovo.” Soffiò velenoso.

L’uomo smise di ridere, conservando però un sorriso di scherno. “Non hai idea di che cazzo stai parlando.”

Ethan inarcò un sopracciglio. “Tu dici? Anche l’ultima volta mi sembravi convinto.”

“Sono cambiate tante cose, Ian, e io e Justin non siamo più quelli di un tempo, quindi puoi anche andartene.”

“Oh, sono sicuro che ti piacerebbe.”

“E privarmi così del divertimento di vederti umiliato?”

“Come sei stato umiliato tu quando Justin ti ha scaricato davanti a tutti i vostri amici, durante la festa che tu avevi organizzato per lui?”

Il vago sorriso di Brian scomparve all’istante, lasciando il posto ad un’espressione torva e allo stesso tempo addolorata. “Te l’ho già detto. Sparisci dalla sua vita e dalla mia.

“Al contrario, credo che mi fermerò un po’ a Pittsburgh. Casa è sempre casa.”

Brian mosse un passo verso di lui che, di riflesso, indietreggiò. “Justin stava con me prima che tu arrivassi ed è tornato da me quando tu te ne sei andato, anzi no… quando tu sei stato così coglione da tradirlo. Non ti dice niente tutto ciò?”

“Tu parli di tradimento a me? Tu? La puttana di Liberty Avenue?” Ethan proruppe in una risata nervosa, tutt’altro che sincera.

“Non ho mai tradito Justin.” Affermò Brian con tono duro. “Nonostante quello che tu o tutto il mondo possiate pensare, ho sempre rispettato le sue… “ Sospirò piano “… le nostre regole.”

“Non lo hai mai capito davvero. Per te è sempre stato un giocattolino, un ragazzino che ti faceva sentire importante, potente… desiderato.”

“È stato lui a dirtelo?”

Ethan scosse la testa. “Non ce n’era bisogno, lo capivo dal suo viso.” Sorrise appena. “Sono sicuro che voi due non abbiate mai avuto la complicità, l’intimità, la… sintonia che avevamo noi. Le nostre anime si appartengono, noi ci apparteniamo.”

“Col cazzo, Paganini dei poveri!” Sbottò Brian innervosendosi. “Justin non è tuo, non lo è mai stato e sai perché?”

Ethan fece una smorfia infastidita. “Perché appartiene a te?”

Brian mosse un altro passo verso di lui. “No, piccola patetica carogna. Perché Justin non è di nessuno. Non è una borsa che ti porti dietro, non è un violino che trascini qua e là. Lui è una persona, lui è… speciale. Lo è sempre stato.”

“Lo so.” Lo fissò risoluto. “L’ho sempre saputo. È per questo che lo rivoglio.”

Brian sbottò in una risata priva di allegria. “Ci ho messo anni per fargli capire quanto tenevo a lui, anni a fargli capire che mi importava, che lui era importante. Non mi tirerò indietro solo perché un ragazzino che ha visto troppe commedie con Meg Ryan crede che il mio compagno debba stare con lui.” Fece deciso, calcando volutamente la parola “compagno”.

“Nemmeno io. Sono pronto a tutto.” Sentenziò sicuro il più giovane.

“Justin sa quello che provo per lui.” Brian incrociò le braccia al petto.

“E credi che questo sia sufficiente? Credi che lui si accontenti delle briciole che tu sei disposto a dargli?”

Brian abbozzò un sorriso. “Tu non sai proprio un cazzo, ragazzino. Non sai niente di Justin da quattro fottutissimi anni e non sai un cazzo di me. Ma, cosa ancora più importante, non sai un cazzo di noi, della nostra storia e di quello che abbiamo passato.”

Ethan deglutì piano, incassando il colpo. Con una stretta al cuore, si ricordò che quella stessa frase gli era stata già detta, da Justin, proprio quella mattina. Che cosa c’era stato di così importante da averli legati tanto profondamente? Possibile che fosse stato più intenso e forte di quello che lui aveva condiviso con Justin?

Davvero non lo credeva possibile.

“Non può essere felice con te.” Affermò sicuro. “Non ne sei capace.”

“Al contrario di te?” Chiese Brian con una punta di divertimento nella voce. Ethan annuì. “Bene, voglio chiederti una cosa allora. Quanto tempo siete stati insieme, Ethan?” Lo scrutò serio. “Un paio di mesi? Quattro, cinque?”

Tzè, come se non avessi contato uno per uno tutti i giorni di quei lunghi, lenti e devastanti cinque mesi e dodici giorni, Kinney…gli sussurrò una vocina nella testa.

“Sì, più o meno.”

“E che fine hai fatto dopo?” Premette la lingua contro l’interno della guancia, palesemente compiaciuto. “Sei sparito dalla sua vita e lui non ha avuto più nessun bisogno di cercarti. Il vostro grande amore è finito dritto dritto nel cesso.” Ethan rimase in silenzio. “E sai come lo so? Perché lui è tornato da me. Appena ti ha mollato, è tornato da me. E ci sarà un motivo se dopo sette anni io e lui siamo ancora qui e tu no.”

Gli sorrise soddisfatto e inforcò di nuovo gli occhiali. “Quindi, vedi di stare alla larga da lui.”

“Altrimenti cosa?” Ethan serrò la mascella. “Mi picchierai come hai fatto con quel tuo amico?”

Brian alzò gli occhi al cielo annoiato e lo superò, avviandosi verso il cancello del PIFA. “Ciao ciao, Ian.”

“Posso riprendermelo quando voglio!” Gli gridò sfrontato, guardandolo bloccarsi all’istante.

Brian ghignò divertito. “Vorrei davvero vederti provare.”

“L’ho già fatto una volta.” Ribatté sicuro.

Brian si voltò e lo fissò, stavolta serio. “Ascoltami bene, piccolo stronzo, non ti ho spaccato la faccia l’ultima volta perché credevo che avresti reso felice Justin, ma da coglione quale sei non ci sei riuscito. Ora è tardi. Risparmiati l’umiliazione e sparisci.”

“E chi lo dice che è tardi? Tu? Cosa ti fa credere che questa volta sarebbe diverso?”

Brian sollevò un angolo della bocca. “Perché questa volta non mi farò da parte.” Ethan rimase in silenzio ad osservarlo. “Questa volta combatterò per lui. Gli dimostrerò che vale la pena stare con me, che non ha bisogno di cercare altrove ciò che desidera, ciò di cui ha bisogno. Sarò esattamente l’uomo che Justin vuole e merita di avere al suo fianco.”

“E sei sicuro di essere tu quell’uomo? Dopo tutte le volte che l’hai ferito? Che l’hai umiliato? Che ti sei preso gioco di lui e dei suoi sentimenti?”

Brian lo fissò con aria di superiorità da sotto le lenti scure. “Come ti ho già detto, non sai proprio un cazzo di me e Justin.” Accennò un sorriso, affondando le mani nelle tasche e muovendo un passo verso la sua auto. “Bene, ora che abbiamo chiarito, posso anche andare. Ne ho abbastanza di te e delle tue crisi da regina dei drammi. Mio figlio mi aspetta.” Sogghignò compiaciuto. “E anche il mio compagno.”

 

 

 

 

 

Justin si chiuse la porta del loft alle spalle e diede una rapida occhiata in giro; poggiò la borsa a terra e inarcò un sopracciglio: la tv era accesa e così anche le luci, quindi qualcuno doveva pur esserci. Mosse un passo verso la camera da letto, ma si bloccò al centro del salotto. Sorrise.

Seduti al tavolo in fondo alla stanza, Gus spiegava a suo padre, di spalle rispetto a dove si trovava Justin, cosa aveva disegnato e in che modo avrebbe dovuto colorarlo.

“No, papà, questo deve essere blu!” Lo rimproverò il bambino.

Brian sbuffò. “E perché? È più bello così!”

Gus lo guardò torvo. “Ma mamma Mel sembra zio Emmett con quella maglietta rosa! E poi a lei non piace nemmeno il rosa!”

“Davvero?” Gli chiese suo padre con tono innocente.

Il bambino annuì. “Preferisce il blu!” E mise il pastello nelle mani di Brian. “E non uscire fuori dai bordi!”

Justin incrociò le braccia e ridacchiò, segnalando così la sua presenza.

“Ehi.” Lo salutò Brian con un sorriso.

Justin si avvicinò a loro e lo abbracciò da dietro, posando il mento contro i suoi capelli scuri. “Non volevo interrompere il vostro lavoro.”

Brian posò la mano sinistra sul braccio del ragazzo, continuando a colorare con la destra. “Gus mi ha obbligato ad aiutarlo con i suoi disegni.”

Gus scrutò con attenzione il lavoro di suo padre prima di rivolgersi a Justin con un sorriso smagliante. “Ciao, Justin.” Lo salutò. “Meno male che sei arrivato. Di sicuro sai colorare più meglio di papà.”

“Meglio.” Lo corresse Brian, guardandolo offeso. “E non mi pare che me la stia cavando così male.”

Gus sollevò le sopracciglia in una perfetta imitazione di suo padre che fece scoppiare a ridere Justin e riportò lo sguardo sul suo astuccio, per cercare un altro colore.

Brian scosse la testa e finì di colorare la maglia di Mel, poi si alzò e trascinò Justin per un braccio verso la cucina; Gus non lì degnò di uno sguardo. Si limitò ad annuire quando suo padre gli chiese se voleva del succo di frutta e i biscotti al cioccolato.

“Da quando hai qualcosa di commestibile nel tuo frigo?” Lo prese in giro Justin quando Brian ebbe servito la merenda a suo figlio e tornò a prestargli totale attenzione. “Che fine hanno fatto birra e popper?”

Brian lo guardò risentito. “Justin Taylor, mi sento profondamente offeso. Davvero credi che in due anni non sia cambiato niente?” Justin inarcò un sopracciglio, sfilandosi il cappotto. Brian sbuffò. “Ok, i biscotti li ha portati Debbie prima di andare al lavoro e il popper e la birra li ho sistemati nel ripiano più alto nel caso a Gus venisse voglia di curiosare nel frigo.”

Justin rise. “Così va meglio.” Mosse un passo verso di lui e Brian gli circondò la vita con le braccia. Il ragazzo s’irrigidì all’istante.

“Che hai?” Gli chiese Brian.

Justin accennò col capo a Gus. “Non credi che potrebbe essere strano per tuo figlio vedere suo padre che si dà da fare in cucina davanti ai suoi occhi?”

Brian alzò gli occhi al cielo. “Pensi davvero che vedere noi che ci baciamo potrebbe segnarlo di più che vedere le lesbiche amoreggiare continuamente?”

Justin gli posò le mani sul petto, cercando di tenerlo a distanza. “Mel e Linz sono i suoi genitori, è diverso. È abituato. Io sono quasi uno sconosciuto.”

“Ti prego!” Brian sbuffò. “Hai praticamente scelto il suo nome! Ti deve la sua vita solo per aver impedito a Mel e Linz di chiamarlo Abraham!”

Justin ridacchiò ripensando alla notte in cui Gus era nato. “Oddio, l’avevo dimenticato…”

Brian fece un sorrisino, prima di umettarsi il labbro e chinarsi a baciarlo; portò una mano sulla sua nuca e lo strinse forte tra le braccia. “Finalmente…” Sussurrò contro la bocca di Justin.

Justin gli strinse la maglietta e lo attirò di più a sé. “Allora? Come è andata la giornata, cara?” Gli domandò sorridendo.

Brian roteò gli occhi, ma gli sfuggì un sorriso. “Niente di nuovo, tesoro. Lavoro, pranzo, lavoro, Gus.”

“Mi piace quando sei così loquace.” Lo prese in giro Justin, baciandogli rapidamente le labbra e staccandosi da lui. “Un vero chiacchierone.”

Brian gli accarezzò i capelli e gli baciò un orecchio, prima di sedersi su uno degli sgabelli. “E tu che cosa hai combinato? Qualche altra fiamma del passato di cui dovrei sapere?”

Justin gli lanciò un’occhiataccia. “Non la smetterai mai, vero?”

Brian scosse la testa. “Mi dispiace.”

Il ragazzo sospirò e agguantò uno dei biscotti di Debbie. “Se può tranquillizzarti, oggi non ho incontrato Ethan.” Disse, tra un boccone e l’altro. “Nessa mi ha detto che l’ha visto solo per un attimo al PIFA e che sembrava molto strano.”

Brian afferrò il giornale lì vicino e prese a sfogliarlo. “Strano in che senso?”

Justin si strinse nelle spalle. “Nervoso, quasi… spaventato.” Scosse la testa. “O forse è Vanessa che ha letto troppi libri gialli.”

“In ogni caso” Brian gli rivolse un sorriso a trentadue denti “non me ne frega un cazzo di Ian e delle sue crisi isteriche.”

Justin gli pizzicò un braccio. “Non ti hanno insegnato a non dire parolacce davanti ai bambini?” Lanciò un’occhiata a Gus che sembrava non essersi accorto di nulla.

“Tu e Mel dovete smetterla di fare così!” Sbottò offeso, massaggiandosi la parte dolorante. “Sono pieno di lividi da quando le lesbiche sono tornate!”

“Questo perché sei sempre molto cattivo.” Sussurrò Justin con tono malizioso.

Brian inarcò un sopracciglio e fece un sorrisino. “A questo proposito… rimani a cena? E magari anche dopo?”

Justin si appoggiò al bancone coi gomiti e si sporse verso di lui. “Mi piacerebbe molto, ma credo che Gus voglia stare con suo padre.”

“Anche io voglio stare con lui, ma non mi dispiacerebbe se tu rimanessi nei paraggi.”

Justin sorrise e lo baciò teneramente. “Mi dispiace, ma ho un mezzo appuntamento con Daphne.”

Brian fece una smorfia. “Potrei iniziare ad essere geloso, sai?”

“Tu, geloso?” Justin scoppiò a ridere di gusto. “Vorrei davvero vederti! Sarebbe davvero una cosa nuova!”

Brian alzò gli occhi al cielo, con un mezzo sorriso.

Se solo sapessi quanto non è vero, piccolo stronzo… E’ tutto sempre per colpa tua…

“Daphne mi ha detto che per stasera è meglio se non torno a casa per cena.”

Brian lo guardò perplesso. “Come mai?”

“Molly vuole uccidermi.” Rispose Justin candido, aprendo il frigo e versandosi del succo.

“E quale sarebbe il motivo stavolta?”

Justin sorseggiò la spremuta. “Oggi è andata a Britin con Daphne ed Emmett e, dopo aver visto il castello che hai comprato, ha detto che, se non mi muovo a riportare il culo a Pittsburgh e a sposarti seduta stante, lo farà lei.”

Brian sgranò gli occhi, studiando la sua espressione per capire se stesse scherzando e scoppiò a ridere quando capì che Justin era serissimo. “Davvero?”

Justin si strinse nelle spalle. “Testuali parole.”

Brian piegò le labbra all’interno della bocca e sorrise. “Non sarebbe male, mi piace tua sorella.”

“Ha detto che vuole dare a Gus pareeeeecchi fratellini, quindi sei avvertito.”

Brian sollevò le sopracciglia, assumendo un’espressione a metà tra il divertito e l’allarmato. “Su questo dobbiamo discuterne…”

Justin aggrottò la fronte e fece il giro del bancone, arrivando accanto a lui. “Non credo di essere d’accordo…” Sussurrò, circondandogli il collo con le braccia e mordendogli il lobo dell’orecchio. “Se continui così, sarò io quello geloso.”

Brian sorrise malizioso, stringendolo tra le sue gambe. “Oh credimi, Sunshine. Tua sorella ne deve fare di strada per arrivare al tuo livello.” Soffiò ad un centimetro dalla sua bocca.

Justin gli restituì il sorriso e sfregò il naso contro il suo. “Lo spero bene, signor Kinney. Altrimenti saresti in grossi, grossi guai.”

Brian gli morse il labbro inferiore prima di accarezzarlo languidamente con la lingua. “Quanto grossi, precisamente?”

“Brian…” Justin affondò le dita nei suoi capelli scuri. “Te l’ho già detto: cerca di contenerti. C’è tuo figlio.”

Brian alzò gli occhi al cielo e lanciò un’occhiata rapida a Gus, che continuava tranquillamente a disegnare e a sgranocchiare biscotti. “Ma non ci guarda nemmeno!”

Justin lo guardò severo. “E ti sembra un buon motivo per fare sesso davanti ad un bambino di sette anni?”

Brian sbuffò. “E chi parla di fare sesso? Voglio solo…”

“Ok, prova solo a dire quella parola e ti prometto che salgo sul primo aereo per New York.”

“Che parola?” Chiese Brian confuso. Justin gli rivolse uno sguardo eloquente che gli fece alzare gli occhi al cielo. “Non…” Sospirò paziente. “Non parlo di coccole, e non mi sognerei mai di ripetere quella parola. So quanto possa destabilizzarti.”

Justin accennò col capo. “Bene.” Gli baciò la punta del naso e sorrise.

“Però, niente mi impedisce di… divertirmi un po’.” Si alzò in piedi con sguardo ammiccante e lo prese per mano, trascinandolo verso la camera. “Gus, papà deve aiutare Justin a cercare una cosa. Mi prometti di stare buono?”

Il bambino annuì senza nemmeno sollevare il capo. “Promesso.”

Brian sorrise a Justin. “Bravo il mio ragazzo.” Trascinò Justin su per le scale e poi verso il bagno, mentre lui sbraitava contrariato.

“Brian! Smettila di fare il bambino!”

“Oh, ti assicuro che quello che sto per fare i bambini di sicuro non lo fanno…”

Spinse Justin all’interno del bagno e si chiuse la porta alle spalle; il ragazzo incrociò le braccia al petto e lo fissò con espressione risoluta. “Sappi che non ho nessuna intenzione di collaborare.”

Brian fece un passo verso di lui, un sorrisino soddisfatto stampato in faccia. “Ma davvero?”

“Assolutamente. Non c’è nulla che puoi fare per convincermi a sfilarmi i pantaloni.”

Brian gli circondò il collo con le braccia e sfregò il naso contro la sua guancia. “Scommettiamo che cambi idea?”

“Non credo proprio.”

Brian gli lambì di nuovo le labbra e con calma gliele fece dischiudere, baciandolo languidamente e lentamente; si prese tutto il tempo necessario per assaporare ed esplorare la bocca di Justin che, nonostante le lamentele, lo assecondò collaborativo. Gli accarezzò piano il petto e la pancia da sopra il maglione, mentre lo spingeva all’indietro verso il ripiano del lavandino. Senza staccarsi dalla sua bocca, lo sollevò, facendolo sedere su di esso. Posizionò le mani sui fianchi di Justin e iniziò lentamente a sollevare la maglia del ragazzo.

“Brian…” Lo chiamò con voce roca, cercando di opporsi, ma Brian lo conosceva fin troppo bene e sapeva che le sue difese si era già arrese alle sue carezze e ai suoi baci.

“Shhh…” Brian gli leccò il lobo. “Non fare i capricci o dovrò sculacciarti…”

Justin sorrise contro il suo collo e portò le mani sulla cintura dei jeans di Brian, stringendola forte. Non doveva cedere, doveva resistere…

Non era opportuno fare… quello che stavano facendo a tre metri da un bambino!

Dio, non ti fermare… si ritrovò però ad implorare nella sua testa, nonostante i buoni propositi, mentre le mani di Brian arrivavano alla sua cintura.

“Per essere uno che non collabora, siamo piuttosto agitati, Sunshine…” Lo prese in giro, sollevando compiaciuto un angolo della bocca. Finì di sbottonare i pantaloni del ragazzo con cura e lentezza esasperante, godendo appieno dei sospiri e dei gemiti di Justin; quando anche l’ultimo bottone venne slacciato, si mosse un po’ di più verso di lui, limitandosi a sfiorare sadicamente la stoffa dei boxer con la punta delle dita.

Justin strinse più forte la cintura di Brian e boccheggiò. “Brian…”

L’uomo sorrise soddisfatto, sfregando il naso contro il suo. “Dimmi, Justin.” Il ragazzo gli lanciò un’occhiata assassina. “C’è qualcosa che vuoi dirmi?”

La sua mano accarezzò con più vigore l’indumento e Justin si morse un labbro per evitare di gemere vergognosamente. Brian ghignò malizioso e assalì di nuovo la sua bocca, stringendolo forte per i fianchi; Justin di riflesso, si aggrappò alle sue spalle.

L’uomo sorrise contro le labbra del ragazzo e, con un colpo secco, cogliendolo di sorpresa, lo sollevò appena dal ripiano del bagno e si liberò dei boxer e dei pantaloni, facendoli scendere fino a metà coscia; Justin trattenne il fiato quando la sua pelle nuda tornò a posarsi sul freddo granito, ma non ebbe neppure la minima intenzione di lamentarsi. In quel momento, con le labbra di Brian che lo baciavano avide, il suo corpo caldo e muscoloso stretto al suo e le sue mani che lo accarezzavano impazienti, il freddo era davvero l’ultimo dei suoi pensieri.

“Brian…” Gemette quando l’uomo si separò dalle sue labbra per dedicarsi al collo niveo.

Lo morse sadico, sorridendo compiaciuto quando lo sentì gemere più forte. “Sunshine, smettila di ansimare così o verrai ancora prima che io abbia iniziato…”

Justin chiuse gli occhi e posò la fronte sulla sua spalla, le mani strette sui fianchi di Brian mentre quelle dell’uomo accarezzavano il suo corpo e scendevano lentamente giù, sfiorando gli addominali, il ventre, l’ombelico…

“So che al momento dovremmo essere di là con tuo figlio, ma ritiro tutto quello che ho detto: prova a fermarti e ti uccido.”

Brian sorrise contro il suo collo e sfregò il naso contro il mento di Justin. “Non c’è voluto molto per farti cambiare idea.”

Justin sorrise appena. Chiuse gli occhi e gettò all’indietro la testa, posandola contro lo specchio alle sue spalle, quando vide Brian abbassarsi e mettersi in ginocchio davanti a lui. Si morse a sangue le labbra mentre la lingua di Brian giocherellava col suo ombelico, prima che questa scendesse all’inguine e finalmente sulla sua gonfia erezione. Affondò le mani nei capelli scuri e gemette di nuovo, stavolta più forte, quando la bocca di Brian si fece più decisa.

“Brian…” Ansimò con voce roca.

L’uomo strinse di più la presa sui suoi fianchi e sorrise, compiaciuto dall’effetto che aveva su di lui, dall’effetto che aveva sempre avuto su di lui e che, poteva giuraci, non si sarebbe mai stancato di avere. Sentire Justin ansimare e gemere al suo tocco era il più potente degli afrodisiaci.

Ok, d’accordo, non solo i suoi gemiti: tutto in quel ragazzino biondo lo faceva eccitare come un teenager in piena tempesta ormonale, ma in fondo, che c’era di male? Lui si era sempre sentito più… giovane della sua comunque tenera età.

Sostenne il corpo del compagno quando quest’ultimo si accasciò senza fiato su di lui, sconvolto dalle sensazioni che Brian gli aveva appena fatto provare. Un istante dopo, Brian si staccò da lui con un sorriso compiaciuto e lo baciò con dolcezza mentre Justin cercava di ritrovare il respiro. “Cristo Santo, Brian…”

“A quanto pare non sono stato poi così bravo se riesci già a parlare.”

Justin gli pizzicò un braccio prima di afferrarlo per la maglietta e baciarlo appassionato. “È solo questione di abitudine.” Lo rassicurò una volta staccatosi da lui. “Dopo anni di pratica…”

Brian ridacchiò e piegò le labbra all’interno della bocca. “Ed è normale anche che, dopo tutto questo tempo, sentirti gemere come un ragazzino, mi faccia quest’effetto?” E incollò il suo corpo a quello di Justin, che arrossì involontariamente quando avvertì il rigonfiamento nei pantaloni del compagno.

Gli passò le braccia attorno al collo e gli leccò sensuale le labbra. “Magari potrei ricambiare il favore…”

Brian inarcò un sopracciglio. “Justin Taylor, sono sconvolto. Di là c’è un bambino di sette anni.”

Justin sbuffò annoiato e alzò gli occhi al cielo. “Ma quanto siamo divertenti…”

“Papà?”

I due uomini sobbalzarono all’istante: Brian si precipitò alla porta, mentre Justin scese rapido dal ripiano di marmo; Brian aspettò che fosse presentabile e poi aprì uno spiraglio della porta, affacciando solo la testa. “Ehi, figliolo.”

Gus lo guardò incerto e gli allungò la cornetta del telefono. “Tu e Justin non c’eravate quindi ho risposto io.”

Brian aprì un po’ di più la porta e gli sorrise scompigliandogli i capelli scuri. “Hai fatto bene. Chi è?”

“Mamma.” Rispose il bambino prima di girare le spalle e tornare in salotto.

Brian rientrò in bagno e chiuse la porta. “Linz.” Disse solo quando Justin guardò il cordless con aria interrogativa; si appoggiò al lavandino e si tirò addosso Justin facendolo sorridere. “Pronto?” Disse mentre il ragazzo prendeva a baciargli il collo, una mano già al di sotto della maglietta.

Justin spalancò gli occhi e si staccò da lui sorpreso quando si accorse che la situazione ai piani bassi si era improvvisamente… rilassata; Brian sospirò afflitto e roteò gli occhi, lanciando un’occhiata afflitta ai suoi jeans. “Puoi anche smetterla di gridarmi nelle orecchie, Mel, non sono ancora sordo.”

Justin si coprì la bocca con una mano, cercando di non scoppiare a ridere: allora Brian non esagerava quando diceva che Mel aveva il potere di far ammosciare chiunque…

“Non sto facendo assolutamente nulla e voglio rassicurarti dicendo che i miei pantaloni sono ancora al loro posto.” Brian aprì la bocca per ribattere e si morse un labbro, guardando Justin malizioso. “Anche quelli di Justin, ovviamente.”

Justin posò la fronte contro la sua spalla e ridacchiò piano, accarezzandogli i fianchi.

“Perché? Puoi dirlo a me.” Brian grugnì contrariato prima di passare il telefono a Justin. “L’arpia vuole parlare con te.”

Justin gli lanciò un’occhiataccia e prese il telefono. “Ciao, Mel.”

“Ciao, tesoro.” Lo salutò la sua amica. “Mi dispiace disturbarti, ma dovevo parlare con la persona più matura e responsabile.”

Justin rise, guardando il suo compagno. “Brian sarà felice del complimento.”

“Forse non te ne sei accorto in questi anni, ma l’approvazione del tuo fidanzato non è una priorità nella mia vita.”

“L’avevo quasi capito…”

“Bene.” Lindsay accanto a lei le chiese qualcosa che Justin non riuscì a capire. “Sì, ok. Allora Gus che combina?”

Justin sorrise. “Sta disegnando. Credo tutta la sua famiglia.”

“Justin, mi prometti che terrai a bada l’allupato, vero? Almeno finché il bambino è lì?”

Justin ridacchiò quando Brian lo guardò interrogativo. “Mel, ti prometto che Brian si comporterà benissimo.” Il diretto interessato sbuffò annoiato. “Lo controllerò a vista.”

“È una minaccia, Sunshine?” Gli sussurrò malizioso Brian all’orecchio, beccandosi un leggero colpo sulla pancia.

“L’importante è che controlli che i suoi pantaloni rimangano al loro posto. È tutto quello che mi interessa: quando Gus sarà a casa, potrete fare quello che diavolo volete.”

“Ricevuto, Mel.” La rassicurò Justin. “Tranquilla, non rimarrò a lungo. Daph mi aspetta.”

“Tesoro.” Il tono di Mel si addolcì all’improvviso e Justin poté giurare che stesse sorridendo. “Non voglio che tu eviti Brian ogni volta che Gus è nei paraggi. Non te lo chiederei mai.”

“Lo so, Mel, ma…”

“Voglio solo che il tuo fidanzato tenga un comportamento quantomeno accettabile.”

“Promesso.”

Mel gli schioccò un bacio. “Bravo il nostro Sunshine.”

“Vuoi che ti passi di nuovo Gus?”

“No, grazie. Tanto in un paio d’ore sarà a casa. Tu piuttosto quando pensi di dedicarci un po’ di tempo?”

Justin sorrise. “È che sono molto…” Lanciò un’occhiata di sbieco verso Brian. “…impegnato.”

“Oh sì, me lo immagino.”

“Sono serio, Mel, ma prometto che al più presto verrò a trovarvi.”

Mel sbuffò scettica. “Lo sai che dopo il matrimonio ripartiamo, vero?”

Justin roteò gli occhi. “Sei molto spiritosa, avvocato Marcus…”

“Sì, come un calcio nelle palle…” Borbottò Brian al suo fianco.

“Potremo uscire fuori a cena tutti assieme, che ne pensi?”

“D’accordo. Ti faccio sapere nei prossimi giorni, ok?”

“Perfetto. Ora vado, Hunter ha bisogno del telefono. Linz ti manda un bacio.”

Justin sorrise. “Ringraziala. E domani ti chiamo.”

“Ciao, Justin.”

“Ciao, Mel.”

Brian sospirò sollevato quando Justin riattaccò. “Finalmente! Sempre la solita rompipalle!”

Justin posò il telefono e gli circondò il collo con le braccia. “Mel mi ha fatto promettere che terremo le mani a posto.”

L’uomo posò i palmi sul sedere di Justin. “Vuoi dire qui?” Chiese, premendo la lingua contro l’interno della guancia.”

“Brian…” Justin scosse la testa incredulo. “E comunque, come ho già detto, devo andare.”

Brian si lamentò. “Non puoi darle buca?”

“No, Brian.” Disse Justin con tono serio. “Non darò buca alla mia migliore amica.”

“Potresti stare qui con me.”

“E tu dovresti stare con tuo figlio.”

“Infatti è quello che sto facendo.” Replicò Brian risentito. “Nonostante tutto il mondo mi reputi un pessimo padre.”

Justin accennò un sorriso e gli accarezzò una guancia. “Non so il mondo, ma io penso che tu sia un padre meraviglioso.” Gli baciò teneramente le labbra. “E anche molto sexy.” Brian lo strinse di più per la vita. “Ma credo che Gus stasera abbia bisogno di stare con te.” L’uomo fece per ribattere, ma Justin l’anticipò. “Solo con suo padre.”

Brian sospirò e annuì appena. “Non sopporto quando hai ragione.”

Justin ridacchiò, prendendolo per la mano e guidandolo fuori dal bagno. “Vuoi dire sempre?”

“Voglio dire raramente.”

Gus guardò preoccupato suo padre, quando lo vide ricomparire in salotto. “Mi dispiace, papà, forse non dovevo rispondere. Mamma Mel era arrabbiata?”

Brian lasciò la mano di Justin e si avvicinò al bambino. “Perché avrebbe dovuto?”

Il piccolo scosse le spalle. “Ho risposto e ho detto che tu e Justin eravate in camera e lei ha iniziato a dire che doveva parlare subito con te e…”

Brian sorrise, prendendo in braccio Gus. “Ascoltami bene, campione. Uno: non è colpa tua se mamma Mel grida come una pazza contro papà.”

“Davvero?” Chiese timidamente lui.

Brian annuì. “Due: questa è casa tua e puoi fare quello che vuoi, come rispondere al telefono.”

Gus sorrise. “Ok.”

“E tre: se non avessi risposto le mamme avrebbero chiamato la polizia e l’esercito.” Justin ridacchiò, infilandosi il cappotto e tornando verso di loro. “Quindi non preoccuparti di quello che facciamo noi grandi. Tu fai quello che vuoi, campione.”

Il bambino annuì e baciò suo padre su una guancia prima che Brian lo posasse di nuovo a terra; di corsa tornò al tavolo e riprese a colorare spensierato.

Justin abbracciò Brian da dietro. “Come ho già detto, sei dannatamente sexy nelle vesti di papà.”

L’uomo sorrise e intrecciò le dita con quelle di Justin, poggiate sul suo petto. “Spero non solo in quelle di papà.”

Justin alzò gli occhi al cielo. “Sempre il solito vanitoso.”

“È il mio marchio di fabbrica.”

“Me ne sono accorto…” Brian si rigirò tra le braccia per trovarsi faccia a faccia con lui. “Devo andare.”

Brian annuì con un sorriso. “Lo so.” Lo baciò dolcemente. “Salutami Daphne.”

“Ok.” Justin si alzò sulle punte e lo baciò di nuovo. “Ti amo.”

Brian gli sorrise e lo strinse forte tra le braccia, affondando il viso nei suoi capelli. Gli baciò un orecchio. “E, per favore, cercate di trovare un posto in cui ci sia copertura. Non mi va di parlare tutta la sera con quella cazzo di segreteria.”
Justin ridacchiò. “Promesso.”

“Ok.” Lo guardò un ultimo istante prima di sfregare il naso contro il suo. “Gus, saluta Justin.”

Il bambino alzò la testa. “Te ne vai?”

Justin annuì. “Prometto che la prossima volta rimarrò più tempo.”

Gus gli sorrise speranzoso. “Davvero?”

“Parola di boy scout.”

“Possiamo andare al cinema!” Esclamò eccitato. “Tutti insieme: io, tu e papà!”

Brian roteò gli occhi. “Gus, ti ho già detto che io non vengo.”

“Davvero?” Justin sussurrò malizioso al suo orecchio. “Sarebbe la prima volta.”

Brian si sforzò di non sorridere e gli mordicchiò l’orecchio. “Sunshine, non mi provocare…”

“Dai, papà! Ti prego! Il mio amico Lewis ha detto che è bellissimo!”

“Gus…” Brian voltò le spalle al bambino e si incamminò con Justin verso la porta. “Perché non chiedi a zio Michael? O a Hunter e Lane?”

Gus batté i piedi a terra. “Ma io voglio andare con te! E con Justin!”

Justin sorrise. “Cos’è che vuole vedere?”

“Una stronzata.” Tagliò corto Brian aprendo la porta.

“Papà! Non si dice!” Lo rimproverò il bambino, correndo verso di lui. “Mamma Linz dice che è una brutta parola. E comunque non è vero! Harry Potter è bellissimo!”

Justin sorrise. “Ah già, è uscito il nuovo film, vero?”

Gus annuì. “E papà non vuole vederlo.”

Justin si abbassò sulle ginocchia e scompigliò i capelli scuri del bambino. “Possiamo andarci noi e lasciare papà a casa, che dici?”

“Che te lo scordi.” Lo rimbrottò Brian.

“Sìììì, che bello!” Gus si gettò tra le sue braccia facendolo quasi cadere. “Grazie, Justin!”

Brian si impegnò al massimo per non sorridere, guardando le due persone più importanti della sua vita fare piani per la settimana successiva. Non lo degnarono di uno sguardo quando decisero, nonostante il suo continuo sbuffare, che avrebbero assolutamente dovuto vedere quel dannatissimo film.

Col cazzo, Sunshine… Stavolta perdi in partenza, non c’è nessuna possibilità che possiate convincermi a venire con voi. Ho trentasei anni, cazzo! Non posso vedere un film per bambini!

“Mamma Mel mi ha comprato anche i primi due libri, ha detto che se mi piacciono mi regala anche gli altri.” Disse Gus orgoglioso. “E io ho già finito il sesto capitolo!”

“Wow!” Justin gli sorrise raggiante. “Bravo! Se vuoi posso aiutarti io quando sei da papà, potremmo leggerli insieme, che ne dici?”

Gus annuì contento. “Grande! E li leggiamo anche a lui! Così capisce la storia prima di andare al cinema!”

Brian gemette alzando gli occhi al cielo.

Ma non aveva esplicitamente chiarito che non aveva nessuna fottutissima intenzione di…

Justin sorrise a Gus e lanciò al suo compagno un’occhiata implorante, subito imitato da suo figlio.

Brian roteò gli occhi annoiato.

Ok, adesso voleva saperlo.

Dove cazzo l’aveva imparata Gus quell’espressione da cucciolo bastonato che Justin aveva usato tante volte contro di lui? No, non era affatto giusto, così! Erano due contro uno!

Sbuffò scocciato, mentre il sorriso di Justin si allargava, ben consapevole della sua vittoria.

Sapeva che alla fine c’avrebbe rimesso lui, in tutta la discussione; e sapeva che, se anche con uno avesse avuto qualche possibilità, con entrambi sarebbe stato inutile ragionare, malgrado tutta la sua decisione.

Prese mentalmente nota di non far stare mai più nella stessa stanza suo figlio e quel suo odiosissimo Raggio di Sole.

Nel frattempo non gli restava che adeguarsi.

Prima della partenza di suo figlio, lo aspettava una bella serata insieme ad un’insolita compagnia: Gus, Justin e… Harry Potter.

Ma che cazzo…

 

 

 

 

 

 

 

Ah ha! Brian obbligato a vedere il film del maghetto più famoso del mondo! QaF e Harry Potter , le mie due ossessioni incastrate assieme! Un sogno!

Mi è piaciuto un sacco scrivere la scena iniziale tra Justin e Ian e ancora di più quella tra Brian e Ian: un bel confronto tra loro ci voleva proprio! Lo aspettavo dalla 3x08! E invece…

Justin ha messo in chiaro le cose, e così ha fatto Brian, ma Paganini non intende comunque arrendersi, cosa combinerà? Ancora non lo so, devo ancora decidere quindi non posso anticiparvi nulla, sorry!

I preparativi del matrimonio proseguono, ed Emmett ora ha trovato anche due splendide aiutanti, quindi, tremate!

E poi l’ultima parte: mi sembrava finalmente ora di far vedere un po’ di Brian/Justin/Gus. Ho sempre adorato Gus, ma penso ci abbiano mostrato troppo poco di lui e del rapporto con Justin; avrei davvero adorato vederli giocare insieme ogni tanto, sotto lo sguardo orgoglioso di Brian, ma vabbè…

La scena hot del bagno non era prevista e spero di non aver sforato col rating; se l’ho fatto, vi prego di farmelo sapere e provvederò a modificare il capitolo all’istante. E ovviamente, spero che non l’abbiate trovata ridicola (è la prima volta che scrivo una scena del genere, quindi abbiate pietà!)

Per il resto, attendo con ansia recensioni, critiche e consigli e vi aspetto al prossimo capitolo, già scritto, che spero di postare al più presto (e vi avverto, anche quello è di una lunghezza esagerata… lo so, scusate, ma ultimamente non riesco a contenermi!)! Come da richiesta popolare, questo non è stato diviso, ma credo che col prossimo non sarete così fortunate! :D

 

Ne approfitto per augurare a tutte buone feste (sì, lo so che sono in ritardo!) e spero che abbiate passato un bellissimo Natale! Dato che non sono sicura di poter aggiornare per Capodanno, vi faccio anche tantissimi auguri di buon anno! Un bacio a tutte! 

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Capitolo 12
*** Countdown ***


Piccola premessa: dato il mio vergognoso ritardo, ho deciso di postare il capitolo per intero senza dividerlo, sperando davvero che non vi faccia addormentare a metà! Vi avverto che è davveeeeeero lungo! E poi confesso che il minuscolo accenno al Drarry non era previsto e non so se vi piacerà o meno, ma vi prego di avere pietà dato che non ho mai letto di questa coppia e mi sono basata solo sulle vostre richieste (che sono state tantissime! Non credevo che la coppia Harry/Draco fosse così gettonata! Dovrò assolutamente colmare questa lacuna!).

Bene, non ho altro da dire se non... BUONA LETTURA! 


 

12. Countdown

 

 

 

 

 

Con un gesto secco, Emmett girò la pagina del catalogo che stava sfogliando e sbuffò; guardò l’orologio, appeso dietro il bancone della cassa, per la decima volta in cinque minuti e scosse la testa.

“Tutto bene, Emmett?” Gli chiese gentile la commessa, tornando verso di lui.

Emmett le sorrise appena. “Sì, sì, perfetto, dolcezza. Di là come va?”

La ragazza lanciò un’occhiata rapida verso la doppia porta in fondo al negozio. “Con i ragazzi bene, le ragazze stanno ancora scegliendo e la futura sposa è in piena crisi, ma quello è normale qui dentro.”

“Speriamo bene.” Disse lui poco convinto.

“Mi creda, Emmett.” La commessa gli strinse una spalla. “Noi donne tendiamo ad essere delle perfezioniste quando si tratta del nostro abito da sposa.”

Emmett sorrise, rimettendo al suo posto il catalogo. “Mi dispiace farti perdere così tanto tempo. Sono sicuro che i miei amici stanno per arrivare…”

La ragazza alzò le mani, bloccandolo. “La proprietaria del negozio è stata categorica: se viene Emmett, occupati di lui e di lui soltanto. Se necessario, chiudi il negozio e servilo durante la pausa pranzo. Ti pago gli straordinari.” Gli sorrise. “Quindi non si preoccupi. Fino all’orario di chiusura io sono qui.”

“Ti ringrazio molto.”

La giovane gli sorrise un’ultima volta prima di tornare dai suoi clienti.

Un attimo dopo, la porta d’ingresso si aprì accompagnata dal tintinnio del campanello e Brian e Ted entrarono nel negozio.

“Finalmente!” Emmett si avviò rapido verso di loro. “Dove eravate finiti?”

Brian alzò gli occhi al cielo e aprì la bocca per ribattere, ma Ted lo anticipò. “Em, ti ho detto che stavamo arrivando, non fare l’isterico.”

“Isterico?” Emmett inarcò un sopracciglio. “Isterico? Tu, Ted Schmidt, osi definire me isterico?”

“Sì, principessa.” Lo rimbeccò Brian sfilandosi annoiato il cappotto. “E per una volta sono d’accordo con Theodore.”

Emmett incrociò le braccia al petto e li guardò astioso. “Bene, allora, lasciate che questo isterico vi riassuma la sua piacevolissima mattinata.”

“Non ci interessa, graz…”

“Per cominciare, ho passato due ore a spasso con Jen, Molly e Daphne alla ricerca delle scarpe per la sposa e non avete idea di quante tonalità di bianco esistano in natura.”

“Che dramma…” Lo prese in giro Brian.

“Poi sono passato a prendere Michael e Hunter al negozio di fumetti e, neanche a dirlo, era pieno di ragazzini che ci hanno fatto perdere un sacco di tempo.”

Ted sospirò paziente mentre lui e Brian seguivano Emmett, che continuava a parlare senza sosta della sua stressantissima mattinata, verso il centro del negozio; varcò la doppia porta sulla destra e la tenne aperta per i suoi due amici. “Quindi come avete visto, non siete gli unici ad essere impegnati.”

Brian roteò gli occhi. “Sì, sì, abbiamo capito, Em. Ora puoi darci un taglio?”

La commessa si avvicinò ad Emmett con un sorriso. “I suoi amici sono arrivati, vedo. Oh, Emmett, pare che abbia una crisi da risolvere con i figli della sposa.”

“Cosa c’è adesso?” Emmett alzò gli occhi al cielo. “Hanno brontolato tutto il santo giorno!”

La ragazza ridacchiò. “Credo che la damigella abbia difficoltà a trovare un abito che la soddisfi, mentre il ragazzo…”

Emmett alzò le mani, interrompendola. “No, non voglio sapere che problema abbia Justin e sai perché?” La commessa scosse la testa incerta. “Perché la soluzione è appena arrivata.” Prese Brian per un bracco e gli rivolse un sorriso forzato. “Dì immediatamente a tua moglie che se non la smette di fare il bambino capriccioso, lo faccio venire al matrimonio in mutande. Sai che ne sono capace, vero?”

La ragazza soffocò una risata davanti alle espressioni allarmate di Brian e Ted. “A proposito.” Gli porse i due completi scuri che aveva in mano. “Sono questi che aveva chiesto per loro, giusto?”

Emmett controllò l’etichetta del primo e annuì con un sorriso, passandolo a Ted. “Teddy, questo è tuo. Blake dovrebbe essere da qualche parte.”

“Grazie.” L’uomo posò il cappotto su una delle poltroncine lì vicino e si diresse verso i camerini dove aveva avvistato Michael e gli altri.

“Ma con questo non ci siamo affatto.” Emmett scosse la testa. “Non avresti nulla di più…”

“… Impegnativo?” Suggerì la ragazza con un sorriso divertito.

Emmett lanciò un’occhiata eloquente verso Brian. “Non che non sia bello, ma…”

“… il genero della sposa deve indossare qualcosa di speciale.” Lo anticipò la ragazza.

“Mi piace come ragioni, dolcezza.”

“Grazie.” Posò il completo su una cassettiera lì vicino e fece cenno ai due uomini di seguirla.

“Finalmente siete arrivati!” Li accolse Michael con un sorriso.

Brian lo salutò con un bacio. “Non lo sai che i vip arrivano sempre elegantemente in ritardo, Mickey?”

“Io questa non me la metto!” Sbraitò Hunter consegnando la cravatta a suo padre. “Sembro un pinguino! E poi non so nemmeno allacciarla!”

“Eh no, mio caro!” S’intromise Emmett. “Mi sto facendo il culo perché questo matrimonio sia perfetto e non sarete tu e le tue crisi a rovinare tutto!”

“Che cosa vuoi che gliene freghi a Jennifer se io mi metto o no la cravatta? Sarò seduto in quinta fila! Non mi vedrà neppure!”

“Silenzio!” Lo rimbeccò Emmett, prendendo la cravatta dalle mani di Michael e porgendola di nuovo al ragazzo. “E ora fila!”

Hunter sbuffò un’ultima volta prima di avviarsi verso il suo camerino.

“Ben fatto.” Convenne Ben, perfetto nel suo completo scuro. “Perché non passi a casa ogni tanto?”

“Allora?” Michael tornò a rivolgersi al suo migliore amico. “Come mai hai fatto tardi?”

Brian si strinse nelle spalle. “Rogne con un cliente incontentabile.”

“Cazzate!” Esclamò Emmett indignato. “È che, come al solito, Sua Signoria ama farsi attendere!”

“Nemmeno fossi stato al Babylon! Ero al lavoro, Emmy Lou!”

“Tutti eravamo al lavoro, mio caro. Michael ha mollato il negozio, Daphne e Hunter l’università, Jen l’ufficio… Persino Ben è arrivato in orario! E lui lavora per gli Stati Uniti d’America, mica in proprio come te!”

Brian alzò gli occhi al cielo. “È un professore, non un cazzo di agente segreto, quindi finiscila.”

“Emmett?” L’uomo si voltò verso la commessa. “Armani è abbastanza impegnativo?” Domandò porgendogli un altro abito scuro.

“Perfetto!” Esclamò Brian facendo un passo in avanti e afferrando al volo l’abito, prima che Emmett potesse dire qualunque cosa. “Dove posso provarlo?” La ragazza indicò il fondo alla stanza.

“E vedi di muoverti!” Gli gridò Emmett.

Brian raggiunse rapido i camerini, ma si bloccò un attimo prima di entrare in uno dei due liberi: nella saletta adiacente, Justin, Molly e Daphne sbuffavano ad intermittenza davanti allo specchio. Si appoggiò allo stipite della porta e sorrise divertito.

“Assolutamente no.” Sentenziò Molly, guardando disgustata il vestito color pesca che indossava. “Mi rifiuto categoricamente di farmi vedere con quest’obbrobrio.”

“E dato che la seconda damigella è d’accordo con te, propongo di toglierceli all’istante.” La appoggiò Daphne, altrettanto turbata.

“Io li trovo carini.” Le prese in giro Brian.

Justin si voltò all’istante verso di lui con un sorriso radioso. “Sei arrivato!” Lanciò la giacca sul pouf blu scuro accanto a lui e gli corse incontro.

“Ciao, figlio della sposa.” Lo salutò Brian, baciandolo con trasporto.

“Ciao, genero della sposa.” Ribatté il ragazzo, facendolo ridere di gusto.

Brian gli accarezzò una guancia e guardò di nuovo le ragazze. “Allora? Deciso per quello?” Chiese accennando ai due abiti. “Siete carine vestite da meringhe.”

“Vaffanculo, Brian!” Esclamarono all’unisono le due ragazze, rientrando nei camerini.

Mel e Linz arrivarono in quel momento. “Che cosa hai fatto?” Lo rimproverò Mel, mentre Linz baciava il suo migliore amico. “Sei qui da nemmeno cinque minuti!”

Molly affacciò la testa da uno dei camerini. “Brian ci stava dando consigli di moda non richiesti.”

“Dato che sono l’unico che ne capisce qualcosa qui dentro.”

“Allora, che ne pensi di questo?” Linz fece un giro su stessa mostrando fiera l’abito blu scuro che aveva addosso. “Ti piace?”

Brian la squadrò serio. “Non male. Forse ti strizza un po’ le tett… Ahi!” Justin lo colpì allo stomaco.

“Non dargli retta, Linz, quel vestito ti sta benissimo. Sei bellissima.” Guardò Mel con un sorriso. “Siete bellissime.”

“Grazie, tesoro.” Le due donne lo baciarono sulle guance.

“Questo?” Chiese Molly uscendo dal camerino seguita da Daphne.

Brian, Justin, Linz e Mel sgranarono gli occhi senza dire nulla.

“Allora?” Domandò Daphne. “È così terribile?”

Linz sorrise alle due ragazze “Ma no…”

“Certo che no, ragazze…” Mel arrivò in aiuto di sua moglie, nonostante fosse dell’idea che quegli orribili abiti verde pistacchio andassero bruciati all’istante.

Brian alzò gli occhi al cielo. “Sembrate due cazzo di zucchine giganti. Toglietevi immediatamente quei cosi orrendi.”

Le ragazze sbuffarono afflitte, rientrando di nuovo nei camerini. Mel lanciò un’occhiataccia a Brian. “Certo che avresti potuto fare il diplomatico.”

Brian gli rivolse un sorriso tirato. “Sì, come tu potresti fare la critica di moda.”

“Ooook.” Justin alzò gli occhi al cielo. “Perché non vai a provare il tuo vestito così vediamo come ti sta?”

L’uomo gli baciò le labbra un’ultima volta e si avviò verso il suo camerino. “Ovviamente non ce n’è bisogno. Sarò sicuramente bellissimo…”

Mel incrociò le braccia al petto e sbuffò. “Ovviamente, Naomi…”

Emmett li raggiunse con un sorriso raggiante. “Tutto bene qui?”

Justin annuì. “Il mio vestito va bene, le ragazze hanno trovato due abiti splendidi…”

L’uomo guardò le sue amiche e sgranò gli occhi stupito. “Lo vedo! Siete bellissime!”

“… e Brian è appena entrato in camerino.”

“E…” Emmett guardò incerto verso i camerini di Molly e Daphne. “… le damigelle?”

Linz cercò di sorridere rassicurante. “Diciamo che siamo ancora in Lavori In Corso.”

“Oddio santissimo…”

“Che succede?” Chiese Michael con un sorriso, raggiungendo i suoi amici. Dietro di lui, Ben e Hunter, che continuavano a discutere della cravatta e Ted e Blake che ridacchiavano divertiti per qualcosa. “Non mi dire che sono ancora lì dentro.”

Mel annuì mesta. “E pare che non ne usciranno tanto presto.”

“Chi?” Chiese Ted.

“Molly e Daph.” Justin si avvicinò al camerino di Brian e ci sbirciò dentro. “Potresti venire così…” Suggerì con un sorriso malizioso.

“Ti piacerebbe, Sunshine…” Rispose la voce di Brian da dentro.

Emmett sbirciò la saletta che le ragazze avevano ridotto ad un campo di battaglia. “Hanno già provato il rosa pesca?” Chiese quasi rassegnato.

Justin si voltò verso di lui. “Sì, Em. E anche quelli verdi.”

L’uomo sospirò paziente. “Vado a vedere come se la cava tua madre. Chiamatemi se ci sono novità.”

“Aspetta e spera…” Borbottò Brian dal camerino.

Hunter si lasciò cadere su una delle poltrone, esausto. “Abbiamo finito? Io dovrei andare.”

I suoi genitori si scambiarono un’occhiata disperata. “Ti costa tanto sforzarti un po’ e provare a non essere così antipatico?” Gli domandò Michael.

“Non sono antipatico, sono solo impegnato.”

“Hunter, ti prego. Non ne avremo ancora per molto, ma non potevamo rimandare anche oggi. È stato un miracolo che siamo riusciti tutti a metterci d’accordo cosicché Emmett potesse aiutarci con gli abiti.”

Hunter sbuffò, estraendo il cellulare dalla tasca. “Dirò a Lane che farò tardi.”

“Perché non la fai passare qui?” Suggerì Mel guardando sua moglie con un sorrisetto.

“Per fare che?” Finì di scrivere il messaggio e ripose il telefono. “Oh a proposito, Justin?” Il ragazzo si voltò a guardarlo. “Il mio invito al matrimonio vale per due? Lane ci terrebbe molto a venire.”

Justin si strinse nelle spalle. “Nessun problema, lo dirò ad Emmett.”

“Grazie.”

“Lane?” Chiese Michael curioso. “Non inviterai Callie?”

Il ragazzo scosse la testa. “Dovrei?”

Ben e Michael si scambiarono un’occhiata incerta. “Credevamo che tu e lei…”

“Beh, mi dispiace deludervi, ma nonostante i vostri tranelli da vecchie comari, la situazione tra me e Callie non è cambiata affatto.”

Tutti i presenti cercarono di non ridere della nuova definizione data da Hunter ai suoi padri.

“Mi sembrava che alla gara fosse andato tutto bene.” Osservò Ben.

“Infatti. Sono stato educato e, dato che era stata invitata, ho evitato di fare scenate imbarazzanti.” Fece una smorfia. “Anche se voi due e Lane non avete reso le cose facili.”

“Lane ti vuole bene, esattamente come noi.” Fece Michael incrociando le braccia al petto. “E sa che tu e Callie…”

“Io e Callie niente.” Tagliò corto il ragazzo. “Ora, scusate ma chiamo Lane per dirle di andare a comprarsi un vestito per il matrimonio.” Guardò male Mel e Linz. “Perché non c’è nessuna speranza che io le dica di passare qui.” Mel alzò le mani in segno di resa, mentre Hunter si allontanava dal gruppo.

“Voilà! Come sto?” Chiese Brian trionfante, uscendo finalmente dal camerino.

Michael gli sorrise. “Favoloso come al solito…”

“Che rabbia…” Borbottò Ted lanciando un’occhiata depressa alla sua immagine riflessa.

Blake gli sistemò meglio la cravatta e lo baciò teneramente. “Io trovo che tu sia molto più bello.” Bisbigliò con un sorriso.

“Non saprei…” Linz si tamburellò il mento con l’indice. “Magari ti strizza un po’ il…”

“Sei bellissimo.” L’anticipò Justin, baciando il suo compagno. “Sei quasi più bello di me.” Sussurrò ad un centimetro dalle sue labbra.

“Ragazzino presuntuoso…”

Molly affacciò la testa dal suo camerino. “Daph, dove sono gli altri vestiti?” Come risposta ricevette solo un tonfo e un “cazzo!”. Si alzò sulle punte, preoccupata. “Daph?”

“Scusa, Molly, ma ho quasi provato ad uccidermi.” La testa della sua amica si affacciò dal camerino adiacente. “Che dicevi?”

“I vestiti. Quali mancano?”

“Vediamo.” Daphne socchiuse gli occhi in un’espressione concentrata. “L’orrendo rosa pesca è andato, il terrificante verde anche…”

“… e non scordarti l’accecante giallo limone e il violetto deprimente.”

“Scordarmeli? Probabilmente sarò segnata per la vita.” Molly la sentì frugare tra la montagna di vestiti. “Il giorno in cui deciderò di sposarmi, ti prego, ammazzami.”

“Per me puoi fare quello che vuoi, basta che non mi scegli come damigella.”

Daphne ridacchiò. “Allora ti conviene ammazzarmi, te l’ho detto.”

“E poi chi te lo fa fare a sposarti? Guarda come sono finiti i miei!” Molly ammonticchiò gli ultimi tre vestiti sullo sgabello nell’angolo e cercò a tentoni i suoi jeans.

“Non è carino da dire, Molly, soprattutto alla vigilia delle nozze di tua madre.”

La rossa si strinse nelle spalle. “È ovvio che voglio che mia madre sia felice, ma ciò non toglie che io sia abbastanza scettica riguardo al matrimonio.”

“E io non potrei essere più d’accordo con te, ma mi piace sperare che un giorno arriverà qualche bel maschione a farmi cambiare idea.” Daphne sorrise tra sé. “Mi sembra che tutto il mondo abbia qualcuno: i miei fratelli sono felicemente fidanzati, le mie compagne di università sono perse per i loro meravigliosi fidanzati e la mezza Liberty Avenue presente in questo negozio è impegnata…”

Molly sbuffò. “E vogliamo parlare di Justin? Da quando è tornato a Pittsburgh è così schifosamente felice da far venire la nausea. Quasi quasi lo preferivo prima quando faceva il depresso a New York.”

Uno dei cuscini delle poltroncine la colpì in testa, arrivandole dall’alto. “Non essere acida!” La riprese Daphne scoppiando a ridere. “Dagli un po’ di tregua!”

“Tu non ci vivi insieme, Daph! Affacciati un attimo…” Sporse la testa, subito imitata dalla sua amica, e indicò suo fratello che rideva, ancora incollato a Brian. “Lo vedi quel sorriso ebete?”

Daphne ridacchiò. “Dai…”

“Bene, quel sorriso io lo vedo già alle sette di mattina! È insopportabile! Sembra vivere su un altro pianeta!”

“Il pianeta degli innamorati…” Fece Daphne con tono volutamente smielato.

Molly tirò fuori la lingua. “Vomito…”

“Anche se è comprensibile…” Sorrise appena. “Chi potrebbe resistere ad uno come Brian?”

“Io non posso rispondere, mi dispiace.” Daphne inarcò un sopracciglio e guardò perplessa la sua amica, che si limitò a scuotere le spalle. “Il dna Taylor è difettoso quando si tratta di Brian, non sappiamo resistergli.”

Daphne la fissò stranita per un attimo prima di scoppiare a ridere. “Beh, lascia che ti dica una cosa: io non sono una Taylor, ma Brian me lo farei comunque.”

Molly riportò lo sguardo su suo fratello, che ora stava ridendo per qualcosa che Mel aveva detto, mentre Brian lo stringeva da dietro. “Sicura che abbia trentasei anni? È così bello!” Scosse la testa incredula. “Mio Dio, ho diciotto anni e penso che uno col doppio della mia età sia sexy… sono normale?”

Daphne sollevò le sopracciglia. “Se l’uomo in questione è Brian Kinney sì, tesoro, sei perfettamente normale.”

Molly sospirò afflitta. “Che ne diresti di riprendere la sfilata?”

“Ottima idea.” Convenne Daphne, scrutando i divanetti davanti a loro. “Allora, io direi di scartare automaticamente quelli grigi e neri…”

“Ma chi cavolo veste di nero le sue damigelle?” Borbottò Molly irritata.

“Potremmo provare quelli rossi, che ne pensi?”

Molly annuì. “Purché ci muoviamo ed usciamo di qui. Sto diventando claustrofobica.”

“Dov’è che li aveva lasciati Emmett?”

“Insieme agli altri, no?” Molly allungò il collo verso il divano. “Forse sotto…”

”No, eccoli.” Daphne indicò i due abiti scarlatti appesi ad uno dei camerini dell’altra sala. “Che palle… Non mi dire che dobbiamo andare fin là.”

“Possiamo farceli portare, no? Sono tutti lì.” Molly alzò un braccio e gesticolò verso suo fratello. “JusJus!” Chiamò forte senza risultato. “Oltre che lesso, è anche sordo.” Borbottò poi contrariata.

Daphne ridacchiò. “Oh, guarda Emmett! Em! Em!” Emmett parve guardare verso di loro, ma entrambe le ragazze sospirarono avvilite quando si voltò verso Ben, dando loro le spalle.

“Ma hanno tutti bisogno dell’apparecchio acustico?” Molly digrignò i denti. “Ok, ultimo tentativo.” Si schiarì la gola. “Lindsay? Linz?” Alzò il tono di voce. “JUSTIN!”

“Lascia perdere…” Si arrese Daphne. “Facciamo prima a rivestirci e ad uscire noi.”

“Col cavolo! Impiego ogni volta dieci minuti per entrare in quei jeans maledetti!” Sentì la sua amica ridacchiare. “Ho un’idea: Daph, hai visto il figlio di Michael in giro?”

Il fruscio proveniente dall’altro camerino smise all’istante. “Chi, Hunter? No, perché?”

“Bene!” Molly si guardò allo specchio un’ultima volta, si infilò le Converse nere senza neppure allacciarle e uscì a testa alta dalla cabina, marciando fiera verso il gruppetto che continuava a chiacchierare tranquillo.

“Molly!” La richiamò indietro Daphne, rossa di imbarazzo per la sua amica.

Molly attraversò il salottino e varcò la porta, arrivando dai suoi amici che tacquero all’istante quando si accorsero di lei.

“Molly!” Gridò Justin, coprendosi gli occhi. “Che cazzo fai? Non potevi vestirti?”

Gli altri distolsero lo sguardo imbarazzati mentre Brian scoppiava a ridere, fulminato immediatamente da Mel e Linz.

La ragazza lo ignorò bellamente e afferrò i due vestiti. “Calma, principessa, non hai mai visto una ragazza in biancheria intima? Mica sono nuda! Sono più coperta di quando andiamo al mare!”

“Ma… ma… tu hai dei seri problemi mentali!”

Molly alzò gli occhi al cielo. “E tu hai seri problemi di udito.” Lo rimbeccò, colpendolo alla testa. “Ti ho chiamato per un’ora per darmi una mano!”

“Bè, non ho sentito! Ma questo mica ti da il diritto di…”

“… di fare che? Questo è il camerino delle donne! Che ci fai qui? Sei tu l’intruso, non io.”

Justin aprì lentamente gli occhi e scosse la testa. “Puoi almeno muoverti e sparire da qui?”

Sua sorella si bloccò in mezzo al gruppetto, mettendosi la mano su un fianco mentre con l’altra continuava a stringere i vestiti. “Perché? Quale sarebbe il problema? Mi sembra che tu sia l’unico ad essere turbato.” Justin alzò gli occhi al cielo e indicò il camerino con un gesto secco. “Che c’è? Hai paura che il tuo fidanzato possa rivalutare il sesso femminile?” Ted, Michael, Ben e Blake scoppiarono a ridere di gusto.

Justin prese sua sorella per un braccio e la trascinò nell’altra sala. “Ma mi vuoi mollare?” La sentirono sbraitare i presenti.

“Certo che il caratterino non gli manca…” Osservò Ted divertito.

Brian annuì concorde. “Prendi Justin, mettigli i capelli rossi, una lingua tre volte più tagliente e la totale assenza di vergogna ed avrai la sua adorabile sorellina.”

“Un sogno…” Borbottò Michael. “Grazie a Dio sono gay.”

Mel lo colpì al braccio. “Quella ragazza ha più palle di tutti voi messi insieme.”

“Oh, ne sono sicuro…”

Justin tornò verso di loro ancora scuro in volto. “Scusatela, mia sorella ha dimenticato i tranquillanti oggi.”

“Guarda che quello sordo sei tu, non io! Stronzo!” Gridò feroce Molly dal camerino.

“Eccomi qua, che mi sono perso?” Con un sorriso radioso, Emmett uscì saltellando dalla stanza in cui Jen si era chiusa due ore prima.

“Oh, parecchie cose, Em.” Rispose Ted ridacchiando.

“Bene, me le racconterete dopo, perché adesso state per vedere la futura sposa.”

Mel e Linz si voltarono subito verso di lui. “Davvero?” Chiese la bionda. “Ha trovato l’abito?”

Emmett scosse la testa. “Non l’ha trovato, Linz. È stato disegnato apposta per lei.”

“Davvero?” Domandò Ben curioso.

“Davvero.” Lanciò uno sguardo verso la porta. “Oh, siete pronti? Signori e signore, la sposa!”

Jennifer varcò la soglia con espressione imbarazzata; si sistemò nervosamente i capelli e abbozzò un sorriso incerto. “Allora?” Guardò suo figlio. “Che ve ne pare?”

L’abito che indossava era molto semplice, composto solo da due pezzi, giacca accollata con bottoni di madreperla e gonna leggermente svasata, lunga fino al ginocchio, entrambe di una delicata tonalità avorio. La giacca inoltre era arricchita da alcune pailettes luccicanti mentre la gonna rimaneva leggermente arricciata in fondo, proprio al di sopra dell’orlo.

“Jen, sei bellissima!” Linz l’abbracciò di slancio. “Questo vestito è una meraviglia!”

“Vero?” La donna si guardò allo specchio. “Trovo che sia bellissimo, solo che…”

Emmett la fissò allarmato. “Cosa? Non è come lo volevi? Ho seguito alla lettera le istruz…”

“Em, è perfetto.” Lo tranquillizzò Jennifer. “Ma non credete che sia un po’ troppo…” Cercò di tirare la gonna verso il basso. “… corta? Voglio dire, per me. Non sono più una ragazzina e…”

“Cazzate!” La interruppe Emmett. “La gonna arriva al ginocchio quindi è in perfetta sintonia con le più elementari regole del galateo e il color avorio indica che non sei più una casta verginella… Secondo me è perfetto. È elegante senza risultare volgare, proprio come te.”

Jennifer abbozzò un sorriso e guardò di nuovo Justin titubante. “Tu che ne pensi, tesoro?”

Justin continuò a fissare il vestito di sua madre ad occhi sgranati prima di sorridere e andare ad abbracciarla. “Mamma, sei bellissima.” Le baciò la guancia. “Tuck rimarrà senza parole.”

“Grazie, tesoro.” La donna lo strinse forte. “Tenevo molto alla tua opinione.”

“Adesso non resta che attendere il responso della stilista.” Disse Brian con un sorriso.

Jennifer annuì. “A proposito, non ti ho ancora ringraziato per aver…”

Brian alzò le mani. “Non è necessario. Io non ho fatto nulla, è tutto merito di Molly.”

“Grazie comunque.”

Brian annuì. Un istante dopo, Molly e Daphne uscirono dai camerini con i loro abiti rossi. “Credo che stavolta ci siamo…” Sentenziò la più grande. Si fermò davanti allo specchio. “Oh sì, credo proprio di sì.”

“Mi piace.” Concordò Molly accanto a lei. “Non fa a pugni con i miei capelli, vero? I tuoi s’intonano così bene…”

Daphne le sorrise. “Sei bellissima. E anche io.”

“Ehi, voi due!” Justin affacciò la testa nella saletta. “Quando avete finito di farvi i complimenti, venite qui. Molly, mamma vuole mostrarti il suo vestito.”

“Oh, che bello!” Esclamò elettrizzata Daphne, alzando la sua gonna e correndo verso i suoi amici seguita da Molly.

“Vi informo che anche noi abbiamo trovato finalmente il nostro…” Daphne sgranò gli occhi alla vista di Jennifer. “Oh mio Dio! Jen, sei bellissima!” E corse ad abbracciarla.

“Grazie, Daphne. Anche voi siete molto belle, il rosso vi dona.”

“Sei stata fortunata. Se non era questo, giuro che venivamo nude.” Le confessò Daphne, facendo scoppiare a ridere tutti.

“Sarebbe stato un bello spettacolo.” Osservò Ted con un sorriso.

Mel annuì. “Di sicuro Jen non sarebbe stata al centro dell’attenzione.”

Jennifer rise. “Bè, la cosa non mi sarebbe dispiaciuta poi tanto.” Si voltò verso sua figlia con un sorriso. “Allora? Ti piace?”

Molly era ancora sulla soglia della stanza, gli occhi e la bocca spalancati e la gonna ancora mezza sollevata. “Io… io…” Si umettò il labbro e deglutì sonoramente. “Stronzo!” Gridò, colpendo Brian al braccio. “Tu e la tua boccaccia larga! Come ti sei permesso di rubare i miei disegni?”

“Ahia!” Brian provò a difendersi come poteva dai colpi della ragazza. “Ferma! Molly, ferma! Ma sei matta? Ahia, cazzo!”

“Così impari! Non ti hanno insegnato a farti gli affari tuoi?”

Justin corse in aiuto del suo compagno, frapponendosi tra i due. “Dai, Molly Pocket, quante storie!”

Molly gli mostrò i pugni. “Fuori dai piedi o le prendi anche tu oggi!”

“Vorrei davvero vederti provare…” La sfidò suo fratello, che indietreggiò allarmato quando la vide alzare un braccio. Per sua fortuna, Jennifer s’intromise nella discussione. “Molly!” La richiamò.

La ragazza si bloccò, guardando sua madre imbarazzata. “Non volevo che lo vedessi, nessuno dove vederlo.” Puntualizzò lanciando un’occhiataccia a Brian.

“Perché no?” Le chiese Justin. “È molto bello.”

“Hai fatto un lavoro splendido nel disegnarlo, Molly.” Le disse Linz con un sorriso.

Molly scosse le spalle. “Non l’ho proprio disegnato io. Mi sono limitata a rubare i giornali di mamma e raccogliere le parti dei vari abiti che le erano piaciuti, poi ho chiesto alla mia amica Emily che vuole fare la stilista di aiutarmi a metterli insieme. Io ho solo scarabocchiato qualcosa.”

“Avresti dovuto farmelo vedere…” Justin le accarezzò i capelli fiammanti.

Molly sorrise. “So che hai una bocca come un forno: tempo due giorni e mamma l’avrebbe saputo.” Guardò di nuovo male Brian. “Ma a quanto pare non sei l’unico. Del resto, Dio li fa e poi li accoppia.”

“Non raccolgo le provocazioni…” La schernì Brian con un sorrisetto.

“E invece sono contenta che Brian abbia rubato i tuoi disegni.” La rassicurò sua madre, aprendo le braccia. “Altrimenti adesso non avrei questa meraviglia.”

“Davvero ti piace?” Le chiese mordendosi un labbro. La donna annuì. “Sono contenta.”

“Bene!” Emmett batté le mani per richiamare tutti all’ordine e tirò fuori la sua cartellina col programma del matrimonio. “Quindi, ricapitolando: Jen è a posto, Justin e le damigelle anche, che Dio sia lodato…”

“Ehi!” Justin lo guardò con espressione risentita.

“… Brian è stato, come al solito, il più rapido di tutti…”

“Capita quando si è bellissimi…”

Emmett lo ignorò, continuando a spuntare le voci dalla lista. “Michael, tu, Ben e Hunter come siete messi?”

Michael allargò le braccia. “Noi siamo a posto così.”

“Perfetto. Teddy e Blake?”

“Anche noi abbiamo finito.” Lo rassicurò il suo miglior amico.

“Ragazze?”

Linz gli sorrise. “Non abbiamo intenzione di rallentare il tuo programma, Em.”

“Ok, allora mancano il vestito di Tuck che ha bisogno degli ultimi ritocchi, Debbie e Carl sono già a posto e più tardi ci vediamo qui con Gus e Jenny, giusto?” Mel annuì. “Perfetto! Ok, siete liberi! Abbiamo finito!”

Un coro di sospiri, “… finalmente” ed “… era ora…” si levò nella stanza facendo sbuffare l’integerrimo organizzatore. “La prossima volta arrangiatevi da soli…” Sbuffò offeso.

Venti minuti e una decina di crisi dopo – Emmett fu costretto a rammendare l’orlo del vestito di Daphne che si era scucito, aiutare Jen a sbottonare la sua giacca facendo attenzione che le pailettes non si staccassero, trascinare Justin fuori dal camerino di Brian prima di ricevere una denuncia per atti osceni in luoghi pubblici e scegliere i vestiti che i bambini avrebbero provato nel pomeriggio –, il gruppo era pronto per lasciare il negozio. Ben si accomodò su una delle poltrone della sala, in attesa di Emmett e delle ragazze. Michael si sedette sul bracciolo accanto a lui.

“Eri molto sexy con quel completo, signor Novotny.” Gli sussurrò Ben, passandogli un braccio attorno alla vita.

Michael gli sorrise, accarezzandogli i capelli. “Ma davvero?” Suo marito annuì. “Neanche tu eri male.”

Ben scoppiò a ridere. “Ti ringrazio!”

Michael lo baciò teneramente. “In verità eri dannatamente sexy. Sono quasi entrato nel tuo camerino…”

“Michael Novotny!” Lo rimproverò scherzosamente Ben. “Mi meraviglio di lei! Davanti a nostro figlio e a tutti i nostri amici!”

“Fanculo gli altri... È tanto che non stiamo un po’ insieme…” Si sporse verso Ben e lo baciò di nuovo, stavolta più appassionato; Ben mugolò contro la sua bocca, stringendogli di più i fianchi. “Mi manchi…”

Ben tracciò con la lingua il contorno delle labbra di suo marito. “Anche tu mi manchi…”

“Perché non molliamo Hunter al college e ce ne torniamo di filato a casa? Mel ha detto che saranno impegnate per tutto il pomeriggio…”

“Mi piacerebbe tanto …”

Ben allontanò leggermente il suo viso da quello di Michael che sospirò afflitto. “Ma…”

“Ma devo tornare in facoltà. Il rettore ha indetto una riunione straordinaria e…”

“Sì, sì, come al solito… Emergenze, riunioni straordinarie, tesi da correggere…”

Ben alzò gli occhi al cielo. “Michael, per favore. Non ho voglia di discutere di nuovo. E sempre per le stesse sciocchezze.”

“Non sono sciocchezze per me!” Lo rimbeccò Michael scattando in piedi. “Ma forse la nostra famiglia non è poi così importante per te!”

“Questo è ingiusto.” Ben si alzò, piazzandoglisi davanti. “Tutto quello che faccio, ogni giorno e ogni momento, è tutto per la nostra famiglia. Per noi e Hunter.”

“Oh, ma davvero?” Michael proruppe in una risata senza allegria. “E allora com’è che la tua famiglia non ti vede mai? Ieri persino le ragazze mi hanno chiesto che fine avessi fatto, visto che sono cinque sere di fila che non ceni con noi!”

“Come che fine avessi fatto?” Ben strabuzzò gli occhi. “Ero in facoltà, Michael! Dove sono sempre!”

Michael incrociò le braccia al petto. “Davvero?” Chiese sprezzante.

“Che vuoi dire?” Ben si accigliò. “Michael, guardami.” Si avvicinò a lui e gli prese il volto tra le mani, guardandolo serio. “Credi che non preferirei stare a casa con te e Hunter invece che in mezzo ai miei studenti dieci ore al giorno? È il mio lavoro!”

“Sei sicuro che non ci sia dell’altro?”

Ben ammutolì. “Non posso credere che tu me lo stia chiedendo davvero.”

“Ben, io non so più che pensare! A casa non ci sei mai e quando ci sei è come se non ci fossi! Ti dimentichi le gare di Hunter, gli appuntamenti con me, le cene con i nostri amici…”

“Cosa stai cercando di dirmi, Michael?” Gli chiese con una nota di irritazione nella voce.

“Ehi, tutto bene?”

Michael e Ben si voltarono insieme verso Hunter che era appena uscito dalle salette di prova, seguito da tutti i loro amici. Il ragazzo guardò preoccupato i suoi genitori. “Vi si sente discutere dall’altra stanza.”

Nessuno dei presenti osò fiatare; Michael deglutì piano e accennò un sorriso poco convincente verso suo figlio. “Tutto okay. Allora, andiamo?”

Ben sospirò, scuotendo la testa, e s’infilò il cappotto in silenzio.

Justin tirò la manica di Brian, mentre uscivano tutti dal negozio. “Penso che dovresti parlare con Michael.” Gli sussurrò in un orecchio.

Brian lanciò un’occhiata fugace al suo amico che si sforzava di chiacchierare tranquillamente con Emmett e Ted, chiaramente preoccupati quanto lui. Annuì. “Credo che tu abbia ragione, Sunshine…”

 

 

 

 

 

“Posso poggiarli qui?”

Justin sorrise e annuì, facendo spazio sul bancone della cucina. “Te l’ho detto, John. Fa’ come se fossi a casa tua.”

“Bè, se pensi che vivo in un minuscolo appartamento sopra al mio laboratorio, la cosa mi risulta parecchio difficile.” Diede un’occhiata in giro. “Wow! Questa casa è una reggia, Justin!”

Emmett e Daphne entrarono in quel momento. “Glielo abbiamo già detto un sacco di volte anche noi…”

La ragazza annuì. “Si può essere così schifosamente fortunati?”

“Ingiustizie della vita, dolcezza.” La consolò Emmett. Poi si voltò verso John. “Tutto bene qui? Hai bisogno di qualcosa?”

L’uomo scosse la testa. “Questa cucina è grandiosa, non avrò nessun problema a preparare tutto per il ricevimento.”

“Sicuro? Non hai bisogno di una mano? Devo assumere altri…”

“Emmett.” John gli posò le mani sulle spalle. “Respira e stai tranquillo. Mi sono trovato in situazioni peggiori di questa. Che vuoi che sia preparare un pranzo per una sessantina di persone in una cucina che è praticamente più grande di casa mia?” Emmett deglutì sonoramente. “Ce la faremo e andrà tutto alla grande, ok?”

L’uomo fece un cenno col capo. “Ok, mi fido di te. Sono nelle tue mani.”

“E io ti prometto che non ti deluderò.” Gli sorrise rassicurante. “Ora, che ne diresti di darmi una mano a sistemare?” Fece un cenno verso Justin. “Altrimenti il nostro cliente ci licenzia.”

“Fidati, John.” Disse Justin iniziando ad aprire le scatole che avevano prelevato dal laboratorio di John. “Non lo farei nemmeno se foste un disastro. A una settimana dal matrimonio, mia madre mi ucciderebbe! E qui ci sono ancora un milione di cose da fare.”

“Faremo in tempo…” Lo rassicurò Daphne. “Il giardino è praticamente a posto, la piscina funziona…”

“… e la casa è una tragedia.” Justin inarcò un sopracciglio. “Forse non hai notato che al piano superiore non c’è nemmeno un mobile.”

“Ma i due saloni qui sotto sono già a posto. Guarda il lato positivo!”

“Se lo dici tu… Non capisco davvero come facciate! Molly è più ottimista di te! E invece di darmi una mano, continua ad andarsene in giro con quelle cazzo di riviste di arredamento per dare consigli alla sua amica.”

Emmett e Daphne si scambiarono un’occhiata perplessa. “Che amica?” Chiese la più giovane.

Justin scosse le spalle. “Una sua amica ha fatto domanda per entrare in una scuola di design e per essere ammessa deve preparare un progetto, l’arredamento di una vera casa. Molly le da una mano, dando il tormento a me! ‘Dai, JusJus! Dammi un consiglio! Si sa che i gay hanno buon gusto in queste cose!’. Giuro che se continua così la uccido!”

John abbozzò un sorriso. “Dovresti esserne felice, invece.” Justin lo guardò come se fosse pazzo. “Significa che tua sorella ti rispetta molto e che tiene alla tua opinione.” Abbassò lo sguardo, in cerca di qualcosa sul bancone. “Non tutti sono così fortunati.”

Justin sospirò. “Sarà… Ma alle volte vorrei che tenesse un po’ meno alla mia opinione.”

“Ma smettila!” Daphne gli scompigliò i capelli. “Non vivresti senza quel piccolo terremoto!”

Emmett e John risero divertiti. “Daph ha ragione, baby. Ora, perché invece di parlare male della povera Ginger non finisci di scaricare il furgone con le cose di John?” Justin sbuffò annoiato. “Era proprio la risposta che volevo!” Indicò il giardino. “Noi aspettiamo qui!”

Justin e Daphne uscirono dalla cucina – Justin ancora borbottando – lasciando soli i due uomini. “Allora.” Esordì Emmett dopo qualche istante di silenzio. “Qual è il problema tra te e tua sorella?” John aggrottò la fronte confuso. “Tuo fratello?” Tentò di nuovo. Questa volta il suo amico abbassò lo sguardo, triste. “Beccato, eh?”

John accennò un sorriso. “Come l’hai capito?”

Emmett scosse le spalle. “Tutto quel discorso con Justin su Molly, mi è sembrato che ti avesse rattristato più del dovuto.”

“Infatti.”

“Ti va di parlarne?” Gli sorrise rassicurante. “Ne so qualcosa di problemi familiari, credimi.”

John si schiarì la gola. “Non c’è molto da dire: la mia è una famiglia molto credente e io e mio fratello siamo cresciuti tra chiesa e catechismo.” Fece una pausa. “Poi un giorno, avevo diciassette anni e lui appena venti, torna a casa e, con tutta la tranquillità del mondo, dice ai miei di essere gay.”

Emmett sospirò. “Immagino cosa sia accaduto dopo.”

“Come una qualsiasi rispettosa e cattolicissima famiglia, mio fratello è stato gentilmente accompagnato alla porta, con l’avvertimento di non farsi mai più vedere.”

“Conosco la storia…” Emmett sistemò alcune ciotole su uno dei ripiani della credenza. “Lui che ha fatto?”

John scosse la testa. “Non ha detto una parola: ha sorriso, si è alzato, ha preso la valigia che aveva già preparato ed è uscito dalla nostra vita.” Sorrise appena. “Non lo vedo da allora.”

“Quanto tempo è passato?”

“Quindici anni.”

Emmett sgranò gli occhi. “Wow, è un sacco di tempo.”

“E io non ho fatto nulla: non l’ho fermato, non ho cercato di far cambiare idea ai miei genitori…”

“Eri solo un ragazzo.” Gli fece notare Emmett. “Che avresti potuto fare?”

“… non l’ho nemmeno mai cercato. L’unica cosa che so di lui è che, dopo aver lasciato la nostra città, si è trasferito qui, a Pittsburgh.”

“È per quello che sei venuto qui?”

Abbozzò un sorriso. “Non lo so perché sono venuto… So solo che sono spaventato a morte.”

“Di non riuscire a trovarlo?”

John annuì. “E anche di trovarlo.” Emmett lo guardò confuso. “Ho paura di non trovarlo perché non avrei mai l’opportunità di cambiare le cose tra noi, ma, allo stesso tempo, ho il terrore di trovarmelo davanti, magari mentre cammino per strada. Che cosa dovrei dirgli dopo tutto questo tempo? ‘Scusa, mi dispiace se ho lasciato che mamma e papà ti trattassero come un appestato, torniamo amici come prima?’” Scosse la testa. “Non credo che funzionerebbe.”

“Chi può dirlo?” Emmett gli sorrise. “Mai rinunciare senza tentare, no? Se parti con lo spirito giusto, sei già a metà strada.”

John gli restituì il sorriso ed Emmett non poté fare a meno di notare quanto fosse bello quando sorrideva. Gli aveva sempre dato l’impressione di essere un uomo forte, indipendente, determinato, uno di quelli che riescono bene in tutto ciò che fanno, eppure eccolo lì, a confidarsi con lui, praticamente uno sconosciuto, mostrando una fragilità che Emmett non avrebbe mai creduto di vedere in uno come John. “Grazie, Emmett. Sei un amico.” Gli disse dandogli una pacca sulla spalla.

Emmett arrossì. “Figurati. Come ti ho detto, me ne intendo di crisi familiari.”

“Anche tu brutte esperienze?”

“Quando nasci in una famiglia del Mississippi e sei l’unico frocio di tutto la città, già a dieci anni capisci che non avrai vita facile.”

“Mi dispiace. So che sembra strano detto da qualcuno che è stato dall’altra parte, ma è così. La tua famiglia perde molto a non conoscerti.”

Emmett gli sorrise. “Ti ringrazio, John.”

L’uomo scosse le spalle. “Figurati.”

Justin e Daphne rientrarono proprio nell’istante in cui entrambi tornavano a chiacchierare del matrimonio. “Queste sono le ultime!” Fece Daphne esausta. “Da questo momento, dichiaro ufficialmente di essere in pausa.”

Emmett alzò gli occhi al cielo. “Solo perché sei una dolce e delicata ragazza.”

“Ah come te quindi!” Lo prese in giro Justin, facendo scoppiare a ridere John e Daphne.

“La vicinanza del tuo fidanzato ti fa chiaramente male, Sunshine.” Gli lanciò uno degli stracci sopra il bancone. “E visto che fai lo spiritoso, perché non sali al piano di sopra ad aprire tutte le finestre? Voglio che questa casa prenda un po’ d’aria fresca prima del grande evento!”

“Tutte quante?” Justin lo guardò scocciato.

Emmett indicò le scale con un sorriso. “Buon lavoro, baby.”

Justin borbottò contrariato, avviandosi verso l’atrio e poi su per le scale; sentirono i suoi lamenti fino a che non varcò la porta che conduceva al piano superiore.

Daphne guardò l’orologio. “Aspetto cinque minuti e poi salgo a dargli una mano. Non vorrei che si spezzasse un’unghia.”

John rise divertito. “Da quanto tempo vi conoscete? Sembrate una coppia di vecchi sposi.”

“Sì, ci siamo andati quasi vicini.” Scherzò Daphne. “Quando andavamo a scuola mi ero presa una bella cotta per lui, sai?”

“E dopo?”

Daphne scosse le spalle. “Sapevo che era gay, ma tutte le ragazze hanno l’istinto da crocerossina.”

“Oh.” John annuì. “Non mi dire che hai provato con la vecchia storia Come fai a disprezzare qualcosa che non hai mai provato?

“È stato piuttosto patetico, sì.”

“Com’è finita?”

“Fortunatamente ho capito che il mio migliore amico valeva più della mia cotta da ragazzina. Mi sono scusata e mi sono fatta invitare al ballo di fine anno.”

“Ben fatto!” John la guardò allegro. “Ti sarai divertita parecchio!”

Il sorriso luminoso di Daphne svanì all’istante; deglutì a fatica e provò ad annuire. “Di sicuro non è stato come me lo aspettavo.” Disse in un sussurro, abbassando lo sguardo. “Scusate, sarà meglio che salga ad aiutare Justin.” Sorrise a John un’ultima volta e si voltò per salire al piano superiore.

John inarcò un sopracciglio e guardò Emmett turbato. “Ho detto qualcosa di sbagliato?”

Emmett scosse la testa e inghiottì il groppo che gli si era formato in gola. “Non è colpa tua, John. Solo un consiglio: non chiedere mai com’è finito quel ballo. Soprattutto a Justin, Brian e Daphne.”

“Ehi!” Daphne varcò la soglia dell’ultima camera da letto, quella con la vetrata che dava sul giardino sottostante. Justin, seduto sul telo bianco del materasso, le sorrise appena. “Ehi.”

“Ti ho cercato dappertutto.” Spostò lo sguardo per tutta la stanza. “Dio, amo questa camera. Sarebbe un sogno dormire qui dentro tutte le notti.” Saltò addosso a Justin, facendolo sdraiare sul materasso e stendendosi poi accanto a lui ancora ridendo.

“Sai che questa avrebbe dovuto essere la nostra stanza?” Justin sospirò triste. “A quest’ora avremmo potuto vivere qui, come una vecchia coppia di checche innamorate.”

Daphne ridacchiò. “Che poi è quello che siete anche se vivete lontani.”

“Vaffanculo, Daph…” Justin le pizzicò un fianco facendola ridere. Poi tornò serio. “Da quando sono tornato non faccio che chiedermi se ho fatto la scelta giusta a lasciare Brian.”

“Non sei mica morto, no?” Daphne sollevò la testa posandola su una mano e girandosi verso il suo amico. “Puoi ancora cambiare ciò che non ti piace della tua vita.”

“Brian mi taglierebbe le palle, piuttosto che farmi rimanere qui.”

“Sì, bè credevo fosse appurato che Brian è un idiota, quando si tratta di te.” Justin scoppiò a ridere. “E poi non era lui quello che diceva che mai e poi mai sareste stati una coppia, che lui era single, che per lui non eri che una scopata qualunque, che…”

“Sì, sì, ok, hai reso perfettamente l’idea…”

“Quindi possiamo affermare con sicurezza che Brian non è una persona coerente, non quando si parla di te almeno.”

Justin scosse la testa con un sorriso. “E quale sarebbe la soluzione, dottore?”

“Senti.” Daphne si portò una ciocca di capelli dietro l’orecchio e lo fissò seria. “So che è una cosa brutta da dire, che sono una persona orribile, che non merito di essere tua amica, ma io sono più egoista del tuo fidanzato, quindi ti dico: perché non resti?” Justin sgranò impercettibilmente gli occhi. “Se New York non riesce a renderti felice, se non è quello che avevi immaginato, torna a casa. Torna da Brian, da tua madre, da Molly, da… me.” Gli sorrise imbarazzata. “Mi manca averti qui.”

Justin le baciò il naso e l’abbracciò stretta. “Mi manchi anche tu, Daph.”

Si stese di nuovo e Daphne posò la testa sul suo petto. “Avanti dillo… Quanto posso essere disgustosa?”

Justin ridacchiò. “Non sei affatto disgustosa, Daph, e, ad essere sinceri, sei la prima persona che mi chiede apertamente di restare. Iniziavo quasi a sentirmi offeso, sai?”

Daphne sorrise. “Tutti vogliono che tu rimanga, sono solo troppo corretti per chiedertelo.”

“Bè, meno male che io ho la mia migliore amica.”

“Puoi dirlo forte, mio caro!”

Restarono in silenzio per un po’, elaborando tutto quello che si erano detti, tutto quello che quella discussione avrebbe portato, tutto quello che avrebbe potuto scatenare. Non seppero con certezza quanto tempo rimasero lì, sdraiati su quel letto polveroso, ad ascoltare il respiro dell’altro; Daphne si rese conto però che le mancavano quei momenti con Justin.

Justin, il suo migliore amico, il ragazzo con cui aveva perso la verginità, la spalla su cui aveva pianto quando i ragazzi la ferivano, il cavaliere dall’armatura scintillante che l’aveva difesa dai ragazzi che la prendevano in giro. Solo Justin.

Si strinse di più a lui, che rafforzò di riflesso la presa sulla sua spalla. “Ci penserò…” Sussurrò contro i suoi capelli scuri.

“Mh?”

“Alla tua proposta.” Sollevò il viso per guardare negli occhi la migliore amica del mondo, la migliore amica che avrebbe mai potuto avere. “Non dirlo a nessuno, ma prometto che ci penserò…”

 

 

 

 

 

“Vieni pure zia, accomodati.” Jen aprì la porta di casa, precedendo le due signore anziane. “I ragazzi saranno felicissimi di rivederti… rivedervi.” Si corresse immediatamente lanciando un’occhiata alla vecchia bisbetica che bofonchiava percorrendo il vialetto.

“Per la cronaca, se avessi invitato solo me, di certo non me la sarei presa, Jenny.” Le sussurrò Lorraine con un sorriso. “Speriamo solo che rimanga a lamentarsi dei suoi acciacchi chiusa in camera e non rompa di continuo come al solito!”

Jennifer rise, aiutando sua zia con la borsa che trasportava. “È per frasi del genere che sei sempre stata la mia zia preferita, lo sai?”

“Non è difficile risultare simpatica con una sorella del genere.”

Jennifer annuì, entrando in salotto. “Ehi, ragazzi, guardate chi c’è! Venite a salutare zia Rainey!”

Molly scattò in piedi all’istante, tuffandosi tra le braccia accoglienti della vecchia zia e facendola scoppiare a ridere. “Ehi, terremoto! Non sei cambiata per niente in questi anni, eh?”

Molly le sorrise baciandole le guance. “Dimmi che hai lasciato zia Rose a casa.” Le sussurrò speranzosa.

“Molly!” La rimproverò Jennifer lanciando un’occhiata verso la porta; in giardino, Rose stava ancora spiegando al povero Tuck come piantare in modo corretto le gardenie.

“Mi dispiace, tesoro, ma Grimilde ci ha seguito.”

“Peccato…”

Justin si avvicinò alla donna e le sorrise allegro. “Ciao, zia Rainey.”

“Oh mio Dio! Guarda guarda chi è diventato un uomo grande e grosso!” Lo intrappolò in una presa stritola costole. “Fortuna che non somigli per niente a tuo padre. Sarebbe stato un vero peccato…”

Justin ridacchiò. “Sono felice che tu sia qui.”

“Jennifer!” Rose entrò finalmente in casa seguita da un Tuck visibilmente provato. “Jennifer, dove sei?”

“In salotto, zia. Ci sono anche i ragazzi.”

“Theo!” Gridò, voltandosi verso Tuck. “Perché non porti le mie valige di sopra? Io sono esausta!”

Si avviò zoppicando verso il salotto, mentre Tuck gli lanciava occhiate assassine. Jennifer lo guardò mortificata. “Justin!” Il ragazzo alzò gli occhi al cielo e le si avvicinò riluttante.

“Come stai, zia Rose?”

“Di sicuro meglio di te! Cos’è? Tua madre non ti dà da mangiare? Sei uno scheletro!”

Lorraine sbuffò. “Adesso non iniziare, Rosie! Ma non vedi quanto è diventato bello?” Fece un occhiolino a suo nipote. “O magari è la tua cataratta che è peggiorata.”

“Sciocchezze…” Minimizzò sua sorella. “Molly Joanna!” Molly sobbalzò sul posto. Odiava quando quella vecchia strega li chiamava a rapporto. Nemmeno fossero stati nell’esercito!

“Ciao, zia.” Le baciò le guance educata.

La donna la scrutò con attenzione, studiando ogni particolare, dai capelli alla punta dei piedi. “Bè?” Chiese dopo un attento esame. “Non ti sembra che questa gonna sia un po’ corta?”

Molly roteò gli occhi. “No, zia.” Ribatté secca. “Credo proprio di no.”

Rose inarcò un sopracciglio. “Cos’è questo tono, signorina? Tua madre non ti ha insegnato l’educazione?”

Molly si morse a sangue la lingua per non replicare e chiuderle definitivamente la bocca, magari con un bel pugno dritto in quella sua disgustosa faccia rugo…

“Zia, perché non sali a riposarti un po’?” S’intromise Jen con tono agitato. “Sarai stanca dopo un viaggio del genere.” L’anziana donna lanciò una rapida occhiata agli altri ragazzi presenti nel salotto. “Oh, non preoccuparti, ci sarà tempo per conoscere tutti!”

La zia parve convinta e, sempre zoppicando vistosamente, si avviò su per le scale seguita da Jennifer.

“Vecchia pipistrella…” L’apostrofò sua sorella, dirigendosi verso il divano. “Allora, Joanna!” Molly la fulminò con lo sguardo. “Mi diverto sempre a chiamarti così.”

“Io lo odio invece…” Borbottò Molly sedendosi sulla moquette, ai piedi di sua zia.

“Zia…” Justin fece gli onori di casa. “Posso presentarti i miei amici? Vanessa, la mia gallerista.” La ragazza le sorrise educata. “Steve, il mio manager e coinquilino ed Emmett, l’organizzatore delle nozze nonché carissimo amico di famiglia.”

“Piacere di conoscerla, signora.”

“Oh, per favore! Signora mi fa sentire vecchia! Potete chiamarci mia sorella, però. Io sono Lorraine, o zia Rainey, come preferite.”

Emmett guardò incerto Justin che gli sorrise. “D’accordo allora, Lorraine.”

“Ti ringrazio, Emmett.” Lanciò un’occhiata in giro per la stanza e sospirò delusa. “Justin, e il tuo fantastico fidanzato dov’è?”

Justin lanciò un cuscino del divano a Molly. “Ma quando imparerai a tenere chiusa quella boccaccia?”

Molly glielo rilanciò. “Quando quel tuo pettegolo fidanzato farà lo stesso!” Guardò sua zia. “E comunque Brian è al lavoro, zia. Lui è un uomo mooooolto  impegnato.” Fece con tono pomposo.

“Davvero?” Lorraine le accarezzò i boccoli ramati. “Buon per te, tesoro!” Si fece seria tutto d’un tratto. “Lo conoscerò prima del matrimonio, vero?” Justin annuì. “Bene, allora fammi un favore, ricordami di ringraziarlo.”

“Per cosa?” Chiese Vanessa divertita. “Non lo conosce nemmeno.”

“So che chiunque abbia aiutato Justin, merita tutta la mia gratitudine. E poi non posso dimenticare che è grazie a lui che Jenny ha capito che razza di idiota aveva sposato…”

Molly alzò gli occhi al cielo. “Zia…”

“Scusa, zucchero…” Le accarezzò una guancia. “Bè, fortuna che ha recuperato con quel pezzo di ragazzo di sopra!” Molly, Steve e Vanessa scoppiarono a ridere. “Quello sì che è un uomo, accidenti!”

“Bè, da estimatore, non posso che essere d’accordo con lei, Lorraine.” Concordò Emmett con tono saccente. “Non si può dire che Jen non abbia occhio.”

Lorraine inarcò un sopracciglio. “Oh santo cielo! Justin!” Suo nipote la guardò curioso. “Non dirmi che anche lui è gay!”

Molly si voltò verso di lei e scoppiò di nuovo a ridere. “Sì, zia.” Justin alzò gli occhi al cielo, incredulo. “Anche Emmett è gay.”

“Oh mio Dio!” Batté le mani elettrizzata. “Non ne avevo mai visto uno dal vivo!”

Emmett sgranò gli occhi, incerto se ridere o sentirsi offeso, ma si rese conto in quel momento che era impossibile arrabbiarsi con quell’ingestibile e inopportuna vecchina.

“Bè, si prepari…” Le disse Steve. “Justin ha solo amici gay, a quanto pare.”

Justin roteò gli occhi. “Ancora con questa storia?”

“Perché non è vero?”

“Bè, guarda l’unico etero che razza di persona è!”

“Che vorresti dire?”

“Bè, ammetterai che non sei la persona più normale del mondo, Steve.”

“Bene…” Jennifer rientrò in salotto con aria esausta, Tuck dietro di lei. “Zia Rose è a letto, quindi per un po’ dovremmo stare tranquilli.”

Lorraine le sorrise. “Mi dispiace, Jenny.” Picchiettò con la mano il posto vuoto accanto a lei, invitandola a sedersi sul divano.

Jen le sorrise, accasciandosi sui morbidi cuscini beige. “Non dirlo nemmeno, zia. Mi fa piacere che siate venute.”

“Per lo meno tu.” Precisò Molly, sfogliando una rivista. Sua madre non ebbe nemmeno la forza di richiamarla.

“E mi dispiace che questo pover’uomo dovrà sopportare due vecchie strambe come noi.”

Tuck abbozzò un sorriso, scuotendo la testa. “Mi creda, non c’è problema. E poi Jen mi aveva avvertito.”

“Ma scommetto che mia sorella supera tutte le tue aspettative.” L’uomo aprì la bocca per ribattere, ma non disse nulla, limitandosi a sorridere imbarazzato. “Tranquillo, manda fuori di testa anche me che la sopporto da tutta la vita.”

Tutti risero, riprendendo a chiacchierare di argomenti più piacevoli; Emmett chiese se erano mai state a Pittsburgh prima di allora, spingendo Lorraine a raccontare dell’ultima volta che era stata in visita dai Taylor, scatenando l’ilarità generale. I ragazzi non seppero dire se fosse stata più impietosa la descrizione di Craig, quella di Rose o quella del meraviglioso rapporto che i due avevano instaurato negli anni.

“Sì, sì, è tutto vero.” Confermò Jennifer, tornando dalla cucina con otto tazze di tè fumante. “Credo che zia Rose fosse più fiera di lui che di me.”

Justin scosse la testa quando sua madre gli porse la tazza. “No, grazie. Brian passa a prendermi tra poco.”

Jennifer inarcò un sopracciglio. “E quando avevi intenzione di dirmelo? Non ci sarai nemmeno per cena?”

“Mi dispiace.” Justin le rivolse un sorriso smagliante.

“E dove andresti?”

“Gus lo ha convinto ad andare al cinema.” Si sforzò di non ridere. “Per vedere l’ultimo film di Harry Potter.”

Emmett lo guardò scioccato. “Cosa?” Justin annuì. “Oddio, questa non voglio perdermela! Ci possiamo aggregare a voi?”

“Oh sì, che bello!” Saltò su Molly. “Anche io voglio venire!”

Justin scosse la testa deciso. “Non credo proprio!” Li seccò immediatamente. “Anzi, non avrei dovuto nemmeno dirvelo, se Brian lo sa, mi ammazza.”

“Devo raccontarlo immediatamente a Teddy e Michael!”

“Em, ma mi ascolti quando parlo?”

Emmett lo guardò implorante. “Ti prego! Hai idea di quanto potremmo prenderlo in giro per questa storia?” Justin si mise le mani sui fianchi, guardandolo minaccioso. “Uffa… E va bene…” Ripose il cellulare in tasca.

“Io invece credo sia una cosa molto dolce…” Osservò Jennifer, sorseggiando il suo tè. “È giusto che Brian passi del tempo con suo figlio.”

Justin le sorrise riconoscente. “Grazie, mamma.”

“Quindi fai anche il papà part time?” Lo punzecchiò sua zia.

“Justin adora Gus.” Rispose Molly con aria da saputella. “Quasi quanto adora suo padre.”

“E quasi quanto Molly adora impicciarsi dei fatti degli altri…” La rimbeccò suo fratello.

Il campanello impedì alla rossa di ribattere come voleva; Justin scattò in piedi, dirigendosi a passo spedito verso la porta. Brian lo accolse con un sorriso radioso quando gli aprì. “Ciao, Sunshine!” Lo salutò, prendendogli il viso tra le mani e baciandolo appassionato.

Justin sorrise contro le sue labbra. “Comportati bene.” Gli intimò, accarezzandogli i capelli. “C’è gente di là.”

“Ah…” Brian socchiuse gli occhi, ricordandosi dell’arrivo degli ospiti. “Le ziette sono arrivate.”

Justin annuì, prendendolo per mano. “Vieni.” Tutti ripresero immediatamente a chiacchierare quando i due piccioncini comparvero sulla soglia.

“Che pettegoli…” Sussurrò Brian all’orecchio di Justin, facendolo ridacchiare.

Lorraine si alzò dal divano impaziente. “Brian, questa è mia zia Lorraine. Zia, lui è Brian.”

“Piacere di conoscerla, signora.” Brian gli sorrise educato.

“Oh, non chiamarla signora, Bri.” S’intromise Emmett. “Non le piace, giusto Lorraine?”

La donna annuì con vigore. “Ben detto, Emmett!” Si voltò di nuovo verso Brian. “Ti direi di chiamarmi per nome, ma credo che per te sia più adatto zia, no?” Fece un occhiolino complice a Justin, che alzò gli occhi al cielo.

Jen scosse la testa divertita. “Brian, vuoi del te?”

“No, ti ringrazio, Jen. Devo ancora passare a prendere Gus e se non ci muoviamo faremo tardi.”

Molly sogghignò, lo sguardo ancora puntato sulla sua rivista. “A proposito, che cosa andate a vedere?” Lanciò un’occhiata ammiccante verso Emmett, che cercò di non ridere.

Brian roteò gli occhi con uno sbuffo. “Sunshine, che cosa ti avevo detto?”

Justin fece il giro del tavolo per andare a prendere il suo cappotto, poggiato su una delle sedie. “Scusa, mi è scappato! Non volevo!”

“Bri, potevi dircelo!” Emmett rincarò la dose. “Saremmo venuti anche noi! Mi raccomando Justin, stringigli forte la mano nelle scene più cruente. Ho saputo che è un film non adatto alle persone di una certa età.”

Molly scoppiò a ridere. “Mi piacerebbe davvero vedervi!” Disse, facendo scoppiare a ridere anche Emmett.

“Sunshine!” Brian alzò gli occhi al cielo. “Ti muovi? Altrimenti credo che la tua dolce sorellina farà una brutta, bruttissima fine!” Lanciò un’occhiataccia al suo amico. “Insieme alla signorina Honeycutt!”

Justin tornò ridacchiando dal suo compagno. “Eccomi, sono pronto.” Prese una delle riviste sul tavolino da caffé e la tirò a Molly. “La vuoi finire di tormentarlo?”

Molly sbuffò. “Non ho nemmeno iniziato! Ti sei già dimenticato dello scherzetto del vestito?”

“Quante storie… Ti ho anche fatto prendere un sacco di complimenti!”

“Fanculo i compl… Ahia!” Molly si massaggiò la testa. “Mamma! Era proprio necessario?”

Lorraine ridacchiò divertita. “Tesoro, sai che mamma non vuole che tu dica le parolacce.”

Jennifer fulminò sua figlia. “E mi sembra di avertelo già detto.” Guardò Brian con un sopracciglio inarcato. “Com’è che continui ad avere quest’influenza negativa sui miei figli?”

Brian piegò le labbra all’interno delle bocca per non ridere. “Scusa, mamma Taylor.”

La donna sbuffò alzando gli occhi al cielo. “Non state facendo tardi?”

“Mamma ha ragione.” Justin prese la mano di Brian e si avviò verso l’uscita. “Ciao ragazzi, ciao zia. Ci vediamo domani!”

“Lieta di averla conosciuta, signora!” Gridò Brian mentre veniva trascinato via.

“Ne deduco che non tornerai a dormire?” Li raggiunse la voce di Jennifer un attimo prima che varcassero la soglia di casa.

“Oh, ci puoi giurare, mamma Taylor.” Sussurrò Brian con sguardo malizioso prima di avventarsi famelico sulle labbra di Justin.

 

 

 

 

 

Ben salutò l’ultimo dei suoi studenti e uscì finalmente dall’università; guardò l’orologio e sorrise: le cinque e mezza.

Bene, era ancora presto. Aveva tutto il tempo per andare al suo appuntamento e tornare a casa ad un orario decente, per una volta. Avrebbe fatto una sorpresa a Michael e Hunter; dopotutto se la meritavano almeno un po’ di attenzione.

Suo marito aveva pienamente ragione quando diceva che c’era qualcosa di strano in lui negli ultimi tempi, ma era ancora troppo presto per parlargliene.

Scosse la testa con vigore.

È meglio aspettare…certo, non è una cosa di cui vergognarsi, ma… Michael potrebbe avere dei problemi al riguardo.

Le riflessioni furono interrotte dallo squillo del suo cellulare. Lo estrasse dalla borsa e sorrise: Michael.

“Pronto?” Rispose sorridendo.

“Ciao!” Lo salutò allegro suo marito. “Ti disturbo?”

Ben guardò su e giù lungo la strada prima di attraversare. “Affatto. Che combini?”

Michael emise un lamento. “Linz e Mel mi hanno cacciato dalla cucina e bandito da casa per il pomeriggio. Vogliono essere loro per una volta a cucinare, per sdebitarsi dell’ospitalità.”

“Gli hai detto che non ce n’è bisogno?”

“Le conosci, no?” Michael sbuffò contrariato. “Tu dove sei?”

Ben si schiarì la gola. “Ancora in facoltà.” Mentì. “Però, ehi… ho una bella notizia! Penso di tornare a casa tra un’ora al massimo.”

“Davvero?”

“Promesso.” Ben avvistò il parco in cui lo stavano aspettando. “Scusa, Michael, mi chiamano, devo andare.”

Michael sospirò. “Ci vediamo tra un po’, allora.”

“Non vedo l’ora.”

“A più tardi.”

“Ciao ciao.”

Michael interruppe la comunicazione e ripose il telefono nella tasca dei pantaloni; chiuse gli occhi, appoggiando la fronte al palo accanto a lui, e prese un bel respiro per farsi coraggio.

Che cazzo stai facendo, Michael? Non è giusto nei confronti di Ben!

Deglutì deciso e alzò di nuovo lo sguardo, verso l’entrata del parco davanti a lui.

Ben aveva appena varcato i cancelli in ferro battuto e si avviava a passo spedito verso le panchine poco distanti. Aspettò che si allontanasse ancora di qualche metro poi strinse i pugni risoluto e si avviò verso la strada appena percorsa da suo marito. Lo seguì per tutto il tragitto, tenendosi a distanza di sicurezza (,=e) cercando di evitare i bambini che si rincorrevano. Mandò giù di nuovo il groppo che gli si era formato in gola e respirò profondamente, bloccandosi di colpo.

No, assolutamente no… Doveva tornare indietro. Fare retro marsch, imboccare l’uscita, filare a casa e dimenticarsi di quella cazzata che stava facendo. Non importava che Ben si comportasse in modo strano…

Sì, a dir poco… sussurrò una vocina – che assomigliava paurosamente a quella di Brian – nella sua testa.

… e non importava neppure che gli avesse mentito, dicendo di trovarsi ancora in facoltà: di sicuro c’era una buona ragione. Forse aveva appuntamento con uno studente che lavorava da quelle parti, uno studente che magari non aveva potuto assentarsi per andare nel suo ufficio e quindi Ben si era offerto di raggiungerlo.

Sorrise fiducioso. Sì, di sicuro era andata così: era proprio da Ben aiutare i suoi allievi più del dovuto. Affondò le mani nelle tasche e riprese a camminare. Magari poteva raggiungerlo e raccontargli tutto quello che gli era passato nella mente nell’ultima ora, le sue assenze, le sue mezze risposte, i suoi strani comportamenti, e la paura che Ben potesse… Dio, come gli era venuto in mente? Dubitare di suo marito? Della persona, oltre Hunter e Jenny, più importante della sua vita? Ben non l’avrebbe mai tradito! Ben non era David, porca puttana! Ben era dolce, premuroso, meravigliosamente comprensivo e fottutamente eccitante!

Basta cazzate, Novotny! Fila a casa e facciamola finita!

Respirò a fondo e fece per voltarsi quando il sorriso gli si gelò in volto.

Ma che cazzo…

Ben salutò un uomo, seduto a leggere un giornale, e gli corse incontro. L’uomo si alzò in piedi sorridente e l’abbracciò amichevole. Fin troppo amichevole. No, di sicuro quello non era uno studente. Quel… tipo aveva almeno trent’anni! Ed era incredibilmente sexy!  

Michael avanzò di qualche passo e si sedette su una panchina lì vicino, mezza nascosta da un albero; osservò i movimenti dei due uomini e digrignò i denti quando lo sconosciuto posò la mano sul braccio di Ben con fare confidenziale, invitandolo al bar poco lontano. Si sedettero, uno di fronte all’altro, e ordinarono qualcosa che Michael, da quella distanza, non poté udire. Qualche istante più tardi furono serviti. I due uomini ripresero a chiacchierare amabilmente e sembrava quasi che tra loro ci fosse una certa… familiarità; eppure Michael non conosceva quel tipo. Alto, capelli biondo cenere, fisico asciutto e sorriso killer. No, di certo di sarebbe ricordato di un tipo del genere.

Ben rise divertito per qualcosa che Mr. Figo aveva detto prima che lui si chinasse verso suo marito e gli sfiorasse di nuovo il braccio in un gesto quasi casuale che non turbò affatto Ben. Al contrario di Michael.

Rimasero seduti a bere e parlare per la successiva mezz’ora fino a che Ben non si alzò e gli sorrise gentile; l’altro uomo si avvicinò a lui e l’abbracciò di nuovo, stavolta – notò Michael – stringendolo più a lungo. Abbraccio che Ben ricambiò appieno.

Si scambiarono ancora qualche altra parola, poi si salutarono e si avviarono in direzioni opposte: lo sconosciuto imboccò la strada verso Michael, Ben si diresse verso l’altra uscita del parco, probabilmente diretto a casa. Michael si alzò in piedi e, guidato da chissà quale coraggio, urtò piano l’uomo che passava davanti a lui.

“Oh, mi scusi!” Fece quello immediatamente. “Ero sovrappensiero.” Gli sorrise gentile.

Michael lo guardò accigliato. “Non importa.” E gli voltò le spalle, in direzione della strada appena percorsa da suo marito.

Lungo il tragitto verso casa, Michael non poté che maledirsi per quella malsana idea che aveva avuto; seguire Ben era stata una cosa orribile e infida, ma vedere suo marito così a suo agio con un altro uomo era stato anche peggio.

Con un sospirò afflitto, si chiese se non avesse fatto meglio ad insistere e ad obbligare Mel e Linz a farlo partecipare ai preparativi della fottutissima cena.

 

 

 

 

 

“Quindi, ricapitolando.” Brian si massaggiò stancamente le tempie. “Il Pel di Carota è cotto della saputella.”

Gus sbuffò, scambiandosi un’occhiata paziente con Justin. “Sì, e si chiamano Ron e Hermione, papà.”

“Che caz… razza di nome è poi Hermione?” L’uomo scosse la testa. “Comunque, loro stanno insieme.”

Justin diede un morso alla sua pizza. “No, sono migliori amici, ma si piacciono da sempre.”

Brian lo guardò poco convinto. “Ok.” Sorseggiò la sua Coca e si voltò di nuovo verso suo figlio, seduto accanto a lui. “E la rossa chi è?”

“È Ginny, la sorella di Ron.” Gus prese una patatina e rivolse a Justin un’occhiata timida. Il ragazzo gli allungò il suo piatto per permettergli di inzupparla nel suo ketchup. “Lei sta con Harry.”

“Il quattrocchi.” Brian annuì. “E il vecchio senza naso che problemi ha?”  

Voldemort.” Sibilò Justin, offeso che i personaggi dei suoi libri preferiti fossero trattati con così poco rispetto da Brian. Ok, lo amava da morire, ma a tutto c’era un limite. “Lui è il cattivo, Brian. E vuole uccidere Harry Potter.”

Brian sollevò un sopracciglio. “Perché?”

“Perché lui è cattivo e Harry Potter è buono!” Sbottò suo figlio spazientito.

“È inutile che fate i saputelli!” Si risentì Brian. “Mi avete portato a vedere il sesto film di una saga…”

“… settimo…” Borbottò Justin sottovoce, fingendo un colpo di tosse.

“… che io non ho mai letto, visto e calcolato in tutta la mia vita! Potete concedermi il lusso di essere un po’ confuso!” Tirò fuori il pacchetto di sigarette e se ne accese una, inspirando a fondo. “Quindi, Harry Potter sta antipatico a questo vecchietto in andropausa.”

Justin si coprì il viso con le mani, arrendendosi. Era inutile con Brian. “Sì, e sta cercando di ucciderlo praticamente dal primo libro.”

Brian sbuffò. “Bè, non mi pare abbia fatto un bel lavoro. Il ragazzino è ancora vivo e vegeto!”

“Ma Harry non può morire!” Gus lo guardò indignato. “Lui è il buono e i buoni vincono sempre!”

“Certo che sì, Gus.” Justin gli scompigliò i capelli, lanciando un’occhiata ammonitrice al suo compagno. “Harry sconfiggerà Voldemort e tornerà a casa da Ginny con Ron e Hermione.”

“Ma questo non dovrebbe essere l’ultimo film?” Brian spense la sigaretta nel posacenere. “Perché come fine fa abbastanza schifo. Non conclude un bel niente!”

“Solo perché il capitolo finale è stato diviso in due parti. Il prossimo e ultimo uscirà tra sei mesi.” Gli spiegò Justin.

Brian aprì la bocca senza emettere alcun suono. “Oh.”

“Papà?” Gus si voltò verso suo padre con occhi imploranti.

Oh oh, di nuovo quello sguardo… Attento, Kinney, non farti incastrare un’altra volta!

“Verrai con me a vedere anche il prossimo?” Fece un sorriso a trentadue denti, iniziando a tirarlo per un braccio. “E voglio che venga anche Justin! Mi sono divertito un sacco con lui stasera!”

L’uomo sorrise a suo figlio, accarezzandogli i capelli. “Vedremo, ok campione?” Il bambino parve abbastanza soddisfatto della risposta – almeno non era un “Assolutamente no!” – e tornò a rivolgere la sua totale attenzione al giocattolo che aveva trovato nella scatola del suo happy meal, sorridendo sereno.

Brian lo guardò sentendo il petto gonfiarsi d’orgoglio. Si rattristò però un attimo dopo, pensando che probabilmente non avrebbe potuto mantenere la promessa che gli aveva appena fatto: in sei mesi, lui sarebbe stato solo, lì a Pittsburgh. Gus sarebbe tornato a casa con i suoi genitori e Justin, – deglutì a fatica a quel pensiero – Justin sarebbe stato di nuovo a New York, lontano da lui.

Sorseggiò la sua Coca, già finita da un pezzo, e finse interesse per le frasi multilingue scritte sul contenitore di carta.  

Justin gli sfiorò il dorso della mano, attirando la sua attenzione. “Dove sei?”

Brian sospirò piano e provò a sorridergli. “Proprio qui.” Girò la sua mano e intrecciò le sue dita a quelle del ragazzo. “Con te e mio figlio ad ingozzarmi di grassi saturi che sicuramente finiranno sui miei fianchi perfetti.” Si strinse nelle spalle. “Ma... ehi! L’hai voluto tu, Sunshine.”

Justin sorrise, portandosi la sua mano alla bocca. “Sai quanto amo queste schifezze.” Gli baciò le dita, cercando di ignorare il groppo in gola. Brian gli sfiorò la guancia con le nocche. “Possiamo sempre andare a Toronto a vederlo.” Suggerì, leggendogli nella mente.

Brian sollevò un sopracciglio. “Quando tornerai a New York, sarai troppo impegnato ad avere successo per ricordarti di Harry Potter, Sunshine.”

Se tornerò a New York…” Brian roteò gli occhi annoiato “… non cambierà proprio nulla.” Strinse di più le dita di Brian che continuava ad accarezzargli il viso. “Non mi scorderò né di Harry Potter.” Fece uno dei suoi soliti sorrisi che avevano il potere di alleggerire il cuore di Brian. “Né del bellissimo figlio dell’amore della mia vita.”

Brian piegò le labbra all’interno della bocca. “Ma come siamo romantici stasera…”

“Uno dei due deve pur esserlo, no?” Cercò di non sorridere. “E si sa che io sono sempre stato il più sensibile tra noi.”

“Dovrei offendermi?”

“Sai che conosco il modo per farmi perdonare…” Sussurrò malizioso cercando di non farsi sentire da Gus.

Brian scosse la testa, alzando gli occhi al cielo e passando una mano tra i capelli di suo figlio che sbadigliò esausto. “Che ne dite di andare? Credo che l’odore di questo posto stia iniziando a darti alla testa, Sunshine.”

Justin gli fece una linguaccia. “Ecco, lo vedi? Non apprezzi mai il mio lato romantico.”

“Vieni, Gus.” Brian si alzò in piedi e aiutò suo figlio ad infilarsi il giubbino. “Non vorrai addormentarti qui.”

“Non sono stanco!” Si risentì il bambino, lasciando che Brian gli chiudesse la zip. “Non sono più un bambino piccolo!”

Brian gli sorrise. “Certo che no.” Gli pizzicò il naso. “Ma papà ha una certa età, sai? A quest’ora dovrebbe essere già a letto da un pezzo.” Lanciò un’occhiatina furba a Justin alla parola letto.

Gus sbuffò contrariato, avviandosi verso l’uscita dietro Justin. “La prossima volta ti lasciamo a casa.” Porse la mano a Justin che l'afferrò titubante, colto alla sprovvista. “Usciamo solo io e Justin.”

“Sì, sì, va bene.” Tagliò corto Brian, aprendo la porta e uscendo finalmente in strada, liberi dall’odore opprimente di patatine fritte. “La prossima volta il film lo scelgo io.”

Gus fece una smorfia, offrendo la mano libera a suo padre. “Ma i film che vedi tu sono tutti vecchi!”

Justin scoppiò a ridere. “Non sono vecchi!” Fece Brian offeso. “Sono classici! Oddio, le lesbiche ti rovineranno, lo so!”

“Papà, guarda lì!” Gus si staccò da loro e corse verso il poster gigante appeso alla fermata dell’autobus. “Che bello!”

Brian emise un gemito di fronte al decimo manifesto che pubblicizzava il film di Harry Potter. “Questo ragazzino occhialuto mi perseguita…”

Justin ridacchiò, passandogli il braccio attorno ai fianchi. “Dì la verità… ti è piaciuto da matti.”

Brian sbuffò annoiato. “Spero tu stia scherzando. Per un attimo mi aveva quasi coinvolto…” Lanciò un’occhiata di sbieco a Justin. “Hai notato che scintille tra il quattrocchi e il tipo coi capelli biondi?”

Il ragazzo aggrottò la fronte. “Quale tipo biondo?”

“Quello che aveva l’aria da uno che aveva appena visto Mel sotto la doccia.” Spalancò gli occhi in una smorfia terrorizzata. “Hai capito, no?”

“Non penserai mica a…” Justin si bloccò in mezzo alla strada e spalancò la bocca. “Brian, quello è Malfoy!” Lo schiaffeggiò sulla spalla. “È il nemico giurato di Harry Potter! Come puoi solo aver pensato che…”

“Hanno chimica, inutile negarlo.”

“Questo lo pensi tu…”

“Sì e mezzo mondo virtuale.” Justin lo guardò confuso. Brian roteò gli occhi scocciato, sapendo di essersi scoperto. “Ok, quando ho capito che non sarei sfuggito a questa tortura del cinema mi sono informato su internet…”

Justin cercò di non sorridere. “Cioè hai passato la mattina a leggere articoli sul maghetto più famoso del mondo invece di lavorare…”

“No, ho solo fatto qualche ricerca.”

Justin lo spintonò piano. “Confessa. Quante fanfiction hai letto su Draco e Harry?”

“Neanche uno, piccolo stronzo. Per chi mi hai preso? Ho di meglio da fare io!”

“Oh si, come no… Hai visto quelle a rating rosso?”

“Justin, chiudi il becco…” Gli intimò, senza però riuscire a trattenere un sorriso.

“L’hai fatto! Oddio, sono senza parole!” Justin si strinse di più a lui. “Allora ti è piaciuto davvero! Altrimenti non ti saresti mai lasciato convincere a venire!”

“Ok, questa conversazione sta prendendo una piega che non mi piace per niente…”

“Papà!” Gus lo chiamò mentre si fermava per la quinta volta davanti ad una delle locandine del suo eroe. “Domani torniamo al cinema a prenderne una?” Sorrise a suo padre. “Così la metto in camera!”

Brian sospirò afflitto. “Non credo che le mamme sarebbero contente.”

Gus continuò a parlare del film lungo tutto il tragitto verso il loft, coinvolgendo anche un assolutamente entusiasta Justin, per l’immensa felicità di Brian. Fu con un sospiro sollevato che, dieci minuti più tardi, i tre raggiunsero il portone di casa.

“Finalmente…” Borbottò Brian aprendo la porta. “Casa dolce casa.”

Gus si liberò al volo del giubbino, gettandolo sul divano, e corse rapido verso la camera, iniziando a saltellare sul letto.

“Gus…” Lo richiamò suo padre, mentre lui e Justin si sfilavano i cappotti e si avviavano verso la cucina. “Guarda che ho solo quello di letto. Se lo rompi, stanotte dormiamo per terra.”

Gus rise, saltellando più forte. “L’ultimo!” Gridò allegro, facendo sorridere Brian. “Promesso!”

Justin si avvicinò a Brian, circondandogli i fianchi. “Ancora non ti ho ringraziato per essere venuto stasera.”

“Non è che avessi molta scelta.” Gli baciò il naso. “Tu e Gus sapete essere molto convincenti.”

“Dì la verità: non sai resisterci.” Si alzò sulle punte e gli mordicchiò il mento. “Siamo la tua rovina, signor Kinney.”

“Puoi dirlo forte, Sunshine.” Ammise Brian con un sorriso rassegnato. Si chinò su di lui e gli accarezzò le labbra con la lingua, prima di baciarlo. Gli passò un braccio dietro la nuca e lo avvicinò di più a sé, continuando a divorarlo avidamente.

Parecchi minuti dopo, Justin si staccò boccheggiando. “Qualcuno stasera è affamato…” Lo stuzzicò.

Brian annuì, baciandolo a fior di labbra. “Dopo essermi sorbito due ore e mezza di film per bambini, il minimo che tu possa fare è pagare pegno.”

“Non…” Justin gli pizzicò un braccio offeso. “Non è un film per bambini! Ehi, Gus!” Il bambino affacciò la testa dalla camera da letto. “Papà dice che Harry Potter lo guardano solo i bambini!”

“Papà!” Gus scese le scale con aria imbronciata. “Non è vero!” Corse verso suo padre e gli fece una linguaccia.

Brian inarcò scherzosamente un sopracciglio. “E quello cosa sarebbe?”

Gus tentò di non sorridere. “Sei troppo vecchio per saperlo.” Lo prese in giro facendo scoppiare a ridere Justin.

“Come osi, ragazzino? Dare del vecchio a tuo padre?” Brian prese ad avvicinarsi a lui con passo lento; Gus, furbo almeno quanto suo padre, capì al volo le sue intenzioni e iniziò a scappare verso il divano.

“Fermo!” Gli gridò Brian provando – invano – a sembrare minaccioso. “Te lo faccio vedere io, il vecchio!”

Il bambino fece il giro del salotto prima di correre a nascondersi dietro le gambe di Justin, che rise divertito. “Aiuto, Justin!”

“Vieni qui!” Continuò Brian arrivando dal suo compagno e intrappolandolo tra le braccia, cercando di afferrare suo figlio.

“Non mi puoi prendere qui!” Lo riprese il bambino. “Justin è la tana!”

Brian inarcò un sopracciglio, spostandosi da un lato e afferrando finalmente Gus per la vita e caricandoselo su una spalla. “Non esiste tana qui dentro! Posso prenderti quando mi pare! E nemmeno Justin può aiutarti!”

“Aiuto!” Il bambino scalciò, facendo quasi fatica a parlare per le troppe risate. “Justin!”

Il ragazzo corse immediatamente da lui e prese le mani che Gus gli porgeva, tirandolo verso di lui, senza però che Brian mollasse la presa sulle sue gambe, finendo così per essere intrecciati l’uno all’altro. Justin lasciò una mano di Gus e la passò attorno alla vita di Brian, poggiando il mento contro la sua schiena. “Allora? Chi è il vecchio adesso?” Fece Brian ridendo e facendo il solletico al bambino.

Justin gli baciò teneramente una spalla e si avvicinò al viso di Gus. “Poverino… È ancora convinto di essere il più forte di tutti.” Gus fu scosso di nuovo dalle risate.

Il telefono suonò un attimo prima che Brian ribattesse. Con la mano libera e senza mollare la presa sulla vita di suo figlio, si accucciò per prendere il cordless. “Pronto?” Lanciò un’occhiata divertita a Gus. “Sì, mamma, stiamo tutti bene. Anche se forse Gus non tornerà a casa domani.”

“Mamma, aiuto!” Gridò il bambino. “Papà mi ha catturato!”

“Aspetta, Linz…” Brian baciò i capelli di suo figlio e mollò appena la presa. “Ce l’hai?” Chiese a Justin.

Il ragazzo annuì. “Preso, puoi mollare.” Gus scivolò dalle spalle di suo padre alle braccia di Justin, rifugiandosi nel suo abbraccio. “Finalmente libero.” Gli sussurrò all’orecchio.

Gus gli sorrise radioso. “Torniamo a saltare sul letto?”

“Gus…” Justin lo guardò di sbieco. “E se poi si rompe dove dormiamo?”

Il bambino spalancò gli occhi sorpreso. “Rimani a dormire con noi?”

Justin annuì. “Se vuoi…”

“Sìììììì! Mamma!” Gridò a Linz dall’altro capo del telefono. “Dormo con papà e Justin!”

Brian alzò gli occhi al cielo. “Gus, se continui così sveglierai tutto il palazzo.”

“Vieni, Justin!” Il bambino corse entusiasta verso la camera da letto, precedendo Justin. “Guarda, papà dorme qui.” E indicò il posto di Brian con un sorriso. “Io di solito dormo da questo lato, ma visto che stasera ci sei anche tu, posso mettermi in mezzo!”

Justin si sedette sul letto e gli scompigliò i capelli. “Sarebbe grandioso, Gus…”

Il bambino si sfilò le scarpe e si sdraiò al centro del materasso. “Facciamo come quando sono a casa e dormo con mamma e mami nel lettone.” Justin si distese accanto a lui, nel posto che ormai gli apparteneva da sette anni. “E possiamo fare anche i dispetti a papà…” Sussurrò con fare cospiratore, facendo scoppiare a ridere Justin.

Venti minuti più tardi, quando Brian salutò finalmente Lindsay e salì in camera, non poté fare a meno di sorridere come un ebete, guardando le due sagome rannicchiate sul suo letto. Justin stava sdraiato per metà, un foglio bianco steso sulle ginocchia, mentre suo figlio, la testa appoggiata contro il braccio di Justin, guardava rapito ciò che il ragazzo disegnava.

“Che bello…” Sussurrò il bambino incantato. “Sei bravo…”

Justin abbozzò un sorriso, lo sguardo sempre puntato sul disegno. “Me la cavo…” Strinse gli occhi in un’espressione di dolore e ritirò immediatamente la mano. La matita scivolò sulle lenzuola scure. “Tempo scaduto, Gus.” Guardò il bambino dispiaciuto. “Lo finiremo domani, ok?”

Brian si avvicinò immediatamente a loro, sedendosi accanto alle gambe di Justin e prendendo tra le sue la mano sofferente.

“Papà?” Lo chiamò Gus. “Lo sapevi che hanno fatto un incantesimo alla mano di Justin?” Brian lo guardò con un mezzo sorriso. Il bambino annuì convinto. “Sì, può disegnare benissimo tutto quello che vuoi, però solo per poco tempo.” Sfiorò il disegno incompiuto di Harry Potter. “Come la magia della fata di Cenerentola. Solo fino a mezzanotte, poi la carrozza torna una zucca.”

Brian annuì appena, cercando di sorridere. “Proprio una bella magia…” Sussurrò amareggiato. Guardò di nuovo il bambino. “Ehi, campione, perché non ti infili il pigiama e ti lavi i denti?” Gli sorrise. “Mamma mi ha raccomandato di farti andare a letto presto.”

Gus annuì incerto. Si alzò dal letto e si infilò in bagno.

Brian riportò lo sguardo sulla mano di Justin e prese a massaggiarla vigorosamente, come aveva imparato a fare nei mesi subito dopo l’aggressione. “Meglio?” Chiese con una nota di ansia nella voce.

Justin portò la mano libera tra i suoi capelli scuri. “Sto bene, tranquillo.” Sorrise sereno. “È solo qualche crampo.”

“Già.” Brian si umettò il labbro. “E come mai ti sono venuti? Non devi esagerare, lo sai.”

“Brian, ho solo fatto qualche scarabocchio per Gus.”

L’uomo rimase in silenzio a massaggiare il palmo. “Come ti è venuta l’idea dell’incantesimo?” Domandò con un sorriso.

Justin lo imitò. “Volevo spiegargli perché non riesco a tenere in mano una matita e la storia della magia mi sembrava più appropriata di un rifiuto umano mi ha spaccato la testa con una mazza da baseball facendomi diventare difettoso.” Avvertì le dita di Brian stringersi convulsamente sulle sue. “Scusa.” Soffiò dispiaciuto, chiudendo gli occhi. “Non volevo turbarti.”

“Tu non sei difettoso.” Ribatté solo Brian, i suoi occhi verdi ancora puntati sulle loro mani intrecciate. “Non lo eri prima dell’aggressione e di sicuro non lo sei diventato dopo.”

Justin si sporse verso di lui e gli baciò i capelli. “Non si può essere difettosi se si ha accanto a sé la perfezione, no?”

Brian sbuffò sorridendo. “Credo proprio di no.” Avvicinò la mano di Justin al suo viso e gli baciò le nocche, una ad una, prima di passare al palmo e poi al dorso.

Justin scivolò leggermente verso di lui e lo baciò di nuovo, stavolta su una guancia. “Mi piace quando lo fai.” Sorrise contro il suo viso. “Mi fa ripensare a quando vivevo qui con te e, ogni volta che la mia mano faceva i capricci, tu la massaggiavi e la baciavi.” Alzò lo sguardo per perdersi negli occhi dell’uomo che amava. “Proprio come adesso.”

Brian premette la lingua contro l’interno della guancia. “Non sai che i miei baci hanno poteri curativi?”

“Oh, ma davvero?” Justin gli sorrise malizioso.

“Assolutamente.” Gli baciò piano una guancia e poi il naso.

“Mh, io non sono convinto…” Lo stuzzicò.

“Davvero?” Brian gli posò una mano sul petto e lo spinse verso il materasso, sdraiandosi sopra di lui. “Allora bisogna convincerti.”

Justin ridacchiò e annuì. “Al momento mi fa molto male la lingua, pensi di poterla guarire, oh grande mago?”

Brian gli sfiorò la bocca con la sua. “Credo che possiamo lavorarci.”

“Bene.” Sussurrò Justin, afferrandolo per la maglia e insinuando la lingua tra le sue labbra. Mugolò di piacere quando lo sentì sospirare e avvertì le sue mani farsi strada sotto il maglione. “Brian…”

“Tu non hai idea di quanto mi sia mancato tutto questo…” Sussurrò l’uomo, staccandosi brevemente da lui e avventandosi poi sul collo pallido.

Justin s’inarcò contro di lui, strusciando il bacino contro il suo, carico di desiderio. “Tu dici?”

“Oh, Sunshine, fidati di me…”

Il rumore dell’acqua che cessava di scorrere nella stanza accanto li fece sospirare piano: con un sospiro frustrato, Brian abbandonò il viso contro il collo di Justin che gli accarezzò i capelli. “Stasera forse non è il caso.”

“Sì, dillo a lui…” Borbottò Brian, premendo la sua erezione contro quella di Justin che trattenne il fiato.

“Papà?” Gus guardò stranito suo padre. Inclinò la testa da un lato. “Ma ti sei addormentato?”

Justin gli schiaffeggiò il sedere. “No, Gus, ma lo sai come sono questi uomini anziani.” Brian gli pizzicò un fianco, mentre il bambino saliva sul materasso e si sdraiava di nuovo accanto a Justin. Brian alzò il viso e rotolò dal suo lato, attento ad evitare il bambino tra di loro.

“Passato l’incantesimo?” Chiese Gus premuroso, sfiorando la mano di Justin.

Il ragazzo gli sorrise. “Tutto bene, basta solo farla riposare.” Lanciò un’occhiata piena di gratitudine a Brian. “Papà mi aiuta quando mi fa troppo male, sai?”
Gus guardò stupito suo padre. “Davvero?” Gli baciò una guancia. “Ma allora è un mago anche lui!”

I due uomini risero divertiti. “Ci puoi giurare, campione.” Brian gli accarezzò la testa. “E ti assicuro che sono un mago mille volte meglio di Harry Potter!”


 

 

E finalmente il capitolo 12! Allora che dire? Ho amato alla follia scrivere tutta la scena iniziale (che poi è arrivata a metà capitolo, lo so!) perché mi piace scrivere avendo a disposizione tutti i miei tesori! Amo le scene corali ed è una delle cose che più mi mancano di QaF!

Abbiamo anche cominciato a vedere le prime crepe tra Ben e Michael e il fatto che Ben abbia mentito non aiuta suo marito a stare tranquillo: spero non abbiate trovato Michael OOC nella sua reazione al parco, però giuro che ho cercato di attenermi il più possibile al personaggio del telefilm. E tutti sappiamo quanto Michael possa avere delle reazioni un po’… incontrollate quando ha paura di perdere le persone che ama. Però sarei felice di sapere se avete delle critiche al riguardo.

Abbiamo conosciuto anche un po’ più John e prometto che ne avremmo un altro assaggio nei prossimi capitoli.

La scena tra Justin e Daphne non era prevista, ma questi due meravigliosi personaggi hanno voluto avere un momento tutto per loro ed era anche ora: mi sembrava finalmente ora che qualcuno chiedesse al povero Sunshine di valutare l’idea di restare e chi meglio della sua migliore amica che sente tanto la sua mancanza? In fondo, non è stata proprio Daph la prima fan dei nostri Britin?

E poi… ah! La scena del cinema! O meglio del dopo cinema! Ok, adesso non voglio sentirvi dire che HP è una cosa per bambini (come dice Brian) perché potrei rompere qualcosa! In realtà tutte le critiche fatte da lui sono le critiche che mi capita di sentire ogni volta che confesso di essere una fan della saga… che nervoso! In realtà mi sono divertita molto a “criticare” HP attraverso le battute caustiche di Brina, ma vi giuro che odio, odio, ODIO quando sento definire i libri della mitica Rowling letteratura per bambini! Ma quando mai?! E poi sono sempre persone che non hanno mai nemmeno letto un rigo di questa fantastica saga!

Ok scusate, mi ricompongo… Vi è piaciuta la scena Justin/Gus? Che ne pensate della loro interazione? Sappiate che ho intenzione di farli divertire ancora un po’ prima del ritorno a Toronto, quindi siete avvisate! :D

Bene, mi pare di aver sproloquiato anche troppo… Solo due cose:

1) Il capitolo del matrimonio del secolo è tutto scritto ed è già nella mani della mia adorata 13_forever, quindi arriverà al più presto;

2) In questi giorni mi sono divertita da matti a cercare foto per i miei nuovi personaggi ed ho già trovato le mie Molly, Lane e Vanessa, ma sarei prontissima ad accogliere qualunque vostro suggerimento per Steve e John dato che non riesco proprio!

Bene, adesso è davvero tutto (ma sono davvero le 3? O_O) ed è proprio ora che vada a nanna! Buona lettura e aspetto con ansia le vostre sempre troppo buone recensioni! Un bacio a tutte!

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Capitolo 13
*** The Wedding ***


Chiedo umilmente perdono in anticipo!! Premetto che la colpa non è mia, ma del pc che ha deciso di fondersi all'improvviso con già metà del capitolo 14 scritto e il 13 completo! Ragion per cui ho dovuto ricominciare da capo! Ora che finalmente è tornato a casa, giuro che non vi farò più aspettare così tanto... almeno lo spero. Mi dispiace dirvi che questo capitolo non mi convince proprio, ma non sapevo davvero come migliorarlo. Vi prego soltanto di essere clementi!
 


13. The Wedding

 
 
 




 
 

Emmett spuntò soddisfatto la voce rinfresco dalla sua ormai celeberrima e temutissima lista e salì con passo lento al piano superiore. Ora toccava alla parte abiti; prese un bel respiro per farsi coraggio e bussò alla prima porta.
“Avanti.” Gli rispose una voce femminile all’interno.
Sgranò gli occhi sorpreso quando vide Daphne e Molly, splendide nei loro vestiti scarlatti. “Oh, credevo che ci fossero i piccioncini.”
Molly rise, scuotendo la testa. “Scambio di stanze: abbiamo lasciato a loro la suite luna di miele.”
Emmett sorrise. “L’avete arredata?”
Daphne annuì. “Tutto secondo i piani. Brian e Justin non hanno avuto pace ultimamente.” Si sistemò meglio l’ombretto dell’occhio destro. “Con qualche tranello, hanno praticamente arredato loro questa casa.”
“Complimenti.” Emmett si avvicinò loro e le baciò sulle guance. “Sapevo di poter contare su di voi.” Si avviò verso la porta. “E comunque, siete bellissime.”
Uscì dalla stanza e si avviò lungo il corridoio, invaso dalla luce di uno splendido sole primaverile, arrivando all’ultima porta in fondo. Bussò, psicologicamente preparato al peggio. “Ragazzi, posso? Siete presentabili?” Sbuffò scettico. “Ok, riformulo la domanda: siete almeno vestiti?” Attese un paio di minuti, mentre all’interno sentiva bisbigli e fruscii, poi abbassò la maniglia. Scosse la testa rassegnato quando si trovò davanti i suoi amici: Brian con la camicia completamente aperta e l’addome in bella vista e Justin coi pantaloni sbottonati e i capelli sconvolti. “Non volevo interrompere la preparazione…”
“E allora perché cazzo sei venuto?” Lo rimbrottò Brian, abbottonandosi la camicia bianca.
“Volevo avvertirvi che le damigelle sono pronte e anche lo sposo, quindi vedete di muovervi.” Si voltò con un sorriso dolce verso Brian. “E tu.” Brian inarcò scocciato un sopracciglio. “Prova a mettermi in imbarazzo o a fare qualcuna delle tue cazzate, e ti giuro che te lo taglio con la spatola da dolce.” Justin sgranò gli occhi provando a non ridere davanti all’espressione sconvolta del suo compagno. “Ci vediamo più tardi.” Disse sorridendo a Justin ed uscì di nuovo dalla stanza, in direzione della camera della sposa.
“Jen?” Chiese piano, dopo aver bussato delicatamente. “Posso?”
Jennifer gli aprì con un sorriso radioso sulle labbra. “Em, vieni.”
“Oddio, tesoro, sei splendida!” L’uomo l’abbracciò di slancio, facendo attenzione a non rovinare il morbido chignon in cui aveva raccolto i capelli chiari.
“Credi sia normale essere così agitati?” Si fece aria con una mano. “Non è nemmeno la prima volta!”
“Sì…” Emmett le posò le mani sulle spalle. “… ma speriamo che sia l’ultima!”
Jennifer scoppiò a ridere e lo abbracciò. “Grazie di tutto, Em. Non so davvero come avrei fatto senza di te.”
“Sciocchezze! E io mi sarei offeso a morte se non avessi chiesto il mio aiuto.”
“Di sotto come va?”
Emmett le mostrò la sua cartellina. “Tutto alla perfezione.” Scorse la lista velocemente. “Tuck è già in giardino con Carl e Debbie, in cucina è praticamente tutto pronto e John dice che non è mai stato così fiero delle sue creazioni…”
“Che Dio lo benedica…” Jen alzò gli occhi al cielo.
“E… oh! Ho visto le tue damigelle!” Si portò le mani al petto quasi commosso. “Sono splen-di-de!”
Jen annuì. “Non vedo l’ora di vederle. E il mio accompagnatore?”
Emmett sbuffò contrariato. “Si sta vestendo.”
“Bene.”
“Ma lo sta aiutando Brian.”
Jen sospirò. “Ce la faranno a prepararsi per oggi?”
“Non preoccuparti.” Emmett le sorrise. “Ho già avvertito Brian di comportarsi bene.”
“Speriamo…”
Un leggero bussare interruppe la conversazione e la sposa ringraziò mentalmente il cielo quando il suo primogenito varcò la soglia vestito di tutto punto; Brian lo seguì con un sorriso, lanciando una strana occhiata risentita ad Emmett che Jennifer non comprese.
“Mamma, sei bellissima!” Justin l’abbracciò forte.
“Anche tu, tesoro.” Guardò l’uomo dietro di loro. “Anche voi.”
Emmett le sfiorò una spalla. “Jen, io vado intanto. Ci vediamo di sotto.”
“Aspetta, vengo anch’io.” Brian abbracciò brevemente Jennifer. “Justin ha ragione, sei bellissima.”
Baciò Justin a fior di labbra e gli accarezzò una guancia. “Ti aspetto giù.”
“Ok.” Il ragazzo gli sorrise brevemente.
Emmett e Brian uscirono dalla stanza, e Jen e Justin li sentirono battibeccare fino alla fine del corridoio.
“Beh, una cosa è certa.” Jen guardò orgogliosa suo figlio. “Non potrò mai essere bella quanto il mio bambino.”
Justin si strinse nelle spalle con un sorriso vanitoso. “In parte è anche merito tuo, no?”
Jennifer gli pizzicò il naso come era solita fare quando Justin era piccolo. “La vicinanza di Brian ti fa male.” Gli accarezzò amorevole una guancia. “Sono contenta che sia qui con te.”
Justin sospirò. “Anche io, non sai quanto.”
Jen lo strinse forte a sé. “Dio, ti ha sempre reso così felice…”
“Guarda che non sono io che mi sposo!” La prese in giro. “Sono io che dovrei fare certi discorsi.”
Jennifer rise contro la sua spalla. “Lo so, tesoro, ma…
“Ehi, pronti per la nostra grande entrata?” La testolina rossa di Molly si affacciò dalla porta. Guardò i due ancora abbracciati e sorrise. “Mami?”
Jennifer la guardò con un sorriso. “Molly, puoi dire a Daphne di aspettarti sotto? Vorrei parlare con voi un istante.”
Molly parlottò con Daphne dietro di lei ed entrò nella stanza; Jen si sedette sul letto con i suoi figli e prese loro le mani. “Prima di tutto voglio ringraziarvi.”
“Per cosa?” Molly la guardò con un sorriso.
“Perché mi avete permesso di vivere questo giorno.”
Justin le strinse la mano. “Non te lo avremmo mai impedito, lo sai.”
Jen annuì. “Ma il fatto che non siate solo qui, ma che mi abbiate appoggiato fin dal primo momento, per me è molto importante.”
“Sei la nostra mamma.” Molly si morse un labbro. “Vogliamo solo che tu viva la tua vita liberamente.”
“E che tu sia felice.”
“E lo sono.” Fece una pausa. “E non perché sto sposando un uomo meraviglioso che mi ama, perché la mia splendida famiglia è qui o perché questo matrimonio è perfetto, ma perché voi siete al mio fianco.” Li baciò entrambi sulla fronte. “I miei meravigliosi bambini che ogni giorno mi rendono una madre orgogliosa.”
Justin l’abbracciò, mentre Molly posava la testa sulla spalla di suo fratello. “Ti vogliamo bene, mamma.”
Jennifer tirò su col naso. “Anche io, ragazzi.”
Molly si allontanò appena da Justin e le prese la mano. “Adesso basta però. Ricordati che non puoi assolutamente piangere, altrimenti si scioglie il trucco e Emmett ci uccide.”
Justin ridacchiò. “Per non parlare di Tuck che scapperebbe a gambe levate!”
Jennifer li guardò male, provando a sembrare arrabbiata. “Ok, fuori di qui. Tutti e due.”
Molly si alzò ridacchiando. Justin scosse la testa. “Puoi cacciare Molly, ma non me.” Jen lo guardò confusa. “Devo scortarti all’altare, ricordi?”
 
 
 
 
 
Jen si schiarì la gola e inspirò a fondo un paio di volte. “Credo di avere un attacco di panico.”
“Mamma, fattelo passare perché…” Sobbalzarono quando udirono le prime note della marcia nuziale. “… si entra in scena!” Justin porse il braccio a sua madre e le rivolse uno di quei sorrisi che la donna amava tanto, che riuscivano a far sparire tutto il resto.
A passi lenti, scesero i gradini del portico e, mentre la musica si faceva più forte, si avviarono sicuri e sorridenti lungo la navata, sistemata per l’occasione nel grande giardino. “Wow… è la prima volta che mi capita una cosa del genere…” Le sussurrò Justin facendola ridere sommessamente. Rafforzò la presa sul suo braccio. “E scommetto che non sarà l’ultima, tesoro.”
Justin rallentò appena il passo, ma non disse nulla; abbozzò solo un sorriso guardando Brian, in piedi in prima fila, così bello nel suo smoking scuro da fargli quasi male. “Oggi però è il tuo giorno.” Jen gli accarezzò la mano.
Camminarono lungo la navata fino ad arrivare dinanzi a Tuck, che guardava la sua futura moglie con sguardo innamorato; Justin sorrise, realizzando in quel momento di trovarsi davanti l’unica persona al mondo che avrebbe amato sua madre tanto quanto lui e Molly. Le lasciò dolcemente il braccio e le sorrise brevemente fermandosi ai piedi dell’altare. “Ti voglio bene.” Sussurrò, guadagnandosi un abbraccio e un bacio affettuoso. Fece un cenno del capo verso Tuck che annuì grato; poi, dopo un ultimo sguardo a sua madre, si voltò e si diresse verso il posto vuoto accanto a Brian.
Si sedette mentre il ministro iniziava a parlare. “Tutto ok?” Gli chiese Brian intrecciando le loro mani. Justin rafforzò la presa e annuì. “Tutto ok.” Brian gli sorrise, prima di tornare a guardare gli sposi.
“Ci pensi che due anni fa potevamo essere noi?” Domandò Justin dopo qualche minuto di silenzio, lo sguardo fisso sugli sposi, quasi timoroso di quello che avrebbe visto negli occhi dell’uomo al suo fianco. Rimpianto, tristezza… o magari sollievo?
“Bè, fortuna che me la sono cavata, rimanendo così uno splendido single.” Come a contraddire le sue parole, Brian strinse di più la mano di Justin, accarezzandogli il palmo col pollice.
Justin sorrise senza guardarlo. “Sì, eh?”
Brian si strinse nelle spalle, sollevando un angolo della bocca. “Mi dispiace, Sunshine, hai avuto la tua chance per accalappiarmi… ora è passata…”
Justin posò la testa contro la sua spalla e percepì il suo braccio stringerlo per le spalle. “Chi lo sa? Magari potrei cambiare idea e…”
“Volete chiudere quelle cazzo di bocche?” Soffiò irritata Debbie alle loro spalle. “Guardate che vi separo!”
Emmett si sporse in avanti per arrivare alle loro orecchie. “Non si sente niente con voi due che borbottate!” Si lamentò con voce roca, gli occhi già pieni di lacrime.
Brian si voltò sconcertato verso di lui e alzò gli occhi al cielo. “Perché cazzo stai piangendo? Non hanno nemmeno iniziato!”
“Ma la volete finire?!” Li richiamò Mel seduta accanto a Debbie.
Linz scosse la testa. “C’è gente che vorrebbe sentire.” Sibilò.
“Shhh!” Ben guardò male i suoi amici.
Suo marito si sporse sopra di lui. “Mamma! Volete chiudere il becco?”
“Ma se non ho detto niente!” Carl le strinse una mano per tranquillizzarla. “E poi come osi rivolgerti a me con quel…”
”Ma che succede?” Chiese Ted.
Emmett si asciugò le lacrime. “I due assatanati…” Disse commosso.
Ted scosse la testa. “Tzè, come al solito…”
“Noi non abbiamo fatto niente!” Si risentì Justin, voltandosi a fulminare tutti con un’occhiataccia. “Siete voi che…”
Ehmscusate…” Tutto il gruppo arrossì imbarazzato quando udirono il ministro schiarirsi la gola, guardandoli severo. “Vi stiamo disturbando?”
Justin si coprì il viso con la mano libera. “No, tranquillo.” Brian gli sorrise rassicurante. “Non ci disturba affatto, continui pure.” Fece con nonchalance, beccandosi una gomitata da parte di Justin.
Daphne e Molly, così come gli sposi, soffocarono una risata davanti alle facce scioccate dell’officiante e di tutti gli invitati. L’anziano uomo scoccò un’ultima occhiata di rimprovero alle prime due file e riprese a parlare.
Debbie scivolò in avanti verso Justin e Brian. “Un’altra parola e ve la vedrete con me…”
Brian sbuffò per nulla intimorito, tornando a guardare Jen e Tuck, le dita ancora saldamente intrecciate a quelle del ragazzo accanto a lui.
“Jennifer, Tucker, prendetevi la mano destra.” L’uomo guardò gli sposi con aria seria. “Siete dunque decisi ad unirvi in matrimonio quest’oggi, di fronte alle vostre famiglie e a tutti i vostri amici?”
“Lo siamo.” Risposero all’unisono. Justin sorrise, sentendo Emmett alle sue spalle tirare su col naso.
“Bene.” Prese un respiro profondo. “Tucker, vuoi tu prendere Jennifer come tua sposa, promettendo di esserle fedele sempre, nella gioia e nel dolore, in ricchezza e in povertà, in salute e in malattia e di amarla e onorarla tutti i giorni della tua vita, finché morte non vi separi?”
Justin chiuse gli occhi e sospirò piano, mentre udiva le parole di conferma di Tuck. Il ministro pose la stessa domanda a sua madre che rispose decisa. “Lo voglio.”
Strinse forte le dita di Brian che, con la mano libera, gli sfiorò il braccio, entrambi consapevoli di stare avendo lo stesso, identico, amaro pensiero.
E se ci fossimo stati noi…?
Gus e Jenny Rebecca arrivarono dal fondo della navata, gli anelli deposti su un cuscinetto candido nelle mani della più piccola, tenuta per mano da suo fratello.
Jennifer accarezzò i capelli di entrambi prima di sfilare gli anelli e porgerne uno a Tuck.
Dieci minuti più tardi, Jennifer Taylor era di nuovo una donna sposata.
 
 
 
 
 
Il pranzo andò bene, per l’infinità felicità del suo organizzatore: nessun avvelenamento, nessuna rissa, nessuna scena vietata ai minori – oltre all’avvertimento di Emmett, Brian e Justin erano stati minacciati anche dal resto della famiglia –, nessuna lamentela da nessuno degli invitati. Tutto incredibilmente perfetto.
A cerimonia conclusa, gli sposi erano stati investiti da una pioggia di riso come da tradizione e poi avevano preceduto tutti i presenti al banchetto: avevano brindato, avevano ringraziato e poi finalmente si erano seduti. I tavoli circolari erano stati disposti, grazie anche alle favorevoli condizioni meteorologiche, in giardino, tutt’intorno alla grande piscina; gli invitati di Jen erano stati divisi: da una parte le vecchie amiche – Justin scorse terrorizzato Serena – e le colleghe, dall’altra la famiglia. Con grande felicità dei due Taylor, zia Rose si era esiliata dall’altro lato del tavolo – soprattutto dopo che Justin, alla domanda se Brian fosse un amico dello sposo, aveva candidamente risposto “No, zia, è l'uomo che mi scopa da sette anni.”, facendo scoppiare a ridere il diretto interessato e Molly.
“Quindi adesso che si fa?” Chiese annoiata Molly a suo fratello dieci minuti dopo il taglio della torta. Lorraine, seduta alla destra di Brian, si sporse sul tavolo e le sorrise. “Adesso, tesoro, i testimoni o chi per loro dovrebbero tenere un breve discorso e poi si passerà al primo ballo.”
“Evviva…” Borbottò sarcastico Justin, sapendo già cosa lo attendeva.
Nessuno ebbe il tempo di ribattere che un tizio tarchiato coi capelli scuri, seduto dalla parte dei parenti di Tuck si alzò in piedi, attirando l’attenzione dei presenti. “Vi ruberò solo un istante…” Guardò con un sorriso verso il tavolo degli sposi. “Tuck, cugino.” Tuck ricambiò il sorriso. “Siamo cresciuti insieme, abbiamo giocato per anni nel vecchio fienile di nonna, e abbiamo rubato il furgone di zio Jesse almeno una dozzina di volte, rischiando quasi di non arrivare alla maggiore età, soprattutto a causa delle minacce di morte della zia…” Tutti risero. “Quindi posso dire di essere una delle persone che ti conosce meglio al mondo e oggi per la prima volta dopo tanto tempo ti vedo felice.” Fece un cenno del capo verso Jen. “Merito, sono sicuro, della meravigliosa donna al tuo fianco. Non posso dire altro se non congratulazioni. Vi auguro tutta la felicità del mondo, ve la meritate tutta.” Alzò il calice al cielo. “A Tuck e Jennifer!”
“A Tuck e Jennifer!” Ripeterono tutti in coro.
“Che originalità…” Borbottò Molly, posando il bicchiere sul tavolo. “Ci mancava solo che ricordasse le scorpacciate di crostata alle fragole di zia Martha ed eravamo a posto!”
Justin guardò male sua sorella. “Chi cazzo è zia Martha?”
“Ogni famiglia ha una zia che si chiama Martha.” Osservò ovvia la ragazza.
“Cazzate…” Si voltò verso Brian. “Brian, tu hai una zia che si chiama Martha?”
Brian trangugiò il secondo bicchiere di champagne e annuì. “Tutti hanno una zia che si chiama Martha, Sunshine. E solitamente è quella che fa le crostate.”
Molly sorrise a suo fratello, stringendosi nelle spalle. “Visto?”
Justin scosse la testa, alzandosi in piedi. “Ricordatemi di non farvi mai più mettere vicino.” Porse la mano a sua sorella. “Vogliamo dire qualcosa anche noi?” Molly scattò in piedi.
“E vi prego, fate che sia qualcosa di più originale di tutte le banalità dette da quell’idiota!” Sussurrò loro Brian mentre si allontanavano.
“Vedi che non sono l’unica che…”
Justin ignorò sua sorella e si schiarì la gola, facendo di nuovo scendere il silenzio nel giardino. “Vorrei dire anche io due parole.” Guardò sua madre e Tuck col suo solito sorriso radioso. “Tuck, inutile fingere: all’inizio non ci piacevi molto.” Molly si schiarì rumorosamente la gola. Justin roteò gli occhi. “Ok, ok, non mi piacevi. Per niente.” Tutti risero. “Sapevo che nessun uomo sarebbe mai stato alla sua altezza, nessuno avrebbe mai potuto meritarla.”
“La verità…” S’intromise Molly con un sorriso verso gli sposi “…è che avevi messo in discussione il ruolo di uomo alfa in casa nostra. E il signorino era geloso marcio.” Gli invitati scoppiarono in una fragorosa risata, coinvolgendo anche il povero Justin. “Per fortuna, si sa che noi donne siamo più intelligenti…” Un leggero coro di buuuu si alzò dal tavolo in cui sedevano Brian, Michael e gli altri, mentre Mel, Linz, Debbie e Lane battevano le mani in segno d’incitamento. Molly sorrise alle ragazze e continuò. “… e diciamo che, grazie alla mia intercessione…” Stavolta fu il turno di Justin di schiarirsi la gola “…ma soprattutto all’incredibile intelligenza di mio fratello…” Molly gli lanciò uno sguardo alla va bene così, signor Incontentabile? “… siamo riusciti a non ammazzarci a vicenda.”
“Per la felicità di mia madre” riprese Justin con un sorriso “ti ho concesso un breve periodo di prova. Una specie di rodaggio, per capire se potevi stare accanto alla donna più importante delle nostre vite.”
Sua sorella prese di nuovo il calice e lo alzò. “Sorridi Tuck, perché siamo lieti di annunciarvi che il periodo è finito!” Tutti la imitarono. “Benvenuto in famiglia, finalmente!”
Tutti bevvero di nuovo prima di riportare immediatamente lo sguardo sugli sposi che si erano alzati dai loro posti. Tuck condusse Jennifer al centro della pista da ballo, situata in mezzo ai tavoli, mentre una musica romantica iniziava a spandersi per l’affollato giardino. Quando presero a ballare, Justin passò un braccio attorno alle spalle di sua sorella che gli baciò una guancia. “Bel discorso, Molly Pocket.”
Molly sorrise, lo sguardo ancora fisso su sua madre, raggiante nelle braccia dell’uomo che amava. “Abbiamo sempre avuto degli ottimi tempi comici, io e te.”
“Sì, siamo sempre dei gran buffoni.” Justin scosse la testa con un sorriso. “Ti ricordi le feste a casa di nonna?”
Molly ridacchiò. “Papà non lo sopportava.”
“Papà non hai mai sopportato tante cose.” Justin sospirò quando avvertì il braccio di sua sorella stringersi attorno alla sua vita. “È anche per colpa sua se oggi siamo qui, no?”
“Gli voglio bene, è pur sempre nostro padre, ma credo che sia davvero…”
”Stronzo?” Gli suggerì Justin con un sorriso.
Molly ridacchiò. “Ottuso.” Si strinse nelle spalle. “Però anche stronzo rende l’idea.”
La musica sfumò leggermente prima che un’altra canzone si spandesse per tutto il giardino; i ragazzi videro gli sposi separarsi, prima che Jen si avvicinasse con un sorriso a loro, la mano tesa verso il suo primogenito.
“Oh oh, ci siamo.” Sussurrò teso.
“È solo un ballo, smettila di fare il melodrammatico.” Lo rimproverò scherzosamente sua sorella, liberandosi dalla sua presa.
Jennifer si avvicinò a Justin e lo prese per mano. “Non fare storie.” Lo seccò quando lo vide aprire la bocca per parlare. “Aspetto questo ballo da anni.”
Justin sbuffò. “È proprio necessario?”
Tuck li raggiunse e prese Molly per mano. “Non so voi, ma io e la mia partner balliamo.” Fece con un sorriso tornando verso la pista.
Il ragazzo sospirò, lanciando un’occhiata verso il suo tavolo da cui Brian lo guardava divertito, complottando con Lorraine, divertita almeno quanto lui. “Che palle…” E, ancora un po’ titubante, si lasciò trascinare verso Molly e Tuck.
“Visto che non era poi tanto terribile?” Lo canzonò sua madre, dopo qualche minuto. “Non mi pare ti stia uccidendo.”
Justin grugnì contrariato. “Sì, sì, va bene. Andrà avanti ancora per molto?”
“Prometto che se ti comporti bene e resisti qualche altro minuto, non ti disturberò più fino a stasera. Sarai tutto per Brian.” Justin le rivolse un sorriso radioso. “Basta che vi comportiate bene come avete fatto finora.”
Justin ridacchiò. “Ci proveremo, ma non ti assicuro niente.”
Sua madre scosse la testa alzando gli occhi al cielo.
Furono necessarie altre due canzoni per soddisfare Jennifer; quando finalmente i primi invitati iniziarono a raggiungere gli sposi sulla pista da ballo, Justin si liberò dall’abbraccio di sua madre – mica era lui lo sposo, cazzo! – e si fermò accanto al tavolo più vicino, guardando le strane coppie che si andavano formando: vide Molly ed Emmett, Carl e Linz, Lane e Michael, Debbie e Ted, Hunter e Mel, Daphne e Blake e infine – Justin strabuzzò gli occhi, incredulo – zia Rose che volteggiava tra le braccia di Ben.
Chi l’avrebbe mai detto che l’inflessibile generale di ferro sarebbe stata conquistata così in fretta dai suoi amici? Si ripromise di ringraziare Ben appena ne avesse avuto l’occasione.
Sorrise divertito quando vide Mel staccarsi da Hunter e dirigersi verso Lane per chiedere di poter ballare con Michael, lasciando i due ragazzi, imbarazzati e rossi come due pomodori al centro della pista. Dopo un istante di incertezza, Hunter porse la mano alla sua amica e, titubanti, ripresero a ballare; Justin fu certo che non si fossero accorti del sorriso sornione che Mel aveva lanciato a sua moglie, ancora tra le braccia del detective Horvath.
Ogni pensiero sui suoi amici e sui terrificanti piani che Mel e Linz avevano in serbo per Hunter e Lane scomparve non appena due braccia lo cinsero da dietro, portandolo a poggiare la schiena contro il petto di Brian.
“Che ne diresti se ti scopassi qui davanti a tutti?” Gli sussurrò malizioso all’orecchio, accorgendosi immediatamente che non era stato poi tanto discreto, dato che un’anziana signora accanto a loro, gli scoccò un’occhiata di disapprovazione prima di allontanarsi, spalle dritte e naso all’insù, in direzione del proprio tavolo.
“Che sarebbe troppo anche per te.” Lo riprese Justin scoppiando a ridere, subito seguito da Brian.
“Credo che tua madre riceverà delle lamentele…”
Justin posò le mani su quelle di Brian e sospirò. “Tu non balli?”
Lo sentì sbuffare contrariato. “E con chi dovrei ballare? Il mio partner preferito non mi ha degnato di uno sguardo da quando abbiamo iniziato a mangiare!”
Justin sorrise, rigirandosi tra le sue braccia. Gli passò una mano tra i capelli scuri e gli baciò il mento. “Sempre il solito egocentrico.”
Brian si strinse nelle spalle, piegando le labbra all’interno della bocca. “Dovresti conoscermi ormai.”
Justin si alzò sulle punte e lo baciò di nuovo, stavolta sulle labbra. “Mi dispiace di averti trascurato.”
Brian emise un sospiro con fare melodrammatico. “È così che si inizia, sai? Un giorno non ti accorgi che mi sono tagliato i capelli e quello seguente sei in fuga per gli Stati Uniti con i bambini, una macchina rubata e la mia carta di credito.”
Justin scoppiò a ridere. “Smettila di dire sciocchezze, regina dei drammi.” Gli sfiorò il naso col suo facendolo sorridere. “E comunque non mi ero accorto che ti fossi tagliato i capelli.” Lo studiò attentamente alzandosi sulle punte. “Io non vedo niente di diverso.”
Brian roteò gli occhi, spingendolo via senza però lasciargli la mano. “Hai intenzione di farmi ballare oppure no?”
Justin rise e annuì. “Credevo non me l’avresti mai chiesto.” Lo prese per la cravatta tirandolo verso il basso e si avventò sulle sue labbra. La lingua di Justin si fece dolcemente strada nella bocca di Brian che lo assecondò collaborativo; accarezzò la lingua di Brian percependo il sapore dolce dello champagne che avevano bevuto per il brindisi. “Mmm…” Justin si staccò da lui, leccandosi le labbra. “Sai di buono…”
Brian sorrise, posando la fronte contro quella di Justin. “A dir la verità, c’è qualcos’altro che vorrei assaggiare di te in questo momento.” Spinse la lingua contro l’interno guancia e lo guardò malizioso.
Justin scoppiò a ridere, scuotendo la testa. “Iniziamo col ballo e poi vediamo, ok?” Gli posò un bacio a fior di labbra e prese a trascinarlo verso la pista da ballo.
La voce di John li raggiunse un attimo dopo.
“John, è successo qualcosa?” Gli chiese preoccupato.
“No, niente di grave, ho solo bisogno del tuo aiuto per…” Alzò lo sguardo verso Brian e richiuse immediatamente la bocca. “Scusate, non volevo disturbare…”
Justin scosse la testa con un sorriso. “Non preoccuparti. Brian, questo è John. John, lui è Brian, il mio compagno.” Disse con una certa nota di soddisfazione nella voce che fortunatamente Brian parve non cogliere.
“Lieto di conoscerla, John.”
“Oh già, l’amico di Emmett, giusto?” John gli strinse la mano. “Il piacere è mio, Brian. Non avevo intenzione di disturbare, ma in cucina sarebbe richiesta la tua presenza.”
Justin annuì. “Non c’è problema.” Si voltò verso Brian. “Mi aspetti un attimo?”
L’uomo sbuffò provando a sembrare scocciato. “Solo se ti muovi.”
“Grazie.” Lo baciò rapido e fece per seguire John, che si era già avviato verso la casa. “Ah, Justin?” Il ragazzo si voltò a guardarlo. “Se sento qualcun altro etichettarmi come l’amico di Emmett, giuro che spacco qualcosa.”
Justin corse di nuovo verso di lui e lo baciò. “Brontolone…”
“Muovi il culo o mi trovo qualcun altro con cui ballare.” Lo rimbeccò Brian, schiaffeggiandogli il sedere e facendolo ridere.
Brian scosse la testa e si diresse verso il suo tavolo. “Ehi, Mickey!” Lo salutò allegro, abbandonandosi sulla sedia accanto al suo migliore amico.
Michael lo guardò male. “Non mi dire che sei già ubriaco.”
Brian prese il suo bicchiere, lo riempì di champagne e lo trangugiò in un solo sorso. “Non direi…”
“Vedo che ti diverti.”
“Abbastanza. Tu no?”
“Oh sì, moltissimo.” Ribatté quello seccato.
Brian roteò gli occhi, versandosi altro champagne. “Aspetta.” Lo bevve tutto d’un fiato e tornò a voltarsi verso il suo amico. “Ok, non sarò ubriaco, ma forse così riuscirò a sopportare i nuovi sviluppi di I Drammi di Casa Novotny-Bruckner.”
“Va’ a farti fottere, Brian.”
“Oh, magari potessi, Mickey.” E lanciò una melodrammatica occhiata verso la casa.
Michael sbuffò contrariato e riprese a fissare la pista da ballo: zia Rose non si era ancora stancata di suo marito. “Ben mi tradisce.”
Brian inarcò un sopracciglio. “Con la vecchia zia di Justin?” Rabbrividì al pensiero, scolandosi un’altra flûte di champagne.
“Certo che no, idiota.” Grugnì Michael nervoso. “Magari fosse lei il problema…”
Brian roteò gli occhi. “Ecco che ci risiamo. Michael, ne abbiamo già parlato e…”
“… sì, sì, secondo te, mi immagino le cose.”
“Precisamente.”
Michael sbuffò. “Quindi mi sono immaginato anche il biondone da orgasmo che Ben ha incontrato al parco di nascosto?”
Brian si strozzò quasi col suo champagne. “Cosa?” Chiese con voce roca.
“Li ho visti, Brian.” Michael abbassò lo sguardo e prese a fissarsi le mani. “Ben aveva detto di essere ancora in facoltà quando invece incontrava questo tizio al…”
“Non significa niente.”
“Cazzate! Perché tenermelo nascosto, allora?”
Brian lo guardò esasperato. “Perché tendi a reagire in modo esagerato?”
“Lui mi ha mentito.” Sospirò piano. “E se…” Prese a torturare il tovagliolo che stringeva tra le mani. “E se non fossi più abbastanza per lui? Se volesse di più?”
“Tipo scoparsi un bel figo?” Brian si strinse nelle spalle. “Beh, ammetto che i biondi hanno il loro fascino…”
“Brian, così non mi aiuti.”
“Che cazzo vuoi che ti dica? Secondo me è tutto nella tua testa!”
“Sono sicuro di no. L’ho capito da come si guardavano.” Michael alzò finalmente lo sguardo e lo posò su Ben che era riuscito a liberarsi di zia Rose e ora chiacchierava allegro con Mel e Linz. “C’era qualcosa tra loro, si percepiva chiaramente.”
“Quindi oltre che paranoico, sei anche sensitivo?”
Michael gli lanciò un’occhiataccia. “Non era un collega e sicuramente non era uno studente. Vedere l’intimità che c’era tra loro mi ha spaventato a morte.”
Brian sospirò, passando un braccio attorno alle spalle del suo amico. “Senti, se tu fossi uno qualunque ti direi hai paura che ti tradisca? Esci e fai lo stesso, scopati quanti più ragazzi puoi e fallo crepare d’invidia.” Michael provò a divincolarsi dalla sua stretta, chiaramente infastidito dalla piega che il discorso stava prendendo. “Ma tu non sei uno qualunque, tu sei il mio migliore amico, quello che c’è sempre stato per raccogliere i cocci della mia incasinatissima vita.” Gli prese il volto tra le mani. “Quindi ti do un solo consiglio: parlagli.” Gli sorrise. “Dio solo sa quanti casini avremmo evitato io e Justin se avessimo parlato chiaro ogni volta che avevamo un problema.”
Michael lo guardò con espressione triste, prima di poggiare la fronte contro la sua spalla. “E se mi dicesse che è tutto vero? Che ha un altro?” Alzò lo sguardo e fissò negli occhi il suo migliore amico con aria disperata, quasi si aspettasse che Brian tirasse fuori qualche brillante idea dal cilindro come ero solito fare. Come quando andavano a scuola. Scosse la testa. “Non credo di poterlo sopportare.”
Brian si sporse per baciarlo sulle labbra. “Andrà tutto bene, Michael. Sono sicuro che si sistemerà tutto perché – Cristo Santo non posso credere di stare dicendo una cosa così da lesbiche – voi vi amate. Tu ami lui esattamente come lui ama te.”
“Ehi, piccioncini che succede?” Emmett si avvicinò ai suoi amici con un sorriso e si abbandonò su una delle sedie vuote accanto a loro; Ted lo seguì un istante dopo.
“Michael è di cattivo umore.” Tagliò corto Brian, tornando a guardare gli invitati che si scatenavano sulla pista da ballo.
Ted sorseggiò il suo cocktail analcolico. “Come mai?”
Michael sospirò afflitto. “Ho il sospetto che Ben abbia un altro.”
“Cosa?!” Strepitò Emmett isterico, attirando l’attenzione delle signore sedute al tavolo accanto.
Brian gli lanciò un tovagliolo, colpendolo in faccia. “Ci riesci ad essere discreto, pettegolo?”
“Scusa!” Emmett schiaffeggiò la mano di Brian. “Mi avete colto di sorpresa!”
“Ma sei sicuro?” Domandò Ted razionale. “Mi sembra davvero una gran cazzata, Michael.”
Brian alzò il calice verso il suo contabile. “Per una volta io e Theodore siamo d’accordo su qualcosa, incredibile! Propongo un brindisi!” E scolò il quinto bicchiere. “Cristo, ma non c’è qualcosa di più alcolico? Di questo passo, mi ubriacherò tra due mesi.”
I suoi amici si scambiarono un’occhiata paziente, decidendo bellamente di ignorarlo; Emmett prese la mano di Michael. “Dolcezza, non potrei crederlo nemmeno se lo vedessi.”
Michael scoppiò in una risata tetra. “Anch’io la pensavo come te.” Fece una pausa. “Ma mi sono dovuto ricredere quando li ho avuti davanti agli occhi.”
“Non ci credo!” Esclamò Ted, scambiandosi un’occhiata scettica con Emmett. “Ben non è proprio il tipo.”
“L’ho seguito…”
“Michael!” Lo rimproverò Emmett.
“Lo so, lo so! È stata una schifosa vigliaccata, ma dovevo farlo.”
Emmett sospirò, scuotendo ancora la testa. “Che hai scoperto?”
“Mi ha detto di essere in facoltà…”
Ted guardò dispiaciuto il suo amico. “E invece non c’era?”
Michael scosse la testa. “È andato al parco vicino al campus e ha incontrato un uomo.”
“Tutto qui?” Emmett inarcò un sopracciglio. “Potrebbe essere stato un suo…”
“Era un adulto, Em. Di sicuro non era uno studente.”
“Potrebbe essere fuori corso.” Provò Ted poco convinto.
“O magari un collega.”
“Loro…” Michael deglutì piano. “Loro si sono abbracciati come se si conoscessero bene. Come fossero stati due vecchi amici. Come fossero stati…”
Scopamici?” Suggerì Brian, beccandosi una gomitata da Ted e una da Emmett.
Michael annuì. “Ho avuto la pelle d’oca. Chiunque li avesse visti, li avrebbe scambiati tranquillamente per una coppia. Erano fottutamente belli insieme.”
“Michael…” Ted gli posò la mano sulla spalla. “Parla con Ben, sono sicuro che è tutto un malinteso.”
“Teddy ha ragione, dolcezza. Ben ti ama, non farebbe mai una cosa del genere.”
Brian sbuffò contrariato, alzandosi. “Non posso credere di aver detto le stesse cose della signorina Honeycutt.” Emmett gli rifilò un’occhiata minacciosa. “Ora, scusate, ma credo che andrò a vomitare.”
“Diventi ogni giorno più simpatico!” Lo rimbrottò Emmett. “Dev’essere l’età che avanza!”
Brian lo guardò torvo. “Michael, ascoltami.” Prese di nuovo il volto del suo amico tra le mani e lo baciò. “Stai tranquillo, di sicuro c’è una spiegazione.”
“E se non ci fosse?”
L’uomo gli sorrise. “Allora sarò costretto a fare a pugni con tuo marito per difendere il tuo onore. Come quando andavamo a scuola.”
“Brian ha ragione, tesoro.”
“Io ho sempre ragione.”
“E cercate di risolvere al più presto: anche Hunter ha iniziato a sospettare qualcosa.”
Michael spostò lo sguardo su suo figlio, che rideva spensierato con Lane e Carl. “Ti ha detto qualcosa?”
Emmett scosse la testa. “Però l’ho visto parecchio giù ultimamente e di sicuro ha percepito la tensione tra voi due.”
“Non voglio che sia lui a pagarne le conseguenze.”
Brian roteò gli occhi al cielo. “E allora alza il culo, vai dalla tua mogliettina e gli chiedi se ultimamente ha scopato qualcuno oltre te!” Sbottò irritato, voltando le spalle ai suoi amici.
“Sei sempre utilissimo, Bri!” Fece Ted sarcastico.
Emmett scosse la testa. “E adesso dove vai? Dobbiamo aiutare Michael!”
Brian si voltò. “Io il mio consiglio gliel’ho già dato. Ora vado ad ubriacarmi, dato che ovviamente con lo champagne non ho concluso un cazzo.”
 
 
 
 
 
“Sicuro di non aver più bisogno di me?”
John gli sorrise rassicurante. “No grazie, Justin. Torna pure alla festa.”
“Ok.” Justin sorrise. “Io vado a cercare Brian. Chiamami se ti serve qualche altra cosa.”
L’uomo annuì. “Sono sicuro che sarà felicissimo quando glielo dirai.” Ribatté un attimo prima che Justin gli desse le spalle.
Il ragazzo lo guardò incerto. “Vorrei poter essere così sicuro.”
“Andiamo!” John lo spintonò scherzosamente. “Vanessa è stata gentile a farti un regalo del genere e sono certo che ne saranno tutti entusiasti.”
“Tutti tranne Brian, credimi.” Justin sospirò. “Devo cercare di essere il più delicato poss…”
“Justin!”
Il ragazzo sobbalzò, voltandosi. “Daph!”
Daphne correva agitata verso di lui, la gonna alzata fino al ginocchio e i tacchi che cedevano pericolosamente lungo il vialetto. “Eccoti, finalmente!”
Justin salutò John che tornò a dirigersi verso la cucina e scese i gradini della veranda. “Daph, tutto ok?”
La ragazza scosse la testa. “Abbiamo un problema.”
“Oddio, che è successo? Emmett mi uccide se qualcosa va storto.”
“Lo so. È per questo che sono venuta da te.” Si fermò davanti a lui e lasciò andare il vestito, posando le mani sulle ginocchia e cercando di riprendere fiato.
“Daph, mi stia preoccupando. Che c’è?”
Daphne indicò il vialetto. “Abbiamo visite. Visite inaspettate.”
Justin alzò gli occhi al cielo. “Se Ethan ha avuto il coraggio di present…”
“Non Ethan.” Deglutì a fatica. “Tuo padre.”
“Mio…” Justin strabuzzò gli occhi. “Che cazzo ci fa lui qui?” Daphne scosse le spalle. “Andiamo, fammi vedere dov’è.”
Daphne ripercorse il vialetto da cui era arrivata e, qualche metro dopo, Justin scorse la schiena di Craig Taylor, tutto preso a seguire i festeggiamenti per il matrimonio della sua ex moglie. “Papà.” Chiamò con tono deciso.
L’uomo finalmente si voltò e abbozzò un sorriso in direzione del suo primogenito, muovendo un passo verso i due ragazzi. “Daphne, lieto di rivederti.”
Daphne si schiarì la gola a disagio. “Signor Taylor.”
Guardò suo figlio dritto negli occhi. “Ciao, Justin. Come va? Tua madre mi ha detto che sei tornato già da un po’.” Abbozzò un sorriso. “Devo aver mancato la tua telefonata.”
Justin si strinse nelle spalle. “Non avevo il tuo numero.” Rispose sarcastico.
“Anche una visita sarebbe stata gradita.”
“Credevo che un’improvvisata del tuo figlio finocchio avrebbe imbarazzato la nuova dolce metà. A che numero siamo ormai? Quattro?”
“Eveline sarebbe stata felice di conoscerti.”
“Oh sì, ne sono sicuro.” Allungò il collo per vedere se qualcuno si fosse accorto della presenza dell’indesiderato ospite. “Che ci fai qui?” Domandò poi prendendolo per un braccio e trascinandolo lontano dalla festa; si fermarono proprio davanti al portico di legno.
“Sono venuto a fare i miei auguri agli sposi e a conoscere l’uomo che d’ora in poi vivrà con i miei figli.”
Justin sbottò in una risata amara. “Per tua informazione, Tuck vive a casa già da un anno e se sei preoccupato dell’esempio che potrà darci, stai pure tranquillo. Non potrà mai essere peggiore di te.”
Daphne gli posò una mano sul braccio, quando lo vide compiere un impercettibile movimento verso suo padre.
“Vedo che mi reputi ancora la causa di tutti i mali di questo mondo, Justin.”
“Non dei mali del mondo, solo quelli della mia vita. E di quella di Molly e di mamma.”
Craig si accigliò. “Credevo che le cose tra noi si stessero appianando. Quando ti ho chiamato a New York, sembravi…”
“Sembravo cosa? Accondiscendente? Disponibile?” Justin strinse convulsamente i pugni, lungo i fianchi. “E credi che una telefonata basti a risolvere tutto? A cancellare tutto quello che è successo tra noi?”
“Non ho detto questo.” Craig fece un passo verso suo figlio. “Ma si deve pur iniziare da qualche parte.”
“Beh, mi dispiace per te, ma io non ho intenzione di iniziare da nessuna parte.”
Craig scosse la testa. “È questo posto.” Sospirò piano. “È questo posto che ti rende così rabbioso nei miei confronti. Era tutto più facile quando eri a New York.”
“Perchè?” Chiese Justin furioso. “Perché credi sia così?”
“Beh, il fatto che tua madre non mi abbia neppure detto del tuo ritorno la dice lunga sul suo ruolo in tutta questa storia.”
Justin rise sprezzante. “Quindi sarebbe colpa sua? Oh, ma certo! È ovvio! Come ho fatto a non pensarci prima? Dai la colpa a mamma del nostro inesistente rapporto, invece che al tuo egoismo!”
“Per favore, Justin!” Suo padre lo fissò duramente. “Tua madre è sempre stata brava a fare l’innocentina, ma io non sono un cattivo genitore. Guarda tua sorella: ha conosciuto Eveline e frequenta costantemente casa mia senza alcun problema.”
Justin scosse la testa con un sorriso. “Fortuna per te che non si ricorda quello che ricordo io, altrimenti ti guarderebbe con disprezzo.”
“Come fai tu?”
“Come faccio io. Da sette lunghi anni.”
“E non credi sia ingiusto?”
“E tu non credi sia ingiusto cacciare di casa un diciassettenne, buttandolo in mezzo ad una strada?”
Craig scosse la testa. “Sei stato tu a scegliere. O noi, la nostra famiglia, la nostra serenità oppure…”
“Brian?” Justin sorrise compiaciuto quando vide il volto di suo padre farsi scuro. Allargò le braccia con enfasi. “Ed eccoci qui, al punto cruciale.”
“È stata colpa sua.” Affermò suo padre con ovvietà.
“Il grande lupo cattivo che ha rapito il povero ragazzino indifeso.”
Craig lo guardò con rabbia, mentre nella sua mente si faceva largo il volto dell’uomo che aveva rovinato e fatto a pezzi per sempre la sua famiglia. “Quello… quello schifoso bastardo ha…”
Justin gli puntò un dito contro. “Attento a quello che dici.”
“Justin, Cristo Santo! Ma possibile che non riesci a vedere cosa ti ha fatto? Cosa ci ha fatto?”
Il ragazzo scosse la testa. “Quante volte abbiamo già affrontato questo discorso?” Guardò suo padre con espressione esausta. “È inutile, papà. Ognuno ha le sue idee e nessuno dei due è disposto a cedere.”
“Non quando so di aver ragione.”
“E allora che cazzo ci fai qui?” Justin si passò una mano tra i capelli. “L’uscita è da quella parte.”
Craig aprì la bocca per dire qualcosa, ma la richiuse senza emettere un suono. Sospirò piano e guardò suo figlio con sguardo ferito. “Saluta Molly per me.”
Justin non si mosse; guardò suo padre voltarsi e imboccare il vialetto verso l’uscita. Strinse forte la mano di Daphne al suo fianco e si sforzò di deglutire il groppo che gli si era formato in gola.
Sono diventato un uomo ormai, papà… Proprio come volevi tu… Peccato che non riesca ad accorgertene…
“Eccoti, finalmente!” Brian sbucò da dietro l’angolo con un sorriso stampato in faccia. “Tua madre ti sta cercando da un’o…” Si bloccò all’istante quando vide l’espressione funerea di Justin; spostò lo sguardo a destra e serrò la mascella di fronte al padre del suo compagno. “Signor Taylor.” Disse con tono secco.
Craig assottigliò gli occhi, rivolgendogli uno sguardo di puro odio.
Brian raggiunse Justin in due passi. “Tutto ok?” Chiese con un sorriso accennato. Il ragazzo annuì. “Daphne, ti dispiacerebbe dire a Jen che ho trovato Justin e che arriviamo subito?”
Daphne annuì incerta, chiaramente restia all’idea di lasciare soli i tre uomini.
“Ti ringrazio.” Brian le sorrise brevemente, prima di tornare a voltarsi verso Justin. Gli sfiorò una guancia con la punta delle dita, sollevandogli poi il mento e guardandolo dritto negli occhi per capire se stesse davvero bene.
Justin annuì appena, intuendo al volo la sua preoccupazione, e posò la fronte contro il suo mento, esausto.
A quella scena, Craig non poté più trattenersi. Strinse forte i pugni e tornò verso di loro. “È tutta colpa tua.” Disse rabbioso. I due uomini si voltarono a guardarlo. “Mi hai sentito? È tutta colpa tua!”
Brian serrò la mascella. “Forse dovrebbe andarsene, signor Taylor.”
“Tu non sei nessuno per dirmi cosa devo o non devo fare!” Craig mosse qualche altro passo verso la coppia. “Non accetto prediche da un pedofilo finocchio! Sei solo un depravato!”
Brian strinse forte i pugni, imponendosi di non reagire.
Non poteva farlo. Non doveva. Non era giusto per Justin.
Intrecciò le dita con quelle del ragazzo e sollevò il mento, impassibile.
Non avrebbe mai fatto nulla a quello stronzo che gli gridava contro, perché sapeva benissimo che avrebbe ferito Justin, una delle poche cose belle che la vita gli aveva dato.
Craig avanzò minaccioso verso Brian, vedendo in lui tutti i suoi incubi, tutte le sue paure, tutto l’odio e il disprezzo che aveva covato per anni. Davanti a lui non c’era più un uomo: davanti a lui ora, vedeva solo il pervertito che aveva deviato il suo bambino. Sollevò un braccio, pronto a colpirlo, pronto a riversare su di lui la sofferenza degli ultimi sette anni, l’indifferenza di suo figlio, la malcelata disapprovazione di sua figlia e il disgusto della sua ex moglie; pronto a scagliarsi su Brian per lenire almeno in parte il dolore che gli lacerava il petto, e per vendicarsi di colui che aveva rovinato la sua vita perfetta.
Ad un passo da Brian, Craig si bloccò di colpo, agghiacciato, mentre un flashback gli tornava prepotentemente alla memoria.
Quella notte.
La notte in cui tutto era iniziato.
O per meglio dire, finito?
 
“È finita, Justin. Basta. O torni a casa con me adesso o non ci metterai più piede.”
“Mai più. Allora? Mi hai sentito? Perciò adesso vattene via! Vattene! Non ci torno più a casa, capito? MAI PIU’!”
 
E come quella stessa notte, Justin fece per scagliarsi contro di lui, contro il suo stesso padre, per difendere quell’uomo. Lo stesso uomo che ora lo tratteneva per la vita, sussurrandogli all’orecchio.
“Justin, fermo…”
Proprio come quella maledetta notte.
Le mani di Brian accarezzarono delicatamente i capelli chiari di Justin, lo sguardo carico di rabbia del ragazzo ancora rivolto contro suo padre.
Craig scosse la testa, incredulo. Dopo sette anni, non era cambiato nulla; dopo sette anni, veniva di nuovo messo da parte, ancora una volta, suo figlio gli preferiva il suo… come si definisce l’uomo che si scopa tuo figlio? Compagno… Partner… Fidanzato?
Deglutì disgustato: non avrebbe mai accettato una cosa del genere.
Brian spostò lo sguardo da Justin a suo padre. “Credo che dovrebbe andarsene. Mi sembra chiaro che non è il benvenuto.”
“Come ti permetti?” Craig mosse un passo verso di loro, ma stavolta fu Brian a mettersi in mezzo. L’uomo sgranò gli occhi. “Cosa credi di fare? Pensi che farei mai del male a mio figlio?”
Brian gli lanciò un’occhiata carica di disprezzo. “Non sarebbe la prima volta.”
“Che cosa vorresti dire?”
“Che ricordo ancora quando Justin si presentò a casa mia col labbro spaccato, dopo che lei gli aveva messo le mani addosso.”
Craig affilò lo sguardo. “Non…” Si umettò il labbro. “Non sono affari t…”
“È qui che si sbaglia.” Brian strinse più forte le dita intrecciate a quelle di Justin, ancora dietro di lui. “Tutto quello che riguarda Justin è affare mio.” Raddrizzò le spalle e lo fissò minaccioso. “Perché, che le piaccia oppure no, sono il suo compagno.” Justin posò la mano libera alla base della schiena di Brian, abbozzando un sorriso. “E quello che voglio è che sia felice.” Accennò col capo verso di lui. “Al contrario di lei, mi pare.”
“Tu non sei nessuno per…”
“Arrivederci, signor Taylor.” Fece asciutto. “Gradirei se ne andasse da solo, ma, in caso contrario, potrei farla anche scortare all’uscita.”
Craig aprì la bocca per ribattere un attimo prima che Justin alzasse il viso verso di lui e scuotesse la testa. L’uomo sospirò, ma non fece più nulla; guardò un’ultima volta suo figlio, stretto nell’abbraccio di Brian, e con un macigno sul cuore, si voltò dirigendosi finalmente verso il cancello.
La mascella di Brian rimase tesa finché non vide l’uomo sparire dalla loro visuale e, qualche istante dopo, un’auto allontanarsi a gran velocità.
“Brian…” L’uomo non aspettò nemmeno che Justin finisse la frase: una volta sicuro di essere soli, si voltò verso di lui e lo strinse a sé con forza, affondando il viso tra i suoi capelli morbidi. Justin non provò neppure ad opporsi, non ne aveva né la voglia, né la forza; abbandonò il capo contro il petto di Brian, perdendosi come sempre nel suo familiare profumo.
“Mi dispiace.” Disse inaspettatamente l’uomo.
Justin tirò su col naso. “Per cosa?”
“Non avrei dovuto cacciarlo, ma non sono riuscito a…”
“Grazie.” Justin sospirò prima di sollevare il viso verso Brian. “Grazie.” Ripeté. “Non ce l’avrei fatta da solo.”
Brian abbozzò un sorriso. “Cazzate.” Gli accarezzò una guancia, baciandolo a fior di labbra. “Sei la persona più forte che conosca.”
Justin si sollevò sulle punte e unì le loro labbra in un bacio più appassionato. “Ti amo, lo sai?”
Brian piegò le labbra all’interno della bocca e annuì con un sorrisino. “Ah, Sunshine!” Lo strinse di nuovo a sé, posando il mento contro i suoi capelli. “Prima o poi mi farai diventare una lesbica…”
Justin ridacchiò contro la sua camicia. “Troppo tardi, Kinney.”
Brian sorrise, baciandogli i capelli. “Torniamo alla festa?”
“Sicuramente staranno già pensando che ce la siamo filata per una sveltina chiusi in una delle mille stanze di questa casa.”
“Magari…” Soffiò Brian afflitto. Poi si ricordò di Emmett: istintivamente si portò una mano sul cavallo dei pantaloni.
Justin inarcò un sopracciglio, guardandolo confuso. “Che hai?” Lo vide sospirare piano. Con un sorriso malizioso, posò una mano su quella di Brian. “Iniziamo già i festeggiamenti che avevamo programmato?”
Brian si umettò il labbro con fare seducente. “Se davvero ci tieni tanto a festeggiare, ti conviene aspettare. La spatola da dolce incombe ancora su di me.”
Justin sbuffò contrariato, ritirando la mano. “Da quando hai paura di Emmett e delle sue minacce?”
Brian gli passò un braccio attorno alle spalle, tornando a dirigersi verso il giardino. “Da quando è il mio cazzo quello che rischia di essere tagliato.” Justin scoppiò a ridere. “Quindi, a meno che tu non voglia diventare perennemente attivo…”
“E non farmi più scopare fino allo sfinimento?” Rabbrividì al solo pensiero. “Sono sicuro di poter resistere qualche altra ora.”
Brian gli baciò una guancia. “Mi fa piacere.” Sollevò un angolo della bocca e si chinò verso l’orecchio di Justin. “Approfitta per riposarti ancora un po’ perché ti assicuro che stanotte non avrai un attimo di tregua…”
 
 
 
 
 
 
Emmett chiuse il cofano dell’auto e si voltò sorridente verso Justin. “Bene, dolcezza, ho preso tutto.”
“Se manca qualcosa, fammi sapere.” Lo baciò sulle labbra.
“Allora, voi rimanete?”
Justin annuì. “Io e Brian abbiamo pensato di passare la notte qui.” Si voltò con un sorriso verso la casa.
“Prima notte di nozze.” Lo canzonò Emmett.
“Guarda che non siamo noi che ci siamo sposati.”
Emmett si voltò ridacchiando verso l’auto e salì dal lato del passeggero. “Buonanotte, dolcezza.”
“Notte, Em.” Si chinò appena. “Notte, John.”
L’uomo gli sorrise con un cenno. “Ciao, Justin.” Mise in moto e, in un istante, anche la macchina di John, esattamente come avevano fatto tutte quelle degli altri invitati – sposi compresi – varcò il cancello di ferro e sparì alla vista.
Justin si avviò a passo spedito verso la casa; varcò la soglia dirigendosi immediatamente in salotto, dove aveva lasciato Brian quando era andato ad accompagnare Emmett. Lo trovò ancora lì, che borbottava contrariato, in ginocchio davanti al caminetto acceso.
“Che cosa fai?” Gli chiese ridacchiando.
“Stavo provando ad accendere questo cazzo di affare maledetto!”
Justin gli arrivò dietro e lo strinse per le spalle. “Mi pare che tu ci sia riuscito.” Osservò davanti al fuoco scoppiettante.
“Sì.” Brian si rigirò tra le braccia e lo baciò dolcemente. “Ma mi ha davvero rotto i coglioni.”
“Sempre il solito…” Lo prese per la cravatta e se lo tirò addosso, avventandosi sulle sue labbra, mordicchiandole impaziente. “Che ne dici di lasciar perdere il camino e andare in camera?” Inarcò malizioso un sopracciglio. “Ho voglia di farmi scopare fino a domani mattina.”
“Mmm…” Brian gli leccò sensualmente le labbra. “Qualcuno è scatenato, stasera.”
Justin annuì, affondando il viso nel collo di Brian che mugolò di piacere, quando avvertì la sua lingua accarezzargli la pelle al di sopra del colletto della camicia.
“Non mi pare che tu sia poi così tranquillo…” Lo punzecchiò, sfregando il bacino contro il suo e sentendolo gemere.
“Justin…” Lo ammonì.
Justin sorrise contro il collo. “Sì?” Chiese con tono innocente.
Brian scosse la testa con un sospiro. S’impose di allontanare le mani dalla vita del ragazzo – dove avevano già iniziato ad insinuarsi sotto il cotone leggero della camicia – e le posò sulle sue spalle, allontanandolo gentilmente. Justin lo guardò con un broncio. “Mi ascolti per un attimo, cercando di tenere le mani lontane dal mio corpo perfetto?”
Justin roteò gli occhi, ma non riuscì a trattenere un sorriso. Annuì, abbracciandolo per la vita e aderendo completamente al corpo di Brian.
“C’è una cosa che voglio fare prima di strapparti tutti i vestiti di dosso.”
“Ok.” Justin lo baciò a fior di labbra. “Prometto che starò buono.” Disse con un sorriso.
Brian inarcò un sopracciglio e lo fissò scettico. Sospirò pazientemente e si separò da lui, ridacchiando quando udì Justin brontolare contrariato; si diresse verso il camino. “Chiudi gli occhi e taci.”
“Uffa…” Justin incrociò le braccia al petto.
Brian alzò gli occhi al cielo. “Puoi per una volta fare come ti dico invece di essere sempre così testardo?”
“Brian…” Piagnucolò il più giovane, muovendo un passo verso di lui.
“Justin, chiudi quella cazzo di bocca e copriti gli occhi, maledizione!” Sbottò Brian.
Justin sgranò gli occhi, guardandolo sorpreso per un attimo, prima di scoppiare a ridere. Brian borbottò sollevato quando lo vide finalmente chiudere gli occhi.
“Brian, ti avverto che se non torni entro due secondi, salgo in camera e inizio senza di…” Ma tacque all’istante, quando udì una musica leggera diffondersi nella stanza. Strizzò gli occhi imponendosi di non aprirli. “Brian, che…”
“Mi devi ancora un ballo, ricordi?” Gli sussurrò sensuale all’orecchio, mentre un braccio gli circondava la vita.
Justin aprì gli occhi e rivolse a Brian il più splendente dei suoi sorrisi. Brian non poté fare a meno di sorridergli di rimando, baciandolo teneramente. Prese la mano di Justin e strinse di più la presa sui suoi fianchi, iniziando a ballare. Justin posò la testa sul suo petto e chiuse gli occhi, sorridendo.
Da quanto tempo non ballavano? Ci pensò su un attimo: possibile che fosse dall’ultima volta che erano stati insieme al Babylon? Più di due anni?
Strinse di più la presa sui fianchi di Brian e sospirò piano.
La mente tornò involontariamente alla prima volta che Brian aveva ballato con lui, la notte in cui il re di Liberty Avenue aveva infranto la ferrea regola di non scopare mai nessuno più di una volta. Sorrise segretamente compiaciuto.
La scopata che non se n’era mai andata…non era così che si divertivano a definirlo Ted, Emmett e Michael?
Sollevò il viso e sfregò il naso contro il mento di Brian. “Grazie.”
Brian sorrise. “Per cosa?”
“Per tutto.”
L’uomo alzò gli occhi al cielo. “È solo uno stupido ballo, Sunshine. Cerca di non venire nei pantaloni.”
Justin si alzò sulle punte e gli sfiorò le labbra in un bacio casto, ma così pieno d’amore e devozione che a Brian venne la pelle d’oca. L’uomo portò una mano sul suo collo per impedirgli di separarsi: nessuno dei due aprì la bocca per approfondire il bacio: quel semplice sfioramento era più che sufficiente per soddisfare entrambi.
Fu Justin a interrompere il bacio, tornando con i piedi per terra. Gli sorrise, accarezzando i capelli scuri che amava tanto e, inaspettatamente, scoppiò a ridere, facendo sgranare gli occhi a Brian.
“Che ti prende?”
Justin cercò di tornare serio. “Dove diavolo l’hai trovato lo stereo?” Disse accennando alla mensola accanto al camino.
Brian sollevò un angolo della bocca. “Ho corrotto Emmett per lasciarmelo.”
“Davvero?” Justin scosse la testa.
“Visto che per colpa di tuo padre non abbiamo potuto ballare, così avremmo avuto la possibilità di recuperare.”
Il sorriso di Justin vacillò per un istante al ricordo di quello che era successo solo un paio d’ore prima. “Mi dispiace per quello che ti ha detto.”
Brian lo guardò come se fosse pazzo. “Justin, non me ne frega un cazzo di quello che tuo padre pensa di me.”
“Lo so, ma non avrebbe dovuto comunque rivolgersi a te in quel modo.”
“Non importa.” Brian lo fissò serio. “Non importa.” Ripeté sicuro, accarezzandogli una guancia. “Ho solo avuto paura quando ho visto la tua espressione.” Sospirò, attirandolo a sé e posando il viso contro i suoi capelli.
“Mi ha colto di sorpresa. Erano anni che non lo vedevo.”
“Da quando ti ha fatto arrestare.”
Justin annuì. “Egoista figlio di puttana.”
Brian lo strinse di più. “Ehi.” Gli massaggiò la schiena coperta dalla giacca scura. “Lascialo perdere.”
“Può dire quello che vuole, non cambierò mai per farlo contento.”
“Potresti diventare un grande etero.” Gli sussurrò Brian, cercando di alleggerire l’atmosfera. Capì di esserci riuscito quando lo sentì ridacchiare. “Immagino già la fila di ragazze fuori dal tuo appartamento.”
“Se la metti così, potrei anche pensarci.”
“Il nuovo dio del sesso.” Si tirò indietro per guardarlo negli occhi e perdersi nei meravigliosi occhi azzurri che riuscivano sempre a far perdere un battito al suo cuore. “Ovviamente, quello etero. I gay hanno già la loro divinità da adorare.” Fece pieno di sé.
Justin rise. “Peccato che tutti i gay di Pittsburgh dovranno mettersi in fila dopo di me.” Gli mordicchiò il mento. “E poi così farei un regalo al caro signor Taylor.” Provò a sorridere.
Brian lo strinse di nuovo tra le braccia. “Non lo vedevo da quando mi ha usato come punching ball fuori dal Babylon.”
“Come hai potuto notare, non è cambiato molto.”
“Però stavolta è andata meglio.” Disse con un sorriso dei suoi. Justin lo guardò confuso. “L’ultima volta sono stato costretto a farti vivere da me. Adesso me la sono cavata con un ballo.”
Justin ridacchiò, scuotendo la testa. “A questo proposito, quand’è che sei diventato tu quello romantico della coppia?”
“Vuoi dire mentre tu insistevi per correre in camera e scopare come ricci?”
“Precisamente.”
Brian si strinse nelle spalle. “Che vuoi che ti dica, Sunshine? Sono un uomo dalle mille sorprese.”
“Questo è sicuro.”
“Ma sono sicuro che se il tuo paparino ti avesse chiuso in camera a doppia mandata invece di lasciarti andare in giro per Liberty Avenue a diciassette anni…”
“… ad adescare vecchi disperati?” Justin sorrise furbo.
Brian lo ignorò, fulminandolo però con lo sguardo. “… a causare danni irreversibili alla vita di molte persone…”
“… tipo la tua…”
“… tipo la mia, quella dei miei amici e di mio figlio…”
Justin scoppiò a ridere, facendo involontariamente sorridere anche Brian. “Voglio confidarti un segreto, signor Kinney.”
“Mh?” Brian piegò le labbra all’interno della bocca per nascondere un ghigno.
Justin si alzò sulle punte per arrivare al suo orecchio. “Quella notte ha segnato l’inizio della tua vita.”
Brian sbuffò scettico. “Presuntuoso.”
“Il bue che dice cornuto all’asino.”
“Quella notte è stata la mia rovina.”
“Quella notte è stata la tua salvezza.” Justin gli regalò un sorriso radioso.
Brian scosse la testa. “Hai ragione.” Sfregò il naso contro quello di Justin, stringendolo ancora saldamente tra le braccia. “È nato Gus, no?” Chiese provocatorio.
Justin roteò gli occhi. “Ok, questa te la concedo.” Alzò lo sguardo verso di lui e gli sorrise beffardo. “Non capita a chiunque diventare papà e incontrare l’anima gemella nella stessa sera.”
“Anima gemella…” Brian sbuffò di nuovo. “Che paroloni…”
Justin gli pizzicò un fianco. “Dopo tutto questo tempo, è l’appellativo minimo che puoi darmi. Avevo pensato a grande amore della mia vita oppure a unico spiraglio di luce nella mia vita buia, triste e senza senso.”
“Questo sarebbe stato un po’ difficile da ricordare.”
Justin lo ignorò. “Ma anche mia àncora di salvezza oppure mio adorato punching ball emotivo sarebbero andati bene.”
Brian scoppiò a ridere. “Devi averci pensato parecchio.”
Justin annuì con un sorriso. Gli baciò la punta del naso. “Due anni.” Soffiò prima di fissare lo sguardo negli occhi dell’unica persona al mondo senza cui non avrebbe potuto vivere. Sorrise, pensando di aggiungere un’altra definizione alla sua lista, o meglio un aggettivo che aveva sempre accostato al nome di Brian: indispensabile.
Indispensabile come l’aria, come l’acqua, come il sole… Come l’amore.
Brian.
Brian gli passò una mano tra i capelli, godendo appieno della sensazione di pace che quella dannata capigliatura bionda sapeva trasmettergli. “Stai cercando di rubarmi lo status di romantico della coppia?” Gli sorrise divertito, notando la sua espressione esasperata. “Guarda che ho impiegato anni a conquistarlo.”
Justin aprì la bocca per ribattere, ma fu interrotto dalle note scatenate di una canzone rock che lo fece trasalire nelle braccia di Brian. “Ma che cazzo…”
Brian si voltò verso lo stereo. “Ok, Sunshine, il momento coppietta dell’anno è finito.” Si districò dalla presa di Justin e si avvicinò al telecomando, spegnendo la musica.
“Ti rendi conto che hai detto la parola coppia e i tuoi occhi non sono nemmeno schizzati fuori dalle orbite?” Lo punzecchiò, cercando di non sorridere.
Brian prese uno dei segnaposti abbandonati sul tavolo e glielo lanciò senza ribattere. “Che ne diresti di salire in camera e continuare il discorso a letto?” Lo guardò con gli occhi già incupiti dal desiderio.
“Magari senza vestiti?” Justin mosse un passo verso di lui.
“Magari…” Ribatté Brian, sollevando un angolo della bocca.
Justin non se lo fece ripetere due volte: lo raggiunse in due passi e si avventò sulle sue labbra, tirandolo per la cravatta; lo sentì mugolare di piacere, mentre avvertiva le sue mani impazienti cercare di farsi largo tra i suoi vestiti.
“Brian…” Ansimò contro la sua bocca. “Camera da letto, ora.”
Brian sorrise, prima di baciarlo un’ultima volta e iniziare poi a trascinarlo verso l’ingresso.
Il tragitto verso la camera fu più lungo del previsto, dato che nessuno dei due riusciva a tenere le mani lontano dal corpo dell’altro; rischiarono di ruzzolare giù per le scale un paio di volte – la giacca di Justin e la camicia di Brian vennero abbandonate senza tanti complimenti sul corrimano in rovere – e si contusero almeno un paio di arti, presi com’erano dalla passione incontrollabile. Brian sospirò trepidante quando, con la schiena, arrivò finalmente a spalancare la porta della loro agognata meta; Justin la richiuse con un calcio, spingendo Brian senza tante cerimonie sul letto e salendo a cavalcioni su di lui. Gli indumenti che non erano andati persi durante il percorso finirono all’istante sul parquet pregiato, con eccezione dei boxer.
“Dio, se solo sapessi quanto eri sexy con quel dannato smoking…” Soffiò Justin contro le labbra di Brian, facendolo sorridere. “Io sono sempre sexy, Sunshine.”
Justin roteò gli occhi. “Ovviamente, Mr Modestia.”
Brian lo baciò di nuovo avidamente e, cogliendolo di sorpresa, ribaltò le posizioni. “Molto meglio…” Affermò soddisfatto, leccandogli le labbra semi aperte.
“Non mi sembra ti sia mai lamentato se stavo sopra.” Lo provocò Justin, mentre prendeva ad accarezzarlo con vigore. Voleva sentire il suo corpo, la sua pelle, i suoi muscoli… Voleva – anzi no, aveva bisogno – di sentire Brian sotto le sue dita, sentirlo respirare, gemere, boccheggiare come non aveva potuto fare per troppo tempo. Ribaltò nuovamente le posizioni.
“E non mi sentirai mai.” Justin sorrise, chinandosi per baciarlo, ma Brian lo bloccò delicatamente, posandogli una mano sul petto. “Ma prima di andare avanti e dare un senso alla serata…” Lanciò un’occhiata maliziosa verso il basso “… non c’era un discorsetto che avevamo lasciato in sospeso?”
Justin aggrottò la fronte, confuso. “Sì?” Chiese incerto.
Brian posò le mani sui suoi fianchi e inarcò un sopracciglio. “Non fare il finto tonto.”
Il ragazzo aprì la bocca scocciato, capendo a cosa Brian si stesse riferendo. “Ancora New York?”
“Sì, Justin, ancora New York.” Ribatté asciutto Brian.
“Brian, ti prego…” Justin alzò gli occhi al cielo. “Sono nudo, arrapato e credo anche mezzo ubriaco…” Si chinò per posare un bacio delicato sulle labbra di Brian, bacio che l’uomo accettò volentieri. “L’unica cosa che voglio fare al momento è scoparti e farmi scopare fino quando nessuno dei due potrà più muoversi.”
“Ed io non potrei più essere d’accordo. Ma questo possiamo farlo dopo, no? Abbiamo tutta la notte.” Justin fece per interromperlo. “E tu avevi detto che ne avremmo parlato dopo il matrimonio.”
“Sì, d’accordo! Dopo il matrimonio, non la notte del matrimonio!”
“Lo sai che amo essere preciso.”
“Sì, col cazzo!” Justin allontanò bruscamente le mani di Brian dai suoi fianchi e gattonò fino al bordo del letto. “Sei preciso solo quando ti conviene!” Brian sospirò, abbandonando la testa contro i cuscini e preparandosi alla sfuriata.
Che puntuale arrivò. “Da quando sono tornato, non hai mollato un attimo! New York di qua, New York di là!” Justin scattò in piedi e si voltò minaccioso verso di lui – per quanto un ragazzino biondo, seminudo e chiaramente eccitato potesse esserlo. “Justin, non ti abituare troppo! Justin, inizia a preparare i bagagli! Justin, la Grande Mela ti aspetta!” Si passò le mani tra i capelli, in un moto di frustrazione. “Lascia che sia io a dire una cosa a te, grand’uomo! Perché non chiudi quella cazzo di bocca e mi lasci vivere la mia vita per una volta? Mi sono davvero rotto! Sembra quasi che tu non veda l’ora di mandarmi via! Mi dispiace aver interrotto la tua piacevolissima e tanto sospirata vita da single! Magari avresti preferito se non fossi mai tornato!” Strinse forte i pugni, guardandolo furibondo. “Sai che ti dico? Vattene a fanculo, Brian!”
Brian, che era rimasto tranquillamente sdraiato mentre il suo compagno dava di matto, aspettò che Justin finisse di sfogarsi, poi si sollevò a sedere e lo guardò paziente. “È tutto? C’è altro di cui vorresti mettermi al corrente?”
Justin sbuffò soddisfatto. “No, è tutto. Grazie.” Se ne uscì sorprendentemente educato, facendo sorridere Brian.
“Bene.” Brian lo prese per un polso e lo tirò di nuovo a letto; crollò di nuovo sui cuscini, trascinandolo con lui e facendogli appoggiare il capo sul suo petto. “Aspettavo una sfuriata del genere da un paio di giorni, ormai.”
“Te ne sei accorto?” Lo sentì annuire. “Mi dispiace.”
Brian lo strinse forte per le spalle. “Lo so.”
“Brian, io voglio solo stare con te.”
“E io non vado da nessuna parte, infatti.” Prese un bel respiro. “Al contrario della tua carriera e sarebbe davvero da idioti sprecarla.”
“Non vai da nessuna parte, uh?” Fece Justin, sprizzando scetticismo da tutti i pori. “Come l’ultima volta?”
Brian allentò la presa sulle sue spalle e si sollevò, mettendosi seduto. Justin lo imitò, posizionandosi di fronte a lui. “Justin.” Gli accarezzò una guancia. “È stato difficile per entrambi. Come credi mi sia sentito io? Tutti andavano avanti; Michael e il Professore, Emmett, persino Theodore! Mentre…” Gli prese il volto tra le mani e Justin non poté non sentirsi morire di fronte alla sua espressione tormentata “… mentre tu stavi a seicento chilometri di distanza a cercare il tuo posto nel mondo.” Sospirò, sfiorandogli le labbra col pollice. “E mi sentivo uno schifo perché sapevo che io non ne facevo parte.”
Justin affondò una mano nei suoi capelli scuri, avvicinandosi ancora di più a lui. “Non è passato un giorno, un minuto, un secondo che non abbia pensato a te. Qualunque cosa facessi, vedessi o vivessi, immaginavo il tuo volto accanto a me, il tuo sorriso fiero, il tuo sguardo orgoglioso.” Gli rivolse un sorriso pieno di tristezza. “E mi domandavo: Cosa farebbe Brian adesso? Cosa direbbe se mi vedesse finalmente vivere il mio sogno?
“Per questo abbiamo deciso che era meglio così. Era il tuo grande sogno. È il tuo grande sogno.”
Justin scosse la testa. “Meglio per chi?”
“Per entrambi.”
“Cazzate.”
Brian alzò gli occhi al cielo. “Justin…”
“Ok.” Justin sollevò le mani in segno di resa. “Poniamo il caso tu abbia ragione. Bene, sono andato a New York, ho vissuto della mia arte, ho realizzato il mio sogno. Adesso posso tornare a casa.”
“Non pensarci nemmeno, Sunshine.” Sfregò il naso contro il suo e sorrise. “Il tuo successo è appena iniziato.”
“Ma non vale la pena essere ricchi, famosi o apprezzati se non hai nessuno con cui condividere tutte queste cose!”
“Ti senti solo? Comprati un cane!” Sbottò Brian annoiato.
Justin serrò la mascella, stringendo le labbra. “Non voglio uno stupido cane, idiota che non sei altro! Voglio te! Voglio te, adesso, domani e fra dieci, venti o cinquant’anni!” Gli prese il volto tra le mani, mentre gli occhi gli si riempivano di lacrime. “Voglio solo te, Brian. Non m’importa di nient’altro.”
Brian sospirò, umettandosi le labbra; gli accarezzò i capelli, vedendolo chiudere gli occhi per assaporare fino in fondo quel contatto. “E io non vado da nessuna parte.” Gli sussurrò, così piano che Justin pensò quasi di esserselo immaginato. “E sai perché? Perché anche io voglio te oggi, domani e tra dieci, venti o cinquant’anni.” Justin aprì gli occhi, contemplando il sorriso carico d’amore che Brian gli rivolgeva. “Ma la cosa che desidero di più al mondo è che tu sia felice.”
Justin si piegò verso di lui, nascondendo il viso contro il suo collo. “Mi basta stare con te.”
Lo sentì scuotere la testa, pur riuscendo a percepire il sorriso che faceva capolino sul suo bellissimo volto. “C’è qualcosa che ami più di me, che ami da prima di me.” Gli accarezzò la schiena. “La tua arte. E io non ti permetterò di sacrificarla, non dopo tutto quello che hai passato, che abbiamo passato.” Lo strinse forte a sé, annusando l’odore familiare e meraviglioso del suo corpo, imponendo alla sua voce di non tremare. Doveva essere forte, ora più che mai. “Ti prometto che stavolta sarà diverso.”
Justin scosse la testa, sotto il suo mento. “C’abbiamo già provato.”
“Stavolta ce la faremo.”
“Non voglio lasciarti di nuovo.” Confessò il ragazzo dopo un attimo di silenzio. “È stato il mese più bello degli ultimi due anni.”
Brian sospirò e sorrise. “A chi lo dici, Sunshine.”
Justin si staccò da lui e lo fissò implorante. “Ti prego.”
“No.” Brian lo guardò risoluto. “Non ti chiederò di restare. Non l’ho fatto due anni fa, a maggior ragione non ho intenzione di farlo ora.” Lo vide aprire la bocca, così continuò prima che potesse essere interrotto. Sapeva benissimo qual era la paura di Justin, e sapeva benissimo cosa aveva intenzione di dire quell’idiota. “E se tiri ancora fuori stronzate del tipo sembra quasi che tu non veda l’ora di mandarmi via oppure avresti preferito se non fossi mai tornato, giuro che ti carico in macchina nudo come sei e ti scarico a casa di mammina in due minuti.”
“Ma…”
Brian roteò gli occhi annoiato. “Niente ma, Justin. Tu tornerai a New York. Punto. Fine della questione.”
Justin gli lanciò un’occhiata risentita. “Molly mi ha chiesto di restare. E anche Daphne.”
“Ci scommetto.” Brian alzò gli occhi al cielo, appuntandosi mentalmente di fare un bel discorsetto a Batman e Robin. “E sai perché? Perché le donne sono delle sciocche emotive. Si lasciano guidare dagli ormoni.”
A Justin scappò un sorriso. “Guarda che non sono mica incinte.”
Brian schioccò la lingua. “Noi siamo froci, non donne.”
“Lo dici come fosse un pregio.”
“E non lo è?”
“Se mi obbliga a stare lontano da te, no, non lo è. Per niente.”
Brian sospirò, tornando a sdraiarsi e passando un braccio attorno alle spalle di Justin, trascinandolo giù con lui. Immerse una mano nei capelli setosi di Justin. “Adesso, ascoltami.”
“Brian, no…”
“Justin.” Il tono di voce di Brian era secco, deciso. “Non ho intenzione di discuterne ancora. Ti concedo un paio di giorni per impacchettare tutto e…”
“Un mese!” Saltò su Justin, ricordandosi solo in quel momento della discussione avuta solo un paio d’ore prima con il suo capo.
Sgranò gli occhi.
Ma porca… Sua madre! Vanessa! Il regalo!
Come cazzo aveva fatto a dimenticarsene?
Brian inarcò un sopracciglio nella penombra della stanza. “Mh?”
Justin gli passò il braccio sul ventre stringendosi di più a lui, un sorriso felice faceva capolino sul suo viso. “Nessa ha dato il regalo di nozze a mia madre.”
“Beh, meno male…” Brian prese ad accarezzare lievemente l’avambraccio di Justin stretto attorno a lui. “Credevo fosse così tirchia da non poter…”
“Ha detto che posso rimanere finché mamma e Tuck non tornano dalla luna di miele.”
Brian si bloccò all’istante, sorpreso dai nuovi sviluppi. Sollevò appena il capo per scrutare con attenzione il viso di Justin – per quanto fosse possibile data la scarsità di luce – e capire se stesse mentendo; con sollievo, non trovò segni di incertezza. Lo vide annuire di nuovo, stavolta più convinto, accompagnando il gesto da un sorriso accecante. Le labbra di Brian disegnarono involontariamente una grande O.
“Volevo dirtelo prima che si facesse vivo mio padre e poi, a quanto pare, l’ho…”
“Scordato?” Suggerì Brian con una nota isterica nella voce, crollando di nuovo sul materasso e rafforzando la presa sul corpo di Justin.
Il ragazzo annuì. “Ti rendi conto che tutto il discorso fatto finora è stato del tutto inutile, sì?”
Brian roteò gli occhi, annoiato. “Per niente, invece. Ci siamo solo portati avanti col lavoro, Sunshine.” Justin aprì la bocca per ribattere, ma Brian gliela chiuse con una mano. “Adesso sai come la penso e sai che non sarà di certo un mese a farmi cambiare idea. Tra trenta giorni, sarai pronto per tornare a New York.”
“Possono succedere tante cose in trenta giorni.”
“E ti dirò esattamente cosa succederà il trentunesimo giorno.” Continuò Brian ignorandolo. “Prenderai i tuoi bagagli, salirai sulla jeep e andremo all’aeroporto.”
Justin aggrottò la fronte, sprofondando nel suo collo. “Insieme?” Chiese quasi timoroso.
Brian sorrise, baciandogli i capelli. “Insieme.” Gli accarezzò una guancia con le nocche. “Non sarà come l’ultima volta, te l’ho detto.”
“Brian, io non voglio…” Tentò Justin, sapendo già di non avere nessuna speranza.
“Ma mi sembra che qui non si stia discutendo di quello che vuoi tu.” Lo seccò Brian deciso, non riuscendo poi a non sorridere quando lo sentì borbottare contrariato. “Bene, dato che la decisione è stata presa…”
“Stronzo…”
“… direi di riprendere da dove abbiamo interrotto, no?”
Justin sbuffò. “Mi è passata la voglia.”
“Oh sì, col cazzo, Sunshine!” Ribatté risentito Brian. “Il mio amico, ai piani bassi, vuole scoparti da circa dodici ore quindi ora togliti quei cazzo di boxer e girati!”
Justin si staccò bruscamente da Brian e si voltò dall’altro lato, infilandosi sotto le coperte. “Così inizi ad abituarti al distacco.” Scomparve sotto le coltri. “Notte, Brian.”
Brian sgranò gli occhi, sbalordito.
No, non poteva fare sul serio.
No, certo che no. Non avrebbe mai resistito.
Deglutì piano, mentre una goccia di sudore scivolava lungo la sua spina dorsale.
Non avevano mai dormito insieme senza scopare, non era mai, mai, mai successo che dividessero il letto senza saltarsi addosso. Non era per loro.
Osservò la figura di Justin, completamente immobile, e capì che non avrebbe ceduto, fosse anche solo per testardaggine. E Brian sapeva quanto Justin poteva essere cocciuto.
No, doveva assolutamente prendere in mano la situazione, altrimenti poteva scordarsi la notte di fuoco che programmava da tutto il giorno.
Si avvicinò al suo compagno e gli accarezzò le spalle. “E se cambiassi il tuo soprannome?” Sussurrò malizioso al suo orecchio.
Justin aggrottò la fronte, rimanendo voltato. Non voleva fargli vedere quanto gli costasse stargli così vicino, fingendo di non volerlo scopare. Dio, come gli era venuto in mente? Poteva punirlo in qualche altro modo per il discorso di New York! Così ci rimetteva anche lui, porca puttana! Maledizione lui e la sua impulsività! Ma soprattutto maledizione a quel cazzo di corpo perfetto che si avvicinava piano a lui, strisciando come una serpe tentatrice. “Guarda che non attacca. È inutile che fai il ruffiano.” Disse, cercando di darsi un tono. La sua erezione pulsò dolorosamente tra le sue gambe in segno di protesta.
“Potrei utilizzare uno dei tuoi, tipo unico spiraglio di luce nella mia vita buia, triste e senza senso.” Gli morse sensualmente il lobo, leccando la porzione di pelle sotto l’orecchio. Sorrise quando lo sentì sospirare.
“Devi essere davvero disperato se ricorri a certi mezzi.” Sobbalzò, muovendosi istintivamente  verso l’uomo, quando avvertì la mano di Brian accarezzargli il ventre e scendere verso i boxer.
“Mi pare che qualcuno apprezzi, però…” Lo stuzzicò, insinuandosi al di sotto della stoffa.
Justin voltò il viso verso Brian, sfregando il naso contro il suo mento. “Brian…” Ansimò.
“Allora, ti piace?” Chiese in riferimento al nuovo soprannome, ma dando una strizzata vigorosa alla sua erezione. Justin s’inarcò contro la sua mano, gemendo eccitato. “Lo prenderò per un sì.”
Justin si morse un labbro e sfilò la mano di Brian dai suoi boxer. “Ok, hai vinto.” Sussurrò prima di spingerlo di nuovo sul materasso e avventarsi famelico sulle sue labbra, le mani impegnate diligentemente a gettare i boxer di Brian il più lontano possibile.
Brian sorrise, sospirando sollevato. Affondò le dita nei suoi capelli mentre la bocca di Justin scendeva a baciarglii pettorali e l’addome; s’inarcò quando avvertì la lingua sul suo ombelico. “Hai avuto paura, eh?” Lo punzecchiò il ragazzo, risalendo a baciare quel corpo che amava da impazzire. “Dì la verità, pensavi davvero che ti avrei mandato in bianco.”
Brian sollevò un angolo della bocca, gli occhi ancora chiusi. “Non avresti mai resistito.”
“Perché tu sì?” Fece Justin chiaramente scettico.
“Ma io non l’ho mai detto.”
“Ah, ecco.”
“Eri tu quello offeso che voleva scioperare.” Gemette quando le mani di Justin s’insinuarono tra le sue gambe.
Oh sì, finalmente…
“E ne avrei avuto tutti i motivi.” Si chinò su di lui e lo baciò di nuovo, stavolta a fior di labbra, mentre le sue dita continuavano a dedicarsi con attenzione all’erezione di Brian. Lo sentì ansimare, e la sua erezione ebbe un guizzo, per solidarietà. “Dillo di nuovo.”
Brian s’inarcò sprofondando di più nei cuscini. “Cosa? Togliti i boxer e girati?”
“No.” Justin rafforzò la presa quando capì che Brian era al limite e che, in quelle condizioni, avrebbe potuto chiedergli qualunque cosa. “Che sono il tuo unico raggio di sole.”
L’uomo si morse un labbro e sorrise. “Solo tu riesci ad essere romantico in queste condizioni.”
“Dillo.” Lo incitò di nuovo, stringendo più forte le dita.
“Justin…”
“Voglio sentirlo un’ultima volta, promesso.”
Brian grugnì irritato. “Ok, lo sei.”
“Sono cosa?”
“Un… mmm…” Si leccò le labbra. “… un raggio di sole.”
Justin scosse la testa. “Non ci siamo.” Altra strizzata.
Brian sussultò. “Sei… Cristo Santo, Justin…”
“Risposta sbagliata.” Justin allentò appena la presa.
“Non provare a togliere quella cazzo di mano!” Abbaiò l’uomo.
“E allora accontentami.” Pigolò il ragazzo contro il suo petto.
Brian sbuffò, portando una mano su quella di Justin per essere sicuro che non provasse di nuovo ad allontanarsi. “Sei un raggio di sole. Sei il mio raggio di sole.”
Justin si allungò verso di lui e gli leccò le labbra. “Dimmi che ti ricordi le parole esatte.” Si abbassò appena e gli leccò il collo e il pomo d’Adamo, sentendolo gemere di piacere.
“Justin, per favore…”
“Le parole esatte…” Succhiò piano la pelle tra collo e spalla. “Ti prego…”
Brian sospirò. “Sei l’unico spiraglio di luce nella… mmm…” Posò la mano libera alla base della sua schiena “… nella mia vita buia, triste e senza senso…” Lo prese per i capelli e riportò il viso all’altezza del suo per baciarlo appassionato. “Contento, ora?” Justin mugolò di piacere contro le sue labbra. “Abbiamo finito con le smancerie?”
Il ragazzo annuì, invadendo la sua bocca con la lingua e baciandolo così intensamente da lasciarlo senza fiato.
“Niente più smancerie.” Gli succhiò sensuale il labbro inferiore. “Solo sesso, sesso e ancora sesso.”
Brian sospirò sollevato. “Grazie a Dio.” Justin ridacchiò, riprendendo la sua discesa verso il basso. “Ehi, unico spiraglio di luce nella mia vita buia, triste e senza senso…” Lo chiamò con voce roca. Il ragazzo alzò di nuovo lo sguardo con un sorriso così smagliante che Brian riuscì a percepirlo persino al buio. “Vedi di impegnarti adesso: per ripagarmi del nuovo soprannome, ci vorranno dei pompini da record.”
Justin si leccò le labbra, malizioso: Brian non dovette ripeterlo due volte.


 





Ed ecco finalmente il tanto atteso matrimonio!! Come vi ho già anticipato, questo capitolo è stato abbastanza difficile da scrivere e ancora adesso ne sono poco convinta. Spero che vi faccia vomitare! 
Come al solito, ero partita con le migliori intenzioni e non dedicare troppo spazio su Brian e Justin... inutlie dire che ho fallito miseramente e sarò sincera: ne sono felice perché adoro scrivere su di loro e perché immaginare certe scene mi scaldano il cuore.
Cosa c'è da segnalare? Allora, Justin OVVIAMENTE non può partire di già e grazie alla cara Vanessa potrà godersi il suo meraviglioso fidanzato ancora per un po'. Forse sembrerà stupida come soluzione, ma avevo davvero bisogno che lui rimanesse a Pittsburgh, almeno finché non verrà risolta una certa questione - il nome Ian vi dice niente? Questo però non vuol dire che non potrebbe ripartire tra qualche capitolo... Rimarrà oppure no? Sceglierà di nuovo New York? Sì, lo so sono sadica, ma dovrete aspettare ancora un altro po'.
Spero che il dialogo finale non sia stato troppo OOC, ho cercato di mantenere i personaggi il più possibile simili al telefilm, ma credo che comunque Brian, pur non essendo un romantico di natura (almeno non nel senso tradizionale del termine), riesca lo stesso a far capire a Justin quanto lui sia importante e quanto la loro storia l'abbia fatto maturare.
Poco spazio per tutti gli altri, ma spero mi perdonerete. La scena Brian/Michael/Emmett/Ted era in programma già da un po', ma sono riuscita ad inserirla solo adesso e mi sembrava ci stesse bene. Io li adoro quando sono tutti e quattro assieme!
Mi hanno fatto un po' pena Jen e Tuck che sono stati a malapena menzionati nonostante fosse il loro grande giorno, ma ho preferito concentrarmi su altro! :D
Ed ecco un altro ritorno eccellente! Dopo Ethan, anche il caro Craig rivede Justin e Brian. Inutile dire che mi è piaciuto scrivere questa scena e non ho potuto fare a meno di inserire il flashback della famosa scena fuori dal Babylon. Spero che nessuno mi denunci! 
Per il resto, non finirò mai di scusarmi per lo spaventoso ritardo e, per farmi perdonare, prometto di scrivere un lunghissimo capitolo 14 (molto più lungo di quelli a cui vi ho abituato finora) e di postarlo il più in fretta possibile. Parola di boy scout! Questo, ovviamente, dopo che avrò finito di scriverlo! Ma non temete, su carta è quasi completo, devo solo trasciverlo su Word.
Ok, ora basta... Spero di non ricevere insulti o minacce e che recensirete anche questo non proprio eccellente capitolo.
Alla prossima!
Un bacione grandissimo a tutti!!

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Capitolo 14
*** Showdown (Part 1) ***


14. Showdown (Part 1)

 

 

 

 

 

Brian inserì l’allarme alla Corvette e, stringendosi di più nel giubbino di pelle, si avviò lungo il vialetto di casa Taylor. Ad un paio di passi dalla porta, un cucciolo di Labrador marroncino chiaro gli corse incontro, abbaiando giocoso. L’uomo si bloccò immediatamente, inarcando un sopracciglio, temendo improvvisamente per le sue scarpe firmate, ma l’animale, quasi intuendo la sua paura, si limitò a gettarsi ai suoi piedi, rotolando a pancia sopra e continuando ad abbaiare allegramente.

Brian non riuscì a trattenere un sorriso: si chinò sulle ginocchia e prese ad accarezzargli la pancia con delicatezza. “Tu devi essere la bestia infernale che popola gli incubi di Justin, piccolino…” Corrugò la fronte. “Ops, scusa, piccola…” Tinkerbell abbaiò di nuovo, come a confermare le sue parole.

La porta di casa si spalancò in quel momento. “Steeeeeeeeeeeeve! Ti muovi o no?”

Molly varcò la soglia di casa, la tracolla appesa ad una spalla, mentre finiva di abbottonarsi il lungo cappotto rosso. “Ehi, straniero!” Lo salutò allegra.

Brian le sorrise. “Ehi, piccola Taylor.” Si alzò in piedi e le andò incontro, scompigliandole i capelli fiammanti.

“Non è tenera?” Chiese la ragazza, accennando al cane e sistemandosi i capelli.

“Di certo sa come attirare l’attenzione.” Tinkerbell abbaiò di nuovo e corse dalla sua padrona che la prese in braccio.

Molly le accarezzò il musetto. “Justin non la sopporta.” Il cagnolino emise un basso ringhio al nome del ragazzo. “Che idiota, vero piccola?”

Brian ridacchiò. “Tuo fratello sarebbe lieto di vedere la profonda stima che hai di lui.”

La ragazza continuò a coccolare il cucciolo. “Ehi, guarda che tu te lo sei scelto, io me lo sono ritrovato senza possibiltà di replica.”

Steve li raggiunse in quel momento con espressione esausta. “Molly, andiamo?

“Che diavolo ti è successo?” Gli domandò Brian, notando la faccia pallida e le profonde occhiaie.

Il ragazzo moro accarezzò il capo di Tinkerbell e scese i gradini, arrivando al vialetto. “Mai vivere col tuo capo.” Lanciò un’occhiata velenosa alla casa. “Non ci sono orari prestabiliti.”

“Ancora a lagnarti?” Lo rimbeccò la voce di Vanessa dall’interno. Raggiunse gli altri sull’uscio, ma si ritrasse alla vista del cane. “Tieni quella bestiaccia lontano da me!” Molly alzò gli occhi al cielo, posandola per terra. “Justin ha perfettamente ragione.” Il cane ringhiò di nuovo, stavolta in direzione di Vanessa che lo guardò con astio. “A cuccia, piccolo mostro!” Lo ammonì.

Molly scosse la testa. “Vogliamo andare? Altrimenti rischio di fare tardi anche oggi.”

“Vado a prendere la macchina.” Fece Steve, avviandosi verso il cancello. “Ciao, Brian.”

L’uomo lo salutò con un gesto della mano. “Gli tocca fare l’autista?”

Molly annuì con un sorriso. “Oh, Nes, senti, oggi pomeriggio ti andrebbe di darmi una mano?”

La più grande la guardò sospettosa. “Che devi fare?”

“Organizzare il ballo di fine anno.”

Vanessa gli rivolse un sorriso radioso. “Wow! Certo che sì! Non vedo l’ora!” Raddrizzò le spalle con fare tronfio. “Io sono stata eletta reginetta, lo sapevi?”

Brian schioccò la lingua irritato.

E avevamo dubbi?

“Io invece ho altre cose a cui pensare.” Borbottò Molly. “Ma, dato che sono a capo del comitato per le attività ricreative, il preside ha pensato bene di incastrarmi.” Aprì la tracolla con un colpo secco. “Con tutto quello che ho da fare!”

Vanessa la guardò confusa. “Tipo? Sei la migliore della tua classe, sei stata accettata in tutti i college in cui hai fatto domanda…”

“… e a settembre andrai a Yale.” Brian le rivolse un sorriso fiero.

Molly arrossì imbarazzata. “Lo so, ma…” Si morse un labbro. “… devo… devo iniziare a prepararmi. Yale non è Pittsburgh, qui si parla di Ivy League.”

Steve arrivò in quel momento con l’auto, fermandosi accanto alla Corvette parcheggiata davanti al cancello. “Oh, finalmente!” Vanessa afferrò la sua borsa e si sistemò meglio la giacca scura. “Andiamo, piccola.” Lanciò un’occhiata sprezzante verso Brian. “Kinney.”

“Austen.” Ribatté lui indifferente, prima di chinarsi all’orecchio della ragazzina. “Andrai alla grande, piccola Taylor. Smettila di agitarti.”

Molly gli sorrise radiosa e Brian non poté non notare quanto somigliasse a suo fratello. “Grazie.” Sussurrò, alzandosi sulle punte e baciandogli teneramente una guancia. Poi, sempre col solito sorriso di marca Taylor, si avviò lungo il vialetto.

La testa bionda di Justin fece capolino dall’uscio un istante prima che sua sorella salisse in macchina. “Molly! Il pranzo!” La ragazza si voltò e prese al volo il sacchetto di carta che suo fratello le aveva lanciato. “Grazie!” Gli lanciò un bacio e salì in macchina.

Brian inarcò un sopracciglio. “Ed io che pensavo che mamma Taylor fosse in viaggio di nozze!” Lo prese in giro, seguendolo in casa e chiudendosi la porta alle spalle.

“Ci vorrebbero dieci persone per starle dietro.” Justin appese il giubbino che Brian si era sfilato all’attaccapanni dell’ingresso e sorrise al suo compagno. “Come mai in abiti civili?” Chiese passandogli le braccia attorno al collo.

Per quanto amasse Brian nei suoi completi firmati, vederlo in jeans e maglietta era sempre destabilizzante. Gli ricordava il Brian Kinney che aveva conosciuto davanti al Babylon tanti anni prima.

Il re di Liberty Avenue.

Brian si chinò su di lui, baciandogli dolcemente le labbra. “Diciamo che potrei aver detto a Cynthia e Ted che oggi non sarei andato al lavoro.”

Justin sgranò gli occhi, guardandolo felice. “Sì?” Chiese speranzoso.

L’uomo annuì, piegando le labbra all’interno della bocca. “Tu che programmi hai?”

“Mmm…” Justin si picchiettò il mento con un dito, fingendo di pensarci su. “Molly è a scuola, Nessa è in giro ad esasperare poveri malcapitati e Steve passerà la mattinata a farle da chauffeur.” Si alzò sulle punte e lo baciò a fior di labbra. “Ti andrebbe di fare un giro della casa? E magari vedere la mia camera da letto?”

Brian sorrise malizioso. “O magari solo il letto?”

“Mmm… magari…” Justin si leccò le labbra e lo prese per mano, trascinandolo su per le scale. “Bene, signor Kinney: benvenuto nel mio regno!” Esclamò allegro, varcando la soglia della stanza. Arrossì appena, mentre Brian, le mani ancora intrecciate alle sue, entrava dietro di lui.

“È così strano che io non sia mai entrato qui?” Justin si strinse nelle spalle, dirigendosi verso la finestra per aprire le tende. “Un po’, ma non ho mai davvero vissuto qui. Ci sono stato solo un paio di settimane dopo l’aggressione. Tra il soggiorno da Debbie e quello…”

“… al loft.” Brian gli rivolse un sorriso sbieco, avvicinandosi al cavalletto, posto vicino alla porta della cabina armadio; osservò con attenzione alcune tele posate a terra.

Justin si sedette sul materasso e, guardandolo per un attimo, soffocò una risata.

“Che hai da ridere?” Domandò l’uomo con lo sguardo ora rivolto agli schizzi appesi al muro, proprio sopra la scrivania. Ne riconobbe un paio.

Justin sorrise, mordendosi un labbro. “Quando a New York mi chiedevano di Pittsburgh, di com’era la mia città, di descrivergli casa mia…” Abbassò lo sguardo imbarazzato, puntandolo sul pavimento.

“Cosa?” Brian si voltò verso di lui, curioso.

“Quando menzionavano la parola casa, io pensavo al loft. Non a…” Indicò le pareti della stanza “… a questo posto.”

Brian aprì la bocca per dire qualcosa, ma la richiuse senza emettere un suono. Si limitò a porgergli una mano e a tirarlo verso di sé senza tante cerimonie per baciarlo con trasporto. “Sono belli…” Disse poi rivolto ai quadri, una volta staccatosi dalle labbra invitanti di Justin.

Justin sorrise. “Nessa dice che sono i miei lavori migliori.” Prese una delle tele. “Secondo lei hanno una complessità ed una profondità espressiva che però non trascende nell’asfissiante malinconia dei miei soliti lavori.”

Brian sollevò le sopracciglia, fingendosi colpito. “Però! Certo che ne usa di paroloni la regina delle stronze.”

Justin ridacchiò, abbracciandolo da dietro. “Fa’ il bravo. È una mia amica.”

“L’unica tua amica che mi piace è Daphne.” Brian tornò a curiosare tra la roba di Justin, tenendo le mani del ragazzo strette sul suo petto così da non doversi staccare da lui.

“Sì, e ti assicuro che la cosa è assolutamente reciproca.” Borbottò Justin, alzando gli occhi al cielo. “Vorrei davvero capire che cosa fai alle donne della mia vita.”

Brian ghignò. “È il fascino Kinney. Non posso controllarlo.”

“Sì sì, ne riparleremo quando, grazie al fascino Kinney, tuo figlio avrà la fila di ragazze davanti alla porta.”

“Brrr…” Brian inorridì. “Mio figlio etero. Non voglio nemmeno pensarci.”

Justin scosse il capo, posandogli un bacio al centro della schiena. “Allora, vuoi rimanere qui a dire idiozie o diamo finalmente un senso alla giornata?” Le sue mani, ancora sul petto di Brian, scivolarono sensualmente verso il basso. Ma, con sua grande sorpresa, Brian gliele pizzicò, staccandosi da lui, le labbra piegate all’interno della bocca in un’espressione di puro divertimento davanti al viso offeso di Justin. “Non così in fretta, Sunshine. Voglio prima dare un’altra occhiata in giro.”

Justin arricciò il naso; si avvicinò di nuovo a lui e gli posò una mano sulla fronte. “Sicuro di stare bene? Forse dovrei portarti in ospedale.” Brian gli rifilò una sberla sulla nuca con aria scocciata. “Tu hai intrufolato il tuo naso nelle mie cose per anni. Adesso che mi posso vendicare, non mi distrarrai col sesso.”

“Davvero?” Fece Justin malizioso, leccandosi le labbra.

Brian gli lanciò un’espressione a metà tra l’incerto e il risentito. “Sei sempre il solito allupato. Io sto cercando di fare un discorso serio.”

Justin scoppiò a ridere. “Scusa! Non volevo distrarti!” Alzò le mani in segno di resa. “Va’ avanti… C’è qualcos’altro che vuoi vedere?”

Brian sbuffò annoiato, riportando la sua attenzione sulla stanza. “Possibile che non ci sia nulla di imbarazzante? Niente con cui potrei ricattarti in cambio di favori sessuali?” Guardò Justin con fare malizioso, affondando le dita nei suoi capelli. Lo sentì sospirare. “Mi dispiace, ma le cose imbarazzanti sono tutte in soffitta.” La mano di Brian scese verso la guancia, Justin chiuse gli occhi quando avvertì la punta delle dita graffiargli delicatamente la pelle. “E sei sicuro di non aver lasciato nulla qui?” Lo stuzzicò passandogli il braccio libero dietro la nuca per avvicinarlo a sé. Justin scosse il capo. “Assolutamente.”

Brian si chinò verso di lui con un sorriso e gli leccò il lobo dell’orecchio. “Non costringermi a punirti, Sunshine.”

“Se stai cercando di convincermi, non è il metodo giusto.” Justin si alzò sulle punte e gli mordicchiò il mento, sorridendogli furbo. “Non vedo l’ora di essere punito.”

Brian alzò gli occhi al cielo, non riuscendo a trattenere un sorriso. Era inutile, nonostante tutte le buone intenzioni, i suoi propositi di rimanere vestito per almeno dieci minuti andavano a finire nel cesso non appena Justin si avvicinava a lui con quel sorriso tentatore. Sospirò piano. “Ok, hai vinto.”

“Come sempre.” Sussurrò compiaciuto Justin, sollevando il viso verso di lui e baciandolo finalmente. Premette piano la lingua contro le labbra di Brian che le schiuse con un mugolio di apprezzamento, permettendogli di perdersi nel sapore della sua bocca. Gli passò le braccia attorno al collo e lo attirò maggiormente a sé; le mani di Brian si strinsero sulla sua schiena mentre iniziava a ricambiare il bacio, assaporando la bocca del compagno. Sorrise compiaciuto quando lo sentì gemere e sfregare il bacino contro il suo. Brian aprì gli occhi, desideroso di ammirare il volto arrossato di Justin. Gli morse il labbro inferiore, insinuando lentamente una mano sotto la maglietta leggera; in risposta, Justin sussurrò il suo nome, tornando a divorargli le labbra. Brian lo spinse piano verso il letto e fece per richiudere gli occhi, ma si bloccò un attimo prima che Justin arrivasse col retro delle ginocchia al materasso. Sorrise soddisfatto e si staccò dal ragazzo senza preavviso, lasciandolo a bocca aperta e con la mano a mezz’aria. “Brian, ma che…”

“Trovato!” Brian arrivò al comodino e allungò una mano verso la mensola che stava sopra il letto. “NO!” Esclamò Justin scordandosi di tutto – compresa la sua erezione che premeva dolorosamente nel pigiama – e saltò sul letto, provando ad anticiparlo. Brian scoppiò a ridere e afferrò l’orsacchiotto che faceva capolino da dietro alcuni trofei. Justin, in piedi sul letto, si appese alle sue spalle, trascinandolo con sé sul materasso e scoppiando a ridere, immediatamente imitato da Brian. “Dammelo!” Tentò di ordinargli tra le risate. Brian, seduto sulle lenzuola sfatte, con le braccia di Justin attorno alle spalle e le sue gambe che gli circondavano la vita, scosse il capo con veemenza. “Non ci penso proprio.” Sfregò il nasino nero del pupazzo. “Avrei proprio voluto vederti giocare con questo tenero peluche. Il piccolo Justin e il suo orsacchiotto.” Justin gli diede uno schiaffo sulla nuca. “Allora, ce l’ha un nome questo coso?” Brian gli alzò le zampe e prese a muoverle su e giù, facendolo sembrare una ragazza ponpon. “Teddybear? Coccolino?” Lo prese in giro.

Justin schioccò la lingua irritato sfilandogli il peluche dalle mani e alzandosi in piedi per rimetterlo al suo posto. “Il suo nome è Gus, spiritosone.” Brian si sdraiò sul materasso e guardò il ragazzo dal basso, l’espressione chiaramente incredula. “Dimmi che non eri così ossessionato da me da chiamare uno stupido orso col nome di mio figlio.”

Justin gli fece una linguaccia, dandogli un leggero colpetto sul fianco col piede. “Che tu ci creda o no, mia madre mi ha regalato quel peluche a cinque anni.” Si mise a cavalcioni sul corpo di Brian che si umettò il labbro con un sospiro. “Quindi, mi dispiace per te, ma non sei il centro del mio universo.”

Brian sbuffò scettico. “Da quando?” Inarcò maliziosamente un sopracciglio. Justin sorrise chinandosi su di lui per baciarlo, ma non ci riuscì. Un attimo prima che le loro labbra si sfiorassero, Brian mise una mano sul petto di Justin e, spingendolo appena, ribaltò le posizioni.

Justin scosse la testa, allargando le gambe e stringendole attorno alla vita di Brian che sorrise, posandogli poi le mani sui fianchi. “Dov’eravamo rimasti?” Gli chiese chinandosi su di lui.

Tracciò una scia di baci attorno alla bocca, sul naso e lungo la mascella senza mai toccare le labbra. Justin sospirò, rilassandosi tra le sue braccia. Gli piaceva quando Brian lo coccolava – nonostante quello che avevano sempre detto.

Spesso si era chiesto come gli altri vedessero la loro relazione. Non che importasse la loro opinione, ma negli anni lui si era fatto un’idea abbastanza precisa. Probabilmente tutti li immaginavano come due allupati in calore, due animali che si strappavano i vestiti di dosso alla prima occasione, che non vedevano l’ora di saltarsi addosso e scoparsi fino allo sfinimento. Ad occhi chiusi, Justin sorrise mentre la bocca di Brian passava ad accarezzargli il collo.

Da una parte si sentiva lusingato che il lato dolce di Brian emergesse – o fosse emerso – solo con lui, che era solo lui che gli piaceva accarezzare, baciare e sfiorare, che solo a lui permetteva di accoccolarsi al suo fianco nel mezzo della notte, che erano i suoi capelli che amava accarezzare mentre, sdraiati sul divano, guardavano la tv prendendo in giro le ridicole presentatrici di pseudotalk show.

Dall’altra parte invece…

Dall’altra parte, avrebbe voluto gridare al mondo intero quanto Brian Kinney fosse speciale, quanto il suo essere eccezionale non si limitasse ad un fisico da paura e ad un’insaziabile voglia di scopare.

No, Brian era speciale perché, prima del sesso, poteva passare ore solo a venerare il suo corpo, proprio come in quel momento. Poteva accarezzarlo e baciarlo, facendolo rabbrividire dalla punta dei capelli alle dita dei piedi; poteva passare serate intere a ridere come un ragazzino, prendendolo in giro, mentre lui gli raccontava delle angherie che lui e Steve erano costretti a subire da Vanessa a New York, poteva portare al cinema quel figlio di cui era pazzo a vedere un film che odiava, solo per vedere la sua bocca, coperta da briciole di pop corn, aprirsi in un bellissimo sorriso, poteva rimanere ore a guardarlo disegnare, limitandosi a massaggiargli dolcemente le spalle o il collo e facendo finta di nulla se la matita scivolava sul foglio un paio di volte, sfuggendo alla presa della mano dolorante.

Avrebbe voluto gridare al mondo intero che Brian non era solo il re di Liberty Avenue, non era solo il dono di Dio ai gay. No, era molto di più: era un padre innamorato di suo figlio, un amico leale per chi aveva la fortuna di guadagnarsi la sua stima e un nemico pericoloso per chi era così sciocco da mettersi contro di lui, ma soprattutto, era un amante premuroso e appassionato che riusciva a farlo sentire la persona più amata e felice del mondo.

Sollevò una mano e la immerse nei capelli di Brian, ancora concentrato sul suo collo. “Ok, voglio avvertirti che se la tua maglia non sparisce entro tre secondi, la riduco a brandelli.” Gli sussurrò con voce roca, strappandogli un sorriso.

Sì, avrebbe davvero voluto gridare ai quattro venti quanto meraviglioso fosse l’uomo che amava follemente da sette anni. Ma probabilmente, se c’avesse provato, Brian l’avrebbe ucciso.

Justin si sentì tirare a sedere e, un attimo dopo, la sua maglietta finì sul pavimento. “Molto meglio…” Soffiò Brian contro la sua pelle, tornando immediatamente a baciarlo. Le sue labbra accarezzarono dolcemente il petto, la pancia e il basso ventre, scendendo verso la cintura del pigiama; mordicchiò piano la porzione di pelle proprio sopra l’orlo prima di risalire, facendo gemere contrariato Justin. Tornò di nuovo al petto e riprese a baciarlo, stavolta risalendo verso le clavicole e le spalle. Justin gli passò le braccia attorno alla vita, piegando la testa all’indietro così da lasciargli libero accesso al suo collo pallido. E, come se gli avesse letto nella mente, Brian affondò il viso nell’incavo, iniziando a baciargli la gola per inebriarsi del suo sapore.

Justin mugolò quando lo sentì mordergli piano la pelle; sfregò il bacino contro quello di Brian che gemette a sua volta. “Brian, via la maglia.” Ordinò seccamente, aprendo gli occhi, le dita già al di sotto della t-shirt dell’uomo.

“Sentitelo, il PPP.” Justin inarcò un sopracciglio. “Piccolo Passivo Prepotente.” Spiegò Brian con un ghigno.

Justin si morse un labbro, mentre l’indumento raggiungeva finalmente il pavimento, mettendo in mostra il petto muscoloso di Brian. “So che ti piace quando faccio il prepotente.”

Brian si chinò su di lui e sorrise contro la sua mascella. “In situazioni come questa, mi piacerebbe qualunque cosa.” Gli baciò la pelle sotto l’orecchio, leccandogli poi il lobo. “E la lontananza non ha aiutato.” Sollevò il viso e prestò finalmente attenzione all’invitante bocca del ragazzo steso sotto di lui. Justin gemette eccitato quando percepì la lingua di Brian farsi strada tra le sue labbra; le schiuse senza bisogno di ulteriori incoraggiamenti e, cogliendolo di sorpresa, ribaltò le posizioni, tornando a cavalcioni su di lui. Brian lo tenne stretto per i fianchi affinché, nello spostamento, non osasse separarsi dalla sua bocca, poi posò una mano sulla sua guancia mentre la lingua di Justin iniziava a danzare sinuosa con la sua.

Se c’era una cosa che amava di Justin – oltre le cose ovvie – erano i suoi baci.

Col tempo aveva iniziato ad osservare come fossero cambiati nel corso degli anni: dal primo che – ne aveva ancora un vivido ricordo, anche se non l’avrebbe mai ammesso – gli aveva davvero fatto rizzare i peli del collo – e non era l’unica cosa che si era rizzata –, erano passati a quelli più insicuri e timorosi dopo l’aggressione, da quelli appassionati e mozzafiato della fase post-Ian a quelli impauriti e disperatamente delicati del periodo del cancro, quando Justin provava in tutti i modi a non lasciarsi trasportare dagli istinti, per paura di essere troppo brusco, costantemente preoccupato di potergli fare male.

Ciò che però Brian non gli aveva mai detto e che Justin non sapeva – o forse sì, dopotutto era sempre stato lui il più intelligente tra loro – era che lui non poteva fargli del male, non poteva fare a pezzi la sua vita perché era proprio lui, solo lui, che quei pezzi riusciva sempre a rimetterli insieme, dando un senso e una ragione ai disastrosi casini della sua vita.

Gli prese il volto tra le mani e approfondì di più il bacio, del tutto intenzionato a lasciarlo senza fiato, proprio come Justin aveva fatto con lui tante e tante volte. Denti contro denti, labbra contro labbra, lingua contro lingua in un’erotica e perpetua lotta.

Si ritrovò a chiedersi per l'ennesima volta, da quando Justin era prepotenetemente entrato nella sua vita, come aveva fatto quel piccolo e irritante ragazzino a trasformare il grande Brian Kinney in una lesbica della peggior specie. E soprattutto come era successo che lui non ci trovasse più nulla di male.

Sorrise contro le sue labbra, affondando le dita nei capelli chiari di Justin. Le mani del ragazzo corsero frenetiche alla sua cintura e, Brian non seppe neppure come, un attimo dopo, ansimavano nudi l’uno nella bocca dell’altro, sfregando impazienti i loro bacini.

“Brian…” Boccheggiò Justin. “Credo che i preliminari siano durati anche troppo.”

“E riecco di nuovo il PPP.” Justin sorrise, mordendogli il labbro inferiore. “Amo fare il passivo presuntuoso.”

Brian lo baciò di nuovo, scansandogli i capelli dalla fronte. “E che diresti se per un volta facessi l’attivo presuntuoso?” Piegò le labbra all’interno della bocca e ghignò soddisfatto, quando si accorse di aver ottenuto esattamente la reazione a cui mirava.

Justin lo guardò sorpreso, occhi e bocca ancora spalancati. “Beh, che c’è? Tinkerbell ti ha mangiato la lingua?” Lo prese in giro. “Guarda che se non ti va…”

“NO!” Gridò Justin, scattando a sedere. “Io non… wow… certo che mi va… voglio dire, non vedevo l’ora, ma… avevo paura che tu non… e poi…” Si passò una mano tra i capelli, in difficoltà. “… è tutto così incerto tra noi che temevo…”

“Justin…” Brian si sollevò sui gomiti e sfregò il naso contro la sua guancia come faceva sempre quando voleva rassicurarlo. “Stai parlando a vanvera come al solito.” Lo sentì sorridere e rilassarsi tra le sue braccia.

Justin sospirò, spingendolo indietro per poterlo guardare negli occhi. “Sei… sicuro?” Gli posò una mano sulla guancia. Brian ne baciò il palmo. “Justin, per quanto le cose possano essere strane tra noi, non pensare mai che siano incerte, perché di certo questa cosa tra me e te non lo è.”

Justin lo acceccò con uno dei suoi sorrisi più belli prima di baciarlo di nuovo.

Ti amo anch’io, Brian… Se solo tu sapessi quanto…

“Sei… davvero sicuro?” Chiese ancora, sfiorandogli il naso col proprio. Brian sorrise e annuì appena. “Sicurissimo.”

Justin prese un bel respiro. “Ok.”

“Justin…” Brian alzò gli occhi al cielo. “Sembra quasi che tu debba sforzarti.”

“Non…” Lo guardò male. “Non devo sforzarmi, saputello. È che da quando sono tornato noi non l’abbiamo mai fatto… con me sopra.”

“Mi stai dicendo che ti sei scordato come si fa?”

Justin sbuffò scocciato. “Chiudi il becco e smettila di dire stronzate.” Si chinò di nuovo su di lui e gli leccò sensualmente le labbra. “Sarai dolorante per una settimana.”

Brian premette la lingua contro la guancia. “È una promessa?”

Justin accennò un sorriso e si chinò per rivolgere le sue attenzioni al petto di Brian. Chiuse gli occhi e inspirò a fondo, perdendosi nel profumo del corpo sotto di lui.

Desiderava quel corpo dal momento in cui era sceso dall’aereo, l’unico pensiero coerente che si era formato nella sua mente, mentre sua madre parlava con Steve del volo, era stato: Pittsburgh=Brian. Sorrise, soffiando piano contro la pelle dell’uomo che sospirò, chiudendo gli occhi e leccandosi le labbra.

O forse stava mentendo a se stesso. In realtà era ben consapevole di non aver mai smesso di desiderare Brian… Era solo più semplice non pensarci, non in quel contesto almeno – nudo, accaldato ed eccitato come un adolescente.

E quante volte, dal suo ritorno, aveva desiderato poter stare sopra, poter essere lui a condurre i giochi, lui a fare l’attivo. Non che si lamentasse, ovviamente, ma per quanto sentire Brian dentro di lui fosse inebriante e assolutamente sconvolgente, entrare in Brian, sentire il suo corpo attorno a sé, era un’esperienza che non avrebbe scambiato per niente al mondo. E il fatto che capitasse raramente, contribuiva a dargli un valore speciale, a confermargli ogni volta quanto Brian tenesse a lui, quanto si fidasse di lui e quanto desiderasse sentirlo dentro di lui esattamente come capitava a Justin.

Arrivò al suo ombelico e risalì lentamente verso la pancia. Schioccò un rumoroso bacio sull’addome muscoloso e si sollevò a sedere, allungandosi verso il suo comodino.

Brian aprì un occhio e sorrise quando notò preservativi e lubrificante nelle mani di Justin. “Qualcuno è preparato, a quanto pare.”

“Per te? Sempre.” Si chinò di nuovo su di lui e lo baciò con trasporto. Quando si separò dalle sue labbra, lo guardò fisso negli occhi e aprì il preservativo, indossandolo. Brian si leccò sensualmente le labbra e divaricò le gambe, cosicché Justin potesse avere più libertà di movimento.

Il ragazzo tornò a sdraiarsi su di lui e si abbassò a baciargli il petto mentre, con una piccola spinta, entrava finalmente in lui.

Lo sentì sibilare per la sorpresa e si bloccò, spaventato che gli avesse fatto male. Brian chiuse gli occhi e inspirò profondamente, la mano destra che risaliva lentamente sulla coscia di Justin. “Dammi un minuto...” Boccheggiò. “Non è una cosa che mi capita tutti i giorni…”

Justin annuì contro la sua pelle e si sollevò per guardarlo negli occhi.

Era mai stato più bello di così?

Lo vide prendere lunghe boccate d'aria e sistemarsi meglio sul minuscolo materasso con le mani sempre aggrappate alle sue gambe snelle. Justin respirò piano e cercò di non muoversi, in attesa che Brian si abituasse alla sua intrusione.

Proprio quando iniziava a pensare di lasciar perdere, di uscire da quel corpo meraviglioso per paura di avergli fatto troppo male, Brian sorrise. Staccò la mano destra dalla sua coscia e passò ad accarezzare i fianchi di Justin prima di risalire al petto e alle braccia e trovare finalmente quello che cercava. Aprì gli occhi e intrecciò le dita con quelle di Justin.

Il ragazzo si ritrovò a trattenere il respiro di fronte allo sguardo di Brian.

Adorazione allo stato puro.

Adorazione. Orgoglio. Fiducia. E totale devozione.

Non poté fare a meno di baciarlo di nuovo, rafforzando la presa sulle loro mani.

“Brian…” Boccheggiò al massimo dell’eccitazione.

Brian lo tirò ancora di più contro di sé e divorò quelle labbra che amava tanto, accennando finalmente un movimento del bacino. “Justin…”

Justin ansimò nella sua bocca e dovette far ricorso a tutte le sue forze per non venire immediatamente. Sarebbe stata proprio una gran bella figura per lui arrivare all'orgasmo dopo tre secondi, ma sentire Brian sussurrare il suo nome a quel modo era qualcosa di indescrivibile. Dopo aver preso un bel respiro ed essersi leggermente ricomposto, riprese a muoversi anche lui, spingendosi dolcemente dentro di lui e facendolo boccheggiare. Sorrise segretamente compiaciuto di sé, quando riconobbe i familiari gemiti che aveva sentito tante volte sfuggire dalle sue labbra nelle notti di sesso sfrenato con Brian.

Allora non sto andando tanto male…

Brian affondò la testa nei cuscini e socchiuse le labbra, gemendo ancora sotto una nuova spinta, stavolta più profonda. Sollevò un angolo della bocca, mentre iniziava a seguire il ritmo che per una volta non era stato lui a decidere.

La cosa gli piaceva da matti…

Aprì di nuovo gli occhi e sollevò il mento di Justin con la mano libera, incatenando di nuovo i loro occhi, blu contro verde. E mentre Justin continuava a spingere, affondando di più in lui, fino all'anima, fino al cuore, Brian non distolse lo sguardo dal suo, pregando con tutto se stesso che la sua totale incapacità di esprimersi a parole, fosse in qualche modo compensata da quello sguardo, pieno di ammirazione, di rispetto e di amore.

Di così tanto amore che Brian si sentì quasi sopraffatto.

D’improvviso ebbe paura.

E se non fosse stato sufficiente?

Justin si meritava di più di qualche occhiata storta mentre scopavano, Justin meritava di sentirsi amato, amato davvero. E ancora una volta, capì di essere inadeguato, di non essere abbastanza per lui.

Justin meritava il meglio.

E forse lui non era capace di darglielo, nonostante ci provasse con tutte le sue forze.

Il ragazzo parve cogliere la sua incertezza e gli sorrise, accarezzandogli il viso sudato con la mano libera. “Non c’è nessun altro posto in cui vorrei essere in questo momento.” Un’altra spinta. “Vorrei rimanere qui per sempre.” Un altro gemito. “Solo io e te.”

Brian chiuse gli occhi e sorrise. “Solo noi.” Boccheggiò.

Justin si leccò le labbra, ormai al limite. “Solo noi.”

Non riuscì a dire altro: il loro orgasmo li travolse insieme, facendoli gridare all'unisono e lasciandoli spossati e ansimanti l’uno sul corpo dell’altro.

 

 

 

 

 

Ted attraversò la doppia porta in vetro del centro ed entrò nell’atrio. Salutò un paio di persone prima di imboccare l’ascensore e salire al terzo piano; si diresse verso il corridoio a destra e svoltò l’angolo, avvistando l’ultima porta. L’ufficio di Blake.

Alzò la mano per bussare quando delle voci concitate all’interno lo bloccarono, il pugno ad un centimetro dalla porta leggermente socchiusa.

“Ma non capisci che è una cosa importante?”

Ted storse involontariamente il naso alla voce di Carol, la direttrice del centro. “E allora perché non ci vai tu?”

Udì la donna emettere un sospiro. “Perché non posso assentarmi, lo sai.” Ted mosse un altro passo, l’orecchio ora incollato al legno scadente della porta. “Non capisco perché la fai tanto lunga! Mica ti sto dicendo di fare le valige e trasferirti a San Francisco! Ti sto solo offrendo un bel viaggetto tutto spesato nel fantastico stato della California per aiutare dei ragazzi che hanno davvero apprezzato i tuoi preziosi consigli.”

“Carol…” Ted avvertì una nota di stanchezza nella voce del suo compagno. “Sono appena tornato.”

“Lo so.”

“Non potrei essere loro d’aiuto per telefono? Potrei procurarmi il numero di Kitty e vedere come…”

“Blake, credi davvero di poter gestire un centro di riabilitazione a quattromila chilometri di distanza per telefono?”

Blake sorrise. “Ok ok, era un’idea stupida.” Ammise, alzando le mani.

Carol ridacchiò. “Grazie per averlo riconosciuto.”

“Comunque la mia risposta rimane la stessa.”

“Blake, ti prego, ho davvero bisogno della tua disponibilità.”

“Ma perché io?”

“Perché fra tutti i miei vice, tu sei il più giovane, il più bravo e soprattutto perché non hai bambini compresi tra i due mesi e i quattro anni che potrebbero morire se lasciati in balia dei loro padri.”

“E che mi dici di Sandy? Lei potrebbe…”

“Sandy sta seguendo un corso per tenere dei seminari nei licei della zona. Abbiamo avuto l’ok del sindaco e dei presidi questa mattina.”

“E io…”

“No, tu non puoi sostituirla, mi dispiace. È stata una sua idea e mi ha chiesto espressamente di poterla realizzare in prima persona.”

“Sarebbe solo per una settimana. E, data anche la mia esperienza personale, potrei dare ai ragazzi anche un punto di vista…”

Carol scosse la testa. “Blake, ho già preso la mia decisione. Te l’ho detto, non mi servi qui. Tu mi servi a San Francisco.”

“Sì, ma io non posso.”

Ted sentì Carol sospirare di nuovo. “È per Ted, vero?” L'uomo si fece ancora più vicino, arrischiandosi ad aprire la porta di un altro centimetro. Blake rimase in silenzio. “Ti ha creato dei problemi l’ultima volta?”

“No, Ted non lo farebbe mai.”

“C’è un motivo se l’ho sempre reputato un uomo molto intelligente, oltre che una persona estremamente corretta.”

Ted sgranò gli occhi sorpresi. Non immaginava che Carol avesse quell’opinione di lui.

“Ted sa che il centro è importante per me, che qui ho la possibilità di aiutare tante persone, così come io e lui siamo stati aiutati.”

“E allora qual è il problema?”

“Carol, non posso semplicemente tornare a casa e dirgli che in tre giorni dovrò partire di nuovo. Non sarebbe giusto.”

Ted non riuscì più a rimanere nascosto: poggiò la mano sulla porta e l’aprì, attirando così l’attenzione dei due occupanti. “Perché no?” Chiese rivolto al suo compagno, poggiato contro la scrivania a braccia incrociate.

“Ted!” Blake spalancò gli occhi sorpreso. “Da quanto sei lì?”

“Da un po’.” L’uomo sorrise brevemente a Carol che ricambiò.

“Non avresti dovuto origliare.”

“E tu non avresti dovuto tenermelo nascosto.”

Blake si umettò il labbro. “L’ho appena saputo. Non ho avuto modo di…”

“Ma comunque me l’avresti tenuto nascosto.”

Il ragazzo studiò il volto di Ted prima di annuire mestamente. “Mi dispiace.” Spostò lo sguardo su Carol. “Carol, potresti darci un momento?”

La donna annuì. “Se ti serve qualcosa, sono nel mio ufficio.” E, con un breve cenno verso Ted, lasciò la stanza.

Ted si accomodò su una delle due poltrone di fronte a Blake e gli porse una mano. “Non voglio che tu mi menta.”

“Lo so.” Il ragazzo intrecciò le dita con le sue. “Ma non sapevo come fare a dirtelo.”

“Dirmi cosa? Che sei così incredibilmente bravo in quello che fai che sei richiesto persino dall’altra parte del paese?” Ted gli sorrise incoraggiante.

“Sai che non è così.”

“Quello che so è che il centro ha bisogno di te.”

“Quindi che dovrei fare? Partire e lasciarti ogni volta che Carol schiocca le dita?”

Ted sospirò abbozzando un sorriso. “Certo che no, ma sai quanto sia orgogliosa e, se ha chiesto il tuo aiuto, deve essere davvero nei guai.”

Blake roteò gi occhi sbuffando. “A te non piace nemmeno Carol! Da dove esce tutta questa comprensione nei suoi confronti?”

“Non stiamo parlando di Carol. E nemmeno di me. Qui di tratta di te e del tuo lavoro, un lavoro che ami e che ti permette di aiutare tante persone.”

Blake scosse la testa. “Ma si tratta anche di te.”

“Sono solo un paio di giorni.”

“Sai che non è così. Un centro di quella grandezza non si apre in una settimana.” Guardò Ted con espressione seria. “Se accetto di tornare adesso, potrei essere costretto a farlo ancora, ancora e ancora.”

“Lo so.” Rispose l’uomo, tirandolo per la mano. Blake si sedette sulle sue gambe. “Ma sarebbe comunque per qualche tempo, mai in maniera definitiva.”

“Ci mancherebbe altro.”

“E allora qual è il problema? Hai paura di trovarti così bene a San Francisco da volerci rimanere per sempre?” Scherzò, sfiorandogli il naso col suo.

Blake sorrise, passandogli le braccia attorno al collo.

Come riuscisse Ted a leggergli sempre dentro rimaneva un mistero, ma alla fine era quella la verità: aveva paura di trovarsi bene in California, così bene da poter arrivare a considerare idee che fino a quel momento non lo avevano mai neppure sfiorato. Inutile negarlo, a San Francisco si era sentito soddisfatto, si era sentito di nuovo utile e pensare di partecipare ad un progetto così importante lo aveva mandato su di giri. Lavorare con la responsabile, Kitty, alla regolamentazione dei locali, all’assunzione dell’organico e persino provvedere a tutte le autorizzazioni lo aveva fatto stare bene.

Eppure, per quanto avesse amato la sua piccola parentesi californiana, non avrebbe mai preso in considerazione l’idea di continuare a seguire il progetto in pianta stabile. Non se farlo avrebbe comportato rinunciare a Ted.

Non voleva farlo e non l’avrebbe fatto. Non avrebbe rovinato tutto tra loro come aveva già fatto in passato solo per uno stupido capriccio, solo perché si sentisse realizzato. Amava Ted con tutto se stesso e sapeva che, più di ogni altra cosa, desiderava rimanere al suo fianco. “Sai che non potrei mai farlo. Nemmeno se a San Francisco mi chiedessero di diventare direttore del centro.”

Il sorriso di Ted vacillò per un instante, scomparendo poi del tutto. “Perché no?”

Blake sgranò gli occhi. “”Perché non ho nessuna intenzione di rinunciare a te.” Lo sentì immediatamente irrigidirsi nel suo abbraccio. “Che c’è”?

“Sai che non ti chiederei mai di mettere a rischio il tuo lavoro per me.”

“E infatti non sei tu a chiedermelo.”

“Ma è come se lo facessi.”

“Invece no.”

“Blake, la nostra storia non può essere una scusa dietro cui nascondersi per impedirci di vivere le nostre vite.”

Blake scosse il capo con vigore. “Non farlo.”

“Fare cosa? Cercare di farti ragionare?”

“Smettila.” Il ragazzo si alzò in piedi, tornando ad appoggiarsi alla scrivania con la schiena. “Io non sono Justin e tu non sei Brian, quindi smettila di prendere decisioni per entrambi.” Incrociò le braccia al petto. “So decidere da solo.”

Ted inarcò un sopracciglio. “Tu dici?”

“Ted…”

“No, ascolta. Non voglio forzarti a fare nulla. E chiaramente non voglio che tu parta perché sentirei da morire la tua mancanza.” Cercò di rassicurarlo con un sorriso. “Però ho paura che tu possa precluderti tante opportunità, nuove prospettive solo per la nostra storia.”

Blake lo fissò serio. “Non è solo la nostra storia, Ted. Per me è tutto.”

“Lo so.” Ted abbozzò un sorriso.

“E allora perché devi farmi pesare il fatto che la ritengo più importante di una stupida promozione?”

“Perché non c’è bisogno che tu accantoni i tuoi sogni, le tue aspirazioni per colpa mia.”

“Ted, tu sei importante. Tu sei tutto.”

Ted si alzò e lo raggiunse alla scrivania; gli passò le braccia attorno al collo. “Anche tu sei tutto per me.” Lo baciò teneramente sulle labbra. “Ma tu mi permetteresti di perdere un’ottima occasione lavorativa perché troppo spaventato per lasciarti?”

Blake inclinò il capo, sospirando piano. “Suppongo di no.” Ammise.

“Voglio solo che tu sia felice.”

“E lo sono.” Posò la fronte contro quella di Ted. “Qui con te, lo sono.”

“Ma potresti esserlo anche di più.”

“A San Francisco?” Ted annuì, strofinando vigorosamente la schiena del compagno. “Non senza di te.”

Ted sospirò. “Va bene, mi arrendo.” Si tirò indietro per guardarlo in viso e gli sorrise. “Decidi tu. Prometto che non dirò più nulla.”

Blake lo baciò a fior di labbra. “Ti ringrazio.”

“Promettimi però una cosa.”

“Cosa?”

“Che ci penserai ancora un po’.”

“Ted…”

“No, ascolta. Non voglio che tu decida così su due piedi. Carol te l’ha appena chiesto. Prenditi del tempo prima di rifiutare.”

“Non voglio.”

“Ti prego.” Ted gli prese il volto tra le mani. “Non ti chiedo altro. Solo… pensaci.”

Blake sospirò. “Ok.” Lo vide sorridere felice. “Ma non ti prometto nulla.”

“Mi basta questo.” Lo baciò velocemente. “Grazie.”

Il più giovane annuì, cercando di sorridere per mascherare il suo disagio. “Allora? Non mi hai ancora detto perché sei qui. Senti già la mia mancanza?”

“Bè, ci siamo salutati più di due ore fa. Certo che sento la tua mancanza.”

Blake intrecciò le dita con quelle di Ted. “E come sei riuscito a convincere il tuo capo schiavista a farti uscire?”

Ted gli sorrise furbo. “Brian non è venuto oggi.” Blake sgranò gli occhi. “Ha chiamato dicendo che si prendeva un giorno di vacanza.”

“Un giorno di vacanza? Brian?” Chiese l’altro chiaramente scettico. “Brian Kinney, il tuo amico drogato di lavoro?”

Ted annuì. “Dev’essere la primavera.”

“Io direi più un Raggio di Sole.”

“Comunque, dato che sono andato in banca per alcuni versamenti, ho pensato di passare a salutarti.” Lo baciò di nuovo. “Spero non ti dispiaccia.”

“Al contrario. Mi piace quando marini la scuola.”

Ted ridacchiò. “Quando il gatto non c’è…” Gli sorrise. “E poi volevo chiederti se per domani sera hai impegni.”

“Perché?” Blake lo guardò curioso. “Dove mi porti?”

“Da Michael. Ha organizzato una cena tutti assieme prima della partenza delle ragazze.”

“Oh, partono di già?” Fece con tono rattristato.

Il suo compagno annuì. “Così abbiamo l’occasione per salutarle.”

Blake sospirò. “Carol ha organizzato un incontro con i nuovi arrivati, ma cercherò di sganciarmi il prima possibile.”

“Non sei costretto, lo sai. È solo una cena con la mia famiglia.”

“Ed io non vedo l’ora di esserci.”

“D’accordo, allora.” Lo sguardo di Ted cadde sull’orologio accanto alla finestra. “Oh oh, adesso devo andare.”

“Ricordati che il capo non c’è.”

“Ma Cynthia sì. E credimi, può essere dieci volte peggio di Brian. Adesso capisco come è riuscita ad essere la sua assistente per tanto tempo.”

Blake ridacchiò. “Salutamela. E cerca di non lavorare troppo, ok?” Inarcò un sopracciglio con fare malizioso. “Stasera vorrei averti ben riposato.”

Ted sorrise prima di baciarlo. “Non vedo l’ora.” Gli sfiorò teneramente una guancia e si voltò verso la porta. “A stasera.”

“Ti amo.” Lo salutò Blake.

Ted si chiuse la porta alle spalle e si avviò lungo il corridoio. Mentre attendeva l’ascensore, estrasse il cellulare dalla tasca del cappotto e compose il numero di Michael. Il suo amico rispose al terzo squillo.

“Ciao, Michael.” Ted aggrottò la fronte, entrando in ascensore. “È un brutto momento?” Abbozzò un sorriso verso la signora anziana alla sua destra. “Dal tono di voce sembra ti sia morto il gatto.”

Altre due persone entrarono un attimo prima che le porte si chiudessero. “Ho parlato con Blake e mi ha detto che cercherà di liberarsi per domani sera.” Cercò di sembrare il più naturale possibile, nonostante l’idea di Blake e di San Francisco lo preoccupasse più di quanto avesse ammesso col suo compagno. Valutò l’idea di parlarne con Michael, ma realizzò che forse non era il caso di annoiare il suo amico con le sue stupide paranoie, soprattutto date le recenti incomprensioni tra Michael e Ben.

Sfortunatamente per lui, Michael Novotny lo conosceva fin troppo bene. Un sorriso gli sfuggì dalle labbra. “Non c’è nessun ma, Michael. È tutto qui.” Sentì il suo amico ribattere. “No, davvero non… non è nulla.”

Arrivato finalmente al piano terra, uscì dall’ascensore e si avviò prima verso l’ingresso e poi verso la sua auto, posteggiata lì vicino. “No, nessuna discussione.” Alzò gli occhi al cielo, disinserendo l’allarme e salendo in macchina. “No, Blake è felicissimo di venire alla cena. E no, non è terrorizzato da tua madre.” Ridacchiò divertito, avviando il motore. “Lo sai che l’adora e ci tiene davvero molto a salutare le ragazze e i bambini.” Michael ribatté poco convinto. “Sì che sei mio amico, ma…” Ted sorrise e sospirò, cedendo alle sue insistenze. “Ok, hai da fare adesso?” Sorrise. “Ti va un caffé?” Ted imboccò la strada che portava in centro. “Passo da te fra dieci minuti.”

 

 

 

 

 

Linz puntellò il gomito sul tavolo e posò il mento sul palmo della mano, girando la pagina con uno sbuffo irritato.

“E se preparassimo lo speciale arrosto della bisnonna Marcus?”

Linz scosse la testa, passando alla pagina successiva. “Mel, ti ricordo che Ben non mangia carne di maiale.”

Mel, seduta accanto a lei, storse il naso. “L’avevo dimenticato.”

“Mi chiedo come faccia Debbie a non impazzire ogni volta che ci invita a cena.” La bionda spinse il libro dall’altra parte del tavolo, facendolo scivolare sulla liscia superficie di legno, e ne afferrò un altro dalla pila di fronte a lei. “Come diavolo fa ad accontentare tutti?”

Mel alzò le spalle. “Hunter non può mangiare cose troppo grasse, Justin è allergico ad un centinaio di condimenti, per non parlare di Sua Altezza Reale ‘non mangio carboidrati dopo le sette di sera’.”

Linz annuì concorde. “E se ci aggiungi che Ben non mangia carne di maiale e che non possiamo usare vino, né altri alcolici per via di Ted e Blake…”

Mel chiuse il ricettario davanti a lei e diede un sorso al suo tè. “Perché non ordiniamo una bella pizza?” Suggerì esausta, strappando una risata a sua moglie. “Non tentarmi, Mel.”

La bionda spulciò un altro volume dall’altezza allarmante. “Troveremo qualcosa. E se proprio non ci riusciamo, andremo ad elemosinare qualche ricetta da Debbie.” Sospirò afflitta, voltandosi leggermente verso Mel e provando ad abbozzare un sorriso. Si alzò in piedi e si posizionò dietro di lei, abbracciandola.

“La situazione di sopra com’è?” Mel le sfiorò un braccio, indicandole una delle pietanze di pagina quarantacinque. Lindsay scosse il capo.

“Pare tranquilla. Jenny Rebecca ha detto che quando siamo uscite ieri sera, Michael, Ben e Hunter sono rimasti tutti la sera a guardare la tv con lei e Gus.”

Linz le accarezzò i capelli, posandole un bacio dietro la nuca. “Beh, mi sembra una cosa positiva, no?” Lanciò una fugace occhiata verso le scale. “Se non altro non hanno discusso.”

“Non davanti ai bambini, almeno.” Constatò Mel. “O Hunter.”

“Credi che…”

Mel si strinse nelle spalle. “Lo vedremo non appena scenderanno, no?”

Sua moglie non ebbe neppure il tempo di ribattere che Ben e Hunter fecero la loro comparsa in cucina.

“Buongiorno, ragazze!” Le salutò allegro l’uomo, mentre suo figlio crollava su una delle sedie con gli occhi ancora chiusi. “…’ngiorno…” Riuscì solo a dire in uno sbadiglio.

Lindsay si staccò da Melanie. “Abbiamo preparato il caffé.” Mel ne versò un’abbondante tazza ad Hunter. “E anche del tè. So che tu lo preferisci.”

Ben le sorrise riconoscente. “Non dovevate.” Se ne versò una tazza. “Grazie.”

Mel allungò loro i biscotti e i cereali. “Michael?” Chiese noncurante, lo sguardo di nuovo puntato sul libro davanti a lei.

Ben abbozzò un sorriso, chiaramente a disagio. “Sta uscendo dalla doccia. Sarà qui a momenti.” E, senza aggiungere altro, scomparve dietro le pagine del quotidiano che stava leggendo.

Linz e Mel si scambiarono un’occhiata d’intesa, mentre lo stesso pensiero attraversava la mente di entrambe.

Michael e Ben avevano discusso. Di nuovo.

Potevano non averlo fatto davanti ai ragazzi, ma qualcosa era successo.

Qualcosa che chiaramente creava tensione tra ed intorno a loro, qualcosa che nessuno dei due voleva o sembrava in grado di superare. Un malessere che ormai andava avanti da tre settimane.

Possibile fosse così grave?

“Buongiorno.” Biascicò Michael a mezza bocca, facendo il suo ingresso in cucina. Le ragazze gli sorrisero, suo figlio lo ignorò completamente, ancora mezzo addormentato, e Ben accennò solo un movimento del capo.

Linz sollevò il bricco del caffé che aveva tra le mani. “Caffé?”

L’uomo le rivolse un pallido sorriso prima di accomodarsi accanto ad Hunter. “I bambini?” Chiese, aggiungendo lo zucchero.

Mel prese uno dei biscotti davanti a lei. “Dormono ancora. Jenny era ancora sveglia quando siamo rientrate ieri sera.” Scambiò un sorriso con Linz. “Ha detto che vi ha costretto a vedere non so quale film per bambini.”

“Barbie Raperonzolo.” Borbottò contrariato Hunter. “Quattro maschi obbligati a sorbirsi uno stupido cartone sulle barbie! Lane mi prenderà in giro fino al prossimo secolo!”

“E tu non dirglielo…” Gli suggerì Michael con un sorriso.

Hunter sbuffò. “E tu credi che Jenny riuscirà a tenere chiusa quella boccaccia larga che si ritrova?”

Tutti i presenti ridacchiarono. “E voi?” Ben spostò lo sguardo dal giornale alle ragazze. “Vi siete divertite?”

Linz annuì. “Molto. Siamo passate prima da Debbie per un saluto e l’abbiamo trovata al telefono con Jennifer.”

“Che, a proposito, vi saluta.” Aggiunse Mel.

“Lei e Tuck erano appena arrivati a Sydney.”

Hunter grugnì nella sua tazza. “Un viaggio di un mese tutto spesato per l’Australia. Mi sposerei solo per avere un regalo del genere.”

Linz ridacchiò. “Brian voleva fare bella figura. E tutti sappiamo quanto possa essere incontenibile se si mette in testa qualcosa.”

Ben svuotò la tazza con un ultimo sorso e si alzò in piedi. “Mi dispiace lasciarvi, ma ora devo proprio andare.” Si voltò verso suo figlio. “Vieni anche tu?”

Il ragazzo scosse la testa. “Oggi ho lezione più tardi. Fra mezz’ora passa Lane per andare in biblioteca.”

Suo padre gli sorrise, avviandosi verso il salotto. Tornò dopo un minuto con la borsa e giubbino. “Allora, buona giornata.” Sorrise a tutti e baciò rapidamente suo marito che rimase rigido come uno stoccafisso. “Ci vediamo più tardi.” E uscì dalla stanza.

Hunter spostò lo sguardo dalla porta da cui Ben era appena sparito a Michael. Lo fissò duramente prima di alzarsi con uno sbuffo e imboccare le scale sbattendo i piedi.

Mel e Linz si scambiarono uno sguardo imbarazzato. “Michael?” Provò la bruna, posandogli la mano sul braccio. “Va tutto bene?”

Michael sollevò gli occhi dalla sua tazza ormai fredda. “Che vuoi dire?”

Linz lo guardò preoccupata. “È tutto ok? Tra te e Ben?”

Michael esitò. “Sì… più o meno.”

“Sicuro?” Mel gli strinse piano il braccio. Abbiamo notato che ultimamente siete un po’…”

“… distanti.” Suggerì Linz. “Un po’ meno Michael e Ben, la coppia felice.”

“È solo un momento, ragazze.” Abbozzò un sorriso triste. “Lui è molto impegnato e ci vediamo poco.”

“Sicuro che sia tutto?”

“Sicurissimo.” Si alzò in piedi. “Scusate, devo controllare una cosa.” E, esattamente come aveva fatto suo figlio prima di lui, sparì su per le scale.

Mel scosse la testa. “Perché non riesco a credergli?”

Linz raccolse le tazze e iniziò a sistemarle nella lavastoviglie. “Perché è chiaro come il sole che sta mentendo.” Sospirò triste. “Mel, sono preoccupata. Credi sia così grave?”

“Non lo so, tesoro. È inutile negare che le cose vadano bene.”

“Ok, capisco il malumore per le assenza di Ben da un paio di settimane a questa parte, ma non ti sembra un po’ esagerato tutto questo?”

”Credi ci sia dell’altro?” Le domandò Mel, voltandosi verso di lei.

Linz si strinse nelle spalle. “Perché si comporterebbero in modo così strano? Non sono più loro.” Si appoggiò contro il frigo a braccia incrociate. “Siamo sempre state noi quelle coi problemi di coppia, quelle che discutevano, quelle che se ne dicevano di tutti i colori.”

Mel sollevò un angolo della bocca. “Non dirmi che ti mancano momenti del genere.”

Linz sorrise alzando gli occhi al cielo. “Certo che no, ma non sono abituata a vederli così distanti. Non Michael e Ben.”

Mel riportò lo sguardo sulle scale. “È piuttosto triste, vero?” Linz annuì in silenzio. “Credi che dovremmo fare qualcosa?”

“Tipo?” Domandò la bionda, tornando a sedersi. “Non siamo nemmeno sicure che abbiano davvero dei problemi.” Mel emise un verso scettico. “Ok, lo siamo, ma mi sembra chiaro che non ne vogliano parlare con noi.”

“Quindi? Che proponi di fare? Aspettare senza fare nulla?”

“Abbiamo altra scelta?”

Mel non seppe cosa rispondere.

Michael tornò in cucina due ore più tardi: i bambini erano già in piedi e in piena attività, eccitati al pensiero di poter aiutare le loro mamme col menù della cena.

“Perché la pizza no?” Si lamentò Gus, seduto in braccio a Linz. Mel soffocò una risata.

Da più di mezz’ora, il bambino cercava di convincere sua madre ad ordinare una tradizionale e gustosissima pizza invece di tutti quei piatti dall’aria inquietante che stavano sui libri di cucina. “Gus, te l’ho già detto…”

Suo figlio sbuffò, posando il mento sul palmo della manina e mettendo il broncio.

Jenny indicò un’invitante torta panna e cioccolato. “Mamma, facciamo questa?”

Mel lanciò un’occhiata divertita a Michael. “Sentito tua figlia? È già una grande chef.”

Michael ridacchiò, scompigliando i capelli ramati della bambina. “Quella torta dev’essere davvero buona.”

“Gus, per favore smettila.” Linz alzò gli occhi al cielo. “Ti ho già detto di no.”

Mel decise di correre in soccorso di sua moglie. “Ma noi credevamo che tu volessi preparare qualcosa di speciale per Justin.”

Il bambino raddrizzò all’istante le spalle e si voltò a guardare sua madre con un sorriso radioso. “Papà porta anche Justin?” Linz annuì, lanciando uno sguardo riconoscente a Mel. “Certo, tesoro.”

“Allora dobbiamo preparare qualcosa di super buonissimissimo!”

Jenny storse il nasino. “Solo per l’amico di zio Brian…”

Gus le fece una linguaccia. “Justin è anche mio amico. E tu sei solo gelosa perché lui gioca solo con me!”

La bambina incrociò le braccia al petto e lo guardò offesa. “Tanto io ho papà Ben! E Hunter! E loro giocano solo con me!”

“Ma Justin è più bravo! E noi facciamo tante cose insieme!”

“E Hunter mi porta al parco con Lane! E tu non puoi venire!”

“E chi se ne importa!”

“Gus è geloso solo perché io ho due papà e lui solo zio Brian!”

“Non è vero!”

“Stupido!”

“Gallina!”

“Ok, ok…” Intervenne Michael prima che la situazione degenerasse. “Adesso non litigate. Jenny, vieni qui.” Tese le braccia verso sua figlia che gli si raggomitolò contro. “Tu e Gus avete entrambi tante persone che vi vogliono bene e non dovete litigare su chi ne ha di più o su chi è più bravo.” Guardò con un sorriso Gus che aveva appena assunto l’espressione minacciosa di marca Kinney. “E poi sono sicuro che Justin vuole bene a te esattamente come Hunter e Lane vogliono bene a Gus.”

I due bambini sbuffarono poco convinti. “Beh, mi sembra che Lane e Hunter abbiano portato a spasso anche tuo fratello, signorina. Parecchie volte.”

“Ma non è giusto! Justin non mi fa i regali che fa a Gus! Vuole più bene a lui!”

“Perché sei…” Gus aggrottò la fronte. “Com’è che ti chiama sempre papà?”

Jenny mise il broncio. “Nonna Debbie dice che non devi chiamarmi così!”

“E allora? Papà lo usa.”

“Non puoi! Domani lo dico alla nonna!”

Pelante!” Gus scoppiò a ridere di fronte all’espressione offesa di sua sorella. “Sei pelante!”

Linz, Mel e Michael si scambiarono un’occhiata confusa. “Pelante?” Chiese la bionda. “E che vuol dire?”

Gus si strinse le spalle. “Non lo so. Papà dice che è perché parla e si lagna sempre come…” Alzò lo sguardo verso Michael. “Niente…” Si affrettò a dire.

Mel roteò gli occhi. “Gus, sei sicuro che la parola non sia petulante?”

Jenny e Gus si guardarono riflettendoci su. “Sì, è quello che ha detto mamma.” Confermò la più piccola.

Michael sbuffò scocciato. “Quindi zio Brian dice che sei petulante?” La bimba annuì. “Sempre il solito stro…”

Linz si schiarì la gola. “Ho un’idea!” Esclamò allegra, sperando di catturare l’attenzione dei suoi figli. “Possiamo fare una cosa: domani sera, quando Justin verrà qui, gli chiederemo di fare un bel disegno anche per Jenny…”

“Davvero?” Chiese la piccola entusiasta.

“Davvero, però solo se fate i bravi.” Si voltò verso Gus. “E ordinerò a Justin di non giocare più con te se ti sentirò ancora chiamare tua sorella petulante.”

“Ma papà lo dice!”

“Ma io non voglio che tu lo faccia.” Gli accarezzò i capelli color cioccolato. “Puoi fare questo favore alla mamma?” Il bambino sbuffò annoiato, ma annuì. “Adesso perché tu e Jenny non andate a giocare in camera vostra e la smettete di litigare?”

Gus alzò gli occhi al cielo; scese dalle gambe di Linz e andò verso Michael, porgendo una mano a Jenny Rebecca e avviandosi su per le scale, facendo bene attenzione che sua sorella non inciampasse lungo il tragitto.

“È incredibile quanto adori Ben e Hunter.” Osservò Mel, lo sguardo ancora sui bambini che sparivano su per la scalinata. “Dovresti sentire come ne parla alle sue amiche.” Michael sorrise appena.

Linz guardò preoccupata il suo amico. “Michael, sei sicuro che vada tutto bene?”

L’uomo sospirò afflitto e scosse il capo. Si sedette di nuovo di fronte alle sue amiche. “Scusate, ma non mi va di parlarne.”

Mel aprì la bocca per ribattere, finendo però per essere interrotta dallo squillo di un cellulare. Michael allungò una mano verso la credenza. “Pronto?” Vide le sue amiche tornare a concentrarsi sui libri di cucina. “Ehi, Ted.” Disse con tono lugubre. “No, non preoccuparti.” Accennò un sorriso. “No, non è morto nessun gatto.” Anche le ragazze sorrisero. “Come mai mi chiami a quest’ora?” Aggrottò la fronte quando si accorse che nemmeno il suo amico sembrava tanto allegro. “Ma…?” Lo incitò, avvertendo chiaramente che Ted gli stava nascondendo qualcosa. “Avanti, Schmidt, sputa il rospo.” Udì un chiacchiericcio indistinto provenire dall’altro capo del telefono. “Tu e Blake avete discusso?”

Linz e Mel si scambiarono un’occhiata esasperata.

Ma che diavolo stava succedendo? Possibile che non ci fosse una coppia che non avesse casini da risolvere?

“Blake non vuole venire a cena?” Michael appoggiò la schiena contro la sedia. “È per mia madre, vero? Lo terrorizza l’idea di passare un’intera serata con lei, dì la verità.” Mel scosse la testa con un sorriso. “Allora qual è il problema? Sono tuo amico o no?” Michael sorrise con espressione sollevata. “No, sono liberissimo.” Si alzò in piedi, dirigendosi verso le scale. “Ad essere sincero, l’ho già preso, ma mi va di farti compagnia.”

E soprattutto di fuggire dal clima soffocante che regna in questa casa…

“Ok, ti aspetto.”

 

 

 

 

 

Con gli occhi ancora chiusi, Brian allungò una mano accanto a lui, trovando il letto fastidiosamente vuoto. Sollevò le palpebre controvoglia e si accorse effettivamente di essere solo nella camera di Justin.

Con uno sforzo immane e ancora dolorante, uscì dal letto e indossò i suoi jeans, lasciando la stanza in cerca del suo fidanzato. Se lo conosceva bene – e Brian era convinto di sì –, era certo che, dopo una mattinata di sesso sfrenato, c’era un solo posto in cui poteva trovare Justin Taylor.

Sorrise tra sé mentre, scendendo le scale, udì dei rumori provenire dalla cucina. “Perché ero sicuro di trovarti qui?” Gli domandò, poggiandosi contro il telaio della porta.

“Perché ormai mi conosci bene.” Ribatté Justin con la testa nel frigo. Ne estrasse una bottiglia di latte. “Ti va di fare colazione?” Gli sorrise, alzandola verso di lui.

“È questa tu la chiami colazione?” Domandò Brian, avvicinandosi e accennando al banchetto che il suo fidanzato aveva preparato. Confuso, Justin abbassò lo sguardo verso il tavolo.

Che aveva che non andava quello che aveva preparato? 

C’era un ciotola con della macedonia, fette biscottate e marmellata, latte o succo d’arancia a scelta,  un paio di brioches e dei biscotti secchi. Socchiuse gli occhi. Non è che aveva dimenticato qualcosa?

“Cosa manca?” Domandò a Brian che, nel frattempo, l’aveva raggiunto.

“Manca?” L’uomo lo guardò ad occhi sgranati prima di scoppiare a ridere. “Sunshine, sembra un pranzo di Natale, non una colazione!”

Justin gli lanciò un’occhiataccia. “È una normalissima colazione.”

“Forse per te che sei abituato a mangiare come un elefante, ma io, per consumare tutte queste calorie, impiego una settimana.”

“Il sesso mi mette appetito.” Tagliò corto il ragazzo, assaggiando la macedonia. “Ne vuoi?” Chiese a bocca piena. “È davvero buona.”

Brian roteò gli occhi e aprì la bocca, accettando il cucchiaio che Justin gli sventolava davanti. Lo vide sorridere allegro. “Allora? Ti piace?”

Brian si leccò le labbra e annuì appena. “Aspetta, non ne sono sicuro.” Prese il ragazzo per la vita e lo baciò, assaporando lentamente la sua bocca, ancora addolcita dalle fragole. “Mmm…” Poggiò la fronte contro quella di Justin. “Non male.”

Il ragazzo gli sorrise. “Devi sempre darmi retta.”

“Me ne ricorderò.”

“Sarà meglio.” Si alzò sulle punte e lo baciò di nuovo, stavolta a fior di labbra prima di tornare alla sua colazione. “Mmm… muoio di fame…” Guardò famelico il banchetto di fronte a lui. “Prossimo assaggio?”

“Sempre stessa modalità di somministrazione?” Brian inarcò malizioso un sopracciglio, abbracciandolo da dietro e posando il mento sulla sua spalla.

“Assolutamente sì.” Justin gli accarezzò le mani posate sul proprio ventre. “Biscotti o marmellata?”

Brian sporse il labbro, pensieroso, vagliando tutte le possibili applicazioni che gli ingredienti potevano avere a letto, luogo in cui avrebbe presto riportato Justin.

Marmellata?

Troppo appiccicosa…

Biscotti?

E che cazzo dovrei farci? Glieli sbriciolo in testa?

Ovviamente anche le brioches erano da escludere e lo stesso valeva per la… Socchiuse gli occhi, sorridendo sornione davanti alla sua scelta. “Che ne dici di quella?” Sussurrò con voce roca all’orecchio di Justin, sporgendosi per prendere il vasetto di cioccolata, posato accanto alla bottiglia di latte.

Justin si voltò verso di lui con uno sguardo furbo. “Che cosa hai in mente?”

“Oh, lo vedrai…” Aprì uno dei cassetti e ne estrasse un cucchiaino, immergendolo poi nel composto scuro. “Peccato non avere la chaise longue del loft…” Lo stuzzicò, passandogli il cucchiaino coperto di cioccolata sulle labbra. Justin mugolò di piacere, mentre Brian si chinava su di lui per baciarlo, assaporando la crema di nocciole insieme a qualcosa che amava molto di più come il sapore della bocca di Justin.

“Bacio al cioccolato…” Mormorò il ragazzo, contro le sue labbra, cogliendo immediatamente il riferimento alla chaise longue su cui si erano divertiti così tante volte.

“In mancanza del gelato…”

“Ho sempre amato il tuo spirito d’iniziativa…”

Brian lo spinse contro il bancone e premette il bacino contro il suo. “E non è l’unica cosa che ami di me.” Justin si morse il labbro inferiore, facendo scivolare una mano dal petto di Brian verso il cavallo dei jeans. “Certo che no…” Sussurrò ad un centimetro dalle labbra appetitose dell’uomo, accarezzando con vigore l’indumento.

Brian sospirò, guardandolo poi con occhi famelici. “Che ne dici di tornare in camera?” Soffiò, sfiorandogli il naso col proprio e baciandolo all’improvviso, così da lasciarlo senza fiato. “Non ho ancora finito con te.”

“Sarei stato sorpreso del contrario.” Justin si scostò da lui, prima di prenderlo per mano e trascinarlo, vasetto di cioccolato alla mano, di nuovo in camera sua. Brian non fece neppure in tempo a varcare la soglia che fu spinto, senza tante cerimonie, sul piccolo letto di Justin, mentre il ragazzo gli saliva sopra a cavalcioni. “Adesso ci divertiamo…” Lo stuzzicò, umettandosi le labbra.

“Non credo proprio, Sunshine.” Gli posò la mano sul petto e, cogliendolo di sorpresa, ribaltò le posizioni, bloccandolo contro il materasso, i polsi intrappolati contro la testata del letto. “L’idea della cioccolata è stata mia, quindi sono io che mi diverto.”

Justin fece una smorfia. “Non è giusto…”

“Mi pare che per oggi, tu ti sia divertito anche troppo.” Sorrise quando lo vide sbuffare. Si chinò su di lui per baciarlo e lo spinse lentamente a voltarsi, trovandolo fin troppo arrendevole per qualcuno che aveva previsto ben altro divertimento.

Justin poggiò la testa contro il suo cuscino e inspirò a fondo l’odore che ancora lo impregnava, l’odore di Brian. E di sesso.

L’odore di sesso con Brian. La cosa migliore della sua vita.

Avvertì le labbra premurose del suo fidanzato baciargli la nuca e scendere poi alle scapole e alle spalle, prima di dedicarsi alla schiena. Le mani rimasero ferme sui fianchi, mentre la stoffa ruvida dei jeans strusciava vigorosamente contro le sue gambe. “Brian…” Sussurrò. “Togliti quei maledetti jeans…”

Brian sghignazzò contro la sua pelle. “Impaziente come al solito…” Si staccò da lui e afferrò finalmente il vasetto di cioccolato che aveva sgraffignato dalla cucina. “Sai che è venuta fame anche a me?” Lo stuzzicò, immergendo un dito nella crema scura – ‘non posso davvero credere che lo sto facendo…’ – e tracciando con lentezza esasperante tutta la lunghezza della spina dorsale di Justin. Il ragazzo sobbalzò appena dalla sorpresa, rilassandosi poi quando percepì le dita di Brian massaggiargli meticolosamente la schiena. Mugolò di piacere, non seppe se per il massaggio o per ciò che sapeva sarebbe successo dopo.

Brian sollevò un angolo della bocca, leccandosi le labbra, pregustando già la mossa successiva. Si chinò di nuovo verso il corpo pallido di Justin e, partendo dalla nuca, leccò via tutta la scia di cioccolato che un attimo prima aveva così diligentemente cosparso sulla sua schiena. Si prese più tempo del necessario per accarezzare ogni porzione di pelle, ogni angolo di quel corpo che aveva il potere di  fargli perdere il controllo come nessun altro, per godere appieno dei gemiti di Justin e per cercare di ricambiare come meglio poteva il piacere che lui gli stava dando in quel momento soltanto sospirando e sussurrando il suo nome.

Quando finalmente tutta la cioccolata fu sparita, Justin si ritrovò a sorridere, notando che Brian non aveva intenzione di staccarsi da lui, né dal suo corpo. Gli posò la mano sulla coscia e lo spinse di più contro di sé, spingendo contemporaneamente il fondoschiena contro il suo bacino.

“Justin!” Ringhiò Brian, colto di sorpresa.

Justin fece per voltarsi, ma il peso di Brian glielo impedì. “Fammi girare, Brian… Voglio guardarti in faccia e voglio baciarti e voglio che mi scopi… Ti prego…”

Brian gemette, premendosi di più contro di lui e facendogli sentire quanto il proprio desiderio fosse pari al suo. Insinuò una mano tra il materasso e il corpo di Justin e lo accarezzò con vigore, facendolo mugolare. “Mi sembra che qualcuno sia pronto per un altro round…”

Justin sorrise. “Perché tu non lo sei?” Lo provocò, sollevando di nuovo il sedere e strusciandolo contro la sue erezione. Si morse un labbro eccitato quando lo sentì gemere ancora.

Approfittando di un istante di distrazione, ribaltò le posizioni e tornò a sovrastare Brian. Il suo cuore battè più forte di fronte all’espressione del suo fidanzato, gli occhi scuriti dal desiderio e dalla lussuria, il viso arrossato e la bocca semi aperta.

Un’immagine di puro piacere dipinta sul volto. E non avevano praticamente fatto nulla…

Justin deglutì a fatica e si avventò sulle sue labbra. “Brian, scopami…” Lo implorò.

L’uomo ansimò contro la sua bocca. “Non c’è bisogno di convincermi, Sunshine.” Gli passò possessivamente un braccio attorno alla vita e tornò a baciarlo con passione, immergendo una mano nei suoi capelli per tenerlo stretto a sé.

Justin sorrise, accarezzando la sua lingua con la propria. Gli circondò il collo con le braccia e cercò di mettersi seduto, tirando Brian su con lui. L’uomo non si oppose, troppo impegnato a rimanere incollato alle labbra morbide e carnose di Justin.

“Brian…” Lo chiamò con voce roca.

“Mh?”

Justin si strusciò di più contro di lui e gli leccò le labbra, staccandosi solo per un attimo. “Che ne diresti di scoparmi sotto la doccia?” Gli sorrise malizioso. “È un po’ che non lo facciamo…”

Brian sorrise, sfregando il naso contro quello del ragazzo. “Se per un po’, intendi due giorni…”

“Appunto! È un’infinita per noi!”

L’uomo ridacchiò, baciandolo di nuovo. “Ti seguo.” Disse poi, intrecciando le dita con le sue e accennando col capo verso la porta del bagno.

Justin lo accecò con uno dei suoi migliori sorrisi. Si alzò rapido dal letto e, senza lasciare la mano di Brian, se lo trascinò dietro fino in bagno.

Aprì velocemente l’acqua e, in attesa che diventasse calda, si dedicò con attenzione a spogliare il suo fin-troppo-vestito fidanzato. Gli sbottonò sensuale i jeans e, guardandolo fisso negli occhi, glieli sfilò, notando lo sguardo di Brian farsi se possibile ancora più affamato. Li gettò sul pavimento senza tanti complimenti e si avventò di nuovo sulle sue labbra, mentre Brian lo stringeva per la vita e iniziava ad indietreggiare per entrare nella doccia.

Ghignò malefico e, staccandosi improvvisamente da lui, lo spinse sotto il getto dell’acqua, lasciandolo senza respiro. “Brian!” Gridò il ragazzo, cercando di non affogare.

Brian gettò indietro la testa, scoppiando a ridere. “Dovresti vedere la tua faccia, Sunshine!” Si avvicinò a lui e lo raggiunse sotto l’acqua, ancora ridendo.

“Ah ah ah.” Justin lo guardò provando a sembrare risentito, ma si arrese davanti allo sguardo di puro divertimento di Brian. Era così raro vederlo ridere in quel modo, così spensierato, così… liberamente. Una vera risata, una sincera, e non uno dei suoi soliti sorrisetti sarcastici o di scherno.

Decise che quella risata valeva molto più di uno stupido scherzo. Scosse la testa e lo baciò ancora e ancora, come se non potesse farne a meno, come se per lui fosse vitale, come se non avesse potuto farlo più.

Una fitta all’altezza dello stomaco gli ricordò che forse sarebbe stato presto così. Se non avesse escogitato qualcosa per convincere quella specie di testone granitico che si ritrovava per fidanzato.

Approfondì di più il bacio, godendo appieno del sapore inebriante di Brian. Quando si separarono, parecchi minuti dopo, si fissarono negli occhi per un istante interminabile, entrambi col viso rosso e senza fiato.

Justin sospirò piano, prima di posare la fronte contro il petto di Brian. L’uomo parve cogliere la sua preoccupazione e si limitò a stringerlo forte tra le braccia, lasciando che l’acqua scorresse silenziosa tra di loro.

Fu solo dopo qualche minuto che Justin sollevò di nuovo il viso e gli baciò la mascella. “Scusa.” Disse solo, sapendo che lui avrebbe capito immediatamente.

“Manca ancora tanto.” Lo spinse indietro e lo fissò dritto in volto. “Possiamo smetterla di preoccuparci e iniziare ad andare fuori di testa tra tre settimane?”

Justin abbozzò un sorriso. “Perché, intendi andare fuori di testa quando me ne andrò?”

Brian gli sorrise di rimando. “Vedremo…” Gli accarezzò il naso. “Ora, perché non ci occupiamo di qualcosa di più serio?” Il suo sguardo si fece malizioso, tornando ad essere il Brian Kinney di sempre. “Mi pare che fossimo venuti qui per un motivo molto serio.”

Justin sgranò gli occhi, facendo il finto tonto. “Oh, davvero? E cioè?”

L’uomo lo voltò verso la porta trasparente e afferrò la spugna a forma di pesciolino blu. “Carina…” Lo prese in giro. “Pensavo di comprarne una uguale per Gus.”

Justin gli schiaffeggiò una spalla. “È stata Molly a comprarla. Lei ne ha una uguale rossa.”

“Che dolci…” Brian finse uno sguardo intenerito. “I due piccoli Taylor…” Justin inarcò un sopracciglio, prendendogli una mano e spingendola contro il suo inguine. “O forse non così piccolo…” Ammise, leccandosi le labbra sensuale.

Justin sorrise, mentre Brian iniziava a strofinargli la schiena, disegnando grandi cerchi sulle sue spalle e lavando via gli ultimi residui di cioccolata. “Dovremmo rifare questa cosa con la cioccolata…” Confessò candido.

Il ragazzo sorrise. “E la tua linea?”

“Non capisco dove sia il problema.” Si chinò verso il suo orecchio e sussurrò intrigante. “Mi pare che facciamo parecchia attività fisica ultimamente.”

“Su questo hai ragione.”

“Lo so.”

Justin roteò gli occhi. “Beh, per fortuna è ancora presto.” Brian aggrottò le sopracciglia. “Abbiamo tutto il tempo per smaltire prima del barbecue.”

La mano di Brian si bloccò alla base della schiena. “Che barbecue?”

Justin si morse il labbro. “Quello a casa del preside Carson.” Se ne uscì con nonchalance.

“Ed esattamente quand’è che avrei preso questo impegno?”

“Quando Vanessa me l’ha proposto.”

Brian alzò gli occhi al cielo. “E figurati se la regina delle stronze non c’entrava qualcosa.”

“Brian…”

“Posso almeno sapere chi ci sarà oppure vuoi farmi qualche altra sorpresa?”

Justin sbuffò, voltandosi a guardarlo. “Il preside Carson e sua moglie, Steve, Molly, Lindsay e di conseguenza il tuo bellissimo figlio…” Un sorriso sfuggì dalle labbra dell’uomo al pensiero di Gus. Sorriso che svanì all’istante quando Justin continuò a snocciolare la lista degli invitati. “… Vanessa, Mel…”

“Ok, mi stai perdendo, Sunshine, ti avverto.”

“…Ethan…” Borbottò Justin così piano, abbassando lo sguardo, che Brian sperò con tutto il cuore di aver capito male.

Davvero male.

Guardò minaccioso il ragazzo. “Ripeti l’ultimo nome.”

Justin sospirò rassegnato. “La mostra era anche per lui. Mica posso dire al preside di cacciarlo!”

“Perché no? E un bel calcio in quel culo flaccido non sarebbe male!”

“Brian, per favore.”

“Non ho nessuna intenzione di passare la mia serata nello stesso giardino di quell’idiota!” Gridò furioso.

Justin provò a nascondere un sorrisino compiaciuto. “Sono certo che Ethan non avrà nessuna voglia di venire a chiacchierare amabilmente con te.”

“Ci mancherebbe solo quello.”

“E poi lui sarà accompagnato.”

Brian sbuffò scettico. “E da cosa? Il suo stupido violino?”

Justin sorrise, scuotendo il capo. “Il suo ragazzo.”

“Cazzate!”

“È vero!” Si difese l’altro. “Me l’ha detto lui!”

“Prima o dopo la dichiarazione d’amore al telefono?” Justin tacque di colpo, colto alla sprovvista. Aprì la bocca un paio di volte, ma non ne uscì nulla di sensato. “Lo immaginavo.”

Justin sospirò frustrato. “Adesso, ascoltami bene.” Gli prese il volto tra le mani, fissandolo serio. “Apri le orecchie perché lo ripeterò una sola volta.” Brian affilò lo sguardo, minaccioso. “Io devo andare a quello stupido barbecue e vorrei davvero che tu venissi con me.” Lo sentì grugnire. “Lo faresti per me?”

Brian roteò gli occhi scocciato. “So già che mi annoierò a morte.”

“Ma magari potremmo divertirci dopo.” Justin gli lanciò un’occhiatina maliziosa, mordicchiandosi il labbro inferiore e facendo eccitare Brian all’istante. “Che ne pensi?”

Brian gli posò le braccia sulle spalle. “E se passassimo direttamente al divertimento?” Gli sussurrò sensuale all’orecchio.

Lo sentì scuotere la testa. “Niente da fare, Kinney.”

L’uomo ringhiò sommessamente, posando la fronte contro quella di Justin. “Me la pagherai, lo sai?”

“Non vedo l’ora.” Si alzò sulle punte e lo baciò sfacciatamente audace.

Brian sorrise contro le sue labbra.

Non c’era niente da fare. Ormai stava iniziando a rassegnarsi: avrebbe dovuto capire già da tempo che non c’era possibilità di vittoria contro Justin Taylor.

Almeno non per Brian Kinney.

 

 

 

To Be Continued...


 

 

 

Ok, lo so, non ho scusanti e giuro che non prometterò mai più di aggiornare a tempo di record, perchè so già che non ci riuscirò. E' già un bel passo avanti, no? :D
Premetto che sono stata impegnata con gli ultimi esami (che ho finalmente dato, insieme all'odiatissimo diritto costituzionale) e che adesso mi rimane solo la tesi, quindi abbiate pietà di me!
In questo capitolo abbiamo finalmente visto il nostro PPP tornare a fare l'attivo: spero non lo abbiate trovato OOC, ma ho pensato che Brian avrebbe preferito usare i gesti, invece delle parole, per far capire a Justin quanto sia felice di riaverlo di nuovo nella sua vita.
Ted e Blake, problemi all'orizzonte: premetto che non ho mai particolarmente amato Blake, ma spero comunque di essere riuscita a descriverlo in modo decente. Anche qui, come nei Britin, scelte importanti tra carriera e amore, ma come dice Blake, loro non sono Brian e Justin.
Ben e Michael, sempre più in basso: anche le ragazze si sono accorte di qualcosa (odio non poterle avere in ogni scena, ma per adesso dovranno rimanere un po' in secondo piano) e cercano di far parlare Michael che come al solito fa il prezioso. Ok, si, lo ammetto, non mi è mai piaciuto il suo personaggio, adesso non ammazzatemi!
E infine scene di sesso a go go per i nostri adorati, che spero non vi abbiano fatto vomitare. Giuro che ho fatto del mio meglio, non mi tempestate di minacce e insulti :D
Il famigerato barbecue doveva essere nello stesso capitolo, ma scrivendo mi sono accorta di essermi lasciata trasportare e quindi ho dovuto dividere il tutto. Lasciate tante, belle recensioni e il prossimo aggiornamento arriverà mooooolto presto (sì, ormai sono passata direttamente ai ricatti! XD)
Ultima cosa: approfitto di questo capitolo per fare gli auguri (anche se in ritardo!) all'uomo più sexy, bello, talentuoso e affascinante del mondo! Ovviamente mi riferisco al nostro amato e venerato Gale Harold che il 10 luglio ha compiuto 42 anni e che continua ad essere ogni anno più splendido!

 

Bene, i deliri sono finiti, spero che non vi addormenterete durante la lettura e che lasciate tante, tante recensioni! Abbiate solo pazienza e tatto, anche perché ho appena visto l'ultimo film di Harry Potter e sono una valle di lacrime ç___ç siate buone!

 

Un bacione a tutti! E grazie ancora per la vostra infinita pazienza!

 

 

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Capitolo 15
*** Showdown (Part 2) ***


 

15. Showdown (Part 2)

 

 

 

 

 

Emmett entrò nel laboratorio di John con un sorriso a trentadue denti stampato in faccia. “Buongiorno!” Esordì allegro come al solito.

John alzò lo sguardo dai pancake che stava preparando e gli sorrise. “Ciao, Em. Come mai così euforico?” 

L’uomo si sfilò il cappotto color cachi e si sedette davanti a lui. “Sono venuto ad assicurarmi che nessuno rubi il mio cuoco preferito.” 

John inarcò un sopracciglio, confuso. “Mh?”  

Il sorriso di Emmett si fece ancora più largo. “Stamattina ho ricevuto altre tre chiamate.” 

“Altre tre?” 

“Altre tre.” 

“Ma sei sicuro che fossero davvero per me? Magari hanno…” 

Emmett simulò una cornetta del telefono con la mano e se la portò all’orecchio. “Pronto? Sì, salve, ero al ricevimento di Jennifer Taylor e volevo sapere se il cuoco che ha cucinato per lei era disponibile per il trenta luglio. Io e il mio futuro marito siamo rimasti incantati dalla sue squisite creazioni.” 

John sgranò gli occhi. “Davvero hanno detto così?” 

“Testuali parole.” 

“Wow…” L’uomo porse ad Emmett uno dei piatti coi pancake. 

“Te l’avevo detto che sarebbe stato un successo. A questo punto potresti persino considerare l’idea di assumere qualcun altro per il servizio di catering.” 

John aprì il frigo ed estrasse il cartone del succo d’arancia. Ne versò due bicchieri. “Adesso non ci esaltiamo. Hai ricevuto solo qualche telefonata di complimenti…” 

“Sedici…” 

“… ed è passato parecchio tempo dal matrimonio…” 

“… una settimana…” 

L’uomo alzò gli occhi verso Emmett e lo fissò pensieroso. “Davvero solo una settimana?”  

Emmett sorrise. “Sette miseri giorni, dolcezza.” 

“Oddio…” John crollò su una delle sedie, un sorriso incredulo stampato in faccia. “Non posso crederci…” 

“Perché no?” 

“Perché è assurdo! Credevo che, arrivato in una città grande come Pittsburgh, nessuno mi avrebbe notato, che sarei rimasto un mediocre cuoco che arrostiva hamburger in una scadente tavola calda!” 

“Io adoro le scadenti tavole calde…” 

John lo guardò con un mezzo sorriso. “Ovviamente il Liberty Diner e le sue affascinanti cameriere sono escluse.” 

“Ti ringrazio.” Emmett assaggiò il suo pancake e si leccò le labbra deliziato. “Non capisco da dove ti viene tutta questa insicurezza!” Esclamò indignato. “Questi pancake sono da infarto!” 

“Sì, ma essere un vero cuoco, uno che crea, uno che può esprimersi liberamente è diverso dal fare due stupidi pancake!” 

“Ma da qualche parte dobbiamo pur iniziare, no?” 

L’uomo annuì incerto. “Quindi adesso che dovrei fare? Chiamarli oppure dire che sono già stato reclutato dal miglior wedding planner della città?”  

Emmett assunse un’aria pensierosa, mandando giù un altro boccone. “Prima cosa: aspettiamo qualche giorno per richiamarli, giusto per far vedere che non siamo disperati…” 

“Ok, poi?” 

“Ascoltiamo le proposte e vagliamo i candidati. Sono sicuro che tra tutti quelli che hanno chiamato e che sono sicuro chiameranno, ci sarà qualcuno a cui serve l’aiuto di una scintillante checca come me!” 

John sorrise. “Em, non ho intenzione di accettare nessun lavoro senza di te.” 

“Non dire sciocchezze! Questa è la tua grande occasione!” 

“Non importa. Ho preso un impegno con te e intendo mantenerlo. O tutti e due o nessuno dei due.” Diede un sorso al suo bicchiere. “I miei genitori mi hanno insegnato che una promessa è una promessa, senza se e senza ma.” 

Emmett si sentì arrossire e fu costretto ad abbassare lo sguardo sul suo piatto quasi vuoto. “Ti ringrazio. Per un attimo ho temuto che mi avresti dato il benservito.” 

John gli posò un mano sul braccio, sorridendogli. “Credi davvero che ti mollerei così su due piedi dopo che sono stato così fortunato da incontrarti?” Emmett sorrise imbarazzato e riportò lo sguardo su di lui. 

Quanto avrebbe voluto che John non si riferisse solo al lavoro…  

Da quanto tempo non sentiva più parole così dolci e belle nei suoi confronti? 

Scosse appena la testa, come per schiarirsi le idee e coprì la mano di John con la sua. 

Era calda e morbida. Senza accorgersene, si ritrovò ad immaginare quelle grandi mani che gli accarezzavano lentamente il corpo, che affondavano nei suoi capelli, che lo stringevano a sé. Deglutì a fatica, umettandosi il labbro. 

Emmett! Smettila di pensare certe cose! Siete colleghi, cazzo! E poi lui non è nemmeno gay! Come diavolo pensi che… 

“Em, tutto ok?” 

Emmett venne trascinato di nuovo nella cucina di John, lontano da luci soffuse, lenzuola di seta e il corpo nudo di John che gemeva sotto le sue spinte. Avrebbe potuto persino prendere in considerazione l’idea di diventare l’attivo della coppia.  

“Emmett?” 

“Si!” La voce gli uscì più stridula del normale. Accavallò le gambe per impedire all’uomo di vedere cosa avessero scatenato in lui i pensieri degli ultimi minuti e abbozzò un sorriso. “Sì, scusami, mi ero distratto.” 

John ridacchiò. “L’ho notato. Sei diventato rosso come un peperone.” Gli lanciò un’occhiata divertita. “A chi stavi pensando? Brad Pitt o George Clooney? 

Emmett distolse lo sguardo dai magnetici occhi azzurri di John, sorridendo appena. 

Magari…Almeno loro non sono costretto a vederli tutti i giorni… 

“Forza, allora! Propongo un bel brindisi!” John fece il giro del tavolo e tirò fuori due flûtes di cristallo da una delle credenze; poi si avvicinò al frigo e afferrò una bottiglia di champagne. La stappò e riempì i bicchieri, porgendo uno dei calici ad Emmett. “A Emmett Honeycutt.” Affermò sicuro, rivolgendogli un sorriso mozzafiato. “Amico sincero e mio personale portafortuna. Non so davvero come avrei fatto senza di te.” 

Emmett arrossì, levando il calice verso di lui. “Sono io che sono grato a te, John. Mi hai davvero salvato la vita.” 

“Allora a noi. Che la nostra collaborazione possa continuare per molto, molto tempo.” 

“Così come la nostra amicizia.” 

I due uomini sorrisero, prima di bere alla loro salute. 

“Per il resto, le cose come vanno?” Emmett posò il bicchiere sul bancone. “Come ti trovi nella gloriosa Pittsburgh? Ormai è un mese che vivi qui.” 

John si sedette di nuovo. “Pittsburgh mi piace.” Si strinse nelle spalle. “Voglio dire, per essere la città in cui mi sono trasferito solo per cercare mio fratello, mi piace fin troppo. Ho un lavoro che mi piace, degli amici…” Sorrise ad Emmett “… posso dire di avere quasi una vita sociale.” 

“Come quasi?” Emmett lo guardò indignato. “Vuoi dire che non ti sei divertito le sere in cui sei uscito con me, Teddy e Blake?” 

John rise. “Oh sì, moltissimo! Ma ho preferito di gran lunga la serata al bowling con Michael e Ben. Il Babylon e gli altri locali di Liberty Avenue non sono propriamente il mio genere.” 

“Sciocchezze.” Gesticolò Emmett. “Hai rimorchiato molto più tu di noi tre messi insieme.” John scoppiò a ridere. “E al bowling ti sei divertito solo perché ci hai stracciato.” 

“O magari mi piaceva la compagnia.” Ribatté l’uomo con tono malizioso. O forse così sembrò ad Emmett: in quel momento non era del tutto lucido. Strinse di più le gambe. 

Lo fa apposta… quel sorriso, quello sguardo da orgasmo… Probabilmente ha già capito tutto… 

Emmett provò a sorridere. “A proposito di tuo fratello…” Tentò incerto, sperando che il cambio di argomento avrebbe potuto… tranquillizzarlo. “Qualche novità?” 

John sospirò rassegnato, scuotendo il capo. “Nessuna.” 

“Mi dispiace. Hai provato a chiedere ai tuoi? Magari hanno avuto qualche sua notizia.” 

“Ne dubito fortemente. L’hanno ignorato per quindici anni e non credo che adesso vorrebbero avere qualcosa a che fare con lui.” 

“Potrebbero chiamarlo per avere tue notizie. Non hai detto che sanno che sei venuto a cercare Richard?” 

John gli rivolse un sorriso tirato. “Credimi, è l’ultima persona a cui si rivolgerebbero, dopo Satana in persona.” 

“Potrei aiutarti io, se vuoi.” Propose Emmett esitante. “Sempre se… se ti va.” 

John si passò stancamente una mano sugli occhi. “Io… io non so nemmeno se voglio trovarlo.” 

“Non sai se lo vuoi tu o non sai se lo vuole lui?” L’uomo alzò lo sguardo su di lui. “Non sarà ancora per la storia dei sensi di colpa, spero.” 

“Em, che cosa potrei dirgli? Che cosa potrei fare per farmi perdonare quindici anni di silenzio, quindici anni di indifferenza totale? Probabilmente mi sputerà in faccia non appena mi vedrà.” Si coprì il volto con le mani. “E io non potrei dargli torto.” Fece una pausa. “Io lo farei al posto suo.” 

Emmett lo guardò addolorato. Allungò una mano verso di lui e gli sfiorò l’avambraccio, attirando di nuovo la sua attenzione. “Ascoltami, John. Io non so come reagirà tuo fratello quando ti rivedrà, né posso dirti come si sia sentito quando i tuoi l’hanno cacciato di casa.” Fece una pausa e prese un bel respiro. “Però posso dirti come mi sono sentito io: uno schifo.” 

“Cosa è successo?” Gli chiese l’uomo con una punta di curiosità. 

Emmett si strinse nelle spalle. “Niente di sconvolgente, probabilmente una storia come tante altre. Se volevo rimanere a casa, dovevo sottostante a delle regole. Io non volevo, per cui me ne sono andato.” 

“Non la fai un po’ troppo facile? Scommetto che non è stata una decisione facile.” 

“Infatti, era pur sempre la mia famiglia. Erano i miei genitori, i miei fratelli… Ma quando le persone che si presuppone debbano sostenerti e starti accanto nonostante tutto ti voltano le spalle, cosa ti rimane da fare se non fare le valige e togliere il disturbo?” 

John abbassò lo sguardo mortificato. “Cosa hai fatto dopo?” 

Emmett sorrise. “Sono venuto qui e mentre mi arrovellavo il cervello chiedendomi se avevo fatto la scelta giusta, se non ero stato troppo precipitoso a mollare tutto, ho incontrato Teddy.” John vide il suo sorriso farsi più splendente. “E Michael e Brian.” 

“E il resto è storia…”  

“Esattamente.” Emmett strinse appena il braccio di John. “Quello di cui però sono sicuro è che, nonostante le sofferenze che la mia famiglia mi ha inflitto, se uno dei miei fratelli domani si presentasse alla mia porta con delle scuse sincere e un bel cesto di pancake, lo accoglierei a braccia aperte.” 

“Perché?” John lo fissò con espressione a metà tra il confuso e l’amareggiato. “Io non lo farei.” 

“Solo gli stupidi non cambiano idea. E se una persona ha sbagliato una volta, non è giusto che venga punita per tutta la vita.” 

“Ma se una persona che ti ama riesce a sbatterti fuori dalla sua vita senza il minimo ripensamento e ad ignorarti per quindici anni, credi davvero che meriti il perdono? E se quella persona, nonostante le promesse e i buoni propositi, non riuscisse a passare di nuovo sopra alla cosa, finendo per sbagliare ancora e ancora e ancora?” 

Emmett aggrottò le sopracciglia. “È di questo che hai paura? Di essere perdonato e di deluderlo di nuovo?” L’uomo rimase immobile e in silenzio, ma Emmett lo prese per un sì. “Cos’è che ti fa credere così poco in te stesso? Che ti fa pensare di non essere cambiato dal diciassettenne che ha permesso a suo fratello di imboccare la porta e sparire dalla tua vita?” 

John si limitò a scuotere le spalle. “Io non so più chi sia, Em. Non lo vedo da tantissimo tempo… E se non…” Chiuse gli occhi addolorato “… se non riuscissi ad accettare lui e la vita che fa? Se ha un amante, un fidanzato o quello che è? Se mi sentissi a disagio di fronte a questa nuova persona che praticamente non conosco?” 

“Con me e i miei amici non hai avuto problemi.” 

“Ma se con Richard li avessi? Come potrebbe reagire di fronte ad un nuovo rifiuto?” Abbassò lo sguardo sul tavolo. “Non potrebbe mai perdonarmi.” 

Emmett affilò lo sguardo. “È per questo che hai così paura di metterti in contatto con lui? Preferisci rinunciare in partenza piuttosto che fare i conti con i tuoi sciocchi pregiudizi?” 

John alzò gli occhi di scatto. “Come fai a…” 

“Dolcezza.” Emmett gli sorrise. “Te lo si legge in faccia che sei spaventato a morte. Ed è normale.” 

“No, invece! Sono venuto qui per lui e non ho nemmeno il coraggio di…” Scosse la testa frustrato.  

“Adesso prendi un bel respiro e ascoltami.” John lo guardò disperato. “Secondo me, ti dai poco credito. Io ti conosco da poco, ma ti dirò quello che ho capito di te: sei un uomo buono, John Mason, una persona intelligente, leale e sempre disponibile ad aiutare un amico.” 

Per non dire bello da mozzare il fiato… ma quell’ultima considerazione, Emmett preferì tenerla per sé.

 “Sei così onesto da riconoscere quando sbagli, e sei disposto a tutto per rimediare anche se pensi, per qualche strana ragione, di non meritare il perdono.” 

A John sfuggì un mezzo sorriso. “Mi fai sembrare quasi una bella persona.” 

“Perché lo sei. E questo tuo fratello lo sa, che tu voglia ammetterlo o no.” 

“E se non fosse così?” 

Emmett sorrise. “È anche per questo che ti ho consigliato di accompagnare le scuse con un bel cesto di pancake.” John sollevò un angolo della bocca. “Sono irresistibili e Richard non potrà dirti di no.” 

L’uomo sospirò, leggermente rincuorato. “Grazie, Em.” Gli strinse la mano, regalandogli uno dei suoi sorrisi più belli. “Non so davvero come farei senza di te.” 

Emmett ricambiò, deglutendo il groppo che gli occhi azzurri di John avevano il potere di fargli formare in gola. 

La situazione si fa complicata, Em… E tu ti stai davvero ficcando in un casino di proporzioni cosmiche… 

 

 

 

 

 

La Corvette verde scuro si fermò accostando elegantemente davanti al numero quattro. “Siamo sicuri che sia questo?” Domandò Brian da dietro le lenti scure. 

Justin alzò gli occhi al cielo. “Sì, sono sicuro. Ora chiudi il becco e stacca quel tuo culo perfetto dal sedile.” Aprì lo sportello, facendo ben attenzione a non rovinare il mazzo di fiori per la signora Carson. 

Brian sbuffò scendendo dall’auto. “Odio quando usi il sesso per coinvolgermi in cose del genere.” Inserì l’allarme e raggiunse Justin sul vialetto. “Va bene, prometto di non farlo più. Adesso però metti su quel sorriso affascinante che piace tante alle donne e smettila di brontolare.” Trattenne il fiato prima di poter aggiungere altro; si morse il labbro inferiore, reprimendo un gemito di dolore. Sospirò piano e, con nonchalance, passò il mazzo di fiori nella mano sinistra. 

Da qualche ora i crampi non gli davano tregua. 

Lanciò una fugace occhiata a Brian, tutto preso a guardare disgustato i nanetti da giardino sistemati accanto all’ingresso e affondò la mano destra nella tasca del cappotto, sperando con tutte le sue forze che non avesse notato nulla. 

Suonarono il campanello e la padrona di casa aprì la porta con un sorriso smagliante. “Benvenuti!” Esclamò con tono così allegro che Brian pensò si fosse fumata una canna.

“Justin Taylor!” Lo chiamò da dentro la voce del suo ex preside. “Finalmente! Aspettavamo tutti te!” Fece entrare i due uomini in casa e, dopo averli ringraziati per le orchidee donate alla sua signora, li guidò verso l’uscita posteriore. 

Una trentina di persone affollavano l’ampio giardino: Justin avvistò Mel e Linz che chiacchieravano con Vanessa e Molly accanto al buffet e, qualche metro più in là, Ethan con un ragazzo dai capelli chiari. Roteò gli occhi quando avvertì lo sguardo del violinista posarsi su di lui. 

Ovviamente se ne accorse anche Brian, che gli circondò possessivamente le spalle. 

E se iniziamo così, non oso pensare a come finirà questa serata… 

Ancora abbracciati raggiunsero i loro amici: Vanessa si eclissò educatamente nel momento stesso in cui scorse Brian, cosa di cui l’uomo non poté che essere felice. 

“Ehi, siete arrivati.” Linz li abbracciò. “Ci stavamo chiedendo che fine aveste fatto.” 

“Brian era un po’ restio a partecipare.” Justin gli lanciò un’occhiata divertita quando lo vide sbuffare. 

Mel scosse la testa. “Beh, potevi almeno fare uno sforzo. Stavano tutti aspettando Justin, egoista che non sei altro.” 

Justin gli posò una mano sul petto, sperando che lo bloccasse dal ribattere, ma fortunatamente per lui un “Papà!” proveniente dalla loro destra attirò l’attenzione del gruppo. 

Il sorriso felice che Brian aveva sfoderato alla vista di suo figlio sparì quando vide il bambino correre verso di loro e gettarsi però tra le braccia di Justin, ignorando completamente lui. 

“Justin! Finalmente sei arrivato!”  

Justin gli scompigliò i capelli. “Scusa per il ritardo.” 

Il bambino gli baciò una guancia, allungandosi poi verso suo padre per fare lo stesso. 

Linz gli sfiorò la base della schiena prima di scusarsi e dirigersi con Mel e Molly verso un gruppo di signore poco lontane. 

“Quindi adesso ignori il tuo vecchio per stare con Justin, eh?” Chiese fingendosi offeso, nonostante il suo tono di voce facesse trasparire chiaramente l’amore infinito che provava per entrambi. 

“Papà, Justin è mio amico e gli amici vengono prima dei genitori.” 

Brian scosse la testa. “Me ne ricorderò quando inizierai a pretendere la paghetta.” 

Gus gli fece una linguaccia. “E poi Justin mi ha promesso un bel disegno prima di tornare a casa.” 

“A questo proposito…” Brian incrociò le braccia al petto e fissò suo figlio, stavolta con aria seria. “Che cosa avevamo detto sui disegni?” Gus lo guardò con espressione innocente. Brian inarcò un sopracciglio, in attesa. “Uffa…” Sbuffò il bambino. “Che non devo chiederne troppi a Justin perché gli fa male la mano.” 

Justin si voltò verso l’uomo guardandolo male. “Brian, perché hai detto a Gus una cosa del genere?” 

“Perché me ne accorgo quando hai i crampi, anche se nascondi la mano nella tasca.” Justin arrossì abbassando lo sguardo a terra. “Infatti.” 

Brian tese le braccia verso suo figlio che, ancora offeso, scosse la testa e tornò correndo da sua sorella. Justin lo seguì con lo sguardo. “Non credevo te ne fossi accorto.” 

“Lo so. E soprattutto non volevi che me ne accorgessi.” 

“Non è niente.” Minimizzò Justin. “Ho solo fatto qualche schizzo per Gus.” 

“Bene, ma sarei lieto se il numero degli schizzi diminuisse drasticamente, Sunshine.” 

Justin sospirò. “Ok.” 

“Bene.” Brian gli circondò di nuovo le spalle. “E ora che ne diresti di ubriacarci e ravvivare un po’ questa festa di morti viventi?” 

Sentendo Justin scoppiare a ridere contro la sua spalla, Brian realizzò per la milionesima volta che mai si sarebbe stancato di quella risata. 

Ancora abbracciati, si unirono a Mel, Linz e Molly e al gruppo di signore attempate che facevano parte – Justin lo scoprì allora – del consiglio scolastico del PIFA. Le stesse che, anni prima, si erano tanto adoperate affinché uno sfrontato tirocinante fosse cacciato dall’istituto quando si era scoperto avere una relazione non proprio platonica con uno dei soci dell’agenzia pubblicitaria presso cui stava svolgendo uno stage.  

Mel sorrise beffarda quando si accorse dei due uomini accanto a lei. “Signore.” Fece con tono educato. “Sono sicura conosciate tutti il più promettente degli artisti della mostra.” Sorrise a Justin. “Justin Taylor. E lui è il suo compagno, Brian Kinney.” 

La più anziana delle tre donne – e anche la più decrepita, notò Brian – serrò le labbra contrariata, irrigidendo la mascella e assumendo un’espressione indignata, nemmeno avessero messo della cicuta nel suo drink. 

“Signore.” Salutò educato Justin, con un sorrisino soddisfatto.  

Brian non le degnò neppure di quello. Si limitò a squadrarle con indifferenza. 

“Lieta di rivederla, signor Taylor.” Mentì spudoratamente la donna con i capelli più scuri. “Siamo liete che abbia accettato l’invito.” 

Justin si strinse di più a Brian. “Il preside Carson mi ha pregato così tanto.” Scosse le spalle. “Credo si senta ancora in colpa per quello spiacevole incidente.” Vide la donna inarcare pericolosamente un sopracciglio. “Sapete, la mia espulsione e tutto il resto.” 

“Ci credo.” Brian rivolse alle tre donne un sorriso di scherno. “Non credo che lui, né il consiglio scolastico farebbero una bella figura se si sapesse che l’artista che sta conquistando New York è stato cacciato da una scuola come il PIFA solo perché ha espresso le proprio idee.” Guardò la più anziana delle tre. “Non è questo che fanno di solito gli artisti? Goya e il suo Tre Maggio 1808, Picasso e la sua Guernica, non sono tutti esempi di denuncia sociale?” 

Il sorriso di Justin si fece addirittura più ampio: amava quando Brian, oltre alla sua bellezza e alla sua intelligenza, metteva in mostra anche la sua indiscutibile cultura. 

Era incredibilmente eccitante. 

“Vedo che si intende di arte, signor Kinney.” Osservò con finta ammirazione Strega-Numero-Uno.

Brian si strinse nelle spalle. “Non serve essere dei critici d’arte per sapere certe cose. Sono nozioni assolutamente basilari.” 

Strega-Numero-Tre intervenne nella discussione. “Vedo che col tempo è diventato modesto.” Sorrise malevola. “Ne sono felice.” 

Justin la fissò duramente, prima di schiarirsi la gola. “Ci piacerebbe stare a chiacchierare ancora qui con voi, ma la signora Carson richiede la nostra presenza.” Provò a rivolgere un sorriso alle tre donne, ma quello che ne uscì fu una specie di smorfia. “Scusateci.” Disse solo prima di trascinare via Brian, altrettanto scocciato. 

“Vecchie stronze frigide!” Borbottò l’uomo mentre si allontanavano, sperando di essere udito. 

A Justin sfuggì un sorriso, nonostante tutto. “Lasciale perdere.” 

“Forse non hai capito, Sunshine, ma sono state quelle tre cariatidi a farti cacciare.” 

“Sì, loro e tre quarti del consiglio.” 

“Ma loro sono qui e gli altri no.” Passò di nuovo il braccio attorno alle spalle di Justin. “Avresti almeno potuto dirgliene quattro.” 

Justin sbuffò, alzando le spalle. “Che vuoi che cambi, adesso?” 

“Ti farebbe stare meglio.” 

“Io non credo.” 

I due uomini si avvicinarono al bar e Brian ordinò uno scotch. “Avrebbe fatto sentire meglio me.” 

“Oh, allora è per questo che le sei saltato alla gola.” Gli rivolse un sorriso storto. “Solo per vendicarti.”

Brian piegò le labbra all’interno della bocca. “Ovviamente. Credevi l’avessi fatto per difendere il tuo onore?” Domandò, allungando la mano verso il bicchierino posato sul bancone. 

“Ovviamente no.” 

L’uomo gli offrì il suo drink, ma il ragazzo scosse il capo. “Ho fame, vado a prendere qualcosa da mangiare.”  

Brian roteò gli occhi. “Il tuo stomaco si riempirà mai?” 

Justin gli fece una linguaccia, mentre si allontanava in direzione del buffet. 

“Ehi, Justin!” Gus si avvicinò a lui con un sorriso radioso. “Che fai?” 

“Ehi!” Justin gli spettinò i capelli e accennò alla tavola imbandita. “Metto qualcosa sotto i denti. Mi fai compagnia?” 

Il bambino annuì. “Mi dispiace se papà si è arrabbiato con te.” Disse poi in imbarazzo, abbassando lo sguardo. 

“Gus, non preoccuparti. Sappiamo quanto papà può essere noioso, a volte.” Gli strappò un leggero ghigno. “Dobbiamo solo stare più attenti la prossima volta.” 

Gus annuì. “Ok.” 

“Bene.” Si voltò di nuovo verso il buffet. “Allora, che vuoi? Dolce o salato?”  

Il bambino arricciò il naso. “Salato. C’è tempo per il dolce.” 

Justin rise. “Mi piace come ragioni. Vada per il salato, allora.” Prese due panini dall’aria invitante e ne offrì uno a Gus. 

“Buono?” Chiese quando lo vide masticare con gusto. Il bambino annuì a bocca piena, facendolo sorridere. 

“Ti diverti?” Chiese una voce alle sue spalle. 

Justin accarezzò i capelli di Gus, prima di voltarsi e sgranare gli occhi davanti al suo ex ragazzo. “Molto, grazie.” Rispose garbato. “Tu?” 

Ethan gli sorrise. “Abbastanza.” 

Gus lo tirò per una manica, guardandolo con aria interrogativa. Poi gli prese una mano. Justin sorrise e indicò Ethan. “Gus, questo è il mio amico Ethan.” Si rivolse al ragazzo. “Ethan, ti ricordi di Gus?” Il bambino si strinse di più a lui.  

“Ciao, piccolo, come stai?” 

Gus accennò un sorriso. “Bene, grazie.” Inclinò appena il capo. “Anche tu disegni come Justin?” 

Ethan rise e scosse la testa. “No, io suono.” 

“Davvero?” 

“Davvero.” Affondò le mani nelle tasche. “Il violino.” 

Gus aggrottò la fronte confuso e guardò Justin. “Il violino è quello strano coso di legno che non piace a papà, giusto?” 

Justin soffocò una risata, davanti alla naturalezza con cui Gus aveva appena insultato Ethan. “Sì, Gus. È proprio quello.” Confermò, cercando di non ridere. 

“Coso di legno?” Domandò Ethan, e Justin non poté fare a meno di avvertire una nota di risentimento nella voce. Alzò lo sguardo verso di lui e lo fissò dritto negli occhi, posando una mano sulla spalla di Gus. “È solo un bambino, che cosa ti aspetti? Che conosca già Bach e Mozart?” 

Davanti al suo tono deciso, Ethan si limitò ad incrociare le braccia al petto. “Non mi piace che il mio violino sia definito in quel modo, tutto qui.” 

“Te lo ripeto, Gus ha sette anni.” 

“E soprattutto, è un Kinney.” 

Justin sogghignò. “Sai quanto poco amino la musica classica.” Lo punzecchiò. 

Ethan annuì appena con un sorriso. “Ho notato il mio piccolo fan club.” Justin lo guardò confuso e il violinista accennò al tavolo a cui erano seduti Molly, Brian e Mel, che lanciavano occhiate torve nella loro direzione.  

Justin emise un verso scocciato. “Che ti aspettavi?” 

“Magari non la guerra fredda.” 

“Stai scherzando, vero?” Guardò il suo ex ad occhi sgranati. “Ethan, tu sei il mio ex ragazzo. Come credi dovrebbero reagire?” 

“Capisco Brian e le tue amiche lesbiche, ma… tua sorella? Mi sembrava di piacerle…” 

“Perché t’importa così tanto? Cosa cambierebbe?” 

Ethan fece un passo verso di lui e Justin rimase immobile, la mano ancora sulla spalla di Gus che spostava lo sguardo da lui ad Ethan. “Justin, dimmi la verità. È davvero finita?” 

Justin roteò gli occhi, non credendo alle sue orecchie. “Oh santo cielo, Ethan! Possibile che non sia ancora chiaro?” 

“È perché loro non approverebbero?” Domandò accennando al tavolo.  

“Dimmi che stai scherzando.” Justin lo guardò come fosse pazzo.  

“Non posso davvero credere che il sentimento che ci legava sia sparito nel nulla.” 

Justin si passò una mano fra i capelli in un impeto di frustrazione. “Allora, vediamo di chiarirci. Uno: la nostra storia è finita cinque anni fa, quindi fattene una ragione.” Ethan lo fissò con espressione ferita. “Due: amo Brian più di me stesso e non farei mai, mai nulla per rovinare il nostro rapporto. E tre: é vero, Molly adora Brian, ma io lo amerei anche se non fosse così. Lo amerei anche se lei lo odiasse.” 

“È sempre stato così, dopotutto.” Ribatté l’altro con tono acido. 

Justin inarcò un sopracciglio. “Così come?” 

“La tua famiglia! Ha sempre adorato lui! Molto più di me!” 

“Oh, quindi adesso è colpa della mia famiglia!” Ethan fece per interromperlo, ma lui glielo impedì. “Non c’è stato nessuno che i miei abbiano odiato più di Brian. Il mio fottutissimo padre l’ha quasi mandato in ospedale! E mia madre l’ha trattato da schifo, ma lui non ha mai fatto o detto nulla contro di loro! Lui si è guadagnato la stima della mia famiglia, giorno dopo giorno, quindi perdonami se sono felice quando vedo mia sorella andare d’accordo con il mio compagno!” 

“Va tutto bene?” Li interruppe una voce. 

I due ragazzi si voltarono verso il ragazzo che li aveva appena raggiunti. Il giovane dai capelli color sabbia sorrise teneramente a Ethan, prima di intrecciare le dita con quelle del violinista. Si voltò a guardare Justin con espressione rilassata. “Justin Taylor, suppongo.” Gli porse una mano. “Chris Donovan.”  

Justin abbozzò un sorriso. “Lieto di conoscerti.” 

“Ciao!” Lo salutò Gus allegro. Chris gli scompigliò i capelli. “Ehi, piccolo.” 

Ethan si strinse al suo fidanzato. “Stavo solo scambiando due chiacchiere con Justin.” 

Chris annuì, alzando di nuovo gli occhi sul ragazzo biondo. “Ethan mi ha parlato di te.” Sorrise. “Della vostra storia.” 

“Non hai nulla da temere.” Lo rassicurò.  

“Lo so.” Chris parve sicuro di sé e dei sentimenti che lo legavano a Ethan. Così sicuro che Justin si sentì dispiaciuto per lui. “Ethan mi ha detto che anche tu hai un compagno.” 

Gus sorrise, stringendo le dita di Justin. “Justin sta col mio papà.” Disse fiero, strappando un sorriso a entrambi. Ethan rimase stranamente in silenzio. 

“Davvero?” Chris si piegò sulle ginocchia per arrivare all’altezza del bambino. “E tu sei felice di poter giocare con Justin?” 

“Certo! Giochiamo sempre insieme e guardiamo i cartoni e leggiamo i libri che mi piacciono.” 

“Ma allora sei davvero fortunato ad avere un amico come lui.” 

“Il più fortunatissimo del mondo!” 

Justin sorrise. “Il più fortunato.” Lo corresse. 

“Ma anche il mio papà è bravo.” Chris annuì ridacchiando, coinvolto dalle chiacchiere del bambino. “Lui è fortissimo e mi fa sempre un sacco di regali quando viene a trovarmi. E mi fa mangiare tutte le schifezze che voglio, anche se poi mi dice di non dirlo a mamma Mel.” 

“Certo che no.” Convenne il ragazzo. 

“E una volta mi ha fatto anche dormire nel lettone con lui e Justin.” 

Ethan spostò lo sguardo dal bambino a Justin prima di scurirsi in volto. “Adesso basta, campione. Oppure l’amico di Justin si annoierà.” Affermò la voce di Brian da dietro le loro spalle.  

Gus corse in braccio a suo padre che, un attimo dopo, raggiunse il gruppo. “Non credo ci abbiano presentato.” Tese una mano all’unica faccia nuova. “Brian Kinney.”  

Chris gli sorrise. “Chris Donovan.” Guardò il bambino dai capelli scuri. “Allora è lui il tuo super papà, Gus?” 

Gus annuì. “Supersuper!” 

Brian scosse il capo con un sorriso, passando il braccio libero sulle spalle di Justin che gli sfiorò il mento con la punta del naso. “Pensate di raggiungerci oppure volete rimanere qui a dare l’assalto al buffet?” Lo prese in giro. 

Justin gli pizzicò un fianco. “Stavamo ancora decidendo.” 

Gus si fece posare di nuovo a terra. “Io voglio un altro panino!” Esclamò sicuro. 

“Allora, forse noi dovremmo andare.” Chris sorrise al terzetto davanti a lui. “Lieto di avervi conosciuto.” 

“Anche per noi.” Justin gli sorrise educato. Brian fece lo stesso. 

I due ragazzi si allontanarono mano nella mano verso l’altro lato del giardino, ma a Brian non sfuggì l’occhiata fugace che Ethan lanciò a Justin prima di seguire il suo ragazzo. 

“Piccolo stronzo…” Borbottò tra i denti. 

Justin gli accarezzò la base della schiena. “C’è Gus. Cerca di non dire parolacce.” 

“Che voleva?” 

“Le solite cose.” 

“Cioè provarci spudoratamente?” 

Justin arrossì abbassando lo sguardo. “No, non…” Brian inarcò un sopracciglio. “Forse un pochino.” 

“E quel bellimbusto che si porta dietro? Non è nemmeno male. Anzi, è anche troppo per lui.” 

“Ed è molto innamorato, da quello che ho capito.” Scosse il capo. “Non mi piace come lo tratta Ethan. Appena Chris volta le spalle, lui torna a dichiarami amore eterno.” 

“È questo che ha fatto l’idiota?” Domandò Brian, mentre Gus tornava correndo da sua madre con tre panini tra le mani. I due uomini lo seguirono a passo lento.

Justin annuì. “Più o meno.” 

“Continuo a ripeterlo: cosa ci troverà in Ian non lo so davvero.” 

“Potremmo proporgli una cosa a tre.” Justin si alzò sulle punte e gli morse il lobo. “Sarebbe eccitante. Chissà se è attivo o passivo…”  

Brian sorrise malizioso. “Non sarebbe una cattiva idea. Mi mancano le nostre seratine allegre.” 

Justin gli circondò la vita e lo fissò con espressione seria. “Brian, devo essere sincero.” 

L’uomo lo guardò confuso. “Che ti prende adesso?” 

Justin si allungò di nuovo verso il suo orecchio. “Tutto questo parlare di cose a tre, ha fatto sì che io…” Spinse vigorosamente il bacino contro il fianco di Brian che trattenne il respiro contro la sue erezione. “Come possiamo fare?” Abbassò di più la voce. “O meglio, dove posso scoparti?” 

Brian sgranò gli occhi. “Sunshine, sono scioccato! Questo è un importante evento!” 

“Smettila di fare il cretino e inizia a pensare ad una scusa plausibile per quando compariremo di nuovo.” L’uomo gli rivolse un sorriso più che eloquente. 

 

 

 

 

 

Mel rise, davanti all’espressione buffa di suo figlio. “Che cosa stai facendo?” 

Il bambino sbuffò. “Cerco di far ridere Molly.” Guardò la ragazza seduta accanto a lui. “Allora?”  

Molly scosse il capo. “Niente da fare, nanerottolo.” 

“Ehi! Io non sono un nanerottolo!” Linz e Mel risero, cercando di consolarlo. “Io diventerò alto come il mio papà!” Esclamò indignato.  

“Beh, se diventi bello la metà di lui, io mi ritengo prenotata per essere la tua ragazza.” Molly gli sorrise, accarezzandogli i capelli. Gus si accomodò sulle sue gambe. 

“A proposito di papà…” Linz controllò velocemente il giardino. “Dove sono finiti lui e Justin?” 

“Non ci credo…” Soffiò sconvolta Mel, lo sguardo fisso sulla doppia porta di vetro che conduceva dentro casa. 

Molly e Linz guardarono nella direzione da lei indicata e trattennero le risate quando avvistarono i due dispersi dirigersi con noncuranza dentro casa, mano nella mano. “Non possono farlo…” Borbottò Mel. “Neppure loro ne avrebbero il coraggio…” 

“Tu dici?” Sua moglie la guardò con espressione a metà tra il divertito e il rassegnato. “E dire che dovresti conoscerli ormai.” 

Molly ridacchiò. “Credete davvero che lo faranno nel bagno dei Carson?” 

Gus arricciò il nasino e la fissò confuso. “Fare cosa? Dove vanno papà e Justin?” 

Le sue mamme si scambiarono uno sguardo imbarazzato. Come spiegare ad un bambino di sette anni che uno dei suoi genitori ci stava dando dentro con il suo fidanzato? 

Fortunatamente, fu l’altra Taylor a trarle d’impiccio. “Ehi Gus, che ne dici di andare a rubare un po’ di quei dolci al cioccolato? Dall’aspetto sembrano buonissimi!” 

Gus si mise in piedi e corse verso il tavolo dei dolci, chiamando Molly a gran voce. “Grazie…” Le sussurrò Linz un attimo prima che la ragazza si alzasse per raggiungerlo. 

Fu solo mezz’ora più tardi che Brian e Justin fecero la loro ricomparsa in giardino. Gus corse incontro ai due uomini, abbarbicandosi di nuovo tra le braccia di suo padre. “Complimenti, stallone…” Sussurrò Molly all’orecchio di suo fratello, facendolo arrossire come un peperone. “Siete stati molto discreti. Persino Gus si è accorto che ve la siete filata di sopra.” Sorrise a Brian. “Hai la camicia abbottonata male.” Gli fece notare, prima di tornare da Mel e Linz. 

“Stronza!” Gli gridò dietro l’uomo dopo aver controllato l’indumento, perfettamente allacciato. 

“Papà!” Lo rimproverò suo figlio, mettendogli le manine sulla bocca. “Dici un sacco di brutte parole, ha ragione nonna Debbie.” 

Justin ridacchiò, dando una pacca sul sedere a Brian. “Vado a prendere da bere. Volete qualcosa?” Scossero entrambi la testa. “Ok.” Si diresse verso il bar, in fondo al giardino, ma si bloccò a metà strada.  

Davanti a lui, Ethan. Di nuovo. 

Sospirò paziente e incrociò le braccia al petto, per niente disposto stavolta a fare buon viso a cattivo gioco. “Che vuoi?” Chiese sgarbato. 

“Parlarti.” 

Justin roteò gli occhi. “Senti, Ethan, non so più in che lingua dirtelo. Lasciami in pace.” 

“Ti prego, dammi un’altra possibilità, Justin. So che possiamo farcela.” 

“Oddio…” Il ragazzo roteò gli occhi, annoiato. Sarebbe stato molto maleducato da parte sua se l’avesse preso a pugni? Perché davvero non sapeva come altro fargli capire che non era interessato. 

“Lui non fa per te.” Disse sicuro. 

“Brian fa decisamente per me.” 

“Gli piace solo tenerti sulla corda. Vuole divertirsi con te, come ha sempre fatto.” 

Justin lo fissò minaccioso. “Mi hai davvero rotto le palle, Ethan. Dì un’altra cosa contro Brian e io…” 

“Devi credermi! Ma non lo vedi? Ti tratta come fossi un trofeo! Scommetto che è stato felice il giorno che sei tornato da lui! Ovvio che ti abbia perdonato!” 

“Come ti ho detto, non so quando e perché Brian abbia deciso di perdonarmi, ma so con precisione quando tu hai mandato tutto a puttane! Quindi vedi di pensarci due volte prima si sparare di nuovo a zero sul mio compagno.” E si voltò per andarsene.  

Brian, con un sorriso rilassato e suo figlio accanto, lo vide e si avvicinò a lui e a… 

Di nuovo quel topo di fogna? Mi sono davvero rotto le palle! Stavolta giuro che… 

“Quindi se Molly è la sorella di Justin e Justin è il tuo fidanzato, posso chiamarla zia?” Brian si sforzò per riportare l’attenzione su suo figlio. “Ti prego! Solo per far arrabbiare Jenny! Così la smette di parlare sempre di Hunter!” 

Ma la conversazione con Gus fu immediatamente dimenticata quando Brian vide Ethan seguire Justin e afferrarlo bruscamente per un braccio, costringendolo a voltarsi di nuovo. 

Justin non capì subito cosa fosse successo. Un attimo prima stava strattonando via il suo braccio dalle grinfie di Ethan e il secondo dopo il suo ex stava seduto a terra, il naso sanguinante e gli occhi sgranati. 

“Cazzo!” Gridò Brian, stringendo al petto la mano ferita con cui aveva steso il violinista. 

“Grande! Papà ha fatto come Rocky!” Gus sorrise, guardando orgoglioso suo padre. “Sei il papà più forte del mondo!” 

Justin, ancora a bocca aperta, spostò lo sguardo da Brian a Gus a Ethan. 

Tutto il giardino prese ad osservare la scena in silenzio.

 

 

 

 

 

Justin avvolse i cubetti di ghiaccio in uno dei canovacci della cucina e si avviò verso il salotto. “Mettici questa sopra, gli eviterà di gonfiarsi come una zampogna.” Lo allungò alla sagoma sdraiata scompostamente sul divano ad occhi chiusi, la mano ferita abbandonata sul grembo, la testa appoggiata all’indietro sui cuscini bianchi. 

Justin si sedete sul tavolinetto lì vicino, un sorriso radioso stampato in faccia. “Meglio?” Domandò sfiorando il braccio di Brian. L’uomo grugnì contrariato, sistemandosi il ghiaccio sulla mano dolorante. “La finirai mai di sorridere come un idiota?” Borbottò acido.

Justin scosse il capo. “È che ancora non riesco a crederci.” 

“Che il cattivo Brian Kinney ha spaccato la faccia al tuo romantico spasimante?” 

“No, che il mio gelosissimo e bellissimo fidanzato ha preso a pugni il mio ex ragazzo.” Si inginocchiò accanto al divano e affondò le dita nei capelli scuri di Brian. “Ok, ti do ragione sul bellissimo fidanzato.” 

Justin emise un verso scettico. “Vuoi davvero negare che eri geloso? E che lo sei ancora?” 

“Cazzate… Forse ti dimentichi con chi stai parlando.” Inarcò un sopracciglio. “Io non sono…” 

“… geloso, lo so.” Justin si umettò il labbro. “Ma, se non ricordo male, c’erano anche altre cose che non facevi: niente bis per nessun ragazzo, niente fidanzati, niente coccole…” 

“E il punto sarebbe?” 

“Il punto, Brian, è che è inutile che continui a negarlo come se fossi un bambino di quattro anni beccato con le mani nel barattolo dei biscotti. Tu eri geloso. Punto.” Lo zittì Justin con tono seccato. “E la tua mano sanguinante ne è la prova lampante.” 

Brian si limitò a sbuffare contrariato, tornando a chiudere gli occhi. 

Sapeva fin troppo bene perché l’aveva fatto. 

E sapeva anche che sarebbe successo prima o poi e, confessò a sé stesso con orgoglio, sarebbe stato pronto persino a rifarlo. 

Dio, sognava di prendere a pugni Ian da anni! Da quando aveva capito che Justin si stava innamorando di lui, che glielo stava portando via, ma si era sempre trattenuto. 

Gli piaceva credere che l’aveva fatto per Justin, per permettergli di vivere finalmente la sua vita e di lasciarsi alle spalle la storia con lui… E forse in parte era stato davvero quello il motivo. 

Ma in realtà una piccola parte di lui, gli sussurrava che l’aveva fatto per se stesso. Imporsi di non comportarsi come un qualunque fidanzato geloso, l’aveva illuso che Justin non fosse poi nulla di speciale, che non fosse riuscito ad abbattere tutte le barriere che aveva faticosamente costruito con gli anni, che il suo orgoglio e il suo amor proprio fossero ancora lì, intatti ed irraggiungibili. 

Persino per Justin. 

Ovviamente la sua scenata al barbecue, aveva dimostrato ancora una volta quanto Justin Taylor gli fosse entrato dentro. 

Aprì un occhio e guardò di nuovo il ragazzo seduto a terra accanto a lui. Sospirò rassegnato e gli prese una mano. “Forse ero un tantino geloso…” Ammise con uno sforzo sovrumano.  

Justin lo guardò divertito. “Un tantino, eh?” 

“Assolutamente.” 

“Ok, mi posso accontentare.” 

“Lo spero per te, perché è tutto quello che avrai.” 

Justin si sollevò da terra e lo scavalcò, sdraiandosi accanto a lui e posandogli la testa sul petto, ben attento a non urtargli la mano. “Vuoi sapere la verità?” 

Brian lo strinse per le spalle. “Su cosa?” 

“Su Ethan.” 

L’uomo grugnì al suono di quel maledetto nome. “No.”  

Justin ridacchiò e gli posò un bacio sul collo. “Hai idea di quanto possa essere eccitante la tua gelosia?” Brian gli posò una mano sul cavallo dei pantaloni. “Una vaga idea…” 

Justin prese a giocherellare con il bordo della maglia di Brian. “In questi due anni ho pensato molto a Ethan.” Lo sentì irrigidirsi nel suo abbraccio. “Ma non nel modo in cui pensi tu.” Sospirò e chiuse gli occhi. “Mi sono chiesto spesso come sarebbe andata se non mi avesse tradito, se non ci fossimo lasciati, se fossimo rimasti insieme.” 

“E sei arrivato a qualche brillante conclusione?” Brian cercò di sembrare il più naturale possibile, nonostante avesse voglia di colpire di nuovo Ian e quella sua ignobile faccia da ratto. 

“Sì. Che comunque non saremmo andati lontano.” 

“Cosa te lo fa credere?” 

“Il fatto che non mi sono sentito morire quando ho lasciato il suo appartamento.” 

Brian cercò di nascondere un sorriso alla definizione che Justin aveva dato della discarica in cui aveva vissuto per quasi sei mesi. 

Lo strinse di più a sé, felice del fatto che Justin non si fosse mai riferito al loft come a casa di Brian, ma solo come a casa

La loro casa. 

“Se solo penso a come mi sono sentito quando ho lasciato te dopo il fiasco di Hollywood.” Chiuse gli occhi sofferente. “Non mi sono mai sentito peggio in vita mia…” Brian rafforzò la presa sulle sue spalle, accarezzandogli i capelli. “Il vero problema è che Ethan non è te.” 

“E gli piacerebbe…”  

Justin si sollevò su un gomito e gli sorrise furbo. “Una volta l’ho anche chiamato Brian.” 

Brian si voltò a guardarlo con espressione compiaciuta. “Davvero?” Lo vide annuire. 

“Ma lui era… piuttosto preso e non ha colto.” 

“Sì sì, ok, risparmiami i dettagli scabrosi, non voglio vomitare.” 

Justin proruppe in un colpo di tosse che a Brian suonò molto come “geloso…”. Tornò col capo sul suo petto, le dita di nuovo concentrate sulla maglia di Brian. “È stata tutta colpa tua.” Lo sentì emettere un verso scettico. “È vero! È successo la sera che ti ho riportato il braccialetto che ti aveva rubato John.” 

“Ah, bei tempi quelli! Meravigliosamente single e… AHIA!” Brian si massaggiò risentito la pancia. “Guarda che sono già infortunato!” 

Justin lo ignorò. “Mi ricordo che quella sera eri più bello del solito.” Chiuse gli occhi, perso nei ricordi. “O forse lo sembravi a me, non lo so…” 

“Diciamo che accettiamo la prima risposta.”

“Presuntuoso.” Justin gli baciò il collo, inspirando a fondo il suo odore, lo stesso buon odore che quella sera di quattro anni prima gli aveva invaso le narici quando si era finalmente riavvicinato a Brian dopo tanto, troppo tempo. 

“Ti sarei saltato volentieri addosso.”

Brian ridacchiò. “Sì, me n’ero accorto dal tuo sguardo assatanato.” 

“Oh sì, perché tu invece eri tranquillissimo!” 

“Assolutamente padrone di me.” 

Justin alzò gli occhi al cielo, arrendendosi. Sospirò piano. “Il punto è che ho capito col tempo che con Ethan non era reale, non era… vero.” 

“Che vuoi dire?” 

“Che in realtà, mi sono innamorato di lui quando ho capito cosa poteva darmi. Una relazione stabile, romanticismo, fedeltà…” 

“Sì, si è visto infatti…” Borbottò acido Brian. 

Justin sorrise. “Ma non capisci che è proprio questo il punto? I miei sentimenti per lui erano sinceri e ci tenevo davvero, ma amavo molto di più il fatto che mi amasse, senza condizioni, senza vergogna… Il suo prendermi la mano per strada, baciarmi davanti ai suoi amici, telefonarmi anche solo per dirmi che mi amava…” 

Brian sollevò il capo e lo guardò disgustato. “Davvero lo faceva?” 

Justin roteò gli occhi, provando a sembrare scocciato, ma non riuscì a trattenere un sorrisino. Annuì. 

“Patetico…” 

“Pensandoci bene, credo di aver amato molto più il modo in cui Ethan mi faceva sentire che Ethan stesso.” Fece una pausa. “Con lui ero sicuro ogni giorno di essere ricambiato, perché lui non faceva che ricordarmelo costantemente.” 

“Al contrario di me?” 

“Non ho detto questo…” 

“Ma…?” Brian sollevò il capo e Justin ne studiò l’espressione, capendo al volo che era preoccupato. Esattamente come quella mattina, quando avevano fatto l’amore. E quella era l’ultima cosa che voleva.  

Si schiarì la gola, risoluto. 

Doveva spiegare a Brian cosa significasse per lui stare insieme, svegliarsi e addormentarsi con lui accanto tutte le notti. 

Doveva far capire a quel testone che tutto quello che Ethan aveva fatto o detto non era nulla al confronto delle parole mai confessate di Brian, dei suoi assordanti silenzi, dei suoi sguardi più eloquenti di qualunque dichiarazione d’amore gridata al mondo. 

“Brian.” Gli prese il volto tra le mani e sorrise timidamente. “Ancora non capisci che non c’è mai stato paragone tra la mia storia con Ethan e quella con te? In lui cercavo quello che volevo da te, stronzate senza nessun valore che però lui è stato ben felice di darmi, sicurezze e stabilità che tu non volevi darmi.”

“Io non…”  

Justin gli posò una mano sulle labbra. “Ti prego, lasciami finire.” Lo baciò a fior di labbra. “Ethan è stato molto importante, sarebbe da ipocriti negarlo, ma col tempo mi sono accorto che non è stato niente paragonato a te. Ed era questo che mi faceva incazzare: nonostante avessi un fidanzato perfetto, continuavo a pensare a te, solo e soltanto a te. E la cosa mi uccideva.” Brian rimase in silenzio, continuando ad osservarlo. Sapeva che Justin aveva bisogno di dirgli quelle cose, cose che non aveva mai avuto l’opportunità di confessargli. Ciò non cambiava il fatto che sentirlo parlare di lui e Ian gli dava un forte senso di nausea. “Lui è stato solo una specie di sostituto, il tipico ragazzo che puoi presentare ai genitori.” Gli sfiorò il naso col suo. “Ma non era quello che volevo io. Ho cercato di convincermi che lo fosse, ce l’ho messa tutta e ho passato mesi a ripeterlo nella mia testa. Poi, ogni volta che tu ricomparivi all’orizzonte, crollava di nuovo tutto come un castello di carte. E poi, quando John ti ha accusato di quelle cose orribili, ho capito che non potevo stare lì a guardare. Ethan ha cercato in tutti i modi di farmi desistere, ma non ce l’ha fatta. Quando mi diceva di lasciar perdere, che non erano più cose che mi riguardavano, che avresti dovuto risolvere da solo i tuoi casini, non ho potuto farlo.” Accennò un sorriso. “Mi ha tenuto il broncio per tre giorni.” 

“Ci credo…” Brian gli sfiorò la guancia col pollice. “Sarebbe stato felicissimo di vedermi in galera.” 

Justin tracciò il contorno della sua labbra con le dita. “Ed è stata proprio quella sera che ho capito che non era cambiato nulla: nonostante i mesi, nonostante la lontananza, nonostante il rancore, tu eri ancora lì, nella mia testa, nel mio cuore e, di sicuro, nei miei pantaloni.” Fece una pausa e vide Brian sorridere maliziosamente compiaciuto. “Perché io volevo te. Ho voluto sempre e solo te, Brian. Ti amo da sette anni e, dopo tutto questo tempo, riesci ancora a togliermi il respiro quando mi sorridi, mi accarezzi la mano o mi sfiori i capelli. Ti amo così tanto da fare male, ma è un dolore che mi fa sentire vivo come mai nella mia vita. Ti amo, Brian Kinney. E adesso prendimi pure in giro, dimmi che è un discorso da lesbiche, ma è così: ti amo. Ti ho amato fin dal primo momento e ti amerò fino alla fine dei miei giorni. Che tu lo voglia o no.”

Brian lo fissò per un istante, ma capì che non c’era nulla che avrebbe potuto dire. Così si limitò a fare quello che gli riusciva meglio: dimostrò con i fatti quanto l’immenso ed infinito amore di Justin fosse ricambiato. Si sollevò su un braccio e gli sfiorò la punta del naso prima di baciarlo teneramente, sorridendo contro le sue labbra. 

Justin capì che, per qualche strana ragione, Brian non l’avrebbe preso in giro quella sera. E decise che lui di certo non se ne sarebbe lamentato. 

Si sporse di più verso l’uomo e rispose al bacio con lo stesso slancio. Si sdraiò sul suo corpo per avere più libertà di movimento e udì un mugolio di apprezzamento sfuggire dalla labbra di Brian, quando intrecciò le proprie gambe con le sue. Posò la mano sinistra sulla sua coscia e risalì lentamente lungo la stoffa sdrucita dei jeans verso la mano di Brian. Quasi gli avesse letto nel pensiero, Brian si sollevò a sedere e intrecciò le dita con quelle di Justin, che non ebbe neppure il tempo di sorridere prima che il suo fidanzato ritraesse la mano con un “Cazzo!” e una smorfia di dolore dipinta in viso. 

“Scusascusascusa!” Justin si tirò immediatamente indietro e allontanò la propria mano da quella ferita di Brian. “L’avevo dimenticato!” 

Brian gemette, crollando di nuovo sui cuscini. “Dammi quel dannato ghiaccio…” Bofonchiò frustrato. Justin cercò di nascondere un sorrisino e fece per alzarsi, ma la mano di Brian – stavolta quella sana – lo bloccò per la vita. “Non ho detto di alzarti.” 

Justin roteò gli occhi. “Brian…” 

“Justin, passami solo il maledetto ghiaccio e non provare a spostare il culo di un centimetro.” Inarcò malizioso un sopracciglio. “Abbiamo un discorso da finire.” 

Il ragazzo scosse la testa con un sorriso e afferrò il canovaccio con cui aveva avvolto i cubetti di ghiaccio. “Ecco.” Lo posizionò sulla mano di Brian. “E cerca di non muoverti.” 

Brian sbuffò, chiudendo gli occhi. Justin si chinò per baciargli le labbra. “Tv?” Propose, sentendolo sbuffare di nuovo. Si allungò verso il tavolinetto lì accanto e afferrò il telecomando. 

“Oh, guarda! Mi piace questo!” Esclamò allegro, davanti ad un nuovo reality show. “I concorrenti sono delle vecchie glorie del cinema che…” Si zittì quando vide l’occhiata a metà tra il disgustato e l’impietosito che Brian gli stava rivolgendo. Sbuffò scocciato. “Messaggio ricevuto.” Cambiò canale. “Film d’azione?” 

Brian annuì, mettendosi seduto e stendendo i piedi sul tavolino; passò il braccio attorno alle spalle di Justin, che posò la testa sulla sua spalla, e sistemò la mano col ghiaccio accanto a lui, lontano dall’irruenza del suo fidanzato. 

Per parecchi minuti, l’unico rumore che si udì nel loft fu il fragore delle auto esplose e dei colpi di pistola, mentre i due protagonisti davano la caccia al cattivo di turno. Quando finalmente, con un tocco di incredibile originalità, la ragazza di uno dei due si scoprì essere la spia che informava la banda dello spacciatore delle mosse della polizia, Brian, annoiato a morte, si schiarì la gola. 

Forse non era proprio il momento giusto. Magari avrebbe dovuto aspettare che i paramedici finissero di portare via il cadavere del poliziotto a cui avevano fatto saltare la testa, prima di parlare. O forse avrebbe solo dovuto tenere chiusa quella sua maledetta boccaccia per non rischiare di rovinare una giornata che – Ian a parte – era stata perfetta. Immerse la mano nei capelli di Justin e, di riflesso, lo sentì stringersi di più a lui. Si schiarì di nuovo la voce. 

No, l’avrebbe fatto. Probabilmente sarebbe stato un casino, come ogni volta che cercava di far capire a quel ragazzino petulante quanto tenesse a lui, ma almeno doveva provarci. Doveva ricambiare, almeno in parte, tutto ciò che Justin gli aveva detto qualche minuto prima, facendogli battere il cuore così forte che per un istante aveva avuto paura che gli sarebbe schizzato fuori dal petto. 

Dopo quello che aveva sentito dire da Justin a Ian al barbecue non poteva lasciar perdere. Voleva fargli capire quanto fosse importante, nonostante non glielo ripetesse tutte le ore del giorno e della notte com’era solito fare il caro Paganini. 

Prese un bel respiro e si decise a parlare. “Era un giovedì.” Esordì, attirando l’attenzione del ragazzo stretto tra le sue braccia. 

Justin aggrottò le sopracciglia, alzando lo sguardo verso di lui. “Mh?” 

Brian si schiarì di nuovo la gola. “Era un giovedì.” Ripeté come se quelle tre parole spiegassero tutto. Justin aprì la bocca, ma l’uomo lo anticipò. “Il giorno che ho capito che ti avrei rivoluto con me. Il giorno che ho capito che mi importava.” 

Justin abbassò lo sguardo, imbarazzato. “Hai sentito quello che ho detto a Ethan.” 

L’uomo annuì. “È ovvio che l’avessi capito molto prima, ma quel giorno… quel giorno è stato il giorno che ho capito che, se tu fossi tornato, io non avrei preteso nulla. Niente scuse, niente suppliche, niente promesse. Solo te, di nuovo nella mia vita. E mi sarebbe andato fottutamente bene.” 

“Perché?” Justin nascose il viso nell’incavo del suo collo. “Io non me lo meritavo.” 

“E chi lo dice?” 

“Brian, ti ho lasciato, ti ho tradito, ti ho mentito, mi sono approfittato della fiducia che avevi in me.” 

“Stronzate. Nessuno ha mai detto che avresti conservato la mia fiducia rimanendo qui e continuando ad essere infelice.” 

“Sono stato così stupido.” Justin posò una mano sul petto di Brian. “E credevo davvero che non mi avresti mai…” 

“Justin, non c’era niente da perdonare, quindi smettila di ripeterlo.” 

“Invece sì.” 

Brian gli sollevò delicatamente il mento. “Quante volte sei passato sopra le mie stronzate? Quante volte sono stato io a far soffrire te? A trattarti di merda?” 

“Non è lo stesso, lo sai.” Justin gli sfiorò la guancia. 

“Perché no? Justin, tu te ne sarai anche andato, ma ammettiamolo, io ti ho dato mille buone ragioni.” 

Justin scosse piano il capo. “Non è questo il punto.” Abbozzò un sorriso triste. “È che solo adesso mi rendo conto di quanto io sia stato vicino a perderti.” Lo baciò a fior di labbra. “Io non posso immaginare la mia vita senza di te, Brian.” 

“Lo so.” Brian ricambiò il sorriso e lo abbracciò, stringendolo forte contro il petto. “Lo so.” Ripeté con convinzione baciandogli i capelli e sperando che capisse.

Vale anche per me, lo sai vero?

Sorrise, quando, come se gli avesse letto nella mente, lo sentì annuire contro la sua maglia. “Ed è stato proprio mentre ti sentivo parlare con lui al barbecue che mi sono ricordato di quel giovedì.” 

Justin riportò lo sguardo su di lui. “Che cosa è successo quel giorno?” Chiese con un sorriso, accarezzandogli i capelli. 

Brian posò la testa contro i cuscini, rilassandosi, ma mantenendo gli occhi fissi in quelli di Justin. “Era mattina e, come al solito, sono entrato al Diner, e mi ricordo che… stavo bene.” Si strinse nelle spalle. “Voglio dire, non stavo da schifo come al solito… Non mi ero addormentato ubriaco o completamente fatto, non ero crollato esausto, scalciando via dal letto il tuo cuscino.” Justin gli rivolse un sorriso radioso a quella piccola confessione. “Non ero devastato come ero stato negli ultimi mesi e mi sentivo… sollevato. Ho pensato “Forza Kinney, ce la stai facendo… Riprenditi la tua vita, cazzo!” ed ammetto di essere stato molto fiero di me perché forse stavo superando la cosa, forse avrei potuto riprendere ad essere il Brian di sempre, il Brian prima di Justin.” 

“E perché non ha funzionato?” 

Brian gli sorrise. “Perché proprio quel maledetto giorno, tu hai deciso di litigare col tuo innamorato.” Justin lo fissò confuso. “È stato il giorno in cui ti ho preso in giro perché ti eri presentato con gli stessi vestiti del giorno prima.” 

Un lampo di comprensione illuminò il volto del più giovane. “Oh.” Aggrottò la fronte, sforzandosi di ricordare. “Credo sia stato quando ho scoperto del tradimento di Ethan e sono andato a dormire da Daphne dopo averlo lasciato.” 

“Già. E la sera ti sei presentato nella darkroom, proprio come il vecchio Justin.” Gli lanciò un’occhiatina maliziosa, passandosi la lingua sulle labbra. “Quello a cui piaceva divertirsi, quello che amava il Babylon e…” 

“… te.” Justin annuì, arrivando al punto. “È stato allora che hai capito che non avresti potuto vivere senza di me, vero?” Lo stuzzicò, sorridendo raggiante. 

“No.” Brian lo tirò verso di sé, finché non fu di nuovo sopra di lui. Per prudenza, tenne la mano ferita sul bracciolo del divano, fuori dalla portata di Justin, stringendolo però per la vita col braccio sano. “Quello è stato il momento in cui ho capito che non l’avevo superato, nonostante quello che non facevo che ripetermi, che stavo tornando ad essere me stesso…” 

“Intendi il Brian prima di Justin?” Puntualizzò il ragazzo, circondandogli il collo con le braccia. 

Brian alzò gli occhi al cielo, annoiato. “Sapevo che quella definizione mi sarebbe costata cara.”  

“Volevo solo essere sicuro di seguire il discorso.” 

“Sei fin troppo intelligente per non farlo, Sunshine.” 

Justin lo baciò a fior di labbra. “Quanti complimenti stasera…” 

“Hai ragione.” Brian fece per alzarsi, provando a spostarlo da un lato. “Finirò per viziarti.” 

“Non ci provare.” Justin lo tenne bloccato sul divano, scoppiando a ridere subito seguito da Brian. “E poi lo sai che mi piace essere viziato.” 

“Oh, certo che lo so!” L’uomo gli pizzicò i fianchi. “E infatti, da quando sei tornato mi sembra che mamma Taylor ti abbia viziato anche troppo.” 

Justin gli schiaffeggiò via la mano. “Ma come ti permetti?” Esclamò indignato, soffermandosi comunque a controllare che non fosse vero.  

Giusto per essere sicuro, mica per altro… 

“Guarda qua se non mi credi!” Continuò Brian, tra le risate, tastandogli la pancia. 

Justin gli colpì la spalla con un pugno. “Smettila immediatamente!” Lo ammonì cercando di sembrare minaccioso e fallendo miseramente. “E poi tu mi scoperesti anche se fossi grasso come un otre.” Si leccò sensualmente le labbra.

Brian seguì con attenzione il movimento della lingua di Justin e si sporse verso di lui. “Su questo puoi giurarci, Sunshine.” Sussurrò prima di sostituire la lingua di Justin con la propria. Un mugolio di apprezzamento sfuggì dalla bocca del ragazzo nel momento in cui la mano di Brian s’insinuò sotto la sua maglia. “Pronto a perdere qualche caloria?” Brian si staccò dalle sue labbra, avventandosi sul collo. Justin piegò la testa all’indietro per lasciargli più libertà di movimento e, istintivamente spinse il bacino contro quello di Brian, sentendolo gemere contro la sua pelle. “Non che io ne abbia bisogno…” Justin affondò le dita nei capelli di Brian e sorrise, avvertendo il suo fidanzato fare lo stesso. “Però so che a una certa età, l’attività fisica fa bene.” Sobbalzò quando si sentì mordere il collo. “Brian! Se continui così, mi lascerai i segni!” Si lamentò. 

“Davvero?” Chiese Brian con tono innocente, risalendo verso l’orecchio.  

“Ok, mi stai facendo diventare matto.” Sospirò quando sentì la lingua dell’uomo assaporare la porzione di pelle sotto il lobo. “Possiamo, per favore, andare in camera? Ti prego?” Sfregò con vigore l’inguine dell’uomo. “Ti supplico?” 

Brian annuì con un sorriso. “Se me lo chiedi così…” 

“Finalmente…” Justin fece per alzarsi, ma l’operazione fu interrotta dal suono del suo cellulare. Ricadde a peso morto su Brian. “Non ci credo…” Borbottò frustrato. 

“Ignoralo e chiudiamoci in camera.” 

“Potrebbe essere mia sorella.” Brian sbuffò e gesticolò verso il telefono. “Pronto?” Rispose Justin scocciato. 

“OH MIO DIO! DIMMI CHE NON E’ VERO!” Gridò la voce di Daphne spaccandogli i timpani. 

“Ma che cazzo fai?” Sbraitò Justin, facendo sobbalzare persino Brian che lo fissò sorpreso. “Sei matta ad urlare in quel modo?” 

“Smettila di perdere tempo e raccontami tutto!” 

“Tutto di che?” Justin posò la fronte contro la spalla di Brian che prese ad accarezzargli la schiena. 

“Come di che? Della rissa per il tuo onore!” Daphne se ne uscì con una risatina isterica. “Dio, potevi trovare un uomo più perfetto di così?” 

Justin roteò gli occhi. “Sì, Daph, credo che ormai la tua infatuazione per Brian sia più che assodata…” 

Brian ridacchiò. “Brava ragazza…” 

“Non dire sciocchezze, Justin! Ethan come sta?” Rise divertita. “Spero gli abbia spaccato la faccia! Dannazione, perché non potevo esserci anche io?” 

“Perché non eri invitata.” La seccò Justin, venendo però totalmente ignorato dalla sua amica.  

“E poi che è successo? Dopo la scazzottata?” 

“Daph, posso dirti che non è un buon momento?” 

Daphne sbuffò. “Scopare come ricci non è una scusa, Justin.” Ci pensò su un attimo. “Almeno non per voi, quindi a meno che uno dei due non stia per morire…” 

“Justin, attacca…” Sussurrò Brian impaziente al suo orecchio. Si strusciò contro di lui, facendolo gemere. 

“Justin Taylor, quel suono non mi piace per niente!” Lo rimproverò Daphne. “Allontanati immediatamente da lui e raccontami tutto dall’inizio!” 

Justin chiuse gli occhi e sospirò. “Daph, non credo di poterlo fare…” Si morse un labbro, quando la mano di Brian s’infilò nei suoi pantaloni. “Proprio no…” 

“Justin!” La voce della ragazza si fece minacciosa. “Se osi riattaccare, giuro che non ti parlerò mai più in tutta la…” S’interruppe, aggrottando la fronte. “Cos’è questo suono?” 

Brian si lamentò frustrato, mentre sfilava la mano dai pantaloni di Justin e la allungava verso il suo telefono. “Michael.” Sussurrò a Justin prima di rispondere. 

“È Michael.” Ripeté il ragazzo alla sua amica.

“Bene.” Affermò lei soddisfatta. “Così almeno non sentirò gemiti da film porno come sottofondo.” 

“Che c’è?” Rispose Brian brusco. 

“Sono io che dovrei chiederlo a te!” Strepitò il suo amico. “Hai fatto a pugni! E davanti a tuo figlio, per di più!” 

Brian fece una smorfia, allontanando il telefono dall’orecchio. “Adesso vedi di calmarti, mammina…” 

“Calmarmi? Brian. Ha solo sette anni e adesso se ne va in giro per la casa, gridando ai quattro venti che suo padre è meglio di Cassius Clay!” 

Brian sgranò gli occhi colpito. “Tu conosci Cassius Clay?” 

“No, Daph, non c’è altro.” Confermò Justin esasperato. “È tutto. Lui mi ha preso per un braccio, Brian si è innervosito e gli ha tirato un cazzotto. Fine della storia.” 

Daphne sbuffò indignata. “Certo che come crei la suspense tu…” 

“Mi dispiace che abbia iniziato a saltare sui divani, Michael. Domani gli parlerò io, promesso.” Si voltò verso Justin e alzò gli occhi al cielo, facendolo sorridere. “Sì… no, certo che no! Michael… Michael, ascoltami…” Sbuffò un’ultima volta prima di allontanare di nuovo il cellulare dall’orecchio e interrompere la comunicazione con un gesto secco. 

“Brian!” Lo rimproverò il ragazzo, non potendo però fare a meno di sorridere.  

Brian si spalmò di nuovo sul divano, spegnendo il telefono. “Questo, Sunshine, è il metodo giusto per chiudere telefonate scomode.” 

Justin lo guardò pensieroso. “E funziona?” Chiese, fissando il suo cellulare, da cui si sentiva ancora Daphne borbottare contro Ethan. 

Brian si strinse nelle spalle. “Mi pare che tu sia l’unico ad essere ancora impegnato.” Vide il ragazzo riflettere attentamente e, un attimo prima che si decidesse a sbattere il telefono in faccia alla sua migliore amica, che probabilmente gli avrebbe tenuto il muso per i successivi tre secoli, il cordless del loft prese a squillare. Brian si alzò sbuffando. “Pronto?” Abbaiò. Roteò gli occhi al colmo dell’irritazione. “Certo che ho riattaccato! Sembravi tua madre!” 

Justin sospirò afflitto, tornando alla sua amica. Brian si sdraiò accanto a lui, altrettanto avvilito. 

I loro progetti per la serata erano appena stati posticipati a orario da definirsi. 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ed eccoci finalmente alla dipartita del caro Ian! Spero vivamente che vi sia piaciuto, non so se a voi risulterà OOC, ma proprio non riuscivo a non metterci un bel pugno in quella ignobile faccia, quindi scusate!

Emmett, come avrete notato, è ormai cotto del nostro bel John e prevedo guai grossi per lui!

La scena finale doveva andare in tutt’altro modo, ma spero che non vi dispiaceranno le simpatiche intrusioni di Daphne e Michael. E soprattutto spero che le confessioni di Brian e Justin durante il periodo Ian siano in linea coi personaggi. Io le ho immaginato così e mi auguro che vi piacciano!

Per il resto non c’è molto da dire, anche perché questo è stato un capitolo scritto soprattutto per sfogarmi di una serie infinita di sofferenze (vedasi prima parte della 3 serie). Perdonate la mia debolezza!

Per il prossimo capitolo, voglio rassicurarvi, dicendo che è già nelle mani della mia beta quindi non resta che attendere sue notizie!

Un bacio e un grazie speciale a susyjames, Giulia__TH, electra23, SidRevo, margotespooky, FREDDY335, Veronica611, elysenda, EmmaAlicia79, pukky, Hel Warlock e mindyxx che hanno lasciato recensioni ME-RA-VI-GLIO-SE nello scorso capitolo! Siete davvero troppo buone!

 

Per farmi perdonare del ritardo dell’ultimo aggiornamento, posterò qualche foto dei miei nuovi personaggi (ok, magari non ve ne frega nulla, ma mi sono divertita un mondo a trovarli!)


 Lane (Johanna Braddy): ho sudato sette camice per trovare l'attrice adatta, finalmente eccola qui! 

 Steve (Michael Cassidy): Direttamente da The O.C., ecco a voi il simpatico e aitante manager del nostro Justin.

 Molly (Molly Quinn): rubata dal telefilm "Castle", ecco la mia Molly, capigliatura fiammante e occhi azzurri marca Taylor.

 

Ditemi che ne pensate!!

 


 

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Capitolo 16
*** The Importance Of Being A Dad (Part 1) ***


16. The Importance Of Being A Dad (Part 1)

 

 

 

 

 

Brian alzò gli occhi al cielo, sbuffando sonoramente. “Ed è proprio per questo motivo che ti ho assunto, Cynthia, per risolvere i problemi.” Aprì con un gesto deciso il portone di casa. “Chiedi a Ted, allora! Non è la prima volta che mi sostituisce, no?” Salì in ascensore e sorrise sornione, spingendo il numero quattro. “Cynthia, mi meraviglio di te. Queste non sono di certo parole che si addicono ad una signora.” La sua assistente gridò un ultimo insulto, prima di riattaccare strappandogli un ghigno.

Brian scosse la testa divertito guardando il display del cellulare e, ancora col sorriso sulle labbra, aprì il messaggio che gli era arrivato qualche ora prima e che aveva rivoluzionato completamente la sua giornata e quella della sua sempre affabile e disponibile assistente.

 

 

Ciao, sexy papà

Sappiamo che sei al lavoro e che odi essere disturbato mentre guadagni la tua giornaliera montagna di soldi, ma che ne diresti di liberarti per pranzo e tornare al loft? Io e Gus promettiamo di prepararti qualcosa di superspeciale.

Se ti comporti bene, potrebbe anche esserci un bel dessert… E non mi riferisco alla torta gelato che piace tanto a tuo figlio.

Chiamami.

J

 

 

L’ascensore arrivò finalmente al suo piano. Ripose il cellulare ed uscì sul pianerottolo, tirando fuori le chiavi di casa. Nel momento esatto in cui aprì la porta, Brian fu investito da un invitante profumino proveniente dalla cucina e da un insolito e accogliente calore che da troppo tempo ormai aveva smesso di occupare il loft.

“Oh oh! Adesso guarda questa parte!” Esclamò su di giri la testolina scura di Gus che faceva capolino dalla spalliera del divano accanto a quella bionda di Justin. Seguì un momento di silenzio, prima che entrambi scoppiassero a ridere fragorosamente, ancora ignari della sua presenza.

Gus saltellò sul divano. “Te l’avevo detto che era forte! E poi quando riesce a trasformarsi ancora, diventa come…” Voltatosi di lato per guardare in faccia Justin, il bambino, con la coda dell’occhio,  intravide suo padre, ancora fermo sulla soglia di casa, un sopracciglio inarcato e un sorriso divertito stampato in faccia. “Papà!” Gridò felice.

Justin aggrottò la fronte confuso. “Il robot diventa come papà?”

“No!” Gus scoppiò a ridere di nuovo, prima di scavalcare il divano e correre tra le braccia di suo padre. “Il robot diventa un dinosauro!” Spiegò, aggrappandosi alle spalle di Brian. Poi si voltò verso suo padre. “Papà, mi sono divertito un sacco con Justin oggi! Prima siamo andati al parco, poi mi ha fatto vedere la scuola dove ha studiato.” Brian chiuse la porta con la mano libera, mentre con l’altra cercava di non far cadere Gus che continuava a parlare  a ruota libera, senza nemmeno riprendere fiato.

Cristo Santo, sembra più figlio di Justin che mio…

“E poi io avevo fame, e anche Justin aveva fame, e quindi siamo andati da nonna Debbie che mi ha preparato un megafrullato buonissimo…”

Justin ridacchiò, alzandosi in piedi e andando loro incontro. “Ciao, sexy.” Sussurrò con voce roca all’orecchio di Brian. “Sei tornato presto.”

Gus fu posato di nuovo a terra. “Justin, finiamo di vedere i cartoni?” Chiese tornando verso il divano.

“Arrivo.” Ribatté il ragazzo, mentre Brian gli circondava la vita con un braccio.

L’uomo premette la lingua contro la guancia. “A metà mattinata ho ricevuto uno strano messaggino che ha fatto notevolmente restringere lo spazio nei miei pantaloni.” Premette l’inguine contro il fianco di Justin per rendere meglio l’idea e sorrise soddisfatto quando lo sentì trattenere il respiro.

“Non mi sembrava fosse tanto malizioso.” Justin cercò di darsi un contegno. “Forse con l’età stai diventando più sensibile. Dovrò stare attento, non vorrei farti venire un infarto.”

“Da notare come la parola chiave qui sia venire.”

Justin roteò gli occhi e sospirò. “E poi sarei io quello malizioso?”

Brian soffocò una risata davanti alla finta indignazione del suo fidanzato. “Hai notato che non mi hai ancora salutato adeguatamente?”

Justin si alzò sulle punte, posando le mani ai lati del suo viso. “È ufficiale, Kinney, ti stai proprio rammollendo.” Gli scoccò un sorriso radioso. “Ma è normale.” Si leccò sensualmente le labbra e vide gli occhi di Brian seguire con attenzione ogni movimento della sua lingua. “Capita quando ci si innamora perdutamente e follemente.” Calcò volutamente le ultime due parole.

Brian alzò gli occhi al cielo, borbottando contrariato, prima di chinarsi su di lui e baciarlo con passione, strappandogli un gemito quando la sua lingua s’insinuò con prepotenza tra le labbra socchiuse di Justin.

“Ecco, questo è il bentornato che mi aspettavo.” Mormorò col fiato corto, staccandosi dopo parecchi minuti.

Justin sorrise riaprendo gli occhi. “Sono contento che tu sia riuscito a sganciarti.”

“Ho dovuto solo riorganizzare la mia agenda.”

“Cynthia mi ucciderà, vero?”

“Perché dovrebbe?” Fece Brian con tono innocente, sfilandosi finalmente il cappotto e posandolo sul divano, a distanza di sicurezza dal piccolo uragano vivente che era suo figlio. Dopotutto, quel cappotto era di Armani.

Justin alzò gli occhi al cielo, potendo solo immaginare le minacce e gli insulti che Brian aveva ricevuto dalla sua assistente. “Devo ricordarmi di comprarle un regalo.”

“Stronzate…” Brian seguì Justin in cucina. “Piuttosto, come mai c’è Gus?” Lanciò uno sguardo veloce verso il bambino che si era alzato dal divano e aveva preso ad armeggiare coi tovaglioli sistemati sul tavolo.

Justin mescolò qualcosa in una delle pentole sui fornelli prima di abbassare la fiamma. “Mel e Linz avevano bisogno di casa libera per stasera, Michael si è beccato Jenny Rebecca e quando hanno proposto a Gus di venire alla Kinnetic, il tuo fantastico figlio ha fatto loro notare che tu stavi lavorando e ha chiesto di stare con me per non disturbarti.”

Brian sorrise, guardando di nuovo il bambino. “Ehi, Gus! Dovrei forse essere geloso?” Domandò con tono divertito. “Preferisci stare con Justin invece che con me adesso?”

Il bambino esaminò per un ultimo istante la perfetta disposizione delle posate prima di voltarsi verso suo padre con un sorriso che andava da un orecchio all’altro. Corse verso lo sgabello su cui l’uomo era seduto, posizionandosi tra le sue gambe e posando i gomiti sulle ginocchia di Brian. “So che devi aiutare sempre tante persone e io non volevo disturbarti.” Brian scosse la testa con un sorriso. “E poi, così Justin non si è sentito solo. Ho giocato io con lui, visto che tu non potevi.”

Justin alzò gli occhi dai piatti che aveva appena tirato fuori dalla credenza e scambiò un’occhiata confusa con Brian. “Sì?” Fece con tono incerto.

Gus si limitò a scuotere le spalle. “L’hanno detto i grandi.”

Brian inarcò un sopracciglio. “Che grandi?”

“L’altra sera…” Spiegò il bambino con tono serio “… mamma ha chiesto a zio Michael dov’era Justin perché doveva chiedergli…” Aggrottò la fronte, cercando di ricordare l’argomento di discussione, ma quella sera in tv davano il suo cartone animato preferito e non aveva prestato molta attenzione. “… Non mi ricordo bene perché doveva parlarci.” Ammise dispiaciuto.

Brian sorrise e gli accarezzò i capelli. “Non importa. Zio Michael che ha detto?”

“Ha detto che poteva provare a casa di Justin e parlare con Molly perché lui di sicuro non c’era lì visto che era troppo impegnato a giocare con te.”

Justin sgranò gli occhi sorpreso. “Hanno detto così?” Il bambino annuì. “Certo che quando ci si mettono sanno essere davvero sottili, eh?” Brian ridacchiò.

“Papà?” Gus poggiò il mento sul palmo della manina e fissò intensamente suo padre. “Posso giocare anche io con te e Justin?”

Brian sbatté le palpebre un paio di volte, prima di umettarsi le labbra e cercare di guadagnare tempo per dare una risposta all’inopportuna domanda di suo figlio. Fortunatamente non ce ne fu bisogno, perché Justin arrivò in suo soccorso. “Ehi, Gus, perché non finisci di preparare la tavola?” Il bambino spostò immediatamente lo sguardo su di lui, dimenticandosi all’istante di Brian. “Davvero posso aiutarti?”

Il ragazzo gli sorrise. “Ormai sei un ometto, no? Hai già sistemato i tovaglioli e le posate, ora tocca ai piatti.” E avvicinò i tre piatti al bordo del bancone cosicché il bambino potesse arrivarci. Gus fece per prendere tutti i piatti insieme, prima che le mani dei due uomini si posassero sulla pila contemporaneamente e lo bloccassero. “Una alla volta.” Lo ammonì Justin.

“Altrimenti rischi di farli cadere.” Gli fece notare suo padre.

“E soprattutto di farti male.”

Gus sbuffò contrariato e scansò le loro mani, prima di afferrare il primo piatto e portarlo sul tavolo. “Quel ragazzino è troppo intelligente.” Sentenziò Justin, voltandosi per spegnere i fornelli. “E di sicuro è troppo indiscreto. Se mai avessimo avuto dubbi sulla tua paternità…”

Brian sorrise, lo sguardo ancora incollato su Gus che stava già sistemando il secondo piatto. “E poi, non dimentichiamoci che vuole sempre giocare con te. Altro punto in comune.”

Justin gli lanciò un’occhiata divertita. “Perché non vai a farti la doccia? Il pranzo è quasi pronto.”

Brian si alzò dallo sgabello e fece il giro del tavolo per arrivargli alle spalle. “Niente antipasto?” Gli sussurrò sensuale. Justin appoggiò completamente la schiena al suo petto, strusciandosi contro di lui e facendolo sospirare. “Mi dispiace, oggi non c’è tempo.” Lo sentì sbuffare. “Però, come ti ho promesso, potremo trovare tempo per il dessert.” Si rigirò tra le braccia, alzandosi sulle punte per baciarlo, la mano posata sul suo collo.

Brian lo strinse per la vita. “E quindi dovrei aspettare fino alla fine del pranzo?” Justin annuì con un sorriso, strofinando la punta del naso contro il suo mento. “Non ci pensare proprio, Sunshine.”

“Perché no?” Justin alzò lo sguardo verso di lui proprio mentre Gus, alle spalle di Brian, tornava verso il bancone per prendere l’ultimo piatto.

“Ho già aspettato tutta la mattina e non ho intenzione di aspettare ancora.” Lanciò un’occhiata a suo figlio per assicurarsi che fosse fuori portata d’orecchio e si chinò verso Justin, mordicchiandogli il lobo. “Dovrei occuparmene da solo visto che tu non vuoi.” Notò Justin mettere il broncio, chiaramente contrario all’idea. Fece scivolare la mano verso la base della schiena del ragazzo e, senza tante cerimonie, se lo tirò addosso; l’altra mano avvolse delicatamente ma in modo deciso il polso di Justin e la fece scivolare moooolto lentamente dal suo petto, su cui Justin l’aveva pigramente appoggiata un attimo prima, al ventre e poi giù, fino alla cintura. Sorrise tra sé quando Justin non oppose alcuna resistenza.

Forse non sarebbe stato poi così difficile convincerlo a dargli una mano nella doccia, soprattutto dopo che Gus – adorava davvero suo figlio –, terminata la preparazione della tavola, era tornato placidamente sul divano a guardare la tv.

“Brian…” Sussurrò Justin a bassa voce mentre le sue dita prendevano a giocherellare con la cintura. “Perché dobbiamo affrontare di nuovo questo discorso?” Poggiò la fronte contro il suo petto e sospirò debolmente. “Certo che avrei voglia di veni… di fare la doccia con te e aiutarti con il tuo problemino.” Si corresse immediatamente comprendendo al volo quanto Brian fosse suscettibile all’utilizzo di certi termini, specie in quel momento.

Non che per lui la situazione fosse migliore.

“Ma c’è Gus, e non voglio che tuo figlio rimanga segnato per la vita, vedendo…”

“Vedendo cosa? I suoi quasi genitori che scopano?”

La mano di Justin si bloccò all’istante, mentre i suoi occhi sgranati si puntarono su quelli di Brian. L’uomo lo fissò con quella che, ad un estraneo, doveva sembrare un’espressione annoiata, ma Justin, che ormai aveva imparato qualcosa su Brian, ci scorse chiaramente una nota di esitazione.

Di fronte a quello sguardo incerto, un sorriso commosso sfuggì dalle labbra di Justin, sorriso che si allargò ulteriormente quando il suo compagno posò la fronte contro la sua, baciandogli teneramente la punta del naso.

Allontanò la mano dalla cintura e la affondò nei capelli di Brian, accarezzandoli dolcemente; si alzò sulle punte e posò un bacio casto, ma deciso sulle sue labbra. “Va’ a farti la doccia, sexy papà.” Soffiò piano contro la sua bocca. “Io e Gus siamo molto affamati.” Brian gli sorrise, accarezzandogli una guancia, prima di staccarsi da lui e dirigersi verso la camera. “E stai lontano dai piani bassi.” Sorpreso, si voltò di nuovo verso Justin. “Di lui mi occupo io, lo sai.” E, per rendere più chiaro il concetto, si passò sensualmente e lentamente la lingua sulle labbra rosse.

Brian, con un piede già sui gradini, aggrottò la fronte e lo guardò male. “Continua così e ci sarà davvero poco di cui occuparsi.” Sentenziò indignato prima di sparire in bagno.

Un quarto d’ora dopo, Brian, avvolto da un morbido maglioncino scuro e un paio di comodi jeans, fece la sua ricomparsa in salotto.

Sorrise, avvicinandosi al bancone su cui Justin stava condendo la pasta mentre continuava a chiacchierare divertito con suo figlio.

“Il ministro parla di…” Il bambino fece una pausa aggrottando la fronte in uno sforzo di concentrazione “… recessione.”

“Wow…” Justin gli sorrise, sporgendosi verso di lui. “Quello sì che è un parolone.”

Gus gli sorrise fiero. “La maestra dice che sono il più bravo della classe a leggere.” Il ragazzo gli accarezzò la testa. “Justin, che vuol dire recessione?”

Brian ridacchiò arrivandogli alle spalle. “Ne riparliamo tra qualche anno, Gus.”

“Perché?”

Brian e Justin si scambiarono un’occhiata divertita prima che il ragazzo gli passasse il recipiente che aveva tra le mani. “Lo metti in tavola?” Gli chiese, strofinando le dita contro quelle di Brian, strette attorno alla ciotola.

Brian inarcò malizioso un sopracciglio prima di dirigersi verso il tavolo.

“Ehi, non ti dimenticare questo!” Sentì suo figlio dire a Justin, sfilando un foglietto da sotto il giornale e sventolandolo in aria.

“Ah già…” Justin lo afferrò con un sorriso. “Dove avevamo detto? Frigo?”

Il bambino annuì, proprio mentre Brian prendeva posto accanto a lui. “Che roba è?”

Justin gli sorrise, porgendoglielo. “Gus ha fatto un bel disegno.”

“Siamo noi, papà!” Fece eccitato il bambino. “Io, tu e Justin quando siamo andati al cinema.”

Brian sorrise guardando le tre figurine colorate: due avevano i capelli scuri, la terza biondi. Quella al centro, la più piccola, aveva le braccia tese verso le figure ai suoi lati.

“È bello.”

Gus arricciò il nasino. “Non come quelli che fa Justin, ma lui ha promesso di impararmi.”

“Insegnarmi.” Lo corressero assieme i due uomini, prima di scambiarsi un sorriso da sopra la testa del bambino.

“Allora, lo appendiamo?”

Justin annuì. “Da’ qua.” Prese il disegno e, con una calamita, lo appese al frigorifero ultimo modello di Brian. “Che te ne pare?”

Il bambino sorrise soddisfatto. “Mi piace.”

“Ok.” Justin fece il giro del bancone e afferrò la ciotola con l’insalata. “Allora, chi ha fame?”

“Io!” Scattò immediatamente Gus, correndo a prendere posto alla sinistra di Brian; Justin si accomodò a destra.

“Stavo pensando…” Il padrone di casa versò l’acqua per Gus e del vino per sé e Justin. “Che ne direste se più tardi andassimo a prendere un gelato al centro commerciale? Passiamo lì il pomeriggio e poi andiamo direttamente da Michael.”

“Sìììììììì!” Approvò entusiasta suo figlio.

“Ok, però solo dopo il tuo pisolino.” Lo vide incrociare le braccia al petto e mettere il broncio. Si voltò verso Justin. “Tu hai impegni?”

Il ragazzo scosse il capo. “Mi toccherà davvero trovare un mega regalo per Cynthia.” Osservò con un sorriso, sfiorando brevemente le dita con quelle di Brian e strizzandole appena. Si alzò per riempire i piatti.

Brian guardò le sue due persone preferite e si rilassò contro la sedia.

Non gli sarebbe dispiaciuto per nulla passare altre giornate come quella, soltanto lui, Gus e Justin.

Sentendo gli altri chiacchierare animatamente sui progetti che li attendevano nel pomeriggio, non poté fare a meno di sorridere.

No, proprio per niente…

 

 

 

 

 

Hunter attraversò il massiccio portone della facoltà di architettura e sorrise sornione al suo amico. “Questo perché io sono un genio.”

Paul, accanto a lui, sbuffò scettico. “No, questo perché per il test hai studiato insieme a quella secchiona di Lane.”

“Invidioso?”

“Del tuo voto al test? Certo! Dei pomeriggi che hai passato con quella noia mortale? Assolutamente no.” Paul seguì Hunter giù per la scalinata che portava al parco del campus. “Lane non è noiosa!” La difese il ragazzo. “È solo troppo intelligente per passare il tempo a giocare alla Playstation facendo gare di rutti con te e Howie.”

“Appunto.” Ribadì il ragazzo coi capelli rossicci. “È una noia.”

Hunter roteò gli occhi. “Come ti pare.”

“E, a proposito di Lane…” Paul indicò una testolina bionda che chiacchierava con una ragazza poco lontano. “Chi è la sventola con cui parla?”

Hunter alzò gli occhi al cielo con uno sbuffo e, dopo aver spintonato il suo amico che lo salutò allegro prima di allontanarsi, si avviò a passo spedito verso Lane. La ragazza, seduta a gambe incrociate sul muretto di mattoni che costeggiava il viale della facoltà, lo vide arrivare e gli sorrise.

“Ehi!” Lo salutò con la bocca piena. Hunter si sedette accanto a lei, abbandonando la borsa ai suoi piedi. “Ciao, Laney.” Fece un cenno del capo alla bruna di fronte a Lane. “Ciao, Frances.”

“Ehi, Hunter.” Gli rispose quella gentile, prima di tornare a voltarsi verso la sua amica. “Allora, ti chiamo più tardi così ci accordiamo meglio.”

Lane annuì, prendendo un’altra manciata di patatine dal sacchetto. “Perfetto. A dopo, Fran.”

“Ciao, Lane.” Sorrise ad Hunter. “Ciao, Hunter.”

“Che voleva?” Gli chiese il ragazzo mentre la guardava allontanarsi.

Lane si strinse nelle spalle, iniziando a frugare nella sua borsa in cerca di  qualcosa. “Sabato deve uscire con un tipo e mi ha chiesto di accompagnarla.”

Hunter aprì la sua tracolla e tirò fuori il pacchetto di fazzoletti, porgendoglielo. “A fare il terzo incomodo?”

“No, spiritosone.” Lane gli colpì la spalla con un pugno, afferrando i fazzoletti. “Viene anche il fratello di questo famigerato ragazzo perfetto.”

“Un doppio appuntamento?” Domandò Hunter con espressione disgustata.

Lane abbozzò un sorriso. “Mi ha supplicato per un’ora.”

Hunter grugnì contrariato. “Non ti saresti dovuta far convincere.” Incrociò le braccia al petto. “E chi sarebbe questo tizio?”

“Non ne ho idea.” Il suo amico inarcò pericolosamente un sopracciglio. “E non guardarmi così! Conosci Fran! Sarà sicuramente un tipo tranquillo.”

“Soltanto perché lei va a messa tutte le domeniche e segue tutti i comandamenti, non vuol dire che non possa fare brutti incontri.”

Lane gesticolò annoiata. “Sciocchezze.” Gli porse il pacchetto di patatine. “Ne vuoi?”

“È inutile che ci provi, Lane.”

“A fare che?”

Hunter roteò gli occhi. “Non mi lasci mai mangiare schifezze.” La fissò risoluto. “A meno che tu non voglia fare la ruffiana.”

Lane ritirò il pacchetto e lo guardò risentita. “Ecco che ci guadagno ad essere gentile.” Sentì il suo amico grugnire di nuovo, prima che tra loro calasse il silenzio.

La ragazza si sistemò meglio sul muretto, mettendosi a cavalcioni e si sdraiò posandosi sui gomiti, in modo da rimanere con le spalle sollevate e il volto rivolto verso il suo amico. “Che hai?” Chiese quando finalmente ebbe finito il suo pranzo, se quello schifo preconfezionato poteva essere definito tale.

Hunter alzò le spalle, rimanendo in silenzio. Lane sospirò e gli picchiettò piano la coscia con la punta delle sue sneakers. Di nuovo, assoluto silenzio.

Decise di cambiare tattica. Non voleva essere troppo insistente, nonostante fosse preoccupata a morte per il suo amico. “Ehi! Hai visto i risultati del test?” Domandò allegra, cambiando argomento. “Siamo andati alla grande!”

Hunter abbozzò un sorriso triste. “Paul si è lamentato per un’ora.”

“Idiota…” Borbottò Lane con una nota di soddisfazione nella voce. “Immagino che lui e Howie si siano distinti come al solito.”

“Sono passati per un pelo.”

“Lo sapevo.”

“Questo perché non hai fiducia nelle loro innate capacità.” La prese in giro Hunter.

Lane lo guardò scettica. “Fidati, vado a scuola con quei due idiota dal liceo e credo proprio che le loro capacità non siano innate, semmai inesistenti.”

“Acida…”

“È la verità.” Lane gli sorrise. “E maledico il giorno in cui te li ho fatti conoscere. La mia vita sarebbe stata una favola se fossi riuscita a liberarmi di loro.”

Hunter ridacchiò scuotendo la testa. Abbassò di nuovo lo sguardo, riportandolo sulle sue scarpe. Lane si mise di nuovo seduta e gli picchiettò di nuovo sulla coscia. “Vuoi dirmi che hai?”

“Lascia stare, non è niente.”

“James.” Lane gli sfiorò il mento costringendolo a voltarsi verso di lei. “Guardami negli occhi e dimmi che va tutto bene. Se lo fai, prometto che ti lascerò in pace.” Alzò la mano destra. “Parola di giovane esploratrice.” La ragazza notò con piacere di essere riuscita a strappare almeno un sorriso al suo miglior amico. Lo vide prendere un bel respiro e serrare i pugni.

“La situazione a casa è sempre peggio.”

Lane gli sfiorò il braccio. “Sempre problemi tra papino e papotto?”

Hunter se ne uscì con una mezza risata.

Fin dal giorno in cui l’aveva conosciuta, il primo giorno di università, Lane era rimasta affascinata dalla sua strana famiglia. Il fatto che avesse due padri e nessuna madre come le famiglie convenzionali l’aveva sempre divertita un mondo, e appena avevano iniziato ad avere confidenza – cioè un’ora dopo essersi incontrati –, aveva ribattezzato Michael e Ben papino e papotto. “Altrimenti non si capisce quando dici ‘mio padre’!” Aveva ribattuto quando Hunter l’aveva guardata come fosse pazza. Ben e Michael l’avevano adorata dal momento stesso in cui lui gliel’aveva raccontato.

“Ormai non si parlano quasi più.” Si passò stancamente una mano sugli occhi, sfregandoli con vigore. “Se non fosse per Linz, Mel e i bambini, quella casa sarebbe un mortorio.”

Lane gli accarezzò un ginocchio. “Te l’ho detto. Dai loro del tempo. È normale che in un matrimonio ci siano delle liti, delle tensioni…”

Hunter scosse la testa. “Tu non conosci Michael e Ben. Loro sono… disgustosamente smielati. Fanno davvero venire la nausea, stanno sempre lì a sbaciucchiarsi, ad abbracciarsi, ad accoccolarsi sul divano come due lesbiche…”

Lane inarcò un sopracciglio. “Perché ho l’impressione che quello che hai detto sia molto sessista?”

“È un modo di dire…” Hunter le sorrise di sbieco, pizzicandole piano il dorso della mano. “Ormai sono settimane e va sempre peggio.”

“C’è un modo per capire se la crisi è davvero grave.” Lane lo fissò mortalmente seria. Hunter alzò gli occhi al cielo e sospirò. Quando Lane aveva quell’espressione, bisognava prepararsi a cazzate di proporzioni cosmiche. “Cioè?”

La sua amica gli si avvicinò con aria cospiratrice, posandogli una mano sulla spalla. “Fanno ancora sesso?”

“LANE, CAZZO!” Hunter si tappò le orecchie, fissandola disgustato. “Ma come te ne esci?”

Lane si strinse nelle spalle. “Che ho detto? È risaputo che se la crisi arriva alla camera da letto sono…”

“Zitta! Non voglio sentire una parola di più!”

“Guarda che è una cosa normale.”

“Ma sono i miei genitori quelli di cui stai parlando!” Fece una smorfia. “Sto per vomitare.”

“Almeno non sei più triste.” La ragazza gli rivolse un sorriso radioso. “Missione compiuta.”

Hunter inarcò un sopracciglio. “Sei una stronza, lo sai?”

“Ma tu mi adori.” La ragazza si sporse per baciargli una guancia. “E riesco sempre a farti cambiare umore.”

“Vero.” Hunter le passò un braccio attorno alle spalle e le sfiorò i capelli chiari con le labbra. “Come farei senza di te?”

Lane ridacchiò. “Probabilmente saresti triste e solo. O già morto.” Sfiorò le dita di Hunter e si morse un labbro, incerta. “E comunque, fidati di me, se le cose non vanno bene tra i tuoi ci sono solo due modi per risolverle. La pace o il divorzio.”

“Lane…” Hunter chiuse stancamente gli occhi, stringendola di più a sé. “Non voglio nemmeno pensarci.”

“Preferisci che rimangano insieme anche se non c’è più speranza?”

“Non dirlo, Laney…”

Lane abbassò lo sguardo con aria colpevole. “Scusa, non volevo turbarti.”

“Lo so.” Hunter inspirò piano. “Loro mi hanno salvato la vita. Non so che farei se…” La voce s’incrinò prima che potesse terminare.

Lane gli strinse forte la mano. “Sono sicura che Ben e Michael risolveranno tutto.”

“Come fai ad esserne sicura? Che cosa potrebbe impedire loro di finire come i tuoi?”

“Innanzitutto, Ben non ha tradito.” La ragazza provò a sorridergli. “Michael non ama la bottiglia di Johnny Walker più di quanto ami te e tua sorella e di certo non porta sfigati ubriachi e tossici a vivere a casa con lui.”

Hunter la guardò con espressione addolorata. “Mi dispiace.”

“Di cosa? Della mia famiglia schifosa?”

“Io sto qui a lagnarmi dei miei stupidi problemi mentre tu…”

“Hunter, la mia vita è così disastrata che non potrei sistemarla nemmeno se rimanessimo qui a parlarne per altri due anni.”

“Nemmeno per altri venti, veramente.”

Lane sorrise. “Fanny e le sue crisi di mezza età.”

“Come sta? Ultimamente l’ho vista poco.”

“Nuovo fidanzato, nuovi locali, vecchie abitudini.” Lane cercò di sembrare il più naturale possibile, nonostante sentisse già il sapore della bile in bocca. Come ogni volta che parlava della sua cara, dolce e amorevole mammina.

Fanculo Fanny.

Hunter avvertì la rabbia nella sua voce e notò i muscoli tesi delle spalle. Le prese di nuovo la mano. “Quindi, non sei dell’umore giusto per venire a cena da noi, stasera?” La guardò implorante. “Mel e Linz hanno invitato tutta la truppa prima della loro partenza.”

Lane abbozzò un sorriso. “Vediamo, mi tocca scegliere tra tornare a casa a raccogliere mia madre ubriaca dal pavimento oppure venire a casa tua e passare una magnifica serata con la tua fantastica famiglia.” Lane si tamburellò il mento con l’indice, con fare pensieroso. “Beh sì, effettivamente la scelta è ardua.”

“Quindi è un sì?”

“Certo! E quando mi ricapita?”

Hunter le sorrise riconoscente. “Grazie.”

La ragazza si strinse nelle spalle, assumendo poi un'espressione triste. “Mi dispiace che Jenny se ne vada di già.”

“Finalmente tornerà un po’ di pace a casa.”

“Bugiardo!” Lo spintonò scherzosa. “Sei rinato da quando la piccola peste è tornata.”

“Esagerata!” Hunter cercò di fingere indifferenza. “Adesso non sarò più costretto a guardare i cartoni animati, almeno!”

“Tipo Barbie Raperonzolo?” Lane guardò l’espressione tradita del suo amico e scoppiò a ridere.

“Te l’ha detto!” Saltò su indignato. “Lo sapevo! Quella nana ha bisogno di una bella lezione!”

Lane si sdraiò sul muretto, tenendosi ancora la pancia per le troppe risate. “Avrei davvero voluto vederti! Chissà che bella scena! Tutti accoccolati sul divano a seguire le avventure di Barbie e Ken!”

“Ok, adesso smettila!” Hunter le pizzicò un ginocchio, non riuscendo però a trattenere un sorriso divertito.

Ecco una delle cose che più amava di Lane, la sua contagiosa risata che poteva risollevargli anche la peggiore delle giornate.

“Ti prego, fammi godere di questo momento!” Lane si sollevò sui gomiti e lo fissò ad occhi sgranati. “Hunter, l’uomo dalle mille sorprese. Potresti scriverlo sul tuo curriculum! Hobby? Fan sfegatato dei film di Barbie!”

Hunter roteò gli occhi. “Hai finito?”

Lane, ancora ridacchiando, si mise di nuovo seduta. “Va bene, scusami. Mi sono lasciata trasportare.”

“Davvero? Non me n’ero accorto.”

“Chissà cosa ne penserebbe la tua ragazza?” Fece un sorrisino compiaciuto e accennò col capo davanti a loro: Callie camminava nella loro direzione in compagnia di un'amica.

“Smettila, Lane.” Tagliò corto Hunter. “E te l'ho già detto, non è la mia ragazza.”

“Solo perché tu sei un testone.” Lane sollevò la mano e salutò calorosamente la ragazza bruna, ancora ignara della loro presenza. Callie ricambiò con timidezza il gesto e continuò a camminare col volto leggermente arrossato.

“Quella poverina finirà per lasciarti perdere, lo sai?” Vide il suo amico scuotere le spalle con indifferenza. “Non potrà venirti dietro per sempre, ricordatelo.”

“E infatti nessuno gliel'ha chiesto.”

“Oh, per favore! Vuoi smetterla di fare il superuomo con me?”

“Possiamo cambiare discorso per favore?”

Lane alzò gli occhi al cielo. “Come vuoi. La cosa non mi riguarda.”

“Davvero?” Hunter le lanciò un’occhiata di sbieco. “A me sembrava il contrario.”

“Oh, guarda!” Lane sorrise, ringraziando il cielo. “Ci sono tuo padre e Jenny.” Il ragazzo sbuffò, scuotendo la testa. “Ciao, papà di Hunter!” Salutò allegra mentre Jenny si gettava tra le sue braccia. “Ehi! A quanto pare qualcuno è contento di vedermi!”

Michael si avvicinò con un sorriso divertito a suo figlio e alla sua amica. “Ciao, Lane.” Le sfiorò affettuosamente la spalla. “Allora, sei pronto?”

Hunter annuì, recuperando da terra la sua borsa. “Come mai la nanerottola?”

Lane gli colpì la pancia, facendolo gemere di dolore, prima di tornare a giocare con la bambina.

“Mel e Linz hanno cortesemente chiesto di avere casa libera in modo da poter cucinare liberamente senza i bambini tra i piedi.”

“E così paparino è rimasto incastrato.” Lo canzonò Hunter.

Michael annuì, porgendo la mano a sua figlia e avviandosi verso il parcheggio. “Jenny, lascia in pace la povera Lane.” La bambina mise il broncio. “Sarà stanca e di sicuro non ha voglia di giocare con te.”

Lane pizzicò una delle guanciotte paffute della piccola. “Al contrario, invece. Mi diverto un sacco con lei.”

“Oh, a proposito…” Hunter si voltò verso suo padre. “Ho invitato anche Lane stasera, è un problema?”

“Sìììììììììì!” Esclamò Jenny al settimo cielo. Lasciò la mano di Michael e corse di nuovo verso la ragazza. “Viene anche Lane!”

“Sempre se non sono di troppo.” Lane arrossì appena. “James mi ha detto che è una cena di famiglia.”

“Appunto.” La rassicurò Michael. “E tu sei della famiglia. Mia madre non vede l’ora di rivederti, non fa che chiedermi di te.”

“Torni direttamente con noi?” Le chiese Hunter speranzoso.

La vide scuotere il capo. “No, prima ho un appuntamento con un’amica in biblioteca.”

“Ok, allora.” Michael le sorrise gentile. “Ci vediamo più tardi.”

Jenny si alzò sulle punte per baciarle una guancia. “Così stasera faccio arrabbiare Gus…” Le sussurrò con aria cospiratrice.

Lane aggrottò la fronte, confusa. “Perché? Gus non vuole che io venga?”

Hunter e Michael risero. “No, no.” La rassicurò il suo amico. “Stanno facendo una gara a chi ha gli amici migliori.”

Michael porse di nuovo la mano a sua figlia che l’afferrò con un sorriso soddisfatto. “Al momento sono pari.”

“E chi sarebbe il mio avversario?”

“Justin.” Rispose la piccola. “E io vinco se vieni anche tu così sono due contro uno, perché io ho anche Hunter.”

Michael scosse il capo. “Si è allarmata quando Gus le ha detto che lui ha anche zia Molly dalla sua parte.”

“Hanno coinvolto anche la sorella di Justin?” Hunter e suo padre annuirono con aria rassegnata. Lane scoppiò a ridere. “Ma allora questa gara è importantissima!” Disse poi con enfasi, abbassandosi verso Jenny che annuì. “Ok, allora.” Guardò l’orologio e sorrise. “Ora devo andare, ma prometto che stasera ti farò vincere.” La bambina gli rivolse un sorriso radioso.

Michael le guardò scuotendo la testa divertito, finché qualcosa alle spalle dei ragazzi non attirò la sua attenzione.

Tutto attorno a lui parve improvvisamente ammutolirsi: non sentiva più Jenny lagnarsi di Gus, o Lane che cercava di tranquillizzarla, non udiva più il cicaleccio allegro degli studenti attorno a lui e neppure il rumore delle auto che sfrecciavano nel parcheggio del campus.

L’unica cosa di cui era consapevole era l’uomo che scendeva le scale della biblioteca. Un uomo che aveva già visto e che, di sicuro, non avrebbe mai voluto vedere lì.

Fu come trovarsi nella scena madre di un film, quando il protagonista scopre il raggiro di cui è stato vittima, o il poliziotto di turno arriva alla soluzione del caso su cui stava lavorando. Aveva sempre pensato che certe scelte di regia fossero a dir poco ridicole, che non sarebbe mai stato possibile nella vita reale assistere ad una cosa del genere.

Fino a quel momento.

Seguì la scena che scorreva al rallentatore davanti a lui: il misterioso sconosciuto si avviò lungo il viale, salutando alcuni ragazzi e procedette con passo sicuro fino al parcheggio. Lì disinserì l’allarme di uno di quei macchinoni da ricchi e sparì nel giro di due minuti.

Tutto lì. Finito. Addio. Ciao ciao.

Per un attimo pensò persino di essersi autosuggestionato, tanto era stato il tempo che aveva passato a tormentarsi con le immagini di Ben e dell’uomo che aveva visto con lui al parco. Non era possibile che fosse lì, proprio nello stesso college di suo figlio, nello stesso college in cui lavorava anche suo marito… giusto?

“Papà?” Michael si riscosse al richiamo della sua secondogenita. “Papà, stai bene?”

Hunter e Lane lo guardarono preoccupati. “Sei pallido come un lenzuolo.” Osservò suo figlio.

Michael abbozzò un sorriso incerto e scosse la testa. “Sto bene, tranquilli. Mi sono solo distratto un attimo.”

I due ragazzi si scambiarono un’occhiata poco convinta, ma decisero di lasciar perdere. “Allora, ti aspettiamo per le otto, ok?” Si riprese, sorridendo a Lane. “Ricordati che hai una gara da vincere.”

Lane rise di nuovo, accarezzando i capelli di Jenny. “Mmm… Contro Justin? Credo proprio che dovrò impegnarmi parecchio.”

Jenny le sorrise, avviandosi verso il parcheggio con suo padre. Hunter spettinò i capelli della sua amica, prima di seguirli a passo spedito ed evitare la gomitata che lei era pronta a sferrargli. La salutò da lontano con la mano e sorrise, quando la vide scoccargli un’occhiata minacciosa e incamminarsi poi verso la biblioteca.

 

 

 

 

 

Brian sorrise quando sentì due labbra posarsi sulla sua nuca. Fece finta di nulla, continuando a controllare le sue e-mail.

Le mani di Justin si posarono sulle sue spalle massaggiandole vigorosamente e l’uomo dovette ricorrere a tutto il suo autocontrollo quando il fiato caldo del suo compagno si infranse contro il suo orecchio, causandogli un brivido che arrivò dritto tra le sue gambe.

“Ti manca molto?” Le mani di Justin si spostarono dalle spalle al petto.

“Sono un uomo impegnato, Sunshine, lo sai.”

“Capisco.” Justin sorrise, smettendo di accarezzarlo. “Mi dispiace, non volevo disturbarti. Credevo volessi il tuo dessert visto che Gus è finalmente crollato, ma se hai da lavorare…” Si staccò da lui, facendo un passo indietro e cercò di non gongolare quando sentì Brian mugolare contrariato.

“Vorrà dire che farò un pisolino anch’io.” Gli lanciò un’occhiatina maliziosa prima di dirigersi verso la camera da letto; al primo gradino, la sua maglia aveva già raggiunto il pavimento.

Brian sospirò sconfitto, spegnendo il computer e alzandosi dalla scrivania.

Quando mai era riuscito a resistere a Justin? Non l’aveva mai fatto in sette anni e di sicuro non avrebbe iniziato quel giorno.

Passando accanto ai divani, lanciò uno sguardo fugace a suo figlio, beatamente addormentato sui cuscini bianchi, coperto fino alla vita da un morbido plaid.

Sorrise tra sé pensando alla naturalezza e alla disinvoltura con cui Justin si occupava di Gus.

S’incamminò di nuovo verso la camera, chiudendosi le porte alle spalle. “Sei davvero terribile.” Sussurrò alla sagoma semisdraiata tra le lenzuola scure. La raggiunse senza indugio.

“Perché ti ho lasciato lavorare in pace?” Justin si voltò da un lato, per trovarsi faccia a faccia con Brian, i nasi ad un centimetro l’uno dall’altro.

“Perché ti diverti a provocarmi.”

“E la cosa ti piace.”

“Da matti.”

“E ti eccita.”

La mano di Brian scivolò verso il cavallo dei suoi jeans. “Parecchio da quello che sento.” Sospirò strofinando la stoffa ruvida.

Justin lo bloccò. “Che cosa ti ho detto prima?” Soffiò contro le sue labbra con tono offeso. “Lui è solo mio.” Coprì la mano di Brian con la propria. “E solo io posso occuparmene.” Con le nocche accarezzò deciso i bottoni, sentendo il suo compagno prendere un bel respiro prima di sdraiarsi sulla schiena e lasciargli totale libertà.

“Mi dispiace che abbia dovuto aspettare tanto…”

Justin si sdraiò su di lui, iniziando a tracciare un’umida scia di baci dal mento verso il collo, mentre la mano continuava a strofinarlo con vigore da sopra i jeans.

“Sono proprio un sant’uomo…” Riuscì a mormorare Brian tra un sospiro e l’altro.

Justin prese a sbottonargli i pantaloni, ormai diventati fastidiosamente stretti. Quando finalmente le sue dita s’insinuarono nei boxer scuri, il ragazzo si allungò arrivando a succhiare il pomo d’adamo di Brian. L’uomo s’inarcò verso di lui, gemendo più forte di quanto avrebbe voluto.

Justin sorrise segretamente soddisfatto. Amava far perdere il controllo a Brian.

Con non poca fatica, dato che il suo fidanzato non aveva intenzione di collaborare, riuscì a sfilare completamente i jeans e la maglia di Brian e a gettarli da qualche parte sul pavimento, immediatamente seguiti dai boxer.

“Finalmente…” Mormorò, tracciando una scia di baci sul petto bronzeo di Brian. “Ora, signor Kinney, le dispiacerebbe dirmi qual è il suo problema?”

Brian sorrise, chiudendo gli occhi e facendo scivolare le mani lungo la schiena di Justin soffermandosi sui suoi fianchi. “Ultimamente, dottor Taylor, sono sempre molto teso…”

“Teso?” Justin dedicò particolare attenzione ai capezzoli, mordicchiandoli delicatamente. In risposta, Brian riuscì solo ad annuire, strappando un sorriso compiaciuto al ragazzo; le mani scivolarono spietate verso le sue gambe nude, soffermandosi sulle cosce, ad un passo dall’inguine. “Teso dove precisamente?” Posò un bacio a bocca aperta sul ventre, bagnando poi l’ombelico con la lingua.

Brian si inarcò sotto di lui, cercando di soffocare un gemito. “Più in…” Si schiarì la gola per darsi un contegno. “Più in basso.”

Justin sorrise contro la sua pancia e scese di un altro centimetro, senza però arrivare alla zona in questione. “Qui?”

“Fuochino…” Sussurrò Brian con voce roca.

Justin sfiorò di nuovo l’ombelico con la punta del naso prima di riprendere la discesa; arrivato finalmente all’inguine, superò sadicamente l’erezione di Brian che, affondando di più la testa nei cuscini scuri, gemette contrariato. “Justin…”

Il naso del ragazzo si soffermò sul suo interno coscia, ricoprendolo di leggeri baci. “Dillo, Brian…” Mormorò, soffiando poi delicatamente sulla sua pelle bollente.

“Justin…”

Justin posò le mani sui fianchi di Brian e lo bloccò quando l’uomo provò ad inarcarsi di nuovo contro la sua bocca, sollevandosi coi talloni. “Fammi contento, dillo…”

Brian sospirò rassegnato, abbandonando le gambe sul materasso e cedendo alle sue richieste. “Justin, ti prego…”

Justin sorrise contro la sua coscia e si spostò finalmente per dedicare attenzione alla parte più tesa di Brian. L’uomo gemette non appena le labbra morbide e familiari di Justin lo avvolsero completamente.

Come un copione interpretato già tante volte, abbandonò le gambe ai lati del corpo di Justin e immerse le dita nei suoi capelli chiari, guidandolo silenziosamente nei movimenti.

Sussurrò il nome del ragazzo, perso nei meandri di quel piacere così sconvolgente, così incontrollabile che solo Justin era capace di procurargli. Sentì la bocca del suo compagno stringersi di più attorno a lui, stuzzicandolo lascivamente con la lingua e non capì più nulla. L’attimo seguente, il suo corpo fu scosso da uno degli orgasmi più intensi di sempre.

Prima ancora che potesse riaprire gli occhi, Justin si sollevò dal suo inguine e si avventò famelico sulle sue labbra. “Mi sembra che la tensione si sia sciolta adesso…” Lo provocò.

Brian aprì gli occhi e, nonostante fosse ancora senza fiato, lo guardò malizioso. “Tu sai sempre come farmi rilassare…”

“Beh, speriamo tu non ti sia rilassato troppo perché ho intenzione di farmi scopare almeno un paio di volte prima che tuo figlio si svegli.”

“Un paio?” Ridacchiò Brian. “Non è che sei diventato un po’ troppo esigente a New York? Davvero sei riuscito a trovare qualcuno che resista tanto?”

Justin gli baciò la mascella, prima di scendere sul collo. “A New York nessuno ha il privilegio di scoparmi.”

La mano di Brian, impegnata a massaggiargli la base della schiena, si bloccò sul bordo della sua maglia. Justin avvertì la sua tensione e deglutì piano, in attesa. Quando l’uomo rimase in silenzio, continuò. “Non voglio nessuno dentro di me, non l’ho mai permesso a nessuno e rimarrà sempre così.”

Sollevò il capo e scrutò attentamente il volto impassibile di Brian. “Voglio e vorrò sempre una sola persona dentro di me.” Gli baciò delicatamente le labbra. “Non ho bisogno di nessun’altro.” Passò delicatamente a sfiorargli le palpebre, poi le tempie, prima di tornare alle labbra. “Ho bisogno solo di te, Brian. Il resto del mondo può andare a farsi fottere.”

L’uomo sollevò un angolo della bocca. “Interessante gioco di parole.”

“Rende l’idea, comunque.” Gli strinse il volto tra le mani e sfregò il naso contro il suo. “Non hai la più pallida idea di cosa tu rappresenti per me.”

Brian vide gli occhi azzurri di Justin diventare scuri come l’oceano e, per un istante, ebbe paura di annegarvici dentro, di essere risucchiato da quella tempesta di emozioni che non sarebbe riuscito a controllare; poi si ricordò di chi fosse la persona che stringeva tra le braccia e sentì il suo cuore battere più forte, come accadeva ogni volta che Justin o Gus erano nei paraggi, come se il petto stesse per scoppiargli, come se non avesse voluto altro che vivere quell’istante con le due persone che più amava al mondo.

Sospirò piano e chiuse gli occhi, incapace di sostenere ancora quello sguardo che lo aveva sempre fatto sentire una persona migliore, una persona degna di essere amata e protetta.

Una persona degna dell’amore di Justin.

“Credo che qualcuno sia un po’ troppo vestito…” Mormorò piano, non riuscendo come al solito ad esprimere le sue emozioni. Ma quando sentì Justin ridacchiare capì che lui non aveva bisogno di grandi dichiarazioni d’amore, perché lui sapeva leggerlo e capirlo meglio di chiunque altro e sapeva che le parole erano solo stronzate – come tante volte gli aveva detto – e che in realtà erano i gesti e le azioni a determinare e a dimostrare i veri sentimenti.

Sollevò il viso fino ad arrivare a sfiorare le labbra di Justin che sorrise contro la sua bocca.

L’istante dopo, i vestiti di Justin non erano altro che un mucchio informe ai piedi del letto; delicatamente ribaltò le posizioni, senza mai staccarsi dalle sue labbra, e a tentoni cercò sul comodino i preservativi.

Justin si sistemò meglio contro i cuscini, intrappolandolo tra le sue gambe. Brian distolse lo sguardo dalla sua pelle nivea e perfetta giusto il tempo per indossare il profilattico prima di avventarsi di nuovo sulle sue labbra.

“Brian…” Justin si inarcò contro di lui quando lo sentì premere sulla sua apertura. “Brian, ti prego…”

Quando non ricevette alcuna risposta, il ragazzo si decise ad aprire gli occhi, trovando lo sguardo del suo compagno perso sul suo viso. “Brian?” Chiese, sfiorandogli il viso con la punta delle dita.

“So cosa rappresento per te.” Gli assicurò, stendendosi finalmente su di lui. Justin dovette ricorrere a tutta la sua volontà per non chiudere gli occhi, ma rimanere ad ammirare la perfezione che aveva davanti. “Credimi, lo so.” Ripeté.

Senza lasciare a Justin il tempo per replicare, entrò in lui con un movimento rapido e deciso, affondando il capo contro il collo di Justin.

Il ragazzo gemette forte, dimenticandosi momentaneamente del bambino che dormiva a pochi metri da loro. “Brian, oddio…”

Brian si spinse completamente dentro di lui e coprì la bocca con la propria, assorbendo i disperati gemiti di piacere di Justin.

I loro movimenti rimasero lenti e controllati, nonostante la passione, nonostante l’incontrollato bisogno reciproco, gli occhi si fissarono in quelli dell’altro, più eloquenti ed espressivi di qualunque parola potessero dirsi, le mani si intrecciarono ai lati della testa di Justin, stringendosi così forte da far diventare le nocche bianche.

Brian spinse di nuovo, e lasciò una delle mani di Justin per sfiorargli delicatamente la fronte, coperta da una leggera patina di sudore. “Sei bellissimo…” Sussurrò pianissimo, posando la fronte contro la sua.

Justin sorrise, chiudendo gli occhi e lasciando che fossero solo le emozioni a guidarlo. Le emozioni e Brian, con le sue mani e le sue carezze, le sue spinte e i suoi gemiti, il suo corpo e il suo cuore.

S’inarcò di nuovo contro di lui e strinse di più le gambe sui suoi fianchi. “Brian…” Gemette ormai al limite. “Vieni per me, Brian.”

L’uomo spinse più forte, cercando di trattenersi, ma Justin sollevò la testa e gli baciò il collo. “Lasciati andare, voglio sentirti dentro di me.”

Quella frase appena sussurrata ebbe su Brian l’effetto di una bomba atomica; Justin lo sentì soffocare un gemito, mordendogli forte una spalla, prima che crollasse esausto su di lui, schiacciandolo col suo corpo e scatenando il suo stesso piacere.

“Cristo Santo, Justin…” Ebbe solo la forza di mormorare con voce roca.

Sfinito quanto lui, Justin si limitò ad accarezzargli pigramente i fianchi, la schiena, il petto, le spalle, in attesa che entrambi riuscissero di nuovo a trovare la facoltà di parola.

“Meglio?” Chiese dopo qualche istante il ragazzo, ancora senza fiato.

“Meglio sarebbe se potessi scoparti di nuovo.” Brian sorrise contro i suoi capelli biondi quando avvertì il suo corpo vibrare sotto di lui, segno che stava ridendo.

Justin gli baciò una spalla con un rumoroso schiocco. Brian si sollevò sui gomiti, staccandosi da lui e liberandosi del preservativo; gli passò un braccio attorno alle spalle e lo attirò di nuovo a sé. “Doccia?” Domandò scostando una ciocca di capelli e baciandogli la fronte sudata.

Justin scosse il capo contro il suo petto. “Pisolino. Poi doccia.”

“Ok.” Brian sorrise, allungando una mano e afferrando le lenzuola scure per coprire entrambi.

Nessuno dei due si addormentò, rimanendo invece a sonnecchiare abbracciati come due lesbiche al primo amore, come amava sempre puntualizzare Brian.

Un’ora più tardi si infilarono nella doccia da cui uscirono solo dopo un altro round di sesso sfrenato, appena in tempo per non essere beccati in situazioni compromettenti da Gus che, fresco come una rosa, si era svegliato dal suo sonnellino pomeridiano.

“Allora, che vuoi fare di bello oggi?” Chiese Brian, lanciando un’occhiata a suo figlio mentre scendevano dall’auto nel bel mezzo del parcheggio del centro commerciale.

Il bambino si strinse nelle spalle. “Ancora non lo so.”

“Ahia…” Lo prese in giro Justin, sfiorandogli una guancia. “Ci dobbiamo preoccupare?”

“Sono sicuro che Gus sarà bravissimo, vero Gus?” Brian lanciò a suo figlio un’occhiata eloquente. “Non come l’ultima volta che ho dovuto correrti dietro per tutto il tempo.”

Gus gli rivolse un sinistro sorriso a trentadue denti che non fece che aumentare la preoccupazione di Brian. “Certo, papà.”

“Bene.”

“Oddio! Guarda quello!” Non fecero neppure in tempo a varcare le porte scorrevoli che Gus era già sparito dalla loro vista.

Brian sospirò afflitto, alzando gli occhi al cielo e facendo scoppiare a ridere Justin. “Andiamo a prenderlo, prima che compri tutto il centro commerciale.” L’uomo annuì e gli passò un braccio sulle spalle, prima di andare all’inseguimento di suo figlio.

Fortunatamente per Brian, la presenza del suo fidanzato agì da tranquillante per suo figlio che, per far sì che Justin vedesse tutti i peluche che gli piacevano, tutti i videogiochi che voleva e tutti i giocattoli che avrebbe voluto ricevere per Natale – “Gus, siamo solo ad aprile…” Gli fece notare suo padre – aveva dovuto rallentare il passo per permettere ai due uomini di seguirlo.

Con suo grande disappunto, Brian scoprì che non era possibile fumare all’interno dell’edificio e, quando Gus marciò a passo deciso verso il decimo negozio di videogiochi, Justin ebbe pietà del suo fidanzato e gli permise di sgattaiolare fuori per godere di una sigaretta. Quando li raggiunse di nuovo, Gus si portava dietro una grossa busta e un sorriso radioso stampato in faccia; Justin gli sorrise colpevole.

“Mi dispiace.” Ammise appena furono abbastanza vicini. “Ma abbiamo fatto un patto.”

Brian inarcò un sopracciglio. “Un patto?”

Gus annuì. “Io volevo un videogioco bellissimo che hanno tutti i miei amici.” Lanciò un’occhiata di sbieco a Justin. “Anche Lewis ce l’ha.”

Justin scosse il capo, imperturbabile. “È un videogioco violento, Gus. Non mi importa chi ce l’ha, non posso comprartelo sapendo come le mamme e papà la pensano al riguardo.”

Gus sbuffò annoiato. “Comunque…” Riprese tornando a sorridere “… Justin mi ha comprato questi.” Aprì la busta, immergendoci dentro la mano; scavò per qualche istante prima di borbottare qualcosa tra sé. “Uffa… Questa dannata busta è troppo grande.”

“Gus…” Lo richiamarono i due uomini. Il bambino li guardò confuso. “Non dire parolacce.” Lo rimproverò Brian. “Vieni, sediamoci a mangiare qualcosa, così mi fai vedere i tuoi acquisti.”

“Ma tu lo dici, papà.” Gli fece notare il bambino, facendosi strada verso i tavolini del bar più vicino.

“Mel ti appenderà per le palle.” Gli sussurrò Justin all’orecchio.

Brian gli diede una strizzata al sedere. “Sunshine, il discorso vale anche per te, non dire parolacce o dovrò punirti.”

“Papà! Justin!” Gus si sbracciò nella loro direzione.

“Continuiamo dopo il discorso.” Brian gli rivolse un sorriso malizioso prima di baciarlo e raggiungere suo figlio.

Quando Justin li raggiunse, Gus aveva già rovesciato tutto il contenuto del sacchetto sul tavolo. “Guarda qua!” Mostrò due libri a suo padre. “Libri di Harry Potter!”

Brian gemette, alzando gli occhi al cielo. “Ancora questo quattrocchi?”

“Sempre meglio di un gioco in cui si fanno saltare il cervello.” Lo rimbeccò Justin offeso.

“E poi questi.” Gus ignorò il battibecco degli adulti, preso com’era dall’euforia.

“Colori a tempera?” Brian spostò lo sguardo da suo figlio a Justin. “E che te ne fai?”

Il bambino mise il broncio. “Ci coloro!”

Justin gli accarezzò i capelli. “Ma solo quando…”

“… c’è mamma con me.” Cantilenò annoiato Gus.

Brian si rilassò contro la sedia e sorrise, seguendo il dialogo tra i due, con Gus che cercava di convincere Justin di non essere un bambino e Justin che cercava di farlo ragionare, spiegandogli che per tante cose aveva ancora bisogno dell’aiuto dei grandi.

“Gus, non avresti dovuto chiedere dei regali a Justin. Te li avrei comprati io, lo sai.”

“Non dire sciocchezze.” Lo liquidò Justin con un gesto della mano. “Gus non ha chiesto nulla, sono stato io a dirgli di prendere quello che voleva.” Vide Brian muovere una mano verso il portafogli nella tasca posteriore dei pantaloni. “E se provi a restituirmi i soldi, giuro che ti strozzo.”

Gus ridacchiò davanti all’espressione minacciosa di suo padre, ma rimase senza parole quando lo vide annuire appena e lasciar perdere i soldi.

Si voltò verso Justin con ammirazione.

In tutta la vita non aveva mai visto nessuno vincere contro suo padre.

Dopo qualche attimo di riflessione, realizzò che forse Justin era un mago come Harry Potter e che aveva usato qualche incantesimo su suo padre.

Magari avrebbe potuto chiedergli quale.

Un paio d’ore dopo, uscirono finalmente dal centro commerciale – con molti più acquisti di quanti avessero pianificato – e Brian disse a Justin che prima di andare da Michael avrebbe dovuto fare un’altra tappa. La curiosità di Justin si trasformò in assoluta felicità quando lo vide parcheggiare davanti al Babylon.

L’uomo gli circondò di nuovo le spalle con un braccio mentre Gus li precedeva di corsa all’interno del locale, saltellando come fosse stato al parco giochi.

“Se solo sapessi quanto mi è mancato questo posto.” Justin, davanti alla pista da ballo, si strinse a Brian, sfregando il naso contro il suo collo.

Brian gli passò un braccio attorno alle spalle, accarezzandogli i capelli. “Più del suo proprietario?”

Justin sollevò il viso verso di lui e lo fissò come fosse pazzo. “Mille volte più del suo proprietario.”

“Pfft! Bugiardo.” Brian piegò le labbra all’interno della bocca e si chinò verso il suo orecchio. “Che ne dici di una capatina nella dark room? Solo tu e io.” Con la mano libera gli strizzò di nuovo il sedere. “Mi manca scoparti contro quel muro freddo e sentirti gridare come un ragazzino.”

Justin gli pizzicò un braccio, staccandosi da lui con un sorriso. “Sempre il solito romantico. Sono sicuro che i tuoi dipendenti sarebbero entusiasti.” Raggiunse il centro del locale e si morse un labbro, pensando con nostalgia a quante volte lui e Brian avevano dato spettacolo su quella pista da ballo.

“I miei dipendenti sono pagati per tenere la bocca chiusa, oltre che gli occhi e le orecchie.”

Justin scosse la testa. “Sei senza speranza.” Tornò verso Brian. “Hai finito qui? Altrimenti rischiamo di fare tardi.”

Brian lo strinse di nuovo a sé. “Ho finito. Dobbiamo solo recuperare Gus.” Sorrise, accennando al bambino seduto a gambe incrociate sul bancone, che guardava rapito Neal nella preparazione di uno dei suoi famosi cocktail. “Ehi, campione!” si diressero verso il bar. “Pronto ad andare? Le mamme ci aspettano.” Gus annuì e, aiutato da Justin, salì sulle spalle di suo padre, circondandogli il collo con le braccia. “La prossima volta voglio assaggiarne un altro.”

Brian e Justin si voltarono di scatto verso Neal che, davanti alle loro espressioni omicide, alzò le mani in segno di difesa. “Era un cocktail analcolico, state tranquilli.”

Con un cenno del capo, si avviarono tutti e tre verso l’uscita; erano quasi arrivati alla macchina quando Brian si accorse di aver dimenticato il cellulare in ufficio. “Faccio in un attimo.” Assicurò, posando Gus a terra, mentre il telefono di Justin iniziava a squillare. “Emmett…” Sillabò al suo fidanzato che alzò gli occhi al cielo scocciato, rientrando nel locale.

“Ciao, Em.” Justin aiutò Gus a salire in macchina.

“Ehi, baby, tutto ok?”

Justin sorrise al bambino. “Tutto bene. Sei già da Michael?”

“Veramente no. Voi?”

“Babylon.”

Emmett guardò l’orologio. “Ma non è un po’ presto? Dolcezza, capisco che abbiate due anni di sesso arretrato da recuperare, ma…”

Justin scoppiò a ridere. “Em, il Babylon è ancora chiuso. Brian doveva passare per alcuni documenti.”

“Capisco, meglio così. Almeno non sarò l’unico in ritardo.”

“Noi non siamo in ritardo, infatti.”

“Ma lo sarete.”

Justin chiuse lo sportello e si appoggiò alla carrozzeria della Jeep. “Stiamo già andando da Michael.”

“Baby, conosco Brian da prima di te, sfortunatamente. Non arriverà mai in orario.”

“Ehi.” Justin si avvicinò curioso ad un lampione lì vicino. “Sapevi della serata a tema di domani sera?” Guardò con interesse il volantino con due uomini seminudi.

“Certo che si. Ci andiamo?”

“Spero di riuscire a liberarmi, sai con Molly e tutto il resto.”

“Justin, forse non lo sai, ma tua sorella ha diciotto anni. Può votare, guidare e anche scappare di casa, se vuole.”

Justin alzò gli occhi al cielo. “Lo so, Em, ma mia sorella tende a sgattaiolare fuori di casa quando non ci sono io a controllarla.”

“Ma davvero? Che cosa strana per un adolescente!” Ribatté Emmett sarcastico. “È un peccato che Ginger non sia tranquilla come suo fratello.”

“Mi preoccupo solo per lei. Lo sai che ha un ragazzo?”

Em trattenne teatralmente il fiato. “No! E come osa?”

“Smettila di fare lo spiritoso. Se non la tengo costantemente d’occhio, finiranno per fare sesso chissà dove.”

“Esattamente come facevi tu.”

“Vero.” Concesse Justin. “Ma io non rischiavo di rimanere incinta.”

Emmett ridacchiò. “Per tua fortuna, baby. Altrimenti tu e Brian adesso avreste una squadra di calcio.”

“Ah ah.” Justin cercò di sembrare annoiato, ma non riuscì a non sorridere.

L’idea di lui, Brian e una sfilza di miniGus a cui badare lo faceva morire dalle risate.

“Oh, dolcezza, scusa ma devo scappare! Ci vediamo da Michael tra mezz’ora.”

“Facciamo venti minuti.”

“Brian è già uscito?”

“Non ancora.”

“Allora facciamo quaranta.”

Justin scosse la testa. “Ciao, Em.”

“Bye bye, baby.”

Justin ripose il cellulare ed estrasse una sigaretta. Era già alla terza boccata quando, con la prontezza di un bradipo in letargo, realizzò dove si trovasse. La sigaretta cadde a terra mentre, ancora incredulo, si voltava verso il lampione su cui era poggiato.

Un lampione.

Quel lampione.

Sorrise tra sé e scosse il capo, sfiorando con la punta delle dita la superficie ruvida e un po’ rovinata.

Cosa sarebbe successo se quella sera si fosse poggiato contro il muretto a due metri di distanza?

O se Brian fosse uscito qualche minuto prima?

O se, per la paura, lui fosse tornato di filato a casa di Daphne dopo che quel viscido disperato di mezza età aveva cercato di rimorchiarlo?

Gus gli bussò dal vetro della Jeep attirando la sua attenzione e salutandolo con la mano.

Justin rispose al saluto realizzando di aver rischiato di non poter conoscere quell’adorabile ragazzino dalla fantasia sconfinata e dall’inesauribile vivacità.

Distolse lo sguardo puntandolo verso il Babylon proprio mentre Brian ne varcava la soglia e si avviava, con un sorriso, verso di lui.

Justin si morse un labbro, quando il ragazzino romantico che ancora viveva in lui, e che di tanto in tanto riaffiorava, si chiese se Brian se ne sarebbe accorto. Tornò ad appoggiare la schiena contro il palo.

Brian estrasse il cellulare dalla tasca e glielo mostrò da lontano, mettendo su uno sguardo annoiato.

Justin soffocò una risata e fece per ribattere, ma ci ripensò quando lo vide rallentare, con la fronte aggrottata, prima di fermarsi del tutto proprio nel luogo in cui anni prima era stata parcheggiata la sua Jeep.

L’hai riconosciuto…

Con uno sguardo sornione, Brian riprese a camminare verso di lui. Gli si fermò davanti.

“Come va? Hai combinato qualcosa?” Chiese con voce seducente, la stessa voce che aveva usato tanti anni prima.

Justin si morse un labbro per non ridere e si strinse nelle spalle. “Solo qualche giretto nei bar.”

Brian alzò un braccio e lo posò contro il palo, avvicinando di più il viso a quello di Justin. “E adesso dove te ne vai?”

Il ragazzo raddrizzò le spalle e si umettò il labbro. “Sto aspettando il mio bellissimo fidanzato per andare ad una noiosa cena di famiglia.”

“Ma davvero? Che peccato.” Brian piegò le labbra all’interno della bocca. “Magari possiamo vederci dopo.”

“Mi piacerebbe.”

Brian lo agguantò per il cappotto e gli mordicchiò l’orecchio. “Tu non sai quanto questo piccolo tuffo nel passato mi abbia fatto venire voglia di scoparti.”

Justin gli circondò la vita con le braccia. “A chi lo dici.” Gli posò un bacio sulla spalla. “Prima cena, poi serata tutta per noi.”

“Andata, Sunshine.”

Quando si separarono, Justin gli rivolse un sorriso radioso prima di gettargli le braccia al collo e baciarlo con passione. Si sentì spingere all’indietro contro il legno ruvido del lampione mentre Brian ricambiava con altrettanto sentimento, invadendo con prepotenza la sua bocca.

“Muoviamoci.” Sussurrò contro le sue labbra. “Prima arriviamo, prima ce ne andiamo, prima ti scopo.” Lo prese per mano, trascinandolo verso la Jeep.

 

 

 

 

 

 

 

 

Ed eccomi di nuovo qui con un nuovo capitolo! No, non sono morta, ma sapete quanto io possa essere incostante quando si tratta di aggiornare!

In questo nuovo capitolo niente di che, solo un po’ di sana routine quotidiana a casa Kinney con i suoi due uomini preferiti. Forse sarò solo io, ma Brian papà in versione casalinga mi scatena sempre un certo tumulto interiore, oltre che gli ormoni! Non riesco proprio ad immaginare qualcosa di più sexy al mondo. Sono pazza!

Poi? Ah sì, Hunter e Lane. Beh, che dire? Questi due mi divertono sempre un secco e per tutti coloro che li amano, vi anticipo che avranno un’altra piccola scena tutta per loro nel prossimo chap!

Michael incontra di nuovo la sua nemesi, ossia il possibile amante di Ben, e Justin rivede finalmente il Babylon! Non è un caso che non abbia inserito il locale finora, ma volevo un ritorno in grande per il nostro Sunshine. Questo è stato solo un piccolo assaggio!

Ebbene sì, non ho resistito ad un altro flashback, ma la scena dell’incontro ci voleva. Mi auguro che non vi sia sembrata fuori luogo e che l’abbiate apprezzata dato che è nella mia testa da quando ho avuto l’idea di scrivere una sesta stagione.

Per la scena di sesso, come al solito, spero davvero che non vi faccia ridere (o peggio vomitare), ma abbiate pietà! Rileggendola mi sembra che non possieda nemmeno un minimo di passione o erotismo, né tanto meno tensione sessuale, ditemi voi se è davvero così schifosa.

Infine, anche questo, come il precedente, è stato diviso in due parti dato che era mostruosamente lungo (se fossi così prolissa anche con la mia tesi, sarei già laureata) e vi avverto che anche il prossimo subirà la stessa sorte. La seconda parte di questo capitolo affronterà la tanto nominata cena d’addio per Mel e Linz a casa di Michael.

Bene, adesso è davvero tutto! Leggete e fatemi sapere che ne pensate! E come al solito un grazie enormissimissimo a tutte coloro che hanno letto e recensito l’ultimo capitolo. Che farei senza di voi???

Un bacione!!

 

 


 

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Capitolo 17
*** The Importance Of Being A Dad (Part 2) ***


The Importance Of Being A Dad (Part 2)

 

 

 

 

Il tiepido sole di fine aprile era ormai quasi del tutto tramontato quando Emmett si presentò a casa Novotny. Bussò un paio di volte e sorrise al suo migliore amico che venne ad aprirgli la porta. “Ciao, Teddy.” Lo salutò con un bacio. “Sono l’ultimo?”

Ted chiuse la porta e lo precedette in salotto. “Veramente sì.” Em rimase sorpreso davanti alla sala gremita.

Deb stava aiutando Mel e Michael a preparare la tavola, Carl chiacchierava tranquillo con Hunter e Lane sul divano, mentre Brian e Justin, sul divano accanto a loro, ridevano divertiti dai battibecchi di Gus e Jenny Rebecca.

“Ehi, Em.” Lo salutò Ben con un sorriso e una pacca sulla spalla, uscendo dalla cucina e raggiungendo il tavolo.

Vide l’uomo posare le mani sulle spalle di Michael, mentre il suo amico continuava a discutere con Debbie sulla sistemazione dei posti. “No, mamma. Se lo mettiamo lì, Lane finirà per sedersi in braccio a Gus, non vedi?”

“Michael, smettila di fare il saputello e ascoltami bene. Sono molto più esperta di te in cene di famiglia e so quello che faccio.”

“No, invece! Non lo sai! Vuoi solo avere il controllo di tutto, come al solito.”

Emmett si sfilò il cappotto con un sorriso, voltandosi verso i divani.

A quanto sembrava, Lane aveva coinvolto Carl in un’accesa discussione sul debito pubblico e sulla conseguente mancanza di fondi delle istituzioni; Hunter spostava lo sguardo dall’uno all’altro, dando ragione ad intervalli regolari alla sua amica. Ben si unì a loro.

Appese il cappotto all’attaccapanni accanto all’ingresso e vide Ted recarsi in cucina. Il cellulare vibrò nella sua tasca. “Ti raggiungo tra un attimo.” Gli assicurò.

Lesse velocemente il messaggio e sorrise rispondendo a Nadine. Un coro di risate attirò la sua attenzione, mentre riponeva il suo Blackberry.

Gus, seduto a gambe incrociate ai piedi di Justin, giocava con un videogame, spostandosi di qua e di là con le spalle, totalmente preso dal gioco; sua sorella, in piedi tra le gambe di Brian, con i gomiti poggiati sulle ginocchia dell’uomo, gli borbottava suggerimenti incomprensibili.

Brian aveva il mento posato sulla spalla della piccola mentre Justin, seduto accanto a lui, sbirciava da sopra la testa di Gus.

“Grande!” Esclamò il bambino su di giri. “Decimo livello!” Si voltò verso suo padre con un sorriso che andava da un orecchio all’altro. “Hai visto, papà? E ho ancora quattro vite!”

Brian gli sorrise orgoglioso, accarezzandogli una guancia paffuta, prima che Gus tornasse a prestare totale attenzione al suo videogioco, imitato da sua sorella.

Emmett sorrise quando notò la mano di Justin posarsi discreta sulla gamba di Brian, prima di chinarsi verso di lui e baciargli la spalla coperta dalla camicia grigio scuro.

Nelle ultime settimane aveva pensato molto alla famiglia.

Con John l’argomento era saltato fuori parecchie volte e la sua mente, nonostante detestasse ammetterlo, si era ritrovata sempre più spesso a volare lontano da Pittsburgh verso Hazelhurst, Mississippi.

Sentendo il suo amico parlare delle sue origini, della sua infanzia, dei suoi ricordi e soprattutto di quanto fosse pentito per aver lasciato che suo fratello sparisse dalla sua vita, lo aveva spinto a chiedersi se prima o poi sarebbe capitato anche a lui.

Avrebbe rimpianto di non aver passato gli ultimi sedici giorni del Ringraziamento con il clan Honeycutt? O gli ultimi sedici Natali? O gli ultimi sedici compleanni?

Ripensò a come aveva realmente trascorso quelle festività e scosse il capo, non riuscendo a trattenere un sorriso.

No, certo che non lo rimpiangerò…

Sospirò piano accarezzando con lo sguardo tutto il salotto, lo stesso salotto in cui la sua vera famiglia chiacchierava, discuteva, rideva e scherzava, la famiglia che con lui aveva combattuto, che l’aveva protetto e spronato, ma anche rimproverato e deluso, la famiglia cui sentiva di appartenere molto più che a quella di origine.

Sentì il suo petto riempirsi d’orgoglio quando capì che l’unica famiglia che avesse mai desiderato era presente in quella stanza.

E al diavolo tutto il resto.

Con un sorriso felice, si avviò verso i suoi amici. “Ehi, ragazzi.”

“Ciao, zio Emmett.” Lo salutarono i bambini senza distogliere lo sguardo dai videogame.

Brian fece un cenno del capo. “Ehi, Emmy Lou.”

Emmett lo spintonò per una spalla e si chinò a baciare Justin sulle labbra. “Ciao, baby.”

Justin gli sorrise. “Te l’avevo detto che saremmo arrivati prima noi.” Scoppiò a ridere quando Emmett gli fece una linguaccia. “Vado a cercare Teddy.”

“Bravo.” Convenne Brian, lo sguardo di nuovo fisso sul videogame di Gus. “Cerca di farlo ridere. È da stamattina che si porta dietro quella faccia da funerale.” Si voltò verso di lui con un ghigno. “Ehi, magari potresti raccontargli la tua ultima prestazione sessuale.”

“Brian…” Lo richiamò Justin con un sorriso, mentre Emmett lanciava un cuscino contro il suo fidanzato.

Scuotendo la testa, Emmett si diresse finalmente verso la cucina da Ted; trattenne un sorriso quando passò accanto a Michael ancora immerso nella discussione con sua madre. “Em!” Lo salutò allegra Lindsay ai fornelli. Si avvicinò al suo amico e gli baciò una guancia. “Scusate il ritardo.”

La bionda gli sorrise. “Figurati. Anche gli altri sono appena arrivati.” Si chinò per controllare il forno. “Di là sono riusciti a risolvere l’assegnazione dei posti?”

Ted ridacchiò. “Hanno iniziato solo un’ora fa.”

Emmett scosse la testa. “E credo ne avranno ancora per molto.” Si accomodò su una delle sedie accanto a Ted. “Debbie non vuole che Michael…”

“… s’impicci come fa lei?” Suggerì Ted, sorseggiando il suo succo d’arancia.

Lindsay rise, poggiando la schiena contro il lavandino. “Non le capita spesso di essere l’ospite e non la padrona di casa.”

“L’avevamo capito.”

Emmett si strinse nelle spalle. “L’importante è che riusciamo a sederci tutti.” Si voltò verso il suo amico. “Blake quando arriva?”

Ted sorrise debolmente. “Ha un incontro al centro, spera di farcela per il dolce.”

“E tu?” Lindsay si avvicinò a loro, poggiandosi con i gomiti sul tavolo. “Nessun accompagnatore?”

“Avrei dovuto portare qualcuno?”

“Se ti andava…”

“Non mi andava…”

Ted emise un verso scettico. “E John?”

Lindsay sorrise. “Il bel cuoco?”

“Proprio lui.”

Emmett scosse le spalle. “Io e John siamo amici. E non pensavo di doverlo portare.” Posò il mento sul palmo della mano e guardò con un sorriso la sua amica. “O questa è solo una serata per coppiette? Perché in salotto ne ho viste parecchie.”

Lindsay scoppiò a ridere. “Sei sempre il solito.”

“E poi anche Teddy è qui da solo.”

“Temporaneamente.”

Emmett ignorò il suo commento. “E anche Hunter.”

Lindsay estrasse un paio di vassoi dal frigo e li sistemò sul tavolo. “Errore. Hunter ha portato Lane.”

“Oh già.” Emmett si sporse verso di lei. “Ma lui non stava con Callie?”

Lindsay lo imitò con aria cospiratrice. “Non so che dirti, ma da quando siamo qui Callie non s’è mai vista.”

Ted si rigirò il bicchiere tra le mani. “Lasciami indovinare. Al contrario di Lane.”

“Lei e Hunter sembrano gemelli siamesi. Secondo me nascondono qualcosa.” Emmett e Ted si scambiarono un’occhiata d’intesa. Linz se ne accorse. “Cosa?”

“Niente…”

“Io non ho aperto bocca.”

La bionda si mise le mani sui fianchi. “Forza, sputate il rospo.”

“Che rospo?” Chiese la voce allegra di Justin, entrando in cucina.

“Em e Ted fanno i saputelli.”

“Non è vero!” Si difesero loro, facendo ridere il ragazzo.

“Saputelli su cosa?”

Emmett spostò una sedia cosicché Justin potesse sedersi accanto a lui. “Linz crede…”

“… e Mel…” Puntualizzò la donna.

Ted roteò gli occhi, borbottando un “Lesbiche…” a mezza bocca.

“Linz e Mel…” Riprese Emmett “… credono che tra Hunter e Lane ci sia qualcosa.”

Justin annuì appena, esortandolo a continuare, ma aggrottò la fronte quando Emmett prese a fissarlo con sguardo interrogativo. “E…?”

“E ovviamente si sbagliano!” Fece Emmett scioccato.

“Però danno quell’idea.”

Linz sorrise soddisfatta, schioccando un rumoroso bacio sulla guancia di Justin. “Sapevo che c’era qualcuno sveglio in questa casa.”

Ted emise un verso scettico. “Sì, come no, guarda che razza di fidanzato si è scel…”

Non fece in tempo a terminare la frase perché Brian fece il suo ingresso in cucina, al seguito di JR e Gus. “Attenta! Non correre così, gambette tozze, o finirai col culo per terra!”

Justin sorrise, alzando gli occhi al cielo; gli altri si limitarono solo a scuotere il capo rassegnati prima che Jenny si gettasse di corsa tra le braccia di Justin.

Linz diede un pizzicotto al suo migliore amico facendolo gemere di dolore.

“Eh dai, Jenny!” Si lamentò Gus, cercando di spingere sua sorella lontano da Justin. “Che palle! E levati!”

Jenny Rebecca si aggrappò con le manine al maglione del ragazzo. “No, vattene tu!”

Justin sorrise, alzandosi in piedi e prendendo in braccio la piccola. “Gus, non essere cattivo con lei.” Soffocò una risata quando il bambino assunse una posa annoiata vagamente familiare.

“Gus.” Lo ammonì sua madre. “Ascolta Justin oppure finisci in punizione.”

Brian lanciò un’occhiatina di sbieco a Justin. “Sì, Gus, ascolta quello che ti dice Justin.” Premette la lingua contro la guancia. “Lui sa tutto sulle punizioni.”

Justin lo fulminò dall’altra parte del tavolo, mentre Gus prendeva a fissarlo con le fronte aggrottata. “Perché?” Gli chiese. “Papà ti mette in punizione se fai il cattivo?”

Emmett, Ted, Brian e Linz scoppiarono in una fragorosa risata, notando il rossore salire su per le guance nivee di Justin. “Brian!”

Il suo fidanzato gli si avvicinò, circondandogli le spalle con un braccio. “A volte, Gus, ma solo se Justin è davvero cattivo.”

Jenny arricciò il nasino e lo guardò male. “Justin non è cattivo. Tu sei cattivo.”

Justin rise e baciò la guancia paffuta della bambina, mentre Brian inarcava un sopracciglio. “E tu che vuoi? Stavo forse parlando con te, saputella?” Jenny si limitò a fargli una linguaccia, prima di nascondere il viso sotto il mento di Justin.

“Brian?”

L’uomo si voltò verso Emmett. “Che vuoi?”

“Secondo te, Lane e Hunter stanno insieme?” Chiese a bruciapelo.

Colto alla sprovvista, Brian si limitò a sollevare le sopracciglia. “E perché dovrebbe riguardarmi dove il piccolo trovatello di Michael mette il suo…” Justin gli tirò una gomitata nelle costole “… quello che fa?” Finì con voce stridula. “Ma soprattutto, perché interessa a te, pettegola?”

Emmett incrociò le braccia al petto con aria offesa. “La piccola ha ragione, sei cattivo.”

“Ma la risposta è?” Lo incalzò Ted.

Brian alzò gli occhi al cielo. “Michael dice che è ancora preso da Callie, ma io credo che il tempo che passa con Lane sia piuttosto indicativo.”

Justin lanciò uno sguardo trionfante verso i due seduti al tavolo e si alzò sulle punte, baciando la guancia di Brian. “Grazie.”

Brian lo fissò stranito. “Per cosa?”

“Per darmi sempre ragione.” Lo baciò di nuovo, stavolta sulle labbra. “Sei il miglior fidanzato del mondo.”

“Lo so. E anche il più bello.”

Emmett sbuffò incredulo. “Sciocchezze! Voi due non siete attendibili! L’amore vi ha fritto il cervello. Sono sicuro che Hunter pensi ancora a Callie.”

Justin roteò gli occhi. “Come ti pare, Em.” Abbassò lo sguardo quando si sentì tirare i pantaloni.

“Andiamo?” Gli chiese Gus con occhi imploranti. Il ragazzo sorrise e annuì. “Signori, scusate, ma la mia presenza è richiesta altrove.” Sfiorò il braccio di Brian e si avviò verso il salotto con i bambini. Prima che oltrepassassero la soglia, JR fece un’altra linguaccia a Brian, scoppiando poi a ridere di fronte alla sua espressione indignata.

“Quella piccola vipera assomiglia sempre di più a sua madre.”

Linz ridacchiò, accarezzandogli il braccio. “Ti adora, lo sai.” Si spostò in direzione del frigo e vide Justin e i bambini ridere, comodamente seduti sul divano.

Emmett si alzò in piedi e li raggiunse, sorridendo alla scena davanti a lui. “A quanto pare non sono solo i Taylor ad essere ammaliati dai Kinney.”

Brian inarcò un sopracciglio con fare annoiato. “Che cazzo vai blaterando?”

L’uomo indicò il salotto con un cenno del capo. “Ho l’impressione che l’incantesimo funzioni anche al contrario.”

Brian non disse nulla, limitandosi a sbuffare e a seguire gli altri in salotto. Quando li raggiunse, vide Lane e Hunter intenti a frugare in una vecchia scatola posata sul tavolino da caffé davanti a loro. Il resto del gruppo si era accomodato sui divani. “Che roba è?” Chiese curioso.

Michael ridacchiò, facendogli posto sul bracciolo. Lui scosse il capo. “Oh, questa ti piacerà.” Infilò la mano nella scatola ed estrasse un libro dalla copertina rosso bordeaux. Il suo amico sgranò gli occhi, scoppiando a ridere. “Ancora ce l’hai?”

Michael lo guardò male, colpendogli la spalla. “Certo! Perché tu no?”

“Il vecchio annuario del liceo? Probabilmente Joan l’avrà portato ad esorcizzare.”

Justin scattò all’istante. “L’annuario? Vuoi dire, il vostro annuario?”

“Oh no, non ci pensare proprio, Sunshine.” Brian fece per agguantare il libro, ma Michael lo allontanò prontamente, aprendolo e iniziandolo a sfogliare. Emmett lo raggiunse all’instante, mentre Justin fu bloccato per la vita. “Eh, dai!” Si lagnò, facendo ridere tutti. “Ti prego! Loro possono vederlo, perché io no?” Sporse il labbro inferiore e guardò Brian con aria implorante. “Tu hai visto il mio!”

“Solo perché tu ti sei lagnato per un’ora.”

Justin si alzò sulle punte e lo baciò teneramente. Brian non si mosse, ma scosse di nuovo il capo quando Justin provò a tornare verso Michael e Emmett.

“Oh.Mio.Dio.” Emmett ridacchiò, arrivando finalmente alla pagina desiderata.

“Ma che carini che siete!” Hunter scoppiò a ridere, seguito da Michael. Debbie gli diede uno scappellotto sulla testa. “Perché non vai a prendere il tuo di annuario, simpaticone?” Lane si coprì la bocca con la mano cercando di nascondere le risate. “Io trovo che siano bellissimi tutti e due. Mi ricordo ancora quanto eravate agitati quel giorno per la foto. Perdeste persino l’autobus e Vic fu costretto ad accompagnarvi fino a scuola.”

Brian abbozzò un sorriso, le braccia ancora strette attorno alla vita di Justin. “Me lo ricordo. Michael provò almeno un centinaio di maglie.”

“Oh si, e perché tu?” Ribatté il suo amico punto sul vivo. “Sei rimasto in bagno un’ora per sistemarti i capelli.”

Debbie spostò lo sguardo tra i suoi due ragazzi e sospirò. “Le cose erano molto più facili allora. Per mettervi a tacere bastava soltanto un’occhiata. Ora devo usare le cazzo di maniere forti.” Scosse la testa in direzione di Brian, prima di alzare gli occhi al cielo. “Cristo Santo, Brian, vuoi mollarlo, per favore? Fagli vedere almeno un paio di foto!”

Brian rafforzò la presa sui fianchi di Justin, ma si arrese all’occhiata decisa di Deb.

Probabilmente se non l’avesse mollato, sarebbe stata capace di portare l’annuario al Diner e mostrarlo a tutta la città.

Allargò le braccia e Justin si allontanò di fretta, raggiungendo Emmett. Gli lanciò un sorriso radioso, accomodandosi su uno dei braccioli.

“Quanti anni avevate?” Chiese Ted curioso.

Debbie arrivò alle spalle di Justin e gli accarezzò i capelli chiari. “Sedici.”

“Awww…” Emmett si portò le mani al petto. “E pensare che tu non eri nemmeno nato!” Sorrise davanti al broncio di Justin. “Avevo quattro anni, Em.”

Brian grugnì. “Grazie, adesso sì che mi sento meglio.”

Lane si sporse verso la scatola e tirò fuori una pila di foto. “Oh, che belli!” Esclamò davanti alla prima.

“Che cos’è?” Domandò Mel, seduta accanto a Ben.

Linz sbirciò le foto da dietro la schiena di Lane. “Oh, Mel! La nascita di Gus!” Le due donne si avvicinarono e presero un paio di scatti, facendole poi scorrere al resto del gruppo. La bionda si soffermò qualche minuto su una in particolare, la prima foto che Michael aveva fatto a Gus addormentato in braccio a suo padre. Sospirò quasi commossa, quando le mani di Brian si posarono sulle sue spalle. “Non vorrai piangere adesso, mamma.” Sussurrò al suo orecchio.

Linz scosse il capo. “No, tranquillo, papà.” Brian annuì senza aggiungere altro, ma rimase dietro di lei.

“Oh, guarda che tenero!” Lane tirò una manica di Hunter che si sporse verso la foto e sbuffò.

“Beh, è mio figlio.” Ribatté Brian con una nota di orgoglio nella voce.

Hunter scoppiò a ridere, continuando ad estrarre altre foto mentre Lane aggrottò le sopracciglia, confusa. “Chi?”

“Che stai guardando, tesoro?” Le domandò Debbie. La ragazza le porse la foto e lei scoppiò a ridere non appena la vide. “Lane si riferiva a Justin, Brian!”

Brian si staccò da Linz e si avvicinò alla donna, mentre Justin allungava il collo verso di lei. “Cristo Santo, Justin! Sembri un dodicenne qui!”

“Non è vero!” Justin lo spintonò prendendo la foto. “Almeno io ero lucido! Tu invece? Completamente fatto la sera della nascita di tuo figlio.” Scosse il capo con fare melodrammatico, facendo sorridere il suo fidanzato. “Vergognati, Brian.”

Brian si sedette sul bracciolo, proprio dietro di lui, e gli sussurrò qualcosa all’orecchio, facendolo arrossire. Debbie, la più vicina, alzò gli occhi al cielo.

“Dio, eri davvero piccolo.” Lane scrutò con attenzione un altro scatto. “Quanti anni avevi quando vi siete conosciuti?”

Justin strizzò la mano di Brian, posata pigramente sulla sua coscia. “Diciassette.”

La ragazza sgranò gli occhi scioccata. “Ma non…” Cercò di essere il più diplomatica possibile “… non era un tantino illegale? Voglio dire, tu avrai avuto almeno trent’anni.”

“Ventinove.” Risposero in coro Michael, Ted, Debbie, Lindsay e Justin prima ancora che Brian avesse il tempo di aprire bocca.

“Attenta.” Lo avvertì Emmett, continuando a sfogliare l’annuario. “Lui ci tiene a precisare… Ahi!” Si massaggiò la gamba che Brian aveva appena colpito con un calcio.

Lane arrossì, riportando lo sguardo su Brian. “Non che li dimostri, ovviamente.” Si affrettò a precisare. Hunter alzò gli occhi al cielo, sbuffando.

Brian le sorrise, facendola arrossire ancora di più. “Dillo a lui.” Spiegò, muovendo il capo verso Justin.

“Non mi pare che qualcuno ti abbia costretto.” Gli fece notare il più giovane, lo sguardo ancora puntato sull’annuario che Emmett teneva tra le mani quando una foto di un sedicenne Brian con la divisa della squadra di calcio della scuola fece capolino.

Sorrise compiaciuto notando come il suo fidanzato fosse bellissimo anche da adolescente.

“Questo perché io sono molto altruista, Sunshine.”

Jenny si arrampicò sulle gambe di Ben. “Che significa, papà Ben?”

Brian piegò le labbra all’interno della bocca. “Significa, gambette tozze, che zio Brian è una persona a cui piace aiutare gli altri.” Sorrise malizioso a Justin.

La bambina parve pensarci su un attimo, prima di guardare suo padre. “Papà, anche io da grande voglio essere altruista come zio Bri.”

Michael lanciò un’occhiataccia al suo migliore amico. “Tu non sarai così altruista almeno fino a quarant’anni.” Borbottò facendo ridere tutti, Brian per primo.

“Guardate queste!” Esclamò Hunter con tono divertito. “Saranno più o meno dell’era mesozoica!” Porse una pila di foto leggermente ingiallite a Emmett, che immediatamente si portò le mani al petto, commosso. “Oh mio Dio…” Sussurrò con le lacrime agli occhi.

“Che roba è, principessa?” Brian si sporse verso di lui.

Emmett scorse rapidamente le fotografie prima di separarle e passarne un paio per ciascuno a Ted, Michael e Brian.

Michael sgranò gli occhi. “Cristo Santo, Hunter! Ma dove le hai trovate?”

Ted sorrise. “Non ci posso credere, le prime uscite al Babylon.”

Emmett tirò su col naso. “Ero appena arrivato in città.”

“Ma davvero andavano di moda quei vestiti?” Li punzecchiò Hunter, beccandosi immediatamente un calcio da Michael.

“Stronzate.” Tagliò corto Brian. “Io ero bellissimo.” Strinse di più il braccio attorno alle spalle di Justin e gli mordicchiò un orecchio. “Vero?”

Justin scosse il capo, sorridendo. “Ovviamente.”

Hunter continuò ad estrarre altre foto mentre, davanti ai loro occhi, Brian, Michael, Ted ed Emmett crescevano e cambiavano, diventando sempre più simili agli uomini che tutti conoscevano; altre persone cominciarono a fare le loro prime comparse, prima Mel e Linz e Vic e Debbie da Woody, poi Justin, David – Michael nascose immediatamente le foto che lo ritraevano assieme al suo ex –, e a seguire Blake, Ben, George, e, in un paio, persino Daphne e Jennifer.

“Non siete cambiati per niente…” Osservò Lane con un sorriso. “Forse siete diventati più belli.”

Emmett le sorrise radioso, prima di voltarsi verso Hunter. “Dolcezza, sposa questa ragazza all’istante.”

Hunter sgranò gli occhi e arrossì imbarazzato, lanciando un’occhiata verso la sua migliore amica, rossa quanto lui. Lane frugò più a fondo nella scatola, sperando di uscire da quella strana situazione. “Oh…” Fece con tono deluso. “Sono finite…” Si alzò sulle ginocchia e scosse il capo. “Che peccato.”

“Un peccato davvero…” Borbottò sollevato Brian.

Michael si alzò dal divano e fece il giro dei suoi amici per raccogliere tutte le foto. “Sarà meglio rimetterle tutte a posto, allora.” Sorrise. “Potremmo sempre tirarle fuori tra un paio di anni e vedere quanto siamo cambiati.”

“Dovremmo fare delle foto anche stasera!” Suggerì Emmett battendo le mani eccitato. “Chissà quando riusciremo a stare di nuovo tutti assieme.” Rivolse un sorriso triste a Justin. “Michael, dai! Portami la macchina fotografica!”

Ted lo guardò stranito. “Non dirai sul serio?”

“Certo, perché no?”

Ben si alzò dal divano. “Emmett ha ragione. Con Mel e Linz in Canada e Justin a New York non sarà facile rivedersi tutti.” Estrasse la fotocamera da uno dei cassetti. “Approfittiamone.”

Emmett fece un sorriso che andava da un orecchio all’altro. “Finalmente qualcuno che ragiona!”

Brian scosse il capo, alzandosi dal divano. “Io non ho intenzione di partecipare a questa pagliacciata.” Estrasse accendino e sigarette. “Se mi cercate, sono fuori.” Lanciò uno sguardo interrogativo a Justin che scosse il capo, sorridendo. L’uomo si strinse nelle spalle e uscì sul portico.

“Anche io preferirei essere esonerato, Em.” Confessò il ragazzo. Emmett inarcò un sopracciglio, chiaramente contrariato. “Molly mi ha fatto praticamente un book fotografico per quando andrà al college. Pensa che è riuscita anche a strappare qualche scatto di me e Brian.”

“Ah, quindi Molly sì e io no?” Emmett fulminò la porta da cui Brian era uscito. “Più tardi mi sente, lo stronzo.”

“In che college andrà?” Chiese Lane interessata.

Justin sorrise orgoglioso. “Yale.”

“La prima persona della famiglia nell’Ivy League.” Debbie intrappolò Justin in un abbraccio stritola costole. “Siamo tutti così fieri!”

Lane sorrise. “Dille che se le serve una mano, ho un paio di conoscenze lì.”

Justin si voltò verso di lei, interessato. “Davvero? Sarebbe fantastico.”

“Mio padre insegna lì.” Si strinse nelle spalle. “Potrei presentarle qualcuno che l’aiuti per i primi tempi, se vuole.”

“Grazie, Lane, glielo farò sapere.”

“Figurati.”

“E a proposito di aiuto…” Emmett scattò una foto di Debbie e Carl, teneramente abbracciati sul divano. “Dille anche che sono disponibile per il ballo.”

Michael ridacchiò. “Non sei un po’ vecchio per un ballo scolastico?”

“Oh, non me lo dire…” Lo punzecchiò Ted. “Vuoi essere eletta reginetta?”

“Non vi degno nemmeno di una risposta. Un’amica ha chiesto una mano e io sono lieto di poterla aiutare.”

Justin scosse la testa. “Mi dispiace che ti dia noie, Em. Con questa storia del ballo sta mandando fuori di testa tutti. Pensa che ha coinvolto persino Vanessa. E ovviamente Steve, che le fa da schiavetto.”

“Mi sembra che i tuoi amici si trovino bene.” Osservò Ben.

“Molto.” Ammise Justin. “A sentire Steve, lui non si è mai divertito tanto. Mi ha confessato che uscire con Emmett e Ted è un vero spasso.”

Ted ridacchiò. “E non l’abbiamo mai portato al Babylon.”

“Capirai.” Emmett controllò l’ultima foto fatta ai bambini. “Con il culo che si ritrova, finirà per rimorchiare più di noi.”

“E questo non è difficile da credere.”

Michael sistemò meglio uno dei bicchieri sul tavolo. “E Vanessa?” Cercò di nascondere un sorrisetto divertito. “Brian non la trova molto simpatica.”

“Perché no?” Chiese Lane interessata. “Io l’ho vista solo al matrimonio, ma sembra una tosta. Mi piacerebbe avere metà della grinta che ha lei.”

Justin annuì. “È arrogante, cocciuta e non sente ragioni se non le sue. A volte verrebbe voglia di ammazzarla.”

“Carina.” Debbie aggrottò la fronte. “Mi ricorda qualcuno. Lavora forse in pubblicità?” Chiese, facendo ridere tutti.

“Ma è la migliore in quello che fa. Ho conosciuto parecchi galleristi a New York e non ho trovato nessuno bravo quanto lei.”

“Una specie di Terminator dei Picasso.” Osservò Hunter. “Non mi stupisce che sia ancora zitella.” Lane lo colpì forte sulla pancia. “Che ho detto?”

Justin ridacchiò. “A New York ha una fila lunga chilometri, e non solo di uomini.”

Emmett si voltò incuriosito verso di lui. “Vanessa è lesbica?”

Il ragazzo si strinse nelle spalle. “Non che io sappia, ma è una che non si pone tanti problemi. Se le piaci, sei nei guai fino al collo, uomo o donna che sia.”

“Ancora una volta, noi donne dimostriamo di essere più forti.” Notò Mel, facendo sorridere le donne presenti.

“E ti stupisci, tesoro?” Debbie rincarò la dose. “Dopotutto siamo noi quelle che sopportano ore di travaglio per mettere al mondo questi qui.” E indicò gli uomini sparsi per la stanza.

“Bè, non è mica colpa nostra se noi non siamo… predisposti.” Osservò Ted risentito.

Linz scosse il capo mentre Debbie ribatteva, e si alzò avvicinandosi alla porta e uscendo sul portico.

“Ehi.”

Brian le sorrise. “Ehi.” Le fece posto sul divanetto di vimini. “Demarchelier ha finito col servizio fotografico?”

La donna rise scuotendo il capo. “Mi dispiace per te, ma credo abbia appena iniziato il numero di questo mese.”

Brian espirò piano, formando dei perfetti anelli di fumo. “Grazie per avermi lasciato Gus, oggi.” Disse, dopo qualche minuto di silenzio.

Linz posò la testa sulla sua spalla. “Gus ama stare con te ed io non ti impedirei mai di stare con tuo figlio, lo sai.”

Brian annuì piano. “Come faccia ad essere così equilibrato rimane un mistero.” Ridacchiò piano. “Con i nostri geni, è un vero miracolo.”

“Me lo chiedo anch’io. Dovresti sentire la sua insegnante, per lei Gus è una specie di genietto.”

“A quanto pare, non facciamo poi così schifo come genitori.”

“Ehi!” Linz lo colpì al braccio. “Parla per te! Io sono una madre esemplare!” Brian scoppiò a ridere, gettando la sigaretta nel posacenere. “Brian Kinney, smettila di ridere!”

L’uomo si sforzò di tornare serio. “Mi ha detto che la nanerottola gli rende la vita impossibile.”

“Brian, Gus ama Jenny con tutto il cuore, solo che non gli piace ammetterlo.” Gli lanciò un’occhiata di sbieco. “Mi ricorda qualcuno di mia conoscenza.”

“Touché, Wendy.”

Linz sospirò piano e gli prese la mano. “Mi manchi tanto, Peter.”

“Lo so, anche voi mi mancate.” Allungò le gambe davanti a sé e circondò le spalle della sua amica con un braccio. “Potrei venire a trovarvi prima dell’estate, che ne dici?”

“Che sarebbe fantastico, ma non dirlo a Gus o inizierà a preparare la camera per te appena torniamo a Toronto.”

“Stronzate, io dormo in albergo, non voglio che Mel abbia l’occasione di uccidermi nel sonno.”

Lindsay soffocò una risata contro la sua spalla. Era possibile che dovessero affrontare quella discussione ogni dannata volta? Tanto alla fine, Brian avrebbe dormito da loro, così da poter approfittare di ogni momento libero per stare con suo figlio e anche con Jenny Rebecca, che lo adorava più di tutti gli altri zii messi insieme.

“Dovresti portare anche Justin.” Suggerì la donna con un sorriso. “A noi farebbe piacere.”

“Adesso non iniziare. È già difficile convincere lui, non mi serve il tuo zampino a complicare le cose.”

Linz si staccò da lui e lo fissò, curiosa. “Mi sembra che le cose vadano alla grande tra voi.”

“Infatti.” Brian reclinò la testa all’indietro, poggiandola contro il muro. “Ma devo comunque escogitare un piano per rimandarlo a New York dato che lui non sembra averne intenzione.”

“Brian.” La donna si voltò verso di lui con sguardo serio. “Forse non te ne sei accorto, ma Justin è un adulto e può decidere da solo. Non ha bisogno di te per comprare uno stupido biglietto aereo.”

“Disse la donna responsabile della sua fuga nella Grande Mela.” Ribatté Brian seccato. Vide la sua amica aprire la bocca per replicare, prima che questa abbassasse lo sguardo a terra, dispiaciuta. “Linz, sei stata tu a farmi leggere quella dannata recensione…”

“Perché sapevo che era la cosa giusta da fare, per lui e per i suoi sogni.”

“E allora che cosa è cambiato adesso?” Brian mantenne gli occhi fissi sulla villetta dall’altra parte della strada. “Cristo Santo, sai benissimo che potrebbe conquistare il mondo col suo talento e io non gli permetterò di mandare tutto a puttane.”

“So quanta fiducia hai in lui e questo ti fa onore, ma è una scelta che dovete prendere insieme, non puoi decidere per entrambi.”

Brian emise un verso scettico. “Come ha fatto Mel quando ha deciso per tutta la famiglia di scappare a Toronto?” Sibilò velenoso. “E tu, Gus e Jenny vi siete dovuti adattare senza possibilità di replica?”

Linz lo fissò ferita. “Adesso sei ingiusto, Brian. Il trasferimento a Toronto è stata una decisione presa insieme e avevo l’impressione che tu e Michael foste d’accordo.”

“E che avrei potuto fare in caso contrario? Chiedere l’affidamento di Gus? Dopo aver rinunciato ai miei diritti genitoriali?”

“Brian, tu sei e sarai sempre il padre biologico di Gus, nessuno hai mai cercato di negarlo.” Linz alzò la mano per sfiorargli il braccio, ma ci ripensò, tornando a posarla sul suo grembo. “E il nostro trasloco a Toronto è stato fatto solo per Gus e Jenny, per il loro bene, per far sì che fossero al sicuro.”

Brian si alzò di scatto, allontanandosi da lei. “Lontano dalla loro famiglia?” Domandò caustico posando le mani sulla ringhiera in legno. Udì la sua amica trattenere il respiro.

Non aveva idea del perché avesse tirato fuori l’argomento. Quella doveva essere una bella serata, una serata di divertimento passata con gli amici e la famiglia, una bella serata che avrebbe concluso un’altrettanto bella giornata, passata con suo figlio.

Peccato che poi si fosse ricordato il vero motivo di quella cena, il perché si trovassero tutti lì, allegramente riuniti.

Le ragazze stavano per andarsene. Tornavano a casa, alla loro vita, ai loro impegni, alle loro abitudini, e con loro Gus e Jenny.

Mentre a lui non restava che rimanere a Pittsburgh. Da solo. Di nuovo.

E non importava il fatto che Linz lo invitasse spesso da loro, che si divertisse a passare i weekend a giocare a calcio con Gus e che non lo annoiasse più così tanto dover portare Jenny Rebecca alle partite di suo fratello.

Non importava perché per lui ormai non era abbastanza.

Lui voleva passare più di qualche settimana l’anno con suo figlio, voleva ascoltare di persona i resoconti delle sue giornate e non attraverso uno stupido telefono, voleva trascorrere i weekend con lui al centro commerciale proprio come quel pomeriggio e voleva vederlo tutte le domeniche quando Debbie li costringeva a pranzare da lei. Di sicuro quei cazzo di noiosissimi pranzi sarebbero stati molto più sopportabili con Gus.

Ma tutto ciò non era possibile.

Gus stava per andarsene, Linz stava per andarsene, Justin stava per andarsene.

Tutto il mondo sembrava andarsene da Pittsburgh e da lui e la cosa non gli dava pace. Odiava sentirsi in quel modo, come se dipendesse sempre da qualcun altro, come se la sua vita e le sue decisioni fossero soltanto una serie di cazzate senza fine.

Lui che di Nessuna scusa, nessuna giustificazione, nessun rimpianto aveva fatto la sua filosofia di vita.

Si sfregò stancamente gli occhi e sospirò.

Cristo Santo, da quando era diventato così riflessivo? La dannata vecchiaia lo stava rovinando.

“Brian, si può sapere che hai?” Chiese Lindsay con tono risentito. “Capisco che tu sia triste per la parten…”

“Lindsay.” La testolina bionda di Lane fece capolino dalla porta. Aggrottò la fronte, spostando lo sguardo dalla donna, ancora seduta sulla panca di vimini, a Brian, in piedi, con la schiena rivolta verso di lei. “Ho… interrotto qualcosa?” Domandò imbarazzata.

Linz le sorrise rassicurante. “No, tesoro, non preoccuparti. Hai bisogno di qualcosa?”

Lane annuì. “Debbie chiede se puoi raggiungerla in cucina.”

Brian rimase immobile e non si voltò neppure quando sentì la sua migliore amica alzarsi e seguire Lane in casa. Strinse il corrimano di legno e serrò con forza la mascella. Quando si fu calmato, varcò di nuovo la soglia di casa.

Il salotto era quasi deserto, fatta eccezione per Ted, Michael ed Emmett riuniti sui divani. Sentì tutti gli altri darsi da fare in cucina. “Ehi.” Borbottò, crollando a sedere accanto a Ted. Spostò lo sguardo sull’espressione mesta di Michael. “Che succede?”

Emmett strinse forte la mano del suo amico. “Michael ha rivisto quell’uomo.” Brian aggrottò la fronte. “Quello con cui Ben si è incontrato al parco! Cristo Santo, ma ci ascolti quando parliamo?”

Brian roteò gli occhi. “Cerco di evitarlo quando posso. Dove?”

Michael sospirò. “Al campus. L’ho incrociato quando sono andato a prendere Hunter.”

“E che gli hai detto?”

Emmett e Ted lo fulminarono con un’occhiataccia. “Niente!” Esclamò Michael indignato. “Che cazzo avrei dovuto dirgli?”

Brian finse di pensarci su. “Qualcosa tipo: ‘Sei per caso tu quello che si scopa mio marito?’.”

“Brian!” Lo rimproverarono all’unisono i tre uomini.

Emmett gli colpì la spalla con un schiaffetto. “Fai davvero schifo quando dai consigli.”

Brian lo ignorò. “Quindi hai parlato con Ben?” Michael scosse il capo. “E allora che cazzo hai fatto?”

“Ma che dovrei fare, secondo te? Sbattere Ben contro un muro e chiedergli se ha un altro?”

“Mi sembra che avessimo già avuto questa discussione.” Osservò Brian, scivolando più comodamente contro i cuscini del divano.

Michael sospirò. “Lasciamo perdere. Non ne voglio parlare.”

Brian alzò gli occhi al cielo, ma non disse nulla. L’attenzione fu attirata dal cellulare di Ted. “Che succede?” Chiese Emmett, quando vide il suo amico rattristarsi.

Ted si strinse nella spalle. “Blake non ce la farà.”

Brian, Michael ed Emmett si scambiarono un’occhiata, ma fu di nuovo Emmett a parlare. “Problemi al centro?”

“No, solo una riunione da cui non è riuscito a sganciarsi.”

“Di San Francisco si sa nulla?” Domandò Michael.

“Non ha ancora deciso.” Ted si appoggiò contro i cuscini. “Lui dice di non voler andare, ma so che sarebbe la cosa giusta per lui e la sua carriera.”

“Dolcezza.” Emmett gli accarezzò il braccio. “Non puoi decidere per lui.”

Ted gli sorrise. “Lo so, Em.” Prese il suo bicchiere di ginger ale e lo sorseggiò. “E poi può ancora cambiare idea.”

“Tu invece?” Michael riportò lo sguardo su Emmett. “Novità da raccontare?” Emmett lo fissò confuso. “Dai, Em, noi ci siamo confidati. Io ho parlato dei miei problemi con Ben, Ted di Blake e del centro…”

“Brian non l’ha fatto.” Osservò, vedendo sbuffare annoiato il suo amico.

Michael sorrise. “Ma Brian non lo fa mai.”

“Questo perché non ho niente da dire, soprattutto a delle pettegole signore di mezza età che si scambiano gossip nemmeno fossero dal parrucchiere.”

Ted, Michael ed Emmett si scambiarono un’occhiata paziente, decidendo di ignorare lui e i suoi commenti al vetriolo. “Io sto bene. Il lavoro va alla grande e forse dovrò aiutare Molly con il suo ballo scolastico.”

“Che emozione…” Borbottò Brian sarcastico.

“Eccoci!” Debbie rientrò in salotto con un enorme vassoio tra le mani. “Forza, tutti a tavola!”

Hunter e Lane riapparvero dalla cima delle scale, seguiti da Gus e Jenny. “Meno male, stavo morendo di fame.” Confessò il ragazzo.

Presero tutti posto e Brian, avvicinandosi al tavolo, sorrise quando notò suo figlio lasciare il suo posto abituale per sedersi alla sinistra di Justin, lasciando per suo padre il posto a destra. Justin gli accarezzò i capelli con affetto.

Mel, seduta di fronte a Brian, intercettò lo sguardo mesto che comparve sul viso di sua moglie quando Gus si allungò oltre Justin per baciare la guancia di suo padre con un sorriso.

Ben si alzò in piedi con il bicchiere in mano. “Solo due parole.” Guardò le sue amiche e sorrise. “Volevamo solo ringraziarvi per questa splendida cena e vi auguriamo un buon ritorno a casa, sperando solo che torniate presto a trovarci.”

Michael imitò suo marito. “Grazie davvero, ragazze, e sappiate che qui sarete sempre le benvenute.”

Mel e Linz sorrisero commosse. “Grazie davvero.” Mel spostò lo sguardo sulla tavola. “Grazie a tutti.”

Debbie batté le mani rumorosamente. “Bene, adesso mangiamo però! Non voglio che i miei bambini vengano affamati oltre.”

La stanza venne di nuovo inondata dalle chiacchiere dei presenti, mentre i piatti iniziavano a riempirsi.

“No, non lo voglio quello!” Si lagnò Gus quando sua madre gli servì gli spinaci. “Non mi piacciono, mamma!”

“Gus.” Linz lo guardò male e passò gli spinaci a Carl cosicché riempisse il piatto di Jenny, entusiasta quanto suo fratello.

Gus mise il broncio, incrociando le braccia al petto. “Uffa…” Borbottò sottovoce.

Justin si chinò verso di lui. “Facciamo così.” Avvicinò il suo piatto pieno di patate al forno a quello del bambino e gli sorrise. “Prendi un po’ di spinaci e un po’ di patate e li mangi insieme, così il sapore non si sente.” Inforcò le due pietanze assieme e porse la posata al bambino. “Prova.”

Gus arricciò il naso, ancora poco convinto, ma si decise quando vide suo padre voltarsi verso di lui con un mezzo sorriso. Aprì la bocca e serrò gli occhi, masticando cautamente. Dopo aver inghiottito, si leccò le labbra e guardò Justin con espressione incredula. “Non si sente.” Confermò sorpreso.

Justin alzò le spalle. “Che ti avevo detto?” Gli pizzicò una guancia. “È un trucchetto che mi ha insegnato mio padre.”

Gus aggrottò la fronte non afferrando il perché dell’espressione improvvisamente triste di Justin quindi si limitò a protendersi verso di lui per baciargli una guancia, prima di voltarsi risoluto verso il suo piatto di spinaci.

Sotto il tavolo, la mano di Brian accarezzò il ginocchio di Justin.

 

 

 

 

 

Due ore più tardi, con i piatti finalmente vuoti e le pance visibilmente piene, tutti i presenti salutarono Lane. Debbie le preparò un contenitore con tutti gli avanzi e si raccomandò per dieci minuti buoni che li mangiasse tutti, dato che ultimamente era dimagrita troppo.

“Grazie davvero, Michael.” La ragazza abbracciò l’uomo che la strinse affettuosamente. “E mi dispiace di aver disturbato.”

“Ma quale disturbo.” Ben le accarezzò una spalla. “Sei sempre la benvenuta, lo sai.”

“Ci vediamo alla prossima cena di famiglia. E ringrazia tua madre per averti permesso di venire.”

Lane si sforzò di sorridere e annuì appena. “Adesso probabilmente sarà già…” Si morse nervosamente un labbro, abbassando lo sguardo “… sarà già a letto, ma domani lo farò.”

Debbie le diede un ultimo, soffocante abbraccio prima che la ragazza salutasse gli altri invitati e se ne andasse seguita da Hunter.

Ben e Michael si scambiarono uno sguardo dispiaciuto prima di raggiungere gli altri, ancora seduti a tavola davanti al dolce.

“Povero tesoro…” Sussurrò Debbie quando i due ripresero posto.

Mel lanciò un’occhiata a Gus e Jenny seduti sul divano a guardare la tv. “Che cos’ha?”

Debbie sbuffò nervosa, prima di riempire di nuovo il piatto di Justin che, davanti al suo sguardo minaccioso, ebbe paura di contraddirla.

Ben rispose per lei. “Lane vive una situazione familiare non proprio idilliaca.”

“Idilliaca un cazzo!” Borbottò Debbie. “Dovrebbero impedire a certe persone di diventare genitori.”

Brian alzò il bicchiere verso di lei. “Amen, Deb.” Sentenziò solenne prima di scolarsi il suo Jim Beam.

“Precisamente.” Ribatté la donna. “Mi sembra di essere tornata indietro di vent’anni, solo che adesso al posto tuo, c’è Lane.”

“Casa Novotny: rifugio per poveri adolescenti maltrattati.” Sentenziò Brian solenne. “Quanti ricordi.”

Justin inghiottì l’ultimo boccone, sfiorando il braccio del suo fidanzato. “Che c’è che non va da Lane?”

Michael sospirò afflitto. “Sua madre è una stronza egoista che se ne frega di lei.”

“È un’alcolizzata.” Spiegò Ben, posando una mano sulla spalla di suo marito. “Sebbene la bottiglia sia l’ultimo dei suoi problemi. È sempre troppo impegnata col fidanzato di turno per preoccuparsi della splendida ragazza che ha come figlia.”

“Hunter ci ha raccontato che il più delle volte tocca a Lane raccogliere ciò che resta di sua madre dal pavimento e cercare di farle smaltire la sbornia.”

“Questo ovviamente quando non invita estranei a dormire in casa sua.”

Linz strabuzzò gli occhi. “Suo padre dov’è?”

“Mi ha detto che è un professore e che insegna a Yale.” Rispose Justin, la bocca ancora piena di dolce alla crema.

Michael annuì. “Da quello che sappiamo, ha lasciato sua madre quando Lane era una ragazzina e non si sa come Fanny è riuscita ad averne la custodia.”

“E non si è mai preoccupato di sua figlia?” Emmett era a dir poco attonito. “Se lei è una madre così pessima, lui non poteva non saperlo.”

Ben si strinse nelle spalle. “Come abbiamo detto, non sappiamo tutta la storia e non abbiamo mai chiesto nulla a Lane per non imbarazzarla. L’unica cosa che conta è che lei è la benvenuta in questa casa ad ogni ora del giorno e della notte e lei lo sa.”

“Ben detto, tesoro.” Debbie guardò fiera suo genero. “Ciò non toglie che comunque avrei voglia di torcere il collo a quella cazzo di madre snaturata.”

“Forse non lo sai, Deb…” Brian le lanciò un’occhiata divertita “… ma non puoi raddrizzare i mali del mondo.”

“Ovviamente.” Lo rimbeccò la donna. “Se non sono riuscita a raddrizzare quella tua testaccia dura…”

“Buona fortuna…” Borbottò Justin a mezza bocca, beccandosi un pizzicotto sulla coscia. Si voltò con un sorriso verso Brian e gli sfiorò la guancia con la punta del naso.

Quel piccolo scambio di tenerezze fece sorridere tutti i presenti.

“L’unica cosa che quell’uomo fa di buono è pagarle l’università.” Michael riportò il discorso su Lane. “Che stronzo.”

“È già qualcosa.” Osservò Ted. “Se non altro così avrà l’opportunità di lasciare quella casa.”

Mel sbuffò scettica. “Se volete la mia opinione…”

“No, non la vogliamo…” Bofonchiò Brian contro il suo bicchiere, facendo ridacchiare Justin ed Emmett seduti accanto a lui.

“… avrebbe già dovuto andarsene da un pezzo.”

“E lasciare sua madre con la consapevolezza che non vivrebbe una settimana senza di lei?” Le fece notare Ben, scuotendo la testa. “No, Lane non lo farebbe mai.”

Brian si strinse nelle spalle. “Non può rinunciare alla sua vita perché ha dei genitori egoisti che se ne fregano di lei. Deve andare avanti e fregarsene, solo così potrà sopravvivere.”

Debbie annuì. “Per una volta, sono d’accordo con Brian. Tra l’altro è anche maggiorenne e nessuno le rinfaccerebbe nulla se lo facesse.”

“È pur sempre sua madre, Deb.” Justin abbozzò un sorriso. “Non può svegliarsi una mattina e decidere che può farne a meno.”

Quell’ultima affermazione fece scendere il silenzio sulla tavola, dato che tutti i presenti erano consci della difficoltà che Justin aveva dovuto provare pronunciando una frase del genere.

“Ok.” Emmett si schiarì la gola, versandosi dell’acqua. “Come siamo finiti dal parlare di arrosto e crostata al limone al rimuginare sulle nostre schifose famiglie?”

Justin gli lanciò un’occhiata di sbieco. “Non ne ho idea, ma direi di tornare alla crostata.”

“Ottima idea.” Debbie si sporse verso le ragazze. “Quindi, stavo dicendo che, se vi interessa la ricetta, posso sempre darvela.”

“No, invece!” Gridò la vocina di Jenny Rebecca dal salotto. “Ridammelo!”

Gus spinse sua sorella per terra. “Decido io! Sono il più grande, e il più grande comanda!”

“Ehi!” Li richiamò Michael, alzandosi e avviandosi verso di loro. “Che succede?”

Gli altri uomini li seguirono, mentre Linz e Mel si limitarono a scambiarsi un’occhiata rassegnata, approfittando della loro ultima serata di riposo come genitori a tempo pieno.

Jenny pizzicò la mano di Gus che lasciò cadere il telecomando a terra. “Jenny…” La richiamò Ben deciso.

“Ha iniziato lui!” Si difese la bambina.

Emmett ridacchiò. “Accidenti, la piccola graffia…”

“Adorabile, vero?” Sbuffo Brian, raggiungendo suo figlio e controllando i danni fatti dalla figlia di Satana. “Tutto bene, Gus?”

Il bambino annuì indifferente. “Jenny è una mollacciona, non riesce a farmi male neanche se si impegna.” Sua sorella gli fece una linguaccia.

“Io direi che è ora di andare a nanna, che dite?” S’intromise Michael, scatenando proteste da entrambi i bambini.

“Papà ha ragione.” Linz li raggiunse. “Forza, tutti a letto.”

Gus la guardò con gli occhi improvvisamente pieni di lacrime. “Ma mamma…” Tirò su col naso pronto a liberare i rubinetti. “Io voglio stare ancora un po’ con papà.”

“Anche io.” Lo assecondò sua sorella, sfregandosi gli occhi.

Linz scosse la testa con un sorriso. “Allora ho un’idea.” Si inginocchiò accanto ai bambini. “Che ne direste se venisse papà Brian a rimboccarvi le coperte?” Lanciò un’occhiata mesta al suo migliore amico e abbozzò un sorriso.

Mi dispiace davvero, Peter…Per tutto…

“Sìììììììììì!” Gus corse da sua padre, gettandosi tra le sue braccia.

Linz guardò Ben e Michael. “È un problema se ci pensa lui stasera?” I due uomini sorrisero, scuotendo la testa. “E magari Jenny che è così gelosa del nuovo amichetto di Gus…” Rivolse uno sguardo implorante a Justin “… potrebbe farsi leggere una bella storia solo per lei.”

La bambina sorrise a sua madre prima di voltarsi esitante verso il ragazzo. Justin rise e annuì allegro. “Mi piacerebbe molto, Jenny.” Jenny imitò suo fratello e si fiondò tra le sue braccia, baciandogli la guancia con un sonoro schiocco.

“Bene, allora.” Brian si caricò suo figlio in spalla, facendolo scoppiare a ridere. “Da’ la buonanotte a tutti e poi a letto.”

Gus e Jenny salutarono rapidamente tutti i presenti e tornarono da loro a tempo di record. Brian prese di nuovo in braccio suo figlio e si avviò verso le scale, seguito da Justin già completamente assorbito dalle inarrestabili chiacchiere di Jenny Rebecca.

Linz li raggiunse prima che salissero il primo gradino. “I pigiami sono nel primo cassetto.”

Brian si sporse verso di lei e la baciò teneramente sulle labbra. “Grazie, Wendy.”

Dispiace anche a me…

Justin, dietro di lui, sorrise, mentre Jenny prendeva a spingere suo zio con una manina grassoccia. “Dai, zio Bri, io e Justin dobbiamo leggere una storia!”

Brian alzò gli occhi al cielo. “Ehi, gambette tozze, non spingere.”

Linz e Michael scossero il capo mentre i quattro sparivano su per le scale.

“Allora, qual è la tua stanza, Gus?” Il bambino indicò la seconda porta a sinistra. “Io e Jenny dobbiamo dormire insieme perché non c’è abbastanza spazio.” Borbottò scocciato.

Brian e Justin si scambiarono un’occhiata divertita da sopra la testa scura di Jenny Rebecca. “La prossima volta, potresti stare con me.”

“Davvero?” Gli occhi nocciola del bambino si illuminarono. “Io, tu e Justin?” Vide suo padre aprire la bocca incerto e aggrottò la fronte. “Papà?”

“Vedremo.” Svicolò l’uomo in evidente difficoltà.

Il bambino parve prenderla per buona. “Ok.”

Raggiunsero finalmente la stanza e Jenny schizzò sul suo letto, iniziando a saltellare. “Ah, ma allora è un vizio di famiglia…” Osservò Justin lanciando una finta occhiata di rimprovero a Gus che scoppiò a ridere.

Brian scosse la testa con un sorriso, tirando fuori i pigiami dei bambini. Dieci minuti e parecchi saltelli dopo, Gus e Jenny furono finalmente sotto le coperte. Alla più piccola bastarono appena due pagine de “La Sirenetta” per crollare esausta contro la spalla di Justin. Gus, al contrario, non sembrava affatto intenzionato a collaborare, e rimase tutto il tempo a confabulare sottovoce con suo padre, seduto accanto a lui.

Quando Brian vide il suo fidanzato muoversi per districarsi da Jenny, gli sorrise facendogli cenno di unirsi a loro. Il sorriso di Gus arrivò da un orecchio all’altro quando Justin si accomodò di fronte a lui. Spostò lo sguardo da suo padre al suo nuovo, fantastico amico, prima di riportarlo di nuovo su Brian che stava ancora fissando Justin.

Socchiuse gli occhi in uno sforzo di concentrazione cercando di capire cosa si stessero dicendo i due uomini, accorgendosi poi che non stavano affatto parlando; era come se comunicassero solo con gli occhi.

Gus si chiese se suo padre e Justin avevano dei superpoteri per potersi leggere nella mente.

“Papà?”

Brian staccò finalmente gli occhi da Justin. “Mh?”

“Stavo pensando una cosa.” Gus si leccò le labbra e lo guardò con espressione decisa. “Jenny ha due mamme, mamma Mel e mamma Linz e ha anche due papà, zio Michael e zio Ben.” Brian annuì incitandolo a continuare. “Visto che io ho già due mamme, posso avere anche un altro papà? Justin può essere il mio altro papà?”

Justin sollevò le sopracciglia sorpreso. “Gus…”

“Certo, campione.” Lo interruppe Brian, rivolgendo al suo fidanzato un mezzo sorriso. “Ma se tu vuoi che Justin sia il tuo secondo papà, devi chiederlo a lui, non a me.”

Gus corrugò la fronte, riflettendoci su. “È giusto, è come quando voglio prendere le matite di Jenny e devo chiederle prima il permesso.”

Brian scoppiò a ridere, accarezzandogli i capelli. “Sì, più o meno.”

“Ok.” Il bambino scostò le coperte e si avvicinò gattonando a Justin; posò le ginocchia sulle gambe del ragazzo e gli circondò il collo con le braccia. “Justin, vuoi essere il mio papà insieme a papà?” Aggrottò la fronte pensieroso e si voltò verso Brian. “Però adesso devo chiamarti papà Brian, sennò mi confondo a dire solo papà.”

Brian rise di nuovo, sfiorandogli una guancia, mentre Justin, ancora senza parole, si ritrovò a spostare lo sguardo da padre a figlio, chiedendosi come sarebbe riuscito a salutare quel meraviglioso bambino la mattina seguente.

“Justin?” Gus gli rivolse uno sguardo preoccupato, notando la sua esitazione. “Non vuoi essere il mio papà?”

Gli occhi pieni di lacrime di quel bambino che aveva amato dal giorno in cui era nato lo riscossero bruscamente dal suo torpore. “Certo che sì.” Abbracciò di slancio il bambino e gli baciò i capelli morbidi. “Certo che voglio essere il tuo papà.” Si separò da lui e gli sorrise con gli occhi lucidi. “Non potrei desiderare un figlio migliore di te.”

Gus gli baciò la punta del naso prima di voltarsi verso Brian. “Hai sentito, papà? Anche Justin vuole essere il mio papà.”

Brian sollevò un angolo della bocca e annuì. “Ho sentito, Gus.” La mano scivolò dicreta ad accarezzare la schiena di Justin. “Ora però è ora di andare a letto, altrimenti domani non riuscirai ad alzarti.”

Gus annuì e tornò sotto le coperte. “Domani venite all’ aeroporto con noi?” Gli chiese speranzoso.

“Certo che veniamo.” Gli assicurò Justin, prima che Brian potesse rispondere.

Il bambino parve soddisfatto e si sdraiò, sbadigliando sonoramente. “Ci vediamo domani. Buonanotte.”

I due uomini si alzarono dal letto. “Notte, Gus.” Brian si chinò a baciargli la fronte.

“Notte, papà Justin.” Mormorò Gus, già mezzo addormentato.

Justin si morse un labbro e sistemò meglio il copriletto azzurro. “Notte, piccolo.”

Brian gli prese la mano e lo tirò verso la porta; spense la lampada sul comodino e lasciò la porta socchiusa, imboccando il corridoio.

“Beh? Come mai questo silenzio?” Punzecchiò il suo fidanzato con un sorrisetto, una volta raggiunto il pianerottolo delle scale. “Il gatto ti ha mangiato la lingua?”

Justin si bloccò a metà strada e, senza preavviso, sbatté Brian contro il muro e si avventò ferocemente sulle sue labbra. L’uomo gli posò una mano sul petto e sentì il suo cuore battere così forte che ebbe paura che stesse per venirgli un infarto.

La mano libera si strinse contro la sua nuca e lo attirò di più a sé, divorandolo con la stessa intensità.

Quando Justin si staccò finalmente da lui, posò la fronte contro il suo collo. “Voi Kinney un giorno mi ucciderete.” Borbottò, sentendo il suo fidanzato soffocare una risata.

 

 

 

 

 

Lane scoppiò a ridere quando si accorse dell’occhiata velenosa che Hunter rivolse alla finestra della sua vicina, intenta a spiarli da dietro le disgustose tendine a fiori. “Tutto ok?” Gli chiese avvicinandosi al vialetto di casa.

Il ragazzo grugnì. “Giuro che prima o poi darò fuoco alle rose di quella dannata pettegola.”

“Lasciala perdere.” Lane abbozzò un sorriso nella sua direzione e ridacchiò. “Probabilmente starà già chiamando il reverendo per dirgli che ho portato di nuovo a casa il mio ragazzo e che, da peccatrice quale sono, brucerò all’inferno insieme a tutte le sgualdrine come me. Forse dovresti lasciarmi perdere…” Sussurrò con tono cospiratorio, aprendo il cancelletto del giardino. “Potrei traviare anche te.”

Hunter le sorrise, dandole un colpetto sulla spalla con la propria. “Tranquilla, Laney, io sono già un’anima condannata. Ti ricordo che vivo con due froci pervertiti.”

Lane scosse il capo con espressione disgustata. “Gente del genere dovrebbe solo sparire dalla faccia della Terra.”

“È incredibile scoprire che esistano ancora persone così bigotte.”

“A proposito di incredibili scoperte…” Lane frugò nella borsa in cerca delle chiavi di casa. “Non posso credere che Justin abbia incastrato quel gran figo di Brian quando aveva solo diciassette anni. Non che lui sia da meno in quanto a bellezza.” Estrasse finalmente le chiavi. “Sarebbero il sogno erotico di ogni donna etero.”

Hunter le lanciò un’occhiata di sbieco e sorrise sornione. “Senti senti… Non mi dire che la piccola Laney ha fatto pensieri indecenti sul vecchio amico di mio padre e sul suo…” Aggrottò la fronte, pensandoci su “… qualunque cosa sia Justin.”

Lane aprì finalmente la porta, entrando nell’ingresso illuminato. “Certo che li ho fatti! E non mi dire che a te non è mai capitato!”

“Ovviamente no.” Hunter arrossì sotto lo sguardo scettico della sua migliore amica. “Almeno non su Justin.”

Lane sorrise, avviandosi verso la cucina. “Ti capisco, sono dannatamente sexy insieme. Solo vederli baciarsi stasera, mi ha quasi causato un orgasmo spontaneo.”

“Potresti farti invitare ad una delle loro seratine di gruppo.” La prese in giro il ragazzo, posando i sacchetti con gli avanzi sul tavolo. “Ho sentito dire che sono molto rinomate.”

“Non farmi venire strane idee o stanotte morirò per autocombustione.” Hunter scoppiò a ridere, aprendo il frigo.

“Che cos’è tutto questo casino?” Abbaiò dal corridoio una sgradevole voce dal pesante accento messicano, prima che un armadio in canottiera e i bicipiti pieni di tatuaggi comparisse davanti a loro. “Volete chiudere quelle cazzo di bocche?”

Hunter sbatté lo sportello del frigo e fissò con aria di sfida l’uomo davanti a lui. “Problemi, Ramon?”

L’uomo incrociò le braccia al petto, contraendo i muscoli. “Sì, il mio problema siete voi, mocciosi, e il vostro dannato casino!”

“Se non ti sta bene il casino, puoi sempre tornartene a casa da tua moglie e dai tuoi mocciosi.” Replicò seria Lane per nulla intimorita. “Raccogli i tuoi stracci e sparisci da qui, noi non ti tratteniamo di sicuro.”

Ramon affilò lo sguardo e mosse un passo verso la ragazza, allungando una mano per afferrarle il polso, ma uno spintone ben assestato di Hunter lo fece desistere, lasciandolo barcollante e incerto per un istante. “Che cazzo credi di fare, ragazzino?” L’uomo si riprese immediatamente e tornò a fronteggiare Hunter. “Posso ridurti ad un mucchietto di…”

“Fallo.” Lo sfidò Hunter, ignorando la mano di Lane che si stringeva attorno al suo avambraccio per trascinarlo lontano da un Ramon incazzato e ubriaco. “Avanti, forza, prendimi a pugni.”

Ramon serrò la mascella. “Brutto figlio di…”

“Ma voglio farti una domanda…”

“James…” Lo richiamò Lane senza lasciargli il braccio.

“Ti ricordi che sono sieropositivo, vero?” Hunter sorrise soddisfatto quando vide l’uomo arretrare, l’arroganza e la prepotenza sparite dal suo volto, immediatamente sostituite da paura e disgusto. “Che cosa farai quando avrai tutto quel sudicio sangue infetto sparso per tutta la stanza?” Ramon arretrò di un passo, finendo di nuovo nell’ingresso minuscolo. “Ecco, bravo, sparisci.” Hunter avanzò di nuovo verso di lui, facendolo indietreggiare fino al muro del salotto. “E se provi ancora a sfiorare Lane, giuro che te la faccio pagare.”

Gli occhi furiosi dell’uomo lo studiarono intensamente per un lungo istante, prima che questi si voltasse e imboccasse le scale che portavano al piano superiore. “Vedi di occuparti di quella fallita di tua madre!” Ruggì sparendo poi dalla loro visuale. Lo sentirono solo sbattere una delle porte al piano superiore così forte da far tremare le pareti.

Hunter attese un altro minuto e, quando fu sicuro che se ne fosse andato, si voltò verso la sua amica che lo fissava con sguardo terrorizzato. “James…” Sussurrò, gettandogli le braccia al collo. “Che ti è venuto in mente? Avrebbe potuto farti a pezzetti!”

“Tranquilla, so come difendermi.”

Lane si staccò da lui e scosse il capo, gli occhi azzurri pieni di lacrime che, Hunter sapeva, non sarebbero mai sgorgate. Conosceva Lane troppo bene ormai ed era certo che non avrebbe mai pianto davanti a lui. Era troppo forte, troppo orgogliosa per mostrare le sue debolezze a lui.

O a chiunque altro… si corresse mentalmente.

“Grazie.” Si limitò a sussurrargli prima di baciargli una guancia.

“Nessun problema.” Lanciò uno sguardo fugace al salotto. “Diamo una mano a tua madre prima che John Cena pensi bene di tornare a degnarci della sua mefistofelica presenza.”

La ragazza annuì precedendolo in salotto. Sospirò rassegnata quando intravide sua madre, bottiglia di scotch ancora in mano e rossetto sbavato, stesa per terra proprio ai piedi del divano. “Cazzo, Fanny…” Borbottò tra i denti.

Hunter si chinò accanto a lei e la prese in braccio senza troppe difficoltà, passandole una mano dietro le spalle e l’altra sotto le ginocchia. La donna mormorò qualcosa, persa nei suoi deliri.

“Sono qui, mamma…” Le sussurrò dolcemente Lane scostandole i capelli da un lato.

“P… Penny Lane?”

Hunter vide la sua amica sorridere brevemente alla donna. “Sì, sono io. Sta tranquilla, adesso io e Hunter ti portiamo in camera, ok?” Fanny Clarke annuì solamente prima di crollare di nuovo in uno stato d’incoscienza.

In silenzio, i due ragazzi salirono al piano superiore e Hunter seguì Lane nell’ultima stanza sulla destra; la sua amica scostò le coperte e lo aiutò a far sdraiare la donna. Le versò un bicchiere d’acqua, prendendo la bottiglietta sul comodino e la coprì col piumone rosa confetto. “Notte, Fanny.” Mormorò baciandole la fronte.

Lasciarono la stanza senza dire una parola, avvolti soltanto dalla semioscurità del corridoio e da un assordante silenzio che pulsava nella testa di Lane; esausta, raggiunse finalmente la sua camera, gettandosi a peso morto sul letto senza neppure sfilarsi le Converse scolorite. Hunter varcò la soglia, trovandola già seminascosta sotto i cuscini. Sorrise, chiudendosi la porta alle spalle. “Ti ho detto mille volte che devi chiuderti dentro quando Ramon è nei paraggi.” Diede due giri di chiave per essere sicuro. “Non mi piace saperti in casa con quel tossico ubriacone in giro.” Si buttò sul letto accanto a lei.

Lane alzò appena il capo e gli sorrise. “Meno male che ci sei tu a proteggermi.” Si sollevò sui gomiti e gli sfiorò la guancia con la punta del naso. “Il mio eroe, altro che Rage.”

Hunter si sfilò le scarpe e la felpa pesante, rimanendo in maglietta; le passò un braccio attorno alla vita e le fece posare la testa sul suo petto. “Se fossi un eroe, sarebbe già tre metri sotto terra, lo stronzo.” Replicò gelido.

Lane si strinse di più a lui, tirando su col naso. “Non riesco a capire come faccia mia madre a…”

“Non ci pensare.” Hunter affondò la mano nei suoi capelli biondi. “Mandali a fare in culo e non ci pensare.”

Sentì Lane sbuffare stizzita contro la stoffa della sua maglietta. “Penny Lane… Penny Lane un cazzo, Fanny!”

“Le è sempre piaciuta quella dannata canzone.” Osservò Hunter con un mezzo sorriso.

“Io la odio quella dannata canzone.”

“Solo perché piaceva a tuo padre.”

Lane scosse le spalle. “Chi diavolo chiama le proprie figlie Penny Lane, Lucy e Michelle in onore dei Beatles?”

“Mmm… uno sfegatato fan dei Beatles?” Suggerì Hunter.

La ragazza sbuffò. “Rimane comunque un idiota.”

“Dovresti chiamarlo.”

“Per dirgli cosa?”

“Che con Fanny è sempre peggio. Potrebbe aiutarti.”

“No.” Fece Lane con tono deciso. “Se gli importasse qualcosa di me, sarebbe lui a chiamare e non le mie sorelle.”

Hunter roteò gli occhi, lieto che l’oscurità impedisse a Lane di vederlo. “Tanto devi chiamarlo per parlargli di Molly. L’hai promesso a Justin.”

“Parlerò con Michelle, non ho bisogno di lui.”

“Lo so, ma è pur sempre tuo padre e dovrebbe sapere che qui fa tutto schifo.”

“Credimi, ne è pienamente consapevole.” Lane prese a giocherellare con l’orlo della maglietta di Hunter. “Me la caverò da sola, come ho sempre fatto. Senza di lui.”

“Laney, ascoltami.” Hunter le sfiorò una guancia, facendola voltare verso di lui. “So che ti sembra di potercela fare da sola, so che credi di poter fare a meno dell’aiuto di tutti, lo so, ci sono passato, conosco quella sensazione.” Fece una pausa e le accarezzò la guancia col pollice. “Ma non riuscirai mai a risolvere tutto da sola, non senza qualcuno che ti stia vicino. Dopo mia madre, anche io pensavo che sarebbe stato meglio stare solo che in un’altra famiglia schifosa, poi ho incontrato Ben e Michael. Loro mi hanno salvato.”

“Perché tu te lo meritavi.”

Hunter si sollevo a sedere e la fissò con la fronte aggrottata. “È questo il problema? Tu credi di non meritarlo?”

Lane abbozzò un sorriso incerto. “No, non…” Si passò la mano sul volto. “Non lo so cosa credo. L’unica cosa che so per certo è che non ho bisogno di mio padre, ho fatto a meno di lui da quando avevo dodici anni, riuscirò a farne a meno almeno per altri dodici.”

Rassegnato, Hunter si sdraiò di nuovo. “Come vuoi. Sappi comunque che hai sempre una casa in cui rifugiarti se le cose dovessero complicarsi.”

“Lo so, grazie.”

“Non devi ringraziarmi.”

Lane si strinse di più a lui. “E poi è solo questione di tempo.” Sussurrò, sorridendo nel buio.

“Questione di tempo? Che vuoi dire? Progetti di fregare tutti i soldi di tua madre e Ramon e scappare alle isole Cayman?”

Lane sbuffò. “E che dovrei rubare? I loro debiti? No, grazie.” Scosse il capo, prima di indicare la cassettiera di fronte al letto. “Non ti ricordi?”

Hunter seguì il suo sguardo e scoppiò a ridere quando vide il bouquet di Jennifer, leggermente avvizzito, troneggiare sul mobile.

“Entro l’anno troverò il mio principe azzurro che mi sposerà e mi porterà via da qui, lontano da Fanny, da Ramon e dalla mia schifosissima vita.”

“Ah, quindi hai in programma di trasferirti.” Continuò, reggendole il gioco.

“Ovviamente, non posso pretendere che il mio bellissimo, ricchissimo e intelligentissimo marito rimanga qui a fare da balia a mia madre. Viaggeremo un sacco tra le nostre case di New York, Roma e Londra.”

“E io che farò? Mi lascerai qui tutto solo?”

Lane parve rifletterci un attimo. “Certo che no, ti manderò un sacco di cartoline.”

Hunter si staccò da lei e la guardò indignato. “Cartoline? Tutto qui? Non mi merito altro?”

Lane scoppiò a ridere davanti alla sua espressione mortalmente offesa, gettandosi di nuovo contro i cuscini. “A quanto pare dovrò spiegare a mio marito che il mio migliore amico non si accontenterà di semplici cartoline…”

Hunter si sdraiò di nuovo. “Qualche weekend nel attico di Roma potrebbe addolcirmi…”

“Davvero?”

“Certo.”

“Ok, allora.”

“Cedi così facilmente?”

Lane si strinse nelle spalle, fissando il soffitto. “Tutto per il miglior amico del mondo.”

 

 

 

 

 

Brian grugnì contrariato quando i bottoni della sua camicia da trecento dollari saltarono in un solo colpo sotto il tocco impaziente e frenetico di Justin. Riuscì vagamente a rendersi conto dell’ascensore che saliva al piano, troppo distratto dalla lingua di Justin sul suo petto.

A tentoni, sollevò la grata e uscì all’indietro sul pianerottolo, trascinandosi dietro il suo compagno, mentre questo si avventava sul suo collo; con difficoltà, infilò una mano in tasca per prendere le chiavi e sogghignò quando sentì Justin lamentarsi contrariato, dato che Brian gli aveva sfilato la mano dai suoi pantaloni firmati. “Brian, apri questa cazzo di porta…” Mormorò mordendogli il labbro inferiore.

“Se mi lasci trovare le cazzo di chiavi…” Lo canzonò l’uomo.

Justin sorrise e gli circondò il collo con le braccia, addossandosi ancora di più a lui e tornando a baciarlo con passione. “Muoviti, voglio scopare.” Sussurrò contro le sue labbra.

Brian ricambiò il sorriso, riuscendo finalmente ad inserire le chiavi nella toppa e ad aprire la porta del loft; passò un braccio attorno alla vita di Justin, che agganciò prontamente le gambe ai suoi fianchi, prima che richiudesse la porta alle loro spalle e si avventasse di nuovo sulle invitanti e morbide labbra del ragazzo. Mosse un paio di passi verso la camera da letto, mentre entrambi si spogliavano delle giacche, ma Justin posò di nuovo i piedi a terra, bloccando la sua avanzata. Brian inarcò un sopracciglio confuso.

“Troppo lontano…” Si sfilò il maglioncino e la camicia di Brian, tirandolo poi per la cintura verso il salotto; si liberarono delle scarpe e dei calzini lungo il tragitto, rimanendo solo con i pantaloni, e crollarono rovinosamente sul divano di pelle, prima si assalire di nuovo le labbra dell’altro.

“Sei impaziente stasera.” Mormorò Brian con gli occhi socchiusi. Fece scivolare la mano lungo il corpo seminudo di Justin fino ad arrivare al cavallo dei pantaloni. Diede una strizzata ai piani bassi e ghignò soddisfatto quando lo sentì trattenere il respiro. “Impaziente ed eccitato.”

Justin sollevò il capo e lo guardò dall’alto. Posò i gomiti ai lati della testa di Brian e gli sorrise radioso, sfiorandogli il naso col proprio. “Stasera sono diventato papà, lasciami godere il momento…”

“Oh, Sunshine, stanotte godrai molto di più che di un momento…” Lo stuzzicò Brian, premendo la lingua contro la guancia.

Justin scoppiò a ridere. “Sei terribile. Io sto qui a parlare di cose serie e tu…” Scosse la testa con aria offesa che divertì ancora di più Brian.

“Mi conosci, il lupo perde il pelo…”

Justin gli accarezzò il viso e sospirò, incapace di trattenere un sorriso raggiante. “Lo so che è una cosa stupida e che non ha alcuna importanza per Gus, so che mi ha detto quelle cose stasera soprattutto perché voleva anche lui due papà come Jenny e che probabilmente l’avrebbe chiesto a chiunque altro ci fosse stato in quel momento, ma…” Spostò una ciocca di capelli scuri dalla fronte di Brian e si umettò il labbro “… ma sono così felice che l’abbia chiesto a me.”

Brian inclinò il capo e gli baciò delicatamente le dita. “Io non credo l’avrebbe chiesto a chiunque.” Tenne lo sguardo fisso sulle mani di Justin, incapace di incontrare i suoi brillanti occhi azzurri. “Nonostante venga cresciuto da due lesbiche sentimentali, Gus è un Kinney al cento per cento. Non è uno che si affeziona facilmente.”

Cogliendo l’imbarazzo del suo compagno, Justin rimase in silenzio e tornò a poggiare il capo contro il petto di Brian.

“E credimi, non l’ho mai visto così esitante come stasera.” Brian sorrise, pensando all’espressione preoccupata di suo figlio. “Aveva davvero paura che gli dicessi di no.”

“Di no!” Justin sollevò di scatto la testa e guardò Brian come fosse pazzo. “Aspettavo che tuo figlio mi facesse questa domanda dalla notte in cui è nato!”

Brian scosse il capo con un mezzo sorriso. “Alle volte sei davvero patetico…”

“No.” Justin si mise seduto a cavalcioni su di lui. “Quello è Michael.” Disse con un sorriso. Accarezzò lentamente il petto di Brian e si morse un labbro, arrossendo imbarazzato.

Brian lo fissò curioso. “Che c’è?”

Justin scosse la testa. “Niente.”

“Justin, conosco quello sguardo.”

Il ragazzo sbuffò incredulo. “Quale sguardo?”

Brian indicò il suo viso. “Quello che hai quando pensi una cosa molto stupida che ti vergogni di dirmi.”

“Non è vero!” Si difese Justin, colpendogli la spalla.

“Allora dimmi che cosa passa in quella tua operosa testolina bionda.” Immerse le dita nei suoi capelli.

Justin girò il viso e gli baciò il polso. “Credevo che non avresti apprezzato.” La mano di Brian si bloccò mentre l’uomo inarcava confuso un sopracciglio. “Che Gus si affezionasse a me.” Spiegò il ragazzo imbarazzato.

Brian piegò un gomito e si sollevò a sedere. “Visto?” Scosse il capo rassegnato. “Una cosa molto stupida che ti vergogni di dirmi.”

Justin increspò offeso le labbra e incrociò le braccia al petto. “Beh, grazie tante!”

Brian ridacchiò e si sporse per nascondere il viso contro il suo collo. Justin chiuse gli occhi, affondando una mano nei suoi capelli e godendo dei baci umidi del suo compagno.

“Justin, avrei voluto tante cose nella mia vita. Non avere un ubriacone violento e una frigida stronza come genitori…” Justin gli circondò la schiena e lo strinse di più a sé “… lasciare la gloriosa Pittsburgh e andare finalmente a New York, non essere così fottutamente bello ed eccitante…”

Justin sorrise, accarezzandogli la nuca. “Bugiardo…”

“Ok, forse l’ultima non è vera…” Brian si staccò da lui e lo fissò con mezzo ghigno. “Allora che ne dici di 'non lasciarmi abbindolare da un ragazzino petulante col culetto sodo'?” Justin gli pizzicò un fianco con forza. “Ma credimi, tenere lontani te e Gus non è fra queste.” Gli sfiorò le labbra con le proprie. “Non lo è mai stato. Se non sbaglio, ti sei occupato spesso di lui. Con me e senza di me.”

“E mi sono sempre divertito un mondo.” Confessò Justin. “Perché in quei momenti mi sentivo come se appartenessi al tuo mondo.”

“Ed era così.” Brian lo fissò con sguardo serio. “Non avrei lasciato Gus con chiunque. So che lo ami esattamente come me, Linz e Mel. E che faresti di tutto per lui.” Justin annuì. “E non basta questo a renderti suo padre?”

“È diverso, lo sai. Mel potrà non essere la sua madre biologica, ma è come se lo fosse.”

Brian si strinse nelle spalle. “Vero, ma in queste settimane tu ti sei guadagnato il titolo di genitore a tutti gli effetti. Gus ti adora. Dovresti sentirlo quando non ci sei, non fa che parlare di te.”

Justin sgranò gli occhi sorpreso. “Davvero? Non me l’avevi mai detto.”

“Non posso rivelare tutti i miei segreti.”

Justin sogghignò. “Povero me, come farò con tutti questi Kinney pazzamente innamorati di me?” Si posò teatralmente una mano sul petto.

“È proprio per questo che non ti ho detto niente. Tendi a diventare leggermente arrogante.”

Justin scoppiò a ridere. “Tu chiami arrogante me? Questa sì che è bella!”

“Lo sai che sono una persona con un forte senso dell’umorismo.” Piegò le labbra all’interno della bocca. “A dir la verità, sono pieno di pregi.”

“E che ne diresti se io premiassi il mio sexy uomo pieno di pregi?”

Justin vide gli occhi di Brian scurirsi di desiderio, mentre qualcosa ai piani bassi tornò a premere contro il suo interno coscia. “Che sarebbe un’ottima idea. Per stasera abbiamo chiacchierato anche troppo.”

Justin posò una mano sul suo petto e lo spinse di nuovo a sdraiarsi. “Mi dispiace solo che domani alla Kinnetic sarai così stanco da non riuscire nemmeno a gridare insulti al povero Ted.”

“Ma davvero? Sei molto sicuro di te.”

Justin si umettò sensualmente le labbra. “Preparati, signor Kinney, perché stanotte non chiuderai occhio.”

Brian avvertì le mani di Justin farsi strada verso i suoi pantaloni e sbottonarli frettolosamente prima di sollevare i fianchi e rimanere finalmente nudo sotto il corpo di Justin, pronto a godere delle attenzioni che il suo compagno aveva in mente di rivolgergli.

Abbandonò il capo contro i cuscini e sorrise mentre la bocca di Justin scendeva lentamente verso il suo addome, verso il suo ombelico, verso il suo…

S’inarcò eccitato contro di lui e gemette forte.

Cristo Santo, questo ragazzino un giorno mi ucciderà…

Quella si prospettava di sicuro una lunga notte.

E lui si sarebbe goduto ogni fottutissimo istante.

 

 

 

 

 

Linz posò la spazzola sul ripiano del bagno e sospirò, studiando attentamente il suo riflesso allo specchio.

Perché non poteva fare a meno di domandarsi se non avessero fatto un enorme errore?

Perché non riusciva a soffocare le parole di Brian che si ripetevano senza sosta nella sua testa da quando il suo migliore amico le aveva pronunciate sotto il portico?

E soprattutto, perché non riusciva ad ignorarle?

Perché sai che ha ragione… sembrava replicare beffarda la sua immagine riflessa.

“Amore? Non vieni a letto?”

La voce di Mel, forte e chiara nel bagno silenzioso, la fece sobbalzare.

“Eccomi.” Voltò le spalle allo specchio e spense la luce, raggiungendo sua moglie.

“Tutto ok?” Le domandò Mel infilandosi sotto le coperte.

Linz la imitò. “Tutto bene, tesoro.”

Mel si girò da un lato e si puntellò su un gomito, studiando la sua espressione. “Sicura?” Le sorrise appena, sfiorandole una guancia. Linz si protese verso la sua carezza. “È solo…” Chiuse gli occhi, esausta.

Lontano dalla loro famiglia?

Mel aggrottò la fronte preoccupata. “Amore, che c’è?”

“Brian…” Sussurrò Lindsay pianissimo.

“E figuriamoci…” Si lamentò Mel, roteando gli occhi. “Che cosa ha detto stavolta lo stronzo? Che non può venire all’aeroporto domani? Che non sa se riuscirà a raggiungerci a Toronto per passare del tempo con suo figlio?” Scosse la testa contrariata. “Egoista, figlio di…”

“Secondo lui, è stato un errore lasciare Pittsburgh.”

Mel sgranò gli occhi sorpresa, rimanendo a bocca aperta.

Quello davvero non se lo aspettava.

“Ha detto che…” Linz la guardò incerta “… che abbiamo sbagliato a portare via Gus e Jenny.”

“Portare via?”

“Allontanarli dalla loro famiglia.”

Mel sbuffò annoiata. “Noi siamo la loro famiglia.”

“Mel…” Linz posò una mano su quella di sua moglie. “Brian e Michael sono degli ottimi padri, malgrado tutto. Sono presenti, affettuosi…”

“Lo so, Linz, lo so.” Mel abbozzò un sorriso verso di lei. “E mi sembra di averlo riconosciuto in più di un’occasione.”

“Infatti.”

“E allora qual è il problema?”

Linz sospirò piano e si strinse nelle spalle. “E se avesse ragione lui? Se fosse stato un errore?”

“Amore, ne abbiamo già parlato. L’abbiamo fatto per loro.”

“Ma hai visto quanto sono felici i bambini da quando siamo qui? Quando pasticciano in cucina con Debbie? O vanno al parco con Hunter e Lane?”

Mel si sollevò a sedere. “Che stai cercando di dirmi, Linz?”

“Hai mai pensato di tornare a Pittsburgh?”

Sua moglie sgranò gli occhi. “Dici sul serio?”

Linz annuì. “Perché no? Di sicuro sarebbe tutto più facile. Avremmo più tempo per noi e i bambini starebbero con i loro padri.”

“Cristo Santo, Linz!” Mel la fissò come se fosse pazza. “Davvero non riesco a comprendere come Brian riesca a farti il lavaggio del cervello ogni volta!”

“Sente la mancanza di Gus, Mel. Vuole avere suo figlio vicino, è davvero così strano?”

“No, se Brian fosse un genitore normale. Ma non lo è! L’unica cosa che vuole è non rimanere da solo, ora che tu, Michael, Gus e Justin avete dimostrato di poter vivere senza di lui! È rimasto l’egoista che ho conosciuto dieci anni fa! Possibile che non te ne accorga?”

Linz scostò le coperte con fare stizzito e si alzò in piedi. “Adesso sei ingiusta, Mel! Sai quanto Gus sia importante per Brian e sai che non farebbe o direbbe nulla se non fosse sicuro di agire per il bene di suo figlio!”

“Cazzate!” Mel la imitò, alzandosi dal letto. “Brian pensa solo a se stesso, come ha sempre fatto!”

“Sai perché mi sono innamorata di te?” Sbottò all’improvviso Linz, cogliendola di sorpresa.

Mel aggrottò la fronte, confusa dal repentino cambio di argomento. “Cosa?”

“Sai perché mi sono innamorata di te?” Ripeté Lindsay con tono deciso, raddrizzando le spalle.

“E questo che c’entra?”

Linz ignorò la sua domanda. “Mi sono innamorata di te perché non avevi paura, perché eri coraggiosa e intrepida.” Mel notò che il suo tono di voce si era addolcito e non poté fare a meno di abbozzare un sorriso verso di lei. Linz oltrepassò il letto e la raggiunse, prendendole una mano. “Tu eri una rampante avvocatessa, donna, lesbica ed ebrea.”

“Non proprio il massimo a quei tempi…”

“Non proprio il massimo nemmeno adesso…” La corresse sua moglie. “Ma tu non ti sei mai vergognata di ciò che eri, hai sempre camminato a testa alta, fiera di te stessa, delle tue origini e delle tue convinzioni.”

“Non potevo lasciare che un gruppo di spocchiosi avvocati etero in doppio petto mi dicesse come dovevo vivere.”

“Esatto. E ti ricordi quando ricevesti quella proposta di andare a lavorare in Connecticut? In quello studio legale che si occupava dei diritti della comunità gay?”

Melanie annuì. “Certo che me lo ricordo.”

“Ricordi quale fu la tua risposta quando ti dissi di accettare?” Linz le prese la mano e gliela strinse piano. Sorrise quando la vide annuire. “Mi dicesti che non saresti mai scappata, che saresti rimasta a combattere tra gli omofobi maschilisti per conquistarti il posto che ti spettava perché sapevi di essere migliore di loro. E che scappando in una, e cito testualmente, fottuta e felice oasi per omosessuali avresti mancato di rispetto a tutti gli ideali e ai valori che la tua famiglia ti aveva insegnato.”

Melanie si strinse nelle spalle. “Sapevo che sarebbe stato difficile, ma ero sicura di farcela.”

“In quel momento credo di essermi di nuovo innamorata di te.” Confessò Linz con un sorriso. “Perché eri stata impavida, coraggiosa e anche un po’ incosciente.”

“E che cosa c’entra questo con il trasloco a Toronto?”

Linz si umettò le labbra. “Noi siamo scappate, Mel. Siamo scappate in una fottuta e felice oasi per omosessuali, invece di rimanere qui e combattere per ciò che era nostro.” Si alzò in piedi e le prese il volto tra le mani. “Qui. Accanto alla nostra famiglia.”

“L’abbiamo fatto per i bambini.” Le ricordò Mel.

“Lo so, ma quando Gus e Jenny saranno cresciuti e ci chiederanno perché siamo andate in Canada, che cosa diremo loro? Che cosa risponderemo quando domanderanno perché li abbiamo fatti crescere lontani dai loro padri e dai loro nonni? Che siamo scappate perché avevamo troppa paura per combattere?”

“Linz, io…” Melanie scosse la testa, non sapendo come risponderle.

“Quello che dovremmo dire è: siamo rimaste perché era giusto così, perché nessuno può dirci dove vivere, come comportarci o chi amare, siamo rimaste perché non si scappa dai problemi, dalle difficoltà o dai prepotenti, siamo rimaste perché ogni volta che qualcuno ci avrebbe messo k.o. noi ci saremmo rialzate più forti e più agguerrite di prima, siamo rimaste perché qui non saremmo state sole a fronteggiare la cattiveria del mondo. Qui avremmo avuto chi ci proteggeva.”

Mel sospirò guardando la donna che amava e che aveva combattuto tante volte al suo fianco e, per la prima volta da quando stavano insieme, non riuscì a trovare una risposta abbastanza onesta da darle.

 

 

 

 

 

 

 

 

Ed ecco finalmente la cena! Ebbene sì, le ragazze se ne tornano a Toronto (almeno per il momento), anche perché non avevo altre scuse per farle rimanere, ma come avete potuto intuire dal finale, inizia ad insinuarsi il dubbio nella nostra bella coppia canadese.

Non prendetevela con Mel per la sua reazione contro Brian, dopotutto anche io riconosco che Linz (esattamente con Michael) tende a dare un po’ troppo retta a Brian, sia che lui abbia ragione o meno, e ho pensato che Mel volesse, almeno in parte, farlo notare a sua moglie. E poi non vorrete mica vedere Mel e Brian andare d’amore e d’accordo, no? XD

La scena con Brian e Linz in veranda doveva andare in tutt’altro modo, ma invece di fingere che andasse tutto bene, ho provato ad immaginare come lui dovesse sentirsi alla vigilia della partenza della sua migliore amica, di suo figlio e del suo fidanzato, quindi mi sono un attimo lasciata trasportare dalla tristezza. Ma poi ho cercato di risolvere tutto, avete visto? :D

Abbiamo fatto anche la conoscenza – più o meno – della mamma di Lane e del suo simpatico fidanzato e scoperto qualcosa di più sulla famiglia di Lane.

Mi sono divertita un mondo a scrivere le scene tra Brian e JR, e mi sembrava bello immaginarli lì sempre a discutere e a farsi i dispetti, nonostante si tratti di un trentaseienne e di una batuffolina di tre anni. Anche qui, come nel precedente, un altro tuffo nel passato, grazie alla scatola di foto trovata da Hunter e Lane. Vi è piaciuta?

E infine la scena Brian/Gus/Justin. Devo ammettere che ero incerta, ma alla fine non ce l’ho fatta e ho voluto inserirla. Spero che non l’abbiate trovata forzata, ma io ho sempre considerato Justin “l’altro” papà di Gus e, come dice Brian nella puntata del Leather Ball quando Mel lo rimprovera di non essere un buon padre e di aver lasciato Gus con chiunque, Justin non è chiunque. Quindi se JR ha due papà, perché Gus no? Dato che Justin l’ha praticamente visto nascere?

Ok, adesso ho davvero finito. Non vedo l’ora di leggere i vostri commenti e sapere che ne pensate! Grazie ancora a tutte coloro che hanno ancora la pazienza e la voglia di aspettare i miei aggiornamenti lumaca e che trovano del tempo per commentare.

Grazie mille!

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Capitolo 18
*** Problems... ***


18. Problems...

 

 

 

 

 

 

Brian si ritrasse leggermente, sprofondando di più il viso nel cuscino quando avvertì qualcosa solleticargli fastidiosamente il collo. Un mugolio di protesta si alzò dall’altro lato del letto. Un attimo dopo, i capelli biondi di Justin sfregavano di nuovo contro la sua gola, il braccio del ragazzo si strinse possessivo sui suoi fianchi.

“Da quando in qua ci coccoliamo come due lesbiche?” Biascicò Brian con la voce ancora impastata dal sonno.

Justin strofinò il naso contro il suo petto, gli occhi ancora chiusi. “Da quando qualcuno ha dimenticato di chiudere le tende ieri sera ed io devo trovare metodi alternativi per non rimanere permanentemente accecato dalla luce del sole.”

“Chi dice che le devo chiudere io?”

“È casa tua, mi pare.”

Brian grugnì. “Diventa casa mia solo quando ti conviene.” Avvertì Justin sorridere contro la sua pelle. “Dì piuttosto che sei pigro e non hai voglia di alzare il culo e chiudere le tende.”

“Si vede che mi conosci bene.”

“Purtroppo.”

“Fortunatamente.”

Brian grugnì di nuovo, limitandosi a passare un braccio attorno alle spalle del ragazzo e posando la mano, a palmo aperto, alla base della sua schiena.

“Non ci pensare nemmeno.” Lo bloccò Justin, sentendo la mano di Brian scivolare perfidamente verso il basso. “Il mio culo è off limits per le prossime dodici ore.”

“E perché?” Domandò l’uomo con tono suadente, affondando la mano libera nei capelli setosi e massaggiandogli piano la testa. Ebbe quasi l’impressione di sentire Justin fare le fusa al tocco delle sue carezze.

“Ti prego, abbi pietà…” Sussurrò il ragazzo a metà tra il disperato e l’eccitato. “Stanotte abbiamo dormito sì e no tre ore.” Tracciò una scia di baci lungo la clavicola di Brian. “Come diavolo fai a non essere distrutto?”

Brian sorrise. “Non sono un cadavere vivente come qualcuno di mia conoscenza perché le persone come me hanno bisogno di poco tempo per recuperare le energie così faticosamente perdute.”

“Per persone come te intendi gli anziani? Ahia!” Justin si massaggiò una natica dolorante su cui la mano di Brian si era appena abbattuta.

“No, Sunshine, intendo noi supereroi.”

Justin sbuffò contrariato. “Esagerato come sempre.”

“Quindi avresti il coraggio di dire che quello che ti ho fatto stanotte non è qualcosa da supereroi?” L’uomo inarcò maliziosamente un sopracciglio.

“D’accordo.” Concesse Justin dopo un lungo minuto di riflessione. “Potresti avere ragione. E, per favore, cerca di soffermarti sul condizionale.”

“Stronzate.” Brian gli posò una mano sul petto e lo sdraiò sulla schiena, stendendosi poi sopra di lui. Di riflesso, Justin divaricò le gambe e le strinse attorno ai suoi fianchi, facendo in modo che i loro corpi si adattassero perfettamente. “Hai amato ogni fottuto istante.”

“E nessuno lo sta negando.” Stavolta fu Justin a posargli le mani sul petto e a ribaltare le posizioni, facendo comparire un ghigno sul viso rilassato di Brian. Poggiò i gomiti ai lati della testa dell’uomo e sfregò il naso contro il suo. “Quello che ti sto chiedendo è un po’ di tregua per il mio povero di dietro dolorante.”

“Ok.” Cedette Brian, convinto più dai languidi strofinamenti al di sotto del lenzuolo che dalla faccia distrutta di Justin.

“Ciò non vuol dire però che non possa fare qualcosa per questo spiacevole… inconveniente.” Il ragazzo chiuse la mano attorno alla sua erezione e sorrise compiaciuto quando Brian serrò le palpebre e si passò eccitato la lingua sulle labbra.

“Te ne…” Brian gemette, inarcandosi verso di lui “… sarei davvero, davvero grato.”

“Che ne dici di una bella doccia, dopo?”

“Che ne dici di una scopata, dopo?”

“Un pompino qui e una doccia. Ultima offerta.”

“Un pompino qui, una scopata nella doccia e un’altra qui.”

Justin scoppiò a ridere, crollando contro il suo petto e sfilando la mano da sotto le lenzuola. “Sei impossibile, te l’ha mai detto nessuno?”

Brian aprì un solo occhio e sollevò un angolo della bocca. “Mio padre, Saint Joan, Claire, Debbie, Michael e credo anche Emmett. Non necessariamente in quest’ordine.”

“Bene, aggiungici anche me.”

Brian sospirò con fare melodrammatico, portandosi una mano sul cuore. “Sono sempre stato una povera anima incompresa.”

Justin gli sorrise, piantando il mento sullo sterno di Brian per poterlo guardare in viso. “Forse dagli altri, ma di sicuro non da me.”

L’uomo aprì finalmente tutti e due gli occhi e fissò intensamente il ragazzino dai capelli scarmigliati e dalle labbra rosse sopra di lui. “Certo che no.” Sussurrò piano. “È sempre stato questo il mio problema.”

“E ci tengo a precisare che sarà un problema che avrai ancora moooooolto a lungo, Mr Supereroe.” Brian piegò le labbra all’interno della bocca cercando di nascondere un sorriso. “Ok.” Concesse cercando di non rivelare a Justin quanto quelle parole l’avessero toccato. “Se non hai di meglio da fare.”

Justin sorrise, scuotendo il capo. “Assolutamente nulla se non darti il tormento, mio caro.”

Brian annuì lentamente e sollevò il capo. “Abbiamo finito adesso con le chiacchiere? Vorrei che tu onorassi una certa promessa.”

“Quale promessa?” Chiese Justin sollevando le sopracciglia e guardandolo con espressione innocente.

Brian intrecciò le dita con le sue e portò entrambe le mani sotto le coperte, tra i loro corpi già accaldati.

“Oooooooh, quella promessa.” Justin ghignò malizioso, districando la propria mano dalla presa di Brian per tornare a dedicarsi ai piani bassi.

“Già.” L’uomo tornò ad affondare la testa contro il cuscino. “Esattamente quella.”

Justin lo accarezzò lentamente un paio di volte per tutta la sua lunghezza, godendo dell’espressione estasiata del meraviglioso uomo che si dimenava sotto di lui. “E voglio ricordarti che, se il mio culo è fuori uso, la mia bocca e la mia lingua, al contrario, funzionano benissimo.”

“Davvero?” Chiese Brian con voce roca.

Justin annuì, sebbene sapesse che Brian non poteva vederlo. Si abbassò su di lui e gli posò un bacio al centro del petto. “Sei la cosa più eccitante che io abbia mai visto.”

“Vuoi dire dopo il tuo culo?”

Justin soffocò una risata e scese lentamente a baciargli lo sterno, gli addominali e il ventre prima che la sua testolina bionda sparisse al di sotto delle coltri scure.

Purtroppo Brian non fece neppure in tempo ad abituarsi alla talentuosa lingua di Justin che lo stuzzicava facendogli, come al solito, perdere la testa, che un infinitamente fastidioso ed altamente indesiderato suono demoniaco attirò l’attenzione del suo fidanzato.

“Oh, è il mio!” Justin riemerse dalle lenzuola e, con un agile scatto, corse verso il salotto in cerca del suo cellulare, finito chissà dove la sera prima quando Brian gli aveva praticamente strappato di dosso i vestiti.

“Justin, lascialo perdere e torna qui, dai…” Si lamentò il suo fidanzato.

“Brian, potrebbe essere Molly, o Vanessa.”

“Appunto.”

Una sneaker sdrucita lanciata dal salotto lo colpì dritto allo stomaco.

“Pronto?” Sentì dall’altra stanza mentre si massaggiava la parte contusa. “Molly? Che c’è? È successo qualcosa?”

Oh oh, piccola Taylor nei guai… Addio pompino e addio scopata…

“E perché? No, dimmi perché altrimenti ti arrangi!”

Brian udì Justin sospirare frustrato prima che questi riattaccasse con un gesto secco e tornasse a passo spedito in camera da letto. “Alzati.” Disse solo, lanciando i vestiti a Brian. “Devi portarmi a scuola da Molly.”

L’uomo gemette. “Che ha combinato l’angioletto stavolta?”

“Non ne ho la più pallida idea ed è proprio questo che mi terrorizza. Non ha voluto dirmi nulla, solo di precipitarmi alla St. James.”

“Le premesse non sono le migliori…”

“Infatti.”

“E fammi indovinare.” Brian lo guardò afflitto. “Posso scordarmi il mio pompino, vero?”

Justin gli rivolse un mezzo sorriso di scuse. “Ti ho mai detto che ti amo tanto tanto tanto?”

Brian grugnì frustrato. “Vaffanculo, Sunshine.” Borbottò tra i denti scostando le coperte con un gesto secco ed alzandosi in piedi.

 

 

 

 

 

Hunter diede un calcio alla sedia di Paul, seduto davanti a lui, e si voltò di nuovo verso il professore di diritto urbanistico con aria innocente.

“Fifone…” Borbottò il suo amico, lo sguardo fisso sulla rivista sportiva nascosta sotto il libro.

“Zitto, stronzo…”

“Codardo…”

Il professore, infastidito dai loro borbottii, si schiarì la voce, lanciando ai due ragazzi uno sguardo storto. “In fondo all’aula, ci sono problemi?”

Hunter e Paul si zittirono all’istante, continuando però a guardarsi in cagnesco.

L’ultima mezz’ora di lezione scorse più lentamente del solito, ma quando finalmente il vecchio insegnante concesse ai suoi studenti di lasciare la classe, i due amici uscirono in fretta in corridoio fianco a fianco.

“La sindrome premestruale è passata oppure rischio ancora di essere ucciso?” Domandò Paul passandosi una mano tra i capelli fiammanti.

“Dipende. Hai ancora intenzione di rompermi le palle con tutta la storia di Callie?”

“Solo se tu hai ancora intenzione di continuare ad ignorare quella povera ragazza.” Varcarono il grande portone d’ingresso della facoltà, ritrovandosi nel parco che circondava l’edificio. “Che, tra le altre cose, è davvero bona.”

Hunter scosse il capo con un sospiro. “Ti rendi conto che parli come un adolescente davanti al poster di un’attrice porno? Sei davvero triste.”

“È inutile che cerchi di deviare la mia attenzione.”

“Credimi, ci sono già troppe cose deviate in te.”

“Quindi mi darai retta e la chiamerai?” Paul decise deliberatamente di ignorare il suo commento.

“Neanche per sogno.”

“Perché no? Lane ha detto che sei ancora cotto di lei!” Paul raggiunse uno dei tavolini di pietra lì vicino e ci si accasciò sopra, gettando la tracolla ai suoi piedi.

Hunter lo imitò, prendendo posto davanti a lui. “Lane dovrebbe imparare a chiudere quella bocca.”

“Guarda che è mia amica da prima che voi due diventaste gemelli siamesi attaccati per le palle.”

“Già, ma non l’ho mai sentita parlare bene di te. Come mai?”

Paul gli rivolse un sorriso a trentadue denti. “Perché mi conosce bene.”

“Lasciamo perdere.” Si arrese Hunter. “E comunque, anche se siete amichetti del cuore, questo non vi dà il diritto di impicciarvi nelle mie cose.”

“Ok, va bene, hai ragione, ma cerchiamo solo di pensare a te!”

“Costringendomi ad uscire con Callie? Quando ho espressamente detto che non voglio?”

“No.” Paul tirò fuori il pranzo dalla sua borsa e lo posò sul tavolo tra loro. “Ne vuoi?” Chiese educato, accennando col capo al contenitore di plastica.

Nonostante la madre di Paul fosse una cuoca eccellente, brava quasi quanto Debbie, Hunter scosse il capo. Improvvisamente quella conversazione gli aveva chiuso lo stomaco e ucciso l’appetito.

“Cerchiamo solo di aiutarti.”

“Aiutarmi?”

Paul annuì. “Abbiamo visto come la guardi e, credimi, non è lo sguardo che rivolgi a qualcuno che non ti interessa.”

“E come sarebbe questo sguardo?” Hunter prese la sua bottiglia d’acqua e ingoiò la sua giornaliera dose di pillole.

“Come quello che hai quando guardi me!”

“Tipo schifato?”

“Tipo neutrale. Indifferente.”

Hunter affilò lo sguardo. “Tu sei mio amico, Paul. Non puoi aspettarti che ti guardi con la bava alla bocca.”

“Come fai con l’amico di tuo padre? Il sexy pubblicitario?” Lo prese in giro Paul, scoppiando poi a ridere davanti alla sua espressione torva.

“E, per la cronaca, non sono interessato nemmeno a Callie.”

“Certo, come no.”

“Dico davvero.”

Paul afferrò il panino al tacchino e diede un bel morso. “Allora, fammi contento. Invitala fuori, passa una bella serata e poi potrai dirmi che tra voi non è successo nulla perché non sei più cotto di lei.”

Hunter inarcò un sopracciglio. “E perché dovrei farlo? Quando so già che non sono più cotto di lei?”

“Perché è una bugia. E tu lo sai.”

“Stronzate.”

“La verità è che sei un codardo. Te la fai sotto a pensare che potreste tornare insieme perché hai paura di poter soffrire di nuovo come un cane.” Vide Hunter aprire la bocca per ribattere. “E non dire che non ti ha spezzato il cuore. Sei stato tu a raccontarmelo, no?”

Hunter inarcò un sopracciglio chiaramente contrariato dal fatto che Paul lo conoscesse così bene.

Perché aveva deciso di farsi degli amici invece di continuare a fare l’asociale?

Ah già, Michael e Ben l’avevano costretto…

“Sono sicuro di aver usato altre parole e che il termine cuore spezzato non fosse tra questi.”

“Ok, magari è stata Lane ad usarlo.”

“E tu ultimamente passi un po’ troppo tempo con lei, amico mio.”

Paul deglutì il boccone e si strinse nelle spalle. “Geloso, James?”

Hunter sbuffò. “Lane non starebbe con te nemmeno se foste le ultime due persone rimaste sulla Terra e doveste ripopolare il nostro pianeta per preservare la specie umana.”

“Perché sembra tanto un insulto?” Chiese Paul con tono offeso.

“Perché una come Lane non può perdere tempo con uno come te. O come me, se ti fa sentire meglio.” Il ragazzo cedette e allungò una mano verso l’invitante panino del suo amico, staccandone un pezzo. “È totalmente fuori dalla nostra portata.”

“A me non sembra niente di speciale. È carina, certo, e ha anche un bel culo, ma quanto a tette lascia molto a desiderare.”

Hunter si bloccò, la bocca ancora piena. “Sei disgustoso, Paul.” Biascicò. “E se Lane ti sente, ti stacca le palle.”

Paul fece un cenno con la mano, lasciando cadere l’argomento. “Tornando a Callie. Hai intenzione di invitarla prima o poi?”

“Mi sembra di essere stato chiaro a questo proposito.”

“Potrebbe chiedertelo lei. Di sicuro quella ragazza ha più coraggio di te e si vede che è ancora presa.”

“Bè, avrebbe dovuto pensarci prima!” Sbottò irritato il ragazzo. “Si è comportata male con me.”

“E adesso sta cercando di rimediare!”

“Troppo tardi.”

“Come ho già detto, codardo.” Paul spinse il contenitore con l’insalata di patate verso il suo amico, che lo guardò storto. “Tra un’ora devi prendere un altro chilo di pillole e di certo non puoi farlo a stomaco vuoto.”

“Da quando sei diventato la mia infermiera personale?”

“Da quando mia madre mi dà il tormento. Quella l’ha fatta solo per te, perché sa che è la tua preferita.” Disse, accennando al cibo davanti a lui. “Quindi mangia e smettila con queste cazzo di lamentele.”

Ad Hunter sfuggì un piccolo sorriso che soffocò immediatamente con un bel boccone di patate. “Ringraziala da parte mia.”

Paul si limitò a scuotere le spalle. “Howie mi ha chiesto di studiare insieme più tardi. Tu hai da fare?”

Hunter scosse il capo. “Possiamo andare da me. Da quando Mel e Linz sono ripartite, casa è diventata il luogo più pacifico del mondo senza i mocciosi tra i piedi.”

“Mi piace tua sorella.” Se ne uscì Paul a sorpresa.

“Ha solo tre anni, non è un po’ giovane per te?”

“Ma presto crescerà, no? E, viste le premesse, diventerà una gran bella ragazza, fidati.”

“Se diventa come sua madre, sono cazzi tuoi.”

“Mi piacciono le donne di carattere.” Qualcosa alle spalle di Hunter attirò la sua attenzione. Sorrise sornione al suo amico. “E, a proposito di donne di carattere…”

Hunter lo guardò confuso, ma prima che potesse voltarsi, una voce dietro di lui lo salutò.

“Ciao, Hunter.”

Il ragazzo deglutì in fretta e si girò verso la ragazza che gli sorrideva esitante. “Ehi, Callie.” Si schiarì la gola. “Come… come va?”

Callie parve prendere coraggio a quella domanda e sorrise più sicura. “Bene, grazie. Tu?”

Paul, immobile sulla panchina di pietra alle loro spalle, spostò lo sguardo dalla ragazza bruna al suo amico prima di tornare su di lei. Cercò di nascondere un sorrisetto divertito, davanti alla faccia rosso peperone di Hunter.

Altro che cotta, amico mio… Tu sei proprio andato per questa sventola…Inarcò un sopracciglio e assunse un’espressione beataChissà se ha un’amica…

I due ragazzi si scambiarono qualche altro convenevole prima che Callie si congedasse imbarazzata. Si trovava già a qualche metro di distanza – Paul tirò un calcio ad Hunter da sotto il tavolo dato che il suo amico non aveva approfittato dell’incontro per chiederle di uscire – quando la bruna si voltò di nuovo. “Hunter?” Lo chiamò.

“Sì?”

Callie si morse furiosamente il labbro inferiore e prese a torturarsi le mani. “Ti andrebbe di… uscire uno di questi giorni?”

Hunter sgranò lievemente gli occhi. “Callie, io…”

“Non pretendo niente, Hunter. Dico davvero.”

“Non credo sia una buona idea, comunque.” Osservò il ragazzo sincero.

Callie mosse un passo verso di lui. “Un cinema e una pizza, non chiedo altro. Non voglio forzare le cose.”

Paul diede un altro calcio al suo amico che stavolta sobbalzò vistosamente. Gli lanciò un’occhiataccia.

“Ti prego, solo come amici.” Callie incrociò le dita sorridendo timida. Hunter esitò. “Promesso.”

Il ragazzo fece un lungo sospirò e annuì. “Ok.”

“Davvero?” Gli occhi di Callie si illuminarono speranzosi.

“Davvero.”

“Ok, allora. Ti chiamo dopo per metterci d’accordo.”

Hunter annuì incerto. “Va bene.”

Callie gli sorrise un’ultima volta prima di voltarsi e dirigersi a passo spedito verso il parcheggio.

Hunter lanciò un’occhiata intimidatoria al suo amico. “Non dire nulla.”

Paul alzò le mani in segno di resa. “Come ho già detto, quella ragazza ha molto più coraggio di te.”

 

 

 

 

 

Blake sospirò profondamente chiudendo il borsone e soffermandosi a giocherellare impaziente con la chiusura lampo.

“Com’è che questa scena mi sembra un déjà-vu?” La voce di Ted, alle sue spalle, lo fece trasalire. “Scusa, non volevo spaventarti.”

Blake scosse il capo. “È colpa mia, sono troppo teso.”

L’uomo lo raggiunse posandogli le mani sulle spalle con fare rassicurante. “Non devi esserlo. Te l’ho detto, sono felice che tu abbia cambiato idea.” Il più giovane annuì distrattamente. “Blake, mi dici che hai? Sai che puoi parlare con me.”

“Davvero?”

“Che intendi?” Ted aggrottò le sopracciglia, confuso. “Certo che puoi, abbiamo promesso di non avere più segreti, no?”

Blake lo guardò incerto per un istante, prima di spingere a terra il borsone che stava sul letto e crollare sul materasso. “Tu mi ami, Ted?”

Ted lo guardò incredulo, accomodandosi accanto a lui. “Ma che domanda è?”

“Una domanda plausibile.”

“Una domanda sciocca, piuttosto.”

“Ma pur sempre plausibile.”

“Adesso, basta.” Ted si voltò verso di lui e gli strinse le mani, fissandolo serio. “Basta con i messaggi criptici e le domande misteriose. Dimmi che cos’è che ti preoccupa, Blake.”

Il più giovane chiuse gli occhi e inspirò profondamente prima di espirare con calma. “Non stai cercando di allontanarmi, vero?”

Ted gli posò una mano sulla guancia e abbozzò un sorriso. “Ma come ti viene in mente?”

“Quindi non hai intenzione di lasciarmi?”

“Non mi passa nemmeno per l’anticamera del cervello.”

Blake annuì. “Ok.” Si schiarì la gola e proseguì. “Perché in tal caso sarei davvero, davvero arrabbiato con te.”

“Lo capisco.” Convenne l’uomo. “Come sei arrivato ad una conclusione del genere?”

Blake sbuffò, scuotendo le spalle. “Hai notato che tra te e i tuoi amici c’è questa folle idea di voler per forza salvare i vostri compagni?”

“Quindi io ti sto salvando lasciandoti andare a San Francisco?”

Blake gli lanciò un’occhiataccia. “Mi sono espresso male. Volevo dire questa malsana convinzione di dover salvare i vostri partner senza che essi ne abbiano bisogno.”

Ted abbozzò un sorriso. “Ma davvero?”

“Assolutamente. Credete per qualche strano motivo che sia compito vostro occuparvi anche della vita degli altri, mettere da parte quello che pensate voi perché siete convinti di sapere di cosa i vostri partner abbiano bisogno.”

“Questo non è assolutamente vero.” Protestò l’uomo.

Blake inarcò un sopracciglio, guardandolo incredulo. “Non puoi crederlo sul serio.”

“Ok, fammi un esempio.”

“Da quale lettera vuoi che inizi?”

Ted roteò gli occhi e sbuffò. “E di Emmett.”

“Facile. Emmett e Drew.” Ted aggrottò la fronte confuso. “Si amavano, no? È quello che sento ripetere da tutti e anche tu credevi fosse quello giusto per lui.”

“Infatti.”

“E come sono finiti? Emmett ha capito che lui non era pronto e si è sacrificato. Lo ha lasciato andare via pur sapendo che sarebbe stato uno schifo per lui.”

Ted accennò un sorriso triste, ripensando a quanto il suo migliore amico aveva sofferto dopo la rottura con Drew. C’erano voluti tutta la sua volontà e il suo impegno, uniti a quelli di Michael e – che Dio ce ne scampi – di Brian per evitare che Emmett finisse per rinchiudersi in qualche monastero in lutto perenne. “Lo amava molto.”

“Lo so.” Convenne Blake. “Ma non avrebbe dovuto decidere per entrambi.”

Ted scosse il capo. “No, è diverso. Sapeva che rimanendo con lui, non sarebbe stato felice.”

“E alla luce di questa tua ultima affermazione, cosa rende diversa la loro situazione dalla nostra?”

“Ok.” Si arrese Ted. “Prossimo caso.”

Blake sorrise. “Questa è facile. Lettera B.”

“Justin sta diventando famoso.” Lo anticipò subito Ted. “Sta emergendo tra tutti gli artisti di New York e presto diventerà qualcuno di importante.”

“E nessuno nega ciò.”

“Quindi Brian aveva ragione.”

“A spingerlo a lasciarlo?”

“A spingerlo a combattere per i suoi sogni.”

Blake annuì, increspando le labbra. “Ok, questo te lo concedo. Ma guardali adesso, dopo due anni di distacco. Cosa è cambiato tra loro?”

Loro sono cambiati. Sono cresciuti.”

“E questa crescita ha mutato il loro rapporto?” Prima che Ted potesse rispondere, Blake scosse il capo con veemenza. “No. Non ha cambiato assolutamente nulla. Sono ancora loro, testardi e sempre convinti di avere più ragione dell’altro, ma innamorati esattamente come due anni fa, se non addirittura di più. Si sono separati per amore reciproco eppure basta notare lo sguardo che hanno quando sono vicini per capire che non hanno comunque concluso un cazzo. Ok, magari Justin sta realizzando i suoi sogni, ma per come la vedo io, è stato sempre e solo Brian il più grande dei suoi sogni.” Abbozzò un sorriso e sfiorò la guancia di Ted. “E non sono così sicuro che stavolta il tuo caro amico riuscirà a farlo tornare a New York.”

“Non conosci Brian.”

“E voi date poco credito a Justin.”

“Non si arrenderà, so com’è fatto. Non cederà mai.”

“Vedremo.”

Ted scosse la testa e sorrise. “Altri miei amici che hanno incasinato le loro vite di coppia?”

Blake assentì col capo. “Lettera L.” Ted aggrottò la fronte, colto alla sprovvista. “Lindsay.”

“Lindsay? Che c’entra Lindsay? Lei e Mel sono il ritratto della felicità.”

“E tu come fai a saperlo se vivono a cinquecento chilometri di distanza?”

“Non credo di aver capito.”

“Credi che siano davvero felici in Canada?”

Ted lo guardò come se fosse pazzo. “Certo che sì!”

“Anche i bambini?”

“Ovviamente.”

“E Brian e Michael?”

“E loro che c’entrano? Loro vivono qui, hanno Ben, Hunter, Justin, Debbie…”

Blake si morse un labbro. “Sei stato tu a dirmi che all’aeroporto avevano due facce da funerale.”

“Beh, è ovvio! Sono pur sempre i loro figli!”

“Ma anche Linz, come tutti gli altri, ha fatto quello che credeva giusto per Mel. È andata a Toronto, sapendo che per sua moglie era importante. Ha lasciato il suo lavoro, la sua casa, i suoi affetti per lei.”

Ted incrociò le braccia al petto, vagamente risentito. “Anche Mel ha fatto dei sacrifici. Credi che per lei sia stato facile?”

Blake scosse immediatamente il capo. “No, no, certo che no. E non sto dando la colpa a Melanie. Cristo Santo, se avessero tentato di uccidermi con una bomba anche io sarei scappato il più lontano possibile da qui.”

“Infatti.” Confermò con tono aspro il suo compagno.

“So quanto Mel sia importante per te e non la sto criticando. Voglio solo farti capire che quello che crediamo giusto non sempre lo è, specialmente quando c’è in ballo l’amore. Emmett si è sacrificato per Drew, Brian per Justin, Lindsay per Mel. So che l’hanno fatto per il bene dell’altro, ma…” Gli prese il volto tra le mani e lo guardò spaventato “… non voglio che capiti anche a noi. Non voglio essere il prossimo.”

“E non lo sarai.” Lo rassicurò Ted, coprendo le mani di Blake con le sue. “Te lo assicuro, non lo sarai.”

“Come fai ad essere certo che non cambierai idea?”

“Perché non posso vivere senza di te.” Ribatté semplicemente Ted, strappandogli un sorriso.

“Ho paura, Ted. Non voglio… non posso perderti.”

Ted l’abbracciò, facendogli posare la testa sulla spalla e circondandogli la vita con le braccia. “Sono solo un paio di giorni, proprio come l’ultima volta.” Gli posò un bacio delicato sul collo e sorrise. “Solo qualche giorno in cui non faremo altro che telefonarci e mandarci e-mail.”

“Promesso?”

“Promesso. E, nel frattempo, prometto di non fidanzarmi con nessun altro.” Blake sorrise contro la sua maglietta.

 

 

 

 

 

Brian e Justin parcheggiarono in uno dei posti vuoti di fronte all’entrata della St. James e scesero dall’auto.

“Quindi non hai proprio idea del perché siamo qui?” Chiese Brian per l’ennesima volta, inserendo l’allarme e raggiungendo Justin. Gli circondò le spalle con un braccio.

Il ragazzo scosse il capo. “Molly mi ha solo detto che il preside Thorne voleva parlarmi.”

“La sorellina è nei guai?”

“Ci puoi contare.”

Brian ridacchiò. “Lo sai che approfitta del fatto che mamma Taylor non c’è, vero?”

Justin lo guardò rassegnato. “Certo che lo so, ma che dovrei fare? Chiamare mia madre ogni volta che Molly combina qualche casino?”

“JUSTIN!” I due uomini alzarono lo sguardo verso la gradinata di pietra su cui Molly, circondata da un ridacchiante gruppo di ragazzine, li aspettava.

“Oh no…”

Brian inarcò un sopracciglio sospettoso. “Cosa?”

“Molly e il suo seguito.” Indicò sua sorella con un cenno del capo. “Mi dispiace, credevo che non avremmo dovuto affrontarle.”

“Affrontarle?” L’uomo scoppiò a ridere. “Justin, sono un gruppo di ragazzine.”

“Errore. Sono un gruppo di adolescenti con gli ormoni alle stelle a cui Molly non fa che raccontare del suo famoso fratello gay e del suo supersexy, superricco e superintelligente fidanzato trentenne.”

Brian sogghignò compiaciuto. “Ti ho già detto che mi piace tua sorella?”

“Almeno un milione di volte.” Justin lo spintonò. “Solo perché ancora ti definisce trentenne.”

“Tecnicamente io sono un trentenne.”

“Ma sei più vicino ai quaranta.”

Stavolta toccò a Brian spintonarlo via.

“Ehi, siete arrivati.” Molly scese dalle scale e abbracciò suo fratello. “Non volevo disturbarvi, ma il signor Thorne voleva parlare con un adulto.” Si sporse verso Brian e gli baciò una guancia, guadagnandosi in risposta una carezza sui capelli.

Un coro di risolini si levò alle spalle di Molly. Brian e Justin si scambiarono uno sguardo allarmato.

Io ti avevo avvertito… Sembrò dire il più giovane.

“Mi hai solo costretto a venire qui…”

Brian piegò le labbra all’interno della bocca. “Credo che stamattina tu abbia usato il termine implorato vergognosamente…” Molly lo fulminò con un’occhiataccia.

“… altrimenti il preside avrebbe chiamato papà.” Justin incrociò le braccia al petto. “Allora?”

La ragazza alzò gli occhi al cielo. “Non è niente di grave, davvero.” Colse lo sguardo scettico di suo fratello. “Ho solo avuto dei problemi con Trish…”

“Trish? Di nuovo?”

La campanella suonò in quel momento, interrompendo la discussione. “Sarà meglio andare.” Molly raggiunse di nuovo le sue amiche e sussurrò loro qualcosa prima che il gruppetto si disperdesse nell’atrio, continuando però fino all’ultimo a lanciare occhiate maliziose in direzione dei due uomini.

Brian e Justin seguirono Molly lungo il corridoio affollato di studenti. “Chi è Trish?” Chiese Brian divertito.

“Una stronza.”

Justin colpì sua sorella ad una spalla. “Una vecchia amica di Molly.” La ragazza sbuffò contrariata, ma rimase in silenzio. “Al primo anno facevano parte delle cheerleader, poi Molly Pocket ha mollato e Trish le ha giurato odio eterno.”

Brian sollevò le sopracciglia, colpito. “Eri una cheerleader?” Molly annuì e lui scoppiò a ridere. “Ed io che credevo che tu fossi una secchioncella sfigata come tuo fratello.”

Justin gli colpì un braccio. “Ehi! Io non ero uno sfigato!” Spalancò la bocca con fare offeso quando intercettò lo sguardo d’intesa tra sua sorella e il suo fidanzato. “Chiudete la bocca tutti e due.”

Brian cercò di non ridere davanti alla sua espressione imbronciata – espressione che lo eccitava anche parecchio –  e si sedette accanto a lui, davanti all’ufficio del preside. Molly prese posto di fronte a loro.

“Gus è ripartito?” Chiese la ragazza, dopo qualche istante di silenzio.

Brian le rivolse un sorriso triste e annuì. “Ieri pomeriggio.”

“Lui e Jenny sono adorabili.” Molly si sistemò meglio la coda di cavallo. “Sai già quando torneranno?”

“Forse andrò io da loro.” Brian si strinse nelle spalle. “Speravo prima dell’estate.”

“Che bello! Mi farebbe piacere rivederli!”

“Molly…” L’ammonì suo fratello.

Molly spostò lo sguardo su di lui rivolgendogli un’occhiata alla E adesso che ho detto di male?, ma ogni discussione fu evitata quando una ragazza dalla pelle olivastra li raggiunse, accomodandosi scompostamente due sedie più in là di Molly.

“Taylor.” Sputò aspra.

“Jameson.” Rispose Molly senza neppure degnarla di uno sguardo.

Un minuto dopo, un uomo dall’aria affascinante aprì la porta e sorrise ai presenti. “Scusate se vi ho fatto attendere. Prego, ragazze.” Notò i due uomini presenti. “Trish, i tuoi genitori?”

La ragazza alzò le spalle con indifferenza. “Non hanno tempo da perdere e io posso benissimo difendermi senza l’aiuto di mamma e papà.” Varcò la soglia con aria superiore e Molly la seguì, mentre il preside si voltava verso Justin, in piedi di fronte a lui. “Justin Taylor.” Gli strinse calorosamente una mano. “È un piacere rivederti.”

Justin gli sorrise. “Sono felice per la sua promozione, professor Thorne.” Si voltò verso Brian. “Suppongo si ricorderà di Brian Kinney. Brian, lui è il mio ex professore di arte.”

I due uomini si strinsero educatamente la mano. “Signor Kinney, lieto di vederla. Di nuovo.” Brian aggrottò la fronte confuso.

Justin si voltò verso di lui. “Il professor Thorne era uno degli insegnanti presenti al ballo. Ha anche testimoniato al processo.”

Brian annuì, ricordandosi dell’uomo che, sul banco dei testimoni, aveva difeso con fervore Justin dagli attacchi del legale di Hobbs.

“Peccato sia servito a poco.” Ammise l’insegnante mestamente.

“Mi creda, professore, ha fatto moltissimo.”

“Molto più di tanti altri, comunque.” Precisò Brian.

Il preside annuì, spostandosi da un lato per permettere loro di entrare nell’ufficio. Si chiuse la porta alle spalle e prese posto dietro la scrivania. “Bene, credo sappiate tutti perché siamo qui.”

Justin lanciò un’occhiataccia a sua sorella. “Potrebbe riassumercelo brevemente?”

Il preside Thorne trattenne un sorriso, ma annuì. “Molly, presidentessa delle attività per il ballo, ha, almeno secondo la versione di Trish, abusato della sua posizione per cacciarla dal comitato senza una vera motivazione.”

“Senza una motivazione?” Molly guardò Trish con gli occhi sgranati. “Quindi fare la prepotente e comportarti da padrona non è un motivo sufficiente?”

“Stavo solo scherzando, Taylor. Dacci un taglio.”

“Chiamando Sarah balena spiaggiata e Eddie fallito?”

“Erano solo battute innocenti tra amici.”

Molly emise un verso scettico. “Grazie a Dio non sono tua amica.”

“Ragazze…” Il preside intervenne a placare gli animi. “Perché non provate a trovare un accordo? Magari Trish può scusarsi così da permettere a Molly di rivedere la sua decisione.”

“Non credo proprio.” Sentenziarono sicure le due ragazze.

Justin guardò sua sorella. “Molly…”

“Non ho intenzione di riammetterla nel comitato. Tutti hanno notato quanto si lavori meglio senza la sua velenosa presenza.”

“Siete solo un gruppo di sfigati.”

Molly sorrise soddisfatta. “Di cui però vuoi fare disperatamente parte.”

Il preside si schiarì la voce. “Molly, da presidentessa, dovresti…”

“… avere più senso dell’umorismo.” Terminò Trish, guardandola male. “Non si può nemmeno fare una battuta!”

“Tipo chiamare Ernie checca isterica?”

Tre paia d’occhi si voltarono verso di lei, facendo arrossire la cheerleader fino alla punta dei capelli. Il preside incrociò le braccia al petto con fare severo. “Sa bene che non ammetto un linguaggio del genere nella mia scuola, signorina Jameson.”

“È solo un modo di dire, uno stupido scherzo. Il problema è che Taylor prende tutto sul personale.” Si difese la ragazza, lanciando uno sguardo fugace a Justin e Brian.

“Come fai tu quando si parla di oche senza cervello?” Ribatté Molly, strappando un sorriso a Brian.

“Come ti permetti?” Trish scattò in piedi.

Molly la imitò, muovendo un passo verso di lei per nulla intimorita. “Quindi tu puoi offendere chiunque, ma guai a farlo con te? Oppure te la prendi tanto perché sai che è la verità?” Sorrise segretamente compiaciuta quando notò la determinazione di Trish vacillare. “Beh, lascia che ti dica una cosa: Sarah potrà anche non essere una taglia trentotto, ma ha comunque un ragazzo che la ama moltissimo e che farebbe di tutto per lei, Eddie potrà essere un ragazzo solitario e timido, ma ha la media più alta di tutta la scuola e tra un anno i college di tutto il paese faranno a gara per accaparrarselo.” Affilò lo sguardo e la fissò minacciosa. “E ad Ernie potrà anche piacere…” Justin si schiarì rumorosamente la gola, intuendo già dove sua sorella sarebbe andata a parare, sperando che adoperasse un linguaggio più adatto al luogo in cui si trovavano. Molly sorrise appena, voltandosi verso di lui e lanciandogli un’occhiata palesemente divertita “… ed Ernie potrà anche avere gusti sessuali diversi dai tuoi, ma di sicuro possiede più orgoglio, autostima e forza d'animo di quanta tu ne avrai mai per camminare tutti i giorni a testa alta in questo covo di bigotti fiero della persona che è.” Colpì il petto di Trish con un dito. “Una volta fuori di qui, loro saranno persone apprezzate e di successo.” Arretrò di un passo per guardarla meglio in viso. “Tu cosa sarai?” Chiese sprezzante. “Soltanto una superficiale oca senza un briciolo di carattere. Chi credi si troverà peggio nella vita?”

Nonostante tutto, Justin sorrise, fiero ed orgoglioso di quella giovane donna determinata che aveva le sembianze di sua sorella. Quand’è che la piccola Molly Pocket aveva smesso di giocare con le bambole ed era diventata adulta?

Molly riportò lo sguardo sul preside e tornò a sedersi accanto a Brian, che le sfiorò il gomito con un sorriso appena accennato.

“Credo che la soluzione migliore sia quella di calmarci e riflettere con calma. Trish.” La cheerleader tornò a sedersi. “Gradirei molto che tu tenessi un comportamento diverso da oggi in poi.” Spostò lo sguardo su Molly. “Questo ovviamente, sempre se il presidente accetterà di riammetterti.” Molly rimase zitta e immobile. “Dovrai scusarti con i tuoi compagni, ma la decisione finale spetta a lei.” Trish annuì, improvvisamente mansueta. “E vi avverto, se ci saranno ancora liti o discussioni come quella dell’altro giorno, sarò costretto a prendere dei seri provvedimenti.”

Justin lanciò uno sguardo di avvertimento a sua sorella. “Se non è un problema, vorrei essere avvertito io nel caso ci fossero altri incidenti. Mia madre è all’estero e preferirei non disturbare mio padre.”

Il preside annuì con un sorriso. “Nessun problema, Justin. È sempre un piacere rivedere i miei vecchi studenti.”

“La ringrazio.”

L’uomo distolse con riluttanza lo sguardo da lui e tornò alle sue alunne. “Sarete comunque punite entrambe per lo spettacolino che avete messo in piedi nella sala mensa e spero che incidenti del genere non capitino più.” Le ragazze annuirono poco convinte. “Mi auguro che tutte e due saprete risolvere la questione con maturità ed educazione.” Stavolta non si sforzarono neppure di fingere di essere d’accordo. “Bene, potete andare. Passate dalla signorina Russell, vi assegnerà le punizioni per la prossima settimana.”

Molly lanciò un’ultima occhiata minacciosa a Trish, prima di voltarsi. “Vi aspetto fuori.” Disse, prima di uscire.

Justin sospirò imbarazzato. “Professore, mi dispiace davvero che mia sorella abbia…”

L’uomo lo interruppe, alzando una mano. “Molly è esattamente come suo fratello, non sopporta le ingiustizie.”

“Mi dispiace che le abbia creato dei fastidi, comunque.”

“Di certo la mia vita era molto più tranquilla prima che diventassi preside.”

Justin sorrise felice. “Non potevano scegliere persona più adatta di lei. Mi ricordo ancora le sue lezioni, erano le più interessanti della giornata.”

Il professore rise. “Mi sembra di ricordare, però, che non tutti la pensassero come te.” Posò le mani sulla scrivania e inclinò il capo. “Miss Chambers, ad esempio.”

Brian si coprì la bocca con la mano per nascondere un sorriso divertito. “Daphne è sempre stata poco interessata all’arte.” Confessò Justin scuotendo le spalle. “Troppo realista per lasciarsi trasportare dall’immaginazione. Non è un caso che stia studiando medicina.”

L’uomo annuì. “Sono felice che abbia trovato qualcosa che la appassioni.” Rivolse un leggero sorriso al ragazzo davanti a lui. “E tu come te la passi?”

“Benissimo, la ringrazio.” Justin sorrise raggiante. “Al momento mi muovo tra New York e Pittsburgh. La mia famiglia è tutta qui.” Precisò, lanciando un’occhiata sprezzante verso Brian che finse di non cogliere l’allusione.

“New York… Dev’essere eccitante vivere in una così grande metropoli.”

“Molto. È… stimolante, creativa, sempre in movimento.” Justin si passò una mano tra i capelli. “Non ci si annoia mai.”

“Ho sempre saputo che saresti andato lontano, Justin. So riconoscere il talento quando lo vedo, e tu ne hai a volontà.”

“Spero che non lo dica a tutti i suoi ex studenti.”

Il preside ridacchiò. “Solo ai miei preferiti.”

“Ah, quindi solo a me.” Lo stuzzicò Justin, rivolgendogli uno dei suoi sorrisi radiosi.

“Precisamente.”

Justin scoppiò a ridere di gusto. “C’era un motivo se anche lei era il mio preferito.”

L’uomo piegò il capo verso di lui in un leggero inchino. “Lieto di sentirtelo dire.”

Brian socchiuse gli occhi e studiò con attenzione lo scambio di sguardi tra Justin e l’uomo di fronte a loro; inarcò divertito un sopracciglio quando notò il sorrisino sul viso del preside.

Scosse impercettibilmente il capo, riportando gli occhi su Justin che, ovviamente, non si era accorto di nulla. “Sarà meglio andare adesso.” Lo sentì proferire, alzandosi in piedi. Brian lo imitò, coprendosi la bocca con una mano per nascondere il suo ghigno impertinente. “È stato un piacere rivederla, professor Thorne.” Justin strinse la mano al suo vecchio insegnante.

“Anche per me, Justin.” Ribatté l’uomo, precedendoli poi verso la porta. “Spero di rivederti presto.”

Justin sorrise. “Mi auguro in occasioni più piacevoli di questa.”

“Assolutamente.”

Brian si schiarì la gola. “Preside Thorne.” Fece con tono formale, ricordando ai due la sua presenza. Strinse anche lui la mano dell’uomo.

“Signor Kinney.”

“Arrivederci.” Justin sorrise un’ultima volta prima di voltarsi verso il corridoio. Brian gli circondò le spalle con un braccio, prima che il ragazzo avesse il tempo di allontanarsi. Lo vide sorridere, prima di ricevere un leggero bacio sulla mascella.

“Sei molto sexy nelle vesti di genitore provvisorio.” Gli soffiò all’orecchio, facendolo ridacchiare.

“Trovi?”

Brian annuì, contro i suoi capelli, continuando a percorrere il corridoio deserto. “E anche il preside la pensa come me.”

Justin si bloccò di colpo, guardandolo come se fosse pazzo. “Cosa?”

“Non mi dire che non te ne sei accorto.” Brian alzò gli occhi al cielo quando lo vide aggrottare la fronte. “Ci stava provando con te.” Sghignazzò, lanciando un’occhiata di sbieco alla porta chiusa. “Spudoratamente e con me presente. Non è una cosa che mi capita tutti i giorni, devo ammetterlo.”

Justin lo colpì alla spalla con una manata. “Non dire stronzate! È il mio professore!”

“Errore, Sunshine. Era il tuo professore. Ora lui è un uomo e anche tu.”

“Ma…” Justin si sfregò la nuca, ancora incredulo. “È troppo… grande per me.”

Il sopracciglio di Brian guizzò verso l’alto. “Vuoi dire vecchio?”

Justin gli sorrise e scosse il capo. “So quanto sei sensibile ad aggettivi del genere e non l’avrei mai usato in tua presenza.” Si alzò sulle punte e gli posò un bacio veloce sulle labbra socchiuse.

“Quanti anni ha?”

Justin gli passò le braccia attorno alla vita e si strinse nelle spalle. “Molti più di me.”

“Quantifichiamo in numeri? Non deve essere tanto difficile per uno col tuo talento…” Lo canzonò, riprendendo le parole del preside.

Justin ci rifletté su un attimo. “Due…” Contò rapidamente con le dita prima di alzare di scatto il viso verso Brian con espressione incredula. “Solo tre più di te?”

Brian gli rivolse un sorrise tirato. “Che ti dicevo?”

“Oh mio…” Justin riprese a camminare, il braccio sempre stretto attorno alla vita di Brian. “Non riesco a crederci.” Sghignazzò piano. “E dire che avevo anche una cotta per lui.”

“Davvero?” Brian prese a giocherellare con i capelli chiari di Justin. “Quando?”

“Prima di una certa, fatidica notte a Liberty Avenue.” Si morse un labbro, quando avvertì le dita del suo fidanzato bloccarsi, prima di riprendere ad accarezzargli i capelli.

“Oh, eccovi!” Molly uscì a passo spedito da uno degli uffici, cogliendoli di sorpresa. “La signorina Russell non la smetteva più di blaterare.” Si allontanò dalla porta, iniziando a frugare nella sua borsa. “Oh, Justin!” Alzò lo sguardo verso suo fratello, ammiccando maliziosa. “Ma… il preside ci provava con te?” Brian soffocò una risata.

Justin le lanciò un’occhiataccia. “Vi odio. Tutti e due.”

 “E noi che c’entriamo?” Ribatté sua sorella. “Eravate voi a farvi gli occhi dolci!” Il ragazzo la guardò male. “E poi ti sembra giusto civettare con lui davanti al tuo fidanzato?” Scosse la testa con disapprovazione. “Povero Brian.”

Brian si staccò da lui, per andare ad abbracciare Molly. Le circondò le spalle. “Meno male che c’è qualcuno che pensa ai miei sentimenti.” Le baciò affettuosamente una guancia, vedendola arrossire. “Che vuoi che dica, piccola Taylor? Non ci sono più i fedeli fidanzati di una volta.”

Molly scosse il capo con un sorriso, colpendogli la pancia col dorso della mano. “Adesso non te ne approfittare, mister melodramma.”

Trish Jameson uscì in quel momento dalla segreteria, interrompendo il simpatico siparietto. Non lanciò neppure un’occhiata verso i tre, continuando a camminare per il corridoio col naso all’insù e l’aria stizzita.

“Trish!” Molly si staccò da Brian e si diresse a passo spedito verso la ragazza alla fine del corridoio.

“Che vuoi, Taylor? Porgermi le tue scuse e riammettermi nel comitato ora che il preside ti ha fatto la ramanzina?” Chiese con arroganza.

“Non esattamente.” Molly le rivolse un sorriso dolce come il miele, portandosi una ciocca scarlatta dietro l’orecchio. “Volevo solo dirti che noi ci riuniamo alle quattro.” La ragazza di fronte a lei sogghignò trionfante. “Entro quell’ora vedi di raccogliere i tuoi stracci e sparire dalla mia vista.”

Trish sgranò gli occhi scioccata. “Non puoi! Tu… Il preside ha detto che…”

“… Che dopo che ti sarai scusata, dovrò rivalutare la mia decisione.” Molly si strinse nelle spalle. “Ma dato che entrambe sappiamo che non sarebbero delle scuse sincere, a che servirebbe?”

“Io merito di stare nel comitato! Lo so io e lo sai tu!”

“Forse.” Molly tornò a sorriderle, stavolta palesemente compiaciuta. “Ma dato che il capo sono io e tu hai fatto un casino, indovina chi sarà ad essere cacciata?”

“Parlerò di nuovo col preside.”

“Fa’ come vuoi. Parla col preside, parla col consiglio studentesco, parla col governatore in persona, non mi importa. Quello che voglio è che tu sparisca dalla mia aula e non ci rimetta più piede, lasciando in pace me e i miei amici. Sono stata abbastanza chiara?”

Trish strinse i pugni lungo i fianchi e la guardò furiosa. “Questa me la paghi, Taylor. Non puoi farlo e lo sai.”

“Che vuoi fare? Prendermi a pugni?” Molly si sfilò la tracolla, posandola a terra, e allargò le braccia. “Coraggio, non c’è nessuno qui.”

“Certo! Così puoi farti difendere da mammina e papino?” Sputò acida indicando col capo Brian e Justin, un paio di passi dietro di loro.

Molly sbuffò scettica. “Forse dimentichi che esco con un giocatore di lacrosse, so come difendermi e di sicuro so come prendere a calci il tuo culo ossuto senza che mio fratello corra in mio soccorso.” Fece un sorrisetto in direzione dei due uomini. “Anzi, probabilmente correrebbe ad aiutare te. È sempre stato dalla parte dei più deboli.”

Brian sollevò le sopracciglia colpito e si voltò verso Justin che ricambiò lo sguardo.

Molly sapeva davvero come attaccare i punti giusti.

Trish le lanciò un’ultima occhiata assassina prima di voltarsi e allontanarsi nella direzione opposta. “Alle quattro!” Le ricordò Molly.

Justin e Brian, alle sue spalle, presero a ridacchiare. “Accidenti, Molly Pocket.” Fece il più giovane. “Tu sì che sei tosta.”

Molly si strinse nelle spalle. “Erano mesi che volevo sfogarmi.”

“Una vera Taylor.” Brian le rivolse un sorriso orgoglioso. “Per un attimo mi è sembrato di rivedere un certo ragazzino che voleva cambiare il mondo.”

“Forse non riuscirò a cambiare il mondo.” Osservò Molly. “Ma farò di tutto per rendere questa scuola il più vivibile possibile.”

Justin le spettinò i capelli. “Sono molto fiero di te.”

“Una vera Taylor.” Ripeté Molly con un sorriso, guardando Brian che piegò le labbra all’interno della bocca.

“Ehi, Taylor.” La richiamò l’uomo. “Visti i precedenti, attenta al preside. Non vorrei s’innamorasse anche di te.”

Molly scoppiò a ridere, gettando indietro la testa e facendo ondeggiare i capelli fiammanti.

Justin piantò una gomitata nelle costole del suo fidanzato.

 

 

 

 

 

Per la centesima volta da quando era uscito di casa, Michael Novotny si ripeté che stava facendo una cosa del tutto normale.

Non avrebbe dovuto chiamare Ben per avvertirlo che stava andando in facoltà.

Non avrebbe dovuto aver timore di andare da suo marito per invitarlo fuori a pranzo.

Era una cosa che avevano fatto mille volte, così come quando era Ben a fargli qualche improvvisata al negozio per andare a mangiare un boccone insieme.

Non doveva sentirsi in ansia, né tanto meno in difetto.

Stava andando da suo marito per passare del tempo insieme, per parlare con lui e risolvere quello schifo di situazione che andava avanti ormai da troppo tempo.

Soddisfatto dalla sua determinazione e dalle sue inattaccabili conclusioni, accelerò il passo in direzione dell’ufficio di Ben. Prese un bel respiro, avvicinandosi alla porta, e diede due leggeri colpetti.

“Avanti.” Lo invitò la voce di Ben dall’interno.

Michael entrò, stampandosi un sorriso allegro in faccia, sorriso che scomparve immediatamente davanti all’espressione agghiacciata di suo marito. Di fronte a lui, seduto comodamente sulla poltrona, con quella sua aria da bello e dannato, c’era il misterioso sconosciuto con cui Ben si era segretamente incontrato al parco.

“Michael!” Ben scattò in piedi, andandogli incontro con un sorriso forzato. “Che… che ci fai qui?”

Michael deglutì a vuoto, lo sguardo ancora incollato all’uomo che lo fissava con espressione curiosa. “Io… volevo invitarti a pranzo…”

Ben gli sfiorò una spalla. “Mi dispiace, ma al momento proprio non posso.”

“Ti aspetto?”

L’uomo scosse il capo. “Sarò impegnato ancora per molto, ma che ne diresti se stasera ti portassi fuori a cena per farmi perdonare?” Rivolse a suo marito un sorriso innamorato e gli accarezzò una guancia. Nonostante la situazione, Michael annuì, rassicurato dal quel gesto affettuoso, prima di ricordarsi della terza persona presente nella stanza. “Ci vediamo a casa?” Michael sentì una rabbia improvvisa montargli dentro. Allontanò con un gesto stizzito la mano di Ben e lo guardò furioso. “Che c’è?” Gli chiese, alzando il tono di voce e facendolo sobbalzare. “Ho interrotto il romantico appuntamento col tuo amante?”

Ben spalancò gli occhi e si voltò a guardare il suo visitatore, quasi si aspettasse di trovare qualcun altro seduto davanti alla sua scrivania. “Il mio cosa?!”

“Lui!” Michael puntò un dito verso l’uomo dai capelli chiari. “Vuoi negare l’evidenza?”

“Ma quale evidenza? Michael, sei forse impazzito?”

“Non raccontarmi cazzate, Ben! Aveva ragione Brian, avrei dovuto chiarire la cosa molto tempo fa!”

“Ma quale cosa?” Ben gli posò le mani sulle spalle, ma Michael si allontanò bruscamente, voltandosi verso l’estraneo. “E tu!” Si avvicinò con passo minaccioso. “Spero che sappia cosa hai fatto! Noi abbiamo una famiglia, abbiamo dei figli insieme! E per colpa tua, è andato tutto a puttane!”

“Michael, adesso basta! Ma che ti prende?”

Michael incrociò le braccia al petto e rivolse a suo marito un’occhiata assassina. “Quindi vuoi negare che in tutti questi mesi non mi hai ripetutamente tradito con quest’uomo, raccontando bugie a me e a nostro figlio, saltando le cene a casa di mia madre e quelle con le ragazze soltanto per un bel culo?” Mosse un passo verso Ben e lo colpì ad una spalla con forza. “Vuoi negare tutto questo?”

“SI!” Gridò Ben, sconvolto ed incredulo allo stesso tempo. “Certo che voglio negarlo! Lui non è il mio amante!”

Michael si bloccò all’istante, il braccio con cui stava per colpire nuovamente Ben fermo a mezz’aria. “Cosa?”

“Cristo Santo, Michael!” Ben sbatté gli occhi un paio di volte, come per essere sicuro di trovarsi davanti davvero a Michael Novotny, suo marito, e non ad una di quelle attrici del melodramma che piacevano tanto a Ted.

“Quindi non hai una relazione con lui?”

“Michael!” Ben lo fissò attonito. “Come puoi pensare una cosa del genere? Io ti amo, non farei mai nulla che possa ferirti!”

Michael deglutì a fatica, la gola ormai secca, e indicò di nuovo l’uomo che aveva assistito in assoluto silenzio allo scambio tra i due coniugi. “E allora perché l’hai incontrato in segreto al parco quando mi avevi detto di essere in facoltà?” Ben sollevò le sopracciglia, stupito che suo marito fosse a conoscenza di quella piccola bugia. “Sì, ti ho seguito Ben. E prima che inizi con le solite stronzate sul ‘Come hai potuto?’ e ‘Hai tradito la mia fiducia’, sappi che mi hai dato mille motivi per farlo.” Si passò una mano sul viso in moto di frustrazione. “Nelle ultime settimane sei stato scostante, assente e sempre nervoso e quindi sì, ti ho seguito, Ben Bruckner, per sapere cosa ti stesse succedendo visto che tu non hai avuto il coraggio di dirmelo. Hai un altro? Bene! Vuoi il divorzio? Grandioso! Abbi almeno la decenza di gridarmelo in faccia! Tira fuori le palle, cazzo!”

Le sopracciglia dello sconosciuto guizzarono così in alto che scomparvero dietro la frangetta bionda. Lanciò un’occhiata divertita a Ben e soffocò una risata, attirando involontariamente l’attenzione dei due uomini.

“Che cazzo ci trovi di divertente?” Gli domandò Michael, deviando per un istante la rabbia su di lui, in attesa che suo marito di risvegliasse dallo stato catatonico in cui versava. “Questo è tutta colpa tua!”

“Colpa mia?” L’uomo prese a sghignazzare apertamente, facendo aumentare in modo esponenziale la furia di Michael. “Tu che dai di matto per qualcosa che esiste solo nella tua testa è colpa mia?”

Michael mosse un passo verso di lui con fare minaccioso. “Adesso sentimi bene, stronzo vigliacco che…”

“Michael…” Ben posò una mano sulla spalla di suo marito per impedirgli di avanzare oltre. “Aspetta, lascia che ti spieghi…”

Michael sbuffò scettico. “Mi sembra che le cose siano anche troppo chiare.” Indicò l’uomo. “Il qui presente…”

“Hank Sanders.” Lo informò lo sconosciuto.

“… il qui presente Hank Sanders ha passato le ultime cinque settimane, se non di più, a scoparsi mio marito, il che lo rende automaticamente il tuo am…”

“… editore.” Terminò Hank per lui.

Michael aggrottò la fronte, la mano con cui stava minacciando i due uomini ferma a mezz’aria. “Cosa?”

Ben sospirò, avvicinandosi ad Hank. “Michael, questo è Hank Sanders, vecchio amico e possibile futuro editore.” Mosse una mano verso Michael. “Hank, ti presento mio marito Michael Novotny.”

Hank tese una mano. “Finalmente ti conosco. Benji non ha fatto che parlarmi di te.”

Benji?” Chiese Michael con voce stridula. Probabilmente dopo tutto quel gridare, la sua voce non avrebbe più riacquistato la tonalità originaria.

Ben scosse il capo sorridendo. “È così che mi chiama Hank. Usa quello stupido soprannome da più di vent’anni.” Michael deglutì a vuoto, limitandosi ad annuire.

“Mi dispiace aver creato incomprensioni tra voi, Michael, ma tra me e Benji c’è solo una forte amicizia, te lo assicuro.” Hank sorrise cordiale e si posò una mano sul cuore. “E ti giuro che non è successo assolutamente nulla tra noi. Praticamente ogni volta che ci siamo incontrati, abbiamo parlato solo di te e dei vostri ragazzi.” Socchiuse gli occhi in uno sforzo di concentrazione. “Hunter e… Jenny, giusto?” Michael annuì, ancora incapace di proferire parola. “E del libro, ovviamente.”

Ben sospirò e accarezzò la spalla di suo marito. “Ti va di sederti? Ho qualcosa da dirti.”

Hank e Michael si accomodarono nelle due poltroncine mentre Ben tornava al suo posto dietro la scrivania. Prese un bel respiro e guardò suo marito accennando un sorriso rassicurante. “Conosco Hank da più di vent’anni, siamo andati insieme al college e siamo stati coinquilini per molto di più.”

Hank sorrise scuotendo il capo. “Spero davvero che tu sia migliorato in cucina, Benji.”

Ben lo ignorò, ma lanciò un’occhiata divertita a Michael notando suo marito sorridere. “Anche lui è uno scrittore, solo che lui è un’anima vagabonda e ha girato mezzo mondo seguendo la sua passione, sempre in cerca di ispirazione in qualche remoto angolo della terra.” Fece una pausa e si appoggiò allo schienale della sedia. “Circa un mese e mezzo fa, ci siamo rincontrati ad una festa della facoltà. Inutile dire che ero sconvolto di rivederlo, dato che erano ormai anni che non ci sentivamo.”

“E come mai ti trovi a Pittsburgh?” Finalmente le capacità vocali di Michael ripresero a funzionare correttamente.

“Ero stato invitato ad un evento letterario il giorno precedente e lì ho incontrato un professore che mi ha chiesto di presenziare alla festa in cui ho ritrovato Benji.”

“Era incredibile che ci fossimo incontrati proprio in quell’occasione.” Ben riprese il racconto “Abbiamo iniziato a parlare e io gli ho confessato di aver iniziato un nuovo romanzo.”

“Davvero?” Michael guardò stupito suo marito. “Non me l’avevi detto.”

“Perché non doveva leggerlo nessuno, in realtà. E non volevo dirlo a Hank, mi è come… sfuggito dalle labbra.”

Hank rise. “Per mia fortuna.” Si voltò verso Michael. “Ho parlato a Ben dell’eventualità di pubblicare il libro, dopo averne letto alcuni estratti. È una gran bella storia e ho pensato che avrei potuto sottoporla alla mia casa editrice quando Benji l’avesse terminata.”

“Era per questo motivo che ero sempre in ritardo per cene e eventi familiari.” Ben sorrise rammaricato a suo marito. “E mi dispiace aver trascurato te e i ragazzi.”

Michael annuì. “Ma perché tanta segretezza? E le bugie, gli incontri misteriosi al parco…”

Hank si alzò, afferrando il suo cappotto dalla spalliera della sedia. “Credo che voi dobbiate parlare un po’ per conto vostro.” Tese una mano a Michael. “Michael, è stato un piacere. Benji, noi ci sentiamo domani.”

“Perfetto.” Ben assentì col capo. “A domani.”

Un attimo dopo, i due uomini furono soli. Ben tese una mano verso suo marito che la strinse forte. “Prima di tutto, mi dispiace.” Confessò pentito. “Se avessi saputo cosa ti passava per la testa, non avrei mai tenuto tutto nascosto.”

“E allora perché l’hai fatto? Sapevi qual era il motivo delle tensioni, ma non hai fatto nulla per…”

“Michael.” Ben si alzò, girando attorno alla scrivania e accomodandosi poi sulla poltrona lasciata libera da Hank. “Sapevo che non sopportavi il fatto che non ci fossi mai, ma ti assicuro che molte delle mie nottate le ho davvero passate qui a correggere le tesi dei miei studenti.” Accarezzò i capelli di suo marito. “Ma non avrei mai pensato che tu mi credessi capace di tradirti.”

“Che avrei dovuto pensare, Ben? Mi dici che sei bloccato in facoltà e poi ti vedo incontrarti segretamente con un tipo bello come il sole e dai vostri atteggiamenti si capiva subito che non eravate due semplici conoscenti.”

“Abbiamo parlato sempre e solo del libro, te l’assicuro.”

Michael annuì, ancora non del tutto persuaso. “Perché non mi hai detto nulla? Del libro, di Hank…”

Ben si rilassò contro la spalliera e fece un gran sospiro. “L’ultima volta che ho scritto un libro non è andata molto bene e non volevo creare altre inutili discussioni. Avevo bisogno di capire prima da solo se valeva la pena scrivere questo nuovo romanzo e dovevo essere certo che fosse all’altezza prima di fartelo leggere perché non volevo deluderti di nuovo.”

“Deludermi? Ben, ma che dici?”

“Michael.” Ben gli prese il volto tra le mani. “La tua opinione conta moltissimo per me ed è per questo che, quando l’ultima volta hai detto che il mio libro non ti piaceva, ho reagito male. Perché non volevo che tu mi vedessi fallire.”

“Ma è questo che si fa in un matrimonio.” Michael gli sorrise, baciandogli dolcemente le labbra. “Si combatte insieme. E si vince e si perde insieme.”

“Lo so, ma è stato molto più semplice sottoporlo ad un estraneo, che alla persona che più conta per me.”

“Ok.” Michael annuì. “Non lo condivido, ma posso capirlo. Eri spaventato.” Ben assentì col capo, facendolo sospirare sollevato. “Dio, sono così felice che tu non abbia un altro e che non mi abbia tradito.” Si gettò tra le braccia di suo marito che lo strinse forte.

“Purtroppo c’è dell’altro, Michael.”

L’uomo si staccò immediatamente, allarmato dal tono preoccupato di Ben. “Ci vorrà ancora del tempo prima che il libro sia concluso, ma se dovesse andare bene potrebbero esserci delle novità…”

“Che novità?” Domandò Michael.

“Secondo Hank ci sono buone possibilità che io debba fare un tour promozionale del romanzo. Un tour in tutto il paese.”

“Oh.”

Ben annuì. “Già. Sarebbe solo per qualche settimana, cinque o sei al massimo, ma saremmo comunque lontani.” Strinse forte le mani di suo marito. “È anche questo che mi ha trattenuto dal dirtelo. Non volevo sollevare problemi senza prima essere sicuro che il progetto sarebbe andato in porto e non volevo farvi preoccupare inutilmente se il libro non fosse andato bene.”

Michael gli sorrise, annuendo piano. “Lo capisco, ma rimango dell’idea che avresti dovuto dirmelo.”

“Ed io ti ripeto che l’avrei fatto senza problemi se avessi immaginato cosa passava per quella tua testa bacata.” Ben scoppiò a ridere. “Un amante? Andiamo, Michael!”

“Che avrei dovuto pensare?” Si risentì l’uomo, continuando però a sorridere palesemente sollevato. “Tutti mi dicevano che ero pazzo, ma io non riuscivo a credere a nessuno.”

“A questo proposito…” Ben lo guardò curioso. “Hai detto che Brian ti ha consigliato subito di venire a parlare con me.”

“Già.” Michael ridacchiò. “Accettare consigli d’amore da Brian Kinney, l’avresti mai detto?”

“E lui ha pensato sul serio che io avessi un altro?”

Michael scosse il capo. “No. Ha solo detto che noi due siamo troppo patetici per avere problemi del genere.” Confessò con tono offeso, facendo ridere di gusto suo marito.

 

 

 

 

 

“Ehi, sfigati! Che fate di bello?” Lane entrò in salotto con un sorriso beffardo dipinto in viso, accasciandosi poi sul divano di casa Novotny-Bruckner.

“È sempre un piacere vederti, Lane.” Ribatté Howie senza neppure alzare lo sguardo.

Paul la guardò male. “Che sei venuta a fare? Gongolare?”

Lane mise su un’espressione candida per niente convincente. “E perché mai? Perché io ho già studiato tutti quei mattoni su cui passerete il pomeriggio? O perché ho preferito passare il mio ultimo weekend a sgobbare mentre voi vi davate alla bella vita?”

Hunter sbuffò. “Va bene, abbiamo capito. Siamo degli idioti, sei venuta solo per dirci questo?”

Lane gli sorrise, mandandogli un bacio dal divano. “Sì.”

Paul ringhiò piano, prima di alzarsi bruscamente. “Vado a prendermi qualcosa da bere.” E si diresse verso la cucina.

Lane aspettò che fosse uscito per avvicinarsi al suo amico. “Grandi notizie, James.”

“Davvero?” Hunter la guardò sospettoso.

La vide annuire. “Che fai stasera?”

Howie sghignazzò. “Scopa.” Rispose, prima che Hunter avesse il tempo di dire una parola.

“Come?” Lane aggrottò le sopracciglia, confusa.

Hunter colpì Howie al braccio, che capì l’antifona e sparì al piano di sopra borbottando un “Devo pisciare…” che fece rabbrividire Lane di disgusto.

“Esco con Callie, stasera.” Le comunicò il suo amico, guardandola di sottecchi. “L’ho incontrata oggi in facoltà e mi ha invitato ad andare al cinema con lei.”

“Davvero?” Lane sgranò gli occhi sorpresa.

“Ti sembra davvero così strano?”

“Sono settimane che cerco di convincerti e tu mi hai sempre snobbato.”

“Tutto merito mio, Clarke.” La raggiunse alle spalle la voce di Paul. Lane fece una smorfia nella sua direzione. “È vero, arrenditi all’evidenza. A quanto pare il caro James dà più ascolto a me che a te.”

“Io non penso.”

“Io penso.”

“Questa sì che è una novità. Paul che pensa.”

“Dolcezza, io penso molto e se vuoi saperlo scopo anche parecchio. Vuoi provare?”

Lane emise un verso disgustato quando l’amico si sporse verso di lei con espressione maliziosa. “Sparisci, idiota.”

“Ok, adesso finitela.” Hunter si massaggiò con forza le tempie. “Riuscite sempre a farmi scoppiare certe emicranie con le vostre discussioni da terza elementare…”

“È colpa sua!” Esclamarono all’unisono i due ragazzi, additandosi a vicenda.

“Va bene, mi arrendo.” Scosse il capo e si voltò verso la sua migliore amica. “Allora, quali erano le grandi notizie?” Lane lo guardò confusa. “Quando sei entrata, mi hai chiesto che facevo stasera e che avevi grandi notizie.”

“Oh, quello.” Lane scosse il capo, imbarazzata. “Niente di che. È solo che…” Rifletté velocemente “Fanny e Ramon vanno a non so quale festa per tossici alcolizzati e io avevo casa libera…”

“Mmm… il programma si fa interessante…” Mormorò Paul con un sorriso suadente.

“Cerca di tenertelo nei pantaloni, maniaco.” Lo rimbrottò Lane, senza distogliere lo sguardo da Hunter. “E mi chiedevo se ti andava di vedere qualche film da me, ma se hai altri impegni, non importa…”

“Mi dispiace…” Fece Hunter desolato.

Lane gli sorrise, scuotendo i capelli biondo grano. “Non importa, ma sappi che dovrai raccontarmi tutto per farti perdonare del palo che mi hai dato.”

Hunter annuì. “Promesso.”

“Bene.” La ragazza si alzò. “Vado a prendermi un bicchiere d’acqua. Tu vuoi qualcosa?” Il suo amico scosse il capo.

“E a me non chiedi cosa voglio?” Domandò Paul con un ghigno, venendo bellamente ignorato.

Lane entrò in cucina e lanciò un’occhiata verso il salotto per assicurarsi che Hunter non l’avesse seguita. Si appoggiò al lavello ed estrasse i due biglietti dalla tasca posteriore dei jeans.

Quando qualche ora prima la sua amica Stacy le aveva detto di avere dei biglietti per il concerto di uno dei gruppi che le piacevano, Lane non era riuscita a crederci. “Portaci Hunter, so che piacciono anche lui.” Le aveva consigliato Stacy. “Andrà fuori di testa.” Le aveva risposto sicura Lane, ringraziandola.

“Credo proprio che per stasera non se ne farà nulla…” Mormorò la ragazza, posando i due pezzettini di carta sul tavolo e tirando fuori la pattumiera. “Sarà per la prossima…”

Per un attimo, pensò all’ipotesi di andare da sola, o magari di invitare qualche amica, ma d’un tratto non le andava più di uscire. Probabilmente si sarebbe chiusa in casa davanti alla tv ad ingurgitare quintali di gelato al pistacchio, la sua inconfessabile perversione.

Le dispiaceva non andare con Hunter, dopo che proprio assieme a lui aveva scoperto quel gruppo che entrambi aveva iniziato ad adorare, ma non sarebbe stato giusto rovinargli la serata con Callie, dopo che finalmente aveva acconsentito ad uscire con lei.

“E quelli che sono?”

Lane trasalì, gettando rapida i biglietti nel cestino. “Cosa?”

Paul inarcò un sopracciglio. “Lasciamo perdere. Che fai? Rimani ad aiutarci?”

La ragazza scosse il capo. “Non posso. Devo correre al supermercato a comprare una confezione di gelato al pistacchio.”

“Ok.” Paul la fissò con un strana espressione , prima di stringersi nelle spalle. “Ci vediamo domani, allora.”

Lane annuì. Lo superò agile e raggiunse il salotto, dove salutò Hunter e Howie, prima di raccattare la sua borsa e uscire di corsa da casa Bruckner. Si trovava alla fine dell’isolato, quando una voce la richiamò. Si voltò, colta di sorpresa.

“Cazzo, ma quanto corri?” La rimbrottò Paul, piegandosi in due e poggiando i palmi sulle ginocchia per riprendere fiato.

“Paul! Che fai, mi segui?” Lane lo guardò sospettosa.

Il ragazzo scosse il capo e le porse qualcosa. “Credo che questi siano tuoi.”

“Miei…?” Lane affilò lo sguardo e vide i due biglietti del concerto, stretti nella mano possente di Paul. “Hai rovistato nella spazzatura?”

Paul si strinse nelle spalle. “Avevi un’aria strana ed ero curioso di vedere cosa fossero.”

“Impiccione…” Lane gli strappò di mano i biglietti, infilandoli nella tasca del giubbino. “Avresti dovuto lasciarli dov’erano.”

“E tu invece dovresti andarci.”

“Dove?”

“Al concerto.”

Lane roteò gli occhi. “Sì come no… Sai che divertimento da sola…”

“Invita qualcuno! Hai un miliardo di amiche!”

“Come ti ho già detto, non sono affari tuoi.”

Paul scosse il capo. “Fa’ come vuoi. Credo solo che sia uno spreco non usarli. Esci e divertiti, per una volta che non devi occuparti di tua madre.” Arretrò di un passo e si avviò di nuovo verso casa.

Lane grugnì contrariata, increspando le labbra.

Razza di ficcanaso…Chi ti dà il diritto di intrometterti…

“Paul!” Sentì la sua voce gridare, meravigliandosene lei per prima.

Il ragazzo si bloccò a metà del vialetto. “Che vuoi?”

Lane alzò i biglietti. “Hai da fare stasera?” Vide il ragazzo studiarla attentamente, probabilmente per controllare che non fosse impazzita tutto d’un colpo. “Sto bene, Paul!” Gli gridò. “Sappi solo che non avrai nessun dopo cena! Finito il concerto, non ti invito a casa mia per il dessert!”

Paul scoppiò a ridere, strappandole malgrado tutto un sorriso. “Fatti bella, Clarke! Passo a prenderti alle nove!”

Lane scosse il capo, avviandosi poi verso la fermata dell’autobus.

Lungo il tragitto si chiese se lei e Paul che uscivano insieme fosse uno dei primi segni dell’Apocalisse.

 

 

 

 

 

 

Tadaaaaah!! Nuovo capitolo!! Sorpresi, eh?? Con la mia velocità di aggiornamento probabilmente mi aspettavate ad anno nuovo ed invece eccomi qui! XD

Allora, nel nuovo capitolo tutto procede bene per i nostri piccioncini che si sono anche ritrovati a fare i genitori a scuola di Molly, mentre per tutti gli altri novità in vista: Michael e Ben hanno finalmente risolto le loro incomprensioni (ma sarà davvero tutto così semplice? Lo sapete quanto sono sadica, no?) e abbiamo finalmente fatto la conoscenza di Hank, il misterioso amante che poi amante non era. Inutile dire che far fare la figura del pollo a Michael mi ha divertito moltissimo. Blake e Ted affrontano una nuova partenza e le prime paure cominciano ad emergere… Che succederà? In questo capitolo, il mio adoratissimo Emmett non c’è, ma nel prossimo (che è la seconda parte di questo) tornerà, promesso.

E infine il triangolo Lane/Hunter/Callie che si complica. Ho notato che la povera Callie non è molto apprezzata e che, al contrario, Lane è diventata una beniamina. Grazie mille a tutte!

 

Come al solito un enorme ringraziamento a tutti quelli che leggono, seguono e commentano la mia storia, ed in particolare alle mie adorate elysenda, mindyxx, Giulia_TH, SusyJM, electra23, Grinpow, EmmaAlicia79 e silvergirl (cui devo i diritti per il nome Britin+JRus da lei creato). Ma che farei senza di voi???

Prima di salutarvi, aggiungo le altre foto dei nuovi personaggi. Un bacio e a presto (spero!).

 

Vanessa: Ecco qui la meravigliosa Sophia Bush nella parte della gallerista più temuta di NYC.


John: Ho rubato a Twilight Peter Facinelli per dare un volto all'affascinante cuoco che ha fatto perdere la testa al nostro tenero Emmett.


Hank: Ed infine, aggiungo anche la foto del misterioso amante di Michael che rimarrà in quel di Pittsuburgh ancora per parecchio tempo. Fan della ship Michael/Ben siete avvertite!

 

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Capitolo 19
*** … and Resolutions ***


Questo capitolo - ed in particolare la scena di sesso - è dedicato a tutti quegli idioti che nel 2011 si divertono ancora ad usare la parola "gay" come fosse un insulto. Vorrei solo dire a queste persone che il cervello e la materia grigia non sono due malattie veneree e che il nostro sarebbe un mondo migliore se la gente li usasse un po' di più. Fidatevi di me, non vi uccideranno. Anche se forse sarebbe meglio che lo facessero.

Scusate lo sfogo.

 

 

 

 

… and Resolutions

 

 

 

 

 

Aprendo la porta di Woody, Ted fu investito da un’ondata di aria calda e grida d’incitamento. Lasciò passare una coppia troppo presa a sbaciucchiarsi per accorgersi di lui e entrò finalmente nel locale, passandolo in rassegna con lo sguardo in cerca dei suoi amici.

Avvistò il tavolo proprio mentre una voce familiare animava tutto il bar; raggiunse i ragazzi e si accasciò esausto sulla sedia libera accanto a Brian, lanciando poi un’occhiata divertita verso il palco su cui uno scatenato Emmett in versione Cindy Lauper si scatenava sulle note di Girls Just Want To Have Fun.

“Emmett stasera è più scintillante del solito.” Constatò l’uomo guardando gli altri.

Justin ridacchiò, sorseggiando la sua birra. “Oggi ha iniziato ad aiutare Molly per l’organizzazione del ballo e, a sentire lui, non si è mai divertito tanto.”

“Come no.” Brian si appoggiò allo schienale della sedia e incrociò le braccia, stendendo le gambe sotto il tavolo e continuando a guardare il suo amico sul palco. “Intrappolato per ore con un’orda di adolescenti su di giri. Il sogno di ogni uomo.”

Justin gli posò la mano sulla coscia e scosse la testa con un sorriso. “E tu?” Chiese a Ted. “Come mai così tardi?”

Ted fece cenno al cameriere per avere il suo drink e sospirò afflitto. “Ho appena accompagnato Blake in aeroporto.”

“Oh.” Michael, seduto al suo fianco, lo guardò desolato. “Mi dispiace, Ted.” Lo consolò, passandogli un braccio attorno alle spalle.

Ted abbozzò un sorriso poco convincente. “Sono stato io a fargli cambiare idea, no? Non dovrei lamentarmi.”

Ben gli diede una leggera pacca sul braccio. “Questo non vuol dire che tu non possa sentire la sua mancanza.”

“Visto?” Sibilò Justin guardando Brian, ma indicando Ted. “È questa la reazione che le persone normali assumono quando il loro partner è lontano.” Brian sbuffò contrariato, dando un sorso alla sua birra. “Non il sorriso tronfio e compiaciuto che hai tu ogni volta che Vanessa nomina New York.”

“Persone normali, appunto…” Gli fece notare Michael, beccandosi un calcio sotto il tavolo dal suo migliore amico.

Lo scroscio di applausi che seguì la fine dell’esibizione di Emmett interruppe la discussione, mentre il loro amico tornava da loro, sedendosi al capo opposto di Brian. “Ehi, Teddy! Sei arrivato finalmente!”

Ted gli sorrise con calore. “Giusto in tempo per vedere la tua strabiliante performance.”

Emmett intrecciò le dita delle mani e si strinse nelle spalle, gongolando soddisfatto. “Cindy sarebbe fiera di me.”

That’s all they really want, some fun , no?” Gli domandò Ben, citando di nuovo la canzone.

“Assolutamente.” Concordò Michael, posando poi la testa sulla spalla di suo marito.

“E voi?” Ted guardò curioso la coppia. “Niente più problemi, da quello che vedo.”

Ben passò un braccio attorno alle spalle di suo marito. “Niente più problemi. Io e Michael abbiamo parlato.”

Emmett batté le mani entusiasta. “Che bello! Non è bello, ragazzi?” Chiese a nessuno in particolare.

Faaavoloso…” Civettò Brian sarcastico, allungandosi verso Justin e baciandogli un orecchio con un rumoroso schiocco. Il ragazzo ridacchiò, sfregando i capelli contro la sua guancia.

“Ehi voi!” Daphne li raggiunse al tavolo, prendendo posto tra Emmett e Justin. Porse un bicchiere ad Emmett che le sorrise riconoscente. “Vi vorrei ricordare che ci sono persone ancora single a questo tavolo e il vostro continuo sbaciucchiarvi può urtare la loro sensibilità.”

“Non è mica colpa nostra se sei zitella.” La punzecchiò Justin, baciando Brian a piene labbra solo per irritarla.

Daphne guardò Emmett con espressione disperata. “Fortuna che almeno tu sei lontano da Matrimoniolandia.”

“Attenta…” Ted lanciò un’occhiata di sbieco a Brian che alla parola matrimonio aveva storto il naso. “Qualcuno potrebbe avere una reazione allergica.” Il gruppetto scoppiò a ridere, facendo indignare ancora di più il povero Brian. “Ma non dovevano esserci anche i tuoi amici?” Chiese poi l’uomo a Justin. Il cameriere arrivò in quel momento con la sua birra analcolica. “Brian mi ha detto che li avresti portati a spasso stasera.”

Justin gli sorrise e annuì, guardando poi il suo fidanzato. “Non sapevo che tu e Ted foste diventati così intimi.”

Brian si strinse nelle spalle. “Capita che alle volte io non mi senta così incredibilmente irritato dalla sua presenza.”

“Che complimento, Teddy.” Osservò Emmett, portandosi alla bocca il suo drink. “Non aspettartene un altro fino al prossimo millennio.” Brian gli fece una smorfia.

“Comunque sì, stasera ci sono anche i miei amici.” Proseguì Justin, accarezzando piano la nuca di Brian. “Steve è in giro da qualche parte, mentre Nessa è al bancone ad ubriacarsi.” Indicò in direzione del bar.

Ted annuì, dando un sorso alla birra.

“Oh, Justin!” Daphne si voltò con un sorriso radioso verso il suo migliore amico. “Prima stavo pensando…”

“Attento, Sunshine…” Lo avvertì Brian. “Non è mai una buona notizia quando le donne pensano…”

Daphne lo ignorò. “Sai cosa sarebbe assolutamente fantastico?”

Justin alzò gli occhi al cielo. “Daph, te l’ho già detto. Non salgo sul palco a cantare con te.”

“Ma perché?!” La ragazza si aggrappò al suo braccio. “Ti prego! Come facevamo da bambini!”

“Ho detto di no.”

“Per favore.”

“La mia decisone è irrevocabile.”

“Ti ricordi quanti complimenti prendevamo?” Justin sbuffò scocciato, nascondendosi dietro il suo bicchiere. Daphne si voltò con un sorriso verso il resto del tavolo. “Quando eravamo piccoli, cantavamo al karaoke ad ogni festa di compleanno a cui eravamo invitati. E riscuotevamo un successo straordinario.”

“Non fatico a crederlo.” Osservò Ben con un sorriso divertito.

Daphne annuì. “I nostri cavalli di battaglia erano quasi tutti di Madonna, ma poi col tempo abbiamo allargato il nostro repertorio a Britney Spears, Christina Aguilera e i…”

“… Backstreet Boys.” Concluse Justin con lei, non riuscendo a trattenere un sorriso. “Dio, sembra un secolo fa.”

“Se quelli sono cantanti di un secolo fa, dovreste sentire quelli che sentivamo io e Brian.” Disse Michael, facendo ridere i due ragazzi.

Brian guardò il suo fidanzato con un sopracciglio inarcato e l’espressione a metà fra lo sconcertato e il disgustato. “I Backstreet Boys?”

Justin annuì convinto. “Avevo una cotta spaventosa per Nick Carter.”

“E chi non ce l’aveva?” Domandò Daphne. “Quel tipo era davvero sexy.”

“Peccato che adesso sia grosso come un elefante.” Sentenziò Brian acido.

Justin gli baciò la mascella. “Non tutti invecchiano splendidamente come qualcuno di mia conoscenza.”

Brian gli pizzicò un fianco. “Farò finta di non aver sentito quel verbo, Sunshine.”

“Ecco, potremmo cantare qualche loro canzone stasera.” Tentò di nuovo Daphne.

“Precisamente quale parte di non ho intenzione di salire su quel dannato palco non ti è chiara?”

Daphne sbuffò e guardò Brian con occhi imploranti. “Ti prego, perché non lo convinci tu? Fallo per me.”

Brian sollevò le sopracciglia e la fissò impietosito. “Coraggio, Justin, fai contenta la tua fidanzatina. Sali sul palco a renderti ridicolo come ha fatto Emmett. Potresti imparare molto da lui.”

Daphne gli fece una smorfia, incrociando le braccia al petto, mentre Emmett gli lanciava una manciata di noccioline dall’altro capo del tavolo. “Non sei per niente convincente così.” Lo rimproverò la ragazza. “Avresti dovuto promettergli una notte di sesso sfrenato.”

“Tanto quella mi spetta lo stesso.” Le fece notare Justin rivolgendole un odioso sorriso.

Daphne increspò le labbra. “Dimenticavo che siete peggio di due ricci in calore.” Lanciò un’ultima occhiata a Justin prima di alzarsi con un gesto stizzito e avviarsi verso il bancone per prendere posto accanto a Vanessa.

“Avresti dovuto accontentarla, dolcezza.” Gli fece notare Emmett.

Justin schioccò la lingua irritato. “Non ci penso proprio a fare la figura del fesso davanti a tutti.”

“Tesoro.” Emmett occupò il posto lasciato libero da Daphne. “Se ti preoccupi della tua dolce metà, ti assicuro che Brian continuerà ad essere pazzo di te anche dopo che avrai messo in mostra quel tuo delizioso culetto sul palco.” Sorrise a Brian al di sopra della spalla di Justin.

“Non è poi così terribile.” Anche Michael prese parte all’opera di persuasione. “Anzi, è quasi… eccitante. Sai, essere al centro dell’attenzione e tutto il resto…”

“Nel caso non l’avessi notato, non amo essere al centro dell’attenzione.”

“Forse è per questo che le scopate tra te e Brian sono diventate leggendarie al Babylon.” S’intromise Ted con un sorrisetto. “Perché amate fare sesso nel confortevole calduccio del vostro nido d’amore invece che in una squallida dark room circondati da froci arrapati.”

“Quello è completamente diverso.” Si difese Justin.

“Ovviamente, Teddy!” Emmett diede uno schiaffetto al suo amico. “Mostrare i gioielli di famiglia a metà Pittsburgh è molto meno imbarazzante che cantare, vestito, davanti ai propri amici.”

Justin alzò gli occhi al cielo. “Non siete affatto divertenti.”

Brian gli strizzò piano una spalla. “Guarda là.” Indicò il bancone. “Le tue amiche etero stanno confabulando tra loro.”

Michael scosse il capo. “Sai, Brian, forse dovresti smetterla di usare il termine etero come se fosse un insulto.”

“Ed io lo farò quando il resto del mondo smetterà di usare la parola gay come un insulto.”

“Buona fortuna.” Commentarono scettici Ben e Ted.

Justin assottigliò lo sguardo, studiando con attenzione le espressioni delle sue amiche. “Perché qualcosa mi dice che ci sono guai in vista per me?”

Brian sbuffò. “Perché le conosci. Sono donne, dopotutto.”

“A me sembra che chiacchierino semplicemente.” Lo rassicurò Emmett, accarezzandogli i capelli. “Lasciale divertire.”

“Se avessero voluto divertirsi, non sarebbero dovute venire in un bar gay.” Ridacchiò Michael. “Credo che concluderanno poco.”

“Non so Daphne…” Replicò Brian “… ma la regina delle nevi è abbastanza subdola per convertire un povero frocio indifeso.”

“La regina delle nevi?” Chiese Emmett divertito. “Bel soprannome.”

“Dovresti sentire gli altri.” Justin scosse il capo rassegnato. “Questo è di sicuro il più gentile.”

Brian si strinse nelle spalle. “Lei non piace a me ed io non piaccio a lei. Perché dovremmo sforzarci di andare d’accordo?”

“Magari perché siete due adulti?” Suggerì Ted con una punta di ironia.

Justin rise. “Brian e Vanessa adulti. Questa sì che è buona. Sono più maturo io di loro due messi insieme.”

“Ehi, adulto.” Lo rimbeccò il suo fidanzato. “Pare che la tua adulta migliore amica e la tua non troppo adulta gallerista stiano per mettertelo in quel posto.” Sorrise innocente. “Non che la cosa ti dispiacerebbe, ma non credo che loro siano dotate quanto me.”

“Cosa?” Justin ignorò la miriade di doppi sensi appena usciti dalle labbra di Brian e si voltò allarmato verso il palco su cui una sorridente Daphne si apprestava a salire. “Non può farlo…”

Tutto il gruppo lo imitò. “A quanto pare sì.” Confermò Emmett.

“Bene, signori e signori!” Esclamò allegro il tipo col microfono. “Abbiamo una nuova debuttante! Miss Daphne! Facciamole un bell’applauso!” La sala batté forte le mani e con loro anche Michael, Ben, Ted ed Emmett. Brian si limitò a ridacchiare davanti all’espressione assassina di Justin. “Canterai tutta sola, dolcezza?” Videro Daphne sussurrare qualcosa all’orecchio dell’uomo prima che questi annuisse. “A quanto pare il nostro zuccherino qui ha difficoltà a convincere il suo partner a salire sul palco.”

Un coro di “Ooooooooooh” invase il locale. Justin mollò un pugno sulla spalla di Brian quando lo sentì scoppiare fragorosamente a ridere. “Tu dovresti stare dalla mia parte! Non dalla loro!”

Brian lo prese per una mano e se lo portò a sedere sulle gambe. “Sali su quel palco e falla contenta.”

“No.” Ribatté Justin imbronciato.

“Justin…”

“E non dire Justin con quel tono!”

Brian piegò le labbra all’interno della bocca per nascondere un sorrisetto. “Se vai a cantare con lei, prometto di dirti una cosa.”

“Che cosa?”

“Se non vai, non lo saprai mai.” Sussurrò prima di avventarsi sulle sue labbra, cogliendolo di sorpresa.

“Forza, ragazzi! Convinciamo il ragazzo di Daphne a salire sul palco!” Riprese l’uomo col microfono. Daphne indicò verso il suo tavolo. “Oh, rettifico, l’amico di Daphne, perché, da quello che vedo, Justin gioca di sicuro per la nostra squadra!” L’affermazione fu accolta da grida di gioia. “Ehi, Kinney, molla il ragazzo! Finirai la laringoscopia più tardi!” Tutto il locale scoppiò in una fragorosa risata.

Justin si staccò finalmente da Brian e scosse la testa con un sorriso. “Adesso sarebbe il momento giusto per salire su quel palco e dire che il tuo fidanzato non si renderà ridicolo davanti a mezza città.”

Brian sfregò il naso contro il suo e sorrise. “Ti ho mai impedito di fare qualcosa che desideri ardentemente?”

Nonostante la situazione, Justin non poté non concordare con lui.

Quando mai Brian gli aveva impedito di fare qualcosa?  

L’aveva sempre lasciato libero di scegliere, sebbene in più di un’occasione fosse stato poi lui il primo a rimetterci.

Justin sospirò contro le sue labbra, chiedendosi per la millesima volta se il suo amore per Brian avrebbe mai smesso di crescere di più ogni giorno che passavano insieme.

O separati, per quello che valeva.

“Vado, canto e torno.” Cedette alla fine. “Tu non ti muovere da qui. Abbiamo un discorso da finire.”

Brian sollevò le mani in segno di resa. “Agli ordini.”

Justin gli sorrise, baciandolo un’ultima volta, prima di alzarsi e dirigersi verso il palco. “Finalmente!” Daphne gli gettò le braccia al collo.

“Finalmente!” Le fece eco il presentatore. “E ora che abbiamo liberato questo povero tesoro da personaggi poco raccomandabili…” Lanciò un’occhiata verso Brian che alzò il bicchiere verso di lui in un silenzioso brindisi “… riprendiamo con lo spettacolo! Per questa performance la dolce Daphne ha scelto un successo recente: I Kissed A Girl di Katy Perry!”

Justin afferrò il microfono che gli porgeva l’uomo e si voltò incredulo verso la sua amica. “I Kissed A Girl?! Davvero?”

Daphne scoppiò a ridere. “Credevo fosse adatta a te.”

“Vaffanculo.” La rimbrottò il suo amico. “Ti odio.” La ragazza si limitò a baciargli una guancia, riuscendo a strappargli un sorriso.

L’esibizione dei due ragazzi iniziò un po’ sottotono, dato soprattutto l’imbarazzo del povero Justin, ma quando Daphne gli passò un braccio attorno alla vita, posando la testa contro la sua spalla con fare rassicurante, il ragazzo parve rilassarsi. S’impose con tutte le sue forze di non guardare verso un paio di familiari occhi verdi e terminò il suo spettacolo, acclamato da tutto il locale.

Nascose il viso contro i capelli della sua amica e sentì le guance avvampare d’imbarazzo. “Se dopo questo spettacolino che hai messo su mi lascia, giuro che mi trasferisco da te per renderti la vita un inferno.”

Daphne scoppiò a ridere, spingendolo indietro per guardarlo in viso. “Scommetto che si è eccitato così tanto che non farete neppure in tempo ad arrivare al loft.” Gli sorrise affettuosa prima di alzarsi sulle punte e sfiorargli le labbra con le sue. “Ecco, adesso sì che puoi dire I Kissed A Girl.”

Justin scoppiò a ridere, circondandole le spalle con un braccio e guidandola giù dal palco, ancora circondati da urla e fischi di incitamento. “E che ragazza…”

“La migliore.” Precisò Daphne, stringendolo per la vita. “Ah, che coppia avremmo potuto essere!” Ridacchiò divertita. “Peccato che tu abbia rovinato tutto.” Il suo amico si limitò a scuotere il capo, sghignazzando divertito.

“Ragazzi!” Li accolse Emmett ancora applaudendo. “Non credevo foste così bravi! Siete stati fantastici!”

“Non quanto te, Em.” Lo rassicurò Justin, superando il suo posto e accomodandosi direttamente in braccio a Brian. “Allora? Devo cercarmi un posto dove dormire stanotte?” Gli domandò fingendosi preoccupato.

Brian gli passò le braccia attorno alla vita e alzò le spalle. “Devo ammettere che non sei stato poi così ridicolo…” Concesse con sforzo sovrumano.

Daphne, accanto a loro, sbuffò rumorosamente. “Stronzate. Siamo stati grandi là sopra e tu te ne saresti accorto se avessi prestato attenzione alla nostra performance e non al culo di Justin.”

Brian sollevò le sopracciglia stupito. “Perché, non era quella la performance?”

Ted, Michael, Ben e Justin scoppiarono in una fragorosa risata, Daphne ed Emmett si limitarono ad una scrollata del capo, ormai troppo abituati – e rassegnati – all’umorismo di Brian.

“Ehi!” Steve li raggiunse al tavolo con un sorriso che andava da un orecchio all’altro. “A quanto pare ci si diverte qui!”

Justin si voltò verso il suo amico. “Potrei dire lo stesso di te. Sei sparito da quando siamo arrivati.”

Steve alzò le spalle, continuando a sorridere. “Sto spiumando tutti quelli che mi sfidano a biliardo. Un altro paio di serate così e mi ritiro a vita privata.” Indicò i tavoli verdi in fondo al locale. “Non mi avevi detto che i gay di Pittsburgh erano tutte schiappe.”

“Ehi!” Si risentirono Ted e Michael.

“È vero.” Osservò con nonchalance il ragazzo. “E dire che Justin mi fa sempre il culo a New York.”

Le sopracciglia di Brian scattarono verso l’alto. “Spero solo in senso metaforico.”

“Ovviamente, gelosone.” Lo tranquillizzò Steve, non cosciente dell’effetto che la parola gelosia potesse avere su Brian e facendo ridacchiare sommessamente tutti.

Brian diede una pacca sul sedere di Justin per far sì che si alzasse e si mise in piedi, stiracchiandosi. “Che ne diresti, allora, se questo gelosone ti facesse vedere chi è la schiappa a biliardo?”

“Cos’è? Una specie di ritorsione perché ho osato avvicinarmi al culo della tua dolce metà?”

Il resto del gruppo, che ormai sghignazzava apertamente, seguì divertito lo scambio tra i due ‘uomini di Justin’, come una volta li aveva simpaticamente soprannominati Vanessa in uno dei suoi molteplici tentativi di irritare a morte Brian.

“Certo che no.” Tagliò corto Brian. “Voglio solo dimostrarti che non tutte le checche di Pittsburgh sono inutili come quei falliti con cui hai giocato.”

Steve affilò lo sguardo, studiando per un lungo istante l’uomo davanti a lui, prima di annuire con una scrollata di spalle. “Andata, gelosone.”

Brian serrò la mascella e inarcò minaccioso un sopracciglio. “Ti dispiace?”

“Cosa?” Domandò Steve perplesso.

“Quello stupido nomignolo.”

“Gelosone?”

Brian roteò gli occhi al colmo della frustrazione e Justin dovette mordersi la lingua per non scoppiare di nuovo a ridere. Con tutta probabilità, Brian l’avrebbe preso a calci. “Io non sono geloso.”

“Ceeeeerto.” Lo assecondò Steve. “Aspetta di incontrare Chuck e Philippe.”

“Ma non stavamo andando?” Chiese Justin, per nulla ansioso di parlare dei due ragazzi che lo tormentavano a New York. “Se non sbaglio volevi giocare a biliardo.”

Steve scosse le spalle. “Se il tuo fidanzato assolutamente non geloso è pronto.”

“Fai strada, ragazzino.” Brian raddrizzò le spalle.

“Sei davvero sicuro di vincere?” Steve sollevò un angolo della bocca, chiaramente divertito.

Brian lo seguì verso il tavolo da biliardo. “Hai detto che Justin ti batte, no?”

“Il più delle volte.”

“E chi credi gli abbia insegnato a giocare?”

Steve si bloccò a metà strada, voltandosi con sguardo minaccioso verso di lui. “Lo vedremo, vecchietto.”

“Non vedo l’ora, ragazzino.”

Emmett batté le mani entusiasmato. “Che ne dite di giocare a squadre?”

“Io ci sto.” Brian recuperò uno sgabello da uno dei tavoli lì vicino. “Signorine contro uomini.”

“Quindi io che faccio?” Borbottò Daphne, guardandolo male. “Gioco da sola?”

L’uomo le passò un braccio attorno alle spalle e le baciò una guancia. “Veramente io pensavo a me, te, Ben e il vecchio Theodore contro le nostre belle signorine.” E indicò uno dopo l’altro Justin, Emmett, Steve e Michael. Daphne scoppiò a ridere.

“Ma che spiritoso…” Borbottò Justin.

Emmett lo abbracciò affettuosamente da dietro. “Tesoro, lascialo perdere. Che farebbero questi grossi attivi prepotenti senza di noi?”

“Anche perché mi pare che la signorina ti abbia fatto gridare parecchio stanotte.” Spiattellò Justin senza la minima vergogna.

Gli altri scoppiarono a ridere, chi più sommessamente come Ben, chi non facendo nulla per nasconderlo come Michael ed Emmett. Brian inarcò un sopracciglio con fare intimidatorio che non ebbe alcun effetto sul suo compagno. “E se tu vuoi urlare altrettanto stasera, ti consiglio di chiudere la bocca.”

Un sorrisino sfuggì dalle labbra di Justin. Lo guardò malizioso, muovendo un passo verso di lui. “È una promessa?” Brian inarcò un sopracciglio, piegando l’indice verso di lui, in un silenzioso invito. Justin non si fece pregare oltre; lo raggiunse rapido, prendendo posto tra le gambe di Brian sullo sgabello e poggiando la schiena contro il petto. “È una promessa, Sunshine.” Gli sussurrò quello all’orecchio, facendogli venire la pelle d’oca.

Justin sorrise e si mosse sul trespolo per sistemarsi meglio, scivolando indietro per guadagnare un po’ di spazio, ma Brian non approvò l’iniziativa. “Brian, spostati un po’! Sto quasi per cadere!”

Brian si limitò a passargli le braccia attorno alla vita. “Non è colpa mia se hai il culo grosso.”

“Il mio culo non è grosso!” Il ragazzo gli rifilò una gomitata nelle costole. “E poi non ti sei mai lamentato delle dimensione del mio di dietro.”

“Certo che no. Ci vuole un culo grosso per contenere un altrettanto grosso…”

Steve si schiarì rumorosamente la gola. “Ti dispiace?” Lo guardò male. “Qui c’è un povero, innocente ragazzo etero che preferirebbe non sapere cosa combini col culo del suo amico.”

Il commento suscitò una risata generale, riuscendo persino a strappare un ghigno divertito a Brian.

“Allora?” Domandò Daphne impaziente. “Giochiamo o continuiamo a parlare della vita sessuale di questi qui?” Mosse il capo verso i due ancora abbarbicati sullo sgabello. “Come se io non ne avessi già sentite abbastanza in questi anni…”

Justin scosse il capo senza ribattere, costretto a dare mentalmente ragione alla sua migliore amica. Osservò Ben sistemare il tavolo da biliardo prima di iniziare la partita. “Non mi hai ancora detto quella cosa.” Mormorò all’uomo dietro di lui, continuando a tenere lo sguardo fisso davanti a sé.

La mano di Brian si posò con nonchalance sulla sua coscia. “Che cosa?”

“Quella con cui mi hai ricattato prima per convincermi a salire sul palco.”

“Non era un ricatto.”

Se vai a cantare con lei, prometto di dirti una cosa. E ho citato testualmente.”

Brian sollevò un angolo della bocca, sfiorandogli l’orecchio con la punta del naso. “Appunto, era un semplice suggerimento…”

“Mascherato da ricatto.”

“No.” La mano di Justin si posò sulla sua, ancora pigramente abbandonata sulla gamba, intrecciando con discrezione le dita. “Era un semplice commento a cui tu, curioso come una scimmia, non hai ovviamente saputo resistere.”

Justin sorrise, guardando Daphne infilare due palle di fila in buca. “Sai che non so resistere  a qualunque cosa provenga da te.” Lo sentì sorridere contro la sua nuca. “Allora? Che dovevi dirmi?”

“Il re del Babylon.” Disse l’uomo semplicemente, sapendo che Justin avrebbe capito.

Il ragazzo sorrise. “Quindi è per questo che mi hai fatto salire lì. Per ricordare i vecchi tempi.” La stretta sui suoi fianchi si serrò appena.

“Eri dannatamente sexy su quel palco.”

“E tu non mi hai degnato di uno sguardo per tutta la sera.” Justin allungò una mano dietro di lui e gli accarezzò i capelli. “Povero re col cuore spezzato.”

Brian mugolò contro il lato del suo collo pallido. “Quella sera avrei voluto spezzare te. A furia di scopate.”

“Ma eri dannatamente testardo e orgoglioso.” Gli fece notare Justin con un nota di risentimento nella voce. “Sei dannatamente testardo e orgoglioso.”

“E sai cosa sono anche?” Justin scosse il capo. Brian scivolò verso di lui. “Duro.”

Justin soffocò una risata, ruotando il busto per trovarsi faccia a faccia con lui. Sentì il cuore perdere un battito davanti al sorriso sexy di Brian. “Lo sento.” Sussurrò ad un centimetro dalle sue labbra, schiacciando il sedere contro l’inguine di Brian.

“Hai intenzione di fare qualcosa al riguardo?”

Justin gli tracciò il contorno della bocca con la lingua e avvertì la sua erezione premere di più contro i suoi jeans. “Assolutamente.” Gli posò un bacio rapido sulle labbra prima di scattare in piedi e prendere Brian per mano, trascinandolo con lui.

“Ma dove andate?” Udì la petulante voce di Michael chiedere mentre, ancora mezzi abbracciati, con le braccia di Brian strette saldamente attorno alla sua vita e la sua risata divertita che risuonava nelle orecchie come la più irresistibile delle melodie, si dirigevano a passo incerto verso i bagni di Woody.

“Finalmente…” Borbottò Brian sbattendolo contro il muro, un istante dopo aver chiuso la porta. Si avventò sulla sua bocca con indescrivibile voracità. Justin si aggrappò alle sue spalle, circondandogli la vita con le gambe. Lo sentì sorridere contro le sue labbra.

“La situazione si scalda…” Mormorò l’uomo, premendo il proprio inguine contro quello di Justin che gemette nella sua bocca.

Justin sollevò il capo in un silenzioso invito che Brian accettò al volo, prendendo a torturare il collo liscio e vellutato. “Brian…” Boccheggiò eccitato, sciogliendo la presa e tornando coi piedi per terra. “Voglio sentirti.” Insinuò le mani al di sotto della maglietta stretta. “Ho bisogno di sentire il tuo sapore.” Brian ansimò, mordendogli la gola e strappandogli un gemito. Justin deglutì a fatica e invertì le posizioni, schiacciando l’uomo contro il muro col proprio corpo.

“Justin…” Lo udì sussurrare nel sospiro più erotico che avesse mai sentito. Come faceva Brian, dopo sette anni, a fargli provare le stesse identiche sensazioni della loro prima notte insieme?

Senza attendere oltre, si staccò dalla sua bocca invitante, inginocchiandosi davanti a lui; con mano esperta, slacciò la cintura e aprì i jeans, tirandoli verso il basso.

Brian emise un ringhio basso dal fondo della gola, affondando la mano nei suoi capelli. “Non credo proprio, Sunshine…” Sussurrò pianissimo, con un mezzo sorriso.

Senza troppi sforzi, fece alzare di nuovo Justin e si avventò di nuovo sulle sue labbra, lasciandolo senza fiato per la sorpresa e accanendosi su quella bocca tanto amata e agognata. “Voglio sentirti gridare di piacere.”

“Brian…” Si lamentò Justin frustrato.

Brian lo ignorò, stringendolo per la vita e spingendolo davanti allo specchio. “E voglio vedere il tuo viso scosso dall’orgasmo.” Il ragazzo guardò il riflesso del suo compagno, in piedi dietro di lui, e si leccò le labbra, affamato. “E voglio che tu mi senta venire dentro di te.” Si avventò sulla sua nuca, slacciandogli rapidamente i pantaloni e facendoli cadere ai suoi piedi.

“E poi dicono che Brian Kinney non è un romantico…” Lo stuzzicò Justin, spingendosi coi fianchi contro di lui.

“Sono tutti invidiosi.” Borbottò Brian con un sorriso. Justin puntò lo sguardo sullo specchio quando sentì il pacchetto del preservativo che veniva aperto. Strinse gli occhi quando Brian lo penetrò con impazienza, sopraffatto dalla passione e dal desiderio di perdersi in Justin. Il ragazzo non se ne lamentò.

In quel momento nessuno dei due cercava l’intimità dei loro momenti al loft, la dolcezza di quando si amavano nel loro letto o la tenerezza delle loro lascive carezze dopo aver raggiunto il piacere nelle braccia dell’altro.

No, in quel momento, in quello squallido bagno di un bar affollato, circondati da una cinquantina di estranei che probabilmente potevano anche sentirli, cercavano solo il piacere primordiale, il puro semplice appagamento dei sensi, il bisogno carnale quasi insopportabile di godere dei gemiti e del corpo dell’altro, lasciando fuori il mondo intero.

Brian spinse più forte e alzò lo sguardo verso lo specchio, rafforzando la presa sul fianco di Justin. “Justin, guardami…” Sussurrò tra i gemiti. Justin si spinse contro di lui incontrando i suoi frenetici movimenti e posò le mani sul piano del lavandino. “Alza gli occhi, Sunshine. Voglio vedere il tuo viso…” Si sporse verso il collo di Justin e, senza staccare gli occhi dallo specchio, gli baciò la nuca, coprendo la sua mano con la propria; sentì le dita del ragazzo intrecciarsi immediatamente con le sue, prima che questi alzasse lo sguardo. “Brian…” Mormorò con voce spezzata. “Brian, non ti fermare… più forte…” Gemette forte, continuando a scontrarsi contro le convulse spinte di Brian. “Ho bisogno di…” Incontrò lo sguardo lascivo del suo compagno. “Ho bisogno di te.”

Brian gli circondò il busto col braccio libero, sostenendolo contro il vecchio mobile di legno e gli baciò teneramente la porzione di pelle tra collo e spalla. “Sono qui, Justin.” Spinse più forte, sentendolo contrarsi attorno a lui e si morse un labbro per trattenere un gemito. “Non vado da nessuna parte.”

Justin affondò lo sguardo in quegli occhi verdi che non gli avevano mai mentito e capì che Brian non si stava riferendo solo a quel momento. Si mordicchiò il labbro inferiore, distogliendo lo sguardo dallo specchio per paura che Brian cogliesse la sua esitazione.

Non glielo aveva forse già promesso due anni prima? Che tra loro non sarebbe cambiato nulla?

E non era proprio finita benissimo.

Sì, ma guarda dove sei adesso! Lo rimproverò una vocina nella sua testa. Guarda il suo spingerti via dove ti ha portato, ottuso ingrato!

La mano di Brian che gli accarezzava con dolcezza il collo lo riscosse dai suoi pensieri. “Non vado da nessuna parte.” Ripeté con più convinzione, percependo l’insicurezza di Justin.

Il ragazzo sollevò di nuovo lo sguardo e coprì la mano di Brian con la propria, spingendo di nuovo il bacino all’indietro; sentì Brian gemere forte contro il suo orecchio e rafforzò la presa sulle loro dita ancora intrecciate sul bordo del lavandino.

“Brian, sto per…” Ansimò più forte quando la fronte dell’uomo si posò contro la sua nuca.

“Non ancora…”

“Brian…”

Brian gli strizzò le dita tra le sue. “Sunshine, non farmi incazzare…” Riuscì a sussurrare tra i gemiti.

A Justin sfuggì una risata. Chiuse gli occhi e gettò la testa all’indietro, posandola sulla spalla di Brian, godendo appieno di quegli attimi che precedevano l’orgasmo, il braccio dell’uomo che amava disperatamente stretta attorno alla vita, il suo fiato caldo sul collo. “Justin…” Lo sentì mormorare.

Un attimo dopo, una miriade di luci colorate esplodevano nei suoi occhi ancora socchiusi, liberando finalmente quel piacere a lungo trattenuto. Gemette fin troppo forte, considerando il luogo in cui si trovavano; Brian raggiunse l’orgasmo un secondo dopo, soffocando un grido contro la sua maglietta; districò la mano dalla presa di Justin e la portò sul suo fianco pronto a sostenere il corpo del suo fidanzato che, dopo aver raggiunto l’apice, tendeva a diventare leggermente instabile. Sentì Justin sospirare rumorosamente. “Tutto ok?” Gli chiese premuroso.

Justin voltò il capo e annuì contro il suo collo, sfregando il naso sulla pelle sudata dell’uomo. “Alla grande.”

“Erano anni che non lo facevamo in questo squallido buco.” Borbottò Brian dopo qualche secondo di silenzio. Avvertì Justin ridacchiare prima che questi gli posasse un bacio sulla mascella. “E non mi dire che ti mancava. Probabilmente abbiamo contratto una decina di malattie veneree.”

“Ne è valsa comunque la pena.” Brian sorrise, accarezzandogli con dolcezza la schiena, ma storse il naso quando si ritrovò a toccare la stoffa della maglietta; scostò il fastidioso tessuto e Justin trattenne il respiro in un mezzo gemito quando le sue dita calde vennero a contatto con la sua pelle. “Brian…”

“Andiamocene a casa…” Soffiò con voce roca. “Abbiamo un discorso da finire, io e te.”

Justin sorrise, non desiderando altro che tornare al loft, tornare a casa con il suo uomo per farsi scopare finché non avesse implorato pietà, e passare il successivo weekend disteso sul loro letto, impossibilitato ad assumere una qualunque altra posizione, seduta o eretta che fosse.

Si lamentò piano quando il programma della loro serata gli balzò di nuovo in mente.

“Non mi piace quel suono.” Ammise Brian, tracciando una scia di umidi baci lungo la sua guancia.

“Hai promesso a tutti una serata di divertimenti.”

Brian imitò il suo lamento. “Lo sapevo che quel suono portava guai.”

“Guarda che è stata una tua idea.” Gli ricordò Justin, abbozzando un sorriso e staccandosi finalmente da lui. Aprì il rubinetto e si ripulì velocemente mentre Brian si liberava del preservativo. Si rivestirono in silenzio. “E perché avrei avuto un’idea del genere?” Chiese ad alta voce Brian, nonostante la domanda fosse rivolta a se stesso.

Justin si voltò verso di lui, circondandogli il collo con le braccia e baciandogli languidamente le labbra. “Perché mi ami pazzamente, follemente e disperatamente. Proprio come ho sempre sospettato.”

Un sorriso involontario comparve sul volto rilassato di Brian, ricordando la prima volta che Justin aveva detto quelle parole, subito dopo l’aggressione. Anche in quell’occasione, Brian aveva pensato a quanto quel testardo ragazzino seduto sulla Jeep accanto a lui fosse dannatamente speciale. “Citare addirittura te stesso, Sunshine? Finirai per essere più egocentrico di me.”

Justin gli regalò uno dei suoi sorrisi più luminosi, felice che il suo fidanzato avesse colto il riferimento, e si alzò sulle punte per baciarlo di nuovo. Brian lo strinse forte per la vita, immergendo la mano nei suoi capelli soffici.

“Credo sia meglio uscire di qui prima di fare il bis.” Borbottò poi, posando la fronte contro il petto di Brian.

“Non che avrei nulla in contrario…”

Justin baciò la stoffa della camicia scura del suo fidanzato prima di prenderlo per mano e uscire finalmente dal bagno.

 

 

 

 

 

Vanessa sorseggiò con calma il suo Manhattan, giocherellando distrattamente con la ciliegia al maraschino. La sedia accanto a lei venne spostata, grattando il pavimento e producendo uno stridio irritante.

“Tutto bene, tesoro? È un pezzo che sei qui tutta sola.”

Vanessa fece un altro sorso prima di voltarsi verso l’appariscente donna dai capelli rossi al suo fianco. “Posso farle una domanda? Lei sembra la più normale qui dentro.”

Debbie scoppiò a ridere. “E tu sembri davvero una spina nel fianco.”

Vanessa abbozzò un sorriso. “Questa è la cosa più gentile che mi abbiano mai detto.”

“Mmm… una vera dura.” La donna posò lo sguardo sul tavolo da biliardo dove i suoi ragazzi si stavano divertendo. “So come trattare con voi.”

“Io non credo.”

“Oh, tesoro, ho avuto, e ho tuttora, a che fare con persone molto più complicate e contorte di te.” Debbie fece un cenno al barista che le servì una birra con un sorriso. “Allora? La domanda?”

“Io non capisco.” Mormorò criptica Vanessa.

“Cosa?”

La ragazza dai capelli scuri indicò Justin, seduto adesso su uno sgabello che divideva con Brian, le braccia dell’uomo strette attorno alla sua vita sottile. “Perché insiste nel voler rimanere qui.”

“C’è la sua vita qui.”

“No, la sua vita è a New York. A fare soldi, ad avere uno schifoso successo e…”

“… a farne avere anche a te.” Debbie sorrise di fronte all’espressione disinvolta di Vanessa. “Te l’ho detto, so come trattare con voi superfenomeni.”

“È ovvio che abbia il mio tornaconto.”

“Naturalmente.”

“Ma con Justin è diverso.” Sussurrò studiando il contenuto del suo bicchiere. “Lui ha talento, lui potrebbe davvero emergere, ha tutte le carte in regola per diventare qualcuno, qualcuno con la Q maiuscola.”

“E allora devi solo fare in modo che accada.” Le suggerì saggiamente la donna.

Vanessa emise un verso scettico. “E come? Se insiste nel voler rimanere qui a fare la mammina amorevole?” Sentì la donna accanto a lei ridacchiare. “Non capisco. Non ha motivi ragionevoli, la sua famiglia la vedrebbe comunque, e anche i suoi amici. Daphne è venuta un sacco di volte e anche la signora Taylor e Molly. New York non è mica in un altro emisfero!” Strinse forte il suo cocktail tra le mani. “Niente lo trattiene qui. Niente, a parte Brian.”

Debbie sorrise. “Per Sunshine, Brian non è mai stato a parte. È sempre stato tutto.”

“Continua a mandarmi continuamente a fanculo.” Confessò senza vergogna. “Le ho provate tutte. Mi manca solo prostrarmi ai suoi piedi e le assicuro che l’inferno si gelerà prima.” La donna non poté fare a meno di ridere. “Incredibilmente, però, pare che Brian sia dalla mia parte e che gli dia il tormento tanto quanto me.”

“Allora hai qualche chance.” La rassicurò Debbie. “Se c’è qualcuno che può farlo ragionare, quello è Brian. E viceversa. È sempre stato così. Sembra che l’uno possieda il senno dell’altro, come se fossero stati montati male.”

Vanessa scosse il capo, quando dall’altra parte del locale vide Brian e Justin alzarsi e dirigersi con disinvoltura verso la toilette. “Non posso credere che manderebbe tutto all’aria per… un uomo! Fosse poi un uomo normale, potrei capirlo, ma un egocentrico, vanitoso e spocchioso…”

“È il fascino di Brian.” Debbie si strinse nelle spalle, continuando a sorridere. “O lo si ama o lo si odia. Non è uno che suscita mezze emozioni. Con lui è tutto o niente.”

Vanessa sospirò afflitta. “Riuscirà a convincerlo, vero? Posso fare in modo che Justin diventi un grande artista.”

“Credimi, dolcezza, se Brian è dalla tua parte non puoi perdere.”

“Sembra sicura.”

“Lascia che ti confidi un segreto su quei due. Sono gli unici al mondo capaci di far fare all’altro cose inimmaginabili.” Sorrise persa in qualche ricordo sui suoi ragazzi. “Brian ha sempre rifiutato di affezionarsi, di legarsi, di innamorarsi ed io ho sempre temuto che sarebbe rimasto solo, con il suo bel cuore di pietra intatto, ma pur sempre solo. È sempre stato così, fin da bambino. Se ne andava in giro con questa sua aria da duro, credendosi superiore a chiunque incrociasse.” Si strinse nelle spalle e sorseggiò la sua birra. “Poi è arrivato Justin.”

“Una storia d’amore degna delle migliori commedie romantiche. Julia Roberts ne sarebbe fiera.”

“Oh, tesoro, più che una commedia d’amore, il loro è stato un film di guerra fin dall’inizio. Brian che scappava, Justin che lo inseguiva.”

Suo malgrado, a Vanessa scappò una risata. “Mi sembra strano vedere uno grande e grosso come Brian scappare davanti ad un cosino delicato come Justin.”

“Oh, eppure è così. Non credo di aver mai visto Brian così spaventato, e allo stesso tempo così felice come da quando ha incontrato Justin. Hanno un legame speciale, non so come spiegarlo, ma è una cosa che non è facile vedere. Sai come si dice, che esistono diversi tipi di amore, ma ti assicuro che in nessuno dei miei ragazzi ho visto il tipo di legame che hanno quei due.” Fece una pausa sistemandosi meglio su quel dannato sgabello troppo alto per lei. “Ed è anche per questo che riescono a far fare all’altro qualunque cosa. Vedi Brian e l’amore, o Justin e New York.”

Vanessa scosse il capo terrorizzata. “In pratica si fanno il lavaggio del cervello. È spaventoso.”

Debbie scoppiò a ridere, gettando indietro la testa. “Credimi, tesoro, finché quei due sono su due fronti opposti possiamo dormire sonni tranquilli. I guai arrivano quando stanno dalla stessa parte. Allora sì che sono cazzi amari per tutti, perché per quanto possano essere testardi e determinati da soli, quando fanno fronte comune non c’è niente che possa fermarli.” Le labbra si stesero in un sorriso orgoglioso. “Mai sentito parlare di Jim Stockwell?”

Vanessa scosse il capo. “No.”

“Appunto.”

La ragazza la vide poi alzarsi dal suo sgabello e fare il giro del bar, probabilmente diretta alla toilette. A metà strada incrociò Brian, appena uscito dal bagno. Vide i due scambiare qualche parola prima che Debbie gli sorridesse, dandogli uno schiaffetto sulla guancia che lo fece sogghignare.

Vanessa fu costretta ad ammettere, nonostante tutto quello che pensasse della sua persona e del suo smisurato ego, che Brian Kinney fosse davvero un uomo di rara bellezza.

“Ehi, Austen, ti diverti?”

“Assolutamente, fino a due secondi fa.” Ribatté lei pronta. Il fatto che fosse bello non toglieva che riuscisse ad irritarla come poche persone nella sua vita.

“Ti ho vista impegnata in una coinvolgente discussione.”

Vanessa scosse le spalle, ordinando al barista un altro Manhattan. “Non avevo ancora capito che fosse tua madre.”

“Chi?”

La ragazza indicò Debbie, che si era fermata a chiacchierare con i ragazzi al tavolo da biliardo. “Justin parla sempre di lei come la madre di tutti i gay di Pittsburgh. Non avevo capito che fosse davvero la tua.”

Brian sorrise guardando la donna coi capelli fiammanti e il rossetto cremisi. “Sono stato fortunato.”

“Spero tu lo sappia.” Il barista le porse il suo drink che lei alzò immediatamente al cielo. “Propongo un brindisi. Alla madre di Satana.”

Brian si guardò in giro in cerca di qualcuno. “Perché? Tua madre è nei paraggi?”

Vanessa lo guardò con aria indifferente. “Adesso capisco cosa attrae tanto Justin. Il tuo senso dell’umorismo.”

“E anche un pisello bello grande.” Vide la ragazza fare una smorfia disgustata. “Che c’è? Non mi dire che una signorina di mondo come te si scandalizza per battute del genere.”

Vanessa lo fissò con la stessa espressione che riservava ai mocciosi che visitavano la sua galleria quando avvicinavano troppo i loro gelati ai suoi vestiti firmati. “È che non sono abituata a questo humor da città di provincia.”

“Ah già, dimenticavo che tu sei della Grande Mela.” Brian si accomodò sullo sgabello lasciato libero da Debbie.

“Parlando di Grande Mela…” Vanessa si voltò a guardarlo, stavolta con un cipiglio serio. “Ti è venuta qualche brillante idea per convincere Picasso a tornare sui suoi passi?”

Brian la imitò, trovandosi faccia a faccia con lei. “Forse…”

 

 

 

 

 

“Non mi hai ancora detto come mai John non è dei nostri.” Ted si sedette sul divanetto accanto a Emmett che sorseggiava con eleganza il suo Cosmo, le gambe accavallate e lo sguardo perso sulla marea di corpi seminudi che ballavano sulla pista sottostante.

Il suo amico si umettò le labbra, assaporando la vodka al limone. “Aveva da fare con un ricevimento.”

“Fino a quest’ora?”

“Sarà fortunato se andrà a dormire. Ultimamente sta avendo un grande successo.”

Ted gli sorrise. “Buon per lui.”

“Ed ha anche trovato il tempo per aiutarmi con l’organizzazione del ballo di Molly. Non è fantastico?”

“Lui o il fatto che abbia trovato il tempo?” Lo punzecchiò l’uomo con un sorrisetto.

Emmett si strinse nelle spalle. “Tutte e due.”

“Em…”

“Oh, per favore. Non dire ‘Em’ con quel tono.”

“Quale tono?”

“Il tono da brutte notizie.”

Ted alzò le mani. “Nessuna brutta notizia, ma voglio assicurarmi che tu non ti metta in mente strane idee.”

Emmett sbuffò infastidito. “Tipo?”

“Em, John non è gay, te lo ricordi?” Inarcò un sopracciglio quando il suo amico rimase in silenzio, la testa che si muoveva su e giù a ritmo di musica. “Emmett?”

“Ti dispiace, Teddy? Sto cercando di divertirmi.” Sibilò l’uomo con una nota di irritazione nella voce.

“Come vuoi, ma sappi che io ti conosco e so esattamente quello che ti passa per la testa.”

“Mi piace, Ted.” Borbottò Emmett, cogliendolo alla sprovvista. “John mi piace molto. Ed io credo che potrei…”

“Alt!” Ted gli posò le mani sulle spalle e lo fece voltare verso di lui. “Non metterti in mente strane idee, Em. Lui non potrà mai essere interessato a te.”

“Perché? Valgo davvero così poco da non essere alla sua altezza?” Gli domandò l’uomo stizzito, ben consapevole che non era quello a cui Ted si stava riferendo.

Ted gli sorrise, posandogli la mano sul ginocchio con fare rassicurante. “Tu sei una persona meravigliosa, Emmett Honeycutt. Sei intelligente, spiritoso, di successo… Sei la nostra fiamma più sfavillante ed io non potrei essere più fiero di essere tuo amico di quanto non sia in questo momento.” Vide l’uomo abbozzare un sorriso incerto. “Ma non è questo il punto con John. Per quanto possiate trovarvi bene insieme, non potrà mai darti quello che cerchi, e soprattutto quello che meriti.”

Emmett sospirò piano, posando il suo drink. “Ma magari…”

“John è etero, Emmett.”

“Forse no! Magari è bisex, chi può dirlo?”

“Hai il miglior gay radar che abbia mai visto, funziona persino meglio di quello di Brian. Hai mai avuto l’impressione che John potesse essere bisex?”

Emmett si masticò nervosamente un labbro. “No, ma chi può dirlo con sicurezza?”

Ted inarcò un sopracciglio, scuotendo il capo. “Secondo me, ti stai infilando in un gran bel casino, Em.”

L’uomo non rispose, chiudendosi in un ostinato silenzio, infastidito più dal fatto di sapere che Ted aveva ragione che dalle parole dell’amico. “Ti va di ballare?” Ted lo guardò stranito. “Non ho voglia di passare la serata a sviscerare la mia disastrosa situazione sentimentale. Quello che voglio è scatenarmi sulla pista da ballo col mio migliore amico. Ci stai?”

Ted si alzò in piedi e gli porse una mano con un sorriso. “Da questa parte, signor Honeycutt.” I due uomini si avviarono verso la scala a chiocciola, passando accanto ad un’imbronciata gallerista newyorkese.

Vanessa sorrise loro brevemente prima di tornare a guardare con aria disgustata l’uomo accanto a lei che cercava di rimorchiarsi un ragazzino che avrebbe potuto essere suo figlio; l’adolescente, che di sicuro non avrebbe dovuto trovarsi lì, ma a casa a giocare con la Playstation, gli sorrise lascivo, prima di arpionarlo per la cintura e guidarlo giù per la scala a chiocciola. La giovane scosse il capo senza parole.

Due ragazzi carini presero il posto della strana coppia appena scomparsa. “Allora? Ti piace qui?” Sentì il più alto chiedere al suo amico. Entrambi posarono i gomiti sulla ringhiera di ferro.

“È grandioso. Dalle mie parti non c’è niente del genere!”

L’altro ridacchiò. “Te l’avevo detto. Liberty Avenue è famosa per i suoi locali e il Babylon è il migliore.”

Vanessa sbuffò scettica, ripensando al locale in cui si trovavano e al suo odioso proprietario.

“Hai già adocchiato qualcuno?”

Il ragazzo più basso scrutò con attenzione la pista da ballo. “Quello lì.” Il suo amico scosse il capo. “Lascia perdere. Quello è una perdita di tempo, tutto fumo e niente arrosto.”

“E quello?”

“Fidanzatissimo. E il suo ragazzo è un pugile. Te lo sconsiglio se ci tieni ai tuoi bei dentini candidi.”

Il ragazzo lo guardo allarmato, prima di decidere per qualcosa di più tranquillo. “Il tipo bruno. Quello circondato da uomini con la bava alla bocca.”

Il suo amico scoppiò a ridere. “Per arrivare a lui dovresti scavalcare un’orda di froci arrapati.”

“Sono abbastanza carino per riuscirci…”

Froci vanitosi…Sibilò Vanessa nella sua testa.

“Certo che sì. Ma sei abbastanza carino per scavalcare lui?” Indicò il bancone dove un ragazzo biondo dal culo perfetto – si notava anche da quella distanza – prendeva due drink.

“Chi è?”

Il ragazzo moro puntò il dito sulla pista da ballo. “Quello è Brian Kinney.” Poi verso il bar. “Quello è Justin Taylor.”

“E dovrei conoscerli?”

“Tutti li conoscono. Il re di Liberty Avenue e il re del Babylon.”

Justin tornò coi drink verso la pista e, senza tante cerimonie, scansò tutti i ragazzi che si strusciavano addosso a Brian, strappando un sorriso al suo compagno. “Stanno insieme? Lui è… il suo ragazzo?”

L’altro ridacchiò. “Brian Kinney non ha ragazzi, né fidanzati.” Intercettò lo sguardo confuso del suo amico. “Ma qualcosa dovranno pur essere se dopo sette anni sono ancora lì, a scopare al centro del Babylon.”

“Sono dannatamente eccitanti.” Dovette convenire il ragazzo più basso. “Me li scoperei con molto piacere.”

“Altro errore.” Il suo amico lo guardò con un sorrisino desolato. “Loro non si fanno scopare. Loro scopano. Sono due attivi.”

“Ammetterai che la tua affermazione è abbastanza contorta.”

“Quello che voglio dire è che nessuno li scopa, sono loro che scopano gli altri. E Kinney è l’unico che abbia mai avuto l’onore di assaggiare quel delizioso di dietro che Taylor porta a spasso. Alcuni dicono che ci sia anche piuttosto affezionato.”

“Quindi è il biondino il passivo?”

“Di norma. Perlomeno quando sono qui a dare spettacolo in pista o nella dark room.” Vanessa colse il sorrisetto dell’uomo e inarcò un sopracciglio, confusa. “Anche se, secondo i pettegolezzi che girano da queste parti, pare che, nell’intimità del loro nido d’amore, i ruoli spesso si invertano. E credimi, il solo pensiero di Kinney passivo provoca più orgasmi di un’orgia sadomaso nella dark room.”

Tra i due uomini cadde il silenzio e Vanessa riportò lo sguardo sul suo amico, ancora avvinghiato a Brian.

Nonostante il suo velato astio verso Brian, la ragazza dovette ammettere che i due allupati accanto a lei avevano ragione: Brian e Justin erano dannatamente eccitanti e belli da guardare.

C’era qualcosa di ipnotico nel loro ondeggiare al ritmo di una musica che solo loro sembravano udire, sordi ai rumori, alle grida e alle avances dei loro ammiratori; Brian teneva il mento sulla testa di Justin mentre il ragazzo gli circondava la vita con un braccio, lasciando l’altra mano libera di vagare sul suo corpo muscoloso.

La cosa che più colpiva guardandoli era l’incastro perfetto: la testa di Justin contro il collo di Brian, le braccia di Brian attorno alle spalle di Justin, i bacini perfettamente allineati, nonostante la notevole differenza di altezza. Sembravano fatti per stare in quella posizione, come se Brian avesse quelle braccia così lunghe apposta per circondare Justin e Justin fosse più basso per far sì che la sua testolina bionda si posizionasse sotto il mento di Brian.

Loro semplicemente… si incastravano.

Non c’erano altre parole per descrivere l’immagine davanti ai suoi occhi.

Le tornò alla mente il suo professore di filosofia del liceo che spiegava il Simposio di Platone in cui veniva illustrata la teoria delle anime gemelle e di come gli esseri umani cerchino tutta la vita la loro metà.

Con una punta di invidia, realizzò che Brian e Justin erano proprio questo: anime gemelle.

Anime affini e differenti, anime destinate a stare insieme, anime che semplicemente erano nate per fondersi con l’altra.

Guardò per un ultimo istante i due uomini e sorrise tra sé, scuotendo il capo, quasi a voler scacciare quegli sciocchi pensieri.

Tutti questi gay innamorati mi hanno fatto diventare una sentimentale…

Lanciò uno sguardo fugace verso i due ragazzi vicino a lei. “Beh, non so tu…” Il ragazzo che aveva adocchiato Brian e Justin parlò di nuovo “… ma io penso che farò un tentativo.”

Il suo amico lo guardò stranito. “Con chi?”

“Con i due reali.” Gli sorrise sornione. “Potrei guadagnare la scopata del secolo.”

Vanessa alzò gli occhi al cielo. Ok, adesso aveva davvero sentito troppo. Voltò le spalle ai due ragazzi e raggiunse il resto del gruppo seduto sui divanetti scuri.

 

 

 

 

 

“A quanto pare qualcuno ha risolto i suoi problemi…” Sussurrò Justin all’orecchio di Brian, baciandogli languidamente il lobo.

Brian gli posò una mano alla base della schiena e lo guidò su per gli ultimi due gradini fino al loro tavolo. Sui divanetti, Michael e Ben si stavano baciando con trasporto. “Justin…”

Il ragazzo sorrise contro il suo collo. “Lo so, lo so. Io non so nulla dei problemi di Michael e Ben perché ovviamente tu non mi hai detto nulla.”

“Precisamente.”

Fin dalla piccola diatriba al negozio di abiti da cerimonia a cui avevano assistito, Brian aveva tenuto Justin costantemente aggiornato sugli sviluppi: le paranoie di Michael sull’amante, le assenze di Ben, i malumori di Hunter e i presentimenti di Mel e Linz.

Nonostante con Michael avesse cercato di minimizzare, Brian aveva davvero temuto per un attimo che la frattura tra il suo migliore amico e il marito potesse essere più grave del previsto e aveva sentito il bisogno di parlarne con Justin che lo aveva immediatamente rassicurato.

Sebbene in teoria il ragazzo non avesse dovuto sapere nulla, Brian non era riuscito a non condividere col suo compagno quel malessere che aleggiava sulla vita del suo migliore amico e Justin aveva subito avvertito la paura dell’uomo, ben mascherata dietro la solita facciata di indifferenza.

Alla fine Justin aveva avuto ragione e Ben e Michael sembravano tornati quelli di sempre. Brian si chiese per l’ennesima volta come avesse fatto a sopravvivere ventinove anni senza Justin.

“Sono solo contento che abbiano risolto, comunque.”

Brian gli schioccò un bacio rumoroso sulla guancia. “Astieniti però dal fare commenti. Michael darebbe di matto se sapesse che ti ho tenuto al corrente per tutto il tempo.”

Justin alzò gli occhi al cielo. “Il tuo amico è davvero un idiota, lo sai? Come se lui e Ben non avessero mai parlato dei nostri casini.”

“Lo conosci, è una persona riservata.”

“Cazzate. Lui è riservato solo sulle cose che lo riguardano. Per tutto il resto invece…”

Brian scoppiò a ridere, circondandogli le spalle e raggiungendo finalmente il resto del gruppo. “Potresti avere ragione, ma vedi di tenere chiusa la bocca con Debbie. Non credo che il figliol prodigo si sia confidato con mammina.”

Justin sospirò, scuotendo la testa, e si sigillò le labbra con una zip immaginaria. “Farò il bravo bambino.”

“Il bravo bambino? Tu?” Brian scoppiò a ridere. “E da quando?”

“Guarda, guarda… I piccioncini ci degnano della loro presenza…” Brian storse il naso alle parole di Emmett. Lui e Justin non facevano i… piccioncini!

“Se magari avessi una vita tua, non avresti il tempo per impicciarti della nostra.” Lo rimbeccò acido, crollando sul divanetto. Justin prese posto tra lui ed Emmett per evitare che si ammazzassero.

Se c’era una cosa che aveva capito in quegli anni era che Emmett era l’unico a non temere Brian. E Brian adorava essere temuto.

“Vi divertite?” Chiese il ragazzo con un sorriso allegro. Al suo fianco, il suo compagno grugnì.

Emmett gli sorrise, accarezzandogli una guancia. “Molto, ma credo che dipenda soprattutto dal fatto che tu sia qui con noi, dolcezza. Era da troppo tempo che non stavamo tutti insieme.”

Justin si sporse a baciargli una guancia. “È bello sapere che almeno qualcuno ha sentito la mia mancanza.”

“Ogni giorno, baby.”

Brian sbuffò sonoramente. “Sentiteli, non sono teneri?”

“Ed io che credevo di essere la tua prima fidanzata.” Daphne guardò il suo miglior amico con espressione addolorata. “Non è bello prendersi gioco dei miei sentimenti.”

Ted e Vanessa, i più vicini al gruppo, risero. “Justin! E chi immaginava che avessi così successo qui? Adesso capisco cosa ti trattiene!”

Justin le sorrise, stringendosi nelle spalle. “Mi hai scoperto, Ness. Non potrei mai vivere senza i miei fan adoranti.”

“E parlando di fan…” Emmett bevve un sorso dal suo Cosmo e accennò col capo al gruppo di ragazze davanti a loro. “Pare che la nostra signorina di città abbia fatto colpo.”

Si voltarono nella direzione in cui Emmett stava guardando con discrezione e scorsero una ragazza dai capelli corvini sorridere maliziosa a Vanessa.

La gallerista inarcò un sopracciglio e tornò a rivolgersi ai suoi amici. “Non credo proprio, dolcezza.” Mormorò, sorseggiando il suo cocktail.

Daphne squadrò la ragazza, inclinando leggermente il capo. “Perché no? È carina.”

“Fatti avanti, allora.”

“Vanessa, sai quello che intendo.”

Justin annuì. “Daph ha ragione. Perché no?”

Vanessa sollevò le sopracciglia e lo guardò perplessa. “Ma sei serio? Davvero non riesci a capirlo da te?” Justin aggrottò la fronte. “Guardala con attenzione, Picasso. Guardala e descrivila.” Gli suggerì la sua amica, senza neppure voltarsi verso la ragazza in questione.

“Alta, mora, fisico snello.”

Vanessa alzò gli occhi al cielo, meravigliandosi ancora una volta della stupidità degli uomini. “Non parlo del suo corpo, Justin.”

Emmett e Ted, improvvisamente coinvolti nella discussione, studiarono la sconosciuta con attenzione. “Che vuoi dire?” Le chiese il contabile.

Brian scolò la sua birra e la posò con un tonfo sul tavolino. “I suoi vestiti, idioti.”

I tre uomini si voltarono confusi verso di lui. Vanessa lo guardò con espressione a metà tra il sorpreso e il divertito. “Ma allora i froci non sono tutti ciechi.”

“Alcuni di noi sono semplicemente migliori di altri.” Ribatté l’uomo lanciandole un sorrisino stiracchiato.

“Che hanno i suoi vestiti?” Chiese ancora Justin. “A me sembrano ok.”

“Certo, per il tuo standard.”

“Che vorresti dire per il mio standard? Che non ho gusto nel vestire?”

Brian lo guardò sorpreso. “Mi sembrava che questo fosse assodato, Sunshine.” Justin lo colpì forte alla pancia.

“Ha parlato il frocio di marca.” Lo rimbrottò Emmett, accarezzando amorevolmente il braccio del suo amico con fare consolatorio.

“Ah!” Justin ed Emmett si voltarono verso Ted. “Ma è proprio questo il punto, vero?” Guardò con un sorriso Vanessa. “La marca. Quella laggiù non è una lesbica di marca.”

Vanessa annuì, sollevando un angolo della bocca. “Hai centrato il problema. Quella tizia non riconoscerebbe un paio di Louboutin neppure se la colpissero in faccia.”

Justin la fissò come se fosse pazza. “Quindi è tutto qui? Solo perché non è una maniaca dei vestiti firmati non è degna di te? Ness, devi solo passarci una serata mica sposarla!”

“Justin ha ragione, tesoro.” Convenne Emmett. “Se Brian avesse ragionato allo stesso modo, non avrebbe mai rimorchiato Justin qui fuori.”

“Ehi!”

“Scusa, dolcezza, ma il tuo look non era proprio il massimo quella sera.” Justin incrociò le braccia e mise il broncio, ricordando incredibilmente il diciassettenne in questione. “La camicia a quadrettoni? Baby…”

Vanessa ridacchiò davanti all’espressione indignata del ragazzo. “L’apparenza è tutto, Justin. Credi che io venderei qualcosa se andassi vestita così?”

“Questa non è una galleria d’arte, Ness. È un locale! È ovvio che sia vestita in maniera diversa.”

“Io non lo sono.” Affermò, indicando la sua camicia chiara e i suoi jeans rigorosamente firmati. Ai piedi le immancabile scarpe da cinquecento dollari con la suola scarlatta.

“Questo perché tu non sei normale.”

“E che ne pensa la tua dolce metà?” Vanessa lanciò un’occhiata divertita verso Brian, scrutandolo attentamente. “Lasciami indovinare. Prada, Gucci e Armani?” Domandò indicando camicia, pantalone e scarpe.

Brian sollevò le sopracciglia. “Sono colpito, Austen.”

“Oh mio Dio…” Sussurrò Emmett terrorizzato. “È come avere due Brian. È terribile!”

Justin abbozzò un sorriso. “Di questo passo rimarrai zitella come Daphne.” La sua migliore amica gli tirò un calcio negli stinchi. “Ahia, cazzo!”

“Justin, tu mi conosci, hai visto com’è la mia vita a New York. Credi davvero che qualcuno possa convivere col mio lavoro?” Justin ci pensò su un attimo. “Passo metà della mia giornata alla galleria e l’altra metà in cerca di nuovi artisti da spremere.” Sorrise affettuosa al suo amico. “Dimentico persino di mangiare, figuriamoci avere il tempo di occuparmi di qualcuno con l’ego più grosso dei genitali.” Il gruppo ridacchiò divertito.

Justin scosse il capo. “Continuo a pensare che sia una cazzata. Già ti immagino in una bella villetta negli Hamptons con un maritino e i vostri cinque bambini.”

Vanessa rabbrividì al pensiero. “Cinque marmocchi? Nella stessa casa del mio guardaroba? Non in questa vita, Sunshine.” Lo rimbeccò, utilizzando lo sciocco soprannome che aveva sentito fin troppo spesso negli ultimi tempi.

Justin alzò le mani in segno di resa. “Come vuoi. Era solo un consiglio.”

“Conserva i consigli per quando torneremo a New York.” Quell’affermazione fu sufficiente per mettere definitivamente a tacere Justin. Brian piegò le labbra all’interno della bocca per evitare che il suo fidanzato scorgesse il suo sorriso divertito.

“Ehi, ragazzi!” La voce allegra di Steve li raggiunse, distogliendo Justin dai suoi propositi di uccidere Vanessa. O Brian. A seconda di chi avrebbe smesso prima di tormentarlo con tutta la cazzo di faccenda di New York.

“Ehi, Steve.” Il suo amico gli sorrise appena. “Come va?”

Il ragazzo rimase in piedi accanto a Daphne. “Alla grande, Jay!” Vanessa lanciò uno sguardo d’intesa verso Justin. “Ubriaco fradicio…” Sillabò.

Justin cercò di non sorridere e si rivolse di nuovo a Steve. “Mi fa piacere che ti diverti.”

Steve scoppiò a ridere. “Lo sai che un tizio mi ha rimorchiato?” Sei teste si voltarono verso di lui con espressione sorpresa. “Non… non in quel senso, idioti!” Si difese quando capì cosa passava per la testa dei suoi amici. “Ma grazie al mio bel faccino, da quando siamo arrivati non ho speso un centesimo per i miei drink.” Sollevò il bicchiere in un muto brindisi.

Vanessa scosse il capo. “Sei proprio una puttana, Steve.”

“Sì, tu intanto continua a pagare.” Salutò i ragazzi e sparì di nuovo verso la scaletta a chiocciola, seguito dallo sguardo di disapprovazione di Vanessa.

Brian si sporse verso l’orecchio di Justin. “Spero per il tuo amichetto che il suo ammiratore sia davvero interessato al suo bel faccino e non al suo culetto, altrimenti saranno cazzi…”

Justin gli posò una mano sulla coscia e gli baciò la mascella. “E non in senso positivo, temo…”

 

 

 

 

 

“Eccoci qua, principessa!” Esclamò Brian con enfasi, parcheggiando nel vialetto di casa Taylor. “In perfetto orario per il coprifuoco.”

Justin gli lanciò un’occhiata storta. “E il coprifuoco sarebbe le quattro del mattino? Wow, Gus avrebbe una fantastica adolescenza se vivesse con te.”

“Di sicuro imparerebbe molte più cose da me che dalle lesbiche.”

“Tipo il buon gusto?” Justin si voltò completamente verso l’uomo, posando la tempia contro il poggiatesta. Brian lo imitò, rilassandosi contro la portiera. “E lo stile e la moda e un sacco di altre cose.”

“Sì, ho sentito la tua interessante discussione con Ness. Siete due malati.”

Brian gli sorrise malizioso nella penombra dell’abitacolo. “Sai, credo di aver mal giudicato la povera Vanessa.”

Justin sbuffò, allungandosi per accarezzargli il ginocchio. “Solo perché hai scoperto che è una viziata spocchiosa fissata con lo shopping a cinque cifre come te.”

“Errore. È una persona che si intende di moda e al giorno d’oggi è una cosa rara.”

“È per caso una velata critica al mio look? Dato che stasera sembra essere l’argomento preferito di conversazione.”

Brian scoppiò a ridere davanti all’evidente risentimento del suo compagno. “Non mi importa come ti vesti, dato che comunque ti preferisco senza nulla.”

“Che tenero…” Borbottò Justin sarcastico.

“Sempre il meglio per te, Sunshine.” Si sporse verso di lui, posizionando la mano dietro la nuca e avvicinandolo al suo viso per baciarlo.

Il ragazzo oppose resistenza per meno di un nanosecondo prima di protendersi verso di lui. “Perché mi hai rimorchiato quella sera?” Chiese contro le sue labbra. Brian lo tenne ad un centimetro dal suo viso, ma Justin riuscì comunque a percepire la sua esitazione. “Ti ho visto rifiutare un sacco di persone solo perché non erano vestite secondo i tuoi canoni. Ed io di sicuro non ero vestito secondo i tuoi canoni.”

Brian sbuffò contro le sue labbra. “Davvero dobbiamo affrontare questo discorso adesso? Sono eccitato come un quindicenne.” E per puntualizzare il concetto gli portò la mano tra le sue gambe.

Justin la sfilò senza pietà. “Adesso non puoi scappare.”

“Questo lo dici tu. Potrei scaricarti sul vialetto di mammina e tornare al Babylon a scoparmi qualche bel ragazzo senza gusto nel vestire.”

Il ragazzo gli sorrise sornione e si mosse per salirgli a cavalcioni. “Adesso lo vedo difficile.” Brian si  rilassò contro il sedile, portando le mani sui suoi fianchi. “Credi che questa tua astuta manovra possa fermarmi?”

“Non la mia manovra.” Posò la fronte contro quella dell’uomo e mosse vigorosamente il bacino. “Il mio culo.” Brian gemette forte, insinuando una mano sotto la sua maglietta. “Non riusciresti mai ad andare in cerca di qualche culo flaccido quando hai il mio a disposizione.”

“Non credi di darti troppo credito?” Justin si mosse di nuovo, strizzandogli forte il cavallo dei jeans scuri. “No.”

“Potrei sempre scoparti e poi andare al Babylon.”

“Oppure potresti scoparmi in camera mia in un caldo letto accogliente e poi restare qui.”

Brian sbuffò. “E magari fare colazione con la tua dolce famigliola domani mattina. Molto domestico, Sunshine.”

Justin gli baciò la punta del naso prima di scendere sulle sue labbra. “Domani è sabato, potresti dormire qui e tornare al loft dopo colazione.” Soffiò pianissimo contro la sua bocca.

Brian sospirò pesantemente, sentendo la sua determinazione vacillare sotto le carezze languide di Justin. “Io non credo…” Mormorò con voce roca, udendo la lampo dei jeans che veniva aperta.

Justin sorrise vittorioso. “Ti prego…” Implorò, abbassandosi per dedicarsi al suo collo, i primi bottoni della camicia già aperti.

L’uomo s’inarcò involontariamente verso di lui e emise un gemito frustrato. “Ad una condizione.”

“Tutto quello che vuoi.” Sussurrò la voce di Justin contro la sua pelle accaldata.

“La pianti di chiacchierare a vanvera e usi quelle tue espertissime labbra per qualcosa di veramente utile.”

“Tipo baciarti?”

“Tipo succhiarmelo.”

Justin scoppiò a ridere, staccandosi dal suo collo. Gli prese il volto tra le mani e scosse il capo. “Come ho già detto… Amo quando sei così tenero.” Brian si strinse nelle spalle, senza riuscire a trattenere un sorriso. Non poteva non sorridere quando Justin rideva in quel modo. “E sappi che non ho nessuna intenzione di lasciar cadere l’argomento…”

“Justin…” Ammonì l’uomo minaccioso.

“Ma per stasera potrei accontentarti. Ad una condizione però…”

Brian inarcò un sopracciglio. “E sarebbe?”

“Primo: scendiamo da questo scomodissimo trabiccolo che ti ostini a chiamare auto.” Brian gli rifilò un ceffone sul sedere. “Secondo: mi trascini in camera mia e mi scopi finché dovrai ricorrere nuovamente al viagra.” Il ragazzo stavolta fu più rapido e agguantò la mano di Brian prima che potesse colpirlo ancora.

“Quella fu una tua idea, mi pare. Io non ne avevo alcun bisogno.”

“Non mi sembra ti sia lamentato. E non mi sembra che sia durato poi tanto.”

Brian si umettò le labbra, avvicinando il proprio viso al suo. “Solo perché è arrivata Joan, e se non vuoi che finisca allo stesso modo, cioè con te solo soletto nella doccia con la tua bella mano, ti suggerisco di non farmi pensare a mia madre.”

Justin chiuse immediatamente la bocca. “Non vorrei mai…”

“Bene.” Brian lo baciò languido, accarezzandogli lentamente le labbra prima di fargliele schiudere strappandogli un gemito strozzato. “Giù la zip, Sunshine.”

Justin si staccò immediatamente da lui. “Brian, questo è il vialetto di casa di mia madre. Non penserai davvero che mi farò scopare qui.”

“Perché no? Non sarebbe la prima volta.”

Il ragazzo sospirò frustrato, passandosi una mano tra i capelli. “La casa di fronte è di un’ottantenne zitella e vergine che non è nemmeno a conoscenza del fatto che due uomini possano fare sesso. Non ho intenzione di farle venire un infarto, nel caso le venisse voglia di mettere il naso fuori dalla porta.”

“E secondo te Matusalemme che ci fa in giro alle quattro del mattino? Dai, Justin, sii realista.” La mano dell’uomo scivolò lenta verso l’inguine di Justin dove, con maestria, slacciò i pantaloni.

“Brian, entriamo dentro…” Si lamentò il ragazzo, le mani ancora posate mollemente sulle spalle del suo fidanzato.

Brian lo coinvolse in un bacio lento ed esasperante. “Shh, non mi distrarre…”

Justin sospirò e allungò una mano verso la manopola del sedile che si abbassò leggermente con uno scatto. “Odio che i sedili di questa dannata macchina non siano reclinabili.” Borbottò contrariato. “Mi manca la Jeep.”

Brian sorrise contro le sue labbra, quando lo avvertì insinuare le dita nei suoi pantaloni. “Al momento la Jeep e la Corvette sono gli ultimi dei miei pensieri.” Avvertì il ragazzo sorridere e posò un bacio veloce sulle sue labbra socchiuse. “E adesso basta chiacchiere.”

“Si passa all’azione?”

“Puoi dirlo forte.”

“Lo sai che domani mattina riprenderò il discorso che abbiamo lasciato in sospeso, vero?”

Brian sorrise contro la sua mascella; ansimò pesantemente quando le dita fredde di Justin si strinsero attorno alla sua erezione. “Ed io ti risponderò dopo che tu mi avrai detto chi cazzo sono Chuck e Philippe.” La mano di Justin si bloccò all’istante e gli occhi blu del ragazzo si incatenarono a quelli verdi di Brian. “Dovresti saperlo che non mi sfugge niente, Sunshine.”

Justin scosse il capo con un sorriso. “O magari potremmo lasciar perdere tutte e due le conversazioni. Che ne pensi?”

Brian lo strinse per i fianchi. “Che mi piace come ragioni.”

Il bacio che seguì chiuse definitivamente il discorso.

 

 

 

 

 

 

E finalmente sono tornata col seguito dello scorso capitolo! E con un aggiornamento che, per i miei standard, è quasi un record! In realtà avrei voluto aggiornare la scorsa settimana, ma con la consegna della tesi non mi è stato proprio possibile... Comunque voglio rassicurarvi dicendo che, dato che discuterò questa settimana (e già sono nel panico totale!), prevedo che riuscirò ad essere leggermente più presente. 

In questo capitolo non capita granché, dato che la maggior parte degli avvenimenti è avvenuta nello scorso, ho solo voluto far passare una bella serata ai nostri, come ai vecchi tempi divisi tra Woody (onorato dalla performance di Emmett) e Babylon (dove ovviamente sono Brian e Justin a farla da padroni) con l’aggiunta di Vanessa, Daphne e Steve. Spero vi sia piaciuto.

Per la scena di sesso, spero non sia troppo spinta (e che il rating arancione sia sufficiente. Fatemi sapere se non siete d’accordo), ho cercato di descrivere le loro emozioni e paure più profonde che vengono poi a galla quando fanno l’amore dato che io ho sempre riputato che il sesso fosse uno dei migliori metodi di comunicazione di Brian e Justin. Non so se ho reso chiaro il concetto, ma spero di sì! :D

Per il resto, Bri e Vanessa che complottano contro Justin ed Em e Ted che si confidano su John, Michael e Ben che sembrano (di nuovo) due sposini in luna di miele e Steve che, a quanto pare, si diverte più di tutti.

Ditemi cosa ne pensate e come sempre ringrazio chi ha commentato, chi ha solo letto e chi ha inserito tra le preferite o le seguite: grazie davvero! Siete tutte meravigliose!

Buonanotte a tutte e un bacione!

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Capitolo 20
*** Trouble In Paradise? ***


20. Trouble In Paradise?

 

 

 

 

 

 

Con un gesto deciso, aprì la porta facendo tintinnare l’ormai familiare campanello.

Justin sorrise, realizzando solo in quel momento che nei due anni di assenza aveva sentito persino la mancanza di quello stupido suono.

Quante volte, durante i suoi lunghi turni alla tavola calda, a quel fastidioso trillo si era voltato verso la porta con la speranza di veder entrare Brian?

Scosse il capo con un mezzo sorriso e slacciò i bottoni del cappotto che indossava.

Forse era la discussione che aveva avuto quella mattina con Vanessa – una delle solite ormai –, o le continue battutine di Brian su New York – che iniziavano davvero a dargli sui nervi – oppure dipendeva semplicemente dal fatto che, nonostante avesse ripetuto fino alla nausea di voler rimanere a Pittsburgh, nessuno sembrava dargli retta; tutti continuavano a trattarlo come il povero, piccolo Justin che avevano conosciuto anni prima, aspettando di vederlo comparire sulla porta con la valigia in mano e un biglietto di sola andata per la Grande Mela.

No, davvero non aveva compreso cosa gli causasse quel costante e asfissiante senso di inquietudine, quella sensazione di oppressione e di ansia che non gli dava un attimo di pace, ma di una cosa era certo. La discutibile cena che Daphne aveva preparato per lui e Brian la sera precedente non c’entrava un cazzo.

Che poi al suo tormento, si aggiungesse anche quella nota di nostalgica malinconia non era che il danno oltre la beffa.

Più New York si faceva vicina, più lui osservava quanto gli fossero mancati anche i più piccoli, insignificanti particolari di quella città che in passato si era ritrovato spesso ad odiare.

E adesso ci si metteva anche il dannato campanello del Diner a rigirare il coltello nella piaga.

Davvero fantastico…

Le cose erano due: o stava diventando un patetico rammollito o si stava trasformando in una lesbica. E, conoscendo il suo fidanzato, non sapeva davvero quale fosse peggio.

Si sfilò il cappotto posandolo su uno degli sgabelli liberi e decise di lasciar perdere quei filosofici ragionamenti sulla sua esistenza nel momento in cui Debbie uscì dalla cucina, il solito sorriso gioioso dipinto in volto.

“Ehi, Sunshine!” Lo salutò allegra, prendendo il suo posto dietro il bancone. “È un po’ che non ti si vede. A che dobbiamo l’onore?” Justin si sporse in avanti per baciarle affettuosamente una guancia.

Cristo Santo, se mi è mancata persino l’insopportabile premura di Debbie sono davvero finito…

“Avevo invitato Brian a pranzo, ma ha detto di essere troppo impegnato…”

“E figuriamoci…” Debbie alzò gli occhi al cielo, battendo alla cassa lo scontrino di uno dei clienti.

“… però sono riuscito a convincerlo a venire qui per mangiare qualcosa al volo con me.”

Debbie gli pizzicò una guancia, facendo schioccare rumorosamente il chewing gum che aveva in bocca. “Ben fatto, tesoro. Non so che farei senza di te che mi aiuti a tenerlo in vita. Se dipendesse da lui, andrebbe avanti a birra e bourbon.”

Justin rise. “Le basi fondamentali della perfetta alimentazione Brian Kinney.”

“Ti faccio liberare un tavolo appena possibile.” Gli assicurò la donna, dirigendosi verso la cucina.

“Grazie.” Justin la guardò allontanarsi poi verso un gruppo di clienti. Si appoggiò coi gomiti al bancone, rimanendo in piedi, e si sporse in avanti per leggere uno dei giornali abbandonati lì sopra.

La sua lettura fu bruscamente interrotta due minuti più tardi, quando sentì qualcuno spalmarsi contro la sua schiena e due mani aggrapparsi con decisione ai suoi avambracci.

“Ma che cazzo…” Provò a voltarsi per mandare a fanculo il marpione di turno, ma la presa ferrea sulle sue braccia glielo impedì. S’irrigidì stizzito, tentando di divincolarsi.

“Non ci provare nemmeno…” Gli sussurrò una voce roca all’orecchio. Justin si rilassò all’istante, trattenendo un sorriso. “E adesso, su le mani e giù i pantaloni, Sunshine.” Il ragazzo scoppiò a ridere, subito seguito dal suo fidanzato. Si rigirò tra le sue braccia e gli portò le mani al collo. “Ciao, sexy.” Gli sussurrò baciandogli la mascella. “Sei in anticipo.”

Brian scosse le spalle. “Mi sono liberato prima.”

“Buon per me.”

“Ehi, Sunshine!” Debbie lo chiamò dal fondo del locale. “Il tuo tavolo!”

Brian lo lasciò andare, facendogli cenno di precederlo. “Il maître chiama, signor Taylor.” Justin se lo trascinò dietro, prendendolo per mano.

“Ehi, Deb.” Brian si sfilò il cappotto e lo posò sui divanetti, sedendosi al tavolo. Justin si accomodò davanti a lui.

La donna lanciò a Brian un’occhiata di traverso. “Hai un aspetto orribile.”

Brian alzò gli occhi al cielo, facendo ridere Justin. “Grazie, Deb. Sai sempre trovare le parole giuste per farmi sentire meglio.”

Debbie gli puntò un dito contro con fare minaccioso. “Quanto hai dormito negli ultimi tre giorni? Cinque ore per notte?”

“Fai anche tre.” Suggerì Justin, afferrando il menù per evitare l’occhiata ammonitrice che sicuramente Brian gli stava rivolgendo.

“Deb, ho un nuovo, incontentabile cliente che richiede tutta la mia attenzione.”

“Ma davvero?” Il tono di Debbie trasudava scetticismo. “Deve avere un gran bel culo se riesce a toglierti il sonno.”

Brian la guardò, assumendo un’aria stupita. “E adesso come siamo passati al culo di Justin? Deb, sai che non è opportuno parlare di sesso a tavola.” Piegò le labbra all’interno della bocca quando Justin soffocò una risata. “E ora che hai finito di impicciarti, possiamo ordinare?”

Debbie estrasse il suo block notes e, senza aggiungere altro, prese le ordinazioni. “Stasera vi aspetto tutti e due a cena.” Proruppe poi a tradimento, strappando una smorfia a Brian.

“Io non vengo.” La donna lo ignorò. “Ehi, hai sentito? Non ci vengo alla tua stupida cena settimanale.”

“Alle otto.” Lo informò la donna, scomparendo in cucina.

“Al diavolo la dannata cena…” Borbottò l’uomo tra i denti.

Justin gli posò una mano sul braccio. “Falla contenta. È solo preoccupata per te.”

“Nel caso non se ne fosse accorta, sono un adulto.”

“E nel caso tu  non te ne fossi accorto, hai davvero un aspetto orribile.” Brian assottigliò lo sguardo con fare minaccioso, sfidandolo a continuare. “Debbie ha ragione, dovresti dormire di più e nutrirti di qualcosa che non sia solo giapponese o tailandese.”

“Mi piace il tailandese.”

“Sì, dillo al tuo stomaco e al tuo fegato.”

Brian inarcò un sopracciglio. “Da quando sei diventato il mio medico?”

“Da quando anche io mi preoccupo per te, cioè sette lunghi, estenuanti anni.”

Kiki arrivò al tavolo con le loro ordinazioni. Probabilmente Debbie aveva deciso di non dare altre occasioni a Brian per rifiutare l’invito alla cena. “Ecco qua, ragazzi.” Accarezzò amorevole i capelli di Justin. “Non so dirti quanto ci sei mancato, dolcezza.”

Justin le sorrise riconoscente. “Grazie, Kiki.” La donna annuì e tornò verso il bancone, non prima di aver lanciato un’occhiata di avvertimento a Brian.

“Non bastava Debbie, adesso ci mancava anche il fenomeno da baraccone a farti da guardia del corpo.”

Justin si strinse nelle spalle, afferrando una manciata di patatine. “Non è colpa mia se io sono adorabile e tu il lupo cattivo.”

Brian diede un morso al suo panino. “Dovresti occuparti del tuo di fegato.” Osservò, additando il cheeseburger. “Almeno nel mio tailandese c’è qualche ingrediente sano.”

“Come no…” Borbottò Justin, sorseggiando la sua coca. “Allora? Come va col nuovo cliente?”

Brian inarcò un sopracciglio. “È davvero un nuovo cliente.” Precisò. “Non me lo sono…”

“Lo so.” Lo interruppe Justin. “E so anche che Debbie ha la bocca davvero troppo larga, a volte. Nel caso non te ne fossi accorto, non ascolto tutto quello che dice.”

“Perché no?”

Justin gli sorrise, sfiorandogli una mano. “Perché il più delle volte preferisco ascoltare te. Dato che nessuno lo fa.”

“Quindi sarei uno che parla al vento?”

“No.” Justin alzò gli occhi al cielo, esasperato. “Ma gli altri sembrano sapere tutto di te. Cosa dirai, cosa farai, chi ti farai…”

“E il problema è?” Chiese Brian confuso, non arrivando al punto.

Justin intrecciò le dita a quelle del suo fidanzato, abbassando lo sguardo sul tavolo. “Il problema è che il novanta per cento delle volte, non sanno di cosa cazzo stanno parlando.”

“Ma davvero?” Brian nascose un sorrisino divertito. “E tu lo sai?”

“Certo.” Justin riportò lo sguardo su di lui. “Perché io mi fermo ad ascoltarti. Non presumo di sapere già tutto, al contrario di altri.”

Brian piegò le labbra all’interno della bocca e annuì lentamente. “Ok.” Strizzò le dita di Justin prima di rilasciarle e tornare al suo panino. “Allora, ti va di sentire come è andata la mia mattinata con un cliente insopportabile che non mi sono scopato e che di sicuro non mi scoperò mai?”

Justin ridacchiò, sfilando una foglia di insalata dal suo cheeseburger. “Sono tutt’orecchi.”

Il ragazzo trascorse la successiva mezz’ora ad ascoltare il suo compagno che malediceva in almeno un paio di lingue il nuovo cliente della Kinnetic che, a detta di Brian, era tanto ricco quanto idiota. E Masterson era davvero ricco.

Poi passò all’incompetenza dei suoi collaboratori, dei suoi dipendenti e dell’intero dipartimento artistico – “Non dirlo nemmeno, perché potrei prenderti in parola…” Borbottò Brian quando il suo fidanzato gli offrì il suo aiuto, almeno in quel campo – e, prima che avessero finito il pranzo, Brian aveva deciso di licenziare metà della sua agenzia. Fu Justin a dissuaderlo dal farlo, ricordandogli quanto il fatto di essere povero lo avesse sconvolto in passato.

“Tu, invece?” Gli chiese, quando Kiki passò a ritirare i piatti e informò Justin della squisita torta di mele del nuovo cuoco. Il ragazzo ne ordinò due porzioni, facendo alzare gli occhi al cielo al suo fidanzato.

“Niente di che.” Justin si strinse nelle spalle e si morse un labbro con aria colpevole. Finse interesse per il vecchio menù consunto.

Avrebbe voluto raccontargli della discussione con Vanessa avuta solo qualche ora prima, di come la sua gallerista si ostinasse a tormentarlo con la storia di New York, di quanto lo avesse innervosito con le velate minacce di rivolgersi direttamente a suo padre con cui “Hai firmato un contratto, Justin! Un contratto legale e vincolante!” e di come lui, sotto lo sguardo inorridito di Steve e Molly l’avesse allegramente mandata a quel paese, definendola una sciocca ragazza immatura e viziata, sebbene si rendesse conto benissimo da solo di essere lui il primo ad essere immaturo.

Avrebbe voluto confidarsi con Brian, avrebbe voluto confessare al suo fidanzato, al suo compagno, al suo partner di non riuscire più a gestire la situazione e di stare affondando sempre più, di voler solo rimanere lì con lui e con la loro famiglia, senza sentire più parlare di New York e di gallerie, di mostre e di Vanessa Austen.

L’unica cosa che desiderava era sprofondare nell’abbraccio rassicurante di Brian e scordarsi del resto, rimanere per sempre con lui, seduti a quel tavolo a parlare come una coppia qualunque senza preoccuparsi di quegli incombenti seicento chilometri.

Purtroppo però sapeva quale sarebbe stata la risposta di Brian alle sue lamentele. E quel giorno, non era davvero in condizione di sentirla.

“Niente di che?” Brian inarcò un sopracciglio.

“Sì, qualche giro in centro, una passeggiata…” Justin si strinse nelle spalle. “Niente di che.” Ribadì.

Il suo fidanzato annuì, fingendo di bersi la bugia. Si appoggiò comodamente contro i divanetti proprio mentre Kiki portava al loro tavolo i due pezzi di torta.

“Grazie, Kiki.” La ringraziò educatamente Justin.

“Figurati, angelo.” E sparì di nuovo tra i clienti.

“Io invece ti ho preso un regalo.” Confessò Brian, prima che Justin potesse dare il primo boccone. Vide le sue sopracciglia guizzare curiose verso l’alto.

“Davvero? Un regalo?”

Brian annuì, sporgendosi verso di lui e accarezzandogli il polso. Ovviamente lo fece con discrezione, non voleva che si spargesse la voce che Brian Kinney coccolava il suo ragazzino come un patetico finocchio innamorato.

Come aveva fatto in precedenza per la bugia del suo fidanzato, finse di credere anche a quella che si stava raccontando da solo, insinuando le dita sotto la manica della maglia di Justin che rabbrividì al contatto.

“E poi non dire che non penso a te.” Con la mano libera estrasse qualcosa dal cappotto. “Tieni.”

Justin mollò immediatamente la forchetta e prese la busta bianca tra le mani con un sorriso radioso. “Che cos’è?”

“Aprila.”

“Nessuna anticipazione? Nessuna promessa strappato in cambio di favori sessuali?” Il ragazzo la guardò malizioso. “Stai invecchiando, mio caro.”

Brian alzò gli occhi al cielo. “Apri quella cazzo di busta e chiudi il becco.”

Justin annuì, mordendosi un labbro per non scoppiare a ridergli in faccia, ma tutti i suoi sforzi divennero inutili quando vide il contenuto del suo regalo. Il sorriso sparì immediatamente dal suo volto e Brian, come se si aspettasse quella reazione, gli strinse di più il polso.

“Questo è…”

“Prima classe, Sunshine. Volo Pittsburgh-NewYork. La data devi confermarla il giorno prima della partenza.”

Justin ritrasse la mano e alzò lo sguardo verso di lui. Il cuore di Brian parve spezzarsi quando vide i suoi occhi azzurri riempirsi di lacrime.

Mi dispiace, Sunshine, ma è la cosa giusta per te…

“Justin…”

Il ragazzo gettò la busta sul tavolo con un gesto secco, il biglietto scivolò sulla superficie di plastica. “Puoi anche riprendertelo.”

“Te l’ho già detto. È un regalo.”

Justin si alzò in piedi e afferrò il suo cappotto. “Non lo voglio il tuo cazzo di regalo.” Lanciò un’ultima occhiata furiosa all’uomo davanti a lui e si voltò, dirigendosi a passo spedito verso l’uscita. Un istante dopo, il campanello della porta trillò.

Brian sospirò piano tra sé e posò lo sguardo sul biglietto aereo.

Lì accanto, ancora intatta, giaceva la torta di mele di Justin.






“NO, NO, NO E NO!” Emmett sobbalzò spaventato al grido furioso di Molly e così fece Bradley al suo fianco. “Vi ho già detto che queste decorazioni vanno dall’altra parte! Sì, esatto proprio lì!” La ragazza sospirò esausta, dirigendosi poi verso di loro. “Dopo questo ballo, avrò bisogno di una vacanza.” Bradley ridacchiò, posandole le mani sulle spalle e massaggiandogliele con vigore. “Stai andando alla grande.”

“Il tuo fidanzato ha ragione, dolcezza. Stai gestendo la situazione in maniera meravigliosa.”

Molly sbuffò scettica. “Tra un po’ ci sarà una congiura per uccidermi.”

“Come Giulio Cesare.” Le fece notare Bradley, strappandole un sorriso. “E lui è diventato famoso.”

“Sì, ma credo che sia diventato famoso per ciò che ha fatto prima di morire.”

“Non lo so, sai che la storia non mi piace.”

Molly scoppiò a ridere. “Apprezzo comunque lo sforzo.” Un ragazzo dai capelli scuri si avvicinò chiedendo gentilmente di parlare con Bradley. Molly ne approfittò; una volta che il suo ragazzo fu fuori portata d’orecchi, si voltò verso Emmett e gli sorrise. “Ehi, ho visto che hai coinvolto anche John. Gran bella mossa.”

Emmett rise. “A dir la verità, si è coinvolto da solo, dicendo che erano anni che non andava più ad un ballo e che magari, se avesse dato una mano, avrebbe rimediato un invito.”

“Ma certo che siete invitati!” Esclamò indignata Molly. “Se non fosse stato per voi, qui sarebbe ancora un casino. Io non avrei saputo da che parte iniziare!”

“Saresti andata benissimo.” La rassicurò l’uomo. Lanciò un’occhiata fugace a John e si sporse verso Molly con fare cospiratore. “E se devo essere sincero, non mi dispiace passare del tempo da solo con lui.”

“Se vuoi il mio parere, è interessato a te.” Gli rivelò Molly. “Nessuno sano di mente si offrirebbe per una cosa del genere. Nemmeno io starei qui se il preside non mi avesse costretto!”

“Tu dici?” Emmett sospirò con aria sognante, giocherellando col festone blu notte che stringeva in mano. “Non lo so, cerco di non illudermi, ma…”

“Sareste davvero una bella coppia. Lui è gentile, educato, spiritoso e tu…” Molly gli sorrise radiosa, ricordandogli l’evidente parentela con Justin “… tu sei la persona più incredibile che io abbia mai conosciuto. Capisco perché Justin ti vuole così bene.”

“Oooh…” Emmett si portò le mani sulle guance e scosse il capo. “Adesso mi fai arrossire, Ginger.”

“È la pura verità. E comunque sono sicura che anche se non sarà John, prima o poi arriverà qualcuno che ti merita, Em. Ma deve essere una persona speciale almeno quanto te! Qualcuno che ti meriti davvero.”

“Come il tuo Bradley?” La stuzzicò l’uomo.

La ragazza arrossì proprio mentre il fidanzato in questione tornava da loro. “Adesso devo andare.” Lanciò un’occhiata divertita a Emmett e si alzò sulle punte, baciando Bradley brevemente sulle labbra. “Ci vediamo dopo.”

“Cerca di fare la brava.” Fece lui con tono irriverente.

La ragazza si voltò, inarcando maliziosamente un sopracciglio. “Non ti assicuro niente.” E di fronte all’espressione incuriosita del suo fidanzato, rise tornando dai suoi amici.

Emmett trattenne a stento un sorrisino. “Siete molto carini insieme.”

Bradley scosse il capo, voltandosi verso di lui. “Tu credi?”

“Assolutamente. E posso dire che si vede lontano un miglio che sei cotto.” Vide il ragazzo bruno arrossire imbarazzato. “Non c’è nulla di cui vergognarsi, splendore. L’amore alla tua età è una cosa meravigliosa.”

“È che… è tutto strano. Strano bello, non strano strano, però mi sembra…”

“Strano?” Lo prese in giro Emmett, ridacchiando. “Bradley, ascolta. È l’adolescenza, nessuno si aspetta che vi sposiate domani o che facciate tre bambini. Siete giovani, belli, popolari e innamorati. Godetevela finché dura.”

“Lei è speciale.” Confessò il ragazzo, abbassando leggermente la voce, come se quella dichiarazione fosse qualcosa di cui vergognarsi. Emmett ripensò agli anni del liceo e realizzò che ammettere di voler davvero bene ad una ragazza, di considerarla superiore alla media e di tenere a lei in maniera speciale era probabilmente qualcosa di cui vergognarsi.

Sorrise intenerito e annuì, riportando lo sguardo sulla signorina in questione che in quel momento si arrampicava su una delle scale sparse per l’immensa palestra della St. James. “Lo so.”

“Non credevo che si sarebbe mai accorta di me, Molly è una alternativa, una originale, e di certo non è il tipo di ragazza che esce col capitano della squadra di lacrosse.”

“Eppure siete qui.”

“Eppure siamo qui. E ancora non mi spiego come sia possibile.”

Emmett gli posò una mano sulla spalla. “Non è che tu sia poi così male.” Scherzò facendolo ridere. “Sono certo che hai moltissime qualità, altrimenti Molly non starebbe con te. E devo dire che hai fatto colpo anche su sua madre.”

Bradley lo guardò interessato. “Davvero?”

L’uomo annuì. “Davvero. Jennifer è molto felice che tu esca con sua figlia. Sa che sei un bravo ragazzo e che non faresti nulla per ferire Molly.”

“Almeno un Taylor è dalla mia parte.” Osservò mesto, affondando le mani nelle tasche dei jeans scoloriti.

Emmett ridacchiò, riprendendo a controllare le decorazioni che ancora rimanevano da appendere con la speranza che non si fossero danneggiate durante il trasporto. “Tranquillo, Bradley, Justin è un bravo ragazzo. Prima o poi capirà che non ha nulla da temere da te.”

“Io credo che mi odi.”

“Sciocchezze. È solo geloso di sua sorella.”

Bradley inarcò un sopracciglio. “Geloso?”

“Certo, geloso. Lui e Molly sono molto legati e il fatto che sia arrivato qualcuno a portargli via la sua sorellina adorata, lo manda in bestia. Crede che tu possa prendere il suo posto.” Sorrise tra sé. “Molly avrà anche diciotto anni, ma per Justin rimane la bambina con le codine con cui faceva l’altalena in giardino.”

“Il signor Taylor ha mai sentito Molly parlare di lui?” Domandò Bradley a bruciapelo. Emmett scosse il capo. “Nessuno potrà mai prendere il suo posto nel cuore di Molly, lei lo adora, lo… venera. Suo fratello è la persona più importante della sua vita, la gioia e l’orgoglio che si scorgono nei suoi occhi quando parla di lui è talmente evidente da essere… non lo so, ma è incredibile. Molly ama suo fratello più di qualunque altra cosa al mondo e anche se a lui non lo dice, perché so che piuttosto che farglielo sapere si taglierebbe una gamba, l’amore che prova per lui traspare in ogni sua parola. Sempre.”

Emmett sorrise. “Lo so, ma credimi, Justin è uno che sa leggere tra le righe. È abituato ad essere circondato da persone di poche parole. Ed è anche un ragazzo intelligente. Vedrai che prima o poi si accorgerà di quanto tieni a Molly e la smetterà di fare il cane da guardia.”

“Speriamo… Ehi!” Il ragazzo si avviò con passo minaccioso verso la matricola che, con la scusa di aiutare con le decorazioni, si era piazzato sotto la scala su cui Molly era appollaiata e sbirciava senza vergogna sotto la sua gonna. “Che cosa pensi di fare?” Lo prese per un braccio e lo scansò malamente. Molly guardò male il ragazzino. “Ehi, idiota! Riprovaci e ti gonfio come una zampogna!”

Il malcapitato filò via con la coda tra le gambe, strappando un sorrisino a Emmett. Vide Bradley pizzicare la caviglia di Molly dal basso e tornare verso di lui. “Scusa.”

Emmett si strinse nelle spalle. “Figurati, sei pur sempre il suo ragazzo, no? Sei tenuto a fare certe cose.”

“È che Molly è troppo bella e attira un sacco di imbecilli. Dovresti sentire i commenti a scuola.” Bradley scosse il capo, chiaramente contrariato. “Ma non posso mica picchiare mezzo istituto.”

“Suppongo di no.” Convenne l’uomo, nascondendo un sorriso. “Sono certo che a Molly fa molto piacere, comunque.”

Il ragazzo sorrise. “Posso chiederti un favore?” Emmett lo fissò incuriosito. “Potresti parlare con suo fratello? Sai, metterci una buona parola.”

“Vuoi dire intercedere per te?” Lo prese in giro Emmett.

“Esatto. Molly mi ha detto di aver chiesto anche al fidanzato di suo fratello, ma è stato irremovibile. Ha detto che… Brian? Sì, mi sembra sì chiami così… insomma lui non vuole intromettersi nelle loro cose.”

“Tipico di Brian.”

“Farsi gli affari suoi?”

“Stare sempre dalle parte di Justin. Loro sono…” Emmett gesticolò con le mani, cercando la parola adatta “… un fronte compatto.”

“Grande…” Borbottò Bradley rassegnato. “Allora non ho davvero speranze.”

“Sciocchezze. E allora io che ci sto a fare?” L’uomo gli sorrise con fare rassicurante. “Parlerò io con Justin. E ti assicuro che gli farò cambiare idea, prima di quanto credi.”

“Lo spero…” Bradley lanciò uno sguardo verso Molly e sorrise quando la vide scherzare con i suoi amici. “Lo spero davvero…”






Ted ricontrollò gli ultimi rendiconti finanziari e si diresse verso l’ufficio di Brian. “Lui c’è?” Chiese a Lauren che scosse il capo. “È fuori per il pranzo. Credo con… il signor Taylor.” Concluse la ragazza sottovoce.

Cynthia, appoggiata contro la scrivania accanto, roteò gli occhi.

Cielo, ma fin dove può spingersi la stupidità umana?

“Lauren.” La chiamò. “Justin è il fidanzato di Brian, non il suo amante. Puoi anche dire il suo nome ad alta voce. Nessuno ti ucciderà.”

Ted soffocò una risata, davanti all’espressione assolutamente comica della sua amica. “Sì, signorina Monroe.”

“Bene. E adesso sparisci. Non avevi un archivio da mettere in ordine?” La ragazza deglutì spaventata e annuì. In due secondi, era già sparita.

“Sarà tanto difficile trovare una segretaria decente?” Si domandò Cynthia, scuotendo il capo.

Ted sorrise. “Per una persona normale? No. Per accontentare te e Brian? Missione impossibile.”

“Stronzate. Io sono stata segretaria e assistente di Brian per anni. Ti pare che abbia arti o organi mancanti?” Allargò le braccia per mostrarsi in tutta la sua bellezza. “Assolutamente perfetta. Come te lo spieghi?”

“È una domanda che ci poniamo da anni, Cyn. E credimi, riesce a toglierci il sonno.” Rispose sincero il contabile. “Il fatto che siate entrambi ancora vivi è un vero miracolo.”

Cynthia si strinse nelle spalle. “Comunque Lauren non è adatta. Devo riuscire a sbarazzarmene il più presto possibile, ma al boss sembra andare a genio.”

Il suddetto boss fece ritorno proprio in quell’istante, lo sguardo minaccioso e la mascella serrata segni visibili che qualcosa, durante il pranzo, non era andato nel verso giusto. “Ehi, Bri. Come sta Justin?”

Brian lo ignorò, dirigendosi verso il suo ufficio e sbattendo forte la porta. “Vuoi davvero sbarazzarti di Lauren?” Chiese Ted a Cynthia. La donna annuì. “Mandala lì dentro e falle dire il nome di Justin. Scommetti che, nonostante le tue recenti affermazioni, finirà ammazzata?”

Cynthia ridacchiò. “Non è una cattiva idea, sai? Ci penserò su.” Gli assicurò, avviandosi verso gli uffici. “Ciao, Michael.” La sentì dire Ted mentre si allontanava. Con un sorriso, si voltò verso il suo amico. “Ehi.” Michael lo abbracciò di slancio. “Che ci fai qui?”

“Non posso venire a trovare i miei amici al lavoro?”

Ted inarcò un sopracciglio. “Per quanto mi riguarda, non ho problemi.” Indicò l’ufficio di Brian. “Quella è tutta un’altra storia.”

Michael aggrottò la fronte. “Che ha? Gli è morto il gatto?”

“Non ne ho idea. È andato a pranzo con Justin e, quando è rientrato, era furioso.”

“Perché non sono sorpreso?” Osservò Michael. “Sapevamo che sarebbe successo, no?”

“Successo cosa?” Ted lo guardò, curioso.

Michael si appollaiò sul bordo della scrivania e giocherellò con alcuni fogli. “New York. Justin che torna, loro che si rimettono insieme, il matrimonio, tante belle cose e poi… Ecco che la realtà torna a bussare alla porta.”

Ted annuì afflitto, lanciando uno sguardo dispiaciuto verso l’ufficio del suo capo. “Sembra quasi di essere in una soap opera. Si aggiusta una cosa, se ne rompe un’altra: tu e Ben risolvete i vostri casini ed ecco che Brian e Justin ristabiliscono l’equilibrio.”

Michael affondò le mani nelle tasche del giubbino. “Forse dovremmo entrare a vedere.” Accennò col capo alla porta chiusa. “Per assicurarci che stia bene.”

“Credi sia saggio?”

“No, ma credo sia giusto. Non è a questo che servono gli amici?”

Ted fu costretto a dargli ragione. “E amicizia sia, allora.” Lanciò un mezzo sorriso a Michael. “Magari minacciare di licenziarmi lo farà sentire meglio.”

Michael ridacchiò, scendendo dalla scrivania e precedendolo verso l’ufficio. “Brian? Si può?”

“Ehi, Mickey.” Brian abbozzò un sorriso alla vista del suo migliore amico. “Come mai da queste parti?” Si alzò dalla sua poltrona e schiacciò con un po’ troppa foga la sigaretta nel posacenere. Girò attorno alla scrivania e ci si appoggiò contro, incrociando le caviglie.

“Tutto bene?” Gli chiese Michael, baciandolo sulle labbra.

“A meraviglia.” Mentì l’altro.

Ted si accomodò sul divano, mentre Michael prendeva posto su una delle sedie vicino a Brian che non perse tempo a prenderlo in giro, temendo che il suo amico gli chiedesse cosa era successo con Justin. “Non mi dire che l’idillio con il professore è già finito.”

Michael gli tirò un calcio, ridacchiando. “No, mi dispiace per te. Io e Ben stiamo benissimo.”

“Peccato.” Scherzò Brian, stringendosi nelle spalle con un mezzo sorriso.

“Se può farti sentire meglio, stanotte abbiamo…”

“Possiamo immaginarlo, Michael…” Lo interruppe Ted, fingendosi offeso. “E non è giusto vantarsi della proprio vita sessuale davanti ad un amico in difficoltà.” Brian gli lanciò una penetrante occhiata. “Sto parlando di me, Bri. Tranquillo, non abbiamo intenzione di tormentarti per sapere che è successo a pranzo.”

“Ma davvero? E perché mai voi due impiccioni rinuncereste ad un così succulento pettegolezzo?”

“Perché vogliamo continuare a vivere.” Rispose semplicemente Ted.

Michael annuì concorde. “Oppure possiamo semplicemente aspettare un’oretta e poi chiamare Emmett che di sicuro avrà saputo tutta la storia da Justin in persona.”

Brian li guardò male. “Sono toccato, ragazzi. Tutto questo riguardo nei miei confronti è…”

“Ammirevole?” Suggerì il suo migliore amico.

Brian si staccò dalla scrivania e si diresse verso Ted, sedendosi sul divano, accanto a lui. “Patetico.”

Ted e Michael si scambiarono un’occhiata rassegnata. “Comunque volevo solo dirvi che tra me e Ben va tutto a gonfie vele e che ieri sera, dato che Hunter non c’era, abbiamo passato una bella seratina romantica, solo noi due, il caminetto acceso e tante coccole.”

Brian fece una smorfia disgustata. Di certo lui e Justin avevano tutto un altro concetto di romanticismo.

Ted alzò gli occhi al cielo quando lo vide scivolare sul divano, cercando di celare l’evidente eccitazione. “Quindi è tutto a posto tra voi.” Michael annuì con un sorriso. “Sono contento.”

“Anche io, credimi. Inoltre la scrittura del suo libro procede bene e Hank ci ha assicurato che sarà un successone. Più del primo romanzo che ha scritto.”

“Evviva…” Commentò sarcastico Brian.

Michael e Ted lo ignorarono. Sapevano benissimo entrambi quanto il loro amico potesse essere sgarbato, ma data la situazione, decisero di lasciar perdere. Dopo aver litigato con Justin, era già un grande risultato non essere stati cacciati a pedate appena comparsi sulla soglia dell’ufficio.

“E con Hank come ti trovi? Voglio dire, dopo il malinteso dell’amante e tutto il resto.”

Michael arrossì, ancora imbarazzato per aver pensato che Ben lo tradisse. “È simpatico. È una persona molto intelligente, conosce un sacco di cose e ha girato mezzo mondo. Con me e Hunter è sempre molto gentile e ho cominciato a capire perché vada tanto d’accordo con Ben. Sono molto simili.”

Brian inarcò un sopracciglio, improvvisamente interessato a quella noiosa discussione. “Vuoi dire che anche a lui piacerebbe infilarsi nel tuo culo?”

“Brian!”

L’uomo si limitò a scuotere le spalle. “Che ho detto?”

“Sono certo che Michael non intendesse quello, Bri.”

Michael scosse il capo. “Infatti. Quello che volevo dire è che Hank è un tipo in gamba, sebbene sia anche molto sexy.”

“Ah-ha!” Brian gli puntò un dito contro con fare accusatorio. “Allora il piccolo e fedele Michael ci ha pensato.”

“No.” Lo contraddisse Michael. “Il piccolo e fedele Michael sta valutando l’idea di ospitarlo per un po’ a casa nostra.”

Ted e Brian si raddrizzarono immediatamente, scambiandosi un’occhiata confusa. “Per averlo a disposizione nel caso ti venisse voglia di farti…”

“Brian!” Lo rimproverò Ted. “La vuoi smettere? Michael ha già detto che non è interessato a Hank in quel senso.”

“Deve esserlo. Altrimenti non mi spiego come gli sia venuta in mente un’idea tanto stupida.”

Michael incrociò le braccia al petto, palesemente offeso. “E perché sarebbe stupida?”

Brian sollevò le sopracciglia, chiedendosi per la milionesima volta se Debbie avesse fatto cadere il suo amico dalla culla da bambino. “Stai scherzando, vero?” Michael negò con la testa. “Michael, è come se io invitassi Ian a vivere al loft. Sarebbe da idioti.” Ci pensò su un attimo e sorrise. “Anche se forse potrebbe essere divertente. Scommetto che Paganini non è mai riuscito a far gridare Justin come…”

“Ti dispiace tornare tra noi?” Ted spense all’istante i suoi bollori – così come le sue fantasie di un Justin nudo e sudato sotto di lui mentre Ethan ascoltava la loro performance dal salotto. “È di Michael che stiamo parlando, non delle tue sciocchezze da fidanzato geloso.”

Brian gli lanciò un’occhiata assassina. Nelle ultime settimane aveva sentito un po’ troppe volte quella cazzo di parola odiosa. Lui non era geloso.

“Brian ha ragione, Michael.” Ted riportò lo sguardo sull’uomo imbronciato davanti alla scrivania. “Tu credi sia saggio?”

“Ben e Hank sono solo cari amici, non sono mai stati insieme.”

“E infatti è ancora peggio.” Gli fece notare Brian. “Perché se io invitassi Ian a stare al loft, Justin mi taglierebbe le palle visto com’è finita tra loro. Ma, se al contrario, gli chiedessi di ospitare Daphne, che è una sua cara amica, lui sarebbe più che felice di accettare.”

Ted annuì, schierandosi con Brian. “Probabilmente chiederebbe di unirsi a te e Justin.”

Michael aggrottò la fronte, visibilmente confuso. “Ma Daphne è una ragazza.”

Brian roteò gli occhi. Alle volte Michael era proprio ottuso: iniziava a capire perché si teneva intorno Ted.

“Sì, lo sappiamo.” Rispose il suddetto contabile. “Ma se fosse un ragazzo, la cosa non cambierebbe. Justin sarebbe comunque felice di ospitarlo. E tu, se fossi Brian, staresti tranquillo a saperli insieme ventiquattro ore su ventiquattro, sette giorni su sette in una casa piena di letti sempre disponibili?”

“Ma il loft ha un solo letto…” Osservò Michael.

“Casa tua, Michael!” Sbottò Brian. “Ted si riferisce a casa tua! Saresti tranquillo avendo uno come Hank – sexy, intelligente e tutte le altre cazzate che hai detto – sempre intorno a tuo marito?”

Michael aggrottò le sopracciglia. “Tra Ben e Hank non succederebbe mai nulla. Sono amici da una vita! Sono come fratelli, come me e te o Ted e Emmett!”

Brian lo fissò incredulo. “Ti va di riformulare la frase, Mickey?”

Michael sbuffò, cogliendo al volo il riferimento del suo amico. “Hai capito che intendo. Ben non è interessato a Hank in quel senso.”

“E noi ne siamo sicuri.” Intervenne Ted. “Ma che ci dici di Hank? Neanche lui è interessato?”

“Certo che no.”

“E come lo sai?”

“Forse perché me l’ha detto lui?”

“Ah, certo, è ovvio.” Brian alzò gli occhi al cielo all’ingenua e cieca fiducia che Michael riponeva in chiunque incontrasse. “Se l’ha detto lui…”

“Ma che avrebbe dovuto dirti, Michael?” Ted cercò di farlo ragionare. “Ehi ciao, Michael. Ti dispiace se mentre mi ospiti mi scopo anche tuo marito? Così ci alleniamo per quando inizierà il tour promozionale.” A Brian sfuggì una risatina.

“Cazzate. Io ho già deciso. Quel poverino è in hotel da settimane ed è inutile che butti i suoi soldi così. Verrà a stare da noi finché il libro non sarà concluso. Fine della storia.”

Ted sospirò, scuotendo il capo. Brian alzò le mani in segno di resa. “Se credi sia una buona idea…”

“E dovrei dare retta a te, signor Relazione Duratura?” Sibilò l’uomo con astio. “Io e Ben stiamo insieme da sei anni, siamo sposati e abbiamo dei figli. La nostra è un’unione solida.” Brian affilò lo sguardo, sfidandolo silenziosamente a tirare in ballo Justin e Gus. Se Michael aveva capito qualcosa della loro amicizia in tutti quegli anni, di sicuro non avrebbe osato. “Ed io so che posso fidarmi di lui.”

Ted intercettò l’occhiata tra i due e decise di placare gli animi. “Hai ragione, Michael. Io e Brian sicuramente ci stiamo sbagliando…”

“Io non sbaglio mai.” Ribatté sicuro Brian.

“… e sono certo che tra Hank e Ben non accadrà nulla. Siamo solo preoccupati per te.”

“Beh, non fatelo.”

“Ok, ma…” Il telefono di Ted squillò in quel momento. Sorrise quando vide comparire sul display il nome del suo compagno. “Scusate.” Rapidamente, uscì dall’ufficio. “Ehi.” Lo salutò allegro.

“Ehi.” Udì la voce di Blake sussurrargli.

“Allora? Pronto alla partenza? A che ora devo venire a prenderti domani?”

Blake, dall’altro capo del telefono, prese un lungo respiro. “Proprio di questo volevo parlarti. Non torno domani.”

Ted aggrottò la fronte. “È successo qualcosa?”

“No no, va tutto bene, ma…”

“Fammi indovinare. La situazione si è complicata.”

“Infatti. E mi dispiace da morire, non so davvero che…”

“Blake.” Sussurrò dolcemente Ted. “Ascolta, sapevamo che poteva succedere. E sapevamo che non sarebbero stati solo un paio di giorni.”

“Sì, lo so, ma ho sperato fino all’ultimo che…”

“Non preoccuparti, dico davvero.” Ted si appoggiò ad una delle scrivanie e sorrise tra sé. Era felice che Blake avesse quell’opportunità ed era orgoglioso che il suo compagno fosse così bravo nel suo lavoro tanto da rendere indispensabile la sua presenza. Forse non gliel’aveva mai detto, ma era dannatamente fiero. “Sono fiero di te.” Gli confessò.

Avvertì l’esitazione e lo stupore di Blake anche da quattromila chilometri di distanza. “Fiero?”

“Sì, fiero. Per quello che fai e per quello che sei. Sono fiero di te, Blake Wyzecki. E ti amo.”

“Ti amo anch’io, Ted Schmidt. Ma vorrei comunque essere in albergo a preparare le valige in questo momento.”

Ted sbuffò. “Non dire sciocchezze. So quanto ami il tuo lavoro e so che non faresti nulla per metterlo a rischio, né per creare problemi al centro di San Francisco.” Fece una pausa e salutò distrattamente una delle impiegate appena entrate. “Quanto tempo dovrai rimanere?”

“Due settimane.”

“Due…?” Ted sgranò gli occhi. “Accidenti.” Quello davvero non se lo aspettava. Aveva previsto almeno un altro paio di giorni, ma quindici? “Come mai?”

Blake sopirò frustrato. “Perché qui è tutto un casino.” Ted sorrise, ricordandosi della discussione che avevano avuto solo la sera prima durante la quale Blake aveva inveito contro San Francisco e tutta la California. “Il centro dovrebbe aprire tra meno di due mesi e non c’è praticamente nulla.”

Ted ridacchiò. “Non ti sembra di esagerare? Avranno almeno porte e finestre, no?”

“Non è affatto divertente, Ted.” Si lamentò Blake, ma Ted capì che stava sorridendo.

“Un po’ lo è, ammettilo.”

Blake rise. “No, per niente… Eccomi!” Lo sentì gridare. “Ted, scusa, ma devo andare.”

“Vai, ti chiamo più tardi.”

“Ok.” Blake sospirò di nuovo. “Mi manchi.”

“Anche tu. Ora però vai prima che qualcuno si suicidi.”

Sentì il suo compagno ridacchiare prima che la comunicazione si interrompesse. A passo mesto, tornò nell’ufficio di Brian. “Tutto bene?” Domandò Michael. “Hai una faccia…”

Ted annuì. “Blake. Il suo soggiorno si dilungherà un po’.”

“Mi dispiace.”

“Avevamo immaginato che sarebbe successo.”

Michael assentì lentamente col capo. “Ma tu stasera vieni da mia madre, no?” Brian sbuffò rumorosamente. “Ci saremo tutti.”

“Precisamente con chi ho parlato negli ultimi dieci minuti?” Chiese Brian. “Io non ci vengo. L’ho detto a lei e ora lo dico a te. Non.Ci.Vengo.”

Michael lo ignorò tornando a voltarsi verso Ted. “Alle otto. Mi raccomando, sii puntuale.”






Lane ridacchiò, alzando gli occhi al cielo. “Sì, diciamo che non è stata una serata da dimenticare…”

“Da dimenticare?” Paul le lanciò la sua gomma da cancellare. “Ammettilo, Clarke. Ti sei divertita da morire ed è tutto merito della straordinaria compagnia.”

“Stronzate.” La ragazza riportò lo sguardo sui libri e soffocò un sorriso.

Non l’avrebbe mai ammesso col diretto interessato, ma con Paul si era davvero divertita. La serata del concerto non era andata come si aspettava, ma il suo amico si era incredibilmente rivelato un perfetto compagno di uscite. Avevano bevuto, avevano cantato a squarciagola – Lane aveva scoperto con sua grande sorpresa che Paul conosceva tutte le canzoni del gruppo – e avevano riso come pazzi quando lui le aveva presentato alcuni suoi amici molto simpatici. Erano rimasti insieme per tutta la serata, ben oltre la fine del concerto, e quando Lane era finalmente tornata a casa, il suo coprifuoco era già passato da un pezzo. Non che Fanny fosse in condizione di metterla in punizione…

Paul, da vero gentiluomo, l’aveva accompagnata fino alla porta di casa e proprio mentre Lane stava iniziando a rivalutare le sue alquanto discutibili buone maniere, lui se n’era uscito con un “E adesso, bellezza, niente dopocena?” L’unica cosa che aveva rimediato quella sera erano state cinque dita stampate in faccia.

Comunque in generale, era stata una bella serata, come non ne passava da tempo, presa com’era dall’università e dalle continue crisi isteriche di sua madre; per un sera si era sentita una qualunque ragazza di vent’anni, una che si fa bella per uscire con un ragazzo – un ragazzo assolutamente amico –, che si diverte con gli amici e che rientra di soppiatto a casa per non svegliare i genitori.

“Allora? Prossima uscita?” Le chiese Paul con un sorriso sornione.

Lane lo guardò stranita. “Sei serio?” Il ragazzo annuì. “Ti sei davvero divertito?”

“Certo. E tu non sei male quando ti decidi a sfilarti quella scopa che hai su per il culo.”

“Che gentleman…” Lo rimbeccò la ragazza rifilandogli un calcio da sotto il tavolo della biblioteca in cui si erano rintanati per studiare. O meglio, dove Lane si era rintanata per studiare prima che Paul la seguisse per tormentarla.

“Guarda che era un complimento!” Si lamentò lui, massaggiandosi la gamba dolorante.

“Allora non ho colto, mi dispiace.”

“Ehi!” Hunter li salutò, comparendo da dietro l’ultimo scaffale. Raggiunse il massiccio tavolo di mogano su cui lui e i suoi amici avevano passato più di un pomeriggio. “Vi ho cercato dappertutto.”

Paul e Lane si scambiarono un’occhiata imbarazzata. “Stiamo studiando per l’esame della prossima settimana.” Lo informò la ragazza, afferrando la sua matita. Paul la imitò.

“Tu stai studiando?” Hunter lo guardò con gli occhi sgranati. “Ma che è successo?”

Paul si strinse nelle spalle. “Dato che l’ultimo esame l’ho superato per un soffio, ho scommesso con la signorina qui presente che al prossimo sarei andato alla grande.” Lane abbozzò un sorriso, gli occhi ancora puntati sul suo libro.

Hunter passò lo sguardo da lui a lei e inarcò un sopracciglio. “Siete strani…” Posò i libri accanto a Paul e si sedette. “Volevo raccontarvi dell’altra sera.”

“Oh già.” Paul si costrinse a distogliere gli occhi da Lane e rivolgerli verso Hunter. “Com’è andata con Callie?”

Il suo amico sorrise. “Bene. Siamo usciti anche ieri sera.”

“Davvero?” Anche Lane rimase sorpresa.

Hunter annuì. “Beh, il cinema è andato bene e abbiamo deciso di fare il bis.”

“Quindi adesso state insieme?” Indagò Paul curioso.

“Certo che no. Siamo solo due amici che si divertono passando del tempo insieme.” Fece una pausa e tirò fuori il suo libro. “Ogni tanto mi sembra quasi di essere tornato ai vecchi tempi, quando stavamo insieme. Lei è sempre la stessa, è rimasta la ragazza completamente pazza per cui mi sono preso una cotta e che poi mi ha trattato da schifo.”

“E la cosa ti sta bene?” Gli chiese Lane, sinceramente preoccupata per il suo migliore amico.

Hunter si strinse nelle spalle. “Al momento ce la prendiamo con calma, provando prima a tornare amici. Poi si vedrà…”

“Quindi speri in qualcosa di più?” Paul si tamburellò il gommino della matita sul mento.

“Non lo so che spero, Paul. Non sono sicuro più di niente.”

“Ma allora è vero che l’amore rende imbecilli!”

Lane alzò gli occhi al cielo, scuotendo il capo. “Ma tu senti che discorsi…” Protestò sottovoce.

“Tranquilla, Laney.” Hunter guardò con un sorriso la sua amica. “Tu rimarrai sempre la mia donna numero uno.”

“Bell’acquisto…” Li prese in giro il ragazzo coi capelli rossi, lanciando però un sorriso sbieco a Lane che si limitò ad inarcare un sopracciglio. “Non raccolgo le provocazioni.” Ribatté lei con aria di superiorità.

“Da quando?” Si sorprese Hunter. “Tu e Paul siete praticamente come cane e gatto.” I due ragazzi si scambiarono un’altra lunga occhiata carica di imbarazzo. “Oggi sembrate quasi civili.”

Paul si strinse nelle spalle. “Solo perché mi diverto a punzecchiarla, non vuol dire che io abbia cinque anni.” Hunter continuò a fissarlo con espressione chiaramente scettica. “E solo perché Lane è acida come un limone non vuol dire che vorrebbe staccarmi la testa a morsi ogni volta che apro bocca.”

“Solo ogni volta che respiri…” Ridacchiò la ragazza. “Sto scherzando...” Chiarì di fronte all’espressione confusa di Paul. “Paul ha ragione, James. Anche noi siamo amici e poi ricordati che ci conosciamo da anni.”

Hunter spostò lo sguardo tra i suoi amici e annuì lentamente, ancora poco convinto. “Ok. Se lo dite voi.”

“Insomma qual è il problema?” Sbottò innervosita la ragazza. “Prima ti lamenti se litighiamo, poi ti lamenti se andiamo d’accordo. Vedi di decidere una volta per tutte perché stare dietro ai tuoi continui cambi di umore è sfiancante.”

“Ok, ok.” Hunter alzò le mani in segno di resa, sconcertato dalla sua reazione. “Ma che ti prende oggi? Ti ha morso una tarantola?”

“No, vorrei solo studiare in santa pace e le tue inutili lamentele me lo impediscono.” Si alzò di scatto dal tavolo e raccolse in fretta le sue cose. “Ci vediamo dopo.” Disse a nessuno in particolare prima di imboccare la strada per l’uscita. Hunter e Paul rimasero a guardarla con gli occhi sgranati. “Ma che cazzo le…”

“Guarda le mie cose.” Ordinò Paul, alzandosi in piedi. “Torno subito.” E, senza aggiungere altro, si fece strada tra gli scaffali polverosi, raggiungendo Lane davanti al portone d’ingresso. Lo varcarono insieme.

Hunter rimase a guardare con espressione confusa la porta anche dopo che si chiuse dietro i suoi amici. Non aveva capito cosa fosse successo, né il motivo della sfuriata di Lane, ma una domanda rimbombò chiara nella sua testa.

Paul le era davvero corso dietro?






“Guarda, guarda che sorpresa.” Debbie si mise le mani sui fianchi e fissò i due uomini davanti a lei con espressione minacciosa. “Non eri quello che non doveva venire?”

Brian si limitò a sbuffare, prima di entrare in casa senza dire una parola. Justin abbozzò un sorriso e baciò la donna su una guancia. “Scusa il ritardo.”

“Figurati, Sunshine.” Debbie gli accarezzò i capelli e chiuse la porta. “Carl non è ancora tornato.”

Il ragazzo annuì, sfilandosi il cappotto e appendendolo all’ingresso.

Debbie capì al volo che qualcosa non andava e tutti i suoi timori trovarono conferma quando vide Brian accomodarsi sulla vecchia poltrona di Vic e Justin dirigersi verso la cucina ed appoggiarsi alla vecchia credenza, prendendo a lanciare occhiate torve verso il salotto.

Oh oh, guai in paradiso?

“Ehi, Justin.” La donna lo raggiunse, iniziando ad armeggiare con le pentole sui fornelli. “Ti va di darmi una mano, dolcezza?”

“Certo.” Rispose quello, educato come sempre. Le lanciò un pallido sorriso e diede le spalle all’altra stanza da cui due attenti occhi verdi continuavano ad osservare tutte le sue mosse. “Tutto bene, baby?” Gli chiese Debbie sottovoce per essere certa di non essere ascoltata dal resto della truppa.

“Benissimo, Deb.”

“E il muso lungo a cosa è dovuto?”

“Non ho nessun muso lungo.”

“Certo, e io sono rossa naturale.”

Justin soffocò una risata e lanciò un’occhiata divertita alla donna, prima di baciarle di nuovo la guancia. “Sto bene, va tutto bene, io sono perfettamente…”

“… depresso?”

“… sereno.”

“Stronzate.” Debbie aggiunse un pizzico di sale al suo ragù e assunse una posa minacciosa, brandendo il mestolo. “Devo prendere a calci il suo culo secco finché non potrà più sedersi?”

Justin scosse il capo con un sorriso trattenuto. “Per quanto io sia arrabbiato con lui, non vorrei mai che te la prendessi col suo culo. Sai, ci sono abbastanza affezionato.”

A Debbie sfuggì un sorriso. “Come vuoi.” Sollevò il cucchiaio di legno verso Justin e accennò col capo. “Assaggia.” Gli intimò con un mezzo sorriso, proprio come aveva fatto altre mille volte quando Justin viveva con lei. “Com’è?”

Justin spalancò gli occhi. “Più buona del solito, Deb. Ti sei superata.” Osservò con tono adulatore.

“E tu invece sei un ruffiano.” Lo rimbeccò la donna, non riuscendo comunque a mascherare il proprio divertimento. Michael, Ted, Brian ed Emmett attraversarono la cucina in quel momento, uscendo in giardino. “Sappi che non basteranno due moine a farmi gettare la spugna, ragazzino.”

“Non so di che cosa tu stia parlando.” Continuò il ragazzo guardandola con aria innocente.

La donna alzò le mani al cielo e decise di lasciar perdere. “Inizia a sistemare la tavola.” Ordinò. “Ben, dolcezza, ti dispiace dare una mano a Sunshine?”

Suo genero si alzò dal divano e acconsentì con un sorriso.

Dieci minuti più tardi, il professor Bruckner fu mandato in giardino a raccattare il resto della famiglia. Non aveva ancora messo piede in veranda che la voce di Ted lo raggiunse. Uscì allo scoperto e si avvicinò a suo marito che lo abbracciò, passandogli una mano attorno alla vita.

“La cena è pro…”

“Senti, Ted, non capisco quale sia il tuo cazzo di problema.” Esordì Brian col suo solito aplomb. “È quello che volevi, no?”

“Certo, Brian, ma non voglio che Blake pensi che lo stia scaricando. Mi ha fatto uno strano discorso prima di partire ed era chiaro che fosse preoccupato.”

Emmett gli strizzò una spalla. “Teddy, sono sicuro che Blake sta bene.”

“E poi se non si trova bene, che può succedere?” Domandò Michael. “Male che va torna a Pittsburgh. Non saresti contento?”

Ted scosse il capo. “No che non sarei contento.”

“Non lo vuoi qui?”

Brian alzò gli occhi al cielo alla stupida domanda di Michael. “Cazzo, Michael, ma ci fai o ci sei?” Gli chiese, aspirando un lunga boccata dalla sigaretta.

“Perché? Ted dovrebbe essere contento se Blake tornasse da lui. Vuol dire che, per quanto il suo lavoro sia importante, la loro storia lo è di più.”

“Quindi se Blake rimane a San Francisco, la storia con Theodore non vale un cazzo.”

“Non è questo che ho detto.”

“Io credo di sì.”

“Brian, smettila di sentire solo quello che vuoi tu.” Ben strinse di più il braccio attorno alle spalle di suo marito. “Sto cercando di far capire a Ted che se Blake decide di rimanere a Pittsburgh è perché ha fiducia nel futuro della loro storia.”

“Quindi io non ce l’avrei?” Fece Ted con tono offeso.

Michael alzò gli occhi al cielo, esasperato. “Sentite, non è colpa mia se i vostri fidanzati sono richiesti in altri stati e non è colpa mia se voi rimanete qui mentre loro hanno le loro vite lontano da questa cazzo di città!”

“Michael…” Ben cercò invano di placare l’uomo.

“Ma che cazzo avete da strillare?” La testolina bionda di Justin fece capolino dalla porta, uscendo in veranda e raggiungendo il gruppo.

“Ehi, Sunshine!” Brian gli rivolse un sorriso dolce come il miele. Un sorriso che sicuramente portava guai.

“Che vuoi?” Gli chiese sgarbato il suo fidanzato. Era la prima volta che si rivolgevano la parola dalla discussione avuta a pranzo. Per pura casualità si erano incontrati davanti alla porta di Debbie e avevano finto di essere arrivati insieme – soprattutto per evitare le indiscrete domande della loro famiglia.  “Non ho voglia di parlare con te.” Emmett, Ted, Ben e Michael si scambiarono un’occhiata confusa. “A meno che la tua prima frase non sia Mi dispiace seguita da Sono un idiota senza cervello.”

Brian si strinse nelle spalle. “Te lo puoi scordare.”

“Ma che succede?” Domandò Emmett, dando voce ai pensieri di tutti i presenti. “Che cazzo vi prende?”

“Chiedilo a lui.” Borbottarono i due uomini, lanciandosi un’occhiata torva.

Ted si appoggiò al vecchio tavolino di legno e scosse il capo. “Ok, adesso basta. Che avete?”

“Sunshine.” Riprese Brian, ignorando il suo amico. “Lo sapevi che Blake dovrà rimanere a San Francisco altre due settimane?”

Justin incrociò le braccia al petto. “Buon per lui. Vuol dire che il lavoro va bene.”

“Ironico che tu la metta su questo piano.”

“Ancora più ironico è il fatto che tu t’impicci della relazione di Ted e Blake.”

Brian ghignò. “E pensa un po’, il caro Theodore è quello che ha spinto il suo fidanzato ad accettare la proposta. Non lo trovi a dir poco altruista?”

Justin affilò lo sguardo, prevedendo già dove il suo fidanzato altruista sarebbe andato a parare. “No, lo trovo da idioti.”

“Ehi!” Si risentì Ted, totalmente all’oscuro della silenziosa discussione che Brian e Justin stavano affrontando.

“Ma davvero?”

“Certo.” Justin scosse le spalle. “Ted si è per caso soffermato a chiedere a Blake cosa volesse? No, certo che no! Lui gli ha comprato uno stupido biglietto aereo e ha deciso per tutti e due! Come del resto, ha sempre fatto!”

Emmett aggrottò la fronte e guardò Ted. “Teddy, che biglietto aereo?” Gli sussurrò all’orecchio.

Il suo miglior amico lo guardò altrettanto perplesso. “Non so di cosa cazzo stiano parlando.”

“È ovvio che l’abbia fatto! A volte i bambini non sono capaci di prendere decisioni, quindi gli adulti le prendono per loro!” Ribatté Brian, mostrando chiaramente i primi segni di nervosismo.

“A quindi è questo che sono? Un bambino?”

“Esattamente! Uno sciocco bambino immaturo!”

Justin sbottò in una risata priva di allegria. “E cosa ti fa credere di essere l’adulto della situazione?”

“L’esperienza.”

“Cazzate! La verità è che sei così arrogante e talmente abituato ad avere tutti ai tuoi piedi che non riesci ad accettare quando qualcuno non è della tua opinione!”

Nonostante la situazione, Ted ed Emmett si scambiarono un sorrisino.

Non c’era nulla da fare: Justin Taylor sarebbe sempre rimasta l’unica persona al mondo capace di tenere testa a quel concentrato di cocciutaggine e presunzione che era Brian Kinney.

Brian mosse un passo verso le scale su cui stava Justin. “Non quando so di avere ragione!”

Justin serrò la mascella e strinse con forza i pugni, abbandonati lungo i fianchi. “Dimmi solo una cosa, Brian.” Fissò accigliato il suo compagno, il suo uomo, il suo tutto e cercò inutilmente di ingoiare la rabbia che sentiva montargli dentro. “Ti dà tanto fastidio la mia presenza qui?” Tutti i presenti spostarono silenziosamente lo sguardo dall’uno all’altro. Scosse il capo con veemenza. “A volte davvero non ti capisco! Io ti sto dicendo che voglio stare qui! Con te! Non me ne frega un cazzo di New York, né della mia carriera! E tu invece sei arrabbiato… anzi no, sei furioso! Sembra quasi che ti abbia detto che voglio andarmene e lasciarti!”

Brian inarcò un sopracciglio in segno di sfida. “Come hai fatto l’ultima volta? O la volta prima ancora?”

Michael scosse il capo verso il suo miglior amico, intimandogli silenziosamente di chiudere la bocca all’istante ed evitare così di dire qualcosa di cui poi si sarebbe sicuramente pentito.

“Di cosa hai paura?” Gli domandò Justin, ormai al colmo della frustrazione. “Che possa compromettere la tua reputazione di scopatore incallito? Chissà quanti fan adoranti in meno avresti con un partner che ti aspetta a casa tutte le sere!”

“Hai ragione.” Concordò Brian, muovendo un altro passo e iniziando a salire i gradini della veranda. “Quindi perché non sparisci e torni alla tua vita?”

Justin rimase in silenzio, sperando che così sarebbe riuscito a non rivelare quanto quelle parole l’avessero ferito. Brian spense la sigaretta con un gesto secco e accennò un movimento del capo verso i suoi amici che rabbrividirono davanti al suo sguardo minaccioso. “Si è fatto tardi ed io domani ho una riunione importante.” Superò Justin e arrivò alla porta della cucina. “Buon ritorno nella Grande Mela, Sunshine.”

Il ragazzo mosse un passo per seguirlo, bloccandosi subito dopo. Sentì la voce di Deb urlare qualcosa contro Brian prima che la porta d’ingresso si chiudesse, sbattendo così forte da far tremare tutte le finestre della casa, insieme al cuore del povero Justin.


 

 

 

 

 

 

Lo so, lo so… avevo detto che sarei stata più presente e che gli aggiornamenti sarebbero stati più veloci, ma proprio non ce l’ho fatta, colpa anche della mancanza di ispirazione che mi perseguita da un mese a questa parte, quindi non posso fare altro che prostrarmi ai vostri piedi e chiedere umilmente perdono :D

La discussione della mia tesi è andata benissimo, finendo con un inatteso 105 ed io volevo approfittare di questo spazio per ringraziare tutte voi che mi avete augurato buona fortuna e mi siete state vicine, grazie mille, ragazze, non avete idea di quanto mi abbiate resa felice.

Per quanto riguarda il capitolo, spero che non vogliate uccidermi, ma era già da un po’ che si preannunciavano guai per i nostri adorati, del resto rimangono Brian e Justin e qualche scintilla tra loro (e non mi riferisco a quelle sotto le lenzuola, o sul divano, o nella backroom, o… vabbè avete capito, no?) ci deve pur essere. Spero che la reazione di Justin non vi sia sembrata esagerata, ma considerate che è già da un po’ che il nostro Kinney gli dà il tormento per la questione New York e tira oggi, tira domani…

La scena in biblioteca tra Hunter, Lane e Paul non era prevista, ma è venuta fuori da sola: che ne pensate?

Voglio rassicuravi dicendo che il prossimo capitolo è già nelle mani della mia adorata beta, quindi non resta che attendere sue notizie. Nel frattempo, ringrazio come sempre le mie meravigliose SusyLambertGiulia__THmindyxxelectra23Daphne90Princess_SlyteringelysendaCourtkiry95, EmmaAlicia79. Che farei senza di voi?

Un bacione grandissimo e alla prossima!!

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Capitolo 21
*** Let's Go Back To The Start ***


21. Let’s Go Back To The Start

 

 

 

 

 

 

Justin crollò sulla sedia accanto a sua sorella. “Buongiorno, patetico.” Lo salutò freddamente quella, sorseggiando il suo latte e senza neppure distogliere lo sguardo dal giornale.

“Non ricominciare, per favore…” La implorò il ragazzo.

Molly alzò gli occhi al cielo, decidendo tuttavia di non infierire oltre. L’aveva già fatto in abbondanza la sera precedente, realizzò.

Quando Justin era rientrato dalla cena da Debbie con espressione tetra, lei aveva immediatamente capito che qualcosa non andava. E con quella faccia, uno solo poteva essere il problema.

L’aveva seguito nella sua stanza e, dopo mezz’ora di preghiere alternate a parolacce, era riuscita finalmente a farsi raccontare tutto.

Morale della favola? Brian si confermava l’uomo altruista e meraviglioso che Molly aveva sempre sospettato che fosse, Justin un impensabile cretino.

Insieme si erano poi rannicchiati nel letto di Justin, come facevano da piccoli, e Molly aveva tentato, per le successive due ore, di far capire a quel testone di suo fratello le ragioni di Brian – lei, che più di tutti voleva far rimanere Justin a Pittsburgh! Il caro Kinney le sarebbe stato debitore per la vita!

Quando, alla fine, Justin, al colmo della frustrazione, aveva mandato a fanculo lei, Brian e la sua spropositata cotta per il suo fidanzato, Molly gli aveva mollato un ceffone in piena faccia, si era voltata e si era addormentata, non rivolgendogli più la parola.

Per un attimo Justin era rimasto interdetto, poi lo aveva sentito sbuffare scocciato e fare altrettanto. “Se ti avvicini di un solo centimetro, ti caccio a calci in culo.” Le aveva sibilato acido, prima che entrambi venissero avvolti da un completo silenzio.

La vendetta di Molly era arrivata nottetempo, quando del tutto accidentalmente si era raggomitolata nelle coperte, lasciando suo fratello senza niente. Ovviamente il povero, piccolo e tenero Justin, divorato – a ragione – dai sensi di colpa, non aveva fatto una piega. Molly si era sentita molto soddisfatta di sé.

“Buongiorno, Molly.” Salutò educata Vanessa entrando in cucina. Si versò una tazza di caffé e prese posto di fronte a Justin, ignorandolo completamente.

E due… Pensò Justin tra sé.

“Allora, scricciolo, come va il ballo?” Chiese la gallerista dopo qualche istante di silenzio.

Molly sorrise felice. “Alla grande. La St. James lo ricorderà come il migliore che abbia mai avuto. Grazie anche ai tuoi preziosi consigli, Ness.”

“Sciocchezze.” Vanessa la liquidò con un gesto della mano. “Mi dispiace solo di non poter fare di più, ma al momento ho ben altri problemi da risolvere.” E lanciò un’occhiataccia a Justin che finse di non cogliere.

“Hai fatto molto, invece.” La rassicurò Molly. “Tu ed Emmett siete stati mitici. Non so che avrei fatto senza di voi.”

Justin sbuffò. “Em non si è ancora stancato di queste stronzate?”

Molly socchiuse gli occhi, guardandolo minacciosa. “No, saputello. Emmett prende seriamente anche le cose che qualcuno considera sciocche.”

“Oh, pensa.” Vanessa si rivolse per la prima volta direttamente a lui. “Una persona che rispetta gli impegni. Che novità al giorno d’oggi.” Justin si limitò a roteare gli occhi.

“Buongiorno, Taylor!” Esordì Steve, comparendo sulla soglia, allegro come sempre. “E Austen.” Il campanello suonò prima che i presenti potessero rispondere. “Vado io.” Si offrì il ragazzo.

Justin e Vanessa si scambiarono un’ultima silenziosa, torva occhiata.

“Ciao, bellissima.” Sentirono Steve dire dall’ingresso.

“Ma a quest’ora sei già in ‘fase marpione’?” Lo prese in giro Daphne, scoppiando a ridere.

“Io sono sempre in ‘fase marpione’. Sono tempi di crisi, dolcezza.”

Daphne entrò in cucina ancora ridacchiando. “Il tuo amico è da ricovero, lo sai?” Baciò Justin su una guancia e si sfilò il cappotto. “È rimasto del caffé?”

Molly si alzò, ripiegando il giornale. “Te lo prendo io.”

“Grazie, piccola.” Le sorrise grata, prima di voltarsi di nuovo verso il suo migliore amico. E il suo allarmante muso lungo. “Ehi, tutto ok?”

Vanessa si drizzò in piedi. “Si sta facendo tardi. Molly, hai bisogno di un passaggio a scuola?” La ragazzina annuì, porgendo il caffé a Daphne. “Va’ a prendere la borsa.”

“Ehi!” Si risentì Steve. “Io devo ancora fare colazione!”

“Hai fatto male ad alzarti così tardi. Ho un appuntamento tra mezz’ora.”

Steve trangugiò la tazza di caffé in un sorso solo. “Ecco, schiavista! Contenta?”

Vanessa annuì appena, concentrata a cercare qualcosa nella sua borsa. “Molto.”

“Eccomi.” Molly era appena scesa dal piano superiore. “Andiamo?”

“Andiamo.” Vanessa lanciò un’occhiata stizzita verso Justin. “Ciao, Daphne.” Disse solo.

“Ciao, JusJus.” Molly baciò suo fratello su una guancia. “Oggi torno più tardi. Dopo scuola io e Bradley abbiamo da fare col comitato.”

“Ancora lui…” Borbottò Justin tra i denti, mentre sua sorella salutava Daphne.

“Hai detto qualcosa?” Molly lo guardò minacciosa, le mani poggiate sui fianchi. “Perché di sicuro non sei la persona più adatta a dare consigli sulle relazioni sentimentali.” L’osservazione bastò per far tacere il ragazzo.

“Ciao, Justin!” Lo salutò Steve, seguendo Vanessa nell’ingresso, Molly subito dietro di lui. Due minuti dopo, la porta di casa si chiuse.

Daphne guardò di nuovo il suo amico. “Ok, adesso mi dici che avete tutti.”

“Tutti chi?” Justin si alzò e iniziò a raccogliere le tazze e a riordinare la cucina.

“Tutti voi.” Specificò la ragazza. “Tu e la tua faccia da funerale, Vanessa e i suoi sguardi inceneritori e Molly e le sue battutine al vetriolo.” Scosse il capo confusa. “Fino a due giorni fa stavate tutti benissimo.”

Justin sospirò, caricando la lavastoviglie. “Non è niente.”

“Stronzate.” Daphne si alzò di scatto e afferrò con un gesto stizzito la sua tazza, sistemandola assieme alle altre; poi prese Justin per un braccio e, senza tante cerimonie, lo strascinò al piano di sopra, verso la sua camera da letto. Entrata nella stanza, gli mollò il braccio, prima di sfilarsi le scarpe e sistemarsi comodamente al centro del letto, la schiena rilassata contro la spalliera di legno. Agguantò uno dei cuscini e se lo sistemò in grembo, picchiettandolo piano. “Forza, vieni qui.”

Justin alzò gli occhi al cielo. “Daph…”

“Shh… Chiudi la bocca e sdraiati qui con me.” Diede di nuovo un paio di colpetti alla federa azzurra. Il ragazzo sospirò rassegnato prima di arrampicarsi sul letto e distendersi con la testa appoggiata sul suo grembo. “Bene.” Daphne prese ad accarezzargli i capelli diventati più lunghi negli ultimi mesi. “E adesso racconta tutto a Daphne, forza.”

Justin le sorrise. “Che farei senza di te?”

“Davvero non lo so, Taylor.” Scivolò leggermente verso il basso, sempre continuando a giocherellare coi capelli del suo amico. “Allora? Che è successo?”

Justin inspirò profondamente prima di espirare lentamente. “Brian.” Disse soltanto.

“Quello l’avevo capito.” Confessò la sua amica, tirandogli indietro la frangia per riuscire a guardarlo negli occhi. “Che ha fatto?”

“Non mi vuole qui.” Daphne dovette ricorrere a tutta la sua buona volontà per non sbuffare, limitandosi ad alzare silenziosamente gli occhi al cielo. “E probabilmente non mi ha mai voluto qui.”

“Io dico che sono tutte cazzate.”

“Mi ha comprato un biglietto aereo, Daph.” Justin si sfregò con vigore gli occhi, prima di alzare lo sguardo verso il soffitto. “Mi ha regalato un cazzo di biglietto aereo per farmi tornare a New York.”

Daphne annuì piano. “E tu che gli hai detto?”

“Prima, durante o dopo la sfuriata?”

“Lo immaginavo. Lui come ha reagito?”

Justin scosse le spalle. “Buon ritorno nella Grande Mela, questo è tutto ciò che ha detto. Poi se n’è andato sbattendo la porta. Debbie era a dir poco furibonda.”

Daphne sospirò. “Hai provato a chiamarlo?”

Justin scattò a sedere, i capelli biondi sparati comicamente in tutte le direzioni. “Io? È lui che deve chiamare me! È lui che deve implorare il mio perdono!”

“Fai prima a sperare nella pace del mondo.” Gli fece notare caustica Daphne. “Sai com’è fatto, non lo farà mai, non finché sarà convinto di avere ragione.”

“Non ha ragione. È solo un dannato testardo che non riesce ad accettare il fatto che io ormai sia un adulto. Per lui sono ancora il diciassettenne innamorato che sopportava tutte le sue stronzate, non un suo pari.”

“Adesso sei ingiusto.”

Justin scosse il capo. “No, è vero. Crede ancora di doversi prendere cura di me, si sente in dovere di decidere per me e per la mia vita.”

“Justin.” Daphne gli prese una mano e lo tirò a sedere accanto a lei. “Brian vuole solo il meglio per te, l’ha sempre voluto e non è vero che non ti tratta come un suo pari.”

“Invece sì.”

“Vuole solo che tu sia felice.”

“Ma io sono felice. Qui. Con lui.”

Daphne posò la testa contro la sua spalla. “Lo so e anche io sono felice che tu rimanga, ma…”

“Ma cosa?” Justin si staccò da lei per guardarla in viso. “Non mi dirai che anche tu come Molly hai cambiato idea e pensi che dovrei tornarmene a New York.”

“Forse è la cosa migliore…”

Justin roteò gli occhi. “Credevo che almeno qualcuno sarebbe stato contento della mia decisione.”

“Ed io lo sono!” Gli assicurò Daphne. “Ma qui non si parla della mia vita, Justin. Qui ti giochi la felicità, la carriera… Il tuo futuro.”

Justin chiuse gli occhi e piegò la testa all’indietro contro la testata. “Forse non voglio che New York sia il mio futuro.” Confessò sottovoce. “Non voglio costruirmi una vita che non abbia lui al suo interno. Non voglio una vita che mi costringa a vivere lontano da te, dalla mia famiglia, dai miei amici.”

Daphne si voltò verso di lui e gli accarezzò dolcemente una guancia. “Noi non andiamo da nessuna parte.”

Non vado da nessuna parte, Justin…

“Ho paura, Daph.” Justin posò la fronte contro la spalla della ragazza e le passò un braccio attorno alla vita. Daphne lo strinse forte a sé. “Ho paura che finisca come l’ultima volta, le email senza risposta, le chiamate ignorate, le visite disdette.” Scosse piano il capo. “Non credo di potercela fare.”

Daphne gli sfiorò i capelli. “E non credi che per lui sia lo stesso? Non pensi a quanto sia stato difficile comprare quel dannato biglietto, sapendo che l’avresti lasciato di nuovo?”

“Io non voglio lasciarlo… Io non… non posso…”

“E allora non farlo.” Justin si staccò da lei e la guardò con espressione confusa. “Fai capire a quel testardo figlio di puttana che stavolta sarà diverso, che non hai intenzione di arrenderti e che, la prima volta che cercherà di ignorarti, tornerai di corsa a Pittsburgh a prenderlo a calci in culo.”

A Justin sfuggì un sorriso. “Sarebbe davvero una scena da non perdere.”

Daphne annuì. “Voi non potete stare lontani, Justin. È matematicamente impossibile, voi siete nati per stare insieme e sarà così finché non sarete due vecchie checche coi capelli bianchi e la dentiera.”

“Brian rabbrividirebbe al solo pensiero se ti sentisse.”

Daphne sbuffò. “Certo, perché Mister Meraviglia è ancora convinto di morire giovane e bello, quando invece è impossibile perché vorrebbe dire vivere senza il grande amore della sua vuota e piatta esistenza…” Justin ridacchiò “… e Brian non può, non ci riesce e non ci riuscirà mai. E sai perché?”

Justin scosse il capo. “Perché sono troppo bello da dimenticare?”

“No.” Daphne gli sorrise, prendendogli il volto tra le mani. “Perché voi siete Brian e Justin. Non siete una di quelle comuni coppie noiose, voi siete due testardi, impossibili e pazzamente innamorati idioti che farebbero tutto per l’altro, anche comportarsi come degli stupidi.”

“Come comprare un biglietto per New York?”

Daphne sorrise e si strinse nelle spalle. “Da quanto lo conosci?” Justin sospirò, abbassando lo sguardo con aria colpevole. “E non pensi che abbia fatto tutto questo perché non sa che altro fare quando ti vede mandare a puttane la tua vita?”

“Ma la mia vita non andrebbe a puttane con lui.”

“Ed è questo che lui non capisce. Non riesce a comprendere come tu possa preferire lui a New York, sebbene lui preferirebbe te a qualunque altra cosa al mondo.”

Justin sbuffò irritato e si accasciò sul letto; chiuse gli occhi e si coprì il viso col braccio. “Sono davvero un idiota.”

Daphne ci pensò su. “Il più delle volte.” Il suo amico le pizzicò un braccio. “Ma è per questo che ci sono io, no? È come quando stavi con Ethan. Quante volte ti ho detto che non era per te?”

“Troppe.” Borbottò Justin. “E dire che ormai avrei dovuto imparare che hai sempre ragione.”

“Sempre, amore.” Daphne gli schioccò un bacio rumoroso su una guancia, stendendosi accanto a lui. “Io non sbaglio mai.”

Justin le lanciò un’occhiata di traverso, aprendo un solo occhio. “Ovviamente, Brian.”

“Pfft! Per favore… Brian è un principiante al confronto.”

“Davvero?” Justin non riuscì a trattenere un sorriso.

Daphne annuì. “Certo, perché lui è bravo con i concetti, ma è pessimo a metterli in pratica. L’esempio del biglietto ne è un esempio.”

“Capisco.” Justin si girò da un lato, sollevandosi su un gomito. “Mentre tu?”

La sua amica assunse la stessa posizione. “Io ho ottime idee e ottimi metodi per metterle in pratica. Soprattutto quando riguardano te.”

“E come mai?”

“Perché, nonostante quello che credono tutti, sono io il tuo primo, unico e vero amore.” Justin scoppiò a ridere e lei non poté non essere contagiata dalla sua risata allegra. “È così, ti dico.”

Il ragazzo si avvicinò a lei e le baciò la punta del naso. “Ti voglio bene, Daph. Sei la migliore amica del mondo.”

“Lo so.” Lo vide roteare gli occhi. “E neanche tu sei tanto male.” Fece cozzare leggermente la fronte contro la sua. “E, per la cronaca, ti voglio bene anch’io.”

Justin sospirò e chiuse gli occhi. “Quindi adesso?”

Daphne gli sorrise radiosa. “Ti va di sentire com’è andata la mia settimana, tesoro?” Chiese con un tono zuccheroso che fece di nuovo ridere Justin. “Non chiedo di meglio, cara. Forse le tue chiacchiere mi aiuteranno a non pensare.”

Un attimo dopo, il culo di Justin atterrava dolorosamente sul pavimento della camera.

 

 

 

 

 

Hank si sedette a tavolo e sgranò gli occhi sorpreso. “È inutile, ogni volta mi stupisci sempre di più, Michael.”

Ben scoppiò a ridere di fronte all’imbarazzo di suo marito. “Non è colpa mia.” Si difese. “Sono cresciuto in una famiglia in cui tutti i problemi venivano risolti col cibo. Mia madre è italiana, sai che vuole dire?”

Hank annuì con un sorriso. “Vorrei aver avuto anch’io un metodo del genere.” Indicò la tavola imbandita nemmeno fosse stato il giorno di Natale. “Non credo di aver mai visto tanto cibo in vita mia.”

“Questo perché non sei ancora stato invitato ad una delle famose cene di Debbie.” Gli fece notare Ben. “Quelli sì che sono banchetti.”

“Al confronto, il mio è un antipasto.” Confermò Michael. “È un miracolo che io non sia diventato obeso da bambino.”

Ben afferrò la teglia con le lasagne. “Di solito non mi faccio sedurre, ma credo che per oggi farò un eccezione.” Si riempì il piatto e la passò al suo vecchio amico. “Saresti pazzo a non farlo.” Affermò lui, di fronte alla succulenta pietanza. “Michael, non credo di aver mai mangiato così bene in vita mia. Tua madre è una cuoca fantastica.”

Michael sorrise. “Lo so, ma tu non farglielo sapere. Se scopre che ha trovato un altro fan, ti mette all’ingrasso come il tacchino del Ringraziamento.”

“Fidati.” Lo avvertì Ben. “Non è piacevole.”

Hank scoppiò a ridere, allungandosi per prendere il suo bicchiere. “Hunter non c’è oggi?”

Michael scosse il capo, la bocca piena di lasagne. “Aveva lezione fino alle tre. Poi sarebbe andato con Paul e Howie da qualche parte.”

“Oh.” Ben guardò suo marito. “Non esce con Callie stasera?”

“No. A quanto pare i suoi amici si sono lamentati della sua scarsa presenza negli ultimi giorni. La serata è tutta dedicata a loro.”

Hank inghiottì un altro boccone. “Chi è Callie? La sua ragazza?”

“Ex.” Corresse Ben. “E forse anche prossima ragazza.”

“Oh, capisco. La cotta non gli è passata.”

Michael si strinse nelle spalle. “A dir la verità, credevamo di sì, era parecchio tempo che non la nominava. Poi un paio di mesi fa, si sono rincontrati e…”

“Ed è scoppiato di nuovo l’amore.”

Ben scosse il capo. “Al contrario. Lui all’inizio non ne voleva sapere. Pensa che quando l’ho invitata ad una delle sue gare, Hunter mi ha tenuto il muso per giorni.”

Hank aggrottò le sopracciglia. “Come mai?”

“Hunter e Callie hanno… un passato turbolento.” Spiegò Michael. “Stavano insieme al liceo, prima che i suoi genitori scoprissero che Hunter era sieropositivo.”

“Scommetto che non l’hanno presa bene.”

Ben sospirò, annuendo. “Per usare un eufemismo.”

“Però è comprensibile, no?” Domandò l’uomo. “Voglio dire, come vi sentireste voi se Jenny uscisse con un ragazzo sieropositivo?” Michael e Ben fecero per controbattere, ma Hank alzò una mano per bloccarli. “E sì, lo so che al giorno d’oggi ci sono meno rischi di un tempo e che se ne parla di più, ma non avreste comunque paura? Hunter è un bravo ragazzo, ma bisogna anche capire lo stato d’animo dei genitori della ragazza.”

Michael annuì. “Lo sappiamo. E siamo consapevoli che non è una cosa facile da digerire. Ma loro non si sono comportati affatto bene con Hunter.”

Ben posò una mano sulla spalla di suo marito e la strizzò piano. “Hanno detto a tutti della malattia di Hunter. Durante una delle sue gare, con studenti e genitori presenti.”

Hank sgranò gli occhi. “Accidenti… Bella stronzata.”

“Senza contare poi che con Callie è finita e lei si è messa con un altro. Per Hunter è stato un duro colpo.”

“Lo immagino. A quell’età le delusioni d’amore sono sempre devastanti.” Hank si versò dell’altro vino. “E nonostante tutto, ha deciso comunque di tornare a vederla?”

Ben sorrise. “Te l’ho detto, all’inizio non ne voleva sentir parlare.”

“Ma a quanto pare, qualcuno gli ha fatto cambiare idea.” Michael ridacchiò. “Sospetto che Lane c’entri qualcosa.”

“Ovvio che è opera di Lane.” Affermò sicuro Ben. “È incredibile cosa quella ragazza riesca a fare. Hunter non è mai stato uno facile da gestire, ma lei…” Scosse il capo incredulo.

“Lane sarebbe la ragazza bionda che ho incontrato l’altro giorno?” I due uomini annuirono. “Mi sembra una in gamba.”

“E lo è.” Confermò Michael. “Probabilmente è l’unica più testarda di Hunter. Probabilmente è per questo che sono così amici.”

Hank annuì. “Oh, a proposito di amici… Benji, ho parlato con un mio vecchio amico di Philadelphia che ha una casa editrice. Ho inviato le prime bozze del tuo manoscritto anche a lui.”

“Ma… non avevi già trovato un editore?”

“Veramente ne ho trovati un paio, ma volevo avere più opinioni. In questo modo potremo farci un’idea più precisa della risposta che il pubblico potrebbe avere al tuo romanzo.” Sorrise allegro. “Sono certo che sarà un grande successo.”

Michael annuì orgoglioso, accarezzando il braccio di suo marito. “Sono d’accordo.”

“Oh, non mi dire che sei finalmente riuscito a leggerlo!” Lo prese in giro Hank ridendo.

“Ehi! Io sono un uomo impegnato!” Disse offeso, ma neanche lui riuscì a trattenere una risata. “E comunque sì, ho iniziato a leggerlo e trovo che sia molto bello.”

“Più dell’ultimo?” Lo punzecchiò Ben.

“Non te lo dimenticherai mai, vero?”

“Mai.”

Michael lo guardò con aria colpevole. “Quante altre volte dovrò scusarmi?” Ben scoppiò a ridere, passandogli un braccio attorno alle spalle e baciandolo sulle labbra. “Mi dispiace davvero.”

“Lo so.” Lo rassicurò suo marito. “E sono felice che il nuovo romanzo ti piaccia più del precedente.”

“Beh, era difficile che mi piacesse di meno…” Lo canzonò l’altro.

Hank proruppe in una fragorosa risata davanti all’espressione indignata del suo vecchio amico che si sforzava tuttavia di non scoppiare a ridere.

“Sto scherzando.” Gli assicurò Michael alzando le mani. “Era per prenderti in giro.”

Ben roteò gli occhi. “L’avevo capito.” Affermò scuotendo il capo, prima che anche Hank iniziasse a stuzzicarlo.

Michael sorrise, bevendo un sorso dal suo bicchiere. La mente tornò al giorno precedente e alla discussione che aveva avuto con Brian e Ted.

Michael, è come se io invitassi Ian a vivere al loft. Sarebbe da idioti. Saresti tranquillo avendo uno come Hank sempre intorno a tuo marito?

L’uomo sbuffò sonoramente. Come avevano potuto pensare che Ben e Hank… Ben non farebbe mai una cosa del genere a me o alla nostra famiglia…

Si voltò di nuovo verso suo marito che gli sorrise teneramente sfiorandogli il gomito prima di tornare a parlare del libro col suo vecchio amico.

Sì… Ripeté sicuro. Aveva ragione lui e, per una volta, Brian si sbagliava…

 

 

 

 

 

Brian vuotò il bicchiere di Jim posato sul bancone e chiuse gli occhi, assaporando il familiare bruciore che scendeva giù per la gola. Afferrò la bottiglia, ormai semivuota, e si versò un altro bicchiere. Era ormai al quarto drink quando qualcuno bussò alla porta del loft. Seduto su uno degli sgabelli della cucina, si limitò a lanciare un’occhiata indifferente verso il pesante portone di metallo, prima di tornare al suo whiskey.

Il visitatore bussò di nuovo, stavolta con più forza, e la sua insistenza non fece altro che irritare di più Brian. Ostinato, rimase piantato col culo sulla pelle morbida dello sgabello, la mano stretta attorno al bicchiere di nuovo pieno.

Si ritrovò a roteare gli occhi con fare annoiato, quando sentì la chiave entrare nella serratura. Una sola persona ormai aveva le chiavi del loft oltre a lui.

“Brian?” Chiamò squillante la voce di Justin, facendo scorrere la porta di ferro. “Ci sei?”

“No.” Rispose l’uomo, giocherellando col tappo della bottiglia di Jim Beam.

Justin gli lanciò un’occhiataccia. “Molto maturo. Quanti anni hai, tre?”

Brian se ne uscì con una risata sprezzante. “Senti senti chi parla di maturità…”

“Vaffanculo.” Si sfilò il giubbino e lo lanciò sul divano. “Dobbiamo parlare.”

“Io non credo.” L’uomo si alzò in piedi, afferrando il suo giubbotto di pelle. “Stavo uscendo.” Gli rivolse un sorrisino tirato. “Ad alimentare la mia… aspetta com’era? Ah sì, reputazione di scopatore incallito.”

Justin si posò le mani sui fianchi, indispettito. “Hai finito?”

“Sì.” Brian si avviò verso la porta. “Chiudi la porta quando esci.”

La voce del suo fidanzato lo richiamò indietro quando aveva ormai già un piede sul pianerottolo. “E’ così che sei fatto?” Gli gridò il ragazzo. “Se non senti quello che vuoi sentire te ne vai?”

Nonostante la situazione, Brian non riuscì a trattenere un sorrisino, ricordando l’ultima volta che era stato lui ad usare quelle stesse parole. Prese un bel respiro e tornò a fronteggiare Justin che si era intanto avvicinato a lui ed ora stava appoggiato contro la porta ancora aperta. “Che cazzo ci fai qui?” Gli chiese, sforzandosi di utilizzare un tono brusco e distaccato. Ma quando mai Justin si era lasciato scalfire dalle sue cattiverie?

Come previsto, Justin si limitò a sfoderare un sorriso impertinente. Ti sto addosso, Kinney… sembrava voler dire.

“Allora?” Lo incalzò, sollevando le sopracciglia. “Hai intenzione di startene lì tutta la sera a sorridere come un idiota?”

Justin si umettò il labbro e mosse un passo verso di lui, arrivando a posare entrambe le mani sul suo giubbino. Sorrise, stringendo con forza i due lembi dell’indumento. “Quanto sei stronzo…” Disse solo, il sorriso sempre stampato in faccia. Brian lo guardò perplesso. “Non hai ancora capito, vero?” Il ragazzo fece risalire lentamente le mani dal petto fino alle spalle, per poi stringerle attorno al collo e intrecciare le dita dietro la nuca. “Non riuscirai mai a liberarti di me.” Vide Brian aprire la bocca per ribattere. Lo anticipò. “Puoi fare lo scontroso, il duro o l’indifferente quanto ti pare, io rimarrò esattamente dove voglio stare.”

Brian inarcò un sopracciglio, ma non si mosse. Gli piaceva sentire le mani di Justin su di lui. “E dove vorresti stare esattamente?”

Justin lo prese dolcemente per mano, tirandoselo dietro e chiudendo la porta una volta che furono entrati di nuovo in casa. Brian rimase immobile in mezzo al salotto, mentre il suo fidanzato gli sfilava il giubbotto di pelle. Non glielo impedì.

“Vuoi sapere dove voglio stare?” Chiese Justin, posando il giubbino sul divano. La sua voce risuonò risoluta e decisa. Brian capì che per lui si prevedevano guai. “Te l’ho chiesto, no?”

“Sì, l’hai fatto.”

“E la risposta è?” Lo incalzò Brian. Stava davvero iniziando a spazientirsi.

“Prima voglio che mi prometti una cosa.”

“No.”

“Brian…”

Brian si passò una mano tra i capelli, frustrato. “No.” Ripeté convinto. “Non ti prometto un cazzo, non ti assicuro un cazzo e soprattutto non mi impegno a fare un cazzo.” Justin socchiuse gli occhi, guardandolo minaccioso. “Adesso possiamo continuare?”

“Ok.” Justin incrociò le braccia al petto. “Adesso ne ho davvero abbastanza.”

“Non sei l’unico, te l’assicuro.” Ribatté l’altro velenoso.

Justin lo afferrò per un braccio, stavolta bruscamente. “Siediti.” Gli intimò, indicando uno degli sgabelli. Brian inarcò pericolosamente un sopracciglio. “Siediti e non fiatare.”

“Non mi piace il tono di voce che stai usando, Sunshine.” Osservò sarcastico l’uomo, prendendo comunque posto al bancone della cucina. 

“Se volevi un cagnolino da comandare a bacchetta, avresti dovuto fidanzarti con Michael.”

Brian emise un verso sprezzante. “Credimi, al momento sto valutando seriamente l’idea.”

“Non durereste cinque minuti.” Lo seccò Justin con tono saccente.

“Oh, davvero?” Vide il ragazzo annuire convinto. “E come mai?”

Justin gli si avvicinò fino ad arrivargli di fronte. “Perché nessuno al mondo sopporterebbe le tue stronzate. Neppure il tuo dolce Mikey.”

“E allora che cazzo ci fai ancora qui?”

Il ragazzo si strinse nelle spalle. “Sei bravo a letto.”

Nonostante tutto, a Brian sfuggì un sorriso. “Tutto qui?”

Justin finse di pensarci su un attimo, picchiettandosi il mento con l’indice. “La dolcezza non può essere, la comprensione nemmeno a parlarne e per quanto riguarda la fiducia…” Gli lanciò un’occhiata sbieca.

“Io mi fido di te.”

Justin sbuffò scettico. “Certo, si è visto.”

Brian posò un gomito sul bancone, continuando a guardarlo. “Di te mi fido. E con la tua capacità di giudizio che ho qualche problema.”

“Vaffanculo.”

“L’hai già detto.”

“Bene, prendi nota allora perché continuerò a ripetertelo.”

L’uomo roteò gli occhi. “Mi dici che cazzo di problema hai? Non credo tu sia venuto qui per mandarmi a fanculo. Quello potevi farlo anche per telefono o per email.”

“Tu non mi ritieni un tuo pari.” Dichiarò Justin con tono serio, gli occhi piantati decisi sul volto di Brian.

Brian sollevò le sopracciglia, stupito. “Cosa?”

“È così. Tu non mi consideri un adulto, non mi consideri una persona capace di prendere le proprie decisioni. Tu…” Guardò il suo fidanzato con espressione ferita, la sfrontatezza usata fino ad un attimo prima completamente sparita “… non mi consideri il tuo compagno. Il tuo partner.”

Brian serrò la mascella e incrociò le braccia al petto, improvvisamente furioso. “È questo che credi? Che per me tu sia ancora il tenero, piccolo Justin che tutti si sentivano in dovere di proteggere dal lupo cattivo? Credi davvero che ti avrei mai permesso di entrare nella mia vita, di far parte della mia famiglia, di avvicinarti a mio figlio se tu non fossi stato qualcosa di più?”

Justin si strinse nelle spalle. “Non sto dicendo che non mi ami. So che quello che c’è tra noi è amore, ma…” Abbassò lo sguardo sul parquet pregiato e prese un bel respiro. Alzò di nuovo gli occhi. “Credo che tu mi veda ancora come il ragazzino che hai conosciuto tanti anni fa, quello di cui hai dovuto prenderti cura, a cui hai pagato la scuola, hai dato una casa e--”

“Stronzate!” Sbottò Brian. “La verità è che sei così ottuso da non riuscire a vedere ad un palmo dal tuo naso!” Si alzò dallo sgabello e si mosse verso di lui, puntandogli un dito contro con fare minaccioso. Justin si impose di non arretrare nemmeno di un centimetro. “Vuoi essere trattato come un adulto, Sunshine?Allora inizia a comportarti come tale!”

“Io sono un adulto!” Justin raddrizzò le spalle, sulla difensiva. “Se solo tu non fossi così cieco da non vederlo!”

“Dimmi solo una cosa.” Brian si passò una mano sul viso. “Se la pensi davvero così, che cazzo ci fai qui?”

“Te l’ho detto. Sono esattamente dove voglio stare.”

“Qui? Con me?” Il tono di Brian trasudava sarcasmo da tutti i pori. Justin annuì. “Perché? Perché diavolo sei tornato o rimasto o qualunque altra cosa tu abbia fatto ogni volta che ti presentavi alla mia porta?” Socchiuse gli occhi. “Perché non sei rimasto con Ethan?”

“Perché tu sei la cosa più importante della mia vita. Non New York, e di sicuro non Ethan.” Confessò semplicemente, alzando gli occhi per incontrare quelli di Brian. “Perché non posso e non voglio vivere un giorno senza di te. Perché ho passato due anni di inferno, stando lontano da te e pensando che in ogni momento tu avresti potuto incontrare qualcuno che…”

“Non sarebbe successo. Lo sai.”

Justin scosse il capo, tendendo una mano verso di lui. Brian la prese, intrecciando le loro dita. “Non potevo saperlo. E, se da una parte volevo con tutte le mie forze che tu fossi felice, che andassi avanti e non fossi più solo, dall’altra non riuscivo a sopportare l’idea che qualcun altro potesse entrare nella tua vita.” La mano libera si posò sulla guancia di Brian, che chiuse gli occhi quando la pelle morbida di Justin sfiorò la sua. “Che qualcuno potesse dormire nel tuo letto, vivere nel tuo loft, andare a cena con la tua famiglia.”

Brian riaprì gli occhi e scosse impercettibilmente il capo. “Sono il nostro letto, il nostro loft e la nostra famiglia.” Justin serrò le labbra quando sentì gli occhi pungere a causa delle lacrime che premevano per uscire. “E nei due anni in cui sei stato via, non c’è stato un giorno che non abbia pensato a te e al fottuto successo che stavi avendo e che aumentava ogni istante che passavi lontano da qui.” Brian sospirò piano e circondò il collo di Justin col braccio libero. “Ed è ancora così. Rimanendo a Pittsburgh, mandi a puttane tutto quello che hai costruito finora.”

“Non ho costruito un cazzo finora.” Ribatté il ragazzo in un sussurro.

Brian gli sollevò piano il mento cosicché potesse guardarlo negli occhi, quegli occhi azzurri che amava più di se stesso, gli stessi occhi azzurri che l’avevano sempre fatto sentire una persona migliore. “Sei un artista, Justin. Un artista vero. Ci sono gallerie e case di viscidi ricconi piene delle tue opere.” Lo vide abbozzare un sorriso, tirando su col naso. “Vivi della tua arte, hai la vita che hai sempre sognato.” Si chinò su di lui e gli sfiorò dolcemente le labbra. “Ed io sono dannatamente fiero di te.”

Justin sospirò posando la fronte contro quella di Brian. “Davvero?” Chiese con una nota di esitazione nella voce e Brian non poté fare a meno di ripensare al Justin diciassettenne che si sorprendeva ogni volta che lui gli rivolgeva una parola gentile. “Davvero.” Gli passò una mano tra i capelli biondi prima di sfregare il naso contro il suo. “Ed è per questo che devi tornare.”

“A New York?”

Brian annuì. “Torna a casa e fai vedere al mondo di che pasta siamo fatti noi froci.” A Justin sfuggì un sorriso. “Niente fa incazzare un etero come un…”

“… frocio che ha successo.” Il ragazzo annuì. “Me lo ricordo.”

“Fallo per me.” Brian lo guardò fisso negli occhi. Gli sfiorò una guancia col dorso della mano. “Non mandare a puttane tutto quello che hai costruito finora.”

Justin sospirò piano, abbassando lo sguardo a terra. “Voglio che tu faccia una cosa per me.” Alzò di nuovo il viso e vide Brian inarcare un sopracciglio con fare sospettoso. “Adesso siamo solo io te, niente pubblico ad assistere ad una delle tipiche scenate alla Brian e Justin, niente amici o familiari ad intromettersi.” Si umettò le labbra e portò le mani sugli avambracci di Brian, deciso ad avere tutta la sua attenzione. “Guardami dritto negli occhi e dimmi onestamente quello che pensi. Voglio la verità e non la solita, stupida convinzione che hai che starei meglio senza di te.” Brian piegò le labbra all’interno della bocca e nascose un sorrisetto. Quel dannato ragazzino lo conosceva davvero. L’uomo gli accarezzò uno zigomo col pollice. “In cambio, farai quello che ti chiedo?”

“Te lo prometto. Farò esattamente quello che mi chiederai, se tu mi prometti di essere onesto. Completamente onesto.”

“Mi sembra giusto.”

Justin annuì e mosse un altro passo verso di lui, in modo che i loro corpi fossero incollati uno all’altro; si alzò sulle punte e lo baciò delicatamente sulle labbra.

“Così non vale, però.” Lo punzecchiò Brian, facendolo sorridere.

“Ehi, con te devo approfittare di ogni punto debole.”

Brian gli baciò la fronte e Justin sentì le sue labbra distendersi in un sorriso. “Immagino di sì.” Intrecciò le dita dietro la nuca del ragazzo e chiuse gli occhi, posando di nuovo la fronte contro quella di Justin. “Voglio che torni a New York.”

Justin deglutì a fatica il groppo che aveva in gola mentre il mondo gli crollava addosso. Con gli occhi lucidi, cercò di annuire. “Ok.” Sussurrò con un filo di voce.

Brian si staccò da lui e lo guardò dubbioso. “Ok?”

“Ok.” Ripeté Justin con voce tremante.

“Tutti qui?” Domandò Brian per niente convinto dal comportamento mansueto di Justin. “Mi aspettavo un’altra crisi isterica.”

“Avevamo fatto un patto. E se questo è davvero quello che vuoi…”

“Lo è. Voglio che torni a New York e alla tua vita.” Justin distolse lo sguardo, poggiando il capo contro la spalla di Brian per cercare di nascondere la delusione. “Ma c’è un’altra cosa che voglio che tu sappia.” Justin sollevò il viso. “Non ci sarà mai nessun altro per me.”

“So che è egoista da parte mia chiederti…”

“Non mi stai chiedendo nulla, infatti. Noi stiamo insieme. Fine della storia.” Justin abbozzò un sorriso. “Ci sono solo seicento chilometri a dividerci, ma che sarà mai? Non siamo i primi e non saremo gli ultimi.”

Il ragazzo annuì, stringendolo forte per la vita e sprofondando nel suo abbraccio. “Sarà una tortura stare senza di te.”

Brian sospirò con enfasi. “Sono difficile da dimenticare.”

“Terribilmente.” Ridacchiò Justin. “Soprattutto a letto.”

Brian lo prese dolcemente per le spalle e lo spinse indietro per poterlo guardare in viso. “E non solo lì, spero.”

Justin scosse il capo. “Non solo lì, Kinney.” Lo baciò. “Te l’assicuro.”

“Bene.” Brian lo strinse forte per le spalle. “Adesso non ti resta che chiamare la tua schiavista e darle la bella notizia.”

Justin grugnì contrariato contro la sua maglia. “Sarà al settimo cielo, la stronza.”

“E tutto per merito mio. Non vedo l’ora di vedere la sua faccia.”

“Promettimi solo una cosa, prima.” Justin prese un bel respiro e guardò deciso il suo compagno. “Promettimi che tra una settimana, quando me ne andrò, non avrai cambiato idea. Assicurami che non mi chiamerai dicendo che non può andare, che è solo tempo e che io devo concentrarmi su New York senza pensare a nient’altro. Giurami che non mi chiuderai fuori dal tuo mondo al primo accenno di tempesta.” Gli prese il volto tra le mani. “Promettimi che andremo avanti come se io fossi ancora a Pittsburgh e che mi chiamerai, mi scriverai e verrai a trovarmi ogni volta che ne sentirai il bisogno.” Fece una pausa. “Promettimi che non mi sbatterai di nuovo fuori dalla tua vita, Brian. Stavolta non potrei sopportarlo.”

Brian lo strinse forte a sé e annuì contro i suoi capelli. “Lo farò, se tu mi prometti che non ti alzerai ogni fottuta mattina rimpiangendo di non essere rimasto qui.”

“Ci proverò.” Ammise stancamente Justin.

“Non è abbastanza.” Brian gli prese il volto tra le mani. “Io devo promettere di fare la lesbica in amore tutte le sere al telefono e tu non puoi farmi questo piccolo, insignificante favore?”

Justin lo guardò male. “Essere felice senza di te non è un piccolo, insignificante favore.”

“Ma voglio che tu lo faccia.”

“Ce la metterò tutta.”

Brian scosse il capo. “Non ci siamo ancora.”

“Cazzo, Brian…” Sbuffò frustrato il ragazzo. “Va bene, te lo prometto.”

“Ok.” L’uomo gli sorrise e si sporse a baciarlo di nuovo. Gli erano mancate le labbra di Justin nelle ultime ventiquattr’ore e di sicuro gli sarebbero mancate nei mesi a venire. “Chiama Vanessa.”

Justin annuì, stringendosi a lui un’ultima volta prima di lasciarlo andare. “Via il dente, via il dolore.” Si avviò a passo lento verso il telefono e compose il numero di casa sua. Risposero dopo tre squilli. “Ehi Mol, Vanessa c’è? Ti dispiace passarmela?” Si sedette su uno sgabello e sorrise quando Brian lo raggiunse, abbracciandolo da dietro. “Nes, sono io.” Il braccio attorno alle sue spalle si strinse impercettibilmente. “Io…” Sospirò piano. “Io volevo scusarmi, ultimamente sono stato intrattabile.” Sospirò, alzando gli occhi al cielo. “E anche immaturo, indisponente  e maleducato, sì hai ragione.” Brian sbuffò contro i suoi capelli. “Ma ho una buona notizia. Il tuo complice è riuscito a farmi rinsavire.” Inclinò il capo e sorrise all’uomo alle sue spalle. “Allora, quando si parte?”

Non appena le parole uscirono dalla bocca di Justin, Brian percepì che qualcosa non andava: il corpo di Justin si irrigidì nel suo abbraccio e, quando lo spinse a voltarsi verso di lui per guardarlo meglio, la prima cosa che notò fu il pallore spettrale del suo viso. “Come… come domani?” Gracchiò Justin. “Eravamo d’accordo che sarei rimasto fino al ritorno di mia madre.” Cercò la mano di Brian e vi si aggrappò disperato. “Ness, ti prego…”

Brian gli baciò la tempia. “Va tutto bene, Sunshine. Ti aiuto io, riusciremo a sistemare tutto.” Gli sussurrò.

Justin chiuse gli occhi e posò il capo contro il petto di Brian. “So che non dipende da te, Ness. Sì, ci vediamo tra un po’. Ok, ciao.” Riattaccò e posò il cordless sul tavolo, il viso ancora premuto sulla maglia di Brian. “Bello schifo.” Borbottò.

Brian lo strinse a sé. “Sarebbe stato peggio tra una settimana.”

“No, mi sarei abituato all’idea.”

“No.” Lo contraddisse l’uomo. “Avresti trovato altre mille scuse per rimanere. Mi avresti fatto impazzire.”

Justin accennò un sorriso. “Hai ragione, avrei potuto.”

“Devi tornare a fare i bagagli.” Sussurrò Brian dopo un lungo istante di silenzio. “Andiamo, ti do uno strappo.” Si separò da lui e si diresse verso il divano per recuperare i loro giubbotti.

“Un’ultima cosa.” Lo richiamò indietro Justin.

Brian roteò gli occhi. “Niente più promesse, hai ottenuto fin troppo stasera.”

“Non è una promessa, solo… una precisazione.” Vide l’uomo aggrottare le sopracciglia. “Io non torno a casa.”

Brian sospirò afflitto. “Justin, non avrai di nuovo cambiato idea, spero. Mi hai appena detto che…”

“No.” Justin lo raggiunse. “Tu hai detto che sto per tornare a casa, a New York…”

“E quindi?”

Il ragazzo scosse il capo. “Io non sto tornando a casa, sto solo tornando nel luogo che è più congeniale per la mia carriera.” Gli sfiorò una guancia e sorrise. “La mia casa è questa. E ti prometto che una volta conquistata la Grande Mela, tornerò qui. A casa, da te.”

Brian piegò le labbra all’interno della bocca e annuì. “Ed io non te lo impedirò. Se non l’avessi ancora capito, sono davvero lo stronzo che tutti dicono e sono troppo egoista per lasciarti andare.”

Justin si alzò sulle punte e fece cozzare la fronte contro quella di Brian. Sorrise. “Sei la persona migliore che conosca, Brian Kinney. E giuro che passerò la mia vita a dimostrarti di essere un uomo degno di te.”

L’uomo annuì leggermente, cercando di non rivelare quanto quelle parole l’avessero toccato. “Andiamo, si sta facendo tardi.” Borbottò, passandogli il giubbino.

 

 

 

 

 

Dopo aver lasciato il loft, Brian e Justin si diressero a casa Taylor.

Molly, già al corrente degli ultimi sviluppi, li accolse in lacrime, imbacuccata nel suo pigiama rosa confetto. Si gettò disperata tra le braccia di suo fratello e fu necessaria tutta la persuasione – e la pazienza – di Brian per convincerla a lasciarlo andare.

L’ora successiva fu passata a preparare i bagagli e a pianificare il viaggio di ritorno; Brian e Molly rimasero seduti sul divano del salotto ad osservare gli altri tre che correvano per la casa. Jennifer fu immediatamente informata del cambio di programma e promise che avrebbe chiamato lei Craig cosicché Molly potesse stare da lui ed Eveline la settimana successiva.

Erano ormai le nove quando i due uomini riuscirono finalmente a lasciare l’elegante villetta; Molly, che per tutto il tempo non aveva fatto altro che tirare su col naso e asciugarsi le lacrime con la manica del pigiama, strappò a suo fratello la promessa di svegliarla il mattino seguente quando sarebbe passato a prendere Vanessa e Steve. Justin le baciò una guancia sulla soglia di casa e lei si arpionò alle sue spalle. “Ci vediamo domani, Mol.” Le sussurrò tra i capelli.

Quindici minuti più tardi, Brian e Justin risalivano il vialetto di casa Novotny. “Che poi mi spiegherai che cazzo siamo venuti a fare qui, quando potremmo stare al loft a scopare.”

Justin gli passò un braccio attorno alla vita. “Non posso partire senza salutarli, Brian. Senza contare che devo anche scusarmi per la scenata che abbiamo messo su ieri sera.”

Brian scosse il capo. “È in queste occasioni che mi ricordo che sei cresciuto tra cocktail in piscina e country club.”

“Credimi, la cosa ti tornerà utile quando avrai cene di lavoro. So essere davvero affascinante se mi ci metto.”

“Non stento a crederlo.” L’uomo suonò il campanello. “È quello che penso che sia?” Chiese poi curioso, accennando col capo al pacchetto che Justin teneva seminascosto sotto il giubbino.

Il ragazzo annuì. “Sono settimane che devo darglielo.”

“Sono sicuro che le farà piacere.”

“Lo spero.” Justin si strinse di più a lui.

Brian gli posò una mano sulla nuca e lo attirò verso di sé, unendo le loro labbra in un bacio. In quel momento, la porta si spalancò. “Bene, bene. Qualcuno ha fatto pace.”

Justin sentì il suo fidanzato sorridere contro la sua bocca e cercò di separarsi da lui per salutare Debbie; Brian si divertì a rendergli difficile il compito. “Ehi, Deb.” L’abbracciò, baciandole una guancia.

“Come mai questa visita?” Chiese la donna, facendosi da parte per lasciarli entrare. “Di solito non venite a meno che non siate costretti.”

Brian le rivolse un sorriso a trentadue denti. “Sentivamo la mancanza delle tue chiacchiere.”

La donna gli rifilò una sberla su una spalla. “Entra, stronzo.”

“Ehi, baby!” Emmett trotterellò felice verso il salotto. “Non vi aspettavamo!” Baciò Justin sulle labbra.

“È una…” Brian gli posò le mani sulle spalle, massaggiandogliele delicatamente “… visita improvvisa.” Lanciò un’occhiata alla stanza affollata. “E sono felice che siate tutti qui.”

Ben si avvicinò al gruppetto radunato vicino ai divani. “Justin, tutto bene?”

Brian si schiarì la voce. “Justin ha qualcosa da dirvi, quindi tenete chiuse quelle cazzo di bocche e ascoltate. Quando avrà terminato, potrete parlare.”

Justin girò il viso e gli baciò una guancia. “Mio eroe.” Sussurrò.

“Allora? Che devi dirci di tanto importante?” Lo incalzò Michael impaziente.

Il ragazzo sorrise alla sua famiglia. “Una cosa alla volta. Prima di tutto, Deb.” Porse il pacchetto alla donna. “Scusa il ritardo.” La donna inarcò un sopracciglio. “È il tuo regalo di compleanno. Avevo detto che ti avrei portato qualcosa.”

“Sunshine…” Debbie passò la scatolina a Carl e aggredì Justin con uno dei suoi abbracci da mamma orsa.

“In realtà è da parte di tutti noi, Mel e Linz comprese.”

“Finalmente.” Lo canzonò Ted con un sorriso. “Mi chiedevo che fine avesse fatto.”

Debbie lanciò un’occhiata curiosa ai presenti e recuperò il pacchetto; scartò l’involucro con attenzione, preoccupata di poterlo danneggiare. Presa com’era dall’operazione, non si accorse dei sorrisini divertiti dei suoi ragazzi. Una volta che la carta non fu più un impiccio, si rigirò tra le mani il pannello rigido e trattenne il fiato, portandosi una mano sul petto, commossa. Carl le posò la mano sulla spalla quando la vide stringere le labbra, cercando di trattenere le lacrime.

Al centro della foto, c’erano Mel e Linz con i bambini; ai lati delle ragazze, Brian che stringeva la mano di Gus e Michael seduto ai piedi di JR. Ted ed Emmett stavano alle spalle delle ragazze con Hunter mentre Ben era accovacciato accanto a suo marito. L’ultimo a destra era Justin, una mano attorno alla vita di Brian, l’altra appoggiata pigramente sul fianco del compagno. Debbie sorrise quando notò la mano di Brian coprire quella di Justin.

“È di uno degli artisti della mostra, si chiama Alex ed è un fotografo bravissimo.” Disse Justin. “Ho pensato che potesse farti piacere.”

“Io… io non so davvero che dire.” Farfugliò la donna emozionata.

Brian sbuffò. “Questa è nuova.”

Debbie gli lanciò un’occhiata di ammonizione, ma il sorriso radioso che aveva in volto non aiutò nell’intento. “Grazie, tesoro. È bellissima.” Abbracciò di nuovo il ragazzo. “Grazie a tutti, non avrei potuto ricevere regalo più bello.”

Carl le sorrise. “Deb ha ragione. Avete avuto proprio una bella idea.”

Sunshine ha avuto una bella idea.” Lo corresse Brian, sedendosi sul divano consunto.

Debbie si avvicinò al camino e posò la foto accanto a quella di Vic. “Ecco qui, la mia famiglia al completo.” Sentenziò orgogliosa con gli occhi lucidi. Justin si accomodò accanto a Brian e sorrise. La sua mano s’intrecciò con quella dell’uomo.

La successiva mezz’ora servì a Debbie per ringraziare adeguatamente tutti i suoi ragazzi e Carl fu costretto, in più di un’occasione, a liberare i presenti dalla morsa stritolatrice di sua moglie.

“Non sono teneri?” Mormorò Emmett, dopo essersi rifugiato in cucina con Ted; nell’altra stanza, il ciclone Deb si abbatteva di nuovo su Ben e Michael.

Ted aggrottò la fronte, versandosi dell’acqua. “Chi?”

Emmett accennò col capo al salotto. “Brian e Justin.” Il suo amico si voltò. Sorrise quando notò Justin ridacchiare per qualcosa che Brian gli stava sussurrando all’orecchio. “Fanno venir voglia di innamorarsi.”

“Chi, dolcezza?” Domandò Deb, entrando in cucina e asciugandosi le lacrime col grembiule da cucina. Michael la seguì.

“La strana coppia.” Scherzò Ted. “Sembrano due novelli sposi.”

Emmett sorrise. “Spero che stavolta non scommetterete su quanto dureranno.” Li ammonì poi, improvvisamente serio, ricordando ai suoi amici quanto poco delicati fossero stati qualche anno prima a puntare sulla rottura dei due.

“Anche perché, se non ricordo male, il giorno successivo mi sono trovata Sunshine sulla porta con corredo di bagagli.” Aggiunse Deb con tono severo.

“Era solo uno scherzo, mamma.” Si difese suo figlio. “Non credevamo che…”

“Lo so, ma rimane comunque molto meschino.”

Ted ci pensò su un attimo, accarezzandosi il mento. “Io dico tre giorni.” Nell’altra stanza, Brian scoppiò a ridere, guadagnandosi un bacio sul mento da Justin.

“Io dico due.” Rilanciò Michael, lanciando un’occhiata divertita a sua madre che incrociò le braccia al petto con fare intimidatorio.

“Michael Charles Novotny.” Lo avvertì, puntandogli un dito contro. “Se non la smetti immediatamente di--” La voce di suo marito che la chiamava dal salotto interruppe la minaccia a metà.

Ridacchiando, i tre uomini la seguirono in soggiorno. “Dimmi, tesoro.”

Carl picchiettò il posto accanto a lui sul divano. “Justin ha qualcosa da dirti. Perché non ti siedi?”

La donna inarcò sospettosa una sopracciglia e lanciò un’occhiata torva a Ted e Michael. “Che succede?” Chiese con una nota di preoccupazione nella voce.

Justin le sorrise. “C’è un motivo se sono venuto qui stasera.”

“Per il regalo.” Rispose Debbie. “Il mio bellissimo regalo.”

Il ragazzo annuì. “Ma c’è dell’altro.” Volse il capo verso Brian che gli posò una mano alla base della schiena. “Domani mattina torno a New York.”

“Baby!” Emmett si precipitò verso di lui e gli prese le mani. “Perchè? È successo qualcosa?” Guardò male Brian.

Justin baciò la guancia del suo fidanzato. “No, non è successo nulla e no, non è colpa di Brian. È una decisione che abbiamo preso insieme.”

“Ne sei sicuro?” Domandò premuroso Ben. “Eri così felice di restare.”

“Lo so, e mi dispiace lasciarvi di nuovo, voi non sapete quanto.” Sorrise ai suoi amici. “Ma non posso mollare Vanessa così, da un giorno all’altro.”

Carl annuì comprensivo. “Sei un ragazzo responsabile, Justin. Ho sempre pensato che fossi il più maturo di tutti.”

“Beh, grazie tante!” Si risentì Michael, nascondendo un sorriso.

Justin annuì. “È un fardello pesante da portare, Carl.” Annunciò tronfio.

“Vedi?” Emmett lanciò un’occhiata sbieca a Brian. “Mi sembra chiaro che passa troppo tempo con te.” Brian si limitò a roteare gli occhi.

Carl si alzò, avvicinandosi a sua moglie. “Debbie, stai bene?” Chiese preoccupato quando non la vide dare segni di vita. “Deb?”

“LO SAPEVO!” La donna schiaffeggiò con forza Ted e Michael dietro la nuca e rivolse loro uno sguardo assassino. “Che cosa vi avevo detto in cucina?” I due uomini si allarmarono. “E AVEVO RAGIONE! NON SI SCHERZA SU CERTE COSE!”

“Dai, Deb…” Ted cercò di farla ragionare.

Michael mi massaggiò la parte dolorante. “Non puoi davvero credere che sia colpa nostra!”

“Io sono d’accordo con Deb.” Disse Emmett, sedendosi sul bracciolo del divano e accavallando le gambe. “Non si gioca col karma.”

“Stronzate…” Borbottò Ted. “E noi stavamo scherzando.”

“Su cosa?” Domandò Justin aggrottando la fronte. “Credo di essermi perso.”

“Oh, Sunshine!” Deb si lanciò di nuovo su di lui. “Non riesco a credere che te ne vada davvero.” Gli schioccò un bacio sulla guancia, lasciandogli l’impronta di rossetto. “Sei davvero sicuro, tesoro?”

Justin guardò Brian da sopra la spalla di Debbie. “Più o meno.”

“Justin ha l’aereo domani mattina.” Li informò Brian. Debbie lo strinse più forte, sentendolo gemere di dolore. “Deb, così gli romperai tutte le costole.”

“L’hai detto a tua madre?” Chiese premurosa, lasciandolo finalmente andare. “E tua sorella? Molly non può stare da sola… Dovrebbe venire qui da noi. Potrei darle la tua stanza, sarà come ai vecchi tempi e a noi non darebbe fastidio, vero Carl?” Si voltò verso suo marito.

“È tutto okay, Deb.” La rassicurò Justin. “Molly starà da Craig per questa settimana. Grazie comunque.”

La donna si mise una mano sul petto. “Quando vuoi, dolcezza.” L’abbraccio di nuovo.

Brian si accasciò sul divano. “Cristo, di questo passo non ce ne andremo più…” Borbottò.

“Chiudi il becco, tu!” Lo rimbrottò Debbie. “Avresti dovuto convincerlo a rimanere, non a ripartire! Che razza di fidanzato sei?”

“Deb.” Justin si districò dalla presa della donna. “Ve l’ho già detto, non è colpa di Brian. E a questo proposito, avrei un favore da chiedervi.”

“Tutto quello che vuoi, tesoro.”

Emmett annuì. “Lo sai che puoi contare su di noi, baby.”

Justin sorrise loro riconoscente. “Voglio che lo teniate d’occhio.”

Brian si raddrizzò all’istante. “Che cazzo vorrebbe dire?”

Il suo fidanzato continuò come se nessuno avesse parlato. “Dovrete dirmi quando è depresso, quando è troppo euforico e quando attraversa una delle sue solite fasi autodistruttive. E pretendo che lo facciate ridere così tanto da dimenticarsi di me.” Scherzò, lanciando un’occhiata all’uomo imbronciato sul divano.

“Questo sarà difficile, baby.” Ammise Emmett. “Ma ci proveremo.”

“Assolutamente.”

“Conta su di noi, Justin.”

Brian grugnì. “Evviva… Giusto le balie mi mancavano…”

“Grazie, ragazzi.” Justin abbracciò Debbie. “Mi raccomando, cerca di fargli fare almeno un paio di pasti decenti alla settimana.” Sussurrò alla donna. Lei annuì. “Promesso.”

“Hai finito?” Sbottò impaziente Brian, alzandosi in piedi. “Queste scene da soap opera mi stanno facendo ammosciare.”

Justin alzò gli occhi al cielo, staccandosi da Debbie. “Ok, adesso devo proprio andare. Si è fatto tardi e io e Brian abbiamo dei programmi.”

“Oh sì, lo immagino…” Li prese in giro Ted. “Scommettiamo che a causa di quei programmi domani sull’aereo dovrai richiedere un cuscino in più per sederti?”

Justin arrossì, affondando il viso contro la maglia di Brian che gli circondò le spalle. “L’hai detto, Theodore. Auguro a te, alla tua collezione di porno e alla tua mano una buona serata. La mia lo sarà di sicuro.”

Tutti i presenti scoppiarono in una fragorosa risata, mentre Justin e Brian si dirigevano verso l’ingresso. Il ragazzo salutò di nuovo la sua famiglia, dispensando abbracci a destra e a manca, e, dopo aver recuperato i giubbotti, lasciò casa Novotny, leggermente rincuorato. La cosa che più lo preoccupava era lasciare Brian, conoscendo i suoi metodi di gestione del dolore.

“Ti senti meglio ora che mi hai affidato alle cure della comunità parrocchiale di Liberty Avenue?” Borbottò Brian, avviandosi verso la Corvette.

Justin annuì. “Molto.”

“Sono felice per te.”

“Così avrò almeno un adulto a tenerti d’occhio.” Lo prese in giro.

Brian lo afferrò per un braccio e lo spinse contro la carrozzeria dell’auto. “Ti avverto che l’adulto stasera ti insegnerà come ci si comporta. Stai diventando un po’ troppo impertinente.” Si avventò sul collo pallido di Justin che si rilassò contro la portiera, divaricando leggermente le gambe per permettergli di spalmarsi di più contro di lui.

“Tu lo sai che probabilmente ci stanno spiando da dietro le tende, vero?”

La mano di Brian s’infilò al di sotto del maglione. “Che guardino pure. Di sicuro siamo più eccitanti noi di tutti i porno di Emmett e Ted messi insieme.”

Justin sospirò pesantemente quando Brian gli mordicchiò piano il lobo. “Tu lo sei di sicuro.” Disse, sollevando la maglia dell’uomo e accarezzandogli la base della schiena.

“Beh, Sunshine, ammetto che neanche tu sei tanto male.” Brian sorrise contro i suoi capelli. “Adesso però andiamocene a casa, altrimenti finisco per scoparti qui.”

“Non credo che i vicini apprezzerebbero.”

L’uomo lo baciò all’improvviso. “Non è di certo quello il problema.” Si staccò da Justin e fece il giro dell’auto. “Ma credo che per uno spettacolo del genere dovrebbero almeno pagarci. Qui si parla di cinema di serie A.”

Justin scoppiò a ridere, strappando un sorriso a Brian. “Tu hai dei seri problemi.”

“E te ne accorgi adesso?” Brian salì in macchina, subito imitato dal suo fidanzato.

“L’ho sempre sospettato, ma non sarà questo a tenermi lontano.” Justin allacciò la cintura e si sporse a baciarlo. “E poi anch’io sono abbastanza incasinato. Ti va di essere incasinati insieme?”

Brian roteò gli occhi, scuotendo il capo. “Il solito patetico romantico…”

“Sempre per te, stallone.”

“Oh, vedrai se lo stallone non riesce a toglierti quel sorrisino dalla faccia…”

Gli occhi di Justin si incupirono di desiderio. “Portami a casa, Brian.”

Brian gli accarezzò le labbra con la lingua prima di ingranare la marcia e partire a tutta velocità. Dieci minuti più tardi, Justin atterrava malamente sul letto; Brian si distese su di lui, reclamando immediatamente le sue labbra.

“Non ti libererai di me.” Sussurrò il ragazzo, cercando di sfilargli la maglia.

Brian sorrise senza staccarsi da lui. “Ho rinunciato anni fa a questa speranza.”

“Promesso?” Justin si sollevò sui gomiti e gli baciò il collo.

Brian chiuse gli occhi, concentrandosi sulla lingua che gli sfiorava la pelle. Riuscì a malapena ad annuire. “Promesso.”

“Ok.” Justin armeggiò con il bottone dei jeans, facendo ben attenzione a non staccarsi da Brian. “E adesso scopami.”

Brian sorrise sornione. “Agli ordini.”

 

 

 

 

 

Allungò una mano alla sua destra e s’irrigidì quando trovò il letto vuoto.

Brian aprì gli occhi e guardò l’ora con un groppo in gola. Un sospiro gli sfuggì dalle labbra, prima di sprofondare di nuovo col viso nel cuscino.

“Sono qui.” La voce di Justin arrivò dalla cucina.

L’uomo grugnì, voltandosi e sdraiandosi sulla schiena. Fissò lo sguardo su di lui, seduto su uno degli sgabelli, girato verso la camera da letto.

“Mi piace guardarti dormire.” Abbozzò un sorriso di fronte allo spettacolo davanti a lui: Brian nudo, sdraiato sensualmente al centro del letto.

E chissà quanto tempo passerà prima che io possa farlo di nuovo…

“Come mai già in piedi?” Gli chiese premuroso, sollevandosi a sedere. S’infilò i boxer e si passò una mano tra i capelli. Lo raggiunse in cucina.

Justin allargò le gambe cosicché lui potesse sistemarsi davanti a lui; lo strinse forte per la vita, mentre Brian lo abbracciava per le spalle. “Vieni.” Gli sussurrò l’uomo. Lo prese per la mano e lo guidò verso il divano, facendolo sdraiare; poi si diresse verso il tavolinetto dei liquori per versarsi dello scotch. “Danne uno anche a…” Justin non finì neppure la frase che Brian gli porse il suo bicchiere. Sollevò la testa per permettergli di sedersi con lui e posò il capo sul suo grembo, rilassandosi al tocco delle dita di Brian tra i suoi capelli. “A New York.” Brindò l’uomo alzando il bicchiere.

“E a casa.” Completò Justin, lanciandogli un sorriso dal basso. Bevvero in silenzio, prima che Brian posasse i due bicchieri sul tavolino davanti a loro. Riprese ad accarezzare la chioma bionda e nessuno dei due parlò per parecchi minuti. Quando lo vide riaprire gli occhi, gli sorrise.

“Brian?”

“Mh?” Sfiorò le labbra rosse di Justin col pollice.

“Brian, tu mi ami?”

Il dito di bloccò sul labbro inferiore. Inarcò un sopracciglio, rimanendo in silenzio.

“Lo so che è una domanda stupida, ma ho davvero bisogno di sentirlo.” Il ragazzo si alzò, sedendosi a cavalcioni sulle sue gambe, una mano si immerse nei capelli scarmigliati di Brian.

“Ed io è tutta la sera che voglio dirtelo, ma non…” Lo guardò dritto negli occhi, sfiorandogli il naso col proprio “…non volevo che pensassi che ti stavo dando il contentino prima di rispedirti a calci fuori dalla mia vita.”

Justin gli prese il volto tra le mani. “Non potrei mai pensare una cosa del genere. So che quando dici che mi ami è perché lo senti.”

“Infatti.”

Il ragazzo sospirò piano e poggiò la fronte contro la sua spalla. “Pensi mai a quanto sarebbe stato diverso se tu fossi partito per New York l’anno che ci siamo conosciuti?”

“Magari adesso saremmo insieme nella Grande Mela ed io non dovrei combattere per rimandartici.” Premette la lingua contro l’interno della guancia e sorrise. “Saresti venuto anche a piedi pur di galopparmi dietro.” Gli accarezzò un fianco. “Di sicuro avresti avuto una vita più facile.”

“Che vuoi dire?” Justin aggrottò la fronte, sfiorandogli una guancia.

“Che probabilmente avresti avuto un rapporto migliore con tuo padre, una vita più serena e un’adolescenza senza pazzi esaltati armati di mazze da baseball--”

“Smettila.” Justin lo guardò duramente, serrando la mascella “Smettila immediatamente.” Brian si passò una mano sul viso, esausto. “Mi sono stancato di ripetertelo, adesso apri le orecchie e ascolta. Mi stai ascoltando?”

“Sì sì…” Borbottò l’altro. “Ti sto ascoltando.”

“Non è colpa tua se mio padre è un omofobo del cazzo, se è troppo egoista per voler bene a suo figlio e troppo ottuso per vedere che la sua stupidità lo sta portando a perdere tutta la sua famiglia.” Fece una pausa e si umettò il labbro. “Non è colpa tua se me ne sono andato di casa a diciassette anni perché volevo essere libero di amare chi volevo e vivere nel modo che avevo deciso. E soprattutto…” Rafforzò la presa sul suo viso “… non è colpa tua se Chris Hobbs mi ha aggredito. È colpa sua e della paura che aveva di affrontare la sua omosessualità.”

“Comunque ci sarebbero state meno opportunità se io non…”

“Mi hai regalato la notte più bella della mia vita.” Gli sorrise. “E quella notte credo di essermi innamorato di nuovo di te.”

Brian roteò gli occhi. “Ma che tenero…”

Justin ridacchiò. “È vero e da quel momento non ho fatto che amarti ogni giorno di più.”

L’uomo si umettò il labbro e inclinò il capo con fare seducente. “Conosco la sensazione.”

“Oh mio Dio!” Justin si portò una mano al petto, sbalordito. “Un frase d’amore che esce dalle tue labbra! Potrei morire per lo shock!”

“Sì, beh, non ti ci abituare perché dovranno passare almeno altri sette anni prima di sentirmi dire di nuovo una cosa così patetica.”

“Quindi prometti di essere ancora qui tra sette anni?”

Brian si strinse nelle spalle. “Forse.” Justin inarcò un sopracciglio. “Potrebbe accadere.” Vide il suo fidanzato mettere il broncio e scoppiò a ridere, sporgendosi per baciarlo. “Ci si può lavorare.”

“Mi accontenterò.” Approvò Justin, circondandogli le spalle. “Ed ogni giorno che starò via, voglio che pensi a come saremo tra sette anni.”

“Nel caso non te ne fossi accorto, non sono una lesbica senza palle.”

Justin gli tastò i boxer e sorrise malizioso. “Confermo.” Sussurrò, facendolo ridere di nuovo.

E per la milionesima volta da quando conosceva Justin, Brian si meravigliò della facilità con cui riusciva a farlo ridere.

Era sempre stato così, fin dal loro primo incontro quando quel ragazzino vergine e inesperto aveva iniziato a blaterare di allergie e Tomb Raider. Cosa gli avesse impedito di buttarlo fuori a calci rimaneva un mistero, ma era inutile negare che fin dall’inizio Justin aveva saputo prenderlo.

Nessuno prima di lui, nemmeno Michael, era mai riuscito a farlo sentire così rilassato, così libero, così… vivo.

Cristo Santo, mi ha davvero castrato…

“Andrà tutto bene, vero?” Gli chiese Justin, cercando di sorridere. Ora più che mai aveva bisogno di essere rassicurato. E solo Brian poteva farlo.

“Staremo bene, Sunshine.” Gli baciò la punta del naso. “Te l’ho promesso, no?” Lo vide annuire. “E c’è un’altra cosa.” Justin socchiuse gli occhi con fare sospettoso. Brian gli accarezzò il braccio per tranquillizzarlo. “Ti amo.”

Justin gli regalò un sorriso radioso prima di gettargli le braccia al collo. “Anche io, Brian. Tu non sai quanto.”

Brian lo strinse forte a sé, inspirando a fondo il profumo della sua pelle, come a volerselo imprimere nella mente per paura di dimenticarlo, per paura di lasciarlo andare come l’ultima volta. Justin rafforzò la presa sulle sue spalle e lo baciò dolcemente sul collo. Si staccarono dopo parecchi minuti.

“Andiamo, devi finire i bagagli.” Si riscosse l’uomo, abbozzando un sorriso. Se non si fosse alzato immediatamente da quel divano, avrebbe finito col sequestrare Justin nel loft per i successivi cinquant’anni, e al diavolo New York e tutto il resto.

Justin annuì mestamente, districandosi dalla presa del suo fidanzato. Baciò rapidamente le labbra di Brian prima di dirigersi verso la camera da letto, in silenzio. Brian lo seguì con lo sguardo, prima di alzarsi dal divano e recuperare la bottiglia di Jim. Senza dire una parola, si sedette al bancone della cucina, gli occhi puntati sulla sagoma di Justin che finiva di preparare il borsone.

Non ci vollero più di dieci minuti perché il ragazzo lo raggiungesse; gettò il borsone accanto alla porta del loft e lo raggiunse in cucina, sedendoglisi affianco.

“Ehi.” Lo salutò Justin con un sorriso, quasi si fossero appena incontrati. Insinuò il ginocchio tra le gambe di Brian, avvicinandosi di più a lui.

Brian gli sorrise. “Ehi.” Rispose, puntando gli occhi in quelli di Justin.

Il ragazzo sollevò una mano e gli accarezzò piano la guancia, sfregando la punta delle dita contro la pelle ruvida. “Dio, ho sempre odiato l’espressione occhi negli occhi…”

“È così da lesbiche…” Concordò l’uomo.

“Non è esattamente una cosa da noi, è vero.” Justin abbozzò un sorriso e ritirò la mano. “A che pensi? Hai uno sguardo così assorto.”

Brian ridacchiò, sporgendosi di un altro centimetro verso di lui. Era come se non riuscisse a staccarsi da Justin: sentiva il bisogno di averlo il più vicino possibile. Continuando di questo passo, molto presto avrebbe appeso le palle al chiodo. “Sto pensando a quanto sarà bella New York in questo periodo.”

Justin grugnì. “Non mi fa stare meglio.”

“Lo so, ma c’ho provato. E non voglio sentirti dire che non sono un bravo fidanzato.”

Justin si alzò in piedi, sistemandosi tra le sue gambe e circondandogli le spalle con le braccia. Sorrise, posandogli un bacio sulla punta del naso. “Tu sei il miglior fidanzato del mondo.”

Brian lo guardò con espressione risentita. “Io sono il migliore, punto.” Osservò, facendolo scoppiare a ridere.

“Che farei senza di te?” Gli chiese sorridendo, ripetendo le parole che una volta Brian aveva detto a lui.

L’uomo inarcò un sopracciglio, stringendosi nelle spalle. “Davvero non lo so, Sunshine.” Rafforzò la presa delle gambe sui suoi fianchi. “Probabilmente saresti ancora la musa del tuo romantico Romeo.”

Non provò nemmeno ad evitare il colpo che Justin gli rifilò sulla pancia.

 

 

 

 

 

“Allora quando possiamo venire?” Domandò Molly per la decima volta dal sedile posteriore.

Brian roteò gli occhi, scambiandosi un’occhiata disperata con Justin, seduto accanto a lui. “Piccola Taylor, chiedilo un’altra volta e ti abbandono al primo incrocio.”

La ragazza gli pizzicò una spalla e si sporse in avanti per parlare con suo fratello. “Io voglio venire a trovarti. E anche il signor Cocciuto qui presente.” Brian sbuffò. “Quindi, quando possiamo venire?”

Brian accostò al marciapiede e spense il motore. Molly inarcò un sopracciglio, allarmata. “Non vorrai davvero farmi scendere, vero?”

Justin ridacchiò, aprendo lo sportello, mentre il suo fidanzato si voltava verso di lei, perplesso. “Per quanto l’idea sia allettante, non voglio ramanzine da mamma Taylor.” Indicò la villetta davanti alla quale si erano fermati. “Sei arrivata. Fuori.”

Molly grugnì, scavalcando Steve alla sua destra e borbottando un “Cretino…” sottovoce.

“Ti aspetto qui.” Dichiarò Brian.

Justin annuì e abbozzò un sorriso. “Non ti avrei mai chiesto di entrare.”

L’uomo annuì. “Non vorrei fargli venire un infarto.”

“Torno subito.” Justin si sporse e lo baciò sulle labbra, mentre Vanessa e Steve, entrambi scesi dall’auto, salutavano Molly sul ciglio del marciapiede. “Andiamo?” Chiese poi a sua sorella.

La ragazza annuì, staccandosi da Vanessa. “Pronta.”

I due Taylor risalirono lentamente il vialetto e Molly prese la mano di Justin. “Non eri costretto ad accompagnarmi.”

Justin intrecciò le dita con le sue. “Volevo salutarlo.” Sua sorella lo guardò stranita. “Voglio che sappia che, anche se torno a New York, non cambierà nulla. Brian sarà sempre parte della mia vita.”

“La cosa non gli piacerà. Sai com’è fatto.”

Justin si strinse nelle spalle. “Che vada a fanculo.” Borbottò, suonando il campanello.

Quando la porta si spalancò, si trovarono di fronte un’elegante signora dai boccoli scuri. “Molly!” Abbracciò sua sorella con un sorriso. “Ti aspettavamo dopo scuola.”

Molly sorrise. “Hanno spostato il volo di Justin e, dato che era presto, ho pensato di farmi portare qui invece di stare a casa da sola.”

La donna le accarezzò i capelli. “Vieni pure, tesoro. In cucina c’è la colazione.”

Justin fece un passo avanti. “Vorrei ringraziarla per l’ospitalità. Mi dispiace che i miei impegni le abbiano causato disturbo.”

La padrona di casa si voltò verso di lui e spalancò gli occhi, quasi si fosse accorta solo in quel momento della sua presenza. “Oh mio Dio! Dove sono finite le mie buone maniere?” Gli sorrise affettuosa. “Io sono Eveline, la…” Gesticolò imbarazzata, lasciando la frase in sospeso.

Justin annuì col capo. “Lieta di conoscerla. Molly mi parla sempre bene di lei.” Le tese una mano. “Io sono Justin, il figlio rinnegato.”

Eveline scoppiò a ridere, evidentemente divertita. “L’avevo capito.” Lo rassicurò. “E sono molto lieta di conoscerti, finalmente.” Lanciò un’occhiata esitante alle proprie spalle e si avvicinò a lui, quando ebbe la conferma di essere sola. “Devo dedurre che il modello della nuova campagna di Calvin Klein sia il demonio in persona?” Domandò sottovoce, accennando col capo verso la Jeep contro cui Brian, coi suoi capelli perfetti, il suo giubbino perfetto e i suoi jeans perfetti, stava appoggiato con disinvoltura. Justin non poté fare a meno di ridere. “È lui.”

Eveline lo osservò piacevolmente colpita. “Bel colpo, Justin.”

Molly ridacchiò. “Evie non vedeva l’ora di incontrare Brian.” Confessò. “Tra le cose che gli ho raccontato io e quello che invece le dice papà, non sapeva più che pensare.”

Eveline arrossì imbarazzata. “Le loro descrizioni differivano leggermente.”

Justin rise. “Lo immagino.” Lanciò un’occhiata rapida verso Brian che, accortosi dell’attenzione, inarcò un sopracciglio. “Allora?” Si voltò di nuovo verso la donna. “Chi ha vinto?”

“Molly, ovviamente!” Dichiarò sbalordita. “Non riesco a capire come faccia Craig a…”

“Evie?”

Eveline si voltò verso l’ingresso. “Ciao, tesoro. Ci sono Molly e Justin.”

Inconsciamente, Justin raddrizzò le spalle mentre suo padre li raggiungeva sulla soglia. Brian serrò i pugni lungo i fianchi.

“Ciao, papà.” Molly strinse la mano di suo fratello. “Sono venuta a lasciare la mia roba prima di andare a scuola.”

Eveline posò una mano alla base della schiena di Craig. “Justin è stato così gentile da accompagnarla.”

Justin si schiarì la gola. “In realtà, è stato Brian.” La mascella di Craig s’irrigidì all’istante. “È stata una sua idea.”

“Ringrazialo tanto da parte nostra.” Eveline spostò nervosamente lo sguardo da Craig a Justin. “Anzi, perché non lo inviti ad entr--”

“Tesoro, perché tu e Molly non entrate in casa?” La interruppe brusco l’uomo. La donna aprì la bocca per ribattere. “Io vi raggiungo tra un attimo.”

Justin lasciò la mano di Molly e le sorrise. “Ci vediamo presto, Molly Pocket.” Sua sorella distolse con riluttanza gli occhi da suo padre. “Chiamami quando arrivi a casa.” Lo pregò, abbracciandolo. “E non dimenticarti che voglio venire al più presto a New York.”

Justin le baciò i capelli. “Promesso.”

Molly esitò prima di staccarsi da suo fratello. “Ti voglio bene, JusJus.” Sussurrò con gli occhi lucidi.

“Anche io.” 

La ragazza annuì e gli sorrise, voltandosi poi verso la Jeep. “Guarda che mi aspetto un biglietto aereo pagato il più presto possibile!” Gridò.

Brian sollevò un angolo della bocca. “Non stiamo diventando un po’ troppo esigenti?”

Molly gli fece una linguaccia. “Vedi di non sparire. Il numero di casa nostra lo conosci.”

“Promesso.” Le garantì Brian, scuotendo il capo. Molly gli mandò un bacio da lontano.

“Vieni, tesoro.” La incitò Eveline. “Justin, è stato un piacere conoscerti.”

Justin le sorrise. “Anche per me. E grazie ancora per l’ospitalità per Molly.” La donna ricambiò il sorrise e rientrò in casa, seguita da Molly.

“Non c’è bisogno che ci ringrazi, questa è anche casa di Molly.”

Justin affondò le mani nelle tasche dei jeans. “Mi fa piacere che almeno uno dei tuoi figli sia il benvenuto.”

Craig contrasse le spalle. “Hai deciso tu di non essere più il benvenuto. Io ti ho dato possibilità di scelta.”

“Oh, certo! Me la ricordo la tua scelta!” Sbottò Justin. “Etero per forza oppure fuori dai piedi!”

“Non è stato altro che un gesto di ribellione nei miei confronti, Justin. E vorrei averlo capito prima… Magari avremmo potuto sistemare le cose tra noi.”

Justin aggrottò la fronte incredulo, sperando di aver frainteso. “Credi davvero che io sia ‘diventato’ gay per farti un dispetto?”

Craig annuì. “Ne sono certo, Justin. E la vicinanza di quella persona non ha aiutato.”

Justin serrò la mascella e strinse forte i pugni, per evitare di prenderlo a pugni. “Lascia Brian fuori da questa storia.”

“Non sono stato io a portarlo nelle nostre vite.” Ribatté suo padre velenoso. “E non voglio che stia vicino a Molly. Io e tua madre dovremo fare una bella chiacchierata quando tornerà dal suo viaggio con quel ragazzino che ha avuto il coraggio di sposare.”

Justin sospirò, scuotendo il capo. “È inutile con te. Senti, io devo andare in aeroporto altrimenti perderò il volo. Saluta Eveline e ringraziala di nuovo.”

“Lo farò.” Rispose Craig con tono duro.

Il ragazzo studiò per un istante il volto dell’uomo che era stato il suo grande eroe e si sentì pervadere da un’infinita tristezza. Perché non riusciva a capire che non c’era nulla di sbagliato in lui? Nulla da correggere, nulla da curare?

“Posso farti una domanda?” Craig sollevò le sopracciglia, sorpreso. Justin capì che non si aspettava il tono rassegnato. Magari prevedeva già una discussione in grande stile come quella al ricevimento di sua madre. “Di chi ti fidi?” Suo padre lo guardò confuso. “Non solo adesso.” Spiegò con una malcelata nota di tristezza nella voce. “Su chi sai di poter contare, sempre e comunque?”

Craig incrociò le braccia al petto. “Questo che vorrebbe dire?” Domandò, sulla difensiva.

“Che io non ho bisogno di voltarmi per sapere che lui ci sarà sempre.” Vide suo padre lanciare una breve occhiata a Brian, alle sue spalle. “Non ho bisogno di vederlo per essere sicuro che si prenderà cura di me, che mi aiuterà e mi proteggerà, spesso anche da me stesso. Io so che Brian sarà lì per me ogni giorno della mia vita ed è proprio per questo motivo che non rinuncerò mai a lui.” Abbozzò un sorriso mesto. “Nemmeno se a chiedermelo è l’uomo che più ho ammirato nella mia vita. Mi dispiace, papà, ma non potrei mai scegliere tra te e Brian perché, in tutta onestà, non c’è mai stata nessuna scelta da fare. Vivere senza di te è come rinunciare ad una vecchia maglietta a cui sei affezionato, ma che ormai non ti sta più. È triste, ti fa soffrire, ma puoi fartene una ragione. Vivere senza Brian sarebbe come decidere di vivere senz’aria. E come si può vivere senz’aria?”

Craig serrò la mascella. “Spero che ti ricorderai queste parole quando sentirai il bisogno di avere tuo padre vicino.”

Justin abbozzò un sorriso. “Sono anni che faccio a meno di te. Credo di poter sopravvivere.” Si strinse nelle spalle. “Non capisco davvero cosa veda Eveline in te.” Craig accusò il colpo senza dire una parola. “Ciao, papà.”

Justin percorse di nuovo il vialetto, sperando di sentire la voce di suo padre richiamarlo indietro. Ancora una volta, Craig disattese le sue aspettative.

“Stai bene?” Gli domandò premuroso Brian, raggiungendolo.

Justin gli sorrise e si alzò sulle punte per baciarlo, sprofondando nel suo abbraccio. Brian accolse il bacio con sollievo.

Credeva ancora che fosse stata una cattiva idea lasciare che Justin gestisse da solo quella vergogna di padre che si ritrovava. Lui avrebbe dovuto essere lì, accanto a lui, a proteggerlo da quell’uomo che negli ultimi anni non aveva fatto altro che ferirlo e umiliarlo.

“Adesso sì.” Sussurrò il ragazzo contro le sue labbra.

Alle loro spalle, la porta di casa Taylor sbatté con violenza.

 

 

 

 

 

Brian alzò gli occhi al cielo e sospirò. “Hai intenzione di lasciarmi andare entro quest’anno?”

Justin negò col capo, strusciandosi contro la sua maglia. “Non se posso evitarlo.”

Erano arrivati in aeroporto da circa un’ora e Justin aveva trascorso gli ultimi cinquantanove minuti e mezzo arpionato ai suoi fianchi, chiaramente riluttante all’idea di imbarcarsi per New York.

I suoi amici avevano già salutato Brian: Steve l’aveva abbracciato sconsolato nemmeno stesse partendo per la guerra di Corea mentre Vanessa si era limitata ad un semplice “Kinney…” borbottato a mezza bocca prima di avviarsi impettita verso il check-in sulle sue immancabili Louboutin tacco dodici.  

Brian sospirò, accarezzando affettuosamente i capelli di Justin. Cercò di non pensare a quanto tempo sarebbe passato prima che fosse stato capace di farlo di nuovo. “Devi andare o perderai l’aereo.”

“Meglio l’aereo che te.” Borbottò Justin, il viso ancora incollato al suo petto.

Brian abbozzò un sorriso. “Adesso smettila, regina dei drammi, o la prossima cosa che mi dirai sarà Amore, sposami e facciamo tre figli.”

“Brian.” Justin si staccò finalmente da lui e lo guardò mortalmente serio. Brian si preparò al peggio. “Ce ne bastano due.” Gli sorrise sornione. “Uno ce l’abbiamo già.”

L’uomo alzò gli occhi al cielo e l’afferrò malamente per un braccio, sentendolo scoppiare a ridere. “Ok, Sunshine, tempo scaduto.” Si avviarono verso la coda di persone che aspettava di oltrepassare il metal detector.

“Ti chiamo quando arrivo a casa?” Gli domandò Justin, tirando fuori dalla borsa il suo documento insieme al biglietto aereo.

“No.” Brian sogghignò quando lo vide alzare di scatto il capo verso di lui con espressione allarmata. “Chiamami quando atterri.”

Justin sospirò sollevato e gli gettò di nuovo le braccia al collo. “Mi mancherai.”

“Sunshine…” Lo avvertì, ricordandogli quanto poco amasse quelle inutili smancerie.

“Puoi scocciarti quanto vuoi, ma, dopo avermi convinto a tornare a New York, mi sono guadagnato almeno un minuto di patetiche chiacchiere da ritardato innamorato.”

Brian alzò gli occhi al cielo ed esaminò con attenzione l’ora sul suo orologio. “Un minuto, non di più. Vai.”

Justin si alzò sulle punte e gli sfiorò le labbra con le proprie. “Mi mancherà non poterti vedere tutti i giorni, mangiare con te e ascoltarti mentre ti lamenti di Ted e Cynthia. Mi mancherà non poter andare a cena da Debbie ogni volta che ne abbiamo voglia…”

“Che ne hai voglia…” Lo corresse l’uomo, gli occhi ancora puntati sul suo polso. “Trenta secondi.”

Justin scosse il capo con un sorriso. “Ma soprattutto mi mancherà non poter parlare con te ogni volta che ne sento il bisogno, mi mancherà sapere che non posso chiamarti quando voglio e…”

Brian inarcò un sopracciglio. “Perché no?” Domandò serio.

“Perché passeresti ventiquattro ore al giorno al telefono.” Confessò Justin, arrossendo leggermente.

“Mmm…” Brian lo strinse per le spalle. “Chissà quanto sesso telefonico…”

Justin ridacchiò, alzando gli occhi al cielo. “Riesci ad essere serio per cinque secondi?”

“A proposito di secondi…” Riportò lo sguardo sul suo orologio. “Il tempo per le manfrine è scaduto. Ciao ciao, Sunshine.” Ancora abbracciati si mossero di un altro passo verso il check-in mentre la fila avanzava. Brian intercettò Steve e Vanessa già al di là del metal detector.

Anche Justin li notò. “Brian?” Si voltò di nuovo verso di lui. “Questa volta sarà diverso, vero?”

Brian gli sorrise e annuì, affondando una mano nei suoi capelli. “Sai che non faccio promesse che non posso mantenere.”

Justin annuì. “Ti amo, lo sai?”

Brian aggrottò la fronte con fare pensieroso. “Sì, mi pare che tu me l’abbia detto una volta o due.”

“Era per essere sicuri.”

“Ok.”

“E voglio che tu continui a ripetermi che andrà tutto bene e che non cambierà nulla.”

Brian gli strinse il viso tra le mani e lo guardò serio. “Andrà tutto bene e non cambierà nulla, Justin. Ce lo siamo promessi, no?”

Il ragazzo assentì col capo. Si alzò sulle punte e lo baciò di nuovo mentre la coppia di anziani davanti a loro superava i controlli. “Credo proprio che dobbiamo salutarci.”

Brian annuì, baciandogli la punta del naso. “Non scordarti di chiamarmi quando…”

“… atterro, lo so.” Gli strinse le spalle un’ultima volta prima di separarsi da lui.

“Documenti.” Chiese la donna in uniforme ad un passo da loro. Justin si voltò verso di lei, provando a sorridere. Le porse il biglietto.

Brian lasciò andare la presa sui suoi fianchi e fece un passo indietro. Justin lo guardò disperato. “A dopo, Sunshine.” Lo salutò, affondando le mani nelle tasche dei jeans firmati.

Justin annuì col capo e, col cuore pesante come un macigno, voltò le spalle alla sua famiglia, alla sua casa, alla sua felicità. S’impose di non girarsi a guardarlo, sapendo che avrebbe solo reso più difficile il distacco. Con aria mesta, attraversò il metal detector e recuperò il suo orologio e il suo cellulare. La donna che gli aveva controllato i documenti gli sorrise, augurandogli buon viaggio. 

Ad un paio di passi di distanza, il cellulare vibrò nella sua mano. Rispose all’istante.

“Nel caso l’avessi già dimenticato…” Esordì la voce di Brian “…andrà tutto bene e non cambierà nulla.”

Justin si asciugò una lacrima con la manica della maglia prima di voltarsi verso di lui. Gli sorrise. “Continua a ripeterlo.”

“Andrà tutto bene e non cambierà nulla. Andrà tutto bene e non cambierà nulla. Andrà tutto bene e non cambierà nulla.”

Justin annuì nella sua direzione. “Ti amo.” Sussurrò con un filo di voce mentre Brian continuava a ripetere la sua promessa. Gli diede nuovamente le spalle, avviandosi verso la sala d’attesa in cui Steve e Vanessa si erano già accomodati.

La voce di Brian non lo lasciò mai e lui non poté fare a meno di sentirsi leggermente rincuorato.

Forse, pensò, se Brian avesse continuato a ripeterglielo all’infinito, lui avrebbe finito per crederci davvero.

 

 

 


 

Ok, adesso state calma e mettete giù le armi e i corpi contundenti, parliamone con calma, d’accordo?

Lo so, so che avrei detto che tutto sarebbe finito bene per loro e vi assicuro che sarà così: nella mia testa la strada è ancora lunga quindi spero che vi fiderete di me e continuerete a seguirmi :D

Qui non c’è molto da dire solo che Justin ha cercato delle conferme stavolta prima di partire, conferme che Brian al contrario della 5x13 è stato felice di dargli. Spero che non siano sembrati OOC, ma giuro che ho fatto del mio meglio.

Se la decisione di Justin vi è sembrata affrettata, voglio solo dire che, nella mia testa (e forse qualcuno di voi è d’accordo con me), Justin rifiutava l’idea di New York soltanto perché tornare nella Grande Mela voleva dire rinunciare a Brian; adesso però che Brian gli ha assicurato che non sarà così, lui ha deciso di seguire il suo consiglio, anche perché credete che Brian avrebbe accettato un rifiuto? Dannati testardi!!

Ora le domande da fare sono: rimarrà a New York? Riuscirà a tornare alla sua vita come se non fosse mai tornato a Pittsburgh? Brian rispetterà le promesse fatteE soprattutto, quali torture avranno in mente Ted ed Emmett ora che Sunshine ha affidato alle loro cure il povero Brian?

Come sempre grazie mille a tutti coloro che hanno letto o recensito. Un bacio e un superabbraccio alle fantastiche Giulia__TH, kiry95, Court, elysenda, Susy Lambert, electra23, mindyxx, Daphne90, Giyn, EmmaAlicia79, Titty4ever e sera69.

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Capitolo 22
*** Without You Again ***


 

   “Perché sono due anime gemelle e sono così cocciuti e innamorati e spaventati e dolcissimi e stupidi e… BRITIN.” 

 

 

 


 22. Without You Again

 

 

 

“Grazie e arrivederci.” Lo salutò educato il proprietario del chioschetto di hot dog.

Justin gli rivolse un sorriso gentile, prima di avviarsi lungo la Eighth Avenue addentando famelico il suo pranzo. Il cellulare squillò in quel momento. “…Omto?”

“Oh, Sunshine ha la bocca occupata…” Lo canzonò il suo fidanzato dall’altro capo del telefono. “Se l’avessi saputo, non ti avrei disturbato.”

Justin roteò gli occhi e deglutì il boccone. S’infilò nell’affollata via che portava al suo appartamento. “Ma che spiritoso… Sono lieto di informarti che ciò che mi impedisce di parlare è un hot dog.”

“Spero bello lungo…”

“E anche bello grosso…”

“Sono molto fiero di te…” Affermò Brian con tono orgoglioso e Justin poté chiaramente immaginare il suo sorrisetto divertito. Estrasse le chiavi di casa e aprì il portone. “Che combini?”

Lo sentì armeggiare con dei fogli. “Lavoro. Al contrario di te che mangi hot dog alle…” Fece una pausa “… undici e mezzo di mattina? Non è un po’ presto persino per te e il tuo stomaco a tenuta stagna?”

Justin sorrise, avviandosi su per le scale. “Sentivo la tua mancanza.” Lo stuzzicò.

Brian scoppiò a ridere, rilassandosi sulla poltrona di pelle scura. “Oh, dubito che a New York ci sia un hot dog così grande da poter prendere il mio posto.”

“Sono ancora alla ricerca, infatti.” Lo tranquillizzò il ragazzo, entrando finalmente in casa. Si chiuse la porta alle spalle e si sfilò il giubbino leggero facendo attenzione a non staccare l’orecchio dal telefono. Divorò l’ultimo pezzo del suo hot dog.

Era tornato a New York ormai da una settimana e doveva ammettere che le cose andavano bene. Anzi, ad essere sincero, le cose non erano mai andate così bene.

I suoi quadri andavano a ruba – Vanessa aveva già venduto tutti i lavori che aveva creato a Pittsburgh –, la sua notorietà era considerevolmente aumentata durante la sua assenza e il signor Austen gli aveva appena consegnato un assegno con molti più zeri di quanto si aspettasse. E, ciliegina sulla torta, aveva di nuovo Brian nella sua vita.

Dal suo ritorno, il suo fidanzato aveva tenuto fede ai patti e mantenuto tutte le promesse che gli aveva fatto. Si chiamavano spesso, si scrivevano in continuazione e-mail più o meno indecenti – okay molto indecenti – e avevano un rapporto molto intimo con le rispettive segreterie telefoniche, unici mezzi di comunicazione quando erano entrambi troppo impegnati col lavoro.

L’unica nota negativa dell’idilliaco quadro era la mancanza di sesso. E dopo una settimana, la cosa iniziava a pesare.

Non che non si divertissero col sesso telefonico – ormai erano diventati dei veri esperti –, ma non era lo stesso che avere Brian in carne e ossa; gli mancava la sua pelle sotto le dita, il suo profumo a riempirgli le narici, la sua lingua che gli accarezzava l’orecchio quando gli sussurrava frasi oscene, i suoi gemiti di piacere quando arrivavano a un passo dall’orgasmo. Non si stava di certo lamentando, aveva comunque Brian nella sua vita e di certo era molto di più di quanto avesse avuto negli ultimi due deprimenti anni, ma dovette ammettere – almeno con se stesso – che l’astinenza lo stava facendo diventare matto.

Ovviamente si era guardato bene dal dire a Brian, al suo supersexy fidanzato che probabilmente era già tornato a scopare tutta la backroom del Babylon per sfogare le frustrazioni che la sua lontananza gli causava, che in realtà stava conducendo una vita semi monastica. Dopotutto, conosceva Brian e le sue reazione spropositate.

“E ho paura che cercherai ancora parecchio, Sunshine. Non esistono copie o imitazioni, qui è tutto prodotto biologico di origine controllata.”

Justin ridacchiò, sdraiandosi sul divano. “Inizio davvero a temerlo.”

Brian sorrise e dondolò leggermente la sedia. “I preparativi come vanno?”

Justin si stiracchiò, lasciandosi sfuggire un gemito rilassato. “Bene, Vanessa è completamente su di giri.”

“È una mostra importante, è comprensibile.” Brian ignorò l’agitazione che si era scatenata ai piani bassi quando Justin aveva fatto le fusa dall’altro capo del telefono. “Ci saranno quasi tutti i tuoi ultimi lavori.”

“Vorrei essere sicuro quanto lei.” Ammise con una nota di nervosismo nella voce.

“Andrà alla grande.” Lo rassicurò immediatamente Brian. “Avrai uno schifosissimo successo.”

Justin abbozzò un sorriso e chiuse gli occhi, coprendoli con un braccio. “Vorrei essere sicuro quanto lei e quanto te, allora.”

“Ed io vorrei poter venire.”

“Brian…” Justin si morse un labbro. “Ne abbiamo già parlato, so che non puoi lasciare Pittsburgh e la cosa mi sta bene.”

Brian reclinò il capo all’indietro e chiuse stancamente gli occhi. “Lo so.”

“Ah e, per la cronaca, mi manchi anche tu.” Brian sorrise, rimanendo in silenzio. “Terribilmente.”

“E quanto terribilmente di preciso?”

“Un sacco.”

“Un sacco quanto?”

Justin scivolò di più sul divano e allargò le gambe, lasciando scorrere la mano verso il basso. “Una cifra.”

Brian alzò gli occhi al cielo. “Oh fantastico, adesso inizi anche a parlare come un bambino di sette anni. Devo dire a Gus di smetterla di chiamarti.”

“Non ci provare.” Gli intimò Justin, sbottonandosi i jeans con la mano libera. “Sono felice che mi chiami e mi tenga ore e ore al telefono.”

“Io non molto, dato che Mel ha giurato di mandarmi tutte le bollette da pagare.”

Justin soffocò una risata. “Mi scuserò con lei la prossima volta che Gus mi chiama.”

“Naaah…” Brian si strinse nelle spalle. “Lasciala perdere, sai quanto alle lesbiche piaccia farmi la paternale. È così che si divertono. È come il sesso per noi froci.”

“A questo proposito…” Justin giocherellò con l’elastico dei boxer. “Perché stiamo parlando di Mel quando io ho una mano nei boxer?”

L’erezione di Brian ebbe un guizzo di felicità. “Sunshine…” Sussurrò Brian, slacciandosi automaticamente la cintura.

“Mi dispiace, non volevo iniziare da solo, ma sai quanto la tua voce al telefono mi ecciti.”

“Solo al telefono?”

“Al momento devo arrangiarmi con quello che ho…” Mugolò qualcosa che Brian non comprese, ma che arrivò forte e chiaro al suo inguine. “Giuro che questa è la cosa che mi manca di più.”

“Ed io che pensavo stessimo insieme per l’affinità delle nostre brillanti menti.” La mano di Brian si strinse attorno alla propria erezione e l’uomo gemette.

“Mi dispiace, ma la tua brillante mente è l’ultimo dei miei pensieri adesso…” Justin rafforzò di più la presa e sospirò frustrato. “Dio, se solo sapessi quanto ti voglio in questo momento…”

“Oh, Sunshine…” Brian fece una pausa e sospirò piano. “Ne ho una vaga idea, credimi.”

“Davvero?” Chiese Justin con una punta di curiosità, i suoi boxer scivolarono giù lungo le cosce nivee.

Brian si umettò le labbra e divaricò maggiormente le gambe. “Pensa che ieri sera al Babylon ho rimorchiato un ragazzino biondo in memoria dei vecchi tempi.” Trattenne a stento un gemito, continuando a dedicare attenzione al basso ventre. “Sebbene il suo pompino non potesse nemmeno lontanamente essere paragonato ad uno dei tuoi.”

Justin soffocò una risata contro la stoffa soffice del divano. “È strano che io trovi questa affermazione incredibilmente romantica?”

“Assolutamente no.”

Justin gemette al suono della voce roca di Brian; s’inarcò, serrando forte le labbra. “L’hai scopato?”

Brian chiuse gli occhi, immaginando che fosse la mano di Justin che lo stringeva forte, che fossero quelle dita sottili ed esperte a dargli piacere, che fosse davvero la voce di Justin a sussurrargli sensualmente all’orecchio senza telefoni a fare da terzi incomodi. “Nah…”

“Perché il pompino era scadente?” Justin rallentò il ritmo, consapevole di essere al limite. La sua erezione si ribellò immediatamente, facendolo gemere forte.

“Justin…” Sussurrò flebilmente Brian. “Se continui a gemere così, il nostro divertimento finirà prima del tempo.”

“Cristo, Brian…” Si morse forte un labbro e strinse di nuovo le dita. “Quanto vorrei che fossi qui…”

Brian reclinò il capo contro la poltrona. “Fa’ finta che sia lì con te.”

“Brian…” Si lamentò Justin ad un passo dalla crisi isterica.

“No, ascolta.” Brian si schiarì la gola cercando di ricomporsi, ma con una mano nei pantaloni e Justin ad un passo dall’orgasmo dall’altra parte del telefono gli risultò difficile. “Adesso chiudi gli occhi e fai come ti dico io. Ci sei ?” Justin mugolò dall’altro capo. “Bene, ora immagina che ci sia io a toccarti, io ad accarezzarti lentamente su… e… giù…”  Come ipnotizzato, Justin seguì alla lettera le istruzioni che la voce carezzevole di Brian stava sussurrando.

Era anche per questo che lo amava così disperatamente, perché anche a seicento chilometri di distanza dopo una settimana che non si vedevano e non si toccavano, Brian sapeva esattamente di cosa avesse bisogno. E in quel momento, sdraiato su quello scomodo divano, Justin aveva solo bisogno di sentirlo vicino, di capire che sentiva la sua mancanza esattamente come lui sentiva la sua – anche se non l’avrebbe mai ammesso ad alta voce, perché dopotutto era sempre Brian Kinney e per lui le parole non erano altro che delle stronzate: nella loro storia le azioni, i gesti e le dimostrazioni avevano sempre avuto più importanza – nonostante a volte gli fosse capitato di dimenticarlo.

“Brian…” Sussurrò con voce strozzata, interrompendo il movimento della mano.

“Non ti fermare…” Lo incitò Brian con una nota di disperata frustrazione nella voce. “Voglio sentirti venire come se fossi lì con te in quella topaia che ti ostini a chiamare casa.”

Quell’affermazione così tipica di Brian borbottata nel mezzo di un quasi orgasmo riuscì a strappare un sorriso involontario a Justin. “Il mio appartamento è assolutamente grandioso.” Lo sentì sbuffare scettico e non poté fare a meno di scoppiare a ridere.

“Adesso riprendi da dove hai lasciato e stavolta non ti fermare.”

Justin si morse un labbro mugugnando un lamentoso “Brian…”, ma la sua mano traditrice preferì come sempre obbedire a Brian piuttosto che al proprio cervello e rispose immediatamente al comando. “Voglio che anche tu--” Una scossa di piacere gli impedì di continuare la frase.

“Oh Sunshine, non ti preoccupare. Neanche io sono tanto lontano.”

A quel pensiero, Justin s’inarcò istintivamente e gemette così forte da far perdere il controllo a Brian che venne emettendo un verso gutturale. Justin lo seguì un attimo dopo.

“Tutto okay?” Gli chiese Brian, allungandosi sulla scrivania per prendere dei fazzoletti.

“Adesso sì.” Annaspò Justin. “Sto sempre meglio dopo un bell’orgasmo.”

Brian rise, gettando i tovaglioli e riabbottonandosi i pantaloni; una volta fatto, non si mosse di un centimetro e rimase immobile ad ascoltare il respiro irregolare di Justin. “Perderò l’uso della mano destra, prima o poi.” Gli comunicò, cercando di restare serio.

Justin scoppiò a ridere. “Io non ho questo problema. Sono ambidestro, ricordi?”

“Buon per te, ma io non ho mai avuto bisogno di usare tanto le mani. Mi sono sempre arrangiato in altri modi.”

Justin si sfilò la maglietta e cercò di ripulirsi come meglio poteva. “Allora stasera dovresti andare al Babylon e tornare ad utilizzare quei vecchi, ma efficaci metodi.”

Brian emise una specie di grugnito annoiato. “Sono stanco di scopate scadenti.” Che tradotto in quella strana lingua di cui Justin ormai era diventato espertissimo stava per “Loro non sono te.” Sorrise, sospirando piano. “Ti amo.”

“E fai bene.” Lo rimbeccò Brian con tono burbero. “Un partito come me non si trova tutti i giorni.”

“Oh, lo so bene.” Percepì a distanza il suo sorriso storto. “Torna al lavoro. Ci sentiamo più tardi.”

Brian sorrise. “Ciao ciao, Sunshine.”

“A dopo, ottimo partito.”

Interrotta a malincuore la telefonata, Brian batté in ritirata verso il bagno, con un sorriso ebete stampato in faccia.

Riuscì finalmente a riemergere dal bagno soltanto quindici minuti più tardi, in ordine e completamente padrone di sé. Più o meno.

Le sensazioni che Justin riusciva a scatenare in lui anche a seicento chilometri di distanza erano una cosa della quale non avrebbe mai finito di stupirsi. Lanciò un’occhiata di ammonizione ai piani bassi che, al solo pensiero del suo biondo preferito, avevano iniziato a risvegliarsi.

Prese un bel respiro e cercò di calmarsi, conteggiando mentalmente quanti giorni mancassero al lancio della campagna per Masterson – e alla sua conseguente partenza per New York.

Forza, amico mio, non manca molto… Resisti ancora un po’ e presto avremo qualcuno ad occuparsi di noi…Assicurò tastandosi con perizia il cavallo dei pantaloni.

Sorrise tra sé e varcò la porta che separava il suo bagno personale dall’ufficio. Si bloccò appena avvistò i suoi visitatori. Sospettoso, inarcò un sopracciglio, socchiudendo gli occhi.

“Beh? Il mio ufficio è per caso diventato la mensa dei senzatetto?” 

Cynthia, comodamente appoggiata alla scrivania, gli restituì l’occhiataccia. “Ehi, boss, hai visite.”

Brian si avviò verso di loro, facendo il giro della scrivania e accomodandosi sulla sua poltrona. “Lo vedo.” Lanciò un’occhiata fugace ai due uomini davanti a lui, prima di iniziare a frugare tra i fascicoli sparsi davanti a lui. “E la mia domanda è? Perché io lavoro diciotto ore al giorno mentre voi avete tempo di venire a rompermi le palle in orario d’ufficio?”

Emmett incrociò elegantemente le gambe, strette in un paio di sgargianti pantaloni color magenta, e prese a giocherellare con il tagliacarte in argento posato davanti a lui. “Siamo venuti qui…” Trasalì spaventato quando Brian si riappropriò del prezioso oggetto, schiaffeggiandogli il dorso della mano. Emmett lo guardò mortalmente offeso.

Ted alzò gli occhi al cielo e Cynthia ebbe l’impressione di trovarsi davanti ad un professore e ai suoi indisciplinati alunni. “Su col morale, boss!” Si voltò verso Brian mentre questo riponeva il tagliacarte nel cassetto. “I tuoi fantastici amici sono venuti ad invitarti fuori a pranzo.”

Brian emise un verso scettico, rilassandosi contro la poltrona. “Ma tu e Theodore non dovreste avere tempo per il pranzo, Cynthia.”

“Sai quanto ci piace ritagliarci del tempo per noi.”

“Posso aiutarvi io in questo.”

“Davvero?”

“Certo, potrei licenziarvi in tronco tutti e due.”

La donna si strinse nelle spalle. “Fa’ pure. Non resisteresti due giorni senza di me.”

“Stronzate. Questa…” Indicò le pareti “… è la mia agenzia.”

“E questa…” Cynthia puntò un dito verso se stessa “… è la donna che ti ha salvato il culo innumerevoli volte, caro il mio Superman. Quindi smettila di fare il tiranno. Se non attacca con me, figurati con loro che ti conoscono da una vita.”

Brian incrociò le braccia al petto, ma decise di non ribattere. Quale sarebbe stato il vantaggio? Cynthia, come ogni donna degna di tale nome, poteva rendere la vita di un uomo un vero inferno.

“Allora?” Lo incalzò Ted. “Ci vieni o no a pranzo con noi?”

“Da dove viene tanta premura?”

Emmett si mise una mano sul cuore e trattenne il fiato al colmo dell’indignazione. “Brian, non siamo forse amici?”

Brian gemette, alzando gli occhi al cielo. L’ultima volta che i suoi amici erano stati così altruisti si era ritrovato in viaggio verso New York per recuperare un certo ragazzino che si era messo in testa di diventare una marchetta per vecchi finocchi, intrappolato per ore sulla Jeep in compagnia delle Supremes e dell’intera discografia di Barbra Streisand. Le sue povere orecchie avevano impiegato settimane a riprendersi.

“Emmett passava di qui e abbiamo pensato che sarebbe stato carino invitarti.” Lo informò Ted. “Lungi da noi provare ad essere gentili.”

Cynthia sorrise ai due uomini. “Io trovo che sia un’ottima idea.” Il suo sopracciglio guizzò pericolosamente verso l’alto quando lo sguardo tornò a posarsi sul suo capo. “Vero, boss?”

“Non sopporto le balie.” Ribatté seccamente Brian. “Che c’è, avete paura che ora che Justin è partito io tenti il suicidio?”

“Brian!”

“Ma come ti viene in mente?!”

Brian inarcò un sopracciglio. “Non è così?” Vide i due uomini scambiarsi un’occhiata complice. Alzò gli occhi al cielo. “Sparite dalla mia vista. E tu…” Puntò un dito verso Emmett “…togliti quei cazzo di pantaloni. Cristo Santo, Honeycutt, mi sento in imbarazzo per te.”

Emmett sbuffò indignato. “Questo perché non hai il mio senso dello stile.”

“Quello lo chiami stile?”

“No, io la chiamo originalità, signor Indosso-solo-Armani-Prada-o-Gucci.

Brian sollevò un angolo della bocca, inclinando il capo da un lato. “Percepisco una punta d’invidia, Emmy Lou?”

“Ti piacerebbe, Kinney.” Ribatté quello stizzito.

“Ok, adesso basta, bambini.” Intervenne Cynthia, interrompendo quell’assurda discussione. “Brian, vattene da qui, stai diventando insopportabile e se non vuoi un ammutinamento di tutta la baracca ti consiglio di accettare il gentile invito dei tuoi amici e sparire dalla mia vita per almeno un’ora.” Brian inarcò un sopracciglio, sfidandola a continuare. “Forse al tuo ritorno, eviterai di essere assassinato da un dipendente insoddisfatto.”

“Ti ho già detto che non ho tempo per…”

Cynthia sfilò la cartella con la campagna Masterson da sotto i gomiti del suo capo e sorrise. “Ci penso io. Prometto di non aprire la porta agli estranei e di non avvicinarmi ai fornelli, papà.” Sentì Emmett e Ted ridacchiare accanto a lei. “Ora.Fuori.Di.Qui.”

Brian la fissò per parecchi minuti con espressione minacciosa, prima di arrendersi e alzarsi dalla poltrona. “Spero per te che sia tutto in ordine quando torno.” La minacciò, marciando verso l’uscita.

Cynthia scosse il capo, alzando gli occhi al cielo. “Uomini…”

 

 

 

 

 

“Ehi, ragazzi!” Michael li salutò allegro dal tavolo in cui lui e Ben stavano già pranzando.

Emmett rispose con altrettanto entusiasmo. “Non sapevo che ci sareste stati anche voi!” Trotterellò fino al tavolo dei suoi amici e si chinò per baciare Michael su una guancia.

“Incredibile, qualcosa sfugge anche a te, pettegola.” Lo punzecchiò Brian, sedendosi accanto a Michael. Ted ed Emmett si strizzarono accanto a Ben.

“Farò finta di non aver sentito.” Dichiarò con tono superiore il suo amico. “Non si infierisce su un uomo già distrutto.”

Michael aggrottò la fronte, addentando il suo panino. “Perché distrutto?” Guardò il suo migliore amico. “A me sembra normale.”

“Certo, Michael.” Emmett allungò una mano sopra il tavolo e accarezzò con affetto il braccio di Brian, che lo ritrasse immediatamente, fulminandolo con un’occhiataccia. “Perché soffre interiormente.”

“Davvero? Perché?”

Emmett lo guardò con gli occhi sgranati. “Ma è ovvio, baby! Per la partenza di Justin!”

Michael riportò lo sguardo su Brian. “Oh già, scusa.”

Brian roteò gli occhi e afferrò il menù con un gesto secco. “La vuoi finire di farfugliare stronzate? Io sto benissimo.”

Emmett si posò una mano sul cuore, scambiandosi un’occhiata comprensiva con Ted. “Povero… È ancora nella fase della negazione.”

“Non ti sembra di esagerare?” Gli fece notare Michael. “Justin non è mica morto. È solo tornato a New York.”

“Tu come ti sentiresti se Ben lasciasse Pittsburgh?”

“Uno schifo.”

“Proprio come dicevo io.”

Michael alzò gli occhi al cielo e si strinse nelle spalle, lasciando cadere l’argomento. Era inutile discutere con Emmett in versione All you need is love.

“Lui come sta?” Domandò Ben, svuotando il suo bicchiere. “Ormai è tornato da una settimana.”

Brian finse di sfogliare con interesse il menù. “Justin sta alla grande: i suoi dipinti vanno a ruba e Vanessa sta già organizzando una mostra coi suoi ultimi lavori.”

“Oh, che bello! Che giorno si terrà? Potremmo andare tutti a trovarlo!” Emmett batté le mani eccitato, baciando una guancia di Ted. “Sicuramente gli farà piacere!”

“Vedi di non metterti in testa strane idee, principessa.” Lo seccò Brian con tono deciso. “Justin ha bisogno di concentrarsi sulla sua arte adesso, e non ha bisogno di te che lo distrai con le tue chiacchiere da adolescente innamorata.”

“Ma noi siamo la sua famiglia! Dovremmo essere lì!”

Michael cercò di trattenere un sorrisetto davanti all’espressione indignata di Emmett. “Em, sono sicuro che Justin sta benissimo.”

Emmett sbuffò scettico, lisciando una piega del giubbino color pastello. “L’ultima volta che l’ho sentito mi sembrava un po’ giù di corda.”

Brian inarcò un sopracciglio con fare minaccioso, mettendo da parte il menù. “Che cosa ti avevo detto riguardo le chiamate a Justin?”

“Justin potrà anche essere il tuo fidanzato, ma voglio ricordarti che è anche mio amico quindi io--”

“Sai com’è fatto Justin, Em.” S’intromise Michael. “Alle volte tende ad essere un po’… melodrammatico.”

Tutti i presenti si voltarono a guardarlo. “Lui, eh?” Borbottò Ted a mezza bocca.

Michael si strinse nelle spalle. “Non mi dite che non l’avete notato.”

Emmett, Brian e Ted si scambiarono una lunga occhiata, ma decisero di rimanere in silenzio. Ben si alzò in quel momento. “Scusate, ragazzi, ma io devo andare.” Si sporse da sopra il tavolo e baciò suo marito. “Ciao, tesoro.”

Michael gli sorrise. “Ciao, amore.”

Kiki arrivò proprio mentre Ben s’infilava il giubbino e si avviava verso l’uscita. “Ecco l’acqua, ragazzi. Debbie sarà da voi tra un attimo.”

Emmett le sorrise, spostando poi lo sguardo su Brian. “Che hai?” Domandò, notando come il suo amico avesse ancora gli occhi fissi su Michael.

“Bri?” Lo chiamò Ted. “Stai bene? Hai una faccia strana.”

Michael si voltò verso di lui, trovandosi di fronte un’espressione a metà tra lo scioccato e il disgustato. Ricambiò con un’occhiata confusa, aggrottando le sopracciglia.

Amore? Tesoro?” Brian scosse il capo, ancora incredulo. “Cristo Santo, Michael! Sembrate una coppia di froci senza palle! No, peggio! Sembrate Mel e Linz!”

Michael alzò gli occhi al cielo, tornando al suo pranzo. “Vuoi dire che tu e Justin non avete dei--”

“Zitto.” Lo ammonì Brian. “Non voglio nemmeno sentirtelo dire. Ma come ti viene in mente?”

“Davvero non hai mai chiamato Justin amore? Nemmeno a letto, nemmeno quando fate…”

Brian sbuffò di fronte all’evidente stupore di Michael. “Ma ti sembro Emmett?”

Emmett gli tirò un calcio da sotto il tavolo, Brian si limitò a sollevare un angolo della bocca e a premere la lingua contro la guancia. “Sì, Emmy Lou?”

L’uomo si limitò a sospirare, scuotendo il capo. “Parola mia, Brian, dopo sette anni ancora non riesco a capire come faccia Justin a sopportarti.” Brian inarcò un sopracciglio, curioso. “Lui è speciale mentre tu sei così…” Assunse un’espressione perplessa, indicandolo con un mano “… arido.”

“Arido?” Gli domandò Brian con un sorrisetto.

Emmett annuì. “Arido, gretto, meschino…”

“Okay okay, Hemingway, hai intenzione di dirci tutti i sinonimi citati sul vocabolario?”

“Volevo solo rendere l’idea.”

“L’idea era chiarissima. Erano i tuoi vaneggiamenti ad esserlo un po’ meno.”

“Vedi?” Emmett lo indicò di nuovo. “È esattamente questo quello di cui parlavo. Arido.” Sibilò, assottigliando lo sguardo. “Justin ha bisogno di sensibilità, di dolcezza, di…” Vide Brian ridacchiare. “È inutile con te! Che ci troverà mai poi?”

“Brian è bello.” Rispose prontamente Michael.

“E ricco.” Continuò Ted. “Schifosamente ricco.”

“E sono anche un dio a letto.”

Emmett emise un verso scettico e scosse il capo con disapprovazione. “Arrogante figlio di puttana…” Borbottò tra sé.

Ted scambiò un sorriso divertito con Michael e accarezzò la mano di Emmett. Le discussioni tra Emmett e Brian erano sempre uno spasso e riuscivano a dare vita a siparietti piuttosto esilaranti; non potevano scontrarsi due concezioni della vita e dell’amore più distanti tra loro.

“Ma basta parlare di me.” Brian si appoggiò allo schienale, un sorrisetto divertito rivolto ad Emmett. “Tu invece? Come va col bel cuoco? Theodore mi ha detto che ti ha cotto a puntino.”

Emmett pizzicò con forza il braccio di Ted, facendolo gemere di dolore. “Ted dovrebbe farsi i cazzi suoi e tenere chiusa la bocca.”

“Oh, andiamo! Non siamo amici? Io vi racconto le mie cose.”

“No.” Emmett sorseggiò la sua acqua. “Tu non le racconti, tu ti vanti. È diverso.” Brian si strinse nelle spalle. “E comunque io e John siamo solo amici, tra noi non c’è nulla di fisico. Parliamo molto, passiamo del tempo insieme, godiamo della compagnia reciproca.” Lanciò un’occhiataccia a Brian. “Capisco che possa essere una cosa strana per te e il tuo pisello--”

“Oh, principessa, ma io e Justin parliamo un sacco. Dovresti sentire come diventa loquace quando glielo--”

Debbie, che li aveva raggiunti in quel momento dalla cucina, lo colpì dietro la testa. “Sciacquati la bocca, animale!” Gli versò dell’altra acqua. “Ignoralo, dolcezza.” La donna sorrise affettuosamente ad Emmett. “John è un ragazzo adorabile.”

“Ma forse dovresti tarare meglio il gay radar.” Lo punzecchiò di nuovo Brian.

Debbie fece schioccare rumorosamente la gomma da masticare, posando le mani sui fianchi. “Dì un po’, ne vuoi forse un’altra?” Domandò minacciosa.

Brian alzò le mani. “Sto solo dicendo che il tuo amico grida ETERO da tutti i pori e tu ti stai immischiando in qualcosa che, puntualmente, ti lascerà a pezzi e in procinto di affogare in una valle di lacrime. Patetico come al solito.”

Emmett sbuffò quando Ted gli lanciò un’occhiata penetrante, tacitamente d’accordo con Brian. Era inutile nascondere che non fosse preoccupato per lui. “Non sono cazzi tuoi, Brian.” Si alzò di scatto dal suo posto e si raddrizzò la maglietta attillata. “Con permesso.” Sibilò indispettito. Sollevò il mento e ancheggiò fieramente verso il bagno.

Debbie lo seguì con lo sguardo, dispiaciuta. Si voltò di nuovo verso i suoi ragazzi. “Non ce la fai proprio, eh?” Brian la guardò con espressione innocente, sorseggiando il suo bicchiere. “Non riesci a dire ad un tuo amico che sei preoccupato per lui come le persone normali! Tu devi stare lì a schernirlo con quel tuo cazzo di irritante sorrisino strafottente invece di consigliargli semplicemente di stare attento.”

Brian sbuffò. “Secondo te io sarei preoccupato per la damigella innamorata e il principe cuoco?”

Debbie gli colpì il petto con l’indice. “Ci puoi scommettere il tuo bel culo, dolcezza.”

Brian le rivolse un sorriso di scherno. “Prova ancora, mamma chioccia, perché sei parecchio lontana dalla verità.”

Deb si strinse nelle spalle. “Se lo dici tu…”

Brian roteò gli occhi, chiaramente infastidito. “Quindi adesso che hai finito di dispensare consigli, possiamo ordinare oppure no?”

La donna sfilò il block notes dalla tasca e annuì. Quando tutti ebbero finito, tornò in cucina in silenzio, limitandosi a lanciare un’occhiataccia a Brian che la ignorò.

“Allora stasera Woody?” Propose Ted, controllando distrattamente il quotidiano davanti a lui. “Potremo prenderci un paio di drink.”

Michael annuì. “Io ci sto. Ben farà tardi, almeno evito di annoiarmi a casa.” Si voltò verso Brian. “Tu sei dei nostri?”

Brian estrasse il cellulare ed abbozzò un sorriso. “Mi dispiace, ragazzi, ma ho già un impegno.”

Michael guardò Ted di sottecchi. “E Justin che ne pensa del tuo impegno?”

“Te l’ho già detto, Michael.” Brian inarcò un sopracciglio. “Io e Justin non siamo una coppia di lesbiche come te e il professore.”

Michael aprì la bocca per ribattere, ma l’arrivo di sua madre glielo impedì. Lanciò uno sguardo risentito al suo miglior amico e si limitò a mettere il broncio.

 

 

 

 

 

“Io non credo proprio, James…”

Hunter scoppiò a ridere di fronte all’espressione comicamente offesa di Lane. “Perché no? È un normalissimo incontro di wrestling.” Scosse il capo, indignato. “Callie ha detto che preferisce passare il sabato sera a studiare piuttosto che venire con me.”

“Ah, quindi io sarei la ruota di scorta.” Constatò Lane con tono stizzito. “Beh, grazie mille!”

“Non è affatto così!” Si difese Hunter. “Ho due biglietti e avevo intenzione di invitare Paul, poi Callie li ha visti e ho dovuto chiederlo a lei.”

Lane inarcò un sopracciglio. “Wow, dev’essere stata contenta della spontaneità della tua proposta. Mi domando come abbia fatto a rifiutare.”

“Ok, Miss Sarcasmo, ho capito. Ma io sapevo già che lei non sarebbe voluta venire. Quello che invece non mi aspettavo era che Paul mi desse buca.” Sollevò le sopracciglia ancora chiaramente incredulo. “Lui adora il wrestling.”

Lane spezzettò il suo biscotto e gli lanciò un’occhiata di traverso. “Oh, ancora meglio. Quindi sono la ruota di scorta della ruota di scorta.” Si portò una mano al petto. “Sono toccata, Bruckner. Davvero.”

“Adesso smettila di fare la melodrammatica. Volevo invitare Paul perché non lo vedo da un sacco di tempo. Nelle ultime settimane è praticamente scomparso.” Sorseggiò con calma il suo succo d’arancia, puntando di nuovo lo sguardo sulla sua amica. “Tu sai che gli prende? Visto che ormai siete amici per la pelle.”

Lane rischiò di strozzarsi con un pezzo di biscotto. Si colpì forte il petto, cercando di deglutire. Hunter le versò un altro bicchiere di latte. “Tutto okay?”

La ragazza annuì con disinvoltura, come se non avesse appena cercato di uccidersi con un dolcetto al cioccolato fondente. “Sì sì, scusa. Dicevi?”

Tu.E.Paul.” Sillabò lentamente Hunter. “Ancora dovete spiegarmi la storia della biblioteca.”

Lane lo guardò male. “Non c’è nulla da spiegare, James.” Gli prese i biglietti dalle mani. “Quando hai detto che è?” Domandò, cercando di cambiare argomento.

“Sabato…” Borbottò Hunter, lanciandole un’occhiataccia.

“Sabato, eh?” Ci pensò su un attimo prima di trattenere sonoramente il respiro, attirando lo sguardo incuriosito del suo amico. Gli restituì immediatamente i biglietti, abbozzando un sorriso nervoso. “Non posso, ho un impegno.”

Hunter inarcò un sopracciglio. “Ma davvero? E dove te ne andresti di bello?”

“In… giro.” Replicò Lane vaga.

“Quindi mi dai buca per andartene solo… in giro?”

La ragazza inclinò il capo, facendo ondeggiare i capelli biondo grano. “Non fare l’offeso, adesso. Sei tu quello che mi considera l’ultima spiaggia. Avrei potuto rimandare i miei impegni, se fossi stata a conoscenza dei tuoi piani.”

Vergognati, Lane… Mentire così al tuo migliore amico! Paul ti ha chiesto di uscire più di una settimana fa!

“Oh, vuoi dire i tuoi improrogabili impegni per fare ‘un giro’?”

“Improrogabili ed importantissimi.”

Hunter roteò gli occhi. “E quindi io che dovrei fare? Andare da solo?”

“Chiedi a Howie.” Rispose Lane con una scrollata di spalle. “Lui sarebbe felicissimo di essere la ruota di scorta della ruota di scorta della ruota di scorta.”

“Evviva…” Borbottò sarcastico il suo amico, un attimo prima che Michael e Hank entrassero in cucina.

“Ehi, ragazzi.” Li salutò il padrone di casa con un sorriso. “Che combinate?” Hank prese posto al bancone accanto ai due giovani.

“Lane mi dà buca.” Lane si limitò ad alzare gli occhi al cielo con fare esasperato.

“Ci sarà un valido motivo.” Gli fece notare suo padre.

“Grazie, signor Novotny.” La ragazza si alzò dallo sgabello e si avvicinò a lui, schioccandogli un rumoroso bacio sulla guancia. “Sono felice di scoprire che l’inettitudine del mio miglior amico dipenda solo dai suoi geni di dubbia qualità e non dall’idilliaco e stimolante ambiente familiare in cui viene cresciuto.”

Hank e Michael ridacchiarono divertiti di fronte all’espressione risentita di Hunter. “Sono felice che almeno questa cosa sia chiara.” Confermò Michael.

“Sei solo una ruffiana.” La rimbrottò Hunter. “E poi questa è casa mia, non dovresti rivolgerti in questo modo a mio padre.”

“Ehi.” Lane si strinse nelle spalle. “Sei tu che te le cerchi.”

“Stronza…”

“Hunter!” Lo rimproverò suo padre. “Ti sembra il modo?”

Hunter sbuffò come un bambino appena rimproverato dalla maestra. “Per favore! Come se tu non avessi mai usato un linguaggio del genere con Brian!”

“Ma magari lui era così furbo da usarlo lontano dalla signora Novotny, genio.” Gli fece notare Lane con un odioso sorrisetto.

“Sì, certo.” Hunter roteò gli occhi. “Solo perché Debbie gli avrebbe insegnato altre parolacce molto più volgari da usare.”

Michael scoppiò a ridere, mentre Lane fulminava il suo amico con un’occhiataccia. “James, ricordami di nuovo perché siamo amici?”

“Perché mi adori e la tua vita senza di me sarebbe divertente la metà.”

Lane schioccò scetticamente la lingua. “Sì, sarà sicuramente per quello.”

“Sapete…” Hank sorrise chiaramente divertito dal battibecco dei due ragazzi “… all’inizio credevo davvero che steste insieme.”

Lane e Hunter tacquero all’istante, voltandosi di scatto verso di lui con la stessa scioccata espressione in viso. “Cosa?” Chiesero all’unisono. Michael, accanto a lui, ridacchiò sommessamente.

Hank smise di sorridere e li guardò confuso. Aveva forse detto qualcosa di male? “I primi tempi, quando vi vedevo insieme, il modo in cui scherzavate tra voi… Ho creduto che foste fidanzati.” Tentò di nuovo di abbozzare un sorriso. “Fortuna che Benji mi ha spiegato tutto altrimenti avrei fatto proprio una bella figuraccia.”

“Credimi, non saresti stato il primo.” Lo rassicurò Michael. “Danno questa impressione agli estranei.”

Hunter lo guardò male. “Ti ci metti anche tu adesso?”

“Credo sia normale pensarlo, Hunter.” Confessò Hank. “Tu e Lane avete un bellissimo rapporto, credimi, migliore di quello di molte coppie che ho conosciuto in vita mia. Non è una cosa di cui essere imbarazzati.”

“Io ho una ragazza.” Si difese il ragazzo, terribilmente a disagio.

“Ed io ho fin troppi problemi per preoccuparmi di avere un fidanzato, mi creda.” Lane diede manforte al suo amico.

Hank scosse il capo e annuì. “Capisco. Era solo un’osservazione.” Scambiò un’occhiata complice con Michael.

“Tua madre come sta, Lane?” Chiese l’uomo, cambiando repentinamente argomento, ma lanciando uno sguardo alla Ti sto addosso in direzione di suo figlio.

Lane gli rivolse un sorriso stiracchiato, uno di quei sorrisi che Hunter aveva imparato a catalogare come più falsi di una banconota da sette dollari. “Abbastanza bene. Lei e il suo… fidanzato…” Pronunciò l’ultima parola come se stesse mangiando qualcosa di rancido “… sono fuori città. Dovrebbero tornare tra un paio di giorni.” Sempre se Fanny e quel rifiuto umano di Ramon riescono a ritrovare la strada di casa.

Michael annuì cercando di sembrare il più naturale possibile. Poteva solo immaginare dove fosse quella madre sciagurata. “Una sera di queste dovremmo invitarla a cena. È un po’ che non ci vediamo…”

“Ne sarebbe felicissima.” Mentì la ragazza. “Glielo chiederò appena torna.”

“Perfetto.”

Lane sorrise a Michael e tornò a dedicarsi ai suoi biscotti, cercando così di mascherare il proprio disagio.

Sorprendentemente parlare di quella buona a nulla di sua madre era stato meno imbarazzante che spiegare per l’ennesima volta ad un estraneo l’inusuale e contorto rapporto che la legava al suo migliore amico. Lane rimase interdetta.

 

 

 

 

 

Justin sorrise al barista che gli aveva appena servito la sua birra e si voltò verso il centro del locale, ondeggiando lievemente il capo a ritmo di musica; nonostante fosse ancora presto – non più tardi delle nove di sera – la pista da ballo era già parecchio affollata. Un ragazzo dai capelli scuri gli passò accanto sfiorandogli casualmente il braccio e lanciandogli un’occhiata più che eloquente.

Justin si limitò a sorridergli malizioso. Magari più tardi, Mr Pettorali Scolpiti… ponderò tra sé mentre quello spariva nella folla. Riportò lo sguardo sulla distesa di uomini davanti a lui e sorseggiò la sua birra; la mano libera scivolò di sua iniziativa nella tasca posteriore dei jeans, estraendo il cellulare. Senza spostare lo sguardo, premette il numero uno.

La sua chiamata fu indirizzata direttamente alla segreteria telefonica.

Justin scosse il capo con un sorriso. Evidentemente qualcuno aveva trovato un passatempo per la serata, anche se sperava davvero che Brian si stesse divertendo più di lui.

“Ehi, Jay!” Steve lo raggiunse con un sorriso raggiante e gli occhi sospettosamente lucidi. Justin inarcò un sopracciglio voltandosi verso di lui. “Qualcuno se la spassa, a quanto pare.”

Il suo amico ordinò una tequila, trangugiandola tutta d’un sorso. “Di sicuro più di te! Hai un muso che arriva all’ingresso!”

“Non è vero!” Si difese Justin, posando la sua birra sul bancone.

“Pfft!” Steve era chiaramente scettico. “Mi hanno fermato almeno una dozzina di tizi per chiedermi se ti fosse morto il gatto.”

“E tu che hai detto?” Gli domandò Justin ridacchiando.

Steve si strinse nelle spalle. “Che stavi benissimo.” Aggrottò la fronte, assumendo un’aria pensierosa. “Credo che alcuni di loro ci abbiano anche provato.”

Justin si trattenne a stento dal ridere. “Davvero?”

“Credo. Non lo so, il metodo di rimorchio di voi gay è troppo sottile.”

Davanti a loro, un ragazzo si avvicinò ad un tipo muscoloso appoggiato al bancone e gli infilò la mano nei pantaloni; l’altro parve apprezzare perché un attimo dopo, entrambi si dirigevano verso la toilette, le lingue infilate giù per la gola dell’altro.

“Sì, estremamente sottile…” Confermò Justin.

“Te l’ho detto. A volte è meglio essere etero.” Steve si sporse verso di lui per riuscire a parlare con più tranquillità, ma a causa del troppo alcool – e forse anche di qualcos’altro, realizzò Justin – il gomito scivolò sulla superficie liscia e il ragazzo rischiò di finire faccia a terra davanti a mezza New York.

“Ehi!” Justin lo agguantò appena in tempo. “Steve, quanto cazzo hai bevuto?”

“È colpa tua!” Esclamò quello, cercando di raddrizzarsi. “Non sei per niente divertente stasera!”

Justin roteò gli occhi e sospirò pazientemente. “Andiamo, ti porto a casa.”

“NO!” Il suo amico si divincolò immediatamente dalla presa, fin troppo velocemente per uno così sbronzo. “Voglio rimanere qui!”

“Steve, sei ubriaco fradicio.”

“E tu sei una noia!”

Justin si massaggiò stancamente una tempia. Si preannunciava una dura lotta: solitamente quando Steve era così ubriaco era come discutere con un bambino di sei anni. “Sì, hai ragione, sono una noia stasera. Adesso, andiamo però.”

Steve liberò nuovamente il braccio che Justin aveva afferrato. “Non stasera! Sempre!” Ribatté con fare combattivo. Il barista al di là del bancone lanciò al biondo un’occhiata indulgente. “Da quando siamo tornati sei… sei…” Si sforzò di trovare la parola giusta, ma si arrese senza riuscirci.

“Steve, dai…” Justin si avvicinò di nuovo a lui. “Fidati di me, è meglio se andiamo a casa, okay?”

Steve posò di nuovo lo sguardo su di lui, stavolta con gli occhi lucidi. “Hai ragione.” Sussurrò pianissimo.

“Bene, andiamo allora.”

Ma Steve rimase piantato contro il bancone. “Neanch’io mi diverto più qui.” Continuò come se nessuno avesse parlato. “A Pittsburgh stavo meglio, mi divertivo un sacco con i tuoi amici, soprattutto con Emmett e Ted, ma neanche Ben e Michael erano male. Le tue amiche lesbiche poi, non ne parliamo, sono incredibilmente sexy…”

“Steve, vorrei davvero sapere che robaccia hai preso stasera…”

“Ehi, splendore.” Il barista si sporse verso i due ragazzi. “Mi sa che il tuo ragazzo stasera ci ha dato dentro. Ti conviene riportartelo a casa, ho visto parecchi disperati sbavargli dietro.”

Justin abbozzò un sorriso riconoscente. “Grazie del consiglio. Credo proprio che lo seguirò.”

L’uomo si strinse nelle spalle, versando della vodka in un paio di bicchieri. “Beh, se vuoi sdebitarti, io sono qui anche domani sera. Potremmo divertirci un po’.”

“Sicuro.” Confermò Justin con espressione sorniona.

“Jay?” Steve interruppe il tentativo di rimorchio del barista, guardandolo con aria grave. “Mi viene da vomitare.”

Justin alzò gli occhi al cielo. “Ho capito, andiamo.” Afferrò il suo amico per le spalle e lo trascinò fuori dal locale, incespicando ogni tre passi; con non poca difficoltà, riuscì a trovare un taxi libero – era pur sempre sabato sera a New York – e ci spinse dentro Steve senza tante cerimonie. Lo guardò minaccioso quando lui parve avere tutte le intenzioni di dare di stomaco, stimolo che si dissolse immediatamente davanti all’occhiata torva di Justin.

Dieci minuti più tardi, Steve crollava sgraziatamente sul divano di Justin; il ragazzo lo aiutò a spogliarsi, prima di porgergli un cuscino e una coperta.

“È vero quello che ho detto.”

“Mh?” Dalla cucina, Justin si voltò verso il salotto.

Steve si sforzò per distendersi a pancia in su. “Quello che ho detto prima. È vero.”

“E che avresti detto? Sei ubriaco. Non ti ricordi nemmeno come ti chiami, Steve.” Tirò fuori una bottiglietta d’acqua dal frigo e la portò al suo amico. Steve ne bevve mezza in un sorso. “Meglio?”

Lo vide annuire. “Cristo, mi sento uno schifo.”

Justin ridacchiò. “E vedrai domani.”

“Grazie, stronzo.” Justin sorrise, alzando le spalle e sedendosi sulla poltrona di fronte al divano. “Adesso mi spieghi che stavi blaterando?”

Steve lo guardò offeso e gli lanciò un cuscino. “È inutile che fai il finto tonto, Taylor.”

“Non so a cosa ti riferisci.”

“E allora te lo spiego io, visto che da ubriaco sono comunque più sveglio di te da sobrio.” Sentì il suo amico sbuffare sonoramente. “Non è un delitto dire che ti manca.” Proferì con espressione seria. “Voglio dire, è normale che sia così, ma devi cercare di affrontarlo e tornare ad essere quello di prima.”

Justin abbassò lo sguardo a terra e stese le gambe sul bracciolo della poltrona. “Prima era più facile perché sapevo che questa era la mia vita, qui, a New York, con te, Ness e gli altri…”

Steve si girò da un lato e puntellò la testa sul gomito, voltandosi verso di lui. “E adesso?”

“Adesso so… so che da un’altra parte potrei avere un’altra vita, una vita diversa con la mia famiglia e i miei amici vicino, una vita con Brian sempre accanto.”

“Anche qui hai degli amici.” Osservò mestamente Steve.

Justin gli sorrise nella penombra del suo appartamento. “Lo so, e ne sono felice perché siete stati voi che mi avete impedito di fare le valige il giorno dopo che sono tornato.”

Steve annuì, sdraiandosi di nuovo. “Non credo che andrà mai da nessuna parte. Mi sembra uno abbastanza deciso e ho l’impressione che non ti lascerà andare tanto facilmente stavolta.”

“Che cosa te lo fa pensare?”

Steve sorrise nel buio, gli occhi chiari ancora fissi sul soffitto. “Il modo in cui ti guarda.”

A Justin scappò una risatina. “Brian ti prenderebbe a calci se ti sentisse dire una cosa del genere.”

“Beh, allora è un bene che la stia dicendo a te.” Allungò una mano e afferrò di nuovo la bottiglietta. Diede un lungo sorso. “Sono sicuro che si strugge d’amore per te, esattamente come tu stai facendo per lui.”

Justin agguantò il cuscino che Steve gli aveva lanciato poco prima e lo rispedì al mittente, beccandolo dritto in faccia. “Io non mi struggo d’amore per nessuno! Non sono mica una damigella del Rinascimento!”

“Pfft, per favore!” Steve inarcò un sopracciglio. “Quindi se prendo il tuo cellulare e compongo l’ultimo numero, non chiamerò Brian, vero?” Colto in flagrante, Justin optò per un decorosissimo silenzio, silenzio che fece ridere di gusto Steve. “Come ho già detto, non c’è niente da fare con voi.” Chiuse gli occhi e si rilassò, abbracciando forte al petto il povero cuscino che aveva maltrattato fino ad un attimo prima. “Jay?” Chiese con voce mezza addormentata.

Justin si alzò e lo raggiunse, coprendolo con il plaid. “Ti rendi conto che sono solo le nove e mezza di sabato sera e noi siamo già a casa?” Scosse il capo, incredulo.

“Jay?” Lo chiamò di nuovo Steve. “Sono felice che sei tornato a New York.” Confessò ad occhi chiusi. “E sono contento che tu sia mio amico.”

Justin gli sorrise. “Anche io, Steve. Nonostante tutto, anche io sono felice di essere tornato.”

Steve emise un ultimo, incomprensibile verso prima di crollare, distrutto. Justin spense la luce della cucina e si diresse verso la sua stanza; si spogliò con calma e, cellulare alla mano, si infilò a letto. Spense la lampada sul comodino e compose di nuovo il numero di Brian.

Di nuovo, fu la segreteria a rispondere.

Justin sospirò prima di posare il telefono sul cuscino e rannicchiarsi sotto le coperte. Era quasi riuscito a prendere sonno quando il cellulare squillò. “Pronto?” Rispose con voce rauca.

“Justin? Tesoro, stai bene?” Gli chiese premurosa la voce di sua madre. “Hai una strana voce.”

Sorrise contro il cuscino. “Tutto okay, mamma. Ero a letto.”

“A letto?” Il tono di Jennifer passò dal sorpreso al preoccupato. “A quest’ora? Non stai bene?”

“Stai tranquilla, sto benissimo.” La rassicurò. “Io e Steve siamo usciti insieme, ma dato che ci annoiavamo abbiamo deciso di tornare a casa.”

“Sei… sei sicuro? Perché io…”

“Com’è andato il volo?” La interruppe prima che potesse entrare in modalità ‘apprensiva mamma chioccia’. “Siete arrivati in orario?”

Jennifer decise di fare finta di nulla e sorrise, scuotendo il capo. “Tutto secondo la tabella di marcia. Siamo appena rientrati a casa ed io ne ho approfittato per chiamarti mentre Tuck scarica i bagagli.”

Justin ridacchiò. “Siete sposati da meno di un mese e lo stai già schiavizzando?”

“Certo, è il minimo che possa fare per me. E comunque non è solo.”

“Che vuoi dire?” Domandò Justin, allungandosi verso il comodino e afferrando il suo blocco da disegno.

Percepì il sorriso di sua madre dall’altro capo del telefono. “Oh, aspetta, ecco.” Seguì un leggero trambusto, segno che la cornetta era passata a qualcun altro. “Mol?” Tentò Justin.

“Ehi, Sunshine.” Rispose l’unica voce al mondo che poteva far fare le capriole al suo cuore.

“Ehi.” Mormorò, riprendendo a disegnare con un sorriso ebete stampato in faccia.

“Tua madre mi ha detto che sei a letto. Spero in buona compagnia.” Sussurrò, probabilmente per evitare che Jennifer sentisse. Nonostante si fosse ormai affezionata a Brian e avesse capito – più o meno – che tipo di relazione avessero, avrebbe comunque assunto quella sua espressione da maestrina severa se l’avesse sentito.

Justin sistemò meglio i cuscini e si appoggiò contro la testiera del letto. “Solo io e Steve.”

“Oh, non mi dire. Sei riuscito a convertire anche l’etero incallito? Sono colpito, Sunshine, ma dopotutto, con un culo come il tuo…”

“Neanche il tuo è male, signor Kinney…”

“Credimi il tuo non ha davvero rivali.”

Justin sorrise compiaciuto. “Detto da te, o esperto conoscitore della materia, è un vero complimento.” Continuò il suo schizzo e non fu minimamente sorpreso quando il viso di Brian prese a fare capolino; dopotutto era sempre stato lui la sua più grande ispirazione, fin dall’inizio della loro storia.

Era stato Brian a fargli credere nei suoi sogni quando aveva inviato la domanda d’ammissione al PIFA, era stato lui a consigliargli di lasciar perdere la Dartmouth e di seguire la sua strada, lui a guarirlo dopo l’aggressione e sempre lui che l’aveva spronato a riappropriarsi della sua vita in un momento in cui tutto sembrava andare a rotoli. Le persone attorno a loro credevano che Brian avesse sottratto alla morte Justin la notte in cui Chris Hobbs l’aveva attaccato in quel garage: la verità era che Brian l’aveva salvato in moltissime altre occasioni, così tante che ormai aveva perso il conto. E lui, ripensando a quello che avevano affrontato insieme, non poté fare a meno che amarlo ancora di più. “Che ci fai lì?”

“Qualcuno doveva pur andare a prendere tua madre e Tuck all’aeroporto, no? O preferivi mandarci Debbie?”

Justin sghignazzò, posizionando il telefono tra la spalla e la guancia in modo da poter disegnare più liberamente. “No, credo che sia andata bene così.” Fece una pausa, mordendosi un labbro. “Grazie.”

“E adesso per quale cazzo di motivo mi ringrazi?”

“Non eri obbligato a farlo.”

“Senti, tua madre mi ha chiamato un paio di giorni f--”

Mia madre ti ha chiamato? Mentre era in viaggio di nozze?”

Brian roteò gli occhi annoiato. “Era preoccupata per te e voleva sapere se ci eravamo sentiti da quando eri tornato a New York. Ha detto che tu eri stato piuttosto evasivo sull’argomento.”

“Evasivo…” Borbottò Justin tra sé. “Solo perché gli ho detto di impicciarsi dei fatti suoi.”

Dall’altro capo del telefono, Brian ridacchiò spostando lo sguardo su Tuck e Jennifer che chiacchieravano in cucina. “Le ho chiesto se aveva qualcuno che l’andasse a prendere all’aeroporto, lei mi ha informato che avrebbero preso un taxi, io le ho detto di scordarselo e che ci sarei andato io. Fine della storia.”

Justin sospirò con aria sognante. “Se solo sapessi quanto vorrei che fossi qui con me. Potrei ricompensarti a dovere per questa tua inaspettata gentilezza.”

“Beh, cerca di non rilassarti troppo.” Lo avvertì Brian. “Perché ho intenzione di riscuotere alla prima occasione utile.”

“Non vedo l’ora.”

“Brian, rimani a cena?” Gli chiese la voce di Tuck dalla stanza accanto, ma prima che potesse rispondere Jennifer si intromise con un intimidatorio “Certo che rimane a cena e non voglio sentire storie.”

Justin soffocò una risata immaginandosi l’espressione che Brian doveva avere in quel momento. “Qualcuno è stato incastrato.”

Brian sbuffò annoiato. “Almeno non c’è quella sanguisuga di tua sorella. Cenerò con l’unico Taylor adulto della famiglia.”

“Non è più una Taylor.” Gli fece notare Justin. “E poi mi sembra di ricordare che tu abbia una predilezione per gli adolescenti.”

“Oh Sunshine, continua a fare commenti del genere e vedrai che ti succede la prossima volta che ci vediamo.”

Justin si umettò il labbro e scivolò verso il materasso. “È una promessa?” Sentì Brian ridacchiare divertito e non poté fare a meno di sorridere. “Come mai Molly non c’è? Non sarà impegnata col ballo anche il sabato sera.”

Brian passò la cornetta all’orecchio destro. “No, appuntamento romantico con quel Barney con cui esce.”

Justin roteò gli occhi. “Bradley. E spero davvero che mamma le abbia dato un coprifuoco accettabile.”

“Ancora con questa storia? Justin, lasciala in pace, ha diciotto anni. Che ti aspetti che faccia?”

“Di sicuro non sesso sul sedile posteriore del pick up di quell’idiota.”

“E credi che controllarla continuamente come un mastino le impedirà di fare ciò che vuole?”

Justin sbuffò scocciato. “Da quando sei un esperto nell’educazione degli adolescenti?”

“Sono sempre stato un esperto. Dopotutto ho cresciuto te, no?” Brian sorrise contro la cornetta e seppe con certezza che Justin stava facendo lo stesso. “Ad ogni modo, credo davvero che dovresti lasciarle un po’ di libertà. Molly è una ragazzina responsabile, sa il fatto suo. Non ha bisogno di te che la tratti come una poppante.”

“Ed io non ho bisogno che tu mi tratti come il genitore cattivo. Sono solo preoccupato per lei.”

“E non credi che tua madre fosse preoccupata per te quando te ne sei andato di casa a diciassette anni? Eppure ti ha lasciato libero di scegliere. Non mi pare ci siano state gravi ripercussioni, a parte il tuo permanente squilibrio mentale e la tua insopportabile tendenza a blaterare cose senza senso.” Premette la lingua contro l’interno guancia e sorrise.

“Ah ah, che spiritoso.” Justin sospirò piano, scuotendo il capo. “Promettimi che non ti farai trascinare dalla sua parte.”

“La sua parte?”

“Sua e di quel Bradley. Mi faresti davvero comodo come alleato, per qualche strana ragione mia madre ti adora.” Lo punzecchiò.

Brian alzò gli occhi al cielo. “Mi sembrava che stamattina al telefono fosse un altro Taylor ad adorarmi.”

“Non so di cosa tu stia parlando.”

“Davvero? Non ti dicono niente le parole ‘Oh sì, Brian, così’ e ‘Oh mio Dio, Brian, sto vene--’”

“Brian?”

La testa di Jennifer fece capolino dalla cucina, interrompendo le reminescenze della sua intensa ed appagante mattinata. “Quando hai finito, la cena è pronta.” Gli sorrise affettuosamente. “Molly è tornata di filato a casa quando ha saputo che c’eri anche tu.”

“Ma come sono fortunato…” Borbottò l’uomo con fare annoiato.

Jennifer ridacchiò. “Dà un bacio a Justin da parte mia.”

Brian roteò gli occhi quando sentì Justin sussurrargli “Beccato in castagna dalla suocera, Kinney.”

“Arrivo subito, Jen.” La liquidò in fretta. La donna sparì di nuovo e Brian diede le spalle alla cucina. “Ho un quesito per te: indovina chi finirà legato al mio letto la prossima volta che tornerà a Pittsburgh?”

Justin si limitò a scoppiare a ridere. D’improvviso aveva un’incredibile voglia di tornare a casa…

 

 

 

 

 

Mi rimangio tutto quello che ho detto, tua sorella è una piccola serpe.

Ricordami di non prendere mai più le sue parti.

 

P.S: La tua punizione sta diventando sempre più severa.

 


 

“Brian, non ti hanno insegnato che non si usa il cellulare quando si è a tavola?”

Brian roteò gli occhi, inviando il messaggio e riportando lo sguardo sulla diciottenne più subdola e manipolatrice che avesse mai incontrato in tutta la sua vita. Non era un caso che fosse la sorella di Justin. “Nel caso non te ne fossi accorta abbiamo già finito di cenare e, mentre tua madre prepara educatamente il caffé, io ho deciso di ingannare l’attesa inviando un sms. È un problema, piccola Taylor?”

Molly gli sorrise furba, poggiando la testa sulla spalla di Bradley, seduto a tavola accanto a lei. “Sai mandare gli sms? Sono stupita, non è una cosa facile per uno della tua età.”

Jennifer rientrò in sala da pranzo con una crostata tra le mani. “Molly, lascia in pace Brian.” Le intimò.

“Non preoccuparti, Jen. Sono abituato alle osservazioni saccenti dei tuoi due eredi.”

La donna guardò male la sua secondogenita. “Ma non accetto che tu debba avere a che fare con la maleducazione. Molly, che penserà Bradley di te?”

Bradley fece per aprire la bocca, ma fu interrotto dalla risposta pronta di Molly. “Bradley sa già come sono fatta, non ho bisogno di nascondere nulla con lui.”

“La cosa mi rincuora.” Ribatté sarcastica sua madre, tornando in cucina. Tuck raggiunse di nuovo i suoi ospiti. “Allora? Che mi sono perso?” Domandò con un sorriso.

Brian sorrise quando sentì il cellulare vibrare nella tasca. “Niente, solo Molly e i suoi commenti da pazza.” Fece appena in tempo a intercettare la linguaccia della ragazza prima di uscire sul portico e rispondere al telefono. L’idea di essere beccato di nuovo a parlare di sesso da Jennifer non lo attirava molto; soprattutto quando suddette conversazioni riguardavano il suo adorato e innocente bambino. Sì, innocente un cazzo…

Brian scosse il capo, incredulo. Se solo Jennifer avesse saputo quale astuto, infido e macchinoso stronzetto aveva partorito…

“Che succede?” Chiese divertita la voce di Justin.

Sentilo come ride, il traditore…

“Sono appena fuggito da una terrificante cena di famiglia con tua madre, il suo baby-marito, quel demonio di tua sorella e quella sottospecie di babbeo che si porta appresso e che risponde alla definizione di fidanzato.”

“Bradley è lì? Con voi?”

Brian sorrise di fronte allo stupore di Justin. Adesso non ridi più, eh? “Te l’ho detto, Sunshine. Era una cena di famiglia.”

Justin sbuffò scocciato. “Finiscila con le stronzate e dimmi che cazzo è venuto a fare lì. Cerca forse di fare il ruffiano con mamma e Tuck? Non hai mica abboccato alle sue stronzate, vero? Brian, giurami che qualunque cosa dirà tu non farai null--”

“Tranquillo, regina dei drammi.” Lo seccò immediatamente, alquanto spazientito. “Non ho intenzione di organizzare una fuga d’amore a Panama con il caro Barney.”

“Brian, per la millesima volta, il suo nome è Bradley.”

Brian roteò gli occhi. “Come ti pare.” Si accomodò su una delle sedie lì vicino e si accese una sigaretta. “Sapevi che è figlio di un pastore?”

“Davvero?” Ovviamente Justin non ne era a conoscenza.

“Così pare. E nonostante sia di larghe vedute, soprattutto sulla questione degli omosessuali--”

Justin schioccò la lingua, chiaramente scettico. “Pensa tu che coincidenza… Piccolo viscido leccaculo…”

Brian ignorò i deliri del suo fidanzato e proseguì. “… voglio rassicurarti dicendoti che il caro vecchio pastore non è affatto a favore del sesso prematrimoniale.” Sorrise compiaciuto quando dall’altra parte non ricevette altro che tombale silenzio. Esattamente la reazione che si aspettava. “Justin caro? Ho detto forse qualcosa che ti ha turbato?” Chiese con una vocina in falsetto.

“Niente sesso prima del matrimonio?” Domandò Justin con voce stridula. “Niente sesso nel senso di mai-mai-mai sesso?”

“Niente sesso nel senso di prima passi davanti all’altare poi puoi infilarti nelle mie mutande.”

“Cristo santissimo…” Borbottò Justin sotto shock. “Noi saremmo morti dopo tre ore.”

“Errore.” Lo contraddisse Brian. “Noi non avremmo mai iniziato. Insomma che razza di stronzata è?”

Justin sghignazzò. “Ed io che credevo che Craig fosse uno dalle idee antiquate.”

Brian ghignò. “Dovrei presentarlo a Joan.”

“Basta che tieni lontano il reverendo Tom.” Sorrise malizioso. “Da quello che ricordo nemmeno lui è favorevole all’idea dell’astinenza.”

“Ah, il caro vecchio reverendo.” Brian allungò le gambe davanti a lui e diede un altro tiro alla sigaretta. “Quanti ricordi.”

Justin scoppiò a ridere. “Magari conosce il padre di Bradley. Potrebbero avere un interessante scambio di idee.”

“Prega di no. Finché Barney si limita ad usare la manina per soddisfare i suoi bisogni, la tua dolce sorellina rimane illibata.”

“Grazie al cielo.” Sospirò sollevato Justin. “Il solo pensiero di quello che potrebbero fare mi dà la nausea.”

Brian rabbrividì. “Bleah, sesso etero. Conosci qualcosa di più disgustoso?”

“Sesso tra lesbiche?”

“Ok, non avevo davvero bisogno di immaginare Mel e Linz che si rotolano tra le lenzuola come due cagne in calore…”

“Senti senti che razza di discorsi.” Brian sobbalzò alla voce di Molly appoggiata contro lo stipite della porta d’ingresso. “Voi due siete davvero deviati.”

Brian le rivolse un sorriso dolce come il miele. “Ehi Sunshine, qui c’è la tua inviolata e pura sorellina. Ti va di parlarci?”

Molly gli lanciò un’occhiata assassina. “Giuro che arriverà il giorno in cui farò più sesso di voi e allora vedrete…” Incrociò le braccia al petto e assunse un broncio pericolosamente simile a quello di Justin. “Il caffé è pronto. Quando hai finito con quel maniaco del tuo fidanzato…” E tornò dentro con le spalle dritte e il naso all’insù.

“È furiosa, eh?”

“Appena appena.” Minimizzò Brian con un sorriso compiaciuto.

Justin ridacchiò. “Va’ a prendere quel dannato caffé. Ti chiamo più tardi così continuiamo la discussione.” Si umettò il labbro e sorrise. “Mi piacerebbe riprendere il discorso di questa mattina.”

Brian sorrise malizioso. “Ci sentiamo tra mezz’ora. E al diavolo Barney, suo padre e le loro cazzate prematrimoniali.”

 

 

 

 

 

 

 

Ed eccoci qua con un nuovo capitolo! Chiedo anticipatamente perdono per la scadentissima scena di sesso telefonico, giuro che ho impiegato un tempo infinito per scriverla e purtroppo è ancora pessima. Spero che non vi faccia passare la voglia di leggere il resto! :D

Questo capitolo, per lo più di transizione (cioè non succede un emerito nulla, come mi ha fatto gentilmente notare anche la mia beta XD), è stato principalmente incentrato sui Britin, a parte un piccolo intermezzo Lane/Hunter, ma ho come l’impressione che non vi lamenterete XD

La cenetta dalla cara “suocera” non era prevista, ma mi sono divertita un sacco a far trovare Brian in situazioni compromettenti (e non mi riferisco alle solite situazioni compromettenti in cui si trova lui!) e poi non potevo perdere l’occasione per fargli conoscere finalmente il caro cognato Barney… ops, Bradley!

Ditemi che ne pensate e soprattutto se ho sforato con il rating… Giuro che la prossima storia che scrivo di questi due la metto direttamente rossa! Sono incorreggibili!

La meravigliosa citazione iniziale non è mia, ma di elysenda, tratta dalla sua fantastica recensione allo scorso capitolo. Era una frase così bella e così adatta a Brian e Justin che non potevo non riportarla. Spero che la diretta interessata mi perdonerà! ;D

Come sempre grazie mille a tutte le persone che hanno perso un po’ del loro tempo a leggere la mia storia e a lasciare un commento; in particolare ringrazio sera69, Giulia__TH, Court, Daphne90, elysenda, electra23, Susy Lambert, mindyxx, Galerose, infinte freedom, Titty4ever e margotespooky.

Un bacione enorme a tutte!! 

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Capitolo 23
*** Love Is In The Air ***


23. Love Is In The Air

 

 

 

 

 

“Buongiorno, Pittsburgh! È un’assolata mattina di aprile e finalmente la bella stagione ci porta qualcos’altro oltre la fresca brezza primaverile!”

“E cosa sarebbe, Al?”

“Ma l’amore, Janet! Non lo senti nell’aria?”

“Credo che tu abbia sbagliato mese, Al. Non siamo a Febbraio e oggi non è San Valentino.”

“Lo so bene, ma chi ci dice che possiamo festeggiare l’amore solo a San Valentino? Nel suo sedicesimo sonetto, Shakespeare diceva: L’Amore non è schiavo del Tempo;  l’Amore non cambia con le ore o le settimane, ma resiste fino alla fine del precipizio.”

“Molto romantico.”

“Vero? Ed è proprio con questa frase che oggi vogliamo celebrare l’amore! Non importa che il vostro amore sia lontano o proprio accanto a voi, che sia l’amico a cui avete paura di confessare i vostri sentimenti o l’uomo che avete sposato e che vi fa ancora battere il cuore dopo tanti anni, che siate donne o uomini, giovani o meno giovani, gay o etero, il prossimo pezzo è tutto per voi, innamorati d’America! Voi che non avete paura di amare.”

 

Ted sorrise contro le lenzuola profumate e sospirò sereno, gli occhi ancora chiusi.

“Proprio un bel modo di iniziare la giornata, mh?” Gli domandò l’uomo al suo fianco.

“Il solo fatto che tu sia qui la rende una bella giornata.”

“Oh…” Esclamò Blake con fare sognante. “Se avessi immaginato un’accoglienza del genere, sarei tornato molto prima di ieri sera.”

“E se io avessi saputo che bastava così poco, l’avrei fatto due settimane fa.”

Blake sorrise, facendosi più vicino e posando la testa sul cuscino del suo compagno. “Mi è mancato svegliarmi al tuo fianco.”

“Anche a me.” Ted gli circondò la vita con un braccio. “E non puoi immaginare quanto io sia felice di riaverti a Pittsburgh.”

Blake sollevò una mano e gli accarezzò affettuosamente una guancia. “Mi dispiace di essere stato fuori tanto a lungo.”

Ted scosse il capo, coprendo la sua mano con la propria. “Non c’è niente di cui tu debba scusarti. Se fossi stato io al tuo posto, tu avresti capito.”

Blake lo baciò con dolcezza proprio mentre i due dj alla radio riprendevano a parlare. “Spero che tu non abbia trovato qualcuno con cui rimpiazzarmi mentre ero via.”

“Due settimane sono lunghe e il mio letto era grande e vuoto…”

“Ma davvero?” Blake lo spinse fino a farlo sdraiare sulla schiena e lo bloccò sedendosi a cavalcioni su di lui.

“Senza contare che io sono l’illustre responsabile amministrativo di una delle aziende di punta della città.”

“Sai che ti dico? Che ultimamente passi un po’ troppo tempo col tuo capo. Non vorrei ti venissero in mente strane idee.”

Ted ridacchiò divertito quando il suo fidanzato gli bloccò le mani ai lati della testa. “Tranquillo, Brian non mi ha ancora portato sulla via della perdizione.” Aggrottò la fronte pensieroso, come se fosse lui il primo ad esserne stupito. “Sebbene ci abbia provato.”

“Ne sono felice.”

“Anche se ammetto di averti tradito.” Blake si raddrizzò immediatamente affilando lo sguardo. “Culinariamente parlando.”

“Che vuoi dire?” Domandò l’altro, visibilmente più rilassato.

“Emmett.” Confessò Ted con un mezzo sorriso. “Nelle ultime settimane si è praticamente trasferito nella nostra cucina.”

“Non mi dire che cerca ancora di evitare John.”

“Evitare non lo so, ma di sicuro prova a minimizzare il tempo che passa con lui.” Fece una pausa e scosse il capo. “Credo che gli piaccia davvero tanto.”

Blake gli sfiorò le labbra con un bacio prima di tornare a sdraiarsi accanto a Ted, la testa posata sul palmo della mano per poterlo guardare in viso. “Io non credo che debba arrendersi. Un sacco di persone credono per tutta la vita di essere etero quando in realtà non lo sono. Non è una cosa successa anche a David, l’ex di Michael?”

Ted annuì sovrappensiero. “Sì, ma David non è Emmett ed io non sono ansioso di vedere il mio miglior amico di nuovo a pezzi per un uomo che non lo merita.”

Blake gli sorrise. “Sei davvero un buon amico, Ted Schmidt. Ed io sono convinto che Emmett prima o poi troverà la persona giusta. Basta solo armarsi di pazienza.”

“Accidenti, sei diventato molto zen a San Francisco.” Lo prese in giro Ted.

Blake gli schiaffeggiò una spalla. “Non prenderti gioco di me, vecchietto. Sai che posso essere terribilmente vendicativo.”

Ted rise e annuì. “Okay, facciamo finta che non abbia detto nulla.” Gli baciò la punta del naso. “Perché non mi racconti com’è andata la tua trasferta californiana?”

Nelle due settimane che avevano trascorso separati, Ted e Blake avevano avuto poche occasioni per parlare; nonostante si sentissero per telefono tutte le sere, solitamente erano entrambi così stanchi – Blake a causa del centro e Ted per colpa del dannatissimo Masterson, salito ormai al primo posto nella classifica degli individui più odiati d’America stilata dallo staff della Kinnetic – da non poter fare altro che sbadigliare nelle orecchie dell’altro. Ted era felice di riavere finalmente Blake a casa così da poter davvero conversare con lui.

“È stato fantastico, Ted. Una cosa indescrivibile. Io, Kitty e il resto della squadra abbiamo tirato fuori da un edificio fatiscente con zero prospettive un centro da far invidia al nostro qui a Pittsburgh.” Blake si sdraiò sulla schiena, puntando lo sguardo sul soffitto e continuando a narrare la sua storia con trasporto. “Forse è una cosa stupida, qualcosa che è stato fatto mille altre volte da altre centinaia di persone, ma…” Scosse il capo e tornò a guardare Ted con espressione emozionata. “È stato come vedere un sogno prendere vita. All’inizio non c’erano che progetti e carta e idee e alla fine avevamo qualcosa di reale, di tangibile. Qualcosa che aiuterà le persone che ne hanno bisogno, che allevierà le sofferenze di qualcuno che non conosce più la speranza, che ha perso tutto.” Arrossì quando notò lo sguardo sorridente di Ted. “Sono un mucchio di sciocchezze, vero?”

Ted scosse il capo. “Al contrario. La trovo una cosa assolutamente fantastica. Forza, va avanti!”

Blake lanciò un’occhiata verso il comodino. “Farai tardi al lavoro. Ne possiamo parlare stasera.”

Ted si voltò e afferrò la radiosveglia, spostando l’orologio indietro di cinque minuti. Si sdraiò di nuovo. “Ho ancora cinque minuti, vedi?” Gli sfiorò una guancia. “Dov’eravamo?”

 

 

 

 

 

Michael roteò gli occhi e sorrise, stringendo di più il telefono tra la spalla e la guancia per evitare che cadesse. “Sì, te l’ho detto, Ben. Credo che sopravviverò ad un pranzo senza di te. Esci con i tuoi amici e divertiti, ti chiamo quando ho finito qui.” Salutò affettuosamente suo marito e riattaccò.

Era al negozio di fumetti in attesa dell’arrivo del corriere che avrebbe dovuto portare le nuove uscite; diede un morso al suo panino al tacchino e continuò a svuotare gli scaffali contenenti i vecchi numeri.

Ben e Hank erano a pranzo fuori con alcuni ex compagni di college; qualche giorno prima Susan, una delle amiche di Ben, lo aveva chiamato per bere un drink assieme – non era una cosa insolita, lei e Ben si vedevano spesso e in più di un’occasione era capitato che andassero a cena fuori lui, Ben, Susan e il marito di Susan. Quando però Ben aveva accennato il nome di Hank, Susan era letteralmente impazzita dalla gioia. Tempo tre giorni, aveva organizzato una rimpatriata con quanti più compagni era riuscita a rintracciare.

Michael aveva deciso, anche in vista dell’inventario e dei nuovi arrivi, di non partecipare al pranzo. Era giusto che Ben passasse del tempo da solo con i suoi amici.

Quando finalmente l’ultima mensola fu liberata e l’ultimo numero di X-Men riposto nello scaffale di fronte, il telefono del negozio squillò.

“Ehi Mike, sono io.” Marvin, il corriere che si occupava del trasporto dei suoi fumetti.

“Ehi, Marv! Dove sei? Ci sono parecchi scaffali vuoti che ti aspettano qui.”

“Beh, sono costernato, ma temo che i tuoi scaffali polverosi dovranno aspettare.”

Michael aggrottò la fronte finendo di trangugiare il suo panino. “Tutto okay?”

“Niente di allarmante. Sono bloccato in autostrada a causa di un brutto incidente stradale e ho paura che andrà per le lunghe.”

“Oh mio Dio, tu stai bene? Non ti hanno coinvolto, vero?”

Marvin ridacchiò. “No, tranquillo. Volevo solo avvertirti per evitare che ti precipitassi dalla polizia a denunciare la mia scomparsa.” Michael sbuffò nel ricevitore. “Ci vorranno almeno un paio d’ore qui. Vattene a pranzo, ci vediamo più tardi.”

Michael lanciò un’occhiata mesta al piatto di carta su cui fino a cinque minuti prima giaceva il suo panino e sospirò. “Okay, grazie. A dopo.”

“Ciao, Mike.”

Michael riattaccò; lo sguardo si posò sull’orologio di Spiderman appeso al muro davanti a lui.

Era ancora presto e magari avrebbe potuto raggiungere Ben e Hank al ristorante; sicuramente avevano già pranzato, ma forse sarebbe arrivato in tempo per prendere un caffè con gli amici di Ben così da far felice suo marito. Non è che io abbia granché da fare qui al momento…

Prima che potesse cambiare idea, afferrò il cappotto e s’infilò in macchina.

Varcò l’entrata del ristorante dieci minuti più tardi; si sedette al bancone e scosse il capo in direzione del barista.

“Aspetto qualcuno.” Disse solo. Il ragazzo annuì e passò al cliente successivo.

Michael estrasse il cellulare dalla tasca e iniziò a comporre il numero di Ben.

“Sei davvero un idiota, Phil!” Esclamò tra le risate un uomo dai capelli scuri, sedendosi sullo sgabello libero accanto a lui.

Un altro tipo dall’aria seria si lasciò cadere sul trespolo adiacente. “Vaffanculo, stronzo.”

Il suo amico scoppiò di nuovo a ridere e ordinò due Martini. “E dire che ormai avresti dovuto imparare! Non è successa la stessa cosa con Carter e Louise?”

“Senti, non è colpa mia se non ne è rimasta nemmeno una! Io sono un tipo romantico!”

“Disse quello che si scopa la segretaria ventunenne.”

“Mia moglie è una donna estremamente impegnativa ed io ho bisogno di qualcuno che mi aiuti a rilassarmi e che mi capisca a livello umano.”

Il suo amico lo guardò scettico. “Lo so io a quale livello umano ti riferisci.”

“Dovresti provarci anche tu. È terapeutico per il matrimonio.”

“Ne sono certo.” Sorseggiò il suo drink e tornò a voltarsi verso il suo interlocutore. “E comunque non hai sentito quello che ha detto Susan prima?”

Susan? Michael, che fino a quel momento aveva ascoltato divertito il simpatico diverbio, si raddrizzò sullo sgabello.

“La stronza… Ce ne sarà anche per lei più tardi.”

“Phil, sei davvero senza speranza. Hai ascoltato almeno una parola di quello che ti ha detto? Ben è sposato ora.”

Michael spiò i due uomini con la coda dell’occhio, continuando a giocherellare con il cellulare.

“Quello l’ho capito: la fede sull’anulare sinistro è abbastanza eloquente.”

“E allora? Come hai fatto a credere che--”

Phil sbuffò annoiato. “Non avevo capito che fosse sposato con qualcun altro! Mi aspettavo che lui e Hank avessero già un paio di marmocchi a quest’ora!”

Il cellulare di Michael precipitò a terra; i due sconosciuti lo guardarono straniti per un breve istante prima di tornare alla loro discussione.

“Avresti almeno potuto evitare di dirlo a Ben e Hank!” Scoppiò di nuovo a ridere. “Oh mio Dio, lo sapevo che sareste finiti così! I rispettabili signori Sanders-Bruckner! Non vi siete ancora stancati di fare i piccioncini?” E giù di nuovo scosso da un’incontrollabile ondata di risate.

“Okay okay, ho capito. Ho fatto la figura dell’idiota. Non c’è bisogno di infierire!”

“E dire che Susan ti aveva avvertito! Non hai sentito mentre parlava di Ben e del suo adorabile maritino? Sembra quasi che se lo sia sposato lei!” Scosse il capo e ordinò un altro giro. “Se solo avessi potuto vedere la tua faccia!”

Phil scolò il suo Martini tutto d’un fiato e gli lanciò un’occhiataccia minacciosa. “Ancora non ci credo che non stanno più insieme.” Borbottò tra sé, stringendo il bicchiere tra le dita. “Te li ricordi al college?”

L’altro annuì. “Facevano venire la carie. Non riuscivo a credere che potessero esistere due persone così innamorate l’una dell’altra.”

Lo stomaco di Michael si serrò in una morsa: sembrava proprio che il panino al tacchino non ne volesse più sapere di rimanere al suo posto. Sentì qualcosa dentro di lui fare una fastidiosa capriola.

Phil si strinse nelle spalle e sospirò con aria rassegnata. “Vedi? È come ti dicevo io.”

“Che intendi?”

“Che faccio bene a farmi la segretaria e godermi la vita.” Sorseggiò il suo drink. “Perché la storia di Hank e Ben è la dimostrazione che nemmeno le anime gemelle riescono a stare insieme. E che l’amore è una gran bella fregatura.”

L’altro annuì, costretto a dargli ragione. Posò una banconota sul bancone e si alzò, immediatamente seguito dal suo amico.

Michael rimase immobile, ghiacciato su quello sgabello, lo sguardo fisso sui due sconosciuti che si allontanavano. Davanti a lui, il suo cellulare col display ancora illuminato sul numero di Ben.

Lo spense.

“Qualcosa di forte.” Disse al barista con una strana voce, una voce che non aveva mai sentito uscire dalla sua bocca. “E fammelo doppio.” Il ragazzo annuì e lo servì in un attimo.

Trangugiò il liquido ambrato in un solo sorso, accettando volentieri il bruciore che scendeva giù per la gola fino ad annegare finalmente il suo dannato panino al tacchino. Iniziava a capire perché Brian amava quel metodo di gestione del dolore. “Un altro.” Di nuovo, fu servito a tempo di record.

Mandò giù anche il secondo drink con le parole anime gemelle che ancora rimbombavano nella testa.

 

 

 

 

 

La galleria lo accolse con l’immancabile cicaleccio di visitatori occasionali e l’ormai consueto profumo di vaniglia. Sally, la centralinista della Austen Gallery, gesticolò verso di lui per attirare la sua attenzione, pur continuando a parlare al telefono. Alzò gli occhi al cielo, chiaramente annoiata dalle chiacchiere della persona dall’altra parte e gli indicò il piano superiore sillabando un silenzioso “Hayley.”

Justin annuì con un sorriso e, dopo averle mandato un bacio al volo, imboccò le scale che salivano verso il soppalco in legno che costituiva il secondo piano della galleria.

Clayton Austen, durante i lavori di ristrutturazione che aveva realizzato un paio di anni prima, aveva voluto creare uno spazio che fosse esclusivamente ad uso degli artisti che promuoveva e per questo motivo aveva preteso che fosse aggiunto un nuovo piano che potesse essere utilizzato come studio o laboratorio dai suoi ragazzi; al termine della costruzione, sua figlia gli aveva dato un consiglio: perché non installare un unico, enorme pannello di vetro al posto dell’ultima parete? Una sorta di gigantesca finestra che consentisse agli avventori di “spiare” i loro artisti preferiti durante il processo di creazione delle opere e che, allo stesso tempo, permettesse agli artisti di avere la loro privacy, rimanendo però al centro delle attività ricreative della galleria.

Justin l’aveva trovata un’idea geniale.

Arrivato al piano superiore, salutò un paio di persone e si diresse a passo spedito verso il fondo; lì, nascosta da un paravento raffigurante una spiaggia assolata e uno scorcio di oceano, vide spuntare Hayley Campbell, l’artista sedicenne con cui da otto mesi condivideva lo studio. “Ehi Hales, mi cercavi?”

La testolina sbarazzina di Hayley, che quel giorno era di un vistoso verde smeraldo, si sollevò immediatamente dalla tela su cui era chinata rivolgendogli un sorriso raggiante. “Justin, finalmente!” La ragazzina si allontanò dal tavolo e gli gettò le braccia al collo.

Justin le baciò affettuosamente una guancia. “Come procede qui?”

Hayley fece una smorfia, tornando ai suoi pennelli. “Male.” Spinse la tela dipinta per metà verso Justin. “Che ne pensi?”

Per alcuni minuti, il ragazzo studiò con attenzione il suo lavoro. Lanciò un’occhiata sbieca verso la sua amica che lo guardava esitante e abbozzò un sorriso: era in occasioni come quella che era grato di non possedere la brutale onestà di Brian. “È un buon inizio.” Affermò diplomatico.

Hayley spostò lo sguardo da lui alla tela e scosse il capo. “Ho capito, fa vomitare. Lo pensavo anch’io.”

Justin studiò per un istante la sua espressione a metà tra l’afflitto e l’indignato e scoppiò a ridere. Alle volte Hayley gli ricordava Molly in maniera impressionante. “Okay, qualcuno che conosco avrebbe detto così.”

“Sono sicura che andrei d’accordo con questo qualcuno.” Hayley si mise le mani sui fianchi e lo guardò male. “Sei sempre troppo buono con me. Se i miei lavori fanno schifo, ho bisogno che qualcuno me lo dica e tu sei la persona di cui mi fido di più in questo ambito.”

Justin le accarezzò i capelli. “Non ho detto che fa schifo, ma solo che…” Gesticolò verso il dipinto incompiuto “… sai fare di meglio.”

“No, invece.” Vide la ragazzina abbassare a terra lo sguardo.

“Hayley.” Justin le posò le mani sulle spalle e la invitò a voltarsi verso di lui; con l’indice le sollevò il viso. “Smettila di essere melodrammatica e guardati intorno.” Le indicò l’ambiente affollato e pieno di vita. “Guarda dove sei! Cazzo, Hales, hai sedici anni e sei un’artista, una di quelli bravi, una di quelli apprezzati e lodati dalla critica! Sei una specie di enfant prodige! Sai dov’ero io alla tua età?”

“A servire hamburger in una squallida tavola calda?”

Justin ridacchiò. Hayley sapeva delle difficoltà che aveva dovuto affrontare quando suo padre l’aveva cacciato di casa. “No, quello è successo dopo.”

“Dopo che hai conosciuto il tuo viscido trentenne?”

“Okay.” Justin le colpì una spalla. “Credo che tu sappia davvero troppo della mia vita. E per la cronaca, Brian non è affatto viscido.”

Hayley roteò gli occhi, tornando finalmente ad essere l’adolescente che era e smettendo di essere l’artista in crisi in vista della sua prima mostra importante. “Sì sì, intanto non mi hai mai fatto vedere una sua foto. O non lo hai mai invitato qui.”

“Chiedi a Vanessa. Lei e Brian sono diventati moooolto amici a Pittsburgh.”

“E credi che non c’abbia provato? Ma l’arpia ha la bocca sigillata. E lo stesso vale per Steve.”

“Sono desolato, scricciolo.”

Hayley sbuffò. “Ma per favore…”

“Buongiorno, bambini.” Li salutò un’irriverente voce alle loro spalle. “Non mi dite che le nostre due mascotte stanno litigando.”

Hayley tirò fuori la lingua e tornò al suo lavoro prima ancora che Justin avesse il tempo di voltarsi verso la nuova arrivata. “Buongiorno, Amy.”

“Ciao, tesoro.”

Amelia Stone, l’addetta alle pubbliche relazione della galleria, sorrideva allegra appoggiata al paravento in plastica; con i capelli scuri perfettamente acconciati in una pettinatura alla moda, la camicia candida e i pantaloni firmati sarebbe benissimo potuta passare per la sosia di Vanessa, se non fosse stato per l’assoluta diversità di carattere.

Infatti, laddove Vanessa era testarda, orgogliosa e inflessibile, Amy era gentile, accomodante e incredibilmente spiritosa.

Justin l’aveva conosciuta quando era arrivato a New York ed era entrato a far parte della “famiglia” Austen: Amelia era la PR che si occupava della promozione della galleria e da cinque anni era diventata, insieme a Vanessa e Clayton, il volto pubblico della Austen Gallery.

Justin l’aveva da subito trovata simpatica, ma fu dopo che Steve gli rivelò che anche Amy era di Pittsburgh che la loro amicizia era davvero nata; all’inizio si vedevano per chiacchierare quando la nostalgia di casa si faceva sentire, soprattutto i primi tempi dopo il trasferimento di Justin, e da lì avevano preso a conoscersi più da vicino. In tutta sincerità, Justin dovette ammettere che Amelia l’aveva aiutato a New York almeno quanto Steve e Ness.

“Allora? Problemi con la mocciosa?” Chiese divertita lanciando un’occhiata a Hayley che fece una smorfia senza neppure alzare lo sguardo.

“Lasciala in pace, Amy. Oggi non credo sia giornata per Hales.”

“Va bene.” Cedette la donna con un sorriso affettuoso. “Tutto okay, piccola?” Hayley si limitò ad alzare le spalle.

“E tu come mai non sei al lavoro? Se non sbaglio la mostra è anche la tua.”

Justin si strinse nelle spalle con un sorriso sornione. “Io sono troppo importante per passare la mattina chiuso qui dentro come Hayley.” Sentì la ragazzina dietro di lui grugnire in risposta. “Hai visto che bel sole che c’è stamattina? Potrei andare a Central Park.”

“Beh sole o non sole, credo che Central Park dovrà aspettare. Ness ti vuole nel suo ufficio.”

“Oh oh, convocazione dal preside.” Canticchiò Hayley, affondando il pennello nel barattolo del giallo. “Che cosa hai combinato, Justin?”

Justin le fece una linguaccia prima di tornare a rivolgersi ad Amelia. “Sai che vuole?”

“Non ne ho la più pallida idea, ma fossi in te non mi preoccuperei. Da quando sei tornato dalla nostra gloriosa città natale, Ness non fa che lodarti. Persino suo padre è stato contagiato dal suo entusiasmo.”

“Speriamo bene.” Borbottò Justin, sfilandosi il giubbino. Lo posò accanto a quello di Hayley. “Vado a vedere che vuole Vanessa e poi salgo a darti una mano, okay?” Chiese rivolto alla più giovane.

Hayley lo guardò sull’orlo delle lacrime. “Grazie, Justin.”

“Figurati, Hales.” Le baciò affettuosamente la fronte prima di seguire Amelia verso l’ufficio di Vanessa.

Chiacchierarono allegramente per tutto il tragitto e Justin le raccontò più nel dettaglio come mai la sua permanenza a Pittsburgh fosse durata così tanto.

“È sempre così.” Convenne Amelia con tono saggio. “Quando si mette di mezzo il sesso, è duro lasciar perdere. Oh!” Si coprì la bocca con fare fintamente imbarazzato. “Il gioco di parole non era assolutamente voluto.”

Justin scoppiò a ridere. “Sì, certo, come se non ti conoscessi, Amy. E poi non era solo il sesso che mi teneva a Pittsburgh, lo sai.”

Amelia sospirò con aria sognante. “Ah già, dimenticavo… Il grande amore della tua vita.”

Justin le colpì un braccio, risentito. “E la mia famiglia e i miei amici.”

“Beh, per la cronaca…” Amelia gli rivolse un sorriso sincero “… sono felice che tu abbia deciso di tornare a New York.”

“Perché hai detto New York?” Le chiese il ragazzo a sorpresa.

“Che vuoi dire? Siamo a New York, no?”

“Sì, ma perché non hai detto ‘a casa’?” Justin la guardò improvvisamente serio. “Ogni volta che parlo con Steve lui mi dice “Sono contento che tu sia tornato a casa”. Perché tu no?”

Amelia gli sorrise, scuotendo le spalle. “Sei un po’ troppo perspicace per i miei gusti, tesoro. Credevo che non avresti colto il mio scivolone.” Justin incrociò le braccia al petto e inclinò il capo, in attesa. “Okay, ma se dici qualcosa a Vanessa ti uccido.”

“Promesso.”

La ragazza annuì. Si morse un labbro incerta e prese a gesticolare nervosamente. “Vivo a New York da quasi dieci anni, ma credi che la consideri casa mia?”

Justin aggrottò le sopracciglia, confuso. “Vuoi dire che non sei felice qui?”

“Certo che sono felice: ho i miei amici, il mio lavoro, la mia vita e credo sinceramente che New York sia la città più bella del mondo, ma…” Un sorriso nostalgico fece capolino sul suo viso “… Pittsburgh è la mia casa. Okay, non sarà bellissima e giuro, giuro che odio quella dannata umidità che mi fa gonfiare i capelli e lo smog delle fabbriche e mille altre cose ancora, ma solo quando arrivo all’aeroporto e vedo mia sorella, o i miei genitori, io mi sento davvero a casa. New York è una fase della mia vita, una fase meravigliosa che potrebbe durare altri dieci anni o finire domani, però mi piace pensare che un giorno tornerò a Pittsburgh e riprenderò da dove ho lasciato.” Si strinse nelle spalle. “Ecco, credo che per te sia un po’ così. Mi sbaglio?”

Justin le sorrise e scosse il capo. “Sono settimane che mi do dello sciocco per la nostalgia che sento e non pensavo davvero che tu potessi sentirti allo stesso modo.”

“Justin.” Amelia gli accarezzò i capelli e a Justin parve quasi di vedere il sorriso dolce e rassicurante di Daphne. “È comprensibile amare tante cose insieme. Ad esempio, ti piace il cioccolato fondente?” Il ragazzo annuì. “Ma questo non vuol dire che non ti piaccia quello al latte o alle nocciole. È come in amore. Quante persone amiamo nelle nostre vite? E non bisogna sentirsi in colpa verso la persona con cui stiamo al momento se a volte ci capita di ricordare con un sorriso malinconico il compagno di scuola per cui avevamo una cotta a quindici anni.”

Justin annuì, arrivando finalmente al punto: poteva amare New York senza per questo mettere in dubbio il suo amore per Brian e poteva amare Pittsburgh pur adorando la sua carriera nella Grande Mela. Poteva amare entrambe le città che l’avevano reso l’uomo che era e poteva essere felice di sentire quella leggera vena di nostalgia quando era lontano da entrambe.

“Credo che tu abbia ragione.” Concluse infine. “Non c’avevo mai pensato, sai?”

“E a cosa servono le persone sagge come me allora?” Amelia gli sorrise un’ultima volta prima di prenderlo sottobraccio e tornare a camminare verso l’ufficio di Vanessa.

“Comunque…” Fu di nuovo la ragazza a parlare strappando Justin alle sue riflessioni “… anche Chuck e Philippe sono contenti che tu sia tornato.” Indicò con il dito i due ragazzi che avanzavano verso di loro e ridacchiò quando sentì Justin gemere contrariato.

“Ecco quella sì che è una cosa di cui non ho sentito la mancanza.”

Chuck e Philippe erano due artisti, amici tra loro, che lavoravano come lui per Vanessa.

Chuck era uno di quei sofisticati ragazzi dell’Upper East Side che credevano che il mondo intero fosse ai loro piedi; con il suo fisico slanciato e gli occhiali da bravo ragazzo aveva il potere di incantare chiunque lo conoscesse.

Philippe invece era un ragazzone francese dalla pelle color cioccolato, scultore di incredibile talento, arrivato a New York tre anni prima e immediatamente accalappiato da Vanessa per la sua galleria emergente.

Per quanto entrambi fossero artisti di grandissimo talento diversissimi tra loro, due cose li rendevano simili e di conseguenza altamente detestabili agli occhi di Justin: l’insopportabile e spropositato ego che entrambi possedevano e la strana e assolutamente irrealizzabile idea di conquistare Justin. O di infilarsi nei suoi pantaloni, che poi per loro era la stessa cosa.

“Ehi, ragazzi.” Li salutò Amelia trattenendo un sorriso all’occhiata torva che Justin lanciò ai due.

“Ciao, Justin.” Esordì Chuck, passandosi una mano tra i capelli chiari e ignorando del tutto Amelia.

“Che sorpresa vederti qui oggi. Non ti aspettavamo.”

Justin roteò gli occhi. “Non devo informarvi di ogni mio spostamento. Questo è un paese libero.”

Chuck annuì con un sorriso. “Hai assolutamente ragione. Sarai sicuramente pieno di impegni e, a questo proposito… Sei libero stasera? I miei danno una festa e mi farebbe piacere invitarti.”

Amelia cercò di mascherare la sua risata come meglio poté, fingendo un improvviso colpo di tosse. Justin la guardò male. “No, mi dispiace ma sono impegnato con Hayley.” Anche se lei non lo sa ancora.

Philippe ridacchiò di fronte all’espressione indispettita del suo amico. “Chuck, conosci Justin. Lui non ama gli snob come i tuoi genitori o i loro noiosi amici. Che ne diresti invece di uscire con me stasera? Ho saputo che in centro hanno aperto un nuovo locale che--”

“Ho detto che sono già impegnato, Philippe. Non avevo intenzione di disdire il mio impegno con Hayley per accettare l’invito di Chuck così come non ho intenzione di farlo per uscire con te. Fine della discussione.”

“Andiamo.” Chuck gli si avvicinò con un sorriso malizioso. “Molla la ragazzina e vieni con me. Ci terrei tanto a presentarti ai miei.”

“E come mai?”

“Perché voglio che conoscano il loro futuro genero.”

A quel punto Amelia non riuscì più a trattenersi; di fronte all’espressione sconvolta di Justin, scoppiò in una sonora risata, gettando indietro la testa. “Oddio, questa sì che è bella!”

Justin le lanciò un’occhiataccia. “Non è affatto divertente, Amy.”

“Oh, al contrario! Io lo trovo estremamente esilarante!”

Chuck la guardò con aria di sufficienza prima di riportare lo sguardo su Justin. “Allora? Che ne dici?”

Justin lo guardò ancora incredulo, incerto se chiamare la neuro o prenderlo a pugni e risolvere il problema alla radice. Al suo fianco, Amelia continuò a ridere sommessamente. “Ma sei serio?”

“Mai stato più serio in vita mia.”

“Tu sei pazzo.”

“Sì, di te.”

Il viso di Justin si contorse in una smorfia di disgusto. Oh Cristo santissimo… “Chuck, ascolta…”

“Dimmi, dolcezza…”

“Primo: non mi chiamare dolcezza.”

“Scusami, Jus.”

“Secondo: non chiamarmi nemmeno Jus. Il mio ex ragazzo lo faceva ed io lo odiavo.”

Chuck gli sorrise dolcemente. “E allora come dovrei chiamarti?”

Justin si strinse nelle spalle. “Beh, non lo so. Nella mia famiglia mi chiamano Sunshine, ma tu provaci e ti stacco la testa.”

Amelia e Philippe ridacchiarono. “A quanto pare qualcuno è stato rifiutato.” Cantilenò il ragazzone bruno.

“Non mi sembra che tu abbia avuto più successo.” Lo rimbeccò il suo amico con tono velenoso.

Justin scosse la testa alzando gli occhi al cielo. “Okay, adesso chiudete quelle cazzo di bocche e statemi a sentire. A Pittsburgh io ho un fidanzato, un compagno che amo alla follia e che non lascerei per nulla al mondo.”

“Un’affermazione piuttosto seria per qualcuno che hai conosciuto un paio di mesi fa.”

Justin grugnì al colmo della frustrazione. “Non che la cosa vi riguardi in alcun modo, ma io e Brian--”

“Brian?” Domandò Philippe con tono di scherno. “È così che si chiama?”

Chuck lo accompagnò con una risatina. “Che nome a dir poco banale. Scommetto che lui lo è altrettanto.”

Inaspettatamente, Justin rivolse loro un sorriso indecifrabile. “Oh, non ne avete idea.”

I due ragazzi si scambiarono uno sguardo palesemente scettico prima di tornare a fissare Justin. “Se lo dici tu…” Mormorò Chuck.

Amelia vide Justin aprire la bocca per ribattere qualcosa di sicuramente poco carino e lo anticipò. “Molto interessante.” Osservò con tono piatto. “Ci piacerebbe moltissimo proseguire la discussione, ma purtroppo dobbiamo andare da Vanessa.” Chuck e Philippe si voltarono verso la PR come se si fossero appena accorti della sua presenza.

“Amy ha ragione.” Justin prese per mano la sua amica e, senza neppure salutarli, superò i due ragazzi e si avviò giù per le scale.

“Finalmente!” Esclamò Vanessa con un sorriso quando lo vide varcare la soglia del suo ufficio; Amelia lo aveva salutato un attimo prima.

Justin salutò con un cenno della mano Vanessa e Steve, appollaiato come di consueto sul mobile alle spalle della ragazza.

“Allora che succede? Amy ha detto che volevi vedermi.”

Vanessa gli indicò la poltrona davanti a lei. “Volevo solo sapere come stavi. Da quando siamo tornati non c’è stato un attimo di pace e… Oh! Ti ho detto che il volo per Austin è confermato, vero?”

Steve, dietro di lei, roteò gli occhi. “Sì, Nes, gliel’hai già detto. Tre volte.”

“Bene. I preparativi per la mostra come vanno?”

Justin le sorrise. “Alla grande. Ho solo qualche problema con Hayley e, a questo proposito, volevo chiederti se oggi pomeriggio potevo rimanere qui con lei e darle una mano. La ragazzina è un fascio di nervi. Non ho nulla di programmato, giusto?”

Vanessa controllò sulla schermo del suo computer e scosse il capo. “No, nei prossimi cinque giorni sei libero come l’aria, poi devi presenziare alla mostra in Texas e infine c’è…”

“La mia grande serata.” Concluse Justin per lei con tono tutt’altro che eccitato. “Non vedo l’ora.”

Steve colse l’incertezza del suo amico, ma rimase in silenzio. Vanessa non fu altrettanto discreta. “Che diavolo hai? Dovresti essere al settimo cielo invece sembra che ti sia morto il gatto.”

“Nes…” Borbottò Steve, sperando di farla tacere. La ragazza continuò a fissare Justin con sguardo inquisitore.

Justin sospirò, accasciandosi contro lo schienale della poltroncina su cui era seduto. “Brian non potrà venire.”

“Chiama Daphne.” Suggerì lei con tranquillità. “O Molly, o Emmett, o tua madre o chiunque altro vuoi, basta che ti levi dalla faccia quell’espressione da cane bastonato!”

Steve scosse il capo e sospirò rassegnato. Era inutile con Vanessa. “Hai il tatto di un caterpillar, te l’hanno mai detto?”

“Chiudi il becco tu.”

Justin spostò lo sguardo dall’uno all’altro e sorrise. Nonostante tutto si sentiva dannatamente fortunato ad avere due amici come Steve e Vanessa. “Non è che non voglia avere qui la mia famiglia, è solo che per questa mostra avrei davvero voluto avere Brian.”

“Allora chiamalo. Digli di comportarsi da fidanzato decente per una volta nella sua vita e di mettere quel suo culo ossuto sul primo aereo. Non credo che lo ucciderà perdere due giorni di lavoro.”

Vanessa guardò il giovane uomo davanti a lei e, per la prima volta nella sua vita, esitò.

In cuor suo sapeva quanto Brian tenesse a Justin, quanto importante fosse per lui e quanto lo amasse; era una cosa assolutamente palese e bisognava essere ciechi, sordi e muti per non accorgersene, ma davvero non poteva evitarlo. Per quanto ammirasse la forza e la caparbietà con cui Brian e Justin combattevano per il loro amore e – perché no? – invidiasse a volte quel sentimento unico che li univa, lei non poteva non pensare che Brian sarebbe stato un idiota se non si fosse precipitato a New York per la grande serata del suo uomo.

“Non conosci Brian. E non conosci la sua azienda.” Justin sorrise orgoglioso. “La Kinnetic è nata dal nulla dopo che Brian aveva perso tutto quello che aveva ed ora, tre anni dopo, è l’agenzia più importante della città. Non chiederei mai a Brian di mollare tutto solo perché io soffro di ansia da prestazione.”

“Perché no?” Chiese Vanessa, stavolta senza alcuna malizia. Alle volte faticava davvero a comprendere il loro contorto rapporto.

“Perché Brian mollerebbe tutto e verrebbe qui. E perché, se le parti fossero invertite, lui non me lo chiederebbe mai.”

“E con ciò? Tu lo vuoi qui, sì o no?”

Justin alzò gli occhi, esasperato. “Certo che lo voglio qui, ma non vorrei mai che stare con me causasse danni alla carriera che si è faticosamente conquistato in questi anni.”

Vanessa si rilassò contro lo schienale e lo fissò ancora dubbiosa. “Se lo dici tu…”

“Lo dico io.” Confermò Justin sorridendo. “E adesso se non c’è altro, vorrei andare da Hayley prima che si anneghi nel lavandino dello studio.”

Steve ridacchiò. “Ne sarebbe capace.”

“Lo so.” Justin si alzò e si diresse verso l’uscita. “Nes.” La richiamò prima di chiudere la porta. “Io sto bene, smettila di preoccuparti. Il bello di vivere da solo è non avere una madre apprensiva che ti alita sul collo. Tu mi togli tutto il divertimento.”

Vanessa gli lanciò un’occhiata assassina. “Io non sono apprensiva e di sicuro non alito sul collo di nessuno.”

“Ciao, Nes.” La salutò Justin chiudendo la porta. Vanessa scosse il capo contrariata.

“Justin ha ragione.” Sentenziò Steve alle sue spalle.

Vanessa girò la sedia su se stessa e si voltò a guardarlo. “Di che parli?”

“Della mammina ansiosa che è in te.”

“Vaffanculo, Whitman.”

“La verità brucia, eh?”

“Ma non hai niente da fare oggi oltre a darmi il tormento?”

Steve si strinse nelle spalle. “No.”

“Allora te lo trovo io qualcosa per impegnare il tuo tempo.” Il ragazzo inarcò sospettoso un sopracciglio. “Mettiti al computer e trovami un numero di telefono.”

“Il numero di chi?” Domandò Steve scendendo dal mobile.

Vanessa sorrise, riportando lo sguardo sulla sua agenda aperta davanti a lei. “Agenzia pubblicitaria Kinnetic di proprietà del signor Brian Kinney.” Steve la guardò dapprima sorpreso poi le rivolse un sorriso sornione. “E non guardarmi così. Se Justin è felice, io faccio più soldi.”

“Certo.” Si affrettò a confermare Steve, il sorrisetto irritante non sparì mai dalle sue labbra. “È solo una questione d’affari.”

“Ovviamente.” Vanessa incrociò le braccia al petto e inclinò il capo da un lato. “Beh? Che fai ancora qui?”

“Sto pensando a cosa direbbero gli altri se sapessero che la terribile Vanessa Austen è una tenerona.”

“Steve, hai tre secondi per sparire dalla mia vista…”

“V, ti ricordo che stai parlando con me.” Steve posò le mani sulla scrivania e si sporse verso di lei con un sorriso. “I suoi segreti sono al sicuro con me, signorina.”

Vanessa roteò gli occhi. “Non c’è nessuno segreto.” Ribatté prontamente lei, posando i gomiti sul mogano scuro e imitando il gesto di Steve. “E sai che odio quando mi chiami V.”

Steve sollevò un angolo della bocca. “Bugiarda.” La vide inarcare un sopracciglio con fare irritato e il ghignò si fece ancora più esteso.

“Ciao, Steve.” Lo liquidò senza però muoversi di un centimetro.

Steve sfregò il naso contro quello di Vanessa e si raddrizzò. “Vado, vado. Sappi comunque che non mi freghi, Austen.”

“Non so di che diavolo tu stia parlando.”

Il ragazzo le mandò un bacio al volo prima di sparire dietro la porta.

Una volta rimasta sola, Vanessa si concesse di sorridere.

 

 

 

 

 

Brian sorseggiò la sua birra e alzò gli occhi al cielo per la millesima volta. “Che cosa ho fatto per meritarmi questo?”

Emmett, seduto alla sua sinistra, lo guardò male. “Sei il solito insensibile. Non vedi che Michael sta soffrendo?”

“Io non sto soffrendo!” Ribatté Michael accalorandosi e allo stesso tempo sforzandosi per tenere il tono di voce più basso possibile. “Io sono solo--”

“Incazzato nero?” Suggerì il suo migliore amico.

Michael sbuffò dal naso. “A dir poco.”

“Hai chiesto spiegazioni a Ben?” Domandò Ted seduto accanto a lui.

“E che avrei dovuto dirgli? Che ho origliato una conversazione privata tra due suoi amici e ho capito che mi mente da mesi?”

“Credi che…” Emmett lanciò un’occhiata a Ben e Hank che chiacchieravano tranquillamente, in piedi davanti alle rispettive piste da bowling “… che ci sia qualcosa tra loro?”

Michael abbassò lo sguardo a terra. “Non lo so.”

“E allora va’ a chiederglielo e smettila di piagnucolare. Mi stai facendo ammosciare.”

Ted ed Emmett lanciarono a Brian un’occhiata di rimprovero. “Non tocca a te?” Chiese il contabile.

Brian posò la birra con uno sbuffo scocciato e si diresse verso la sua pista. Realizzò due strike prima di avviarsi verso il bar e ordinare un’altra birra.

“Stronzo…” Borbottò Emmett tra i denti.

“E invece ha ragione.” Sentenziò Michael con un fil di voce. “Dovrei parlare con Ben e chiarire una volta per tutte.”

“Perché non l’hai fatto?” Gli domandò Ted.

Il suo amico si strinse nelle spalle. “Perché ora come ora sono davvero furioso e sono sicuro che potrei dire qualcosa di cui finirò per pentirmi.”

“E credi che continuare a stare seduto qui a borbottare come una vecchia zitella aiuterà il tuo matrimonio?”

Emmett schiaffeggiò con forza il braccio di Brian non appena questi tornò a sedersi accanto a lui. “Certo che come amico fai davvero schifo.” Si lamentò.

Brian lo liquidò con una scrollata di spalle. “E la novità quale sarebbe?”

“Ehi, ragazzi.” John li raggiunse con un sorriso allegro. “Michael, non mi avevi detto che Ben e Hank erano così bravi! Fortuna che con noi c’è Brian altrimenti avremmo già dichiarato sconfitta da un pezzo!” Spostò lo sguardo sui due amici. “Se non sapessi nulla di loro, li scambierei per una coppia.”

Michael grugnì contrariato prima di afferrare con uno scatto nervoso la sua bottiglia e incamminarsi verso il bar pestando forte i piedi. Ted e Brian si scambiarono una lunga occhiata.

“Ho detto qualcosa che non va?”

Emmett sorrise al suo amico e gli accarezzò affettuosamente un braccio. “Non è colpa tua, John. Michael stasera è…”

“In piena crisi premestruale?” Suggerì Brian, voltando il capo verso un gruppo di giocatori poco lontano.

“Nervoso.” Lo corresse Emmett. “Ma tu non c’entri nulla.”

“Oh.” John annuì. “Mi dispiace, se posso fare qualcosa.”

“Ti ringrazio, ma io, Ted e Brian ci stiamo già lavorando.”

Brian sbuffò. “Io non lavoro proprio su niente con te e Theodore, ho una reputazione da difendere. E a tale proposito…” Gettò malamente la birra nelle mani del povero Ted che la afferrò appena in tempo e si avviò con passo elegante verso un tipo dai capelli bruni.

“Non ci posso credere.” Borbottò Ted. “E pensare che abbiamo rinunciato ad andare al Babylon per evitare di assistere a scene del genere.” In lontananza, Brian e lo sconosciuto imboccarono il corridoio che portava alle toilette.

John aggrottò la fronte visibilmente confuso. “Credevo che Brian stesse con Justin.”

Emmett e Ted si scambiarono un sorriso divertito. “Ed è così infatti.” Lo rassicurò il più giovane.

“E allora che…?” L’uomo indicò il bagno non sapendo come finire la frase.

“Brian e Justin non sono monogami.” Spiegò Ted. “Non lo sono mai stati in realtà.”

John spalancò gli occhi. “Davvero? E non sono gelosi? Io non vorrei mai che il mio ragazzo facesse sesso con qualcuno che non sono io.”

Emmett inarcò un sopracciglio e guardò Ted con espressione a metà fra il sorpreso e il compiaciuto. Sentito, Teddy? Ha detto ‘ragazzo’…

Ted lo ignorò. “Brian e Justin sono un po’… particolari. Lo imparerai col tempo.”

“Per loro gli altri non contano.” Chiarì Emmett. “È solo sesso, mentre quando loro stanno insieme…” Sorrise con aria sognante. “Beh, l’hai visto, no? Brian diventa quasi sopportabile.”

John ridacchiò. “Non ho mai visto una cosa del genere, lo giuro.”

“Se solo sapessi quanto ha faticato il povero Justin per arrivare dove sono adesso!” Emmett scosse il capo, ripensando a tutto quello contro cui Justin aveva dovuto combattere per conquistare il cuore di Brian. “Credo che per loro sia la situazione ideale. Almeno per il momento.”

“Per il momento?” Ted guardò il suo miglior amico come se fosse pazzo. “Ti ricordo che stai parlando di Brian e Justin.”

“Ed io ti ricordo che stai parlando con la persona che ha impiegato circa cinque secondi a capire che il mio tesoro avrebbe steso Mister L’amore non esiste soltanto sbattendo le sue lunghe ciglia e mettendo in mostra i suoi occhioni blu.”

Ted scosse il capo. “Sei sempre troppo romantico, Em.”

“E tu troppo pessimista, Teddy.” Indicò Michael che stava in piedi accanto a suo marito. “Tocca a te.”

Il contabile si alzò con un sospirò e si avviò verso i suoi amici.

“Tu e Ted siete davvero uno spasso.” Osservò John con un sorriso.

Emmett lo guardò sollevando le sopracciglia. “Tu dici?”

Il bel cuoco annuì. “Sembrate una vecchia coppia di sposi. Avete mai pensato di mettervi insieme?”

Emmett abbozzò un sorriso e annuì. “Una volta. Non è finita bene e ci è quasi costata la nostra amicizia. Da quel momento abbiamo deciso che funzioniamo meglio come amici che come amanti.”

“Una saggia decisione.” Concordò John. “Un’amicizia è mille volte più preziosa di una storia d’amore.”

Emmett riportò lo sguardo sui suoi amici immersi in un’animata discussione sull’ultimo tiro di Michael e, suo malgrado, fu costretto a dare ragione a John.

Quando lui e Ted si erano lasciati, non aveva perso solo il suo fidanzato. Ciò che davvero lo aveva distrutto era stato non poter correre da Teddy, il suo migliore amico, per farsi consolare. Certo aveva pur sempre Michael, e Justin, e – alzò gli occhi al cielo e scosse il capo, incredulo lui per primo – Brian, ma con Ted aveva sempre avuto un rapporto speciale. Inutile dire che era stato felicissimo di riaverlo nella sua vita.

E adesso, anni dopo, eccolo di nuovo allo stesso bivio.

Sarebbe stato pronto a rivivere la stessa situazione con John?

Loro erano diventati molto intimi negli ultimi mesi, erano amici, confidenti, partner sul lavoro e John era ormai entrato a far parte a pieno titolo della loro strampalata famiglia così come avevano fatto Justin, Blake e Ben prima di lui.

Sarebbe stato in grado di superare i limiti che la loro amicizia aveva posto per imbarcarsi in qualcosa di più serio? Avrebbe avuto il coraggio di confessare a John i proprio sentimenti conscio del fatto che il suo amico avrebbe potuto benissimo essere più etero di George Bush? Senza contare che, se le cose fossero andate male, avrebbe perso uno splendido amico e un ottimo collega.

Sospirò piano tra sé e scosse il capo come per scacciare dalla testa quei complicati interrogativi.

Aveva ragione Brian quando diceva che scoparsi un amico portava sempre guai. Oh, davvero fantastico… Adesso inizio anche a pensare come Brian… Quando torno a casa, mi toccherà fare un bagno ai frutti esotici e miele di acacia per depurare la mia pelle dalla sua pericolosa vicinanza…

“Em?” La voce di John lo fece sobbalzare. “Tutto okay? Hai una faccia strana.”

Emmett gli rivolse un sorriso gentile. “Stavo pensando al lungo bagno che farò più tardi.”

John lo guardò con espressione confusa e l’ombra di un sorriso. “Sei davvero strano, Emmett Honeycutt.”

“Spero in senso buono.”

“Assolutamente sì.”

Emmett gli sfiorò piano il dorso della mano; con un sussulto al cuore, vide che John non si sottrasse. Sorrise tra sé. “Allora come va con tuo fratello? Cos’hai deciso in merito?”

John prese un bel respiro e abbassò gli occhi a terra. “Ho iniziato a cercarlo, Em.” Emmett portò immediatamente lo sguardo su di lui. “So che sarà una cosa difficile, ma devo provarci.”

Emmett annuì. “Cos’è che sarà difficile?” Chiese dopo un attimo di silenzio. “Trovarlo o affrontarlo?”

John abbozzò un sorriso timido. Avrebbe dovuto aspettarsi che Emmett captasse la sua esitazione; aveva capito fin dall’inizio quanto il suo amico fosse perspicace ed intuitivo. “Entrambe?” Tentò.

Emmett rise. “Sei tu che devi dirmelo.”

“Entrambe.” Ripeté di nuovo John, stavolta più convinto. “Ho il terrore di non trovarlo e rimanere per sempre col dubbio chiedendomi E se? e allo stesso tempo temo la possibilità di riuscire a farlo e che lui non mi voglia nella sua vita. Che farei se mi dicesse di sparire?”

“Non lo farebbe mai.”

“Ne avrebbe tutte le ragioni, comunque.”

Emmett lo guardò male. “Adesso sei tu quello pessimista. Ho mandato via Teddy perché offuscava la mia scintillante aura, vuoi che faccia lo stesso con te?”

John sorrise e scosse il capo. “Non vorrei mai appannare la tua fiamma splendente.”

“Bene perché non tutti i gay di Pittsburgh possono vantarne una tanto meravigliosa.”

“Ah, su questo sono d’accordo.” John coprì la mano di Emmett con la sua e gli sorrise con calore. “Sono stato fortunato ad incontrarti.” Il suo amico arrossì vistosamente. “Sei davvero un amico speciale, Emmett.”

Emmett ricambiò il sorriso prima di riportare lo sguardo sul resto del gruppo. Quando John ritrasse la mano, si sentì improvvisamente esposto, vulnerabile.

Fingendosi concentrato sul gioco, cercò con tutte le sue forze di non pensare a quanto le dita di John s’incastrassero perfettamente alle sue.

 

 

 

 

 

Michael s’irrigidì quando avvertì due braccia cingerlo da dietro. “Rilassati, Mikey.” Gli sussurrò il suo migliore amico all’orecchio. “Se continui così ti perforerai un’ulcera.”

“Vaffanculo.” Sibilò l’altro in risposta, cercando di divincolarsi. Brian lo strinse più forte. “Sei venuto a darmi qualche altro brillante consiglio sulla mia vita matrimoniale?”

Brian sorrise posando la guancia contro la sua. “Oh, venuto sono venuto. Nel bagno di questo squallido posto. Due volte.”

Michael emise un verso di disgusto. “Ti prego, i particolari risparmiali per il tuo fidanzato.”

Brian ridacchiò. “Ne ho tutte le intenzioni.” Strinse di più la presa sulle spalle di Michael e gli baciò una guancia. “Michael, dovresti davvero parlargli.”

Il suo amico abbassò lo sguardo a terra. “Non credo di farcela.”

“Perché no?”

“Un conto è sospettare che tuo marito ti tradisca, un conto è sapere che ti ha mentito deliberatamente e che continua a farlo da mesi.”

“Magari ha una buona ragione.”

“Che sarebbe?”

Brian alzò le spalle. “Che avresti fatto se avessi saputo fin dall’inizio che Hank era il suo ex? Lo avresti accolto in casa, permesso che Ben ci lavorasse insieme e presentato a tutti i tuoi amici?”

“Certo che no.”

“Allora hai la tua risposta. Forse Ben l’ha fatto per proteggerti, sa come sei fatto, sa che sei insicuro e non voleva che tu ti sentissi in competizione con Hank.”

Michael sbuffò. “Come se potessi mai competere con uno così.”

“Io trovo che tu sia molto più sexy di quell’ammasso di muscoli.” Sorrise quando vide il suo amico fare lo stesso.

“Questo perché tu sei il mio migliore amico.”

“L’unico e solo.”

Michael posò le mani sulle braccia che Brian teneva strette attorno al suo collo. “Tu che faresti al posto mio?”

“A quest’ora Justin avrebbe l’impronta delle mie scarpe stampata sul suo bel di dietro.” Rispose di getto, pentendosi un attimo dopo. Dannazione, lui non era mica uno di quei fidanzati gelosi che si vedono nei telefilm!

“Non ci riusciresti mai. Ti piace troppo quel culo grosso che ha.” Lo prese in giro. Lui per primo aveva buttato un occhio una volta o due sul sedere di cui Justin andava tanto fiero. Inutile negare che fosse perfetto, ma non era saggio dirlo a Brian. Il suo ego era già spropositatamente grande.

“Ah, il mio punto debole.”

“E non è l’unico quando si parla di Justin.”

Brian si strinse nelle spalle senza riuscire a trattenere un sorrisino.

“Quindi?” Lo incalzò Michael. “Che faresti se ti trovassi nella mia situazione?”

Brian lo strinse di più a sé, coprendo le sue mani con le proprie. “Sbattilo fuori da casa vostra. Quel viscido ha già approfittato abbastanza della tua ospitalità.”

“E a Ben che dico?”

“Credo che sia arrivato il momento di parlare con la dolce metà, stavolta sul serio.”

Michael annuì. “Ho paura, Brian.”

“Lo so, ma ci sono sempre io, no? Chiamami se devo prenderlo a calci.”

“Ben o Hank?”

“Ben, Hank, tutti e due.”

Michael scoppiò a ridere. “Brian, ti rendi conto che non siamo più al liceo?”

“E allora? Questo non vuol dire che non possa prendermi cura di te.”

Michael strizzò la sua mano nella propria. “Ti voglio bene, Brian.”

Brian inclinò il capo e gli baciò una guancia. “Anche io, Mikey. Anche io.”

 

 

 

 

 

Justin si svegliò di soprassalto, scattando a sedere nel letto.

Rabbrividì, ripensando a ciò che aveva appena sognato: nel suo incubo, Chuck e Philippe l’avevano rapito e portato su una sperduta isola deserta per allontanarlo da Brian e riuscire finalmente a sposarlo; i due artisti avevano inoltre deciso che Justin sarebbe stato loro marito a giorni alterni. Si era svegliato un attimo prima che pronunciasse il fatidico “Lo voglio”.

Alla cieca, cercò il cellulare che sapeva di aver gettato sul comodino un paio di ore prima quando era crollato a letto esausto. Ancora con gli occhi mezzi chiusi dal sonno, premette il numero uno sulla tastiera del telefono. Dall’altro capo risposero al terzo squillo.

“Mi dispiace di averti svegliato o di aver interrotto qualunque cosa tu stessi facendo.” Sorrise quando Brian non confermò, né smentì continuando a rimanere in silenzio. “Volevo solo dirti che ti amo. E che mi manchi da morire.” Sorrise nell’oscurità della camera e pensò a cosa avrebbe fatto in quel momento se Brian fosse stato dall’altra parte della città invece che in un altro Stato. “Buonanotte.” Riattaccò prima ancora che il suo fidanzato avesse il tempo di dire nulla.

Posò di nuovo il cellulare sul comodino e tornò a sdraiarsi comodamente contro i cuscini. Un minuto dopo, lo schermo del telefono s’illuminò segnalando un nuovo messaggio. Lo aprì con un sorriso ebete stampato in faccia.

 

 

Riposati bene stanotte perché domani sera mi aspetto del sensazionale sesso telefonico. Hai interrotto davvero un bellissimo sogno: ti dico solo che eravamo io, Marlon Brando e James Dean.

 

 

Justin scoppiò in una fragorosa risata. Non vedeva l’ora di mettere in pratica il sogno di Brian. Qualcosa gli diceva che ci sarebbero stati dei risvolti interessanti. 

 

 

 

 

 

 

Ta-ta-ta-dah! E anche Michael finalmente è arrivato a scoprire la magagna su Ben e Hank! Devo dire che mentre scrivevo provavo anche un po’ di pena per il poveraccio… E ora che farà? Come reagirà alla bugia di Ben? Parlerà con lui come consigliato da Emmett e Ted o caccerà a pedate Hank seguendo il suggerimento (assennatissimo) del suo migliore amico?

Blake è tornato finalmente in quel di Pittsburgh e anche per Em e John le cose sembrano volgere al meglio. Voi dite che durerà?

E infine sono riuscita finalmente a presentare gli altri amici di Justin! Prima la piccola Hayley, poi Amelia e infine Chuck e Philippe… Che ne pensate di loro? Erano mesi che dovevo inserirli! E poi i soliti Vanessa e Steve che provano ad essere delle perfette fate madrine per Justin.

I nostri Britin hanno avuto pochissimo spazio, ma prometto che mi farò perdonare! E infatti indovinate chi avrà un intero capitolo solo per loro? Forza, si accettano scommesse!

Via al toto-coppia!

Nel frattempo, ringrazio tutti quelli che sono ancora qui, ad aspettare pazientemente i miei aggiornamenti (non so come abbiate fatto a non uccidermi ancora!) e un abbraccio speciale a Court, elysenda, Giulia_TH, Daphne90, Galerose, margotespooky, mindyxx ed EmmaAlicia79! Siete splendide come sempre!! 

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Capitolo 24
*** New York City Boys ***


Ed eccoci qua col nuovo capitolo! Piccola premessa prima di iniziare: potrei aver sforato leggermente col rating dato che questo, secondo me, tende più al rosso che all’arancione. Siete avvertite! Non voglio sentire lamentele poi, eh! :D
 



24. New York City Boys
 
 

 
 
 
Le labbra di Brian gli sfiorarono la pelle del collo facendolo rabbrividire prima di scendere più in basso, verso la spalla; le mani rimasero strette attorno ai suoi fianchi, le dita impegnate a giocherellare con l’elastico dei boxer.
“Era a questo che pensavi a New York?” Gli sussurrò all’orecchio la voce sexy del suo compagno. “A come ti avrei scopato, ancora e ancora e ancora, quando saresti finalmente tornato a casa?”
Justin piegò la testa all’indietro e gli sfiorò la mascella con le labbra, prima di ricoprire il collo di baci umidi. “Sì.” Ansimò. “Solo a questo. Solo a te.”
“Sono onorato, Sunshine.” Ridacchiò Brian. “È mai possibile che tu non abbia trovato nessuno alla mia altezza nella Grande mela?”
“Nessuno.” Ribatté prontamente Justin. “Mai.”
Brian spinse l’inguine contro il sedere di Justin e trattenne il respiro quando la stoffa dei suoi pantaloni sfregò contro i boxer del ragazzo. Lo sentì gemere forte e sorrise, posando un altro bacio contro la sua scapola. Spinse con vigore Justin contro il pilastro di ferro al centro del loft e…
 
 
 
“I was born to make you happy, ‘cause you’re the only one within my heart, I was born to make you happy…”
Justin spalancò gli occhi e scattò a sedere nel letto, svegliato dall’orrenda suoneria che qualcuno si era divertito a scaricare sul suo cellulare. “Questa me la paghi, Hales…” Sibilò a denti stretti, cercando a tentoni il telefono perduto.
“I was born to make you happy, always and forever you and me, that’s the way our life should be…*”
Gettò per aria tutti i cuscini e finalmente, dopo l’ennesimo, disgustoso ritornello, lo trovò. “Pronto?” Rispose senza fiato.
“Dove sei?” Domandò dall’altro capo Brian con una nota di incertezza nella voce.
Justin grugnì, crollando di nuovo sul groviglio di cuscini, coperte e vestiti spiegazzati che costituiva il suo letto. “Nel mio appartamento. E avrei davvero preferito non essere interrotto.”
Brian esitò per un istante, rimanendo con la chiave della porta a mezz’aria, perplesso sul da farsi. “Sei impegnato?”
Justin si girò sulla pancia e affondò il viso nel suo cuscino. “Fino ad un attimo fa, sì.”
“Non credo di aver capito.”
“Stavo facendo un bel sogno.”
“Tutto qui? Metti il broncio come un bambino di tre anni perché ho interrotto il tuo dannato sogno?”
“C’eri anche tu in quel sogno!” Si difese Justin imbarazzato. “E sono sei fottute settimane che non facciamo sesso, quindi scusami se speravo di riuscirci almeno lì!”
Brian sgranò gli occhi sorpreso. “Oh.”
Justin sbuffò. “Avanti dillo, sono patetico.”
“Solo un pochino, Sunshine.”
“Vaffanculo.” Il ragazzo sollevò appena la testa e guardò l’orologio. “Come mai chiami a quest’ora? È giovedì sera, non dovresti essere ancora in ufficio a sgridare poveri dipendenti indifesi?”
Brian sistemò meglio il borsone sulla spalla e tentò di nuovo di infilare la chiave nella toppa. “Sono le dieci. Credi davvero che terrei i miei impiegati fino a quest’ora?”
“Come se non fosse mai successo.”
“Sì, ma poi devo sentirli borbottare di straordinari, orari da schiavista e denunce ai sindacati dei lavoratori. Mi conviene mandarli a casa ad orari decenti.”
Justin ridacchiò. “Come sei diventato saggio. Tutto merito dell’età che avanza?”
“E andiamo, cazzo…” Mugugnò Brian tra sé continuando ad armeggiare con la chiave. “Io potrò anche essere più vecchio, ma di sicuro il più idiota tra noi sei tu, Sunshine.”
Justin schioccò la lingua irritato, raggomitolandosi nelle coperte. “Tu sogni, Brian.”
“Sicuro? Eppure mi sembra di ricordare di non averti mai dato la copia sbagliata delle chiavi del loft.”
“E questo che c’entra?” Domandò il ragazzo confuso.
“C’entra perché ti assicuro che le chiavi del tuo appartamento che mi hai dato prima di partire di sicuro non sono giuste.”
Justin alzò gli occhi al cielo. “Certo che sono giuste. Per chi mi hai preso?”
“Per un imbecille, ovviamente.”
“Brian, le chiavi vanno benissimo.”
“Okay, e allora com’è che non entrano nella serratura?” Brian si arrese e gettò il borsone a terra, riponendo le chiavi in tasca.
Justin scattò a sedere all’istante, gli occhi sgranati e il cuore che batteva a mille. “Dove… dove sei precisamente?” Chiese timoroso.
“Secondo te, genio? Forza, alza il culo dal letto e vieni ad aprirmi.” Gettò una rapida occhiata alle sue spalle e abbassò la voce. “Credo che la tua vicina stia per chiamare la pol--”
La porta dell’appartamento si aprì di scatto e Brian ebbe a malapena il tempo di aggrapparsi allo stipite della porta per non cadere prima che Justin si gettasse tra le sue braccia. “Sei qui!” Esclamò esultante. “Sei qui! A New York!”
“Così dice il biglietto aereo.” Fece Brian con tono annoiato, nascondendo tra i capelli di Justin il sorriso radioso che si allargava sul suo viso. Dio, se gli era mancato quel dannato ragazzino…
“Non posso crederci!” Justin si staccò da lui e si alzò sulle punte per baciarlo. Brian non si fece pregare; lo spinse senza tanti complimenti contro il muro e si avventò sulle sue labbra. Finalmente…
Justin gli circondò il collo con le braccia, tirandolo per i capelli. “Mi sei… mancato… così… tanto…” Sussurrò tra un bacio e l’altro.
La mano di Brian scivolò dalla maglietta slargata di Justin ai pantaloni del pigiama, arpionandosi al suo sedere. “E a me è mancato lui.” Confessò, strizzando le natiche.
Justin lo guardò negli occhi per un istante, studiando avidamente ogni particolare del volto di Brian, ogni centimetro di pelle di cui aveva sentito la mancanza, e scoppiò a ridere. Nascose il viso contro la maglietta leggera del suo fidanzato e ispirò a fondo, riempiendosi i polmoni di quell’odore unico di colonia, sigarette e bagnoschiuma firmato che era Brian, il suo Brian, il suo dannatissimo e testardissimo fidanzato.
Che adesso era lì, sulla soglia del suo appartamento.
A New York.
“Ehi, tutto bene?” Gli domandò Brian, tirandolo indietro per le spalle. “Non dirmi che è bastato quel misero bacetto a lasciarti senza fiato.”
Justin lo baciò di nuovo, di slancio, prendendogli il viso tra le mani e schiacciandosi contro il suo corpo muscoloso. “Tu mi lasci senza fiato.”
“Non sarebbe la prima volta.”
“E adesso sei qui.” Justin gli sorrise posando la fronte contro la sua, ancora chiaramente incredulo. “Davvero qui.”
Brian lo abbracciò così forte da fargli scricchiolare le ossa. “Solo per il weekend.” Purtroppo.
“Ce lo faremo bastare.”
“Certo che sì.” L’uomo sospirò prima di staccarsi finalmente da lui. “Hai intenzione di farmi entrare e mostrarmi la tua umile dimora o progetti di farmi rimanere qui fuori?”
Justin gli sorrise radioso prima di gettargli le braccia al collo e circondargli la vita con le gambe. “Andiamo.”
Brian alzò gli occhi al cielo. “Guarda che sono io quello che ha viaggiato. Se fossi un bravo fidanzato, prenderesti il mio bagaglio senza costringermi a scarrozzare in giro il tuo enorme culo.”
“Di là.” Lo informò Justin, ignorando le sue lamentele e chiudendo la porta con un piede. “Ecco, lascia qui il borsone.” Sciolse le gambe, liberando Brian. “La camera è da quella parte.” Lo prese per mano tirandolo in direzione del letto, ma si voltò con un sopracciglio inarcato quando Brian fece resistenza.
“Ehi, niente tour della casa? Dove sono finite le buone maniere?”
Justin si aggrappò di nuovo a lui e lo baciò appassionato. Si staccò senza più fiato. “Cucina, dietro di te.” Bacio sul naso. “Salotto, ci stiamo in mezzo.” Bacio sulla guancia. “Studio, a destra.” Bacio sulla mascella. “Bagno, in fondo a sinistra.” Bacio sul collo.
Brian tirò indietro la testa per lasciargli più libertà di movimento. “Manca la camera da letto.” Gli fece notare. Percepì Justin sorridere contro la sua pelle.
“Di qua, signor Kinney.” Si staccò da lui e lo prese per mano, trascinandolo verso il letto sfatto.
“Molto folkrostico.” Osservò caustico Brian davanti al groviglio di coperte. Justin emise solo un verso di assenso, impegnato a sbottonargli i pantaloni. “È così che diventava anche il mio letto ogni volta che andavo fuori città per lavoro?”
Justin gli sfilò la maglietta e la gettò a terra, chinandosi per baciargli il petto, il collo, l’addome. “Il più delle volte.” S’inginocchiò davanti a lui e finì di slacciare i jeans scuri.
Brian lo fermò prima che potesse farli scendere lungo le gambe; gli bloccò i polsi in una presa ferrea e lo spinse a rialzarsi. Rilasciò le mani e, con un movimento fulmineo, gli sfilò la maglietta bianca, gettandola accanto alla sua. Justin sospirò rilassato quando lui si avventò sul suo collo liscio, le mani che vagavano impazzite tra la pancia, i fianchi e la schiena.
“Voglio fare un esperimento.” Mormorò contro la sua mandibola. Spinse Justin sul materasso e si stese sopra di lui, la mano corse rapida al cavallo dei pantaloni.
Justin s’inarcò quando sentì le sue dita massaggiare con vigore la sua erezione attraverso la stoffa. “Brian, lascia stare i giochetti.”
“Ma a te piacciono i giochetti, Sunshine.”
Justin sorrise. Era vero, e Brian lo sapeva. “Che hai in mente?”
“Voglio vedere se riesco a farti venire anche così.”
Justin gli passò una mano tra i capelli, scompigliandoli in maniera comica, ma Brian sembrò non notarlo. Con le labbra ben fisse sul suo collo e la mano che lo strofinava sadicamente su e giù, i suoi capelli era l’ultimo dei sui pensieri.
“Scommetto che era questo a cui pensavi quando parlavi al telefono con me.”
Brian sfregò con più forza, sentendo l’erezione farsi più dura. Justin si morse un labbro, curvando la schiena verso il suo tocco; riuscì solo ad assentire col capo, rilasciando una specie di verso lamentoso.
“Scommetto che sognavi di essere al loft, nel nostro letto--”
“Anche Britin è un’ottima location per i miei sogni a luci rosse.” Suggerì Justin, continuando a muoversi sinuoso contro la mano di Brian.
“Ne sono certo.” Brian sorrise, mordicchiandogli l’orecchio. “E come proseguivano questi sogni?”
Justin sollevò un angolo della bocca e coprì la mano di Brian con la sua, premendo più forte. Le dita si intrecciarono sopra i pantaloni di felpa. “Con te che mi scopavi fino allo sfinimento. Finché non diventavo cenere.”
“Quello sì che sarebbe un peccato, Sunshine.” Brian lo baciò sulle labbra piene e gli accarezzò la lingua con la propria. “Hai così tanto…” A sorpresa, rimosse la mano di Justin e afferrò di nuovo l’erezione, strizzandola con vigore tra le dita “… talento.”
Justin venne con un gemito strozzato, reclinando il capo contro i cuscini. “Esperimento riuscito, professore.” Sentì Brian ridacchiare, chiaramente soddisfatto di sé, e non poté fare a meno di sorridere. “Adesso però è il mio turno.”
Posò la mano sul petto di Brian e ribaltò le posizioni senza incontrare alcuna resistenza. “Vediamo quanto sono bravo io.”
Brian inarcò un sopracciglio con fare minaccioso. “Justin, questi pantaloni costano più di questo appartamento.”
Justin si chinò per baciarlo, insinuando la mano tra i loro corpi e prendendo a massaggiare l’eccitazione di Brian. “Scommetti che impiego metà del tempo?”
Brian socchiuse la bocca, piegando la testa all’indietro e lasciò che Justin si divertisse come lui aveva fatto fino ad un attimo prima.
Alla fine fu costretto a riconoscergli il merito della sua affermazione. Justin era indiscutibilmente abile nel fargli perdere il controllo: impiegò molto meno tempo di Brian.
Quando entrambi furono di nuovo in possesso della facoltà di pensiero, si spogliarono con impazienza prima di sdraiarsi di nuovo a letto, decisi a recuperare il tempo perduto.
Fu soltanto dopo un paio di round che crollarono esausti uno accanto all’altro. Nel momento che oscilla tra sonno e dormiveglia, si scambiarono languidi baci e tenere carezze – carezze che Brian avrebbe negato di aver dispensato il mattino seguente –, prima di sparire nelle braccia dell’altro.
Justin gli accarezzò il volto, sfiorando la pelle liscia di Brian e guardandolo con devozione e amore. Da Brian ricevette lo stesso trattamento.
“Non posso credere che tu sia davvero qui.”
Brian gli baciò la punta del naso, accarezzandogli i capelli madidi di sudore. “Credici perché domani ci aspetta lo shopping nella Grande Mela.” Sussurrò vittorioso Brian, passandogli un braccio attorno alla vita e attirandolo contro il suo petto.
“Su questo ne dobbiamo discutere.” Ribatté il ragazzo soffocando uno sbadiglio.
“Ne discutiamo domani.”
“Ne discutiamo domani.” Confermò Justin con un sorriso. Si addormentò con un pensiero nella testa: il giorno seguente, Brian sarebbe stato lì con lui.
 
 
 
 
 
Justin allungò una mano alla sua destra e grugnì infastidito quando trovò il letto vuoto. Vuoto e freddo.
Spalancò gli occhi e cercò i vestiti di Brian in giro per la camera, terrorizzato all’idea di aver sognato tutto, ancora una volta. Quando la maglia del suo fidanzato, perfettamente piegata, fece capolino dal fondo del letto, tornò a respirare normalmente. Si rigirò nel letto e affondò il viso nel cuscino di Brian. Sorrise tra sé.
Uno scrosciare d’acqua lo costrinse ad aprire di nuovo gli occhi. Sempre sorridendo – ormai aveva capito che era inutile provare a smettere di farlo –, si diresse verso il bagno, poggiandosi contro lo stipite della porta aperta. Sospirò affascinato davanti alla visione più bella dell’ultimo mese e mezzo: Brian era immerso nella vasca, le braccia stese lungo il bordo di ceramica e il viso reclinato all’indietro. Le labbra socchiuse, i lineamenti rilassati e i capelli umidi gli conferivano l’aspetto di una di quelle divinità dell’antica Grecia che si vedevano sui libri di scuola, divinità ammirate e invidiate dai mortali per la loro perfezione e la loro bellezza ineguagliabile.
Ho visto il volto di Dio. Il suo nome è Brian Kinney.
Ripensò con un sorriso nostalgico alla prima volta che aveva paragonato Brian a un dio. Mai parole erano state più azzeccate.
“Qualcuno si è alzato presto stamattina.” Mormorò Justin con voce ancora arrochita dal sonno.
Brian abbozzò un sorriso, gli occhi ancora chiusi. “Qualcosa si è decisamente alzato presto stamattina, ma dato che tu sembravi perso nel mondo dei sogni mi sono trovato qualcosa da fare.”
Justin vide la mano dell’uomo scivolare lungo la superficie bianca prima di sparire sotto il pelo dell’acqua all’altezza del suo inguine. Si umettò le labbra quando Brian si inarcò leggermente gemendo piano. “Ti va di unirti a me?” Gli chiese con voce eccitata.
Justin non se lo fece ripetere; in un attimo, coprì la distanza che lo separava dalla vasca e ci entrò dentro, sedendosi a cavalcioni sul corpo di Brian e allontanando con delicatezza la mano che, come aveva immaginato, stringeva la sua erezione. “Questa non serve più.” Disse risoluto, baciando con dolcezza le dita una ad una. “Ci sono io adesso.”
Brian s’inarcò di nuovo, stavolta con più decisione, e un gemito sfuggì dalle sue labbra quando Justin posizionò il suo sedere il direzione della sua eccitazione, senza però che questa scivolasse dentro di lui. “Justin…” Lo rimproverò Brian.
“Chiudi il becco.” Lo rimbrottò Justin e si chinò verso di lui per baciarlo. “Non ho preservativi in bagno quindi o facciamo a modo mio o ci spostiamo in camera.”
Brian grugnì contrariato. “Io sto bene qui.”
“Anche io.” Concordò il ragazzo, passandogli lentamente la lingua sulle labbra prima di tornare a baciarlo. “Quindi lasciami fare e rilassati.”
Brian parve prenderla per buona perché reclinò di nuovo il capo e sospirò soddisfatto quando Justin iniziò a baciargli la mascella per poi scendere al collo; la mano di Brian salì invece sul petto di Justin arrivando a giocherellare col piercing. Con un movimento brusco, il ragazzo s’inarcò su di lui nel momento in cui Brian diede un piccolo strattone all’anellino d’acciaio. “Brian…” Sibilò in un gemito di piacere.
“Non trovo giusto che ti diverta solo--” Justin ondeggiò di nuovo e sorrise sadicamente, avvertendo l’erezione di Brian crescere contro il suo interno coscia. “Cazzo, ci sai fare, Sunshine…”
Il ragazzo gli posò le mani sulle braccia per avere maggiore leva e muoversi più liberamente. “Ho imparato dal migliore.”
“Tendo a scordarlo.”
“Grave errore, vecchiet--” Gemette forte quando Brian gli afferrò il sedere con entrambe le mani e lo strizzò con forza, sfiorando poi con la punta dell’indice la porzione di pelle tra le sue natiche; Justin si morse un labbro, chiudendo gli occhi, e sospirò pesantemente.
“Chi è il vecchietto adesso, ragazzino inesperto?” Lo stuzzicò Brian, cercando di mettersi seduto. Quando ci riuscì, chinò il viso per arrivare a baciare il collo di Justin e, contemporaneamente, penetrò Justin col dito, afferrando la sua erezione con la mano libera.
Justin gridò il suo nome, scosso da un brivido di piacere. “Dimmi, Justin.” Gli sussurrò all’orecchio, succhiandogli il lobo.
“Quanto sei stronzo…” Ansimò Justin, stringendosi di più a lui.
“Dovresti saperlo, Sunshine.”
Il ragazzo si avventò di nuovo a baciarlo e lo avvertì sorridere contro la sua bocca. “Cazzo, quanto mi sei mancato…”
Brian continuò a massaggiarlo con movimenti lenti e controllati, penetrandolo dolcemente, finché Justin non prese a gemere più forte; ad un passo dal piacere, Brian aumentò il ritmo facendogli raggiungere il culmine col suo nome che risuonò forte nelle sue orecchie. Esausto, Justin crollò tra le sue braccia, i capelli biondi che gli solleticavano la spalla e il piercing che premeva freddo contro il petto.
Brian attese qualche istante prima di parlare di nuovo. Gli piaceva stare lì, in quella vasca stretta e scomoda col peso del corpo di Justin che premeva contro il suo e il suo respiro affannato sulla pelle; amava l’odore che Justin emanava subito dopo essere venuto misto a quello del bagnoschiuma sciolto nella vasca, adorava stare in silenzio a sfiorargli la schiena liscia, le gambe muscolose e le braccia toniche ma non troppo grosse. Gli ricordava il Justin dei primi tempi, il ragazzino testardo e innamorato, quello inesperto e coraggioso, pronto ad accettare qualunque cattiveria venisse fuori dalle sue labbra.
Il fatto che quel ragazzino si fosse trasformato in quell’uomo forte, determinato e di successo che stringeva tra le braccia lo riempiva d’orgoglio.
Che cosa avrai mai fatto, Kinney, per meritare lui?
Il bacio che Justin posò sulla sua spalla gli impedì di darsi una risposta. Meglio così…pensò.
“Tutto okay?”
“Mai stato meglio.” Lo vide allungare una mano sotto l’acqua e, un attimo dopo, la vasca prese a svuotarsi. “Adesso è il mio turno, però.” Fece con tono malizioso.
Brian inarcò un sopracciglio quando Justin afferrò il flacone del bagnoschiuma e se ne versò un po’ sulle mani. “Che vuoi fare?”
Justin lo baciò. “Prendermi cura del mio fantastico fidanzato.”
Lo insaponò con cura e delicatezza, massaggiandogli le parti del corpo in cui Brian accumulava tutta la tensione delle sue stressanti giornate di lavoro: accarezzò le spalle, il collo e la nuca – Brian non poté fare altro che gemere di piacere quando percepì i muscoli rilassarsi uno dopo l’altro. Terminata la parte superiore, passò al torace, alle braccia e finalmente arrivò al suo obiettivo.
Brian si morse un labbro e sorrise. “Adesso capisco perché hai svuotato la vasca.” Osservò quando la lingua di Justin lo accarezzò per tutta la sua rigida lunghezza.
Justin gli baciò l’interno coscia. “Per quanto mi piacerebbe, non riesco ancora a respirare sott’acqua.” Brian fece per rispondere, ma fu interrotto dalla bocca esperta di Justin che si chiuse, decisa e fantastica come sempre, attorno a lui. “Cazzo…” Sibilò, inarcandosi inconsciamente verso di lui. Non ci volle molto perché anche lui raggiungesse il piacere come aveva fatto il suo fidanzato solo qualche minuto prima.
“Mmm…” Mormorò Justin, leccandosi le labbra e tornando col viso alla sua altezza. “Al telefono questo non posso farlo.”
Brian scoppiò a ridere, subito seguito da Justin. “No, di certo non puoi.”
Ancora ridacchiando, finirono di lavarsi, insaponandosi con calma e premura prima di uscire finalmente dalla vasca. Justin afferrò due teli da bagno riposti nel vecchio mobile di legno tarlato lì vicino.
“Dì la verità, questo nella doccia non sarebbe stato altrettanto divertente.” Lo canzonò Justin.
Brian lo abbracciò all’altezza delle spalle, dopo essersi avvolto l’asciugamano attorno alla vita. “Sunshine, mi meraviglio di te. Sai che non potrei mai vivere in una casa senza doccia.”
Justin gli sorrise attraverso lo specchio. “Ti ricordo che a Britin ci sono solo vasche.”
“Ti ricordo che io vivo al loft.” Brian gli baciò l’orecchio, sorridendo sornione.
“Ti ricordo che la cosa è temporanea. Quando tornerò a casa, cambierò tutto, tesoro.”
“Oh davvero, cara?”
Justin si rigirò tra le sue braccia. “Certo, amore.” Sussurrò contro la sua mascella. “Voglio che mi scopi in ogni stanza della casa, in cucina sopra quel bel bancone spazioso e in bagno, dentro quell’enorme idromassaggio…”
“Nient’altro?”
Justin ci pensò su un attimo, baciandogli il collo. “Fuori, sul bordo della piscina e poi in soffitta, sotto quelle enormi finestre che illuminano tutto il sottotetto.”
“Stiamo diventando esigenti.” Brian gli baciò la punta del naso prima di sfiorargli le labbra. “Dovrò fare scorta di viagra.”
“E poi…” Justin proseguì, continuando a sorridergli raggiante “… quando avremo esaurito ogni angolo della casa, scuderie comprese…”
“Ah già, avevo scordato le scuderie…”
“… voglio fare di nuovo l’amore davanti al caminetto come la prima volta che siamo stati lì.” Inclinò il capo imbarazzato, mordendosi il labbro inferiore.
Brian scosse il capo, non riuscendo però a trattenere un sorriso. “Il solito ragazzino romantico.”
Justin sospirò, posando la fronte contro il petto bagnato dell’uomo. “Voglio essere di nuovo felice come quel giorno.”
Avvertì Brian stringerlo forte tra le braccia. “Non sei felice adesso, Sunshine?”
Il ragazzo chiuse gli occhi e gli baciò la clavicola. “Adesso sì, ma di solito non troppo.”
“Perché?”
“Forse perché tu sei a seicento chilometri di distanza?” Confessò senza paura. “Perché non posso vederti, baciarti e scoparti quando mi pare e piace?”
Brian lo spinse indietro per le spalle e studiò con attenzione quei profondi occhi azzurri che riuscivano sempre a fargli mancare la terra sotto i piedi. “È qui il tuo posto.” Vide il suo fidanzato aprire la bocca per ribattere e lo anticipò. “Almeno per il momento.”
Justin tirò un lungo sospiro e annuì mestamente. “Lo so, ma non vuol dire che non faccia male lo stesso.”
“È meglio così. Adesso è il momento di pensare alla tua carriera, al tuo futuro.” Brian gli prese il volto tra le mani e lo guardò serio. “New York permetterà al mondo intero di conoscere il tuo talento. E allora, potrai fare quello che vorrai.” Gli baciò teneramente la fronte. “Allora saranno loro a venire da te.”
“E verranno a Britin.” Gli assicurò Justin. “Verranno a bussare alla porta di casa nostra.”
Brian sorrise. “Casa nostra.” Ripeté sottovoce.
Justin lo strinse forte per la vita e sfregò il naso contro il suo petto. “È solo tempo, no?” Sollevò lo sguardo verso l’uomo che amava e gli rivolse un sorriso radioso. “Solo stupido, inutile e insignificante tempo.”
Brian annuì concorde. Justin aveva ragione. Non sarebbe cambiato nulla se lui fosse rimasto altri due, tre, dieci anni a New York proprio come non era cambiato nulla nei due anni che non si erano visti. Loro non sarebbero cambiati, non avrebbero smesso di cercarsi e di trovarsi. Noi ci ritroviamo sempre… aveva sentito dire una volta da una tizia in uno di quegli stupidi telefilm sulle spie che piacevano tanto ad Emmy Lou**. E, per quanto fosse da lesbiche, anche per lui e Justin era così. Potevano incasinarsi, ferirsi, mandarsi a quel paese, ma non sarebbero mai stati capaci di vivere senza l’altro anche se stare insieme voleva dire gridarsi addosso e lamentarsi del disordine o del maniacale ordine dell’altro.
Sì, era solo tempo. E lui non voleva sprecarne nemmeno un attimo, non se poteva passarlo con Justin. “E quindi, cosa pensi di fare dello stupido, inutile e insignificante tempo di questa bella mattinata newyorkese?”
Justin lo guardò allegro come un bambino il giorno di Natale. “Colazione, ovviamente!” Esclamò, mentre il suo stomaco in perfetta sintonia emetteva un lamento sinistro.
“Colazione?” Brian gli lanciò un’occhiata scettica. “E che vorresti mangiare? Mentre aspettavo che la vasca si riempisse, ho cercato qualcosa di commestibile nella tua cucina. Mi sono arreso prima di finire avvelenato.”
Justin gli pizzicò un braccio. “Okay, dovrei fare la spesa, ma non ho mai tempo!”
“Solo una domanda: di cosa ti nutri quelle rare volte in cui sei a casa?”
“Di cibi d’asporto per lo più. Italiano, cinese, tailandese. E non guardarmi così, sembri mia madre.”
Brian alzò le mani in segno di resa. “Oh, scusami se mi preoccupo di non farti avere un infarto prima dei trent’anni!”
Justin sgranò gli occhi in un’espressione di finto stupore. “Trent’anni? Orrore, io non voglio arrivare ai trent’anni. Ho sentito dire che sono la fine del mondo per un frocio.”
“Molto spiritoso.”
Justin scoppiò a ridere proprio mentre Brian gli voltava le spalle e tornava verso la camera da letto. “Muoviti oppure giuro che esco e vado a rimorchiarmi qualche bel finocchio newyorkese!”
“Non oseresti!” Ribatté Justin dal bagno, afferrando il suo spazzolino da denti.
“Scommetti?”
Il ragazzo aggrottò la fronte pensieroso. Non avrebbe mai osato, giusto?
“Justin, guarda che sono serio!”
Justin si lavò i denti a tempo di record prima di precipitarsi in camera. Brian non avrebbe mai fatto una cosa del genere, ma perché rischiare?
 
 
 
 
 
Brian grugnì contrariato per la millesima volta negli ultimi venti minuti e lanciò a Justin uno sguardo assassino.
“Smettila.” Gli intimò il ragazzo con un sorriso a trentadue denti. “E non provare a negare che tutto questo non ti piaccia.”
“Per questo intendi un locale affollatissimo e pieno di marmocchi urlanti e famigliole felici? Certo, come potrei odiarlo?”
“Questo…” Justin indicò il bar “… è Magnolia Bakery e, per tua informazione, è il miglior produttore di cupcake della città. Tutti vengono qui a fare colazione.”
“Vuoi dire tutti quelli che hanno uno stomaco senza fondo come te?”
“Ciao, ragazzi. Cosa vi porto?” Una delle cameriere arrivò al loro tavolo.
Justin le sorrise educato. “Per me il solito.” La ragazza annuì scribacchiando qualcosa sul suo blocchetto. “Mentre per lui…”
“Scusami?” Lo interruppe Brian sollevando le sopracciglia e guardandolo con aria innocente. “Non sono più nemmeno capace di ordinare da solo?”
Justin scosse il capo senza riuscire a trattenere un sorriso e si rivolse alla ragazza. “Come avrai capito, il mio fidanzato non è contento di me e della mia idea per la colazione.”
La cameriera gli lanciò uno sguardo complice. “Oh, uno di quelli…” Squadrò Brian dall’alto in basso facendo inarcare pericolosamente un sopracciglio al diretto interessato. “So esattamente cosa fare. Cupcake al doppio cioccolato e latte aromatizzato alla cannella.” Pronunciò lentamente scrivendo il tutto sul block notes.
“Cosa?” Protestò Brian. “Io non voglio il dannato latte alla cann--”
“Vada per il cupcake, ma portagli un caffé doppio. Il suo umore migliora solo se c’è abbastanza caffeina in circolo nel suo corpo.”
La ragazza annuì. “Sarà meglio triplo, allora.” Scrisse di nuovo e sorrise brevemente ai due uomini. “Torno tra un attimo.” E sparì tra la folla.
Cupcake al cioccolato?” Brian lo guardò come se gli fossero appena spuntate le antenne sulla testa. “Ho mai amato i dolcetti pieni di grassi?”
Justin sbuffò annoiato. “Che noia. Sono sicuro che Gus avrebbe apprezzato la mia idea.”
“Mi stai paragonando ad un bambino di sette anni?”
“Certo che no. Gus è infinitamente più educato. E maturo. E di sicuro non si sarebbe lagnato per un’ora solo perché ho cercato di fare qualcosa di carino.”
“Qualcosa di carino per il tuo stomaco?”
Justin lo guardò male. “Qualcosa di carino per il mio bellissimo fidanzato.”
“Ecco qui, ragazzi.” La cameriera tornò a tempo di record. “Buona colazione.”
Brian si limitò a grugnire, prima di afferrare il suo caffé. Fu costretto malvolentieri a dare ragione a Justin: era davvero squisito. “Non male.” Concesse senza troppo entusiasmo.
Justin scosse il capo con lo sguardo di chi la sa lunga e sorrise. “Te l’avevo detto. Prova questo.” E allungò il suo cupcake al caramello verso di lui.
Brian si ritrasse all’istante. “Io non credo, Sunshine.”
“Ti prego.”
“Scordatelo.”
Justin premette il dolcetto sulle sue labbra e Brian fu costretto ad arrendersi. “Ecco, contento?”
“Molto. Ti piace?”
“Certo, Justin, è delizioso. Grazie per avermi portato qui, non avrei saputo davvero come vivere senza questi stupidi cupcake.”
“Aspetta, ti sei sporcato.” Justin sorrise malizioso prima di allungarsi verso di lui e leccare via direttamente dalle sue labbra la glassa in eccesso. “Mmm… che buona.”
“Sei un pozzo senza fondo, te l’hanno mai detto?”
“Svariate volte.” Ammise Justin chinandosi di nuovo a baciarlo.
Brian accettò il bacio, roteando gli occhi. “Sei proprio patetico.”
“Ma sono il tuo patetico.” Osservò Justin facendolo scoppiare a ridere.
Fecero colazione con calma, come una qualunque coppia di turisti in vacanza – anche se dal loro atteggiamento avrebbero potuto benissimo essere scambiati per una coppietta in luna di miele considerando le continue carezze, i baci rubati e le non troppo innocenti strusciatine sotto il tavolo.
Brian finse di non pensare a quanto patetico poteva sembrare visto da un estraneo e si concentrò solo sul corpo di Justin, eccitante e reale, accanto a lui.
Terminata la colazione – che comprese l’assaggio di dodici tipi differenti di cupcake, tra cui quello red velvet, diventato ormai il preferito di Justin –, Brian pretese di essere portato alla galleria nonostante le reticenze del suo fidanzato.
“La mostra non è ancora pronta, ci sono le ultime modifiche da fare e--”
Brian roteò gli occhi. “Justin, ho capito, smettila di blaterare cose senza senso. Voglio solo vedere la catapecchia di cui la tua amica Grimilde è tanto fiera.”
“Okay.” Concesse Justin. “Basta che smetti di chiamare così Vanessa. È capace di cacciarti a pedate se lo sente.”
Difficile da credere visto che mi ha chiamato lei… “Cercherò di essere civile.”
“Lo apprezzerei molto.” Justin si alzò sulle punte e gli baciò una guancia. “Di qua, vieni.” Camminarono per altri due isolati prima di arrivare a destinazione. Davanti all’elegante ingresso, persino Brian fu costretto ad ammettere che la galleria Austen aveva molto più stile, estro e dinamismo di qualunque altra galleria d’arte avessero incontrato fino a quel momento. “Però…” Mormorò l’uomo sinceramente colpito. “Hai capito, miss Ghiacciolo…”
Justin si limitò a lanciargli un’occhiataccia assassina prima di varcare la doppia porta in vetro e acciaio.
“Ciao, Justin.” Lo salutò distrattamente Sally, come sempre incollata al telefono. Il ragazzo ricambiò con un gesto della mano; prese una manica di Brian e lo tirò verso il gruppetto di persone ammassate nel bel mezzo della sala principale. Un attimo prima di raggiungerle, il cellulare di Brian squillò.
“Cynthia.” Sussurrò l’uomo. “Va’ pure avanti, ti raggiungo tra un attimo. Probabilmente la pettegola vorrà solo ficcare il naso.”
Justin ridacchiò, lasciandolo andare e raggiungendo Hayley, Amelia e Steve. “Ehi, ragazzi!”
I tre amici lo guardarono sorpresi. “Qualcuno è di buon umore.” Notò la più giovane che quel giorno sfoggiava un’eccentrica capigliatura blu elettrico.
Il sorriso di Justin si allargò ulteriormente. “Oh, Hales ha ragione.” Concordò Amelia. “Ed io lo conosco quel sorriso: è quello da post orgasmo.”
“Amy!” La rimproverò Hayley arrossendo. “Non essere indiscreta!”
Steve le circondò le spalle con un braccio. “Ah, l’innocenza dei bambini…” Sospirò con aria da uomo vissuto; la ragazzina gli rifilò una gomitata nelle costole.
“Tutto bene qui?” Domandò Justin continuando a sorridere.
Amy inarcò un sopracciglio inclinando il capo. “Certo, cambia pure argomento, tanto prima o poi snocciolerai tutta la storia.”
“Che ne pensi di quello?” S’intromise Hayley con le guance ancora scarlatte. “Ness ha detto che era meglio metterlo lì invece che nell’altra sala. Secondo lei monopolizza l’attenzione.”
Justin studiò per un istante il quadro in questione e annuì. “Ness ha ragione. Lì è perfetto.”
“A proposito…” Amy sfogliò gli appunti della sua cartellina in cerca di qualcosa. “Ah, ecco qui. La scultura che arriva da Washington andrebbe piazzata lì…” Si voltò in direzione dell’entrata “… ma io trovo che stia meglio… Ciao, splendore.” Hayley, Steve e Justin seguirono il suo sguardo per vedere cosa avesse attirato la sua attenzione.
“Accidenti!” Esclamò Hayley. “E quello chi è? Per essere vecchio, non è niente male.”
Amy la guardò male. “Vecchio… Quel tizio avrà un paio d’anni più di me ed io lo trovo assolutamente fantastico.”
“È inutile, Vanessa ha il radar acchiappa-manzi.” Osservò Hayley scuotendo il capo.
“Hales, secondo te quella specie di dio greco è aperto alle cose a tre?”
“Amy!” La rimproverò quella, tornando rossa come un peperone.
Steve ridacchiò palesemente divertito quando Justin spalancò la bocca indignato.. “Ehi, giù le mani, arpie!”
“Che c’è?” Amelia si voltò verso di lui. “Mi dispiace, tesoro, ma se ci prova con Vanessa, tu non hai davvero speranze.”
“Ma non eri fidanzata?” Le ricordò Steve.
Amelia scosse le spalle. “Abbiamo rotto ieri.”
In quel momento Vanessa e Brian si diressero nella loro direzione, chiacchierando amabilmente tra loro. “Oh eccoti, Justin!” Esclamò la ragazza. “Hai visto cosa ci ha portato la primavera?”
“Ne deduco che hai sentito la mia mancanza, Austen?” La stuzzicò Brian, sollevando un lato della bocca.
“Come la clamidia, Kinney.”
Justin ridacchiò, prima di avvicinarsi a Brian e passargli un braccio attorno alla vita. Le bocche di Amelia e Hayley si spalancarono simultaneamente. “Brian, queste sono le mie amiche Amelia Stone e Hayley Campbell. Ragazze, lui è Brian.”
“Brian?” Chiese la più giovane con voce stridula. “Il tuo Brian?”
Justin soffocò una risata quando sentì Brian sbuffare contrariato a quella definizione. “Sì, il mio Brian.”
Hayley socchiuse gli occhi e lo scrutò con attenzione. “Sì, può andare.” Approvò dopo un lungo esame. Brian inarcò minaccioso un sopracciglio.
Steve scoppiò a ridere prima di dargli una pacca sulle spalle. “Benvenuto nella Grande Mela, Brian. Non eravamo sicuri che ti saresti unito a noi.”
Brian lanciò uno sguardo fugace verso Vanessa e piegò le labbra all’interno della bocca. “Sono riuscito a liberarmi per il weekend.”
Amelia, che era rimasta in silenzio per tutto il tempo, incrociò le braccia al petto e osservò Brian con uno strano sguardo. “Ci… ci conosciamo per caso?” Chiese incerta.
Steve roteò gli occhi. “Forse non ti è chiaro, ma Brian è gay. È inutile che ci provi.”
La ragazza lo ignorò, continuando a fissare Brian. “No, sono seria. Noi ci siamo già visti.”
“Anche Amy è di Pittsburgh.” Lo informò Justin. “Magari vi siete incrociati per strada.”
Brian la guardò indifferente. “Non mi pare proprio, signorina.”
“Ne è sicuro?” Insisté Amelia. “Perché sono certa che--”
“Terra a pianeta Stone, Terra a pianeta Stone. Brian non è interessato.” Gracchiò Steve simulando la voce metallica di un walkie talkie.
Hayley lo colpì ad un braccio. “Ma quanto sei cret--”
“Stone?” Chiese Brian sgranando gli occhi, la sorpresa chiaramente dipinta sul suo volto. “Amelia Stone?” La ragazza annuì. “La figlia del professor Stone?”
“Ecco!” Amelia schioccò le dita e sorrise trionfante in direzione di Steve. “Carnegie Mellon, classe 1990! Eri uno studente di mio padre!”
Brian sollevò le sopracciglia, stupito. “Questa davvero non me l’aspettavo.” Justin spostò lo sguardo da lui a Amelia prima di riportarlo su di lui.
“Rupert Stone è stato il mio tutor al college. È stato lui il primo a dirmi che avrei potuto fare carriera nella pubblicità.” Brian scosse il capo ancora incredulo. “Ho passato tutti i giovedì pomeriggio a casa sua per due anni e mezzo.” Indicò Amelia con un gesto della mano. “L’ultima volta che ti ho visto però avevi la coda di cavallo e i pantaloncini sporchi di terra.”
Amelia scoppiò a ridere. “Oddio, non posso crederci! Mio padre avrà un accidente quando glielo racconterò. Il suo studente prediletto.” Si coprì la bocca con la mano e guardò Brian con espressione divertita. “Sei stato il mio incubo. Mio padre non faceva che paragonarmi a te. No, Amy, hai sbagliato il concept. Brian avrebbe fatto così. No, tesoro, un vero pubblicitario farebbe così. Prendi esempio da Brian, ti ricordi il mio ex studente? Giuro che ti ho odiato per tutto il tempo che ho frequentato il college.”
Brian alzò le spalle. “Bisogna sempre imparare dai migliori. Io sono il migliore.”
Amelia rise di nuovo. “Precisamente la risposta che mi aspettavo da te. A quanto vedo non sei cambiato per niente.”
“Non posso dire lo stesso di te. Le tette di sicuro non le avevi a dieci anni.”
“Brian!” Lo rimproverò Justin, colpendogli la pancia col dorso della mano.
“Lascia stare, tesoro.” Lo rassicurò Amelia. “È come avere a che fare di nuovo con un diciannovenne altezzoso e pieno di sé.”
Brian sorrise, passando un braccio attorno alle spalle del suo fidanzato. “Sentito, Sunshine? Il mio fascino colpisce ancora.”
Justin alzò gli occhi al cielo. “Giusto quello ci mancava per aumentare il tuo ego già spropositato.”
Vanessa ridacchiò col resto del gruppo. “Mi dispiace interrompere la rimpatriata, ma adesso dobbiamo tornare al lavoro.” Si voltò verso Justin. “Ovviamente per oggi sei libero. Ci vediamo domani sera.” Il ragazzo le sorrise raggiante. “Amy, avrei bisogno di te. Steve, muovi il culo.”
Amy baciò una guancia di Justin e seguì il suo capo. “Ciao ciao, studente perfetto.”
“Ciao ciao, eterna seconda.” Ribatté a tono Brian facendola scoppiare a ridere.
I tre sparirono verso l’ufficio di Vanessa; Hayley si dileguò un secondo dopo. Si era appena accorta che non le piaceva la disposizione di uno dei suoi quadri. Justin colse al volo l’occasione per portare Brian nel suo studio al piano superiore. A quell’ora sarebbe stato di sicuro deserto.
“Ti sei sistemato bene, a quanto vedo.” Osservò Brian con un sorriso, una volta entrato nel piccolo laboratorio.
“E la cosa fantastica è che è tutto per me. Devo solo dividerlo con Hayley.”
“Hayley sarebbe la ragazzina che crede di essere uno dei puffi?”
Justin rise e annuì. “Ti è andata bene. La settimana scorsa i suoi capelli erano arancione e viola. A strisce.”
“Wow.”
“Già. Le piace cambiare.”
Brian ridacchiò, avvicinandosi a lui. “Me ne sono accorto.” Gli passò le braccia attorno alla vita e si chinò per arrivare al suo orecchio. “Credi che questo bel tavolino possa reggere il tuo peso?”
Justin sorrise, baciandogli il collo. “Sopporta il peso di tele più grosse di te.”
“Proprio come immaginavo.” Con un movimento rapido, lo prese per la vita e lo mise a sedere sul grosso tavolo di legno, gli divaricò le gambe e ci si sistemò in mezzo. Justin sorrise sornione quando lo vide chinarsi  su di lui per baciarlo.
Le mani del ragazzo corsero immediatamente a sollevare la maglietta di Brian che sorrise contro la sua bocca quando lo sentì affondare le unghia nella pelle della schiena. “Credevo che le attenzioni di questa mattina ti avrebbero tenuto buono per almeno un paio d’ore.” Lo canzonò.
Justin si allungò a baciargli il collo. “Non ci vediamo da un mese. Ci vorrebbero tre anni di attenzioni per farmi superare la crisi d’astinenza.”
Brian premette l’inguine contro il suo e tornò a baciarlo appassionato. Altro che crisi d’astinenza. “Allora sarà meglio darsi da fare, non vorrei mai che tu facessi una figuraccia venendo beccato dai tuoi colleghi mentre ti dai da fare col tuo bellissimo e sexy fidanzato.”
Justin reclinò la testa e sospirò pesantemente quando lo sentì sfiorargli la pelle del collo con la lingua. “Che… che mi becchino pure.” Ansimò. “Al momento ho altro a cui pensare.”
Brian tastò la sua erezione stretta nei jeans e sogghignò. “Oh, lo sento.”
Justin sbuffò e si mosse appena arrivando a premere il ginocchio contro l’inguine di Brian. “Non mi sembra che tu sia messo meglio.” Gli fece notare, continuando a muovere la gamba su e giù e facendolo boccheggiare d’eccitazione.
“Justin!” Gridò all’improvviso una voce dall’entrata dello studio. I due uomini sobbalzarono spaventati voltandosi verso la persona che aveva urlato. “Justin!” Strepitò di nuovo Chuck, l’indignazione chiaramente dipinta sul suo volto. Dietro di lui stava Philippe, altrettanto scioccato. “E questo che cosa vuol dire?” Domandò indicando nervosamente verso di loro, ancora intrecciati.
Justin alzò gli occhi al cielo e sfilò le mani da sotto la maglietta di Brian. “Che intendi?”
Philippe fece un passo avanti e incrociò le braccia al petto. “Tu! Lui! Ti diverti a giocare con i nostri sentimenti?”
“Sentimenti?” Ripeté Brian con un mezzo sorriso. “Sunshine, c’è qualcosa che devi dirmi?”
Justin lo guardò male e scese finalmente dal tavolo. Cercò di ricomporsi come meglio poté e prese Brian per mano, avvicinandosi ai due ragazzi. “Okay, ragazzi, risolviamo subito questa storia e chiudiamola qui.” Indicò Brian. “Lui è Brian, il mio fidanzato, il mio compagno, il mio partner, chiamatelo come cazzo vi pare purché vi ficchiate in quelle testacce dure che sono IM-PE-GNA-TO!” I due giovani lo fissarono allarmati. “Siamo felici, molto innamorati e abbiamo persino comprato una casa insieme a Pittsburgh.”
“Ma tu vivi qui!” Gli fece notare Philippe con voce isterica. “Credevo che tra noi--”
“Tra voi?” S’intromise Brian inarcando un sopracciglio e passando un braccio attorno alle spalle di Justin che, di riflesso, si rilassò contro di lui. “Continua pure, mi piacerebbe sentire il resto.”
“Nessuno sta parlando con te.” Ribatté stizzito Chuck. “Questa è una discussione tra noi e Justin.”
“Non c’è nessuna discussione. È da quando sono arrivato a New York che mi tormentate, adesso sapete perché non avete mai avuto una chance.”
Chuck li guardò con aria di superiorità. “Pfui! Per lui?!”
Justin affilò lo sguardo. “Sempre per lui.”
“Justin!” Philippe mosse un passo verso di loro e gli rivolse uno sguardo supplichevole, al contrario del suo amico che al momento sembrava più offeso che disperato. “Ma… credevo che tra noi ci fosse--”
“Cosa?” Domandò Justin retorico. “Philippe, te l’ho detto che non sarebbe mai successo nulla tra noi.”
“Tu ci hai preso in giro!” Esclamò Chuck. “Ne parlerò con Vanessa! Vedrai che fine farai quando saprà di questa storia!”
Brian roteò gli occhi. “Okay, fantastico, va’ a piangere sotto le gonne di mammina. L’importante è che sparisca dalla mia vista così che io possa tornare a scopare Justin in santa pace!”
Chuck trattenne il fiato e lo fissò con aria truce. Aprì la bocca un paio di volte per ribattere, ma rinunciò. Guardò male Justin un’ultima volta e alzò i tacchi, sparendo lungo il corridoio. Philippe lo seguì un attimo dopo, ormai sull’orlo delle lacrime.
“Finalmente…” Borbottò Brian.
Justin gli si gettò addosso, baciandolo appassionatamente. “Grazie a te, forse si decideranno a lasciarmi in pace.”
Brian tirò indietro la testa per poterlo guardare in viso. “Da quanto va avanti?”
“Da sempre.” Confessò il ragazzo annoiato. “Ho provato in tutti i modi a farglielo capire, ma non c’è stato verso. Fino ad oggi.” Sorrise radioso a Brian e si avventò di nuovo sulle sue labbra. “Ti sarò debitore per il resto della mia vita.”
“Mmm… interessante.” Brian gli strizzò il sedere. “E come potrai mai sdebitarti?”
Justin gli sorrise malizioso. “Che ne dici di tornare al mio appartamento? Potrei mostrartelo per tutto…” Gli leccò le labbra “… il…” Scese a mordicchiargli la mascella “… pomeriggio.” Insinuò una mano nei suoi pantaloni.
Brian ricambiò il sorriso. “Credo di aver visto tutto quello che c’era da guardare qui.”
“Proprio come sospettavo.”
Cinque minuti più tardi, Justin fu spinto senza troppi complimenti dentro il primo taxi disponibile.
 
 
 
 
 
“E questa roba che sarebbe?”
Brian alzò lo sguardo dal pc sui cui stava controllando la posta. “Quello, Justin, si chiama frigorifero. È un elettrodomestico molto utilizzato nella società del ventunesim--”
La roba al suo interno, spiritosone.” Il ragazzo si voltò verso di lui con sguardo minaccioso.
Brian tornò alle sue e-mail. “Credo che i comuni mortali la chiamino spesa.”
Justin si mise le mani sui fianchi. “E che cazzo ci farebbe nel mio frigo quando sono abbastanza sicuro che stamattina non ci fosse?”
“Siamo in America, Sunshine. Col vile denaro si può fare qualunque cosa.”
“Non ho bisogno della tua elemosina. Posso benissimo badare a me stesso senza che tu mi facc--”
Esasperato, Brian chiuse il portatile e lo raggiunse in cucina. Lo spinse bruscamente contro il frigo e posò la fronte contro la sua. “Qual è il problema, Justin? Tu mi ospiti, io faccio la spesa.”
Justin sbuffò scocciato. “Buffo, mi sembra di ricordare che quando eri tu ad ospitarmi al loft ed io mi offrivo di fare la spesa, finiva sempre in un bagno di sangue.”
“Questo perché tu sei un dannato testardo.” Lo prese in giro l’uomo, circondandogli il collo con le mani.
“Senti chi parla.” Justin lo guardò, ancora chiaramente offeso. “Non sono più un ragazzino.”
Brian sospirò piano e annuì. “Lo so.”
“E non ho bisogno che tu mi paghi il taxi o faccia la spesa per me.”
“Okay, non lo farò più.”
“A questo punto delle scuse non ci starebbero male.”
“Scusarmi?” Brian soffocò una risata. “Sai che scusarmi non rientra nella mia filosofia.”
“Come potrei scordarlo?” Justin scosse la testa con rassegnazione. “Allora, che vuoi per cena?”
“Il tuo culo?”
“Non è sul menù, mi dispiace.”
Brian lo guardò sconvolto. “E allora che diavolo sono venuto a fare?”
“Per stare con me, è ovvio.”
“Per stare con te e col tuo culo.” Rettificò l’uomo.
Lo squillo del telefono interruppe quella surreale discussione. I due uomini si guardarono ridacchiando prima che Justin allungasse una mano verso il cordless. “Pronto?” Il suo sorriso di allargò ulteriormente. “Ehi, che combini? Sei sparito negli ultimi giorni.” Brian inarcò un sopracciglio. “Aspetta, voglio farti parlare con qualcuno.” Posò il telefono sul bancone e impostò il viva voce. “Ecco, che dicevi?”
“Che domenica ho la partita!” Esclamò elettrizzata la voce di Gus.
“Gus?” Chiamò suo padre, sorpreso.
“Papà?” Domandò il bambino colta alla sprovvista. “Papà! Mamma, c’è anche papà da Justin!” Sentì la voce di Lindsay rispondere qualcosa in lontananza. “No, devo finire di parlarci io!” Ribatté indignato Gus.
I due uomini ridacchiarono quando capirono che Gus non avrebbe mai mollato il telefono a sua madre. Né a sua sorella che continuava a lagnarsi per parlare con Justin e Brian. “Perché sei a New York? E perché non me l’hai detto? Che palle, volevo venire anche io!”
“Gus, non dire parolacce!” Lo rimproverò la voce di Lindsay dall’altra stanza. Il bambino preferì rimanere in silenzio.
Brian prese ad accarezzare distrattamente la nuca di Justin giocherellando coi suoi capelli. “Sono riuscito a liberarmi e ho pensato di fare una sorpresa a Justin. Tu che combini?”
Justin posò la guancia contro la spalla di Brian e sorrise. Era così bello poter ascoltare le chiacchiere dei suoi uomini preferiti che s’impose di non pensare a quanto tempo sarebbe passato prima che fossero stati in grado di farlo di nuovo.
“Ben fatto, figliolo.” Brian si complimentò orgoglioso per qualcosa che suo figlio gli aveva appena detto.
Gus sbuffò irritato. “Ma non avrei dovuto giocare domenica! Ed è per questo che non ti ho chiamato! Solo che poi quell’idiota di Billy Thompson si è rotto una gamba giocando con suo cugino e--”
“Gus, che cosa ho detto sulle parolacce?”
Brian e Justin ridacchiarono immaginando Gus alzare silenziosamente gli occhi al cielo in una perfetta imitazione di suo padre. “Solo che poi quella persona dalla dubbia intelligenza di Billy Thompson si è rotto una gamba e adesso il mister ha detto che farà giocare me!”
“Tuo figlio è incredibile.” Mormorò Justin contro il collo di Brian mentre questo gli circondava le spalle con un braccio.
“Lo prenderò come un complimento.”
“E quindi adesso per colpa sua né tu, né Justin potrete venire a vedermi!” Concluse il bambino al colmo dell’indignazione. “Tutta colpa di quel grandissim--”
Sentirono un fruscio accompagnato dalle lamentele di Gus prima che la voce di Lindsay li salutasse. “Ehi, Wendy.” Ricambiò Brian con un sorriso.
“Non ci provare, Kinney. Hai sentito il linguaggio da scaricatore di porto che utilizza tuo figlio? Chi credi dovrei ritenere responsabile?”
Brian sfregò il naso contro la guancia di Justin. “Tuo marito?”
Lindsay sospirò rassegnata. “È inutile con te. Justin, tesoro, come stai? Come vanno i preparativi?”
Justin sorrise. “Tutto bene, Linz. Siamo quasi pronti. Vorrei davvero che tu potessi venire.”
“Anche io, ma temo che stavolta sarà impossibile. Ci mancava solo la partita di Gus domenica mattina.”
“Mi sembra che sia abbastanza su di giri.” Le fece notare Brian.
“Oh sì, lo è. Ma volevo fargli una sorpresa e chiamare te e Justin per l’ultima partita della stagione in modo da avervi qui a fare il tifo per lui. A quanto pare adesso, l’ultima partita toccherà a Billy, dato che Gus giocherà domenica.”
“Quell’imbecille!” Sentirono Gus gridare.
“Gus Marcus-Peterson, fila immediatamente in camera tua! Jenny, prendi il videogioco che piace tanto a tuo fratello e portamelo!”
“No!” Gridò il bambino prima di correre dietro a sua sorella che si precipitava su per le scale.
Brian scosse il capo contrariato. “Non puoi usare gambette tozze come se fosse il tuo scagnozzo, Linz. Gus sta soltanto ampliando il suo vocabolario.”
“Chiudi il becco tu.” Lo rimbeccò la sua migliore amica. “E ringrazia il cielo che non c’è Mel o sarebbe corsa fino a New York per prenderti a calci.”
“Pfui! La vedo difficile.”
Lindsay ridacchiò, ma prima che potesse ribattere qualcuno suonò al campanello. “Brian, ti devo salutare. Se tuo figlio si comporterà bene, gli permetterò di richiamarti prima di andare a letto.”
“Che magnanima concessione…” Borbottò l’uomo.
“Ciao, ragazzi.” Li salutò la donna, riattaccando.
Justin interruppe la chiamata e si voltò sorridendo verso il suo fidanzato. “Tuo figlio è un portento.”
Brian ridacchiò tornando verso il divano. “È mio figlio, dopotutto.”
“Come dimenticarlo?” Justin lo raggiunse e si sedette a cavalcioni su di lui. “Che peccato che giochi domenica la sua ultima partita.”
“Già.” Brian reclinò la testa contro il divano e posò le mani sulle sue cosce. “Se non ci fosse stata la mostra, avremmo potuto fare una capatina in quel di Toronto. Gus sarebbe stato felicissimo.”
Justin annuì, rivolgendogli un sorriso mesto. Posò la testa contro la spalla di Brian e voltò il capo in direzione del frigo da cui faceva capolino il disegno che Gus aveva fatto di loro tre a Pittsburgh.
Ricordava ancora l’emozione che aveva provato quando Brian, aiutandolo a fare le valige, aveva staccato il foglietto dal proprio frigo e lo aveva adagiato all’interno del suo bagaglio. “L’autore ha chiesto espressamente che fosse donato a te.” Gli aveva detto con quel suo tipico sorriso a metà tra l’imbarazzato e l’annoiato.
Avrebbe fatto qualunque cosa per essere a Toronto due giorni dopo, ma proprio non gli era possibile. E la cosa peggiore era che stava costringendo anche Brian a rimanere con lui quando era perfettamente consapevole del fatto che l’uomo morisse dalla voglia di stare con suo figlio. Sospirò di nuovo e chiuse gli occhi.
“Persino da qui riesco a sentire le rotelle del tuo cervellino che girano.” Il ragazzo sollevò la testa. “Smettila di scervellarti. Gus starà bene. È un Kinney, dopotutto.”
A Justin sfuggì un sorriso involontario. “È un Kinney, dopotutto.” Ripeté con tono fiero.
 
 
 
 
 
Brian sorseggiò il suo drink, cercando di nascondere il sorrisetto che aveva sulle labbra. Con nonchalance, tornò a poggiarsi contro il divanetto mantenendo gli occhi puntati sulla pista da ballo davanti a lui e su Justin, che ballava sensualmente con un ragazzone nerboruto lanciando però al suo fidanzato occhiate vietate ai minori.
Un tizio dai capelli scuri si sedette accanto a lui; prima di voltarsi verso lo sconosciuto, Brian lanciò uno sguardo eloquente verso Justin. “Ehi, splendore, tutto solo?”
Brian gli rivolse un sorriso ammiccante. “Perché, vorresti farmi compagnia?”
“Ne sarei onorato. Io e i miei amici pensiamo che tu sia la cosa più eccitante che abbia messo piede qui dentro.”
“Credo che tu e i tuoi amici abbiate ragione.”
L’uomo gli sorrise trionfante. “Non sei di qui, vero?”
Brian scosse il capo. “Pittsburgh.”
“Beh, allora lascia che faccia gli onori di casa.” Lo sconosciuto si alzò in piedi e gli sorrise. “Sei già stato nella dark room?”
“Non ancora.” Lo sguardo di Brian si posò di nuovo su Justin che continuava a sogghignare nella sua direzione. “Ti va di fare strada?”
“Con piacere, splendore.”
Brian si alzò dal divanetto e lo seguì verso il fondo del locale. Una volta nella dark room, l’uomo fece per baciarlo, ma Brian lo bloccò posandogli una mano sul petto. “Le coccole non fanno per me.” Si sporse verso il suo orecchio e lo leccò piano. “In ginocchio.”
Lo sconosciuto obbedì all’istante, sbottonandogli in fretta i pantaloni e mettendosi all’opera. Brian reclinò il capo contro il muro e chiuse gli occhi, cercando di apprezzare la per nulla spettacolare lingua del tizio di cui non aveva ancora afferrato il nome. Non che la cosa lo interessasse comunque.
Sorrise tra sé quando, muovendo piano i fianchi verso la sua bocca, lo sentì gemere eccitato attorno alla sua erezione. Continuò a godersi le attenzioni dello sconosciuto finché un profumo familiare non gli riempì le narici. “Qualcuno si diverte.” Bisbigliò la voce di Justin, leccandogli l’orecchio.
“Ehi, Sunshine. Carino da parte tua unirti a noi.” Brian si avventò sul suo collo e infilò una mano nei suoi pantaloni. “Vuoi una mano per disfarti di questo fastidioso inconveniente?” Chiese col fiato corto stringendo le dita attorno all’eccitazione del ragazzo.
Justin annuì contro il suo collo. “Lui com’è?”
Brian succhiò avidamente la porzione di pelle sotto il lobo dell’orecchio. “Non male. Non al tuo livello, certo, ma ho visto di peggio…”
Justin insinuò una mano sotto la sua camicia e gli accarezzò lentamente l’addome. “Magari posso fare qualcosa.” E, prima che Brian avesse il tempo di capire cosa volesse dire, Justin si inginocchiò accanto allo sconosciuto e prese a sussurrargli all’orecchio.
Brian inarcò un sopracciglio e tentò di chiedere cosa stessero confabulando davanti al suo pisello, ma ogni pensiero coerente abbandonò la sua mente quando la lingua del ragazzo moro fece qualcosa di incredibilmente eccitante attorno alla sua erezione. Dovette piegare le labbra all’interno della bocca per non gemere ad alta voce.
“Bravo, così.” Lo istruì Justin, mentre la sua mano risaliva lungo le gambe di Brian e si fermava su un fianco. “Adesso di nuovo.”
Mentre lo sconosciuto metteva ancora in pratica gli insegnamenti di Justin, il ragazzo si alzò e, sporgendosi verso di lui, lo baciò appassionato. “Non sarà bravo quanto me, ma di sicuro è meglio di prima.”
Brian ansimò contro la sua bocca e infilò una mano nel retro dei suoi jeans, accarezzandogli il fondoschiena. Sorrise sadicamente quando sentì il suo fidanzato gemere. “Sei un piccolo, stronzetto pervertito, lo sai?”
“Sempre per te, stallone.”
La mano libera di Brian si affrettò a slacciare i pantaloni di Justin prima di iniziare ad accarezzarlo con movimenti sensuali per tutta la lunghezza; l’altra mano lo penetrò con urgenza facendolo gemere forte contro il lato del suo collo. “Brian…” Ansimò, protendendosi verso di lui.
“Ti piace, Sunshine?” Domandò Brian con voce roca continuando a massaggiarlo con vigore. Prese come risposta affermativa il gemito strozzato che sfuggì dalle labbra socchiuse di Justin. Lo penetrò di nuovo con l’indice, stavolta con meno riguardo, e Justin soppresse un grido contro la stoffa della camicia di Brian. “Ancora…” Boccheggiò.
Brian si umettò le labbra e sorrise nella penombra della dark room; lanciò uno sguardo fugace al patetico uomo inginocchiato ai suoi piedi e scosse il capo, riportando lo sguardo sul suo traballante fidanzato, ormai ad un passo dall’orgasmo. Se anche lui fosse riuscito a venire, sarebbe stato solo merito di Justin e della sua incredibile capacità di fargli perdere il controllo.
Le labbra di Justin contro il suo mento lo riportarono alla realtà. “Brian? Tutto okay?” Gli domandò in un sussurro.
Brian fissò per un istante il bel volto di Justin e sfregò il naso contro il suo. “Alla grande, Sunshine.” Soffiò ad un centimetro dalle sue labbra prima di insinuare un altro dito dentro di lui. Justin inveì sottovoce mordendogli con ferocia il collo e strappandogli un risatina divertita. Rafforzò la presa sulla sua erezione e, con un’ultima, impaziente carezza, Justin venne sulla sua mano cercando di non emettere un fiato.
Brian, eccitato dall’orgasmo del suo fidanzato più che dal mediocre pompino, lo seguì un attimo dopo.
Lo sconosciuto si alzò in piedi leccandosi le labbra con gusto. “Wow…” Riuscì solo a dire.
Brian gli lanciò un’occhiata di sufficienza, stringendo ancora Justin tra le braccia. “Sì, l’ho sentito dire.” Accarezzò con riguardo i capelli sudati del suo fidanzato e rivolse allo sconosciuto un’occhiata annoiata. “C’è altro?”
Il tizio accennò col capo a Justin. “Non credo che avrai quello che cerchi da lui. Tutti sanno che è un attivo e tu non dai precisamente l’idea di essere uno che lo prende in culo.”
Brian inarcò un sopracciglio e passò un braccio attorno alle spalle di Justin, che lentamente prese a rivestirsi. Una volta terminato, Brian lo imitò.
“Allora?” Lo incalzò il ragazzo bruno.
Brian posò lo sguardo su di lui quasi fosse sorpreso di vederlo ancora lì. Justin rivolse ai due un sorriso e baciò la guancia di Brian. “Ti aspetto sulla pista da ballo quando hai finito col tuo fan club.” Gli strizzò con vigore il cavallo dei pantaloni. “Abbiamo un discorso da finire.” E con un occhiolino malizioso, uscì dalla dark room.
Brian continuò a seguire la sua sagoma che spariva con un sorriso soddisfatto stampato in faccia. “È un attivo, eh?”
Il tizio scosse le spalle. “Non si è mai fatto scopare da nessuno qui.”
Brian si sporse verso il suo orecchio. “Ma forse stasera ho proprio bisogno di qualcuno che mi scopi selvaggiamente.” Lo sentì deglutire a fatica e Brian riuscì persino ad avvertire la sua eccitazione crescere nei jeans attillati.
“Potrei essere io quel qualcuno.” Azzardò sfacciato.
Brian ridacchiò, accarezzandogli crudelmente il rigonfiamento nei pantaloni. “Non credo proprio, bellezza.” Diede un’ultima strizzata prima di seguire Justin e sparire dalla dark room. Trovò il suo fidanzato al centro della pista, circondato da un’orda di uomini arrapati. “Ehi, finalmente.” Gli sorrise, cingendogli il collo con le braccia. “Non c’hai messo molto.”
“Solo il tempo per insegnare qualcosa ad un ragazzino arrogante.”
Gli occhi di Justin si illuminarono di malizia. “Oh, davvero? E io? Non ho bisogno di una bella lezioncina anche io?”
Brian lanciò un’occhiata attorno a loro, alla marea di disperati che fremevano per farsi scopare da lui o da Justin – o da entrambi – e sogghignò compiaciuto. “Tu hai bisogno di più di una lezioncina.”
Justin si alzò sulle punte e lo baciò con trasporto. “Te l’ho già detto che sono felice che tu sia venuto?”
“Nella dark room?” Lo stuzzicò Brian, posandogli le mani sui fianchi e ondeggiando al ritmo della musica seguendo i suoi movimenti.
Justin rise, accarezzandogli il collo. “A New York.”
Brian piegò le labbra all’interno della bocca per nascondere un sorriso e posò la fronte contro quella di Justin. “Anche io.” Confessò.
In silenzio, Justin si strinse di più a lui.
 
 
 
 
 
Brian mosse impercettibilmente il bacino e sorrise compiaciuto quando sentì Justin gemere ad alta voce, inarcandosi di più contro di lui. Deciso a non soddisfare subito il suo fidanzato, si abbassò di un altro centimetro verso il corpo di Justin abbassando i gomiti e, come da previsione, la sua erezione scivolò appena dentro il corpo del ragazzo.
“Brian…” Sussurrò quello, ormai stremato dalle crudeltà che Brian stava attuando da più di un’ora.
“Non ancora…” Lo ammonì l’uomo. “Voglio arrivarci lentamente…” E avanzò di un piccolo, minuscolo, insignificante centimetro.
Justin arcuò la schiena, spalancando la bocca. “Al diavolo il lentamente! Voglio che mi scopi! Adesso! Forte e veloce!”
“Altrimenti?” Brian si chinò sul suo petto e prese tra i denti il piercing, succhiandolo piano nel modo in cui sapeva faceva impazzire Justin.
Justin affondò le mani nei suoi capelli scuri per essere sicuro che non si staccasse più dalla sua pelle, che rimanesse attaccato a lui per sempre, per tutta la vita finché entrambi non fossero stati vecchi e decrepiti. “Ti voglio da morire.”
“Avresti potuto divertirti di più al locale.” Lo stuzzicò ancora Brian con un mezzo sorriso, segretamente soddisfatto che Justin non avesse degnato di uno sguardo nessuno tranne lui. Del resto, lui aveva fatto lo stesso.
“Loro posso averli quando mi pare.” Boccheggiò Justin, guidando il capo di Brian sul suo collo. L’uomo non si fece pregare, iniziandoad accarezzarlo con la lingua. “Questo invece…” S’inarcò quando Brian lo morse. “Questo dovrò aspettare chissà quanto per farlo di nuovo.”
Brian sorrise contro la sua pelle, ormai arrossata dalle sue attenzioni, e senza nessuna avvisaglia, si spinse completamente dentro di lui facendogli gridare il suo nome a pieni polmoni.
Prima ancora che il respiro di Justin tornasse regolare, si ritrasse, spingendosi poi di nuovo in lui con lo stesso vigore, la stessa passione, lo stesso incontrollato bisogno.
Justin gli avviluppò le gambe attorno alla vita per evitare che si allontanasse e si aggrappò alle sue spalle forti e rassicuranti. Un’altra spinta più vigorosa delle precedenti gli fece affondare le dita nella pelle bronzea di Brian, lasciandolo senza respiro e senza parole.
“Del resto, sono o non sono il migliore?” Gli sussurrò Brian, anche lui a corto di fiato.
Justin sorrise sollevando il capo per baciarlo. Insinuò la lingua nella sua bocca e sospirò inebriato quando s’incatenò prontamente a quella di Brian.
Divorò affamato le labbra dell’uomo mentre quello continuava a spingere dentro di lui, a prenderlo, a possederlo. Ad amarlo.
Strinse le braccia attorno alle spalle di Brian quando avvertì le sue spinte farsi più urgenti, diventando sempre più ravvicinate. Le mani di Brian volarono attorno alla sua vita dove lo strinsero forte, probabilmente lasciando l’impronta delle sue dita sulla pelle nivea. A Justin non importò neppure per un secondo.
Si sollevò leggermente sulla schiena e, nel momento in cui Brian colpì la prostata, venne con un lungo gemito, soffocato dalle labbra del suo fidanzato.
Lo sentì sorridere prima di spingere un’ultima volta e raggiungere l’apice assieme a lui. Con un grugnito di piacere, si accasciò sul corpo esausto e sudato di Justin. Le gambe di Justin rimasero arpionate ai suoi fianchi.
Nella stanza calò il silenzio, interrotto solo dai loro respiri affannati e dal fruscio quasi impercettibile delle lenzuola aggrovigliate attorno a loro; Justin chiuse gli occhi quando Brian posò la fronte contro la sua spalla e inspirò profondamente prima di rilasciare un lungo sospiro. La camera odorava di fumo, di sesso, di sperma, del corpo di Brian steso sensualmente sopra il suo e del suo, più minuto, premuto contro il materasso che avvolgeva quello più muscoloso di Brian.
Si addormentò così, con il respiro del suo fidanzato contro l’orecchio e Brian ancora dentro di lui.
 
 
 
 
 
Fresco di doccia, Brian si avvolse un asciugamano attorno alla vita e raggiunse in cucina il suo fidanzato. “Quello cos’è?” Domandò curioso, in direzione della busta bianca posata accanto alla sua colazione.
Justin lo guardò con espressione incerta. “Un regalo per te.”
Brian inarcò un sopracciglio, prendendo posto al bancone. Aprì la busta con cautela. “Un biglietto aereo? Non sei per niente originale, Sunshine. Quella era una mia idea.”
Justin gli fece una linguaccia, prima di tornare serio. “Ho rubato il tuo biglietto e ho cambiato la data.”
“Stasera?” Brian alzò il viso di scatto e fissò Justin con espressione sorpresa. “Che vorrebbe dire?”
“Che domani sarai a Toronto.” Rispose Justin.
“Toronto?” L’uomo riportò gli occhi sul biglietto.
“Partenza stasera per Toronto e domani Toronto-Pittsburgh.” Snocciolò Justin con tono mesto.
Brian incrociò le braccia al petto. “Ti spiace spiegarmi?”
Justin prese un bel respiro e si sedette accanto a lui; posò la mano su quella di Brian intrecciando le loro dita. “Va’ da Gus.”
“C’è la mostra stasera.” Gli ricordò Brian, stupito ancora una volta dall’altruismo del suo fidanzato. “È per questo che sono venuto qui.”
“Ed è stato bellissimo.” Confessò Justin con un sorriso triste. “Sono stati i due giorni più belli dell’ultimo mese, ma…” Gli posò la mano sulla guancia. “Credo sia più giusto che tu vada da Gus.”
“Ci saranno altre partite.” Brian si sentì in colpa per quella frase perché in cuor suo sapeva che non si stava comportandoda buon padre, ma che poteva fare? Era consapevole che avrebbe dovuto salire immediatamente su quell’aereo e correre da suo figlio e malgrado ciò una parte di lui voleva rimanere lì con Justin e assistere al suo trionfo alla mostra, essere fiero di lui, godere delle occhiate invidiose che avrebbe sicuramente ricevuto solo per la fortuna che aveva di poter dividere la propria vita con Justin.
“È l’ultima della stagione per lui.” Justin sospirò combattuto quanto lui. “Ed è importante che tu sia presente. Io non posso venire, ma tu puoi essere lì per tutti e due.”
Brian emise un gemito contrariato. “Odio questa cosa dei genitori responsabili.” Grugnì. “Quelli dovrebbero essere Mel e Linz.”
Justin scoppiò a ridere. “Hai ragione. Noi siamo quelli che lo viziano e lo fanno ingozzare di gelato e merendine.”
“Precisamente.”
Brian lo tirò verso di sé e lo strinse forte tra le sue braccia. “Andrà fuori di testa per questa sorpresa.”
“Lo spero proprio! Ci ho rimesso ventiquattro ore di sesso!” Esclamò indignato il ragazzo, facendolo scoppiare a ridere. “Vorrei poter venire anche io.”
“No.” Lo seccò Brian con tono perentorio. “Tu devi stare qui. New York è il tuo posto.”
Justin studiò l’espressione seria di Brian per un istante e annuì. “Per il momento.” Gli ricordò. “Ho tutte le intenzioni di diventare vecchio a Britin con te.”
Brian gli schiaffeggiò il sedere. “Io non diventerò vecchio!”
Justin gli rivolse un sorriso carico di amore prima di abbracciarlo così forte da fargli scricchiolare le costole. “Ti amo così tanto, Brian Kinney.”
Brian lo strinse a sé, affondando il viso nei suoi capelli. “Questo perché sono unico al mondo.” Lo sentì ridacchiare, tirando su col naso. “Unico e inimitabile.”
“Unico e inimitabile.” Concordò Justin premendo il viso contro la sua maglia, sperando di nascondere gli occhi lucidi.
“Tu starai bene?” Gli chiese Brian dopo qualche istante di silenzio, la preoccupazione evidente nella sua voce.
Justin sospirò sollevando il viso. “Certo che starò bene, mi conosci. Sono indistruttibile.” E allargò le braccia verso l’esterno per mostrare i muscoli.
Brian gli accarezzò i capelli guardandolo con un misto di orgoglio e ammirazione.
Sì, lo era. Justin era davvero indistruttibile. Mai in tutta la sua vita a Brian era capitato di incontrare qualcuno testardo, caparbio, fiero e forte come Justin Taylor. Un diciassettenne che aveva tenuto testa a suo padre senza paura, che aveva affrontato senza vergogna gli scherni e le prese in giro dei suoi insignificanti compagni di scuola, che aveva combattuto per veder riconosciuti i suoi diritti come qualunque etero, che aveva sconfitto con grazia e coraggio chi lo aveva spinto a terra, calpestato, ferito, umiliato, che si era sempre opposto con ardore e fermezza a chi voleva sminuirlo, che aveva sempre difeso chi spesso non meritava alcuna difesa, alcuna scusante.
Che aveva sempre difeso lui, che aveva sempre preso le sue parti, che era sempre stato al suo fianco persino quando tutti gli altri gli avevano voltato le spalle. Michael, Lindsay, Ted, Emmett… ma non Justin.
No. Justin era sempre rimasto con lui, a proteggerlo, a prendersi cura di lui anche quando se n’era andato col dannato violinista. Al primo accenno di pericolo – presentatosi sotto le mentite spoglie di un odioso ragazzino e delle sue infamanti accuse – Justin si era presentato nuovamente alla sua porta col suo braccialetto in mano e quel sorriso che tanto gli era mancato a scaldargli il cuore.
Perché Justin era così: nonostante dovesse essere il contrario, era lui, quel ragazzino infantile e maturo allo stesso tempo, che si occupava di Brian e dei casini della sua vita. Lui, il suo splendido, invidiato e fiero fidanzato che, non capiva ancora come o perché, aveva scelto di rendere la sua vita più bella.
Justin gli rivolse un sorriso radioso prima di passargli una mano tra i capelli.
E più luminosa… Sì, Justin rendeva la sua vita più luminosa, più viva, più… vita.
“Brian?” Il suo fidanzato aggrottò la fronte, preoccupato. “Mi ascolti?”
Brian scosse il capo. “Scusa, ero sovrappensiero.”
“L’ho notato. Avevi un’aria così assorta.” Lo prese in giro il più giovane. “A che pensavi?”
L’uomo alzò gli occhi al cielo e gli schiaffeggiò una natica per fargli cenno di spostarsi. “Niente che ti riguardi.” Mentì alzandosi in piedi e dirigendosi verso la camera.
Alle volte sentiva il bisogno di battere in ritirata e passare qualche istante per conto suo quando i suoi sentimenti per Justin – perché ormai aveva imparato a convivere con la consapevolezza di essere innamorato – tornavano a galla con quell’intensità. Non era mai stato bravo ad analizzare le proprie emozioni, ma con Justin vicino era ancora più difficile, e facile, e terrificante, e rassicurante, e meraviglioso, e spaventoso. Con Justin era sempre tutto e niente.
Il suo tutto e il suo niente.
E lui lo capiva, capiva quando Brian aveva bisogno del suo spazio e quando invece lo voleva vicino, capiva quando era arrabbiato e quando era malinconico. Perché semplicemente Justin era fatto per lui.
Con un sospiro, prese a fare i bagagli. Abbozzò un sorriso quando udì Justin trafficare in cucina, consapevole che in quel momento Brian aveva bisogno di un minuto di solitudine, un istante di solitaria pace, un attimo solo per lui.
“Vuoi che ti aiuti a fare i bagagli?” Sobbalzò quando, dieci minuti più tardi, Justin fece capolino in camera. La sua roba era ormai già quasi tutta impacchettata.
“Oh sì, me lo ricordo quanto sei bravo a fare le valigie.” Lo rimproverò cercando invano di non sorridere. “Le mie povere camicie non si sono ancora riprese dall’ultima volta che hai offerto il tuo prezioso contributo.”
Justin sbuffò offeso. “Solo perché tu sei maniacale.”
Brian roteò gli occhi, continuando a piegare con cura i suoi indumenti. “Justin, arrotolare i vestiti è stupido.”
“Stronzate, è scientificamente provato. I miei vestiti vengono fuori perfettamente lisci, senza neppure una piega.”
“Forse capiterà ai tuoi discutibili vestiti, ma i miei sono firmati, sono preziosi e valgono un sacco di soldi.”
Justin sorrise avvicinandosi a lui e baciandogli il mento. “Sai che mi mancherà anche sentirti borbottare in difesa del tuo prezioso guardaroba?”
Brian inarcò un sopracciglio. “Questo è il peggior complimento che tu mi abbia mai fatto.”
“Solo perché ti amo.”
“Che uomo fortunato.” Biascicò Brian arpionandosi all’elastico dei pantaloni di Justin e tirandoli leggermente verso il basso. “E stai per diventare anche tu molto fortunato.”
Justin si umetto sensualmente le labbra mentre Brian lo spingeva verso il letto e si sistemava, con un sorriso malizioso, tra le sue gambe.
 
 
 
 
 
“E dì a Gus che mi dispiace.”
“Hai finito, regina dei drammi?”
Non cogliendo l’ironia, Justin ci pensò su un attimo prima di assentire col capo. “Sì. Credo. Non lo so.”
“Siamo pronti, signore.” Lo avvertì l’autista del taxi che aveva appena finito di sistemare le sue valigie. L’uomo riprese la sua posizione al posto di guida.
“Okay, ci siamo, Sunshine.” Gli disse Brian con tono allegro, del tutto intenzionato ad evitare patetiche sceneggiate.
Justin sbuffò mettendo il broncio. “Mi sto davvero pentendo del mio gesto altruista.”
“Lieto di sentirlo. Spero ti serva da lezione.”
Justin lo colpì forte al braccio, lanciandogli un’occhiata torva. Con la coda dell’occhio scorse il suo taxi, parcheggiato dietro quello di Brian che dopo la partenza del suo fidanzato lo avrebbe portato alla galleria. “Mi mancherai da morire.” Confessò senza vergogna, alzandosi sulle punte per baciarlo.
Brian gli passò le braccia attorno alla vita e ricambiò rimanendo in silenzio, ma rivelando tutto quello che Justin aveva bisogno di sentire con quel bacio. “Devi andare, il successo ti aspetta.” Gli sussurrò una volta staccatosi dalle sue labbra.
“Salutami il Canada.”
“E tu la regina delle stronze. Dille che mi dispiace non poterle rendere la vita impossibile stasera.”
Justin scoppiò a ridere, stringendolo con forza un’ultima volta. “Okay, adesso vai o non ti lascerò più partire.”
Brian gli sorrise, passandogli una mano tra i capelli. “Ti chiamo quando arrivo.”
“Lo spero proprio.”
Rimasero a guardarsi per alcuni istanti, in silenzio, entrambi riluttanti a lasciarsi andare di nuovo, a separarsi ancora, a salutarsi per l’ennesima fottutissima volta; Brian sospirò profondamente prima di posare la fronte contro quella di Justin. “Devi andare o farai tardi alla tua grande serata.”
“Tu perderai il volo. Sei tu che devi andare per primo.”
“Non fare il ragazzino.”
“E tu non fare lo stronzo.”
I loro sguardi s’incrociarono per un istante e non poterono trattenersi dal sorridersi. Brian cercò di non pensare a quanto quella scenetta potesse sembrare stucchevole e ridicola, Justin pensò a quanto tempo sarebbe passato prima che si fossero rivisti di nuovo.
“Okay, basta così.” Brian si staccò da lui, cercando di essere brusco, ma Justin sorrise quando percepì la mano del suo fidanzato accarezzargli la nuca un’ultima volta con fare rassicurante. “A più tardi, Sunshine.”
Justin si aggrappò alla sua camicia e lo baciò di nuovo, stavolta più appassionatamente. “Ciao ciao, sexy.” Gli sussurrò col fiato corto quando rilasciò le sue labbra.
Brian scosse il capo con fare fintamente annoiato e mosse finalmente un passo verso il taxi. Gli sorrise un’ultima volta prima di aprire lo sportello e sparire dentro l’abitacolo.
Il taxi partì un secondo dopo.
 
 
 
 
 
Quella mattina, il telefono squillò ad un’ora decisamente indecente.
Justin riemerse dal groviglio di coperte con un grugnito e allungò una mano verso il comodino. I due corpi addormentati accanto a lui non si mossero.
“Spero davvero che tu abbia fatto venire i capelli bianchi a quell’imbecille di Billy Thompson.” Confessò con la voce ancora impastata dal sonno.
“Che ne sapevi che ero io?” Domandò offesa la voce di Gus.
Justin si alzò dal letto con un sorriso. “Voi Kinney siete così prevedibili.”
Seguì un istante di silenzio prima che la vocina di Gus chiedesse a suo padre il significato della parola prevedibile. “Dice che lo siamo noi.” Spiegò.
“Ah, dice così, eh?” Il cuore di Justin perse un battito alla voce del suo fidanzato. “Beh, dì a Justin che la sua punizione sarà tutt’altro che prevedibile.”
Justin scoppiò sommessamente a ridere dirigendosi verso la cucina, il telefono ancora diligentemente incollato all’orecchio. “Allora, avete vinto o no?”
“Certo che abbiamo vinto!” Esclamò indignato Gus. “Ho segnato due gol!”
“Grande. Papà è stato bravo a fare il tifo?”
Brian aggrottò la fronte confuso quando vide suo figlio lasciargli un’occhiata storta. “Così così. La prossima volta è meglio se vieni anche tu. Lui non sa come fare.”
Justin ridacchiò proprio mentre il cellulare tornava al suo legittimo proprietario. “Dai qua.” Sentì Brian borbottare mentre Gus scappava via ridendo a crepapelle. “Che cosa state confabulando alle mie spalle?”
“Gus dice che fai schifo a fare il tifo.”
“Cosa?” Brian era scioccato. “Sono stato grandioso. Sono stato tutto il tempo con le lesbiche a sentirle parlare di asili col giardino, animali domestici e cazzate del genere con gli altri genitori e non mi sono scopato neppure un papà indeciso.”
“Sono colpito, Kinney. Chi l’avrebbe mai detto?” Justin tirò fuori una padella e prese un paio di uova dal frigorifero. “Dì la verità, erano tutti così brutti?”
Brian sorrise contro il telefono. “A quanto pare gli abitanti di Toronto non conoscono la parola palestra. O buon gusto. O divertimento.”
“Di sicuro non il tipo di divertimento che intendi tu.”
“Mel e Linz hanno trovato la loro dimensione ideale.”
Un grugnito terrificante si levò dal divano facendo sobbalzare Justin. “A quanto pare qualcuno si sta svegliando.” Sussurrò.
“Sono ancora tutti nel mondo dei sogni?” Justin sorrise, tagliando a fettine il bacon.
Quando la sera prima era arrivato alla galleria, il suo umore era a dir poco nero. Il suo sguardo torvo e la misteriosa assenza di Brian erano stati più che sufficienti a far comprendere a tutti che quella sera era decisamente la serata adatta per stare lontano da Justin Taylor.
Per fortuna di tutti – e soprattutto del suddetto artista che aveva corso il rischio di incappare nella cieca e spietata vendetta della sua gallerista se non avesse smesso di lanciare occhiate minacciose a chiunque lo avvicinasse – c’aveva pensato un rumoroso gruppetto di quattro persone ad evitare l’omicidio e il conseguente arresto di Vanessa. La ragazza e Steve infatti si erano scambiati uno sguardo sollevato quando avevano riconosciuto i nuovi arrivati.
“Ho una domanda.” Aveva esordito Daphne dirigendosi verso il suo migliore amico ancora incredulo di trovarla lì. “Dimmi perché sono stata costretta ad affrontare un faticoso e del tutto spesato viaggio in aereo per venire nella città più bella del mondo mentre avrei potuto passare un tranquillo sabato sera in pigiama davanti alla tv, tutta sola soletta? Il mio divano sarà molto arrabbiato per questo.”
Justin l’aveva abbracciata di slancio al colmo della felicità. “C’era qualcuno che aveva bisogno di Brian più di me.”
“Stento a crederlo.” Lo aveva preso in giro la ragazza stringendosi a lui. Poi lo aveva guardato negli occhi con una strana espressione e aveva detto: “Complimenti, Justin. Oggi sei diventato genitore a tutti gli effetti.”
“Che vuoi dire?” Gli aveva chiesto lui, confuso.
“Non è questo che fanno i genitori? Sacrificarsi per rendere felici i loro figli?” Daphne gli aveva rivolto un sorriso fiero. “E rinunciare a ventiquattro ore di sesso per te e Brian è un enorme sacrificio.”
Justin non era riuscito a ribattere: Molly e Emmett si erano gettati su di lui con il loro solito, meraviglioso entusiasmo travolgente. Daphne e Ted avevano ridacchiato divertiti davanti a quello scena.
Justin tolse il bacon dal fornello e versò le uova sbattute in un altro tegame. “Dovete aver passato una bella serata se sono così devastati.”
Justin ridacchiò. “Di sicuro Ted ed Emmett si sono divertiti. Molly ha subito fatto amicizia con Hayley…”
“Non fatico a crederlo.” Ammise Brian. La voce di Gus lo chiamò dalla sala da pranzo. “Devo andare adesso o le lesbiche mi metteranno in punizione per averle fatte aspettare.”
Justin soffocò una risata. “Cerca di fare il bravo.”
“Come sempre, Sunshine.”
“Sì, come no. Ti chiamo dopo.”
Brian sorrise. “A dopo.” Disse solo prima di interrompere la telefonata.
Justin posò il telefono accanto al frigo e finì di preparare la colazione. Apparecchiò con cura la tavola per sé e i suoi amici prima di dirigersi verso la finestra. Ted e Emmett erano una massa informe sul divano letto del salotto mentre le ragazze dormivano beatamente abbracciate nel suo letto. Con un sorriso sadico, scostò le tende con un gesto secco guadagnandosi grugniti e gemiti sofferenti da tutti i suoi ospiti. “Forza, truppa! La colazione è pronta!” Gridò forte.
Scoppiò a ridere quando udì le numerose maledizioni che gli furono rivolte.

 







* la canzone della suoneria è Born to Make You Happydi Britney Spears. Scusate, ma l’ho trovata abbastanza smielata da starci bene! :D
 
** la citazione è tratta da una puntata di uno dei miei telefilm preferiti di sempre, “Alias”. Se non l’avete mai visto, fatelo. Ne varrà la pena.
 
 
 
 
Allora, che ne dite? Vi è piaciuto questo capitolo made in NYC? Lo so che è non è molto e lo so che voi aspettate una vera reunion, una da riunificazione delle due Germanie, ma non temete, arriveremo anche lì con un po’ di pazienza!
Nulla da segnalare se non sesso, sesso e ancora sesso, ma che pretendevate da ‘sti due? Non si vedono da più di un mese, non potevo fare altro! Non è colpa mia, prendetevela con loro!
Piccola precisazione: Magnolia Bakery esiste davvero (ho trovato il nome su una guida di NY) ed è specializzato in cupcake di tutti i tipi. Ho visto il sito su Internet ed è davvero da bava alla bocca!
Piccola news sulla mia vita (che probabilmente non fregherà a nessuno)! Domani partirò per uno stage di sei settimane in Germania, ergo non credo che sarò in grado di aggiornare prima della metà di dicembre o giù di lì (non è colpa mia, prendetevela con la Ryanair!) È vero che ormai siete abituate ai miei aggiornamenti da bradipo in coma, ma mi sembrava giusto farvelo sapere.
Come al solito, ringraziamento speciale a chi ha letto, commentato, inserito nelle seguite.
Un bacione enorme a tutti voi!

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Capitolo 25
*** Changes ***


25. Changes

 
 
 
 
 
John finì di sistemare l’ultima pentola e lanciò un’occhiata in direzione dell’orologio appeso al muro. Sorrise con soddisfazione, accorgendosi di essere in anticipo sulla sua tabella di marcia; ora non gli rimaneva che sedersi comodamente al bancone e stilare la lista delle pietanze che avrebbe dovuto presentare ad una coppia di nuovi clienti il giorno successivo.
Afferrò uno dei calici lì vicino e una bottiglia di Bordeaux prima di accomodarsi, carta e penna davanti a lui.
“Ehi splendore, ci sei?”
Le labbra si distesero in un sorriso al suono di quella voce allegra e ormai familiare.
“Di qua.” Rispose, scribacchiando il nome di un altro contorno.
Emmett apparve davanti a lui qualche secondo più tardi. “Ti disturbo?” Domandò gentile come sempre, poggiando sul bancone la tracolla strapiena di documenti.
John scosse il capo. “Affatto. Mi anticipo del lavoro che avrei fatto stasera.” Vide il suo amico aprire la bocca, pronto a ribattere. “È una cosa rapida quindi non ho nessun problema a perdere mezz’ora del mio tempo per chiacchierare con te.”
Emmett attribuì il calore che sentì salirgli sulle guance al caldo afoso di giugno. Abbozzò un sorriso e si accomodò di fronte al suo amico. John allungò una mano verso il lavandino, afferrando un altro calice e versando del vino anche per Emmett.
“Allora? Gli domandò, rivolgendogli un sorriso sincero. “A cosa devo il piacere di questa inaspettata visita?”
Emmett sorseggiò il suo vino, cercando di prendere tempo.
Di certo non avrebbe potuto confessargli che era passato a trovarlo perché gli mancava. O perché l’ultima settimana senza vederlo era stata un supplizio. O peggio ancora che, per tutto il tempo che non si erano visti, aveva atteso con trepidazione una sua chiamata, che aveva sobbalzato pieno di speranza ogni volta che il suo telefono squillava. O che, dopo sette lunghi  giorni in cui aveva messo diligentemente in pratica la filosofia del In amore vince chi fugge, non aveva più resistito e si era arreso, tornando da John con la coda tra le gambe.
No, certamente non poteva dargli una risposta del genere quindi optò per un diplomatico e falsissimo “Passavo da queste parti.”
John aggrottò le sopracciglia esitando per un istante. “Non mi sembri troppo entusiasta.”
Emmett riportò lo sguardo su di lui e scosse il capo imbarazzato. “Scusami, è colpa della stanchezza.” Lo rassicurò. “È che nell’ultima settimana non ci siamo praticamente sentiti e…” Mi mancavi. Mi mancavi da morire, dannato cuoco sexy. “… mi mancava chiacchierare con te.” Disse invece.
John gli sorrise prima di sorseggiare il suo vino. Emmett osservò con più attenzione del dovuto le sue labbra sottili che si stringevano attorno al bordo del bicchiere, che si separavano appena per assaporare il liquido scuro, che si stringevano tra loro prima di sorridergli ancora una volta.
“Anche tu mi sei mancato.”
Il cuore di Emmett ebbe un sussulto così improvviso che il suo proprietario temette di stare avendo un colpo apoplettico. “Nell’ultima settimana, le uniche conversazioni che ho avuto sono state con pentole e fornelli. Tornare a chiacchierare con un essere umano in carne ed ossa è un piacevole cambiamento.”
Emmett cercò di sorridere per non sembrare troppo deluso. Quella non era esattamente la risposta che si aspettava.
“Ted e gli altri come stanno? Dovremmo uscire una di queste sere.” Suggerì John posando i gomiti sul tavolo e guardandolo dritto negli occhi.
Emmett fu costretto ad aggrapparsi al bordo del bancone per non vacillare e svenire a terra tanta era l’intensità con cui John lo stava fissando.
Sesso a distanza… È così che si chiama quello sguardo, Emmy Lou…sussurrò una voce fin troppo familiare nella sua testa. L’hai vista in azione a sufficienza per poterla riconoscere…
Emmett sbuffò stizzito e afferrò il bicchiere con un gesto secco. John si accorse del suo improvviso cambio d’umore.
“Tutto okay, Emmett?”
L’uomo abbozzò un sorriso, in imbarazzo. “Sì, solo stanchezza, te l’ho detto. I ragazzi stanno bene e mi hanno chiesto più volte che fine avessi fatto.” Ci pensò su un attimo e ridacchiò. “Credo che abbiano paura che io ti faccia scappare.”
John rise di gusto. “Farmi scappare? Semmai sei tu che mi fai restare! Se non fosse stato per te, a quest’ora vivrei sotto i ponti.”
“Sciocchezze. Sono sicuro che qualcun altro si sarebbe accorto del tuo talento prima o poi. La fortuna ha voluto che fossi io il primo.”
“Fortuna per me o fortuna per te?” Lo prese in giro John.
Emmett si strinse nelle spalle, imponendosi di non arrossire. “Per entrambi, mi auguro.”
John annuì con un sorriso. Alzò il calice verso Emmett. “Per entrambi di sicuro.” Ammise. Rimasero in silenzio per qualche minuto prima che John parlasse di nuovo. “Con il ballo come va? Ormai siamo agli sgoccioli.”
Emmett annuì con espressione stanca. “Dio solo sa perché mi sono fatto incastrare da Molly. Come se non fossi già abbastanza impegnato.”
John gli sorrise. “Perché adori Molly. E adori occasioni del genere e non avresti mai perso l’occasione di partecipare ad un ballo come questo.”
“Touché.” Fu costretto ad ammettere Emmett, facendo scoppiare a ridere John. “Sto iniziando a pensare che mi conosci troppo bene, John Mason.”
“E la cosa ti disturba?”
“No, la cosa mi spaventa. Non mi piace essere prevedibile.”
John scoppiò a ridere di gusto. “Tu non potresti mai essere prevedibile, Em. Sei la persona più sorprendente, incredibile e stupefacente che io conosca.”
Emmett arrossì sorridendogli timidamente. “Ti ringrazio.”
“Non ringraziarmi, è solo la verità. E sono sicuro che, grazie a te, il ballo alla St. James diventerà l’evento dell’anno.”
“Di sicuro sarà indimenticabile. Molly è stata davvero brava, ma del resto non dovrei stupirmi. È una Taylor.”
“E poi ha avuto un ottimo maestro.”
Davanti all’ennesimo complimento, Emmett prese il coraggio a due mani e gettò alle ortiche ogni prudenza. Ingollò l’ultimo sorso di vino e si fece avanti. “Ti andrebbe di venire al ballo con me?” Domandò cercando di non far tremare la voce.
John sollevò le sopracciglia, chiaramente colto di sorpresa. “Al ballo? Credevo che fosse solo per i ragazzi.”
“A Molly farebbe piacere che ci fossimo anche noi. Come… ringraziamento per l’aiuto che le stiamo dando.”
John annuì lentamente. “Capisco.”
“Quindi è un sì?”
L’uomo davanti a lui sorrise e assentì. “Non ti lascerei mai da solo con un’orda di ragazzini scatenati.”
Emmett sospirò sollevato, rivolgendogli un sorriso radioso. “Ne sono felice.”
John ricambiò. “Anche io. Non avrei detto sì a nessun altro.”
 
 
 
 
 
Il tavolo della sala da pranzo tremò pericolosamente quando Michael infilzò con inaspettata violenza il cubetto di tofu che aveva nel piatto. Ben, seduto all’altro capo, si limitò ad inarcare un sopracciglio, indeciso se parlare o no.
Probabilmente se avesse detto la cosa sbagliata, la forchettata successiva avrebbe avuto come bersaglio il suo occhio. O qualche organo vitale.
Allungò la mano verso il suo bicchiere, decidendo di rimanere in silenzio. Michael continuò a lanciargli occhiate torve.
Dopo l’assassinio brutale di un paio di carciofi lessi e la selvaggia e crudele tortura gratuita di un invitante pasticcio di zucchine, Ben non poté più trattenersi. Prese un bel respiro.
“Michael, va tutto bene?” Chiese incerto, ancora confuso dallo strano atteggiamento di suo marito.
Michael sollevò lo sguardo dal proprio piatto e gli rivolse un’occhiata gelida. “A meraviglia.” Sibilò, chiudendosi di nuovo in un ostinato silenzio.
Ben sospirò pazientemente. “Ne sei sicuro? Ultimamente sei sempre così…”
“Così come?” Scattò immediatamente l’altro sulla difensiva.
“Nervoso.”
“Non sono affatto nervoso.”
“Di cattivo umore? Pericolosamente silenzioso? Rancoroso?”
Michael sollevò le sopracciglia e si appoggiò allo schienale della sedia. “Rancoroso? Accidenti che paroloni. Si vede che sei uno stimato professore. Alle volte mi domando che cosa ci facciamo noi due insieme.”
Ben raddrizzò immediatamente le spalle e aggrottò la fronte. “E questo che cosa vorrebbe dire?”
Michael scosse le spalle. “Solo che forse uno sciocco e stupido venditore di fumetti non è adatto ad un insegnante colto e intelligente come te.”
“Okay, mi arrendo.” Ben alzò le mani e allontanò il proprio piatto verso il centro del tavolo: d’un tratto non aveva più fame. “Ti va spiegarmi cosa diavolo ti prende? Che cosa ho fatto stavolta? O meglio, che cosa credi che abbia fatto? Togliamoci questo dente e torniamo alla normalità.”
“Cosa credo che tu abbia fatto?”
“Non sarebbe la prima volta, no? Perché tu sei così, Michael. Prima immagini gli scenari peggiori e poi, quando non riesci più a tenerti tutto dentro, esplodi, scoprendo che tutto quello che credevi non era che un’enorme sciocchezza cui hai permesso inutilmente di torturarti per settimane.”
Michael incassò il colpo senza fare una piega. Con espressione stoica, posò i gomiti sul tavolo. “Hai ragione, è così che sono fatto. Mi dispero in anticipo per delle sciocchezze che la metà delle volte sono solo nella mia testa.”
“Michael…” Ben si sentì immediatamente in colpa. “Quello che intendevo è--”
“Quindi dato che credo solo alle sciocchezze, tu neghi che ci sia mai stato qualcosa tra te e Hank?” Gli occhi chiari di Ben si spalancarono sorpresi. “Che non siete stati insieme al college? Che la vostra storia poi non è proseguita per altri tre anni prima che vi lasciaste? Che tutti i vostri amici vi credevano la coppia perfetta che sarebbe rimasta insieme per sempre? Neghi di essere mai stato innamorato dell’uomo che si è insinuato nella mia vita e in quella dei miei figli non raccontando altro che bugie solo perché tu sei stato troppo codardo per raccontarmi la verità?” Incapace di rimanere nella stessa stanza di Ben un minuto di più, Michael si alzò in piedi e guardò suo marito con espressione furiosa e ferita allo stesso tempo. “Neghi tutto questo, Ben?”
Ben sospirò, massaggiandosi stancamente gli occhi. “Michael, io--”
“Puoi negarlo, Ben? Riesci in tutta onestà a guardarmi negli occhi e dirmi che, anche questa volta, mi sono immaginato tutto?”
Lo sguardo deciso di Michael rimase puntato su Ben finché, al cenno di diniego di suo marito, non sentì mancargli la terra da sotto i piedi.
“Proprio come immaginavo.” Sussurrò con voce spezzata, prima di sparire in cucina.
Ben lo raggiunse dopo cinque minuti. “Da quanto lo sai?”
“Abbastanza per rendermi conto che, per uno che non ama mentire, dici un sacco di stronzate.”
Ben incassò il colpo in silenzio. “Da quanto?”
Michael sospirò e prese a torturare uno dei canovacci posati accanto al lavandino. “Un mese.”
“Un… un mese?”
“Dalla famosa rimpatriata cui io non ero invitato.” Okay, tecnicamente Ben mi aveva invitato…
“Non ti ho mai escluso da quel pranzo, sei stato tu a non voler partecipare.” Gli ricordò infatti Ben, chiaramente ferito dalla sua affermazione.
Michael abbassò lo sguardo rifiutandosi di sentirsi in colpa. “Rimane il fatto che mi hai mentito. Di nuovo.”
Ben mosse un passo verso di lui, ma Michael lo bloccò con un gesto della mano. “Non farlo. In questo momento sono troppo furioso con te e potrei dire qualcosa di molto stupido di cui finirei sicuramente per pentirmi quindi, ti prego, non…”
Ben annuì mestamente. “Lo capisco e mi dispiace, ma lascia che ti spieghi, Michael…”
“Perché dovrei ascoltarti?”
“Perché sono io! Guardami, Michael!” Sordo alla richiesta di suo marito di tenersi a distanza, Ben lo raggiunse, prendendogli il volto tra le mani. “Sono sempre io, Michael. E mi dispiace di averti mentito, prima sul libro e poi sulla storia con Hank.”
“E allora perché l’hai fatto? Non mi hai mai mentito, Ben. Mai. Nemmeno all’inizio della nostra storia, né sulla tua malattia, né su qualunque altra cosa.”
Ben annuì. “È vero, non abbiamo mai avuto segreti.”
“E allora perché adesso? Perché con Hank è diverso? Che cosa ti fa credere di non poterti fidare di me?”
“Ma non capisci?!” La presa di Ben sulle sue spalle si serrò e Michael giurò di non aver mai visto un’espressione del genere sul viso di suo marito. Ben si sentiva inerme, impotente… sconfitto.
Il senso di colpa che aveva tenuto a bada fino a quel momento tornò a travolgerlo con tutta la sua forza.
“Cosa, Ben? Cos’è che non capisco? Ti prego, aiutami a fare chiarezza. Aiutami a comprendere come la persona che amo di più al mondo abbia potuto mentirmi senza neppure--”
Le labbra di Ben assorbirono il resto della frase, ma Michael non trovò né la forza, né la voglia di opporvisi. Invece si aggrappò con forza alle spalle larghe e forti di Ben e rispose al bacio.
“Ecco perché.” Sussurrò Ben col fiato corto una volta staccatosi da lui. Michael sospirò posando la fronte contro il suo petto. “Perché avevo paura di perderti.”
“Perdermi?” Michael lo guardò come se fosse pazzo.
Ben annuì, passandogli una mano tra i capelli. “Michael, tu hai questa irrealistica convinzione che io non possa mai sbagliare, che qualunque cosa io faccia sia altruistica e generosa.”
“E non è forse così? Tu sei fatto in questo modo, Ben. Non potresti fare del male a qualcuno nemmeno se lo volessi.”
“A te ne ho fatto. Specialmente negli ultimi tempi.”
“E allora perché? Non posso credere che tu l’abbia fatto di proposito.”
“Io…” Ben sospirò pensieroso. “Avevo paura che non mi avresti perdonato, non dopo che ti avevo assicurato che tra me e Hank non c’era stata altro che amicizia.”
“Quindi c’è stato dell’altro?”
“Ai tempi del college, sì. Quello che hai scoperto è tutto vero. Lo ammetto, quella con Hank è stata la mia prima storia importante, la prima a farmi capire cosa fosse davvero l’amore. Sai com’è a diciannove anni.”
Michael abbozzò un sorriso. Era felice che Ben avesse avuto delle esperienze positive da adolescente: lui a quell’età era uno sfigato, vergine e per giunta innamorato del suo migliore amico che non lo degnava di uno sguardo.
“Ci siamo voluti bene, è inutile negarlo, ma dopo qualche anno ci siamo resi conto che quello che ci rimaneva erano una forte amicizia e una profonda stima reciproca. Ci siamo lasciati senza rimpianti. Lui aveva la sua carriera, io avevo appena iniziato ad insegnare.”
“E adesso?” Michael ebbe paura persino a porgli quella domanda. E se li gli avesse risposto che…? Scosse il capo, cercando di non pensarci. “È successo nulla tra voi adesso?”
Ben lo guardò sorpreso. “Michael, certo che no.”
“Davvero?” Si aggrappò alle sue braccia e lo guardò con aria implorante. “Mi giuri che non è successo nulla tra voi? Neppure un bacio, neanche un--”
“Non lo avrei mai fatto.” Lo interruppe Ben sincero. “Non avrei potuto fare una cosa del genere. Non a te, non ai nostri figli. Non avrei mai messo a rischio tutto quello che abbiamo costruito insieme in questi anni.”
Michael studiò attentamente la sua espressione prima di annuire, visibilmente rincuorato. “Ben, non posso cancellare quello che c’è stato tra voi, né sarebbe giusto farlo, ma…” Fece una pausa e intrecciò le dita a quelle di Ben come per assorbire da lui la forza necessaria “… non posso continuare a vederlo tutti i giorni sapendo che tu e lui…” Scosse il capo come a voler scacciare tutte le immagini di Ben e Hank che il suo cervello aveva prodotto negli ultimi trenta giorni. “Io non ci riesco, mi dispiace.”
“Lo capisco.” Ben gli sfiorò una guancia con le nocche. “Mi sentirei allo stesso modo al tuo posto.”
Michael schioccò la lingua con fare scettico. “Ne dubito.”
Ben lo baciò a fior di labbra. “Te l’ho già detto, Michael. Hai fin troppa fiducia in me.” Michael arrossì e sorrise. “Ma c’è una cosa che voglio che tu sappia e di cui non devi dubitare mai.”
“Sarebbe?”
“Che ti amo. E che qualunque cosa succederà nella nostra vita, tu, Hunter e Jenny sarete sempre la mia priorità, sarete sempre al primo posto.”
“Lo so.” Lo rassicurò Michael con tono deciso.
Il suo cellulare squillò in quel momento. Con un grugnito contrariato, Michael si staccò da Ben e rispose.
“Un’emergenza al negozio.” Comunicò a suo marito una volta terminata la chiamata. “Anche se mi domando che tipo di emergenza possa avere un negozio di fumetti.” Ponderò ad alta voce facendo ridere Ben.
“Vai pure. Finiremo il discorso più tardi.”
Michael annuì incerto chiaramente poco propenso all’idea.
Quando rientrò a casa, due ore più tardi, si diresse direttamente in camera da letto. Udì Ben canticchiare sotto la doccia e sorrise. Si sfilò le scarpe e decise di tornare in cucina per farsi un sandwich. A pranzo aveva mangiato poco o niente.
Percorrendo il corridoio, si bloccò davanti alla camera degli ospiti. La camera di Hank.
Il letto era perfettamente rifatto, la finestra era socchiusa e le leggere tende di cotone azzurro ondeggiavano leggermente a causa della brezza estiva.
Michael entrò nella stanza e, nonostante sapesse già cosa avrebbe trovato, aprì l’anta dell’armadio con un groppo in gola.
Chiuse gli occhi e sospirò sollevato quando avvertì il suo petto liberarsi dal macigno che lo opprimeva da troppo tempo.
Controllò i cassetti e persino il mobiletto in bagno.
Di Hank Sanders era sparita ogni traccia.
 
 
 
 
 
Ted superò la doppia porta scorrevole e tirò un sospiro di sollievo quando l’aria condizionata dell’atrio lo accolse; salutò con un cenno un paio di colleghi di Blake e s’incamminò verso il bar.
Mentre si avvicinava al tavolo a cui era seduto il suo compagno, notò Blake in compagnia di Carol e di una ragazza che non aveva mai visto. Che fosse una nuova consulente?
La direttrice del centro fu la prima ad avvistarlo; sollevò una mano in segno di saluto. Ted contraccambiò con un sorriso.
“Oh, eccoti finalmente.” Blake lo accolse calorosamente. “Mi chiedevo che fine avessi fatto.”
Ted abbozzò un sorriso di scuse. “Lavoro. Scusa se ti ho fatto aspettare.”
“Quindi tu sei il famoso fidanzato!” La giovane dai capelli scuri seduta accanto a Blake lo scrutò socchiudendo gli occhi. “Ti comunico che metà delle ragazze del centro di San Francisco è innamorata di te.”
Blake e Carol scoppiarono a ridere quando Ted sgranò gli occhi imbarazzato. “Innamorate di me?”
La ragazza annuì con un sorriso. “Dovresti sentire come Blake parla di te. Al confronto, il principe azzurro sembra uno sfigato. All’inizio pensavo quasi che non fossi vero e che lui si stesse inventando tutto per farci morire d’invidia.”
Blake sbuffò contrariato. “E invece eccolo qui in carne ed ossa.”
“Ultimamente più carne che ossa.” Scherzò Ted, sedendosi e facendo ridere di nuovo tutti. “Non ci siamo ancora presentati.” Tese una mano alla ragazza. “Ted Schmidt.”
La giovane ricambiò. “Io sono Kitty, una delle fanatiche che a San Francisco veneravano Blake. Spero non ti dispiaccia.”
Ted si voltò verso il suo compagno e scosse il capo, posando una mano sulla sua. “Affatto. Mi fa piacere sapere che non sono l’unico.”
“Ed è anche romantico!” Kitty scambiò un’occhiata intenerita con Carol. “Certa gente ha tutte le fortune.”
La direttrice ridacchiò prima di alzarsi in piedi. “Beh, mi piacerebbe restare qui a chiacchierare, ma ho un milione di cose da fare. Ci vediamo più tardi.” Sorrise brevemente a Ted e si avviò verso l’uscita del bar.
“Allora…” Kitty tornò a rivolgere la sua attenzione a Ted. “Blake mi ha detto che sei un pezzo grosso.”
Ted scoppiò a ridere. “Sono un semplice contabile.”
“Responsabile amministrativo di un’azienda che conta più di cinquanta dipendenti.” Lo corresse immediatamente Blake. “Nonché uomo di punta e consigliere del boss. Oltre che suo amico personale.”
“Il suddetto boss si farebbe amputare una gamba piuttosto che ammetterlo, ma sì… sono piuttosto soddisfatto del mio lavoro. È molto appagante.”
Kitty annuì. “Capisco cosa intendi. Anch’io ho iniziato a fare la consulente perché cercavo qualcosa di più, qualcosa che tornasse a darmi la voglia di vivere, di andare avanti, di… rialzarmi.”
Kitty era stata una tossicodipendente. Ted lo realizzò solo in quel momento. “Oh, non sapevo che anche tu…”
La ragazza annuì. “Eroina.”
Ted aggrottò la fronte. “Accidenti, roba forte. Al confronto mi sento un novellino.”
Kitty abbozzò un sorriso mesto. “Blake mi ha detto che anche tu hai avuto problemi di droga.”
“Crystal. Credevo di poterlo controllare, ma alla fine mi sono ritrovato senza nulla. Niente amici, niente lavoro, niente fidanzato. Quando mi sono reso conto di aver toccato il fondo, ho chiesto aiuto.”
Blake gli strizzò una mano con fare rassicurante. “È così che ci siamo rincontrati.”
Ted gli sorrise. “Non ce l’avrei mai fatta senza di te.”
“Sciocchezze, hai fatto tutto da solo.”
Kitty li osservò con un leggero sorriso sulle labbra. “Sei stato fortunato. Non potevi incontrare persona migliore di Blake.”
“Sono d’accordo.” Ted tornò a voltarsi verso di lei. “E a te com’è andata?”
La ragazza sorseggiò il suo the freddo. “La mia è una famiglia ricca ed io e i miei fratelli abbiamo sempre avuto tutto quello che desideravamo. Ad un certo punto mi sono accorta che gli abiti firmati, i gioielli e i viaggi non mi bastavano più. Volevo emozioni forti, volevo vivere la vita sul filo del rasoio. Inutile dire che l’eroina mi ha dato un bell’aiuto.” Provò a sorridere nonostante la tristezza che quei ricordi evocavano in lei. Ted si sentì in colpa per averle chiesto di parlarne. “A diciannove anni sono entrata in riabilitazione per la prima volta.”
”Immagino che per i tuoi non sia stato facile.”
Kitty ridacchiò mestamente. “I miei non ne sapevano nulla. Preferirono semplicemente voltarsi dall’altra parte. Fu mio fratello maggiore a costringermi a chiedere aiuto, dopo che ero quasi morta di overdose nel suo bagno, a tre metri dalla camera in cui dormiva il suo bambino di due anni.”
“Cristo santo…” Ted non riuscì a trattenersi. “Dev’essere stato terribile.”
La ragazza si schiarì la gola, probabilmente per evitare che la voce le tremasse ancora. “Non così terribile se riuscii a scappare dopo un paio di giorni. I mesi successivi furono un susseguirsi di ricoveri e fughe finché i miei fratelli non mi imposero una scelta: loro o la droga. Dissero che mi amavano, ma che ormai avevano fatto il possibile per me.”
“Sono stati coraggiosi. Non deve essere stato facile per loro.”
Kitty sorrise e stavolta, notò Ted, fu un sorriso vero, uno di quelli che solo chi ha visto l’inferno e ha saputo combatterlo e sconfiggerlo può avere. “Adesso sto bene, sono sposata, ho un bambino meraviglioso che ha rivoluzionato la mia vita e la mia famiglia è sempre al mio fianco. Nonostante tutto, credo di essere stata molto fortunata.”
Ted annuì comprendendo perfettamente lo stato d’animo di Kitty. Anche lui, pensando ai suoi amici, si sentiva allo stesso modo.
“E anche per questo che sono così eccitata per questo centro.” Continuò la ragazza con tono animato. “A San Francisco sarebbe la prima clinica di queste dimensioni che viene aperta in uno dei quartieri più difficili della città. È una specie di… rivoluzione!”
“Come avrai notato, Kitty è entusiasta dell’idea.” La stuzzicò Blake.
“Perché tu no? Ho visto la tua faccia quando abbiamo iniziato e ho visto la tua espressione quando sei stato costretto a ripartire. Se Carol non ti avesse richiamato, tu saresti rimasto a San Francisco, ammettilo.”
Ted guardò cautamente il suo compagno, notando la tensione nelle sue spalle. “Blake prende molto sul serio il suo lavoro.”
Kitty sospirò e annuì, accorgendosi del disagio del suo amico. “E tu, Ted? Di preciso in che campo lavori?” Domandò interessata, cercando di riportare la discussione in campo neutro.
Ted lanciò un’occhiata di sottecchi a Blake. “Pubblicità.” Rispose incerto.
“Affascinante.”
L’uomo si costrinse a riportare lo sguardo su di lei per non apparire maleducato. “In realtà il processo creativo mi riguarda ben poco, ma è capitato di dover presentare dei progetti a dei nuovi--”
“Scusate.” Blake afferrò il cellulare che aveva iniziato a vibrare e guardò il display. “Mi dispiace, devo rispondere, ma non ci metterò molto.”
Gli altri due annuirono seguendolo con lo sguardo fino a che non lo videro scomparire nell’atrio principale.
“Tu sai perché Carol è così decisa a tenerlo qui?” Gli domandò Kitty a bruciapelo, cogliendolo di sorpresa.
Ted spalancò gli occhi. “Come?”
Kitty si limitò ad inarcare un sopracciglio. Di fronte a quello sguardo fu costretto a cedere. “Dice che qui Blake è ben inserito, conosce i colleghi, i pazienti ed è un valido aiuto nella gestione del centro.”
“Ma tu non gli credi.” Terminò la ragazza, dando voce ai suoi pensieri.
Ted scosse il capo. “Credo sia per colpa mia. È me che Blake non vuole lasciare, molto più del suo lavoro.”
“E a te la cosa sta bene?” Domandò lei con quello che a Ted parve un tono decisamente critico.
“Certo che no.” Ribatté seccato. “Ho cercato di convincerlo in tutti i modi, ma non c’è stato verso. Non credi che anche io voglia il meglio per lui?”
“Il meglio per lui è San Francisco. Lì potrebbe fare grandi cose.”
“E qui no?”
Kitty alzò le mani in segno di resa. “Non volevo aggredirti, mi dispiace. Quello che sto cercando di dirti è che sarebbe una grande opportunità per Blake se solo--”
“Non ci fossi io?”
“Non tenesse così tanto a te.”
Ted contrasse la mascella e serrò i pugni sulle ginocchia. “Non so cosa ti aspetti da me, ma, in tutta sincerità, credo che Blake sia capace di decidere da solo.”
“Ci farebbe comodo a San Francisco.” Tentò di nuovo la ragazza. “Molto più di quanto immagini.”
“Eccomi qui.” Blake tornò al tavolo col cellulare ancora in mano. “Allora? Che mi sono perso?”
Ted e Kitty si scambiarono una lunga occhiata silenziosa.
Molto più di quanto immagini, Blake.
 
 
 
 
 
“Aaah! E adesso il dolce!” Steve incrociò le posate sul piatto e si rilassò contro lo schienale della sedia.
“Questa è la prima buona idea che sento uscire dalla tua bocca da quando ci conosciamo.” Amelia sorseggiò il suo vino rosso, lanciando un sorrisetto divertito in direzione di Justin e Vanessa, seduti dall’altra parte del tavolo.
Steve la guardò male. “Mi conosci da tre anni!”
“Davvero?” La PR si strinse nelle spalle. “Credevo di più.”
Justin e Vanessa scoppiarono a ridere quando Steve spalancò la bocca, rivolgendole uno sguardo a metà tra l’indignato e l’incredulo.
Amelia gli sorrise posando il bicchiere. “Forza, andiamo. Ti accompagno al carrello dei dolci. Anche io stasera ho bisogno di dolcezza.”
“Forse perché hai mollato il decimo fidanzato solo nell’ultimo mese?” La pungolò Vanessa.
Amelia si alzò in piedi in attesa di Steve. “Non è colpa mia se sono tutti inadeguati.”
“Mai pensato di abbassare il livello delle aspettative?” Le suggerì Justin.
“E perché mai? Per passare il resto della mia vita con un caprone ignorante e troglodita? No, niente da fare. Continuerò la mia ricerca.”
Justin fece spallucce. “Fa’ come vuoi. Male che vada, andrai a vivere con Vanessa e i suoi quaranta gatti.” La gallerista lo colpì al braccio con un tovagliolo.
“Guarda che essere felicemente accasati non ti dà il diritto di ficcare il naso nelle vite amorose degli altri.” Lo rimproverò Amelia.
Vanessa schioccò la lingua irritata. “Che poi ancora non mi spiego come si possa essere felicemente accasati con un soggetto come--”
“Ness…” Justin le lanciò un’occhiata di avvertimento. La sua amica si limitò ad alzare le mani; in silenzio tornò al suo vino.
Steve e Amelia si allontanarono verso la sala del ristorante in cui avevano visto sparire il carrello dei dolci.
“Sono felice che ti sia unito a noi.” Rivelò Vanessa, dopo qualche minuto di silenzio. Justin percepì nella sua voce un’inusuale nota di gentilezza – non propriamente da Vanessa – e di… sorpresa.
“Come mai?”
Vanessa lo fissò con espressione stranamente seria per un istante prima di tornare ad osservare con indifferenza la sala. “Ultimamente esci poco.”
“E tu sei a conoscenza degli sviluppi della mia vita sociale perché…”
La ragazza esitò per un istante. “Ho parlato con Steve.”
“Cioè mi avete psicoanalizzato durante la pausa pranzo?”
“Assolutamente no.”
“Quindi questa cena con voi e Amy non è una di quelle cene alla ‘Figliolo, io e tua madre abbiamo deciso di divorziare’.”
Vanessa alzò gli occhi al cielo. “Sapevo che era fiato sprecato. Senti, prenditela con Steve, io non c’entro. La cosa non mi riguarda. Faccio la gallerista, non la psicologa per poveri ragazzi disadattati.”
Justin sorrise da dietro il suo bicchiere.
Se c’era al mondo una persona che gli ricordasse Brian, quella era Vanessa. Sempre occupata in mille cose, sempre presa da mille impegni, non avrebbe mai rinunciato ad aiutare un amico. Ovviamente negando poi di averlo fatto oppure lamentandosi di aver sprecato tempo prezioso che avrebbe al contrario potuto utilizzare per altri passatempi, vedasi il sesso per Brian o lo shopping per Vanessa.
“Ti credevo più altruista, Ness.” La pungolò con un sorriso irritante.
“Al diavolo tu, Steve e l’altruismo. Mi domando perché mi faccio coinvolgere.” La ragazza sospirò profondamente e prese a massaggiarsi una tempia. “Comunque, ora sono in ballo, tanto vale che parli.” Posò il calice ormai vuoto sul tavolo e si voltò verso Justin. “Steve è preoccupato per te.”
Justin inarcò un sopracciglio. “Steve?”
Vanessa roteò gli occhi. “Okay, io e Steve siamo preoccupati per te.”
Justin sbuffò con fare annoiato. “Ness, te l’ho già detto. Sto bene. Non c’è bisogno che tu e Steve nascondiate gli oggetti taglienti o facciate sparire i sonniferi dall’armadietto delle medicine.”
“Riesci ad essere serio per cinque minuti?” Lo rimbeccò la ragazza indispettita.
Justin alzò gli occhi al cielo, iniziando a spazientirsi. “Io non riesco a capire cosa vogliate da me. Quando vi ho detto che volevo restare a Pittsburgh avete fatto un sacco di storie, dicendo che stavo mandando a puttane la mia carriera e tutti gli sforzi che voi avevate fatto negli ultimi due anni, tu sei arrivata persino a minacciarmi--”
“Non ti ho minacciato.” Precisò stoica Vanessa. “Mi sono solo sentita in dovere di ricordarti che, per contratto, avevi degli obblighi verso mio padre, me e la galleria.”
“Come ti pare.” Justin scosse il capo, ormai stanco di dover ripetere sempre le stesse cose, di affrontare sempre le stesse discussioni. “Comunque, adesso sono qui, sono tornato, quindi tu, tuo padre e la galleria potete dormire sonni tranquilli.”
Vanessa sospirò prendendo a torturare il tovagliolo con le mani, chiaramente a disagio. “Forse mio padre e la galleria.” Sussurrò pianissimo, dopo qualche minuto di silenzio.
Justin aggrottò la fronte, certo di aver frainteso. “Ti dispiace ripetere?”
Vanessa gettò il tovagliolo sul tavolo e lo guardò con espressione decisa. “Forse mio padre e la galleria.”
“Okay.” Justin alzò le mani. “Mi arrendo. Che cazzo vorrebbe dire?”
“Che io sono preoccupata per te. E che non avrei dovuto metterti con le spalle al muro a Pittsburgh.”
“Ness, è il tuo lavoro. È per quello che sei così brava perché sei un… carro armato che non ha paura di essere impopolare o di prendere decisioni spiacevoli.”
“Una stronza, in pratica.”
“No, una stronza senza alcuna delicatezza, ma con un enorme talento.” Justin le sorrise. “E credimi, non sono l’unico a pensarla così.”
Vanessa ricambiò il sorriso, vagamente imbarazzata. “Credevo davvero che sarebbe stato più facile per te, una volta tornati qui. Credevo che…” Si portò nervosamente una ciocca di capelli dietro l’orecchio. “Credevo che sarebbe tornato tutto come prima, che ti sarebbe passata.”
Justin sbottò in una risatina incredula. “Passata? Cosa, Brian?”
Vanessa annuì ben consapevole dell’assurdità della sua affermazione. Aveva visto Brian e Justin insieme e quello che avevano… quello non era qualcosa che passava in un paio di mesi. Né in un paio d’anni. “Non riesco a comprendere il motivo per cui qualcuno metterebbe a rischio la propria carriera, i propri sogni, le proprie aspirazioni per--”
Amore?” Justin si strinse nelle spalle. “Ness, credi che non ci abbia provato? Credi che non ci siano stati dei momenti in cui avrei voluto strozzarlo con le mie mani? O lasciarlo per sempre? Credi che non mi sia innamorato di altre persone? Certo che è successo, ma ogni volta che mi allontanavo da lui capivo che era un errore.” Prese un bel respiro. “Mi piace la mia vita. Mi piace uscire con te, Steve o Amy, mi piace disegnare a Central Park quando fa caldo e rintanarmi nel mio studio alla galleria quando fuori nevica e fa un freddo cane. Mi piace New York e mi piace tutto quello che ho costruito finora.”
“E allora cos’è che ti impedisce di essere davvero felice?”
“Io sono felice.” Ribatté Justin sicuro. “Ma con Brian lo sono di più. Anche quando litighiamo, anche quando mi fa incazzare, anche quando fa lo stronzo… Lui mi rende felice. Lui non rende migliore la mia vita, lui è la mia vita. E non importa se io sono qui e lui è a Pittsburgh, un giorno tornerò a casa. Un giorno, tornerò da Brian e riprenderemo da dove abbiamo lasciato. È solo tempo, Ness.” Disse sorridendo alla sua amica e ripensando alla prima volta che Brian gli aveva detto quelle parole.
In quel momento si era sentito morire, avrebbe voluto buttarsi a terra e mettersi a piangere come un poppante perché lui non voleva lasciare Brian, non voleva lasciare Pittsburgh, i suoi amici, la sua famiglia, la sua casa, ma poi aveva capito quello che lui cercava di dirgli.
Non importava quanti chilometri li dividessero, quanto le loro vite li avessero tenuti separati perché loro ci sarebbero sempre stati l’uno per l’altro. Ne avevano affrontate troppe insieme per lasciare che seicento chilometri decretassero la fine della loro storia.
Vanessa annuì pensierosa. “Beh, forse non dovrebbe essere solo tempo.”
“Che vuoi dire?”
“Che… forse non dovreste aspettare più. Chi vi assicura che domani non ci sarà qualche altro ostacolo, qualche altro problema che vi impedirà di stare insieme? Te lo ripeto, Justin, non riesco a capire cosa voglia dire amare così profondamente, ma anche io sono un essere umano, nonostante quello che possiate pensare voi.” Justin ridacchiò, facendola sorridere. “E credo che se si ha la fortuna di conoscere un sentimento del genere, si debba anche avere il coraggio di viverlo appieno.”
“Al momento non mi sembra di avere molte alternative.” Le fece notare Justin.
Vanessa prese un profondo respiro, incredula lei per prima a quello che stava per dire. “Forse sì.”
Justin socchiuse gli occhi, guardandola sospettosa. “Che cosa mi stai dicendo, Ness?”
“Che in realtà, tu non hai deciso un bel niente. Tu hai lasciato che Brian si sacrificasse per te, che decidesse per te come avresti sicuramente fatto tu se fossi stato al suo posto.”
“No, non hai capit--”
“Io invece credo di aver capito perfettamente, Justin. È vero, tu sei tornato qui e hai ripreso esattamente da dove avevi lasciato, ma è lampante che non è realmente quello che vuoi.”
Justin incrociò le braccia al petto, conscio di sembrare un capriccioso bambino di otto anni. “Chi lo dice?”
Vanessa gli sorrise, inclinando il capo. “Io. E Steve. Che ti conosciamo fin troppo bene ormai.”
“Quindi che mi consigli di fare? Preparare i bagagli e tornare in ginocchio dal mio amore implorando perdono?” Vanessa sorrise di fronte alla smorfia disgustata del suo amico.
“Certo che no, non ho nessuna intenzione di perdere il mio migliore artista. Però potresti… che so, prenderti del tempo per te.” Justin sgranò gli occhi scioccato, incapace di proferire parola. “Tornatene a Pittsburgh dal tuo bell’innamorato e passa del tempo con lui. Camminate mano nella mano, fatevi le coccole sul divano, sbaciucchiatevi davanti ad un piatto di spaghetti al sugo, decidi tu. Ma torna da Brian e parlatene, parlatene davvero e cercate di ascoltare quello che l’altro ha da dire.”
Justin scosse la testa come se volesse svegliarsi da quel sogno. Perché non poteva essere altro che un sogno, giusto? “E che ne è stato del contratto vincolante? Delle penali e di tutto il resto?”
“Non sto sciogliendo il contratto, lo sto solo mettendo in… pausa.”
“Perché?”
Vanessa gli sorrise, distogliendo lo sguardo e tornando a prendere il suo calice di vino. “Justin, credo che ormai tra noi ci sia più di un semplice rapporto gallerista/artista, no?”
Justin la fissò con evidente sorpresa prima di rivolgerle un ghigno irritante. “Chi l’avrebbe mai detto due anni fa che sarei diventato amico di Vanessa Austen?”
“Amico…” Vanessa alzò gli occhi al cielo. “Adesso non esageriamo. Diciamo un… conoscente.” Justin ridacchiò divertito. “In realtà è stato Steve a suggerirmelo. Mi ero accorta che qualcosa non andava, ma è stato lui a consigliarmi di…”
Justin annuì. “Steve è un buon amico. Anzi, a dir la verità, è il migliore amico maschio che io abbia mai avuto.”
“Sì, ha il cuore fin troppo tenero per il mestiere che fa.” Vanessa sorrise quando vide il ragazzo in questione tornare verso di loro con Amelia. Entrambi stavano ridacchiando per qualcosa. “Passa in ufficio domani mattina e decidiamo sul da farsi, okay?”
Justin posò la mano su quella di Vanessa stringendola piano. “Grazie. Steve non è l’unica persona speciale che ho qui a New York.”
“E farai bene a ricordartelo, Taylor.”  Lo minacciò lei con tono serio, facendolo ridere.
Amelia e Steve li raggiunsero in quel momento.
“Allora, il carrello dov’è?” Domandò Justin allegro, ritraendo la mano. “All’improvviso mi è venuta voglia del dolce.”
I due amici si scambiarono un’occhiata confusa, voltandosi verso Vanessa che si limitò a fare spallucce. “Lo sapete che ha uno stomaco senza fondo.”
Justin la guardò offeso prima di alzarsi per raggiungere il carrellino dei dolci.
Mentre lo guardava discutere con Steve sull’eterno dilemma tra tortino al doppio cioccolato e meringa al limone, Vanessa capì di aver fatto la scelta giusta: Justin avrebbe probabilmente negato fino allo stremo, ma ormai aveva imparato a conoscerlo. Ed era sicura che il sorriso che aveva adesso mentre chiacchierava con Steve non era più comparso sul suo viso dal suo ritorno a New York.
 

 








 
Sì, sono tornata, non sono morta come molti di voi avranno pensato e adesso vi tocca beccarvi il nuovo capitolo :D
Prima di parlarne però voglio scusarmi con tutti voi per tutto il tempo passato dall’ultimo aggiornamento. Come vi avevo accennato, sono stata 2 mesi in Germania per il training della Ryanair (2 mesi durante i quali la connessione internet era una sconosciuta utopia), dopodiché sono stata spedita a Londra e ho subito iniziato a lavorare (ebbene sì, gente! La qui presente pazza ormai è una delle hostess della Ryanair, se vi capita di passare per l’aeroporto di Londra Stansted fatemi un fischio :D), facendo orari a dir poco assurdi. A ciò si aggiunge anche l’impegnatissima vita della mia beta Lisa, che ultimamente non ne può più delle mie mail! :D
Comunque, il capitolo 26 è già stato inviato a lei e spero che i prossimi non abbiano tempi così lunghi dato che quest’ultima parte della storia (ebbene sì, mancano un decina di capitoli più o meno alla fine) è già abbastanza chiara nella mia testa, quindi si tratta solo di trascriverla su Word.
Tornando al capitolo, i problemi tra Ben e Michael sembrano essersi risolti, Hank è finalmente fuori dalle scatole, Vanessa e Justin (complice anche uno Steve fin troppo impiccione) hanno parlato arrivando ad una decisione importante per la carriera di Justin, mentre Emmett e Ted continuano ad avere complicazioni varie, chi per motivi chi per altri.
Che ne pensate? Vi è piaciuto? Ha fatto più schifo del solito?
Fatemi sapere e come sempre un ringraziamento a tutti coloro che hanno ancora la pazienza e la voglia di seguirmi. Un abbraccio e un bacio in particolare a Giulia_TH, elysenda, mindyxx, EmmaAlicia79 e alla new entry Wonderful Hell (amore profondo per il tuo avatar, ragazza!).
A presto!!
 
Alessandra 

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Capitolo 26
*** Decisions ***


26. Decisions

 
 
 

Col vassoio stretto tra le mani, Lane scrutò l’affollata sala mensa. Un braccio si alzò a salutarla, facendole cenno di avvicinarsi. Lane sorrise quando riconobbe la ragazza. “Ciao!” Esclamò allegra, sedendosi al suo tavolo.
Callie le sorrise con calore. “Ciao Lane, come stai?”
“Adesso che non devo mangiare in piedi, meglio.” Aprì la bustina di plastica che conteneva le posate. “Tu come stai? È un po’ che non ci vediamo.”
Callie arrossì, abbassando lo sguardo. “Io… ecco…”
Lane si accorse della sua gaffe e si affrettò a rimediare. “Oh mi dispiace, non volevo sembrare invadente! Cercavo solo di…”
“… fare conversazione, lo so.” Callie sorrise. “È proprio per questo che ti ho chiesto di unirti a me. Volevo che tra noi non ci fossero imbarazzi.”
“Imbarazzi?”
Callie annuì. “Sì, per via di Hunter e della nostra storia. So che siete molto amici e che--”
“Non devi preoccuparti per questo.”
“So che può essere strano per te.”
“Perché lo pensi?”
Callie si morse un labbro, incerta. “Siete molto uniti e prima che iniziassimo a vederci voi due stavate praticamente sempre insieme e potrei capire se tu--”
“Callie.” Lane si sporse in avanti e le prese una mano. “Non hai nulla di cui preoccuparti. Se James è felice, io sono felice.”
“Davvero?”
“Davvero. E se tu lo rendi felice, per me sei a posto. Almeno per adesso.” Concluse cercando di sembrare seria, ma non riuscì a non sorridere.
“Devo spaventarmi?”
“Solo se hai intenzione di spezzargli di nuovo il cuore.”
Callie sollevò le sopracciglia, chiaramente colpita dalla sua franchezza. “Hunter ti ha raccontato cosa è successo? Intendo prima… tra noi?”
“Mi ha accennato qualcosa.”
Callie annuì. “So di essermi comportata in maniera imperdonabile.”
“Eri una ragazzina.” La rassicurò Lane. “E credevi che i tuoi genitori volessero il meglio per te.”
“Questo non toglie che io mi sia comportata da stupida.”
“È normale avere paura dell’HIV.”
“Scommetto che tu non ne avresti avuto.”
Lane aprì la bocca per ribattere, ma non trovò nulla da dire. Che avrebbe potuto dirle? Che aveva ragione e la scoperta della sieropositività di Hunter non l’aveva fatta scappare a gambe levate?
Si morse un labbro e abbozzò un sorriso storto cercando di rassicurarla. “Ognuno reagisce in modo diverso. L’importante è imparare dai propri errori.”
Callie colse una leggera nota di avvertimento nella sua voce, quasi una minaccia a non far più soffrire il suo migliore amico. Sorrise, pensando che nonostante tutto Hunter era una persona fortunata ad avere un’amica come Lane. “Prometto che stavolta sarà diverso.”
Lane le sorrise. “Ne sono certa.”
Le due ragazze si scambiarono un ultimo sguardo di comprensione prima di tornare ai rispettivi pranzi.
“Hai impegni nel pomeriggio?”
Lane si bloccò con la forchetta a mezz’aria. “Uh?”
Callie si passò una mano tra i capelli corti. “Questo weekend è il compleanno di mia zia ed io ho bisogno di un nuovo vestito per la sua festa. Ti andrebbe di accompagnarmi a fare shopping?”
Lane rimase sorpresa dalla sua richiesta. Non era mai stata brava con le altre ragazze, probabilmente era per questo che aveva solo amici maschi. Lei non era mai stata una di quelle bambine che organizzava pigiama party con le compagne di classe per passare la serata a scambiarsi pettegolezzi e mettere lo smalto; non aveva mai fatto shopping con le amiche – se si escludevano le sue sorelle e Hunter e Paul – e non era mai andata al centro commerciale per sbirciare il commesso carino di questo o quell’altro negozio. In realtà Lane non aveva mai fatto granché di ciò che era normale per un’adolescente.
“Perché io? Sono sicura che avrai mille altre persone più adatte di me.”
Callie si strinse nelle spalle. “Mi piacerebbe conoscerti meglio. Hunter parla di te come della persona più incredibile del mondo.”
Lane sgranò gli occhi sorpresa e si ritrovò ad arrossire. “James ama scherzare, lo sai.”
“Non quando si tratta di te. Se si esclude la sua famiglia, tu sei la persona di cui parla di più.”
“Mi dispiace, dev’essere irritante.”
Callie negò col capo. “Al contrario. Mi piace imparare di nuovo a conoscere la persona che è, così diversa rispetto al ragazzino con cui andavo a scuola.”
Lane non seppe cosa rispondere. Era convinta che la sua amicizia con James avrebbe creato dei fastidi a Callie. “Sei… sicura? Non voglio che tu ti senta obbligata a--”
“Sono sicura.”
“Okay, mi farebbe piacere uscire insieme. Sono secoli che non faccio shopping.”
“È deciso allora.”
Dieci minuti più tardi, quando Paul e Hunter le raggiunsero, le ragazze avevano appena finito di accordarsi per il pomeriggio.
“Perché ridacchiate come due iene?” Esordì Paul crollando a sedere accanto a Lane. La sua amica gli rifilò uno scappellotto sulla nuca.
“Io e Lane andiamo a fare shopping.”
Paul guardò Lane con gli occhi sgranati. “Tu? Shopping?” Scoppiò in una fragorosa risata, Hunter cercò di trattenersi. 
Lane li guardò male. “Volete che vi picchi?”
Callie ridacchiò. “Che c’è di strano?”
“Che Clarke non si è mai comportata da femmina. È per questo che è amica nostra.”
“Vuoi dire di due animali?”
“Ehi!” Si risentì Hunter. “E io che c’entro?”
Lane pugnalò una carota con la forchetta. “È colpa tua se devo frequentare quest’idiota. Io ero riuscita ad ignorarlo per tutti gli anni del liceo.”
Paul sbuffò contrariato. “Per favore, non ci credi nemmeno tu. Ammetti che il mio fascino ti aveva colpito già allora.”
Lane lo guardò con espressione compassionevole. Gli accarezzò la mano. “Certo, Paul, certo. Hai preso le tue medicine oggi?”
Callie e Hunter scoppiarono a ridere, Paul spintonò Lane per una spalla.
“Ehi, che avete da fare stasera?” Domandò Lane riprendendo a mangiare, dopo aver lanciato un mezzo sorriso a Paul. “Vi va di unirvi a noi?”
Hunter si strinse nelle spalle. “Che avete in mente?”
“Cinema e pizza.” Paul diede un lungo sorso alla sua lattina di Coca Cola. “A quanto pare danno un film fantastico con una attore da orgasmo.” Lanciò una lunga occhiata a Lane. “Le parole non sono mie.”
Callie ridacchiò. “Io e Lane ne stavamo parlando prima che voi arrivaste. E per la cronaca, io sono d’accordo con lei sull’attore da orgasmo.”
Lane le sorrise scoccando poi uno sguardo superbo in direzione dei due ragazzi. “Comincio ad apprezzare questa cosa di avere un’amica femmina.”
Paul sgranò gli occhi. “Ti assicuro il solo pensiero ci terrorizza, Clarke.”
“Paura del sesso forte, eh? Potresti imparare così tanto da noi.”
“Mi stai proponendo un ménage à trois?”
Davanti all’espressione assolutamente comica di Lane, Hunter scoppiò a ridere immediatamente seguito da Callie. “Sei un maiale!” Lo schiaffeggiò sulla nuca.
“Sembrate due poppanti.” Li prese in giro Hunter.
Lane lo guardò male. “Allora per stasera?” Domandò di nuovo ignorando Paul che si lamentava, massaggiandosi il collo.
“Oh, abbiamo la cena coi tuoi.” Si ricordò improvvisamente Callie.
Hunter le sorrise sornione. “E adesso, grazie a Laney, abbiamo trovato una scappatoia per non subire il terzo grado.”
 
 
 
 
 
“Che voleva?”
Ben tornò al tavolo a cui era seduto suo marito e sorrise. “Fare il furbo.”
Michael posò il menù del Diner e aggrottò le sopracciglia. “Più del solito? C’è da preoccuparsi allora.”
Ben ridacchiò riprendendo il suo posto di fronte a Michael. “Per questa volta no.” Kiki arrivò con le loro ordinazioni. “Ci ha solo dato buca per la cena di stasera.”
Michael scosse il capo, incredulo. “Che scusa ha usato stavolta?”
“A quanto pare, Lane e Paul non possono essere lasciati da soli quindi lui si è offerto di fare paciere per evitare che si uccidano.”
“Stronzate.” Borbottò Michael, addentando il suo panino e facendo ridere suo marito. “Ha solo colto la palla al balzo per evitare che Callie venisse a cena da noi.”
Ben si strinse nelle spalle. “Si presenteranno altre occasioni. Mi sembra che le cose funzionino tra loro.”
“Anche io ho avuto quell’impressione, però se non ci sono problemi perché tanta paura di una stupida cena? Siamo solo noi.” L’uomo scosse il capo, confuso.
“Perché siamo i suoi genitori.” Gli fece notare Ben. “E perché portarla a casa vorrebbe dire riconoscere che c’è qualcosa di importante che li lega, abbastanza importante da conoscere la famiglia.”
“Ma noi la conosciamo già Callie.” Michael sbuffò. “Alle volte penso davvero che sarebbe meglio se stesse con Lane. Sarebbe tutto più facile e noi non dovremmo costringerlo a partecipare ad imbarazzanti cene in famiglia. Lane è praticamente una di noi.”
Ben annuì, d’accordo con suo marito. Aprì la bocca per ribattere, ma la sua attenzione venne attirata immediatamente dalla persona appena entrata al Diner. “E lui che ci fa qui?”
Michael girò la testa in direzione della porta e affilò lo sguardo quando avvistò Hank Sanders.
“Che faccia da culo!” Sibilò. “Presentarsi qui, dove lavora mia madre e--”
“Benji!” A sorpresa, l’uomo li avvistò e si avvicinò a passo svelto al loro tavolo. “Per fortuna ti ho trovato, non sapevo se era meglio venire qui o passare dal negozio.”
“Negozio?” Ben aggrottò le sopracciglia, confuso. “Quale negozio?”
Hank lo ignorò, posando lo sguardo su Michael e abbozzando un sorriso imbarazzato. “Michael, in realtà era con te che volevo parlare.”
Le sopracciglia di Michael schizzarono verso l’alto. “Me?”
Hank annuì, accennando al posto accanto a Ben. “Posso?” I due uomini annuirono. “Grazie.” Si accomodò accanto a Ben, rivolgendo però la sua completa attenzione a Michael. “Sono stato chiamato dalla mia agenzia e sto partendo per Jacksonville. Ho il volo in un paio d’ore.”
Il cuore di Michael si sentì di colpo più leggero a quella notizia: Hank se ne stava andando da Pittsburgh. Se ne andava lontano da lui, dalla sua città, dalla sua famiglia e soprattutto da suo marito.
“Ma prima di andare, mi sentivo in dovere di fare qualcosa.”
Ben inarcò un sopracciglio, guardandolo con sospetto. “Cosa?”
Hank si voltò di nuovo verso Michael. “Scusarmi.” Michael sgranò gli occhi, stupito. Quello davvero non se l’era aspettato. “Scusarmi per averti mentito e averti fatto credere che tra me e Benji non c’era stato nulla, continuare ad ingannarti anche quando tu mi hai gentilmente offerto di stare da voi, di condividere la vostra casa, di poter conoscere la vostra famiglia, i vostri figli.” Allungò una mano sul tavolo e la posò sopra quella di Michael. “Mi dispiace che le cose siano andate come sono andate, ma sappi che non era mia intenzione portare guai, né tantomeno creare problemi tra te e Benji, quindi ti prego di accettare le mie più sentite scuse.”
Ancora sconvolto, Michael rimase in silenzio. Hank proseguì quindi col suo monologo. “Ti assicuro che Benji è la persona più fedele e onesta che io abbia mai conosciuto e che mai, mai in nessuna occasione si è mai comportato in maniera sconveniente nei miei confronti. Io e lui siamo solo amici, la nostra storia appartiene al passato, un passato che nessuno dei due è desideroso di riportare a galla.” Si voltò verso il suo amico e sorrise. “Giusto, vecchio mio?”
Ben, sbalordito tanto quanto Michael, si limitò ad annuire.
“Bene!” Hank scattò in piedi, lo sguardò saettò verso l’orologio da polso. “Ora che ho fatto quello che dovevo, scappo in hotel, devo finire di preparare i bagagli e poi correre in aeroporto. Se perdo il volo, il mio capo mi licenzia.” Sorrise in direzione dei due uomini e li salutò con un gesto della mano. “Spero di poter tornare presto a trovarvi.”
Ben annuì, riprendendosi, e abbozzò un sorriso. “Sono felice di averti rivisto.” Hank gli diede una pacca sulla spalla.
“Okay, adesso devo proprio andare. Benji, Michael.”
Michael riuscì solo a sollevare una mano in segno di saluto prima che l’uomo si precipitasse fuori dal Diner. Ancora sconvolto, si volto verso Ben con sguardo allucinato. “Che cazzo è appena successo?”
La sguardo perplesso di Ben rimase puntato sulla porta. “Giuro che davvero non ne ho idea.”
 
 
 
 
 
Molly sbuffò sistemandosi con un gesto nervoso il vestito viola pallido.
“Se continui così, ti verrà un enfisema polmonare.” La prese in giro una voce accanto a lei.
In risposta, la ragazza si limitò a sbuffare di nuovo voltandosi verso il finestrino e osservando le luci della città scorrere rapide davanti a lei. “Secondo te sono una povera ragazzina scema?”
Brian sorrise tenendo gli occhi sulla strada. “Molly, non credo affatto che tu sia povera.”
Molly grugnì contrariata. “Così non mi aiuti. Sono già abbastanza depressa.”
Brian tirò un lungo sospiro. La tendenza al melodramma di sicuro è di famiglia. “Si può sapere che hai? Fino a due giorni fa non facevi che blaterare di questo dannato ballo.”
“Per noi adolescenti due giorni sono un’eternità.”
“Ringrazio il cielo che mio figlio abbia ancora sette anni.”
“Non mi sembravi così prevenuto nei confronti degli adolescenti quando hai iniziato a farti mio fratello.”
Con gli occhi ancora fissi sulla strada, Brian piegò le labbra all’interno della bocca. “Questo perché tuo fratello era un adolescente intraprendente.” La mente tornò alla notte in cui aveva conosciuto Justin; la notte che, volente o nolente, gli aveva cambiato la vita. “Molto intraprendente.”
Molly fece una smorfia di disgusto. “Basta così se non vuoi che vomiti. Immaginare te e Justin che…” Rabbrividì sfregandosi le braccia con le mani “Bleah…”
“Preferiresti immaginare Justin e Daphne?”
Le mani di Molly si bloccarono all’altezza dei gomiti; la ragazza si raddrizzò sul sedile e si voltò verso Brian con espressione sconcertata. “Cosacosacosa?”
Ops… Brian si coprì la bocca con una mano per celare un sorrisetto divertito. “Niente. Mi dicevi del ballo?”
“Oh no, non ci provare, bello.” Molly gli artigliò un braccio per attirare la sua attenzione.
“Molly, così finiamo contro una pianta.”
“Ne varrà la pena se quello che stai per dirmi è quello che io penso che sia.” Gli rivolse un sorriso che andava da un orecchio all’altro.
Brian sospirò sconfitto. Mi dispiace, Sunshine, ma è anche colpa tua se non so dirle di no. “Daphne ha perso la verginità con tuo fratello.” La mano di Molly precipitò dal braccio di Brian al proprio sedile nello stesso istante in cui le sue sopracciglia scomparivano dietro la frangia fulva. “Sì, quella è stata più o meno la reazione che io e gli altri abbiamo avuto quando Justin ce l’ha detto.”
“Lui e…” Molly deglutì a fatica.
Brian roteò gli occhi, fermandosi ad un semaforo. “Pensi che ti riprenderai mai dallo shock?”
La ragazza, ancora visibilmente sconvolta, tornò a sedersi compostamente sul sedile. “Non ti assicuro nulla.”
“Tuo fratello mi stacca le palle se scopre che te l’ho detto.”
“Justin e Daphne…” Mormorò di nuovo Molly. “È una cosa assolutamente raccapricciante.”
“Immaginare tuo fratello che fa sesso?”
“No! Immaginare mio fratello che fa sesso con una ragazza! E con Daph poi! Che diavolo si erano fumati?”
“Beh, ammetterai che Justin e Daphne non sono precisamente le persone più sane del mondo.”
Molly annuì concorde. “Okay, ma JusJus e… e una ragazza? È disgustoso!”
“Peggio dell’abominio della sodomia?”
“Al diavolo la sodomia. Io non parlo di peccato, io parlo di amore. E pensare a Justin e Daphne è sbagliato perché è sbagliato per mio fratello. Lui è fatto per te così come tu sei fatto per lui e chiunque dica il contrario è un idiota perché io ucciderei per avere un amore come il vostro, etero o gay che sia.”
Brian alzò gli occhi al cielo. “Le ragazze e le loro idee sul grande amore. Si può essere più patetici?”
“Dacci un taglio, Kinney, con me la filosofia del cinico insensibile non attacca.” Lo riprese Molly frugando nella sua borsa. “Dimentichi che sei stato tu a comprare Buckingham Palace per convincere mio fratello a sposarti.”
Brian grugnì contrariato. “Temporanea insanità mentale.”
“Che dura da sette anni. Dovresti andare da uno specialista.”
“Ricordami perché mi sono lasciato convincere ad accompagnarti? Di sicuro non è dipeso dal tuo carattere solare e amichevole.”
Molly sbuffò dal naso e scrollò le spalle in chiaro segno di irritazione. “Quando ho detto a mamma che non volevo più andare al ballo, la traditrice ha pensato bene di chiamare la cavalleria.”
“Ed io sarei la cavalleria?” Brian scosse il capo chiaramente divertito dall’idea. “Aspetta, perché non volevi andare più al ballo? Sono settimane che frantumi le palle a tutti con questa storia.”
Molly roteò gli occhi. “Accidenti, come le usi tu le metafore…”
“Lascia perdere le metafore e sputa il rospo, ragazzina.” La ragazza puntò lo sguardo sulla strada davanti a lei e rimase ostinatamente in silenzio. “Molly, non ho nessuna intenzione di pregarti, quindi se vuoi parlare farai bene a farlo in fretta perché siamo quasi arrivati.”
Molly prese a torturarsi le labbra, indecisa se parlare o meno della discussione che aveva avuto solo un paio di ore prima col suo ragazzo; di certo Brian non era la persona più adatta a rassicurarla in una situazione del genere, ma Justin le aveva confidato che in più di un’occasione era stato proprio Brian ad aiutarlo e a consigliarlo nel migliore dei modi. Magari avrebbe potuto aiutare anche lei. “È per Brad.”
Brian sbuffò con fare irritato. “Ovviamente. Voi Taylor potere deprimervi così solo se si tratta di problemi di cuore.”
“Vuoi dire per colpa di stronzi egoisti che si divertono a giocare coi nostri sentimenti?” Quella precisazione parve zittire Brian che, con aria scocciata, preferì non controbattere. “Per il nostro primo e ultimo ballo insieme, Bradley ha pensato bene di affittare una limousine con i suoi compagni di squadra, quindi io adesso per colpa sua non avrò nessun ricordo di lui che viene a prendermi, di lui che mi porge il fiore abbinato al mio vestito che io avrei indossato al polso, non avrò nessuna foto abbracciata a lui prima di uscire di casa… Nulla, nulla di tutto questo solo perché lui è stato così imbecille da preferire una limousine piena di alcolici a me.” Si voltò con la fronte aggrottata e l’espressione imbronciata verso Brian. “Ora, tu sei un maschio. Ti spiacerebbe spiegarmi cosa gli passa per la testa?”
“È un maschio etero. Credimi, quello a cui pensa è molto diverso da quello a cui penso io.”
“È un adolescente sano e in fase di sviluppo, a che diavolo vuoi che pensi se non al sesso?”
Brian inarcò un sopracciglio. “Ripensandoci le nostre priorità potrebbero non essere così differenti.”
Molly roteò gli occhi. “Sei davvero impossibile.” Tornò a guardare la strada in silenzio. “Credi sia colpa mia?”
Brian si voltò brevemente a guardarla con la fronte aggrottata. “Se lui è un idiota?” Vide la ragazzina annuire triste. “Molly, non pensare mai cose del genere. Non ne vale la pena, lui non ne vale la pena.”
“Forse sono io a non valerne la pena. Dopotutto sono io la sfigata che va da sola al ballo di fine anno.”
“E questo farebbe di te una sfigata?” Chiese Brian con tono incredulo. “Tu avrai il coraggio di entrare lì dentro da sola e dire a tutta la scuola che se si stanno divertendo, se stanno passando la serata più incredibile della loro patetica vita è solo per merito tuo, tu che hai organizzato per settimane tutto questo. E se quella specie di peso morto di Bradley non lo capisce, allora è bene che lo lasci perdere.”
Un sorriso timido comparve sulle labbra di Molly, stupita e lusingata dalle parole di Brian. Iniziava a capire perché suo fratello si fosse innamorato così profondamente dell’uomo burbero, narcisista e cinico che le sedeva accanto. Persino lei che lo conosceva da un paio di mesi iniziava a comprendere quanto Brian, nel suo modo inusuale e contorto, potesse essere altruista e generoso. Nonché incredibilmente tenero.
Non che fosse così pazza fa farglielo notare, comunque.
“Forse hai ragione tu.”
“Io ho sempre ragione.” Ribatté l’uomo con sicurezza. “Ora smettila di rovinarmi la serata con le tue turbe adolescenziali e inizia a raccattare le tue cose. Ci siamo quasi.”
Molly roteò gli occhi obbedì senza discutere. Dopotutto Brian quella sera era stato fin troppo paziente. “Dev’essere stato la tua gentilezza a far innamorare mio fratello.”
“No, è stato qualcosa che sta molto più in basso e di cui tuo fratello non riesce a--”
“Okay basta, ho capito!” La ragazza arrossì imbarazzata e guardò male Brian quando lo vide sorridere, premendo la lingua contro la guancia, chiaramente divertito dal suo disagio. “Sei uno stronzo.”
“Lieto che tu l’abbia notato.” L’auto arrivò finalmente davanti alla St. James. “Ora fuori.”
Molly sbuffò contrariata. “Non mi aiuto nemmeno a scendere? Che razza di chaperon sei?”
Brian alzò gli occhi al cielo, slacciandosi la cintura. “Uno che sta per entrare in sciopero.” Nonostante le lamentele, uscì dall’auto e, galantemente, aprì la portiera di Molly porgendole una mano. La ragazzina gli sorrise riconoscente proprio mentre due ragazze dai vestiti ingombranti e colorati li raggiungevano. “Grazie mille, Brian.”
L’uomo grugnì seccato, prima di chiudere la portiera facendo attenzione all’abito di Molly. “Cerca di divertirti e di bere un sacco. Ubriacati come mai in vita tua.”
Molly ridacchiò. “Che razza di raccomandazione è questa? Non dovresti dirmi di stare attenta, di non fare sesso e cose del genere?”
Brian premette le labbra una contro l’altra per reprimere un sorriso. “Quella è Jennifer. O tuo fratello.” Molly gli sorrise di nuovo. “E cerca di non pensare a Barney.”
Quell’ultima affermazione riuscì a strapparle una vera risata; posò una mano sul braccio di Brian e, alzandosi sulle punte, gli baciò affettuosamente una guancia. “Sei davvero una brava persona, Brian Kinney, nonostante non ti piaccia ammetterlo.”
Le amiche di Molly ridacchiarono civettuole a quel tenero gesto, mettendo alla prova la già poca pazienza di Brian. “Va bene, adesso sparisci.” Le sfiorò distrattamente una spalla e si voltò di nuovo verso l’auto.
Molly si diresse a passo spedito verso l’entrata seguita dalle sue amiche; non poté fare a meno di sorridere tra sé quando si accorse che Brian aveva atteso il suo ingresso all’interno della scuola per ripartire. Non me la dai a bere, Cuore di Pietra… Justin ha proprio ragione, can che abbaia non morde…
 
 
 
 
 
Con sguardo orgoglioso, Emmett ammirò la splendida sala da ballo elegantemente addobbata.
“Hai fatto davvero uno splendido lavoro, Emmett.” Gli sussurrò John colpito. “Stento quasi a riconoscere questo posto.”
Emmett si ritrovo ad arrossire. “È stato un lavoro di squadra.”
“Da quand’è che sei diventato modesto? Quasi non ti riconosco.”
“Provo a non essere troppo pieno di me.”
Josh ridacchiò. “Puoi anche smettere allora, perché stasera i complimenti te li sei meritati tutti. Oh, ecco Molly!”
La ragazzina li raggiunse prima che Emmett trovasse il tempo per ribattere. “Ehi, siete qui!” Li abbracciò entrambi con calore ed Emmett squadrò dalla testa ai piedi l’elegante vestito senza spalline color glicine. “Accidenti…” Sussurrò con un sorriso soddisfatto. “Ginger, stasera sei uno schianto!”
Molly sgranò gli occhi, sorpresa da quel complimento, e arrossì, abbassando lo sguardo sul suo vestito. “Grazie. Ho impiegato secoli a trovare l’abito giusto.”
“Noi ne sappiamo qualcosa.” Affermò con un mezzo sorriso la sua amica Emily. “Siamo quasi diventate matte per colpa sua.”
Molly le lanciò un’occhiataccia. “Di solito è questo che fanno le amiche.”
Natalie, la ragazza bionda che le accompagnava, sbuffò. “Che poi, tanta fatica e quel coglione del tuo ragazzo non si è nemmeno degnato di--”
“Nat.” Emily la zittì con uno sguardo.
Natalie alzò gli occhi al cielo. “Quello che sto dicendo è che io mi sarei fatta bella per quello schianto di manzo che ti ha accompagnato, non per Bradley Royce, l’idiota patentato.”
“Manzo?” Emmett sollevò le sopracciglia, improvvisamente interessato. “Che manzo?”
“Brian.” Spiegò Molly con un mezzo sorriso. “È stato così gentile da accompagnarmi.”
“Lamentandosi per tutto il tempo.” Finì Emmett per lei. “Non te la prendere, è fatto così. Non l’avrebbe fatto se non avesse voluto.”
Molly si strinse nelle spalle. “Lo so, ho iniziato a comprendere la sua psiche contorta. E comunque…” Guardò Natalie con espressione decisa “… stasera non sono venuta per Bradley. Sono venuta perché l’organizzazione di tutto questo…” Indicò la sala addobbata “… mi ha tolto il sonno per settimane e mi sarei ammazzata piuttosto che perdermelo per colpa di uno stupido ragazzo.”
“Ben detto, Molly.” John le sorrise con affetto. “È così che parla una vera donna.”
Molly annuì soddisfatta. “E adesso vado ad ubriacarmi. Brian mi ha dato la sua benedizione. Con permesso.” E si allontanò in direzione del tavolo dei drink, mentre Emmett alzava gli occhi al cielo. “Spero che Brian non avrà mai delle figlie.”
John scoppiò a ridere, posandogli una mano sul braccio e guidandolo verso gli alcolici.
La serata proseguì senza troppi colpi scena: Emmett intravide Bradley tentare di avvicinarsi a Molly un paio di volte prima che le occhiate gelide della ragazza – e delle sue fedelissime amiche – troncassero sul nascere i suoi propositi di riconciliazione, vide John ricevere complimenti da professori e genitori per il meraviglioso buffet che aveva preparato – Emmett ebbe quasi l’impressione che il suo amico cercasse il suo sguardo ad ogni lode ricevuta – e notò con piacere che tutti i ragazzi presenti, ormai abituati alla sua presenza, si fermavano a chiacchierare con lui, divertiti dai suoi racconti e aneddoti. Dio, mi sento un vecchio decrepito in mezzo a tutti questi adolescenti…
Senza neppure che se ne accorgessero, si arrivò al termine della serata e all’attesa elezione del re e della regina del ballo. Emmett batté le mani con entusiasmo quando il preside salì sul palco e prese la parola.
“Emozionato?” Gli sussurrò John in un orecchio, facendolo rabbrividire. Quand’è che si era avvicinato così?
Annuì, cercando di non arrossire. “Il mio ultimo ballo scolastico non è stato granché e neppure quello dei miei amici ha lasciato un bel ricordo.” Si strinse nelle spalle, riportando lo sguardo sul palco e sull’affascinante preside. “Mi illudo che almeno questo possa portare via i brutti pensieri e lasciarmi l’illusione di credere che possa davvero rappresentare qualcosa di bello per questi ragazzi. Qualcosa di positivo, che ricorderanno con nostalgia e gioia negli anni a venire.” Abbozzò un sorriso verso il suo amico. “Dio solo sa quanto il mio non lo sia stato.”
John annuì. “Mi dispiace sentirtelo dire. Per quanto mi riguarda, il mio ballo non è stato male. Mi sono ubriacato con i miei amici e ho finito per fare sesso con la fidanzata storica sui sedili posteriori della mia vecchia auto. Tutto secondo tradizione.”
Emmett ridacchiò. “In perfetto stile americano.”
“Esattamente. Oh, ecco i risultati…”
“… re di quest’anno è… Bradley Royce!”
Il verso contrariato di Emmett fu coperto da uno scrosciante applauso. “Figurati, più sono stronzi, più sono amati.”
John ridacchiò. “Era prevedibile come risultato.”
“Spero che se Molly vinca, gli infili la corona su per il culo. Mollare la mia piccola Ginger dopo tutta la fatica che ha fatto per organizzare la serata.”
“Non mi sembra comunque che Molly sia troppo addolorata. Più irritata, che triste.”
“Buon per lei, vuol dire che Bradley non significa molto.”
“Di certo a quell’età non possono aspettarsi di trovare il grande amore.”
Emmett gli lanciò un sorriso storto. “Dillo a Justin.”
John ricambiò il sorriso, tornando a voltarsi verso il palco. “Ed ora…” Udì il preside dichiarare al microfono “… il momento che tutti voi stavate aspettando.” Un mormorio di assenso percorse la grande sala. “La reginetta del ballo di quest’anno è…” L’uomo aprì la busta e sorrise, chiaramente soddisfatto dal risultato. “Beh, non posso dire che sia una sorpresa. Molly Taylor!”
“Brava, Ginger!” Emmett batté le mani con più entusiasmo di molti degli adolescenti presenti e John non riuscì a trattenere un sorriso davanti al suo sincero slancio. “Brava!”
Molly salì sul palco con passo sicuro, le spalle dritte e le testa alta; accennò un sorriso in direzione del preside e ignorò completamente quello che avrebbe dovuto essere il suo re. “Congratulazioni, Molly.” Si complimentò il preside, sollevando la corona in simil plastica e adagiandola sul suo capo. “Credo che adesso i tuoi compagni vogliano ascoltare quello che hai da dire.”
La ragazza annuì, posizionandosi di fronte al microfono. Si schiarì la gola, impacciata. “Wow, davvero non me l’aspettavo…”
“Bugiarda!” Gridò la voce di Natalie dalla prima fila, facendo scoppiare la sala in una sonora risata. Molly fece una linguaccia alla sua amica, senza riuscire a trattenere un sorriso. “No, in tutta sincerità, non immaginavo che sarei stata eletta e quindi non… non so davvero che dire.” Si morse un labbro, imbarazzata, e i suoi occhi azzurri si spostarono al centro della sala, sull’uomo che la guardava con espressione orgogliosa. “O forse sì.” Si schiarì di nuovo la gola e stavolta la sua voce risultò più ferma, sicura. “Volevo ringraziare tutte le persone che si sono adoperate perché questa serata fosse un successo. Il preside, gli insegnanti, il comitato che ho avuto la fortuna di dirigere negli ultimi due anni e tutti coloro che si impegnati anima e corpo in queste settimane. Grazie davvero, perché senza di voi tutto questo non sarebbe stato possibile.” Un applauso spontaneo accolse il suo sincero omaggio. “Detto questo, spero non me ne vogliate se stasera ne approfitto per ringraziare in modo particolare una persona per me molto speciale, una persona meravigliosa e unica al mondo che in questo ballo ha investito tanto quanto tutti noi, se non di più, in energia, pazienza, tempo e disponibilità.” Molly sorrise alla folla di ragazzi davanti a lei. “Credo che sappiate tutti di chi sto parlando, quindi direi di fargli un bell’applauso e farlo salire sul palco perché non ho nessuna intenzione di essere l’unica idiota a balbettare in modo imbarazzante stasera.” La sala scoppiò in una sonora risata e, solo quando le mani di John, in piedi dietro di lui, si posarono sulle sue spalle con fare rassicurante, Emmett si accorse dei centinaia di occhi che lo guardavano in attesa.
“I… io?” Domandò con tono stupito.
Molly annuì dal palco. “Certo, Em, chi altri sennò?” Gesticolò nella sua direzione. “Forza, vuoi muoverti o no?”
La presa di John sulle sue spalle si rafforzò. “Coraggio, Emmett, va’ a prenderti il ringraziamento che ti spetta. Te lo sei meritato più di chiunque altro.”
Emmett si voltò a guardarlo con gli occhi sgranati. “No!” Esclamò ancora sotto choc. “Questa serata era per i ragazzi, non per me. È il loro ballo, non il mio.”
“Ma tu l’hai reso di tutti noi.” Affermò decisa Emily, avvicinandosi a lui. “Tu l’hai reso tuo e nostro allo stesso tempo.” Si alzò sulle punte e gli baciò una guancia. “È stato un piacere conoscerti, Emmett, e sono felice che il fratello di Mol sia tuo amico.”
“Sentito?” John gli sorrise, inarcando un sopracciglio. “Questi ragazzi ti adorano quindi adesso sali su quel palco e ringraziali come si deve.”
Sbattendo le palpebre un’ultima volta, Emmett accennò un movimento del capo e si avviò a passo incerto verso il palco, circondato da “Sei forte, Em!”, “Emmett, sei un portento!” e “Sei stato grande!” sussurrati attorno a lui. Senza parole – e senza la minima idea di come uscire da quella situazione senza rendersi irrimediabilmente ridicolo davanti ad un’orda di adolescenti – Emmett salì sul palco, scoccando un’occhiata assassina a Molly quando le fu abbastanza vicino. “Questa me la paghi, Ginger.”
Per tutta risposta, Molly gli gettò le braccia al collo, stringendolo forte a sé. “Non ce l’avrei mai fatta senza di te.”
L’arrabbiatura di Emmett svanì così com’era comparsa, in un soffio e per causa di Molly Taylor, la ragazzina più testarda, determinata e speciale che avesse mai incontrato. Ricambiò l’abbraccio mentre la sala scoppiava ancora una volta in un caloroso applauso. Bradley, alle spalle di Molly, gli sorrise.
Qualche istante più tardi, Molly si separò da lui e, dopo essersi discretamente asciugata gli occhi, prese di nuovo la parola. “Trovo giusto che per ringraziare Emmett per il meraviglioso lavoro sia lui stasera ad aprire le danze stasera, e non il re e la regina come invece è tradizione.”
Emmett trattenne il respiro, senza riuscire a nascondere la sorpresa. Che diavolo ti salta in mente, dannata di una Taylor?
“Sempre se il preside e il tuo partner sono d’accordo.” Si affrettò ad aggiungere Molly, voltandosi verso l’insegnante che sorrideva sornione.
L’uomo si limitò a stringersi nelle spalle. “Non ho obiezioni in merito.”
Molly gli sorrise riconoscente, volgendosi poi verso la sala e in direzione di John, che la guardava sorpreso. “John? Saresti disposto a far ballare il tuo accompagnatore?”
Nei cinque secondi che John impiegò per rispondere, Emmett credette di non sentire più il battito del proprio cuore, troppo spaventato – e allo stesso tempo elettrizzato – di conoscere la decisione dell’uomo che ormai era diventato così importante per lui.
Sospirò di sollievo solo quando il bel viso di John si distese in un affascinante sorriso, annuendo nella sua direzione. “Sarebbe un vero onore per me.”
Emmett pensò che sarebbe morto nel momento stesso in cui John l’avesse stretto tra le braccia. Con passo tremante – e senza dimenticarsi di lanciare un’ultima occhiataccia in direzione di Molly – scese dal palco e raggiunse il centro della pista, dove già lo attendeva John, bellissimo nel suo completo scuro. L’uomo gli porse galantemente una mano, quasi come aspettasse di avere il suo permesso. Emmett deglutì, umettandosi le labbra ormai disidratate, e posò la mano libera sulla spalla di John, mentre l’uomo posava la propria sulla sua vita.
Emmett credette di morire per la gioia quando il corpo muscoloso e tonico di John Mason si strinse a lui nell’abbraccio più intimo che avessero mai condiviso da quando si conoscevano.
“Di certo sa come attirare l’attenzione, eh?” John lo riscosse dai suoi pensieri, sussurrandogli all’orecchio. “Molly.”
“È una piccola manipolatrice. Mi dispiace che ti abbia forzato a--”
“Molly non mi ha forzato a fare nulla.” Lo interruppe prontamente l’uomo. “Sono il tuo accompagnatore ed è giusto che ti faccia ballare.”
Emmett richiuse la bocca, annuendo soltanto. Chiuse gli occhi e lasciò che la musica lo cullasse, ondeggiando elegantemente tra le braccia di John; si concentrò sulle parole della canzone e realizzò quanto adatte fossero alla sua complicata situazione sentimentale.
 
What can I say to convince you 
To change your mind of me?
I'm going to love you more than anyone
I'm going to hold you closer than before

 
Sospirò piano, stringendosi di più a lui e sperando che quel ballo finisse presto e che durasse per sempre; che John si sciogliesse dal suo abbraccio e che rimanesse lì ad avvolgerlo per sempre, che lo allontanasse e che lo stringesse così forte da non lasciarlo più.
Scosse il capo, cercando di liberare la mente da quei pensieri deliranti e contradditori, pensieri che aveva tenuto a bada per mesi, diventando amico di John, e che aveva promesso a se stesso non sarebbero mai venuti a galla, troppo spaventato all’idea di perdere ciò che lui e John avevano.
 
Look in my eyes, what do you see?
Not just the color
Look inside of me
Tell me all you need and I will try
I will try
I'm going to love you more than anyone
I'm going to hold you closer than before
And when I kiss your soul, your body'll be free
I'll be free for you anytime

 
Emmett sollevò lo sguardo e si perse nello sguardo sereno e sorridente del suo partner, maledicendo per la milionesima volta la sua incapacità a leggere nel pensiero. Sarebbe tutto più facile se potessi capire che cosa ti passa per la testa, dannato uomo sexy…
Cosa doveva fare? Avrebbe dovuto continuare a reprimere ciò che sentiva, a nascondere quel sentimento che ogni giorno diventava più forte, più visibile, più reale oppure valeva la pena tentare? Gettare alle ortiche ogni cautela e vuotare il sacco?
Confessare all’uomo fantastico che gli aveva fatto perdere la testa con la sua intelligenza, la sua arguzia, il suo senso dell’umorismo, le sue innumerevoli qualità – e quel culo fantastico, dove lo metti? – di provare per lui qualcosa che andasse al di là della platonica amicizia? Lo stesso uomo che, per quanto ne sapeva, era etero fino al midollo?
Le prime coppie iniziarono ad unirsi a loro; in pochi istanti la pista da ballo fu invasa da coppie di ragazzini innamorati che si godevano l’ultimo sprazzo di adolescenza.
Dovrei prendere esempio da loro. Dovrei trovare il coraggio di guardarlo negli occhi e--
“Emmett, tutto bene?” La voce di John lo fece sobbalzare quanto una trombetta da stadio sparata in un orecchio. Paralizzato, si bloccò in mezzo alla pista.
“Emmett?” Tentò di nuovo il suo amico, aggrottando la fronte in un’evidente espressione di preoccupazione.
Emmett sollevò lo sguardo su di lui e lo osservò per un lungo istante; di nuovo, frustrato di non poter carpirne i pensieri più intimi, si divincolò dal suo abbraccio e, senza una parola, si avviò a passo rapido verso l’uscita, lasciando un attonito John da solo sulla pista da ballo.
Si affrettò ad uscire da quella sala che lo stava soffocando, dirigendosi verso una delle terrazze in cerca di pace e di aria. Si accorse che John lo aveva seguito solo quando pronunciò il suo nome, spingendolo a voltarsi verso di lui.
“Emmett, stai bene?” Gli domandò, in ansia.
Emmett tentò di annuire, fallendo miseramente. “Avevo solo bisogno di respirare.” Sussurrò poggiandosi al corrimano della terrazza.
John aggrottò le sopracciglia, confuso. “Sei scappato via in un modo… Credevo ti sentissi male.”
L’uomo negò col capo, mordendosi furiosamente un labbro, la lotta interiore che ancora infuriava dentro di lui.
Sì.
No.
Provaci.
Rinuncia.
Ne varrà la pena.
Lo perderai.
Senza ulteriori indugi, prese un bel respiro e, prima che potesse capire cosa stava succedendo – o maledicendosi per aver anche solo tentato – si trovò di nuovo tra le braccia di John, le mani posate dolcemente sul suo collo e le labbra premute delicatamente sulle sue.
Un senso di sollievo, misto a gioia e incredulità, lo avvolsero quando capì che John non si era ritratto al suo tocco, non lo aveva allontanato o respinto. Sollievo che svanì nell’istante esatto in cui percepì l’uomo irrigidirsi tra le sue braccia – E non nelle parti in cui dovrebbe irrigidirsi, purtroppo.
Un attimo dopo, le mani di John si posavano sulle sue spalle, allontanandolo gentilmente, ma in maniera decisa. Con un sospiro afflitto, Emmett abbandonò le braccia lungo i fianchi.
“Emmett…” John scosse il capo, mortificato. “Io non…” Si bloccò, incapace di continuare.
In quel momento, Emmett ebbe la sua risposta. “Non devi dire nulla, John. È stata una pessima idea e ti ho messo in una situazione sconveniente, me ne rendo conto.”
John annuì, passandosi una mano tra i capelli. “Noi… noi siamo amici, Emmett. Credevo fosse chiaro.”
“Lo è.” Confermò immediatamente Emmett.
“E per quanto io tenga a te e ti ritenga una persona fantastica e--”
“Ti prego, risparmiami la pietà. Per stasera sono stato umiliato abbastanza.”
John si umettò il labbro, accennando col capo. “Credo davvero che tu sia una persona meravigliosa, ma io…” Scosse la testa “… io non sono interessato a te in quel senso. Io sono etero.”
“Lo so.” Emmett cercò di sorridere, la vergogna e lo sconforto che ancora bruciavano dentro di lui. Deglutì a fatica e cercò di soffocarli, impedendo loro di venire a galla e mostrare a John quanto uno stupido gesto e poche parole l’avessero ferito. “Scusa, ho agito in maniera stupida e mi dispiace di averti messo in imbarazzo.” Cercò di ridere, riuscendo a produrre solo una risatina isterica e assolutamente improbabile. “Che ne dici di tornare dentro e dimenticarci di tutta questa storia? Probabilmente sarà stato il vino a darmi alla testa.” Mentì.
John studiò la sua espressione per un lungo istante, prima di abbassare lo sguardo, imbarazzato. “Io non…” Scosse il capo e si schiarì la gola, chiaramente a disagio. “Credo che andrò a casa.”
Emmett annuì, abbozzando un sorriso. “Certo, è comprensibile.”
“Non ti dispiace se abbandono la tua grande serata?”
“Affatto, te lo assicuro.” Emmett sperò che il suo forzatissimo sorriso risultasse in qualche modo credibile e che John non capisse quanto le sue parole lo stessero ferendo.
John annuì e, dopo avergli lanciato un’ultima, lunga occhiata, voltò le spalle e tornò dentro.
Quando l’uomo sparì dalla sua vista, Emmett fu certo di aver sentito il proprio cuore frantumarsi in mille pezzi per l’ennesima volta.
 
 
 
 
 
Sorseggiando il suo caffè, Justin posò distrattamente lo sguardo sul quotidiano che aveva comprato in uno dei negozi dell’aeroporto. Un risolino dal tavolo accanto attirò la sua attenzione: vide un ragazzo dalla pelle scura alzarsi in piedi e avvicinarsi al bancone, non senza prima aver lanciato un’occhiata maliziosa alla graziosa ragazza bruna che era rimasta seduta al tavolo.
Justin non riuscì a trattenere un sorriso.
“Sembro patetica, vero?” La ragazza gli rivolse la parola, cogliendolo di sorpresa.
“Perché dovresti essere patetica?” Le domandò Justin, posando il bicchiere di plastica sul tavolo. “A me sembri solo innamorata.”
“Follemente.” Confermò la sconosciuta. “E non ho idea di come sia successo.”
“Sì, di solito funziona così.” Justin le sorrise, spostando lo sguardo sul ragazzo ancora al bancone del bar. “Dove ve ne andate di bello?”
“Las Vegas.”
“Ho sentito dire che ci si diverte parecchio da quelle parti.”
La ragazza arrossì, sciogliendosi poi in un sorriso radioso. “Andiamo a sposarci.”
Sorpreso, Justin sgranò gli occhi. “Wow, un gran bel passo, congratulazioni. Da quanto state insieme?”
“Una settimana.” Justin spostò gli occhi dalla ragazza al suo fidanzato prima di tornare su di lei. La sua espressione parve rivelare tutto ciò che gli passava per la testa. “Mi prenderai per un’idiota.” Fece la sconosciuta con tono divertito.
“Non credo di essere la persona adatta per giudicare.” Non dopo essermi innamorato di Brian in una sola notte.
“Quindi vai da qualcuno anche tu.” La ragazza gli sorrise, l’espressione improvvisamente maliziosa.
Justin scosse il capo. “Torno da qualcuno. Lo stesso qualcuno che abbia mai avuto senso nella mia incasinata vita.”
La sconosciuta annuì, portandosi una ciocca di capelli dietro l’orecchio. “Quanto hai impiegato a capire che era la persona giusta?”
Justin sorrise, guardandola dritto negli occhi, tornando con la mente davanti all’entrata del Babylon, in una notte di tanti anni prima. “Non più di un istante.”
Il ragazzo scelse quel momento per tornare al tavolo e Justin, dopo aver lasciato un paio di banconote accanto al caffè, prese il suo borsone e uscì dal bar. Prima di varcare la soglia, lanciò un’ultima occhiata alla coppia innamorata. Las Vegas… Pensò tra sé, sorridendo.
Raggiunta la sala d’attesa, estrasse il cellulare e compose il numero che ormai era impresso in maniera indelebile nel suo cervello. Dopo quattro squilli, fu rindirizzato alla segreteria telefonica. Sorrise, pensando alla faccia che Brian avrebbe fatto ascoltando il messaggio.
“So che probabilmente mi ucciderai appena avrò messo piede fuori dall’aereo e so che avevamo deciso di non farci visite a sorpresa o improvvisate, ma in questo momento non posso fare a meno di pensare a quanto ho bisogno di te quindi togliti dalla faccia quell’espressione scocciata e fammi trovare qualcosa di commestibile in quella landa desolata che ti ostini a chiamare cucina. Ti chiamo quando atterro. Ti amo.”
Riattaccò, riponendo il cellulare in tasca e reclinando il capo all’indietro contro il muro. Un sorriso spontaneo si formò sulle sue labbra.
Stava tornando a casa.
Stava tornando da Brian.
Nulla avrebbe potuto rovinargli quel momento.
 
 
 
 
“Dannazione!” Brian frugò con una mano nel taschino interno della giacca in cerca del suo cellulare che squillava fastidiosamente. “Dove cazzo…”
Il telefono smise di suonare proprio mentre lui riusciva ad estrarlo dalla tasca anteriore dei jeans. “Fanculo.” Borbottò tra sé, accedendo alla sua segreteria telefonica.
“Hai un nuovo messaggio.” Lo avvertì la voce metallica.
Brian sbuffò annoiato. “Che sorpresa…” Bofonchiò, bloccandosi quando realizzò a chi appartenesse la voce familiare che gli arrivò nelle orecchie.
…e fammi trovare qualcosa di commestibile in quella landa desolata che ti ostini a chiamare cucina. Ti chiamo quando atterro. Ti amo.”
Brian sorrise, alzando gli occhi al cielo, e digitò alla cieca il numero del suo indisciplinato fidanzato.
L’immagine di Justin che aspettava al JFK fu l’ultimo pensiero che gli attraversò la mente prima che tutto diventasse buio all’improvviso.











Ed ecco qui anche il 26! Okay, perdonatemi per il finale leggermente bastardo, ma prometto che il prossimo arriverà presto!
Capitolo un tantino più corto del previsto, ma è stato una specie di parto scriverlo, sono rimasta per mesi davanti alla pagina bianca di Word quindi spero di perdonerete se fa schifo (cosa di cui sono consapevole, non temete).
In questo capitolo Lane e Callie stringono amicizia per il bene di Hunter, Hank si scusa a sorpresa con Michael e Ben (saranno scuse sincere?), Emmett fa finalmente la sua prima mossa con John, non ricevendo purtroppo la reazione che si aspettava e Justin torna a casa (anche se solo temporaneamente).
Cosa sarà successo a Brian?
Cosa capiterà nel prossimo capitolo?
Ma soprattutto, riuscirò a mantenere la promessa e ad aggiornare in tempi brevi contrariamente a quanto fatto finora?
Per la risposta a queste e altri appassionanti interrogativi, dovremo aspettare il prossimo aggiornamento! :D
Nel frattempo ringrazio come sempre tutti coloro che leggono, seguono e recensiscono e che ancora apprezzano la mia storia nonostante la sua autrice!
Un bacio a tutti!!!



Alessandra


P.S: Per chi fosse curioso, questo è l'abito che ho immaginato addosso a Molly per il ballo. 
P.S2: La canzone che ballano Emmett e John è "More Than Anyone" di Gavin DeGraw. 

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Capitolo 27
*** Breathless ***


 

  27. Breathless

 
 


 
 
 
Justin lanciò un’occhiata nervosa al suo orologio da polso continuando a picchiettare col piede contro la sedia di plastica. L’uomo accanto a lui lo imitò, anch’egli ormai spazientito.
“Ci vorrà ancora molto?” Domandò una donna seduta tre sedie più in là.
L’impiegato dell’aeroporto impallidì, chiaramente a disagio. “Di nuovo, siamo desolati, signori. Non ho idea di come una cosa del genere possa essere successa.”
Justin roteò gli occhi, scocciato. “L’avete già detto.”
“Almeno una decina di volte.” Precisò l’uomo accanto a lui. “E non so gli altri, ma io mi sono davvero rotto di aspettare quindi posso sapere quand’è che riavremo le nostre valige o dobbiamo rimanere qui a sentire le sue patetiche scuse per tutta la notte?”
Justin annuì concorde. “Io sono d’accordo. C’è la possibilità di riavere i nostri bagagli entro questo secolo?”
L’impiegato deglutì, abbozzando un sorriso. “Vi assicuro che stiamo facendo il possibile. Al momento abbiamo localizzato le vostre valige e alcuni colleghi le stanno trasportando qui.”
“Quindi dov’erano?” Chiese Justin, sospirando esausto.
“Purtroppo, a causa di un disguido, non sono mai state imbarcate e quindi erano rimaste--”
“Al JFK?” La donna vicino a Justin sgranò gli occhi. “Avete lasciato le nostre valige a New York?”
L’impiegato annuì, mortificato. “Siamo sinceramente dispiaciuti che abbiate dovuto…”
Justin gemette frustrato, reclinando il capo all’indietro mentre l’uomo allo sportello si scusava per la milionesima volta.
Era arrivato a Pittsburgh da circa quattro ore e a quest’ora, secondo i piani che aveva fatto in aereo, avrebbe già dovuto essere al loft a farsi scopare da Brian; invece, una volta atterrati, erano stati informati che i loro bagagli erano “al momento non localizzabili” secondo la donna che aveva accolto le loro lamentele. “Ma non temete, lo staff aeroportuale si è già attivato per rintracciarle e sono certa che in brevissimo tempo ne tornerete in possesso”.
Così lui e gli altri passeggeri del volo si erano accomodati in una delle immense e affollate sale d’aspetto in attesa che i loro bagagli arrivassero a destinazione.
“Tutto ciò è inaudito.” Borbottò di nuovo l’uomo al suo fianco.
Justin sfilò il cellulare dalla tasca dei jeans  e gemette contrariato quando l’apparecchio si rifiutò di accendersi a causa della batteria scarica. “Dannato aggeggio inutile…” Bofonchiò, riponendolo in tasca.
Appena atterrato, aveva provato a chiamare Brian e gli aveva lasciato un messaggio in segreteria dicendogli che probabilmente avrebbe fatto tardi a causa di un disguido tecnico, dopodiché, prima che potesse fornire ulteriori informazioni, il suo cellulare era entrato in sciopero. La cosa positiva era che nessuno era a conoscenza del suo arrivo quindi non avrebbe dovuto chiamare sua madre, Debbie o Emmett per rassicurarli che stesse bene ed evitare che avessero una crisi isterica.
Anche se – ne era quasi certo – Brian lo avrebbe preso a calci in culo fino a casa per non aver caricato il telefono prima di uscire. 
“Oh, finalmente…” Justin fu riscosso dai suoi pensieri quando tutti i suoi compagni di sventura presero ad alzarsi e ad uscire attraverso le porte scorrevoli. In tutta fretta, raccolse il suo borsone e li seguì. Finalmente la situazione si era sbloccata.
Dieci minuti più tardi, riuscì finalmente ad uscire dal recupero bagagli e a raggiungere l’atrio principale. Si fermò in uno dei supermercati all’interno dell’aeroporto e acquistò due panini ed una bottiglietta d’acqua che lo avrebbero aiutato a recuperare le forze per l’incontro che lo aspettava col suo fidanzato. 
Sorrise tra sé quando immaginò Brian che lo attendeva al loft.
Spensierato, afferrò la valigia e si avviò a passo spedito verso l’uscita; era ormai arrivato all’uscita quando una voce familiare gridò il suo nome. Una voce che – Justin realizzò un attimo dopo – non avrebbe assolutamente dovuto trovarsi lì. Confuso si voltò verso la donna bionda che correva a perdifiato verso di lui. “Justin!”
“Linz?” Justin abbracciò la sua amica, rivolgendole un’occhiata incerta. “Che ci fai qui?”
La donna sgranò gli occhi, coprendosi poi la bocca con una mano, in un estremo tentativo di tenere a bada le lacrime. “Tu non… non ti hanno chiamato?”
Justin aggrottò le sopracciglia. “Chiamato? Chi avrebbe dovuto chiamarmi? E perché?”
Lindsay singhiozzò con forza, abbracciandolo di nuovo e cercando di mantenere il controllo. “Debbie mi ha chiamato un paio di ore fa.”
“Come mai?”
La donna si separò da lui e scosse il capo. “Non posso credere che nessuno abbia avuto l’idea di metterti al corrente.”
“Mettermi al corrente di cosa, Linz?” Domandò Justin spazientito. Che diavolo stava succedendo? Che ci faceva Linz a Pittsburgh e perché era così sconvolta?
“Io…” Lindsay scosse il capo, gli occhi ormai pieni di lacrime. “Io non so come dirtelo.”
“Linz, ti prego, mi stai facendo preoccupare. Che diavolo è successo?”
“È Brian, tesoro.” Il sangue di Justin si gelò nelle vene. “Lui… lui ha avuto un incidente.”
 
 
 
 
 
“E non ti hanno detto nulla di più?”
Michael scosse il capo con aria afflitta. “Solo che l’altro conducente era ubriaco e ha invaso la corsia opposta, trovandosi di fronte la Corvette di Brian. Sono finiti entrambi fuori strada e ci sono voluti i vigili del fuoco per tirarli fuori dalle lamiere.” La voce gli tremò ripensando alla drammatica telefonata che aveva ricevuto solo qualche ora prima che lo avvertiva che il suo migliore amico era stato coinvolto in un grave incidente. Si ricordava a malapena di aver chiuso il negozio ed essersi precipitato in ospedale, avvertendo lungo la strada Ben, Ted, Emmett e sua madre. “Chiamate anche Linz e Justin.” Aveva poi supplicato Debbie mentre arrivava a destinazione. “Vi faccio sapere appena so qualcosa.” Mezz’ora più tardi, erano tutti con lui nella sala d’aspetto.
“Linz?” Aveva chiesto con voce tremante.
Ted aveva sospirato afflitto. “Cercherà di prendere il primo volo per tornare.”
“E Justin?” Ben, al suo fianco, aveva rafforzato la presa sulle sue spalle. 
“Non siamo riusciti a parlarci.” Sussurrò Emmett con un filo di voce. “Il suo cellulare è spento.”
“Ecco il dottore.” Michael si riscosse dai suoi pensieri alla voce di Ben. Il gruppo di amici si voltò verso l’uomo brizzolato che usciva dalla terapia intensiva.
“Che Dio sia lodato. George!” Gridò una voce dal fondo del corridoio e tutti i presenti rimasero senza parole quando Joan Kinney in persona fece la sua comparsa.
“E lei che diavolo ci fa qui?” Borbottò Michael con tono astioso.
Debbie gli lanciò un’occhiataccia. “È qui perché l’ho chiamata io, Michael.”
“E come ti è venuto in mente? Brian non avrebbe mai vol--”
Debbie si posò le mani sui fianchi e guardò suo figlio con aria minacciosa. “Michael Charles Novotny, quella donna è sua madre e ha tutto il diritto di sapere che suo figlio ha avuto in incidente.”
“Stronzate! Quella donna se n’è sempre fregata di Brian!” Sibilò lui, cercando di contenere il tono di voce e non fare una scenata nel bel mezzo del corridoio. “Dove cazzo era lei quando Brian ha avuto il cancro? O quando Jack lo riempiva di botte ogni santissima--”
“George!” Disse di nuovo Joan, dirigendosi verso il dottore e ignorando il gruppetto di persone raccolte nella sala d’aspetto.
Il medico le sorrise con aria contrita e l’abbraccio. “Joan, ho sperato fino all’ultimo che fosse un caso di omonimia e che quello in sala operatoria non fosse il tuo Brian.”
Il tuo Brian… Michael sbuffò contrariato udendo quella definizione.
Joan annuì. “Come sta?”
La sua risposta fu interrotta dall’arrivo di due teste bionde che correvano disperate lungo il corridoio. “Michael!” Gridò Lindsay, ormai senza fiato.
L’uomo si voltò verso di loro. “Grazie al cielo siete qui.” Abbracciò Lindsay mentre Justin veniva stritolato da Emmett e Debbie. 
“Lui come sta? Si sa nulla?” Chiese il ragazzo, avvicinandosi a Michael che scosse il capo. 
“Il dottore è appena arrivato.”
Tutti i presenti si voltarono verso l’uomo che li osservava sorpreso. “Sono desolato, ma solo i familiari possono essere informati delle--”
“Va tutto bene, George.” A sorpresa, fu la voce di Joan a parlare. “Sono amici di Brian…” Il suo sguardo gelido si posò su Justin più a lungo del dovuto, ma Justin sapeva che Joan non avrebbe mai avuto il coraggio di dire nulla sul rapporto che lo legava a Brian. Per la signora Kinney, lui non era altro che un amico. “Voglio che siano informati.”
George annuì. “Brian è entrato in sala operatoria e vi assicuro che stiamo facendo il possibile per salvarlo, ma non vi mentirò, le sue condizioni sono gravi, l’altro conducente l’ha spinto fuori strada e lui è rimasto per mezz’ora intrappolato nelle lamiere, perdendo molto sangue.”
“Ma ce la farà, vero?” Domandò Michael, cercando di non sembrare isterico e fallendo miseramente. “Si rimetterà?”
L’esitazione del medico fu una risposta più che eloquente: Michael si aggrappò a Ben, incapace di proferire parola, mentre Lindsay si coprì la bocca con una mano per soffocare un singhiozzo. 
“Come sta?” La fermezza e la determinazione nella voce di Justin parve spazzare via la disperazione dei presenti. “Che cosa state facendo per salvargli la vita oltre che chiacchierare a vanvera?”
George studiò l’espressione di quel ragazzino agguerrito e infuriato per un lungo istante prima di rispondere. “Capisco che siate preoccupati per il vostro amico, ma vi assicuro che la situazione è molto comples--”
“Con tutto il rispetto, dottore, lei non ha idea di come io mi senta sapendo che Brian è lì dentro, lottando tra la vita e la morte, quindi le ripeto la domanda: che cosa state facendo?
Il dottore spiegò loro che Brian avrebbe dovuto subire una lunga operazione dovuta ad una grave emorragia interna e che alcuni organi erano stati danneggiati. “Quando è arrivato qui era in condizioni disperate, ma vi assicuro che stiamo facendo il possibile. Il mio miglior chirurgo si sta occupando di lui e vi prometto che farò il possibile per salvare la vita di Brian.” Posò una mano sulla spalla di Joan, strizzandola con fare rassicurante. “Ricordo ancora quando venivate a casa nostra e Brian e Josh passavano i loro pomeriggi chiusi nel vecchio capanno a combinare chissà cosa.”
Nonostante la situazione, Justin non poté fare a meno di sorridere. Riusciva benissimo ad immaginare cosa Brian facesse nel capanno col figlio del dottore. Dannato Kinney…
“Vi terrò aggiornati e vi informerò di ogni cambiamento nelle sue condizioni.”
Joan annuì lentamente. “Ti ringrazio, George.”
L’uomo le sorrise appena. “È un ragazzo forte e in salute, sono certo che ce la farà.” Abbracciò ancora la donna e sparì di nuovo dietro la doppia porta di vetro.               
Michael guardò incredulo la porta da cui il medico era sparito e spalancò la bocca, ammutolito. “Tutto qui? Non c’ha praticamente detto un cazzo! Ne sappiamo esattamente quanto prima!”
“Michael…” Ben lo guardò e scosse il capo, invitandolo silenziosamente a non fare una scenata; vide suo marito distogliere gli occhi e, seguendo il suo sguardo, osservò l’unica persona che probabilmente si sentiva peggio di lui. 
Justin.
“Tutto okay, baby?” Emmett si avvicinò al ragazzo, circondandogli le spalle con un braccio.
Justin annuì, affondando il capo contro il suo petto e abbracciandolo stretto. “Non posso perderlo, Em. Non potrei vivere senza di lui.”
La presa di Emmett si rafforzò. “Non lo perderai, dolcezza. Lo conosci, è testardo come un mulo, non si darà mai per vinto.”
Justin abbozzò un sorriso e sollevò il capo. “Se solo io fossi stato qui, lui non--”                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                            
“Non dirlo neppure per scherzo, Sunshine.” Lo ammonì Debbie alle sue spalle. “Non è colpa di nessuno se Brian è lì dentro, è stata solo un’imprevedibile fatalità.”
“No, è stata tutta colpa mia.” Sussurrò una vocina tremante alle loro spalle, prima di scoppiare a piangere.
Justin si districò dall’abbraccio di Emmett e corse ad abbracciare sua sorella. “Molly? Che ci fai qui?”
Molly singhiozzò con più forza, aggrappandosi a suo fratello e nascondendo il viso contro il suo collo. “Ho sentito che Brian aveva avuto un incidente quando Michael ha chiamato Emmett e, sapendo che lui non avrebbe mai acconsentito a lasciarmi venire, io, Nat e Emily siamo venute da sole.”
Justin si accorse solo in quel momento delle due ragazze alle spalle di Molly, tutte e tre ancora vestite per il ballo. “Il signor Kinney come sta?” Chiese Emily con tono preoccupato.
“Si rimetterà, vero?” Domandò l’altra ragazza. 
Molly singhiozzò di nuovo e tirò sul naso. “È stata tutta colpa mia. Non avrebbe mai avuto quell’incidente se non mi avesse accompagnato al ballo. È colpa mia se adesso lui--”
“Non una parola di più.” Debbie si avvicinò alle ragazze con fare minaccioso. “Non serve a nulla sentirsi in colpa per qualcosa di cui non abbiamo responsabilità, mi sono spiegata?” Justin e Molly annuirono. “Bene, e adesso posate i culi sulle sedie e smettetela di blaterare a vanvera.”
Justin abbozzò un sorriso e baciò i capelli di sua sorella. “Vieni, Mol. Sono sicuro che presto il dottore ci darà notizie.”
Si accomodarono tutti nella piccola sala d’aspetto, occupandola interamente; una delle infermiere disse loro che avrebbero potuto andare a casa e che certamente il dottore li avrebbe contattati quando ci fossero state novità. Nessuno parve darle retta e la donna, dopo il quarto tentativo, finalmente rinunciò.
“Chi è quella?” Sussurrò Molly, dopo tre ore di assordante silenzio ed estenuante attesa. 
Justin abbassò il capo che teneva appoggiato al muro dietro di lui. “Chi?”
Molly accennò col capo a Joan, seduta di fronte a loro, dalla parte opposta della sala. “La megera che ti lancia occhiate velenosa da quando siamo entrati qui.”
Emmett, seduto accanto a Molly, ridacchiò. “La suocera.”
Justin roteò gli occhi. “Em…”
“Che c’è? È vero.”
“Quella è la mamma di Brian? Credevo fosse morta.” Confessò candidamente Molly. “Da come lui ne parla…”
“Sarebbe meglio se lo fosse stata.” Sibilò Michael, ancora chiaramente infastidito dalla presenza della donna. Sua madre gli rifilò uno scappellotto sulla testa.
Quasi si fosse accorta di essere sotto scrutinio, Joan si alzò e, sistemando il suo cappotto sulla sedia vuota accanto a lei, lasciò la stanza. Un attimo dopo, Justin la seguì, cogliendo tutti di sorpresa.
Si fermò al distributore automatico e prese un tè e un caffè, incerto su cosa la signora Kinney avesse preferito, e la seguì nella atrio praticamente deserto.
“Ho pensato che avrebbe gradito qualcosa da bere.” La donna sussultò, sorpresa dalla sua presenza. “Mia madre dice che una bevanda calda aiuta sempre.” Abbozzò un sorriso imbarazzato. “Tè o caffè?”
La donna lo scrutò per un lungo istante. “Il tè andrà bene, grazie.”
Justin annuì, passandole il bicchiere. La vide dare un lungo sorso prima di chiudere gli occhi e sospirare profondamente. “Forse lei non si ricorda di me.”
Joan riaprì gli occhi e Justin ebbe un brivido nel trovarsi di fronte i freddi ed impassibili occhi di Joan Kinney. Come avesse fatto Brian a crescere per anni con quella donna davvero non lo comprendeva. “La tua voce è risuonata per mesi nelle mie orecchie. Tu, un ragazzino svestito, prova delle perversioni di mio figlio.”
Justin serrò la mascella, stringendo forte il bicchiere di caffè; forse se avesse mantenuto le mani impegnate sarebbe riuscito a non strangolare quella vecchia arpia. “Brian è sempre stato un bambino particolare, silenzioso, problematico, ribelle, disobbediente--”
“È questo che si ripeteva ogni volta che suo marito lo picchiava?” Justin non poté trattenersi, non quando quella… donna, quella madre osava parlare a quel modo della persona più importante della sua vita. “È questo che diceva a se stessa quando Brian finiva in ospedale a causa dell’ubriacone che aveva sposato e che lei era troppo vigliacca per affrontare?”
Joan affilò lo sguardo. “Come ti permetti, ragazzino impertinente? Mi sembra chiaro che i tuoi genitori avrebbero dovuto educarti meglio.”
“I miei hanno fatto il loro dovere molto meglio di quanto lei abbia fatto con i suoi figli. Come Brian possa essere la persona che è oggi nonostante lei e suo marito rimane un mistero.”
Mortalmente offesa, Joan gettò la tazza di tè nel cestino e guardò Justin con espressione furiosa. “Non accetto prediche morali da un…” Si guardò intorno per accertarsi che nessuno fosse all’ascolto “… ragazzo depravato e senza Dio. Quello che tu e Brian fate è un peccato punito con la dannazione eterna.”
Justin, furibondo quanto lei, le si avvicinò. “E allora che dannazione sia, se posso vivere la mia vita accanto all’uomo che amo.”
La donna scosse il capo con disprezzo. “Mi disgustate, trovo voi e il vostro stile di vita ripugnante e--”
“Joan?” Il dottore – George, si ricordò Justin – si avvicinò a loro con espressione confusa; spostò lo sguardo da Joan a Justin prima di puntarlo di nuovo sulla donna. “Va tutto bene?”
Joan annuì, esibendo un sorriso forzatissimo. “Sono solo molto preoccupata per Brian. E i suoi amici condividono la mia angoscia.” Lanciò una lunga occhiata a Justin, ponendo più enfasi del dovuto sulla parola amici.
George annuì con aria mesta. “Lo comprendo e mi dispiace disturbarvi per motivi così futili, ma avremmo bisogno di alcune informazioni su tuo figlio.”
Joan aggrottò la fronte. “Informazioni?”
“Dati dell’assicurazione, storia clinica, precedenti patologie e cose così. Nulla di complicato per te e, credimi, preferirei aspettare che tuo figlio sia fuori pericolo, ma la politica dell’ospedale--”
In bocca al lupo allora. Pensò Justin tra sé. Questa stronza non si è neppure degnata di preoccuparsi del figlio malato di cancro, figuriamoci se conosce i suoi dati dell’assicurazione.
Come da copione, Joan deglutì, chiaramente in difficoltà. “Sarei felice di aiutarti, George, ma al momento sono così sconvolta che--”
Il dottore la guardò con aria mortificata. “Lo capisco perfettamente, Joan, purtroppo non posso fare altrimenti. Se tu non le senti, potrei chiedere a qualche amico di--”
“Posso farlo io.” Si offrì Justin, scuotendo mestamente il capo. Quale madre può non sapere certe cose sul proprio figlio? “Se per la signora Kinney va bene, posso aiutarla io. Conosco tutte le informazioni di cui ha bisogno.”
George non comprese appieno la sguardo carico d’odio che la sua vecchia amica lanciò al giovanotto accanto a lui, ma decise di soprassedere. “Perfetto, allora. Seguimi pure.”
Senza neppure un’ultima occhiata, Justin voltò le spalle a Joan.
 
 
 
 
 
“Mamma, che ci fai qui?” 
Justin alzò lo sguardo dalle scartoffie che aveva appena finito di compilare giusto in tempo per vedere sua sorella correre verso sua madre e il suo patrigno. Riconsegnò i fogli all’infermiera di fronte a lui e si diresse verso la sua famiglia. “Mamma?”
Jennifer si separò da Molly e corse ad abbracciare il suo primogenito. “Tesoro mio, come stai?”
Justin ricambiò l’abbracciò, perdendosi nel suo familiare profumo, lo stesso profumo che tante volte da bambino lo aveva fatto sentire protetto dal mondo intero, al sicuro da ogni cattiveria, come se sua madre avesse potuto risolvere ogni suo problema, scacciare ogni sua paura, spazzare via ogni difficoltà della sua vita. Quanto ne avrebbe avuto bisogno in quel momento…
“Bene, non sono io quello in sala operatoria.” Disse con tono caustico, ma Jen colse al volo il tremolio della sua voce. Lo abbracciò di nuovo. “Che ci fate qui? Non dovreste essere a Scranton?”
Jen si separò da lui e lo guardò male. “Il compagno di mio figlio è in ospedale ed io dovrei rimanere ad ingozzarmi dai parenti?”
Justin scosse il capo con sorriso triste. “E Tuck che ne pensa?” Lanciò un’occhiata verso Tuck che nel frattempo aveva raggiunto Deb e gli altri con Molly.
“È stata una sua idea. Ai suoi zii ha detto che era un’emergenza di famiglia.” 
Justin annuì con un groppo in gola. “Grazie di essere qui.” Sussurrò con un fil di voce.
Jennifer lo abbracciò di nuovo col cuore in pezzi. “Che ne dici di raggiungere gli altri?”
Justin assentì col capo e guidò sua madre verso la sala d’aspetto.
“Jen!” Debbie corse ad abbracciare la sua amica. “Ti sei trovata proprio un ragazzo d’oro.” Disse con un sorriso, pizzicando affettuosamente la guancia di Tuck che arrossì, imbarazzato da quelle attenzioni. 
“Sì, sono molto fortunata.” Confermò la donna, sfilandosi il cappotto e accomodandosi accanto a suo marito che le sorrise. “Ci sono novità?” Domandò poi con aria triste.
Ben scosse il capo. “Non sappiamo ancora nulla di certo. Il dottore dice che bisogna aspettare la fine dell’operazione per--”
“Lui ce la farà.” Tutti i presenti si voltarono verso Justin che li fissò con sguardo determinato. “Brian ce la farà. Lui uscirà da quella dannata sala operatoria, ci guarderà e ci dirà che siamo davvero patetici tutti raccolti qui ad aspettare che lui tiri le cuoia.” Fece una pausa e la sua voce tremò appena. “Poi, dopo aver riso di noi, ci proverà col primo infermiere che gli capiterà a tiro.”
Quell’ultima affermazione strappò un sorriso all’intero gruppo e tutti annuirono concordi. “Hai ragione, baby.” Emmett si avvicinò al suo amico e gli circondò le spalle con un braccio. “Non vedo l’ora che esca per poterlo prendere in giro, di sicuro nemmeno l’onnipotente Brian Kinney potrà essere affascinante con quegli orrendi camici da ospedale. Devo ricordarmi di portare la mia macchina fotografica per immortalare il momento.”
Lindsay annuì, gli occhi ancora velati di lacrime. “Melanie vorrà vederla di sicuro.”
“Per non parlare di Cynthia e dei colleghi dell’ufficio.” Rincarò Ted. “Brian sarà costretto ad aumentare lo stipendio a tutti se vuole che le foto spariscano.”
Joan inarcò un sopracciglio con fare infastidito quando il gruppetto davanti a lei prese a ridacchiare rumorosamente. Scosse il capo, chiaramente contrariata dalla totale mancanza di rispetto delle persone con cui suo figlio era solito circondarsi. 
Persone senza Dio e senza morale. Cosa avrei dovuto aspettarmi dalle frequentazioni di Brian?
Il suo sguardo si posò per l’ennesima volta sul ragazzino biondo che aveva incontrato tanti anni prima.
 
“Brian, torni su?”
“Justin, lei è… mia madre. Mamma, lui è Justin.”
“Salve…”
 
Un bambino.
Era ancora un bambino. Come aveva potuto suo figlio essere intimo con un bambino? Ripensò alla discussione che avevano avuto solo qualche minuto prima. Era ovvio cosa Brian avesse visto in lui: l’arroganza, la superiorità con cui aveva sempre trattato gli altri, il suo essere egoista e assente, troppo importante e pieno di sé per prendersi cura della loro famiglia, di lei, di Jack e di Claire. Tutti tratti che sicuramente lo accomunavano al giovanotto che le aveva parlato con tanta sfrontatezza nell’hall dell’ospedale, pronto a difendere a spada tratta Brian e i suoi mille difetti. 
I suoi mille peccati.
“La signora Kinney?” Joan alzò lo sguardo verso l’elegante signora bionda che le sorrideva gentile. 
“Ci conosciamo?”
Jen scosse il capo, porgendole la mano. “Jennifer Taylor. Siamo quasi consuocere.”
Joan bloccò immediatamente la mano che stava stendendo verso di lei e la guardò con espressione glaciale. “Che sciocchezze sono queste? Non sapevo che mio figlio fosse sposato.”
Jennifer si strinse nelle spalle, ricambiando lo sguardo duro della donna. “Non ufficialmente, ma dopo sette anni insieme, credo che quello che unisce i nostri ragazzi sia qualcosa di importante.”
“Non è rilevante da quanto tempo loro…” Si bloccò in cerca di una parola che fosse poco sconveniente, ma nulla parve venirgli in mente “… fornicano, mancando di rispetto a Dio e a tutti i suoi insegnamenti. La Bibbia dice chiaramente che--”
“So perfettamente cosa dice la Bibbia, non provi a fare la maestrina con me.” La zittì Jennifer, più rude di quanto avesse pianificato di essere, ma Joan Kinney in due minuti aveva già messo alla prova la sua pazienza. Brian aveva ragione, questa donna è impossibile. “E so bene cosa i bigotti e gli ignoranti credono e pensano delle persone come Brian o Justin, ma lasci che le dica una cosa: se devo scegliere tra un libro vecchio di duemila anni che impone la lapidazione per le donne che compiono adulterio e mio figlio, mi dispiace deluderla, ma credo proprio che Justin avrà la meglio, soprattutto dopo le dieci ore di travaglio che ho dovuto sopportare per metterlo al mondo.”
Joan incassò il colpo con grazia. Sbatté lentamente le palpebre e continuò a fissarla con aria di superiorità. “Adesso capisco da chi suo figlio abbia ereditato la lingua tagliente.”
Jennifer aprì la bocca per ribattere a tono a quella donna dai modi sgarbati e dalla mente zeppa di idee folli ed antiquate, quando una vocina nella sua testa le ricordò perché si trovava lì. Perché entrambe si trovavano lì.
Suo figlio è in sala operatoria. Suo figlio potrebbe morire. Deglutì a fatica al solo pensiero di poter perdere Brian. Se io mi sento così, cosa starà provando lei? La mente corse immediatamente ai terribili tre giorni che aveva passato in quello stesso ospedale in attesa di sapere se Justin sarebbe sopravvissuto all’aggressione di Chris Hobbs. 
Prese un lungo sospiro e tentò di abbozzare un sorriso. “Sì, Justin alle volte è un tantino… impertinente.”
Joan annuì con un gesto secco del capo. “A dir poco.”
Jen strinse con forza i pugni lungo i fianchi e si morse un labbro, bloccando la risposta che la donna davanti a lei si sarebbe meritata. Fallo per Brian. “Debbie mi ha assicurato che il dottore di Brian è uno che sa il fatto suo.”
Joan assentì. “È un vecchio amico di famiglia. Brian e il figlio di George erano molto amici da ragazzi e le nostre famiglie si frequentavano spesso. È un ottimo medico. Il migliore.”
Jennifer le si sedette accanto. “Sono felice di sentirlo. Brian merita il meglio.” Esitò per un istante, incerta su come procedere: con una normale madre, Jen avrebbe offerto parole e un gesto di conforto, ma con Joan Kinney? Era come camminare in un campo minato. “Signora Kinney, io…” Si schiarì la gola e cercò di sorriderle “… voglio che sappia che so come ci si sente e che sono qui per qualunque cosa le serva.”
Joan le rivolse un’occhiata sospettosa. “Sto bene, la ringrazio.”
La risposta di Jennifer le rimase bloccata in gola quando uno dei medici uscì dalle porte che conducevano alle sale operatorie e raggiunse la sala d’aspetto di fronte alla loro. Un istante dopo, si udì un pianto disperato e Jennifer intravide una corpulenta donna di mezza età aggrapparsi ad un uomo sulla trentina, altrettanto provato. 
Un secondo medico seguì il primo, raggiungendo questa volta la loro sala d’aspetto. George – così Debbie le aveva detto si chiamava il dottore che stava operando Brian – entrò nella stanza, dirigendosi immediatamente verso Joan e ignorando totalmente le altre persone presenti. 
“Joan…” L’uomo si avvicinò a lei, prendendole le mani tra le sue. 
Joan lo guardò con sguardo apprensivo. “Cosa succede?”
Il medico scosse mestamente il capo e lanciò una rapida occhiata in direzione della donna grassoccia che piangeva ad un paio di metri di distanza. “Sono i familiari della persona che ha travolto Brian.” Tutto il gruppo si voltò. “Purtroppo non ce l’ha fatta, le sue ferite erano troppo gravi.”
Joan si fece il segno della croce. “Che il Signore lo aiuti e lo guidi.”
Justin emise un verso di frustrazione davanti a quell’inutile sceneggiata e fece un passo avanti. “E Brian? L’operazione è finita? Come sta?”
George si voltò verso di lui con fare sorpreso, colpito dalla veemenza con cui quel ragazzo premeva per conoscere le condizioni di Brian. “L’operazione è terminata e Brian, nonostante le sue condizioni preoccupanti, ce l’ha fatta.” Un coro di sospiri e ringraziamenti investì il dottore che continuò a guardare Joan con espressione addolorata. 
“È una buona notizia, no?” Domandò Michael, confuso dal suo atteggiamento. “Brian starà bene.”
L’uomo scosse il capo. “Non è così semplice.”
Justin aggrottò la fronte. “Come sarebbe? Ha detto che l’operazione è riuscita e che lui sta--”
“Brian ha perso molto sangue, sia sul luogo dell’incidente che durante il trasporto in ospedale.”
“Fategli delle trasfusioni, allora!” Gridò Justin, furioso e spaventato. “Siete medici o no? Ha bisogno di sangue? Trovatelo! Questo dovrebbe essere un cazzo di ospedale o sbaglio?”
Joan gli rivolse un’occhiata di rimprovero. “Non mi sembra il luogo adatto per utilizzare un linguaggio del genere, giovanotto.”
“Sunshine ha ragione!” Debbie mise le mani sui fianchi e guardò George, incredula. “Che razza di dottori siete?”
“Dei dottori che prendono molto sul serio il loro lavoro.” Ribatté George piccato. “Come stavo cercando di dire, Brian ha superato l’operazione e presto verrà trasportato nella sua stanza.”
“Quando possiamo vederlo?” Chiese Lindsay, stringendo la mano di Emmett. 
“Presto. Purtroppo…”
“Purtroppo cosa?” Di fronte all’espressione angosciata del medico, Justin si sentì morire. “Che cosa è successo?”
L’uomo guardò di nuovo Joan. “Purtroppo, in seguito all’operazione, Brian è entrato in coma.”
“Coma?” 
La voce incredula di Debbie gli arrivò da lontano e, mentre tutti gli altri si accalcavano attorno a George per sapere di più, Justin sentì la testa girare vorticosamente e fu costretto ad appoggiarsi ad una delle sedie.
Coma… Brian, il suo Brian, in coma…
Un senso di nausea lo investì e dovette impegnarsi con tutte le sue forze per trattenere nello stomaco la cena che aveva consumato in aereoporto. Il resto della conversazione tra il medico e i suoi amici lo raggiunse a tratti.
“Quando si sveglierà?”
“Non lo sappiamo con certezza, ma noi siamo ottimisti. Brian è giovane e forte e…”
“Che tipo di complicazioni?”
“In sala operatoria ha avuto un collasso che ha rischiato di compromettere…”
“Non potete fare nulla per aiutarlo a svegliarsi?”
“Purtroppo, adesso tocca a lui…”
Justin si risvegliò dal suo torpore quando Molly gli sfiorò il braccio. Trasalì spaventato a quel contatto. “JusJus, stai bene?”
Il ragazzo deglutì a fatica e tentò invano di annuire. “Devo… ho bisogno di vederlo.”
George annuì. “Seguitemi.”
Si avviarono lungo il corridoio ormai deserto, fatta eccezione per le infermiere e gli inservienti di turno, e si bloccarono in una delle stanze che affacciavano ad est; la porta era chiusa e le tapparelle dell’unica finestra che dava sulla corsia erano abbassate, fornendo a Brian la privacy di cui aveva bisogno.
“Mi raccomando, solo due persone per volta.” Precisò il dottore, guardandoli con aria seria. “E per non più di cinque minuti.”
Debbie annuì concorde. “Bene, allora credo che Joan e Sunshine debbano essere i primi.” Lanciò un’occhiata che zittì immediatamente suo figlio, già pronto a replicare. “Per noialtri, ci organizzeremo.” Tutti il gruppo si trovò d’accordo.
“No.” Debbie sgranò gli occhi, voltandosi verso la voce che aveva parlato. “Assolutamente no.”
George guardò confuso la sua vecchia amica. “Joan, va tutto bene?”
La donna scosse di nuovo il capo. “Non permetterò che questa… persona si avvicini a mio figlio, non finché ci sarò io!”
Justin incrociò le braccia al petto e la guardò con espressione furibonda. “Allora le conviene sparire perché né lei, né il suo amico dottore, né tutto il personale di questo dannato ospedale potrà tenermi lontano da quella stanza e da quel letto.”
“Tu non hai nessun diritto di stare qui!” Sibilò Joan, sforzandosi di tenere basso il tono di voce. 
Justin mosse un passo verso di lei. “Io sono il suo compagno, maledizione!” Ribatté con aria feroce. “Da sette fottutissimi anni! E lei non può impedirmi di vederlo!”
“Compagno?” George sgranò gli occhi, scioccato da quella rivelazione. “Brian è…?”
“Come osi rivolgerti a me con questo tono? Io sono sua madre e tutto quello che faccio è per il bene di Brian e del suo--”
“Oh, ma per favore!” Justin sbottò in una risata sarcastica. “Si risparmi le sue frasi fatte e i suoi monologhi da madre perfetta perché qui tutti sappiamo che razza di genitore è stata per Brian!”
Jennifer si avvicinò a suo figlio e gli posò una mano sulla spalla. “Justin, tesoro…”
Il ragazzo continuò ostinato. “E lo sappiamo perché noi siamo la sua famiglia. Debbie, Michael, Lindsay, io… Persino mia madre ama Brian più di quanto lei abbia mai fatto, e adesso se ne sta qui, di fronte a me, a dirmi che io non posso vedere il mio compagno? Beh, sa che le dico, signora Kinney? Che per me può anche andare a farsi fottere!”
Joan trattenne il respiro, portandosi una mano sul petto. “Non mi stupisco che tu abbia attirato l’attenzione di Brian. Arrogante e irrispettoso proprio come lui.”
Justin scosse il capo. “Non mi importa quello che pensa. L’unica cosa che voglio è andare da Brian.” Superò Joan senza degnarla di ulteriore attenzione e si avviò verso la porta della stanza. Una mano gli afferrò con forza il braccio un attimo prima che le sue dita arrivassero alla maniglia. Justin si voltò irritato verso George. “Che cosa vuole?”
Il medico scosse il capo. “Mi dispiace, lei non può entrare.”
“Prego?” Justin lo guardò come se fosse pazzo. “Non lascerò che lei o chiunque altro mi impediate di vedere Brian.”
“Lei non ha diritti.” Lo informò l’uomo. “Potrà anche essere il suo…” Si schiarì la voce con evidente imbarazzo “… il suo partner, ma legalmente non ha diritti. Joan è sua madre ed è lei a decidere chi entra e chi no.”
“Questa è una vera cazzata!” Sbottò Michael incredulo. “Lui e Brian stanno insieme da anni!”
Ben si mosse per placare suo marito. “Dottore, è certo di non poter fare nulla? Justin è la sua famiglia, tanto quanto lo siamo noi.” 
“Se non di più.” Debbie si rivolse a Joan. “Sunshine si è occupato di Brian molto più di tutti noi messi insieme, è una fottuta stronzata che non possa entrare.”
Joan scosse il capo, irremovibile. “Non lo voglio vicino a mio figlio.”
Justin emise un verso di incredulità. “Grandioso, davvero grandioso.”
“Mi dispiace, figliolo.” George lo guardò con sincera costernazione. “Ora puoi scegliere di rimanere qui fuori oppure puoi insistere nell’entrare ed io sarò costretto a farti scortare fuori dall’ospedale dagli agenti della sicurezza. La scelta è tua.”
“Non voglio che resti qui!” Si lamentò Joan. “Voglio che sia allontanato da questa stanza!”
George scosse il capo. “Se non entra nella camera, non posso fare nulla, Joan. Questo è un ospedale pubblico ed io non posso impedirgli di rimanere qui.”
“Assurdo! Non posso crederci!”
Esausto, Justin si accasciò sulla sedia davanti alla porta e si coprì il volto con le mani. “Deb…” Sussurrò. “Ti prego, entra e controlla come sta.” Sollevò il capo per guardarla negli occhi. “Digli… digli che se non si sveglia entro domani, lo mando in bianco fino all’anno prossimo.”
Quella battuta parve strappare un sorriso ai presenti; Debbie gli accarezzò una guancia con espressione addolorata. “Contaci, Sunshine. Sono sicura che con una minaccia del genere, si sveglierà in un cazzo di secondo.”
Justin annuì. “Lo spero proprio per lui.”
Joan gli lanciò un’ultima severa occhiata prima di seguire George e Debbie nella stanza di Brian.
Emmett sbuffò incredulo, sedendosi accanto a Justin; accavallò con grazia le gambe e posò la mano su quella del suo amico. “Non posso credere alla faccia tosta che ha avuto quella donna!”
Justin sospirò, reclinando il capo all’indietro. “Ed io non posso credere di non essermi opposto a questa cazzata.”
“Baby.” Emmett gli accarezzò la guancia facendolo voltare verso di lui. “La scelta era tra rimanere qui fuori e aspettare seduto sulla panchina di fronte all’ospedale.” Si strinse nelle spalle. “Falle credere di aver vinto e poi attaccala alle spalle quando meno se lo aspetta.”
Justin abbozzò un sorriso. “Fammi indovinare, zia Lula?”
Emmett scosse il capo. “No, Emmett Honeycutt. Stavolta è tutta farina del mio sacco.”
Il suo amico ridacchiò, posando la fronte contro la sua spalla. “Non posso vivere senza di lui.” Confessò con voce tremante. “Io non posso… non voglio stare senza Brian.”
“E non ci starai, baby. Il tuo principe dalla scintillante armatura tornerà da te come ha sempre fatto. Non c’è nulla al mondo che riuscirebbe a tenerlo lontano da te.”
“È colpa mia. Se fossi stato qui, avrei accompagnato io Molly al ballo e tutto questo non sarebbe successo.”
“Stronzate.” Emmett gli prese il volto tra le mani. “Non puoi sapere come sarebbe andata ed è inutile rimuginarci sopra. Debbie ha ragione, non è un bene per nessuno.”
Joan e Debbie uscirono in quel momento. Michael e Lindsay scattarono immediatamente in piedi per entrare. Vedendoli varcare la soglia, Justin non poté evitare di provare un moto di invidia per loro. “I prossimi siete tu e Ted.” Sussurrò ad Emmett.
Il suo amico gli rivolse uno sguardo penetrante. “Non ho nessuna intenzione di entrare. Starò qui con te ad aspettare che Brian si svegli e poi entreremo insieme.”
“Em…” Justin gli sorrise appena. “Apprezzo il gesto, ma potrebbero passare giorni e Brian è anche tuo amico.”
“Proprio perché è mio amico so che si incazzerebbe come un ippopotamo con l’ernia se sapesse che non ci siamo ribellati a questa sciocchezza. Rimanendo qui, protesto contro un’ingiustizia.”
“Un’ingiustizia che non cambierà comunque, anche se rimani qui.”
“Non mi importa.” Emmett si strinse nelle spalle. “Entrerò in quella stanza quando sarà Sua Altezza in persona a chiedermelo. Fino ad allora, sarai costretto a subire la mia compagnia.”
Justin lo sguardò per un lungo istante prima di abbracciarlo con tutta la forza che possedeva in corpo; Emmett non poté far altro che stringerlo a sé, ricacciando indietro le lacrime quando lo sentì singhiozzare tra le sue braccia.
Sbrigati a tornare da noi, Brian. Senza di te, stiamo già andando in pezzi…
 
 








Sì lo so, sono bastarda, ma non poteva essere tutto così semplice, no? I CowLip insegnano dopotutto.
Ammetto però che ho notato quanto io sia diventata sadica negli ultimi capitoli: per una che considera Emmett e Brian i suoi personaggi preferiti, gliene faccio passare di tutti i colori ai miei poveri amori! L
Tutta la gang di nuovo a Pittsburgh per stare vicino a Brian, e di certo non poteva mancare la cara Joanie: ammetto che mi sono divertita un mondo a scrivere i dialoghi tra lei e Justin e Jennifer, in particolare quello tra le due mamme, visto quanto le loro visioni sulle vite dei figli siano differenti. Da una parte Jen che ha rivoluzionato la sua vita per amore di quel figlio che ha visto crescere, amare e soffrire e dall’altra Joan che ha sempre considerato Brian come un qualcosa da correggere, da raddrizzare, da “guarire”. Spero che abbiate trovato i personaggi IC.
Per il resto non c’è molto da dire, se non che adoro l’amicizia Emmett/Justin e che credo avrebbe meritato più spazio nel telefilm, ma dato che non sono stata accontentata rimedio qui J
Spero che il capitolo vi sia piaciuto (non ammazzatemi, vi prego!) e vi aspetto al prossimo aggiornamento!
Un bacio!
 
Alessandra
 
P.S che non c’entra nulla, ma volevo dirvelo lo stesso: Ho un collega che sembra il sosia di Gale. VOGLIO.MORIRE.ADESSO. 

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Capitolo 28
*** Downfall ***


28. Downfall

 
 

 
 
“È di nuovo qui.”
La capo infermiera alzò brevemente lo sguardo verso la ragazza davanti a lei. “Chi?” Domandò, sfogliando alcune cartelle mediche.
Romeo.” Sussurrò la ragazza, sporgendosi sul bancone. L’uomo nerboruto davanti a lei emise un verso di scherno.
“Chi?” Confusa, la donna ripose le cartelle e rivolse la sua completa attenzione alla giovane.
“Lasciala perdere, Donna.” Borbottò l’uomo accanto a loro. “Mandy è la solita inguaribile romantica. E impicciona.”
Amanda gli lanciò un’occhiata minacciosa, tornando a voltarsi verso la donna di colore. “È qui tutti i giorni. Non entra, non parla, non si alza da quella dannata sedia se non per andare in bagno.” Mosse la testa verso destra in direzione del ragazzo biondo seduto ad una decina di metri da loro. “È così da quattro giorni.”
“Li hai addirittura contati?” La prese in giro il suo collega. “Dolcezza, tu hai bisogno di fare sesso.”
“Vaffanculo, Joe.” Sibilò Mandy scocciata. “Preferirei farmela incollare con la colla vinilica piuttosto che darla a te.”
Donna, per nulla interessata al battibecco, voltò il capo verso il giovane in questione. “Che sappiamo di lui?”
Mandy lanciò un’ultima occhiata assassina a Joe prima di rispondere. “Hai presente il figo della 308?”
“L’incidente d’auto?”
Mandy annuì. “Mr. Orgasmo.” Precisò, ripetendo il soprannome che il corpo infermiere aveva dato al paziente. “Il dottore dice che è un suo amico e che ha il permesso di stare lì.”
“Può stare lì, ma non può entrare in camera?” Domandò Donna, sorpresa.
Mandy si strinse nelle spalle. “Vuoi sapere la mia teoria?” La sua collega annuì. “Credo che stiano insieme.”
“Intendi come coppia?”
Mandy assentì di nuovo col capo. “Guarda la sua espressione, sembra che gli sia crollato il mondo addosso, sembra che non gli importi di niente e nessuno se non di stare lì, davanti a quella dannata porta.”
“E perché non entra?”
Mandy fece una smorfia, sbuffando dal naso. “Sospetto che la vecchia bisbetica che blatera in continuazione di Bibbia e peccati c’entri qualcosa.”
“La vecchia bisbetica è sua madre.” La rimproverò Joe. “Abbi un po’ di rispetto.”
“È una stronza frigida.” Proseguì Mandy, senza dare segno di averlo sentito. “Vogliamo scommettere che è stata lei a impedire al principe azzurro di entrare in camera?” Tornò a voltarsi verso il ragazzo dallo sguardo triste. “Lo trovo così ingiusto.”
“Froci del cazzo…” Borbottò Joe con una nota di disgusto nella voce. “Se volete la mia opinion--”
“Nessuno te l’ha chiesta.” Lo zittì Donna, rivolgendogli uno sguardo minaccioso. “E a proposito, non hai del lavoro da fare?”
Joe sollevò le sopracciglia. “Mandy è qui a non fare nulla.”
“Mentre tu hai dei pazienti da controllare, come il signore della 279.” Mandy soffocò una risata
“Quello col pannolone?” Domandò Joe allarmato.
“Precisamente.” Donna incrociò le braccia al petto. “Forza, che aspetti?”
“Donna, ti prego.” L’uomo la guardò con espressione implorante. “Non puoi mandare qualcun altro?”
“Di cosa hai paura, Joe?” Mandy gli rivolse un sorriso divertito. “Che qualcuno ti scambi per un frocio del cazzo vedendoti cambiare il pannolone di un povero vecchietto incontinente?”
Donna riportò lo sguardo sulle cartelle davanti a lei. “Forza, io e Mandy ci occuperemo del resto.”
Joe lanciò loro uno sguardo carico di astio e, dopo aver sbattuto un fascicolo sulla scrivania, si avviò lungo il corridoio pestando i piedi come un bambino di sei anni. “Ben ti sta, stronzo.” Sibilò Mandy, strappando un sorriso a Donna. Voltandosi, rivolse un ultimo sguardo mesto al ragazzo biondo. “Sarà meglio che mi dia da fare anche io. Vuoi che controlli Mr. Orgasmo?”
Donna sorrise. “Vorrei davvero sapere a chi è venuto in mente un soprannome del genere.” Scosse il capo. “No, a lui ci penso io.”
“Okay.” Mandy fece una piroetta e, con un ultimo sorriso, si avviò lungo il corridoio da cui era sparito Joe.
Donna sfilò una cartella dalla pila davanti a lei. “Brian A. Kinney, 308.” Uscì da dietro il bancone e si avvicinò al carrello che solitamente veniva utilizzato nei giri di visite. “Questi cosi diventano ogni giorno più pesanti.”
Justin sobbalzò spaventato al suono della sua voce. “Co… Come?” Domandò confuso.
Donna accennò col capo al carrellino davanti a lei. “Avrei davvero bisogno dell’aiuto di un bel giovanotto come te. Che ne dici? Ti va di darmi una mano?”
Justin spostò lo sguardo dalla donna alla porta della stanza di Brian prima di riportarlo su di lei. “Certamente.” Rispose.
Il mio piccolo, educato ragazzino da country club… sussurrò la voce di Brian nella sua testa.
“Perfetto.” La donna gli indicò il carello prima di puntare in direzione della 308. Justin si bloccò all’istante. “Io… Io non posso entrare lì.”
Donna inarcò un sopracciglio con fare irritato. “E chi lo dice?”
Justin emise un verso irritato. “La mia cara suocera.”
Allora Mandy aveva ragione. Donna si strinse nelle spalle. “Sono le nove ormai e l’orario delle visite è finito. Chi vuoi che lo racconti alla vecchia timorata di Dio? Io no di certo.”
“E con me siamo in due.”
“Forza, allora.” Donna aprì la porta, accennando col capo. “Vediamo come sta il nostro paziente.”
Il carrellino delle visite fu abbandonato sulla soglia non appena Justin posò lo sguardo sulla persona stesa sul letto, la stessa persona che non vedeva da quasi un mese. Col cuore in gola e passo incerto, si avvicinò al letto. “Ehi, sexy.” Sussurrò con voce tremante. Si chinò verso di lui per baciargli gli fronte, esitando per un lungo, infinito con le labbra sulla pelle di Brian.
Donna sentì stringersi il cuore di fronte a quella scena; discreta, chiuse la porta fingendo di controllare i segni vitali di Brian.
“Ad Emmett verrà una crisi isterica quando scoprirà che sei bellissimo anche col camice dell’ospedale.” Lo sentì sussurrare, intrecciando le dita con quelle dell’uomo. Non poté fare a meno di sorridere intenerita.
“Fatto.” Avvertì Justin. “Tutto a posto.”
Vide il ragazzo annuire piano e chinarsi per baciare una ad una le nocche del paziente. “Adesso devo andare, ma sono qui fuori, Brian. Non vado da nessuna parte, non finché non avrai aperto gli occhi ed io sarò finalmente riuscito a dirtene quattro per lo spavento che mi hai fatto prendere. Che ci hai fatto prendere.” Sforzandosi di sorridere, si chinò per baciargli le labbra. “Ti amo.”
Donna dovette distogliere lo sguardo per celare gli occhi lucidi. Dannazione, pensò, chi può essere così crudele da tenere lontane due persone che si amano tanto? Il viso della sgarbata donna dai capelli grigi che da qualche giorno tiranneggiava lungo i corridoi comparve nelle sua mente. Vecchia arpia.
“Facciamo così.” Justin spostò lo sguardo da Brian a lei. “Io ho un sacco di visite da fare e sarebbe fantastico se tu potessi aiutarmi.” Justin annuì a malincuore. “Perché non rimani qui e controlli che lui stia bene?” Domandò accennando col capo verso Brian. “Io ho decine di pazienti e magari tu potresti alleggerirmi il carico.” Indicò il pulsante che avvertiva le infermiere. “Se hai bisogno di qualcosa, premi questo.”
Justin sgranò gli occhi, incredulo. “Io…” Riportò lo sguardo su Brian. “Non voglio che finisca nei guai, il dottore ha detto che--”
“Il dottore avrebbe potuto impedirti di stare qui fuori giorno e notte.” Gli fece notare la donna. “Credo che abbia un debole per te, dolcezza.” Gli pizzicò la guancia come era solita fare Debbie. “Sistemati sulla poltrona, ti porto una coperta quando ho finito con gli altri pazienti.”
Justin annuì. “La ringrazio, lei non ha idea di quanto…” Si schiarì la gola cercando di non far tremare la voce. “Grazie.”
Donna gli sorrise. “E tu.” Si voltò verso Brian. “Per quanto il corpo infermiere sia più che felice di averti qui…” Udì Justin ridacchiare, mentre si sfilava il giubbino “… credo che questo angelo abbia bisogno di te molto più di noi, quindi vedi di smetterla di fare il sostenuto e apri gli occhi.”
“Grazie davvero.” Le disse di nuovo Justin, sedendosi accanto al letto, le mani ancora saldamente intrecciate a quelle di Brian.
Donna lo liquidò con un gesto della mano prima di uscire dalla stanza.
 
 
 
 
 
Blake si massaggiò stancamente le tempie, mettendo da parte uno dei fascicoli che stava leggendo. Sospirò, appoggiandosi contro lo schienale della sedia e chiuse gli occhi.
“Ehi, tutto okay?”
L’uomo riaprì gli occhi e li posò sulla donna sulla soglia del suo ufficio che lo guardava con aria preoccupata. Annuì debolmente.
“Il tuo amico come sta?”
Blake si strinse nelle spalle. “Sempre uguale. Non ci sono cambiamenti.”
Carol gli rivolse un’occhiata mesta. “Mi dispiace sentirlo.”
“Ti serve qualcosa?”
Blake cercò di non sembrare troppo brusco, ma in quel momento un’altra discussione con il suo capo era l’ultima cosa di cui aveva bisogno. Le ultime settimane erano state un vero e proprio incubo: prima l’arrivo di Kitty che aveva scombussolato la sua tranquilla quotidianità – ormai era certa che la sua amica traditrice fosse arrivata a Pittsburgh dietro suggerimento di Carol – annoiandolo a morte con storie su San Francisco e sui loro amici; poi Ted che ultimamente sembrava avere come unico scopo nella vita quello di irritarlo a morte non facendo altro che menzionare il suo possibile trasferimento e le infinite opportunità che avrebbe potuto avere se solo avesse preso in considerazione l’idea, e infine l’incidente di Brian che aveva colpito la loro famiglia come un fulmine a ciel sereno. Erano passati quattro giorni e Brian giaceva ancora immobile in un letto d’ospedale.
Dalla notte dell’incidente, Ted era entrato in modalità devo occuparmi dei problemi del mondo e aveva passato tutto il suo tempo alla Kinnetic, aiutando Cynthia nella gestione dell’azienda.
“Brian ci ucciderebbe se ci vedesse trascurare la sua creatura.” Gli aveva risposto il suo compagno quando Blake gli aveva chiesto di rallentare il ritmo.
“Beh, continua così e non ti servirà l’aiuto di Brian per ritrovarti tre metri sotto terra.”
Ted l’aveva ignorato, uscendo di casa e non rientrando fino a notte fonda.
Sì, l’ultimo periodo era stato un vero incubo e il solo pensiero di cosa Carol volesse da lui, gli faceva ribollire le viscere.
Era pronto a rompere qualcosa, se lo sentiva.
“Ha chiamato Kitty.”
Ecco che ci risiamo. Blake roteò gli occhi, sbuffando sonoramente. “Carol…”
“Stammi almeno a sentire.”
“No! Mi sono rotto di rimanere sempre zitto ad ascoltare gli altri! Ad ascoltare quello che voi credete sia meglio per la mia vita! Tu, Ted, Kitty… Nel caso non ve ne foste accorti, io sono un adulto!”
Carol sollevò le sopracciglia in una smorfia annoiata, per nulla colpita dallo sfogo del suo amico. In tutta sincerità, lo aspettava da parecchio. “Hai finito?”
“No, non ho finito, dannazione!” Blake scattò in piedi, facendo il giro della scrivania e piazzandosi di fronte alla donna. “Te l’ho già detto mille volte, Carol. Non mi interessa essere traferito, il mio posto è qui, in questo centro, in questa città.”
Carol si strinse nelle spalle. “Oh, io l’ho capito benissimo, non temere. L’avevo capito già la prima volta che mi hai gridato contro come un pazzo esaltato.”
Blake si sentì arrossire d’imbarazzo, ricordando la prima volta che lui e Carol avevano parlato di un possibile lavoro in California.
“Oggi, però, sono venuta qui per dirti che non è più affare mio.”
Blake aggrottò la fronte, confuso. “Non credo di capire.”
“Non sta più a me decidere, Blake.” Spiegò la donna. “Adesso è tutto sulle tue spalle.” Mosse un passo verso di lui e gli porse una busta ancora sigillata. “Richiesta ufficiale di trasferimento dal direttore del centro di San Francisco.”
Blake accettò la busta con mano tremante. “Ti avevo detto che--”
“Hanno fatto tutto loro.” Lo interruppe Carol. “Ho detto a Kitty che non eri interessato e ho ripetuto la stessa cosa al suo capo. Evidentemente la tua amica ha altri progetti per te.”
Blake emise un verso di fastidio, riportando lo sguardo sul suo capo. “Kitty mi sentirà presto. Sa come la penso al riguardo.”
Carol annuì. “Ad ogni modo, ambasciator non porta pena.” Accennò col capo alla lettera. “Non sono più responsabile.”
“Ma puoi essere una testimone.”
La donna lo guardò con espressione confusa. “Testimone? Che vuoi dire?”
Blake fece un lungo sospiro prima di stringere forte la lettera tra le mani e strapparla in due pezzi.
“Blake…” Carol rimane chiaramente colpita dal gesto. Era sicura che una richiesta ufficiale avrebbe quantomeno fatto ragionare Blake.
“Questa è la mia risposta. Questa è la risposta che vi sto dando da mesi e questa è la risposta che San Francisco riceverà.” Gettò la lettera nel cestino. “La mia richiesta di trasferimento è stata appena rifiutata.”
 
 
 
 
 
“E se vuoi la mia opinione, è una gran cazzata.” Soffiò Daphne irritata. “Persino io, che francamente non sono un cazzo per Brian, posso entrare nella sua dannatissima stanza, ma non tu che sei l’amore della sua vita, il suo compagno, il suo fidanzato, il suo unico, eterno e--”
“Hai finito?” La interruppe Justin, massaggiandosi stancamente una tempia.
Daphne schioccò la lingua con fare nervoso. “Dannata Joan Kinney. Non mi stupisco che Brian la odi tanto.”
“Perlomeno stanotte sono riuscito a stare con lui.”
“Ma non dovresti ricorrere a certi sotterfugi per stare col tuo uomo.” Daphne infilzò con forza una delle fragole della sua macedonia. “So che mi hai chiesto di non intromettermi, ma ho tutte le intenzioni di parlarne con Nathan.”
Justin sospirò piano. “Con chi?” Chiese distrattamente.
“Nathan. Il dottor Mitchell.”
“E da quando il tuo tutor, il tuo mentore, il tuo Oh mio Dio, Justin, è così bravo, così intelligente, così incredibilmente superfantastico dottor Mitchell è diventato Nathan?” Le domandò posando i gomiti sul tavolo e sporgendosi verso di lei.
Parlare con Daphne aveva sempre avuto il potere di farlo stare bene, di fargli dimenticare tutti i suoi problemi, tutte le stronzate che lo opprimevano e mai come in quel momento era grato di aver un’amica come lei al suo fianco.
“Da quando lui mi ha chiesto di trattarlo come un collega e non come un professore.” Ribatté Daphne, arrossendo. “Non c’è niente di male.”
Justin ridacchiò, finendo il suo caffè. “Niente, a parte il fatto che ti piace.”
“Ti ricordo che ha una fidanzata.”
“Fa in modo che la scarichi, allora, così avrai il dottorino tutto per te.”
“Justin!” Daphne si guardò attorno per essere sicura che nessuno fosse in ascolto. Ci mancava solo che girassero voci sulla sua cotta per Nathan.
“Che c’è? Ti piace, no?”
Daphne abbassò lo sguardo sul tavolo, chiaramente in imbarazzo. “È il mio insegnante.”
“Non saresti la prima che s'innamora del proprio insegnante. E non ricominciare con la storia della fidanzata o dell’età. Ci sono tredici anni di differenza tra voi e lui è un gran figo. Me lo farei senza problemi se fosse gay.”
Daphne lo colpì al braccio con un pugno. “Giù le mani, ladro!”
Ridacchiando Justin, si alzò dal tavolo e, dopo aver pagato, si diresse verso l’uscita della caffetteria seguito da Daphne. Presero l’ascensore e tornarono al terzo piano, dopo trovarono una gran folla radunata davanti alla stanza di Brian.
“Justin!” Il ragazzo non fece neppure in tempo a voltarsi che una piccola palla di energia si abbatté su di lui.
“Gus?” Il bambino si strinse di più a lui, circondandogli la vita con le braccia. “Che fai qui?”
Il bambino alzò gli occhi nocciola verso di lui, facendogli mancare un battito. Dio, quanto somigli a tuo padre. “Io, mami e Jenny siamo appena arrivati da Toronto.”
Justin gli posò un bacio sui capelli prima di prenderlo per mano e incamminarsi verso Mel, che stringeva sua moglie tra le braccia. Poco più in là, il dottor Mitchell chiacchierava sommessamente con Ben e Jennifer. “Guarda, il tuo fidanzato.” Sussurrò a Daphne che si limitò a lanciargli un’occhiataccia prima di raggiungerli.
“Mel.” La donna si districò dall’abbraccio di Lindsay e gli rivolse un sorriso triste. “Tesoro, come stai?”
Justin si strinse nelle spalle. “Potrei stare meglio.”
La donna annuì, prima di abbracciarlo. “Andrà tutto bene. Si sveglierà solo per fare un dispetto a sua madre.”
Justin soffocò una risata. “Ne sono certo.”
“Mami, posso andare da papà?” Chiese Gus con una vocina triste. “Sono tanti giorni che non parlo con lui e devo raccontargli un sacco di cose che sono successe a scuola.”
Lindsay tirò su col naso, scostando il viso per evitare che suo figlio vedesse le sue lacrime; Mel sospirò, accarezzandogli i capelli, e scambiò una rapida occhiata con Justin che scosse il capo. Non era una buona idea che un bambino di sette anni vedesse suo padre, il suo eroe, attaccato alle macchine che lo aiutavano a respirare.
“Adesso papà sta riposando.” Mel si piegò su un ginocchio per guardare suo figlio negli occhi. “E io e mamma siamo molto stanche. Che ne diresti di andare dallo zio Michael e riposarci un po’?”
Gus aggrottò la fronte, confuso. “Ma io voglio vedere papà.”
“Ehi, scricciolo.” Molly si avvicinò con un sorriso allegro. “Sapevi che ci sono un sacco di giochi nel cortile dell’ospedale?”
Gus sollevò le sopracciglia. “Davvero?”
Molly annuì, scompigliandogli i capelli. “Io mi annoio a morte qui. Prendiamo Jenny e andiamo a fare l’altalena, che dici?”
“Che idea splendida, baby!” Emmett si avvicinò alla ragazza e le circondò le spalle con un braccio. “Così possiamo vedere se c’è qualche bel fidanzatino per te, GussieGus.”
Gus roteò gli occhi, ricordando spaventosamente suo padre. “Zio Em, io ce l’ho già una fidanzata a casa.”
“Oh, davvero?” Emmett si posò una mano sul petto. “Che peccato, vorrà dire che mi aiuterai a trovarne uno per me.”
Gus ci pensò su per un attimo prima di annuire. “Okay.” Si voltò vero Justin sollevando il capo verso di lui. Justin si piegò in avanti per ricevere il suo bacio. “Puoi dire a papà che gioco con lui dopo che ho trovato un fidanzato a zio Emmett?”
Justin sorrise, imponendosi di non scoppiare a piangere come un poppante. “Contaci, Gus.”
Il bambino annuì, evidentemente soddisfatto dalla risposta, e porse una mano a Molly che si avviò con lui lungo il corridoio in direzione degli ascensori. Emmett baciò rapidamente Justin prima di seguirli.
“Per fortuna che c’è Molly.” Sussurrò Mel, esausta.
Justin sorrise guardando la chioma fulva di sua sorella allontanarsi. “Come avrei fatto senza di lei in questi giorni, davvero non lo so.”
Emmett, Molly e Daphne erano stati per lui di incredibile conforto e supporto durante i quattro giorni che lui aveva passato davanti alla camera di Brian; non che gli altri non lo fossero stati, ma alle volte i continui Come stai, Sunshine? di Debbie e i Tesoro, hai mangiato qualcosa oggi? di sua madre tendevano a fargli perdere le staffe. I suoi amici invece si limitavano a sedersi accanto a lui senza fare domande, trascorrendo ore a parlare dell’ultimo pettegolezzo in ospedale, dell’ultima coppia che si era mollata a Liberty Avenue e di quale studentessa della St. James era rimasta incinta dopo il ballo di fine anno.
“Sunshine, come ti senti?” Debbie lo stritolò in uno dei suoi soliti abbracci, facendogli alzare gli occhi al cielo.
Sua madre gli sfiorò i capelli. “Hai già pranzato?”
Daphne soffocò una risata di fronte all’espressione del suo migliore amico. “Nathan, ci sono novità?”
Tutti i presenti si voltarono verso l’affascinante uomo dai capelli biondo cenere e gli occhi verdi. “Justin.” Gli porse una mano in segno di saluto. Da quando Brian era stato ricoverato, Nathan Mitchell era stato uno dei pochi ad aver riconosciuto il suo posto nella vita di Brian: gli altri dottori tendevano perlopiù ad ignorarlo, oppure a lanciargli occhiate dispiaciute come il vecchio dottor George, ma Nathan, fin dall’inizio, quando Daphne si era precipitata disperata in reparto la notte dell’incidente, aveva sempre parlato direttamente con lui. Chiedeva la sua opinione, lo teneva informato di qualunque sviluppo riguardante la salute di Brian, si preoccupava sinceramente per lui, come se considerasse Justin il legittimo coniuge, e non semplicemente un compagno o un fidanzato. Nonostante la situazione, Justin era felice di avere il dottor Mitchell lì.
“Novità?” Chiese con tono speranzoso.
Nathan scosse mestamente il capo. “Mi dispiace.”
Justin accusò il colpo cercando di sorridere. “Non è colpa sua.”
L’uomo si avvicinò a lui, posandogli la mano sulla spalla. “Si sveglierà presto.”
“Lo so.” Mentì Justin.
Nathan parve cogliere la sua perplessità. “Dico davvero, Justin. I suoi segni vitali migliorano di giorno in giorno e--”
“Avrebbe già dovuto svegliarsi.” Gli fece notare il ragazzo sottovoce per evitare che gli altri sentissero. Non voleva apparire debole, non davanti a Lindsay che non aveva più lacrime da piangere, davanti a Debbie che non aveva fatto altro che cucinare ed occuparsi di tutta la famiglia pur di non pensare a Brian steso in un letto d’ospedale, o davanti a Michael che aveva probabilmente proferito dieci parole in tutto dalla notte dell’incidente.
No, lui doveva essere quello forte. Lui doveva avere fiducia in Brian, fiducia che sarebbe tornato da lui.
Ma quanto ancora avrebbe potuto resistere? Quattro giorni e nessun segno di cambiamento. Quattro fottuti giorni e Brian, il suo Brian, rimaneva inerte steso su un dannatissimo letto d’ospedale per colpa di un figlio di puttana che si era messo al volante dopo essersi scolato un’intera fabbrica di birra. E al diavolo il fatto che il povero idiota avesse già tirato le cuoia. Se l’era meritato! E adesso per colpa sua, lui e tutta la sua famiglia rischiavano di perdere Brian.
E se non dovesse svegliarsi? Che farò io senza di lui? Che sarò io senza di lui?
“Starà bene, Justin.” Gli sussurrò la voce di Daphne accanto a lui. “Lo conosci, è dannatamente ostinato.” Pur senza vederla, avvertì il suo sorriso. “Tornerà da te perché non c’è altro posto al mondo dove vorrebbe stare se non al tuo fianco.” Si sporse verso il suo orecchio. “Possibilmente senza vestiti e in un bel letto comodo.”
Justin non poté evitare di sorridere e vide Nathan, davanti a lui, fare lo stesso. “Non vedo l’ora di conoscere questo tuo Brian, Justin. Daphne non fa che parlarne.”
Justin annuì. “Spero che lei possa farlo presto.”
“Lo spero anch’io. E ti prego, smettila di darmi del lei, mi fai sentire vecchio.”
“Okay.” Justin assentì col capo. “D’accordo, Nathan.”
L’uomo annuì. “Ora, se volete scusarci, io e la dottoressa Chanders abbiamo un appuntamento.”
Daphne aggrottò le sopracciglia, confusa. “Davvero?”
“Il direttore dell’ospedale ha finalmente deciso di degnarci della sua attenzione.”
“Finalmente!” Daphne gli sorrise radiosa, prima di voltarsi verso il suo migliore amico. “Sistemeremo tutto, Justin, non temere.”
“Quando dici così, si preannunciano sempre guai.”
Daphne lanciò un’occhiataccia a Nathan quando lo sentì soffocare una risata. “Abbi fiducia in me per una volta.”
Justin scosse il capo con un mezzo sorriso. “Prometto di farti ricompensare da Brian in persona.”
“Guarda che ci conto.”
“Parola di boy scout.”
“Non sei mai stato nei boy scout. Eri troppo impegnato a fare sesso.”
Justin scoppiò sonoramente a ridere, attirando così l’attenzione dei suoi amici. “E se non lo sai tu…”
Daphne gli fece una linguaccia prima di sporgersi verso di lui e baciargli una guancia. “Vado a mettere ko Joan Kinney per te e torno. Cerca di non combinare guai nel frattempo.”
Justin le sorrise. “Promesso, mammina.”
“Stronzo…” Borbottò la ragazza, avviandosi lungo il corridoio con Nathan.
“Non vorrei essere nei panni del povero direttore.” Sussurrò Ben alle sue spalle.
Justin annuì. “È davvero infuriata.”
“Ne ha tutte le ragioni. Nessuno ha il diritto di tenerti fuori da quella stanza.”
Justin si strinse nelle spalle. “Non mi importa dove sono io, se dentro o fuori quella camera, l’unica cosa importante al momento è che Brian si svegli e quest’incubo finisca presto.” Si passò stancamente le mani sul viso, sfregandosi gli occhi. “Non voglio passare neppure un altro giorno chiedendomi se rivedrò mai il suo sorriso o i suoi occhi o--”
Un singhiozzo involontario sfuggì dalle sue labbra, impedendogli di terminare la frase; le braccia forti di Ben lo strinsero un attimo dopo. “Andrà tutto bene, Justin.”
Justin scosse il capo contro il suo petto. “Non fanno che ripetermelo tutti, ma come fate a saperlo? Brian potrebbe non svegliarsi, potrebbe non--”
“Si sveglierà.” Lo rassicurò Ben. “Vedrai. I medici sono ottimisti, i suoi valori sono migliorati molto negli ultimi giorni.”
Justin tirò su col naso. “Mi odierebbe se mi vedesse in questo stato.”
“Io credo che capirebbe invece. Lui si sentirebbe allo stesso modo se i ruoli fossero invertiti.”
Justin si staccò da lui e annuì. “Non voglio vivere senza di lui, Ben. Io… non credo di poter sopravvivere.”
“E sono certo che non dovrai farlo, Justin. Tornerà da te, vedrai.”
Justin sospirò piano, voltandosi verso la porta dietro cui stava l’amore della sua vita. In quel preciso istante, davanti a quella porta chiusa, desiderò di avere la fiducia e la fede di Ben Bruckner e Nathan Mitchell.
 
 
 
 
 
Michael superò l’ultimo incrocio e, con un sospiro esausto, si avviò a passo lento verso casa; un sorriso mesto si affacciò sul suo volto alla vista del tetto della sua amata dimora.
Voglio buttarmi a letto e dormire per una settimana, pensò pur sapendo che non sarebbe stato possibile.
Le ultime settimane lo avevano davvero provato: prima Hank e la paura che tra lui e Ben potesse esserci qualcosa, poi la partenza delle ragazze e di JR che gli aveva spezzato il cuore e infine l’incidente di Brian che adesso giaceva inerme in un letto d’ospedale attaccato ad un respiratore.
Michael scosse il capo e si sfregò gli occhi con forza cercando invano di allontanare quell’apatia, quel senso di angoscia perenne, quell’aura di fastidioso torpore che avvolgeva la sua vita da ormai troppo tempo e che avrebbe fatto di tutto per cancellare per sempre.
Andrà tutto bene si ripeté per la milionesima volta. Ben aveva ragione, tutto si sarebbe sistemato. Brian si sarebbe svegliato presto e la loro vita sarebbe tornata alla normalità; sarebbero usciti da Woody ad ubriacarsi, sarebbero andati al Babylon a ballare e a divertirsi, avrebbero passato altre mille noiose domeniche a pranzo da sua madre, avrebbero organizzato altri mille viaggi a Toronto per andare da Gus e Jenny.
Imboccò il vialetto di casa, bloccandosi un attimo dopo aver varcato il cancello: sotto il suo portico, un uomo bussava insistentemente alla porta.
“Posso aiutarla?” Domandò, avvicinandosi.
Hank Sanders si voltò verso di lui. “Oh Michael, ciao.” Gli rivolse un sorriso forzato. “Non mi aspettavo di incontrarti.”
Michael tentò di ricambiare il sorriso. “Non sapevo fossi tornato in città.”
“Ho saputo di Brian.” Confessò mentre Michael si sfilava le chiavi dalla tasca. “Mi dispiace molto.”
Michael annuì. “Ti ringrazio. Al momento siamo tutti molto scossi.”
“Posso solo immaginare.”
L’uomo aprì la porta di casa e si voltò verso il suo ospite. “Vuoi entrare? Ben avrebbe già dovuto essere tornato quindi sono sicuro che non tarderà.”
Hank scosse il capo. “Non importa, ripasserò un altro giorno. Al momento avete altre cose per la testa.”
Michael annuì, apprezzando il gesto. “Te ne sono grato.”
Hank gli sorrise un’ultima volta prima di avviarsi lungo il vialetto. Con un piede già sul marciapiede, fu la voce di Michael, ancora sulla soglia di casa, a farlo voltare di nuovo. “Come scusa?”
Michael aggrottò le sopracciglia, confuso. “Hai detto che non ti aspettavi di trovarmi qui, ma questa è casa mia.”
Hank si strinse nelle spalle. “Credevo fossi ancora in negozio a quest’ora.”
“Ho chiuso prima. Non ero dell’umore adatto per avere a che fare con ragazzini esagitati.”
“Comunque…” Hank abbozzò di nuovo un sorriso “… ero sorpreso di vederti, tutto qua.”
“Era Ben che cercavi, giusto?” Il tono ostile di Michael attirò immediatamente la sua attenzione. “È per questo che ti ho colto di sorpresa, speravi di incontrare Ben senza dover incrociare me.”
Hank inarcò un sopracciglio e lo guardò con espressione stupita. Un secondo dopo, ghignò, incrociando le braccia al petto. “Complimenti, Michael, non ti facevo così sveglio.”
Michael s’irrigidì all’istante: non gli piaceva affatto il tono con cui Hank gli stava parlando. “Spiacente di averti deluso.”
“Credevo davvero di averti giocato.” Confessò senza vergogna. “Soprattutto dopo la mia magistrale interpretazione al Diner. Le mie scuse sono state da manuale.”
“Da manuale, forse. Ma false come una banconote da sette dollari.”
Hank scoppiò a ridere. “E tu e Benji ve le siete bevute alla perfezione. Probabilmente, stare con te lo ha reso un po’ meno sveglio.”
Michael assottigliò lo sguardo e lo fissò minaccioso. “Vaffanculo, stronzo. Sapevo di aver ragione sul tuo conto, nonostante quello che Ben continuava a ripetermi. Non avrei mai dovuto abboccare alle tue stronzate.”
“Hai ragione, non avresti dovuto.” Convenne Hank con un odioso sorrisetto stampato in viso. “Sei stato un vero ingenuo.”
“Fuori da casa mia!” Sbottò Michael, muovendo un passo verso di lui.
“Ma adesso è troppo tardi, mio caro.” Hank scosse il capo, continuando a sogghignare. “Avresti dovuto allontanarmi appena hai saputo di me.”
“Stronzate! Tra te e Ben non c’è nulla!”
“Per il momento, ma perché credi che Benji ti abbia nascosto tutto fin dall’inizio? Perché ha spifferato la verità solo quando l’hai messo con le spalle al muro?”
“Perché non voleva--”
“Ferirti? Farti preoccupare? Ah! Se lo pensi davvero sei ancora più ingenuo di quello che credevo.”
“Te lo ripeto, Sanders, sparisci immediatamente dalla mia proprietà!”
“Non ti ha detto nulla perché lo sa anche lui. L’ha sempre saputo.”
Michael serrò con forza la mascella. “E cosa saprebbe?”
“Che tra noi c’è ancora qualcosa. Un sentimento che ci lega, che ci unisce dal momento in cui ci siamo incontrati al college tanti anni fa.” Inarcò un sopracciglio con aria di sfida. “Un sentimento con cui presto o tardi, Benji tornerà a fare i conti e quando lo farà, tu mio povero Michael, sparirai per sempre dalla sua vita.”
“Continua pure a sognare, Sanders, ma Ben mi ha assicurato, mi ha giurato che non prova più nulla per te e che il suo posto è qui, con me e i nostri figli.”
“Perché invece non inizi a comprendere che sono proprio loro l’unica cosa che ormai vi tiene uniti? So quanto Ben ama Jenny ed Hunter, ma sei sicuro che non tenga a loro più di quanto tenga a te?”
“Certo che no! E se glielo chiedessi, mi risponderebbe esattamente le stesse cose che mi ha detto settimane fa!”
“Coraggio, allora. Va’ da Ben e confessagli tutto quello che ti ho appena rivelato. Vediamo quanto tempo passerà prima che corra di nuovo da me, lasciandoti solo e disperato.” Rise di nuovo e Michael dovette far ricorso a tutta la sua buona volontà per non spaccargli la faccia e cancellare quell’odioso sorriso facendogli saltare un paio di denti. “Adesso sarà meglio che vada, mi sono divertito abbastanza.”
“Ne sono lieto.” Osservò velenoso Michael.
“Ciao ciao, Novotny. Salutami tanto Benji.”
Michael deglutì a fatica la bile che era risalita su per la gola e ringhiò con fare minaccioso. “Non ti lascerò rovinare la mia famiglia.” Sussurrò, studiando la sagoma di Hank che si allontanava a passo lento.
 
 
 
 
 
Justin svoltò l’angolo, imboccando il corridoio che portava alla camera di Brian; lungo il tragitto, passò davanti alla postazione delle infermiere e sorrise alla ragazza bionda che era sempre gentile con lui. La ragazza ricambiò.
Donna sollevò lo sguardo dalle sue cartelle e gli lanciò una strana occhiata. “Justin.”
Il cuore di Justin si fermò all’improvviso. Sgranò gli occhi e la fissò con un’espressione di puro terrore dipinta in viso. “È… è successo qualcosa?”
La donna si sentì immediatamente in colpa. “Oh no, no, tesoro! Il tuo innamorato sta bene!” Rapida, lo raggiunse dall’altra parte del bancone. “Mi dispiace averti fatto spaventare.” Lo abbracciò stretto.
Justin tornò a respirare normalmente. “Giuro che stava per venirmi un infarto.”
“Oh, dolcezza.” La donna gli rivolse un’occhiata dispiaciuta. “Volevo solo dirti di tenere a bada i tuoi amici. Capisco che sentiate la sua mancanza, ma i nuovi arrivati sono terribilmente rumorosi.”
Justin aggrottò la fronte. “Nuovi arrivati?”
Donna annuì. “Sì, la truppa che ha invaso l’ospedale un’oretta fa.” Il ragazzo si staccò da lei e annuì. “Probabilmente saranno i colleghi del tuo Brian.”
Probabilmente saranno i clienti del Babylon preoccupati per l’improvvisa scomparsa dell’attrazione principale del locale… Justin premette le labbra per celare un sorriso. “Sì, saranno sicuramente loro.” Mentì. “Me ne occupo io.”
“Ti ringrazio.” Donna tornò dietro il bancone con Mandy.
Justin scosse il capo, dirigendosi verso la stanza di Brian. Il mezzo sorriso che gli distendeva le labbra scomparve immediatamente quando vide la folla radunata davanti alla camera 308. Sorpreso, non riuscì a fare altro che sgranare gli occhi, bloccandosi nel mezzo del corridoio.
“Justin, finalmente!”
Fu la voce del suo migliore amico – ormai Steve si era guadagnato a pieno titolo quell’appellativo – a riscuoterlo, riportandolo alla realtà. “Steve, che ci fai qui?” Spostò lo sguardo sul resto del gruppo e sorrise di nuovo: Amelia, Vanessa ed Hayley si alzarono dalle scomode sedioline in plastica proprio mentre Steve si avvicinava ad abbracciarlo.
“Come sarebbe che ci facciamo qui?” Amelia lo estrasse senza tante cerimonie dalla stretta del suo amico e si chinò su di lui per baciargli una guancia e stringerlo brevemente. “Dicci piuttosto perché abbiamo dovuto sapere da tua madre che Brian era in ospedale.” La ragazza gli lanciò un’occhiata ferita.
Justin abbassò lo sguardo con aria colpevole. “Mi dispiace, non… non sono stato molto in me negli ultimi giorni.”
Vanessa gli rivolse un sorriso triste mentre Hayley gli passava le braccia attorno alla vita, sprofondando il viso nel suo maglione. Justin ricambiò l’abbraccio con affetto. “Eravamo così preoccupati.” Confessò la più giovane, che quel giorno aveva i capelli di un sedato castano scuro. Era probabilmente il colore più normale che Justin le avesse mai visto addosso. Guardandola, provò quasi un moto di tristezza nel vederla così… spenta, così non Hayley.
“Appena abbiamo saputo, abbiamo liberato le nostre agende e siamo saltati sul primo volo per Pittsburgh.” Lo informò Vanessa con tono calmo. “Saremmo arrivati prima se ci avessi informato.”
Steve annuì, chiaramente ferito quanto le sue amiche. “Siamo una squadra, Taylor. Avresti dovuto capirlo ormai.”
Justin deglutì a fatica a causa del nodo in gola che si era formato alle parole dei suoi amici, della sua famiglia, e sbatté le palpebre un paio di volte per cercare di far sparire il velo di lacrime che si stava formando. “Mi dispiace.” Ripeté di nuovo con voce strozzata.
Vanessa scosse il capo. “Non importa, siamo qui adesso.”
Amy annuì concorde. “I dottori che dicono?”
Justin aggiornò rapidamente i suoi amici sulle condizioni di Brian, il braccio destro ancora stretto attorno alle spalle minute della piccola Hayley.
“Quindi non ci resta che aspettare?” Domandò Vanessa alla fine del resoconto, il tono chiaramente incredulo. “Non c’è nulla che possono fare questi ciarlatani?” Si guardò intorno alla ricerca di un dottore. “Santo cielo, sono qui da cinque minuti e ho già voglia di strozzare qualcuno!”
“Benvenuta nel club.” Concordò una voce alle sue spalle.
Justin sorrise alla donna davanti a lui e si districò dall’abbraccio di Hayley. “Come stai?”
“Sono io che dovrei chiederlo io a te, dolcezza.” Cynthia lo strinse forte a sé.
“Tengo duro.” Soffocò una risata, staccandosi dalla donna, e scosse il capo.
Cynthia ridacchiò. “Brian avrebbe risposto in un solo modo a questa affermazione.”
“Lo immagino.” Assicurò Justin, unendosi alla sua risata. Si voltò verso i suoi amici. “Ragazzi, questa è Cynthia Monroe, l’unico essere umano in grado di sopportare Brian per otto ore di fila. E anche di più, a volte.”
“Che santa donna.” Vanessa allungò la mano verso di lei. “Vanessa Austen.”
Justin indicò il resto del gruppo. “Steve Whitman, Hayley Campbell, Amelia Stone.”
Cynthia sorrise cordiale. “Lieta di conoscervi. Oh…” Si voltò verso l’uomo alle sue spalle. “Stan, vieni. Justin, posso presentarti l’avvocato della Kinnetic?”
“Nonché amico personale di Brian.” L’uomo dagli occhi grigi sorrise a Justin. “O così mi piace credere.”
“È così mi creda.” Lo rassicurò Justin. “Brian ha profonda stima per lei, avvocato Cohen. E non è facile essere stimati da uno come Brian.”
Stanley Cohen ridacchiò, mettendo in mostra una fila di denti bianchissimi. Amelia e Vanessa si scambiarono una lunga, occhiata eloquente. Steve sbuffò contrariato quando la intercettò, intuendo al volo i pensieri delle sue amiche.
Ignaro di tutto, Justin si rivolse di nuovo all’avvocato. “C’è una ragione particolare per la sua visita? Spero che non siano problemi alla Kinnetic.”
Stan scosse il capo. “Nessun problema. Sono qui solo in veste di amico. Purtroppo non sono riuscito a venire prima a causa dei recenti avvenimenti.”
Justin scosse il capo. “Non si preoccupi, Brian sarebbe felice di sapere che si sta occupando dell’azienda invece di stare qui a ciondolare tutto il giorno come faccio io.”
Stan tornò immediatamente serio. “Non deve biasimarsi, so quanto il legame che la lega a Brian sia forte. Me ne sono accorto persino io che lo conosco da poco più di un anno e che, prima di oggi, non avevo mai visto lei.” Gli posò la mano su un braccio con fare rassicurante. “Al posto suo, sarei uno straccio.”
“La signora Cohen sarebbe felice di sentirlo.” S’intromise Amelia, beccandosi un’occhiataccia da Hayley e Steve.
L’avvocato parve colto di sorpresa. “Oh no, non sono…” Si voltò verso la splendida donna dai capelli castani che aveva parlato e la gola si seccò di colpo. “Non c’è nessuna signora Cohen.”
Amelia inarcò un sopracciglio. “Un vero peccato.”
Vanessa cercò di nascondere un sorrisetto, inclinando il capo da un lato, mentre Justin si limitò ad alzare gli occhi al cielo, incrociando poi lo sguardo divertito di Cynthia.
Stan, ancora con lo sguardo immerso nei seducenti occhi nocciola di Amelia Stone, si schiarì la voce imbarazzato e s’impose di voltarsi verso Justin. “I… I dottori hanno detto qualcosa di nuovo?” Domandò in un vano tentativo di cambiare argomento.
Cynthia si coprì la bocca con la mano, divertita dal rossore sulle guance del temibile avvocato Cohen. “Ted cerca di tenerci informati come può, ma…”
Justin lanciò un’ultima occhiata in direzione dei suoi amici, giusto in tempo per vedere Steve rivolgere ad Amelia un’occhiata alla Che cazzo ti salta in mente?. Amy si limitò a scuotere le spalle prima di tornare a sedersi. Vanessa ed Hayley la seguirono in silenzio.
Justin non poté fare a meno di notare come gli occhi dell’avvocato Cohen seguissero ogni mossa della sua sinuosa amica. Sorrise, prima di aggiornare Cynthia sulle condizioni di Brian.










SORPRESA!!! Non ve l’aspettavate, eh? Una SOLA settimana di distanza ed eccomi di nuovo! Ho pensato di postarlo adesso visto che da giovedì torno a Londra (ç_ç non voglio lasciare l’Italia e il sole!) e quindi non avrei potuto farlo.
Finalmente sono riuscita a finire questo capitolo, vi assicuro che è stato un vero disastro scriverlo e potete chiaramente vedere il pessimo risultato. Vi prego di avere pietà di me.
Qui abbiamo fatto la conoscenza di qualche nuovo personaggio, vedasi l’affascinante dottor Mitchell e l’adorabile avvocato Cohen. Entreranno nel cast dei regular o rimarranno semplici comparse? Non lo so in realtà, ditemi cosa ne pensate. 
Mel è arrivata a Pittsburgh con figli al seguito, Hank ha finalmente rivelato le sue intenzioni a Michael e la gang di New York si è finalmente riunita a Justin per aiutarlo in questo momento difficile.
Che ne pensate? Vi è piaciuto il capitolo oppure dovrei smetterla e appendere carta e penna al chiodo e darmi all’agricoltura? Fatemi sapere!
Nel frattempo, ne approfitto per ringraziare tutti quelli che hanno commentato e letto, in particolare elysenda, Giulia_TH, Saxa0307 e ABlake.
Non ricordo se le ho già portate, ma mi pare di no. Comunque, ecco qui i volti che io ho immaginato per Amelia ed Hayley! Vi piacciono?

Amelia Stone: la splendida, meravigliosa, bellissima e bravissima Natalie Portman.

Hayley Campbell: la dolcissima e adorabile Emma (per le accanite potteriane come me, il cognome non è nemmeno necessario!) Watson. Non mi chiedete dove l'ho trovata, ma con i capelli di questo colore sta benissimo! 
 

Ale

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Capitolo 29
*** Is This The End? ***


  29. Is This The End?

 
 
 
 
“Justin?”
Justin mugolò sommessamente, ancora nel mondo nei sogni. “Justin?” Ripeté di nuovo Donna, scuotendo il ragazzo con delicatezza. “Angelo, forza, apri gli occhi.”
Una scrollata più vigorosa del normale riuscì finalmente a destare Justin. “C… che succede?” Chiese allarmato, spalancando gli occhi.
Donna gli rivolse uno sguardo dispiaciuto. “Mi hanno avvertito dall’ingresso. La Strega Dell’Est sta arrivando.”
Il ragazzo si sfregò gli occhi con forza e annuì. “Me ne vado subito.”
Donna gli accarezzò i capelli scompigliati con fare materno. “Non avrei mai voluto svegliarti.”
“No, va bene.” La rassicurò Justin alzandosi dalla poltrona e accomodandosi sul letto, la mano corse immediatamente a stringere quella di Brian. “È già tanto che io riesca a stare con lui almeno la notte.”
Donna scosse il capo, ancora incredula per quello che i due poveri ragazzi davanti a lei erano costretti a subire per colpa di una vecchia bisbetica. “Ti aspetto fuori.”
“Stamattina il caffè lo offro io.” Le ricordò Justin prima che lei chiudesse la porta.
Una volta rimasto solo, riportò l’attenzione su Brian. “Te l’ho detto, no? È una brava donna, mi ricorda Debbie.” Sorrise, sollevando la mano di Brian e portandosela alla bocca per baciarne le nocche. “Per fortuna c’è lei ad aiutarmi. Anche se sospetto che il vecchio dottor George c’entri qualcosa, nonostante l’amicizia che lo lega a tua madre.”
Come accadeva ormai da una settimana, Brian rimase in silenzio, gli occhi chiusi, le labbra serrate. Justin deglutì a forza il groppo che si formava nella sua gola ogni volta che considerava la possibilità che l’amore della sua vita non si sarebbe mai più svegliato.
“No.” Disse ad alta voce. “So che ti sveglierai presto, vero? Non mi faresti mai una cosa del genere, Brian. Non a me, non ai tuoi amici, non a Gus.” Si chinò a baciargli le labbra, lieto che il respiratore fosse ormai sparito. I medici si erano detti sufficientemente ottimisti da rimuoverla, fiduciosi nei miglioramenti di Brian. “Però non metterci troppo, okay?” Justin dovette far ricorso a tutte le sue forze per non scoppiare a piangere: Brian non avrebbe apprezzato. “È già passata una settimana e…” Si schiarì la gola cercando di non far tremare la voce “… mi manchi, Brian.” Si avvicinò al suo viso, posando la fronte contro quella di Brian. “Mi manchi, amore. Da morire. Mi manchi così tanto da non riuscire più a dormire, a respirare, a mangiare.” Sorrise con gli occhi ancora chiusi. “Sì, hai sentito bene, non riesco neppure più a mangiare ed è tutta colpa tua, quindi vedi di aprire presto quegli occhi se non vuoi che mi riduca ad un mucchietto d’ossa.”
Se quello fosse stato una smielata commedia romantica e loro fossero stati due strapagati attori di Hollywood, Brian avrebbe dovuto risvegliarsi in quel preciso istante, quando il suo innamorato si struggeva disperato per lui e per il loro amore perduto.
Se fosse stato un film, la mano inerte che Justin stringeva tra le sue, si sarebbe mossa impercettibilmente e le dita lunghe e affusolate di Brian avrebbero ricambiato la stretta.
Se fosse stato un film, Brian avrebbe aperto gli occhi, rivolgendogli quel suo sorriso storto, impacciato e seducente, che riusciva sempre a togliergli il fiato.
Se fosse stato un film, Justin si sarebbe gettato tra le sue braccia, felice e disperato,  ripetendo allo sfinimento quanto lo amasse e che non avrebbe più dovuto fare una cosa del genere.
Se fosse stato un film, Brian si sarebbe risvegliato in quel momento solo perché era il suo amore ad implorarlo.
“Faresti bene ad accontentarmi, testone che non sei altro. E’ così che succede nei film, no? Bastano due paroline sdolcinati dalla persona amata e voilà! Tutto risolto.” Gli baciò di nuovo le labbra. “E ti assicuro che al modo non c’è nessuno che ti ami quanto ti amo io, Brian. Nessuno.”
Spostò lo sguardo verso la porta e sospirò afflitto. “Adesso devo andare perché non voglio che tua madre faccia una delle sue ridicole scenate…” Abbozzò un sorriso, immaginando l’espressione che Brian avrebbe potuto avere in quel momento “… ma stasera sarò di nuovo qui. Te lo prometto.”
Prima di poter cambiare idea e correre a litigare con Joan Kinney che gli impediva di assistere il suo compagno, Justin si alzò dal letto e recuperò il suo giubbino. “A più tardi, sexy.”
Uscì dalla stanza senza neppure guardarsi indietro – consapevole che se l’avesse fatto, non sarebbe più riuscito a lasciare Brian; percorse lentamente il corridoio fino al banco delle infermiere dove Mandy e Donna gli rivolsero un sorriso mesto. “Ti conviene prendere le scale, la strega è nell’ascensore.”
Justin annuì, cercando di abbozzare un sorriso. “Grazie davvero. Quanto manca alla vostra pausa?”
Mandy guardò l’orologio. “Ci vediamo in caffetteria tra venti minuti.”
“Perfetto.” Il ragazzo posò gli occhi sull’infermiere muscoloso accanto a loro. “È libero di unirsi a noi, Joe. Stamattina tocca a me offrire.”
Mandy sbuffò annoiata, continuando a sfogliare le sue cartelle. “Non ti sforzare di essere gentile con lui, Justin. Non se lo merita.”
Joe le lanciò un’occhiata velenosa prima di guardare Justin con espressione imbarazzata. “La… la ringrazio, ma ho molto da fare.”
Justin assentì col capo. “Sarà per la prossima volta.” Tornò a guardare le due donne. “Vado in giardino a fumare, ci vediamo tra venti minuti.”
Donna gli sorrise. “D’accordo, angelo.”
Justin si avviò lungo il corridoio in direzione delle scale; dietro di lui poteva ancora sentire Mandy e Joe punzecchiarsi come due ragazzini, con Donna che cercava inutilmente di fare da paciere.
Il rumore dell’ascensore che si apriva dietro l’angolo e la voce severa di Joan che si lamentava dell’ennesima – a sentire lei – sciocchezza compiuta dal personale ospedaliero lo convinsero ad accelerare il passo verso la doppia porta di vetro.
In silenzio percorse i tre piani che lo separavano dall’atrio principale e, una volta raggiunto il pianterreno, si diresse verso il cortile dell’ospedale; si accomodò sulla sua solita panchina, sfilando poi il pacchetto di sigarette dalla tasca.
“Quelle cose ti uccideranno.” Lo rimbrottò una voce burbera alle sue spalle.
Justin sorrise, estraendo l’accendino. “Non mi pare che a te sia andata poi così male.”
L’uomo anziano grugnì, prendendo posto accanto a lui. “Gioventù impertinente.”
“Sempre meglio di vecchi brontoloni.” Justin rivolse all’uomo un sorriso a trentadue denti prima che questi scoppiasse a ridere, scuotendo il capo. “Ira, Ira… quando capirai che è inutile fare lo scontroso con me? So come prendervi io.” Diede una lunga boccata alla sigaretta.
“Brian come sta?” Gli domandò l’uomo.
“Sempre incosciente. Tua moglie come sta?”
Ira sospirò, affondando le tasche nel cappotto che si ostinava ad indossare nonostante fosse giugno inoltrato. “Sempre in dialisi.”
“Novità per il trapianto?”
“Siamo vecchi, Justin. Non ci sono possibilità di trapianto per noi.”
Justin spense la sigaretta nel posacenere in pietra lì vicino e si voltò a guardarlo.
Aveva conosciuto Ira Edelman il giorno dopo in cui Brian era stato ricoverato; furioso con Joan e col mondo intero, Justin si era rifugiato in giardino dove aveva iniziato a prendere a calci una povera panchina indifesa finché un vecchietto dai capelli bianchi e lo sguardo combattivo non gli si era parato davanti rimproverandolo come un bambino di quattro anni.
Erano diventati immediatamente amici.
O compagni di sventura, come amava ripetere Ira.
Ira accompagnava sua moglie in ospedale tutti i giorni per la dialisi e spesso si erano ritrovati a chiacchierare di Brian e Ruth: nessuno più di lui poteva capire cosa significasse veder soffrire la persona che si ama giorno dopo giorno senza poter fare nulla. Il terribile – e per fortuna temporaneo – periodo del cancro si era subito riaffacciato nella mente di Justin.
“Sciocchezze, l’America è un paese di vecchietti.” Lo stuzzicò. “Dobbiamo occuparci per bene di voi.”
Ira tirò fuori le sue sigarette, accendendone una. “La tua lingua lunga ti metterà nei guai un giorno.”
Justin ridacchiò. “Non sei il primo che me lo dice.”
“Allora faresti bene ad ascoltare chi è più saggio di te.”
“Vuoi dire più vecchio?”
“Voglio dire non idiota quanto te.”
“Quindi più vecchio.”
Justin scoppiò a ridere quando vide Ira scuotere il capo con rassegnazione. “Mocciosi…”
“Ehi! Io ho ventiquattro anni!”
“Avrei detto dodici da come ti comporti.”
“E tu, allora?” Justin indicò la sigaretta. “Prima rimproveri me e poi fai lo stesso.”
Ira si strinse nelle spalle. “Ho iniziato a fumare a sedici anni, ora ne ho settantadue e guardami. Ti sembra che abbia qualche malanno?” Justin scosse il capo. “La mia Ruth non ha mai toccato una sigaretta in vita sua, eppure se ne andrà prima di me.”
“Non puoi saperlo.” Ribatté immediatamente Justin.
Aveva visto Ira con sua moglie, una donna piccola e minuta che riusciva a zittire il suo imponente marito con una sola occhiata. Dopo aver trascorso una sola ora in loro compagnia, Justin aveva capito il senso del vero amore.
“È in dialisi da troppo tempo e adesso sono anche sopraggiunte delle altre complicazioni.”
Justin si voltò completamente verso di lui. “Non me l’avevi detto.”
Ira ridacchiò con amarezza. “Hai fin troppi pensieri per preoccuparti anche di due sconosciuti, ragazzo.”
“Ma non per preoccuparmi di due amici.” Justin posò la mano sul suo braccio. “Sono sicuro che Ruth starà bene.”
Ira annuì, cercando di sorridere. “Così come anche il tuo Brian.”
“Esattamente.” Justin fece un gesto deciso col capo. “Staranno tutti e due benissimo.”
Rimasero in silenzio per un altro minuto prima che Ira si alzasse dalla panchina. “Ruth avrà quasi finito a quest’ora. Ci vediamo domani.” Lo salutò picchiettandogli la testa come avrebbe fatto un nonno con un nipote troppo vivace.
“Saluta Ruth.”
“Lo farò.” Si avviò verso l’entrata. “E lascia stare quelle sigarette.” Lo ammonì un’ultima volta prima di scomparire dentro l’edificio.
Justin scosse il capo con un mezzo sorriso. Da piccolo, avrebbe adorato avere un nonno come Ira Edelman.
“Justin?”
Justin sobbalzò sorpreso, voltandosi verso la voce che lo aveva chiamato. Spalancò gli occhi quando vide di chi si trattava. “John?”
L’uomo gli sorrise, accomodandosi accanto a lui. “Che ci fai qui?”
“Potrei farti la stessa domanda.”
Nelle loro lunghe attese fuori dalla porta della camera di Brian, Emmett si era confidato con Justin su quello che era successo al ballo di Molly; dalla sera del famigerato bacio, John era completamente sparito dalla circolazione.
John sospirò, abbassando lo sguardo a terra. “L’ho saputo solo ieri.” Indicò l’ospedale. “Di Brian e dell’incidente.”
Justin annuì. “Ti ringrazio di essere venuto.”
“Era il minimo. Tu come stai?”
Justin sorrise mestamente, i segni della stanchezza chiaramente visibili sul suo volto. “Uno schifo. Mi sembra di impazzire.”
John gli posò una mano sulla spalla con fare rassicurante. “Mi dispiace moltissimo. Brian come sta?”
“Non ha ancora ripreso conoscenza. I medici sono ottimisti, ma…” Scosse il capo. “Ogni giorno che passa, diminuiscono le possibilità che--”
“Andrà tutto bene. Non lascerebbe mai te e Gus.” Abbozzò un sorriso nell’estremo tentativo di consolarlo.
“Vorrei essere certo quanto te. O quanto tutti gli altri. A quanto pare, sono l’unico che pensa al peggio.”
“Solo perché sei quello che ha più da perdere.” John scosse il capo. “Com’è successo?”
“La sera del ballo.” Spiegò Justin con tono esausto. “Un ubriaco l’ha travolto spingendolo fuori strada.”
John sgranò gli occhi. “La… la sera del ballo? Il ballo di Molly?”
Justin annuì. “Probabilmente eri già andato via.”
“Emmett te l’ha detto, vero? Ciò che è successo tra noi.”
Justin assentì. “Non prenderla male, ma io ed Em siamo amici da anni. Lui mi è stato vicino in più di un’occasione durante la mia storia con Brian e…” Si strinse nelle spalle “… mi sembrava giusto ricambiare, provare ad essere un amico bravo almeno la metà di lui.”
“Sono felice che abbia te vicino.”
“Soffre molto per la tua lontananza. Si sente colpevole.”
“No.” Lo bloccò immediatamente l’uomo. “Non è affatto colpa sua. Conosci Emmett, è la persona più speciale del mondo.”
“Hai ragione, lo è.”
“Semmai sono io il responsabile di tutto questo casino.”
“Perché pensi una cosa del genere?”
“Avrei dovuto accorgermi del suo interesse e… chiarire le cose immediatamente. L’ho illuso, l’ho preso in giro facendogli credere che tra noi potesse esserci qualcosa di più che una semplice amicizia.”
Justin sospirò pensieroso. “Emmett non ha avuto una vita facile, ha dovuto combattere con le unghia e con i denti per ogni piccola, minuscola vittoria che è riuscito a raggiungere.”
“Lo so.”
“Ma nonostante la sua forza, la sua determinazione e il suo non arrendersi mai è anche una delle persone più fragili e sensibili che io conosca. Basta poco per ferirlo. E tu l’hai ferito, John. L’hai ferito terribilmente, ma non puoi biasimarti per qualcosa di cui fondamentalmente non hai colpa.”
John sollevò lo sguardo verso di lui, guardandolo sorpreso. “Vuol dire che… vuol dire che tu non ce l’hai con me?”
Justin scosse il capo. “Non scegliamo di chi innamorarci, John. Né di chi non innamorarci. Non è colpa tua se non senti per Emmett quello che lui sente per te.”
“Ciò non toglie che io mi senta uno schifo comunque.”
“Beh, quello potrebbe aiutare Emmett a sentirsi meglio.” Justin gli rivolse un sorriso allegro. “Perché non entri con me? Più tardi, quando arriveranno anche gli altri, potremmo andare da Brian.”
“Non credo che ad Emmett farebbe piacere vedermi.”
“Forse hai ragione, ma lascia che ti dica una cosa: se fossi al posto suo, adesso avrei bisogno di tutti i miei amici vicino.” Gli posò la mano sul braccio. “Allora, che ne dici?”
Un attimo dopo, senza neppure sapere come, John si avviò verso l’entrata dell’ospedale.
 
 
 
 
 
“Vuoi il mio parere?”
Michael lanciò un’occhiataccia a Justin mentre camminavano fianco a fianco. “No.” Rispose sinceramente, sorseggiando il suo caffè.
“E allora perché diavolo mi hai raccontato della scenata di Hank?”
“Probabilmente perché sono masochista e volevo qualcuno che infierisse su di me senza pietà.” Si strinse nelle spalle. “In assenza di Brian…”
Justin alzò gli occhi al cielo. “Come ti pare. Comunque se qualcuno fosse venuto a casa mia per prendersi mio marito, io l’avrei preso a calci fino a fargli cadere le palle.”
“Ti ringrazio per questa dettagliata descrizione.”
“E poi sarei andato a raccontarlo di corsa a Ben.”
“A che sarebbe servito?” Michael crollò su una delle panchine che costeggiavano la strada. “E se quello che ha detto Hank fosse vero? Se finissi per darmi la zappa sui piedi?”
Justin sospirò prendendo posto accanto a lui. “Credi davvero che Ben lascerebbe te e i ragazzi per tornare con Hank?” Scosse il capo, poco convinto. “Siete sposati, Michael. E conosci Ben. Cristo Santo, credo di non aver mai visto nessuno amare qualcuno come lui ama te.”
Michael abbozzò un sorriso, alzando gli occhi verso di lui. Solo perché non hai mai visto lo sguardo di Brian ogni volta che tu sei nelle vicinanze. “Hai ragione, ma hai visto Hank. Chi potrebbe mai resistergli?”
“Una persona innamorata di qualcun altro, per esempio.” Lo rassicurò Justin. “Michael, sono d’accordo con te, Hank è sexy, bellissimo, intelligente, sim--”
“Okay, okay, ho capito! Non serve fare la lista, cazzo!”
Justin si morse un labbro per non scoppiare a ridergli in faccia. Sarebbe stato davvero indelicato. “Quello che voglio dire è che, nonostante sia tutte queste cose, Ben l’ha comunque lasciato, preferendo stare con te.”
“Ma è successo anni dopo. Ben non si è mai trovato a scegliere tra noi.”
“Certo, perché non c’è nulla da scegliere. È tutta una cosa che sta nella tua testa. Ben è tuo marito, non di Hank.Tuo, Michael.
Michael annuì. “Non faccio che ripetermelo.”
“E allora qual è il problema?” Michael si strinse nelle spalle. Justin gli posò una mano sul braccio. “Michael, Ben non è Brian.” Sussurrò, sorprendendolo. “So quanto possa essere difficile amare uno come Brian, so quanto male può farti se è davvero deciso a farlo, e so quanto ci si possa sentire inadeguati o non all’altezza di stare con lui. Ma Ben è diverso. Non mi fraintendere, Brian ti ama moltissimo, probabilmente molto di più di quanto ami me, ma--”
Michael scosse immediatamente il capo. “Sai che non è vero.”
Justin gli sorrise sereno. “So che Brian mi ama, ma il vostro è un legame differente da quello che abbiamo io e lui o che avete tu e Ben, è qualcosa di più profondo, più…”
“C’eravamo l’uno per l’altro quando nessun altro c’era. Eravamo le nostre uniche ancore di salvezza.”
Justin annuì. “Esatto e per questo io non potrei esserti più grato, perché ti sei preso cura di lui.”
“È il mio migliore amico.”
“E lui ti ama. Anche se non nel senso che tu hai sperato per anni, ma lui ti ama. Ben, d’altro canto… Ben ti ama al di sopra di tutto, lui ama la vostra famiglia, la vita che avete costruito insieme e non manderebbe mai tutto all’aria solo per una scopata.”
Michael assentì col capo, in qualche modo rassicurato dalle parole di Justin.
In passato avevano avuto più di una difficoltà tra loro, ma adesso, a distanza di sette anni dalla notte in cui si erano incontrati, Michael sentì davvero di poter considerare Justin Taylor, lo stalker di Brian, un amico. “Hai ragione, devo avere fiducia in lui.”
“Precisamente. Così puoi finalmente smetterla di annoiare me.” Concluse, lanciandogli un ghigno storto.
Michael alzò gli occhi al cielo. “Fai schifo quasi quanto Brian a dare consigli. Ti ha educato bene.” Justin gli fece una linguaccia. “Comunque, come mai non sei in ospedale?”
“Joan.” Disse solo. “Oggi spadroneggia più del solito e ho preferito tenermi lontano.”
“Come tu abbia fatto a non strozzarla rimane un mistero.”
Justin si strinse nelle spalle. “Non è che possa fare granché. Daphne e Nathan hanno anche parlato col direttore dell’ospedale, ma purtroppo neanche lui è riuscito a risolvere la situazione. Legalmente io sono nulla per Brian.”
“Stronzate. Non vedo l’ora che Brian si svegli per dirgliene quattro.”
Justin sospirò afflitto. “Io non vedo l’ora che si svegli, punto. Non me ne frega un cazzo di Joan.”
“Ciò non toglie che si stia comportando in maniera odiosa con te.”
“Se pensi a tutto quello che ha fatto passare a Brian, le sciocche ripicche che devo sopportare io non sono nulla.”
Michael scosse il capo, posando gli occhi sul suo orologio da polso. “Sarà meglio che vada, Ben sarà a casa a momenti.”
Justin annuì, alzandosi in piedi. “Penso che andrò a disturbare Emmett prima di tornare in ospedale. Non sono esaltato all’idea di incontrare la cara suocera.”
Michael emise un verso annoiato. “E chi lo sarebbe?”
Justin ridacchiò. “Di sicuro a Ben è andata meglio.”
“Non ne sarei così certo.”
Justin lo spinse per una spalla prima di lanciargli un’occhiataccia e avviarsi nella direzione opposta del suo amico. “Dovrei dirlo a tua madre.”
“Non oseresti, ragazzino.”
“Ricordi che hai detto? È stato Brian ad istruirmi.”
Michael lo guardò male. “Ciao, stronzo. Vedo se riesco a passare più tardi in ospedale.”
Justin annuì salutandolo con un gesto della mano.
Scuotendo il capo e con un mezzo sorriso sulle labbra, Michael si avviò verso il suo quartiere; dieci minuti più tardi, varcò finalmente la porta di casa.
Peccato che la scena che si fosse immaginato lungo la strada – lui e Ben che cucinavano insieme raccontandosi le loro giornate per poi aspettare Hunter per mangiare – risultò essere alquanto differente da quella che si trovò di fronte una volta attraversata la soglia.
Ben in salotto.
Con Hank.
Sul loro divano.
Che si baciavano.
Ben e Hank che si baciano sul divano nel salotto di casa mia.
Il suo giubbino cadde a terra proprio nel momento in cui Ben spingeva via Hank.
“Michael!”
Michael sobbalzò, quasi sorpreso quanto Ben di trovarsi in quel salotto. Il mio salotto. Indietreggiò quando vide suo marito muoversi verso di lui. “Mandalo via.” Disse con tono piatto. “Non lo voglio in casa mia.”
Ben lo guardò con espressione ferita. “Michael, lascia che ti spieghi.”
Hank sorrise, spostando lo sguardo da lui a Ben. “Che c’è da spiegare, Benji? Tu mi hai baciato, tuo marito ci ha beccato.”
“Chiudi il becco, Hank. Sei stato tu a baciarmi e lo sai!”
“Oh, davvero? Non mi pare tu abbia fatto chissà quale resistenza.”
Michael voltò le spalle alla discussione e si diresse verso il piano superiore; in camera, estrasse un borsone dall’armadio riempiendolo di vestiti. Un attimo dopo era di nuovo in salotto, di Hank non c’era più traccia.
“Michael…” Ben gli si avvicinò. “Lascia che--”
“Dì a Hunter che starò via per qualche giorno.”
“Tesoro, ti prego.”
Michael lo fulminò con lo sguardo. “Non voglio vederti, non voglio sentirti, non voglio… non voglio… non posso avere a che fare con te al momento. Non… non ci riesco.” Con un’ultima, gelida occhiata a suo marito, afferrò il borsone ed uscì di casa.
 
 
 
 
 
Ted sorrise a Blake, seduto di fronte a lui dall’altra parte della scrivania. “Sono felice che tu sia passato a salutarmi.”
Blake si strinse nelle spalle. “Ero da queste parti.”
“Ted, sono pronti quei--” Cynthia entrò nell’ufficio senza neppure bussare, gli occhi puntati sui fogli tra le sue mani. “Oh, ciao Blake.”
Il ragazzo gli sorrise gentile. “Ciao, Cynthia. Mi dispiace, non volevo distrarre i tuoi dipendenti.”
La donna ricambiò, sedendosi sull’angolo della scrivania. “Figurati, non sono arrabbiata, semmai gelosa marcia.”
“Gelosa?”
“Perché gelosa?”
Cynthia indicò lo spazio tra loro. “Perché in questo momento, ucciderei per avere un fidanzato che mi sorprenda passandomi a trovare in ufficio.”
Blake arrossì, allungando una mano verso quella di Ted, posata sulla scrivania. “So che state lavorando molto e volevo solo chiedere a Ted di unirsi a me per pranzo.” Si voltò verso il suo compagno, sorridendogli teneramente.
Cynthia scosse il capo. “Siete adorabili. Sta a vedere che con tutti questi gay in amore che mi circondano finisco che mi innamoro anche io.”
Ted ridacchiò. “Se ti sentisse il capo…”
Cynthia sbuffò dal naso. “Ti prego, Brian è il peggiore di tutti. Basta che Justin sia nei paraggi e lui diventa un orsacchiotto di peluche.”
“Non mi sembra di averlo mai notato.” Osservò Ted. “Con me è sempre il solito vecchio Brian.”
“Ma è così che lui esprime affetto, Ted. Dovresti saperlo ormai.”
Blake sorrise. “Certo che lo sa. Ieri sera ha anche confessato di sentire la sua mancanza.”
“Mi mancano le sue minacce e i suoi insulti.”
Cynthia ridacchiò, alzandosi dalla scrivania. “Sarà meglio che torni al lavoro. Ted, lascia tutto e vattene a pranzo. Se tra cinque minuti ti trovo ancora qui, ti licenzio.” Gli fece un occhiolino prima di uscire dall’ufficio.
“Guarda che scherzavo quando dicevo che mi mancavano le minacce di Brian! Non devi prendere il suo posto!”
La donna gli lanciò un bacio al volo e scomparve lungo il corridoio.
Blake ridacchiò divertito di fronte a quel siparietto; lavorare alla Kinnetic doveva essere uno spasso. “Vado in bagno a lavarmi le mani e tu farai meglio ad essere pronto quando torno. Debbie ci aspetta al Diner.”
Ted gli sorrise, annuendo. “Dammi un secondo.” Finì di controllare gli ultimi file sul computer, firmò un paio di resoconti finanziari e compilò le ultime buste paga del dipartimento artistico. Aveva già spento il pc e indossato la giacca quando il cellulare di Blake, posato sulla scrivania, iniziò a squillare. Il nome Kitty comparve sul display.
Lanciando un’occhiata verso il corridoio, si avvicinò al telefono. “Pronto?”
“Io vorrei sapere che cazzo di problema hai!”
 Ted sobbalzò spaventato dall’urlo disumano che gli rimbombò nelle orecchie. “Pre… prego?”
“Prego un cazzo, Blake! Io mi sono fatta il culo per farti avere quel posto e tu lo rifiuti?”
Rifiutare? Blake ha rifiutato il posto a San Francisco?
“Non ho fatto che ripetere al direttore del centro quanto tu fossi adatto per il ruolo e quando finalmente lo convinco ad inviarti una richiesta ufficiale tu pensi bene di mandare tutto all’aria?”
“Kitty io… non sono--”
“Chiudi il becco e lasciami parlare! Non ho ancora finito!”
“KITTY!”
La donna dall’altra parte del telefono trattenne il respiro, rendendosi conto di chi fosse realmente il suo interlocutore. “Ted?”
Ted roteò gli occhi. “Te ne saresti accorta prima se solo avessi evitato di gridare come un’arpia.”
“Scusa.” Persino per telefono, Ted riuscì a percepirne l’imbarazzo. “Ero così furiosa che…”
“Lo capisco. Adesso ricomincia da capo e raccontami tutta la storia con calma.”
Quando Blake rientrò in ufficio, intuì all’istante che qualcosa non andava. “Ted, tutto okay?”
“Dimmelo tu.” Sibilò Ted da dietro la scrivania.
“Ted, che c’è?”
“Eri in bagno, il tuo telefono ha squillato.”
Blake lanciò un’occhiata fugace al suo cellulare vicino al braccio di Ted. “Spero tu abbia risposto. Non voglio che pensi che abbia un amante.” Scherzò, cercando di spazzare via l’evidente tensione.
“Certo che ho risposto, peccato che non sia un amante il nostro problema.”
“Non sapevo avessimo un problema. Non ce l’avevamo fino a dieci minuti fa.”
Ted incrociò le braccia al petto. “Era Kitty.”
Blake sospirò crollando a sedere. “Capisco.”
“Davvero?” Il suo compagno scattò in piedi. “E allora spiegamelo! Perché io davvero non ci riesco!”
“Ted, ti prego… Non c’è ragione di agitarsi solo perché--”
“Mi hai mentito? Mi hai tenuto nascosto una cosa così importante? Hai pensato che fosse corretto prendere una decisione del genere senza prima consultarti con me?”
Consultarti? Non sei mica il mio padrone!”
“No, hai ragione! Sono solo il tuo fidanzato! Il tuo compagno!”
“Esatto ed io mi aspetto fiducia e appoggio dal mio fidanzato! Non una scenata ridicola e senza senso!”
“Oh, mi dispiace! Non volevo turbarti con le mie ridicole scenate, ma credevo che fossimo una coppia!”
Blake lo guardò con espressione furiosa. “E lo siamo, dannazione!”
“Beh, non mi sembra dati i recenti sviluppi!”
“Adesso, smettila di fare il melodrammatico! Sapevi come la pensavo sul trasferimento! E qualcosa mi dice che tu c’entri qualcosa con tutta l’insistenza di Kitty!”
Ted emise un verso scettico, fissandolo con gli occhi spalancati. “Lo credi davvero? Pensi sul serio che farei una cosa del genere?”
“Quindi non è vero?”
“Qui l’unico coi segreti sei tu! Adesso non cercare di rigirare la frittata!”
“Io non volevo quel dannato trasferimento!”
“Perciò hai deciso tutto da solo fregandotene di quello che pensavo io?”
“È la mia vita, Ted! Non puoi dirigerla e influenzarla come fai con questa azienda! Io sono un adulto, nonostante quello che pensi tu!”
“Bene, allora, signor adulto, non ti dispiacerà uscire dal mio ufficio e andartene a pranzo da solo.” Ted si sedette di nuovo, riaccendendo il computer.
Blake afferrò il suo giubbino con un gesto secco. “Con vero piacere, signor Schmidt! E spero che stasera, quando rientrerai a casa, sarai tornato in te e avrai smesso di comportarti come un povera idiota!”
Ted non alzò neppure lo sguardo dallo schermo quando la porta dell’ufficio sbatté così forte da far tremare la finestra.
 
 
 
 
 
Emmett percorse il corridoio ormai familiare a passo sicuro; salutò con un cenno del capo le due simpatiche infermiere con cui Justin aveva fatto amicizia e si avvicinò alla stanza di Brian.
Si bloccò impietrito quando vide la persona seduta su una delle scomode sedie in fondo alla corsia.
John Mason, che tu sia dannato se non sei ancora più bello dell’ultima volta che ti ho visto.
John sollevò lo sguardo da terra quando percepì di essere osservato. “Emmett.” Disse solo, alzandosi in piedi.
Emmett strinse i pugni lungo i fianchi imponendosi di non scappare via, l’umiliazione provata in seguito al bacio con John ancora vivida e fresca nella sua memoria. “Ciao, John.”
L’uomo dagli occhi azzurri si avvicinò a lui, raggiungendolo a metà del corridoio. “Sono felice di vederti.”
“Che ci fai qui?” Emmett cercò di sembrare il più distaccato possibile. Dallo sguardo di John non comprese se ci fosse riuscito o meno.
“Ho incontrato Justin stamattina.”
Emmett annuì pensando al suo amico: al confronto di quelle di Justin, le sue preoccupazioni sembravano così insulse. “Povero tesoro, è un periodo terribile per lui.”
John annuì, indicando la fila di sedie da cui si era alzato. “Ti va di sederti?” Emmett rilasciò un lungo sospiro  prima di assentire. “Tu come stai?” Gli domandò il cuoco, quando si furono accomodati.
“Cerco di non pensarci.” Eclissò Emmett. “Non è facile vedere un tuo amico in quelle condizioni. E per noi, non è neppure la prima volta.”
“Davvero?”
Emmett annuì. “Il nostro gruppo di amici non è particolarmente fortunato in questo senso. Ci sono già passati Ted, Justin e, seppur brevemente e non in maniera così grave, Ben e Michael.” Cercò di sorridere. “A quanto pare manco solo sarò io.”
“Non dirlo nemmeno per scherzo.” Lo interruppe seccamente John. “Non è una cosa su cui scherzare.”
Emmett si strinse nelle spalle. “Non ho tendenze suicide, né pensieri pericolosi, ma credo sia meglio che succeda a me piuttosto che a noi dei miei amici. Di nuovo.”
John aggrottò le sopracciglia, con espressione contrariata. “E perché mai?”
“Perché Michael ha Ben, Ted ha Blake e Brian ha Justin. Io sono solo. Ferirei semplicemente meno persone.”
“Io non sono d’accordo.”
“Ma devi ammettere che ho ragione. Tu per primo hai detto di non poter essere quello che io voglio che tu sia. Non per me, almeno.”
John abbassò lo sguardo a terra, colpevole. “Emmett, io…”
“No, lascia parlare me, ti prego. Voglio scusarmi.”
“Scusarti per cosa?”
“Per come mi sono comportato al ballo. È stato imperdonabile da parte mia metterti in un situazione del genere senza che tu ne avessi minimamente idea.”
“Non importa, Em, davvero.” John gli posò la mano sul braccio. “Io… semplicemente non me l’aspettavo. Mi hai… colto di sorpresa.”
“E per questo ti chiedo scusa. Non avrei dovuto baciarti a quel modo.”
John annuì con un mezzo sorriso. “Scuse accettate.”
Emmett puntò lo sguardo sul viso dell’uomo affascinante che da mesi ormai gli era entrato nel cuore – E non solo lì, purtroppo – e che aveva cercato in tutti i modi di dimenticare, soprattutto dopo l’imbarazzante incidente del ballo. Eppure non riuscì a fermarsi, non riuscì ad impedirsi di dire quello che da mesi desiderava confessare a qualcuno oltre che Ted o Justin, qualcuno che avrebbe davvero dovuto avere il diritto di saperlo.
John se lo merita. Che vada bene o male, se lo merita.
“Quindi adesso che si fa? Amici come prima?” John lo guardò con un sorriso a metà tra il timoroso e il sollevato.
Emmett sospirò, scuotendo mestamente il capo. “Temo di no purtroppo, John.”
“No?” Domandò l’uomo confuso. “Perché no?”
Emmett si morse un labbro, accavallando le gambe e voltandosi verso di lui. “Perché nell’ultima settimana ho visto in quali conseguenze ci si può imbattere quando non si fanno scelte decise ed io non sono mai stato uno che si nasconde o si tira indietro.”
“Non credo di capire, Emmett.”
“Non possiamo sprecare neppure un istante, John. Neppure un misero secondo delle nostre vite perché non possiamo sapere quando tutto finirà per crollarci addosso. Ogni giorno vengo qui e vedo Justin che è un straccio e Brian che continua a stare in quel letto d’ospedale e penso: al diavolo tutto! Cogli l’attimo! Carpe diem, Honeycutt! E quindi eccomi qui, a fare quello che mi impongo di non fare da mesi.”
“E sarebbe?”
“Tu mi piaci, John.” Confessò senza vergogna, il mento sollevato e lo sguardo deciso. “Mi piaci tanto e credo che ormai sia il momento che tu lo sappia.”
John arrossì imbarazzato. “Emmett, ti prego…”
“No, mi dispiace, non voglio metterti a disagio, ma credo che questa farsa sia durata anche troppo ed io non riesco più a tenerlo per me.” Fece una pausa e prese un lungo respiro. “Ti voglio nella mia vita e non intendo come amico, o almeno non solo. Ti voglio nella mia vita come mio fidanzato, come mio partner. Credo che potrei davvero, davvero innamorarmi di te, John Mason, e per quanto la cosa mi terrorizzi, allo stesso tempo mi elettrizza come… non so neppure io come! Ma so che, non importa cosa mi dirai, io so di aver fatto la scelta giusta a confessarti tutto perché, sinceramente, non ce la facevo più a tenermi tutto dentro. Quindi adesso…” Inspirò a fondo prima di espirare lentamente “… posso finalmente dormire tranquillo perché sai tutto. Finalmente, dopo mesi di tormenti, dubbi e notti in bianco, mi sono tolto questo peso.” Sorrise a John con espressione sollevata.
John deglutì a fatica, distogliendo lo sguardo e puntandolo sul pavimento di linoleum dell’ospedale. “Non posso ricambiare, Em.”
Emmett accusò il colpo senza far trasparire quanto quelle parole l’avessero ferito. Di nuovo rifiutato dallo stesso uomo. Quanto in basso posso scendere? Forse ha ragione Brian, amo davvero che il mio cuore venga calpestato e fatto a pezzi. “Ti… ringrazio per la sincerità.”
“No, non è vero.” Affermò sicuro John. “In questo momento mi odi, perché ti sto facendo soffrire e perché non posso darti quello che vorresti da me.”
Emmett annuì. “È vero.”
“Emmett.” John si mosse per sfiorargli un braccio, ma si bloccò all’ultimo momento. “Io tengo molto a te. Tu mi hai aiutato in un momento difficile, mi hai dato la possibilità di vivere il mio sogno, mi hai aiutato con mio fratello… Tu, Emmett Honeycutt, mi hai ridato indietro la mia vita ed io non potrei essere più grato di avere un amico come te, ma proprio per rispetto di quest’amicizia io non posso illuderti, neppure se questo vuol dire perderti completamente.”
“Non voglio che tu ti senta in debito con me.”
John scosse il capo. “Tu sei mio amico, io ti voglio bene, tengo a te, ma non posso ricambiare i tuoi sentimenti. Non oggi, non domani, non tra sei mesi o tra un anno.” Si strinse nelle spalle, più dispiaciuto di quanto Emmett avrebbe mai immaginato di vederlo. “Io non sono gay, Emmett.”
Quando Emmett rimase in silenzio, John lo prese come un congedo.
Senza una parola, si alzò e sparì lungo il corridoio.
 
 
 
 
 
Justin alzò gli occhi al cielo quando una voce sgradevole lo raggiunse alle spalle.
“E tu che cosa ci fai qui?”
“Mi piace l’arredamento.” Liquidò Joan con una scrollata di spalle. “Amo lo stile minimal, mi ricorda quello del loft, il loft in cui vive suo figlio, se si stesse chiedendo a quale loft mi riferisco, ma del resto lo saprebbe se si fosse presa la briga di andare a trovare Brian di tanto in tanto.”
Joan serrò le labbra, stringendo le dita attorno alla cinta della sua borsa consunta. “Il rapporto tra me e mio figlio non è affare tuo.”
“Suo figlio è il mio uomo, nel caso se lo fosse scordato.”
“Non…” Joan si guardò intorno con fare circospetto come se Justin le avesse appena confessato un efferato omicidio “… usare quel termine. Non qui.”
Justin inarcò un sopracciglio, voltandosi verso di lei. “Quale termine? Frocio?
Joan trattenne il respiro con espressione oltraggiata. “Mi domando perché tu ti diverta a mettermi in imbarazzo.”
“Oh, quindi io metto in imbarazzo lei?” Justin le si parò davanti con aria battagliera. “Non mi lusinghi così, credo che lei riesca benissimo a rendersi ridicola da sola.”
Okay, va bene, aveva giurato a se stesso che non sarebbe mai sceso al livello di Joan Kinney, che non le avrebbe mai dato soddisfazione di vederlo irritato, fosse stato anche solo per rispetto verso Brian, ma dopo una settimana di ripicche, dispetti, sgarbi e offese varie, la pazienza di Justin era diminuita considerevolmente.
Diciamo anche completamente evaporata.
“Mi domando cosa abbia visto Brian in te.”
“Io ho solo una domanda.” Justin ignorò il commento al vetriolo della donna. “Come diavolo si fa a trattare così il proprio figlio? È una cosa che davvero non comprendo.”
Joan assottigliò lo sguardo, fissandolo con espressione glaciale. “Non hai idea di quanto sia difficile crescere dei figli. Siamo tutti i bravi a giudicare quando si tratta degli altri.”
“Lei per prima, mi sembra.”
Joan scosse il capo. “Non rimarrò qui a farmi insultare da uno sciocco ragazzino che non sa nulla della vita, che ha vissuto negli agi e nella comodità perennemente protetto dai suoi ricchi e facoltosi genitori.”
Justin abbozzò un sorriso, posando lo sguardo sulla porta della camera di Brian. Non sa un cazzo su di te, Sunshine. Non permetterle di ferirti. “Ho impiegato anni ad abbattere i muri che Brian si era costruito intorno a causa sua e di suo marito. E nonostante io ce l’abbia fatta, continuo a domandarmi cosa avesse mai fatto suo figlio per meritare di essere trattato così.”
“Tu non sai cosa voglia dire essere genitore.”
Justin le lanciò un’occhiataccia che ebbe il potere di farla zittire. “A quanto ho sentito neppure lei.”
Joan serrò la mascella e, al colmo dell’indignazione, gli voltò le spalle lasciandolo solo nel mezzo del corridoio.
Justin abbozzò un sorriso di vittoria. Adesso capisco perché ti piace tanto tormentarla. È dannatamente divertente.
Scuotendo il capo in un vano tentativo di disfarsi del sorrisetto, entrò nella stanza di Brian, bloccandosi sulla soglia di fronte ai due uomini presenti. “E voi che fate qui?” Si avvicinò al letto, baciando Brian sulle labbra. “Ciao, sexy.”
Emmett e Michael guardarono nella sua direzione.
“Io e Ben abbiamo litigato. Ho fatto le valige.” Snocciolò Michael accennando col capo al borsone poggiato ai suoi piedi.
Le sopracciglia di Justin scomparvero dietro la frangia bionda. “Cosa?”
Emmett ripose la rivista di moda che stava leggendo. “Ho confessato a John i miei sentimenti. Mi ha risposto picche.”
Stavolta Justin si voltò verso di lui. “Cosa?” Ripeté scioccato.
Che cazzo era successo nelle ultime quattro ore? Ci mancava solo Ted che gli dicesse che lui e Blake si erano lasciati per completare il quadro delle disgrazie.
Si sedette sul letto accanto a Brian. “Paradossalmente, la nostra vita sembra una favola.” Gli sussurrò, posandogli un bacio sotto il lobo dell’orecchio.
“Bene, a questo proposito.” Michael si stiracchiò, sollevando le braccia. “Qualcuno può ospitarmi per qualche giorno?”
Emmett e Justin si scambiarono una lunga occhiata. “È davvero così grave, baby?”
“L’ho beccato che baciava Hank. Credo sia abbastanza grave, sì.”
“Cazzo.” Justin si avvicinò al divanetto su cui i due uomini erano seduti e picchiettò piano la testa di Michael. “Mi dispiace.”
Michael si strinse nelle spalle. “Sto ancora elaborando il tutto.”
La porta della camera si aprì di nuovo, rivelando un Ted dall’aria abbattuta. “Ehi.” Si limitò a borbottare prima di crollare sul divano in mezzo ai suoi amici.
“Brutta giornata, Teddy?” Ted grugnì senza di altro.
Justin spostò lo sguardo dai suoi amici a Brian prima di posarlo di nuovo su Michael, Emmett e Ted. “Okay, è deciso.” I tre uomini lo guardarono sorpresi. “Si va al loft.”
“A fare che?” Chiese Emmett, iniziando già ad alzarsi dal minuscolo divano.
Justin affondò le mani nelle tasche. “Il matrimonio di Michael e Ben sta andando in pezzi, tu e John probabilmente non lavorerete più insieme, Ted ha avuto più o meno una giornata piacevole quanto le vostre ed io ho appena finito di litigare con Joan che ancora mi impedisce di assistere il mio fidanzato che, per la cronaca, è ancora in coma. Mi sembra evidente che una bella sbronza sia doverosa.” Ted si schiarì rumorosamente la gola. “Tu puoi annegare i tuoi dispiaceri nel prezioso succo di guava di Brian e tu.” Indicò Michael. “Puoi rimanere al loft con me se prometti di non scalciare o russare.”
Emmett, Ted e Michael si guardarono con gli occhi sgranati. Iniziavano a capire perché Brian non fosse mai riuscito a dire di no a Justin.
“Allora? Siete dentro o no?”
I tre uomini si alzarono all’istante, recuperando le loro cose.
Non si poteva rifiutare un’offerta del genere.
Dopotutto Brian aveva il bar più fornito della città dopo quello del Babylon.







Ebbene sì, mi sono data al dramma in questo capitolo, ma mi sembrava il momento di accelerare un tantino il passo perché non volevo che abbandonaste la storia per noia (o che vi addormentaste davanti al pc leggendola).
Quindi abbiamo dramma tra Michael e Ben, dramma tra Ted e Blake e dramma tra Emmett e John. Praticamente quelli che stanno meglio sono i nostri Britin, ed è dire tutto visto che il nostro Kinney è ancora in coma.
La scena finale non era prevista, ma credo che ci fosse bisogno di una scena tutta incentrata sull’amicizia che alleviasse un po’ l’angoscia di tutto il capitolo.
Ovviamente c’è un grande assente, ma non temete, continuate ad avere fiducia in me!
Come sempre, ringraziamento superspeciale a chi ha letto, commentato o aggiunto nelle preferite, in particolare a ABlake, elysenda, Nyra, Garash, lia64 e Giulia_TH.
Un bacio e a presto!
 
 
Ale

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Capitolo 30
*** Are You There God? It's Me, Gus ***


30. Are You There God? It’s Me, Gus

 
 
 
 
 


Lindsay porse il caffè all’uomo dall’aria abbattuta seduto davanti a lei. “Sono sicura che si sistemerà tutto, vedrai.”
Mel annuì, d’accordo con sua moglie. “Dagli solo un po’ di tempo.”
Ben sorseggiò il caffè, sospirando afflitto. “Sono già passati tre giorni e Michael non vuole neppure parlarmi al telefono. Non sono così sicuro che stavolta finirà bene per noi.”
Mel coprì la mano di Ben con la sua. “Hai detto che è ancora al loft, giusto?”
Ben annuì. “Me l’ha detto Emmett. Per qualche strana ragione, i suoi amici sembrano più inclini a parlarmi di quanto lo sia mio marito.”
“Questo perché non siamo i suoi amici. Siamo i vostri, tuoi e di Michael. Esattamente come lo siamo stati di Emmett e Ted o come lo siamo di Brian e Justin--”
“Parla per te.” La rimbeccò Mel. “Per quanto mi riguarda, io e Brian non siamo proprio niente.”
Lindsay roteò gli occhi, lanciando un’occhiata paziente a Ben che si ritrovò a sorridere. “Quello che voglio dire è che siamo tutti amici, nonostante quello che succede tra noi. Quando io e Mel ci siamo separate--”
“Io e Michael non siamo stati proprio imparziali.” Ricordò loro Ben.
“Solo perché eravate preoccupati per JR. E noi non potremmo essere più felici che nostra figlia abbia dei padri che si preoccupano per il suo benessere.”
Ben annuì. “Vi ringrazio, ragazze. Non so… non so davvero che dire.”
“Non devi dire nulla, infatti.” Mel gli sorrise rassicurante. “Michael tornerà in sé e sono certa che il soggiorno al loft lo aiuterà.”
“Justin lo farà rinsavire.” Lo rassicurò Lindsay con un deciso cenno del capo. “È abituato ad avere a che fare con testoni che non vedono ad un palmo dal loro naso.”
Ben e Mel ridacchiarono. “Su questo siamo d’accordo.” Mel concordò con sua moglie.
“Non so cosa pensare.” Ammise Ben a malincuore. “Credo davvero di aver combinato un ben casino.”
“Ben.” Lindsay si scambiò un’occhiata esitante con Mel. “Posso… posso chiederti cosa è successo?”
L’uomo prese un lungo respiro prima di finire il suo caffè. “Sono tornato a casa ed Hank era qui ad aspettarmi. Non ho pensato che fosse strano perché stiamo apportando le ultime modifiche al mio libro. Ci siamo sistemati in salotto e ci siamo messi all’opera. Ad un certo punto, non so come Hank mi ha baciato e Michael ci ha visti. Ho immediatamente allontanato Hank, ma ormai era troppo tardi. Michael non ha voluto sentire ragioni, ha fatto le valige e se n’è andato. Da allora, le uniche notizie che ho avuto da lui sono state tramite Hunter che lo sente regolarmente.”
Mel annuì. “Deb lo sa?”
Ben scosse il capo. “Non ne ho idea, ma dato che non l’ho vista fare irruzione qui negli ultimi tre giorni, deduco che Michael abbia preferito non dirle nulla. Credo che al momento sia già abbastanza preoccupata per Brian.”
“È stata una decisione saggia.”
“Soprattutto per me. Debbie mi avrebbe preso a calci altrimenti.”
Lindsay scosse il capo. “Deb non l’avrebbe mai fatto.”
“Ad ogni modo è meglio così. Sapere che non si è confidato con Deb mi fa ancora sperare che possa essere--”
“Una cosa temporanea?” Finì Lindsay per lui.
L’uomo annuì. “Se tralasciamo il fatto che se n’è andato, non ha preso altre decisioni drastiche. Forse sta ancora analizzando la cosa…”
“Conoscendo Michael, probabilmente ci sta rimuginando sopra come un idiota invece di venire qui a parlarne con te.” Osservò Mel, beccandosi un’occhiataccia da sua moglie. “Che c’è? È vero. Non si risolverà nulla se non ne parlano.”
Lindsay fu mentalmente costretta a darle ragione. “I silenzi sono la cosa peggiore in un matrimonio.” Convenne. “Noi ne sappiamo qualcosa.”
“Ed è proprio di questo che ho paura. Che Michael continui a rifiutarsi di parlarmi, di chiarire, di… di lasciarmi spiegare.”
“Allora, insisti.” Mel lo fissò con espressione risoluta. “Fa’ in modo che ti ascolti.”
Ben scosse il capo. “Non servirebbe a nulla, non se si è messo in testa mille sciocchezze che sono certo al momento affollano la sua testa.”
“Quindi che pensi di fare?” Domandò Lindsay.
Ben abbozzò un sorriso. “Farò passare ancora qualche giorno e poi andrò a riprendermi mio marito.”
 
 
 
 
 
Hunter si massaggiò stancamente gli occhi, passando il telefono all’altro orecchio. “No, te l’ho detto, sto bene.” Disse affondando il capo nel cuscino. “Sono solo stanco per tutta questa storia di Brian. Michael e Ben la stanno prendendo male.” Fece una pausa chiudendo gli occhi. “Sì, non preoccuparti, Callie, se ho bisogno ti chiamo. Sì, promesso.” Ascoltò la sua ragazza per un altro minuto prima di salutarla e riattaccare.
Un leggero bussare alla sua porta gli impedì di addormentarsi come aveva pianificato.
“Ehi James, ci sei?”
La voce familiare di Lane lo spinse a sollevare il capo e a mettersi a sedere. “Ehi.”
La sua amica, appoggiata contro lo stipite, gli sorrise dalla porta. “Tuo padre mi ha fatto entrare mentre usciva. Non sapevo che fossero tornate Melanie e Lindsay.” Entrò nella camera, gettandosi di peso sul letto. “Gus e Jenny?”
Hunter sorrise facendole spazio sul materasso.
“Com’è che tieni alla mia famiglia molto più di me?”
Lane gli pizzicò un braccio, sistemandosi al suo fianco. “Perché tu sei un idiota. Io ucciderei per avere una famiglia come la tua.”
Hunter si sentì immediatamente in colpa, ripensando a Fanny e Ramón e alla situazione familiare che attendeva Lane ogni volta che rientrava a casa. “Tua madre come sta?”
Lane si strinse nelle spalle. “Sempre la solita Fanny. Vecchie abitudini, vecchi vizi, vecchi uomini.”
“Ramón è ancora da voi?”
Lane negò col capo. “A quanto pare sua moglie ha deciso di riaccoglierlo in quella topaia dove vivono. Fanny festeggia da due giorni.”
Hunter le passò un braccio attorno alle spalle, facendole posare la testa contro il suo petto. “Perché non rimani qui qualche giorno?”
“Perché non ce ne andiamo invece?” Gli domandò Lane con voce tremante. “Perché non ce ne freghiamo di tutto e spariamo senza dire niente a nessuno?”
Hunter sorrise. “Io e te alla conquista del mondo.”
“Come Thelma e Louise.”
“Ed io chi sarei?”
“Chi è quella che fa secco il tipo?”
Hunter alzò gli occhi al cielo. “Sarà meglio rimandare, se me ne vado anche io Ben si trasferisce in Tibet.”
Lane sfregò la guancia contro la sua maglietta. “Di Michael nessuna notizia?”
“Lo sento più adesso che quando viveva qui.” Si lamentò Hunter facendo ridacchiare la sua amica. “Ma per il momento non ha intenzione di tornare.”
“Sei riuscito a capire cosa sia successo?”
“Neanche mezza idea, ma sospetto che Hank c’entri qualcosa.”
Lane emise un verso infastidito. “Si vedeva lontano un chilometro che quello portava rogne. Hai mai notato le occhiate che lanciava a tuo padre?”
“A Michael?”
A Ben, testone.”
Hunter ci pensò su un istante. “Credi sia per quello che Michael se n’è andato? Perché tra Ben e Hank…”
“Non dire sciocchezze, scemo.”
“E allora perché?”
“Gliel’hai chiesto?”
“Certo che no! E se mi dicessero che hanno problemi di sesso?”
Lane scoppiò a ridere. “Sarebbe una bella scena.”
“Stronza.”
Lane coprì la mano di Hunter con la sua, intrecciando le loro dita. “Torneranno insieme, James. Non ho mai visto due persone amarsi tanto e sono certa che sistemeranno le cose.”
“Michael non se n’era mai andato prima.” Osservò Hunter con tono mesto. “Anche prima, quando hanno avuto problemi… non hanno mai…preso una decisione così drastica.”
Lane sollevò il capo puntellandosi su un gomito in modo da poterlo guardare in viso. “Alle volte è meglio, sai? Staccare la spina, prendersi del tempo.”
Hunter sbuffò irritato. “Sì, ricordo perfettamente la tua teoria secondo la quale un divorzio è meglio di un matrimonio infelice.” Lane gli pizzicò con forza un avambraccio. “AHI!”
“Non è quello che intendevo, imbecille.”
“Hai finito di insultarmi e picchiarmi?”
“Non finché non la smetterai di dire stronzate.”
Hunter roteò gli occhi, facendole segno di continuare. “Sentiamo allora la tua ipotesi.”
Lane gli posò la mano sul petto, prendendo a giocherellare con le sue dita. “I tuoi genitori stanno insieme da anni e da quando si sono sposati non sono mai rimasti separati neppure per brevi periodi di tempo.”
“Di solito è così che funziona un matrimonio, Lanie.”
“Smettila col sarcasmo o ti ritrovi un occhio nero.” Si schiarì la gola riprendendo il filo del discorso come se niente fosse. “Quello che voglio dire è: se sono davvero così innamorati come noi crediamo che siano, la separazione servirà solo a far capire loro quanto non possono stare lontano l’uno dall’altro.”
Hunter la fissò con espressione scettica. “Quindi secondo te il fatto che non vivano più sotto lo stesso tetto potrebbe davvero aiutarli a tornare insieme?”
“Precisamente.”
“Tu sei completamente sciroccata. Ahia!”
Lane gli fece una linguaccia. “Scommettiamo?”
“No.” Hunter continuò a massaggiarsi il braccio dolorante.
La sua amica sorrise vittoriosa. “Callie che dice?”
“Di che?”
“Di tutta questa storia.” Hunter rimase in silenzio. “James? Callie sa di Ben e Michael, vero?”
Il ragazzo si distese sulla schiena, improvvisamente interessato al soffitto. “Non… esattamente?”
Lane roteò gli occhi. “James…”
“Non dire James con quel tono.” La avvertì. “Non ho tre anni e decido io cosa dirle o no.”
“Ma è la tua ragazza. Hai confessato tutto a me il giorno stesso in cui Michael se n’è andato.”
Hunter si voltò di nuovo verso di lei, aggrottando le sopracciglia. “Tu non sei lei.”
“Lo so.” Lane cercò di abbozzare un sorriso. Era ovvio che lei e Callie occupassero posti differenti nella vita di James. Callie era la sua ragazza, cavoli! E lei non poteva sentirsi messa da parte se il suo amico glielo ricordava.
Dev’essere così. Lei è più importante.
“Io non credo che lo capisca fino in fondo, invece.”
Lane fece per alzarsi dal letto. “James, lo capisco, okay? Lei e la tua ragazza, io tua amica. Non sono stupida, riesco perfettamente a cogliere la differenza.” Si alzò dal letto più triste di quanto avesse il diritto di sentirsi.
Lei e James erano amici. Solo amici e lei non poteva, non doveva aspettarsi che lui la considerasse qualcosa di più, soprattutto adesso che Callie era tornata nella sua vita.
Dopo che tu l’hai fatta tornare nella sua vita precisò una vocina nella sua testa.
Sobbalzò sorpresa quando Hunter la spinse contro il muro, bloccandola col suo corpo. “Ripeto: io non credo che tu lo capisca invece.”
Lane deglutì a fatica, inspiegabilmente imbarazzata da quell’improvvisa vicinanza. “James…”
Hunter le prese il viso tra le mani, obbligandola a guardarlo negli occhi; si ritrovò a sorridere davanti ai meravigliosi occhi blu della sua migliore amica. “Tu non sei lei. E lei non è te. Non potrà mai esserlo.” Si avvicinò ancora, posando la fronte contro la sua e socchiudendo gli occhi. “Tu sei la mia Lanie. Callie è la mia ragazza, è vero, ma lei non riuscirà mai a capirmi, ad ascoltarmi, a rassicurarmi come fai tu. Non è di lei che ho bisogno quando sono giù di morale.”
E allora perché diavolo state ancora insieme?
Quel pensiero, come un fulmine a ciel sereno, attraversò la mente di Lane prima ancora che lei potesse analizzare le parole di Hunter. Strinse forte gli occhi per scacciarlo dalla testa. “Sarebbe giusto comunque che tu le parlassi.”
Hunter le passò le braccia attorno alla vita, sprofondando nel suo abbraccio profumato. “Lo farò quando sarò pronto.”
Lane sospirò, ricambiando la stretta. “Come vuoi, testone. Nel frattempo, se hai bisogno di qualcuno con cui parlare…”
Hunter si staccò da lei con un sorriso. “Ho la mia Lanie.” Sussurrò, baciandole la punta del naso.
Lane cercò inutilmente di abbozzare un sorriso. Non aveva assolutamente sperato che quel bacio si posasse sulle sue labbra.
Certo che no.
Nemmeno fra mille milioni di anni.
Assolutamente no.
Con un sorriso sincero, Hunter la strinse di nuovo a sé.
Lane sospirò avvilita. Cazzo… Perché mi ficco sempre in questi casini?
 
 
 
 
 
Jennifer sistemò sul vassoio il piattino coi biscotti appena sfornati e si avviò in salotto. “Ecco la merenda!” Esclamò allegra.
Le testoline di Gus e Jenny si sollevarono immediatamente dall’opera d’arte che stavano creando con Molly e Tuck.
“Sono quelli al cioccolato?” Domandò la più piccola.
Jennifer sorrise, posando il vassoio sul tavolo e prendendo posto accanto a suo marito. “Doppio cioccolato.” Precisò. “E mandorle e nocciole.”
I due fratelli si scambiarono un’occhiata felice. L’idea delle loro mamme di lasciarli da Jennifer per il pomeriggio era stata grandiosa. “Possiamo mangiarli adesso?” Chiese il più grande.
Jen annuì. “Andate prima a lavarvi le man--” I bambini scattarono in direzione del bagno a velocità supersonica, zittendo la donna e facendo scoppiare a ridere Molly e Tuck. “Io e Justin non siamo mai stati così obbedienti.”
Sua madre le lanciò un’occhiataccia. “Non me lo ricordare. Dovrei chiedere a Melanie e Lindsay di fare cambio.”
Molly ridacchiò. “Avresti davvero il coraggio di ricominciare da capo con due figli piccoli?”
Jennifer si strinse nelle spalle. “Perché no? Non me la sono cavata così male l’ultima volta.”
“Sì, ma adesso sei--” La parola vecchia le morì in gola davanti al sopracciglio inarcato di sua madre. “Più impegnata. Hai un lavoro, una nuova vita.”
“Non è mica da sola.” Le fece notare Tuck con un mezzo sorriso. La testa di Molly scattò nella sua direzione così velocemente da farle scrocchiare il collo. “Quel costoso anellino che due mesi fa ho messo al dito di tua madre non sta lì solo per figura. Intendevo davvero ciò che le ho promesso. Al suo fianco finché morte non ci separi.”
Jennifer posò lo sguardo su suo marito, rivolgendogli un sorriso carico d’amore. “Credo che i miei figli non riescano a prendermi sul serio, tesoro. Ho l’impressione che mi ritengano ancora una donna di mezza di età che ha preso una sbandata per un ragazzo più giovane e più sexy.”
Molly la guardò con espressione offesa. “Certo che no!”
“Sei sicura?”
“Per chi mi hai preso? Quello con la testa bacata è l’altro figlio!”
Tuck ridacchiò, posando la mano su quella di Jennifer. “Justin sarà felice di saperlo.”
“Pfui!” Molly si strinse nelle spalle. “Avresti dovuto sentire cosa diceva di te all’inizio. Piccolo ipocrita.”
“Io mi sarei sentito nello stesso modo al posto suo.” Confesso Tuck. “Justin si sente l’uomo di casa con te e tua madre.”
“Ti prego, è solo melodrammatico. Con te qui, lui non poteva più essere il gallo del pollaio.”
Tuck scoppiò a ridere, guardando sua moglie. “È tutto vero.” Confermò la donna. “Quando abbiamo iniziato ad uscire insieme, è stato molto maleducato. Ho dovuto ricordargli in più di un’occasione che sarebbe stato ipocrita da parte sua parlare della differenza d’età.”
“Beh, ad ogni modo sono contento che gli sia passata.”
“Sospetto che Brian c’entri qualcosa.”
“Non so davvero chi sia capitato meglio tra voi due, se Justin o tu, mamma.” Molly sorrise, spostando lo sguardo da Jennifer a Tuck alle loro mani ancora intrecciate. “Non è facil… Un momento!” La ragazza scattò in piedi, facendo sobbalzare i presenti. “Ho appena realizzato una cosa.”
Jennifer guardò sua figlia preoccupata. “Cosa, tesoro?”
“Tu, Jennifer Taylor, hai un marito figo.”
Tuck arrossì imbarazzato mentre sua moglie ridacchiava. “Ti ringrazio.”
“Papà, Craig Taylor, ha una compagna splendida.” Suo malgrado, Jennifer si ritrovò ad annuire. Aveva incontrato Eveline un paio di volte e l’aveva trovata adorabile. Il vero mistero rimaneva come facesse a sopportare il suo ex marito. “Tuo figlio, Justin Taylor, ha un compagno che…” Molly sospirò rassegnata “… beh, diciamo che dovremmo creare un nuovo termine per definire quanto Brian sia figo.”
Jennifer e Tuck scoppiarono a ridere. “Ancora non capisco dove tu voglia andare a parare.”
Molly guardò sua madre con un sorriso. “Se i fidanzati di noi Taylor tendono a migliorare per ogni membro della famiglia…”
Tuck soffocò una risata mentre Jennifer alzava gli occhi al cielo, comprendendo finalmente il contorto ragionamento della sua secondogenita. “Se tanto mi dà tanto…”
Molly le rivolse un sorriso smagliante. “Sono destinata alla grandezza.” Disse con tono fiero facendo ridere Tuck e sua madre.
“Perché ridete?” Gus rientrò in salotto seguito da sua sorella.
Jennifer gli accarezzò i capelli scuri quando le passò vicino. “Parlavamo del fidanzato di Molly.”
Gus aggrottò la fronte e guardò Molly con espressione contrariata. “Hai un fidanzato?”
Tuck e Jen si scambiarono un’occhiata divertita. “Oh oh.”
Molly incrociò le braccia al petto. “Anche se fosse, nanerottolo?”
Gus la fissò per un secondo prima di stringersi nelle spalle. “Peggio per te.” Si arrampicò di nuovo sulla sedia e prese a mangiare i biscotti, subito imitato da sua sorella.
“Qualcuno ha una cotta.” Sussurrò Tuck con un sorrisetto.
Molly roteò gli occhi. “Gus ha sette anni.” Gli ricordò.
L’uomo annuì. “Esattamente. Tra voi due, undici anni di differenza. Sono comunque di meno di quelli tra Brian e Justin o tra me e tua madre.”
Jennifer le strizzò con dolcezza il braccio. “E sappiamo già che l’accoppiata Taylor-Kinney funziona alla grande.”
Un leggero bussare alla porta di casa impedì a Molly di essere messa in punizione fino alla pensione per aver mandato sua madre al diavolo. “Chiudete il becco.”
Un attimo dopo, Justin ed Emmett entrarono in salotto; il più giovane crollò sul divano, immediatamente accolto da Gus e Jenny, Emmett si attardò a salutare i padroni di casa.
“Allora? Vi siete divertiti con la mia mamma?” Domandò Justin ai bambini.
Jenny annuì. “Ci ha anche detto che lei è una nonna, come nonna Deb.”
Justin guardò sua madre con espressione curiosa. “Gus le ha detto che ero sua nonna così Jenny mi ha chiesto di essere anche la sua.”
Ci ha chiesto.” Precisò Tuck, accarezzando i capelli di Jenny che gli sorrise. “Oggi sono ufficialmente diventato nonno.”
Emmett ridacchiò. “Buon per te, dolcezza. Anche se ritengo sia un delitto chiamarti nonno. Sei fin troppo eccitante, se vuoi la mia opinione.”
Jennifer si schiarì la gola, lanciandogli un’occhiata di finta gelosia. “Ti ricordo che è anche un uomo sposato.”
Emmett alzò immediatamente le mani in segno di resa. “Ed io non potrei mai dimenticarlo, Jen.”
Justin scosse il capo, mentre Gus si arrampicava sul divano e prendeva posto accanto a lui. “Mamma, non credi di essere un po’ cresciuta per fare la gelosa?”
“Come sarebbe?” Sua madre si mise le mani sui fianchi.
“Voglio dire, alla tua età…”
Molly e Tuck si scambiarono uno sguardo allarmato. Non era mai una buona idea parlare dell’età di Jennifer. “JusJus…”
“Non dico che tu sia vecchia, ma comunque non sei più… giovane.”
“Justin Taylor…”
“Oh oh…” Gus si avvicinò all’orecchio di Justin. “Quando le mamme mi chiamano col mio nome intero vuol dire che sono arrabbiate.”
Justin soffocò una risata, circondandogli le spalle con un braccio. “Sì, di solito funziona così.”
Gus gli sorrise radioso. “Infatti papà non lo fa mai. Lui mi fa fare sempre quello che voglio e mami lo rimprovera sempre. Mamma invece dice che va bene se ogni tanto papà mi lascia mangiare i dolci di nascosto, basta che non salto la cena.”
Il nome di Brian, buttato casualmente nella conversazione, riportò immediatamente la quiete nel salotto, sedando immediatamente l’atmosfera gioiosa e spensierata di un attimo prima.
Justin annuì. “Hai proprio un bravo papà, eh?” Domandò con un groppo alla gola.
Gus studiò la sua espressione per un lungo istante. “Mi fa sempre ridere. Anche se alle volte è strano.”
Justin sorrise. “Sì, hai ragione.”
“È per questo che non ridi più adesso?” Gli chiese il bambino, cogliendolo di sorpresa. “Perché non puoi parlare con papà? Prima sorridevi sempre, ma adesso…” Si strinse nelle spalle.
Emmett strizzò delicatamente il braccio di Justin. “Siamo tutti tristi perché papà sta ancora dormendo, Gus.”
Gus arricciò il nasino. “Ma si sveglia tra un po’, no? Quindi non dobbiamo essere tristi altrimenti lui dice che siamo delle femminucce.”
“Hai ragione, tesoro.” Jennifer prese il piattino coi biscotti e lo posò sul tavolino da caffè di fronte al divano. “Papà non vorrebbe mai vederci così.”
Molly sentì gli occhi riempirsi di lacrime davanti alla chiara sofferenza di suo fratello: non riusciva neppure ad immaginare come potesse sentirsi. Discretamente, tirò su col naso, asciugandosi una lacrima con la manica della maglia, e tornò a voltarsi verso Emmett e Justin. “Ehi, volete sapere la novità?” Domandò allegra tentando di allentare la tensione. “Mamma e Tuck vogliono altri figli!”
 
 
 
 
 
Gus spostò lo sguardo dalle sue mamme, a Justin, a sua nonna Debbie, e sospirò annoiato.
Che cavolo stavano facendo lì? Lui era andato in ospedale per parlare con suo padre, ma se rimanevano tutti seduti nella sala d’aspetto invece di andare da lui, non si sarebbe mai risvegliato. Justin una volta gli aveva spiegato che quando le persone sono addormentate in ospedale, sentire la voce delle persone della famiglia può aiutarli a svegliarsi prima.
E allora perché cavolo stavano tutti seduti lì a guardarsi come se avessero appena scoperto che Babbo Natale non esisteva? E per la cronaca, anche se quell’idiota di Billy Thompson aveva detto che Babbo Natale era un’invenzione dei genitori, lui sapeva perfettamente che era una bugia.
Glielo aveva assicurato suo padre. E suo padre non diceva mai bugie. Tranne quando diceva di non voler bene a mami. O a zio Emmett. O a zio Teddy.
Ma la storia di Babbo Natale? Pura verità.
Lanciando un’ultima occhiata alle persone seduto vicino a lui, sospirò alzandosi in piedi. Ormai era chiaro che avrebbe dovuto pensarci lui a svegliare suo padre.
Era tanto che dormiva! E lui non dormiva mai così tanto!
“Devo andare al bagno.” Dichiarò con voce decisa.
Mel gli sorrise, alzandosi dalla sedia. “Vieni, tesoro, ti accom--”
“Io sono grande.” Si difese, incrociando le braccia al petto. “Posso anche andare da solo. Il bagno è in fondo al corridoio.”
“Gus, amore…” Lindsay lo guardò con espressione implorante. “Non puoi--”
“Invece sì!”
“Gus…”
“Ti prego, mamma! Non sono un bambino!”
Melanie sospirò paziente e annuì. “Va bene, d’accordo. Se hai bisogno di noi, chiamaci.”
Il bambino assentì col capo. “Grazie, mami.” Baciò la guancia di Mel e si avviò a passo sicuro lungo il corridoio; in prossimità del bagno, rallentò appena e, approfittando di un attimo di distrazione di sua madre – che continuava a controllarlo da lontano – spiccò una corsa, infilandosi nella stanza col numero 308. Delicatamente, si chiuse la porta alle spalle e si sedette sulla sedia accanto al letto di suo padre.
“Ciao, papà.” Sussurrò piano. Aggrottò le sopracciglia, realizzando che se voleva davvero svegliarlo, doveva usare il suo normale tono di voce. “Ciao, papà.” Ripeté con più convinzione. Brian rimase immobile. “Adesso devi svegliarti però, perché è passato tanto tempo e non puoi più dormire.” Percorse con il dito le nocche lunghe e affusolate di Brian, notando quando la sua mano risultasse minuscola accostata a quella di suo padre. “Anche la mamma del mio amico Steven è andata in ospedale, sai? Dopo che ha avuto un incidente, però lei è morta.” Inclinò il capo, studiando il viso di Brian. “Ma tu non muori, vero papà? Steven era sempre triste e a scuola piangeva un sacco. Io ho anche provato a fargli un bel disegno, però non ha funzionato. Lui ha continuato ad essere triste e anche il suo papà. Ma anche noi siamo tristi, anche se tu non sei morto, però siamo tristi lo stesso perché ci manchi. Mamma piange sempre e anche zio Michael, anche se adesso non vuole più che zio Ben lo abbraccia e sta sempre con Justin. Anche Justin è triste e non sorride più come faceva quando tu eri sveglio e anche nonna Debbie e gli zii e Molly e Hunter. Anche Jenny è triste, ma lei fa così perché è piccola e fa i capricci come una poppante.” Sospirò piano e scosse la testa. “Devi svegliarti perché la nonna sta cucinando un sacco di buone per quando esci dall’ospedale  e ha anche chiesto a zio Em di aiutarla, ma lui…” Arricciò il nasino in un’adorabile smorfia “… lui non è bravo come nonna, o come Justin. Cucina sempre cose che hanno un colore strano e non mi piace assaggiarle, anche se mamma dice che non sta bene dire che qualcosa da mangiare non è buono.” Si avvicinò a Brian con fare cospiratorio. “È persino peggio di te, papà.” Osservò con tono incredulo.
Un attimo dopo, il bambino sobbalzò spaventato da un vigoroso colpo di tosse. Spostò lo sguardo dalla mano di suo padre al suo viso e sorrise radioso. “Addirittura peggio di me?” Domandò Brian con voce roca.
“Papà!” Gus si getto su suo padre con tutto l’entusiasmo di cui era capace un bambino di sette anni. “Ti sei svegliato finalmente!”
“Con tutte le tue chiacchiere.” Lo prese in giro suo padre, sollevando a fatica una mano per potergli accarezzare i capelli. Sono stato ad un passo dal non poter più stringere mio figlio tra le braccia.
“Tieni, bevi.” Il bambino riempì un bicchiere d’acqua e lo avvicinò a suo padre, porgendogli la cannuccia. “Quando si ci risveglia in ospedale, si deve sempre usare la cannuccia.”
Brian scolò tutto il bicchiere in un battibaleno. “E tu che ne sai?”
Il bambino lo riempì di nuovo. “Lo dicono sempre nel film coi medici muscolosi che guarda sempre zio Emmett.”
Brian rise, posando il bicchiere sul comodino. “Che ci fai qui solo soletto?” Con grande fatica, riuscì a raddrizzarsi, mettendosi seduto. Gus lo aiutò a sistemare i cuscini dietro la schiena, prendendo poi posto accanto a lui. “Non sono solo!” Si difese, indignato. “Sono tutti qui, solo che stanno fuori ad aspettare ed io ho pensato che non potevi svegliarti se nessuno veniva a chiacchierare con te e quindi sono venuto io.”
Brian inarcò un sopracciglio. “Ma le mamme sanno che sei qui, vero?” Domandò, conoscendo già la risposta. Dopotutto Gus era un Kinney: le regole non facevano per lui.
Il bambino tentennò. “Ecco, veramente…”
Brian roteò gli occhi, incapace di arrabbiarsi con lui. “Chi c’è di là?” Domandò cercando di non sorridere.
“Tutti! Mamma, mami, nonna Deb, nonno Carl, nonna Jen--”
Brian decise di lasciar perdere il nonna Jen – almeno per il momento – e accarezzò la testa di suo figlio. “Justin?”
Gus annuì. “Justin sta sempre qui.”
“Allora, va a chiamarlo.”
“Solo lui?”
Brian si sentì leggermente in colpa, ma assentì comunque. “Solo lui per adesso.”
Gus scese dal letto e corse fuori dalla stanza.
Brian sorrise quando sentì la voce agitata di Justin chiamarlo dal corridoio. “Dov’eri finito? Avevi detto che dovevi andare in bagno! Eravamo preocc--”
“Te l’ho detto, non sono un bambino!” Si difese Gus. “Vieni, dai!”
“Gus, non tirare! Che c’è?”
“Vieni!”
Un attimo dopo, Gus comparve di nuovo sulla soglia, trascinandosi dietro Justin. “Non devi dirlo agli altri, però.” Lo avvertì. “Non ancora. E’ una sorpresa.”
Justin aggrottò le sopracciglia confuso, alzando lo sguardo verso il letto.
“Ehi, Sunshine.”
La bottiglietta d’acqua che stringeva tra le mani finì a terra con un tonfo sordo; un istante dopo, Brian si ritrovò le braccia piene del suo raggio di sole personale.
“Ti sei svegliato.” Lo sentì sussurrare contro il suo collo. “Ho pensato… ho avuto paura che…”
“Shh, va tutto bene.” Brian immerse una mano nei suoi capelli, stringendolo di più a sé quando il suo fidanzato iniziò a singhiozzare. “Gus, puoi chiamare gli altri, adesso.” Il bambino annuì con un sorriso e sparì di nuovo.
“Non abbiamo tanto tempo.” Avvertì Justin. “Non so da quanto sono steso qui, ma da quello che mi ha detto Gus eravate tutti piuttosto agitati.”
Justin singhiozzò più forte, senza allentare la presa di un millimetro.
Brian era vivo, Brian si era svegliato, Brian era tornato da lui. “Non fare mai più una cosa del genere.” Lo ammonì. “Non ci provare mai più, Brian, perché giuro che--”
Le ultime parole si persero sulle labbra di Brian. Justin aprì la bocca alla prima carezza della lingua del suo compagno e si aggrappò con forza alle sue spalle, perdendosi nel familiare sapore della persona che amava di più al mondo.
Brian gli prese il volto tra le mani, approfondendo il contatto, e divorò la bocca di Justin con impazienza.
“Ti amo, dannazione.” Sospirò frustrato Justin, baciandolo di nuovo con passione. “Non hai idea di quanto mi sei mancato.”
Brian gli circondò la vita con un braccio. “Meno chiacchiere, più azione, Sunshine. Dopotutto, sono io quello in un letto d’ospedale.”
“Non me lo ricordare, idiota.”
Brian ridacchiò, invadendo di nuovo la bocca di Justin con la lingua e facendolo gemere di piacere. “Che n’è stato del avevo paura tirassi le cuoia?”
Justin rispose al bacio con altrettanto ardore, intrecciando le dita nei capelli di Brian per avvicinarlo di più a lui. “Sono ancora in stato di shock.”
“BRIAN!”
Il bacio fu interrotto bruscamente quando la famiglia al completo fece irruzione della sua stanza, ma Brian si guardò bene dal rilasciare Justin; col fiatone, gli sorrise malizioso prima di baciargli la punta del naso e voltarsi finalmente verso i nuovi arrivati. Il suo braccio rimase arpionato ai fianchi del ragazzo.
“Oh mio Dio, Brian!” Lindsay fu la prima ad entrare. Dopo essere scoppiata in un pianto disperato, corse ad abbracciare il suo migliore amico, continuando a singhiozzare contro il camice dell’ospedale. “Ci hai fatto morire tutti di paura!”
Debbie si premette una mano sul petto, cercando di contenere la commozione. “Non puoi proprio vivere senza attirare l’attenzione, eh?” Domandò scuotendo il capo, ma dal tono di voce tutti compresero quanto fosse sollevata di vedere Brian sveglio.
Brian si strinse nelle spalle, continuando a dare colpetti sulla schiena di Linz perché smettesse di piangere. “Mi conosci, Deb.”
Jennifer si avvicinò al letto dal lato in cui stava Justin, sforandogli una mano. “Eravamo tutti così preoccupati.”
Molly, al suo fianco, annuì, gli occhi già pieni di lacrime. “Non hai idea di quello che abbiamo passato.”
Gus si avvicinò a suo padre proprio mentre Lindsay si staccava da lui, annuendo. “Sì, Peter, ci hai fatto davvero passare dieci giorni d’inferno.”
Brian scambiò un’occhiata annoiata con suo figlio. “Sono femmine.” Sussurrò il bambino per evitare che sua madre, già alzatasi dal letto, sentisse.
“BRIAN!” Emmett fece il suo teatrale ingresso nella stanza, scuotendo il foulard arancione che teneva annodato al braccio. “Finalmente ti sei svegliato!” E anche lui scoppiò in un pianto disperato.
Brian roteò gli occhi, cercando di sembrare scocciato. Justin gli baciò i capelli con un sorriso prima di correre a consolare Emmett.
“Brian!” Anche Michael e Ted varcarono la soglia della sua camera con espressioni incredule.
“Evviva!” Borbottò Brian sarcastico. “A quanto pare, tutti sapete il mio nome. Ne sono davver--” La frase fu interrotta a metà quando Michael si gettò su di lui proprio come avevano fatto Gus, Justin e Lindsay. Brian lo strinse a sé. Che cosa ho fatto per meritare queste persone nella mia vita? “Sto bene, Mikey.” Rassicurò il suo migliore amico. “Va tutto bene, lo giuro.”
Michael annuì, staccandosi da lui. “Non farci mai più preoccupare così.”
Brian annuì con un sorriso. “Promesso.”
Emmett e Ted si avvicinarono al letto con dei sorrisi raggianti, sebbene Emmett avesse appena finito di asciugarsi le ultime lacrime. “Bentornato, Bri.” Sussurrò Ted.
Brian rivolse loro un mezzo sorriso. “Non ditemi che eravate preoccupati anche voi.”
Emmett alzò gli occhi al ciel, scuotendo il capo. “Avevamo quasi iniziato a sentire la mancanza delle tue battutine al vetriolo.”
“Sono lieto di informarti che adesso sono in perfetta forma per recuperare il tempo perso.”
I suoi amici ridacchiarono, facendosi da parte un attimo dopo quando Debbie si accostò a loro; ancora con gli occhi lucidi, si sedette accanto a Brian e gli rivolse un sorriso materno, picchiettandogli con affetto la guancia. “Stavolta l’hai combinata grossa, dolcezza.”
Brian piegò le labbra cercando di trattenere un sorrisetto. “Oh oh, non mi chiamavi più così dall’ultima volta che Jack mi ha mandato in ospedale con due costole rotte. Che c’è? Sto per morire?”
Al ricordo dell’ultima volta che avevo visto Brian in un letto d’ospedale, sedicenne e ancora intontito dagli antidolorifici, Debbie lo abbracciò di slancio, stritolandolo con forza.
Justin cercò inutilmente di non reagire quando sentì il suo compagno gemere di dolore; posò con delicatezza le mani sulle spalle di Debbie. “Deb, forse dovresti…” Vide Brian scuotere il capo con un sorriso. Justin annuì e ritrasse le mani, realizzando che Debbie non era l’unica ad aver bisogno di quell’abbraccio.
“Nonna, adesso non piangere anche tu.” Le fece notare Gus con espressione annoiata. “Papà si è svegliato e sta bene. Andiamo a casa così possiamo mangiare la lasagna.”
Debbie si staccò da Brian, tirando su col naso. “Hai ragione, tesoro. Papà sta bene e non serve più piangere.” Guardò Brian per un altro istante prima di chinarsi a baciargli una guancia.
“In nome del cielo, che cosa succede qui?!”
Tutti i presenti sobbalzarono quando la porta si aprì di colpo rivelando Joan Kinney e la sua espressione furiosa. Furia che fu immediatamente sostituita dalla sorpresa alla vista di suo figlio. “Brian! Quando… quando ti sei svegliato?” Mosse un passo verso di lui, ma si bloccò alla vista di Justin. “Che ci fai tu qui? Credevo di averti detto di stare lontano da Brian e da questa stanza.”
Justin si morse la lingua evitare di risponderle a tono. “Signora Kinney--”
“Che diavolo avresti fatto?”
Joan sobbalzò al tono infuriato di suo figlio; spostò lo sguardo da Justin a Brian e serrò le labbra, stizzita. “Ho fatto ciò che andava fatto. Ho tenuto questa… questa persona lontana da te.”
Justin sospirò quando avvertì la mano di Brian stringersi di più attorno alla sua; si voltò verso il suo compagno pronto a calmarlo. Non sarebbe servito a nulla farlo agitare. “Brian, davvero, non importa. Cerca di non agitar--”
“Avrei bisogno di un minuto con mia madre.” Il tono gelido di Brian ebbe il potere di far rabbrividire persino Justin.
Gus colse al volo il malumore di suo padre. “Papà, stai bene?”
Joan sgranò gli occhi, spostando lo sguardo da suo figlio a… suo nipote? “Papà?” Ripeté sconvolta. “Il bambino è--”
“Gus, va’ con la mamma.” La interruppe Brian. Gus parve esitare. “Va tutto bene, tranquillo.”
“Okay.” Brian gli sorrise, accarezzandogli i capelli.
“Vieni, tesoro.” Lindsay prese per mano suo figlio, ancora riluttante all’idea di lasciare suo padre. Imitandola, tutti gli altri si avviarono verso la porta.
“Chiama se hai bisogno.” Justin gli baciò la fronte, scansandogli i capelli scuri.
“No, non tu.” La mano di Brian rimase intrecciata alla sua. “Em, ti dispiace chiudere la porta?”
Emmett, ultimo ad uscire, guardò i suoi amici e annuì. “Siamo qui fuori.”
Justin tornò a voltarsi verso Joan e sospirò, riprendendo posto accanto a Brian.
“Adesso che siamo soli, vorrei davvero che tu mi dicessi che diavolo ti è passato per la testa.”
Joan raddrizzò le spalle. “Eri incosciente, Brian. Io… io ho fatto quello che avrebbe qualunque madre.”
“Impedendo alla mia famiglia di stare con me?”
“Non ho mai impedito ai tuoi amici di entrare, né a Debbie o a Michael o a Lindsay.”
“L’ha impedito a me.” Disse Justin con tono risentito. “O vuole negarlo?”
“E chi saresti tu, ragazzino?” Sibilò la donna.
“Io sono il suo compagno.”
“Sciocchezze. Non voglio sentire altro. Io sono sua madre, mentre tu--”
Lui è la mia famiglia!” Justin sobbalzò spaventato dallo sfogo di Brian. Non era precisamente da lui perdere il controllo a quel modo. “Lui c’era quando è nato mio figlio, quando ho perso il lavoro, quando ero malato e quando ho aperto la Kinnetic! Lui era accanto a me a condividere ogni sconfitta, ogni successo, ogni problema, ogni ostacolo, ogni vittoria!”
Justin sentì un groppo formarsi in gola davanti alla sofferenza di Brian. Possibile che quella madre non si rendesse conto del male che riusciva ad infliggere al proprio figlio? S’impose di non voltarsi verso Brian per non cadere a pezzi.
“Lui è stato al mio fianco ogni dannatissimo giorno negli ultimi sette anni! Dove diavolo eri tu?”
“Basta così.” Joan lo osservò con freddezza. “Ti stai rendendo ridicolo con questa inutile sceneggiata.”
“Sapevi che stavamo per sposarci?”
La donna trattenne il respiro, scioccata da quella rivelazione. “Non… voi non potete…”
“Vuoi dire noi froci?”
“Non usare certi termini, Brian.”
“Non è così che veniamo definiti?”
“Vorrai anche non sentirlo, ma non potete. Voi… non potete contrarre matrimonio. Non davanti a Dio.”
“Come se mi importi qualcosa di quello che il tuo Dio pensa che io possa o non possa fare.”
“Smettila di essere irrispettoso. Non ricordo di averti educato in questo modo. Tuo padre si rivolterebbe nella tomba se ti sentisse.”
Brian proruppe in una risata amara. “Questa è bella. Tirare in ballo il vecchio Jack per riportarmi sulla retta vita. Ha dell’ironico, non c’è che dire.”
“Adesso basta.” Justin si voltò verso Brian e gli lanciò un’occhiataccia. “Non devi agitarti, ti sei appena risvegliato, sei ancora debole.”
Joan distolse lo sguardo infastidita quando lo vide accarezzare il viso di Brian. Scosse il capo, incapace di assistere a quella scena.
Non era giusto.
Non era naturale.
Non era normale.
Due uomini non potevano toccarsi in quel modo.
“Non potrò mai accettare questa parte di te, Brian. Anche se sono tua madre, anche se ti ho messo al mondo--”
“Nessuno te lo sta chiedendo infatti.” Brian indicò la porta con un cenno del capo. “Nessuno ti ha chiesto di rimanere. A dirla tutta, nessuno ti ha mai chiesto di essere qui.”
Joan serrò le mani attorno alla borsa e annuì con un gesto secco. “Se è quello che vuoi.” Senza aggiungere altro, voltò loro le spalle e posò la mano sulla maniglia della porta.
“Justin è la mia famiglia molto più di quanto tu o Jack siate mai stati.”
La donna incassò quell’ultimo colpo, senza neppure voltarsi. “Spero davvero che quel povero bambino che hai avuto la sfacciataggine di mettere al mondo nonostante la tua riprovevole condotta possa un giorno capire fino in fondo chi è suo padre.”
“Okay, basta così.” Livido, Justin ritrasse bruscamente la mano ancora stretta a quella di Brian e si diresse a passo spedito verso di lei; con un gesto secco, spalancò la porta. “Per sua informazione, Brian è un padre meraviglioso, cosa che non si può dire altrettanto di lei.”
Joan lo fulminò con un’occhiata gelida. “Ho sopportato fin troppo le tue intemperanze, ragazzino.”
“No, sono io ad aver sopportato troppo.” Justin indicò la porta. “Fuori di qui. Adesso. La voglio lontana da Brian e da Gus. E non si azzardi a tornare qui con le sue stronzate sulla Bibbia, sulla religione e su quello che lei ritiene normale o no.”
Con un ultimo sguardo a suo figlio, la donna imboccò l’uscita e sparì. Justin le sbatté la porta alle spalle. Prese un bel respiro e si voltò di nuovo verso Brian che lo osservava con un sorriso divertito. “Accidenti, Sunshine. Hai spaventato persino me.”
“Non hai bisogno di lei.” Justin lo raggiunse di nuovo, sedendosi accanto a lui e prendendogli il viso tra le mani. “Non ti serve Joan nella tua vita. Ci sono io. Ci sono io a prendermi cura di te.”
Brian sospirò, abbracciandolo. “Lo so, Justin.” Il ragazzo sprofondò il viso contro il suo collo e Brian gli baciò teneramente la fronte. “Lo so.”
Justin sollevò piano il viso e incrociò lo sguardo di Brian. “Dio, se sapessi quanto ti amo.”
Senza perdere tempo, Brian si avventò sulle labbra, stringendolo per la vita e portandolo a cavalcioni su di lui. “Ne ho una vaga idea.”
“Chiudi il becco e usa quella lingua per qualcosa di utile.”
Brian non se lo fece ripetere due volte; dopo un mese di lontananza da Justin e dieci giorni di totale astinenza da sesso – causa coma – il suo corpo non impiegò più di un minuto a dimostrare al suo fidanzato quanto apprezzasse la sua vicinanza.
Justin gemette quando avvertì l’eccitazione di Brian premere contro il suo inguine; affondò le dita nei capelli dell’uomo e premette il naso contro il suo, approfondendo il bacio.
Le mani di Brian si bloccarono contro il suo sedere e presero a massaggiarlo con vigore, facendo ondeggiare il suo bacino contro quello di Brian.
“Che sorpresa, li lasciamo soli cinque secondi e loro si saltano addosso.”
I due uomini si separarono a malincuore. “Beccati, Sunshine.” Sussurrò Brian ancora col fiatone.
“Come due adolescenti eccitati.” Sussurrò Justin sorridendogli e baciandogli la punta del naso. Si staccarono, voltandosi poi verso i loro amici.
“Tutto okay?” Domandò Michael con aria apprensiva. “Tua madre non sembrava troppo contenta.”
Brian spostò lo sguardo su Justin che gli sorrise. “Tutto alla perfezione, Mikey.” Ammise, sapendo di stare dicendo la verità. 












E finalmente è sveglio!! Vi ho fatto penare, eh? Però alla fine ce l’ho fatta e il nostro Brian è tornato! E anche alla grande direi! Vi è piaciuta la scena con Joan? Che ne pensate? Non è venuta precisamente come volevo perché credo che manchi del tutto di pathos o sentimento, ma davvero non sapevo come migliorarla.
I nostri Britin finalmente sono tornati e da adesso ne vedremo delle belle perché le soprese per il nostro Kinney non sono finite qui! Vedrete, vedrete, ma vi assicuro che vi divertirete un sacco d’ora di poi! ;) Per il momento basta drammi!
Come al solito, grazie a chi ha letto e recensito, in particolare a elysenda, Court, ABlakeGiulia_TH, Britin132 e lia64.
Un bacio e a presto!!
 
Ale
 
P.S: volevo solo dirvi che probabilmente riuscirò ad aggiornare un po’ più regolarmente, diciamo una volta ogni due settimane circa (cioè quando ho tre giorni di riposo dal lavoro). Spero davvero di riuscire a rispettare la scadenza dato che ormai stiamo arrivando alla conclusione (secondo i miei calcoli dovrebbero mancare circa 8 o 9 capitoli).

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Capitolo 31
*** Side Effects ***


31. Side Effects
 
 
 

 
 
 
“Hai visto le facce?”
“Già, hanno avuto un ballo che non dimenticheranno mai.”
“Neanch’io. Il più bello della mia vita.”
“Anche se è stato ridicolo e romantico?” Le labbra di Brian sfiorarono lentamente le sue. “A dopo.”
“A dopo.”
Justin gli rivolse un ultimo sorriso prima di voltarsi e tornare da Daphne.
“JUSTIN!”
“Frocio!”
 
 
 
“Justin!”
Justin sobbalzò spaventato scattando a sedere, il cuore che batteva a mille, il respiro affannato e carico d’angoscia.
“Justin?”
Un movimento alla sua sinistra lo ridestò dal momentaneo torpore in cui si trovava; Brian provò con fatica a scendere dal letto. “Che diavolo credi di fare?” Justin si alzò rapidamente dallo scomodo divanetto dell’ospedale e lo raggiunse in un attimo. “Fermo.” Lo spinse di nuovo a sdraiarsi. “Non devi alzarti.”
“Cazzate.” Brian si ribellò annoiato. “George ha detto che è un bene se scendo da questo cazzo di letto.”
Justin sospirò paziente, passandogli una mano tra i capelli spettinati. “Michael, potresti ricordare al tuo migliore amico che una settimana fa era pressoché morto?”
“Michael, potresti ricordare a Justin che non sono un cazzo di moccioso di tre anni?”
Michael scosse il capo, posando gli occhi sui due uomini davanti a lui. “Brian, per favore, smettila di fare l’idiota e sdraiati.” Lanciò un’occhiata incerta al più giovane. “Justin sta bene.”
Brian lo guardò come se fosse pazzo. “Certo, sembrava solo che stesse per avere un infarto.”
“È stato uno stupido incubo.” Lo rassicurò il suo fidanzato, spingendolo di nuovo per le spalle. “Mettiti giù, dai.”
Controvoglia, Brian obbedì. “Cos’era?”
Justin finse di essere impegnato a sistemargli le coperte. “Nulla. Solo… un incubo.”
“Questo l’hai già detto. Ti spiacerebbe elaborare?”
“Non ricordo bene.” Mentì il più giovane. “Era… vago, indefinito.”
Brian emise un verso scettico. “Una volta eri più bravo a dire stronzate, Sunshine.”
Justin affilò lo sguardo, lasciando perdere le coperte, e fissò con aria combattiva il suo fidanzato. “Mi stai dando del bugiardo?”
“Solo quando menti.”
“Non sto mentendo.”
“Cazzate.”
“Quindi adesso leggi anche nella mente?”
Brian si strinse nelle spalle. “Solo nella tua.”
Justin alzò le mani al cielo e si allontanò bruscamente da lui. “Sai una cosa? Sei insopportabile.”
“Credimi, neanche tu sei così piacevole da tollerare. Perlomeno oggi.”
“Bene. Allora, dato che la mia presenza pare infastidirti, tolgo immediatamente il disturbo.” Justin afferrò con un gesto secco il suo giubbino.
“Spero che la passeggiata serva almeno a farti passare la crisi premestruale, cara.”
L’ultima cosa che Justin udì prima di sbattere con forza la porta fu la voce di Michael che rimprovera Brian.
A passo svelto imboccò l’ascensore e scese al piano terra, dirigendosi direttamente in giardino; trovandolo deserto, fece quello che ormai aveva fatto tante e tante volte. Si sedette su una delle panchine e si accese un sigaretta, puntando lo sguardo sul piccolo parco giochi che si scorgeva in lontananza dove alcuni dei bambini ricoverati in ospedale si divertivano a scorrazzare.
Reclinando la testa all’indietro, prese un bel respiro e cercò di calmarsi.
Dannatissimo Brian Kinney… pensò irritato.
Brian si era svegliato da poco più di ventiquattr’ore e loro avevano già discusso. Dev’essere un record persino per noi…
La verità era che tutto lo stress, la tensione, la paura e la stanchezza accumulati nelle ultime settimane iniziava a farsi sentire. Soprattutto la stanchezza, realizzò esausto.
Era infatti dall’incidente che lui non si faceva una notte di sonno decente: fin dal primo giorno a casa di sua madre, e poi tutte le nottate passate sulla scomoda poltroncina accanto al letto di Brian, erano state tormentate da incubi terribili.
Prima era stato qualcosa di indefinito, un sogno vago ed indistinto, lui nel buio avvolto dalle tenebre che cercava disperatamente Brian, urlando a squarciagola il suo nome senza che il suo fidanzato rispondesse; poi si era passati all’incidente, immaginando mille e più scenari in cui Brian e la Corvette uscivano fuori strada con conseguenze disastrose. Infine da qualche giorno erano iniziati i più strani, i più… inspiegabili.
Il ballo di fine anno.
Hobbs.
L’aggressione.
Justin scosse il capo con vigore, cercando di cancellare gli ultimi residui del sogno.
E pensare che era stato così felice l’anno prima quando, del tutto inaspettatamente, aveva recuperato i ricordi del ballo. Non tutti, certo, ma una buona parte della serata.
Sorrise, ripensando a Brian nel suo splendido smoking che scendeva le scale, Daphne che lo spingeva a voltarsi e lui che lo invitava a ballare. Ricordava gli sguardi scioccati, invidiosi, sognanti, felici dei suoi compagni di scuola, il sorriso radioso della sua migliore amica, il volto bellissimo dell’uomo che amava.
Ricordava la presa sicura di Brian sui suoi fianchi, la mano che gli sfiorava la spalla, lo sguardo malizioso che gli aveva rivolto quando Justin gli aveva sfilato la giacca e poi i loro passi, dapprima impacciati e imbarazzati e poi sempre più sicuri, decisi, armonici. Ricordava il bacio al centro della pista da ballo e poi Brian che lo trascinava via, lontano da tutti, lontano da quegli sguardi che li ritenevano sbagliati, anormali, innaturali. E infine il garage, Brian e il suo sguardo pieno d’amore, la promessa silenziosa di vedersi più tardi.
Quante volte Justin si era chiesto cosa sarebbe successo al loft se Chris Hobbs non l’avesse aggredito.
“Ehi, tutto okay?”
La voce di Michael lo fece sobbalzare: era convinto di essere solo.
“Sì.” Rispose secco. “Sto bene.”
“Dalla faccia non si direbbe.”
Justin gli lanciò un’occhiataccia. “Ho detto che sto bene.”
Michael si strinse nelle spalle. “So quanto può essere difficile trattare con Brian.”
“Certo che lo sai.” Borbottò il ragazzo caustico. “Non fai che ripeterlo da anni.”
“E questo che vorrebbe dire?”
“Che chiaramente pensi di essere l’unico a sapere come prendere Brian.”
“Questo non l’ho mai detto.” Si difese Michael.
Justin emise una risatina sarcastica. “Ti prego, sai meglio di me che non è vero. Secondo te, tu e Brian avete questo contorto e simbiotico rapporto che non permette a nessun altro di capire come comportarsi con voi. Ovviamente io e Ben siamo inclusi.”
Michael incrociò le braccia al petto. “Chiaramente non si può parlare con te al momento. Ero solo venuto a vedere come stavi dato che ultimamente ti sei comportato da amico con me e volevo cercare di ricambiare. Sembra però che la vicinanza di Brian inizi davvero a farti male.”
“Chi dice che ho bisogno di un amico?” Sibilò Justin senza neppure voltarsi verso di lui. “E chi ti dice che ho bisogno di te? Non hai già abbastanza problemi di cui occuparti? Per esempio il tuo matrimonio che va in pezzi?”
Michael serrò la mascella, stringendo forte i pugni. “Vai al diavolo.” E senza degnarlo neppure di uno sguardo, si avviò verso l’entrata dell’ospedale.
Justin sospirò, passandosi stancamente una mano tra i capelli. Ben fatto, testa di legno. Per una volta che Michael voleva comportarsi da amico, tu hai dovuto fare lo stronzo… Forse stai davvero prendendo il posto del vecchio Brian…
Esausto, si accasciò di nuovo sulla panchina e chiuse gli occhi.
Non era colpa di Michael se Brian aveva avuto l’incidente o se lui continuava ad avere quegli incubi terribili; non era colpa sua nemmeno se Brian si ostinava ad essere il solito testardo intrattabile o se lui aveva paura di perdere l’uomo che amava ogni volta che non si trovava a meno di due metri di distanza.
A conti fatti, niente di quello che era successo o che stava succedendo era colpa di Michael.
Justin scattò in piedi, dirigendosi a passo sicuro verso l’entrata. Basta piangersi addosso come una femminuccia…
Avrebbe trovato Michael e si sarebbe scusato dopodiché sarebbe andato dal suo fidanzato a prenderlo a calci in culo e, se fosse stato necessario, a legarlo al letto finché non si fosse completamente rimesso.
Forse hai dimenticato con chi hai a che fare, Brian Kinney…
Con un sorriso deciso, s’infilò nell’ascensore e salì al piano di Brian; stava per svoltare l’ultimo angolo del corridoio quando due voci familiari lo raggiunsero. Immediatamente, si bloccò.
“Davvero mi credi capace di fare una cosa così a te? O a Hunter e Jenny? Voi siete la mia famiglia!”
Ben.
Justin arrischiò a dare un’occhiata oltre l’angolo dove vide il suo amico muscoloso parlare con Michael che lo osservava con espressione torva a braccia incrociate.
“Ben non voglio che rimani con me perché abbiamo dei figli. Voglio che rimani con me perché è quello che vuoi.” Michael scosse il capo chiaramente esausto. Justin immaginò come potesse sentirsi.
Come mi sentirei io nella sua situazione? Come mi comporterei se qualcuno stesse cercando di portarmi via Brian?
“Parleremo coi ragazzi.” Riprese Michael con tono mesto. “Ci sono un sacco di genitori divorziati che continuano a crescere i loro figli insieme.”
Justin sobbalzò. Divorzio? Michael non aveva mai accennato ad un’eventualità del genere.
Ben parve dare voce ai suoi pensieri. “È questo che vuoi, Michael? Il divorzio? Siamo davvero a questo punto?”
“Non lo so cosa voglio, Ben. Quello che so è che vederti baciare un altro uomo mi ha spezzato il cuore.”
Quell’ultima confessione, appena sussurrata, ebbe il potere di porre fine alla discussione; Justin vide l’espressione addolorata di Ben prima che l’uomo annuisse mestamente. “Sappi che per me non è cambiato nulla, Michael. Amo te, la nostra famiglia e la nostra vita insieme esattamente come la amava una settimana, un mese o un anno fa.” Sfiorò con delicatezza la guancia di suo marito. “Per me non è cambiato nulla.
Michael scosse il capo. “Vorrei davvero poter dire lo stesso.”
Ben incassò quell’ultimo colpo in silenzio; aprì la bocca per dire qualcosa, ma parve ripensarci immediatamente. Lanciò un ultimo sguardo verso Michael prima di voltarsi e allontanarsi.
Michael rimase a guardarlo per un lungo istante finché non lo vide scomparire, poi si voltò avviandosi verso Justin che ebbe appena il tempo di nascondersi in uno dei bagni per evitare di essere visto.
 
 
 
 
 
“Ma possibile che nessuno abbia da lavorare?”
Donna ridacchiò, controllando la flebo ancora attaccata al braccio del suo paziente più ribelle.
“Ho preso il giorno libero.” Lo informò Debbie, sistemandogli le coperte. “E smettila di agitarti come un’anguilla! E la decima volta che sistemo il letto!” Sbuffò irritata, tornando ad accomodarsi sulla sedia lì vicino.
“E chi te lo avrebbe chiesto? Nel caso non l’avessi notato, ho trent… ho abbastanza da non aver bisogno della balia!” E per rendere meglio l’idea, Brian si scoprì di nuovo, scalciando via le coperte.
“Beh, a me sembra proprio il contrario, signorino!” Debbie scattò in piedi, assumendo una delle sue pose più minacciose. “Nel caso te lo fossi dimenticato, fino a tre giorni fa eri praticamente morto!”
Brian roteò gli occhi, annoiato da tutto quel melodramma. “E quindi?”
“Quindi, caro il mio Sono troppo importante per fregarmene di quello che voi pensate, noi abbiamo passato giorni di inferno!” La voce s’incrinò appena verso la fine e Brian sospirò piano, sentendosi leggermente in colpa. “Io, Michael, le ragazze, i bambini… Justin.”
Donna colse al volo il cambio di espressione nel volto di Brian quando il nome del suo adorabile fidanzato saltò fuori. Si era sempre stupita, nei giorni della convalescenza di Brian, della devozione totale e assoluta che Justin aveva dimostrato nei confronti del suo fidanzato incosciente e, in più di un’occasione, si era ritrovata a chiedersi se tale devozione fosse ricambiata.
In tanti anni di servizio in ospedale le era capitato innumerevoli volte di vedere improbabili coppie di fidanzati, sposi, conviventi e amanti che al suo occhio esperto si rivelavano poi unioni di pura convenienza, matrimoni già naufragati, coniugi ormai tenuti uniti solo dal rancore o dall’abitudine.
Brian e Justin erano stati un mistero fin dall’inizio, quando quel ragazzino che sembrava appena maggiorenne aveva combattuto con le unghia e con i denti per assistere l’uomo che amava nonostante la legge glielo impedisse. E sì, più volte si era chiesta se l’affascinante uomo che giaceva inerme in quel letto d’ospedale meritasse un amore così totale.
Era bastato che Brian aprisse gli occhi per far svanire tutte le sue incertezze: Brian Kinney viveva per Justin Taylor nello stesso, identico modo in cui Justin viveva per Brian.
In tutta la sua vita le era capitato raramente di incontrare un amore come il loro. Con un mezzo sorriso, scosse il capo. “Sono felice di vedere che almeno qualcuno riesce ad averla vinta con lui.”
Debbie lo coprì di nuovo, voltandosi verso la corpulenta infermiera. “Non è un cattivo ragazzo, ma alle volte bisogna avere la testa più dura della sua e, mi creda, non è facile. Sono anni che ci combatto. Questa è solo l’ultima di una lunga serie.” Osservò lanciando un’occhiata severa a Brian che riuscì a far ridacchiare Donna.
Brian ricambiò lo sguardo. “Di certo non ho pianificato di andare a schiantarmi contro un albero.” Borbottò risentito.
“Beh, in tutta sincerità, lo spero proprio.”
Brian, Donna e Debbie si voltarono verso la porta da cui Justin era appena entrato. “Ehi.” Disse solo l’uomo, notando l’espressione mesta del suo fidanzato.
Justin cercò invano di abbozzare un sorriso e si avvicinò verso di lui: aveva solo bisogno di stare con Brian in quel momento. La stupida discussione che avevano avuto poco prima era già stata dimenticata.
Lui è qui pensò, prendendo posto sul letto, accanto all’uomo. È tornato da me e sta bene.
Justin nascose il viso contro il collo di Brian che gli circondò le spalle con un braccio. “Meglio?” Justin annuì, rimanendo in silenzio. “Sapevo che un po’ d’aria fresca ti avrebbe fatto bene.”
Donna e Debbie si scambiarono un sorriso intenerito prima che capissero di essere di troppo; senza dire nulla, uscirono dalla stanza.
“Mi dispiace per prima.” Ammise Justin sottovoce. “Non volevo aggredirti a quel modo.”
Brian sospirò, stringendolo più a sé e baciandogli i capelli. “Stare rinchiuso qui dentro farebbe diventare matto chiunque.”
“Non fare mai più una cosa del genere.”
“Questa mi sembra di averla già sentita.”
“Brian.” Justin si staccò da lui e gli prese il volto tra le mani, guardandolo negli occhi con espressione disperata. “Ti prego, non provarci mai più. Io…” La voce tremò impercettibilmente. “Non potrei sopportarlo. Perderti.” Spiegò.
Brian gli sfiorò una guancia. “Non vado da nessuna parte, Justin.”
Justin annuì e non poté evitare ai suoi occhi di riempirsi nuovamente di lacrime. “Non voglio finire come i nostri amici. Non… non posso.”
Brian aggrottò la fronte confuso. “Che intendi?”
Justin intrecciò le dita con quelle di Brian e ne baciò le nocche una per una. “Linz e Mel, Emmett e Ted e adesso Michael e Ben.” Riportò lo sguardo su Brian. “Ma noi siamo più forti di tutto, vero?”
Brian abbozzò un sorriso e annuì. “Noi siamo indistruttibili, Sunshine.” Justin cercò di ricambiare. “Anche se forse dovremmo smetterla di partecipare ai balli della St. James. Non ci portano proprio fortuna.”
Quelle battuta ebbe il potere di strappare una mezza risata a Justin. “Per usare un eufemismo.”
Brian gli sfiorò i capelli chiari, attirandolo a sé e baciandolo dolcemente. “Hai l’aria distrutta.” Notò con espressione preoccupata.
Justin si strinse nelle spalle. “Quella vecchia poltrona non è l’ideale per dormire.”
“Saresti dovuto andare a casa.”
“Il loft era troppo silenzioso.”
“Avresti avuto un letto decente.”
Justin scosse il capo. “Troppo grande. E poi potevo stare qui solo di notte.”
Brian irrigidì la mascella, serrando le labbra. Dannata Joan. Che diritto avevi di tenerlo lontano da qui? “Hai dormito su quella cosa pulciosa per dieci notti?”
Justin sorrise, baciandogli teneramente la fronte. “Come hai fatto tu quando ero io in ospedale.” Brian sollevò bruscamente il volto verso di lui con espressione sorpresa. “Mia madre avrebbe tenuto il segreto fino alla tomba, ma fortunatamente mia sorella ha una bocca grande quanto un forno.” Si strinse nelle spalle. “Un giorno le ho sentite parlare del misterioso uomo bruno che passava le notti in ospedale guardandomi dormire, suscitando la curiosità di tutte le infermiere.”
Brian sospirò, distogliendo lo sguardo imbarazzato. “Volevo solo essere sicuro che…” Scosse le spalle “… non lo so, che respirassi ancora e che stessi…”
“… bene?” Finì Justin per lui. “Perché credi sia rimasto qui tutte le notti? Il pensiero di lasciarti solo era…” Scosse il capo. “Io non potevo.”
Brian annuì, riportando lo sguardo su di lui. “Ah, Sunshine, da quanto siamo così patetici?”
“Se per patetici intendi innamorati persi, io lo sono sempre stato.” Lo punzecchiò. “Tu hai impiegato un po’ più tempo, vecchietto.” La sberla sul suo sedere, totalmente prevista, ebbe il potere di farlo scoppiare a ridere per la prima volta da quando si era svegliato. “Ah, Brian Kinney, che farei senza di te?”
Brian gli sorrise, accarezzandogli la mano, prima di attirarlo verso di sé e baciarlo con passione. “Adesso ti va di dirmi cos’era quella storia Noi non siamo come gli altri?” Gli domandò una volta staccatosi da lui. Vide Justin arrossire e distogliere lo sguardo.
“Niente di importante.”
“Forza.” Brian gli strizzò un braccio rivolgendogli un sorriso divertito. “Dimmi che cosa hanno origliato le tue piccole orecchie impiccione.”
Justin gli rivolse un’occhiata indignata, staccandosi da lui. “Le mie orecchie non sono impiccione! È… capitato!”
Brian scoppiò a ridere di gusto. “Sì, questa l’ho già sentita.”
Justin lo spinse per una spalla, prima di alzarsi dal letto e riaccomodarsi sulla poltrona; sospirò, tamburellando le dita sui braccioli. Brian inarcò un sopracciglio spronandolo silenziosamente a sputare il rospo. “C’erano Ben e Michael in corridoio.”
“E…” Justin prese di nuovo un lungo respiro e Brian alzò irritato gli occhi al cielo. “Cristo santo, Justin, sembra che sia morto qualcuno!”
“In un certo senso.”
Brian incrociò le braccia al petto. “Che vuoi dire?” Domandò spazientito.
“Li ho sentiti parlare di divorzio.”
Il suo fidanzato gli rivolse un’occhiata di compatimento. “Tutto qui?”
“Come sarebbe tutto qui?” Justin si raddrizzò all’istante. “La vita del tuo migliore amico sta andando in pezzi e tu te ne freghi?”
“Justin.” Brian si rilassò contro il cuscino. “Anche se fosse vero, cosa che non credo perché tu sai quanto Michael possa essere melodrammatico se ci si mette, cosa vorresti fare tu?” Vide il ragazzo aprire la bocca per ribattere e lo anticipò. “Se il loro matrimonio è finito, a cosa serve rimanere insieme?”
“Ci sono Hunter e Jenny.”
“Quindi per te dovrebbero crescere con due genitori che si odiano, ma che continuano a stare insieme per il loro bene?”
Justin fece una smorfia. Il rancore che Brian aveva usato per sibilare per ultime parole non era passato inosservato. E chi poteva sapere meglio di lui cosa si provasse a crescere in una famiglia, in un matrimonio, senza amore? “Certo che no, ma loro…” Scosse il capo. “È come quando Mel e Linz stavano divorziando. Se non riescono Michael e Ben a stare insieme, non c’è speranza per nessuno.”
Brian lo studiò per un lungo instante prima di piegare le labbra all’interno della bocca. “Non mi pare che noi ce la stiamo cavando male.”
“Non era questo che intendevo e tu lo sai.”
“E allora cos’è che intendevi, Sunshine?”
Justin tirò un lungo sospiro e si sporse verso di lui, posando il mento sul suo petto. “È solo… triste. Noi sappiamo quanto loro si amino e il fatto che uno stupido malinteso possa rovinare un matrimonio felice mi… fa incazzare.”
“Di nuovo, non credo che siano affari nostri.”
Justin sbuffò irritato, gonfiando le guance. “Ciò non vuol dire che non possiamo fare nulla.”
Brian alzò gli occhi al cielo. “Ti prego, Justin, per una volta in vita tua, prova a non impicciarti.”
“Voglio solo aiutare due amici.”
“Che non hanno chiesto il tuo aiuto.”
Justin lo guardò male. “Tu dovresti stare dalla mia parte.”
“E chi lo dice?” Brian cercò di non sorridere di fronte all’espressione indignata del ragazzo. Inutile, era troppo divertente irritare Justin. “Non siamo mica sposati.”
La risposta pronta di Justin fu interrotta dall’arrivo improvviso di Daphne e Nathan.
Continua pure a fare il furbo, Kinney. Prima o poi riuscirò a rimediare anche a quello… promise Justin a se stesso, lanciando un’ultima occhiataccia al suo compagno.
 
 
 
 
 
“Quindi è già tutto chiarito? Avete fatto pace?”
Brian lanciò un’occhiata insofferente al suo migliore amico. “Michael, io e Justin non avevamo litigato.”
“A me sembrava il contrario.”
“Stare qui dentro farebbe diventare matto chiunque. Io devo rimanerci per forza, non capisco perché lui debba fare lo stesso.”
Michael scosse il capo, incredulo. “Se dopo tutti questi anni, non l’hai ancora capito, non c’è speranza.”
Brian lo colpì scherzosamente dietro la nuca, facendolo ridere. “Credo che dormirebbe meglio al loft, in un vero letto, invece che qui, solo che si ostina a fare la crocerossina altruista come sempre.”
Michael si strinse nelle spalle. “Non dorme affatto bene al loft.”
“E tu che ne sai?”
“Posso mostrarti i lividi se vuoi. Il tuo fidanzato scalcia come un mulo.”
Brian si voltò verso di lui, inarcando pericolosamente un  sopracciglio. “E tu che ne sapresti?”
Michael sgranò gli occhi, arrossendo imbarazzato; immediatamente distolse lo sguardo. “Justin non ti ha… non ti ha detto che sto con lui adesso?”
Stai con lui?” Ripeté Brian con tono minaccioso.
“Da lui.” Si affrettò a precisare Michael che aveva già scoperto in passato quanto Brian potesse essere geloso. “Sto da lui. Al loft intendo. Solo temporaneamente.” Si sentì in dovere di aggiungere.
“Ci mancherebbe altro.” Brian lo fissò in attesa. “E cosa c’entra questo con te e Justin che dormite insieme?”
“Beh, il tuo divano è scomodissimo e quindi abbiamo pensato di--”
“Dividere il letto?”
“È un problema? Non sarai mica geloso?”
Brian gli lanciò un’occhiata assassina. “Io non sono geloso.”
Michael alzò gli occhi al cielo. “Sì, come no. Non ti sei ancora stancato di ripeterlo?”
“E per quanto tempo hai intenzione ancora di scroccare il mio cibo, il mio letto e il mio televisore al plasma?” Senza contare il mio fidanzato?
“Non preoccuparti, quando uscirai da qui toglierò le tende.”
“Non mi dire.” Lo prese in giro Brian. “Hai finalmente deciso di smetterla di fare l’idiota e tornare da tuo marito?”
Michael scattò in piedi, improvvisamente furioso. “Neanche morto!” Esclamò con decisione. “Non ho intenzione di perdonare Ben!”
“Bravo, continua a prendere decisioni del cazzo, ma sappi che Ben prima o poi si stancherà di correrti dietro.”
“Vaffanculo, Brian! E’ stato lui a tradire, non il contrario! Questa situazione non è colpa mia!”
Brian scosse il capo, raddrizzandosi e mettendosi a sedere. Justin gli aveva raccontato quello che era successo tra Ben e Michael e Brian lo aveva rassicurato dicendogli che col tempo Michael sarebbe tornato in sé. Erano così schifosamente innamorati da far venire la nausea, era impossibile che non si chiarissero.
Adesso però il suo migliore amico pareva piuttosto deciso.
Che avrebbe dovuto fare? Lasciar perdere e aspettare che i suoi amici risolvessero la faccenda da soli o fare come Justin e impicciarsi nei fatti altrui?
Fallo ragionare, testone che non sei altro! Lo rimproverò la vocina da saputello che tanto lo irritava. È il tuo migliore amico o no?
Con un sospiro sconfitto, prese la sua decisione. “Okay, d’accordo, ha sbagliato, ma chi dice che domani non potrebbe succedere anche a te?”
Michael lo guardò offeso. “Io non farei mai una cosa del genere!”
“Come puoi esserne assolutamente certo?”
“Perché io amo Ben!”
“Ma non capisci? È proprio perché lo ami che devi dimenticare questa storia!” Gli fece notare Brian. “È proprio per questo che devi perdonarlo.”
Michael abbassò gli occhi a terra e si accasciò di nuovo contro la poltrona. “Tu non capisci, Brian. Non puoi sapere quanto sia stato doloroso vederlo baciare un altro.”
La mente di Brian ebbe un flash.
Il Babylon.
Il party per il lancio di Furore.
Justin che bacia Ethan.
Justin che lo guarda da lontano un’ultima volta.
Justin che lo lascia per un altro.
“Vederlo baciare Hank mi ha… mi ha distrutto.” Sussurrò Michael con voce spezzata. “Credevo che saremmo rimasti insieme per il resto della nostra vita, che saremmo invecchiati insieme, avremmo visto Hunter e Jenny sposarsi avere dei figli… Credevo…” Scosse il capo, amareggiato dalle sue stesse parole. “Sono un povero idiota. Un povero, patetico idiota.”
“Invece no.” Brian si sporse verso di lui e gli afferrò il volto tra le mani. “Adesso ascoltami, Michael. Mi stai ascoltando?”
“Sì sì, ti sto ascoltando.” Rispose impaziente il suo amico. Quante volte Brian gli aveva rivolto quella domanda in più di vent’anni di amicizia?
“Tuo marito ha sbagliato baciando un altro, ma tu hai fatto un errore ancora più grosso.”
“Io? E quale sarebbe?”
“Ti sei arreso. E cosa ancora peggiore, ti sei arreso senza combattere.” Lo accusò Brian. “E se Hank venisse a sapere che tu e Ben vi siete lasciati? Credi che ci penserebbe due volte prima di tornare all’attacco?”
Michael serrò la mascella chiaramente disturbato da quell’idea, ma abbastanza testardo da non volerlo dare a vedere. Si districò dalla sua presa. “La cosa non mi riguarda. Non più.”
“Quindi ti andrebbe bene? Saresti felice di trascorrere il Natale da solo a casa di tua madre mentre i ragazzi,  i tuoi figli, passano le vacanze con Ben e il suo nuovo compagno? Pensaci, Michael, sei pronta a far parte di quello che i giornali e i film definiscono allegre famiglie allargate? Perché in tv potranno anche sembrare felici, ma in realtà c’è sempre qualcuno che ne rimane ferito. E in questa realtà, saresti tu, Mikey. Saresti tu a rimanere solo perché Ben avrebbe Hank, e lo avrebbe solo perché la tua testardaggine non ti ha permesso di passare sopra uno stupido, insignificante errore.”
“Non è stato insignificante. Non per me.”
“Quindi preferisci rinunciare alla tua famiglia piuttosto che ingoiare il rospo e mettere da parte l’orgoglio?”
Michael scosse il capo, guardandolo con espressione triste. “Il problema non è il mio orgoglio, Brian. Il vero problema è che non credo di non potermi più fidare di lui.” Brian vide i suoi occhi farsi improvvisamente lucidi. “Come ti sentiresti tu se non potessi più fidarti della persona più importante della tua vita? Se non potessi più fidarti di Justin?”
Perso.
Disperato.
Inutile.
Sconfitto.
“È così che io mi sento adesso. Come se avessi perso l’unica certezza della mia vita, l’unica cosa su cui sapevo che avrei sempre potuto contare.”
Brian osservò con dolore la sofferenza della persona che per anni era stata più importante di qualunque altro essere umano al mondo; lo osservò rimanendo in silenzio perché, in tutta franchezza, cosa avrebbe potuto dire?
Senza una parola, lo abbracciò.
 
 
 
 
 
“Ehi, Ben.”
Già davanti agli ascensori,  Ben si voltò verso lo voce che lo aveva chiamato. Sorrise al ragazzo biondo davanti a lui. “Justin, come stai?” Lo abbracciò con affetto.
“Incredibilmente meglio, ora che Brian è sveglio.” Il più giovane gli rivolse uno dei suoi sorrisi radiosi. “Stamattina è già riuscito a farmi incazzare un paio di volte.”
Ben rise divertito. Di certo la vita di Brian e Justin non sarebbe mai stata noiosa. “Sta tornando quello di un tempo.”
Justin si strinse nelle spalle. “Che vuoi farci? Ormai è troppo vecchio per cambiarlo.” Studiò per un istante il volto di Ben e si morse il labbro, incerto se parlare o no. Brian ha ragione, quando è successo che non mi sia impicciato? Quindi perché questa dovrebbe essere un’eccezione? “Tu piuttosto?” Domandò, gettando alle ortiche ogni precauzione. In fondo, come poteva aiutare i suoi amici se non sapeva davvero come stavano le cose?
Fino a quel momento, aveva sentito solo la versione di Michael – sebbene Mel e Linz l’avessero aggiornato costantemente su quello che era successo dopo che Ben si era confidato con loro – e, per rispetto verso l’amicizia che ormai lo legava al muscoloso professore, era giusto che anche lui raccontasse la sua parte della storia.
Ben si strinse nelle spalle. “Al solito.”
“I ragazzi?” Justin provò ad intavolare una discussione su un argomento neutrale. “Scommetto che Jenny è felicissima di stare con voi.” Con te, almeno.
Nonostante la situazione, Ben non riuscì a non sorridere udendo il nome di quella che ormai considerava sua figlia a tutti gli effetti. “È al settimo cielo. Anche se persino lei ha notato che qualcosa non va.” Justin attese in silenzio che continuasse. “Hunter è abbastanza grande da capire che ci sono problemi tra me e Michael, ma Jenny Rebecca…”
“Si sa che i bambini su queste cose sono incredibilmente perspicaci.”
“Michael cerca di passare con lei più tempo possibile.” Emise un verso sarcastico. “A patto che io non sia nei paraggi.”
Justin annuì appena. “Così male, eh?”
“Si rifiuta di parlarmi e adesso… adesso ha persino menzionato il divorzio.” Justin cercò di fingersi sorpreso: non voleva che Ben scoprisse che – del tutto inavvertitamente, al contrario di quello che pensava quell’idiota di Brian – aveva origliato la conversazione che avevano avuto poco prima. “Sono certo che non andrà fino in fondo.”
“Cosa te lo fa credere?” Domandò Ben con tono esausto. “Ti prego, dimmelo perché ormai non so più cosa pensare. Ero davvero convinto che il nostro fosse un matrimonio solido, un’unione forte, ma a quanto pare mi sbagliavo. È bastato uno stupido…” Scosse il capo con frustrazione. “Al diavolo.”
Justin gli posò una mano sulla spalla, strizzandola con fare rassicurante. “Hai mai pensato che forse potrebbe essere una cosa positiva?”
Ben sollevò il capo, puntando gli occhi su quelli blu di Justin. “Una cosa positiva?”
Justin annuì. “Sì, questa separazione potrebbe farvi bene.”
“In che modo?”
“Quando ho lasciato Brian per Ethan, io… io credevo davvero di aver fatto la cosa giusta.” Justin abbozzò un sorriso, ripensando al periodo in cui pensava finalmente di aver trovato qualcuno che lo meritasse davvero. “Ethan era affettuoso, premuroso, attento laddove Brian era stato scostante, lunatico, distante, a volte scontroso. Era facile stare con Ethan perché lui me lo rendeva facile. Era sempre pronto a riempirmi di complimenti, non faceva che ricordarmi quanto mi amasse, quanto io fossi importante per lui e ogni giorno io non potevo evitare di metterlo a paragone con Brian. Ed ogni volta che lo facevo, Ethan ne usciva vincitore. Ero felice, dico davvero, finché ho capito.” Ben aggrottò la fronte confuso. “Che non avevo dimenticato Brian se ogni volta che Ethan faceva qualcosa, io pensavo a Brian. Ed è stato allora che ho compreso che in realtà stavo mentendo a me stesso e che nessuno avrebbe mai potuto vincere contro Brian Kinney. Non per me almeno.”
Ben sorrise, toccato dal modo in cui Justin parlava del suo fidanzato. Mio caro Brian, il giorno che hai scelto questo ragazzino testardo hai vinto alla lotteria. “Ma questo cosa c’entra con me?”
“Quello che voglio dire è che, nonostante Ethan non sia stato importante come Brian per me, non rimpiango di aver – seppure brevemente – scelto lui perché stare con lui mi ha aiutato a capire quello che volevo davvero. Ciò di cui avevo realmente bisogno. Brian. È sempre stato lui.” Fece una pausa per trovare le giuste parole per rassicurare il suo amico. “Mi pento di aver fatto soffrire Brian? Certo, ogni giorno.”
“Avresti dovuto vederlo. Ero ridotto uno schifo.”
Justin sbuffò dal naso con fare irritato. “Lo stronzo. E ogni volta che lo io lo vedevo, lui era tutto Sto una favola, Sunshine, perché non dovrei?” Scosse il capo, alzando gli occhi al cielo. “Ma in conclusione, la sofferenza di Brian è l’unica cosa di cui mi pento. Rimpiango la mia storia con Ethan. No. Perché probabilmente adesso io e Brian non saremmo qui, insieme.”
Ben assorbì quelle parole, riflettendo per un lungo istante. “Quindi secondo te, questa separazione potrebbe aiutare Michael  a rivalutare il nostro matrimonio.”
Justin annuì. “Michael ti ama, Ben. Ti ama più di ogni altra cosa al mondo e sono certo che non ti lascerebbe mai.”
“Al momento sembra piuttosto convinto.”
“Dagli tempo. Io cercherò di farlo ragionare e obbligherò Brian a fare lo stesso.” Ben sorrise divertito all’idea del possente Brian Kinney comandato a bacchetta da Justin. “E nel caso anche noi dovessimo fallire, ricorreremo all’artiglieria pesante.”
“E sarebbe?”
Justin scosse le spalle, sorridendo crudele. “Debbie Novotny in persona.”
Ben scoppiò a ridere, dandogli una leggera pacca sulla spalla. Davvero non invidiava Brian: avere a che fare con Justin non doveva essere semplice. “Sei pieno di risorse a quanto pare.”
“Mai farsi trovare impreparati.”
Ben annuì, rivolgendogli un sorriso. “Posso farti una domanda?”
“Spara.”
“Non dovresti stare dalla parte di Michael? Siete amici da più tempo.”
Ci conosciamo da più tempo.” Rettificò Justin. “La nostra amicizia è sempre stata piuttosto traballante, soprattutto visti gli alti e bassi tra me e Brian. Ma dopotutto, non posso biasimarlo, anzi sono felice che Brian abbia Michael nella sua vita. Loro condividono un passato importante, un passato che né io, né te possiamo cancellare.”
“Comunque dovresti stare dalla sua parte. Sono stupito dalla comprensione che tu, le ragazze, Ted ed Emmett sembrate dimostrarmi. Sono io quello che ha sbagliato.”
“Siamo esseri umani, Ben, a tutti capita di sbagliare. Bisogna solo essere in grado di porvi rimedio.” Justin gli sorrise di nuovo. “E ad ogni modo, tu e Michael conoscevate Brian da più tempo di me, però mi avete ospitato lo stesso quando io l’ho lasciato.”
“Avevi bisogno di un amico. O di due.”
“E sono felice di averli trovati in voi. È anche per questo che voglio aiutarvi, ve lo devo.”
“Sciocchezze, non ci devi nulla, Justin. È questo che si fa per gli amici, no?”
Justin assentì col capo e ridacchiò. “E poi non posso lasciarti andare, tu sei l’unico che può davvero capire cosa voglia dire convivere col Brian e Mikey Show.”
Ben scoppiò a ridere, trovandosi mentalmente d’accordo. “Dobbiamo guardarci le spalle a vicenda, no?”
“Altrimenti finiremo per diventare pazzi con i partner che ci ritroviamo.”
Ben assentì concorde. “Hai proprio ragione.”
Justin affondò le mani nelle tasche dei jeans. “E per tutto il resto, stai tranquillo. Sono certo che si sistemerà tutto.”
Ben sperò ardentemente che avesse ragione. “Grazie.” Gli diede un’ultima pacca sulla spalla. “Ora vai però. Altrimenti Brian verrà fuori a cercarti e se la prenderà con me.”
Justin si voltò, lanciando uno sguardo fugace verso la stanza del suo compagno. “Gli chiederò di parlare con Michael. Promesso.”
“Te ne sono grato.”
“Nessun problema.” Justin gli sorrise rassicurante, prima di abbracciarlo di nuovo. “Ci sentiamo presto.”
“Ciao, Justin.” Lo salutò Ben, voltandosi e avviandosi verso gli ascensori.
Justin lo seguì finché non fu scomparso, poi si diresse verso la parte opposta del corridoio in direzione della stanza di Brian.
“Te lo scordi.” Affermò perentoria la voce di Brian quando aprì la porta per entrare.
“Dai, ti prego!” Molly, seduta accanto al letto con Gus in braccio, gli sorrise raggiante. “Vediamo che succede!”
“Tu dovresti andare da uno strizzacervelli. Chiedi a tua madre il numero di quello che ha usato per tuo fratello. Magari vi fanno lo sconto famiglia.”
“Cretino.”
Justin alzò gli occhi al cielo. “Posso sapere che state complottando voi due?”
“Ehi JusJus, vieni. Voglio provare un esperimento.”
Brian inarcò un sopracciglio con fare minaccioso. “Io non collaboro con nessun esperimento del caz--” Justin, che nel frattempo aveva preso posto alla sua sinistra sedendosi sul materasso con lui, gli affondò le unghia nella coscia. “Nessuno stupido esperimento.” Si corresse, massaggiandosi poi l’arto offeso.
Molly sbuffò, mettendo il broncio. “Perché no? È giusto per passare il tempo.”
Brian si limitò a lanciarle un’occhiata di disapprovazione senza replicare.
“Che tipo di esperimento?” Domandò Justin curioso.
Molly scosse il capo. “Bacia Brian e poi te lo spiego.”
Suo fratello aggrottò la fronte, confuso. “Cosa?”
“Brian.” Molly indicò l’uomo disteso a letto. “Bacialo. Mi sembra che sia una cosa che fate regolarmente, no?”
Brian sospirò afflitto. “Soprattutto perché ultimamente non c’è molto altro che possiamo fare.” Borbottò tra sé, facendo ridacchiare Justin.
“E dopo il bacio?”
Molly sbuffò dal naso. “Insomma, bacialo e basta! Quante storie!”
Brian alzò gli occhi al cielo. “Ecco un’altra regina del melodramma. Come se tu, Emmett e Michael non foste stati sufficienti.”
Justin gli pizzicò scherzosamente un fianco, voltandosi verso di lui con un sorriso. “Dai, facciamola contenta, così poi forse se ne andrà.”
“Ehi!” Esclamò offesa la ragazza.
Brian scosse il capo rassegnato. “Non posso crederci che sto per farlo davvero.”
Justin ridacchiò, sporgendosi verso di lui e sfiorandogli delicatamente le labbra: non avrebbe osato nulla di più, non con Molly – e soprattutto Gus – presenti. Quando si separarono, i due uomini si voltarono entrambi verso Molly. “Soddisfatta?”
Molly assunse un’espressione pensierosa, picchiettandosi il mento con l’indice. “Perché non gli fai accelerare il battito?” Domandò, guardandoli male.
Justin le rivolse uno sguardo confuso. “Che vuoi dire?”
“Beh, non dovresti essere il suo grande amore o cose del genere? E allora perché quando ti avvicini a lui, il suo battito non accelera? Perché quel coso lì…” Indicò lo strumento che registrava le pulsazioni di Brian “… non impazzisce?”
Brian lo fissò con espressione confusa prima di voltarsi verso Justin. “Che diavolo sta blaterando?”
“Papà!” Lo rimproverò suo figlio, gettandosi su di lui e coprendogli la bocca con le manine. “Sei proprio un monello!”
Justin scosse il capo. “Molly, quello succede solo in Twilight. Questa è la vita vera.” Si alzò dal letto e indicò la porta con un cenno. “Ora sparisci, mamma ti sta aspettando.”
“Cosa? Non se ne parla.” La ragazza lo guardò male. “Io voglio rimanere qui con voi.”
“Non credo proprio.”
“Perché no?”
“L’orario delle visite è quasi finito.”
“Ma tu sei qui.”
“Io ho il permesso.”
“Solo perché ti sei arruffianato metà delle infermiere.”
“Non posso farci se sono adorabile.”
“Papà?” Gus si sporse verso l’orecchio di Brian mentre i due fratelli continuava a battibeccare. “Mi piace Molly. È sempre gentile con me e ha anche un buon profumo.”
Brian gli sorrise con affetto, accarezzandogli i capelli della stessa tonalità dei suoi. “Sì, ma tu non dirglielo. Non sai quanto sono appiccicosi questi Taylor.”
Gus aggrottò la fronte confuso. “Ma a me mi piacciono i Taylor. Justin, Molly e anche nonna Jen. Anche Tuck si chiama Taylor?”
Brian ridacchiò, evitando perfino di correggerlo. “Più o meno.”
“Perché anche lui è simpatico.”
“Quindi ciao e buonanotte.” Justin spalancò la porta, invitando sua sorella a levare le tende. La ragazza sbuffò, alzandosi in piedi. Porse una mano a Gus che l’afferrò prontamente. “Andiamo, le mamme ti staranno cercando.”
Il bambino le sorrise con calore. “Ci vediamo domani, papà.” Lo salutò senza neppure guardarlo.
Molly ridacchiò divertita dall’espressione offesa dell’uomo prima di baciare una guancia di suo fratello e lasciare la stanza.
“Non ci sono davvero speranze, temo.” Osservò mestamente Brian. “Mio figlio è sicuramente etero.”
Justin scoppiò a ridere, spegnendo la luce e lasciando la stanza in penombra, illuminata solo dal neon sopra il letto. “Poteva andarti peggio.”
“Peggio di mio figlio che ha una cotta per tua sorella?”
Il ragazzo rise di nuovo, prendendo posto accanto a lui; premette il viso contro il collo di Brian e sospirò beatamente quando avvertì l’uomo cingergli le spalle col braccio destro e attirarlo di più a sé. “Posso restare a dormire qui?”
Brian sfregò il mento ruvido contro i suoi capelli. “Preferirei saperti a casa in un comodo letto.”
“Non è casa se non ci sei tu.” Mormorò, cercando di non sorridere a quella frase fatta.
“Questa l’hai letta nei cioccolatini?” Gli fece prontamente notare Brian.
Justin gli posò una mano sul petto, accarezzandolo dolcemente e facendola poi scivolare con lentezza verso il basso. “Ti prego.” Sussurrò pianissimo contro la sua mascella.
Brian si rilassò contro i cuscini quando avvertì le dita di Justin, già al di sotto della coperta, prima sulla sua gamba e un istante dopo sull’interno coscia. La situazione si sta improvvisamente facendo interessante. “Continua a provare, Sunshine. Qualcosa mi dice che finirai per convincermi.”
Justin si girò verso di lui e gli baciò delicatamente la mandibola, il collo, il lobo dell’orecchio mentre la sua mano si dirigeva su, su, sempre più su finché…
“Ah!” Brian gemette di eccitazione e sorpresa quando le dita fredde e agili di Justin si strinsero attorno alla sua erezione: aveva notato con piacere che, al contrario dell’ultima volta per colpa del cancro, questa volta il soggiorno in ospedale non aveva affatto avuto ripercussioni sulla sua vita sessuale.
E dopo un mese, la sola vicinanza di Justin era più che sufficiente a farlo andare fuori di testa.
“Qualcuno sente la mia mancanza.” Lo prese in giro il suo fidanzato, strizzandolo con vigore.
“Qualcuno sente la mancanza di un orgasmo.” Lo corresse Brian, reclinando la testa all’indietro mentre Justin iniziava ad accarezzarlo con decisione. Piegò le labbra all’interno della bocca, ma un gemito strozzato sfuggì comunque al suo controllo.
“Smettila o mi farai venire nei pantaloni.” Lo ammonì Justin, ansimando contro il suo collo. Brian poté avvertire l’erezione del ragazzo premere contro il suo fianco. “Dio, mi manca tutto questo.”
Brian voltò il capo verso di lui. “Domani firmo quelle dannate carte ed esco di qui.” Gemette di nuovo, stavolta senza trattenersi – che senso avrebbe avuto? Era di Justin che si parlava –, e sfiorò con la lingua il lobo dell’orecchio del suo fidanzato, succhiandolo con impazienza. “Domani sera a quest’ora ti avrò già scopato per bene almeno un paio di volte.”
La presa di Justin si serrò di colpo facendolo sobbalzare appena. “Non puoi lasciare ancora l’ospedale.” Gli ricordò Justin, combattuto tra la preoccupazione per la sua salute e la voglia di fare sesso con l’uomo che amava ancora, ancora, ancora. “E di sicuro puoi scordarti di fare--”
Brian lo interruppe con un bacio appassionato, tutto lingua, denti e gemiti. Gli circondò prepotentemente la vita col braccio libero e gli afferrò il viso con la mano che ancora stringeva le sue spalle, inclinando il volto e approfondendo il bacio. Voleva divorarlo.
Aveva bisogno di divorarlo, di sentirlo gemere, eccitarsi, tremare sotto il suo tocco. Voleva assaporarlo e gustare di nuovo il sapore, la dolcezza, la decisione che era Justin, solo Justin, lui e nessun altro al mondo.
Ansimò contro le sue labbra quando le dita del ragazzo iniziarono a muoversi più velocemente sulla sua erezione, dalla base alla punta, su e giù, su e giù, in una danza ormai così conosciuta e familiare che Brian avvertì il cuore ruggire di soddisfazione e orgoglio nel sapere che quel ragazzo, quell’uomo, che aveva la fortuna di stringere tra le braccia era suo.
Suo e suo soltanto.
“Justin…” Sussurrò, ormai al limite.
Justin tornò ad avventarsi sulle sue labbra, spalancandole prepotentemente con la lingua e serrando le dita attorno a Brian. Sfregò il bacino contro quello dell’uomo e, con un ultimo gemito roco, venne nei pantaloni così come aveva predetto. Brian, già al limite, eccitato dai versi di piacere del compagno, lo seguì un istante dopo. Sentì Justin sospirare e accasciarsi completamente contro di lui e, solo quando il rumore del sangue che pompava rumorosamente nelle sue orecchie si attenuò, si accorse dell’insistente bip bip che proveniva dal suo comodino.
Justin, ancora col fiatone – e un’imbarazzante macchia sui jeans – non si sforzò neppure di sollevare la testa. “L’esperimento di Molly è riuscito alla fine.”
Brian sorrise, baciandogli la tempia. “Sembra che il problema non fosse il bacio, dopotutto.” Osservò, attirandolo di più a sé e sentendolo scoppiare a ridere.
Di certo quel tipo di esperimento non l’avrebbero mai trovato in Twilight.








Okay, eviterò di accampare scuse inutili e dirò semplicemente che non sapevo più come scrivere. Dico davvero questo capitolo è stato un vero trauma, ho impiegato letteralmente settimane a scriverlo, perché non facevo che scrivere e cancellare di continuo, mai soddisfatta da quello che ne veniva fuori.
Ora pare che io ci sia riuscita (e il prossimo è già in fase di produzione), anche se ammetto non sono convinta neppure di questo. Se fa schifo fatemelo sapere, cercherò di migliorarlo come posso! :)
Cosa posso dire del capitolo? Come previsto, il risveglio di Brian ha fatto sì che lui e Justin tornassero ad essere il centro della storia, so che non ci sono solo loro come protagonisti, ma che posso dire? Amo questi due. Dannati Gale e Randy!
Gli incubi di Justin saranno presenti ancora un po', ma non temete, presto spiegherò tutto. O meglio ancora, qualcuno lo farà per me. 
Ben continua a non arrendersi con Michael che a sua volta continua a fare il testone. Ora però ci sono i Britin dalla loro. Potranno mai fallire? Pfui, diciamoci la verità, hanno mai fallito questi due quando si coalizzano?
E infine la scena sull'esperimento e i riferimenti a Twilight: prendetevela con la mia coinquilina che mi ha costretto a rivedere il film per la milionesima volta e chiedo ai fan della saga di non arrabbiarsi. Anche io, in tempi non sospetti, ho letto tutti i libri quindi non voglio assolutamente che vi sentiate presi in giro. Volevo solo mettere a confronto la coppia Edward/Bella, così pura e innocente, con la Brian/Justin che di innocente non hanno poi molto. 
Fatemi sapere che ne pensate e, nel frattempo, mando un bacione grandissimo a tutti quelli che continuano a leggere e a seguire ed in particolare a
lia64, elysenda, Saxa0307, Giulia_TH, simosayian, MaryCullen (ops, non mi uccidere, ti prego!) e a Vale Z QB (che ha letto tutta la storia e recensito OGNI capitolo! Grazie mille! :*).

Ale

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Capitolo 32
*** Welcome Back, Goodbye ***


32. Welcome Back, Goodbye
 

 
 
 
 
 
Con le mani sui fianchi e un cipiglio determinato, Emmett osservò meticolosamente il suo ufficio, ora perfettamente in ordine.
“È proprio vero, se ti metti in testa qualcosa è impossibile farti desistere.”
Emmett si voltò verso la porta e sorrise al suo migliore amico. “Te l’ho detto che avrei riordinato questo posto un giorno, Teddy.”
“E infatti era quel un giorno che mi preoccupava. Immaginavo già di entrare qui e trovarti sommerso dalle scartoffie.” Ted ridacchiò di fronte all’espressione offesa di Emmett. “Ma devo proprio dartene atto, hai fatto un ottimo lavoro ed io sono molto fiero di te, Emmett Honeycutt.”
Emmett gli sorrise, accarezzando con lo sguardo ancora una volta il suo ufficio immacolato. Probabilmente non era mai stato così pulito. “Ora però ho bisogno di nutrirmi, credo di avere un calo di zuccheri.” Si coprì la fronte con fare drammatico.
Ted cercò di trattenere un sorriso. “Si va al Babylon?” Lo prese in giro.
“No.” Emmett afferrò il suo giubbino leggero – rigorosamente color verde menta, nuovo must dell’estate – indossandolo con una mezza giravolta. “Ho bisogno di cibo vero.” Ci pensò su un istante, chiaramente combattuto. “Almeno per adesso.” Ammise poi. “Per il Babylon c’è sempre tempo stasera.”
Ted rise, scuotendo il capo. “Per un attimo ho avuto paura.”
“Di cosa?”
“Che fossi maturato tutto d’un colpo.”
“Perché ho riordinato l’ufficio?”
“Perché hai fatto ciò che rimandavi da mesi e mesi.”
Emmett si strinse nelle spalle, precedendo Ted lungo il corridoio. “Dolcezza, io e Teddy andiamo a pranzo.” Nadine, la cornetta incollata all’orecchio, sventolò la mano nella sua direzione continuando a prendere appunti. “Ed è una brutta cosa?” Domandò l’uomo con la fronte aggrottata. “Dici sempre che ho la pessima abitudine di rimandare le cose all’infinito.”
“Infatti.” Ted gli si affiancò mentre uscivano dall’agenzia e si avviavano verso l’affollata Liberty Avenue. Era un bel sabato d’estate, caldo e soleggiato e sembrava quasi che tutto il quartiere si fosse improvvisamente accorto dell’arrivo della bella stagione.
Anche Emmett si sentiva così: ultimamente le cose andavano bene, l’agenzia era più florida che mai, i suoi amici era di nuovo tutti a Pittsburgh, Brian migliorava di giorno di giorno – diventando ovviamente ogni giorno più impaziente di uscire dall’ospedale – e infine, ma non meno importante, l’estate gli stava permettendo di mettere in mostra il suo favoloso nuovo guardaroba.
Perché non avrebbe dovuto essere felice?
“Sembra quasi che tu sia di colpo diventando responsabile.”
“Come sarebbe di colpo? Per tua informazione, io sono responsabile.” Ted inarcò un sopracciglio. “Il più delle volte lo sono!”
Il suo amico scosse il capo con un mezzo sorriso. “Quello che voglio dire è che stai cambiando, Em. Lentamente ed in meglio, ma lo stai facendo. Ed io sono molto fiero. Stai diventando un responsabile membro produttivo della società. Congratulazioni!”
Emmett lo colpì ad un braccio. “Mi fai sembrare vecchio.”
“Ehi, guarda che era un complimento.”
“Che mi fa sembrare vecchio. E noioso. Ripensandoci credo che andrò al Babylon.”
Ted lo prese sottobraccio prima che avesse il tempo di farlo davvero. “Okay, ritiro tutto, va bene?”
Emmett si limitò a grugnire, facendolo ridere di nuovo.
Svoltarono l’angolo e, prima che potesse reagire adeguatamente, John Mason gli comparve davanti. Si bloccò all’istante.
“Ciao, Emmett.”
Ted avvertì il suo amico irrigidirsi. “Ciao, John.” Lo salutò cordiale.
L’uomo distolse a fatica lo sguardo da Emmett, che ancora lo fissava in silenzio, e rivolse a Ted un sorriso di circostanza. “Ciao, Ted.”
Emmett rimase in silenzio, serrando la presa sul braccio di Ted. Sapeva che prima o poi sarebbe successo: il piccolo laboratorio che John aveva affittato stava solo a un isolato di distanza dalla sua agenzia e Liberty Avenue non era certo la via più grande del mondo, sapeva che un giorno sarebbe stato distratto da qualcosa e non avrebbe fatto in tempo a nascondersi scorgendo la testa scura di John tra gli sconosciuti che passeggiavano. Lo aveva fatto per giorni, ma oggi rassicurato dalla compagnia del suo migliore amico non aveva prestato attenzione.
Quello fu il suo primo errore della giornata.
Il secondo fu quello di alzare lo sguardo e incontrare gli occhi infinitamente tristi del suo ex amico e collega. “Come stai, Emmett?” Domandò quello con tono incerto. “È un po’ che non ci vediamo.”
Emmett sospirò, sentendosi immediatamente in colpa per come aveva evitato John negli ultimi tempi; dopotutto non era colpa sua se non ricambiava i suoi sentimenti. Cosa avrebbe preferito? Che fingesse di amarlo solo per farlo contento? “Sì, sono stato molto impegnato col lavoro.” Cercò di abbozzare un sorriso che John ricambiò timidamente. “A te come vanno le cose?”
A te come vanno le cose? Emmett si maledisse mentalmente per quell’abusata frase di circostanza. Ebbe quasi l’impressione di parlare con un estraneo piuttosto che con una persona cui, nonostante tutto, si sentiva legato.
“Non mi lamento. Il lavoro va bene e anche con Richard--”
“Richard?” Ted sgranò gli occhi sorpreso. “Tuo fratello?”
John spostò lo sguardo su di lui e sorrise sinceramente per la prima volta. Annuì. “Stiamo riallacciando i rapporti. O almeno ci stiamo provando. Non è facile dopo anni di lontananza.”
Emmett strinse di nuovo il braccio di Ted. “Mi fa molto piacere.” Affermò il contabile con un sorriso, prima di lanciare un’occhiata sbieca ad Emmett. “Vorremmo poter restare, ma purtroppo abbiamo un appuntamento. Fatti vedere ogni tanto, è parecchio che non ti si vede in giro.”
John esitò per un istante su Emmett e annuì, affondando le mano nelle tasche dei jeans. “Certamente.” Mentì, sapendo che non avrebbe mai avuto il coraggio di tornare al Babylon o al Diner, non finché i rapporti con Emmett rimanevano così tesi. “Sarà meglio che vada.”
Emmett e Ted annuirono. “A presto allora.”
John abbozzò un ultimo sorriso impacciato e si allontanò in direzione del suo laboratorio.
Una volta soli, Emmett emise un lungo sospiro, abbandonando la testa contro la spalla di Ted. “È stato molto imbarazzante.” Gli fece notare il suo amico.
“E credi non me ne sia accorto, Teddy?” Sollevò di nuovo il capo e riprese a camminare, trascinando Ted verso il Diner.
“Mi spieghi che è successo? Credevo che dopo il ballo aveste chiarito.” Indagò Ted confuso, entrando nel locale e prendendo posto al loro solto tavolo; fortunatamente Debbie non era al lavoro quel giorno.
“Abbiamo chiarito.” Confermò Emmett mentre Kiki si avvicinava a prendere le ordinazioni.
“E quindi?” Ted riprese quando furono di nuovo soli.
Emmett incrociò le braccia sul tavolo posandoci sopra il mento. “Abbiamo chiarito che io sono un povero idiota che si è preso una cotta per un uomo sexy, ma irrimediabilmente etero.”
Teddy rivolse al suo amico un’occhiata comprensiva posando la mano sul suo avambraccio. “Mi dispiace così tanto, Em.”
L’uomo si strinse nelle spalle. “È colpa mia. Dopotutto sapevo a cosa andavo incontro.”
“E quindi adesso?”
“E quindi adesso, niente. Siamo semplici colleghi.”
“Em.” Ted lo guardò con espressione incerta. “Non credo che la cosa possa funzionare se ogni volta che vi vedete vi comportate come è successo poco fa.”
“Non so come altro comportarmi.”
Ted sospirò, sinceramente dispiaciuto per lui. “Lo so, Em, lo so. Ma a questo punto credo sia meglio tagliare definitamente i ponti.”
“Dobbiamo ancora lavorare insieme, abbiamo dei matrimoni in comune. Che dovrei fare? Tirarmi indietro?” Ted gli lanciò un’occhiata penetrante. “Dovrei?”
“Solo se lo ritieni necessario.”
“Non pensavo lo fosse fino ad un minuto fa.”
“Quindi credi che riusciresti a lavorare con lui come se nulla fosse?”
Emmett si raddrizzò. “Forse.”
“Ne sei certo?”
“Solo la morte è certa, Teddy.”
Ted alzò gli occhi al cielo. “Quello che voglio dire è: sei sicuro di esserti rassegnato? O stai cercando di rimanere nei paraggi nel caso John cambiasse idea?”
“Certo che no!” Scattò Emmett un po’ troppo in fretta. “Come ti viene in mente? Ormai mi sono messo l’anima in pace!”
Ted inarcò un sopracciglio. “Davvero?”
“Assolutamente.”
“E non hai più alcun desiderio verso John?”
“Neanche uno.”
“Da quanto ci conosciamo?”
Emmett rimase sorpreso dal repentino cambio di argomento. “E questo che c’entra?”
“C’entra perché dopo tanti anni capisco al volo quando mi menti.”
Emmett sbuffò, accasciandosi di nuovo sul tavolo. “Sei incredibilmente irritante quando inizi ad essere così razionale.”
“Quindi ho ragione?”
Emmett rimane in silenzio per un istante e rifletté sulle parole del suo amico. “Forse, e ribadisco forse, una piccola, minuscola parte di me spera ancora che John…”
Ted annuì, coprendo la sua mano con la propria. “Odio essere il cinico della situazione, ma credo che illudersi così ti farà solo soffrire ed io non voglio, Em. Da amico, voglio solo il meglio per te. Te lo meriti.”
Emmett tirò un lungo sospirò. “Non so davvero che fare, Teddy. Vorrei tagliarlo fuori dalla mia vita, ma…”
“Lo capisco e di certo non è una decisione che devi prendere dall’oggi al domani, quello che ti sto dicendo è… riflettici su.” Ted gli rivolse un sorriso. “Fallo per te stesso.”
Emmett annuì, scostandosi dal tavolo quando Kiki portò loro il pranzo. “Con Blake le cose come vanno?” Domandò infilzando una delle sue patatine.
Ted emise un verso infastidito, la bocca piena di insalata di tonno. “Il trattamento del silenzio continua.”
“Ancora arrabbiato, eh?”
“Nero.”
Emmett inarcò un sopracciglio. “Beh, Teddy, puoi biasimarlo?”
“Ti ci metti anche tu adesso?” Si lamentò Ted roteando gli occhi.
“Si è sentito tradito. Tradito e attaccato per una cosa che, in tutta sincerità, non ti riguardava poi molto.”
Non mi riguardava? Certo che mi riguardava! È del suo futuro che stiamo parlando!”
“Appunto, del suo. E l’ultima volta che ho controllato, Blake mi sembrava maggiorenne.”
Ted scosse il capo, incredulo. “Non posso credere che anche tu pensi che io abbia sbagliato. Sembra quasi che sia io il cattivo!”
“Hai provato almeno a sentire le sue ragioni?”
“Le sue ragioni erano sciocche!”
“E chi lo dice?”
“Em.” Ted prese un bel respiro e guardò il suo migliore amico dritto negli occhi. “Ha rifiutato quel lavoro per colpa mia.”
“Questo non puoi saperlo.”
“E invece sì, perché io avrei fatto lo stesso.”
Emmett scosse il capo. “Allora sei ipocrita perché a lui non l’hai permesso.”
“Ma lui avrebbe combattuto con me fino alla sfinimento per farmi accettare ed è proprio quello che sto facendo io adesso.” Fece una pausa. “Em, Blake ha lavorato troppo duramente per rinunciare ad un’occasione del genere. Non gli permetterò di mandarla a monte solo perché ha paura che la nostra storia non possa sopravvivere.”
“Ma non ha tutti i torti. San Francisco non è precisamente dietro l’angolo e le relazioni a distanza non sono mai facili.”
“Non importa. Ne discuteremo se e quando ce ne sarà bisogno. In questo momento la sua carriera è quello che conta.”
Emmett si sporse sul tavolo e gli posò una mano sul braccio. “Blake è fortunato ad avere un fidanzato come te, Teddy.”
Ted sbuffò. “Lui non sembra essere d’accordo.”
“Parla con lui.”
“Non vuole parlarmi.”
“Fai in modo che ti ascolti allora.” Ribatté deciso Emmett. “E stavolta cerca di fargli capire le tue ragioni invece di gridargli contro.”
“Non gli ho--” Emmett inarcò un sopracciglio, zittendolo. “Okay.”
“Promesso?”
“Sì sì, promesso.”
“Bene e ora concentriamoci sul pranzo. Più tardi devo andare al Babylon per la restante dose giornaliera di proteine.”
Ted si limitò ad alzare gli occhi al cielo.
 
 
 
 
 
“Col cazzo! Io lì non mi ci metto!”
Justin si massaggiò con vigore una tempia e lanciò un’occhiata rassegnata al vecchio dottor George. “Brian, ragazzo mio…” Tentò l’uomo. “La politica dell’ospedale prevede che--”
“Non me ne frega un cazzo di quello che prevede o no questo ospedale!”
“Brian, smettila di fare il bambino.” Lo rimproverò Debbie con le mani sui fianchi.
Lindsay annuì concorde. “Sì, Brian, che vuoi che sia?”
“So camminare da solo.” Si difese ancora l’uomo.
“Brian, è solo fino all’entrata.” Cercò di calmarlo Nathan, accorso con Daphne per salutare finalmente il suo paziente preferito che veniva dimesso dall’ospedale. Vide la sua collega scuotere il capo con disapprovazione.
Brian lo zittì con un’occhiata. “Io.Non.Ho.Bisogno.Della.Sedia.A.Rotelle.” Sibilò velenoso. “Non sono ancora un vecchio impotente che non riesce neppure a camminare da solo.”
“Brian, tesoro.” Jennifer si avvicinò a lui con fare premuroso, ma l’uomo la bloccò immediatamente. “Non ci provare, Jen. Ho detto di no.”
“Ma--”
“Brian, cerca di ragionare--”
“Perché non provi per una volta a non essere così testardo e--”
“Cosa ti costa--”
Justin alzò una mano, interrompendo ogni lamentela. Sarebbe stato inutile con Brian. “Ci date un minuto?”
Brian alzò gli occhi al cielo. “Non ci serve un minuto.”
Daphne sorrise di fronte all’espressione risoluta del suo migliore amico. Si prevedevano guai per il povero Brian. “Siamo qui fuori.” E lasciò la stanza con tutti i presenti.
Brian incrociò le braccia al petto con fare battagliero. “Justin, non iniziare nem--”
Justin lo zittì, avventandosi selvaggiamente sulle sue labbra; gli afferrò il viso tra le mani e si fece spazio tra le gambe di Brian, ancora seduto sul letto.
Brian reagì all’istante: arpionò una mano ai fianchi di Justin mentre l’altra affondava nei suoi capelli biondi, e rispose al bacio con altrettanta passione. Inseguì la lingua di Justin con la sua, premendo i nasi uno contro l’altro, e impedendogli di allontanarsi anche solo di un millimetro. Non che Justin sembrasse averne l’intenzione.
Sentì il suo fidanzato gemere quando avvertì la prominente erezione che premeva contro i jeans e, eccitato, si spinse di più contro di lui. Brian rispose mordicchiandogli un labbro prima di riprendere a baciarlo.
“Voglio che mi scopi.”
Brian sorrise contro la bocca di Justin. “Quello mi sembrava evidente.”
Con espressione seria, Justin si staccò da lui e scosse il capo. “Voglio che mi scopi.” Ripeté con decisione. Brian aggrottò la fronte, confuso. “Voglio davvero davvero fare sesso con te.”
“Justin, sei impazzito?”
“Sei tu quello che è impazzito, invece.” Ribatté seccato il ragazzo. “Perché se fossi in possesso delle tue facoltà mentali, adesso non staremo qui a discutere di una fottuta sedia a rotelle. Il Brian che conosco io sarebbe già a metà strada verso il loft, una mano sul volante, l’altra nei miei pantaloni.”
A Brian sfuggì un sorrisetto quando fu costretto a dargli mentalmente ragione. Ma odiava che gli altri lo vedessero debole e fragile, l’aveva sempre odiato in realtà. Era stato proprio per lo stesso motivo che non aveva mai detto a nessuno del cancro, o dei cicli di chemio, o perché aveva combattuto fino allo stremo per evitare che Justin lo accompagnasse ai suoi controlli di routine.
Perché lui era Brian Kinney. Perché lui era un egoista, narcisista e insensibile stronzo che avrebbe potuto affrontare qualunque cosa da solo e che non aveva bisogno della pietà e della compassione di nessuno.
Ma lui non ti offre compassione, idiota. Lui ti sta offrendo il suo appoggio, il suo sostegno e il suo amore. Come fa da anni, per qualche strana ed inspiegabile ragione.
Brian annuì. “Okay, ma sulla sedia a rotelle--”
“Sali su quella dannata sedia o giuro che la prossima volta che vedrai il mio culo sarai già calvo e con la dentiera.”
Nessuno si stupì quando, una volta lasciata la stanza, Brian si accasciò brontolando sulla sedia a rotelle; lanciò tuttavia un’occhiata assassina a Justin quando questo provò spingerlo verso l’uscita. Con un grugnito, Brian si mosse da solo, lasciandosi alle spalle sorrisini malcelati e occhiate divertite.
“Quindi…” Il dottor George prese la parola una volta arrivati davanti alla Jeep che Michael aveva parcheggiato di fronte all’entrata “… l’accordo è questo: ti permettiamo di andare a casa a patto che tu prometta di non strafare. Niente lavoro, niente stress, niente preoccupazioni almeno per la prima settimana.”
Brian alzò gli occhi al cielo sbuffando. “Tranquilli, di questo passo morirò di noia entro domani.”
“Le medicine sono nel borsone.” Continuò Daphne ignorando il suo sarcasmo. “Prendile solo se necessario e, ti prego, ti scongiuro, non mischiarle con alcool o con la robaccia che ti procura Anita.” Brian vide George e Nathan scambiarsi uno sguardo confuso. “La spalla sta già guarendo, ma non devi fare sforzi altrimenti salteranno tutti i punti e tu sarai costretto a tornare qui.”
“Promesso, mamma.” Brian le sorrise melenso, portandosi una mano sul cuore. “Possiamo andare ora?”
Nathan fece un passo avanti. “Un’ultima cosa.” Posò lo sguardo su tutti i presenti e vide Debbie, Jennifer e Lindsay assumere un’espressione contrita. Di sicuro quello che Nathan stava per dirgli non gli sarebbe affatto piaciuto. “Credo che, almeno per il momento, tu e Justin dovreste astenervi dal…” S’interruppe a metà e guardò Daphne. “Sì, insomma, voi dovreste evitare di…”
“Brian.” La ragazza prese la parola, incerta se essere più stupita o divertita dalla titubanza di Nathan. “Compratevi un letto a castello perché per il momento il sesso è fuori discussione.”
“Col cazzo!” Sbottò Brian, scattando in piedi. Una smorfia di dolore gli contorse il viso a causa del brusco movimento. “Ho seguito tutte le vostre istruzioni, mi sono comportato da bravo paziente, mi sono persino messo su questa dannata cosa e adesso, mi dici che non posso scoparmi Justin? Te lo scordi, ragazzina!”
Daphne si mise le mani sui fianchi e lo guardò con espressione furiosa. “Ascoltami bene, signor maturo, te lo sto discendo per il tuo bene. La parte sinistra del tuo corpo deve ancora recuperare e qualunque sforzo non necessario--
“Ma questo è necessario! È più che necessario!”
“Brian…” Justin posò le mani sulle sue spalle con fare rassicurante. “Sono sicuro che sarà per poco.” Osservò con tono mesto.
Brian lo zittì con un’occhiata. “E per quanto tempo dovrei fare il monaco, secondo il tuo illuminato parere?”
Nathan si schiarì la gola. “Almeno finché il tuo corpo non sarà più forte. Diciamo, una settimana, due al massimo. Quando i punti saranno rimossi, potrete--”
Due.Settimane?
Justin sospirò afflitto, posando il capo contro la schiena di Brian. “Quindici giorni.” Sussurrò incredulo.
“No.” Brian si voltò a guardarlo, scuotendo il capo. “Non ci provare, Sunshine. Ti sei già dimenticato quello che mi hai detto due minuti fa in camera? Non c’è possibilità che la mia già forzata astinenza continui. Soprattutto non se viviamo insieme.”
“Potrei andare a stare da mia madre.”
“Bel tentativo. Scordatelo.”
“Brian, è per la tua salute.” Lo rimproverò Lindsay. “Non fare il bambino mettendo a rischio la tua guarigione solo perché…” Arrossì, lasciando la frase in sospeso.
“Si dice scopare a sangue, anche se dubito che tu e tuo marito ne comprendiate il significato.”
“Okay, basta così.” Justin afferrò il braccio sano di Brian e lo spinse verso la Jeep. Michael aprì la porta del passeggero con un sorriso al suo migliore amico. “Grazie davvero a tutti.” Justin abbozzò un sorriso. “Ora però sarà meglio che lo porti a casa.”
Jennifer lo abbracciò, seguita immediatamente da Debbie. “Occupati del tuo uomo, Sunshine. Nessuno ci riesce meglio di te.”
Il ragazzo sorrise e, dopo aver baciato la sua migliore amica, salì al posto di guida.
“Sei stato terribilmente scortese.” Osservò con tono secco dopo qualche minuto di silenzio. La Jeep scorreva già veloce sull’autostrada. “Cercano solo di aiutarti.”
“Non voglio il loro aiuto. Quello che voglio è tornare a casa e tenerti nudo per le prossime quarantotto ore.”
Justin si morse un labbro. “A questo proposito…”
“Ti prego, non dirmi che ci stai davvero pensando.”
“È per la tua salute, Brian. Credi che io mi diverta a starti lontano? Non faccio sesso da quasi tre mesi, se si esclude il piccolo interludio dell’altra sera in camera tua.”
Brian aggrottò le sopracciglia, voltandosi verso di lui. “Credevo che New York offrisse ogni tipo di divertimento.”
Ma New York non ha te, stupido Kinney. “Quello che voglio dire è che non sarà facile, ma dobbiamo farlo. Non voglio rovinare tutti i progressi che hai fatto.”
“Quindi dovremmo passare le prossime due settimane a guardarci negli occhi e tenerci per mano?”
“Conoscendoci, persino tenersi per mano potrebbe essere rischioso.”
“Grandioso. Spera solo che riesca a ricordarmi come utilizzarlo dopo tutto questo tempo di inattività.”
Justin scoppiò a ridere, posandogli una mano sulla gamba con fare rassicurante.
 
 
 
 
 
“Quindi adesso starai bene, papà?”
Brian abbracciò suo figlio, affondando il viso nei suoi capelli nocciola. “Non preoccuparti, adesso starò benissimo.”
Il bambino annuì, arpionandosi al suo collo e facendosi prendere in braccio. “Promesso?” Chiese con voce angosciata e Brian non poté fare a meno di baciargli la fronte con fare paterno.
“Promesso, Gus.”
Justin sorrise commosso davanti a quella scena. “Ehi, Kinney, tutto bene qui?”
Gus gli rivolse un sorriso smagliante. Adorava quando veniva chiamato col cognome di suo padre, quasi fosse un complimento invece che un dato di fatto. “Papà ha promesso che adesso è guarito.”
“Certo che è guarito.” Justin gli scompigliò i capelli. “Non vedi che è tornato il vecchio burbero di sempre?”
Gus scoppiò a ridere quando Brian cercò di pizzicargli un fianco per ritorsione e vide Justin allontanarsi con uno scatto prima di avvicinarsi di nuovo e baciargli una guancia. “Papà starà benissimo, Gus.” Rassicurò poi il bambino.
Gus annuì e si sporse nella sua direzione per essere preso in braccio; Brian sorrise di fronte a quello scambio di tenerezze: cosa c’era di più bello che realizzare quanto le due persone più importanti della sua vita tenessero l’uno all’altro?
Vide Gus sussurrare qualcosa all’orecchio di Justin e si allontanò per lasciare loro un po’ di privacy. Si avvicinò alla sua migliore amica, lo sguardo di Lindsay puntato su Debbie, Michael e Ben che salutavano Mel e Jenny Rebecca.
“Smettila di preoccuparti per tutti, Wendy. Ti verranno le rughe prima del tempo.”
Lindsay sobbalzò alla sua voce e si voltò a guardarlo con un mezzo sorriso. “E sarà allora che lo splendido padre di mio figlio mi pagherà gli interventi di botulino.”
Brian ricambiò il sorriso, abbracciandola. “Fate buon viaggio.”
“Starai bene, Peter?”
Brian annuì contro i suoi capelli. “Adesso sembri Gus.”
“Non puoi biasimarci se siamo in pensiero per te.”
“Starò bene, Linz. Probabilmente Justin, Debbie, Michael e Jen mi legheranno al letto pur di non farmi alzare.”
“Beh, non saresti dovuto nemmeno venire in aeroporto, ma non mi sembra che questo ti abbia fermato.” Lindsay si staccò da lui e gli lanciò un’occhiata ammonitrice. “Sei uscito oggi dall’ospedale e dovresti essere a casa. A riposare.”
“Mi riposerò più tardi.” Si portò una mano sul cuore. “Promesso.”
Lindsay scosse il capo. “Che cosa devo fare con te?”
“Adorarmi e amarmi alla follia. Come hai sempre fatto.”
La donna sorrise e lo abbracciò ancora una volta. “Riguardati, Brian. Prendi le tue medicine, riposati e non strafare.”
“Adesso sembri il vecchio dottor George.”
“Fallo per Gus. Per lui e per Justin e per me e per Debbie e per tutti noi. Me lo prometti?”
Brian sospirò. “Promesso, Linz.” Si staccò da lei e le baciò dolcemente le labbra. “Chiamami quando atterrate.”
La donna annuì, voltandosi poi verso Melanie che li aveva appena raggiunti. “Come vanno le cose lì?” Domandò Lindsay accennando il capo verso Ben e Michael.
Mel scosse la testa. “Non credevo che l’avrei mai detto, ma Michael è un dannato testardo.”
Brian ridacchiò divertito. “Finalmente qualcun altro che suscita le tue ire oltre me.”
Mel gli lanciò un’occhiataccia per zittirlo. “Ben le ha tentate tutte per riavvicinarsi e lui…” Grugnì frustata “… semplicemente non sembra essere interessato.”
“Jenny come sta?” Domandò Lindsay, in ansia per la sua bambina.
Melanie si strinse nelle spalle. “Di fronte a lei sono incredibilmente civili ed educati, ma anche lei inizia a rendersi conto che qualcosa non va.”
“I bambini sono molto più svegli di quello che crediamo.” Affermò Justin avvicinandosi a loro. Strinse il braccio libero – l’altro teneva ancora la mano di Gus – attorno alla vita di Brian che prontamente gli circondò le spalle.
“Non JR.” Osservò Gus. “Lei è stupida e capricciosa come tutte le femmin--” Si bloccò di fronte alle espressioni delle sue due mamme. “Allora, quando si parte?” Con prontezza, cambiò discorso. Justin e Brian non riuscirono a trattenere un sorriso. Ben e Michael li raggiunsero con Jenny e Debbie e, dopo ulteriori saluti, abbracci e lacrime che fecero roteare gli occhi a Brian, il gruppo si diresse verso l’uscita.
“Ci vediamo al loft, allora.” Li informò Justin un attimo prima di salire in macchina. “Mia madre e Molly sono già lì con Ted ed Emmett.”
Il gruppo si dissolse e Brian salì controvoglia al posto del passeggero. “Non vedo l’ora di tornare a guidare.” Borbottò, facendo sorridere Justin.
“A me invece non dispiace scarrozzarti a destra e sinistra.” Brian grugnì contrariato. “Le ragazze hanno detto nulla su Ben e Michael?”
Brian scivolò sul sedile in modo da stare più comodo. “Solo che Michael pare essersi impuntato nel non perdonare Ben.”
“Credi che cederà?”
“Non ne ho idea.”
“Credi che dovrebbe cedere?”
Brian gli lanciò un’occhiataccia. Come sempre, Justin aveva capito al volo cosa gli passasse per la testa. Era davvero giusto che Michael perdonasse Ben come gli aveva suggerito di fare in ospedale? Se Ben aveva tradito, e mentito, e perso la fiducia di Michael, perché mai ora era Michael quello dalla parte del torto? Perché mai il suo migliore amico avrebbe dovuto dimenticare il tradimento del suo compagno?
Tu l’hai fatto, mi pare… Gli ricordò una vocina nella sua testa. Anche il tuo, di compagno, ha tradito, mentito e perso la tua fiducia, eppure è ancora lì, seduto accanto a te, a rendere migliore ogni giorno della tua vita. “È una scelta che deve fare Michael.”
Justin annuì, lasciando cadere il discorso. Se e quando Brian avesse voluto parlarne, lo avrebbe fatto.
“Ad ogni modo…” Brian si voltò verso di lui con un mezzo sorriso. “Cos’era tutta quella segretezza tra te e Gus? Che c’è, complottavate alla mie spalle?”
“Come sempre, sexy.”
“Dovrei allarmarmi?”
“Sei troppo intelligente per non farlo.” Justin gli prese la mano e se la portò alla bocca baciandone le nocche. “Mi ha chiesto di non lasciarti da solo e di prendermi cura di te.”
Brian chiuse gli occhi sospirando piano, sopraffatto dall’amore verso suo figlio. Un amore che, per qualche strana ragione era pienamente ricambiato. “Ti ha detto davvero così?”
Justin gli sorrise, annuendo. “Non capisco perché tu ti dia così poco credito come genitore. Sei un padre meraviglioso e tuo figlio ti considera la persona più incredibile della Terra dopo Batman.”
“Beh, Christian Bale è difficile da battere.”
Justin ridacchiò. “Sei sicuro di voler tornare al loft? Potremmo andarcene da qualche parte solo tu ed io.”
“E sentire Debbie e tua madre lamentarsi fino allo sfinimento? No, grazie.”
“Al diavolo quello che Debbie e mia mamma pensano che tu debba fare. Se non te la senti di passare la serata con loro, andremo altrove.”
“E come avresti intenzione di spiegarglielo?” Justin si limitò a scuotere le spalle con noncuranza, facendo sorridere Brian. “Non importa, sono certo di poter sopravvivere.”
“Come vuoi. Sappi che comunque ho intenzione di sbattere tutti fuori non appena ti vedrò stanco. O sul punto di strangolare qualcuno.”
Brian ridacchiò, sporgendosi verso di lui e baciandogli una guancia. “Il mio eroe.”
“Altro che Christian Bale.” Ribatté l’altro, facendolo scoppiare a ridere.
 
 
 
 
 
“Oh aspettate, un’ultima cosa!”
Tutti i presenti si bloccarono all’ingresso del loft mentre Justin scattava verso la camera da letto.
“Justin, che diavolo combini?” Domandò Brian dalla porta.
“Un secondo solo!” La voce di Justin arrivò ovattata. Un attimo dopo, riemerse dall’armadio e si avvicinò al bancone con una scatola di cartone. “Devo darvi queste.”
Tutti tornarono verso la cucina. “Sunshine, che succede, dolcezza?”
Il ragazzo sorrise a Debbie porgendole una piccola chiave. “Un regalo per te.” Guardò il gruppo di amici attorno a lui e lanciò uno sguardo di scuse verso il fidanzato che inarcò un sopracciglio con fare sospettoso. “Per tutti voi, in realtà.”
“Chiavi?” Chiese Emmett confuso. “Per cosa?”
“Per il loft.”
Brian sgranò gli occhi. “Prego?”
Justin lo guardò con espressione colpevole. “Volevo che i nostri amici avessero la possibilità di venire a trovarti in ogni momento senza aver paura di disturbare o cose così.”
“E quando avresti chiesto il mio permesso?”
Justin incrociò le braccia al petto. “Credevo che questa fosse anche casa mia.”
Brian aprì la bocca per ribattere a tono, ma il suo fidanzato aveva ragione. Il loft era anche di Justin. “Quando avresti chiesto il mio consenso, allora?”
Justin parve accettare la nuova domanda. “Tu non avresti mai acconsentito.”
“Quindi hai fatto tutto alle mie spalle.”
“Avevo alternative?”
“Che n’è stato dell’essere partner alla pari? Dell’affrontare le decisioni insieme?”
Justin gli rivolse un sorriso smagliante, passandogli le braccia intorno al collo e baciandolo teneramente. “Per una volta ho fatto di testa mia.”
Per una volta?” Brian alzò gli occhi al cielo.
“E tu mi perdonerai comunque perché mi ami alla follia e non puoi vivere senza di me.”
Brian sbuffò, cercando di divincolarsi dalla presa del suo compagno, con scarsi risultati.
“Senza contare…” Osservò Emmett quando finalmente Justin liberò Brian “… che così potremo controllare che tu non ti affatichi troppi, Brian.”
“Em ha ragione.” Concordò Michael. “Potremo venire a trovarti quando vorremo e eviteremo che tu e Justin vi saltiate addosso ad ogni occasione utile.”
“Che consolazione.” Borbottò Brian, afferrando di nuovo Justin e abbracciandolo da dietro in modo che entrambi potessero fronteggiare i loro amici. “Hai visto che cazzo di casino hai combinato, tesoro?”
Justin ridacchiò, allungando le mani dietro di lui e affondandole nelle tasche posteriori dei jeans di Brian. “Solo per te, cara.” Inclinò il viso per potergli baciare la mascella. “Brian si è preso cura di tutti noi in più di un’occasione. Credo che adesso sia arrivato il momento di ricambiare.” Avvertì il suo compagno serrare la presa su di lui. “È vero.” Ribatté prontamente il ragazzo.
Debbie afferrò una delle chiavi e la infilò in borsa. “Sunshine ha ragione. Adesso tocca a noi.” Con un sorriso, si diresse di nuovo verso la porta, seguita da tutti gli altri. Tuttavia fu, con Jennifer, l’ultima ad uscire. Con gli occhi leggermente lucidi, si voltò verso Brian e Justin che, ancora avvinghiati, li avevano scortati alla porta. “Sai che credo, dolcezza?” Sussurrò con voce tremante, accarezzando la guancia di Brian. “Che il giorno che hai incontrato questo splendore tu abbia fatto un terno al lotto.”
Justin arrossì, abbassando lo sguardo. “Ho promesso a Gus che ci saremmo presi cura di lui.”
“Ed è quello che faremo.” Lo rassicurò sua madre, abbracciando prima lui e poi Brian.
“Grazie.” Justin strinse forte Jennifer perdendosi nel suo familiare e rassicurante profumo.
Debbie lanciò loro un ultimo sorriso prima di attraversare la soglia e infilarsi con Jennifer nell’ascensore.
Brian fu rapido a chiudere la porta. “Finalmente soli.”
Justin ridacchiò, alzandosi sulle punte per baciarlo. “Dopo…” Aggrottò la fronte. “Da quanto tempo non stiamo un po’ soli, tu ed io?”
Brian lo afferrò per un braccio e, dopo aver spento tutte le luci alla velocità della luce, lo trascinò con sé sul letto; il ragazzo non ebbe neppure il tempo di opporsi prima che le labbra impazienti di Brian si avventassero su di lui. Nonostante tutto, sentì il suo corpo fremere. “Brian…” Lo rimproverò, bloccando una mano che già scivolava sinuosa verso la cerniera dei suoi pantaloni. “Non dovremmo.”
“Solo perché lo dice il dottorino di Daphne?”
Justin ridacchiò, gettando poi la testa all’indietro in modo che Brian potesse divertirsi a torturare il suo collo. “Se ti sentisse…”
“Mi pare ovvio che la tua fidanzata abbia una cotta per Mister Chirurgia.” Brian sbottonò lentamente la camicia di Justin, scendendo a baciargli il petto. “Cristo, mi è mancato tutto questo.”
A quelle parole, Justin parve riprendere il controllo. Con un brusco movimento, ribaltò le posizioni, bloccando le fin troppo intraprendenti mani del suo compagno. “No, non possiamo.”
Brian sospirò frustrato, inarcandosi contro di lui; Justin sobbalzò quando la prominente erezione dell'uomo sfregò contro la sua. “Mi pare che quaggiù qualcuno la pensi diversamente.”
Justin rilasciò le mani e si accasciò su di lui, affondando il viso contro il suo petto. “Credi davvero che io non voglia? Ma, Brian, è per la tua salute. È rischioso.”
“Non morirò se faccio sesso, Justin.”
“Mi piacerebbe comunque evitare il rischio.”
“Potrei trovare qualcun altro per accomodare le mie esigenze.”
“Peccato che, ne sono certo, tu voglia scopare me e non qualche povero caso disperato.”
Justin sorrise vittorioso quando udì il suo compagno sospirare con rassegnazione. “In questo momento, ti sto davvero odiando, Justin.”
“Bugiardo.”
“Non tirare la corda.”
Justin premette le labbra una contro l’altra per evitare che Brian lo sentisse ridacchiare. “Credo che sia il caso di metterci a dormire.”
“Cristo Santo, mi sento un pensionato. Cosa sono, le otto di sera?”
Justin si sollevò a sedere sfilandosi la camicia e indossando rapidamente una delle vecchie felpe che aveva comprato a New York. Una volta che anche i pantaloni furono tolti di mezzo, s’infilò sotto le coperte per osservare Brian.
Il suo compagno, contrariamente a quanto aveva fatto lui, parve prendersi tutto il tempo del mondo per prepararsi. Con lentezza, si sfilò i jeans rivelando le sue lunghe gambe bronzee. Poi fu il turno della maglia che finalmente permise a Justin di ammirare il corpo muscoloso ed atletico del suo uomo; una grossa benda bianca copriva la spalla sinistra fino all’avanbraccio e il ragazzo non poté fare a meno di notare la smorfia di dolore che attraversò il viso di Brian quando l’uomo azzardò un movimento fin troppo improvviso. “Piano, sexy…” Justin si avvicinò a lui e posò un bacio delicato sulla fasciatura. “Non riesco ancora a credere che tu sia tornato da me.” Col viso ancora premuto sulla sua spalla, Justin avvertì le labbra di Brian posarsi sulla sua fronte.
In silenzio, tornarono a rifugiarsi sotto le coperte e Brian si avventò di nuovo su di lui. “Brian, conosci il significato dell’espressione Andarci piano?” Gli lanciò un’occhiata di rimprovero, accarezzandogli poi i capelli. “Dì al tuo amico lì sotto di tornare a cuccia.”
“Se davvero vuoi una minima possibilità di riuscita in quest’impresa, dovresti come minimo dormire sul divano. Non credo che accadrà mai con te qui.”
“Per quanto il complimento mi lusinghi, se non te la fai passere, è davvero quello che succederà stasera. Non posso addormentarmi con la paura che ti infili accidentalmente e del tutto inconsciamente nel mio culo.”
Brian lo baciò di nuovo con passione. “Okay, hai vinto. Faremo come le lesbiche e passeremo la notte a farci le coccole. Contento?”
Justin scoppiò a ridere di fronte alla sua espressione disgustata. “Chiudi il becco e mettiti a dormire, Brian.”
L’uomo sprofondò di più nelle coperte e, come ormai aveva fatto altre mille e mille volte, allungò il braccio verso Justin per far sì che il ragazzo si accoccolasse contro il suo petto, ma non appena Justin lo accontentò, un dolore lancinante scaturì dalla spalla togliendogli il fiato.
Justin scattò immediatamente a sedere, allontanandosi da lui. “Okay, non è stata l’idea più intelligente del mondo!” Con espressione preoccupata, controllò la fasciatura per essere sicuro di non aver combinato danni. “Bene, mi sembra tutto a posto.” Sospirò sollevato prima di tornare a sdraiarsi dal suo lato del letto. “A quanto pare, il sesso non è l’unica cosa a cui dobbiamo rinunciare.”
“Oh, al diavolo!” Brian scalciò via le coperte con un movimento brusco e si alzò in piedi.
Justin lo guardò sorpreso. “Dove vai adesso?” Domandò quando lo vide fare il giro del letto. “Guarda che scherzavo riguardo al divano.”
“Smettila di blaterare stronzate e spostati più in là.”
Justin aggrottò la fronte quando lo vide torreggiare sopra di sé, dal suo lato del materasso. “Che diavolo vuoi fare?” Rotolò verso destra e Brian si infilò di nuovo sotto le coperte, occupando il posto che negli ultimi anni era stato di Justin.
Tentò nuovamente di abbracciare il suo compagno e questa volta, quando Justin posò il capo contro la sua spalla, si ritrovò a sorridere beatamente. “Sono un genio.”
Justin sfregò il naso contro la sua clavicola. “Sì, lo sei.”
Brian chiuse gli occhi e tirò un lungo sospiro. “Se penso che in questo momento potremmo scopare…”
“Brian…” Lo ammonì Justin con tono minaccioso.
Brian piegò le labbra all’interno della bocca quando avvertì l’erezione di Justin premere contro il suo fianco. “Sto solo facendo delle osservazioni.”
“Giuro che se non fossi convalescente, ti picchierei. E ti farei molto, molto male.”

Brian ridacchiò. “Vorrei proprio vederti provare.” Justin grugnì contrariato, sistemandosi meglio tra le braccia.
“Sai invece a cosa stavo pensando io?” Riprese poi il ragazzo dopo qualche istante di silenzio.
“Mh mh, devo allarmarmi?”
“Vuoi chiudere la bocca per un dannato secondo e lasciarmi parlare?”
“Trovo che in questa relazione non ci sia un rapporto paritario tra noi.”
Justin alzò gli occhi al cielo, decidendo di ignorarlo. Segretamente, adorava quando Brian fingeva di essere la povera mogliettina trascurata. “Penso che dovremmo fare una vacanza.”
Brian voltò leggermente il capo verso di lui. “Una vacanza?”
Justin annuì. “Dopo tutto quello che abbiamo passato, direi che ce lo meritiamo.”
L’uomo parve pensarci su per un attimo. “Non è una cattiva idea.”
“Questo perché io non ho mai cattive idee.”
Brian roteò gli occhi, pizzicandogli poi un capezzolo e facendolo gemere di dolore. “Può esserci solo un arrogante in questa casa e quel ruolo è già stato assegnato.”
Justin si sporse verso di lui e sorrise contro la sua guancia liscia. “Sì, ti piacerebbe.” Chiuse gli occhi e respirò a pieni polmoni l’odore di Brian. “Allora, che ne pensi?”
Brian scosse le spalle. “Perché no? Spiaggia, sole e uomini nudi.”
“Basta che non sia Ibiza. Mi devo ancora riprendere dall’ultima volta che ci sei stato.” Justin gli lanciò un’occhiata eloquente. Era chiaro che la sua ultima fuga ad Ibiza bruciasse ancora al suo giovane compagno.
“Niente Ibiza, ma che ne diresti dei Caraibi? Delle Cayman?”
“Quello che vuoi.” Justin sbadigliò, chiudendo gli occhi. “Basta che siamo tu, io e una fornitura annuale di preservativi.”
Brian sorrise nella penombra della camera. C’era un motivo se Justin era l’uomo per lui.
 
 
 
 
 
Emmett chiuse la porta del suo ufficio e si fermò a spegnere le ultime luci prima di dirigersi verso la scrivania di Nadine. Controllò rapidamente gli appuntamenti che avrebbe avuto il giorno successivo e si apprestò a raggiungere l’uscita.
Un attimo prima di varcare la soglia, il telefono dell’agenzia squillò.
“E adesso chi è a quest’ora?” Senza preoccuparsi di accendere la luce, sollevò la cornetta sulla scrivania della sua assistente. “Pronto?”
“Emmett?”
L’uomo ebbe un tuffo al cuore. “J… John?”
Sentì il suo amico sospirare dall’altro capo del telefono. “Sì, sono io. Scusa per l’ora, ma speravo fossi ancora in ufficio.”
“Va tutto bene? Hai una voce strana.”
John non poté fare a meno di sentirsi in colpa. Nonostante quello che era successo, nonostante il suo comportamento terribile e imperdonabile, Emmett continuava a preoccuparsi per lui. “Sì, non…” Non seppe come continuare. “Ho bisogno di dirti una cosa.”
“Ti ascolto.”
“Em, io c’ho pensato molto e credo che questa sia l’unica soluzione possibile. Capisco che il preavviso è poco e cercherò comunque di adempiere ai miei doveri con gli ultimi matrimoni che avevamo già in programma, ma una volta terminato con quelli--”
“John, che succede? Che mi stai dicendo?”
“Mi licenzio, Emmett. Mi dispiace lasciarti nei casini, ma non vedo altre alternative.”
Emmett si impegnò con tutte le sue forze per far sì che la voce non tremasse. La discussione avuta con Ted solo qualche giorno prima riafforò nella sua mente. “Tu… tu non vuoi più lavorare con me?”
“Io non voglio farti soffrire, Em. E vedo che starmi vicino ti ferisce, ti fa stare male ed io, da amico perché lo sei e lo rimarrai sempre, Emmett, non riesco più a sopportare una situazione del genere.” Fece una pausa prendendo un lungo sospiro. “Hai detto di essere innamorato di me ed io purtroppo non posso ricambiare questi sentimenti quindi credo che sia meglio tagliare tutti i ponti piuttosto che farci del male a vicenda.”
Emmett deglutì a fatica. “Pare che tu c’abbia riflettuto parecchio.”
“È così.”
“Quindi la tua decisione è presa.”
“Sì. Mi dispiace, Emmett.”
“Non importa.” Emmett voleva, doveva, interrompere quella telefonata. “Grazie del preavviso.”
“Emmett, io--”
“Buonanotte, John.” E senza aggiungere altro riattaccò.
Non seppe precisamente quanto tempo rimase nell’ufficio buio e deserto; l’unica cosa di cui sembrava essere consapevole era il dolore nel petto, dove il suo già malridotto ed abusato cuore era stato spezzato nuovamente.







Ed eccomi qui di nuovo! No, non sono morta, sì, sono una persona orribile per avervi fatto aspettare mesi per quest'indegno (e fondamentalmente inutile e bruttissimo) capitolo! Non farò più promesse della serie "aggiornerò presto, il capitolo è quasi finito" perché a quanto pare c'è qualcuno lassù che si diverte a mandare in fumo i miei piani quindi per il prossimo capitolo, NON FARO' PREVISIONI.
Forse così imparerò -_-
Per farmi perdonare da voi, vi dirò solo che la mia cara Ryanair ha deciso di trasferirmi in Italia (a casa per la precisione, quindi non mi sto affatto lamentando) e dunque gli ultimi due mesi sono stati un casino, tra scartoffie da compilare, trasloco e cavoli vari. Ancora una volta, scusate, scusate, scusate.
Un bacione grandissimo a tutte quelle anime pie che con pazienza continuano ancora a seguirmi invece di mandarmi all'altro paese e che continuano a commentare e ad amare la mia storia. CHE FAREI SENZA DI VOI? 
Spero che anche questo capitolo vi piaccia e non vedo l'ora di leggere le vostre reazioni. Un abbraccio e alla prossima.

P.S: Stavo pensando di creare un gruppo su Fb su cui scrivere anticipazioni o pubblicare estratti dai prossimi capitoli, ma prima volevo assicurarmi che foste interessate. Se lo siete, potete mandarmi un messaggio in privato col nome con cui siete registrati ed io vi aggiungerò al gruppo. :D

P.S2: So che non c'entra nulla, ma non so se lo sapete, il 30 e il 31 ottobre scorsi, il nostro venerato ed adorato Gale Harold era a Londra per uno spettacolo teatrale. Io, dato che ero di riposo, sono andata a Londra proprio in quei giorni alla sua ricerca. Purtroppo non sono stata così fortunata da vederlo (le mie amiche però mi hanno preso per pazza per tutto il giorno). Era una cosa stupida, ma volevo dirvelo, so che voi potete comprendere il mio dolore.

Okay, adesso ho davvero finito! Un bacione a tutte e a presto!!

Ale

 

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Capitolo 33
*** Wanna Talk About It? ***


33. Wanna Talk About It?
 
 


 
Justin sorrise contro le labbra di Brian e afferrò prontamente la mano del suo compagno che, per la milionesima volta negli ultimi dieci minuti, aveva preso a dirigersi verso il suo sedere. “Brian…”
“Non sei più divertente come un tempo, Sunshine.” La risata di Justin fu soffocata dalla lingua invadente e sensuale dell’uomo. “Forse dovrei tornare al Babylon una di queste sere e rimorchiarmi un altro innocuo vergine… Ahi!”
Justin gli sorrise dolcemente. “Dicevi?” Scoppiò a ridere quando vide Brian lanciargli una delle sue famigerate occhiatacce, massaggiandosi la coscia offesa. Lo baciò rapidamente un’ultima volta, prima di tornare a voltarsi verso il tavolino da caffè di fronte a loro. Afferrò di nuovo le bacchette e infilzò un pezzettino di sushi.
“Sai…” Brian lo imitò “… non credo che quello sia il giusto utilizzo che dovresti fare delle tue bacchette.” Con grazia, afferrò un hosomaki e se lo portò alla bocca.
Justin lo osservò rapito finché il rotolino di riso e pesce non sparì tra le labbra sensuali del suo compagno. “A me piace di più così.” Di nuovo, pugnalò un inerme involtino con insolita soddisfazione e si strinse nelle spalle con aria colpevole quando, al suo fianco, Brian scoppiò a ridere. “Dovresti vedere le occhiatacce che mi lancia Vanessa quando lo faccio. Lo detesta.”
Brian inclinò il capo. “Mi toccherà imparare allora.”
Justin alzò gli occhi al cielo. “Ti vorrei far notare che Ness era piuttosto preoccupata per te.”
“Come no, ci scommetto.”
“Che ti piaccia o no, signor Non-ho-bisogno-di-nessuno, sei circondato da persone che tengono sinceramente a te e che sono state in pena mentre tu eri--”
“Ad un passo dai cancelli dorati dell’Onnipotente?” Terminò per lui Brian con tono sarcastico.
Justin serrò la mascella, posando le bacchette sul tavolo con un gesto secco. “Ti sorprenderà, ma non apprezzo molto il fatto che tu riesca a scherzarci sopra.” Fece per alzarsi.
Brian realizzò all’istante il proprio errore. Con un gesto rapido, mollò le bacchette e afferrò il suo compagno per la vita, trascinandoselo sopra.
“Brian, i punti.”
“Al diavolo i punti.”
“Sei davvero un coglione.”
“Lo so.”
“E odio, odio, odio quando parli così.”
“So anche questo.”
Justin voltò il capo e lo guardò furente, le guance arrossate, gli occhi accesi di rabbia, il corpo teso e pronto a colpire. Brian avrebbe dovuto capire all’istante l’antifona e scusarsi all’infinito per evitare l’ira funesta del suo giovane compagno, ma vedere Justin così arrabbiato, così… Rabbrividì, affondandogli le dita nei capelli. Dio, l’unica cosa che voleva in quel momento era spogliarlo e scoparlo finché non avrebbe implorato pietà. “E allora perché te n’esci con frasi del genere?”
Brian sospirò, posando la fronte contro la sua. “Perché sono un coglione, l’hai detto anche tu, no?”
Justin scosse impercettibilmente il capo. “Non sei un coglione, ma alle volte ti comporti come tale. Ed io avrei davvero voglia di prenderti a calci se non fossi preoccupato per le tue ferite.”
Brian si irrigidì e tentò di allentare la presa sui fianchi del ragazzo che, intuendo al volo i suoi pensieri, non glielo permise. “Non ho bisogno di essere compatito.”
“È questo che credi stia facendo?” Domandò Justin freddamente. “Che io provi pietà per te?”
“Il povero piccolo Sunshine che deve occuparsi del vecchio malato con una sola palla.”
Stavolta Justin lo colpì davvero. Con forza e rabbia. Sulla spalla. Brian sobbalzò, facendo una smorfia di dolore.
“E ringrazia il cielo che è quella sana. Non ho voglia di correre di nuovo al pronto soccorso perché si sono riaperti i punti.”
“Si può sapere che cazzo di problemi hai?”
“Sono io che lo chiedo a te! Dannazione, Brian! Come puoi dire cose del genere?”
“Non è che non sia la verità.”
Justin si massaggiò stancamente una tempia. “Non posso credere di stare affrontando di nuovo quest’argomento. Credi ancora che a me importi delle cicatrici o del cancro? Mi credi davvero così dannatamente superficiale?” Brian aprì la bocca per ribattere, ma il ragazzo fu abbastanza veloce da impedirglielo. “Okay, qui ci vuole una terapia d’urto.”
Brian inarcò un sopracciglio. “Che hai in mente?”
Justin lo ignorò. “Vedila così: la penseresti allo stesso modo se la situazione fosse invertita?”
Brian sentì lo stomaco ingarbugliarsi. Il solo pensiero di Justin steso su un letto, sottoposto alla chemio, lo faceva stare male. “Non è la stess--”
“È esattamente la stessa cosa, Brian! Se fossi io ad avere un solo maledetto testicolo, se ci fossi stato io in quella macchina e adesso non potessi fare sesso, tu mi vedresti diversamente? Mi considereresti un peso? Sarei solo un caso pietoso per te?”
“Sai che non lo farei.”
Il tono duro, ferito e allo stesso così incredibilmente sincero di Brian fece scomparire all’istante tutta la rabbia e la frustrazione che provava. “E allora perché non riesci ancora, dopo tutto quello che abbiamo passato, tutto quello che abbiamo affrontato e superato, a credere che per me sarai sempre--”
“Perfetto?” Sibilò Brian con tono beffardo. “Giovane e bellissimo?”
Justin scosse il capo, afferrandogli il viso senza troppa delicatezza. Aveva bisogno che Brian capisse una volta per tutte. “Mio.” A quelle parole, Brian si immobilizzò. “Non importa quanto tempo passerà, quante stronzate ci capiteranno o quanti arti ci rimarranno, ma tu rimarrai mio, Brian Kinney. Perché io ti amerò per il resto della mia vita esattamente come ti amo oggi o come ti amavo sette anni fa.” Deglutì il groppo che si stava formando in gola e continuò. “Mi sono innamorato di te nell’istante esatto in cui ti ho visto sotto quel dannato lampione e so…” Abbozzò un sorriso, sfiorandogli la guancia ispida col pollice “… so che tu hai impiegato più tempo a capire quanto io fossi importante per te, ma per me è stato amore a prima vista. In quell’istante, sapevo di aver trovato chi era destinato ad appartenermi.”
Brian si sforzò di trattenere un sorriso. Nonostante gli anni, Justin rimaneva ancora l’inguaribile romantico che era stato a diciassette anni. “Sapevi un sacco di cose per essere un arrogante ragazzino vergine.”
Justin gli sorrise, sfregando il naso contro il suo. “Dovevo pur esserlo per conquistare un arrogante figlio di puttana.”
Brian lo abbracciò di nuovo, sospirando soddisfatto quando Justin affondò il capo contro il suo collo, stringendolo per la vita. Si ritrovò ad inspirare a fondo l’odore della persona più importante della sua stupida, inutile esistenza. Dell’… Rabbrividì di paura ed eccitazione al pensiero. Dell’amore della sua vita.
“Adesso ti va di dirmi che succede?”
Brian chiuse gli occhi e rilasciò un lungo sospiro. Dannato Justin. Ovviamente aveva capito al volo cosa gli passasse per la testa. Il pensiero che potesse leggerlo con tanto facilità lo rassicurò e terrorizzò allo stesso tempo. Lui ci sarà sempre ripeté come un mantra. “Quando ho stretto Gus a me ho pensato che… avevo rischiato di andarmene senza poterlo--”
“Abbracciare di nuovo? Potergli dire che lo amavi come nessun altro al mondo?”
“Sai che odio quando finisci le frasi per me.”
Justin si staccò da lui e gli rivolse un sorriso colpevole. “Continua.”
“Ho avuto paura di lasciarlo senza che prima sapesse quanto è importante per me.”
Ma lui lo sa.” Sentenziò deciso il ragazzo. “Brian, tu non hai idea dell’espressione che ha tuo figlio quando ti guarda e non ne hai idea perché sei troppo impegnato ad avere la stessa identica espressione quando lui è nei paraggi.” Lo baciò delicatamente sulle labbra. “È normale avere paura dopo un incidente del genere, Brian. È normale analizzare tutta la tua vita e pensare a cosa potrà accadere in futuro, ma voglio che tu sappia che io ti amo. E che non andrò mai da nessuna parte.” Vide il suo compagno abbozzare un sorriso. “E non perché provo pena o compassione, ma perché, dopo due anni di lontananza, non voglio passare un altro minuto senza di te. E perché, quando tra dieci giorni ti toglierai i punti, io sarò esattamente sul quel letto laggiù ad aspettarti. Nudo e impaziente.”
Brian scoppiò a ridere, accarezzandogli di nuovo i capelli. “Mi piace come pensi, Sunshine.”
“E se non ricordo male, ti piace anche come scopo.”
“Soprattutto quello.”
Justin lo baciò ancora una volta, prima di scivolare giù dalle lunghe gambe di Brian e tornare al suo posto per dedicarsi di nuovo al sushi.
“Justin?” Con la bocca già piena di nigiri, il ragazzo si voltò verso Brian che ancora lo studiava con espressione indecifrabile. “Mi dispiace.”
Justin deglutì il boccone e gli sorrise. “Nella buona e nella cattiva sorte, Kinney. Non sarò riuscito a farmi infilare quell’anello al dito, ma questo non vuol dire che il nostro legame valga meno di quello di qualunque altra coppia legalmente sposata.”
Brian sorrise, riprendendo a mangiare.
Superata ancora una volta la crisi, tutto tornò alla normalità: Justin informò Brian dei continui e minacciosi sms che riceveva ormai quotidianamente da Vanessa, già rientrata a New York, che intimavano a lui e Steve, rimasto nella gloriosa Pittsburgh col suo amico, di non battere la fiacca e continuare a dipingere perché di sicuro non era in vacanza mentre Brian borbottò contrariato riguardo la prepotenza con cui Cynthia aveva ormai preso il controllo della Kinnetic, aiutata nel suo colpo di stato da Ted e Stan.
“Secondo Steve, ormai Ness non può più vivere senza di lei ed è così che riesce a tenerlo d’occhio.” Justin ridacchiò. “Steve e Vanessa. Riusciresti mai ad immaginare una coppia più improbabile?”
“Neppure noi avevamo una grande probabilità di riuscita.”
“Sì, ma Steve e Ness? Andiamo, sii serio. Potresti pensare a Michael e Cynthia insieme?”
“Okay, ora quella sì che è un’immagine raccapricciante.” Brian chiuse gli occhi e rabbrividì. “Dovrò passare la serata a guardare porno per riprendermi.”
“Sbagliato, stallone. Stasera abbiamo già un film da vedere.”
“Vuoi dire che tu hai un film da vedere.”
Justin si voltò verso di lui, sbattendo gli occhioni azzurri. “Vuoi davvero farmi passare una serata solo soletto su questo grande divano?”
“Visto che tu ti rifiuti di renderti utile.” E indicò la protuberanza piuttosto evidente che premeva contro i jeans. Justin si morse un labbro di fronte a quello spettacolo, sforzandosi di contenere l’eccitazione.
“Sembra quasi che sia io il cattivo.”
“E non è così?”
Justin sbuffò, alzandosi in piedi e iniziando ad impilare uno sull’altro i contenitori vuoti della loro cena, poi si diresse verso la cucina. “Sono ordini del medico.”
Brian sospirò frustrato, crollando sul tappeto morbido. “Vuoi dire di quella prepotente ragazzina che risponde al nome di dottoressa Chanders?”
Brian sentì l’acqua scorrere nel lavello. “Daphne cerca di evitare che la tua spalla si apra di nuovo in due. Per non parlare delle costole e dello spappolamento generale dei tuoi organi interni.”
“I miei organi interni stanno benissimo. E tu dovresti essere più preoccupato per quelli esterni.” La mano di Brian scivolò lentamente verso il basso, dove sfregò con vigore la prominente erezione. Un gemito soddisfatto uscì dalle sue labbra.
Il corpo di Justin, dall’altra parte della stanza, reagì all’istante. Chiuse gli occhi e prese un bel respiro, cercando di calmarsi. Stai calmo, amico. Non possiamo mica saltargli addosso. Aggrappò con forza il bordo del bancone quando Brian, ancora nascosto dal divano immacolato, ansimò di nuovo.
“Justin, vieni qui un attimo.”
Justin si leccò le labbra secche. “Non credo sia una buona idea.”
“Io invece credo sia un’ottima idea. Dai, Sunshine, mi diverto di più se siamo in due.” E di nuovo, il sadico bastardo emise un gemito che fece tremare le ginocchia di Justin.
“Dobbiamo vedere il film, l’hai dimenticato?”
Alla cieca, Brian afferrò il telecomando e accese il televisore, la mano libera nei suoi boxer, l’eccitazione al limite e l’orgasmo in arrivo. Solo, non ancora. Aveva bisogno di Justin vicino per essere completamente soddisfatto. “Visto? Pubblicità. Ora, porta il culo qui.”
Justin sospirò, sistemandosi meglio i jeans e cercando di calmare la dolorosa erezione che premeva contro la zip.
Al diavolo! Non avrebbero fatto nulla, ma Justin non voleva di certo perdersi lo spettacolo di Brian che si masturbava. Anche se voleva dire rimanere a guardare senza toccarlo. Lui poteva fare lo stesso anche stando seduto sulla poltrona.
Deciso, tornò verso il suo compagno e alla vista di Brian, sdraiato con le gambe divaricate, gli occhi serrati, la bocca socchiusa e la mano nei pantaloni, si sentì mancare il respiro.
Mandando al diavolo tutti i buoni propositi, lo raggiunse, sdraiandosi tra le gambe. “Questo non è mai successo e Daphne non dovrà mai saperlo.” Il sorriso di Brian fu la risposta che aspettava. Senza indugio, afferrò il bordo dei jeans e li sfilò fino a metà coscia, facendo lo stesso poi con i boxer scuri. Fissò lo sguardo sul membro di Brian. “Dio se mi sei mancato.”
“Avete bisogno di un minuto da soli?”
Senza rispondere, Justin si avventò su di lui, prendendolo tutto in bocca. Brian sobbalzò, inarcandosi per la sorpresa e gemendo più forte di quanto avrebbe voluto quando la punta della sua erezione colpì la gola di Justin.
“Cristo, Justin, non--”
La mano di Justin prese a massaggiarlo sulla base prima di spostarsi verso il basso; con delicatezza massaggiò la sfera di plastica che ormai era parte di lui e neppure una volta aveva spaventato Justin – il cancro sì, quello l’aveva spaventato, ma solo perché temeva che Brian ci lasciasse le penne –, ma la sua… menomazione non aveva mai, in alcun modo, disgustato Justin. E di quello Brian gli sarebbe stato eternamente grato.
S’inarco di nuovo quando un dito di Justin premette contro la sua apertura, implorando silenziosamente di non fermarsi. Avvertì le labbra di Justin – ancora strette attorno a lui nel miglior pompino della storia – curvarsi in un sorriso. Non riuscendo a trattenersi, lo imitò, affondando le dita nei capelli chiari ed esortandolo a continuare.
La lingua di Justin prese a massaggiarlo con forza proprio mentre il suo dito finalmente lo penetrava. Gridò il nome del suo compagno un attimo prima di venire. Justin non si ritrasse neppure di un millimetro; si staccò da lui solo quando fu certo di aver prosciugato ogni goccia del suo prorompente orgasmo.
“Danna… zione, Sunshine…” Brian si chiese se sarebbe mai più riuscito a parlare.
Justin si sdraiò di lui e lo baciò teneramente sulle labbra, mescolando i loro sapori. “Erano giorni che volevo farlo.”
Brian sorrise, tenendo ancora gli occhi chiusi. “Adesso però tocca a me.” E ribaltò le posizioni.
Justin non apprezzò l’idea. “Io non credo, stallone.” Con un enorme sforzo di volontà, si districò dalla presa del suo compagno e gattonò verso il divano su cui poi crollò a sedere. “Non sei ancora in grado di--”
“Cosa? Farti un pompino?”
Justin lo guardò male. “Il film sta per iniziare.” Picchiettò con dolcezza il posto vuoto accanto a lui.
“Fanculo al film! L’abbiamo visto comunque un milione di volte!” Lo raggiunse sul divano e provò a sovrastare Justin che sguisciò via come un’anguilla. “Brian Kinney!”
“Adesso sembri tua madre.”
Justin sospirò, abbandonando il capo contro lo schienale. “Non avremmo dovuto nemmeno fare quello che abbiamo fatto. Ho perso il controllo e--”
“Chiudi il becco.” Prima che Justin potesse accorgersi di cosa stava succedendo, la mano di Brian scivolò nei suoi jeans e si strinse attorno alla sua erezione. Justin gemette forte e si aggrappò al braccio muscoloso che lo stava masturbando con abilità.
“Dannazione, Brian, non possiamo…”
“Tu hai fatto venire me, adesso io farò venire te, Sunshine. È un semplice scambio alla pari.”
Justin sospirò, inarcandosi contro di lui quando il pollice di Brian lo stuzzicò sulla punta. “Ti odio…” Si morse un labbro, posando poi la fronte contro il collo di Brian, lasciato scoperto dalla maglietta. “Sì… non… oddio, non ti fermare, Brian.” Morse la pelle calda della clavicola e Brian rafforzò la presa.
I movimenti divennero più rapidi, i respiri di Justin più affannosi e le dita di Brian più crudeli e perverse fino a che Justin non riuscì più a resistere. Con un gemito soffocato, raggiunse l’apice, accasciandosi contro i cuscini.
Brian afferrò un paio di tovagliolini dal tavolino e lo ripulì alla meglio, prima di sistemargli i vestiti. “Ecco, non è successo nulla, visto?”
Justin rimase in silenzio, cercando di riprendere fiato. Se quello era l’effetto che aveva avuto la mano di Brian, non osava pensare a cosa sarebbe successo quando avessero fatto di nuovo sesso.
Probabilmente sarebbe morto, ma cazzo, che bel modo di morire!
“Sei ancora tra noi?”
Justin continuò a respirare affannosamente. “Chiedimelo tra cinque minuti.”
Brian ridacchiò compiaciuto e si alzò dal divano, dirigendosi verso la cucina. Aprì il frigo ed estrasse una bottiglietta d’acqua; con calma, spense tutte le luci, lasciando accesa solo la lampada accanto alla tv, e tornò da Justin , porgendogli la bottiglia. “Bevi.”
Il ragazzo obbedì, scolandosene mezza in un sorso; la restituì al suo compagno prima di accasciarsi contro i cuscini del divano. “Sono esausto.” Ammise, socchiudendo gli occhi.
Brian prese un sorso d’acqua e tornò improvvisamente serio. “Ed è tutto merito mio?”
Justin annuì contro la pelle del divano. “Non mi pare ci fosse qualcun altro qui con me.”
“Non mi riferisco all’orgasmo.”
Il ragazzo aprì lentamente un occhio, aggrottando la fronte e guardandolo con espressione confusa. “Credo di essermi perso.”
Brian tirò un lungo sospiro, prima di abbandonare la bottiglietta sul tavolo e accomodarsi accanto a lui. Justin fu rapido a sistemargli un cuscino in grembo e ad adagiarci il capo, affondando il viso nelle piume morbide. “È che ultimamente ti vedo… stanco.”
“Devo ancora recuperare sonno.”
“Justin, sei esausto. E il sonno arretrato non c’entra nulla.”
Justin serrò gli occhi, aggrappandosi al guanciale. “Non so di cosa tu stia parlando.”
“Gli incubi. Mi sto riferendo agli incubi, Sunshine.”
“Non ho nessun incubo.”
“E allora perché trascorri le tue notti seduto su questo divano invece che a letto con me?”
Justin sospirò piano, puntando lo sguardo sulla stupida pubblicità trasmessa dalla tv davanti a loro.
Brian sapeva.
Sapeva degli incubi, delle notti in bianco, delle difficoltà che aveva nel dormire.
“Da quanto lo sai?”
Brian emise un verso offeso. “Da quando mi sono risvegliato. Li avevi persino in ospedale, in pieno giorno, ricordi? Solo che eri troppo testardo per ammetterlo.”
“Non è nulla.” Si affrettò a liquidare Justin. “Dev’essere ancora lo stress per il tuo incidente.”
“Dopo tre settimane?”
“Ammetterai che non è stato un incidente da poco, signor Riduttivo.”
“Sogni il ballo, non è vero?”
Quando avvertì Justin irrigidirsi come una statua di marmo, Brian ebbe la sua risposta.
Ed eccoli di nuovo lì, al punto cruciale delle loro vite, all’evento che aveva condizionato e cambiato per sempre le loro esistenze e che probabilmente avrebbe sempre continuato a tormentarli.
Beh, non è che tu l’abbia gestita così bene, Kinney. Praticamente non facevi che ripetere ad un ragazzino traumatizzato e spaventato di dimenticarsi di quella notte e che parlarne non sarebbe servito a nulla… Forse era proprio quello di cui Justin aveva bisogno. Parlarne. Discuterne. Per poi andare avanti. Ma tu, troppo spaventato per vederlo ferito, non l’hai mai fatto.
“Ho solo bisogno di tempo. Tutto tornerà a posto.”
Brian sfiorò i capelli di Justin, accarezzandoli delicatamente. “O forse dovresti…” Chiuse gli occhi, non credendo alle sue orecchie. Stava davvero pensando di dirlo? Gesù, probabilmente era la prima volta in vita sua. “Forse dovresti parlarne con qualcuno.”
Sentì Justin trattenere il respiro. “Parlarne?”
Brian non smise di toccargli i capelli, aveva bisogno del contatto se avessero continuato a discutere di un argomento del genere, assicurarsi che Justin stesse bene, che fosse vivo, caldo e morbido e al sicuro al suo fianco. Che nonostante tutto, quella notte non li aveva allontanati per sempre. “Sì, parlarne. Con Daphne, con Steve, con tua madre, ti troverò persino uno strizzacervelli se vuoi, ma--”
“Perché non con te?”
Brian chiuse gli occhi, fermando la mano che continuava a sfiorarlo. “Non credo di essere la persona adatta.”
Justin rimase in silenzio per un istante, per poi annuire contro il cuscino. “Va tutto bene.” Ripeté di nuovo.
“Justin--”
“Sto bene.” Lo interruppe il ragazzo con tono secco. “E non c’è nulla di cui parlare.”
Brian serrò la labbra, cercando di contenere la frustrazione. Complimenti, Kinney, un altro successo per il fidanzato dell’anno. Continua così. “Se ne sei sicuro.” Codardo!
“Ne sono sicuro.” Ribatté prontamente Justin. “Ah, inizia il film.”
Brian riprese a sfiorargli la testa, mentre l’altra mano si posò sulla sua schiena, massaggiando i muscoli tesi.
Forse Justin voleva parlarne, ma non con uno strizzacervelli o con i suoi amici o con la sua apprensiva mammina. Forse Justin aveva bisogno di parlarne, ma voleva che fosse Brian, il suo partner, ad ascoltarlo e non uno sconosciuto qualsiasi.
Forse, se avesse avuto l’occasione e se Brian non fosse stato un dannato vigliacco, avrebbero potuto affrontare e risolvere la cosa come tutte le coppie del mondo, semplicemente discutendone e essendo presenti per l’altro.
Brian sospirò sconfitto, osservando i titoli di testa.
Forse Brian era troppo vecchio per tutte quelle stronzate, anche se Justin ne aveva disperatamente bisogno. Ma cosa poteva fare per farlo capire al suo compagno? Come poteva dirgli che, nonostante la sua paura, la sua sofferenza e il suo dolore, avrebbe fatto qualunque cosa per lui?
“Quasi nessun altro.” Borbottò, sorprendendo anche se stesso.
Justin si sistemò meglio sul cuscino. “Come?”
Brian gli bloccò il viso per evitare che si voltasse a guardarlo; se si fosse girato, non sarebbe mai riuscito a dirlo ad alta voce. “Prima hai detto che amo Gus come nessun altro al mondo.”
“Me lo ricordo.”
Prendendo un respiro profondo per farsi coraggio, Brian si chinò verso di lui e gli baciò i capelli in un gesto così incredibilmente tenero e carico d’amore che Justin fu quasi sul punto di piangere. “Quasi nessun altro.”
 
 
 
 
 
Hunter sistemò l’ultimo tovagliolo sul tavolo e affilò lo sguardo, puntandolo sulla sua migliore amica mentre il cellulare di Lane vibrava per la milionesima volta segnalando un nuovo messaggio.
“Sembra che oggi Lane sia piuttosto ricercata.” Osservò Debbie alle sue spalle, estraendo dal forno la sua famigerata lasagna.
“Non l’ho notato.” Mentì suo nipote.
Brian, già seduto al tavolo, ridacchiò divertito. “Qualcuno è geloso, mi pare.”
Hunter lo fulminò con un’occhiataccia. “E qualcun altro sta rompendo le palle.”
“La verità brucia.”
“Perché non ti preoccupi per te, stronzo?” Il ragazzino indicò Justin che si avviava verso di loro. “Dato che probabilmente non riuscirai più a fartelo alzare, Riccioli d’Oro dovrà trovarsi un altro paparino che lo mantenga.”
Justin arrivò alle spalle di Brian e abbracciò il suo compagno da dietro, posandogli un bacio sotto l’orecchio. “Riccioli d’Oro e il suo paparino stanno benissimo, moccioso.” Lo rassicurò, facendo sorridere Brian. “E così anche Brian e le sue erezioni.”
“Da notare il plurale.” Gli fece notare Brian con tono tronfio.
Hunter alzò gli occhi al cielo, sbuffando. “Siete disgustosi.”
“Chi è disgustoso?” Michael e Ted entrarono nell’angusta cucina di Debbie e presero posto a tavola.
Debbie posò le due teglie sul tavolo. “Lane è sempre al telefono, Hunter è geloso e questi due gli danno il tormento.” Si voltò verso il salotto. “È pronto! Tutti seduti prima che si raffreddi!”
“Io non sono geloso!” Si difese immediatamente Hunter mentre Emmett e Lane raggiungevano il resto dei presenti.
“Callie ti trascura?” Lo prese in giro la sua migliore amica, accomodandosi accanto a Brian e arrossendo fino alla punta dei capelli quando l’uomo le sorrise.
“Non era di Callie che si parlava, Lane.”
“Ah no?” Lane ringraziò Debbie per la gigantesca porzione di lasagne e si voltò di nuovo verso il suo amico. “Avete problemi?”
“No.” Ribatté secco Hunter, iniziando a mangiare.
Lane si strinse nelle spalle. “Paul dice che ultimamente vi vedete poco.”
Hunter deglutì sonoramente e posò la forchetta, affilando lo sguardo. “Sbaglio o tu e Paul siete diventati culo e camicia negli ultimi tempi?”
“E questo che vorrebbe dire?”
“Che sembrate appiccicati con la colla?”
“Ti sei sempre lamentato del fatto che non andavamo d’accordo.”
Brian soffocò una risata, borbottando un “Bel colpo, genio” sottovoce e beccandosi l’ennesima occhiataccia da Hunter.
“Sì, ma non volevo che diventaste gemelli siamesi.”
Lane sospirò, versandosi dell’acqua. “Sei sempre il solito melodrammatico.”
“Quindi se io controllassi il tuo cellulare, gli ultimi quarantamila messaggi non sarebbero i suoi?”
Quasi l’avesse programmato, il telefono di Lane trillò di nuovo: sul display lampeggiò il nome di Paul. Hunter inarcò un sopracciglio e Lane arrossì sotto il suo scrutinio. “È in giro con Howie e mi tiene aggiornata sulle cazzate che combina.” Si coprì la bocca, imbarazzata. “Sciocchezze. Sciocchezze che combina.” Si corresse, guardando Debbie mortificata. “Chiedo scusa.”
Debbie scoppiò in una fragorosa risata. “Sei davvero adorabile, tesoro!” Le servì un’altra porzione di lasagne.
“Così la farai scoppiare.” Le fece notare Justin. “E Lane è troppo educata per dirti di no.”
“A questo proposito.” Debbie ne tagliò un altro pezzo e lo depositò nel piatto del ragazzo. “Lane non è l’unica pelle e ossa qui dentro.”
Justin strabuzzò gli occhi di fronte all’enorme porzione che quasi non stava nel piatto. “Stai scherzando! Impiegherò due mesi a mangiarla!”
“E quando avrai finito, mangerai metà della mia.” Lo avvertì Brian, guardandolo con aria severa. “A New York non hanno più cibo?”
“Temo che il problema non sia New York.” Disse Emmett, tagliando la sua lasagna in quadratini perfetti. “Ma quando eri in ospedale, nutrirsi non era tra le sue priorità.”
“Em…” Justin guardò male il suo amico. Doveva già sorbirsi Debbie e sua madre, ora ci mancava che anche Brian iniziasse a tormentarlo per i chili che – ovviamente ne era consapevole – aveva perso nelle ultime settimane.
“Baby, sai che ho ragione.”
“È stato solo lo stress.”
“Bene.” Brian indicò il piatto di Justin. “Quindi adesso puoi ricominciare a mangiare.”
Justin alzò gli occhi al cielo, tornando al suo pranzo. A che sarebbe servito discutere con Debbie, Emmett e Brian?
“E Ben?” Domandò Debbie dopo qualche minuto di silenzio. “Come mai non è venuto?”
Michael tentò di deglutire il groppo che aveva in gola insieme alla lasagna. “Aveva dei… test da correggere.”
Debbie inarcò un sopracciglio. “Di sabato?”
“Sì, di sabato.”
“Nessuno lavora il sabato.”
Michael incrociò le braccia al petto. “Non sapevo fossimo ebrei.”
Debbie alzò gli occhi al cielo. “Quello che voglio dire è che avrebbe potuto correggerli stasera, o domani, e venire a pranzo qui. Scommetto che adesso starà mangiando uno di quegli orrendi sandwich da caffetteria.”
“Ben è un adulto, mamma.”
“È anche tuo marito, e dovresti occuparti di lui invece di lasciarlo lavorare così tanto.”
“Non posso impedirgli di lavorare.”
“Sì, quando vedi che sta lavorando troppo.”
“Come facevi tu con zio Vic? Dovrei trattarlo come un invalido così da ricordargli ogni santo giorno che è malato?”
Debbie si mise le mani sui fianchi assumendo, anche da seduta, una posa vagamente minacciosa. “Michael Charles Novot--”
“Howie ha scommesso con Paul che riuscirà a riempire di pipì una lattina di Coca Cola da un metro di distanza.” Tutti si voltarono verso Lane che aveva ancora il cellulare in mano. “Scusate, non volevo interrompere, ma era una cosa così stupida che non potevo con condividerla.”
La cucina rimase in silenzio per un istante prima che tutti scoppiassero a ridere. Debbie si limitò ad un sorriso e ad una scrollatina del capo. “Quel ragazzo avrebbe davvero bisogno di una fidanzata.”
Hunter sorrise alla sua migliore amica e sillabò un silenzioso “Grazie”. Non sapeva se gli altri se ne fossero accorti o meno, ma l’ultima, stupida scommessa di Howie e Paul aveva dirottato l’attenzione sui suoi amici, distogliendolo dai suoi genitori che ormai da settimane vivevano in case diverse e della cui situazione Debbie non sapeva ancora nulla.
Messi da parte i drammi tra suo figlio e suo genero, Debbie si informò sul resto dei suoi ragazzi: rimproverò Ted quando il contabile gli raccontò della discussione avuta con Blake qualche settimana prima e che non sembrava nemmeno lontanamente in via di risoluzione.
“Sei stato uno sciocco, Ted tesoro.” Lo ammonì la donna. “Se Blake non vuole accettare il lavoro, non sta a te decidere.”
“Blake vuole quel lavoro. È solo troppo testardo e orgoglioso per ammetterlo e il fatto che abbia così poca fiducia nella nostra storia mi ferisce.”
Debbie sospirò, scuotendo il capo. “Alle volte dovreste capire che non potete decidere per le vite delle persone che amate, anche se siete convinti di avere ragione.”
“Sto infinitamente apprezzando questo plurale, Deb.” Osservò Justin ancora con la bocca piena.
Debbie lanciò una rapida occhiata a Brian. “Il plurale era decisamente voluto, dolcezza.”
Brian le sorrise, dolce come lo zucchero. “Deb, giuro che questa è la lasagna più buona che tu abbia mai fatto. Ti sei superata.”
Debbie lo ignorò, tornando a rivolgersi a Ted. “Hai provato a parlare con lui?”
“Certo che c’ho provato, ma al momento non è, e cito testualmente, in grado di parlare con me senza mandarmi al diavolo.”
“Non puoi dargli torto.”
“Deb, non ti ci mettere anche tu, adesso.”
Debbie alzò le mani in segno di resa. “Scusate se ho questo sciocco e incomprensibile desiderio di vedere i miei ragazzi felici.” Sentenziò con tono drammatico che fece roteare gli occhi ai suddetti ragazzi e ridacchiare Lane e Hunter. “Del resto, che c’entro? Sono solo la donna che vi ascolta, vi aiuta, vi nutre--”
“S’impiccia di cose che non la riguardano…” Suggerì Michael.
“S’intromette senza essere stata interpellata…” Aggiunse Brian.
Emmett li guardò male. “Io credo che Debbie abbia ragione, invece.” La donna gli rivolse un sorrise, accarezzandogli il capo con affetto.
“Lasciali parlare, dolcezza. Non è una sorpresa che siano sempre loro due i più bravi a fare casini.” Versò un altro bicchiere di vino all’uomo. “E tu invece? Come va con John? È un po’ che non si vede in giro.”
Brian gli lanciò uno sguardo carico di compiacimento. “Ah, adesso vediamo quanto apprezzi Debbie e il suo ficcanasare.”
Debbie spostò gli occhi da Emmett a Brian prima di riportarli sul primo. “E questo che vorrebbe dire?”
Emmett prese un bel respiro e si fece coraggio. “Tanto vale che tu lo sappia da me, Deb.”
“Sapere cosa?”
Emmett sorrise triste a Justin quando il suo amico posò la mano sulla sua in segno di incoraggiamento. “John si è licenziato.”
Deb strabuzzò gli occhi. “Cosa? E per quale cazzo di motivo?”
Emmett si strinse nelle spalle. “Evidentemente lavorare con un frocio non era di suo gradimento.”
Ted si schiarì la gola. “Adesso sei ingiusto.”
Emmett lo fulminò con un’occhiataccia. Okay, non era andata proprio così e forse, forse, John era stato anche incredibilmente riguardoso nei confronti di Emmett, prendendo una decisione che secondo lui non l’avrebbe fatto soffrire, ma dannazione! Lui soffriva, cazzo! Soffriva eccome! E pensare che John si fosse comportato come l’ultimo dei gentiluomini, rinunciando al suo lavoro, alla sua carriera, al suo sogno, per riguardo dei suoi sentimenti non aiutava affatto ad avercela con lui! E lui voleva farlo! Voleva odiarlo, e maledirlo, e…
Emmett sospirò. “Ho confessato a John di essere innamorato di lui, lui mi ha respinto, decidendo anche di interrompere la nostra collaborazione lavorativa.”
“Per evitare che Emmett soffrisse in silenzio per la loro forzata vicinanza.” Sopperì Ted diligente, beccandosi immediatamente un’occhiataccia dal suo migliore amico.
Deb si posò una mano sull’abbondante petto. “Mi dispiace tanto, tesoro.” Lo abbracciò con affetto. “E mi dispiace anche per John. Non dev’essere stata una scelta difficile.”
Emmett annuì contro la sua spalla. “La sua carriera stava decollando.”
Debbie si staccò da lui, scuotendo la testa. “Mi riferisco alla vostra amicizia. Si vedeva lontano un miglio quanto quel ragazzo tenesse a te, gay o non gay. Alle volte il sesso passa in secondo piano.” Lanciò un’occhiataccia a Brian già pronto a ribattere a quella discutibile affermazione. “Sono certa che starà soffrendo anche lui.”
Emmett si morse un labbro. Finora si era imposto di non pensare a John e a come la sua vita stesse procedendo senza di lui, ma Debbie aveva probabilmente ragione. “Non è che possa fare molto.” Ammise poi.
“Possiamo sempre fare qualcosa, dolcezza.” Lo corresse Debbie con un sorriso, sfiorandogli la guancia.
Emmett ricambiò, tornando al suo pranzo.
“Bene, ora che la cazzo di seduta di terapia di gruppo è finita, possiamo finalmente andarcene a casa?”
Tutti i presenti alzarono gli occhi al cielo, mentre Debbie rifilava una sberla sulla nuca di Brian.
 
 
 
 
 
Brian gettò la testa all’indietro sul divano, sbuffando sonoramente per la trentesima volta.
“Sembri una locomotiva.” Gli fece notare Molly, seduta sulla poltrona a poca distanza da lui, intenta a scrivere messaggini al cellulare. Brian sbuffò di nuovo.
“La cena è quasi pronta.” Li informò Justin raggiungendoli in salotto con un sorriso radioso. “Che combinate?”
“Brian si comporta come un moccioso di tre anni.”
“Molly si sta organizzando per perdere la verginità.”
“Cosa?!” Justin si voltò con sguardo omicida verso sua sorella.
Molly lanciò a Brian uno dei cuscini, colpendolo in pieno viso. “Ma che scemenze dici?”
Brian si sistemò il cuscino dietro alla schiena per evitare di fornire altre munizioni alla sua adorabile sorellina acquisita. Rabbrividì solo un istante a quella definizione. “È un’ora che stai con quel cazzo di cellulare in mano!”
“Quindi hai supposto stessi scrivendo a qualcuno che potesse scoparmi?”
“Molly!” Justin la guardò imbarazzato. “Che cazzo di termini volgari usi?”
La ragazza incrociò le braccia al petto, riponendo il telefono. “Parli proprio tu, Bocca di Rosa?” Suo fratello si limitò ad un dignitoso silenzio. “E comunque, per vostra informazione, io e Bradley abbiamo rotto.”
Brian chiuse gli occhi, gemendo disperato. Da quando le sue serate si erano ridotte a sviscerare la patetica vita sentimentale di una mocciosa?
Justin, al contrario, fu estremamente felice della notizia. “Com’è che non ne sapevo nulla?”
“Potresti almeno cercare di non gongolare come un idiota.” Gli fece notare Molly contrariata.
Justin alzò gli occhi al cielo, accomodandosi sul bracciolo del divano e posando il gomito sulla spalla di Brian. “Non ti ha forzato a fare sesso, vero?”
“Justin Taylor!” Lo rimproverò Molly, diventando dello stesso colore dei suoi capelli. Brian soffocò una risata, mascherandola con un colpo di tosse. “Come osi farmi una domanda del genere?”
“Oh mio Dio!” Justin scattò in piedi. “L’ha fatto! Ti ha fatto pressione, Mol? Vuoi che lo trovi e lo picchi?”
Brian alzò gli occhi al cielo. “Calma, Rocky. Barney è due volte la tua taglia, ti ridurrebbe ad uno spezzatino di Taylor.”
Justin lo guardò male. “Beh, l’ultima volta che hai in messo in dubbio le mie capacità, mi pare di ricordare che tu le abbia prese.”
“Ricordi male, Sunshine.”
“E adesso sei più vecchio e in convalescenza. Chi dice che non potrei suonartele di nuovo?”
Molly sbuffò, chiaramente scettica, subito imitata da Brian. “Certo, come no.”
“Scommettiamo?” Ribatté suo fratello.
All’improvviso, Brian si alzò dal divano e, prima ancora che Justin avesse tempo di realizzare, lo afferrò per la vita, caricandoselo in spalla. “Chi è il vecchio in convalescenza adesso, eh Sunshine?”
Molly scoppiò a ridere, tenendosi la pancia, mentre suo fratello, scosso dalle risate, tentava invano di divincolarsi dalla presa ferrea del suo compagno. “Oddio, dov’è il mio cellulare?” La ragazza afferrò il telefono e scattò qualche foto della comica scena.
“Brian, andiamo!” Justin tentò di sembrare minaccioso, ma la sua risata risuonò di nuovo cristallina per tutto il salotto. “Finirai per farti male!”
“Credi che ancora che non sia in grado di tenerti testa, ragazzino?”
“No, no, ritiro tutto quello che ho detto!” Altra incontrollabile scossa di risate.
“Ed ecco la ce… JUSTIN, PER L’AMOR DEL CIELO!”
La voce allarmata – e minacciosa – di Jennifer riportò l’ordine nella stanza. Posò l’arrosto sul tavolo prima di voltarsi con sguardo severo verso suo figlio. “Sei forse impazzito? Brian è appena uscito dall’ospedale!”
Brian rilasciò il suo fidanzato, mordendosi un labbro per non scoppiare a ridere. Justin sbuffò, sistemandosi i vestiti. “Stai calma, Brian sta benissimo.”
Sua madre inarcò un elegante sopracciglio, incrociando le braccia al petto. “Quindi può iniziare a fare sollevamento pesi?”
Justin alzò gli occhi al cielo. “Non ti sembra di esagerare?”
Jennifer spostò lo sguardo da lui a Brian. “Brian, tesoro, stai bene?” Gli posò una maso sul braccio con fare materno e lo guidò verso una delle sedie. “Credevo che i miei figli fossero adulti ormai. Evidentemente mi sbagliavo.”
“Ehi!” Molly scattò in piedi e prese posto a tavola, accanto a suo fratello, troppo impegnato a roteare gli occhi per rispondere adeguatamente a sua madre. “E io che c’entro?”
“Non mi pare che stessi facendo molto per aiutare il povero Brian.”
Povero Brian.” Le fecero eco i suoi figli, beccandosi un’ulteriore occhiataccia.
Brian le picchiettò la mano con fare rassicurante. “Tranquilla, Jen, non è successo nulla.”
L’ingresso di Tuck evitò che la discussione degenerasse.
Si sedettero a tavola e iniziarono a mangiare, mentre Molly teneva i presenti impegnati raccontando le sue intense giornate da futura studentessa di college.
“Oggi è il secondo pasto in famiglia.” Borbottò Brian, mentre la piccola di casa raccontava del dramma cui aveva assistito quando il fidanzato di Natalie era stato mollato senza tanti riguardi nel bel mezzo della cerimonia della consegna dei diplomi. “Da quand’è che siamo entrati nel mondo di Desperate Housewives?”
Justin si strinse nelle spalle, tagliando con cura il suo filetto. “Non è che possa tenerti a casa. Almeno all’esterno sembri comportarti decentemente. E riesci persino a tenerti addosso i vestiti.”
“… e pensa, sono dovuti intervenire anche un paio di insegnanti per staccarlo dalla gamba di Nat. Avevo paura che lei lo picchiasse e…”
Brian alzò gli occhi al cielo. “Ricordati che una volta tolti i punti, tua madre potrà dire addio al suo adorato piccolo angelo.”
Justin sorrise, masticando un boccone di pane tostato. “Farò in modo di avvertirla. Anche se sembra più preoccupata per te che per me. Dovrei sentirmi offeso.”
Brian gli rivolse un ghigno irritante. “Tua madre mi adora.”
“E ancora mi domando perché.”
“Rimango comunque dell’idea che avrei preferito rimanere a casa invece di venire qui a fare il genero perfetto.” Si grattò con forza un braccio. “Sto persino avendo una reazione allergica.”
“… e alla fine, era Natalie la cattiva! Riuscite a crederci?!”
Tuck, che il giorno della suddetta cerimonia era rimasto bloccato fuori città, non poté evitare di ridacchiare. “Avrebbe potuto usare un po’ più di tatto.”
Molly fece un gesto indifferente con la mano. “Era una zecca. Sono felice che Nat si sia liberata di lui. Adesso io, lei ed Emily saremo libere di divertirci a Yale.”
“Ah già.” Justin voltò il capo verso sua sorella. “Non mi hai ancora spiegato che fine ha fatto il bradipo.”
“Barney.” Gli suggerì Brian, continuando a godersi la cena.
Molly li guardò male entrambi. “Bradley mi ha tradito.”
“Davvero, tesoro?” Jen le strizzò affettuosamente una mano. “Non ce l’avevi detto.”
Molly scosse le spalle. “L’ho trovato nel bagno della scuola con Trish.”
“Magari c’era una spiegazione.”
“Lei aveva le mani nei suoi pantaloni e lui stava cercando, invano aggiungerei, di aggirare il suo orrendo vestito verde mela.” Molly lanciò un’occhiata eloquente a sua madre che sospirò, scuotendo il capo. Nonostante avesse sempre ritenuto Bradley un ragazzo a modo, la scena a cui Molly aveva assistito lasciava ben poca libertà di interpretazione. “È successo la sera del ballo e non… non mi sembrava il momento adatto. Eravamo tutti preoccupati per Brian e, ad essere sincera, non è stata una grande sofferenza. Questo dovrebbe dirmi qualcosa, no?”
Tuck le sorrise rassicurante. “La prossima volta andrà meglio, ne sono certo, tesoro.”
Justin lo fulminò con un’occhiataccia. “Non darle idee, per favore.”
Jennifer sorrise, coprendo la mano di suo figlio con la sua. “Ragazzi, sono così felice che siate qui.”
Justin ricambiò, voltandosi poi verso il suo compagno. “Brian mi stava appunto dicendo la stessa cosa.”
Jen alzò gli occhi al cielo. “Oh certo, lo immagino.”
Brian si portò una mano al petto. “Jen, dovrei forse sentirmi offeso? Prima tuo figlio che mette in pericolo la mia salute, adesso tu.”
Justin gli pizzicò il dorso della mano. “Adesso non esagerare, Signor Melodramma. Se continui così, ti costringerà a rimanere qui finché non ti toglierai i punti.”
Jennifer si alzò, iniziando a raccogliere i piatti. Suo marito la aiutò. “Non sarebbe una cattiva idea, Brian.” Lo informò, avviandosi verso la cucina.
“Certo che no, Jen! Sarebbe un’idea grandiosa!” Affermò con tono sarcastico. Poi, si voltò con espressione preoccupata verso Justin. “Andiamocene di qui, prima che torni.”
Justin e Molly scoppiarono in una fragorosa risata.
 
 
 
 
 
“Guarda che scherzavo quando ho detto che volevo rimanessi qui.”
Seduto sui gradini del portico, Brian sorrise, dando un altro tiro alla sua sigaretta. “Grazie per avermelo detto. Per un attimo ho avuto paura.”
Jennifer scosse il capo, sorridendogli. Si chiuse la porta alle spalle e, con grande sorpresa di Brian, si accomodò accanto a lui. “Come stai, Brian? Davvero?”
Brian si strinse nelle spalle. “Bene, a parte le zelanti e soffocanti attenzioni di Debbie e dei suoi instancabili piccoli aiutanti.”
Jennifer annuì. “Occuparsi di te li fa sentire meglio, più sicuri.”
“Temono che provi di nuovo a tirare le cuoia?”
Jennifer rise. “Qualcosa del genere.”
Brian annuì, finendo la sua sigaretta e spegnendola col tacco dei suoi stivali firmati. “C’è qualcosa di cui vuoi parlarmi, Jen?”
Sentì la donna sospirare e la vide stendere le gambe, strette in un paio di eleganti pantaloni beige, davanti a lei. “Sono così ovvia?”
“Justin ha la stessa espressione quando deve confessare qualcosa.” Ammise l’uomo, facendola ridacchiare di nuovo.
“E ne deduco che sia qualcosa che non vuoi far sapere ai nostri commensali, dato che hai aspettato che fossi da solo.”
Jennifer rimase in silenzio per un altro, interminabile minuto.
Io lo amo.” Esordì poi cogliendolo di sorpresa. “Lo amo più di ogni altra cosa nella mia vita.”
Brian sollevò le sopracciglia, confuso. “È forse una dichiarazione d’amore? Per quanto ne sia onorato, Jen, non credo che tu sia il mio tipo.”
La donna ignorò la battuta, limitandosi ad incrociare le braccia al petto. “Tutto quello che voglio è stare con lui.” Fece una pausa e guardò l’uomo dritto negli occhi. “Questo è quello che io e il mio ex marito ci siamo sentiti rispondere quando abbiamo detto a nostro figlio diciassettenne che non poteva più vederti.”
Brian scosse le spalle con indifferenza, puntando lo sguardo sul vialetto davanti a lui. “Incredibile cosa passi per la testa degli adolescenti al giorno d’oggi.”
“Ora basta.” Lo ammonì severamente la donna, facendolo voltare verso di lei con un sopracciglio inarcato. “Ne ho abbastanza di questo tuo atteggiamento strafottente. Finora sono rimasta in disparte perché credevo che tu e Justin aveste solo bisogno di tempo. A quanto pare mi sbagliavo.”
Brian sospirò, distogliendo di nuovo lo sguardo. Chissà perché aveva una mezza idea di cosa preoccupasse Jen.
“Mio figlio ti ama da quando aveva diciassette anni e da allora, non è passato un giorno che non l’abbia dimostrato in qualche modo, a te o al mondo. E, per quanto la cosa mi infastidisse, ho lasciato che vivesse questo sentimento perché Debbie mi aveva assicurato che non sarebbe successo nulla tra voi, oltre al sesso.” Brian rimase in silenzio. “Poi qualcosa è cambiato. Tu sei cambiato. Hai iniziato a dargli false speranze. Ed io…” Serrò i pugni sulle gambe. “Se solo sapessi quanto ti ho odiato in quel momento! Ti avrei strangolato con le mie mani, ma ho sperato fino all’ultimo che Debbie avesse ragione, che presto ti saresti stancato di lui e lo avresti scaricato per qualcun altro, permettendogli finalmente di vivere la sua vita.” Jennifer fissò l’uomo accanto a lei e deglutì piano. “Speravo che di te non sarebbe rimasto altro che un ricordo sbiadito, uno di quegli stupidi ed imbarazzanti aneddoti che si raccontano ai pranzi di famiglia, speravo saresti stato il primo amore, la prima volta, la prima… delusione d’amore.”
Brian si voltò verso di lei e fece per aprire la bocca, ma Jennifer sollevò una mano per zittirlo.
“Poi sei andato al ballo e…” La donna sorrise con dolcezza, gli occhi lucidi e la voce tremante “… l’hai reso così felice. Daphne mi ha raccontato che era raggiante, che era bellissimo e che anche tu lo eri… che eravate perfetti. Innamorati.” Sospirò piano, abbassando lo sguardo sulle sue mani. “Inutile dire che quella sera ho avuto altro a cui pensare.”
Brian cercò di restare impassibile, nonostante il dolore cieco che quei ricordi gli causavano.
“E mentre aspettavamo di sapere se Justin si sarebbe salvato, ho sentito qualcosa nascere dentro di me: rabbia, frustrazione, impotenza… senso di colpa.”
“Per cosa?”
“Per non averti preso a calci, buttandoti fuori dalla vita di mio figlio la prima volta che ti ho visto. Sapevo che avresti portato guai, Brian Kinney. Me lo sentivo nelle ossa.” Brian accennò un mezzo sorriso. “Ma Justin ti amava e io ho deciso di farmi da parte per il bene… per la felicità di mio figlio. Dopo l’incidente ho sperato finalmente che fossi fuori dalle nostre vite, ma quando lui, come prima cosa appena uscito dall’ospedale, è venuto a cercarti… Dio! Giuro che l’avrei ucciso! Non riuscivo a capire come potesse ancora essere legato a te dopo quello che gli avevi fatto. Era colpa tua se Justin era quasi morto.”
“E lo era.” Confermò l’uomo in un sussurro, abbassando lo sguardo sui propri jeans. “Lo è.”
Jennifer scosse la testa con un sorriso. “No, invece, ma era più facile crederlo, piuttosto che rendermi conto che mio figlio avrebbe sempre vissuto tra persone che gli erano ostili. Preferivo addossare a te le colpe del mondo, degli ignoranti, dei bigotti, le mie…”
Brian aggrottò la fronte. “Le tue?”
La donna annuì, con gli occhi lucidi. “Ho insistito così tanto perché andasse a quello stupido ballo.”
Brian si mosse verso di lei e le posò una mano sulla spalla, incerto. “Di certo non potevi immaginare quello che sarebbe successo.”
“Il discorso vale anche per te.” Jennifer cercò di sorridere. “Ed è stato per mettere a tacere i miei sensi di colpa che ti ho chiesto di non vederlo più.”
“Lo capisco, stavi cercando di proteggerlo.”
“Sfortunatamente non eri tu quello da cui andava protetto. E proprio allora ho capito che forse tu potevi non essere una completa disgrazia.”
Brian sollevò un angolo della bocca in un ghigno impertinente. “È il complimento più bello che tu mi abbia mai fatto.”
Jennifer lo fissò sorridente. “Non l’avrei mai creduto possibile, ma grazie a te ho riavuto mio figlio. Tu l’hai guarito.” Brian fece per interromperla. “E non parlo delle ferite esterne. No, tu hai saputo guarirlo dentro, nel cuore, nell’anima e poi hai restituito a me il ragazzo meraviglioso e combattivo che ho cresciuto. Tu mi hai ridato il mio bambino.”
“Justin non è più un bambino, mamma Taylor.”
La donna scosse il capo. “Ne riparleremo quando Gus sarà grande, papà.” Vide Brian sorridere. “E poi è successo quello che non mi aspettavo.”
“Cioè?”
“È arrivato Ethan.” Brian gemette. “Quando ti ha lasciato, inutile negarlo, ero…”
Brian inarcò un sopracciglio, divertito. “Felice? Raggiante? Al settimo cielo?”
Jennifer gli lanciò uno sguardo severo, ammorbidito da un sorriso appena accennato. “Sollevata.”
“Ti ringrazio per il tatto.”
“Finalmente mio figlio aveva qualcuno che lo amava davvero.” Brian si schiarì la gola. “Non voglio dire che tu non…” Gesticolò a disagio. “Ammetterai che all’epoca non si capisse bene cosa provavi per lui, ed ero felice perché sapevo che Ethan era adatto a lui, sapevo che avrebbe trattato mio figlio nel modo in cui meritava. Era suo coetaneo, era presente, affettuoso, monogamo.” Per la prima volta quella sera, Jennifer gli lanciò una vera occhiata di disapprovazione. Una di quelle che solo le madri riescono ad assumere. “E, sollevata com’ero, ho continuato a fingere di non notare la tristezza nei suoi occhi, il suo sorriso che non scaldava più il cuore. Poi un giorno finalmente ho realizzato. Justin era al Diner, mi ha versato del tè e poi l’ho visto alzare lo sguardo verso uno dei tavoli più lontani. In quel preciso momento ha sorriso, e la cosa che più mi ha sorpreso è che era uno dei sorrisi da Raggio di Sole che piacciono tanto a Debbie.” Jennifer sorrise, assistendo di nuovo alla scena nella sua mente. “Ho seguito il suo sguardo e ho visto voi: te, Michael e gli altri. Emmett si era avvicinato a te per toccarti i capelli credo, o il viso… non ricordo… e tu, col tuo solito aplomb gli hai schiaffeggiato via la mano, dicendogli qualcosa di molto poco carino. Justin ha ridacchiato, prima di tornare ai suoi caffè. Quel giorno ho capito che con Ethan sarebbe finita presto. E così è stato.”
Brian annuì piano. “E cosa dovrebbe farmi capire questo nostalgico tuffo nel passato?” Nemmeno tanto piacevole?
“Dovrebbe farti capire che non importa quello che fai, come lo tratti o quanto lo ferisci, Justin tornerà sempre da te. Dove vuole stare, dove… è nato per stare. Al tuo fianco. Dove vuoi anche tu che stia, nonostante tutte le tue stronzate da superuomo.”
“Ahi.” Brian si posò una mano sul petto con fare melodrammatico. “Questo ha fatto male, mamma Taylor.”
Jennifer scosse la testa con un sorriso, guardando l’uomo che ormai aveva imparato ad amare come un figlio. “Brian, non vuole altro che rimanere qui con te.”
“Non può rinunciare a New York.”
“È una sua scelta.”
“È una scelta del cazzo.”
“Tu non puoi saperlo.”
Brian prese un bel respiro. “Voglio solo che sia felice, lui se lo merita. Lui si merita il meglio.”
“Non sta a te decidere della sua vita, così come non stava a me chiederti di stare lontano da lui dopo l’aggressione. È la sua vita, è lui a dover scegliere.”
“Non--”
Jennifer si avvicinò a lui e gli sfiorò una guancia con fare materno, cogliendolo di sorpresa. “Vuoi davvero che sia felice? Allora permettigli di scegliere. Permettigli di rimanere con te. Lascia che sia finalmente felice.”






E finalmente eccoci qui di nuovo! Nuovo capitolo, nuovi sviluppi, vecchi drammi, ma del resto è sempre Queer As Folk, no?
La scena di sesso iniziale non era programmata, ma come al solito questi due fanno come vogliono. Per il resto, tanta, tanta famiglia: pranzi da Debbie, cene da Jen, discussioni tutti assieme. Che, lo ammetto, erano le mie scene preferite nel telefilm (dopo quelle coi nostri Britin).
E dopo tanto, è ricomparsa anche la spinosa questione "New York" e questa volta è direttamente mamma Taylor a scendere in campo. Sarà la volta buona per Brian e la sua testaccia dura? Vedremo!
Ah già! Piccola comunicazione di servizio che non c'entra nulla col capitolo, ma volevo assolutamente condividerla con voi: sono andata a Bilbao per la Convention di Queer As Folk!! E' stato grandioso! Mi sono divertita un mondo con pazze scatenate come me e HO INCONTRATO MR. GALE HAROLD IN PERSONA! Adesso nella mia stanza, troneggia la foto di me abbracciata all'attore più bravo e figo del mondo.
Sono ancora sotto shock!
Ultima cosa: per coloro che ancora non lo sapessero, ho creato un gruppo Facebook dove posterò anticipazioni, estratti dai capitoli futuri e aggiornamenti sul mio status (ossia, se sono ancora viva o no). Se vi va, fateci un salto (scrivetemi magari un mp col vostro nick qui su Efp cosicché possa combinare i nomi veri agli alias). Questo è il link: https://www.facebook.com/groups/1459245527630195/
Come sempre, un ringraziamento mega galattico a tutte voi che ancora mi sopportate (e aspettate)!
Un bacio e alla prossima!!

Alessandra


 

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Capitolo 34
*** All Is Well That Ends Well ***


34. All Is Well That Ends Well
 
 
 
 

 
Justin cercò di inserire la chiave nella toppa senza far cadere a terra i contenitori con il pranzo, si sarebbe mangiato i gomiti piuttosto che sprecare quel ben di Dio. Con qualche altra contorsione della mano, riuscì finalmente nell’impresa spalancando il portone del loft. “Sono tornato!”
“L’incidente d’auto mi ha reso per caso sordo?” Borbottò una voce irritata dal salotto.
“L’incidente non lo so, ma alla tua età non si mai.” Justin sorrise posando i cartoni sul bancone e sfilandosi il giubbino. “Indovina cosa c’è per pranzo?”
La testa di Brian fece capolino da dietro i divani. “Pizza?”
“Cosa c’è di meglio?”
“Magari un pasto sano che non mi ostruisca le arterie, facendomi venir un infarto prima dei quarant’anni?”
Justin afferrò un paio di salviette, due lattine di soda e un forchetta – oltre che il pranzo – e si diresse verso il suo compagno, posando tutto sul tavolino da caffè. “Pizza per me, insalata triste e scondita per l'uomo più brontolone del mondo. Contento?”
“Quelle sono due pizze.” Osservò Brian, inarcando un sopracciglio.
“Ho molta fame.” Lo liquidò Justin. Poi lanciò un’occhiata al tappeto completamente ricoperto di riviste. “Che combini? Non starai lavorando, spero.”
Brian alzò gli occhi al cielo, astenendosi dal ribattere; invece afferrò Justin per la vita e se lo trascinò addosso. “Amami follemente, Sunshine.”
Justin sbuffò, iniziando a sfogliare una delle riviste. “Troppo tardi.” Si bloccò di colpo davanti ad una delle foto. “Oh mio Dio, questo posto è fantastico.”
Brian sorrise, mordendogli un orecchio. “Hai detto che volevi una vacanza, no? Allora stamattina ho costretto Ted, sotto minaccia di licenziamento, a passare per ogni agenzia di viaggi di Pittsburgh e a portarmi tutte le brochures sui migliori posti al mondo per abbronzarsi. Perché di sicuro andremo in un posto in cui c’è il sole.”
Justin si strinse nelle spalle, sistemandosi meglio tra le sue gambe. “Il mare va benissimo purché ce ne andiamo da qui per qualche giorno.”
“Stavo pensando al periodo di Natale.”
“Debbie organizza la cena di Natale.”
“Ottima ragione per partire, quindi.”
Justin gli lanciò un’occhiata di finto rimprovero. “Ne riparliamo. Allora, dove si va? Oh, l’Europa!”
“Ibiza?”
Justin lo colpì con una gomitata nello stomaco. “Stavo pensando alle Baleari. O alle Canarie. Maiorca!” Afferrò una delle riviste. “Non sarebbe magnifico?”
Brian sfogliò un paio di pagine prima di soffocare una mezza risata. “Guarda qui. Sant Joan Hotel.”
Justin fece una smorfia. “Ripensandoci…” Gettò il giornale verso il televisore.
“Che ne dici dei Caraibi? O delle Barbados?” Brian scansò un paio di brochures per trovare quella giusta. “Ah, eccola… Isole Cayman. Avevo trovato un hotel niente male. Il nome prometteva bene.”
Justin ridacchiò. “Come si chiamava? Hotel per froci che vogliono scopare in santa pace?”
Brian sorrise, indicandogli la pagina. “Sunshine Resort.” Justin scoppiò a ridere. “Il nome ha un che di evocativo, no?”
“Decisamente.”
“Quindi Cayman?”
Justin osservò con attenzione la descrizione dell’hotel. Cinque stelle, piscina interna ed esterna, spa… sembrava tutto perfetto. “E se invece…” Girò pagina e sorrise trionfante. “Voilà, proprio quello che cercavo.”
Brian si sporse al di sopra della sua spalla. “Che sarebbe?”
“Bungalow.”
“Io non sono un uomo delle caverne. Voglio una stanza vera, con una vasca e qualcuno che pulisca.”
Justin appoggiò la schiena al suo petto e sollevò al rivista. “Guarda qui, è sempre lo stesso resort, stesse caratteristiche, ma con moooolta più privacy.” Voltò il capo e gli baciò una guancia, esitando più a lungo del dovuto contro la mascella ispida di Brian. “Potresti farmi gridare quanto vuoi senza paura di terrorizzare i vicini di stanza.”
“Ma a me non frega un cazzo dei vicini di stanza.”
Justin sorrise, scendendo a baciargli la mandibola. “Ti prego…”
Brian sbuffò, alzando gli occhi al cielo. “È inutile che ci provi, tanto non è che possiamo andare oltre i baci da adolescenti.”
Justin si staccò da lui e gli rivolse un sorriso raggiante. “È un sì?”
Brian scosse il capo. “Credi sia così facile convincermi? Due bacetti e Brian cede?”
“Adesso parli di te in terza persona? Dovremmo fare qualcosa per quell’ego spropositato che ti ritrovi.”
“E ti ricordo che non è l’unica cosa spropositata di cui sono in possesso.”
Justin scoppiò a ridere, districandosi dal suo abbraccio e gattonando sul tappeto fino alla sua pizza. Brian seguì i suoi spostamenti con interesse. Dio, se gli mancava quel culo. Alla fine del weekend, quando fosse finita l’astinenza, Brian avrebbe sequestrato Justin – e il suo culo – per almeno un mese.
“… i suoi benefici, sai? Ho letto un articolo al riguardo.” Brian riportò la sua attenzione su Justin che aveva iniziato già a divorare la sua pizza – una delle due –, blaterando di chissà quale idiozia. “Brian, mi ascolti?”
“Cerco di evitarlo quando posso.” Brian schivò con grazia uno dei cuscini del divano prima di raddrizzarsi e aprire la sua insalata. Sorrise a metà tra il compiaciuto e il terrorizzato quando notò che era la sua preferita. Justin lo conosceva davvero così bene?
Tu sai quali sono i suoi piatti preferiti? I suoi hobby? Le cose che odia? E allora perché lui non dovrebbe?
“Dicevo…” Riprese Justin con tono annoiato “… che ho letto un interessante articolo sui benefici dei baci. Alcuni studiosi ritengono che siano persino più terapeutici del sesso.”
“Certo, gli studiosi che non scopano.”
“Potresti essere serio per mezzo minuto?” Justin morse con gusto la sua pizza e mugolò di piacere quando la mozzarella si sciolse sul palato. Brian prese un bel respiro, cercando di calmare i suoi istinti.
Due giorni, Kinney. Due fottutissimi giorni. E poi addio punti.
“Per esempio, rinforza il sistema immunitario.” Brian inarcò un sopracciglio, chiaramente scettico. “È vero! Con tutto quello scambio di saliva, i globuli bianchi si rafforzano. Poi è giudicato un ottimo sistema per capire se un partner è giusto per te oppure no. Se ti piace come bacia, è un punto a favore.”
“Ma davvero?”
“Certo. Staresti mai con una persona che non sa che fare con la sua lingua?”
“Dipende da dove la infila, la lingua.”
Justin sorrise, scuotendo il capo. “Posso continuare quella che ritengo sia una conversazione seria ed intellettualmente stimolante senza che i tuoi continui doppi sensi mi distraggano?”
Brian prese un boccone di insalata e si strinse nelle spalle con un mezzo sorriso. “Va’ avanti.”
“Terzo, è un ottimo metodo di rilassamento. Baciando si rilasciano endorfine che… beh, ti rilassano.”
“Un discorso da vero scienziato, Sunshine.”
“Vaffanculo.” Justin gli lanciò una delle salviette, senza poter evitare di ridere. “Poi è utile per tenere allenata la mascella.”
Brian rifletté per un attimo e annuì. “Su questo sono d’accordo. Mascelle più allenate per gli altri, pompini migliori per me.”
Justin scoppiò a ridere, coprendosi la bocca con un tovagliolo. “Sono felice che concordi almeno su questo punto.”
Brian gli rivolse un sorriso malizioso. “Mi conosci, sono un altruista. Non negherei mai a qualcuno la possibilità di tenere allenate le loro mascelle.”
“Che eroe.” Justin allungò una gamba sotto il tavolino da caffè e sfregò il polpaccio contro la coscia di Brian. “E l’ultimo vantaggio, questa ti piacerà, è che si perdono calorie.”
Brian inarcò un sopracciglio. “Davvero?”
Justin annuì. “È una ricerca molto seria. Ed è tutto vero.”
Brian inclinò il capo e sorseggiò la sua bibita. “Quindi dopo due pizze, che hai già finito – sei disgustoso alle volte –, tu avrai parecchie calorie da smaltire.”
Justin sollevò un angolo della bocca e si inumidì lentamente le labbra. “Probabilmente.”
“Potrei darti una mano.”
“Lo faresti?” Justin allontanò i cartoni della pizza ormai vuoti e si sporse verso Brian, posandogli una mano sull’interna coscia.
Brian fece lo stesso con la sua insalata, mangiata per metà, e rivolse al suo fidanzato un’occhiata da vietata ai minori. “Te l’ho detto che sono altruista.”
Justin non si sforzò neppure di rispondere: con uno scatto si avventò su lui proprio mentre Brian si alzava da terra. Afferrò Justin per la vita e lo trascinò senza tante cerimonie sul divano, gettandosi poi sulla sua bocca.
Le labbra di Justin si aprirono al primo tocco di lingua; sentì il ragazzo gemere tra le braccia prima che le mani di Justin si aggrappassero alla sua t-shirt. “Solo baci, okay?” Sussurrò già a corto di fiato.
“Justin, chiudi il becco.” E si avventò di nuovo famelico su di lui.
Justin sorrise prima di rispondere al bacio con la stessa passione.
Ultimamente lui e Brian non facevano che baciarsi.
Sempre, in ogni situazione, quando erano soli e quando erano in compagnia, al loft o al Diner, quando mangiavano e quando guardavano la tv, quando erano con Debbie o quando visitavano Jen. Ora che, in fin dei conti non potevano fare altro, non riuscivano a staccarsi dall’altro neppure per un minuto.
Justin non ricordava di aver mai baciato Brian così tanto: in passato avevano sempre avuto qualcos’altro a cui arrivare e non avevano mai goduto fin in fondo di quel gesto di intimità, ma adesso che potevano finalmente apprezzarlo – dato che non potevano andare oltre – lui ne vedeva davvero il potenziale.
E non semplicemente dei baci.
Ma dei baci di Brian.
E Dio santo, se non erano qualcosa di incredibile!
Il solo pensiero che Brian rispettasse ancora la promessa fattagli anni prima – “Non baci nessuno sulla bocca tranne me” –, lo riempiva di così tanto orgoglio, amore e eccitazione da non riuscire neppure a descriverlo.
Brian baciava lui. Solo lui.
“Sunshine, ti disturbo?” Mormorò l’uomo quando avvertì la sua mente vagare.
Justin gli sorrise, afferrandogli il viso tra le mani e baciandolo di nuovo con passione. Non si sarebbe mai stancato di farlo. “Tu non disturbi mai.” Lo avvertì sorridere contro le sue labbra prima di dischiudere la bocca e accogliere di nuovo la lingua di Justin.
Justin si strinse di più a lui e Brian ricambiò il gesto, passandogli un braccio attorno alla vita e mordendogli leggermente il labbro inferiore. Sentì Justin sobbalzare e si separò da lui per prendere a baciargli la mascella e il collo. Justin sospirò pesantemente, reclinando la testa all’indietro e avviluppando una gamba attorno alla vita di Brian, premendo così insieme le loro eccitazioni.
Solo due giorni si ripeté Brian cercando di controllarsi.
“Solo due giorni.” Justin diede voce ai suoi pensieri, dimostrandogli ancora una volta quanto in sintonia fossero le loro menti. Insieme a qualcos’altro decisamente più a sud. “Dobbiamo solo affrontare un altro weekend e poi finalmente…” Justin prese un bel respiro, sfiorandogli lo zigomo col pollice. Percorse il viso di Brian, accarezzandogli la mascella decisa, il mento ispido, le labbra sottili ed invitanti.
“Così non mi rendi le cose più semplici.” Lo informò l’uomo, facendo scivolare una mano sulla sua coscia e sfregandola da sopra i jeans consunti.
Justin si fece più vicino, strusciando il naso contro quello di Brian e chiudendo gli occhi. “Giuro che sto cercando di impegnarmi.”
Brian posò la fronte contro la sua e sospirò sconfitto. “Non sopravvivremo mai altre quarantotto ore senza saltarci addosso.”
“Potremmo usare la solita tecnica.”
Brian grugnì, chiaramente contrario all’idea.
Durante la sua convalescenza – e conseguente astinenza forzata –, Justin aveva elaborato una strategia.
L’unico modo per evitare di fare sesso, era quello di non rimanere mai da soli troppo a lungo.  Avevano così iniziato ad uscire la sera – ovviamente niente Babylon o Woody, visto che avrebbero dovuto rimanere sobri ed illibati – iniziando a frequentare luoghi normali, luoghi da coppie li definiva Justin, luoghi da sfigati asessuati preferiva Brian.
Andavano al cinema, uscivano spesso – sempre – a cena fuori, facevano in modo di non rimanere soli troppo a lungo; Daphne, Emmett e Steve erano praticamente presenza fisse al loft e Brian, in più di un’occasione, aveva pensato al suicidio – o quantomeno all’autoflagellazione – pur di non ascoltare più le discussione sul Gordon Ramsay dei poveri che aveva spezzato il cuore di Emmy Lou, sul meraviglioso ed incredibile dottor Mitchell che salvava costantemente la vita di malati, infermi e bambini meno fortunati o di quanto si rimorchiasse nei locali di Pittsburgh.
Non ne poteva più.
Nel giro di due giorni, avrebbe fatto in modo che Justin dicesse addio per sempre ai suoi tre moschettieri.
Non vedeva l’ora.
“Se andiamo di nuovo a cena da tua madre, chiedo il divorzio.”
Justin lo colpì sulla pancia. “Ti ricordo che non hai avuto abbastanza palle per sposarmi.”
“Ottimo, così non dovrò nemmeno pagarti gli alimenti.”
“Non abbiamo mica figli.”
“La serata migliora di minuto in minuto.” Brian cercò di trattenere un sorriso quando vide Justin alzare gli occhi al cielo.
“Stavo pensando a qualcosa di diverso.”
Brian inarcò un sopracciglio. “Tipo? Orge in qualche club esclusivo?”
Justin gli passò una mano tra i capelli, facendogli inclinare il capo all’indietro. “Andiamocene a Toronto.” Abbozzò un sorriso di fronte all’espressione sorpresa di Brian.
“A Toronto? Oggi?”
“Adesso.” Chiarì Justin, continuando a sfiorargli i capelli. “Montiamo sulla Jeep e partiamo. Un paio d’ore e siamo lì.”
Brian sollevò le sopracciglia, riflettendoci su.
Perché no? Non è che lui e Justin avessero chissà quali impegni da rispettare e probabilmente, se fossero rimasti al loft, avrebbero finito per uccidersi. O saltarsi addosso.
Perché non evitare rogne e passare invece il weekend con suo figlio?
Sorrise, immaginando di trascorrere i successivi due giorni in compagnia di Gus. “Mel darà fuori di testa.” Osservò.
Justin sogghignò. “È un sì?”
Brian lo baciò di slancio, afferrandogli il viso e lasciandolo senza fiato. “Fila in camera a fare le valige, Sunshine. Si va in Canada!”
Justin scoppiò a ridere, contagiato dal suo entusiasmo. “Non così in fretta, cowboy. Ho un appuntamento con Michael tra dieci minuti, ma non dovrei metterci molto.”
Brian roteò gli occhi, annoiato. “Non dovevamo partire adesso?”
“Non ci vorrà molto.” Lo tranquillizzò il ragazzo. “E poi, in questo modo possiamo escogitare un piano per aiutare quell’impiastro di migliore amico che ti ritrovi.”
Brian inarcò un sopracciglio. “Che intendi?”
Justin lo guardò come se fosse pazzo. “La situazione con Ben? Il suo matrimonio che va a rotoli? Il possibile divorzio?”
“E la cosa ci riguarda, perché…?”
“Perché siamo suoi amici!”
Brian alzò gli occhi al cielo, posando le mani sui fianchi del ragazzo. “Justin, per una volta potresti evitare di impicciarti?”
“Certo che no.”
“Ovviamente.” Borbottò Brian rassegnato. “Va bene, genio del male, che hai in mente?” Justin si limitò a sogghignare.
 
 
 
 
 
“Non posso crederci! Ma dove hai la testa?”
Justin alzò gli occhi al cielo. “Mi dispiace, l’ho dimenticato! Sono cose che succedono!”
Michael gli lanciò un’occhiataccia. “Dovevamo incontrarci solo perché tu potessi darmi i nuovi disegni.”
“Ero convinto che fossero nella mia tracolla, ma evidentemente mi sbagliavo. Devo aver dimenticato di rimetterceli dopo che li ho mostrati a Brian ieri sera.”
Michael sospirò, scuotendo il capo. “Lui come sta? Ha già iniziato a dare testate contro il muro?”
Justin ridacchiò, stringendosi nelle spalle. “È nervoso, annoiato ed eccitato e non può bere, fumare o scopare. Come credi che stia?”
Michael fece una smorfia. “Dev’essere un sogno viverci insieme.”
Justin si accasciò in avanti, poggiando la fronte contro il tavolo di fronte a lui. “Dio, non vedo l’ora che si tolga quei dannati punti.”
“Perché? Il Babylon non soddisfa le tue pulsioni?”
Justin alzò lo sguardo su di lui, rimanendo col mento incollato al tavolino. “Non sono andato più al Babylon da prima che partissi per New York.”
Michael aggrottò la fronte, confuso. “Come mai?”
“Tu ci sei andato quando Ben era in ospedale?” Domandò Justin con tono piatto.
“No, ma noi siamo--”
Il ragazzo si raddrizzò all’istante. “Cosa? Speciali?”
“Sposati. Monogami. Nonostante tutto questo casino, lo siamo ancora. Voi non lo siete mai stati.”
“E tu che cazzo ne sapresti?”
Michael lo guardò con espressione offesa. “Io sono il suo migliore amico!”
“Ma non ti stanchi mai di dirlo?” Gli chiese Justin, alzando gli occhi al cielo. E sto anche cercando di aiutarlo. Ma chi me lo fa fare?
Michael incrociò le braccia al petto. “Quello che sto dicendo è che mi sembra strano che tu stia aspettando che Brian… recuperi per poter fare sesso. Sono certo che lui non si aspetti la castità da te.”
“Ciò non vuol dire che io non possa dargliela lo stesso. Almeno in questo caso. Voglio che capisca che non è il sesso che mi manca, ma il sesso con lui.”
Michael lo guardò come se fosse impazzito di colpo. “E credi che lui non lo sappia? Nel caso non fosse ancora chiaro, Brian è innamorato di te.”
Justin abbozzò un sorriso. “Certo che ne abbiamo fatta di strada tu ed io.”
“Ci puoi scommettere, ragazzino. Se ripenso alla mattina che ti ho conosciuto, quando ti abbiamo accompagnato a scuola con la Jeep di Brian coperta di vernice.”
Justin scoppiò a ridere, tornando con la mente a quel giorno. “È stato divertente.”
“È stato imbarazzante!” Ribatté Michael.
“Imbarazzante per te? Io sono arrivato nella mia scuola su un’auto con scritto FROCIO a carattere cubitali sopra! Se non è un coming out quello.”
“Almeno ti sei dichiarato con stile. Sono certo che alla St. James se lo ricordano ancora.”
Justin annuì. “Ne sono certo.” Lo sguardo gli cadde sull’orologio. “Cazzo, sono in ritardo.” Si alzò rapidamente e afferrò la sua tracolla. “Allora, ci vediamo dopo al loft.”
“Non puoi passare tu al negozio?”
“Brian non è in condizioni di uscire di casa. Potrebbe mordere qualcuno.”
Michael soffocò una risata. “Ci vediamo dopo.”
Justin gli rivolse un sorriso radioso, prima di scappare fuori dal bar.
 
 
 
 
Brian aiutò Justin a sedersi sul cofano della Jeep, dandogli poi le spalle e sistemandosi tra le sue gambe.
“Sono curioso di vedere che faccia farà.” Sussurrò Justin al suo orecchio, abbracciandolo da dietro. Posò il mento sulla sua spalla e sospirò. “Mi è mancato, sai?”
Brian coprì la mano di Justin con la sua. “Anche a me. Detesto che vivano così lontano.”
Appena arrivati a casa Peterson-Marcus, Lindsay li aveva aggrediti con baci e abbracci da cui Brian doveva ancora riprendersi, mentre Mel si era limitata ad un mezzo sorriso per lui e ad un solo abbraccio per Justin. Dopo aver offerto loro caffè e biscotti – da perfetta padrona di casa –, la sua migliore amica li aveva poi spediti a prendere Gus direttamente a scuola. “Sarà una fantastica sorpresa per lui! Ultimamente non ha fatto che chiedere di te, Peter.” Gli aveva poi confessato Lindsay.
“Ne hai mai parlato a Linz?”
Brian inforcò gli occhiali da sole, scrutando l’ingresso dell’edificio scolastico; all’interno, una campanella suonò, scandendo la fine delle lezioni. “Di cosa?”
“Di tornare a Pittsburgh. Definitivamente.”
Justin lo sentì sospirare. “Hanno una vita qui. Un lavoro, degli amici.”
“E a Pittsburgh ci siete tu e Michael.”
“Justin…”
Justin alzò gli occhi al cielo. “Scusa, se mi preoccupo per la tua felicità e per quella di Gus. Come mi sarà mai venuto in mente?”
Brian premette maggiormente la schiena contro il suo petto. “So che ti preoccupi per Gus e Jenny.”
“Dovrebbero stare con i loro padri, oltre che con Mel e Linz.”
“È per il loro bene.”
“Come New York era per il mio?”
Brian si irrigidì tra le sue braccia. “No, come New York è per il tuo.”
“Non mi pare che io sia a New York.”
“Non credere che abbia abbandonato l’argomento. Riprenderemo questa discussione quando saremo tornati a Pittsburgh.”
“Per quanto mi riguarda, la discussione è più che conclusa.”
“E per quanto riguarda me--”
“Chiudi il becco, c’è Gus.”
Brian alzò gli occhi al cielo, ma lasciò cadere il discorso. Non era né il luogo, né il momento adatto. Il suo sguardo si concentrò sulla scalinata dell’elegante scuola elementare; ci volle solo un attimo perché avvistasse suo figlio. Nonostante la situazione, si ritrovò a sorridere.
Gus camminava accanto ad un ragazzino di colore e una ragazzina dai capelli castano-ramati; parlava animatamente, gesticolando con le mani e facendo ridere di gusto la sua amica.
“Il fascino Kinney colpisce ancora.” Sussurrò Justin al suo orecchio, e dal suo tono Brian intuì al volo che stava sorridendo.
Gus continuò a chiacchierare, percorrendo il viale alberato verso di loro, e ad un tratto lo videro bloccarsi. Il suo sguardo, fino ad un attimo prima allegro e spensierato, fu attraversato prima da un lampo di sorpresa, poi di totale incredulità. Sgranò gli occhi, mettendo in risalto gli occhi di sua madre, e spiccò una corsa nella loro direzione.
Brian si staccò immediatamente dall’auto per andargli incontro, afferrandolo prontamente mentre suo figlio si gettava tra le sue braccia. “Papà!”
“Ehi, campione.” Brian lo strinse forte a sé, ispirando a pieni polmoni il suo profumo di bambino.
“Sei venuto a prendermi!”
Brian gli sorrise, baciandogli i capelli e posandolo a terra. “Così pare.” Gus ricambiò il sorriso, prima di gettarsi di nuovo tra le sue braccia.
“Deduco che la sorpresa ti è piaciuta?” Domandò Justin alle loro spalle.
Gus si staccò da suo padre e corse da Justin, abbracciandolo attorno alla vita e premendo il viso contro la camicia del ragazzo. Justin si chinò per baciargli i capelli. “È stata una bellissima sorpresa.” Mormorò, senza lasciare Justin.
“Tu sei il suo papà?” Brian e Justin si voltarono verso la bambina dai capelli castani. “Perché tu e Gus avete gli stessi capelli quindi puoi essere il suo papà. La sua mamma ha i capelli gialli come quelli delle mia Barbie e quindi almeno il suo papà deve avere i capelli marroni come i suoi. Come Jenny Rebecca e la signora Marcus, loro sono mamma e figlia perché hanno i capelli uguali.”
Brian inarcò un sopracciglio e guardò Justin con espressione divertita. Il ragazzo cercò inutilmente di trattenere un sorriso. “Certo che voi Kinney ve li scegliete bene.” Mormorò, prima di avvicinarsi alla bambina.
“Holly, tesoro, che fai qui?” Un uomo alto e dal sorriso amichevole si avvicinò a loro. “Spero che mia figlia non vi stia disturbando.”
“Salve, signor Leonard.” Salutarono in coro Gus e l’altro ragazzino.
L’uomo sorrise, accarezzando la testa del ragazzino di colore. “Ciao, ragazzi.” Tese la mano verso Brian. “Luke Leonard. Sono il papà di Holly.”
“Brian Kinney, sono il padre di Gus.” Justin strizzò la mano di Gus: l’orgoglio con cui il suo compagno aveva pronunciato quelle semplici parole gli fecero stringere il cuore.
“Lieto di conoscerla, finalmente. Gus non fa che parlare di lei.” Si voltò verso Justin.
Justin si affrettò a presentarsi. “Justin Taylor. Il compagno di Brian.”
“Anche lui è il mio papà.” Precisò Gus, stringendo ancora la mano di Justin. “Lui è il mio papà Justin.”
Luke sorrise al bambino. “Devi essere un bambino incredibilmente fortunato, allora. Due mamme e due papà.”
“Papà?” Holly tirò una delle maniche di suo padre. “Anche io voglio due papà.”
Brian, Justin e Luke scoppiarono a ridere, scambiandosi uno sguardo divertito. “Sono desolato, principessa, ma credo che dovrai accontentarti di me e della mamma.” La bambina fece una smorfia, chiaramente non entusiasta dell’idea. “E purtroppo, temo di avere anche un’altra cattiva notizia. Stasera niente minigolf.”
I tre bambini protestarono all’unisono. “Nooooo…”
Luke li guardò dispiaciuti. “Mi dispiace, ma più tardi devo tornare in ufficio.”
“Ma papà…” Gli occhi nocciola di Holly si riempirono all’istante di lacrime. “Me l’avevi promesso.”
“Principessa, ascolta--”
Sorda alle suppliche di suo padre, la bambina scoppiò in un pianto disperato.
Brian rabbrividì inconsciamente, ringraziando il cielo di avere un figlio maschio. Non era ansioso di scoprire quale devastazione le lacrime di una bambina potessero causare.
“Potremmo accompagnarli noi.”
Brian si voltò di scatto verso il suo compagno, un attimo prima che Gus e i suoi amici facessero lo stesso.
“Davvero?” Domandò suo figlio con un sorriso raggiante.
“Davvero?” Gli fece eco la sua amica, tirando su col naso.
Justin sorrise a Brian e annuì. “Non abbiamo impegni per stasera e sarebbe un peccato se i bambini dovessero rinunciare al minigolf.”
Luke lo guardò con gratitudine. “Sicuri che non è un problema?” Si voltò in direzione di Brian. “Lo capirei se voleste passare un po’ di tempo in famiglia.”
Brian lanciò un’ultima occhiataccia a Justin prima di fare l’errore di guardare suo figlio.
Incastrato di nuovo, Kinney. Non avevamo già stabilito che Justin e Gus insieme fossero una pericolosa combinazione?
“Dannazione…” Borbottò tra i denti.
Gus si staccò da Justin e gli si avvicinò. “Papà, davvero ci porti tu al minigolf?”
Brian sospirò, ammettendo sconfitta. “Sì, campione, vi accompagniamo io e Justin.”
“YEAH!” Il bambino gli rivolse un sorriso radioso prima di gettarsi tra le sue braccia. “Sei il papà più migliore del mondo!”
Scambiando un’occhiata silenziosa con Justin, che li osservava con un sorriso orgoglioso, Brian non ebbe neppure la forza di correggerlo.
 
 
 
 
 
Emmett ripose il cordless e si rilassò contro lo schienale della sua poltrona. “E anche questa è fatta.” Prese un lungo respiro e finalmente si alzò dalla scrivania cui era seduto da parecchie ore. Raccolse i dossier con i suoi appuntamenti per il giorno successivo e lasciò la stanza.
Incamminandosi verso la scrivania di Nadine, spense tutte le luci dell’ufficio e, dopo aver controllato di avere con sé chiavi e Blackberry, si avviò verso la porta.
Un strano rumore lo fece bloccare.
Lentamente si voltò verso l’entrata.
“Per favore…” Sussurrò tra sé. “Ho già avuto una giornata infernale, ci mancano solo i ladri per completarla.”
La maniglia della porta si mosse di nuovo. Un attimo dopo, la soglia si dischiuse lasciando trapelare una sottile linea di luce nell’oscurità dell’ufficio.
Spaventato, Emmett afferrò il primo oggetto nelle vicinanze – l’orribile lampada vintage che il ragazzo di Nadine le aveva regalato per il suo ultimo compleanno – e si preparò a vendere cara la pelle. “Vi avverto! Sono armato e pericoloso! Vi conviene girare i tacchi e--”
“Emmett?”
Emmett aggrottò la fronte confuso, l’arma sempre pronta a colpire. “Non importa se conosci il mio nome, se sei innamorato perdutamente di me o se ti devo dei soldi! Non puoi intrufolarti qui di notte e aggredirmi come un qualunque ladruncolo! Dove sono i tuoi valori? E il tuo senso dell’onore? Aggredire un uomo solo, di notte mentre--”
“Emmett, sono io, John.”
Emmett si zittì all’istante, abbassando finalmente la lampada. “John?”
La luce dell’ufficio si accese e John, ancora in piedi accanto alla porta, abbozzò un sorriso nella sua direzione. “Ehi.”
Come ogni volta che John Mason gli si parava davanti, il cuore di Emmett perse un battito. Anche se quella sera avrebbe potuto benissimo essere per colpa dello spavento.
Sì certo, Emmett, continua a ripetertelo…
“Emmett, tutto okay? Scusa, non volevo spaventarti.”
Emmett sobbalzò alla sua voce. “John… Non ti aspettavo…”
John prese un lungo respiro, come per farsi coraggio, e si schiarì la voce. “Ho visto le luci accese e mi sono fermato, non sapevo stessi andando a casa.”
“Nessun problema.” Emmett impose alla sua voce di non tremare. “Hai dimenticato qualcosa?”
John annuì. “Posso entrare? Avrei bisogno di parlarti.”
Emmett esitò. Voleva davvero concedere a John anche solo un minuto del suo tempo dopo tutto il dolore che gli aveva causato?
John parve cogliere la sua incertezza e si decise a muovere un passo verso di lui. “Ti prego, Emmett, concedimi cinque minuti.”
Emmett sospirò, cedendo. Non ancora del tutto sicuro, posò finalmente la lampada sulla scrivania di Nadine e fece cenno a John di entrare. “Accomodati.”
John si chiuse la porta alle spalle e si addentrò nell’ampio ufficio. Seguì Emmett verso i divanetti rossi che costituivano la sala d’attesa e prese posto accanto al suo ex collega e amico. “Innanzitutto, lasciamo dire quanto mi dispiaccia che la nostra collaborazione sia finita nel modo in cui è finita. Non sarò mai in grado di ricompensarti per tutto quello che hai fatto per me.”
“Non ce n’è bisogno, John.” Lo interruppe Emmett. “Ne ho tratto beneficio tanto quanto te, non serve che tu ti sdebiti in nessun modo.”
“Invece sì. Emmett tu mi hai ridato la mia vita, mi hai dato l’opportunità di fare quello che amo e di essere pagato per farlo.” Emmett fece per interromperlo, ma John lo fissò con espressione implorante. “Ti prego, lasciami finire.” L’uomo annuì e rimase in silenzio. “Non è stato solo il lavoro, Emmett. Tu mi hai dato degli amici, mi hai fatto di nuovo sentire a casa. È stato grazie a te se ho avuto il coraggio di mettermi in contatto con mio fratello e riallacciare i rapporti con lui.”
Emmett sgranò gli occhi sorpreso. “Vi siete incontrati? Oh mio Dio, John! È fantastico!” Lo abbracciò di slancio senza neppure pensarci. “Com’è andata? Lui come ha reagito?”
John sorrise, abbassando lo sguardo a terra. “È per questo che ti voglio nella mia vita, Emmett Honeycutt. Perché nonostante io ti abbia fatto soffrire, tu sei qui felice per me.”
“John, non importa quello che è successo tra noi! Il rapporto con Richard è una cosa importante per te, certo che sono al settimo cielo!”
“Ed è proprio per questo che sono qui stasera, Emmett. Perché credo che interrompere la nostra collaborazione, ma soprattutto la nostra amicizia, sia stata una colossale cazzata.”
Emmett soffocò una risata di fronte a quella piccola perdita di controllo. “È questo che sei venuto a dirmi?”
“Sì. Sono venuto qui per dirti che voglio che torniamo a lavorare insieme.”
“John, non credo che--”
“Emmett, quello che ti ho detto in ospedale rimane. Io sono etero e non potrò mai provare per te i sentimenti che tu provi per me semplicemente perché non sono attratto dagli uomini. Nemmeno se sono intelligenti, spiritosi e pieni di talento come te.” Gli fece un occhiolino che lo fece arrossire. “Potrò non essere innamorato di te, ma io ti considero un amico e per me l’amicizia vale mille volte più del sesso.” Gli prese una mano tra le sue e lo fissò negli occhi con espressione seria. “Tu che ne dici?”
Emmett premette le labbra una contro l’altra per trattenere la commozione: in fondo, John aveva ragione. Loro erano amici, si stimavano, si fidavano l’uno dell’altro, si sostenevano a vicenda ed erano una squadra invincibile sul piano lavorativo. Perché mandare tutto a puttane solo per una stupida cotta non corrisposta?
Nei mesi in cui avevano lavorato fianco a fianco, John si era meritato ogni successo, ogni elogio e ogni trionfo, esattamente come Emmett.
E non era giusto che tornasse a riceverne di nuovi?
“Saresti davvero disposto a tornare a lavorare per me dopo il modo orribile in cui mi sono comportato con te?”
John accennò un sorriso. “Solo che tu accetti di perdonarmi dopo il modo orribile in cui io mi sono comportato con te.”
Emmett scosse il capo. “Tu non hai nulla di cui farti perdonare, credimi. È stata tutta colpa mia.”
“Non scegliamo di chi innamorarci, Emmett. Succede e basta.”
“Ad ogni modo, mi sento uno stupido.”
“Tu non sei affatto stupido. Ed io sento terribilmente la mancanza del mio amico Emmett.”
Emmett sorrise, asciugandosi una lacrima. “Anche io sento la mancanza del mio amico John.”
“Affare fatto, allora.” John gli tese una mano.
Emmett la osservò per un lungo istante prima di decidersi e ricambiare la stretta. “Affare fatto.” Sussurrò, consapevole di stare prendendo la migliore decisione degli ultimi mesi.
 
 
 
 
 
Michael tirò un lungo sospiro prima di sollevarsi a sedere. “Credo sia stato un errore.”
Ben, sdraiato accanto a lui sul pavimento del loft, si coprì gli occhi con un avambraccio. “Michael, ti prego…”
“No, Ben. È stato un errore. Non dovevamo.” Michael si alzò dal pavimento, raccogliendo i vestiti sparsi per la stanza.
Ben rimase sdraiato sul parquet pregiato. “Perché no?” Seguì suo marito con lo sguardo. “Dimmi perché lo ritieni un errore.”
“Perché abbiamo appena fatto sesso sul pavimento del loft di Brian!” Sbottò Michael, voltandosi a guardarlo. “E non stiamo nemmeno più insieme!”
Ben scattò a sedere, guardandolo con espressione decisa. “Noi siamo sposati, Michael. Quindi abbiamo tutto il diritto di fare sesso quando e dove ci pare.”
“Non quando ci stiamo…”
“Cosa?” Ben si alzò finalmente in piedi, parandoglisi davanti. “Separando? Divorziando?” Mosse un altro passo, arrivando ad un centimetro da lui. Michael non si mosse. “È davvero quello che vuoi, Michael? Vuoi davvero il divorzio?” Gli accarezzò dolcemente una guancia, sollevando il viso verso di lui. “Perché io so, esattamente come lo sapevo il giorno che ti ho sposato, che non posso vivere senza di te. Non posso e non voglio.”
“Ben…” Michael sospirò pesantemente. “Non è così semplice.”
“Invece sì.” Ben gli prese il viso, stavolta con tutte e due le mani per essere certo di avere tutta la sua attenzione. “Io ti amo, Michael. Ti amo più oggi del giorno in cui ti ho conosciuto e non sono pronto a rinunciare a noi. Non lo sarò mai, quindi sei vuoi andare avanti con questa storia della separazione, fai pure, ma sappi che non ti renderò le cose facili. Io non mi arrenderò con te.”
Michael deglutì a fatica, cercando di districarsi dalla sua presa, ma l’uomo non glielo permise. “Adesso non farmi passare per il cattivo di turno. Sei tu quello che ha mentito!”
“Lo so e mi dispiace. Non so più come dirtelo e non so più come farti capire che quello che c’è stato tra me e Hank non è nulla se paragonato a quello che noi abbiamo. Quello che abbiamo costruito, quello che ci siamo promessi, quello che dobbiamo ancora avere.”
Michael chiuse gli occhi, cercando di resistere, di tenere duro, ma la vicinanza di Ben, le sue parole, la sua sofferenza, il suo evidente amore per lui stavano a poco a poco sgretolando tutte le difese che nelle ultime settimane si era costruito attorno per affrontare quello che si stava rivelando essere uno dei periodi più infelici della sua vita. “Ho sempre quella scena davanti.” Sussurrò con voce tremante. “Tu e lui, nel nostro salotto.”
Ben distolse lo sguardo con espressione sofferente. “Sai che se potessi tornare indietro, impedirei ad Hank anche solo di avvicinarsi alla nostra famiglia.”
“Lo so, Ben, lo so. E so anche quanto la nostra famiglia sia importante per te e fino a che punto di spingeresti per salvarla.”
Ben aggrottò la fronte, confuso. “Non è solo la nostra famiglia a cui non voglio rinunciare, Michael. Sei tu. Senza di te, la nostra famiglia non ha più senso. Io non voglio salvare solo la nostra famiglia, io voglio salvare noi, voglio che torni a casa e ci lasciamo questa storia alle spalle.”
“Io…” Michael esitò, riportando lo sguardo su Ben. “Anche se riuscissi a dimenticare tutta la storia con Hank, rimane il fatto che mi hai mentito, Ben. Per mesi e mesi.”
“È vero, ho sbagliato. Avrei dovuto dirti tutto fin dall’inizio, di me, di Hank, della nostra storia, ma temevo che avresti visto una minaccia lì dove non c’era.”
Michael sbuffò irritato. “Infatti, si è visto.”
Nonostante la situazione, Ben non riuscì a non sorridere. “Questo dimostra che io ho sempre avuto ragione.”
Michael gli rivolse un’occhiata sbieca. “Riguardo?”
Ben gli prese di nuovo il viso tra le mani e lo baciò dolcemente. “Sei sempre stato un uomo migliore di me, Michael Charles Novotny. Mi hai sempre considerato superiore a chiunque, ma la realtà è che sei tu quello migliore tra noi due.”
Michael abbozzò un sorriso. “Adesso non esagerare.”
“È così. E anche se sei troppo testardo per vederlo, io lo so. Chiunque ti conosca, lo sa. Ed io sono onorato di poter vivere la mia vita accanto a te.” Lo baciò di nuovo, stringendolo al petto. “Che tu lo voglia o no.”
Michael, seppure ancora esitante, ricambiò il bacio. “Con le scuse ci sai fare, devo dartene atto.”
Ben sospirò, rivolgendogli il primo sorriso sincero della serata. “Torna a casa, Michael.”
“Ben…”
“Ti prego, ho bisogno di te. Se vuoi mi scuserò ancora e anc--”
“Non è per le scuse, Ben.” Michael posò la fronte contro la spalla muscolosa di suo marito e ne inspirò il profumo. “Ho solo paura che, nonostante le tue promesse, io continui a vivere nel terrore che tu possa lasciarmi.”
“Io non ti lascerei mai.”
“Lo dici adesso, ma giurami che in queste settimane, in questi mesi, non hai mai pensato, neppure per un attimo, a come sarebbe stato tornare con Hank.”
“Mai.” Rispose Ben con tono perentorio. “Né Hank, né nessun altro. Da quando ho incontrato te, da quando ci siamo sposati, non c’è mai stato nessun altro, Michael.”
Michael sollevò il capo, studiando l’espressione sincera di suo marito. “Come può essere? Possibile che neppure per un secondo tu…”
Ben scosse il capo. “Mai.”
Michael tirò un lungo sospiro, le spalle improvvisamente più leggere. “Forse stasera potrei cenare a casa, con voi. Passare un po’ di tempo in famiglia.”
Ben gli sorrise radioso. “Sarebbe grandioso.”
Michael annuì, improvvisamente imbarazzato. Abbassò lo sguardo e si accorse solo in quel momento della totale nudità di suo marito. “Sarà meglio che tu ti vesta prima. Altrimenti non usciremo più di qui.”
Ben inarco un sopracciglio con fare malizioso. “E sarebbe un problema? Abbiamo il loft a disposizione.”
“A proposito…” Domandò Michael, ridacchiando. “Come mai sei venuto qui?”
Ben arrossì, afferrando i suoi boxer e infilandoseli con tutta calma. “Justin mi ha inviato un messaggio dicendo di dovermi parlare e di raggiungerlo al loft. Quando sono arrivato, c’era un biglietto che diceva di aspettarti qui.”
Michael sbuffò. “A me ha detto di passare per prendere dei disegni. Stupido ragazzino.”
Ben rise divertito. “Beh, almeno ha funzionato. Avresti mai acconsentito a venire se avessi saputo che ero qui?”
“Probabilmente no.”
“Quindi…”
Michael scosse il capo, rivolgendo un’occhiata al salotto ordinato. “Ad ogni modo, hai idea di dove siano finiti quei due?”
 
 
 
 
 
“Se fanno sesso nel mio letto, ti uccido.”
“Chiudi il becco e non farti sentire dai bambini.” Justin si voltò verso Gus e Holly. “Chi vuole lo zucchero filato?”
“IO!” Esclamarono i due bambini correndo verso di lui.
Justin si voltò verso Brian con espressione tronfia. “Guarda, mi adorano.”
“Solo perché li nutri.”
Il ragazzo lo colpì con una manata sulla pancia prima di tornare a dedicare la sua attenzione a Gus e Holly.
Dopo aver acquistato abbastanza zucchero filato da sfamare almeno una paio di continenti, Brian, esausto, salì in macchina pronto ed impaziente di tornare a casa. Impiegarono venti minuti per arrivare a casa Leonard e altri venti per convincere Holly a staccarsi da Justin – “Sai, papà? Justin e il signor Brian mi hanno comprato dei peluche!” Esclamò la bambina alla vista di suo padre, mostrando il piccolo pinguino col fiocco rosa. “E Gus ne ha uno uguale! Sono due fidanzati!”. Quando finalmente varcarono la soglia di casa, Gus scattò su per le scale per mostrare il suo pupazzo a Jenny mentre Justin e Brian si diressero in salotto dove li aspettavo Mel e Linz. Senza una parola Brian crollò sul divano, gemendo sofferente.
“Tutto bene?” Domandò Lindsay con voce divertita.
“Alla grande.” Justin prese posto accanto al suo compagno che sollevò il capo, posandolo poi sul grembo del ragazzo. “Holly e Gus si sono divertiti da pazzi.”
“Lewis non è venuto?” Chiese Mel, chiudendo uno dei fascicoli su cui stava lavorando.
Brian scosse il capo. “A detta di sua madre, è in punizione fino al liceo.”
Le due donne ridacchiarono. “Gus mi sembrava parecchio elettrizzato, comunque.” Osservò Mel.
“Siamo andati prima al minigolf dove io e Holly abbiamo letteralmente stracciato gli uomini Kinney.”
“Solo perché vi abbiamo lasciato vincere.”
Justin lanciò un’occhiata scettica alle sue amiche che risero divertite. “Certo, come ti pare. Poi siamo andati al luna park dove abbiamo vinto una coppia di peluche che i bambini hanno semplicemente adorato e infine ci siamo rimpinzati di hot dog e zucchero filato fino a scoppiare.”
Brian sbuffò. “Con tutti gli zuccheri che ha in corpo, Gus si addormenterà tra tre giorni.”
“Adesso non fare il brontolone, signor Brian.” Lo prese in giro Justin.
Lindsay li guardò confusa. “Signor Brian?”
Justin ridacchiò, continuando ad accarezzare i capelli di Brian. “È così che lo chiamava Holly. Io ero Justin e lui era in signor Brian.”
“E ancora non capisco il perché di questa distinzione.” Borbottò Brian contrariato.
Fu suo figlio, appena entrato in salotto con Jenny Rebecca, a rispondergli. “Perché tu sei vecchio, papà.”
Brian scattò immediatamente a sedere. “Ehi!”
“Non vecchio quanto le mamme o nonna Debbie e nonno Carl…”
“Gus!” Lo rimproverò Lindsay, mettendosi le mani sui fianchi. “Che modi sono?”
Il ragazzino la guardò con aria innocente. “Era solo per spiegare a papà. Justin è solo Justin mentre papà è… un signore.”
Brian crollò di nuovo sul divano, coprendosi gli occhi con un avambraccio. “Uccidetemi adesso.” Gemette mentre suo figlio gli si arrampicava sopra, sedendosi a cavalcioni su di lui.
“Andiamo.” Lo tranquillizzò Justin. “Anche io da bambino consideravo i miei genitori due dinosauri.”
“Mi stai paragonando a tuo padre?”
Justin alzò gli occhi al cielo, facendo ridacchiare Gus. “Quello che sto dicendo è che è normale per Gus considerarti vecchio. Voglio dire, rispetto a lui, lo sei.”
“Stai peggiorando la tua situazione, Sunshine.”
“Mamma, posso dormire con papà e Justin?”
“Anch’io voglio dormire con zio Bri, mamma!”
“No, invece! L’ho detto prima io!”
“Ma tu hai un peluche! E io no!”
“Perché tu sei piccola e nanerottola!”
“Mamma! Gus mi ha detto mamerottola!”
Lindsay lanciò un’occhiata implorante a sua moglie che prese in mano la situazione. “Okay, basta così! Gus, non chiamare così tua sorella e tu, Jenny, smettila di fare i capricci. Nessuno dormirà con papà e Justin perché loro sono stanchi e devono riposare.”
“Perché zio Bri è vecchio?” Domandò dopo un istante di silenzio Jenny con aria innocente, sbattendo gli occhioni color cioccolato.
Justin, Melanie e Lindsay non poterono non scoppiare a ridere.
 
 
 
 
 
Justin scattò a sedere, la fronte imperlata di sudore, il cuore che batteva all’impazzata.
Un altro incubo.
L’ennesimo.
Il milionesimo ormai, da quando Brian era uscito dall’ospedale.
Lentamente si voltò verso il compagno che dormiva ancora beatamente e, cercando di non fare rumore, si alzò dal letto e uscì dalla stanza.
Con passo felpato, discese le scale e si diresse verso il salotto dove, sorpreso, si bloccò sulla soglia.
Mel alzò lo sguardò dalle sue onnipresenti scartoffie. “Ehi, ancora in piedi?”
Justin la raggiunse accomodandosi sul divano, accanto a lei. “Non sono l’unico a quanto pare.”
La donna sorrise colpevole. “Ho una causa importante che mi toglie il sonno e invece di far impazzire Linz rigirandomi nel letto, preferisco impiegare il tempo così.”
Justin sorrise, annuendo. “Di che causa si tratta?”
“Justin, tesoro, stai bene?” Mel accantonò i suoi fascicoli e lo osservò per un lungo istante con aria preoccupata. “Hai l’aria stanca.”
Il ragazzo sospirò, poggiando la testa contro lo schienale del divano. “Ultimamente non dormo bene.”
“Per quello che è successo a Brian?”
“La paura dell’incidente ha riportato a galla vecchi traumi che credevo sepolti per sempre.”
Mel gli accarezzò una guancia con fare materno. “Solo perché è passato del tempo non vuol dire che tu li abbia dimenticati. I momenti brutti rimangono sempre lì, pronti a riaffiorare quando meno ne hai bisogno.”
“Sì, ma in questo momento dovrei essere al mio meglio per aiutare Brian! È lui quello che è quasi morto! Non voglio che tutta questa situazione si focalizzi di nuovo su di me solo perché il povero piccolo Justin si è beccato una mazza da baseball in testa!
“Sai che non è così, Justin. E sai che nemmeno Brian la vede in questo modo.”
“Invece sì. Lui si sente ancora in dovere di occuparsi di me.”
“È ovvio che si senta così. Per me è lo stesso con Linz e i bambini. È così che ci sente quando si è una famiglia. Ci si preoccupa l’uno per l’altro, ci si prende cura l’uno dell’altro.”
“Lo so.” Sospirò Justin frustrato. “Ma adesso dovrebbe essere il mio momento per occuparmi di lui e non il contrario come sempre.”
“Brian che ne pensa degli incubi? Con lui ne hai parlato?” Vide il ragazzo esitare prima di scuotere il capo. “È per via del ballo? Non vuoi che ripensi a quel periodo?”
Justin prese a giocherellare con uno dei cuscini. “Non posso fare in modo che lui dimentichi quel periodo, Mel, perché nonostante tutto lui era presente ed io sono felice che lui fosse lì ad affrontare tutto con me perché da solo non ce l’avrei mai fatta, ma…” Scosse il capo, con espressione addolorata. “Tu non hai idea di come si senta ogni volta che si parla della mia aggressione. Glielo leggo in faccia, la sofferenza, il rimorso, il senso di colpa, la stupida e insensata idea di non essere arrivato in tempo… Sono passati sei anni e lui si colpevolizza ancora per una cosa di cui non è responsabile. Come posso confidarmi con lui dicendogli che nei miei incubi, sono ancora in quello stupido garage, che quando apro gli occhi provo ancora quelle sensazioni di panico e terrore, che ho paura stavolta di non riuscire a sfuggirgli? Come posso dirgli che a volte è lui, è Brian, che viene aggredito? È lui che vedo giacere a terra in un lago di sangue senza poter fare nulla? Come posso raccontargli cose del genere?”
“Avendo fiducia in lui.” Melanie coprì la sua mano con la propria strizzandola leggermente. “È questo che vuol dire essere una coppia, Justin. Affrontare il bello e il brutto insieme senza paura del resto del mondo perché ciò che importa davvero siete tu e la persona che ti sta accanto.”
“Ma come posso confidargli qualcosa che so per certo lo farà soffrire?”
“Come credi abbia fatto io quando ho confessato a Linz di averla tradita? Sapevo che l’avrebbe fatta soffrire, ma l’ho fatto comunque perché era la cosa giusta da fare.”
Justin sospirò, ancora combattuto. “Non lo so, Mel. È tutto così difficile.”
“Lo so, dolcezza, ma Brian merita la verità. Soprattutto quando sa che c’è qualcosa che non va.”
“Credi che lo sappia?”
“Nessuno ti conosce meglio di lui.”
“Ma non dorme nessuno in questa cazzo di casa?”
Mel e Justin sobbalzarono spaventati alla voce di Brian. “Potresti evitare un linguaggio del genere in casa mia?” Protestò la donna.
Brian la ignorò, appollaiandosi sul bracciolo del divano, proprio accanto a Justin. “Preferisci la compagnia di Mel alla mia, Sunshine? Devo preoccuparmi?” Lo punzecchiò, baciandogli la testa.
Justin si sporse verso di lui, posando la fronte contro il suo petto. “Non volevo svegliarti.”
Mel si schiarì la gola. “Justin vorrebbe parlarti.” Il ragazzo le lanciò un’occhiataccia che non sortì alcun effetto.
“Davvero?” Brian guardò sorpreso il suo compagno. “Se avessi saputo che ci voleva solo una mezz’ora con Mel per terrorizzarti e convincerti finalmente a sputare il rospo, saremmo venuti prima.”
Mel lo colpì sulla nuca, alzandosi dal divano, e si avviò verso le scale. “Credo che me tornerò a letto. Buonanotte.”
“Notte, Mel.” Justin le rivolse un sorriso. “Grazie.”
“Figurati, tesoro.”
Una volta soli, Justin trascinò Brian giù dal bracciolo per farlo sedere accanto a lui. “Allora?” Domandò l’uomo confuso. “Mi vuoi dire che succede o no?”
Justin prese un bel respiro e si sporse a baciarlo sulle labbra. “Sì, credo proprio che sia arrivato il momento.”






Ebbene sì, finalmente ce l'ho fatta! Dopo mesi di latitanza sono tornata con un capitolo che, sono la prima ad ammetterlo, non è proprio un capolavoro quindi chiedo perdono a tutte coloro che si aspettavano chissà cosa, ma giuro che ho fatto del mio meglio.
Sarò breve e come sempre ringrazio tutte le persone che hanno ancora la pazienza e la voglia di aspettare i miei aggiornamenti da bradipo, ma c'è una cosa che voglio assolutamente chiarire: non ho NESSUNA intenzione di abbandonare questa storia. Lo schema dei capitoli è già delineato fino alla fine (mancano circa tre o quattro capitoli più un epilogo), ora si tratta solo di metterli su carta, ma ripeto, ho tutte le intenzioni di continuarla e terminarla il più in fretta possibile, così poi da potermi dedicare ad altre storie (un paio sono già in cantiere).
Quindi spero che avrete voglia di leggere questo nuovo capitolo, che tutti gli esami, universitari o di maturità che siano, siano andati bene e che stiate passando una bella estate. 
Un bacione a tutte!


Ale



P.S: Non c'entra nulla, ma volevo dirvelo. I resort che Brian e Justin esaminano per le loro vacanze esistono davvero. Li ho trovati su un paio di brochure nella mia agenzia di viaggi di fiducia. :D 

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Capitolo 35
*** Can You Fight The Fate? ***


35. Can You Fight The Fate? 
 
 
 
 
“’Giorno…” Debbie, taccuino alla mano e cipiglio battagliero, si presentò al tavolo dove Ted sedeva mesto e taciturno.
L’uomo sospirò, passandosi stancamente una mano sugli occhi. “Deb, ti prego. Non ho abbastanza ore di sonno per discutere con te. Mi sono bastati Emmett e Michael.”
Debbie sorrise soddisfatta dalla scoperta che, ancora una volta, i suoi ragazzi avevano fatto fronte comune per aiutare un amico: il suo cuore si riempì d’orgoglio. “Non sono qui per infierire. Sono arrivata alla conclusione che ormai siete grandi abbastanza per decidere delle vostre vite.”
Ted la guardò con espressione scettica. “Questa è nuova.”
Debbie si strinse nelle spalle, picchiettando la penna sul blocchetto. “Tanto non mi ascoltate e fate comunque come cazzo vi pare.” Vide l’uomo cercare di celare un sorrisetto. “Quindi, che ti porto?”
Il campanello della porta tintinnò, segnalando l’arrivo di un avventore. La donna rivolse un sorriso radioso al nuovo arrivato, facendo schioccare la gomma da masticare.
“Torno dopo.” Informò Ted, prima di girarsi e tornare verso la cucina.
Ted la guardò confuso. Quando Blake prese posto di fronte a lui, finalmente capì. E meno male che avevo smesso di interferire.
“Ciao, Ted.”
Ted sospirò, posando lo sguardo sul suo giovane compagno − ex compagno? − e il suo cuore mancò un battito davanti agli occhi chiari di Blake, tanta era la mancanza di averlo accanto. “Ehi.” Istintivamente allungò una mano sul tavolo e intrecciò le dita con le sue. Blake ricambiò immediatamente. “Come stai?”
“Uno schifo.” Rispose il ragazzo con sincerità, rivolgendogli un mezzo sorriso. “Tu?”
“Più o meno lo stesso.” Strizzò le dita di Blake. “Mi manchi.”
“Sei tu che mi hai detto di andarmene.”
“Volevo scuoterti. Non credevo te ne saresti andato davvero.”
Blake scosse la testa, serrando le labbra. “Non sono un bambino, Ted. Non puoi spaventarmi urlandomi contro e minacciandomi di mandarmi in collegio se non obbedisco ai tuoi ordini.”
Nonostante la situazione tesa, a Ted sfuggì un sorrisino. Blake aveva ragione. Forse troppo influenzato dalla differenza di età tra loro, Ted aveva a volte − spesso − trattato Blake come un bambino indisciplinato, spingendolo a prendere decisioni che per lui erano giuste, ma non per Blake. “Mi dispiace. Davvero. Sai come sono, credo sempre di avere ragione e speravo di evitare che tu facessi uno sbaglio.”
“Ma non è uno sbaglio per me.” Ripeté Blake per la milionesima volta.
Ted scosse la testa. “Sono ancora della mia idea, purtroppo. Detto ciò, ti chiedo comunque scusa per aver forzato la mano.”
“Lo apprezzo.”
Debbie azzardò di nuovo l’avvicinamento al tavolo. Ted la fulminò con lo sguardo. “Ben fatto, Miss-Siete-Grandi-Per-Poter-Decidere-Da-Soli.”
La donna si strinse nelle spalle. “Grandi non vuol dire necessariamente svegli.” Si chinò per baciare una guancia a Blake. “Bentornato, tesoro.”
Blake le sorrise raggiante. “Non avrei resistito ancora molto.” Si voltò verso Ted guardandolo con dolcezza. “Questo signore qui è difficile da dimenticare.”
Debbie sorrise, annuendo e dando una pacca sulla guancia a Ted. “Lo so bene. Vi porto il solito?” I due uomini annuirono. “Arrivo.” E sparì di nuovo.
Blake sospirò pesantemente, riportando lo sguardo su Ted. “Vogliamo riprendere il discorso o rischio di essere cacciato di nuovo?”
Ted inclinò la testa da un lato, inarcando un sopracciglio. “Non sono così cattivo.”
Il suo compagno rise piano. “Hai ragione. Ciò non toglie che non cambierò idea. La decisione è presa.”
“Kitty come l’ha presa?”
“Bene. Adesso lascia solo due messaggi minatori al giorno nella mia segreteria.”
Ted soffocò una risata. “Da vera persona matura.” Strizzò di nuovo la mano di Blake. “Voglio mostrarti una cosa.”
“Ted.” Blake parlò con tono ammonitore. Sapeva che Ted non si sarebbe arreso senza un ultimo tentativo disperato. “Ho già deciso.”
“Lo so, lo so.” Ted si districò dalla presa di Blake e alzò le mani in segno di resa. “Voglio solo dimostrarti che anche se in queste settimane eravamo ufficialmente in rottura, tu sei rimasto parte della mia vita.”
“Ah, lo spero bene, signor Schmidt!”
Ted sorrise, scuotendo il capo e tuffandosi nella sua ventiquattrore per estrarne una cartellina. La porse a Blake.
“Cosa sono? Documenti per l’affidamento?” Lo prese in giro, facendogli alzare gli occhi cielo. “Così potrai prendere tutte le decisioni al mio posto fino ai diciotto anni?”
“Aprila e dagli un’occhiata, spiritosone.”
Con un mezzo sorriso ancora stampato in faccia, Blake aprì la cartellina e strabuzzò gli occhi. “Stai scherzando?”
Ted scosse la testa. “Per dimostrarti che Pittsburgh o San Francisco, per me non fa differenza. Tu sei il mio compagno, il mio partner.”
“Mi hai cointestato il tuo appartamento? Ma sei impazzito?” Il tono di Blake tradiva sconcerto, sorpresa e… emozione. “Non dovevi.”
“Lo so.” Confermò Ted. “Ma quella è casa nostra. E anzi, senza di te, non è nemmeno casa. È solo… un blocco di cemento con delle finestre e una porta d’ingresso. Sei tu a renderla casa, Blake.”
Blake strinse le labbra, inspirando piano. Si sporse verso Ted per baciarlo dolcemente. “Ti amo, lo sai vero?”
Ted annuì con un sorriso. “Non devi aver paura, Blake. Io non sparirò dalla tua vita.”
“Parli come se dovessi partire domani.” Osservò Blake, improvvisamente serio. “Ti ho detto già che−”
“So cosa mi hai detto, ma so anche che non vuoi partire perché non sei sicuro di noi, dì la verità.” Ted lo guardò studiandolo con attenzione.
Blake sospirò. “Ted, ho già rovinato tutto una volta.” Confessò. “E se succedesse di nuovo? San Francisco è così lontana!”
Ted gli prese di nuovo la mano. “Non succederà.” Ribatté risoluto. “Nemmeno tra mille anni.”
Blake abbassò di nuovo lo sguardo sui fogli davanti a lui. Scosse il capo, come a voler scacciare l’idea che lentamente si stava facendo strada.
Le dita di Ted, strette alle sue, gli diedero la risposta che stava cercando.
 
 
 
 
All’ingresso del suo compagno in ufficio, Justin, comodamente seduto su uno dei divani, si limitò appena ad alzare gli occhi dalla rivista che stava leggendo.
“Sì, Bill, e lo sai anche tu.” Continuò Brian con l’orecchio attaccato al cellulare. “Vuoi fare una montagna di soldi? Allora la Kinnetic è la soluzione. Vuoi essere povero e patetico? Sono certo che Vance sarà più che felice di aiutarti.” Lanciò un sorrisino soddisfatto in direzione di Justin che scosse il capo, alzando gli occhi al cielo. “Bene, a domani allora.”
Justin attese che Brian riponesse il telefono prima di parlare. “Te l’hanno mai detto che sei un arrogante e indisponente figlio di puttana?”
Brian si sdraiò sul divano posando il capo sul grembo del ragazzo e chiuse gli occhi. “Ed è una novità?”
Justin sorrise, prendendo ad accarezzargli i capelli. “L’hai convinto?”
“Avevi dubbi?”
“Nemmeno uno.”
Ad occhi chiusi, Brian sorrise. Justin e la sua completa fiducia in lui lo coglievano ancora di sorpresa. “Come mai qui?”
Justin si chinò in avanti per baciargli la fronte. “Volevo sapere com’era andata dal dottore.”
“Tutto bene. Ci siamo finalmente liberati di quei dannati punti.”
“Ottimo. Il dottore che ha detto?”
“Che la guarigione va alla grande. Mi ha consigliato di continuare a prendermela con calma comunque.”
“Sono d’accordo.”
“Scordatelo, Sunshine. Stasera si scopa.”
Justin soffocò una risata. “Senza neppure un invito a cena? Mi credi davvero così facile?”
Brian lo guardò dal basso. “Io non lo credo. So per certo che lo sei.”
Justin lo colpì con una sberla sulla testa. “Guarda che ti spedisco sul divano.”
“Brian, l’appuntamento delle sei è… Oh, scusate ragazzi!” Dalla porta, Cynthia rivolse loro un sorriso mortificato.
“Sparisci, Cynthia.” Abbaiò Brian, beccandosi un’altra sberla.
Justin lo spinse a sollevarsi a sedere prima di dirigersi verso la porta. “Cynthia, è sempre un piacere.” Le baciò affettuosamente una guancia.
La donna gli sorrise, voltandosi poi verso il suo capo. “Rimane ancora un mistero come tu abbia fatto a conquistarlo. E a farlo restare.”
Brian si diresse verso la scrivania. “Questo perché non ti ho mai scopato.” Replicò tranquillamente consultando dei documenti. “Se lo avessi fatto, sapresti perché il dolce Sunshine mi rimane arpionato ai polpacci.”
Justin sorrise, scuotendo il capo. “Il vero mistero è come abbia fatto Cynthia a non ucciderti finora.”
“E a questo proposito…” Brian si voltò verso di lei. “Come mai sei qui a ricordarmi gli appuntamenti? Non è per quello che pago Lori?”
Lauren.” Lo corresse Cynthia. “E per rispondere alla tua domanda, non mi fido di lei. Sto ancora valutando se è in grado o no.”
Brian si sedette sulla scrivania, incrociando le braccia. “In grado di rispondere al telefono e segnare appuntamenti sulla mia agenda? Non mi sembra molto difficoltoso. Potrebbe farcela persino Theodore. Forse.”
Cynthia fece un gesto con la mano. “Ad ogni modo, finché non sarò soddisfatta, la osserverò da vicino.”
“Cerca di non beccarti una denuncia per mobbing.”
“Se tu sei riuscito ad evitarne una per molestie sessuali.”
“Lexi non è il mio tipo.”
“Non mi riferisco a Lauren, ma ad ogni altro impiegato maschio di questo ufficio.”
Brian scosse le spalle. “Non rispondo a simili calunnie.” Afferrò uno dei fascicoletti ordinatamente riposti nell’archivio accanto alla scrivania e si diresse verso la porta. “Allora, vogliamo andare?”
Cynthia lo precedette fuori dall’ufficio.
“Aspettami qui, faccio subito. Poi andiamo a cena.”
Justin gli sorrise. “Guarda che era una battuta.”
Brian si chinò a baciarlo teneramente. “Avevo già prenotato.” Uscì dall’ufficio senza dire altro, lasciandosi dietro un Justin decisamente sorridente.
 
 
 
 
 
“Caffè e cheesecake cioccolato e menta.” Il cameriere sistemò gli ordini sul tavolo e tornò verso la cucina, non prima di aver lanciato una lunga occhiata a Brian. Justin scosse il capo, dando il primo morso al suo dolce.
Brian lo notò. “Che hai?”
Justin abbozzò un sorriso. “Il cameriere.”
“Il cameriere cosa?”
“Ti vuole.”
“Quale?”
“Quello che ha litigato con gli altri camerieri per fare in modo di servirci tutta la sera.”
Brian alzò le spalle. “Sono uno che lascia buone mance.”
“Sono sicuro che non è interessato alla mance.” Osservò Justin compiaciuto, prendendo un altro boccone. “Oh mio Dio, questa torta è incredibile.” Gemette di piacere.
Sotto il tavolo, una parte di Brian ebbe un guizzo. L’uomo si voltò poi verso il bar, dove il cameriere in questione parlava con uno dei suoi colleghi.
Possibile che davvero non si fosse accorto delle sue avances?
Di fronte a lui, Justin mugolò di nuovo.
Perché credi di non essertene accorto, genio? Perché come al solito, quando sei intorno a questo ragazzino, il tuo cervello va a farsi friggere…
Si voltò di nuovo verso il bar e stavolta beccò il cameriere lanciargli un’occhiata decisamente inequivocabile. Brian alzò gli occhi al cielo. “Chiediamo il conto?”
Justin finì la sua torta con un sorriso soddisfatto. “Che fretta c’è?”
“Voglio andarmene a casa.”
“Non vuoi approfittare dell’invito del sexy cameriere?”.
Brian studiò l’espressione del suo giovane compagno e rimase in silenzio.
Probabilmente Justin non avrebbe avuto nulla da ridire se si fosse divertito un po’ prima di tornare al loft, e di sicuro il Brian di qualche anno prima avrebbe colto la balla al balzo, ma in tutta sincerità, voleva davvero interrompere settimane di astinenza con un idiota rimorchiato al ristorante? Soprattutto quando aveva Justin con cui passare la notte?
“Credo che rinuncerò per stavolta.” Osservò con tono neutrale. Sperò davvero che Justin non sapesse leggerlo così bene come purtroppo temeva fosse capace. Nonostante gli anni insieme, era ancora strano quando il suo compagno riusciva a capire quanto fosse importante nella vita di Brian. “Ma se vuoi, serviti pure.”
Justin aggrottò le sopracciglia “Non sono stato con nessun altro in questo periodo.”
“Lo so.”
“Come fai a saperlo?”
“Perché ti conosco, Sunshine.” Io mi fermo ad ascoltarti gli aveva detto lui una volta. E lui aveva capito al volo cosa intendesse dire, perché era quello che facevano. Loro si ascoltavano, loro si comprendevano meglio di chiunque altro, anche attraverso – e soprattutto – i loro silenzi.
“Non avrebbe senso fare sesso con qualcuno che non può soddisfarmi. Io non ho bisogno di scopare, io ho bisogno di fare l’amore col mio uomo, col mio partner, col mio compagno, non con qualche patetico caso umano incontrato al Babylon.”
Brian cercò di non mostrarsi troppo compiaciuto di quella rivelazione.
Dieci minuti dopo, varcavano entrambi la soglia del ristorante lasciandosi dietro un cameriere alquanto deluso.
 
 
 
 
 
“Brian…”
Brian sorrise soddisfatto dai mugolii di piacere che riusciva a strappare a Justin. “Ti mancava?” Gli sussurrò all’orecchio, mordicchiandogli il lobo.
Il ragazzo gemette di nuovo. “Non ne hai idea.”
Brian sospirò pesantemente prima di spingersi ancora, con più forza, più desiderio, più voglia che mai, dentro Justin. “Oh credimi, ce l’ho, Sunshine.”
Justin sorrise nella penombra del loft e si sporse a baciarlo con passione. La sua schiena emise un sinistro scricchiolio, ma lui lo ignorò.
Appena rientrati al loft, non erano neanche riusciti ad arrivare alla camera: Brian, che aveva iniziato a stuzzicarlo già in macchina, lo avevo afferrato per il golfino e senza tante cerimonie lo aveva spogliato così rapidamente che Justin non era neanche riuscito ad opporre resistenza.
Non che volesse farlo comunque.
Il pavimento del loft di certo non era il luogo più comodo e confortevole del mondo, ma a loro era andato più che bene.
“Brian…” Justin, ormai al limite, avvertì il compagno.
Brian sfregò il naso contro il suo. “Lo so.” Lo baciò di nuovo e, con un’ultima poderosa spinta, raggiunse l’orgasmo seguito da Justin un attimo dopo.
Esausto, crollò sul corpo esile del ragazzo. “Cristo Santo…” Mormorò senza fiato.
Justin si schiarì la voce, asciugandosi la fronte madida di sudore. “Di certo non la performance più duratura che abbiamo avuto, ma abbiamo una valida scusante.”
Brian grugnì. “Un secolo di astinenza?”
“Sei il solito esagerato.”
“Per noi sono stati un secolo.”
Justin ridacchiò, baciandogli i capelli. “Vero. Ma noi non abbiamo ritmi normali.”
“Questo perché noi non siamo normali.” Mugolando un’ultima volta, Brian si sollevò sulle braccia e si alzò. Justin, ancora sdraiato a terra, si godé ogni istante di quello spettacolo meraviglioso che era Brian Kinney. Lo osservò raddrizzarsi, sgranchirsi le spalle e la schiena affinché riprendessero una posizione naturale, distendere le braccia mettendo i mostra i muscoli tonici e allenati. Il tutto rigorosamente nudo.
Sei proprio un uomo fortunato, Justin Taylor, devi ammetterlo…
“Doccia?” Lo invitò Brian, distraendolo dalle sue riflessioni.
“Mmm…?”
Brian alzò gli occhi al cielo, beccando il suo fidanzato in piena contemplazione del suo culo. Beh, come biasimarlo? “Doccia?” Ripeté lentamente. “Così poi possiamo parlare di come farti tornare a New York, prima del secondo round.”
Justin emise un verso offeso dal pavimento su cui era ancora disteso. Si alzò di scatto, recuperando i suoi boxer e infilandoseli con gesti secchi. “Puoi anche togliertelo dalla testa.”
Brian si massaggiò stancamente gli occhi e ispezionò la stanza in cerca dei suoi boxer. La doccia avrebbe aspettato. “Tu dici?”
“Oh, puoi scommetterci!” Justin indossò i jeans, prima di puntargli contro un dito con fare minaccioso. “E mi sono rotto le palle di ripetertelo! NON CI TORNO A NEW YORK!”
“Vanessa che ne pensa?”
“Me ne frego di quello che pensa lei!”
Brian scosse la testa con un sorrisino supponente che ebbe solo il potere di far vedere rosso Justin. “Chissà se i suoi avvocati saranno d’accordo. Ma tu non preoccuparti, vai avanti con le tue idee, fatti spillare fino all’ultimo centesimo da quella stronza!”
Justin lo raggiunse con due falcate e lo spinse forte al petto, Brian incespicò appena, rimanendo in piedi in mezzo al salotto. “Può prenderseli tutti, per quello che vale!”
“Quindi butti tutto nel cesso! I sacrifici, le sofferenze, la lontananza! TUTTO!” Gli gridò di riflesso Brian.
La porta del loft si aprì, rivelando le facce incredule e imbarazzate di Michael, Ben, Emmett e Ted.
“Ehm… interrompiamo qualcosa?” Tentò Emmett incerto.
Brian e Justin erano ad un metro di distanza, mezzi nudi e decisamente incazzati neri. Di certo non erano delle belle premesse. “Babylon?” Propose tentando di spezzare la tensione che si tagliava col coltello. “Vi eravate dimenticati?”
Justin emise un verso di frustrazione, dirigendosi verso il suo compagno. “Babylon, alcool, dark room. Ne riparliamo dopo.” Si voltò e si diresse a passo veloce verso la camera da letto.
“Non cambierò idea!” Gli assicurò Brian afferrando la sua camicia e indossandola con gesti nervosi. “Puoi anche farmi ubriacare, ma la mia risposta sarà sempre−” La mano di Michael lo colpì sulla nuca come era sempre solita fare Debbie. “Chiudi il becco.” Gli sibilò all’orecchio. “O stasera ti soffocherà nel sonno.”
Brian sbuffò contrariato, agguantando chiavi e portafogli. “Lasciate le chiavi di casa mia, prima di andarvene. La convalescenza è finita, io sto bene, ragion per cui le irruzioni in casa mia sono terminate. Mi dispiace per voi.” Picchiettò il bancone della cucina dove i suoi amici, uno dopo l’altro, depositarono le copie delle chiavi che Justin aveva dato loro subito dopo l’incidente. “Ora fuori di qui.”
Emmett lo guardò mortalmente offeso, portandosi una mano al petto. “Che maniere. Noi lo facevamo per te.”
“Immagino.” Brian emise un verso scettico, per nulla toccato dall’altruismo di Emmett.
“Sono pronto.” Justin riemerse dalla camera da letto. “Ho bisogno di un drink.”
“O di dieci.”
Brian gli indicò la porta del loft dove i loro amici erano in attesa. “Dopo di te, Sunshine.”
Justin gli lanciò un’ultima feroce occhiataccia prima di precederlo. Il breve tragitto fino al Babylon trascorse nel più assoluto silenzio e Brian la percepì come la calma prima della tempesta.
Justin continuò col suo ostinato mutismo anche una volta arrivati al Babylon: lui ed Emmett si stazionarono al bancone del bar a flirtare impunemente col barista in modo da farsi offrire i drink, nonostante Brian fosse il proprietario e avrebbero potuto avere qualunque cosa gratis, anche senza dover ricorrere agli occhi dolci.
È proprio deciso a farmela pagare… Brian si massaggiò la piccola − minuscola − ruga che si era formata sulla sua fronte. Gli farò pagare anche le iniezioni di botulino.
Al quinto giro di drink, generosamente offerto da Neal, Brian decise di intervenire. Il fatto che fosse stato costretto a passare la prima ora al Babylon ad osservare Theodore e Michael amoreggiare senza alcuna vergogna o dignità con i loro partner mosse la sua risolutezza.
“Non importa.” Sentì Emmett lagnarsi mentre li raggiungeva, le schiene dei due ragazzi rivolte verso di lui. “Se non è andata con John, vuol dire che non era destino.”
“Destino?” Ripeté Justin, come se non avesse mai sentito quella parola prima.
“Sì, destino, fato, disegno divino.” Emmett si strinse nelle spalle. “Lui non era giusto per me, ed è inutile accanirsi quando le cose non vanno. John non potrà mai amarmi nel modo in cui voglio io, quindi l’unica soluzione è voltare pagina. Sono certo che ci sia qualcos’altro in serbo per me.” Tracannò senza tante cerimonio quello che era rimasto del suo cocktail fin troppo rosa per i gusti di Brian e ne ordinò un altro. Di quel passo, sarebbe andato in bancarotta entro due ore. “Me lo sento. È come… non so… una sensazione.” Sorrise al suo amico e afferrò il nuovo drink che il barista gli porgeva. “Al destino! Sperando che la smetta di prendersi gioco di noi!” Svuotò metà del bicchiere e rivolse un occhiolino a Justin. “Altrimenti saremmo costretti a prendere in mano la situazione e dargli una lezione!”
Brian vide Justin osservare il suo amico con le sopracciglia aggrottate e l’aria pensierosa. Non voleva neanche sapere cosa stesse frullando in quella testolina bionda. “Okay, basta così.” Li vide sobbalzare e, approfittando della sua entrata ad effetto, sottrasse lo shot di tequila dalle mani di Justin, bevendolo tutto d’un fiato. “Vieni con me.”
“Non voglio!” Esclamò Justin, già allegrotto. Brian alzò gli occhi al cielo, maledicendo silenziosamente la mancanza di resistenza all’alcool delle nuove generazioni.
“Lui non vuole!” S’intromise Emmett, le guance rosse e gli occhi già lucidi. Cercò di liberare il polso di Justin dalla morsa di Brian, ma tutto ciò che gli riuscì fu di strappare una risatina a Brian, divertito dal suo vano tentativo. “Farò di tutto per difendere il mio amico!” Esclamò con fare melodrammatico.
“Sì! Mi difenderà Emmett!” Confermò Justin risoluto.
Brian alzò gli occhi al cielo davanti alle due regine del dramma. “EmmyLou, è arrivato tuo marito.” Lo informò invece con un cenno della testa verso i suoi amici. “Il cuoco dagli occhi blu.”
Brian non terminò neanche la frase: Emmett scomparve in un nanosecondo, lasciando Justin a difendersi da solo. “Ecco che il tuo difensore se ne va.” Lo prese in giro. “Non ci ha messo molto.”
Justin mise il broncio. “È stato un colpo basso.” Si lagnò, mentre, meno recalcitrante di un minuto prima, veniva trascinato verso la pista di ballo. “Non avresti dovuto inventarti una balla del genere.”
“Quale balla?” Brian si portò al centro della pista, indicando con un cenno del capo, John che raggiungeva gli altri. “Non mi crederai davvero capace di una cattiveria così nei confronti di EmmyLou.”
L’occhiata di Justin fu sufficiente ad avere la risposta. “Non voglio parlare con te.” Disse Justin, il broncio da bambino di cinque anni ancora presente sul suo bel viso. “Sono ancora arrabbiato.”
Brian gli passò le braccia attorno al collo, tirandoselo addosso. “Conosco un metodo molto efficace per fare pace.”
“Scordatelo.” Borbottò Justin contro il suo collo, le labbra calde e morbide contro la pelle sudata di Brian.
“Mh mh…” Brian si chinò di lui e lo baciò con trasporto. Le labbra di Justin si dischiusero al primo contatto con la sua bocca, la lingua s’intrecciò alla sua in una sensuale danza fin troppo familiare. Le mani di Justin salirono verso la sua schiena e lo sentì graffiare leggermente la stoffa della camicia. Sorrise contro la sua bocca. “Qualcuno è battagliero.”
“Vaffanculo.” Sibilò Justin, alzandosi sulle punte per tornare a baciarlo.
Forse non sarebbe stato tanto difficile farsi perdonare.
Il problema sarebbe stato convincerlo a tornare a New York. Come poteva fare quando lui era il primo a non volere che accadesse?
Brian sospirò contro la bocca di Justin e lo strinse di più a sé.
Lui capiva perché Justin non voleva andarsene e una parte − una piccola, minuscola, infinitesima parte − del suo cuore capiva anche il perché. Justin a Pittsburgh aveva la sua casa, la sua famiglia, i suoi amici, aveva Molly, aveva lui. Ed era certo che se si fosse messo d’impegno, l’incredibile giovane uomo che stringeva tra le braccia sarebbe stato in grado di conquistare anche Pittsburgh col suo talento e la sua arte, di questo era certo.
Quello che più spaventava − terrorizzava − Brian era la paura un giorno di vedere rimpianto, o peggio ancora risentimento, in quegli occhi azzurri che lo avevano costantemente guardato con un’ammirazione, un rispetto e un amore di cui lui si era sempre sentito immeritevole.
Quello di cui lui aveva paura era che quell’amore che gli aveva cambiato e stravolto la vita sarebbe stato soffocato dal rancore per aver perso un’occasione di carriera come quella che Justin stava avendo a New York.
Lui non voleva che Justin se ne andasse di nuovo.
Voleva solo evitare che Justin si sentisse libero di decidere senza la paura che Brian lo mollasse come era successo due anni prima.
“Che cosa frulla in quella tua testa bacata?”
La voce di Justin lo riportò sulla terra. “Niente.” Disse in un sospiro.
“Sì, sarà per quello che hai più rughe del normale.”
Brian gli schiaffeggiò il sedere facendolo sobbalzare di dolore. “Vuoi che ti porti nella dark room e ti punisca?”
Percepì Justin sorridere contro il suo collo e lo strinse di più a sé. “No, voglio andare a casa, riprendere il discorso che abbiamo interrotto e che, a quanto pare, nessuno dei due riesce ad accantonare, e poi scopare fino all’alba.”
“Per festeggiare o per salutarci?” Brian lo spinse indietro per poterlo guardare in viso nella semioscurità del Babylon.
Justin si strinse nelle spalle, unendo le mani dietro il suo collo e tirandolo verso di sé per rubargli un bacio, e poi un altro e un altro ancora. “Quello dipende da chi vincerà.”
Brian annuì mestamente, per nulla ansioso di tornare sull’argomento, ma allo stesso tempo impaziente di vederne la conclusione.
In un modo o nell’altro, il problema New York si sarebbe risolto quella sera.
 
 
 
 
Lane scoppiò a ridere, guardando il suo accompagnatore con espressione incredula. “Non l’hai fatto!”
Paul le rivolse un’occhiata offesa. “Certo che l’ho fatto! La mia terza babysitter è scappata a gambe levate. Ci mancava poco che ci facesse causa. La mia matrigna non era molto contenta.”
Lane scosse il capo. “Mi chiedo come mai. Che poi… come diavolo ha fatto un bambino di otto anni a trovare una tarantola?”
Paul si passò una mano sulle labbra, come a volerle chiudere con una zip. “Non rivelo mai le mie fonti.”
“Sei un essere spregevole.”
“Così mi lusinghi, Clarke.” Le rivolse un’occhiata furba, prima di porgerle il braccio in un gesto così palesemente non da Paul che Lane non poté fare altro che accettarlo. Si strinse a lui in quella fresca sera di metà luglio.
Alzò lo sguardo verso il cielo scuro e si ritrovò a chiedersi per la milionesima volta come fosse finita a passeggiare abbracciata a Paul, trovandosi persino ad apprezzare − e a cercare − la sua compagnia.
Quand’era stata l’ultima volta che avevano litigato?
“Tutto okay?” La voce di Paul, troppo vicina al suo orecchio, la fece sobbalzare appena.
Lane annuì quando il groppo che aveva in gola le impedì di rispondere. Si schiarì la voce per poi voltarsi verso di lui. “Anche troppo.” Ammise, quasi a malincuore.
Paul sospirò annuendo, lo sguardo di nuovo fisso davanti a lui. Lane con un certo sollievo capì che quella situazione era strana anche per lui.
“Stiamo… facendo una cazzata?” Gli domandò con voce incerta.
Paul si fermò in mezzo al marciapiede, scostandosi poi di lato per evitare di essere travolto dalle persone che camminavano di fretta lungo la via affollata. Prese Lane per mano, tirandola dolcemente con lui. La ragazza non sembrò infastidita dal contatto, posò anzi la mano libera sul suo addome. “Pensi che sia una cazzata?”
Lane abbassò lo sguardo verso le loro mani intrecciate e non riuscì a provare nulla di spiacevole. “No.” Rispose decisa.
Paul annuì, respirando un po’ più liberamente. Non si era nemmeno reso conto di aver trattenuto il respiro in attesa della risposta di Lane. “Neanch’io.”
Anche Lane parve sollevata dalla sua riposta. “Bene, allora.” Fece per staccarsi dal muro, su cui si era appoggiati, ma Paul la trattenne per la mano. “Ultima domanda.” Prese coraggio. “Che facciamo con Hunter?”
Lane lasciò la sua presa per coprirsi il viso con entrambe le mani. Si massaggiò con forza gli occhi. “Non ne ho idea, porca puttana.”
Paul represse un sorrisetto. “Potremmo non fare nulla. Per il momento.”
“Non dirgli nulla?” Chiese conferma Lane, alzando di nuovo lo sguardo su di lui.
Paul si strinse nelle spalle. “Non stiamo facendo nulla di male. Che senso ha dirgli qualcosa che sappiamo gli darà fastidio?”
Lane annuì: Paul aveva ragione. Nonostante la storia con Callie andasse a gonfie vele, il loro amico avrebbe di sicuro visto il loro avvicinamento come un tradimento. “Allora è deciso. Silenzio stampa.”
“Assolutamente. E poi magari tra due giorni torneremo ad insultarci come i bei vecchi tempi e sarà stato tutto inutile, quindi perché andare in cerca di problemi?”
Lane scoppiò a ridere, gettando indietro la testa e facendo scuotere i lunghi capelli biondi nel buio della notte. Prese Paul per mano per trascinarlo via dal muro e immettersi di nuovo nella via gremita.
“Laney?” I due ragazzi si ghiacciarono sul posto. Non poteva essere. “Laney? Chiamò di nuovo la voce di Hunter alle loro spalle.
Lane e Paul si voltarono lentamente e, alla vista del loro amico, le loro mani si separarono all’istante, troppo tardi e troppo repentinamente perché Hunter non le vedesse.
E tanti saluti al segreto pensò Lane, posando finalmente lo sguardo sul suo migliore amico. Hunter lasciò la mano di Callie e incrociò le braccia al petto, lo sguardo poco amichevole.
“Ciao, ragazzi!” Esclamò allegra Callie, correndo ad abbracciare Lane, per alleggerire l’atmosfera che si era improvvisamente fatta gelida, nonostante i trenta gradi percepiti. “Che sorpresa! Come mai da queste parti?”
Lane fece per rispondere, ma la voce secca di Hunter la interruppe. “Sì, ragazzi, come mai da queste parti?” Nel silenzio che ne seguì, Lane lesse chiaramente la domanda inespressa del ragazzo. Ti ho chiamato. Mille volte. Dove diavolo eri? Adesso lo so.
Paul mosse un passo verso i due ragazzi, celando in parte Lane alla vista, come a volerla schermare dallo sguardo accusatorio di Hunter.
Hunter aggrottò la fronte a quel piccolo gesto di tenerezza nei confronti della sua migliore amica. Non era lui di solito a proteggere Lanie dal mondo intero?
“Visto che era una bella serata, abbiamo deciso di uscire a prenderci un gelato invece di morire di caldo a casa.” Disse Paul, stringendosi nelle spalle. “Abbiamo persino promesso a Fanny di portargliene un po’.” Continuò con un mezzo sorriso, ma capì di aver commesso un errore quando Lane trattenne il fiato dietro di lui e Hunter mosse un passo verso di loro con fare minaccioso.
“Fanny?” Chiese il ragazzo, come a cercare conferma di aver sentito bene. “State andando a casa per mangiare un bel gelatino in famiglia?” Emise un verso beffardo. “Che teneri. Non sono teneri, Callie?”
Callie spostò lo sguardo dai suoi amici al suo ragazzo, aggrottando la fronte confusa. “Che ti prende, adesso?”
Lane posò la mano sul braccio di Paul. “Andiamocene.”
Paul sospirò, gli occhi ancora fissi su Hunter. “D’accordo.”
“Torni dalla suocera, Paul?” Lo schernì il suo amico. “Fa’ in fretta. Potrebbe aver trovato una bella bottiglia di vodka cui attaccarsi nel frattempo.”
Paul gli rivolse un’occhiataccia e mosse un passo verso di lui, stringendo i pugni. Lane lo trattenne, rafforzando la presa sul braccio. “Lascialo perdere. Andiamo.” Sibilò a denti stretti. Lanciò uno sguardo gelido verso Hunter. “Torneremo sul discorso quando non ti comporterai da bambino insicuro, ma da migliore amico quale professi di essere sia per me che per Paul.”
Senza aggiungere altro, voltò le spalle a Callie ed Hunter e riprese a camminare nella direzione opposta. Paul arrischiò solo una rapida occhiata verso di loro, prima di imitarla.
Sparirono nella folla in un paio di secondi.
Callie si voltò scioccata verso il suo ragazzo. “Ma che diavolo ti è preso?”
Hunter scosse il capo, infastidito. “Niente. Non è mi è preso niente.”
“Dovresti essere contento se vanno d’accordo!”
Hunter rimase in silenzio. Quante volte aveva sperato che i suoi due migliori amici la smettessero di litigare di continuo rendendogli la vita impossibile?
Eccoti accontentato, stronzo. Così imparerei a lamentarti.
 
 
 
 
Justin crollò a sedere sul divano, esausto. “Non ne usciremo mai, vero?”
Brian, dall’altra parte del salotto, seduto sulla sua preziosa poltrona Barcelona, si attaccò alla bottiglia di Jim Beam e diede un lungo sorso. “Non se continui ad essere così testardo.”
Justin emise un verso di estrema frustrazione, scattando in piedi. “Io sono testardo? Senti da che pulpito!”
Brian lo ignorò, massaggiandosi la tempia con la mano libera. “Allora ripassiamo insieme. Motivi per tornare a New York.”
Justin grugnì contrariato. “La mia dannatissima carriera.”
“A+, Sunshine. Poi?”
“Nient’altro.”
Brian lo guardò male. “La realizzazione personale? La conquista dell’indipendenza? La voglia di farcela con le tue sole forze?”
“Motivi per rimanere a Pittsburgh.” Lo interruppe Justin senza segno di averlo sentito. Brian era stanco, mezzo ubriaco e decisamente impaziente di finire in camera da letto. Doveva battere il ferro ora che era ancora caldo. Percepiva con una inquietante e serena pacatezza di essere ad un passo dalla vittoria. “Mia madre sarebbe supercontenta. E anche Molly.”
Brian sospirò, dando un altro sorso al whiskey. Il dannato moccioso sapeva benissimo come giocare le sue carte, per questo non aveva messo lui tra le prime motivazioni: sapeva che Brian lo avrebbe accusato di voler mollare tutto solo per poter stare insieme. Imprecò fra sé, decisamente stanco di tutta quella dannata storia. Ancora una volta, perché diavolo si era innamorato di Justin?
“Io sono ancora a quota tre.” Osservò, ricordandogli l’elenco delle sue motivazioni per farlo tornare nella Grande Mela.
Justin sorrise malefico. Intravedeva già la vittoria. “Emmett, sta affrontando un brutto periodo e non mi va di lasciarlo solo.”
“Cazzate. Emmett e le sue idiozie sulle forze del cosmo stanno benissimo, a mio avviso.”
“Daphne.” Continuò Justin, senza dare segno di voler cedere. “La storia di Nathan si preannuncia complicata.”
Brian sbuffò annoiato. “Quale storia? Lui è fidanzato e non la degna di uno sguardo.”
“Gus. Adesso sono un papà in seconda. Vorrò vederlo più spesso.”
“Da New York sono solo duecento chilometri in più.” Brian sorrise soddisfatto della sua logica ferrea. “Vanessa.” Ribatté prontamente, quando vide Justin esitare. “Lei che direbbe?”
“La convincerò.”
“Steve?”
Justin lo guardò male. Era un colpo basso coinvolgere forse l’unica persona di cui avrebbe davvero, davvero sentito la mancanza. “Ci vedremo lo stesso. New York e Pittsburgh non sono poi così lontani.” Concluse imitando il tono di voce di Brian con impressionante maestria.
Brian scosse il capo. “Sei senza vergogna.”
“E te ne accorgi solo ora?” Justin si passò una mano tra i capelli e iniziò a camminare per il salotto, cercando di scaricare la crescente tensione che sentiva sulle spalle. “Andremo avanti ancora molto?”
Brian scosse le spalle. “Mi pare che le motivazioni siano terminate.”
Figlio di puttana. Le parole rimasero incastrate nella gola di Justin. “Ce n’è ancora una.” Gli fece notare.
“Ah sì?”
“Noi due, brutto testardo che non sei altro.” Justin gli lanciò un cuscino colpendolo in pieno viso e rischiando di far cadere la bottiglia di Jim che ancora stringeva tra le mani.
Brian gettò il cuscino a terra, posando anche la bottiglia, e si alzò dalla poltrona. Raggiunse il suo compagno. “Sai che noi due non siamo una motivazione. Non possiamo esserlo.”
“Perché no, cazzo?”
“Perché noi continueremo a stare insieme anche dopo che−”
Justin lo spinse con forza, mettendogli le mani sul petto. “Non ci provare, Brian! Questa l’hai già detta e l’ultima volta non mi pare sia finita molto bene. Né quella prima ancora!”
Brian lo afferrò per gli avambracci, costringendolo a guardarlo negli occhi. “Sei ancora spaventato per l’incidente.”
“Certo che lo sono! Sono spaventato per l’incidente che hai appena avuto, e per Chris Hobbs, e per mio padre e tua madre, e per la bomba al Babylon, e per il cancro, e per Ethan…” Brian provò un’inspiegabile fitta di piacere nel sentire il nome del violinista elencato accanto a tutte le disgrazie che lui e Justin avevano dovuto affrontare. Si guardò bene dal farlo notare al suo fidanzato per evitare di ricevere una di quelle sberle sulla nuca di cui Debbie andava tanto fiera. “… e per tutto lo schifo che la vita ci ha lanciato contro e che noi siamo riusciti, non si sa come a respingere e superare.” Justin respirò ormai a corto di fiato, le guance rosse per l’agitazione e gli occhi accesi di determinazione.
“Esatto, Justin.” Brian gli prese il viso tra le mani. “Noi abbiamo superato tutto questo. E siamo ancora qui, insieme.”
“Per quanto ancora?” Justin si districò dalla sua presa. “Quante volte ancora vogliamo rischiare di perdere tutto, Brian? Di perderci una volta per tutte?”
Brian scosse il capo. “Non succederà.”
Stavolta fu Justin a prendere il viso di Brian per fare in modo che il suo compagno capisse, una volta per tutta, che non l’avrebbe mai convinto a partire. “Ascoltami, Bri, mi stai ascoltando?” Brian gli lanciò un’occhiataccia, ma annuì con un gesto secco. “Ci siamo andati vicini troppe volte, abbiamo rischiato in così tante occasioni che mi sembra di prendere a calci la sorte a separarci di nuovo.” Si avvicinò al viso dell’uomo e posò la fronte contro la sua, socchiudendo gli occhi. “Mi dispiace se questa cosa ti offende o mette in crisi, ma non permetterò a me stesso di stare un altro giorno lontano da te. Sono passati due anni e se non fosse stato per il matrimonio di mia madre forse ne sarebbero passati anche di più.” Brian fece per parlare, ma Justin lo zittì con un bacio a fior di labbra. “Non voglio più scappare, voglio solo tornare a casa e stare con te per il resto della mia vita.”
Brian sospirò, abbracciandolo stretto e tirandolo a sé. “E se ti pentissi?” Sussurrò così piano che Justin credette quasi di averlo immaginato.
Ed eccolo lì, il bandolo della matassa.
Justin sorrise, posando un bacio contro il collo di Brian. Ora sapeva di avere la vittoria in tasca.
“È questo che ti preoccupa? Che fra qualche anno tornerò a rinfacciarti questa decisione?” Brian rimase in silenzio. “Non sarà così, Bri. Non potrei mai, lo sai.”
E Brian lo sapeva davvero. Ma sarebbe davvero stato così coraggioso da correre il rischio?
“Un amico poco fa mi ha detto che spesso le cose non capitano semplicemente perché non è destino.”
“E tu sei d’accordo?” Brian si staccò da Justin per scrutarne il volto e leggerci l’assoluta verità.
Justin scosse il capo e gli rivolse quel sorriso che faceva mancare la terra sotto i piedi di Brian. “Se avessimo seguito il nostro destino, io sarei finito con lo sposare Daphne e avere tanti piccoli Taylor che avrebbero reso mio padre fiero.” Scosse di nuovo la testa. “Tu ed io di sicuro non eravamo destinati a stare insieme eppure eccoci qua, dopo sette anni a prendere a calci il fato che continua a romperci le palle.”
Brian piegò le labbra verso l’interno per nascondere un sorrisetto. “Quindi ora la domanda è… Dobbiamo continuare a farlo? O è meglio rinunciare e lasciar perdere tutto?” Sfregò il naso contro la guancia di Justin. “Non ne abbiamo già passate abbastanza?”
Justin lo strinse forte per la vita. “Cosa mi stai chiedendo, se sia giusto o meno combattere il destino?
Brian annuì. “Ne vale la pena?”
Justin si staccò da lui e lo guardò con espressione risoluta. “Ci puoi scommettere il tuo bel culo che ne vale la pena.” Sentenziò con tono che non ammetteva repliche. “Ed io continuerò a farlo per tutti e due, se mi troverò costretto. Io combatterò per entrambi se tu non vorrai più farlo.”
Brian scosse la testa, ormai sconfitto di fronte alla tenacia e all’ostinazione dell’uomo che amava. Abbassò il capo e si arrese. “E lotta sia allora.” Concluse, stringendo Justin ancora una volta a sé. E al diavolo i rimorsi, i rimpianti e le paure. Finché lui sarà accanto a me, nient’altro conta…
Justin rispose all’abbraccio quasi incredulo per la vittoria.
Gioco, partita, incontro.
Il re si era arreso.

 






Non voglio dire nulla, se non perdono, perdono, perdono. Questo capitolo è stato scritto e riscritto mille volte, alla fine è venuto fuori questo. Poteva essere migliore, ma mi ero stancata di rimandare.
Spero non mi maledirete e spero anche che i prossimi due capitoli (ultimi due) arriveranno prima di quattro anni XD
Grazie mille DAVVERO a chi mi segue ancora. Rileggere i vostri messaggi mi ha spronato a tornare a scrivere quando credevo davvero di aver perso la voglia e la fantasia per farlo. Spero non sia così.
Un abbraccio a tutte!

Alessandra


 
 

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Capitolo 36
*** No One Else Like You ***


 
 
No One Else Like You
 


 


“A noi! Amici per la vita!”
Hunter sorrise divertito dalle solite buffonate di Howie prima di scambiare un sorriso con Paul che scosse la testa, dando un lungo sorso alla sua birra. Hunter lo imitò, lanciando uno sguardo verso Howie che nel frattempo si era lanciato alla conquista di una bionda tutta curve che non l’avrebbe degnato di un sguardo.
“Bisogna ammirarne il coraggio, se non altro!” Gridò Paul al suo orecchio cercando di sovrastare la musica.
Hunter annuì e sorseggiò la birra ormai calda che stringeva tra le mani; al centro del salone, Callie rideva circondata dalle sue compagne di corso. Gli sorrise quando si accorse del suo sguardo e gli mandò un bacio da lontano.
“Le cose vanno bene tra voi, deduco?”
La voce di Paul lo colse di sorpresa. Annuì. “Più che bene.”
“Sono contento.” Hunter guardò in viso il suo amico e capì che era sincero, che era davvero felice per lui, per loro. “Te lo meriti. E per la storia di Lane…”
Hunter scosse il capo. “Ehi, ne abbiamo già parlato.”
E lo avevano fatto. Dopo averli incontrati e aver avuto quell’uscita infelice – da vero coglione!, gli aveva gentilmente fatto notare Lane quando lui si era presentato strisciando a casa sua per implorare perdono –, Hunter aveva capito che non c’era nulla da temere se Paul e Lane diventavano amici, che al contrario avrebbe dovuto rallegrarsi di una simile circostanza dato che la sua vita sarebbe stata di certo più semplice. Lane aveva accettato le sue scuse – c’era voluto sorprendentemente poco, a dirla tutta – e tutto era tornato alla normalità.
Con Paul non ce n’era nemmeno stato bisogno: non appena Lane gli aveva detto di aver risolto le cose, il loro amico gli aveva rifilato una pacca sulla spalla e lo aveva invitato ad una delle tante feste cui era solito imbucarsi.
Tutto come ai vecchi tempi. Lui, Paul, Howie e Lane. E Callie. Sì, adesso c’era anche lei e la cosa gli andava bene così.
“Sì, so che tu e Lane avete chiarito e mi sta bene, ma…” Paul giocherellò nervosamente con il bordo del bicchiere di carta che stringeva tra le mani.
Hunter aggrottò la fronte. “Tutto okay?” Vide il suo amico prendere un lungo respiro. “Sembra che tu stia per vomitare.”
“Devo dirti una cosa.”
“Hai messo incinta qualche ragazza?”
Paul sgranò gli occhi. “Cosa?! No! Come ti viene in mente?”
Hunter scosse il capo. “Sono troppo giovane per fare lo zio.”
“Nessuna è incinta.”
“Sicuro?”
“Cento per cento.”
“E allora che hai?” Hunter gli colpì la spalla con la propria.
Paul finì la sua birra con un lungo sorso e si voltò a guardarlo. “Mi piace Lane.” Sbottò senza preavviso.
Le sopracciglia di Hunter sparirono comicamente dietro la frangia di capelli. “Lane? La mia Lane?”
Paul lo guardò male. “Non sapevo fosse tua.”
“Sai che intendo.” Borbottò il suo amico con tono annoiato. “Ti piace Lane?” Paul annuì. “E quando cazzo è successo precisamente?”
“Non lo so!” Ribatté Paul sulla difensiva. “È iniziato tutto con il concerto, poi ci siamo incontrati qualche volta in biblioteca e abbiamo iniziato a… parlare.”
“Parlare.” Ripeté Hunter con tono glaciale. “È così che si dice adesso?”
Paul lo colpì ad una spalla con fare risentito. “Non ci provare. Sai che non farei mai una cosa del genere a Lane.”
“Cosa, scopartela e poi scaricarla come fai di solito?”
“E che cazzo, Hunter!” A quel punto, Paul gli si parò davanti con le braccia incrociate e l’espressione minacciosa. “È di Lane che stai parlando! Non di una qualsiasi!”
Hunter sgranò gli occhi colpito, posando il bicchiere di birra ormai vuota su una superficie a caso, un tavolo forse? “Sei serio?”
“Come un infarto.”
“Wow. Sono…” Hunter si schiarì la gola. “Non so che dire.”
Paul annuì con un gesto secco. “Volevo solo che lo sapessi da me, da noi. Per accertarmi che per te… sì, insomma, che sia okay.”
“Che i miei migliori amici stiano insieme?” Domandò Hunter con tono ancora scioccato. Davvero stava succedendo? Lanie e Paul?
Paul alzò gli occhi al cielo. “Non stiamo insieme. Siamo solo usciti qualche volta.”
Hunter annuì. “Ma vorresti essere il suo ragazzo?”
“Hunter non ti sto chiedendo la sua mano. Non l’ho mai neanche baciata, cazzo.” Paul si passò nervosamente una mano tra i capelli e Hunter si stupì. Paul non era mai nervoso quando si trattava di ragazze. “Volevo solo che tu lo sapessi prima che la cosa si--”
“Ehi, Laney!” Si voltarono entrambi verso il centro del salotto dove Callie stava abbracciando con calore la loro amica bionda appena arrivata. Videro le due ragazze conversare per qualche minuto prima che Lane le domandasse qualcosa e Callie indicasse nella loro direzione.
Lane li individuò all’istante e sorrise, avviandosi verso di loro.
“Altro giro?” Chiese Hunter al suo amico, accennando al bicchiere che aveva tra le mani. Paul annuì. “Torno subito.”
Sparì prima che Lane li raggiungesse e finse di essere interessato alla conversazione sull’allevamento degli alpaca che il ragazzo incaricato della birra stava intavolando con lui. Annuendo distrattamente, si voltò cauto verso Lane che ormai aveva raggiunto Paul. Vide il suo amico sorriderle impacciato prima di abbracciarla con calore, Lane ricambiò la stretta. La vide inclinare il capo come faceva di solito quando era imbarazzata e portarsi poi una ciocca di capelli biondi dietro l’orecchio. Paul le si avvicinò per sussurrarle all’orecchio qualcosa che la fece ridere e così, come per magia, come se loro due fossero amici da sempre, come se non si conoscessero semplicemente per merito suo, l’imbarazzo svanì e Lane gli sorrise con calore, sfiorandogli il braccio. Hunter distolse lo sguardo quando Paul posò la mano alla base della schiena della ragazza.
“Ti serve altro amico?” Gli domandò l’amico degli alpaca. Hunter scosse il capo. “E allora sparisci e tornatene dai tuoi amici! C’è la fila dietro di te!”
Hunter sussultò sorpreso e si spostò da un lato. Riportò lo sguardo su Paul e Lane che sembravano immersi una conversazione abbastanza importante da richiedere la totale vicinanza dei loro corpi e dei loro visi.
Voltò loro le spalle e andò a cercare Howie.
 
 




Brian alzò gli occhi al cielo, grugnendo contrariato quando lo sconosciuto che lo premeva contro il muro si avventò sul suo collo. Prese ad emettere inquietanti suoni di risucchio che lo spinsero ad allontanarlo per paura di trovarsi con un orrendo succhiotto in una posizione abbastanza scomoda.
Il ragazzo mal interpretò il suo gesto, sporgendosi verso di lui con l’intenzione di baciarlo; Brian si ritrasse nel momento esatto in cui l’ascensore arrivava al piano.
“Ci siamo.” Disse solo prima di staccarsi da lui e avviarsi verso la porta del loft.
Con il rientro  - “Temporaneo, brutto idiota!” – di Justin a New York, Brian aveva deciso di tornare a vivere al loft mentre a Britin, che era finalmente stata eletta come residenza ufficiale della loro… coppia? Famiglia?, fervevano gli ultimi lavori di ristrutturazione in vista del trasloco imminente.
Il suo compagno lo aveva salutato in aeroporto con un sorriso machiavellico e la promessa che avrebbe risolto tutto con Vanessa.
“Vedrai.” Gli aveva detto con tono risoluto. “Ho un piano geniale in mente e neppure Ness riuscirà a dirmi di no.”
“Sottovaluti la testardaggine della Strega dell’Ovest.”
“Stronzate. Dopo aver battuto la tua di testardaggine, nulla può fermare la mia avanzata.”
Brian aveva alzato gli occhi al cielo mentre uno strano formicolio gli si formava nel petto. “Ehi Alessandro Magno, il tuo volo sta per partire.”
Justin lo aveva quindi baciato ed ero corso ai controlli di sicurezza ancora sfoggiando quel dannato sorriso vittorioso. Lui non aveva voluto saputo i particolari, ma era alquanto curioso, anche se non l’avrebbe mai ammesso, di sapere l’esito.
Inoltre attendeva ancora la realizzazione da parte di Justin di aver fatto una cazzata a tornare a Pittsburgh e abbandonare la sua brillante carriera nella Grande Mela, ma al momento il ragazzo pareva ancora sicurissimo della sua scelta. La piccola, minuscola, infinitesimale parte del suo cuore che provava sentimenti verosimilmente umani ruggì d’orgoglio al pensiero.
Ha scelto me sentì la sua testa ripetergli per la milionesima volta. Ha scelto di mettere da parte il suo futuro per averne uno qui, con me.
Dopo Joan, dopo Jack e Claire, dopo Michael e Linz, qualcuno – Justin, perché del resto, chi diavolo avrebbe potuto essere se non lui? – aveva finalmente scelto lui, aveva scelto di mettere lui al primo posto. E nonostante la parte di cervello che gli ricordasse quanto tutto ciò fosse egoista, Brian non riusciva a non sentirsi… orgoglioso? Incredulo?
Innamorato. Follemente innamorato. Di un ragazzino biondo con gli occhi più luminosi del mondo e il sorriso devastante.
Aprì la porta con un gesto secco e un sorriso ebete che lo sconosciuto, di nuovo, interpretò male. “Qualcuno è impaziente, eh?”
Brian alzò gli occhi al cielo e aprì la bocca per mandarlo al diavolo quando un movimento in cucina attrasse la sua attenzione. Scosse il capo incredulo all’inaspettato intruso.
“Ciao, amore! Ti sono mancato?”
Brian scoppiò a ridere di gusto di fronte a Justin, comodamente seduto sul bancone, che lo guardava con un sorriso allegro. “Vedo che hai ospiti.”
“Dovevi tornare domani.” Rispose solo Brian ancora scioccato da quell’improvvisata.
Justin saltò giù dal bancone e si avvicinò a lui, stringendosi nelle spalle. “Volevo farti una sorpresa.” Si alzò sulle punte e lo baciò appassionato, con più lingua del dovuto.
Senza neanche staccarsi da lui, Brian afferrò il braccio del tizio e lo spinse via dal loft. “Serata terminata. Fuori.” E senza neanche attendere risposta, chiuse la pesante porta di metallo in faccia al povero malcapitato.
Justin ridacchiò, circondandogli il collo con le braccia e tornando a baciarlo. “Sei stato molto scortese, Brian.”
“Mh mh.” Brian scese a dedicarsi al collo di Justin, stringendolo per la vita e spingendolo verso il divano.
“Magari il tuo amico si aspettava una serata diversa che essere maltrattato dal grande Brian Kinney.”
“Se ne farà una ragione.”
“O potremmo farcelo noi.”
Brian si bloccò, staccandosi con lentezza da lui. Inarcò un sopracciglio e lo guardò confuso. Il sorriso smagliante di Justin non prometteva niente di buono. “Cioè?”
Justin si morse un labbro e si sporse a baciarlo di nuovo, poi si separò da lui e trotterellò ad aprire la porta del loft. Lo sconosciuto era ancora sul pianerottolo. “Ciao.” Lo salutò allegro, sbattendo le lunghe ciglia e Brian capì che il poveretto era spacciato. Come da copione, vide l’uomo sgranare gli occhi e guardare Justin incerto. “Ehi.” Alzò le mani in segno di resa. “Non sapevo fosse sposato.”
Justin si strinse nelle spalle prima di avvicinarsi a lui e afferrarlo per la cintura così da poterlo attirare a sé. “Non siamo sposati.”
Lo sconosciuto annuì, confuso ed eccitato, e Brian poté vedere chiaramente l’interesse che Justin aveva suscitato in lui. In silenzio, assecondò la volontà del ragazzo e si lasciò spingere contro il muro mentre Justin si alzava sulle punte per sussurrargli all’orecchio qualcosa che lo fece deglutire e socchiudere gli occhi.
“Che ne dici, ti va di unirti a noi?” Gli sussurrò Justin a voce più alta in modo che Brian lo sentisse.
Lo sguardo dell’uomo guizzò da Justin che lo fissava ancora con espressione maliziosa a Brian poggiato allo stipite della porta chiaramente divertito dalla loro interazione. “La cosa… vi sta bene? Voglio dire, ad entrambi?”
Justin si sporse verso di lui e gli mordicchiò il lobo dell’orecchio. “Non sarebbe la prima volta. Né probabilmente sarà l’ultima.”
Brian scosse il capo con una mezza risata. Justin era davvero la sua anima gemella.
“Quindi?” Pressò il ragazzo. “Entri o no?” Si staccò da lui e tornò tra le braccia di Brian.
Lo sconosciuto li fissò mentre si baciavano appassionatamente e si sistemò a fatica il cavallo dei pantaloni. “Fai strada.”
 
 
 
 


La prima cosa che Justin avvertì fu la morbidezza del cuscino.
A New York aveva degli strani cuscini ortopedici che sua madre aveva insistito per comprare che lui trovava scomodissimi, ma che era sempre stato troppo pigro per sostituire.
La seconda cosa fu il respiro di qualcuno al suo fianco, cosa decisamente strana visto che raramente lasciava che le sue avventure di una notte dormissero da lui.
Quando infine avvertì un braccio stringersi attorno alla sua vita, sorrise contro la stoffa pregiata dei cuscini e si accoccolò meglio nella stretta familiare del suo fidanzato. Senza aprire gli occhi lo sentì muoversi al suo fianco e due labbra di posarono sulle sue.
Justin aprì gli occhi di colpo e scattò a sedere, allontanando con un gesto secco lo sconosciuto che aveva osato baciarlo. “Ehi!”
Il braccio di Brian – almeno quello era il suo per fortuna – si strinse di riflesso attorno a lui e Justin lo abbracciò di rimando. “Che succede, Sunshine?” Domandò con voce strascicata.
Justin guardò male lo sconosciuto che continuava a fissarlo con espressione maliziosa. “Andiamo.” Sussurrò allungando una mano verso di lui sotto le lenzuola. “Stanotte non mi sei sembrato uno timido.”
Quella frase ebbe il potere di svegliare del tutto Brian. Con un movimento rapido spostò Justin dall’altro lato del letto, lontano dalle mani vaganti del tizio, e gli si parò davanti. “È mattina. Ora puoi anche sparire.” Sibilò glaciale.
“Tutto qui?” Lo sconosciuto parve offendersi. “Pensavo avremmo potuto fare il bis.”
Justin diede loro le spalle, tornando nel mondo dei sogni mentre il suo bellissimo, atletico, nudo fidanzato si liberava del loro divertimento notturno.
“Incredibile. Non ci sono più scopate di una volta.” Lo sentì borbottare tornando a letto, dove crollò sul materasso accanto a lui. Gli circondò di nuovo la vita con un braccio.
“Mi ha baciato.” Si lagnò Justin ancora con gli occhi chiusi. “Quell’idiota mi ha dato un bacio.” Fece una smorfia disgustata e affondò il capo contro il collo di Brian. “Voglio dire… come diavolo si è permesso?”
Brian piegò le labbra all’interno della bocca e sorrise. “Forse gli hai dato false speranze.”
“Tu di sicuro gli hai dato tanto, stanotte.”
“Non mi sembravi contrariato.”
“Per niente.” Justin sorrise contro la sua pelle. “È stato eccitante, cazzo. Non lo facevamo da un secolo.”
“Però una cosa sensata l’ha detta.”
Justin sollevò il capo e lo guardò con espressione ancora mezza addormentata, i capelli sparati in aria e le labbra screpolate dai baci della sera prima. Se Brian fosse stato un frocio patetico, avrebbe potuto anche definirlo adorabile. “Sarebbe?”
“Potremmo fare il bis.”
Justin ricambiò il ghignò e si avventò su di lui senza dire altro.
Non ci volle molto perché entrambi fossero di nuovo sudati, ansimanti ed eccitati. “Brian…” Sussurrò Justin, mordendosi un labbro e gettando indietro la testa contro i cuscini scuri, dopo una spinta decisamente energica.
“La mattinata sta migliorando?” Brian inarcò la schiena e si spinse di più dentro di lui.
“Si!” Justin ansimò forte quando Brian arrivò a sfiorare quel punto che lo faceva impazzire. “Non… ti fermare…”
Brian sorrise contro le sue labbra continuando ad inarcarsi contro di lui. “Non ne ho intenzione.”
“Dio, ti amo da morire.” Justin immerse le dita nei suoi capelli scuri e lo attirò a sé bruscamente mentre Brian affondava di più in lui, sempre di più in lui accelerando il ritmo. Lo baciò con trasporto e veemenza, mordendogli il labbro e sospirando pesantemente dentro la sua bocca, invitando, implorando Brian a fare lo stesso mentre rispondeva alle spinte con altrettanta passione. Circondò la vita di Brian con le gambe e lo sentì gemere forte contro il suo orecchio un attimo prima di venire. Justin lo seguì un istante dopo.
“Gesù Santissimo…” Brian crollò esausto accanto a lui.
Justin, gli occhi ancora chiusi e la fronte imperlata di sudore, lo colpì distrattamente al petto. “Non serve chiamarmi così. Justin va benissimo.”
Brian sorrise ad occhi chiusi. “Passi troppo tempo con me.”
“E presto ne passerò ancora di più.” Justin si girò su un lato sollevandosi su un gomito e posando la testa su suo palmo. Accarezzò i capelli sudati di Brian e si sporse per baciargli una guancia. “Non riesco ancora a crederci, sai?”
“Che stai per fare--” L’occhiataccia di Justin e il pizzicotto sul fianco zittirono Brian all’istante. “Neanche io.” Ammise dopo essersi massaggiato la parte offesa.
Justin sospirò, posandogli la testa sul petto. “Ancora convinto?”
Brian rispose dopo un lungo istante e la risposta non poté essere più sincera. “Mai stato più convinto.”
 
 
 
 


“Quindi non l’hai ancora convinta.” Osservò Brian, versandosi un bicchiere del suo prezioso scotch.
Justin sistemò l’ultimo vassoio sul lungo tavolo posizionato al centro del salotto e annuì soddisfatto della sua opera. “Praticamente è fatta. Ho lanciato la pietra, ora c’è Steve a perorare la mia causa.”
“E la cosa ti rassicura?” Brian si sedette sul divano e sorrise, guardando Justin che zompettava dal salotto alla cucina, immerso nei preparativi della cena che aveva voluto organizzare all’ultimo minuto per i loro amici.
“Assolutamente.” Finalmente soddisfatto, Justin lo raggiunse crollando a sedere sul divano accanto a lui con il capo sul suo grembo. “Se c’è qualcuno che può convincerla è Steve.”
Brian mugolò poco convinto. “A proposito…” Prese ad accarezzare i capelli biondi di Justin. “Steve e Vanessa.”
Justin chiuse gli occhi godendosi le coccole. “Si?”
“Che c’è tra loro?” Vide Justin aprire gli occhi e guardarlo sottosopra. “Cioè scopano o…?”
“No! Certo che no!” Justin ridacchiò, chiudendo di nuovo gli occhi. “Sono amici. Colleghi, a volte sembrano persino soci per come gestiscono insieme gli affari della galleria.”
“E tu sei sicuro che non ci sia nulla tra loro?”
“Ovvio. Sono decisamente troppo diversi.”
Brian ridacchiò. “E questo che vorrebbe dire?”
Justin gli schiaffeggiò una coscia con un mezzo sorriso. “Che sono… Ness e Steve! Sarebbe troppo strano vederli insieme.” Brian sospirò continuando a massaggiare la testa di Justin. “A Ness serve qualcuno di pacato, calmo. Qualcuno tipo Stan.”
“Il mio avvocato?”
“Sì.”
“È per questo che mi hai fatto invitare anche lui stasera?”
Justin rise, spostando le mani del suo fidanzato dai suoi capelli e mettendosi seduto. “Tentar non nuoce, no? Voglio conoscerlo meglio per vedere se è all’altezza di Vanessa.”
Brian emise un verso scettico. “Semmai è il contrario. Malefica mangerebbe in un sol boccone il povero Stan.”
“Non è vero!” Justin scoppiò a ridere sedendosi poi a cavalcioni su Brian che non esitò a stringerlo per i fianchi. “E smettila di chiamare così la mia amica.”
“Come? Malefica?”
“O strega dell’Est o Grimilde o qualunque altro stupido soprannome ti venga in mente.”
“Sono incredibilmente fantasioso.” Brian gli lanciò un’occhiata maliziosa. “Tu più di chiunque altro dovresti saperlo.”
Justin scosse la testa alzando gli occhi al cielo. “Sei un idiota.”
“Ma sono il tuo idiota.” Lo prese in giro Brian con tono melenso. “E tu mi ami così taaanto.”
Justin lo schiaffeggiò piano su una guancia. “Smettila di fare il fidanzato stucchevole o me ne torno a New York di corsa.”
“A saperlo che ci voleva così poco.”
Un leggero bussare alla porta seguito dal raffinatissimo “Ehiiii, siete vestiti?!” di Emmett impedì a Justin di vendicarsi come avrebbe voluto. Con un’ultima occhiataccia e un bacio veloce – perché ehi, c’era Brian di fronte a lui! Era impossibile trattenersi – si alzò per aprire ai suoi ospiti.
Mezz’ora più tardi, il loft era completamente invaso.
“Dimmi ancora perché ti permetto di organizzare cose del genere?” Gli domandò Brian con tono seccato quando si incrociarono in cucina.
Justin chiuse il frigo con l’ennesimo pacco di birre tra le mani e gli sorrise raggiante. Si alzò sulle punte e lo baciò una, due, tre, dieci volte finché Brian non lo allontanò cercando di nascondere un sorriso. “Perché mi ami follemente e non mi diresti mai di no.”
Brian borbottò contrariato prima di tornare in salotto.
“Allora?” Daphne si sedette su uno degli sgabelli del bancone e gli sorrise allegra. “Per quanto rimani?”
“Se tutto va secondo i piani, per sempre.” La sua amica lo guardò stupita. “La ditta dei traslochi si sta occupando delle mie cose e il mio studio è già nelle mani di un’agenzia. Se Steve risolve il casino col mio contratto, non avrò bisogno di tornare a New York.”
Daphne lanciò un urletto entusiasta correndo ad abbracciarlo. “È fantastico!”
“Lo è, vero?” Justin ricambiò l’abbraccio e per la prima volta da quando era atterrato la sera prima lo colpì la realizzazione che era davvero tornato, tornato per restare. Chiuse gli occhi per evitare che la sua amica si accorgesse dei suoi occhi lucidi.
“Non posso crederci.” Daphne lo guardò commossa e gli baciò una guancia. “Ho finalmente il mio migliore amico qui con me.”
“Sembra impossibile, eh?” Justin la strinse di nuovo prima di staccarsi del tutto da lei e asciugarsi di sottecchi gli occhi. Vide Daphne fare lo stesso, ma nessuno dei due commentò la cosa.
“Lui che dice? Ha già iniziato ad avere crisi esistenziali?”
Justin ridacchiò, sistemando altri stuzzichini nel vassoio. “Pare stranamente convinto.”
“Miracolo!” Daphne rubò una delle tartine al salmone e se la infilò in bocca senza troppa grazia. “Gli ci sono voluti solo dieci anni!” Commentò a bocca piena.
“Finché c’è vita, c’è speranza.”
“Sì, e a Brian sono servite solo quattro o cinque esperienze pre-morte per capirlo.” La ragazza rubò un altro crostino. “Fesso.”
Justin le baciò una guancia cercando di placarne l’irritazione. “E parlando di speranze…”
“Justin…” Lo ammonì Daphne già sospettosa dell’argomento che il suo amico stesse per intavolare.
Justin alzò le mani in segno di resa. “Mi sto solo domandando dove tu abbia incontrato… come hai detto che si chiama?”
Daphne sbuffò annoiata e si sedette di nuovo sullo sgabello, agguantando uno dei bicchieri ordinatamente allineati sul bancone. “Si chiama Terrance ed è un tirocinante come me.” Lanciò uno sguardo fugace al ragazzo dalla pelle scura che chiacchierava sorridente con Emmett e Ted e si strinse nelle spalle. “Usciamo insieme da un po’.”
Justin inarcò un sopracciglio. “Da un po’? Perché non ne sapevo nulla?”
Daphne sorseggiò il suo vino con noncuranza. “Non è niente di serio.”
“Perché tu sei innamorata persa di Nathan.”
Daphne quasi si strozzò. “Justin Taylor!” Lo rimproverò tossendo e sputacchiando qua e là. Dal salotto nessuno parve accorgersi del dramma in atto. “Io non sono…” Si assicurò che nessuno li stesse ascoltando. “Tra me e Nathan non c’è nulla!” Sibilò.
“Ancora.” Justin si sporse in avanti poggiando i gomiti sul bancone e le sorrise diabolico. “Ma ti piacerebbe.”
“Smettila. Nate ha una ragazza.”
“Che non si è mai vista. Che vive in un’altra città. Che lavora chissà dove.”
Daphne incrociò le braccia al petto e sollevò la testa in un gesto offeso. “Nathan e Corey convivono da quattro anni solo che lei viaggia molto per lavoro. Fine della storia.”
“Sei piuttosto informata per essere una a cui non importa.”
“È il mio capo.”
“Quindi devi fare la stalker sui suoi profili social?”
“Nate non è sui social network.”
“Ah ha!” Justin le puntò un dito contro con fare accusatorio. “Sapevo che l’avevi cercato!”
Daphne digrignò i denti e prese un bel respiro. “Okay, va bene.” Ammise con un’altra occhiata fugace verso Terrance. “Potrei aver controllato. Ciò non cambia la situazione: Nate è fidanzato ed io non sono una rovina famiglia. Senza contare che Corey è un amore.”
“Mai farsi intenerire dal nemico.”
“Ma smettila!” Daphne scoppiò a ridere tirandogli addosso una manciata di noccioline. “Corey non è il nemico! È solo la fidanzata di un superiore di cui ho infinita stima.”
Justin la studiò per un lungo istante, socchiudendo gli occhi. “Se ne sei sicura.”
“Sono sicura.”
“Quindi bye bye Nathan, benvenuto Terrance?”
Daphne gli sorrise sorseggiando il vino. “Bye bye Nathan, benvenuto Terrance.” Confermò.
Emmett li raggiunse al loro quarto brindisi, le guance ormai rosse e gli occhi già lucidi a causa dell’alcool. “Oh mio Dio.” Si posò una mano sul petto servendosi dalla bottiglia di rosso ormai agli sgoccioli. “Quel tuo dottorino è assolutamente a-do-ra-bi-le!”
Daphne gli sorrise grata. “Lo è, vero?”
Emmett annuì. “Lo è di certo. E mi sembra anche che lui--” Il resto della frase su interrotta dal suo telefono. Lesse il messaggio che aveva appena ricevuto e un sorriso raggiante comparve sul suo viso. “Oh buon Dio.”
Justin e Daphne si scambiarono un’occhiata incuriosita. “Buone notizie?” Chiese il ragazzo.
Emmett abbassò lo sguardo sul bicchiere e assentì quasi… timidamente. “Non vorrei costruirmi troppi castelli in aria, ma…” Si sporse in avanti con fare cospiratorio e vide i due ragazzi fare lo stesso “… credo che Richard sia l’uomo perfetto.”
Le sopracciglia di Justin scomparvero dietro la frangia bionda. “Chi è Richard? E perché io non so mai nulla?”
Daphne alzò gli occhi al cielo. “Richard è il fratello di John, testone.”
“Oh fantastico.” Borbottò Justin incrociando le braccia al petto e assumendo una posa da bambino offeso. “Prima Terrance, ora Richard.” Si voltò verso Brian che li aveva raggiunti e ora stava prendendo qualcosa dal mobile scuro. “Tu lo sapevi di Em e Richard?”
“Chi?” Domandò l’uomo, afferrando due confezioni di patatine e scrutandole con aria disgustata.
“Richard, Brian!” S’intromise Emmett con tono risentito. “Il mio Richard!”
Brian alzò gli occhi al cielo. “Ah, il fratello perduto di Masterchef? Ho sentito qualche accenno.”
“Ne abbiamo parlato per tutta la sera due giorni fa quando eravamo da Debbie.” Gli ricordò Emmett.
Brian si strinse nelle spalle. “Appunto. Ho qualche vaga notizia della cosa.”
“Perché non me l’hai detto?”
“Perché ero impegnato a scoparmi il tuo bel culo. Non volevo perdere tempo a parlare delle tormentate storie d’amore di Emmett, la regina del melodramma.”
Justin lo congedò con un gesto secco della mano e il suo fidanzato parve prenderla per buona, tornando dai suoi ospiti. “Avanti, spara.”
Emmett raccontò di come lui e Richard si erano incontrati l’ultima sera che erano stati al Babylon; Justin e Brian se n’erano andati via prima che avessero l’occasione di incontrarlo dato che avevano ancora da risolvere la questione di New York. Lui era poi ripartito la sera dopo ed Emmett aveva atteso che tornasse a Pittsburgh per aggiornarlo sugli sviluppi. Per la prima volta, voleva prendere le cose con calma e affrontare questa nuova storia con la consapevolezza di un adulto quale era.
“… e non ci crederai, baby, ma quando mi ha portato a cena fuori mi ha persino aperto lo sportello dell’auto!” Gridò battendo le mani con fare elettrizzato. “Voglio dire, quando mai succede nella realtà?”
Justin sorrise stringendogli una mano. “Sono contento per te, Em. Ti meriti un uomo così.”
Emmett annuì, ricambiando la stretta. “Non mi sembra ancora vero.”
Daphne lo baciò su una guancia. “È tutto vero invece. E Richard mi sembra una splendida persona.”
“Lo è!” Esclamò eccitato Emmett. “Non fa che scrivermi messaggini dolci o chiamarmi. Se sa che sto avendo una lunga giornata passa a trovarmi in agenzia, portandomi sempre qualcosa da mangiare.” Sospirò, sventolandosi con una mano. “Se sto sognando non svegliatemi.”
“Ehi, principessa.” Brian gli arrivò alle spalle facendolo sussultare. “Quando hai finito di impersonare Pretty Woman, Theodore avrebbe bisogno di te.” Fece un cenno col capo verso la porta diretto a Justin. “Abbiamo altri ospiti.”
Justin aggrottò le sopracciglia. “Devo preoccuparmi?”
“Non lo so. Hai invitato tuo padre o mia madre?”
Justin lo schiaffeggiò sul petto prima di trascinarselo dietro, ancora ridacchiante, in direzione della porta.
“Sorpresa!” Gli gridò in faccia Steve appena aprirono il pesante portone. “Indovina chi è arrivato da New York?”
Justin, ripresosi dallo shock, lo abbracciò. “Che ci fai qui?”
“Ah, grazie dell’accoglienza!” Esordì una voce alle sue spalle, facendo ridere un altro degli ospiti a sorpresa.
“Amy!” Justin sgranò gli occhi sorpreso. “Che ci fai qui?” Ripeté come un vecchio disco rotto.
Amelia Stone, seguita da Stan, l’avvocato di Brian, fecero il loro ingresso nel loft, salutando i padroni di casa. Steve, al centro del salotto, si mise subito a suo agio avventandosi sul buffet. “Beh, Steve ha detto che sarebbe tornato qui per qualche giorno per conto di Vanessa e ne ho approfittato.” Lanciò un’occhiata di sottecchi a Stan, ancora sorridente al suo fianco, e arrossì. “Alle volte è bello tornare a casa.”
Justin e Brian si scambiarono un’occhiata di comprensione mentre i loro due ospiti raggiungevano il resto della truppa. “Dovrei aprire un’agenzia matrimoniale.” Osservò Justin chiudendo la porta e passando poi un braccio attorno alla vita del suo fidanzato che lo strinse per le spalle. “E che c’entri tu? Sono stato io a farli incontrare.”
“Quasi ammazzandoti?”
“Esatto. Ma era tutto calcolato.”
“Immagino.” Justin si alzò sulle punte e gli posò un bacio leggero sulle labbra che lo fece sorridere.
Con l’arrivo dei nuovi ospiti, la serata si animò. Steve ed Emmett diedero il via ad una gara a Just Dance con la Wii che Gus aveva costretto suo padre a comprargli – Emmett con le sue doti camaleontiche stracciò il povero Steve che fu consolato da Debbie e Ted –, Michael aggiornò il gruppo sugli ultimi sviluppi del dramma che ormai era diventata la vita del suo primogenito con grande disapprovazione di suo marito e Debbie e Carl mostrarono per la milionesima volta le foto della loro vacanza a Venezia, stavolta a due poveri ignari Amelia e Stan.
Quando, ormai a notte fonda, la rumorosa comitiva decise di andarsene, Brian era ormai al limite della sopportazione; un’altra ora così e si sarebbe buttato dalla finestra. Justin, consapevole del suo malessere, aveva passato gli ultimi venti minuti a massaggiargli le spalle con fare premuroso, più preoccupato che avrebbe ucciso qualcuno che dei suoi tentativi di suicidio.
“È stata una bellissima serata!” Esclamò Emmett brillo ed esausto mentre si accalcava nell’ascensore. Ted lo afferrò un attimo prima che rovinasse a terra. “Teddy, come farei senza di te!” E lo abbracciò di slancio.
Brian alzò gli occhi al cielo, mugugnando tra sé e facendo ridere Justin che affondò il viso contro la sua camicia.
“Em ha ragione.” Ben abbracciò Justin riconoscente. “Dovremmo rifarlo più spesso ora che sei tornato.”
“Steve viene da me.” Lo informò poi Amelia quando fu il suo turno dei saluti.
“Non ci tengo ad essere traumatizzato per la vita rimanendo qui.” Steve lanciò alla coppia un’occhiata eloquente e salì sull’ascensore.
Brian sogghignò, stringendo il braccio attorno alle spalle di Justin. “Ti piacerebbe assistere, dì la verità.”
Steve fece una smorfia. “E vedere te che… profani il mio migliore amico? No grazie.”
“Profani?” Justin soffocò una risata. In fatto di drammaticità, Steve non era secondo ad Emmett. “Ma come parli?”
“Senza contare che al tuo amico piace molto che io lo--”
Justin lo zittì con una mano sulla bocca. “Basta così.” Brian si strinse nelle spalle e sorrise all’occhiataccia di Steve.
“Adesso però aspettiamo l’inaugurazione della vostra casa!” Esclamò allegro Michael, abbracciando Ben. I due si scambiarono un sorriso così dolce che Brian quasi vomitò. “Come quella che abbiamo fatto noi!”
Finalmente tutti si dispersero tra scale e ascensore e Brian sospirò sollevato, beandosi di quell’improvviso e tanto agognato silenzio. Spostò lo sguardo su Justin che aveva ancora gli occhi fissi sulle scale da cui Michael e Ben erano scesi.
“Tutto okay?”
Justin annuì.
“Sei sicuro?”
Annuì di nuovo.
“Non hai una bella cera.”
Justin si voltò verso di lui afferrandogli il viso tra le mani. “Brian.” L’uomo lo guardò con apprensione. “Noi non faremo nessuna dannatissima festa per inaugurare la casa, vero?”
Brian piegò le labbra all’interno della bocca e scosse il capo. “Credevo che l’avessimo già inaugurata noi. Molteplici volte.”
Justin ricambiò il sorrisetto e si alzò sulle punte per baciarlo. “Quindi niente stupida festa?”
“Piuttosto mi taglio la palla che mi è rimasta.”

 
 

 
 


Ed eccoci qua! Dite la verità che pensavate di dover aspettare altri due anni, eh? E invece solo otto mesi (chiedo perdono in ginocchio)! A mia discolpa dico che manca solo un altro capitolo (già quasi concluso) e un minuscolo epilogo quindi ci siamo quasi! 
Voglio ringraziare voi, splendide anime pazienti che continuate a seguirmi nonostante tutto, e scusarmi con tutti quelli che non hanno avuto una risposta alle recensioni, spero che questo capitolo mi farà perdonare!
P:S: Magari non vi interessa, ma il titolo viene da una canzone di un film e ho pensato che si sposasse bene sia con Brian e Justin che con la situazione ingarbugliata di Hunter/Lane/ Paul!
Un bacio grandissimo a tutte voi e A PRESTO! PROMESSO!

Ale


 

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Capitolo 37
*** This Is Home ***


37. This Is Home
 
 
 
 
Blake prese un bel respiro per farsi coraggio e afferrò la maniglia del suo trolley, lo stesso trolley in cui negli ultimi giorni aveva racchiuso tutta la sua vita a Pittsburgh. “Non puoi chiudere un’intera esistenza in settanta centimetri.” Gli aveva fatto notare Ted quando lo aveva visto dare di matto per l’ennesima volta. “E ricorda che metà della tua vita rimane qui.”
Terminò il suo caffè con un ultimo sorso e puntò lo sguardo verso il suo inevitabile traguardo: i controlli di sicurezza.
“Tutto okay?” Due mani si posarono sulle sue spalle, massaggiandole piano.
“No.” Rispose Blake sincero. Si voltò a guardare Ted che lo osservava con un sorriso triste. “Non voglio andare.”
Ted posò la fronte contro la sua. “Quante volte abbiamo affrontato il discorso?”
“Troppe. Che differenza vuoi che faccia una in più?”
Ted si staccò da lui fissandolo con espressione seria. “Non so davvero come abbiano fatto Brian e Justin a fare questa cosa mille volte nel corso degli anni.”
Blake scosse il capo. “Non insulterò mai più il tuo capo quando si comporta da idiota.”
“Idem.” Ted si sporse a baciarlo. “Forza, vai.”
“Altrimenti?”
“Altrimenti non ti lascerò più andare e tutto questo sarà stato inutile.”
“E sarebbe una cosa negativa?”
Ted lo fulminò con lo sguardo. “Blake.”
Il suo fidanzato sospirò di nuovo e annuì. “Ti amo, lo sai?”
“Sempre.”
“E io sarò solo a cinque ore di distanza.”
“Duemilacinquecentosettantrè miglia.”
“Esatto.”
“Verrai a trovarmi?”
“Appena ti sarai sistemato. Ho già preso i biglietti.” Blake sorrise della perfetta organizzazione di Ted: era una cosa che lo aveva sempre irritato, il fatto che il suo compagno sentisse la necessità di organizzare, pianificare, studiare itinerari, date, hotel con un vergognoso anticipo, ma quel giorno nella zona partenze del Pittsburgh International Airport fu grato di quel lato di Ted. Si sporse a baciarlo. “Devo solo confermare le date.”
Blake sorrise contro le sue labbra. “Ti scrivo appena atterro.”
“Ci conto.”
“Devo andare.”
Ted lo baciò di nuovo. “Devi andare.”
Si abbracciarono un’ultima volta, stringendosi come se non dovessero vedersi mai più. “Starai bene, signor Schmidt?”
“Emmett si è già proposto come mio personale babysitter. E ci scommetto che anche Michael si unirà al gruppo.”
Blake sorrise e annuì, staccandosi da lui. “Non lavorare troppo.”
“Per favore. Brian ha già scaricato così tanto lavoro sulla mia scrivania che uscirò dall’ufficio tra un mese.” Ted alzò gli occhi al cielo. “Dice che adesso che la mia vita sociale è finita, invece di rintanarmi a casa farei bene a rendermi utile e aiutare la Kinnetic a prosperare.”
Blake rise. “Lo fa per distrarti.”
“Lo so. Lo stronzo.”
Dagli altoparlanti annunciarono il volo di Blake che abbassò gli occhi a terra e si schiarì la gola. “Adesso devo andare.”
“Andrà bene.”
“Dimmelo di nuovo.” Blake alzò gli occhi e li puntò in quelli pieni di amore di Ted.
Ted gli prese il volto tra le mani e la baciò a fior di labbra. “Non puoi chiudere un’intera esistenza in settanta centimetri. E di sicuro non puoi chiuderci me.”
Con le lacrime, Blake annuì. “Ti amo.” Disse come se non glielo avesse già ripetuto mille e mille volte negli ultimi tre giorni.
“Ti amo.” Ripeté Ted, bisognoso tanto quanto lui di dirlo e di sentirselo dire. “E quando tornerai, parleremo di cose serie.”
Blake aggrottò le sopracciglia. “Cose serie?”
Ted gli sorrise, staccandosi da lui e affondando le mani nelle tasche dei pantaloni. “Ho tutte le intenzioni di fare di te un uomo onesto, Blake Wyzecki.”
Blake gli rivolse un sorriso a trentadue denti. “Ne parleremo presto, allora.”
Ted annuì, ricambiando il ghigno. “Buon viaggio, amore.”
Blake lo baciò un’ultima volta – che diamine, aveva quasi ricevuto una proposta di matrimonio! – prima di afferrare la sua valigia e avviarsi finalmente verso i controlli di sicurezza.
Staremo benissimo…continuò a ripetersi mentre voltava le spalle alla sua vecchia vita e si apprestava ad iniziarne una nuova.
 
 
 
 
Debbie baciò e strinse Ted più del necessario quando lui ed Emmett si presentarono a cena quella sera. Tutti gli altri erano già arrivati e a turno sfilarono davanti a lui per consolarlo.
“Cristo Santo, non è mica morto nessuno!” Sbraitò l’unico rimasto comodamente sbracato su una delle poltrone.
Michael fulminò il suo migliore amico con un’occhiataccia. “Solo perché tu sei incapace di provare empatia, non vuol dire che siamo tutti come te.”
Justin ridacchiò, appollaiandosi sul bracciolo della poltrona di Brian. “Brian non saprebbe neanche trovarla sul dizionario la parola empatia.” Lo prese in giro, accarezzandogli i capelli e chinandosi a baciarlo.
“Smettetela immediatamente.” Li ammonì Emmett all’istante.
Brian si staccò appena dalle labbra di Justin e lo guardò di sottecchi. “Di fare cosa?” Domandò prima di tornare a baciarlo.
Emmett sbuffò irritato. “Siete molto insensibile a farlo davanti a Teddy ora che è solo e abbandonato.”
Ted alzò gli occhi al cielo, crollando a sedere sul divano. “Grazie, Em.” Mormorò sarcastico.
Emmett gli picchiettò una mano con fare rassicurante. “Di niente, baby. Anche se sei l’unico senza un compagno, non vuol dire che tu debba essere…bullizzato da Brian.”
Brian scoppiò a ridere, subito imitato da Ben e Justin. Michael scosse il capo. “Em, non ti sembra di esagerare?”
Emmett spalancò la bocca, offeso. “Certo che no!”
“Em, io sto bene.” Lo rassicurò Ted.
“Non devi mentire, baby.”
“Non sto mentendo.”
“Sappiamo quanto Brian sia insensibile.”
“Ehi!”
Ted soppresse un sorrisino. “Non stanno facendo nulla.”
“Certo. Nulla che non facciano di continuo.”
Justin si sedette tra le gambe di Brian appoggiandosi a lui con la schiena. “E sarebbe?” Chiese curioso.
Emmett scosse il capo e lo fissò come se avesse fatto la domanda più stupida del mondo. “Amoreggiare, sbaciucchiarvi, flirtare…”
“… saltarvi addosso, nascondervi negli angoli bui…” Aggiunse Michael con tono critico.
“Camera tua compresa.” Precisò Brian con tono fiero.
Michael fece una smorfia. “Non voglio neanche sapere.”
Justin abbozzò un sorriso riportando lo sguardo su Emmett. “E che ci sarebbe di male? Tu non lo fai con Richard?”
Emmett incrociò le gambe in maniera plateale e circondò le spalle di Ted. “Non di fronte al povero Teddy!”
“Povero Teddy…” Borbottò Brian all’orecchio del suo fidanzato.
Ted sospirò pazientemente. Era solo il primo giorno senza Blake. Se Emmett avesse continuato così, lui sarebbe andato al manicomio, o in galera. “Emmett, te l’ho già detto. Sto bene.” Ripeté sillabando lentamente le parole. “Mi manca Blake? Ovvio. Vorrei che fosse qui? Certo. Mi infastidisce vedere questi due che amoreggiano come due adolescenti? No! Lo fanno di continuo! Ormai siamo abituati.”
Justin incrociò le braccia al petto con fare risentito. “Ci fate apparire come due adolescenti allupati.”
“E non lo siete?” Domandò Michael inarcando un sopracciglio. “Non avete mai smesso di esserlo in realtà.”
“È la lontananza!” Si difese il ragazzo. “Siamo stati distanti per così tanto tempo che ora dobbiamo… recuperare.” Come a corroborare la sua tesi, Brian si attaccò al suo collo, mordendolo piano.
Emmett e Michael s scambiarono un’occhiata esasperata che fece sorridere Ted e Ben. “Tutte scuse.”
“Allora? Venite a tavola o no?” La voce tuonante di Debbie li fece sobbalzare. “Tuo figlio dov’è?” Chiese poi a Michael.
Ben le sorrise benevolo. “È uscito con Callie.”
“La crisi con Lane come procede?” Domandò Justin sinceramente curioso.
Le era sempre piaciuta Lane e gli sarebbe dispiaciuto se la loro amicizia si fosse interrotta per delle sciocche gelosie tra Hunter e Paul.
Michael si strinse nelle spalle. “Guerra Fredda.”
“Addirittura?”
Ben sospirò annuendo. “Lane non passa da noi da settimane.”
“Credi dipenda da Callie?” Domandò Emmett immediatamente attirato dai drammi amorosi – specialmente se non riguardavano lui. “Che sia gelosa di Lane?”
“Assolutamente no. Per quanto ne so, Lane e Callie si piacciono molto.”
“Quindi il problema è il vostro trovatello?” Justin alzò gli occhi al cielo prima di schiaffeggiare la coscia di Brian che lo guardò come se fosse impazzito. “Che ho detto? Mi sto persino interessando ai problemi sentimentali del moccioso!”
“Credo che il problema della gelosia riguardi più Hunter.” Spiegò Ben. “Non gli va genio questo nuovo rapporto tra i suoi amici.”
Debbie comparve di nuovo in salotto, le mani sui fianchi e l’immancabile chewing gum in bocca. “Beh, ben gli sta. Così impara a non vedere ciò che ha proprio davanti agli occhi.” Lanciò un’occhiata eloquente a Brian che la ignorò. “Speriamo solo che impieghi meno di un decennio per capirlo e risolvere la situazione.”
“Ma non è il campanello?” Brian scattò in piedi, per nulla incline a sorbirsi l’ennesima ramanzina di Debbie.
“È inutile che cerchi di scappare, signorino! È proprio con te che ce l’ho!”
A sorpresa, l’uomo tornò davvero con degli ospiti. Ospiti decisamente a sorpresa.
Ness?” Justin si alzò in piedi e corse ad abbracciare la sua decisamente inattesa amica. “Che ci fai qui?”
Vanessa ricambiò la stretta, ridacchiando. “Spero che con questo tu intenda dire che sei felice di vedermi e che mi sei debitore per la vita visto che sono appena riuscita in un’impresa più unica che rara.”
Justin si staccò immediatamente da lei e la guardò ad occhi sgranati. “Non ci credo. Ce l’hai fatta.”
La ragazza annuì. “Anche mio padre è a bordo.”
“Non ci credo!” Ripeté incredulo Justin, gettandole le braccia al collo. “Sei la migliore, Ness!”
“Ehi!” Steve comparve al loro fianco. “Sono io che l’ho convinta!”
“Ma quando mai?”
“Stai negando l’importanza del mio contributo?”
“Certo che lo nego! Sono stata io a parlare con mio padre!”
“Ma è stata la mia fantastica presentazione a sbalordirlo.”
“A sbalordirlo è stata la tua capacità di parlare per dieci minuti consecutivi senza dire cazzate. Era più impressionato da quello.”
Steve le sorrise con fare seducente. “Tuo padre mi adora. E anche tu. Sospetto anzi ci sia addirittura un’attrazione latente nascosta sotto tutto quell’Yves Saint Laurent.”
Emmett trattenne il respiro con fare melodrammatico. “Quel vestito è Dior, profano che non sei altro!
Vanessa sospirò mettendosi una mano sul petto. “Per fortuna qualcuno ha ancora buon gusto in questa città dimenticata da Dio.”
Alle loro spalle, Brian si schiarì rumorosamente la gola. “Volete spiegare anche a noi o dobbiamo continuare a sorbirci questo scadente episodio di Gossip Girl?” Indicò alle sue spalle senza neppure voltarsi. “E perché loro sono qui?”
Justin si staccò finalmente da Vanessa e corse alla porta. “Mel! Linz!”
La confusione e il delirio che seguirono l’arrivo delle ragazze fu interrotta senza alcun tatto da Debbie che rimise tutti in riga, cacciando uno dei suoi urli da perfetta mamma all’italiana.
Venti minuti dopo, la cena era in caldo nel forno e tutti sedevano in salotto ad ascoltare Vanessa, Linz e Justin.
“Quindi non ho capito bene…” Brian si massaggiò stancamente le tempie “… per riuscire a sfuggire alle grinfie di Vanessa, tu hai organizzato tutto questo?”
Justin gli sorrise orgoglioso. “Sono un genio, eh?”
Brian alzò gli occhi al cielo, sopprimendo a fatica un ghigno. Sì, lo era davvero. E tutto per stare con lui. “Non so davvero che dire.”
Lindsay lo guardò male. “Dovresti essere felice, Peter.”
“Del machiavellico piano di questo qui?” Chiese l’uomo indicando il compagno. “Tremo al solo pensiero di cosa possa fare con più tempo a sua disposizione.”
Michael assunse un’espressione confusa. “Questo non spiega però cosa ci facciano le ragazze qui.”
“Ah già.” Vanessa si sfregò le mani elettrizzata. “Quando Justin è venuto da me con l’idea di una filiale della Austen Gallery a Pittsburgh ero intrigata, ma decisamente dubbiosa sulla riuscita.” Guardò il suo amico e scosse il capo proprio come quando Justin aveva fatto irruzione del suo ufficio e le aveva detto che c’era solo un modo per fare in modo che lei non perdesse il suo artista di punta. “I costi, la gestione amministrativa, le spedizioni… Justin, per quanto talentuoso e testardo, non sa un accidenti di tutto questo.”
“E quindi?” Domandò Debbie con la fronte corrugata.
Vanessa si voltò verso Lindsay che sorrise alla sua famiglia. “Justin non sa nulla di tutto questo, ma Linz sì. Lei ha già gestito una galleria.”
Quell’ultima affermazione fece scattare sull’attenti Michael e Brian che si scambiarono una lunga occhiata silenziosa: sapevano entrambi cosa la possibilità di un lavoro a Pittsburgh per Linz volesse dire per loro.
“Quindi ho fatto le mie ricerche, contattato Sydney Bloom, per cui Lindsay ha già lavorato, e qualche altro amico nel settore che mi hanno assicurato che per essere una neofita lei è una che se la cavava alla grande.”
Mel strinse la mano di sua moglie e le due donne si guardarono con un sorriso felice. “Justin ci ha chiamate e ci ha chiesto cosa ne pensavamo, se eravamo disposte a fare un altro tentativo. Se eravamo disposte a tornare… a tornare a casa.”
La mano di Brian si posò alla base della schiena di Justin e il ragazzo gli posò una mano sul ginocchio, strizzandolo piano in una silenziosa forma di sostegno, di implicito incoraggiamento.
Solidale al subbuglio del suo migliore amico, Michael si aggrappò al braccio di Ben. “Tornerete qui? Coi bambini?”
Mel scoppiò a ridere. “Beh noi di certo e ho il sospetto che i bambini verranno con noi.” Michael si gettò su di loro per abbracciarle.
Brian, ancora incredulo, prese un bel respiro e si alzò dirigendosi verso le ragazze. Contro ogni previsione abbracciò Mel – che non si ritrasse neppure, strano ma vero – prima di stringere Lindsay.
“Torniamo a casa, Peter.”
Brian annuì contro i suoi capelli. “Non posso crederci.”
Lindsay lo strinse più forte in vita. “Non riesce a sopportare che tu sia infelice.” Gli sussurrò così piano che lui fece fatica a sentirla. “E senza Gus lo sei. O lo eri.” Si corresse.
“Ragazzino testardo.” Brian si staccò da lei e le sorrise. “Sempre pronto ad impicciarsi.”
Lindsay gli pizzicò un braccio con un mezzo sorriso. “Il giorno che l’hai incontrato hai vinto alla lotteria, Peter.”
Brian annuì. “Lo so, Wendy. Ma tu non dirglielo o si monterà la testa.”


 
 
 
“Ah, ecco dov’eri.”
Brian fece un tiro alla sigaretta e lanciò un’occhiata fugace all’ombra sulle scalette del portico. “C’era fino troppo amore in salotto. Stavo per vomitare.”
Justin ridacchiò, scendendo i gradini e raggiungendolo. Lo abbracciò da dietro. “Non mi hai ancora detto che ne pensi della mia idea geniale.”
Brian sorrise nella penombra del giardino. “Mi avevi detto che era un piano ingegnoso, ma non credevo così ingegnoso.”
Justin gli baciò una spalla da sopra la stoffa della camicia scura. “Non potevo parlartene prima.”
Brian si rigirò nel suo abbraccio e lo circondò per le spalle. “Perché no?” Chiese sinceramente curioso. Non doveva fingere che la cosa non lo toccasse nel profondo del cuore o che lo lasciasse indifferente, quello era Justin, con lui non ce n’era bisogno. “Avrei potuto aiutarti.”
Justin scosse il capo, alzandosi poi a baciargli la mandibola. “Non volevo che lo sapessi così non saresti rimasto deluso nel caso il mio piano fosse andato a farsi fottere insieme alla mia carriera.”
“La tua carriera sarà lunga e piena di successi.” Lo contraddisse l’uomo, stringendolo a sé.
“Ma qui è di Gus che si parla. Non volevo darti false speranze. E poi non sapevo se le ragazze, sai…”
“Linz è entusiasta dell’idea.”
Justin sorrise contro il suo petto. “Mi fa piacere.” Chiuse gli occhi e tirò un lungo respiro di sollievo. “Potrò continuare a dipingere.” Mormorò con tono quasi incredulo.
“Non essere così sorpreso. Era una tua idea, dopotutto.”
“Sì, ma…” Justin chiuse gli occhi e si strinse di più al suo fidanzato che ricambiò la stretta di riflesso “… non ero sicuro che avrebbe davvero funzionato. Da quando sono tornato qui, Vanessa era sparita.”
“Stava facendo i compiti.”
“E li ha fatti dannatamente bene, cazzo.”
Brian mugolò appena. “Sa il fatto suo, devo ammetterlo.”
“È la migliore. E tu lo sai.”
Brian sorrise contro i suoi capelli chiari. “Questo non vuol dire che mi piaccia.”
“Dovresti ringraziarla invece. Ti ha ridato tuo figlio e me in un colpo solo.”
“È strano che tu lo dica, perché è esattamente quello che ho fatto.”
Justin si staccò da lui con occhi sgranati. “Non ci credo.”
“Perché ti stupisce? Sono andata da Ursula la strega del mare e l’ho ringraziata. Più o meno.”
Justin scosse il capo ancora incredulo mentre un sorriso iniziava a fare capolino sulle sue labbra. “E lei che ha detto?”
“Che non lo faceva di certo per me e che avrebbe fatto di tutto per non perdere il Picasso del nuovo millennio.”
“Tipico di Ness. Mettere tutto sul piano professionale.” Justin lanciò un’occhiata storta al suo fidanzato. “Mi ricorda qualcuno.” Gli prese la mano e ne baciò le nocche una ad una prima di posarsela sul cuore.
Brian sollevò le sopracciglia, sgranando gli occhi. “Stai per avere un infarto?” Commentò solo, sentendo i battiti del cuore impazzito di Justin.
Justin si alzò sulle punte, avventandosi a baciarlo con trasporto. “È la tua vicinanza.”
“La mia vicinanza ti manderà in ospedale prima o poi.”
“Basta che ci sia tu a rianimarmi.” Rispose Justin scoppiando a ridere di fronte all’espressione di Brian.
Brian gli circondò di nuovo il collo con le braccia e posò la fronte contro la sua. “Ti amo.” Sussurrò pianissimo ad un centimetro dalle sue labbra. “E forse un giorno o l’altro smetterò di stupirmi ogni volta che fai qualcosa per me.”
Justin annullò la distanza tra loro e lo baciò di nuovo. “Mi toccherà continuare finché non succederà allora.”
Brian scosse il capo con un sorriso incredulo e lo abbracciò.
Lo strinse per fargli capire quanto era importante.
Lo strinse per trasmettergli tutto l’amore di cui era capace, ma che non sapeva come esprimere a parole.
Lo strinse per ringraziarlo perché ancora una volta aveva reso la sua vita più bella, più felice.
Lo strinse perché era la persona più importante della sua patetica e sciocca vita.
L’amore della sua vita.
 
 
 
 
Justin sorrise scuotendo il capo quando vide Brian e Michael battibeccare al tavolo da biliardo.
“Perché cazzo insisti nel voler giocare se poi non conosci le regole?” Sentì il suo fidanzato borbottare.
Emmett guardò l’orologio per la quinta volta negli ultimi cinque minuti. “Arriverà.” Lo rassicurò Ted al suo fianco.
“Forse l’idea di presentargli i miei amici lo ha spaventato! Forse sto correndo troppo!”
Mel gli accarezzò un braccio. “Sono certa di no.”
“Tu hai già conosciuto la sua famiglia.” Gli ricordò Lindsay.
Emmett scosse il capo. “Solo John. E lo conoscevo già. Con i suoi non ha rapporti da anni.”
“Fantastico! Un’altra cosa cha avete in comune!” Cercò di rallegrarlo Ted.
Mel e Linz lo zittirono con un’occhiata. “Blake come sta? Come si trova a San Francisco?”
Ted fece un mezzo sorriso e sorseggiò il suo cocktail analcolico. “Si lamenta del tempo, dei colleghi e degli automobilisti. La adora.”
Mel gli circondò le spalle, baciandogli una guancia. “Starete bene, Teddy. Ne uscirete più forti di prima.”
“Fossi in te mi toccherei, Theodore.” Sibilò la voce di Brian venuto a rubare la birra al suo fidanzato. “Le lesbiche sanno essere peggio dei gatti neri.”
“Brian!” Lo rimproverò Justin scoppiando a ridere e guardandolo tornare da uno sbraitante Michael che veniva placato da Ben.
“Ma chi ce lo fa fare a tornare…” Borbottò Mel strappando un sorriso ai presenti.
Emmett scattò improvvisamente in piedi facendoli sobbalzare. “Yuuu-huuuuu! Richie, tesoro, siamo quiiiii!” E sparì nella folla di Woody.
“Vedo che ci sta andando coi piedi di piombo.” Scherzò Ted lanciando un’occhiata nella direzione da cui era sparito il suo amico. “Non è per niente preso da questo Richard.”
“È Emmett.” Gli ricordò Justin. “Che ti aspetti? Il giorno che il cassiere del supermercato all’angolo si è offerto di imbustargli la spesa, lui aveva già pronti i nomi dei loro figli.”
Le ragazze e Ted scoppiarono a ridere proprio mentre Emmett faceva il suo ritorno mano nella mano con un aitante uomo dai capelli chiari. “E questi sono i miei amici. Alcuni di loro. Mel e Linz.”
“Le amiche canadesi.” Richard porse loro la mano. “Molto lieto.”
“Justin.”
“L’artista. È un onore. I tuoi lavori sono spettacolari.” L’uomo rivolse ad Emmett un sorriso affettuoso. “Em mi ha portato ad un mostra in cui c’era un tuo quadro.”
Justin sorrise riconoscente. “Sei molto gentile.”
“E infine Teddy.”
“Ah, il famoso Ted, il miglior amico del mondo. Emmett non fa che parlare di te.”
Ted sorrise al nuovo arrivato. “Beh, la cosa è reciproca. Eravamo molto curiosi di fare la tua conoscenza.”
Richard si voltò verso Emmett con un sorriso affettuoso. “Davvero?”
“Certo, tesoro!”
L’uomo gli baciò teneramente una guancia, facendo sospirare i presenti – Mel compresa. “Ne sono lieto.”
Richard prese posto tra Emmett e Lindsay e si unì senza difficoltà alla conversazione del gruppo.
Ted sorseggiò la sua acqua tonica e scrutò con attenzione il nuovo arrivato per alcuni minuti. “Sono io…” Sussurrò piano in modo che solo Justin lo sentisse “… o Richard somiglia vagamente a--”
“Drew Boyd?” Terminò per lui il ragazzo. “No, non sei tu.”
I due amici si scambiarono una lunga occhiata. “Credi sia una buona cosa?” Domandò il più giovane, sgranocchiando un nachos.
Ted si strinse nelle spalle. “Chi sono io per dirlo? Ho appena mandato il mio uomo a vivere dall’altra parte del paese. Chiaramente non ho capito un accidente della vita.”
“Mi fa piacere che te ne sia accorto, Theodore.” Lo punzecchiò Brian tornando al tavolo, seguito da Ben e Michael.
“Già finito?” Justin gli posò un bacio rapido sulle labbra, prima di accoccolarsi contro di lui.
“Michael non sa perdere.”
“Io non saprei perdere? Tu ti inventi le regole!”
“Non ho inventato nessuna regola!
“Oh, davvero? E quella storia che se la pallina rimbalza due volte--”
Emmett si schiarì rumorosamente la gola per attirare la loro attenzione e interrompere l’infantile battibecco. “Posso presentarvi il mio Richard?”
“Chi?” Domandò Brian annoiato prima che Justin gli stritolasse la coscia facendolo sussultare per il dolore. “Piacere!” Esclamò poi con voce stridula.
Ben e Michael si unirono ai convenevoli, presentandosi educatamente al nuovo arrivato.
Brian scrutò con attenzione l’uomo e si voltò verso il suo compagno, sfregando il naso contro la tempia di Justin. “Sono io o il nuovo amichetto di EmmyLou somiglia incredibilmente a--”
“Lo so.” Ribatté il ragazzo con espressione seria.
“E non dovremmo far presente la cosa al diretto interessato perché…?”
“Perché se ci provi, stasera dormi in giardino.”
Brian si staccò da lui guardandolo con espressione oltraggiata. “Non oseresti.”
“Vuoi scommettere?”
Dopo un minuto di riflessione, Brian grugnì, afferrando la birra di Justin. “Sei terribilmente prepotente, te l’hanno mai detto?”
“Solo tu.” Rispose il ragazzo, schioccandogli un rumoroso bacio sulla guancia.
 
 
 
 
“Ah, ecco dove sei.”
Justin sorrise con gli occhi ancora chiusi; reclinò il capo contro il bordo della vasca – “È un idromassaggio ultimo modello, Sunshine. La vasca è per i poveri.” – e sospirò soddisfatto. “Penso che non uscirò mai più da qui.”
Brian lo raggiunse, inginocchiandosi sul marmo scuro del loro imponente bagno a Britin. “Quindi dovrò venire a recuperarti qui per scoparti?” Affondò la mano nei capelli umidi del ragazzo che sospirò beatamente. Poi le dita scivolarono sulla spalla e sul petto, sfiorandolo appena.
“L’idea sarebbe quella, sì. Non avresti mai dovuto comprarla.”
“Ma ho comprato anche un comodissimo letto che guarda casa si trova giusto a qualche metro distanza, in camera nostra. Proprio dietro quella porta.”
Justin scosse il capo, gli occhi ancora chiusi. “Nulla sarà più comodo di quest… Brian!”
Brian cercò di trattenere un sorriso di fronte alla reazione del suo fidanzato. “Dicevi, Sunshine?” La stretta sull’erezione di Justin si fece più decisa e il ragazzo rimase senza fiato.
“Brian…”
“Posso andare avanti o preferisci goderti il tuo bagno?”
Justin gemette più forte, mentre la mano di Brian si muoveva lenta e determinata sotto il pelo dell’acqua. “Dov’è…” Si schiarì la gola, lanciando un’occhiata nervosa verso la porta socchiusa. “Dov’è Gus?”
Brian sorrise, sporgendosi verso di lui e baciandogli la fronte. “Sta tramando qualcosa e quindi mi ha mandato a cercarti perché aveva bisogno di solitudine.” Di nuovo mosse la mano, stringendo l’eccitazione di Justin che sospirò, abbandonando il capo all’indietro e assecondando col bacino i movimenti lenti di Brian.
La mano di Justin, ancora gocciolante, affondò nei capelli scuri di Brian e lo attirò a sé per un bacio profondo mentre il suo fidanzato continuava ad accarezzarlo sempre più deciso, sempre più velocemente, sempre più…
“Bri… Bri, sto per…”
Brian si avventò di nuovo sulle sue labbra e spinse la lingua nella bocca di Justin, interrompendo qualunque tentativo di conversazione; Justin si aggrappò alle sue spalle, sollevandosi verso di lui proprio mentre la mano del suo fidanzato si stringeva attorno a lui e lo portava all’orgasmo.
Con un gemito a metà tra la frustrazione e l’assoluta beatitudine, Justin allentò la presa e si accasciò contro il bordo della vasca, respirando con affanno; Brian si avvicinò a lui per dedicarsi al suo collo. “Meglio?” Sussurrò mordicchiando la pelle candida della spalla.
Justin annuì, gli occhi chiusi e la bocca ancora semiaperta nel vano tentativo di ritrovare il respiro. Grugnì contrariato quando avvertì Brian ridacchiare contro la sua scapola. “Sto per morire…” Mormorò con voce roca.
“Addirittura?”
“Non me l’aspettavo.”
“Che sarei venuto a disturbarti?”
Justin immerse di nuovo le dita tra i capelli di Brian mentre l’uomo continuava a dedicarsi al suo collo. “Non riesco ad abituarmi all’idea che potremmo fare questo tutti i giorni.”
“Spero non solo questo, Sunshine.”
“Lo spero anche io.”
Brian sorrise contro la sua pelle prima mordicchiargli piano la spalla. Ridacchiò quando sentì Justin sussultare tra le sue braccia. “Ricomponiti, ragazzino. Voglio mostrarti una cosa.”
Justin si lagnò evidentemente contrariato, stringendogli le braccia attorno al collo. “No, non andare.”
Brian alzò gli occhi al cielo, divincolandosi dalla sua presa. “Sciacquati, asciugati e vestiti.” Gli baciò la fronte, corrugata in un broncio che qualcuno avrebbe definito adorabile.
Non lui. Certo che no.
Brian non avrebbe mai definito qualcosa adorabile.
Dopo un altro bacio, più profondo e decisamente più lungo, si alzò ed uscì dal bagno.
Silenziosamente salì la scala che portava alla soffitta. “Tutto pronto?” Sussurrò guardandosi alla spalle con aria furtiva per assicurarsi che Justin non l’avesse seguito.
Gus sobbalzò spaventato. “Papà!” Guardò male suo padre prima di corrergli incontro e buttarsi tra le sue braccia. Brian lo afferrò al volo, stringendolo forte a sé. “Justin dov’è?”
Brian gli baciò i capelli scuri. “Si sta vestendo. Stava per diventare un prugna secca.”
Gus annuì con aria seria. “Anche le mamme mi fanno fare il bagno tutte le sere. Una vera rottura.”
Brian sorrise a suo figlio, accarezzandogli con delicatezza una guancia. “Hai fatto un bel lavoro qui.”
Il bambino si illuminò. “Davvero ti piace?”
Brian annuì e posò Gus a terra. “Fammi vedere.”
“Ma dove siete tutti? Ehi, miei Kinney!”
Gus trattenne il fiato, correndo verso la porta proprio mentre Justin si affacciava sulla soglia. “Justin!” Come aveva fatto con suo padre, il bambino si gettò tra le sue braccia e Justin lo abbracciò. “Abbiamo una sorpresa!”
“Davvero?” Justin si scambiò uno sguardo complice con Brian che scosse le spalle.
“Ha fatto tutto lui.”
“E tu non c’entri nulla?”
Gus sorrise radioso. “Papà mi ha aiutato un pochino.” Affermò avvicinando indice e pollice. “Solo un pochino.”
Justin si chinò a baciargli i capelli scuri. “Allora fammi vedere, Kinney. Che hai qui?”
Il bambino lo trascinò al centro della stanza. “Tu stai qui. E non ti muovere.”
Justin annuì con aria seria e prese posizione, allungando una mano verso Brian che lo raggiunse all’istante; l’uomo lo abbracciò da dietro, stringendolo per le spalle. “Guarda e stupisciti, Sunshine.”
“Io e papà abbiamo pensato che qui potresti fare i tuoi quadri!” Esclamò con fervore il bambino. “C’è un sacco di luce…” Si avvicinò alle grandi finestre e spostò con fatica le pesanti tende. Poi si voltò verso i teli bianchi che coprivano alcuni pezzi di mobilio che Justin era sicuro non fossero lì l’ultima volta che era salito in solaio.
Con non poche difficoltà, il bambino trascinò via uno dei lenzuoli rivelando un enorme divano a L, poi proseguì con il resto: uno scaffale di noce, un lungo ripiano tirato a lucido, tele immacolate poggiate ordinatamente contro il muro, un cavalletto al centro della stanza – troppo alto per Gus, Brian accorse immediatamente in aiuto di suo figlio - e tutto l’occorrente che potesse servire a Justin nella creazione delle sue opere.
Justin respirò a fondo e chiuse gli occhi, cercando di non scoppiare a piangere come un poppante. “Pare che tu abbia pensato a tutto.”
Gus annuì con aria seria. “Ti piace?” Studiò la stanza con occhio critico, assomigliando così tanto a suo padre che Justin ebbe quasi l’impressione di vederci doppio. “Abbiamo dimenticato qualcosa?”
Justin si piegò su un ginocchio, aprendo le braccia e il bambino corse da lui. “Siete stati bravissimi.”
“Quindi ti piace?”
Justin affondò in viso nei capelli del bambino e tirò su col naso. “Tantissimo.”
Gus si staccò da lui e lo guardò confuso. “Perché piangi?” Alzò gli occhi verso suo padre. “Mi sa che non gli piace, papà.”
Justin lo strinse di più a sé e scosse il capo. “Lo adoro, Gus.” Gli sorrise tra le lacrime. “Davvero.”
“Sicuro?” Chiese Gus ancora poco convinto, passandogli un dito su una guancia bagnata.
Justin annuì, “Sicuro. Mi hai fatto commuovere.”
“Ed è una cosa bella?”
“È una cosa molto bella, campione.”
“Anche se piangi?”
“Anche se piango.”
Gus lo studiò per un altro istante e annuì. “Okay.”
“Sei convinto che mi piaccia?” Il bambino assentì. “Sei stato bravissimo.”
Gus lo abbracciò di slancio. “Papà mi ha aiutato.” Gli ricordò.
Justin, ancora in ginocchio, sollevò lo sguardo verso il suo compagno e gli strizzò affettuosamente una gamba. “È un bravo papà, eh?”
“Il più bravo del mondo.”
Justin annuì concorde, prendendolo in braccio e alzandosi in piedi. “E lo sai che adesso noi vivremo qui? E anche tu?”
Gus annuì. “Le mamme me l’hanno detto. Che non vivremo più a Toronto.”
Brian gli accarezzò i capelli, circondando le spalle di Justin col braccio libero. “E la cosa ti sta bene?”
Il bambino parve pensarci su un momento. “Mi dispiace non vedere più Lewis e Holly.”
“Possiamo farli venire qui a farti visita, se vuoi.”
Gus parve illuminarsi a quella notizia. “Davvero?” Domandò, guardando poi suo padre per conferma. Brian annuì. “Fico!”
“Dovremo organizzarci con i loro genitori, però credo di possa fare.”
“E io abiterò qui?”
Justin guardò Brian e inarcò un sopracciglio. Questa gatta da pelare è tutta tua, papà.
Brian si sporse a baciare suo figlio sulla fronte. “Gus, tu vivrai con le mamme e Jenny Rebecca come quando eravate a Toronto. Io e Justin vivremo qui.”
Il bambino aggrottò le sopracciglia, confuso. “E io non potrò venire qui? Con te e Justin?”
“Gus, questa è casa tua e tu puoi venirci quando vuoi. Per i giorni normali avrai scuola quindi starai con le mamme. I weekend, le feste, i giorni di vacanza potrai stare qui e fare ciò che vuoi.” Justin si schiarì rumorosamente la gola. “Quasi tutto ciò che vuoi.”
Gus parve pensarci su un attimo. “Okay.” Cedette alla fine della riflessione.
Brian soppresse un sorriso. “Hai altri dubbi?”
“Sì.”
“Dimmi.”
“Mamma e mami vivono insieme perché si amano?”
Brian e Justin si scambiarono un’occhiata confusa. “Così pare.”
“Quindi anche tu e Justin vi amate se adesso vivete insieme?”
“Esatto.” Justin posò un bacio sulla camicia di Brian a quella piccola confessione che anni prima non sarebbe mai uscita dalla bocca del suo fidanzato.
“Ma per vivere insieme bisogna sposarsi? Come le mamme?”
“Ahia.” Justin sorrise contro il petto del suo compagno. “Credo di iniziare a capire dove voglia andare a parare.”
Brian gli pizzicò il sedere facendolo sussultare con un urletto. “Non necessariamente.”
Gus annuì con espressione concentrata. “Ma voi non vi sposate, vero? Perché quella è una cosa da femmine.”
Ammutolito, Brian spostò lo sguardo carico d’ammirazione da suo figlio a Justin per poi tornare a Gus. “Signori e signore, mio figlio. Il mio erede.”
Justin soffocò una risata contro la sua camicia. “Ti sei salvato in corner, testone.” Mormorò facendo solletico a Gus che, con un risolino, si divincolò dalla sua presa e corse verso la porta e poi giù per le scale. “Muovetevi, lumache! Ho fame!” Gridò poi dal piano inferiore.
Brian scosse il capo, lo sguardo fisso sulla porta e un sorriso beato ben piantato sul viso.
“Ancora incredulo?”
L’uomo annuì. “Un po’. Credo che ci vorrà qualche giorno ad abituarmi.”
“All’idea di vivere qui?”
“All’idea di vivere qui con te. E con lui.” Brian accennò col capo alla porta.
Justin lo strinse per la vita, allungandosi a baciargli il pomo d’Adamo. “Benvenuto a casa, Kinney.”
“E a te, bentornato.”
Justin gli prese il volto tra le mani. “Non importa se sono a Pittsburgh o New York, se in un loft elegante, un pulcioso appartamento o in una reggia come questa. Casa mia è dove ci sei tu. Tu rendi migliore il mio mondo.”
Brian scosse il capo, ancora incredulo che tutto ciò stesse accadendo davvero. Un groppo alla gola gli impedì di rispondere adeguatamente, ma Justin capì lo stesso. In silenzio, si limitò a chinarsi a baciare il suo giovane compagno e a stringerlo a sé più che poteva.
La voce di Gus che richiedeva la merenda li fece sobbalzare.
“Andiamo.” Justin lo baciò un’ultima volta prima di staccarsi da lui. “Tuo figlio ci chiama.” Aveva già mosso un passo verso la porta della soffitta – del studio, il suo studio – quando la mano di Brian lo tirò di nuovo a sé. “Nostro figlio.” Mormorò piano, ma deciso.
Justin si morse un labbro e annuì con gli occhi lucidi. “Nostro figlio.” Ripeté con tono determinato.
Brian assentì con altrettanta convinzione.
Un attimo dopo, entrambi si avviavano verso il piano inferiore dove li attendeva la loro nuova vita.
Stavolta insieme.
Cazzo, se era ora.

 

 
 
 
 
Ed eccoci qui, finalmente! Dopo dieci (seriamente? Sono dieci?) anni, la storia è finita! Solo un piccolo, minuscolo epilogo (completamente Britin, perché sì, ci voleva!) manca per completare il tutto, ma la storia è arrivata al capolinea.
Che posso dire? Ho letto e riletto questa storia mille e mille volte e per altrettante volte ho pensato che non sarei stata in grado di terminarla, per mancanza di ispirazione, di voglia, di tempo, eppure eccomi qui a mettere la parola FINE a quest’avventura che mai avrei immaginato di intraprendere.
Volevo ringraziare dal profondo del mio cuore tutte voi, mie lettrici, meravigliose e pazienti, che dopo tutto questo tempo siete ancora qui a leggere la conclusione di questa, per me, EPICA impresa.
Senza di voi, non avrei mai, MAI, trovato la volontà di tornare a scrivere.
Ho mille altre progetti, ma per il momento vi lascio così, sperando che questo mio ultimo capitolo vi aiuti ad affrontare la benedetta quarantena che ormai da settimane ci tiene a casa. Spero stiate bene, spero che i vostri cari, i vostri amici e le vostre famiglie stiano bene e vi auguro il meglio.
Un bacio grande e un abbraccio fortissimo a voi, mie solide rocce.
 
Alessandra

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Capitolo 38
*** Epilogo ***


 
Epilogo
 
 
 
 
 
 
“Hai quattro messaggi in segreteria.”
Brian sbuffò alzando gli occhi al cielo. “Neanche quando sei dall’altra parte del mondo, la smettono di rompere le palle.”
Primo messaggio.”
“Primo messaggio.” Ripeté l’uomo, versandosi un bicchiere di scotch.
Non posso crederci che tu l’abbia fatto davvero!” Esordì contrariata Debbie, attorno a lei un vociare indistinto di persone, piatti, stoviglie e tv. “Le feste si passano in famiglia, non ai Tropici! Insomma volete chiudere il becco? Sto cercando di educare qui!”
Brian scosse il capo, sorseggiando il suo drink. “Solito caos in casa Novotny.”
Selvaggi.” Borbottò Debbie, tornando alla sua telefonata. “Dicevo… Le feste, signorino, si passano con le persone che ci vogliono bene, con la famiglia…” Brian roteò gli occhi “... e non alzare gli occhi al cielo! Riesco a vederti da qui!
Brian piegò le labbra all’interno della bocca per trattenere un sorriso. Dannata Debbie.
Ad ogni modo…” Debbie si schiarì la gola. “Non credere di cavartela così a buon mercato. Quando i vostri culi ossuti torneranno in questa parte di emisfero, vi aspetto a cena ancora prima che abbiate avuto il tempo di disfare i bagagli.”
“Sì sì, certamente.”
E non credere di farmi fessa, Brian Kinney. La partecipazione è ob-bli-ga-to-ria. Mi hai capito bene?
Brian grugnì, finendo il suo scotch. Un gemito lamentoso proveniente dalla stanza accanto lo fece ridacchiare.
Bene, adesso devo andare altrimenti questi disgraziati finiranno per distruggermi la cucina e mandare a monte l’intero pranzo.” La donna tirò un lungo sospiro e la voce si addolcì. “Buon Natale, degenerato. E dai un bacio al mio piccolo Sunshine.
“Finalmente.” Borbottò Brian. “E uno è andato.”
Secondo messaggio.”
“Non vedo l’ora, dolcezza.”
Io non ci posso credere! Non posso credere che abbiate avuto il coraggio di andarvene per Natale e mollarmi qui con tutta la tribù! Lo sai che è arrivata persino zia Rose? Vi odio, vi odio da morire!”
Molly Taylor!
Quindi adesso è colpa mia? No, no, va bene, scusa mamma.
Brian ridacchiò ascoltando la ramanzina che Jennifer rifilò a sua figlia.
Per la cronaca, sono in punizione fino alla pensione ed è tutta colpa vostra. Stronzi.” La ragazza prese un bel respiro continuando a borbottare tra sé. “Comunque qui vi mandano tutti gli auguri. Io no, non ve li meritate i miei auguri dopo questo sgarro che mi avete fatto. Vi voglio bene, idioti.
“Di sicuro il melodramma è parte del vostro DNA!”
Un piagnucolio sofferente fu l’unica risposta che ottenne.
“Terzo messaggio.
Brian crollò esausto su uno dei divani bianchi e abbandonò la testa all’indietro.
Ciao, papà! Buon Natale! Ho mangiato tantissimo, lo sai? I nonni hanno cucinato per cento persone!
Un sorriso beato comparve sul volto di Brian alla voce di suo figlio che, con l’inevitabile contributo di Jenny Rebecca, raccontò con un’inaspettata dovizia di particolari il pranzo di Natale a casa Peterson.
I genitori di Lindsay alla notizia del ritorno della figlia a Pittsburgh avevano insistito fino allo sfinimento affinché passasse le festività da loro con tutta l’allegra famigliola al seguito; Mel e Linz avevano acconsentito solo perché la salute del capofamiglia Peterson sembrava ogni giorno più cagionevole.
… e poi stasera siamo da nonna Debbie e JR ha detto che ci sarà anche Hunter e porterà la sua Xbox perché ha dei nuovi videogiochi fichissimi che--” Un brusio interruppe l’entusiasmo di suo figlio. “Ciao, Peter. Vedo che sei stato già informato sulla nostra giornata. Abbiamo chiamato per farvi tanti auguri. Spero vi stiate godendo la luna di miele.” Brian storse il naso alla definizione che i loro adorabili amici avevano dato alla vacanza che lui e Justin si erano concessi. Meritatamente, pensò tra sé.
Gus vi abbraccia forte entrambi. E anche noi.” Lindsay soppresse una risatina. “Mel compresa. Ti voglio bene, Peter.
Brian giocherellò col cellulare finché non udì la vocina Messaggio salvato.
“Bene, vediamo chi altro c’è a rompere.”
Quarto messaggio.”
“E ultimo, grazie a Dio.”
Ehi, Jus!” Brian soffocò una risata alla voce decisamente euforica di Steve. “Che cazzo, ma come ti è venuto in mente di andartene? Qui ci si diverte da matti!
Una voce maschile richiamò Steve. “Io e Cal siamo già al terzo giro! E sono riuscito a trascinarmi dietro anche Ness! Dovresti vederl… Ehi!
Dammi questo dannato telefono, idiota! Sei ubriaco marcio! E tu, sfigato, togli quelle mani da lì! Lui è etero!
Mai dire mai!
Steve, giuro su Dio che--
Andiamo, Ness! Sciogliti un po’! È Natale e tu dov--” La comunicazione fu interrotta a metà e Brian si trovo a fissare il telefono con espressione perplessa, indeciso se chiamare o no la polizia.
“Briaaaaaaan…”
Una voce dall’Oltretomba attirò la sua attenzione; si strinse nelle spalle e lanciò il cellulare sul divano di fronte a lui, alzandosi poi per raggiungere la camera da letto.
Davanti a lui le immense vetrate si affacciavano sull’acqua più azzurra che avesse mai visto, la brezza  che profumava di sale e fiori lo accolse una volta attraversata la soglia. “Tutto bene, Sunshine?” Chiese con tono sarcastico.
Al centro del grande letto, aggrovigliato tra le lenzuola candide completamente nudo, giaceva Justin a pancia sotto, il capo immerso nei cuscini. Brian sorrise alla vista della schiena color aragosta del suo compagno. “Sei ancora vivo?”
Justin mugolò qualcosa di poco carino contro il cuscino.
“Ora dell’aloe?”
Justin annuì, gemendo appena. “Voglio morire.”
“Te l’avevo detto di abbondare con la crema solare, ma tu non mi ascolti.”
“Tu non te la metti nemmeno la crema solare!” Frignò il ragazzo, sollevando appena il capo e crollando di nuovo quando una fitta di dolore gli attraversò la schiena.
“Non tutti hanno la fortuna di avere la mia meravigliosa carnagione naturalmente bronzea, Justin.”
“Sto pensando di buttare te e la tua meravigliosa carnagione bronzea dalla finestra.”
Brian si sdraiò al suo fianco, immergendogli una mano nei capelli. “E poi chi ti cosparge di fresca, freschissima aloe?”
Justin si voltò verso di lui, un lampo di malizia negli occhi azzurri quanto il mare a pochi metri da loro. “Il ragazzo che ci ha aiutato a portare la valige sembrava piuttosto volenteroso.”
Brian gli baciò una guancia, schiaffeggiandogli sonoramente una natica e facendolo scoppiare a ridere. “Dovrei essere in spiaggia in questo momento.”
“E invece ti comporti da fidanzato e sei qui a soffrire con me.”
“Non me lo ricordare.” Con un movimento fluido, Brian si alzò dal letto e afferrò la lozione di aloe dal comodino; poi facendo attenzione a non urtare la schiena di Justin, si sedette comodamente sul suo sedere – Justin sospirò beatamente quando Brian si sfregò con decisione contro di lui – e iniziò a massaggiare con gesti lenti e delicati la schiena abbrustolita del suo giovane compagno.
“C’erano messaggi per me?” Domandò Justin dopo qualche istante di silenzio, la voce già mezza insonnolita.
“No.” Brian si sporse a baciargli una spalla. “Si sono già dimenticati di te.”
“Stronzate.”
“Te li farei ascoltare se non li avessi già cancellati tutti.”
“Guarda la casualità.”
“Mi stai dando del bugiardo?”
“Mi stai dando dell’idiota?”
Con un ultima manata sul sedere tondo di Justin, Brian crollò accanto a lui. Justin gli affondò il viso nell’incavo tra spalla e collo. “Credo di non essere mai stato così felice.” Mormorò con tono sereno.
“Ustioni di terzo grado a parte?”
Justin gli baciò il collo. “Ustioni a parte.” Brian gli circondò la vita facendo attenzione alla bruciature. “Guardaci, siamo in un paradiso terrestre, nudi, avvolti da lenzuola morbide, uno nelle braccia dell’altro. Che altro posso volere?”
“Conoscendoti, cibo.”
“Che arriverà a breve, grazie al già citato volenteroso cameriere.”
Brian soffocò una risata. “Sei una minaccia, Sunshine.”
Justin si sporse a baciarlo dolcemente. “Solo il meglio per il mio uomo.”
Brian scosse il capo, senza riuscire a nascondere un sorrisino soddisfatto. “Quindi sarà così?”
“Cosa?” Justin gli baciò la mascella, salendo poi verso l’orecchio.
“La vita con te.”
Il ragazzo si staccò da lui. “Ci puoi giurare, Kinney.”
Brian sfregò il naso contro il suo. “Potrei abituarmi, sai?”
“Ad avermi spalmato su di te?”
Brian gli passò un braccio attorno al collo mentre l’altro rimase fermo sulla vita sottile di Justin; si sporse verso di lui e affondò il viso contro il collo del ragazzo, inspirandone a pieni polmoni il profumo familiare di bagnoschiuma agli agrumi e di aloe. “Ad essere felice.”
Justin ricambiò la stretta, sentendo arrivare le lacrime. “Lo saremo. Ogni giorno delle nostre vite.”
“Promesso?”
“Promesso.”
Brian chiuse gli occhi e sorrise contro la pelle di Justin. “Non crederei a nessun altro.”
La brezza marina, profumata di salsedine e sole, li trovò così, nudi e addormentati, stretti l’uno all’altro.
Finalmente insieme.
 

 
 


 
E questa è la fine, DAVVERO la fine.
Avevo bisogno di un piccolo, ultimo capitolo solo per i nostri Britin che ne hanno passate di tutti i colori (sì, sono sadica, lo ammetto) e che adesso si trovano finalmente ad affrontare la vita insieme (beccati questa 5x13!).
Come ho già detto nell’altro capitolo, vi ringrazio, vi adoro, vi amo follemente e vi chiedo perdono per il tempo che questa storia ha impiegato a concludersi.
In tutta sincerità, prevedo di scrivere ancora di QaF perché c’è ancora così tanto da dire ed esplorare e cercherò di tenervi aggiornate. Nel frattempo vi ricordo il mio gruppo Facebook KATIE'S STORIES in cui troverete aggiornamenti sulle mie storie (QaF e non). E' un gruppo chiuso quindi dovrete richiedere l'iscrizione. 
Vi abbraccio forte,
 
vostra Katie

 
 

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