Quella maledetta volta che Mordecai ha deciso di andare al Laberinto di adrienne riordan (/viewuser.php?uid=17847)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Day 1: Possessione ***
Capitolo 2: *** Day 2: Terrorizzato ***
Capitolo 3: *** Day 3: Vicini tranquilli ***
Capitolo 4: *** Day 4: Cimitero ***
Capitolo 5: *** Day 5: Decapitazione ***
Capitolo 6: *** Day 6: Realtà ***
Capitolo 7: *** Day 7: Mostri ***
Capitolo 1 *** Day 1: Possessione ***
Questa storia partecipa a #TheWritingWeek di Fanwriter.it
Lista: HORROR
Prompt: Possessione
Avvertenza: la storia è ambientata nel mondo de La calaca de azùcar, dove le divinità azteche sono reali e vivono tra noi.
Non era abitudine di Mordecai frequentare locali notturni. Qualche volta l’aveva fatto, in occasione di qualche festa universitaria, ma aveva deciso che non era il genere di divertimento che gli andasse a genio. Il biondino era un tipo tranquillo, riflessivo, educato, forse un po’ noioso, e aveva stabilito che la musica spaccatimpani, le luci psichedeliche e l’alcool che girava a fiumi non facessero proprio per lui. Senza contare il fatto che doveva risparmiare fino all’ultimo centesimo per pagarsi gli studi, e tra corsi all’università e lavoretti part time, il poco tempo libero che aveva era decisamente dedicato al riposo, onde evitare di ammalarsi per i troppi impegni.
Ormai la nuova vita a Esqueleto era entrata su binari piuttosto tranquilli, fatta ovviamente eccezione per le prove a cui era sporadicamente, ma ineluttabilmente, chiamato da Emanuel, divinità azteca che teneva in ostaggio tutti gli abitanti, non permettendo loro di uscire dalla città. A ogni prova, Mordecai rischiava puntualmente di perdere la vita in modo piuttosto orribile e doloroso, e se non fosse per il prezioso aiuto dei suoi nuovi amici e alleati, la sua storia si sarebbe conclusa assai precocemente.
Ritornando alla vita quotidiana, non passò molto tempo prima che Mordecai fosse invitato a passare una serata nell’unico locale notturno di Esqueleto, situato in una zona della città che ancora non aveva avuto modo di visitare. El Laberinto, questo il nome del locale, aveva due caratteristiche piuttosto peculiari. In primo luogo, il gestore era un ragazzo davvero particolare: non solo a Mordecai aveva dato una strana sensazione, la prima volta che lo aveva incontrato, ma Franklin e Thomas gli avevano sconsigliato di andare a pernottare nel suo motel Los nidos de colibrì, senza contare il fatto che, con molta probabilità, anche Alejandro stesso era una divinità azteca, almeno questo aveva ricavato Mordecai dalle parole neanche tanto vaghe di Emanuel. In secondo luogo, El Laberinto era uno dei tre luoghi di tutta Esqueleto in cui la maledizione di Emanuel non funzionava e gli abitanti potevano mantenere l’aspetto umano.
Non avendo motivo di rifiutare l’invito, dopo il turno di lavoro Mordecai si era recato al locale in compagnia di Artemisia, Lesath, Moravich e Jason.
Si sarebbe presto pentito di averlo fatto.
Un’altra cosa che Mordecai non amava fare era bere alcolici. Non che fosse astemio, sia chiaro, ma la sua avversione era tale da non andare oltre al Martini, o al Crodino. Era sicuro di aver ordinato un drink analcolico, eppure avrebbe dovuto fidarsi del suo istinto quando non fu il barman a servirlo, bensì lo stesso Alejandro. Il sorrisetto beffardo del ragazzo a cui si era accompagnato, Felipe, gli aveva messo un brivido lungo la schiena. Ma quale motivo aveva di pensare male di Alejandro? Nel timore di fare una brutta figura, aveva accettato il drink che non aveva mai assaggiato prima. Non aveva percepito l’alcool – o c’era altro dentro? Non lo sapeva. Era troppo buono, dolce… e lo aveva bevuto tutto.
E tutto attorno a lui era cambiato. Non riusciva a mettere bene a fuoco le cose davanti ai suoi occhi. Si sentiva languido. I suoni erano attutiti, ma le parole di Alejandro… quelle no, non erano attutite ma… erano terrificanti. Quelle parole non potevano essere davvero uscite dalla sua bocca. Le avrebbe dimenticate, una volta tornato lucido? Ma se lo avesse fatto non avrebbe potuto avvisare la polizia…
Dai, doveva averle sicuramente immaginate. Quale persona sana di mente si sarebbe autoaccusato di omicidio con tale noncuranza? A meno che non avesse intenzione di far fuori anche lui, scomodo testimone..?!
Aveva biascicato allarmato qualche scusa e si era allontanato, dicendo che doveva andare al bagno. Non aveva trovato una scusa più decente ma Alejandro, Felipe e il ragazzo strambo attaccato al moro che guardava da tutt’altra parte, lo avevano salutato con aria sornione.
Mentre avanzava piano alla finta ricerca delle toilette, si chiese nuovamente come diavolo avesse fatto a perdere di vista Moravich. Suo fratello era sempre così protettivo con lui, e per quanto sia un fatto comune perdersi nella calca di un locale, gli sembrava insolito che Moravich lo avesse permesso.
Invece di trovare i compagni, ironia della sorte, trovò proprio la toilette. La razionalità che non lo abbandonava nemmeno da ubriaco lo convinse che tanto valeva andare a rinfrescarsi con un po’ di acqua corrente.
Rimase però impietrito sulla soglia. Emanuel, fissandolo dal vetro dello specchio, si stava lavando le mani dandogli le spalle. La serata andava di bene in meglio, pensò sarcastico.
“Non dovresti rimanere solo con Alejandro” disse con una certa severità il ragazzo vestito di nero.
“Non ero da solo. C’è gente nel locale” biascicò il Mordecai, avvicinandosi barcollando lievemente al lavabo più distante da quello in cui si trovava Emanuel.
Emanuel ignorò la provocazione e si voltò a guardarlo. “Dovresti andartene, Mordecai. Ora.”
“Grazie tante. Non si esce da Esqueleto” ribatté il biondo prima di sciacquarsi il viso.
“Sai cosa intendo. Andartene dal locale. E comunque si dice Itlazcoliuhqui-Ixquimilli” continuò Emanuel con una punta di inconsueto risentimento.
Mordecai, senza voltarsi, prese ad asciugarsi con la carta assorbente a disposizione.
Già, quello scioglilingua… Alejandro lo aveva pronunciato e aveva riso ai diversi tentativi di Mordecai di ripeterlo, per chiedergli cosa significasse… non aveva proprio idea del suo significato. E, beninteso, non aveva ottenuto risposta.
“Itlazcoliuhqui-Ixquimilli” scandì questa volta senza alcuna esitazione il biondo, cogliendo quasi di sorpresa Emanuel. Nessuna esitazione stavolta, nessun inciampo della lingua, nessun biascicamento. Persino il tono era insolito. Era… più tagliente.
Era difficile cogliere di sorpresa la reincarnazione della divinità del gelo e del giudizio. Ora, quest’ultima si ritrovava a fissare qualcuno che non era Mordecai e che mai si sarebbe aspettato di vedere. Non quella sera perlomeno.
Quello che non era Mordecai si voltò lentamente, con calma, fino a incontrare gli occhi di Emanuel. L’espressione da animaletto spaurito e sbronzo aveva lasciato il posto a un’espressione imperscrutabile e severa. Per la prima volta dopo tanto tempo, Emanuel non sapeva come comportarsi. Sapeva chi stava davanti a lui in quel momento. Quetzalcóatl.
“Itlazcoliuhqui-Ixquimilli” ripeté il serpente piumato, attirando l’attenzione di Emanuel su di sé. “Lascialo in pace” ordinò.
“No”.
L’ordine di Quetzalcóatl si fece più perentorio. “Lasciami in pace” .
Emanuel non vacillò. “No”.
“Se non ci lasci in pace, non ti perdonerò mai”
“Vivrò anche senza il tuo perdono, ma tornerai a prendere il posto che ti spetta, che tu lo voglia o no” esclamò il moro, avvicinandosi al biondo.
“Dovrai passare sul mio cadavere per ottenerlo”.
“Già fatto. E rifatto. Un’infinità di volte”. Emanuel non aveva battuto ciglio nel rivelarlo. Dal canto suo, nemmeno Quetzalcóatl lo fece.
“Per ben cinquecento anni. C’è da perdere il conto. Non ti sei ancora stancato?” una domanda beffarda, a irridere il tormento che sapeva aver perseguitato le reincarnazioni di Itlazcoliuhqui-Ixquimilli per quelle morti necessarie ma evitabili, se solo Quetzalcóatl lo avesse voluto.
“Te l’ho già detto: tornerai a prendere il posto che ti spetta, nell’Era del Sesto Sole, che tu lo voglia o no”
“Auguri allora. Ti resta ancora un’ultima possibilità. 21 dicembre 2012. Ma preferirei che lasciassi perdere e lasciassi in pace Mordecai” lo sguardo severo del serpente piumato si velò di tristezza “Niente tornerà come prima. Non ti perdonerò mai per quello che hai fatto”
Emanuel si irrigidì. Avrebbe preferito continuare a sostenere uno sguardo accusatorio che quello triste, malinconico. Non lo aveva mai tollerato, non lo tollerava nemmeno adesso.
“Non mi importa. Questa volta, non mi fermerai. Nessun sacrificio mi fermerà”.
“Quindi…potrei facilitarti il lavoro, che ne dici?” Quetzalcóatl distolse lo sguardo e mosse qualche passo verso l’uscita, pensieroso. “Quella droga che Huitzilopochtli ha dato a Mordecai ha permesso il risveglio temporaneo della mia coscienza… fortunatamente per me, senza poteri. Potrei avere abbastanza tempo per togliere la vita a Mordecai e i giochi sarebbero finiti”.
“NO!” gridò Emanuel. Afferrò Quetzalcóatl, lo trattenne a sé. Senza potere, non avrebbe potuto divincolarsi dall’abbraccio.
“Come osi” sibilò la divinità. Ma non vi era rabbia o indignazione nella voce. Sbuffò. “Mi conosci così poco? Non verserò più sangue, né lo esigerò come tributo. La vita di Mordecai non terminerà a causa mia” .
“La vita di Mordecai terminerà comunque. E la tua ricomincerà”.
“Vedremo” il dio non si mosse dall’abbraccio, né aggiunse altra parola. Il tempo sembrava essersi fermato.
Mai nella sua vita, Emanuel aveva avuto modo di parlare con Quetzalcóatl. Ricordava le vite passate. Ricordava la sua vera vita, da divinità. Ricordava Quetzalcóatl. E quando lo faceva, la nostalgia lo sovrastava. Ricordava ogni singola volta in cui ritrovava una sua reincarnazione, ammesso che fosse così fortunato da ritrovarla: la speranza che fosse la volta buona; la delusione, per essere stato dimenticato; la rabbia, quando constatava che le caratteristiche di Quetzalcóatl percepibili nel carattere e nell’aspetto della nuova reincarnazione si attenuavano nella moltitudine delle differenze provocate da abitudini ed esperienze diverse.
Quetzalcóatl aveva ragione: aveva un’ultima possibilità per realizzare i suoi piani. Stavolta doveva assolutamente farcela.
“Emanuel..?!” il biondo si staccò freneticamente dall’abbraccio ed Emanuel non gli rese difficile l’impresa. L’animaletto sperso era tornato.
“Ma cosa..?” non ottenne mai risposta. Emanuel, preferì andarsene senza proferire parola.
Era una serata davvero fuori da ogni logica – finiva sempre così, quando compariva Emanuel. Prima si era sbronzato a una festa e non ricordava nulla di quanto successo, poi si era svegliato direttamente tra le braccia di Emanuel, e questo era già abbastanza inquietante. Sperava vivamente di non aver fatto cose imbarazzanti! Fu in preda a queste pare mentali che venne ritrovato da Moravich.
“Eravamo tutti preoccupati. Si può sapere cosa ti è successo?” esclamò avvicinandosi preoccupato.
Lo stomaco di Mordecai decise che era giunto il momento di ribadire, in modo più tangibile, che il ragazzo non era abituato a bere alcolici. “Non lo soourgh!” . La preoccupazione di Moravich per lo stato di salute del ragazzo venne presto accantonata dalla preoccupazione di dover rassicurare Mordecai che no, non era arrabbiato per il fiotto di vomito che era andato dritto sulle sue scarpe e che sì, era decisamente il momento di fare ritorno a casa.
A mai più, El Laberinto.
Oppure no? |
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Capitolo 2 *** Day 2: Terrorizzato ***
Giorno
2: Terrorizzato
Allen era solito
abbracciare Ebenezer dopo aver fatto l’amore
con lei e non lasciarla andare. L’accarezzava in silenzio e
la donna si
lasciava cullare, ricambiando quelle tenerezze fino a quando non cadeva
addormentata tra le sue braccia. E allora Allen la guardava
intensamente,
imprimendo nella sua memoria ogni singolo millimetro di pelle delicata
e
bianchissima, così diversa dalla sua, bruciata e screpolata
dal sole. Era bassa
e bellissima, la sua Ebi. Il suo aspetto non era praticamente cambiato
da
quando l’aveva conosciuta e sposata – tanto
tempo fa.
L’era
del Quarto Sole, per la precisione. Per il dio
Xochipilli aver avuto quella dea incantevole come sua sposa gli era
sembrato
una benedizione… e una disgrazia allo stesso tempo,
perché non gli sembrava
possibile che una tale meraviglia del Creato potesse amare
davvero… beh… una
divinità come lui. Senza lode e senza infamia, Xochipilli
era una divinità di
tutto rispetto, ma poteva essere sufficiente per Mayahuel? Le avrebbe
donato il
sole e le stelle, se avesse potuto… invece poteva darle
solo... fiori. Sospettava
inoltre che la venerazione degli umani fosse dovuta solo alle speciali
piantine, sua creazione, che donavano effetti allucinogeni ai
sacerdoti… Per
dirla in modo conciso e brutale, Xochipilli soffriva di senso di
inferiorità.
Cosa piuttosto patetica per un dio.
La paura di
Xochipilli era perdere Mayahuel. Come avrebbe
potuto quindi non preoccuparsi dell’amicizia che la sua sposa
aveva instaurato
con Quetzacoatl, con cui aveva in comune l’interesse per gli
abitanti della
Terra? Come avrebbe potuto non soffrire, quando i due si nascosero tra
gli
umani? Come avrebbe potuto non sospettare che fossero amanti?
Non ebbe mai la
possibilità di chiarire, di accusare la
moglie, di battersi con Quetzacoatl. Li aveva rintracciati, ma solo per
trovare
Mayahuel trucidata dalle Tzitzimime governate dalla zia di lei,
Tzitzimitl. Quetzacoatl
stava piangendo come fosse stato lui
il marito. Totalmente dimentico dei diritti dello sposo di Mayahuel
almeno
sulle spoglie della
dea, l’aveva
trasformata nella prima pianta di agave, per darle nuova vita e onorare
la sua
memoria in eterno. Fu il marito a ricavare da quella pianta qualcosa
che
l’avrebbe resa indimenticabile e amata dagli umani. Alcool.
Cos’altro di buono
sapeva fare, dopotutto? Xochipilli, col cuore ribollente di dolore,
aveva
giurato vendetta nei confronti del dio del vento. E
l’aveva avuta, ma non gli aveva dato nemmeno una
magra
consolazione.
Quando Allen
aveva incontrato Ebenezer per la prima volta,
non era sicuro di cosa fare. Tenerla lontana? Fingere di non ricordarsi
di lei?
Fu lei ad andare da lui. Sembrava così innamorata. Come non
assecondare il suo
cuore? Cosa poteva andare storto, vivendo come due semplici umani, in
un’epoca
tutto sommato pacifica?
Sembrava andare
tutto per il meglio. La vita a Esqueleto era
davvero tranquilla e piacevole. Era stato felice.
Finché
Quetzacoatl, nei panni di un’inconsapevole Mordecai,
non mise piede al Pavo de Corral, sancendo la sua prigionia nella
cittadina,
proprio a una manciata di mesi dalla
fine dell’era del Quinto Sole. Ebenezer aveva ripreso a
frequentarlo ma
sembrava più ispirata dalla tenerezza materna per
quell’imbranato senza memoria
del passato che non dalla passione di un’amante.
Da allora gli
incubi del passato tornarono a far visita
spesso ad Allen. Non aveva saputo salvare Mayahuel dalla morte e le
immagini
degli occhi vitrei e del sangue sul suo corpo erano più dure
della paura del
tradimento. Ora che era solo Allen, provava il terrore di veder morire
di nuovo
la donna che amava più della sua stessa vita. Avrebbe
tollerato il peso del
tradimento e dell’abbandono, piuttosto.
Ogni notte,
mentre guardava la sua fidanzata, si addormentava
adombrato da questi cupi pensieri, consapevole che gli incubi sarebbero
tornati
a fargli visita non appena avesse chiuso gli occhi.
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Capitolo 3 *** Day 3: Vicini tranquilli ***
Giorno
3: Vicini
tranquilli
Lo spettacolo
che Mordecai, Moravich e Jason stavano offrendo
ai pochi abitanti ancora per le strade era piuttosto comico.
“Vi dico che
riesco a camminare da solo, non serve che mi reggiate!”. Un
daino parlante e
mezzo traballante tenuto ben sorretto dai gemelli. Fortunatamente a
Esqueleto
le bizzarrie abbondavano e nessuno diede davvero importanza a quanto
stava per
accadere.
“Non
c’era bisogno di accompagnarmi a casa! Davvero! Ormai
sto bene” esclamò imbarazzato Mordecai.
“Ovvio
che stai bene, hai vomitato tutto!” esclamò
Moravich,
provocando un’ulteriore ondata di imbarazzo al giovane.
Jason fece cenno
a Mordecai, prontamente tradotto dal gemello
“Jason ha provveduto a informare Artemisia e Lesath prima di
lasciare il Lab.
Non c’è alcun problema” .
Jason
ridacchiò, guardando sottecchi il fratello con malizia.
“Sì,
mi stavo annoiando e ti ho usato come scusa per
andarmene” confermò Moravich.
“Ah
ecco” commentò il biondo.
Ormai erano
quasi arrivati al numero 13 quando….
“ALLEN,
NOOOOO!” una voce di donna e lo schianto di vetri
infransero il silenzio della notte e fece ammutolire i tre ragazzi.
Mordecai
riconobbe la voce “Ebenezer!” e si voltò
verso la
porta della vicina di casa. “Lascia stare,
Mordecai” Moravich cercava di
mantenere un tono neutro mentre Jason tentava (senza successo) di non
mostrare
preoccupazione.
“Ma
non esiste proprio!” battè lo zoccolo contro la
porta.
“Ebenezer! Apri la porta!”. Nessuno giunse ad
aprire.
“Moravich,
apri!” il ragazzo non capiva perché il fratello
non fosse preoccupato per l’amica come lo era lui.
“Mordecai,
davvero, Ebi non è in pericolo. Sta bene,
credimi”. Ma Mordecai viveva da troppo poco tempo a Esqueleto
per… sapere.
Jason aprì la porta per lui, dando un’occhiata
significativa al fratello, che
comprese. Era meglio che il ragazzo si rendesse da conto da solo che le
preoccupazioni per l’incolumità della ragazza
erano infondate.
“Ebi,
siamo noi. C’è anche Mordecai” disse
Moravich a voce
alta mentre i tre entravano nell’ingresso della casa.
“Oh,
Mordecai, caro..! Non venite in cucina per favore…
è
tutto sotto controllo!” la voce di Ebenezer, resa
più acuta dalla
preoccupazione e dalla tensione, dava alle parole un risultato
decisamente
opposto al loro significato letterale. In sottofondo, si udivano le
lamentele
sommesse di Allen.
“Ebenezer…
hai bisogno di aiuto?” chiese con cautela
Mordecai.
“Ebi,
Mordecai ti ha sentito gridare e si è preoccupato”
aggiunse Moravich.
“Ah
capisco. Allen, tesoro… tieni stretto lo
strofinaccio…
ecco così. Arrivo subito”. La ragazza
entrò nell’ingresso e Mordecai soffocò
un
grido: era coperta di sangue.
“Stai
tranquillo Mordecai: il sangue non è mio”.
“È
di Allen? È ferito? Devo chiamare
l’ambulanza?”.
“Un
incidente con una bottiglia. Forse serviranno dei punti
ma non è una ferita grave. Ci penso io. Andate a casa, per
favore. Ci vediamo
al Pavo domani” sembrava padrona della situazione ma anche
preoccupata.
Mordecai era
tutt’altro che convinto.
“Ma tu
stai bene? Voglio dire…” abbassò il
volume “serve la
polizia?”
Ebenezer si
lasciò sfuggire una bassa risata di liberazione
dalla tensione “È di là la polizia.
Stiamo bene. Ora andate, buonanotte”.
Alla fine, la
determinazione della ragazza fecero rassegnare
Mordecai “Domani al Pavo Ebenezer, promettimelo”.
“Ma
certo sciocchino! Vai! Ho la polizia che dissangua, di
là!” abbozzò un sorriso mentre lo
spingeva fuori gentilmente. “A presto,
tesori! E grazie per esservi preoccupati per me!” e richiuse
la porta,
lasciando i tre sullo zerbino.
“Mordecai,
davvero, non è il primo incidente domestico che
coinvolge Allen. Lui è un tipo piuttosto…
maldestro”.
“Maldestro..?”
“Ebenezer
si preoccupa tanto per lui, per questo sembra
sempre una questione di vita o di morte, quando si ferisce. Ma non
farne parola
con Allen: è un tipo piuttosto orgoglioso”.
Mordecai rimase
silenzioso per i pochi metri fatti per
raggiungere la porta della propria casa. Jason gli appoggiò
la mano sulla
groppa, nel tentativo di tranquillizzarlo. Nessuno era in pericolo.
Entrarono in
casa e nessuno toccò più l’argomento.
Ebenezer
tornò in cucina con la cassetta del pronto soccorso.
Scrutò il volto pallido di Allen.
“Perché ti fai questo, Allen?” ma il
ragazzo
si rifiutò di rispondere. Come poteva confessarle che il
dolore fisico lo
aiutava a non pensare al dolore del suo cuore provocato dagli incubi?
Come poteva
confessarle che preferiva vedere scorrere il suo sangue piuttosto che
quello
della sua amata?
…
Come confessarle che stava praticando in segreto dei sacrifici
di sangue, risalenti agli antichi riti, per proteggerla?
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Capitolo 4 *** Day 4: Cimitero ***
Giorno 4:
Cimitero
Di cose strane a
Esqueleto ne aveva viste tante. Ormai a
Mordecai risultava impossibile trovare qualcosa che lo stupisse ancora.
Eppure,
quel giorno ne aveva trovata un’altra. L’ordine del
pranzo a domicilio… al
cimitero.
Nessuno al Pavo
de Corral lo aveva informato, ma tutti i
giorni c’era da portare il pranzo a una persona che viveva
proprio lì e che
aveva un conto aperto al locale. Mordecai, in quanto contabile, era a
conoscenza di quel conto aperto che veniva periodicamente saldato ma
ignorava
la singolare destinazione dell’ordine fisso perché
non era mai stato incaricato
di portare i pranzi nell’orario di mezzogiorno. Gli era
capitato di fare
commissioni al supermercato o di portare qualche ordine durante il
turno
serale, ma il suo lavoro principale restava la contabilità e
aiutava i colleghi
solo quando questi erano troppo oberati di lavoro per occuparsene di
persona.
Ebbene quel giorno era uno di essi.
Seppur con
reticenza, Thomas aveva chiesto a Mordecai quel
grandissimo favore durante l’ora di punta. Il biondo sapeva
bene dove si
trovassero chiesa e cimitero, essendo a pochi metri dalla sua
abitazione. Per
sua sfortuna, provava una fifa nera per quel tipo luogo.
All’orfanotrofio era
la prova di coraggio per eccellenza: scavalcare i cancelli e visitare
da solo
le cripte, ovviamente rigorosamente di notte. Mai, neppure davanti alla
minaccia di essere tacciato di codardia anche dai bambini
più piccoli, il
giovane Mordecai aveva osato affrontare la sfida. Non sapeva spiegarlo
a
parole, eppure… anche le visite al cimitero locale per
onorare i defunti alla
Festa di Ognissanti gli avevano sempre lasciato addosso la costante
sensazione
di essere osservato da occhi diversi
da quelli dei presenti alla cerimonia. E comunque, tutto ciò
che aveva a che
fare con l’Aldilà lo inquietava molto.
Chissà cosa avrebbero detto i suoi
compagni se avessero saputo delle sfide in cui era invischiato ora, per
colpa
di Emanuel, oltretutto per sua scelta.
Almeno, al
piccolo cimitero di Esqueleto si sarebbe dovuto
recare di giorno, e il fatto di doverci andare per consegnare un
burrito e dei
churros col cioccolato fondente rendeva meno inquietante la cosa.
Insolita,
quello sì, ma sicura.
Mordecai fece
per varcare la soglia ma si sentì come
trattenuto.
“Chiedi
il permesso, o non ti faranno entrare!” sentì
gridare
da chissà dove. Non che in quel momento gli importasse.
Mordecai temeva le
stranezze, soprattutto al cimitero, soprattutto al cimitero di
Esqueleto.
“Chi
non mi fa entrare?” esclamò con vocetta acuta il
biondo.
“Il
miglior sistema di sicurezza di Esqueleto: i miei amici!”
rise la vocetta squillante.
“E se
venissi tu a prendere l’ordine?” implorò.
“Fifone”
commentò vivace la sconosciuta. Una mano spuntò
da
dietro a una tomba, provocando un sussulto in Mordecai, anche se era
più
propenso a chiamarlo infarto. Reggendosi alla lapide, fece la sua
comparsa una
ragazzina esile e pallida, vestita da giardinaggio e con attrezzi
appuntiti
legati alla cintura, che saltellò canticchiando burrito burrito burrito a me! verso il
desiderato Mordecai. Si
fermò proprio all’ingresso, ma non
accennò ad oltrepassare il confine.
“Chiedi
il permesso di lasciare il pranzo oltre il cancello”.
Col cavolo che
entro, pensò il biondino “Burrito della casa e
churros con cioccolato fondente. E succo d’ananas.”
La ragazzetta
non si mosse “Amico, non posso allungare le
mani. Devi allungare tu le tue”.
“Sì,
ma i tuoi amici
mi fanno impressione”
La ragazzina
(quanti anni aveva? Dodici? quattordici?)
sospirò “Tranquillo, cuor di leone, nessuno dei
miei amici ti torcerà un
capello. Non ci tengo a morire di fame e raggiungerli nella
tomba” attese
qualche istante e voltò i palmi delle mani per ricevere
l’agognato pranzo.
“Dai, ora puoi allungare le braccine”.
Mordecai
allungò il cestino di cartone ma
“PRESO!” le mani
della ragazzina afferrarono i polsi del biondo che, sbilanciandosi per
la
sorpresa, venne attirato dentro lo spazio del cimitero.
Mordecai
strillò e, mollando per terra il cestino, si
strattonò all’indietro provocando,
inspiegabilmente, un grido di paura della
ragazzina, che lasciò immediatamente i polsi del ragazzo.
Mordecai la guardò
stupefatto: era ammutolita per lo spavento.
“Ho
detto che TU puoi entrare. Ma IO…”
mormorò agitata “non…
posso … USCIRE!” prese le forbici da giardinaggio
attaccate alla cintura e si
recise una ciocca di capelli neri. La appallottolò e la
lanciò verso Mordecai.
Si trasformò in cenere nell’istante stesso in cui
varcò il confine esterno. Ok,
quello era decisamente più inquietante degli amici
della stralunata.
Si
voltò indietro “Come ti chiami?” si
inchinò a recuperare
il cestino.
“Mordecai”.
“Mordecai…
non venire più tu, per favore” e, senza salutare,
corse dietro alle tombe, e lì si nascose.
Non ci volle che
qualche secondo, dopo l’ovvio spavento,
perché Mordecai si sentisse uno schifo. Aveva appena
spaventato una bambina
quando lei non gli aveva fatto, in effetti, nulla di male.
“Posso
entrare?” chiese all’aria e fece un passo avanti.
Sentendo che nulla lo tratteneva, raggiunse la ragazzina.
“Mi
dispiace. Non volevo spaventarti, né tantomeno farti del
male”. La ragazzina era seduta dietro la lapide col burrito
in mano ma con poca
voglia di scartarlo.
“Non
fa niente. Dovevo lasciarti in pace. Si vede che non ti
hanno detto nulla” prese a scartare svogliatamente il
burrito.
È un
posto inconsueto per consumare il pranzo, pensava
Mordecai.
“A
loro non dà fastidio” rispose la ragazzina, come
leggendo
nella mente del biondo.
“Loro
chi?” chiese nuovamente Mordecai.
“I
miei amici” rispose di nuovo “Loro riposano qui da
centinaia di anni. Questo cimitero è ben più
antico di Esqueleto stessa”.
“Capisco”.
Spiriti o meno, la ragazzina appariva comunque una
bestiolina immersa nella solitudine.
“Mi
chiamo Mordecai” anche se aveva già detto il suo
nome,
gli sembrò giusto presentarsi come si deve.
“Alma”
rispose guardandolo di sottecchi per una frazione di
secondo, poi addentò il suo burrito.
“Mmmmh,
Aindreas io non ti conosco ma credo di amarti!”
esclamò con tono di estasi.
“Devo
tornare al Pavo. Piacere di averti conosciuta, Alma”
fece per andare ma la ragazzina lo richiamò.
“Mordecai”
“Cosa?
“Non
sono i miei amici a barrare la strada, sono io. Quando
avrai bisogno di stare da solo per un po’, potrai venire
qui”.
“Avrei
dovuto avvisarti prima Mordecai, ma ero oberato di
lavoro per spiegarti per bene la cosa e Alma è inoffensiva.
Mi dispiace” si
scusò Thomas quando Mordecai fece ritorno al Pavo e dopo che
il biondino aveva
raccontato quello che gli era successo al cimitero.
“I
primi giorni qui ti eri domandato come mai tutti quanti
qui temessero così tanto Emanuel. Lui ci tiene prigionieri a
Esqueleto e ci
trasforma in animali la notte, ma per il resto ci lascia liberi di fare
quello
che vogliamo. Ma quando arrivò a Esqueleto cinque anni fa,
Alma osò insultarlo
pesantemente. Emanuel non ebbe pietà del fatto che,
all’epoca, fosse solo una
bambina di otto anni: la trascinò al cimitero e la
confinò in quello spazio. O
almeno, questo è ciò che si raccontava in giro
all’epoca. Non si trasforma in
alcun animale, nemmeno la notte. Ma se oserà uscire dalla
sua prigione,
diventerà cenere. Da quel giorno, sono passati cinque
anni”.
“Ma
è… orribile” mormorò con
orrore Mordecai. “Ma non
possiamo fare niente per lei..?” .
“Cosa
possiamo fare contro Emanuel, Mordecai?
“Ma
come ha fatto a finire qui una bambina? I suoi
genitori..?”
“Non
sappiamo nulla dei suoi genitori. Non ce ne fu il tempo,
visto che Emanuel la rinchiuse al cimitero il giorno stesso del suo
arrivo, e
lei non fa parola su quel giorno. In quello stesso periodo era arrivato
anche
un adulto, Dorian, ma non credo sia un suo parente. Ma non angustiarti
troppo:
ti stai impegnando nelle sfide per farci ottenere la
libertà: molto
probabilmente anche Alma ne beneficerà”.
“Se vincerò”
“Quando vincerai. Sono
sicuro che ce la farai. Noi siamo tutti dalla tua parte. E non
preoccuparti per
Alma: noi tutti a Esqueleto facciamo in modo che non le manchi
nulla”.
Sorrise appena.
Quando vincerai. Thomas era davvero sicuro
che sarebbe successo. Ma quel quando
gli fecero tornare in mente anche le parole di Alma.
“Quando avrai bisogno di stare da solo per un
po’, potrai venire qui”.
Cos’avrà
voluto dire?
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Capitolo 5 *** Day 5: Decapitazione ***
Giorno
5: decapitazione
“Allora
Mordecai, cosa prendi da bere?” chiese Alejandro con
voce squillante, chiamando con un cenno della mano uno dei barman
liberi al
bancone.
“Allora
Mordecai, come
diavolo hai fatto a perdere di vista il tuo gruppo? Non ne imbrocchi
una
giusta!” pensava
piuttosto il biondo mentre richiedeva un analcolico
della casa.
“Stai
scherzando, spero! Ordinare un analcolico al Lab è
blasfemo!” esclamò con finto scandalo il
proprietario del locale. Era stato
carino, da parte sua, prenderlo sottobraccio non appena lo aveva visto
guardarsi intorno spaesato, ma allontanarlo da dove si trovava avrebbe
reso
ancor più difficile per lui trovare Artemisia, Lesath,
Moravich e Jason.
Alejandro stava
esortando gli avventori già presenti al
bancone. “Felipe, Santos, diteglielo anche voi!”.
“Guarda
che ci sono ottimi drink alla carta!” disse Santos,
rivolto all’estintore.
“Scusatemi,
ma non bevo alcolici. Non insistete” tagliò corto
il biondo, sperando di non mostrarsi maleducato.
“Brutte
esperienze passate?” mormorò Felipe. Mordecai lo
sentì benissimo, malgrado la musica assordante, e non
riuscì a reprimere un
brivido lungo la schiena. Non ne capiva il motivo ma Felipe non gli
andava
affatto a genio. Lo metteva in allarme. Alle sue parole, si chiuse a
riccio, e
Alejandro se ne accorse.
“Nessun
problema Mordecai. Fai un analcolico della casa per
il mio amico e mettilo sul mio conto!” aggiunse rivolto al
barman.
“Mordecai,
è così bello che finalmente possiamo
chiacchierare
un po’! Non abbiamo avuto molte occasioni
ultimamente!” aggiunse Santos, sempre
rivolto all’estintore.
“Sono
qui” si sentì in dovere di rispondere; e
decisamente
avrebbe voluto essere da tutt’altra parte.
“Ecco
qui” Alejandro piazzò in mano al biondo un
bicchiere
riempito fino all’orlo con una bevanda di un rosso intenso
– sembrava quasi
sangue.
“Bene,
Felipe, Santos, siete dei nostri?” e trascinò
Mordecai
verso i tavolini vuoti, dove aveva adocchiato quattro posti liberi.
Mordecai si
ritrovò tra Alejandro e Felipe; Santos, accanto a Felipe, si
stava in realtà
rivolgendo a quelli del tavolino di fianco, fraintendendo le posizioni
dei suoi
amici e parlando, senza accorgersene, a dei perfetti sconosciuti che lo
guardavano allibiti.
“Beeeene,
dove hai lasciato i tuoi amici? Non sei venuto qui
da solo, immagino” chiese Alejandro mentre sorseggiava il suo
margarita.
“Sì,
ma li ho persi nella calca. Dopo proverò a contattarli
al cellulare, ammesso che sentano la suoneria con tutta questa
musica!”
“Intanto
bevi! Dimmi se ti piace!” lo esortò il moro.
“Buono!”
Era davvero delizioso. Ne bevve un altro sorso, e un
altro ancora.
“Vedo
che ti sei ambientato a Esqueleto! Ti piace la tua
nuova vita?”
“Sì,
abbastanza. Sono tutti straordinariamente gentili, al
Pavo. È come se avessi trovato una famiglia!”
finì il drink senza nemmeno
rendersene conto.
Alejandro
scoppiò a ridere. “Spero vivamente di
no!”. Persino
Felipe sbuffò e alzò gli occhi al cielo.
“Scusa,
perché dici così?” iniziava a sentire
la bocca un po’
impastata.
“Scusa,
non dovrei generalizzare, ma sai, non è che abbia
avuto una famiglia… beh… normale, in cui
crescere”
“Scusami,
non volevo farti venire in mente brutti pensieri”
avvicinandosi ad Alejandro per metterlo meglio a fuoco.
Perché vedeva tutto
sfumato e luccicante?
“I
brutti pensieri li ho in testa. Non sono certo le tue
parole a evocarli”.
“Non
hai nessuno della famiglia qui a Esqueleto… o fuori?
Magari ti stanno cercando”
“Mia
madre e i miei fratelli sono morti”
Mordecai rimase
senza parole. Non si aspettava una piega così
seria del discorso, non in un locale, davanti a dei drink.
“Quando
mia madre rimase incinta di me, di padre ignoto, i
miei fratelli non furono entusiasti. Mia sorella maggiore la
definì senza mezzi
termini una puttana. E la uccisero. Un delitto d’onore,
così lo giustificarono”
Alejandro rimase a guardare l’effetto che le sue parole
ebbero su Mordecai.
Trattenne una risatina: la sua espressione era mista tra
incredulità e
sconcerto. Alzò il tiro.
“Li
uccisi tutti. Uno per uno. Non pensavo che mi avrebbe
fatto tanto impressione uccidere mia sorella: era la maggiore, ma era
molto più
minuta di me. Beh, non ebbi pietà: era colpa sua se io ero
cresciuto senza una
madre che mi amasse. Ancora oggi, il rumore della sua testa che cade
dalle
scale mi perseguita tutte le notti, dopo tutto questo tempo.
Sogno
spesso mia sorella che mi
insegue gridando di volere la mia, di testa. E guardando la luna, mi
chiedo
spesso se la mia vita sarebbe stata diversa, se avessi trattenuto la
mia furia
omicida”.
“Alejandro,
non essere così duro con te stesso. Hai solo
fatto giustizia. E se lo ha detto Itlazcoliuhqui-Ixquimilli, puoi star
certo
che è così”.
“…Chi?”
chiese incerto Mordecai, scatenando l’ilarità dei
due
interlocutori. Santos era perduto in una conversazione su colliri con
quelli
del tavolino accanto.
“Una
vecchia conoscenza, diciamo. Lo hai mai sentito
nominare? Dai, prova a dirlo: Itlazcoliuhqui-Ixquimilli”
“Iza…
zigulì…”
L’ilarità
raggiunse le stelle
“izacogli-zilli?”
“Non
ce la posso fare” commentò Felipe.
Mordecai aveva
colto la neanche tanto velata presa per i
fondelli. “Alejandro… cosa ciera
in
quel bicchiere?”
“Un
delizioso analcolico, ovviamente, arricchito con
specialità erboristiche autoctone.. da sballo!”
aggiunse sornione.
“Io…
devo andare in bagno” e si allontanò senza
ascoltare
risposta.
“Lo
capisco… quelle erbe hanno proprietà diuretiche, tra l’altro” aggiunse
Felipe in segno di
commiato.
Era decisamente
il caso di tagliare la corda…
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Capitolo 6 *** Day 6: Realtà ***
Giorno
6: Realtà
“Come
ci si sente ad essere responsabile di un disastro?”
Quetzacoatl
aveva sentito le parole del suo interlocutore ma
non aveva cuore di prestare loro attenzione. Aveva appena assistito
all’epilogo
di una storia davvero triste, per chi non era in grado di mantenersi
distaccato
dalle umane miserie, così lontane dagli interessi delle
divinità – di tutte le
divinità eccetto Quetzacoatl, naturalmente. Fin
dall’inizio dei tempi aveva
amato quelle bestioline che erano state create, e che avevano raggiunto
la perfezione
nell’Era che stavano vivendo in quel momento, quella del
Quarto Sole. Le aveva
viziate con ricchi doni: mais, cioccolato, pulque… Non
c’era da stupirsi che
Quetzacoatl fosse quasi il più amato tra gli dei. Ma per la
prima volta, il dio
si chiedeva se quell’ultimo dono che aveva fatto, quello di
provare l’amore,
sarebbe stato visto ancora come tale.
Recentemente era
stato effettuato un sacrificio a Tlaloc, ed
era risaputo quanto quest’ultimo apprezzasse le anime dei
bambini, che a lui giungevano
mediante l’annegamento.
Tutt’altra
storia rispetto agli squartamenti dei guerrieri fatti prigionieri
durante le
scorribande tra tribù rivali.
“Le
donne sfornano bambini come fossero gattini” aggiunse
l’interlocutore,
non aspettandosi risposta dal serpente piumato “tante piccole
bocche da sfamare
che talvolta muoiono quando non hanno raggiunto i 5 anni di vita,
soprattutto
in tempo di carestia. Se Tlaloc può donare cibo e acqua
attraverso le sue
piogge, il sacrificio di un bimbo ben vale la sopravvivenza di tutti
gli altri
bambini. Uno scambio tollerabile per qualsiasi madre”.
“Bambini
che almeno non andranno nel Mictlan e raggiungeranno
direttamente il Reame di Tlaloc” Quetzacoatl doveva ammettere
che la sorte di
quei piccoli sacrificati non era poi così male rispetto a
quella dei bambini
destinati a vivere e diventare forti guerrieri che avrebbero continuato
ad
onorare gli dei e a fornire loro sacrifici
di sangue per mantenere l’ordine del
creato.
Ma questa volta,
l’atmosfera era stata del tutto diversa. I legami
d’affetto si erano rafforzati enormemente dopo il
“dono” di Quetzacoatl. La
madre del piccolo prescelto a servire Tlaloc per
l’eternità aveva protestato
disperatamente, aveva lottato per difendere la vita del figliolo. Per
la prima
volta, non vi era orgoglio nel bambino, non vi era fierezza nei
genitori: solo
grida e angoscia. I sacerdoti avevano dovuto abbondare con la droga,
per non
interrompere il rito, la cui solennità tuttavia venne
rovinata dall’atmosfera
cupa di amarezza e di compassione.
E adesso, le due
divinità stavano assistendo appunto all’epilogo
della storia: la giovane madre si era impiccata ad un albero e pianti
di lutto
si alzavano alti tra gli amici e i familiari della donna.
L’impiccagione era un
tipo di uccisione inusuale tra gli aztechi: non una singola goccia di
sangue era
stata versata per coloro che, indirettamente, avevano già
goduto del sangue del
suo amato bambino. Da lei non ne avrebbero ricevuto altro.
“Spero
che almeno ne sia valsa la pena, Quetzacoatl”
l’interlocutore
sapeva cosa avesse spinto il serpente piumato a concedere agli umani
una forza
così potente e pericolosa come la capacità di
amare. La bionda divinità era
piuttosto limpida nelle sue intenzioni, per non dire ingenua, e non
aveva fatto
mistero di essersi innamorato di una donna mortale (giusto Xochipilli
aveva un
po’ frainteso la destinataria del suo amore). Ma senza amore
tra gli umani, la
giovane non avrebbe potuto ricambiare il sentimento del serpente
piumato. Fu
piuttosto semplice, a quel punto, fare due più due.
“Ti
chiederei chi sei tu per giudicarmi, ma sbaglierei
approccio” commentò ironicamente Quetzacoatl alla
divinità del giudizio.
“Come
ci si sente ad
essere responsabile di un disastro?”
“Anche
tu ti senti così quando accade un disastro,
Itlazcoliuhqui-Ixquimilli?”
In quanto
divinità che aveva a cuore il benessere degli
umani, Quetzacoatl mal tollerava ciò che era per loro fonte
di disagio o peggio
e, per proprietà transitiva, mal giudicava chi ne era
responsabile, fosse esso
il fratello Tezcatlipoca, Itlazcoliuhqui-Ixquimilli, che era
divinità del
giudizio, ma anche del gelo e dei disastri, o qualche altra
divinità. Ma adesso
che era stato lui stesso responsabile di una tragedia – di
piccola entità,
avendo coinvolto un numero limitato di persone, ma per chi la viveva,
era
assoluta – si stava chiedendo per la prima volta se, in
realtà, a Itlazcoliuhqui-Ixquimilli
quel ruolo gli stesse stretto. Lui era quello che era, talvolta non
c’era
possibilità di scelta.
Il dio dei
disastri rimase in silenzio per qualche momento.
Sembrava cercare con cura le parole.
“O ti
abitui o soccombi”.
“Dunque
è un bene che tu sia anche divinità del gelo: il
ghiaccio
è una buona corazza per il cuore”.
Itlazcoliuhqui-Ixquimilli
non replicò al commento. “Un conto
è curarsi degli umani, un conto è lasciarsi
coinvolgere. Non porta mai niente
di buono”.
Quetzacoatl
rimase in silenzio a guardare Itlazcoliuhqui-Ixquimilli
che se ne andava via senza aggiungere altro, lasciandolo in compagnia
dei suoi
pensieri e del suo pentimento.
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Capitolo 7 *** Day 7: Mostri ***
Giorno
7: Mostri
“Non
mi aspettavo di
rivederti nel mio regno, Quetzacoatl” commentò il
signore del Mictlan. E non
mentiva. L’ultima occasione in cui il serpente piumato si era
presentato a lui
con la sua questua, agli albori del Quinto Sole, non lasciava presagire
un
eventuale ritorno al suo cospetto, e l’atteggiamento
nervoso di Xolotl
confermava la perplessità di Mictlantecuhtli. Seduta accanto
allo scranno, la
sua sposa Mictlancihuatl sembrava pensare la stessa cosa ma manteneva
il
silenzio.
Solo
Quetzacoatl non
tradiva alcun timore, lui che più di tutti avrebbe dovuto
averne. Era
inginocchiato, come si conviene quando si è in visita a un
sovrano, ma il suo
portamento non era affatto quello di un postulante: i suoi occhi
fissavano la
figura di Mictlantecuhtli.
“Sono
venuto a chiedere
conto delle ossa di giada che mi hai tenuto nascosto” disse
con voce ferma.
“Non
ci sono altre
ossa. Le hai portate via tutte”
“Questo
era l’accordo”
convenne il serpente piumato “ma quando
l’umanità ha preso vita da quelle ossa,
qualcosa mancava”
“Hai
danneggiato le
ossa: è normale che gli esseri umani non somiglino
più a quelli che sono periti
nel declino del Quarto Sole”.
“Sono
state le quaglie
della Vostra Signora a rovinarle, se vogliamo esser franchi. Ma non
è questo il
punto. Sapevo che gli esseri umani sarebbero stati diversi, e questo ha
reso la
mia ricerca più difficoltosa. Ma adesso è stato
chiarito il motivo: le ossa di
Malintzin non sono mai uscite dal tuo regno”.
“Nessuna
delle ossa di
giada, e di conseguenza nessuna delle anime a esse legate, è
rimasta nel
Mictlan. Ne avevo io la responsabilità, so quello che dico.
A meno che tu non
osi insinuare che stia mentendo”.
Quetzacoatl
la guardò
con minor severità rispetto a quella riservata al suo sposo
“Signora, vi credo.
Voi avete avuto cura di tutte le ossa. Tutte.”
“Quindi,
sei qui a
parlare di niente” tagliò corto Mictlantecuhtli.
“Le
ossa di Malintzin
non erano ai vostri piedi e
non sono sulla Terra” argomentò
il serpente piumato “Una cosa è certa: Malintzin
fu sacrificata in vostro
onore, quindi di sicuro è stata portata qui da mio fratello
Xolotl.”
“Quella
donna non è
perita nel cataclisma, ma a seguito di un sacrificio in mio onore. Cosa
scelgo
di fare con ciò che mi appartiene non è affar
tuo”
“Le
ossa di giada
appartenevano anche ai morti prima del cataclisma, per non dire
soprattutto!”
protestò Quetzacoatl “La maggior parte degli umani
è stata trasformata in
pesci, quella affogata si trova da Tlaloc. Dei sacrifici ci si
interessa
soltanto al cuore e al sangue: l’anima e le ossa restano qui
senza problemi e
non interessano a nessuno. Quindi… le ossa di Malintzin
sarebbero dovute
tornare a me!”
“Quetzacoatl…”
Mictlantecuhtli parlò lentamente ma con tono spaventoso
“sei davvero qui a
reclamare per la morte della donna che ti sei preso nel Quarto Sole?
Sul serio?
Siamo nel bel mezzo del Quinto Sole! Il popolo che ci venera
è sul punto di
estinguersi per le nuove malattie portate dagli stranieri – e
questo si traduce
in lavoro extra per il sottoscritto e per tuo fratello - e TU sei qui per una donna
umana?” . Il tono
aumentava progressivamente mentre polemizzava con il serpente piumato,
facendo
desiderare a Xolotl e a Mictlancihuatl di essere da
tutt’altra parte, ma
Quetzacoatl non cedette.
“Voglio
il posto che
avrebbe avuto Malintzin nel Quinto Sole”
“Cosa?!”
Sbottarono i
due consorti e Xolotl. Erano allibiti.
“Voglio
avere la vita
che Malintzin non ha potuto vivere per colpa vostra”
spiegò meglio Quetzacoatl
“E non voglio sentir parlare di pagamento. Non ho avuto
l’intero ammontare
delle ossa. E tu
mi hai tolto più di quanto ero disposto a
dare! Salda il tuo debito”.
“Per
quale motivo
dovresti desiderare di diventare un mortale? Ammazzati no? È
meno complicato!”.
La sorpresa aveva mandato l’aplomb del signore del Mictlan
completamente
sottoterra.
“Ho
i miei motivi”
tagliò corto il serpente piumato.
“E
cosa ci ricaverei da
questa richiesta? Ciò che chiedi è troppo
esoso” ribatté, chiaramente
intenzionato a rispedire quel deficiente fuori dal suo regno il prima
possibile
e dimenticare le sue assurdità.
“Ci
ricaveresti in
dignità” il commento della sua consorte fu
l’ennesima assurdità che le povere
orecchie scorticate del dio fu costretto a sentire.
“È
vero quello che
dice? Abbiamo dei debiti? Questo è disdicevole!”
esclamò Mictlancihuatl per
giustificare la sua precedente affermazione.
“Questo
è troppo!”
tuonò il signore del Mictlan. “Xolotl, porta tuo
fratello fuori dal mio regno!
E se oserai riportarlo al mio cospetto… te la
farò pagare cara”
Xolotl
colse l’occasione
“Fratello, per favore, andiamo… per il bene di
entrambi!”
Fu
solo per
l’incolumità del suo gemello che Quetzacoatl si
lasciò guidare fuori dal mondo
sotterraneo. Fosse dipeso da lui, si sarebbe battuto con
Mictlantecuhtli. Cosa
aveva da perdere?
I mesi erano
passati veloci a Esqueleto e Mordecai aveva
cominciato a esser teso: mancava poco alla scadenza del patto fatto con
Emanuel. Quante altre calacas avrebbe dovuto recuperare ancora per
liberare
tutti? Non lo sapeva, anche se sapeva di averne liberate parecchie,
nell’ultimo
anno. E le anime liberate si erano rivelate essere tutte
divinità prigioniere,
più o meno potenti, più o meno consapevoli della
loro condizione divina. Le
sfide di Emanuel erano diventate progressivamente difficili e
rischiose, eppure
avevano reso Mordecai sempre più forte. Questo, ma anche
l’aiuto dei suoi
amici, era riuscito a salvarlo dalle sfide successive, ulteriormente
pericolose. Artemisia e i suoi fratelli sembravano sereni, seppur
comprensivi
verso le paranoie del biondino: secondo loro, infatti, non dovevano
mancare
molte calacas all’appello. In ogni caso, erano le sfide di
Emanuel a scandire
la frequenza con cui Mordecai poteva intervenire nel loro recupero. I
suoi
amici lo avevano rassicurato, e conoscendolo meglio se ne era convinto
anche
Mordecai stesso: per quanti difetti il moro potesse avere, era anche
una
persona leale e giusta, e non avrebbe mai posticipato qualche sfida a
dopo il
2012 per indurre la sconfitta a tavolino di Mordecai.
Per
l’anniversario del suo arrivo a Esqueleto, Mordecai era
rimasto a sistemare e ripulire il Pavo con Mattie, Thomas e Franklin,
alla
chiusura del turno serale. Gli sembrava poetico essere dove tutto era
iniziato,
e quasi nella stessa situazione: Franklin e Mattie stavano ancora
battibeccando
e Thomas cercava di mettere la pezza tra i due litiganti.
Poi vennero il
buio e il familiare ticchettio
dell’orologio-medaglione che scandiva la convocazione al
cospetto di Emanuel. Riprese
i sensi sulla cima di una piramide azteca, con bracieri ai lati a
illuminare la
notte senza luna. Non era un luogo spaventoso, e nemmeno insolito, se
si
tralasciava il fatto che solo una magia avrebbe potuto trasportarlo,
fisicamente o oniricamente, così lontano dal Pavo de Corral.
“Bentornato,
Mordecai” esordì Emanuel. Ecco, erano arrivati
al punto. Quale nuova sfida avrebbe richiesto stavolta quella
divinità così
ambigua e imperscrutabile?
“Niente indovinelli per
oggi, Mordecai. Ciò che ti
chiedo di fare è una scelta”. Quasi che fosse
stato dato un comando invisibile,
entrarono nel suo spazio visivo altre presenze. C’erano
Mattie e Thomas,
svestiti, pallidi e resi muti dalla paura e
dall’incredulità. Erano legati e
trattenuti da un’altra figura, di statura troppo alta per
essere umana, con
dipinti blu sul corpo e una corona di piume del medesimo colore in
testa, ma
dai tratti del viso inequivocabili: era Franklin, apparentemente
dimentico del suo
compagno e del di lui fratello, e in attesa del comando di Emanuel.
“Mordecai…”
si poteva leggere la paura negli occhi di
Thomas. Il fratello aveva altri modi per dimostrarla.
“Lo sapevo, LO SAPEVO che
saresti stato un problema
fin dal primo giorno!”
“La sfida che ti propongo
è molto, molto semplice.
Soprattutto, non ci sarà alcun rischio per la tua
vita” proseguì il moro
ignorando i prigionieri. Franklin
non
aveva ancora battuto ciglio e continuava a tenere saldamente le corde
che
stringevano i polsi delle sue vittime. Mordecai era molto teso ma
rimase a
sentire quanto aveva da dire Emanuel. Sarebbe andato tutto bene come
sempre, o
almeno lo sperava.
“Per liberare tutti,
ho bisogno di molte energie, e immagino che, dopo i mesi trascorsi a
Esqueleto,
sarai venuto a conoscenza di qualche tradizione delle antiche cerimonie
azteche”.
Per sottolineare il concetto, snudò un pugnale di ossidiana
di pregevole
fattura, ma che appariva senza tempo.
Mordecai impallidì
“N-non starai dicendo quello che
penso tu stia dicendo?”
“Non saprei: cosa stai
pensando che io stia dicendo?”
lo canzonò il moro con l’accenno di un sorriso
beffardo.
“Non dirlo più
e torniamo a casa?” azzardò con vocetta
tenue.
“In questo caso il
contratto cesserà”
Giusto….
“Allora”
Emanuel si avvicinò e mise in mano a Mordecai
il pugnale e lo prese di spalle per voltarlo verso il terzetto.
“La tua sfida
consisterà nel consegnarmi il cuore pulsante
di uno dei due fratelli”
I suddetti fratelli, come ovvio che
fosse,
sussultarono, e lo stesso fece Mordecai.
“Tu scherzi!”
“Non sono mai stato
più serio di così” replicò
l’altro,
ed era vero.
“Emanuel, non esiste che
io faccia… ciò che tu mi
chiedi” esclamò inorridito.
Non riusciva nemmeno a nominare
l’atto che era stato
chiamato a fare. Mordecai non riusciva a credere che il moro fosse
giunto ad
ordinargli una cosa del genere! Aveva quasi sperato di aver sentito
male! Erano
passati tanti mesi, aveva vissuto brutte esperienze, eppure era la
prima volta
che realizzava quanto la divinità davanti a lui
fosse… un mostro. Non era vero,
lo aveva pensato anche durante la prima sfida, ma ancora non lo
conosceva… e
ora si rendeva conto di non averlo mai conosciuto davvero.
Con espressione algida, la
divinità continuò il suo
discorso “Quale sacrificio porterai al mio
cospetto?” alzò il braccio verso
Mattie, e Franklin espose il prigioniero alla luce della torcia
“Un cuore
giovane, fiero e impulsivo”
“NO, NO, LASCIALO! SCEGLI
ME, MA LASCIA VIVERE MIO
FRATELLO” gridò Thomas.
Emanuel non diede segno di averlo
sentito, Franklin
non batté ciglio.
“Oppure un cuore saggio e
protettivo, che ha
conosciuto sia il dolore che l’amore?” fu il turno
di Thomas di essere esposto.
“NON OSARE! NON OSARE
TOCCARLO! TI UCCIDERÓ EMANUEL,
FOSSE L’ULTIMA COSA CHE FACCIO!”
minacciò il più giovane dei fratelli. Ma
sapevano tutti che erano parole a vuoto, uno sfogo del tutto impotente,
frutto
della disperazione.
“Scegli la vittima
sacrificale, per la libertà di tutti”
sentenziò crudelmente la divinità.
Mordecai scosse la testa quasi
convulsamente.
“Non posso
farlo… non posso…” era quasi
sull’orlo
delle lacrime. Artemisia, perché non interveniva? Avrebbe
saputo dirgli cosa
fare!
“Allora moriranno
entrambi” decretò Emanuel.
“Cosa..?”
sussurrò Mordecai orripilato.
“Puoi scegliere se
uccidere una persona – e salvare
l’altra – oppure cedere a me il compito, e io
sacrificherò entrambe le vite.
Che siano uno o due, non fa differenza, ma nessuno uscirà da
questa dimensione
fino a che non avrò un cuore umano in sacrificio”
spiegò il moro.
“Ma in questo modo, raggiungere il mio
obiettivo non avrebbe più alcun significato”,
pensò il biondo in presa
all’ansia. Si trovava in una posizione di stallo.
Cosa fare… cosa?!
“Allora,
Mordecai?” incalzò il dio. Non aveva tempo da
perdere. “Chi scegli?”
Mordecai fissava il vuoto. Non
voleva vedere, non
voleva sentire. “Thomas” sussurrò, ma
venne udito da tutti i presenti.
“NOOOOOO,
BASTARDO!” Mattie riprese a gridare a
squarciagola e a dimenarsi mentre la corda, con cui era legato, veniva
assicurata a un anello. Franklin trascinò il
rassegnato Thomas su una lastra
di pietra. Un comune mortale non avrebbe potuto fare quel lavoro da
solo, ma Franklin non lo era
– oh, proprio no – e
Thomas sembrava fin troppo mansueto nel suo ruolo di prescelto. Forse,
era
grato che tale destino non fosse toccato al suo amato fratellino, o
forse era
contento di contribuire alla salvezza di tutti, anche se non ne avrebbe
mai
beneficiato.
Fu solo dopo che Franklin
ebbe finito di fissare le corde del prigioniero alla lastra,
assicurando che il
corpo fosse inarcato a offrire il petto, che Mordecai si
avvicinò all’altare,
mettendo spazio tra sé e il mostro.
Teneva
stretto a sé il pugnale.
“Mi dispiace
Thomas” mormorò, alzando il coltello
d’ossidiana.
Le grida di Mattie si fecero
più isteriche quando, al
calar della lama, tacquero all’istante.
Mordecai non fu in grado di
trattenere i rantoli
spezzati e le lacrime di dolore mentre affondava la lama tra le sue
carni,
cercando di aprire un varco verso il suo cuore.
“U-un cuore umano,
Emanuel… p-per liberare tutt…”
crollò a terra. Se il mostro
voleva
così tanto un cuore umano, avesse avuto la decenza di
prendere quello che
ancora pulsava nel suo petto da solo, visto che il dolore era diventato
a tal
punto intenso da esserne paralizzato.
“Mordecai…”
mormorò Thomas.
Emanuel, dal canto suo, non
sembrava minimamente
turbato dalla scena. Si fece subito vicino al biondo, guardandolo negli
occhi
febbrili. Non aveva bisogno di vedere dove affondare i lunghi artigli
per
estrarre il cuore e mostrarlo al morente.
L’ultima cosa che
Mordecai percepì fu il sangue che
gli bagnava il volto e il cuore caldo appoggiato alle sue labbra;
rivoli
abbondanti di sangue scendevano nella sua gola, soffocandolo.
“Non mi sarei aspettato
nulla di diverso dalla più
misericordiosa tra le divinità azteche”
mormorò Emanuel.
Infine giunse il buio.
“Ora
sei
libero, Quetzacoatl. Torna da me”.
“Il
mio sposo può
tollerare il peso di un debito, ma io no. Benché sua
consorte, non sono certo priva
di potere. Avrai ciò che hai chiesto, Quetzacoatl:
possano i tuoi
desideri realizzarsi, in questa vita o nelle prossime”.
Mordecai si risvegliò al
Pavo sussultando
violentemente. Come sempre, al termine delle sfide, sembrava aver
vissuto solo un
incubo. Era la prima volta tuttavia che l’esito della sfida
era stata la sua
morte, quindi tutto poteva credere il biondo tranne che si sarebbe
risvegliato
in un posto che non fosse l’Aldilà.
E invece si trovava al locale,
rimasto come lo aveva
lasciato. Ma mancavano… dove erano finiti Thomas e Mattie?
“Mordecai”
Artemisia, Ebenezer, Thomas e Moravich
erano inginocchiati accanto a lui e lo guardavano con attenzione. Ma
era
strano… erano loro? Mordecai strinse gli occhi, senza
rispondere al richiamo.
Li vedeva… ma allora perché intravedeva anche la
loro forma di divinità, alta eppure
impalpabile? Anche Ebenezer, bellissima come sempre ma…
aveva una figura eterea
alta, dipinta e vestita con penne e fiori che lasciavano poco spazio
all’immaginazione… ma Mordecai era troppo turbato
per imbarazzarsene;
oltretutto, trovava il suo aspetto stranamente familiare.
“MORDECAI!!!”
la voce di Franklin irruppe in tutta la
sua esuberanza e andò ad abbracciare il biondo da dietro,
sollevandolo di peso
e facendolo urlare dallo spavento. Sembrava essere come al solito, ma
eccessivamente felice di vederlo.
“Bentornato, fratellone!
Sono così contento che tu sia
tornato” ok, se aveva ricordato la stessa terrificante
esperienza che aveva
vissuto lui, allora aveva senso tutto quell’entusiasmo; ma da
quando in qua lo
chiamava fratellone? E quell’eterea corona di piume blu sulla
testa?!
Qualcosa stava combattendo per
arrivare alla sua
coscienza, ma l’istinto gli impose di non occuparsene.
“Franklin, dove sono
Thomas e Mattie?”
“Siamo qui” i
fratelli erano defilati poco distanti, e
per la prima volta da quando lo aveva conosciuto, Mattie non lo
guardava più
con il solito astio. Questo cambiamento allarmò Mordecai
più del dovuto. Ma ciò
che più lo destabilizzava… erano le figure
eteree, ma più luminose, che
emanavano i loro corpi. Quindi anche loro erano…
divinità?
Quetzacoatl
non avrebbe dovuto sentire quella conversazione.
“Anticipare
la fine dell’Era del Quinto Sole? Non sarà
azzardato?” chiese Itzlapapalotl.
“Sangue
ne
avremo in abbondanza, con le carneficine degli umani, e il sole non
correrà certo
il rischio di fermarsi. Ma i Mexica stanno soccombendo. Presto saremo
dimenticati e, a quel punto, perché mai dovremmo continuare
a fornire loro i
nostri doni?” ragionò Huitzilopochtli.
Mordecai si scansò da
tutti. L’inquietudine cresceva
dentro di lui, assieme alla consapevolezza.
“Se non serve altro, io
tornerei a casa. Sono molto
stanco”.
“Ma
come…” Franklin aveva iniziato a protestare ma
venne interrotto da Moravich.
“Ti
accompagniamo” disse prontamente quest’ultimo,
seguito da un cenno silenzioso del gemello al suo fianco.
“Non serve. Vorrei stare
da solo”
“E perché mai?
Viviamo vicini”.
“Già, viviamo
vicini…” si arrese il biondo.
Salutati Franklin, Mattie e Thomas,
il gruppetto era
sul punto di partire.
A un passo dalla strada, Mordecai
esitò. Gli altri lo
osservavano. Doveva ignorarli. Nulla accadde quando mise il piede fuori
dalla
zona sicura del Pavo. O meglio, qualcosa era accaduto: camminava ancora
sulle
sue gambe umane. Ma aveva paura a guardarsi.
“Mordecai…”
“Andiamo a
casa” interruppe il biondo. Non. Voleva.
Parlarne.
“Ma..”
“No!”
E si avviarono, in silenzio.
“E
Quetzacoatl ce lo lascerebbe fare?” chiese Xipe- Totec.
“Ha
poco da
fare, se le altre divinità non lo appoggeranno”
ribatté Tezcatlipoca.
“E
comunque
si ritornerà al punto di partenza, se Quetzacoatl
vorrà ripopolare -
di nuovo! – la Terra in un’eventuale Era
del Sesto Sole. Ammesso che la vogliamo veramente”
commentò Huitzilopochtli.
“Non
accadrà”
disse Itlazcoliuhqui-Ixquimilli “Mi avete detto di tenerlo
lontano dalle
faccende degli umani, perché se ne dimenticasse, e
così ho fatto”
“Che
fratello
fortunato” commentò sarcastico Tezcatlipoca
“Ha trovato un amante così
appassionato da fargli dimenticare l’umana che Xochipilli ha
spedito dritto nel
Mictlan”.
Itlazcoliuhqui-Ixquimilli
non replicò.
“Vanificando
la mia vendetta” brontolò Xochipilli.
La tensione si poteva tagliare con
un coltello.
Mordecai sentiva tutti gli occhi carichi di aspettativa su di lui. Loro
sapevano. Loro hanno sempre saputo.
Mancavano pochi metri alla sua
casa. In lontananza,
poteva vedere le lucine del cimitero.
“Quando
avrai
bisogno di stare da solo per un po’, potrai venire
qui”.
Alma…
…Mictlancihuatl…
… Malintzin?
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