La spiga di grano

di CatherineC94
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo Primo. Le origini- Agata e Giuliano ***
Capitolo 2: *** Capitolo Secondo. Di quando Agata comprese che il silenzio potesse essere assordante ***
Capitolo 3: *** Capitolo terzo.Di quando Giuliano si rese conto che il poco è molto ***
Capitolo 4: *** Capitolo Quarto.Di quando Agata capì che il mondo è chi ami ***



Capitolo 1
*** Capitolo Primo. Le origini- Agata e Giuliano ***


Capitolo 1
Le origini- Agata e Giuliano



 
La mattina si stagliava piano sulla piccola cittadina; tutto era silenzioso, tenue. Le prime luci dell’alba sfioravano le colline color del grano. Le montagne d’altro canto non erano immuni a quella carezza innocente del sole; erano silenti, ma con fare quasi autoritario circondavano le piccole colline. Quella mattina non faceva caldo, ma un vento semplice e senza pretese dava l’idea della caducità della stagione. L’estate era da molti bramata; i poeti la decantavano. Era sempre stata l’apoteosi della libertà, del concetto precario della possibilità. Ma in questa storia non si parlerà di poeti o scrittori; bensì di una giovane donna che negli anni  primordiali dell’umanità si trovava a vivere negli angoli più remoti del mondo. Questa è la storia di Marianna Monastrulli, prima figlia dei coniugi Monastrulli, eredi in disgrazia di un’antica casata dei Borboni, che fra investimenti avventati e avi ubriaconi videro tutta la fortuna sfumare davanti ai propri occhi. Quindi, caduti in disgrazia i nonni della giovane protagonista della vicenda dovettero emigrare, spingendosi verso l’interno dove piccoli agglomerati cittadini creavamo piccoli mondi che si estraniavano da tutto e da tutti. La piccola cittadina scelta fu come la pioggia a maggio, disattesa ma prolifica. I Monastrulli si ritrovarono in un micro cosmo, diffidente all’inizio ma che con il passare degli anni  si spalancò, dando infine una seconda possibilità. Non esistevano strade in pietra o ponti; il piccolo insediamento era tutto in salita e Agata Mafrici, nonna paterna di Marianna pensò che in realtà la salita era una condizione basica della vita degli esseri umani. Non avevano le scarpe o gonne di seta colorate e nemmeno scialle come il suo di  quel color turchese che spesso le ricordava il mare che si affacciava dalla casa paterna. Sospirò triste; quei giorni erano come un’altra vita quasi non la sua. Ricordava ancora sua nonna, che con le sue mani rugose le diceva che sposarsi era un fatto assai importante per una giovinetta; le diceva con la sua voce arrocchita dagli anni che chi si sposa cambia vita completamente e che la casa dei suoi genitori doveva scordarla. Sarebbe diventata madre, ma soprattutto moglie di un uomo che in realtà conosceva così poco e che aveva intravisto solo di sfuggita una volta fra i campi. Era estate, stavano mietendo il grano e ne ricordava le spighe al vento; alzando gli occhi dai cumuli che suo padre stava allestendo lo vedi camminare spavaldo. Giuliano Monastrulli, disse sua mamma quella sera, era un partito assai buono per lei. Non solo era un bell’uomo, ma era di famiglia buona con i ninnoli. Agata ricordava il momento esatto durante la quale aveva guardato sua madre in modo stranito; non ne sapeva niente di uomini e tanto  meno voleva iniziare in quel preciso instante. Si sentiva impreparata, era giovane si e no sedici anni; ancora adorava giocare con il fratellino piccolo Stefano. La sera si dondolava fra le braccia della sua nonnina Antonia e figurarsi se aveva la voglia o il desiderio di essere madre o moglie. Suo padre invece fu inflessibile; un’occasione del genere non poteva essere persa; Agata invece di perso vedeva solo se stessa.
E così si era ritrovata su un letto vestita di bianco senza sapere e senza volere. Il marito Giuliano, l’aveva guardata in un modo strano quella notte; i suoi profondi occhi marroni si disse tra sé e sé Agata, sembrano un fiume in piena. Ricordava a distanza di anni il suo matrimonio come se fosse ieri; a quei tempi le feste erano meno sfarzose.  La sartina del paese aveva cucito un abito bianco, la madre assieme alle zie ed alle sorelle avevano cucinato, e in men che non si dica si era ritrovata con una fede al dito e seduta di lato ad uno sconosciuto che, funzione a parte non aveva spiccicato parola con lei nemmeno una volta. Finita la festa, il cuore sprofondò nella desolazione quando si rese conto che la sua famiglia si stava allontanando per andare via; il piccolo Stefano piangeva, le altre sorelle la guardavano tristi e lei voleva urlare, non andate, non andate! Io non so cosa possa significare essere una  moglie!. Sua madre forse la capì, e avvicinandosi le strinse la mano e le sorrise, quasi come per dirle la vita va così figliola…accettala.
E la notte scese, e con quest’ultima caddero le prime lacrime di Agata; entrò nella piccola casa di due stanze che i suoi suoceri avevano regalato alla coppia e si sentì persa. Non c’era il suo letto, non c’era la sua cucina non c’era forse nemmeno più lei; la piccola Agata era come morta dentro di lei, sopraffatta da un’altra Agata, con un vestito bianco e uno sconosciuto di lato. Giuliano entrò con fare furtivo; lei pensò subito che non era un uomo di tante parole e così fu. La guardò in un modo così strano che quasi lei avvampò; si avvicinò e le disse “Andiamo di là?”.Lei dondolò sul posto e seguendolo  si rese conto che ora davvero iniziavano i problemi; si sentì ancora una volta impotente di fronte alla vita. Mentre si stendeva a letto il marito la guardò ancora e le disse:” Ora sei mia moglie”.
Così iniziò la sua nuova vita, che poco tempo dopo la trascinò in quel posto sperduto fra le colline e le montagne; a niente erano servite le sue parole, Giuliano aveva deciso di cambiare aria e vita. Ricordava ancora i visi tristi dei suoi genitori quando partirono; in qualche modo si erano forse pure pentiti di averla fatta sposare con quell’uomo che in realtà si era dimostrato un povero in disgrazia che la stava trascinando via da loro. Sua madre la guardava addolorata mentre trascinava un grosso sacco con i suoi vestiti e con la mano lisciava il suo ventre; si perché era incinta e i suoi genitori non avrebbero  mai incontrato suo nipote.
Agata ricorda ancora gli sguardi delle persone  mentre camminavano nel centro del paesello; erano timorosi, curiosi e diffidenti. Nessuno aveva le scarpe, erano tutti senza scialle e le donne avevano lunghe gonne con pieghe; i capelli acconciati con delle trecce e trasportavano delle ceste sopra. Giuliano, camminava piano per tenere il passo della moglie; durante il viaggio si era dimostrato molto diverso da quello che aveva pensato la moglie. Agata che in un primo momento l’aveva odiato per averla separata dal suo mondo, scoprì un uomo che amava parlare; era anche divertente e per certi versi premuroso. “Vieni, ci siamo quasi. Vincenzo mi ha detto che si saremmo visti qua davanti alla chiesa” le disse tranquillo. Agata annuì e sospirò. Il piccolo paese aveva sì e no una cinquantina di case piccole, baracche e una piazza dove c’era una chiesa di legno dove si venerava il Santo cugino di Gesù Cristo e un comune; di sopra però le dissero nei giorni successivi c’erano altre case e una residenza nobile. Arrivati davanti alla chiesetta, un uomo basso e tarchiato li aspettava sorridente e alzando la mano  fece capire chiaramente che il Vincenzo di cui parlava Giuliano era proprio costui. Vincenzo Spadafora, da quello che capì Agata, era un omuncolo molto intelligente ed astuto¸ conosceva da anni Giuliano e gli aveva non solo procurato una casa ma un lavoro, come spaccapietre alla montagna assieme agli altri uomini del paese. Agata non riusciva a capire come mai un uomo del genere dovesse fare così tanto; e suo marito quella sera stessa le disse che doveva molto a suo padre e che in certo senso, facendo tutto questo quasi collimava il tutto. Lei era esausta; avevano camminato per tre giorni, ed entrando nella piccola cosa che d’ora in poi sarebbe stata loro le provocò un moto di gratitudine e felicità. La casa era sopra la piazza; costruita su due piani aveva tre stanze; una piccola cucina con un camino una stanza vuota e un’altra dove si trovavano un letto ed un baule. Vincenzo quella sera gli aveva portato del pane e del formaggio, che avidamente mangiarono sul letto scomodo e freddo. Giuliano la guardava come sempre senza dire niente, e Agata si chiese perché mai facesse così. All’improvviso con una mano le accarezzò il volto, lasciandola spaventata ed interdetta; lui invece continuava a guardarla chissà perché. Agata voleva urlare e dirgli parla cavolo, parla!. Ma lui la fece stendere e abbracciandola per la prima volta le disse” Domani mi alzerò presto, starò una settimana in montagna con gli altri uomini”. Ad Agata mancò il respiro, che cosa avrebbe fatto lei,  in quel mondo così  estraneo da sola? Quasi come se Giuliano avesse avvertito la tensione disse ancora:” Stai tranquilla, domani verrà la moglie di Vicé e ti aiuterà un poco. Voglio che ti ci abitui e voglio che mi onori”. Quasi tremante le baciò la testa e il ventre con il rigonfio appena accentuato; ed Agata lo guardò ancora una volta sorpresa; alla fine lui aveva solo diciotto anni e lei sedici. Fece qualcosa che non aveva mai pensato di fare; alzò la mano imbarazzata e la poggiò sulla sua guancia. Giuliano la guardò con occhi sorpresi; Agata non aveva mai fatto qualcosa del genere in quei due mesi di matrimonio, anzi era sicuro che lei lo odiasse. In realtà, Agata aveva ancora nella tasca del suo grembiule una spiga a ricordo del giorno di mietitura, quando lo vide per la prima volta.
 
 
 
Continua…





Buona sera a tutti, sono Caterina.  I primi capitoli sono incentrati su Agata e Giuliano, ma la vera protagonista della storia è Marianna, nipote della donna. Ci troviamo nei primi anni del 1900, nel profondo sud d'Italia. Spero con tutto il cuore che l'idea vi piaccia, fatemi sapere un bacio!
 
 
 
 

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Capitolo 2
*** Capitolo Secondo. Di quando Agata comprese che il silenzio potesse essere assordante ***


 
Capitolo 2
Di quando Agata comprese che il silenzio potesse essere assordante
 
Quando le prime luci dell’alba inondarono la piccola finestra del cucinino, Agata si girò nel letto e lo scoprì freddo e vuoto. Per un istante si ritrovò nella sua piccola stanza a casa dei suoi genitori, e si sentì leggera, beata in quell’oblio. Però, la realtà le si presentò cruda e diretta e in men che non si dica si ritrovò in quella casa strana, in quel mondo estraneo. Alzandosi, non trovò la giacca di velluto di Giuliano e si ricordò con un moto di tristezza che era andato via; aveva detto una settimana e le era parso che in quell’instate che il pavimento si aprisse e che l’avesse inghiottita.
Nelle ore successive Agata si diede da fare come sua madre e a tempo suo, sua nonna le avevano impartito; era piccola ma lei l’aveva resa molto accogliente. Si scoprì stanca e malferma e si toccò il ventre; respirando piano si sedette di nuovo su quel letto vuoto e scomodo provando a riposarsi. I pensieri cominciarono ad affollare la sua mente; aveva bisogno di un forno, aveva bisogno di un terreno aveva bisogno di tante cose che, con un moto di rabbia improvvisa ricordò di avere a casa sua. Chiuse gli occhi stanca ancora una volta ed esausta e ricolma di sopportazione; sua madre le diceva sempre che la carne cotta non poteva tornare indietro alla macelleria,quindi era inutile pensarci.
Un vociare la distrasse e un rumore di passi che si avvicinavano la misero all’erta; di solito non era una tipa paurosa, suo padre le diceva sempre che la gente avrebbe  dovuto avere paura di lei e della sua furia quando si arrabbiava , ma in quel momento si sentì inerme come un bambino solo al mondo. “Agata! Agata! Esci un attimo, sono la moglie di Vicé”urlò una voce. La giovane sospirando si alzò dal letto e aprendo la porta si sporse dalla scala della sua nuova casetta. La scena che le si presentò innanzi era come in realtà aveva immaginato; una piccola folla di donne l’attendevano smaniose di vedere la nuova attrazione del posto così che quella sera avrebbero avuto molto tempo per ricamarci sopra. La moglie di Vincenzo, che scoprì poco dopo si chiamava Maria, in un primo momento la lasciò interdetta. Se il marito ero tarchiato e tozzo, la donna era alta, slanciata e robusta; il viso aveva lineamenti molto belli e gli occhi erano grandi come due tazze del caffe, come quelle che aveva la sorella di sua madre, la zia Pina. Ad Agata le mancò quasi la parola  di fronte a tanta bellezza e senza pensarci due volte disse un :”Buongiorno sinceramente non mi aspettavo che  foste così”. La donna inarcò le sopracciglia e fece una smorfia che ad Agata sembrò una specie di sorriso sghembo dicendo:” La sincerità è già una cosa buona”. Le altre donne la guardarono stranite per la confidenza che si era presas e facendo un cenno se ne andarono, ognuna di loro indaffarata a compiere il proprio compito; dal canto suo Agata chiuse la porta di casa e tenendosi il ventre scese la scala avvicinandosi a Maria. La donna ancora sorridente iniziò a raccontarle un po’ della sua vita e del piccolo paese; Agata l’ascoltava avida di notizie e le sembrò che forse un’ancora fosse stata gettata là, in quel mare così sconosciuto che tanto le faceva paura. Scoprì che Maria aveva sposato suo marito per amore contro il volere dei suoi genitori che senza battere ciglio l’avevano cacciata di casa; essi non approvavano un genero così equivoco ma soprattutto così diverso dalla figlia, bella e slanciata. Disse che ricevette almeno quattro proposte di matrimonio da giovani promettenti ma che senza alcun dubbio aveva già scelto suo marito; sua madre non le aveva rivolto più la parola dopo il suo matrimonio. “ A me non fa differenza, se io sono grande e lui piccolo, sul letto siamo tutti uguali” disse ridendo sguaiatamente, mettendola in imbarazzo. Questi discorsi per Agata erano un capitolo chiuso a chiave in un angolo della sua mente e non ne voleva parlare, i ricordi erano ancora vivi e traumatici. Comunque si ritenne fortunata; Maria le spiegò più o meno il paese, dove andare a lavare i panni e le disse che avrebbe potuto usare il suo forno in pietra per cuocere il pane. Mentre tornava a casa iniziò a pensare che la vita è continuamente soggetta a mutamenti e lei non era altro che un piccola parte di quel mare in tempesta; lei lo ricordava altero e rumoroso durante la sua infanzia. Sua madre spesso con un baffettone in testa la sgridava, mentre stava per ore intere a guardare il mare dalla finestra. Da piccola si disse che sarebbe stata anche lei come il mare, forte ed imprevedibile ma soprattutto indomabile; nemmeno le grandi barche riuscivano a scampare alla sua ira. Purtroppo crescendo, scoprì come in realtà la vita fosse uguale al mare e lei era diventata come una piccola braca a vela, sopraffatta.
 
Le montagne si stagliavano imponenti verso il cielo, e lambivano le colline sottostanti dove Giuliano si disse che Agata fosse; la immaginava anche, mentre si muoveva  tranquilla e silenziosa. Lui era molto lontano, però gli piaceva pensare che il suo pensiero fosse come un’aquila che volava  altrettanto lontano e rapidamente. Seduto su un masso, aspettava di riprendere lavoro fino a sera; la paga era buona il lavoro terribile e sfiancante però sapeva che ne valeva la pena. Il paesaggio che si presentava di fronte ai suoi occhi gli sembrava così potente che sentì un peso sullo stomaco; sopraffatto da tutto ciò fu certo che la sua città natale si vedesse in lontananza. La montagna era così alta, che si vedeva dall’altro capo del mare e un piccolo senso di mancanza riaffiorò nelle sue membra stanche; però il senso di rivincita subentrò nel suo animo, giustificando la scelta che fece molto tempo prima. Di nuovo i pensieri ritornarono su sua moglie; ricordava bene il giorno in cui si era messo in testa che l’avrebbe sposata. L’aveva vista poco tempo prima mentre andava in chiesa; furono in realtà gli occhi che lo catturarono in un primo momento, blu come il cielo che gli diedero un senso di possibilità. Ricordava ancora quando quella sera, tornato a casa lo disse a suo padre che senza mezzi termini ribattendo disse” Non ho soldi per campare te immagina un’altra”. Lui battendo un piede gli disse che non aveva bisogno di lui o di chicchessia; non gli importava molto dei blasoni o di titoli che nascondevano la povertà e la fame più assoluta. Così, il padre gli aveva detto che per un mese avrebbe fatto finta di donargli la casa, ma che avrebbero dovuto sloggiare; e così fecero. Si sentì tutto tranne che un uomo in quel momento; lui sapeva che Agata in realtà lo odiava per averla trascinata là. Giuliano si sentì un debole, forse non avrebbe dovuto nemmeno sposarla visto e considerato che non aveva di che mangiare; però l’idea che qualcun altro potesse prendersela gli fece torcere le budella e così eccolo, a spaccare pietre dalla mattina alla sera per venti soldi.”Forestiero non ti pago per stare seduto” gli urlò il capomastro e si alzò. Ogni pietra che spaccava era un passo avanti e si costringeva a chiudere gli occhi, ricordandola seduta in quel campo durante quell’afoso giorno, mentre guardava il cielo e lui aveva trovato il suo.
Dopo pochi giorni Agata aveva messo sopra un casa fatta e finita; aveva iniziato a fare amicizia con le vicine di casa chiassose e forse un po’ troppo impiccione. Di fronte alla finestra nel cucinino viveva Donna Santa, moglie del custode del cimitero, da tutti conosciuto come il morto addormentato. Felice Mannino era alto e secco, con un’espressione stordita come se si fosse appena alzato dal letto; era guardato a vista da tutti poiché il dannato mestiere che faceva lo metteva continuamente a contatto con la pena che ogni uomo doveva subire, la morte. Così, ogni persona che passava di lì faceva le corsa, o diceva preghiere alla Vergine Santissima in silenzio, scatenando le grida della moglie che inviperita mandava maledizioni di ogni sorta; molte volte Maria le aveva detto sottovoce che secondo lei era la moglie la iettatrice e non il marito che ero addormentato due volte su tre. Agata la trovava invece molto laboriosa; la vedeva sveglia alle prime luci dell’alba che già si dava da fare ma anche molto scorbutica col marito e con i due figli, Nino e Pasquale che metteva a stecchetto meglio dell’arma di sua Maestà il Re. Attaccata a Donna Santa, viveva invece la signora Paola, molto criticata da tutti poiché non si era mai voluta sposare e preferiva vivere da sola “Forse durante il giorno, ma la notte li sento io i rumori strani”le aveva detto convinta Fortunata , l’altra vicina  che chissà per quale recondito motivo voleva a tutti i costi screditarla. Fortunata era una donna con folti capelli biondi e occhi chiari; aveva due figlie, che a prima impressione avevano una sola caratteristica: la superbia. La madre voleva a tutti i costi maritarle, ma aspirava a partiti eccellenti, e se il pastore aveva le mani che puzzavano di formaggio, il muratore le aveva imbrattate di calce e via dicendo. Agata provava ad ogni modo, ad inserirsi e pacificamente non patteggiava né con una e né con un’altra; anzi, era cordiale e gentile con tutti. La mattina governava la casa, faceva il pane aiutata da Maria e da sua suocera Anna ; nel pomeriggio si recava nei piccoli edifici dove riusciva ad acquistare qualche cereale a buon mercato e la sera si ritrovava da sola con la candela accesa, un pezzo di pane e qualche fico che aveva fatto essiccare. Metteva infatti da parte il cibo per il ritorno del marito, e si arrangiava come poteva aiutato da Maria che le vendeva qualche uovo o pezzo di formaggio. Un giorno mentre spazzava giù nelle scale vide che la casa aveva un piccolo spazio chiuso sotto di esse; subito le balenò in mente un’idea. Camminando, si diresse verso il mercato del paese, dove un giovane vendeva galline e decisa a voler tenere qualcuna si mise a contrattare; quando la vide l’uomo fu quasi sorpreso. ”Questi sono affari degli uomini e non vostri” ribatteva, mentre lei non badandolo minimamente continuava contrattare; dopo due ore e parecchie parole era riuscita a comprarne tre con un soldo. Soddisfatta grazie a due vecchi recinti trovati abbandonati per strada riuscì a mettere in piedi un pollaio di tutto rispetto e in men che non si dica la voce si era sparsa. Scaduta una settimana, Agata aspettava il ritorno del marito; intanto si guardava nel piccolo specchio mezzo rotto della stanza da letto e si vide completamente diversa. Un tempo sua nonna l’aveva avvertita di non farsi sottomettere dalla carestia o dalle situazioni; avrebbe dovuto sempre tenersi buona per il marito sennò avrebbe trovato rifugio nei posti altrui. Così si ritrovò ad allisciare i lunghi capelli castani ed a provare ad aggiustarsi il vestito, che le andava un po’ stretto e che sapeva che sarebbe stato inutile da lì a due mesi. Aveva preparato tutto il cibo che aveva risparmiato per una settimana intera così, seduta nel tavolino si mise ad aspettare;  fuori dalla casa era invece iniziato un via-vai di persone, per precisioni di uomini che dopo averla vista contrattare col mercante se ne erano infatuati. Ormai le loro mogli gli sembravano come i ceci vecchi del raccolto degli anni passati; i capelli di Agata erano decantati e il fisico delicato appena arrotondato e arricchito dai primi mesi della gravidanza era il tempio più attraente del mondo. Gli uomini passeggiavano, e Donna Santa cominciò a sospettare perfino un attentato al suo Felice; dall’altra parte Fortunata aveva gli occhi languidi e brillanti per l’eccitazione per tutta quella insolita processione. Finalmente Mariangela e Vituzza si sarebbero sposate; avrebbe così potuto sfoggiare il vestito che da anni teneva nel baule e che ogni tanto ricuciva perché bucato dalle tarme; ma era pronto all’utilizzo.
Noncurante di tutto questo, Agata era crollata sulla sedia mentre la notte era già scesa. Quando Giuliano entrò rimase di stucco nel vederla ancora lì; non sembrava più lei e una settimana pareva fosse stata un anno. Accese la candela che si era spenta e la prese fra le braccia mettendola sul letto; consumò in fretta la cena accomodandosi nel suo lato del letto; la guardò silenzioso. Agata aprì gli occhi e non credette che fosse davvero suo marito; lui alzò la mano e le carezzo il viso, non tremava più. Lei abbassò gli occhi e il suo stomaco brontolò. Giuliano come fulminato si era reso conto che forse lei nemmeno aveva mangiato, e quasi furioso ed indispettito si alzò dal letto per raggiungere la sua sacca che aveva poggiato poco prima sul tavolo; tirò delle pere e delle noci che aveva raccolto in montagna e le disse perentoriamente di mangiarle “Non ho di che farmene di una moglie morta di fame”. Mente Agata mangiava silenziosa, Giuliano la guardava stranito come se fosse in un altro pianeta; il gesto che lei aveva fatto l’aveva sorpreso; lei non si era mai dimostrata in fatti o parole attaccata a lui prima di allora. L’unica volta che erano stati insieme come marito e moglie era avvenuto si e no tre mesi fa; non fu tranquillo come una passeggiata, anzi lei era spaventata e lui ci era rimasto pure male in fondo. Da quel momento, tranne che per qualche carezza al viso nemmeno si era avvicinato, per paura di spaventarla; l’aveva scoperta come timida in apparenza, ma che in molti casi si tramutava in un qualcosa di più selvaggio e forte. Comunque la trovò bella e piena, anche se non più acerba come lo era stata un tempo; e anche se aveva almeno il desio di toccarla si trattenne dal farlo quando la vide persa e rossa in viso. “Grazie. Ho comprato i polli, e ho aggiustato quello che potevo in casa” disse mesta facendo il resoconto al marito che annuendo rispose:” Domani andrò a vedere io. Questa” disse mostrandole una saccuccia viola :”E’ la paga della settimana, voglio che la gestisci tu d’ora in poi. Mi hanno detto che posso andare a lavorare una settimana si e una no. Mi sono accordato con Don Pietro Miranno, e durante le settimane che sono qui farò da garzone nelle sue terre” concluse Giuliano. Agata annuì e gli disse mentre conservava i soldi sotto un mattone nel pavimento :” Ci serve un pezzo di terra e un forno. Per ora Maria mi lascia usare il suo, però debiti non ne voglio con nessuno”. Giuliano la guardò curioso e si chiese se una settimana bastasse per far crescere un cristiano; certo ciò che chiedeva era oneroso però avrebbe in qualche modo fatto. “ Mi informo e col tempo si fa” rispose sorridente. Agata annuì e si scoprì sorpresa nel vederlo sorridere, non era mai accaduto e così si girò  rossa in viso mentre si spogliava della gonna e si metteva la vestaglia da notte. Giuliano distolse lo sguardo, era anche lui rosso, imbarazzato da chissà che cosa non lo sapeva neanche lui; così si spogliò e si mise sotto le coperte. Agata lo raggiunse e lui ancora una volta l’abbracciò da dietro; lei mesta sorrise e chiuse gli occhi; quella notte il silenzio era più assordante del solito e mentre dormivano anche Giuliano pensò che valeva la pena rompere pietre anche con la testa, se alla sera l’abbracciava e sentiva il suo cuore pulsare. Aveva diciotto anni, e il desio animale del suo corpo lo sentiva  forte e chiaro, ma quella volta si riempì di altro e scoprì che davvero il silenzio della sua casa era scandito da sua moglie e dal loro figlio che dal suo ventre  li univa.

Continua.....





 
Grazie a tutti colore che hanno letto e recensito. Spero che questo capitolo sia di vostro gradimento, devo ammettere che adoro scrivere di Agata e Giuliano e ne avrò per almeno altri due capitoli, dopodichè l'asse temporale si sposterà finalmente su Marianna, nipote di Agata e durante il secondo conflitto mondiale.
Vi ringrazio per la vostra attenzione e attendo le vostre opinioni!

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Capitolo 3
*** Capitolo terzo.Di quando Giuliano si rese conto che il poco è molto ***


Capitolo 3
Di quando Giuliano si rese conto che il poco è molto
 
Nella piazza ovale il sole regnava impetuoso è forte; il caldo era quasi asfissiante e in lontananza si sentivano le cicale acute ed imperterrite che cantavano. Era estate, nel mese che tutta la popolazione aspettava per un anno; era il mese della festa del Santo Patrono che, senza togliere importanza alle altre sacre celebrazioni, risvegliava nei cuori di tutti devozione e spensieratezza. Infatti non era inusuale trovare nello spiazzo piccoli agglomerati bianchi che provocavano un vociare ancor più molesto delle cicale stesse; erano gli uomini del paese che riuniti a gruppi si sfidavano a carte. Quando si andava in piazza era d’obbligo indossare il cambio con la camicia bianca che la moglie aveva preparato ed era subito un “Venite che ci scialiamo”, oppure” Non reggete la perdita della volta precedente”. Quel giorno un panciuto uomo di nome Gregorio Bonifati era immerso in una mano a scopa  che aveva provocato già tre conflitti con i suoi avversari; li guardava taciturno ma sospettoso all’erta, aspettando una mossa qualsiasi. Di fronte a lui sedeva il camposantaro, Don Felice tutto sudato, concentrato a contare i numeri delle carte come lo era quando doveva contare le fosse da scavare al cimitero. Don Gregorio non lo vedeva addormentato come dicevano tutti, anzi tutt’altro; lo credeva un uomo furbo che recitava un ruolo per potersene stare buono e tranquillo. L’altro avversario era Pietro Branca, il pastore che aveva parecchi debiti con lui; apprezzava il suo sangue freddo ma era un ammasso di muscoli e di poco cervello; di lato c’era suo fratello, Bruno che svogliato aveva già da tempo abbandonato la partita. Era giovane, senza moglie e in molti casi impulsivo; aveva avuto molto a che fare con le sue bravate, ma lui Don Gregorio di problemi nel paese non ne aveva. Tutti lo rispettavano in un modo o nell’altro. Mentre chiudeva la partita con una mano vincente, notò la figura del forestiero che saliva tutto sudato e trafelato da sotto la piazza; non aveva avuto modo di parlarci ma aveva sentito dire che veniva da una famiglia che non scherzava. Da quello che le sue fonti gli avevano detto dopo qualche birra era un lavoratore che si faceva gli affari suoi; aveva pensato a qual punto ch’era meglio così, di spioni ne aveva già fin troppi. La moglie invece, pareva essere l’esatto contrario; già da pochi giorni si era fatta notare da tutti; le donne la guardavano con invidia e gli uomini con desiderio. Don Gregorio l’aveva adocchiata qualche giorno prima mentre prendeva un secchio d’acqua alla fonte; certo era davvero bella e non poteva dare torto a chi la seguiva o la desiava però  gli dava l’impressione di essere selvaggia. Notò all’improvviso che suo fratello Bruno si era svegliato all’improvviso e i suoi occhi erano puntati verso qualcosa, per l’esattezza su  qualcuno; era Vituzza, figlia dei Mastanzi, che abitavano vicino al forestiero. Don Gregorio non era molto favorevole a questa unione; la madre della giovane non brillava per la sua simpatia, anzi tutt’altro. Così tirò uno scappellotto al fratello dicendo :” Se mettessi la testa sulle carte come la metti sulla figlia di Mastanzi a quest’ora non dovrei pagare due birre a Don Felice”.
Quella mattina Agata si era svegliata presto; il sole non era ancora sorto quando aveva già sfornato una decina di pani dal forno di Maria. Caricò il tutto su una carriola lasciando due pani alla donna e si incamminò verso casa che non distava molto; suo marito era già andato a lavorare nelle terre di Don Pietro e lei si lambiccava il cervello su cosa avrebbe dovuto cucinare a pranzo. Mentre camminava il paesino aveva iniziato a riprendere vita; chi andava chi veniva. Tutti ormai la salutavano con cenni e qualche chiacchera; Agata sorridente rispondeva a tutti. Arrivata a casa iniziò a mettere a posto e cucinare qualche cereale; accese il fuoco e diede da mangiare alle galline e sospirando si poggiò al muro toccandosi il ventre. Ormai era cresciuto un bel po’ e qualche volta Agata poté giurare di sentire un movimento lieve provenire da lì; iniziava purtroppo a sentirsi appesantita. I vestiti le stavano davvero stretti; il seno era lievitato per non parlare delle gambe. Seduta sul piccolo muretto sotto casa, si mise a pensare su quello che era successo in quegli ultimi tempi; il marito era davvero cambiato e a stento riconosceva il giovane timido che aveva sposato. Molte volte mentre era indaffarata lo scopriva che la fissava, strano con quegli occhi grandi dove lei aveva visto una strana luce che l’aveva lasciata inebetita. Era inoltre molto più schivo; la sera quando si mettevano a letto si girava e nemmeno la voleva guardare; lei si sentiva a quel punto molto sola ed abbandonata a se stessa. Dalla casa di fronte, vide Donna Paola affacciata che stendeva il bucato; la salutò e lei ricambiò entusiasta. Agata era ben amata da tutti, e nessuno in particolare aveva da ridire a parte Fortunata che, quando si era resa conto che l’andirivieni di giovanotti non era per le sue figlie iniziò a criticarla con qualsiasi donna che gli capitasse a tiro. Agata ignara di tutto questo dopo che ebbe terminato di cucinare si sedette sulla scala pensierosa; “Buongiorno” dissero due voci salutandola da dietro. Erano due uomini che lei aveva visto al mercato il giorno prima; la fissavano in modo strano tanto che Agata si sentì molto a disagio mormorando un saluto atono in risposta. “Cosa fai qui?”chiese un’altra voce interrogatoria dietro le sue spalle; Agata sobbalzò e girandosi si accorse ch’era Giuliano. Tutto impolverato, con una zappa poggiata sulle spalle e con uno sguardo furente. “Ti aspettavo”rispose la donna tranquillamente, alzandosi e precedendolo in casa; egli non sembrò affatto convinto e guardandosi intorno stizzito chiuse la porta.
Dalla porta finestra di fronte, Donna Paola aveva assistito alla scena. Sospirando, pensò che i tempi cambiano ma le persone no; infatti in Agata rivide se stessa di quasi dieci anni fa. Paola Maratone si guardò allo specchio e si riconobbe  diversa persa nel fumo nocivo dei suoi ricordi. Si, perché per lei i ricordi erano qualcosa che piano piano la stavano uccidendo dentro; un tempo anche lei era stata  giovane e purtroppo innamorata. Ricorda bene come, persuasa all’idea che l’amore fosse qualcosa di possibile si abbandonò nelle braccia di un uomo che si dimostrò essere un traditore. Era giovane ed ingenua e si fece abbindolare da un uomo sposato che abitava lì di fronte; non solo egli godette della sua unica ricchezza ma subito dopo la lasciò sola, in balia agli eventi. Quel tradimento l’aveva marchiata dentro, e non era riuscita a fidarsi di nessuno; tutti l’avevano biasimata ma a lei non importava. Quella forestiera però non l’aveva fatto, e in quel momento Donna Paola aveva deciso che l’avrebbe aiutata; era sola lì, sua madre non c’era e lei doveva sapere come si muoveva il mondo. Chiuse la porta e con uno sguardo indecifrabile guardò Donna Fortunata che le rivolgeva una smorfia stizzita; Paola sospirò sconfortata. Avrebbe dovuto arrabbiarsi con suo marito, perché la disgraziata era proprio lei.
Mentre consumavano il pranzo, Agata notò che Giuliano non alzava gli occhi dal piatto; a disagio continuò a mangiare mentre di tanto in tanto gli rivolgeva sguardi confusi. “Devi dirmi perché te ne stai fuori il giorno”le chiese a bruciapelo. Lei lo guardò sorpresa e gli rispose rabbiosa“ Devo aver paura anche di stare seduta a casa mia?”. Lui si alzò dal tavolo, e con una mossa sbrigativa si tolse la camicia e glaciale le disse :” Appena finisci vieni a letto, per le due devo tornare a zappare”. Agata lo guardò allontanarsi quasi tremando e un lampo di consapevolezza l’attraversò; forse era quello il problema di fondo. Erano passati mesi e mesi da quando avevano passato la prima notte insieme; per Agata fu un vero e proprio trauma che nessuno le aveva anticipato anzi, tutto era stato qualcosa di vergognoso ed ignobile, che non meritava di essere discusso. Così si era ritrovata a vedere quell’atto impregnato di fisicità come qualcosa di abominevole e selvaggio; il marito non aveva fatto una piega di fronte alla sua distanza, ma ultimamente aveva tentato in qualche modo ad avvicinarsi. Sapeva che era un dovere, quello della moglie di accudire il marito ma il viso stravolto da chissà quale passione animale che aveva Giuliano quella notte le aveva fatto paura; sembrava pervaso da chissà quale gutturale desio che l’aveva fatto uscire dal suo stesso senno ed Agata, che non si era vista rivolgere nemmeno una parola di conforto ebbe paura e tristezza insieme. Così aveva fatto di tutto per evitare il tutto purtroppo Giuliano se ne era accorto ed era cambiato diventando molto stizzito; si diresse così, come un condannato si dirige alla forca.Giuliano l’attendeva silenzioso e con uno sguardo penetrante; appena la vide deglutire impaurita quasi si sentì in colpa e disse “Non ti senti bene?”. Lei trattenne a stento le lacrime e si coricò vestita di spalle, singhiozzò. A Giuliano si strinse il cuore, dopotutto non era un animale e aveva scelto sua moglie non perché doveva bensì perché l’aveva voluta e bramata dalla prima volta che l’aveva incontrata. L’aveva sentita altre volte piangere di fronte alle sue tacite ed esplicite richieste, ma non sopportando il tutto si era sempre voltato di lato. Quella sera invece allungò le braccia e l’abbracciò, non riusciva ad avercela con lei in alcun modo anche se veniva meno a quello che doveva fare; lei spalancò gli occhi ed unì la mani alle sue. “Quando vedo che passano per guardarti il sangue mi arriva al cervello”ammise l’uomo, abbassano il capo verso i capelli della moglie. Agata arrossì senza sapere perché, sentendo un calore nel petto a lei estraneo; balbettando gli diss: “E io che c’entro?”. Giuliano aumentò la presa aprendo una mano sul suo ventre per sentire qualcosa; la domanda della moglie era strana. Nella  parte più recondita e strana del suo  cervello da giorni si era insinuata un’idea stupida e forse pure triste; Giuliano sentiva un forte affetto per Agata, si ammazzava di lavoro dalla mattina alla sera per lei però Agata era sempre molto distante. Pensava che fosse chiaro che lui tenesse alla moglie, ma i dubbi lo assalivano continuamente; tuttavia lui l’aveva strappata alla sua vita, poteva essere che lei lo odiasse e che preferisse giacere con altri e non con lui. Agata si voltò e spalancò gli occhi forse finalmente consapevole, dicendo :” Io sto sempre al mio posto”. Giuliano la guardò a sua volta perdendosi in quegli occhi come il mare; gli era molto difficile non crederle. Si alzò e vestendosi le disse “Vado a lavorare”.
Molto scossa, Agata dopo aver sentito il marito uscire si era alzata e guardandosi ancora una volta allo specchio si scoprì molto fragile; scoppiò a piangere. “Agata! Siete a casa?”disse una voce all’improvviso una voce facendola sobbalzare. Si asciugò in fretta gli occhi e si accinse ad aprire, scoprendo che Donna Paola la chiamava sorridente. “Posso entrare? Vi ho portato un po’ di farina e qualche albicocca che nel mio albero sono davvero mature e buone”disse sorridente la vicina; Agata la fece entrare entusiasta e la fece accomodare. Da vicino era molto più bella di quanto avesse potuto immaginare; era longilinea ed aveva lunghi capelli neri come l’ebano; aveva solo qualche ruga però nell’insieme era la donna più bella che Agata avesse mai visto. “Vi ho portato un po’ di farina così potete fare un po’ di pasta per stasera; gli uomini vogliono mangiare” le disse convinta, ed Agata sentendo il cuore scaldarsi si alzò le maniche e insieme si misero al lavoro; per una attimo le parve di avere con sé sua madre. “Sapete, gli uomini sono così. La sera vogliono il piatto pronto e la moglie pure”le disse Paola mentre giravano la pasta col filo di ferro; Agata la guardò interrogativa. “Se un marito non ha quello che vuole lo cerca da un’altra parte” continuò la donna ed Agata rispose triste :” Lo so, anche mia nonna diceva sempre così”. Paola impastò un altro poco di farina e le disse :” Però, se un uomo merita tutto questo dovrebbe averlo. Perché l’unione è importante in un matrimonio, per sentirsi una cosa sola”. Agata la guardò stranita quasi folgorata; da una parte voleva cacciarla in malo modo, dall’altra si rese conto che era la verità. Suo marito si era dimostrato un buon uomo fino ad ora, e anche se era di poche parole faceva molto per mandare avanti la casa. Lei faceva molto anche, però l’unione quella che ci dovrebbe essere tra marito e moglie lei gliel’aveva negata da molto tempo. Così, appena finirono si recò verso il campo dove lavorava Giuliano per portargli due albicocche; il cuore le batteva forte nel petto e non sapeva se in realtà stesse facendo la cosa giusta. Arrivata, lo mandò a chiamare con un uomo che lavorava di lato alla staccionata; arrivato trafelato se la ritrovò davanti con i capelli sciolti e il viso rosso per la camminata. “Che fai qui?”le chiese burbero; aveva visto gli sguardi degli altri uomini  per sua moglie e gli aveva dato a dir poco fastidio. Agata sorridendo mesta e forse un po’ offesa dall’accoglienza ricevuta, gli porse i due frutti dicendo :” Ho pensato che fa caldo e ti ho portato questi. Ma vado ora”. Detto questo gli lasciò i frutti nelle mani e si voltò per andare via; Giuliano rimase esterrefatto, non si aspettava una cosa del genere e un calore simile a fuoco si propagò nel petto.
Mentre ritornava ai campi il pensiero di sua moglie occupò tutto il cervello; l’immagine della giovane che aveva fatto così tanta strada per lui gli fece capire che forse qualcosa fosse cambiato. Aveva iniziato a zappare quando sentì delle urla; i suoi compagni di lavoro se ne resero conto e lasciando gli strumenti di lavoro  si avvicinarono vero il limite del campo. Le urla erano ancora più forti, quando Giuliano si rese conto che la voce era di Agata; con un groppo alla gola si mise a correre. Arrivato alla fine del sentiero vide la moglie accasciata a terra mentre un uomo le si avvicinava minaccioso. “Che fai eh? “urlò  Giuliano arrivando all’improvviso e tirandogli un pugno. Agata urlò con le lacrime agli occhi e Giuliano s’arrabbiò ancor di più; quella scena non l’avrebbe mai scordata in tutta la sua vita. Intanto Don Pietro e gli altri erano arrivati trafelati rimanendo di stucco di fronte alla scena; il nipote del signorotto del paese Don Gregorio, aveva provato a compiere un atto ignobile e senza battere ciglio fu richiamato al campo. Giuliano si avvicinò prendendo il braccio alla moglie che lo guardava ricolma di gratitudine e tenerezza; Giuliano ne rimase abbagliato. Da lontano, Don Gregorio arrivò a cavallo irato; il giovane nipote Antonio aveva quasi compiuto un atto ignobile che nel suo essere uomo rinnegava in tutto e per tutto. Molte furono le scuse rivolte verso Giuliano che molto saggiamente assicurò all’uomo che non avrebbe informato i gendarmi del paese, perché gli disse, l’autorità di suo zio Don Gregorio fosse abbastanza. Mentre i due si allontanavano,  Don Gregorio sputò in faccia al nipote, conscio che i parenti si possono togliere dal piatto ma non dal sangue.
 
Quando arrivarono a casa, già tutti sapevano dell’accaduto; i vicini erano fuori dalla casa in apprensione tranne donna Fortunata che rimase in piedi sulla soglia di casa con uno sguardo quasi soddisfatto della vicenda. Agata e Giuliano ringraziarono tutti di vero cuore mentre Donna Santa e Donna Paola si assicuravano che Agata stesse davvero bene; dal canto suo Giuliano mentre parlava con Don Felice non riusciva a staccarle gli occhi di dosso. Da un momento all’altro aveva paura che si mettesse ancora a piangere o che si sentisse male. Quando entrò a casa, rimase sorpreso nel vedere che la moglie aveva preparato la pasta fresca; sorrise e le disse quando la vide entrare :”Ora tu ti metti nel letto e io la cucino”; Agata  rispose mesta :”No, riposati tu che cucino io”.  Giuliano si avvicinò alla donna e le carezzò il viso dicendo :” Ti ha toccata?”. Agata fece segno di no col viso e aggiunse furibonda :” Gli ho tirato un calcio in mezzo alle gambe”. Giuliano non riuscì a credere alle proprie orecchie e una risata genuina uscì dalla sua bocca; Agata sorrise con le lacrime agli occhi e il marito senza preavviso l’abbracciò. Quella sera, durante la cena qualcosa in Agata cambiò. Il giovane marito, che sentiva distante all’improvviso divenne quasi un tutt’uno con la donna; era una gioia vederlo mangiare di gusto e sentirlo dire :”Questi maccheroni sono migliori di quelli di mia madre, pace all’anima sua”; oppure era bello vederlo ridere ancora perché sua moglie sapeva tirare i calci, “Vuol dire che sei forte e io sono fiero di questo” diceva soddisfatto. Ed Agata si ricordò di Donna Paola e si disse fra sé e sé che suo marito era un buon uomo dopotutto e forse non doveva avere più paura. Dopo che  pulì tutto e dopo aver chiuso la porta, Agata si diresse verso la stanza da letto; Giuliano aveva spento la candela e si era messo sotto le coperte girato di lato. Lei tentennò e malferma si avvicinò al letto silenziosa. Ma il giovane non stava dormendo, anzi appena lei mise piede nel letto fu come se un secchio d’acqua gli fosse caduto in testa; così si voltò e per la prima volta non la trovò girata di spalle. “Non dormi?”le chiese sottovoce; Agata sussurrò “No”. Giuliano la guardò preoccupato, non si era mai comportata così, forse stava male; ma all’improvviso lo abbracciò e interruppe così il filo dei suoi pensieri. Lui si sentì avvampare, in viso, nelle mani, dovunque e di scatto provò a spostarsi, sapendo che da lì a poco sarebbe stato difficili celare il desiderio che aveva di sua moglie. Ma lei si avvicinò ancora e all’improvviso lo baciò. Fu come se un campanello avesse suonato nella mente del giovane, facendolo rinsavire e lasciandolo di stucco; mai Agata aveva fatto una cosa del genere in tutto quel tempo. Così rispose al bacio, e si ne fu certo il suo cuore quasi scoppiava dalla felicità quando si rese conto che lei lo stava finalmente ricambiando; era un sogno ad occhi aperti e ansimando mise la mano sotto la camicia da notte stringendo uno dei suoi seni che a mala pena riusciva a contenere vista la gravidanza. Si alzò di scatto ed accese la candela febbrile; “Ti prego no spegni la luce”pigolò Agata coprendosi gli occhi con le mani. Giuliano sorrise e le tolse la veste da notte, lottando contro la stessa donna che faceva di tutto per tenerla ancora addosso; “Perché ti vergogni di tuo marito?”le chiese con una voce che non sembrava nemmeno sua. Agata lo guardò, con gli occhi lucidi, imbarazzata fino all’inverosimile e disse :” Non ti piacerò come sono ora”; ma lui disse a se stesso che nel mondo non ci sarebbe stata una donna più bella di lei e che la gravidanza fosse un incentivo in più. La trovò meravigliosa, tenera   sussurrandole :” Sei la gioia più grande della mia vita” tenne bene a mente di non farla mai più arrabbiare, perché l’adorabile moglie nei suoi più candidi rossori mentre formavano un solo corpo, riusciva a tirare calci che mettevano a tappeto chiunque.
 
 
CONTINUA…

 
Ecco qui il nuovo capitolo. Vi ringrazio immensamente per le vostre visite e recensioni, davvero  non so come ringraziarvi e spero che questo capitolo sia di vostro gradimento. Il prossimo capitolo sarà credo  il penultimo incentrato su Agata e il marito. Aspetto le vostre opinioni un bacio!

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Capitolo 4
*** Capitolo Quarto.Di quando Agata capì che il mondo è chi ami ***


Capitolo 4
Di quando Agata capì che il mondo è chi ami
 


Il tramonto si stagliava alla fine dell’orizzonte; dalla discesa vicino della chiesa più grande del paese il mare, dove il sole andava a morire pareva che si potesse toccare con un dito. Il cielo era rosato, mentre indaffarati gli abitanti del  piccolo centro abitato nemmeno si davano la pena di alzare gli occhi al cielo per osservarlo; la vecchia proprietaria  della macelleria dell’angolo, Filomena mormorerebbe che “Il timor di Dio salva l’uomo”, che associato ad una formica operosa provava a scampare la dipartita. La vecchia donna, ne aveva visto di cose nella sua lunga vita; le sue mani erano nodose ed il sorriso sdentato- I capelli ormai bianchi con qualche sprazzo grigio topo erano acconciati in modo elaborato, mentre gli abiti semplici ed austeri sottolineavano l’attitudine della donna. Ogni mattina si svegliava di buon ora, mentre suo figlio Agostino iniziava a macellare gli animali; dopo averli puliti lei li metteva in bella vista là nel suo negozio e guai a chi si presentava senza soldi, lei l’avrebbe scacciato in malo modo. La gente quando si trattava di lei, era abbastanza crudele e cieca; il normale buon senso scompariva anzi si tramutava in un feroce mostro a tante zampe. A nulla valevano i rosari recitati, nemmeno i primi posti durante le celebrazioni in chiesa mattutine; niente da fare, le donne di quel posto erano forse nella maggior parte dei casi credenti ma purtroppo finti praticanti. Il fatto era che Filomena, sin da giovane aveva sempre fatto discutere; era sempre stata una donna volitiva e diretta senza mezzi termini. Di indole forte, mai nessuno era riuscito a metterle i piedi in testa a partire da suo padre ed a finire con suo marito. Suo marito il macellaio Antonio Mirandola era ormai passato all’altro mondo da anni e anni, e la gente malvagia dello status della donna aveva fin da subito messo in giro voci sulla sua disonestà. Ma Filomena, detta anche Nuccia anche se i capelli li aveva grigi, era sempre stata retta e dedita alla famiglia; aveva fatto sposare i primi due figli ed ora doveva far in modo che il più piccolo, Agostino mettesse su famiglia in un modo o nell’altro. Seduta fuori, stringeva nelle mani nodose invecchiate dal tempo e dal duro lavoro si lambiccava il cervello nell’atto di trovare qualcuna che potesse andare per il suo giovanotto; “Signora Nuccia, me li date due conigli?”disse una voce dietro di lei. Si voltò, e di fronte si trovò Maria, la moglie di quel ladro di Vicé , uomo disonesto che aveva rubato mezzo podere di sua sorella Marialisa. Nuccia la macellaia si voltò e disse aspramente:” Se hai soldi per pagarli questi conigli è un conto, sennò fatteli rubare da tuo marito alla fine è la stessa cosa”; Maria sospirò e disse rassegnata:” Ho duecento lire va bene?”. Nuccia stizzita si alzò e la guardò ancora sospettosa quando in testa  un guizzo la fece sorprendere; quella donna era buon amica con la maggior parte delle ragazze del paese e poteva darle una mano per far maritare Agostino. “Senti”disse  mentre le metteva la carne in un due fogli di carta,” Voglio che trovi una brava donna per far maritare Agostino, una che si dia da fare”;Maria la guardò interdetta per un attimo e le disse:” Questo lo posso pure fare, ma siccome sono moglie di ladro come dite voi, a me che mi viene?”. La vecchia e rugosa Nuccia lo sapeva bene che il pari cerca un pari ed un ladro la compagnia e le disse fredda:” Stai tranquilla che non rimani a bocca asciutta”.
 
Nella strada parallela, Agata si dirigeva quasi trotterellando con un anfora grande alla fonte d’acqua; il caldo in quei giorni era veramente asfissiante e con la gravidanza che procedeva sentiva sempre più caldo e sete; ormai non mancava molto alla nascita del primo figlio, e nella flebile attesa non si dava pace. Cuciva, cucinava preparava tutto quello che poteva servire in virtù dell’arrivo del primogenito Monastrulli; per l’occasione anche la madre di Agata, che un tempo aveva odiato quasi per il suo abbandono sarebbe arrivata per darle l’aiuto che necessitava durante i primi giorni durante il parto. Dal canto suo, Giuliano si trovava in montagna durante quei giorni per racimolare soldi affinché la levatrice sia pagata e per acquistare tutto il necessario; in quegli ultimi mesi, i due giovani avevano vissuto giorni indimenticabili, Agata aveva finalmente conosciuto le gioie delle spose con tutte le annesse sorprese. Giuliano si era dimostrato uomo e marito a dispetto della sua tenere età, impaurito di qualsiasi cosa ma forte e  risoluto nel proteggere ed accudire lei, la moglie che si era scelto. “Agata ti aiuto io”disse una voce dietro alla donna, era Mariangela, la figlia di Fortunata la vicina; Agata in realtà non ci aveva mai parlato direttamente; solitamente la madre con la sua ira e superbia non lasciava avvicinare nessuno. Però quel giorno si dimostrò veramente gentile aiutandola; Agata la guardò bene e pensò che fosse davvero un peccato che una ragazza come lei non avesse famiglia. Era alta e robusta, con gli occhi azzurri e i capelli color del grano però aveva un sorriso così gentile che Agata si sentì rincuorata. “Ti ringrazio, ormai con questa pancia non riesco a fare niente” disse Agata accarezzando il ventre; lei la guardò desiderosa e mormorò.” Dev’essere bello essere madre”. Agata sorridente le disse:” Non è facile penso, però dicono tutti ch’è la soddisfazione più grande”; Mariangela alzò gli occhi e le disse quasi supplichevole:” Vorrei tanto anche io”. Mentre camminavano, Agata osservava la gente che incontravano e si disse i cuor suo che lei moglie all’inizio non avrebbe voluto esserlo; fu poi col tempo che conoscendo suo marito aveva iniziato a provare gioia nel guardarlo e felicità mentre l’accarezzava. Così le recitò un proverbio che sua nonna le diceva sempre:” Chi è per te, chi lo prende lo posa”; Mariangela la guardò e sorrise di sbieco dicendo:” Appena conoscono mia madre vanno via”. Agata sospirò e non rispose, in effetti sua madre era la donna più difficile che avesse mai incontrato; era superba e pretendeva chissà che cosa per le sue due figlie così che la voce si espanse, e nessun uomo si era fatto più avanti. Arrivati di fronte casa, Agata la ringraziò e la vide entrare in casa afflitta; doveva fare qualcosa, ognuno al mondo aveva diritto alla felicità ed anche se le emozioni e i desii si stemperano come acquerelli sul foglio, essi permangono fin quando non diventano opachi in ogni caso saranno sempiterni.
Agostino il macellaio era un giovane che nella sua vita  aveva sempre rispettato ogni regola stabilita dai genitori, dallo stato e da Gesù Cristo; si alzava presto, aiutava la madre e rispettava ogni persona che incontrava. Era buono di cuore, e tale bellezza interiore si proiettava nel suo grande viso sorridente; era un bel giovane alto e possente, con i capelli neri come la pece; all’età di ventotto anni però ancora non aveva preso moglie o aveva mai dimostrato un intenzione del genere. Non perché non volesse in realtà, ma perché il suo cuore era già occupato da anni; da quando erano andati nel paesino vicino per il pellegrinaggio religioso in onore del santo che scaccia ogni forma di peste o morbo, San Rocco. Era lì che, aveva visto e ascoltato la voce della giovane Mariangela, figlia di Fortunata, donna bisbetica  ed altera che, gli era parso uno degli ostacoli più alti da superare. La vedeva anche quel giorno, mentre aiutava la giovane forestiera e in tutti i modi s’interrogava sul fatto che al mondo non ci fosse essere più bello di lei. “Agostino, ma dove li prendete i conigli? Costano più del maiale”disse  donna Maria, la moglie di Vicé guardandolo divertita. Lui scrollò le spalle e sorrise andando via; quella donna assieme al marito non gli ispiravano fiducia; lui non sapeva, ma aveva già facilitato e di molto il guadagno della donna che, con uno sguardo soddisfatto guardava Mariangela.
Quella sera, dopo che il sole era sceso da un bel po’ Giuliano fece ritorno a casa dopo una settimana; esausto dalla camminata estenuante si fermò all’entrata del paese per bere un po’ di acqua della fonte; ormai faceva caldo anche di notte e  pregustava ormai il ritorno a casa. Mentre camminava, di dato vedeva i le foglie dei grandi pioppi muoversi ed inchinandosi rispettoso di fronte all’edicola del Santo Patrono eretta lì molti anni addietro si sentì dopo tanto tempo soddisfatto; finalmente la sua vita cominciava ad avere un po’ di senso. Sua moglie si era dimostrata una donna gentile ma allo stesso tempo forte e determinata; lo faceva sentire uomo e marito e lui di riflesso, lavorava ancora di più. Aspettava infervorato la nascita di un figlio, che sperava fosse maschio così che potesse essere il padre che egli non aveva mai avuto; l’avrebbe aiutato a vivere secondo i veri principi e non come suo padre aveva fatto. “Agata”chiamò entrando a casa; ed eccola la vide sorridente ed ormai rotonda mentre preparava la tavola; le sorrise di rimando e si diresse nella stanza da letto per posare le sue cose. Tornando, le portò quello che aveva trovato in giro per la montagna durante quei giorni : pere, mele, noci e qualche altro frutto selvatico che  non aveva mangiato per far sì che la donna li assaggiasse; “Era proprio quello che volevo”disse felice tagliando la pera. Giuliano contento si sedette a tavola ed iniziò a mangiare affamato, mentre lei lo raggiungeva; “Sei diventata ancora più bella”si lasciò scappare lui rosso in viso. E’ per la camminata, non per altro non sono vergognoso io,si diceva fra sé e sé. Dal canto suo Agata sorrise mesta rispondendo:” Sono diventata grassa come la ruota del mulino”e proseguì dicendo:”L’altro giorno ho portato il grano, ho fatto abbastanza per l’inverno anche se, vorrei almeno mettere da parte qualcosa in più”. Giuliano tagliando un po’ di salame annuì e le disse:” Questa settimana ti aiuto io”aggiunse placido il marito. Dopo aver finito di cenare, Giuliano si avvicinò piano alla moglie, con un sorriso dolce stampato sul viso; le cinse poi le braccia silenzioso mentre lei provava  balbettante a dirgli:” N-n on si può”.  Il sorriso del marito si allargò ancora di più, perché sapeva quale fosse la paura della moglie in realtà, e le rispose:” Goia mia,  mi sei mancata troppo”; era un’ammissione che nel quotidiano non gli avrebbero mai sentito dire ma quando la porta della loro stanza si chiudeva, e la vedeva senza la veste, in quell’istante il mondo si fermava e quel piccolo cosmo era solo il loro. Lì, Giuliano era libero di essere uomo fragile ed appassionato di sua moglie, la donna che aveva sempre bramato; Agata dal canto suo non avrebbe mai e poi mai ammesso di aver sentito qualche mancanza, era molto orgogliosa. Però, quando i grandi occhi marroni di Giuliano la guardavano spogliata di tutto: anima, paure, vestiti; in quel momento il mondo sarebbe potuto terminare là, perché lei era fusa con lui in un tutt’uno.
Nella casa di lato, Donna Fortunata si ritrovò con un cesto di arance Maria, detta Maruzza moglie di Vicé, l’imbroglione più rinomato del paese; in un primo luogo da donna previa e saggia nemmeno la fece entrare. Quando la donna le ripeté con veemente sicurezza che dovevano parlare di cose serie, l’altra donna si fece coraggio chiamando suo marito e le figlie.” Mi dovete scusare, ma questa sera vi disturbo perché Agostino, il macellaio mi ha chiesto di domandarvi se vostra figlia Mariangela è libera. Vorrebbe chiederle la mano”disse Maria sicura; le reazioni furono fra le più disparate. La figlia era felicissima e quasi commossa; la sorella invece era verde dall’invidia e parlottava con la madre, che con il viso chiazzato di rosso provava a mantenere la calma. Il padre guardò la madre interrogativo mentre quest’ultima raccoglieva qualche briciolo di calma e rispondeva:” Mia figlia, è la migliore ragazza del paese ed i pezzenti  non fanno per lei. Ora uscite da casa mia!”. La figlia, in preda alle lacrime, che sapevano di fiele  uscì fuori  mentre il padre scrollando le spalle se ne tornò nell’altra stanza. Maria, donna furba come le volpi di campagna aveva in effetti previsto il tutto ed uscendo da quella casa seguì Mariangela, trovandola dietro la chiesa che piangeva. “Perché piangi?”le chiese melliflua, lei la guardò triste e disse:” Io mi ci volevo sposare con Agostino. Ma mia madre facendo così ci farà morire sole”concluse rabbiosa; Maria fece finta di rifletterci su e le rispose:” C’è un modo per costringerli ad accettare il vostro matrimonio, scappa con Agostino”. Lei la guardò intimorita, poco dopo annuì mesta mentre Maria trionfante, con i pensieri verso la sua ricompensa le diceva:” Allora fai come ti dico io”.
 
La mattina di quel assolato mese, il caldo poteva dare alla testa ed Agostino lo sapeva bene. Però era appostato sotto una quercia dove dovrebbe fare fresco; invece non solo moriva di caldo ma il cuore gli usciva quasi dal petto. In tutta la sua vita si era sempre comportato con rettitudine e questo era il contrario della sua indole; stava già pensando a quello che la gente avrebbe pensato e quello che sua madre avrebbe detto. Ma quando Maria era andata da lui ieri notte ed aveva detto il fatto, non ci aveva ripensato due volte; avrebbe fatto di tutto per accaparrarsi per una volta un briciolo di felicità; ed ecco, la stava aspettando per scappare o per lo meno apparentemente così che, avrebbero potuto sposarsi senza impedimento. Probabilmente l’avrebbero cacciata di casa e non le avrebbero dato nulla, ma poco importava, Agostino ne aveva per tutte e due. “Buongiorno”disse una voce dietro le sue spalle; eccola, Mariangela tutta trafelata con un fagotto sulle spalle e con i capelli in disordine; in un primo momento l’uomo parva impacciato, ma poi raccolse il coraggio e le disse:”Sei sicura?”. Mariangela sorrise e il cuore di Agostino perse un battito dicendo:”Si”; così la prese per mano stupendosi della sua morbidezza e iniziarono a parlare di tutto e di più; si diressero verso una casetta in montagna che era appartenuta al padre di Agostino. Sulla soglia, Mangiangela parve ripensarci un po’ fino al momento in cui l’uomo con una risata limpida le disse:” Finché non ci sposeremo io non ti toccherò”; quella frase parve alla donna come una sacra promessa che, lo tramutò ai suoi occhi in un uomo tutto d’un pezzo che fino alla fine delle loro vite avrebbe sempre mantenuto la parola.
 
Quella notte, mentre nel paese si gridava allo scandalo e la gente cercava i due ragazzi in lungo in largo e Donna Fortunata malediceva sua figlia urlando, a casa Monastulli Agata  era in prenda ai dolori del parto aiutata dalla levatrice mentre Giuliano bianco come un lenzuolo aspettava seduto fuori, nacque il loro primogenito, Giovanni. Il nome non era quello del padre di Giuliano, bensì del Santo Padrone del paesello che li aveva accolti. Negli anni successivi, nacquero Bruno, Vittoria e Anna, benedetti dall’amore dei loro genitori; la nostra storia inizia ora, perché Bruno sposandosi con Elena Maccagnone diede alla vita Marianna Monastrulli. La nostra protagonista, molto simile alla nonna paterna in un fatale giorno assolato incontrò Pasquale Malorba, figlio di Agostino e Mariangela; ma questa è un’altra stroria.
 
 
CONTINUA…
 
Allora, grazie davvero per le vostre visite e le vostre recensioni. Spero che vi piaccia il capitolo, da adesso in poi si parlerà di Marianna! Un bacio.

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