Un azzardo in Municipio

di AlessioLepri
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Il risveglio ***
Capitolo 2: *** La casa ***
Capitolo 3: *** Abitudini mattutine ***
Capitolo 4: *** Nettare francese ***



Capitolo 1
*** Il risveglio ***


Everardo Delle Torri si alzò come sempre di buon mattino. Ormai non aveva più bisogno della sveglia, anche se da una vita ne teneva una, sempre la stessa, sul comò a destra del suo letto matrimoniale modello Lexington. Nient’altro che un cimelio di gioventù: gliel’aveva regalata la professoressa Billy Jean Sparks ai tempi dell’università, un giorno che era arrivato tardi alla sua prima conferenza del giovedì alle otto. Tutti si erano messi a ridere, ma lui, da Sim amichevole e carismatico qual era, l’aveva presa con goliardia e, con piena autoassoluzione di coscienza, se l’era infilata nello zaino, sorridendo beffardo. A quel tempo non aveva ancora l’elegante VFN Kompensator da trentaseimila simoleon, con cui sfreccia in giro dalle colline di Starlight Shore, sentendosi un re. Si spostava solo in bicicletta per le strade del campus. Ma a ridosso degl’interminabili vialetti fioriti che circondavano gli austeri edifici della cittadella universitaria, gli toccava scendere e farsela a piedi. Ovvio che faceva tardi, anche correndo. Era nuovo del posto e non sapeva che gli ci sarebbe voluta un’eternità per andare dal suo alloggio all’Edificio dell’Associazione degli studenti Conners.

Per arrivare in orario si sarebbe dovuto alzare almeno alle sei e mezzo, cosa impossibile dopo la serata trascorsa alla sua prima festa con barilotto di succo del dormitorio femminile, cercando di rendersi attraente agl’occhi di Ashley De Sorrento, che aveva un debole per gli sportivi bevitori. Ma non per questo Everardo si era perso d’animo e quando l’aveva vista seduta, che lo guardava ridendo con le amiche tra i banchi della sala conferenze, si appuntò mentalmente di far valere l’ironica strigliata della Sparks come prova d’amore. Infatti un paio di sere dopo, superati tutti i test del venerdì, la rincrociò intorno a un falò all’aperto e non mancò di regalarle la sveglia come un trofeo, prima di strapparle d’impulso il primo bacio. Poteva nascere un grande amore quella sera, se Natalie Marill in quel momento non fosse passata correndo senza vestiti lì intorno. Uno spettacolo talmente comune nei dormitori universitari, che dopo un po’ Everardo avrebbe finito per trovarlo quasi noioso. Ma anche quella fu una sua prima volta, un’altra cosa che non poteva sapere, per cui sgranò gl’occhi come una trota iridea. Ashley se ne accorse in un lampo e la sveglia della Sparks tornò in testa ad Everardo con la stessa rapidità con cui lui l’aveva tirata fuori dal suo inventario.

Un episodio che non mancava di strappargli un sorriso ogni volta che vedeva il caro oggetto là sul comò, anche ora che un inconscio meccanismo ormai collaudato lo portava ad abbandonare le coperte non oltre le sette del mattino. Si dirigeva allora verso la porta del bagno, si dava un’occhiata allo specchio, da anni testimone fedele della sua precoce e incanutita calvizie, ma compensata da un viso ancora liscio, a parte qualche ruga d’espressione, che faceva capire che l’età senile, per quanto prossima, non era ancora arrivata. Folta barba ben curata a dargli un’aria di autorevole saggezza, sguardo di chi sente di aver capito come stanno le cose e sa tenerne conto. Poi subito un tuffo in vasca per un bagno completo e una pulizia impeccabile, viatico necessario per iniziare la giornata dell’umore giusto e via ad infilarsi gli abiti quotidiani: sempre giacca e cravatta, ma evitando la formalità di un completo, meglio uno spezzato: stile smart intellectual. Il rituale di inizio giornata si concludeva con un ultimo sguardo di commiato alla camera e al letto, lasciato disfatto; ci avrebbe pensato la signora Knox, verso metà mattina, a ricomporlo. Everardo a quel punto lasciava la stanza per non farci più ritorno fino alla sera.

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Capitolo 2
*** La casa ***


Prima cosa da fare, dopo aver attraversato l’ampio salone doppio di casa, era imboccare la porta e scendere le scale esterne a raccogliere il giornale che i piccoli fattorini della città gli lasciavano giù nel cortiletto sotto la cassetta della posta e già che c’era, ritirare la corrispondenza, se ne aveva. Quel giorno era uno di quelli di inizio estate, quando la neve invernale ormai è un lontano ricordo, il caminetto è spento da un pezzo e non c’è più bisogno d’indossare gli abiti per l’aria aperta. Abitava al primo piano di un terra-tetto dal gusto antico, ma in realtà un’imitazione contemporanea, per quanto poco somigliante, a molte altre costruzioni di Starlight Shore. Con il tetto di tegole rosse e le mura esterne di pietra scura, vista da fuori, poteva sembrare la residenza di qualche vecchio signorotto rinascimentale. Tutto secondo il gusto di suo nonno, che si fregiava di discendere da un’antica e valorosa famiglia di Monte Vista e aveva tirato su la casa su un lotto vuoto di medie dimensioni, come sua dimora per la vecchiaia. Il buon vecchio, per quanto un po’ burbero con tutti, stravedeva per il nipote, vantandosi di avergli trasmesso il temperamento artistico. Era stato un uomo all’avanguardia e un ribelle, un artista vero, formato come pittore e scultore prima alla scuola privata LeFromage, poi al corso accademico di Belle arti. Grazie alle frequentazioni e all’attivismo universitario, aveva avuto la strada spianata per la carriera di Perito artistico, sempre affiancata dalla pittura, fino a raggiungere in tarda età il massimo livello di Maestro autenticatore. Aveva una notevole collezione di opere d’arte (più che altro quadri, ma anche una bella statua a mezzo busto) e mobili raffinati, un po’ in stile Alberghini, che davano alla casa un’aria di opulenta nobiltà borghese, da cui Everardo era sempre rimasto orgogliosamente affascinato.

Al piano basso non abitava nessuno: era uno spazio aperto molto grande e grezzo, con poche mura interne, dove il nonno lavorava ai suoi quadri, quando non era in giro a far perizie. Per lui si doveva dipingere coi piedi vicini il più possibile al terreno, per assorbirne l’energia e trasporla nelle opere. Solo così le si rendevano vive. Ci teneva a separare, non solo mentalmente, l’ambito artistico-lavorativo da quello familiare e quindi, pur condividendo le stesse fondamenta, gl’ingressi dei due piani erano sempre stati distinti. Centrale rispetto alla costruzione quello dello studio a piano terra, più laterale quello di sopra, a cui si accedeva dalle scale esterne di pietra. Ognuno con il suo pezzetto di cortile, tutto recintato in pietra, ma senza cancelli che dessero sulla strada principale e separati l’uno dall’altro da un filare di verdi siepi ad altezza d’uomo, così chi andava allo studio non passava dallo spazio di casa e viceversa. Il nonno non poteva saperlo, ma la cosa si sarebbe rivelata molto utile in seguito per Everardo, perché involontariamente finiva per disorientare quegli sporadici ma comunque fastidiosi paparazzi che, sperando di trovarlo in casa, andavano a suonare all’ingresso centrale a piano terra, non sapendo che lui abitava di sopra e rapidi se ne andavano, credendo che non ci fosse nessuno in casa.

Everardo non aveva mai cambiato granché dell’arredamento, che gli era sempre piaciuto così com’era, né venduto nemmeno una delle opere d’arte del nonno, neanche quando ne avrebbe avuto ben d’onde, in quei primi tempi da giovane adulto in cui i simoleon in tasca di certo non gli abbondavano. Il nonno era un ribelle, ma il nipote un po’ più conservatore e per certi aspetti all’antica e se avesse avuto un tratto caratteriale in più, sarebbe stato quello del tecnofobo. Mai acquistato la tv: per informarsi leggeva il giornale, i film preferiva andarli a vedere al Centro eventi Hoi Polloi, il grande e celebrato teatro cittadino, che fungeva anche da cinema. Qualsiasi altra cosa di suo interesse che la televisione potesse insegnargli (non molto, per la verità), trovava più facile e divertente apprenderla dai libri. Unica concessione al lusso tecnologico era stata il portatile XS 4285p delle Industrie Landgraab, che gli era indispensabile per scrivere e che teneva fisso sulla scrivania nel suo studio, nella luce della grande finestra sul retro della casa.

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Capitolo 3
*** Abitudini mattutine ***


Raccolto il giornale, sempre un po’ inumidito dalle zolle d’erba fresca, rientrava subito in casa e si metteva a leggere le notizie sulla sua poltrona preferita nel salone d’ingresso, accanto al caminetto di marmo, di fronte alla porta a vetri che dava sul terrazzo. Una scorsa sommaria alla cronaca locale, neanche uno sguardo al gossip sui movimenti delle celebrità e i locali più alla moda, che trovava piuttosto becero e irritante. Maggiore attenzione, invece, alla programmazione degli eventi settimanali e dei SimFest in particolare, gli unici veri spettacoli che valeva sempre la pena di vedere. Infine un po’ di aggiornamenti sugli eventi sportivi (era tifoso fin da ragazzo degli Alpacas e non disdegnava di andare, di tanto in tanto, alle corse dei cavalli). Tutto prima ancora di fare colazione, perché la mattina appena svegli si apprendono meglio le notizie del giorno a stomaco vuoto. Quel giorno poi, le attendeva con più impazienza del solito. Sapeva che ci avrebbe trovato qualcosa che lo riguardava direttamente, perché un paio di giorni prima aveva rilasciato un’intervista a una giovane giornalista emergente, Lavinia Knaus.

Anche lui in passato aveva lavorato al giornale. Conosceva ed era in buoni rapporti con il caporedattore e con qualche altro giornalista della vecchia guardia. Sapeva che molti di loro avrebbero fatto carte false per intervistarlo. Di norma era restio a fidarsi dei giornalisti giovani e poco noti, sempre pronti a spararle grosse, pur di farsi strada e conquistarsi un posto al sole. Di norma avrebbe preferito affidarsi a qualcuno di comprovata esperienza e di sicura influenza sul pubblico. Ma questa volta aveva dovuto cedere alle lusinghe di Lavinia, perché sua madre era Lewinda Knaus, una delle sue più brillanti studentesse ai tempi in cui era stato insegnante di liceo alla scuola pubblica Gooder e con la quale aveva avuto, da più grandicella, anche un breve inciucio (nessuno in effetti ricorda che Everardo abbia mai avuto altro che brevi inciuci, fino all’età adulta inoltrata). Come se non bastasse, Lewinda era anche un’amica e collega di Angelica Normann. Lavoravano entrambe in città come orchestrali, una era una contrabbassista e l’altra una pianista. E Angelica era niente meno che l’attuale fidanzata di Everardo.

Con Lavinia si erano incontrati alla “Caffetteria alla V Volante”, dov’era solito andare quando voleva far colazione con delle crepes buone quasi quanto quelle che aveva mangiato al Catania Café, il suo ritrovo preferito a Champs les Sims, che aveva visitato più volte nei periodi di vacanza durante i suoi anni universitari, passando le ore, da buon topo di biblioteca com’era, seduto a un tavolino all’aperto con vista sulla grande fontana della piazza alberata, a leggere per la prima volta capolavori della letteratura francese come “Flo e il suo Kenspa” e “Campo di Sims”. Da allora era diventato un appassionato di cultura francese. Ne amava la musica locale, anche se la sua preferita in assoluto rimaneva quella classica. Aveva imparato le canzoni dagli abitanti del posto e si divertiva a canticchiarle poi a casa mentre faceva il bagno in vasca, o agli amici e alle Sim quando capitava l’occasione.

Everardo era un buongustaio e, per un motivo o per un altro, mangiava fuori almeno due o tre volte a settimana, però non se la cavava male neanche quando toccava a lui stare ai fornelli. Arrivava a preparare degli ottimi hamburger, anche vegetariani e una torta di frutta con cui deliziava gli amici, che era solito invitare la domenica a pranzo a casa sua, quando non faceva grigliate di hot dog al tofu all’aperto sul terrazzo nella bella stagione, che puntualmente venivano guastate da improvvisi temporali. Per mangiar sano e genuino, gli sarebbe piaciuto darsi al giardinaggio e alla coltivazione di ortaggi freschi di alta qualità nel cortiletto sotto casa e anche alla produzione di nettare, altra grande passione nata in Francia. Ma non aveva il pollice verde e nemmeno il tempo per occuparsene. Ma pensava sempre che forse un giorno da vecchio… per riempire il tempo del suo buen retiro, almeno qualche albero da frutto l’avrebbe piantato.

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Capitolo 4
*** Nettare francese ***


Per quanto riguarda il nettare, invece, aveva fatto di meglio già al rientro dal suo primo viaggio, da solo, a Champs les Sims, nella sua prima estate da giovane adulto, fresco di diploma al liceo. Aveva organizzato una festa in casa con amici, vecchi compagni della scuola pubblica Gooder, soprattutto di quelli che aveva conosciuto al club del giornale, a cui aveva partecipato negl’anni dell’adolescenza, sospinto dal desiderio di migliorarsi nella scrittura, perché sotto sotto fin da allora aspirava a diventare scrittore professionista. Voleva intrattenere gl’invitati con le memorie del suo viaggio, ma non amava fare foto e quindi non ne aveva da far vedere. Già allora però sapeva raccontare storie, un po’ perché aveva il carisma tra i tratti caratteriali, un po’ perché aveva fatto esperienza di narrazione al club del giornale. Della musica francese in sottofondo dal vecchio giradischi del nonno, un po’ d’incenso per creare un’atmosfera romantica ed Everardo iniziò a leggere qualche pagina di “Ombra della Torre” di fronte agl’invitati, poi passò a “Il curatore del museo perduto” e infine a “Il velo di Tate”. Ma non furono tanto le parole dei grandi romanzieri francesi ad intrattenere gl’ospiti, quanto le bottiglie di nettare arrivate dalla Francia, che stavano girando tra di loro, una miscela delle migliori uve francesi: Cranerlet Nuala, Avornalino, Cherimola Blan e Meloire. Erano un regalo di Margot Petit, una francesina che aveva conosciuto al Circolo della Conoscenza, la libreria di Champs les Sims. Voleva che si ricordasse di lei e del loro inciucio, nato tra gli scaffali di legno carichi di libri e la fabbrica di nettare.

Alla fine della festa erano tutti su di giri, soprattutto Noah Lebrovski, amico storico fin dai tempi degli scout, che poi l’aveva accompagnato l’estate successiva nel secondo viaggio in terra francese e si era appassionato alla produzione di nettare, fino a farne in seguito la sua vocazione professionale. Era riuscito a far attecchire le uve francesi raccolte a Champs les Sims nei terreni della Cobana, la tenuta dei suoi in cima alle colline di Starlight Shore. Nel tempo, dopo tante sperimentazioni e lavorazioni, aveva trovato una combinazione molto efficace tra le ottime ciliegie già coltivate nella tenuta e l’uva francese Meloire, che dava al suo nettare, divenuto famoso col nome di “Ciliegino Meloire”, una struttura possente e un equilibrio travolgente. Faceva la felicità di tutti i bevitori, che in città ormai erano numerosi e affezionati, tanto che Noah, nel corso degli anni, non solo aveva massimizzato la sua abilità nel preparare nettare, ma il Consiglio cittadino gli aveva anche assegnato il Trofeo dell’Onore per i servizi resi alla città e gli aveva conferito il titolo di Maestro di produzione, il più alto livello di riconoscimento come libero professionista del settore registrato al municipio. Era diventato anche benestante, trasformando la Cobana in una vera e propria fabbrica di nettare. Aveva scavato un grande scantinato, a cui si accedeva dal giardino, dove teneva le bottiglie ad invecchiare nei contenitori Necteaux. Sopra, invece, c’era tutto un ampio spazio sul retro dove riceveva i clienti e dove aveva allestito una zona per l’assaggio e la vendita. Da lassù si godeva di una vista eccezionale su tutto l’orizzonte della città sottostante. Sotto una piccola tettoia lì nei pressi, aveva messo un bancone da bar e uno per il registratore di cassa e aveva chiamato l’intero complesso Antiche cantine “La Cobana”. Una volta gli avevano fatto anche un articolo sul giornale. Per amicizia e per riconoscenza Noah riforniva regolarmente Everardo di nettare ad un prezzo irrisorio ed Everardo in maggior parte lo consumava per sé e per gli amici e in parte lo lasciava invecchiare (e salire di valore!) in un paio di appositi contenitori accatastati l’uno sull’altro in un angolo del salotto, dove facevano anche bella figura. E poi, per le grandi serate del salotto filosofico o altre occasioni speciali, c’erano sempre le bottiglie periodicamente acquistate in terra francese!

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