Sulla tua scia

di alessandroago_94
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Tempesta di neve ***
Capitolo 2: *** Mercatino ***
Capitolo 3: *** Dinosauro ***
Capitolo 4: *** Occhi ***
Capitolo 5: *** Terapia ***
Capitolo 6: *** Profumo ***
Capitolo 7: *** Miele ***
Capitolo 8: *** Giro in moto ***
Capitolo 9: *** Frana ***
Capitolo 10: *** Maracaibo ***
Capitolo 11: *** Pixel ***
Capitolo 12: *** Luna piena ***



Capitolo 1
*** Tempesta di neve ***


Tempesta di neve

TEMPESTA DI NEVE

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Tempesta di neve sei per me.

 

E cosa resta di me, sotto questo manto bianco?

E il tuo vento impetuoso, cosa lascerà dietro di sé?

Da quando ho iniziato ad amarti

hai portato via tutto,

hai strappato parte del mio animo, e che fine ha fatto?

Sono stato costretto a rattopparmi da solo,

a clonare la parte mancante del mio cuore

con l’unica metà rimasta nel mio petto.

 

E non ti basta aver reso la mia anima

un mucchio di macerie!

Hai bruciato tutto, questa estate,

rogo estivo,

e adesso diventi tempesta di neve

e torni a ricoprire tutto;

prima mi hai bruciato con il fuoco

e adesso con il ghiaccio;

tu mi fai morire!

Mi fai morire, non te ne accorgi?

 

Ed io che prometto di detestarti

poi ti vedo tra la folla e mi sorridi;

e quale resistenza potrei opporti, a questo punto?

Sono tuo, il Destino mi ha legato a te.

 

E chi se ne frega

quando mi dici tira fuori il coraggio;

io non sono come te,

tu ruggisci, io miagolo;

quando mi dici che le catene me le metto da solo,

che faccio la parte della vittima

e che credo di averla sempre vinta;

ed io ti dico che ti amo,

anzi no, non posso proprio dirtelo, sai?

Ma lo scrivo.

 

Nel mio teatro in fondo sto così bene,

anche quando sto male;

basta adesso con questo vento

o andrà via la luce nel mio brandello di cuore.

 

Hai ragione, il mio non è un teatro

ma un circo, sì,

guarda la mia maschera, ti piace?

Mi dici che non ho fiducia, non ho speranza,

tu che credi in me,

tu che mi difenderesti da ogni cosa

ma poi mi abbandoni così, in bilico,

ed io che sono reso tremendamente fragile

da questo amore maledetto;

 

ho provato a levarmi l’amore di dosso

ma è rimasto lì,

perché al cuor non si comanda,

certe frecce colpiscono nel segno

e toglierle è come dilaniarsi da soli,

ancora più in profondità.

 

Non importa il freddo che mi lasci dentro

tutte le volte che poi te ne vai,

quando dopo avermi trattato da re

poi mi tratti da zerbino;

io a te mi sono donato

e per te sono stato anche pellegrino,

per te ogni cosa,

solo per te.

 

E adesso che la geografia ci divide,

ancora per un po’,

ancora e ancora,

io sento quel freddo dentro

e la tua mancanza diventa tempesta

di neve bianca

che tutto copre

che il mio cuore congela e sopisce,

perché se solo tu mi mandassi un segnale

correrei da te, fossi anche in capo al mondo,

ma tu stai meglio senza di me,

la tua storia te la stai scrivendo,

io invece m’incateno ancora di più

e mi amareggio,

ma anche mi crogiolo;

hai ragione,

sto proprio bene nei panni della vittima.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

NOTA DELL’AUTORE

 

 

Non so se è venuta bene, come poesia. Però spero che sia stata una lettura in grado di donare qualche secondo di intrattenimento.

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Capitolo 2
*** Mercatino ***


Mercatino

MERCATINO

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Mercatino

tra cose vecchie e cose nuove;

tra oggetti che non si usano più

e abiti vintage;

e tu eri lì,

ove tutto è cominciato.

 

Da quel momento in poi

ho solo seguito la tua scia.

 

Tu vendevi di tutto,

ma nel complesso era ciarpame,

te eri l’icona della bellezza,

diamante nella notte;

 

è bastato uno sguardo e qualche parola

per rendere la faccenda complicata.

 

E impossibile, perché io sono arrivato

quando tu già avevi scelto,

ed io da parte mia avevo finto di scegliere

a mia volta;

io che mi accorgevo di amarti

ferendomi da solo.

 

Tra tutti quei volti amici

non hai mai conosciuto la Solitudine;

io sì, è stata la mia unica compagna fedele.

Ho scalato la sua piramide a gradoni

fin quasi alla vetta,

mi sono fermato pochi passi prima di precipitare.

 

Sai cosa vuol dire sentirsi soli?

Avere un buco nero dentro di sé

che strazia ogni emozione, la distorce

e ogni evento diventa qualcosa da evitare a ogni costo?

No?

Ma tu non mi ascolti mai,

ti limiti a guardarmi e sorridi

il tuo splendore non si può arginare.

 

Ma se il mio amore è frutto del peccato,

meriterò l’inferno, tu no;

lo merito io.

Pensavo a te mentre mandavo quei cuori

alla persona che ormai non amavo più,

e che forse non avevo mai amato;

allora solo mi sono accorto che la maledizione

è quella di volersi accontentare,

pensare che l’Amore non esista

e che sia giusto così, stare assieme per consuetudine

anche quando non c’è più nulla che ci lega.

 

Tu eri quel fiore appena sbocciato

in un prato arso dalla siccità estiva.

 

Ancora penso ai tuoi sguardi intensi,

alle belle parole che da sempre mi riservi,

fino a quanto mi hai detto che per te ero il meglio;

ma, appunto, erano solo parole al vento.

 

Adesso desidero non gettare altra benzina sul fuoco,

ma quando ti scorgo

tu mi sorridi

io non resisto

e corro da te;

tu che appunto non mi ascolti mai,

non mi amerai mai,

eppure mi rende felice vedere la tua spensieratezza

e che te la stai cavando bene,

nonostante le difficoltà della vita.

Se potessi, sarei il tuo angelo custode.

 

Se avessi potuto

ti avrei portato ovunque tu avessi desiderato.

 

Ora però di questo amore

resta solo un refolo di vento sempre più lontano,

il tempo che scorre via

e tu lo avverti più di me,

che nella vita hai saputo crearti il tuo spazio

mentre io mi laceravo senza fare niente per salvarmi.

 

Mi basterà e mi emozionerà ancora

vederti al prossimo mercatino,

mentre vendi le tue cose;

scorgerti lì tra la folla,

divinità imperitura;

lì, in quel luogo dove tutto è iniziato

e dove tutto è andato a morire.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

NOTA DELL’AUTORE

 

 

 

Grazie per aver letto anche questa poesia.

(piccola nota; Rimasugli di pensieri verrà aggiornata ancora ma con meno costanza finché questa sfida non sarà finita. Comunque sono al lavoro per altre poesie, sono molto ispirato, ma appunto l’aggiornamento non sarà regolare. Regolare sarà invece quello riguardante Breve storia del Piccolo Regno, la mia prima favola. Salterò solo l’aggiornamento di questa sera. Conclusi questi due progetti in corso, tornerò a pieno ritmo anche con il resto. Grazie per la pazienza e per continuare a seguirmi).

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Capitolo 3
*** Dinosauro ***


Dinosauro

DINOSAURO

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

In verità, eri come tutti gli altri;

non hai mai meritato questo amore,

questo desiderio di proteggerti

 e di preservarti;

 

non vendevi cose in più

 per poterti comprare qualcosa di nuovo,

ma solo per riempire le dita di anelli

e il collo sottile di collane.

 

E ci sono rimasto male

quando ti ho visto ferire il prossimo,

ingannarlo spudoratamente,

il tutto per truffarlo e averci guadagno.

 

Guadagno per cosa, poi?

Cosa te ne fai di tutto quell’oro addosso?

È poi così importante per te

avere le dita ingioiellate?

 

Far sfoggio a tutti di quanto ti senti potente

e la tua potenza nasce dalla consapevolezza

della tua bellezza,

e allora ridi,

ridi pure in faccia alle persone,

prendile in giro senza garbo né ritegno;

dall’amore son passato a detestarti.

 

Se prima quando ti vedevo ti correvo incontro

adesso ti lascio friggere nel tuo olio stantio,

ti sento ridere a distanza,

vedo come prendi in giro gli altri,

finalmente il sipario è calato;

io sarò vittima, ma tu non hai un cuore.

 

Mi hai riso in faccia dicendomi che tu di cuori

ne hai ben due;

ed io, violaceo di rabbia,

avrei voluto solo dirti che sì, ne avevi due

perché uno l’hai rubato.

 

Eccolo, il tuo animo becero,

dinosauro,

regretto e chiuso

attaccato solo al denaro, al guadagno;

e i tuoi sorrisi e le tue belle parole

tutti strumenti per raggiungere i soldi.

 

Ma adesso gioca con i tuoi anelli,

giocaci pure,

mettiti le collanine

e finisci di farti tatuare le braccia;

sono felice di sapere che questa è la tua libertà,

ma non coincide con la mia.

 

Dinosauro è il tuo animo

ed io non l’avevo riconosciuto;

tu puoi desiderare oro e fama,

io posso desiderare altro,

maledetto il destino che ci ha fatto incontrare,

piuttosto che ferirti, un tempo, avrei preferito morire.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

NOTA DELL’AUTORE

 

 

 

Da piccolo, adoravo i dinosauri. Avevo tutti i volumetti con i fossili e i vari dépliant. Adesso, nel crescere, ho attribuito alla parola dinosauro anche l’aspetto più becero, perfido e materiale dell’essere umano, quindi partendo da qui ho collegato la parola suggerita da Kim con un contesto che fosse coerente con il resto della raccolta in corso.

Non voglio far polemica o altro, quello riguardante l’animo giurassico è solo un pensiero personale e soggettivo.

Grazie per aver letto!

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Capitolo 4
*** Occhi ***


Occhi

OCCHI

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

E mi guardavi con quegli occhi,

mi fissavi;

io, impotente,

sentivo il peso dei tuoi sguardi.

 

Non è stato un caso del Destino

se poi i tuoi sguardi

si sono tramutati in confidenza,

in saluti e sorrisi.

 

Ma i tuoi occhi,

all’inizio, io me li ricordo come perle;

di un castano dolce,

profondi, inebrianti.

 

Davvero, a un certo punto

mi hai fatto impazzire d’amore,

e bramavo quegli sguardi attenti,

m’ingelosivo se non me li riservavi puntualmente.

 

Poi, cos’è successo?

 

Perché adesso i tuoi sguardi

mi danno fastidio,

non ti vengo neanche più vicino;

la magia di una lunga estate

si è infranta durante l’inverno;

adesso non ti sopporto più,

ora che so che quegli sguardi attenti

sono rivolti ai tuoi loschi fini personali,

al tuo bisogno di avere più degli altri,

di spiare gli altri;

 

quegli occhi in fondo

non erano Nutella,

erano occhi di vipera;

non eri dolce,

eri un coltello dalla lama affilata;

quel coltello che ho avvertito forte

forte

tra queste mie costole,

tu che passi la tua vita a non fare niente,

a ridere in faccia alla gente;

la tua simpatia è piacevole

finché le stai lontano;

le tue parole sono miele

fintanto che hai un doppio scopo;

 

e allora perché, adesso,

che mi fai così schifo,

io ti penso ancora?

A volte, quando sono solo.

 

Mi rendo conto solo ora

che io quei tuoi occhi

li ho idealizzati,

e non erano così come li ho visti,

bensì come li ho erroneamente interpretati;

perché avevo bisogno di amare e di fidarmi

e tu, così agli antipodi rispetto a me,

mi hai facilmente intrappolato al loro interno.

 

Dicono che gli occhi sono lo specchio dell’anima,

ma in realtà, a volte, possono rivelarsi gattabuie.

 

Io ci sono caduto dentro

e non sono più stato capace di uscirne,

almeno fin quando non ho detto basta,

d’ora in poi ti sto lontano,

perché mi fai male,

e fai male anche a chi mi circonda.

 

Così me ne sono andato da te,

alla fine mi hai perduto.

 

Ora sono lontano, a scrivere

con un inchiostro che sa di antico,

e tu sei nel tuo mondo di bugie

a preparare chissà quale tranello.

 

Ma allora perché,

proprio adesso

che tanto ti detesto

vorrei tanto che quei tuoi occhi

tornassero a osservarmi?

Magari fossero qui, assieme a me

a leggere questa mia poesia,

e tu a dirmi che mi sono sbagliato,

che i tuoi occhi sono miei,

che io non ho capito niente?

A correggermi,

a correggere questo testo?

 

Adesso sei distante

e te ne freghi,

vivi bene e in compagnia,

sei felice.

I tuoi occhi sono trappole che funzionano sempre.

Spero solo che non faranno male ad altri.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

NOTA DELL’AUTORE

 

 

 

Un immenso, infinito grazie all’autrice che ha suggerito questa parola. Come potete vedere, mi ha colto nel segno, mi sono ritrovato subito a scrivere con grande ispirazione.

È una poesia scritta di getto e con il cuore, ancora unita da un filo invisibile alle precedenti.

Spero di non aver fatto pasticci; ve la voglio donare così, spontanea, pochi secondi dopo la fine della battitura.

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Capitolo 5
*** Terapia ***


Terapia

TERAPIA

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ho sperato, un giorno,

che tu fossi la terapia consigliata

per poter guarire da ogni mio male interiore;

invece eri un coltello affilato,

lama insanguinata

pronta all’affondo.

 

Mi ricordi mio padre;

così infinitamente buono

con gli estranei,

indossando la maschera

del benefattore gentile,

eppure così bestiale tra le mura domestiche.

 

E mi tornano in mente

le sue parole;

a te cosa manca?

 

A me cosa manca?

Padre, un figlio non vive

solo con un piatto di pasta!

Gli umani non vivono

solo per la materia e il cibo,

hai mai sentito parlare di anima?

 

Come devo fare a spiegargli

che grazie a lui mi sono sentito

un verme inutile,

stupido,

per tutta la mia vita?

Che per lui uno sconosciuto

valeva mille volte più di me?

 

Per lenire questo dolore

questo abbandono genitoriale

e generale

io sono giunto fin da te;

ma in fondo eri come mio padre,

anche tu;

ed è vero che tantissime persone,

uomini o donne che siano,

sono accomunate dall’animo grezzo,

giurassico e spietato,

dinosauro;

e che i tuoi occhi sono diamanti

che non sanno brillare al buio,

ma solo di riflesso;

 

la tempesta di neve che hai portato

dentro di me

era quella di sessantacinque milioni d’anni fa,

la deriva del mondo conosciuto;

ho visto estinguere i miei pensieri più buoni,

ora vedo solo il buio.

 

E quel mercatino non era niente,

se non un’altra delle tue avide maschere.

 

Che sciocco,

io,

che sciocco che sono

a credere ancora che al mondo

per me ci sia cura,

una terapia che possa gradualmente lenire

il baratro dei traumi subiti,

e un trauma non è solo una percossa fisica,

ma può essere anche un pugno all’anima.

 

Per tutta la mia vita,

gli altri sono venuti prima di me;

così mi hanno insegnato,

gli altri sono meno fortunati, gli altri

hanno più necessità, e gli altri…

e ancora a parlare degli altri

e mai di me;

sono stato cresciuto per essere un buon fraticello

con tanto spirito di gratuito sacrificio,

e non un uomo con gli attributi, un guerriero.

 

E non è nemmeno vero che il bene

porta del bene, in fondo.

 

Ma non me ne lamento;

ogni buona azione verso il prossimo

mi fa stare un po’ meglio,

ma di certo non cura una mancanza costante.

 

E l’orrore è lo scoprire

di non essere nemmeno all’altezza

per il prossimo mio,

che mi giudica alle spalle, sparla…

 

sono ferito da questa umanità

che cerca prede,

che cerca vittime

da sottomettere.

 

Con te, un’estate di speranza;

la mia terapia,

seppur sperimentale,

per lenire tutto questo interno male.

 

Invece mi hai ferito come gli altri,

eri, appunto, come tutti gli altri.

 

Adesso che l’Umanità mi lasci solo

a morire su questa spiaggia di dolore.

Mi doni almeno

la dignità di calar da me il sipario.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

NOTA DELL’AUTORE

 

 

Ringrazio l’autrice che ha suggerito quest’ultima parola. Anche questa è stata un fiume d’ispirazione per me e mi ha concesso di proseguire in modo lineare la raccolta, senza alcun cambio minimo di soggetto.

Chiedo scusa per tutto il dolore che trapela dalle mie poesie… per me la poesia è un potente strumento di comunicazione, e quando riesco a mettere su carta angosce e ansie mi sento un po’ meglio.

Ma continuo a scusarmi per l’evidente negatività dei miei ultimi testi. Ci sono alti e bassi, ma ricordate che alla fine ci si rialza sempre… lo si deve fare.

Niente vale più della nostra vita!

Grazie per aver letto e per continuare a seguire questi umilissimi componimenti.

 

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Capitolo 6
*** Profumo ***


Profumo

PROFUMO

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Il tuo profumo;

la prima sera in cui l’ho avvertito

diventai fiera selvaggia;

lo seguii, al costo d’addentrarmi

in una selva oscura

e perder me stesso;

 

avrei potuto morire, per esso;

avrei potuto morire per te;

 

ma adesso il tuo profumo

resta un qualcosa che aleggia

leggiadro nelle mie narici

quando vado a letto

o quando mi sveglio presto;

tu che per me non sei più niente;

 

ricordo

ancora, il primo contatto

tra le nostre pelli

in un’estate infinita e caldissima,

quel tuo profumo aleggiava come un’aura

tutt’attorno;

esso è diventato ricordo marittimo,

costiero;

mi ricorderà sempre il mare,

le spiagge,

i capelli bagnati,

i mercatini serali,

le risate;

e pensare che era ed è

così anonimo,

ancora non ho saputo ricondurlo

a marchi o quant’altro;

solo stimolo per i ricordi;

 

quel che fu forse il mio primo amore

l’amore impossibile, quello che non deve esistere

perché se no gli altri ti giudicano,

quello che non puoi raccontarlo;

e tu puoi amare anche tanto

e basta solo un profumo a fartelo tornare in mente,

un odore specifico;

 

io posso poi continuare a fingere

a tener su la maschera di chi ama

chi in realtà non ama,

ma quel profumo, tramutato in ricordo,

mi accompagnerà in eterno;

quando lo ricorderò, sorriderò.

 

Un giorno sarò vecchio,

oppure in procinto di morire,

tu non ci sarai ed io sarò così solo

che potrò crogiolarmi un’ultima volta

con il ricordo di quell’estate lunghissima

accompagnata da quel tuo inconfondibile profumo;

e ti giuro, credo che allora nel mio dolore

fisico e mentale

invocherò il tuo nome per un’ultima volta;

poi, potrò lasciarmi andare in pace.

 

Ma per ora

non rovinare tutto;

resta distante da me,

non farmi nemmeno avvertire

la tua presenza

con il tuo consueto odore intenso;

lungi,

io voglio idealizzarti,

voglio amarti per come ti ho immaginato

e non per come sei in realtà;

per te io coglierei un fiore

e te lo porgerei

ma lo meriteresti?

Lo meriteresti per come tratti gli altri?

 

Se tu desideravi un tempio,

divinità antica

io te l’avrei anche costruito;

ma tu eri insaziabile,

il tuo mondo giurassico fatto di risate

di sberleffi

ed è vero che dopo aver preso confidenza

qualcosa è cambiato;

è cambiato

che non ti amo più

che non ti sopporto più

che se ti vedo ho l’impulso ad allontanarmi

che vorrei tanto dimenticarti;

e in tutto questo, imperituro,

il tuo profumo aleggia,

eterno fantasma di questa storia senza futuro.

 

Tu, che mi hai fatto morire

facendo a pezzi il mio cuore,

tu che mi hai ucciso a pugnalate

fatte di risate e di menzogne,

tu che alla fine ho tanto amato

e che forse amo ancora.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

NOTA DELL’AUTORE

 

 

 

Mi ritengo un uomo fortunato, per adesso.

Tutte le parole suggerite mi hanno permesso di proseguire serenamente tramite un continuum coerente e realista. Seguo la pista del mio cuore e delle parole, semplicemente.

Purtroppo ci sono persone che entrano di soppiatto nei cuori e ci restano anche quando si rivelano spilli acuminati. Ma l’esperienza per fortuna insegna.

Grazie ancora a tutti i partecipanti e a chi legge e commenta.

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Capitolo 7
*** Miele ***


Miele

MIELE

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ho creato un mondo con le parole

e con tali parole l’ho distrutto;

in testa questo casino

questo martellante casino;

io che al pianoforte grido,

te che non mi puoi ascoltare,

per la distanza geografica e temporale.

 

C’è tempo a dividerci

Ci sono mesi, giorni, anni,

tutto questo parlare di danni

l’amore mi ha strappato un pezzo di cuore

l’amore mi ha ferito a morte,

mi ha lasciato morire dissanguato, di dolore;

 

e adesso sono cambiato, tutti lo notaNo

io che calmo

mi sono tramutato in tempesta;

troppi caffè, troppa tensione,

troppa ansia e apprensione

per un mio futuro che non c’è

e tutto avrei donato a te;

 

adesso, sai, io sono felice solo per te

perché felice tu sei, veramente;

che l’infelicità e il dolore siano tutti per me

tu che sei pennellata di miele

nelle giornate in cui so solo gridare d’orrore,

sono felice che tu sia felice

nel tuo teatro,

tra le tue maschere,

tra volgarità e momenti dolci

tra amori perpetui e inganni rapidi

e spregevoli;

 

io nel mio teatro ci sto così male

e da tempo lo volevo lasciare,

ma non ne so uscire,

c’è chi non impara mai a volare;

e se le ho le ali

le ho lasciate marcire lì,

o che sono difettoso per natura,

a me stesso nessuna premura;

 

tu per me eri il miele

spalmato sulla fetta di pane caldo

di primo mattino;

quella dolcezza lì, proprio quella, hai presente?

 

Il bello è che tu tutto questo non lo saprai mai,

terrò tutto per me e per me io ci morirò,

nel mio dramma interiore

ho visto mulinare certe tempeste

ho pianto di notte

ho saltato punti e virgole nei miei componimenti;

 

miele sei per me,

ancora adesso;

cucchiaino di miele sciolto nel latte caldo,

quando mi sveglio e all’alba ho la fortuna di vederti;

mi mancano i tuoi momenti dolci

anche se spesso condizionati da altri molto pessimi;

 

nessuno di noi però è perfetto,

io meno di tutti,

io meno di te;

ed io per te che avrei dato tutto

e tu che avevi già tutto

ed io che potevo solo amare e basta

e l’amore vero non impari a conoscerlo

se ricambiato

ma solo quando ti senti infinitamente lontano;

 

la tua felicità

almeno, mi consola.

 

Spero che almeno tu possa continuare

a gioire, nelle tue piccolezze

e nelle tue grandezze, sfocate

nel bagliore delle umane debolezze.

 

Eri e sei miele per me,

che addolcisci l’amaro di un latte riscaldato

senza premura;

so che per tanti altri sei Musa,

ispirazione,

questo è il tuo potere;

entrare nei cuori

nonostante alcuni tuoi atteggiamenti.

 

Ora il mio amor è mutato

in qualcosa che non conosco;

miele sei per me,

cucchiaiata di miele nel latte caldo.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

NOTA DELL’AUTORE

 

 

 

Niente da dire o aggiungere su questa poesia. Grazie a Gella per aver suggerito questa parola che, effettivamente, calza a pennello e che mi permette di nuovo di dare vigore e varietà alla raccolta senza obbligarmi a variare (nemmeno leggermente) il tema.

(scusate, sono in ritardo con le pubblicazioni. Molto presto arriva anche la poesia successiva).

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Capitolo 8
*** Giro in moto ***


Giro in moto

GIRO IN MOTO

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Da quando ho perso te,

definitivamente,

da quando non mi è rimasto più niente

se non questa quarantena,

questa fine del mondo,

i galli cantano, anche di notte.

 

Non hai fatto sapere più niente,

è un silenzio che toglie motivazione

e ogni speranza.

 

In questo silenzio inquietante

osservo dalla mia finestra le strade senza traffico,

le vie dei pendolari

da sempre illuminate da fari a ogni ora,

adesso nemmeno uno spettro.

 

Sono rimasto sveglio una notte,

durante la mia cattività in campagna;

a mezzanotte, solo i galli a cantare,

un canto fuori luogo;

una sinfonia,

erano tantissimi, come un invito a resistere;

il gallo che canta, il simbolo storico della Romagna.

 

E mi sembra, in questo limbo tra sonno e realtà,

di sentire tintinnare gli anelli delle caveje,

come se gli spiritelli tanto citati dagli avi

fossero qui con me, unici a non abbandonarmi.

 

Sento la nenia di Madre,

rimasta la sola a tentare di lavorare,

senza più sonno,

e il russare di Padre;

assieme infrangono questo silenzio

ove la natura ha ripreso il suo posto.

 

L’Uomo è sconfitto anche in città;

una sola volta ci andai in questi giorni,

e tal volta vidi un deserto,

dall’aura apocalittica;

con le lacrime agli occhi sono tornato

nel mio isolamento completo.

 

Là, il canto dei galli è soppiantato ormai

dagli altoparlanti della Protezione Civile,

che invitano a restare a casa, in casa

e a pazientare, ringraziando per la collaborazione.

 

Ammetto che il canto dei galli

è più confortante, sia di notte e sia di giorno;

in fondo per me è rimasto tutto uguale,

a parte un isolamento ancora più forzato,

e le città distanti e così diverse,

più spopolate delle campagne.

 

Madre, avrei voluto vivere la tua gioventù

spensierata.

 

Ma adesso gli anni migliori se ne vanno,

ho giocato male tutte le mie carte

e anche il Destino non è stato molto clemente.

 

Potessi morire ora,

che il cielo è più limpido che mai;

si vedono le colline, i lumi delle case lontanissime

unico segnale che la vita umana, nonostante tutto, prosegue;

 

adesso, ora che ho il batticuore

e che vedo la mia Patria umiliata da un minuscolo virus

mi sento così impotente;

adesso, nell’ultimo barlume della ragione,

prima di sprofondare di nuovo nella mia depressione,

mi ricordo di quel giro in moto che ti avevo promesso;

alla luce dei tempi che corrono,

quando tutto sarà finito,

tornerà tutto come prima?

Sarò in grado di ritrovarti, anche solo per guardarti un attimo?

Un giro in moto mi farebbe molto bene,

ma ora non si può,

e tu

con me

non ci sarai mai.

 

Il crollo di un Paese mi ferisce;

il silenzio assordante che hai lasciato dietro di te

mi uccide.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

NOTA DELL’AUTORE

 

 

Poesia scritta la sera dell’undici marzo duemila e venti.

Dopo diversi giorni di solitudine completa, sono tornato, prima delle diciotto, nella mia città. Poche le persone in giro, tutte con la mascherina, e pure quelle in auto. Poco traffico ma soprattutto una piazza completamente vuota. Unico rumore nel silenzio, l’altoparlante della Protezione Civile che invitava a restare in casa e a pazientare, ringraziando per la collaborazione.

L’undici marzo è stata una giornata incredibilmente soleggiata, più del solito, e il paesaggio è stato mozzafiato, come se la natura brillasse anche nel mezzo dell’impotenza umana.

Di notte, i galli hanno cantato a decine, a centinaia, un canto di mezzanotte fuori luogo che ha risuonato nella campagna, inquietante, eppure così suggestivo… me lo sono ascoltato tutto.

Ecco da dove nasce questa poesia; ammetto che questa volta la parola consigliata, o, meglio, l’espressione “giro in moto” mi ha ferito; in questi giorni di reclusione, tutti uguali, un giro in moto per me è sinonimo di libertà estrema, quella libertà limitata per forze maggiori; questo solo in un primo momento, mi ha spiazzato così tanto da dire che non avrei scritto una poesia su ciò, questa volta.

Poi, questa giornata.

Poi, capire che “giro in moto” è un inno alla speranza e ai giorni belli che verranno, e che raggiungeremo tramite il sacrificio di queste ore.

Grazie all’autrice che mi ha saputo donare tutto questo, permettendomi di scrivere questa poesia non con una, ma con due mani sul cuore.

Il coronavirus è un nemico infido, ma se seguiamo le regole e le parole delle autorità, ce la caveremo.

Grazie di cuore, a tutti.

Per chi non lo sapesse, la caveja è uno dei simboli della Romagna (assieme al gallo che canta, si accompagnano spesso nelle bandiere). Uno strumento contadino, una barra di acciaio lavorata a mano e utilizzata nel giogo degli animali da soma. Era ornata da disegni e da anelli che, appunto, nell’incedere degli animali tintinnavano sonoramente.

Chiedo scusa per le note lunghissime ma erano dovute, questa volta, sia nel rispetto della poesia e sia per tutto il resto. Grazie per la pazienza ^^

 

 

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Capitolo 9
*** Frana ***


Frana

FRANA

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Frana;

appunto, tale sono stato

nella vita;

ho investito molto per chi

non valeva niente,

ed ho impiegato poco

per chi valeva tanto;

ho perso amici per il mio egoismo,

per le mie paure,

ma non recrimino queste ultime,

perché ciascuno di noi ha le sue

e affrontarle non è mai semplice;

 

ci voleva il coronavirus

per aprirmi gli occhi,

per dilatare finalmente il tempo

e farmi precipitare in una realtà

preindustriale;

io che mia mamma nemmeno la conoscevo

per via dei ritmi frenetici;

 

e correvo dietro all’unica persona

che non mi ha mai risposto

e nemmeno si è fatta sentire;

e investivo tanto su quella persona

per cui io dicevo Amore,

ma amore non era,

amore sia anche amicizia forte,

ma neppure quella c’era;

e da questo silenzio sono nate nuove impressioni,

all’inizio avevo così paura,

i primi giorni di sconforto si sono tramutati

in consapevolezza;

ho tutto il tempo per me, per scrivere,

per leggere in pace…

adesso il tempo è dilatato

e ciò che più voglio curare sono gli amici veri,

quelli che sono rimasti nonostante i miei difetti,

quelli che non hanno lasciato

un vuoto silenzio

dopo il loro rapido passaggio;

 

adesso, amici, io vi voglio essere accanto a voi

nonostante non possa abbracciarvi

né esservi vicino fisicamente;

adesso io, la frana nei rapporti umani,

colui che ha mandato tutto da male inseguendo

qualcosa che non era che un falso riflesso per sopravvivere,

voglio dirvi tre parole, sussurrandovele come se fossi a vostro fianco;

vi voglio bene!

 

E voglio bene a te che mi leggi e mi sostieni sempre,

e che mi incoraggi e mi insegni sempre

perché in questo viaggio ho appreso più da te

che da queste misere, ridicole paroline in croce;

in croce mi ci sono messo da solo tante volte,

schiavo delle pulsioni e delle illusioni,

povero me, che nel mio teatro quotidiano

ho indossato tante volte la maschera della vittima

versando lacrime di coccodrillo su un latte ormai freddo;

ma tu mi hai sostenuto,

amico e amica mia,

tu nonostante tutto hai resistito a questa sorta

di fragili piagnistei.

 

Ci rialzeremo, amici miei,

e quel giorno saremo assieme, forti e decisi,

niente potrà più fermare il nostro Futuro.

 

Adesso questo tempo è dilatato,

solo il tic tac delle lancette dell’orologio

mi ricordano distintamente che appunto qualcosa scorre,

la mia vita, appunto, la nostra;

però abbiamo tempo,

ci possiamo curare e preservare,

aiutare il prossimo e noi stessi

tramite semplici azioni che non richiedono troppi sacrifici;

 

ci rialzeremo, amici miei!

 

Ed io, la frana umana,

che ho sempre amato distruggermi e farmi male

combattendo guerre perse in partenza,

io…

io non so se merito

di essere aiutato a rialzarmi

quando cado,

ma amo chi è rimasto a mio fianco

e il mio amore puro, poiché costituito d’amicizia sincera,

durerà in eterno;

 

io amo,

e anche questa sarà poesia d’amore,

ma del vero amore

poiché dedicata ai veri amici e alle vere amiche.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

NOTA DELL’AUTORE

 

 

Che altro aggiungere? Poesia che parla da sé! Un abbraccio virtuale a tutti ^^ spero sempre che vada tutto bene, che tutto si aggiusti.

Grazie Sakkaku per la splendida parola suggerita!

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Capitolo 10
*** Maracaibo ***


Maracaibo

MARACAIBO

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Mi immagino

lungo le spiagge sudamericane;

Maracaibo

non solo una canzone

ma anche un sogno nel cassetto;

odore di nuovo,

di un’altra Nazione,

sporca del sangue di migliaia di persone

però così esotica nella sua natura

ancora quasi completamente incontaminata;

 

nel mondo delle guerre,

degli eccidi, del traffico di droga e di organi,

delle tirannie e dei colpi di stato militari,

una spiaggia paradisiaca che resta sola;

mi sento come Maracaibo,

la città dimenticata

nel corso di un conflitto interno

ed esterno,

dove non c’è futuro

e anche lì il virus miete vittime;

 

adesso che le spiagge sembrano così distanti,

Cervia e la sua sabbia gialla intensa così

lontana,

non penso più all’amore perso nella tempesta,

ma solo a quel che sarà del mio futuro.

 

Penso al dopo coronavirus,

tanto prima o poi finirà,

ma non ne vedo uscita a breve;

sogno allora la spiaggia caraibica,

i suoni indigeni lontani,

che infrangono quelli dei galli circostanti;

su quella spiaggia bianca corallo

dove tutto l’anno è estate

resterei lì alla ricerca della pace.

 

Mi chiedo ora che cosa merito;

in verità della mia vita non me ne sono

mai fatto niente;

come un re magio

ho inseguito una cometa;

credevo fosse una cometa

ma era solo l’ennesimo fascio di luce artificiale;

ancora una volta

mi sono lasciato ingannare.

 

Il silenzio umano mi avvolge,

dicevano che le persone sono esseri sociali

adesso piovono solo denunce tra vicini

e si sta chiusi in casa;

mi sento estraniato,

ormai diventerò un alieno,

non saprò nemmeno più guidare come un tempo;

 

è questo quello che merito?

Quello che significa essere umano?

 

Adesso non m’importa più,

a tutto questo, gradualmente, mi sono abituato;

non ho fratelli,

né chi mi parla né chi mi cerca;

passo il giorno a sistemare libri,

poi li risistemo ancora,

un cerchio che rasenta la più metodica delle follie;

è l’incertezza, la paura

che attanaglia lo stomaco e toglie il sonno.

 

In tutto questo, resta la scrittura

e i bravi amici che mi sostengono,

i miei animali, le mie piante,

la vita nel suo aspetto più solito;

manchi tu, ma non ti sento più

come prima del virus,

quando ero disposto a perdonare tutto

e ad amare incondizionatamente

nonostante fosse tutto così complicato,

impossibile;

 

adesso vedo solo mascherine

e gente che dice; pensa alla salute!

 

La salute non è solo un malanno fisico,

ma anche quello mentale

che crea un tempo tutto uguale.

 

In tutto questo, appunto,

non ti penso più;

non amo più,

non mi interessi più,

resta nel tuo silenzio

lontano da me

così remoto;

io mi concedo, intanto,

quel viaggio esotico

e lo faccio con le ultime forze mentali;

Maracaibo,

sogno di primavera;

vorrei dire mi manchi,

ma sarebbe una bugia.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

NOTA DELL’AUTORE

 

 

 

So che è tutto così complicato. Ma non fa niente, è tutto a posto.

Prendete questa come una semplice poesia, niente di più; non vuol fare polemica o altro, è semplicemente l’espressione del momento in cui l’ho scritta.

Per fortuna sono ancora in forma e tutto sommato non ho nulla di cui lamentarmi, quindi speriamo bene e speriamo appunto che si trovi una qualche soluzione alla dolorosa situazione.

Grazie per il sostegno <3

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Capitolo 11
*** Pixel ***


Pixel

PIXEL

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

E osservo

quella foto;

i pixel sfocati

non rovinano la tua immagine,

quell’immagine che ho di te;

questo tuo silenzio ormai

non mi spaventa più

durante queste lunghe

giornate primaverili

in cui non mi sono mai annoiato;

 

ed Il limbo dei bugiardi

mi aspettava, ogni sera,

fedele amico da scrivere

e portare a termine;

 

di giorno,

gli animali,

le cure alle piante,

l’agricoltura;

chiamare gli amici

e i conoscenti,

sincerarsi che fosse tutto a posto,

aiutandoci nel bisogno;

tutto questo, andando d’accordo.

 

Poi, la questione riguardante te;

la tua sparizione, questo tuo

silenzio esemplare

lasciato dopo un rapido passaggio;

cometa fosti per me,

cometa che ho inseguito

come un Re Magio,

ma nessuna novella

ha solcato questi cieli sempre sereni;

 

e anche ora, che guardo

dalla finestra della mia stanza

il mondo che s’illumina,

colline e città,

Cesena è là,

San Marino,

Forlì,

Forlimpopoli,

la Riviera;

tutte le luci

che incendiano all’orizzonte il buio,

segnale che ancora

tutto è rimasto inalterato

anche se mi sono chiuso

nel mio piccolo e isolato mondo di campagna,

lontano chilometri e chilometri

dal primo centro abitato di rilievo.

 

Questo si è rivelato il mio Paradiso

quando invece è sempre stato la mia prigione;

per una volta sola mi sono goduto la vita,

la campagna, appieno,

ed è stata questa.

 

Il bello è stato sentirsi vicino a tutti

ora più che mai,

chiamarsi, tenersi in contatto;

e il tempo è volato.

 

Ma ora mi spieghi perché

ho tutti qui con me,

e manchi solo te?

 

L’unica persona scomparsa;

forse l’unica a cui veramente

non importavo niente.

 

A te che ho amato

quando non sapevo niente,

niente,

della tua vita;

niente.

 

Ora rifletto;

era amore oppure solo un mio diletto?

 

Non era niente,

perché questo vuoto

è quello che non si colma

e d’altronde alla fine di te

non ho mai davvero saputo niente.

 

In tutto questo niente

di te mi è rimasta una sola foto;

 

questa dannata foto

dai pixel sfocati;

 

e a volte, di sera, la guardo

con sincero affetto

sapendo in fondo dove sei

che stai bene

e che a te va sempre tutto bene,

che la vita è generosa nei tuoi confronti.

 

Ebbene, sono felice per te,

per me,

e questa foto

dai pixel sfocati

la lascio infine a riposare

nella memoria del mio cellulare,

dove un istante pare durare

in un eterno secondo immutabile.

 

Vorrei dire che mi manca qualcosa,

ma non è vero;

vorrei dire che mi manchi,

ma non è vero;

vorrei dire che basterebbe un sogno

per vivere di rendita,

e questo, forse, è vero;

 

mi piacerebbe poter affermare

che quel che ho provato per te

in un passato molto recente

è stato qualcosa di vero,

ma anche questo ora non lo so,

so che è giusto lasciarti lì,

a riposare in quella foto dai pixel sfocati,

a donarti l’eterno

in una memoria di un cellulare

e un solo, rapido secondo

nel mio complesso meccanismo neuronale.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

NOTA DELL’AUTORE

 

 

Pixel, come parola, all’inizio mi ha lasciato un po’ perplesso… poi mi ha folgorato l’ispirazione.

Devo ammettere che sono cambiate molte cose da quando ho iniziato a scrivere questa raccolta, che sta per giungere al termine… la mia vita di prima e quella di adesso forse non sono nemmeno paragonabili e non so se alla fine della crisi la mia esistenza prenderà una piega o un’altra, o forse resterà immutabile. Non so niente. Quello che è certo è che… non provo più sentimenti forti verso una determinata persona. È appunto qualcosa che riposa ormai in una foto dai pixel sfocati. E questa parola, appunto, rispecchia appieno ciò che è realmente accaduto, quindi grazie a chi l’ha suggerita… in fondo mi ha aiutato a esprimere tanto altro…

E grazie a voi, miei sostenitori!  Un abbraccio, vi voglio sinceramente bene! Grazie!!

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Capitolo 12
*** Luna piena ***


Luna piena

LUNA PIENA

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

La Luna

e Venere

danzano nel cielo di Primavera;

il loro è un ballo lento,

dura ore al calar del sole;

la Luna è a falce,

ma Venere compensa la sua mancanza;

 

sembra che la Luna

sia rivolta verso il pianeta

in un moto romantico.

 

Ma su questa Terra

di romantico non c’è rimasto più nulla;

ora vedo ancor più

il vero volto di chi mi circonda,

odo le loro parole

rabbiose

frustrate

sibilate

in modo infame, nella notte

a turbare la danza nel cielo,

a devastare l’Amore Supremo;

 

gente che, col virus,

è scomparsa con soldi altrui

e il cuore di chi l’amava;

Umani che hanno approfittato del periodo oscuro

per dire; sono giorni no,

e sparire così, misteriosamente.

 

Ma la Luna,

oh, no, la Luna no,

non mi lascia mai!

E quando è piena,

io sotto la sua fioca luce mi siedo

nel parco, tra alberi e animali,

di notte

avverto il cuore pulsante

della Natura

e dell’Universo,

e mi chiedo cosa sono

io, nemmeno un puntino

nella sua infinità…

non sono niente,

io non sono niente

ma nell’angoscia dei tempi bui

sono tornato ad amare

non una persona,

ma la Vita, il Cosmo,

la serenità del contatto interiore col Divino

e l’Assoluto.

 

Quanto meno, nella mia infinita umiltà,

per una volta ho percepito tutto dentro me

e sono rinato, come lo zafferano quando tornano le piogge

sono sbocciato di nuovo

al chiaro di una Luna piena

che mi fa da Madre;

 

sono rinato,

del dolore umano

mi sono lavato,

depurato;

le mie cellule sono quelle di un neonato,

ho sfidato il Tempo e il Buio

per vincere il mio conflitto interiore

 e capire finalmente quanto valgo,

che quando stavo tra la falsità umana

mi sentivo uno zerbino,

ma durante il momento più critico

ho resistito e ho cercato,

annaspato

per trovare appigli e salvarmi;

prima, che io mi odiavo,

che mi sentivo inutile,

ora che sono uomo, finalmente,

ora che so che la Vita vale

e vale in ogni sua forma.

 

E alla Luna piena

io dono il mio voto d’amore;

quando anche l’Uomo tornerà a contaminare

il mio animo,

a farmi sentire miseria e zerbino,

io brucerò tutto col fuoco che ho dentro;

 

dalle rovine di un castello

ho costruito un impero interiore;

una rinascita che ormai non mi aspettavo più,

ma saprò salvarmi, continuare così,

a posare ogni giorno un nuovo, fresco mattone

alla metropoli festosa che ora vive dentro me?

 

Luna,

con te ho vissuto

tempeste di neve,

visitato mercatini serali,

affrontato dinosauri e paure,

occhi roventi,

inalato dolce profumo di miele,

ho sognato Maracaibo,

ho fissato a lungo una foto dai pixel sfocati

di tempi ormai passati,

mi sono sentito una frana

ma tu, in fondo, sei stata la mia terapia;

 

il Creato mi ha salvato la vita,

non l’Uomo, mio Fratello,

consanguineo che mi ha abbandonato,

Caino del mio animo.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

NOTA DELL’AUTORE

 

 

Credevo che questa quarantena mi avrebbe ucciso. Annientato, immerso com’ero nel pessimismo.

Invece mi ha illuminato.

Ho ritrovato sonno e armonia. Ho ricostruito me stesso, risorgendo dalle rovine.

Il tempo si è dilatato, di sera ho potuto osservare il cielo, i pianeti, la Luna.

Anche se non ho mai smesso di lavorare per via dei miei animali e delle attività agricole impellenti, ho trovato la pace che… non ho mai conosciuto.

Questa raccolta è iniziata quando mi credevo il niente. Quando avevo ‘’amici’’ che poi con l’emergenza hanno preferito non parlare più con nessuno, o quanto meno con me(anche solo telefonicamente, ovviamente), e quando amavo chi invece non provava niente per me, se non invidia… invidia per cosa, poi? Non l’ho mai capito. Ma non era interesse, alla fine era invidia…

Questa raccolta termina quando, solo la sera prima, mi sono messo a sedere sull’erba e ho meditato, la Luna e Venere sopra la mia testa, immerse in un tramonto magnifico. Ho avvertito tutto sulla mia pelle, dalla vita del grillo al movimento continuo dell’Universo.

Amici e amiche, voi che avete resistito come me, ricordate sempre che la vostra vita vale e nessun altro essere umano deve permettersi di screditarla. La vita è bella così com’è, in ogni sua forma, è preziosa, è sacra. È limitata, fatene buon uso. È un dono.

Il giorno in cui ho buttato nel bidone il sudicio parere nefasto altrui è stato quello in cui finalmente mi sono sentito bene, altro che un misero orgasmo… è stato come andare direttamente in Paradiso. Ricordate che la verità su voi stessi la potrete sempre trovare in fondo ai vostri cuori… anche se a volte bisogna scavare un po’…

Ma non vi annoio oltre. Ringrazio tutti gli altri partecipanti alla sfida, che mi hanno permesso di scrivere e di sognare… avevo previsto di scrivere poesie non impegnative, ma alla fine è venuto fuori un progetto completo. Grazie Soul per avermi voluto e inserito tra i partecipanti e per avermi così concesso di crescere e di fare del mio meglio.

Scusate per l’umiltà dei miei componimenti.

Scusatemi per tutto, sono noioso, lo so.

Un abbraccio a tutti… spero ci ritroveremo presto, siete fantastici ^^

 

 

 

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