La ruota del destino e del tempo

di mattmary15
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Il sole e la luna - Parte prima ***
Capitolo 3: *** Il sole e la luna - Parte seconda ***
Capitolo 4: *** Scosse - Parte prima ***
Capitolo 5: *** Scosse - Parte seconda ***
Capitolo 6: *** Ombre dal passato - parte prima ***
Capitolo 7: *** Ombre dal passato -Parte seconda ***
Capitolo 8: *** Risvegli - Parte prima ***
Capitolo 9: *** Risvegli - Parte seconda ***
Capitolo 10: *** Risvegli - Parte terza ***
Capitolo 11: *** Rivelazioni ***
Capitolo 12: *** Promesse e minacce - parte prima ***
Capitolo 13: *** Promesse e minacce - Parte seconda ***
Capitolo 14: *** La quiete prima della tempesta - Parte prima ***
Capitolo 15: *** La quiete prima della tempesta - Parte seconda ***
Capitolo 16: *** La tempesta ha inizio ***
Capitolo 17: *** I dubbi di un cavaliere d’oro ***
Capitolo 18: *** Le decisioni di un cavaliere d’oro ***
Capitolo 19: *** Gelo e calore ***
Capitolo 20: *** In viaggio ***
Capitolo 21: *** La voce di un dio ***
Capitolo 22: *** Il Vulcano ***
Capitolo 23: *** Dall’Etna al Vesuvio ***
Capitolo 24: *** Ritorno a casa ***
Capitolo 25: *** Sospetti ***
Capitolo 26: *** Agire da cavaliere ***
Capitolo 27: *** Una spallata di troppo ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


 

Note dell'autrice rediviva:
Allora, si sentiva davvero il bisogno di un sequel???
Noooo!
Allora perchè? Perchè non riesco a togliermi dalla testa che la storia sia andata davvero come ricomincia da questo punto e perchè, a distanza di diverso tempo dalla fine de 'Il destino di una vita intera' ricevo ancora commenti e richieste di raccontarvi come va davvero a finire.
cercerò di non rendere questa storia incomprensibile a chi non ha letto il polpettone parte prima, però se qualcun altro vorrà fare un salto da quella parte ne sarò estremamente felice.
Tuttavia se qualcuno che ha letto la mia prima storia, troverà alcune differenze nel mio modo di descrivere i personaggi, sappiate che la motivazione è solo una: ad Aprile sono stata in Giappone e ho visto i personaggi di Saint Seiya un pò come li vedono loro. Che significa? Lo scoprirete leggendo se vi fa piacere.
A presto e, come al solito, buona lettura...


La ruota del destino e del tempo.

Prologo

 

Un urlo rabbioso si levò nell’aria e i veli del tempio furono squarciati da un vento furioso. Il rumore dei cocci, probabilmente di un’anfora candida, sul pavimento di marmo rosa rimbombò fino ai timpani decorati finemente.
Il giovane dai capelli d’oro avanzò piano, quasi temesse che la sua stessa presenza in quel luogo provocasse ulteriore collera. Solo quando le fu abbastanza vicino da poterla vedere in ginocchio con le vesti lacerate e gli occhi rossi per il pianto, osò allungare una mano e sfiorare una ciocca di capelli colore del grano.
“Madre”, disse e le ancelle che si erano nascoste dietro le alte colonne del tempio fecero capolino al suono di quella voce che sembrava una canzone.
Come a voler distruggere persino l’armonia spontanea nata da quella voce, la figura scattò in piedi e si mostrò minacciosa.
“Non chiamarmi così, sai che lo detesto!”
Il giovane si contrì come sempre per quelle parole ma non vi dette alcun peso.
Per Afrodite, dea della bellezza, la maternità era motivo di vergogna e non di vanto. Eros si fermò a guadarla. Nonostante la rabbia e l’amarezza le avessero alterato i tratti del viso, rimaneva bellissima. Un astro di pura luce.
“Perché sei così adirata?” chiese pur conoscendo il motivo per cui la dea era in collera.
“Tuo padre è stato sconfitto! Condannato all’ oblio da quella maledetta, sciatta e vendicativa Atena! Che Zeus la fulmini!”
Eros aveva percepito chiaramente svanire il cosmo di Mars ma la cosa gli era stata totalmente indifferente. Un padre ed un figlio non erano mai stati tanto diversi. Dio della guerra, seguito da timore e paura uno, dio dell’amore con il compito di dispensarlo agli uomini, coloro che suo padre più odiava, l’altro.
Anche se avesse voluto soffrire per la sua dipartita, Eros non avrebbe potuto dimenticare  quanto Mars, durante gli innumerevoli secoli, lo avesse deriso. Bambino, lo chiamava, arciere che impugna un’arma in modo ridicolo. In passato lo aveva persino costretto ad uccidere e lui lo aveva detestato e rifuggito per sempre.
Sua madre lo piangeva ma a lui era indifferente il fato che aveva subito per mano di Atena.
Immaginare poi che il divino padre degli dei potesse in qualche modo punire la sua figlia prediletta era fuori questione. Molte battaglie s’erano combattute sull’Olimpo e sulla Terra e in tutte, nessuna esclusa, Atena aveva preso le difese del padre.
Eros non era particolarmente interessato alle questioni, come dire, politiche e aveva sempre fatto parte della coalizione in cui s’era schierata sua madre –che poi era quella di Mars- ma non era uno sciocco.
Anche in quel momento una faida silenziosa divideva l’Olimpo e sua madre era una delle divinità maggiori che potevano far pendere l’ago della bilancia a favore di una parte o dell’altra.
“Anche se infesti l’Olimpo con le tue maledizioni, Zeus non fulminerà Atena. E Mars non avrebbe dovuto muoverle battaglia per futili motivi. Non è previsto che lei ami un dio. Se così fosse, io lo saprei, non credi?” disse pacatamente il ragazzo alla divinità.
Afrodite, come fosse stata punta da una vespa, fece apparire un’altra anfora che originariamente stava all’ingresso del suo tempio e la lanciò contro la parete alle spalle del figlio.
“Credimi, Eros, in un modo o nell’altro avrò la mia vendetta!”
“Intendi davvero appellarti al divino Zeus? Lui non ti ascolterà, non stavolta!”
“Se lui non mi ascolterà, so chi lo farà di certo! Abbiamo ancora chi è in grado di fronteggiare senza timore quella sfacciata! Neppure il suo potere può nulla contro l’Astro del firmamento!” disse sopravanzando il figlio e guadagnando l’uscita del tempio. Eros fece cenno alle ancelle che potevano uscire. Aglaia, la più coraggiosa fra loro fece un inchino al dio dell’amore e osò proferire parola.
“Scatenerà una nuova guerra sacra? Dovremo combattere?” Eros le accarezzò il viso e la tranquillizzò.
“Non temere. Non scenderebbe mai in campo personalmente. Non lo farà fare alle sue guerriere. Il suo obiettivo è Apollo ma verrà delusa. Sono quasi certa che lui non si farà trascinare in una battaglia contro Atena per vendicare la morte di Mars.
L’ha già affrontata e si è ritirato. Nessuno sa cos’è accaduto quando si sono scontrati. Per la prima volta nessuna delle due divinità ha vinto o ha perso.
Sarebbe bello se tutte le sfide tra dei si risolvessero nel semplice saggiare le loro forze.”
Aglaia sorrise e Eros pensò che fosse davvero splendente di bellezza come il suo nome suggeriva. Poteva quasi gareggiare con sua madre. Di certo però, questo non lo avrebbe mai detto altrimenti la fanciulla sarebbe stata mutata dall’irascibile Afrodite in una bestia quadrupede.
Si limitò a lasciare anche lui il tempio di Cipro e volò con le sue splendide e candide ali fino a Delo.

 

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Capitolo 2
*** Il sole e la luna - Parte prima ***


Capitolo I
Il sole e la luna
Parte prima

Il tempio di Artemide era uno specchio d’acqua su cui si rifletteva una luna enorme. Le colonne che sorreggevano un tetto fatto di nuvole ponevano magicamente le loro fondamenta sia alle pendici dell’Olimpo che sull’isola di Delo.
La dea della notte non riusciva infatti a separarsi dal proprio luogo natio e da colui che amava sopra chiunque altro.
Suo fratello, dopo essere giunto in suo soccorso nella battaglia che lei stessa aveva ingaggiato con la sorella Atena, si era ritirato nel cuore del suo tempio e non ne era più uscito. Da allora lei ne vegliava l’uscio senza allontanarsi mai. Sapeva che Apollo stava bene ma era preoccupata per la sua decisione di isolarsi dal mondo intero.
Allungò una mano verso la cetra che Apollo usava suonare per lei e sospirò.
Toma, che a propria volta vigilava su di lei, l’avvertì di una visita inattesa.
“Mia signora, vostra sorella Afrodite chiede di vedervi. La lascio entrare?” Artemide si sistemò una ciocca di capelli dietro le spalle e rispose col solito cipiglio deciso che la contraddistingueva.
“E’ già entrata. Non serve più domandare, non è vero sorella?” Toma si voltò di scatto e la vide avanzare verso colei che lui proteggeva.
“Perdonatemi, mia signora. Credevo che non avrebbe osato accedere senza che aveste dato il permesso.”
“Non crucciarti, Toma. Va bene così, puoi andare”, disse sfiorandogli una spalla e facendolo svanire nel nulla.
“Disponi facilmente dei tuoi uomini, sorella!” esclamò Afrodite con uno sguardo ammirato che non lasciava trasparire quanto si fosse angustiata fino a poche ore prima.
“Sono una guerriera e i miei soldati mi rispettano”, fece Artemide fronteggiandola “Cosa ti porta qui?” La dea della bellezza si rabbuiò.
“Saprai certamente cosa è accaduto a Mars.” Artemide annuì.
“So che ha osato sfidare uno dei tre primi e che questi gli ha scatenato addosso un titano, il Kraken. Una fine miserabile per il dio della guerra!” fece Artemide sorridendo maliziosamente. Afrodite, pur accusando il colpo, non diede a vedere la sua rabbia e mantenne l’espressione più affascinante che conosceva.
“Non sei bene informata, sorella. Mars è stato vittima dell’uccisore di dei, l’umano cui Atena ha concesso la sua benevolenza. Non credi che stavolta abbia superato il limite?” Artemide accarezzò un rivolo d’acqua che saliva dal lago lungo le colonne scintillando nella luce lattea della luna.
“Quel limite” disse cupa “è stato superato molto tempo fa. Quell’umano doveva restare nel regno degli inferi. Riportarlo alla vita è un peccato mortale ed un oltraggio alla nostra deità.” Afrodite sorrise nell’udire le parole di sua sorella.
“Se questo è il tuo pensiero, allora quello del tuo gemello non differisce, è così? Si dice che la vostra comunione di intenti sia totale.” Artemide fu attraversata da un brivido. Anche se la considerava una sciocca, Afrodite era una degna avversaria nella dialettica e su quello che aveva appena detto non sbagliava al punto che, seppure non presente fisicamente, Apollo fu in un istante nella sua mente e ne condivise i pensieri.
“Sono spiacente di deluderti, sorella” disse compresa la volontà di Apollo “ma mio fratello non è dell’umore di riceverti. Soprattutto se è tua volontà parlargli di Atena.” Afrodite capì subito che la conversazione era finita ma non voleva cedere così facilmente. In fondo Apollo non era forse stato umiliato come Mars? Artemide non lo era stata quanto lei?
“Non hai appena detto che la sola esistenza di quel misero mortale è un oltraggio per noi divinità?”
“L’ho detto ma a mio fratello non interessano le sterili vendette che stai cercando.”
“Sterili vendette?” esclamò Afrodite che non riusciva più a contenere la rabbia “Ogni giorno che passa quella strega allunga sempre più le sue mani sull’umanità. Ha ucciso Hades e Mars, chi sarà il prossimo?” Artemide la superò e, alle sue spalle, riapparve Toma.
“Accompagna mia sorella alla porta, Toma, qui non c’è niente che le interessi.” Toma fu, in un passo, al fianco della dea per accompagnarla al passaggio che riportava all’Olimpo. Afrodite si fece rossa in volto e a stento trattenne la rabbia.
“Sai, Artemide, ti facevo più furba. Mettere alla porta uno degli dei maggiori non è una mossa astuta. Forse Apollo non è così invincibile come credevo, magari anche lui ha paura di Atena come quel traditore di Nettuno!”
Una freccia passò a pochi millimetri del viso della dea della bellezza ma questa non si scompose. Fece un piccolo inchino e lasciò il tempio della luna.
“Avrai a pentirtene anche tu!” esclamò non appena Toma si fu congedato stringendo un pugno al punto che scarlatte gocce di sangue colarono lungo le dita.
Invece che prendere le scale che scendevano all’Olimpo, Afrodite prese quelle per Delo. Un battito d’ali che le era familiare la fermò.
“Torna indietro!” esclamò Eros appena sopraggiunto “Se Apollo veramente ti affrontasse ora, quante possibilità credi di avere?”
“Io non voglio affrontare Apollo! Ha avuto la sua possibilità di ascoltarmi. A questo punto non è più tempo di giocare. Ti ho già detto che avrò la mia vendetta, Eros. Atena proverà sulla sua pelle cosa significa perdere colui che si ama! Annienterò tutti coloro che si trovano intorno a lei e la parte più bella sarà che a fare tutto il lavoro per me, sarà proprio Apollo!”
“E come lo convincerai?” chiese Eros stavolta in parte sorpreso.
“Userò la sua voce!”
Eros non fece a tempo a fermarla. Una sorta di schiuma rosa l’avvolse e la dea sparì. Il dio non potette fare altro che pregare affinché le azioni di sua madre non dessero avvio ad una nuova guerra sacra.

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Mur posò un paio di pergamene sul lato della scrivania per fare posto alla tazza che Lucina aveva riempito di tea. La vecchia ancella che si occupava delle cucine del santuario, l’aveva preparato apposta per il grande sacerdote.
Era già trascorso quasi un anno dal giorno in cui aveva ricevuto l’investitura a grande sacerdote e Mur era sempre affaccendato in qualcosa. Shaka soleva spesso fargli compagnia ma quella mattina era solo perché doveva parlare con Atena.
C’era un gran fermento al grande tempio in quanto le Panatenee si avvicinavano e tutti gli abitanti di Rodorio avevano già presentato le loro petizioni per le udienze della dea. In più c’era da organizzare il torneo che avrebbe chiuso i festeggiamenti. Mur lasciò il suo studio e si diresse nella sala del trono.
Saori era seduta sullo scranno con gli occhi chiusi. Mur la trovava molto maturata nell’ultimo anno anche se, di recente, l’aveva vista sempre più incupirsi. Nessuno più di lui sapeva quanto l’umore di Saori fosse altalenante. Giorni felici si susseguivano a periodi silenziosi e carichi di tristezza. Non di rado, in questi ultimi rimaneva spesso sola e in meditazione nelle sue stanza senza concedere udienza ad alcuno.
Solo quando fu quasi ad un paio di metri dalla dea, s’accorse di lui. La sua figura scintillante nell’armatura d’oro, quasi sembrava ingoiata dall’ombra del colonnato dietro cui s’era nascosto. Le ali di Sagitter, ripiegate dietro la schiena, sembravano pesargli molto più che in passato. Non la perdeva mai di vista, se poteva. Anche quando Saori si chiudeva nelle sue stanze, Seiya rimaneva fuori dalla sua porta. Sempre.
“Atena, sono venuto a parlarvi dei giochi” fece Mur con un piccolo inchino.
“Mur, sono stata tutto il giorno al chiuso. Ti va di parlarne passeggiando lungo i giardini?” La sua voce era pacifica e carica di benevolenza. Mur annuì e le porse la mano.
Il sole della Grecia, capace di scaldare i cuori ancor più delle carni, li avvolse appena fuori dal porticato esterno. Mur percepì il cosmo di Seiya vegliare su di loro a distanza.
“Preferite ricevere le petizioni in un solo giorno o in due mattinate?”
“Preferirei in un giorno solo”, rispose lei senza lasciargli il braccio e appoggiandovisi un poco.
“Sta bene. Per quanto riguarda il torneo invece, abbiamo convenuto che qualunque cavaliere in possesso di un’armatura potrà prendervi parte senza distinzione di sesso o grado. Va bene per voi?” Saori si fermò costringendo Mur a fare la stessa cosa.
“L’anno scorso il torneo è stato solo per gli allievi. Ha portato un presagio di sventura. E’ proprio necessario riorganizzarlo?”
“Mia signora, è stato un anno di pace. I cavalieri desiderano fortemente un’occasione per battersi.”
“Non dovrebbero, semplicemente, godersi un momento propizio? Le battaglie possono sempre essere dietro l’angolo.”
“Anche per questo è bene che i cavalieri, di tanto in tanto, calpestino l’arena anche nei periodi di pace.” Saori annuì.
“Allora lascio a te il compito di organizzare tutto. Io mi dedicherò prevalentemente alle udienze pubbliche.”
“Atena, c’è anche un’altra questione.”
“Dimmi pure.”
“Shaina mi ha chiesto di invitarvi a recarvi al dormitorio delle reclute. Vorrebbe che conosceste i nuovi allievi.”
Saori riprese a camminare ma, lasciato il braccio di Mur, prese un po’ di distanza da lui. Il dormitorio delle reclute altro non era che l’orfanotrofio che molti anni prima lei stessa aveva fatto aprire tra Rodorio e il santuario. Dopo che era bruciato in un attacco di Mars, era rimasto un inutile cumulo di macerie. Tuttavia, Shaina che si occupava dell’addestramento di molte reclute, l’aveva fatto ristrutturare e riaprire affinché vi trovassero posto le decine di ragazzi che giungevano da ogni parte del mondo per diventare cavalieri. Era un luogo allegro e piacevole dove vivere ma Saori lo aveva sempre rifuggito. Non solo gli ricordava uno dei momenti più brutti della sua vita ma le metteva addosso uno strano senso di malinconia per qualcosa che neanche lei sapeva bene.
“Dille che riceverò le nuove reclute alla tredicesima casa.”
“Credo che sarebbe meglio per i ragazzi se foste voi ad andare da loro. Hanno bisogno di sapere che oltre alla statua che troneggia sul santuario, la dea è loro vicina in carne ed ossa. Credo che anche voi ne trarreste beneficio, ultimamente vi vedo in pena. Qualcosa vi turba?” Saori si voltò a guardarlo con occhi arrabbiati e Mur abbassò lo sguardo. Di recente Atena era facile all’ira e lui sentiva l’ombra di un cattivo presagio scendergli addosso ogni volta che succedeva.
Il cosmo caldo e avvolgente del cavaliere del Sagittario giunse in suo soccorso.
“Mur, di a Shaina che andrò io dai ragazzi. E’ mio compito”, disse sorridendo a Mur. Il cosmo di Saori che s’era agitato come le sue vesti sollevate dal vento, si placò.
“Vedi, mio sacerdote? Il mio primo cavaliere si premura che non venga contrariata in alcun modo!” disse con tono sarcastico la dea “E’ sempre un passo dietro a me. Sembra quasi che non si fidi a lasciarmi sola!” A quelle parole, l’espressione di Seiya si fece dura. A Mur non piaceva lo sguardo che aveva in quel momento.
“Se Atena lo ordina, posso lasciarla sola fino a quando la dea non riterrà opportuno rivedere il mio volto!” Lo sguardo di Saori si fece talmente freddo che Mur credette avesse rubato il cosmo di Camus per congelarli in quell’istante.
“Se non ci sono altre incombenze, mi ritiro. E stavolta vorrei che nessuno mi seguisse!”
Seiya e Mur chinarono il capo fino a che non sparì oltre la scala che scendeva dalla tredicesima casa fino al giardino degli alberi di Sala.
“Posso parlarti con franchezza?” chiese Mur a Seiya. Quest’ultimo sorrise bonariamente e si sedette su di una roccia “Che cosa sta succedendo? E’ arrabbiata per qualcosa che hai detto o fatto?”
“Non lo so, amico mio. Ma su di una cosa ha ragione. Non la lascio mai sola. Sono preoccupato per lei. Ultimamente ha sempre uno sguardo cupo come se fosse preoccupata o triste per qualcosa. Gliene ho parlato e mi ha detto che continua ad avere degli incubi. Poi ha cominciato a farmi domande strane.”
“Strane?” chiese Mur e Seiya annuì guardandosi le mani bardate d’oro “Di che genere?”
“Mi ha chiesto se è stata lei ad abbattere Mars oppure se sono stato io. Continua a dirmi che ha dei ricordi confusi del suo risveglio. Che Saga era lì con lei.”
“Ma Saga è morto sulla spiaggia, prima che Mars fosse sconfitto. Come avrebbe fatto ad essere lì con lei?”
“Lo so. In quella stanza, quando ci siamo svegliati c’eravamo solo noi due eppure non smette. Ha chiesto a Kanon com’è morto suo fratello senza farsi cura di quanto potesse essere doloroso per lui parlarne e ha persino domandato a Shaka in quale dei mondi dell’oltretomba è finito il suo spirito.”
“Non me ne ha mai parlato. Cosa credi che le stia succedendo?” Seiya sospirò e scosse il capo.
“Credo solo che le manchi. Tutto qua.”
“Avanti Seiya, non fare quella faccia. Di qualunque cosa si tratti e per quanto io l’abbia sempre biasimata per questo, lei ha sempre sentito la mancanza di uno solo di noi e sappiamo bene entrambi che non è Saga.”
“Ad ogni modo le cose stanno così. Mi ha allontanato. E’ come se il legame che ci ha unito per tutti questi anni, si fosse improvvisamente spezzato.”
“Non essere ridicolo. Piuttosto, cerchiamo di capire cosa le sta succedendo. Magari ha percepito un pericolo che non ancora non riusciamo a vedere.” Seiya annuì un po’ rinfrancato e si alzò.
“Vado al dormitorio. Mi occuperò io di aiutare Shaina con gli allievi.”
“Bravo, buona idea” disse Mur “Io parlerò con Shaka. Magari le sue idee sono più chiare."

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La lapide diceva solo ‘Kata ton daimona eautou’.*
Saori si sedette ai suoi piedi. Sospirò profondamente e chiuse gli occhi. Ancora una volta provò a rievocare quei pochi istanti prima della fine.
Ricordò la forza del suo cosmo fuoriuscire da lei e lasciarla sempre, sempre più debole. Poteva chiudere gli occhi serena perché li aveva salvati tutti. Aveva riassorbito la profonda ferita di Seiya provocata dalla lancia di Marte e quella di Saga causata dai colpi della strega Medea. Li aveva salvati entrambi. Riaprì gli occhi e la lapide le sbattette in faccia la realtà. Saga era morto. Alla fine, anche se non lo ricordava, aveva fallito. Lui era morto. Probabilmente le si era spento tra le braccia come quella volta ai piedi della statua di Atena e lei neppure se lo ricordava.
Com’era possibile? Strinse un pugno di terra in una mano e parlò.
“Non posso dirti addio, Saga, non riesco a dirtelo ancora. Sono forse impazzita a pensare che se non c’è un corpo sotto questa lapide è forse perché non sei morto? Sono pazza se sono l’unica a credere che tu non sia morto?” chiese invano lasciando che una lacrima scivolasse giù dai suoi occhi.
Una voce alle sue spalle la scosse e lei, istintivamente, si asciugò gli occhi.
“Non sei mica l’unica a crederlo.” La voce, scura e decisa, apparteneva a Death Mask “Anche io non credo affatto che quel maledetto sia morto! Si diverte a torturarci!” esclamò il cavaliere di Cancer sorridendo e sedendosi al fianco di Saori. Puzzava d’alcol e nella mano destra teneva ancora una bottiglia di liquore quasi vuota. Quando vide lo sguardo di lei indugiare sull’oggetto, glielo porse.
“Non dovresti bere così”, fece lei usando un tono compassionevole.
“Lo dice anche Aphro. Dice che è per questo che gli spiriti mi confondono e che non percepisco l’anima di Saga. Scommetto tutte le mie bottiglie che tu non bevi e comunque lo sai lo stesso che lui non è morto.” Saori gli tolse la bottiglia di mano e gli sorrise.
“No, Death Mask, non bevo ma mi sento lo stesso molto confusa. Dovresti andare a casa.”
“Dov’è lui?” chiese d’improvviso Cancer cercando di rimettersi in piedi e guardandosi intorno.
“Lui chi?” chiese Saori cercando di non farlo cadere.
“Lo sai chi. Lui, quello che doveva morire al posto di Saga! Io ricordo benissimo di averglielo detto a quell’imbecille che doveva lasciare ogni cosa nelle sue mani, che doveva dare ascolto a Saga e non si sarebbe fatto male nessuno!” gridò Death Mask con gli occhi lucidi “Invece quello deve fare sempre l’eroe! Ed ecco qua i risultati! Ma forse è colpa tua! Tu dovevi scegliere meglio a chi affidare la tua vita, dea della saggezza dei miei stivali! Invece hai fatto gli stessi errori di Shion!” fece divincolandosi, bevendo il fondo della bottiglia e lanciando quest’ultima contro la lapide. Il vetro si fece in mille pezzi mentre Cancer dondolò all’indietro e ricadde in terra. Saori stava per tendergli una mano quando un tocco gentile sulla spalla la tirò indietro.
“Per favore, Atena, lasciate che me ne occupi io. E’ ubriaco. Perdonatelo per le cose che ha detto. Non sta bene.”
Saori si fece indietro e lasciò che il cavaliere d’oro di Phisces se lo issasse in spalla. Death Mask continuava a brontolare ma non fece alcuna resistenza.
“Ti prego, Aphrodite, fammi avere sue notizie”, disse mentre i due la superavano.
“Starà bene. Mi occuperò io di lui come lui si è sempre occupato di me.”
Saori si voltò di nuovo verso la lapide.
“Non so cosa sta succedendo Saga. Qualcosa si agita nel mio cuore. Tu avresti saputo cosa fare”, sussurrò prima di voltarsi e tornare alla tredicesima casa.

Note :
* 'Allo spirito divino che è in lui' ma anche 'divorato dai suoi stessi demoni'
Per chi non lo sapesse è l'elegia funebre sulla tomba di Morrison.

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Capitolo 3
*** Il sole e la luna - Parte seconda ***


 

Note dell' autrice disperata per il ritardo nell'aggiornamento: Ciao a tutti! Mi scuso per l'immenso ritardo. Detto quanto era d'obbligo, mi preme scusarmi per una cosa. Avevo promesso che la storia sarebbe stata comprensibile anche per chi non ha letto 'Il destino di una vita intera', forse però non sono riuscita nell'intento anche se siamo a malapena al terzo capitolo della storia. Allora urgono poche brevi note. Pandora e Ikki vogliono aiutare Shun a risvegliare Hyoga, caduto in un sonno profondo durante la battaglia dei nostri eroi contro Marte. Niketas è apparso nell'epilogo de 'Il destino di una vita intera'. Non occorre sapere granché di lui per il momento. Grazie per la pazienza e il calore che continuate a dimostrarmi. Kisses.

Il sole e la luna
Parte seconda

Delo era un’isola silenziosa. Ormai da lunghissimi anni solo poche persone la abitavano stabilmente. Lontano dagli occhi dei turisti che ogni estate ne affollavano le coste per vedere i resti della civiltà greca, la vegetazione nascondeva il santuario di Apollo. In realtà non si trattava di una struttura imponente. Solo un’arena costruita nel luogo dove un tempo era un lago meraviglioso. Da quel lago si erano levati gli dei gemelli Apollo e Artemide.
Di quel lago non v’era più traccia ma, nelle notti di luna piena, alcuni giurano di vedere in quell’arena il riflesso argenteo di uno specchio d’acqua che tremula appena.
Al centro dell’arena vi era un obelisco dalla punta d’oro che rifletteva i raggi del sole apparendo, da lontano, come una torcia sempre accesa nelle ore diurne.
Non era raro vedere, intorno all’obelisco, lupi dal manto candido di singolare bellezza accucciati di guardia.
Ad osservarli meglio però, ci si sarebbe accorti di quanto gli occhi di quei lupi fossero umani. Tuttavia neanche studiandoli a lungo con attenzione si sarebbe comunque appresa la verità.
Dietro le fattezze animali, a guardia dell’alto obelisco si nascondevano nove fanciulle. Erano le Pizie, le sacerdotesse dell’oracolo di Delo, la voce del dio in terra.
Anche se alle persone comuni si presentavano come lupi, erano delle ragazze che avevano ricevuto la divinazione dal dio del sole.
Euterpe, la più giovane fra loro, suonava il suo flauto seduta accanto a Calliope che, di tanto in tanto accennava un’ode al vento.
Talia e Melpomene, sorelle gemelle e più anziane del gruppo, erano intente ad acconciare i lunghi capelli di un’altra sacerdotessa che stava seduta in silenzio e ad occhi chiusi.
Tersicore ed Erato, le più vivaci fra loro, cercavano di convincere Polimnia, la più misurata e timida, a danzare sulla musica di Euterpe.
Ognuna delle fanciulle possedeva il dono della divinazione seppure non tutte potevano prevedere il futuro.
Talia e Melpomene, ad esempio, sin da piccole conoscevano l’esito delle imprese toccando il sangue degli uomini che le intraprendevano. A Talia era toccato in sorte di prevedere la buona riuscita degli eventi mentre a Melpomene spettava comunicarne il fallimento. Erato invece riusciva a divinare solo riguardo all’amore. Sapeva sempre indovinare se il frutto di un incontro sarebbe stato buono o nefasto. Tersicore leggeva esclusivamente il futuro dei bambini mentre Polimnia poteva solo sapere quali malanni avrebbero colpito una persona.
Calliope ed Euterpe avevano invece un potere simile. Potevano vedere le conseguenze di una scelta sul futuro di una persona.
Fu Urania, però, che guardava il futuro negli astri del cielo a sentire l’arrivo di un potere immenso che si allungava su Delo.
La fanciulla che era seduta tra Talia e Melpomene fece un cenno e le due sacerdotesse si allontanarono. Lei si alzò e aprì gli occhi.
“Non c’è bisogno che tu dica nulla, Urania. L’ho percepito anche io. Prendi le nostre sorelle e va nella foresta” disse Clio.
Clio era la ‘voce di Apollo’, l’unica fra tutte loro a poter udire la voce del dio e a poter prevedere davvero gli eventi.
Difatti se le cose viste dalle sue sorelle potevano mutare nel tempo e non avverarsi, ciò che vedeva lei era destinato comunque ad accadere. Pertanto le sue erano chiamate profezie. Clio possedeva la pergamena della Storia. Un oggetto sacro che rivelava il futuro.
Le fanciulle assunsero immediatamente la forma di lupo e si allontanarono nella foresta.
Clio chiuse i suoi splendidi occhi verdi e prese un respiro. Un vento forte le agitò le vesti e i capelli castani e lei posò una mano sull’obelisco di Apollo come a volerne trarre forza.
Quando riaprì gli occhi, una fanciulla dai biondi capelli e dalle labbra carnose le stava innanzi fiera e sorridente. Comprese subito chi fosse.
“Ti saluto, nobile Afrodite. Sii benvenuta nel tempio di Apollo. Questo è un luogo di pace.”
“Se farai ciò che ti dirò, resterà un luogo di pace, Clio, voce di Apollo!”
“Se sai chi sono, sai che non posso ricevere ordini da alcuno. Io sono solo una voce che non parla per se stessa.”
“Non voglio che parli per te stessa. Voglio che parli per me.” Clio posò entrambe le mani sull’obelisco.
“Non è possibile. Non è possibile vaticinare per gli dei. Conosco solo il destino degli uomini.”
“Ed è del destino di un uomo che stiamo parlando.” Gli occhi di Clio si accesero per un istante.
“Tu vuoi conoscere il futuro di Seiya, l’uccisore di dei.”
A quelle parole il mare alle spalle di Afrodite montò, infrangendosi sugli scogli poco lontani.
“Non usare quell’appellativo in mia presenza! Voglio che quel mortale perisca tra atroci sofferenze.”
“Non è affar tuo il destino di quell’uomo. E’ un cavaliere di Atena. Vedo un potere immenso che lo protegge. E’ fatto di oro e avorio, di fulmini e saette. Un potere oltre le tue possibilità, Afrodite.”
Clio, in realtà, non avrebbe voluto dire questo alla dea e non avrebbe voluto offenderla e condurla all’ira ma non poteva evitarlo. Se sollecitata, la divinazione fuoriusciva da lei senza possibilità di controllarla e non poteva né mentire né tacere.
“Forse non posso arrivare direttamente a Seiya ma tu sei qui, davanti a me, e non esiste uomo o dio che possa proteggerti ora.”
“Puoi minacciarmi ma io non farò nulla che il Destino non mi imponga di fare”, rispose Clio mostrando tutta la fierezza che possedeva.
Afrodite sorrise di sfida poi il suo abitò si gonfiò e si sollevò mostrando una cintura splendente d’oro e pietre preziose. Clio non ebbe il tempo neppure di capire cosa stesse accadendo e si ritrovò avvolta da una calda sfera di luce dorata.

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“Pandora, tu devi ascoltarmi!” La voce di Ikki, che ormai non nascondeva più la rabbia per il comportamento di sua moglie, si levò alta sotto l’arco di Cerbero.
“No! Tu devi ascoltare me! Ormai è passato un anno senza che nessuno sia riuscito a cavare un ragno dal buco! Atena ha provato,” disse gesticolando e camminando in tondo nella sala di cui un trono e un’arpa rappresentavano l’unico arredo “Hilda ha provato e pure Nettuno! Con quali risultati mi chiedo? Nessuno! Un anno, capisci?”
“Lo so che è frustrante ma questa non è una buona ragione per fare una cosa simile!” la incalzò Ikki.
“Stiamo parlando di Shun, ricordatelo!” esclamò allora la donna.
“No. Stiamo parlando di riportare in vita i giudici infernali. Non è una cosa che può lasciarmi indifferente” rispose il cavaliere della fenice sollevando le mani al cielo in modo plateale.
“E’ un piccolo prezzo da pagare se pensiamo a quanto potrebbe aiutare Shun.”
“Avanti Pandora, lo sappiamo entrambi che non c’è alcuna garanzia di trovare il modo di risvegliare Hyoga!”
“Nella biblioteca di Minos ci sono i testi più antichi del mondo. Libri che gli uomini non hanno mai neppure sognato di leggere! Ormai ho consultato tutti i testi mitologici al mondo. Ho tentato qualunque incantesimo conosciuto. Resta solo la biblioteca dei Morti.”
“Appunto! Se si chiama così ci sarà un motivo!”
“Non capisco dov’è il problema! I giudici sono sempre stati fedeli e incorruttibili. Non commetterebbero mai alcuna azione contro la mia volontà! Tu stesso conosci il loro valore.”
“Proprio perché lo conosco non voglio ritrovarmeli di nuovo contro!”
“Non saranno mai contro di noi!”
“Pandora, di quale noi parli? Ricorda che io resto un cavaliere di Atena!”
“Come se potessi scordarlo! Lo ripeti continuamente!” sbottò lei mettendo entrambe le mani sui fianchi.
La figura seduta sullo scranno al centro della stanza, si alzò e raggiunse il fianco di Ikki.
“Sei ingiusta, madre. Devi comprendere i timori di mio padre.”
“Eden!” esclamò Pandora sorpresa “Ti ci metti anche tu?” Ikki guardò il profilo del figlio. Era cresciuto molto nell’ultimo anno. Certo, aveva preso parte ad una poderosa battaglia, seguito Hades fino ad Asgaard ed ereditato la spada degli Inferi diventando di fatto il nuovo signore dell’Arco di Cerbero, eppure Ikki sentiva che qualcos’altro era maturato nel suo ragazzo. Un velo di tristezza era calato sul suo viso da un po’ di tempo a questa parte ed era diventato taciturno.
“Dico solo, madre, che riportare in vita i guerrieri più forti degli inferi non è esattamente un gesto che un cavaliere di Atena possa condividere. Padre,” disse poi guardando Ikki negli occhi “ti sentiresti più tranquillo se a risvegliarli fossi io? Potrei assoggettarli alla volontà della spada di Hades. Tornerebbero al sonno eterno se mi tradissero per qualsiasi ragione.”
“Splendida idea!” esclamò Pandora.
“Pessima idea!” rispose Ikki “C’è solo una cosa peggiore del ritorno di quei tizi! La loro convinzione che Hades si sia reincarnato in Eden.”
“Capirebbero subito che non è così!” lo canzonò Pandora.
“Padre,” provò ad insistere Eden “non voglio la fedeltà dei giudici per me. Voglio solo aiutare mia madre. Inoltre penso davvero che abbia ragione quando dice che non c’è altro modo per aiutare lo zio Shun. Non vorresti anche tu che fosse finalmente felice?”
Ikki abbassò lo sguardo e strinse i pugni. Un anno prima aveva giurato al fratello che avrebbe fatto di tutto per trovare un modo per risvegliare Hyoga e adesso che Pandora aveva un’idea, si schierava contro quella possibilità. Il cavaliere della fenice già mal tollerava la presenza di Radamanthys che non aveva mai perso l’abitudine di vegliare continuamente Pandora e di cui ben conosceva i sentimenti verso la moglie.
Adesso gli si chiedeva di accettare il ritorno di Aiacos e Minos dal buco nero che era diventato l’ingresso degli Inferi.
“Non dico che non mi farebbe piacere aiutare Shun. Ma ho la sensazione che questo luogo stia diventando troppo affollato, vero Radamathys?” chiese percependo il cosmo del cavaliere di Hades che, seppure di poco, si era agitato alle sue spalle.
“Per l’amore che Lady Pandora nutre per voi, siete diventato il signore di queste mura. Nessuno leverebbe mai le proprie mani contro di voi.” La voce di Radamathys si levò sicura ma Ikki percepì ugualmente un certo sarcasmo nelle sue parole.
“So riconoscere ancora un avversario quando ne incontro uno,” fece Ikki voltandosi e fronteggiandolo “anche se l’amore che provo per Lady Pandora mi impedisce di levare le mie mani su di lui.”
“Padre” intervenne Eden “inutilmente brucia il fuoco della fenice. Lascia che mi sdebiti con lo zio Shun per quanto ha fatto per me nella battaglia contro Mars.”
Eden non guardò negli occhi il padre mentre pronunciava queste parole. I suoi occhi erano chiusi, in cerca nella sua mente del ricordo degli ultimi momenti di quella incredibile battaglia sulle coste di Grecia. Si trattava, ad ogni buon conto, di ricordi perduti. Nettuno aveva liberato il Kraken, un titano che era stato anche al servizio di Hades, perché trovasse ed uccidesse l’incarnazione di quest’epoca di Mars. Il titano aveva divorato il dio e Atena aveva dovuto scendere in battaglia per fermare proprio la creatura ormai priva di ogni controllo. La dea aveva perso ogni forza nello scontro mentre Mars era riuscito a prendere il controllo del cavaliere che Nettuno aveva utilizzato per risvegliare la bestia. Solo allora lui aveva deciso. Aveva deciso che avrebbe utilizzato ogni briciola del potere che Hades gli aveva lascato in eredità per difendere gli esseri umani dal dio iracondo. Allora la spada di Hades e lo scudo di Atena avevano fronteggiato la lancia di Mars e avevano vinto. Se lui aveva impugnato la spada di Hades, chi aveva levato lo scudo di Atena? Suo padre diceva che fosse stato Seiya. Sua madre invece che l’avesse fatto Nettuno. La verità era che nessuno lo ricordava. Riaprì gli occhi. Suo padre aveva incrociato le braccia. Improvvisamente parlò.
“Eden, tanto tempo fa una persona mi disse che anche nei luoghi più oscuri e terribili può nascere la speranza. Io mi trovavo in un luogo arido di morte e disperazione. Eppure anche in quel luogo crescevano piccoli, fragili fiori. Per un momento pensai che avrei potuto, con la sola forza delle mie mani, proteggerli e farli crescere. Furono proprio le mie mani a strapparli.” A quelle parole Eden sgranò gli occhi. “Fa attenzione a come usi il tuo potere. Non sempre la via che intraprendi per raggiungere un obiettivo, ti porta là dove desideri. Io non t’impedirò mai di fare ciò che il tuo cuore ti ordina. L’ho fatto con Shun e gli è costato troppo.” Ikki lasciò la stanza superando Radamathys.
Pandora invece si sedette alla sua arpa e intonò una melodia triste. Sapeva a quale fiore suo marito si riferiva. Sentirlo parlare in quel modo l’aveva duramente colpita. Come se il suo primo generale le avesse letto nel pensiero, raggiunse l’arpa e s’inginocchiò al suo cospetto.
“Mia signora, cosa ordinate?” chiese come quando Pandora era la signora del castello oscuro, voce pulsante di suo fratello Hades.
“Accompagna mio figlio alla bocca dell’Inferno,” disse lei pizzicando le corde.
Radamathys si alzò e fece strada ad Eden. I due percorsero prima un corridoio e poi una lunga scala sotterranea al palazzo in cui vivevano per raggiungere un grande arco di pietra nera.
“Perdete ogni speranza, voi che entrate” diceva la nuda pietra incisa e il respiro angosciante di Cerbero addormentato ai suoi piedi, suggeriva davvero di abbandonare ogni pensiero lieto in quel luogo.
Radamanthys non si fece impressionare e proseguì. Eden carezzò il pelo scuro di Cerbero e lo seguì. Oltre l’arco, qualche metro più in là, un lento declivio dava su una voragine nera dal quale usciva un vento freddo e feroce.
“Un tempo c’era una scala di marmo nero che portava fino alle aule di Lady Pandora,” disse allora Radamanthys con una sorta di pacata nostalgia nella voce “poi si apriva la grande via per il molo di Caronte. Quella carogna era simpatica. Fu il primo a capire che Shun era l’incarnazione del nostro signore. Una volta pagato il pedaggio potevi attraversare il fiume Acheronte e raggiugere le prigioni. C’era dolore luaggiù ma giusto. Spettava a coloro che avevano offeso gli dei e gli uomini. Ora le anime vagano senza sosta privi di un equo giudizio. Dopo la biblioteca di Minos, avresti goduto lo spettacolo della Giudecca. Giungere al cospetto di Hades non era semplice e veniva considerato un grande onore. Solo le anime degne di piegarsi al suo cospetto venivano poi condotte ai Campi Elisi. Ora restano macerie di quello che un tempo era la linea di separazione tra la ricompensa dei giusti e la pena per i malevoli. Questo scempio è il retaggio dei cavalieri di Atena.”
“Taci Radamanthys,” disse Eden senza distogliere lo sguardo dal buco nero di fronte a lui “non scambiare il mio silenzio per clemenza. Le tue parole mi offendono. Non dimenticare chi è mio padre e chi sono io.”
Lo spectre si inginocchiò di fronte ad Eden proprio sul ciglio del precipizio e fissò la spada agganciata alla cintura del giovane.
“Vostro padre è l’uomo che vostra madre ha scelto per tornare a vivere. Voi siete il cacciatore di anime, il signore dell’arco di Cerbero, colui che comanda le rune della spada. Io sono il vostro generale. Se vi ho offeso, gettatemi di sotto.”
Eden guardò il capo chino di Radamathys e poi si voltò verso la voragine. Shguainò la spada e la sollevò con la punta diritta verso il centro del tornado che fuoriusciva dal buco nero. Mentre pronunciò le parole i suoi occhi si tinsero di un intenso viola.
“Io ti comando, turbine di anime non dome. Rendimi ciò che è mio di diritto. Dinanzi al mio cospetto piegati. Ordino che due delle stelle oscure del mio cielo mi vengano ritornate. Io ti comando Stella del cielo degli eroi, torna a me. Io ti comando Stella del cielo nobile, torna a me. Poiché nulla è attraverso me e tutto è me.”
Il vortice oscuro si fece più forte e due stelle cominciarono a brillare in esso poi, come se il colpo di un guerriero potentissimo si fosse abbattuto sulla terra, tutto prese a tremare.

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Improvvisamente tutto prese a tremare. I turisti che scendevano dalle piccole imbarcazioni cominciarono ad urlare mentre il pontile si disfaceva sotto i loro piedi.
Alcuni tentavano di risalire sulle barche altri correvano vero la banchina di cemento del piccolo porto di Skyros.
Non era solo il porto comunque a tremare. Tutta l’isola sembrava sussultare e oscillare e, a ben guardare, la montagna intorno a cui era avviluppato il centro abitato più grande sembrava volersi frantumare da un momento all’altro.
Nonostante il terrore si fosse diffuso rapidamente, il peggio doveva ancora venire. Un’onda, non altissima ma comunque molto più violenta di quelle che colpivano le coste dell’isola durante le mareggiate, si abbatté sulla spiaggia dove decine di turisti ed isolani facevano il bagno.
Tra questi ultimi, alcuni ragazzi che giocavano in acqua, si ritrovarono in balia delle onde.
Niketas, che pure sapeva nuotare piuttosto bene, affondò come uno dei sacchi di sabbia che suo zio gli faceva trascinare per intere giornate allo scopo di allenarlo per i campionati scolastici di atletica. Il ragazzo tentò in ogni modo di risalire il muro d’acqua che lo divideva dalla superficie ma dovette fare i conti con la corrente che opponeva strenua resistenza. Quando credette di stare per affogare, come un vuoto d’aria lo colpì alle spalle e all’addome e si sentì trascinare verso l’alto. Scosse il capo e riuscì ad aprire gli occhi. Intorno a lui, i suoi compagni respiravano a fatica ma erano sani e salvi.
“Niketas!” urlò uno di loro “E’ stato incredibile! Abbiamo avuto una fortuna sfacciata! Stavamo per rimetterci la pelle!” Il ragazzo dai capelli rosso scuro e dagli occhi azzurri cercò di razionalizzare quanto accaduto. Rinunciò non appena udita la voce di suo zio.
“Maledetti scapestrati! Giuro che se non vi ha ucciso il mare, lo farò io se ora non tornate subito a riva!”
“Zio Aspros! Sei stato tu a salvarci?”
“E chi altri? Bambocci maledetti! Ma badate che sono stufo di farvi da balia!” gridò mentre li riaccompagnava a riva.
“E ora che facciamo? Alcuni uomini laggiù dicono che non possiamo tornare in paese. Pare che lo evacueranno!” esclamò Dorina, l’unica bambina del gruppo.
“Lo stanno già facendo. I vostri genitori sono alla chiesa. Vi accompagnerò io laggiù”, concluse l’uomo senza dare ulteriore modo ai ragazzi di proferire parola.
Lasciati i suoi compagni alla chiesa, Niketas si rivolse allo zio.
“Perché non siamo rimasti anche noi? Dicono che è uno dei pochi luoghi sicuri in caso di una scossa di assestamento.”
“Sei al sicuro con me. Non importa dove. E fammi il piacere, benedetto ragazzo, di obbedire almeno una volta nella tua vita!”
“Obbedisco sempre ai tuoi ordini, zio!”
“Sempre?” chiese Aspros tirandolo per una manica “Sempre? Ti avevo detto di restare a casa a studiare.”
“Ho studiato. Ho studiato fino alla nausea. E poi spiegami perché dovrei imparare a memoria il nome di ottantotto costellazioni? La geografia astronomica non mi piace.”
“Io dico ciò che devi studiare e tu studi.”
“Sei un dittatore!” gridò il ragazzo allontanandosi di qualche metro.
“Non sei il primo che me lo dice!” fece Aspros sorridendo sornione.
“Già, sarà per questo che non hai la ragazza!”
“Non potrei mai avere una ragazza con te tra i piedi!”
“Guarda zio c’è una ragazza laggiù!” esclamò Niketas indicando alcuni scogli.
“Ora non abbiamo tempo per queste cose!”
“No zio, guarda! Sarà morta?” A quelle parole, Aspros si bloccò e lanciò lo sguardo oltre Niketas. Una ragazza giaceva tra le pietre. Si avvicinò a passò sostenuto mentre Niketas corse vicino al corpo.
“Non toccarla!” gridò Aspros e Niketas si fermò.
“Zio, è morta?”Aspros si chinò sulla donna e le scostò i capelli dal viso.
“Non è morta ma è ferita.”
“Zio l’ospedale è stato chiuso, non è così?”
“Già.”
“Che facciamo allora?”
“Dovremmo lasciarla qui. Non sappiamo chi sia e forse qualcuno la sta già cercando”, pronunciò Aspros lasciando il nipote a bocca aperta.
“Non possiamo lasciarla qui!” esclamò questi prendendole un polso. A quel contatto le palpebre della ragazza si aprirono di scatto rivelando un paio d’occhi di un verde smeraldo. Si scosse e pronunciò poche parole prima di svenire di nuovo.
“Un potere immenso lo protegge. E’ fatto di oro e avorio, di fulmini e saette. Un potere oltre le tue possibilità.”
“Che ha detto?” chiese il ragazzo. Aspros lo guardò senza parlare per un momento poi, presa la ragazza tra le braccia si rialzò.
“Hai ragione, Niketas. Non possiamo lasciarla qui. Portiamola con noi.”
I tre raggiunsero il lato opposto dell’isola ed entrarono in un’abitazione di un piano solo. Niketas corse a prendere una coperta e dell’acqua, Aspros distese la ragazza sul divano.
“Niketas va nella tua stanza e fa uno zaino con qualche indumento e delle provviste. Non sappiamo se ci saranno scosse di assestamento, forse dovremo lasciare questo posto per qualche ora.” Il ragazzo annuì e corse nella stanza adiacente. Aspros prese una pezza e la bagnò nell’acqua poi, lentamente, la passò sulla fronte della ragazza. Sotto quel tocco gentile, la donna si mosse. Aspros lasciò andare la pezza e le carezzò il viso. Gli occhi della ragazza si aprirono e si fissarono sull’uomo. La mano di Aspros raggiunse il collo della ragazze e, d’improvviso, strinse.
Lei, terrorizzata, portò entrambe le mani al collo e implorò con gli occhi l’uomo di lasciarla respirare.
“Ora mi dirai chi diavolo sei o ti spezzerò il collo prima che tu possa solo immaginare di provare a scappare”, fece l’uomo a bassa voce con un naturalezza non adatta alle circostanze mentre allentava un poco la presa.
“Io,” tentennò lei “io non so chi sono. Non me lo ricordo. Ho male dappertutto. Non so dove sono né so chi sei tu. Mi fa male la testa.”
“Non mentire!” disse Aspros tornando a stringere un po’la mano sul collo sottile e candido della ragazza “Sulla spiaggia hai parlato di un potere oltre le mie possibilità fatto di oro, avorio e fulmini. Di che diavolo stavi parlando?”
“Ti prego, ascoltami!” supplicò lei a fatica “Io non so nulla di questo potere. Non ricordo di aver detto nulla al riguardo. Per favore, non farmi del male!”
In quel momento Niketas rientrò nella stanza e Aspros lasciò andare la ragazza.
“Zio, è fantastico! Si è svegliata! Ciao! Come ti senti? Il mio nome è Niketas.”
“Piacere di conoscerti, Niketas”, disse lei sforzandosi di sorridere e nascondendo il rossore sul collo con una mano.
“Come ti chiami? Se ci dici dove abiti, possiamo riaccompagnarti a casa!”
“Ti ringrazio per la tua gentilezza ma non lo so neppure io”, fece la ragazza rattristandosi.
“Deve essere stato il colpo che ti ha fatto svenire, o la paura! Lo zio Aspros dice che i miei genitori sono morti in un incidente e io ho preso un colpo alla testa che  mi ha fatto dimenticare ogni cosa di loro.”
“Il tuo nome è Aspros?” fece lei guardando l’uomo che l’aveva minacciata fino a poco prima.
“Sì” rispose lui freddamente.
“Ho come la sensazione che dovrei sapere chi sei. Eppure non ricordo nulla.” Aspros, a quelle parole, ebbe la sensazione che lei fosse sincera.
“Se non ricordi nulla , può rimanere con noi, vero zio?” Aspros annuì.
“Rimarrà con noi fino a che non le tornerà la memoria.”
“E se non dovesse più tornarmi?” chiese lei incupendosi “Mi sento come se avessi lasciato in sospeso qualcosa d’importante!”
“Vedrai che la memoria tornerà. Se non succederà spontaneamente, troveremo un modo per curarti.”
“E se lo dice lo zio, sta tranquilla che così sarà! Lui non sbaglia mai.”
Lei si sforzò di sorridere e Aspros avvertì una fitta al cuore. Dopo tanto tempo, quella fanciulla dai lunghi capelli ramati e dalla pelle candida fece riaffiorare in lui il ricordo di un’altra donna, quella cara al suo cuore. D’istinto il suo sguardo corse a cercare gli occhi di Niketas, l’unica cosa che gli fosse rimasto di lei.
Un bussare insistente alla porta lo distrasse da quei pensieri.
Niketas corse ad aprire ed un uomo si palesò sull’uscio. Sembrava molto preoccupato.
“Niketas, buonasera. Tuo zio Aspros è in casa?” Il ragazzo annuì.
“Andreas, che ci fai qui?”
“Aspros, ho bisogno di aiuto. Dobbiamo evacuare l’isola e la gente è nel panico. Non so cosa fare.”
La ragazza si alzò dal divano per seguire la conversazione. Nonostante quell’uomo l’avesse minacciata, sembrava che fosse ritenuto una persona valida e generosa non solo da suo nipote. Alle parole del nuovo venuto, vide la sua postura cambiare, il suo sguardo assottigliarsi come se si stesse focalizzando su un nuovo obiettivo. Tutto di lui trasudava determinazione. Ne rimase affascinata.
“Andreas, comincia l’evacuazione dalla parte alta del paese. E’ quella più esposta a rischi se dovessero arrivare scosse di assestamento. Dubito che ce ne saranno ma non si può esserne assolutamente certi. Le navi che effettuano il servizio di trasporto sulla terraferma non possono trasportare più di cento persone ma hanno scialuppe di salvataggio massimo per ottanta. Non consentire alla gente di accalcarsi sulle imbarcazioni. Prima donne e bambini. Verrò con te a condizione che Niketas e Cora partano con la prima nave.
“Cora?” chiese Niketas e lo sguardo di Aspros corse alla ragazza alle sue spalle “Ah! Cora, giusto!” fece Niketas facendogli l’occhiolino.
“D’accordo,” rispose Andreas “se la gente ti vedrà al porto, si tranquillizzerà!”
Solo quando l’uomo si appartò con Aspros sulla soglia di casa per discutere i dettagli dell’evacuazione, la ragazza osò rivolgersi a Niketas.
“Tuo zio Aspros è tenuto in grande considerazione, non è vero Niketas?”
“Zio Aspros non ha un carattere facile ma non l’ho mai visto abbandonare qualcuno in difficoltà. Si prende cura di me nonostante io sia solo un peso per lui. Credo che se non avesse me tra i piedi si sarebbe fatto una vera famiglia. Inoltre ha un fratello che non vede mai perché non vuole mai lasciarmi solo. Ha salvato la vita alla figlia di Andreas sei mesi fa trovando l’antidoto per il morso di un serpente. E’ riuscito a convincere un gruppo di malfattori a lasciare l’isola, non chiedermi come ha fatto. E poi la cosa più portentosa di tutte. Circa un anno fa, c’è stato un grande incidente al porto del Pireo. Ha tratto in salvo dalle macerie di una frana circa venticinque persone tra cui anche me. Tutto il paese lo venera come un dio.”
“Capisco. Deve essere molto affezionato a te.”
“Almeno quanto io lo sono a lui. E’ come un padre per me.”
“Di che parlate? E’ ora di andare", fece Aspros tornando in casa.
“Di nulla zio. Le dicevo che le hai dato un bel nome. Può tenerlo fino a che non le torna in mente il suo, giusto?” La ragazza annuì.
“Sì, Cora è un bel nome.”
“Allora bando alle ciance e andiamo.”
Sulla via per il porto, Aspros non smise di guardare di sottecchi Cora. Si chiese se, prendendola con sé, avesse fatto la scelta giusta.



 

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Capitolo 4
*** Scosse - Parte prima ***


Scosse
Parte prima

Shaina stava sgridando gli allievi. Il suo viso era così alterato che Seiya rise pensando che faceva meno paura quando portava la maschera.
Gli allievi si accorsero del cavaliere di Sagitter prima di lei. Seiya fece loro cenno di tacere e di non tradire la sua presenza. I ragazzi, impressionati dalla splendida armatura d’oro, tacquero tutti insieme contemporaneamente.
“L’avete capita finalmente! La prossima volta che vi comporterete in questo modo, non sarò così comprensiva con voi!”
“E quando hai imparato ad essere comprensiva, Shaina di Ofiuco?” La donna sorrise maligna ma non si voltò.
“Ho imparato quando ho dovuto avere a che fare con te, cavaliere del Sagittario! Tutti sanno che sei veloce nel colpire e lento nell’apprendere!”Seiya sospirò.
“Non che mi aspettassi di meno da te ma non è bello che tu mi faccia fare questa figura con gli allievi!”
“Ho detto solo la verità!” esclamò lei mettendo le mani sui fianchi e voltandosi a guardarlo. Per quanto il tempo passasse e per quanto lei avesse deciso di vivere con Kanon già da un anno, trovarsi Seiya bardato della sacra armatura davanti le dava sempre un brivido.
“Appunto”, fece lui avvicinandosi ai ragazzi.
“Che ci fai qui?”
“Porto i saluti della dea Atena ai giovani allievi che prenderanno parte al torneo che inizierà a breve.” Shaina si fece seria.
“Sentito ragazzi? Avvicinatevi. Il primo cavaliere della dea è qui per incoraggiarvi. Vediamo, chi ne ha bisogno?” Gli allievi corsero intorno a Seiya e cominciarono a fare confusione per attirare la sua attenzione.
Seiya distribuì sorrisi e parole buone per tutta la mattinata ed era ormai pomeriggio inoltrato quando gli aspiranti cavalieri si congedarono.
“Avevo chiesto che fosse lei a venire!” La voce di Shaina arrivò fredda e tagliente.
“Non è che puoi dare ordini ad Atena!” rispose Seiya sorridendo ma la sua espressione tradiva tristezza.
“Che altro è successo?”
“Niente Shaina, credo che non voglia venire qui. Non lo ammetterà mai ma penso che questo posto la spaventi.”
“Atena spaventata da un dormitorio?”
“Lascia perdere, non mi va di affrontare questo argomento. Piuttosto, i tuoi allievi mi sembrano tutti molto dotati. Soma è diventato ancora più forte.”
“Già, buon sangue non mente. Con lo studio è un disastro però. Non so come dirlo a Marin!” A quelle parole Seiya scoppiò a ridere e Shaina ne fu felice. Non capitava di vederlo spesso rilassato e felice.
“Anche Yuna è diventata fortissima. Credo che potrebbe ambire subito ad un’armatura d’argento. Certo, ci vorrebbe il parere di Atena ma non è che posso ordinarle di alzare il suo divino fondoschiena per venire a dare un’occhiata ai futuri cavalieri che la difenderanno!”
“Shaina!”
“Che c’è? Ti scandalizzi per così poco? In un’altra vita sbaglio o era la regina delle arpie?”
“Lo è ancora se è per questo ma tu le fai una notevole concorrenza!”
“Seiya, sono ancora a tempo ad ucciderti!”
“Prima di farlo dovresti assicurarti di aver trovato il prossimo cavaliere di Pegasus! Altrimenti a chi darai il tormento dopo di me?”
“Niente da fare,” fece lei di nuovo seria “non ce n’è neanche uno nato sotto la costellazione delle tredici stelle. In compenso Jona e Josa, nati sotto le stelle dei Gemelli, sono già dei piccoli criminali in erba!”
“Per l’amor del cielo, Shaina! Per quando diverranno due flagelli in armatura, vedi di aver trovato un degno cavaliere di Pegasus! Io voglio essere in pensione per allora!”Shaina sorrise e scosse le spalle.
“Vedremo!” disse mentre Seiya s’incupì. Shaina non riuscì neanche a chiedergli cosa gli avesse preso che la terra prese a tremare.
“Shaina, i ragazzi!”
“Ci penso io, vai se devi.” Disse percependo i pensieri di Seiya che la ringraziò con un cenno del capo aprendo le possenti ali di Sagitter per volare alla tredicesima casa. Shura gli corse incontro proteggendo le ancelle del tempio che si tenevano l’una con l’altra.
“Shura, dov’è Saori?”
“Con Mur, sono andati alla statua di Atena. Fa attenzione! Non credo che il tempio crollerà ma alcune colonne stanno cedendo.”
“Portale al sicuro, qui ci penso io.”
Seiya corse dentro la tredicesima casa e raggiunse le stanze di Saori. Erano vuote. In effetti Shura non si era sbagliato. Alcune colonne si erano spaccate ed erano franate sul pavimento.
Il cavaliere del Sagittario corse verso la sala del trono e lì trovò Saori e Mur.
“Saori! Mur! Dobbiamo uscire, qui non è sicuro!” gridò prendendo per mano Saori e trascinandola verso l’uscita posteriore del santuario. In quel momento non pensò che Saori era ancora arrabbiata con lui o che lui, in fondo al suo cuore, era arrabbiato con lei. Negli ultimi giorni Saori lo aveva allontanato. Soprattutto quando rimanevano soli. Questo , Seiya non se lo spiegava. Dopo la battaglia contro Mars, erano stati più vicini che mai. L’inverno appena passato era stato sereno. Avevano trascorso molto tempo con Shun alla disperata ricerca di una cura per Hyoga. Con la primavera erano cominciati i problemi. Saori dormiva poco. Spesso la trovava a camminare a piedi nudi per i corridoi della tredicesima casa, spaesata, come non sapesse neppure dove fosse.
Ai primi caldi lasciava addirittura il tempio per raggiungere i giardini di Shaka. Divenne facile trovarla ai piedi della statua della dea che parlava da sola. Più Seiya cercava di aiutarla, più lei lo allontanava. Si scosse da questi pensieri e seguì
Mur che li precedeva di poco uscendo all’aperto per primo. Improvvisamente Saori si fermò e ritirò la mano da quella del cavaliere.
“Saori che succede?” chiese l’uomo vedendo che lei fissava un punto in un corridoio laterale. Gli occhi della donna erano sbarrati. Sembrava in trance.
“Seiya, c’è qualcuno laggiù! Un bambino! Dobbiamo portarlo fuori o potrebbe rimanere schiacciato sotto le macerie!”
“Saori non c’è più nessuno qui. Shura ha portato via tutti.”
“Ti dico che l’ho visto!” fece lei e prese a correre verso il punto che stava fissando.
“Saori! Torna indietro! E’ pericoloso!” fece lui correndole dietro. Riuscì a bloccarla proprio alla fine del corridoio.
“Lasciami Seiya! Tu non capisci!” gridò lei dimenandosi tra le braccia di lui.
“Va fuori. Lo cercherò io, va bene?”
“No! Devo farlo io! E’ me che sta aspettando!” continuò lei quasi vaneggiando.
“Saori, ti prego!” fece lui trattenendola proprio mentre il soffitto del tempio cedette schiacciandoli entrambi.
Fu in quel momento che la terra smise di tremare. Mur, preoccupato di non vederli arrivare, tornò indietro a cercarli trovando solo il cumulo di macerie a sbarragli il passaggio. Shaina sopraggiunse poco dopo.
“Mur, dove sono Seiya e Saori?” A quella domanda rispose un lampo di luce dorata. Seiya emerse dalle rovine sollevando Saori incolume.
“Seiya, stai bene?” chiese il cavaliere sacerdotessa. Seiya annuì osservando Mur che controllava che Saori non fosse ferita. “Non è vero. Ti cola del sangue dalla testa. Vieni con me” fece prendendogli la mano “ti farò una medicazione.” Saori scattò in piedi.
“Non ce n’è alcun bisogno!” gridò l’incarnazione di Atena. Seiya, comprese subito che stava accadendo di nuovo. Saori era di nuovo alienata da se stessa. Il suo sguardo non era né quello della donna che amava, né quello della dea che serviva. Era la creatura che aveva imparato a conoscere negli ultimi tempi e  che non era il caso di contrariare. Lasciò andare la mano di Shaina.
“Ha ragione lei, sto bene.” In quello stesso momento le dea gli si avvicinò e posò una mano sulla fronte di Seiya, tra i suoi capelli. Quando la spostò, la ferita dell’uomo non c’era più. Senza dire una parola Saori si voltò e si allontanò.
“Atena non dovete usare il vostro potere in questo modo, bastavano disinfettante e cerotti”, accennò il grande sacerdote che però fu gelato sul posto non appena la donna si fermò e si voltò a guardarlo.
Come Seiya aveva previsto, si ritrovarono di fronte qualcosa di diverso rispetto alla dea Atena che conoscevano. Saori emanava un cosmo potente e aggressivo, i suoi occhi erano carichi di rabbia.
“Non osare dirmi come e quando devo usare il mio potere, grande sacerdote!” fece la dea costringendo in ginocchio Mur. Il grande sacerdote non fece alcuna resistenza e chinò il capo in segno di sottomissione. Saori invece riprese a camminare verso la tredicesima casa. Le macerie che le ostruivano il passaggio si disfacevano prima che lei sopraggiungesse a calpestarle. In pochi istanti sparì dalla loro vista.
“Ma che cosa le è successo?” chiese Shaina sconvolta.
“Forse abbiamo dimenticato che Saori è la dea della giustizia ma anche della guerra. Troppo a lungo ci ha mostrato solo il suo aspetto amorevole. Ho sbagliato a parlarle in quel modo. Ultimamente è nervosa.”
“No, Mur,” disse Seiya “non è questo. Saori non sta bene. Vado io a parlarle”, concluse seguendola in casa.
Saori era rientrata nelle sue stanze e se ne stava immobile fissando i cocci di un’anfora quando Seiya la raggiunse.
“Saori, che cosa ti ha preso? Mur era solo preoccupato per te.”
“Mur è preoccupato per me,” fece lei con una voce priva di alcuna inflessione “tu sei preoccupato per me, siete tutti convinti che io stia impazzendo, non è vero Seiya?”
“Non ho mai detto una cosa simile anche se non è da te comportarti in quel modo. Mur è il tuo grande sacerdote e ha sempre fatto tutto quanto in suo potere per compiacerti.”
“Tutto tranne ascoltarmi.”
“Lui ti ascolta, Saori. Io ti ascolto!” Saori si voltò di scatto ma stavolta i suoi occhi erano colmi solo di una profonda amarezza.
“Tu mi ascolti ma non mi credi!” Seiya sollevò le mani al cielo.
“Saori, tu dici che Saga non è morto! Lo abbiamo sepolto, dannazione!”
“Non c’è nessuno sotto quella lapide e tu lo sai!”
“Saori, forse tu non ci crederai ma manca anche a me. Sì, mi manca. Nonostante ciò, so che è morto! E’ passato un anno. Devi accettarlo!”
“Tu non capisci, proprio tu non capisci, Seiya! La tua vita è stata appesa ad un filo e io non ho mai smesso di credere che ce l’avresti fatta! Lui ci ha creduto. Lui mi avrebbe creduto!”
“Creduto a cosa?” urlò allora Seiya esasperato da quella conversazione. Saori prese un respiro, si strinse le mani al petto e parlò.
“Ad esempio al fatto che c’era un bambino in fondo a quel corridoio! Io l’ho visto.” Seiya sospirò.
“Saori, non c’era nessun bambino”, disse sottovoce, con dolcezza.
“C’era invece! Un tempo mi avresti creduta ciecamente ma a quanto pare quel tempo è passato!”
“Non essere ingiusta! Non faccio altro che stare continuamente al tuo fianco, proteggendoti, cercando di compiacerti, assecondandoti più che posso!”
“Assecondandomi? Compiacendomi?” fece lei alterandosi di nuovo “Se è questo il tuo modo di compiacermi, allora smetti!” Seiya rise di un riso amaro.
“Dovrei compiacerti fingendo che le cose che dici abbiano un senso? Qui non c’è nessun bambino, Saori, e non certo perché io ho deciso così!” disse l’uomo sputando la frase tutta d’un fiato. A quelle parole Saori si voltò e raggiunse il suo letto.
“Vattene”, disse solo e Seiya capì di averla davvero ferita. Anche se negli ultimi mesi lei aveva cominciato ad incupirsi sempre di più e aveva allontanato ad uno ad uno tutti i compagni che l’avevano aiutata nella guerra contro Mars, meritava davvero di soffrire così? Si diede dello stupido per aver parlato in quel modo.
“Saori, perdonami. Ho detto una cosa che non penso davvero. E’ solo che sono stanco.”
“Sei stanco di me”, disse lei prontamente.
“Questo mai. Non volevo dire ciò che pensi.”
“E cosa penso, eh Seiya? Che la mia condizione non mi consentirà mai di avere un bambino? Che per colpa mia tu non sarai mai padre? Che avere scelto me è stato un errore? Vattene!”
“Saori,” provò ad insistere lui ma di nuovo il cosmo di Atena era diventato aggressivo e potente. In un istante l’avvolse e Saori urlò ricadendo al suolo. Seiya le fu immediatamente vicino e la prese tra le braccia. La donna piangeva disperatamente.
“Saori, ti prego, dimmi cosa devo fare, qualsiasi cosa per non vederti più soffrire così!” disse lui prendendola per le spalle. Lei lo guardò fisso negli occhi, implorante.
“Ridammi Pegasus,” sussurrò tra i singhiozzi.
“Farò ciò che vuoi, lascerò Sagitter e tornerò ad essere ciò che ero se è questo ciò che desideri.” Lei smise di piangere e piegò leggermente la testa di lato come se non avesse ben compreso le sue parole poi, come se gli stesse rivelando un segreto, piano disse poche parole.
“Tu non sei Pegasus, rivoglio Pegasus, tu devi riportarmelo.”
“Saori, davvero, stavolta non riesco a capire.” Nell’udire ciò, Saori si divincolò di nuovo e di nuovo urlò.
“Vattene, lasciami sola!” Mur sopraggiunse in quel momento insieme a Shaina.
“Seiya, basta ora.” Disse il grande sacerdote e Seiya, svuotato di ogni forza, si allontanò con Shaina. Mur mise a letto Saori e li raggiunse nella sala del trono.
“Seiya che cosa è successo?” chiese il grande sacerdote. L’uomo scosse il capo.
“Non lo so. Dice cose che non capisco. Mur, credi che si sia ammalata?”
“Chi si è ammalata?” chiese una voce che veniva dalla porta. Con pochi passi veloci il nuovo venuto si rivelò.
“Kanon” esclamò Shaina “cosa ci fai qui?”
“C’è stato un terremoto tremendo mia cara, se non te ne sei accorta. Ero in pena per te ma non avevo alcun dubbio che fossi qui!” disse sarcastico il cavaliere di Gemini fissando Seiya. Nel vedere lo sguardo di quest’ultimo però non ebbe cuore d’infierire. “Lasciamo perdere la mia stupida gelosia. Che sta succedendo? Cosa sono quelle facce da funerale? Sta risalendo un sacco di gente da Rodorio e dal Pireo. Vengono in cerca di aiuto e protezione. Pare che il terremoto abbia fatto parecchi feriti.” Shaina fece per avvicinarsi a lui quando Mur parlò.
“Atena è inquieta. Abbiamo provato in tutti i modi a calmarla ma pare che nessuno di noi riesca a capire quale sia il suo male. Ha persino scacciato Seiya.”
Kanon si fece immediatamente pensieroso e il suo viso assunse involontariamente quel cipiglio che a Mur ricordava i modi bruschi di Saga quando era stato grande sacerdote prima di lui.
“Volete che provi io?” chiese il cavaliere di Gemini.
“Scherzi? Tu che c’entri ora?” inveì Shaina pestando un piede in un modo che Kanon trovò infantile e delizioso. Paradossalmente fu Seiya a convincerla.
“Magari a lui darà ascolto!” fece allargando le braccia in segno di sconforto “Forse tu potresti davvero riuscire a capire che le sta succedendo. Forse è questa dannata casa che fa impazzire la gente!” esclamò senza riuscire a contenere ulteriormente la rabbia.
“Stai dicendo che Atena è impazzita o vuoi semplicemente alludere al fatto che stia facendo la fine di mio fratello?” chiese Kanon sarcastico “Comunque vado a parlarle. Chissà, tra pazzi potremmo anche capirci, giusto Seiya?”
Kanon non diede a nessuno il tempo di replicare. Svoltò l’angolo della stanza del trono e prese la via per le stanze di Saori. Dopo aver bussato una sola volta, decise di entrare senza attendere il permesso.
Saori era distesa tra le lenzuola e guardava verso la finestra. Si accorse di lui solo quando l’uomo fu ai piedi del letto.
“Saga” sussurrò per poi correggersi subito, “Perdonami Kanon, mi sono lasciata ingannare dal cosmo di Gemini per un momento.”
“Potete continuare a credere che sia Saga se lo preferite, Atena.”
“Non dire così.” Kanon sorrise ed ebbe l’ardire di sedere sul letto. Saori tornò a guardare la finestra e continuò “Hanno mandato te, adesso? Non sanno fare altro che  mandarmi colui che più somiglia alla causa dei miei vaneggiamenti?”
“Continuate a credere che Saga non sia morto?” Saori tornò a guardarlo.
“Kanon, non si tratta solo di Saga. Io vedo delle cose che gli altri non vedono. Credi anche tu che stia impazzendo come Saga?”
“A onor del vero, posso dire di essere stato io l’artefice di quella pazzia per cui posso escludere che ci sia una sorta di maledizione su questa casa!” esclamò in tono scherzoso Kanon “Qualunque cosa abbiate visto, io vi credo” concluse poi serio.
“Tu? Mi credi?” Chiese Saori interdetta. Kanon annuì. “Ma non sai neppure cosa ho visto!”
“Non importa se dite di aver visto mio fratello redivivo o il drago del monte Lu che giocava nei corridoi della tredicesima casa. Mio fratello nutriva una cieca fiducia in voi, sento scorrere i suoi sentimenti attraverso l’armatura che mi ha lasciato. Non posso che fidarmi. Forse state solo percependo un nuovo pericolo.” Saori allungò una mano e la posò su quella di Kanon, i suoi occhi colmi di lacrime.
“Kanon, mi manca. Lui saprebbe farmi ritrovare la ragione” fece lei mentre le sue guance si rigavano di lacrime. Kanon sentì una stretta al cuore nel vederla in quello stato e si inginocchiò al suo fianco.
“Non sono alla sua altezza. Comunque vi prometto che vi impedirò di perdere il senno. E comincerò da subito. Qualunque cosa stia accadendo, c’è chi veglia su di voi giorno e notte senza risparmiarsi. Mi hanno riferito che avete scacciato Seiya. Questo non lo merita.” Le lacrime di Saori si fecero calde e pesanti. “Non piangete. Vado a chiamarlo” disse poi alzandosi.
“Kanon” lo richiamò lei.
“Sì?”
“Grazie.”
“E di cosa? Voi mi avete perdonato quando nessuno aveva cuore di farlo. Neppure il sangue del mio sangue.”
Kanon tornò subito nella stanza del trono. Mur, Shaina e Seiya erano ancora lì.
“Allora?” chiese la donna impaziente.
“Sembra sofferente, come se qualcosa la stesse torturando. Il suo cosmo è irrequieto. E’ come se stesse continuamente cercando di controllarsi. Non voglio immaginare cosa accadrebbe se non ci riuscisse. Non si tratta solo di Saga comunque. Dovremmo cercare di fingere che vada tutto bene secondo me.” Seiya esplose.
“Quindi la tua soluzione sarebbe lasciarle credere che c’è gente morta che dinotte gira per il santuario come se niente fosse? Crede che Saga sia vivo, dice di aver visto Aiolos nelle sue stanze, parla con il grande sacerdote di duecentocinquan’anni fa. Lo sapevi? E noi dovremmo fingere che sia normale?”
“Kanon,” intervenne Shaina “Seiya ha ragione. Poco fa ha praticamente attaccato Mur. Non dovremmo lasciare che si comporti così.” Il cavaliere di Gemini rise di un riso amaro.
“Nettuno credeva di dover sommergere l’umanità con un diluvio universale. Credete davvero che Atena non potrebbe decidere di spazzarci via tutti con un solo colpo della sua lancia? Volete farla ragionare? E’ una dea! Comunque siete liberi di fare come vi pare. Io dico solo che sarebbe saggio non farla arrabbiare ora che è instabile. E a tal proposito,” concluse rivolgendosi a Seiya “faresti bene ad andare da lei. Vuole vederti.”
“Non ci penso neanche!” gridò Seiya dando le spalle a tutti e lasciando la sala “Non le ho mai obbedito quando dava ordini giusti. Credi che comincerò adesso che ne dà di sbagliati?”Mur sospirò e si diresse verso le stanze di Atena.
“Vado io, E’ mio compito. Voi scendete alla prima casa e verificate se Kiki ha bisogno di aiuto con i feriti.”
Kanon e Shaina lo videro sparire dietro il grande arazzo rosso che separava la stanza del trono dalle sale private della dea.

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Pandora non credeva ai suoi occhi. Leggeva e non credeva ai suoi occhi.
Il libro dei vivi e dei morti diceva molte cose. Cose che lei sapeva e che aveva dimenticato dopo la morte di Hades e cose che non aveva mai lontanamente immaginato che potessero essere.
Il libro narrava la storia del mondo dai tempi del mito e non aveva fine. Ogni volta che un’era terminava e un’altra ne cominciava, compariva un nuovo capitolo nell’infinito libro che aveva in mano. Sembrava un tomo di modeste dimensioni e si teneva nel palmo di una sola mano eppure aveva inesauribili pagine. Era come il diario privato del dio degli Inferi. Ogni titano, dio, uomo o creatura che avesse calpestato il mondo trovava posto nel libro e Pandora cercò anche ciò che riguardava se stessa, Ikki ed Eden prima di mettersi alla ricerca di qualcosa che potesse risvegliare il cavaliere del cigno dal sonno in cui l’aveva gettato l’incantesimo del Ragnarock che un anno prima la principessa Flare di Asgaard aveva gettato su di lui per vendetta d’esser stata lasciata tra i ghiacci dal bel cavaliere.
Minos le aveva detto che le sarebbe stato sufficiente solo pensare all’oggetto della sua ricerca e il libro le avrebbe mostrato il capitolo giusto. Se questo suggerimento aveva funzionato per ottenere informazioni su di lei o i suoi familiari, non era servito con Hyoga. Il capitolo dell’era degli uomini che non sembrava avere alcuna fine, non nominava più il cavaliere dopo la battaglia contro Mars. Aveva dunque ottenuto di risvegliare Minos e Aiacos senza alcun risultato? Cosa avrebbe dovuto dire a Ikki che era furioso?
Da quando gli spectre si erano ridestati e Radamanthys aveva spiegato loro cosa era accaduto sotto l’arco di Cerbero, Minos e Aiacos erano diventati come ombre per Eden. Soprattutto Aiacos non lo lasciava mai e lo trattava come avesse finalmente trovato una vera ragione per vivere e servire.
Pandora conosceva bene quell’aspetto del suo generale. Mentre Minos era inflessibile e morigerato e Radamanthys incarnava coraggio e fedeltà, Aiacos era tutto fuoco e fiamme di distruzione. Era il più temibile dei tre giudici infernali, quello che Hades metteva alla testa della sua prima fila di eserciti. Il fatto che mostrasse tanto entusiasmo nel riconoscere Eden come suo signore infastidiva, neanche a dirlo, ancora di più Ikki che non mancava occasione per allontanarlo dal figlio.
Proprio mentre pensava che avrebbe dovuto confessare l’ennesimo fallimento nella sua lunga lista di tentativi per salvare Hyoga dal suo destino, Pandora trovò inaspettatamente la soluzione a tutti i suoi problemi.
“Maledizione!” esclamò stizzita lanciando il libro lontano da lei “possibile che non ci sia dio o uomo in grado di guidare un’anima errante fuori dai suoi incubi?”
Non sapeva come era arrivata a quella conclusione ma Pandora sentiva che la coscienza di Hyoga doveva essere per forza intrappolata in una qualche dimensione onirica. Il libro, come a rispondere a quella domanda, cadde in terra e si aprì ad una pagina precisa. Era una pagina che raccontava di un’epoca passata in cui delle creature in parte umane e in parte divine, vivevano su un’isola del Mediterraneo e avevano il potere di vaticinare il futuro. Una di esse era in grado di gettare l’anima degli uomini all’interno dei suoi sogni o incubi e di farglieli vivere come fossero reali. Ovviamente era in grado anche di liberarli da quelle illusioni se i mortali non riuscivano a farlo da soli. Pandora esultò e chiuse il libro. Come una ragazzina si mise a correre verso la sala del trono del grande palazzo avvolto nelle nebbie scandalizzando Minos che le aveva fatto compagnia fino a quel momento.
In preda all’entusiasmo, spalancò le porte della sala del trono con la sua sola aura e mostrò trionfante il libro ad Eden che se ne stava seduto sul trono a leggere e ad Ikki che lo imitava sull’ottomana appoggiata alla parete opposta alla porta. Radamanthys e Aiacos che litigavano su una partita di scacchi iniziata chissà quando, scattarono in piedi. Ikki non le diede alcuna soddisfazione mentre Eden chiuse il libro e parlò.
“Cosa è accaduto, madre?”
“L’ho trovato! Il modo per risvegliare Hyoga!” A quelle parole Ikki sollevò un sopracciglio “E voi che non avevate fiducia in me! Ora dovrete ammettere che avevo ragione!” Ikki stavolta posò la rivista di motociclette che stava sfogliando e si alzò. A Pandora l’espressione soddisfatta del marito non piacque per nulla.
“Molto bene!” disse con un ghigno pregno di soddisfazione “E’ giunta dunque l’ora di tornare ad Atene!” concluse pregustando l’idea di lasciarsi indietro, almeno per un po’, i giudici infernali che mal sopportava. Pandora gli sorrise abbracciandolo ma s’accorse, un istante dopo, che sul viso di Eden si era dipinta un’espressione di autentico malumore.

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Capitolo 5
*** Scosse - Parte seconda ***


Note iniziali:
Salve a tutti! Ragazzi quanti accessi, quanti messaggi mi avete mandato e le recensioni! Wow grazie per la vostra presenza! Sono molto legata a questa storia e mi fa immensamente piacere l'affetto che le riservate.
Vi lascio subito al capitolo e se avete difficoltà a capire qualcosa perchè non avete letto ( e non vi va di farlo) la prima parte della storia, sono a disposizione per i chiarimenti. Prometto che rispondeò a tutte le recensioni. Grazie di cuore e buona lettura.

Scosse
Parte seconda





Non era stato difficile per Aspros organizzare l’evacuazione di Skyros. Tutti gli riconoscevano capacità di giudizio e acume. Non era stato difficile per lui neppure trovare subito un alloggio vicino al porto una volta toccata la terraferma.
Si trattava di un modesto bilocale a piano terra sistemato appena dove finiva la piccola catena di negozi di souvenir frequentata dagli ospiti delle navi da crociera che avevano mancato qualche acquisto nei ben più raffinati negozi del centro.
Cora sembrava ancora spaesata dal cambio di atteggiamento che l’uomo aveva avuto nei suoi confronti. Prima l’aveva quasi strangolata per farsi dire cose che per lei non avevano alcun senso, poi l’aveva presa con sé come se, insieme a suo nipote Niketas, facesse parte della sua famiglia.
Non riusciva a ricordare niente di quello che era stato di lei prima che Aspros la svegliasse tanto bruscamente eppure era grata al destino che l’aveva fatta sopravvivere a qualcosa di orribile. Sentiva di non essere una persona molto espansiva, probabilmente era una ragazza taciturna ed introversa anche prima della disgrazia che l’aveva investita e lasciata priva di sensi sulla scogliera dove Niketas l’aveva poi trovata.
Aprì le ante delle persiane della stanza più grande e fece entrare aria fresca. In controluce, la polvere che era stata rianimata da quel gesto improvviso sembrò brillare. Niketas posò lo zaino che aveva riempito con abiti e vettovaglie su un tavolinetto di legno chiaro e si guardò intorno un po’ deluso.
“E’ tutto sporco qui dentro. Ed è stretto. Non potevano cercare qualcosa di meglio?” La voce di suo zio arrivò immediata a zittirlo.
“E’ una sistemazione provvisoria. Invece di lamentarti, dai una pulita. Vedrai che andrà benissimo.”
“Non hai pensato che abbiamo anche un’ospite? Che dirà Cora?” la ragazza intervenne legandosi i capelli con un nastro che portava al polso. Si ricordò solo in quel momento di averlo e si chiese se lo portasse sin da prima di perdere la memoria.
“Ti aiuterò io a pulire. Vedrai che questo posto diventerà accogliente in un baleno!” Trascinato dall’ottimismo di Cora, anche il ragazzo si sfilò il giaccone e cominciò a fare avanti ed indietro fuori dalla porta di casa per scuotere lenzuola e tovaglie.
Aspros raggiunse il supermercato più vicino per procurarsi da mangiare e dare un’occhiata in giro. Molte delle persone che avevano lasciato l’isola con loro, avevano già abbandonato il porto e si erano dirette verso l’interno. Lui sapeva bene che se una buona parte aveva raggiunto le palestre e le chiese allestite dal prefetto di Atene per ospitare i profughi, in molti si erano diretti nell’unico luogo che ritenevano davvero sicuro per loro. Sia sulle imbarcazioni che negli uffici della dogana portuale, Aspros aveva sentito nominare il Santuario. Alcuni facevano esplicitamente riferimento alla protezione che solo Atena poteva offrire. Altri confidavano nell’aiuto che i cavalieri di certo stavano già prestando a coloro che erano in difficoltà.
Poteva condannare quelle persone per parlare tanto apertamente di quelle cose? Non erano forse coloro che erano a conoscenza dell’esistenza del Santuario, vincolati a custodirne il segreto? E lei? Lei cosa avrebbe fatto di tutta quella gente implorante la sua protezione, il suo aiuto?
L’immagine di un sorriso e il ricordo di una voce che sussurra il suo nome lo colpirono nel profondo. Alzò il passo e tornò al bilocale polveroso.
Quando aprì la porta, Aspros scoprì che di polvere ne era rimasta ben poca e tutta concentrata sulle scope con cui Cora e Niketas giocavano incrociando i loro bastoni come in una battaglia. Niketas sorrideva sinceramente e Cora, illuminata dal sole di Grecia, splendeva di una bellezza sconvolgente.
“Zio sei tornato!” esclamò Niketas rivolgendo di nuovo la scopa verso il basso.
“Vedo che avete dato una bella ripulita. Ora mettetevi buoni mentre preparo da mangiare.” Fece l’uomo posando la busta della spesa sul tavolo.
“E’ una persona abituata a dare ordini,” sussurrò Cora a Niketas mentre si sedevano su un vecchio divano di stoffa disegnata a quadroni.
“Non ne hai la minima idea. Prima dell’incidente del Pireo era il capo di una società importante. Ovviamente io non mi ricordo niente ma lui mi ha raccontato che aveva un sacco di dipendenti e dice che io somiglio molto a mio padre che era il più indisciplinato fra loro. Credo che mio padre fosse una persona divertente. Zio Aspros è un musone!”
“Appartiene alla famiglia di tua madre?” chiese Cora e Niketas annuì.
“Io lo chiamo zio ma mi ha raccontato che quando era una ragazzo ha visto nascere mia madre. Per un po’ non sono andati d’accordo ma di fronte a grandi difficoltà si sono ritrovati e non si sono più lasciati. Lui le ha promesso che si sarebbe preso cura di me e lo fatto davvero.”
“Già, è molto protettivo nei tuoi confronti.”
“Anche troppo!” Esclamò Niketas “E tu Cora? Ti è tornato in mente qualcosa? Magari c’è una famiglia che ti aspetta da qualche parte.” La ragazza si guardò le mani bianche.
“Credo di avere qualcuno. Se chiudo gli occhi e mi sforzo di ricordare, mi sembra di vedere altre ragazze come me. Sorelle forse. E’ tutto troppo sfocato.”
“Non c’è fretta, nel frattempo starai con noi.”
“Grazie Niketas,” disse posando una mano su quella del ragazzo. A quel tocco, qualcosa in lei si agitò e vide un cavallo bianco e alato e una stella cadente. I suoi occhi aperti brillarono per un istante ma Niketas parve non accorgersi di nulla. Si alzò decidendo che era ora di apparecchiare la tavola.
“Cora, vorresti venire un attimo fuori con me?” la voce di Aspros risuonò gentile ma decisa e la scosse da quella involontaria immobilità. Anche se aveva ancora dei timori nei confronti di quell’uomo, la ragazza lo seguì senza esitare.
“Mi dispiace d’averti aggredito in quel modo su Skyros. L’ho ritenuto necessario. Se rimani con noi fino a che non ti sarà tornata la memoria imparerai che non ho affatto un carattere facile e che sono lesto all’ira.”
“Non mi pare che sia così”, disse lei interrompendolo. L’uomo, che finora le aveva dato le spalle, si voltò a fissarla con un’espressione di rimprovero. “Scusami, Aspros, non volevo interromperti.” L’uomo incrociò le braccia sul petto e riprese a parlare.
“Ci sono solo poche semplici regole per convivere pacificamente con me. La prima: comando io. Se ritengo che una cosa vada fatta, si fa, altrimenti non c’è niente e nessuno che possa convincermi del contrario. La seconda: odio le menzogne. Le conosco talmente bene che so riconoscerle subito. Niketas può testimoniare che è così. Pertanto se mi mentirai, dovrai patirne le conseguenze e non ti piacerà. Terzo: la vita di Niketas è la cosa più importante per me. Le prime due regole sono imposte per questo. Se dovesse accadergli qualcosa, mi trasformerei nel peggior demone che la terra possa risputare dalle viscere del Tartaro.” Nell’udire queste ultime parole, a Cora apparve un’altra visione. Quella di un fulmine che si scaglia nelle profondità della terra e che genera un tremendo terremoto. Come se quel fulmine l’avesse centrata in pieno, si portò le mani al petto e sussurrò.
“Il tempo si è perso. Ciò che è stato e ciò che sarà stanno mutando. Il tempo si è perso, Aspros assassino delle mie sorelle.”
Stavolta l’uomo percepì distintamente le parole di Cora e capì. Come nella precedente circostanza, la fanciulla si scosse e parve non ricordare quello che aveva appena detto. Aspros fece finta di nulla e riprese il discorso che aveva lasciato in sospeso.
“Hai capito bene cosa ti ho detto, Cora?”
“Sì” disse la donna annuendo “e sappi che farò ciò che è nelle mie possibilità per non dare problemi né a te, ne a Niketas.”
“Bene, rientriamo allora”, disse indicandole la porta. Cora rientrò in casa e lui si fermò sulla soglia a guardare nella direzione del Partenone di Atene.
“Ho fatto una promessa. Questa volta non la mancherò,” disse a se stesso sollevando lo sguardo verso il sole “neppure se dovessi trovarmi faccia a faccia con te. Semmai dovessi decidere di venire a minacciare me o colui che proteggo, scoprirai che anche se non sono più un cavaliere, in me brucia un cosmo ancora in grado di competere col sole stesso.”
Il sole non gli avrebbe risposto come mai aveva fatto pure con gli antichi abitanti del Peloponneso che gli avevano eretto templi e che lo preferivano fra tutti gli dei. Aspros sorrise del suo destino. Ancora una volta il fato lo metteva alla prova. Quale strana e bizzarra sorte aveva fatto in modo che fosse proprio un uomo di nome Aspros ad incontrare una fanciulla che parlava come le Pizie?
Aveva letto la storia tanto tempo prima in una notte d’estate puntellata di mille stelle. In quel periodo era adorato come un dio ed odiato come un demonio. Passava da solo la maggior parte del tempo e si perdeva nella lettura degli scritti di coloro che lo avevano preceduto in quel ruolo.
Leggeva avidamente, srotolava le pergamene bramoso di impossessarsi di tutti i segreti del Santuario, un luogo mistico sospeso tra passato e presente in cui si poteva decidere le sorti dell’umanità. Passava in rassegna, uno ad uno, tutti i fogli scritti a china e immaginava dalla calligrafia il carattere di quegli uomini venuti prima di lui. Leggeva in una curva elegante di una maiuscola, la mano accurata e leggera di un uomo retto e generoso. Scopriva in una virgola graffiata sulla carta, quella decisa e inossidabile di una altro capace di sfidare gli dei.
In una notte afosa e lenta a passare, spogliatosi sia del ruolo che degli indumenti, era rimasto a leggere alla semplice luce di una candela. Aveva letto di un uomo ambizioso che aveva deciso di ottenere la più alta carica del Santuario e della sua determinazione. Aveva letto delle sue imprese, nobili e ignobili. Tra le ultime c’era l’assassinio delle Pizie, le sacerdotesse devote al dio Apollo. Le Pizie, che vivevano sull’isola di Delo, avevano ricevuto dal dio il dono della profezia. Alcune di loro vaticinavano anche per il Santuario e profetizzarono che quell’uomo si sarebbe voltato al male, che avrebbe tradito il Santuario stesso. Così accadde che lui le uccise tutte, dalla prima all’ultima.
Il nome di quell’uomo era Aspros.
Sorrise sbuffando e rientrò in casa. Qualunque cosa stesse macchinando il destino, lui era pronto a ricominciare tutto daccapo. A tramare, cospirare e manovrare persino il destino stesso.

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La porta della sua stanza si aprì. Saori si mise a sedere tra le lenzuola umide del suo stesso sudore. Il suo corpo ma soprattutto il suo cuore necessitavano di refrigerio.
Kanon s’era offerto di chiamare Seiya. Abbassò per un momento gli occhi come a cercare il coraggio di guardarlo in faccia e chiarirsi con lui. Spiegargli che tutta quella collera non era rivolta a lui quanto a se stessa. Quando alzò gli occhi tuttavia, capì che quel coraggio non le sarebbe servito. Davanti a lei, con un sorriso mite e benevolo stava il suo grande sacerdote.
“Perdonatemi, Atena, se vi ho indotto all’ira. Cercherò di fare in modo che non accada più. Se c’è qualcosa che posso fare per voi, sono qui.” Saori sorrise e tese una mano, il cuore gonfio di tristezza.
“Perdonami tu, Mur. Sono stata crudele ed ingiusta e il tuo cuore è troppo limpido e buono per provare il rancore che dovresti.” Mur le prese la mano e si sedette sul letto. La sua espressione cambiò nel sentire la febbre nel corpo della donna.
“Vado a chiamare Camus. Vedrete che la febbre scenderà in pochi minuti.” Saori lo trattenne.
“Non chiamare nessuno. Non è niente. Dimmi piuttosto. Stanno tutti bene al santuario? Il terremoto è stato forte.”
“Ho già mandato Kiki, Kanon e Shaina ad occuparsi di coloro che verranno a chiedere aiuto al santuario. A Rodorio sono crollate alcune abitazioni e ci sono feriti ma Aldebaran ha già radunato dei volontari tra le guardie del tempio per fornire i primi soccorsi. Ho chiesto a Shura di presidiare con maggiore attenzione la tredicesima casa anche se qui ci sono comunque io. Siete al sicuro.” Saori sorrise e strinse una delle mani di Mur tra le sue.
“A quanto pare, voi grandi sacerdoti fate in modo che la presenza di Atena sia inutile!” disse piano ma con un sorriso leggermente abbozzato sul viso. Poi, come se si fosse ricordata di una cosa spiacevole, quel bel sorriso svanì. Mur sapeva fin troppo bene quale pensiero l’avesse intristita e cercò di consolarla.
“Mia signora, quando Kanon è venuto a chiamarlo, Seiya era già andato via. Credo diretto a verificare se ci fosse bisogno di lui alla prima casa”, disse abbassando lo sguardo.
“Mur, la tua sensibilità è totalmente incompatibile con la capacità di mentire. Ti ringrazio comunque per averci provato. Seiya è arrabbiato con me.”
“Seiya si comporta ancora come se avesse quindici anni.”
“Ringrazio gli dei per questo!” esclamò lei ridendo e Mur fu felice d’essere riuscito a farle dimenticare i suoi fantasmi per un po’.
“Vi lascio riposare” concluse lui alzandosi.
“Non ho più voglia di riposare,” disse lei “piuttosto accompagnami alla prima casa. Voglio andare a dare una mano anche io ai profughi del terremoto.”
“Ma avete la febbre!” si oppose Mur.
“Grande sacerdote, lasciami essere la dea giusta e generosa che tutti hanno imparato a rispettare e non la cupa creatura crudele che sono stata negli ultimi tempi.”
Mur annuì con il capo e aspettò nella sala del trono che lei si preparasse. A Saori servirono pochi minuti per rinfrescarsi e indossare un abito bianco ma più corto di quello che di solito portava e che lasciava scoperte le caviglie. Si mise uno scialle addosso e raggiunse Mur.
Shura, di guardia all’ingresso della tredicesima casa, si accodò loro e tutti e tre discesero le case dello zodiaco. Quando varcarono quella del Sagittario, Saori pensò che vi avrebbe trovato Seiya ma la casa era vuota come pure lo erano quella dello Scorpione e del Leone. I cavalieri mancanti erano tutti nell’arena che Kiki aveva fatto allestire come una specie di ospedale da campo.
Marin e June si occupavano di distribuire il cibo tra quelli che non erano feriti e i bambini. Shaina e Aldebaran sistemavano i feriti più gravi su modeste ma pulite lettighe. Mur si unì immediatamente a loro per curare quelli che soffrivano maggiormente. Shura accompagnò Saori fino ad una tenda in cui c’erano i bambini feriti. Lì erano la maggior parte dei giovani cavalieri di bronzo e gli apprendisti.
Yuna medicava le bambine mentre Soma e Rhyuo offrivano il loro aiuto ai maschi.
Saori raggiunse Yuna e le mise una mano sulla spalla. Solo allora la ragazza s’accorse di lei.
“Signorina Saori! Che bello avervi qui. C’è così tanto da fare e io ho paura di sbagliare. Mia madre ha detto che c’erano feriti più gravi e mi ha lasciata qui da sola!”
“Mi sembra che tu te la stia cavando egregiamente, Yuna. Comunque conta su di me. Diamoci da fare, vuoi?” La ragazza annuì e, mentre lei tagliava bende e le inumidiva con i disinfettanti, Saori medicava gambe e braccia, incerottava tagli e impomatava lividi.
In poche ore, tutti i feriti che aspettavano di essere medicati, erano stati curati.
“Soma, va con Ryhuo a prendere qualcosa da mangiare per i bambini”disse Saori quando si rese conto che potevano rilassarsi. Il figlio di Aiolia non se lo fece ripetere due volte giacché, da quando l’emergenza era cominciata, anche lui non aveva toccato cibo. Raggiunse suo padre che insieme a Seiya stava preparando altre tende e letti per ospitare chi era rimasto senza casa e chiese se poteva prendere del cibo.
“Avete finito di medicare i feriti?” chiese il cavaliere del Leone.
“Sì, papà.”
“Avete fatto prima degli adulti!”
“Certo, ci ha aiutati la signorina Saori!” esclamò orgoglioso Soma. Nell’udire le parole del ragazzo, Seiya lasciò andare la pesante panca di legno che teneva per un lato e che finì per ricadere sui piedi di Aiolia.
“Saori è qui?” chiese Seiya.
“Seiya! Dannazione! Vuoi fare attenzione?”
“Scusami Aiolia. Soma, ti accompagno io a prendere le scorte.”
“E mi lasci qui a fare i lavori pesanti?” si lamentò Aiolia.
“Mando subito qualcuno ad aiutarti!” gridò Seiya allontanandosi.
“Dovevi aiutarmi tu! Torna indietro fannullone!”
“Ricordati che sono il comandante di tutti i cavalieri d’oro! Non puoi chiamarmi fannullone!” lo canzonò Seiya sollevando due grandi casse di pane e formaggio.
Quando raggiunse la tenda in cui Saori era con i ragazzi, quasi non osò entrare. Ripose in terra le casse e rimase all’ingresso. Lei era seduta al centro della tenda e i ragazzi la circondavano. I piccoli Jona e Josa le si erano seduti in braccio e Jona giocava con una ciocca dei suoi capelli. Seiya ne fu quasi geloso. Lei parlava e sorrideva.
“Siete stati tutti molto bravi e coraggiosi oggi. E’ stata una giornata difficile ma avete dimostrato molto valore nell’esservi aiutati gli uni con gli altri. Questo è il vero spirito di un cavaliere di Atena.”
“Non vi abbiamo vista molto in giro ultimamente!” disse Yuna “Dicevano che eravate malata.”
“In effetti non sono stata bene ultimamente”, disse lei piano e Jona attirò la sua attenzione toccandole con una delle sue manine il viso.
“Se hai bisogno d’aiuto, chiedi a me. Io voglio diventare grande e forte per proteggerti sempre. Voglio stare sempre con Atena.” Saori lo guardò dritto negli occhi come se volesse davvero capire se potesse prendere per buone le parole del bambino e fu sconvolta dalla forza di volontà che trasmettevano.
“Grazie Jona, sono certa che diventerai grande e forte e aiuterai tanta gente.”
“Io diventerò più forte di lui!” esclamò Josa.
“Diventerete entrambi forti, non dovete litigare tra voi, dovrete crescere in unità e condivisione.”
“O il vostro maestro vi tirerà un sacco di legnate!” esclamò Paride, l’allievo prediletto di Aphrodite, e tutti risero imitando l’espressione Di Kanon di Gemini.
Seiya non riusciva a smettere di guardare Saori. In quel momento sembrava così serena rispetto agli ultimi tempi e fu tentato di non entrare. Soma però tradì la sua presenza.
“Seiya, muoviamoci! Scommetto che tutti hanno fame!”
Saori sollevò lo sguardo e fece loro cenno di entrare. Saori si alzò e prese a distribuire pane e formaggio in parti uguali a tutti i ragazzi.
“Credevo non saresti mai venuta quaggiù”, fece lui mentre affettava il pane.
“Ti sbagliavi” rispose lei placidamente allungano un panino a Josa che aveva scavalcato tutta la fila.
“Già, io mi sbaglio sempre.”
“Non sempre. Ad esempio stamattina avevi ragione tu ed io torto.” Seiya si fermò per un istante poi riprese a tagliare il pane.
“Ho detto cose che non pensavo.”
“Le pensi invece e non sono arrabbiata per questo. Vogliamo andare fuori a parlare?” Seiya chiese a Ryhuo di sostituirlo e Yuna si mise a distribuire i panini al posto di Saori.
Uscirono dalla tenda e si resero conto che il tramonto era già sceso sulle dodici case. Saori risalì il fianco dell’arena e prese la via per la meridiana dello zodiaco. Cinque fuochi erano ancora accesi.
“Seiya mi dispiace per quanto è accaduto oggi.”
“Non dovevo comunque risponderti in quel modo.”
“E perché? Perché sono Atena e mi devi rispetto?” Chiese lei continuando a camminare.
“Anche per questo.”
“La verità è che mi sta succedendo qualcosa, Seiya. Ho rischiato di ferire Mur. E’ come se non riuscissi più a controllare le mie emozioni.”
“E’ anche colpa mia. Non so fare altro che battermi e forse in un momento come questo tu avresti bisogno di qualcuno più bravo con le parole. A volte penso che se dopo la battaglia con Mars, al tuo risveglio, invece che me avessi ritrovato Saga, tutto questo non sarebbe successo. Lui avrebbe saputo cosa fare. Io riesco solo a litigare con te.” Saori si voltò di scatto e gli mise una mano sulla bocca per farlo tacere.
“Io invece penso che se le cose sono andate così c’è un motivo,” disse guardando il terreno “forse mi sta davvero capitando qualcosa. Ad ogni modo io sono felice che tu sia al mio fianco perché se mai dovessi impazzire, tu sei l’unico che potrebbe fermarmi.” Seiya prese la sua mano e la fece scivolare giù fino all’altezza del suo cuore.
“Saori, non dire sciocchezze. Non sta succedendo niente di brutto. Le battaglie sono alle nostre spalle. Possiamo vivere in pace. Non c’è alcun motivo per temere.”
“Seiya devi farmi una promessa.”
“Qualunque cosa.”
“Se mai dovessi fare qualcosa di sbagliato, se dovessi usare il mio potere per fare del male a qualcuno, tu mi fermerai.” Seiya sgranò gli occhi.
“Che diavolo mi stai chiedendo?”
“Tu mi hai salvata da ogni nemico o pericolo finora. Promettimi che se dovessi impazzire, diventare malvagia, tu mi fermerai. Mi salverai anche da me stessa, vero Seiya?”
“Tu non impazzirai!” Lei fissò i suoi occhi blu nei suoi. Riproponevano la stessa domanda, ancora e ancora. Lui scosse il capo in segno di dissenso.
“Non lo capisci Seiya? Anche se dovessi trasformarmi in una divinità malvagia e collerica, sono certa che tu sapresti trovare la strada per arrivare al mio cuore. Non l’hai sempre fatto? Io non riuscirei mai a farti del male, neppure quando fossi fuori di me. Mi prometti che mi impedirai di fare del male a coloro che amo?” Seiya la strinse forte e le sussurrò piano all’orecchio.
“Te lo prometto.”
Una stella si staccò dal cielo che andava scurendosi in quel momento e sparì oltre la linea dell’orizzonte. Saori pose entrambe le mani sul suo petto e si staccò un po’ da lui. Il cuore dell’uomo batteva così forte che pareva sul punto di esplodere. Lei ne trasse energia come le succedeva ogni volta che sentiva forte la presenza al suo fianco.
“Grazie, Seiya.” Lui non rispose. Non c’erano parole per descrivere quello che sentiva. Forse, tra tutte le emozioni, quella predominante poteva essere definita paura. Paura che una nuova minaccia stesse incombendo su di loro. Paura che la sensazione di calore che il corpo di Saori gli trasmetteva, stesse per svaporare da un momento all’altro. Lei rimase immobile come in attesa di una risposta.
“Saori, sarò sempre qui per te.”
Lei si voltò e riprese a camminare verso le dodici case. Questa volta però, non gli lasciò la mano. Gliela tenne stretta nella sua fino a quando non raggiunsero la casa di Kiki dell’Ariete.

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Capitolo 6
*** Ombre dal passato - parte prima ***


 

Ombre dal passato
Parte prima


Le luci del santuario apparvero nitide non appena superarono le ultime case cadute di Rodorio. Il paese era stato quasi interamente evacuato a causa del terremoto che aveva colpito la zona e Pandora più volte dovette voltare lo sguardo dall’esterno all’interno della carrozza che portava la sua famiglia al grande tempio. Quella distruzione evocava brutti ricordi e lei cercò di concentrarsi sull’idea che presto avrebbe potuto dire a Shun che aveva finalmente trovato il modo per risvegliare Hyoga.
Un altro pensiero però la tormentava. Eden, al suo fianco, fissava la rovina di Rodorio senza apparirne turbato. Sembrava piuttosto che fosse infastidito dal fatto di aver lasciato in fretta e furia l’arco di Cerbero.
La carrozza si fermò a pochi passi dall’arena. Una bambina di nome Raki si presentò ad accoglierli.
“Il grande sacerdote vi ha visti arrivare e mi manda a dirvi che siete i benvenuti. Vi accompagnerò alla tredicesima casa.”
“Somigli a Kiki”, disse Ikki guardandola in viso.
“E’ il mio maestro. Veniamo entrambi dal Jamir. Però non siamo parenti!” esclamò scomparendo e riapparendo qualche gradino più su della scalinata che conduceva alla casa dell’Ariete.
“Si muove alla velocità della luce?” chiese Eden stupito dalla dote della bambina.
“No. Si tratta di telecinesi. Si dice che la razza cui appartengono Kiki e il grande Mur abbia poteri superiori a quelli di un normale essere umano”, rispose suo padre.
“Muoviamoci!” esclamò Pandora che era sempre più impaziente di parlare con Atena “Prima parleremo con Saori, prima risveglieremo Hyoga!”
I tre raggiunsero la prima casa e poi Kiki li teletrasportò tutti alla tredicesima. Mur, bardato con gli abiti sacerdotali, li accolse nella sala del trono.
“Bentornati, signori dell’Elisio. Quali notizie portate? Buone o cattive?” chiese Mur che aveva già letto alcuni pensieri di Ikki.
“Buone e cattive”, rispose quest’ultimo “qui piuttosto cosa è successo?”
“Un terremoto ha colpito tutta la zona. Atena sta dando ospitalità a chi è rimasto ferito o senza un luogo dove stare.”
“Abbiamo urgenza di parlarle”, intervenne Pandora.
“E’ stata già informata del vostro arrivo. Sarà qui a momenti.” Mur non ebbe modo di aggiungere altro perché le porte laterali che davano nelle stanze riservate alla dea si aprirono e Saori avanzò seguita da Seiya e Shura. La donna raggiunse Mur e poi scese i pochi scalini che la separavano da Pandora.
“Bentornata Pandora”, disse per poi rivolgersi ad Ikki “e bentornato anche a te, Ikki. Ci siete mancati molto.”
Eden era rimasto più indietro e teneva lo sguardo basso. Saori si fermò a constatare quanto il suo cosmo fosse cresciuto e poi parlò.
“Benvenuto Eden, cacciatore di anime”, disse e il ragazzo fece per inginocchiarsi. Saori lo trattenne prendendogli un braccio.
“Non devi chinarti davanti a me. Riconosco il tuo potere, signore di ciò che è sotto alla terra.”
“Eden rimane un cavaliere di Atena”, disse Ikki con voce dura. Saori si voltò con uno sguardo severo sul viso.
“Ikki, tuo figlio ha prestato più di un giuramento. Tra quelli che ha fatto, uno è più grande degli altri e io lo rispetto. Non c’è nulla in questo che Atena si senta di biasimare” disse voltandosi poi a guardare Eden “pertanto, Eden, non rifuggire il mio sguardo e alza la testa.”
Eden obbedì ma quando incrociò lo sguardo limpido di Saori, una fitta al cuore lo costrinse a voltare di nuovo la testa. Era quello il motivo di tanta ritrosia nel dover affrontare di nuovo quelle aule. La vista di Atena faceva riaffiorare in lui i ricordi dell’ultima battaglia contro Mars e aveva la sensazione di aver dimenticato qualcosa che credeva di aver fatto contro la dea che ora lo fronteggiava e per cui sentiva che avrebbe dovuto scusarsi. Saori percepì una sorta di tremore nel suo cosmo e si limitò a carezzargli un braccio poi si voltò e tornò a sedere.
“Ti trovo bene, Seiya!” esclamò sarcasticamente Ikki rivolgendosi al suo vecchio compagno di mille battaglie “Ancora niente capelli bianchi?” Seiya rise.
“Perché? A te sono già spuntati?”
“Nessuno avrà capelli bianchi ancora per un bel po’!” esclamò Pandora “Piuttosto veniamo al dunque.”
“Avete detto che portate notizie buone e cattive,” intervenne Mur “di cosa si tratta?”
“La cattiva è che i tre giudici infernali non sono più propriamente morti!” esclamò Ikki canzonando Pandora “Sono morti più o meno come lo erano quando Hades li ha riportati in vita sedici anni fa!” Shura s’irrigidì e Seiya guardò subito Mur.
“Che significa questo? La nostra alleanza prevedeva l’impegno da parte di Pandora di non richiamare mai più le stelle oscure che animano gli spectre”, fece il grande sacerdote.
“Come al solito mio marito non mostra di conoscere le mezze misure!” fece Pandora esasperata dall’atteggiamento del consorte.
“Perdonami Pandora ma se si tratta di questo genere di cose, sono incline a vederla come Ikki!” intervenne Seiya.
“E questo vi da la dimensione di quanto la notizia sia preoccupante!” fece Ikki sottolineando il fatto che lui e Seiya storicamente non fossero mai andati troppo d’accordo.
“Pandora,” intervenne Saori “perché hai richiamato in vita i giudici infernali?”
“Volevo avere accesso al libro dei morti, un testo antico custodito nella biblioteca di Minos. Solo lui ha il potere di richiamarlo in questo mondo così ho chiesto ad Eden di risvegliare lui e Aiacos.”
“Il libro dei morti è un testo che per nessun motivo al mondo dovrebbe essere letto da umani. E’ riservato agli dei”, precisò Mur.
“L’ho fatto per trovare il modo di risvegliare Hyoga. Non mi sembra che voi tutti abbiate poi fatto molto per aiutarlo!” fece Pandora per giustificarsi. Saori si guardò le mani.
“Sei ingiusta Pandora! Abbiamo provato ogni cosa senza riuscire!” la difese Seiya.
“Dico solo che andava fatto un tentativo, soprattutto se poi ho avuto ragione!”
A quelle parole tutti la guardarono con occhi carichi di aspettative. Pandora non li lasciò sulle spine.
“Ho scoperto che esiste qualcuno a questo mondo che può richiamare le anime degli uomini che sono perdute nei loro sogni o nei loro incubi.”
“E tu pensi che sia capitato questo a Hyoga?” chiese Mur. Pandora annuì.
“Il Ragnarock ha annullato la sua volontà costringendolo ad essere un guerriero desideroso solo di raggiungere la morte in battaglia per conquistare il Valhalla. Lo spirito di Hyoga è prigioniero di questo sogno. Bisogna liberarlo. Esistono creature in grado di farlo. Si tratta delle Pizie.”
“Questa non è una buona notizia, Pandora,” disse Mur “le Pizie sono le sacerdotesse del dio Apollo e non credo che siano bendisposte nei confronti di Atena. Inoltre c’è un altro fatto trascritto negli annali del grande tempio. Alcuni secoli fa, un cavaliere d’oro si macchiò dell’orrendo delitto dello sterminio delle Pizie di Delo. Da allora non ci fu più alcun contatto tra loro e il santuario.”
“Conosco quella storia,” riprese Pandora “quel cavaliere divenne poi uno spectre. Questo però non sarà un problema.”
“No?” chiese Ikki “Perché le sacerdotesse di Apollo dovrebbero aiutare un cavaliere di Atena? E’ già un miracolo che la battaglia ingaggiata contro di lui durante l’invasione di Artemide, si sia conclusa senza danno per entrambe le parti!” fece il cavaliere della fenice che voleva evitare che le iniziative di Pandora si rivelassero di nuovo dannose per la sua famiglia.
“Perché a chiedere aiuto non sarà Atena. Sarà la sorella mortale di Hades per colui che suo fratello ama di più al mondo. Vedrete che le Pizie mi ascolteranno.”
“Anche ammesso che lo facciano, rimane in sospeso la faccenda dei giudici infernali”, si affrettò a precisare Mur cui non sfuggiva mai il cuore dei problemi.
“I giudici hanno giurato fedeltà a me e, come dice mio padre, io resto per metà un cavaliere di Atena. Non oseranno fare danno alla nostra alleanza a pena della loro nuova vita.” Intervenne il più giovane fra loro.
“Ritengo sufficiente la parola di Eden,” disse Saori “in quanto alla tua proposta, Pandora, sono d’accordo nel tentare. Io e Apollo, alla fine abbiamo stabilito una tregua. Nessuno dei due ha interesse a violarla. Se te la senti di provare, ti do il mio consenso. Fa ciò che ritieni maggiormente nell’interesse di Shun e Hyoga.”
“L’accompagnerò io ma vorrei che Eden rimanesse al santuario”, disse Ikki “e sarebbe meglio che non diceste niente a Shun. Non vorrei si facesse delle illusioni.”
“Acconsento ad entrambe le richieste,” fece Saori “Eden resterà ospite della mia casa.”
Il ragazzo chinò il capo in segno di assenso ma quella sensazione di disagio che aveva provato non appena aveva rivisto Atena, si fece ancora più forte.
“Partiremo domani stesso,” concluse Pandora “vedrete che avremo successo!”
I tre si congedarono ospiti della nona casa che era vuota. Mur ordinò che Shura li accompagnasse e poi si ritirò nel suo studio.
Seiya accompagnò Saori nelle sue stanze.
“Sarebbe bello se Hyoga si risvegliasse”, fece lui spogliandosi della sacra armatura che si ricompose devota ai piedi della statua di Atena.
“Nessuno di noi aveva pensato alle Pizie. Pandora tiene molto alla felicità di Shun. Mi sento meschina ad essermi dimenticata del suo dolore.”
“Non sentirti in colpa, il tempo che passa ci ha portati ad adattarci alla situazione di Hyoga. Persino Shun, che non lo lascia mai, sembra essersi abituato all’idea che non si sveglierà più.”
“Scommetto però che il suo dolore non è scemato neppure un po’”, fece la donna “non vedo proprio come ci si possa abituare all’idea di perdere una persona tanto importante. A volte penso che la guerra ci ha portato via più di quanto immaginiamo di avere perso, Seiya!”
“A volte ho questa sensazione anche io,” disse lui avvicinandosi senza avere il coraggio di toccarla.
“A proposito di cose perdute!” fece lei “Dove dormirai stanotte ora che hai ceduto la tua casa?”
“E’ una notte così bella! Magari sotto le stelle!”
“Tieni,” disse lei porgendogli una chiave “è della stanza accanto alla mia. E’ chiusa da un po’e non ho mai voluto che fosse usata da nessuno.”
“Perché è chiusa?”
“Non ricordo perché l’ho fatta chiudere ma è stato in questa stanza che ho cominciato ad avere i miei incubi.”
“Mi stai mandando a dormire in un luogo abitato da fantasmi?” chiese Seiya con un’espressione che Saori non ricordava più potesse fare. Quando l’aveva vista quella faccia buffa tra il sorpreso e l’imbarazzato che Seiya stava facendo adesso? Forse quella volta che era andato a trovarlo a casa sua e lui aveva aperto la porta seminudo e con i capelli bagnati. Rise.
“E te la ridi pure?” si lagnò lui.
“Non avrai paura delle mie visioni!” esclamò lei rientrando in casa.
“Io non ho paura!”
“Allora buonanotte Seiya!” disse lei chiudendo la porta della sua stanza. Il suo cuore avrebbe desiderato rimanere a parlare con lui ancora e ancora ma era stata una lunga giornata e Seiya sembrava davvero stanco.
Si spogliò e si coricò. Cadde presto nel sonno leggero cui si era abituata negli ultimi tempi e il rumore di una porta e di passi nel corridoio la svegliarono molto prima dell’alba. Scese da letto e raggiunse la porta. L’aprì e intravide una figura che camminava verso la sala del trono.
“Seiya?” chiamò. Le era sembrato di vedere l’armatura del Sagittario. Non ebbe risposta. Seguì la figura nel corridoio fino alla stanza del trono.
“Seiya, sei tu?” chiese di nuovo intravedendo una figura di spalle che fissava un drappo rosso appeso alla parete. Indossava la sacra armatura di Sagitter quindi doveva essere Seiya. Avanzò fino a che non fu al punto da poter allungare un braccio per toccargli la schiena. Allora si rese conto che era più alto di quanto non lo fosse Seiya. L’uomo aveva una fascia rossa tra i capelli. Saori fece un passo indietro e si strinse una mano nell’altra.
“E’ un sacrilegio”, disse sottovoce il cavaliere.
“Cosa è un sacrilegio?” chiese Saori prendendo coraggio.
“E’ un tradimento e un sacrilegio.” L’uomo portò una mano in alto e poi dietro la schiena e una freccia d’oro comparve nel suo pugno. Si voltò e nell’altra impugnava l’arco di Sagitter. Ora poteva vedere il suo viso. Non era Seiya e neppure Aiolos che pure credeva di aver visto in passato in una specie di sogno.
“Io sono un traditore e un sacrilego. Le mie mani sono sporche di sangue.”
Saori indietreggiò mentre l’uomo tendeva l’arco contro di lei. Non s’accorse di aver raggiunto la parete opposta coperta anch’essa da un drappo. Si sentì in trappola e strinse entrambe le mani sulla stoffa che ricadde su di lei. Lottò contro il tessuto e quando se ne fu liberata, il cavaliere non c’era più. Percepì però qualcosa alle sue spalle. La luce delle candele illuminò un’altra figura alle sue spalle. Lei si voltò e vide una donna bellissima che sorrideva malignamente. La donna aprì le sue labbra carnose e parlò.
“Lui ti ucciderà, trafiggerà il tuo cuore con una delle sue frecce. Pegasus non può più salvarti ora!” disse ridendo. Saori gridò e prese a tremare fino a che due braccia forti non l’avvolsero.
“Saori sta calma, va tutto bene.” La donna si voltò e vide Seiya che le teneva i polsi che lei si era graffiata fino a farli sanguinare.
“C’era una donna qui.”
“Saori, guarda, era solo il tuo riflesso. E’ uno specchio.” Lei si voltò e vide se stessa riflessa in un grande specchio incorniciato d’oro.
“Uno specchio?” chiese lei titubante “Era me stessa che ho visto?” Seiya annuì.
“Vieni ti riporto a letto.”
“Seiya, dov’è la tua armatura?”
“Dove l’ho lasciata. Ai piedi della statua di Atena.”
“Ho visto un uomo che la indossava. Voleva uccidermi. E Pegasus non può salvarmi!”
“Saori, qualunque cosa ma non di nuovo questa follia! Non potrei mai farti del male!”
“Non eri tu eppure, in qualche modo, eri tu!”
“Saori ti prego, è stato un gioco di specchi. Torniamo a letto!”
“Che succede?” La voce di Mur arrivò tranquilla e sicura.
“Nulla Mur, Saori si è spaventata per via dello specchio.”
“Quello specchio era stato coperto con dei drappi!” esclamò più agitato il grande sacerdote “Saga stesso volle nasconderlo. Lo odiava, diceva che era in grado di tirare fuori i suoi pensieri peggiori.” Nell’udire quelle parole, Saori si rilassò tra le braccia di Seiya.
“Sentito? Calmati ora”, le disse Seiya.
“Lo farò ricoprire domattina”, la rassicurò Mur.
“Seiya”, sussurrò lei.
“Sì?”
“Domani voglio parlare con Shaina. Ha giurato di trovare il nuovo cavaliere di Pegasus e non ha ancora mantenuto la promessa.”
Seiya annuì sollevandola ma fu attraversato da un brivido. Lo sguardo di Saori non era più quello limpido della donna che aveva passato il pomeriggio con lui. Era tornato quello della dea collerica che lo aveva allontanato dal suo cuore.
Mur li vide sparire dietro l’angolo e sospirò intuendo che quel momento di tranquillità in cui aveva osato sperare, era già passato. Stava per tornare nelle sue stanze quando un’ancella lo richiamò.
“Mio signore, il cavaliere di Virgo attende fuori da questa porta. Dice che deve parlare subito al grande sacerdote, che è urgente.” Mur s’incupì.
“Fatelo passare”, disse sistemandosi i capelli dietro la schiena.
Shaka, che entrò avanzando con compostezza ma con evidente urgenza, gli fu innanzi e fece una cosa che neppure il grande sacerdote poteva immaginare.
“Mur, è avvenuta una cosa poco fa e non ti piacerà sapere di cosa si tratta. E’ stato per una frazione di secondo, tuttavia è accaduto. La Cicatrice del Tempo ha tremato”, disse e, dicendolo, aprì i suoi occhi.

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Eden si svegliò di soprassalto. La spada che giaceva sempre al suo fianco anche quando riposava, pulsò. Lui l’afferrò e quella leggera vibrazione cessò.
Non dominava ancora bene il suo potere ma aveva imparato che la spada aveva come una sorta di vita propria. A cosa stava reagendo adesso? Un rumore all’esterno della casa del Sagittario lo spinse ad alzarsi.
Il rumore sembrava provenire dalla casa dello Scorpione. Discese alcuni scalini e si rese conto che la casa di Milo era avvolta nell’oscurità e nel silenzio. Si voltò per tornare indietro quando si accorse di una figura ammantata di nero che se ne stava ritta nel buio.
“Chi sei?” chiese riflettendo sul fatto che aveva lasciato la spada nella sua stanza.
“Chi sei?” gli fece eco la figura.
“Sei nel tempio della dea Atena. Nessuno straniero può avere libero accesso qui!” esclamò Eden.
“Sei nel tempio della dea Atena. Nessuno straniero può avere libero accesso qui”, rispose la figura con voce bassa e pacata.
“Vuoi prenderti gioco di me?” lo imbeccò ancora Eden.
“Vuoi prenderti gioco di me”, fece la figura incappucciata come a rispondere a quell’interrogativo.
Eden si decise ad avanzare verso di essa. Anche se non aveva la sua spada, rimaneva un cavaliere. Avrebbe usato il suo cosmo. In quell’istante però anche la figura avanzò verso di lui. Eden ebbe l’impressione di trovarsi di fronte ad uno specchio e per averne prova sollevò un braccio. La figura fece altrettanto. Allungò allora una mano. Lo stesso fece l’incappucciato fino a che le loro dita non si sfiorarono.
A quel tocco Eden percepì una forza familiare entrargli in corpo e poi sparire. Prima di svanire, la figura si disvelò mostrando ad Eden le fattezze di un ragazzo dai capelli neri e lunghi e da occhi scuri e profondi. Al collo portava il Titanium con la scritta ‘Forever Yours’. Sorrise mentre spariva.
Cosa era stato? Una visione profetica come quelle che aveva sua madre? Oppure uno spettro era giunto fin lì per fargli visita? Perché indossava il Titanium?
Il sole fece capolino all’orizzonte. Sua madre si sarebbe alzata di lì a poco per partire per Delo. Suo padre aveva deciso di lasciarlo ad Atene. Tra tutti i posti in cui poteva stare, quello era l’unico dal quale sarebbe fuggito volentieri. Non voleva più incontrare la signorina Saori. Almeno fino a quando non avesse compreso perché si sentiva così in colpa quando incrociava i suoi occhi.

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Capitolo 7
*** Ombre dal passato -Parte seconda ***


 

Ombre dal passato
-Parte seconda-


Il risveglio di Shaina fu orribile per varie ragioni. Jona e Josa si erano svegliati all’alba affamati. Kanon si era offerto di alzarsi al suo posto per preparargli latte e biscotti ma due gemelli e mezzo erano troppo anche per la casa di Gemini che si riempì di fracasso in men che non si dica.
Fuori pioveva e, anche se faceva già caldo, questo avrebbe costituito un grosso problema per tutte le persone accampate nell’arena.
Infine i postumi di una forte emicrania dovuta al fatto di aver alzato il gomito con Kanon la sera prima, le impedirono di rimanere a letto.
Si alzò e raggiunse la cucina dove i gemelli e Kanon avevano svuotato metà dispensa sul tavolo con il pretesto di prepararle la colazione.
“Dannati che non siete altro! Non potevate semplicemente riempirvi un bicchiere di latte e tornare a dormire?”
“Il maestro ha detto che dobbiamo imparare a dormire il meno possibile!” urlò Josa.
Dei due gemelli, Josa era quello più impertinente e scapestrato. Ogni occasione era buona per fare dispetti agli altri allievi della classe e mettere in ridicolo il fratello. Era pure il più intraprendente fra i due anche se Shaina non reputava Jona meno coraggioso. Jona, infatti, rimaneva per natura sempre indietro. Lei lo sorprendeva spesso a spiare gli adulti e, non di rado, rimaneva anche fuori dall’orario dell’allenamento a guardare lei o i cavalieri d’oro mentre si esercitavano.
Inoltre, mentre Josa si impegnava fondamentalmente per il grande desiderio di menare le mani, Jona era già concentrato sull’idea di diventare un cavaliere. Shaina si versò del latte freddo in un bicchiere e sorrise sarcastica.
“Se il tuo maestro non ama dormire, non significa che io debba fare lo stesso!”
“Si può fare di meglio che dormire, di notte!” la punzecchiò lui.
“Kanon! I bambini!” esclamò lei indignata.
“Arriva qualcuno”, fece Jona voltandosi verso l’ingresso e, nel punto in cui il ragazzino guardava, apparve Raki.
Raki era l’allieva di Kiki anche se era più corretto chiamarla apprendista in quanto la piccola non si esercitava per diventare cavaliere ma per riparare armature.
Mur le aveva dato il permesso di vivere alla prima casa e faceva un po’ da tuttofare anche per il grande sacerdote.
“Guarda chi c’è! Pel di carota!” gridò Josa lanciandosi verso la bambina per tirarle i capelli ramati. Jona allungò un piede facendolo cadere e Raki gli sorrise grata.
“Maestro! Lo ha fatto apposta!”
“E ha fatto bene! La prossima volta che importuni la signorina ti spedisco nella dimensione oscura per qualche ora!” lo rimproverò Kanon. Shaina sorrise e carezzò la testa di Raki.
“Che ci fai qui, piccola?”
“Il grande Mur ti ha convocata alla tredicesima casa. Mi dice di riferirti di venire armata di tanta pazienza!” esclamò la bambina “Ti porto io se mi dai la mano!”
Kanon intervenne porgendole un biscotto.
“Facciamo un cosa, Raki. Perché non andate tutti e tre da Lucina a prendere una delle sue famose torte di mele? La mangeremo quando Shaina sarà tornata dalla tredicesima casa.”
Jona e Josa esultarono all’unisono e Raki diede loro una mano per uno per teletrasportarli con sé nelle cucine del grande tempio.
“Perché li hai mandati via?” chiese Shaina sospettosa.
“Perché intendo accompagnarti alla tredicesima casa”, rispose Kanon.
“Cos’è questo eccesso di premura?”
“Diciamo che non mi va che tu vada da sola da Seiya”, fece prendendola per i fianchi. Shaina sorrise.
“Bugiardo.” Kanon rise.
“Allora diciamo che se vieni richiesta con la premessa che serve la tua rinomata pazienza” fece scimmiottandola un po’ “allora mi sa che occorre il mio aiuto al grande Mur!”
“Stupido!” esclamò lei divincolandosi ma ottenne solo un bacio sulle labbra, alle prime dolce poi sempre più sensuale “Andiamo, muoviamoci!”
“Non lo stavamo già facendo?” disse Kanon mettendo su la faccia più innocente nel su repertorio.
“Chiederò a Seiya di darti una raddrizzata!”, fece Shaina di rimando prendendo la via per la quarta casa.
“Attenta a ciò che fai, donna! Rischi di rimanere sconcertata dall’esito di uno scontro simile” fece Kanon seguendola. Shaina non rispose più e prese a salire gli scalini con decisione.
Ci volle comunque una buona manciata di minuti perché ottenessero il consenso, seppure esclusivamente formale, di passare per le case successive alla terza e raggiungessero la tredicesima casa.
“Non mi abituerò mai a questa cosa di chiedere il permesso. Non vedo come potrebbero negarcelo!” Esclamò Kanon mentre aspettavano di essere ricevuti nella stanza del trono.
“E’ un rito. E comunque una sorta di protezione. Alcuni mali del santuario sono cresciuti proprio all’interno dello stesso e i cavalieri d’oro si sono fatti garanti gli uni degli altri.”
“Stai parlando di mio fratello?”
“No, Kanon,” fece lei mettendo una mano sulla sua “parlo di storie antiche. Nemici di Atena al cui confronto Saga sarebbe sembrato alla dea poco più che un vento fastidioso che le agiti le vesti.”
“Sono certo che a Saga sarebbe piaciuto agitare le vesti di Saori!”
“Kanon!” fece Shaina spingendolo un po’ indietro.
“Non quanto a me agitare le tue!”
“Sei tremendo!” squittì lei. Le porte della sala del trono si aprirono e Shura uscì salutandoli.
“Il grande Sacerdote ti sta aspettando, Shaina. Non aspetta te, Kanon.”
“Non lo sa ancora ma vuole vedermi!” sorrise lui seguendo Shaina all’interno della sala. Il suo sorriso si spense immediatamente non appena non appena vide Mur seduto sul trono. Fino a quel giorno, mai lo aveva visto accomodato sullo scranno riservato alla dea Atena e al suo portavoce. La cosa non gli piacque per niente. Mur indossava la lunga veste candida e i paramenti anche se non portava né elmo né maschera. Shaina non sembrava intimorita né pareva avvertisse qualcosa d’insolito. Tutti i sensi di Kanon invece erano all’erta.
“Grande Mur, come mai questa convocazione di primo mattino? C’è qualche problema?”
La sacerdotessa si sarebbe aspettata una ramanzina sull’inappropriata presenza di Kanon ma il grande sacerdote sembrò non notarlo neppure.
“La dea Atena ha chiesto che fossi convocata. Necessita di alcuni chiarimenti su un incarico che ti ha affidato tempo fa.”
In quel momento dalla porta laterale apparvero Seiya e Saori. Tanto lui indossava la sacra armatura quanto lei impugnava la Nike.
“Seiya” chiese Shaina che cominciava a sentirsi a disagio “che succede?”
“Non chiedere a lui quando sai che sono io ad averti convocata!” fece Saori sopravanzando il cavaliere e avvicinandosi al trono. Mur si alzò e le cedette il posto. Saori si sedette.
“Allora lo chiedo a te. Che succede?” chiese continuando a guardare Seiya di sottecchi.
“Un anno fa hai chiesto di essere responsabile della scelta del nuovo cavaliere di Pegasus. E’ passato molto tempo e non mi hai presentato alcun candidato.” Shaina sorrise di sfida.
“Non ci sono ragazzi nati sotto le tredici stelle. E questo è quanto.”
Saori batté con forza la Nike in terra e guardò verso la parete dove la notte prima aveva trovato lo specchio coperto dal drappo rosso. Il drappo era tornato al suo posto.
“Non ci sono aspiranti? In tutta Atene? In tutta la Grecia? In tutto il mondo?” Chiese la dea alzando un po’la voce.
“Non credevo di dover cercare con un’urgenza tale da dovermi mettere in viaggio per il mondo!” fece la donna che cominciava a capire perché Raki l’avesse messa in guardia dal presentarsi al tredicesimo tempio armata di pazienza.
“Invece è molto urgente!” rispose Saori che sembrava aver ritrovato un po’ di calma.
“Non è che si trovino tutti i giorni in giro cavalieri come Seiya!” la rimbeccò sarcastica lei. Gli occhi di Saori fiammeggiarono e, anche se lei non se ne accorse, anche quelli di Kanon, brillarono di rabbia.
“Non mi serve Seiya!” gridò lei mentre il suo cosmo si espandeva minaccioso “Io voglio Pegasus!”
“Credevo fosse ancora il tempo in cui sono la medesima cosa!” reagì Shaina sdegnata dalle parole di Saori. Ormai lo scontro tra le due donne era inevitabile e i tre cavalieri presenti in sala temevano che scoppiasse da un momento all’altro. Il cosmo di Saori si gonfiò ancora e poi scemò.
“Il tempo si è perso. Devi trovare Pegasus o io troverò un altro cavaliere di Ofiuco. Il tempo si è perso”, disse prendendo la via per la statua di Atena. I suoi occhi erano totalmente privi di espressione.
“Seiya!” gridò Shaina “Cos’è impazzita?”
Saori si voltò di soprassalto e sollevò la Nike. Kanon tirò Shaina dietro di sé e si preparò a ricevere il colpo che non arrivò. Seiya lo aveva preso al posto loro e se ne stava immobile tra la dea e il suo obiettivo. Mur fece per soccorrerlo ma lui gli fece cenno di non avvicinarsi poi si voltò verso Saori furente di rabbia.
“Mi hai chiesto tu di farlo, ricordi? Vuoi davvero far loro del male? Se sei arrabbiata, colpisci me.”
Saori lo guardò come se davanti a sé si fosse materializzato uno sconosciuto poi, come se improvvisamente si fosse resa conto di aver usato il suo cosmo contro Seiya, lasciò cadere la Nike e guardò il suo emblema sul pavimento.
“Mur, per favore” disse con una voce incerta “raccoglilo per me.” Il grande sacerdote lo raggiunse e si chinò a sollevarlo per porgerglielo. Lei fece un passo indietro e scosse la testa.
“Portalo nelle mie stanze. Per oggi non voglio più vedere nessuno”, disse voltandosi e sparendo nel corridoio che portava alla statua di Atena.
Percorse il corridoio poggiandosi ad una delle pareti. Sentiva il cuore battere all’impazzata e l’aria mancarle nei polmoni. Appena giunse all’aperto, cadde sulle ginocchia e respirò a fatica. Sollevò lo sguardo sulla statua che troneggiava sulle tredici case e le sembrò che fosse gigantesca. La testa prese a girarle e chiuse gli occhi. Non osò riaprirli fino a che non lo sentì. Un cosmo potente e luminoso che si allungava da un punto oltre la statua. Si rialzò e lo vide. Seduto, con la cetra tra le mani, Abel suonava la canzone che aveva composto per lei all’epoca del mito.
“Tu, cosa fai qui? Com’è possibile?”
“Sorella mia, il mio amore per te è troppo grande per essere superato da quello degli uomini. Vuoi tornare a governare la terra al mio fianco? Dimmi di sì e saremo di nuovo felici insieme.”
Saori si strofinò una mano con gli occhi. Quello era davvero Abel? O era l’ennesima delle allucinazioni che ultimamente la tormentavano?
“Dicevi che la Terra è come un bambino da amare e proteggere. E’ quello che stai facendo? Non sarebbe stato meglio per te rinunciare a queste spoglie mortali e governare con me un regno immortale? Gli uomini che tanto ami sono instabili e ingiusti, non è vero?”
Saori si strinse le braccia intorno al corpo. Tremava e sentiva che le forze la stavano abbandonando. Non era già successo? Non aveva già affrontato Apollo e il dio l’aveva soggiogata? Quella volta non l’aveva forse salvata Seiya, lo stesso Seiya che lei aveva colpito solo pochi minuti prima? Un senso di nausea la colpì e poi sui suoi occhi calò il buio.

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Il viaggio era stato tranquillo. Pandora e Ikki avevano passato tutto il tempo della traversata fino a Delo in silenzio.
Pandora sapeva che Ikki era ancora, in qualche modo, arrabbiato con lei. Pur comprendendo che le sue azioni erano mirate solo ad aiutare Shun, non riusciva a perdonarle cosa esattamente? L’intraprendenza? L’ostinata volontà di ricorrere alle sue arti oscure per ottenere i suoi scopi? Quando furono scesi dalla nave che li aveva portati sull’isola delle Pizie e furono rimasti soli, osò tirare fuori di nuovo il discorso.
“Quanto ancora intendi tenere quell’atteggiamento di silenziosa indignazione? Vuoi farmi sentire in colpa per le mie azioni ancora a lungo?” Ikki sorrise e continuò a camminare nella direzione che un uomo gli aveva indicato come utile per raggiungere un autonoleggio.
“Ikki?” provò ad insistere lei.
“Smettila di tormentarmi, Pandora. Io non sono come il tuo Radamathys che accetta di buon grado qualunque cosa esca dalla tua bella bocca!”
“Ora ti riconosco! Temevo che avessi perso la lingua.”
“Semplicemente non mi va di sprecare il fiato quando tu fai comunque di testa tua.”
“E non ho forse fatto bene? Abbiamo una vera speranza di salvare Hyoga. Atena ha acconsentito e non si è fatto male nessuno!”
“Non ancora!” esclamò Ikki voltandosi di scatto a guardarla negli occhi.
“Dunque è questo quello che pensi! Credi che le mie azioni porteranno comunque guai!”
“Non sei stata forse tu a dare il Ragnarock a Shun? Questo ha spedito Hyoga nel mondo dei sogni un anno fa!” Pandora si sentì avvampare.
“Non potevo sapere che la principessa Flare avesse scagliato una maledizione sulla pietra del mondo. Io volevo solo usarla per guarire Shun dalla maledizione di Marte. Non potevo immaginare le altre conseguenze!”
“E’ questo il tuo problema Pandora. Tu agisci e non pensi alle conseguenze. Non pensi che aver risvegliato Aiacos e Minos potrebbe portare altre conseguenze anche stavolta?”
“Dannazione Ikki, perché non vuoi capire che non leveranno mai le loro mani contro Atena?”
“Qui Atena non c’entra niente! Non mi piace l’influenza che hanno su Eden”, disse l’uomo liberandosi finalmente dal pensiero che gli pesava sul cuore già da un po’. Come se le sue parole avessero sciolto tutta in una volta la rabbia di Pandora, la donna gli prese le mani e sorrise teneramente.
“Amor mio, Eden è forte e retto quanto lo è suo padre. Non basterà la presenza di quei tre a mutare il suo cuore. Devi però tenere presente la sua natura”, concluse chinando il capo come se si sentisse in colpa per quell’ultima frase. Lui le mise una mano sotto il mento e le fece alzare lo sguardo fino a che non incontrò il suo.
“Amo la sua natura quanto amo la tua. Non mi preoccupa se somiglia ad Hades, mi preoccupa che s’incupisca sempre più. Ultimamente è troppo silenzioso.”
“Hai ragione,” disse lei stringendosi al suo petto “l’ho notato anch’io. Qualcosa lo preoccupa e io non ho osato chiedere. Gli parleremo insieme quando torneremo a casa, vuoi?” Ikki annuì e insieme raggiunsero il posto indicato dall’uomo che avevano incontrato appena scesi dalla nave.
Noleggiarono un’auto e raggiunsero il lato opposto dell’isola dove Pandora aveva letto si trovava un tempo un lago meraviglioso luogo di nascita di Apollo e Artemide.
Raggiunto il luogo stabilito tuttavia, trovarono solo una distesa verde circondata da alberi. Pandora osò per prima avvicinarsi all’unico elemento architettonico presente nell’area. Apparentemente sembrava un pilastro alto e sottile ma l’occhio esperto della sorella mortale di Hades intuì subito che si trattava di una meridiana. Si avvicinò e si inchinò all’obelisco.
Estrasse dalla tasca del proprio abito una moneta d’oro e la depose ai piedi della colonna. Un vento forte soffiò allora e Ikki protesse la donna con la sua giacca. Quando i due riaprirono gli occhi, una fanciulla sedeva dinanzi a loro sull’erba e giocava con la moneta.
“Mia signora, io sono Pandora sorella mortale di Hades, dio degli Inferi”, disse Pandora cercando di usare un tono umile ma allo stesso tempo solenne.
“So chi sei, so a chi appartiene il tuo cosmo ctonio e so chi è l’uomo al tuo fianco. Posseggo il dono della Vista. Non è per questo che siete qui?” Pandora sorrise, Ikki invece si sentì attraversare da un pessimo presentimento. Non gli servivano le capacità delle Pizie per indovinare che quella donna non gli sarebbe mai stata a genio.
“Chiedo perdono” continuò Pandora “se disturbiamo la tua perpetua preghiera. Necessitiamo di consiglio e aiuto.”
“L’uomo che porti con te serve Atena. Osa quest’uomo calcare un suolo tanto sacro ad Apollo?”
“Quest’uomo serve Atena e ama la sorella mortale di Hades, è per la sua protezione che sono qui, dovresti saperlo!” intervenne Ikki cui non piaceva che si parlasse di lui come se non ci fosse.
“Ikki, per favore” fece Pandora, mettendogli una mano su un braccio.
“Non c’è nulla di sbagliato in questo. In cosa posso aiutare la sorella mortale di Hades? Non posso vaticinare il destino delle divinità.”
“Non sono qui per domandare una cosa simile. Già una volta il mio destino che sembrava compiuto, è stato mutato. Sono qui per chiedere che questo dono venga fatto a colui che è caro al mio cuore e che considero mio fratello.”
“Hades non si è forse addormentato per sempre per mano dell’uccisore di dei?” chiese la donna e Ikki si chiese come mai la donna facesse una simile domanda.
“Una piccola parte della sua anima vive ancora nel corpo di un uomo. Quest’uomo soffre per la maledizione che ha colpito una persona cui voleva bene e a cui era legato.”
“Cosa vuoi da me?” chiese la fanciulla che giocava ancora con la moneta.
“Le Pizie hanno il dono di richiamare le anime degli uomini dai loro sogni o dai loro incubi. Ti chiedo di usare questo potere su Hyoga cavaliere del cigno che è caro al cuore di colui che chiamo ancora fratello.”
“Dunque si tratta comunque di aiutare un cavaliere di Atena” rispose la donna che si spostò i capelli ramati dietro le spalle. I suoi occhi verdi brillarono.
“Si tratta di aiutare me” insistette Pandora. La donna si alzò e si scosse le vesti.
“Questo posso farlo. Il mio nome è Clio e sono la Voce di Apollo.” Pandora esultò nel suo cuore e strinse una mano ad Ikki. L’uomo ricambiò la stretta ma non sentiva la stessa gioia della moglie. Qualcosa si agitava in lui e si augurò davvero che almeno Shun traesse vantaggio da quella situazione.

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Aglaia aveva il privilegio di essere la prima delle ancelle di Afrodite. E era anche la prima delle sue guerriere. Non era però la sua preferita. Si potrebbe dire che la dea la trattasse alla stregua di una sguattera. Il motivo per cui la detestava era la sua bellezza. Aglaia era semplicemente luminosa e Afrodite detestava qualunque cosa distogliesse lo sguardo altrui da lei.
Il motivo per cui Aglaia invece lottava ogni giorno per mantenere quel privilegio era il giovane che adesso se ne stava ritto a guardare il cielo nel giardino pensile di Zante. I suoi riccioli biondi ricadevano fluenti sulle sue spalle tornite. Lui sorrise percependo la sua presenza e si voltò. Aglaia si sentì girare la testa come tutte le volte che lui fissava i suoi occhi di cielo su di lei.
Si poteva non amare l’Amore? Questo si chiedeva Aglaia tutte le volte che lo fissava.
Eros le tese una mano come ad indicarle di raggiungerlo. Aglaia scese i pochi scalini che la separavano da lui. I suoi piedi quasi non toccavano terra. Stava per afferrare quella mano tesa quando nella stessa prese forma un arco d’oro. La fanciulla lo riconobbe subito.
“Prendilo, Aglaia.”
“Io? Perché volete separarvi dal vostro arco, mio signore?”
“Non posso portarlo con me nel luogo in cui sto andando e tu sei l’unica persona a cui lo affiderei.”
“Non posso, mio signore. Il vostro potere è nel vostro arco. Se ve ne liberate, che ne sarà di voi?”
“Aglaia, mia madre sta per commettere un grande errore. Nessuno può fermarla. Quello che posso fare è cercare di evitare il peggio. Mi è cara e non credo che possa combattere Atena ad armi pari e vincere. Poiché gli dei sono creduli tra loro più di quanto non lo sono con gli uomini, voglio almeno provare a proteggerla. Non me lo lascerebbe mai fare, pertanto devo agire sotto mentite spoglie. Capisci perché non posso portare il mio potere con me?” Aglaia tremò “Inoltre voglio che resti nascosto e che nessun altro lo trovi, compresa mia madre.”
“Se la nostra signora ci chiamerà a combattere, le sue ancelle si batteranno.”
“Lo so ma confido che non sarà necessario!” esclamò Eros facendole l’occhiolino. La fanciulla afferrò l’arco di Eros e una luce dorata avvolse il dio dell’amore.

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Mur aveva appena riposto lo scettro della Nike nelle stanze di Atena ed era tornato nella sala del trono in cui Shaina, Kanon e Seiya ancora rimanevano in silenzio per via degli eventi appena consumatisi.
Tutti e tre presero a fissarlo appena rientrò nella sala. Mur sapeva che quello era uno di quei momenti. Uno dei momenti in cui essere il grande sacerdote della dea significava prendere delle decisioni per conto di tutti. Significava essere saldi nell’incertezza, risoluti tra i timori di tutti. Significava essere anche duri. Glielo aveva insegnato Saga. Una notte in cui era rimasto ad aiutarlo a mettere in ordine le carte dell’ultimo anno, Mur gli aveva chiesto cosa avesse significato per lui diventare grande sacerdote dopo che aveva commesso le peggiori atrocità per arrivare a rivestire quel ruolo. Saga aveva sorriso e posato la pergamena che aveva in mano. Si era versato un bicchiere di vino rosso e aveva parlato.
“In qualche modo ho sempre sentito di essere destinato a questo. Ogni fibra del mio corpo e ogni particella del mio cosmo mi hanno guidato fino a qui. Sono pentito di alcune cose. Non di tutte. La mia anima è sempre stata devota ad Atena ma la mia mente è sempre stata, come dire, macchinosa. Vedevo chiari davanti ai miei occhi tutti i risultati futuri delle mie azioni e spesso, di queste, me ne compiacevo. Con questo non voglio dire che, tornando alla notte degli inganni, agirei allo stesso modo ma una parte di me non può fare a meno di domandarselo. Saori sarebbe stata così forte e risoluta se io non avessi costretto Aiolos a sottrarla alla sua culla calda e dorata esponendola a rischi incalcolabili? Seiya sarebbe diventato l’uomo che è se non avesse dovuto misurarsi in primis con me? Quello che voglio dire è che in tutto questi tempo ho preso molte decisioni anticonvenzionali e non so se qualcun altro al mio posto lo avrebbe fatto. Shion avrebbe avuto il coraggio di tagliare la gola di Atena? Forse domani ci sarà bisogno di una persona diversa a capo del santuario. Magari un uomo come te, Mur. Tu mi ricordi Shion. Generoso e nobile. Ricardati però che anche lui, un giorno, ha deciso che per salvaguardare il fine, i mezzi erano tutti ammessi.”
Quella notte aveva trovato le sue parole supponenti, perfettamente adatte alla figura che Saga dava di sé. Ora però sentiva che quello era uno dei giorni cui si riferiva il suo predecessore. Sedette sullo scranno a lui riservato e parlò.
“Shaina, prendi i cavalieri più giovani e recati al Pireo. Mi è giunta notizia che molti profughi delle isole sono ancora in cerca di aiuto. Kanon, tu l’accompagnerai. Seiya, vorrei che ti recassi da Shaka. Deve parlarti di una cosa urgente.”
“Così è questo che intendi fare, grande sacerdote? Archiviare quello che è successo senza aggiungere una parola? Ti sta bene che abbia ferito Seiya?” gridò Shaina gesticolando nervosamente.
“Non un’altra parola, cavaliere d’Ofiuco. Troppo a lungo ti sei presa la libertà di manifestare apertamente i tuoi pensieri. Il comportamento della dea Atena non è cosa che possa essere giudicata. Ti è stata affidata una missione. Portala a compimento prima che la clemenza che ti ho dimostrato si esaurisca.” Il cosmo dell’Ariete si manifestò forte in lui e spinse Kanon a prendere la sua donna per un gomito e a tirarla verso l’uscita.
“Faremo ciò che hai ordinato, grande sacerdote”, disse Kanon chinando leggermente il capo. Mur stemperò la sua aura e guardò Seiya.
“Stai bene, cavaliere di Sagitter?”
“Mur, tu sai cosa le sta si succedendo?” chiese Seiya con uno sguardo amareggiato.
L’uomo si alzò, lo raggiunse e gli mise una mano sulla spalla. I paramenti del suo abito tintinnarono appena.
“Quello che so, Seiya, è che non posso che stare dalla sua parte. Nel bene e nel male. E tu?” Gli disse guardandolo con fiducia negli occhi. Seiya ebbe per un momento la sensazione di trovarsi di fronte Saga per cui scosse la testa per un momento.
“Nel bene e nel male. Conta su di me”, fece sforzandosi di sorridere e aggiunse “Shaka deve davvero parlarmi?” Mur annuì.
“Sì. Lui e Aiolia sono alla sesta casa, raggiungili prima che puoi.”
“Deve essere una cosa grave per aver convocato due cavalieri d’oro!” esclamò Seiya voltandosi per raggiungere la porta.
“Tre cavalieri” lo corresse Mur. Seiya sorrise.
“Non mi abituerò mai!” fece Sagitter chiudendosi la porta della sala del trono alle spalle. Mur raggiunse il drappo dietro cui era nascosto lo specchio di Saga e ci si guardò.
“Tutto quel potere e non è ancora consapevole dell’armatura del Sagittario. Mi domando quale sia il vero limite di Seiya”, chiese a se stesso e, in quel esatto istante, vide sovrapposta alla propria un’altra figura vestita come lui ma più imponente. D’istinto si voltò ma alle sue spalle non c’era nessuno. Lasciò andare il drappo e si chiese se quel baluginio dorato e familiare che aveva intravisto apparteneva a lui o all’Ariete prima di lui.

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Capitolo 8
*** Risvegli - Parte prima ***


Note dell'autrice:
Salve a tutti! Scusate se vi disturbo con note inopportume ma ci tenevo a ringraziare tutti per l'affetto che continuate a dimostrarmi!
Scrivere una storia è un conto, riallacciare i fili di un seguito è complicatissimo... spero di non deludere le aspettative.
Rimango a disposizione se qualcuno vuole info per capire alcuni passaggi legati a "Il destino di una vita intera" ma non ha voglia di leggere tutto il polpettone!
A presto.

Risvegli
Parte prima


Saori aprì gli occhi lentamente. Si sentiva stordita ma ricordava d’essere svenuta. Abel era davvero penetrato fin nel cuore del suo santuario per deriderla? Guardò di nuovo nel punto dove l’aveva visto e si chiese se non avesse semplicemente sognato. Nulla faceva pensare che Abel fosse stato lì. Si sollevò e prese a camminare verso il prato nascosto da alcune rocce oltre la tredicesima casa. Spesso arrivava fino all’alta quercia che faceva ombra ad una modesta abitazione. Trovava sempre conforto in quel luogo. Era la casa di Sasha. Dagli annali aveva appreso che si trattava della precedente incarnazione di Atena e la confortava sapere che c’era stata un’altra fanciulla che si sentiva oppressa dal suo lato divino al punto tale da cercare rifugio, talvolta, in un posto che sembrasse il focolare di una ragazza normale.
Si sedette ai piedi della quercia e poggiò le spalle contro il troco dell’albero. Percepiva la forza dell’arbusto salire dalla terra e raggiungerla attraverso la corteccia odorosa. Si rilassò.
“Tu sei Atena?” La voce squillante e sottile la scosse. Sollevò un po’ il busto e si guardò intorno fino a che non individuò la sagoma di un bambino a qualche metro da lei.
“Sì”, disse con calma “e tu chi sei?”
“Il mio nome è Subaru e sono qui perché voglio diventare un cavaliere.” Saori mise entrambe le mani sulle ginocchia, composte. Il suo viso rimase serio.
“Non è a me che devi rivolgerti per questo.”
“Ho pensato che se voglio diventare cavaliere di Pegasus, è a te che devo chiedere”, fece il ragazzino che non poteva avere più di dieci anni. Sembrava molto sicuro di sé. I riccioli castani si mossero col vento leggero che soffiava sulla radura e i suoi occhi s’illuminarono.
“Pegasus, chi ti ha parlato di Pegasus?”
“Avevo una nutrice che mi ha raccontato la storia di Perseo, il primo cavaliere di Pegasus, il preferito della dea Atena. Colui che ha il potere di salvarla, sempre. Io voglio diventare come quel cavaliere.” Saori si alzò e lo raggiunse. Era davvero poco più di un bambino. Improvvisamente un ricordo tornò vivido nella sua mente. Quella di un ragazzino che si batte a mani nude per difenderne un altro. Capelli castani e occhi profondi e luminosi del cosmo delle tredici stelle. Quante giornate aveva passato a spiare lui e gli altri bambini ‘speciali’ che suo nonno aveva accolto in casa sua?
A quel tempo era la ‘signorina’ di casa Thule e nessuno degli altri bambini che abitavano la tenuta, aveva il permesso di rivolgerle la parola. Aveva imparato presto che a quel bambino non si potevano dare troppe regole poiché finiva col non seguirne neppure una. La sua mente sovrappose la figura di quel teppistello a quella del bambino davanti a sé.
“Bene, Subaru. Apprezzo la tua determinazione ma nel santuario di Atena ci sono regole da osservare. Chi vuole diventare cavaliere deve affrontare delle prove. La prima di esse consiste nell’essere accettati da un maestro. Dovrai cercare il cavaliere d’argento di Ofiuco. Se ti vorrà quale suo allievo, allora avrai una possibilità di dimostrare la bontà delle tue intenzioni.” Subaru la guardò e chinò la testa in senso di assenso.
“Troverò questo cavaliere e mi farò accettare come allievo.”
“Bada che si tratta di uno dei più forti cavalieri d’argento al mio servizio.”
“Non ho paura.”
“A questo credo. Non è da tutti raggiungere la tredicesima casa non visto. Come sei arrivato fino a qui?”
“Da oltre la montagna” disse indicando il promontorio oltre Saori e lei lo guardò perplessa.
“Discendi dall’Olimpo?”
“In un certo senso!” esclamò il ragazzino.
“Vieni con me”, disse allora Saori. Ripercorseso la via nascosta tra le rocce fino alla grande statua di Atena. Subaru si fermò a guardarla ma Saori non gli diede modo di fermarsi a lungo e fece strada fino all’ingresso posteriore della tredicesima casa. Lì, come aveva previsto, c’era Shura che s’inchinò non appena la vide.
“Shura, questo ragazzino è Subaru. Fa in modo che raggiunga Shaina all’arena.”
“Mia signora, Mur ha ordinato a lei e a Gemini di recarsi al Pireo per soccorrere i profughi del terremoto. Torneranno in serata.”
“Bene. Fa in modo allora che Subaru sia alla terza casa quando saranno di ritorno. Dille che è un mio ordine.” Shura chinò il capo e allargò un braccio per indicare al ragazzino di precederlo nel corridoio.
Saori lo vide scomparire dietro l’angolo e si chiese se fosse davvero un caso che un ragazzino fosse sceso dal cielo per reclamare l’armatura di Pegasus nello stesso giorno in cui lei aveva colpito Seiya perché ciò non era ancora avvenuto. Chiuse gli occhi e concentrò il suo cosmo. Individuò quello di Seiya all’interno della sesta casa. Che ci faceva lì? Improvvisamente fu distratta da qualcosa che vibrava fra l’ottava e la nona casa. Quando si concentrò maggiormente, invece di capire di cosa si trattava, fu attraversata da un brivido. Il cosmo di Gemini vibrava più a valle. Riapri gli occhi e avvertì un’ancella che stava salendo all’altura delle stelle. Il cavaliere di Capricorno le aveva appena detto che Mur aveva mandato Kanon al Pireo. Quindi non c’era da stupirsi se ne sentiva il cosmo distante dal Tempio. Perché però, per la prima volta da tanto tempo, il cosmo che percepiva era doppio?

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Quando entrava alla sesta casa, Seiya non poteva evitare di sentirsi nervoso. Ormai erano passati diversi anni dal momento in cui aveva fatto il proprio ingresso nelle fila dei cavalieri d’oro, eppure non riusciva a sentirsi a suo agio in presenza di Shaka. Quale fosse il motivo poi, lo sapeva bene. Shaka, fra tutti i cavalieri d’oro, era quello che meno tollerava la sua vicinanza a Saori.
“L’amore di Atena va a tutti gli uomini, equamente”, aveva detto più volte in sua presenza come a volergli far  capire che qualunque altra decisione della dea sarebbe stata sconveniente.
Arrivò soprapensiero nella sala centrale decorata con il grande fiore di loro dorato.
“Non si usa più chiedere il permesso?” La voce di Shaka gli giunse misurata ma severa.
“Chiedo perdono, ero distratto”, rispose Seiya notando la presenza di Aiolia che era piuttosto scuro in volto.
“Non c’è nulla da perdonare alla fine. Siamo tra amici. Vieni a sedere qui con noi.”
“Cosa è successo? Mur mi ha detto che dovevi dirmi qualcosa d’importante.”
“Ed è così. Prima però Aiolia deve raccontarci una storia”, disse Shaka versando del tea nero in tre tazze di ceramica grigia e ruvida al tatto. Dal canto proprio, Aiolia prese un respiro e iniziò.
“Alcuni anni dopo la morte di mio fratello, fui giudicato degno di divenire cavaliere di Leo. Ciò non bastò a farmi accettare dai miei pari. Tutti mi vedevano come il fratello di un traditore e non erano ben disposti a darmi una possibilità di dimostrare il mio valore. Se a ciò aggiungi che Saga impersonava il grande sacerdote, il mio livello di autostima era giustamente sotto terra. Mi fu dato però il compito di salvare alcuni civili dall’esplosione di un laboratorio. Venne fuori che era stata opera di un cavaliere dalla bizzarra armatura. Ancora più tardi scoprì, a caro prezzo, che non si trattava neppure di un cavaliere. Era uno dei membri dell’esercito dei titani.”
“Titani?” chiese Seiya portando alle labbra e subito allontanando il tea di Shaka terribilmente amaro.
“Titani,” annuì Aiolia “creature più antiche degli dei stessi. Il loro intento era quello di risvegliare Crono, il loro signore per vendicarsi di Zeus e dei suoi figli. Noi cavalieri d’oro riuscimmo a fermare i loro piani e ad impedire che Crono, ridestatosi privo dei suoi ricordi, sferrasse un attacco diretto all’Olimpo.”
“Perdonami Aiolia, personalmente di questi Titani non so un accidente. Ho capito solo che se ce l’hanno con Zeus e tutti i suoi figli, allora ce l’hanno anche con Atena!” disse Seiya interrompendo il racconto di Aiolia di cui stava già perdendo il filo.
“Seiya, questo è proprio da te!” disse il cavaliere del Leone ridendo.
“Non essere tanto accondiscendente!” esclamò Shaka rimproverando il suo vicino di casa poi, rivolgendosi a Seiya, continuò “E tu non comportarti come un cavaliere di bronzo. Sei un cavaliere d’oro. E, tra loro, il più devoto alla dea. Devi comportarti come si conviene. Saga ha sbagliato ad essere tanto indulgente con te negli ultimi anni. Sei il generale dei dodici, ricordatelo.” Seiya tacque ma in cuor suo si chiese perché tutti continuavano ad aspettarsi da lui che cambiasse se era chiaro ormai che Sagitter lo aveva accettato com’era. Aiolia continuò.
“Durante le battaglie tra i cavalieri d’oro e i titani, si creò una sorta di collegamento tra il santuario di Atena e il Labirinto di Crono, il luogo dove riposava il dio. Prima Camus e poi io e Shaka, siamo riusciti a chiudere questa specie di porta tra il nostro tempio e il loro ed essa è rimasta sigillata fino ad oggi.” Aiolia e Shaka si guardarono seppure quest’ultimo manteneva chiusi i suoi occhi.
“Che volete dire con ‘fino ad oggi’?” chiese Seiya questa volta serio come non mai.
“Che oggi, dopo ventiquattro anni, la cicatrice del tempo, il luogo in cui esiste ancora il sigillo della fessura tra il nostro mondo e quello dei titani, ha tremato.”
“Se continuate a parlare così, mi scuso per la mia inadeguatezza, io non capirò mai cosa state cercando di dire”, disse Seiya un po’ seccato.
“Immagina un cancello chiuso con un chiavistello un po’ arrugginito, Seiya. Che succede se un vento forte lo scuote?” Seiya sgranò gli occhi.
“I titani sono ancora dall’altra parte, giusto?” chiese il cavaliere.
“Molti furono sconfitti ma Crono, di certo, riposa ancora la”, fece Aiolia incrociando le braccia.
“Dov’è questa cicatrice? Rinforziamo il sigillo ed eviteremo che questa porta si apra!” esclamò Seiya.
“Se fosse così semplice non saremmo tanto preoccupati,” gli fece Shaka di rimando “solo la folgore di Zeus può sigillare le fratture dello spazio e del tempo.”
“Come avete fatto l’ultima volta?” chiese Seiya.
“Aiolia usò il potere derivante dall’armatura del leone che è portatrice del fulmine simile a quello del divino Zeus. Ora però quel potere non funzionerà più. All’epoca Crono non era in possesso della Grande Falce, la sua arma più potente e la fonte del suo potere. Ora ce l’ha”, ripose Shaka.
“All’epoca però voi non avevate Atena!” disse Seiya “Saori era poco più di una bambina. Ora lei è con noi!”
“Questo non risolve il nostro problema” lo contraddisse Virgo “Atena non possiede la folgore di Zeus anche se ha un potere simile al suo.”
“State dicendo che Atena non può sconfiggere Crono?” chiese perplesso Seiya.
“Stiamo dicendo che c’è qualcun altro che può farlo al suo posto, per fortuna”, gli rispose Aiolia.
“Davvero?” fece Seiya con lo sguardo della persona più inconsapevole del mondo. Shaka tossì e si rivolse al cavaliere del leone.
“Dovrai dirglielo apertamente, Aiolia.”
“Sul serio, Seiya? Il colpo più potente e simile alla folgore di Zeus è quello che ti appartiene.” Seiya si guardò le mani e si rabbuiò. Sapeva bene che Aiolia e Shaka non si riferivano al fulmine di Pegasus. La conferma ai suoi dubbi venne da Shaka.
“Seiya, ci riferiamo al fulmine d’oro. Non lo avevi mai adoperato prima dello scontro con Marte e non te lo abbiamo più visto usare da allora. Abbiamo bisogno di sapere se, in caso di bisogno, possiamo contare sul tuo colpo migliore. Per questo ho voluto che Aiolia ti raccontasse tutta la storia. Mur ha preferito che te ne parlassi io.”
“Mur conosce i dettagli di questa storia?” chiese allora Seiya sempre più preoccupato.
“Certo!” esclamò Aiolia “E’ il grande sacerdote, credi che qualcosa si possa muovere al grande tempio senza che lui lo sappia?”
“No, solo mi chiedo perché Saori non ne è stata informata.”
“Anche questa è stata una decisione di Mur”, fece Shaka che, contrariamente ai suoi ospiti, sorseggiava il suo tea con gusto.
“D’accordo. Io torno alla tredicesima casa, voglio parlare con Mur.” Seiya si alzò e fece per lasciare la sesta casa. Shaka, senza muovere neppure un dito, aprì i suoi occhi e guardò la schiena di Seiya.
“Non hai risposto alla mia domanda, cavaliere. Userai il fulmine d’oro se ce ne sarà bisogno?” Seiya s’irrigidì per un momento poi, rilassando le spalle, parlò.
“Con la grazia di Atena, lo farò.”
Nessuno aggiunse più nulla. Né Aiolia che tirò un sospiro di sollievo, né Shaka che richiuse i suoi occhi.
Seiya uscì all’aria aperta e prese una boccata d’aria fresca. Il suo cuore batteva all’impazzata. Perché si sentiva così? Il fulmine d’oro era la tecnica di Aiolos. Da quando aveva ricevuto l’investitura a cavaliere di Sagitter, aveva continuato ad usare il fulmine di Pegasus. Una volta Marin l’aveva rimproverato per questo.
“Devi spingere la tua tecnica ad un livello più alto. Ormai sei padrone del settimo senso. Non puoi più limitarti a colpire alla velocità del suono. Dal cavaliere che sei diventato mi aspetto di più!” aveva detto una sera mentre raccoglievano le macerie del primo attacco di Marte al santuario.
Che ne sapeva lei della fatica con cui aveva accettato di diventare il custode della nona casa? Che ne sapevano Aiolia e Shaka della pazienza che c’era voluta per calarsi addosso quella divisa e soffocare anni d’intemperanze?
Che ne sapeva Mur della stanchezza che lo prendeva quando ripensava a tutte le battaglie decisive in cui s’era lanciato?
Ogni fatica, tutta la pazienza e la stanchezza che aveva provato venivano accettate per l’unico desiderio di tenere Saori al sicuro. A quel fine e quello soltanto aveva scelto la via del cavaliere ed era giunto al punto di stipulare il patto della fiamma.
Per tredici anni era stato tutt’uno con la Nike, l’arma prediletta di Atena, in modo che fosse il suo cosmo ad essere bruciato per difendere il grande tempio e non quello di Saori. Aveva accettato questo ruolo per evitare che la maledizione di Marte peggiorasse le condizioni della donna.
Per tredici anni l’aveva tenuta al sicuro sotto la cupola creata dal patto della fiamma. Non l’aveva eretta solo per questo? Tredici anni di esilio sull’altura delle stelle di nascosto a quasi tutto il santuario solo per proteggere lei? O anche per qualcos’altro? Ad ogni modo, anche quel tempo era finito. La barriera era caduta per mano della strega Medea e lui aveva accettato il suo destino. Aveva offerto a Saori se stesso per l’ennesima volta affinché, sciogliendo il patto, riavesse indietro la Nike. Lei non aveva voluto farlo e si erano battuti insieme fino alla fine.
Quando si erano risvegliati, al termine dello scontro con Marte, il patto era sciolto e la Nike di nuovo al suo posto. Come aveva fatto a sopravvivere non l’aveva mai capito.
Ciò che aveva capito bene invece era che, durante il patto, il suo cosmo era diventato più grande. L’apice di quel potere era stato il fulmine d’oro.
Non c’era stato più modo, dopo la battaglia contro Marte, di usarlo ma era quasi certo di non essere più in grado di lanciarlo con facilità.
Adesso che una nuova minaccia allungava la sua ombra sul santuario, sarebbe stato in grado di proteggere Saori? Si toccò la spalla sinistra che aveva preso il colpo diretto a Shaina. Poteva riuscire a proteggere Saori nelle condizioni in cui era ora?
Camminando raggiunse l’ottava casa e l’attraverso senza perdere tempo. Quando alzò lo sguardo verso la lunga scala per la nona casa, si fermò un attimo per cercare un qualunque segno di quella breccia che Aiola e Shaka temevano tanto.
Si stupì di trovare Eden seduto sull’ultimo scalino della prima rampa.
“Cosa fai qui tutto solo?”
“I miei genitori sono a Delo.” Seiya si sedette al suo fianco.
“Già, lo avevo scordato. E tu non dovresti comunque seguire le lezioni con gli altri giovani cavalieri di bronzo?” Eden lo guardò dritto negli occhi in cerca di un qualunque sintomo di disagio rispetto alla sua presenza ma non ne trovò nello sguardo limpido del cavaliere.
“La mia presenza qui non ti da fastidio, Seiya?” Il ragazzo strinse i pugni e sorrise di sfida.
“Non ho avuto paura di stare occhi negli occhi con il vero Hades, credi che possa mettermi a disagio la sua parentela più stretta? In effetti mi mette più soggezione l’idea che tu sia il figlio di Ikki!” disse sorridendo. Eden buttò la testa all’indietro come a voler scrutare oltre le nuvole che attraversavano quello spicchio di cielo.
“Mio zio mi ha lasciato la sua spada. Non so se riuscirò a governarla. Il suo potere è grande.”
“Si può dire di tutto di tuo zio tranne che fosse uno sprovveduto. Deve aver visto del potenziale in te.”
“Magari quel potenziale è un’oscura malvagità.”Seiya guardò il profilo di Eden velato di tristezza e gli diede una sonora pacca sulla schiena che spinse il ragazzo a perdere quell’aspetto serio e composto.
“Quanti anni hai, Eden?”
“Quattordici”, rispose il ragazzo.
“Nessuna oscura malvagità può nascere in un ragazzo di quattordici anni. Lo so perché quando ho conosciuto tuo padre, avevamo all’incirca quell’età e Ikki non era esattamente un bravo ragazzo. Ce ne ha fatto sputare di sangue e bile e, alla fine, l’oscurità che avvolgeva il suo cuore non era che una specie di nebbia che gli impediva di vedere bene le cose attorno a lui. E’ bastata una bella giornata di sole per spazzarla via. Se a quest’età non hai ancora dato fuoco ad una villa, interrotto un torneo galattico, rubato un’armatura d’oro, picchiato a sangue la tua famiglia e liberato pericolosi mostri da vasi leggendari, non sei neppure lontanamente vicino all’oscura malvagità di cui parli!” esclamò Seiya alzandosi e incamminandosi di nuovo verso la cima delle dodici case “Dammi retta, Eden, alla tua età dovresti solo preoccuparti di non spezzare il cuore a troppe ragazze!”
Eden lo vide sparire oltre le colonne della nona casa e si disse che Seiya aveva ragione. Eppure non riusciva a non pensare che qualcosa di sbagliato era già accaduto. Che aveva già commesso una colpa nei confronti di Atena. L’immagine dell’ombra che aveva visto poco fa e di cui non aveva detto nulla a Seiya, gli tornò vivida alla mente e la speranza che gli aveva instillato il cavaliere d’oro di Sagitter, svanì prima ancora di attecchire nel suo cuore.

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Shaina era furiosa. Aveva obbedito agli ordini di Mur ma non aveva più rivolto la parola a Kanon reo, ai suoi occhi, di averla trascinata via senza darle la possibilità di chiarirsi almeno con Mur e Seiya.
Avevano convocato Soma, Yuna, Paride, Sibylla, Rhyuo, Ilio, Jona e Josa. Death Mask e Aphrodite avevano ricevuto l’incarico dal grande Mur di unirsi a loro. Avevano raggiunto il Pireo in un’ora scarsa. Normalmente ci avrebbero messo meno tempo ma la via attraverso Rodorio era interrotta in più punti.
Quando raggiunsero la baia, Kanon non poté fare a meno di guardare il lato della montagna franato un anno prima sotto il peso del Kraken. Su quella spiaggia aveva perso la vita Saga anche se suo fratello non riusciva a ricordare con esattezza come.
“E come dovremmo fare a distinguere gli adepti del santuario dai miscredenti?” Chiese ad un tratto Death Mask. Lui era nato e cresciuto in Italia ed era stato battezzato da genitori che lo avevano abbandonato sui gradini di una chiesa siciliana. Le suore del convento di Noto lo avevano cresciuto cercando di farne un buon cristiano ma la sua capacità di vedere gli spiriti lo aveva sempre emarginato. Gli altri orfani del convento lo prendevano in giro e lo maltrattavano. Per tutti era ‘u tintu’, non solo per la carnagione bruciata dal sole ma anche per il carattere ‘sporco’ che gli attribuivano. Se non avesse dato fuoco alla canonica una domenica mattina, forse sarebbe rimasto in quel paese ai piedi dell’Etna ma la canonica bruciò e lui scappò con una compagnia di burattinai per non essere chiuso in riformatorio. Tra loro c’era un uomo che, come lui, vedeva le anime perse e che lo mise a tenere i fili di Maschera della Morte, uno dei pupi più belli che la compagnia possedesse. Poi, quando quell’uomo lasciò il teatrino, decise di portarsi dietro U’ tintu. Girarono prima tutta la Sicilia poi presero la via per lo stretto di Messina e, da lì, per la Grecia. In una notte punteggiata da mille stelle, raggiunsero il Santuario e Death Mask, come lo aveva chiamato quel girovago misterioso e potente, vide per la prima volta la statua di Atena. Quella fanciulla di oro e avorio somigliava così tanto alla Vergine delle suorine siciliane ma non era gentile e misericordiosa come lei. Era armata, inflessibile e potente. Death Mask se ne innamorò. Lei gli diede il potere di salvarsi dall’Inferno, persino di aprirne e richiuderne le porte. Povere le suorine che confidavano nel Paradiso! La vera fede era in Atena, chi credeva in qualsiasi altra cosa era un miscredente.
Aphrodite, l’unico cavaliere che sapesse apprezzare le doti di Death, lo prese per un braccio.
“Si tratta di aiutare chi ce lo chiederà, non agitarti”, disse sorridendo e il cavaliere di Cancer sbuffò.
“Non lamentarti, Cancer! C’è chi ha avuto una giornata più schifosa della tua!” esclamò Shaina.
“Diamoci tutti una bella calmata! Ricordate che ci sono i ragazzi che vi guardano. Dovete dare l’esempio!” disse Kanon guardando i cavalieri più giovani che scaricavano medicinali e vettovaglie dal furgone che avevano usato per raggiungere la spiaggia.
“E pensare che un anno fa questo posto era un campo di battaglia!” riprese Death Mask “Sei il degno fratello di quel maledetto di Saga se riesci rimanere impassibile nel posto dove lui ha tirato le cuoia!”
“Vuoi pensarci tu a farmela perdere? Aphrodite perché non te lo porti a fare un giro?” rispose seccato Kanon.
“Basta litigare e al lavoro!” li divise Shaina “Soma, tu, Yuna e i ragazzi prendete i viveri e distribuiteli tra chi ne ha bisogno. Death Mask, Aphrodite pensate ai feriti. Ie e Kanon andiamo a cercare chi comanda per fargli sapere che il santuario è qui.”
Yuna e Soma presero le ceste del pane e Ryuho e Paride le scatole con le provviste.
Ilio, Jona e Josa aiutarono Sibylla con le bottigliette d’acqua.
Si resero subito conto che c’era più gente di quanta avrebbero potuto aiutare e Soma si scoraggiò.
“E’ possibile che nessun altro faccia niente per queste persone?” chiese il figlio di Aiolia.
“Non è che possiamo portarli tutti al santuario!” esclamò Paride.
“Se potesse, Atena li accoglierebbe tutti!” disse Yuna.
“Se fossero tutti al santuario, si mangerebbero fino all’ultima briciola e moriremmo tutti di fame dopo!” disse Jona col suo cinico senso pratico totalmente inadatto ad un bambino della sua età.
“Giusto!” esclamò Josa per una volta d’accordo con il suo gemello.
“Siete crudeli!” fece Ilio.
“E tu sei stupido se pensi il contrario!” lo canzonò Sybilla.
“Non litigate!” fece Ryuho che non continuò il rimprovero perché qualcosa attirò la sua attenzione. Una specie di nebbia nera stava salendo da un punto del terreno non lontano da loro “Fate attenzione!” gridò per avvertire tutti.
La nebbia montò come un tornado che si sollevi nel deserto e la gente che era lì vicino, si allontanò urlando. Soma, d’istinto, si frappose fra essa e i suoi compagni  ma, quando il vento cessò, il cavaliere del leone minore rimase sconcertato. Dall’ombra era emersa una figura bardata di un’armatura nera come la pece da cui proveniva il cosmo più oscuro che Soma avesse mai visto. Il cavaliere lo scrutò da sotto l’elmo senza mostrare alcuna emozione poi, sollevò lentamente un braccio e il ragazzo finì scaraventato in acqua come se fosse stato sollevato da invisibili fili.

 

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Capitolo 9
*** Risvegli - Parte seconda ***


Note dell'autrice disperata:
Ora lo posso ammettere: questa storia vive ormai di vita propria. Questa doveva essere la seconda ed ultima parte del capitolo 'Risvegli' ma i personaggi si sono messi a parlare e agire per conto loro e sono venute fuori pagine per due capitoli. Quindi ci sarà una 'Risvegli' parte terza!
Sono mortificata per la lunghezza infinita delle descrizioni ma mi piacerebbe che riusciste a vederli come li vedo io....
Ok sono ufficialmente pazza...  L'unica cosa positiva è che sono avanti con la storia quindi non attenderete molto per il prossimo capitolo. Vi abbraccio tutti e vi ringrazio per l'infinita pazienza. Ps I love you... XD

Risvegli
Parte seconda


Niketas camminava lungo il porto con una pesante busta di cartone tra le braccia. Com’era finito ad offrirsi di andare a fare lui la spesa? Odiava andare al mercato ed era quasi certo che suo zio riuscisse a manipolare la sua mente. Il peso della frutta non era eccessivo ma il caldo e la confusione delle strade principali gli provocavano un fastidio immenso. Decise di passare per la spiaggia. Ci avrebbe messo più tempo ma sarebbe riuscito a distribuire la frutta che aveva comprato in più tra i profughi del terremoto che non erano riusciti a trovare una sistemazione migliore ed erano rimasti nelle tende allestite sul litorale.
Raggiunse un gruppo di ragazzini che giocavano con un pallone. Amava il calcio ma suo zio gli aveva sempre permesso solo di allenarsi con l’atletica.
“Mele in cambio di una partita?” disse lanciandone in aria una rossa dall’aspetto succoso. I ragazzi però reagirono spaventati e si diedero alla fuga a gambe levate. Niketas si voltò e vide un ragazzo che volava nella sua direzione. Non fece in tempo a scansarsi che gli finì addosso e insieme ruzzolarono nella sabbia.
“Maledizione!” gridò massaggiandosi un braccio.
“Maledizione dovrei gridarlo io! Quel bastardo mi ha scaraventato via come se fossi fatto di cartapesta!” rispose il ragazzo caduto dal cielo. Niketas guardò verso il punto che quello indicava e vide un uomo che avanzava lentamente. La sabbia diventava nera nel punto in cui la calpestava.
“Chi diavolo è quello?” chiese allargando leggermente le gambe e piegando il busto in avanti in una postura che l’altro ragazzo riconobbe subito.
“E tu chi sei? Anche tu sei un cavaliere?” chiese.
“Cavaliere? Non so di che parli, io mi chiamo Niketas.”
“Io sono Soma, ma non è il momento per i convenevoli. Se non sei un cavaliere, scappa. Quello è un tipo che non scherza!” fece Soma facendo qualche passo in avanti. In quello stesso momento, una ragazza e altri due ragazzi lo raggiunsero e lo affiancarono.
Niketas rimase a fissarli con una strana curiosità negli occhi. Improvvisamente dai loro corpi si sprigionò una luce ma lui non ne ebbe paura.
L’uomo con l’armatura nera sollevò il braccio destro e la ragazza e il suo compagno finirono nella sabbia. Un istante dopo fu di nuovo il turno di Soma di finire a pancia all’aria. Solo uno dei ragazzi rimase in piedi. La ragazza urlò.
“Paride, allontanati!” Niketas si chiese cosa stesse accadendo proprio mentre la figura nera sollevò di nuovo la mano. Stavolta il colpo non arrivò. Dal nulla, come fosse stato portato dal vento, apparve un uomo vestito d’oro.
Niketas sentì un profumo intenso di rose che gli fece girare la testa e fece fatica a mettere a fuoco la persona più bella che avesse mai visto.
Il ragazzo chiamato Paride fu avvolto dal mantello bianco del nuovo venuto e Niketas sentì che lo chiamava maestro.
Un istante dopo Paride fu allontanato e arretrò dov’era lui mentre tra l’uomo vestito d’oro e quello bardato di nero scoppiò uno scontro senza esclusione di colpi.
Uno di questi stava per centrare Paride ma Niketas gli si gettò addosso ed evitò che colpisse entrambi.
Quando si rialzò, i due guerrieri erano scomparsi. Soma lo aiutò a scrollarsi la sabbia di dosso.
“Ringrazia questo ragazzo, Paride, o ti saresti fatto molto male. Per fortuna è arrivato il tuo maestro a salvarci.”
“Non era il mio maestro”, disse Paride ancora scosso “comunque grazie. Il mio nome è Paride.”
“Io sono Niketas.”
“Che intendi dire che non era il tuo maestro?” chiese la ragazza che si presentò come Yuna.
“Abbiamo visto tutti l’armatura dei Pesci!” esclamò Ryuho.
“Ma di che diavolo parlate?” Chiese Niketas “Chi siete?”
“Niketas tu ci hai aiutati” disse il ragazzo di nome Ryuho “ma queste sono cose di cui non possiamo parlare con chi non è del santuario.”
“Santuario?” chiese il ragazzo ancora più interdetto.
“Secondo me dovresti venirci, sei dotato.” esclamò Soma.
“Non è una cosa che può decidere lui, Soma! Comunque ti ringrazio a nome di tutti, Niketas. Noi dobbiamo andare adesso, ho mandato Sibylla a chiamare i nostri maestri.”
I ragazzi corsero via lasciando Niketas con un braccio dolorante e la busta di frutta sparsa sulla battigia. Non aveva capito nulla di quanto era accaduto ma una cosa era certa. Una volta a casa, sarebbe finito nei guai quando Aspros si fosse accorto dei lividi su di lui e delle ammaccature sulla frutta.

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Cora continuava a guardarlo camminare avanti ed indietro. Fu proprio quando Aspros si decise a prendere la giacca per uscire che la porta si aprì.
Niketas entrò in casa con il cappuccio del giubbino tirato sulla testa e la busta della spesa sbilanciata su un braccio.
“Alla buon’ora!” fece Aspros “Non ti avevo detto di andare al mercato e tornare subito a casa?”
“Sì, zio, scusami.”
“Scusami?” ripeté l’uomo perplesso per la remissività del ragazzo. Gli si avvicinò e gli tirò giù il cappuccio mentre con l’altra mano gli toglieva il peso della busta di dosso. I lividi sul viso di Niketas mutarono l’espressione di Aspros che si piegò in avanti e gli sollevò il mento. “Che ti è successo?”
Niketas non pensava certo di farla franca usando semplicemente il cappuccio della giacca a vento ma, una volta scoperto, abbandonò ogni resistenza e si lasciò cadere sul pavimento massaggiandosi la spalla con una mano. Aspros gli sollevò la maglietta e controllò l’escoriazione e i lividi.
“Chi ti ha picchiato?” chiese Aspros stringendo un pugno.
“Nessuno. Un ragazzo mi è finito addosso giù alla spiaggia.”
“Non mentire! Lo sai che non serve con me!”
“Te lo giuro, zio. Un ragazzo della mia età mi è letteralmente volato addosso! C’era un gran trambusto alla spiaggia.”
“E tu che ci facevi alla spiaggia?”
“Lo so, ho disobbedito ma non ho fatto niente di male. C’erano due tipi che litigavano e se le sono date di santa ragione. Erano strani, indossavano delle armature.” Aspros lo interruppe.
“Armature? Che genere di armature?”
“Uno ne portava una nera. L’altro ne aveva una dorata. Era splendido.” Aspros scattò in piedi.
“Stai bene?”
“Sì, sono ancora tutto intero.”
“Cora,” fece Aspros avvicinando il ragazzo alla fanciulla “metteresti una pezza bagnata sulla spalla di Niketas? Non uscite. Io torno presto.”
La ragazza non fece in tempo a ribattere che Aspros era già sulla porta. Lei lo rincorse e lo tirò per un braccio. Quando Aspros si girò a guardarla la sua espressione preoccupata mutò e i suoi occhi verdi brillarono.
“L’oro si mischia al sangue. Una freccia d’oro le trafiggerà il petto. Verrà colpita da colui che più ella ama.” Aspros la prese per le spalle e la scosse.
“Cos’hai detto?” chiese con veemenza ma la fanciulla lo guardava di nuovo con l’espressione di poco prima.
“Sta attento” disse solo e lui capì che non avrebbe più ottenuto informazioni da lei. Uscì di casa e si mi se a correre verso la spiaggia. Quando era i prossimità del porto si trovò in mezzo ad una grande folla che correva nella direzione opposta. Individuò un funzionario di sicurezza ma non riuscì a parlarci. L’uomo stava discutendo animatamente con una donna che gliele stava cantando. Si nascose, apparentemente senza motivo, dietro la parete di una torretta di controllo e origliò.
“Deve fare qualcosa! Ci sono donne e bambini. Sono tutti in preda al panico!” gridava la donna.
“E’ colpa vostra! Avevamo chiesto l’aiuto del Santuario non tutti questi guai!” rispose il funzionario in divisa.
“Non osate dire che è colpa nostra. Siamo stati attaccati!” fece lei.
In quel momento sopraggiunse un’altra persona ed  Aspros mancò l’aria nei polmoni.
Si muoveva composto e sicuro e mise a tacere il funzionario. Lo vide allontanarsi con la donna e lui li seguì sempre senza farsi notare.
“Kanon! Per mille fulmini! Si può sapere cosa è successo?” gridò di nuovo la donna.
“Non ti agitare, Shaina. E’ tutto a posto. I ragazzi sono al sicuro e dei cavalieri che hanno creato scompiglio non c’è più nessuna traccia. Death Mask e Aphrodite stanno riportando i ragazzi al tempio . Tu puoi andare con loro se vuoi.”
“E tu?”
“Rimango ancora un po’ qui nel caso che si rifacciano vivi.”
“Chi erano?”
“Soma ha detto che si trattava di Aphrodite e di un cavaliere nero ma Paride ha detto che non era il suo maestro anche se ha confermato che indossava l’armatura di Phisces. Non era Aphrodite comunque. Lui in quel momento si trovava alla dogana con Death Mask. Sono stati loro ad arrivare per primi sulla spiaggia e non c’era nessuno.”
“Un cavaliere nero?” chiese la donna. Kanon annuì.
“Yuna ha detto che riusciva a colpirli come con dei fili invisibili.”
“Cielo, Kanon! Non può essere!”
“Invece è così. Eden dovrà dare alcune spiegazioni quando saremo a casa. Ora va.”
“Non se ne parla! Se era uno spectre, rimango con te.”
“So badare a me stesso o pensi il contrario?” chiese Kanon con una punta di sarcasmo nella voce.
“E questo cosa significa?” gli rispose la donna.
“Nulla, solo stavo ricordando che non ci sono in giro molti cavalieri come Seiya, giusto?” la schernì Kanon ricordando ciò che aveva detto lei davanti ad Atena. Dal suo nascondiglio, Aspros ascoltava ogni parola.
“Vuoi renderti ridicolo? Ho detto quella cosa solo perché Saori si sta comportando in modo assurdo! Hai sentito che cosa ha detto riguardo a Seiya?” Aspros si fece più attento.
“Non mi riguarda il motivo per cui Atena maltratta Seiya! E comunque, se lo vuoi sapere, penso che non sbagli ad essere in collera con lui!”
“Kanon, sei serio?”
“Puoi esserne certa! Atena merita rispetto e fedeltà assoluta e Seiya non gliene sta dando!”
“Che altro dovrebbe fare quel poveraccio? Smettere di respirare per lei?”
“Ad esempio smettere di proteggere te!”
“Non ci credo! Avresti preferito che mi avesse colpita?”
“Non ti avrebbe colpita! Io ti avrei difeso ma lui si è messo in mezzo!”
“Sei pazzo o cosa?” urlò lei mordendosi un labbro un secondo dopo. Kanon rise.
“Pazzo come mio fratello? Forse mio fratello era pazzo, Shaina, ma è morto per Saori. Lui, invece, è ancora vivo. Non ho più voglia di discutere con te!” fece Kanon superandola e allontanandosi.
“Kanon, aspetta!” lo richiamò lei ma l’uomo non si voltò. Shaina si girò di nuovo verso il mare che si dondolava appena mentre nel suo cuore si agitavano sentimenti contrastanti e poi sbuffò.
“Avevi promesso che non ci saremmo liberati di te, Saga, e anche stavolta hai mantenuto la promessa!”
Aspros decise che aveva visto e udito abbastanza. Fece attenzione a non essere visto e riprese la via di casa.

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Seiya raggiunse la tredicesima casa e fu tentato, per un momento, di provare a parlare con Saori un’altra volta. Durante il tragitto dalla casa di Virgo aveva riflettuto su quanto gli aveva detto Aiolia. Crono era il signore del tempo e Saori continuava a ripetere già da un po’ una frase che lui non riusciva a capire.
‘Il tempo si è perso’ diceva. Lo aveva ripetuto anche prima di attaccare Shaina. Poteva quel tremore che Shaka aveva sentito, aver influenzato il comportamento di Atena? Decise che doveva parlare prima con Mur.
Nel corridoio che portava alla stanza del grande sacerdote, Seiya incrociò Shura che camminava dietro ad un ragazzino. Quando furono vicini, Seiya salutò Shura e proseguì ma qualcosa lo costrinse a voltarsi. Quel bambino lo aveva guardato con un paio di occhi celesti e profondi. Sembrava avergli posto una muta domanda.
‘Sei tu il cavaliere leggendario?’ Seiya scosse il capo come se la voce gli fosse arrivata dritta nel cervello e si chiese se quel ragazzino fosse un nuovo allievo di Shura. Proseguì per lo studio di Mur, bussò alla sua porta ed entrò.
“Seiya, accomodati,” disse Mur cortese e sorridente “vuoi un tea?” chiese indicando una teiera fumante. Seiya scosse il capo. Non avrebbe sopportato di bere altra brodaglia per quel giorno.
“No, grazie, Mur. Shaka e Aiolia mi hanno detto tutto. Sono qui per parlare di alcune cose con te.”
“Prego, dimmi pure.”
“Chi altro, oltre a te, me, Shaka e Aiolia, è a conoscenza di questa cicatrice del tempo?”
“Tutti i cavalieri d’oro con eccezione di Kiki. Abbiamo combattuto tutti contro i titani all’epoca.”
“Credevo che i sigilli di Atena si rompessero dopo duecento anni o giù di lì!” fece Seiya alleggerendo un po’ il tono della conversazione.
“La cicatrice non è stata chiusa da Atena ma da Aiolia.”
“Capisco,” disse Seiya “e ora conti che sia io a mettere una pezza in caso si riapra?”
“In effetti l’idea è di Shaka. Io so che tu non sei, ora come ora, in grado di lanciare il fulmine d’oro.” Seiya si rabbuiò.
“E non hai ritenuto il caso di dirglielo?” Mur sorseggiò il suo tea poi, sollevando un po’ il bordo del proprio abito cerimoniale, la posò sul piattino.
“No. Non ritengo sia necessario.”
“E non ritieni necessario informare Saori di quello che sta succedendo?”
“Al momento la cicatrice del tempo non è una priorità. La salute di Atena sì.”
“Le due cose potrebbero essere collegate, non credi?” Mur fece saettare gli occhi dalla tazzina a Seiya e da lui alla tazzina. Per la seconda volta in quella estenuante giornata si chiese quale fosse ancora il potenziale inespresso di Seiya.
“Potrebbero ma i disturbi di Saori, se vogliamo chiamarli così, sono iniziati prima che la cicatrice tremasse.”
“Non mi piace che li chiami così. Decisamente. E poi è possibile che lei, essendo più potente e sensibile di noi, se ne sia accorta prima.” Mur sorrise.
“Hai ragione su questo. Vedi Seiya, nell’ultimo anno sono accadute tante cose strane. Innanzitutto c’è il comportamento di Saori. Poi c’è la faccenda della morte di Saga di cui non abbiamo trovato il corpo. Infine c’è la faccenda più strana. Come si è sciolto il patto della Nike? Tu saresti dovuto morire e invece sei qui, davanti a me. Io credo che sia accaduto qualcosa anche se non sono ancora in grado di stabilire cosa con esattezza.” Seiya lo guardò dritto in faccia e sparò la domanda tutta d’un fiato.
“Credi che possa farlo di nuovo?”
“Cosa?” chiese Mur serio.
“Stipulare il patto della fiamma.”
“Non lo so. Francamente non so neanche se te lo lascerei fare qualora fosse possibile.”
“E perché?” esclamò furioso Seiya.
“Avanti Seiya, ammettilo. Non hai attraversato indenne tutte le battaglie che hai combattuto.” Seiya strinse i pugni e il suo cosmo si agitò. Un bussare leggero alla porta interruppe la loro conversazione.
“Avanti” disse Mur e la porta s’aprì rivelando la figura di Helena, una delle ancelle della tredicesima casa.
“Mio signore, Atena vi manda a dire che è salita all’altura delle stelle.”
“Da sola?” chiese Seiya voltandosi all’improvviso.
“Sì, cavaliere. E c’è un’altra cosa grande sacerdote.”
“Parla”, la incoraggiò Mur.
“Lady Pandora e Ikki di Phoenix sono tornati. Dama Clio di Delo è con loro. Il cavaliere dell’Ariete chiede il permesso di portarli al vostro cospetto.”
“Ikki e Pandora ce l’hanno fatta!” esclamò Seiya che riuscì per un momento a ritrovare il sorriso.
“Concesso. Conduceteli alla sala del trono. Seiya, vola all’altura delle stelle e riporta Atena al tredicesimo tempio.” Sagitter annuì ed Helena si ritirò.
Una volta rimasto solo, Mur raggiunse il suo scrittoio e sfilò una pergamena da sotto un mucchio di carte. Si trattava di una vecchia profezia che le Pizie avevano fatto per il grande Tempio.
‘La volontà di Aspros ritornerà, ancora e ancora, sotto le spoglie di Gemini per conquistare il Santuario e assoggettarlo al suo volere.’ Mur ripose la pergamena che Saga aveva conservato gelosamente tra le sue carte private e uscì dallo studio. Per la prima volta dopo la rottura dei rapporti tra l’oracolo di Delo e il Santuario per mano di un cavaliere di Gemini, una delle Pizie rimetteva piede alle tredici case.

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Saori sedeva nel tempietto ricoperto di edera e di piccoli fiori rosa. Ne aveva intrecciati alcuni e ora una specie di catenella le ricadeva sul grembo.
Aveva pregato. Poi era arrivato Seiya. Era rimasto in piedi vicino alla scala e lei aveva fatto finta di non accorgersi di lui.
Il sole stava calando oltre la meridiana dello zodiaco. Si alzò e raggiunse la brocca per completare il rito dell’aspersione. Versò dell’acqua in un bacile di ottone e vi immerse le mani. Chiuse gli occhi. Aveva cercato il cosmo di Gemini fino al Pireo e l’aveva percepito di nuovo sdoppiato. La cosa, ovviamente, non aveva alcun senso soprattutto considerato quanto continuavano a ripeterle tutti. Era tutto nella sua testa, nel suo cuore che non riusciva ad accettare ancora, dopo un anno, la morte di Saga. Improvvisamente qualcosa la scosse e la fiamma che ardeva nel braciere consacrato alla Nike si mosse. Si voltò in preda ad un’ansia fortissima e vide Seiya in ginocchio che si teneva la spalla. Gli fu affianco in un attimo.
“Seiya, che hai?” L’uomo sollevò il viso affaticato.
“Nulla, sono inciampato. Continua pure ciò che stavi facendo. Quando avrai finito, se lo vorrai, ti accompagnerò al tempio. Pandora ed Ikki sono tornati. Il grande sacerdote mi ha ordinato di scortarti a casa.” Saori ricadde sui talloni e i suoi occhi si riempirono di lacrime.
“Saori, non piangere, ti prego. Se c’è qualcosa che posso fare, non hai che da chiedere.”
“Ti ho ferito”, disse la donna in un soffio.
“Non è la prima volta!” disse lui allargando le labbra in un sorriso. Le lacrime di Saori scivolarono lungo le guance “Feriscimi ancora ma parla con me. Non mi allontanare. Ogni volta che mi scacci, succedono cose brutte.” Lei gli prese le mani e se le portò al petto.
“Vorrei poterti stringere adesso ma non ci riesco. E’ come se un peso invisibile gravasse sul mio cuore e mi impedisse di aprirlo di nuovo come un tempo” disse lei.
“Io posso aspettare. Sarò sempre qui per te”, fece Seiya alzandosi e tirandola su con sé.
“Qui” disse lei “è dove mi portasti dopo l’attacco di Marte.” Seiya annuì.
“Mi sembrò il posto più sicuro.”
“Lo fu. Molte cose ebbero inizio quel giorno, Seiya, e io non riesco più a ricordarle tutte. Vuol dire che i miei sentimenti sono cambiati?”
“Quel giorno imparammo a non avere paura dei nostri sentimenti, perché dovremmo averne adesso?” Saori si asciugò una guancia con il dorso della mano. Sull’altra arrivò prima la mano di Seiya che, leggera, si mosse in una carezza. Saori s’accorse che al polso portava un bracciale fatto con gli stessi fiori cui si era dedicata durante la preghiera.
“L’ho fatto io?” chiese Saori prendendogli il polso tra le mani.
“Me lo hai dato quando ho lasciato il santuario per affrontare Marte.
“E durante tutte le battaglie che hai combattuto, non si è rotto?”
“Non è facile spezzare la volontà di Atena!” disse Seiya ed ebbe una strana sensazione di deja-vù, come se avesse già dato quella risposta.
“E neppure lo hai tolto tu stesso.”
“Mi ricorda che io sono per te talvolta, quello che tu sei per me sempre.” Saori si sentì come trascinare indietro nel tempo ed ebbe l’impressione di vedere di nuovo Seiya per la prima volta dopo un anno intero. Era di nuovo il ragazzino che era tornato dalla Grecia con l’armatura di Pegasus?
“Per la forza, per il coraggio e per la buona sorte. Io prego per te ogni momento della mia vita” disse lasciandosi andare contro il suo petto. Seiya si sentì di nuovo completo, come se la forza che sentiva di avere perso poco per volta, gli era stata resa tutta insieme. Strinse Saori e sentì che forse poteva ancora lanciare il Fulmine d’oro.

 

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Capitolo 10
*** Risvegli - Parte terza ***


 

Risvegli
Parte terza


Dama Clio avanzava per le scale della dodicesima casa rimanendo appena un poco dietro ad Ikki e Pandora. Osservava le alte colonne della tredicesima casa che si alzavano davanti a lei. Non era facile per nessuno entrarvi e lei stava per farlo nonostante vestisse i panni di una sacerdotessa di Apollo.
Il cavaliere della prima casa, Kiki dell’Ariete, li aveva scortati comunque fino a lì. Non appena furono sulla porta del tredicesimo tempio, questi si fermò e prese la parola.
“Il grande sacerdote vi aspetta”, disse spostandosi di lato e lasciandoli entrare. Clio pensò per un attimo che avrebbero continuato da soli invece un altro cavaliere li stava aspettando. Indossava l’armatura d’oro dei Pesci e Clio dovette ammettere che era un uomo davvero affascinante. Silenziosamente fece strada fino alla sala del trono della dea e si limitò ad aprire la pesante porta che li separava dal grande sacerdote.
All’interno della sala l’uomo sedeva sullo scranno in fondo alla stanza. Due cavalieri d’oro erano ritti ai lati della seduta. La luce filtrava dagli alti timpani del tempio e, poiché i drappi della sala erano stati tutti alzati, s’intravedeva la figura della statua della dea Atena oltre il trono. Il sacerdote si alzò e il tintinnio dei suoi paramenti distrasse per un momento Clio dalla maestosità che quella persona emanava. La sacerdotessa si chiese se quella luminosità, quella grazia, quella eleganza appartenessero naturalmente al tempio della dea che aveva ricevuto da Zeus il potere sugli uomini oppure era una strabiliante messa in scena solo per i suoi occhi.
Mur allargò le braccia e parlò.
“Bentornata Pandora, signora dell’arco di Cerbero e benvenuta siate voi, Dama Clio oracolo di Delo, culla del dio del sole.”
Clio chinò il capo per ricambiare la cortesia ricevuta ma rimase in silenzio. Pandora le lanciò un fuggevole sguardo e parlò.
“Grande sacerdote, Dama Clio ha acconsentito ad usare i suoi doni per tentare di risvegliare Hyoga. Le abbiamo garantito che non ha nulla da temere nella casa di Atena”, disse mentre i suoi occhi passavano da Camus a Milo che rimanevano zitti e fermi ai lati di Mur.
“Dama Clio, Pandora non ha speso invano la sua parola. Siete la benvenuta. In passato il Santuario ha fatto torto all’oracolo di Delo. Mi auguro che, per tutto il tempo che desidererete rimanere, possiate trovare qui la prova che i cavalieri di Atena rispettano chi indossa le sacre vesti sacerdotali anche se di altrui divinità”, disse Mur scendendo i pochi scalini che lo separavano dai suoi ospiti e tendendo una mano alla pizia. Stavolta Clio si mosse, sopravanzò Pandora ed Ikki e giunse ad un passo da Mur. Lo guardò dritto negli occhi e il grande sacerdote sentì un brivido attraversarlo mentre invano provava a distogliere lo sguardo da lei. Clio posò la propria, piccola, bianca mano in quella di Mur. La sua voce sembrò un battere d’ali di farfalla.
“Sono grata a lady Pandora per l’occasione che ci ha dato di tornare a parlarci, grande sacerdote di Atena. Farò ciò che potrò per essere d’aiuto. Io non nutro alcun rancore per quanto accadde molto tempo fa.”
A queste parole Camus si voltò appena a cercare lo sguardo di Milo. Questi era completamente rapito da Clio e non fece caso al proprio compagno che invece non si sentiva per nulla a suo agio in presenza di quella bellissima e strana creatura.
Camus non si poteva certamente annoverare tra i cavalieri d’oro che più avevano una vita al di fuori del Santuario. Milo, che tra tutti i dodici, lo conosceva e lo frequentava maggiormente, dubitava che si togliesse l’armatura quando andava a dormire.  Non che non avesse mai avuto una vita, come dire, privata. Aveva amato una donna molto tempo prima di trasferirsi per sempre al santuario. Quell’amore però se l’era preso il ghiaccio della Siberia e lui aveva usato quel poco calore che gli era rimasto nel cuore per crescere due bimbi infreddoliti e soli. Ne aveva fatto due cavalieri possenti e valorosi. Non aveva rimpianti per quanto aveva fatto di tutti i suoi giorni. L’unica donna rimasta nella sua vita era Atena. Pertanto, che non fosse particolarmente affascinato dalla bellezza e grazia di Clio, non era un fatto particolarmente bizzarro. Il modo in cui aveva detto che non portava rancore aveva fatto pensare a Camus esattamente il contrario. Fu distratto da questi pensieri dal cosmo di Atena. Lo percepirono subito tutti e tutti si voltarono verso l’arco di marmo dietro al trono.
Saori fece il suo ingresso accompagnata dal cavaliere di Sagitter. Clio la osservò con attenzione. Indossava un abito bianco che le lasciava scoperte le spalle. Sotto al seno si  stringeva evidenziando la vita sottile. Scendeva leggero fino ai piedi fasciati da un paio di sandali bassi. Non portava gioielli né fasce nei capelli. Non aveva un filo di trucco sul viso. Splendeva. Per un momento pensò che fosse la luce dell’armatura indossata dall’uomo alle sue spalle ma capì subito che era il contrario. Era l’armatura a brillare di luce riflessa. Clio concentrò la sua attenzione sui lineamenti del cavaliere alle sue spalle. Sembrava poco più di un ragazzo. Non molto più alto, più forte o più sveglio di qualsiasi altro cavaliere che lei avesse mai visto. Era quello il cavaliere leggendario? L’uccisore di dei di cui aveva sentito parlare?
Fu proprio mentre stava per tornare a guardare Atena che si accorse di un particolare. Dal momento in cui erano entrati nella stanza, quel cavaliere non aveva mai, neppure per un secondo, distratto il suo sguardo dal corpo di Atena. Non l’aveva degnata della sua attenzione neppure un attimo per pura curiosità.
“Benvenuta al grande tempio, Clio, voce di Apollo.” Saori fu l’unica ad osare nominare esplicitamente il dio del sole.
“Vi ringrazio Atena. Spero che non vi attendiate troppo da me.”
“La vostra presenza qui è già un dono. Non osavo sperare neppure in questo. Pandora,” disse rivolgendosi alla donna vestita di nero e prendendole una mano “ti sono riconoscente per il tuo intervento.”
“Ho fatto tutto ciò per Shun, lo sapete.”
“Lo so e comunque te ne sono grata”, disse Saori rivolgendosi di nuovo a Clio “Dama Clio sarete stanca per il viaggio. Le mie ancelle hanno preparato delle camere per voi. Ormai è tardi per raggiungere Shun adesso. Inoltre non è stato informato, come voluto da suo fratello, della possibilità che voi possiate risvegliare Hyoga. Sarebbe meglio avvertirlo della cosa. Ikki potrebbe farlo stasera. Voi e lady Pandora sarete mie ospiti qui alla tredicesima casa. Volete?” Clio annuì.
“Molto bene, allora, desiderate cenare prima?” chiese Saori.
“Non sarebbe affatto male mangiare qualcosa accompagnata da un buon bicchiere di vino!” esclamò Pandora e lei allargò un braccio ad indicare un corridoio laterale.
In quel momento però la porta del salone si aprì lasciando entrare Shura. Il cavaliere avanzò fino ai piedi di Atena e si inginocchiò.
“Mia signora, perdonate il disturbo. Shaina desidera essere ricevuta.”
“E’ molto tardi e Atena sta accogliendo degli ospiti”, intervenne Mur. Saori, che non aveva dimenticato il modo in cui aveva trattato Shaina durante il loro ultimo incontro, sollevò una mano.
“La riceverò. Dama Clio ci perdonerà, vero? Pandora accompagnala tu nella sala da pranzo, Milo e Camus vi scorteranno. Risolvo questa cosa e vi raggiungo.”
Pandora scambiò un cenno d’intesa con Ikki e si allontanò con Clio. Ikki rimase con Seiya, Shura e Mur.
Di nuovo la porta si aprì e Shaina fece il suo ingresso camminando a passo svelto trascinando un bambino. Seiya riconobbe quello che aveva creduto essere il nuovo allievo di Shura. Se per un momento aveva sperato che quell’incontro avrebbe potuto sistemare le cose fra Shaina e Saori, l’espressione dell’amazzone lo convinse subito del contrario.
“Posso avere spiegazioni in proposito?” disse la donna strattonando il ragazzo davanti a lei. Saori unì le mani davanti al grembo e guardò prima il ragazzino poi Shaina.
“Questo ragazzo vuole diventare cavaliere, l’ho mandato da te affinché valuti le sue capacità”, rispose l’incarnazione di Atena. La sua voce, piuttosto conciliante, calmò un po’ Shaina.
“Ecco la mia valutazione: non ha alcuna capacità! Credevo di essere stata chiara stamattina. Non ci sono allievi nati sotto le tredici stelle e se un marmocchio dice di voler combattere per un’armatura, mica lo possiamo assecondare!”
“Anche io credevo di essere stata chiara stamattina” disse Saori mantenendo la calma ma mostrandosi più decisa “quando ho detto che voglio che trovi il nuovo cavaliere di Pegasus. Visto che sembri poco fortunata nella ricerca, ho pensato di mandarti un candidato io stessa.”
“Ci sono altre cose più importanti che richiedono la tua attenzione! Oggi siamo stati attaccati da uno spectre!” disse tutto d’un fiato Shaina e Seiya guardò Mur.
“Che diavolo dici, Shaina!” esclamò il cavaliere di Sagitter.
“E’ così. Kanon è andato in cerca di Eden. Vuole sapere perché Minos è venuto a portare battaglia ad Atene.” Mur cercò di radunare i suoi pensieri e trovò immediatamente le parole per calmare Shaina. Una crisi simile proprio nel momento in cui era giunta al santuario una delle pizie era la cosa peggiore che poteva accadere.
“Shaina, lady Pandora sarebbe stata informata di una cosa simile, non credi? E comunque Eden non farebbe mai una mossa tanto avventata se intendesse muovere guerra ad Atena.”
“So quel che dico. Ci sono molti testimoni o secondo te siamo tutti dei bugiardi?”
“Shaina, calmati. Il grande sacerdote consiglia la prudenza”, disse Seiya ma in cuor suo tremava al pensiero di essersi sbagliato a giudicare le parole di Eden di quella stessa mattina. Forse il ragazzo aveva ceduto al suo lato oscuro? In quel momento la porta si aprì e comparvero Kanon, Soma, Ryhuo, Paride, Aphrodite, Death Mask ed Eden.
“Atena, perdonateci l’ora tarda ma la gravità della questione che portiamo innanzi a voi ci costringe all’urgenza. Parla Soma”, disse Kanon incitando il cavaliere di bronzo a raccontare gli eventi.
“Eravamo sulla spiaggia del Pireo, distribuivamo viveri quando all’improvviso un forte vento nero ha avvolto persone e tende. Quando si è placato, la gente ha cominciato a fuggire dinanzi ad un cavaliere vestito di nero. Io ho cercato di proteggere gli altri ma mi ha sollevato e scagliato via con un solo dito. Era come se muovesse fili invisibili. Sembravo una marionetta!”
“Non c’è dubbio sull’identità di un simile cavaliere!” esclamò Kanon guardando Eden. Il ragazzo sorrise di scherno con un’espressione che a Seiya ricordò il migliore e, allo stesso tempo, peggiore Ikki.
“Descrivete il potere di Minos ma vi ho già detto venendo qui che lui si trova all’arco di Cerbero e non gli ho dato alcun ordine di muoversi.”
“Potrebbe aver disobbedito!” intervenne ridacchiando Death Mask.
“Non potrebbe, tornerebbe al nulla. Sono stato esplicito con i giudici infernali su quali sono le regole sotto l’arco”, ribadì Eden.
“Quello era uno spectre. Lo abbiamo visto tutti, così come abbiamo visto il cavaliere di Phisces venire in nostro aiuto!” esclamò Ryhuo.
“Aphrodite, tu l’hai visto? Era davvero Minos?” chiese Mur mentre Saori continuava a passare con lo sguardo da lui a Seiya. Il cavaliere interpellato fece un passo avanti e scosse il capo.
“Mi dispiace deludere le vostre aspettative ma io non ho visto nulla. Ero con Death e quando sono arrivato sulla spiaggia era già tutto finito. Il mio allievo, tuttavia, potrà darvi dei chiarimenti. Vieni avanti Paride.” Il ragazzo biondo si avvicinò e si fece coraggio.
“Ho detto subito a tutti che non era il mio maestro. Indossava la sua armatura ma non era lui. Inoltre è svanito nel nulla non appena ha ingaggiato battaglia con lo spectre, come se il vortice nero apparso all’inizio li avesse risucchiati. Sono spariti.”
“Come farebbe un altro uomo ad indossare l’armatura di Aphrodite senza che lui se ne accorga?” chiese Soma. Saori si alzò dallo scranno e parlò.
“Solo due notti fa ho visto un uomo che indossava Sagitter ma non era Seiya”, disse lei e Shaina sollevò le mani al cielo.
“Ma questa è una follia!” esclamò.
“No,” disse una voce alle loro spalle. Non visto era infatti sopraggiunto Shaka “non è follia. L’uomo che ha visto Paride era il cavaliere di Phisces ma si trattava di Albafica, cavaliere di quella costellazione circa duecentocinquanta anni fa.” Tutti i presenti cominciarono a mormorare.
“Fate silenzio,” disse Mur “ ti prego, Shaka, continua.”
“Da qualche giorno mi sono accorto che la cicatrice del tempo non è più stabile. Credo che il fenomeno sia iniziato già da un po’ ma solo ultimamente ha assunto una dimensione, come dire, rilevante.”
“Che diavolo è la cicatrice del tempo?” chiese Shaina guardando Kanon che scosse le spalle. Mur prese la parola.
“Kanon non ne sa nulla. A quel tempo lui aveva già lasciato Atene. Saga aveva già preso il posto di Shion e Aiolos scappato con la piccola Atena. Il santuario fu attaccato dai Titani che intendevano risvegliare Crono, il loro signore. Non ci riuscirono poichè Aiolia li respinse nel labirinto del tempo da cui erano fuoriusciti. Avendo il potere sullo spazio e sul tempo, Crono aveva aperto un passaggio che collegava direttamente il grande tempio e il labirinto. Quando quel passaggio fu chiuso, chiamammo cicatrice del tempo il luogo in cui la distorsione fu sanata. Shaka pensa che quella distorsione si stia ricreando.”
“Esatto,” disse Shaka “questo spiegherebbe perché due cavalieri appartenuti ad un’altra epoca sono apparsi nel nostro tempo. La porta non è completamente aperta comunque quindi quello che vediamo non sono altro che ombre. Appaiono, all’incirca, negli stessi luoghi in cui nel loro tempo vissero l’evento cui assistiamo. Per questo abbiamo visto Albafica combattere nei pressi di Rodorio.”
“Questo non è necessariamente un bene,” disse Shura “se il tempo è distorto potremmo ritrovarci improvvisamente tra le dodici case quei nemici che un tempo ci hanno attaccato.”
“Calmiamoci tutti,” disse Mur raggiungendo il centro della stanza “non siamo privi di difese. Non dimenticate che in quel periodo, sotto le spoglie del grande sacerdote si celava Saga. Lui ha studiato più di chiunque altro la cicatrice del tempo. Ho trovato molti scritti in materia e, alcuni di essi, parlano chiaramente di come attenuare l’influenza che essa ha su questo luogo. Ho già disposto dei sigilli nei punti in cui è più facile che si creino delle distorsioni.”
“Avevi già preso delle precauzioni quindi!” esclamò Kanon e Mur annuì.
“E’ mio compito prevedere l’imprevedibile” rispose il grande sacerdote.
“Molto bene, Mur,” disse Saori avvicinandosi a lui “sono più tranquilla nel sapere che l’allerta è già alta. Ora però devo tornare da Dama Clio. Non voglio che lei percepisca alcuna preoccupazione in noi. Avvertirò comunque Pandora una volta che saremo rimaste da sole”, concluse Saori facendo per uscire ma Shaina la trattenne.
“E di lui che ne facciamo?” chiese indicando Subaru che era rimasto in disparte per tutto il tempo in religioso silenzio.
“L’ho mandato da te perché lo alleni” rispose Saori guardando il bambino che, nel frattempo, si era alzato comprendendo che l’attenzione si era di nuovo posata su di lui.
“Questo ragazzino non è protetto dal cosmo delle tredici stelle!” esclamò Shaina tirandolo a sé. Subaru si divincolò e corse incontro a Saori. Seiya gli comparve davanti e gli impedì di raggiungerla.
“Calma, ragazzino. Non è che puoi fare di testa tua!” fece Seiya sollevando una mano. Subaru non si fece intimorire e si mise in posizione d’attacco. “Vuoi batterti con me? Hai fegato!” disse Seiya sorridendo.
“Io voglio proteggere Atena e se per farlo devo battere te, lo farò!” gridò Subaru emanando una leggera luce azzurra. Seiya sorrise di nuovo, questa volta di sfida.
“Vediamo che sai fare ma sappi che so ancora lanciare il fulmine di Pegasus, marmocchio!”
“Marmocchio a me? Fatti sotto sbruffone!” disse lasciando Seiya di stucco perché davvero non si aspettava che al santuario ci fosse qualcuno sprovvisto più di lui di buone maniere. Il siparietto fece ridere Ikki e persino Saori dovette nascondere le labbra dietro ad una mano.
“Ti faccio passare io la voglia di prendere in giro la gente!” fece Seiya splendendo del cosmo di Sagitter. Subaru sentì quel potere avvolgerlo completamente e i suoi pugni ricaddero lungo il suo corpo. Non aveva mai percepito un cosmo più caldo e audace. Quello smarrimento durò solo un attimo. Quello dopo Subaru rialzò le mani e strinse i pugni. Si concentrò e la luce azzurra di prima tornò a brillare intorno a lui.
“Sei pronto, marmocchio?” gridò Seiya. Subaru annuì ma mentre dava fondo a tutte le sue energie per tirare fuori la forza necessaria a lanciare almeno un pugno, un calore ancora più forte e avvolgente del primo lo circondò. Stavolta anche quello di Seiya fu sopraffatto e tutti e due si voltarono verso la persona che emanava quel cosmo.
Saori sorrise e allargò le braccia.
“Non c’è bisogno che combattiate. Percepisco il potere di Subaru. Non so dire se sarai degno di Pegasus” disse Atena “ma meriti una possibilità. Shaina, lo addestrerai.”
“Quindi il mio parere non conta nulla? E’ a malapena dotato di un cosmo. Sarebbe indietro a tutta la classe. Persino Jona e Josa sono più forti di lui!” rispose la donna agitando le braccia in aria.
“Avanti, Shaina, dagli un’opportunità!” fece Seiya “Almeno il coraggio non gli manca!”
“Non gli manca la faccia tosta” disse lei “e questo è tutto!” Saori tossì per richiamare l’attenzione.
“Visto che la pensi così, Seiya,” disse Saori sorridendo “se Shaina non lo accetta, gli darai tu l’opportunità di addestrarsi.”
“Cosa?” esclamarono contemporaneamente il cavaliere d’oro e il bambino suscitando l’ilarità di Mur e Ikki.
“E’ deciso!” disse Atena “Da oggi, Subaru, Seiya sarà il tuo maestro.”
“Saori, aspetta un momento, non sono portato per queste cose! Non ho mai avuto un allievo!” esclamò il cavaliere d’oro.
“C’è sempre una prima volta per tutto, Seiya. E ora perdonatemi ma devo cenare con lady Pandora e dama Clio. Ikki, avvisa tuo fratello di quanto sta per succedere. Shaina, buonanotte!”
Saori svanì nel corridoio lasciando Seiya e Subaru a guardarsi di sbieco.

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La piantina di Andromeda era rifiorita anche quest’anno aprendo i suoi campanelli al vento di Atene. Shun la innaffiava metodicamente e, da quando faceva più caldo, lasciava la finestra aperta perché Hyoga potesse vederla.
Ovviamente la speranza che questo accadesse nonostante Hyoga giacesse in un sonno profondo era tutta negli occhi grandi di Shun ma nell’ultimo anno, insieme alla pianta in questione, aveva imparato a coltivare anche la fiducia e la forza di volontà necessarie a credere che il risveglio dell’amico sarebbe, prima o poi, avvenuto.
Per questo ogni giorno comprava pane per due persone e apparecchiava la tavola anche per lui. Faceva il bucato e metteva in ordine la piccola casa di Hyoga come sapeva che lui avrebbe fatto. Quando era visitato da June e Yuna o da Seiya e Saori, ringraziava anche per conto di Hyoga.
Neppure per un dei trecentosessanta giorni passati aveva dubitato che si trattasse solo di una questione di tempo.
Hyoga era partito da Atene per cercare di salvare Flare, condannata per aver cospirato contro la sua stessa gente a favore di Nettuno. Era tuttavia caduto vittima di un sortilegio che lo aveva privato dei suoi ricordi come guerriero di Atena. Lui aveva usato ogni mezzo a sua disposizione per salvargli la vita, persino il potere ancora sopito in lui di Hades. Aveva ottenuto solo di gettarlo in quel sonno senza sogni.
Si avvicinò al letto con l’intenzione di spegnere la candela che si consumava sul suo comodino. Ormai era ora di coricarsi anche per lui ma un rumore lo portò alla porta di casa. Quando l’aprì, un sorriso nacque sul suo volto.
“Ikki, sei tornato! Perché non mi hai avvertito, fratello!” disse Shun abbracciandolo. Questi ricambiò la stretta.
“Vuoi tenermi sulla porta o mi fai entrare?”
“Hyoga dorme”, disse Shun abbassando la voce e Ikki sorrise “Perdonami, lo so che fa sorridere che dica una cosa del genere. Fa parte del mio modo di accettare questa situazione. Se non mi comportassi così, credo impazzirei. Forse sono già impazzito.”
“Prendimi una birra e andiamo fuori a parlare.” Shun fece quanto detto e si ritrovarono sui gradoni dell’arena sotto il cielo stellato.
“Doveva essere davvero fissato con gli allenamenti per trasferirsi in un luogo come questo”, disse Ikki stappando la bottiglia e bevendo un sorso.
“Avresti dovuto vedere quanto!” rispose il fratello sorridendo.
“Ti trovo più magro dell’ultima volta che ci siamo visti, non mangi e non dormi abbastanza.”
“Mangio per due, ti assicuro, ma non dormo. O almeno non riposo. Comunque gli accordi con Hyoga sono questi. Io mangio la sua parte e lui dorme anche per me!” fece Shun sforzandosi di sorridere.
“Non mi sembra un accordo salutare per nessuno dei due!” esclamò Ikki riattaccandosi alla bottiglia.
“Quando siete arrivati?” chiese Shun per cambiare discorso “Ci sono anche Pandora ed Eden, vero? Non vedo mio nipote e mia sorella da mesi!”
“Tua sorella?”Ikki si voltò a guardarlo. Shun rise.
“Avanti, ora non sarai arrabbiato perché la chiamo così! E’ tua moglie e tu sei mio fratello quindi lei è mia sorella in qualche modo!”
“No, è tua cognata!” Shun scoppiò a ridere e Ikki fece altrettanto porgendogli la birra. Shun esitò poi afferrò il collo della bottiglia e prese un sorso della bibita fredda.
“Siamo arrivati due giorni fa.”
“E vieni solo ora a trovarmi?”
“Hai ragione, perdonami ma Pandora doveva sbrigare prima una faccenda. Ha combinato un paio di cose negli ultimi tempi.”
“Cose di cui io dovrei preoccuparmi?” chiese Shun restituendo la birra. I suoi occhi si erano tinti del buio della notte. Ikki scosse il capo.
“Eden ha tutto sotto controllo, credo,” Nell’udire quelle parole, gli occhi di Shun tornarono verdi “ma devo comunque parlartene.”
“Ti ascolto.”
“Bene ma ti chiedo solo, qualunque sia l’effetto che le mie parole faranno su di te, di non crearti alcuna illusione.” Shun annuì. “Pandora ha risvegliato Minos e Aiacos. Sarebbe meglio dire che ha chiesto ad Eden di farlo. E’ così tornata in possesso del libro dei vivi e dei morti. Ha scoperto che esiste qualcuno che è in grado di risvegliare Hyoga dal suo sonno. Si tratta delle pizie, le sacerdotesse di Apollo.”
“Credi che abbia ragione?”
“Ha ragione di certo.”
“Allora perché siamo ancora qui? Chiediamo ad Atena il permesso di andare a parlare con le sacerdotesse di Apollo, magari in tempo di pace ci ascolteranno!”
“Già fatto”, disse Ikki risoluto.
“Avete parlato ad Atena?”
“Abbiamo condotto qui una delle pizie.” Gli occhi di Shun si fecero liquidi.
“Ti ho detto di non farti alcuna illusione. Non è detto che Hyoga si risvegli. Domattina Pandora e dama Clio verranno a provarci. Per ora è meglio se andiamo a letto”, concluse Ikki alzandosi e guardando il cielo. Sapeva che se si fosse fermato a guardare il fratello, lo avrebbe visto col volto rigato di lacrime di gioia e paura.
“Grazie, Ikki”, rispose invece Shun mettendogli una mano sulla spalla “immagino che non deve essere facile per te vivere all’arco di Cerbero.”
“Ho mancato nell’essere un fratello per te. Costi quel che costi, sarò un padre per Eden.”
“Allora ti do un avvertimento,” disse Shun e Ikki si voltò immediatamente poiché la voce che aveva parlato era di Shun ma le parole non venivano da lui “il tempo si è perso. Se mio padre ci avesse amato meno della metà di quanto tu ami Eden, il tempo non si ritorcerebbe contro di noi.”
“Shun, di che diavolo stai parlando?”
“Non lo so, fratello. A volte la parte di me che ancora possiede i poteri di Hades mi parla.”
“Atena sa di questa nuova minaccia?” Shun annuì.
“Gliene ho parlato l’ultima volta che ha visitato Hyoga. E comunque l’ha già percepito. Qualcosa la turba dal profondo. A volte è come se non fosse più Saori.”
“Che intendi dire?” chiese Ikki preoccupato.
“Che ultimamente c’è sempre meno spazio per la donna in lei e la dea si sta facendo potente. Quasi aggressiva.”
“E Seiya se ne sta con le mani in mano?”
“Ovviamente no. Ma credo che ci manchi ancora qualche pezzo del puzzle per capire che sta succedendo. Mai come oggi Seiya ha bisogno dei suoi compagni.”
“D’accordo. Però rincasiamo. Domani ci aspetta una giornata importante.”
Discesero la scalinata dell’arena e fecero ritorno nella piccola casa di Hyoga.

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L’indomani mattina il sole splendeva alto su Atene. Clio si era alzata di buon’ora e aveva deciso di lasciare le sue stanze prima che Pandora andasse a cercarla.
Le fu estremamente facile lasciare la tredicesima casa ma scoprì immediatamente che, ovunque andasse, due occhi la seguivano. Si trattava della piccola Raki. Aveva notato fin da subito che somigliava al grande sacerdote e aveva deciso di ignorarla per un po’. Tuttavia quando giunse alla casa di Phisces, la costrinse a venire allo scoperto.
“E’ maleducazione seguire di nascosto qualcuno, soprattutto se quel qualcuno avesse più piacere a passeggiare in compagnia.” La bimba fece capolino da dietro una colonna e sorrise.
“Perdonatemi dama Clio, sono curiosa.”
“Semplice curiosità? Allora non sei qui per controllarmi, vero?” La bimba scosse il capo e i suoi capelli castani ondeggiarono “Bene, allora fammi da guida.”
“Io mi chiamo Raki e ti accompagnerò volentieri dove vorrai.”
“Mi farai visitare le dodici case?” chiese Clio piegando leggermente la testa di lato.
“Posso condurti fino alle case ma spetta ai cavalieri d’oro darti il permesso di visitarle.”
“Chiediamoglielo allora!” esclamo Clio tutta contenta. La bambina le fece strada. Come lei le aveva detto, Aphrodite di Phisces le accolse alla dodicesima casa e le chiese il motivo per cui dovesse attraversarla.
“Mi hanno detto che l’uomo che giace nel sonno dei non morti riposa in una casa vicino all’arena ai piedi del tempio. Devo andare la.”
Aphrodite la lasciò passare e la condusse fino all’estremità opposta della sua casa.
“Vi saluto, dama Clio, la vostra bellezza è incomparabile” disse Aphrodite “vi chiedo di perdonare i modi gelidi del mio compagno Aquarius poiché temo che non sarà altrettanto galante.” Clio sorrise, fece un inchino e proseguì.
Le parole di Phisces si rivelarono profetiche poiché quando raggiunse la soglia dell’undicesima casa, non c’era nessuno ad attenderla. Una brina sottile rivestiva il pavimento d’ingresso della casa di Aquarius e Clio avvertì i brividi del freddo non appena vi mise piede.
“Questa non è una casa ospitale!” esclamò.
“Non è così,” spiegò Raki “il cavaliere di Aquarius domina le energie fredde ed è per questo che questa casa è naturalmente gelida.”
“Non è un buon motivo per far morire di freddo i suoi ospiti!”
“Non ricevo ospiti così spesso da dover mutare le mie abitudini e quelli che ricevo, di solito, non si lamentano del clima del luogo!” La voce di Camus risuonò all’interno della sala centrale dell’undicesima casa e Clio vide emergere dalla nebbia la figura del suo protettore.
“Perdonatemi, cavaliere, non intendevo mancarvi di rispetto” si scusò subito Clio.
“Non avete mancato nel lamentarvi ma nell’entrare nella mia casa senza averlo domandato.”
“E a chi potevo domandarlo? Non c’era nessuno all’ingresso!” squittì la donna.
“Ho letto che le pizie sono sacerdotesse che hanno fatto voto del silenzio. Le uniche volte in cui aprono bocca, lo fanno per profetizzare qualcosa” disse Camus incrociando le braccia davanti al petto.
“Non tutto ciò che è scritto sui libri corrisponde alla realtà, cavaliere!” fece lei sorridendo maliziosa.
“E’ una bizzarra affermazione per colei che possiede la pergamena del Fato!”
“Io non parlo per me stessa, cavaliere, sono solo un oracolo. E chiedo di passare per compiere ciò per cui sono stata condotta qui. Se non sbaglio l’uomo che mi hanno chiesto di salvare era tuo discepolo.” Camus non aggiunse altro. Condusse la donna all’altra estremità della casa e la lasciò uscire. La sensazione di estremo disagio che aveva provato la notte prima non lo abbandonò neppure quando la figura svanì oltre la curva delle scale che discendevano verso la decima casa.
Raki diede un’ultima occhiata a Camus e poi si lanciò alla rincorsa di Clio. Quando la donna raggiunse la decima casa, Raki era già di fronte all’ingresso.
“Come sei arrivata prima di me?” chiese Clio sorpresa.
“Il popolo di Mu possiede molti doni!” rispose sorridendo la bimba “Qui non troverai alcun cavaliere d’oro a difesa della casa. Shura di Capricorn è il braccio armato di Atena che sempre vigila sulla sua vita.”
“Allora non dovremo chiedere il permesso a nessuno per passare,” rispose Clio.
“Al contrario!” esclamò una voce e una figura elegante e sinuosa venne incontro alla pizia.
“Chi sei?” chiese Clio.
“Tu non sei quella che sa tutto e che sveglierà Hyoga dal suo sonno?”
“Io non so tutto. So solo quello che gli dei vogliono che gli uomini sappiano”, disse Clio facendo un inchino.
“Io sono colei che protegge i confini del Santuario e che vigila al suo interno. Sono il comandante dei soldati delle dodici case. Il mio nome è Ophiucus Shaina.”
“Un cavaliere sacerdotessa! Non ne avevo mai viste!” Shaina rimase interdetta dall’entusiasmo della fanciulla “Devo dunque chiedere a te il permesso di passare per questa casa?” Shaina scosse il capo.
“Non posso darti alcun permesso. Posso però scortarti dall’altra parte come Shura ha ordinato di fare qualora fossi giunta qui non accompagnata da Atena.”
“Un cavaliere previdente.”
“Il più previdente di tutti”, disse Shaina facendo strada.
“Credevo che il più forte di tutti fosse il cavaliere di Sagitter”, disse Clio. Shaina non si fermò.
“Infatti ho detto previdente.”
“Non è la stessa cosa?” chiese Clio e a Shaina sembrò di parlare con una delle ancelle civettuole della casa di Milo.
“Non ne hai la minima idea!” rispose solo. Clio camminò per un po’ in silenzio e poi riprese.
“Sei davvero bella, Shaina di Ofiuco. Somigli ad una delle guerriere amazzoni di cui si circonda la dea Afrodite.” Shaina si bloccò di colpo. Prima di tutto non era abituata a ricevere complimenti. In secondo luogo, il riferimento alle guerriere di un’altra divinità la agitò.
“Io sono un cavaliere sacerdotessa. L’aspetto fisico è totalmente irrilevante. Ciò che conta per vincere le battaglie è solo la potenza del proprio cosmo.”
“Tipico della disciplina di Atena inculcare l’idea che la bellezza e la grazia non meritino la stessa attenzione della forza. Per se stessa però non ha scelto di incarnarsi un una vecchia racchia!” disse la fanciulla quasi sull’uscio della decima casa. A Shaina venne da ridere.
“Ho visto molte divinità fino ad oggi, non ne ho trovata nessuno di brutto aspetto. Evidentemente la bellezza fa parte della divinità” disse Shaina.
“Niente affatto!” le rispose Clio e Shaina fu come immobilizzata dalla potenza del suo sguardo “La vera bellezza appartiene ad una sola divinità. Se potessi vedere le altre nel riflesso dello specchio Numinoso, capiresti la realtà e vedresti la loro bruttezza. Peccato che quell’artefatto sia andato perduto per sempre!” Quando Clio terminò, Shaina si sentì di nuovo libera di muoversi.
“Non mi interessano queste cose. Se le altre divinità si faranno vedere da queste parti, noi le prenderemo a pugni sul muso che siano esse belle o brutte.” Shaina scosse le spalle e Clio uscì dalla casa di Capricorn.
“Di questo passo ci metteremo una vita a scendere,” disse Raki “che ne pensate se vi teletrasporto alla prima casa?”
“Preferisco di no, mia cara” rispose Clio affrettandosi verso la casa di Sagitter. Raki provò a convincerla ancora ma ebbe l’impressione che Clio volesse, a tutti i costi, entrare nella nona casa. E così fece. Fu inutile persino il monito della bimba di aspettare che qualcuno li ricevesse. Clio camminò dritta fino al cuore della casa di Sagitter e si fermò solo quando lo vide.
Era di schiena. Le sue grandi ali erano ripiegate sulle spalle. L’armatura aderiva perfettamente al suo corpo. I capelli castani si muovevano appena. Fu Raki a chiamarlo per prima.
“Seiya, Seiya, perdonami! Le ho detto di aspettare ma non ha voluto!” L’uomo si girò e sollevò la bambina che gli era andata incontro “Non ce l’hai con me, vero?”
“Non potrei mai, Raki! Tranquilla.” Disse posandola in terra “Dama Clio, benvenuta. Vi avevo mandato incontro Shaina. Pandora e Saori ci raggiungeranno qui.”
“Bene, allora aspetteremo insieme”, disse la donna “Raki, piccola, perché non usi quel tuo splendido potere per portarle qui in fretta?” La bambina guardò Seiya che annuì e svanì nel nulla.
“Questa casa non sembra come le altre” disse Clio “da l’aria di essere abbandonata.”
“E’ colpa mia, la trascuro.”
“Il cavaliere leggendario è troppo impegnato ad uccidere dei e mostri per badare ad una casa, non è così?” disse Clio avanzando fino ad un passo da Seiya. Sollevò il suo sguardo e lo allacciò a quello del cavaliere.
“Difendere Atena”, disse Seiya balbettando. Poteva sentire chiaramente il profumo di fiori provenire dai capelli di Clio e il calore emanato dal suo corpo. Le labbra della donna erano rosse e piene e sembravano sussurrargli parole che non avevano suono.
“Come dici?” chiese lei avvicinandosi ancora di più e posandogli una mano sul petto.
“Impegnato a difendere Atena”, ripeté Seiya con maggiore decisione.
“E lo hai fatto, cavaliere. Hai ucciso Hades nel suo vero corpo e annientato Mars. Quale ricompensa Atena ha donato ad un simile uomo?”
“Non ho chiesto ricompense. Sono un cavaliere” disse Seiya mentre la mano di Clio scivolava sull’addome e si fermava sulla cintura dell’armatura di Sagitter.
“Un cavaliere. Suona così bene,” sussurrò sollevandosi sulle punte dei piedi fino a che le sue labbra furono ad un respiro da quelle di Seiya. Clio era certa che i suoi occhi ora la stessero vedendo per bene ma, proprio mentre lei stava per baciarlo, lui voltò la testa di lato e afferrò la sua mano allontanandola.
“Un cavaliere di Atena”, concluse Seiya facendo un passo indietro. Clio stava per dire qualcosa ma un cosmo oscuro la trattenne.
“Seiya, ho percepito il cosmo di mia madre, sta arrivando” fece Eden affacciandosi dalla stanza affianco.
“Dama Clio, vi presento Eden, il figlio di lady Pandora e Ikki di Phoenix”, disse Seiya. Clio percepì subito la natura di Eden e ne rimase meravigliata. Era come se si trovasse di fronte al dio degli Inferi pur sapendo che non lo era. Non ebbe il tempo di riflettere ancora su questo perché Raki riapparve insieme al grande sacerdote, Atena e Pandora.
“Madre!”
“Eden, figlio mio!” fece Pandora stringendo al petto il ragazzo “Raggiungiamo tuo padre e tuo zio, sono certa che oggi sarà una bellissima giornata.”
“Stringetevi tutti intorno a Mur, ci porterà subito a casa di Hyoga”, disse Saori. Clio non poté non notare che Seiya avvolse Saori con le sue ali impedendo a chiunque altro persino di sfiorarla.
Ci volle davvero un istante e mentre la nona casa spariva, la casa di Hyoga prendeva forma sotto i loro occhi. Ad attenderli, oltre a Shun, c’erano Ikki, June e Yuna.
“Siate tutti i benvenuti”, disse il ragazzo dai lineamenti gentili che fu presentato a Clio come Shun. Lei ebbe la sensazione che quel ragazzo fosse come Eden. Condivideva in parte il cosmo di Hades.
“Adesso lasciamo operare dama Clio”, disse Pandora dopo i convenevoli di rito e non senza aver profuso un dolcissimo sorriso d’incoraggiamento a Shun.
La pizia s’inginocchiò di fianco al letto dove dormiva Hyoga e gli prese una mano. Sussurrò poche parole e come se l’aria intorno a loro si fosse rarefatta, Hyoga prese a respirare lentamente. Shun, che si sentì come se il cuore gli si stesse per fermare nel petto, si sporse in avanti ma Ikki lo trattenne.
“Abbi fede”, gli sussurrò Ikki all’orecchio. Nessuno osava parlare. Saori strinse le mani e pregò che, qualunque cosa stesse facendo Clio, avesse successo.
Una luce di colore rosa avviluppò il corpo del cavaliere del Cigno e poi sbiadì fino a scomparire. Solo allora Clio si alzò e raggiunse Shun.
“Ho fatto quel che dovevo. Tocca a te svegliarlo, ora”, disse piano. Shun raggiunse il letto, si chinò in avanti e accarezzò il viso dell’amico.
“Hyoga, Hyoga svegliati, è mattina.”
“Non succede niente”, disse Ikki battendo ossessivamente un piede a terra.
“Devi dargli un po’ di tempo”, gli rispose fiduciosa Pandora.
“Sei stato troppo delicato, Shun,”intervenne Seiya “dorme da un anno, dagli un ceffone!”
“Seiya, per l’amor del cielo!” esclamò June. Saori sorrise, si avvicinò al cavaliere di Andromeda e gli prese una mano.
“Prova di nuovo, Shun, fagli sentire che sei qui con lui,” disse “sono certa che ha bisogno solo di sapere questo.” Nel sentire quelle parole, Seiya sorrise.
Shun si chinò daccapo e gli mise una mano sul petto scuotendo appena il corpo di Hyoga.
Sembrava che non fosse successo nulla ma, improvvisamente, una delle mani dell’uomo biondo disteso nel letto si mosse. Prima impercettibilmente, poi in modo sempre più evidente fino a che insieme all’altra mano si mossero anche le palpebre. Hyoga, addormentato da quasi un anno intero, stava riaprendo i suoi occhi.
La gioia incontenibile dei suoi compagni si mutò in grida di gioia e lacrime inarrestabili. Le mani di Seiya e Saori si cercarono e si trovarono l’una nell’altra.
Pandora ed Ikki strinsero Eden. June e Yuna corsero dall’altro lato del letto mentre Shun rimase chino sul volto di Hyoga che apriva gli occhi.
“Shun.” La voce di Hyoga, ancora roca per il lungo sonno, uscì da un paio di labbra che piano si allargavano in un sorriso.
“Hyoga” Ormai Shun piangeva a dirotto.
“Dove sono?”
“A casa.” Rispose Shun.
“Mi hai riportato a casa alla fine.” Shun annuì. L’emozione gli impediva di continuare a parlare.
Clio assistette a tutta la scena in silenzio fino a che Saori e Pandora si voltarono verso di lei per ringraziarla.
“Dama Clio, hai tutta la nostra riconoscenza” disse Pandora mentre Saori si asciugava le lacrime dagli occhi e annuiva.
“Ho fatto ciò che dovevo”, disse la donna avanzando di qualche passo poi i sui occhi si ridussero a due fessure e perse i sensi cadendo addosso a Seiya che la prese tra le braccia prima che rovinasse al suolo.
“Dei!” esclamò Pandora “Deve essere sfinita!”
“Seiya, di la c’è un altro letto. Portala nell’altra stanza”, intervenne June.
“Vieni Seiya, ti accompagno io”, disse Saori che prima di lasciare la stanza sfiorò una mano di Hyoga e gli disse poche parole “Hyoga, sono felice che tu sia tornato. Di qualunque cosa tu abbia bisogno non hai che da chiedere.” Hyoga sorrise.
“Grazie milady, sono solo stanco”, rispose il ragazzo nel letto. Ikki lo salutò con un gesto del capo e portò via Pandora, Eden, June e Yuna cercando di lasciarlo solo con Shun. Nell’udire quelle parole, Seiya sorrise e prima di raggiungere Saori lo prese in giro.
“Stanco? Dopo un anno di sonno? Sei diventato uno smidollato Hyoga!” Il cavaliere del cigno sorrise poi, non appena vide che Seiya stava lasciando la stanza, si fece serio e lo richiamò.
“Seiya!”
“Sì?”
“Dov’è Kouga?” chiese ma né Seiya, ne Shun gli diedero una risposta.


 

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Capitolo 11
*** Rivelazioni ***


 

Rivelazioni


Da quando era rincasato, Aspros si era chiuso nella sua stanza. Cora e Niketas avevano preparato la cena ma lui non era venuto a tavola. Quando ebbero terminato il pasto, Niketas sbatté le mani sul tavolo facendo sussultare Cora.
“Ora basta! Ho disobbedito, è vero, ma non è successo niente. Non capisco perché deve tenere il muso così!” Si alzò da tavola e raggiunse la porta della camera di suo zio. Bussò. Una, due volte.
“E’ aperto”, si sentì dire dall’altro lato. Niketas fece l’occhiolino a Cora ed entrò.
“Zio, stai bene? Volevo scusarmi.” Aspros, seduto sul letto con i gomiti sulle ginocchia, sollevò lo sguardo e gli fece cenno di avvicinarsi.
“Come va la spalla?”
“Bene. Quasi non mi fa più male.”
“Meglio così.”
“Zio, se io sto bene, perché tu te la prendi tanto?”
“Non sono più arrabbiato.”
“Allora cos’hai?” lo incalzò il ragazzo sedendosi di fianco a lui.
“Niketas, oggi è successa una cosa grave. Qualcosa che potrebbe costringermi a tornare al mio vecchio lavoro anche se temporaneamente.”
“Non vedo dov’è il problema. Finché stiamo insieme, non m’importa di nulla. Certo dovremo trovare una sistemazione per Cora. La poverina avrà bisogno di qualcuno che si prenda cura di lei!” disse Niketas strofinandosi il mento con una mano in un’espressione che Aspros trovò allo stesso tempo dolce e buffa.
“In realtà, se dovesse essere necessario per me andare, pensavo di affidarti per qualche giorno a mio fratello, Defteros.”
“Allo zio Defteros? Ma io non lo conosco neppure!”
“Non fare il piagnone, Niketas. E’ uguale a me, siamo gemelli!”
“E che vuol dire? Io non lo conosco lo stesso. E a Cora hai pensato?”
“Defteros verrebbe a stare qui. Sarebbe solo per qualche giorno.”
“Non voglio separarmi da te!” cominciò a gridare Niketas.
“Prima cosa: non urlare. Seconda: mi hai ascoltato quando ho detto che si tratterebbe di qualche giorno? Devo solo andare a controllare una cosa.” Niketas si alzò dal letto più arrabbiato di prima.
“Avevi detto: niente bugie! Tu però ora non mi dici la verità! Ha a che fare con i cavalieri della spiaggia, giusto?” Aspros rise.
“Niketas ti accuso sempre di somigliare a tuo padre ma devo riconoscere che hai preso molto da tua madre invero. E va bene. Per qualche giorno io mi assenterò se mio fratello acconsentirà a venire qui a badare a te e a Cora. Io devo andare al Santuario di Atena.”
“Atena? E perché mai? Hai detto che tu non hai fede.”
“La fede!” sbuffò Aspros “Non è solo la fede che alimenta il potere di un cavaliere!”
“E tu che ne sai?” s’impuntò Niketas.
“Ne so abbastanza per essere io stesso un cavaliere.” Se la mascella di Niketas avesse potuto staccarsi dal resto della sua testa e finire sul pavimento, ci sarebbe senz’altro cascata. Aspros continuò tirando a sé il ragazzo “Fino all’incidente dell’anno scorso, ero un cavaliere di Atena. Non molto diverso da quello vestito d’oro di cui mi hai parlato oggi. I cavalieri d’oro, Niketas, sono i cavalieri più vicini alla dea Atena e qualunque cosa facciano nella loro vita, hanno il compito di proteggerla.” Niketas guardava suo zio come lo vedesse per la prima volta. “So che adesso ti sembrerà tutto strano ma le cose stanno così. Un anno fa ho giurato a tua madre di proteggerti e ho lasciato il mio posto a mio fratello. Ora ho bisogno di tornare lì per qualche giorno. Devi stare tranquillo. Defteros è forte quanto me. Vi proteggerà.” A quelle parole Niketas sembrò riacquistare il potere di controllare il suo corpo.
“Zio, fammi venire con te! E’ per questo che mi hai addestrato finora, giusto? Tutti quegli allenamenti senza senso servivano ad insegnarmi a combattere! Uno dei ragazzi sulla spiaggia ha detto che mi muovevo come uno degli allievi del santuario!”
“Niketas” fece Aspros mettendogli le mani sulle spalle “i cavalieri non si allenano sulla spiaggia con le onde o i sacchi di sabbia. Sei ben lontano da quel livello. Facciamo un patto. Se tu stavolta resti qui buono con mio fratello, io ti prometto che ti addestrerò come cavaliere e, un giorno, ti porterò al Santuario.” Niketas si calmò e annuì anche se era ancora perplesso.
“Bene. E ora andiamo a mangiare. Ho fame.”
“Noi abbiamo già mangiato, zio.”
“Bravi! Gli scrupoli ti sono venuti a pancia piena!” Niketas si fece rosso come un peperone.
“Scusa, zio!” Aspros lo tirò a sé e gli schiacciò il viso contro il suo corpo.
“Non scusarti. Hai fatto bene. Voglio che tu sappia una cosa Niketas. Non importa quali doveri io abbia come cavaliere. Tu vieni prima di ogni cosa.”
Il ragazzino non disse più nulla ma lo strinse forte e si augurò che stavolta suo zio stesse dicendo la verità e che la loro separazione durasse davvero pochi giorni.

 ------------------------

Shun aveva lasciato che Seiya accompagnasse dama Clio nell’altra stanza e aveva versato dell’acqua per Hyoga in un bicchiere.
“Bevi con calma, Hyoga.”
“Non avete risposto alla mia domanda.” In quel momento la porta dell’altra stanza si aprì e Seiya rientrò nella camera di Hyoga. Quest’ultimo bevve un sorso d’acqua e ridiede il bicchiere a Shun.
“Hyoga, come ti senti? Sei rimasto privo di sensi per quasi un anno!” chiese Shun.
“Un anno?”
“Già, amico mio!” esclamò Seiya “Devo avvertire subito Shiryu che ti sei svegliato! Magari è la volta buona che fa un salto qui, che dici Shun?” Il ragazzo annuì entusiasta.
“Aspettate!” li fermò Hyoga “Non mi avete ancora risposto. Dov’è Kouga?”
“Hyoga, di chi parli?” chiese il cavaliere di Andromeda stavolta con un’espressione preoccupata sul volto. Hyoga guardò Seiya e strinse le lenzuola.
“Forse sei ancora un po’ confuso, Hyoga” disse Seiya mettendo una mano su una delle spalle di Shun che adesso non riusciva più a nascondere la preoccupazione per l’agitazione che, mano a mano che la conversazione continuava, cominciava a prendere Hyoga.
“Tu, proprio tu, non ricordi chi è Kouga?” insistette il cavaliere del cigno.
“Mi dispiace,” si scusò Seiya “ma non conosco nessuno con quel nome, non è vero Shun?”
“Ha ragione, Hyoga, qui non c’è nessuno con quel nome.”
“Per favore, chiamatemi Saori” disse allora Hyoga con decisione “lei di certo mi darà ascolto!” Seiya scosse il capo.
“Saori sta accudendo dama Clio che è svenuta. Ti assicuro che al santuario non c’è nessuno con quel nome, Hyoga. Forse appartiene al mondo in cui se stato immerso fino a poche ore fa. Chissà quali effetti ha avuto su di te quella pietra asgaardiana!”
“Seiya! Ma come puoi parlare così?” esclamò Hyoga il cui volto parve però essere illuminato da una qualche idea “Ma certo! Saga! Lui sa tutto! Dov’è Saga?” I volti di Shun e Seiya si rabbuiarono. Fu Seiya a parlare.
“Hyoga, Saga è morto nell’ultima battaglia contro Mars.”
“Morto? E Kouga che fine ha fatto?”
“Te lo ripeto Hyoga, non c’è nessuno con quel nome al santuario.”
“Smettila Seiya! Tu devi ricordarti di Kouga! Non puoi averlo dimenticato!”
“Hyoga, ti prego,” tentò Shun “devi calmarti. Spiegaci perché è tanto importante per te sapere di questo Kouga.” Hyoga prese un respiro e parlò con calma per cercare di essere quanto più convincente possibile.
“Seiya, tu devi ricordarti di Kouga perché Kouga è tuo figlio.”
“Ma che diavolo stai dicendo?” esclamò il diretto interessato che sentì qualcosa tirare dentro. Da mesi ormai lottava contro la rabbia di Saori che lui sapeva nascere dal fatto che la loro vita al santuario era ormai arrivata ad un bivio. Non potevano vivere più vicini di così ma non riuscivano a separarsi. E adesso Hyoga si risvegliava dal mondo dei sogni dicendo che lui aveva un figlio? La rabbia lo portò ad avventarsi contro l’amico ma Shun lo fermò.
“Seiya, ti prego! Hyoga, tu non sai quel che dici!” Nonostante la reazione dei suoi compagni, Hyoga continuò più deciso che mai.
“Dico la verità! Fatemi parlare con Saori!”
“Tu non la turberai con un’idea simile!” disse Seiya tra i denti mentre cercava di liberarsi dalla presa di Shun con maggiore convinzione.
“E perché dovrebbe esserne turbata? Tu non capisci il pericolo che corre se non si trova entro i limiti della barriera!”
“La barriera è caduta molto tempo fa, Hyoga,” disse Shun sempre intento a trattenere Seiya “ti prego, sii ragionevole!”
“Allora Kouga è in grande pericolo! La sua natura deve essere nascosta! Saori deve fare qualcosa!” Saori fece capolino in quel momento dall’altra stanza.
“Mi avete chiamata?” disse sottovoce “Dama Clio è ancora svenuta, se vi serve qualcosa non avete che da chiedere.”  Shun lasciò andare Seiya che si affrettò a rispondere.
“Non abbiamo bisogno di nulla, Saori” disse guardando però Hyoga con occhi supplici.
“Perdonatemi, Milady, è tutto a posto. Stavamo ricordando i vecchi tempi e abbiamo alzato la voce” disse Hyoga.
“Cercate di fare piano, Clio riposa”, disse lei chiudendosi la porta alle spalle.
“Grazie Hyoga,” disse Seiya.
“Non ringraziarmi, ascoltami. Se Kouga non è al grande tempio allora è in pericolo.”
“Non credi che se avessi un figlio lo saprei?” chiese Seiya allargando le braccia e cercando sostegno in Shun.
“A quanto pare non è così. Lascia che ti racconti la storia di Kouga”, pregò Hyoga.
“Tredici, anzi no quattordici se consideriamo l’anno che ho trascorso dormendo, anni fa Mars ha attaccato Rodorio e trascinato Saori in una trappola.”
“Questo me lo ricordo bene!” esclamò furioso Seiya “Io stesso l’ho attaccato con la daga deicida per riportarla al santuario.”
“Prima di riportarla al santuario sei stato con lei sull’altura delle stelle però!” disse Hyoga e Shun divenne rosso come uno dei papaveri che fiorivano in mezzo al grano durante l’estate di Atene. Seiya balbettò.
“Tu come lo sai?”
“Me lo hai detto tu. E tu non fare quella faccia Shun. Lo hai saputo prima di me. Tu c’eri quando è nato.”
“Stai dicendo che io e Saori avremmo avuto un bambino?” continuò Seiya.
“Tu e Saori avete avuto un bambino!” ribadì Hyoga.
“Shun, prendimi qualcosa da bere e che sia forte!” disse Seiya accasciandosi sulla sedia vicino al letto dell’amico.
“Non credo proprio che sia il caso che io vada di la adesso,” disse Shun indicando la stanza attigua in cui Saori badava a Clio.
“Già, continua Hyoga.”
“La gravidanza è stata mantenuta segreta. I cavalieri d’oro non avrebbero capito. Saga ha fatto di tutto per mantenere il riserbo più assoluto ma qualcuno ha dovuto saperlo. Ne erano a conoscenza, oltre me, Mur, Saga, Shun e Shaina. Tu hai stipulato il patto della fiamma per creare una barriera che fosse forte abbastanza per impedire ad altre divinità di percepire il cosmo semidivino di Kouga.”
“Tutto questo è assurdo!” disse Seiya.
“Assurdo forse, ma vero e tu lo sai. Perché saresti diventato cavaliere di Sagitter? Perché avresti passato tredici anni sull’altura delle stelle? Questo te lo ricordi vero?”
“Sì, ma non ho alcuna memoria del bambino.”
“Se guardi dentro di te, so che puoi sentire che sto dicendo la verità.” Seiya si guardò i pugni.
“Se fosse vero, e non sto dicendo che lo è, dove sarebbe finito? La barriera è caduta molto tempo fa, possibile che nessuno si sia reso conto della sua esistenza?”
“Chiediamo a Saori di cercarlo. Il cosmo di Kouga è affine al suo.”
“No!” disse Seiya alzandosi di scatto “Non pensi a cosa accadrebbe se scoprissimo che è morto nella battaglia contro Mars? Saori non lo sopporterebbe e tu devi promettermi che non le dirai nulla fino a che io non avrò scoperto come stanno le cose! Anche tu Shun!”
“Certo, Seiya”, disse quest’ultimo “è comprensibile. Solo che non posso fare a meno di pensare ad una cosa.”
“A cosa?” chiese Hyoga.
“Al fatto che Saori non ha mai accettato l’idea che Saga sia morto. Forse il suo subconscio ricorda qualcosa di Kouga.” Seiya strinse un pugno ricordando il litigio che aveva avuto con Saori riguardo all’idea di non potere avere una vita normale.
“Ora come ora posso solo cominciare a raccogliere indizi. Se davvero c’è un bambino la fuori che è mio figlio, non posso lasciarlo solo ancora a lungo!”
“Sta tranquillo Seiya,” disse Hyoga con un tono più conciliante “Ha avuto Shaina e me come maestri e Saga come patrigno. Non è uno sprovveduto. Si è guadagnato l’armatura di Pegasus.” A quelle parole Seiya tremò. Finalmente in ogni filo che si era ingarbugliato negli ultimi mesi vedeva alcuni nodi sciogliersi. Saori che piangeva e urlava perché trovassero il nuovo cavaliere di Pegasus, il fatto che la donna non riuscisse a convincersi della morte di Saga, i ricordi dell’ultima battaglia confusi.
“Hyoga, Shun, mi siete testimoni. Se in tutto questo c’è lo zampino di Saga, questa volta lo ammazzo sul serio!”
“Chi vuoi ammazzare?” Saori era sulla porta con una bacinella d’acqua in mano.
Lui la guardò e gli sembrò di vederla davvero dopo un’eternità. Neppure al suo risveglio nel tempio di Artemide le era sembrata tanto bella.
I suoi occhi erano stanchi ma il loro colore era ancora brillante. Kouga aveva forse occhi come i suoi? Doveva. Per forza. Le sue mani bianche e affusolate erano ancora segnate dai graffi della notte prima. Il segno tangibile degli incubi che la costringevano a non essere se stessa. E come poteva essere se stessa se una parte di lei le era stata strappata? Aveva detto di non sentirsi più sicura dei suoi sentimenti verso di lui. Povera Saori. E lui non le aveva creduto. Aveva dubitato della forza del suo cuore. Aveva preferito credere che stesse impazzendo, che la dea fosse diventata più forte della donna mentre era esattamente il contrario. La donna si stava ribellando con tutte le sue forze a quello strano destino. Forse Mur aveva torto. Forse un nemico subdolo come Crono, capace persino di piegare il tempo, aveva già attaccato portandogli via quanto di più prezioso avesse.
Senza rendersene conto si era avvicinato a lei. Saori piegò appena la testa di lato e lo guardò con un’espressione interrogativa sul volto.
“Seiya, stai bene?”
“Dopo tanto tempo, sì, Saori, sto bene.”
“Che è successo qui?” chiese lei guardando Hyoga e Shun. I due sorrisero bonariamente.
“Niente, Milady, sapete che Seiya è strano, no?” Saori passò il bacile a Shun che lo mise a posto.
“Adesso dovrà mettere la testa a posto!” disse allora lei ridendo. Seiya si fece serio.
“Davvero? E perché?” Chiese Hyoga.
“Gli ho assegnato un allievo! Dovrà allenare il futuro cavaliere di Pegasus!”
Seiya, Shun e Hyoga impallidirono. Seiya aveva completamente dimenticato Subaru.
“Credo che non abbia le qualità adatte per essere il cavaliere di Pegasus! Magari potrebbe diventare cavaliere di qualcos’altro!”
“Non esiste l’armatura di qualcos’altro, Seiya!” esclamò Saori sorridendo “E poi è stato già deciso! Ora dammi una mano a portare Dama Clio alla tredicesima casa. Lasciamo Shun e Hyoga un po’ da soli, va bene?” Seiya annuì e sparì oltre la porta per tornare poco dopo con Clio tra le braccia.
Salutarono i due uomini e presero la via per le dodici case.

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Cora aveva sparecchiato la tavola e lavato i pochi piatti che avevano utilizzato per la cena. Il rumore della porta della camera accanto la fece voltare. Aspros richiuse la porta e le fece intendere che Niketas si era addormentato. Lei posò sul lavello la pezza con cui aveva asciugato le mani e sospirò.
“Va tutto bene?” chiese l’uomo.
“A dire il vero, no”, fece lei tornando a giocare con il nastro per i capelli che aveva legato al polso. Aspros prese un bicchiere e si versò dell’ouzo sedendosi a tavola.
“Che succede?”
“Non mi sento bene. Ho un forte mal di testa e continuo a provare la spiacevole sensazione che non dovrei essere qui ma in un luogo dove ho lasciato in sospeso qualcosa d’importante.” Aspros bevve tutto d’un fiato il contenuto del suo bicchiere e parlò.
“Se ti dicessi che so qualcosa di te che tu in questo momento ignori, mi crederesti?”
“Si tratta del motivo per cui mi hai aggredita la prima volta che ci siamo incontrati?” Aspros annuì.
“Allora parlamene, ti prego. Qualunque cosa sia, preferisco sapere che continuare a torturarmi in questo modo.”
“Siediti”, disse Aspros avvicinando una seggiola alla sua. La ragazza obbedì.
“Sull’isola di Delo vive un gruppo di giovani donne che sono dedite alla custodia di un oggetto sacro. Si chiama pergamena del fato ed è un testo che contiene il destino di tutte le cose. Le fanciulle che lo custodiscono sono chiamate pizie e ricevono il potere di profetizzare il futuro dal dio Apollo.”
“Apollo”, sussurrò Cora guardandosi le mani “questo nome non mi è totalmente sconosciuto. Credi che io sia una di quelle ragazze?” Aspros annuì “Come fai a dirlo?” L’uomo si versò di nuovo da bere.
“Innanzitutto quel nastro che porti al polso. Viene chiamato tenia*. E’ di colore rosso, il colore del dio del sole e viene portato da tutte le sacerdotesse del dio.”
“Un nastro? Potrei averlo trovato ovunque!” esclamò Cora. Aspros scosse il capo.
“Quando ti abbiamo trovata sulla piaggia di Skyros, appena hai aperto gli occhi, hai detto qualcosa che aveva a che fare con un potere di oro e avorio. Lì per lì non ho capito ma hai continuato, inconsapevolmente, a profetizzare per tutto il tempo che sei stata con noi. Mi sono reso conto che non è una cosa che riesci a controllare e che quando quel momento passa, non ricordi di averlo fatto. Tuttavia é così. Sono fermamente convinto che tu sia una pizia.”
“Una pizia. E che ci facevo a Skyros? Delo è abbastanza lontana!”
“Questo non lo so e non so neppure perché ti trovavi sulla nostra isola. Che io sappia, le sacerdotesse di Apollo non possono abbandonare il loro cammino. Se ti sei allontanata da Delo di tua spontanea volontà, allora sei in guai molto grossi. La pena per l’abbandono è la morte. Forse sei scappata dal tempio di Apollo e i cavalieri del dio ti hanno inseguita per ucciderti.”
“Fuggita? Io avrei abbandonato il mio compito? Non ho memoria di niente del genere.” Aspros sorrise.
“Non mi stupisce. Se sei scampata alla collera di Apollo, è già un miracolo che tu sia viva. Comunque, finché resti con me, non hai da temere.”
“Tu sfideresti un dio per proteggermi?” Chiese Cora meravigliata “Quale uomo lo farebbe?”
“Un cavaliere di Atena lo farebbe. Ovviamente a condizione che tu non mi colpisca alle spalle a tradimento.”
“Perché dovrei tradirti?”
“Perché Atena e Apollo non sono amici. Siamo su schieramenti opposti, mia cara!” esclamò Aspros questa volta versando due bicchieri di Ouzo e porgendone uno a Cora.
La ragazza lo afferrò dubbiosa.
“Io posso bere?”
“Non nel tempio di Apollo, no di certo. In mia compagnia di sicuro.”
“I cavalieri di Atena possono bere?” Chiese Cora.
“Non abbiamo divieti in proposito.” La ragazza portò il bicchiere alle labbra e bevve tutto il liquore.
“Grazie, Aspros. Ti sei fatto carico della mia persona senza chiedere nulla in cambio. Non so in quanti avrebbero fatto la stessa cosa al tuo posto.” Aspros la guardò dritta negli occhi. Non riusciva a scrollarsi la sensazione che ci fosse in lei qualcosa che gli ricordava la madre di Niketas.
“Non farlo, Cora.”
“Cosa?” chiese lei.
“L’errore di credere che io sia una brava persona. Io sono un demone nascosto sotto le spoglie di un angelo.”
“Non mi sembra che sia così”, fece lei senza smettere di ricambiare il suo sguardo.
“Presto conoscerai mio fratello Defteros. Io dovrò assentarmi per qualche giorno. Siamo gemelli ma ti assicuro che siamo come il giorno e la notte. E lui è quello luminoso”, concluse alzandosi e riponendo la bottiglia di liquore nella dispensa.
“Aspros, Niketas sa le cose che mi hai detto?”
“No. Per lui sei una delle tante vittime del terremoto. Non voglio coinvolgerlo più del necessario in faccende che lo riguardano appena.”
“Allora non gliene farò parola, te lo prometto. Niketas è un bravo ragazzo.”
“Lo è. In cambio ti prometto che cercherò di sapere qualcosa in più su di te e su cosa ti è accaduto.”
“Grazie.”
“Cora”, la richiamò lui facendo qualche passo verso di lei.
“Sì?”
“Prima che uscissi oggi, mi hai detto che una freccia d’oro le trafiggerà il petto, che lei verrà colpita da colui che più ama. Sai dirmi a chi ti riferivi?” chiese con gli occhi carichi di preoccupazione mettendole entrambe le mani sulle spalle. Cora lo fissò con i suoi grandi occhi verdi poi scosse il capo.
“Mi dispiace ma non lo so. Se davvero ho il potere di cui parli, non so come si adopera. Non ricordo di averti detto nulla di simile.”
“Non fa nulla” disse lui lasciandola andare “andiamo a dormire, si è fatto tardi.”
Cora lo vide sparire oltre la porta della sua camera e sentì il suo cuore rallentare i battiti. Le emozioni di quella giornata erano state troppo forti o era la vicinanza di Aspros a farle salire il cuore in gola? Spense la luce e raggiunse il letto. Se davvero era una sacerdotessa di Apollo, farsi attrarre da un cavaliere di Atena era l’ultima cosa che poteva fare.

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Seiya era confuso. Le parole di Hyoga continuavano a rimbombargli nella testa. Si chiedeva come ciò che l’amico gli aveva raccontato potesse essere accaduto senza che nessuno ne sapesse nulla. Saori sembrava essere l’unica che, sotto forma di incubi, aveva notato l’assenza di Kouga.
Kouga.
Fino a qualche ora prima ignorava quel nome e adesso era la parola più naturale del mondo. Questo significava che era tutto reale. La nascita di Kouga, la sua decisione di sostituirsi a Saori nel dare energia alla barriera, l’esilio sull’altura delle stelle per tredici anni. Forse Kouga non era morto nella battaglia contro Marte. Forse una speranza c’era ancora. Forse, se Hyoga aveva ragione su tutta la linea, Saga aveva protetto il bambino fino alla fine.
Magari lo aveva nascosto e cancellato la memoria di tutti! Ma Saga aveva un potere simile? Poteva ingannare tutti così? Poteva ingannare persino Saori che era l’incarnazione di Atena? L’avrebbe privata di suo figlio?
A quel pensiero, un brivido freddo lo colse. E se Saga glielo avesse portato via con qualche scopo? Se avesse voluto usare il bambino per qualche fine oscuro?
Scosse il capo. No. Era escluso. Saga era diventato il grande sacerdote. Non aveva ottenuto tutto quello che voleva?
“Seiya!” La voce di Saori lo scosse. Ormai era notte fonda ma la donna aveva deciso di vegliare personalmente dama Clio. Lui era rimasto al suo fianco. Ora che sapeva, avrebbe tollerato qualunque cosa, ogni suo capriccio, ogni sua stranezza, senza battere ciglio. Improvvisamente non erano più disperatamente distanti come lui aveva creduto che fossero. Improvvisamente lei non era più di nuovo solo Atena. Era la madre di Kouga, era la madre di suo figlio. Sorrise e lei lo chiamò di nuovo.
“Seiya? Mi ascolti?”
“Sì? Cosa?”
“No, che non ascolti. Ti ho detto che mi sembri stanco e che dovresti andare a riposare. Qui non c’è bisogno che resti.” Seiya scosse il capo.
“Sei tu a sembrare tremendamente stanca. E’ stata una giornata lunga. Perché non vai a dormire? Resto io qui. Fra un po’ sarà l’alba. Lucina arriverà con le torte di mele e le focacce calde di forno. Si occuperà lei della sacerdotessa. Mangerò qualcosa e andrò a letto anche io.”
“In effetti mi sento stanca”, disse Saori titubante. Lui le mise una mano sulle sue e le sorrise.
“Va allora. Non temere, non la sveglierò rovesciando  qualcosa. Non si accorgerà neppure che ci sono.”
“Se non ti dispiace badare a lei fino all’arrivo di Lucina, allora io mi sdraio sull’ottomana per un po’.”
“Non preferiresti andare in camera tua?” Saori scosse il capo.
“No. Se si risveglia voglio essere qui con lei.”
“D’accordo.”
Saori si alzò e raggiunse il divano. Si sdraiò con l’intenzione di chiudere gli occhi stanchi solo un po’ ma, in pochi minuti, cadde in un sonno profondo. Seiya si alzò, prese lo scialle che lei si portava sempre dietro e glielo mise sulle spalle. Mentre dormiva sembrava dolce ed indifesa. Niente a che vedere con la creatura che solo qualche ora prima aveva attaccato Shaina. Le scostò una ciocca di capelli dal viso ma un rumore lo costrinse a ritirare di scatto la mano dal suo viso.
“Sei molto premuroso con lei, cavaliere”, disse Dama Clio che aveva aperto i suoi occhi da cerbiatta e lo guardava dal letto. Seiya la raggiunse.
“Vi siete svegliata. Saori vi ha vegliata fino ad un attimo fa.”
“Certo!” sussurrò lei “Parliamo piano, non vogliamo svegliarla! Sarà così stanca!”
“Avete bisogno di qualcosa?” Lei scosse piano il capo e picchiettò con una mano un punto vuoto sul letto accanto a lei.
“No, sedetevi per un momento.”
“Se non avete bisogno di nulla, preferirei portare Atena nelle sue stanze.”
“Solo un momento, ho da domandarvi una cosa.” Seiya la guardò negli occhi e acconsentì.
“Cosa volete sapere?”
“Cavaliere, come siete rude! Non sapete come si fa conversazione con una donna?”
“Volete fare conversazione a quest’ora?” chiese Seiya sempre più dubbioso.
“E che male c’è? E poi basta con questa dama Clio. Il mio nome è Clio. Sarebbe così tragico chiamarmi per nome, Seiya?” L’ultima parola fu pronunciata con una voce così suadente che a Seiya tornò in mente il flauto di Syria.
“Clio,” disse lui cercando di voltarsi verso Saori “ora devo andare.” Lei gli trattenne il viso e glielo girò di nuovo verso di lei.
“Seiya, non scappare da me. Credevo fossi il più audace dei cavalieri!” esclamò lei mentre con l’altra mano slacciava i nastri del suo vestito. “Guardami, Seiya, non c’è niente di tuo gradimento qui?”
Seiya si sentì di nuovo come preda di una misteriosa immobilità e s’accorse che sotto il vestito della donna brillava un gioiello da cui non riusciva più a staccare lo sguardo.
“Sì, Seiya, guardami. Non è concesso a tutti, sai, guardare ciò che sto per mostrarti”, disse Clio mentre il gioiello che splendeva tra i suoi seni brillava più forte.
Seiya avvertì la vista annebbiarsi e le forze lentamente abbandonarlo. Improvvisamente però, la sua mente avvertì il cosmo di Saori che riposava sull’ottomana e trovò la forza di scuotersi.
“Non voglio che mi mostrate alcunché, dama Clio”, disse lui allontanandole con forza le mani dal viso. Si alzò, raggiunse Saori e la sollevò. Lei si lamentò appena nel sonno “forse sono rude, tuttavia sono sicuro che troverete qualcuno di più adatto di me ad ammirare la bellezza che ostentate con tanta facilità! Atena intendeva ringraziarvi personalmente per l’aiuto che avete dato a Hyoga. Non abbiamo nient’altro da dirci noi due.”
Il cavaliere lasciò la stanza lasciando la donna in uno stato di incredulità mista a rabbia. L’aveva respinta? Quell’uomo l’aveva respinta e poi le aveva detto che si concedeva con troppa facilità? Montò su tutte le furie e stava per urlare quando una risata sottile riempì la stanza. Sussultò e si alzò dal letto.
“Chi c’è?” Di nuovo risa. “Ho chiesto chi c’è!”
“Nessuno!” esclamò la voce che si prendeva chiaramente gioco di lei.
“Vieni fuori!”
“Non posso, devi venire tu da me!”
“Questo è troppo! Chi sei?”
“Vieni, mia signora, vieni da me!” disse la voce e, come colpita da un forte vento, la porta della stanza si aprì. Clio uscì e seguì quel vento fino alla stanza del trono. Nella stanza erano accese solo due candele ai lati del trono. La stanza era immersa nella penombra. Il vento sollevò uno dei drappi rossi appesi alle pareti e Clio lo afferrò prima che toccasse di nuovo il pavimento. Diede uno strattone e rimase a bocca aperta.
Nello specchio appeso alla parete, invece del suo riflesso, se ne stava una figura ammantata di nero con un sorriso sghembo sulle labbra.
“Tu chi sei?” chiese la donna.
“Credevo, mia signora, che avresti notato prima lo specchio di me!”
Clio osservò appena l’intarsio dorato del bordo ma non le servì guardare con maggiore attenzione per capire che l’oggetto in cui stava guardando altro non era che lo specchio Numinoso, un antico artefatto divino che si credeva perduto.
“Mi inquieta di più sapere che c’è qualcuno confinato nello specchio, a dire il vero!” esclamò lei incrociando le braccia “E te lo chiedo di nuovo: chi sei?”
“Non importa chi sono io! Importa chi sia tu, mia signora! Porti il colore di Apollo al polso” disse la figura indicando la tenia “ma lo specchio non riflette l’immagine di una pizia!”
“Ciò che sono non è affar tuo!” fece lei voltandosi e facendo per andarsene.
“Non lo avrai mai in quel modo!” gridò l’ospite nello specchio. Clio si voltò stizzita e tornò indietro.
“Non capisco davvero di che parli!”
“Oh!” rise il riflesso “Parlo di quei vani e sciocchi tentativi di seduzione che hai provato a fare sul cavaliere di Sagitter.” Le gote di Clio si tinsero di rosso per la rabbia.
“Non intrometterti! Te lo ripeto, non è affar tuo. Alla prima occasione, cederà! Cedono tutti!” L’uomo nello specchio schioccò la lingua scuotendo la testa in segno di diniego.
“Non ha ceduto alla prima e non cederà neppure alla seconda o alla terza! Non lui. E bada bene! Non perché sia più retto degli altri uomini che hai sedotto da quando la spuma del mare ti ha generata!” fece avvicinando le mani agli stipiti dello specchio. La sua testa attraversò la superficie della parete che sembrava liquida e si materializzò ad un palmo di Clio “E’ innamorato e, si sa, l’amore spezza qualunque sortilegio!”
“Taci, ombra malevola!” La figura si ritrasse e svanì dentro lo specchio. Il silenzio che seguì lasciò, per un momento, Clio interdetta. Era davvero sparito? Sfiorò la superficie dell’oggetto che era tornata di nuovo solida e l’uomo riapparve ridendo.
“Io non sono malevolo, ti auguro invero di avere successo! Credo però che, senza il mio aiuto, fallirai.”
“Dovrei accettare l’aiuto di un’ombra senza nome di cui non conosco gli intenti?” chiese Clio.
“E’ vero, sono un’ombra ma un nome ce l’ho! Io sono Hyperion, mia signora, per servirvi!” Clio sussultò e, istintivamente, fece un passo indietro portandosi entrambe le mani a coprirsi le labbra.
“Un titano! Sparisci, portatore di sciagure!” disse lei continuando ad indietreggiare.
“Quale ingiustizia! Volevo solo aiutare!” fece lui giocando con il nastro rosso che un attimo prima era al polso di Clio. Lei si guardò istintivamente il polso e pestò i piedi.
“Come osi prenderti gioco di me?” strillò. Hyperion soffiò sul filo rosso e lo fece volare attraverso lo specchio.
“Mia signora, ti ho offerto il mio aiuto. Un conto è rifiutarlo, un conto è offendermi. Io sono qui da molto più tempo di te. Diciamo che so bene ciò che dico. Non sedurrai Seiya con i tuoi metodi. Se vorrai, ti darò io ciò che desideri a patto che tu faccia qualcosa per me in cambio.”
“Sei pazzo se credi che possa fare un patto con un titano! L’Olimpo tutto si rivolterebbe contro di me!”
“Non tutto!” disse Hyperion facendo muovere il dito indice di una mano a destra e sinistra più volte.
“Gli dei combattono tra loro dall’epoca del mito. Hanno fatto e disfatto molte regole ma ce n’è una che non hanno mai violato. Mai! Non ci sarà mai alcun dio che favorirà in alcun modo un titano. E se pensi che sia bella e stupida, sappi che non lo sono abbastanza per aiutare uno come te!” Hyperion rise.
“Non di stupidità si tratta, ma di necessità. E dimmi, mia signora, esiste qualcuno che può combattere Ananke**?”
“Non dire quel nome!” esclamò Clio.
“Non ho fretta, mia signora! Aspetterò qui. Ho tutto il tempo del mondo!” fece l’uomo svanendo nel nulla e restituendo a Clio il suo riflesso autentico.
Lei si specchiò e sorrise della sua bellezza poi, nervosa per l’accaduto, tornò nelle sue stanze.


Note dell'autrice:
* La tenia rossa portata dalle pizie è di mia invenzione. Ho fatto alcune ricerche su internet ma non ho trovato grandi storie sugli oracoli di Apollo. Poi mi è venuta in mente una cosa letta un po’ di tempo fa in Lost Canvas in cui il cavaliere del leone, fratello di Sisifo, muore tra le braccia di una delle pizie. In un futuro non troppo lontano, quell’eroe tornerà sotto le spoglie del piccolo Regulus di cui Sisisfo sarà maestro. E se la tenia indossata da Sisifo fosse l’ultimo ricordo di Ilios? E se magari Ilios lo avesse ricevuto come pegno dalla pizia che gli insegna a parlare con il vento? Tutto qui.
** Anancke in greco significa Necessità ed era la dea con cui veniva identificata. Era legata a doppio filo con Crono. Spiegherò più avanti.

Buon Natale a tutti e vi auguro una buona fine e un ancor migliore principio!!!
 

 

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Capitolo 12
*** Promesse e minacce - parte prima ***



NOTA TECNICA: Ringrazio Jessica Akuno che, tra una mail e l'altra, mi ha permesso di accorgermi che un intero paragrafo del terzo capitolo (Il tempio del sole e della luna - parte seconda) era stato cancellato durante la formattazione. L'ho sistemato e mi scuso per l'errore dato che era importante per la trama.
Mi scuso ancora e vi lascio al nuovo capitolo!

Promesse e minacce
Parte prima

Saori si mosse appena nel letto. Il sole stava sorgendo. Seiya si era addormentato sul pavimento con la schiena appoggiata al bordo del giaciglio e le braccia sulle ginocchia che aveva tirato al petto.
Lei aprì piano le ciglia e si accorse subito di lui. Se lei aveva dormito e lui era ai piedi del letto, chi c’era con Clio? Si scosse e si mise a sedere. A quel movimento lui sollevò il capo e si strofinò gli occhi con il dorso di una mano.
“Buongiorno, Saori. Potevi ancora dormire. E’ a malapena l’alba!”
“Dama Clio si è ripresa?”
“Fin troppo!” esclamò Seiya. Saori lo guardò con aria interrogativa.
“Seiya, che hai combinato?”
“Eh? Io? Perché devo essere sempre io quello che ha combinato un guaio?”
“Guaio?” chiese Saori scostando il lenzuolo e cercando di scendere dal letto “Cielo, Seiya! Non avrai contrariato dama Clio?” Seiya la trattenne.
“Contrariato? No! Cioè, ho solo detto ciò che pensavo!”
“A proposito di cosa?” chiese lei sempre più preoccupata.
“Niente d’importante, davvero. L’importante è che stia bene, no? E ti assicuro che quella sta benissimo!”
“Quella? Seiya, hai detto o fatto qualcosa per cui dovrei chiedere scusa?”
“Chiedere scusa? No, di certo! E poi spiegami quando mai ti avrei messa in imbarazzo!” Lei incrociò le braccia e mise su un’espressione imbronciata che a Seiya ricordò il tempo trascorso con lei a villa Thule.
“Devo davvero fare la lista? In ordine alfabetico o di tempo? Per esempio quella volta che ti sei intrufolato a casa Solo e hai lanciato un pezzo di antiquariato come fosse un coltello?”
“Se avessi accoppato Mars quella notte, ci saremmo risparmiati un sacco di fatica!” Saori rise per un momento poi tornò seria.
“Davvero, Seiya, è tutto a posto con dama Clio?”
“Tutto a posto. Piuttosto c’è una cosa di cui vorrei parlarti.”
“Dimmi pure.”
“Vuoi davvero che addestri quel ragazzino?”
“Ti riferisci a Subaru?” chiese lei. Seiya annuì.
“Ho la sensazione che non sia lui il cavaliere di Pegasus che stiamo cercando”, disse Seiya guardandola negli occhi. Se avesse potuto dirle ciò che aveva nel cuore sarebbe stato l’uomo più felice del mondo ma doveva essere forte per tutti e due e portare quel peso da solo.
“Dargli una possibilità è l’unica cosa che chiedo.”
“Va bene ma posso chiedere un favore in cambio?” chiese Seiya.
“Negozi con Atena, cavaliere?”Seiya sorrise e annuì.
“Una festa. Abbiamo annullato le Panatenee per via del terremoto. Chiedo solo una serata tranquilla in cui festeggiare il risveglio di Hyoga. Una serata in cui possiamo allontanare per qualche ora la minaccia del risveglio di Crono e sentirci un po’ di più noi stessi.” Saori sorrise dolcemente.
“Hai il cuore tenero Seiya, lo sai?”
“Sì, lo so. Sono fatto così.”
“E non vuoi arrenderti all’idea che siamo cresciuti” continuò lei.
“Non significa necessariamente che dobbiamo cambiare!” esclamò lui.
“Il tempo cambia tutte le cose, Seiya!” disse lei bonariamente.
“Non tutte. Saori, lo sai.” Lei sentì un calore dolcissimo avvolgerle il cuore. Prese il viso di Seiya tra le mani e lo tirò a sé. Gli poggiò le labbra sull’orecchio e sussurrò.
“Sì, lo so Seiya.” Lui allargò le braccia intorno a lei e la strinse.
“Finché questo non cambia, il tempo non è ancora contro di noi.”
“Facciamo a modo tuo, Seiya. Fermiamo il tempo per una sera. Chiederò a Mur di organizzare qualcosa nell’arena. Così anche i profughi potranno avere il cuore più leggero per un po’.”
“Grazie”, disse lui lasciandola andare.
“Prego, non credere però che non mi sia accorta che hai accuratamente evitato di dirmi cosa è successo con Clio.”
“Niente d’importante!” esclamò lui alzandosi e cercando di guadagnare l’uscita.
“Seiya!”
“Davvero! Fidati!” gridò chiudendosi la porta alle spalle. Saori sospirò.
“Possibile che nonostante tutti gli anni trascorsi riesca a comportarsi ancora in quel modo?” si chiese e scoppiò in una risata leggera e felice.

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Shaina borbottava già prima che Kanon mettesse la minestra di verdure a bollire sul fuoco. Che stesse preparando un piatto che lei detestava almeno quanto lo detestavano i gemellini, era solo un’aggravante.
“Sei ancora arrabbiata per via di quel bambino? E’ stato affidato a Seiya, che t’importa?” Shaina raggiunse la bottiglia di vino in bella vista sul tavolo accanto a due bicchieri e se ne versò un po’.
“Non più!”
“E allora, di grazia, perché sei ancora arrabbiata?”
“Sono arrabbiata con te!”
“E ti pareva! Cosa ho fatto o detto stavolta?” Shaina sbatté il bicchiere sul tavolo.
“Primo: ti pare bella la sfuriata che mi hai fatto al Pireo? Secondo: sta succedendo qualcosa di grosso e pare che non te ne importi nulla!” Kanon si asciugò le mani con uno strofinaccio e le mise sui fianchi.
“Primo: al Pireo ho detto quello che pensavo. Credevo che il dittatore della terza casa fosse Saga! Non pensavo di dovermi astenere dal dire le cose come stanno anche con te! Secondo: sono il cavaliere d’oro di Gemini e non ritengo di dover fare nulla a proposito di quello di cui siamo venuti a conoscenza fino a che il grande sacerdote non mi darà un incarico.” Shaina schioccò la lingua in un gesto di stizza.
“Darmi della dittatrice non è opportuno dato che sei tu ad avermi lasciata in Nasso e senza la possibilità di spiegarmi!”
“Spiegare cosa? Quando c’è di mezzo Seiya, tu non ragioni, mia cara!” disse Kanon dandole le spalle e tornando ad interessarsi alla zuppa. Shaina si guardò la punta dei piedi e sospirò.
“Non è così. Non più. Solo non mi faccio capace del fatto che Saori sia cambiata. Ha sempre anteposto Seiya a qualunque cosa. L’abbiamo biasimata tutti per questo. E’ come se, tanto tempo fa, lei avesse compreso che la sua forza nasce dal legame con lui e abbia voluto preservarlo. Potrei parlarti del giorno esatto in cui l’ho capito. Ho capito che si appartenevano e che nessuno avrebbe mai potuto dividerli. Dei, uomini o donne come me. Il tempo in cui me ne sono fatta un cruccio, comunque, è passato” disse sollevando lo sguardo sulla schiena dell’uomo.
“A me sembra che ti interessi solo la felicità del ronzino” disse dopo una manciata di minuti in cui l’unico rumore nella stanza era quello del mestolo che girava nel pentolone. Shaina rise.
“Lo chiamavamo così. Io e Saga, intendo,” disse avvicinandosi a lui. Appoggiò il proprio corpo a quello di Kanon e gli circondò la vita con entrambe le braccia “e sappi, Kanon, che non lo amo più. C’è però qualcosa tra me e Seiya, non posso negarlo. E’ come se avessi fatto parte della sua vita al punto che non posso più disinteressarmene. Non puoi accettarlo se ti dico che è con te che voglio stare?” Kanon si girò e le mise entrambe le mani sulle spalle.
“Accetterò qualunque cosa tu mi chieda ma non ti dividerò mai con un altro uomo.”
“Non accadrà, è una promessa.”
“Ricordala, donna!” disse prendendole il viso tra le mani e baciandola appassionatamente.
“Come fai a preoccuparti di questo dopo quello che ci ha rivelato Shaka?”
“Tu vieni prima di tutto per me. Non ho mai avuto una famiglia, a parte Saga. A dirla tutta, ho perso mio fratello prima che potessi dare realmente valore al concetto di casa o a quello di famiglia. Tu sei tutto ciò che ho.”
“E non mi perderai.”
Kanon stava per baciarla di nuovo quando Raki spuntò fuori dal nulla.
“Maledizione! Raki, devi smetterla di fare questa cosa!” esclamò Kanon. La bambina sghignazzò.
“Già a preparare il pranzo?” chiese la bimba storcendo il naso all’odore del minestrone.
“Richiede molta cottura. Che c’è?”
“Il grande sacerdote ha convocato il consiglio dei dodici,” disse la bimba “ho già avvisato Aldebaran. Ora vado da Death.”
“Per quando?”
“Oggi pomeriggio, all’ora della bilancia! Non occorre essere formali. Mi raccomando alla puntualità! ” disse scomparendo nel nulla.
“Di che vorrà parlare Mur?” chiese Shaina.
“Non lo so. Forse di nuovo della cicatrice del tempo o magari dei profughi del terremoto. Non credo che potremo tenere a lungo tutta quella gente nel perimetro del grande tempio. E’ pericoloso. Se ci attaccassero che accadrebbe?”
“Non ci avevo pensato”, fece Shaina grattandosi il mento con una mano. Kanon sorrise e la tirò a sé.
“Ti amo, Shaina.” Lei arrossì e nascose la faccia contro il suo petto.
“Non sta per scatenarsi una nuova guerra, vero Kanon? Abbiamo ritrovato la pace da così poco!”
“Tra le mura della terza casa, la guerra non arriverà. Te lo prometto.”
“Ci sono i ragazzi. Sono ancora così giovani e inesperti!”
“Se pure dovesse arrivare la guerra, non sarà la loro battaglia”, disse l’uomo stringendola e pregando che Mur non avesse per loro cattive notizie.

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Shun continuava a fissarlo, incredulo. Fino a qualche giorno prima giaceva in un letto privo di qualsiasi forma di energia. Adesso Hyoga era lì a ridere e stringere i suoi ragazzi.
Yuna, la sua Yuna, aveva pianto a dirotto. Soma le aveva tenuto la mano per tutto il tempo in cui aveva singhiozzato come fosse ancora una bambina. Ryuho gli aveva portato i saluti dei suoi genitori.
Ilio, l’allievo di Milo, gli era saltato al collo. Persino Paride e Sybilla gli erano corsi incontro con entusiasmo quando lo avevano visto entrare nel campo di addestramento.
Si era ripreso solo da pochi giorni eppure era stato il primo posto che aveva voluto vedere.
“Avanti!” lo sentì esclamare mentre tornava a sedersi vicino a lui “Fatemi vedere i vostri progressi!”
“Non dovresti affaticarti!” lo riprese Shun.
“Avanti! Ho dormito per un anno! Mi sembra che sia passato molto di più a vedere quanto sono cresciuti i ragazzi!”
“Già,” disse Shun “crescono in fretta a quest’età. Chissà se è capitata la stessa cosa a noi!”
“Credo proprio di sì. E’ come se la mia adolescenza sia volata in un attimo.”
“Hai ragione, Hyoga”, disse Shun tornando a guardare sua figlia.
“Yuna è diventata bellissima. Mi ha detto che non mi hai lasciato solo neppure per un giorno.”
“Come avrei potuto? Sono stato io a gettarti in quella terribile condizione!”
“Quindi mi hai vegliato per senso di colpa?” chiese Hyoga sfoderando un sorriso che Shun credeva non avrebbe visto mai più. La prima volta che glielo aveva visto fare, era stato alla guerra galattica, durante il suo primo incontro con Aspides. Quel giorno aveva faticato a ritrovare il bambino che aveva vissuto con lui a villa Kido nel ragazzo sfrontato e gelido che era apparso dal nulla un attimo prima che venisse squalificato dal torneo per assenza.
Aveva imparato presto a riconoscere l’amico sotto la spessa coltre di ghiaccio che era calata sul suo cuore durante gli anni dell’addestramento.
Scosse il capo.
“Per tutto tranne che per senso di colpa”, disse sorridendo. Hyoga fece un cenno d’assenso col capo poi s’incupì.
“Sei diverso, Shun. E io, invece, sono divorato dai sensi di colpa per questo.”
“Ricordi qualcosa della nostra battaglia?” chiese Shun. Hyoga scosse il capo.
“No. Ho memoria di essere partito con Argor per Asgaard. Lì ho incontrato Flare. Era molto arrabbiata per il mio abbandono. In qualche modo mi ha avvertito di quello che mi sarebbe accaduto ma io non potevo capire all’epoca. Ho pensato solo che dovevo almeno tentare di salvarla dalla pena capitale. A proposito,” disse fermandosi e guardando Shun negli occhi “so che sei stato tu alla fine a salvarla. Me lo ha detto June quando è venuta a trovarmi. E’ un miracolo che quella donna non mi odi!”
“June è la creatura più generosa che io conosca,” disse Shun “e comunque non sono stato io a salvare Flare. E’ stato Eden. Ti confesso che, se fosse dipeso dal me stesso di quel momento, la testa di Flare sarebbe rotolata nel cesto di sicuro.” A quella rivelazione, Hyoga non si scompose.
“Anche questo è colpa mia.”
“No,” riprese Shun “Pandora mi ha offerto una scelta. Spettava a me decidere. Non fare l’errore di credere che io sia una persona migliore di quel che sono in realtà. Desideravo guarire, tornare a poter bruciare il mio cosmo senza conseguenze, avere una vita normale. Per lungo tempo avevo raccontato a me stesso una grande bugia.”
“Cioè?” chiese Hyoga per incitarlo a parlare.
“Che andava bene così. Che una vita pacifica in cui non fosse più necessario adoperare le catene di Andromeda come armi mi fosse sufficiente. Quando sei partito per Asgaard la seconda volta, ho capito che non era così. Desideravo anche io rigettarmi nella battaglia. E forse anche prima di allora la mia vita ai margini del santuario aveva cominciato a starmi stretta. Guardavo Seiya combattere ogni giorno per tenere viva la barriera che difendeva il santuario e io mi sentivo inutile. Quell’inutilità mi rendeva ogni giorno più debole. Quando Pandora mi ha dato la possibilità di guardarmi dentro, ho trovato che la parte di Hades che tu ancora intravedi in me, era già lì. Ho solo smesso di vergognarmene. Certo, se avessi saputo che usando il Ragnarok, ti avrei condannato a diventare Midgard, non lo avrei mai fatto!”
“Sono lieto che tu sia guarito. Era solo per difendere me che eri rimasto ferito nella battaglia contro Marte. In quanto al tuo cambiamento, sappi che non fa alcuna differenza. Per me rimani Andromeda. Non conta il colore dei tuoi occhi!” disse con sicurezza Hyoga “Mi domando solo se”, accennò appena.
“Se?” Shun lo invitò a continuare.
“Se i tuoi sentimenti non siano cambiati adesso.” Shun scoppiò a ridere al punto che le lacrime gli inumidirono l’angolo degli occhi.
“Shun?”
“Sono i miei sentimenti a governare il potere di Hades che ancora scorre nelle mie vene!” Hyoga tossì un po’ imbarazzato e si schiarì la voce.
“Allora va bene. Vogliamo tornare dai ragazzi?” Chiese Hyoga ma non ebbero il tempo di farlo giacché la voce di Seiya li raggiunse.
“Aspettate un momento!” Si voltarono e lo videro avanzare con un ragazzino.
“Seiya, chi è?” chiese Hyoga.
“Io sono Subaru e sono un aspirante cavaliere di Pegasus!” disse il ragazzo ciondolando le mani.
“Pegasus?” chiese il cavaliere del cigno guardando Seiya con aria da rimprovero.
“Non guardarmi così. L’ha deciso Saori!” esclamò quest’ultimo.
“E tu non hai detto niente in proposito?”
“No!” fece Seiya “E come avrei potuto? Sono il suo maestro!” Hyoga sollevò le braccia al cielo e le lasciò cadere lungo il corpo. Shun nascose una risata isterica dietro una mano.
“Che avete? Perché siete tutti contro di me?” chiese Subaru “Mi sembra che non ci siano altri candidati!”
“In effetti il ragazzo ha ragione!” disse Shun scrollando appena le spalle.
“Shun!” esclamò Hyoga “Non mettertici pure tu!”
“Tu sei il cavaliere dormiglione?” chiese Subaru a Hyoga e Seiya scoppiò a ridere.
“Io non sono un dormiglione! Sono stato ferito in battaglia! E tu non riderci sopra, Seiya!”
“Con un fuso avvelenato?” chiese il bambino incrociando le braccia e facendo ironia sugli eventi che gli erano stati narrati. Shun intervenne un attimo prima che Hyoga congelasse l’allievo indisponente e il maestro irriverente.
“Ora basta, Subaru! Sappi che Hyoga è colui che addestra tutti gli allievi al combattimento di base. Se non superano il suo esame, non possono ricevere l’addestramento per l’armatura da colui a cui sono stati affidati.” Subaru parve impressionato dalla cosa e guardò Seiya per ricevere una conferma.
“In effetti è così. Siamo venuti perché tu conosca i tuoi compagni!” disse Seiya cercando di riprodurre il tono con cui ricordava che Aiolia gli parlava da ragazzo e risultando, di fatto, comico. Shun però non si fece scappare l’occasione di risolvere quella situazione e, preso Subaru per le spalle, lo accompagnò dagli altri allievi. Hyoga sbottò.
“Seiya, ma che stai combinando?”
“Non guardarmi così!”
“Io ti racconto di Kouga e tu ti prendi un allievo?”
“Cosa avrei dovuto dire a Saori? Cara, non posso prendere un allievo perché devo prima cercare nostro figlio? Allora capirai che l’armatura di Pegasus appartiene a lui? Avanti, Hyoga!”
“Anche questo è vero. Tuttavia c’è una domanda che voglio farti. Dove si trova l’armatura di Pegasus ora?”
“Alla prima casa. Kiki ce l’ha tra quelle da riparare”, rispose Seiya e Hyoga si rabbuiò.
“Era molto danneggiata?” chiese.
“No. Solo una lesione sull’avambraccio destro.”
“Allora Kouga non è stato ferito gravemente nella battaglia contro Mars.”
“Sai, Hyoga,” disse d’un tratto Seiya in modo triste e preoccupato “mi chiedo perché non sia lì con lui. Ovunque sia, intendo. L’armatura non avrebbe dovuto seguirlo?”
“E’ chiaro che è successo qualcosa per cui vi siete tutti dimenticati di lui. Forse per lo stesso motivo, anche l’armatura lo ha lasciato.”
“Voglio credere che sia così e, a tal proposito, sappi che ho escogitato un modo per andare a cercarlo.”
“Davvero?” chiese sorridendo Hyoga. “Posso esserti d’aiuto?”
“No. E’ una cosa che devo fare da solo, capisci?” Hyoga annui.
“Seiya.”
“Dimmi.”
“Posso farti una domanda?”
“Certo.”
“Che ne è stato di Flare? Non ho voluto chiedere a Shun.”
“E non farlo. Shun ha sofferto molto per te. L’ultima cosa che gli serve è sapere che pensi a Flare.”
“Non penso a lei! Vorrei solo sapere che sta bene.”
“Abbiamo avuto sue notizie da Hilda. Sta bene. Pare che passi le sue giornate a prendersi cura della neonata figlia della regina.”
“Hilda ha avuto una figlia?”
“Già. Niente maschi al servizio di Odino!”
“Meglio così. L’ultimo sacerdote del dio non ha lasciato un bel ricordo di sé.”
“Hai ragione, Hyoga. Comunque lei ha chiesto di te spesso. Non ha osato scrivere a Shun. Saori le ha dato tue notizie.”
“Avete fatto tutti molto per me. Non deve essere stato facile.” Seiya gli diede una pacca sulla spalla.
“Quello che si fa per gli amici. Ora scusami, alle sette Mur ha convocato un consiglio dei dodici. Ti prenderesti cura di Subaru per un po’?”
“Ritiro quello che ho detto! Hai fatto tutta questa manfrina per appiopparmi il ragazzino!”
“Avanti, Hyoga!” fece Seiya piagnucolando e gesticolando “Hai appena detto di essere in debito con noi!”
“Era una frase di circostanza!”
“Non posso mica portarmelo dietro!”
“Lascialo a Shaina!”
“Quella mi ammazza! E’ stata contraria fin dall’inizio al suo addestramento!”
“Brava ragazza!”
“Se non lo addestro, mi ammazza Saori!”
“Va bene, Seiya, va bene. Lo farò ma solo perché mi fai compassione! Non hai mai saputo gestire le donne!”
“Tu invece te le sei scelte bene le tue donne, vero? Meno male che hai Shun!”
Hyoga incrociò le braccia ma il suo sguardo gelido si ammorbidì e sorrise a Seiya.
“Non posso combattere contro di te. Conosci il mio punto debole. Va tranquillo.”
“Grazie, amico mio”, disse Seiya lasciando il campo di addestramento prima che questi cambiasse idea.

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Aglaia era in pena. Da qualche giorno le sue sorelle non la vedevano sorridere più. Non sapeva che la pena era destinata a diventare tormento. Il momento esatto in cui accadde fu quando, quella mattina, il sole si oscurò e le acque intorno all’isola di Zante divennero uno specchio piatto e uniforme in cui si specchiava una luna gigantesca.
Aglaia s’inginocchiò immediatamente. Sapeva a chi apparteneva un potere simile ma rimase delusa nelle sue aspettative quando udì una voce maschile che le diceva di alzarsi. Sollevò il capo e lo vide. Era un angelo. Uno dei cavalieri di Artemide. Forse era stata una sciocca a pensare che la dea della luna si sarebbe mostrata a lei così facilmente.
Le venne in mente la storia di quel giovane cacciatore che, sorpresa Artemide mentre nuotava per rinfrescarsi durante una battuta di caccia, fu trasformato in cervo dalla dea stessa. Quel ragazzo era stato strappato al suo mondo come quel cacciatore o serviva fedelmente Artemide?
“La mia signora manda un dono”, disse allargando un braccio sotto al quale comparve una cornucopia piena di frutta e fiori dai mille colori e profumi “Intende scusarsi con la divina sorella e la invita nuovamente al tempio di Delo.”
Anche se il giovane uomo parlava di invito, Aglaia percepì forte l’ordine impartito. Un simile gesto non giungeva da Artemide. Di certo nasceva dall’animo del suo gemello. Come avrebbe fatto a spiegare che, in quel momento, nella dimora di Zante non v’era alcun dio? Né la divina Afrodite, sparita da diversi giorni, né il nobile Eros che se n’era andato solo da poche ore.
“La mia signora è altrove affaccendata. Riferirò il vostro messaggio nel momento in cui le consegnerò il vostro prezioso dono. Voi, cavaliere, invece desiderate ristorarvi? Il mio nome è Aglaia.”
“So chi sei. Il mio nome è Toma e siamo simili invero. Tu servi Afrodite come io Artemide.”
“Immagino che allora tornerai subito dalla tua signora”, disse Aglaia con maggiore sicurezza.
“E tu farai sapere alla tua che, ora come ora, qualunque azione diretta a favorire una nuova guerra sacra verrà interpretata come un’offesa rivolta agli dei del sole e della luna e, in quanto tale, non sarà tollerata.”
Toma sparì com’era apparso e anche la gigantesca luna che lo aveva accompagnato si dileguò nel riflesso del mare. Il sole tornò a brillare e il cinguettio degli uccelli riempì di nuovo l’aria.
Aglaia sospirò. Che poteva fare per comunicare il messaggio alla divina Afrodite?
I suoi begli occhi guardarono il cielo pensando che poteva solo confidare in Eros.

 

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Capitolo 13
*** Promesse e minacce - Parte seconda ***


Promesse e minacce
Parte seconda


Eden se ne stava per conto proprio sin dal mattino. Si era unito agli altri solo quando nel campo d’addestramento era arrivato Hyoga. Il cavaliere sembrava essersi ripreso bene dall’anno di sonno forzato. Ne fu contento dato che era stata sua madre a propiziare il suo risveglio e che suo zio sembrava davvero felice adesso.
Eppure, nonostante l’atmosfera leggera e scanzonata che si respirava tra i giovani cavalieri di bronzo, Eden non riusciva a smettere di pensare all’ombra che aveva incontrato tra l’ottava e la nona casa.
Il pesante alone di negatività che lo circondava non accennava a sparire. Forse perché era sovrappensiero o perché non pensava che qualcuno si sarebbe avvicinato a lui finché aveva quella faccia scura, sobbalzò quando un viso per nulla familiare si materializzò ad un palmo dal suo.
“Io sono Subaru! Tu chi sei?” Eden esitò. Quel viso, quel sorriso tanto aperto, quegli occhi chiari e sinceri, gli ricordavano qualcosa o qualcuno di familiare eppure era certo di non averlo mai visto prima.
Era più piccolo di lui e i suoi capelli ricci gli si arruffavano in testa facendolo sembrare buffo. Qualcosa in lui però denotava immediatamente qualcosa che Eden avrebbe definito forza. E quel qualcosa erano un paio di occhi blu che al ragazzo ricordarono immediatamente quelli di Saori Kido.
“Io sono Eden”, disse rompendo ogni indugio.
“Piacere di conoscerti Eden, io sono nuovo di qui. Tu?”
“Perché mi fai una domanda simile? Non vedi che ho l’uniforme da combattimento come tutti gli alti?”
“A me non sembri come tutti gli altri! Non sembri neanche di qui. La tua pelle ha un colore diverso.” Eden sapeva che il fatto di vivere all’Arco di Cerbero e di avere un cosmo ctonio influiva anche sul colore della sua pelle ma non ci aveva mai fatto caso.
“Mio padre viveva qui fino a quando ha sposato mia madre. Lei è una straniera.”
“Ora capisco!”
“E tu, di dove sei? Anche tu non sembri di qui.”
“Io vengo da lì”, disse Subaru indicando la montagna oltre il tredicesimo tempio.
“Dall’Olimpo?” chiese Eden dubbioso.
“Già,” disse il ragazzo prima gioioso poi improvvisamente triste “mio padre è morto e mia madre non può badare a me. Così sono venuto qui con l’intenzione di diventare cavaliere.” Eden pensò che fosse la storia della maggior parte degli aspiranti cavalieri. Persino Jona e Josa, troppo piccoli per competere già per un’armatura, vivevano lì per il medesimo motivo. Atena, accoglieva tutti. Orfani, ladri, bugiardi, purché lasciassero le loro vite fuori dal santuario e decidessero di votarsi alla salvezza dell’umanità.
Hades li avrebbe giudicati con la stessa compassione? Lui li stava giudicando con compassione? Subaru gli prese una mano e lo strattonò.
“Che fai?” gridò Eden tirandosi indietro.
“Combatti con me! Dai su!” esclamò Subaru.
“Impossibile.”
“Perché?” chiese il ragazzo con un’espressione di viva delusione sul viso.
“Perché finiresti col farti male. Il nostro livello è molto diverso, Subaru. Io sono già un cavaliere”, disse per metterlo in guardia omettendo il fatto che era anche qualcos’altro e che avrebbe potuto togliergli la vita sollevando un solo dito.
“Mi sottovaluti, amico?” disse allora Subaru tornando sorridente e saltellando sul posto. Eden allora percepì qualcos’altro in lui. Qualcosa che Subaru non voleva certamente mostrare ma che il suo potere semidivino percepiva ugualmente. Un cosmo diverso da quelli che era abituato a percepire ad Atene.
“Non sono tuo amico. E non perdo il mio tempo in scontri di cui conosco l’esito fin dal principio”, disse voltandosi e dirigendosi verso Hyoga. Fu però intercettato da Shun.
“Eden, è successo qualcosa tra te e Subaru?”
“Conosci bene quel ragazzo, zio?”
“E’ il nuovo allievo di Seiya”, disse e Eden affinò lo sguardo.
“Da dove viene? L’ho chiesto a lui e mi ha indicato l’Olimpo.”
“E’ un bambino. Avrà voluto prenderti in giro.”
“E’ strano.”
“Detto da te, mi fa sorridere!” esclamò Shun mettendogli una mano sulla spalla. Eden sorrise.
S’accorse solo in quel momento che solo in compagnia di suo zio, la cupezza che di solito lo accompagnava, spariva. Shun pareva comprenderlo meglio di chiunque altro. Possibile che lo capisse più ancora dei suoi genitori? La realtà, tuttavia, non era quella ed Eden la conosceva bene. Shun era l’unico a non avere nessuna paura di lui.
“Lo so, zio. Tuttavia non ti sembra strano che proprio quando un nuovo nemico si affaccia all’orizzonte spunta un tizio sconosciuto che diventa allievo del primo cavaliere di Atena?” Shun lo guardò con aria da rimprovero.
“Te lo ripeto: è solo un bambino. E comunque se fosse un nemico, non è meglio che tocchi a Seiya tenerlo sotto controllo?”
Eden annuì guardando di nuovo nella direzione di Subaru ma non riuscì a condividere quell’ottimismo e si ripromise di tenere gli occhi aperti e ben puntati sul nuovo venuto.

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Mur aveva fatto disporre gli scranni dei dodici cavalieri d’oro in cerchio nella sala del trono. Aveva indossato i paramenti e si era seduto sullo scranno più alto.
A ben guardare il cerchio, Mur ebbe la sensazione che un consesso simile lo avesse già presieduto nonostante quella fosse la prima volta che lo convocava ufficialmente. Fino a quel giorno infatti, ogni decisione era stata assunta con il consiglio dei cavalieri d’oro cui Mur attribuiva maggiore saggezza. Shaka e Camus in buona sostanza.
Non che ci fossero state, comunque, molte importanti decisioni da prendere da un anno a questa parte.
Il primo ad arrivare fu Kiki.
“Immaginavo di essere il primo!” esclamò il ragazzo.
“Benvenuto, Kiki. Tutto bene nell’arena? I profughi del terremoto ti stanno dando molti pensieri?” Kiki scosse il capo.
“Stanno però consumando le scorte alimentari del santuario. Occorrerà fare nuovi e consistenti rifornimenti.”
“E’ uno dei motivi per cui ho convocato il consiglio”, rispose Mur, mentre le porte della sala si aprivano di nuovo lasciando entrare da Camus e Milo. Aiolia e Aldebaran arrivarono subito appresso a Shaka e Kanon. La settima fiamma si era appena spenta quando anche Shura, Aphrodite e Death Mask, raggiunsero la sala del trono.
Nessuno di loro aveva indossato l’armatura d’oro ma portavano comunque abiti che potevano essere considerati eleganti e che facevano comprendere subito a quale nazionalità gli uomini appartenessero.
I presenti si guardarono gli uni con gli altri e fissarono Mur il quale si schiarì appena la voce e si sentì in dovere di parlare.
“Ha un buon motivo per essere in ritardo”.
Nessuno fiatò. Solo Aldebaran, braccia incrociate, batteva nervosamente il piede a terra. Kanon rise tra i denti. Anche se nessuno diceva niente, tutti stavano pensando la stessa cosa. Perché proprio il Sagittario era in ritardo? La linea dei pensieri di Kanon, e forse quella di tutti gli altri, fu interrotta dal rumore della porta che si apriva di nuovo. La voce che chiese scusa per averli fatti aspettare però non apparteneva al loro generale. Tutti si voltarono verso l’ingresso e capirono le parole di Mur.
Accanto ad un Seiya più sorridente che mai, se ne stava ritto Shyriu.
“Non potevamo convocare un consiglio dei dodici senza il cavaliere della Bilancia, vero?” disse Seiya che, per l’occasione, aveva infilato un paio di pantaloni scuri e una camicia azzurra che furono comunque trovati inappropriati, alla fine dell’incontro, da Camus e Aphrodite.
Quando tutti presero posto, Mur si alzò.
“Immagino che vogliate tutti sapere il motivo di una convocazione così formale. Ebbene ci sono alcune cose che voglio condividere con voi. La prima riguarda la cicatrice del tempo.” A quelle parole Kanon si fece attento. Lui si trovava già ad Atlantide quando erano avvenuti i fatti legati al tentativo di risveglio di Crono da parte dei titani ed era desideroso conoscerli meglio. Aveva capito che la cosa aveva avuto a che fare con Saga. Ma come? Saga s’era schierato dalla parte giusta o da quella sbagliata in quella battaglia? Queste domande e la promessa fatta a Shaina che non avrebbe permesso alla nuova guerra di dividerli, lo tormentavano.
“Dovete sapere che ho studiato gli effetti della cicatrice del tempo e sono giunto ad una conclusione. Credo che le distorsioni non siano cominciate ora ma risalgano ad un anno fa.”
“Addirittura un anno?” chiese Shaka “Questo è difficile da stabilire. Non abbiamo percepito nulla per mesi”, disse il cavaliere accigliandosi ancor di più.
“Come fai a dirlo, grande Mur?” chiese Seiya e tutti si voltarono a guardarlo. Seiya aveva sempre dato a tutti i suoi compagni l’idea di essere troppo spensierato nell’interpretazione del suo ruolo e, in fondo, non era un giudizio inappropriato dato che continuavano a paragonarlo ad Aiolos.
“Lo spiegherò nel modo più semplice che conosco ma non sono sicuro che sarà comprensibile. Io stesso faccio fatica a tenere insieme tutte le mie supposizioni.
In primo luogo, Atena ha sempre fatto fatica a ricostruire i momenti appena successivi al suo risveglio. Seiya presentava sul petto la cicatrice di una ferita mortale ma tutti noi sappiamo che si scontrò da solo con Marte sulla costa. La sua ferita doveva essere ancora aperta invece il segno sulla pelle era quello di una ferita rimarginata da molto. Inoltre il fatto che nessuno ricordi il momento preciso in cui Saga ha perso la vita, altra fonte di grande turbamento per milady, potrebbe essere un altro indizio del fatto che l’origine della distorsione risalga addirittura al momento in cui è terminata la battaglia con Marte.”
Death Mask, che aveva cominciato già da un po’ a storcere le labbra, lo interruppe in quel momento.
“Forse ha ragione Atena. Forse Saga si è perso in qualche distorsione, magari non è morto.” Kanon ebbe un sussulto.
“Non facciamoci illusioni in proposito”, disse all’indirizzo del cavaliere del Cancro.
“Perché?” lo canzonò subito l’interessato “Pensi di avere l’esclusiva sui ritorni impossibili?”
“Tutto il contrario!” esclamò Kanon con un sorriso malevolo sulle labbra che a molti ricordò proprio il gemello “se Saga fosse sopravvissuto a qualunque cosa gli sia capitato, avrebbe di certo trovato il modo di tornare al Santuario. Non ho dubbi in proposito. Tutto ciò che desidera, è qui.” Seiya abbassò lo sguardo e sorrise malinconico. Kanon aveva ragione su tutta la linea. Saga non era uomo da lasciarsi sopraffare da un destino avverso. Un uomo che è in grado di sollevare una daga contro un’infante, può fare qualsiasi cosa. Inoltre, Seiya sapeva che Saga amava Saori. Per tutto il tempo aveva preferito ignorarlo, certo dei sentimenti della donna. La verità comunque era quella. Saga non si sarebbe mai allontanato volontariamente da lei.
C’era però una cosa che nessun altro sapeva a parte lui che poteva cambiare tutte le carte in tavola. Per il consiglio, Saga era certamente morto perché erano tutti sicuri del fatto che altrimenti avrebbe fatto ritorno ad Atene. Nessuno contemplava la possibilità che avesse deciso di allontanarsi volontariamente. Che motivo poteva avere per farlo? Seiya aveva solo tre risposte.
Era tornato malvagio.
Aveva portato via Kouga dal Santuario.
Aveva portato via Kouga dal Santuario perché era tornato malvagio.
Inutile dire che questa terza possibilità lo spaventava molto più delle altre.
Mur sollevò lentamente una mano e riprese a parlare.
“Una grande forza è all’opera qui, ora. Quando abbia cominciato a muoversi nell’ombra importa poco ormai. Ho voluto sollevare la questione solo per farvi presente che potremmo avere meno tempo di quello che crediamo a disposizione.
Un conto è pensare che il sigillo ha perso potere da qualche giorno, un altro è sapere che lo ha fatto da un anno.”
“Grande sacerdote,” intervenne Shaka “solo il potere del fulmine può chiudere la breccia spazio temporale e sigillare nuovamente il labirinto del tempo.”
“Questa è una soluzione, è vero. Ed è certamente la più praticabile dato che c’è un cavaliere fra voi in possesso del potere di scagliare un fulmine d’oro. Tuttavia ho l’onere di dirvi che potrebbe non bastare.”
“Che intendi?” chiese Camus.
“Guardate che ne è stato del sigillo di Aiolia. Il suo destino era stato profetizzato. Le sue zanne avrebbero spezzato o sigillato le catene con cui è tenuto prigioniero Crono. Eppure sono passati solo una manciata di anni mortali per trovarci di nuovo minacciati da vicino dai titani.” Aiolia strinse il pugno e parlò.
“Abbiamo combattuto duramente in quella battaglia. Non voglio credere che sia stato tutto vano.”
“Non vano,” rispose Mur “utile a dir poco. Hai dato ad Atena il tempo di diventare adulta e combattere i suoi nemici. E, cosa da non sottovalutare, hai dato a Saga il tempo di scoprire questa” concluse sfoderando da sotto la manica dell’abito sacerdotale una scatola di oro e avorio.
Tutti i cavalieri spinsero involontariamente il busto in avanti per cercare di intuire cosa fosse quell’oggetto misterioso.
“Che diavolo è?” chiese Milo fremente d’impazienza. Se i suoi compagni pendevano dalle labbra del grande sacerdote, Milo era una creatura a sangue caldo. Ribolliva facilmente. Mur aprì la scatola mostrando quello che poteva essere definito uno strano meccanismo. Milo perse definitivamente la pazienza.
“Riformulo: che diavolo è?” Mur sorrise e rispose.
“E’ il meccanismo di Antikyteras. E prima che tu me lo chieda di nuovo, Milo, lascia che ti spieghi che cos’è.  E’ un complicato sistema di ingranaggi che, dati alcuni precisi parametri, consente di stabilire l’esatta posizione degli astri, dei pianeti e di calcolare con precisione le date in cui si verificheranno eclissi o equinozi e solstizi. E’ stato fabbricato da Efesto in persona e donato ad Atena. Andò perduto durante una guerra sacra e ritrovato agli inizi del Novecento. Dalle carte degli archivi del grande tempio, Saga ne è entrato in possesso subito dopo la notte degli inganni.”
“A parte il fatto che potrebbe essere considerato un orologio, quale attinenza ha con la cicatrice del tempo?” chiese di nuovo Milo.
“Nessuna”, rispose Mur e Milo sbuffò sconsolato prima che il grande sacerdote potesse continuare “se non quella, secondo Saga, di determinare l’esatta posizione del labirinto del tempo e, quindi, di Crono.” Shaka si alzò.
“Stai dicendo che Saga stava studiando per conto proprio questo genere di cose? Voleva trovare Crono?” Mur scosse il capo.
“Non credo che stesse ancora studiando. Credo che lo avesse trovato.”
“Come fai a sostenerlo con tanta sicurezza?” domando Shura.
“Perché aveva attivato quattro sigilli. In specifiche posizioni del santuario per evitare che la cicatrice si riaprisse.”
“Non ha funzionato però!” esclamò Camus.
“Tre sigilli sono ancora attivi. Uno è stato, come dire, spezzato. Ho provveduto personalmente a ripristinarlo. Prima che qualcuno di voi dica qualcosa, sappiate che è mia volontà che quelli di voi che hanno ricevuto un sigillo, uno da me, gli altri da Saga e che stanno scoprendo solo ora che cosa hanno in custodia, non lo rivelino agli altri!” I dodici cavalieri d’oro tacquero. Come al solito fu il mite Shaka a spezzare l’imbarazzante silenzio.
“Questa prudenza denota il timore che qualcosa di malvagio abbia già fatto breccia nel santuario.” Mur scosse di nuovo la testa.
“La mia decisione ha come unico scopo quello di proteggere Atena.”
“Confidiamo nel tuo giudizio, grande Mur,” intervenne Seiya “ma immagino che se Saga ha usato il congegno per difesa, è possibile usarlo anche per attaccare.”
“Questo, solo Saga lo sa. Ad ogni modo ci sono almeno altre due cose che intendo portare alla vostra attenzione. La prima riguarda i profughi del terremoto. Non è più possibili tenerli al santuario se dobbiamo prepararci a difenderlo. La soluzione ideale è sistemarli a Rodorio. Milady ha disposto l’acquisto di molte case prefabbricate. Mettete a disposizione tutti i soldati del santuario per l’eliminazione delle macerie e la costruzione delle nuove abitazioni. Al momento possiamo permetterci ancora di diradare la sorveglianza tra le dodici case e Atena mi ha riferito che alzerà una barriera se necessario.”
“Mi occuperò io di questo, se me lo consenti”, disse Aldebaran e Mur annuì.
“La terza e ultima cosa riguarda Dama Clio. Non ritengo che sia opportuno che rimanga ancora al santuario anche se non ha manifestato alcun desiderio di essere riaccompagnata a Delo per il momento.”
“Quella donna è strana” disse Camus.
“Detto da te non è credibile!” lo canzonò Milo.
“Ti dico che somiglia davvero poco alle pizie dei racconti che ho letto!” ripeté il cavaliere d’oro di Aquarius.
“Non importa. Atena parlerà con Pandora perché la convinca in qualche modo a ripartire. Avverrà comunque al termine della festa che sarà data in suo onore domani sera. Milo, va in città per gli approvvigionamenti. Porta Kanon con te. E mi raccomando: oltre a dama Clio, festeggiamo il risveglio di Hyoga. Cerchiamo di accantonare le preoccupazioni fino a domani. Se qualcuno bisogna di parlare con me per altro, sarò nel mio studio fino a tarda sera.”
Nel momento in cui Mur li congedò, tutti cavalieri si fermarono a salutare Shyriu.
“Deve succedere un finimondo per vederti!” esclamò Kiki.
“Porti con te la sventura! Non potevi restartene in mezzo ai monti?” fece Death Mask dandogli una pacca sulle spalle.
“Lascialo in pace, Mask! Non poteva mancare!” disse Seiya ridendo.
“Spiacenti di non poterci trattenere ma io e Kanon dobbiamo raggiungere Lucina nelle cucine! Dobbiamo accompagnare la vegliarda a fare spese ad Atene. Sentito il grande sacerdote? Questione di vita o di morte per fame!” esclamò Milo e Kanon rise.
“E di sete!” disse dando una pacca sulla spalla a Milo.
“Giammai!” ribadì il cavaliere dello Scorpione e si allontanò con quello di Gemini.
Mentre i suoi compagni chiacchieravano spensierati, Camus raggiunse Shaka che era rimasto in disparte.
“Solo a me sembra che una festa, adesso, sia inopportuna?”
“Se il grande sacerdote l’ha autorizzata, allora non deve essere inopportuna”, rispose il cavaliere di Virgo.
“Così come la decisione di non rivelare a tutti i cavalieri dove si trovano i quattro sigilli? Come faremo a difenderli se non sappiamo dove sono?”
“Camminiamo, vuoi accompagnarmi?” chiese Shaka avviandosi verso l’uscita. Camus lo seguì e, in breve, furono sulla via del tempio che scendeva direttamente al giardino degli alberi di Sala. Erano in pochi a conoscere quella via alterativa che dalla tredicesima casa portava direttamente alla sesta. Lungo la strada Shaka riprese a parlare.
“Mur fa di sicuro ciò che crede sia meglio nell’interesse di Atena.”
“Non si è consigliato né con me, né con te in proposito.”
“Il nostro consiglio va dato solo se richiesto. Mur è il grande sacerdote.”
“Nominato da Saga”, precisò Camus e Shaka si bloccò.
“Nominato dal precedente grande sacerdote. E devo essere io a ricordarti che a nominare il precedente grande sacerdote è stata Atena?”
“Non è un segreto che non mi sono mai fidato di lui.”
“Per quel che sappiamo è morto per difendere il tredicesimo tempio”, ribadì Shaka.
“Per quel che ne sappiamo, Shaka. E’ sempre così con Saga! Non puoi mai dire che è finita quando si tratta di lui.” Shaka si avvicinò al compagno d’armi e gli mise una mano sulla spalla.
“So che non hai mai nutrito alcuna fiducia in Saga. So anche che si è macchiato di colpe gravissime. So però che Shura ha cambiato parere su di lui e anche Mur. Aldebaran, Milo, persino Seiya, tutti hanno rivisto il loro parere. Non ti chiedo di fidarti di lui. Fidati dei tuoi compagni.”
“E tu? Tu, Shaka, ti fidavi di lui?” Shaka ritirò la mano e aprì i suoi occhi.
“Ho un ricordo. Non l’ho condiviso con alcuno prima d’oggi. Riguarda le ultime ore della guerra contro Mars. Nel momento in cui percepii il cosmo della strega Medea giungere al santuario, lasciai immediatamente la sesta casa per chiedere ad Atena il permesso di ingaggiare battaglia con lei. Raggiunsi la tredicesima casa e chiesi udienza. Shura portò la mia richiesta ad Atena. Ero certo che non ci fosse nessuno più adatto di me a combattere quel nemico. Quando la porta delle stanze della dea si aprì però, non fu Shura ad uscire da lì. Saga mi venne incontro con un’espressione che non seppi bene interpretare. Ricordo però che il suo cosmo, in procinto di espandersi per l’imminente battaglia che aveva deciso di affrontare al posto mio, bruciava circondandolo di una luce dorata. La forza di quel cosmo era incredibile e di certo, in quel momento, egli mi era superiore. Tuttavia non era un cosmo aggressivo. Neppure lontanamente paragonabile a quello che, seppure di dimensioni spropositate, gli era stato proprio durante la battaglia contro Seiya all’epoca del suo tradimento. Era un cosmo benevolo, dedito a proteggere. Era una forza consacrata ad un obiettivo. Consacrata ad Atena, ritengo. Ed è rivestito di questa forza che ha scelto Mur.
Non credo che lo abbia ritenuto il più forte tra noi, Camus. Credo lo abbia considerato il più adatto allo scopo.”
“Ma quale scopo, Shaka?”
“Questo non ci è dato saperlo. E’ una faccenda tra grandi sacerdoti della dea.”
“Vorrei avere il tuo animo saldo, Shaka.”
“Sono certo che il tuo animo critico sia in egual modo utile alla dea”, disse Shaka ricominciando la discesa. Camus sorrise e tornò verso l’undicesima casa.

 

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Capitolo 14
*** La quiete prima della tempesta - Parte prima ***


 

La quiete prima della tempesta
Parte prima



Seppure Aspros avesse manifestato apertamente le sue intenzioni a Niketas e Cora, mentre camminava per le strade di Atene in cerca del suo obiettivo si sentiva come se stesse per commettere l’ennesimo tradimento.
Non poteva comunque permettersi di tentennare. Quella mattina era uscito a fare la spesa come tutti i giorni. Non era intenzionato ad andare a cercare suo fratello.
Eppure, a dimostrazione che il destino non era mai stato sotto il suo controllo, lo aveva incontrato per caso. Ovviamente non gli aveva consentito di vederlo ma lo aveva seguito.
Per un anno intero era riuscito ad interrompere ogni contatto con lui e nel giro di una settimana, lo aveva incontrato al porto del Pireo per ben due volte. Il caso non c’entrava nulla. Doveva capire. Del resto le parole di Cora continuavano ad ossessionarlo. L’idea che ‘lei’ fosse in pericolo lo rendeva inquieto. Forse il fatto di aver incontrato suo fratello rappresentava il segno che doveva affrettare i tempi? Non si sarebbe fatto sfuggire quell’opportunità.
C’era comunque un problema. Suo fratello non era solo. Doveva trovare il modo di allontanarlo dall’uomo che lo accompagnava. L’occasione gli fu data quando i due entrarono in una cantina vinicola che Aspros conosceva bene. La sua famiglia d’origine si serviva lì da sempre. Forse era per quello che il suo gemello l’aveva scelta.
Entrò dal retro e chiese al proprietario di mostrare a suo fratello alcune bottiglie di vino nel seminterrato affinché potesse parlargli riservatamente. L’uomo fece un inchino profondo e si dileguò. Poco dopo si udirono le voci dell’uomo e di suo fratello che commentavano un vino rosso novello.
“Se attendete qui un solo momento, vi manderò una persona in grado di illustrarvi adeguatamente tutte le caratteristiche dell’annata, mio signore” disse l’uomo risalendo al piano di sopra e chiudendosi la porta alle spalle.
Per una manciata di secondi, Aspros esitò. Mostrarsi al gemello significava mettere a repentaglio tutte le certezze che aveva acquisito nell’ultimo anno. Gli diede coraggio sapere che Niketas fosse comunque al sicuro. Finché non ne avesse parlato, la sua esistenza sarebbe comunque rimasta segreta.
Uscì dal suo nascondiglio e camminò fra le botti fino a che fu ad un metro da lui.
“Kanon” disse solo in un unico grande sospiro.
L’uomo, che aveva percepito il suo stesso cosmo come fuoriuscito da lui prima della voce che lo chiamava, irrigidì spalle e pugni ma non si voltò.
“Kanon” disse di nuovo lui. Stavolta il gemello si voltò di scatto e agganciò con i suoi occhi leggermente più chiari quelli blu del fratello.
“Saga, tu sei, tu sei vivo?” Aspros, che finalmente sentiva di nuovo il suo nome, annuì. Il sorriso spontaneo che era nato sulle labbra di Kanon, si affievolì. “Vivo.”
“Già” disse Saga facendo un passo in avanti. Non potette farne altri perché Kanon lo investì col suo corpo e lo sbatté contro la parete fredda di pietra che aveva alle spalle.
“Vivo! Tu sei vivo! Maledetto bastardo! Tu sei vivo e devo ritrovarti dopo un anno d’inferno nella cantina dei nostri genitori! Lo sai che ho passato negli ultimi trecentosessantacinque giorni? Pensavo continuamente che ero al tuo posto! Che avrei dovuto morire io!” disse stringendo il bavero della camicia del fratello “Sai cosa significa sapere, avere la certezza di averti perso e non ricordare niente? Nessuno al santuario sapeva dire in che cazzo di modo fossi morto! Ci crederesti?” continuò mentre i suoi occhi si fecero umidi e le sue mani più strette intorno al suo collo.
“So che non deve essere stato facile per te” tentò di dire Saga ma il fratello gli diede un altro strattone.
“Non facile? Impossibile! Sostituirti è stata una cosa impossibile!”
“Non dovevi sostituirmi, dovevi vivere la tua vita”, rispose calmo Saga.
“La mia vita? Hai idea di cosa vedessero i cavalieri d’oro quando guardavano il cavaliere di Gemini? Hai idea di cosa vedesse Shaina quando veniva alla terza casa a prendere i suoi allievi? Hai idea di cosa vedesse Saori ogni volta che mi dava un incarico?” A quelle ultime parole Saga abbassò lo sguardo ma provò ugualmente a mettere le sue mani su quelle di Kanon. Il gemello lasciò andare la presa e si allontanò da lui. Saga parlò.
“Forse all’inizio hanno visto me. Però poi hanno imparato a riconoscere te sotto quell’armatura. Shaina vive con te alla terza casa. Sei tu ad avere degli allievi. Saori ha dato a te l’armatura. E’ la tua vita adesso.”
“La mia vita?” gridò Kanon “La mia vita è basata su una menzogna! E’ fondata esclusivamente sul fatto che sei morto! Morto, capisci? Ma tu, ovviamente, non sei morto!” urlò allargando le braccia.
“E questo ti ferisce, fratello?” disse Saga alzando di nuovo lo sguardo, stavolta carico di risentimento.
“Mi ferisce che tu abbia finto di essere morto!”
“Io non ho finto.” A queste parole, Kanon cercò di prendere un respiro profondo e mise le mani sui fianchi.
“Sei risuscitato nelle ultime ventiquattro ore?” Saga rise amaro ma rispose.
“No.”
“Ti hanno trattenuto contro la tua volontà per un anno?” Saga stette al gioco.
“No.”
“Ti hanno minacciato in qualche modo di non rivelare ad alcuno che eri ancora vivo?”
“No.”
“Avevi perso la memoria e non sapevi dove fosse casa tua?”
“No.”
“Dannazione, Saga!” esclamò Kanon “Ho finito le scuse che mi consentirebbero di non odiarti!”
“Odiami se vuoi, ma ascoltami, fratello” fece Saga addolcendo il tono “Non sono riapparso nella tua vita per rovinartela. Ho bisogno del tuo aiuto.”
“E questo cosa dovrebbe significare?”
“Che non intendo tornare al grande tempio. Per tutti sono morto e devo restare morto.”
“Saga, ma che diavolo stai dicendo?” chiese Kanon prima che la verità si palesasse davanti ai suoi occhi sbarrati “Tu hai deciso di sparire! Hai deciso di farti passare per morto da tutti! Persino da me! Come hai potuto fare questo a me che sono tuo fratello? Come hai potuto fare questo a Saori!”
“Adesso smetti! Tu non conosci le ragioni di tutto ciò!” Si alterò Saga.
“Allora dimmele, cazzo!” replicò Kanon. La tempesta negli occhi di Saga si acquietò.
“Farò di meglio. Te le mostrerò. Prima però devi rispondere ad alcune domande.”
“Spara.”
“Saori sta bene?” Kanon rise.
“Si tratta sempre e comunque di lei, vero?”
“Sempre.”
“Sta bene. Ad eccezione del fatto che per mesi è stata convinta che tu fossi vivo e tutti l’hanno creduta pazza.” Saga sgranò gli occhi. “Tranquillo, abbiamo scoperto l’origine delle sue visioni.”
“Visioni?”
“Già. Mentre tu hai passato l’ultimo anno chissà dove, la cicatrice del tempo si è indebolita e visioni del passato appaiono nel presente. Saori ne ha risentito più di tutti. Per un po’ abbiamo pensato che fosse impazzita.”
“Seiya ha pensato che fosse pazza?”
“Seiya? Mi ascolti quando parlo? La cicatrice del tempo si sta riaprendo.”
“La cicatrice del tempo non si riaprirà finché i sigilli non saranno tutti infranti. Al momento dovrebbe esserne venuto meno solo uno. Rispondi alla mia domanda. Seiya si è allontanato da Saori?”
“Tu sai tutto! Come diavolo fai a sapere tutto?”
“Ho creato io i sigilli. Rispondi alla domanda!”
“Saga se credi che Seiya si allontanerà mai da Saori, allora hanno ragione quelli che dicono che sei pazzo!” Saga afferrò Kanon per le spalle e fu la volta di quest’ultimo di finire inchiodato alla nuda roccia.
“Ho rinunciato a lei molto tempo fa. Voglio solo proteggerla. Ho motivo di credere che la persona a lei più vicina le farà del male.” Kanon tornò calmo e si divincolò dalla presa del gemello.
“Seiya non leverebbe mai un dito contro di lei. Ora dimmi cosa sai sulla cicatrice del tempo.”
“Un anno fa, dopo la battaglia contro Mars, uno dei sigilli si è infranto. E’ stato un danno collaterale causato dal mio tentativo estremo di salvare la vita di Saori.”
“Mur aveva ragione. E’ cominciato l’anno scorso.” Saga annuì.
“E’ a causa dell’esplosione del sigillo che mi avete creduto morto. Ho distorto il tempo in modo che non ricordaste i miei ultimi momenti.”
“Sei stato tu?”
“Sì.”
“Saga, perché? Perché ci hai fatto questo? Perché mi hai fatto questo?”
“Non posso rivelartelo ora. Non ti avrei cercato se non avessi bisogno del tuo aiuto.”
“Io non ti aiuterò” disse Kanon improvvisamente con fermezza.
“Come?” Anche se la parola gli era uscita con una voce carica di dubbio, la sua postura aveva assunto naturalmente una posizione aggressiva.
“Hai capito. Non ti aiuterò in alcun modo. Tu piombi qui dopo un anno che ti fai passare per morto e mi chiedi di aiutarti. A fare che Saga? A fare che? Se credi che ti permetterò di portare avanti qualunque piano tu abbia architettato stavolta, sappi che troverai in me solo un ostacolo.” Saga liberò la tensione che aveva accumulato nelle spalle e nei pugni in una fragorosa risata.
“E’ questo che pensi? Che stia macchinando contro il Santuario?”
“Per quale altro motivo avresti rinunciato a Saori?”
“Sai, Kanon, è questo tua velocità ad arrivare alle conclusioni che ti ha impedito di superarmi in passato come adesso.”
“Non riuscirai a provocare alcuna curiosità in me, fratello.”
“Non curiosità, solo preoccupazione.”
“Preoccupazione per Seiya che dovrebbe fare del male a Saori? Questo è impossibile. E non ci crederò perché sei tu a dirlo.”
“Non sono io a dirlo. E’ stata una pizia a fare la profezia” disse Saga e notando lo stupore negli occhi del fratello aggiunse con sarcasmo “Sai chi sono le pizie, Kanon?”
“Non prenderti gioco di me! So benissimo chi sono le pizie e mi domando cosa fa l’uomo che doveva essere il grande sacerdote di Atena con le sacerdotesse di Apollo. Cosa c’è, Saga, ti sei trovato un altro dio in cui credere?” Saga sorrise.
“Sei tu quello che se ne va in cerca di altre divinità da circuire! E comunque le profezie delle pizie tendono ad avverarsi. Se non mi avesse parlato di Saori, avrei lasciato le cose come stavano!”
“Ma ti ascolti quando parli? Mi stai confermando che non saresti mai venuto a cercarmi. Mi avresti fatto credere ancora di essere morto!” Saga allora perse la pazienza al punto che i suoi occhi si fecero rossi di rabbia e i suoi capelli cominciarono a schiarirsi.
“Io sono morto! Lo capisci? Ho ottenuto a tal punto ciò per cui ho lottato che ormai ero solo la maschera del grande sacerdote! Atena ha il suo paladino, il Santuario ha il suo giusto grande sacerdote, Gemini ha il suo cavaliere. A cosa sarei potuto servire ancora laggiù?” A quelle parole, Kanon sentì il dolore di un uomo che ha perso tutto, la paura di un uomo che pensa che quel dolore possa rigettare la sua anima nell’oscurità, la sua stessa paura.
“C’è una pizia anche al santuario in questo momento”, disse Kanon calmando se stesso e, come fosse una naturale conseguenza, anche il fratello.
“Questo è interessante”, disse Saga accettando la rivelazione di Kanon come un’offerta di pace “Verrai con me a conoscere la pizia di cui ti ho parlato? Crederai alle sue parole?” Kanon abbassò il capo e poi parlò tutto d’un fiato.
“C’è Milo di sopra. Dammi il tempo di rispedirlo al santuario.”
“D’accordo, ti aspetto nel vicolo.”
“Ci sarai?” chiese Kanon mentre Saga spariva tra le botti.
“Fa in fretta”, rispose la voce di suo fratello. La sua sagoma era già sparita tra le ombre.

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Seiya e Shiryu non si parlavano da molto tempo.
Durante l’ultima battaglia contro Marte, il Dragone era giunto in aiuto dei suoi compagni ma era ripartito subito dopo che le condizioni di Hyoga si erano stabilizzate. I rapporti tra i due si erano raffreddati dopo che Seiya gli aveva comunicato la sua decisione di non tornare a Tokyo ma di rimanere in Grecia come cavaliere del Sagittario. Shiryu, all’epoca, aveva deciso di accettare l’offerta di Atena di tornare in Cina e credeva che anche l’amico volesse cominciare una nuova vita. Scoprire che Seiya era incapace di lasciare quella vita di dolore e privazioni, l’aveva deluso. A maggior ragione perché pensava che l’amico fosse succube di Saori Kido.
La lite che era conseguita a questa sua osservazione era stata tremenda. Per anni gli unici rapporti che avevano avuto erano stati di natura epistolare e Seiya non era un grande scrittore.
Certo, c’erano delle sere fresche in estate in cui il cielo si faceva profondo e puntellato di mille stelle. In quelle sere Shunrei stendeva una coperta sull’erba e si sdraiava accanto a lui a sognare il loro futuro.
Lui invece le cercava, le tredici stelle di Pegasus, e chiedeva loro notizie dell’amico. Loro, le stelle, gli raccontavano sempre solo una cosa. Seiya sentiva la sua mancanza.
Ora, a distanza di anni e con un'altra guerra sacra alle spalle, erano di nuovo uno di fronte all’altro, alla sesta casa.
“Hai già incontrato Hyoga?” chiese Seiya.
“E’ di questo che vuoi parlare, Seiya?” Il giapponese rise.
“Era per spezzare il ghiaccio!” Shyriu incrociò le braccia.
“Davvero, Seiya? Tu dici a me in questa stanza che era per spezzare il ghiaccio parlando di Hyoga?” Seiya scoppiò a ridere guardando nella direzione dove, ormai molti anni prima, si era levata la bara creata da Camus per il suo allievo che doveva essere indistruttibile ed era invece caduta sotto i colpi di Shyriu che impugnava le armi di Libra. Seiya si passò la mano dietro la nuca.
“Hai ragione. Sono un imbecille! E’ che sono nervoso e non dovrei esserlo. Tu sei il mio migliore amico.”
“Ero.” Lo sguardo di Seiya s’indurì.
“Lo sei ancora.”
“Non sei venuto mai a trovarmi. E’ così che fanno gli amici, secondo te?”
“Shyriu, avevamo litigato e tu insistevi così tanto con quella storia che stavo facendo un errore. Non mi sembra, a conti fatti.”
“Ti do atto che la tua determinazione era autentica. Se non lo fosse stata, ti saresti tirato indietro tempo fa ma ciò non toglie che ti sei rinchiuso tra queste colonne e ti sei perso tutto il resto.”
“Ho dovuto, avevo un compito ma non è come pensi tu. Ho gioito con te quando hai sposato Shunrei.”
“Gioito non significa stato. Persino Ikki è venuto quando è nato Ryhuo. Gli ha persino portato un regalo!”
“Sì, l’acchiappasogni di Shun”, sospirò Seiya.
“Tu, come lo sai?” Seiya sussultò e rispose con foga.
“Me lo ha detto Shun!”
“Bugiardo, neanche Shun sapeva che Ikki l’aveva conservato.”
“Me lo avrà raccontato Ryhuo!” Shyriu lo afferrò per le spalle.
“Tu eri lì?” Seiya sospirò e annuì “E perché non ti sei mostrato?”
“Non avevo molto tempo. Sarebbe stato orribile arrivare, salutare e scappare via. Mi sentivo come un intruso. Inoltre” disse fermandosi “tu non mi aspettavi”.
“Per questo hai preferito spiarmi di nascosto?”
“No!” esclamò Seiya agitando le braccia “Il vecchio maestro mi ha visto e gli ho lasciato il mio regalo.” Shyriu sobbalzò.
“La trapunta con le stelle!”
“Già” disse Seiya. Shyriu abbassò gli occhi. Ryhuo amava quella coperta più di tutti i suoi giocattoli. Forse perché era usata e odorava di fiori. Lui credeva che fosse appartenuta al vecchio Libra.
“Quella coperta era la cosa che mio figlio amava di più. Sembrava usata e ho sempre creduto che fosse del maestro.”
“Era usata. Fare il cavaliere non arricchisce!” rise Seiya e Shyriu lo imitò.
“Allora non ti eri scordato di me.”
“Sei il mio migliore amico!” Il cinese gli tese una mano ma Seiya lo attirò a sé e lo abbracciò. “Mi sei mancato tutto il tempo.”
“Anche tu. Credo di aver capito tanto tempo fa di avere sbagliato ma l’orgoglio mi ha reso cieco.” Seiya scoppiò a ridere.
“Ma allora aveva ragione il vecchio maestro! La tua cecità non dipende dagli occhi!”
“E’ stata una battuta infelice, lo ammetto. Ora però andiamo da Hyoga? Ufficialmente sarei tornato per lui.”
“Ma sì, sarà di certo con Shun e Ikki. E io non vedo l’ora che noi cinque stiamo di nuovo tutti assieme!”
Sorrisero e si avviarono verso l’arena.

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I corridoi della tredicesima casa erano tutto un via vai di persone affaccendate. Clio ne fu sorpresa. La calma e la regalità di quel luogo sembravano essersi dissolte in favore di un’allegra operosità.
Quando l’ennesimo gruppo di ancelle passò ridendo con ghirlande profumate e teglie di dolci pronte per essere infornate, Clio ne fermò una e domandò.
“Che accade oggi?”
“Perdonateci per la confusione, Dama Clio. Il santuario prepara una festa”, disse quella allontanandosi di corsa. Clio scosse le spalle e si chiese cosa ci fosse da festeggiare.
Pandora la sorprese alle spalle.
“Festeggiano voi, dama Clio.” La fanciulla si voltò e vide la donna in piedi con una abito rosso scuro che evidenziava le sue forme generose.
“Lady Pandora, organizzano una festa per me?”
“Non avete chiesto alcunché per il vostro gesto di estrema generosità e Atena ha deciso di organizzare un banchetto in vostro onore.”
“Non ve n’era alcun bisogno!”
“Suvvia! Dalle mie parti ogni motivo è buono per far baldoria!” esclamò lei prendendo la ragazza sottobraccio e dirigendosi verso i giardini dietro la tredicesima casa.
“Non l’avrei mai detto!” esclamò Clio “Vivete in un posto tanto lugubre che persino Dioniso perderebbe il sorriso laggiù!”
Pandora si fermò per un istante, gelata da una battuta che se per un verso era semplicemente sconveniente, per l’altro denotava una certa insensibilità da parte della somma sacerdotessa di Apollo nelle relazioni con una sua pari appartenente ad un’altra divinità.
“Il nostro modo di divertirci non è quello che preferisce la maggior parte degli dei luminosi come Apollo, ma anche i dotati di cosmo ctonio hanno il senso dell’umorismo altrimenti dovrei ritenermi offesa da una simile battuta di spirito, mia cara!” disse stringendole un po’ di più il braccio “Ma dite, piuttosto, non è magnifica?”
Clio guardò il punto in cui Pandora aveva puntato lo sguardo e si rese conto solo in quel momento di essere ai piedi della gigantesca statua di Atena. La sua ombra la sovrastava al punto che si sentì mancare il fiato. Si divincolò dalla presa di Pandora e tornò alla luce del sole.
“Magnifica, dite?” disse tornando a sorridere in modo naturale.
“Senz’altro!” esclamò Pandora “Certo ostentare così la sua grandezza denota alcune sue debolezze quale, di sicuro, una certa mancanza di affetto! Per fortuna devo tollerare la sua vista solo per sei mesi all’anno. I patti col mio sposo sono chiari. Viviamo qui per metà dell’anno, poi si torna all’arco di Cerbero! Non sarà altrettanto bello ma è ugualmente maestoso! Voi per quanto ancora intendete condividere con me questa pena?”
Clio l’aveva lasciata parlare e solo verso la fine del suo discorso si rese conto che, anche se in forma siffatta, le era stato chiesto quanto intendesse rimanere ancora al santuario di Atena.
“Non ci ho pensato, in effetti. Credo di rimanere qui qualche giorno ancora.”
“Apollo non richiede il vostro ritorno a Delo?”
“Non ancora.”
Se disappunto provò nell’udire quelle parole, Pandora non lo diede a vedere ma fu costretta a girarsi non appena percepì il cosmo di Atena.
La dea veniva loro incontro accompagnata da Shura che rimaneva distante quanto bastava a non apparire d’intralcio ma di certo entro i limiti d’azione della sua Excalibur.
“Le giornate si fanno sempre più afose” disse come se non le avesse ancora viste e alzando una mano sul viso come a proteggere i suoi occhi dal sole. Clio la osservò con attenzione. Anche quella mattina indossava un semplice abito bianco lungo fino ai polpacci e un paio di sandali. Anche quella mattina era bellissima.
“Dovreste ripararvi dal sole!” disse Clio “Potreste bruciarvi!”
Pandora sorrise cogliendo il sarcasmo che impregnava le parole della ragazza.
“Non temo il sole di Grecia. E’ sempre stato generoso con me”, rispose Saori sottolineando le prime parole “piuttosto Dama Clio, vengono preparati festeggiamenti. Quest’anno al posto della festa di chiusura delle Panatenee, annullate per via del terremoto, terremo una festa in vostro onore. Spero che non vi congederete prima di allora!”
“Dicevo appunto a lady Pandora che intendevo rimanere ancora qualche tempo.”
“Dovete restare!” esclamò Saori prendendole entrambe le mani nelle sue “Almeno fino a che riterremo prudente per la vostra incolumità che restiate!”
“E lo stabilirete voi questo?” chiese Clio stizzita. Pandora non credette ai propri occhi. Saori lasciò andare le mani di Clio e se le portò al petto, una stretta nell’altra. Il suo viso assunse un’espressione contrita come se le parole della ragazza l’avessero ferita nei suoi sentimenti e poi la sentì parlare con la voce di un usignolo.
“Certo che no!” disse come una bimba “Queste sono decisioni che spettano al grande sacerdote!”
La donna si voltò e riprese a scendere lungo il viale del giardino. Quando arrivò davanti alla statua di Atena, sollevò una mano e con un dito percorse il piedistallo mentre camminava. Sparì oltre il telo bianco delle sue stanze private.
Pandora sorrise pensando di avere fatto finalmente la conoscenza di Saori Kido.

 

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Capitolo 15
*** La quiete prima della tempesta - Parte seconda ***


La quiete prima della tempesta
-parte seconda-



Saga condusse Kanon fino ad una porticina dipinta di blu di una casetta poco lontano dal porto. Il suo gemello ci aveva messo davvero poco a convincere Milo a proseguire l’approvvigionamento delle scorte del santuario senza di lui. Del resto nessuno più di Milo era sensibile all’idea che, per la serata, Kanon si sarebbe procurato il miglior vino di Atene, forse dell’intera Grecia. Con questa promessa l’aveva salutato un istante prima di girare i tacchi e cercare il vicolo in cui Saga lo stava aspettando.
Appena fuori dalla porta, suo fratello si bloccò.
“Ci sono due persone che ci aspettano dietro questa porta. Per entrambe io sono Aspros. Tu sei mio fratello Defteros. Intesi?”
“Ho altra scelta?” chiese Kanon.
“No.”
“Appunto. Andiamo.”
“Aspetta” disse Saga trattenendolo con una mano.
“Che altro c’è?”
“C’è un ragazzino. E’ importante per me.”
“Un ragazzino?” chiese Kanon piegando appena la testa di lato.
“Ne parleremo più avanti.” Kanon avrebbe voluto ribattere ma Saga aprì la porta ed entrò.
“Sono tornato!” disse Saga “Venite qui, vi presento mio fratello Defteros.”
Kanon entrò in casa e la sua attenzione fu subito attratta da un ragazzo di circa quindici anni dai capelli di un rosso vivo e dagli occhi blu. Sembrava desideroso di parlargli e si tratteneva a stento, probabilmente per il rispetto che, si notava subito, provava per Saga che stava ancora parlando.
“Niketas, questo è mio fratello Defteros. Defteros, ti presento Niketas.”
“Wow! Siete proprio uguali!” esclamò il ragazzo “Piacere di conoscerti, zio Defteros!”
“Zio?” esclamò Kanon.
“Già! Zio”, fece Saga passandogli un braccio intorno al collo “Niketas è mio nipote, Defteros e, di conseguenza, da oggi è anche il tuo.” L’espressione sul viso di Kanon era tutta un programma e Saga, per un momento, ne ebbe compassione.
“Anche tu conoscevi la mia mamma, zio Defteros?” chiese a bruciapelo il ragazzo.
“No, Niketas. Viveva all’estero quando io l’ho conosciuta”, tagliò corto Saga.
“Capisco”, disse il Niketas un po’ deluso. Kanon prese la palla al balzo e provò a mettere un po’ in difficoltà il fratello.
“Dimmi, Niketas, da quanto tempo vivi con mio fratello?”
“Dall’anno scorso. Da quando c’è stata la frana al Pireo e i miei genitori sono morti”, fece il ragazzo rabbuiandosi. Saga guardò suo fratello con uno sguardo truce e Kanon si scusò con gli occhi.
“Non volevo, Niketas, mi dispiace.” Niketas scosse la testa.
“Non fa nulla, ci sono abituato. Fa meno male adesso. E poi ho lo zio Aspros che si prende cura di me. Molte persone sono state più sfortunate!” esclamò Niketas stringendo un pugno. I suoi occhi brillarono e Kanon ebbe la sensazione di avere già visto quell’espressione sul viso di qualcuno ma non ricordava di chi. “Zio tu sei un cavaliere?” A quella domanda Kanon guardò Saga per capire se doveva mentire oppure no.
“Niketas ha visto il cavaliere nero e quello d’oro sulla spiaggia qualche giorno fa. Gli ho spiegato che non c’è da aver paura perché anche io e te siamo cavalieri.”
“Per l’esattezza” intervenne Kanon “io sono un cavaliere, Niketas, Aspros lo è stato ma ha deciso di non esserlo più.”
“Zio Aspros ha detto che non si può smettere di essere cavalieri.”
“E’ vero, ragazzo, e nonostante questo, Aspros ci ha lasciati.”
“Sono certo che lo ha fatto per me. Non è vero, zio Aspros?”
“Che ti ho detto, Niketas, riguardo a questo?”
“Che io sono più importante.”
“Bene, e non parliamone più.” Niketas sorrise poi si rivolse di nuovo verso Kanon.
“Perciò starò un po’ con te mentre zio torna al Santuario per qualche giorno?” chiese Niketas tutto d’un fiato.  Kanon sorrise come il giocatore di poker che ha contato le carte fino alla fine e sa ormai quali sono rimaste in mano all’avversario. Saga rise di rimando.
“Niketas, perché non vai a chiamare Cora così la presentiamo allo zio?” Il ragazzo annuì e schizzò nell’altra stanza.
“Così è per questo che sei venuto a cercarmi! Vuoi infiltrarti prendendo il mio posto?” sputò fuori tutto d’un fiato Kanon sottovoce ma con rabbia appena il ragazzo fu fuori dalla camera.
“Niente che tu non abbia già fatto!” disse con calma Saga versando due bicchieri di ouzo e porgendone uno al fratello.
“Scordatelo! Ti ho già detto che non ti aiuterò! Soprattutto se è tua intenzione entrare al santuario con l’inganno!”
“E io ti ho già detto che non intendo tornare dal mondo dei morti.”
“Chi è il ragazzino?” chiese Kanon bevendo tutto d’un fiato il bicchiere di liquore.
“E’ solo un ragazzino.”
“Mi è sembrato di capire che è lui il motivo per cui non vuoi tornare al grande tempio.”
“Potrebbe darsi, o magari non c’entra niente!”
“Saga non fare questo gioco con me! Che sarebbe accaduto di male se lo avessi portato al santuario? Saori lo avrebbe accolto come tutti gli altri. Ne accoglie continuamente! Io stesso ne ho due per casa, molto più piccoli di lui.”
“Congratulazioni ma non lo porterò al grande tempio. Quel ragazzo deve avere una vita normale.”
“Bhé io non ti aiuterò comunque a farti passare per me e di certo non farò il babysitter per te.” In quel momento Niketas tornò nella stanza tenendo per mano una ragazza.
“Defteros, lei è Cora, la ragazza di cui ti ho parlato alla cantina” disse Saga. Kanon si voltò verso la nuova venuta e il bicchiere vuoto gli cadde di mano infrangendosi in mille pezzi.
“E voi cosa diavolo fate qui, dama Clio!” esclamò Kanon lasciando persino Saga senza parole.

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Saori chiuse le finestre della sua stanza e si lasciò andare ad una leggera risata.
“Lieto che siate compiaciuta per quello che avete detto a Dama Clio” disse il grande sacerdote facendo un inchino.
“Sono stata sfrontata, Mur?” chiese la donna che sapeva che lui la stava aspettando già da un po’.
“Ammetto che siete riuscita ad indispettirla, solo non credevo fosse questo il vostro obiettivo, milady. Credevo aveste domandato a lady Pandora una mano per invogliarla a ripartire.”
“Lo so, Mur. E’ stato più forte di me. So che devo esserle grata per aver risvegliato Hyoga ma da quando è arrivata è sembrata interessata a tutto fuorché alla preghiera o alla divinazione. Inoltre quando le sono vicina, mi innervosisco facilmente.”
“Non avrà a che fare con quello che vi ha riferito la mia Raki?” chiese Mur sorridendo appena.
“A proposito! Credo che sia più opportuno che non sia una bambina a controllarla.”
“Credo anche io. La fantasia di Raki è fervida. Credo che se la signora delle Pizie si concedesse di dare attenzioni ad un uomo, avrebbe scelto con più attenzione l’oggetto di tale interesse.”
“Stai dicendo che Seiya non è sufficientemente interessante?” chiese Saori un po’ infastidita dall’argomento.
“Sto dicendo che anche un cieco si accorgerebbe che egli non è sufficientemente interessato a nient’altro che a milady.”
“Mur! Neppure Saga si è mai permesso di parlare in questi termini!” esclamò Saori senza tuttavia riuscire a sembrare realmente arrabbiata.
“Strano! Sono parole di Saga. Cambiando palesemente argomento, chiederò ad Aphrodite di seguire ogni passo di dama Clio. Almeno per il momento, comunque, il suo cosmo è potente ma non aggressivo.”
“Riguardo all’altra faccenda?” chiese Saori che aveva smesso di arrossire.
“Ho informato i cavalieri d’oro dell’esistenza del manufatto di Antikyteras. Ho anche riferito loro che non devono rivelarsi l’un l’altro la posizione dei sigilli come avete stabilito.”
“Si sono trovati d’accordo con la decisione?”
“Credo avrebbero preferito condividere le loro informazioni” disse Mur.
“Lo so, anche io lo avrei preferito”, disse Saori “ma dobbiamo essere prudenti. Anche se non ho ancora capito cosa, so per certo che qualcosa di oscuro si aggira tra le colonne del tempio. Forse è dama Clio, forse sono gli spectre risuscitati da Eden, forse le ombre che fuoriescono dalla cicatrice del tempo. So solo che dobbiamo stare in guardia.”
“Forse quel ragazzino”, aggiunse Mur.
“Ti riferisci a Subaru?” chiese Saori. Mur annuì “Non ho percepito alcun male in lui ma è vero che la sua comparsa è un mistero. Sono certa che Seiya lo terrà d’occhio.”
“E chi terrà d’occhio Seiya?” chiese Mur concedendosi un sorriso. Saori lo ricambiò.
“Io, come sempre! Ora però occupiamoci di organizzare questa festa. A tutto il resto penseremo dopo.”
Mur si congedò proprio mentre il cavaliere del Sagittario chiedeva udienza.
“Seiya! Dov’è il tuo allievo?” chiese Mur.
“Con Hyoga. Per un po’ starà con i suoi nuovi compagni. Saori riposa già?” Mur scosse il capo.
“Seiya, posso farti una domanda?” Il cavaliere annuì, serio. “Dama Clio ha mostrato interesse nei tuoi confronti?” Seiya si irrigidì ma scoppiò a ridere.
“Mur! Che cosa mai ti salta in mente?”
“Ti ho chiesto il permesso di domandare”, disse sorridendo il grande sacerdote.
“Sei serio?”
“Altrimenti perché avrei chiesto?”
“Dama Clio è la sacerdotessa di Apollo.”
“Non ti ho chiesto chi è; ti ho chiesto se, da quando è qui, ha mostrato interesse per te.”
“Perché me lo chiedi? Posso almeno sapere da dove esce una domanda simile?”
“Dalla difficoltà che fai a rispondere, deduco che la risposta non sia semplicemente no. Non aggiungere altro. Ti consiglio però di essere prudente. In un momento come questo non vorrai irritare milady, giusto?”
“C’è lo zampino di Raki in tutto questo?” chiese allora Seiya di nuovo serio.
“Non avrai creduto che avrei lasciato dama Clio libera di girare per il santuario senza prendere un qualche tipo di precauzione!” lo rimbeccò Mur.
“Bhè allora conosci già i fatti.”
“Amico mio, non prendertela,” disse Mur mettendogli entrambe le mani sulle spalle “non volevo ridere di te o rimproverarti. Ti chiedo solo prudenza. Adesso che conosciamo meglio la fonte delle visioni di Saori, abbiamo maggiore controllo ma non possiamo ancora escludere completamente che torni di cattivo umore, giusto?” Seiya sospirò.
“Giusto. Tranquillo, ho tutto sotto controllo!” esclamò Seiya stavolta ridendo e congedandosi da lui.
“Fantastico!” disse Mur a se stesso “Ora so cosa deve aver provato Saga in tutti questi anni!”
Vide Seiya entrare nelle stanze di Atena e decise che, per quel giorno, poteva considerare terminati i suoi obblighi.

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Kanon non credeva ai propri occhi. Davanti a lui, mano nella mano con Niketas, stava ritta la fanciulla che Mur aveva presentato a tutti i cavalieri d’oro come Dama Clio, somma sacerdotessa di Apollo. Non era una semplice somiglianza. Era la stessa ragazza. Stessi occhi verdi e profondi, stessi capelli ramati, stesse braccia sottili. Forse le sue labbra erano meno rosse di quelle della donna che aveva conosciuto qualche giorno prima ma poteva essere semplicemente un velo di rossetto che mancava.
“Defteros, puoi ripetere per favore?” la voce di Saga lo scosse dallo stupore.
Lui si voltò a guardare il gemello per avere conferma che la cosa non lo riguardasse. Forse era stato Saga a mandare quella donna al santuario? Non era una vera sacerdotessa? Queste e altre domande si spensero nello sguardo limpido di Saga. Conosceva talmente bene il fratello che sapeva capire quando mentiva e adesso era sincero.
“Questa donna è Dama Clio e, dato che era al grande tempio fino a stamattina, vorrei sapere, mio caro fratello, cosa fa qui.” Niketas, che era un ragazzino sveglio, esultò.
“Sentito Cora? Lo zio Defteros ti conosce!” La ragazza passò con lo sguardo dal viso di Niketas a quello di Kanon e poi fissò i suoi occhi su Saga.
“Defteros, ti assicuro che Cora è sempre stata qui. Tuttavia spiegati meglio, se puoi.”
Mentre Saga raccoglieva i pezzi del bicchiere finito in frantumi poco prima, Kanon raccontò tutta la storia. Narrò di quanto tutti al grande tempio avessero cercato per un anno la cura per Hyoga, rimasto in coma dopo l’incidente del Pireo. Kanon tenne il gioco del fratello e non si riferì mai, nel narrare gli avvenimenti accaduti nell’ultimo anno, agli aspetti legati alla guerra santa combattuta allora. Raccontò di come la sacerdotessa del dio Hades avesse chiesto ad Atena di domandare l’aiuto della signora delle pizie e di come Atena avesse dato il suo consenso. Niketas, che sapeva solo che i suoi zii erano cavalieri come quelli che aveva incontrato sulla spiaggia, ascoltava desideroso di conoscere meglio questi guerrieri che tanto avevano colpito la sua immaginazione.
Alla fine riportò che la somma sacerdotessa di Apollo era giunta al grande tempio e aveva risvegliato Hyoga. Quella donna era simile, in tutto e per tutto, alla ragazza che adesso ascoltava con loro il racconto.
Cora si guardò le mani. Il nome di Clio le era, in qualche modo, familiare ma non ricordava alcun legame specifico con esso.
Saga, dal canto proprio, aveva ascoltato ogni cosa con attenzione e la sua mente continuava a passare dall’idea che le pizie potessero avere tutte le stesse fattezze, a quella che magari Cora fosse la sorella di Clio. Magari la somiglianza era dovuta ad un legame di sangue.
“Niketas, fammi un favore,” disse ad un tratto Saga “va a comprare del pesce. Ragioneremo meglio a stomaco pieno e fra un po’ è ora di pranzo.”
“Zio, usi sempre la stessa scusa per liberarti di me! Comunque ci vado, ho fame anch’io!” urlò il ragazzino agguantando la felpa e uscendo di casa. Quando la porta si richiuse, Saga si sentì finalmente libero di parlare.
“Cora, per favore, vuoi raccontare a mio fratello cosa ti è accaduto?” la ragazza annuì e prese coraggio.
“Ho perso la memoria. Mi sono risvegliata  sull’isola di Skyros dove mi hanno trovata Aspros e Niketas. Da allora ho delle visioni. Spesso sono solo come immagini che appaiono nella mia mente, altre volte è come ricordare qualcosa che ho già vissuto solo che non si tratta di me ma di qualcun altro. Aspros dice che porto il segno delle sacerdotesse di Apollo” disse la fanciulla sollevando un braccio e mostrando il polso cui era legato un laccio rosso “e io ricordo di avere delle sorelle. Oltre a questo, non so nient’altro di me.” Kanon prese un respiro poi parlò.
“E’ vero che Atena è in pericolo?”
“Ho visto una donna con lunghi capelli e un abito candido in preda ad un forte dolore. Era ai piedi della grande statua di Atena. Un uomo brandiva un arco dorato e potente e lo teneva teso contro di lei. All’inizio io ho solo fatto la profezia. Ho ricordato le immagini solo quando la trance era passata da un po’. E’ come se queste visioni fossero troppo forti per essere sopportate”, concluse Cora abbassando lo sguardo.
“Ora mi credi, fratello?” chiese Saga.
“Ammettiamo pure che Atena sia in pericolo. Tranne l’arco, non esistono indizi che a minacciarla sia Seiya”, disse Kanon incrociando le braccia davanti al petto.
“Avanti Kanon, non sei forse rimasto tu stesso sorpreso della somiglianza di Cora a questa Dama Clio?”
“Per quanto ne so, potrebbe essere tutta opera tua!” esclamò Kanon.
“Non è così! Aspros non ha a che fare con questa storia. Sono io ad aver avuto la visione!” esclamò Cora di getto.
“Sta tranquilla, Cora” la calmò Saga “Defteros ha il vizio di provocarmi. Non crede veramente a quello che dice.”
“Forse è così ma le cose non cambiano,” disse Kanon alzandosi in piedi “io non ti lascerò entrare al grande tempio al mio posto. E con questo non c’è altro da aggiungere. Se vuoi tornare ad Atene sono certo che sarai il benvenuto. Tuttavia temo dovrai dare più di qualche spiegazione, fratello.”
In quel momento Niketas fece ritorno col pesce fresco e Saga si mise ai fornelli. Cora rimase silenziosa sul divano e Niketas si avvicinò al nuovo venuto.
“Zio Defteros, com’è Atena? Com’è una dea?”
“Atena è una dea ma è anche una donna. Somiglia a Cora.”
“E’ bella?”
“Questo dovresti chiederlo a mio fratello. Io preferisco un altro genere di ragazza!” Niketas rise. Ancora una volta, Kanon provò una strana sensazione. Le espressioni di quel ragazzino gli ricordavano qualcuno sebbene non riuscisse a realizzare perché il suo sesto senso continuasse a mandargli strani avvertimenti. Niketas parlò.
“Credo che allo zio manchi il grande tempio. Certe sere, a Skyros, si accende una sigaretta e guarda le costellazioni. Mi ha insegnato a riconoscerle tutte. Io fingo di non sapere che fuma. Fingo perché so che lo fa quando è triste e lui non vuole che io pensi che è triste. Al grande tempio ha lasciato qualcuno a cui voleva bene, vero?” chiese il ragazzo abbassando lo sguardo sulle sua scarpe da ginnastica un po’ consumate.
“Una storia finita. Non si è lasciato nulla indietro. Non dovresti preoccuparti per lui. E’ un osso duro.”
“Lo so. Solo che è un tipo forte. E’ difficile pensare che non avesse una famiglia, prima di prendersi cura di me.”
“Certo che aveva una famiglia!” esclamò Kanon ma non riuscì a continuare. Cosa avrebbe dovuto dire? Che il santuario era la sua famiglia? Che lo era lui? Un fratello che non riusciva proprio a fidarsi del suo gemello. “Dimmi, Niketas, vuoi bene ad Aspros?” Il ragazzo sollevò lo sguardo e puntò i suoi occhi blu in quelli dell’uomo.
“E’ come un padre per me! E’ tutta la mia famiglia. Farei qualunque cosa per renderlo felice o orgoglioso!”
“Allora comincia con l’apparecchiare la tavola!” esclamò Kanon.
“Sei tale e quale a lui!” gli fece eco il ragazzo allontanandosi. Kanon raggiunse il fratello alla cucina.
“Lasciami lavare le verdure” disse sfilandogli l’insalata di mano.
“Se è questo l’aiuto che puoi darmi, posso farne a meno” rispose Saga.
“Sta zitto!” fece passando le foglie sotto il getto d’acqua fresca del lavabo “Stasera ci sarà una festa al grande tempio. Ci andrai tu. Nella confusione faranno meno attenzione ai presenti. Fa quello che devi fare e all’alba torna qui. Ti avviso che se tardi o non torni, vengo al santuario con la donna e il ragazzino.” Saga lasciò cadere i pomodorini nella zuppa di pesce e sorrise.
“Cosa ti ha fatto cambiare idea?”
“Sei mio fratello. In passato l’ho dimenticato spesso. Non più. Non voglio perderti di nuovo. Non farmi pentire di questa debolezza.”
“Ci vuole una gran forza a fidarsi di me” disse Saga spegnendo il fuoco sotto alla zuppa.
“Ci vuole una gran forza anche a fare quello che stai facendo tu. Anche se non capisco ancora cosa tu stia facendo esattamente.”
“Sto proteggendo Atena” rispose fermo Saga. Kanon lo guardò dritto negli occhi.
“Sono cambiate molte cose al santuario. Anche Saori è cambiata.”
“Saori è Saori. Nessuno la conosce meglio di me.”
“Su questo, ti sbagli.”
“Ti riferisci a Seiya?”Kanon annuì.
“E anche lui è cambiato. Le ali di Sagitter pesano sulle sue spalle.”
“E’ il prezzo per quel che ha desiderato.”
“E questo è il prezzo per ciò che hai bramato tu?” chiese Kanon indicando la casa modesta e i due ospiti sul divano.
“Proprio così. Alla fine ognuno ha avuto ciò per cui ha lottato.”
Vedendo lo sguardo carico di tristezza di Saga, Kanon non osò chiedere ancora.

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“Posso entrare?”
La voce di Seiya la fece sobbalzare. Saori si voltò di scatto e annuì con un gesto del capo.
“Ti sei già liberato di Subaru?” chiese lei sollevando i capelli e indicando con lo sguardo lo scialle che giaceva sull’ottomana. Seiya lo afferrò con una mano e glielo adagiò sulle spalle nude. Lei lasciò andare i capelli che ricaddero lentamente al loro posto.
“L’ho affidato a Hyoga per qualche giorno.”
“Qualche giorno? Ti ho chiesto di occuparti di lui personalmente.”
“Lasciami spiegare. Sono venuto a chiedere il permesso di lasciare il santuario per qualche giorno.” Lo sguardo di Atena si fece duro.
“Spiegati dunque.”
“Quell’aggeggio che ci hai fatto vedere durante il consiglio dei dodici.”
“Il meccanismo di Antikyteras?” Seiya annuì.
“Vorrei prenderlo in prestito.” Saori stavolta piegò la testa di lato incuriosita da una simile richiesta. Seiya era un uomo d’azione, lo sapeva. Tuttavia usare l’artefatto divino che Saga aveva usato per accrescere i propri poteri e scovare la cicatrice del tempo era più un gioco di strategia.
“A cosa ti serve?” chiese Saori fronteggiandolo e puntando i suoi occhi blu in quelli del cavaliere. Seiya abbassò lo sguardo e strinse i pugni.
“Voglio usarlo per cercare Saga.” La frase spiazzò completamente la donna che fece un passo indietro.
“Saga? Saga è morto.”
“Lo pensi sul serio, Saori? Negli ultimi mesi non hai fatto che tormentarti e io sono certo che in una parte del tuo cuore nutri ancora la speranza che lui sia vivo. Forse hai pensato di fare un tentativo tu stessa.”
“Non userei mai un artefatto divino per scopi personali!” si giustificò lei con voce leggermente alterata.
“Per questo sono qui io. Lascia provare me. Se anche questo tentativo sarà stato vano, non parleremo mai più di lui. Io però non posso fare finta che la cosa non ti tocchi.” Saori raggiunse la finestra e guardò verso la grande statua di Atena.
“Confesso di averci pensato. Nell’istante stesso in cui Mur mi ha mostrato l’artefatto e mi ha spiegato perché lo aveva portato alla mia presenza. Dopo avermi detto che lo aveva adoperato per ripristinare uno dei sigilli che custodivano la congiunzione fra il santuario e il labirinto di Crono, ho pensato subito che poteva indicarmi l’esatta posizione di qualsiasi cosa o persona. L’esatta posizione di Saga” fece lei voltandosi di nuovo verso Seiya “se fosse vivo. Tuttavia mi sono detta che non è giusto. Che non posso farlo. E non posso lasciare neppure che lo faccia tu. Io e te non abbiamo cambiato abbastanza le fila del nostro destino, Seiya?”
“Lo sai come la penso. E poi” fece sorridendo “una volta di più cosa cambia? Gli dei mi hanno già condannato!” Saori si guardò le mani bianche.
“Faresti questo per Saga?”
“Farei questo per te. Non voglio che ti tormenti per sempre.”
Saori raggiunse il suo scrittorio e lo aprì. Prese l’involto che era al suo interno e raggiunse Seiya.
“Sono meschina a lasciare che lo faccia tu. Tuttavia sull’altura delle stelle, l’ultima volta, ho percepito qualcosa. Un doppio cosmo di Gemini. Lo so, è una sciocchezza. Il cosmo di Gemini è doppio per propria natura.”
“Fidati di me,” disse Seiya abbassando lo sguardo sull’oggetto tra le mani di Saori “non lo saprà nessuno.” Lei mise l’involto nelle mani di Seiya e sospirò.
“Il problema è proprio questo. Un tempo i segreti appartenevano ai nostri nemici. Noi eravamo gli eroi di luce. Ora mi sembra di essere sprofondata nell’oscurità e che ogni mia azione ci porterà alla rovina.”
“Non accadrà. Te lo prometto.”
“Ricorda la tua promessa, Seiya. Se dovessi perdere me stessa, se dovessi ritrovarti innanzi una dea malvagia, tu dovrai fermarmi.”
“Ho già fatto questo patto con te”, disse guardandola negli occhi e prendendole una mano. Lei ricambiò la stretta e sorrise  malinconicamente.
“Allora stasera non sarai dei nostri?”
“Certo che ci sarò. Faccio un salto all’altura e poi vi raggiungo all’arena. Ti dirò cosa ho scoperto. D’accordo?” Saori annuì.
“Seiya, stai attento. Fino ad oggi tutti gli artefatti divini che abbiamo adoperato, ci hanno portato più male che bene. Pensa alla daga deicida, allo scrigno di Pandora al Ragnarock e al corno di Odino.”
“Avanti! Non portarmi sfortuna, Saori!” Seiya rise ancora e lasciò la stanza.
Quel sorriso svanì miseramente una volta lasciate le stanze della dea. Le aveva mentito. Cercare Saga non era una sua priorità. Quando aveva sentito Mur parlare del meccanismo di Antikyteras, aveva pensato subito che poteva usarlo per cercare Kouga. L’occasione era troppo preziosa per lasciarsela sfuggire. Seiya infilò il pacco sotto al braccio e lasciò rapidamente la tredicesima casa.

 

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Capitolo 16
*** La tempesta ha inizio ***


 
Dama Clio si guardò nello specchio e sorrise. Era bella. Il vestito verde mela era semplice ma evidenziava bene le sue forme generose. Il laccio rosso era passato dal polso ai capelli. Se lo era passato nella vaporosa treccia che si era fatta acconciare da un’ancella del tempio.
“Avanti, Titano, dillo. Sono la più bella tra cielo, terra, mari ed inferi?”
La sua immagine nello specchio tremò e svanì lasciando il posto alla figura ammantata di nero.
“La più bella tra cielo, terra, mari ed inferi, mia signora. Eppure non la più desiderata!” Clio fece un’espressione stizzita e incrociò le braccia.
“Ti prendi gioco di me.”
“Affatto!”
“Lo fai. Ma non importa. Guardami Hyperion. Non vedi la mia sublime bellezza? Stanotte porterò via ad Atena colui che più ella ama!”
“Sei bella. Talmente bella che un uomo potrebbe morire dal desiderio solo guardando la punta dei tuoi piedi. Tuttavia,” disse Hyperion simulando un inchino “stanotte mia signora otterrai solo di capire che hai bisogno di me.”
“Ah!” esclamò lei “ora sono io che mi prendo gioco di te. Tu rimarrai nello specchio Numinoso a guardare come i cavalieri di Atena cadranno uno ad uno tra le mie lenzuola.”
“Io voglio comunque farti un regalo, mia splendente adorata!” fece il Titano schioccando le dita. In quel momento un angolo dello specchio si staccò dal resto e ricadde in terra senza infrangersi.
“Una scheggia di vetro?”
“Una parte dello specchio. Per vedere negli occhi di chi vorrai. Se ti ho mentito, avrai la tua vendetta e io l’oblio. Ma se come specchio ti ho servito bene, mia regina, allora tu prenderai per me una cosa che voglio e che si trova nella casa di Pishes.”
“E cosa sarebbe?”
“A tempo debito, mia signora. Godetevi la festa! In fondo è in vostro onore!” la sagoma si deformò e sparì restituendo a Clio il suo riflesso. La donna prese il frammento dello specchio e lo infilò in una delle tasche del suo abito appena un attimo prima che Mur entrasse nel salone del trono.
“Siete qui, Dama Clio?” chiese Mur guardandosi intorno. Aveva percepito un’altra presenza ma la sala era vuota. Clio fece un inchino.
“Mi annoiavo a restare nella mia stanza. Mi farete voi da accompagnatore, grande sacerdote?” Mur scosse il capo.
“Tuttavia spero che l’accompagnatore che ho scelto per scortarvi fino all’arena, sia di vostro gradimento.” Le porte della sala si aprirono e Aphrodite avanzò fino al punto in cui stavano Mur e Clio. La donna osservò il nuovo arrivato con una punta di soddisfazione sul volto. Era decisamente più affascinante di Mur seppure indossasse solo un pantalone bianco e una camicia dello stesso colore. Gli si avvicinò e gli prese il braccio.
“La strada è lunga fino all’arena! Sosteremo presso la casa di qualche nobile cavaliere mio caro?” chiese Clio. Aphrodite guardò il grande sacerdote e sorrise.
“C’è una maniera più veloce per spostarsi al grande tempio,” disse il cavaliere “ma solo se si è favoriti dal grande sacerdote!”
La fanciulla non ebbe il tempo di capire che una luce calda e dorata li avvolse costringendola a socchiudere gli occhi. Quando poté riaprirli, vide l’arena. La voce di Aphrodite la scosse.
“Il grande sacerdote ha molti doni. Venite, mia signora, la gente vorrà vedere colei per cui è stata preparata una simile festa.”
Clio era sorpresa. L’arena aveva perso le sembianze di un luogo da combattimento e ora somigliava ad una delle piazze delle antiche città greche come Creta o Tebe. Lanterne erano state appese ad ogni colonna e, lungo i corpi delle statue dei guerrieri che impreziosivano il luogo, lunghe trecce di fiori e frutti davano prova della generosità della terra e della dea che la governava. Clio fu sorpresa anche dalla quantità innumerevole di ragazzini che affollavano l’anfiteatro. Aphrodite la guidò tra le ancelle che mescevano il vino e alcune ragazze di Rodorio che danzavano.
“Non credevo ci fossero tante persone al Santuario, dove sono di giorno?” chiese afferrando una coppa di vino da un vassoio di passaggio davanti a lei.
“Affaccendati nei loro mestieri, mia signora!” rispose Phisces sorridendo.
“E tutti questi bambini?”
“Sono allievi dell’uomo che con la vostra abilità avete riportato alla vita. Venite, non avete ancora avuto modo di conoscervi.”
Aphrodite condusse Clio dentro la struttura dello stadio e si fermò davanti ad una piccola porta.
“Prego, questo è il palco d’onore” disse aprendo la porta e lasciandole il passo.
Il palco non era molto grande ma era stato finemente addobbato con triclini e cuscini. Vassoi pieni di ogni genere di leccornia erano disposti su un soffice tappeto ricamato con la storia della fondazione di Atene. All’interno della stanza c’erano Pandora, Ikki ed Eden, Hyoga e Shun che Clio aveva già visto e un uomo composto che sedeva di fianco ad un ragazzo. Più in fondo sedevano un uomo e una donna che tentava di far star buono un ragazzo. Aphrodite le ripeté tutti i loro nomi. Oltre a Shun e Hyoga, l’uomo composto si chiamava Shiryu e il ragazzo al suo fianco era Ryuho, suo figlio. L’uomo e la donna che chiacchieravano erano Aiolia, cavaliere d’oro del Leone e Marin, sua compagna. Il ragazzo era il loro figlio Soma. Pandora la invitò a sedersi al suo fianco e lei acconsentì nonostante lo sguardo duro di Eden, suo figlio.
“Tuo figlio non si diverte, Pandora?”
“Non ama i posti molto affollati!” rispose la donna sorridendo “Eden, mio caro, hai avuto modo di conoscere la Pizia di Delo?”
Il ragazzo, che se ne stava appoggiato al parapetto del palco a guardare di sotto, si voltò a fissare di nuovo la donna.
“Credevo che le veggenti rifuggissero la confusione. Non altera il loro dono?”
Clio strinse più forte il bicchiere.
“Non la rifuggono quanto il signore degli Inferi!” disse d’un fiato Clio. Gli occhi di Eden fiammeggiarono per un istante poi la mano ferma di suo padre sulla sua spalla lo ammonì dal rispondere oltre.
“Mio figlio ha il mio pessimo carattere. Per fortuna sua madre gli ha impartito l’educazione rigida del regno di Hades. Tuttavia non vi consiglio di offenderlo, signora.” Intervenne Ikki.
“Non temo il signore oscuro” rispose freddamente Clio.
“Ma dovreste temere me” fece Ikki alzandosi e invitando suo figlio ad accompagnarlo nell’arena.
Pandora rimase in silenzio a giocare col suo bicchiere.
“Ho offeso il vostro sposo, a quanto pare, Pandora” disse la sacerdotessa di Apollo versando altro vino nel bicchiere della sorella mortale di Hades.
“Non esagerate, dama Clio. Mio marito non si offende facilmente ma, se lo fa, porta rancore per molto, molto tempo. State tranquilla e brindate con me. I miei ragazzi non sono a loro agio nei banchetti. Non è una buona ragione per rovinare la festa, giusto?”
La pizia fece tintinnare il suo bicchiere con quello di Pandora e sorrise. Si rese tuttavia conto che sia Pandora che Aphrodite fingevano solo di badare alla gente che ballava nell’arena. In realtà non la perdevano d’occhio. Decise allora di alzarsi e lasciare con una scusa il patio ma, proprio in quel momento, la porta si aprì e il grande sacerdote si scostò appena di lato per lasciare passare Atena.
Clio indietreggiò d’istinto. Saori indossava un abito bianco con una spalla sola che le avvolgeva la vita e ricadeva morbido sui fianchi aprendosi sopra il ginocchio destro. Le ancelle le avevano alzato i capelli in uno chignon alto dal quale però ricadevano ciocche di capelli spettinati. Qualcosa in lei sembrava meno composto e rigido del solito. A Clio ricordò i mosaici in cui la dea della guerra veniva ritratta nella furia della battaglia. Il suo sguardo, di solito mite, era più intenso. Provò  una spiacevole sensazione che non seppe definire immediatamente. Pensò che potesse essere invidia, tuttavia neppure così abbigliata Atena era lontanamente bella quanto lei. Questo lo sapeva. Perché allora quel disagio cresceva mentre lei la fissava con quegli occhi blu senza dire una parola, sorridendo appena?
Si sforzò di ricambiare il sorriso proprio nell’istante in cui realizzò che quella sensazione era paura. Si voltò e tornò a sedersi accanto a Pandora.
Saori prese posto al centro del patio tra il grande sacerdote e Shura che sempre l’accompagnava.
A Pandora quel miscuglio di emozioni sul viso della sacerdotessa di Apollo non era sfuggito e non perse l’occasione di incalzarla. Saori le aveva chiesto di convincere dama Clio a lasciare il santuario e, anche se lei era certa che quella fanciulla esile nel corpo e nello spirito non costituisse alcun pericolo, intendeva assecondare il suo desiderio. Ikki, per natura diffidente invece, le aveva detto di fare attenzione a quella donna. Seppure le fosse grato per aver salvato Hyoga e aver restituito il sorriso a suo fratello, non si fidava di un’emissaria di Apollo.
“Stasera Atena ha deciso di mettersi in mostra! Speriamo che non finisca come l’ultima volta!” disse ridendo e sorseggiando un’altra coppa di vino. Clio piegò la testa di lato con fare interrogativo. Pandora si avvicinò al suo volto come volesse bisbigliarle qualcosa all’orecchio. “Un matrimonio. Un’occasione, come dire, esclusiva. Qualcuno che non era stato invitato decise di rovinare la festa a tutti e fece rotolare un gingillo, un oggettino sulla tavola. Qualcosa che dovesse andare in premio alla più bella tra le invitate.” Gli occhi di Clio scintillarono. “Scoppiò una guerra credo. Una tragedia greca!” Pandora rise avvicinando il bicchiere alle labbra carnose.
“Non era lei la più bella a quella festa.” Puntualizzò Clio.
“Non è questo il punto!” 
“E qual è il punto?” Chiese Clio sempre più nervosa.
“Che non conviene fare arrabbiare la dea della guerra.” Pandora lo aveva detto ridendo e allungando la mano verso la tavola per afferrare un grappolo d’uva. Si sorprese perciò quando la donna al suo fianco si alzò di scatto rovesciando la coppa di vino. Lo sguardo cupo e il viso severo.
“Ares è il dio della guerra!” Disse con voce alterata. Imboccò l’arco del patio e si allontanò tra le colonne dell’arena. 
Mur, nell’udire quelle parole, fissò Pandora, una muta richiesta di chiarimenti. La donna parlò.
“Non so perché si sia innervosita. Cercavo solo di convincerla a partire.”
“Di certo l’hai convinta ad andarsene da qui ma non so se la troveremo bendisposta a lasciare il santuario più tardi. Cosa c’entra Ares?”
“Niente di niente. Non capisco perché lo abbia tirato in ballo.”
“Aphrodite va a cercarla e, se puoi, riportala qui.” Il cavaliere non se lo fece ripetere due volte. Mur lo vide sparire dietro le colonne come aveva fatto Clio. Si alzò e sollevò una mano. Shura fece un passo in avanti e attirò l’attenzione di alcuni soldati che circondavano il perimetro dell’arena. Come se fossero un unico uomo, sollevarono tutti una torcia e diedero fuoco a dell’olio che scorreva nell’ultimo anello della fila più alta dell’arena. Un cerchio di fuoco illuminò la notte e tutti smisero di suonare, ballare e chiacchierare. Saori si alzò raggiunse la balaustra. 
“Quest’anno è stato un anno di pace. Un anno in cui il Santuario ha prosperato ricostruendo quello che era andato perduto durante la guerra. Tutti voi, qui e ora, siete testimoni di quanto abbiamo difeso con coraggio e determinazione. Una sera di festa non può cancellare il dolore per la perdita delle persone care, delle case che sono crollate, la fatica sopportata per ricostruirle, il sudore per l’impegno profuso. Una serata di festa però può permetterci di superare la tristezza, allontanare un po’ di più i brutti ricordi, rinfrancare lo spirito. Questo auguro a tutti voi. Prendete la mano del compagno al vostro fianco e stringetela. Che le stelle splendano su noi stanotte con la loro benevolenza.” Saori sollevò le braccia e la musica riprese. La donna tornò a sedersi. Mur le fu subito affianco.
“Milady, posso farvi una domanda?” La donna annuì sorridendo. “Dov’è Seiya?” Saori si portò una coppa di vino alle labbra e bevve due sorsi.
“Sta arrivando.”
“Questo non risponde alla mia domanda.” Mur lo disse senza guardarla negli occhi, sorseggiando anche lui del vino.
“Voleva fare un ultimo giro di ronda prima di unirsi alla festa. Gli ho detto che non era necessario ma ha insistito e non ho ritenuto necessario ordinargli il contrario.”
“Sembrava volervi parlarvi di qualcosa d’importante questo pomeriggio.”
“Voleva sapere delle cose sul meccanismo di Antikyteras ma non è il caso di parlarne adesso, non credi Mur?” 
Il grande sacerdote non diede a vedere quali pensieri passassero nella sua mente e annuì. In cuor proprio però non riusciva a spiegarsi alcune cose. Perchè Seiya si interessava a quell’oggetto? Probabilmente dipendeva da tutti i discorsi fatti sulla cicatrice del tempo. In quel caso Seiya ne aveva parlato con Saori? Dubitava che lo avesse fatto, che avesse rivelato alla donna le sue reali condizioni fisiche ma, in caso contrario cosa lo aveva portato a discutere con lei di quelle cose? Si tranquillizzò pensando che nessuno, oltre a lui, conosceva le ubicazioni degli altri cardini e che fino a che questo non fosse cambiato, poteva dire con assoluta certezza che il Santuario era al sicuro. Persino dai guai che poteva combinare Seiya.

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Il fruscio delle ali dorate che toccavano il suolo riempì l’aria dell’altura delle stelle. Seiya si domandava sempre come mai anche il più piccolo rumore, lassù, sembrava amplificarsi. Era come se il cielo puntellato di stelle facesse da cassa di risonanza.
Si accovacciò e tolse la piccola scatola dorata dall’involto in cui Saori lo aveva nascosto. La fissò per qualche istante poi si guardò la mano bardata d’oro. 
“Devo farlo. E’ troppo importante.” Strinse la mano in un pugno e poi la rilassò. Sollevò lo sguardo al cielo. “Se qualche dio lassù è contrario, com’è che si dice, parli ora o taccia per sempre.” Attese un istante e poi con due dita fece una leggera pressione su una sorta di simbolo in rilievo che raffigurava uno scudo con sopra un sole rotondo. Si allontanò di qualche passo come dovesse accadere qualcosa ma non successe un bel niente. Seiya attese ma la pazienza non era una delle sue virtù.
“Probabilmente questa stramaledetta cosa è rotta e di certo non sono io quello che potrà farla funzionare. Dannazione!” Esclamò riavvicinandosi all’oggetto. Fu mentre allungava la mano per dargli un colpetto come si trovasse di fronte ad una sveglia rotta e non ad un artefatto divino che si udì come un sibilo. Come se dell’aria si fosse liberata da dentro al meccanismo. Ovviamente anche questo rumore si amplificò dando un’aria sinistra a tutto il luogo. Seiya fece un passo indietro ma non abbastanza veloce da evitare di essere travolto da una c’è abbagliante che avvolse tutta la cima della vetta creando una sorta di ologramma di cui lo scudo con la faccia del sole era il centro. Tutto intorno a lui e a Seiya si sviluppò una serie di ellissi luminose su cui ruotavano delle sfere mentre perpendicolarmente comparvero i segni dello zodiaco. Ovviamente Seiya non sapeva dare un senso a nulla di quello che vedeva. Se la risposta alle sue domande era nell’interpretazione di quei segni, non aveva alcuna speranza di ottenere qualcosa. Non si perse d’animo. Doveva fare almeno un tentativo.
“Se c’è qualcuno o qualcosa che governa questa cosa, ecco ciò che voglio sapere. Dove si trova il cavaliere di Pegasus di nome Kouga?”
Seiya attese guardandosi intorno che qualcosa in quel turbinio di luce gli desse un segnale di aver compreso la sua richiesta ma niente mutò anzi, nell’istante stesso in cui l’ultima sfera, quella più esterna, terminò la rotazione intorno allo scudo, tutto l’ologramma fu riassorbito nella scatola lasciando Seiya di stucco.
“Ma che diavolo! Ehi! Cavolo d’orologio riattivati immediatamente!” Una fragorosa risata riempì l’aria. Seiya assunse la posizione di difesa e guardò nella direzione da cui proveniva. Un giovane uomo vestito di bianco con lunghi capelli castani se ne stava seduto sul timpano del tempietto della dea con le gambe penzoloni nell’aria.
“Tu chi diamine sei? Sei uscito dalla scatola?” Seiya era serissimo ma l’uomo scoppiò a ridere daccapo.
“Forse non mi sono spiegato. Chi sei? Parla o ti farò parlare io!” L’uomo smise di ridere e scivolò in avanti. Sfidando la gravità, raggiunse lentamente il suolo.
“Che bel caratterino! E dire che mi avevano avvertito. Non ho intenzioni ostili, sono solo un messaggero!” Disse alzando le mani in segno di resa.
“Un messaggero di chi?”
“Sei sveglio! Il mio nome è Hermes. Il mio messaggio è questo: il meccanismo è mancante di un pezzo. Non funzionerà se non verrà completato.” Seiya abbandonò la posizione difensiva ma non le domande.
“Di chi è il messaggio?”
“Sei furbo, Seiya?” Il cavaliere non rispose “Se sei furbo, mi ascolterai. E’ in atto qualcosa di molto più grande di quello che avete affrontato finora. Forze quanto mai potenti sono scese in campo e c’è in gioco molto più del futuro del cavaliere di Pegasus.” Queste parole ebbero l’effetto di smuovere Seiya.
“E se il futuro del cavaliere di Pegasus fosse l’ultima cosa ad interessarmi?”
“Allora non sei furbo come credono lassù.” Disse indicando il cielo con un dito. “Io però ho un fiuto per quelli svegli e secondo me tu lo sei. So che sai cosa significa avere a che fare con gli dei. Sono creature potenti ma soffrono le stesse debolezze degli uomini. E’ in corso una disputa da molte ere. Credi che Atena e Nettuno siano diventati nemici per caso? Perché entrambi volevano dare il proprio nome alla stessa città?” L’uomo scosse il capo. “Atena ha preso il posto di suo padre nella eterna lotta tra lui e i suoi figli per la difesa del genere umano. Non tutto l’Olimpo è, come dire, favorevole all’esistenza del genere umano.” Seiya sorrise di sfida.
“Ce ne siamo accorti da un bel po’. Non hai risposto alla mia domanda. Di chi è il messaggio?” L’uomo perse immediatamente l’aria gioviale che lo aveva contraddistinto fino a quel momento e si fece serio.
“Anche se sono solo un messaggero, non irritarmi cavaliere di Atena. Io non ti devo alcuna spiegazione. Il meccanismo di Antikyteras é mancante di un pezzo. Se non lo recupererai non potrai farlo funzionare. Troverai quello che manca alle pendici dell’Etna, in Sicilia. Bada bene che per recuperare il pezzo mancante dovrai ottenere la fiducia di un dio.” Seiya allargò le braccia in segno di protesta.
“Un altro dio? E perché questo dovrebbe aiutarci?”
“Perché è colui che più di tutti ha perso nella battaglia eterna tra Atena e i suoi avversari. Gioca bene le tue carte, uomo, non avrai che una sola possibilità di riuscita.”
“Se aggiusto questo coso, riuscirò a trovare la persona che sto cercando?” L’uomo guardò Seiya e comprese che dalla risposta il cavaliere avrebbe deciso le sue prossime mosse.
“Non ti mentirò anche se mi converrebbe farlo e, a dirla tutta, sono bravo nell’arte della menzogna. Il meccanismo di Antikyteras ha lo scopo di trovare ciò che bramiamo nello spazio e nel tempo. Di certo può trovare colui che cerchi ma dubito fortemente che tu sia in grado di utilizzarlo. È uno strumento molto complesso. Atena però, lei è dea di saggezza. Potrà adoperarlo qualunque sia il suo scopo.” Seiya sospirò.
“Lo immaginavo. Bene, vorrà dire che a me toccherà il compito di prendere a calci qualche dio perché lei possa riportare l’ordine delle cose così come devono essere.” L’uomo sorrise e spicco un balzo che lo riportò sul timpano del tempietto da cui era sceso.
“Ti converrà usare diplomazia stavolta. Efesto è in collera con gli umani.”
“Allora perché credi che ci aiuterà?” 
“Perché è più in collera con gli dei. Se usate la leva giusta, vi aiuterà. Ha sempre amato Atena nonostante lei non lo abbia mai ricambiato. Ricorda: la leva giusta.” L’uomo sparì in un turbinio d’aria. Quando la calma tornò a regnare sull’altura delle stelle, non c’era più alcuna traccia di Hermes.

———————————

A Saga non pareva vero di attraversare di nuovo le alte e meravigliose arcate del santuario. Sapeva della festa ai piedi del tempio e aveva deciso di fare prima un salto alla tredicesima casa per consultare alcuni libri della biblioteca piccola. Quando, tuttavia, passò davanti allo studio del grande sacerdote, la tentazione di entrarvi fu troppo forte per non cedere. Aprì lentamente la porta e si affacciò nella stanza. La scrivania era molto più ordinata di quando l’aveva occupata lui e un odore intenso di tea riempiva l’aria. Raggiunse la libreria e cercò un volume in particolare. Era quello che raccoglieva tutte le profezie che nel passato, le pizie avevano fatto per il Santuario. Era pura e semplice ironia che fosse stato un cavaliere di Gemini a farne strage interrompendo quella tradizione e che ora fosse un cavaliere nato sotto la stessa costellazione ad averne salvata una?
C’erano tre persone che doveva assolutamente incontrare prima che la festa finisse quella sera. La prima tra tutte era dama Clio. Kanon gli aveva raccontato che era identica nell’aspetto a Cora e che aveva risvegliato Hyoga dal sonno in cui era caduto dopo lo scontro con Shun. La seconda era Seiya. Doveva capire, guardandolo con i suoi occhi, se era cambiato al punto che la profezia di Cora in cui lo aveva visto trafiggere Atena con la freccia di Sagitter potesse avverarsi. Certo Clio non aveva mai fatto il nome di Seiya nelle sue visioni ma lui era convinto che ‘colui che più ella ama’ fosse più di un indizio. La terza, inutile a dirsi, era Saori. Non era andato fin lì solo per assicurarsi che stesse bene. Aveva bisogno di vederla. Dopo tutto quel tempo non era cambiato nulla nel suo cuore, anzi! Adesso che erano vicini, sotto lo stesso, identico cielo, sentiva battere quel cuore all’impazzata. Ogni gesto che faceva era carico di anticipazione. 
Lasciò le sue vecchie stanze e raggiunse la statua di Atena. Le diede una rapida occhiata perdendosi un istante nei ricordi e prese il sentiero che scendeva fino alla sesta casa. Intendeva essere visto il meno possibile e quello era il modo migliore per farlo. 
Dopo la casa di Shaka però, fu costretto a riprendere il sentiero delle case dello zodiaco. Non aveva mai chiesto il permesso per attraversarle e, anche stavolta, fece lo stesso. La casa di Cancer era quella che, nel corso del tempo, era cambiata di più. I volti delle persone che Death Mask aveva torturato durante la sua permanenza erano svanite dai muri sin dal ritorno di Atena al tempio ma la casa era cambiata ancora. Sembrava trascurata come se il suo proprietario non vivesse più lì. Era solo un’impressione. Bottiglie di vino ed ouzo vuote nelle stanze private del cavaliere di Cancer in realtà dicevano il contrario. Gli tornarono in mente le parole di suo fratello su quanto male avesse fatto la sua decisione di sparire dalla vita del grande tempio. Ricordò anche quanto, tra tutti, Death Mask gli fosse legato. Si sentì in colpa per non aver pensato, neppure per un secondo, che allontanarsi da quel luogo avrebbe avuto effetto anche sulla vita di altre persone. Comprese che la solitudine in cui si era rinchiuso ancor prima di lasciare il santuario, non era reale. L’aveva creata come creava la dimensione oscura. Per generare distacco tra sé e gli altri. Nessuno può ferirti in un mondo in cui abiti solo tu. 
Sorrise pensando che fortunatamente questo non era stato il destino del cavaliere di Cancer. Accanto ad un’ottomana di velluto blu, in camera da letto, c’era un vaso di rosse rosse e bellissime. La loro presenza era talmente imponente che era impossibile non percepire, con esse, quella di Aphrodite. 
Che strani legami nascono tra le persone per farle sopravvivere alla vita stessa. Come rami contorti di due alberi nel fitto di un sottobosco che finiscono per intersecarsi e diventare un fusto solo che si fa spazio verso la luce del sole, così Death Mask si era attaccato ad Aphrodite. Non potevano esistere due persone più diverse eppure tra loro era nata una sincera amicizia. 
Prese un respiro e si voltò. Non aveva tempo per questo. 
Lasciò la casa di Cancer e raggiunse quella di Gemini. Inizialmente aveva creduto che fosse vuota come le altre ma si accorse subito che non era così. 
Riconobbe Lucina, la cuoca del Santuario, che se ne stava seduta al tavolo del stanza da pranzo a fare l’uncinetto. Aveva l’abitudine di cominciare sciarpe e maglioni in estate e di fare centrini in inverno.
Accanto a lei due bambini giocavano a scacchi. Con la sua scacchiera. Un filo invisibile fatto di nervosismo lo attraversò. Quella scacchiera era un pezzo da collezione. Non se l’era portata alla tredicesima casa quando era diventato gran sacerdote perché era appartenuta ai cavalieri di Gemini sin dall’alba dei tempi. Forse persino Aspros, di cui aveva assunto per un anno il nome, aveva passato giornate intere a contemplare il pezzo giusto da muovere su quella scacchiera. Saga era un uomo attaccato alle cose belle. Ne aveva collezionate tante durante gli anni al santuario ma quella scacchiera era speciale per lui. Saori amava gli scacchi e quello era un gioco che poteva fare solo con lui. Lei prendeva sempre i bianchi e lui i neri. Probabilmente nessuno conosceva il valore di quegli scacchi. E adesso ci giocavano dei bambini. Fu tentato di impersonare Kanon e andare a togliergliela di mano quando la sua attenzione fu attratta da uno dei due che mosse un pedone e sorrise.
Il sorriso di quel bambino lo colpì al punto che tutta la sua rabbia passò. 
“Non penserai di vincere con quei pochi pezzi che ti sono rimasti, Jona.” Disse quello che controllava i pezzi bianchi. 
“Invece di contare i miei pezzi, pensa alla tua prossima mossa, Josa.” L’altro continuò a sorridere sornione.
“E tu pensa alla tua!” Fu allora che il bambino che controllava i pezzi neri si sporse un po’ in avanti e si toccò con un dito una tempia.
“Io le ho già pensate tutte, fino all’ultima e credimi se ti dico, fratellino, che hai perso.” A quelle parole Saga vide Josa scattare in piedi. Sembrava furioso e pronto a menare le mani. Lucina fermò il suo incessante movimento coi ferri e gli diede un’occhiata. Jona sollevò entrambe le mani in segno di resa.
“Sei un presuntuoso!” Urlò Josa. Jona si alzò e gli fu di fronte.
“Sono onesto. E, onestamente, ti chiedo di non picchiarmi. Sei più forte di me e mi farei molto male.” Josa fece prima una faccia scura scura poi, improvvisamente, scoppiò a ridere.
“Ci sono cascato di nuovo. Non avevi la vittoria in pugno ma mi hai costretto ad arrendermi perché ti sei scocciato di giocare!” Jona sorrise bonariamente. “Dato che ho perso comunque, andrò io a prendere le focaccine in cucina. Va bene fratello?” Jona annuì mentre Josa lasciava la stanza. Lucina riprese a sferruzzare. Mente Jona rimetteva a posto i pezzi della scacchiera, la donna anziana glielo chiese.
“Avevi vinto, vero?” Jona annuì. “Allora perché gli hai fatto credere il contrario?”
“Perché è mio fratello minore.”
“Minore di qualche minuto.” Sottolineò la donna senza alzare lo sguardo.
“Rimane mio fratello.”
“E gli vuoi bene.”
“La signorina Saori mi ha detto che dobbiamo crescere in unità e condivisione. Io sarò cavaliere d’oro di Gemini un giorno e avrò bisogno di qualcuno che mi guardi le spalle. Non riesco ad immaginare nessuno migliore di lui. In più solo il mio gemello può capirmi fino in fondo.”
“Un bambino della tua età non dovrebbe parlare in questo modo.” Lucina lo disse continuando a lavorare la maglia. Saga pensò lo stesso. Lui era stato così da bambino? L’immagine di un letto diviso da due ragazzini addolorati dalla perdita della loro madre si fece strada nella sua mente e si chiese quando lui e Kanon si erano divisi davvero.
Anche stavolta, dimenticando ricordi e nostalgie, superò la casa e proseguì la discesa. 
Fu quasi all’ultimo istante, prima che fosse visto a sua volta, che li notò. Passeggiavano lentamente risalendo dalla prima casa. Una davanti, l’altro dietro di qualche passo. L’uomo era Aphrodite, la donna che seguiva d’appresso era una splendida fanciulla dai capelli ramati. Kanon non aveva esagerato: era Cora. La linea del naso e del mento, l’altezza e la corporatura. Tutto di lei era Cora. 
Tutto tranne una luce nello sguardo. La piega della bocca mentre sorrideva pure non sembrava la stessa. E l’andatura. Insomma era Cora ma non sembrava lei. Saga esitò. Una parte di lui avrebbe voluto palesarsi. Kanon gli aveva riferito di non aver interagito affatto con la sacerdotessa di Apollo e pertanto non si sarebbe mai accorta dello scambio. La presenza di Aphrodite però, lo fece desistere. Lui avrebbe potuto smascherarlo. Lo aveva fatto quando era grande sacerdote. Si era accorto della reale identità di Arles per primo. Perché non avesse mai detto a nessuno la verità, per lui, era ancora un mistero. Se si fosse trattato di Death Mask ne avrebbe compreso le ragioni ma, con Aphrodite, non sapeva bene cosa pensare. Una volta, senza dare modo al cavaliere del Cancro di capire quanto fosse interessato alla risposta, glielo chiese. Gli domandò cosa muovesse la fedeltà di Phisces. 
‘La tua splendida determinazione’ aveva risposto quella volta a Death Mask. L’aveva definita ‘splendida’ di proposito. Il cavaliere dei Pesci cercava la bellezza ovunque e pensava che essa accompagnasse ogni cosa che è giusta e meritevole di esistere in questo mondo. 
Per questa ragione non si mostrò. Aphrodite avrebbe visto l’imperfezione nella sua interpretazione, seppure precisa, di Kanon. In fondo, quello che voleva vedere, l’aveva visto. Indubbiamente Cora e dama Clio dovevano essere come la stessa persona. Gemelle? Si ripromise di approfondire la questione e andò oltre.
Come aveva detto suo fratello, l’arena era gremita. Il suono di tamburi e flauti riempivano l’aria. La gente ballava e rideva. Le torce tutto intorno all’ellisse di pietra bruciavano accendendo la notte di Rodorio.
Solo un anno prima, in quell’area addobbata a festa, Kouga era diventato cavaliere di Pegasus. Un gioia immensa per Saori. Poi era successo il finimondo, una tragedia dietro l’altra fino agli eventi di quella maledetta spiaggia.
Nella confusione, nessuno fece caso a lui. Si fece largo tra la folla e raggiunse un punto dal quale poteva vedere il patio. Sollevò le sguardo e il suo cuore perse un battito. 
Saori era distesa su dei cuscini accanto a Pandora. Le due donne, coppe in mano e larghi sorrisi sul volto, parlavano tra loro sotto lo sguardo di Mur. Saga avrebbe voluto riconoscere che l’aspetto del nuovo grande sacerdote era impressionante per quanta forza trasmetteva ma fu la risata cristallina di lei a colpirlo oltre ogni dire. Si era immaginato tante volte il momento in cui l’avrebbe rivista ma neppure la sua fervida immaginazione l’aveva resa tanto bella. Il suo sguardo s’era fatto più deciso e le sue movenze avevano abbandonato definitivamente quelle della ragazza che era stata e dichiaravano apertamente il suo essere donna. Accanto a Pandora, tutto questo era evidente. Non sembrava più esserci differenza tra loro quando, appena un paio d’anni prima, gli pareva che la sorella mortale di Hades risultasse molto più adulta ad una prima occhiata. 
Saga avrebbe dovuto dolersene giacché era stato il dolore a far maturare così la donna che amava, ma se ne compiacque. Era bella davvero. 
Mentre ancora la contemplava, Pandora le levò la coppa di mano e la prese per un braccio. Sparirono dietro le colonne per poi riapparire, ridendo tra loro, nell’arena. Si mischiarono ai cavalieri e alle persone comuni e presero a danzare. 
Forse era la maliziosa compagnia di Pandora o più probabilmente il vino della cantina dei suoi genitori che Kanon aveva ordinato quella mattina insieme a Milo, ma Saori raggiunse Shaina che stava chiacchierando con Marin e June e fece quello Pandora aveva fatto con lei trascinandole al centro dell’arena. Shaina fu l’unica a fare un minimo di resistenza ma, alla fine, tutte si misero a seguire il ritmo dei tamburi. 
Saga mosse un passo verso di loro involontariamente. Era attratto da loro come una falena dalla luce.
Cosa poteva andare storto? Per tutti era Kanon. Nulla. Nulla poteva andare storto. Fu allora che un lampo illuminò, ingoiandola, ogni cosa

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Capitolo 17
*** I dubbi di un cavaliere d’oro ***


Il piano di dama Clio era quello di sedurre Seiya quella sera. Bella com’era non ci sarebbe voluto nulla. Non aveva dubbi. Quella stupida di Pandora però l’aveva fatta infuriare al punto che aveva lasciato il patio prima che il cavaliere del Sagittario arrivasse. In più, il cavaliere dei Pesci l’aveva seguita col pretesto, di questo era certa, di farle da scorta. 

Maledetti cavalieri di Atena, uno più inetto dell’altro!

Piuttosto che camminare, pestava i piedi risalendo le scale che portavano dalla casa dell’Ariete a quella del Toro. Il suo accompagnatore rimaneva in silenzio rendendola ancora più nervosa.

“Forse dovremmo tornare alla festa,” disse dubbiosa “Atena si offenderà.”

“Non si offenderà se dama Clio preferisce la tranquillità di un viale poco frequentato al posto della confusione di un’arena gremita.” La voce dell’uomo era pacata e melodiosa e lei pensò che il nome che portava gli si addicesse anche se la sua bellezza non poteva competere con quella della vera Aphrodite.

“Avete ragione cavaliere. In fondo non ho visto neppure il cavaliere prediletto di Atena alla festa che lei stessa ha organizzato.” Lo disse in modo distratto ma il cavaliere parve comprendere immediatamente che non era una frase buttata lì per caso.

“Atena non organizza feste. Il grande sacerdote lo fa. In quanto a Seiya, si è guadagnato la benevolenza della dea e, per lui, la protezione del santuario viene prima di tutto.” Dama Clio si voltò di scatto. Se fosse stata libera di fare quello che le piaceva di più, quelle parole gliele avrebbe rificcate in gola come solo lei sapeva fare ma, nella situazione in cui era, doveva restare al gioco. Fu in quell’istante che si ricordò della scheggia di vetro che aveva con sé. La prese e se la rigirò tra le mani. Nonostante fosse affilata, non la tagliò. 

“Hai ragione. In fondo parlò di cose che non conosco.” Fece in modo accomodante. Allungò una mano verso il volto dell’uomo e gli accarezzò una guancia. Sapeva bene che pochi uomini resistevano al suo profumo ma, invece che vedere il volto di Aphrodite rilassarsi, lui osò afferrarle il polso e corrugò la fronte.

“Dovreste sapere. Non siete l’ostacolo di Delo?”

“Lo sono. Ho risvegliato il vostro compagno d’armi.”

“Lo hai fatto ma ciò non significa che tu sia chi dici di essere.” Lei sorrise malignamente.

“Lo dubiti? E perché mai? Cosa avrei mai fatto per farti pensare il contrario?” Aphrodite sorrise a sua volta ma di un sorriso malinconico.

“Cosa non avete fatto. Avreste dovuto perdere i sensi solo standomi vicino. Nel mio sangue scorre un veleno mortale e, a mio piacimento, il mio corpo può rilasciare un profumo che stordisce chi lo odora. Questo a voi, dama Clio, non è successo.” Clio ritirò la mano e dissimulò sconvolgimento.

“Volevi aggredirmi, cavaliere?” Lui scosse il capo.

“Solo confutare i dubbi di un mio compagno. Evitare che lui stesso vi mettesse alla prova.” 

“Di chi parli?” Chiese lei con evidente rabbia nella voce. Non riusciva più a nascondere le sue emozioni.

“Non è affare vostro. Ritengo che sia giunto il momento di informare il grande sacerdote che, o la protezione di Apollo è estremamente potente, o voi nascondete un altro segreto. Seguitemi, ve ne prego. Sono un cavaliere di Atena e non potrei mai, se non costretto, attaccare una donna.” Aphrodite allungò una mano affinché lei la prendesse. Clio l’afferrò con decisione e fu in quel momento che lui sentì come un graffio. Si guardò il palmo e si di esso trovò un pezzo di vetro che, evidentemente, gli aveva procurato un piccolo taglio. Non appena il suo sguardo si fissò sul vetro, Aphrodite comprese il suo errore. Troppo tardi.

Il vetro cadde in terra senza rompersi. Del cavaliere dei pesci non c’era più traccia.

Clio rimase immobile per un istante, sorpresa almeno quanto il cavaliere di quello che era accaduto. Poi si scosse e raccolse il pezzo di vetro da terra. Come era stato possibile? Di certo c’era lo zampino di Hyperion. Per un attimo un leggero tremore la  colse. Aveva adoperato uno strumento messo a sua disposizione da un titano. Poi, nascondendo il frammento tra le mani, prese un respiro. Lo specchio Numinoso apparteneva alla dea Aphrodite dalla notte dei tempi. Non aveva commesso alcuna colpa. Percepire la presenza di un’altra persona l’agitò nuovamente ma sorrise della sua fortuna quando, voltandosi, vide che quella persona era Seiya.

“Dama Clio, cosa fate qui da sola?” Lo sguardo di Seiya era sospettoso come quello che gli aveva riservato Aphrodite.

“Io? Io mi sono persa!” Lo disse di getto e, per qualche strana ragione, risultò credibile. Seiya scoppiò a ridere. Clio rimase interdetta. Non aveva frequentato molti uomini ma quelli che aveva frequentato mai, mai avevano riso di lei. Eppure quella risata, per qualche strana ragione, non la offese. Forse Seiya non era un semplice mortale?

“È impossibile perdersi qui. Se seguite l’ordine delle case, dato che ci sono solo due direzioni, non potrete mai sbagliare. Verso il basso, direzione Ariete, c’è Rodorio. Verso l’alto, direzione Pesci, ci sono le stanze di Atena.” Lo disse gesticolando un po’ troppo in un modo che Clio trovò infantile.

“Sembra tutto molto semplice. Io però qui sono un’estranea e non mi sento a mio agio.” Seiya sollevò lo sguardo al cielo, puntando un gruppo di stelle. Era tornato tremendamente serio.

“Il santuario può essere un luogo opprimente. L’ho trovato opprimente la prima volta che l’ho visto.” Clio fece qualche passo fino a che non gli fu di fronte.

“Poi è passato? Perché?” Clio lo chiese con una voce innocente. Non attese la risposta. Raggiunse la scalinata e si sedette sul secondo gradino. Con un gesto misurato della mano indicò la pietra liscia accanto a lei. Seiya non si sedette ma si avvicinò un poco.

“Perché qui ho conosciuto Atena.”

“Lei è la tua dea e tu devi servirla.” Seiya sorrise.

“Ho obbedito solo al primo ordine che mi ha dato. Tutte le altre cose che ho fatto sono state mie scelte.”

“Tu hai scelto di combattere e rischiare di morire ogni giorno della tua vita per Atena?”

“Sì signora, l’ho fatto.”

“Gli dei fanno solo credere agli uomini di decidere da soli. È un’illusione.” Seiya si chinò di fronte a lei.

“Tu sei la voce di Apollo. Tu conosci la verità e devi sapere che non è vero. Ho pietà per chi serve un dio che non ama gli uomini. Cosa esistono a fare se non per proteggere?” Lo disse guardandola con sincera compassione negli occhi. Era ad un palmo da lei e Clio fu tentata di azzerare quella distanza e costringerlo a baciarla. Allora forse avrebbe compreso la sua stupidità e insignificanza. Si toccò con una mano la gola ma Seiya non seguì quel gesto con lo sguardo come lei si era aspettata. Possibile che davvero quell’uomo fosse insensibile alla sua bellezza? Si passò di nuovo il frammento di vetro tra le mani e fece in modo che lo sguardo di Seiya vi fosse riflesso. 

“Dama Clio? Sta bene? Probabilmente ho parlato troppo.” Clio però non lo stava più ascoltando. Il titano non aveva mentito. Il frammento aveva davvero il potere di riflettere ciò che sta nel profondo del cuore degli esseri viventi e quello che lei ci aveva visto erano gli occhi blu come il cielo di Grecia della dea Atena. Se mai aveva provato anche solo della semplice curiosità per l’uccisore di dei, la rabbia che s’impossessò nuovamente di lei la spinse verso una più forte determinazione. Come se tutto ciò che aveva dentro si fosse improvvisamente disvelato, una luce fortissima avvolse ogni cosa. 

Quando riaprì i suoi occhi feriti dal lampo, Seiya, spiegando le sue ali dorate, era già volato via.

 

――――――――――

 

Saga se ne accorse per primo. Non era un lampo. Erano come saette. Si protese verso le donne davanti a lui per fare loro da scudo ma si rese conto che non erano reali. Sembravano come parte di un ologramma luminoso. Qualcuno li stava attaccando con delle illusioni? La mano di Shaina sul braccio lo riportò alla realtà.

“Kanon, che sta succedendo? Che cos’è questa nuova diavoleria?” Saga si ricordò solo in quel momento che stava interpretando la parte di suo fratello. Scosse il capo.

“Non lo so Shaina ma resta calma e proteggi gli altri.” La donna annuì anche se, quando si voltò a rassicurare Marin e June si accorse che le due sacerdotesse guerriere si erano già prodigate per difendere gli allievi. Tutti i cavalieri si preoccuparono immediatamente di far abbassare le persone comuni che stavano partecipando alla festa affinché non si ferissero. Il grande sacerdote alzò una barriera di cristallo ma le saette, che sembravano incorporee, continuavano a fendere l’aria senza una direzione precisa. Fu un ragazzino a parlare. Saga non lo aveva mai visto al santuario. Doveva essere arrivato insieme ai tanti esuli del terremoto.

“Sono frecce.” A quelle parole Saga si voltò istintivamente a guardare Saori. Il posto era esattamente lo stesso. Era successo molto tempo prima ma il posto era proprio quello ed era stai lui ad ordinare che fosse fatto. Lo aveva chiesto al cavaliere della freccia. Onestamente, e se ne vergognava, non ricordava bene neppure il suo nome ma i suoi poteri sì. Per questo lo aveva inviato a ricevere Saori Kido al suo arrivo al santuario. Doveva ucciderla. Probabilmente non ci riuscì solo per mera sfortuna. In compenso Saori giacque tra la vita e la morte fino a che non fu proprio lui a rivelare a Seiya come salvarla. Quelle saette erano esattamente le frecce scagliate da Betelgeuse contro Atena su suo ordine. Dato che l’evento apparteneva al passato, quel fenomeno poteva essere solo un’altra distorsione temporale dovuta all’indebolimento dei sigilli sulla cicatrice del tempo. 

Mentre pensava a come porvi rimedio, con la coda dell’occhio percepì una luce più forte e una saetta più grande gli passò accanto. Allargò un braccio ma non riuscì ad afferrarla. Gridò.

“Saori, spostati!” La donna si voltò e, incrociando il suo sguardo, rimase pietrificata.

“Saga.” Lo disse in un respiro ma l’uomo lo sentì forte e chiaro. 

Era inevitabile che la freccia, reale o virtuale che fosse, la colpisse quando un paio d’ali dorate comparvero alle sue spalle e l’avvolsero completamente. La sua figura fu sollevata verso l’alto quel tanto che bastava ad uscire dal campo d’azione del lampo e questo, come era arrivato, così scomparve. L’unica luce nel cielo era il brillio dell’armatura d’oro del sagittario che, di nuovo, aveva protetto Atena. 

Quando il cavaliere che la indossava, toccò il suolo, tra le braccia stringeva il corpo di Saori. La donna era svenuta ma non era ferita. Saga approfittò della confusione per dileguarsi nella folla. Quello che doveva vedere, l’aveva visto. 

Restare oltre era inutilmente pericoloso.

Fu quando era convinto di averla fatta franca che una voce lo sorprese alle spalle mentre un fiocco di neve gli si posava sulla spalla.

“Non un altro passo cavaliere di Gemini. O dovrei chiamarti con il tuo nome? Eh Saga?” Questi si voltò e rise.

“Dovevo immaginarlo Hyoga. Tu eri già nel sonno delle valchirie quando ho modificato il corso del tempo. Tu ricordi ogni cosa, non è vero?” Hyoga lo guardò con un’espressione sorniona dipinta sul viso.

“Esatto. Perciò ora dimmi: dov’è Kouga?” Saga si mosse ma Hyoga non se ne accorse. Un attimo e Gemini era già alle sue spalle. 

“Credimi Hyoga, mi dispiace ma non ho scelta. Devi fare una cosa per me e non la faresti di tua spontanea volontà. Per questo ho usato su di te il fantasma diabolico. Dimentica tutto quello che riguarda Kouga. Il suo aspetto, la sua voce, le sue origini. Domani arriverà da te un nuovo allievo. Il suo nome è Niketas. Tu lo accoglierai e lo addestrerai perché conquisti l’armatura di Pegasus. Non mi hai mai visto. Non c’è altro.” Hyoga barcollò in avanti ma ma non cadde. Saga lo lasciò senza aggiungere altro. Si sarebbe ripreso nel giro di qualche minuto.

La meridiana dello zodiaco aveva acceso il terzo fuoco quando lasciò definitivamente il santuario.  Ci avrebbe messo una buona mezz’ora a piedi per raggiungere Rodorio e, da lì, un’ora di autobus per arrivare ad Atene. 

Era l’alba quando rincasò. Kanon era seduto sul divano con gambe e braccia incrociate. Sembrava dormisse ma suo fratello sapeva che non era così.

“Avevi ragione tu.” Le sue parole uscirono tranquille mentre si accomodava al suo fianco. Allora Kanon aprì gli occhi. 

“Su dama Clio?”

“Su tutto.” Saga sospirò. 

“Hai visto Saori?” 

“L’ho vista. E ho visto Seiya. Non ha l’aria di uno che sta organizzando un attentato alla vita di Atena.” Kanon sorrise.

“Noi siamo esperti in materia, vero fratello?” Saga reagì tirandogli una cuscinata.

“Ho visto dama Clio.”

“E allora?”

“E allora o sono gemelle o qualcosa non quadra. Avrò bisogno ancora del tuo aiuto.”

“Avevamo detto che ti avrei ceduto il posto solo per una sera. Eravamo d’accordo.”

“E così è. Tu tornerai al santuario domattina. Sappi che c’è stata un’altra distorsione temporale.” Kanon s’incupì.

“Shaina sta bene?”

“Sì. Dovrai portare Niketas con te quando te ne andrai.” 

“Cosa?”

“Hai capito bene.”

“Non puoi mollarmi il ragazzino.”

“Non te lo sto mollando. Devi portarlo con te e affidarlo a Hyoga.”

“Lui sa che sei vivo?” Saga scosse il capo in segno di diniego.

“Sarà una tua idea affidarglielo.”

“Vuoi che lo addestri a cavaliere? Per questo è con te? Quel ragazzino è dotato di un cosmo?”

“Meno domande fai e meglio è. Fammi questa cortesia.”

“Dovrò spiegargli dove l’ho trovato, che cosa mi ha spinto a portarlo al santuario, sotto quale costellazione è nato. Non so niente di lui. Io ho già due allievi per l’armatura di Gemini.”

“Sì, li ho visti. Giocavano con i miei scacchi da collezione. Sappi che se si rompono, avrò la tua testa.”

“Jona adora quegli scacchi. Cosa dirò a Hyoga?”

“Che è un altro orfano del terremoto. Che viene da Skyros e che è nato sotto la costellazione di Pegasus.” Kanon quasi saltò dal divano.

“Pegasus? E pensare che Saori ha letteralmente torturato Shaina affinché trovasse almeno un aspirante a quell’armatura. Adesso ne ha due.”

“Due?”

“Si, due. Qualche giorno dopo il terremoto è arrivato un ragazzino da chissà dove. Ha detto sfacciatamente che voleva diventare cavaliere di Pegasus e Saori lo ha affidato a Seiya.”

“Seiya che prende un allievo?” La faccia di Saga era tutto un programma. Nonostante il contesto, Kanon lo trovò buffo.

“Stai calmo. Forse tu e Seiya non siete così diversi. Anche lui ha mollato il ragazzino a Hyoga. O Hyoga è il maestro più meritevole che il santuario abbia mai conosciuto oppure tu e Seiya avete un problema. Scherzi a parte, pensi davvero che Niketas possa diventare cavaliere di Pegasus?”

“Sì.” La risposta decisa di Saga fece riflettere Kanon.

“E tu che farai mentre io faccio da babysitter al tuo nipotino?”

“Devo scoprire che legame c’è tra Cora e Dama Clio.”

“E come pensi di farlo?”

“Andando alla fonte del problema. Se come credo, sono entrambe pizie, allora vengono da Delo. È lì che troveremo le risposte sull’identità di Cora e capiremo se dama Clio è totalmente estranea a quello che sta accadendo al grande tempio.”

“Non ti fidi di lei?”

“Della somma sacerdotessa di Apollo? Ovviamente no.”

“Mur ha detto che quello che sta succedendo al santuario dipende dalla cicatrice del tempo. In che modo dama Clio sarebbe coinvolta?”

“Non credo che lo sia. I problemi del sigillo al labirinto di Crono sono iniziati a seguito dello scontro tra Atena e Mars. Tuttavia ciò non significa che dama Clio non operi per Apollo e Apollo non è amico di Atena.”

“Cosa è accaduto stanotte?”

“Alla nostra realtà si è come sovrapposta quella di oltre vent’anni fa quando mandai il cavaliere della freccia a uccidere Saori. È stato come se Betelgeuse si fosse materializzato lì e avesse scagliato il suo colpo segreto.”

“Una freccia? Forse era questo il pericolo che Cora aveva visto nella sua visione.”

“Lei ha parlato di una freccia d’oro scagliata da colui che più ella ama. Non credo fosse Betelgeuse.”

“Atena ama i suoi cavalieri tutti alla stessa maniera, non lo sai? Sono parole di Shaka, devi crederci.”

“Quindi continuano a fingere di non vedere? È questo che continua a fare Shaka?”

“Come ha fatto con te? Non te l’ho mai chiesto. Da quando l’ho conosciuto mi sono sempre domandato come sia stato possibile che non abbia percepito che fossi tu Arles.” Saga rise. Quel sorriso sghembo che Kanon vedeva spesso anche allo specchio.

“Non ha voluto vedere. I suoi occhi erano chiusi poiché la sua mente si rifiutava di credere che il grande sacerdote agisse contro Atena stessa. Per Shaka, ciò che riesce a concepire nella sua mente supera ciò che riesce a concepire col cuore. Ancora oggi, sin comporta così. Per questo scelsi Mur.” Kanon lasciò che finisse. Comprese che Saga aveva accettato prima ancora che la battaglia contro Mars avesse fine, di lasciare il posto per cui tanto aveva lottato, contro tutti e contro se stesso, per tutta una vita. 

“Per questo non vuoi tornare? Perché una volta ceduta la carica di grande sacerdote non si torna più indietro?” Saga emise un suono con le labbra come quando, da bambini, perdeva ad un qualsiasi gioco con lui. Quello era il suono della sorpresa.

“Dritto al punto!” Esclamò. “No, non credo. Non tornò al santuario perché, al contrario di Shaka, io vedo. I miei occhi sono sempre stati bene aperti. In più ho contribuito a fare qualcosa che rende impossibile per me essere il grande sacerdote. Però sono ancora un cavaliere di Atena e voglio proteggerla. Quando si sveglierà, porta Niketas con te. È un mondo strano quello che stiamo vivendo. Il passato torna a vivere e, se non interverremo, anche il futuro si perderà. Al santuario, Niketas sarà al sicuro.”

“Non temere per la sua vita, finché tu non ci sarai, lo proteggerò. Però tu faresti meglio a porre fine a questa sceneggiata. Saori sa. Lei ascolta il suo cuore e sa che tu non sei morto. Hai detto che il futuro si perderà. Saori ha detto che il tempo si è perso. A volte penso davvero che voi due siete due facce della stessa medaglia.” Saga gli mise una mano sulla spalla e guardò la porta della camera da letto. Probabilmente Kanon aveva ragione ma il ragazzino che dormiva in quella stanza, dimostrava il contrario.

 

――――――――――――-

 

L’alba tinse di rosa i veli che, pigramente, ondeggiavano al vento tra le colonne del porticato in cui si affacciavano le stanze di Atena. Ogni tanto, una folata di vento più forte, ne spingeva uno ad allungarsi tanto vicino alla statua della dea da sembrare la mano di uno spettro intento ad accarezzarla. 

Seiya se ne stava seduto su una sedia di legno accanto al letto. Mur si era deciso a lasciarlo solo un’ora prima. Saori dormiva. Il suo petto si alzava e abbassava in modo regolare ma dopo gli eventi della festa era stata molto agitata. Il cavaliere si era spaventato nel vederla stringersi il petto con le mani come se una freccia l’avesse effettivamente trafitta. Anche quando aveva realizzato che così non era, Saori si era lamentata per ore. Sentiva dolore come se avesse comunque ricevuto il colpo. Lui l’aveva cullata stringendola a sé, sussurrandole che andava tutto bene. 

Seiya però era il primo a non esserne convinto. La festa avrebbe dovuto essere un momento di serenità utile per allentare tutta la tensione che si era creata nel frattempo. Saori l’aveva voluta al posto del torneo delle Panatenee che aveva considerato foriero di sfortuna per via degli eventi che l’avevano seguito l’anno prima. Sembrava che più la donna cercasse pace, più le fosse impossibile trovarne un po’. Si domandò se non sarebbe stato meglio parlarle di Kouga ma solo l’idea che al ragazzo fosse capitato qualcosa di orribile, gli fece abbandonare l’idea. Saori inconsciamente non accettava la perdita di suo figlio, di questo Seiya ormai era certo, tuttavia farglielo accettare consapevolmente l’avrebbe uccisa. Anche di questo Seiya era certo. 

Un lieve bussare alla porta lo destò da questi pensieri. Shura aprì appena la porta. 

“Posso parlarti?” La sua voce era bassa ma Seiya riuscì a coglierci comunque una traccia di urgenza. Si alzò e lo raggiunse. Quando furono appena fuori dalla camera da letto Seiya parlò.

“Cosa succede?” Shura lo guardò dritto negli occhi.

“Camus chiede di essere ricevuto. Gli ho spiegato che non è il momento ma insiste. In genere è una persona ragionevole.”

“Ho capito ma Saori non può riceverlo. Non posso svegliarla.” Seiya lo disse in questi termini ma Shura sapeva che intendeva dire che, da quando era svenuta, non si era più ripresa.

“Non chiede udienza ad Atena. Vuole parlare con te.” Seiya parve sorpreso poi le sue spalle si rilassarono. 

“Quand’è così, resta tu con Saori. Non lasciarla sola per alcun motivo al mondo.” Shura entrò nella camera da letto e chiuse la porta alle sue spalle. Solo allora Seiya s’incamminò verso la sala del grande sacerdote.

Camus era in piedi davanti allo scranno che troneggiava sulla sala, sguardo fisso su di esso. Percepì la presenza di Seiya e si voltò.

“Che succede? Come mai hai voluto vedermi?” Camus parlò tutto d’un fiato.

“Tu devi prendere in mano la situazione.” Le sue parole spiazzarono Seiya. Quando aveva deciso di diventare cavaliere di Sagitter, tra tutti i suoi pari, Camus era stato quello che lo aveva considerato più inadeguato. Non per capacità, questo glielo aveva detto, ma per attitudine. ‘Tu prendi il posto di un primo tra i primi. Ne hai il potere ma non il temperamento. Che succederà quando la disciplina che ti viene richiesta verrà meno e non vorrai più le responsabilità che ne derivano?” Si era sentito dire dall’uomo che adesso gli chiedeva di agire. Ma di agire come?

“Di cosa parli?”

“Parlo di dama Clio. Quella donna non mi piace. L’ho detto anche ad Aphrodite. C’è qualcosa in lei che m’ispira diffidenza e timore. Da quando è arrivata al santuario sono accaduti fatti gravissimi. Tu devi fare in modo che se ne vada.” Seiya fece fondo a tutto il bagaglio di esperienze che aveva accumulato nel corso degli anni guardando sia Saga che Mur in azione.

“Ciò che sta accadendo qui ha a che fare con la cicatrice del tempo. Non ci sono prove che gli eventi siano in qualche modo collegati a dama Clio.”

“Tu? Proprio tu parli come tutti gli altri? Credevo che tu, chiamato ad intervenire, avresti agito d’istinto!” Seiya sorrise.

“Io? Io potrei farlo, si. Potrei cacciarla anche subito ma non è quello che Atena ha ordinato e credevo invece che tu, Camus, avresti ben considerato la mia obbedienza.” Camus strinse i pugni.

“La mia intemperanza dovrebbe scuoterti. Di certo ha scosso Shura.” Seiya annuì.

“Lo ha messo in agitazione se è per questo. Perché non ne parli con il grande Mur?”

“Perché il mio timore è irrazionale.” Camus lo disse abbassando lo sguardo, come se se ne vergognasse.

“È stato l’istinto di voi cavalieri d’oro a permetterci di salvare la vita di Atena tanti anni fa. Quello di Mur che ci lasciò passare la prima casa e riparò le nostre armatura, quello di Aldebaran che ci aprì la porta verso il settimo senso, quello di Milo che si fidò di te e di Hyoga. Credi che non prenderei in considerazione un tuo timore? Credi che non lo farebbe Mur?” A quelle parole  Camus alzò gli occhi pieni di curiosità.

“Io sto cercando un modo per sistemare questa cosa del tempo che sta impazzendo ma sappi che Mur ha ordinato ad Aphrodite di scoprire ogni segreto di dama Clio. Se ne ha, verranno fuori prima che il sole sia alto nel cielo.” Camus annuì.

“Torno all’undicesima casa. Grazie per avermi ascoltato.”

“Dovere di cavaliere.” Camus annuì e raggiunse la porta. L’aprì ma prima di uscire si voltò a dire qualcosa.

“Mi sono sbagliato su di te, Seiya. Sei diventato primo tra i primi. Credo che tu lo sia sempre stato, ero io a non riuscire ad accettare che per te fosse così semplice esserlo.” Uscì senza attendere una risposta. Seiya guardò verso l’alto pieno di quella fierezza che ogni tanto si concedeva di provare. 

 

――――――――――――――

 

Abbandonata in quel modo. 

Clio era furiosa. Poteva essere davvero possibile che Hyperion avesse ragione? La sua bellezza, il suo fascino davvero non avevano presa sull’uccisore di dei? E perché continuava, anche nei suoi pensieri, a riferirsi a lui in quel modo?

Doveva essere accaduto qualcosa nell’area. Almeno a giudicare dalla fretta con cui Seiya era letteralmente volato via e dal fatto che le casse dello zodiaco erano ancora deserte nonostante sembrava che la festa fosse conclusa.

Imprecò per ogni singolo scalino di quel maledetto tempio. Solo i seguaci masochisti di Atena potevano aver concepito un  santuario come quello per onorare la loro dea. Masticò amaro ricordando che probabilmente lo avevano eretto in quel modo perché ricordava l’Olimpo di Zeus.

Maledetti cavalieri, maledetta Atena e maledetta lei che non aveva ancora ottenuto niente nonostante avesse millantato il suo successo al titano dello specchio Numinoso. Quel pensiero le fece ricordare che Hyperion gli aveva promesso il suo aiuto se lei gli avesse consegnato un oggetto custodito nella casa di Pishes. Scosse il capo per tutto il tragitto attraverso la casa di Scorpio. 

Accettare l’aiuto di un titano le avrebbe fatto perdere la collaborazione di qualsiasi altra divinità. Alla casa di Capricorn era ancora indecisa. Quando però raggiunse quella di Acquarius e prese a tremare per il freddo, nulla la separava più dalla convinzione di fare quel piccolo favore al titano imprigionato nello specchio. Che male ne poteva venire?

Fu perché era presa dai suoi pensieri che il ragazzino la fece saltare per lo spavento.

“Voi siete dama Clio, la somma sacerdotessa di Apollo, non è così?” La voce che l’aveva sorpresa apparteneva ad un bambino di circa dieci anni, morbidi boccoli castani ad incorniciare un viso grazioso.

“E tu chi sei, piccolo?”

“Il mio nome è Subaru. Sono l’allievo di Seiya di Sagitter.” A quelle parole Clio prestò attenzione.

“E cosa ci fai qui da solo? Credevo ci fosse una grande festa nell’arena.”

“Non avete risposto alla mia domanda, signora.” La donna rise.

“Sì, sono dama Clio.” Il bambino parve deluso dalla risposta. Abbassò la testa come non sapesse cosa dire poi la sollevò di scatto. 

“Ho perso mia madre.” Lo disse con la voce carica di tristezza. “Lei è sempre occupata a fare qualcosa che non mi riguarda. Ho accettato di non essere la cosa più importante per lei anche se lei lo è per me ma dalla morte di mio padre, è cambiata. È diventata crudele. Così sono venuto qui. Ho chiesto aiuto alla dea Atena. Credevo che lei non amasse i bambini perché non ne ha mai avuti di suoi, ma non è così. Questo tempio è pieno di bambini come me.”

“Come te?” Chiese Clio.

“Orfani.” Lei si chinò a guardare negli occhi azzurri del ragazzo. Le sembrava che avessero qualcosa di familiare ma nulla in lui gli ricordava una circostanza particolare in cui poteva averlo incontrato in passato.

“Atena farà di voi dei guerrieri. Vi manderà a morire un giorno.” Il bambino scosse il capo.

“No. Atena non ha mai mosso guerra ad alcuno. Per cui, ti prego dama Clio, fa in modo che Apollo non muova mai guerra ad Atena così noi non dovremo combattere e morire.” La donna si rialzò stizzita. Come si permetteva quel moccioso di parlarle a quel modo?

“Gli dei agiscono in base alle loro voglie. Le preghiere degli uomini sono per la loro gloria. Nulla di più.” Subaru strinse un pugno.

“Imparerete che non tutti gli dei sono uguali. Pregherò il dio dell’amore che ve ne riversi un po’ nel petto perché ne sembrate davvero sprovvista, signora!” Il bambino si voltò e corse via prima che Clio potesse controbattere. 

Ancora più nervosa, entro nella casa di Pishes. Si guardò attorno ma non sembrava ci fosse nulla che potesse interessare un titano. S’infilò nelle stanze private della casa e riprese il frammento dello specchio dalla tasca dell’abito. Quando vi pose lo sguardo, gli occhi di Hyperion apparvero al posto dei propri.

“Lieto che tu abbia cambiato idea, mia regina.”

“Parla in fretta. Cosa c’è in questo luogo che ti interessa?”

“Il pomo delle esperidi che il cavaliere di quella casa conserva gelosamente nella sua camera da letto.”

“Tu come lo sai?”

“Questo riguarda la mia prigionia in questo specchio, niente che voi possiate trovare meno che noioso.” La donna raggiunse la camera da letto e non dovette cercare a lungo. Il pomo era custodito sotto una campana di vetro tra su un tavolino circondato da decine e decine di rose bianche. Il titano l’ammonì. “Fate attenzione, sono rose mortali.” La donna sorrise.

“Non per me.” Allungò una mano attraverso il fascio e con un dito toccò la campana che esplose, polverizzandosi. Afferrò il pomo. “In fondo è destinato alla più bella! Ad Atena non serve. Ora però dimmi, titano, se te lo consegno e bada bene che ho detto se, come farai a favorire i miei desideri?”

“Sono la presenza nello specchio, mia regina adorata! Ogni tuo desiderio può diventare realtà al giusto prezzo. Consegnami il pomo e avvicinerai Atena ad un passo dal precipizio sul quale passeggia già per merito mio.”

“È una promessa?”

“È una promessa.” Clio ripose il pomo e il frammento e lasciò la casa di Pishes non sapendo che il cavaliere di Aquarius la osservava da lontano.

 

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Capitolo 18
*** Le decisioni di un cavaliere d’oro ***


 

Piccole note dell’autrice:

Non so con che faccia tosta ho il coraggio di ripresentarmi. Eppure eccomi qui.

Sto cercando di aggiornare una volta alla settimana. La prossima però non ci sarà aggiornamento. L’estate volge al termine ma le mie vacanze cominciano ora. Quindi sabato prossimo non ci sarà il nuovo capitolo. Lo posterò al mio rientro il sabato successivo. 

Grazie a tutti per aver ripreso a seguire dopo così tanto tempo. Siete belle persone! Buona lettura.

 

Le decisioni di un cavaliere d’oro

 

 

Pandora non aveva chiuso occhio. Ikki era stato sempre al suo fianco e così aveva fatto Eden. Il ragazzo era agitato. Più dei suoi genitori. Suo padre se ne accorse.

“Eden, per favore, fermati e spiegami cosa c’è che non va.” Il ragazzo obbedì. Nonostante aveva compreso quanto potere gli scorreva nelle vene, aveva un rispetto assoluto per lui. Lo ammirava oltre chiunque altro.

“Perdonami padre. Mi sento inquieto. Qualcosa non va.” Pandora, nell’udire quelle parole, si alzò dal letto su cui era seduta e lo raggiunse prendendogli le mani.

“Tesoro mio, se c’è qualcosa che ti turba puoi parlarne con noi.” Eden parve esitare un attimo ma lo sguardo di suo padre lo spinse a parlare.

“Ho provato a soffocare questa sensazione confidando che rimanesse tale, ma ora sono convinto che qualcosa stia accadendo qui. Quello che è successo all’arena è direttamente collegato con quanto accaduto alla spiaggia del Pireo. È come se il tempo si stesse accartocciando su se stesso. È una cosa innaturale. È molto pericoloso.” Pandora cercò di calmarlo.

“Sono certa che il grande Mur abbia tutto sotto controllo, non è vero Ikki?” La donna si voltò a cercare la complicità del marito ma la reazione di Ikki la deluse.

“La penso anche io come Eden. Qualcosa non quadra. Il ritorno di Shiryu ne è la prova.” Pandora levò lo sguardo e le mani al cielo.

“Ma se Shiryu è tornato per festeggiare il risveglio di Hyoga!” La voce di Pandora si era alzata di tono. Ikki sbuffò.

Shiryu è tornato per un consiglio che si è tenuto fra tutti i cavalieri d’oro, me lo ha detto Shun. E io non penso che avrebbe lasciato Goro-ho per qualcosa di meno importante.”

“Meno importante della vita di uno dei suoi migliori amici?” Eden si pentì di aver acceso la discussione tra i suoi genitori e tentò di porvi rimedio.

“Non è in discussione l’affetto che Shiryu prova per Hyoga. Io sto parlando di qualcosa che agisce sul fluire del tempo. È da un po’ che ho come la sensazione che sia successo qualcosa di brutto e io non me ne sono accorto. Mi sento, come dire, responsabile.” Abbassò lo sguardo sui suoi pugni chiusi. Ikki gli poggiò una mano sulla spalla e strinse appena.

“Questo non devi dirlo. Non hai fatto nulla di male.” Eden sollevò la testa e stavolta i suoi occhi erano scuri e densi.

“Proprio tu mi dici questo? Tu che mi hai biasimato per aver riportato in vita i giudici infernali?” Ikki lasciò la presa.

“Hai giurato che non avrebbero arrecato danno alcuno. Io mi fido di mio figlio.”

“E se invece non meritassi questa fiducia?” Sbottò facendo un passo indietro. Pandora lo richiamò.

“Eden!”

“Lascialo parlare, Pandora!” Lo incalzò Ikki. “Avanti! Cosa c’è che dovrebbe impedirmi di avere fiducia in mio figlio?”

“Ho accettato l’eredità di Hades. Puoi dire a te stesso tutto quello che vuoi. Che sono un cavaliere di Atena, che indosso l’armatura di Orione e sono nato sotto una buona stella ma la verità è che il signore degli Inferi in persona mi ha scelto come suo successore. Il nemico giurato di Atena ha fatto di me l’unico che può impugnare la sua spada, la lama che ha quasi ucciso Seiya, un’arma divina in grado di uccidere gli dei. Atena compresa!” Eden urlò tutto quello che aveva in corpo ormai da mesi. Ikki sorrise. “Questo fa ridere?” Eden sentì montare forte la rabbia ma lo sguardo di suo padre lo calmò.

“Non pensi che il fatto che ne parli in questo modo sia di per sé la prova che meriti la mia fiducia?” Pandora gli si avvicinò e lo strinse a sé.

“Tuo padre ha ragione, figlio mio. Quando ero sul punto di perdere per sempre la mia anima, ho sentito in quel momento che non era mai stata la mia natura a spingermi verso l’oscurità ma ciò che la vita mi aveva riservato. È bastato aprire gli occhi, tendere una mano, per trovare un appiglio, rivedere la luce. Tu parli di uccidere, di ereditare il regno di Hades ma non hai mai sguainato la spada se non per il bene.” Lui ricambiò la stretta però si staccò quasi subito per cercare suo padre.

“Stanotte nell’arena, non so come spiegarlo ma mentre tutto erano intenti a schivare quelle frecce di luce, io ho visto qualcos’altro.” 

“Cosa?” Chiese Ikki.

“È stato quando Seiya è arrivato e ha sollevato Atena. Mi è sembrato indossasse l’armatura di Pegasus.”

“Pegasus?” Eden annuì a suo padre.

“E sembrava molto più giovane.”

“Eden, figlio mio, non ti crucciare. Abbiamo tutti bisogno di riposo. Parlerò con Saori. Nel frattempo, tu non angosciarti. Dà ascolto a tuo padre. Va bene?” Eden annuì. Pandora lo accarezzò e, in quello stesso momento, percepì esattamente lo stato d’animo del figlio. Aveva già vissuto quella sensazione in cui la paura per la sorte di Eden superava qualunque razionale consapevolezza di sicurezza e pace? Disse a se stessa di non lasciare trasparire nulla di quell’emozione e la lasciò sigillata nel suo cuore.

 

―――――――――――-

 

Hyoga era tornato a casa con un gran mal di testa. Aprì la porta appoggiandovisi col peso del corpo e facendo rumore.

Shun si alzò dal tavolo di scatto.

“Dove sei stato? Nella confusione dell’arena ti ho perso di vista! Ero preoccupato!” Hyoga si sforzò di sorridere e lo rassicurò.

“Sto bene. Ho pensato di andare ad aiutare Soma e Sybilla a mettere al sicuro i più piccoli.” A quelle parole Shun sorrise.

“È proprio da te. Sono contento che tu stia bene.”

“Perché non avrei dovuto stare bene? So ancora difendermi, Shun.”

“Devo ricordarti che hai dormito per un anno intero?” 

“Sono sempre lo stesso.”

“Me ne sto rendendo conto.” Fece l’altro fronteggiandolo e corrugando la fronte. “Ti sei ferito alla testa? Sanguini.” Hyoga si toccò la fronte con una mano ma non c’era traccia di alcuna ferita.”

“Devo aver sbattuto contro qualcosa. Non è niente. Tu, piuttosto, dov’eri finito?”

“Ho cercato Yuna e ho dato una mano a June a calmare le persone che erano nell’arena. Sembrava un attacco in grande stile ma in realtà, alla fine, non è successo nulla.”

“Non ne sarei così convinto.” Il tono di Hyoga era grave.

“Sei preoccupato?”

“Sì. Dobbiamo parlare con Seiya.” Shun si fece triste. “Gli è accaduto qualcosa?”

“No. Ma è molto teso.”

“Lo sarei anche io al suo posto con tutti i pensieri e le responsabilità che ha!” Hyoga mise una mano sulla spalla del compagno per rassicurarlo ma questi non sembrò percepirlo. “C’è dell’altro?”

“Durante il tempo in cui sei stato in coma ho studiato medicina.”

“Medicina?” Shun arrossì appena e annuì.

“Era un modo come un altro per passare il tempo e mi era utile per prendermi cura di te.” Hyoga sorrise e accarezzò il volto della persona cui voleva più bene al mondo e a cui forse aveva fatto più male.

“Questo cosa c’entra con Seiya?”

“Seiya ha qualcosa che non va.” Hyoga si fece serio. 

“È malato?”

“Io non lo so. Dopo la battaglia contro Mars si risvegliò con una cicatrice molto profonda. La ferita era perfettamente guarita.  Non so come spiegarlo, ci sono dei momenti, come ieri sera, in cui il suo cosmo splende di una forza strepitosa ma normalmente lo percepisco sempre più debole.”

“Hai chiesto a lui?” 

“Una volta è stato qui a trovarti e gliel’ho chiesto direttamente. Mi ha riposto che stava bene e che era solo un po’ stanco.”

“Forse è così.”

“Andiamo Hyoga! È Seiya! Non ti direbbe mai che ha bisogno d’aiuto se non costretto. Poi questa faccenda di Kouga lo ha colpito profondamente. Sei certo di non sapere nient’altro che ci possa aiutare a ritrovarlo?” Hyoga avvertì una fitta alla testa.

“A dire il vero, Shun, ricordo pochissime cose di Kouga. Probabilmente se entrasse adesso da quella porta non lo riconoscerei.”

“Peccato.”

“Già ma se Seiya ha bisogno del nostro aiuto, come abbiamo sempre fatto, noi glielo daremo. Vuoi?” Shun annuì e si lasciò andare contro il petto di Hyoga. Lui lo strinse cercando di scacciare la pessima sensazione che, sicuramente senza volerlo, Andromeda gli aveva trasmesso.

 

―――――――――――-

 

Niketas camminava senza parlare. La strada che da Rodorio portava al Santuario era stretta e sterrata. Si teneva lo zaino come se potessero porglielo via da un momento all’altro. Ogni tanto lanciava uno suo sguardo verso Defteros ma, non appena l’uomo si girava a guardarlo, si voltava dall’altra parte.

Non aveva voglia di parlare. Non dopo che suo zio lo aveva affidato al fratello come un semplice pacco postale. Senza alcuna spiegazione.

“Devi andare con mio fratello per un po’. Lui ti porterà al Santuario, il luogo dal quale provengono i cavalieri con le armature scintillanti che ti piacciono tanto. Io verrò a prenderti appena avrò riportato Cora a casa sua.” Così aveva detto. Niketas proprio non capiva che bisogno c’era di lasciarlo solo. 

La voce di Defteros lo riportò alla realtà.

“Ascoltami Niketas,” disse senza smettere di camminare “dopo quella collina c’è il Santuario. Lì mi conoscono tutto col nome di Kanon. Diciamo che è il mio nome di cavaliere.” Niketas si fece attento e per un attimo dimenticò i propri pensieri. Defteros continuò. “Dormirai nella mia casa che è quella dei Gemelli. É la terza casa dello Zodiaco. Ci sono dodici case quanti sono i segni zodiacali e quanti sono i cavalieri d’oro.”

“I cavalieri d’oro?” Chiese il ragazzo, desideroso di saperne di più.

“Sì. Ci sono dodici cavalieri d’oro. Sono l’èlite dei cavalieri di Atena.” 

“Io ho conosciuto dei ragazzi che dicevano di essere cavalieri ma non indossavano un’armatura d’oro.”

“Oltre ai cavalieri d’oro ci sono anche quelli d’argento e quelli di bronzo.”

“Come una classifica?” Vide Defteros scoppiare a ridere.

“Sì. Come in una classifica ma non è scontato che un cavaliere di bronzo sia meno forte di un cavaliere d’oro, ricordalo. Comunque dicevamo che dormirai a casa mia ma sei pur sempre un ragazzo per cui di giorno andrai a scuola. Qui però siamo al Santuario per cui la scuola che frequenterai è una scuola per aspiranti cavalieri.” Gli occhi di Niketas si illuminarono.

“Io a scuola per diventare un cavaliere?” 

“Esatto.”

“E se mi diplomo, mi danno un’armatura?” Di nuovo l’uomo rise.

“Non è proprio così ma diciamo che, in buona sostanza, le cose funzionano in questo modo. Più tardi ti presenterò al tuo futuro maestro ma adesso conoscerai Shaina. Non fare caso alle cose che dirà. Lei è una donna e bisogna essere sempre molto accondiscendenti con le donne se non vuoi farle arrabbiare e noi non vogliamo fare arrabbiare Shaina perché quando si arrabbia diventa molto, molto brutta. D’accordo?” Niketas aveva recuperato parte del suo buon umore e annuì.

Svoltando la curva successiva, la strada scendeva appena. Niketas rimase a bocca aperta. Lungo il dorso della collina che gli si parava di fronte, si distendevano come sulle spire di un serpente una serie di piccoli templi meravigliosi. Il sole illuminava i marmi bianchi facendoli splendere come stelle. Niketas sentì salire le lacrime agli occhi.

“Cosa c’è?” Chiese Defteros.

“È un posto bellissimo da chiamare casa.” Non sapeva perché aveva risposto così. Si asciugò il viso col dorso di una mano e pensò a suo zio. Forse non lo aveva mandato via per egoismo. Forse voleva che vedesse il posto da cui veniva, voleva che fosse al sicuro nel luogo che lui poteva chiamare ‘casa’. 

Il passo successivo che mise fu leggero. Il passo spensierato ed eccitato di un ragazzo di quattordici anni che va incontro alla vita.

 

―――――――――――-

 

Saori si svegliò che il sole era già alto nel cielo. Aveva ricordi confusi ed agitati della sera prima e il petto le doleva ancora. La voce che proveniva dal porticato la sorprese. Pensava di essere sola.

“Come ti senti?” Saori scostò il lenzuolo e mise un piede per terra.

“Molto meglio di ieri sera.”

“Bel casino ieri sera.” Seiya spostò i drappi che impedivano alla luce di entrare troppo forte ed entrò nella stanza. La sua voce si sforzava di apparire allegra. Voleva sembrare il solito Seiya. Saori mise l’altro piede a terra e fece forza con le braccia per alzarsi dal letto. Sembrò perdere l’equilibrio e Seiya si mosse alla velocità della luce per darle un appoggio ma lei non ne ebbe bisogno. Sorrise dolcemente però.

“Bel casino. Però sei arrivato in tempo. Come sempre.” Quando lei lo diceva, Seiya pensava solo a quella notte. Alla notte dell’incendio all’orfanotrofio di Rodorio. Alla notte in cui, per salvarla, lui aveva trafitto il dio Ares con la daga deicida. Lei gli aveva sussurrato tra le lacrime che era arrivato in tempo ma lui pensava il contrario. Arrivare in tempo sarebbe significato evitare che lui la sfiorasse anche solo con un dito, anche solo col suo respiro. Lei si accorse dal suo sguardo a cosa pensava e gli prese una mano. “Seiya, sto bene. Tu piuttosto, ti sei perso la festa. Hai fatto ciò che ti eri prefissato?” Lui guardò la sua mano stretta in quella di Saori e rispose.

“Sono stato sull’altura e ho usato il meccanismo.”

“Allora?” Chiese lei stringendo ancora un po’ la mano di Seiya nella sua.

“Non ha funzionato.” Disse lui.

“Capisco.” Era delusa ma non aveva lasciato andare la sua mano. Poco prima di svenire aveva di nuovo avuto la sensazione di vedere Saga. La sua mente sapeva che si trattava di Kanon. Eppure il suo cuore aveva perso un battito e lei si era sentita sopraffare da quell’emozione e dal terrificante, seppure irreale, dolore di essere stata di nuovo trafitta.

“Non è tutto.” Lei sollevò di nuovo lo sguardo fissandolo nei suoi occhi.

“Seiya, è successo qualcosa di brutto?” Lui scosse subito il capo.

“Il meccanismo è rotto. Non funzionerà correttamente se non troviamo il pezzo di cui è mancante.”

“Come lo hai scoperto?”

“Mi crederesti se ti dicessi che è stato un dio a dirmelo?” Saori piegò la testa di lato e lo tirò verso il letto quindi si sedette e lui la imitò. Continuava a guardare le loro mani strette. Lei gli sollevò il mento e lo costrinse a guardarla.

“Ti credo. Continua.”

“Ha detto di essere Hermes, il messaggero degli dei. Mi ha riferito che l’unica persona che può aiutarci ad aggiustare il meccanismo di Antikyteras è Efesto. Pare che viva in Sicilia. Lui ha le risposte.” Saori sospirò.

“È peggio di quello che credevo.”

“Che intendi dire?”

“Che se Hermes giunge a noi con un messaggio tanto grave e ci invita a chiedere l’aiuto di Efesto, allora forze molto potenti si sono messe in moto. Tutto l’Olimpo sa che Efesto ha scelto un esilio volontario dall’Olimpo. Vive da eremita da lunghissimi anni. Nessun dio ha mai osato disturbarlo.”

“Beh, lo farà un uomo.” Saori gli prese il viso tra le mani.

“Vuoi cercare Efesto? Vuoi farlo perché un dio ce l’ha suggerito? Non è da noi Seiya, potrebbe essere un altro inganno.”

“Se Mur ha ragione, forse la cicatrice del tempo sta cedendo. Se c’è un modo per impedirlo, io devo tentare, spetta a me.” Saori tenne la presa e scosse il capo con decisione.

“No. Spetta a me. Quando Mars attaccò il santuario lo scorso anno, ricordo di aver deciso di combattere in prima persona. Ricordò di aver maturato la consapevolezza di affrontarlo direttamente. Eppure Saga è morto e tu sei rimasto gravemente ferito. Non ti manderò ad affrontare i titani. Tantomeno Crono. Questo deve essere chiaro per te.” Seiya mise le sue mani su quelle di Saori.

“Abbiamo combattuto sempre assieme. Mi dispiace di non aver scoperto nulla su Saga. So che sapere che in qualche modo è sopravvissuto, ti avrebbe resa felice. Forse se aggiustiamo il meccanismo di Antikyteras scopriremo che magari è così.” Le lacrime bagnarono gli occhi della donna. Sfilò una delle sue mani e gli coprì le labbra scuotendo la testa.

“Seiya non voglio perderti. Ultimamente non sono stata in me. Tu sei tutto ciò che rappresenta la mia umanità, non voglio perderti.”

“E non mi perderai. Lasciami andare in Sicilia. Aggiustare quell’aggeggio ci aiuterà a difenderci da Crono.” Saori sostituì la mano con le sue labbra. Lui ricambiò il bacio e la strinse a sé come desiderava sempre e non poteva fare mai. Quando si separarono lei disse solo poche parole prima di poggiare la testa suo petto.

“Promettimi che tornerai da me. Promettilo.”

“Lo prometto.”

Un lieve bussare alla porta li costrinse a separarsi. La porta si aprì solo quando lui diede il permesso di entrare. Shura gli riferì che Hyoga voleva vedere Seiya e lui si congedò un po’ a malincuore.

Mentre camminavamo verso l’uscita del tredicesimo tempio Shura fece una cosa insolita: parlò.

“Atena sta meglio?”

“Sì. Era solo scossa.”

“Ha bisogno di attenzioni.” Seiya si fermò di colpo e lo guardò mettendo le mani sui fianchi.

“Stai cercando di dirmi qualcosa?” Shura non diede a vederlo ma era in imbarazzo.

“Solo quello che ho detto.” Seiya spinse il dito nella piaga.

“Tu sei sempre dietro la sua porta, Mur si occupa di ogni sua necessità. Non è sufficiente?”

“Le attenzioni a cui mi riferisco sono di tipo diverso. Non farmi pentire di averti parlato. E comunque qualcuno doveva farlo dato che Saga non c’è più.” Tra i due cavalieri cadde il silenzio. Raggiunsero l’uscita ma prima di raggiungere Hyoga, Seiya si girò verso Shura e gli sorrise.

“Grazie. La tua presenza è stata sempre di conforto sia per me che per Saori.” Shura fu tentato di rimanere in silenzio ma non lo fece.

“Ho cominciato a presidiare le stanze di Atena perché non mi fidavo di Saga. Poi ho cambiato idea ma sono rimasto per un motivo. Ti sei mai chiesto quale fosse?” Seiya scosse il capo.

“Credevo fosse il tuo modo di servire Atena e francamente era talmente importante che ci fossi, che egoisticamente non mi sono mai chiesto perché.”

“L’ho fatto perché nessuno ficcasse il naso.” Non lasciò che Seiya gli rispondesse. Si voltò e tornò indietro.

Seiya raggiunse Hyoga all’esterno. Non era solo. Shun, Shiryu e Ikki erano con lui.

“Ragazzi, cosa ci fate qui?” Fu Shun a parlare per primo.

“Volevamo sapere come state tu e Saori e fare due chiacchiere.”

“In realtà avevamo pensato più ad una specie di rimpatriata.” Disse Ikki sollevando una cassa di birre.

“Quella è birra giapponese?” Chiese Seiya stupefatto.

“Sì e io ho portato la vodka.”

“Ma sono le due del pomeriggio!” Esclamò Shiryu e tutti lo guardarono male. Seiya scoppiò in una fragorosa risata.

“Sul mio onore vi dico che non è il momento migliore per prendersi una sbronza tutti insieme ma in fondo, qual è il momento migliore per bere se non quando le cose non vanno per il verso giusto?”

“Le cose vanno male?” Chiese il cavaliere del cigno.

“In una scala da Arles ad Hades, direi che siamo al livello Nettuno ma c’è ancora speranza.” Gli rispose Seiya.

“C’è sempre speranza!” Gli fece eco Shun.

“Allora prima beviamo e poi decidiamo se per dimenticare o festeggiare.” Concluse Ikki.

“Venite con me,” Seiya batté le mani “conosco il posto giusto per questa cosa.” 

Li guidò tutti e quattro oltre la statua di Atena su per un sentiero che terminava in uno slargo con al centro una grande quercia. Sul fianco del monte c’era una casetta in legno e calce. Seiya aprì la porta con una chiave appesa ad un acchiappasogni che pendeva, a propria volta, ad un ramo dell’albero.

“Di chi è questo posto? È adorabile!” Esclamò Shun.

“E ad uso di Saori. Non le dispiacerà se la usiamo noi per una volta. Mi ha detto che apparteneva alla fanciulla che incarnava Atena nella generazione precedente alla nostra.”

La calura estiva non si avvertiva troppo a quell’altitudine. Un venticello fresco scuoteva appena le fronde degli alberi. Il cinguettio degli uccelli si mischiava alle risate degli uomini che, bevendo e mangiando, si raccontavano aneddoti della loro gioventù. 

“Non dirmi che non te lo ricordi!” Esclamò Hyoga. “Sì è presentata a a casa tua, quella catapecchia che avevi affittato al porto perché non volevi vivere a Villa Kido.” 

“Non me lo ricordo!” Insistette Seiya bevendo un altro sorso di birra. Da quanto tempo non l’assaggiava? Erano passati secoli. Si era preso più di una sbronza in compagnia di Saga ma non aveva più bevuto una birra dalla sua ultima volta in Giappone. Sentì il liquido fresco scendergli giù per la gola e godette della bella sensazione che procurava. Rise. In realtà ricordava benissimo l’episodio a cui si riferiva l’amico. Saori era andato a cercarlo fino a casa sua e lui aveva aperto la porta in mutande.

“Hyoga ha ragione.” Shun provò a rincarare la dose. “Eri agitatissimo quando andò via. La casa era un disastro e tu le apristi la porta in mutande!” Shiryu non riuscì a soffocare un commento ironico.

“Devi averla colpita col tuo fascino quella volta e sei diventato il suo preferito.” Una lattina di birra volò e colpì la testa di Dragone.

“Uhh!” Intervenne Ikki “Questa é cattiva, Shiryu! Da te non me l’aspettavo.”

“La verità fa male!” Rispose Shiryu toccandosi la testa.

“Siete miei amici o no?” Piagnucolò Seiya. Hyoga gli mise una mano sulla spalla.

“Lo siamo. Lo saremo sempre. Anche se abbiamo fatto scelte diverse siamo sempre al tuo fianco come quando dividevamo il campo di battaglia. Anche se adesso i tuoi compagni sono i cavalieri d’oro, noi siamo sempre tuoi fratelli.” Seiya si fece serio. Il silenzio che cadde al termine delle parole di Hyoga gli fece comprendere che i suoi amici di sempre stavano cercando di dirgli qualcosa. 

“Anche se indosso un’armatura d’oro, non significa che non vi considero più miei compagni.” Seiya lo disse lentamente. Aveva rimuginato a lungo su quel pensiero. I lunghi anni passati lontano da tutti loro se li sentiva addosso come una colpa. Avere scelto l’armatura d’oro mentre gli altri avevano preso strade diverse, gli era sembrato un tradimento. Col tempo aveva rinunciato alla loro amicizia come a pagarne il prezzo. Pertanto, ora che ne aveva la possibilità, voleva chiarirsi. “Siete sempre stati una parte importante di me. Ho sofferto la vostra lontananza ma non riuscivo a colmare in alcun modo la distanza che si era creata. Mi sembrava che spiegare le mie ragioni fosse peggio che rimanere in silenzio. Mi sentivo come se ogni giustificazione del mio comportamento suonasse falsa oppure stupida. Alla fine ho rinunciato. Ho sempre confidato che voi sapeste che nel mio cuore, il mio affetto restava immutato.” Shiryu avrebbe voluto dire qualcosa. Lui, più degli altri, lo aveva condannato per le sue scelte. Fu Ikki invece ad alzarsi in piedi.

“Quando ho lasciato il santuario, voltando le spalle ad Atena, all’armatura d’oro che avrei potuto indossare, a mio fratello,” disse guardando Shun “non ho pensato che stavo volta do le spalle prima di tutto a voi. Me ne sono reco conto quando le giornate insieme a Pandora sono diventate semplici. Quando lei ha smesso di provare paura del buio, dei sogni che faceva, persino di addormentarsi e, lentamente, siamo tornati a fare una vita normale. È stato allora che mi sono reso conto che non c’era modo di sentirmi normale senza voi. L’ho accettato e sono andato avanti per amore. Non ho mai pensato che le mie ragioni valessero più di quelle di Shun, di Hyoga o di quelle di Shiryu. Non penso che valgano più delle tue Seiya. Ognuno di noi ha fatto una scelta di vita per cui non ha chiesto il permesso a nessuno. Nessuno si aspetta giustificazioni da te.” 

Seiya sentì le lacrime agli occhi ma si sforzò di non piangere. Hyoga parlò.

“Se però c’è qualcosa che possiamo fare per te, non esitare a chiedere. Hai portato un pesante fardello da solo molto a lungo. Sappi che puoi tornare a dividerlo con noi.” Seiya si alzò.

“Vi ringrazio, amici miei. Per ora, tutto ciò che mi sento di chiedervi è di aiutarmi a presidiare il santuario. Shiryu era al consiglio con me e sa che ciò che minaccia il grande tempio stavolta è il risveglio di Crono. Per ora non c’è un pericolo reale. Ci sono, come dire, degli accorgimenti che sono stati presi per evitare il peggio ma io mi devo assentarmi per un pò e mi farebbe piacere sapere che ci siete voi a fare le mie veci.”

“Come assentarti?” Chiese Shun.

“Devo andare in Sicilia per compiere una missione.” Seiya lo disse con serenità, come se fosse una semplice commissione ma Shun non sembrava convinto.

“Non può andarci qualcun altro? In fondo è meglio se tu rimani con Saori, no?” Seiya scosse il capo.

“Devo andarci io. Diciamo che ho avuto una speciale investitura per questo incarico.”

“Allora io verrò con te.” Le parole di Shiryu fecero tornare il sorriso a Shun. “Non sono abituato a stare alla settima casa. Sarà come tornare ai tempi delle missioni della fondazione Kido.” Seiya non se la sentì di dire di no. Dopo l’esperienza col meccanismo di Antikyteras, la mente sempre acuta di Shiryu poteva essere un’arma in più da giocare con Efesto.

“D’accordo. Ora però finiamo le birre. Non intendo lasciarne piena neanche una.”

Tutti risero e Shun guardò Hyoga. Il piano del compagno aveva funzionato alla perfezione. Il cavaliere del cigno gli rispose con un occhiolino stappando l’ennesima lattina.

 

―――――――――――――

 

Kanon faceva strani segni a Niketas cercando di tranquillizzare il ragazzo e ottenendo l’effetto contrario. Niketas era terrorizzato dalle urla di Shaina.

“E tu mi porti un altro ragazzino in casa?” Furono le ultime parole gridate dalla donna. 

“Calmati Shaina. Ti ho ripetuto cento volte che questo ragazzo non è un semplice orfano. Possiede un cosmo ed è nato sotto la costellazione di Pegasus.” Kanon sorrise facendo l’occhiolino a Niketas.

“Sì, come no! Come l’altro che abbiamo raccattato qualche giorno fa! Ridicolo.”

“Ti dico che non è come credi. Per una volta, vuoi darmi retta?”

 “Ti rendi conto di cos’è accaduto ieri? E tu te ne esci con un nuovo allievo?” Kanon non sapeva niente di quello che era accaduto la sera prima ad eccezione di quello che gli aveva raccontato Saga e aveva ordinato a Niketas di fare finta di nulla tutte le volte che avesse sentito nominare il giorno precedente il suo arrivo al santuario e qualche riferimento a suo zio.

“L’allievo è per Hyoga. Non essere indisponente!”

“Hyoga non può prendere allievi. Si è appena risvegliato da un sonno lungo trecentosessantacinque giorni, ricordi?”

“Lo so. Però ciò non significa che non possa tornare ad insegnare. Lo chiederò a lui e se non sarà d’accordo, il ragazzo tornerà da dove è venuto. Va bene?” Shaina incrociò le braccia e pestò un piede a terra. Quello era il segno che stava per cedere.

“E va bene. Ma se lui non vorrà prenderlo, sarà un tuo problema. Seiya ha già l’altra rogna di cui occuparsi.” La donna si voltò e sparì nelle stanze private della casa di Gemini.

“Certo che è proprio un’arpia!” Esclamò il ragazzo dai capelli ramati mentre posava il proprio zaino a terra. 

“Lo é ma tu non puoi chiamarla così, ragazzino.”

“Questo Hyoga è un cavaliere come te? Perché ha dormito per un anno intero?”

“Gli è successa una cosa brutta. È la risposta è sì. È un cavaliere. Molto forte.”

“Un cavaliere d’oro?” Kanon scosse il capo.

“Non adesso. Avrebbe potuto diventarlo. Lo è stato. Forse un giorno.”

“Mi porterai da lui?” 

“Domani. Per stasera resterai qui. Non c’è bisogno di correre. Voglio presentarti prima una persona. Vuoi?” Niketas annuì.

Kanon si sentì un po’ meschino. Aveva promesso al fratello che si sarebbe preso cura di Niketas e lo avrebbe fatto ma, da quando lo aveva incontrato, c’era qualcosa che non gli tornava. Gli occhi di quel ragazzo avevano qualcosa di familiare e lui aveva realizzato cosa solo una volta al santuario.

“Chi è questa persona?”

“La donna che tuo zio ha amato per tutta la vita.” 

 

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Capitolo 19
*** Gelo e calore ***


 

Gelo e calore

 

Saga starnutì. Cora gli porse un fazzoletto. La piccola imbarcazione che avevano preso per raggiungere la loro destinazione navigava lentamente. Saga, con un gesto della mano, lo rifiutò.

“Qualcuno parla di te, Aspros.” Disse allora la donna. Si era passata uno scialle intorno alle spalle e guardava l’acqua con un po’ di diffidenza.

“Ho fatto parlare molto di me in passato ma dubito che qualcuno mi nomini ora.”

“A Skyros sembrava che in molti facessero affidamento su di te.”

“Ti piace prendere decisioni, Cora?” Glielo chiese col sorriso sulle labbra e con sincero interessamento. La donna ci pensò su e poi rispose con altrettanta sincerità.

“Non lo so. I miei ricordi non mi permettono di dirti sì o no. Ho l’impressione di non avere avuto molta scelta in passato.”

“Sarai messa alla prova prima o poi. Scoprirai che molte persone non amano scegliere. Ci sono individui che vivono la loro intera esistenza seguendo l’altrui volontà.” Cora si avvicinò un pochino col busto. Aveva compreso quanto profonda fosse la personalità del suo interlocutore e le piaceva ascoltarlo.

“Dici che, se possono, gli uomini preferiscono prendere ordini?” Saga non riuscì a trattenere una risata.

“Oh no! Questo non credo proprio. Dico però che molto spesso seguono vie già tracciate per loro perché non sanno decidere o non hanno il coraggio di prendere strade diverse.”

“Deve essere una cosa molto triste non saper scegliere da soli.”

“È molto triste anche fare scelte sbagliate.” Saga lo disse strofinando i palmi delle mani. Cora capì che parlava per esperienza personale.

“Dopo aver sbagliato si può chiedere scusa, rimediare, no?” La sua voce era dolce. Saga la guardò dritto negli occhi. Ebbe di nuovo la sensazione di guardare negli occhi Saori.

“Sì. E devi avere la fortuna di essere perdonato.”

“Tu lo sei stato?”

“Molte volte.”

“Credi che io lo sarò?” Saga la vide abbassare lo sguardo. Qualunque cosa le passasse per la testa, era tremendamente preoccupata.” Le prese una mano con la sua.

“Sono certo che tu non abbia fatto niente per cui debba scusarti.” Lei si fermò a guardare quella mano ruvida stretta intorno alla sua. Trasmetteva coraggio e calore. Ne fu sorpresa. Era quello il ‘calore umano’? Perché lei non riusciva a ricordare di aver mai toccato nessuno in quel modo? La barca, incontrando un’onda più alta, oscillò più forte. Cora si aggrappò istintivamente a Saga. Lui la strinse.

“Non aver paura, non è niente.”

“Non è niente.” Ripeté lei ma qualcosa, nel subconscio, le diceva che non era così. Più si sforzava di ricordare e più soffriva. Più si diceva che quella accanto a quell’uomo non era la sua vita, più desiderava che lo fosse. 

Il barcaiolo urlò qualcosa e Saga annuì.

“Siamo arrivati.” Cora sollevò la testa e vide il profilo di Delo. L’isola spiccava come un diamante nel blu del cielo e del mare.

“La culla di Apollo e Artemide.” Disse sottovoce. Saga pensò che non doveva essersi sbagliato nel convincersi che fosse una pizia. 

La barca ormeggiò ad un piccolo molo e Saga aiutò Cora a scendere senza bagnarsi le scarpe e l’orlo dell’abito. Il barcaiolo li ammonì.

“Non in molti vengono da questa parte dell’isola. Parto alle sette di questa sera. Non aspetterò a lungo. Dopodiché, é affare vostro come tornare sulla terraferma.”

“Dall’altro lato dell’isola c’è più movimento. Non sentirti obbligato, se non saremo di ritorno per le sette, parti pure.” La voce di Saga era decisa e non ammetteva repliche ma l’uomo abbassò il capo e stropicciò il cappello che stringeva tra le mani.

“Non si passa da questo lato per raggiungere il villaggio e per andare dall’altro, beh per l’altro lato bisogno andare per la foresta.” Cora si girò istintivamente a guardare la lunga linea degli alberi che si vedeva oltre una verde radura.

“Non saranno un problema gli alberi.” Anche stavolta Saga parlò con determinazione ma l’uomo continuò a presentare obiezioni.

“La foresta è abitata da lupi molto pericolosi. Se entrate nella foresta, non ne uscirete. Parola mia.”

Stavolta anche Saga si voltò a guardare il bosco e cercò di percepire un qualche pericolo. Non avvertì niente.

“Grazie per le tue raccomandazioni. Ne terrò conto.” Il barcaiolo sospirò ma decise che aveva già fatto troppo per ammonire quegli sprovveduti. Il resto non era affar suo. Si accomodò sul molo e si mise ad intrecciare una rete.

Cora prese a camminare al fianco di Saga ma non le riusciva di restare tranquilla.

“E se quell’uomo avesse ragione? Se ci perdessimo nella foresta?”

“Non credo che accadrà. Il nostro obiettivo è la radura con quell’obelisco bianco al centro.” Sollevò una mano e indicò un punto in cui una colonna alta di marmo bianco e lucido dominava un prato verde di forma pressoché circolare.

“Cos’è?”

“L’oracolo delle pizie.” Cora si fermò come timorosa di andare avanti.

“Sei turbata? Ti è tornato in mente qualcosa?” La donna scosse il capo ma, in un gesto incomprensibile anche per lei, gli prese una mano e la strinse. Saga guardò quella piccola mano aggrappata alla sua e non ebbe cuore di ritirarla. Perché poi avrebbe dovuto farlo? Anche se la donna era una sacerdotessa di Apollo, di questo era ormai convinto, non aveva fatto nulla di malvagio. Con Niketas poi era stata sempre gentile. Riprese a camminare tenendola sempre un passo dietro di sé.

La radura erbosa era immersa nel silenzio. Una folata di vento agitò gli steli d’erba dando l’impressione che, dopo essersi lasciati un mare d’acqua alle spalle, un altro mare verde gli si fosse parato innanzi.

Si avvicinarono lentamente all’obelisco. Solo quando vi furono praticamente accanto, Saga si rese conto che erano circondati da lupi. Saga ne contò otto. Avevano tutte il pelo fulvo ma di otto gradazioni diverse. Uno di essi guaì. Saga sollevò una mano a mezz’aria stringendo sempre Cora con l’altra.

“Non vogliamo fare alcun torto al divino Apollo o alle sue figlie venendo qui. Siamo in cerca di risposte come tanti altri prima di noi.” Il lupo che aveva guaito voltò il capo a guardarne un altro poco distante. Quest’ultimo si fece avanti a piccoli passi. Mentre avanzava, le sue fattezze cambiarono. Invece che un minaccioso lupo, Saga si ritrovò di fronte una fanciulla slanciata e dai profondi occhi blu. I lunghi capelli neri ondeggiarono liberi al vento mentre sollevò un braccio e indicò Cora.

“Tu osi toccare colei che non può essere toccata da alcuno? Tu hai già fatto torto ad Apollo e alla sua figlia più preziosa.” Cora si sentì chiamare in causa e sopravanzò Saga frapponendosi fra lui e la donna.

“Lui non ha fatto nulla. Mi ha sempre e solo aiutata.” I lupi presero a ringhiare.

“Ti ha rapita! Allontanata dai tuoi doveri!” La donna era alterata. Saga le mise una mano sulla spalla e la tirò indietro. A quel gesto la donna sembrò fremere e i lupi ringhiarono ancora.

“Tu la conosci.” Quella di Saga non era una domanda.

“É mia sorella.” A quelle parole, Cora si mosse verso di lei fino a che non fu occhi negli occhi.

“Sorella?” Le chiese a voce bassa. La donna annuì con un dolce sorriso.

“Quella mattina ci hai mandate nel bosco per proteggerci. Non dovevamo lasciarti sola. Abbiamo visto quella luce fortissima e siamo corse qui perché sentivamo che ti era accaduto qualcosa. Di te, non c’era più traccia. Abbiamo pregato, pregato tanto che ci venissi restituita!” La disperazione nella voce della donna era palpabile. Saga parlò e lo fece usando parole taglienti.

“Pregare è tutto ciò che avete fatto per tentare di salvarla? E poi avete anche il coraggio di aggredire colui che l’ha salvata e riportata indietro. Non siete brave a mostrare la vostra gratitudine, mie care pizie!” La donna lo fulminò con lo sguardo.

“Non osare! Io so chi sei! Nato sotto una stella oscura, portatore di sventure, tu semini il caos nelle trame del destino!” La rabbia della pizia non faceva alcuna impressione a Saga abituato com’era alla fama che si era creato.

“Tu dici bene, sacerdotessa di Apollo. E se voi pizie conoscete bene la ferocia dei cavalieri di Gemini, allora non mi provocherai oltre. Il nome di Aspros chiama il sangue di quest’isola come il mare richiama le onde. Io vi ho riportato vostra sorella. In cambio mi aspetto una ricompensa.”

“Osi chiedere qualcosa in cambio della vita di mia sorella? Sul serio pensi che siamo indifese? Sull’isola in cui il nostro dio ha emesso il primo vagito all’alba dei tempi?” Saga sorrise.

“Il mondo era già bello e creato quando Apollo fu messo al mondo e il tempo scorreva nonostante Crono fosse stato già imprigionato nel Tartaro dalla folgore del sommo Zeus. Forse non siete indifese ma certamente non potete affrontarmi sotto forma di lupi.” A quelle parole la donna sollevò una mano e tutte i lupi nella piana si mutarono in donne, alcune più giovani altre più mature. Tutte bellissime. 

“Possiamo portarti alla pazzia prima che tu lanci un solo colpo, cavaliere di Atena.” Saga scosse le spalle.

“Sono già stato pazzo. Forse non sono mai guarito. In ogni caso non potete spaventarmi con lo spauracchio della follia.” Fu Cora ad intromettersi.

“Smettetela! Se agite in nome mio, allora sappiate che io non voglio che vi facciate male l’un l’altro. Se sei davvero mia sorella, aiutami a ricordare. Io non ricordo nulla di me. Niente del mio passato, di voi o dei miei doveri di sacerdotessa di Apollo. A malapena ricordo quest’isola. Quest’uomo dice il vero quando dice di avermi salvata. Lasciategli dire cosa vuole.”

Quella che sembrava la più giovane delle ragazze si avvicinò e prese una mano alla donna dai lunghi capelli neri.

“Quest’uomo non è un uomo comune. Le sue scelte in passato hanno mutato il corso degli eventi di molte persone. Ad un certo punto ha cambiato il destino di nostra sorella. Se morisse adesso, le accadrebbe qualcosa di brutto.” Lo disse con una voce infantile e decisa allo stesso tempo.

“Davvero Euterpe?” La donna sembrava incredula.

“L’ho visto.” Rispose la fanciulla. Dei campanelli che aveva legati nei biondi capelli intrecciati tintinnarono. La donna sollevò lo sguardo al cielo e, come se vi avesse trovato la risposta ad una muta domanda, parlò.

“E sia. Cosa vuoi per la vita di mia sorella?” Saga la fronteggiò e disse solo due parole.

“La verità.” La donna sorrise maliziosamente.

“Su cosa?”

“Su Cora. Chi è davvero? Perché all’improvviso si è ritrovata senza memoria in un luogo tanto lontano dalla sua casa? Perché Apollo ha permesso che ad una delle sue pizie fosse fatto del male?”

“A queste domande può risponderti solo una persona: Apollo stesso. Non c’è modo comunque che tu possa incontrarlo. Potrai tuttavia consultare l’oracolo della foresta se lo desideri ardentemente.

“L’oracolo della foresta?” A Saga quella risposta parve strana.

“Sì. Tu però dovresti sapere meglio di chiunque altro al mondo che l’oracolo della foresta non è semplice da interrogare. Prima sarà lui ad interrogare te. Se non fornirai risposte adeguate, non sarai mai più in grado di uscire dal bosco.” Saga sorrise di sfida.

“A questo si riferiva il barcaiolo!”

“Aspros, non farlo!” Lo supplicò Cora. “I miei ricordi non valgono la tua vita.” Saga si voltò a guardarla.

“Non fraintendermi Cora. Sono lieto che le mie azioni ti siano d’aiuto a ricordare ma sappi che se affronterò la foresta lo farò per lo stesso motivo per cui sono venuto fino a qui. Devo sapere quanta verità c’é nelle tue parole.” La donna fece un passo indietro.

“Allora va!” Fece la donna dai lunghi capelli neri. “Se avrai fortuna, avrai anche le tue risposte.”

Saga si girò in direzione del bosco non senza lanciare un ultimo sguardo a Cora. L’immagine di Saori si sovrappose a quella della donna e lui scosse il capo. Era il momento peggiore per confondersi. 

 

―――――――――――-

 

Saori non si dava pace. Aveva dato a Seiya il consenso di partire ma qualcosa, dentro di lei, si stava ribellando. Raggiunse la statua di Atena e alzò lo sguardo al volto di pietra che guardava verso le case più a valle. 

“Devo essere forte. Qualunque cosa mi stia capitando, probabilmente è una nuova prova da superare. Seiya sta facendo la sua parte e io, io devo fare la mia.” Il flusso dei suoi pensieri fu interrotto dalla voce di un bambino.

“Stai bene, Atena?” La donna si voltò e vide Subaru, l’allievo di Seiya, fermo pochi passi più indietro. Cercò di sembrare severa ma la sua voce uscì più dolce di come l’aveva impostata.

“Tu che ci fai qui? Non dovresti essere a lezione da Hyoga?” Il bambino annuì. “E allora?”

“Ho sentito dire che Seiya sta lasciando il santuario.” Saori fece qualche passo verso di lui.

“Tornerà presto.”

“Non dovrebbe lasciarti sola!” I grandi occhi blu di Subaru furono attraversati da un baleno. Saori sorrise.

“Non mi lascia affatto sola. Ci sono tanti cavalieri qui con me.”

“Allora lascia che rimanga io con te. Per favore, Atena.”

“Tu non sei ancora un cavaliere, Subaru.”

“Ma sono l’allievo di Seiya. Se non può difenderti lui, lascia che ti difenda io!” Saori gli prese le mani.

“Sei gentile, Subaru. Hai un cuore colmo d’amore. L’ho percepito subito la prima volta che ci siamo incontrati. Forse, se gli uomini rimanessero eterni bambini, capaci d’amare incondizionatamente, non ci sarebbero tante battaglie al mondo. Puoi restare alla tredicesima casa se lo desideri. Però non devi preoccuparti per me. I bambini dovrebbero pensare solo a crescere sereni, protetti dall’abbraccio delle loro madri. E poi” aggiunse incrociando le braccia “dubito che Seiya ti abbia insegnato alcunché in questi giorni!” Subaru avrebbe voluto ridere a quell’affermazione ma la sua mente continuava a pensare alle parole precedenti della donna.

‘I bambini dovrebbero pensare solo a crescere sereni, protetti dall’abbraccio delle loro madri.’ Parlò senza pensare.

“Tu saresti stata una splendida madre. Perché non hai voluto avere figli?” Saori sentì qualcosa tirare dentro.

“Dimmi Subaru, sai com’é nata Atena?” Il ragazzino annuì.

“Dal cranio di Zeus. Efesto lo colpì con un’ascia e Atena nacque già adulta e armata dalla testa del padre degli dei. Vuoi dire che siccome non ebbe una madre, lei a suo volta non volle diventarlo?”

“La storia non é tutta qui. Zeus aveva amato Meti, la dea della saggezza. Spaventato dall’idea che il suo primogenito gli facesse ciò che lui aveva fatto a suo padre, con un inganno spinse Meti a mutarsi in acqua e la bevve. Ma Meti era la dea della saggezza, ricordi? Così riuscì a dare comunque vita ad Atena. La fanciulla nella sua testa gli procurò talmente tanto dolore che lo costrinse a preferire un colpo d’ascia di Efesto a quel male. Così nacque Atena, già pronta a combattere. E condusse molte, molte battaglie.”

“Perché fu buona con lui? Suo padre aveva divorato sua madre.”

“Perché Zeus, quando la vide, l’amò. E lei riconobbe che le opere di suo padre meritavano di essere difese. La saggezza di sua madre glielo suggerì. Nella lingua antica del Peloponneso, il nome di Atena deriva dalla parola ‘ati’ che significa madre. Atena ha difeso gli uomini dalla notte dei tempi. In qualche modo, è stata una madre per loro.” *

“Perdonami. Hai ragione, saggia Atena.”

La figura di Shura che apparve sui primi scalini che conducevano alla tredicesima casa li fece voltare entrambi.

“Perdonatemi, Atena, Kanon chiede di essere ricevuto.” 

“Fallo passare.” Subaru rimase in piedi accanto alla donna. Kanon comparve poco dopo. Al suo fianco stava un ragazzo di circa quindici anni. Saori lo riconobbe immediatamente. Lasciò però che fosse Kanon a parlare.

“Perdonatemi se sopraggiungo inatteso. Sono venuto per portare al vostro cospetto questo ragazzo. Il suo nome è Niketas e chiede di essere ammesso all’addestramento per diventare cavaliere.” Kanon non aveva aggiunto altro seguendo le istruzioni di Saga anche se mai Saga gli aveva detto di presentarlo al cospetto di Atena. Saori scese i pochi gradini che la separava da loro e gli fu innanzi. Guardò con attenzione il ragazzo e parlò.

“Sotto quale costellazione è nato?” Kanon rispose senza esitazione.

“Sotto la costellazione di Pegasus.” Saori piegò la testa di lato con fare interrogativo e poi si voltò a guardare Subaru che era rimasto indietro.

“Pegasus, dici. Bene. Niketas, giusto?” A quella domanda il ragazzo dai capelli rossi, sollevò lo sguardo su di lei.

“Ma io ti conosco! Tu sei la turista dal cappello rosso!” Saori rise portandosi una mano alle labbra mentre Kanon passava lo sguardo dalla donna al ragazzo e dal ragazzo alla donna senza capire. Fu Saori a spiegare.

“Circa un anno fa, ho visitato l’isola di Skyros. Ci siamo conosciuti li. Questo ragazzo è stato tanto gentile da raccogliere il mio cappello che stava per finire in mare. Allora gli dissi che se avesse avuto bisogno che ricambiassi il favore, poteva chiedere di me a Rodorio. Che l’avrei di certo aiutato. Non immaginavo che saresti venuto a chiedere di diventare cavaliere. Non credevo che a Skyros ci fossero molti fedeli di Atena ormai. Ma se vuoi la protezione del santuario, il santuario te la darà.” Kanon non sapeva più che dire. Fu Niketas a toglierlo da ogni imbarazzo. **

“Desidero diventare cavaliere. Puoi aiutarmi?”

“Io non posso aiutarti a diventare cavaliere, quello dipende solo da te, Niketas. Ma ti darò un maestro e un compagno di allenamenti. Sono certa che andrete d’accordo. Vieni qui, Subaru.” Il bambino, a sentire il suo nome, si fece avanti. “Subaru, lui è Niketas. Niketas, lui è Subaru. Da oggi siete entrambi allievi di Seiya e aspiranti cavalieri di Pegasus.”

“Seiya?” Kanon quasi urlò. “Io pensavo di affidarlo a Hyoga!” Lo sguardo di Saori si assottigliò.

“Discuti un mio ordine? Hyoga non può prendere allievi per ora. Inoltre è bene che i due ragazzi protetti dalle tredici stelle di Pegasus si allenino assieme. Al momento Seiya non è al santuario per cui resteranno qui entrambi sotto la mia protezione. Potranno unirsi alla classe di Kiki.” 

“Allora accompagnerò Niketas a prendere le sue cose che si trovano alla terza casa e lo riaccompagnerò qui prima di sera.”  Disse il cavaliere di Gemini. Mise una mano intorno alle spalle di Niketas e lo costrinse a fare un inchino. Sparirono poco dopo oltre il colonnato.

“Spero che tu non sia offeso dal fatto di avere un concorrente all’armatura. Subaru scosse forte la testa e i suoi riccioli bruni ondeggiarono davanti ai suoi occhi. 

“Niente affatto. Più cavalieri di Pegasus ci saranno, meglio è!” Saori rise.

“Bene. Va da Lucina e fa preparare la stanza accanto alla mia. Dormirete li.” Subaru corse via in tutta fretta mentre Saori, senza sapere perché, sentì più lontano il suo malessere.

 

―――――――――――-

 

Clio raggiunse lo specchio Numinoso incurante che non fosse ancora calata la notte. Il santuario era in fermento. Qualcuno o qualcosa aveva attaccato Atena. Ciò significava che presto avrebbero intensificato la sorveglianza e lei avrebbe avuto meno possibilità di entrare in contatto con il titano dello specchio. Quando si accertò che la stanza fosse vuota, scostò appena il drappo rosso che copriva lo specchio e invitò la presenza imprigionata in esso a manifestarsi.

“Dimmi adesso, mio riflesso, soddisfatta è la tua brama?” Disse tendendo la mano che stringeva il pomo d’oro verso lo specchio. Non accadde nulla. La superficie dello specchio continuava a restituirle la sua immagine. Del titano nessuna traccia. Pestò un piede a terra, stizzita. Riprovò.

“Quale dio devo pregare affinché ti manifesti?” La voce che udì però non proveniva dallo specchio di fronte a lei, bensì da un uomo alle sue spalle.

“Apollo. Apollo ci si aspetta che tu invochi, pizia di Delo. Quale altro dio invece vai servendo?” Clio non si voltò. Una leggera brina si andava posando su ogni cosa nella stanza. Persino i contorni dello specchio gelarono. La donna nascose il pomo in una tasca dell’abito e si voltò sorridendo.

“Acquarius. A me che servo il dio del sole, il gelo non piace.” Stavolta fu il turno di Camus di sorridere maliziosamente.

“Il gelo preserva le cose, dama Clio. In questo caso preserva la verità. Voi adorate Apollo quanto lo adoro io.”

“Atena non sarà felice di sentirlo.”

“Ma sarà felice di sapere che ciò che sta turbando la pace del santuario é stato fermato.” Clio rise sonoramente.

“Non ci sei neanche vicino, cavaliere!” Disse cominciando a sbottonarsi l’abito. Quel gesto turbò Camus che non era preparato ad una cosa simile. Fece un passo indietro. Poi, con un gesto deciso, sollevò un braccio e un anello di ghiaccio lasciò la sua mano per circondare il corpo della donna. Clio lo infranse con un gesto delle dita, come si fa quando si vuole scacciare una mosca. Quando anche l’ultimo bottone lasciò l’asola, l’abito di Clio scivolò in terra lasciando il suo corpo nudo alla mercé dello sguardo del cavaliere. L’unica cosa che ancora le rimaneva indosso era una cintura d’oro e rubini. Una volta fissati i suoi occhi sull’artefatto, Camus non riuscì più a smettere di guardarlo. In un solo istante perse il controllo del suo corpo. Clio gli si avvicinò e gli sussurrò alcune parole all’orecchio.

“Non siamo partiti col piede giusto io e te, cavaliere dell’acquario. Rimedierò adesso. Se è la verità quella che vuoi, eccola! Non servo affatto Apollo. Io servo solo me stessa. Il mio intento è assistere alla distruzione di Atena. Tu, piccolo uomo, pensavi di potermi fermare?” Gli posò una mano sulla spalla e Camus sentì il suo cuore fermarsi. Il dolore fu tremendo. Sembrava che il suo petto stesse per esplodere. Poi il dolore cessò. La donna rise ancora. Afferrò il suo abito e sfilò da una delle tasche il pomo che aveva rubato nella dodicesima casa.

“Io ti ucciderò. Prima però vedrai tu stesso quale male scatenerò su Atena e su voi maledetti uomini!” Avvicinò di nuovo il pomo allo specchio.

“Vieni specchio delle mie brame, mostra a tutti il mio riflesso, bellezza che colpisce come cento lame, rivela ciò che è custodito, adesso!” Camus vide la superficie dello specchio brillare. Nel riflesso comparve una donna ma non era Clio. Camus non poté  trattenersi dal pensare che fosse la più bella che avesse mai visto. Lunghi capelli biondi e occhi colore del cielo. La sua pelle sembrava spuma di mare e le sue labbra petali di rosa. Fu un istante poi la superficie si fece liquida. Dal centro di quello che sembrava argento fuso, apparve un braccio che si allungò per afferrare la mela. 

“Sei stata imprudente mia signora. Non erano questi i piani.” La voce apparteneva di certo ad un uomo ma Camus non riusciva a credere che quell’uomo fosse nello specchio.

“Che importa?” Disse lei facendosi beffe delle sue preoccupazioni. “Tra poco quest’uomo sarà morto!” Concluse riferendosi a Camus. La mano che fuoriusciva dallo specchio afferrò il pomo e si ritirò. Camus comprese che doveva tentare il tutto per tutto.  Bruciò il suo cosmo come aveva fatto solo il giorno in cui aveva lanciato la sua Aurora del Nord contro Hyoga. Clio rise.

“Sei un povero illuso.” Strinse un pugno e Camus avvertì il dolore di prima tornare a bruciargli nel petto. Sembrava che il suo cuore stesse squarciando la sua cassa toracica per uscirgli dal corpo.

“Scoprirai, strega, che c’è molto più di un cuore nel petto di un cavaliere! Brucia mio cosmo oltre i limiti del settimo senso!” Fu allora che l’armatura dell’Acquario si staccò dal corpo dell’uomo ricomponendosi e schizzando fuori dalla tredicesima casa.

“Che significa questo?” Chiese la donna coprendosi il corpo con la veste.

“Uccidilo!” Gridò l’uomo nello specchio ma la donna non riuscì a muoversi. Mai, in vita sua, aveva visto un mortale resistere in quel modo al suo potere. Reagì con una frazione di secondo di ritardo consentendo a Camus un’ultima mossa. Il cavaliere riuscì a spezzare l’incantesimo a cui era stato sottoposto quel tanto che gli occorse per afferrare il braccio che fuorusciva dallo specchio.

“Non ti lascerò un oggetto divino come quello a costo della mia stessa vita.”

“Uccidilo, ho detto!” Gridò ancora la voce nello specchio e stavolta Clio reagì. Sussurrò poche parole e il cuore nel petto di Camus si fece di pietra. Nonostante questo, il braccio di Camus non mollò la presa. Il cavaliere rimase ben attaccato a quel braccio mostruoso nonostante la vita lo stesse abbandonando. La donna avvertì la presenza di qualcun altro che sopraggiungeva.

“Arriva qualcuno!” Gridò.

“Non ho altra scelta dunque. Vattene. Presto ti dirò qual è la prossima mossa.” La donna annuì e corse via. Camus fu trascinato insieme al braccio nello specchio. Quando il pomo toccò la superficie liquida una fortissima luce riempì la sala. 

Kanon sopraggiunse proprio nel momento in cui scemava. Si tenne Niketas al sicuro dietro la schiena ma, quando la luce svanì, al centro della stanza, c’era solo una ragazza della stessa età di Niketas dai capelli cortissimi color della neve e dagli occhi di ghiaccio. La ragazza si guardò intorno spaesata e poi urlò.

“Chi diavolo siete voi? Non osate avvicinarvi o giuro su Odino che vi farò rimpiangere di avermi trascinata qui!”

 

―――――――――――-

 

Non appena fu oltre lo sguardo di Shura, Kanon tirò per la maglietta Niketas e lo costrinse a guardarlo negli occhi.

“Spiegami come fai tu a conoscere Saori!”

“La signorina Saori è la donna che zio Aspros ha amato per tutta la vita?” Niketas incrocio le braccia e mise su un broncio pensieroso.

“Niketas, concentrati e rispondi alla mia domanda.”

“Quello che la signorina Saori ti ha detto è vero. Un anno fa era in vacanza con un uomo. Le è volato il cappello e io gliel’ho recuperato. Abbiamo scambiato solo poche parole. Un momento! Se lei era con un uomo allora quello dello zio Aspros è un amore non corrisposto!” Kanon sentì cadere le braccia. Stavolta aveva combinato un guaio grosso almeno come quello commesso quando aveva liberato Nettuno. Se avesse ascoltato suo fratello e non invece la vocina nella sua testa che diceva che gli occhi di quel ragazzo somigliavano tremendamente a quelli di Saori, non sarebbe successo. Come avrebbe spiegato a Saga che Niketas era finito sotto l’egida di Seiya e non di Hyoga? Come gli avrebbe spiegato che Saori lo aveva preso a vivere con sé e che, pertanto, non avrebbe potuto riportarglielo liberamente quando gli avrebbe chiesto di farlo?”

“Allora?” La voce di Niketas lo riportò alla realtà.

“Allora cosa?” 

“Lo zio ha lasciato il santuario perché la signorina Saori ama un altro uomo?” La semplicità con cui Niketas aveva probabilmente detto la verità era disarmante.

“Non direi che le cose siano andate proprio così. Comunque ricorda la promessa. Mai, mai davanti agli altri dovrai parlare di tuo zio o del fatto che ha preso il mio posto qualche giorno fa. D’accordo? Ricorda bene, Niketas. Ne va della vita di tutti noi, soprattutto di quella di mio fratello. Niketas annuì.

“Quindi non sarà Hyoga il mio maestro?”

“Sarà Seiya il tuo maestro.”

“È forte quanto Hyoga?” Kanon rise.

“Più forte.” Niketas, che aveva ripreso a camminare accanto a Kanon, si bloccò.

“Più forte?” 

“È il cavaliere d’oro del sagittario.”

“Aspetta, dove ho sentito già il suo nome? Non é quello che ha detto l’arpia? Ha detto che Seiya aveva già l’altra rogna, giusto?” Kanon sentì un brivido attraversargli la schiena. Quando Shaina avrebbe scoperto com’era finita, sarebbe scoppiata  una rissa. Come minimo.

“Lascia a me Shaina e, per l’amore del cielo, smetti di chiamarla arpia o ti caverà gli occhi. E poi li caverà a me.” Niketas sorrise poi si tese come una corda di violino. Kanon vide il ragazzo sbiancare.

“Che succede? Niketas stai bene?”

“Fa freddo.” Kanon lo prese per le spalle e lo scosse. Davvero quel ragazzino aveva il dono del cosmo. Il freddo che aveva percepito era il gelo di Camus. Come era arrivata, quella sensazione scomparve e Niketas riprese colore.

“Stai bene?” Il ragazzo annuì. “Allora vieni, ma resta dietro di me.” 

Corsero fino alla sala del trono. Kanon vide una luce fortissima riempire la stanza e difese istintivamente Niketas. Quando la luce scomparve, la sala era vuota ad eccezione di una ragazza minuta che poteva avere la stessa età di Niketas. 

Si guardava intorno spaesata. Quando li vide, si mise in posizione di difesa come avrebbe fatto un cavaliere e gridò.

“Chi diavolo siete voi? Non osate avvicinarvi o giuro su Odino che vi farò rimpiangere di avermi trascinata qui!”

Kanon la osservò con attenzione. Aveva i capelli cortissimi color della neve e degli occhi di un grigio chiarissimo. Sembrava atteggiarsi a guerriera ma lui non l’aveva mai vista al santuario. Aveva nominato Odino? Se veniva da Asgaard forse il freddo che lui e Niketas avevano percepito non proveniva da Camus ma da lei. Fece un passo in avanti e parlò.

“Non siamo stati noi a trascinarti qui. Io sono Kanon, cavaliere di Atena. Tu chi sei?”

“Il mio nome é Aria. Dove siamo?”

“Ad Atene. Al grande tempio.”

“Il grande tempio? Impossibile, siete dei bugiardi.”

“Non lo vedi da te?”intervenne Niketas. “Guardati intorno.” La ragazza fece come le era stato detto. Le braccia le caddero lungo i fianchi.

“Aria, dove pensavi di essere?” Chiese con gentilezza Niketas.

“Ad Asgaard. Mi stavo allenando al lago dietro al palazzo. L’acqua del lago ha cominciato a ribollire e poi è stato come se qualcosa fosse esploso nell’acqua. Ho sentito la voce di uomo che diceva che c’è molto più di un cuore nel petto di un cavaliere. L’acqua gelata mi ha avvolto e trascinata nel lago. Quando ho aperto gli occhi, ero qui.”

Kanon non sapeva cosa dire. Poteva essere la verità? Si ricordò le parole di Saga riguardo alle stranezze che stavano capitando al santuario. 

‘Il passato torna a vivere e, se non interverremo, anche il futuro si perderà.’ Aveva detto Saga. Ritenne possibile che Aria stesse dicendo il vero.  Tuttavia chi le avrebbe creduto?

“Aria, ciò che ti è accaduto è terribile e di certo ti aiuteremo se ti fiderai di noi. Dacci il tempo di capire come tu possa essere arrivata qui e come fare a farti tornare a casa. Nel frattempo è il caso che tu tenga per te questa storia. Tecnicamente sei un’estranea che è penetrata fin nel cuore del tempio di Atena. Vuoi?” Aria incrociò le braccia, ci pensò su un attimo e poi fece una sola domanda.

“Quindi Atena è viva?” Nell’udire quelle parole, Kanon capì che le sue giornate potevano solo peggiorare.

 

 

Piccole note dell’autrice:

Finalmente un po’ d’azione... da qui in avanti ce ne sarà parecchia.

Per qualcuno che parte, c’è qualcun altro che arriva. Io sono tornata dal mio viaggio in Irlanda. Non dovrei più saltare la pubblicazione settimanale. Buoni propositi di settembre.

  • Questa versione è quella tratta dal “Il mondo mitologico” di Acrosso/D’Alesio. ** La scena é tratta dall’epilogo de ‘Il destino di una vita intera’. Kisses.

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Capitolo 20
*** In viaggio ***


Note dell’autrice: 

Credevo che riprendere questa storia dopo così tanto tempo, sarebbe stato difficile.

Non è andata così. E mi piace come quando ho cominciato ‘Il destino di una vita intera’.

Grazie a tutti quelli che ancora sopportano i miei deliri. Vi abbraccio tutti. Vi lascio il capitolo ‘In viaggio’. Tutti noi siamo in viaggio. Io oggi tocco una tappa in quello della vita perché è il mio compleanno. Per festeggiare mi regalo la pubblicazione del capitolo.

Buona lettura.

 

In viaggio

 

Seiya sospirò. Non l’aveva immaginato così. Il viaggio si stava rivelando peggiore della missione in sé. Inizialmente era stato contento della presenza di Shiryu. Quando l’amico si era offerto di viaggiare con lui, aveva pensato che sarebbe stato come tornare ragazzi. Le cose erano totalmente cambiate quando Mur, informato della sua intenzione di voler raggiungere la Sicilia per trovare il modo di aggiustare il meccanismo di Antikyteras, gli aveva assegnato una guida.

Death Mask, la guida appunto, si era rivelato una spina nel fianco. Prima aveva protestato per ore poiché non intendeva lasciare il Santuario per alcun motivo al mondo, tanto più per aiutare Seiya e Shiryu. Poi aveva insistito nel voler viaggiare per mare.

“Non prenderò un fottutissimo uccello di metallo per tornare laggiù.” Aveva detto chiudendo ogni spazio di negoziazione.

Mur gli aveva rivelato che il cavaliere del cancro aveva origini italiane e che, con il suo aiuto, avrebbero trovato colui che stavano cercando molto più facilmente. Seiya, che sentiva di aver bisogno di tutto l’aiuto possibile, aveva accettato subito. Si era pentito. Avrebbe dovuto immaginare che, se esistevano due cavalieri d’oro meno compatibili, quelli erano Shiryu e Death Mask. Nemici naturali, non avevano nulla in comune. Ogni volta che uno dei due parlava, l’altro obiettava. 

A tarda sera, mentre quasi tutti gli ospiti del traghetto avevano raggiunto le loro cabine, Seiya decise di affrontare Death Mask. Lo raggiunse che fumava appoggiato alla paratia della nave.

“Così tu sei nato in Sicilia.” Disse per rompere il ghiaccio. 

“Taglia corto e dimmi cosa vuoi, ronzino.” Seiya rise appoggiandosi alla paratia al suo fianco. Quello era il nomignolo che gli  aveva affibbiato Saga dopo la sua decisione di diventare cavaliere del sagittario. Dopo la sua investitura, però, non l’aveva più usato. Almeno non rivolgendosi direttamente a lui.

“Non so se vuoi rendermela più facile o più difficile.”

“Più difficile, se mi è possibile.” Rispose il cavaliere del cancro espirando un altro tiro.

“Lo immaginavo. E mi sta bene. So perché c’è l’hai con me. Ma potresti smettere di provocare Shiryu?” Cancer sghignazzò. 

“Gli stanno già cedendo i nervi?” Seiya annuì. “E perché dovrei farti un favore?” Stavolta fu Seiya a ridere.

“Non ti sto chiedendo un favore. Sono il generale dei dodici, te lo sto ordinando.”  Death Mask sputò in mare. 

“Fai il gradasso perché Saga non c’è più.” Eccolo il punto.

“Faccio il gradasso perché Saga non c’è più. Prima non ne avevo bisogno. Il gradasso lo faceva lui.” Mask sorrise con nostalgia.

“Lo era davvero. Fino alla fine. Però lui ha dato la vita, tu no.” Il punto.

“Ho dei ricordi confusi di quel maledetto giorno. Ricordò di aver combattuto insieme a lui. Non so perché non sono morto con lui. Che tu ci creda o no, mi manca.” Il cavaliere del cancro gettò la cicca della sigaretta fuori bordo. Seiya sospirò e fece per tornare verso l’ingresso per le cabine.

“Ci credo.” Le parole di Death Mask arrivarono un istante prima che Seiya scendesse sottocoperta.

“Grazie.” Un tuono riempì l’aria.

“C’è odore di pioggia nell’aria.” 

“Credi che pioverà?” Chiese Seiya che soffriva sempre un po’ il mare mosso.

“Sta arrivando un temporale.” 

“Allora vieni di sotto anche tu.” Seiya però vide che l’uomo non si mosse. Continuava a guardare un punto fisso in acqua. “Che succede Mask?”

“C’è odore di morte.” 

“Non ti sembra di essere un po’ troppo melodrammatico, adesso?” Cancer scosse il capo. Poi sollevò un braccio ed indicò un punto nell’acqua. Seiya mise a fuoco un oggetto che galleggiava poco lontano dalla nave e strinse i pugni sulla paratia di metallo quando capì che era il cadavere di un uomo. E non era il solo. Contò almeno cinque corpi che sparivano e riaffioravano appena dall’acqua. 

“Che diavolo è successo qui?” Anche stavolta Death Mask indicò un punto nell’acqua. Una specie di grande gommone dondolava come una culla tra le onde. Ammassate su di esso erano ammassate almeno una ventina di persone. Due uomini stavano gettando un altro corpo in acqua.

“Sono dei disgraziati.” Disse Death Mask. 

“Vado a chiamare il capitano. Dobbiamo soccorrerli.” Gridò Seiya.

“Sono dei disgraziati. Sono tutti morti.” Ripetè Deat Mask ma Seiya era già sparito sottocoperta.

Quando ritornò col capitano, Shiryu, che era stato svegliato di soprassalto dall’amico, era già accanto a Mask.

“Come le dicevo, capitano, hanno bisogno di aiuto. La nave si allontana rapidamente. Se non ci fermiamo, non saremo più in grado d’intercettarli.” Il capitano spense ogni loro velleità.

“Sono scafisti. Portano clandestini da una parte all’altra del Mediterraneo.”

“E con questo?” Chiese Seiya che non sembrava comprendere cosa volesse dire l’uomo.

“Potrebbero essere armati. Non possiamo fermarci ad aiutarli.” Shiryu intervenne indignato.

“Ci sono donne e bambini su quel gommone. Stanno gettando dei corpi in mare, non sappiamo nemmeno se sono morti.”

“Non capite?” Continuò il capitano. “Sono negri senza documenti. Non vanno da nessuna parte. C’é gente rispettabile su questa nave.” Seiya strinse i pugni. Anche se gli anni gli avevano donato un po’ di esperienza nel gestire il suo carattere, rimaneva un irruente. Soprattutto rimaneva totalmente, inequivocabilmente incapace di tollerare le ingiustizie.

“Siamo cavalieri di Atena. Non lasceremo delle persone in difficoltà in balia del mare. Se non fermate la nave, la fermeremo noi. E lei, capitano, dovrà dare spiegazioni al grande sacerdote di Atena al ritorno in Grecia.” L’uomo non sembrò prendere Seiya sul serio.

“Non so chi sia questo grande sacerdote.  Non metterò a rischio la sicurezza dell’equipaggio per raccogliere quei negri!” Seiya stava per reagire quando la nave si fermò. Seiya guardò Shiryu pensando che avesse utilizzato il suo potere per far arenare il traghetto ma l’amico scosse il capo. Fu allora che entrambi percepirono il potente e minaccioso cosmo di Death Mask.

“A chi hai detto ‘negri’?” Il capitano indietreggiò.

“Ora la tua nave è ferma e non ripartirà. I morti, annegati a causa di feccia come te, impediranno che lo faccia.” Alcuni marinai urlarono. Decine e decine di cadaveri erano emersi dall’acqua e trattenevano l’imbarcazione. A Shiryu e Seiya, che avevano visto la bocca dell’Ade di cui Cancer era signore incontrastato, sembrò di trovarsi di nuovo in quel luogo. Loro sapevano che quelli non erano veri e propri cadaveri bensì le anime delle persone annegate in mare che Mask aveva richiamato col suo potere. “Ora se non vuoi che la trascinino a fondo con loro, ordina ai tuoi scagnozzi di far scendere una scialuppa di salvataggio.” 

Il capitano si affrettò a dare l’ordine. Terrorizzato. Una scialuppa di salvataggio fu calata in acqua e tre marinai si sbrigarono per raggiungere il gommone. Mentre i malcapitati passavano dal gommone alla barca, uno dei due uomini che si erano adoperati per gettare i corpi in mare, tirò fuori un’arma e la puntò alla testa di una bambina. Non riuscì a fare altro. I passeggeri  videro una specie di scia luminosa staccarsi dal suo corpo mentre questo, esanime, cadeva in mare. La scia luminosa fu come attratta dalla punta delle dita di Mask e scomparve. L’altro scafista si arrese. In breve tutti i naufraghi furono condotti in salvo sul traghetto.  Mask raggiunse la bambina che era stata minacciata e le asciugò le lacrime. Insieme con esse venne via un po’ di nero dal viso.

“È solo fumo. Sei salva ora.”

La bambina tirò su col naso e annuì.

“Tu sei dio?” Chiese con la sua vocina incerta. Mask rise.

“Dio non esiste. Impara a contare solo sulle tue forze.”

Una donna gli si avvicinò e la prese tra le braccia ringraziando e raggiungendo il gruppo dei superstiti. Le anime dei morti erano tornate in fondo al mare e il traghetto aveva ripreso la sua corsa. Shiryu, dopo essersi assicurato che tutti avessero acqua e coperte, tornò da Seiya e Death Mask.

“Alcuni sono tunisini, altri vengono dal Kurdistan. È solo povera gente.”

“Sono tutti morti.” Sentenziò Mask accendendosi una sigaretta. Gli altri lui lo guardarono in malo modo. “Ehi, dico solo la verità. Sono dei disgraziati. Scappano dalla povertà o dalla guerra ma nel migliore dei casi muoiono in mare. Nel peggiore verranno sfruttati al loro arrivo in Europa o finiranno nel giro della criminalità. Sono comunque tutti già morti.” Shiryu sbuffò.

“Perché ti sei dato tanta pena per salvarli allora?”

“Perché Seiya ha detto che se il capitano non avesse fermato la nave , lo avremmo fatto noi. Era un ordine del mio generale o sbaglio?” Seiya capì a che so riferiva ma si affrettò a mettere in chiaro le cose.

“Non ho mai ordinato di uccidere lo scafista.”

“Quello è stato il mio prezzo. Non faccio mai niente per niente. Neppure quando eseguo gli ordini. Ricordatelo la prossima volta che mi chiedi qualcosa. Ora me ne vado a dormire. Per colpa di questo incidente, ci metteremo una vita ad arrivare a Catania.”

Sparì sottocoperta. Shiryu sospirò.

“Non cambia mai.” Seiya sentì qualcosa riafferrare da un posto recondito della sua mente. Un ricordo che non avrebbe saputo dove collocare. 

“Death Mask è come la morte. Puoi sempre contare su di lui. Prima o poi, arriva sempre. Sono parole di Saga. Non ricordo quando me le ha dette ma credo rappresentino una descrizione appropriata per quell’uomo.”

“Non dirmi che hai cambiato idea su di lui. Ha appena ucciso un uomo a sangue freddo.”

“Quell’uomo ha puntato un’arma alla testa di una bambina.”

“Stai dicendo che meritava di morire?”

“Non sono nessuno per dire che lo meritava. Che avresti fatto se al posto di quella bambina ci fosse stato Ryuho?” Shiryu ci pensò su e poi rispose.

“Ho capito cosa vuoi dire. Resto della mia idea. È stata una morte inutile.”

“Ho imparato che c’è bisogno anche di persone come Mask. La giustizia ha un lato oscuro e selvaggio che io non saprei amministrare e neanche tu. Mask sì.”

Non c’era più traccia di cadaveri all’orizzonte. Il sole stava sorgendo. Mask poteva dire ciò che voleva ma quelle persone non erano morte. Avevano la possibilità di cambiare il loro destino. E il merito era suo.

 

――――――――――

 

Shun era più sereno dopo gli eventi di quel pomeriggio. Aver chiacchierato e scherzato tutti insieme in quel modo, gli aveva infuso più fiducia sulla piega che gli eventi stavano prendendo. In più, sapere che c’era Crono dietro tutta l’agitazione dei cavalieri d’oro, se da un lato lo preoccupava, dall’altro gli dava la certezza che né Pandora, né Eden erano coinvolti in quelle faccende. Perso in questi pensieri, non vide Hyoga arrivargli alle spalle. Non fino a che non sentì l’abbraccio stringerlo forte.

“Sei contento?” Shun chiuse gli occhi rilassandosi completamente.

“Sì. Grazie.”

“Non sei ancora preoccupato per Seiya?”

“Lo sono ma c’è Shyriu con lui adesso. Si prenderanno cura l’uno dell’altro come hanno sempre fatto.”

“Come facciamo anche io e te?”

“Non proprio allo stesso modo!” Disse Shun ridendo. Il suono della risata allegra di Shun fece bene al cuore di Hyoga.

“Che bello se potessi sentirti ridere sempre a questo modo.”

“Proverò ad accontentarti.” Hyoga non rispose. Shun sciolse l’abbraccio e si girò a guardarlo. Il cavaliere del cigno sembrava più malinconico del solito. “Hyoga che c’è?”

“Crono non é un nemico che si possa sottovalutare. Tutti dovranno fare la loro parte.”

“E tutti la faranno. Hai dei dubbi? Stai pensando a Pandora ed Eden?” A quelle parole gli occhi di Hyoga assunsero un’espressione di curiosità mista a stupore.

“No. Pensavo al sottoscritto. Da quando non mi esercito? Da quando non provo ad affrontare un avversario seppure solo in allenamento?”

“Perché dubiti della tua forza?”

“Perché dal momento del mio risveglio mi sento come se solo i miei cinque sensi si fossero svegliati con me. Potrò ancora contare sugli altri due e mezzo che mancano all’appello?” Shun gli accarezzò una guancia.

“Le tue disavventure possono averti reso solo più forte.” 

“Voglio chiedere a Saori il permesso di tornare ad occuparmi dei miei allievi. Sono certo che a Shaina e Kiki non dispiacerà.”

“Sono certo di no! Fanno talmente tanti guai quei ragazzi che faranno a gara per mollarteli tutti!” La reazione di Hyoga non fu quella che Shun si aspettava. L’uomo corrugò la fronte e fece un passo indietro.

“Crystal, cosa ti prende?” Questi sollevò una mano come per dire a Shun di non avvicinarsi. Poi una luce fortissima apparve sulle loro teste. 

Quando sollevarono lo sguardo,  videro l’armatura di Aquarius splendere intensamente e poi scomporsi improvvisamente. I vari pezzi turbinarono intorno a loro e poi presero posto, apparentemente per propria volontà, sul corpo di Hyoga.

“E questo che diavolo significa?” La domanda uscita dalle labbra dell’uomo bardato d’oro non trovò alcuna risposta. Shun scosse il capo non sapendo bene come interpretare l’accaduto.

Hyoga si guardò le mani e sentì, tramite l’armatura, lo spirito di Camus. 

“C’é molto più di un cuore dentro al petto di un cavaliere.” Disse sottovoce.

“Che vuol dire?” Chiese Shun. 

“Non lo so. Sono le parole che il mio maestro ha lasciato all’armatura di Aquarius.”

“Lasciato?”

“Non so dirti altro. Forse dovremmo parlarne con Saori.”

“Ricorda che abbiamo promesso a Seiya di vegliare su di lei al suo posto.”

“Se é successo qualcosa al mio maestro, Atena deve saperlo.” Così dicendo Hyoga chiuse gli occhi e l’armatura dell’acquario tornò a ricomporsi accanto a lui. 

 

――――――――――

 

Kanon non aveva il coraggio di entrare nella sua casa. Un’assurdità. Niketas e Aria lo guardavano senza capire perché non si decidesse a varcare la soglia. 

“Sì è perso?” Chiese Aria al ragazzo accanto a lei. Niketas sorrise.

“Niente affatto. Credo che abbia combinato un pasticcio e non abbia voglia di patirne le conseguenze.” Aria chiuse gli occhi come se stesse riflettendoci su e annuì.

“Un po’ come quando scappo dal castello e mi beccano. Plausibile. A proposito! Stavolta finirò in un bel guaio. Ormai si saranno accorti della mia assenza!”

“Voi due!” Li sgridò Kanon, “Volete stare zitti?” 

“Tu stai urlando più di noi!” Rispose Aria. Kanon si picchiò con una mano lo fronte. 

“Sei tornato? Mi era sembrato di sentire la tua voce!” Shaina comparve sulla porta nord della terza casa. Jona e Josa erano al suo fianco.

“E quelli chi sono?” Chiese Jona.

“Vedo che il marmocchio è ancora con te! Hyoga ti ha detto di no? È quella chi è?” Kanon sospirò.

“Ho presentato Niketas a Saori. Lei ha deciso che terrà con sé Subaru e Niketas fino al ritorno di Seiya.” Kanon si aspettava che Shaina montasse su tutte le furie invece lei mise su un micidiale sorriso malevolo.

“Quindi hai rifilato la rogna a Seiya!”

“Saori lo ha fatto!” La voce di Kanon si era alzata di due toni.

“Tu hai combinato questo pasticcio!”

“Niketas é molto dotato. Potrebbe essere il prossimo cavaliere di Pegasus!”

“Sì, come no! Lo percepisco da qui il suo cosmo devastante! Quando Seiya tornerà voglio proprio vedere che spiegazione gli darai! E adesso non fare il vago. Quella chi è?” 

“Aria vieni avanti. Lei é Aria, un’allieva di Camus.” Kanon se l’era inventato di sana pianta in quel momento. Non sapeva neppure come avrebbe spiegato la cosa una volta che Camus l’avesse sbugiardato. 

“Di Camus? Ma se non ha mai voluto prenderne uno? Ha lasciato a Hyoga il compito di insegnare l’uso delle energie fredde agli allievi nati sotto le stelle boreali.”

“Aria é speciale. Fa vedere come padroneggi il gelo, Aria.” La ragazza non se lo fece ripetere. Era spaesata ma non stupida e sapeva che quell’uomo stava cercando di aiutarla a tornare a casa sana e salva. Aprì il palmo di una mano e in esso apparve un cristallo di ghiaccio. La prova fu ritenuta sufficiente da Shaina che continuava a guardare Niketas di sbieco.

“Ad ogni modo, ho preparato la cena. Venite? Dentro c’é anche Raki.”

“Allora non sei arrabbiata con me?” Shaina rise di gusto.

“Sì che lo sono, ma sono stanca di litigare. Torniamo in casa e mangiamo. Abbiamo così pochi momenti di pace che passarli a litigare per delle sciocchezze non ha davvero senso.” Kanon si avvicinò e le prese la mano. 

“Hai ragione tu. Andiamo. Ho fame. Coraggio ragazzi,” Disse rivolgendosi ad Aria e Niketas, “venite anche voi. Vi riaccompagnerò da Saori dopo cena. A pancia piena si sta meglio.”

Probabilmente le mura della terza casa non avevano mai assistito a nulla di simile. 

Shaina sedeva ad un capo del grande tavolo rettangolare e Kanon occupava il posto all’altro capo. Mentre lei versava la zuppa di patate nei piatti, Kanon tagliava la carne. Jona e Josa continuavano a fare mille domande ai nuovi arrivati. Aria rideva del modo in cui uno dei gemelli, Jona, prendeva in giro Niketas per il colore dei suoi capelli. Tutti ridevano di gusto. 

Questo pensarono Hyoga e Shun quando arrivarono alla casa di Gemini. Si sentirono quasi in colpa a rovinare quell’atmosfera. Fu Kanon però ad accorgersi di loro.

“Hyoga, Shun, volete unirvi a noi? Vi avverto però che ha cucinato Shaina.” Shun si sforzò di sorridere ma il cavaliere di Gemini si rese conto subito che qualcosa non andava.

“Che succede?”

“L’armatura di Aquarius ha raggiunto Hyoga poco fa.” Shaina posò il mestolo nella zuppiera. 

“Jona, Josa, e anche voi due ragazzi, andate nell’altra stanza e prima che tu lo chieda, Jona, è un ordine.” Aria e Niketas seguirono in silenzio i più piccoli. Hyoga li segui con lo sguardo.

“Chi sono? Mi sembra di averli già visti da qualche parte.” Kanon si affettò a rispondere.

“Niketas é arrivato oggi al santuario. La ragazza è un’ allieva di Camus.”

“Di Camus?” Chiese Shun. 

“É stata in Siberia un bel po’.” Kanon stava tirando la corda un po’ troppo ma non aveva scelta.

“C’è la possibilità che lei sappia se Camus si é, in qualche modo, allontanato dal santuario?” Shun parlò con fare incerto. Hyoga fu più diretto.

“È un modo carino per chiedere se a Camus è successo qualcosa di grave.”

“Dici che ti ha inviato la sua armatura?” Shaina era evidentemente tesa.

“Un’investitura diretta. Rara ma può essere utilizzata da un cavaliere d’oro che ha scelto il suo successore.” Kanon fu, se possibile, più diretto di Hyoga.

“Kanon!” Lo rimproverò Shaina che aveva compreso cosa stesse dicendo il suo compagno.

“Sappiamo tutti cosa significa, Shaina, sta tranquilla.” Si affrettò a dire Hyoga.

“Aspettate. Non sappiamo se davvero a Camus è successo qualcosa di brutto. Il maestro Doko ha consegnato di sua volontà l’armatura di Libra a Shiryu, l’avete dimenticato?” Shun rimaneva l’ottimista di sempre. Shaina annuì.

“Senza dire una parola a nessuno sulle sue intenzioni?” Kanon rimaneva dubbioso. “Shaina, io devo comunque riaccompagnare Niketas alla tredicesima casa. Vado con loro.”

“E Aria?” Chiese la donna, “Se al suo maestro è capitato qualcosa, ha diritto di saperlo.” Kanon si grattò il mento. Aveva fatto partire lui la danza, doveva ballare.

“Verrà anche lei.”

“Camus non è uno sprovveduto. Se ha fatto un gesto simile, avrà avuto ottime ragioni. Parlatene con Mur. Forse lui sa qualcosa.” Kanon lasciò che Shun e Hyoga si avviassero.

“Shaina,’ disse prendendola tra le braccia e parlandole all’orecchio “quello che hai detto prima è vero. Abbiamo poco tempo per essere felici. Io, con te, lo sono sempre.”

“Perché mi dici queste cose adesso? Mi fai temere qualcosa di brutto.” Kanon le sorrise.

“Volevo solo che lo sapessi. A volte diamo per scontate le cose che più ci fanno stare bene. Me lo hai detto tu una volta, ricordi? Ti amo.”

“Ti amo anche io.”

Kanon la lasciò andare controvoglia. Come tutte le volte. Pensò a Niketas, nato sotto le tredici stelle con gli occhi di Saori. Pensò ad Aria, venuta da Asgard con la convinzione che Atena fosse morta. Pensò a Saga che era partito per chissà dove con una donna identica a dama Clio. Pensò a Camus che aveva inviato a Hyoga la sua armatura dopo che questi era stato svegliato proprio da dama Clio. Pensò a Seiya partito per recuperare un pezzo del meccanismo di Antikyteras di cui Saga sembrava conoscere ogni segreto. Pensò a Crono e ai sigilli sulla cicatrice del tempo di cui Mur voleva si sapesse il meno possibile. Tutti questi pensieri si disposero in modo disordinato su una parete immaginaria nella sua testa. Forse stava impazzendo come Saga prima di lui ma cominciava a vedere un nesso tra tutti questi eventi. Quale fosse non riusciva ancora a capirlo. Si disse che c’era tempo. Che, per il momento, c’era ancora tempo.

 

――――――――――-

 

Da quanto tempo stava camminando nella foresta? Una parte di Saga sapeva bene che, per le dimensioni e la struttura dell’isola, avendo camminato sempre e solo in una direzione sarebbe già dovuto uscire dalla fitta boscaglia. Pertanto l’altra parte di sé gli suggeriva che il luogo in cui si trovava ora era magico o, perlomeno, non era più la foresta nella quale era entrato di sua spontanea volontà.

Decise di fermarsi, le scelte razionali che aveva compiuto fino a quel momento per portare a termine la missione che si era prefissato non avevano sortito alcun effetto.

Strinse i pugni. Stava perdendo tempo. E lui, di tempo, ne aveva poco. 

“Allora, dov’è questa terribile prova che devo affrontare? Se pensi che io non sia capace di aspettare l’eternità per muovere battaglia, ti sbagli.” 

“Sempre il solito, fratello mio. Non cambi mai. Sempre pronto a sfidare gli dei.” Da dietro alcuni alberi apparve Kanon.

“Un’illusione? Davvero? Tutto qui?”

“E chi ti dice che io sia un’illusione?”

“Mio fratello è al grande tempio.”

“Potrei averti seguito fino a qui. Sai quanto sono inaffidabile, no?” A quelle parole Saga si sforzò di non mostrare esitazione alcuna. In effetto suo fratello era il genere di individuo che avrebbe lasciato tutto per seguirlo, per andare in suo aiuto. In quel caso che fine aveva fatto Niketas? Scosse il capo. No. Suo fratello non era lì, era con Niketas per tenerlo al sicuro. “Dubiti, vero? Lo so. So che lo fai. È quello che hai sempre fatto. Hai sempre dubitato di me. Al punto da non riconoscere il mio valore, al punto da ritenermi non all’altezza della tua persona, al punto da rinchiudermi in una prigione, al punto da condannarmi a morte per colpe tue, tue, non mie. Ora, se vorrai passare oltre, dovrai dimostrare tu di essere alla mia altezza!” Kanon si mise in posizione d’attacco.

“Non mi batterò con te.”

“Lo farai se vorrai raggiungere l’oracolo. In alternativa, vaga nella dimensione perduta del Triangolo d’oro!” Gridò la figura con le sembianze di Kanon mentre disegnava un triangolo con le braccia. Saga ricevette in pieno il colpo. 

“Io non combatterò con te.”

“Hai detto che non credi che sia tuo fratello.”

“Ho detto che non credo che lui sia qui ma ciò che mi sta mettendo alla prova, vuole che mi comporti con te come farei con Kanon. Forse in passato avrei lottato contro di lui, forse lo avrei perfino ucciso. Non avrei provato pietà. A dirla tutta, non ho mai provato pietà per Kanon. E sai perché? Perché ti sbagli sul mio conto. Non ho mai pensato che mio fratello non fosse alla mia altezza. Al contrario! Io ho sempre pensato di non essere alla sua. Provare pietà per lui, avrebbe significato provarne per me stesso. Quando divenni cavaliere di Gemini, sapevo che condividevamo lo stesso, medesimo potere. Sapevo anche che avremmo condiviso quell’armatura. In me nacque il dubbio che, se qualcuno ci avesse misurati, lui avrebbe prevalso. Perché è migliore di me. Lui soffriva della mia stessa debolezza. Anche in questo siamo identici. Si credeva non all’altezza. Se ci fossimo parlati con franchezza avremmo evitato tanto male ma anche questo è il nostro destino, credo. Ciò che uno dei due sbaglia, l’altro rimedia. Per questo hai assunto la forma di mio fratello.”

“A quanto pare, non sono io la tua debolezza. Sono libero di andare.” Kanon svanì come nebbia lasciando Saga di nuovo solo.

“No, fratello mio. Non lo sei.”

“Forse però lo sono io.” Saga non poteva non riconoscere quella voce. Tremò prima di girarsi. Lei era lì. Ovviamente anche lei non era ‘lei’. Lo sapeva. Disse lo stesso il suo nome.

“Saori.” La donna sorrise.

“Tu mi ami, non è così?” Saga si perse nella contemplazione della sua figura. Osò ricordare l’unico bacio che le aveva strappato e l’abbraccio che lei gli aveva dato dopo la scalata del santuario il giorno in cui lo aveva perdonato.

“Saresti stata così bella e forte se non ti avessi strappata alla tua culla quella maledetta notte?” Lo chiese dimentico che lei non era Saori. La donna scosse il capo.

“E tu volevi davvero uccidermi? Un tentativo piuttosto maldestro di liberarti di me.”

“Sono sempre maldestro quando si tratta di te.” Lei piegò appena la testa di lato e allargò le braccia.

“Perché sono una dea o perché sono una donna?” Saga abbassò lo sguardo sui suoi piedi nudi che calpestavano foglie adagiate sull’erba.

“Perché nei tuoi occhi c’è tutto l’universo.” 

“Allora alza la testa e guardami.”

“Non posso farlo. Se voglio proteggere ciò per cui vivi, io non posso perdermi in te. Devo continuare ad essere ciò che sono.”

“E cosa sei, Saga?”

“Un cavaliere.”

“Allora non sono io la tua debolezza. Ne sono lieta.” Anche lei fu avvolta dalla nebbia. Una lacrima cadde dagli occhi di Saga perché forse aveva bisogno di sentirselo dire. L’ultimo anno era stato difficile. Aveva maturato una consapevolezza. Prima o poi Niketas avrebbe ritrovato i suoi genitori. Quel giorno lui avrebbe dovuto rinunciare a tutto. Definitivamente. Si chiedeva se avrebbe potuto. Se sarebbe stato in grado di lasciare andare il ragazzo. Di lasciare andare lei. Le parole di Saori erano state come una liberazione. Anche se non erano le ‘sue’, erano quelle che lei non avrebbe mai avuto cuore di dirgli e che lui voleva sentire. Fu per questo che la voce che lo raggiunse lo sorprese.

“Certo che non è lei. Tu sei qui per me.” Decise che avrebbe portato il gioco fino in fondo. Si voltò e sorrise di sfida.

“Vuoi fare sempre il protagonista tu, eh!” Il ragazzo si passò un dito sotto al naso.

“È il mio ruolo. Ognuno ne ha uno in questo gioco.”

“È il mio è stato quello del tuo nemico mortale?”

“Nemico di Atena.” Precisò lui. Saga scosse la testa.

“No, Seiya, non più.”

“Questo perché tu dici di essere cambiato ma la gente non cambia Saga. Io sono sempre stato quello che la salvava quando sembrava non ci fosse più nulla da fare. E lo farò sempre. Tu sei quello che l’ha tradita. E la tradirai sempre.” Saga ripensò alle parole di Cora sul fatto che Atena sarebbe stata trafitta da colui che più lei amava.

“Sei proprio sicuro di questo? Sicuro che tu non la tradirai mai?” La figura di Seiya tremò. L’armatura d’oro che indossava perse  colore. Gli occhi del ragazzo si riempirono di lacrime.

“Io non la tradirò mai. Mai. Farò ogni cosa mi chiederà. Io manterrò la mia promessa. Se vorrai impedirlo, dovrai uccidermi.” Saga non capì il perché delle lacrime ma forse amare Saori significava, in qualche modo, soffrire. 

“Detesto il tuo modo di essere ma non ti ucciderò per questo. Ti ho già affrontato e ho accettato la sconfitta. Il passato dovrebbe rimanere nel passato.” Una calda luce dorata tornò ad avvolgere Seiya. 

“È così. Non sono io quindi la tua debolezza.” Le ali di Sagitter avvolsero il corpo di Seiya ma stavolta la figura non svanì nella nebbia come le le altre. Sembrava piuttosto che si fosse chiusa su se stessa. Come in un bozzolo.

“Che significa? Hai detto che non sei tu la mia debolezza.” Saga stava per allungare un amano verso l’armatura ancora nascosta dalle sue ali quando si bloccò. “Certo! Tu sei la mia debolezza. Solo che ti eri fatto ingannare dalla straordinaria luce di Seiya, non è vero, Sagitter?” 

Le ali dell’armatura si aprirono e il cavaliere che le indossava sorrise. Con dolcezza.

“È bello rivederti, Saga.”

“Se fossi davvero tu, non lo diresti, Aiolos.” Eppure gli occhi blu di Aiolos, blu come quelli di Atena, sorrisero anch’essi.

“Sono io, dunque, la tua debolezza?”

“Tu sei la mia colpa. Per questo sì, sei anche la mia debolezza.”

“Non hai peccato verso di me ma verso gli dei. Eppure è il mio giudizio che temi, più di quello degli dei.”

“Non temo gli dei. Io stesso sono stato venerato come un dio. E sono caduto. E dopo di me, altri sono caduti per mano di un uomo che ti somiglia ma che non è uguale a te.”

“Lui hai cercato di ucciderlo?” Saga rise.

“Oh sì, con tutte le mie forze.”

“E adesso non più?” Saga scosse il capo.

“No. Lui e lei sono la stessa cosa adesso.”

“Ed è per questo che sei qui?”

“Sono qui per la verità.”

“Non potrai avere verità se non dai verità, così come non puoi avere amore se non ne dai.” 

“Ho mentito per tutta la mia vita, Aiolos, ma ho amato. Per molto tempo e intensamente. Tu che sai la verità, sai che è così.”

Aiolos portò le mani alla schiena ed estrasse arco e freccia.

“Quindi non meriti la mia punizione?” Saga capì che era giunto il momento. Aiolos tese l’arco e puntò la freccia contro Saga. Questi aprì le braccia offrendo il petto al colpo.

“In tutta franchezza, no. Non la merito. Ho già pagato e Atena mi ha perdonato. Tuttavia se vuoi scoccare, lancia pure. Se non posso combattere le mie battaglie, allora posso anche morire. Non fece in tempo a terminare la frase che la freccia gli si conficcò in pieno petto. Chiuse gli occhi e cadde all’indietro senza emettere un gemito.

 

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Capitolo 21
*** La voce di un dio ***


Piccole note di un’autrice senza vergogna:

Se disponessi di una maschera come quelle dei cavalieri sacerdotessa, questa sarebbe l’occasione di indossarla. Mi presento a distanza di tantissimo tempo rispetto all’ultimo aggiornamento. Perdonatemi. Ormai ho fatto pace col fatto che la mia vita attuale non mi consente di aggiornare con regolarità. Forse questo mi consentirà di scrivere con più tranquillità e, magari, maggiore frequenza. Questo e la nuova tastiera per il tablet che sostituisce il rottame che utilizzavo finora.

Grazie a tutti per il supporto. Buone feste.

Mary.

 

La voce di un dio

 

La strada sembrava non finire mai. Fu per questo che vedere il piccolo centro abitato comparire sulla linea dell’orizzonte ai piedi dell’Etna, fu di conforto per Seiya. Dopo la notte passata in bianco e l’inutile battaglia tra Death Mask e Shiryu per decidere come raggiungere il paese, era sfinito. Alla fine avevano optato per un passaggio sul retro di un tre ruote scomodo e lento. Mask aveva deciso così pure a questo giro.

“Vuole sabotarci, non c’è altra spiegazione.” Aveva detto il cavaliere di Libra. Seiya aveva fatto buon viso a cattivo gioco e aveva convinto l’amico a fidarsi.

Il tre ruote si era fermato nella piazza principale di Tremestieri. Mask li aveva lasciati qualche minuto a dissetarsi alla fontana della piazza ed era tornato poco dopo con un foglietto. 

“Seguitemi.” Non aveva aggiunto altro. Avevano preso una strada laterale che costeggiava un muro intonacato con una mano di bianco. Era il muro di un seminario. Shiryu non aveva chiesto chi fossero quegli uomini vestiti con tonache lunghe di colore nero ma Death aveva spiegato lo stesso.

“Sono seminaristi. Ragazzi che frequentano la scuola per diventare sacerdoti. Anche loro sperano di diventare santi ma non  saranno mai niente di più che predicatori. Sacerdoti, li chiamano. Credono che il loro Dio li salverà.” Aveva detto accendendosi l’ennesima sigaretta. 

“Tu sei nato qui. Non era anche il tuo Dio?” Death aveva risposto con un ghigno.

“È il loro Dio.” Aveva detto indicando l’edificio di fronte al seminario. Dietro alti cancelli, un edificio troppo decadente per non appartenere al secolo scorso era animato dal via vai di un sacco di donne. “Non ci sono anime perdute solo nell’Ade. Quelle sono le suore del Sacro Cuore. Loro sono convinte che il compito che hanno ricevuto da Dio sia quello di guidarle. La verità è che non sanno niente. Non possono salvare nessuno. Non hanno salvato me comunque.”

Proseguirono fino a che le case si fecero sempre più rade e la strada non curvò verso uno spiazzo. Lì c’era un’indicazione che diceva ‘Parco dell’Etna’ verso destra e ‘Chiesa del Salvatore’ verso nord. Death Mask prese la via per la chiesa. La strada non era asfaltata e Shiryu riprese a lamentarsi.

“Puoi dirci dove stiamo andando?”

“Questo posto si chiama Tremestieri. La mia gente lo chiamava ‘tria munastiri’ perché tutto quello che c’era nel vecchio paese  erano tre monasteri. Poi la vecchia lingua s’è persa. Nessuno la parla più ed è diventato Tremestieri. Anche uno dei tre monasteri, quello della chiesa del Salvatore, non c’è più. Sono rimaste solo le suore al convento che raccatta gli orfani della mafia e i preti che scappano dal mondo vero per chiudersi tra quattro mura fatiscenti che li difendono dalla vita di tutti i giorni. Noi stiamo andando al monastero che non c’è più.”

“Perché ci porti in un posto simile?” Chiese Seiya che non voleva che Shiryu lo rimbeccasse ancora.

“Perché lì vive Tano, l’unico uomo che può portarci all’ingresso dell’antro di Efesto.”

“È amico tuo?” Chiese Shiryu. Death Mask si fermò di colpo.

“Mettiamo le cose in chiaro. Sono qui per ordine del grande sacerdote. Tano è un uomo del grande tempio come lo siamo noi tre. Non è amico mio. E non sarà amico vostro di sicuro. Tano odia tre cose: le suore, i topi e le visite. Non sono certo se in questo ordine. Vederci lo farà incazzare e, se non vi sto simpatico io, odierete lui. Quindi state zitti e fate parlare me quando arriveremo.”

Seiya annuì e, con Shiryu sempre affianco, seguì il cavaliere del Cancro.

Camminarono su per la strada sterrata fino ad una casa in legno e pietra di modeste dimensioni costruita vicino ai resti di una chiesa. Il tetto dell’edificio era crollato sull’altare e su una serie di panche di legno divorate dai tarli. 

Death non dovette neppure avvicinarsi alla porta. Un uomo se ne stava seduto su una delle panche che doveva aver preso alla chiesa abbandonata.

“Andate via.” L’uomo non li degnò di uno sguardo. Death Mask fece un passo in avanti e parlò.

“Se dipendesse da me, lo farei ma devo obbedire agli ordini di un sacerdote che non veste di nero. Speravo che fossi morto così non avrei dovuto rivedere la tua brutta faccia.” Allora l’uomo alzò il viso e si tolse la coppola che si era calato sugli occhi. 

“Sapevo che tu eri morto.”

“Forse lo sono e la mia anima è tornata per tormentarti.” Tano rise sguaiatamente per poi tornare serio all’improvviso.

“Sento la puzza. E le anime, anche le più nere, non puzzano. Chi sono quelli?”

“Questi sono Shyriu di Libra e Seiya di Sagitter. Ragazzi, lui è Tano.” Death non riuscì a terminare le presentazioni. 

“Maestro! Quante volte dovrò ripeterti che finché campo dovrai chiamarmi maestro, ‘Nzulu?”

“Io mi chiamo Death Mask. Mi hai dato tu questo nome, ricordi? Quindi non chiamarmi più in quel modo!” Seiya sorrise appena. Tutto si sarebbe immaginato, tranne di ritrovarsi un maestro e un allievo a bisticciare come faceva lui da bambino con Marin. 

“Scusate se vi interrompo, noi avremmo una faccenda urgente da sbrigare.” Li interruppe Seiya. Tano lo squadrò come si farebbe con un avversario.

“Sagittario, giusto?” Seiya annuì cambiando appena espressione. Potevano passare gli anni ma, ogni volta che qualcuno diceva quella parola in quel modo, lui si sentiva giudicato. Messo in riga dietro a tutti gli altri cavalieri del Sagittario per l’appunto, Aiolos per ultimo, e giudicato. Death Mask non gli diede tempo di controbattere. 

“Forse ho fatto male le presentazioni. Lui è Seiya di Sagitter, l’uccisore di dei.” Tano si grattò il mento barbuto con un mano e allargò le sue labbra in un sorriso accattivante.

“Ma certo, certo! Si dice in giro che dopo Perseo ed Ulisse, non ci sia mortale che Ella non abbia favorito a tal punto!”

“Se lo sai, non lo provocare!” Puntualizzò Death.

“E chi provoca! Mi avete frainteso! E poi non dovreste intimidire un povero vecchio, non credete?” Disse Tano raggiungendo di nuovo la panca e lasciandocisi cadere sopra.

 

“Povero vecchio, ci serve un favore e il grande tempio pensa che tu possa farcelo.”

“A disposizione di Ella sto.”

“Allora porterai i miei amici a vedere il vulcano?” A quella di richiesta, Tano s’incupì. A Shiryu la cosa non sfuggì.

“Se anche fosse pericoloso, abbiamo bisogno del suo aiuto, maestro.” Tano ritrovò il suo sorriso da furfante.

“Vedi, ‘Nzulu, come ci si rivolge ad un maestro?” Death Mask alzò gli occhi al cielo ma lo lasciò continuare. Tano tirò fuori dalla tasca un sigaro acceso e spento più volte e proseguì. “Ma voi volete vedere il vulcano o il Vulcano?” Seiya non se lo fece domandare una seconda volta.

“Stiamo cercando Efesto.” E mise subito le cose in chiaro. Tano si rigirò un paio di volte la coppola in mano.

“Non si fa mica vedere in giro, sai? E se lo cerca l’uccisore di dei, di certo non metterà più facilmente fuori il naso da casa sua.”

“Allora andremo noi da lui.”

“E pensi che se bussi alla porta del Fabbro, lui ti aprirà come se niente fosse se non vuole vederti?”

“Perché non dovrebbe?” Tano scoppiò a ridere fragorosamente.

“Perché ti sei fatto la fama di assassino.” A Shyriu quell’appellativo non piacque.

“Gli dei lo chiamano assassino, gli uomini lo chiamano eroe.” Tano tornò serio e fece l’espressione di uno che sta soppesando le prossime parole da dire.

“Io vivo qui da molti anni. Il Fabbro è una creatura operosa. Non dà fastidio a nessuno e tutti lo rispettano anche se non tutti sanno chi è. Da quanto ne so, non detesta particolarmente gli uomini e ha un rapporto strano con i suoi parenti. Una cosa so per certo. Non riceve visite. Mai. Quindi state chiedendo una cosa difficile da ottenere.”

“Se fosse stato facile non avrebbero mandato tre cavalieri d’oro.” Precisò Seiya permettendosi un sorriso.

“Non statelo a sentire.” Intervenne Death Mask “Ci porterà. O dirò ad Agata che non prende le sue medicine.” Tano si alzò e aprì la porta di casa.

“Non stasera. Il vulcano fuma, il Fabbro lavora. Domani. Di mattino presto. Venite dentro. Mangiamo e beviamo. Tra poco si alza il vento e si sta freschi pure dentro. ‘Nzulu vai a prendere una bottiglia di vino dietro alla baracca.”

Seiya e Shiryu lo seguirono in casa mentre Death girò dietro la casa bestemmiando.

“Che significa quel nome?” Seiya era era curioso.

“‘Nzulu?” I due cavalieri annuirono quasi contemporaneamente.

“È il suo vero nome.” Disse indicando la porta. Ovviamente si riferiva a Death Mask. Quando vide gli sguardi interrogativi dei suoi interlocutori, prosegui. “‘Nzulu significa Nunzio.” A Seiya scappò da ridere. Shiryu non se ne faceva capace.

“Il vero nome di Death Mask è Nunzio*?” Tano annuì.

“Sua madre raccontò alle suore che alla festa del paese una veggente le lesse le carte e le predisse che avrebbe avuto un figlio solo ma forte e capace di dominare gli altri. Sua madre faceva la cameriera per una famiglia importante di Catania. Fu vittima di un attentato per assassinare il padrino. Le suore ci hanno provato a fare di Nunzio un bravo figliolo ma non capivano perché fosse sempre irrequieto. Io sì. Vedeva le anime dei morti. Non è una cosa semplice con cui convivere. Lo presi con me. Gli insegnai a usare il cosmo.” Shiryu strinse un pugno ma non parlò. Tano, porgendogli un piatto, continuò. “‘Nzulu è figlio della terra sua. Se nasci in mezzo alla polvere da sparo, ti sentirai sempre quell’odore nel naso. U tintu, lo chiamavano. Maschera della Morte lo chiamai io. A lui piacque di più.” Non poté proseguire.

“Hai finito di dire tutti i fatti miei?” Death Mask poggiò la bottiglia di vino sul tavolo e la stappò.

“Sì faceva per parlare. Ora mangiamo così nessuno si offende.” Si sedettero e consumarono il pasto chiacchierando del tempo e del vento che veniva dal mare.

 

――――――――――――-

 

 

Saori se ne stava nelle sue stanze, assorta nei suoi pensieri, quando avvertì di nuovo quella sensazione dolorosa all’altezza dello sterno. Si accasciò portandosi una mano al petto e si sforzò di regolare il respiro. Era stato di nuovo come essere trafitta da una freccia. Stavolta però non aveva avuto allucinazioni, solo provato il dolore. Si rialzò e uscì sotto il portico. Fu allora che lo vide. Stava in piedi sotto alla statua di Atena, una mano a toccare il piedistallo. Sorrideva. Lei lo trovò splendido. Commovente.

“Non sei davvero qui, giusto?”

“Saori.” La donna sorrise. Lo disse con la tenerezza con cui lui, e lo ricordava bene, pronunciava il suo nome quando erano soli. I suoi occhi si riempirono di lacrime e forse ancora stordita dal dolore che aveva provato poco prima, si concesse di dire ciò che non aveva mai osato.

“Tu mi ami, non è così?” Saga la fissava con ardore.

“Saresti stata così bella e forte se non ti avessi strappata alla tua culla quella maledetta notte?” Una lacrima le scese su una delle guance e scosse il capo.

“E tu volevi davvero uccidermi? Un tentativo piuttosto maldestro di liberarti di me.” Si sforzò di sdrammatizzare. Lui stette al gioco. 

“Sono sempre maldestro quando si tratta di te.” Non seppe dire perché ma allargò le braccia.

“Perché sono una dea o perché sono una donna?” Saga abbassò lo sguardo sui suoi piedi nudi e lo disse tutto d’un fiato.

“Perché nei tuoi occhi c’è tutto l’universo.” 

“Allora alza la testa e guardami.” A quelle parole capì che anche se quello davanti a lei non poteva essere davvero Saga, era lui.  Ne ebbe subito la conferma.

“Non posso farlo. Se voglio proteggere ciò per cui vivi, io non posso perdermi in te. Devo continuare ad essere ciò che sono.” Il dolore nel suo petto si fece più intenso. Sapeva già come sarebbe finita quella illusoria conversazione. 

“E cosa sei, Saga?”

“Un cavaliere.”

“Allora non sono io la tua debolezza. Ne sono lieta.” Saga allungò verso di lei la mano che era poggiata sul piedistallo. Poi improvvisamente una freccia d’oro le passò accanto al viso e volò oltre per conficcarsi nel petto di Gemini. Lei si voltò di scatto per capire da dove veniva la freccia e vide il cavaliere del Sagittario. Quale fosse, non seppe dirlo. Aveva il sorriso calmo di Aiolos, lo sguardo determinato di Seiya, la postura coraggiosa di Sisifo, il cosmo caldo di tutti i cavalieri che avevano indossato quelle vestigia tempo indietro fino a Teseo. Sembrava che tutti parlassero contemporaneamente attraverso l’armatura.

“Non meriti la mia punizione?” 

Saori sentì le forze venire meno. Si accasciò nuovamente e cercò di convincere se stessa.

“Sono solo allucinazioni. Vedo persone che appartengono al mio passato solo perché la cicatrice del tempo sta cedendo. Devo farmi forza.” 

Fu in quel momento che il cosmo di Shura si fece più prossimo.

“Milady, Kanon chiede udienza. Shun e Hyoga sono con lui.”

“Falli passare.”

Kanon precedette i due amici e Saori si accorse subito che erano tutti scuri in viso.

“Che é successo?”

“Si tratta di Camus.” Kanon parlò per primo. “Hyoga dice che l’armatura di Acquarius lo ha raggiunto con uno strano messaggio. Un’armatura passa ad un altro cavaliere solo per investitura o per volontà del suo proprietario.” 

Saori raggiunse uno dei gradoni della statua di Atena e si sedette.

“A Camus deve essere accaduto qualcosa. Poco fa c’è stata un’altra distorsione del tempo.”

“Come lo sapete?” Chiese Gemini.

“Perché ho visto qualcuno che non poteva essere davvero qui ora.” Kanon non osò chiedere altro. Hyoga fece un passo avanti.

“Se è successo qualcosa a Camus, io devo scoprirlo.”

“Hai detto che l’armatura ti ha portato un suo messaggio.” Saori provò a distrarre Hyoga dal proposito di intraprendere una qualsiasi azione pericolosa.

“Ha detto solo che c’è molto più del cuore nel petto di un cavaliere.” Saori strofinò i palmi delle mani, lentamente. Si alzò.

“Bisogna informare Mur. Qualunque cosa sia successo a Camus, lui può aiutarci a capire. Stai tranquillo Hyoga, Camus non è uomo che si perde d’animo facilmente. Il suo gesto ha certamente un significato. Lo scopriremo, non temere.” Shun affiancò il compagno.

“Saori ha ragione. Sono certo che, mandandoti l’armatura, Camus volesse avvisarci di qualcosa. Con l’aiuto del grande Mur capiremo.” Hyoga annuì. Kanon prese in mano la situazione.

“Allora voi due andate dal grande sacerdote. Io mi fermo ancora qualche istante per un’altra questione.” Shun quasi trascinò Hyoga che non pareva affatto convinto che l’intervento di Mur potesse risolvere i problemi di Camus.

“Cos’altro c’è Kanon?” Saori si sentiva ancora preda della visione precedente e quasi non riusciva a guardare il gemello di Saga negli occhi.

“Ci sarebbe la faccenda degli allievi.” A quelle parole Saori parve improvvisamente ricordarsi di Niketas e di quello che aveva promesso a lui e a Subaru.

“Giusto. Hai riportato Niketas? Ho fatto preparare una stanza per lui e Subaru.”

“Insieme a Niketas c’è un’altra persona.”

“Chi?”

“L’abbiamo incontrata tornando alla terza casa. Si tratta di una ragazza. Sembra smarrita. Il suo nome è Aria. Le ho permesso di rimanere perché possiede un cosmo molto potente. Dice di venire da Asgard.”

“Asgard? È una messaggera di Hilda?” 

“Non gliel’ho chiesto. Era convinta che la dea Atena fosse morta. Quando Shaina mi ha chiesto chi fosse, le ho mentito. Le ho detto che era un’allieva di Camus.”

“Camus? Perché?”

“Perché padroneggia le energia fredde.”

“Perché hai mentito a Shaina?” Saori incrociò le braccia e Kanon si chiese perché le donne, anche quando litigano tra loro, non possono fare a meno di sostenersi a vicenda contro gli uomini. Disse la verità.

“Era arrabbiata con me per aver portato al santuario Niketas. Non volevo dirle di averne presa un’altra per la strada.” Saori sospirò. 

“Hyoga non ha detto niente?”

“Ha trovato credibile che il suo maestro avesse preso un’allieva mentre lui faceva il bell’addormentato.”

“Kanon sei stato pessimo. Falli venire.” L’uomo raggiunse l’atrio e fece cenno a Shura di far uscire i ragazzi. I tre avanzarono con deferenza. La più esitante era Aria. Quando gli altri due si fermarono al fianco di Kanon, lei proseguì arrivando proprio davanti a lei. 

“Tu sei Atena, sei viva!” Subaru la guardò con curiosità. Niketas, invece, guardò Kanon. L’uomo gli fece cenno di restare in silenzio.

“Sì, io sono Atena. E tu sei Aria. Dimmi, Aria, perché pensavi che fossi morta?” La ragazza abbassò gli occhi. Sembrava che non sapesse cosa dire. Saori le mise una mano sotto al mento e la incoraggiò a parlarle.

“Mi è stato raccontato che la dea Atena è morta durante una battaglia al grande tempio.” Saori sorrise dolcemente.

“È successo. La battaglia c’è stata e io ho combattuto. Sono rimasta ferita gravemente ma, come vedi, non sono morta.” Aria annuì. “Hai detto di venire da Asgaard. Ti assicuro che li abbiamo informati di tutto. Sei più tranquilla ora?” La ragazza annuì. 

“Sono un po’ confusa ma credo di essere lontana da casa da più tempo di quanto credessi.”

“Per adesso riposati. Sei nostra ospite. Quando vorrai, ti aiuteremo a tornare a casa. Subaru, tu sei qui da più tempo degli altri, aiutali a sentirsi a proprio agio.” Subaru annuì. “In quanto a te, Niketas, presto conoscerai il tuo maestro. Per ora seguirai le lezioni di Kiki, il cavaliere dell’Ariete insieme a Subaru.” 

“D’accordo. Farò del mio meglio.” Saori sorrise.

“Shura, accompagnali nelle stanze accanto alle mie.” Il cavaliere del capricorno fece strada ai tre ragazzi e chiuse la porta dietro di loro. Kanon rimase in piedi, in silenzio.

“Cosa c’è, Kanon?”

“Non lo so ancora. Quella ragazza è apparsa nel cuore del santuario durante una distorsione. E Camus sparisce.”

“Perché le due cose dovrebbero essere collegate?”

“Perché sono entrambi legati alle energie fredde.”

“È un collegamento un po’ forzato, non credi?” Kanon fece spallucce.

“Probabile.”

“Lascia questa storia di Camus a Mur. Ho un altro compito per te.” Gemini si fece serio.

“Di che si tratta?”

“Ho mandato Seiya in missione con Shiryu e Death Mask. Mur è impegnato a proteggere la cicatrice del tempo e ora dovrà cercare Camus. Mi serve il tuo aiuto.”

“Sono qui.” Saori annuì.

“Seiya ha avuto una cosa in custodia da me. Devi riportarmela.” Kanon fiutò guai.

“Non potete aspettare che ritorni e chiederla a lui?” Saori scosse il capo. 

“Disubbidirebbe. Anzi, sono convinta che me l’abbia nascosta di proposito.”

“Avete appena detto di avergliela data voi stessa.”

“Sì. Ora la rivoglio e credo che Seiya non sarebbe incline a restituirmela.” Kanon ebbe un pessimo presentimento.

“Di cosa si tratta?”

“Della daga deicida.” Kanon allargò appena le braccia.

“Seiya si è dimostrato più che meritevole di utilizzarla. Non conosco cavaliere vivente più degno di usarla.”

“Ne ho bisogno io adesso.”

“E quale dio dovresti fronteggiare da sola?” Saori si intristì. Kanon, in un passo, le fu di fronte. “Atena lascia combattere i suoi cavalieri. È così dalla notte dei tempi.”

“Sarebbe un atto troppo egoistico stavolta. Obbedisci al mio ordine. O intendi sfidarmi e contrariarmi?” Kanon sospirò.

“Obbedirò. Saga aveva fiducia in te. Ne avrò anche io.” Lo disse col proposito di suscitare in lei qualche reazione ma la donna parve non essersi neppure accorta che aveva nominato suo fratello. Si girò e lasciò le stanze della dea.

 

――――――――――――-

 

 

Saga aprì gli occhi a fatica. La luce, seppure tenue, dell’alba lo colpiva in viso così sollevò una mano per schermarsi da essa. 

“Alla fine ce l’hai fatta.” La voce proveniva da un punto alla sua destra. Si sollevò e si rese conto di essere stato adagiato su una pila di coperte. Alcuni lupi erano intorno a lui e lo fissavano senza dare alcun segno di volerlo attaccare. La voce era di Cora. “Le mie sorelle non ti faranno alcun male.” Saga si mise seduto.

“Dunque non mi sbagliavo, sei una pizia.”

“E non una qualunque!” A parlare era stata una fanciulla che sembrava essere molto più giovane di Cora. “Il mio nome è Tersicore. Ti ringrazio per averci riportato nostra sorella!” Saga fece un cenno col capo e tornò a guardare i lupi. Erano tutti la loro posto tranne uno che adesso aveva lasciato il posto ad una donna dai lunghi capelli neri. 

“Tersicore, non ti è concessa facoltà di parlare allo straniero.” La fanciulla si nascose dietro alle spalle di Cora. “Le tue stelle sono nefaste,” disse rivolgendosi a Saga, “già una volta hanno portato la rovina su di noi.”

“Stessa costellazione, diverso cavaliere.” Rispose Saga allungando il sorriso in una smorfia.

“Pur sempre cavaliere di Atena.”

“Atena non è in guerra con Apollo.” La donna annuì.

“Il mio nome è Urania. Tersicore ha ragione. Tu hai riportato nostra sorella, meriti la nostra gratitudine. Inoltre hai superato la prova della foresta per cui hai diritto ad un vaticinio. Per questo però, temo dovrai aspettare.” L’espressione benevola di Saga mutò.

“Se dici che ho superato la prova, perché non posso conoscere le risposte alle mie domande? Bada bene, pizia, che non sono un uomo che potete manovrare. Hai detto tu stessa che sono nato sotto stelle cattive.” Cora si alzò e lo raggiunse.

“Ti prego, non offenderti. La colpa di tutto ciò è mia.” La donna si rattristò e Saga ebbe di nuovo l’impressione di vedere Saori come l’aveva vista durante la prova nella foresta.

“In che modo sarebbe colpa tua?” Fu Urania a rispondere.

“L’unica in grado di parlare con la voce di Apollo è Clio ma lei ha dimenticato i suoi ricordi e non sa come usare la pergamena della Storia. È un artefatto sacro. Solo lei può utilizzarlo e solo le sue profezie sono immutabili.”

“Quindi lei è Clio, la somma sacerdotessa di Apollo. Che significa che le sue profezie sono immutabili?”

“Che sono destinate a realizzarsi qualunque sia la piega che la Storia prenderà.” Saga guardò Clio e poi strinse i pugni.

“So a cosa stai pensando,” disse Clio “al fatto che ho visto la morte di Atena.”

“Forse se recuperi i tuoi ricordi, vedrai un futuro diverso.” 

“Tu credi?”

“Non credo che lascerò morire Atena. A questo punto Cora, o dovrei dire Clio, sono lieto di averti aiutato a tornare a casa ma non posso più restare. Le nostre strade si dividono qui. Al grande tempio c’è una persona che si fa passare per te. Forse la tua profezia dipende da quell’impostore. Qui sei al sicuro e vedrai che la memoria ti ritornerà stando insieme alle tue sorelle. Io però devo scoprire perché tu hai perso i tuoi ricordi e un’altra persona ha preso la tua identità al Santuario. Se non può aiutarmi Apollo, troverò un altro modo.” Saga prese la via per il porto quando la voce di Cora lo fermò.

“Aspetta!” Saga si voltò e si accorse subito che non era Cora quella che aveva di fronte. Un raggio di sole la illuminava tanto intensamente che i suoi capelli rossi sembravano fiamme. “Avrai l’aiuto di Apollo. Lo avrai perché Atena e Apollo non sono in guerra e poiché è nel mio interesse che l’impostore venga smascherato. Tu punirai chi ha ferito la mia pizia.”

“E quale aiuto avrei in cambio?”

“Tu mercanteggi con un dio?”

“Ti conviene mercanteggiare con me o dovrai di nuovo vedertela con il cavaliere di Pegasus. Lo chiamano uccisore di dei ora.”

“Potrei ucciderti con uno schiocco di dita.”

“E non ne ricaveresti niente.” La figura di Cora fu attraversata come da un tremito.

“Nessuno più di me apprezza la verità. Ebbene sia. Puoi prendere tre delle mie pizie. Poiché è desiderio di Clio venire con te, ti rimangono due doni da scegliere. Talia prevede la buona riuscita degli eventi mentre Melpomene ne vede il fallimento. Erato divina solo riguardo all’amore. Tersicore legge esclusivamente il futuro dei bambini mentre Polimnia può indovinare quale malanno colpirà una persona. Calliope ed Euterpe possono vedere le conseguenze di una scelta sul futuro di una persona. Urania guarda il futuro negli astri del cielo.” Saga la ascoltò con attenzione e si accorse che ora tutti i lupi avevano assunto la forma umana. Soppesò quello che aveva ascoltato e diede la sua risposta.

“Porterò con me Clio, Urania e Tersicore.” La luce scemò e Cora tornò se stessa. 

“Alla fine hai parlato con Apollo.” Disse la donna.

“Pare di sì. Mi aiuterai a salvare Atena?”

“A quanto pare, il mio padrone vuole così.”

“Non ci ha dato molti indizi su come fare.”

“Invece sì.” Disse mostrando una piccola ampolla.

“Cos’é?” Chiese Saga, curioso.

“Ambrosia.”

“E come dovrebbe esserci utile?”

“A noi non serve ma conosciamo qualcuno che la desidera moltissimo. Sarà un’ottima merce di scambio.”

Saga sorrise. Ora poteva giocare ad un gioco che lui sapeva fare bene. Per la prima volta, dopo un intero anno, si sentì vivo.

 

 

*Nunzio non è affatto il vero nome di Death Mask. Per quanto ne so, il suo nome non è conosciuto. Invece che è siciliano è vero.

 

Ps.Ho introdotto il personaggio di Aria. Per chi conosce Saint Seiya Omega, sa che è il nome di un personaggio di questo spin off della serie. La ‘mia’ Aria tuttavia non ha molto a che fare col personaggio della serie. Lo vedrete più avanti. Mi sembrava carino continuare sulla strada già intrapresa di appioppare ai personaggi di Omega un qualche ruolo nella mia storia ma solo in quanto soggetti situati in qualche modo nello stesso arco temporale della mia storia.

Alla prossima.

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Capitolo 22
*** Il Vulcano ***


Piccole note dell’autrice:

Buon anno e ben ritrovati. Avete buoni propositi per il 2019? Io m’impegnerò a finire questa storia e la collana collegata.

Per prima cosa, però, devo ringraziare tutti coloro che continuano a seguire questa storia e in particolare modo chi spende il suo tempo a recensire.

Grazie, grazie di cuore. Prometto che troverò il modo di rispondere a tutti.

Vi lascio al nuovo capitolo.

 

Il Vulcano

 

Seiya prese un respiro a pieni polmoni. L’aria del mattino era calda e profumata di arance. Uscì al sole e sentì una grande energia montargli dentro. La voce di Tano lo salutò con entusiasmo.

“Buongiorno a vossignuria!”

“Buongiorno!”

“Hai fatto colazione? Prendi una pasta.” Disse l’uomo allungando un sacchetto a quello più giovane. Seiya infilò una mano nel sacchetto di carta marrone e ne tirò fuori una specie di bombolone pieno di crema. Lo assaggiò e lo trovò buonissimo. “Ti piace?” Seiya si asciugò le labbra sporche di zucchero con il dorso di una mano e annuì. “Bene, bene. Gli altri sono svegli?”

“Dormono. Se è ora, vado a svegliarli.”

“Prima vorrei fare due chiacchiere con te.”

“A che proposito?”

“Del Vulcano. Tu sai in che cosa ti stai cacciando, ragazzo?”

“No. So solo che devo farlo.”

“Fare cosa esattamente?”

“Parlare con lui.”

“E basta?” Seiya sorrise amaramente.

“Non intendo muovergli battaglia ma mi difenderò se sarà necessario.”

“Lui non ti attaccherà ma neppure ti aiuterà credo. Per questo voglio conoscere le tue intenzioni. Se rifiuterà di aiutarti, te ne andrai senza fare storie?” Seiya si guardò una mano. La chiuse a pugno e la riaprì un paio di volte.

“Sì. Immagino che altrimenti non mi porteresti da lui.”

“Molto bravo! Sei sveglio come dicono. Il Vulcano vive qui da lungo tempo. Rispetta questa terra. Si comporta come uno di noi, ma non è uno di noi.” Mentre Tanò parlava, Seiya notò che la sua figura cambiava. Sembrava drizzarsi e farsi solenne. Gli sembrò che non fosse poi così vecchio come gli era parso il giorno prima.

“Temi che se lo faccio arrabbiare se la prenderà con gli abitanti del villaggio?” Tano sorrise con scherno e tornò quello di prima. Agitò una mano nell’aria.

“No, no. Ti sei fatto un’idea sbagliata. È che il Vulcano è capriccioso come tutti i suoi simili. Un momento fuma allegro e quello dopo borbotta lava e lapilli.”

“Ho capito. Ti prometto che non si arrabbierà.”

“Allora non parlare di Ella.”

“Non dovrei nominare Atena?” Seiya adesso sembrava curioso. “Come faccio a chiedergli aiuto se non posso nominare lei?” Tano si grattò il mento.

“E pure tu hai ragione. Però cerca di passare sopra quello che dice di Ella.”

“Sono famoso per la mia ragionevolezza!” Rise.

“Ecco. Sveglia i tuoi amici. È ora di andare.” Seiya entrò in casa e svegliò Shiryu. Death Mask era già vestito e pronto per uscire.

Ci misero poco a raggiungere Tano che si era incamminato per un sentiero che saliva verso le pendici dell’Etna. 

“Gli hai fatto le raccomandazioni?” Chiese Death Mask al suo maestro.

“Fatte e rifatte. ‘Mo ne faccio una a te. Questi ragazzi fanno bene a fidarsi di te, giusto?” Death Mask lo guardò con un ghigno sulle labbra.

“Giustissimo. È passato molto tempo da quando mi mandasti a dire che disapprovavi il mio comportamento. Ella mi ha perdonato.”

“Ella o chi per Ella.” Tano lo guardò di sottecchi e lo vide perdere il sorriso.

“Non avevo bisogno del suo permesso. L’ho servito bene e fino alla fine. Anche se non ti piaceva. E per la cronaca, rivoltarmi contro l’armatura del Cancro è stata una carognata, maestro. Se quello scontro non fosse avvenuto nella dimensione delle anime non ci saresti riuscito e io avrei ucciso Shiryu.”

“Bella cosa! E pure quella picciotta che pregava.”

“Tutti li avrei ammazzati. Obbedivo agli ordini.”

“Per questo lui non mi piaceva.”

“Ella perdonò anche lui e lui si fece perdonare.”

“Fatti vostri. Comportati bene e avrai sempre l’approvazione del tuo maestro. Tu sei molto potente e io sono fiero di come ti ho cresciuto.” Tra i due uomini cadde il silenzio. 

Camminarono fino ad un edificio bianco circondato da uno steccato. Shiryu si accorse che era sovrastato da una croce.  Un’altra chiesa. Una donna vestita di bianco stava sull’uscio. Sembrava aspettarli. I suoi occhi color nocciola erano profondi e allegri. I suoi capelli erano raccolti sotto una cuffia fatta di un velo bianco e si poteva solo immaginare che fosse castana. Le labbra, invece, erano chiaramente rilassate in un sorriso.

“Nunzio? Nunzio sei tu?” Chiese avvicinandosi piano di qualche passo.

“Agata? Ma tu non sei cresciuta! Sembri ancora la ragazzina di tanti anni fa.” Death Mask la prese in giro per l’esile corporatura ma Seiya si accorse che sembrava felice di vederla.

“Quando sei tornato? Sono tuoi amici?” Chiese sporgendosi e facendo un cenno col capo verso Seiya e Shiryu.

“Sono qui solo per una visita al vecchio Tano. Sono miei amici, sì. Seiya e Shiryu. Li portò a vedere il Vulcano. Ragazzi lei è Agata.” La ragazza parve rabbuiarsi.

“Piacere di conoscervi. Fate attenzione, fuma più del solito stamattina.” Disse indicando il cratere. Tano scoppiò in una fragorosa risata.

“Sempre uguale. Questo scapestrato ti fa preoccupare! Sta’ tranquilla. Li accompagno io!” La ragazza alzò gli occhi al cielo e giunse le mani.

“Signore, aiutami. Tu sei anziano. Non dovresti affaticarti!”

“Ma quando mai! Anzi, muoviamoci che il tempo passa e si fa tardi.” 

“È stato un piacere, Agata.” Disse Shiryu. La donna li accompagnò con lo sguardo fino a che la strada non svoltò dietro il rudere di un altro edificio.

I quattro camminarono per quasi tre ore. Il sole si faceva sempre più alto e caldo e Death Mask si fece insofferente.

“Ma insomma! Hai sempre detto che sapevi la strada. A me sembra che tu non abbia la più pallida idea di dove andare!”

“Sei petulante! La strada è questa. Se non ti piace, torna indietro.”

“L’hai detto mezz’ora fa!”

“E te lo dirò tra mezz’ora.” A quelle parole Shiryu si avvicinò a Seiya.

“Credi che sappia davvero dove andare?”

“Secondo me, sì.”

“Mi sembri troppo fiducioso, il tuo tipico ottimismo.”

“E tu sei il solito pessimista.”

“Obiettivo, sono obiettivo.”

“Vedrai che ci arriveremo. Tano è stato il maestro di Death Mask.”

“Non depone a suo favore!” Seiya sorrise.

“Intendevo dire che è un cavaliere di Atena. Non credo che ci farà brutte sorprese.”

“Come il suo allievo?”

“Shiryu, potrai mai perdonarlo?”

“Per aver attaccato me? Già fatto. Per aver attaccato Shun-rei, mai.”

“Lo capisco.” Shiryu si fermò un attimo come colto alla sprovvista. Lo raggiunse allungando il passo.

“Davvero?” Seiya annuì.

“Non a caso mi chiamano uccisore di dei.” Lo disse senza sorridere e non lo fece neanche Shiryu.

“Non mi piace quel soprannome.”

“Neanche a me. Se però tiene alla larga i nemici da Saori, lo porto con piacere.” L’amico annuì. Stava per dire che ne aveva tutte le ragioni quando Tano scoppiò di nuovo nella sua fragorosa risata.

“Eccola! La porta della fucina! Che vi avevo detto?” Seiya lo raggiunse e guardò verso il punto indicato da Tano.

“É aperta.”

“Certo! La fucina è sempre aperta. Il Vulcano traffica sempre con qualche cosa!” Seiya si apprestò a raggiungere l’uscita ma Tano lo trattenne. “Vado avanti io.”

Bussò e attese. Niente. Bussò ancora, più forte. Niente. Gridò.

“Faisto! Faisto, ci stai?” Nessuno rispose e Tano osò entrare con un piede. Qualcosa di metallico rovinò sonoramente sul pavimento.

“Chi c’é?” La voce rauca proveniva dal fondo della stanza. 

“Tano sono!” Urlò l’uomo dopo essersi schiarito la voce.

“Sono d’abbasso!” Ripetè quello.

“Allora scendo. Visite ci sono.” Annunciò prima di guidare Seiya e gli altri lungo quella che sembrava più una caverna che una stanza e poi giù lungo una scala a chiocciola di diversi metri che li condusse in profondità. Quando raggiunsero il suolo, Seiya si stupì di trovarsi davvero in una fucina. Una specie di cratere pieno di lava riscaldava una stanza unica piena di oggetti di svariati metalli. C’erano coppe d’oro, spade di ferro e scudi d’argento. Armature e piatti, trabiccoli e piccole catapulte. Tutto accatastato alla rinfusa. Il fumo che si alzava dal cratere circolare saliva verso una specie di buco profondo nella parete. L’odore di ferro fuso riempiva l’aria. 

“Chi mi hai portato stamattina? Non ho tempo per le visite. Ci stanno un sacco di cose da riparare e devo ferrare i cavalli di Calogero.” Da dietro una pila di biciclette rotte venne fuori un uomo anziano che si trascinava una gamba poggiandosi ad un bastone di metallo che sembrava pesante.

“Lo so, Faisto, lo so. Te lo ricordi Nunzio?” L’uomo alzò la testa e Seiya si accorse che una profonda cicatrice gli scavava il viso dalla fronte al naso chiudendogli quello che un tempo era l’orbita dell’occhio destro. L’uomo squadrò dal basso verso l’alto Death Mask e poggiò entrambe le mani sul suo bastone. 

“Me lo ricordo. Un guaio vivente. Ti dissi che era meglio per lui se gli davi un colpo d’ascia in testa. Tanto sangue risparmiato.”

“E pure io me lo ricordo. Mi ricordo pure che ti dissi che mia responsabilità era. È così è pure mo. Per questo sto qua.” L’uomo orbo annuì.

“E che vuoi da me, ‘Nzulu?” Death Mask guardò Seiya.

“Io niente. È l’amico mio che ti deve parlare.” Solo allora il vecchio diede l’impressione di accorgersi di Seiya e Shiryu.

“Chi siete voi? Perché venite dentro a casa mia?” Seiya fece un passo in avanti.

“Siamo in cerca di consiglio.” 

“Ah!” Gridò l’orbo. “In cerca di consiglio. Ti ho chiesto chi sei.” E allungò il bastone verso Seiya. Shiryu istintivamente si frappose fra l’oggetto e Seiya. Il vecchio abbassò il bastone. “Cavalieri. Puzzate di cosmo. C’è da capire quale bastardo immortale servite.” Seiya si ricordò delle parole di Tano e poggiò una mano sulla spalla di Shiryu per impedirgli di reagire. Parlò per primo.

“Ella” disse usando il modo in cui Tano l’aveva chiamata fino a quel momento, “ci manda.” Seiya ebbe l’impressione che un lampo avesse attraversato l’unico occhio di Faisto.

“Ma tu non hai detto chi sei, ancora.”

“Il mio nome è Seiya, cavaliere del Sagittario.”

“Sagittario, eh?” Seiya annuì. “Andatevene.”

“Cosa?” Esclamò Shiryu. “Ha idea di quanta strada abbiamo fatto solo per parlarle?”

“Andatevene. Io non sopporto i bugiardi. Non ve l’hanno detto i vostri amici? Gli ultimi che mi hanno mentito sono finiti in una rete di ferro e vergogna*.” Seiya fece un passo in avanti.

“Io non ho mentito. Il mio nome è Seiya. Cavaliere di Pegasus un tempo e ora di Sagitter. Vengo in nome di Atena ma sulle tue tracce mi ha messo un messaggero. Era questo che volevi sentire?”

“Pegaso, eh? Bene, bene. Andatevene.”

“Oh! Ma insomma!” Esclamò di nuovo Shiryu. Stavolta però fu Death Mask a tirarlo indietro per un braccio.

“Non ti intromettere. È una faccenda tra di loro. Non è la nostra partita.” Seiya annuì e Shiryu si fece da parte.

“Ascoltami. Ti chiedo solo di ascoltare quello che ho da dire. Dopo, se non vorrai dire neppure una parola, me ne andrò senza aggiungere altro.” L’orbo sembrò pensarci su un momento.

“Parla. Fa in fretta perché il mio tempo è prezioso.”

“Al grande tempio c’è un oggetto. Mi è stato riferito che l’hai costruito tu. Non funziona bene. Gli manca un pezzo, questo mi hanno detto. E che tu potevi aiutarmi ad aggiustarlo.” Faisto scostò malamente una pentola di rame da una sedia. La pentola cadde a terra facendo un rumore assordante.

“Le cose che costruisco io non si rompono.”

“Questa sì. Con tutto il rispetto.” Il vecchio ci pensò su e si grattò il mento.

“Cos’è?”

“Il meccanismo di Antikyteras.” Faisto scoppiò a ridere.

“Non si chiama affatto così.”

“Non è importante come si chiama ma come funziona.”

“Non sai come funziona, Pegaso?”

“No. Il grande sacerdote lo sa. Lui lo userà per trovare il labirinto di Crono. Il mio compito è impedire che Crono si liberi.”

Il vecchio si alzò. 

“Una faccenda della massima urgenza, a quanto sembra.”

“Lo è.”

“E da me, cosa vuoi? Sono fuori dal giro da molto tempo.”

“Un messaggero mi ha detto che tu puoi darmi il pezzo che manca al meccanismo per trovare ciò che sto cercando.”

“Il messaggero sa quel che dice.”

“Mi aiuterai?”

“No.” Seiya si sedette di fronte a lui e lo guardò dritto negli occhi.

“Perché?”

“Hai promesso che saresti andato via dopo aver raccontato la tua storia. Tanto vale la parola di un uomo?” Seiya scosse il capo.

“Vorrei solo sapere perché un dio mi ha detto di venire qui se sapeva che non avrei trovato alcun aiuto.” Faisto sospirò.

“Non sai che gli dei si divertono con le vite degli uomini?”

“Ho avuto l’impressione che non fosse la mia vita l’unica in gioco. Inoltre stiamo parlando di Ella. La chiamano così da queste parti, no?” Faisto si alzò. 

“Vieni con me. Solo tu.” Disse trascinandosi dietro la pila di biciclette rotte. Seiya si scambiò uno sguardo d’intesa con gli altri e lo seguì. Dietro quei rottami c’era un altra porta. Quando Seiya l’attraversò rimase a bocca aperta. 

La camera era completamente diversa dalla precedente. Tutti gli articoli presenti erano sistemati con cura e puliti. C’erano armi finemente cesellate e scrigni e vasi. Addirittura specchi e baldacchini.

“Sei sorpreso, Pegaso?”

“Si. Sembra di essere in un negozio di antiquariato.”

“Sono oggetti antichi. Ah! Non sederti su quella sedia. La costruì per mia madre molto tempo fa. Non è facile alzarsi dopo averla provata**!” Esclamò ridendo forte.

“Mi aiuterai?”

“Tu non mi piaci. Però lei sì. È venuta al mondo grazie a me, lo sapevi?” Seiya scosse il capo. “Adulta e armata di tutto punto! Avresti dovuto vederla. I suoi occhi scintillanti e quel colore di capelli così particolare! L’ho trovata meravigliosa. L’ho amata subito. Almeno quanto suo padre. Ne eravamo fieri. E lei era indomabile.” Si sedette sul gradino della scala e poggiò il bastone.

“Lo è ancora.” Disse Seiya e il vecchio rise sbuffando.

“È umana.”

“E tu non lo sei?”

“No. Queste sono le sembianze che ho scelto di avere per vivere la mia vita in quest’epoca.”

“Se hai deciso di vivere come un uomo, potresti anche aiutare un uomo a salvare quella creatura creatura meravigliosa che hai amato dal primo giorno che ha calcato questo mondo.” Faisto batté entrambe le mani sulle ginocchia.

“Ebbene. Ciò che hai detto è vero. L’Oroscopio, quello che tu chiami meccanismo di Antikyteras, é difettoso ma non perché rotto. L’Oroscopio è esso stesso un pezzo di una macchina più grande. Entrambi venivano alimentati grazie ad un propellente. In assenza di quel propellente, risultano difettosi e forniscono meno informazioni di quanto dovrebbero.”

“Non sono bravo in questo genere di cose. Dovrai parlare più semplicemente se vorrai che comprenda.”

“Tu sai chi é Crono?”

“Il signore dei Titani.” Faisto si tirò su con l’aiuto del suo bastone. Seiya allungò una mano ma il vecchio fece di no con la testa.

“Crono era il padre di Zeus. Aveva spodestato suo padre ed era stato profetizzato da Ananke che avrebbe subito il medesimo destino. Così decise di divorare i suoi figli appena venivano al mondo. E lo fece. Li divorò tutti fino al giorno in cui Gea, stanca di vedere morire la sua progenie, decise di nascondergli l’ultimo nato, Zeus. Crono e Zeus combatterono un aspra battaglia. Zeus ne uscì vincitore ma non c’era modo di annullare per sempre Crono. Lui rappresentava il tempo e neppure il padre di tutti gli dei può cancellare il tempo stesso, così lo imprigionò. Imprigionò la sua essenza, il suo ichor, in una clessidra che oscilla eternamente nelle profondità del Tartaro. Zeus scoprì ben presto che imbrigliare il tempo stesso aveva conseguenze. La clessidra non oscillava solo scandendo il tempo ma modificando anche lo spazio.”

“Il labirinto del tempo.” Sussurrò Seiya.

“Esatto.  L’Oroscopio fu costruito come una sorta di meccanismo a distanza in grado di stabilire continuamente dove fosse il labirinto di Crono. Funzionava perché conteneva lo stesso ichor. Quello era il suo propellente. Zeus lo affidò a me. Passarono molte ere senza che ci fosse mai bisogno di utilizzarlo e divenne un artefatto dimenticato come tanti altri qui dentro.” Faisto indicò i molti oggetti sugli scaffali.

“Come è finito al grande tempio? Perché non funziona?”

“Tolsi l’ichor dal meccanismo. Mi servi per un’altra invenzione.” Seiya annuì.

“Quindi si può aggiustare. Basta rimetterci l’ichor.” Lo zoppo rise amaramente.

“Parli come se l’ichor di Crono si potesse ricavare dalla terra.”

“Che ne hai fatto di quello che era nell’Oroscopio?” Chiese Seiya un po’ spazientito. Faisto se ne accorse e lo guardò in malo modo.

“Calma, Pegaso. Non sono il tuo sguattero.”

“Perdonami. Il tempo è mio nemico. E non solo perché la prigione in cui Crono è stato rinchiuso rischia di cadere ma soprattutto perché Atena risente di quanto succede. Lui si agita per uscire e Atena si agita per impedirlo. La piega che sta prendendo la cosa non mi piace.”

“Il sigillo di Atena ha impedito a molte creature di devastare la Terra. Stare al grande tempio è come essere seduti su una polveriera.”

“Allora, ti prego, aiutami a proteggerla.” Seiya si accalorò anche se si era ripromesso di non farlo. Faisto tornò a sedersi sul quel gradino.

“Non posso.”

“Perché?” Gridò Seiya. Stavolta Faisto non si arrabbiò.

“Quando dico che non posso è perché non posso. L’ichor non c’è l’ho più. L’ho dato ad un’altra persona.”

“A chi?”

“A Pandora.” Seiya rimase immobile, incredulo.

“Pandora? Cosa c’entra lei?”

“È vero. Tu la conosci.”

“Anche lei è al grande tempio ora. Se ha lei l’ichor, devo tornare lì e farmelo dare.” L’orbo batté il bastone in terra e gli intimò di tacere.

“Irruento come al solito. Non è così semplice. Pandora non sa di averlo. Errore mio, lo ammetto. Consideralo un errore di gioventù. Fatto per vanità.” Seiya abbassò lo sguardo e si chiese se doveva insistere ancora. Fu Faisto a proseguire. “So che Pandora ora vive per sei mesi ad Atene.” 

“Ha sposato un cavaliere e da lui ha avuto un figlio.”

“Buon per lei. Una famiglia era quello che le serviva.”

“Sembri conoscerla bene.” Faisto rise.

“Vorrei ben vedere. E’ mia figlia.” Seiya sgranò gli occhi. “Non te lo aspettavi, eh?”

“No, lo ammetto.”

“Nessuno lo sa. A parte il padre di tutti gli dei.”

“Pandora neppure?” Faisto scosse la testa. “Perché?”

“Se potessi scegliere, preferiresti essere il figlio del signore dell’Olimpo o di quello storpio del suo fabbro?” Seiya stavolta rispose senza esitazione alcuna.

“Preferirei essere il figlio di mio padre e potergli dimostrare la mia gratitudine per avermi messo al mondo.” Faisto si alzò e camminò fino a fronteggiare il cavaliere di Atena.

“Non sei lo spocchioso stupido umano di cui avevo sentito parlare. Pandora crede di essere figlia di Zeus. La verità è che sono stata io a crearla e a darle la vita tramite l’ichor di Crono. Ho mantenuto il segreto sulle sue origini per evitare che corresse dei pericoli. Tuttavia quel sangue le ha procurato molti guai. Non solo l’ha portata a scoperchiare il vaso che Zeus le aveva affidato in cui erano custoditi tutti i mali del mondo ma l’ha portata ad unirsi alle schiere di Hades. Io, suo padre, non ho potuto fare altro che assistere al suo destino di morte e rinascita fino ad oggi.”

“Avresti potuto cambiare il suo destino.”

“Sfidando la collera del re degli inferi?”

“Dicendo a Pandora che aveva una scelta. Che poteva avere una vita diversa se l’avesse voluta.” Faisto guardò il bastone cui si appoggiava e sorrise amaramente.

“Vero. Tu non provi mai paura, piccolo uomo? Tu che hai osato uccidere gli dei?”

“Non ne vado fiero. E la risposta alla domanda è sì. Provo spesso paura.”

“Allora perché sembri inarrestabile e così sicuro di te stesso?”

“Perché quando combatto non lo faccio quasi mai per me stesso. Gli dei che ho ucciso, li ho uccisi per proteggere coloro che avevo il compito di difendere e che amavo.”

“Allora facciamo un patto io e te. Tu proteggi mia figlia e io mi schiererò dalla parte di Atena in questa guerra contro Crono.”

“Pandora è cara al cuore di Ikki e lui è mio amico. Farò tutto ciò che posso per proteggerla.”

“Allora hai il mio permesso di rivelarle la verità sulle sue origini e sull’ichor che scorre nelle sue vene. Saranno sufficienti poche gocce del suo sangue per attivare correttamente l’Oroscopio. Non dirle che io vivo qui. Un giorno, se me la sentirò, andrò io da lei.” Seiya annuì. 

“Sarebbe felice di conoscerti. Lo sarebbe anche Eden, tuo nipote.” Faisto rise poi si girò e raggiunse una pila di oggetti dorati accatastati l’uno sull’altro. 

“Prendi questi.” Disse porgendo a Seiya quattro fermagli d’oro.

“Cosa sono?” Seiya li prese e li osservò. Sembravano uguali ma, a guardarli da vicino, avevano quattro disegni diversi sul dorso dorato.

“Sono armi.”

“Armi?” Chiese curioso.

“Il labirinto di Crono non si trova in questa dimensione. Senza le armi giuste non si può combattere nel tempio del dio del tempo. Quelle armi le feci per Ella. Per quattro divinità che la seguivano in battaglia: Nike, Bia, Kratos e Zelos. Dopo la titanomachia io e Atena abbiamo preso strade diverse. Diverse opinioni su tutto. Così le chiesi indietro le armi che avevo forgiato per le sue kamui. Ora le rendo a te. Come pegno di buona volontà.” 

“Non so come potrei usarle. I cavalieri di Atena non adoperano armi.”

“Tienile lo stesso.”Rispose lui dandogli una pacca sulla spalla.

“Forse è ora di tornare. Grazie Vulcano.” Il vecchio orbo lasciò cadere il bastone e la polvere sollevata dall’oggetto caduto sul  pavimento si alzò a spirale e lo avvolse. Quando ricadde al suolo l’immagine di Faisto era cambiata. Sembrava un uomo maturo nel pieno delle forze. Era ancora zoppo e orbo ma l’occhio che gli rimaneva era brillante di un colore simile all’oro. 

“In questa era io sono Faisto, un fabbro che ripara i carri dei pastori. Nell’era degli dei sono stato Efesto, il creatore. Ho amato e odiato gli uomini. Per tanti motivi. Gli uomini, però, hanno una cosa che gli dei non hanno. La carità. Io ne facevo bisogno. C’è una cosa che però gli dei hanno e gli uomini no. L’immortalità. Per questo per gli uomini, il tempo è prezioso. Per questo Crono ha più potere su di loro. Piccolo uomo, ricorda le mie parole. Il tempo non scorre che in avanti. Qualunque tentativo di adoperare i poteri di Crono, finirà comunque per ritorcersi contro di voi. Il passato non si può cambiare. Per questo le scelte hanno valore. Per questo ogni azione ha le sue conseguenze.”

“Perché mi dici questo?”

“Perché il cuore del labirinto del tempo, il cuore dove Crono giace imprigionato, altera il tempo come voi umani lo comprendete.”

“Atena ripete sempre più spesso che il tempo si è perso. Ha a che fare con questa cosa?” 

“Temo di sì. Ti raccomando, Pegaso, non dimenticare mai il mio monito. E non dimenticare mai che la donna che vuoi proteggere a costo della tua vita è una dea dal cuore e dai nervi di acciaio. Forse tu la vedi fragile ed indifesa, meravigliosa e tenera. Ella però è ferro e fuoco. Suo padre è la folgore e sua madre la giustizia. La sua mente conosce ragioni che il tuo cuore non può immaginare. Io, con una natura non dissimile dalla sua, non l’ho mai capita davvero.”

“Forse bisogna accettarla cosi com’è e basta. L’Atena che conosco e proteggo in parte è umana, non scordarlo.”

“In parte è divina. Non scordarlo neppure tu. Ora va.”

“Addio, per ora, e grazie.”

Seiya lo lasciò nella sua stanza dorata. Risalì le scale fino alla fucina sporca e polverosa dove aveva lasciato i suoi compagni. Quando Shiryu lo vide, fece un passo versi di lui.

“Com’è andata?”

“Direi bene.”

“Hai avuto le tue risposte?” Chiese Tano.

“Le ho avute.”

“Allora andiamo via di qua,” intervenne Death Mask “questo posto non mi fa respirare.”

Lasciarono la fucina del fabbro senza vederlo più. Camminarono in silenzio fino alla chiesetta di Agata. Era chiusa. Death Mask si fermò davanti alla porta mentre Tano continuò a camminare. Seiya e Shiryu lo seguirono per un po’ poi si voltarono a guardare il loro compagno ancora immobile davanti alla porticina della chiesa.

“Non lo aspettiamo?” Chiese Seiya. Tano si voltò. Prima guardò il suo allievo e poi Seiya.

“Ci raggiungerà più tardi.”

“Sta pregando?” Chiese Shiryu e Tano scoppiò a ridere.

“Se anche fosse, la sua preghiera non sarà mai esaudita. Agata si è fatta suora e le suore amano solo il loro Dio.”

Seiya mise una mano sulla spalla di Shiryu e lo spinse avanti. Seiya pensò che le parole di Efesto cominciavano ad assumere senso. Il tempo non torna indietro. Anche per il cavaliere del Cancro perso nei ricordi del suo amore di gioventù.

 

  • Faisto si riferisce al modo in cui punì la sua sposa Afrodite e il suo amante Ares imprigionandoli in una rete invisibile ma indistruttibile e mostrandoli, ancora nudi, alla vista delle altre divinità.
  • * Quello su cui Seiya fa attenzione a non sedersi è il trono su cui fece accomodare Hera sua madre e dal quale la dea non riuscì più ad alzarsi almeno fino a che Zeus non lo costrinse a liberarla.

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Capitolo 23
*** Dall’Etna al Vesuvio ***


Piccole note dell’autrice:
Questo capitolo è leggermente più corto dei precedenti.
Io però l’ho amato dalla prima all’ultima riga.
Spero che vi piaccia.


Dall’Etna al Vesuvio


Tersicore ed Urania avevano assunto nuovamente la forma di lupi da quando avevano lasciato Delo.

Camminavano dietro a Cora. Nonostante Saga ora conoscesse il suo vero nome, non riusciva a chiamarla diversamente. Si stava lasciando condurre verso la loro nuova destinazione. Il traghetto per l’Italia ci aveva messo due giorni a lasciare l’arcipelago nell’Egeo e a seguire la costa meridionale a forma di stivale da Brindisi fino a Napoli.

Appena scesi dal traghetto avevano rischiato di perdersi. La confusione del porto Beverello era molto diversa da quella del Pireo. Gente che strillava di comprare questo o quello e persone che in diverse lingue offrivano un mezzo di trasporto per il centro o la stazione dei treni.

Saga prese per un polso Cora e la trascinò fuori dalla confusione. I due lupi li seguirono.

“Dove andiamo adesso?” Chiese. 

“C’è un posto all’Avvocata, si chiama Baccanale. E lì che dobbiamo andare.”

“E ci fanno entrare i lupi?” Chiese ironizzando sull’aspetto delle due sorelle di Cora. Tersicore, che aveva assunto l’aspetto di un lupo dal pelo fulvo e brillante, guaì. 

“Credimi, in quel posto entra di tutto.” La donna lo precedette di qualche passo e Saga la raggiunse mentre lei riprendeva a parlare. “Reggi bene il vino?”

“Perché me lo chiedi?”

“Perché il prossimo dio con cui potresti parlare potrebbe chiederti di fare conversazione davanti a più di un bicchiere di vino.”

Saga non le rispose. Si limitò a seguirla in silenzio fino a quando arrivarono ai quartieri spagnoli.

Nonostante la loro fama, si dimostrarono luoghi tranquilli e affascinanti da attraversare. Saga aveva letto moltissime cose sull’Italia e la sua storia e, soprattutto quella del regno delle due Sicilie, lo affascinava moltissimo.

Raggiunsero il Baccanale verso le sette di sera. Entrarono da una porta di legno dipinta di blu e si ritrovarono in un locale caldo e accogliente fatto per lo più di legno scuro. Le sedie intorno a tavoli rotondi erano tutte intarsiate con immagini grappoli d’uva e capre mentre lungo la parete c’erano panche rivestite di tappezzeria bordeaux. 

In fondo alla stanza c’era un lungo bancone e la maggior parte degli avventori erano seduti là. Qualcuno rideva e qualcun altro imprecava. Tutti guardavano l’uomo che serviva le bevande.

“Avanti!” Diceva quello con una certa indolenza “Nessuno vuole provare? Chi indovina beve gratis.” L’uomo poggiò la caraffa piena di vino fino all’orlo e guardò i nuovi arrivati. Sorrise maliziosamente a Cora e poi guardò i lupi che si erano accucciati sotto ad un tavolo vicino alla porta.

“Siete i benvenuti! Uomini, donne e lupi!” Esclamò prendendo uno straccio e mettendosi a lucidare alcuni bicchieri.

“Sicuro che possono restare anche loro?” Chiese Saga indicando i lupi.

“Certamente. Io non giudico mai le creature che passano per quella porta dal loro aspetto!” Disse indicando l’ingresso. “Se lo facessi, diventerei povero!”  Cora fece un cenno del capo per ringraziare. “Piuttosto, volete tentare la sorte col mio indovinello? Chi da la risposta corretta, non paga.”

“E chi sbaglia?” Chiese Saga assottigliando lo sguardo.

“Mamma mia quanta diffidenza!” 

“Se non mi preoccupassi più di quanto le persone non dicono rispetto a quanto dicono, sarei morto da tempo.” Rispose Saga e l’uomo dietro al bancone rise. I suoi riccioli scuri come il vino che stava servendo poco prima si mossero.

“Un uomo con tanta razionalità è quello che fa al caso. Si tratta di uno stupido indovinello. Se sbagli dovrai pagare il conto. Un problema solo se sei entrato senza denaro. In quel caso, questo non è il posto che fa per te. Qui dentro ogni cosa ha un prezzo.”

Saga sentì alcuni uomini borbottare. 

“Parla allora, qual è l’enigma?”

“E’ semplice: più ne hai, meno te ne resta.” Saga ci pensò su un attimo poi, mentre gli uomini al bancone continuavano a dare ogni genere di risposta, parlò con decisione.

“Il tempo.” Tutti tacquero. L’uomo prese la brocca e due bicchieri e fece il giro del bancone. Raggiunse il tavolo all’angolo destro della sala e si accomodò.

“Ben fatto, signore, vieni a riscuotere il tuo premio.” Saga non se lo fece ripetere due volte. Si sedette di fronte al suo interlocutore e fece cenno a Cora di fare altrettanto. L’uomo versò loro da bere ma Cora fece cenno di no col capo. L’uomo parve infastidito e Saga si affrettò a spiegare.

“La sua religione glielo impedisce.” L’uomo lo guardò e fece spallucce.

“E la tua? Ti consente di brindare alla mia salute?”

“La mia sì. Alla tua salute. Come devo chiamarti?” L’uomo bevve un bicchiere tutto d’un fiato.

“Come vuoi, qui però mi chiamano Lisio.” Saga bevve tutto il suo bicchiere.

“E’ un vino strepitoso, Lisio.”

“Tu sai lusingare.” Disse Lisio versando altro vino nei loro bicchieri.

“So farlo ma non sono qui per questo.”

“Va bene! Puoi parlare di ogni cosa qui dentro, purché non sia seria. Le cose serie mi tolgono il sorriso.” Lisio posò il bicchiere e stavolta non era vuoto. Cora comprese che si era innervosito.

“Ci manda il mio padrone.” Disse e gli occhi di Lisio parvero farsi pece nera.

“Un padrone che impedisce di bere alle sue ancelle è un cattivo padrone.” Il lupo dal pelo nero, Urania, digrignò i denti.

“Lisio,” disse Saga, “più ne ho, meno me ne resta.” Stavolta Lisio finì il bicchiere.

“Tu sei un uomo senza padrone, vero?” Chiese versandosi ancora da bere.

“Sono schiavo della mia battaglia.” 

“Allora mi fai pena. Dovresti bere fino a dimenticare la tua guerra. Ogni uomo ne combatte una. E’ molto tempo che riempio coppe su coppe. I desideri degli uomini non finiscono mai. Scegliete sempre sfide che non potete superare prima o poi. Per quante vittorie ottenete, sfidate la sorte fino a che non andate incontro alla sconfitta. Stammi a sentire, mi sembri un tipo sveglio, uno di quelli che sanno quando è meglio defilarsi. Il mondo sta andando incontro a grandi sconvolgimenti. Uno con le tue capacità potrebbe trovare un ruolo nella trama di fitti eventi che si sta delineando. Oppure, se proprio sei saggio, puoi fare come me e rintanarti in una bettola per non farti trovare.”

“Nascondermi non è un’opzione. L’ho già fatto ma, a quanto pare, non è il mio destino. Gli dei mi hanno trovato lo stesso.” Disse guardando Cora.

“Oh! E’ così, dunque! E’ sempre una donna. Lo sai che fu una donna a scoperchiare il vaso in cui il padre degli dei aveva rinchiuso tutti i mali del mondo?”

“Ho conosciuto quella donna, non è tanto male.” Rispose Saga e Lisio trangugiò ancora vino, batté il bicchiere sul tavolo e scoppiò a ridere fragorosamente.”

“Sei ammanicato bene, saputello. La sai lunga, vero? Ad ogni modo io non voglio seguire il tuo esempio. Me ne resterò sotterrato nella mia bettola, circondato dai miei vizi, impedendo che sfruttino le mie virtù ad ogni costo. Per cui dite a quello schifoso astro di fuoco e alla mia sorellina integerrima che non voglio entrarci.” Disse agitando una mano di fronte al viso come fosse ubriaco. Cora fece come per dire qualcosa ma Saga le mise una mano sul braccio per fermarla.

“Lisio, sei stato tu a dire che ogni cosa qui dentro ha un prezzo. Scommetto pure il tuo aiuto. Ti assicuro che noi terremo la bocca chiusa se per una volta verrai meno alla tua determinazione di restare fuori dalle vicende divine che stanno succedendosi.” Lo disse tirando fuori l’ampolla di Ambrosia e spingendola con due dita sul tavolo. Gli occhi di Lisio si sciolsero e furono attraversati da un lampo. Per qualche istante non sembrò in grado di distogliere lo sguardo da quell’oggetto poi, fissò quegli occhi stravolti in quelli di Saga.

“Tu sei un demone nascosto sotto al viso di un angelo.” Saga sentì quelle parole lacerargli l’anima ma non ne diede alcun segno. “E quello schifoso dio luminoso sa cosa bramo di più. Se quella è Ambrosia, sono disposto a fare uno scambio. Dite quello che volete mentre mi ubriaco, da sobrio non vi darei ascolto.”

“Una creatura di cui ignoriamo l’identità ha assunto l’identità della mia amica,” disse indicando Cora con un cenno, “e ha portato un pò di scompiglio nel santuario di Atena. Come posso smascherarla?” Lisio bevve un altro bicchiere e si alzò. Tornò dietro al bancone e cercò qualcosa dietro a delle bottiglie di liquore.

Tornò con una bottiglia che aveva una forma arrotondata alla base. La poggiò sul tavolo accanto all’ampolla che conteneva l’ambrosia.

“Ecco qua.” Disse soltanto.

“Che cos’è?” Saga guardò il contenitore di vetro con diffidenza. Conteneva un liquido trasparente che sembrava essere acqua.

“Leggo nei tuoi occhi che non ti fidi. Sbagli. In vino veritas. Non si dice per caso. Io non mento. Mai. Questa è la soluzione al tuo problema.” Concluse indicando con un dito l’oggetto. “E posso aggiungere che se questo fosse il tuo unico problema, pretenderei un prezzo più alto per avertelo risolto. Purtroppo non è così.”

“Che intendi dire?”

“Che non fermerai il tempo. Nessuno può. Il più forte di noi non ci è riuscito. L’immortalità è una condizione. Privilegiata certo, ma non impedisce al tempo di scorrere. E agli eventi di accadere. Ora Lisio ti dirà una cosa che in pochi sanno. Forse solo quello schifoso che vede tutto prima degli altri. Lui bada bene di tenersela per sé. Forse neppure la sua lunatica sorellina lo sa. Io sì però. Io sì perché ho la saggezza di chi tutto lascia andare. La porta per il labirinto del tempo è la medesima per lo scranno più alto dell’Olimpo.” Saga si sporse in avanti.

“Che significa?”

“Quel che ho detto, ho detto. Ora prendi il tuo intruglio e va. Dovrai gettarglielo addosso e qualunque sia la maschera che indossa la tua creatura misteriosa, cadrà rivelando le sue vere spoglie.”

“Non otterrò altro da te, vero Lisio?” Disse facendo tintinnare il suo bicchiere con quello dell’ospite.

“Chi vuole tutta l’uva non ha buon vino.” Saga sorrise e bevve l’ultimo bicchiere. Si alzò e mentre Cora raggiungeva l’uscita, salutò il suo interlocutore.

“Tra tante divinità che ho incontrato, sei quella che mi va più a genio. Grazie.”

“Dicono che l’amicizia stretta dal vino non duri da sera al mattino. A dirlo sono gli astemi. Gli ubriaconi, tra loro, sono ottimi amici. Non dire a nessuno che mi hai trovato.”

“Se non vuoi essere trovato, cambia nome al locale.” Lisio rise di gusto.

“Il bello di voi uomini è che volete avere l’ultima parola anche quando non sapete che dire.”

“Addio.” Saga raggiunse Cora all’esterno.

“E’ giunto il tempo di tornare ad Atene.” Disse lei. Saga alzò gli occhi al cielo.

“E’ così. Speriamo che non sia già troppo tardi.”

“Cosa avrà voluto dire Lisio con quelle parole sulla porta del labirinto del tempo?” Saga le prese una mano e se la infilò sotto al braccio.

“Sei tu, mia cara, quella che interpreta le parole degli dei.” Cora rise ma non ritirò la mano. Si perse nel sorriso che Saga le aveva rivolto pronunciando quelle parole. Era notte ormai ma le stelle su Napoli brillavano per lei più del sole stesso.

 

――――――――――――-

 

Clio camminava nervosamente da un lato all’altro della sta stanza. Anche se aveva ripetuto mille volte a se stessa che non aveva fatto nulla di sbagliato, la sensazione di avere messo in moto una serie di eventi di cui non riusciva a prevedere l’esito e, di conseguenza, di cui non aveva il controllo, la innervosiva. Uscì all’aria aperta e camminò fino alla statua di Atena poi, dandole le spalle, tornò indietro. La voce del grande sacerdote la spaventò.

“Ha bisogno di qualche cosa, dama Clio?”

“Grande sacerdote! Sono inquieta. Ho bisogno di un luogo dove pregare. Non posso farlo qui, nel santuario di Atena.” Mur la guardò mentre si stringeva una mano nell’altra come fosse in pena. Nonostante non ci fosse nulla di strano in quello che diceva, qualcosa in quelle parole non lo convincevano del tutto. Cercò di sembrare comunque accomodante.

“E’ naturale. Ditemi come posso aiutarvi.” La donna parve pensarci su un attimo, poi rispose.

“Un luogo che abbia una sorgente, una fonte, uno specchio d’acqua qualsiasi.” Mur piegò appena la testa di lato poi sorrise.

“Venite con me.” Disse indicandole una specie di scala laterale che scendeva giù a valle. La donna lo seguì senza parlare fino a che giunsero in uno splendido giardino. Clio sorrise inalando il meraviglioso profumo di fiori che si alzava dal terreno. Sollevò lo sguardo e vide due splendidi alberi che troneggiavano nel centro del giardino. Si voltò a guardare Mur come a chiedere spiegazioni su quel piccolo paradiso in terra quando lo vide sollevare un braccio ed indicare un punto più in là. C’era un piccolo lago di acqua pulita e trasparente.

“Potete pregare qui, se lo desiderate.”

“Che luogo è questo?” Chiese ma un’altra voce rispose al posto di quella del grande sacerdote.

“Sono i giardini della mia casa. Il mio luogo di preghiera. Tuttavia se il grande sacerdote lo chiede, voi siete la benvenuta, dama Clio.” L’uomo che aveva parlato lo aveva incontrato solo una volta ma, riconosciutolo, tutto il suo buonumore svanì. Si voltò a guardare Mur ma il grande sacerdote si stava già allontanando. Era stata leggera a fidarsi in quel modo. Il sacerdote di Atena l’aveva portata da Shaka, il cavaliere d’oro che, si diceva, era più spiritualmente vicino alla dea.

“Vorrei restare sola.” Disse solo.

“Vi lascio dunque.” Shaka si voltò e fece per rientrare quando dama Clio lo richiamò.

“Perché non mi guardi cavaliere?” 

“Io vi sto guardando, invero. Con gli occhi della mente.”

“Non vi pare offensivo, cavaliere, non guardare dritto negli occhi il vostro interlocutore e per di più una donna?”

“Atena non si è mai offesa. Ella percepisce i miei pensieri e i miei intenti.”

“Se non si offende Atena, allora non lo farò neppure io.” Concluse lei e Shaka la lasciò. Clio raggiunse il bordo del lago e si sedette sul bordo. Passò una mano sul pelo dell’acqua e la superficie tremò appena.

Il volto di una fanciulla comparve.

“Ti comando.” Disse solo.

“Mia signora, ordinate.” Rispose quella.

“Notizie?”

“Solo una, mia signora. Un messaggio di Apollo. Non vuole una nuova guerra sacra.”

“Questo lo so, sciocca!” Stava per aggiungere altro quando l’immagine sulla superficie del lago prima tremò e poi cambiò. Clio sussultò.

“Cosa c’è mia signora? Ti auguravi di non vedermi più dopo che mi hai costretto ad eliminare due cavalieri d’oro?”

“Zitto! Come fai ad essere lì?” Esclamò la donna riconoscendo l’immagine di Hyperion.

“Sono ovunque tu sei. Porti ancora il frammento dello specchio con te, mia signora.”

“Allora lo getterò!” La figura nel lago rise.

“Fallo! Darai al cavaliere di Virgo un’ottimo pretesto per scatenare i suoi poteri contro di te.”

“Cosa vuoi ora?”

“Quello che vuoi tu, mia signora. La guerra che annienterà Atena.”

“Io voglio la testa dell’uccisore di dei!”

“E l’avrai. Ogni tuo desiderio sarà esaudito. Dovrai fare alcuni sforzi però.”

“Ancora?” La figura nel lago annuì.

“C’è un altro oggetto che devo avere e si dia il caso che è a pochi passi da te, nella casa del Leone.”

“Quando finirò questa stupida caccia al tesoro? Di che diavolo si tratta stavolta?”

“Un dente del leone Nemeo. E’ custodito nella casa del Leone.”

“E come ti aspetti che possa prenderlo? La casa del cavaliere di Phisces era vuota ma di certo non lo sarà quella del Leone e io sono controllata a vista anche se il cavaliere che lo fa, tiene gli occhi chiusi!”

“Farai quello che ci si aspetta da te, mia signora. Farai una profezia. Dirai al cavaliere di Virgo che Apollo ti ha parlato e che devi tornare a Delo. Che il dio richiede un dono.”

“Il dente del leone Nemeo.”

“Appunto.”

“Quindi poi dovrò lasciare il santuario.”

“Credimi, mia signora, quando avrò quell’oggetto, avranno altro a cui pensare.”

“E’ una promessa?”

“Lo è, mia signora.” La donna mosse la mano sul pelo dell’acqua e la superficie tornò trasparente. Lei si alzò e s’incamminò verso la casa di Virgo.

 

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Capitolo 24
*** Ritorno a casa ***


Ritorno a casa
 

Subaru camminava avanti ed indietro sotto lo sguardo confuso di Aria e Niketas. Sospirava e camminava.

“Si può sapere cosa c’è?” Chiese improvvisamente Niketas saltando giù dal letto che gli era stato assegnato. Solo allora il ragazzino parve rendersi conto di non essere il solo nella stanza e fermò il suo incessante andirivieni.

“Dove diavolo è finito Seiya?” Sbottò allargando le braccia.

“Parli del nostro maestro?” Chiese Niketas.

“Maestro? Sarebbe un maestro se ci insegnasse qualcosa! Non si sa neppure dove sia finito!” Aria lasciò la scrivania alla quale si era seduta a leggere e raggiunse i ragazzi. A lei era stata data un’altra stanza ma era curiosa e audace per natura così l’aveva lasciata prima ancora di averne preso possesso ed era tornata dai suoi nuovi compagni di avventura.

“Se parlassi in questo modo al mio maestro, lui mi punirebbe molto severamente.”

“Il tuo maestro ad Asgard?” Chiese Niketas e Aria annuì.

“Il mio maestro è molto severo e molto forte. E’ l’unico in tutta Asgard a padroneggiare sia il gelo che il fuoco. Non ha eguali.”

“Almeno lui ti ha insegnato qualcosa!” Subaru rincarò la dose. “Ve lo dico io, qui si aggira un nemico di Atena molto potente e Seiya è veramente irresponsabile ad andarsene in giro lasciando Atena da sola.”

“Sai Subaru, Atena non è così indifesa! E’ una dea molto potente.” Precisò Aria. Niketas passò con lo sguardo da lei a Subaru e incrociò le braccia. 

“Non lo so. Mi sembra una fanciulla un po’ gracilina. Sono d’accordo con Subaru. Questo Seiya non è molto responsabile.” Subaru annuì. “Forse potremmo provare noi a fare qualcosa. Se davvero c’è un nemico che si aggira da queste parti, potremmo darci da fare noi per stanarlo.”

“Io ci sto!” Esclamò Subaru saltellando sul posto.

“E tu parli di responsabilità? Ti sembra responsabile impicciarti delle cose degli adulti. Soprattutto se il pericolo è grande? Noi non abbiamo armature.” Subaru si affrettò a dire la sua.

“Lo so che non possiamo battere un nemico tanto pericoloso con le sole nostre forze. Niketas ha detto ‘stanarlo’!”

“E pensate che se un nemico pericoloso e potente fosse penetrato nel cuore del santuario di Atena, se ne andrebbe a lasciare indizi su come trovarlo tanto facilmente al punto che un gruppo di allievi potrebbero riuscirci da soli?” 

Un rumore all’esterno fece scattare Aria che era già piuttosto nervosa. Si affrettò a lanciare un colpo congelante verso il colonnato temendo che qualcuno stesse origliando.

“Chi va là!” Gridò la ragazza lanciandosi all’esterno. Niketas e Subaru le furono subito dietro. 

“Che bel caratterino! La prossima volta però assicurati di colpire il tuo nemico.” Aria si rese conto di aver spolverato di brina solo una colonna.”

“Chi sei tu?” Chiese lei, piccata.

“Lui è Eden.” Si affrettò a dire Subaru. “Lui è un cavaliere. Di bronzo però.” Eden non fece una piega.

“Perfetto!” Esclamò Niketas. Eden si soffermò ad ascoltare quel ragazzo che non conosceva e incrociò le braccia sul petto.

“In che modo tutto questo sarebbe perfetto?” Chiese Aria.

“Ti lamentavi che eravamo solo un gruppo di allievi. Eden è un cavaliere. Ci aiuterà lui a scovare il nemico!” A Subaru  s’illuminarono gli occhi. Eden guardò prima Subaru e poi quello sconosciuto che, tuttavia, aveva un’aria familiare.

“Un momento. Non so di che parlate e non intendo interessarmene.” Disse deludendo le aspettative dei ragazzi.

“Buon per te! Non è affare per un cavaliere di bronzo. Venite, ragazzi, andiamo.” Tagliò corto Aria.

“Fermi! Non vi permetterò di combinare guai. Percepisco un potere inquietante in questi giorni al santuario. Non è una faccenda da bambini.” Aria pestò un piede a terra.

“Niketas, quanti anni hai?” Chiese la ragazza con tono di sfida.

“Quattordici. E mezzo. Quasi quindici.”

“Quindici. Io ne compirò quattordici in settembre. Tu quanti ne hai, cavaliere dei miei stivali?” Eden allargò il sorriso in una smorfia.

“Quindici il mese prossimo.”

“Quindi quattordici!” Esclamò lei.

“Tu non sai con chi hai a che fare.” Disse Eden con tono minaccioso. 

“Neanche tu!” Si affrettò a dire lei ma qualcosa nel ragazzo dalla carnagione pallida stava cambiando. Una specie di aura oscura si stava allargando da lui verso i piedi di Aria. Fu allora che Eden se ne accorse. 

Niketas aveva fatto un passo avanti e spinto Aria dietro di sé. Dal suo corpo si sprigionava una specie di luce dorata. Subaru corse in mezzo a loro e quietò i due cosmi che si fronteggiavano.

“Non è il caso di arrabbiarsi. Eden, se tu sei convinto come noi che qualcosa di pericoloso si aggiri tra le case del santuario, perché non collaboriamo?” Eden, che sembrava a disagio, si voltò.

“Io non sono tipo da gioco di squadra.” Fu la voce di Niketas a bloccarlo.

“Aspetta! Siamo stati scortesi con te. Per una volta, non potresti cambiare idea? Giù al porto ho visto un gruppo di ragazzi come noi combattere contro un uomo con un’armatura nera. Sembravano più deboli di lui ma non hanno avuto paura perché erano insieme.” Eden ripensò alle parole che suo padre usò quando lo condusse al santuario la prima volta. Voleva che diventasse uomo avendo dei compagni. Non era andata proprio così. In fondo, erano un gruppo di ragazzi svegli. Perché non provarci?

“In che modo potreste aiutarmi?” Disse più a se stesso che a loro. Niketas e Aria rimasero zitti. Fu Subaru a parlare.

“Perché io so qualcosa che nessuno di voi sa. Se formeremo una squadra, ve la dirò.”

“Io ci sto.” Disse Niketas guardando Aria. Lei sbuffò.

“Va bene. Anche io.” La ragazza guardò in malo modo Eden. 

“Scherzate?” Chiese ma capì subito dallo sguardo furbetto di Subaru che quello faceva sul serio. “Va bene.”

“Evviva! Saremo la squadra di soccorso!” Niketas e Aria risero. Eden alzò gli occhi al cielo.

“Invece di dire scemenze, vuoi dire cosa sai?” Subaru ritornò serio.

“C’è uno specchio magico nella stanza del trono di Atena.”

“Uno specchio magico?” Chiese Aria.

“Quindi continui a dire scemenze.” Intervenne subito Eden.

“Non è una scemenza. Dama Clio lo usa.” A quelle parole Eden parve farsi finalmente serio. Subaru continuò. “Lo usa e parla con qualcuno attraverso lo specchio ma non so chi sia.”

“Perché non l’hai detto ad Atena o al grande sacerdote?” Chiese Eden. Subaru abbassò lo sguardo.

“Se dama Clio sta tramando qualcosa, scoppierà una nuova guerra sacra, non credete? Voglio essere certo delle accuse che faccio.” Eden annuì.

“Questo non è sbagliato.”

“Allora indaghiamo!” Niketas intervenne con l’entusiasmo che, i suoi compagni avevano compreso, gli apparteneva di carattere.

“Dovremo farlo senza dare nell’occhio e se riterremo che ci sono seri indizi, informeremo Atena.” Concluse Aria.

“Ci darai una mano anche se tu vieni da Asgard?” Chiese Niketas. “Il tuo dio è Odino.” 

“Certamente, Odino e Atena sono alleati.” Eden ascoltò quello scambio di opinioni riflettendo. 

Era arrivato fino alla tredicesima casa con l’intento di parlare finalmente con Atena. Avrebbe voluto dirle con sincerità quello che sentiva. Confrontarsi con lei sulla situazione della cicatrice del tempo. Nonostante suo padre gli avesse rinnovato la sua più totale fiducia e spiegato che il Santuario avrebbe di certo fatto fronte ad ogni emergenza in modo egregio, lui sentiva di avere una parte importante da giocare. Qualcosa, nel suo cuore, gli suggeriva che quello che stava accadendo, riguardava anche lui.

Poi era incappato nei discorsi di quei ragazzi. Aveva conosciuto l’allievo di Seiya nell’arena e qualcosa in lui lo aveva scosso. Il suo sguardo limpido e allo stesso tempo fiero non sembrava appartenere ad un ragazzo della sua età. E poi Niketas e Aria. Lui con una sicurezza e un cosmo che non sapeva definire e lei cosi sfacciata, una vera guerriera di Asgard.

Forse, piuttosto che affrontare direttamente Atena, cosa che lo metteva ancora a disagio, poteva cercare di scoprire per conto proprio quale fosse il motivo dietro ai suoi dubbi. La voce di Niketas lo riportò alla realtà.

“Cosa ne pensi?” Eden si scosse e rispose senza esitazione.

“Se saremo cauti e furbi, nessuno farà caso a noi. Gli adulti tendono a sottovalutare i ragazzi. Vi avviso però, non accetterò colpi di testa. Si farà a modo mio. E se io dirò che il pericolo è troppo grande, vi farete da parte e affideremo la cosa a veri cavalieri di Atena.” Niketas annuì.

“Da dove si comincia?”

“Dallo specchio di cui parla Subaru.”

“Allora seguitemi. Vi ci porterò.” 

I ragazzi seguirono il più piccolo lungo uno degli stretti corridoi secondari che conducevano dalle stanze di Atena alla sala del trono. Quando la raggiunsero, era vuota. Subaru li guidò fino ad una parete quasi interamente coperta da un drappo rosso. 

“E’ qui.” Disse scostando appena il pesante tessuto. Uno specchio largo quanto due persone e molto alto comparve davanti ai loro occhi.

“Mi sembra uno specchio normalissimo.” Aria si avvicinò per prima e il suo riflesso riempì la superficie di vetro. Quando però Eden si avvicinò e fu la sua immagine ad essere riflessa nello specchio, i ragazzi sussultarono. Lo specchio rimandava la figura di una persona molto più alta, vestita di nero che impugnava una spada avvolta dalla stessa aura oscura che si era sviluppata dal ragazzo quando aveva discusso con Aria. 

“Che diavolo è quello?” Esclamò Aria portandosi le mani alla bocca per la sorpresa e facendo un passo indietro.

Eden si guardò nello specchio. La figura non si muoveva come lui ma il ragazzo sapeva che era lui. Gli tornò in mente l’incontro avuto tra la casa del Sagittario e quella dello Scorpione e comprese. Non era uno sconosciuto quello che aveva interrogato lungo i gradini. Non era un nemico. Era se stesso. O, meglio ancora, era la precedente incarnazione di Hades. La mano di Aria gli afferrò un braccio.

“Eden! Rispondi! Che cos’è quello?” Il ragazzo si girò a guardarla e stavolta la figura nello specchio fece lo stesso.

“Sono io. La parte del dio Hades che è dentro di me.” Nell’udire quelle parole, Niketas ebbe come un brivido. Parlò di getto.

“Tu sei imparentato con il dio dei morti?”

“In un modo che non saprei spiegare. Se avete paura di me, vi capisco.” Eden non smise di guardare Aria che non sapeva bene cosa dire. Ancora una volta fu Niketas a parlare.

“Non mi fai paura. Sei un cavaliere di Atena, giusto? E abbiamo deciso insieme di fare il possibile per proteggerla. Tu sei un nostro compagno.” Eden sorrise. Se i ragazzi avessero conosciuto suo padre, avrebbero riconosciuto immediatamente la sua espressione tipica su quel viso.

“Avanti, Niketas, specchiati tu. Vediamo se ho ragione e se questo specchio mostra la vera identità delle persone.” Eden allargò un braccio lasciandogli il posto. Niketas fece un passo in avanti ma Subaru lo fermò.

“Non è così. Lui ci vuole confondere.” Disse piano.

“Lui chi?” Chiese Eden.

“Lo specchio!”

“Lo specchio avrebbe una sua volontà?” Chiese NIketas portandosi una mano al mento. Subaru annuì.

“Altrimenti con chi parlava dama Clio?”

“Sei certo di quello che hai visto?” Lo punzecchiò Eden.

“Assolutamente.”

“Magari bisogna pronunciare una formula. Ad Asgard per chiamare il Bifrost bisogna pronunciare un incantesimo.” Intervenne Aria. “Specchio, specchio delle mie brame, chi è la più bella del reame?” Scherzò lei dando le spalle allo specchio. Quando però vide l’espressione dei ragazzi si penti di aver giocato a quel modo. Almeno fino a che si udì come uno stridore e la superficie di vetro tremò appena.

Lei si voltò di scatto e vide una figura che sembrava un fantasma ondeggiare appena. Si affrettò a raggiungere Niketas non appena il fantasma parlò.

“Sei molto bella mia signora, in verità,  ma in questo reame esiste una creatura ancora più bella.”

“Ecco con chi parlava dama Clio!” Esclamò Aria ma la figura nello specchio parlò ancora.

“Clio, la favorita di Apollo è molto bella, in verità, ma in questo reame esiste una creatura ancora più bella.”

“E’ Atena la più bella?” Chiese allora Niketas.

“Atena in terra è molto bella, in verità, ma in questo reame esiste una creatura ancora più bella.” Rispose lo specchio. Subaru cominciò a dare segni d’intemperanza.

“Che c’importa di chi è la più bella! Cos’altro sai fare, stupido specchio?” Strillò.

“Calmati, Subaru.” Esclamò Aria. “Comprendo la tua frustrazione ma almeno adesso sappiamo con chi parlava dama Clio. E’ una buona notizia, no? Non credo che la presenza nello specchio sia una minaccia per Atena.”

“Molto cortese, mia signora. Qualcuno mi ha danneggiato.” Tutti e quattro i ragazzi si voltarono a guardare lo specchio. Si accorsero allora che in alto mancava un angolo. “Fino a che non sarò di nuovo integro, sono corrotto. La via è aperta.”

“Quale via?” Chiese Eden. “Quella per il labirinto di Crono?”

“Ogni via.”

“Chi sei tu?”

“Io sono Numen. Solo un dio può invocarmi dal mondo dello specchio.”

“Quindi non è stata la mia formula a svegliarti!” Disse Aria guardando di sottecchi Eden.

“Rispondo alla volontà degli dei.”

“Quindi non eri tu quello che parlava con dama Clio.” La figura nello specchio tremò in segno di diniego.

“Quando dici che ogni via è aperta, cosa intendi? Chiese di nuovo Eden. “Che è possibile passare per lo specchio?” La figura annui.

“Ma è una cosa terribile!” Esclamò Niketas. “Vuol dire che chiunque può entrare nel santuario.”

“Non chiunque. Solo un dio.”

“Peggio!” Gli rispose il ragazzo.

“Non necessariamente.” Gli fece da contraltare Eden. “Di certo nessun dio si lancerebbe nel cuore del santuario nemico se non seguito dai suoi cavalieri.”

“Ma hai parlato di Crono! I titani sono tutti dei!” Lo corresse Niketas.

“Questo è vero. Numen è aperta anche la via per il luogo dove giacciono i titani?” 

“Esiste una regola che gli dei non possono infrangere. Mai avere a che fare con i titani. Vale anche per me. Finché resto corrotto, la mia volontà non conta però.”

“Torniamo al motivo principale per cui ti abbiamo chiamato. Con chi parlava dama Clio nello specchio?”

“Non con me. Io compaio solo innanzi agli dei.”

“Se troviamo il pezzo che ti manca, la via sarà chiusa?” Chiese Niketas. La figura nello specchio annuì. “Come lo troviamo?”

“Se possedete un artefatto sacro, potrete usarlo per farlo entrare in risonanza con lo specchio.”

“E dove lo prendiamo un artefatto sacro?” Esclamò Niketas allargando le braccia.

“Io so dove trovarne uno,” disse Eden, “ma ci metteremo nei guai. Andiamo a parlarne da un’altra parte.”

Numen fu congedato e i ragazzi tornarono nella loro stanza da dove erano venuti.

 

――――――――――――-

 

Il traghetto che Death Mask aveva prenotato fece due ore di ritardo. Quando giunsero al Pireo, Seiya era sfinito. Sebbene il rapporto tra il cavaliere del Cancro e quello della Bilancia fosse migliorato, non lo era al punto da non causare battibecchi per tutto il tempo della navigazione. 

Seiya non vedeva l’ora di raggiungere Rodorio perché laggiù avrebbe potuto riassumere l’identità del cavaliere di Sagitter e spiccare il volo verso il santuario. Era preoccupato non solo per le condizioni di Saori e la faccenda di Kouga ancora in sospeso, ma anche per come doveva affrontare Pandora alla luce delle rivelazioni di Efesto.

Durante il viaggio aveva spiegato ai suoi compagni quello che aveva scoperto.

“C’è l’avevamo sotto al naso. La fenice farà scintille!” Aveva detto Death Mask senza aggiungere altro sull’argomento. Seiya sapeva che aveva perfettamente ragione. Anche se ci fosse voluta una sola goccia di sangue di Pandora per far funzionare il meccanismo di Antikyteras, per Ikki sarebbe stata una goccia di troppo.

D’altro canto era vero anche che si era appena riconciliato con tutti i suoi vecchi compagni d’arme e doveva solo dimostrare di nutrire in loro la medesima fiducia che loro gli avevano rinnovato solo pochi giorni prima.

Mentre camminavano verso la fermata dell’autobus, affiancò Shiryu.

“Ikki capirà?” L’uomo cui si era rivolto sorrise guardando dritto davanti a sé.

“Se lo domandi, non ne sei convinto.”

“Puoi mai essere certo di qualcosa quando si tratta di Ikki?”

“In effetti no. E’ il bello di Ikki. Stavolta capirà.” Seiya annuì. “Piuttosto, capirà Pandora?”

“Sono sicuro di sì. E’ una donna pratica. Non ho dubbi che reagirà con la stessa determinazione con cui ha fatto in modo di svegliare Hyoga.”

“E’ probabile. Tu stai bene?” Chiese improvvisamente Shiryu e Seiya perse un passo rimanendo appena dietro all’amico.

“Non fate che chiedermelo. Tu, Shun, Hyoga. Persino Ikki si è preso la briga di domandare.”

“Questa non è una risposta.”

“Che vuoi sapere, amico mio? Sto bene. Ho solo tante preoccupazioni.”

“Credevo che ti avessimo spiegato che puoi contare su di noi, che non devi portare il peso delle tue responsabilità da solo.”

“Tu dovresti capirmi. Sai cosa significa indossare un’armatura d’oro.” Shiryu sì rabbuiò.

“Penso di aver abusato troppo della libertà concessami da Atena in passato. E sai perché? Mi sono detto che lo facevo per Shun-Rei, che il mio posto fosse con lei e Ryuho. In effetti la verità è che ogni volta che ho indossato l’armatura di Libra, mi sono sempre sentito oppresso. Una sensazione simile non l’ho mai provata indossando l’armatura del dragone. Ero così fiero la prima volta che mi sono dimostrato degno dell’armatura d’oro. Eppure quando l’ho indossata ho capito che era come se la mia appartenenza ad essa fosse incompatibile con qualsiasi altra cosa in questo mondo.” Seiya non fece in tempo a rispondere. Death Mask che si era appena acceso una sigaretta lo fece per primo.

“Voi due! Cosa pensavate fosse un’armatura d’oro? Perché credete che ci sia una casa per ogni cavaliere? Ogni cavaliere d’oro è un universo a se stante. Siamo quanto di più vicino ad Atena e di quanto più lontano da un uomo comune. Non è qualcosa a cui tutti possono abituarsi. Girarci intorno non serve a niente. Dicono che Atena odi le armi e che per questo noi cavalieri combattiamo a mani nude. La verità è che noi siamo le armi della dea Atena e non ci si rassegna facilmente a vivere da strumenti.” Seiya avrebbe voluto dire che si sbagliava ma l’autobus per Rodorio accese i lampeggianti e non aggiunse altro. Salirono a bordo senza parlare.

L’autobus ci mise poco a raggiungere il villaggio che mostrava ancora i segni del recente terremoto. Eppure, quando scesero dal veicolo, Seiya e gli altri capirono subito che il via vai di gente non dipendeva dai lavori di ricostruzione. Shiryu si avvicinò ad alcuni uomini che parlavano tra loro.

“Che succede?” Il più anziano tra loro rispose.

“Sono scesi i soldati dal santuario. Cercano qualcuno.”

“Chi?” Chiese Death Mask.

“Un cavaliere d’oro.” A quelle parole il cavaliere di Cancer guardò dritto negli occhi Seiya mettendo su un’espressione cattiva.

“E’ capitato qualcosa di brutto.” Sentenziò. Fu allora che Seiya ruppe ogni indugio. Chiuse gli occhi e l’armatura d’oro comparve su di lui e si dispose sul suo corpo. 

“Io vado alla tredicesima casa. Shiryu va a dire a Pandora ed Ikki che ho bisogno di parlargli. Death Mask raggiungimi dopo esserti accertato se Rodorio è al sicuro.

Entrambi i cavalieri annuirono. Seiya spiccò un balzo e le possenti ali di Sagitter lo sollevarono oltre i tetti delle case di Rodorio.

Quando toccò di nuovo il suolo, gettò prima uno sguardo alla statua di Atena poi alle stanze di Saori.

Era certo di aver passato un sacco di tempo negli ultimi quindici anni sotto quel portico di maestose colonne eppure, nonostante quella sensazione gli scaldasse il cuore, non riusciva a riportare in modo chiaro alla mente un solo istante trascorso lì con Saori.

Stava per entrare nel corridoio che conduceva alla sala del trono quando una figura minuta, correndogli incontro, gli finì addosso. Seiya gli mise entrambe le mani sulle spalle e lo allontanò da sé quel poco che serviva per guardarlo in faccia.

Un paio di occhi blu lo guardavano con curiosità. Stava per chiedergli chi fosse, quando la voce di Subaru lo scosse.

“Seiya! Sei tornato!” Seiya lasciò andare il ragazzo e guardò l’allievo che Saori gli aveva assegnato prima che partisse alla volta dell’Italia. Insieme a lui c’erano Eden ed una ragazza che non conosceva.

“Subaru, cosa ci fate voi qui? Non dovreste essere con Hyoga?” Fu Eden a rispondergli per primo.

“E’ colpa mia. Mi hanno convinto a fargli dare un’occhiata alla statua della dea Atena. Li riporto dal maestro Hyoga.”

“Un attimo!” Esclamò il ragazzo che era andato addosso a Seiya. “Atena ci ha dato delle stanze al Santuario. Siamo tuoi allievi, non di Hyoga.”

“Niketas ha ragione.” Aggiunse Subaru. Seiya alzò gli occhi sul viso di Kanon poi tornò a guardare il ragazzo dai capelli rossi.

Qualcosa in lui gli dava un brivido. Seiya non riuscì a spiegarsi quella strana sensazione. Era come se il suo cosmo stesse vibrando sotto la pelle e in genere lo faceva solo in due casi. 

Era in pericolo o troppo vicino a Saori.

Scosse la testa e parlò con fermezza.

“Ora come ora devo vedere Atena e il grande Mur. Più tardi discuteremo di questa cosa.” Disse prima di guardare Aria. “Scusami signorina, faremo le presentazioni un’altra volta. Eden accompagnali e torna alla casa del Sagittario anche tu. Non è la giornata giusta per andarsene in giro da soli.”

Eden annuì e indicò la via per rientrare ai suoi amici.

Seiya, invece, proseguì per la sala del trono. 

Di nuovo il suo cosmo tremò, ma stavolta sapeva esattamente perché. 

Saori era seduta sullo scranno del grande sacerdote con la testa reclinata all’indietro fino a toccare lo schienale. Aveva gli occhi chiusi e le mani mollemente abbandonate sui braccioli.

Pareva stanca. Seiya avanzò lentamente e parlò sottovoce.

“Saori.” Lei aprì gli occhi e raddrizzò il capo.

“Sei tornato.”

“Lo avevo promesso.” Disse fermandosi a pochi passi dagli scalini su cui era issato il trono.

“Mentre non c’eri la cicatrice del tempo ha tremato di nuovo.” Seiya abbassò il capo e strinse un pugno. 

Lei non lo aveva detto con l’intento di farlo sentire in colpa, ma fu così che lui si sentì.

“Vuoi raccontarmi cosa è accaduto?” Lei non rispose. Portò la mano destra sopra il braccio sinistro e lo strinse.

“Ho solo avuto un’altra allucinazione.”

“Stai bene?”

“No, però posso resistere. Dimmi che hai compiuto la tua missione.”

“L’ho fatto.” Rispose lui alzando la testa e trovando il coraggio per guardarla negli occhi. Lei sorrise e lui trovò il coraggio per salire i gradini che li separavano.

“Sono tornato, sono io, sono qui.”

Saori allungò una mano e sfiorò la sua armatura all’altezza del petto. 

“Sì, sei tu.” 

Si alzò e lo fronteggiò.

“Camus è scomparso, Hyoga crede che gli sia capitato qualcosa di orribile. Mur è impegnato a rintracciarlo. La cicatrice del tempo è instabile e io sono sempre più debole.” 

Nell’udire quelle parole, Seiya ruppe ogni indugio, le prese la mano e la tirò a sé.

“Troveremo Camus, troveremo il labirinto di Crono e chiuderemo quella crepa che ci minaccia. Poi torneremo alla nostra vita. Ho appena scoperto che mi hai assegnato un altro allievo. Ne avremo di cose da fare! Risolveremo ogni cosa, come sempre.”

Lei si scostò appena e sollevò il viso.

“Seiya c’è qualcosa che devo dirti.”

“Ti ascolto.”

“Ho intenzione di salire sull’altura delle stelle e restare in meditazione per un po’.” Lui si rabbuiò e la prese per le braccia.

“Perché? Tu servi qui, adesso. Devo raccontarti un sacco di cose del mio viaggio.”

“Non ho detto che lo farò subito, ma devo. E’ importante per me.”

“D’accordo ma ora devi sapere tutto.” Disse sedendosi sull’ultimo scalino e portandola con sé.

“Hai incontrato Efesto?” Seiya annuì.

“Non immaginerai mai cosa ho scoperto.”

“Racconta.” Lo invitò lei.

“Il meccanismo di Antikyteras è in realtà l’Oroscopio, una specie di strumento in grado di stabilire con precisione dove si apriranno gli accessi al labirinto di Crono. Non funziona perché quando gli fu affidato, Efesto lo privò dell’Ichor che glielo consentiva.”

“Ma certo!” Esclamò lei. “Un meccanismo che sia in grado di trovare Crono, deve per forza possedere qualcosa di lui per funzionare e cosa meglio dell’ichor del titano stesso?”

“Esatto, ma la cosa più straordinaria è che l’ichor di Crono è sempre stato qui.”
“Qui?” Chiese Saori sorpresa. 

“Pandora. L’ichor di Crono fu usato da Efesto per dare vita a Pandora. L’ha sempre tenuto segreto, immagino per proteggerla. Le vuole bene come un padre ne vuole ad una figlia, credo.” Disse Seiya e Saori scattò in piedi come fosse stata colpita da un fulmine. “Ti prego, trova tu un modo per dirlo a Ikki, Saori.” Lei si voltò a guardarlo e non seppe nascondere un sorriso.

“Ora capisco perché sei venuto subito da me!”

“Se devo finire nei guai per farti sorridere, ricordami di farlo più spesso.”

“Lo dirò io ad Ikki e Pandora, in cambio di un favore. Aiuta Hyoga a ritrovare Camus. L’ho visto particolarmente angosciato.”

“Lo farò. Vado subito.” Disse alzandosi. Lei lo seguì e lo tirò indietro prendendogli una mano.

“Aspetta,” sussurrò lei, “resta solo un altro momento.” 

Seiya sentì la sua voce tremare e così fece il suo cuore. Sentiva che nel tempo in cui erano stati separati era comunque accaduto qualcosa che l’aveva preoccupata. Tornò sui suoi passi e l’abbracciò.

“Saori, io vorrei dirti tante cose. Mi sembrano tutte importanti e allo stesso tempo inopportune.”

“Allora non dire niente. Mi serve solo un momento.” 

Come se quel disperato bisogno che Saori gli stava manifestando avesse sbloccato qualcosa nella sua mente, nei suoi ricordi confusi, parlo piano stringendola ancora un po’.

“Saori, lo sai.” E lei provò un calore che non aveva più sentito da tanto, tanto tempo.

“Si, lo so. Anche io, Seiya.”

Rimasero così per un momento. Un unico momento di pace prima che il cavaliere di Cancer piombasse nella sala del trono urlando come fosse pazzo.

 

――――――――――――-

 

 

 “Non sono convinta che dovremmo farlo.”

Per la prima volta nella sua vita, Cora esprimeva una sua opinione e ne fu elettrizzata. I lupi che la seguivano, invece, guairono in segno di disapprovazione e lei li guardò con occhi supplici.

Saga poggiò le due borse in terra e mise le mani sui fianchi.

“Abbiamo fatto un lunghissimo viaggio. Prima a Delo e poi a Napoli. Ti ricordo che prima di tutto lo facciamo perché tu recuperi i tuoi ricordi e la tua identità, lo hai scordato?”

Cora scosse il capo guardandosi i piedi, ma non ebbe il coraggio di dire quello che pensava davvero stavolta.

Ora che sapeva di essere una Pizia, di certo non avrebbe potuto condurre quella vita peregrina che aveva fatto fino a quel giorno. Sarebbe dovuta tornare con le sue sorelle sull’isola sacra di Apollo. Di certo, loro l’amavano moltissimo dato che erano state pronte a mutarsi in lupi e a seguirla. Apollo le aveva ordinato di aiutare il cavaliere di Gemini a smascherare colei che aveva preso il suo posto di Voce di Apollo e questo le aveva consentito di seguire quello strano uomo che sembrava avere a cuore il destino di tutti più che del proprio. Quando lo aveva visto combattere i suoi demoni nella foresta, aveva compreso quanto dolore Saga avesse già affrontato e si era commossa nel vedere emergere tutti quei sentimenti d’amore e di senso di colpa che lui covava.

Pensava che le sue colpe lo rendessero indegno d’essere amato e forse Atena, la dea della saggezza e della guerra, poteva davvero pensarla così. Lo aveva forse condannato per sempre allontanandolo dal suo Santuario, privandolo del suo titolo di cavaliere? Cora sentiva montare la rabbia ogni volta che faceva quelle riflessioni.

Probabilmente per questo non voleva andare ad Atene. O più semplicemente, non voleva che il loro viaggio assieme finisse.

“Ma se adesso raggiungessimo il Santuario di Atena, cosa accadrebbe? Non dovremmo prima scoprire cosa sta succedendo?”

“So già cosa sta succedendo, ho già fatto un sopralluogo giorni fa.” 

La collera non faceva parte delle emozioni che Cora conosceva, per cui non seppe dare un nome a quella cosa che le fece arrossare le gote.

“Quindi è lì che sei stato quando ci hai lasciati con tuo fratello!”

“Perché ti arrabbi?” Cora balbettò.

“Io non sono arrabbiata.”

“Sì che lo sei.”

“Affatto.”

“Come vuoi tu ma non ha senso nasconderci ancora. A quanto pare, lei sa che sono vivo. Questo dice mio fratello almeno.”

“Parli di Atena? Saga annuì.

“E c’è in gioco molto più della fine che farò io quando saprà che le ho mentito.”

“Ti punirà?” Saga scoppiò a ridere.

“Niente affatto! Mi perdonerà costringendomi a sentirmi colpevole per il resto dei miei giorni.”

“E non ti rattrista tutto ciò?”

“Mi rattrista pensare che tu non conosca niente altro che la paura della punizione divina, Cora.” Nell’udire quelle parole, lei si voltò, offesa. Saga le si avvicinò e le mise una mano sulla spalla.

“Su, su, non essere risentita. Tu non potrai tornare in possesso dei tuoi poteri se non smaschereremo l’usurpatrice.”

“Non lo fai per me. Lo fai per lei.”

Come fosse stato colpito da una scossa, Saga ritirò la mano.

“Non starò a giustificarmi,” disse lui stringendo un pugno, “è nell’interesse di tutti, diteglielo anche voi.” Concluse guardando i lupi che, approfittando del fatto di essere in aperta campagna ormai lontani dal Pireo, tornarono umane. Tersicore abbracciò sua sorella mentre Urania la ammonì.

“Non possiamo ritardare gli eventi, sorella mia,” disse sollevando lo sguardo al cielo, “se non ci affrettiamo, alcune cose saranno irreversibili. Il cavaliere di Atena ha guadagnato la tua profezia. Vuoi pronunciarla quando sarà inutile?”

Cora sussultò e scosse il capo.

“No, avete ragione. Sono ancora molto confusa. E preoccupata.” Saga si avvicinò di nuovo.

“Preoccupata per cosa?”

“Da quando siamo arrivati in Grecia mi si è posata un’ombra sul cuore. Non saprei dirlo diversamente.”

“Se temi per la tua vita e quella delle tue sorelle, ho già giurato che vi proteggerò.” 

Cora sollevò il viso per guardarlo e i suoi occhi si riempirono di lacrime. Scosse la testa e pianse.

“E’ come se sentissi che qualunque cosa proveremo a fare, non riusciremo a mettere tutte le cose a posto.” Urania stava per dire qualcosa, ma Saga sollevò una mano e la fermò. Fronteggiò Cora e le asciugò una guancia con il dorso dell’altra mano.

“Ricordi cosa mi dicesti il giorno che raggiungemmo Delo in barca riguardo al fatto che è molto triste fare scelte sbagliate? Tu mi dicesti che si può chiedere scusa, provare a rimediare.” Cora annuì e proseguì al suo posto.

“E avere la fortuna di essere perdonati per i propri errori.” Saga sorrise.

“Ora sai che il perdono può mettere a posto le cose. Sei già stata perdonata e ora sei qui con me.” 

Cora gli si gettò tra le braccia.

“Hai ragione,” disse tra i singhiozzi, “la paura di sbagliare è un’emozione nuova per me.”“Ed è una cosa buona. E’ ciò che ci rende umani. Per quanto vogliamo o possiamo assomigliare agli dei, non restiamo umani.”

Saga aspettò che si calmasse e poi riprese i bagagli. Le sue sorelle la presero sottobraccio e quella strana combriccola si incamminò verso Rodorio.

 

――――――――――――-

 

 

“Siamo stati interrotti sul più bello!” Esclamò Subaru. Aria sbuffò.

“Il tuo piano geniale era prendere lo scudo di Atena?” Chiese la ragazza in modo stizzito all’indirizzo di Eden. Il maggiore se ne stava con le braccia incrociate appoggiato alla parete della camera di Niketas e Subaru.

“Non ho detto che lo avremmo preso. L’idea era dargli un’occhiata per il momento. Non a tutti è concesso di usare un’arma sacra. Volevo capire.”

“Leviamocelo dalla testa.” Rispose di nuovo lei. “Sono quasi certa che la punizione per un atto simile sia la morte.”

“Ne sono certo anche io,” disse Subaru, “quindi troviamo un’altro modo per trovare il pezzo mancante dello specchio.”

“Stavo pensando una cosa,” intervenne Niketas che, da quando aveva visto la statua di Atena si sentiva euforico e pieno di energia, “se supponiamo che dama Clio sta parlando con qualcuno nello specchio, perché non proviamo a vedere se il pezzo ce l’ha lei? E’ la prima sospettata, no? In fondo se lo specchio torna integro la via per qualunque maledetto posto sarà chiusa. Lei è un’ancella di Apollo. Apollo è nemico di Atena, mio zio me ne ha parlato varie volte.”

“Tuo zio? Non eri orfano?” Chiese Eden.

“Adottivo, non è davvero mio zio.” Rispose Niketas rattristandosi. Aria si mortificò per quella precisazione e intervenne subito.

“La tua idea è davvero buona.”

“Come no!” Li rimbeccò di nuovo Eden. “Vi lamentate del fatto che osservare una statua è pericoloso e ora vorreste avvicinare quella che pensate rappresenti il nemico?”

“Lei non lo deve sapere. La spieremo.”

“E come pensate di fare?” 

“Io ho un’idea!” Intervenne Subaru.

“Un’altra?” Ironizzò Eden.

“Ci serve l’allieva del maestri Kiki.” Eden si ricordò immediatamente della ragazzina e dei suoi poteri.

“Sai che stavolta potresti avere avuto davvero una buona idea?”

“Visto?”

“Allora muoviamoci, dobbiamo attraversare dodici case e non sarà per niente facile.” Rispose Niketas.

“Evviva! La squadra di soccorso torna in azione!” Esclamò Subaru e Aria rise.

Niketas li guardò ed ebbe l’impressione di aver già vissuto un momento così anche se non con quelle persone. Scacciò quella sensazione e si concentrò sulla situazione. Chissà cosa ne avrebbe pensato suo zio Aspros! Di sicuro lo avrebbe rimproverato. Eppure in cuor suo sentiva che improvvisamente tutti quegli allenamenti e quello studio che gli erano stati imposti per anni, avevano finalmente senso. La donna che lo aveva accolto, l'incarnazione della dea Atena, era la donna che suo zio aveva amato per tutta la vita e lui l'avrebbe difesa. Forse, se ci fosse riuscito, suo zio l'avrebbe ritrovata e sarebbe riuscito ad essere felice con lei.


Note dell'autrice:
Grazie a tutti voi che a distanza di tantissimo tempo continuate a seguire questa storia e ad aspettarla.
Vi amo tantissimo.
Mary

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Capitolo 25
*** Sospetti ***


NdA : Innanzitutto grazie. Grazie infinite per la riaccoglienza.
Ogni volta temo che sia troppo tardi per riprendere la pubblicazione di questa storia e ogni volta mi smentite.
Vi lascio al capitolo e vi aspetto in fondo.



Sospetti


Clio era nervosa. Affrontare Shaka era l’ultima cosa che desiderava fare ma non poteva tirarsi indietro adesso. Non dopo aver fatto sparire ben due cavalieri d’oro nello specchio Numinoso o almeno questo continuava a ripetersi.

Entrò nella casa della Vergine quasi senza respirare e si sentì ridicola per questo.

Sembrava deserta e osò spingersi fino ad un’enorme stanza rettangolare completamente vuota. Si accorse solo dopo essere entrata che il cavaliere di Virgo era seduto sul pavimento a gambe incrociate. Sembrava custodire l’accesso alla stanza successiva.

Tirò un sospiro e camminò fino a che gli fu innanzi.

“Dama Clio, avete tratto giovamento dalla vostra meditazione?”

Quell’uomo era inquietante. Non aveva aperto gli occhi ma aveva ugualmente percepito la sua presenza.

“Sì, molto ed il merito credo vada anche allo splendido luogo che mi avete offerto.”

“Ne sono lieto.”

“Apollo mi ha parlato, cavaliere. E’ giunto per me il tempo di tornare a Delo.” Shaka si alzò.

“Immagino che la somma sacerdotessa di Apollo non possa mancare per troppo tempo dal suo tempio.”

“Esatto.”

“Allora seguitemi, vi condurrò dal grande sacerdote perché possa disporre il necessario per farvi tornare a casa.”

“Bene perché ho da fargli una richiesta.”

“Vi ascolterà.”

“Ne avrei una anche per voi.”

“Fate pure.”

“Prima di andare, mi direste cosa c’è in quella stanza che sembra ben chiusa e protetta?”

Shaka per uhm momento non si mosse poi, con calma, si girò e si avvicinò alle ante finemente decorate. Con una leggera pressione ne aprì una e si spostò di lato per consentire a Dama Clio di passare.

La donna fece un passo in avanti e guardò dentro. In fondo alla parete opposta all’ingresso c’era una enorme statua di Buddha.

“Atena consente questo? Che nel suo tempio si veneri un’altra divinità?”

“E’ solo una statua.”

“Simboleggia pur qualcosa per voi o non la terreste qui.”

“Rappresenta l’illuminazione. La fine del viaggio attraverso ogni mondo.”

“Ogni mondo?” Chiese Clio completamente rapita da quel discorso. Shaka nascose bene la sorpresa per quella esclamazione.

“Il mondo dei Caduti dove le anime vagano in pena, quello degli Spiriti dove si patisce la fame, il mondo delle Bestie ove regna la legge del più forte, quello della Guerra dove si combatte incessantemente, il mondo degli Uomini eternamente in bilico tra bene e male e quello Celeste dove regna la luce.”

“L’illuminazione finale.”

“Corretto. Potete vedere più da vicino se lo desiderate.” Clio quasi cedette alla tentazione ma non si mosse.

Il pavimento era coperto di mosaici bellissimi e terrificanti che rappresentavano i mondo descritti da Shaka e lei pensò che se avesse messo un solo piede sopra uno di quei disegni, il mondo che aveva calpestato l’avrebbe inghiottita.

Si portò le mani al petto e fece un passo indietro.

“Se era una prova di coraggio, l’ho fallita, cavaliere.” Disse voltandosi e avviandosi verso l’altra uscita. “Il grande sacerdote ci riceverà subito?” 

“Lo farà.” Shaka le rispose con prontezza ma il suo cuore titubava. Non era stata una prova di coraggio bensì di astuzia e la donna non l’aveva fallita, bensì superata.

In pochi conoscevano fino in fondo la casa di Shaka e ancor meno conoscevano la Volta di Minosse. 

Nell’udire quelle parole qualcuno avrebbe pensato ad una delle sue tecniche oppure ad un enorme arco come quello che avevano visto negli Inferi. Invece era la porticina di una piccola stanza della casa di Virgo.

Entrare in quella stanza significava attraversare la Volta di Minosse e sottoporsi al giudizio della via della trasmigrazione. Probabilmente se dama Clio fosse caduta nel suo tranello, c’era il rischio di un altro incidente diplomatico tra i due sommi sacerdoti di Atena e Apollo, ma non aveva dimenticato le ultime parole che Camus gli aveva rivolto dopo il consiglio dei dodici. I suoi dubbi sulla presenza di quella donna al santuario, sulla necessità di dare una festa per lei, sul fatto di tenere i sigilli della cicatrice del tempo nascosti, ora urlavano nella sua mente e non era in grado di farli tacere.

Si consolò col fatto che almeno Dama Clio si era convinta a ripartire. 

Ruppe ogni ogni indugio e la seguì. Appena fuori dalla sua casa chiamò con i suoi poteri la piccola Raki e la informò che dovevano raggiungere il grande sacerdote in fretta. Lei li accompagnò volentieri.

Shura li vide materializzarsi davanti ai suoi occhi e li sollevò al cielo. 

Detestava quel modo di arrivare. A che serviva sopportare il fortissimo olezzo delle rose scarlatte di Aphrodite quando nessuno più faceva le scale? 

Shaka intuì il corso dei suoi pensieri e sorrise.

“Se non fosse un’emergenza non avremmo adoperato i doni di Raki.” Shura non si scompose e li guidò fino alla stanza del grande Mur.

Il suo studio era stato preparato per ricevere due ospiti e Clio si chiese come facesse a sapere del loro arrivo.

“Benvenuta, Dama Clio, state meglio?”

“Molto meglio, grazie per averlo chiesto.”

“Avete dunque deciso di ripartire?”

“Sì, ma prima desideravo vedervi per ringraziarvi dell’ospitalità e chiedervi ancora una cosa.” Mur sorrise bonariamente.

“Parlate pure.”

“Potrò apparire sfacciata ma ricordate che parlo per volontà non mia. Apollo ha chiesto un pegno a testimonianza di questa rinnovata alleanza. Desidera un’oggetto che Atena ha spesso portato in battaglia nei tempi antichi come amuleto e segno di forza. Un dente del leone Nemeo.” 

L’espressione di Mur si alterò per un istante. Uno solo che comunque non sfuggì a Shaka.

“Quell’amuleto è andato perduto molte guerre sacre fa, mia signora.” Clio sorrise ma il suo sorriso era niente affatto bonario.

“Credete che Apollo lo avrebbe richiesto se lo sapesse perduto?”

“Laddove Atena fosse in grado di riaverlo, cederlo spetterebbe comunque a lei. Dovrò domandarglielo. Stasera è previsto un consiglio ristretto per il ritorno di Seiya. Lo farò al termine della riunione.”

Shaka si chiese perché mai il grande sacerdote avesse rivelato quell’informazione ad un’estranea ma lo capì quando vide la reazione di Clio.

“Seiya è tornato?” Chiese in modo palesemente interessato.

“Sì. Ovviamente è a rapporto da Atena.”

“Ovviamente,” disse lei con tono piccato alzandosi dalla poltrona in cui si era accomodata, “fatemi sapere cosa riferire al mio signore. Io torno nelle mie stanze.”

“Come desiderate, Shura vi scorterà.” Disse Mur e Clio si accorse che il cavaliere era già fuori dalla porta.

Quando la donna ebbe lasciato la stanza, Shaka parlò.

“Vuoi condividere i tuoi pensieri?” Mur sorrise portando entrambe le mani sullo scrittoio.

“Vuoi sapere perché ho parlato apertamente del ritorno di Seiya davanti a Dama Clio?”

“Anche se i miei occhi sono chiusi, non sono cieco. Ho visto come ha reagito alla notizia del ritorno di Seiya al Santuario.  Una pizia così interessata ad un cavaliere di Atena? A quel cavaliere di Atena?”

“All’uccisore di dei.” Precisò Mur e Shaka annuì continuando.

“Camus aveva ragione a nutrire dei dubbi su di lei.” Il grande sacerdote si rabbuiò immediatamente.

“Camus aveva dubbi sul comportamento di Dama Clio? Questo rende tutto più grave.”

“A che ti riferisci?”

“Shaka, Camus è scomparso. L’armatura dell’Acquario si è palesata innanzi a Hyoga riconoscendolo come suo erede.”

“Quando è accaduto?”

“L’armatura lo ha raggiunto ieri notte. Dobbiamo presumere che gli sia accaduto qualcosa allora.”

“Camus avrebbe agito in un modo simile solo in caso di un pericolo mortale.”
“Ne sono consapevole. Parlerò con Atena tra poco. Nel frattempo, faresti una cosa per me?”
“Sei il grande sacerdote, comanda e io farò ciò che vuoi.”

“Sei stato il primo a percepire una crepa nella cicatrice del tempo. Va’ alla casa del Leone. Il dente d’oro del leone Nemeo è uno dei sigilli, con Aiolia proteggilo a qualunque costo,” disse prima di esitare un attimo e poi proseguire, “te lo chiedo perché so che non te n’è stato affidato un altro.” Shaka annuì.

“L’uomo più vicino ad Atena non era quello più vicino al grande sacerdote a quanto pare.”

“Adesso ci torna comodo.”

“Grazie per le tue parole. Sei gentile come al solito.”

“Un lusso che non mi potrò permettere a lungo se le cose andranno come temo.”

“A tal proposito,” disse Shaka raggiungendo la porta, “ricorda al nostro primo cavaliere la sua promessa. Probabilmente dovrà lanciare il fulmine d’oro prima del previsto e a qualunque costo.”

Mur annuì e lo lasciò andare, ma abbassò il capo sulle carte sparse sullo scrittoio e sospirò.

“Saga, tu cosa avresti fatto adesso?” Lo disse ad alta voce e senza vergognarsi di cedere allo sconforto. Si ricompose e uscì dallo studio per dirigersi alla stanza del trono. 

 

――――――――――――-

 

“Death Mask! Non si usa più farsi annunciare!” Gridò Seiya andando incontro al cavaliere del Cancro e prendendolo per un braccio. Saori fece un passo verso di loro.

“Che succede?”

“Che succede?” Esclamò il nuovo arrivato. “Succede che Aphrodite è scomparso. Scomparso!” Seiya si voltò e guardò Saori con preoccupazione.

“Calmati e racconta.” Disse Seiya lasciandolo andare.

“Non c’è niente da raccontare. Nessuno lo vede da quando siamo partiti. Capite? Dove diavolo è? Gli hai assegnato qualche missione?” Chiese direttamente a Saori. 

Lei non ebbe il tempo di rispondere giacché il grande sacerdote entrò nella stanza facendolo al posto suo.

“Io gli ho dato una missione e tu non dovresti essere qui, cavaliere. Torna alla tua casa e presidiala.”

“Presidiarla? Che diavolo sta succedendo?”

“Questo non è affar tuo. Ora fa’ come ti è stato comandato.”

“Diavolo, almeno dimmi dove hai mandato Aphrodite!”

Death Mask non ebbe neppure il tempo di terminare la frase che la stanza si riempì del cosmo del grande sacerdote. Una polvere scintillante lo avvolse e il cavaliere della terza casa svanì nel nulla. 

Seiya guardò prima Saori e poi il grande Mur. Conosceva bene quella tecnica per averla sperimentata in un paio di occasioni.

“Dove lo hai spedito?” Chiese preoccupato.

“Vuoi seguirlo?” Rispose il grande sacerdote. “Il mio cosmo non è doppio, ma so come spedire nelle loro case due cavalieri.”

Saori si schiarì la voce.

“C’è qualche motivo per tanta severità?”

“Vorrei che ne parlassimo nelle sue stanze private, milady.”

“Sì, va bene. Anche perché devo parlare con Pandora e Ikki e devo farlo al riparo da occhi indiscreti.”

“Devo convocarli?” 

“No, Seiya ha mandato Shiryu.”

Mur s’incamminò e Saori e Seiya lo seguirono.

Quando furono lontani da orecchie e occhi indiscreti, Mur parlò.

“Credo che abbiamo commesso un’errore, Atena, a lasciare che Dama Clio restasse. Io, io ho commesso l’errore di non dare alla sua presenza qui il peso che meritava.”

“Mur, te ne prego, qualunque sia il motivo di questo tuo giudizio, ricorda che io ho voluto che restasse quanto te. Le sono grata per quello che ha fatto per Hyoga.” 

Mur abbassò il capo sulle sue mani unite davanti al corpo e le strinse.

“E adesso il suo maestro è morto e Aphrodite è scomparso.”

“Morto?” Esclamò Seiya. “Lo sappiamo per certo?”

“No. Shaka concorda con me sul fatto che solo nel caso di un pericolo mortale si sarebbe disfatto dell’armatura.”

“Qualunque cosa sia accaduta a Camus,” intervenne Saori, “perché la riconduci a Dama Clio?”

“Camus dubitava di lei. Lo ha rivelato a Shaka.” Stavolta fu Seiya a parlare.

“Lo ha detto anche a me.” Disse stringendo un pugno. “Voleva che agissi e la mandassi via. Gli ho detto di fidarsi del nostro giudizio ma, a quanto pare, deve aver fatto di testa sua.”

“Lo credo anche io,” disse Mur, “e c’è un’altra cosa. Io avevo chiesto ad Aphrodite di tenere d’occhio la sacerdotessa di Apollo. L’ho fatto perché mi sembrava il più adatto all’incarico. Adesso è scomparso. Seiya quando arriva Shiryu, puoi mandarlo alla casa dei Pesci a controllare una cosa per me?”

“Certo, di cosa si tratta.”

“Aphrodite custodiva uno dei sigilli. Quello che io ho ricostruito grazie agli studi di Saga sulla cicatrice del tempo. Se non è più lì, abbiamo un problema.”

“Cosa deve cercare?”

“Un oggetto molto prezioso, un pomo delle Esperidi.” Saori si voltò e raggiunse la finestra sul chiostro. Sentir nominare quell’oggetto le aveva dato una vertigine e volle prendere un respiro d’aria fresca a pieni polmoni. Seiya la seguì con lo sguardo ma continuò a parlare con Mur.

“Chi fa la guardia a Dama Clio adesso? Forse dovrei accertarmi che sia nelle sue stanze. Se è un pericolo per Atena, io devo accertarmi che ne stia alla larga.” Mur gli fu di fronte in due passi.

“Non farlo. Resta con Atena e non avvicinarti per alcun motivo a quella donna.” Seiya lo guardò con un’espressione smarrita, ma Mur proseguì a bassa voce. “Ho motivo di credere che sia più un pericolo per te che per lei.” 

Saori se ne accorse e tornò sui suoi passi.

“Dobbiamo dirle di andarsene.”

“Non ce n’è bisogno. Ha chiesto di andarsene a condizione di avere un pegno per Apollo, un amuleto che Atena portava in battaglia al tempo dell’era degli eroi, il dente del leone Nemeo.”

“Allora diamoglielo e che se ne vada.”

“Non è così semplice. Il dente del leone Nemeo è un altro dei sigilli, appartiene agli altri tre creati da Saga. Ho già mandato Shaka ad avvertire il suo custode.”

“Mi stai dicendo che Aphrodite che custodiva uno dei sigilli ed era sulle tracce di Dama Clio è scomparso, che Camus che non si fidava di lei è scomparso e che, per andarsene, lei ha chiesto un oggetto che guarda caso è un altro dei sigilli?”

Mur annuì.

“Quindi,” proseguì Saori, “avrebbe salvato Hyoga solo per venire qui al Santuario e fare questo?”

“Non posso affermarlo con certezza. Perché Apollo dovrebbe fare in modo che i titani vengano liberati? E’ una follia.”

Fu allora che bussarono alla porta e un ancella chiese il permesso di entrare.

“Mia signora, il cavaliere della Bilancia chiede udienza.”  Mur la raggiunse.

“Vado io. Faccio passare Pandora e Ikki come richiesto?”

“Sì.”

Mur sparì oltre la porta e la chiuse alle sue spalle.

“Saori questa storia non mi piace per niente. Ricordi il messaggero che ho visto sopra l’altura delle stelle? Ha parlato di una guerra antica tra gli dei, più vecchia del mondo stesso. E se ci fosse qualcosa che ancora non sappiamo?”

“Ho i tuoi stessi timori. Ora come ora dobbiamo prendere le decisioni con quello che sappiamo. Per cominciare dobbiamo dire a Pandora del meccanismo di Antikyteras e non possiamo farlo senza spiegare la storia della cicatrice del tempo. Abbiamo bisogno di quell’artefatto.”

Seiya annuì. In cuor suo non aveva scordato il vero motivo per cui aveva cercato di rimettere in funzione quell’oggetto. Prima che iniziasse la battaglia, qualunque essa fosse, doveva fare un tentativo per trovare Kouga.

 

――――――――――――-

 

Raki era tutta intenta nella lettura di un’antica pergamena quando un rumore sospetto le fece aguzzare lo sguardo verso una delle tende del laboratorio di Kiki.

Ripose le carte e, di soppiatto, fece il giro della stanza in modo da tirarle in un solo colpo. Si aspettava di stanare quei birbanti  di Jona e Josa e invece si ritrovò la faccia sfrontata di Subaru davanti agli occhi! Dietro di lui c’erano Eden e altri due ragazzi che non conosceva. 

“Voi cosa ci fate qui?

“Raki, abbiamo bisogno del tuo aiuto.”
“Non sono certa che possiate stare nel laboratorio del maestro Kiki.”

“Non vogliamo stare qui, Raki, vogliamo parlarti di una cosa. Eden lo conosci già, loro sono Niketas e Aria. Sono nostri compagni anche se sono arrivati da poco al santuario.”

“Piacere di conoscervi e benvenuti ma rimane il fatto che non potete stare qui.” Niketas si fece avanti e tese la mano a Raki che la strinse volentieri.

“Piacere di conoscerti, Raki. Subaru dice che tu puoi teletrasportare le persone ovunque vogliano. Devi essere una tipa molto forte tu. Sai che ero sulla piaggia al Pireo quando c’è stato l’attacco di quel cavaliere nero? Ho visto i cavalieri combattere e se tu sei l’apprendista di un cavaliere d’oro, devi essere molto più avanti di noi nelle tecniche di combattimento.” Eden li ascoltò scuotendo la testa e Raki sorrise.

“Non sono quel genere di apprendista. Io sto imparando a riparare le armature.”

“Riparare armature?” Subaru e Niketas lo dissero contemporaneamente. La ragazzina annuì.

“Esatto. Io sto imparando a riparare le armature che sono andate distrutte durante la guerra contro Mars.”

Niketas sentì di nuovo quella sensazione di aver già vissuto un’esperienza simile. Voleva saperne di più ma fu Subaru a fare una domanda per primo.

“E l’armatura di Pegasus? Quella è ancora rotta?” Raki si rabbuiò.

“Quella è andata persa.”

“Come persa? Allora io e Niketas per cosa ci alleneremo?” Raki si affrettò a precisare.

“No, no, non per sempre. Il mio maestro dice che l’armatura di Pegasus è speciale. Segue sempre il suo cavaliere e lo raggiunge nel momento in cui deve proteggere Atena. Lui dice che quando il cavaliere di Pegasus sarà trovato, anche la sua armatura apparirà. Io mi fido del mio maestro.” Aria annuì.

“Hai ragione. Anche il mio mi ha sempre detto che chi si batte con coraggio non verrà mai abbandonato al suo destino. Il nostro dio, Odino, inviò la sua spada per salvare il suo popolo nel momento del bisogno.”

“Siete tutti molto ottimisti,” intervenne Eden, “ma stiamo perdendo tempo. Raki ci porteresti di nascosto nella stanza di dama Clio? Abbiamo il sospetto che sia entrata in possesso di un oggetto molto pericoloso che sta creando scompiglio nel grande tempio.”

“Wow Eden, sei uno che va dritto al punto, vero? Secondo te la sacerdotessa di Apollo ha cattive intenzioni? Io ho seguito quella donna per un po’ su ordine del grande Mur e devo ammettere che non mi sta per niente simpatica. Potrei aiutarvi,  ma vi avviso. Usare il teletrasporto senza il permesso del mio maestro o del suo è un fatto molto grave per cui se finite nei guai io non ne so niente, vi avverto sin d’ora!”

“Allora ci aiuterai?” Chiese Aria entusiasta.

“Lo farò. Volete andare adesso?” 

I quattro ragazzi si guardarono solo un momento negli occhi e poi annuirono. Eden ebbe l’ultima parola.

“Portaci sulla sua balconata in modo da poterci accertare che nella sua stanza non ci sia nessuno.”

“Prendetevi per mano.” Disse lei e in un lampo svanirono.

 

――――――――――――-

 

Ikki era nervoso.

Non era passato molto tempo da quando, con suo fratello e i suoi amici, aveva rinnovato il suo sostegno a Seiya. Aveva appreso che stavolta a minacciare il santuario era Crono e la cosa gli sembrava davvero grossa.

In più, a preoccuparlo, c’erano i sentimenti di Eden. Il figlio aveva avuto ragione sul collegamento dei fatti avvenuti al Pireo e nell’arena. Crono in fondo non era il signore del tempo?

Quando le porte delle stanze personali di Atena si aprirono, c’erano solo Seiya e Saori ad attendere lui e Pandora.

Saori si alzò dal letto e andò loro incontro.

“Benvenuti, accomodatevi.” Ikki si sentì ancora più inquieto.

“Non c’è nessun altro?” Seiya scosse il capo.

“Ci sono delle notizie che è meglio condividere prima tra noi.”

“Sì,” proseguì Pandora, “anche noi abbiamo delle cose da dire e preferisco che rimangano tra noi quattro.”

“Parla pure, Pandora.” Saori la invitò a farlo.

“Ebbene,” disse lei sedendosi su una poltrona e stringendosi una mano nell’altra, “crediamo che la minaccia di Crono sia concreta e già in atto da diverso tempo. Quanto avvenuto al Pireo e nell’arena sono certamente collegati. Crono sta distorcendo il tempo ed è probabile che fatti avvenuti molto tempo fa si stiano sovrapponendo a quelli attuali. Eden percepisce le distorsioni in modo piuttosto vivido.” 

Seiya era rimasto ad ascoltare in piedi vicino alla finestra e il suo sguardo non aveva mai smesso di fissare Ikki che faceva altrettanto appoggiato allo stipite della porta.

Era chiaro che era agitato perché riteneva che la sua famiglia fosse in pericolo. Seiya si disse che quel suo rimanere sulla difensiva era del tutto giustificato. Lui stesso era in pena per Saori e non riusciva quasi più a dissimulare la sua preoccupazione per Kouga. Suo figlio, solo a pensare all’idea di essere padre si sentiva elettrizzato, era là fuori da qualche parte? Stava bene? Era con Saga? Era ancora vivo?

Eppure vedere Ikki in quello stato agitava anche lui. Istintivamente si mosse verso Saori che si era accomodata di fronte a Pandora e le aveva preso una mano.

“Tuo figlio ha ragione. Le ho percepite anche io, in modo quasi doloroso, oserei dire. Non siamo rimasti a guardare comunque. Il grande sacerdote ha scoperto che Saga aveva studiato a lungo la cicatrice del tempo. Non è la prima volta che il santuario si trova a dover affrontare la minaccia dei titani. Ha anche recuperato un artefatto in grado di individuare gli accessi al labirinto di Crono in modo da poterli sigillare.”

“E’ una notizia stupenda!” Esclamò Pandora. “Eden ne sarà felice. Si sentirà sollevato.” 

“Vorrei che aspettassi a parlargliene.” Rispose Saori.

“E perché mai?” La titubanza nella voce di Pandora ebbe il potere di far muovere anche Ikki.

“Vedi, Pandora, il modo per trovare la via che conduce al labirinto di Crono riguarda anche te.”

“Non capisco.”

“Ho già detto che Mur ha recuperato un artefatto. Si tratta del meccanismo di Antikyteras. Quest’oggetto sarebbe in grado di indicare la via ma è incompleto. Per tale motivo Seiya è partito alla volta della Sicilia. Ha cercato e trovato il suo costruttore perché ci rivelasse come farlo funzionare.”

Ikki incrociò le braccia al petto.

“Allora perché non ci racconta lui cos’ha scoperto?” Disse con un ghigno che era non lasciava trasparire nulla di buono.

“Saori è più brava di me in questo genere di cose.” Rispose lui con la stessa espressione sul viso.

I due uomini erano quasi l’uno di fronte all’altro.

“Ikki, calma le fiamme della fenice,” lo riprese Saori, “non c’è motivo di alterarsi.”

“Allora continua.” La esortò Pandora. Saori prese un respiro e parlò.

“Seiya ha trovato Efesto. Lui ha costruito il meccanismo.”
“Il dio Efesto?” Chiese Pandora.

“Lo hai ucciso?” Le fece eco Ikki prendendo in giro Seiya.

“Se lo avesse fatto, avrebbe recato offesa a Pandora.” Intervenne Saori alzandosi e frapponendosi tra lui e Ikki.

“E perché mai?” Chiese la donna.

“Pandora, Efesto ha rivelato a Seiya che l’Oroscopio, è questo il vero nome del meccanismo, è mancante di una parte che gli serve per funzionare. Si tratta dell’Ichor di Crono. Gli ha rivelato che lo usò per donare la vita ad un’altra creatura.”

“Che cos’è questa scemenza?” Ikki adesso era evidentemente alterato. “Tutto questo come ci riguarda?”

Anche Pandora si alzò. Tremava. Lei ci era già arrivata.

“A me?” Chiese titubante. Saori annuì.

“Stronzate!” Urlò Ikki voltandosi verso sua moglie. La donna scosse la testa.

“Per questo nel libro della vita e della morte non c’è un punto di inizio della mia storia. Io non sono una divinità eppure il filo del mio destino è tessuto come quello degli dei. Quindi è Efesto ad avermi dato la vita? Nel mio corpo scorre il sangue di Crono?”

Seiya sentì di dover dire qualcosa.

“Lui voleva proteggerti e non ha mai detto niente a nessuno di questa cosa. E’ stato felice di sapere che hai una famiglia adesso.”

Per un momento nessuno disse niente e fu Pandora a rompere il silenzio.

“Quindi è il mio sangue che farà funzionare l’Oroscopio.” 

“Sì, Pandora.”

“Ho capito.” Annuì lei. “Ve lo darò. Qualsiasi cosa perché questo finisca. Non voglio che Eden continui a sentirsi così torturato.”

“Aspettate un momento!” Adesso Ikki era veramente arrabbiato. “Qui nessuno farà niente. Non crederete che vi lascerò usare Pandora come meglio credete!” La donna lo tirò indietro per un braccio ma lui si divincolò. “Sei mia moglie e non puoi prendere questo genere di decisioni senza consultarti con me!”

Seiya si fece avanti.

“Non fare così, Ikki, non le accadrà niente. Probabilmente ne serviranno poche gocce.” 

Phoenix gli fu addosso e lo tirò per il collo della maglia.

“Perché non chiediamo a Saori di dare qualche goccia del suo per riparare le armature distrutte nella battaglia contro Mars?”

Seiya si dimenò e fece altrettanto. “Quando si tratta della tua donna non sei diplomatico, vero?”

“Ti diverti sempre a fare lo stronzo, Ikki, credi che mi faccia piacere tutto questo?”

Il cosmo di Saori si illuminò di potere e i due uomini si lasciarono a vicenda. Ikki però non aveva finito.

“Non userete Pandora. Io non lo permetterò e se tu,” disse rivolgendosi a Saori, “me lo ordinerai, farò esattamente quello che ho fatto tutte le volte che avete voluto impormi le vostre regole del cazzo. Me ne andrò.”

“Non voglio ordinarti niente, Ikki, e non voglio ordinarlo a Pandora. Dovevo dirvelo. Dovevo dirle che c’è un modo per ripristinare il corso del tempo. La scelta è vostra. Se Crono si libererà, io combatterò. Non voglio che nessuno lo faccia al mio posto. Io sono Atena, spetta a me.”

Ikki non si fece impressionare dal discorso, approfittò di quel momento e prese per una mano Pandora trascinandola con sé fuori dalla stanza.

Saori si lasciò cadere sulla poltrona.

“E’ andata meglio del previsto.” Disse cercando di sorridere ma Seiya corse fuori senza ascoltarla. Raggiunse la coppia e gridò.

“Ikki!” L’uomo si fermò e avvicinò le labbra all’orecchio della moglie.

“Va’ da Eden.”

“Non fare sciocchezze.” Rispose lei allontanandosi.

“Che vuoi ancora?”

“Non lascerò che Crono si liberi dal labirinto.”

“Buon per te.” Fece l’altro voltandosi.

“Hai detto che non hai mai pensato che le tue ragioni valessero più di quelle dei tuoi fratelli, né delle mie!” Ikki si bloccò sul posto.

“Questo non significa che valgano di meno però!”

“Non mi lasci altra scelta.”

“Vuoi combattere contro di me?” Seiya sorrise ma si trattava di un sorriso amaro.

“Se combattessimo ora, tu mi batteresti.” Disse Seiya guardando il pavimento di marmo che rifletteva la sua immagine. 

“Vuoi che ti compatisca?” Lo rimbeccò Ikki. Seiya scosse il capo e si sollevò la maglia.

La cicatrice del colpo inferto da Mars era ancora evidente.

“Non sono più quello di un tempo. Credo che Shun se ne sia accorto per primo. Questa ferita è guarita sul mio corpo ma non nel mio cosmo. Per chiudere la cicatrice del tempo serve il potere del fulmine. Un colpo che è quasi un miracolo. Forse, bruciando al massimo tutto quello che ho, posso lanciarne uno. Più di uno, non lo so, non credo. Devo sapere quando e dove colpire.”

Ikki non aveva mai visto Seiya così serio.

“Lei lo sa?” Chiese riferendosi a Saori. Seiya scosse le spalle.

“Chi può dirlo? E’ Atena. Dovrebbe, ma è sempre più agitata dalle distorsioni temporali, dice che il tempo si è perso. Io non posso aiutarla se non richiudendo la cicatrice del tempo. Prima hai detto che è la mia donna. Cos’altro potrei fare per proteggere colei che amo?”

“Ora lo dici ad alta voce. Sei disperato?”

“Sì, lo sono.”

“Cos’è che non dici?” Seiya sospirò.

“Ti ho detto tutto quello che potevo. Il resto della storia decidila tu.”

Seiya non attese che Ikki lo incalzasse di nuovo. Improvvisamente il dolore dell’assenza di Kouga fu insopportabile. Si girò e tornò da Saori.

 

――――――――――――-

 

La casa del Sagittario era vuota e Kanon lo trovò strano. 

Sapeva che il suo padrone non viveva quasi mai lì, ma si aspettava di trovarci Pandora e Ikki o almeno Eden.

Si guardò intorno e la casa dava l’impressione di essere totalmente vuota.

Raggiunse le stanze private di Seiya e ci entrò chiudendosi la porta alle spalle.

La stanza non aveva niente di personale. Il letto aveva lenzuola candide e sul comodino c’erano solo una foto e un libro.

Gli sembrò strano perché non aveva mai pensato a Seiya come ad un tipo da libri. La foto ritraeva due bambini. Uno era Seiya e l’altra doveva essere sua sorella. Aprì il librò. C’era un braccialetto di fiori a fare da segnalibro e su una pagina c’era una frase scritta con una calligrafia elegante.

‘Seiya devi tornare, devi tornare a questo mondo fantastico e pieno di luce’ diceva e Kanon capì che Seiya lo conservava perché doveva essere quello che Saori gli aveva letto durante i lunghi mesi di coma dopo la battaglia contro Hades.

Diede un’altra occhiata in giro ma niente gli sembrava potesse contenere un coltello.

Uscì dalla stanza di Seiya e si accorse che c’è n’era un’altra che non aveva mai notato ogni volta che aveva chiesto il permesso di attraversare quella casa.

Si avvicinò ed entrò. Era completamente vuota. Su una parete c’era un’iscrizione. 

‘A voi, giovani cavalieri che qui siete giunti, affido Atena.’

Sapeva di chi era. La stanza era impolverata ad eccezione di un solo angolo. Kanon si avvicinò e si rese conto che c’era un pesante anello di metallo che fuoriusciva dal pavimento. Lo sollevò e trovò un sotterraneo.

Mentre scendeva si chiese che diavolo di posto fosse quello. Rise pensando che Saga lo aveva rinchiuso a capo Sounion quando c’era una bella segreta proprio sotto ai loro piedi.

Scese fino ad una stanza con una prigione e un buco di pietra nel pavimento.

Nella celletta c’era solo una lampada ad olio. 

“Ma che razza di posto è questo?” Disse a voce alta.

Stava per risalire quando percepì qualcosa. Entrò in quella claustrofobica celletta e infilò una mano dentro al letto di fieno che fungeva da giaciglio. Quando la ritirò, stringeva un involto.

Riconobbe la stoffa. Era uguale a quella che Seiya indossava intorno al collo quando portava l’armatura del Sagittario.

Sciolse il nodo e la vide. La daga deicida non sembrava né più grande, né più pericolosa di un’arma qualsiasi.

“L’hai nascosta proprio bene, vero Seiya? Non avevi davvero più voglia di rivederla!”

La infilò sotto la sua maglia e fece la strada al contrario. Una volta fuori dalla casa si chiese se dovesse completare subito la sua missione e portare la daga ad Atena oppure aspettare.

Decise di dare fiducia al suo istinto e scese verso la casa di Milo con l’intenzione di tornare alla terza casa. Dovette fermarsi alla casa del Leone. Shaka era là e non voleva che nessuno la attraversasse.

“Io devo comunque scendere.” Cercando di convincere il cavaliere di Virgo.

“Lo farai quando Aiolia avrà deciso che puoi passare.” Gli rispose quello in modo serafico.

“Immagino che queste formalità dipendano da qualcosa in particolare.”

“Ordini del grande sacerdote.” 

Kanon gettò lo sguardo verso Marin che stava addestrando suo figlio.

“Continua a fare progressi il leoncino!” Esclamò all’indirizzo della donna.

“Non abbastanza da stare al passo con me! E io mi sono ritirata.” Precisò lei provocando il figlio.

“L’anno scorso ho quasi vinto il torneo!” Si difese Soma. “Se quest’anno Atena lo avesse permesso, avrei battuto anche Eden!”

“L’anno prossimo!” Lo rassicurò la madre. “Se sarai un buon allievo.”

“Altri ospiti?” La voce che li interruppe apparteneva al padrone di casa.

“Sono solo di passaggio.”

“Allora passa.” Rispose Aiolia distratto.

“Problemi?” Chiese Kanon avvicinandosi.

“Sono nervoso.” Ringhiò lui.

“Tieni le zanne a riposo, ho l’impressione che servirà tirarle fuori presto.” Lo punzecchiò Kanon.

“Se dipendesse da me, l’avrei già fatto. Non sopporto l’idea che qualcuno di noi è in pericolo e noi ce ne stiamo fermi!” Shaka intervenne.

“Ognuno di noi ha un compito. E’ sempre stato così. Mantieni la calma Aiolia.”

“Camus ha contribuito a chiudere la cicatrice del tempo. E ora è scomparso. Come posso stare calmo?”

“Non ho perso la speranza che sia ancora vivo.” Disse Shaka.

“Lo penso anche io. Camus sa sempre quel che fa. Non è il tipo da arrendersi facilmente.”

“Chi di noi lo è?” Chiese Aiolia guardando Marin che aveva ripreso il suo allenamento con Soma. “Ogni volta il prezzo della pace è sempre più alto.”

Kanon non si sentì di dire altro. Aiolia lo accompagnò silenziosamente fino all’altro capo della casa e lo lasciò andare. 

Quando raggiunse la casa di Gemini, il silenzio che vi regnava lo agitò.

Raggiunse la sua stanza ed era vuota. Andò verso quella dei bambini con un’angoscia crescente e aprì la porta di scatto. La figura di Shaina che si voltava per rimproverarlo di aver fatto rumore lo calmò.

“Che ti ha preso? Si sono appena addormentati!” Kanon la raggiunse e la strinse al punto che lei gli chiese se qualcosa non andasse.

“Shaka era nella casa di Aiolia. Erano preoccupati. Hanno messo ansia anche a me.”

“Qui va tutto bene. Lassù? Ho incontrato Death Mask. Seiya è tornato? Sta bene?”

“Non l’ho visto. Credo fosse con Atena. C’è movimento lassù.”

“E tu?” Chiese Shaina. “Tu stai bene?”

“No, ma non voglio parlarne. Possiamo solo baciarci?” Shaina sorrise.

“Possiamo ma prima vorrei sapere che ne hai fatto dei marmocchi.”

“Li ho lasciati ad Atena.”

“Seiya lo sa che ha un’altra rogna?”

“A quest’ora di certo. Magari non si rivelerà una rogna. Magari sarà il prossimo cavaliere di Pegasus.”

Shaina lo lasciò andare e uscì dalla stanza. Kanon la seguì chiudendo la porta della stanza dove dormivano Jona e Josa.

“Tu mi ritieni incapace?”

“Per niente.”

“Quei ragazzini non emanano il cosmo delle tredici stelle. Quel cosmo lo conosco bene.”

“Magari Niketas ha bisogno di liberare la sua vera forza. Mi sembra dotato.” Shaina incrociò le braccia davanti al petto e lo guardò di sbieco.

“L’armatura è andata persa. Per cosa si addestreranno?”

“Io sono stato Gemini anche senza l’armatura, te lo assicuro.” Rispose lui, un po’ seccato.

“Scusami, non intendevo questo. E’ che mi sembrano dei ragazzini.”
“Sono dei ragazzini. Non lo eri anche tu quando hai cominciato?”
“Mi stai dando della vecchia?” Lui la fronteggiò e si chinò su di lei per baciarla.

“Sei una vecchia bellissima!”

“Stupido.” Sussurrò lei rispondendo al bacio.

“Innamorato. Questa è la definizione giusta.”

“Sì, lo è.” Disse lei chiudendogli la bocca con un altro bacio.




Piccole note:
Eccoci qui. Alla fine Ikki è esploso. Mi sono divertita a scrivere del suo scontro con Seiya.
Chi ha letto "Il destino di una vita intera" sa che non è la prima volta che scrivo della dicotomia del rapporto Pandora/Ikki e Saori/Seiya e di come la prima coppia viva tanto apertamente la loro relazione quanto non possa farlo la seconda.
Stavolta mi andava di calcare un po' la mano. Ho esagerato?
Vi aspetto alla prossima.
Mary

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Capitolo 26
*** Agire da cavaliere ***


 

Agire da cavaliere

Non era quello che aveva sperato di riferire, ma Shiryu tornò da Mur con le informazioni che gli erano state richieste.

“La casa è vuota. Non ci sono segni di lotta all’interno ma la campana di vetro che conteneva il pomo è in frantumi e il sigillo è scomparso.”

“Capisco.” Disse Mur seduto sul trono di Atena.

“Posso fare altro?”

“Forse sì, Shiryu. Ho bisogno di una rete di sicurezza nel caso che altri sigilli vengano compromessi.”
“Farò ciò che posso.”

“Esiste un oggetto che è in grado di curare ogni ferita. Si tratta dell’antico Vello d’oro. Avrei voluto mandare Kiki, ma lui è impegnato a riparare alcune armature tra cui quella d’oro di Gemini e non posso affidargli un altro incarico gravoso.”
“Lo so, mio figlio Ryuho mi ha detto che di recente ha riavuto l’armatura del dragone. Come può un oggetto simile essere d’aiuto in un simile momento?” Mur si alzò e scese i gradini che lo separavano da Shiryu.

“Hai seguito Seiya in Sicilia, vero?” Il cavaliere di Libra capì subito dove volesse arrivare Mur. “Se i sigilli cadono, Seiya dovrà combattere e temo che la ferita che ha riportato contro Mars sia ancora aperta in qualche modo.”

“Non c’è bisogno di aggiungere altro.”
“Io devo. Il Vello fu oggetto di un patto tra Atena e Nettuno. Per suggellare la fine di una delle molteplici guerre sacre, Atena donò a Nettuno il Vello che portava in spalla e Nettuno per non essere da meno, le consegnò il gioiello a forma di ancora che ornava il suo scettro.” Shiryu si incupì. Mur sfilò un involto da una tasca della tunica sacerdotale e mostrò al cavaliere la piccola ancora di adamantio.

“Dovrei proporgli uno scambio?”

“Esatto. Bada bene, Nettuno non ha motivi per tenere il Vello mentre avrebbe piacere a tornare in possesso dell’Ancora. Restituirebbe al suo scettro la capacità di richiamare le creature del mare. Se però ti dovesse chiedere a cosa serve il Vello, tu non rivelargli la vera ragione. Non sono certo che l’odio di Julian Solo per Seiya sia scemato del tutto. Ha risvegliato il Kraken per uccidere Seiya.”
“Non l’aveva fatto per uccidere Mars?”

“Non gli ho mai creduto fino in fondo.”

“Vorrà conoscere la ragione di una richiesta simile fatta all’improvviso.”
“E tu digli che Atena non ha perso la speranza di risvegliare Hyoga. Dubito che la notizia del suo risveglio sia arrivata ad Atlantide.”

“Va bene.” Disse Shiryu. “Partirò oggi stesso.”

“Non da solo. Vorrei mandare Kanon con te, ma non posso privare il tempio di due cavalieri d’oro. Ti accompagnerà il nuovo cavaliere dell’Altare.” Mur fece un cenno e Shiryu sussultò. 

Davanti a lui, nella rinnovata armatura dell’Altare, si palesò Genbu. Shiryu lo riconobbe subito.

Si ricordò dell’ultima volta che si erano visti, del modo in cui il suo vecchio compagno di addestramento lo aveva attaccato e di come si erano lasciati indietro tutto il dolore degli anni dell’adolescenza. Quando lui gli aveva chiesto di restare a Goro-Ho, Genbu gli aveva detto che pensava di non aver mai completato l’addestramento e che doveva farlo lontano dai luoghi che l’avevano visto fallire. Era diventato un cavaliere d’argento? 

Genbu gli sorrise.

“Non fare la faccia di quello che non riesce a credere ai suoi occhi. Non è un’armatura d’oro!” 

“E’ bello rivederti.”

“Lo è anche per me.”

Mur mise le mani sulle loro spalle.

“Partite subito e tornate prima che potete. Ho l’impressione che presto avrò bisogno di tutti i cavalieri al servizio di Atena.”

I due uomini annuirono e uscirono.

Il grande sacerdote sospirò. Pensare a Saga gli aveva fatto venire l’idea di un piano di riserva. Lasciò anche lui la sala del trono e raggiunse Shura ancora fermo fuori dalla porta di Dama Clio. Il cavaliere del Capricorno lo salutò con un cenno del capo.

“E’ ancora nelle sue stanze?”

“Sì.”

“Ha chiesto qualcos’altro?”
“No.”

“Non riesco a decidere se è una buona notizia.” Shura ghignò.

“Ho l’impressione che se resto qui fuori, non metterà neanche il naso nel corridoio.”

“Ci conto. E conto anche su un’altra cosa. Se Seiya ti chiedesse di parlarle, tu non farlo entrare. Non fare domande.”

“Non ne faccio mai.”

Mur gli sorrise e lo lasciò al suo lavoro. Fu tentato di tornare da Saori per chiederle come fosse andata la chiacchierata con Pandora ma rinunciò.

Tornò nel suo studio e scoprì che Kiki era là.

“Che sorpresa, Kiki, va tutto bene?” Il ragazzo annuì e lui gli indicò la sedia. Kiki si accomodò. “Vuoi del tea?”

“Sì, mi farebbe piacere berne una tazza.” Mur prese la teiera e ne versò due. Ne porse una al suo ragazzo. Nel suo cuore, Mur lo chiamava ancora così. Kiki se la portò alle labbra e sorrise.

“Me lo preparavi tutte le sere.”

“Adesso sorridi, ma quando eri piccolo non lo volevi bere.”

“Non me lo ricordo.” Si lagnò lui grattandosi il naso.

“Non che tu abbia bisogno di un motivo per venire a trovarmi, ma ce n’è uno? E’ tardi.” Kiki lasciò la tazza e si fece serio.

“Sto riparando molte armature ma nelle ultime due settimane mi sono dedicato solo a quella di Gemini.”

“Hai dei problemi?” Kiki scosse la testa.

“Niente affatto. E’ faticoso ma procede bene.”
“Se hai bisogno di aiuto, chiedi. Non puoi sostenere il carico di tutte le riparazioni da solo. Raki è troppo piccola.”

“Ti ringrazio, ma non è per questo che sono qui.”
“E perché allora?”

“Ricordi l’armatura di Pegasus?” Mur annuì. “La portammo alla prima casa insieme a tutte le altre. Era poco danneggiata.”

“Lo ricordo. E ricordo anche che quando ti ho chiesto di ripararla per prima per poterla consegnare ad Atena che chiedeva di nominare un nuovo cavaliere, mi hai detto che era scomparsa. Ti ho sollevato da ogni responsabilità per questo. Le armature hanno un’anima. Quella del Sagittario è stata lontana molto tempo dal Santuario.”

“E’ ricomparsa.” 

“Cosa?”

“L’ho trovata accanto a quella di Gemini questa mattina.”

“Non so davvero come interpretare questa cosa. Se l’armatura giunge in un momento di particolare difficoltà, non sono lieto che sia tornata.”

“E se fosse riapparsa perché è comparso il nuovo cavaliere di Pegasus?” Mur annuì.

“Comprendo quello che dici. Di recente abbiamo accolto due nuovi allievi. Sono stati affidati a Seiya.”

“Appena completata l’armatura di Gemini, passerò a quella di Pegasus. Se non scompare daccapo.” Disse Kiki alzandosi. “Grazie per il tea.”

“Grazie a te per le notizie. Salutami la piccola Raki.”
“Lo farò. Riposati, mi sembri stanco, fratellone.”

“Sto bene. Buonanotte, Kiki.”

Mur lo lasciò andare e raggiunse la balconata. L’aria fresca della notte era piacevole. Le fiamme delle torce illuminavano le case dello zodiaco. Tutto sembrava tranquillo. Rientrò e chiuse le tende. Scese nella sala del trono e si sedette sullo scranno della dea.

Non poteva dare retta al suo fratellino. Non era tempo di riposare, era tempo di vegliare. Rimase così, fermo sul trono, lo sguardo puntato sulla porta. Nessuna minaccia avrebbe sorpreso il grande sacerdote di Atena. Lo doveva a Shion che lo aveva cresciuto e addestrato e a Saga che l’aveva creduto capace di affrontare ogni pericolo.

Così cominciava la veglia del grande Mur.

 

 

――――――――――――-

 

 

“Non se ne parla!” Le parole di Ikki rimbombarono ancora più forte nel silenzio della nona casa.

“Calmati e parliamone invece. Non dovremmo liquidare la questione così. Non può essere la rabbia a guidarci in questo momento. Cosa è successo con Seiya? Vi siete scontrati?” Chiese Pandora simulando per suo marito tutta la calma che non aveva.

“Se ci fossimo scontrati, ora Atena dovrebbe seppellire un altro cavaliere d’oro.” Sua moglie lo guardò con biasimo.

“Non devi dirlo neppure per scherzo. Ora la tua unica preoccupazione dovrebbe essere Eden.”

“E credi che Eden sarebbe d’accordo con l’idea di mettere a rischio la tua vita?”

“Stai esagerando.”

“No, per una volta non lo sto facendo.”

“Invece sì, lo stai facendo. Non sappiamo come funziona il meccanismo. Potrebbe avere ragione Seiya e magari basta solo una goccia del mio sangue per fare funzionare l’Oroscopio.”

“Oppure no. Magari si deve restituire tutto l’Ichor di Crono a quel maledetto aggeggio.”

“Perché ti comporti deliberatamente da sciocco?” Ikki sospirò e andò a sedersi su un gradino all’ingresso della nona casa. Pandora lo seguì e lo imitò. Gli mise una mano sulla spalla e lo costrinse a guardarla negli occhi. “Aldilà delle tue lecite preoccupazioni, mi vuoi dire cosa ti turba?”

“Non ho mai visto Seiya così serio.”
“Questo ti dovrebbe rendere più bendisposto ad aiutare lui e Saori.”
“Invece mi preoccupa. E’ quello che si è gettato sempre a capofitto in ogni battaglia e ora tentenna. Non dice tutta la verità.”

“Va bene, voglio seguirti in questo tuo ragionamento. Che dovremmo fare? Negargli il nostro aiuto? Vuoi abbandonare Atena?”

Ikki scattò di nuovo e si alzò.

“Non posso. Io sono il cavaliere della Fenice prima di essere qualsiasi altra cosa. Ho fatto tanti errori in vita mia. Non posso rinnegare la mia identità, ma adesso ho una moglie, un figlio e non credere neanche un momento che non sarei disposto a rinunciare ad ogni cosa per salvare la mia famiglia. Atena può disporre della mia vita come crede ma non della tua, né tantomeno di quella di Eden.”

“Non l’ha chiesto. Io mi sto offrendo. In fondo io ho ancora un debito con Saori.” Ikki la guardò come non capisse di cosa stesse parlando. Lei gli carezzò il viso con una mano.

“Fu Hades, nel suo vero corpo a trafiggere Seiya.” Pandora abbassò lo sguardo e lui si risedette. La donna riprese. “C’è una cosa che non ti ho mai detto. Quando tornammo, quando lei riportò tutti in questo mondo e mi concesse di vivere come una donna sulla Terra, io non la ringraziai. Ero terrorizzata da tutto quello che era accaduto. Per la prima volta da secoli, ero di nuovo io. Solo Pandora. In un corpo mortale che non era più legato al ciclo eterno della morte e rinascita. Solo il tuo amore mi consentiva di vivere. E cos’era la mia vita? Incubi di notte e silenzi di giorno. Mesi interi in cui ero lucida solo tra le tue braccia. Poi accadde un miracolo. Ebbi una visione del futuro, della nascita di Eden. Fu il momento in cui tutto cambiò e accettai di essere solo Pandora, solo la donna che tu amavi, quella che un giorno ti avrebbe dato un figlio. Non potevo senza chiudere i conti con lei.”

“Tu sei stata a trovare Saori?” Pandora annuì.

“All’epoca viveva a Skyros. Si prendeva cura di Seiya che pativa ancora la maledizione della spada di Hades.”

“Perché non me lo hai mai detto?”

“Perché quello che vidi quel giorno, mi segnò profondamente.”
“Vuoi parlarmene ora?”

“Tu sei convinto che Seiya nasconda qualcosa. Dovresti sapere cosa nasconde Saori.”

“E cosa nasconde?” Chiese Ikki preoccupato.

“Nasconde se stessa. Quel giorno io l’ho vista. Seduta accanto alla sedia a rotelle in cui riposava Seiya. Leggeva un libro. Avresti dovuto sentire la sua voce. Per lei, Seiya era là, certamente la stava ascoltando anche se i suoi occhi erano vuoti, l’anima assente. Mi straziò il cuore. Quel giorno la pregai di perdonarmi per il male che avevo portato, ancora una volta, nel mondo. Sai cosa mi disse? Che ognuno di noi aveva avuto un’altra possibilità e dovevamo fare in modo di onorarla. Tu rimproveri Seiya di pensare solo a Saori. Seiya però si è battuto contro Mars da solo, ha protetto anche Eden. Dobbiamo aiutarli e questa volta non perché lei è Atena e tu sei un suo cavaliere. Dobbiamo farlo perché sono nostri amici. Seiya e Saori sono nostri amici.”

Ikki si sentì stringere il cuore, si alzò e l’abbracciò.

“Hai ragione, amore mio. A volte pensare di proteggere il mondo ci fa dimenticare che dobbiamo proteggere coloro che amiamo.”

“Mi farai tentare?”

“Lo faremo insieme.”

“Ti amo, Ikki.”

“Devo parlare con Seiya. Devo chiarirmi con lui.”
“Lo farai domattina. Andiamo a letto. Vuoi?” Ikki sorrise.

“Sì, lasciami solo controllare Eden.”

“Non adesso. Adesso, resta con me. Il cosmo di Eden è tranquillo.”

Ikki non se lo fece ripetere e seguì sua moglie in camera da letto. Il tempo si stava rivelando più prezioso di quanto pensasse e lui non voleva perdere nemmeno un istante da vivere con Pandora.

 

 

――――――――――――-

 

 

Raki li aveva accontentati. Li aveva portati, all’istante, sulla lunga e silenziosa balconata che dava nelle stanze di Dama Clio. I ragazzi si guardarono contenti ma un po’ interdetti. Era buio e questo li aiutava a passare inosservati, ma l’ora tarda li faceva anche propendere per l’idea che la donna fosse nella stanza.

“Forse dovremmo ritornare qui domattina.” Ipotizzo Raki. Non lo disse perché era preoccupata di essere scoperta ma perché voleva davvero che l’operazione avesse successo. Eden scosse il capo.

“No. Dobbiamo venirne a capo adesso altrimenti, una via aperta che conduce dritta nel cuore del santuario non può aspettare domattina. Se non scopriamo niente, dobbiamo parlarne con gli adulti. Ricordate la promessa?” Subaru annuì.

“Posso provare ad entrare io,” intervenne Niketas, “sono bravo ad intrufolarmi. Inoltre se mi becca, non sa chi sono dato che sono appena arrivato.”

“Molto nobile, ma non servirà. Se lei è dentro, non potrai comunque cercare niente. Ascoltate me,” disse Aria, “ora io entro fingendo che stia cercando Atena e la distraggo. Nel frattempo voi cercate dentro.”

“Questo mi sembra peggio,” asserì fermamente Eden, “lo faccio io. La distraggo io.”

“Niente affatto. Tu desteresti sospetti. Io sono straniera perciò è plausibile che mi perda qui intorno. Ci cascherà.” 

Aria lo disse con estrema sicurezza e i ragazzi si arresero. 

“Ok, facciamolo.” Esclamò Subaru e Aria si preparò alla sua recita.

Provò a scostare un poco le tende e sentì la donna che canticchiava all’interno.

“Atena, posso entrare?” Chiese a voce alta. Il canto si interruppe e la donna si palesò. Aveva i capelli sciolti e una spazzola in mano. Aria la guardò simulando sorpresa.

“Mia signora, perdonatemi, credevo che fossero le stanze di Atena. Mi ha detto che le sue stanze erano dopo la colonna con i fregi a forma di vite ma queste colonne mi sembrano tutte uguali!” Disse per giustificarsi. “Poi ho sentito cantare e una voce così divina, mi ha tratta in inganno.” Dama Clio sorrise.

“Capisco, mia cara. Tu chi saresti? Non ti ho mai vista prima d’ora. Sei un’orfanella anche tu?”

“No, mia signora, io vengo da Asgaard, il mio nome è Aria.”

“E come mai sei qui?”

“Visita di cortesia. La mia regina mi ha mandata a porgere omaggi. Mi sembrava un bel viaggio ma si sta rivelando un incubo. Vorrei tanto tornare a casa mia.”

“Oh, povera cara!” Si affrettò a dire Clio, lasciando la spazzola e prendendo le mani di Aria tra le sue. “Ti capisco, sai. Anche io sono straniera. Questo posto è così, così triste. Da dove vengo io, l’aria è dolce e profumata. Il mare scroscia dolcemente sul bagnasciuga e gli uccelli intonano sinfonie al cielo azzurro. Ogni cosa celebra la vita. Questo santuario è sciatto.”

“Beh, Atena è la dea della guerra.” Provò ad accennare Aria. Clio le lasciò andare le mani.

“Non vi insegnano niente al nord? Marte è il dio della guerra.”

“Rimane il fatto che Atena è una guerriera, non credo abbia gusto per l’arredamento.” Clio rise.

“Sei simpatica, Aria. Voglio darti un consiglio. Torna a casa. Persino i ghiacci eterni possono essere considerati migliori di questo posto.”

“Apollo odia così tanto Atena?” La donna si voltò gettandosi i capelli dietro alle spalle.

“Odiarla? Non credo che perda il suo tempo così. Atena ha scelto di voltare le spalle ai suoi fratelli e sorelle. Ha preferito un uomo.”

“Ha preferito l’umanità.” Rispose Aria prontamente e stavolta Clio si voltò a fissarla negli occhi. Non sembrava più la ragazzina smarrita che aveva scambiato la sua stanza per quella di Atena e infilò una mano in tasca per toccare il frammento dello specchio Numinoso.

“Ha preferito un uomo solo: Seiya.”

“Seiya combatte per lei. L’ha salvata perché salvare lei significa salvare coloro che lei protegge.”
“Questo ti hanno raccontato? Seiya è solo un uomo e lei ne ha fatto il suo giocattolo.”

“Seiya si è dimostrato persino degno dell’armatura del divino Odino. Con la sua spada ha salvato la regina di Asgaard.”

“E’ un uomo straordinario ma la sua leggenda sarebbe morta con lui se lei non avesse sovvertito l’ordine e le leggi sacre riportandolo dagli Inferi. Celebrate un inganno.” Disse sfilando la mano dalla tasca e giocando con il pezzo dello specchio in modo da intercettare lo sguardo di Aria. Clio si era infastidita per le cose che la ragazza aveva detto e voleva scoprire se nascondesse qualcosa. 

Nello specchio però vide riflesso solo l’immagine di una neonata. Lo rinfilò nella tasca. Aria si schiarì la voce.

“Capisco che lo pensiate e forse è giusto così. Ora perdonatemi, devo tornare nella mia stanza. Vi ho importunata anche troppo.”

“Buonanotte, piccola asgaardiana.”

“Buonanotte, Dama Clio.”

Aria fece un inchino e andò via da dove era arrivata.

Si allontanò fino a che non vide Niketas farle cenno da dietro alcune colonne. I ragazzi erano piuttosto delusi.

“Non abbiamo trovato niente.” Commentò Eden.

“Eppure abbiamo cercato ovunque!” Esclamò Subaru. “Ero certo che avesse lei il frammento dello specchio.” Niketas gli mise una mano sulla spalla per confortarlo e poi si rivolse ad Aria.

“Tu sei stata molto brava Aria.” 

“Grazie, Niketas! In effetti sono stata più brava di voi e tu hai ragione, Subaru. Ce l’ha lei. Il frammento lo porta sempre in tasca. L’ha tirato fuori mentre parlava con me. Ci giocava come se non potesse tagliarsi.”

“Lo sapevo!” Subaru alzò la voce e Raki lo ammonì.

“Fa’ silenzio o ci scopriranno. E’ meglio andare via da qui. Dove volete che vi porti?”

“Dobbiamo dirlo a Seiya.” Le parole di Niketas spiazzarono tutti.

“Perché Seiya?” Chiese Eden. “Non sarebbe meglio parlarne al grade sacerdote?”

“Così tu sarai redarguito e io e Subaru cacciati. Seiya ci ascolterà, è il nostro maestro.”

“Non ho il permesso di teletrasportarmi dentro alla tredicesima casa. Il maestro su questo è stato categorico e io non disubbidirò.”

“Allora alla statua di Atena. Lì ci sono le nostre stanze.” Rispose Niketas. La ragazzina annuì e un istante dopo il gruppo guardava la splendida statua della dea.

“Raki, va’ a casa. Sei stata di grande aiuto e non vogliamo coinvolgerti se Seiya dovesse arrabbiarsi.” Le disse Eden con dolcezza. La bimba annuì e obbedì.

“Andiamo da Seiya.” Li esortò Niketas, Eden annuì e li guidò per il corridoio fino alla stanza del trono. Non fecero in tempo a palesarsi però perché si accorsero che Seiya parlava con il grande sacerdote e sembravano piuttosto tesi.

Eden li fece rimanere nascosti dietro di sé nel buio del corridoio.

Mur e Seiya parlavano di Dama Clio.

“Stai prendendo davvero in considerazione di darle il dente del leone Nemeo?” Chiese Seiya.

“Questo non è possibile. E’ un tesoro del Santuario e deve rimanere al Santuario. E comunque non è affar tuo. Tutto ciò di cui devi preoccuparti è di essere pronto quando sarà necessario.”

“Non possiamo dirle che deve andarsene e basta?” Rispose lui spazientito.

“E se Apollo volesse proprio questo? Ci ho pensato, sai Seiya, perché Apollo dovrebbe voler liberare i Titani?”

“Che diavolo ne so? Perché Nettuno voleva sommergere il mondo?”

“Per impossessarsene. Tutti vogliono il potere per sé. Perché proprio Apollo dovrebbe volerlo per i Titani?”

“Mur queste cose non m’interessano. Tutto ciò che voglio è tenere al sicuro Saori.”
“Ho paura che l’unico modo per farlo è lanciare quel colpo, Seiya. Io farò di tutto per aiutarti ma tu devi stare pronto.”

“Lo sarò, questo te lo prometto. Tu però dimmi che hai tutto sotto controllo.”

“Ho tutto sotto controllo. Ora va’ a riposare. Devo farlo anche io.”

Mur sorrise a Seiya e lasciò la sala del trono diretto alla sua camera da letto.

Seiya tirò un sospiro e in quel momento avvertì di nuovo quella sensazione sotto pelle, quel brivido. Si girò di scatto guardando il trono e aspettandosi di vedere Saori.

Invece saltò fuori Subaru.

“Che diavolo ci fai tu qui?” Chiese Seiya che non sapeva se essere più stupito o arrabbiato.

“Dobbiamo dirti una cosa su Dama Clio.” Rispose il ragazzino.

“Dobbiamo?” Chiese Seiya e Niketas, Eden e Aria vennero allo scoperto. Seiya mise entrambe le mani sui fianchi. “Che state combinando? Eden, persino tu!”
“Perdonaci Seiya, ma è importante.” Si giustificò quest’ultimo.

“Parlate. Cosa dovete dirmi su Dama Clio?” 

Eden avanzò fino allo specchio coperto dal drappo rosso. 

“Dietro questo telo c’è uno specchio. E’ stato danneggiato. Un pezzo dello specchio è in possesso di Dama Clio. Lei lo usa per parlare con qualcuno. Un nemico, crediamo.”

Seiya si avvicinò allo specchio ma non toccò il drappo. Guardò di nuovo i ragazzi e tornò con lo sguardo su Eden.

“Voi dite che Dama Clio parla con qualcuno nello specchio?” Subaru percepì la sua incredulità e si sforzò di spiegare.

“E’ vero. E’ comparso anche davanti a noi.” Aria cercò di comprovare le parole del suo nuovo amico.

“Subaru dice la verità. Lo spirito dello specchio si chiama Numen ma ha detto che Dama Clio non parla con lui, lo fa con qualcun altro.” 

Seiya faceva veramente fatica a seguire il filo dei ragionamenti dei ragazzi. Fu la voce di Niketas a scuoterlo.

“Lo specchio è una via e finché rimane incompleto, la via è aperta e il Santuario in pericolo.”

Seiya guardò il ragazzo negli occhi e, di getto, tirò via il tessuto dallo specchio con uno strattone. Si accorse subito che un angolo dello specchio era rotto.

“Tu devi proteggere Atena!” Esclamò Subaru. “Manda via Dama Clio.” Gli occhi azzurri del ragazzo brillarono e Seiya percepì provenire da essi un cosmo caldo e potente. Si inginocchiò di fronte a lui e gli mise le mani sulle spalle.

“Lasciate questo genere di cose a noi. Voi siete solo allievi. Non dovreste farvi carico di cose tanto pericolose.” 

Aria tentò un’ultima resistenza.

“Volevamo essere d’aiuto. Quella donna è strana e di certo nasconde qualcosa.” Seiya sollevò lo sguardo su di lei.

“Il grande sacerdote, io e tutti gli altri cavalieri ce ne stiamo già occupando. Siete stati coraggiosi a cercare di capire cosa sta succedendo ma dei buoni cavalieri obbediscono agli ordini. Eden, accompagnali nella loro stanza e torna alla nona casa. I tuoi genitori ti staranno cercando.” 

Eden strinse un pugno, ma annuì. Subaru e Aria lo seguirono subito. Niketas rimase un attimo indietro.

“Lo specchio ha detto che la via è aperta, la via per ogni luogo. La via è aperta per gli dei. I Titani sono tutti dei, non è vero?” Seiya annuì e Niketas continuò. “Numen ha detto che lo specchio può condurre anche al labirinto di Crono.”

“Sorveglieremo lo specchio. Nessuno passerà di qui.”

“Io voglio proteggere la signorina Saori.” Niketas lo disse di getto.

“Tutti i suoi cavalieri vogliono proteggerla.”

“Tu la ami? Sei speciale per lei. Eravate insieme l’anno scorso a Skyros.”

“L’accompagnavo. Tu eri lì, sei il ragazzino del cappello?” Niketas piegò appena la testa di lato e i suoi occhi s’illuminarono alla luce delle candele per un momento.

“Te lo ricordi?”

“Mi ricordo ogni cosa di Saori.”

“Da quanto tempo la conosci?”

“Eravamo più piccoli di te quando ci siamo conosciuti, sai.”

“E siete stati sempre insieme?”

“Non sempre. Io sono venuto qui per addestrarmi e lei viveva in Giappone all’epoca. Poi sono successe tante cose. Abbiamo affrontato tanti nemici.”

“E lei? Lei ha mai amato qualcun altro?” 

“Ehi ragazzino, che domanda è?” Niketas abbassò lo sguardo.

“Scusami. Sono solo curioso.”

“Non fa niente. E’ normale essere curiosi alla tua età. Quanti anni hai? Dodici?”

“Quasi quattordici. Compio gli anni a dicembre.” Seiya si rattristò. Stando alle parole di Hyoga anche Kouga avrebbe compiuto quattordici anni il dieci dicembre. 

“Che fine hanno fatto i tuoi genitori?”

“Sono morti in un incidente.” Rispose Niketas intristendosi.

“Scusami, mi dispiace. Anche io sono orfano. Saori ha sempre voluto dare ai ragazzi che arrivano qui un po’ di amore oltre che una casa. Ci proverò anche io visto che sei mio allievo, d’accordo?” Niketas annuì. “Ora va’ a dormire, Niketas.”

Il ragazzo lasciò la sala e tornò nella sua stanza dove si rese conto che nessuno dei suoi amici aveva fatto ciò che Seiya gli aveva raccomandato.

 

――――――――――――-

 

Saori non riusciva a dormire.

Il modo in cui Seiya l’aveva lasciata, la reazione di Ikki e la scomparsa di Aphrodite e Camus la inquietavano.

Si alzò dal letto e uscì all’esterno. Camminò fino alla statua di Atena e alzò lo sguardo al cielo. 

Le stelle brillavano alte nel cielo. Una brezza fresca veniva dal mare e lei si sentì in pace col mondo per un momento. 

Chiuse e riaprì gli occhi. Gli antichi testi dicevano che nel corso delle stelle si potesse leggere il futuro e questo pensiero le riportò alla mente la sua decisione di salire sull’altura e la richiesta che aveva fatto a Kanon di recuperare per suo conto la daga deicida.

Il ricordo di quanto l’avessero turbata le distorsioni temporali e di come aveva attaccato prima Mur e poi Seiya, l’avevano convinta che avere un buon piano di riserva per quei suoi scatti d’ira immotivati non fosse affatto una cattiva idea.

E accadde di nuovo. Davanti ai suoi occhi comparve una figura. Stavolta la riconobbe subito perché era lei stessa. 

Ferma, in piedi accanto alla statua, si tagliava il palmo della mano ed evocava l’armatura di Atena.

Forse perché vedeva se stessa, più probabilmente perché quella scena le ricordava un momento di cui andava particolarmente fiera, l’immagine non la turbò come le altre volte e riuscì a concentrarsi su quello che la circondava. Fu in quel momento che se ne accorse. L’altra se stessa guardava un ragazzino di spalle. Un ragazzino che indossava l’armatura di Pegasus.

Scosse appena la testa. Stava guardando il passato o il futuro?

Chiuse gli occhi per mettere a fuoco ma quando li riaprì di quella visione non rimaneva più nulla.

“Milady.” 

Saori riconobbe la voce di Mur.

“Neanche tu riesci a dormire, grande sacerdote?” 

“No. Ho fatto di meglio.” Saori sorrise e lui continuò. “Ho trovato la soluzione al nostro problema. So come possiamo dare a Dama Clio il dente del leone Nemeo senza che il sigillo si spezzi.”

“Davvero?” Mur annuì.

“Ho letto e riletto tutte le carte di Saga sui sigilli e alla fine mi è caduto l’occhio su questa pergamena. Leggete.” Disse Mur porgendo il foglio a Saori.

“Alla fine ho scelto l’ultimo sigillo. Userò uno dei denti del leone Nemeo.” Il volto di Saori si illuminò.

“Dice uno dei denti. Quindi ce n’è più di uno.” Mur annuì.

“Ce ne sono due per l’esattezza. Uno è stato affidato ad Aiolia. Il secondo l’ho cercato nell’archivio dei tesori di Atena. L’ha preso Saga.”

“E cosa ne ha fatto?”

“Nell’archivio è indicato che è stato usato come amuleto di protezione nella stanza accanto alla vostra. Quella che avete assegnato agli allievi di Seiya.”

“Ma quella stanza era chiusa. Perché lo avrà fatto?”
“Questo non mi è dato saperlo. Domattina col vostro permesso lo prenderò e lo consegnerò a Dama Clio così avrà ciò he ha chiesto e tornerà a Delo.”

Saori prese le mani di Mur tra le proprie.

“Non sai quanto mi rende felice sentirlo. Grazie Mur.”

“Ora, col cuore più leggero, andiamo a riposare. Va bene?”

Saori acconsentì ed entrambi rientrarono nel Santuario per lasciarsi indietro quella lunghissima notte.

Quella notte però per qualcuno non era ancora finita.

 

――――――――――――-

 

 

Nel momento in cui Haruto del Lupo si palesò davanti a lui composto e con un’espressione preoccupata sul viso, Shura si mosse appena. Haruto era suo allievo da molti anni e si era dimostrato un ragazzo dotato e intelligente, sveglio e obbediente. Per questo non si era sorpreso che avesse meritato subito un’armatura e che avesse chiesto di occuparsi insieme a lui della sorveglianza della tredicesima casa. Era sempre ligio al dovere e di poche parole.

“Maestro, perdonatemi ma ho un messaggio per voi.” Disse il ragazzo chinandosi appena.

“Dimmi pure.”

“Il cavaliere del Sagittario ti chiede di raggiungerlo nella sala del trono. Dice che è urgente.”

Shura sorrise masticando amaro. Quelle erano le situazioni in cui odiava finire. Mur, il grande sacerdote, gli aveva ordinato di presidiare le stanze di Dama Clio e di non fare entrare nessuno, soprattutto Seiya e ora Seiya gli ordinava di raggiungerlo nella sala del trono e lui non poteva ignorare che Seiya era comunque il generale dei dodici cavalieri d’oro.

“Riferisci a Seiya che per ordine del grande sacerdote non posso lasciare il mio posto di guardia.”

“Maestro,” rispose Haruto piuttosto contrito, “il generale ha detto che avreste risposto così e mi ha ordinato di prendere il vostro posto di guardia affinché voi poteste raggiungerlo. Dice che è grave ed urgente.”

Shura digrignò i denti e accusò il colpo.

“Haruto, non lasciare entrare nessuno e se Dama Clio chiedesse di uscire accompagnala e non perderla d’occhio per nessun motivo.” Il cavaliere del lupo annuì e si mise di guardia alla porta della sacerdotessa di Apollo.

Shura camminò a passo svelto fino alla sala del trono e trovò Seiya solo davanti allo specchio che di solito era sempre coperto da un drappo di velluto rosso.

“Dimmi che hai un buon motivo per distrarmi dai miei doveri.” Esordì mostrando subito tutto il suo disappunto. Seiya si voltò e annuì.

“Shura, ho motivo di credere che questo qui,” disse indicando lo specchio, “non sia un semplice specchio. A quanto pare si tratta di un passaggio. I ragazzi parlano di una via aperta.”

Per quanto le parole di Seiya suonassero piuttosto strampalate, Shura non si sentì di ribattere. In quelle ultime settimane Mur aveva parlato spesso di pericoli all’interno del Santuario e di distorsioni temporali. All’idea che cavalieri di passate battaglie potessero tornare nelle tredici case, anche quella di una via aperta nel cuore del Santuario attraverso uno specchio sembrava altrettanto assurda e plausibile.

“Quali ragazzi?”

“Subaru e Niketas.”

“I tuoi allievi?”

“Non che abbia avuto modo di insegnargli qualcosa!” Commentò Seiya. “E comunque c’era Eden con loro. Hanno parlato di un pezzo dello specchio che Dama Clio ha preso e che impedisce allo specchio di funzionare correttamente.”
“E tu credi a questa cosa?” Seiya scosse la testa e allargò le braccia.

“Non lo so, ma Eden mi sembrava preoccupato e non posso sottovalutare nessuna minaccia. I ragazzi dicono che lo specchio è una via che possono attraversare solo gli dei e Crono è un dio. La via non si può chiudere se lo specchio non torna integro. Devo recuperare il frammento dello specchio in mano a Dama Clio.” Shura si alterò.

“Mur mi ha ordinato di impedire a chiunque di avvicinare la sacerdotessa di Apollo, soprattutto a te.”

“Invece io andrò e tu rimarrai qui. Ti ordino di fare a fette qualunque cosa esca da lì.” Disse Seiya con fare deciso indicando lo specchio.

“Seiya aspetta!” Gli rispose Shura, trattenendolo per un braccio. “Quando Mur dà un ordine, lo fa tenendo presente molte cose, cose che a volte noi non conosciamo. Se ti dice di stare lontano da quella donna, tu fallo e basta.”

“Sono leggendario per la mia obbedienza, non lo sai Shura?”

“Credi che sia uno scherzo?”

“No,” rispose il più giovane smettendo di sorridere, “proprio per questo lo devo fare. Tu sei sempre stato qui, accanto a lei. L’hai vista cambiare e dire follie. Una notte era qui, con il drappo che copre lo specchio avvolto addosso. Diceva che c’era qualcuno e io non le ho creduto. Nessuno le ha creduto. Tu sei testimone di ogni cosa. Io la devo aiutare. Dama Clio sa qualcosa e deve parlare. Non aspetterò che la diplomazia faccia il suo corso. Tocca a me.”

Shura non condivideva nessuna delle cose che aveva detto. Non toccava a lui. Non doveva scavalcare Mur e non doveva trasformare Dama Clio nel nemico se non aveva prove certe. Per Shura, che si definiva da sempre uomo e soldato pratico, uno specchio magico non era una prova. Per niente.

Su una cosa invece aveva ragione. Nessuno aveva creduto a Saori, nessuno. Cedette.

“Anche se me ne pentirò, fa’ quel che devi.” Disse lasciandogli il braccio.

“Ricordati Shura, niente deve uscire dallo specchio.” Il cavaliere del Capricorno annuì e Seiya lasciò la sala del trono.



NdA
Rieccomi. Piccole brevi note.
Genbu è il nome portato dal cavaliere della bilancia di Saint Seiya Omega. Dovrebbe essere un terzo allievo di Dhoko. Io però l'ho usato per richiamare il personaggio che nell'anime storico è Demetrios. Trovo questo nome odioso ma l'originale Ohko non mi piaceva per nulla. Tra l'altro sia Shiryu che Genbu sono i nomi delle bestie sacre della mitologia cinese che rappresentano il drago e la tartaruga. Per cui ho scelto Genbu.
Altra piccola nota: se vi chiedete se la prima parte riporterà Julian nella vita dei nostri affezzionatissimi la risposta è sì.
Mi dispiace averd dovuto spezzare il capitolo in due parti, ma in questi giorni ho cominciato a scrivere e ho incasinati inserendo una serie di scene che in precedenza avevo eliminato.
Vi aspetto alla prossima e mi auguro di ritrovarvi. Spero che abbiate fatto tutti buona Pasqua.
Mary.

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Capitolo 27
*** Una spallata di troppo ***


NdA:
Rieccomi. Come va la quarantena? 
Io ho ripreso a lavorare a giorni alterni ufficio/casa.
Voglio ringraziarvi per tutte le recensioni e i messaggi privati. Siete meravigliosi.
Vi lascio al capitolo che è un po' più movimentato rispetto agli ultimi.

 

Una spallata di troppo



“Eden che ci fai ancora qui?” Chiese Niketas entrando nella stanza che Saori aveva assegnato a lui e a Subaru. 

Fu Aria a rispondergli.

“Non hai sentito cosa si dicevano Seiya e il grande sacerdote di Atena?”

“Sì e allora?”

“E allora?” Sbottò Subaru. “Allora dobbiamo fare qualcosa. Parlavano di un oggetto che Dama Clio ha chiesto per sé: il dente del leone Nemeo.”

“Ci penserà Seiya.” Rispose Niketas. “I Titani sono una cosa troppo grossa per noi.”

“Mica dobbiamo affrontare i Titani!” Intervenne Aria. “Da quanto ho capito, se Dama Clio avesse quell’oggetto se ne andrebbe, giusto?” Niketas annuì e Aria continuò. “Se lo prendessimo noi? Potremmo proporre a Dama Clio uno scambio. Il dente del leone Nemeo in cambio del frammento dello specchio.”

“Eden,” Niketas guardò il più grande ancora perplesso, “tu che ne pensi?”

“Penso che nessuno abbia detto qualcosa di tecnicamente sbagliato. I Titani sono un affare troppo grande per noi. Però l’idea di Aria non è cattiva. Se riuscissimo a far sparire il dente del leone Nemeo stanotte, potremmo proporre a Dama Clio uno scambio. Mi chiedo solo perché voglia un oggetto che fa parte del tesoro del Santuario di Atena.”

“Il problema è che non sappiamo dove cercare questo dente.” Aria tirò un sospiro.

Niketas incrociò le braccia al petto indeciso se aprire bocca o meno. Alla fine parlò.

“Affrontare il leone Nemeo fu una delle fatiche di Ercole. Quando fu ucciso, Zeus lo pose in cielo tra le stelle. Così divenne la costellazione del leone. Scommetto che è alla quinta casa che lo custodiscono.” Aria gli diede un pizzicotto sul braccio.

“Ma come siamo eruditi!”

“Finalmente aver studiato le ottantotto costellazioni dell’olimpo di Atena è servito a qualcosa!” Le rispose Niketas sbuffando.

“Allora che facciamo?” Chiese Subaru. “Restiamo qui a far finta di niente o andiamo alla quinta casa?”

“Solo se siamo tutti d’accordo.” Disse Aria con decisione.

“Inutile dire che voglio andare.” Affermò Subaru.

“Io ci sto.” Confermò Aria.

“Anche io,” disse Niketas, “ma non so come faremo ad entrare alla quinta casa. Sarà super sorvegliata.”
“A questo rimedio io. Conosco una via che ci porterà fino alla sesta casa. Da lì possiamo raggiungere la quinta.” Affermò Eden.

“Allora muoviamoci.” Concluse Niketas.

Eden li guidò per la strada che conduceva dalla tredicesima casa ai giardini di Virgo, difendendosi dalle prese in giro di Aria e Niketas che gli dicevano che il cavaliere della sesta casa non avrebbe più accettato di fargli da maestro quando avrebbe saputo che non sapeva custodire i suoi segreti.

Ad Eden sembrò che quella strana idea di suo padre di affidarlo a Shaka affinché lo allenasse fosse qualcosa di lontanissimo nel tempo, quando invece Ikki l’aveva proposto poco più di un anno prima.

Il ragazzo aveva poi accettato di ereditare la spada di Hades e il potere di suo zio. Dubitava che Shaka lo avrebbe preso con sé in ogni caso. 

La sensazione che a contribuire a quella decisione ci fosse stato anche qualcosa che non riusciva bene a ricordare tornò a dargli fastidio e ripensò a quello che aveva provato quando aveva incontrato Niketas poche ore prima. 

L’allegria di Subaru lo richiamò alla realtà. Anche quel ragazzino aveva un’aura particolare che lo circondava e quando gli stava intorno, provava una sorta di nostalgia.

Aria lo prese per mano. Non lo fece mettendoci attenzione. Semplicemente gliela prese per attirare la sua attenzione ed Eden si stupì di quanto fosse piccola e calda. La guardò negli occhi meravigliato. Si sarebbe aspettato che quella esile guerriera dei ghiacci avesse mani fredde come la neve. Aria arrossì per l’imbarazzo e lo lasciò andare.

“Siamo arrivati,” disse, “come entriamo?” 

Eden si avvicinò alle colonne laterali a destra e s’infilò in un corridoio. Quando tornò, c’erano due ragazzi con lui.

“Niketas, Subaru, Aria, vi presento Yuna e Soma. Yuna è mia cugina e Soma è il figlio del padrone di casa.” Il ragazzo sorrise.

“Noi due ci conosciamo! Ci siamo incontrati alla spiaggia del Pireo quando è successa quella cosa assurda dei cavalieri del passato.” Esclamò Soma.

“Bene,” disse Eden, “adesso che sai che non sono estranei, ci farai entrare?” L’ospite non sembrava convinto ma cedette.

“Andiamo a parlare nella mia stanza.” Disse invitandoli tutti a seguirlo.

“Sono contenta che sei venuto alla fine.” La gentilezza della voce di Yuna colpì Niketas. “Diventerai cavaliere?”

“Non lo so, ci proverò. Quello scontro alla spiaggia mi ha davvero colpito e poi ho scoperto che una persona che conosco è un cavaliere, così ho deciso di capirci qualcosa di più.”

“Chi ben comincia è a metà dell’opera. Si dice così, no?” Yuna sorrise.

“Non so se questa impresa significa ‘cominciare bene’.” Rispose Niketas mentre Soma chiudeva la porta della sua stanza.

“Adesso mi spiegate cosa volete nel pieno della notte?” Chiese il ragazzo. Subaru, come al solito, fu il più veloce a rispondere.

“Sai se tuo padre possiede il dente del leone Nemeo?”

“Questa è una domanda, non una spiegazione.” Eden tirò indietro il più piccolo e parlò.

“Ascolta, Soma, e fallo con attenzione perché la cosa è già strana di per sé. Nella tredicesima casa c’è uno specchio che conduce in molti luoghi, come un passaggio segreto. Lo specchio è stato danneggiato e Dama Clio possiede il frammento che si è staccato. Sappiamo anche che lei se ne andrà a condizione che le venga consegnato un pegno. Ha chiesto il dente del leone Nemeo. Il grande sacerdote non vuole consegnarglielo per il momento. Se lo prendessimo noi, potremmo fare uno scambio con Dama Clio. Il frammento dello specchio per il dente d’oro.” 

Eden parlò in modo convinto ma Soma rimaneva restio ad assecondarlo.

“Il dente d’oro è un oggetto che appartiene alla casa del Leone. E’ sacro! Non è che possiamo prenderlo e darlo ad una sacerdotessa di Apollo.”

“Lo so, Soma. Non è una cosa bella e non fa piacere a nessuno, ma stiamo parlando di un sacrificio accettabile se entreremo in possesso del frammento dello specchio che serve a chiudere una via aperta nel cuore del Santuario. Non mi stupirebbe se fosse in qualche modo collegata alla cicatrice del tempo.” Disse Eden e Soma strinse i pugni pervaso da una forte rabbia.

Suo padre gli aveva raccontato quella storia un milione di volte. Era la sua preferita. 

La storia di un ragazzo bistrattato da tutti per via delle azioni di suo fratello, cresciuto con una maledizione addosso, quella di distruggere ogni cosa che avrebbe incontrato sul suo cammino. Più potente sarebbe diventato, più sciagure avrebbe portato. Così quando alcuni titani si sciolsero dalle loro catene e attaccarono il Santuario, tutti erano convinti che il suo pugno avrebbe liberato Crono. I suoi stessi seguaci lo profetizzavano. Invece con l’aiuto di giovani cavalieri d’oro, quel ragazzo si elevò sopra tutti gli altri e sigillò le porte del labirinto di Crono salvando l’umanità dal flagello degli antichi dei.

“Ammetto che questa Dama Clio non mi piace. Non piace nemmeno a mio padre, ma gli piacerebbe ancora meno dargli un tesoro di famiglia. Però se lui sapesse che c’è in gioco la cicatrice del tempo, non avrebbe alcuna esitazione.”

“Aspetta!” Intervenne Yuna. “Tuo padre e il cavaliere di Virgo sono entrambi qui. Come pensate di potervi avvicinare al dente d’oro con loro due che discutono proprio in quella stanza?”

Le parole di Yuna tolsero morale al gruppo. Subaru però non intendeva cedere. 

“Tu almeno sai dove si trova questo maledetto dente?” Soma annuì.

“E’ nel patio centrale, insieme agli altri oggetti sacri al Leone.”

“Se c’è una finestra, io posso colpire da lontano.” Disse Subaru. “Non devo avvicinarmi. Mi basta un arco e una freccia, una posizione di tiro.”

“E credi che nessuno se ne accorgerà?” Chiese Niketas. 

Nessuno fece in tempo a rispondere. Nella stanza di Soma cadde un gelo tremendo e ogni cosa si coprì di brina. Aria scattò in piedi.

“Che succede? Questo potere è simile a quello che mi ha portata da Asgard fino a qui!” Eden cercò di fermarla, ma la ragazza  uscì di corsa. 

Tutta la casa era avvolta in un gelo pungente. 

Soma si agitò e cercò di raggiungere suo padre. Aprì la stanza del patio centrale e trovò Aiolia e Shaka che combattevano contro Camus. 

Nonostante fossero due tra i cavalieri d’oro più forti del Grande Tempio, Camus teneva loro testa e senza armatura. Dopo aver congelato quasi tutta la stanza, riuscì persino a sferrare un attacco contro Aiolia bloccato nel ghiaccio dalle cosce in giù.

Soma fece da scudo a suo padre e fu sbalzato contro la parete. Yuna corse in suo aiuto e Aria si buttò nella mischia dimostrando non solo di resistere a quel potere gelato ma di saper contrattaccare.

La sua intrusione diede modo a Shaka di usare il suo potere per liberare se stesso e Aiolia dal ghiaccio, ma Camus sembrava interessato solo ad una cosa: il dente del leone Nemeo.

Shaka gli sbarrò la strada costringendolo ad indietreggiare. Aria sferrò un paio di colpi e, stavolta, Camus mostrò di non avere intenzione di ignorarla ulteriormente. Aria si preparò a ricevere il colpo ma Niketas si frappose fra lei e il cavaliere. 

Unì gli avambracci davanti al volto col solo intento di proteggersi e una luce accecante non solo deviò il colpo dell’aggressore, ma ebbe la forza di sciogliere ogni centimetro di ghiaccio nella stanza.

Fu in quel momento, sfruttando la confusione e l’incertezza di quel cavaliere che Eden lanciò il suo attacco e colpì Camus che si difese sprigionando altra aria gelida.

Subaru, che era rimasto in disparte, si rese conto solo in quell’istante che tutta la stanza era piena di armi. Individuò un arco ed una faretra e si guardò intorno alla ricerca dell’artefatto magico che stavano cercando.

Proprio davanti ad una finestra c’era una zanna di leone dorata e Subaru pensò che sarebbe stato semplice in tutto quel caos usare una freccia per spingere la zanna oltre il davanzale e recuperarla in un secondo momento.

Non ci pensò su. Incoccò una freccia e scoccò un tiro mirabile. La zanna tremò un istante e cadde.

Il ragazzino aveva immaginato la faccia che avrebbero fatto i suoi nuovi amici quando si sarebbero resi conto del suo colpo da maestro, ma non avrebbe mai pensato che a scoppiare in una fragorosa risata sarebbe stato proprio il nemico che tutti in quella stanza stavano cercando di contenere.

“A quanto pare, non c’è più alcun bisogno di combattere!” Esclamò prima di sparire in un lampo.

Tutti nella stanza guardarono Subaru. Eden vide Aiolia montare su tutte le furie e scagliarsi verso il più piccolo della sua comitiva e si mise in mezzo. Aiolia lo afferrò per il bavero della maglia. I suoi occhi sembravano davvero saette.

“Credi che essendo la rappresentazione di Hades in Terra non ti punirò insieme al tuo stupido compagno per la vostra bravata? Grazie a voi, uno dei sigilli che regge la cicatrice del tempo si è spezzato!” Gridò senza alcuna remora. 

Eden comprese solo in quel momento la gravità delle conseguenze del loro comportamento e di quanto si fossero sbagliati nell’interpretare l’atteggiamento di Seiya e Mur.

Soma cercò di spiegare.

“Papà, ti prego, non avevamo cattive intenzioni. Lascia che ti raccontino. Eravamo tutti qui per un motivo.” La furia cieca di Aiolia fu mitigata dal pacifico cosmo di Shaka.

“Placa la tua ira, Aiolia. Qualsiasi sia il motivo per cui i ragazzi si sono intromessi, ora abbiamo altro a cui pensare. Dobbiamo parlare al gran sacerdote.” Disse mettendo una mano sulla spalla del suo compagno d’armi. Aiolia lasciò andare Eden e annuì.

“Soma, Yuna, raggiungete Marin nella sua stanza. Non muovetevi finché non sarò tornato.” Disse al figlio e alla sua amica, poi si rivolse a Shaka. “Di loro che facciamo?”

“Portiamoli alla tredicesima casa. Devono darci una spiegazione.”

Nessuno dei ragazzi osò proferire parola e seguirono mesti i due cavalieri d’oro che li trascinarono fuori dalla quinta casa.

 

――――――――――――-

 

Clio era sempre più tesa. 

Aveva imposto un ultimatum al grande sacerdote e aveva perso la mano nel gioco che stava facendo.

A dirla tutta, non si sentiva più così sicura di quale gioco fosse. Aveva tentato di sedurre Seiya la notte della festa e lui l’aveva respinta. Aveva ceduto alla presenza nello specchio scoprendo che si trattava di un Titano.

Seppure inizialmente non aveva pensato di usarlo per i suoi scopi, era finita a collaborare con lui.

Scosse la testa sedendosi sul letto. No, non avevano collaborato. Detestava ammetterlo ma lei era finita col fare più favori a Hyperion di quanti lui ne avesse fatti a lei.

Indubbiamente se non era stata costretta a rendere conto di alcune sue azioni ad Atena, il merito era del Titano che si era liberato prima di Aphrodite e poi di Camus, eppure lei aveva cominciato a nutrire dubbi sulle richieste che lui le aveva fatto.

Quel pomo d’oro che le aveva fatto prendere nella casa dei Pesci e la richiesta del dente del leone Nemeo dovevano pur significare qualcosa e lei non ne sapeva nulla.

Aveva la sensazione che più la sua posizione nel Santuario si indeboliva, più quella di Hyperion cresceva. 

Scosse le spalle avvolgendosele con una stola. 

“Pazienza,” disse a se stessa, “anche se il grande sacerdote dovesse scoprire l’intera faccenda, sarà comunque colpa di Apollo.”

Raggiunse uno specchio e si guardò. Cominciava ad essere stufa.

Sentì un vocio oltre la porta e si alzò ma, prima che potesse aprirla sentì bussare.

“Avanti.” Disse piano e assunse una posizione impostata poiché si aspettava il grande Mur o quell’odioso cavaliere cornuto. La porta si aprì e lei sorrise. Seiya fece il suo ingresso nella stanza con passo sicuro chiudendo la porta alle sue spalle.

“Seiya! Qual buon vento? Sei l’ultimo che mi aspettavo potesse farmi visita. Ti confesso che ne sono lieta.” 

Clio si accorse che le sue parole non l’avevano affatto messo a proprio agio. Aveva stretto un pugno, l’espressione del volto tesa.

“Cosa può fare l’umile sacerdotessa di Apollo per il primo cavaliere della dea Atena?”

Come se sentir pronunciare il nome della dea l’avesse scosso, Seiya parlò.

“Diamoci un taglio.” 

“Come?” Chiese Clio con un’espressione realmente stupita. Quell’uomo era davvero sprovvisto di buone maniere. Non si faceva scrupolo neppure di mantenere le apparenze. “Non capisco.”

“Io so dello specchio.” Ancora una volta, niente mezze misure. Stavolta Clio ne fu felice. Il suo sorriso si allargò malizioso.

“Davvero?”

“Sì.”

“E di grazia, Seiya, cosa sapresti?”

“Hai preso un frammento dello specchio che si trova nella sala del trono. Parli con qualcuno nello specchio. Chi è? Un tuo alleato? Cosa vuoi da noi?”

“Ammettiamo che sia vero. Che io abbia il frammento dello specchio. Vorresti accusarmi per un peccato di vanità? Cos’è un pezzo di vetro? Una cosina così insignificante. Credi che qualcuno oltre a te crederà che si tratti di un’arma? Di qualcosa di pericoloso? E’ solo un pezzo di vetro.”

Seiya non si fece intimorire.

“Che ne hai fatto di Aphrodite? Aveva il compito di sorvegliarti ed è sparito.” Clio scosse le spalle e rise.

“Ti pare che una fanciulla come me,” disse allargando le braccia esili, “possa avere la meglio su un cavaliere d’oro?”

“Anche Camus nutriva dubbi su di te e anche lui è sparito.” Seiya non intendeva mollare la presa.

“Adesso avrei eliminato due cavalieri d’oro? E con quale arma? Un pezzo di vetro.”

“Se è solo un pezzo di vetro perché non me lo dai e la facciamo finita?” Chiese Seiya sicuro di sé, allungando una mano aperta.

Clio infilò la sua in tasca e tirò fuori dall’abito leggero che indossava un frammento che rifletteva la luce delle candele che illuminavano la stanza.

“Vuoi questo?” Chiese la donna mostrando l’oggetto che aveva in mano. “Cosa saresti disposto a dare in cambio? O pensi di prenderlo con la forza?” Istintivamente Seiya fece un passo indietro. “No? Non lo prenderai con la forza perché tu sei un cavaliere. Non mi faresti mai del male. Tu uccidi solo gli dei. Del resto, una volta che hai affondato la lama nella carne di un corpo divino, toccare quello di un mortale non deve darti più alcun piacere. E’ così?”

Le parole di Clio ebbero il potere di stordire Seiya. Tentennò. 

“Non ho mai provato piacere nell’uccidere.”

“Neanche Ares?” Stavolta la voce di Clio aveva un’inflessione crudele. Seiya abbassò il capo e strinse un pugno.

“Non è stato odio. E’ stata rabbia. Ha commesso delle azioni orribili.”

“Non sai che non si può giudicare l’operato di un dio? Atena mutò una donna in un ragno solo perché era stata più brava di lei a tessere. Ha giocato con il destino di Ulisse e con quello di Achille così come ora gioca col tuo.” Disse la donna avvicinandosi di qualche passo.

“Quello che dici non ha molto senso per me. Comunque io combatto per questa incarnazione di Atena e non l’ho mai vista giocare con il destino degli uomini.”

“Sei fedele, non c’è che dire. Io però ti ho fatto una domanda. Cosa sei disposto a fare perché io ti ridia il frammento?”

“Cosa vuoi?” 

“Quello che hai dato a lei.” Disse Clio riducendo la distanza tra loro. “Mostrami l’uomo. Togliti l’armatura.”

Seiya fece un passo indietro e scosse la testa. Clio si voltò e si allontanò di nuovo.

“Allora vattene, non abbiamo altro da dirci.” 

Il cavaliere chiuse gli occhi e cercò di pensare. Era andato nella stanza di Clio con la ferrea determinazione a recuperare l’unico oggetto in grado di chiudere una fessura aperta nel cuore del Santuario che lo collegava al labirinto di Crono. Lo aveva fatto per la convinzione che potesse essere quella porta aperta a nuocere alla stabilità di Saori e a provocare quelle alienazioni che spesso la costringevano a comportarsi in modo assurdo. Lo aveva fatto contro la volontà del grande sacerdote e contro quella del suo più retto compagno d’armi. 

Finché Dama Clio non chiedeva nulla di più di qualcosa che arrecasse danno a lui e solo a lui, non aveva ragione d’opporsi.

Questo pensò mentre si liberava dell’armatura del Sagittario e Clio si avvicinava porgendogli il frammento. Con l’altra mano gli accarezzò il petto e si fermò all’altezza del cuore. 

“Ogni battito di questo cuore è per lei, vero?” Seiya annuì. “Non più. Da oggi in poi non potrai più farlo.”

Seiya chinò la testa di lato come se non capisse, tutto concentrato sul fatto che aveva recuperato il frammento dello specchio. 

Non immaginava che l’onda d’urto che li investì un istante dopo, avrebbe dimostrato che aveva sempre avuto ragione Saori. 

Tutto stava andando a rotoli e lui, involontariamente, aveva dato un’altra spallata a far precipitare la situazione.

 

――――――――――――-

 

Saga camminava già da un po’ in silenzio. Ancora una ventina di minuti di cammino e sarebbero arrivati a Rodorio. 

Lì chiunque lo avrebbe riconosciuto. Certo, poteva fingere di essere Kanon. Era sicuro che, avendogli affidato Niketas, sarebbe rimasto al Santuario. Il rischio di incontrarlo era davvero minimo. 

Il pensiero di Niketas lo fece involontariamente sorridere. Non immaginava che quel moccioso gli sarebbe mancato tanto. Pochi passi e lo avrebbe rivisto.

Riconobbe l’altura e la quercia che segnavano il confine del paese e affrettò il passo.

Cora e le sue sorelle lo seguivano da vicino e la prima gli finì addosso quando lui si fermò all’improvviso allargando un braccio per tenere dietro di sé le donne.

“Che succede?” Chiese Cora.

“C’è qualcuno.” Rispose Saga. Uno strato di brina si allargò dalla quercia nella loro direzione e Saga percepì un cosmo ostile. “Camus?” Chiamò ad alta voce.

La figura appoggiata al tronco dell’albero si palesò ma Saga comprese immediatamente che, se la sagoma che gli stava di fronte apparteneva al cavaliere di Acquarius, quello davanti a lui non era Camus.

L’uomo, avvolto da un’aura oscura, fece qualche passo verso di lui e, ad ogni passo, delle saette nere fuoriuscivano dal suo corpo. La sua voce uscì malevola.

“Hai portato la vera Dama Clio. Programmavi un ritorno in grande stile, vecchio amico?” Cora strinse un braccio di Saga e parlò.

“Tu lo conosci?”

“Certo che mi conosce,” rispose la figura senza dare a Saga la possibilità di parlare, “e non certo perché mi manifesto nel corpo di un suo compagno d’armi, vero cavaliere di Gemini?” 

“Non sono più il cavaliere di Gemini.” Rispose Saga.

“Non sei più il cavaliere di Gemini, non sei più il grande sacerdote, chi sei dunque?”

“Sono quello che ti ha sconfitto una volta, vuoi sfidarmi di nuovo?” La figura alzò entrambe le mani.

“Se mi attacchi, se ti scagli contro di me, sarà il corpo del tuo amico a ferirsi.”

“Come sei uscito dallo specchio?” La figura rise sguaiatamente.

“Credevi che una realtà così prossima a questo mondo avrebbe potuto confinarmi per sempre? Ammetto che sei stato scaltro l’ultima volta che ci siamo visti. Ho sottovalutato la tua forza all’epoca. Sapevo che desideravi il potere più di qualunque altra cosa, che ti credevi forte come un dio ma non pensavo che ti credessi più potente di un Titano.”

“Ti sbagliavi, la mia autostima è sempre stata altissima. Non hai risposto, come sei uscito dallo specchio?”

“Hai messo quattro catenacci a quella porta. Pensavi che rinunciare ad uno di esse non avrebbe avuto conseguenze? Hai dato tu la prima spallata. Poi è arrivata la falsa Clio. Lei mi ha aiutata a dare la seconda e ora ci sono solo due catenacci ancora chiusi. Sufficienti a tenere ancora in piedi la tua dimensione specchio ma non a sigillarla. E’ solo una questione di tempo, ormai! In effetti, se ci pensi, vecchio amico, è sempre stata una questione di tempo. Credevi di poter giocare una partita a scacchi con colui che lo controlla e di averne abbastanza?”

“Chi è la falsa Clio?”

“E chi può dirlo?” La figura rise.

“Se ti ha evocato nello specchio, non una comune mortale.”

“Tic, tac, vecchio amico, il tempo scorre.” Saga si mise in posizione di attacco. 

“Sbagli ancora una volta se credi che non sia disposto a ferire il corpo di Camus per fermarti.”

“So che lo faresti, sei un uomo senza scrupoli, in fondo.”

“Tu che mi parli di scrupoli, Hyperion?” Per la prima volta Saga disse ad alta voce il nome del suo nemico e Cora e le sue sorelle si strinsero tra loro, spaventate. “Che ne hai fatto dello spirito di Camus?”

“Nello specchio, al mio posto. Ti piace l’idea?”

“Sì,” disse Saga sorridendo maliziosamente, “sei rimasto lo stesso impulsivo di trent’anni fa, vero?” 

Saga allargò le braccia e aprì le porte della Dimensione Oscura. Hyperion usò entrambe le mani per creare uno strato di ghiaccio abbastanza doppio da tenerlo ben saldo al terreno.

“Il potere di questo cavaliere è straordinario, non credi? E pensare che lui lo trattiene, non lo usa fino in fondo. Nulla sopravvive alla temperatura dello zero assoluto. Vogliamo vedere se le pizie gradiscono un po’ di gelo?” Disse lanciando un potente colpo verso di loro. Saga lo parò.

“Sono io il tuo avversario, Hyperion.”

“No, non lo sei. Non sono qui per combattere con te. Sono qui per lei.” Disse indicando Cora. “Credimi, ragazza, niente di personale ma c’è già una Dama Clio al Santuario e mi serve che resti al suo posto.”

Urania si frappose l’uomo e sua sorella e anche la piccola Tersicore fece lo stesso.

Saga però fu più veloce di entrambe e coprì la visuale di Hyperion con il suo corpo.

“Porterò Cora da Atena e tu non potrai fare niente per impedirlo. Fantasma diabolico!” 

Saga si mosse alla velocità della luce lanciando il colpo che sapeva avrebbe danneggiato solo la psiche del suo avversario. Hyperion rimase un attimo immobile ma Saga capì di non aver affatto vinto quando il nemico reagì lanciando l’ennesima combinazione di colpi che lo immobilizzò nel ghiaccio.

“Sai? Credo di aver trovato un soluzione che gradiremo entrambi. Tu non vuoi che uccida le pizie e io non voglio che le porti al Santuario. La soluzione è semplice. Vi spedirò tutti nella dimensione specchio. Sarà divertente vederti prigioniero del mondo che tu stesso hai creato.” 

Hyperion sollevò una mano e nel palmo aperto comparve una sorta di clessidra. Saga la vide oscillare. Si voltò di scatto verso le ragazze e corse verso di loro. Lentamente ma inesorabilmente, un cono d’ombra scura si proiettava in avanti ingoiando tutto ciò che raggiungeva.

“Scappate!” Gridò Saga. Invece Cora corse verso di lui e le sue sorelle la imitarono. 

“Non voglio perderti!” Urlò la prima stringendosi contro il petto dell’uomo. 

Saga non poté fare altro che proteggerla con il suo corpo e mentre l’ombra li avvolgeva, riuscì a scagliare fuori da essa Tersicore spedendola nella Dimensione Oscura.

La più piccola delle pizie non vide più nulla e urlò di terrore. L’ultima cosa che udì fu la voce di Saga che diceva solo poche parole per lei incomprensibili. 

“Dì a Cancer di aprire la porta!”

Tersicore svenne mentre il suo corpo veniva trascinato attraverso le dimensioni.

 

――――――――――――-

 

Shiryu aveva seguito le istruzioni che gli aveva dato il grande sacerdote. Lui e Genbu avevano raggiunto Capo Sounion in poche ore e avevano acceso un fuoco tra i resti del tempio dedicato un tempo a Nettuno.

Si erano seduti e avevano atteso alla luce del falò. Genbu, che aveva portato una bottiglia di vino con sé, la stappò e la porse a Shiryu. Il cavaliere scosse la testa.

“Non arriverà prima se bevi un sorso.” Disse l’altro.

“Non ne ho voglia. Siamo qui da ore e mi da fastidio aver lasciato il Santuario senza parlare con nessuno. Ho percepito qualcosa poco fa e ho una cattiva sensazione.” Genbu diede un altro sorso alla bottiglia e sorrise.

“Anche io, ma abbiamo una missione e non dobbiamo distrarci ora.”

“Hai ragione. E’ solo che durante la battaglia contro Marte, mi sono fatto da parte. Mi sono nascosto dietro le mie ferite di guerra e i miei pregiudizi e ho fatto ben poco. Adesso che una nuova minaccia ha raggiunto il Santuario, volevo riscattarmi ma mi è stata affidata una missione lontano dal cuore degli eventi.”

“Pensi che ti toglieranno la gloria?” Shiryu aprì le labbra come a voler dire     qualcosa ma l’espressione di Genbu gli fece capire subito che l’amico lo stava prendendo in giro. “Guarda me. Io non solo ho mancato la battaglia contro Marte ma mi sono rifiutato di completare l’addestramento recando disonore al mio maestro oltre che a me.”

“Però sei tornato.”

“E non vuoi sapere perché?” Stavolta fu Shiryu a sorridere prendendo la bottiglia dalle mani di Genbu.

“Non l’ho chiesto perché penso che spetti solo a te decidere di parlarne.”

“Ho lasciato Goro Ho e la Cina moltissimi anni fa. Ero svogliato ed egoista per il maestro e per te, ma la verità è che avevo paura. Avevo visto quali e quanti sacrifici dovesse fare un cavaliere di Atena e non mi sentivo in grado di affrontarli. E poi c’era Shunrei. Mi piaceva la piccola Shunrei e lei non aveva occhi che per te. Me ne andai senza troppi rimpianti. Vagai qua e là per un po’ prima di raggiungere l’India. Lì conobbi un gruppo di monaci buddisti che mi presero con sé. Quando Hades si risvegliò, alcuni Spectre distrussero il tempio e io feci quello che potetti per salvare i monaci. Loro non scapparono. Seppure non dotati di armature o di cosmo, combatterono con me per difendere coloro che pregavano perché quella terribile eclisse terminasse. Quando tutto finì, percepì il cosmo di Atena e tornai dal vecchio maestro. Gli mostrai i miei progressi e lui mi disse che senza completare il mio addestramento non potevo servire la dea. Stavolta non mi scoraggiai. Tornai dai monaci e trovai il modo di diventare più forte. Ho concluso l’addestramento quando l’armatura dell’altare ha perso il suo cavaliere precedente e mi ha scelto. Non c’è altro.”

“Qualcuno ha detto che il viaggio è più importante della meta.” Disse Shiryu ma una voce lo corresse.

“Non in questo caso! Dubito che abbiate acceso il fuoco del tempio senza un motivo.” 

I due cavalieri si alzarono e videro una figura nell’ombra avanzare lentamente. Quando venne alla luce del fuoco, Shiryu riconobbe Sirya. Non indossava l’armatura e li saluto con un cenno del capo.

“Quindi ha funzionato!” Esclamò Shiryu.

“Credevate che se aveste invocato Nettuno, Nettuno vi avrebbe ignorati? C’è pace tra il mio signore e Atena. O è cambiato qualcosa?” Shiryu si affrettò a scuotere il capo.

“No, in virtù di quella pace e di quella alleanza, Atena chiede l’aiuto di Nettuno. Noi chiediamo udienza al signore dei mari.”

“Sono qui per condurvi al suo cospetto.” Sirya mosse una mano e una bolla d’acqua comparve sul fuoco acceso e, scoppiando, la spense. “Seguitemi.” 

I cavalieri di Atena seguirono Sirya fino al limite del promontorio e si accorsero solo in quel momento che c’era una specie di scalinata scolpita nella nuda roccia. Scendeva fino al mare, così almeno credette Shiryu prima di raggiungere il pelo dell’acqua. Quando Syria lo accarezzò, scoprirono che la scalinata scendeva ben sotto il livello del mare.

La percorsero tutta senza tuttavia provare alcuna fatica e si fermarono solo quando la figura di Tetis si stagliò davanti a loro.

“Benvenuti, Nettuno vi attende.” Disse facendo strada fino ad una piazza circolare che Shiryu non ricordava. Era vuota e non c’erano colonne.

Julian Solo non sembrava invecchiato di un giorno rispetto al ricordo che aveva di lui.

Fece un passo in avanti e si accorse solo il quel momento che sulla sua destra c’erano un tavolo di marmo bianco e degli scranni. Oltre a Tetis e a Sirya, c’erano solo ancelle e soldati. Nessuna traccia degli altri generali. Shiryu si guardò comunque intorno, sospettoso.

“Siete i benvenuti,” disse Julian allargando le braccia, “ho fatto preparare del vino e della frutta. Accomodatevi. Davanti ad una tavola, qualunque discorso è più piacevole.”

Genbu sopravanzò Shiryu e seguì Nettuno verso il tavolo di pietra. Il cavaliere della bilancia li seguì e si sedette dopo che Nettuno prese posto. Versò tre calici di vino e ne spinse due verso i suoi ospiti.

“Dunque,” esordì sorseggiando dal suo calice “devo ammettere che quando Tetis mi ha riferito che il fuoco nel tempio di Capo Sounion era stato acceso, mi sono preoccupato. Non è passato inosservato neppure nel regno degli abissi marini il potente terremoto che ha scosso le terre emerse. Ho dovuto usare il mio potere per evitare che un devastante maremoto si abbattesse lungo le coste di Grecia.”

“Atena te ne sarà grata quando verrà a saperlo.”

“E’ il nostro patto. Siamo in pace e difendiamo insieme la Terra. Ognuno a suo modo, ovviamente. Devo presumere che non siete qui per questo?”

“Siamo qui per un altro motivo. Anche se ci sono stati dei disordini per via del terremoto, Atena non ha dimenticato alcune cose che sono rimaste in sospeso dopo la morte di Marte.” Nell’udire quel nome, il volto di Julian Solo si rabbuiò.

“Non ci sono sospesi dopo la terribile battaglia al Pireo.”

“Mi riferisco a Hyoga.”

“Non siete riusciti a trovare un modo di risvegliarlo?” Shiryu scosse il capo.

“Il grande sacerdote tenta ogni via ed è per questo che siamo qui. Pensa che tu potresti aiutarci con un oggetto che è in tuo possesso.” 

Julian si portò di nuovo la coppa alle labbra.

“Di che si tratta?”

“Del Vello d’oro. Ha grandi poteri curativi.”

Sirya che aveva ascoltato ogni cosa in silenzio, passava lo sguardo dal suo signore ai nuovi venuti. Quella visita non gli era piaciuta fin dal principio e adesso cominciava a preoccuparsi seriamente.

Quasi avesse percepito i suoi pensieri, Nettuno lo guardò per un momento, gli sorrise e tornò a fissare Shiryu e Genbu.

“Quello è un dono di Atena che custodisco gelosamente. E’ prezioso per me.”

“Il grande sacerdote ne è consapevole e Atena non ti chiede di rinunciarci senza ricevere nulla in cambio.” Libra sfilò da una tasca un involtò e lo posò sul tavolo. Armeggiò con la stoffa fino a che non rivelò il suo contenuto.

L’ancora di adamantino brillò in modo impossibile da descrivere alla luce del regno sottomarino e così fecero gli occhi di Julian.  Il busto, le mani, il mento si mossero in avanti come attratte dall’oggetto ma, per un momento, rimase in silenzio. Poi sollevò una mano e fece un cenno. Sirya si avvicinò.

“Mio signore?”

“Va’ a prendere quello che hanno chiesto e fa venire Kira.” Il suo primo cavaliere obbedì allontanandosi. Julian tornò a rivolgersi ai cavalieri di Atena. “Siete fortunati. In effetti quell’oggetto è molto potente e io l’ho adoperato per salvare la vita di Abadir. Ricordate le condizioni in cui versava dopo la battaglia contro Seiya?”

“Seiya combatteva contro Marte. Non ha mai voluto ferire Abadir.” Le parole di Shiryu uscirono rapide e cariche d’affetto per il suo migliore amico. Nettuno lasciò il bicchiere e alzò una mano.

“Non era mia intenzione accusare nessuno. Come si dice sulla terraferma? E’ acqua passata. Gradisco il dono che mi avete portato e accetto lo scambio se fa piacere a Saori. Come sta?”

“Bene.”

“Se sta bene, mi piacerebbe organizzare un incontro. Finora non mi è sembrato opportuno ma ora lo ritengo possibile,” disse mentre Sirya e Kira facevano ritorno, “anzi necessario.” 

Il tono gioviale con cui Nettuno li aveva intrattenuti fino a quel momento, cambiò di colpo e Shiryu capì che il signore dei mari parlava al posto del rampollo della famiglia Solo. Tese una mano e si fece consegnare lo scrigno che Sirya aveva con sé. Lo poggiò sul tavolo e lo spinse verso Shiryu.

“Ecco il Vello, lo consegno in cambio dell’Ancora. Prima però voglio che sentiate che strana storia mi ha raccontato Kira.” Shiryu guardò il generale degli abissi che rimaneva immobile alle spalle del suo signore. “Kira custodisce Scilla e Cariddi e se ne occupa. Durante la sua ultima visita alle sue creature, ha sentito dire che dei cavalieri di Atena hanno fatto visita al Fabbro in Sicilia. Io gli ho detto che deve avere capito male perché il Fabbro odia le visite e Atena non è un’appassionata dei suoi lavori, ma lui ha insistito nel dire che è cosa certa e che addirittura ha mandato tre cavalieri d’oro. Uno di loro sei tu, a quanto dice. Dimmi, cavaliere di Libra, devo punire il mio generale o ha detto la verità?” 

In quel momento un tridente d’oro comparve nella mano del dio mentre l’altra si mosse ad indicare l’Ancora che seguì quel movimento e saettò verso il tridente fino a fondersi con esso. Nettuno mosse l’arma verso Kira. Shiryu scattò in piedi e Genbu lo trattenne mentre con l’altra mano tirava a sé lo scrigno col Vello d’oro.

“Come gestisci i tuoi cavalieri non è affar nostro.” Disse Genbu tirando indietro l’amico. Nettuno abbassò il tridente.

“I miei generali si farebbero uccidere per me. E non mentono.”

“No,” disse Shiryu, “non mentono e nemmeno noi. Non abbiamo alcun motivo di farlo. Atena ha mandato noi qui, può mandare altri messaggeri ovunque ritenga di dover portare la sua parola.”

“Non lo contesto. Però riferitele queste parole. C’è scompiglio sopra, sotto e oltre la Terra. Gli alleati non si tengono all’oscuro dei propri piani.”

“Riferiremo.” Disse Genbu lanciando uno sguardo d’intesa a Shiryu che annuì. Nettuno non attese oltre, si voltò e prese la via per il suo palazzo.

Sirya li condusse a ritroso per lo stesso percorso che avevano fatto all’andata. Quando aprì il mare per loro e gli indicò la via per la scalinata scavata nel dorso del promontorio, li salutò con poche parole.

“Siate prudenti nel riferire il messaggio. Gli dei sono facili all’ira ma noi che li conosciamo e siamo votati a loro, abbiamo il compito di mitigare i loro impulsi.” Genbu rise di getto.

“Ci stai dicendo che dovremmo mentire su quello che è accaduto qui?” Stavolta fu Sirya a sorridere.

“Se lo faceste, non sareste buoni cavalieri. Sto solo dicendo che finora abbiamo combattuto le guerre sacre una alla volta. In questo momento l’inimicizia tra le nostre fazioni equivarrebbe ad una sciagura.” Il generale fece un cenno di saluto e poi li lasciò andare. 

Mentre risalivano la dorsale, Genbu guardò più volte Shiryu che lo precedeva silenzioso.

“Sei pensieroso?” Gli chiese per capire cosa lo preoccupasse.

“Ripensavo alle parole di Sirya.”

“Sul fatto di riferire il messaggio con prudenza?”
“Sul fatto che finora abbiamo combattuto una guerra sacra per volta. Efesto ha detto a Seiya che lui si è fatto da parte. Ora mi chiedo da cosa.”

“A me preoccupano di più le parole di Nettuno. Secondo te ci ha minacciati?”

“Vuole vedere Saori. Questo è quello che credo se proprio vuoi saperlo. Però penso anche che gli dia fastidio non essere al corrente di quello che sta succedendo al Santuario.”

Raggiunsero la cima del promontorio che era ancora buio. Pulirono ciò che restava del falò che avevano acceso poche ore prima e ripristinarono il sigillo di Atena che avevano spezzato per accenderlo.

S’incamminarono per tornare al grande tempio in silenzio e col cuore pesante.

 

――――――――――――-

 

Saori aveva provato a sdraiarsi e a riposare ma non era riuscita a chiudere occhio. Si era alzata a bere e l’aveva udito.

Era distintamente il ticchettio di un grosso orologio e lei non capiva da dove provenisse. La meridiana dello zodiaco non faceva alcun rumore e nel Santuario non c’erano orologi.

Andò verso la parete alla destra del suo letto dove Seiya aveva riposto l’Oroscopio e aprì la scatola in cui l’oggetto era riposto.

Toccò la ruota con il simbolo del sole e l’artefatto si aprì come aveva fatto con Seiya sull’altura delle stelle.

La donna si ritrovò circondata dalle orbite delle dodici costellazioni che fluttuavano intorno a lei. Per un attimo le sembrò di essere tornata bambina al periodo in cui rimaneva ore intere a fissare le stelle nel planetario di suo nonno.

Si girò e lo vide. 

Era Saga. 

Indossava gli abiti sacerdotali e con le mani toccava alcuni punti precisi sulle orbite disegnate dal meccanismo.

“Saga?”

“Il potere assoluto è nelle stelle.” Rispose l’uomo. “Il cosmo è un potere infinito ma ogni essere umano ha un limite, per quanto grande sia la sua capacità di bruciarlo ed espanderlo. Quello degli dei è enormemente più grande. Se gli dei possono elargirlo, forse esiste un modo anche per sottrarglielo. Ci sono vicino, il segreto è nelle stelle. Avrò il cosmo di un dio e allora io stesso diventerò un dio.”

Saori capì che era in atto un’altra distorsione temporale e si mosse verso quella figura convinta che sarebbe svanita non appena avesse provato a sfiorarla. Invece Saga, alterato nel viso e nei gesti, la guardò con cattiveria.

“Sarai impotente, ti toglierò ogni cosa e sarà come se non fossi mai nata!” Urlò e Saori si sentì come prigioniera di quello sguardo iniettato di sangue. Si agitò e si portò le mani alla testa.

“Tu non sei reale.” Disse sottovoce a se stessa. Quella sensazione però non spariva. Col suo potere invocò la Nike e la strinse al petto. 

La luce nella stanza non accennava a scemare e lei non sapeva quanta venisse dall’Oroscopio e quanta dal suo scettro. Lo mosse in avanti e involontariamente colpì l’artefatto che cadde sul pavimento e si richiuse su se stesso.

La luce nella stanza svanì. Saori provò a prendere profondi respiri per calmarsi ma non ci riuscì. Lasciò la camera con l’intenzione di raggiungere la statua di Atena. Pregare all’aperto le dava conforto. Non ci arrivò. 

Vide Seiya che bussava alla porta di Clio e lo vide entrare. Raggiunse la porta e rimase ad ascoltare la voce di Seiya.

“Diamoci un taglio.” Gli sentì dire in modo seccato, quasi prepotente. “Io so dello specchio.” Di cosa stava parlando Seiya? Cosa aveva da dire a Dama Clio per essere andato a trovarla nel cuore della notte? 

“Hai preso un frammento dello specchio che si trova nella sala del trono. Parli con qualcuno nello specchio. Chi è? Un tuo alleato? Cosa vuoi da noi? Che ne hai fatto di Aphrodite? Aveva il compito di sorvegliarti ed è sparito.” 

Stavolta Saori capì cosa intendesse Seiya facendole quelle domande e strinse più forte la Nike. Se Dama Clio aveva qualcosa a che fare con la scomparsa di Aphrodite e Camus, lei non l’avrebbe perdonata. 

Fu in quel momento che percepì chiaramente la voce di lei.

“Vuoi questo? Cosa saresti disposto a dare in cambio? O pensi di prenderlo con la forza? No? Non lo prenderai con la forza perché tu sei un cavaliere. Non mi faresti mai del male. Tu uccidi solo gli dei. Del resto, una volta che hai affondato la lama nella carne di un corpo divino, toccare il corpo di un mortale non deve darti più alcun piacere. E’ così?” Saori rabbrividì non appena sentì la voce di Seiya.

“Cosa vuoi?” 

“Quello che hai dato a lei. Mostrami l’uomo. Togliti l’armatura.” 

Saori pensò che non l’avrebbe mai fatto. Seiya non le avrebbe dato alcuna soddisfazione e comunque non quella. Perciò quando  sentì l’armatura di Sagitter lasciare il suo corpo, tremò e si rese conto che tremava di rabbia. Provò a contenerla ma ciò che udì, spense l’ultimo barlume di ragione che aveva tenuto acceso.

“Ogni battito di questo cuore è per lei, vero? Non più. Da oggi in poi non potrai più farlo.”

Saori non vide la sua mano sollevare la Nike, non vide neppure le porte della stanza sbattere e spalancarsi davanti al potere dello scettro. Non percepì quel potere precederla e spazzare via ogni cosa le fosse di intralcio.

Saori non poté vedere la violenza con cui Seiya e Clio furono sbalzati contro la parete opposta e caddero a terra incapaci di capire cosa li avesse colpiti.

Saori non vide neanche la sua mano muoversi e scagliare dama Clio lontana da Seiya.

Sentì la sua voce uscire dalle sue labbra ma non la sentì sua.

“Tu non prenderai ciò che è mio dai tempi del mito.”

Sollevò la Nike per colpire e solo quando la calò i suoi occhi videro di nuovo.

Seiya aveva fermato lo scettro con le sue mani, era caduto in ginocchio e supplicava sanguinando.

“Fermati Saori, ti prego.”

“Io sono Atena, dea della guerra e tu mi stai intralciando. Levati o perirai, erede di Pegasus.” 

“No, tu sei Saori e incarni la dea della giustizia.” Lo vide perdere colore, soffrire ma non si tirò indietro.

“Tu mi hai tradita!” Urlò e Seiya arrancò ancora.

“Saori! Ti prego, ricorda! Ricorda quando hai detto che in qualsiasi caso io avrei sempre trovato la strada per raggiungere il tuo cuore. Lo sto facendo ora, sto parlando al tuo cuore. Fermati! Non sporcarti le mani del sangue di una pizia. Se scoppierà una guerra con Apollo, avrà vinto lei. Dobbiamo proteggere il Santuario, salvare il grande tempio. Aiutami!”

Saori ebbe come un sussulto. Qualcosa scattò in lei e abbassò lo scettro.

“Io devo difendere la Terra.”

“Sì. E’ quello che fai sempre.” 

La luce della Nike si spense e Saori ritrovò un respiro normale. Clio provò ad approfittarsi di quel momento per lasciare la stanza ma lei la scaraventò contro il muro e le fece perdere i sensi.

“Saori.” La voce di Seiya le arrivò ovattata e pensò che fosse per quello strano senso di stordimento che l’aveva colta, invece  quando si voltò a cercare il cavaliere, Seiya giaceva a terra e si teneva il petto con entrambe le mani.

Lei gli fu addosso in un momento e provò ad aiutarlo ma, più cercava di farlo, più Seiya soffriva. Se ne rese conto subito. Quelle parole l’avevano ferita al punto di perdere il controllo di se stessa.

“Ogni battito di questo cuore è per lei, vero? Non più. Da oggi in poi non potrai più farlo.”

Si allontanò da Seiya e si accorse che il suo respiro tornava regolare. Se gli si avvicinava, lui riprendeva a soffrire.

Invocò la presenza di Mur e il grande sacerdote apparve dopo pochissimi minuti.

“Cos’è successo qui?”

Saori si avvicinò alla porta.

“Fai rinchiudere Dama Clio. Fà portare Seiya alla decima casa. Che Shura stia a guardia delle sue stanze fino a che non si riprende. Non fare domande. Obbedisci.” Disse lasciando la stanza con in testa ancora le parole che aveva sentito dire a Saga la notte degli Inganni.

“Sarai impotente, ti toglierò ogni cosa e sarà come se non fossi mai nata!”

Raggiunse la statua di Atena e urlò come le sue precedenti incarnazioni avevano fatto tutte le volte che si erano preparate ad andare in battaglia.

 

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