Quaranta settimane

di CaskettCoffee
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Quattro settimane ***
Capitolo 2: *** Otto Settimane ***
Capitolo 3: *** Dieci Settimane ***
Capitolo 4: *** Tredici Settimane - Parte I ***
Capitolo 5: *** Tredici Settimane - Parte II ***
Capitolo 6: *** Quindici Settimane ***
Capitolo 7: *** Diciotto Settimane ***
Capitolo 8: *** Venti Settimane ***
Capitolo 9: *** Ventitré Settimane ***
Capitolo 10: *** Ventisette Settimane - Parte I ***
Capitolo 11: *** Ventisette Settimane - Parte II ***
Capitolo 12: *** Ventisette Settimane - Parte III ***
Capitolo 13: *** Ventisette Settimane - Parte IV ***
Capitolo 14: *** Trenta Settimane ***
Capitolo 15: *** Trentadue Settimane ***
Capitolo 16: *** Trentaquattro Settimane ***
Capitolo 17: *** Trentotto Settimane - Parte I ***
Capitolo 18: *** Trentotto Settimane - Parte II ***
Capitolo 19: *** Quaranta settimane... dopo ***



Capitolo 1
*** Quattro settimane ***


QUATTRO SETTIMANE 


A riportarlo fuori dalla sua foschia di inconcio non fu né il rumore insistente del macchinario né il lieve soffio sibilante del respiratore. Molto più tangibile per lui era il tocco di una mano, che gli accarezzava leggermente la fronte. “Kate” pensò, sforzandosi di riemergere dall’oblio per vederla accarezzargli lì a toccargli delicatamente il viso. Tuttavia, con lo sforzo di aprire gli occhi, arrivò anche l’ondata di dolore. Sentiva uno squarcio che partiva dal suo petto e si diffondeva irradiandosi verso le braccia, le gambe, la testa, ovunque.

Castle emise un gemito udibile, e si costinse ad aprire gli occhi, in fessure sottili. Tirò fuori la lingua per inumidirsi le labbra secche, e si sentì improvvisamente troppo stanco anche per fare il solo sforzo di sollevare le palpebre. Il suo corpo era pesante, sentiva come se stesse sprofondando...

Ma Castle voleva combattere la chiamata all'oblio. Non voleva dormire. La determinazione a vedere lei, che lo stava accarezzando così amorevolmente era troppo forte.

"Kate." mormorò il suo nome quasi come una preghiera, riverente e sbalordito.

Quando finalmente riuscì a spalancare emise un forte respiro. “Alexis”

"Shh, non parlare", lo rimproverò Alexis gentilmente. Premette le dita sulle sue labbra per farlo rimanere in silenzio. "Adesso devi riposare."

"Dove ..."

"Terapia intensiva" rispose Alexis, piano, "Tutti sono qui per te. Mi hanno lasciato entrare solo perché sono tua figlia ... solo per pochi minuti."

Le sue parole gli arrivarono troppo in fretta. Terapia intensiva. Tutti qui. Pochi minuti. Si aggrappò a quello che ebbe il maggior impatto sui suoi sensi intontiti. "Ma ... Kate ..." chiese, con le palpebre che ricadevano già.

"Lei è viva, stai tranquillo," disse Alexis piangendo, "Ora riposa, okay ..."

Alexis lo guardò mentre si addormentava di nuovo, studiando attentamente il movimento del suo petto mentre lottava per respirare. Le sembrava che ogni respiro potesse essere il suo ultimo. E lo era quasi stato. Settantadue ore dopo che un proiettile aveva attraversato il quadrante in alto a destra del suo torace, le condizioni di suo padre erano state finalmente aggiornate da critiche a gravi. E finalmente avevano permesso a lei di poterlo vedere.
Erano state le settantadue ore più lunghe di sempre, per lei.

Alexis rabbrividì al solo ripensarci. La paura che suo padre non ce l’avrebbe fatta non l'aveva ancora lasciata, ma si sentì incoraggiata dal fatto che aveva aperto gli occhi, e per qualche istante era rimasto cosciente. Forse questo significava che presto sarebbe stato sveglio, e avrebbe cominciato a riprendersi. Avrebbe avuto bisogno di tutta sua forza per affrontare i giorni a venire ...

Mentre i suoi occhi vagavano sul suo viso addormentato, Alexis notò i cambiamenti che settantadue ore appeso fra la vita e la morte avevano lasciato su di lui. I suoi lineamenti sembravano più spigolosi di quanto ricordasse. C'erano delle macchie viola sotto i suoi occhi, e un livido sulla fronte dovuto all’impatto a terra.

Un’infermiera bussò al vetro per segnalarle che era ora di lasciare la stanza. Controvoglia, dopo un’ultima carezza al viso tanto provato, la ragazza uscì nell’anticamera, dove si spogliò del camice che aveva dovuto indossare per entrare nella stanza.

Durante la lunga, straziante attesa di quelle ore, Alexis aveva dovuto gestire non solo l’agonia per suo padre, ma anche l’angoscia per le condizioni di Kate.

I dottori non si aspettavano nemmeno che ce la facesse a superare l'intervento.

Era stata in arresto cardiaco due volte sul tavolo operatorio, e la seconda volta ci erano voluti quasi due minuti per rianimarla. Due minuti in cui il cuore di Beckett aveva smesso di battere.

Quando i medici erano usciti dalla sala operatoria, dopo tante, troppe ore, Jim Beckett, Martha e la stessa Alexis avevano avuto una conversazione piuttosto illuminante con una dottoressa, che gli disse qualcosa che davvero  nessuno di loro tre si aspettava sentire. Eppure in quelle ore avevano affrontato una catena di eventi surreali e tremendi, e si erano preparati a sentire tutto, anche il peggio. Ma non quello che effettivamente gli era stato detto. 

Erano rimasti sotto shock e pieni di domande, ma avevano realizzato subito che nella situazione in cui si trovava Kate, nulla di ciò che passava per la testa di ognuno di loro tre aveva davvero importanza, non con Kate che giaceva in un coma indotto, cercando di lottare per sopravvivere...

"Come lo diremo a papà quando si sveglia?" aveva chiesto a sua nonna in un sussurro ossessivo.

"Non lo so", aveva sussurrato Martha, "non lo so."

E sedici ore dopo Alexis non aveva ancora la risposta

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Capitolo 2
*** Otto Settimane ***


OTTO SETTIMANE 

Lui aprì gli occhi e la trovò a fissarlo.

Il cambiamento lo prese completamente alla sprovvista, perché non vedeva sua moglie con gli occhi aperti da quasi un mese.
Un coma indotto, così gli avevano detto quando era stato cosciente abbastanza per poter parlare con i medici di sua moglie. Avevano scelto di tenerla “addormentata” per preservare il suo stato di salute. Il colpo al fianco, la caduta che ne era conseguita, e i due arresti cardiaci in sala operatoria potevano avere avuto ripercussioni sul cervello. Tenerla addormentata serviva a limitare il corpo di Kate a pochi compiti elementari, per favorirne la ripresa. 

E così Beckett aveva dormito durante tutto il suo periodo nella Rianimazione, finché i medici non avevano finalmente deciso di interrompere la sedazione e farla svegliare. "Ci vorrà tempo e pazienza per svegliarla" gli avevano detto prima di iniziare quello svezzamento dalla sedazione. "Non sarà come spegnere un interruttore" gli avevano pazientemente spiegato i medici. 

E così Beckett aveva dormito anche durante il trasferimento prima alla terapia intensiva e poi alla stanza privata nel reparto, poche ore prima. Aveva dormito nelle ultime ore, quando – finalmente – fu concesso che potesse ricevere visite, ed era così iniziata la sfilata di visitatori che si erano susseguiti a salutarla. Lanie, Espo, Ryan, altri colleghi.

Le aspettative erano che Kate avrebbe continuato a dormire ancora tutta la notte, quindi Castle si era steso sul letto accanto a quello di sua moglie, e aveva deciso che-  adesso che gli era permesso- avrebbe trascorso anche le notti accanto a lei. Tuttavia, il suo sonno era stato afflitto da incubi, furiosi, orribili immagini di pistole, lui che veniva colpito, Beckett che cadeva a terra ... Quando Castle aprì gli occhi di scatto, le ultime immagini che aveva negli occhi erano di una Kate insanguinata che giaceva quasi senza vita accanto a lui.

La stessa Kate che aveva trovato ad occhi aperti, ad osservarlo.

"Cosa fai qui?" Beckett chiese in un sussurro, che sembrava averla lasciata già senza fiato. Era evidente che stava ancora sperimentando gli effetti dei sedativi. Il suo linguaggio era confuso, gli occhi erano socchiusi e assonnati mentre lo guardava.

Castle si avvicinò al suo letto. "Sto bene, mi sono ripreso prima di te, e ora sono qui", le sussurrò, "Anche tuo padre e gli altri sono sempre qui, ma la notte lasciano rimanere solo uno di noi nella stanza."

Beckett annuì alla spiegazione e ricadde sui suoi cuscini, esausta. Castle non sapeva davvero cosa lei stesse pensando, e non sapeva bene cosa dirle, perché al il momento era travolto dalla gioia e dalla gratitudine per il solo fatto che avesse aperto gli occhi. Più tardi avrebbe cercato di capire cosa dirle. Al momento si sentiva troppo stordito dalla felicità di averla vista sveglia per pensare a come affrontare qualcosa di complesso come il discorso che avrebbe dovuto farle.

Spostando lo sguardo verso il vassoio alla sua destra, Beckett lo implorò debolmente, "Puoi..." Lui comprese immediatamente la richiesta di acqua – anche lui ricordava bene l’arsura del risveglio- , e le avvicinò subito un bicchiere con appena un goccio d’acqua alla bocca, guardandola bagnarsi le labbra con occhi preoccupati.

"Cosa è successo?" Kate chiese stancamente ad alta voce, "L'ultima cosa che ricordo è il loft, noi che rientriamo" Si toccò distrattamente la testa, cercando di mettere insieme tutti i frammenti che balenavano nella sua mente confusa. Affannosamente inspirò più volte. "Mi fa male il fianco."

"Non ricordi cosa è successo?" le chiese Castle con attenzione.

Beckett si accigliò con un'espressione cupa. "Tu eri a terra ..." raccontò allora Kate, "Eri ferito… io… "

"Oh, Kate," gemette Castle, mentre allungava una mano per accarezzarle la guancia, ma lei provò ad afferrargli la mano.

"Dimmi cosa è successo", insistette.

Castle non sapeva in che modo dirlo se non semplicemente dirlo. "Kate," iniziò dolcemente, "Caleb ci ha sparato."

Beckett fece un suono che a lui parve quasi come una leggera risata. "Che cosa? Lui era morto"

Eppure, a quella rivelazione, le sembrò che all’improvviso il suo cervello volesse esplodere e cominciò a ricordare gli ultimi disperati momenti di quella giornata. Riusciva a ricordare di aver guardato Caleb Brown, ricordava il suono assordante del colpo partito dalla sua pistola quando gli aveva sparato. Ricordava di aver tenuto lo sguardo fisso sul volto malevolo di quell'uomo, quando aveva sentito un dolore penetrante al fianco, un dolore conosciuto. Kate ricordava di non aver davvero realizzato l’istante in cui il proiettile era entrato nel suo corpo, ma ricordava il dolore dopo. Ricordava di averlo sentito attraverso la carne, nei muscoli del fianco, lacerargli la pelle. Il dolore straziante era esploso un istante prima che lei cadesse sul pavimento. Ricordava chiaramente di aver sentito il bisogno di trascinarsi verso suo marito, ma non poteva essere certa se l’avesse fatto, o se il ricordo della mano di lui stretta alla sua fosse stato solo un sogno concepito dal suo cervello prima di perdere conoscenza.

Sollevò gli occhi vuoti verso Castle. "Dov'è lui?" Chiese cupamente, dolorosamente.

"Morto" disse Castle, annuendo con la testa.

"E… cosa è successo poi?" Beckett sussurrò.

L'angoscia che leggeva nei suoi occhi era troppo per Castle. "Appena dopo che ci ha sparato," le spiegò in un sussurro rauco, "E’ arrivata mia madre e ha dato l’allarme. L’ambulanza per fortuna è arrivata quasi subito e ci hanno portati qui, e ci hanno operato."

Beckett deglutì più volte prima di tentare di parlare ancora. "Tu come stai?" mormorò in preda alla rabbia “Avrei dovuto capirlo…”

"Kate, non è colpa tua," disse Castle rapidamente quando sentì il quell'ombra di rimprovero nel suo tono, "Non potevamo prevederlo ... nessuno poteva." Beckett lo guardò con occhi tormentati . "Adesso dobbiamo solo cercare di non pensarci, e andare avanti" mormorò lui con un sussurro pieno di angoscia.

"Avrei dovuto proteggerti" Kate rispose con tono di amarezza. "Invece ti ho fatto sparare". La sua mente continuava a elaborare i ricordi di quegli istanti tremendi.  

"Tu gli hai sparato", insistette Castle, "Ed ora è tutto passato ..."

“Tutto passato” argomentò Kate, monotono, “L’ho colpito dopo che lui ti aveva sparato. Non ti ho protetto in nessun modo. Avesse avuto una mira migliore, in questo momento saresti... "

"Kate, non dirlo."

"Ho messo la tua vita in pericolo", mormorò, le sue parole colme di lacrime non versate, "Di nuovo, io ..."

"Oh, Kate, non è vero", sussurrò Castle, "non è vero."

La sua risposta enfatica non sembrò avere effetto su di lei. Kate abbassò la testa, sospirando. "Tu stai bene?" Chiese in un singhiozzo.

"Io sì, Kate ..."

Castle studiò la sua testa, i capelli arruffati, desiderando affondare le dita nella setosa morbidezza dei suoi capelli. Voleva rassicurarla che tutto sarebbe andato bene, che in qualche modo avrebbero superato anche tutto quel dramma, insieme. Che lui stava bene, e che presto anche lei sarebbe stata bene. E non solo lei.

Combattendo l'impulso di gettargli le braccia intorno perché sospettava che con quell’abbraccio avrebbe potuto farle male, Castle disse piano: "Devo dirti una cosa, Kate."

Da quando aveva saputo la notizia, non aveva fatto altro che pensare a quando e come dirglielo. Aspettare che stesse bene, che fossero a casa, che si fosse ripresa completamente... Ma poi aveva realizzato che l’unica cosa giusta – o almeno la meno sbagliata- era dirglielo subito, il primo momento utile.
Se Beckett non ne era già a conoscenza – cosa di cui lui era convinto- si sarebbe arrabbiata con lui per averle taciuto per ore, o giorno, una cosa tanto importante. Anche lui sentiva che non poteva starle accanto e tenerle quel segreto. Se invece Kate lo sapeva già – ipotesi remota, e di cui lui dubitava fortemente- sarebbe stato lui quello ad arrabbiarsi. 

"Sei incinta, Kate."

Per la seconda volta nel giro di dieci minuti, Beckett rimase completamente silenziosa. Castle ascoltò il sibilo della sua macchina dell’ossigeno, rimanendo lui con respiro sospeso mentre aspettava che lei dicesse qualcosa. Kate armeggiò a lungo con le mani prima di sussurrare infine pensierosa : "E' vivo?"

Castle quasi rise alla domanda. "Sì, certo che è vivo"

“Ma il colpo ... "

“Ha colpito il fianco destro, a pochi centimetri dall’utero” confessò Castle “I dottori se ne sono accorti mentre ti stavano operando per rimuovere il proiettile. Per questo motivo l’operazione è stata più complessa, e la tua convalescenza più lunga "

"Io… quanto tempo è passato?" La devastazione che Kate sentiva per quella notizia aveva un sapore. Non perché non volesse un figlio, ma perché il primo pensiero che aveva avuto a quella notizia era che aveva messo a rischio la vita non solo dell’uomo che amava, ma anche di loro figlio.
 
“Sei stata in coma quasi un mese, Kate”
 
Beckett si sentì travolta dal dolore, e più di tutto dal senso di colpa. Sarebbe mai riuscita a perdonarselo? Rick l’avrebbe mai potuta perdonare? Quasi non riuscì a guardarlo in quel momento.
 
Castle sembrava così incredibilmente perso e confuso dalla reazione che lei aveva avuto, che Beckett non riuscì a soffocare i singhiozzi "Mi dispiace così tanto, Rick."

Rick le lanciò uno sguardo piena di dolorosa angoscia, prima di abbassare di nuovo gli occhi. "Tu non lo sapevi, vero?" le chiese con un sussurro attento.

"Cosa mi stai chiedendo?" rispose Beckett.
 
Castle sussultò al suo tono angosciato, sebbene le parole di lei fossero state appena un sussurro. "Tu sapevi di essere incinta, Kate?"
 
“Pensi questo?", l’accusò Kate. “Pensi che se avessi saputo di essere incinta avrei continuato la missione?” Kate sputò fuori quelle parole rimanendo senza fiato, trafiggendolo con uno sguardo colmo di dolore.  

"Io… no Kate"

"Puoi immaginare come mi sento?" Kate considerò ad alta voce in un sospiro lancinante. Lo trafisse con uno sguardo gelido. "Come posso sentirmi dopo essermi svegliata scoprendo di essere rimasta un mese in coma, scoprendo di essere incinta? "

"Forse quasi come mi sono sentito io quando mi sono svegliato e mi hanno detto che mia moglie era in coma, e incinta!"
 
Beckett impallidì a quello scoppio di ira di Rick, perché, in quel momento, non aveva pensato affatto a quello che aveva passato lui.
 
Castle vide il senso di colpa palesarsi sul suo viso e sbuffò amaramente. "Sono stati giorni difficili anche per me. Dovevo chiedertelo, Kate. Non sarebbe la prima volta che mi tieni all’oscuro di qualcosa di importante"

Le parole di lui la lacerarono, e non potè impedire alle lacrime di scorrerele sulle guance. "Non sei leale con me" lo accusò.
 
Castle si sedette accanto a lei, afferrando disperatamente le mani di lei, stringendole fra le proprie. "So di non essere stato giusto, Kate", gridò a pezzi, "e mi dispiace. Non sono mai stato ... non ho mai voluto ferirti. Però in tutti questi giorni, da quando ho saputo, ho rimuginato, ho ripensato a quei giorni, e il dubbio mi ha consumato ... "

Beckett gemette ad alta voce alle sue parole. Lui sembrava così sofferente, così sfinito, così stanco, che lei si sentiva quasi fisicamente male pensando a quello che aveva affrontato Rick in quei giorni in cui lei era stata addormentata. Era così arrabbiata che lui avesse dovuto affrontare tutto quello. Così arrabbiata per quello che stava succedendo.
 
Strinse la mano al marito, lottando per tenere sotto controllo le sue emozioni. Ma era difficile mantenere il controllo e non lasciarsi travolgere dalle emozioni. "A che punto sono?" gli chiese gentilmente: "Lo sai?”

"Quando sei arrivata qui, i dottori hanno ipotizzato che tu fossi incinta di quattro settimane..."

“… due mesi, quindi", finì Kate per lui.

"Si." Ci fu un attimo di silenzio prima che lui aggiungesse: "E’ molto forte. I medici me lo hanno ripetuto fino allo sfinimento. Stessa fibra forte della madre, mi dicevano."

Con sua sorpresa, Kate iniziò a piangere silenziosamente, e si portò la mano contro il suo addome, ancora piatto. Tenne lì la mano per alcuni. "E’ forte" mormorò con voce rauca, poi alzò gli occhi per guardarlo implorante. "Sta davvero bene?"

"Sì", sussurrò Castle posando la sua mano su quella di lei, contro l'addome "nostro figlio sta davvero bene".

E presto starai bene anche tu, aggiunse in silenzio.
 

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Capitolo 3
*** Dieci Settimane ***


DIECI SETTIMANE 

"Non dovresti essere a letto?" Jim rimproverò sua figlia quando entrò nella sua stanza d'ospedale.

Beckett era in piedi accanto alla finestra, la fronte premuta contro il vetro freddo. Alla domanda di suo padre, gli rivolse un sorriso ironico e agrodolce. "Mi conosci", lo prese in giro senza un vero umorismo, "Non faccio mai quello che mi viene detto." Il padre rispose anche lui con un sorriso appena accennato, prima di avvicinarsi a lei per accompagnarla di nuovo a letto.
 
Kate, sentendolo avvicinare, si voltò subito verso di lui, con lo sguardo alla ricerca un sostegno, e non solo del tipo fisico, mentre gli si appoggiava al braccio per camminare insieme a lui verso il letto. “Sono incinta, papà” .
 
Era la prima volta che lo diceva ad alta voce.

In un mondo ideale, avrebbe dovuto pronunciare quella frase in un momento felice, magari con tutta la famiglia riunita, tutti intorno ad un tavolo, felici. Ci sarebbero state lacrime di commozione, abbracci, sorrisi. Nel suo mondo, sapeva di stare dicendo a suo padre qualcosa che lui già sapeva. Che aveva saputo persino prima di lei.
 
"Lo so. Non potevo crederci, quando i medici me l’hanno. Quando li ho visti uscire dalla sala operatoria, non pensavo davvero che mi avrebbero detto quello” disse Jim mentre l’aiutava a stendersi.

Kate si appoggiò contro i cuscini con un sospiro stanco. "Non faccio altro che pensare a cosa sarebbe potuto succedere... se Martha non fosse arrivata, o se il colpo mi avesse preso diversamente", ipotizzò, cupa. Deglutì, cercando di sciogliere il nodo di rimorso che sentiva in gola. "E soprattutto, continuo a pensare a come sarebbe andata se non ci avessero sparato."
 
Le lunghe giornate di degenza per Kate si stavano rivelando tremendamente impegnative, dal punto di vista emotivo come dal punto di vista fisico. La spaventosità di quello che era accaduto l'aveva travolta nelle prime ore del risveglio, e gli strascichi di quella devastante realizzazione continuavano a tormentarla.
 
Il giorno in cui si era risvegliata, aveva ricevuto le visite di suo padre prima, e di Martha e Alexis poi.
 
Si era sentita del tutto impreparata quando si era ritrovata faccia a faccia con suo padre. All'inizio, non lo aveva quasi riconosciuto. Le era sembrato invecchiato di dieci anni in quell’ultimo mese. Nel momento in cui lui si era fermato vicino a letto per guardarla, con gli occhi umidi di una sincera commozione, Kate si era dovuta sforzare per ricacciare indietro le lacrime, e il senso di colpa e tristezza l’aveva travolta come uno tsunami.

Martha invece le era sembrata che avesse quasi barcollato quando lei l’aveva chiamata piano “Martha”. Con una mano tremante aveva afferrato lo schienale della sedia, mentre teneva l’altra mano davanti alla bocca per soffocare i singhiozzi. 
 
"Oh mio Dio", le aveva sussurrato Martha, sollevando la mano per accarezzarle la guancia. Avvertendo il forte impatto emotivo che quella sua reazione stava avendo sulla nuora, Martha si era sforzata di stamparsi sul viso un sorriso traballante. "Oh cara," aveva osservato quindi "uscita di qui avrai davvero bisogno di un lungo appuntamento dal parrucchiere"

"Io ... so che non mi aspettavate," aveva balbettato nervosamente Alexis, arrivando che era quasi sera. “Ho finito solo ora all’università e volevo passare, anche se è tardi…”
 
Fra tutti, quello di Alexis era il giudizio che Beckett temeva di più. In un riflesso incondizionato, aveva cercato alla cieca la mano di Castle, seduto a fianco a lei, e l’aveva stretta forte.
 
 “Vi disturbo?" aveva chiesto la ragazza rimanendo sull’uscio, in tono esitante.
 
"Certo che no," le aveva risposto Beckett con un sorriso imbarazzato.
 
“Vieni pure tesoro, tu non disturbi mai”. Alle parole del padre gli occhi di Alexis si erano illuminati, e si era avvicinata subito per salutarlo con un bacio sulla guancia.  
 
Invece aveva mantenuto un’espressione più neutra mentre si avvicinava a Beckett per porgerle i suoi saluti. "È bello vederti sveglia” le aveva detto, sinceramente.

Beckett era rimasta un istante in silenzio, incerta, prima di rispondere: "Grazie, Alexis... io ... so che sei venuta tante volte quando ero in coma... vorrei ringraziarti…"

"Non devi" le aveva detto Alexis, piano. “Sei una di famiglia”

Nessuno di loro tre aveva parlato facendo riferimenti al prima. Nessuno aveva fatto alcun riferimento alla gravidanza, incerti se Castle l’avesse informata o meno. Nessuno sembrava voler affrontare con lei quel tipo di discorso.
 
Nessuno, poi, l’aveva fatta in alcun modo sentire in colpa, esprimendo un qualsivoglia cenno di giudizio rispetto a quello che era accaduto. Ma Beckett era per se stessa il giudice più severo. E in quelle giornate a letto, pensava, e rimuginava.
 
Se solo fosse stata più attenta, più prudente. Se solo avesse capito prima che non aveva senso uccidere Brown e far trovare il corpo nell’auto, quando c’era la possibilità di farlo sparire nell’inceneritore…
 
Gli scenari le si susseguivano in testa nelle lunghe ore al letto… ma c’era poco che si potesse fare. Nulla per cambiare la situazione. Kate si stava rassegnando al fatto che sarebbe vissuto a lungo con il suo rammarico.

"Quindi cosa vuoi fare?" suo padre le chiese gentilmente, osservando i suoi pensieri scorrere sul suo viso espressivo. “Vuoi continuare a sentirti in colpa per sempre, o vuoi impegnarti a voltare pagina e a concentrarti sul bambino?”

"Voglio pensare al bambino", gli rispose, ferma. "È così importante per me ora, papà ..."

"Lo so", chiarì suo padre dolcemente, "E devi cercare di chiudere questa brutta faccenda il prima possibile. So che i tuoi colleghi vogliono parlarti, serve una tua deposizione, anche se tuo marito ha già chiarito come sono andate le cose."

Kate sentiva che riparlare di quel che era successo, spiegarlo, era al di là delle sue capacità emotive. Era in sovraccarico emozionale. C'erano così tanti sentimenti che doveva ancora elaborare, così tante cose che dovevano ancora essere chiarite nella sua testa. L'unica cosa che Kate sentiva davvero di poter - e voler- gestire, era la crescente devozione per il suo bambino, che già si gonfiava nel suo cuore. Questa era l'unica cosa che contava, al momento. L'unica cosa a cui voleva pensare. "Non voglio pensare a quello che è successo," Kate rispose semplicemente a suo padre. "Non ci riesco."

"Katie, dovrai farlo prima o poi ..." Jim si interruppe per prenderle la mano. "E penso sia meglio farlo quanto prima, per potersi lasciare tutto alle spalle"

"Non riesco a ripensare a tutto, papà."

C'era qualcosa di agghiacciante nel modo in cui Kate aveva pronunciato quelle le parole. Non c’era rabbia, angoscia, strazio. Le disse con la stessa enfasi che avrebbe usato per chiedere un bicchiere d'acqua. Il suo tono era piatto ... privo di vita, quasi come se non sentisse nulla.
 
"D’accordo. Come tuo avvocato, chiederò che tu possa essere esonerata dal deporre per motivi di salute. Sono sicuro che anche i dottori diranno che hai bisogno di tempo per riprenderti” concluse Jim, sorridendole e accarezzandole teneramente la fronte.

“Ora però Katie, ascoltami” la implorò. “Non è stata colpa tua. Hai avuto molte decisioni difficili da prendere negli ultimi mesi, e d’accordo, e forse non hai sempre preso le più sagge, ma hai fatto quello che credevi giusto. Non lasciare che i sensi di colpa rovinino questo momento. Prendila adesso la decisione più saggia, quella di concentrarti solo sulla tua famiglia "

La sua famiglia. Chiudendo gli occhi, a Kate vennero in mente un gruppo di elefanti.

 

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Capitolo 4
*** Tredici Settimane - Parte I ***


TREDICI SETTIMANE

"Kate, ci fermiamo a fare una pausa." Castle le diede una leggera scossa sulla spalla, un po' riluttante a svegliarla dal suo sonno. Kate si era addormentata solo una ventina di minuti dopo essere salita in auto, ma il suo sonno non era stato quieto. Si era mossa continuamente sul sedile, sospirando, ansimando e gemendo mentre era intrappolata tra i grinfie di quello che sembrava un incubo. Ogni tanto lo aveva chiamato, mormorando "Rick". Vederla in quello stato lo faceva star male.

A Beckett bastò la minima pressione delle dita di lui contro la sua spalla, per spalancare gli occhi di botto, e mettersi su dritta. Poi ansimò, il movimento improvviso le aveva causato un dolore sordo al fianco. Si portò la mano sulla ferita, con un sospiro.

"Ti fa male?" Castle le chiese, ma sapeva già la risposta. 

"E’ stato il movimento improvviso, ora va meglio," Kate gli rispose, dopo alcuni secondi. Strinse gli occhi e girò il viso verso il finestrino, nel tentativo di distrarsi dal dolore e di nascondere agli occhi di Castle le lacrime che le stavano riempiendo gli occhi. Aveva cominciato a piovigginare mentre dormiva. Fuori era cupo e coperto. "Dove siamo?" chiese quando si rese conto che la macchina si era fermata.

"Pensavo che potessimo fermarci a pranzo, fare una pausa, prima di arrivare a casa" lo informò Castle.

Dopo altre tre settimane di degenza, i medici avevano finalmente deciso di dimettere Beckett, con la raccomandazione di trascorrere un periodo di assoluto riposo, per riprendersi sia fisicamente che mentalmente. Avrebbe avuto bisogno di costante assistenza riabilitativa, ma non era nulla che una buona infermiera e un buon fisioterapista non potessero gestire anche a casa. Castle aveva assicurato che avrebbe provveduto a tenerla assolutamente riposata, e Beckett aveva acconsentito senza nemmeno azzardare nessun tipo di appunto.

Tornare al loft sarebbe stato troppo per lei, aveva pensato Castle. Anche per lui era stato difficile entrare in quella casa, dopo le sue stesse dimissioni. Aveva cercato di trascorrere lì il minor tempo possibile - qualche ora di pausa nelle lunghe giornate trascorse a vegliare Kate- soltanto per cambiarsi, lavarsi, mangiare qualcosa di più sano dei sandwich del bar dell'ospedale, sempre ignorando il bancone della cucina, dove solo poche settimane prima aveva rischiato di perdere quanto di più importante avesse nella vita.

Il padre di Kate si era offerto di ospitarli a casa sua, ma era stata Beckett a declinare l'offerta. Suo padre, Martha, Alexis, avevano messo le loro esistenze in stand by per quelle lunghe settimane in cui prima entrambi, poi lei sola, erano stati ricoverati. Non era giusto imporre a nessuno di loro un ulteriore battuta d'arresto, quando la cosa migliore da fare, per tutti, era cercare di riprendere le proprie esistenze e riappropriarsi della propria rassicurante routine. 

Gli Hamptons, aveva pensato Castle quel punto, sarebbero stati la soluzione ideale. Avrebbero permesso loro di stare a casa, di stare soli, di stare tranquilli, con la possibilità per chiunque volesse - e Castle era certo che tutti avrebbero voluto - di andarli a trovare. Con calma avrebbero deciso cosa fare con il loft, e con le loro vite. Ma prioritario, in quel momento, era che entrambi - e Kate in particolare- si riprendesse, fisicamente e psicologicamente.

Castle aveva avuto il vantaggio di un mese di ricovero in meno, che gli avevano permesso di riprendersi prima di lei su entrambi i fronti. Eppure, era ancora molto difficile per lui affrontare tutto quello, soprattutto quando sapeva quale terribile dolore stesse sopportando Kate, sia fisico che emotivo.
I dottori le avevano preparato una prescrizione di analgesici, per aiutarla a gestire il dolore fisico.Ma – avevano aggiunto- doveva cercare di attenersi alle prescrizioni e anzi, se possibile, limitarne l’uso.
Gli analgesici– le avevano spiegato-  potevano avere effetti collaterali sul bambino, quindi, il loro uso era da ponderarsi attentamente. Alle domande insistenti di Beckett sui rischi di effetti collaterali, le avevano spiegato che l’utilizzo di quel tipo sembrava poter aumentare il rischio di difetti del cervello, della colonna vertebrale, e di difetti cardiaci.
Neanche a dirlo, Beckett aveva recepito fin troppo quanto riferito, e da quel momento si era categoricamente rifiutata di prendere la maggior parte degli antidolorifici, rassicurando i medici che il dolore era “assolutamente tollerabile”.

Castle, che conosceva la sua testardaggine, aveva compreso immediatamente che stava mentendo.

La conferma era sotto i suoi occhi, lì, in quella tavola calda sulla strada degli  Hamptons. Castle l’aveva sostenuta nei pochi passi dall’auto al locale, l’aveva sorretta per aiutarla a sedersi sulla sedia, prima di sedersi lui stesso. Ma nonostante tutte le premure, Castle osservò con il cuore colmo di angoscia che il viso di lei si imperlato di sudore freddo, mentre cercava di trovare una posizione sopportabile. Per quando arrivò la cameriera, il viso di Kate era sbiancato.

Castle attese tuttavia che la cameriera prendesse l’ordine - era prioritario che Kate mangiasse - prima di esprimere tutta la sua preoccupazione. "Forse dovresti prendere qualcosa per il dolore", suggerì lui in tono pacato.

"Non mi serve nulla, sto bene," gli rispose lei, laconica.

"Kate, ti sta facendo male"

Lei distolse lo sguardo. "Sto bene". 

"Abbiamo lasciato l'ospedale troppo presto, sei troppo debole"

"No!" Kate rispose bruscamente: "Non ne potevo più di rimanere lì, Castle"

"Non capisco perché sei così testarda!" le disse un istante prima che la cameriera si avvicinasse per servirgli da bere. Quando ebbe finito di versare loro del tè freddo, Castle guardò di nuovo Beckett, la sua espressione era ancora più stanca di quanto non fosse un minuto prima. Era frustrato dal tentativo di lei di nascondergli il suo malessere, ma era abbastanza saggio da rendersi conto che non avrebbe fatto progressi forzandola. E poi, doveva ammettere, da padre comprendeva quell'assurdo tentativo di Kate di proteggere loro figlio.

Tuttavia, due mesi prima era stato sparato anche lui, e sapeva bene che tipo di dolore Kate stesse provando. E non poteva permetterle di agonizzare in quel modo per le successive settimane. Gettò il tovagliolo sul tavolo, e le prese le mani fra le sue. "Kate, questo non può far bene al bambino."

"Cosa non può far bene?" Kate rispose cupamente.

"Tu che provi questo dolore continuo", le rispose, carezzandole teneramente il palmo. "Non voglio che tu sia sull'orlo delle lacrime ad ogni movimento."

"Hai sentito cosa hanno detto i dottori" gli rispose allora Beckett, quasi come un ammonimento.

"Non hanno detto che devi sottoporti a questo supplizio," protestò Castle. Si affondò le dita nei capelli, insofferente, cercando di farla ragionare. "Hanno solo detto di essere cauta nel prendere i tuoi antidolorifici, solo quando necessario”

"Non hai pensato che dopo aver trascorso un mese praticamente drogata 24 ore su 24, sarebbe il caso di smettere di imbottire nostro figlio di farmaci solo per fare stare bene me?" Kate lo respinse, quasi in lacrime.

"Sì, certo che l’ho pensato," confessò Castle in un sospiro. Quell'affermazione fece brillare di nuovo le lacrime negli occhi di lei, e Castle si morse le labbra per la frustrazione quando se ne accorse. "Aspetta ... non mi è uscito nel modo giusto", aggiunse. "Quello che sto cercando di dire è ... Quando ho parlato con i medici la prima volta dopo il mio risveglio, e mi hanno spiegato come stavi, mi hanno detto che il coma farmacologico era la cosa migliore per te. E non ho potuto fare a meno di chiedere loro se fosse anche la cosa migliore per il bambino"

"Mi odi?" Kate pronunciò docilmente, interrompendolo. "Per quello che ho fatto a nostro figlio?"

Castle sussultò per il dolore causato dalla sua domanda. "No ... no", negò gentilmente, ma fermo. "Non posso odiarti, Kate. Mai."

Beckett aveva la testa piegata, lo sguardo basso, in modo che lui non potesse vedere chiaramente la sua faccia, ma lui immaginava senza neppure doverla vedere, quella smorfia di dolore che doveva essersi dipinta sul viso della moglie. "Kate, è normale preoccuparsi per il bambino. Tu ti stai preoccupando che possa fargli male quel che prendi, come me ne sono preoccupato anche io" le spiegò. "Ma i dottori mi hanno fatto capire che la priorità assoluta, per il bene del bambino, era che stessi bene tu, perché tu e lui siete un’unità inseparabile, e che tu stia bene è indispensabile affinché lui stia bene"

"Non dovrebbe essere così, tutto questo". intervenne rauca lei. "Mi sento come… non sono riuscita a proteggere te... io non sono riuscita... e poi anche ... "

"Kate…"

“Anche il bambino" continuò. "Non è neanche nato, non è neanche della grandezza di un pugno, eppure già quanto ha dovuto sopportare? Quanto, per colpa mia?"

Un singhiozzo stridente le uscì spontaneo dal petto mentre si dissolveva in un pianto angosciato. Lei si nascose il viso tra le mani, sapendo che stava dando un magro spettacolo di se stessa proprio lì, in una tavola calda sulla strada, ma si sentì incapace di reprimere le lacrime. Un attimo dopo sentì la stretta delle braccia di Castle attorno a sé e Kate seppellì la faccia nel suo petto, singhiozzando e singhiozzando e singhiozzando fino a quando non si sentì vuota.

Rick le accarezzò i capelli, le dita che le massaggiavano delicatamente la testa. Anche dopo che i suoi singhiozzi si erano taciuti, lui continuò a tenerla stretta, il respiro di lui contro la sua tempia mentre le sussurrava rassicurazioni gentili. Kate chiuse gli occhi e respirò profondamente, riconoscendo quell’odore che era unicamente suo. Era così bello ritrovarsi tra le sue braccia, sentire il suo calore confortante che la circondava. Si erano stretti tante volte, e Kate conosceva fin troppo bene la sensazione dell'abbraccio di Castle, ma per lei non aveva mai significato così tanto conforto come in quel momento. “Io non mi merito tutto questo amore, tutto questo. Non dopo quello che vi ho fatto.”

Un respiro ansimante e doloroso lacerò il petto di Castle, con la sua angosciata ammissione. Mentre Kate lo fissava gli occhi feriti, Castle vide che ci credeva, era davvero convinta di non meritarsi il suo amore. Lui non si era reso conto fino a quel momento di quanto fosse profondo il dolore di Kate, quanto lei sentisse solo sua tutta la colpa di quello che era successo. Era convinta davvero che fosse colpa sua se Caleb Brown aveva sparato a entrambi, condannandoli a lottare per la vita, lui, lei e loro figlio. "No", l’ammonì dolcemente, "Non puoi dire questo."

"Perché? È vero. Come puoi non odiarmi per quello che ho fatto a te, a noi, al bambino?" insistette lei in lacrime.
 
"Io non potrei mai odiarti, Kate," le disse di nuovo con ostinata perseveranza. "Non ti ho mai odiata, né quando mi hai mentito, né quando mi hai respinto. Io ti ho amata allora e ti amo adesso. Non potrei mai odiarti"

Lei allungò una mano per toccargli la guancia. "Ti amo, Kate," sussurrò. "Ti amerò sempre. E non è del mio perdono che hai bisogno, ma del tuo”
 
“Come?” chiese lei. “Come farò a perdonarmi?

"Devi solo riuscire a piacerti di nuovo, Kate", le sussurrò dolcemente, "A capirti. A ragionare lucidamente per comprendere i motivi per cui hai agito, per cui abbiamo agito. Tenendo sempre a mente che eravamo insieme allora, e lo siamo adesso" le sussurrò ancora, accarezzandole la nuca. “E lo saremo sempre”

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Capitolo 5
*** Tredici Settimane - Parte II ***


TREDICI SETTIMANE - PARTE II

Castle guardava Beckett dormire. Non aveva avuto incubi durante la notte, era caduta in un sonno profondo. Appena arrivati a casa, Kate aveva avuto la forza appena sufficiente per arrivare in camera da letto, ma non quella per indossare il pigiama. In effetti era praticamente crollata sul letto. Non volendo svegliarla, Castle le aveva sfilato con delicatezza scarpe e pantaloni, e l’aveva coperta con le lenzuola. Infine, si era rannicchiato accanto a lei. Da allora, per quasi tutte le ore trascorse, era rimasto sveglio, studiando quella sagoma addormentata, i suoi occhi che vagavano su e giù. Un mugugno indistinto, tuttavia, gli fece comprendere che la bella addormentata si era infine svegliata.

"Ehi" disse lei, la sua voce roca per il sonno.

"Ehi," rispose Castle, dolcemente. "Dormito bene?"

Era una domanda abbastanza ovvia, ma Beckett sapeva che Castle era a conoscenza degli incubi che la tormentavano nel sonno. Suo marito aveva dormito in camera con lei nelle notti che aveva trascorso nella stanza di ospedale, e tante volte l’aveva svegliata per strapparla ai suoi incubi, per trascinarla via da quelle immagini terribili che la tormentavano quando crollava nel sonno. Ogni volta che chiudeva gli occhi, Beckett rivedeva Caleb e quella dannata pistola, ma nei suoi sogni lui non mancava mai di colpirla dritta nella pancia, là dove c’era il suo bimbo. Quella notte tuttavia, quell'immagine non l'aveva tormentata. 

"Ho dormito molto bene, in effetti," rispose in risposta alla domanda di lui. "E tu?"

"Io ti ho soprattutto guardato" le rispose lui.

L’espressione di lei si raddolcì alla sua dichiarazione. "Che ore sono?" gli chiese ancora assonnata, coprendosi gli occhi con la mano per ripararsi dalla luce che filtrava dalla finestra.

"Poco dopo le 9," gli disse lui "l’infermiera è arrivata già da un po’ ma tu eri così tranquilla che non ho voluto svegliarti. Torna fra un paio d’ore."

"È la prima notte di sonno vero da un po’ di tempo" ammise Kate piano. Ed è solo perché sono vicino a te, è tutto solo grazie a te, aggiunse nella sua testa.
 
Ma appena il tempo di pensarlo, che Kate si rese immediatamente conto che - se voleva davvero riuscire a stare meglio- avrebbe dovuto iniziare a raccontargli come si sentiva. E decise, quindi, di non lasciare nient'altro tra loro non detto. "Grazie," disse, "per avermi rassicurata, ieri. Per avermi detto che mi amerai sempre. E per avermi stretta."

L'angolo della bocca di Rick si sollevò in un sorriso storto. “Sempre” e suggellò quella promessa con un tenero bacio sulle labbra. "Ti è stato davvero d'aiuto?" chiese poi lui attentamente.

"Più di quanto tu possa immaginare." 

Lui le strinse il viso tra le mani, unendo le loro fronti affinché si toccassero.

Quando le labbra di Rick trovarono quelle di Kate, fu come se si muovessero d’istinto. Il tocco era delicato, gentile, dolce. Per un momento rimasero in quel modo, sfiorandosi le labbra in un bacio tenero.

"Mi dispiace così tanto per le cose che ti ho detto, Rick." Lei seppellì la faccia contro la spalla del marito. "Sono davvero incasinata."

"No, Kate…"

"Lo sono", insistette Beckett, non permettendogli di finire la protesta, "Ma non voglio continuare ad esserlo. Voglio fare tutto il possibile per stare bene. Per te e per il bambino. Devo solo capire come fare."

Castle sorrise tra i capelli morbidi di lei. "Va bene, io direi di cominciare da una cosa semplice," suggerì piano, "Come ad esempio, capire se hai voglia di mangiare qualcosa di sensazionale per colazione, come ad esempio una mia strepitosa smorelette?"

La vide sorridere, il suo primo sorriso genuino da giorni. Il cuore di Castle si scaldò. Era così contento con quel nuovo sviluppo che a malapena la sentì sussurrare: "Una smorelette è esattamente quello che voglio, ora".

Un sorriso soddisfatto apparve sulle labbra dello scrittore. “Ti ho disfatto la valigia, ed ho sistemato là una tuta e la tua vestaglia," le annunciò dolcemente, mostrandole i capi poggiati su una poltrona al lato del letto. “Hai bisogno di aiuto?”

“No Castle, penso di potercela fare ad arrivare in bagno e a vestirmi”

"Fai con calma" sussurrò, "io strapazzo una dozzina di uova e sono da te"

"D’accordo," concordò lei.

Allora lui le stampò un bacio sulla fronte e uscì dalla stanza quasi di corsa.

Dopo che se ne fu andato, Kate si prese qualche minuto per scendere piano dal letto. Prima di infilare la tuta, però, si diede un'occhiata nel grande specchio che stava nella stanza. Con un leggero cipiglio, si avvicinò per studiare il suo riflesso da vicino, e non potè fare a meno di sussultare per ciò che vide.
 
Era dimagrita, troppo, le costole sporgevano, e lei si lisciò le dita sulla cassa toracica con una smorfia di repulsione. La sua pelle era pallida, e ciò serviva solo a rendere la cicatrice sul fianco ancora più evidente. Flesse le braccia, ignorando il dolore al fianco mentre lo faceva. Due mesi senza praticamente muoversi avevano indebolito il suo corpo, e anche a vedersi si rendeva conto di aver perso gran parte del suo tono muscolare, c'era una netta differenza con prima. 
 
Poi lo sguardo, non volendo, le cadde sulla pancia. Per la prima volta da prima si guardava allo specchio di profilo. E senza neanche sapere cosa stesse cercando, la vide. 
Una piccola curva appena accennata sull’addome, giusto un istante, talmente fugace che sarebbe potuta essere una fantasia.

Si sedette sul letto per infilarsi i vestiti. La pancia si piegò su se stessa, come aveva sempre fatto, e quella piccola virgola che le era parso di vedere prima le sembrò davvero una sua suggestione.

Con un sospiro di rassegnazione, Kate afferrò la borsa piena di biancheria intima e articoli da toeletta e riprese a vestirsi. Gli ci volle un po’ di tempo considerando quanto piano si muoveva per via delle sue ferite. Decise poi spazzolarsi i capelli, che sembravano arruffati in maniera indistinta. Castle risalì in camera cinque minuti dopo, fra le mani un vassoio carico di cibo.
 
"Ho pensato che invece di far scendere te per la colazione, fosse meglio far salire la colazione da te", le disse lui con tono quasi irriverente. 

 "Mi era mancato,tu che mi porti la colazione a letto”

"E a me era mancato portarti la colazione a letto" disse mentre poggiava il vassoio sul grande letto matrimoniale. "Viziarti è il mio dovere supremo. Non solo te, comunque. ” Castle le prese la mano e la appoggiò sulla pancia di lei, allargando la propria mano sopra quella della moglie. "Devo viziarvi in due, adesso. Te e il bambino."

Kate piegò dolcemente le dita nel suo ventre, appoggiando la fronte contro la clavicola di lui. "Il nostro bambino", sussurrò quasi tremando, con un timore reverenziale, "Abbiamo fatto un bambino insieme, Castle."

Castle le accarezzò delicatamente i capelli. "Lo abbiamo fatto davvero" mormorò . Non era la prima volta che rifletteva sul fatto che lui e Beckett avevano effettivamente concepito un figlio. C’erano dei momenti in cui pensava, di botto, che mentre loro parlavano, mangiavano, camminavano, c’era loro figlio che cresceva nella pancia di lei. Eppure, era la prima volta che la condivideva quella sensazione di sincero stupore con Kate.
Lui si concesse di godere di quel momento, tenendola stretta mentre lei gli premeva la guancia contro l'addome. Lui intrecciò le dita tra i capelli, gli sembrava quasi che il suo cuore potesse esplodere. "I tuoi capelli sembrano belli" considerò ad alta voce, incapace di pensare a qualcosa di più appropriato da dire di fronte a un momento così unico.

La sentì sorridere. "È il tuo modo di dirmi che prima stavano male?"

Castle rise ad alta voce. "Sì, beh, si vede che li hai spazzolati. Prima sembravi un porcospino”

Lei lo spinse via indignata, mentre lui rideva. Beckett allora guardò il vassoio. "Hai inviato qualcuno?" lo prese in giro irriverente, "Perché non possiamo in due mangiare tutto questo."

“Oh, tutta questa roba è per due invece,” Castle la corresse con aria di sufficienza, “Voi due”.

"Ce ne è per due dozzine”

"Devi mangiare, Kate, per riprendere le forze", argomentò allora lui.

Lei sembrò colpita da quella considerazione, che lui aveva detto per solo per spiegarsi.

"Io ... so che ho perso peso. Mi sono specchiata prima… era la prima volta che mi vedevo a figura intera da quando… sai… ", commentò allora lei, con consapevolezza, abbassando gli occhi. “E faccio paura”

"No, Kate il tuo corpo è perfetto ... devi solo rimetterti in forze," protestò lui con zelo e poi ammiccò prontamente, "Come tu sai, sono un esperto di corpi femminili. Anni e anni di esperienze, a dire il vero. Puoi considerare il mio parere come un’opinione autorevole. "

Kate si sporse in avanti per sfiorargli le labbra in un bacio tenero, rassicurata dalle parole di lui, dopo che la sua vanità era rimasta ferita dal suo riflesso specchio. Le parole di lui avevano avuto l’effetto di lasciarla rilassata e assurdamente compiaciuta. "Ok, basta parlare ... mangiamo."

Alla fine, in tre finirono tutto.

 

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Capitolo 6
*** Quindici Settimane ***


QUINDICI SETTIMANE
 
"Sei nervoso Castle?"

Un istante di silenzio. "No, tu lo sei?"

"Ovviamente no."

"Davvero Beckett, neanche un po’?"

"Beh ... forse un po’."

"Anch'io."

Kate Beckett sembrava non riuscire a rimanere ferma sulla poltroncina della sala d’attesa. Continuava a guardarsi intorno, a tamburellare con le dita sulle gambe. "Non c'è niente da leggere qui" si lamentò.

Castle emise uno sbuffo che sembrò più una risata e sollevò lo sguardo dalla sua rivista, in quella che doveva essere la sesta interruzione in due minuti. "Ci sono molte riviste, Kate" la informò dell'ovvio, tendendo la mano verso il tavolino pieno di giornali che si trovava a pochi metri da loro. "Basta prenderne in mano una e cominciare a leggerla."

"Davvero dovrei leggere questa roba?", lo guardò storto Kate prendendone una a caso fra le mani, e portandogliela davanti agli occhi a mò di spiegazione "non ho bisogno di sapere come ridurre le smagliature sulla pancia o come evitare che i miei capezzoli diventino screpolati durante l'allattamento al seno ... o mio dio, si possono screpolare?" 

"Magari è meglio qualcosa di diverso", rispose Castle sfilandole la rivista fra le mani, "C'è una copia del New Yorker proprio lì”. Tentò allora di riportare la sua attenzione sull'interessante articolo sull’alimentazione in gravidanza, ma sua moglie lo interruppe subito. 

"Parla con me, Castle" gli chiese lei "Sono in ansia."

Beckett aveva quel suo broncio. Castle non era in grado di resisterle in generale, ma quando metteva su quell’espressione corrucciata, sapeva di non poterle negare nulla. Quindi emise un sospiro e mise definitivamente da parte la sua rivista. "Di cosa vuoi parlare?"

"Beh, intanto vorrei parlare di perché siamo qui a fare questa visita", disse lei, "Non c'è niente che non vada nel bambino, giusto? Perché il dottor Krebs ha detto di fare questo controllo? Siamo stati da lui all’ospedale tre giorni fa!"

"Non c'è niente che non vada, Beckett", la rassicurò Castle gentilmente, "il dottore ha semplicemente consigliato di farci seguire anche da un ginecologo privato per tutto il corso della gravidanza." Un cipiglio pensieroso corrugò la fronte di sua moglie, e allora lui aggiunse: "La dottoressa Bradford è fra i migliori ginecologici della città, e il dottor Krebs ce l’ha caldamente raccomandata. Sta tranquilla."

"Perché deve seguirci un altro ginecologo? A me piace il dottor Krebs" replicò Kate.

“Perché il dottor Krebs lavora in ospedale e… aspetta, in che senso ti piace il dottor Krebs?”

"Ha le mani piccole, un tocco delicato..." lo provocò Beckett. Castle sembrò quasi sbiancare. “Andiamo Castle, tu in che senso pensi mi piaccia un ultrasessantenne calvo con i baffi a spazzola?”

“Beh, per come l’hai detto era piuttosto fraintendibile. E poi comunque il dottor Krebs è un bell’uomo. Non puoi snobbarlo solo perché è calvo”

“Paura di perdere la tua folta criniera, eh Castle?”

"Rispondendo alla tua domanda” riprese la parola lui, imbronciato “Il dottor Krebs lavora in ospedale, non può seguirti attentamente. In più, lui crede che sia meglio anche sotto il profilo psicologico affrontare il resto della gravidanza nella maniera più normale possibile."

Lei gli fece un sorriso tenero ma incerto, ma qualsiasi ulteriore conversazione fu interrotta dalla voce dell'infermiera che chiamò la signora Castle. Quando Kate si alzò per seguirla, Rick le prese subito la mano e seguirono insieme l'infermiera.

Castle attese pazientemente seduto alla scrivania della dottoressa che l’infermiera facesse a Kate tutti i controlli di routine - pressione sanguigna, il peso, prelievo del sangue, il campione di urina, l’elettrocardiogramma. Quando infine l'infermiera lo invitò a rientrare nella sala d'esame per aspettare con sua moglie la dottoressa, Castle temeva che sarebbe crollato sul posto. Era così eccitato che riusciva a malapena a stare in piedi. Non vedeva l'ora che arrivasse la dottoressa.

Durante la degenza di Beckett in ospedale, aveva seguito tutti i controlli che le erano stati fatti. Il bambino era stato costantemente monitorato sin dai primi momenti del ricovero – che lui aveva perso, perché anche lui al tempo si trovava in terapia intensiva.
Nel periodo di coma di Kate, avevano svolto su di lei tantissimi esami e controlli, ma mai con lui presente, e mai con Kate cosciente. Conosceva il responso di tutti gli esami, aveva persino letto e riletto i risultati nelle lunghe ore di attesa.

Quello, tuttavia, era il primo momento normale di quella attesa che affrontavano insieme.

Aveva subito compreso cosa intendesse il dottor Kestos nel dirgli che era meglio per entrambi affrontare la gravidanza in maniera normale. Tutto per loro, fino a quel momento, era stato diverso da come avrebbe dovuto: medici che annunciano la gravidanza a due futuri nonni e a una futura sorella, una figlia che comunica al proprio padre che la moglie di lui aspetta un figlio, un marito che informa la moglie che c'era un bambino nella sua pancia. Era stato tutto esattamente il contrario di come sarebbe dovuto essere.

Era assorto nei suoi pensieri, incantato di fianco al lettino, quando l'infermiera suggerì a Kate che avrebbe dovuto spogliarsi dalla vita in giù, mentre le porgeva un lenzuolo rosa per coprirsi. 

"Hai bisogno di una mano?" le chiese, già pronto ad aiutarla a sfilarsi i pantaloni. I movimenti per vestirsi e svestirsi erano ancora un po' complessi per Beckett, per via del taglio sul fianco. In casa, indossava quasi sempre pantaloni larghi e comodi, con l'elastico in vita. Tuttavia, per quel controllo Kate aveva insistito per indossare uno dei suoi tailleur pantalone.

Beckett trattenne il suo sorriso divertito. "Chi lo avrebbe mai immaginato che ti avrei visto con quest’espressione angosciata all’idea di togliermi i vestiti"

Castle rise spontaneamente mentre lei gli porgeva i vestiti che si era tolta da sola. 

"Te li poggio su una sedia” le disse, a nel momento in cui si voltò, si scontrò con la dottoressa mentre stava entrando. "Mi dispiace", gridò Castle, quando le cartelline che la donna teneva in mano e i fogli in esse contenuti, iniziarono a volare in tutte le direzioni. Si chinò per recuperare in fretta tutte quelle carte sparpagliate.

Fortunatamente, la dottoressa non sembrò prendersela per la sua goffaggine. "Non si preoccupi, non è il primo futuro padre a travolgermi con il suo entusiasmo” lei lo prese in giro, ridendo. Rimasto stranamente a corto di risposte simpatiche, Rick si trovò capace solo di arrossire in risposta, in soggezione di fronte a quella piccola donna anziana, che si trovava davanti a lui. La dottoressa allungò la mano in segno di saluto. "Sono la dottoressa Elizabeth Bradford", disse, mentre stringeva con presa ferma la mano di Rick.

"Richard Castle", mormorò lui in risposta.

“Immaginavo, la mia infermiera mi ha ripetuto il suo nome almeno tre volte, ridacchiando e ammiccando, come se dovessi sapere chi lei fosse. Cos’è lei, una specie di attore?” gli chiese mentre lui le restituiva le sue cartelle. 

“Scrittore in realtà”

“Qualcosa che posso aver letto?”

“Beh, Storm Season, A Calm Before Storm, Heat Wave, Heat Storm…”

“Wow… sembra più un meteorologo che uno scrittore…” Poi il suo sguardo della cadde su Kate che era già seduta sul lettino da visita mentre cercava strenuamente di non ridere. La dottoressa Bradford la guardò con uno sguardo di intesa. "E tu devi essere Kate," suppose, allungandole la mano, che Kate stinse quasi riverente.

“Bene, il dottor Krebs mi ha informato di tutta la situazione, e suppongo che, ora che ci siamo presentati, possiamo direttamente andare al nocciolo della questione" dichiarò una volta concluse le presentazioni. 

"Vieni qui, scrittore," lo invitò la dottoressa, indicandogli la sedia vicino al lettino. Lui si avvicinò lentamente, pronto per tenere la mano di Kate. "Ho controllato le tue cartelle Kate, tutte le tue analisi del sangue, e facendo due conti direi che possiamo dire con ragionevole certezza che lei è alla quindicesima settimana di gestazione"

"Ok" rispose piano Kate, sorridendo timidamente. Castle invece sembrava non controllare l’eccitazione, "Quando dovrebbe nascere?"

"Il 25 Dicembre."

"Sta scherzando," istintivamente Kate rispose "partorirò il giorno di Natale?"

"E’ solo un'approssimazione", le spiegò la dottoressa "Solo il 5% delle donne partorisce il giorno esatto del termine previsto."

Tuttavia, le parole della dottoressa non sembravano aver avuto alcuna presa su Castle, che guardava sua moglie estasiato. Le strinse la mano più forte. “Lei nascerà a Natale”, sussurrò tremante.

"Lei?" Chiese Kate meravigliata. Si voltò, il suo sguardo sbalordito verso il dottore. “È una femmina? Voglio dire, lo può dire già adesso?

"È ancora troppo presto per sapere il sesso del bambino con certezza” rispose la dottoressa con un sorriso indulgente rivolto nella direzione di Castle. "Ma immagino di sapere cosa spera suo marito." 

“E’ senza dubbio una femmina”

“Non hai sentito cosa ha detto la dottoressa, Castle? E’ troppo presto per dirlo”

“Ho un sesto senso per queste cose. E’ tosta, è resiliente. E’ femmina, sicuro. E poi, io faccio solo femmine, come sai”

“Tu fai solo femmine? Questa è la tua teoria?”

“Le probabilità sono dalla mia”

“Con la tua ampia casistica di una figlia femmina”

“Scommettiamo?” ammiccò lui.

“Scusate", dichiarò la dottoressa alzando leggermente la voce per attirare di nuovo l'attenzione della coppia, "Mi secca interrompere questo piacevole interludio, ma che ne direste di ascoltare il battito del cuore del vostro bambino? ”

L’atmosfera rilassata di poco prima divenne subito un ricordo lontano. Kate sbiancò quasi, e strinse la mano a Castle guardandolo negli occhi con un’espressione di puro terrore. Castle le sorrise cercando di rassicurarla, ma in realtà era ugualmente teso. Era quello il momento, dunque. Il momento della verità, il momento in cui quella che era fino ad allora un’astrazione vaga diventava una realtà concreta.

Castle stava ancora realizzando quel che stava per accadere quando i primi rumori riempirono la piccola stanza. Kate sobbalzò al suono, guardando la dottoressa con gli occhi spalancati per lo stupore. "È ... è questo?" chiese Kate, le sue parole piene di emozione, "È il suo cuore?" 

Il suo cuore, aveva pensato Castle nell’esatto istante in cui Kate aveva pronunciato le medesime parole.
Lui non riusciva quasi a credere che stesse davvero ascoltando il suono del battito del loro bambino, quel figlio che le stava crescendo dentro. In tutti quei mesi aveva ascoltato i medici parlare con quasi un rassegnato distacco – irrazionalmente, si chiedeva se fosse davvero possibile che un qualcosa di piccolo come una lenticchia potesse resistere a tutto quel dolore che aveva quasi annientato lui, e Kate. Il terrore che la vita avrebbe strappato loro via anche quello, era qualcosa di istintivo per lui, dopo quanto era successo, seppur aveva tenuto un'espressione calma e serena per rassicurare Beckett, già troppo tesa.

La dottoressa Bredford annuì, sorridendo leggermente mentre faceva scivolare l’ecografo sulla pancia. Infine, lui dovette battere rapidamente le palpebre per le improvvise lacrime di emozione che gli erano balenate agli occhi.

Anche Kate fissava la dottoressa con stupore, senza parole, il suo cuore che nel petto sembrava batterle veloce come quello del bambino.

Era possibile – si domandava la futura madre, stesa su quel lettino - che quel suono ritmico che le apparisse quasi come una rivelazione, una verità sparata in piana faccia con una forza tale che già si sentiva diversa? Poteva essere davvero possibile che lei si sentisse di non essere la stessa donna di due minuti prima, solo per quel suono ritmato che rimbombava nella stanza?

No, non puoi essere più la stessa persona” Le aveva detto una volta Castle, parlando della nascita di Alexis. “Qualcosa cambia e due minuti dopo tu sei un’altra persona. Sei un padre”

Un padre. Una madre.

Era una madre. Kate si sentì quasi travolta dalla realizzazione. Fino a quel momento, quel bambino lo aveva pensato, lo aveva quasi ammirato per la sua tenacia - aveva resistito a così tanto, aveva dovuto cavarsela da solo contro le avversità, resistendo strenuamente per rimanere lì nella sua pancia, per venire al mondo – e Kate sapeva di dovere a quel figlio la salute, premure, attenzioni.

Ma in qualche oscura, irrazionale maniera, non aveva mai davvero realizzato che lei sarebbe stata sua madre. Sarebbe stata per quel battito di cuore, quello che Johanna era stata per lei. Madre.

All’improvviso, iniziò a sentire una crescente preoccupazione per il battito cardiaco apparentemente rapido del suo bambino. "Non è troppo veloce?" chiese agitata. La domanda le venne fuori senza nemmeno pensarci, automatica. Era forse questo l’istinto materno di cui tutti parlavano? Si chiese.

"No, è perfettamente normale", la rassicurò la dottoressa, "E’ molto forte, molto sano".

“Non è troppo veloce il battito di Kate invece?” chiese improvvisamente Castle, il quale, tenendole la mano doveva aver in qualche modo percepito l’accelerare del cuore della moglie.

La dottoressa lo guardò. “Anche questo è perfettamente normale. Durante la gravidanza, il corpo della madre subisce molti cambiamenti fisiologici, fra cui un aumento della gittata cardiaca, che serve per far arrivare il sangue all’utero e alla placenta. In questo caso, comunque, mi azzarderei a ipotizzare la ragione è soltanto che sua moglie è molto emozionata”
 
Spense l’apparecchio e attraversò la stanza per strappare un foglio di carta da un rullo, per far asciugare la pancia a Kate. "Ora parliamo un po’ di come stai, e di cosa ti dovrai aspettare nelle prossime settimane" suggerì.

Trascorsero i successivi quaranta minuti a parlare, e la dottoressa fu chiara nello spiegare quello che l’avrebbe aspettata nelle prossime ore, giorni, settimane.
Appariva concisa, chiara, seria, la risolutezza di chi sa il fatto suo e non si perde in smancerie o giri di parole. A Beckett piacque istintivamente. La dottoressa la lasciò poi a rivestirsi tranquilla, salutandola con un sorriso, mentre accompagnava Castle nella sala d’attesa, dalla segretaria, per fissare l’appuntamento successivo.

Quando Kate uscì dallo studio, trovò Castle appena fuori dalla porta, pronto a scortarla. "Che ti ha detto?" gli chiese agitata.

"Ha detto che dovrai tornare tra due settimane. Abbiamo fissato per il 13 alle 11", gli disse Castle mentre l’aiutava a mettersi l’impermeabile.

"Così presto?" Kate chiese. “C'era qualcosa che non andava nel bambino? È per questo che vuole vedermi di nuovo? ”

"No Kate, è perfettamente normale," spiegò lui con calma, "Ha detto che, per prudenza, preferisce vederti una volta ogni due settimane fino alla 30esima settimana, e poi dovrai venire ogni settimana fino alla 36esima settimana, a quel punto sarà due volte a settimana fino al parto. "

"Considerando che sono alla quindicesima settimana, ne mancano ancora quante, 25?", disse lei. "Wow ... ne abbiamo ancora molta di strada da fare, eh?"

Lui annuì, sorridendole. C’era molta strada ancora, ma Castle si permise per la prima volta di credere davvero che da quel momento in poi sarebbe andato tutto bene. 

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Capitolo 7
*** Diciotto Settimane ***


 
DICIOTTO SETTIMANE
 
"Sei sicura di stare bene?" Chiese Castle preoccupato mentre poggiava una busta carica di cibo sul tavolo da pranzo. "Sembri pallida." Prima che Kate potesse rispondere, lui stava già spostando una sedia per farla sedere.

"Castle, smettila di preocuparti così," lo ammonì Kate, allontanandolo. “E’ stata solo un po’ di nausea ."

"Forse dovresti mangiare qualcosa, tipo i crackers", suggerì lui.
 
Kate gli prese la guancia, sentendosi allo stesso modo stranamente compiaciuta della sua preoccupazione seppure ne era un po' infastidita. “Sto bene, è normale avere delle nausee” rispose gentilmente. "Davvero, sto bene. Erano mesi che non andavo al supermercato, e non potevo sapere che certi odori mi avrebbero infastidito. Tutto qui”

 "Non lo so", ribatté lui, "Forse dovremmo chiamare il dottor Krebs, o la dottoressa Bradford, solo per essere sicuri." Castle le lasciò dei dolci baci sulla fronte, sugli occhi, sulle guance e sulla bocca, con espressione piena di preoccupazione. 
 
Lei posò le dita sulle labbra di lui per metterlo a tacere. "Castle, sto bene", disse, con fermezza, "Devi smettere di preoccuparti così tanto ... altrimenti ti verrà una testa piena di capelli grigi e quando andremo in giro tutti penseranno che sei il nonno del bambino." 

Lui la guardò con espressione indignata, ma neppure il tempo di rispondere che lei sostituì le dita – che aveva posato sulle labbra di lui per zittirlo- con le labbra, per farlo definitivamente tacere. Ma il suo tentativo di farlo stare zitto divenne rapidamente qualcosa di appassionato.

Un'eternità sembrò trascorrere mentre stavano lì, stretti, baciandosi e baciandosi come se avessero tutto il tempo del mondo. Quei giorni di convalescenza negli Hamptons trascorrevano indolenti, fra brevi passeggiate sulla battigia, sessioni di fisioterapia, letture di libri stesi in giardino, cene al tramonto guardando il mare. Non importava nemmeno che non avessero ancora fatto l'amore. Il dottor Krebs aveva raccomandato una particolare cautela da quel punto di vista, per i primi mesi, e la dottoressa Bradford lo aveva confermato.  

Sia per Kate che per Rick quella mancanza di intimità fisica non era che un piccolo dettaglio. Erano così innamorati l'uno dell'altro, così desiderosi di recuperare il tempo perduto e le opportunità perdute che il fatto che non potessero ancora stare insieme sembrava un dettaglio di poca importanza. Per la prima volta nella loro vita, gli sembrava di avere tutto il tempo per assaporare le cose, senza fretta. “Abbiamo tutta la vita per quello” le aveva detto Castle, e Kate non avrebbe potuto essere più d’accordo.

Quando finalmente si separarono l'uno dall'altro, le loro labbra erano gonfie ed entrambi erano particolarmente a corto di fiato. "Devi smettere di baciarmi in questo modo", l’ammonì Castle senza fiato. “So di essere irresistibile, ma così non rendi facile a me la missione di resisterti”
 
"Era solo per zittirti", rispose lei con una smorfia. Lui la guardò storto.

“Smettila”, rise lei un momento quando sentì le labbra di lui sulla scollatura della camicia. 
 
"Sono contenta di vedervi così in salute." Castle e Beckett sobbalzarono al suono inatteso della voce entusiasta di Martha sopra le loro teste. Nessuno dei due riuscì a reprimere una smorfia - imbarazzata quella di Kate e scocciata quella di Rick- mentre si alzavano per salutarla. Entrambi comunque videro gli occhi di Martha che ridevano per la scena a cui aveva appena assistito. 

"Ora capisco perché hai insistito tanto per farci rimanere a New York” disse la donna a suo figlio mentre lo stringeva in un abbraccio.

"E’ stato un gesto altruistico, madre." 

"Molto altruistico" Martha commentò ironicamente.

Martha quindi si chinò per stringere Kate, insistendo perché non si alzasse dalla sedia, carezzandole il viso con tenerezza, chiedendole come si sentisse e informandosi dei suoi progressi.

“Perché non avete chiamato per avvisare che stavate arrivando? Vi aspettavamo per cena. Dov'è Alexis?" si intromise Castle rivolto verso la madre.

"Il mio cellulare è morto," rispose Alexis entrando nella stanza con due borsoni fra le mani. 

“Avete fatto un buon viaggio?" chiese il padre avvicinandosi alla figlia per salutarla e aiutandola a liberarsi delle borse.

"Lungo", rispose Alexis mentre si accasciava sul divano. “Volevamo essere qui il prima possibile e non abbiamo neppure fatto una sosta” ammise.

Castle strinse la figlia in un abbraccio tenero. "Sei troppo stanca per aiutarmi a scaricare anche la mia macchina? E’ piena di cibo"

"Siete usciti a fare la spesa" disse la figlia guardando le buste che giacevano sul tavolo. 

"Ci abbiamo provato, diciamo” Castle disse a sua figlia. "Siamo rientrati subito perché Kate aveva la nausea."

Gli occhi di Alexis si spalancarono immediatamente. In una reazione automatica i suoi occhi viaggiarono lungo il corpo di Kate, fermandosi al quasi impercettibile rigonfiamento del suo ventre. "Si vede appena," sussurrò la ragazza. La sua espressione divenne colma di tenerezza mentre si avvicinava a Beckett. "Posso?" chiese a Kate, portando già la mano verso l'addome di lei. Beckett annuì in risposta, trattenendo il respiro mentre Alexis posava una mano tremante contro il suo ventre. I tre rimasero in piedi insieme per molto tempo, Alexis con la mano premuta contro lo stomaco di Kate, e Martha e Richard a guardare le due, teneramente. 

Alla fine Alexis mormorò: "Oh mio Dio ... è proprio vero?." Sollevò gli occhi lucenti verso Kate. "L'hai già sentito calciare?"

"Per ora ancora niente, la dottoressa Bredford dice che è ancora troppo piccola" rispose Castle," ancora qualche settimana e Kate dovrebbe riuscire sentirla. "

"Piccola?" Alexis tolse la mano con grande riluttanza. "È una femmina?"

"No, non lo sappiamo ancora", spiegò Kate, lanciando a Castle un sorriso di rimprovero, "Qualcuno qui è convinto sia una bambina, ma nell’ultima ecografia il bambino era girato, e quindi non possiamo saperlo con certezza fino alla prossima visita."

"Che sarà quando?"  chiese Martha.

"Fra una decina di giorni” le disse Kate, toccandosi affettuosamente la pancia. "Ci siamo quasi."

Improvvisamente, tuttavia, il sorriso gioioso svanì dai lineamenti di Alexis per essere sostituito da un cupo cipiglio. Sua nonna sembrò notarlo per prima, e con aria di chi la sapeva lunga, si offrì di accompagnare Kate in camera per farla stendere. Beckett colse il segnale di Martha persino prima che sua suocera parlasse, e  si fece docilmente accompagnare verso le scale, cercando – prima di voltarsi- di rassicurare Castle con un sorriso pacato.

"Allora, mi vuoi dire cosa ti succede? Come mai questo muso?" chiese allora Castle a sua figlia. Alexis non fu sorpresa dalla domanda, ma non sembrava intenzionata a rispondere facilmente. Si mise seduta sulla sedia intorno al tavolo, rimanendo in silenzio per diversi istanti, incapace di dare una risposta. “Cosa c'è Alexis? Non sei contenta di essere qui?”

“Certo, grazie per avermi invitato” rispose allora lei, ironicamente.
 
“Alexis,” mormorò lui, mortificato, “Questa è casa tua, cosa stai…”

"Mi avete completamente tagliata fuori", sentenziò allora la figlia, guardandolo con occhi pieni di rabbia.

Castle aprì la bocca per rispondere e poi la richiuse rapidamente, cercando di raccogliere i pensieri per formulare le parole giuste da dire. "Alexis, tu non sarai mai tagliata fuori da nulla", promise Castle, "Lo sai che questa è casa tua, sai perché io e Beckett siamo venuti qui, io…"

"Voi vi siete reclusi qui lontani da tutto", ribatté lei in modo offensivo.

Castle sentì che sua figlia stava lasciando qualcosa di non detto. "Cosa vuoi dirmi?"

"Sono due mesi che siete qui, avete deciso di stare lontano da tutte le persone che vi vogliono bene, e noi siamo stati tutti tagliati fuori dalle vostre vite" rispose allora, chiaramente. Il sottotesto era chiaro: Io, tua figlia, sono stata tagliata fuori.
 
Di nuovo Castle si ritrovò sbalordito, in silenzio. "Lexie, dai," balbettò alla fine, "Io non… avete perso così tanto tempo con noi in ospedale… io credevo che volessi poter riprendere la tua vita… io non credevo che..."

"Non credevi cosa?" Alexis rispose ostinatamente, "Che sarei voluta stare vicino a mio padre? O che mi sarebbe piaciuto poter stare vicino a sua moglie, mentre mio fratello o sorella cresceva nella sua pancia? Pensi che non avrei voluto vederlo?"

"Alexis, cosa..."

Io ero lì!" urlò infine lei. "Sono stata lì per giorni! Ho vegliato te, e anche Kate prima che tu ti svegliassi e fossi in grado di farlo! C’ero io fuori dalla sala operatoria, mentre vi operavano, morendo di paura per tutti e due! Io sono quella che si è sentita dire che Kate aspettava un bambino da un medico che aveva il camice ancora sporco del suo sangue! Io mi sono preoccupata per quel bambino prima ancora che tu… che voi…”

Gli occhi di Castle scintillarono di lacrime, colpito dal rimprovero severo della figlia. "Hai ragione, mi dispiace, io non so cosa dire…" mormorò rauco.

Il silenzio cadde fra loro, mentre Castle, con la testa fra le mani, meditava su quelle parole. Trascorsero così alcuni minuti, finché Alexis si alzò in piedi e si sedette accanto a lui intorno al tavolo. "Lo so che ti dispiace", gli disse piano. “E dispiace anche a me di averti aggredito così."

Castle non alzò gli occhi dal tavolo. Non voleva che sua figlia vedesse quanto gli aveva fatto del male prima. Non per le parole che aveva detto contro di lui, ma perché non poteva biasimarla per aver provato quella rabbia e quella frustrazione e per essere stata, infine, brutalmente onesta su come si sentisse. Sebbene non la biasimasse, ciò non significava che le parole non gli avessero fatto un male tremendo. 
 
"Non scusarti per aver detto quello che provi, tesoro," replicò Castle dolcemente.

“Non è quel che provo davvero, ok. Ero solo arrabbiata e frustrata e mi sono sfogata su di te. " rispose lei allora, dolcemente, pentita di averlo accusato così duramente. "È solo ... quando ho sentito parlare del bambino… quando ho toccato la pancia ... Mi sono sentita come se voi mi aveste tagliato fuori. Vorrei sentirmi anche io parte di questa famiglia ..."

Castle allungò la mano sul tavolo e le strinse forte la mano. "Alexis, noi siamo una famiglia", disse con fermezza, "Non è la qualcosa che la distanza può cambiare, e credimi, l’ultima cosa che vorrei è escluderti dalla mia vita, o da quella del bambino... te lo giuro."

"Ti credo papà, e capisco. E’ tutto così difficile…" rifletté Alexis, ancora aggrappandosi leggermente alle dita del padre. "Non riesco neppure tornare a casa nostra senza ripensare a tutto quello che è successo" 

La terribile realtà di quella assurda situazione si posò sulle spalle di Castle come un peso fisico. "Cosa ne faremo del loft?"  chiese Alexis, tristemente.

"Vorrei saperlo," mormorò Castle.

"Ne avete mai parlato?" Alexis si avventurò a domandare, cauta. 

Castle fissò il piano del tavolo, la mascella serrata. "Onestamente, non ho pensato neppure di aprire la questione", intonò amaramente.

Alexis poteva facilmente la preoccupazione che suo padre si sforzava di mascherare, e preferì non insistere oltre. Erano state giornate difficili per lei, l’incertezza di quella situazione assurda, la lontananza dal padre, l’avevano fatta sentire insicura e afflitta.

Fissando l’espressione triste di sua figlia, Castle sentì la sua tristezza lasciare il posto a un sorriso vacillante di affetto. "Abbiamo finito di litigare? Ho capito di aver sbagliato, e mi dispiace. Ma odio quando ci strilliamo le cose." 
 
"Devo sempre urlarti le cose per fartele capire", scherzò, "È l'unico modo in cui riesco a far entrare qualsiasi cosa nella tua testa dura."

Castle la prese tra le sue braccia; abbracciandola forte. "Mi dispiace", le sussurrò tra i capelli, "Mi perdoni?"

"Solo se anche tu mi perdoni per le cose che ti ho detto", rispose lei. “Certe volte mi comporto come una ragazzina capricciosa, lo so”

Castle rise contro la sua tempia. “Avevi ragione, e ne avevo bisogno. Avevo bisogno che mi dicessi le cose chiaramente. "

"Io l’ho sempre fatto," gli ricordò Alexis.

"Sì ... lo so", sospirò, avvolgendole il braccio sopra la spalla. "Quindi ora che probabilmente è diventata effettivamente ora di cena, e che io sono troppo provato per cucinare, che ne pensi di ordinare qualcosa?" lui le chiese.
 
Lei lo guardò, ammiccando. "Avrei davvero voglia di pizza!”
 

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Capitolo 8
*** Venti Settimane ***


VENTI SETTIMANE

“Qui servite latte, vero?" Castle chiese alla cameriera quando la ragazza si avvicinò al loro tavolo.

Beckett sapeva che Castle non stava chiedendo quel latte per sé. "Castle, non mi piace il latte" protestò prima ancora che la cameriera potesse rispondere.

"Ti fa bene, per le tue ossa, e anche per regolare la pressione arteriosa" insistette lui, "E’ scritto in tutti i libri. E fa bene alla bambina" concluse sagacemente.

Beckett quasi sbuffò dalle risate. Aveva letto quanti, due libri, è già parlava come se fosse un esperto nel settore. "Ho la prescrizione per gli integratori” ribattè lei, ostinata, "Non è abbastanza?" 

L’espressione di lui le diceva chiaramente che evidentemente no, non lo era. Kate sentì un sorriso affettuoso comparirle sulla bocca labbra. Era segretamente contenta di avere Castle che si affannava a raccogliere informazioni, che si preoccupava di tutto, nonostante con lui si mostrasse un po' insofferente.  In realtà, Kate pensava che lui fosse incredibilmente dolce. "Va bene" concesse Beckett allora, "se non solo non posso bere il caffè, ma devo pure bere latte, allora lo farai anche tu." 

"Ma ... io ma non sono incinto", balbettò Castle in segno di protesta, "Non ho bisogno del calcio."

“Anche tu ti sei ripreso da un’operazione," replicò Beckett,"e il latte è proprio quello che ti serve per tornare in forze! Inizieremo con due bicchieri di latte, per favore" 
Erano entrambi così persi nel sorridere e scherzare l'un l'altro che non avevano prestato troppa attenzione al cameriere, che dopo aver preso quell’ordinazione si allontanò. 

"Non ci posso ancora credere" mormorò Kate.

"Dubitavi davvero che avrei vinto la scommessa?" Chiese Castle, con fare meravigliato.

"E’ una bambina", sussurrò Beckett, mentre si premeva le mani contro la pancia. "È davvero reale."

"Non pensi che dovremmo trovarle un nome? Non può rimanere ancora senza un nome" 

Beckett ridacchiò. "Castle, ci hanno detto che è una femmina quanto, mezz’ora fa?"

Lui si lasciò ricadere sulla sedia con un sospiro. "Io lo sapevo da un pezzo" si lamentò.

Quando la dottoressa aveva annunciato - durante l'ecografia- che Castle aveva ovviamente ragione, e che era una bambina, Beckett era istintivamente rabbrividita. Un’altra donna tosta con cui combattere. Lei, nei suoi sogni più reconditi, aveva desiderato un maschio. Che avesse avuto il corpo, la testa, e il cuore di suo padre.

"Ok allora, magari aspettiamo per il nome, ma potremmo cominciare con i preparativi…", disse allora Castle, dopo una lunga pausa di silenzio.

"Preparativi?" Kate chiese mentre addentava un muffin al cioccolato.

"Sì ... lo sai," rispose Castle, chinando leggermente la testa, "i vestitini... la culla ... la cameretta ..."

"La cameretta?" Kate sussurrò, piano.

"Si."

"Immagino che tu mi stia chiedendo se torneremo al loft"

"Beh, non c’è fretta, però… " esitò Castle.

"Mi stai chiedendo di tornare al loft”

Castle scosse la testa. "No", la contraddisse, "ti sto solo chiedendo di cominciare a pensare a dove vorrai vivere, quando sarà nata la bambina”

"Hai ragione" rispose Beckett con voce spenta. Il tono cupo e abbattuto della sua voce turbò Castle, e lui le si sedette di fianco e raccolse le sue mani tra le sue. "Andiamo Kate," continuò "prima o poi dovremo tornare a NY, prima o poi dovremo decidere cosa fare delle nostre vite. Se tornare al distretto.... "

“Castle..."

“Lasciami finire,” insistette piano. “Ti amo, Kate. Ti amo come non ho mai amato nessuno in vita mia. Farei qualsiasi cosa per te. Ma sono anche un padre, di Alexis e della nostra bambina, e devo pensare anche a loro. Quest’incertezza è difficile per tutti, e voglio che le mie figlie – entrambe le mie figlie – sappiano di avere una casa, dove sentirsi al sicuro, un nido. Capisci quello che ti sto dicendo? "

"Penso di sì" mormorò Kate.

Castle le premette un bacio sulle mani. “Non deve essere per forza il loft”, le disse. “Potremo scegliere insieme un nuovo appartamento, se lo vorrai. Non ho intenzione di forzarti in alcun modo, Kate. "

Ma onestamente, in cuor suo, Castle sperava che lei volesse tornare al loft. Era stata la sua - e la loro- casa per anni. C'era qualcosa di speciale in quel loft. Era stato un rifugio, era stato testimone di tanti momenti felici della sua vita – l’infanzia di Alexis, la stesura dei suoi best seller, la prima notte con Kate...– e tante volte, negli ultimi anni, aveva immaginato i loro figli scorrazzare fra quelle quattro mura.

"Quindi è tutto ok. Non sei arrabbiata?" Chiese Rick in un sussurro a Kate.

Beckett si era sentita gelare quando Castle aveva nominato il loft. Tuttavia, stranamente, le sue parole l’avevano scaldata. Riusciva a capire cosa lui volesse dire. Anche lei voleva per la loro bambina una casa, un nido. Poteva essere quello stesso loft? si domandò.

Il loft era stato la loro casa. E’ vero, era il posto in cui avevano rischiato di perdere tutto, ma era stato anche il posto dove aveva trovato rifugio le tante volte in cui era andata a cercare Castle – compresa la prima notte che erano stati insieme-; era la casa a cui era tornata dopo quel folle periodo di lontananza di pochi mesi prima sentendosi di essere davvero a casa; era la casa che l’aveva accolta la sera quando il mondo fuori appariva sempre più angosciante. Il loft era sempre stato lì per loro, Kate riconobbe con un sorriso agrodolce, e lo sarebbe sempre stato. 
 
Kate emise un sospiro. "Siamo a posto"

Beckett non riuscì a reprimere un sorriso all'ampio sospiro di sollievo di Castle. Tuttavia, il suo sorriso vacillò un po’ quando infine gli disse. "Possiamo cominciare a preparare la cameretta, Castle".

"La cameretta?" Castle rimase a bocca aperta per lo stupore.

"Sì."

"Al loft intendi?"

"Sì."

"Nel loft quello… il mio, di New York?"

Beckett dovette ridere della sua insistenza. “Hai altri loft in giro per il mondo?”

L’espressione pensosa di Kate non sfuggì all'attenzione di Rick. Gli strinse più forte le mani. "Non c’è bisogno di decidere ora", sussurrò Castle, sinceramente. Non erano nemmeno solo parole. Castle odiava vederla triste. Proprio in quel momento, la sua felicità era l'unica cosa che le interessava. "Possiamo prenderci del tempo, pensarci, vedere delle alternative," suggerì lui dolcemente.

Ma Kate respinse il suo suggerimento con un decido scuotimento della testa. "Il loft è casa nostra" , gli disse, "Della nostra famiglia. E’ lì che voglio stare"

“Sono felice di sentirtelo dire”, replicò Castle con fervore, avvolgendole il braccio attorno alla spalla e tirandola contro di lui. Le baciò delicatamente la fronte e disse: "Finché saremo insieme andrà tutto bene, vedrai".

In quei meravigliosi secondi, mentre era rannicchiata in modo così protettivo tra le braccia di suo marito, Kate ci credette davvero. 

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Capitolo 9
*** Ventitré Settimane ***


VENTITRÉ SETTIMANE 

"Sei sicura che starai bene?" Castle chiese a Beckett per la nona volta mentre raccoglieva alcune carte sparse sul tavolino del salotto. Si lasciò cadere sul divano accanto a lei. "Posso rimanere qui se hai bisogno di me” si offrì.

“Castle,” iniziò pazientemente Beckett, “non sono completamente invalida, per fortuna. Ed è già la terza volta che tua madre ti chiede di andare al loft per vedere i lavori. Sta già aiutandoci abbastanza, almeno quando ti chiama devi andare tu a New York"

"Kate, ti stai ancora riprendendo", protestò lui.

"Mi sento molto meglio", replicò Beckett con fermezza, "Il taglio è praticamente guarito e non ho quasi più dolore. Ho anche la fisioterapia dopo pranzo, e per quando avremo finito sarò talmente stanca che crollerò a dormire. Starò bene."

Nessuno dei due voleva parlare del vero problema. Oggi sarebbe iniziato il cosiddetto processo Loksat. L'attenzione della stampa era tutta focalizzata sul tribunale, dove fra poche ore avrebbero sfilato Mason Wood e i suoi complici. Beckett non voleva parlarne. Castle non voleva parlarne. Eppure nessuno dei due riusciva a pensare ad altro. Di tutti gli scogli emotivi, gli sfoghi, le difficoltà che avevano avuto negli ultimi mesi, la questione processo era argomento che non avevano nemmeno tentato di affrontare. Anche nella morte, Caleb Brawn stava continuando a tormentarli.

Castle non sapeva come muoversi. Beckett aveva categoricamente rigettato l'idea di testimoniare, e Castle per primo sapeva che non poteva forzarla a parnarne. Doveva essere pronta lei ad aprire il discorso, doveva essere pronta ad affrontare gli incubi che la facevano ancora agitare di notte, di tanto in tanto.  E anche adesso, mentre osservava lo sguardo di Kate, perso, sapendo esattamente cosa sua moglie stesse pensando, Castle si costrinse a non forzarla a parlare.

Le accarezzò delicatamente la mano. "Sarò di ritorno il prima possibile", le disse, "e ti racconterò tutto di come vanno i lavori. La camera di mia madre è stata completamente ridipinta ieri, sarà una nursery bellissima, vedrai." 

Beckett annuì ma rimase in silenzio, senza aggiungere altro. 

“Lupe verrà per riordinare la casa e per prepararti il pranzo verso le 11”, le disse allora Rick "E hai il suo numero se hai bisogno di qualcosa, giusto?"

"Castle, per favore", sussurrò Kate, "posso sopportare di rimanere qui da sola qualche ora, okay?"

"Okay," concordò lui con riluttanza.

Non volendo lasciarla per tornare a NY con quella inquietudine tra loro, Castle cercò di allentare la tensione. "Devi concedermi le raccomandazioni canoniche però", l’avvertì, allora, accigliando le sopracciglia, "Hai preso le tue vitamine prenatali oggi?"

Beckett accennò un sorriso. "Fatto"

"E hai bevuto un bicchiere di latte?"

"Ho bevuto un succo d'arancia”

"Il nostro bambino ha bisogno di calcio, Kate," Castle le ricordò con tono di rimprovero, "Devo prenderti il libro sulla dieta in gravidanza?"

"Il succo era arricchito con il calcio", rispose lei quasi compiaciuta, "Sai, se questo è quello che dovrò sopportare per le prossime 17 settimane, potrei finire per fare un falò in spiaggia con tutti i tuoi libri sulla gravidanza ”

"Pazienza," ribatté Castle, "vorrà dire che in quel caso tornerò a prepararmi il caffè la mattina, e a berlo davanti a te."

Beckett socchiuse gli occhi e lo fulminò con lo sguardo. "Questo è un colpo basso."

“Te lo meritavi”, dichiarò Castle mentre saltava dal letto, “Come puoi essere così ingrata verdo tutte le mie premurose cure?" Sebbene il tono di Castle fosse esageratamente indignato, il luccichio che nei suoi occhi smentiva qualsiasi vero rancore. "Adesso vado”.

Mentre si allontanava dalla stanza, Beckett lo richiamò strillando "Bene ... vai pure e prenditi un bel caffè! Le tue abilità infermieristiche comunque sono piuttosto carenti! ”

Lui si voltò e gli tirò fuori la lingua. Stavano litigando tra loro proprio come avevano sempre fatto. "Allora ci vediamo dopo?" le disse con un sorriso smagliante.

Kate sorrise. "Non mi muovo di qui". 

Tuttavia, il suo sorriso svanì pochi minuti dopo quando sentì sbattere la porta mentre Castle usciva di casa. Kate non voleva che andasse al loft, non voleva che andasse a New York. Avrebbe preferito trascorrere la giornata con lui a far passare il tempo, impegnandosi magari in un'altra dolorosa conversazione... qualsiasi cosa per distogliere la mente dal fatto che quel giorno sarebbe iniziato il processo.

Ciò che era peggio era che non provava alcuna rabbia, almeno, non come avrebbe dovuto. Non provava niente. Non si sentiva personalmente toccata da quell’evento, il che era abbastanza allarmante perché avevano trascorso un anno a dare la caccia a quell’uomo, e gli era quasi costato la vita. Eppure, per come si sentiva Kate, era come se quanto accaduto fosse successo a qualcun altro. E non riusciva a capire se la sua apatia fosse dovuta al fatto che stava effettivamente superando quanto successo, o se piuttosto il suo inconscio stava reprimendo i suoi veri sentimenti.

Kate avrebbe voluto parlare con Castle di come si sentiva, sentiva un naturale desiderio di condividere i suoi sentimenti. Tuttavia, non sentiva come giusto sfogarsi con lui, non voleva che lui si preoccupasse, e soprattutto perché sentiva istintivamente che quella faccenda era una ferita ancora aperta anche per Castle. Non poteva forzare Rick a una conversazione che sapeva sarebbe stata spiacevole per lui, forse perfino dolorosa.

Castle era il tipo di persona che l’ascoltava anche quando sentire ciò che lei aveva da dire gli causava dolore. Tante volte negli anni aveva detto o fatto cose che l’avevano ferito, eppure non aveva mai detto una sola parola, l’aveva sempre lasciata sfogare, l’aveva sempre supportata, l’aveva sempre incoraggiata e sostenuta, anche quando non era convinto che fosse la cosa giusta da fare. Castle aveva sempre messo i bisogni di lei davanti ai propri, e Kate voleva disperatamente ricambiare.

Ma la situazione era difficile, perché voleva stare bene e sapeva che la cosa più importante, per Castle, per lei stessa e soprattutto per la bambina, era che superasse tutto questo. E in quel momento Kate sentiva che sarebbe potuta impazzire se non avesse parlato con qualcuno.

All’inizio, pensò di chiamare suo padre, ma Beckett sapeva che, per quanto lui la conoscesse e l’adorasse, non avrebbe mai capito fino in fondo. Le avrebbe detto ancora di non sentirsi in colpa, che quello che era accaduto non era sua responsabilità, di voltare pagina, ma non sarebbe stata in grado di aiutarlo ad affrontare davvero tutto quello.

Kate fissò il cellulare sul tavolino. Se avesse chiamato Rick ora non dubitava che sarebbe tornato a casa per essere al suo fianco. E aveva bisogno di qualcuno con cui parlare…

Infine, prese il telefono, ma invece di chiamare Castle, digitò un numero che non aveva composto da parecchio tempo. 

Il suo cuore le batteva veloce mentre il telefono squillava, e poi sentendo rispondere dall’altra parte. "Dottor Burke?" Kate quasi balbettò, nervosamente, "Sono Kate Beckett… si ricorda… del dodicesimo"

Il suo interlocutore si fermò un momento in silenzio. “Kate?” esclamò sorpreso, "Non mi aspettavo di sentirla. Come sta?”

"Sto bene" Kate rispose rapidamente, "Ho chiamato per sapere... Voglio dire, ovviamente vorrei sapere se anche lei sta bene... ma ho chiamato perché in realtà io... oggi…"

"Mi ha chiamata perché oggi inizia il processo" l’uomo concluse per lei, gentilmente.

"Sì ... esattamente," sospirò lei.

"Da stamattina non si parla d’altro in televisione," replicò il dottore cautamente, "E anche fra le file della polizia se ne è parlato spesso. Sarà un grosso processo". Tra loro passò un momento silenzio. "Ho saputo che lei non testimonierà, capitano Beckett" le disse lui attimo dopo.

"Non riuscivo ad affrontare tutto quanto", Kate ammise con sorprendente facilità. "Ho pensato che la cosa migliore fosse concentrarmi su di me e cercare di passare oltre, e andare avanti."

"E’ comprensibile da parte sua" replicò lo psicologo, "quando si vive un trauma del genere, volerlo mettere da parte è un istinto di sopravvivenza. Ma non si può fuggire per sempre dai propri fantasmi, e lei lo sa bene."

"Lo so," balbettò Kate, "è solo che... pensavo che sarei stata arrabbiata, invece mi sento solo incredibilmente vuota. E’ folle?"

"Certo che no," la rassicurò lui dolcemente. "Lei non è assolutamente folle. Lei si sente solo, diciamo, persa"

Sebbene Kate Beckett avesse detto ben poco, il dottore la conosceva abbastanza da capire perché la sua paziente lo avesse chiamato. "Kate, mi lasci dire che non deve sentirsi in colpa per aver deciso di non testimoniare al processo" lui la rassicurò "nessuno si aspettava che lei testimoniasse ... ha già fatto e dato abbastanza per questo caso. Non deve preoccuparsi di questo ora, ma deve preoccuparsi di cosa sia meglio per lei"
 
"Io non so cosa sia meglio," mormorò Kate più a se stessa che al dottore. "Io non so se provare a dimenticare, sia la cosa migliore."

"Io penso invece che lei lo sappia bene, Kate" replicò il dottore, piano, "Altrimenti, non mi avrebbe chiamato." Quando Beckett non disse nulla, il dottore le chiese: "Perché mi ha chiamato?" 

"Pensavo solo che lei avrebbe potuto aiutarmi," rispose piano lei.

“E posso farlo, se lei me lo permetterà,” la rassicurò dolcemente lui. “Ma questo vuol dire che dovremo parlarne, e lo sa anche lei. Dovremo affrontare tutto "

"Stavo per morire" confessò, di botto.

"Ma non è morta", rispose lui, fermo. "lei è viva Kate. Si goda la sua vita."

"È questo che pensa che dovrei fare?" Kate chiese con un cenno di sarcasmo, "Guardare il lato positivo?"

"Penso che lei dovrebbe lasciar andare tutto quel rimorso che ha dentro", consigliò lui saggiamente, "Sì, hanno sparato a lei e a suo marito, ma è troppo tardi per tornare indietro e aggiustare le cose. Tuttavia, non è troppo tardi per affrontare la questione e dare un senso a quell’enorme sacrificio. Forse si sentirà meglio facendo un ultimo sforzo per fare giustizia, testimoniando al processo. O forse si sentirà meglio semplicemente parlandone con me. Ma deve affrontare la questione. La vita non ci dà nulla che non possiamo affrontare. Lei dovrebbe saperlo, era sua madre a dirlo"

Kate si sentì quasi scossa dalle sue parole. "Pensa che potrebbe aiutarmi ad affrontare tutto quanto?"

"Ehi, sono uno psicologo" il dottore scherzò cercando di allentare la tensione. "Sono qui esattamente per aiutarla ad affrontare i suoi problemi."

Kate ridacchiò più per educazione che per vera ilarità. "Sì ... immagino lei abbia ragione." Cadde in un silenzio pensieroso, la sua mente affollata di tutte le cose che il dottore le aveva detto. "Probabilmente potrei richiamarla prossimamente"

"Spero che lo farà," concordò lui. “So che si sta riprendendo, e non serve necessariamente che venga nel mio studio. Possiamo sentirci e parlare quando preferisce. Io sono qui per aiutarla”

Kate cominciò a congedarsi ringraziandolo, ma all'ultimo momento pronunciò un sentito “grazie”. 

"Non deve, sa? Ringraziarmi, intendo". Poi il dottore la esortò: “Abbia cura di se stessa, Kate. Il suo cuore è così delicato in questo momento ... Si lasci aiutare, da me, da suo marito, dalla sua famiglia, dai suoi amici. Permetta a se stessa di essere felice "

"Lo farò" Kate promise sinceramente "Sicuramente lo farò."
 

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Capitolo 10
*** Ventisette Settimane - Parte I ***


VENTISETTE SETTIMANE

“Mi hai portata in un vivaio” annunciò Beckett, guardando intorno a lei un tripudio di piante e fiori. Si girò di scatto per affrontare Castle. "Tutte quelle storie per il mio cactus, e mi hai portata in un vivaio”

Quella mattina, per la prima volta da quando erano tornati a vivere a New York, era uscita da sola di casa. Erano tornati a vivere al loft da qualche giorno, avevano ricevuto le visite di parenti e amici, ma senza mettere naso fuori da casa. 

Quella mattina, quando Beckett si era svegliata, aveva trovato Castle già nel suo studio, le mani che correvano veloci sulla tastiera. Aveva quindi pensato che fosse l'occasione giusta per vestirsi e affrontare la città. Si era infilata una maglia larga e un pantalone lento - non aveva ancora preso nemmeno un vestito premaman, nonostante i suoi vestiti ormai le tirassero quasi tutti - e aveva lasciato un post-it sul bancone della cucina. “Esco un minuto per una commissione, non ho voluto interrompere il tuo flusso creativo, ho il telefono con me. K”

Castle, ritrovando il post-it mezz’ora dopo la sua uscita, aveva faticosamente resistito all’impulso di telefonarle per un altro tipo di flusso creativo: “dove sei, dove vai, con chi stai, perché lo fai, avrei potuto farlo io, avrei potuto accompagnarti io, non mi disturbi mai”. Ma aveva resistito.

Aveva pensato che Kate fosse uscita per comprare qualcosa da mangiare – aveva continuamente voglie strane– o per prendere qualcosa per la casa, uno shampoo o simili.

Quando Beckett era rientrata, infine, con un cactus fra le mani, Castle non aveva potuto celare il suo stupore. 

"Cos’è quella cosa?" 

"È un cactus, Castle", gli aveva risposto lei con nonchalance. "Perché, cosa altro può sembrare?" 

“Puoi spiegarmi come mai sei uscita per andare a comprare un cactus?”

Beckett aveva sbuffato mentre lui le appariva urtato dalla sua evasione mattutina. Sapeva che, fosse stato per lui, sarebbe dovuta rimanere a casa a fare niente, a riposarsi, a rilassarsi…Gli aveva risposto quindi, bruscamente: "Il cactus è per mio padre”

“Per tuo padre”

“Per tua madre in realtà”

“Per mia madre”

“Ho pensato di prenderle una pianta per l’inaugurazione della casa” gli aveva spiegato allora Kate, seccata. 

Martha, qualche settimana prima dell’inizio della ristrutturazione del loft, aveva annunciato la sua volontà di prendere un appartamento per sé. In quei mesi in cui Kate e Rick erano stati negli Hamptons, e Alexis all’università, aveva riscoperto il piacere del vivere sola. Aveva trovato un appartamento nel palazzo accanto a quello del loft.
"Sto per spiccare il volo" aveva detto Martha qualche sera prima mentre finiva di impacchettare le sue cose. "Saremo a 5 metri in linea d'aria... più che volo direi salto" le aveva risposto il figlio.

"Le abbiamo già preso di tutto, Kate" Castle aveva protestato, mentre aiutando Kate a sfilarsi la giacca con la coda dell’occhio continuava a fissare la pianta. "Servizi di piatti, suppellettili vari, la macchina del caffè. Non credo davvero che sia necessaria una pianta". Non era esattamente il tipo di cosa che avrebbe regalato a sua madre, aveva aggiunto nella sua testa.

“Non è da parte nostra, Rick. Mio padre mi ha chiamato ieri per chiedermi cosa potesse prenderle per la cena di inaugurazione di stasera, e una pianta mi è sembrata una buona idea, così mi sono offerta di andare a prenderla io”

"Kate, non vorrei contraddirti, ma mia madre non ha esattamente un pollice verde " l’aveva rimproverata Castle, "L'ultima volta che ha avuto una pianta è stata un germoglio di fagioli, compito di scienze di terza elementare di Alexis, che avrebbe dovuto annaffiare per noi nel weekend, e che al nostro ritorno a casa era morto."

Beckett aveva poggiato una mano rassicurante sulla sua spalla. "Castle , questo è un cactus", gli aveva detto, compiaciuta, "Persino tua madre può riuscire a curarlo” 

Ma Castle aveva continuato a non apparire affatto convinto. Alla fine, dopo due fette di torta e vari battibecchi, lui l’aveva convinta ad uscire di casa per andare a prendere a Martha un vero regalo.

E l’aveva portata in un vivaio.

"E' uno scherzo?" gli chiese Beckett mentre avanzava lentamente in quella giungla di rigoglioso verde.

Castle, dietro di lei, si sporse per darle un bacio sul collo. "Sceglieremo una composizione di fiori" le spiegò, facendo scivolare le braccia attorno alla sua vita per abbracciarla. “Mia madre l’adorerà, e tuo padre penserà che una volta arrivata dal fioraio, hai semplicemente cambiato idea e preferito dei fiori ad una pianta”. 

Poteva essere una buona idea, dopotutto, Kate ammise a se stessa. "Comprarle una pianta era un’ottima idea, comunque" mise il broncio Beckett, non volendogliela dare completamente vinta. 

" C'est toujours une bonne idée"

Beckett sollevò la testa per guardare verso la voce che aveva parlato, con interesse. Un’anzianissima signora con i capelli più bianchi che avesse mai visto appena era comparsa da una porticina dietro di loro.

“Richard! Finalmente sei tornato a trovarmi!"

“Ah, madame Juliet. Un fiore fra i fiori” Castle le sorrise e s'inchinò per un galante baciamano. “Lasci che le presenti, madame, mia moglie Kate. Kate, lei è madame Juliet, proprietaria del vivaio e massima esperta mondiale, universale direi, di fiori”

“Piacere di conoscerla, madame” Kate disse porgendole la mano.

Chérie, finalmente ci incontriamo” le disse l’anziana donna abbracciandola con affetto, e poi le diede due inaspettati baci sulle guance. “Ero cosi ansiosa di conoscervi. La donna che è riuscita a trasformare un tombeur des femmes come Richard Castle nel più devoto dei mariti. Mais oui, avete compiuto un autentico miracolo”

L’anziana signora le prese entrambe le mani e mosse un passo indietro, osservandola da capo a piedi. “Ma siete stupenda, ma chérie, fiera ed elegante come una vera regina. Adesso capisco perché Richard è crollato ai vostri piedi”

Beckett quasi arrossì. “Troppo gentile”

“Ah, e siete anche modesta! Una volta tanto, quel ragazzo ha fatto una scelta sensata, n'est pas?”

“Grazie, madam” risuono la voce dello scrittore. “Di nulla, mon cher” replicò la donna avvicinandosi a lui e guardandolo. “Uhm, sembri in ottima forma. Il matrimonio ti giova, vedo. Mi correggo anzi, il matrimonio con Katherine ti giova” sospirò, concludendo cosi il frettoloso esame.

 “Vostro marito mi ha tanto parlato di voi," ammise tornando a rivolgere l’attenzione a Kate. "Ammetto che, prima di conoscervi, Richard si serviva dei miei fiori molto più spesso… Tuttavia, seppur contro il mio interesse, debbo confessarvi di essere felice che si sia ravveduto. Anche se potrebbe comprare fiori un po’ più spesso" borbottò quasi a rimproverarlo.

“Oggi mi farò perdonare, madame" disse lui, alzando gli occhi in un'esasperazione sorridente. "Come vi ho accennato stamattina al telefono, ho bisogno di un bel bouquet”

La donna comprese subito. “Oui, ho già fatto mettere da parte i vostri fiori, come d’accordo. Potete seguire Antoniette di sopra e vedere se sono di vostro gradimento. E non preoccupatevi per Kate. Resterò io con lei e le mostrerò la nostra serra” si offrì.

Castle non riuscì neanche a rispondere, poiché la piccola signora prese Kate a braccetto trascinandola verso la serra con l'irruenza di una carica di cavalleria. “Ci vediamo fra poco” fece in tempo a dire a sua moglie, prima che venisse definitivamente portata via.

"Bene," madame Juliet esordì quando lei e Kate furono sole, sorridendo, "Sono davvero felice di conoscervi. Richard mi ha parlato spesso di voi, sapete?" concluse con un sospiro. “Abbiamo impiegato parecchio tempo a scegliere fiori per voi".

"I fiori per me?" Beckett rimase a bocca aperta, chiaramente sorpreso dalla sua rivelazione: “Che fiori?"

"Il vostro bouquet, par exemple," rispose la donna. Beckett continuò a restare a bocca aperta. "Non lo sapevate?" madame chiese con finta innocenza. "Ogni fiore ha un significato preciso, e io sono la persona che traduce per i comuni mortali il loro linguaggio. Soltanto che con voi, beh, Richard non sempre sapeva esattamente cosa voleva dirvi". 

“Ha composto lei il mio bouquet?"

Oui”, ammise madame calorosamente, “Delle rose, fiore dell’amore per eccellenza. In una splendida sfumatura di rosa pesca simboleggiano l’esistenza di un sentimento d’amore tenuto nascosto che infine sfocia in una richiesta di essere amati”

"Wow."

"Oh oui ... ma devo dire che il suo bouquet nuziale è stato quasi facile da scegliere. Più del primo mazzo, comunque" madame ammiccò roteando gli occhi.

“Il primo mazzo?”

"Richard venne da me chiedendomi dei fiori per una donna speciale, qualche anno fa” sussurrò la donna. “Non dimenticherò mai lo sguardo sul suo viso quel mattino. Era uno sguardo innamorato, bien sur, ma anche sicuro, convinto. Mi parlò di voi”

“Davvero?”

Oui, mi disse molto”, rispose madame dolcemente. “Alla fine, la mia scelta non poté che ricadere sul giglio"

“Il giglio?”

“Un fiore alto, fiero, che non si piega. Simbolo di fierezza e nobiltà d’animo. In una sfumatura gialla e dorata, poi, simboleggia la perseveranza”

Beckett dovette distogliere lo sguardo velocemente, i suoi occhi improvvisamente inumiditi di lacrime. Ma madame vide lo scintillio e prontamente riprese parola. "Che ne dice madame Castle?" chiese gentilmente, "Abbiamo scelto bene?"

"Penso di sì," ammise Kate con un lieve sorriso. “Non avevo idea”

"Oh beh, ogni uomo ha i suoi segreti", le disse sorridendo. "Tuttavia, vedendola, ho voluto svelarle questo piccolo racconto. Sono certa che qualsiasi donna vorrebbe  conoscere come appare agli occhi del proprio marito. Agli occhi del vostro, ma chérie, voi apparite esattamente così"

Beckett sorrise tra le lacrime. "Mi vede davvero così, eh?" disse quasi meravigliata.

"Ne è convinto", aggiunse madame con gentile fermezza, "e io, da quel che so, e per quello che vale, concordo con lui."

La voce di Castle interruppe quel momento di intimità fra le due signore. "Se mia madre non cadrà ai piedi di tuo padre alla vista dello splendido bouquet che le ho preso, allora potrai comprare un’intera collezione di cactus, e giurò che starò zitto" osservò Castle con un sorrisetto, riapparendo dalla porta della serra.

"Ti prendo in parola Castle" gli rispose Kate andandogli incontro. “Dove sono i fiori?”

“Madame li farà consegnare a mia madre direttamente stasera”

“E che fiori hai scelto?”

Castle sembrò stupito dalla domanda della moglie. “Tulipani” rispose madame Juliet per lui. “Tulipani sulle tinte del rosso. I fiori bulbosi sono di gran moda in questo periodo. E Martha li gradisce molto”

"Esattamente. Ora dobbiamo andare” Castle tagliò corto tirandosi la moglie vicino. “Madame Juliet, è stato un sublime piacere tornare a trovarla" Castle ammiccò, galante. “Grazie ancora per il suo prezioso aiuto."

“E’ sempre un piacere monsieur. Spero verrete a trovarmi più spesso”

"Non mancheranno le occasioni" dichiarò lui salutandola con l’ennesimo baciamano.

Madame Juliet prese Kate a braccetto, sussurrandole: “E’ stato un piacere, Kate”

“Anche per me è stato lo stesso, davvero. Grazie per tutto, madame Juliet” rispose Kate semplicemente, fissando con un sorriso grato quella donna minuta.

“Un ultima cosa”, disse, attirando la loro attenzione quando erano quasi fuori. “Fatemi sapere se la signora li gradirà. Io credo di aver scelto bene "

“Chiamerò domani stesso per riferire” le rispose Castle, sorridendole. “Ma sono sicuro che si rivelerà una scelta vincente” 






NOTA DELL'AUTRICE: il bouquet di rose in color pesca è il bouquet da sposa di Beckett nell'episodio 7x06. Il primo mazzo, con i gigli gialli, è invece il mazzo che Castle porta a casa di Beckett nell'episodio 3x13. Per il significato dei fiori ho fatto delle ricerche sul web e mi sono liberamente ispirata a quanto trovato.

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Capitolo 11
*** Ventisette Settimane - Parte II ***


VENTISETTE SETTIMANE - PARTE II


"Beckett, è tardi!" Castle chiamò la moglie, dal salotto, in direzione della camera da letto.

Kate era in ritardo. Proprio quella sera. Eppure non era un tipo ritardatario. Si fosse trattato di un’altra donna- sua madre, per fare un esempio- Castle le avrebbe dato deliberatamente un orario anticipato per assicurarsi che fosse pronta in tempo. Ma Beckett era sempre puntuale. E invece tardava quella sera, di tutte le sere. Sua madre, Alexis e Lanie si aspettavano che lui la portasse fuori di casa entro le 20:00, ed già erano le 20:15. Castle cominciò a camminare velocemente nel salotto, per l'irritazione.
 “Beckett!” gridò di nuovo: "Dobbiamo andare!"

"Sto arrivando," rispose Beckett con l’affanno, urtando con il piede la gamba del letto. Gemette per l'impatto e maledisse mentalmente Castle per quell’ennesimo richiamo. Se non fosse stato per continuo lamentarsi di lui, ormai sarebbe stata pronta. Ma più lui urlava, più lei si innervosiva, più armeggiava con i vestiti, più non riusciva, ed era un circolo vizioso.

Kate sbuffò di frustrazione mentre tentava di infilarsi le calze. Non capiva perché Castle la stesse tanto sollecitando. Proprio lui, tra tutte le persone, avrebbe dovuto capire perché quella sera lei voleva prendersi il suo tempo per prepararsi. Avrebbe dovuto rendersi conto che quella sera era qualcosa di importante per lei. Era in assoluto la sua prima uscita da… prima. Aveva rivisto occasionalmente delle persone in quei mesi, Lanie, Espo e Ryan erano passati a trovarla, negli Hamptons prima e al loft nei giorni precedenti. E quella mattina lei e Castle erano usciti per qualche commissione. Ma non era mai ancora successo di uscire per qualcosa che somigliasse vagamente ad un evento sociale, come una festa. E per questo si sentiva in ansia.

Naturalmente, da un punto di vista logico, Kate sapeva che l’ansia era abbastanza ridicola. La cena di Martha non era esattamente un evento mondano. Martha aveva detto loro che si trattava di “piccolo modesto raduno di amici”. Kate dubitava seriamente che piccolo e modesto fossero parole che potessero associarsi a Martha, tuttavia era certa sarebbe stata circondata di volti familiari. Eppure, nonostante la logica, si sentiva tesa.

Tesa perché si sentiva diversa, pensò Kate mentre provava a chiudersi il cinturino delle scarpe. Era palesemente diversa, nel suo aspetto. C'erano stati tantissimi cambiamenti nel suo corpo negli ultimi mesi, ma il più palese era la pancia, esplosa - come da manuale- appena entrata nel sesto mese. Questo era sicuramente quello che tutti avrebbero notato.

Era la prima volta da molti mesi, che si preparava davvero per uscire. Non aveva optato per il solito velo di fondotinta e lucidalabbra – il massimo che si era concessa, le poche volte che aveva messo il naso fuori casa per le visite dalla ginecologa o quando erano andate persone a trovarla. Quella sera invece aveva usato di nuovo il mascara per riempire le folte ciglia e costringerle ad arricciarsi. Dopo tanto tempo, avevo steso sulle palpebre un ombretto scuro e l’eyeliner. Aveva evidenziato gli zigomi con la una leggera tonalità di rosso e infine aveva colorato le labbra con un rosso brillante.

E per ultimo, non aveva legato i lunghi capelli scuri – come aveva preso a fare nell’ultimo periodo, per comodità – ma li aveva lasciati ricadere sulle spalle, liberi.
 
Voleva farsi bella. Voleva apparire bella. Ma il suo desiderio aveva poco a che fare con quella festa. No, quello che davvero voleva era che Castle la trovasse bella. 
 
Di norma Beckett, non era falsamente modesta. Sapeva di essere bella. Era anche orgogliosa del suo corpo, di cui aveva sempre avuto molta cura. Ma era anche una persona realista. In quei mesi, fra il deperimento fisico - dovuto alla degenza in ospedale prima e alla convalescenza poi- e i cambiamenti della gravidanza, il suo corpo era cambiato molte volte molto in fretta, e non era sicura di sapere cosa Castle ne pensasse davvero.
 
La prima volta che si era spogliata di fronte a lui per fare insieme un bagno, appena dopo le sue dimissioni, aveva visto Castle ansimare nel guardarla. Era impossibile per chiunque ignorare la sua sorprendente perdita di peso quando non era completamente vestita. E lui, cingendola fra le braccia, aveva certamente sentito quanto fosse diventata fragile e sottile, con le costole che le sporgevano contro il suo palmo. Ed era rabbrividito.
A quel tempo, la cicatrice del taglio che i chirurghi avevano dovuto fare per estrarre il proiettile stava iniziando a guarire, ma aveva ancora un aspetto molto vivo e la carne che circondava la ferita era ancora rossa.
Vedendo il suo sguardo, Kate aveva cercato di rassicurarlo dolcemente, "Sta iniziando a guarire, non fa più male”. Ma la sua vanità ne era uscita ferita.
 
In più, la maggior parte delle volte lei stessa si era nemmeno presa la briga di farsi bella, aveva curato il suo aspetto per essere sempre ordinata, piacevole, ma mai per essere bella nel senso di seducente. A dire la verità, con tutti quei cambiamenti che sentiva di stare subendo senza poterli davvero controllare, Kate non credeva che fosse possibile in senso assoluto essere seducente. Ma guardando il suo riflesso in quel momento, Kate si chiedeva se, dopotutto, non avesse sottovalutato se stessa. Sperava che Castle sarebbe rimasto stupito almeno quanto lo era rimasta lei.

“ Beckett! "Castle urlò di nuovo.

Kate emise un sospiro scontento, rendendosi conto che non poteva più rimandare la sua grande entrata. Ignorando acutamente le farfalle di nervosismo che si erano improvvisamente alzate in volo nello stomaco, raccolse la borsetta e si avviò verso il salone. Rimase in piedi fuori dalla porta dello studio per alcuni secondi, guardando Castle che era seduto girato dandole le spalle.  Poi, con un sospiro, si fece coraggio e entrò nella sala, commentando in tono falsamente stizzito: “Puoi anche smetterla di urlare, Castle! E’ anche colpa tua se sono diventata talmente grossa che ci metto mezz’ora ad allacciarmi le scarpe” 
 
Castle, di schiena rispetto a lei, saltò sul divano al suono improvviso della sua voce, e quando si girò aveva un sorriso pigro, pronto a replicare alla sua osservazione sarcastica, ma non lo fece. La battuta rimase sulla punta della lingua, quando fu colpito in pieno dall’immagine di sua moglie. La sua mascella si allentò.

"Wow," mormorò, stupito. “Ora capisco perché ci hai messo tanto”
 
“Si beh, c’è voluta una vita solo per capire come funzionasse l’intreccio di questo vestito. Non credevo che i vestiti premaman fossero così complicati”
 
“No, Kate, sono serio”, insistette solennemente, “Sei bellissima stasera"

“Grazie,” Kate deglutì per tentare di sciogliere nodo che si era improvvisamente formato nella sua gola. Il modo in cui la stava guardando adesso le faceva arricciare le dita dei piedi.

In modo tipico, tuttavia, Castle decise di metterla a suo agio tornando al suo tono scherzoso. “Sei davvero pronta adesso?" le chiese.

Kate lo guardò con un'espressione esasperata. "Sì, sono pronta!"

"Sei sicura?" Castle le chiese mentre l’aiutava a infilare il soprabito. "Non devi correre di là per un’altra mezz’ora? Potremmo comunque arrivare in tempo per il prossimo trasloco di mia madre…" 
 
"Usciamo!" Kate sbuffò mentre apriva la porta di casa, "prima che ti scoppi la vena del collo qui e ora."


 

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Capitolo 12
*** Ventisette Settimane - Parte III ***


VENTISETTE SETTIMANE - PARTE III

"Sorpresa!"

Beckett scattò come una molla al suono di quelle voci entusiaste, e istintivamente indietreggiò quando la folla emise quel grido nel momento esatto cui lei varcò le porte dell’appartamento di Martha. Le mani ferme di suo marito erano pronte- quasi in attesa - a sostenerla, dietro di lei.

Si voltò immediatamente verso Castle. "Tu!" lo accusò, dandogli una botta sulla spalla. “Lo sapevi, vero? Ecco perché mi hai messo tutta quella fretta, prima! ”

Caste alzò le spalle con fare innocente, e poi lasciò cadere quella maschera di candido stupore, stampandosi in faccia un sorriso entusiasta. "Benvenuta al tuo baby shower, Kate!" 

"Sì, benvenuta!" le strillò quasi Lanie, avvicinandosi e stringendola in un abbraccio dolce. 

Kate non potè fare a meno di guardarsi intorno, a quel tripudio di rosa pastello. Ovunque palloncini, festoni, ghirlande con appesi body, calzini e scarpine. Persino il cibo sul tavolo, biscottini, pasticcini, cup-cake e zuccherini erano decorati in ogni sfumatura del bianco e del rosa. 

"Non riesco a credere che abbiate fatto tutto questo" Kate sussurrò all’amica, che la guardava con un grande sorriso sul viso. “Lanie, mi hai esplicitamente detto che non avresti organizzato una festa!"

"Ho esplicitamente mentito" rispose lei, irriverente, baciandole affettuosamente la guancia. "Congratulazioni, Kate", le disse dolce, posando la mano sul suo pancione.

"Sei stata sorpresa?" sentì chiedere da Alexis, mentre la ragazza si avvicinava per salutare Beckett e Castle. "Con Lanie eravamo terrorizzate che papà non riuscisse a mantenere il segreto”. La rossa si girò verso Lanie, e le due si scambiarono uno sguardo d’intesa.

Kate allora sbirciò il volto offeso di Castle, con uno sguardo pieno d’amore. "Sì, in effetti sono un po’ sorpresa che mr. Lingua Sciolta qui non abbia lasciato indizi"

"Ehi," urlò Castle con finto affronto, "So mantenere un segreto!"

"Quando mai Castle", ridacchiò Esposito, avvicinandosi e salutando Beckett con un sorriso tenero. "E’ bello vederti, Beckett" le disse, sincero, poggiandole la mano sulla spalla.

"Io invece avevo fiducia in Castle" Ryan riprese il suo partner, brontolando mentre stringeva Kate in un tenero abbraccio. “Sei meravigliosa Beckett. Wow, che pancione!”

“Grazie Ryan, qualcuno che finalmente mi dà un po’ di fiducia” replicò Castle con una pacca sulla spalla all’amico.

"Io ero sicura che te la saresti cavata", esclamò allora Martha, assecondandolo. "Nonostante tutto sei sempre mio figlio, e per forza devi aver ereditato un po' di talento nel recitare". Poi baciò Kate guancia. “Cara, sei splendida."

“Grazie Martha" le rispose Kate, guardandola ancora confusa. "Ma la tua festa di inaugurazione?”

“Una copertura. Perché festeggiare una casa, quando posso festeggiare una nipote?!” le rispose gaia sfiorandole con entrambe le mani il pancione. “Ti confesso che l’idea è stata di Lanie, e ha organizzato lei tutto, insieme ad Alexis. Io ho dato solo un piccolo contributo logistico. Ovviamente anche tuo padre è stato incredibilmente disponibile”

“Mio padre? C’entra anche lui in tutto questo?”

"Colpevole", Jim Beckett ammise a sua figlia, avvicinandosi e accarezzandole il viso. Le sistemò una ciocca di capelli dietro l'orecchio, dolcemente, mentre le sussurrava all’orecchio i suoi saluti.

"E la storia del regalo per Martha..." mormorò Kate rivolgendosi a suo padre.

“Un’idea della tua amica Lanie. Rick continuava a dire che tu non sospettavi nulla, ma sia Lanie che Alexis non sapevano se fidarsi. Quindi mi hanno chiesto di coinvolgerti in qualcosa che potesse farti effettivamente credere alla versione della festa di inaugurazione. Per questo ti ho chiesto un consiglio per un regalo a Martha”

“Wow, l’avete pensata davvero bene. Io non so cosa dire”

"Beh, se sei a corto di parole puoi sempre scartare i regali” propose allora Lanie, mettendole una mano sulla schiena e facendola entrare nella casa. Fu allora che Kate la vide. Una montagna di scatoline impacchettate in fantasiose carte colorate, si trovava proprio al centro del tavolo della sala da pranzo.

Beckett si mise le mani sulla bocca, incredula. "Oh mio Dio", pronunciò, "Potrei ritrovarmi a partorire prima di riuscire a finire di aprire tutti questi regali!"

"E’ possibile", scherzò amorevolmente Lanie, "ma con il mio aiuto, direi che… beh, che potrebbe volerci la maggior parte della serata!"

La valutazione dell’amica non era così lontana dal segno. Kate trascorse la maggior parte dell’ora successiva a strappare carta e sorridere, circondata dagli amici, ringraziandoli di tutto quell’affetto. Aveva ricevuto una vera doccia di regali - vestitini, copertine, giochi- confezionati in forme incredibilmente fantasiose: torta di pannolini, body piegati come dei graziosi fiori, copertine arrotolate a forma di caramelle, vestitini confezionati come coloratissimi cupcake. 

Alla fine, aveva aperto tutte le scatole sul tavolo tranne una. Era una piccola e semplice scatolina bianca.

Kate pensò di sapere immediatamente chi glielo aveva regalato. Lanciò uno sguardo ironico a Castle, che stava alla sua destra. "Avevi finito la carta da regalo Castle? Non è da te un packaging così sobrio" lo prese in giro.

Castle rispose con un'alzata di spalle. "Non è da parte mia", negò, con un po' troppo fervore.

Kate lo guardò perplessa. "Ma tu sei l'unico che manca"

"Sono serio", insistette Castle, "Non è da parte mia."

"A dire il vero, tesoro", ammise Jim Beckett avvicinandosi alla figlia, "quel regalo è da parte mia."

"Papà, un altro regalo?" Kate disse incredula, guardandolo. “Non avresti dovuto. La tua cassapanca con gli elefanti è bellissima…”

"La cassapanca è per mia nipote. Questo è per te" 

Con un sospiro quasi commosso Kate aprì la scatolina. Appoggiato alla morbida imbottitura interna c’era un campanellino. "Mi hai regalato un sonaglio?" chiese, confusa.

"Guardalo", la esortò delicatamente suo padre.

Kate prese il sonaglio dalla scatola e lo esaminò attentamente, e trovò qualcosa impresso sul sonaglio. JK. “Ci sono delle iniziali…" sussurrò, girandosi sulla sedia per guardare suo padre con gli occhi spalancati.
 
"Era di tua nonna, lo aveva preso in Messico durante il suo viaggio di nozze, e lo aveva indossato come portafortuna quando aspettava tua madre. Poi, quando fu tua madre a rimanere incinta, tua nonna lo regalò a lei" disse suo padre con un sorriso tenero. “Lo ha indossato fino al giorno in cui sei nata, e dopo è rimasto sulla tua culla, perché il suono sembrava calmarti. E’ rimasto sul tuo letto per un paio d’anni direi, forse anche di più. A quel punto, tua madre lo ha messo via per regalarlo a te quando fosse stato il momento”
 
Kate non fu colpita del tutto il fatto che quel ciondolo fosse effettivamente di sua madre finché non vide, sul fondo della scatolina, una piccola polaroid di sua mamma, con il pancione, e il piccolo sonaglio che le ciondolava sulla pancia. Si lasciò andare in quell’istante, facendo scorrere le mani prima sulla foto, e poi sul metallo. Ripensò alla sua infanzia, cercando un ricordo di quell’oggetto. Di quei giorni, Kate aveva solo solo stralci luminosi dal sapore di sogno. L’odore buono di sua madre e gli occhi rassicuranti di suo padre. "Non posso credere che fosse suo" mormorò meravigliata.

Quando alzò di nuovo lo sguardo, la sua famiglia e i suoi amici la guardavano, visibilmente toccati.“Grazie… è… è bellissimo” mormorò abbracciando stretto suo padre.
 
Castle stesso la guardò mentre faticava a trattenere le lacrime, toccato anche lui dall'espressione di emozione sul suo viso. Era così bella quella sera, quasi angelica, decisamente luminosa. Serena, finalmente.

Intorno a loro, tutti sembravano colpiti da quel momento così intenso. Martha stessa faticava a trattenere le lacrime, Lanie si era sciolta fra le braccia di Esposito, Jenny e Ryan si passavano fra loro un fazzoletto per tamponare i lacrimoni, e persino Alexis sembrava emozionata.

Jim si prese quindi il compito di allentare la tensione con una battuta scherzosa. Voltandosi verso Castle, disse: " Avresti dovuto prendertene il merito quando ne hai avuto la possibilità” ridacchiò.

Tutti risero alla battuta.

“In realtà” sussurrò Castle più a se stesso che per essere effettivamente sentito “mi sono attenuto alla tradizione”

Con un gesto rapido, fece tintinnare la posatina da dolce contro il bordo del suo bicchiere di champagne tre volte. "Scusate, scusate," intonò formalmente, "Posso avere per un momento la vostra attenzione, per favore?" 

L’intero gruppo di persone diressero subito i loro sguardi verso di lui. Una volta che Castle fu abbastanza soddisfatto che tutti gli occhi fossero puntati su di sè, annunciò: "Per prima cosa voglio ringraziarvi tutti per essere qui stasera, a festeggiare l’imminente arrivo di nostra figlia."  Un vociare allegro, molti sorrisi e qualche cenno di applauso seguirono la sua affermazione. 

"Abbiamo molto da festeggiare, questa sera", dichiarò con orgoglio. "Abbiamo affrontato alcuni mesi fa uno dei momenti più difficili della nostra vita. Chi ha vissuto qualcosa di simile sa quanto certe situazioni tendano i nervi e testino la volontà delle persone, quanto mettano a repentaglio gli equilibri. Devo ringraziare tutti voi per il vostro supporto, e in particolare mia figlia Alexis, mia madre Martha e mio suocero Jim, per tutto il sostegno e la comprensione incondizionata. Questo brindisi è innanzitutto per loro”

Una serie di fragorosi applausi seguirono le sue parole, mentre Martha, Alexis e Jim accoglievano con un sorriso il ringraziamento di Rick.

“Ma più di tutti stasera voglio brindare a mia moglie, a te Kate”

Mentre tutti sollevavano i bicchieri e si voltavano a guardarla, Kate sorrise, ma nel petto il suo cuore batteva, forte. Anche Castle la guardava, gli occhi così pieni d’amore.

“Ho passato tanti anni della mia vita convinto di sapere davvero cosa fosse l’amore. Poi ho incontrato te, e da quel giorno nella mia vita c’è stato quel di più. Tu eri lì, e all’improvviso mi sono reso conto di averti aspettato per così tanto tempo che non avrei potuto mai separarmi da te, dopo averti trovata” continuò, sempre guardandola fissa.

Kate non riusciva a muoversi. Lo sguardo di Castle era penetrante, c'era calore nei suoi occhi, e quando riprese a parlare il suo tono era quasi commosso.

“Da quel momento siamo riusciti a essere sempre, in qualche modo, legati. Nel bene e nel male. Anche quando, in mezzo alla tempesta, su una barchetta minuscola, in balia di onde che avrebbero potuto ribaltarci da un momento all’altro, presi a cercare ognuno il proprio appiglio per sopravvivere, siamo rimasti sempre mano nella mano. La barchetta avrebbe potuto anche ribaltarsi e le nostre mani non si sarebbero staccate. Piuttosto saremmo affogati insieme.”

Una traccia di malinconia gli velò lo sguardo. Seppure fra i due era stato sicuramente Rick ad aver dimostrato una migliore capacità di reagire in maniera propositiva dopo gli eventi di quel giorno al loft, Kate sapeva – e quel velo di malinconia ne era la conferma- che quel giorno aveva avuto anche su di lui un impatto altrettanto devastante. Ma aveva scelto di essere quello forte per entrambi.

“Dovrebbero viverlo tutti un amore così” continuò infine. “Dovrebbe essere un diritto di nascita, se il mondo fosse un posto giusto. Per nostra figlia però lo sarà. Sarà il suo benvenuto al mondo. E l’accompagnerà, sempre. Voglio brindare a questo, a Kate, a noi, a nostra figlia!”

I bicchieri tintinnarono, gli ospiti applaudirono. Kate incontrò lo sguardo di Castle, non provando neppure a ricacciare indietro le lacrime che le salivano agli occhi. Alzando il suo calice - colmo di succo di frutta - verso di lui, brindò guardandolo negli occhi. Suo marito ricambiò lo sguardo in quel brindisi silenzioso fra i due. 

“E adesso, donna di poca fede, ho qualcosa per te…” le annunciò lui. 

Castle si allontanò per qualche secondo, sparendo nella camera da letto, per poi tornare tenendo fra le mani una bellissima - e incredibilmente voluminosa- composizione di splendidi gigli bianchi, avvolti in strati e strati di velo in vari punti di rosa. Si avvicinò a Beckett, porgendole delicatamente quel magnifico bouquet. “Come da tradizione, il futuro padre regala dei fiori" le spiegò.

"Come puoi vedere, il packaging è nel mio stile" alluse, riferendosi a quello che aveva detto lei prima. "Li ho scelti io per te. Sono lilium


 

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Capitolo 13
*** Ventisette Settimane - Parte IV ***


VENTISETTE SETTIMANE - PARTE IV

“Penso che una tartaruga ci abbia appena sorpassati, Castle"

Kate non poté fare a meno di sorridere per quanto lentamente Castle stesse guidando. Da quando era incinta, suo marito non la faceva assolutamente guidare, per il terrore che una brusca frenata avrebbe potuto provocare l'urto della pancia contro il volante.
In più, lui stesso aveva cominciato a guidare con l’indole di un’anziana signora, e quella sera sembrava essere ancora peggio del solito.
Avevano accompagnato Jim a casa – preferendo che non prendesse il taxi a notte fonda- mentre Martha e Alexis erano rimaste nell’appartamento per un primo riordino.

“Mi sto prendendo il mio tempo. Abbiamo la macchina piena di regali” le rispose lui irriverente. "In più, capitano Beckett, in qualità di esponente di spicco del NYPD dovresti sapere che di notte bisogna muoversi con un’andatura più moderata ed essere più prudenti" 

"Quindi immagino che dovrò chiedere a qualcun altro di accompagnarmi in ospedale quando entrerò in travaglio, altrimenti rischierò di partorire in macchina" osservò Kate, sistemandosi sul sedile.

"Mi sono già accordato con Espo e Ryan, mi hanno aiutato a installare la tua sirena su questo suv", le disse Castle, serio. “Non ci sarà bisogno di correre, perché al suono della sirena il traffico si aprirà e potremo comodamente raggiungere l’ospedale in tutta sicurezza” concluse.

Kate lo guardò e si ritrovò sorpresa dal suo sguardo assolutamente serio. Rise sotto i baffi.

Castle scrollò le spalle. "Sto ancora aspettando le tue scuse…" cominciò, con fare indifferentemente, "e aggiungo che avevi doppiamente avevi torto su di me."

"Torto su cosa, Castle?" chiese Kate.

"Ti ho fatto un regalo, oltre i fiori," rivelò compiaciuto.

“Un altro regalo?”

“Pensavi fossi il tipo da un solo regalo? Seriamente Beckett…”

“E dove si trova questo regalo?”

“Nella tasca della mia giacca”

“Lo voglio vedere” Kate cominciò a infilargli le mani dentro la tasca.

"No!" Urlò lui con orrore. "Smettila di palparmi, moglie, sto cercando di concentrarmi sulla guida", disse, allontanandole la mano. "E per favore, stai seduta composta sul sedile, se succede qualcosa mentre sei così girata l’airbag potrebbe farti male"

"Va bene papà," disse Kate, non volendo litigare con lui, "Aspettiamo di tornare a casa."

Appena misero piede dentro casa, trovarono ad attenderli Alexis - appena rientrata-  che li aiutò a portare in casa i vari pacchetti. I tre iniziarono quindi a parlare della festa, e per la successiva mezz’ora chiacchierarono - tutti seduti sul divano della serata- finché una Kate stremata si congedò spiegando loro che – con il suo nuovo fisico pachidermico – avrebbe impiegato una mezz’ora a prepararsi per la notte. Castle ed Alexis rimasero qualche momento ancora a chiacchierare, finché poi non si salutarono anche loro.

"Kate, aspetta!" Castle quasi strillò trovandola, al suo ingresso nella camera da letto, intenta a immergersi sotto le coperte. "Ti sei dimenticata del tuo regalo!"

"Oh, Castle!" Kate gemette esasperata, "Non può aspettare? Sono stremata, ho le caviglie distrutte"

Castle riuscì a sfoggiare il suo miglior sguardo ferito. "Sto cercando di dimostrarti il mio amore ", le disse con un broncio.

"Oh, va bene," ammise. Uscì controvoglia dalle coperte, e si sedette sul bordo del letto. "Okay, allora cosa vuoi darmi?" lei chiese con impazienza.

"Solo questo," rispose Rick, tirando fuori una scatola di velluto scuro dall'interno della giacca. Lo porse a Kate. "Per te."

Kate studiò sospettosamente la scatola, rigirandola tra le mani. "Voglio sperare che non sia il distintivo della polizia personalizzato con Baby Castle che mi avevi fatto vedere settimana scorsa", chiese scettica.

"Quel distintivo era favoloso, Beckett. Nostra figlia lo avrà” Castle sbuffò una risata impaziente “Lo vuoi aprire o cosa?"

Beckett lo fece sollevando attentamente il coperchio con un sospiro di trepidazione. Ma quello che trovò dentro non era un gadget personalizzato per la bambina, ma un abbagliante trilogy di diamanti che spiccava su una fodera di seta chiara. Kate fece un sospiro udibile, alzando lo sguardo verso di lui.
 
"Bene," sussurrò lui "che ne pensi?"

Kate sentì il suo cuore fare una piccola giravolta. Non per il regalo, che pure era splendido, ma per lo sguardo di lui, teso in attesa della sua risposta, ma sempre traboccante d’amore, "E’ stupendo” lei gli disse, con il suo cuore che ugualmente traboccava d’amore, sperando che quel sentimento si intuisse anche dalla voce. E poi fissò di nuovo l'anello che lui le aveva dato, ammirandolo. "Wow, addirittura tre diamanti”

“E’ il classico regalo che si fa per il primo figlio, o almeno, così mi ha detto Alexis” spiegò Castle. "So che alcune cose non abbiamo avuto la possibilità di farle nel modo giusto, in questa gravidanza", sussurrò con voce roca, “e per questo ho voluto fare tutto il resto come andava fatto, dal baby shower, ai fiori, al trilogy”

"E’ perfetto," mormorò Kate dolcemente, sfiorandogli il viso con la mano, "Tu rendi tutto perfetto."

"E tu pensavi che non ti avessi preso nulla," osservò Castle, infine rilassato, prendendo la scatolina dalla sua mano e tirando fuori l’anello dalla custodia. Le prese la mano e fece scivolare delicatamente l’anello all’anulare di lei. Si fermò per un momento a fissarla negli occhi. "Sono tre, come noi in questo momento" le spiegò, quasi dolcemente, "Io, te e nostra figlia." Le sollevò la mano in modo da poter intravedere l’anello nella luce. "Un nuovo anello per un nuovo inizio" mormorò.

"Un nuovo inizio," sussurrò Kate, d’accordo, i suoi occhi scivolarono gradualmente dall’anello al suo dito agli occhi imperscrutabili di Castle. "Grazie." 

Quell’anello era più di un semplice regalo, pensò Kate mentre osservava le pietre illuminarsi sulla sua mano. Era una dichiarazione d’intenti. Era Castle che le diceva di lasciarsi alle spalle tutte le vecchie ferite e guardare solo al futuro. Kate si sentì sopraffatta dalla semplice profondità del suo gesto. Si sporse e gli diede un bacio leggero sulle labbra. Il contatto fu breve, leggero, ma innegabilmente intenso. Kate indietreggiò, gli occhi ancora fissi su quelli di Castle, in uno scambio che non aveva bisogno di  parole. 

Si spostò su un fianco adesso in modo da poter guardare direttamente nel suo viso. Voleva che lui vedesse i suoi occhi, voleva che lui fosse in grado di leggere chiaramente quanto gli importava di quel che gli stava dichiarando. "Non pensavo che avrei mai avuto questo con te," mormorò piano.

"E pensavi male", scherzò lui con un lieve sorriso. "Non sai che siamo destinati ad avere tre figli?"

"Tre?"

"Tre, e per l’occasione ti comprerò una riviera con ben cinque diamanti" sussurrò lui, avvicinandosi per un bacio gentile.

"Una riviera, eh? Wow!" Kate sussurrò contro la sua bocca, "Vorrei averlo saputo ... mi sarei impegnata per rimanere incinta prima" Posò le labbra contro quelle di lui ancora una volta.

Castle le mordicchiò le labbra in un bacio profondo e languido. "Hmm," gemette lui, allargando una mano sul fianco, "Ancora profumi di ciliegie."

Kate rabbrividì e Castle le baciò teneramente la fronte, la guancia e infine la bocca, prima di scostarsi da lei. "Sai che non possiamo” le sussurrò teneramente.

Non aveva bisogno di chiarire a cosa si stesse riferendo. I dottori erano stati chiari, tuttavia stava cominciando a diventare impegnativo rimanere lontani. 
Gli occhi di Kate incontrarono quelli di Rick. "Sai cosa possiamo fare?" sussurrò dolcemente.

"Cosa?"

Kate sorrise. "Potresti toglierti tutti i vestiti e…”

"E?" domandò lui con voce roca.

"Potresti metterti il pigiama."

Castle emise un gemito di finto orrore. “Il pigiama? Povero me, non sono più quello di una volta” mormorò.

Kate sollevò il suo mento, costringendo i suoi occhi a tornare ai suoi. "No, lo sei", lo contraddisse fermamente, "Sei sexy, sei dolce e sei l’uomo più meraviglioso che abbia mai conosciuto. E puoi venire a letto, e stringermi” sussurrò infine rannicchiandosi contro il suo petto. "E tenermi stretta tutta la notte."

Castle mordicchiò pensosamente l'angolo del labbro inferiore. "Non è esattamente quello che speravo…", disse, con un falso rammarico nel suo tono, "Ma suppongo che sia meglio di niente”. 

Entrambi risero un po' alla sua ammissione.

“Corro a mettermi il pigiama e sono tutto tuo” disse, stampandole un bacio sulle labbra.

Mentre suo marito si cambiava in bagno, Kate si alzò un istante per andare a poggiare la scatolina con l’anello sul comò della stanza. Sullo stesso comò dove troneggiava la splendida composizione di gigli.

“Era questa la composizione che hai scelto con madame Juliet… vero?” lei gli urlò verso il bagno, ammirando quegli splendidi fiori.

“Ovviamente. La storia dei tulipani è stata una copertura. Io e madame ci siamo sentiti al telefono già la settimana scorsa, per dedicere" rispose lui dall’altra stanza.

Avvicinandosi, Kate fu colpita dall'intenso, inebriante profumo di quei fiori bianchi a forma d'imbuto. Erano sfumati di giallo nella gola, e leggermene purpurei all'esterno, lungo la nervatura centrale.

“Tutto bene lì dentro?"  le chiese Castle, rientrando in camera, indicando con lo sguardo il suo pancione.

Kate annuì. "Stasera si è mossa molto. Hanno toccato tutti il pancione e lei non si è fatta desiderare e ha scalciato per tutti. Ora starà dormendo" 

Castle annuì poggiandole la mano sul pancione. "Non la sento” mormorò , mentre le teneva la mano sulla pancia.

In quel momento Castle ebbe difficoltà a incontrare lo sguardo di lei, mentre iniziava a sentire un velo di disagio. Ma gli bastò sbirciare nei suoi morbidi occhi castani, e seppe che non poteva nasconderle la verità. “La verità è che mi rassicura sentirla prima di dormire. Dormo sereno. Non faccio incubi.”

Lo stupore di Kate le rimbalzò sul viso. "Quando ti ho chiesto se anche avevi incubi mi hai detto di no" gli ricordò, ripensando a una conversazione avuta settimane prima.

“Lo so, non volevo turbarti ", confessò Castle con un sorriso dispiaciuto. "La maggior parte delle notti sono rimasto sveglio, a vegliare te, e lei," mormorò Castle solennemente. "Sentirla prima di addormentarmi mi fa rendermi conto che lei sta bene. Mi sento tranquillo."

Lei mormorò il suo nome, sopraffatta dalla tenerezza per la sua silenziosa rivelazione. “Puoi prendermi del latte” gli sussurrò infine.  

"Latte?" Chiese Castle piuttosto sorpreso e sbalordito dal pensiero. Kate non amava il latte, lo beveva solo perché costretta da lui.

“Sì ... latte. Di solito quando lo bevo la bambina si muove” spiegò Kate.

"Corro a prenderlo”. Castle le stampò un bacio sulla mano in segno di gratitudine.

“Mi stavo scordando” le disse quando era già sulla porta della camera “madame mi ha recapitato con i fiori, anche un messaggio da darti”

“Un messaggio?”

“Un bigliettino”  le disse dirigendosi verso la sedia per recuperare qualcosa dalla tasca della giacca. Tirò fuori una piccola busta di carta. "Per te" le disse semplicemente, porgendogliela.

Castle era in cucina a versare due bicchieri di latte quando Kate, seduta solo sul bordo del letto, aprì il bigliettino di madame, in solitudine.

“Il lilium è il simbolo della nascita per eccellenza. Bianco, rappresenta la purezza e il candore di una nuova vita che abbaglia, piena di promesse di luce. Felicitations Kate, per il vostro bocciolo”

Rimise il bigliettino nella busta, poi si fermò nell'atto di poggiare la busta sul letto, colpita da un pensiero improvviso.

"Castle?" 

"Sì Beckett?"

"Avrei un'idea per il nome della bambina..."


 

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Capitolo 14
*** Trenta Settimane ***


TRENTA SETTIMANE

"Quindi… non pensi di testimoniare al processo."

Kate quasi balzò su se stessa per lo stupore, voltandosi direzione di Lanie. "Che cosa?"

“Tu sai che si sta svolgendo il processo…” Chiarì Lanie, interrompendosi dal tirare fuori dalle buste dei negozi gli abiti premaman di Kate. "E sai che Castle testimonierà."

Kate sospirò profondamente, sedendosi sul divano di casa, e guardò Lanie con un'espressione esausta, reprimendo un brivido.
Aveva rimandato lo shopping premaman quanto più possibile – quell’unico, assurdo vestito a tutti intrecci che aveva messo per il baby shower era bastato a farle saltare i nervi - ma quando due giorni prima si era resa conto di non entrare nemmeno più nel pigiama, e aveva dovuto dormire con un pigiama di Castle, aveva chiamato Lanie per una sessione urgente di shopping.

Erano mesi che non trascorreva del tempo sola con l’amica, e non era più abituata alla sua franchezza. Lanie era in grado di dirottare una conversazione su un determinato argomento senza assolutamente alcuna spia. E lei non aveva potuto che rimanere sorpresa quando, dopo mezz’ora di chiacchiere su vestiti a stile impero e camicie da notte con i bottoni per l’allattamento, l'amica aveva completamente virato il discorso verso il processo Loksat.
 
Non che Beckett non ci pensasse. Sin dalla prima conversazione con il dottor Burke negli Hamptons, Kate aveva preso la decisione di smettere di rimuginare e cercare di essere serena. Il suo primo punto all’ordine del giorno era stato quello di mettere a nudo i suoi sentimenti a Rick. Quel pomeriggio, quando era tornato a casa, Kate l'aveva preso da parte e avevano trascorso più di un'ora a parlare di quel processo. Alla fine della conversazione, erano state versate un po’ di lacrime, prese alcune decisioni – Castle avrebbe testimoniato, sentiva di doverlo a se stesso, mentre Kate se ne sarebbe tenuta completamente fuori- e avevano concluso il discorso con una verità inconfutabile: si amavano e non avrebbero mai, mai più permesso a nulla – silenzi, nemici, fraintendimenti- di mettersi tra di loro. 
 
In maniera abbastanza sorprendente, aveva parlato con il dottor Burke diverse volte da quella prima conversazione telefonica. Più Kate gli parlava, più capiva. Più capiva, più si sentiva serena. Nelle ultime settimane si era trovata a parlargli di una varietà incredibile di argomenti, e lui la stava aiutando a ritrovarsi.

Castle era apparso sorpreso quando, di ritorno a NY qualche settimana prima, Beckett gli aveva detto di avere intenzione di riprendere le sedute in presenza con il dottor Burke, ma suo marito era sembrato anche compiaciuto. Si rendeva conto anche lui che parlare con il dottor Burke le faceva bene.

Da allora Kate aveva lentamente iniziato a riprendere in mano la sua vita. Aveva iniziato a sorridere e ridere di più. C'erano ancora giorni in cui si sentiva angosciata e sconfitta, ma quei momenti sembravano presentarsi con sempre minor frequenza. Anche i suoi incubi si erano ridotti al punto che ormai li aveva quasi a malapena. Aveva persino mosso dei seri passi in avanti nell’affrontare il discorso Loksat. Anche se aveva scelto di non testimoniare al processo, si era impegnata a parlare con il procuratore.

Non riusciva però a affrontare l’idea di entrare in un’aula e rivivere tutta quell’indagine, dal primo giorno all’epilogo. Quella ferita era troppo profonda da superare in pochi mesi. Kate poteva fare lo sforzo di parlarne, qualora fosse strettamente necessario, ma era molto lontana dall'essere guarita. E temeva che l’equilibrio che era riuscita a trovare fosse troppo fragile per sopravvivere al colpo. 

Non aveva intenzione di permettere a nulla di mettere a rischio quella serenità che stava faticosamente riacciuffando. Man mano che i giorni passavano, e la gravidanza proseguiva senza problemi, Kate trovava sempre più ragioni di essere felice, e il risentimento che le bruciava dentro sembrava affievolirsi lentamente.

Aveva anche iniziato a riprendere in mano il suo lavoro al distretto, la settimana precedente. Castle, ovviamente, credeva che fosse troppo presto per tornare a lavorare. Fosse stato per lui, sarebbe rimasta a riposare fino a che la bimba non fosse nata. Ma Kate aveva un disperato bisogno di occupare il suo tempo e il lavoro era la soluzione perfetta. Il futuro le appariva ancora così incerto, e poter tornare a fare qualcosa in cui era brava la stava aiutando a riprendere sicurezza. 

Esposito e Ryan erano sembrati subito piuttosto ansiosi di offrirle il loro aiuto. Sebbene i loro modi fossero stati in qualche modo goffi – Ryan continuava a suggerirle di sedersi ogni volta lei si alzava in piedi, e Espo continuava a portarle cose da mangiare - Beckett era grata per i loro sforzi. Tuttavia, sembrava esserci un tacito accordo nel 12esimo di tenerla fuori dalla questione Loksat, e nessuno aveva mai accennato con lei di quella faccenda. Fino a Lanie, in quel momento.

"Il processo?" chiese, "Wow, alla faccia dello tranquillo e rilassante pomeriggio di shopping"

"Hey!" gridò Lanie, fissandola con un cipiglio offeso “abbiamo avuto una sessione di shopping tranquilla e rilassante, mi sembra! "

"E quindi hai pensato che fosse il momento giusto per aprire il discorso processo" mormorò Beckett.

"Non c’è un momento giusto, credo" commentò Lanie con un'alzata di spalle, "Però nessuno vuole affrontare il discorso con te"- La fissò con sguardo sinceramente vicino. "E’ mio dovere, come amica, farlo io. E lo sai. Tu avresti fatto lo stesso con me."

"Sì, lo avrei fatto," ribatté Kate seccata, alzando gli occhi, "Dimmi quello che mi devi dire, Lanie."

“Non voglio certo convincerti a fare nulla o cosa,” spiegò Lanie con disinvoltura, “Però so che il processo non si sta rivelando semplice. So che i ragazzi si stanno impegnando tutti con il procuratore per costruire un solido impianto accusatorio, ma non sarà facile. Caleb Brown è morto, e la difesa vuole usarlo come capro espiatorio di tutte le accuse, scaricandogli ogni responsabilità"

"Non so davvero cosa potrei fare io", rispose Kate senza entusiasmo.

"Dai, Kate", rispose lei, "sai benissimo che il tuo contributo sarebbe determinante. Sei quella che più di chiunque conosce questo caso, praticamente l’indagine l’hai condotta tu sola. In più la tua testimonianza, di fronte alla giuria, sarebbe sicuramente decisiva"

"Ho dato la mia testimonianza al procuratore", argomentò Kate attentamente, "Una testimonianza dettagliata, e mi ha garantito che sarebbe stata sufficiente."

"Ha mentito," dichiarò Lanie in tono piatto. “Probabilmente avranno ammorbato anche lui con la storia del non turbarti. Ma io parlo con Espo, e con Ryan, e so per certo che alla prossima udienza le cose si metteranno male, molto male, se non interveniamo”

"Non possiamo permetterlo", borbottò Beckett.

La bocca di Lanie si spalancò. "Stai valutando di fare qualcosa?" osservò sorpresa.

Anche Kate sembrava sorpresa dall'idea. "Non lo so", mormorò a se stessa, "Forse."

Proprio in quel momento la porta del loft si spalancò e Castle si trascinò dentro, carico di bustine, pacchi, la posta e le chiavi della macchina. "Non dovreste essere in giro a fare spese pazze?" chiese lui mentre si liberava dei vari fardelli.

“Quello sei tu Castle, a quanto vedo” lo rimproverò Lanie alludendo a tutte le varie cose che aveva appena riportato, “Dì un po’, sei andato a Disneyland senza dircelo?" 
 
"Potrei essere passato davanti a Fao Schwarz e aver preso due o tre cosette per la bambina", intonò Castle mentre appoggiava la posta sul tavolino di fronte al divano. Non vide che Kate e Lanie si guardavano fra loro ridacchiando del suo shopping estremo. Quando lui alzò lo sguardo per affrontarle di nuovo, i loro volti erano adeguatamente castigati. "Lily potrebbe nascere in anticipo e in quel caso dove saremmo, eh?"

"Non sia mai che nasca senza avere un orso di peluche a grandezza naturale" disse Lanie, che subito raccolse la sua borsa e iniziò a indietreggiare verso la porta d’ingresso. "Ci sentiamo più tardi amica, pensa a quello che ti ho detto". 

Un'ora dopo, Castle era immerso nella lettura, imparando un bel po’ di cose sul terzo trimestre di gravidanza e cosa aspettarsi, quando Beckett entrò in camera da letto portando con sé un vassoio colmo di contenitori di cibo cinese. Quando la vide, Rick sorrise e si alzò dal letto per andarle incontro a prendere il vassoio. 

"Non che mi stia lamentando, ma non ti eri offerta di occuparti tu della cena?" le chiese.

"Non è quello che ho fatto? " rispose Kate ironicamente, sedendosi accanto a lui, "Mi andava di mangiare qualcosa di unto."

"Beh, non è esattamente nella lista dei cibi consigliati nel terzo trimestre, ma non sono ancora arrivato al capitolo dei cibi proibiti, quindi…" disse Castle dolcemente, prendendo un raviolo con la bacchetta e avvicinandolo alla bocca di Beckett. Lei masticò docilmente il boccone ma i suoi occhi sembravano ombreggiati da qualcosa di più. All'improvviso Rick mise da parte il vassoio e la guardò direttamente. "Cosa c'è che non va?"

"Ho parlato con Lanie oggi", sussurrò, gli occhi fissi in grembo.

"Di che cosa in particolare?" lui incitò dolcemente, il suo cuore stava già cominciando a battere in allarme.

In risposta alla sua domanda Kate si alzò via letto e camminò verso il punto in cui aveva posato prima la borsa da lavoro. Quando tornò a letto portava con sé un faldone pieno di fogli. Lo passò a Rick. "Che cos'è questo?" chiese lui, rigirando la cartella tra le mani.

"Aprilo", ordinò lei.

Più allarmato dall'espressione sul suo viso di ogni altra cosa, Castle aprì velocemente il fascicolo, e smise di respirare per quello che trovò. Era tutto il resoconto dell’indagine Loksat, nitido ed elaborato, redatto dal procuratore poco più di una settimana prima. C’erano le testimonianze - fra cui le loro-, i resoconti delle indagini, le perizie. "Come mai hai questo fascicolo?" osservò rauco.

"Me lo ha lasciato Lanie, prima" rispose Kate. “Mi ha detto che il processo non sta andando esattamente come speravano al distretto, e mi ha chiesto di dare una mano”
Vedendo che era, in realtà, molto scossa, Castle mise da parte i documenti e la strinse tra le sue braccia. "Come ti senti al riguardo?" sussurrò teneramente.

“Non lo so”, rispose lei, “io ... pensavo di essere sollevata dal fatto che non avrei dovuto avere a che fare con il processo, ma ... ma quando Lanie mi ha detto che la situazione sta andando per il peggio, ho sentito ... "

" ... di dover far qualcosa? " Castle le chiese, piano.

Kate sollevò il suo sguardo verso quello di lui. "Come lo sai?" 

"È esattamente quello che ho provato io", le confessò.

“Non capisco”, disse lei, tristemente, “Pensavo che tenermene fuori mi avrebbe fatto sentire meglio, non peggio. Continuo a pensare di non essere pronta per affrontarlo, ma non posso fare a meno di essere in ansia per il fatto che fare giustizia o meno potrebbe dipendere da me"

Castle cullò il viso di lei contro la sua spalla, accarezzando con le dita la guancia di lei. "Kate, non puoi sentirti in colpa per questo", le disse, "Lo abbiamo deciso insieme". Lui le sollevò il mento in modo che potesse guardarla negli occhi. "La cosa importante è che tu sia serena”

"Okay," concesse lei con un broncio, "allora perché mi sento così in ansia?"

"Forse perché, come me, senti di dovere molto a questa indagine, nonostante il modo orribile in cui ha stravolto la nostra vita", rispose sagace Rick, "Vuoi fare la cosa giusta, ma sei cambiata, le tue priorità sono cambiate, e questo ti confonde. Non sai quale sia la cosa giusta”

Kate scosse la testa, sfregandosi inconsciamente la guancia contro la sua spalla mentre lo faceva. "Una parte di me vorrebbe riprendere la sua vita esattamente come l’aveva lasciata", confessò con angoscia, "E una parte di me non è pronta a farlo affatto. Io non so cosa fare. Pensi che testimoniare sarebbe un errore?”

"No, non è quello che sto dicendo," chiarì Castle rapidamente. “Sto solo dicendo che se ti fossi trovata in questa stessa situazione tre anni fa, un anno fa, non ci avresti nemmeno pensato. Ti saresti sentita in dovere di andare fino in fondo all’indagine, ad ogni costo. Ora invece, senti che la bambina deve venire prima. Ed è qualcosa di nuovo, per te”

“Ed ho sbagliato. Il mio primo dovere avrebbe dovuto essere con te. Invece ho pensato prima all’indagine"

"Non è stato solo Loksat," disse Castle, "se non avessi avuto questo caso, sarebbe stato un altro caso. E’ quello che sei. Fare giustizia è qualcosa che ti ha guidato nella vita, e io ti amo anche per questo”

Kate emise una risata sconnessa. "Sto ancora cercando di mettere in ordine tutto quanto", lei cercò di spiegargli, "A questo punto della mia vita voglio offrire il meglio a te, a nostra figlia. Ve lo devo. ”

"E se il meglio fosse chiudere definitivamente con il passato nell’unico modo in cui veramente potresti fare la differenza?" ribatté lui, piano. Le sue dita si fermarono contro la sua guancia. "Kate", sussurrò attentamente, "Sai che io sono pronto a sostenerti in qualsiasi caso, giusto?"

Dopo una lunga pausa, la sentì annuire contro la cima della sua testa. I polmoni si sgonfiarono con il suo sospiro di sollievo. E poi trattenne di nuovo il respiro in preparazione per la domanda successiva. "Tu pensi Kate, di riuscire ad affrontare tutto quanto? Perché io penso che tu possa farlo"

"Lo credi davvero?" gli chiese Beckett, mentre inclinava la testa per guardarlo. "Tu pensi che sia la cosa giusta da fare?"

"Sì. Sì, penso che sia l’unico modo per chiudere definitivamente" rispose lui senza esitazione. 

"Quindi stai dicendo che dovrei farlo?" Kate suppose.

"Che dovremo farlo. Insieme. " mormorò Rick piano, stringendole forte la mano.

 

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Capitolo 15
*** Trentadue Settimane ***


TRENTADUE SETTIMANE

“Contrazioni di Braxton Higgs, anche detto falso travaglio”

“Un falso travaglio”, si stupì Kate, osservando la dottoressa che controllava il tracciato del suo monitoraggio.

“A differenza delle contrazioni vere non sono dolorose, sono molto brevi e sono irregolari."

“A me sembravano piuttosto vere”, osservò Kate.

“Quelle vere sono molto più forti” la corresse la dottoressa, al suo fianco.

Le contrazioni erano arrivate all’improvviso mentre stava seduta alla sua scrivania, al distretto, lavorando con Vikram all’indagine Loksat. Presa dal panico, si era fatta accompagnare immediatamente all’ospedale dal collega, senza però avvisare nessuno al distretto, per evitare che si creasse confusione. Aveva chiamato Castle, che si stava precipitando lì da casa, salvo poi avvisarlo immediatamente non appena saputo che era un falso allarme. Gli aveva esplicitamente impedito di utilizzare la sirena per precipitarsi lì, ma sospettava comunque sarebbe arrivato a momenti, in barba al traffico newyorkese.

Con un sospiro, la dottoressa cominciò a passare l’ecografo sul pancione Kate. “Una spia del fatto che è arrivato il momento, è che smetterai di sentirla muoversi. Una volta raggiunta la corretta posizione per la nascita, perfino il più sano dei bambini diventa tranquillo nelle ore precedenti il travaglio. Ma è ancora presto. Ti devi essere spaventata, cara.”

“Un po’. Nessuno mi aveva avvisato che potevano esserci delle false doglie. Avrei dovuto leggere uno dei libri che Castle ha comprato”

“E’ normale aver avuto paura. Non è facile essere incinta, soprattutto la prima volta.”

“Sì” Kate esitò. “Questo è il genere di cose che avrei chiesto a mia madre”

“Devi sentirti molto sola.”

“Non mi sento più sola, da quando ho conosciuto Castle” ammise Kate, sorridendo al pensiero. “Tuttavia, ammetto che in questi giorni mia madre mi manca terribilmente”

La dottoressa le sorrise, dolcemente “Sono sicura che sarebbe orgogliosa di te. Stai andando benissimo, sei una delle future madri più pazienti e in gamba che ho mai assistito”.

Kate fece un sorriso timido, ringraziandola.

La dottoressa le sorrise incoraggiante. “Sei stata bravissima in questi mesi. La gravidanza è molto pesante per chiunque, e per una donna nelle tue condizioni poteva essere davvero impegnativa”

“Oh, sarò molto contenta di portare la bambina tra le braccia anziché nella pancia, non creda” assicurò Beckett. “Proprio come sarò molto contenta di non ondeggiare più maldestramente quando cammino, di non continuare a correre in bagno ogni ora e di poter bere di nuovo il caffè

"Io sono estremamente soddisfatta di come stia andando, considerando come questa gravidanza è iniziata” osservò seria la dottoressa.

“Si beh, ho fatto del mio meglio…” La voce di Kate si affievolì mentre rabbrividiva per un’improvvisa ondata di ricordi sgradevoli. Spari, sangue, l’ospedale, la notizia di essere incinta. “Certe volte non mi sembra ancora vero”, proseguì tuttavia, affannosamente, decisa a buttar fuori ogni cosa. “Certe volte, ho paura che per colpa la bambina potrebbe avere qualcosa…”

La dottoressa, risoluta, le girò il monitor dell’ecografo e le sollevò il viso per costringerla a guardare. “Guarda. Sullo schermo, la vedi tua figlia girarsi e agitarsi? E tu la senti, vero?”

Beckett si immobilizzò, incantata da quell’immagine in tre dimensioni che vedeva nello schermo.

“Ecco” proseguì poi, spostando una delle mani di Kate. “Riesci a sentire la testa di Lily, perfettamente rotonda, che sta nel palmo della tua mano?” Trattenendo il fiato, Kate annuì. “Adesso dammi l’altra mano”, le disse la dottoressa. La spostò dall’altro lato dell’addome. “La senti scalciare? Un piedino minuscolo, ma già così energico. Ogni settimana diventa sempre più forte”

Per un istante, Kate rimase muta mentre osservava quel monitor come incantata. 

“Un’altra vita sta crescendo dentro di te, Kate, un miracolo bellissimo.Tua figlia sta benissimo. Non devi temere nulla, hai fatto per Lily tutto quel che dovevi. Sei stata una brava madre, Kate”

Kate non disse nulla, troppo emozionata dal fatto di poter vedere la sua bambina sullo schermo e sentirla sotto le proprie mani per riuscire a formulare un pensiero coerente.

La dottoressa cinse le spalle con un braccio in un gesto di profonda comprensione. "Presto sarà abbastanza grande per nascere e poi ti vedrò su questo stesso lettino a sorridermi con in braccio la tua bambina. E presto" aggiunse la dottoressa, con occhi nocciola che scintillavano di malizia “Potrai tornare a divertirti con tuo marito” e il suo sorriso si fece allusivo.

Kate sbatté le palpebre. “Davvero?”

“Davvero” rispose la dottoressa lentamente, quindi continuò “mi dispiace avervi imposto questa distanza forzata, tuttavia era una precauzione necessaria viste le circostanze.” Esitò, alla ricerca delle parole giuste. “Immagino che suo marito le sia mancato”

In situazioni normali Beckett non avrebbe parlato dei risvolti privati del suo matrimonio, ma sentiva una fiducia verso quella donna anziana e minuta che la fece aprire. “Mi è molto più che mancato, per la verità” sussurrò. “Quando sono con lui è come se non esistesse nient’altro al mondo” .

La dottoressa non poté fare a meno di sorridere davanti agli occhi scintillanti e alle guance arrossate di Kate. “Il signor Castle è molto fortunato ad avere una donna come te.”

“Sono io a essere fortunata, mi creda” Kate sorrise. “In effetti, non appena sarà nata la bambina, sono ansiosissima di tornare ad essere sua moglie in tutti i sensi. Non mi sento mai così intimamente legata a lui come quando… lei capisce”

“Capisco benissimo, ma credo che tu non abbia compreso…”

L’espressione di Kate si fece sorpresa, mentre la donna, dopo un istante soggiunse semplicemente: “Non dovrete aspettare oltre. Niente di spericolato, ovviamente, ma a questo punto direi che non c’è motivo di tenervi ancora lontani”

“E’ sicura?”

“Assolutamente,” le promise la dottoressa. “Sempre che tuo marito se la senta”

“Su questo, mi creda, non ho alcun dubbio” rispose con semplicità Kate, ridendo con la dottoressa. Con il cuore più leggero, riprese a vestirsi per tornare a casa.

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Capitolo 16
*** Trentaquattro Settimane ***


TRENTAQUATTRO SETTIMANE

Quando Kate aprì gli occhi la mattina, trovò suo marito che canticchiava piano sul suo ventre. Un sorriso spontaneo le spuntò sul volto, mentre la sua voce roca di lui, leggermente stonata, le giungeva alle orecchie:

I'm sorry that I hurt you
and I'm sorry that I let you hurt me
but your little girl
is gonna change the world
you'll see...
you'll see.

 
https://youtu.be/5GcYixzzBKQ?t=155


Quando la voce di lui si spense, lei allungò la mano in avanti per sfiorare teneramente con le dita i suoi capelli arruffati.

Castle sobbalzò al suo tocco inaspettato, gli occhi spalancati e imbarazzati come un bambino sorpreso con le mani nella marmellata. "Io ... non volevo svegliarti," balbettò in una spiegazione.

"Ovviamente" osservò Beckett con un sorriso consapevole.

Le guance di Castle si tinsero di rosso. "Pensi che io sia un esaltato, vero?" 

"Penso che tu sia meraviglioso", lei rispose, "Canterai alla bambina anche quando sarà qui spero... soprattutto la notte"

"Ovviamente," rispose Rick senza esitazione, "Tutti i libri dicono che i bambini possono sentire le voci anche nell'utero, quindi ho pensato di iniziare presto. Avrà dei gusti musicali favolosi volta arrivata, questo è sicuro".

"E se preferisse qualcosa di più allegro," suggerì Kate scherzosamente, "Potresti sempre farle sentire gli One Republic, o i Pearl Jam."

"Oh, sono assolutamente certo che le piacerà tutto quello che le proporrò," disse Castle compiaciuto mentre si stendeva accanto a lei e le dava un buffetto affettuoso sulla pancia.

"Oh veramente?" lei lo guardò sollevando le sopracciglia.

"Sì, davvero," confermò lui. “Il mio sesto senso, come sai, non sbaglia mai"

Kate arricciò il naso mentre l’odore di caffè si diffondeva nella stanza. "Ehi, non è giusto", accusò lei, portandosi la mano sulla bocca, "Hai fatto il caffè!"

"Andiamo Beckett," la prese in giro Castle, "Alexis aveva un esame stamattina, non potevo non prepararle il mio caffè".

Ma quando provò a baciarla, Kate spinse via la sua faccia. "Non provarci nemmeno", lo avvertì un secondo prima di rotolare dal letto, "Scommetto che ne hai anche bevuta una tazza"

Castle la guardò mentre attraversava la stanza diretta verso l’armadio, per trovare qualcosa da indossare, studiando i sottili cambiamenti che si erano verificati nel suo corpo. La pancia sembrava continuare a crescere giorno dopo giorno, e a Castle sembrava che stesse cominciando anche lentamente ad abbassarsi, chiaro ed inequivocabile segnale che la gravidanza era ormai agli sgoccioli. "Posso aiutare a spogliarti? Non vorrei ti stancassi, sai, sbottonare il pigiama…” lui le chiese mentre la guardava frugare fra le stampelle. 

Pochi secondi dopo i resti appallottolati di una camicia scartata e lanciata via gli sfiorarono il lato della testa. Beckett guardò Castle con uno sguardo di disappunto. "Non sei così divertente", gli disse lei in tono aspro, ma c'era un sorriso sul suo viso nonostante il suo tono severo. 
 
Castle la guardò mentre entrava in bagno, con il labbro inferiore abbassato in un broncio dispiaciuto da ragazzino. "Non ti serve un po’ d’aiuto per farti la doccia?" chiese dolcemente.

Kate si girò di nuovo verso di lui, guardandolo seduto al centro del letto, le lenzuola arrotolate sulle sue ginocchia, i suoi capelli arruffati che sparavano in tutte le direzioni ed erano appiattiti su un lato della testa, tutto sembrava solo aggiungere un certo qualcosa al suo fascino piuttosto che sminuirlo. "Oh, basta con quella faccia", Beckett rise con un'espressione di finta esasperazione, "Puoi venire anche tu!"

La faccia di Castle scoppiò in un ampio sorriso e tirò via le coperte.

Era esattamente il risveglio che sperava.

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"Com'è andata la giornata?" Castle chiese a Beckett nel momento in cui, a sera tarda, lei entrò nella camera da letto e chiuse la porta dietro di sé.

Kate ricadde contro la porta e cominciò a scivolare sul pavimento. "Alcune cose che mi aspettavo", sospirò, stringendo le braccia intorno alle ginocchia, "e alcune cose che non mi aspettavo."

Era rientrata a casa dal distretto nelle prime ore del pomeriggio. Castle, dal suo studio, aveva sentito la porta del loft aprirsi, e aveva subito intravisto Beckett apparire nell’ingresso. Avrebbe dovuto chiamarlo per farsi venire a prendere. Espo comunque lo aveva chiamato per avvisarlo che Beckett era uscita, da sola, e Rick aveva trascorso la mezz’ora successiva sperando che non fosse successo nulla, che fosse solo rimasta bloccata nel traffico, e che non avesse guidato.

“Sei tornata sola? Perché non mi hai chiamato?” le aveva chiesto subito, ansiosamente, precipitandosi davanti a lei quando l’aveva vista apparire all’ingresso.

Beckett gli aveva risposto piano, sorridendogli. "Non sono tornata da sola. Vikram mi ha accompagnato"

A quel suo accenno Castle aveva finalmente notato una sagoma seduta sul divano. "Vikram"

“Salve signor Castle”

"Pensavo che ci fossimo accordati che mi avresti chiamato quando uscivi dal lavoro. E comunque", aveva aggiunto, cambiando rapidamente argomento, “Sei uscita dal distretto mezz’ora fa, mi sono preoccupato”

“Colpa mia, signor Castle. Mi sono fermato per una commissione” aveva ammesso il ragazzo sorridendo.

“Stava uscendo” aveva commentato Beckett. “E quando ha visto che stavo uscendo anch’io, si è offerto di accompagnarmi” aveva sbuffato infine, mentre si avviava verso la cucina. Aveva frugato nel frigorifero. "Vikram, vuoi un po’ d'acqua o un caffè o qualcosa del genere", aveva chiesto lei. "Forse un pezzo di torta? È al cioccolato…”

“L’ho preparata per te quella torta Beckett… ti ho lasciato l’ultima fetta…”

"In realtà sono fuori dalla mia fase cioccolato", lo aveva informato Beckett, un sorriso compiaciuto che si allargava sulla sua faccia luminosa.

“E da quando?”

“Da stamattina. Adesso sono nella fase della frutta secca. Noci, per l'esattezza. Con Vikram ci siamo fermati a comprarle all’alimentari qui di fronte "

Castle si era fermato ad osservarla impiattare la fetta di torta, mettendoglisi davanti per affrontarla. "Okay, quindi prima lui ti accompagna in ospedale con le contrazioni, ora uscite insieme per andare a fare la spesa?"

"Beh, in realtà ci siamo fermati prima a mangiare un hot dog."

Kate aveva ridacchiato all’espressione shockata di suo marito. "Vikram ... è sì o no alla torta? "

"Sì, alla torta, grazie capitano", aveva risposto il ragazzo, sedendosi al bancone. Castle lo aveva guardato storto mentre divorava la sua fetta di torta, e si era avvicinato per versarsi una tazza di caffè. A quel punto era stata Beckett a guardarlo storto.

"Anche tu vuoi un caffè" le aveva suggerito Castle ironicamente, "O te lo ha già portato Vikram?"

"La caffeina non va bene per le donne incinte, signor Castle," aveva risposto il ragazzo mentre addentava la fetta.

Castle gli aveva lanciato un'occhiataccia da sopra la spalla. "Lo so, grazie Vikram", aveva risposto seccamente, "Voleva essere sarcasmo"

"Oh, non preoccuparti, piano piano ti abituerai a mio marito e al suo senso dell’humor", aveva detto Beckett mentre usciva dal bancone della cucina. 

Facendo un cenno al marito di seguirla nello studio, quando furono nella stanza lei si era seduta su una poltrona, e aveva appoggiato i gomiti sul piano della scrivania, osservando Castle mentre chiudeva la porta dietro di se.  "Hai detto ai miei uomini di non lasciarmi uscire da sola”, Kate esordì appena la porta fu chiusa, "E’ vero?"

“Ora ascoltami prima che inizi a prendertela,” l’aveva pregata lui, alzando le mani in segno di resa. Kate aveva bevuto un sorso di spremuta d’arancia che si era portata dalla cucina, e lo aveva guardato con occhi speculativi, aspettando pazientemente che iniziasse. "Non è che non mi fidi di te ..."

"Vorrei ben vedere”

"E’ solo che…" aveva detto lui “volevo proteggerti."

Kate aveva gettato indietro la testa ed tirò un sospiro di lunga frustrazione. "Come mai sapevo che lo avresti detto?" .

Inconsciamente, erano giorni che aspettava che lui affrontasse l'argomento. Nonostante l’episodio del falso travaglio mentre era al lavoro, Beckett aveva ugualmente deciso di continuare a lavorare – seppur poche ore al giorno – fino al processo Loksat. Castle, a riguardo, aveva sollevato pochissime obiezioni. Tuttavia, Kate avrebbe dovuto sapere che c’era un motivo se lui non aveva affrontato apertamente l’argomento. Certo, aveva detto a tutti di non farla andare in giro da sola.

Un sorriso aveva incurvato i bordi della bocca di Castle mentre osservava i pensieri di della moglie palesarsi espressamente sul suo viso. "Comunque non gli avevo detto di metterti a disposizione quel tirapiedi".

"Hai detto a Ryan di non farmi prendere neppure l’ascensore da sola, e così hai quando stamattina è dovuto andare al tribunale per una deposizione ha detto a Vikram di tenermi d’occhio." 

"Assurdo ", aveva commentato Castle, indignato. "Lo avevo chiesto a Ryan. Come ha potuto delegare un compito del genere?"

"Davvero Castle? Questo ti sembra il problema?"

“Kate, ragiona,” aveva insistito lui. “Sei incinta all’ottavo mese, sei quasi entrata in travaglio, per non parlare di tutti i giramenti di testa, le nausee… Però vuoi andare a lavorare – in una stazione di polizia, per inciso- ed io lo capisco. Lo sai che lo faccio. Ma tu devi capire anche me. Non hai voluto una guardia del corpo, come io avevo suggerito…"

"Castle, una guardia del corpo? E’ la peggior idea di sempre."

"Perché?" aveva chiesto Castle a bassa voce, "Ha funzionato per Whitney Houston in The bodyguard, quindi perché non può funzionare per noi?"

Beckett stava pensando seriamente di sbattere la testa contro la scrivania un paio di volte. "Prima di tutto", aveva iniziato a spiegarsi, pazientemente, "Quello è un film. In secondo luogo, nel film lo stalker di lei riesce comunque ad ammazzarle la sorella, e poi quasi a spararle, quindi non so quanto possa essere un buon esempio. Poi vogliamo parlare del fatto che io sono un poliziotto…"

“Va bene, bene, The Bodyguard a parte”, aveva replicato Castle in tono sprezzante, “Quando non sei qui con me, io mi sento più tranquillo sapendo che c’è sempre qualcuno con te."

Kate aveva sbuffato. Castle stava semplificando la situazione così tanto che lei dovette resistere all'impulso di ridere di isteria. Dall’essere una dei migliori elementi dell’NYPD era diventata una bamboletta che aveva bisogno di una balia, che la seguisse come un’ombra.
Tuttavia, era troppo intelligente per non riconoscere in quel goffo tentativo di tenerla d’occhio, delle valide ragioni. Trascorrere la giornata al distretto la sfiniva, e lavorava molte meno ore di quanto non facesse prima. Non era più abituata alla confusione, talvolta le girava la testa, i rumori la confondevano, si era spesso sentita stordita. E la faccenda del travaglio l’aveva spaventata.

“Posso riconoscere che il tuo discorso ha senso” aveva ammesso infine, mentre lui già gongolava. “Però non avresti dovuto chiedere ai miei uomini di farmi da babysitter, senza dirmelo”

"Non ti terrò nascosto più nulla", aveva giurato lui.

Il discorso si era chiuso lì, con un accordo tacito che aveva lasciato entrambi soddisfatti. Beckett aveva approfittato della presenza di Vikram per riprendere in mano con lui il faldone dell’indagine e lavorare a quella che sarebbe stata la deposizione del capitano davanti alla giuria. Castle si era tenuto a distanza – aveva già rivisto quelle carte varie volte nelle settimane precedenti con Espo e Ryan, e aveva già preparato la sua deposizione dall’udienza precedente - e aveva dato il suo silenzioso sostegno a sua moglie preparando la cena e lasciando che Beckett e Vikram la consumassero velocemente mentre erano ancora presi dal lavoro. Vikram aveva infine lasciato il loft qualche ora dopo la cena.

Castle rotolò giù dal letto, incupito dalla nota abbattuta che percepì nel suo tono. Inclinando la testa da un lato, la guardò con sincera empatia. "Hai bisogno di un abbraccio?"

Lei lo guardò con un sorriso storto. "Da te?" Kate le tese le braccia. "Sempre." 

"La giornata è andata così male?" lui chiese mentre la stringeva.

"È stata intensa ", rispose Beckett con attenzione, "È stato strano prepararmi a deporre. Rivedere le prove, le perizie, ripetere le cose da dire. Da stamattina non ho fatto altro."

"Come ti senti a riguardo?" 
 
Kate si toccò la fronte pensierosa. "Non saprei, sto ancora cercando di decidere". Tuttavia, visto che sapeva che quella sua vaga risposta non era affatto soddisfacente per Castle, Beckett aggiunse: “Ma non mi sento così tanto angosciata come credevo mi sarei sentita. Mi sento di stare riacquistando il controllo. "

Castle gli diede una pacca sulla coscia. "Concediti un po’ di tempo, Kate. Prendila con calma”, disse lui piano.

Beckett sollevò una fronte divertita. "Non è lo stesso consiglio che mi hai dato l’altro giorno?"

"Andava bene e va bene adesso," le rispose Castle. L’aiutò a tirarsi su da terra, sostenendola mentre lei goffamente cercava di alzarsi, in equilibrio precario per via del pancione. “Devi essere sfinita” le disse lui, passando le dita tra i capelli di Kate, massaggiandole le spalle, tese. 

Beckett lo guardò ammiccante. "Non sono così stanca", rispose con un sorriso inequivocabile.

La faccia di Castle scoppiò in un ampio sorriso.

Era esattamente il dopocena che sperava.

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Capitolo 17
*** Trentotto Settimane - Parte I ***


TRENTOTTO SETTIMANE - PARTE I

Quella mattina si era svegliata senza nausee, la prima volta in tutta la gravidanza. Il che era un bene, non sarebbe stato facile deporre in un tribunale con quella tremenda sensazione di dover rimettere persino l’acqua.

Si era svegliata incredibilmente presto, aveva fatto la doccia, si era infilata un tubino scuro tagliato sotto il seno con cui le sembrava di apparire più un capitano dell’NYPD e meno una mongolfiera, e aveva messo il sonaglio che in quelle settimane l’aveva sempre accompagnata.
Era riuscita persino a mangiare la colazione che Alexis aveva preparato a lei e Castle, come coccola per affrontare quell’ultima giornata di processo. Alla fine, per ripararsi dal freddo gelido di inizio dicembre, si era messa il cappotto premaman di sua madre, che suo padre le aveva dato settimane prima. Martha l’aveva abbracciata, per darle coraggio. Castle l’aveva presa per mano, ed insieme erano partiti per il tribunale come per una crociata.

Non che quella notte avesse dormito molto. Nel buio della notte, invece di riposare, aveva aperto la valigetta rosa che lei e Rick avevano preparato tanti mesi prima. Seduta sulla poltrona della nursery di Lily, per l’ennesima volta, Kate aveva tirato fuori tutto, e aveva osservato accuratamente i body, le tutine, i minuscoli calzini, la copertina, e due scarpette bianche legate insieme da un nastro di raso.

Li aveva ripiegati accuratamente mentre pensava a tante cose. A sua madre. Al suo essere inconsapevolmente una nonna. Mai le era mancata tanto come in quei giorni, in cui avrebbe voluto chiederle come fare.

Qualche settimana prima, un sabato mattina, suo padre li aveva invitati a colazione a casa sua, per dare a Kate alcune cose che sua madre aveva conservato di quando lei era piccola.

Castle era rimasto affascinato da quel viaggio nell’infanzia di sua moglie, con un Jim che – insolitamente loquace- gli faceva da guida nei meandri dei ricordi di quegli anni felici.

Per Kate era stato un tuffo nel passato di cui non sapeva ancora dire se avesse avuto bisogno.

La morte aveva preso sua madre giovane, ignara, senza lasciarle il tempo di metter via le cose, di lasciare messaggi ai posteri, e neanche di dire un’ultima parola.
Era stata Kate, insieme con suo padre, a riporre le sue cose, nei mesi successivi. Kate ricordava ancora di aver aperto l’armadio, i vestiti appesi che portavano traccia di lei, dell’odore sua pelle matura. Ricordava di aver preso dalla sedia, per ripiegarlo, il suo pigiama a fiori.

In quegli scatoloni invece, il loro contenuto era stato scelto, riposto, e conservato da sua madre, per lei. Perché potesse rivedere quelle cose in futuro, perché potesse usarle per i suoi bambini.

Le era tornato in mente quando, da ragazza, lei e sua madre litigavano, e la donna ai suoi sbuffi l’ammoniva: “quando sarai una madre, capirai”
In quegli anni, l’idea di diventare madre era talmente lontana da Beckett che non aveva mai prestato attenzione. In quei giorni di attesa, aveva rimpianto di non averla ascoltata. 

Nella prima scatola avevano ritrovato con le cose di Kate dei primi mesi. C’erano i suoi vestitini, la sua copertina rosa, che sembrava ancora riportare qualche traccia dell’odore di neonato, talmente intrisa di quel profumo di latte, di talco, di olio per neonati.

Castle aveva scovato invece due copertine beige, identiche, ancora incartate in una velina ingiallita. “E’ stata mia madre a farle” aveva spiegato Jim, con un sorriso pieno di gioia. “Aveva insistito che a volte, a sorpresa, tu ne aspetti uno e ne arrivano due” aveva concluso, ridendo.

Nell’ultimo scatolone, riposto in un angolo buio, Kate aveva trovato i vestiti premaman di sua madre. “Li aveva conservati per un’altra gravidanza, ma poi non sono serviti, e sono rimasti lì” le aveva spiegato suo padre mostrandole quei capi.

Kate li aveva presi e guardati ad uno ad uno, con attenzione, immaginando sua madre in quei completi tagliati larghi sul pancione, simili a quelli che anche lei aveva comprato con Lanie. Quando aveva trovato il suo cappotto, si era fermata, e senza neanche ragionarci troppo l’aveva indossato in un istante. Si era guardata allo specchio e aveva sussultato, trovandosi a rivedere sua madre in quel riflesso.

Infine, dentro a una scatolina di legno chiara, Kate aveva ritrovato i suoi appunti, fogli scritti a mano, una lista delle cose da comprare per il giorno del parto- le camice da notte, la vestaglia, le pantofole nuove- e una lista di cose da fare - dipingere la cameretta, montare il lettino, preparare la valigia della bambina.

In ultimo, una lista di numeri che sembravano cifre a casaccio, ma che ai suoi occhi erano qualcosa di conosciuto.

Castle aveva iniziato a misurarle la circonferenza della pancia già dal quinto mese, ogni settimana. Segnava i centimetri su un taccuino, il taccuino cui Kate appuntava cose pratiche – settimana di gravidanza, chili presi, appuntamenti dal dottore - che conservava sul comodino. Così la mattina, quando si svegliava, guardava la sua bambina in cifre.

Anche sua madre doveva aver fatto lo stesso, e quell’elenco di numeri che in un altro momento le sarebbero apparsi come un codice sconosciuto, quel giorno per lei avevano un senso. Fu il momento in cui la sentì più vicina di tutta la gravidanza.

Kate aveva tanto desiderato la mano di sua madre, in quei mesi, sopra la sua pancia, per condividere con lei quel momento così unico.

Una mano la sentì forte quel giorno, mentre deponeva di fronte al tribunale raccontando quello che mesi prima le era accaduto. Non era la carezza di sua madre sulla sua pancia, ma la stretta rassicurante di Rick nella sua mano.

Quella stretta che, nel momento in cui tutto sembrava perduto, a terra con un proiettile nel fianco, aveva cercato disperatamente, perché andarsene sì, ma stretta a lui.

E mano nella mano, con lui, guardò scorrere le immagini della scena del crimine, casa loro.

E in un attimo le sembrò quasi di entrare nello schermo, pochi passi ed era lì, quella mattina, e camminava in mezzo ai poliziotti, passava vicino a Espo e Ryan che sembravano non notarla, troppo presi, mentre lei si avvicinava al bancone della cucina.

E Kate era lì, e guardava per terra le sagome di due corpi, disegnate sul pavimento di legno scuro. Vedeva il sangue, il loro, riusciva quasi a sentirne l’odore.

E così, in quel momento, le sembrò di stare assistendo alla scena finale della loro storia, come nei film, uno sparo, schermo scuro, fine, il pubblico si alza e se ne va, senza neanche guardare i titoli di coda.

E mentre ricordava la stretta della mano di Castle nella sua, quel giorno, stesi a terra, apparentemente sconfitti, sul confine labile fra vita e morte, fu un calcio forte a riportarla prepotentemente al presente, al tribunale, alla mano di suo marito sempre stretta alla sua.

Ma invece di sangue, a scorrere fu acqua.

Fu Lanie la prima a capire. “Da quanto tempo continua questa cosa?” le sussurrò in tono urgente, avvicinandosi da dietro.

“La deposizione? Non saprei” le rispose Kate. Era stata troppo concentrata a respirare, per curarsi di altro.

“Al diavolo il processo! Da quanto tempo hai i dolori?”

Non provò neppure a negare. “A intermittenza, da un paio d’ore”

Lanie chiuse gli occhi per un istante; quando li riaprì erano chiari e sicuri. “L’hai detto a Castle?”

“No.” Kate parlò in tono piatto e pressante. “La dottoressa Bradford mi ha detto che il primo figlio è imprevedibile. Il travaglio può iniziare e fermarsi, per poi riprendere parecchie volte. Ci vorranno comunque ore prima che succeda qualcosa” Kate inspirò ancora a fondo. “C’è molto più bisogno che Castle finisca di testimoniare piuttosto che correre in ospedale per un travaglio che potrebbe proseguire per ore e ore”

Nonostante quelle parole coraggiose, Lanie si rese perfettamente conto del disagio nei grandi occhi nocciola di Kate.

“Posso?” chiese Lanie mettendo la mano sul ventre prominente di Beckett. “Dimmi quando ti arriva la prossima contrazione”, le disse cercando di apparire calma. “Nel frattempo, puoi continuare a respirare tranquilla”

Ci volle mezz’ora prima che un’altra ondata di contrazioni attanagliasse il corpo di Kate. “Lanie” chiamò piano.

“Adesso?”

“Sì.”

Quando Lanie pose le mani sulla pancia, i muscoli erano piuttosto tesi. Accigliata, guardò l’amica. “Il senso di tenaglia... ti ha preso in tutto il corpo?” le domandò.

“È cominciato nella schiena e poi è venuto in avanti”, rispose Kate.

“Dobbiamo andare in ospedale Kate”

“Sei sicura?” chiese Beckett in tono asciutto

“Abbastanza sicura da dirti che questa era una contrazione bella lunga. Non credo che tua figlia voglia aspettare. Resta qui, io avviso Espo e andiamo a prendere la macchina nel garage”

Quando Castle le si sedette accanto, una decina di minuti dopo, terminata la deposizione, Beckett aveva appena avuto un’altra contrazione. Quando fu certa che non avrebbe lasciato trapelare dal suo sguardo nessuno dei timori che provava, sollevò gli occhi, sorrise e parlò in tono calmo. “Castle, lei sta arrivando”.

Uno stupore angosciato si dipinse sul volto del marito. Poi un debole sorriso addolcì le labbra pallide di lui. Prese una delle mani di Kate tra le sue e la strinse. “Hai le doglie?”

“Sì”

“Ok, certo, andiamo subito in ospedale” disse bruscamente Castle, mentre l’aiutava ad alzarsi in piedi.

“Lanie ha avvisato Espo, credo siano andati a prendere l’auto per... oh!”

“Che cosa c’è?” Castle aveva appena posto la domanda quando vide le inequivocabili macchie di bagnato sulla gonna di Kate. Lei lo guardò quasi terrorizzata. “Ti si sono rotte le acque” dichiarò lui, con una calma che era completamente falsa.

Acqua. Non sangue. Per un attimo aveva temuto...“Ah, sì, certo, è questo” Kate sorrise incerta. “Mi ero scordata che sarebbe successo”

Castle abbracciò sua moglie e le accarezzò i capelli scuri come se fosse una bambina. “È assolutamente normale essere spaventata”. Per un attimo, Kate si aggrappò a lui quasi a peso morto, quindi si ritrasse raddrizzando la schiena. “Sta andando tutto così velocemente, Rick. Ed è ancora troppo presto”

“E’ che Lily non vede l’ora di conoscerci. Come non capirla. Siamo eccezionali. E anche non vediamo l’ora di conoscere lei, giusto?” cercò di rassicurarla lui, sperando di essere riuscito mascherare l’ansia terribile che lo attanagliava. “Andrà tutto bene, Kate”
 

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Capitolo 18
*** Trentotto Settimane - Parte II ***


TRENTOTTO SETTIMANE - PARTE II

“Buon Dio”, Kate emise un basso gemito mentre la contrazione raggiungeva il culmine.

Castle carezzò con una mano i capelli della moglie, mentre l’altra mano stringeva forte quella di lei. Le stava accanto, le lunghe dita intrecciate, cercando di infonderle tutto il coraggio che poteva, mormorandole parole di conforto e asciugandole la fronte.

“Questa contrazione è finita, Kate” le comunicò la dottoressa Bredford controllando sul monitor. “Riposati. Avrai bisogno di tutte le tue forze, perché fra poco dovrai spingere.”

Beckett si voltò e guardò fuori della finestra. Non si vedevano nient’altro che alberi piegati, ondeggianti nel vento. Per un lungo istante ad occhi chiusi, preparandosi per quello che l’aspettava. Il pensiero che qualcosa sarebbe potuto andare male la travolse come un’ondata di disperazione. Ripensò ai vestitini nella valigia rosa, la copertina, la culla preparata con cura. Ripensò allo sguardo d’amore di Castle, e il suo stupore quando le posava la mano sul ventre e sentiva la bambina muoversi. Per favore, fa’ che vada tutto bene.

“Cerca di non trattenere il fiato quando arriva il dolore” le consigliò gentile la dottoressa Bradford. “Peggiora solo le cose”.

La dottoressa Bradford si voltò per rivolgersi a Castle, ma lui aveva occhi solo per sua moglie, chinato su di lei con una tale tenerezza che la dottoressa si sentì chiudere la gola per la commozione.

Quando giunse la contrazione seguente, forte, Kate sforzò di non gridare, ma non riuscì a reprimere un gemito profondo. “Forza”, la incitò Castle. “Grida, impreca o stritolami la mano. Qualunque cosa ti sia d’aiuto”. La sofferenza profonda dipinta sul volto di Castle rivelava eloquentemente la sua paura e l’amore per la donna che stava dando alla luce la loro figlia.

Finita quella contrazione, lui le sollevò le mani e gliele baciò con dolcezza. “Se potessi farlo al posto tuo, lo farei” ammise lui con voce rotta e la strinse, in una stretta dall'urgenza disperata.

“Lo so. Ma averti accanto mi aiuta.” Era vero. Quando Castle chinò la testa per baciarle la fronte, il sorriso che lei gli rivolse era pieno d’amore, così come i suoi occhi. 

Lo vide annuire mentre posava una mano sulla pancia, in un gesto ormai familiare dopo tante settimane di attesa. Sulla sua pelle, la mano di Castle era calda e tremante.  “Sempre”, confermò lui, emozionato. D'un tratto aggiunse la mano all'altra, coprendole completamente il grembo con i palmi e le dita allargate in una posizione protettiva.

Poi, il corpo di Kate fu di nuovo reclamato dalle necessità del parto. Castle avvertì la tensione dei suoi muscoli e, senza dire una sola parola, le prese la mano. Lei la strinse mentre l’ennesima contrazione le faceva inarcare il corpo.

Un’ora dopo, le contrazioni si susseguivano così rapidamente che Kate non aveva tempo di riprendersi tra una e l’altra. Ansante, sudata, si aggrappava forte alla mano di Rick, solo per cadere di nuovo preda del dolore. Lo sguardo di Beckett era offuscato, grosse lacrime le rotolavano fino al mento. Lo guardava e non lo vedeva. Eppure Castle era certo che lei lo sentisse.

Rick si voltò verso la dottoressa, distogliendo gli occhi da Kate per un istante. Erano lucidi, animati da una scintilla di risentimento. “Quanto ci vorrà ancora?” chiese Castle, teso, la mascella contratta.

“Quanto richiederà la bambina” rispose la dottoressa, concisa.

Soltanto il lieve lamento che si levò da Kate sembrò risvegliare i suoi battiti e il suo criterio. Le stava facendo male, la stringeva troppo... La guardò, insolitamente indifesa, fragile su quel lettino. “Kate non può sopportare questa cosa ancora a lungo”, disse alla dottoressa, in un sibilo che assomigliava a un ringhio.

La dottoressa Bradford alzò lo sguardo e lo rivolse a lui. “Ti sorprenderai nel vedere cosa tua moglie è in grado di sopportare.”

E Castle, che pure conosceva l’immane forza di Beckett, si sorprese. Negli spasmi finali del parto, Kate strinse la mano del marito con una forza che lo stupì, e lui la strinse di rimando, sperando di darle tutto il sollievo di cui era capace.

Poi, il pianto della bambina li sconvolse tutti.

“Eccola” annunciò la dottoressa ridendo. “Una bellissima bambina sana con il visino paonazzo”.

Kate sorrise sfinita, stremata, abbandonandosi sul lettino, scordando tutto tranne la consapevolezza che sua figlia era nata ed era sana, ed era poggiata sulla sua pancia. Fu stupefatta nel vedere grosse lacrime negli occhi di Castle mentre fissava la bambina. “E’ qui” riuscì solo a dirgli. “E’ la nostra bambina” le rispose lui.

Castle riuscì a tagliare e legare il cordone ombelicale nonostante le lacrime di felicità che gli scorrevano lungo le guance. La dottoressa prese la piccola per qualche minuto per un primo controllo, per poi avvolgerla in un lenzuolino rosa. Poi passò la neonata a Castle. “Mettila sulla pancia di Kate. Lily ha bisogno di continuare a sentire il battito del cuore di sua madre. E Kate ha bisogno di sentire quello di lei”. Con riverenza, Castle prese la piccolina fra le braccia, per portarla da Kate.

Delicatamente adagiò la piccina sulla pancia di Beckett, e le si rannicchiò accanto. In quell’istante, Lily aprì gli occhi, rimirò i suoi genitori con gli occhietti sgranati, e loro risero, scambiandosi un bacio leggero, le teste accostate.

Quando la dottoressa Bradford rivolse di nuovo loro lo sguardo, Kate era sdraiata tra le braccia del marito, e la bambina era sul suo seno, la testolina appoggiata alla gigantesca mano del padre.

E anche quel giorno, una nuova famiglia era nata.

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In comunque con quella maledetta giornata di otto mesi prima, il giorno della sparatoria, ci furono delle urla, il suono della sirena, la corsa all’ospedale. E poi due genitori anziani, una figlia, degli amici, fuori da una sala operatoria ad aspettare.

In comune con quella maledetta giornata ci furono anche tante lacrime, e un pianto disperato. Ma le lacrime in quest’occasione furono gioia, e il pianto un suono melodioso della loro bambina.

E come quella maledetta giornata, Kate era su un lettino, in una sala operatoria, circondata da medici. Però quel giorno non aveva uno squarcio sul fianco, ma c’era sua figlia appoggiata lì dove il proiettile le aveva quasi portate via.

In una camera bianca, asettica, come quella in cui aveva trascorso tanti giorni solo qualche mese prima, qualche ora dopo Beckett stava stesa, senza più pancia, a guardarsi le punte dei piedi che finalmente riusciva a rivedere, e una mano sempre stretta alla sua. Rick l’aveva lasciata solo un istante, in tutte quelle ore, per prendere Lily fra le braccia.

L’aveva presa subito dopo di lei, in sala parto. L’aveva tenuta con una premura che Kate non credeva fosse possibile. Sembrava che lui avesse remore persino di respirare, guai, che l’aria non desse fastidio alla bambina. E sembrava che quella cura, quella premura, gli venisse naturale, inevitabile, come se non ci fosse altro modo per stringere Lily fra le braccia. Se tante volte in quegli anni si era innamorata di lui, sempre di più, come uomo, quel giorno Kate Beckett si innamorò ancora di più di lui, come padre.

Sentì la porta socchiusa aprirsi, e il suo di padre avanzare curvo.

Vide Castle avvicinare Jim, abbracciarlo forte, come si abbraccia un padre. E lui ricambiò abbracciandolo forte, come si abbraccia un figlio.

“Katie sta bene?”

“Sta benissimo, è stata perfetta”

“La bambina?”

“Sta bene, è bellissima, mia madre è andata con lei nella nursery, qualche minuto e ce la portano”

Il primo pensiero di Jim, guardando sua figlia, fu che Kate era cambiata. Era sempre stata bella, fiera, forte. Ora però risplendeva, come se una luce, latente sotto la sua pelle, fosse stata finalmente accesa. L'espressione assorta e colma di tenerezza. Un'immensa tenerezza... Gli sembrò chiaro che gli ultimi brandelli del muro interiore di Kate fossero crollati. Era sbocciata.

Padre e figlia rimasero a lungo in silenzio, lui accarezzando il viso di sua figlia, senza bisogno di dirle nulla, parlando una stessa lingua che non ha bisogno di parole, in un silenzio cercato e voluto intorno a quella donna a cui entrambi stavano rivolgendo il pensiero. “Katie...”. Le disse infine. “Sei bella come un fiore”.

Fu allora Martha entrò nella stanza portando la bimba fra le braccia. “E qui c'è un altro fiore altrettanto bello”, sorrise porgendo la bambina a sua madre “E una nonna del tutto incantata”

Beckett strinse Lily fra le braccia prendendola come si prende un cristallo, che hai il terrore di rompere, ma che è molto più forte di quanto possa apparire. Lily lo aveva dimostrato di essere forte, era stata più forte di tutto.

Anche Alexis entrò qualche istante dopo. Sorrise al padre, forte, senza dire nulla, anche loro parlavano una loro lingua che non aveva bisogno di parole. 

Poi si avvicinò al letto di Beckett, che aveva Lily fra le braccia. Alexis si incantò a guardare Lily, quella bimba, così piccola nella sua grandezza, così fragile nella sua forza. Sollevò la mano per accarezzarla, con le dita le sfiorò la guancia piano, delicatamente, e Lily fece un suono che parve un risolino. “Lily, sono Alexis, tua sorella” le mormorò.

Poi alzò lo sguardo verso Kate, iniziando a chiederle come stai, come ti senti, cosa hai provato, hai avuto paura, e alla fine, sei una mamma. 

Beckett la guardò a lungo, come se la vedesse per la prima volta, perché non aveva mai visto nei suoi occhi,  né aveva ascoltato nelle sue parole, quella tenerezza.

Rivolse lo sguardo a quella stanza, a Rick, a Martha, a suo padre, ad Alexis, tutti voltati verso di lei, e verso Lily. Beckett li guardò tutti insieme, e per la prima volta le apparvero davvero come una famiglia. La sua. Quella di Lily.


L’altra famiglia di Lily fece capolino qualche ora dopo, di ritorno dal tribunale.

Il sorriso radioso di Kate tradì il pallore della sua pelle mentre dava il benvenuto ai tre amici. Castle era seduto accanto a lei sul letto.

“Gesù”, mormorò Espo rivolgendo lo sguardo a quel fagotto che giaceva fra le braccia della madre, “è proprio minuscola”.

“Per essere una neonata, no”, lo contraddisse Castle. “È lunga quasi sessanta centimetri e pesa tre chili e mezzo”

“Proprio come ho detto io. Minuscola”

Lanie prese in braccio la piccola addormentata e la guardò con una tenerezza che le addolcì i lineamenti del volto. Quando Lily aprì gli occhi assonnati, Ryan emise un suono di meraviglia. “Guarda che occhi imbronciati. È proprio figlia tua, Beckett”

Lily studiò le tre sagome senza metterle a fuoco, sbadigliò, fece un gorgoglio e si addormentò in pochi secondi. Ryan rise sommessamente e con il pollice toccò la piccola guancia perfetta.

“Sarai una testa dura come tua madre?” domandò Lanie piano alla bambina. “Io lo spero.”

I tre avevano guardato Lily, si erano congratulati, le avevano mostrato tutto quell’affetto che lei aveva sempre sentito da parte loro. E poi, infine, glie lo avevano detto. Era andato tutto come speravano. Processo concluso, condanne esemplari, giustizia fatta.

Solo Beckett si accorse che la luce, per un istante, abbandonò gli occhi di Castle. Le sue ciglia scure si abbassarono. Lei sapeva a cosa stava pensando. In quell’istante, fu lei a stringergli forte la mano.

Eppure quando Castle sollevò lo sguardo di nuovo, sul suo volto splendeva il sorriso, reale come lo era stato il dolore poco prima.

“Hai fatto una bambina bellissima”, si complimentò Lanie mentre porgeva a Beckett la sua bambina. 

“Sono stata aiutata”

“Pochissimo. Lo sappiamo il determinante contributo di Castle nell’opera” Lanie commentò sarcastica, facendo loro l'occhiolino, e tutti risero, finalmente sereni.

-----

La città era appena illuminata. Era l’alba.

Quel vicolo buio sembrava diverso, rischiarato dalle prime luci del mattino. Al centro della strada c'era lei.

Con il suo tailleur azzurro e i suoi capelli neri che splendevano nel sole. Era voltata di spalle, ma Kate l’avrebbe riconosciuta anche fra mille. “Mamma”.

Johanna ruotò lenta sui piedi e la guardò. Sorridente. Risplendente di serenità. Aveva qualcosa tra le braccia. Qualcuno... Una neonata, avvolta in una copertina rosa. La loro bambina, Lily. Rosea e paffuta, placidamente addormentata.  

“Lily…”.

Johanna sorrise di più. E nei suoi occhi Kate lesse tanta gioia. Una benedizione. Sua madre le si avvicino e le porse la bambina, e poi pronunciò un'unica frase: “Va tutto bene”.

Andava tutto bene, sì. Stavano bene tutte e due. Sarebbero stati tutti bene... Lei, Rick, la loro bambina. Il tempo della violenza, del sangue e del dolore era finito. Era tempo di una nuova alba. Lily. Un nuovo inizio.

L’ultimo sguardo di Johanna fu colmo di amore e di un vago, tenero rimpianto. Poi riprese a camminare, senza più voltarsi, superando la curva e scomparendo nella città. E Kate, con la sua bambina stretta contro il petto, la lasciò andare.


Beckett si svegliò, nella sua stanza, con Castle vicino a lei, sveglio a vegliarle premuroso, e Lily, fra le sue braccia esattamente come nel suo sogno, placida in un sonno tranquillo, la guancia liscia sopra il cuore di sua madre.

Kate comprese e una lacrima le scese piano dall'angolo di un occhio. “Grazie”, sussurrò.
 
"One may not reach the dawn by the path of the night."
"Non si può raggiungere l’alba senza passare dai sentieri della notte."


 

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Capitolo 19
*** Quaranta settimane... dopo ***


QUARANTA SETTIMANE… dopo

Richard Castle cullava la figlia di nove mesi addormentata tra le sue braccia, canticchiando dolcemente tra i capelli ricci e scuri di lei, mentre la cullava dondolando in cerchio intorno al soggiorno. La piccola si era addormentata già da un pezzo, ma Castle si sentiva giustificato a continuare la sua ninna nanna con la scusa di non svegliarla, semplicemente perché aveva voglia di tenerla fra le braccia. Sua figlia sembrava soddisfatta di quella decisione, stretta contro il petto di suo padre, rannicchiata a lui teneramente.

La vita gli aveva riservato una grande quantità di eventi, negli ultimi mesi. Alcuni di quegli eventi lo avevano riempito di gioia, mentre altri meno, altri ancora si stavano pian piano risolvendo.
 
Il più grande cambiamento era stato sicuramente la tanto attesa nascita di sua figlia. Lily Johanna Castle era nata il 13 dicembre, alle 4:23 del pomeriggio. Era nata prima del termine, previsto per il giorno di Natale, ed era nata incredibilmente in fretta per essere una primogenita, venendo alla luce dopo soltanto un paio d’ore dalla rottura delle acque. La dottoressa Bradford, quando era entrata nella stanza e aveva visitato Beckett, aveva spiegato loro che la bambina si era messa in testa di nascere, era assolutamente pronta, e non voleva perdere altro tempo. Della madre, dunque, aveva preso la testardaggine.
 
Nonostante il travaglio fosse stato relativamente breve, era comunque stato uno dei periodi più atroci della sua vita. Ad un certo punto, con Beckett in preda alle urla disperate, Castle aveva pensato che avrebbe voluto davvero allontanarsi e piangere, perché non poteva sopportare di vedere ancora Kate soffrire così tanto mentre lui se ne stava lì, da parte, senza poter fare niente se non stringerle la mano. 
 
Ma alla fine, tutto il dolore, le grida, le paure e i pianti furono dimenticate. A Castle era bastato lanciare un’occhiata a quella minuscola sagoma rossa che strillava e si agitava scomposta, per innamorarsi di lei a prima vista. 
 
Aveva guardato Kate e l'aveva vista più bella che mai, nonostante l'espressione esausta, i capelli bagnati, i minuscoli rivoli di sudore che le brillavano sul viso. Talmente splendida da fargli stringere il cuore. L'aveva amata da morire in quei momenti di sofferenza, scoprendola persino più forte di quanto potesse immaginare. Aveva avuto paura per ore, giorni, mesi di attesa che gli erano sembrati interminabili e adesso finalmente Lily era con loro. Ed era andato tutto bene.

La dottoressa Bradford nel congratularsi con loro si era detta dispiaciuta che, alla fine, Lily non fosse venuta al mondo il giorno di Natale come da pronostici. Tuttavia, aveva aggiunto, la loro bambina aveva visto la luce nel giorno più buio dell’inverno, e quello secondo lei non poteva che essere un buon auspicio. Nel giorno di Santa Lucia, Lily era un raggio di luce nell’oscurità. Castle, che in vita sua aveva creduto a segnali molto più ineffabili di quello, accolse quella spiegazione come un chiaro e lampante messaggio dall’Universo.
 
Erano tornati a casa dall’ospedale proprio il 24 dicembre, in tempo per festeggiare tutti insieme quel primo Natale della nuova arrivata. Il loft al loro rientro li aveva accolti pieno di palle rosse e festoni luccicanti.
La sera, si erano tutti riuniti per festeggiare quel giorno che era più che solo una festa. C’erano stati Alexis, Martha e Jim, pieni di attenzioni e regali di ogni tipo per la nuova arrivata. C’erano stati Ryan, Jenny e i loro bambini, che avevano esultato per quella casa tanto piena di addobbi e di cose ghiotte da mangiare. C’erano stati Espo e Lanie, e la dottoressa era persino riuscita a convincere il detective a tenere Lily fra le braccia.
 
Persino Lily sembrava aver capito che qualcosa di importante stava accadendo, e sveglia con gli occhi spalancati aveva seguito gli abbagli di luce dei nastri dei pacchetti, rapita, incantata.
 
Castle, al canto suo, aveva capito bene che qualcosa di importante era già successo, e per questo motivo si sentiva grato, sereno. La vita aveva preso una piega sbagliata, ma poi lui e Kate erano riusciti a darle un verso, un verso buono, ed era nata Lily, ed erano lì con lei, e avevano vinto. E allora si poteva tirare un sospiro di sollievo.
 
E in quella notte di Natale, lui e Kate stavano seduti a terra, in quello stesso loft, su quello stesso pavimento dove erano caduti a terra mesi prima. Ma stavolta erano a terra per scartare i regali, circondati dalle persone più care, con la loro bambina fra le braccia. E quell’istante di pura gioia aveva oscurato qualsiasi altro ricordo.

Da quel giorno in poi, lui e Kate erano quindi caduti in una comoda routine familiare, assorbiti completamente dalla nuova arrivata. Potevano contare su Alexis, che si era mostrata una sorella adorante e una babysitter pronta, più che entusiasta di trascorrere del tempo sola con la sua sorellina, e di concedere una pausa a due genitori esausti quando avevano bisogno di stare da soli.

E, naturalmente, i nonni di Lily erano più che felici di aiutarli. Per Castle, che era cresciuto senza un padre, senza fratelli e anche senza nonni, il fatto che sua figlia potesse godere della presenza di quella famiglia così affettuosa era qualcosa di davvero importante.

Anche il legame fra Kate e Alexis sembrava essersi rafforzato, Lily era stata come un ponte fra loro, e il rapporto tra le due sembrava rinsaldarsi ogni giorno, e quello era un altro motivo per cui essere grato.
 
Ma certamente, più di ogni altra cosa era grato all’Universo per la sua famiglia. Per Lily, per il suo sorriso, per i suoi occhi, per le sue mani sempre impegnate a studiare il mondo fuori da lei, per quando allungava le braccia verso di loro, in cerca di un abbraccio, per poi tornare più felice alla sua piccola avventura.
 
Ed era grato per Kate. L'amava ogni istante di più, ora che stava affrontato la nuova avventura della maternità piena di impeto e coraggio. Erano insieme. Inevitabilmente spinti l'uno verso l'altra dalla forza del loro legame. Che era indissolubile, era un per sempre.

Era così perso nei suoi che non sentì Beckett avvicinarsi dietro di lui, e se ne accorse solo quando lei gli aveva già fatto scivolare le braccia attorno alla vita. "Perché non mi hai svegliato?" gli sussurrò.

"Sei stata sempre sveglia queste notti, con Lily e i suoi i dentini... Volevo che ti riposassi un po’. Ho preparato il caffè"

“Hmm ... e invece tu?” gli rispose Kate, mentre avvicinava le labbra alla fronte di Lily, per posarle un bacio tenero. “Sei esausto quanto me. Approfitta del fatto si sia addormentata per stenderti un po’”
 
"La metterò nella culla tra un minuto", rispose lui, guardandola intensamente.

"Perché mi guardi così? A cosa stai pensando?" gli chiese lei allora.

Castle le sorrise, mentre continuava a dondolare la bimba fra le braccia. "A noi."

"A noi? " 
 
“A quanto siamo felici insieme e quanto ti amo, e quanto voglio stare sempre con te e fare dozzine di bambini con te...”

A Beckett scappò una risata che rischiò di far svegliare la bambina. Si beccò uno sguardo ammonitore di suo marito. "Dozzine, Castle?" ridacchiò, "Non pensi che sia un po’ eccessivo?"

"Beh, se non sbaglio dobbiamo arrivare almeno a tre" Castle le rispose con un sorriso ammiccante. "Inoltre, credo che in questa casa ci sia una netta discriminazione di genere, ormai siete quattro contro un solo maschio."

Beckett lo guardo ancora sorridendo, mentre si avvicinava al bancone per versarsi una tazza di caffè. “Maschio?” gli fece eco. "Aspetta, io credevo che tu facessi solo femmine."

"Io credevo che tu non ci credessi", rispose casualmente lui.

“Non ci credo infatti”

"Allora se non ci credi beh, scommettiamo ” scherzò luì.

Kate si portò una mano sulla bocca per soffocare una risata, che avrebbe rischiato di svegliare Lily.
 
"E se nascesse un’altra femmina?” chiese allora lei.

"Beh, in quel caso avrei vinto la scommessa", le spiegò serio.

Lei a quel punto rise mentre si avvicinava al divano, e entrambi si sedettero, lui sperando che Lily non avrebbe posto obiezioni a quel cambio repentino di posizione.
 
“Allora Beckett, che ne pensi? Accetti la scommessa?"
 
Kate sollevò gli occhi verso di lui, lo sguardo pieno di serenità, un sorriso genuino sulle labbra. Castle sentì il cuore colmarsi di gioia, perché vedere Kate sorridere in quel modo, finalmente serena, era la cosa più bella che potesse desiderare.
 
“Penso che dovresti rialzarti e tornare a ciondolare. Lily si sta svegliando. Ed è tardi, io devo vestirmi per andare al distretto…”
 
Entrambi si alzarono simultaneamente dal divano, Beckett gli stampò un bacio sulle labbra, e baciò Lily fra le pieghe del collo, delicata come un soffio.
 
Si era appena girata per avviarsi verso la camera da letto, quando la voce di Castle la fece girare.
 
“It’s too bad. It would have been great.”

Lei si voltò, sorridendo ammiccante. "You have no idea.”
 
 
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NOTE DELL’AUTRICE
“On the shortest, darkest days of the year, people of all faiths celebrate the light” (R.Castle)
Lily nasce a dicembre, il 13, numero ricorrente nella storia dei Caskett (2x13 Sucker Punch - 3x13 Knockdown) alle 4:23 (4x23 Always).
Il 13 dicembre ricorre il giorno di Santa Lucia, tradizionalmente "il giorno più corto che ci sia".
Il giorno più corto, ovvero quello con meno ore e minuti di luce, cade nel Solstizio d'Inverno, il 21 o 22 dicembre. Ma il 13 dicembre si ha effettivamente una riduzione "apparente" delle giornate, perché è il giorno in cui il Sole tramonta prima.
La festa di Santa Lucia è una ricorrenza molto sentita soprattutto nei paesi nordici, dove gli inverni sono molto lunghi e le giornate più corte e buie. Qui, Santa Lucia è la festa della luce per eccellenza. Lucia, il cui nome deriva dalla parola latina "lux" - "luce" appunto - si collega con questo elemento e con le giornate che riprendono ad allungarsi.
Ma il giorno di Santa Lucia ha un significato profondo legato, oltre che ai ritmi delle stagioni, alla speranza. È la festa del trionfo della luce sul buio, della luce dona serenità agli animi nella certezza che un giorno luminoso tornerà.
E un figlio che nasce è sempre una promessa di luce per il futuro.
Ringrazio tutte le persone hanno seguito questa storia. Un grazie particolare a quei lettori che hanno speso qualche parola, è stato motivo di incoraggiamento e gratificazione leggere i vostri pareri. Un grazie, infine, ai Caskett. Always.

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