Lights, Camera, Addiction!

di SimonaMak
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Milano. ***
Capitolo 3: *** Il tiranno del cinema. ***



Capitolo 1
*** Prologo ***




PROLOGO

 
Per quanto potesse sembrare spaventata, aveva sempre aspettato quel momento. Era un’opportunità non indifferente, che le avrebbe conseguito notorietà e prestigio, quanto bastava per avere quella spinta in più. Certo, era stato un vero e proprio investimento per il suo futuro. 8.500 euro soltanto il Master in sceneggiatura, senza contare il costo della vita in una delle città più care d’Italia: Milano!
Sicuramente molto più di Padova. Abituata ad un contesto più contenuto, familiare. Non aveva mai lasciato la famiglia prima di allora. Erano molto legati, non facevano quasi nulla separati; erano soliti partire ogni estate un mese intero, in ogni parte del mondo, e nonostante fosse molto caro un viaggio in quattro, loro dovevano essere tutti insieme per partire. C’è da dire che non avevano problemi economici. Il signor Roberto Stella era un magistrato, parecchio noto nel mestiere, mentre la signora Miriana era professoressa di Linguistica e Glottologia all’Università di Lettere di Padova. Persone per bene, umili della loro fortuna e del loro prestigio.
Avevano insegnato quei valori alle loro due figlie: Ginevra, che aveva appena compiuto diciotto anni e Clara, che a venticinque anni stava per lasciare il nido per trovare la sua strada.
Da sempre viveva di ambizioni: difficilmente si accontentava o ricercava ciò che poteva raggiungere chiunque; voleva il meglio, anche se arduo e intenso, desiderava lottare per qualcosa per cui ne fosse valsa la pena.
Ecco perché in quel momento si trovava lontano da casa, in un’altra città, intenta a costruirsi una nuova vita, conoscere nuove persone e toccare con mano le sue opportunità.
Voleva scrivere, scrivere per il cinema, diventare sceneggiatrice. Non voleva limitarsi all’iniziale Laurea triennale in lettere, che l’avrebbe portata ad insegnare; nemmeno alla magistrale in Scienze del cinema e dello spettacolo. Le serviva qualcosa in più che la portasse a realizzarsi nel mondo della scrittura per il cinema, che la facesse conoscere. In fondo, girava tutto intorno a quello: per entrare a far parte del mondo dello spettacolo, bisogna prima fare esperienza nel campo e farsi integrare dalle persone più influenti.
-“Ma sei sicura? È un salto nel vuoto! Perché non fai il concorso per insegnare?!”- insisteva spesso sua madre, Miriana.
Non perché non credesse in lei, in realtà non credeva nelle opportunità che potesse offrire l’Italia a talenti del genere.
-“Come potrei anche solo alzarmi la mattina per fare qualcosa che non mi soddisfa? Mi accontenterò solo quando dovrò cedere alla morte”- faceva la melodrammatica Clara, di rimando.
Ma come biasimarla! Quasi nessuno aveva il coraggio di sfidare il futuro e mettersi in gioco con il proprio talento e le proprie ambizioni. Ma lei viveva per quello, non c’era altro che potesse motivarla di più.
E finalmente avrebbe vissuto davvero quello che aveva sempre immaginato.
Il Master prevedeva un anno di corsi di scrittura, sceneggiatura, storytelling, tecniche cinematografiche ma soprattutto tirocini: erano quelli i più importanti, proprio perché le avrebbero permesso di mettersi in contatto con il mondo dello spettacolo; avrebbe collaborato con le aziende più famose produttrici di film e serie tv, con i maggiori produttori e registi, attori e sceneggiatori. Inoltre, le offrivano la possibilità di lavorare ad una sceneggiatura originale per un film che sarebbe stato girato, montato e coordinato con lei presente.
Tutto per la modica cifra di 8.500 euro. Beh, non era per tutti, ma i signori Stella ci tenevano alla formazione delle loro figlie, soprattutto se erano testarde come Clara che non si mostrava elastica a nessun’altra decisione.
Ginevra era diversa: avrebbe voluto seguire le orme del padre e non appena concluso il liceo classico, iscriversi alla Facoltà di Legge. Niente di meno! Però aveva già preso in considerazione un piano B se non fosse passata. Avrebbe lavorato, qualsiasi cosa pur di non stare ferma e gravare sui genitori.
Il momento più doloroso era arrivato: Clara, che era sempre stata rinchiusa nel suo piccolo guscio, che aveva vissuto la monotonia università-casa-studio, avrebbe cominciato una nuova vita. Da sola.
Certo, perché a Padova non avrebbe lasciato soltanto la famiglia, ma anche l’amico del cuore Ruggero e i fantasmi del passato. Come il suo ex fidanzato Stefano. Si erano lasciati prima che Clara si laureasse, cinque mesi prima che si trasferisse definitivamente a Milano.
Era un bravo ragazzo, senza ombra di dubbio, ma tendeva spesso a limitare Clara, a bloccare le sue ambizioni. Lui voleva per lei qualcosa di sedentario, che potessero cominciare a vivere insieme a Padova e trovare il modo più semplice. Ecco, lei non avrebbe mai potuto scegliere la strada più facile, non poteva abbandonare i suoi sogni per qualcuno. Lui avrebbe dovuto capirla, incoraggiarla.
Stavano insieme da 3 anni, era stato davvero pesante e difficile prendere quella decisione, anche i genitori ormai erano affezionati. Ma lei doveva pensare al suo futuro, in funzione di sé stessa e non in funzione degli altri.
La sedentarietà, la monotonia, la prevedibilità erano i fantasmi da cui scappava: non avrebbe mai immaginato che la passione, il proibito, l'ossessione, il desiderio e l'impulsività che tanto cercava, le avrebbero creato dipendenza.
Sì, era spaventata, terribilmente. Quasi non voleva ammetterlo nemmeno a sé stessa ma allo stesso tempo era elettrizzata. Avrebbe vissuto con una coinquilina, in un dormitorio all’interno della facoltà stessa, avrebbe studiato ciò che più le piaceva e soprattutto avrebbe messo in pratica tutte le sue conoscenze in merito.
-“È un mondo bastardo. Solo uno su mille riesce!”- le dicevano.
-“Io sono quell’una su mille!”- rispondeva Clara.

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Capitolo 2
*** Milano. ***


 


Capitolo 1
MILANO

 


Poteva sembrare uno stupido e superficiale luogo comune, ma la prima cosa che vidi uscendo dalla stazione fu la nebbia; e per quanto facesse freddo a Padova, non era umido e fitto come quello di Milano, o magari ero solo condizionata. L’unica cosa che sapevo era che tutto sarebbe stato diverso da quel momento in poi.
-“Aspettaci Clara, non vorrai lasciare i bagagli qui!”- mi disse mia madre.
Mi girai verso di lei e mi venne quasi da ridere nel vederla lottare contro la pesantezza delle valigie, seguita da mio padre.
-“Invece di sghignazzare, aiuta tua madre!”- mi rimproverò.
Andai verso di lei e la liberai dal peso più consistente. Si strinse nel suo cappotto bordeaux, disturbata come me dal freddo improvviso.
-“Taxi!!!”- urlò mio padre, cercando di attirare l’attenzione.
-“Roberto cosa urli, ti guardano tutti!”- lo ammonì la donna.
Scoppiai a ridere: tutto ciò mi sarebbe mancato parecchio, ma non l’avrei ammesso facilmente.
Effettivamente un taxi si fermò subito e un uomo robusto e annoiato ci aiutò a mettere i bagagli dentro il cofano. Mio padre gli comunicò la destinazione e subito impostò il tassametro.
-“Sei nervosa?”- mi chiese mamma, sedendosi dietro accanto a me.
-“E’ che non ho ancora realizzato, quindi per adesso sono tranquilla”- risposi, guardando il finestrino.
Vedevo gli edifici della mia nuova città scorrere davanti ai miei occhi: una miriade di gente si affrettava ad andare a lavoro; chi accompagnava i bambini a scuola; chi prendeva un caffè al volo e lo portava in giro per non perdere tempo al bar.
Non erano nemmeno le otto, infatti avevo parecchio sonno; avevamo deciso di partire presto in modo da poter sfruttare la giornata al meglio.
Venti minuti dopo, il tassista ci lasciò davanti l’Università di Lingue e Comunicazione. Vi erano tantissimi corsi di laurea triennali e magistrali, per non parlare di Master, come quello che stavo per fare io.
-“Che spettacolo!”- esclamò papà.
In effetti era una struttura davvero all’avanguardia: moderna, fresca, enorme. Per nulla simile all’Università di Padova che invece era tra le più antiche al mondo, medievale e artisticamente statuaria.
L’ambiente era proprio illustre lì a Milano, fin dal sito online della facoltà si capiva quanto fossero precisi e accurati. Il complesso era talmente perfetto simmetricamente e strutturalmente che sembrava freddo, finto.
Una volta entrati, la nostra impressione fu subito confermata: luci ovunque, scale mobili, tecnologia di altissimo livello e tutto curato nei dettagli. Spazioso e arioso.
-“Mi scusi, il dipartimento di Comunicazione, arti e media?”- chiese mia madre alla donna dietro il bancone dell’atrio principale.
La maledissi mentalmente: avrei potuto chiedere io stessa, perché doveva sempre pensarci lei?!
La giovane donna occhialuta ed elegantemente abbigliata, spiegò come raggiungere il dipartimento e anche i dormitori che offriva l’università agli assegnatari della borsa di studio.
Infatti non tutti potevano avere questo “privilegio”. Sia perché erano limitati, sia perché erano riservati a coloro i quali si fossero laureati con il massimo dei voti e possedessero conoscenze ed esperienze in numerosi campi, con certificazioni e titoli che lo attestassero. Fortunatamente ero rientrata tra loro, sennò avrei dovuto prendere in affitto un appartamento distante dall’università e sicuramente costosissimo!
Ci dirigemmo verso la struttura apposita, sapendo che la mia camera sarebbe stata la S6 e l’avrei condivisa con una ragazza. Di lei ancora non sapevo nulla, non avevo avuto l’occasione di mettermi in contatto e parlarle.
Quasi ci perdemmo tra i vari piani, prendendo tre volte l’ascensore e facendo innervosire mio padre che trascinava le valigie privo di qualsiasi voglia. I corridoi erano bianchi e luminosi, ricchi di vetrate che lasciavano intravedere l’esterno.
Alla fine trovammo le stanze con la S, quindi ci toccava solamente entrare nella numero 6.
Non appena varcai la soglia, fui travolta dal caos più totale: era grande per essere una camera di un dormitorio universitario, forse anche più di quella di casa mia. Su entrambi i lati c’erano due letti, sommersi da valigie e vestiti. Le due scrivanie erano colme di libri, dischi, foto e matite. Quella che credevo fosse la mia coinquilina stava rovistando dentro uno degli armadi che vi erano, in modo frenetico e quasi infastidito.
-“Ehilà?”- attirai la sua attenzione, facendola girare di scatto.
Era una ragazza minuta rispetto a me, dai capelli scuri e corti sulle spalle con qualche ciuffo color prugna. Magra e bellina in viso, con lentiggini sparse qua e là.
Mi guardò allarmata, consapevole di aver fatto un disastro che sicuramente aveva previsto di sistemare prima del mio arrivo.
-“Ciao! Sei qui! Oh ecco, io stavo mettendo un po’ in ordine…”- era in imbarazzo.
-“Dai, non preoccuparti. Adesso ti do una mano io. Mi chiamo Clara”- mi presentai, porgendole la mano che non teneva una delle valigie.
-“Clara! Piacere, io sono Agnese”- me la strinse con un sorriso eccentrico e rassicurato dalle mie parole.
-“E noi siamo mamma Miriana e papà Roberto! Lasciamo qui le valigie e poi ci incontriamo al bar di sotto, ok?”- disse mia madre, rivolgendosi prima ad Agnese e poi a me.
-“A dopo”- li liquidai con un saluto.
-“Ti aiuto io!”- si offrì subito la ragazza, prendendo alcuni bagagli e portandoli al centro.
-“Che lato hai scelto?”- le chiesi, essendo entrambi ricoperti dalle sue cose.
-“Oh scusami ancora, è che non sapevo dove mettere tutto in un primo momento. Prendi il letto che preferisci!”-
Andai verso quello di sinistra e lei subito prese i suoi effetti personali e li buttò in quello di destra.
Poggiai le valigie al di sopra e man mano le svuotai, riempiendo l’armadio e i cassettoni della mia parte. Sulla scrivania sistemai il portatile e alcuni libri. Avevo portato delle foto e le appesi sulle ante: io e la mia famiglia durante i nostri viaggi; io e mia sorella Ginevra da piccole, io e Ruggero mentre eravamo a scuola o durante le nostre uscite; io e la squadra di ginnastica artistica durante i concorsi; io e Irene, una mia cara amica, intente a divorare un enorme panino. Ricordi, che sarebbero rimasti tali. Ormai era tutto parte del passato. Probabilmente non sarei più tornata a Padova.

-“Cosa studi tu?”- mi chiese Agnese all’improvviso.
-“Sono qui per il Master di sceneggiatura e cinema, tu?”-
-“Oh che figata! Io sono per quello di Lingue e culture orientali!”- rispose entusiasta.
-“Hai fatto l’università qui?”-
-“No, l’ho fatta a Bologna, tu nemmeno sei di Milano, vero?”- ridacchiò.
-“Sono di Padova infatti. Spero che non si senta chissà quale accento strambo”- le sorrisi.
-“Ma figurati! Non avrei mai indovinato da sola!”-
Si avvicinò a vedere le foto che stavo appendendo sull’armadio.
-“Sono pazzesche! Fai ginnastica artistica?”- domandò con ammirazione.
-“Facevo. Con il trasferimento ho dovuto lasciare tutto”- al ricordo mi feci travolgere da un po’ di malinconia.
-“Che peccato, mi dispiace tanto, so quanto sia dura. Però cavolo, ecco perché sei così magra e slanciata!”-
Ridacchiai a quel suo commento. Dovevo la mia muscolatura e la mia fisicità proprio a quello sport che avevo cominciato fin da piccola. Ero alta 1,77, fin troppo per poter indossare dei tacchi senza apparire una giraffa. Però ero fiera del mio corpo, ci tenevo parecchio; mangiavo sano e sicuramente avrei iniziato a fare palestra non potendo continuare ginnastica artistica.
-“Quello è il tuo ragazzo?”- mi chiese, indicando Ruggero.
-“No no, il mio migliore amico”- precisai, sorridendo.
Lo conoscevo fin dall’asilo, mi aveva accompagnato durante tutta la mia vita e in quel momento non avrei più potuto contare sulla sua presenza. Solo via messaggi e videochiamate. Conservavo talmente tanti ricordi di lui che alcune foto non sarebbero mai bastate!
-“Sono sicura che ti farai un sacco di nuovi amici e non per questo dimenticherai quelli vecchi!”- mi incoraggiò.
Prese delle sue foto e me le mostrò:
-“Questi sono i miei; questo è mio fratello minore, un diavoletto che amo alla follia; lei una mia cara amica; lui il mio ragazzo Giancarlo, non è un amore?”-
Mi indicò un giovane dai capelli rossicci e occhialuto che la stringeva mentre si trovava sulle sue gambe.
Era una tipa parecchio socievole e dopo pochi minuti si mostrò subito a suo agio con me, raccontandomi tranquillamente la sua vita.
Viveva a Bologna prima di trasferirsi definitivamente anche lei a Milano; aveva studiato lingue, specializzandosi alla magistrale in quelle orientali. Il Master che aveva scelto le consentiva di studiare insieme a ragazzi giapponesi madrelingua, fare Erasmus nel loro paese e organizzare eventi internazionali.
-“Non ti preoccupa l’idea di vivere per conto tuo, lontano da tutto e tutti?”- mi chiese, guardando in basso.
-“Un po’ sì ma…avrei comunque dovuto farlo in base a quello che voglio fare. Prima o poi sarebbe successo. Alla fine non sono più una ragazzina”- cercavo di convincere me stessa più che Agnese.
Riuscii a sistemare le mie cose senza ulteriori disastri, lasciando tutto ordinato.
A separare i due lati della stanza, c’era la porta per il bagno: spazioso e pulito, dotato di vasca con doccia e tutto il necessario per la cura igienica. Mi diedi una sciacquata, rendendomi conto solo in quell’istante che quel poco di trucco che avevo messo la mattina presto, era del tutto scomparso. Fortunatamente avevo le ciglia molto lunghe e folte, il che mi permetteva di lasciarle senza mascara.
Per il resto, avrei voluto indossare un rossetto o un burrocacao per ammorbidire le labbra carnose che, a causa del freddo che avevo preso, erano ancora più gonfie e arrossate. Che bruciore!
Pettinai con le dita la frangetta che ricadeva quasi fino alle sopracciglia e ravvivai il resto dei capelli ondulati e biondastri che si stavano scurendo a causa della mancanza del sole dell’estate. Mi cambiai la felpa un po’ sudata e lasciai la maglia a maniche corte che avevo sotto. All’interno della struttura faceva parecchio caldo a causa dei riscaldamenti impostati al massimo.
-“Sto scendendo dai miei”- informai la mia coinquilina, mentre uscivo dalla stanza.
Ripercorsi quei corridoi all’incontrario fino a scendere al piano zero dove c’era l’area relax per gli studenti del dormitorio. I miei genitori erano seduti ad un tavolino, sorseggiando un caffè e facendo la videochiamata con Ginevra.
-“Eccomi qua”- mi annunciai, salutando mia sorella dallo schermo.
-“Mostro! Com’è la tua nuova amica?”- si illuminò.
-“Sembra simpatica”- la informai.
Aveva, come sempre, legato i capelli corvini in modo da non ricaderle sul dolce viso che mostrava i suoi appena diciotto anni. Non portava gli occhiali a scuola perché se ne vergognava e al loro posto indossava le lenti a contatto che mettevano in risalto i suoi occhi azzurri come quelli della mamma.
Parlottai un po’ con lei dallo schermo finché non chiuse la chiamata perché doveva ritornare in classe.
-“Ci sentiamo presto eh, non ti dimenticare di me!”- mi avvertì.
-“Tesoro, hai sistemato le tue cose?”- mi domandò papà.
-“Sì, quasi tutto. La stanza è grande e luminosa”-
-“Qui niente non lo è! Sono contenta che almeno potrai studiare in un ambiente ben curato”- si aggiunse mamma.
-“Ma sì, man mano mi ambienterò”-
-“Quando cominciano i tirocini e le lezioni?”- mi ricordò mio padre.
Cavolo. Ero talmente presa dal cambiamento, nuova città e nuove persone, da dimenticare che dovevo pure studiare in quel posto.
-“La prossima settimana”- gli risposi.
Da un lato ero stanca, perché avevo passato cinque anni tra triennale e magistrale a studiare in quasi ogni momento della mia vita; dall’altro lato ero entusiasta perché sarebbe stato diverso: avrei seguito lezioni sulle tecniche del cinema e sulla narrazione tenute da famosi scrittori e produttori; vi erano i tirocini alla Rai, Sky e Netflix, alla Mondadori e al Milano Film Festival. Inoltre, come se non fosse abbastanza, per due giorni a settimana avrei dovuto lavorare ad una sceneggiatura originale scritta da me e seguita da un regista, con la sua troupe di produttori e attori in un vero e proprio set! Quella probabilmente era l’attività più elettrizzante. Sarebbe stato come realizzare il mio sogno all’improvviso.
-“Così hai un po’ di tempo per prendere confidenza con quella ragazza, conoscere qualcun altro e il dipartimento stesso!”- sorrise mia madre.
-“Voi quando andate?”-
-“Già ci cacci?”- papà finse di offendersi.
-“Ma no, per regolarmi un po’ con le varie cose”- lo abbracciai, chinandomi da dietro essendo lui seduto.
-“Credo che andremo a fare un giro e poi ritorniamo a Padova”- disse mamma, guardando l’orologio da polso.
-“Che giro vorresti fare, Miriana?”- protestò il marito, già scoraggiato all’idea di essere trascinato per negozi.
-“Dai, andiamo solo al centro, niente di che!”- sbuffò lei.
Risi dei miei genitori, pensando a come tutto questo sarebbe stato totalmente lontano.


 
*


-“Mi raccomando, qualsiasi cosa chiamaci: se ti senti male, se non ti trovi bene, qualunque problema ok?”- insistette mia madre, mentre mi sistemava i capelli dietro le orecchie.
-“Lo so lo so, tranquilla che non accadrà niente”- la abbracciai.
-“Io non devo dirti nulla. Sai benissimo cosa fare. Mi mancherai piccola mia”- mi strinse papà, inondandomi con il suo profumo di marca riconoscibilissimo.
-“Anche voi, vi voglio strabene”-
Cercai fino alla fine di trattenere le lacrime, che vidi fuoriuscire dagli occhi chiari di mia madre. Fissai nella mia testa i loro volti, consapevole che non li avrei visti ogni giorno come ero solita: i capelli scuri di mio padre che circondavano un viso magro e appuntito, gli occhi grandi e castani identici ai miei, nascosti da un paio di lenti spesse e che gli consentivano di vedere meglio da lontano. Mia madre, con i capelli biondi da cui avevo preso, un po’ ritoccati a causa del passare del tempo, che a differenza dei miei, portava corti e lisci; viso stanco e rigato in alcuni punti, rispecchiando ormai la cinquantina di anni. Entrambi alti, seppur mio padre molto più snello rispetto alla mamma che però si manteneva asciutta.
Non appena uscirono dal campus e salirono sul taxi, lasciai che le guance si inumidissero. Non ero solita manifestare i miei sentimenti in pubblico, ma una volta sola scoppiai a piangere.
Da anni dicevo alla mia famiglia che me ne sarei dovuta andare, che non avrei più vissuto con loro e sembravo così tranquilla mentre lo sbandieravo a tutti. Ma in realtà non avevo immaginato davvero la situazione, come l’avrei affrontata. A venticinque anni si dovrebbe essere maturi e indipendenti, tanto da potersela cavare da soli. Ma solo in quel momento avrei potuto scoprirlo davvero.
Ritornai nella mia camera, notando che Agnese non era al suo interno. Ne approfittai per fare una telefonata.
-“Finalmente! Adesso puoi degnarmi della tua attenzione?”- mi accolse scherzando Ruggero, dall’altro lato del telefono.
-“Se ne sono andati”- gli sussurrai, con la voce impastata dal pianto.
-“Amore mio. Lo so. Ma pensa a tutti i lati positivi; dura comunque un anno questo Master eh!”-
-“Ma secondo te se mi farò conoscere e apprezzare, potrò mai tornare a Padova?”- gli feci notare, frustrata.
-“Allora, calmati. Va bene, e allora? A parte che sono solamente due ore e mezza di treno; non sei mica dall’altra parte del mondo!”- sbuffò.
-“Lo so”- ammisi.
-“Ci può stare, al momento sei scossa e stai pensando a tutti i cambiamenti che dovrai affrontare, ma sei in gamba ok? Non hai problemi a fare amicizia e sono certa che ci manterremo sempre in contatto”- mi tranquillizzò il mio amico.
-“Sì, infatti adesso mi passa. Era solo uno sfogo. Tu che mi dici?”- cambiai argomento, tirando su col naso.
-“Un cazzo, come al solito ah ah. Ho mandato curriculum a qualsiasi azienda e devo solo aspettare”-
Si era laureato in Economia, con un po’ di ritardo, e stava cercando in tutti i modi di trovare un lavoro nel suo campo.
-“Dai che ti prendono subito. La tua laurea è molto valida per questo”-
-“Così dicono. Vediamo. Su, adesso riprenditi un po’ e va’ a lavarti quella faccia che sarà uno scempio come al solito”- scherzò.
-“Ci sentiamo, ti voglio bene”- gli dissi, prima di attaccare.
Ansia e panico improvviso a parte, dovevo solo calmarmi. Non ero né sola, né dall’altra parte del mondo come aveva detto Ruggero, né triste di ciò che mi aspettava. Ero fortunata ad essere lì per quella nuova esperienza!
La porta si aprì ed entrò Agnese con il sorriso stampato sul viso.
-“Clara! Bene, ascoltami…ma hai pianto?-“ si incupì.
-“Tranquilla. Dimmi, cosa c’è?”- le sorrisi, alzandomi dal letto.
-“Stasera andiamo al centro insieme ad alcuni ragazzi come noi che vengono da altre città e ci faremo accompagnare invece da studenti milanesi che si sono offerti di farci fare un giro!”-
-“Oh, ottima idea!”- approvai
-“Si! Sapevo che fossi intraprendente!”- si entusiasmò.
-“Sono ragazzi che faranno il Master con te?”-
-“In realtà solo una di questi. Gli altri sono sparsi tra i vari dipartimenti, così almeno facciamo amicizia con persone diverse”-
Si diresse verso la sua scrivania e aprì il beauty colmo di trucchi e pennelli.
Aveva uno stile molto particolare; oltre ad avere qualche ciuffo colorato di viola scuro, indossava tanti anelli e bracciali e stivali alti fino al ginocchio pieni di cinghie e nastri. Per il resto indossava un maglione sistemato all’interno dei pantaloni. Io ero ancora con la maglietta a maniche corte, ma avrei dovuto cambiarmi e mettere qualcosa di più carino e soprattutto caldo.

-“Che dovrei mettere?”- le chiesi, guardando dentro l’armadio che avevo riempito con i vestiti.
-“Semplice ma interessante. Io credo di mettere una gonna di velluto con le calze fin sopra le ginocchia così da non sentire freddo”-
-“Penso di indossare un maglioncino in lurex color avorio e abbinarlo con i pantaloni a vita alta”- scrollai le spalle, prendendo ciò che avevo elencato.
-“Mi piace!”- mi lanciò un’occhiata d’approvazione non appena uscii i vestiti.
Passai anche io dallo specchio per coprire il rossore sulle gote con un po’ di fondotinta e decorare gli occhi con una linea di eyeliner molto fine.
Indossai in fretta gli abiti, abbinando degli stivaletti. Capovolsi in basso la testa per ravvivare i capelli che avrei lavato solamente il giorno dopo, con più calma.
La mia coinquilina si era sistemata di conseguenza, truccandosi di viola per riprendere le ciocche dei capelli che scendevano ad onde.
-“Siamo in macchina con i milanesi, ci aspettano all’entrata del dormitorio”- mi informò.
Scendemmo al piano terra dove c’erano quattro ragazzi e tre ragazze, quasi tutti della nostra età, super giù.
Mi presentai, dimenticando quasi subito i loro nomi. Tranne quello della ragazza bruna e paffutta, Sofiasole, perché era molto particolare, così come un certo Pascal, dai riccioli in testa e brillanti occhi verdi.
-”Voi salite in macchina con Sergio, così non vi traumatizzo con la mia guida”- scherzò un tipo dai capelli neri che si diresse verso l’altra macchina.
In quella dove ci sistemammo io e Agnese, davanti era seduto Pascal e un’altra ragazza dietro con noi.
-”Tranquille, ci stiamo un attimo ad arrivare”- ci informò il guidatore.
Portava degli occhiali da vista un po’ arrotondati che si sistemò guardandosi nello specchietto.
-”Andiamo da Barney’s?”- chiese la bionda accanto a me.
-”Sì, sicuramente è lì che sta andando Leo. E’ fissato ultimamente”- rispose Pascal, girandosi verso di noi.
Effettivamente non ci volle molto prima di raggiungere il pub di cui parlavano. Dall’esterno sembrava un luogo anonimo e passava inosservato, ma all’interno era colmo di giovani seduti ai tavoli che divoravano panini giganti e scolavano alcool senza fermarsi. Vi erano luci esagerate e le mura decorate di un rosso acceso, come le divise dei barman e dei camerieri. Un bel locale e per nulla minuscolo come sembrava inizialmente.
Un cameriere ci fece accomodare nella zona con i divanetti e i tavolini rotondi, un po’ più buia rispetto alle altre.
-”Vi prego fatemi mangiare qualcosa che sto morendo”- disse quella che doveva chiamarsi Carlotta. Aveva il septum al naso e le sopracciglia così folte da ricordarmi Lily Collins.
-”Pascal al ritorno guida te sennò non posso bere”- gli diede una gomitata il ragazzo dai capelli neri, Leo.
-”Non cominciare a rompere”- lo spinse di rimando.
-”Quindi siete arrivate oggi?”- chiese a me e ad Agnese la bionda di prima, Emma.
-”Sì, pian piano mi ambienterò”- le sorrisi.
-”Mi è sembrata pazzesca l’università. Voi cosa studiate?”- domandò la mia coinquilina.
-”Io, Emma e Leo ci stiamo specializzando nel Marketing”- rispose Pascal.
Sofiasole invece disse di aver scelto il Master in culture orientali proprio come Agnese; Carlotta e quello che si presentò come Vittorio con il suo accento fiorentino, erano alla magistrale di Traduzione.
-”Però il Master più figo è quello di Editoria e produzione musicale, mi dispiace ma vi batto”- aggiunse Sergio, il ragazzo che guidava in macchina con noi.
-”In realtà, Cinema e Sceneggiatura è il più interessante! Lo farà Clara”- mi indicò Agnese, facendo ricadere l’attenzione su di me.
Non che mi dispiacesse, però fu piuttosto imbarazzante essere fissata in quel modo.
-”Porca vacca, come hai fatto ad essere scelta?”- mi guardò Leo con occhi spalancati.
-”Boh, ho fatto domanda e avevo i requisiti per fare il colloquio”- alzai le spalle, fingendo modestia.
Mi ero solamente spaccata il culo per cinque anni in modo da riuscire nel mio intento e, fortunatamente, andò come previsto. Se fosse andata diversamente, credo che mi sarei ammazzata. Non avevo un piano B, o se c’era una mezza idea speravo proprio di non dover ricorrere all’insegnamento. Sentir parlare mia madre della sua esperienza mi bastava anche troppo.
-”Sì, hai vinto tu effettivamente. Farei cambio volentieri”- sogghignò Emma.
Durante la serata divorammo panini super elaborati e le birre finirono in un lampo nel nostro tavolo. Risi parecchio alle battute sottili di Pascal e all’eccentricità di Leo che si divertiva a fare il cascamorto con tutte e a prendere in giro Sergio. Anche Agnese entrò in sintonia con il gruppo e si consultò con Sofiasole per eventuali corsi da seguire. Emma e Leo mandarono giù un po’ troppo alcool e per questo motivo facevano sbellicare ancora di più con le loro frasi insensate e facce idiote.
-”Venite fuori a fumare una siga?”- propose la bionda, ridacchiando insieme al suo compare di bevute.
Si alzarono Pascal e Carlotta e ci guardarono interrogativi, come a chiederci se volevamo fare lo stesso.
-”E’ da un po’ che non fumo”- confessai, tentata dalla proposta.
-”Io mai fatto, quindi rimarrò con gli altri”- rispose la mia coinquilina.
-”Dai solo qualche tiro!”- mi incitò la ragazza, tirandomi da un braccio.
Rassegnata, li seguii fuori dal pub e ci appoggiamo alla ringhiera del cortiletto. L’aria fresca di ottobre mi solleticò la pelle scoperta e mi feci cullare dalla serenità della notte senza stelle.
-”Oh tendina, ci sei anche tu!”- si rivolse a me Emma.
-”Tendina?”- le feci eco, confusa.
-”Certo, quella frangetta è proprio una tendina”- rise barcollando.
La assecondai, anche perché non sembrava per nulla un’offesa.
-”Inutile che ci provi con lei, si vede in faccia che è etero”- le disse Leo, sghignazzando.
-”Non vuol dire niente! Allora se io ti guardo in faccia devo dedurre che ti piaccia il cazzo!”- lo canzonò Pascal, mentre si rollava la sigaretta, facendo scoppiare tutti noi a ridere.
-”Sei un bastardo!”- lo spintonò amichevolmente, di rimando.
-”Giuro che comunque non ci sto provando con te, però mi stai simpatica zia!”- mi sorrise la bionda, impastata dall’ubriachezza.
Pascal mi offrì la sua sigaretta e aspirai: non fumavo da quando stavo ancora con il mio ex, Stefano, quindi da quasi un anno. Fu lui a convincermi di smettere, che non mi faceva bene. Quando lo lasciai, cinque mesi prima, non ripresi a fumare perché si erano messi in mezzo i miei genitori, la laurea e tutto il resto. In quel momento però accolsi grata il fumo che inondava i miei polmoni, come un vecchio amico di sventure.
-”Ti vedo assorta”- puntualizzò il riccioluto.
-”Sì, mi tranquillizza molto fumare”- mi sentii sollevata.
-”E’ dura, vero? Io e quei due svalvolati siamo di Milano quindi non possiamo sapere come ci si sente a cambiare aria”- mi prese dalle mani la sigaretta e fece un tiro.
-”Lo è, ma è solo questione di abitudine. Non appena prendo il ritmo mi sembrerà tutto normale, fin troppo”-
-”Nah, questo mai. Soprattutto se frequenti noi: niente sarà normale”-
-”E questo posso confermarlo! Li frequento da pochi mesi e hanno reso la mia vita qui un inferno! In senso buono però”- aggiunse Carlotta.
-”Io direi anche in negativo”- strascicò Leo.
-”Solo per colpa tua!”- gli diede un colpetto sul braccio.
-”Se te lo stessi chiedendo, sono io quello normale”- mi fece notare Pascal.
-”Hai detto che niente è normale con voi, presumo quindi che nemmeno tu lo sia”- lo punzecchiai io.
-”Touché”-
Dopo aver terminato di fumare, rientrammo, tirandoci dietro i due ubriachi. Come previsto al posto di Leo guidò Pascal e finimmo in macchina con loro, mentre Sergio si portò dietro Sofiasole, Vittorio e Carlotta.
-”Raga tra una settimana cominciano le lezioni”-
-”Ti prego Agnese, non me lo ricordare”- rispose Emma, portandosi una mano sugli occhi.
-”Dai non sarà così male, alla fine abbiamo scelto cose che ci piacciono”- intervenni io.
-”Insomma, mica io volevo fare Marketing. Quel cazzone di mio padre ha insistito che seguissi questa strada”- disse Leo.
-”Non mi sembri un tipo che fa decidere gli altri per se stesso”- continuai.
-”Infatti ma… è una storia lunga”- fece corto, distendendosi sulle mie gambe.
-”Non fare l’ubriaco pervertito”- lo ammonì Pascal, guardandolo dallo specchietto.
-”Ho solo bisogno di distendermi altrimenti potrei sboccare, non rompere”- si lamentò, chiudendo gli occhi.
-”Non diciamolo a Carlotta sennò si ingelosisce”- sogghignò Emma dal sedile davanti.
Ci guardammo interrogative per cercare di capire la situazione.
-”Sono convinti che vada dietro a Leo”- ci spiegò il guidatore.
-”Ma è sicuro dai! Da quando ci siamo baciati alla festa mi sta incollata porca troia”- mugugnò lui.
-”Cazzi tuoi che ti fai pure i cactus!”- si sbellicò la sua amica.
-”Sh zitta non urlare che mi fa male la testa!”-
Arrivammo al dormitorio che erano quasi le tre di notte e andammo ognuno nelle proprie stanze, scoprendo che quella dei due ragazzi era la S11, mentre quella di Emma e Carlotta era la R2. Gli altri stavano in piani diversi rispetto ai nostri.
Una volta toccato il letto, non avevo nessuna voglia di cambiarmi e struccarmi.
-”Che ne pensi quindi dei ragazzi?”- indagò Agnese.
-”Mi sono divertita molto, sembrano a posto”-
-”Concordo! Anche se non ho calcolato Giancarlo e per questo potrebbe avercela con me”-
-”Sarebbe ridicolo se te lo rimproverasse”- le dissi, mentre decisi di andare a fare una doccia prima di dormire.
L’acqua tiepida lavò via l’odore di fumo rimasto impresso nella mia pelle, così come aiutò la sonnolenza a venire fuori. Tutto sommato fu una lunga giornata, piena di sensazioni contrastanti che mi scombussolarono come se fossi loro preda. L’unica cosa che mancava e che non mi aspettavo minimamente di vedere era l’anteprima di un messaggio da parte di Stefano.
“Padova non è più la stessa senza di te”.
Io stessa sarei cambiata molto, lì a Milano.


 
Spazio dell'autrice:
Eccomi qui gente! Sì, so quanto sia difficile scrivere due long contemporaneamente ma voglio provarci perché le idee che ho per questa storia sono infinite e sentivo il bisogno di pubblicare un piccolo assaggio. Che ve ne pare? Vi sembra interessante come trama? Fatemelo sapere!
Cercherò di aggiornare più spesso possibile anche se al momento ha la priorità "Ti ho incastrata, principessa". 
Sarei lieta di conoscera le vostre opinioni e suggerimenti per questo nuovo percorso del tutto nuovo, sia per quanto riguarda lo scenario, i personaggi, i luoghi e la descrizione. Eh va be', usiamo il passato! Ma non potevo cambiare la mia amatissima prima persona perché è davvero indispensabile per me. 
Adesso vi lascio, ci leggiamo prestissimo! Grazie per l'attenzione :)


SimonaMak

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Capitolo 3
*** Il tiranno del cinema. ***






Capitolo 2
IL TIRANNO DEL CINEMA.


Padova non è più la stessa senza di te”
Al messaggio del mio ex, Stefano, non risposi in realtà. Che avrei dovuto dirgli? Pazienza? Sapeva che sarei dovuta andare via per realizzare i miei obiettivi che lui aveva sempre scoraggiato per una visione più razionale. Era inutile rimuginare sul passato e volevo dirglielo, però l’indifferenza sarebbe stata l’unica mia risposta. Dopo tre anni di relazione non fu facile lasciarlo, ma ero un tipo che si focalizzava sul futuro e noi non ce l’avevamo di sicuro. Eravamo così ordinari; che parola orribile. Forse all’inizio mi andava bene, la normalità e la banalità, l’abitudine di passare il mio tempo con lui, di essere amata così facilmente. Tutti desiderano questo, perché io mi ero stancata invece? Era come se fosse diventato scontato, poi si aggiungeva il fatto che lui preferisse fare radici e accontentarsi pur di vivere in tranquillità, cosa che non andava assolutamente d’accordo con il mio modo di pensare. Fu la goccia che fece traboccare il vaso: non mi importò più di tutte le volte in cui la mattina, prima di andare a lezione, mi portava un cornetto al miele; dei nostri viaggi in Thailandia, Argentina e Canada; dei girasoli che mi regalava ad ogni anniversario; del sesso nelle scale di casa; di quando mi faceva compagnia durante la febbre alta; delle passeggiate a Prato della Valle; dei suoi rimproveri sul fumo e sui bicchierini di tequila di troppo; del suo amore per me. Non mi importò più perché ero stufa e annoiata dalla sua ordinarietà, regolarità e serietà. I primi due anni furono pazzeschi e memorabili, ma l’ultimo…mi sembrava di essere fidanzata con una prevedibile ameba. La scintilla e l’originalità che c’erano un tempo erano state spazzate via. Ero single da poco più di cinque mesi e non avevo minimamente pensato a cominciare un’altra relazione. Qualcosa di occasionale sarebbe stato meglio, se solo ne avessi avuto il tempo! Cercavo un po’ di dinamismo, impulsività, passione che non credevo di poter trovare in un uomo. Mi affidavo ai personaggi dei libri che leggevo e scrivevo, delle serie tv e dei film intriganti e sorprendenti.
Bastava ciò.
Era più importante concentrarsi sulla mia formazione e su come farmi conoscere nel mondo cinematografico. Sarebbe stato facile e meccanico?
Mancava poco all’inizio delle lezioni e decisi di organizzare uno schema da seguire in modo da avere più ordine nella mia testa. Dal lunedì al venerdì, fatta eccezione per mercoledì, la mattina erano previste lezioni, laboratori e workshop riguardanti le arti e tecniche del racconto letterario, cinematografico e televisivo condotte dai migliori scrittori, registi e sceneggiatori di fama nazionale e internazionale, mentre il pomeriggio avrei dovuto partecipare agli stage presso aziende leader nei settori inerenti ai tre ambiti disciplinari: letteratura, cinema e televisione. Io avevo scelto RaiCinema, Sky, Netflix, Mondadori, Universal Pictures e Milano FilmFestival. Il mercoledì e il sabato, invece, dovevo recarmi al set cinematografico per lavorare sulla mia sceneggiatura insieme al regista e a tutti gli attori e collaboratori tecnici; quello era il momento che più aspettavo. Avevo scritto le prime fasi ovvero l’idea, il soggetto e il trattamento: dovevo passare alla scaletta e alla sceneggiatura definitiva insieme al regista. Solitamente, quest’ultimo tende a prendere in mano la situazione e decidere in prima persona l’andamento della storia che poi diventerà un film; speravo solo che il mio caso fosse diverso in quanto doveva mirare a insegnarmi come rendere il mio scritto efficace, concentrandosi sulle mie idee.
Non avrei avuto molto tempo libero durante la giornata, ciò infatti mi preoccupava parecchio perché pensavo di andare in palestra in sostituzione della mia amata ginnastica artistica, ma dall’altro lato mi rincuorava il fatto di essere sempre impegnata per non riflettere sulla mia condizione di solitudine e lontananza dalla mia famiglia. Sarei sopravvissuta concentrando tutta la mia attenzione sulle attività universitarie e al massimo mi sarei concessa qualche uscita con i ragazzi conosciuti da poco.
-”Hai finito di schematizzare la tua vita? Dovresti aggiungere lo shopping al centro commerciale di questo pomeriggio!”- puntualizzò la mia coinquilina.
-”Effettivamente ho portato pochi vestiti da casa”-
-”Non solo questo! Arrediamo un po’ la stanza e vediamo che dicono gli altri”-
Mi aveva sorpresa che ci avessero comprese nell’uscita; evidentemente gli eravamo state simpatiche durante la serata al pub. Non avevo mai avuto una comitiva, il mio massimo era uscire con Stefano, con Ruggero e con qualche collega o compagna di ginnastica. Tra l’altro non credevo che a Milano fossero così socievoli, pregiudizi poco fondati dato che Emma, Leo, Pascal e Sergio erano i primi milanesi che conoscevo: gli altri comunque venivano da Roma, Torino e Firenze, rispettivamente Carlotta, Sofiasole e Vittorio.
-”Chi siamo?”- le chiesi conferma.
-”I milanesi e Carlotta”-
Si stava pettinando il caschetto di capelli e io mi limitai a sistemare con le dita la frangetta, non prima di aver appeso la mia bacheca sulla parete della scrivania.
-”Non penserai mica che qui si studia e basta!”- mi rimproverò Agnese.
In teoria era questa la mia idea, ma non potevo mica ridurre la mia vita solo a quello.
La guardai ridacchiando e scossi la testa.
-”No, davvero. Solo l’85% del mio tempo”-
Lei sbuffò e mi trascinò fuori dalla stanza per andare dagli altri.
Non è che ci fosse sole, più che altro spuntava un piccolo raggio luminoso in mezzo alla coltre di nuvole scure e imponenti, protagoniste a quanto pareva del mio nuovo paesaggio quotidiano.
-”Raga, avete fatto troppo presto, siete sicure di essere femmine?”- ci scrutò Leo.
Aspettammo anche l’arrivo della romana e ci mettemmo in macchina, noi quattro ragazze dietro, strette come non mai.
Non che mi piacesse chissà quanto andare a fare compere ma in quel preciso caso avevo bisogno di riempire l’armadio in modo da non indossare le stesse quattro maglie e comprare qualcosa di pesante per il clima più rigido. Il motivo per il quale loro volessero andarci, non lo sapevo di preciso ma almeno eravamo in compagnia soprattutto perché non conoscevamo la città.
-”Vi prego di non stare sei ore per ogni negozio”- alzò gli occhi al cielo Pascal.
-”Come mai siete venuti allora?”- gli fece la linguaccia Carlotta.
-”Mica possiamo lasciare voi donzelle da sole!”- rispose Leo ammiccante.
Emma gli diede uno scalpellotto prima di prendere me a braccetto e andare dentro il primo negozio seguite dagli altri.
Andai verso gli stand dei maglioni di lana e ciniglia ma la bionda mi guardò sconvolta.
-”Spero non comprerai solo ‘ste cose. Andiamo a vedere quei vestiti!”- indicò un reparto di abiti più eleganti ed eccentrici.
-”Ma quando dovrei indossarli? Non è che me ne vado alle serate!”-
-”Va be’ ma ogni scusa è buona per essere fighe! E poi, con noi, ci andrai”- si intromise la mia compagna di stanza.
Avevo sempre desiderato questo genere di compagnia e incoraggiamento. Ogni volta con Stefano non avevo voglia nemmeno di mettere qualcosa di carino e non avendo gruppi di amici, non uscivo molto come avrei voluto fare. Speravo, però, che loro non mi distraessero troppo dai miei obiettivi.
Prendemmo tutte e quattro alcuni capi parecchio vistosi e andammo verso i camerini, seguiti dai due ragazzi. Scelsi un tubino in lurex di colore grigio scuro e qualcosa di più semplice in bianco con scollo a cuoricino, tutto l’opposto di ciò che scelsero le altre: indumenti rossi e attillati, neri di pelle, con lo spacco. Sicuramente volevano giocare un po’, non avrebbero davvero acquistato quegli indumenti! O sì?
Ce li provammo e uscimmo fuori insieme per vederci allo specchio e commentare gli outfit, nel frattempo Leo e Pascal erano seduti sul divanetto pronti a esprimere anche loro opinioni.
-”Sembrate delle prostitute”- cominciò il primo, sghignazzando.
-”Perfetto allora!”- Emma allargò di più la scollatura, nonostante non avesse il seno grande.
Venne da noi e, ridendo, ci abbassò il vestito di proposito solo perché non c’era nessun altro in quel momento che ci potesse vedere.
-”Tendina, te che le hai grosse mettile in mostra – e mi fece l’occhiolino – anche tu Carlotta!”-
Noi tendemmo a coprirci ma fummo contagiate dalla sua ilarità e fingemmo di posare mentre Agnese scattava delle foto.
-”Com’è che Emma può toccarvi e noi no? E non rispondetemi che è una ragazza perché i suoi gusti coincidono con i nostri”- ironizzò Leo, cercando approvazione dal suo amico che scosse la testa, divertito.
Un po’ mi imbarazzava il fatto che ci fossero loro a guardarci come se fossimo uno spettacolino, ma alla fin fine era poi così strano? Si divertivano tanto, giocando davanti allo specchio e scattandosi delle foto perverse che mi feci coinvolgere io stessa.
-”Se qualcuno arriva, io me ne vado ve lo sto dicendo”- mise le mani avanti Pascal.
-”Ma dai, stai zitto! Ora vi mostro il mio tatuaggio”-
La festaiola del gruppo si alzò la gonna fino a scoprire la coscia, come se nulla fosse, indicando il serpente di colore argento che gliela circondava.
-”Ma è stupendo!”- la lodò Agnese.
Effettivamente Emma era un tipo molto particolare, e non perché fosse lesbica: probabilmente non l’avrei immaginato nemmeno, se non l’avessero menzionato più volte e se lei non ne avesse parlato così apertamente. Si vestiva in maniera eccentrica e senza timore di mostrare il suo corpo, cosa che la faceva sembrare sicura di sé e indifferente al giudizio altrui; oltre ad avere la lingua e le orecchie piene di piercing, portava i capelli dorati all’altezza del seno e la cute era nettamente scura, segno che li tingesse; non aveva un viso esclusivo ma era spigoloso e le labbra erano così carnose che sembravano rifatte, ma non le avrei mai chiesto conferma. Ognuno di loro aveva una caratteristica con cui la mia mente li identificava: la mia coinquilina per i suoi ciuffi viola e le lentiggini; Carlotta per il septum al naso pronunciato e le sopracciglia foltissime; Pascal per il viso da Ken e gli occhi verdissimi e intriganti; Leo per la mascella squadrata e l’atteggiamento da figo spocchioso proprio come quello di Emma. Io ero quella spilungona e con la frangetta, almeno nella mia testa.
-”Adesso voi due vi alzate e fate come noi”- andai dai ragazzi e li presi per mano, conducendoli nei camerini.
Se il bruno mi guardò furbo, l’altro si fece tirare.
-”Non mi fate fare stronzate”- ridacchiò.
-”Presto, scegliamo dei vestiti accurati”- precisò Emma.
Tornammo con gonne, giacche di pelle, cravatte e foulard; i due si guardarono esterrefatti e spaventati dalle nostre intenzioni.
Carlotta e Agnese “catturarono” Leo e la bionda chiamò me per conciare per le feste Pascal.
-”QUESTO SI CHIAMA STUPRO”- sentii urlare dal camerino adiacente.
-”No vi prego, io ce l’ho ancora la dignità”- ci supplicò la nostra vittima.
Avevamo in mano una gonna floreale dai colori accesi, una cravatta a quadri e una bella giacca da cerimonia.
-”Dai, levagli i pantaloni”- scoppiò a ridere la mia complice mentre gli annodava la cravatta al collo.
Lo sbirciai interdetta, perché per me, al contrario di Emma, non era una cosa del tutto normale e spontanea spogliare un ragazzo per mettergli una gonna. Certo, stavamo giocando ma…
Mi scrutò anche il diretto interessato, trattenendo un sorriso, poi però cominciò lui a sbottonarsi i pantaloni.
-”Faccio io, non la mettere in situazioni imbarazzanti”- rimproverò la sua amica con un ghigno divertito.
Scostai lo sguardo, per rispetto suo, mentre si abbassava i jeans ed Emma lo aiutò a mettere quell’orrenda veste che nemmeno io da femmina avrei mai indossato.
-”Ma che senso ha mettermi giacca e cravatta a petto nudo?”- protestava.
-”Perché secondo te ha senso avere sotto una gonna? Su Clara, almeno la maglia la sai togliere?”- mi provocò lei.
Ruotai gli occhi ma gliela sfilai, lasciando scoperti i muscoli leggermente accennati dell’addome, e subito gli sistemai la giacca senza incontrare il suo sguardo per evitare di arrossire come una ragazzina. Magari se l’avessi conosciuto di più sarebbe stato meno imbarazzante, considerando come mi approcciavo tranquillamente alle nudità del mio migliore amico.
-”CARLOTTA STA INDUGIANDO TROPPO SUL MIO…AHIA”- Leo continuava a protestare fin quando non sentii un botto, forse l’avevano colpito!
I ragazzi uscirono dai camerini abbigliati in modo ridicolo, entrambi mezzi nudi di sopra e con la gonnella di sotto. Ci apprestammo a fotografarli mentre tra di loro si prendevano in giro e infine ci scattammo una foto allo specchio che riprendeva noi tutte scollate e provocanti e loro buffi ed esilaranti.
-”Se le mostrate a qualcuno vi ammazzo. Devo mantenere una reputazione per avere una vita sessuale attiva”- si lamentò il bruno.
-”Ma sentitelo!”- si spazientì Carlotta, come se fosse gelosa di questo.
In effetti sembrava davvero interessata a lui come dicevano loro, ma per quanto avevo capito poteva mettersi il cuore in pace dato l’atteggiamento da dongiovanni di Leo.
-”Cazzo se già con questa tua reputazione non ti caga nessuna, figuriamoci con quelle foto”- lo prese in giro l’amico.
-”Sì certo, te sei il primo maiale solo che io non lo nego né lo nascondo con una facciata seria e da santarellino”- lo schernì di rimando.
-”CHE CI FATE VOI QUI? E’ IL CAMERINO DELLE DONNE, FUORI! E TOGLIETEVI QUEI VESTITI!”-
Una signora che lavorava al negozio ci rimproverò categoricamente e, dopo esserci spaventati, ci cambiammo e scappammo via ridendo a crepapelle.
Riuscii a comprare in altri negozi dei maglioni pesanti, dei jeans e degli abiti più estrosi come volevano le ragazze; speravo di usarli davvero. Inoltre, io e Agnese acquistammo dei mobiletti e degli appendini per la nostra stanza dato che ci consentivano di abbellirla come volevamo.
Fu una bella giornata e mi pentii di non aver avuto amici idioti e coinvolgenti, a parte uno o due, in venticinque anni di vita. Durante gli anni del liceo, eccezion fatta per Ruggero, mi stavano quasi tutti sulle palle e non avevo legato con nessuno in particolare. All’università poi erano tutti così scorbutici e snob che non ci provai nemmeno. Non mi sarei aspettata che in pochissimi giorni dal mio arrivo avrei conosciuto già tante persone con cui potermi svagare un po’.
Mandai nel gruppo della famiglia di Whatsapp le foto di ciò che avevo comprato e mia madre mi scrisse:
-Tutto bello! Non spendere troppi soldi però!-
-Compra qualcosa per me e spediscila!- digitò mia sorella.
-I negozi ci sono anche a Padova, non mi inganni!
Risi del mio messaggio e inviai al mio migliore amico le foto allo specchio insieme ai ragazzi per vedere cosa mi avrebbe risposto. Mi arrivò subito la richiesta di una videochiamata e accettai.
-”Ma chi è tutta quella gente? Mi stai rimpiazzando in fretta brutta stronza!”- mi attaccò, scherzando.
-”Che dici! Te ne ho parlato, sono alcuni di quelli con cui sono uscita la volta scorsa”- gli sorrisi dallo schermo.
-”Perché siete mezzi nudi e di poco gusto? No va be’, non voglio saperlo”-
Gli mostrai la stanza per quanto permettesse il telefono e Ruggero mi raccontò di una sua collega con la quale ci stava provando, senza conseguire molti risultati.
-”Tu ignorala, vedrai come cambieranno le cose!”- gli consigliai.
-”Come fa a capire che sono interessato?”-
Ma davvero non sapeva cosa volessimo noi donne?
-”E’ questo il punto: non deve capirlo! Fai il simpatico ma allo stesso tempo quello distaccato”-
La maggior parte di noi, almeno, funziona così. Specialmente tutte le tipe che gli erano piaciute, infatti aveva sofferto molto negli ultimi anni a causa della sua disponibilità e premura nei confronti di Aurora con cui era stato per un bel po’ di tempo senza realmente ricevere nulla da parte sua. Glielo dicevo spesso, che era troppo buono. Bastava che pensasse a sé stesso e facesse un po’ il difficile: a quel punto, avrebbe fatto centro. Era pure un bel ragazzo, alto e intelligente! Non gli mancava nulla. Tra noi non era mai sbocciato l’amore perché quando si conosce qualcuno fin da piccoli, è difficile che lo si riesca a vedere diversamente da un fratello. Mi piaceva così, in modo che il nostro legame fosse stato puro e indissolubile, anche se in quel momento si aggiungeva la distanza.
-”Devo essere bipolare e con disturbo della personalità multipla, tutto chiaro”- ironizzò, colpendosi la fronte rassegnato.
Qualcosa del genere, sì.


 
***


Era sabato, e a differenza di qualsiasi altro giorno di riposo, io avrei dovuto raggiungere un set cinematografico al chiuso in modo da conoscere la troupe, lo staff e i collaboratori che avrebbero contribuito a rendere il mio progetto, la mia sceneggiatura, perfetta. Il vero e proprio “lavoro” sarebbe cominciato il mercoledì seguente; quel primo incontro, invece, era convenzionale a farsi un’idea delle persone, del luogo, delle tecniche e dell’attrezzatura messe a disposizione.
Ero super elettrizzata perché non avevo mai visto un set vero e proprio prima d’allora e l’idea che quella gente fosse lì per realizzare un film insieme a me…beh, non aveva prezzo. Speravo solo di avere la giusta voce in capitolo e che fossero cordiali con me, nonostante per loro fosse un lavoro e per me un progetto universitario che aveva organizzato il Master per “l’elite”.
Addirittura venne a prendermi un autista che guidava una macchina nera e cupa.
-”Sono qui per la sceneggiatrice Clara Stella”- fu ciò che mi disse, e sentirmi chiamare in quel modo mi fece rabbrividire di piacere.
La mia eccitazione non faceva che aumentare sempre di più fin quando, dopo dieci minuti, raggiungemmo il teatro di posa in cui era stato allestito l’ambiente per le riprese. Un signore vestito di nero e dai mille auricolari diede l’ok all’auto di entrare e da che sembrava essere un luogo anonimo, riconoscevo delle roulotte con dei nomi stampati sulle porte, parcheggi riservati, gente che faceva avanti e indietro in modo frenetico, chi portava dei riflettori treppiedi. Scesi dalla vettura e l’autista mi indicò una porta con su scritto “Set” e, un po’ in ansia all’idea di presentarmi e farmi conoscere, entrai.
Nessuno inizialmente aveva fatto caso a me, se non un uomo che assottigliò gli occhi per scrutarmi con diffidenza. Era poco più basso di me, con i capelli corti e lisciati da un lato; dei baffi ben curati che lo facevano sembrare più vecchio di quanto potesse essere; portava degli occhiali fini e rettangolari e in mano aveva una tabella su cui, prima che si avvicinasse a me, stava scrivendo.
-”Lei è?”- mi domandò, con una mano sulle lenti per osservarmi meglio.
Che disagio.
-”Clara Stella. Sono qui per…”- stavo per dire.
-”Ah Stella, sì, che cognome strano. La pseudo sceneggiatrice”-
Quanta diffidenza e circospezione mostrava il suo sguardo indagatore!
-”Sono Manolo Yılmaz, il segretario di edizione. Mi occupo di tenere il registro di tutti i dettagli del girato e del montaggio; segno gli orari di lavorazione, le inquadrature e scena per scena le eventuali difformità tra sceneggiatura e dialogo girato. Ahimè dovrò anche occuparmi di lei”-
Continuava a girarmi intorno con fare sofisticato e altezzoso, quasi mi veniva da ridere in verità. Da come mi spiegò il suo ruolo, sembrava ritenersi fondamentale.
-”Beh il mio cognome sarà strano, ma il suo non è che…”-
-”E’ un cognome TURCO! Ma può chiamarmi Signor Manolo”- mi interruppe di nuovo, sistemandosi gli occhiali.
Era così effeminato nei gesti e il suo rendersi sprezzante non solo faceva sbellicare, ma quasi mi faceva tenerezza, specialmente perché doveva allungare il collo per guardami bene in faccia.
-”Bene, Signor Manolo signore, si occupi pure di me!”- gli dissi trattenendo un sorriso e indicandomi con gli indici.
-”E cos’è questa felpuccia e codesti jeans? Dalla prossima settimana venga abbigliata in un certo modo, il nostro è un lavoro serio e professionale!”- marcò le parole, sdegnoso ed esilarante allo stesso tempo.
-”In ogni modo, come può vedere lei stessa questo è il set cinematografico dove produrrà. O meglio, lei starà in disparte e sul set lavoreranno il regista, l’assistente alla regia, gli attori, gli scenografi, i fonici, gli elettricisti, il direttore della fotografia…”-
Mentre elencava una serie di ruoli che riteneva superiori al mio, mi godevo lo spettacolo che era lo studio di produzione: il set luci con led panel, proiettori e quarzo; microfoni direzionali con asta telescopica, spallacci, cavalletti; telecamere di ogni genere e grandezza; riflettori; strumenti e attrezzi che non avevo mai visto o di cui non conoscevo il nome.
C’erano tante persone davanti a computer di alta tecnologia, che regolavano le cineprese, curavano la scenografia, portavano materiale di scena, truccatori con in mano pennelli e rossetti, costumisti che misuravano le vesti o le disegnavano. Per me era il paradiso in terra, i miei occhi erano inebriati da tanto splendore e dai dettagli cinematografici che solo in pochi possono vantasi di aver visto.
-”Mi sta ascoltando? Vede, questa è la sua postazione”-
Mi illustrò una scrivania ben ordinata con sopra una sorta di segnaposto che riportava il mio nome: di fianco c’era la collocazione del regista con i suoi attrezzi e la macchina da presa principale che si trovava proprio di fronte al set. Avrei assistito in prima fila alla realizzazione del mio film, cosa potevo desiderare di più?
-”E’ arrivata o devo aspettare tutto il giorno?”-
Qualcuno si era rivolto a Manolo, il quale aveva scacciato la superiorità di prima per mostrarsi stranamente intimorito e sottomesso alla sola domanda del tipo in questione.
Era un uomo molto alto e imponente, dai capelli nerissimi che gli ricadevano sugli occhi di un blu intenso, incorniciati da ciglia foltissime; lo sguardo era categorico e borioso, portava la barba tagliata corta che gli evidenziava la mascella pronunciata. Era vestito in maniera elegante grazie alla camicia bianca di lino e la giacca scura; davano nell’occhio l’orologio d’oro sul polso scoperto e la cintura firmata.
-”Signor Lionheart, certo è proprio qui!”- farfugliò il segretario di edizione, indicandomi.
Mi gettò un’occhiata gelida e da brividi, come se fossi stata un moscerino che gli ronzava fastidiosamente attorno. Mi sentii intimidita e fuori posto, magari era quello il suo intento. In quel caso, ero io a dover stirare il collo per guardarlo negli occhi.
-”Sei tu la signorina Stella? Cos’è un nome o un cognome?”- soffiò sarcastico.
Ma perché ce l’avevano tutti con il mio cognome? E lui? Lionheart? Erano tutti stranieri o cosa? In effetti non aveva un accento particolare che lo identificasse con qualche dialetto delle regioni italiane. Era pulitissimo, come se avesse studiato per parlare in maniera neutra.
-”Il mio cognome. Potete chiamarmi Clara comunque”- risposi, riferendomi ad entrambi gli uomini che avevo di fronte.
Sbuffò rumorosamente e guardò Manolo come se stesse cercando conferma del mio essere ridicola. Quest’ultimo era impassibile.
-”Bene, Clara, il Signor Lionheart è…”- incominciò a dire.
-” Yılmaz, mi so annunciare, non ho mica bisogno che lo faccia tu – e lo fulminò con lo sguardo per poi proseguire – sono Guglielmo Lionheart, il regista, nonché produttore del film che realizzeremo”-
Era irritante il tono e l’atteggiamento arrogante che riservava a noi, a me, ma avrei dovuto tenere la bocca chiusa e digerire la pillola poiché mi conveniva così.
-”E’ un piacere”-
Feci per porgergli la mano ma la osservò come se stessi provando a toccarlo con la mano fatta di merda. Che problemi aveva? Dovevo lavorare con persone del genere?
-”Sì, beh, le hai già spiegato come funziona qua dentro?”- interpellò Manolo.
Che mancate tutti di educazione e buone maniere?
-”Manolo mi ha illustrato le varie postazioni, sì”- risposi io al suo posto.
Certo, era molto intimidatorio e prepotente, ma credeva davvero che chiunque lì dentro dovesse venerarlo perché era il produttore e regista?
Sembrava quasi inorridito del fatto che stessi solo parlando senza leccargli il culo.
-”Immagino avrà letto il mio progetto. Che ne pensa?”-
Forse avevo detto una gran cavolata perché il signor Guglielmo ho-una-cinepresa-conficcata-nel-posteriore Lionheart scoppiò in una risata raggelante.
-”Altrimenti perché sei qui? Hanno scelto la tua sceneggiatura tra quelle che sono state ammesse al Master per cui, avendo la convenzione con l’università, stiamo finanziando questo film”-
Non avevo idea che ne scegliessero solo una. Beh pensandoci meglio, non sarebbe stato facile produrre e girare venti film contemporaneamente. Dal modo in cui lo disse, percepii non solo il fastidio che contornava ogni sua parola, ma anche come se fosse stato costretto dalla collaborazione con la facoltà e che se fosse stato per lui, non avrebbe prodotto niente del genere.
-”E cosa ne penso? - alzò le sopracciglia, si avvicinò paurosamente a me e mi rifilò uno sguardo di sfida – Penso che sto perdendo il mio tempo”-
Se ne andò con nonchalance, quasi avesse avuto a che fare con una scocciatura madornale e non con qualcuno con cui avrebbe dovuto lavorare al film.
-”Ma che bastardo.”- strinsi i denti per contenere la mia rabbia.
-”Sì lo so. Cioè, non ti permettere mai più!”- si corresse in fretta Manolo.
-”Perché ci tratta così? Si sente il re qua dentro?”-
Odiavo i bulli, ancora di più chi si atteggiava a divo per poi schiacciare ogni pedina che si ritrovava davanti.
-”In effetti è come se lo fosse. Non lo contraddire o sfidare, mai. Tutti sono al suo comando, se non ci fosse lui non ci sarebbe nessun film quindi alcun lavoro per noi. Sta’ zitta e assecondalo, e tutto andrà bene”- lo disse con rammarico.
Ma ero finita in una dittatura o cosa? Io avevo creduto si trattasse di un bel progetto in cui avremmo lavorato tutti insieme e ne saremmo usciti entusiasti.
Non potevo permettere a nessuno di rovinare i miei sogni e obiettivi, men che meno ad un idiota che vaneggiava il suo denaro e la sua autorità.
-”Da dove viene? Chi è esattamente?”- indagai.
-”E’ italo-americano. I suoi genitori lavoravano ad Hollywood e ha ereditato fama, prestigio, soldi e mestiere. Ha pure vinto un oscar per miglior regia. A soli trentuno anni ha un impero sulle sue spalle”-
Lo guardava con ammirazione e con invidia allo stesso tempo mentre l’oggetto delle nostre attenzioni torturava altri collaboratori.
Lodevole, certo, ma non per quello poteva permettersi di trattare in tal modo le persone o ritenersi il Re.
-”E te ne prego: almeno davanti a lui chiamami Signor Manolo”- in un attimo la sua altezzosità era stata spezzata.
Era tutto fuorché ciò che speravo: un tiranno aveva in mano tutte le mie speranze ed occasioni e io – testa calda, impulsiva e contro la disuguaglianza – dovevo tacere ed esaudire ogni richiesta, anche se ciò avesse voluto dire…dargli il potere di stravolgere la mia sceneggiatura.
Non sarebbe mai potuto accadere.

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