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Do you remember? (Yes I do)
You and me against the world
Do you remember?
(Yes I do, yes I do)
It seems like forever We held on to each other like
We held on to life…
(“Burning bridges” – Delain)
Gli Avengers
sopravvissuti all’ultimo attacco di Thanos erano riuniti nel laboratorio di
Banner, poiché il quartier generale era stato distrutto dall’astronave del
Titano pazzo quando era giunto nel presente dal 2014 ed essi avevano bisogno di
ritrovarsi ancora una volta insieme prima di decidere cosa fare del loro
futuro.
Non era affatto
facile dopo la perdita di due carissimi amici come Tony Stark e Natasha
Romanoff.
Proprio per questo
era stato Stephen Strange a insistere affinché quella riunione avvenisse il
prima possibile. Erano trascorsi solo pochi giorni dal funerale di Tony e il
Dottor Strange cominciava a pensare che i sopravvissuti avessero necessità di
ascoltare ciò che doveva dire loro. Era questo il motivo per cui li aveva fatto
convocare tutti lì nel laboratorio, un luogo per essi familiare, da Nick Fury e
Maria Hill.
“Questo è un momento
molto triste per tutti noi” esordì Strange, guardando uno per uno gli eroi, che
adesso sembravano solo un gruppo di persone comuni, smarriti e stravolti come
se fossero appena scampati per miracolo a un cataclisma… e molto probabilmente
era proprio così. “Abbiamo vinto la guerra contro Thanos e salvato il mondo, ma
ad un prezzo altissimo, la vita di due persone a noi molto care.”
“Cosa ne sa lei?”
sbottò Peter, dimenticando del tutto le consuete buone maniere e l’atteggiamento
docile e insicuro. “Lei non conosceva bene nessuno dei due. Non ha il diritto
di parlare di quello che possiamo provare noi! Lei non li conosceva e forse… e
forse sapeva perfino quello che sarebbe successo. Una sola possibilità su
quattordici milioni e seicentocinquemila! Sapeva già tutto, non è vero?”
Banner posò una
manona verde sulla spalla del ragazzo con una delicatezza che sarebbe sembrata
impossibile per un omone di quella stazza.
“Peter, ascoltiamo
quello che il Dottore ha da dirci. Poi, se non saremo d’accordo, avremo tutto
il tempo di dire la nostra” mormorò in tono pacato. Quello che aveva detto
Peter non era poi così lontano da ciò che lui stesso pensava: Strange non
poteva affermare di capire il dolore di chi, come loro, aveva vissuto per anni
accanto a Tony e Natasha e li considerava parte della propria vita. Ma non era
il momento di fare polemiche, dovevano trovare un modo per andare avanti e
forse Strange poteva aiutarli in qualche modo.
“Grazie, dottor
Banner, ma devo ammetterlo: il ragazzo ha ragione, io sapevo cosa sarebbe
accaduto” ammise Strange. “E’ proprio così, quella era l’unica possibilità sui
quattordici milioni e seicentocinquemila scenari che avevo previsto. E non lo
sapevo solo io, anche Stark l’aveva capito e l’ha accettato per un semplice
motivo.”
Il Dottor Strange si
fermò e il suo sguardo penetrante si posò ancora una volta su ognuno dei
presenti, indugiando a lungo soprattutto su Peter, Banner e Steve.
“Qualsiasi altro
scenario avrebbe significato la vittoria di Thanos e, quindi, la distruzione di
tutta la Terra” dichiarò poi, facendo risuonare le sue parole in un silenzio
spaventoso. “Purtroppo non c’era scelta, non esistevano alternative. Se ce ne
fosse stata anche solo una, io stesso sarei intervenuto. Ma non c’era."
Peter cominciò a
piangere silenziosamente e Banner lo strinse a sé, a capo chino. Forse nessuno
poteva capire il dolore del ragazzo più di lui, che aveva perduto allo stesso
tempo la donna che amava da anni e il suo migliore amico, quasi un fratello.
“Proprio per questo
oggi siamo qui, perché c’è ancora una cosa che posso fare: impedire a chiunque
di voi di rendere vano il sacrificio dei nostri amici” riprese lo stregone.
“Di che accidenti stai
parlando? Thanos è morto, no?” reagì Clint.
“Come ho già detto,
la battaglia è stata vinta e Thanos è stato sconfitto. Tuttavia esiste ancora
un pericolo rappresentato dalle Gemme dell’Universo che sono ancora qui” spiegò
Strange. “Lo scenario in cui Thanos era distrutto per sempre prevedeva anche la
distruzione delle Gemme nel nostro presente. Esse non possono rimanere qui,
rappresentano un pericolo troppo grande.”
“Perché, qualche
altro pazzoide potrebbe pensare che sulla Terra c’è troppa gente e quindi
decidere di usarlo?” domandò Quill che, con gli altri Guardiani della Galassia,
era rimasto ancora qualche giorno con gli amici prima di ripartire.
“Forse. Ma quello che
mi preoccupa di più è ciò che qualcuno di voi potrebbe pensare delle Gemme” replicò
a sorpresa l’uomo.
“Non pensiamo niente
delle Gemme” lo interruppe bruscamente Steve, con un tono insolito per lui ma,
del resto, quelli erano stati giorni pesanti per tutti. “Io stesso mi
incaricherò di riportarle esattamente dove sono state prese, dopo di che
nessuno avrà più a che fare con le Gemme dell’Universo.”
“Sarebbe bene che ciò
avvenisse il prima possibile, Capitano” disse Strange.
“Ma insomma, che cosa
stai insinuando? Che qualcuno di noi non ci stia tutto con la testa e che
voglia usarle per far scomparire qualcun altro?” intervenne nuovamente Peter
Quill, spazientito.
“No, al contrario.
Conosco la disperazione, ci sono passato e so che, in certi casi, essa può
spingere una persona a compiere atti inammissibili in condizioni normali. Non
credo affatto che qualcuno di voi potrebbe voler distruggere delle persone,
quanto piuttosto usare le Gemme per tentare di cambiare le cose e riportare indietro chi non c’è più. Ecco,
questo è ciò che non dovete nemmeno pensare di fare, per quanto addolorati
possiate sentirvi. Anche se in buona fede, i danni che provochereste sarebbero
devastanti” spiegò il Dottore.
Di nuovo un silenzio
spaventoso calò nel laboratorio. Un silenzio più eloquente di mille parole,
perché dimostrava esattamente ciò che Strange aveva temuto: più di uno, tra gli
Avengers, aveva pensato di fare un tentativo disperato.
“Va bene” ammise
Banner, spezzando quel silenzio. “Quando ho usato io il Guanto dell’Universo,
ho pensato intensamente anche a Natasha, sperando di riportare indietro anche
lei insieme a Maria Hill, alla famiglia di Clint e a tutti gli altri scomparsi.
Ma non è servito a niente e quindi… beh, sono d’accordo con Strange: è meglio
che le Gemme tornino al più presto al loro posto.”
“Ma non potrebbe
essere proprio questa la soluzione?” chiese Steve, dopo aver riflettuto a
lungo. “Quando andrò a riportare indietro le Gemme, restituirò anche la Gemma
dell’Anima e, in quel caso, perché Natasha non potrebbe ritornare in vita? Si è
sacrificata per ottenere la Gemma e quindi…”
“No, Capitano,
purtroppo non è così semplice. La Gemma dell’Anima viene consegnata in cambio
di una vita e, una volta donata quella vita, non si può riavere indietro,
nemmeno restituendo la Gemma” rispose lo stregone.
“E allora perché
Gamora è tornata?” domandò Quill vivacemente. “Voglio dire, non che mi lamenti,
anzi, ma se Gamora è potuta ritornare indietro allora non capisco perché sia
impossibile per Natasha.”
Gamora, accanto a
lui, sorrise e gli prese la mano. Beh, il loro ritrovarsi dopo quasi due anni
era stato piuttosto tempestoso, almeno sulle prime, e del resto era anche
normale visto che la Gamora del 2014 non aveva idea di chi fosse Quill! Tuttavia
erano stati proprio quegli ultimi giorni di lutto e tristezza ad avvicinarli
nuovamente.
“Non è la stessa cosa”
replicò Strange. “Tornando nel 2014, Natasha si è sacrificata al posto di
Gamora. Una vita per una vita.”
Un lampo passò negli
occhi dello stregone, che si affrettò a riprendere il discorso.
“Ma è proprio questo
ciò che volevo dire. Natasha ha compiuto un sacrificio necessario per avere la
Gemma, ma non dobbiamo vanificarlo. Che a nessuno venga in mente di usare la
Gemma del Tempo o le particelle Pym per tornare al 2014 e prendere il suo
posto!” esclamò, in un tono veramente convincente. “Chiunque facesse una simile
idiozia cancellerebbe l’unico scenario possibile che ha permesso di sconfiggere
Thanos. Perché ciò avvenisse, tutti voi dovevate essere presenti. Sono stato
abbastanza chiaro?”
Un altro lungo
silenzio e qualche sguardo colpevole, tipo bambino
rimproverato dal preside, rispose alla domanda perentoria di Strange. Sì,
forse qualcuno ci aveva anche pensato, ma di sicuro non lo avrebbe fatto mai
più!
“Non preoccuparti,
Dottore” lo tranquillizzò Fury. “Fidarsi è bene, ma non fidarsi è meglio. Le
particelle Pym sono sotto la custodia dello S.H.I.E.L.D. e concederò solo al
Capitano di prenderne due, per riportare le Gemme al loro posto e poi tornare
indietro.”
A quelle parole,
Stephen Strange fissò a lungo Steve, quasi a volerlo trapassare con lo sguardo.
“E il Capitano userà
le particelle solo ed esclusivamente
per riportare le Gemme dell’Universo al loro posto e poi tornare indietro, non
è così?” disse poi, ma la sua era un’affermazione più che una domanda. “Non
tenterà di riportare indietro Natasha Romanoff, né di prendere il suo posto, né
di tornare in qualsiasi altro anno per, che so, salvare i genitori di Tony
Stark o liberare il suo amico Barnes dall’Hydra o chissà quale altra cosa. Non
farà niente di tutto questo, noi tutti ne siamo certi, vero?”
Steve parve a
disagio, esitò un istante di troppo e ciò consentì a Strange di riprendere il
discorso, con una veemenza ancora maggiore.
“Il Capitano è un
uomo affidabile e saggio e non farà assolutamente
niente che potrebbe cambiare il corso degli eventi, poiché sa benissimo che
qualsiasi cambiamento, anche a fin di bene, creerebbe un paradosso temporale
che porterebbe all’implosione dell’intero universo. E’ proprio per questo che
affidiamo a lui questo compito così importante, non è così, Capitano?”
Rogers aveva chinato
il capo, come se fosse stato colpito fisicamente dalle parole roventi di
Strange. Ma la sua esitazione fu di breve durata. Rialzò il capo e fissò lo
sguardo in quello dello stregone.
“So benissimo quali
sarebbero le conseguenze di un mio intervento sul passato. E’ vero che vorrei
con tutto il cuore poter salvare Natasha, Tony, la sua famiglia, liberare il
mondo dall’Hydra prima del tempo… ma so anche che sarebbe inutile” dichiarò. “L’universo
collasserebbe e invece di salvare i miei amici finirei per ucciderli tutti,
insieme a milioni di persone. Non farò nessuna stupidaggine, riporterò le Gemme
al loro posto e tornerò indietro. Questo è quanto.”
Strange annuì,
soddisfatto.
“Molto bene” disse
allora Fury, per dare una conclusione tutta sua personale a quell’incontro. “Il
Dottor Strange ci ha spiegato quanto sia importante che le Gemme tornino al più
presto dove stavano e noi lo accontenteremo. Rogers partirà domattina per
rimettere a posto le Gemme e ci toglieremo questo pensiero una volta per tutte.
In quanto alle particelle Pym, se a qualcuno dovesse venire qualche strana idea
in testa, sappia che sono ben custodite allo S.H.I.E.L.D. e che dovrebbe
passare sul mio cadavere per averne anche solo una fialetta!”
Le parole di Fury
erano state, come sempre, chiare ed essenziali e misero fine all’incontro.
Lentamente il
laboratorio di Banner iniziò a svuotarsi e gli Avengers, in piccoli gruppi o a
coppie, si diressero verso le loro attuali abitazioni. Ovviamente il quartier
generale distrutto sarebbe stato presto ricostruito ma, nel frattempo, ognuno
aveva dovuto trovare una sistemazione alternativa. Alcuni, come Wanda e
Visione, avevano preso una stanza in un albergo, altri erano tornati a vivere
nelle loro case, come Clint e la sua famiglia. Peter, ovviamente, era tornato
ad abitare nell’appartamento di zia May e in quel momento era uno dei
pochissimi rimasti insieme a Banner.
Bruce aveva chiamato
un taxi perché accompagnasse il ragazzo dalla zia e, nel frattempo, sperava di
riuscire a parlare con lui. Vedeva che la morte di Tony lo aveva devastato
completamente, che lo aveva trasformato, spento, e avrebbe voluto che si
confidasse con lui. Credeva di poterlo aiutare almeno un po’, poteva capire il
suo dolore, per lui Tony era come un fratello e la perdita di Natasha lo aveva
distrutto… ma Peter non parlava.
Steve e Bucky,
invece, già da qualche anno erano tornati ad abitare a Brooklyn, nel loro
vecchio quartiere, facendo ristrutturare proprio l’appartamento che era stato
di Steve tanti anni prima. Era lì che si stavano dirigendo e nessuno dei due
diceva una parola.
Steve era concentrato
su ciò che avrebbe dovuto fare il giorno seguente… e non poteva fare a meno di
pensare a tutto ciò che, invece, non avrebbe potuto fare, come gli era stato
chiaramente spiegato da Strange.
Bucky, dal canto suo,
aveva interpretato fin troppo bene le esitazioni di Steve e non faceva che
guardarlo con aria diffidente. Capiva che aveva in mente qualcosa, era
evidente, ma non voleva essere il primo a toccare l’argomento.
E se avesse veramente
cercato di sorprendere l’Hydra, tornando indietro nel passato, magari proprio
agli anni in cui Zola stava facendo gli esperimenti su di lui? No, non poteva
essere cretino fino a quel punto! Quei pazzi lo avrebbero ucciso e, anche se
fosse riuscito ad avere la meglio, ci sarebbero state comunque conseguenze
terribili nel presente, non aveva sentito il Dottor Strange?
Eppure…
Bucky non riusciva a
tranquillizzarsi, ma non aveva nemmeno la forza di parlarne con Steve.
Then why
Would you send me out to sea
On this battered ship alone?
If this is what it seems
You're burning your bridges down
You're burning them to the ground
You're burning your bridges down
What goes around
Must come around
And you burn your bridges down!
(“Burning bridges” – Delain)
Fu una cena molto
silenziosa quella di Steve e Bucky la sera prima del viaggio del Capitano nel
passato per riportare le Gemme dell’Infinito al loro posto. Steve era
concentrato e immerso in profondi pensieri, tanto da non accorgersi dello
sguardo che Bucky gli teneva fisso addosso. Era un po’ come nelle prime sere in
cui Bucky, salvato dall’Hydra, era ospite dell’appartamento che Tony Stark
aveva messo a disposizione di Rogers.
L’atmosfera era
talmente tesa da non permettere una conversazione normale tra i due, qualsiasi
parola sarebbe potuta essere quella sbagliata e scatenare chissà che cosa.
E, proprio come
cinque anni prima, fu Steve a cercare di spiegare quello che stava succedendo.
“Sono preoccupato per
le Gemme dell’Infinito, lo devo ammettere” disse il Capitano. “Tu non eri con
noi quando siamo tornati nel 2012, ma è accaduto qualcosa di inaspettato: Loki
è riuscito a impadronirsi del Tesseract ed è fuggito, invece di essere
riportato su Asgard e imprigionato. Anche se io riporto le pietre al loro posto
e cancello le linee temporali che hanno creato, esisterà comunque una linea
modificata da Loki. Nessuno ne vuole parlare, ma è un problema bello grosso.”
“E perché devi essere
proprio tu a fartene carico?” obiettò Bucky, più bruscamente di quanto avrebbe
voluto. “Non puoi risolvere sempre i problemi di tutti. Loki è il fratello di
Thor, che ci pensi lui ad andare a ripescarlo, magari così butterà giù un po’
di pancia!”
Suo malgrado, a Steve
scappò una risatina.
“Sì, hai ragione tu,
Buck, ma non stavo pensando di mettermi a cercare Loki per tutti gli universi
possibili e immaginabili, era un’altra la domanda che mi stavo facendo” replicò
il Capitano. “Il Dottor Strange ha insistito molto sul fatto che nessuno di
noi, per nessun motivo, deve anche solo pensare di tornare indietro nel tempo
per cercare di salvare Natasha o Tony. Ha detto che questo provocherebbe un
paradosso temporale che porterebbe al collasso dell’intero universo. Ha
sicuramente ragione, ma allora perché non sta già succedendo? Loki ha cambiato
il suo futuro e probabilmente quello di Thor e di tutta Asgard, per non parlare
di quello che potrebbe combinare se decidesse di allearsi nuovamente con il Thanos
del 2012… questo non è forse un paradosso temporale ancora più estremo? L’universo
dovrebbe essere collassato da un pezzo!”
Gli occhi di Bucky,
puntati su Steve, divennero due fessure.
“Stai dicendo che,
secondo te, Strange ha mentito?” chiese.
La domanda era stata
aggressiva e irruente come un colpo di mitraglia.
“Ma… no, certo che no”
rispose Steve, a disagio. “Perché avrebbe dovuto farlo, davanti a tutti, poi?”
“Forse per evitare
che qualcuno come te potesse farsi
venire idee sbagliate” ribatté Bucky. “Vuoi forse farmi credere che non hai
pensato a un piano per tornare indietro e salvare Stark o Natasha? E magari
anche Banner, Barton e qualcun altro ci hanno pensato, non credi?”
Esasperato e stanco,
Steve si alzò da tavola.
“Insomma, Buck, cosa
vuoi che ti risponda? Mi stai facendo il terzo
grado come se fossi ancora il Soldato d’Inverno! Speravo che avessimo
superato questa fase nel nostro rapporto.”
“Lo speravo anch’io,
ma tu mi nascondi qualcosa, Steve, e questo non mi piace” tagliò corto Bucky.
Improvvisamente Steve
comprese.
Le reazioni di Bucky
non erano dettate dalla rabbia o dall’aggressività, ma da un’insicurezza di
fondo che il giovane Soldato non era mai riuscito a togliersi di dosso. Ed era
vero che, in quel momento, proprio lui stava contribuendo a renderlo ancora più
insicuro…
Il Capitano fece il
giro del tavolo e andò ad abbracciare stretto il suo compagno, sentendolo
rigido tra le sue braccia. Doveva soffrire davvero tanto e non riusciva a
trovare il modo di parlarne, ed era solo colpa sua. Lo tenne stretto a sé
finché non sentì che la tensione nel corpo di Bucky si scioglieva e che il
giovane ricambiava l’abbraccio.
“Io non voglio
perderti di nuovo, Steve” mormorò, confessando finalmente il timore che gli
avvelenava il cuore da tutto il giorno. “Non voglio che ti imbatta in Loki, non
voglio che ti venga in mente di cercare di salvare i tuoi amici, io… io non
saprei che farci in questo mondo, se tu non tornassi.”
L’abbraccio si
trasformò in un bacio disperato, impetuoso, pieno di desiderio ma anche di angoscia.
Le bocche e i corpi si allacciarono come se quello fosse l’unico modo per
rassicurarsi a vicenda, per sentire che c’erano ancora e sempre l’uno per l’altro
e che niente li avrebbe potuti separare. Dalla cucina i due amanti finirono
direttamente in camera da letto, stringendosi spasmodicamente,
strappandosi le vesti di dosso con veemenza e impazienza e baciandosi sempre
più profondamente. Si ritrovarono sul letto ansimanti, le mani che percorrevano
i corpi, le bocche che si cercavano avide e instancabili, fino al congiungimento
che li fece sprofondare l’uno nell’altro, perdendo totalmente la cognizione di spazio
e tempo e persino la loro identità, come se fossero divenuti un solo essere,
indivisibile per l’eternità, fino a raggiungere un’estasi di assoluto piacere.
Quando la
bramosia e il bisogno di sentire l’uno la presenza dell’altro furono finalmente
soddisfatte, i due restarono ancora allacciati insieme, in un abbraccio questa
volta tenero, caldo e confortevole.
“Buck,
ricordi la sera in cui ci salutammo, prima che tu partissi per la guerra?”
domandò Steve, baciando il compagno sui capelli scompigliati. “Tu volevi
rassicurarmi e sembrare sereno, ma io non potevo sapere se saresti tornato sano
e salvo, e nemmeno tu.”
“Certo
che lo ricordo” rispose il giovane Soldato, “ma che altro avrei potuto dirti?
Io volevo che tu fossi al sicuro e che aspettassi il mio ritorno senza fare
pazzie, tipo cercare di imbarcarti clandestinamente o che so io.”
“Appunto.
Questa è esattamente la stessa situazione” riprese Steve, alzandosi su un
gomito e guardando negli occhi il suo compagno. “Io non so cosa potrà accadermi
domattina. Devo attraversare il regno quantico e tornare nel passato per
rimettere a posto le Gemme dell’Infinito e non è diverso dall’andare a
combattere i nazisti nella Seconda Guerra Mondiale. Posso prometterti che sarò
prudente, che non cercherò guai, che farò di tutto per tornare da te, ma non
posso assicurartelo, esattamente come
tu non potevi assicurarmi che saresti tornato sano e salvo dalla guerra. Non so
in che cosa potrò imbattermi, è un salto nel vuoto. Lo capisci, vero?”
Bucky non
avrebbe voluto, ma doveva capirlo per forza, visto che lui stesso si era
comportato così quando aveva scelto di arruolarsi volontario…
“Sì, lo
capisco. Ma… Steve” mormorò ancora una volta, stringendo forte a sé il suo
Capitano, “ricordati che io sarò lì ad aspettarti, fino alla fine.”
“Ma
certo, Bucky!” esclamò Steve, commosso.
E,
stretti l’uno all’altro, Steve e Bucky riuscirono finalmente ad addormentarsi,
placati e sereni.
La
mattina dopo si ritrovarono in un boschetto nei pressi del quartier generale
degli Avengers, ormai ridotto a un cumulo di macerie. Ovviamente, in una
situazione normale, sarebbe stato quello il luogo da cui avrebbero preparato la
spedizione di Steve ma, vista l’impraticabilità del quartier generale, un bosco
vicino era parsa la soluzione migliore… caso mai fosse accaduto qualcosa di
pericoloso, almeno non ci sarebbero state abitazioni nelle vicinanze.
Oltre a
Steve e Bucky, c’erano anche Bruce Banner, che avrebbe azionato il dispositivo
per far entrare il Capitano nel tunnel temporale, Sam Wilson e, a sorpresa,
Pietro Maximoff. Il ragazzo, infatti, era tornato in Sokovia quattro anni prima
e poi, dopo lo schiocco di Thanos, era stato uno degli scomparsi. Una volta
tornato indietro, aveva per prima cosa cercato di riunirsi alla sorella Wanda
e, subito dopo, a Bruce Banner, con cui aveva avuto, cinque anni prima, una
specie di storia a distanza. Banner,
imbranato e confusionario come sempre, era riuscito a incasinare sia il
rapporto con Pietro che quello con Natasha e alla fine si era ritrovato da
solo. Pietro, però, dopo aver saputo della morte di Natasha, aveva deciso di
restare accanto al suo dottore preferito… per qualsiasi evenienza. Al momento
si poteva dire che i due erano buoni
amici, ecco. *
Steve
rassicurò Banner dicendogli che avrebbe chiuso tutte le linee temporali, poi
salutò Pietro e Sam e, infine, si avvicinò a Bucky che era rimasto in disparte
ad osservare la scena con uno sguardo triste. Continuava ad avere uno
spiacevole presentimento e non riusciva a scacciarlo.
“Non fare
stupidaggini fino al mio ritorno” gli disse Steve, con un sorrisetto.
Suo
malgrado, anche Bucky si ritrovò a fare un sorriso storto. La sera prima Steve
aveva sottolineato quanto la loro situazione attuale rispecchiasse quella di
tanti anni prima, quando era stato Bucky a partire per una guerra da cui non
sapeva se sarebbe tornato, e adesso il Capitano salutava il suo compagno con la
stessa battuta usata allora da lui.
“Non
potrei” rispose Bucky, stando al gioco. “Porti via tutta la stupidità con te.”
Eppure,
per qualche strano motivo, Bucky sentì un dolore straziante lacerargli l’animo
mentre pronunciava quelle parole. Il presentimento negativo lo torturava, più
forte di prima, e non era d’aiuto pensare che, in fin dei conti, quelle battute
e quel saluto non avevano portato molta fortuna a nessuno dei due, negli anni
Quaranta.
C’era
proprio bisogno di ripeterle?
“Steve,
sii prudente e… io ti aspetto. Ti aspetto qui” mormorò Bucky. Si sentiva
piuttosto patetico, ma non era riuscito a trattenersi. Steve lo abbracciò
forte, commosso.
“Andrà
tutto bene, Buck” promise, prima di intraprendere il suo viaggio nel regno
quantico.
Banner,
Pietro, Sam e Bucky lo videro sparire sotto i loro occhi.
“Quanto
ci metterà?” domandò Pietro, osservando curioso gli strani marchingegni
utilizzati da Banner.
“Dipende.
Per lui tutto il tempo necessario a rimettere le Gemme nel posto esatto in cui
si trovavano” rispose Bruce. “Per noi, invece, più o meno cinque secondi.”
Ma,
quando Banner fece il conto alla rovescia, Steve non riapparve.
“Dov’è?”
domandò subito Sam, agitandosi.
“Beh,
dovrebbe essere qui” replicò Banner, continuando a premere pulsanti e a
maneggiare il dispositivo di avviamento, anche lui piuttosto preoccupato.
“Non è
che hai fatto un casino e che il povero Cap è finito ai tempi della Rivoluzione
Francese o della Regina Elisabetta, eh, Doc?” fece Pietro, scherzando per
alleggerire l’atmosfera… ma anche lui non si sentiva affatto tranquillo.
“Riportalo
indietro! Riportalo subito indietro!” esclamò Sam, che si stava seriamente
innervosendo.
“Ci sto
provando…” protestò Banner.
Nessuno
fece caso a Bucky che, con lo sguardo sempre più triste e rassegnato e le
lacrime agli occhi, si stava lentamente allontanando dal piccolo gruppo degli
amici.
Qualcosa
era andato storto, se lo sentiva.
Non
avrebbe mai più rivisto Steve.
Ma Bucky
non poteva vivere senza il suo Capitano, non aveva alcuna ragione per andare
avanti senza di lui…
Fine capitolo secondo
* Tutta la vicenda di Pietro Maximoff e la
sua storia con Banner sono di mia invenzione, ovviamente. Come io abbia salvato
Pietro dalla morte e come lo abbia fatto avvicinare a Bruce è raccontato in una
mia vecchia fanfiction del 2015, Crash! Boom! Bang!.
Do you enjoy it? (Yes I do)
Fighting fire and gravity
It's painful to see
So why
Would you set to self-destruct?
Aim to annihilate
You are burning
You are burning…
(“Burning bridges” – Delain)
Bucky non sapeva dove
stesse andando, sapeva solo che qualcosa era andato storto, o forse che Steve
stesso aveva scelto di non tornare indietro per salvare Natasha o Tony o chissà
per quale altra ragione, e lui voleva solo andarsene da quel boschetto, allontanarsi
il più possibile dagli altri Avengers e da quel mondo a cui, ormai, non
apparteneva più.
Ma, prima che potesse
uscire dalla cerchia degli alberi, si ritrovò davanti Stephen Strange che, a
braccia incrociate, lo fissava in silenzio.
“Ecco, in effetti ci
mancavi solo tu” fece, brusco, il giovane. “Tu sai dov’è Steve, vero? Anzi,
magari lo sapevi fin da prima che partisse, solo che ti sei ben guardato dal
riferirlo.”
“Sai bene che non
posso rivelare niente di ciò che so, altrimenti non si avvererà” rispose calmo
lo stregone.
“E con un bel
risultato davvero!” reagì Bucky, esasperato. “Magari, se avessi detto qualcosa,
Steve sarebbe tornato indietro!”
“Io ho detto al
Capitano tutto ciò che doveva sapere” replicò enigmatico Strange.
Quel suo modo di fare
zen faceva venire a Bucky una gran
voglia di assestargli un pugno in faccia, non avrebbe risolto niente ma si
sarebbe sentito già meglio.
“Volevo essere qui
per vedere con i miei occhi quale sarebbe stata la scelta di Rogers, una volta
entrato nel regno quantico” continuò il Dottor Strange, senza badare alla più
che evidente rabbia di Bucky.
“E da qui la vedi, la
scelta di Rogers?” ribatté caustico Barnes, con il tono di chi avrebbe voluto
dire La vedi la vastità del cazzo che me
ne frega delle tue frasi sagge e dei tuoi enigmi?
“Il Capitano aveva
alcune scelte a disposizione” continuò Strange, ignorando il sarcasmo del suo
interlocutore. “Avrebbe potuto tentare di tornare indietro nel tempo per
salvare i suoi amici, dopo aver rimesso al loro posto tutte le Gemme
dell’Infinito. Ma, vedi, se avesse fatto questa scelta, magari sacrificando la
vita in cambio di quella di Stark o della Romanoff, adesso noi non saremmo qui,
l’unico scenario di vittoria possibile sarebbe stato distrutto e Thanos avrebbe
eliminato l’umanità.”
“Bene, dunque, visto
che siamo ancora tutti vivi e Thanos non è più tra noi, possiamo arguire che
Steve non ha fatto quelle scelte” commentò Bucky.
“Esattamente” replicò
lo stregone, scegliendo di ignorare le provocazioni del giovane. “Però c’era
anche un’altra scelta che Rogers avrebbe potuto fare…”
“Insomma, la vuoi
smettere di parlare per enigmi e dirmi una buona volta quale stramaledetta scelta ha fatto Steve?”
esclamò Bucky, avendo ormai esaurito ogni scorta di pazienza.
“Come auspicavo,
Rogers ha fatto la scelta giusta” concluse Strange, “perché, se avesse optato
per la possibilità che avevo intravisto io, tu ora non saresti qui davanti a me
e forse non ci sarebbero nemmeno gli altri Avengers.”
“Io non ci sto
capendo più niente!” sbottò il giovane. “Si può sapere di che possibilità stai
parlando? Che cosa ha scelto Steve e che cosa non avrebbe dovuto scegliere? E,
cosa molto più importante, dove accidenti è adesso?”
“Esattamente dietro
di te, Buck” rispose Steve in persona, mentre Strange guardava entrambi con un
sorriso compiaciuto. Ancora una volta gli Avengers non lo avevano deluso e
avevano compiuto la scelta che avrebbe preservato l’umanità.
“Steve…” mormorò
Bucky, totalmente annichilito. Fino a quel momento erano state l’adrenalina e
la rabbia disperata a impedirgli di crollare ma adesso, trovandosi davanti il
suo Capitano, tutte le forze parvero dissiparsi. Non aveva più energia per fare
domande, per rimproverare Steve, per chiedergli perché ci avesse messo tanto a
tornare…
“Sono qui, Buck, non
preoccuparti più, va tutto bene, te l’avevo detto che sarebbe andato tutto
bene” gli disse Steve, abbracciandolo e stringendolo forte a sé come se, in
effetti, fossero passati secoli dall’ultima volta in cui l’aveva visto. E,
chissà, forse per Steve era stato proprio così.
I due rimasero
abbracciati per un tempo infinito, mentre Strange, che aveva compiuto ancora
una volta il suo dovere, era misteriosamente sparito.
Poco lontano, Banner
e Pietro stavano rimettendo a posto i macchinari che erano serviti per il
viaggio nel regno quantico.
“Insomma, Sam,
potresti anche darci una mano, no?” lo chiamò Pietro.
“Veramente io… volevo
andare a chiedere a Steve come mai ci avesse messo tanto” rispose Sam, ancora
turbato per il ritardo del Capitano nel ritornare al presente.
“C’è un sacco di roba
da riportare al furgone e due braccia in più ci farebbero comodo” insisté
Pietro.
“Scherzi, vero?
Quell’omone verde potrebbe fare anche tutto da solo, non avete bisogno di me”
ribatté Sam, ancora poco convinto.
“Sam, forse non hai
capito” intervenne Bruce, paziente. “Quello che Pietro voleva dirti è che quei
due vogliono stare da soli, hanno tante cose da dirsi e tu potrai chiedere a
Steve quello che vorrai… solo, in un altro momento.”
“Ben detto, Doc!”
approvò Pietro, con un’amichevole pacca sulla spalla e uno sguardo ammirato che
diceva molto di più. “Accidenti, da quando sei diventato così esperto di certe cose? Forse ti ha fatto bene
riunirti a Hulk, mi sa che lui è più sveglio di te in questi casi.”
Fu molto strano
vedere il faccione verde del buon dottor Banner assumere una strana tonalità
rossa… e Sam si decise a dar retta agli amici e ad aiutarli, lasciando in pace
Steve e Bucky.
Rimasti soli, i due
si staccarono lentamente l’uno dall’altro. Nonostante quel lungo momento di
intensità, rimanevano ancora cose non dette, dubbi, esitazioni, segreti non
svelati.
“Torniamo a casa,
Buck” disse Steve, circondando le spalle del compagno con un braccio.
Camminarono per un
po’ in silenzio, sempre in un’atmosfera carica di tensione.
“Perché ci hai messo
così tanto, Steve? Banner aveva detto che ci sarebbero voluti cinque secondi o
poco più, ma sono trascorsi minuti” domandò alla fine Bucky, incapace di
trattenersi oltre.
Steve sospirò.
Avrebbe voluto che quella domanda non arrivasse mai, o perlomeno che Bucky
aspettasse di essere giunti a casa per fargliela, ma sapeva che era
inevitabile. Lui non era stato completamente sincero con il suo compagno e
adesso gli doveva una spiegazione. Anzi, più di una, a dirla tutta.
Salirono in auto e fu
Steve a mettersi alla guida, consapevole che, con ciò che aveva da raccontare,
era meglio che non fosse Bucky a guidare…
“Ho perso più tempo
del previsto principalmente perché… beh, perché ho cercato di convincere
Teschio Rosso a ridare la vita a Natasha in cambio della Gemma dell’Anima”
iniziò a dire.
Bucky lo fissò torvo.
“Mi prendi in giro?
Non avevi detto che avresti evitato di fare stupidaggini simili? E poi che
accidenti c’entra Teschio Rosso in questa faccenda? Mi vorresti far credere che
la Gemma dell’Anima è gestita dall’Hydra?” sbottò, infastidito dal fatto che Steve
volesse inventarsi una storia assurda per giustificare la sua incoscienza.
“Ti giuro che è così.
Non c’entra niente l’Hydra e non ho idea del motivo per cui sia proprio Teschio Rosso a custodire quella Gemma,
forse è apparso così a me perché è stato il nostro nemico durante la guerra, non
lo so. Quello che so è che ho cercato di contrattare con lui, spiegandogli che,
visto che avevo restituito la Gemma, il sacrificio di Natasha non era più
indispensabile” replicò Steve. “Lui, però, ha rifiutato, affermando che il
sacrificio era già stato offerto e che è irreversibile. Natasha è morta e non
ho potuto riportarla indietro.”
“Oh, beh, immagino
che, anche se non fosse stato vero, Teschio Rosso ti avrebbe detto così tanto
per non darti soddisfazione” commentò caustico Bucky. Era ancora arrabbiato
perché Steve aveva rischiato veramente la sua vita per salvare la Romanoff,
proprio come aveva temuto lui.
“Te l’ho detto, quell’entità
era solo il custode della Gemma dell’Anima ed è anche possibile che sia io ad
averlo visto come Teschio Rosso. Non era veramente
lui” ripeté Steve.
“Comunque sia, hai
fatto proprio quello che sia io sia il Dottor Strange ti avevamo detto più
volte di non fare: hai messo a
repentaglio la tua vita per salvare quella di un’amica” riprese Bucky. “Chissà,
magari ti sarai anche offerto di prendere il suo posto… ci scommetto!”
“Bucky, io non mento
mai e spero che, dopo tutti questi anni insieme, tu lo abbia capito” reagì
Steve. La sfiducia del compagno lo addolorava, soprattutto perché si rendeva
conto che, in parte, se l’era anche meritata. “Non ho assolutamente pensato a
questo, sapevo bene che se avessi dato la mia vita in cambio di quella di Natasha
avrei potuto causare un disastro, che il presente sarebbe cambiato e che Thanos
avrebbe vinto.”
Nel frattempo erano
arrivati nei pressi del loro appartamento di Brooklyn.
“Ah, bene, dunque hai
scelto di non sacrificarti per Natasha solo per salvare l’universo” esclamò
Bucky. “Grazie tante, mi fa piacere sapere che non hai pensato a come ci sarei
rimasto io nemmeno per un istante!”
Mentre Steve ancora
parcheggiava l’auto, Bucky scese dal veicolo e sbatté la portiera,
incamminandosi poi verso l’appartamento.
“Buck, aspetta, no,
non è stato solo per quello… Vuoi aspettarmi, dannazione? Prima mi chiedi di
spiegarti e poi non mi ascolti” disse Steve, scendendo anche lui dall’auto e
inseguendo il compagno.
Per fortuna, almeno
questa volta, Bucky aspettò di essere entrato in casa e di aver chiuso la porta
prima di esplodere.
“Mi sembra di aver
già ascoltato abbastanza, no? Tu avresti fatto tranquillamente l’eroe dellasituazione senza pensare a chi ti stava aspettando nel presente” lo
aggredì, “e se non l’hai fatto è stato solo perché Strange ti aveva spiegato
che avresti creato il caos invece di salvare il mondo!”
Steve era stanco, non
solo fisicamente ma anche mentalmente. Il viaggio nel regno quantico era stato
più difficile del previsto e lui aveva dovuto prendere in fretta decisioni
importantissime, adesso non se la sentiva proprio di affrontare anche una
discussione animata con Bucky.
Afferrò il giovane
per le spalle e lo guardò bene in faccia.
“Ascoltami bene una
volta per tutte: io non sono andato indietro nel tempo per fare l’eroe, come dici tu, ma solo per rimettere a posto le Gemme
dell’Infinito e sistemare le cose una volta per tutte” gli disse. “Ho cercato
di ottenere la vita di Natasha solo perché ho visto l’occasione per farlo,
tutto qui, ma non ho pensato di sacrificarmi per lei o cose del genere. E non è
stato solo per quello che ha detto Strange! Cristo, Buck, se solo sapessi che
sono tornato indietro esclusivamente per te, perché non volevo lasciarti…”
Davanti agli occhi
sbarrati di Bucky, Steve comprese che non era quello il modo migliore di affrontare
quell’argomento così spinoso.
“Che cosa stai
dicendo, Steve? Avevi deciso di non tornare indietro? E perché?” domandò il
giovane, ma tutta la sua bellicosità si era spenta. Le domande che aveva
rivolto a Steve non erano più rabbiose e aggressive, stile interrogatorio del Soldato d’Inverno, erano piuttosto richieste d’aiuto.
Con quelle domande era come se Bucky avesse chiesto a Steve Perché non volevi tornare da me?
“Bucky, siediti, ti
spiegherò tutto, ma ci vorrà un po’ e quindi…”
“Non voglio sedermi!
Voglio sapere!” lo interruppe Barnes, ancora una volta il suo tono era più
disperato che aggressivo e pareva farsi forza per non piangere.
Tra tutte le angosce
e preoccupazioni che aveva avuto durante il viaggio di Steve nel regno
quantico, non aveva proprio contemplato quella: la possibilità che fosse lo
stesso Steve a non voler tornare. Steve aveva consapevolmente pensato di non
tornare da lui e di lasciarlo da solo in quel mondo che gli era ancora così
estraneo.
“Come vuoi, però io
mi siedo” disse Steve, mettendosi comodo sul divano. Era chiaro che sarebbe
stato un lungo discorso e che, nonostante fosse quasi ora di pranzo, per quel
giorno di mangiare non se ne sarebbe neanche parlato.
Rassegnato, Bucky si
sedette di fronte a lui.
“Allora, spiegami,
avanti” ripeté. “Perché non volevi tornare?”
Lo sguardo di Steve
si fece malinconico, lontano.
“Dopo aver rimesso a
posto tutte le Gemme e aver avuto la certezza che non sarei riuscito a riportare
indietro Natasha, ho avuto un pensiero, un pensiero che per un lungo momento mi
ha tentato” raccontò a bassa voce. “Avrei potuto non dirti niente e tenermelo
per me, ma ritengo sia giusto che tu lo sappia… anche se non avrei voluto che
lo sapessi così. Ad ogni modo, ho sentito ancora più forte la consapevolezza
che due delle persone a cui ero più legato nel presente, Tony e Natasha, erano
morte e che non le avrei riviste mai più.”
E
io? avrebbe voluto obiettare Bucky, ma si trattenne.
“Ho sentito che,
ancora una volta, avevo fallito. Sai come la penso su questo punto, no? Sono
stato Captain America per anni, ma non sono mai riuscito a salvare le persone
che amavo. Sono stato un eroe per gli altri, eppure ho sempre perduto i miei
cari” continuò Steve, in tono amaro. “Ho avuto per un lungo istante la
sensazione che tutta la mia esistenza fosse stata una sconfitta, che non ero
degno del mio ruolo, che forse avrei fatto meglio a… a tornare al luogo e al
tempo al quale appartenevo veramente, senza più velleità di fare l’eroe, come
dici tu.”
“Cosa vorresti dire?
A quale tempo e luogo apparterresti?” domandò Bucky, ma la sua voce si udì
appena. Non voleva ascoltare la risposta, non voleva sentire quale fosse quel
tempo e quel luogo perché, in qualche modo, temeva di saperlo già.
“Ho avuto la
tentazione di usare l’ultima fialetta di particelle Pym per tornare nel 1948,
ritrovare Peggy, sposarla e avere una vita e una famiglia normale insieme a lei”
fu la risposta del Capitano.
Quelle parole
sembrarono calare sul cuore di Bucky come altrettante palate di terra su una
bara.
You're burning your bridges down
You're burning them to the ground
You're burning your bridges down
What goes around
Will come around
And you burn your bridges down
All my bridges are falling…
(“Burning bridges” – Delain)
Bucky si alzò dal
divano. Steve si aspettava che desse in escandescenze, che lo sottoponesse ad
un altro fuoco di fila di domande, che si infuriasse, che lo insultasse
perfino, magari… ma non avrebbe mai voluto vedere quel dolore immenso e
infinito nei chiari occhi del giovane.
Restando in silenzio,
Bucky si mosse lentamente per uscire dalla stanza, diretto con ogni evidenza
verso la camera da letto.
“Cosa stai facendo?
Bucky, dove vuoi andare?” Steve adesso era spaventato. Si alzò anche lui e lo
seguì. “Che vuoi fare?”
Bucky si voltò a
guardarlo con un sorrisetto storto.
“Ho ricevuto il
messaggio, Steve. Non è questo il luogo a cui senti di appartenere e non sono
io la persona che vuoi al tuo fianco. Cosa dovrei fare? Prendo le mie cose e me
ne vado. No, non pensare a soluzioni estreme, sono ancora instabile ma non fino
a quel punto. Prenderò una stanza in un albergo e poi vedrò” rispose.
Il Capitano era
sgomento.
“Ma… ma come, Bucky?
Non puoi andartene così. Io sono tornato solo per te!”
“Ecco, se possibile
questo è ancora peggio” mormorò Bucky, afferrando uno zaino e iniziando a
metterci dentro jeans, magliette e felpe. “Non capisci che, se dici così, mi
fai sentire un peso? Tu avresti voluto tornare negli anni Quaranta e sposare
Peggy, non l’hai fatto e sei tornato indietro per paura di creare un paradosso
temporale, come ha detto Strange, e perché ti sentivi obbligato a prenderti cura di me. Non è una cosa che fa piacere
sentirsi dire, non ti pare?”
“Ma non è questo che
volevo dire!” esclamò Steve. Era veramente esausto, quella giornata sembrava
non finire più. Prima il viaggio nel regno quantico per riportare al loro posto
le Gemme dell’Infinito… e poco importava che, nel mondo presente, fossero
passati pochi minuti, per lui quelle spedizioni nel passato erano state lunghe
e faticose! Poi la tentazione, quella di cambiare tutto, di dimenticare Captain
America e i suoi fallimenti, di ritornare nel 1948 e cercare di costruire una
vita con Peggy. In realtà non sapeva nemmeno se avrebbe ritrovato la donna, né
tanto meno se lei lo avesse aspettato o se, nel frattempo, si fosse fatta una
sua vita, ma non era così importante: ciò che contava veramente, per lui, era
la possibilità di essere un uomo normale, di non doversi più preoccupare per le
sorti dell’universo, di poter trascorrere i suoi anni in pace insieme alle
persone amate.
Era stata una
tentazione molto forte, ma poi aveva pensato a Bucky. E non al fatto che Bucky
non avrebbe potuto cavarsela senza di lui, no.
In realtà era lui che
non sarebbe riuscito a vivere in pace se non avesse avuto Bucky con sé.
Non sarebbe stato
giusto e non lo avrebbe voluto. Bucky meritava di vivere in quel tempo e in
pace molto più di lui, aveva sofferto così tanto… e se Bucky non poteva
ritornare nel passato e vivere sereno al suo fianco, ebbene, neanche lui ci
sarebbe tornato!
Era stato difficile rinunciare
alla possibilità di una vita normale e tranquilla nel tempo al quale sentiva di
appartenere, ma era stato più facile quando aveva pensato che la scelta sarebbe
stata tra quella vita e Bucky. Allora non aveva avuto più alcun dubbio ed aveva
fatto ritorno al presente.
E si era trovato
invischiato in un’estenuante discussione con Bucky, che aveva voluto sapere
tutto, perché aveva tardato, perché aveva contrattato con Teschio Rosso per la
vita di Natasha, se avesse pensato di sacrificarsi per lei… e adesso questo.
Steve si riscosse, si
avvicinò a Bucky e gli strappò di mano lo zaino che stava riempiendo, lo posò
sul letto e prese il compagno per le spalle, costringendolo a sedersi anche lui
sul letto.
“Tu non vai da
nessuna parte, Buck, adesso stai qui seduto e mi ascolti. E non mi
interromperai finché non avrò finito, sono stato chiaro?” disse.
Beh, ogni tanto il
carattere determinato e testardo che lo aveva contraddistinto fin da quando era
il piccoletto di Brooklyn si faceva
sentire. E, se allora non aveva avuto paura di tenere testa ai bulli grossi il
doppio di lui, adesso non si sarebbe certo lasciato intimidire dal Soldato d’Inverno.
“Sai bene che non mi
sono mai trovato a mio agio nel mondo presente. E’ vero, ho trovato degli amici
e sono entrato a far parte degli Avengers, ma ho sempre sentito che non era
quello il mio posto. Quando ho saputo che eri vivo e che ti avevano manipolato
per farti diventare un sicario dell’Hydra, ho fatto di tutto per trovarti e
liberarti, anche a costo di mettermi contro gli stessi amici che mi avevano
aiutato” rammentò Steve. “Prima che Thanos ci attaccasse avevo deciso di vivere
qui con te e di rinunciare al mio posto tra gli Avengers e anche ad essere
Captain America. Volevo che potessimo avere una vita tranquilla e normale,
anche se non potevamo farlo negli anni ai quali sentivamo di appartenere. Ma
ciò che contava era che fossimo insieme.
Io volevo quella vita con te, Buck, non te l’ho dimostrato più di una volta?”
Bucky annuì. Non
poteva negare che Steve avesse fatto veramente di tutto per lui, ma questo
serviva solo a farlo sentire ancora più in colpa. Avrebbe dovuto essere lui a
proteggere Steve e invece… gli aveva rovinato la vita!
“Avevo sperato
davvero che fosse possibile. Quando, tre anni fa, ho acquistato e fatto ampliare
e rimodernare l’appartamento in cui vivevo da bambino, qui a Brooklyn, sognavo
che avremmo riavuto indietro tutto quello che avevamo perduto. Sognavo che
saremmo stati insieme, che avremmo vissuto una vita normale e che, anche in
questo mondo così diverso dal nostro, avremmo trovato il modo di essere felici,
perché saremmo stati insieme” proseguì il Capitano. “Ma non è stato così. La
minaccia di Thanos era troppo grande e io non potevo fingere di ignorarla. E
poi tutto è accaduto così in fretta… prima le persone scomparse, poi la ricerca
delle Gemme dell’Infinito, la battaglia finale contro Thanos, la morte di
Natasha e di Tony… Era inutile che mi illudessi. Io non avrei mai potuto avere
una vita normale. Io sono Captain America. E ho salvato il mondo tante volte,
ma ho sempre perduto le persone che amavo. Sono un supereroe solo per gli
altri, io mi sono sempre sentito un fallito…”
“Non sei un fallito,
Steve!” reagì Bucky. “Ne abbiamo parlato altre volte e avevo detto che non
volevo più sentirtelo dire!”
“Il fatto che non lo
dica non significa che non lo pensi” ribatté amaramente il Capitano. “E questa
sensazione si è fatta ancora più forte dopo la perdita di Natasha e dopo che…
dopo che è stato Tony a sacrificarsi per salvare il mondo. Io non sono riuscito
a fare nemmeno quello, lo ha fatto Tony.”
“Non puoi sentirti in
colpa per la morte di Stark, è stata una sua scelta!”
“Sì, forse. Comunque
non è questo il punto. Durante il viaggio nel regno quantico ho pensato che
avrei avuto la possibilità di cambiare tutto, di tornare a vivere negli anni Quaranta,
gli anni ai quali appartengo… ai quali apparteniamo entrambi, in realtà”
riprese Steve. “Ho pensato che, forse, avrei ritrovato anche Peggy e che
avremmo potuto sposarci e avere una vita normale, che non avrei più visto
esseri come Thanos, che non avrei più perduto i miei amici. E il mondo se la
sarebbe cavata anche senza Captain America. Del resto, era stato Tony e non io
a salvare l’umanità.”
Steve prese la mano
di Bucky e la strinse forte, guardandolo negli occhi.
“Ma ho capito che non
potevo farlo. E non perché il Dottor Strange aveva minacciato un collasso dell’universo,
e nemmeno perché pensavo che tu non te la saresti cavata qui da solo” disse. “Non
potevo farlo perché tu non eri con me, perché quegli anni e quella vita
appartenevano tanto a te quanto a me, anzi, forse maggiormente a te, e tu più
di chiunque altro avresti meritato una vita tranquilla. E non potevo farlo
perché… perché non avrei saputo resistere nemmeno un giorno senza averti
accanto a me, Bucky!”
Lo abbracciò d’impeto
e i due si strinsero forte l’uno all’altro, come naufraghi in mezzo all’oceano…
ed era proprio ciò che sentivano di essere in quel momento. Il Capitano aveva
ragione, quello non era il loro mondo. Steve e Bucky erano stati eroi della
Seconda Guerra Mondiale, avrebbero meritato di tornare a casa, festeggiati dai
loro parenti e amici, avrebbero meritato di vivere i giorni difficili ma pieni
di entusiasmo della ricostruzione e di poter dire basta a guerre, conflitti e lutti.
Così non era stato,
ma nonostante tutto erano ancora insieme.
Steve dimenticò la
tentazione provata, l’ideale di una vita pacifica e tranquilla, la possibilità
di rivedere Peggy e di tornare negli anni Quaranta; in lui ora esistevano solo l’affetto, la passione e il
desiderio che provava per il suo Bucky. Voleva perdersi in lui, sentirlo,
possederlo e non allontanarsene mai più. Si baciarono, dapprima impetuosamente,
disperatamente, per fondersi il più possibile e annullare qualsiasi grado di
separazione; poi, lentamente, il bacio si fece più languido e dolce, mentre le
mani dell’uno percorrevano il corpo dell’altro per togliersi gli abiti e
accarezzarsi. Non erano baci e carezze sensuali, ma piuttosto tocchi gentili
che scendevano come un balsamo nei loro cuori tormentati e li placavano, erano
una dichiarazione di appartenenza, la fine di un incubo e l’inizio di una vita
nuova.
Si distesero sul letto senza staccarsi, senza
interrompere nemmeno per un secondo l’unione delle loro bocche e dei loro
respiri. Il bacio divenne di nuovo appassionato e intimo mentre Steve e Bucky
si incollavano l’uno all’altro, pelle contro pelle, lasciando che le ore
trascorressero mentre i loro corpi si avvolgevano e si fondevano tanto da non
sapere più dove finisse l’uno e iniziasse l’altro. Amplessi, gemiti e sospiri
si susseguirono fino a sera, lasciandoli entrambi stremati e disfatti.
Alla fine restarono l’uno nelle braccia
dell’altro: ormai placata la passione, i due amanti sentivano il bisogno di affetto
e tenerezza. Avevano la necessità di sentire che niente di quello che esisteva
fuori da quella stanza avrebbe potuto separarli e che, insieme, avrebbero
saputo superare qualsiasi ostacolo.
Steve accarezzava dolcemente i capelli
scompigliati di Bucky e pensava che aveva compiuto la scelta giusta. Il suo
posto non era accanto a Peggy, non era negli anni Quaranta: il suo posto era
accanto al suo Bucky e, finché ci fosse stato lui, qualsiasi luogo e tempo
sarebbero stati quelli giusti.
Bucky teneva gli occhi chiusi e la testa
appoggiata alla spalla di Steve, ascoltando il suo respiro, il battito del suo
cuore e perdendosi nell’odore e nel calore del compagno. Nonostante tutto
quello che c’era appena stato tra loro, nonostante fossero diventati un solo
essere e si fossero amati con impetuosa passionalità e dolce intensità, non
riusciva a tranquillizzarsi del tutto e si stringeva a Steve per avere la
conferma del fatto che era lì con lui, che non era stata un’allucinazione, che
era tornato dal regno quantico. Si sentiva stranamente vulnerabile e indifeso,
fragile come un cristallo e sapeva che, se solo avesse perduto Steve, il suo
equilibrio si sarebbe infranto, andando in mille pezzi. Due anni prima il
Dottor Strange aveva cancellato il condizionamento dell’Hydra dalla sua mente
prima che gli Avengers partissero per Titano*, perciò non sarebbe tornato mai più il letale e spietato Soldato
d’Inverno. Bucky era però consapevole del fatto che tutto di lui, la sua
integrità mentale, la sua autostima, la voglia stessa di andare avanti, la sua ragione per alzarsi ogni mattina, tutto
era legato alla presenza di Steve nella sua vita. Steve era venuto a cercarlo
anni prima, lo aveva salvato dall’Hydra, aveva riconquistato la sua fiducia
giorno dopo giorno con infinita pazienza e gentilezza, lo aveva fatto tornare
ad essere un ragazzo normale, aveva lottato con lui e per lui mettendosi contro
tutto e tutti…
E lui che cosa aveva fatto per Steve, a parte
stravolgere la sua vita?
Era felice che fosse tornato da lui,
rinunciando a un’esistenza serena con Peggy, ma si sentiva anche in colpa per
ciò che gli aveva tolto.
Avrebbe mai potuto ripagarlo per tutto quello
che aveva fatto per lui, per tutto ciò che rappresentava nella sua vita?
Oppure era e sarebbe stato sempre e solo un
peso, un ostacolo alla completa realizzazione di Steve Rogers?
FINE
* Ancora una volta si tratta di una mia autocitazione:
questo episodio non è avvenuto nei film, ma nel capitolo 14 della mia long fic Yo contigo tu conmigo!